Dostoevskij e la Bibbia 8882270785, 9788882270780

In dialogo critico con i grandi interpreti dell’universo religioso dostoevskiano, da Solov’ev a Berdjaev, da Bachtin a G

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Dostoevskij e la Bibbia
 8882270785, 9788882270780

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI DIPARTIMENTO DI FILOLOGIE E LETTERATURE MODERNE

DOSTOEVSKIJ E LA BIBBIA

Nella stessa collana SPIRITUALITA` ORIENTALE Paisij Velicˇkovskij, Autobiografia di uno starec P. Evdokimov, Serafim di Sarov, uomo dello Spirito N. Arseniev, V. Lossky, Padri nello Spirito P. A. Florenskij, Il sale della terra. Vita dello starec Isidoro Silvano dell’Athos, Non disperare! Scritti inediti e vita N. Kauchtschischwili, Mat’ Marija. Il cammino di una monaca. Vita e scritti I. Balan, Volti e parole dei padri del deserto romeno AA.VV., L’amore del bello. Studi sulla Filocalia AA.VV., San Sergio e il suo tempo AA.VV., Nil Sorskij e l’esicasmo AA.VV., Paisij, lo starec AA.VV., San Serafim: da Sarov a Diveevo AA.VV., Silvano dell’Athos AA.VV., La grande vigilia AA.VV., L’autunno della Santa Russia

Il nostro Catalogo generale aggiornato è disponibile sul sito www.qiqajon.it

AUTORE: TITOLO: COLLANA: FORMATO: PAGINE: IN COPERTINA:

Simonetta Salvestroni Dostoevskij e la Bibbia Spiritualità orientale  cm  Andrej Rublev, Cristo Salvatore, icona (inizio del xv secolo), Galleria Tret’jakov, Mosca

Prima edizione digitale  © ,  EDIZIONI QIQAJON

COMUNITA` DI BOSE  MAGNANO (BI) Tel. .. - Fax ..

isbn ----

SIMONETTA SALVESTRONI

DOSTOEVSKIJ E LA BIBBIA

EDIZIONI QIQAJON COMUNITA` DI BOSE

RINGRAZIAMENTI

Il mio più profondo e più grande ringraziamento va a Riccardo Picchio, che ha avuto l’idea di questo lavoro e lo ha seguito e discusso con me per cinque anni. Desidero inoltre esprimere la mia gratitudine a coloro che hanno letto e discusso alcuni capitoli del libro: in particolare a Michele Colucci, a Cesare De Michelis, a Maria Teresa Marcialis e a Laura Sanna. Infine un caldo ringraziamento alla Comunità monastica di Bose, in particolare a Adalberto Mainardi e a Riccardo Larini per l’aiuto bibliografico che hanno dato alla mia ricerca, e a Sabino Chialà, per me prezioso per discutere e approfondire il pensiero di Isacco il Siro e dei padri della chiesa d’oriente.



Avvertenza: una prima redazione dei capitoli I, III e IV di questo lavoro è apparsa sui numeri ,  e  di Aion Slavistica negli anni ,  e . 

INTRODUZIONE

I romanzi di Fedor Dostoevskij sono ricchi di testi nel testo, citazioni, riferimenti a opere della letteratura russa e occidentale. Spicca tuttavia tra tutti gli altri un libro-chiave, il testo biblico, senza il quale non è possibile comprendere il significato delle opere dello scrittore nella loro complessità e originalità. Il lettore di Prestuplenie i nakazanie (Delitto e castigo), di Besy (I demoni), di Brat’ja Karamazovy (I fratelli Karamazov) non può non notare la presenza in posizione di rilievo di lunghi brani evangelici – l’episodio della resurrezione di Lazzaro (Gv ,-), quello dell’indemoniato di Gerasa (Lc ,-), la lettera alla chiesa di Laodicea (Ap ,-), il passo delle nozze di Cana (Gv ,-) – e inoltre una rete di citazioni scritturali dirette e indirette, che diventano di romanzo in romanzo sempre più numerose fino a occupare quasi ogni pagina dell’ultima opera. A più di cento anni di distanza dalla pubblicazione dei Fratelli Karamazov uno studio sistematico di un aspetto tanto importante dell’opera di questo autore non era ancora stato compiuto. Quello che mi propongo in questo lavoro è prima di tutto ricostruire la rete di citazioni bibliche dirette e indirette usate da Dostoevskij ed esaminare poi il ruolo che esse svolgono nel contesto dei suoi romanzi. Nella tradizione della Slavia ortodossa medievale e premoderna la sacra Scrittura e gli scritti dei padri erano i maggiori referenti semantici: “modelli supremi per l’arte dello scrivere 

oltre che sacre fonti di ispirazioni religiosa”1. In un contesto diverso dove non esiste più “un’attitudine sapienzale collettiva, una sorta di collettiva memoria del sapere”2, il lavoro che Dostoevskij scrittore compie sul testo biblico è nel nostro mondo un’operazione profondamente originale, che merita di essere seguita nelle sue diverse tappe di ricerca e di scoperta. Se non decide di compiere coscientemente un’operazione di riinserimento all’interno di un’antica tradizione con un corpus di regole precise, l’autore moderno ha con il testo biblico che introduce nelle sue opere un rapporto molto più libero e personale di quello degli autori della Slavia ortodossa e del medioevo latino. La fedeltà di Dostoevskij uomo e scrittore al Libro dal quale, a partire dalla Siberia, egli non si separerà più, è legata a una doppia motivazione. Prima di tutto c’è nei quattro anni di bagno penale la lunga frequentazione del Nuovo Testamento, l’unico testo di cui gli è consentito il possesso. In questa fase della sua vita, in cui il solo contatto umano possibile è quello coi compagni di prigionia, lo scrittore comincia a scoprire – e in lui c’è tutto lo slancio e l’entusiasmo della scoperta personale – la ricchezza di risposte che il testo biblico può fornire alle domande che occupano la sua mente. Più tardi, dopo il rientro a Pietroburgo, quando Dostoevskij può finalmente saziare la sua fame di libri, un importante passo avanti nella conoscenza e interpretazione della Scrittura è compiuto con l’aiuto degli scritti dei padri della chiesa d’oriente. Nei suoi larghi romanzi a più voci, rifacendosi a episodi tratti scrupolosamente dalle cronache dei giornali3, lo scrittore af1 Cf. R. Picchio, Letteratura della Slavia ortodossa, pp. -. 2 Come scrive Maria Corti, nel medioevo latino questa “attitudine sapienziale collettiva” da un lato “riduce il moderno bisogno di attribuzione di un testo a un autore, cioè la nozione di ‘paternità del testo’, dall’altro consente il procedimento scrittorio di ripresa e di sviluppo del lavoro altrui, che oggi saremmo tentati di definire ‘plagio’” (M. Corti, “Il binomio intertestualità e fonti”, p. ). 3 In Delitto e castigo, come sottolinea Dostoevskij stesso nelle lettere, quello che lo attira è descrivere la mentalità di uno dei tanti giovani omicidi dei quali si legge sui

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fronta problemi attuali per il suo mondo e anche per il nostro. Le risposte vengono, come vedremo da tutto il contesto dell’opera, attraverso due piani interconnessi: le esperienze concrete vissute dai protagonisti e le referenze bibliche che ne illuminano il significato. I quaderni di appunti preparatori, le lettere, le testimonianze dell’autore ci danno la possibilità di seguire le diverse fasi del processo di elaborazione delle sue opere. Sappiamo attraverso questi documenti che il punto di partenza di Delitto e castigo () è la personalità di un giovane assassino, tormentato da un aggrovigliato conflitto interiore nel mondo altamente distruttivo della Pietroburgo degli anni sessanta. Nel corso dell’elaborazione del libro, come è testimoniato dagli appunti, l’idea che a partire dal  dicembre  diventa il nucleo intorno al quale lo scrittore sviluppa il romanzo è “la concezione ortodossa”4. Infine, nella stesura definitiva cuore e centro dell’opera appare il capitolo in cui Raskol’nikov ascolta il brano della resurrezione di Lazzaro, che fornisce a lui – e contemporaneamente al lettore – una chiave per interpretare la vicenda dal punto di vista di Sonja, il personaggio che ripone nel testo evangelico tutte le sue speranze. In Delitto e castigo lo scrittore non parte quindi da un brano biblico per elaborare il suo progetto artistico, ma arriva a dargli un ruolo centrale alla fine di tutto il processo creativo. Nell’Idiot (L’idiota, ), che contiene numerose citazioni e richiami all’Apocalisse, il punto di partenza è – scrive l’autore nelle lettere – l’idea di rappresentare una “persona pienamente bella”5. I versetti dell’ultimo libro del Nuovo Testamento resta-

giornali del tempo. Nell’Idiota a colpirlo sono la vicenda di Ol’ga Umeckaja e il delitto Mazurin, ampiamente riportati dalla stampa, nei Demoni è l’affare Necˇaev, nei Fratelli Karamazov la vicenda del delitto Il’inskij. 4 “Idea del romanzo 1. La concezione ortodossa, in che cosa consiste l’ortodossia” scrive negli appunti del  dicembre . Cf. infra, p. . 5 Cf. infra, p. .

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no sullo sfondo. I personaggi trovano in essi conferma alla realtà di ingiustizia, distruzione, morte del mondo pietroburghese in cui sono immersi. Contemporaneamente, quei brani li inquietano, perché – come accade a Ippolit – in essi percepiscono la presenza di una potenziale risposta ai loro conflitti interiori, risposta che comunque nessuno nel romanzo è in grado di esplicitare. Il riferimento evangelico più importante è inserito dall’autore non attraverso una citazione diretta ma grazie a un testo nel testo codificato in un altro linguaggio. Una copia del Cristo morto di Holbein – rappresentazione visiva dell’episodio della deposizione descritto dai quattro evangelisti – colpisce e turba Mysˇkin e Ippolit, che la osservano in casa di Rogozˇin. Questa realistica immagine del corpo giallastro, tumefatto, irrimediabilmente senza vita di colui che si era presentato come il Salvatore si pone di fronte ai personaggi come un interrogativo al quale nessuno di loro sa rispondere. Nei Demoni (), come è documentato dalle lettere e dagli appunti6, il brano dell’indemoniato di Gerasa, messo come epigrafe e poi ripreso nel finale, è il punto di partenza nell’elaborazione del testo. Esso fornisce la chiave per interpretare la situazione politico-sociale del tempo, così come il passo della Lettera alla chiesa di Laodicea, recitato dallo starec Tichon, aiuta Stavrogin a prendere coscienza del conflitto interiore che lo tormenta. Infine, nei Fratelli Karamazov () l’epigrafe tratta dal vangelo di Giovanni (Gv ,) introduce il tema che sarà il leitmotiv dell’opera. Il procedimento usato da Dostoevskij nei Demoni e nei Fratelli Karamazov ricorda le “chiavi tematiche” individuate da Riccardo Picchio nella tradizione della Slavia ortodossa. In questi testi le citazioni bibliche – collocate dagli autori in una posizio-

6 Cf. infra, pp. -.

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ne ben marcata, all’inizio dell’expositio o subito dopo la parte introduttiva – indicavano al lettore esperto di esegesi biblica un motivo tematico superiore, che spiegava il senso nascosto degli eventi terreni esposti nella narrazione. Dato che ogni riferimento a una fonte scritturale implica un’interpretazione della fonte stessa – scrive Riccardo Picchio –, per stabilire il significato contestuale della referenza biblica dovremo domandarci quale possa essere stato l’atteggiamento dello scrittore. Per fare questo, dovremo risalire alle sue fonti esegetiche. Possiamo infatti intendere la “lingua” di una chiave tematica solo studiandone a fondo lo sfondo culturale7.

Ora, Dostoevskij agisce in un contesto culturale e artistico in cui il corpus di regole tecnico-retoriche della Slavia ortodossa è ormai perduto. Tuttavia anche in questo caso, anomalo rispetto ai testi medievali, risalire alle fonti esegetiche dello scrittore è un’operazione non meno necessaria, perché, se non si tiene conto del contesto della tradizione della chiesa d’oriente e degli scritti dei suoi padri, sfugge la complessità del significato dei romanzi e il ruolo chiave che il testo biblico svolge in essi8. Come vedremo attraverso le analisi, Dostoevskij è legato a questa tradizione non in modo puramente intellettuale e libresco, ma perché essa risponde al suo modo di sentire e alle sue profonde convinzioni interiori dopo l’esperienza della Siberia. 7 R. Picchio, Letteratura della Slavia ortodossa, p. . 8 Di solito gli studiosi che si occupano del mondo spirituale di Dostoevskij trascurano questo contesto. È secondo me proprio per questo motivo che il libro di R. Guardini, Dostoevskij. Il mondo religioso, contiene tante domande senza risposta. Anche autori russi come Ivanov (Dostoevskij) e Berdjaev (La concezione di Dostoevskij), che tendono a interpretare i romanzi di Dostoevskij secondo propri ideologie e modelli, trascurano il contesto ortodosso nel quale l’opera dello scrittore è inserita. Bisogna ricordare infine che per più di mezzo secolo gli studiosi residenti in Russia non hanno potuto pubblicare lavori su questi argomenti. Dopo un lungo intervallo i primi studi su questo tema sono usciti in Russia alla fine degli anni ottanta. Il volume Dostoevskij i Pravoslavie (Dostoevskij e l’ortodossia, ) contiene una bibliografia abbastanza scarna sull’argomento.



Scrive Maria Corti che “lo sfociare di una competenza (quella delle fonti) in un’altra (quella dell’intertestualità) è spesso motore decisivo per l’approfondimento della ricerca storico-critica in quanto ci obbliga a più o meno lievemente modificare la coscienza che si aveva di un fatto letterario, svelandone nuove implicazioni. Gli stessi dati vengono illuminati da un angolo nuovo, da un punto di vista diversamente orientato”9. Nel caso di Dostoevskij l’individuazione di fonti patristiche già a partire da Delitto e castigo permette di leggere i romanzi successivi da una prospettiva che rivela nuove implicazioni di senso. La ricerca dell’influenza dei padri della chiesa d’oriente sull’opera di questo autore finora non era stata compiuta. Esistono solo brevissimi accenni nei saggi di Evdokimov e in alcuni articoli dei critici russi contemporanei10. Come chiarirò nel corso della mia analisi, quello con i testi dei padri e in particolare con l’opera di Isacco il Siro è stato un incontro felice grazie al quale ciò che Dostoevskij sentiva in modo profondo ma confuso dentro di lui ha trovato chiarezza nel confronto con un pensiero limpido, caldo, vibrante d’amore, rivolto ai monaci puri di cuore, ma anche a tutti coloro che hanno vissuto una sofferenza, che “li ha resi umili e nudi” e che hanno avuto la forza di cercare un senso al loro soffrire. * Le analisi compiute nella seconda metà del Novecento sul problema dell’intertestualità suggeriscono, nell’affrontare l’argomento della nostra ricerca, un doppio ordine di considerazioni. Non possiamo dimenticare che stiamo parlando di opere letterarie. Il frammento biblico inserito in un testo artistico entra 9 M. Corti, “Il binomio intertestualità e fonti”, p. . 10 Cf. P. Evdokimov, Gogol et Dostoïevsky; N. Budanova “O nekotorich istocˇnikach”; V. Kotel’nikov, L’eremo di Optina; eccetera.

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nel processo di elaborazione creativa dell’autore, in quanto parte del tessuto dell’opera, che si sta realizzando. Come scrive Jurij Lotman, “proprio perché il messaggio che viene introdotto è un testo nel testo e non un senso nudo, esso acquista nel nuovo sistema indeterminatezza, si presenta come una costruzione poliglotta passibile di una serie di interpretazioni dal punto di vista di linguaggi diversi”11. All’interno del testo artistico – textum nel senso etimologico del termine12 – il brano biblico tende a caricarsi di sensi rimasti fino ad allora impliciti grazie all’intreccio fra i vari elementi dell’opera in cui è inserito. “Quando si ha un influsso profondo e produttivo – scrive Michail Bachtin –, non c’è semplice riproduzione, ma un ulteriore sviluppo della parola altrui (più esattamente semialtrui) in un nuovo contesto e in nuove condizioni”13. Mi sembra importante sottolineare che il frammento biblico non è un testo nel testo come gli altri. Indubbiamente la Bibbia è stata ed è in qualunque cultura, anche la più laica e materialista, un testo con il quale è impossibile non confrontarsi, sia pure in modo polemico. È in assoluto il libro più denso di senso, ricco di tutti i significati che sono stati colti dagli esegeti, dagli intellettuali, dagli artisti in più di due millenni. Per i padri della chiesa d’oriente e per lo stesso Dostoevskij è tuttavia molto di più. Scrive Pavel Evdokimov: I Padri della Chiesa vivevano della Bibbia: pensavano e parlavano attraverso la Bibbia, con quella mirabile penetrazione,

11 Cf. Ju. Lotman, La semiosfera, p. . 12 Scrive Jurij Lotman: “Poiché la stessa parola ‘testo’ richiama etimologicamente l’intrecciarsi dei fili della tela, si può dire che con questa interpretazione (quella del testo come meccanismo eterogeneo) restituiamo al concetto di testo il suo significato di partenza” (ibid., p. ). E Cesare Segre nella voce “Testo” dell’Enciclopedia Einaudi, pp. ,  e : “La parola testo si afferma abbastanza tardi in latino ... come uso figurato del participio passato di texere, metafora che vede il complesso linguistico del discorso come un tessuto”. 13 M. Bachtin, Estetica e romanzo, p. .

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che giunge fino all’identificazione del loro essere con la sostanza stessa del libro sacro. L’esegesi pura, come scienza autonoma, non è mai esistita all’epoca dei Padri. Chi si mette alla loro scuola comprende immediatamente il fatto interiore di ogni lettura biblica: la Parola letta o ascoltata conduce sempre alla Parola vivente, alla Presenza della Persona del Verbo14.

Raskol’nikov, Stavrogin, Stepan Trofimovicˇ, Ippolit, Alesˇa chiedono o semplicemente ascoltano la lettura di un passo evangelico nel momento critico in cui hanno bisogno di chiarire a se stessi qualcosa di essenziale per la loro esistenza e non ci riescono da soli. Per ognuno di loro quel passo è un testo già noto, carico del peso di significati già acquisiti15. Tuttavia, come vedremo, nel preciso momento in cui il brano viene pronunciato, esso risuona per il personaggio come se fosse indirizzato proprio e soltanto a lui: è una potenziale risposta che Alesˇa e il morente Stepan Trofimovicˇ accolgono, che Ippolit desidera ricevere ma non è in grado di comprendere, che il disperato Stavrogin rifiuta. In tutti questi casi il livello informativo del testo nel testo è accresciuto dal complesso gioco di intrecci di mittenti e di destinatari creato dallo scrittore. Il messaggio evangelico giunge infatti ai personaggi attraverso la mediazione di chi legge che, sia pure per ragioni diverse, ha una forte influenza su di loro e orienta proprio per questo, perfino con i toni e le esitazioni della voce, l’interpretazione del brano16. 14 P. Evdokimov, La novità dello Spirito, p. . 15 Nell’analizzare le citazioni bibliche inserite da Dostoevskij come testi nel testo, quello che intendo fare in questa sede non è esaminare le diverse interpretazioni che sono state date del brano, ma chiarire il “significato contestuale della referenza biblica”, operazione possibile solo se se ne studia lo sfondo culturale (cf. R. Picchio, Letteratura della Slavia ortodossa, p. ). I commenti che cito sono scelti allo scopo di esplicitare la linea interpretativa dello scrittore. 16 Il passo della resurrezione di Lazzaro giunge a Raskol’nikov attraverso la voce di Sonja, che ci crede con tutta se stessa. La Lettera alla chiesa di Laodicea è recitata a memoria dallo starec Tichon, consapevole che in quelle parole è racchiusa la denuncia dei mali che affliggono il suo interlocutore, ma anche un’indicazione per la sua pos-

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Nel mondo dei romanzi di Dostoevskij – dove i valori dominanti per la società del tempo sono il denaro, l’affermazione personale, il potere – il brano biblico inserito come testo nel testo ha una funzione di rottura, perché è chiaramente orientato in un’altra direzione. Usando la definizione di esplosione data da Jurij Lotman in Cercare la strada, possiamo dire che esso irrompe nel “mondo consueto” di Raskol’nikov, di Ippolit, di Stavrogin, di Stepan Trofimovicˇ “come un’illegittima cometa nel cielo sgombro di astri”. Una cosa fino a quel momento ignota – scrive Lotman descrivendo il processo esplosivo – viene improvvisamente illuminata dall’incontro con qualcosa di inatteso ... e d’un tratto diventa chiara, ovvia. Il passo successivo consiste nella trasformazione di questa esplosione in un testo da trasmettere all’uditorio17.

L’incontro col testo biblico è alla base di un processo esplosivo di questo tipo per alcuni personaggi e potenzialmente per il lettore al quale Dostoevskij si rivolge, perché nel contesto russo del secondo Ottocento non solo la Scrittura non è il principale referente semantico, ma è relegata in una posizione di scarsa significanza, periferica rispetto al sistema culturale del tempo e alle sue regole18. Pur avendo ricevuto da bambino un’educazione ortodossa all’interno di una famiglia profondamente credensibile rinascita. L’episodio dell’indemoniato di Gerasa è letto a Stepan Trofimovicˇ da Sof’ja Matveevna, la ragazza incontrata per caso, che gira il mondo vendendo vangeli. È lei che, praticamente senza conoscerlo, dà a questo personaggio nelle ultime ore della sua vita il sostegno e il calore della sua ingenua e semplice fiducia. Il passo delle nozze di Cana arriva ad Alesˇa durante la veglia funebre al suo starec attraverso la voce nota di padre Paisij, che gli vuole bene e teme per lui. 17 Cf. Ju. Lotman, Cercare la strada, pp.  e . Commentando il verso di Pusˇkin usato per la sua definizione, Lotman scrive che “l’irrompere nel sistema di ciò che è extrasistematico costituisce una delle fondamentali fonti di trasformazione di un modello statico in modello dinamico”. 18 Cf. L. Smolitsch, Santità e preghiera, p. .

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te19, Dostoevskij riscopre il valore della Bibbia non nel mondo pietroburghese della sua giovinezza, dove i testi discussi nei salotti degli intellettuali sono soprattutto scritti filosofici e pamphlet politici, ma fra gli emarginati e i disperati del bagno penale, i cui occhi e orecchie sono aperti, perché sono stati spogliati di tutto il superfluo20. * All’inizio di questo lavoro sarà utile domandarsi di quali testi biblici Dostoevskij si è servito per le sue riflessioni e il suo lavoro artistico. Prima di partire per la Siberia, in una lettera del  agosto  lo scrittore aveva chiesto al fratello “i due testamenti in lingua francese e possibilmente il testo in antico slavo”, dimostrando un interesse forse più filologico-culturale che profondamente spirituale. La Bibbia regalata da Michail fu subito rubata e sostituita da un vangelo in lingua russa stampato nel  a San Pietroburgo: Evangelie Gospoda nasˇego Iisusa Christa Novyi Zavet. Geir Kjetsaa, che ha esaminato il volume posseduto dallo scrittore per pubblicare una raccolta dei passi sottolineati e delle note a margine, scrive: Per la prima volta il Nuovo Testamento era disponibile in una traduzione russa. Prima di allora non c’era che il testo in slavo ecclesiastico, che era l’unica versione utilizzata nella chiesa. La traduzione era stata predisposta dai più illustri teologi russi. Il traduttore del vangelo secondo Giovanni era nientedimeno che lo stesso metropolita Filarete ... È senza dubbio questa la copia del Nuovo Testamento che l’autore mette in

19 Cf. A. M. Dostoevskij, Vospominanija, pp. -; S. Fudel’, Nasledstvo Dostoevskogo, pp. -; eccetera. 20 Cf. a questo proposito le testimonianze dello stesso Dostoevskij (cf. la nota  del c. I).

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mano a Sonja in Delitto e castigo: “Era il Nuovo Testamento nella traduzione russa” afferma Raskol’nikov. “Il libro era vecchio, ben tenuto, rilegato in pelle”21.

Questo volume, ricevuto in dono, sarà il solo libro in suo possesso nei quattro anni del bagno penale e anche, come dice Dostoevskij stesso, l’unico dal quale non si separerà più. Certamente, dopo l’esilio, lo scrittore ha letto e consultato anche altre edizioni di testi biblici. La predilezione per questo vecchio volume, consunto dall’uso, contribuisce a spiegare sia la presenza quasi esclusiva di citazioni in russo e non in slavo ecclesiastico – con l’esclusione delle citazioni di Zosima nei Fratelli Karamazov – sia gli scarsi riferimenti all’Antico Testamento, certamente conosciuto e meditato, ma non altrettanto frequentato e amato, soprattutto negli anni cruciali della Siberia.

21 “This was the first time the New Testament had been available in Russian translation. Earlier there had been only the Old Church Slavonic text, which was still the only version used in church. The translation had been carried out by the most distinguished theologians in Russia. The translator of the Gospel according to St. John was no less a person than the metropolitan Filaret ... Undoubtedly, this is the copy of the New Testament with which the author provides Sonja in Crime and Punishment: ‘It was the New Testament in Russian translation’ states Raskol’nikov. ‘The book was old, well-used, bound in leather’” (G. Kjetsaa, Dostoevsky and his New Testament, p. ). La prima traduzione del Nuovo Testamento in lingua russa moderna () – di cui il volume posseduto da Dostoevskij è una ristampa – era stata sollecitata e supervisionata dalla Società Biblica Russa fondata nel , grazie al lavoro svolto a Pietroburgo da John Peterson, membro della British and Foreign Bible Society fondata nel . Il compito che la British Bible Society, formata da anglicani, battisti, quaccheri e metodisti, si proponeva era “to spread God’s Word throughout the whole world in a pure form, without human addition or theological explanation”. Questi criteri hanno guidato anche la traduzione russa. Già nel  questa traduzione fu tuttavia messa sotto accusa dall’archimandrita Fotij Spasskij, che lamentava tra l’altro l’assenza nel testo di note esplicative ortodosse. La Società Biblica Russa fu sciolta. Per avere la nuova traduzione sinodale fu necessario aspettare fino agli anni sessanta per il Nuovo Testamento e fino al  per la Bibbia completa. Il testo caro a Dostoevskij, che lo tenne sulla sua scrivania fino al giorno della morte, è appunto quello tradotto secondo i criteri di esattezza (tocˇnost’), chiarezza ( jasnost’) e purezza (cˇistota) senza l’aggiunta di note esplicative ortodosse, fatto sotto la supervisione della Società Biblica Russa (cf. E. Bryner, “Bible Translations in Russia”). Sulla Società Biblica Russa e sulla traduzione della Bibbia cf. anche G. Florovskij, Vie della teologia russa, pp.  ss.

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* Nel paragrafo conclusivo di questa introduzione desidero soffermarmi su uno dei punti cardine della tradizione della chiesa d’oriente, quello della “discesa con la mente nel cuore” e dell’esperienza del “regno all’interno di se stessi”, perché è fondamentale per la comprensione di alcuni nodi centrali nelle opere di Dostoevskij e del processo conoscitivo che egli fa compiere ai suoi personaggi22. I brani biblici inseriti come testi nel testo nei romanzi – la resurrezione di Lazzaro, la vicenda dell’indemoniato di Gerasa e la sua guarigione, il versetto del capitolo  di Giovanni, la Lettera alla chiesa di Laodicea, che contiene la denuncia del male, ma anche l’indicazione per vincerlo – sono legati da un filo tematico comune: sono tutti incentrati sul momento della rinascita. Nel contesto dostoevskiano essi rivelano ai personaggi una via per passare da una situazione di morte – ovvero di vuoto, di senso di colpa, di incapacità di trovare un senso all’esistenza – alla vita intesa come gioia, pienezza, armonia con se stessi e col mondo. La vita è un paradiso e noi siamo tutti in paradiso – dice il Markel dei Fratelli Karamazov nelle sue ultime settimane di vita –, solo che non lo vogliamo vedere, ma se volessimo vederlo, domani stesso tutto il mondo diventerebbe un paradiso ... A che serve contare i giorni quando basta un solo giorno per conoscere tutta la felicità possibile? Miei cari, a che serve litigare, mettersi in mostra e serbare rancore l’uno con l’altro? ... Amiamoci e lodiamoci, baciamo e benediciamo la nostra vita23.

22 Poiché al centro della mia ricerca è l’opera di Dostoevskij, il quadro che traccio in queste pagine e che riprenderò nel corso delle analisi dei romanzi, è necessariamente molto breve e limitato solo ad alcuni aspetti. 23 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, pp. -).

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È un sentimento limpido e inequivocabile – afferma il Kirillov dei Demoni – come se a un tratto si sentisse tutta la natura e improvvisamente si esclamasse: sì, questa è la verità ... Non è... non è commozione, è soltanto gioia. Non perdonate nulla perché non c’è più niente da perdonare. Non è che amiate, oh ciò è più alto dell’amore24.

Come vedremo, questa dimensione di felicità e di partecipazione alla ricchezza di un’esistenza piena di senso è un leitmotiv presente in una serie di varianti nei romanzi dello scrittore. Pierre Pascal ha raccolto in un articolo alcuni dei brani più significativi nei quali Dostoevskij esprime l’idea del “paradiso sulla terra”, sottolineando il fatto che “essa non è stata ancora abbastanza considerata”: Si può porre una domanda: questo paradiso in terra, non altrimenti definito da Dostoevskij, è cristiano? Gli scrittori che hanno considerato questo concetto del paradiso in terra vi scorgono spesso un residuo dell’antica infatuazione dostoevskiana per il ‘socialismo utopistico’ ... Il paradiso in terra, anche se lo scrittore è giunto a questo concetto attraverso Rousseau o il neo- o pseudo-cristianesimo dei saint-simoniani, è essenzialmente cristiano poiché dipende dal precetto “Amatevi gli uni gli altri”. Si può affermare che esso sostituisce in Dostoevskij il paradiso promesso da Cristo? Significherebbe congetturare indebitamente sulle sue convinzioni religiose. Non possiamo dire, per quanto ci concerne, se egli credeva o no al paradiso di Cristo25.

Se si tiene conto del contesto spirituale e culturale in cui sono nati i romanzi di Dostoevskij, mi sembra che il problema vada posto in termini diversi. 24 Id., Besy, p.  (I demoni, p. ). 25 P. Pascal, “Dostoevskij e la fede nell’uomo”, p. .

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È importante sottolineare prima di tutto che a partire dall’Idiota fino all’ultimo romanzo Dostoevskij presenta due diverse forme di “paradiso sulla terra”. La prima, che ricorda l’episodio di Genesi, è quella vissuta da Mysˇkin nel paesino della Svizzera, dagli abitanti del pianeta parallelo incontrati in sogno dall’uomo ridicolo del racconto omonimo e da quelli sognati da Stavrogin e da Versilov. Tutti questi personaggi non hanno ancora conosciuto il male e sono perciò destinati – secondo un progetto che nella Bibbia è fissato dall’inizio dei tempi – a sperimentare il dolore e la caduta. La seconda forma è quella che testimoniano Markel, “il visitatore misterioso”, Zosima dei Fratelli Karamazov, Kirillov e Tichon dei Demoni, Makar di Podrostok (L’adolescente). Il primo tipo di paradiso ha una sua collocazione nel tempo e nello spazio. Mysˇkin è signore del suo piccolo giardino, situato nelle Alpi svizzere, e lo custodisce con amore. Come affermano loro stessi, Stavrogin e Versilov sognano il mondo e il tempo dell’“età dell’oro”, evocato nella loro mente dal quadro di Lorrain Aci e Galatea. La seconda forma di paradiso, quella di cui parlano personaggi come Zosima, Markel e il “visitatore miserioso”, non ha una collocazione spaziale e temporale. Si tratta infatti di una dimensione interiore raggiunta attraverso un percorso di progressiva purificazione oppure – come sottolineano gli starcy e i padri della chiesa – per effetto di un’improvvisa perforante sofferenza, che fa morire il vecchio io e i suoi attaccamenti e desideri26.

26 In un saggio contenuto nel volume che raccoglie i materiali del seminario Paradiso in terra. Genesi  e la storia della sua interpretazione, Giulio Busi nota che il paradiso terrestre non è un luogo della Scrittura ebraica. La locuzione “paradiso terrestre” non traduce infatti alcuna frase biblica ma sostituisce il gan Eden del Genesi – che significa letteralmente “giardino di piacere” – con un sostantivo di etimo persiano, “paradiso”, e un aggettivo “terrestre”, che non ha riscontro alcuno nell’ebraico biblico. Il termine paradiso – che pure esiste in ebraico con la forma pardes, usata in altri libri della Scrittura – è estraneo al racconto adamitico. Nella letteratura talmudica e midrashica gan Eden viene regolarmente usato per designare il giardino divino, contrapposto a pardes, che indica il giardino piantato dall’uomo. Parrebbe fare eccezione il noto racconto dei

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I padri della chiesa d’oriente hanno dedicato gran parte dei loro scritti a insegnare ai discepoli come realizzare il “regno” all’interno di se stessi attraverso il metodo della “discesa con la mente nel cuore”. Il cristianesimo orientale sottolinea l’idea che centro dell’uomo non è la mente, ma il cuore poiché il Nuovo Testamento “insegna che il cuore è l’organo principale della vita psichica e spirituale, è nell’uomo il luogo in cui Dio porta testimonianza a se stesso”27. La pace abiti nel tuo cuore – scrive Isacco il Siro – e il cielo e la terra saranno in pace con te. Sforzati di entrare nel tesoro che è in te e vedrai il regno dei cieli; poiché sono una cosa unica e identica, e, penetrando uno, contemplerai entrambi. La scala del regno di Dio è in te ... immergiti profondamente in te stesso e troverai la scala28. “quattro che entrarono nel pardes”, dove tuttavia probabilmente – sottolinea Busi – questa espressione indica un’esperienza interiore che mima nel chiuso del cuore l’entrata nel giardino (ibid., pp. -). Nella pagina di “Presentazione” al volume, di cui il saggio di Busi fa parte, Pier Cesare Bori e Mauro Pesce sottolineano che la ricerca degli autori dei diversi testi “si è voluta caratterizzare per l’attenzione all’aspetto storico-esegetico ... ma soprattutto per la specificità degli interrogativi che riguardano non tanto l’escatologia paradisiaca, l’Eden come immagine dell’al di là, ma la natura della condizione e della perfezione originaria come immagine di ciò che l’essere umano è stato ed è chiamato a essere qui e ora, con tutti i rapporti connessi” (ibid., p. ). Cito questo brano della pagina che apre i lavori di un seminario sul paradiso in terra tenuto ai nostri giorni, perché l’attenzione di Dostoevskij scrittore è rivolta appunto a questo aspetto: non all’al di là o a un concreto paradiso materiale, ma a una dimensione interiore, che può essere vissuta qui e ora da chi la cerca con tutto se stesso. 27 Cf. J. Dunlop, Staretz Amvrosy, p. . Pavel Evdokimov ha dedicato un capitolo del suo libro L’ortodossia alla “nozione biblica del cuore”: “Questo termine – scrive il teologo russo – non coincide assolutamente con il centro emozionale di cui parlano i manuali di psicologia; per gli Ebrei si pensa con il cuore perché esso integra tutte le facoltà dello spirito umano ... L’uomo è un essere visitato: lo Spirito lo abita e lo ispira dal di dentro, alla sorgente stessa del suo essere. La sua relazione con il contenuto del cuore, luogo dell’inabitazione divina, costituisce la sua coscienza nella quale parla la verità” (P. Evdokimov, L’ortodossia, pp. -). Cf. anche V. Lossky, La teologia mistica, pp. -. 28 Isaak Sirin, “Slovo” , p.  (“Discorso” , p. ). Le citazioni contenute nel mio lavoro sono tratte da Isaak Sirin, Slova podvizˇnicˇeskie, traduzione russa del testo greco confrontata con quello siriaco (la traduzione italiana è mia). Il secondo rimando si riferisce al testo italiano (Isacco di Ninive, Discorsi ascetici I) tradotto dal siriaco, che si ferma

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Scrive uno studioso ortodosso contemporaneo, il vescovo inglese Kallistos Ware, che finché il discepolo prega con la mente nella testa, continuerà ad agire unicamente con le risorse dell’intelletto umano e a questo livello non arriverà mai a un incontro con Dio diretto e personale. Usando il cervello, al massimo potrà conoscere qualcosa riguardo a Dio, ma non conoscerà Dio. Non viene richiesto [all’asceta] di abbandonare le sue capacità intellettuali – anche la ragione è un dono di Dio – ma è chiamato a scendere con la mente nel cuore. L’asceta dapprima discende nel cuore naturale e da qui nel cuore “profondo”, in quel “luogo interiore” del cuore che non è più di carne. Qui ... scopre per prima cosa lo “spirito a immagine di Dio”, che la Santa Trinità ha immesso nell’uomo alla creazione, e attraverso questo spirito arriva a conoscere lo Spirito di Dio ... Chi vuole avanzare sulla strada della preghiera interiore deve “ritornare in se stesso”, trovando il regno dei cieli che è in lui29.

I padri della chiesa d’oriente e gli esicasti30 compiono questo viaggio nell’interiorità del proprio cuore ispirandosi a Luca

però al Discorso  secondo la numerazione siriaca (il secondo volume, pur annunciato, non è ancora uscito). La traduzione russa dei Discorsi di Isacco il Siro segue il testo greco e la sua numerazione delle omelie, che è notevolmente diversa da quella del testo siriaco. Il testo siriaco contiene inoltre alcune parti, che mancano nella traduzione greca. 29 K. Ware, “Presentazione”, p. . È quello che succede ai personaggi intellettuali di Dostoevskij, in particolare a Ivan Karamazov. Mi soffermo su questa pagina di Ware, perché, come vedremo nei capitoli successivi, aiuta a comprendere le diverse tappe dell’esperienza di “discesa con la mente nel cuore” vissuta dai personaggi di Dostoevskij. 30 Scrive Kallistos Ware nel suo saggio di introduzione all’Arte della preghiera a proposito dell’esicasmo: “Dal vi secolo in poi questa tradizione vivente della Preghiera di Gesù è sempre stata presente nella Chiesa ortodossa. Introdotta nei paesi slavi, e in modo particolare in Russia, dai missionari greci, ha esercitato un’enorme influenza sullo sviluppo spirituale dell’intero mondo ortodosso. Ci furono tre periodi ... innanzitutto l’età d’oro dell’esicasmo nel xiv secolo bizantino con san Gregorio Palamas, il più grande teologo del movimento esicasta; poi la rinascita esicasta in Grecia, verso la fine del xviii secolo con Nicodemo del Monte Athos e la Filocalia; e infine la Russia del xix secolo con Serafino di Sarov e Giovanni di Kronstadt, gli starcy dell’eremo di Op-

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, (he Basileía toû theoû entòs hymôn estin). Il termine greco entós ha ricevuto due interpretazioni: “il regno di Dio è dentro di voi” e “il regno di Dio è in mezzo a voi”. L’ortodossia ha preferito la prima. In entrambi i casi si tratta comunque di una presenza come quella del seme e del lievito31. La “teologia della presenza” è un punto cardine della chiesa d’oriente. È questa l’affermazione fondamentale che determina tutta la teologia orientale – scrive Pavel Evdokimov –. L’essenza di Dio è radicalmente trascendente, sono immanenti, partecipabili soltanto le operazioni (le energie, la grazia). Non è un’astrazione, ma è una questione di vita o di morte, perché si

tino, Teofane il Recluso e Ignazio Brjanchaninov” (K. Ware, “Presentazione”, p. ). E Vladimir Lossky: “Il metodo dell’orazione interiore o spirituale, conosciuto col nome di esicasmo appartiene alla tradizione ascetica della Chiesa d’Oriente e risale senza dubbio all’antichità. Trasmettendosi da maestro a discepolo per via orale non fu fissato per iscritto che all’inizio dell’undicesimo secolo in un trattato attribuito a san Simeone il Nuovo Teologo. Più tardi fu il tema di studi di san Gregorio il Sinaita, che ristabilì questa pratica verso l’inizio del xiv secolo sul Monte Athos ... L’esicasmo è conosciuto in Occidente principalmente grazie alle opere dei Padri Jugie e Hausherr, autori molto eruditi, ma che purtoppo danno prova di uno strano zelo nel denigrare l’oggetto dei loro studi” (V. Lossky, La teologia mistica, pp. -). Cf. anche il capitolo “L’esicasmo” nel volume di Evdokimov, L’ortodossia, pp. -, il libro di Jean-Yves Leloup, L’esicasmo, e quello di Jean Meyendorff, San Gregorio Palamas e la mistica ortodossa. 31 Nel capitolo conclusivo del suo libro Il regno di Dio dedicato alle diverse interpretazioni del versetto di Luca (Lc ,) che “si sono succedute e contrapposte” attraverso i secoli, Vittorio Subilia, parlando della “presenza del Regno” scrive, citando Goppelt: “Il Regno di Dio viene in modo non visibile, ma nascosto, non in modo universale e totale, ma come il più piccolo di tutti i semi. La parabola (Mt ,-) rimane oggi ancora in tutta la sua pregnanza, acuta senza attenuazioni. Che cosa c’è da vedere dell’uomo nuovo e del nuovo mondo dopo una storia bimillenaria del cristianesimo quale religione mondiale? Niente altro che il granello di senape. Uomini che mediante il messaggio sono chiamati alla fede e al discepolato. Eppure è così e soltanto così che viene il mondo nuovo” (V. Subilia, Il Regno di Dio, p. ). Queste parole aiutano a definire anche quegli “uomini nuovi” dostoevskiani che, come Markel, Zosima, Alesˇa, Makar, diventano nei romanzi punti di luce (granelli di senape, lievito) per gli altri. Poiché il libro di Subilia è rimasto incompiuto a causa della morte dell’autore, manca la parte relativa alla chiesa d’oriente. Scrive il curatore Gino Conte nella nota conclusiva: “Un aspetto da indagare era poi, secondo un altro appunto [di Subilia], come l’Ortodossia pone e vive la questione del Regno di Dio. Subilia annotava che un carattere tipico dell’ortodossia è l’unione del divino e dell’umano sulla terra, anticipata e vissuta nella liturgia” (ibid., p. ).

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tratta della realtà stessa della comunione tra Dio e l’uomo ... L’uomo entra realmente in comunicazione con le operazioni divine, con le manifestazioni divine del mondo, ma allo stesso modo che nel mistero eucaristico: chi ha ricevuto un’operazione divina, ha ricevuto Dio tutto intero32.

“San Germano, patriarca di Costantinopoli – scrive ancora Evdokimov in Teologia della bellezza –, diceva che con il Cristo tutto il cielo è disceso sulla terra ... Sergej Bulgakov chiamava l’Ortodossia ‘il cielo sulla terra’”33. In questa stessa linea si pongono, come vedremo, le esperienze che Dostoevskij fa compiere ai suoi personaggi privilegiati, spinti da un disperato bisogno di luce. Verso questo stato di gioia e di pienezza interiore tendono con maggiore o minore consapevolezza tutti i protagonisti degli ultimi romanzi, anche i più colpevoli e disperati. Lo scrittore è ben consapevole che in questo cammino è possibile perdersi e fallire. Lo dimostrano le cupe tragedie delle vite di Stavrogin, di Kirillov, di Ivan Karamazov e di altri personaggi della sua opera. Dostoevskij concede soltanto a pochi privilegiati di vivere la condizione di “paradiso sulla terra”. Alcuni, come Markel, Stepan Trofimovicˇ, “il visitatore misterioso”, la sperimentano nell’imminenza della morte, altri nella situazione patologica dell’aura epilettica (Mysˇkin e probabilmente Kirillov), altri ancora, come Stavrogin e Versilov, in un sogno che sembra impossibile tradurre in realtà. Per tutti loro questo “paradiso” è qualcosa di intravisto e subito perduto oppure è un’apertura verso un’altra dimensione che si proietta al di là di questa vita. Delle figure che hanno acquistato una stabile dimensione di gioia e di pace interiore – lo starec Tichon dei Demoni, lo Zosima dei Fratelli Karamazov, il pellegrino Makar dell’Adolescente – viene presentata la tarda maturità ricca di sag32 P. Evdokimov, L’ortodossia, p. . 33 Id., Teologia della bellezza, pp.  e .

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gezza e di amore, ma non il cammino che ha permesso di raggiungere questo livello. Alesˇa Karamazov è l’unico personaggio a cui è concesso di scoprire questa dimensione in piena coscienza e con le forze vitali ancora intatte. Per comprendere il significato dell’espressione “paradiso sulla terra”, che torna negli episodi centrali e risolutivi delle opere dello scrittore, è fondamentale chiarire che cosa significa “il regno di Dio è dentro di noi” per i padri della chiesa d’oriente. Isacco il Siro torna più volte nei suoi Discorsi su questo punto. Si dice che il regno celeste è la contemplazione spirituale (duchovnoe sozercanie). Essa non si acquista attraverso le fatiche del pensiero, ma può essere gustata per grazia. Finché l’uomo non purifica se stesso non ha le forze sufficienti neanche per sentirne parlare. Se tu raggiungi la purezza del cuore ... improvvisamente acquisterai la visione spirituale ... Erigi una stele e versa olio su di essa e troverai un tesoro dentro di te. Il pentimento è una seconda grazia: nasce nel cuore dalla fede e dal timore. Il timore è la verga paterna che ci guida al paradiso spirituale. Quando siamo arrivati lì, allora ci lascia e torna indietro. Il paradiso è l’amore di Dio ... L’amore è il regno (carstvo) ... L’amore è sufficiente a nutrire l’uomo al posto del pane e delle bevande. Questo è il vino che rallegra il cuore dell’uomo. Beato chi ha bevuto di questo vino34.

È chiaro dai brani citati, come da numerosi altri di questo padre della chiesa d’oriente, che per lui il paradiso spirituale è raggiungibile qui e ora e che la sua essenza è l’amore, che si sviluppa in risposta a quello di Dio, che è possibile sperimentare nel profondo del proprio essere. A un amore senza limiti, che scaturisce dalla percezione del divino all’interno di se stessi, Isacco ha dedicato i suoi discorsi più ispirati e vibranti, tanto spesso citati dai maggiori teologi della chiesa d’oriente. 34 Isaak Sirin, “Slovo” , p.  e “Slovo” , pp. -.

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Sulla stessa linea si pone Simeone il Nuovo Teologo, del quale riporto qui una sola fra le numerosissime citazioni: Il regno dei cieli consiste nella partecipazione allo Spirito santo: questo solo infatti è ciò che significa “il regno di Dio è dentro di noi”, in modo che ci diamo cura di ricevere e custodire dentro di noi lo Spirito santo35.

Gli scritti di Isacco e di Simeone, testi cardine della tradizione della chiesa d’oriente36, sono arrivati al mondo russo attraverso le traduzioni di Paisij Velicˇkovskij37 e più tardi, dopo un periodo di relativo oblio, grazie al lavoro di revisione e di pubblicazione dei testi compiuto dagli starcy di Optina, lavoro che già dagli anni cinquanta ha reso accessibili a tutti coloro che lo desideravano le traduzioni degli scritti dei padri, prima praticamente introvabili38. 35 Simeone il Nuovo Teologo, Le catechesi, p. . “Il Regno di Dio è dentro di noi”, scrive Umberto Neri nell’“Introduzione” al volume delle Catechesi di Simeone, “non è nient’altro che la visio Dei: questo versetto evangelico – la sua citazione preferita [di Simeone] – ricorre dovunque come un ritornello e potrebbe ben fare da intestazione a tutte le sue opere” (U. Neri, “Introduzione”, p. ). 36 Insistono su questo punto i teologi Pavel Evdokimov e Vladimir Lossky nei volumi L’ortodossia e La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, il vescovo inglese Kallistos Ware nel suo libro Riconoscete Cristo in voi?, Vladimir Kotel’nikov nel libro L’eremo di Optina. 37 A proposito del lavoro di traduzione di Paisij e del suo significato per il mondo russo cf. AA.VV., Paisij lo starec (in particolare il saggio di A.-E. Tachiaos, pp. -); V. Kotel’nikov, L’eremo di Optina, pp. -; Paisij Velicˇkovskij, Autobiografia di uno starec. 38 Scrive il biografo dello starec Makarij Leonid Kavelin: “Nell’ottobre del  fu iniziata la composizione delle note esplicative alla traduzione del libro di Isacco il Siro fatta da Paisij Velicˇkovskij e il confronto con il testo greco ... Nel marzo  uscì la più preziosa di tutte le pubblicazioni del Monastero di Optina: Sv. Otca nasˇego Isaaka Sirina episkopa Ninevijskago slova duchovnopodvizˇnicˇeskija perevedeny s grecˇeskago starcem Paisiem Velicˇkovskim (Discorsi spirituali del nostro Santo Padre Isacco il Siro vescovo di Ninive, tradotti dal greco dallo starec Paisij Velicˇkovskij). L’opera era ... corredata dalle note di cui ho già parlato e da un indice alfabetico redatto dallo stesso Makarij” (L. Kavelin, Zˇitie iero-schimonacha Makarija, pp. -). Kavelin mette in evidenza in una nota che le copie precedenti del lavoro di Paisij Velicˇkovskij erano rarissime e costosissime e che “non solo lo starec Makarij ma tutti coloro che erano interessati ai testi patristici furono estremamente felici di questa pubblicazione”. Negli stessi anni furono pubblicati la Vita di Simeone il Nuovo Teologo () e dodici sue omelie () e inoltre opere di

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Come vedremo nei capitoli successivi, la dimensione di “paradiso sulla terra” vissuta dai personaggi privilegiati di Dostoevskij, capaci di dare larghe risposte ai problemi che travagliano Raskol’nikov, Stavrogin, Ivan Karamazov, ha tutte le caratteristiche dell’esperienza interiore descritta nelle opere di Isacco e di Simeone. Quello che interessa un autore così proteso verso la luce, la gioia, la commossa quasi estatica ammirazione della bellezza del mondo, è la ricerca di che cosa rende possibile vivere questa dimensione di “paradiso” all’interno di se stessi per trasmetterla agli altri ed essere luce e che cosa genera invece il processo inverso: il vuoto di valori, l’isolamento, la distruttività che egli vede così diffusi nel mondo a lui contemporaneo. È una ricerca controcorrente nella Russia del secondo Ottocento. Non lo è di meno nella realtà in cui oggi viviamo. L’opera di Dostoevskij è tanto larga, ricca, capace di penetrare nei più complessi meccanismi della psiche, da poter coinvolgere e offrire materia di riflessione a chiunque abbia interesse per l’essere umano, indipendentemente dalle sue concezioni politiche e religiose. Al di là dei desideri di alcuni anche importanti interpreti dell’opera di questo autore39, un’analisi dei grandi romanzi mette in luce con chiarezza che il testo biblico, filtrato attraverso gli insegnamenti dei padri della chiesa d’oriente, degli starcy e della ricca esperienza di vita dello scrittore, è il libro-chiave senza il quale il nucleo più vivo e profondo del messaggio delle opere di Dostoevskij va perduto. Barsanufio (), di Doroteo () e di molti altri ancora. Per il lavoro di traduzione e pubblicazione svolto a Optina cf. V. Kotel’nikov, L’eremo di Optina, pp. -. 39 Mi riferisco in particolare al lavoro di Michail Bachtin sulla polifonia del romanzo dostoevskiano (M. Bachtin, Dostoevskij). Pur riconoscendo l’utilità degli strumenti metodologici, che ho del resto ampiamente utilizzato nel mio lavoro, ritengo che una personalità larga, indocile e creativa come quella di Dostoevskij si presti male agli ingabbiamenti operati dagli studiosi che fanno della sua opera il campo di applicazione di un modello teorico.

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Capitolo I DELITTO E CASTIGO

Nella vita artistica e creativa di Dostoevskij una data è secondo me particolarmente importante: il  dicembre . Essa è registrata su una pagina del libro di appunti dedicato alla terza redazione di Prestuplenie i nakazanie (Delitto e castigo), romanzo che segna nel lavoro dello scrittore una svolta profonda. Con questo libro inizia infatti una ricerca artistica e conoscitiva che coinvolge tutte le opere e gli abbozzi di questi anni fino ai Fratelli Karamazov. Il nodo centrale intorno al quale si costruisce il romanzo è il problema di fondo col quale da ora in poi si confronteranno tutti i protagonisti di Dostoevskij: il perché dell’esistenza del male nel mondo, il significato della sofferenza delle vittime – in particolare dei più piccoli e indifesi – e infine la personale risposta dei diversi personaggi. La prima redazione di Delitto e castigo, incentrata sulla psicologia del protagonista – Rodion Romanovicˇ Raskol’nikov – e ricca di elementi patetici e sentimentali, è ancora molto povera rispetto al testo definitivo. Negli appunti dell’autunno  viene già introdotto tuttavia il discorso di Marmeladov nella bettola, che sarà un punto chiave nella versione finale del libro. Il  dicembre Dostoevskij annota una frase che mette in bocca a Sonja: In una situazione di comodità, nella ricchezza probabilmente voi non avreste visto niente delle disgrazie umane. Dio man

da a colui che ama e nel quale spera molte disgrazie, perché egli ne abbia esperienza personale e sviluppi una maggiore conoscenza, perché il dolore umano si vede meglio quando si soffre che quando si è felici1.

Questa frase prepara la nota del  dicembre nella quale, riorganizzando i diversi fili del testo che sta elaborando, Dostoevskij scrive: Idea del romanzo. . La concezione ortodossa, in che cosa consiste l’ortodossia. Non si ha la felicità in una situazione di comodità. È attraverso la sofferenza che essa si raggiunge. Questa è la legge del nostro pianeta, ma questa conoscenza diretta (soznanie), percepita attraverso il processo vitale, è una gioia così immensa che si può pagare con anni di sofferenza. L’uomo non nasce per la felicità. Egli conquista la sua felicità, e sempre attraverso la sofferenza. Qui non c’è nessuna ingiustizia, perché la conoscenza, direttamente percepita dal corpo e dallo spirito ovvero da tutto il processo vitale, si acquista con l’esperienza del pro et contra, che è necessario sperimentare su di sé. . In lui [Raskol’nikov] si esprime nel romanzo l’idea di un orgoglio smisurato, di una grande alterigia, del disprezzo per questa società ... n.b. Nella realizzazione artistica non dimenticare che egli ha ventitré anni2.

Questo brano è secondo me il nucleo vitale intorno al quale lo scrittore elaborerà non soltanto il libro del , ma anche i testi successivi. Due dettagli collegano direttamente la nota del  dicembre  all’ultima opera dello scrittore. Il V libro dei Fra-

1 F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie (rukopisnye redakcii), p. . 2 Ibid., pp. -.

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telli Karamazov, che contiene la confessione di Ivan e “Velikij Inkvizitor” (Il Grande Inquisitore), è intitolato Pro et contra. Esso affronta da una diversa angolazione, con una sottigliezza di argomentazioni che manca al denutrito e frustrato Raskol’nikov, la stessa problematica sulla quale, come è evidente dall’episodio della cavallina, il personaggio di Delitto e castigo riflette fin dall’infanzia: il significato della presenza di tanto male e tante vittime nel mondo e il ruolo di un Dio che sembra indifferente a questo soffrire. Inoltre, come è sottolineato più volte nell’incontro fra i due fratelli, anche il secondo dei Karamazov ha ventitré anni, è cioè come Raskol’nikov ancora un ragazzo, che non si conosce profondamente e che in questo momento del romanzo non ha sperimentato sulla propria pelle con dolore che cosa significa toccare il fondo. Noi, che siamo degli sbarbatelli – dice Ivan ad Alesˇa che gli ha appena ricordato che è un giovane di ventitré anni con le caratteristiche dei ragazzi della sua età – dobbiamo prima di tutto risolvere le questioni eterne, una volta per tutte. Ecco quello che conta per noi. Tutti i giovani russi non fanno che discutere sulle questioni eterne adesso3.

Con questo stesso problema si misureranno Mysˇkin e l’adolescente Ippolit nell’Idiota, i protagonisti dei Demoni e soprattutto i personaggi dei Fratelli Karamazov. Alcuni di loro falliscono e terminano la vita nella disperazione, senza aver trovato una risposta. Per altri, che compiono diversi percorsi, il nocciolo della soluzione è già contenuto nella breve sintesi del brano degli appunti che abbiamo citato. Le parole di Dostoevskij su una felicità, che è acquistata a un prezzo altissimo e proprio per questo è tanto più preziosa, sono scritte da un uomo che nel  ha già

3 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, pp. - (I fratelli Karamazov, p. ).



vissuto un’esecuzione sospesa, quattro anni di bagno penale in Siberia, le frequenti piccole morti degli attacchi epilettici, e infine la crisi e la disperata solitudine dopo la scomparsa a pochi mesi di distanza nel  della prima moglie e del fratello Michail. E così io rimasi all’improvviso solo ed ebbi semplicemente paura del mio stato – scrive a Vrangel nel marzo  a proposito di queste due morti –. Tutta la mia vita era di colpo spezzata in due ... Letteralmente non mi era rimasto nulla per cui vivere ... L’agitazione, il travaglio più gelido del correre di qua e di là, lo stato per me più anormale, e per di più tutto da solo, ché di quelli di prima e del me stesso di prima, oggi che sono quarantunenne, non rimane più nulla. E intanto mi pare sempre come se soltanto adesso cominciassi a vivere4.

Quando a Wiesbaden nell’estate del  Dostoevskij progetta e inizia a scrivere Delitto e castigo, è in una situazione di miseria materiale, di sconforto e di estrema solitudine5. La versione definitiva del romanzo, pubblicata nel , avrà tuttavia una compattezza espressiva, una capacità di penetrazione psicologica e una ricchezza di significato che nessuna delle opere precedenti aveva raggiunto. È come se in questo momento, dopo avere toccato il fondo, gli occhi dello scrittore si aprissero alla scoperta di un’altra dimensione, rimasta fino ad allora in secondo piano. Quando scrive a lettere maiuscole “La concezione ortodossa, in che cosa consiste l’ortodossia”, l’autore è certamente 4 Id., Pis’ma - I, pp. - (Epistolario, pp. -). 5 Dopo aver perso tutto il suo denaro alla roulette, Dostoevskij rimase bloccato in un albergo di Wiesbaden per più di un mese, quasi senza mangiare e subendo molte umiliazioni da parte del proprietario dell’albergo, che gli negava perfino la candela per scrivere. Solo l’accettazione da parte di Katkov di pubblicare sulla sua rivista Delitto e castigo, lo liberò da questa situazione (cf. AA. VV., Letopis’ zˇizni i tvorcˇestva Dostoevskogo, pp. - e la lettera di Dostoevskij alla Suslova del  agosto ).



consapevole di andare ben al di là del proprio vissuto personale. Effettivamente, il brano degli appunti, che segue le parole scritte in maiuscolo, condensa in poche righe uno dei percorsi indicati dai padri della chiesa d’oriente per scoprire all’interno di se stessi “il regno di Dio” ovvero una dimensione di pienezza e di gioia illuminata dalla grazia6. Vorrei ricordare a questo punto un aspetto ben noto della personalità dello scrittore: il suo amore per i libri che – come dice al fratello Michail il  febbraio  – “sono la sua vita, il suo nutrimento, il suo avvenire”. Quando un autore come Dostoevskij, assetato di letture, afferma che l’idea del romanzo è la “concezione ortodossa”, è difficile che non si sia prima documentato e che non abbia letto i testi di quei padri della chiesa dei quali da Omsk aveva chiesto ripetutamente al fratello i volumi7. Scrive Pavel Evdokimov, che si limita però nel suo libro su Dostoevskij soltanto a brevissimi accenni alle sue fonti patristiche, che “il solo metodo che convenga qui è di situare la sua visione nella Tradizione della sua Chiesa e di rivelare le sue fonti ... un’analisi più attenta del retroterra patristico lascia facilmente scorgere l’ortodossia assolutamente corretta di Dostoevskij”8. Penso che il retroterra patristico abbia una grande importanza per lo scrittore proprio a partire da Delitto e castigo. Nelle let-

6 Per il percorso indicato dai padri per realizzare il regno di Dio dentro se stessi cf. supra, pp. -, e infra, pp. - e -. 7 Cf. le lettere al fratello Michail del  febbraio e del  marzo . Nel periodo in cui scrive gli appunti preparatori di Delitto e castigo Dostoevskij conosce inoltre e frequenta un sacerdote ortodosso, I. L. Janysˇev, col quale – come risulta dalle lettere – parla a lungo: cf. la lettera a Vrangel del  agosto  (Pis’ma -, p. ) e quella allo stesso Janysˇev del  novembre  (“Non potrò mai dimenticare quanto mi avete aiutato nel tempo della mia pesante angoscia. Voi, un estraneo, in nome di Colui che vi ha mandato ...”, ibid., pp. -). A proposito di questo periodo e degli incontri con Janysˇev cf. N. Losskij, Dostoevskij i ego christjanskoe miroponimanie. 8 “La seule méthode critique qui convienne ici, c’est de situer sa vision dans la Tradition de son E´glise et de révéler ses sources ... une analyse plus attentive de l’arrière-fond patristique découvre aisément l’orthodoxie très correcte de Dostoïevsky” (P. Evdokimov, Gogol et Dostoïevsky, pp. -).



tere e nei quaderni degli anni sessanta egli non parla di queste letture, come farà invece negli appunti preparatori degli ultimi romanzi. Come ho detto nell’“Introduzione”, la dimensione di felicità – “una gioia così immensa che si può pagare con anni di sofferenza” – alla quale Dostoevskij fa riferimento nei quaderni è un tema presente negli scritti di molti autori: da Simeone il Nuovo Teologo a Giovanni Climaco, da Nil Sorskij agli starcy di Optina. Ancora, la lezione di umiltà che Raskol’nikov, vittima di un orgoglio altamente distruttivo, riceve da Marmeladov e da Sonja rimanda a tante pagine della letteratura patristica9. Mi sembra importante sottolineare tuttavia che a partire da Delitto e castigo il modo in cui Dostoevskij sviluppa questi temi richiama insistentemente l’opera di Isacco il Siro o perché, come io credo, egli l’aveva già conosciuta e meditata oppure perché la sua complessa e travagliata esperienza di vita, la sua sensibilità spirituale, le sue letture di quegli anni10 lo spingevano in questa stessa direzione. Sappiamo che, secondo l’elenco compilato da Anna Grigor’evna dopo la morte del marito, lo scrittore aveva nella sua biblioteca Slova podvizˇnicˇeskie (Discorsi ascetici) nell’edizione del

9 Cito fra i tanti scritti che parlano di questo tema un frammento di Giovanni Climaco e uno dello Pseudo-Macario: “Le passioni ci dominano, siamo deboli – scrive Giovanni Climaco – allora presentiamo a Cristo con grande confidenza la nostra debolezza e impotenza spirituale; confessiamole davanti a lui. Egli ci aiuterà senza badare ai nostri meriti, alla sola condizione che scendiamo incessantemente fino in fondo nell’abisso dell’umiltà ... Non è detto: io ho digiunato, ho vegliato, mi sono coricato sul duro, ma: mi sono umiliato e subito il Signore mi ha salvato” (Giovanni Climaco, La scala del paradiso, p. ). E lo Pseudo-Macario: “Astenersi dal male non è la perfezione. La perfezione è entrare in uno spirito di umiltà e mettere a morte il serpente che si annida ed esercita l’omicidio al di sotto della stessa mente, in una profondità maggiore di quella dei pensieri” (Pseudo-Macario, Omelia , PG , col. ). 10 I testi degli autori russi di opere spirituali a partire dall’Ustav (Regola) di Nil Sorskij sono ricchi di citazioni e riferimenti all’opera di Isacco il Siro, composta nel vii secolo.



 e che negli appunti preparatori e nel testo definitivo dei Fratelli Karamazov è più volte citato il nome di Isacco il Siro11. Dostoevskij non ha lasciato una testimonianza diretta del momento in cui ha conosciuto per la prima volta questo libro, facilmente reperibile dalla fine degli anni cinquanta grazie all’edizione di Optina Pustyn’. Ora, le parole attraverso le quali nell’appunto del  dicembre viene spiegato “in che cosa consiste la visione ortodossa”, esprimono parafrasandolo un concetto che è alla base della concezione di Isacco, ripreso poi in contesti diversi da autori ortodossi, in particolare dagli starcy di Optina. Riporto qui alcuni brani brevi ma significativi di Slova podvizˇnicˇeskie12, per tornare più avanti sui numerosi punti di contatto fra questo libro e il romanzo. Afflizioni, preoccupazioni, tentazioni fanno parte dei doni che Dio manda per preparare il cammino ... Nessuno può ascendere al cielo vivendo nelle comodità. Sappiamo dove conduce la via delle comodità. Non rifiutare le tribolazioni perché per mezzo di esse entrerai nella conoscenza. Non temere le tentazioni perché in esse troverai beni preziosi. Fino a quando il cuore non è umiliato, non cessa di divagare. L’umiltà raccoglie il cuore ... mentre il cuore si riempie di gioia e di stupore, moti frequenti di ringraziamento e di gratitudine sorgono in lui13.

Sono le stesse idee espresse nella nota del  dicembre e poi sviluppate in quella del . È appunto intorno a queste idee che lo scrittore costruisce il suo romanzo. 11 Cf. infra, pp. -. 12 Per le edizioni e le traduzioni di Isacco il Siro cf. la nota  dell’“Introduzione”. 13 Isaak Sirin, “Slovo” , p. ; “Slovo” , p.  (“Discorso” , p. ); “Slovo” , pp. - (“Discorso” , p. ).



Secondo me queste affinità e consonanze fra Delitto e castigo e Slova podvizˇnecˇeskie si devono a una caratteristica peculiare di Isacco, messa in evidenza fra gli altri da Olivier Clément. Le opere di Giovanni Climaco, di Nil Sorskij e di altri autori che abbiamo ricordato si rivolgono chiaramente a chi intende dedicarsi a una vita di ascesi. In questo senso il libro di Isacco sembra non fare eccezione. Tuttavia, grazie all’arditezza e alla profondità del suo pensiero, più volte sottolineata da Clément, da Evdokimov, da Lossky, l’opera di questo padre della chiesa è preziosa per tutti coloro che, come i personaggi privilegiati di Dostoevskij, abbiano vissuto almeno una volta nella vita un’esperienza affine a quella descritta da Isacco: che cioè in un momento di angoscioso dolore e di un’umiliazione tanto cocente da metterli in ginocchio e spogliarli di tutto il superfluo, abbiano anche solo intravisto per un momento una dimensione di esistenza – diversa da quella ordinaria – vibrante di un amore capace di abbracciare tutto e tutti e di riscattare anche la propria indegnità e colpevolezza. Gli accenti di Isacco sull’amore per gli esseri e per le cose – scrive Olivier Clément – sono sconvolgenti. La carità del “cuore misericordioso” diviene cosmica, la sua speranza non ha limiti, egli prega “perfino per i serpenti, perfino per i demoni”. Attraverso il dolore universale, la resurrezione di Cristo fa sì che egli percepisca “la fiamma delle cose” ... Non c’è dunque da meravigliarsi se gli scritti di Isacco di Ninive hanno ispirato la più alta ascesi monastica – ma animata in sostanza da un amore senza limiti (l’amore, ripetiamolo, è difficile) – e nello stesso tempo ... la filosofia religiosa e la letteratura russa del xix e del xx secolo, soprattutto Dostoevskij ... solleciti di elaborare una metafisica della conoscenza in comunione e di conferire al cristianesimo un’autentica potenzialità di trasfigurazione14.

14 O. Clément, Alle fonti con i padri, pp. -.



Nelle opere precedenti a Delitto e castigo Dostoevskij accenna alla fede di alcuni detenuti in Zapiski iz mertvogo doma (Memorie di una casa di morti) e alle preghiere della famiglia Ichmenev in Unizˇennye i oskorblennye (Umiliati e offesi). Si tratta tuttavia di elementi marginali, che trovano poco spazio in queste opere. Nessuno dei personaggi dei due libri ha la forza dirompente della fede di Sonja, né è lacerato dai conflitti interiori e dalle domande che tormentano Raskol’nikov. Come vedremo, dal dicembre  la “concezione ortodossa”, sintetizzata nel brano che abbiamo citato, diventa la spina dorsale che regge la vicenda di Delitto e castigo e le dà un senso. È a partire da questa data che la letteratura trova uno scrittore, dotato di un non comune talento artistico e di una larga sofferta esperienza di vita, capace di far vivere una spiritualità ricca e originale come quella della chiesa d’oriente nella carne e nel sangue dei suoi personaggi e nel potente messaggio delle sue opere15. Delitto e castigo è il primo romanzo nel quale Dostoevskij dà ampio spazio al testo biblico: nelle pagine iniziali nel monologo di Marmeladov nella bettola e poi, nella parte centrale dell’opera, nel capitolo in cui Sonja, per espressa richiesta del suo visitatore, legge il lungo brano della resurrezione di Lazzaro, richiamato alla mente di Raskol’nikov da un’ambigua domanda del giudice istruttore Porfirij Petrovicˇ.

15 La ricerca che ho compiuto sui romanzi di questo autore da Delitto e castigo ai Fratelli Karamazov dimostra secondo me che, senza la conoscenza dei testi dei padri della chiesa d’oriente e del contesto spirituale russo ortodosso, non è possibile comprendere l’opera di Dostoevskij nel suo pieno significato. Apparentemente questo potrebbe essere un limite per il lettore occidentale, che ha un altro retroterra culturale. Credo, al contrario, che esso sia uno dei punti di forza di uno scrittore dotato del talento che Dostoevskij possedeva. I padri della chiesa d’oriente sono poco letti in occidente. La profondità, la chiarezza del loro pensiero, la loro interpretazione del testo biblico attraverso Dostoevskij arrivano fino a noi ad arricchire le nostre conoscenze spirituali e culturali e la nostra riflessione sul significato della presenza del male nel mondo, della sofferenza, della gioia, dell’esperienza di Dio dentro se stessi.



Nel romanzo del  è significativa non solo la presenza di frammenti e citazioni bibliche – concentrate nelle parole e nei pensieri di questi personaggi16 – ma anche l’attenzione dedicata al libro del Nuovo Testamento e in particolare al luogo dove il protagonista, che non lo legge più dagli anni dell’infanzia, lo ritrova: una camera poverissima, grande, bassa, quasi priva di mobili con la forma di un quadrilatero irregolare “con un angolo estremamente acuto che sembra fuggire verso il fondo e l’altro esageratamente ottuso”17. Portato lì da una delle sue due vittime, Lizaveta, il volume vecchio e “comprato d’occasione” – quindi povero come tutto il resto – sta su un cassettone di legno grezzo, che “sembra perduto nel vuoto”, appoggiato alla parete opposta al letto dove Sonja accoglie i clienti. Nei romanzi successivi lo troveremo nei monasteri nelle mani degli starcy Tichon e Zosima e in quelle della venditrice di vangeli che lo legge al morente Stepan Trofimovicˇ. Mi sembra significativo che, rifacendosi alla sua personale esperienza di colpevoli e di emarginati, in Delitto e castigo Dostoevskij lasci che il Nuovo Testamento illumini proprio questa situazione, come in altre circostanze è stato l’unico testo consentito e l’unica possibile luce nella vita degli abitanti del bagno penale, che lo scrittore ha condiviso. 16 A differenza di romanzi come I fratelli Karamazov dove è possibile individuare una rete amplissima di richiami biblici, in Delitto e castigo le citazioni sono concentrate nel monologo di Marmeladov (Prestuplenie i nakazanie, pp. -; Delitto e castigo, pp. -), nelle parole di Sonja e in particolare nel capitolo in cui viene letta la resurrezione di Lazzaro (Prestuplenie i nakazanie, pp. -; Delitto e castigo, pp. -) e in alcuni pensieri ed espressioni del protagonista (cf. Prestuplenie i nakazanie, pp. -; Delitto e castigo, p. ). È proprio una citazione indiretta dell’Apocalisse (Ap ,) fatta da Raskol’nikov a suscitare in Porfirij Petrovicˇ la domanda su Lazzaro: “‘Per farla breve, per me tutti hanno pari diritto ... e vive la guerre éternelle – fino alla Nuova Gerusalemme, s’intende!’. ‘Allora, nonostante tutto, credete nella Nuova Gerusalemme?’. ‘Ci credo’ rispose con fermezza Raskol’nikov ... ‘E... e... voi credete in Dio? Scusatemi se sono così curioso’. ‘Ci credo’ ripeté Raskol’nikov. ‘E credete nella resurrezione di Lazzaro?... Ci credete alla lettera?’. ‘Alla lettera’” (Prestuplenie i nakazanie, p. ; Delitto e castigo, pp. -). 17 Cf. Prestuplenie i nakazanie, p.  (Delitto e castigo, p. ).



La prima epifania: il monologo di Marmeladov Come avverrà nei Demoni, nell’Adolescente e nei Fratelli Karamazov, Delitto e castigo è organizzato intorno a due centri: da un lato quello costituito dalla visione del mondo di Sonja, aiutata dal padre Marmeladov, da Razumikin, da Porfirij, da Lizaveta e infine dai forzati, dall’altro quello dominato dalla logica del mondo – seguita da Svidrigajlov, da Luzˇin, dallo stesso Raskol’nikov –, che aspira all’avere, al potere, all’apparire e, nella sua istanza più radicale, a sostituirsi al ruolo di Dio. Tutto il percorso che il protagonista compie nel romanzo oscilla fra questi due poli a partire dalla prima parte immediatamente precedente al delitto che, come un’ouverture in un testo musicale, contiene i grandi temi dell’opera. Il primo capitolo è gonfio della distruttività di un protagonista frustrato e incattivito dalla sua miseria. Nel clima malsano di una città dove studenti e ufficiali discutono nelle “bettole di infimo ordine” di possibili delitti a scopo benefico18, matura nella mente di Raskol’nikov l’idea di una soluzione veloce e radicale ai problemi che tormentano lui e le persone che gli stanno a cuore. 18 Cf. Prestuplenie i nakazanie, pp. - (Delitto e castigo, pp. -): “Da un lato abbiamo una vecchietta insulsa, assurda, miserabile, cattiva, malata, che non è utile a nessuno ... Dall’altro lato abbiamo energie giovani, fresche, che vanno in malora, così senza nessun appoggio, a migliaia ... Ammazzala, prendi i suoi soldi e poi con essi mettiti al servizio dell’umanità ... Una sola morte e cento vite in cambio: ma questa è matematica!”. Lo stesso Dostoevskij scrive a Katkov nel settembre  di essersi ispirato per l’elaborazione del personaggio di Raskol’nikov ad alcuni fatti di cronaca del periodo: “L’anno scorso a Mosca mi hanno raccontato (con sicurezza) di uno studente, espulso dall’università, il quale decise di uccidere un postiglione. Vi sono ancora molte tracce nei nostri giornali dell’eccezionale instabilità di convinzioni che porta ad azioni terribili. (Quel seminarista che uccise una fanciulla col suo consenso in una rimessa e dopo un’ora andò a far colazione ... e simili.)” (Pis’ma - II, p. ; Epistolario, pp. -). Sui processi e gli omicidi, di cui si occupano i giornali in questi mesi e sui quali molto probabilmente lo scrittore riflette durante la prima stesura di Delitto e castigo, cf. F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie (rukopisnye redakcii), pp. ,  e Letopis’, pp. -.



Già il secondo capitolo col lungo monologo di Marmeladov va tuttavia nella direzione opposta e inizia a portare alla luce aspetti della complessa personalità del protagonista, che si riveleranno poco più avanti nel sogno della cavallina. Come afferma Robert Jackson, “la prima epifania del romanzo si ha in una bettola, dove il poema di amore, di compassione e di perdono di Marmeladov si contrappone all’orgoglio e alla rabbia ribelle di Raskol’nikov”19. Se si analizza attentamente, il discorso di questo personaggio appare uno dei brani spirituali più arditi che Dostoevskij abbia scritto. Pronunciato da un uomo che è all’ultimo gradino della scala sociale e che non ha più credibilità né rispetto da parte degli altri, esso può essere scambiato a una prima lettura per l’estrema illusione di un disperato che si crea un’immagine di Dio adatta ai suoi bisogni. La misericordia senza limiti del Signore, che accoglie e chiama “gli ubriachi, i deboli, i viziosi”, trova però conferma nelle citazioni evangeliche, che lo scrittore mette in bocca al suo personaggio, e soprattutto in un limpido pensiero teologico che a mio avviso il Dostoevskij di questi anni poteva comprendere e recepire, ma difficilmente elaborare da solo con tanta chiarezza. Seguiamo dettagliatamente le tappe del discorso. La storia che il personaggio racconta è quella di un uomo che non ha avuto la forza di reggere alle difficoltà della vita e si è rifugiato nell’alcool. È una soluzione simile a quella del suo ascoltatore, il quale, incapace di far fronte a una realtà che non riesce ad accettare, trova rifugio in sogni astratti, gratificanti ma anche pericolosi, di autoaffermazione e di potenza. Il discorso di Marmeladov contiene alcune affermazioni che torneranno nella mente del protagonista dopo il delitto, ormai riferite a se stesso. Nel monologo viene ripetuto più volte che “è

19 R. Jackson, Twentieth Century Interpretations, p. .



pur necessario avere un posto dove andare”. Per l’alcolista che ha perso il lavoro, il rispetto e la credibilità, l’unico posto dove può essere ancora accolto con amore è la stanza della figlia Sonja, non meno colpevole di lui, perché proprio in quella stanza lei si prostituisce, spinta dall’angoscia che prova di fronte alla miseria della sua famiglia. Più tardi, quando si sentirà isolato da tutto il resto del mondo a causa dell’omicidio compiuto, anche Raskol’nikov, ricordando le parole pronunciate nella bettola, individuerà in quella stanza “l’unico posto dove andare” e in Sonja, come lui emarginata e colpevole, ma anche accogliente e piena d’amore, il solo essere al quale potersi aprire senza riserve. Rispetto al suo ascoltatore, che maschera i propri pensieri segreti, Marmeladov non nasconde nulla, è umile e nudo, trasparente nel suo senso di colpa e nella vergogna della sua condizione. Non mi confondo certo per codesto crollar di capi – dice a proposito dell’atteggiamento dei clienti della bettola che conoscono il mestiere della figlia – perché tutti già sanno tutto e ogni segreto diviene palese, e non è con disprezzo ma con rassegnazione, che considero ciò. Sia pure! Sia Pure! “Ecce homo”20.

La frase di Marmeladov contiene due richiami biblici. Il primo sull’ineluttabilità che ciò che è segreto diventi palese, è un riferimento indiretto a un versetto di Luca (Lc ,, a cui corrispondono Mt , e Mc ,): Non c’è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a

20 F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie, p.  (Delitto e castigo, p. ).



chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere21.

La luce illumina il bene così come il male nascosto. Nel discorso di Marmeladov il “segreto che diviene palese” agli altri è la miseria colpevole della condizione di lui e della figlia. Tuttavia, in questa sua nudità che lo fa sentire come un povero Cristo deriso e flagellato (“Ecce homo”, Gv ,), il personaggio, che non ha più niente da sperare dagli uomini, trova la forza di alzare gli occhi verso l’alto in cerca di aiuto e di scoprire un “segreto” molto più grande, che resta velato ai potenti e ai “giusti” di questo mondo22: la legge che regge tutto il creato e l’azione di Dio è basata non su criteri umani di giustizia, ma su un amore e una misericordia senza limiti, capace di abbracciare tutti coloro che si aprono ad accoglierla. Il passo, che conclude il monologo nel quale Marmeladov rivela tutta la sua speranza, merita di essere analizzato dettagliatamente. E perdonerà la mia Sonja ... E tutti giudicherà e perdonerà, i buoni e i cattivi, i saggi e i mansueti.. E quando avrà finito con tutti, allora apostroferà anche noi: “Uscite” dirà “voi pure! Uscite ubriaconi, uscite voi deboli, uscite voi viziosi!”. E noi usciremo tutti senza vergognarci, e staremo dinanzi a lui. Ed egli ci apostroferà: “Porci siete! Con l’aspetto degli animali e con il loro stampo; però venite anche voi”. E obietteranno i saggi, obietteranno le persone di buon senso: “Signore! Perché accogli costoro?”. Ed egli risponderà: “Perché li accolgo, o saggi, perché li accolgo o voi ricchi di buon senso? Perché nessuno di loro se ne è mai creduto degno...”. E ci tenderà le sue mani e noi vi accosteremo le labbra, e piangeremo... e capiremo tutto. “Signore, venga il tuo regno”23.

21 Lc ,-. 22 Cf. Cor , e ss. 23 F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie, p.  (Delitto e castigo, p. ).



Queste parole hanno una forza e una fiducia al di là di tutto, completamente assenti nei personaggi credenti di Umiliati e offesi, dove prevalgono i toni patetici e sentimentali. Marmeladov rivela qui qualcosa che nessuno nelle opere precedenti dello scrittore aveva mai espresso. Questa pagina anticipa il “segreto” di Sonja, che sarà manifestato nel capitolo della lettura della resurrezione di Lazzaro e la scoperta che lo stesso Raskol’nikov farà nell’epilogo. Mi sembra importante sottolineare che in questo discorso, pronunciato in una bettola da un uomo che si sente profondamente colpevole e indegno, è contenuta la stessa idea sostenuta da Isacco il Siro nel suo Discorso , che si appoggia alle stesse citazioni evangeliche a cui Dostoevskij fa un riferimento indiretto in questo brano. Quando Marmeladov afferma “e tutti giudicherà e perdonerà i buoni e i cattivi (i vsech rassudit i prostit, i dobrych i zlych)” c’è un richiamo indiretto a un versetto di Luca, che segue il brano sulle beatitudini (“Amate invece i vostri nemici ... e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi [No vy ljubite vragov vasˇich ... i budete synami Vsevysˇnego; ibo On blag i k neblagodarnym i zlym]”, Lc ,). Ancora, la risposta del Signore all’obiezione degli onesti e dei saggi richiama la seconda parte della parabola degli operai mandati nella vigna del vangelo di Matteo (Mt ,-). Riporto ora il passo di Isacco il Siro dove le due citazioni sono esplicitate e compaiono nello stesso ordine: Sii un messaggero della bontà di Dio, perché egli provvede per te che non ne sei degno ... Non chiamare più Dio giusto ... benché Davide lo abbia chiamato giusto e retto. Suo Figlio ha reso chiaro a noi che egli è buono e gentile, perché dice: “Egli è benevolo verso i malvagi e gli ingrati” (Lc ,). Come puoi chiamarlo giusto quando risponde ai lavoratori a giornata: “Amico, io non ti faccio torto. Voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te ... o forse il tuo occhio è invidioso perché io sono buono?” (Mt ,-). Come si può chia

mare Dio giusto, se si considera la storia del figliuol prodigo? ... Come potrebbe esserci giustizia in Dio, quando Cristo è morto per noi peccatori24?

Nell’edizione russa del testo di Isacco, che traduce quello greco, questo discorso è al termine del libro, dopo che il percorso di purificazione descritto dall’autore è giunto a compimento ed è stata raggiunta una dimensione interiore di gioia profonda e di immenso amore25. Molti capitoli di Slova podvizˇnicˇeskie sono dedicati alla vita solitaria, alla preghiera continua, all’ascesi e agli esercizi dei monaci. Come ho già detto, Isacco prende tuttavia in considerazione anche un’altra strada, quella che a partire da Delitto e castigo è percorsa da alcuni personaggi privilegiati di Dostoevskij, da Sonja fino a Mitja Karamazov. Beato l’uomo che conosce la sua debolezza ... Dal confronto con la propria debolezza conosce anche quanto è grande l’aiuto che è dato da Dio ... non c’è uomo che abbia bisogno e chieda e non sia umiliato ... Fino a quando il cuore non è umiliato, non cessa di divagare. L’umiltà raccoglie il cuore. E appena l’uomo è umiliato, subito lo circonda e lo avvolge la Misericordia ... Chi una volta abbia conosciuto quest’ora, da ora in poi terrà la preghiera come un tesoro ... Tutte queste belle cose nascono nell’uomo dalla percezione della sua propria infermità. Di qui infatti per desiderio di aiuto si stringe a Dio ... E tanto più lui si avvicina a Dio col suo pensiero, tanto più Dio si avvicina a lui con i suoi doni e, per la sua grande umiltà, non gli toglie più la sua inabitazione in lui26.

È appunto questa l’esperienza di Marmeladov e di Sonja.

24 Isaak Sirin, “Slovo” , pp. -. 25 Sono note le pagine di Isacco il Siro dedicate alla quasi incontenibile gioia generata dalla percezione di questa inabitazione e presenza. 26 Isaak Sirin, “Slovo” , pp. - (“Discorso” , pp. -).



Nelle pagine conclusive di Alle fonti con i Padri, dedicate all’inferno, alla comunione dei santi e al giudizio finale, Olivier Clément, dopo aver citato Dionigi l’Areopagita, Giovanni Climaco e Giovanni Cassiano, chiude il suo libro proprio con il brano di Isacco tratto dal Discorso , che abbiamo riportato e che contiene le due citazioni evangeliche presenti nel monologo di Marmeladov nello stesso ordine. Sant’Isacco di Ninive – scive Clément presentando questa citazione – disegna e dipinge con parole di fuoco in testi da cui si innalza l’adorazione e ai quali non si può nulla aggiungere, un’icona del folle amore di Dio per l’uomo altrettanto bella e sconvolgente quanto l’affresco della discesa agli inferi in Chora. Perché “Dio non è giusto”, bisogna ben dirlo, non già come gli atei che non vedono altro che la terra e non vi scorgono né la croce né il sepolcro vuoto, ma basandosi sulla croce, sul sepolcro, sulla Pasqua, contro tanti teologi pietrificati nella loro idea di giustizia, un’idea troppo umana che essi vogliono imporre a Dio27.

Dostoevskij fa esprimere questo stesso ardito concetto teologico sull’“ingiustizia di Dio” – o meglio sui criteri non umani di questa giustizia – da un personaggio come Marmeladov che, consapevole di tutta la propria indegnità, miseria e debolezza, trova la forza di guardare verso l’alto e di chiedere l’aiuto di Dio. È in questo momento che il velo cade dagli occhi e il personaggio scopre, al di là della superficie delle cose, un’altra dimensione, piena di amore e di perdono28. È possibile che Dostoevskij, già spogliato di molte delle sue illusioni e dei suoi attaccamenti dopo quattro anni di bagno pena27 O. Clément, Alle fonti con i Padri, p. . 28 Scrive lo studioso ortodosso Sergej Fudel’ dopo aver citato le parole di Marmeladov: “Penso che se Dostoevskij non avesse scritto nient’altro su Cristo, questo sarebbe già molto ... È buffo leggere come a volte viene posto il problema: molti studiosi si chiedono da dove vengono queste idee sull’umiltà, la purificazione attraverso la sofferenza, l’amore:

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le, abbia toccato questo punto nel momento di crisi dopo la morte della moglie e del fratello, l’affetto più lungo e tenace della sua vita prima dell’incontro con Anna Grigor’evna. Quello che mi sembra importante sottolineare qui è che, nel momento in cui decide di porre al centro del suo romanzo la “concezione ortodossa”29, lo scrittore compie una scelta consapevole, che pog-

da Rousseau, da Pascal, da Chateaubriand o da Dickens? Esse vengono dal vangelo ... dal carcere dove lo scrittore è vissuto a contatto col popolo russo, dallo Spirito di Cristo senza il quale non si comprende niente di lui. Cristo, come è detto era ‘mite e umile di cuore’. Questo era chiaro a Marmeladov-Dostoevskij” (S. Fudel’, Nasledstvo Dostoevskogo, pp. -). Quello che Fudel’scrive qui a proposito del brano di Marmeladov è giusto, ma secondo me incompleto. La limpida chiarezza del discorso di Marmeladov, sostenuto dalle citazioni evangeliche, non viene a Dostoevskij, secondo me, soltanto dalla sua esperienza personale, dallo stretto contatto in carcere col popolo russo, dalle sue letture del Nuovo Testamento, ma anche da una consapevole riflessione sugli scritti dei padri della chiesa, capaci di esprimere verità implicite nel testo biblico, ma spesso difficili da accettare e fare proprie. I giusti, i ben pensanti, i timorati di Dio – valga fra tutti i contemporanei di Dostoevskij l’esempio di Leont’ev (Sobranie socˇinenij) – restano infatti perplessi di fronte all’idea di un Signore di infinita misericordia, che accoglie e premia non solo i meritevoli, ma tutti coloro che con umile disperazione dal fondo della loro debolezza si rivolgono a Lui. Per altri è difficile accettare l’altro punto centrale del pensiero dei padri, che è alla base di Delitto e castigo: la sofferenza come via per accedere alla gioia del regno e a uno stato di grazia che si può definire paradiso già qui e ora su questa terra (cf. a questo proposito infra, pp. -). 29 Valentina Vetlovskaja, che parte nella sua analisi di Delitto e castigo dal passo degli appunti sull’idea del romanzo e la concezione ortodossa, sostiene che Dostoevskij procede secondo il metodo logico-matematico della prova indiretta: se si considerano due idee opposte, A e B, la negazione di una sottintende la verità dell’altra. Questo – sostiene la studiosa – è dimostrato dal fatto che nel corso del romanzo le argomentazioni logiche del protagonista si rivelano sempre più deboli e la sua azione si configura sempre più chiaramente come un “atto criminale” perseguibile dalla legge, “una variante della rivoluzione sociale”, la rottura dei due comandamenti “non uccidere” e “non rubare”, che fanno di Raskol’nikov “un portatore dell’idea atea e un apostata” (V. Vetlovskaja, “Priemy idelogicˇeskoj polemiki”, p. ). Appoggiandosi alle idee di Giovanni Crisostomo e di Gregorio di Nissa, secondo i quali “nessuno diventa malvagio per necessità o per natura” e “il peccato è una malattia della volontà, che procede a poco a poco fino a contagiare tutta la persona”, la studiosa conclude che l’autore, dimostrando la falsità delle idee del suo protagonista, dimostra indirettamente la validità dell’altra via: quella dell’amore e della compassione, che segue gli insegnamenti di Cristo. A mio avviso, se è vero, come sostiene la Vetlovskaja, che l’idea di Raskol’nikov è pienamente sconfitta, è altrettanto vero che nel corso di tutto il romanzo, a partire dall’incontro nella bettola, l’idea antitetica rispetto a quella del protagonista viene presentata non indirettamente ma attraverso l’ampio discorso di Marmeladov, la testimonianza di Sonja, i frequenti versetti evangelici ricordati dai personaggi, l’episodio della lettura del brano della resurrezione di Lazzaro.

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gia su una meditata conoscenza dei testi e contemporaneamente sulla propria esperienza personale. Non è casuale, credo, che per esprimere per la prima volta la “concezione ortodossa” in un suo libro Dostoevskij parta da ciò che conosce e si serva di due emarginati. La bettola e la stanza dove la prostituta riceve i clienti sono i luoghi in cui Raskol’nikov riceve i messaggi che lo guideranno alla sua rinascita interiore, così come il suo autore li ha ricevuti nel bagno penale da individui che avevano toccato il fondo della sofferenza e dell’umiliazione30. Soltanto più tardi lo scrittore si porrà il problema di rappresentare una “persona bella” nel senso pieno del termine. Comincerà col romanzo successivo la ricerca che dal Mysˇkin dell’Idiota porterà agli starcy Tichon e Zosima e poi ad Alesˇa Karamazov. Raskol’nikov reagisce all’incontro con Marmeladov nel modo contraddittorio che caratterizza questo periodo della sua vita.

30 Scrive Dostoevskij al fratello Michail il  febbraio  a proposito dei suoi compagni di pena: “Credimi: vi sono caratteri profondi, forti, bellissimi ed era un piacere cercare l’oro sotto la scorza grossolana. E non uno o due ma parecchi ... Io ho insegnato a un giovane circasso (mandato ai lavori forzati per saccheggio) la lingua russa e a leggere e a scrivere. Di quale gratitudine egli mi circondava. Un altro forzato pianse, prendendo congedo da me” (Pis’ma -, p. ; Epistolario, p. ). E ancora in Dnevnik pisatelja a proposito della sua esperienza in Siberia: “Io [il popolo] lo conosco: da lui ho accolto di nuovo nella mia anima Cristo, che avevo conosciuto ancora bambino nella casa paterna e che avevo perduto quando mi ero trasformato anch’io in un ‘liberale europeo’” (Dnevnik pisatelja, p. ; Diario di uno scrittore, p. ). Fudel’ riporta inoltre due testimonianze verbali dello scrittore su questo periodo. La prima è fatta a Svevolod Solov’ev durante una conversazione nel : “Allora il destino mi ha aiutato, mi ha salvato il carcere ... lì ho capito me stesso ... ho capito Cristo ... ho capito l’uomo russo e ho sentito che io stesso sono russo, che faccio parte del popolo russo”. La seconda è riportata da Majkov nei suoi ricordi: “Forse era necessario che l’Altissimo mi mandasse in carcere, perché io imparassi lì la cosa più importante, senza la quale non si può vivere ... e perché io la comunicassi agli altri, perché gli altri (anche se non tutti, anche se molto pochi) divenissero un pochino migliori” (cf. S. Fudel’, Nasledstvo Dostoeskogo, pp.  e ). Appoggiandosi a queste testimonianze dello scrittore, alcuni studiosi parlano del “cristianesimo popolare” di Dostoevskij. Come intendo dimostrare nel mio lavoro, quello che lo scrittore ha sentito e sperimentato in carcere acquista chiarezza e profondità attraverso la riflessione non solo sulla Bibbia, ma anche sugli scritti dei padri della chiesa e più tardi degli starcy di Optina.

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A livello cosciente egli esprime nei suoi pensieri disprezzo e disgusto (“Ah, questa Sonja! Però che pozzo sono stati capaci di scavare! E come la sfruttano! Certo che la sfruttano! Ci hanno fatto il callo ... a tutto finisce per abituarsi quella carogna che è l’uomo”31). Contemporaneamente tuttavia, seguendo senza riflettere un impulso che gli viene da dentro, egli aiuta Marmeladov a tornare a casa e lascia lì i pochi soldi che ha in tasca. La rielaborazione interiore di questo episodio si compie attraverso il sogno della cavallina. Per esprimere la complessità di un personaggio, che è come diviso in due, teso a reprimere la parte più viva di se stesso, Dostoevskij si serve in tutto il corso del libro di due diversi linguaggi: quello del ragionamento cosciente, che riesce a giustificare razionalmente perfino un omicidio grazie alle semplificazioni operate da una logica rigida e astratta, e quello dell’inconscio che, attraverso un fitto susseguirsi di sogni, porta alla luce altri e più autentici bisogni, pulsioni, desideri. Quando, spossato dal caldo e dal bicchiere di vodka appena bevuto, Raskol’nikov si sdraia fra i cespugli del Petrovskij Ostrov, si addormenta e sogna. Il sogno, che riporta il protagonista ai luoghi e ai tempi dell’infanzia, richiamati alla memoria dalla lettera della madre appena ricevuta32, ha come centro un’immagine di violenza contro gli animali, che più volte ha colpito Rodja bambino e gli ha pro-

31 F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie, p.  (Delitto e castigo, p. ). 32 Il lungo testo nel testo costituito dalla lettera contribuisce a spiegare la personalità del protagonista, sensibile al bene e alla sofferenza degli altri, ma anche avido di successo personale, orgoglioso, desideroso di affermare la sua superiorità. Come ogni riga dello scritto della madre lascia trasparire, Raskol’nikov può contare sui ricordi di un’infanzia felice e calda di affetti ricambiati, che facilita alla fine del libro la sua apertura e rigenerazione. Tuttavia, è evidente che l’amore eccessivo e l’ammirazione cieca che la famiglia riversa su di lui (“Tu sei il nostro tutto, la nostra unica speranza”) sono alla base del suo profondo disagio psicologico. Da un lato infatti gratificano e gonfiano in modo ipertrofico il suo io, facendolo sentire quella “persona straordinaria” di cui parla nelle sue teorie, dall’altro provocano frustrazione perché lo caricano dell’insopportabile peso di soddisfare a qualunque costo le attese di successo mondano di chi a lui sacrifica tutto.

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vocato una grandissima pena33. Al di là del suo contenuto esplicito, questo messaggio onirico è denso di significato per la persona che sogna e per i lettori del romanzo. È come se attraverso un’immagine unificante venissero a porsi sullo stesso piano tutte le esperienze che hanno colpito il protagonista recentemente: la storia di Sonja, la vicenda per alcuni aspetti non dissimile della sorella Dunja34, quella della ragazza ubriaca incontrata lungo il canale, la sua stessa povertà e assenza di prospettive. Per Raskol’nikov tutte queste persone sono unite nella condizione di vittime, costrette a portare pesantissimi carichi, così come è una vittima la cavallina indifesa e frustata. L’immagine della bettola, piena di ubriachi che gridano, cantano ed escono fuori per tormentare per puro divertimento l’animale fino a ucciderlo (“È roba mia, faccio quello che voglio!”), condensa in una fusione di passato e presente le sue angosce infantili e insieme quelle attuali, provocate dal cinismo, dalla corruzione, dall’egoismo che dominano la Pietroburgo di Delitto e castigo. In sintonia col discorso di Marmeladov, il sentimento che domina la prima parte del sogno è una calda compassione, il bisogno di consolare e di condividere. Quello che il piccolo chiede al padre senza avere risposta (“Babbo! Ma perché hanno ammazzato il povero cavallino?”) esprime nella forma semplice e immediata propria di un ragazzino di sette anni la domanda che tormenta tanti personaggi dostoevskiani, da Raskol’nikov adulto a Ivan Karamazov: perché 33 Cf. F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie, p.  (Delitto e castigo, p. ). 34 La lettera della madre lascia intravedere fra le righe che Dunja è disposta a sacrificare la sua vita, accettando il matrimonio umiliante con un uomo ricco, che la renderà infelice, per migliorare la posizione economica e sociale di Rodja: “È chiaro: – pensa Raskol’nikov – Dunja non si venderebbe per se stessa ... ma è pronta a vendersi per gli altri! Per le persone che ama, che adora, sì che è pronta a vendersi ... Saremmo perfino capaci di accettare la sorte di Sonecˇka ... E il sacrificio voi due lo avete misurato in tutta la sua portata?” (F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie, pp. -; Delitto e castigo, p. ).

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esiste il male, perché esistono tanta ingiustizia, tanta crudeltà, tanta violenza verso i più piccoli e i più indifesi? Il bambino non riesce a integrare il male nel suo quadro del mondo, perché non lo ha sperimentato in se stesso ed è ancora innocente e incontaminato, come lo sarà il Mysˇkin dell’Idiota, come lo sono gli uomini della steppa che Raskol’nikov contempla da lontano nell’epilogo. L’unica cosa che il protagonista del sogno è in grado di fare è manifestare la sua rabbia impotente, scagliandosi coi suoi piccoli pugni contro i carnefici, come farà nei Demoni la vittima Matresˇa. Non meno infantile nella sua orgogliosa ribellione distruttiva e inutile è tuttavia anche il protagonista adulto che, per poter elaborare e accettare l’esistenza del male nel mondo, dovrà prima arrivare a conoscere tutto se stesso. Proprio la seconda parte del sogno fornisce un’indicazione in questo senso, che il personaggio ha già dentro di sé, ma che non è ancora in grado di recepire e accettare a livello cosciente. Durante il massacro della cavallina, a un tratto uno della folla grida: “Adesso scommetto che cade, ragazzi! Adesso crepa ... Ci vorrebbe una scure, altro che storie! Finirla con un colpo!”35. La frusta e la scure sono due oggetti che assolvono una funzione simile, in quanto entrambi servono per colpire. In questo contesto l’introduzione del nuovo elemento, resa possibile dalla logica onirica36, è densa di significato, perché l’idea della scure è, come il lettore già sa, un chiodo fisso nella mente del personaggio che sogna. La scure è infatti l’arma che nelle sue fantasie egli ha scelto per l’esecuzione del delitto. Grazie alla chiave fornita dallo spostamento di un solo dettaglio, Raskol’nikov è costretto a vedere una scena, dove prevalgono la pietà e l’immedesimazione nelle vittime, attraverso

35 Id., Prestuplenie i nakazanie, p.  (Delitto e castigo, p. ). 36 Ho parlato della logica onirica nel sogno della cavallina contenuto in Delitto e castigo nel mio articolo “Semiotica del sogno. Il testo onirico nel romanzo”, al quale rimando.

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un’altra ottica, dove l’attenzione si sposta da chi subisce a chi compie l’azione. La seconda immagine viene a inquinare la precedente, portando alla luce il marcio che è dentro il personaggio che sogna: una violenza e un cinico egoismo che non sono solo fuori ma anche dentro di lui. Il petto gli si serra, gli si serra sempre più, vorrebbe tirare il fiato, gettare un grido, e si sveglia ... “Dio mio!” esclamò “ma davvero io prenderò una scure, mi metterò a colpirla sulla testa, le fracasserò il cranio? ... e mi nasconderò tremando, tutto inondato di sangue... con la scure... Oh Signore, è davvero possibile?”37.

Come il bambino del sogno, anche il Raskol’nikov adulto non resiste alla sofferenza che colpisce gli altri e se stesso e, non riuscendo a trovare altre soluzioni, reagisce sviluppando una carica di cupa ribellione altamente distruttiva. Nonostante l’orrore che gli provoca dopo il risveglio l’omicidio da lui progettato, è sufficiente l’occasione favorevole, offerta casualmente dall’incontro con Lizaveta, la sorella dell’usuraia, e dall’informazione che il giorno dopo lei non sarà in casa, a mettere in moto i preparativi e poi l’esecuzione del delitto.

La seconda epifania: la lettura del brano sulla resurrezione di Lazzaro La condizione di Raskol’nikov dopo il delitto è quella di un uomo che non ha ucciso solo la vecchia usuraia, ma, come dice

37 F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie, pp. - (Delitto e castigo, pp. -).

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egli stesso a Sonja, anche se stesso. Il personaggio vive come in una tomba, separata dal resto degli uomini da una barriera che sente di non poter valicare38. Attraverso un rovesciamento improvviso e per lui assolutamente inaspettato, il gesto, che nel suo progetto doveva servire da trampolino di lancio per le imprese di un “uomo straordinario”, diventa l’azione con la quale egli “si taglia via da tutto e da tutti”. Questa condizione di isolamento e di chiusura si rivela con particolare chiarezza in un episodio significativo a più livelli: quello in cui durante le sue peregrinazioni, dopo aver subìto gli improperi e la frustata di un vetturino, che gli evita così di andare a finire sotto le ruote della carrozza, e l’umiliazione dell’obolo ricevuto da una mercantessa impietosita dalla frustata, il protagonista si ferma a osservare la Neva in direzione del castello. La cupola della cattedrale, che da nessun punto si vedeva così bene come da lì ... splendeva tutta, e attraverso l’aria limpida si distingueva nettamente ogni minimo dettaglio ... Quando frequentava l’università gli capitava ... di fermarsi proprio lì e di contemplare quella veduta stupenda, e ogni volta gli era successo anche di essere sorpreso da un’impressione vaga e insondabile. Quella magnifica veduta suscitava sempre in lui un senso di inesplicabile freddezza; in quella veduta stupenda egli avvertiva la presenza di uno spirito muto e sordo. Ogni volta si meravigliava di quell’impressione cupa e arcana, e ogni volta rimandava al futuro la soluzione dell’enigma, non avendo fiducia in se stesso39.

Anche se non se ne rende completamente conto, il personaggio, che conosce il marcio, la sporcizia, il fetore dei quartieri di 38 Cf. Id., Prestuplenie i nakazanie, pp. ,  e  (Delitto e castigo, pp. ,  e ). 39 Id., Prestuplenie i nakazanie, pp. - (Delitto e castigo, p. ), il corsivo è mio.

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Pietroburgo dove egli stesso vive e la condizione di nera miseria dei suoi abitanti, è turbato da una bellezza che gli appare fredda e morta, perché si regge sull’indifferenza e l’egoismo degli abitanti dei quartieri ricchi, eleganti, puliti nei confronti dei problemi di chi di quel mondo non fa parte. Una prima stesura di questo brano è già contenuta negli appunti preparatori dell’autunno  ed è significativo che in essa gli aggettivi “muto e sordo” siano posti da Dostoevskij fra virgolette. Mi era capitato moltissime volte di guardare questo bellissimo panorama ... C’è in esso una proprietà, che tutto distrugge, tutto uccide, tutto riduce al nulla e questa proprietà è la freddezza, il senso di morte di questa vista; essa emana un’inspiegabile freddezza. Si diffonde da tutto questo panorama uno spirito muto e silenzioso, uno spirito “muto e sordo” (nemoj i gluchoj)40.

Con le virgolette l’autore sottolinea il richiamo diretto al vangelo di Marco, che nel testo definitivo è presente, ma non esplicitato: “Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: ‘Spirito muto e sordo, io te lo ordino, esci da lui [dal fanciullo] e non vi rientrare più’” (Mc ,). Nell’episodio dell’epilettico indemoniato lo “spirito muto e sordo” chiude il fanciullo, ovvero lo rende incapace di aprirsi all’ascolto, di accogliere e rispondere ai doni di Dio41. Il problema della bellezza, che Raskol’nikov si pone in questo brano, ha un ruolo importante nei romanzi di Dostoevskij. Sarà centrale nell’Idiota dove la vita di Nastas’ja Filippovna è distrutta proprio da questo dono. In Delitto e castigo, nella prospettiva 40 Id., Prestuplenie i nakazanie (rukopisnye redakcii), pp. -. 41 Cf. S. Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Luca, pp. -.

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suggerita dall’autore con la citazione evangelica, quello che stona nel panorama pietroburghese contemplato da Raskol’nikov è che la sua bellezza tutta esteriore ha perduto il legame con gli attributi spirituali capaci di renderla armonica e piena. Scrive Pavel Evdokimov nel suo libro Teologia della bellezza, proprio richiamandosi a Dostoevskij: L’unità iniziale della Verità, del Bene e della Bellezza si è scompaginata ... L’idea estetica è stata intorbidata dall’uomo. Il cuore trova la bellezza anche nella vergogna, nell’ideale di Sodoma, che è di gran lunga quello della maggioranza. È il duello del Diavolo e di Dio, e il cuore umano ne è il campo di battaglia ... Dio non è il solo a rivestirsi della Bellezza; il male lo imita e rende la bellezza profondamente ambigua42.

Il momento sul ponte rivela le due anime del protagonista. Come l’Ivan dei Fratelli Karamazov, lo studente Raskol’nikov, che quando è ancora innocente percepisce con la sua acuta sensibilità il male che emana da quella bellezza, si pone difficili domande universali sul bene e sulla giustizia. Dopo l’omicidio, che è un atto di disamore spinto al massimo grado, lo “spirito muto e sordo” non è più fuori, ma ha preso possesso di lui. Uccidendo a sangue freddo un altro essere umano per impadronirsi del suo denaro, Raskol’nikov compie un atto che lo chiude ai problemi che un tempo lo appassionavano e lo rende “muto e sordo”, riducendo la sua vita a quella di un uomo chiuso nel sepolcro che lui stesso si è costruito43.

42 P. Evdokimov, Teologia della bellezza, pp. -. 43 Nel suo libro sull’eremo di Optina Pustin’, che contiene numerosi riferimenti all’opera di Dostoevskij e un capitolo dedicato allo scrittore, parlando degli starcy e della loro capacità di risvegliare l’uomo interiore, Vladimir Kotel’nikov così descrive la condizione di Lazzaro: “L’uomo si trova in una penosa condizione di chiusura di fronte a Cristo, nella situazione di Lazzaro, già prigioniero della pietra tombale: in lui rimane solo una fioca scintilla di luce” (V. Kotel’nikov, L’eremo di Optina, p. ).

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Gli venne quasi da ridere e insieme si sentì stringere il petto fino al dolore ... Come in una specie di profondità, appena visibile a picco sotto di lui, gli apparvero tutto quel passato e tutti i pensieri di un tempo ... e quella veduta e se stesso, e tutto, tutto. Gli sembrava di volare da qualche parte molto in alto e tutto si dileguava ai suoi occhi ... Gli parve in quell’istante di essersi tagliato via con le sue stesse mani con un colpo di forbici da tutto e da tutti44.

È la condizione che Dostoevskij, per spiegare l’idea e il significato di Delitto e castigo, descrive a Katkov nella lettera del settembre : E qui si svolge tutto il processo psicologico del delitto. Questioni insolubili sorgono nell’assassino, sentimenti insospettati e inattesi lacerano il suo cuore ... egli finisce con l’essere costretto a denunziarsi, costretto per potere, anche se finirà all’ergastolo, riavvicinarsi agli uomini. Il sentimento di isolamento e di distacco dall’umanità, che egli ha sentito subito dopo aver compiuto il delitto, lo tormenta ... Il delinquente decide egli stesso di addossarsi la sofferenza per riscattare la sua azione. Mi è difficile spiegare pienamente la mia idea. Nel mio racconto vi è un accenno all’idea che la punizione giuridica ... spaventa il delinquente assai meno di quanto pensano i legislatori, in parte perché egli stesso la esige dal punto di vista morale45.

L’idea che, parlando della crisi del suo protagonista, Dostoevskij “fatica a spiegare pienamente” nella lettera e che esprime con profonda capacità di penetrazione psicologica nel romanzo, anticipa la pagina dei Fratelli Karamazov, nella quale lo starec Zosima dice il suo pensiero sulle pene infernali, che consistono

44 F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie, p.  (Delitto e castigo, p. ). 45 Pis’ma -, p.  (Epistolario, p. ).

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nell’essere tagliati fuori dall’amore46. La fonte diretta delle parole di Zosima è il “Discorso” di Isacco il Siro sulla Gheenna, al quale è possibile che lo scrittore si sia ispirato anche per la descrizione dell’inferno interiore di Raskol’nikov in Delitto e castigo. Dico che coloro che si trovano nella Gheenna sono colpiti dalla frusta dell’amore. Sono duri e amari i colpi che procedono dalla carità – cioè dal fatto che essi hanno sentito di aver mancato di carità – più dei tormenti che procedono dal timore. La sofferenza, che colpisce il cuore per aver peccato contro l’amore, è più forte di qualunque altra punizione47.

A Raskol’nikov, che sperimenta da vivo questo inferno, è data la possibilità di uscire da questa condizione e di “rinascere dall’alto”. Proprio il momento del passaggio da una condizione di morte alla vita ha un ruolo centrale nella spiritualità ortodossa. Scrive Pavel Evdokimov: Non esistono santi perfetti, come anche in ogni peccatore vi è una particella di bene: questo permette di considerare secondo padre Sergej Bulgakov l’interiorizzazione della nozione di giudizio. Le parole sulla distruzione, sull’annientamento, sulla morte seconda non si riferirebbero, da questo punto di vista, agli esseri umani, ma agli elementi demoniaci che questi portano in sé. È il senso del fuoco, che non è tanto tortura e punizione, quanto purificazione e guarigione ... La spada divina penetra nella profondità umana operando la se-

46 “Che cos’è l’inferno? ... La sofferenza di non essere più capaci di amare ... Quel tormento non è fuori, bensì dentro di loro. Ma se pure fosse possibile liberarli da esso, credo che la loro infelicità si farebbe ancora più amara ... giacché alimenterebbe in loro più forte che mai la fiamma della sete di un amore reciproco, attivo e riconoscente, che ormai è impossibile” (Brat’ja Karamazovy, knigi -, pp. -; I fratelli Karamazov, pp. -). 47 Isaak Sirin, “Slovo” , p.  (“Discorso” , p. ).

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parazione che rivela come ciò che fu dato da Dio come un dono non è stato attualizzato, ed è questo vuoto che costituisce l’essenza della sofferenza infernale: l’amore non realizzato, la tragica non conformità fra l’immagine e la somiglianza48.

È appunto da questa condizione di “amore non realizzato, di tragica non conformità fra l’immagine e la somiglianza” che Dostoevskij fa lentamente e dolorosamente risalire il suo protagonista fino al “dono delle lacrime”49 e all’esplosione d’amore dell’epilogo. È significativo che, come ho già accennato, in uno degli episodi successivi a quello dell’osservazione dal ponte sulla Neva, Porfirij Petrovicˇ, il personaggio che nel suo laico rigore anticipa gli starcy dei romanzi successivi per la “visione interiore” che ha del suo interlocutore e la capacità di toccare i punti capaci di muovere il suo animo, chieda a Raskol’nikov, dopo che questi gli ha esposto la sua devastante teoria sugli uomini straordinari, se crede nella resurrezione di Lazzaro50. Questa prima allusione al brano biblico nasce probabilmente nella mente di Porfirij perché l’immagine che il suo interlocurore gli suggerisce è appunto quella di un Lazzaro chiuso nel sepolcro. La domanda contiene già in sé una risposta capace di soddisfare le esigenze dei due interlocutori. Raskol’nikov in questo momento non può vederla, ma le parole che ascolta muovono qualcosa in lui, se più tardi egli decide di chiedere a Sonja di leggere proprio questo passo. Porfirij, che ha come scopo primario la soluzione del caso, vuole semplicemente indurre il suo avversario a uscire dal sepolcro grazie a una confessione liberatoria e vantaggiosa per entrambi. Il primo passo dell’omicida Raskol’nikov verso la vita è il suo atto di dedizione nei confronti di un altro essere umano, quando 48 P. Evdokimov, L’ortodossia, pp. -. 49 Parlerò del “dono delle lacrime” nella spiritualità della chiesa d’oriente nei capitoli III e IV ai quali rimando. 50 Cf. F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie, p.  (Delitto e castigo, p. ).

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si prende cura, “come se si trattasse di suo padre”, di Marmeladov morente investito da una carrozza, gli sorregge delicatamente la testa e gli lava amorosamente il viso. Il personaggio, che si allontana dalla casa del morto, sporco di un sangue che non ha versato ma che ha lavato spinto da un gesto di istintiva compassione, vibra di una sensazione di “vita generosa e possente affluita di colpo in lui: una sensazione simile a quella di un condannato a morte al quale inopinatamente si annunci la grazia”51. Proprio il soccorso che Raskol’nikov, spinto da un impulso che gli viene da dentro, offre a Marmeladov, gli apre inaspettatamente la via che lo condurrà a Sonja e all’incontro che cambierà la sua vita. Anche questa tappa nel percorso di rinascita interiore del protagonista del romanzo, che richiama indirettamente nei suoi dettagli l’episodio del samaritano (Lc ,-), trova una base nei Discorsi di Isacco il Siro (“Non c’è nessun impulso che cada nel cuore che non sia mandato dall’alto ... Chi dà il suo braccio per aiutare il fratello, riceve il braccio di Dio per aiuto”)52. L’atto di sorreggere e consolare Marmeladov morente, nato in lui da un impulso di spontanea e sincera carità, rimanda a Raskol’nikov, per la prima volta dopo il delitto, attraverso le parole affettuose della piccola Polecˇka, un’immagine positiva di se stesso e fa rinascere in lui la voglia di vivere. Allo stesso modo, la calda compassione con la quale Sonja accoglie la confessione del tormentato assassino, determina alla fine, grazie anche all’intervento di Svidrigajlov, l’abbandono della vecchia vita e il riscatto di se stessa nella nuova condizione che essa vive in Siberia. * Delitto e castigo è la prima opera di Dostoevskij nella quale è inserito come testo nel testo un brano evangelico di notevole 51 Id., Prestuplenie i nakazanie, p.  (Delitto e castigo, p. ). 52 Isaak Sirin, “Slovo” , p. .

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lunghezza. Il cuore e il centro irradiante del romanzo è, a mio avviso, il capitolo in cui Sonja legge il passo di Giovanni. Viene data qui a Raskol’nikov – e con lui al lettore dell’opera – una chiave per interpretare la vicenda della sua vita, chiave che in quel momento il personaggio non è in grado di utilizzare53. Inizia di qui tuttavia il processo che realisticamente l’autore fa compiere al suo protagonista non grazie a una improvvisa rivelazione, ma attraverso un lungo, penoso e soprattutto combattuto percorso, prima che il velo gli cada dagli occhi ed egli si veda per quello che realmente è. La seconda epifania, nella quale Cristo parla in prima persona nel lungo passo evangelico, si compie in una squallida stanza, in cui tutto sa di miseria, dalla tappezzeria sudicia, logora e giallastra all’odore di umidità. Prima di chiederle la lettura dell’episodio di Lazzaro, Raskol’nikov tormenta e tenta Sonja, quasi volesse metterla alla prova. Materializzando le paure di lei sulla sorte di Katerina Ivanovna, dei bambini e di se stessa, egli la spinge infatti con sadico piacere a guardare tutta la disperazione del suo stato e l’inutilità del sacrificio compiuto, aspettando di vederne le reazioni. Contemporaneamente ascolta con avidità le sue parole di fede: “Allora, Sonja, tu preghi molto Dio?” ... “Che cosa sarei mai senza Dio?” mormorò lei ... “E Dio cosa fa per te?” le domandò continuando il suo interrogatorio ... “Egli fa tutto!” sussurrò concitatamente, abbassando di nuovo gli occhi. “Eccola, la via d’uscita! Ed ecco la spiegazione!” concluse Raskol’nikov in cuor suo, osservandola con avida curiosità54.

53 Dopo avere ascoltato il brano evangelico e subito prima di lasciare la stanza di Sonja, Raskol’nikov pronuncia infatti queste parole: “Che fare? Distruggere ciò che va distrutto una volta per sempre, e basta ... Non capisci? Capirai dopo. La libertà e il potere, ma sopratutto il potere! Su tutte le creature pavide e su tutto il formicaio! Ecco lo scopo! Ricordatelo! Questo è il mio viatico per te!” (Prestuplenie i nakazanie, p. ; Delitto e castigo, p. ). 54 Id., Prestuplenie i nakazanie, p.  (Delitto e castigo, p. ).

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La prima confessione pronunciata in questa stanza non è quella dell’assassino, ma è la rivelazione di se stessa che la ragazza fa attraverso il tono di voce, le pause, il modo in cui legge il brano di Giovanni. Il “segreto” di Sonja è simile a quello di Markel, l’adolescente mortalmente malato dei Fratelli Karamazov: è stato scoperto nel momento in cui il personaggio ha toccato il fondo, vivendo una sofferenza che ha spogliato la sua vita di tutto il superfluo. Quello che i ventitreenni Raskol’nikov e Ivan Karamazov, privi di esperienza concreta e persi nelle loro astratte riflessioni sulle grandi domande della vita, non comprendono, è espresso da questo personaggio mite e umile, vibrante di una gioia che passa attraverso il dolore55, nel suo modo stesso di essere e di amare. È un incontro sconvolgente per il protagonista del romanzo, la cui ribellione nasce dal non riuscire a dare un senso alla presenza del male nel mondo, che egli guarda con disgusto come qualcosa di estraneo a se stesso e a coloro che gli stanno a cuore. Nell’incontro con Sonja, Raskol’nikov sperimenta per la prima volta la bontà, la fede, la luce di questo essere, verso il quale si sente profondamente attratto, e contemporaneamente la presenza nella sua vita di una colpa che l’ha umiliata e che ancora la umilia56. Proprio la sincerità e l’accoglienza di Sonja sono capaci di attrarre il suo interlocutore in una dimensione di apertura

55 Cf. Id., Prestuplenie i nakazanie, pp.  e  (Delitto e castigo, pp.  e ): “Gli sorrise dolcemente, piena di gioia, ma, come al solito, gli tese la mano quasi con timore” eccetera. 56 Konstantin Leont’ev, che ha più volte attaccato Dostoevskij sulla sua visione dell’ortodossia, scrive a proposito di Sonja: “Sonja Marmeladova ha letto soltanto il vangelo ... non ascolta Te Deum, non cerca monaci e sacerdoti per ricevere consigli ... ascolta solo la messa funebre per il padre” (K. Leont’ev, Vostok. Rossija i Slavjanstvo, p. ). Lo studioso ortodosso Sergej Fudel’, che è nato nel , ha scritto il suo libro su Dostoevskij negli anni sessanta ed è morto senza vederlo pubblicato, commenta giustamente a proposito di questa affermazione di Leont’ev: “Non vale la pena di parlare dell’assurdità di richiedere a un romanzo di essere un’enciclopedia degli uffici religiosi. C’è qualcosa di più importante ... Era necessario vivere questi cento anni che ci separano dal romanzo, era necessario attraversare il deserto della nostra vita spesso fuori del tempio

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reciproca e di rivelazione di sé, una rivelazione che si attua anche attraverso la lettura del brano di Lazzaro, che il personaggio compie per intero. Dopo la riga iniziale (“Ora vi era un certo Lazzaro di Betania infermo ...”) Dostoevskij inserisce nel romanzo soltanto i passi più significativi del capitolo di Giovanni, intercalati dai pensieri e dalle speranze della ragazza: “E Gesù le disse: ‘Tuo fratello resusciterà’. Marta rispose: ‘Io so che tornerà a vivere nella Resurrezione dell’ultimo giorno’. E Gesù le disse: ‘Io sono la Resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se fosse morto, ritornerà in vita. E chiunque vive e crede in me non morrà in eterno. Credi tu questo?’. Ed ella rispose...” e, respirando penosamente, Sonja scandì le parole con forza, come se si confessasse lei stessa ad alta voce: “Sì, o Signore! Credo che tu sei il Cristo, il figlio di Dio che sei venuto a questo mondo”. Si fermò per un attimo, alzò rapidamente gli occhi su di lui, ma si vinse subito e riprese a leggere57.

Quello che Gesù vuol far capire qui a Marta è che non è venuto a dare la resurrezione e la vita soltanto alla fine dei tempi, ma già nel presente, nel qui e ora di ogni essere umano, che vive e crede in Lui, qualunque sia la sua condizione, anche la più disperata58. È la ripresa in un episodio concreto di quello che Giovanni ha già espresso nelle prime righe del suo vangelo: la luce e la vita sono già venuti nel mondo, sono qui, anche se il mondo non le ha riconosciute. Il brano è di estrema importanza per visibile e angosciati dalla sua assenza, per capire che esso – il tempio e i suoi riti – è sempre con noi, se noi siamo lì col nostro cuore, se Cristo Salvatore è nella nostra anima e la Sua presenza in noi non è un’allegoria teologica o artistica, ma la verità” (S. Fudel’, Nasledstvo Dostoevskogo, pp. -). 57 F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie, p.  (Delitto e castigo, p. ). 58 “Marta – scrive Louis Bouyer – proietta la resurrezione di Lazzaro in un lontano futuro ... Crede nel mondo invisibile, ma se lo rappresenta come se fosse parallelo al mondo visibile e senza punti di contatto con quello. Ha una fede radicata profondamente, ma separata dalla speranza ... Qui Gesù denucia l’errore della fede che dispera” (L. Bouyer, Il quarto Evangelo).



Sonja, che, dopo la sua esperienza di morte, sente con tutta la forza del suo essere di essere “ritornata in vita” e fonda su queste parole il significato della sua esistenza, sotto ogni altro punto di vista assolutamente infelice. Il capitolo di Giovanni nella sua ricchezza e profondità mette alla prova questa fede già poche righe più avanti attraverso la domanda di alcuni dei giudei presenti (“E non poteva costui, che ha aperto gli occhi al cieco, fare sì che questi non morisse?”) che Sonja pronuncia abbassando la voce, “riuscendo a rendere con calore e passione il dubbio, il rimprovero e il biasimo degli increduli e ciechi giudei”. Il ritardo di Cristo, che non va subito in aiuto dell’amico ammalato, perché ancora non è giunta l’ora, ha nella vicenda di Delitto e castigo un significato profondo. L’episodio di Lazzaro, che come quello di Cana, è “un segno” dato da Cristo per la gloria del Padre (“Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio”, Gv ,)59, mette in luce come si attua il disegno divino. I personaggi della folla, come Raskol’nikov, come lo Stavrogin dei Demoni, vorrebbero il tutto e subito, l’immediato esaudimento dei propri desideri. La domanda dei giudei è nella sostanza la stessa formulata da Ivan Karamazov nel colloquio con Alesˇa: perché Dio lascia che il male agisca nel mondo e non intercede subito per i piccoli, i deboli, i malati, gli oppressi. In Delitto e castigo, che anticipa i temi centrali dei Fratelli Karamazov, la risposta non viene da uno starec, ma è contenuta nella forza stessa di questo brano evangelico e insieme nell’intuizione e nella fede contagiosa di Sonja, che non solo crede a queste parole ma le vive con tutta se stessa. Man mano che si avvicinava al racconto del sommo e inaudito miracolo, un senso di grande esultanza si impadroniva di lei.

59 Cf. a proposito dei “segni” nel vangelo di Giovanni C. Dodd, L’interpretazione del quarto Vangelo.

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La sua voce si era fatta squillante come metallo; esultanza e gioia risuonavano in essa e la rendevano più forte. Le righe si confondevano davanti ai suoi occhi, perché le si offuscava la vista, ma sapeva a memoria quello che stava leggendo60.

Grazie al calore e alla partecipazione del personaggio, che pronuncia quelle frasi come se fossero riferite a se stessa, le parole del brano di Giovanni diventano vive e attuali anche per l’ascoltatore Raskol’nikov: appaiono rivolte non solo alla piccola folla della scena evangelica, ma proprio a lui e alla donna che le legge in quel preciso momento. Cristo non agisce subito per aiutare Lazzaro (nome che significa “Dio viene in aiuto”) né per soccorrere i due protagonisti di Delitto e castigo, perché il progetto divino è più largo di quello che appare ai “ciechi giudei” e ai personaggi più tormentati di Dostoevskij. Richiede infatti da parte degli uomini un processo di autoconoscenza spesso doloroso, una partecipazione attiva e la disponibilità a essere strumenti di rinascita, testimoni l’uno per l’altro. Sonja e Raskol’nikov sono lasciati liberi di fare il male e di accogliere le tentazioni che li tormentano, fino al momento in cui arrivano a morire al loro vecchio io: a conoscere cioè tutta la propria debolezza e impotenza. Nel momento in cui inizia l’azione del romanzo Sonja, pur soffrendo, vive la sua vita con la fiducia e la consapevolezza di chi comprende che quello che si chiede a Dio può non essere dato, perché il progetto di Lui è più grande oppure diverso. Come le sorelle di Lazzaro, come Maria nell’episodio delle nozze di Cana, è lei con il suo amore e la sua fede senza riserve a intercedere per Raskol’nikov e a trascinarlo, quasi suo malgrado, verso una strada che egli non sarebbe in grado di imboccare e di percorrere da solo.

60 F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie, p.  (Delitto e castigo, p. ).



Se si legge alla luce dell’episodio del vangelo di Giovanni – nel quale si manifesta con chiarezza il progetto di Dio attraverso il “segno” che è indirizzato ai personaggi della scena evangelica, ma anche a tutti i lettori –, la vicenda di Raskol’nikov appare sorretta da un disegno provvidenziale che si rivela fin dalle prime pagine. C’è un unico filo sotterraneo che lega eventi diversi, apparentemente casuali e non collegati fra loro. A Sonja è mandata Lizaveta, che le porta il vangelo e la croce, a Raskol’nikov è mandato Marmeladov e, attraverso lui, è mandata Sonja, che a sua volta gli trasmette il messaggio di fede, di umiltà e di mitezza della donna che egli ha accidentalmente ucciso61. Nell’universo dostoevskiano, in cui tutto è interconnesso, sono spesso proprio le vittime a mandare ai loro carnefici i messaggi più preziosi. Nei Demoni, l’unico essere umano capace di toccare Stavrogin nel profondo e di spingerlo a incontrare lo starec Tichon è la piccola Matresˇa, che egli ha costantemente davanti agli occhi. Ugualmente, nel racconto del pellegrino Makar nell’Adolescente, il bambino che si suicida per timore della punizione del suo tutore, diventa per il suo involontario carnefice lo strumento di una dolorosissima ma alla fine possibile rigenerazione. In Delitto e castigo Raskol’nikov può ascoltare le parole di rinascita interiore, di cui ha un disperato bisogno, grazie al dono del libro del Nuovo Testamento, che la sua vittima Lizaveta ha fatto all’amica Sonja. Collabora al disegno anche il terzo ascoltatore segreto del brano, Arkadij Ivanovicˇ Svidrigajlov, che dietro la porta chiusa della sua stanza spia i dialoghi di Sonja e di Raskol’nikov e ascolta il brano della resurrezione di Lazzaro. Sarà lui infatti, prima di suicidarsi, a dare alla ragazza il denaro necessario per mantenere i bambini di Katerina Ivanovna rimasti orfani e per consentire a 61 Due volte Raskol’nikov accomuna Sonja e Lizaveta, fino a rivedere nel volto della ragazza che ha di fronte quello della donna che ha ucciso (cf. Prestuplenie i nakazanie, pp.  e ; Delitto e castigo, pp.  e ).

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lei di seguire Raskol’nikov al bagno penale, cosa che altrimenti non sarebbe materialmente possibile. Anche questo personaggio è un Lazzaro prigioniero della sua tomba e dei lacci con cui lui stesso si è legato62 e dai quali, nonostante i deboli tentativi compiuti e i rimorsi che lo tormentano nelle ultime ore della vita, egli non riesce a liberarsi. L’immagine dell’aldilà, che egli comunica a Raskol’nikov, è di fatto una proiezione di ciò che è stata tutta la sua vita, a cui questo personaggio non ha saputo trovare un senso: L’eternità ci si presenta sempre come un’idea che non si può afferrare, qualcosa di immenso, di enorme! Ma perché deve essere necessariamente enorme? E se invece, guarda un po’, non fosse che una stanzetta, una specie di bagno di campagna affumicato e in tutti gli angoli vi fossero ragni ... per quel che ne sappiamo, forse il giusto è proprio questo. Inoltre, vi dirò, se fosse dipeso da me, io avrei fatto tutto esattamente così – rispose Svidrigajlov con un vago sorriso63.

Il personaggio, che con un intervento materiale rende accettabile a Raskol’nikov la via della Siberia, è costruito come un suo alter ego, al quale l’autore fa percorrere fino in fondo l’altra via a lungo meditata dal protagonista: non di rinascita, ma di volontario e disperato autoannientamento. Nella seconda visita a Sonja, in cui avviene la confessione del delitto, Raskol’nikov ha finalmente il coraggio di smontare alcu-

62 Molte delle azioni che Svidrigajlov compie nella sua vita, dedita unicamente al piacere – causando sia pure indirettamente la morte di alcune persone e in particolare il suicidio di una ragazzina da lui probabilmente sedotta – anticipano quelle dello Stavrogin dei Demoni. Nel suo studio sulle prime redazioni di Delitto e castigo Boris Tichomirov mette in evidenza la novità e l’importanza di questo personaggio, sottolineata negli appunti dallo stesso Dostoevskij (cf. B. Tichomirov, Tvorcˇeskaja istorija, pp. -). Non mi soffermo qui sulla figura di Svidrigajlov, che ha attirato l’attenzione di molti interpreti del romanzo, perché esula dal tema che analizzo in questo lavoro. 63 F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie, pp. - (Delitto e castigo, p. ).

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ni degli alibi che si era costruito. Come è evidente dal suo discorso, il progetto dell’omicidio poggia sulla seduzione esercitata dalle tre tentazioni descritte nel vangelo di Luca. C’è prima di tutto la fame di “pani” ovvero il desiderio di dare una soluzione concreta e immediata alle difficoltà economiche che tormentano lui e la sua famiglia. Più forte di questa è la tentazione che spinge il personaggio a voler “essere un Napoleone” e a “dominare il prossimo”. Il desiderio alimentato dalla rabbia e dalla ribellione, che domina su tutti gli altri, è tuttavia quello di provare al mondo e a se stesso di essere un “individuo straordinario”, ovvero di fare un idolo della propria persona, attribuendosi il diritto di dare la morte e di foggiare i destini degli altri, sostituendosi a Dio. Non era per aiutare mia madre, sono tutte sciocchezze! Non ho ucciso per raggiungere la ricchezza e il potere e per diventare un benefattore dell’umanità. Sciocchezze! Ho semplicemente ucciso; ho ucciso per me stesso ... avevo bisogno di sapere allora, e di saperlo al più presto, se ero un pidocchio come tutti oppure un uomo ... Avrei osato chinarmi a raccogliere quello che avevo a portata di mano oppure no? Sono una tremante pavida creatura, oppure ho il diritto64...

La richiesta di Sonja (“Accettare la sofferenza e con essa riscattarti, ecco cosa devi fare ... Va subito fuori, fermati al crocicchio, prosternati, bacia prima la terra che hai insozzato e poi prosternati davanti a tutto il mondo, in tutte e quattro le direzioni, e dì a tutti a voce alta: ‘Ho ucciso!’”) è qualcosa che Raskol’nikov accetta passivamente e meccanicamente, perché ha bisogno di lei e ha paura di restare solo, ma che non risponde ancora a quello che egli sente dentro.

64 Id., Prestuplenie i nakazanie, p.  (Delitto e castigo, p. ).

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Sarà Porfirij Petrovicˇ, grazie a un intervento della censura che in questo caso molto probabilmente giova alla riuscita del romanzo65, a riprendere questo discorso e ad argomentarlo, secondo la visione delle cose già espressa da Dostoevskij nel brano del  dicembre degli appunti preparatori, che abbiamo citato. Vi considero uno che, anche a strappargli le budella, se ne sta lì a guardare i suoi carnefici col sorriso sulle labbra, ma solo se trova una fede, se trova Dio ... Che ne sapete? Forse Egli vi riserva per qualcosa di utile ... Non sarete certamente voi, con il vostro cuore, a rimpiangere le comodità! Che ve ne importa se nessuno vi vedrà più per tanto tempo? Non è il tempo che conta, ma voi stesso. Diventate un sole e tutti vi vedranno. Sono convinto che deciderete di accettare la sofferenza. Adesso non credete alle mie parole, ma finirete col decidervi. Perché la sofferenza, Rodion Romanovicˇ, è una grande cosa “non ridete della mie parole; nella sofferenza c’è un’idea”66.

Le parole di Porfirij (“Diventate un sole e tutti vi vedranno”) lusingano Raskol’nikov, toccandolo nel suo punto più debole, l’ambizione. Nello stesso tempo fanno riferimento a un’esperienza personalmente vissuta da chi scrive. La capacità di penetrazione psicologica, la larga conoscenza della vita, la ricchezza

65 La redazione di Russkij vestnik censurò il capitolo che conteneva la lettura del brano della resurrezione di Lazzaro, perché non era piaciuto il fatto che fosse una prostituta ad avere un ruolo di guida e di pedagogo. La versione censurata non si è conservata (cf. Prestuplenie i nakazanie [rukopisnye redakcii], p. ). Come sottolinea Tichomirov, nel testo definitivo Sonja perde il ruolo di “ideologa”: alcune delle frasi, che lei avrebbe dovuto dire e che sono contenute negli appunti preparatori, vengono trasferite nel discorso di Porfirij Petrovicˇ. “Così saranno decisivi per Raskol’nikov non le sue parole, ma il suo sguardo, i gesti, la sua presenza: ed è questo che permette un salto artistico importante” (cf. B. Tichomirov, Tvorcˇeskaja istorija, pp. -). Vorrei sottolineare che la scelta della prostituta Sonja come portatrice del messaggio di fede del romanzo, che disturba i membri della redazione della rivista, trova un solido appoggio in alcuni passi evangelici, uno dei quali citato dallo stesso Marmeladov (cf. in particolare Mt , e Lc ,-). 66 F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie, pp. - (Delitto e castigo, pp. -).

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interiore, la creatività del Dostoevskij dei romanzi della maturità trova la sua base e la sua fonte nel doloroso lungo percorso che Porfirij descrive al protagonista di Delitto e castigo e che il suo autore ha già compiuto.

La terza epifania: l’esperienza in Siberia I tempi che Dostoevskij sceglie per l’epilogo sono chiaramente simbolici. L’evento risolutivo per la rinascita interiore del protagonista avviene nove mesi dopo il suo arrivo al bagno penale nelle settimane che precedono e seguono la Pasqua. Inoltre gli anni che restano da scontare sono sette (“All’inizio della loro felicità, in quei primi momenti, tutti e due erano pronti a considerare quei sette anni come sette giorni”), come sette sono i giorni della creazione. La scoperta di Raskol’nikov, per certi aspetti estremamente semplice, è per questo personaggio, che non ha esitato a compiere azioni decisamente arrischiate67, il frutto del passo più difficile di tutta la sua esistenza, perché infrange l’immagine che egli ha di se stesso e mette a nudo la menzogna della sua vita68. Le sue guide non sono individui prestigiosi – né santi starcy, né teo67 Raskol’nikov compie a sangue freddo l’omicidio di due persone, ma, come racconta al processo la sua padrona di casa, è anche capace di rischiare la vita portando fuori da un appartamento già invaso dalle fiamme due bambini (cf. Prestuplenie i nakazanie, p. ; Delitto e castigo, pp. -). Proprio con questo episodio, più volte rimaneggiato, avrebbe dovuto concludersi la prima redazione del romanzo. 68 “Si tormentava con questa domanda e non riusciva a capire che forse già allora, là sul fiume – scrive Dostoevskij nell’epilogo – presentiva dentro di sé nelle sue convinzioni, una profonda menzogna” (Prestuplenie i nakazanie, p. ; Delitto e castigo, p. ). Il motivo del mentire a se stessi, centrale nei testi della spiritualità ortodossa, avrà un ruolo importante in uno dei primi capitoli dei Fratelli Karamazov. (A proposito dell’influenza di Isacco il Siro e dello starec di Optina Leonid sulle parole di Zosima sulla menzogna cf. infra, pp. -).

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rici capaci di elaborare raffinate costruzioni intellettuali – ma l’umile Sonja e i suoi compagni di pena. Nello spazio ristretto del carcere dove si vive gomito a gomito, il protagonista non può non notare che cosa illumina quelle vite povere e costrette, ma anche capaci di stupore e di tenerezza. Guardava gli altri forzati e si meravigliava: come amavano la vita anche loro, come c’erano attaccati! ... Quante terribili sofferenze e torture avevano sopportato alcuni di loro, per esempio i vagabondi! Possibile che amassero tanto un qualsiasi raggio di sole, il fitto del bosco, una sorgente gelata che uno di loro aveva scoperto tre anni prima, in un profondo recesso, e che anelava a ritrovare – così come si sogna un nuovo incontro con l’essere amato – fino a rivederla in sogno ... Continuando a osservare, egli vedeva esempi ancora più inspiegabili69.

L’attenzione e lo stupore dei suoi compagni per i piccoli miracoli dell’esistenza, possibile a chi vive concentrato nel presente e ne comprende il valore70, è qualcosa che colpisce e fa riflettere Raskol’nikov, eternamente proiettato in avanti, così come lo fanno riflettere i sentimenti di ammirazione e di tenerezza che Sonja riesce a suscitare in queste “rozze incallite” creature. Sono frammenti di un altro modo di intendere e vivere l’esistenza, che ancora il personaggio non riesce a collocare in un nuovo quadro. Quando il senso di solitudine e di isolamento raggiunge il suo apice71, un sogno rivela finalmente all’ancora non pentito Raskol’nikov il marcio che ha contagiato lui come tanti giovani della sua generazione. 69 F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie, p.  (Delitto e castigo, pp. -). 70 Questa condizione di gioioso stupore di fronte alla bellezza dell’esistenza sarà al centro della prima parte del romanzo successivo nella descrizione del soggiorno svizzero di Mysˇkin. 71 Durante la quaresima Raskol’nikov è aggredito dai compagni, che gli gridano contro: “Sei un ateo! Non credi nel Signore! Bisognerebbe ammazzarti!”. Poco dopo il personaggio si ammala e trascorre all’ospedale in un totale isolamento l’ultima parte della quaresima e l’intera settimana santa.

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Una volta aveva sognato che tutto il mondo era condannato a essere vittima di una tremenda, inaudita epidemia ... Erano comparse certe nuove “trichine”, esseri microscopici che penetravano nel corpo umano. Ma questi esseri erano spiriti, dotati di intelligenza e di volontà. Gli uomini che le accoglievano dentro di sé diventavano subito indemoniati e pazzi, eppure non si erano mai creduti così intelligenti e infallibili come dopo il contagio ... avevano abbandonato i normali mestieri, perché ciascuno proponeva le proprie idee, le proprie innovazioni e non riuscivano a mettersi d’accordo ... ricominciavano a incolparsi reciprocamente, ad azzuffarsi e a scannarsi72.

Nel sogno il protagonista si trova di fronte a una radiografia della malattia che lo ha colpito e dei danni che essa produce negli altri e in se stesso. Dopo questo episodio l’autore non porta il personaggio alla piena coscienza di quello che ha intuito, ma più realisticamente lo lascia vuoto, bisognoso di aiuto, aperto alla contemplazione e all’ascolto nella quiete di una limpida giornata primaverile. In questa pagina dell’epilogo di Delitto e castigo Dostoevskij presenta per la prima volta ai lettori una visione di quel “paradiso sulla terra”, che tornerà nei suoi romanzi successivi, prima nella percezione di Mysˇkin durante il suo soggiorno svizzero, poi nei sogni dell’età dell’oro di Stavrogin, di Versilov, dell’uomo ridicolo del racconto omonimo, infine, in un’accezione diversa, nella dimensione di intensa gioia interiore vissuta da Markel e da Stepan Trofimovicˇ nel tempo breve che precede la morte: Raskol’nikov uscì dalla baracca e raggiunse la riva del fiume, dove sedette sui tronchi accatastati e si mise a guardare la corrente ampia e deserta ... Dalla lontana riva opposta giungeva appena percettibile una canzone. Laggiù nella steppa immen72 F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie, pp. - (Delitto e castigo, pp. -), il corsivo è mio.

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sa, inondata dal sole, nereggiavano, puntini appena visibili, le tende dei nomadi. Laggiù c’era la libertà e vivevano altri uomini, completamente diversi da questi; laggiù era come se il tempo si fosse fermato, come se non fossero ancora passati il tempo di Abramo e delle sue greggi. Raskol’nikov, seduto, fissava quel panorama senza distoglierne lo sguardo; dai pensieri passava alle fantasticherie, alla pura contemplazione; non pensava a nulla, eppure una strana angoscia lo agitava tormentandolo73.

Questo è per il protagonista un momento speciale, dilatato, durante il quale la sua coscienza esce dal tempo ordinario per entrare in una dimensione sospesa. Il passato e il presente individuale e collettivo si fondono in un’unica densa percezione, nel protendersi dell’animo verso un mondo libero e incontaminato. Questo stato di innocenza, che Raskol’nikov percepisce con un senso di angoscia e di tormento, non è più possibile per lui adulto e colpevole, come non lo è per i personaggi dei romanzi che abbiamo ricordato. Nelle opere di Dostoevskij rinascere non è tornare a una condizione di inconsapevole e ingenua felicità, ma recuperare in se stessi questa dimensione, arricchita da una matura conoscenza di sé e da tutto il bagaglio delle esperienze compiute. Il “dono delle lacrime” è concesso a Raskol’nikov nel momento in cui, dopo la visione, egli si getta ai piedi di Sonja, riconoscendo la verità di quello che lei gli ha trasmesso e testimoniato74. La felicità che i due personaggi raggiungono in queste pagine non è e 73 Id., Prestuplenie i nakazanie, p.  (Delitto e castigo, pp. -). 74 Guardini ha dedicato un capitolo del suo libro su Dostoevskij alle due Sonje colpevoli e profondamente credenti protagoniste dell’Adolescente e di Delitto e castigo (R. Guardini, Dostoevskij, pp. -). “Questa fanciulla – scrive di Sonja Marmeladova – vive, pur in mezzo a tanta corruzione, una profonda vita cristiana. Che significa la strana risposta: ‘Che sarei mai senza Dio?’ e l’altra ancora più sorprendente ‘Tutto fa per me’”. Come la protagonista dell’Adolescente, anche Sonja Marmeladova – dice Guardini – “non cerca di giustificare la sua esistenza”, ma “la accetta nel suo incomprensibile intreccio, perché crede di dover fare così. Tutto risulterebbe falso, inganne-

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non può essere facile e superficiale. Come Dostoevskij sottolinea nell’appunto del  dicembre , essa viene acquistata a un prezzo altissimo e proprio per questo è tanto più preziosa. Per entrambi è il frutto di una sofferenza che li ha messi in ginocchio, li ha spogliati di tutto il superfluo, li ha resi umili e nudi di fronte a se stessi, agli altri e a Dio. Come Sonja prima di lui, anche Raskol’nikov arriva a scoprire la sua miseria, il suo bisogno di aiuto, la sua piccolezza solamente toccando il fondo75. Viene qui celebrato un punto cardine della spiritualità ortodossa. Scrive Isacco il Siro: A chi conosce se stesso è data la conoscenza di ogni cosa ... Come in te stesso è compreso il tutto, così nella conoscenza di te stesso è compresa la conoscenza del tutto ... Quando l’umiltà regnerà nella tua vita, la tua anima si sottometterà a

vole, demoniaco, se ella cercasse di giustificarsi”. E ancora: “La filosofia morale d’Occidente sembra rifiutarsi di fornire qui un concetto positivo nel timore – e non ascoltare l’avvertimento sarebbe per noi fatale! – che si possa cancellare la linea che divide il giusto dall’ingiusto, il bene dal male. Neppure il nostro pensiero religioso occidentale sembra poter dare a questa esistenza un valore positivo senza incontrare difficoltà. Ma se sapremo coglierne la profonda nota originale, sentiremo chiaramente di trovarci in presenza di qualche cosa di grande moralmente e anche dal punto di vista cristiano”. Secondo me, come ho spiegato nelle pagine precedenti, proprio la concezione ortodossa – e in particolare il pensiero di Isacco il Siro – fornisce una chiave per la comprensione della figura di Sonja e del significato del suo messaggio. 75 Scrive Nikolaj Berdjaev che è difficile guarire l’anima contemporanea – quella di Raskol’nikov, di Stavrogin, di Kirillov, di Ivan Karamazov – dalle sue malattie spirituali solo con le vecchie medicine e che Dostoevskij l’ha capito: “[Dostoevskij e Nietzsche] compresero che l’uomo è terribilmente libero e che questa libertà è tragica e impone un fardello doloroso ... Per questo il cristianesimo di Dostoevskij è molto diverso da quello di Teofane l’Eremita. Per questo i Padri del monastero di Optina non considerano Dostoevskij del tutto uno di loro, dopo aver letto I fratelli Karamazov. Si è aperta una via a Cristo attraverso una libertà infinita” (N. Berdyaev, La concezione di Dostoevskij, pp. -). A conclusione di questo capitolo su Delitto e castigo penso invece di poter affermare che la soluzione alla vicenda di Raskol’nikov, nel  estremamente attuale, sia trovata da Dostoevskij proprio attraverso la riflessioni su testi che appaiono a Berdjaev troppo antichi: prima di tutto il vangelo e poi l’interpretazione che ne danno i padri della chiesa d’oriente: testi portatori di un messaggio che si arricchisce nel tempo delle sfumature sempre nuove che i lettori di epoche diverse sono in grado di cogliere ed evidenziare.

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te e con lei si sottometterà a te tutto, perché nel cuore nascerà il mondo di Dio. Fino a che non ne sarai fuori, non solo le passioni, ma anche le circostanze esterne ti tormenteranno ... La vera umiltà è la fonte della vera conoscenza76.

E circa tredici secoli dopo lo starec russo Silvano dell’Athos (-): Il Signore ama gli uomini, e tuttavia permette che le afflizioni li sconvolgano, affinché riconoscano la loro impotenza e diventino umili e a causa dell’umiltà ricevano lo Spirito santo ... L’anima orgogliosa, anche se studiasse tutti i libri, non conoscerà mai il Signore perché con la sua superbia non lascia spazio dentro di sé ... Ad ogni anima umile il Signore dona la sua pace, che è al di sopra di ogni comprensione. L’anima dell’uomo umile è come il mare. Getta nel mare un sasso: turberà appena la superficie, e immediatamente affonderà. Così affondano le afflizioni nel cuore dell’uomo umile, perché la potenza del Signore è con lui77.

L’animo della Sonja creata da Dostoevskij è appunto così come Silvano lo descrive in questa pagina. In Delitto e castigo e in tutta l’opera dello scrittore è lei il primo personaggio capace di realizzare e di trasmettere agli altri una dimensione interiore di un sia pur fragile paradiso sulla terra fatto di amore, di condivisione, di accoglienza, di una gioia che passa attraverso il dolore e riesce a vincerlo e a trasformarlo. È questo il messaggio che Sonja trasmette a Raskol’nikov. Attratto fin dall’inizio dalla pace e dalla dolcezza di lei, egli arriva a comprenderlo e a farlo suo soltanto nell’epilogo del romanzo, prima tappa di una ricerca che lo scrittore continua in tutte le opere successive fino ai Fratelli Karamazov. 76 Isaak Sirin, “Slovo” , p.  (“Discorso” , p. ). 77 Sofronio, Silvano del Monte Athos, pp. -.



Capitolo II L’IDIOTA

Nel romanzo Idiot (L’idiota) l’influenza della Scrittura è meno evidente rispetto alle altre opere dello stesso periodo. Non ci sono i lunghi brani evangelici inseriti in Delitto e castigo, nei Demoni, nei Fratelli Karamazov, né la fitta rete di richiami biblici che percorrono tutto l’ultimo romanzo e in buona misura anche quelli precedenti. Nella seconda e nella terza parte dell’opera Dostoevskij inserisce alcuni versetti e rimandi dal libro dell’Apocalisse, fatti da Lebedev (Ap ,-) e da Ippolit (Ap ,; ,; ,). Il richiamo più significativo alla Scrittura è tuttavia mediato qui, come vedremo, attraverso l’immagine della copia del Cristo morto di Holbein, che nell’interpretazione di Ippolit rimanda agli episodi evangelici della passione, morte e deposizione di Gesù (in particolare Lc ). In una ricerca sull’influenza del testo biblico sulle opere di Dostoevskij, nonostante la brevità delle citazioni scritturali in esso contenute, l’Idiota è secondo me importante. Continuando il percorso iniziato con Delitto e castigo, lo scrittore pone attraverso i suoi personaggi quegli interrogativi sul significato della vita, della morte, del male e della sofferenza nel mondo, che torneranno in tutte le sue opere. I brani e i richiami biblici, inseriti nel libro del , se interpretati alla luce del contesto di cui fanno parte, racchiudono in sé una risposta ai dubbi e alle angosce dei protagonisti. Tuttavia nell’Idiota que

sta risposta non è data esplicitamente. I personaggi, privi di una guida, leggono questi brani proiettando su di essi la loro desolata e distruttiva visione del mondo. Nei Demoni, nell’Adolescente e nei Fratelli Karamazov i dubbi dei protagonisti e i passi biblici sui quali si interrogano troveranno interpreti competenti, dotati di profonda intelligenza e ricchezza interiore, negli starcy Tichon e Zosima, nel pellegrino Makar, in Alesˇa Karamazov. Il romanzo del  si costruisce intorno a un’idea artistica che – come afferma lo scrittore – si affaccia improvvisamente alla sua mente dopo alcuni mesi di lavoro su un progetto iniziato per un disperato bisogno di denaro, che lo accompagnerà per tutta la stesura del libro. Voi non avete provato a scrivere su ordinazione e su misura e non avete provato perciò un tormento infernale – scrive all’amico Majkov il  gennaio  – ... Tutta l’estate e tutto l’autunno io non ho fatto altro che comporre diverse idee ... il  dicembre mandai tutto al diavolo ... La mia testa divenne un mulino. Come non sia diventato pazzo, non lo capisco. Finalmente il  dicembre mi misi a scrivere il nuovo romanzo; il  gennaio ho mandato alla redazione cinque capitoli della prima parte ... ieri, , ho spedito questi due capitoli e in tal modo ho mandato tutta la prima parte1.

In ventitré giorni, senza stendere appunti preparatori, Dostoevskij scrive dunque di getto la prima giornata di Mysˇkin a Pietroburgo fino al suo ingresso nella casa di Ganja Ivolgin (i capitoli I-VII della prima parte della stesura definitiva). Nei piani dell’autunno lo scrittore si muove su un terreno già noto e sperimentato. Il protagonista infatti appare simile a Ra-

1 Pis’ma -, pp. - (Epistolario, pp. -).

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skol’nikov e al futuro Stavrogin2, cioè a quelle personalità “larghe” e ricche di contraddizioni, che Dostoevskij ben conosceva attraverso gli incontri coi compagni di prigionia e il lavoro di approfondimento del proprio mondo interiore compiuto negli anni della Siberia. Nel nuovo progetto viene conservato – insieme al personaggio femminile (Mignon-Ol’ga Umeckaja che diventerà Nastas’ja Filippovna)3 e ad alcune figure minori – l’epiteto idiota attribuito al protagonista epilettico, che resta il punto di partenza per l’elaborazione della stesura definitiva del romanzo. Il termine “idiota” sottolinea l’essere “particolari, differenti”4 e il personaggio è in effetti estraneo alla mentalità del mondo russo nel quale si inserisce. Contemporaneamente, la parola richiama l’idea di un handicap mentale, di una malattia, che è appunto il nucleo di partenza del nuovo protagonista.

2 Scrive Dostoevskij negli appunti del : “L’idiota ha forti passioni, un ardente bisogno d’amore e un orgoglio infinito ... Carattere essenziale dell’idiota. Dominio di se stesso per orgoglio (e non per ragioni morali). Contemporaneamente: libertà sfrenata. Si permette tutto. Potrebbe dunque diventare un mostro, ma l’amore lo salva. A poco a poco una pietà profonda lo penetra” (Idiot [rukopisnye redakcii], p. ). 3 Ne parla Dostoevskij nella lettera a Majkov del  gennaio  (cf. Pis’ma -, p. ; Epistolario, p. ) Anche la moglie dello scrittore sottolinea l’interesse di Dostoevskij per il processo e la sua idea di fare di Ol’ga la protagonista del romanzo (cf. A. Dostoevskaja, Dostoevskij mio marito, p. ). Inoltre negli appunti la protagonista è chiamata più volte Umeckaja ed è sottolineato che “la storia di Mignon è la storia di Ol’ga Umeckaja” (F. M. Dostoevskij, Idiot [rukopisnye redakcii], p. ). Jacques Catteau, che si è occupato nel suo libro dei primi appunti dell’Idiota, sottolinea che “Ol’ga Umeckaja était une héroine typiquement dostoevskienne ... A quinze ans, c’était encore une enfant et déjà une femme et surtout c’était une insurgée du désespoir” ( J. Catteau, La création littéraire, p. ). E ancora, Victor Terras, analizzando la genesi del carattere di Nastas’ja Filippovna e ricordando il processo alla Umeckaja, scrive che “Dostoevsky, to whom child abuse was a lifelong preoccupation, became intensely interested in the case” (V. Terras, Idiot. An Interpretation, p. ). Vorrei sottolineare a questo proposito che il tema delle offese e degli abusi sui bambini, che torna nei Demoni e nell’Adolescente, ha una chiave biblica richiamata in tutti e due questi romanzi (Mc ,). 4 Scrive Pavel Evdokimov: “Idiot en grec, signifie particulier, autre, différent. Et en effect, Mychkine s’avance comme un être venu d’une autre planète” (Gogol et Dostoïevsky, p. ). A proposito del termine “idiot” e del suo significato nel romanzo cf. anche J. Leclercq, “L’Idiota e la tradizione cristiana”, pp. -.

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Del fascino della nuova idea, che gli si è affacciata alla mente il  dicembre, ma anche dei dubbi e delle esitazioni che la accompagnano Dostoevskij parla nella lettera a Majkov del  gennaio: Da un pezzo ormai ero tormentato da una certa idea, ma avevo paura di farne un romanzo, perché si tratta di un’idea troppo difficile e io non mi sentivo pronto per esprimerla, sebbene essa mi appaia straordinariamente seducente, tanto che ne sono addirittura innamorato. Questa idea è rappresentare una natura umana pienamente bella. Secondo me, non c’è nulla di più difficile di questo, specialmente al nostro tempo ... Soltanto la mia attuale disperata situazione mi ha costretto ad aggrapparmi a questa idea non ancora interamente maturata. E così ho rischiato come quando si gioca alla roulette: “Forse, chissà, mi si svilupperà sotto la penna!”. Ma questo è imperdonabile5.

Effettivamente il talento e l’istinto creativo dello scrittore faranno sì che il libro, per il quale egli dice di “aver rischiato come alla roulette”, presenti nella stesura definitiva una limpida coerenza interna fino a una conclusione che illumina il senso dell’intera vicenda. Come è evidente dai quaderni preparatori, l’Idiota è tuttavia un romanzo scritto a tentoni da un autore che quasi fino alla conclusione della stesura definitiva non sa quale sarà la fine dei suoi protagonisti. Dopo i primi sette capitoli il romanzo subisce infatti una lunga e tormentata battuta d’arresto. Il lavoro di questi mesi è documentato dagli appunti dove si ipotizzano per i personaggi le soluzioni più diverse e fantasiose. Il problema, come Dostoevskij continua ad annotare nei quaderni, è la debolez-

5 Pis’ma -, pp. - (Epistolario, p. ).

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za della figura del protagonista, che non riesce a prendere una forma definitiva6. Come lo scrittore dichiara nella lettera a Majkov, le idee artistiche che si impossessano di lui – tipica sarà in questo senso la genesi dei Demoni – sono il risultato di un laborioso processo interiore che, come le scoperte conoscitive dei suoi personaggi, giunge a maturazione dopo una lunga fase preparatoria attraverso un improvviso e apparentemente inatteso chiarimento7. Dopo Delitto e castigo, rischiarato da una conclusione che si proietta verso una storia non scritta8, è come se Dostoevskij coltivasse nel profondo di se stesso la visione di luce intravista da Raskol’nikov e sentisse il bisogno di concretizzarla in immagini. I suoi protagonisti realizzeranno questa dimensione interiore con piena consapevolezza soltanto nei Fratelli Karamazov. All’inizio della stesura dell’Idiota, lo scrittore con un’ingenuità che dovrà progressivamente abbandonare si pone un compito che lui stesso definisce smisurato: izobrazit’ vpolne prekrasnogo cˇeloveka (rappresentare una persona bella nel senso pieno del termine). La difficoltà nasce dal fatto che, come egli sottolinea

6 Scrive Dostoevskij negli appunti: “Come rendere il protagonista simpatico al lettore? Egli è innocente”. E ancora: “Compito principale: il carattere dell’Idiota. Svilupparlo. Per questo è necessaria la fabula del romanzo. Per rappresentare in modo più seducente (più simpatico) il carattere dell’Idiota bisogna trovargli un campo di azione. Egli risana Nastas’ja Filippovna, influenza Rogozˇin, fa diventare Aglaja più umana” (Idiot [rukopisnye redakcii], pp.  e ). Come vedremo, nel corso della stesura definitiva del romanzo Mysˇkin non risanerà Nastas’ja Filippovna, né avrà un’azione positiva su Aglaja e questi piani saranno abbandonati. 7 Cf. Pis’ma -, p.  (Epistolario, p. ): “Nella mia testa e nell’anima continuamente balenano e si fanno sentire tanti inizi di idee artistiche. Ma solo balenano, e occorre una piena realizzazione, la quale procede sempre all’improvviso e inattesa, e non è possibile perciò contare su quando ciò avverrà; ché solo allora, avendo nel cuore la piena immagine, è possibile procedere alla realizzazione artistica”. Per la genesi dei Demoni cf. infra, pp. -. 8 “Ma qui ormai comincia una nuova storia, la storia della rinascita di un uomo, della sua graduale trasformazione, del suo lento passaggio da un mondo a un altro mondo, del suo incontro con una realtà nuova e fino a quel momento completamente ignorata. Potrebbe essere l’argomento di un altro racconto; ma il nostro intanto è finito” (F. M. Dostoevskij, Prestuplenie i nakazanie, p. ; Delitto e castigo, p. ).

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nelle lettere, si tratta di un personaggio che non ha mai incontrato nella realtà. Il  gennaio  Dostoevskij scrive a Sof’ja Ivanova di avere un unico modello: il Cristo del vangelo di Giovanni: Il bello (prekrasnoe) è un ideale e l’ideale – sia il nostro sia quello dell’Europa civilizzata – è ben lontano dall’essere stato elaborato. Al mondo c’è stato soltanto un personaggio bello e positivo, Cristo, tantoché l’apparizione di questo personaggio smisuratamente, incommensurabilmente bello costituisce naturalmente un miracolo senza fine. (Tutto il vangelo di Giovanni è concepito in questo senso: egli trova tutto il miracolo nella sola apparizione del bello)9.

Come vedremo, per un paradosso soltanto apparente, nel romanzo è presente un’unica immagine di Cristo: il corpo brutto, giallastro e tumefatto raffigurato nel quadro di Holbein. Proprio con questa immagine di bruttezza e di morte dovranno confrontarsi Mysˇkin, Ippolit, Nastas’ja Filippovna e Rogozˇin. È evidente dalle lettere e dai piani preparatori che, nel momento in cui comincia a scrivere l’Idiota, Dostoevskij è affascinato dall’aspetto più attraente e immediato di un Cristo che gli appare tutto luce e bellezza10. Delle sofferenze e delle angosce umane da lui subite e della profonda conoscenza del male che egli sperimenta nel mondo e che sconfigge nella sua carne sarà ben consapevole l’autore dei Fratelli Karamazov. In questa fase, il Mysˇkin che arriva a Pietroburgo irradiando una luce e una bontà ancora incontaminate sarà, come vedremo,

9 Pis’ma -, p.  (Lettere sulla creatività, p. ). 10 Mancano effettivamente nel vangelo di Giovanni i momenti di maggiore fragilità e di prova: l’episodio delle tentazioni così come l’angoscia e la solitudine nell’orto del Getsemani. Dopo l’ingresso in Gerusalemme e prima della passione Cristo dichiara il suo turbamento, ma anche una assoluta fermezza e la piena consapevolezza della sua missione (cf. Gv ,).

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per il suo creatore la prova del fuoco per un approfondimento conoscitivo della complessa natura dell’essere umano e delle tappe del suo cammino spirituale.

Il protagonista dell’“Idiota” e il paradiso della Genesi Nei primi sette capitoli del romanzo, scritti di getto, Mysˇkin è effettivamente la figura di luce che Dostoevskij descrive con trepidazione nelle lettere: un personaggio felice di esistere, libero, umile, aperto all’amore, privo di desideri perché la sua esistenza è già piena11. Questa felicità interiore a Pietroburgo resiste tuttavia soltanto alcune ore. La vedremo già appannata e compromessa alla fine della prima giornata, quando il principe piange amaramente per le scelte di Nastas’ja Filippovna e “corre a precipizio” alla ricerca di una carrozza per inseguire le trojke di Rogozˇin.

11 Alcuni studiosi, attratti dall’immagine che Dostoevskij dà del protagonista nella prima parte del romanzo e dalle dichiarazioni fatte dallo scrittore nelle lettere del gennaio , vedono Mysˇkin come una figura di straordinaria luce, bontà e bellezza, sconfitta non tanto dalle sue debolezze quanto da un mondo che è incapace di accoglierne il messaggio. Kjetsaa lo definisce “innocente come l’agnello”, “straniero nel mondo come il Cristo del vangelo di Giovanni” (G. Kjetsaa, Dostoevsky, p. ). Guardini sostiene che “è soltanto un uomo, ma da tutto il suo essere traspare l’immagine di un’esistenza che è più di quella di un uomo: l’esistenza del Redentore” (R. Guardini, Dostoevskij, p. ). Leclercq, appoggiandosi alla lettera a Sof’ja Ivanova, afferma: “Abbiamo qui, dalla stessa confessione dell’autore, la chiave di tutta l’opera e quello che spiega la grandezza e i limiti del personaggio dell’idiota. Nessun dubbio riguardo all’intenzione di rappresentare un ‘simbolo di Cristo’. Forse si esagera nel voler rappresentare ogni aspetto da questo punto di vista, come ha fatto Guardini. Ma molti critici hanno riscontrato dei parallelismi fra il destino di Mysˇkin e quello di Gesù” ( J. Leclercq, “L’Idiota”, p. ). Come spiegherò nel corso dell’analisi, il problema della grandezza e dei limiti di Mysˇkin va posto secondo me in termini diversi ed è strettamente legato all’ignoranza del male propria di questo personaggio, che ha paura di conoscere gli altri e se stesso fino in fondo.



Mi sembra importante esaminare le caratteristiche del paradiso, in cui vive il primo Mysˇkin, perché questo è il punto di partenza di una ricerca che coinvolgerà tutti i protagonisti delle ultime opere dello scrittore12. È lo stesso principe a raccontare nel salotto delle Epancˇin la sua progressiva gioiosa scoperta di una dimensione di felicità. Laggiù mi sono soltanto rimesso in salute. Non so se ho imparato a guardare. Del resto io per quasi tutto il tempo sono stato molto felice ... ogni giorno mi diventava caro e, quanto più il tempo passava, tanto più mi era caro13.

La ricerca artistica e conoscitiva, che Dostoevskij compie con estrema sincerità attraverso le sue opere, gli fa scartare da subito la possibilità di una condizione di perfezione ricevuta alla nascita come dono gratuito, perché questo non trova riscontro nella realtà da lui conosciuta. La bellezza di questo personaggio, che arriva a Pietroburgo totalmente privo di germi di male, è nel romanzo l’effetto di un handicap: la condizione patologica che lo ha privato di un passato e di un normale sviluppo. A causa della sua malattia, Mysˇkin è rimasto per ventiquattro anni privo di memoria, di emozioni, di esperienze, “estraneo ed escluso dal mondo”. La sua nascita biologica non coincide con quella mentale, avvenuta in Svizzera nella casa di cura di Schneider. Il suo stupore, la gratitudine, la gioia sono l’effetto di questa particolare condizione: quella di un adulto-bambino e insieme di un convalescente che assapora

12 Come ho scritto nell’“Introduzione”, intravedono questa dimensione Stavrogin, Versilov e l’uomo ridicolo del racconto omonimo, che si svegliano con gli occhi bagnati di lacrime dopo il sogno di un’umanità innocente e felice; la scoprono Stepan Trofimovicˇ, Markel e il “visitatore misterioso” nell’immediata imminenza della morte; la sperimentano Zosima e Alesˇa Karamazov che arrivano a viverla nella realtà quotidiana. 13 F. M. Dostoevskij, Idiot, p.  (L’idiota, pp. -).

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la vita con un’intensità sconosciuta all’individuo normale immerso nella quotidianità. Nella sua prima giornata a Pietroburgo questo personaggio, capace di irradiare luce e felicità, ha un dono che incanta e disorienta i suoi interlocutori pietroburghesi. Grazie alla libertà e alla trasparenza interiore di chi non ha desideri, piani, calcoli personali, perché è tutto concentrato nella gioiosa contemplazione di un mondo che scopre per la prima volta, egli riesce a leggere nei dettagli l’essenza profonda di ciò che gli sta di fronte14: una persona, un volto, un comportamento, perfino i tratti calligrafici da lui osservati con interesse e amore15. Questa limpida capacità di visione avvicina il protagonista dell’Idiota agli starcy dei Demoni e dei Fratelli Karamazov, attraverso i quali Dostoevskij svilupperà l’idea dell’essere pienamente bello. C’è però una differenza sostanziale. Quella che in Tichon e in Zosima sarà una qualità stabile, legata a una profonda conoscenza dell’essere umano, in Mysˇkin è un effetto dell’improvviso risveglio dal buio della malattia, effetto che verrà presto perduto con grave danno di chi – sia pure inconsa-

14 Scrive Berdjaev a proposito della capacità di visione di Mysˇkin: “È molto interessante che mentre gli ‘oscuri’, Stavrogin, Versilov, Ivan Karamazov, sono esplicati e tutto si muove verso di loro, i ‘chiari’, Mysˇkin e Alesˇa, esplicano loro gli altri, il movimento va da loro verso tutti. Alesˇa esplica Ivan (‘Ivan è un enigma’), Mysˇkin vede nell’animo di Nastas’ja Filippovna e di Aglaja. I ‘chiari’, Mysˇkin e Alesˇa, sono dotati del dono della visione, vanno in aiuto alla gente. Gli ‘oscuri’ ... sono dotati di una natura enigmatica, che tormenta e strazia tutti” (N. Berdjaev, La concezione di Dostoevskij, pp. -). A differenza degli studiosi che abbiamo citato prima (supra, p. , n. ), Berdjaev vede i limiti di Mysˇkin, che “ha una natura chiara, ma manchevole” e che, nella compassione che prova per Nastas’ja, “oltrepassa i limiti del lecito”, dimenticando i doveri verso gli altri e se stesso (ibid., p. ). 15 L’attenzione alla calligrafia è presente in un altro romanzo di Dostoevskij, I demoni, nel momento in cui Tichon esamina i foglietti della confessione di Stavrogin. In quei caratteri lo starec legge il disordine interiore, la sciatteria e il disprezzo per gli altri di chi li ha tracciati. Al contrario, nell’Idiota, l’interesse e l’amore del protagonista per la calligrafia esprimono il suo ordine interiore, la sua armonia e trasparenza interna. Riproducendo la firma di Pafnutij, la scrittura degli scrivani pubblici o quella di un commesso viaggiatore francese, Mysˇkin con gioia si identifica negli altri e si apre alla loro comprensione.

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pevolmente come Ippolit e Rogozˇin – ha posto nel principe la sua speranza di luce. La mente del protagonista dell’Idiota, vuota di ricordi, durante il soggiorno in Svizzera è simile a un foglio bianco16 sul quale si incidono con una forza particolare i pochi eventi e incontri di quel periodo. Il Mysˇkin della Svizzera è attratto soprattutto dall’inizio della vita – la gioia incontaminata dei bambini che tanto gli assomigliano – e dalla fine, l’esperienza dei condannati a morte, che si incide profondamente nella sua coscienza. Quello che egli impara dai bambini e sente profondamente suo è la capacità di vivere e assaporare a pieno la dimensione del presente. Mi sento attirato dai bambini ... Non so come cominciai a provare una sensazione straordinariamente forte di felicità ogni volta che li incontravo. Mi fermavo e ridevo di felicità osservando le loro gambette sempre in movimento ... le loro risa e le loro lacrime (perché molti facevano in tempo a picchiarsi, piangere, fare di nuovo la pace e giocare mentre correvano da scuola a casa) e allora dimenticavo tutta la mia tristezza. Poi durante quei tre anni non ho potuto nemmeno capire come e per quale motivo gli uomini sono tristi. Tutto il mio destino si era immedesimato coi bambini17.

È una costante nelle opere di Dostoevskij che la dimensione di paradiso, intravista da alcuni personaggi, sia in qualche modo legata all’infanzia. Il sogno di un’umanità innocente e felice – che commuove fino alle lacrime i protagonisti dei Demoni, dell’Adolescente e di Son smesˇnogo cˇeloveka (Il sogno di un uomo

16 Jacques Catteau ha esaminato i punti di contatto fra la situazione di Mysˇkin e quella, per certi aspetti simile, del protagonista del progetto intitolato Imperator (L’imperatore) elaborato nello stesso periodo (cf. J. Catteau, La création littéraire, pp. -). 17 F. M. Dostoevskij, Idiot, pp. - (L’idiota, p. ).

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ridicolo) – con le sue immagini di luce, “candida gioia”, “sovrabbondanza di forze intatte” e di un caldo reciproco amore evoca nella mente dei destinatari una dimensione, che ha in sé qualcosa di già noto, sperimentata nella prima infanzia e poi dimenticata e perduta. Mai sulla nostra terra avevo visto una tale bellezza nell’uomo – afferma il personaggio del racconto –. Forse solo nei nostri bambini, nei loro primissimi anni di età, si potrebbe trovare un lontano anche se debole riflesso di quella bellezza ... nelle parole e nelle voci di quegli uomini risuonava una gioia infantile ... Nulla essi desideravano, perché la loro vita era già piena ... vivevano in un paradiso simile a quello in cui vissero, secondo le tradizioni di tutta l’umanità, anche i nostri progenitori che caddero in peccato18.

Fra tutti i suoi personaggi Dostoevskij concede soltanto al protagonista dell’Idiota, che si apre alla vita vergine di esperienze e di ferite, di vivere questa dimensione direttamente nella realtà. Rispetto ai bambini del villaggio e agli abitanti del pianeta parallelo del Sogno di un uomo ridicolo, Mysˇkin ha tuttavia qualcosa di più. Negli anni bui, che precedono il suo risveglio, egli non ha conosciuto niente se non la sofferenza sorda della malattia e dell’esclusione. Proprio questa sofferenza, che fin dalla prima infanzia ha segnato la sua anima, lo rende sensibile e

18 A far riaffiorare questa dimensione alla coscienza attraverso il messaggio onirico è per i personaggi l’incontro con bambini che essi, inaspriti e feriti dalla loro infelice vicenda esistenziale, hanno offeso nei bisogni primari: di affetto, accoglienza e aiuto. L’uomo ridicolo del racconto omonimo, carico di distruttività verso se stesso e il mondo, riceve il messaggio onirico di una terra di paradiso dopo aver scacciato senza ascoltarla una bambina disperata che balbettando gli chiedeva aiuto. Il protagonista dei Demoni, il più colpevole dei personaggi dostoevskiani, fa il sogno di un’umanità innocente e felice durante un periodo di angoscioso travaglio interiore, dopo aver violentato e spinto al suicidio la piccola Matresˇa. Per il rapporto fra il desiderio di recuperare il mondo caldo di affetti e innocente dell’infanzia e il sogno di Stavrogin cf. infra, pp. -.

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ricettivo al dolore degli altri: a quello semplice ed essenziale dell’emarginata Marie, malata e sola19, come più tardi alle angosce tanto più complicate e contradditorie di Nastas’ja Filippovna e degli abitanti del mondo pietroburghese. Per questo stesso motivo egli è profondamente attratto anche dai racconti dei malati, che vivono con lui nella casa del medico Schneider, simili per la durezza e la tragicità delle loro esperienze ai compagni di prigionia conosciuti da Dostoevskij in Siberia in una dimensione altrettanto isolata e sospesa. Ascoltando i racconti di uno di questi pazienti, rimasto in carcere circa dodici anni, Mysˇkin, che ha la capacità di immedesimarsi nelle storie degli altri fino a viverle sulla propria pelle, scopre che “si può trovare una vita immensa anche in prigione”: ovvero la possibilità che è data a colui, al quale è negato lo spazio esterno, di esplorare la larghezza e ricchezza del mondo racchiuso all’interno di se stessi. L’esperienza che segna più profondamente l’animo del principe è quella – traumatica al massimo grado – dei momenti che precedono un’esecuzione capitale, che il protagonista dell’Idiota osserva a Lione – “Ecco, è passato già un mese da che l’ho veduto e l’ho ancora davanti agli occhi” – e che ascolta nella casa di Schneider da un malato che era stato graziato quando era già salito sul patibolo. In quel momento – ricorda questo personaggio – nulla era stato più penoso del pensiero incessante: “Se potessi non morire, se potessi far tornare in dietro la vita, quale infinità! E tutto questo sarebbe mio! Io allora trasformerei ogni minuto in un secolo intero, non perderei nulla, terrei conto di ogni minuto, non ne sprecherei nessuno”20.

19 Marie, povera, malata di tisi, non bella viene emarginata da tutto il villaggio dopo essere stata sedotta e poi abbandonata da uno straniero di passaggio. 20 F. M. Dostoevskij, Idiot, p.  (L’idiota, pp. -).

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Il principe accoglie con profonda empatia quello che gli viene narrato perché, anche se per opposti motivi (il condannato sta per perdere la vita, lui la sta scoprendo per la prima volta) entrambi i personaggi vivono una situazione eccezionale, capace di aprire i loro occhi e il loro cuore. Una scoperta simile sarà compiuta nei Demoni dall’anziano Stepan Trofimovicˇ, reso improvvisamente lucido dalla percezione della morte imminente e poi nell’ultimo romanzo dal fratello adolescente di Zosima, mortalmente malato21. Questi due personaggi scoprono qualcosa che, come dicono loro stessi, è sotto gli occhi di tutti. Pure gli uomini normalmente non lo vedono. Nella ricerca artistica compiuta con le opere della maturità lo scrittore esplora attraverso i suoi personaggi le vie possibili perché il velo cada dagli occhi e la vita riveli la sua ricchezza e il suo significato. Il percorso privilegiato dai padri della chiesa d’oriente e dagli starcy per realizzare sulla terra una dimensione interiore di paradiso è, come ho detto nell’introduzione, “la discesa con la mente nel cuore”. Secondo i loro scritti, due strade sono possibili perché questo si realizzi: la via del monaco che percorre un lento e faticoso cammino spirituale oppure il trauma causato da una sofferenza che perfora e lascia umili e nudi di fronte a se stessi e a Dio. Affrontando questo tema, che gli sta particolarmente a cuore, Dostoevskij esplora nell’Idiota un’altra possibilità: quella di un “essere pienamente bello” non perché ha compiuto tutto il percorso o ha subito un trauma che gli ha aperto gli occhi, ma perché la natura attraverso la malattia, che ha bloccato il suo sviluppo, lo ha conservato innocente come un bambino, ignaro delle angosce e delle contraddizioni degli adulti. Del processo di “discesa con la mente nel cuore” Mysˇkin, come più tardi il Kirillov

21 Cf. infra, pp. -.

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dei Demoni e altri personaggi dostoevskiani, compie in modo spontaneo e senza l’aiuto di nessuno la prima tappa: ovvero l’apertura alla percezione della bellezza del mondo e all’amore per tutto e per tutti. La debolezza e la fragilità del protagonista dell’Idiota e il suo fallimento, come più tardi quello di Kirillov, dipendono dall’ignoranza di tutto il percorso, di cui questo è soltanto il primo gradino. Come i personaggi della Genesi prima della caduta e gli abitanti del pianeta sognato dall’uomo ridicolo, il primo Mysˇkin, innocente e felice, custodisce e coltiva il giardino che gli è stato affidato. Il legame di amore e di compassione che unisce il principe e i bambini del villaggio intorno a Marie, che muore nella gioia, è il seme più luminoso che il protagonista dell’Idiota lascia del suo passaggio sulla terra. Lo stesso tema sarà ripreso nei Fratelli Karamazov, dove questa dimensione di paradiso si realizza non all’inizio, ma alla fine del romanzo grazie al vincolo che unisce intorno alla tomba del piccolo Iljusˇa i suoi compagni adolescenti, guidati dal più giovane dei Karamazov reso maturo e consapevole da un’esperienza che lo ha scosso fino alle radici del suo essere. Come ho premesso nell’“Introduzione”, a partire dall’Idiota fino all’ultimo romanzo, Dostoevskij presenta due forme di paradiso sulla terra. Una è quella che vivono e testimoniano il Tichon dei Demoni, il Makar dell’Adolescente, Markel, “il visitatore misterioso”, Zosima e Alesˇa dei Fratelli Karamazov. Per tutti loro si tratta di una dimensione interiore raggiunta attraverso un sofferto percorso, che ha fatto morire il vecchio io e i suoi attaccamenti e desideri. L’altra è la forma di paradiso descritta nella Genesi: quella di coloro che, come gli abitanti del pianeta del sogno o il primo Mysˇkin, non hanno mai conosciuto il male e sono quindi destinati – secondo un progetto che nella Bibbia è fissato dall’inizio dei tempi – a sperimentare il dolore e la caduta. Dostoevskij riflette e prende coscienza secondo me di queste due forme di paradiso durante la stesura dell’Idiota, nel momen

to in cui si rende conto che il suo protagonista bello, innocente e felice nel contesto pietroburghese non può che fallire. Nella trasparenza e purezza del suo cuore Mysˇkin è in grado di percepire la bellezza e la ricchezza dell’esistenza. Coglie il punto di partenza e quello di arrivo, ma è totalmente ignorante del percorso. Non conosce gli ostacoli e i limiti del quotidiano: non solo i pericoli esterni, ma soprattutto quelli ancora più insidiosi, che affiorano dal profondo di ogni essere umano. Alla dimensione armonica del villaggio svizzero si contrappone fin dalle prime pagine del romanzo la realtà che il protagonista dell’Idiota incontra a Pietroburgo. Con un tono apparentemente frivolo e leggero, il narratore presenta le manovre in atto nella giornata del  novembre in cui Mysˇkin fa la sua apparizione. L’avvenimento che concentra aspettative e desideri è la serata di compleanno di Nastas’ja Filippovna, oggetto di trattative e di compravendite, che dovrebbero soddisfare contemporaneamente la lussuria di alcuni, la sete di possesso, il desiderio di denaro e di affermazione personale di altri. Al di là dell’apparente decenza e rispettabilità di coloro che, come Tockij ed Epancˇin, hanno un ruolo sociale di rilievo e sembrano condurre il gioco, quello che si presenta al lettore è un mondo buio e vuoto, dominato da un egoismo che non ha limiti. Afanasij Ivanovicˇ Tockij, che ha sedotto la sua pupilla Nastas’ja Filippovna ancora quasi bambina, vuole venderla al migliore offerente per liberarsi di lei, da cui si sente minacciato, e contrarre un matrimonio rispettabile. Ganja Ivolgin è disposto a vendere se stesso, accettando di sposare Nastas’ja per assicurarsi, attraverso il denaro che riceverà, un ruolo in società e soddisfare il suo bisogno di affermazione personale. Il generale Epancˇin, che aiuta Tockij nelle trattative perché desidera che lui sposi sua figlia, spera contemporaneamente di acquistare i favori della donna, regalandole una collana di perle molto costosa. Ancora, il mercante Parfen Rogozˇin, dominato dalla passione e dal deside

rio di possederla come un oggetto, è convinto di poterla comprare con una somma enorme, appena ricevuta in eredità. Mysˇkin con la sua alterità potrebbe avere una funzione importante e produrre una trasformazione almeno negli individui più dotati e ricettivi22. Questo è del resto il progetto sviluppato nei piani elaborati da Dostoevskij nella primavera del  e poi abbandonati. La capacità del principe di comprendere gli altri e di metterli in crisi viene meno tuttavia nel momento in cui egli si scontra con un problema che non riuscirà a risolvere. A partire da questo evento il romanzo si configura come la storia non di una crescita, ma del progressivo decadere da uno stato di grazia23, di cui restano barlumi nei ricordi del personaggio e nei momenti patologici delle sue crisi epilettiche. A disorientare Mysˇkin è l’incontro con il potere di attrazione di una forza a lui sconosciuta, l’inquietante bellezza e la carica erotica di Nastas’ja Filippovna. 22 Per comprendere le potenzialità di Mysˇkin in questo momento mi sembra utile un’annotazione di Jurij Lotman sul ruolo dell’“altro” e sui processi di crescita che esso può produrre: “Nella realtà ci imbattiamo sempre nella presenza dell’altro, un altro uomo ... un’altra struttura, un altro mondo. La funzione culturale di questo altro è immensa e consiste proprio nel fatto di ... irrompere nel ‘mondo consueto’ ‘Come un’illegittima cometa / Nel cielo sgombro di astri’ (Pusˇkin)” ( Ju. Lotman, Cercare la strada, pp. -). Mysˇkin potrebbe essere appunto questa illegittima cometa in un cielo scuro, vuoto di valori che diano un senso all’esistenza. Il  novembre egli svolge effettivamente questo ruolo, almeno fino al suo ingresso in casa di Nastas’ja Filippovna. Capace di attrarre Aglaja Epancˇina e l’adolescente Kolja per la sua luminosa diversità, nell’episodio in casa di Ganja egli inquieta e mette a nudo, grazie alla sua qualità di leggere negli animi, il giovane Ivolgin e Nastas’ja che, profondamente colpiti, in un momento di sincerità si aprono a lui completamente. Come scrive Guardini, “Mysˇkin va incontro a tutti fiducioso ... vede certamente anche i difetti, le meschinità, le furfanterie del prossimo, ma le accetta con obbiettività pacata, molto realisticamente, e la persona sente a un tratto il sollievo di poter apparire ai suoi occhi nella sua vera natura, senza più guardarsi dalla presunzione o dall’ipocrisia di un giudizio morale, che qui non esiste” (R. Guardini, Dostoevskij, p. ). 23 Secondo la tradizione orientale e la testimonianza dei padri, il bambino che “nasce a immagine e somiglianza di Dio”, nel corso della sua esistenza si allontana da questa immagine e il suo cammino spirituale è appunto un progressivo recupero del dono ricevuto da Dio (cf. P. Evdokimov, L’ortodossia, pp. -). Mysˇkin adulto-bambino, privo di un’infanzia e di un’adolescenza, non riesce nel romanzo a compiere questo percorso.



Un viso stupendo – osserva il principe guardando la fotografia della donna – ... ha sofferto terribilmente, vero? ... È un viso orgoglioso, terribilmente orgoglioso e non so se sia buona. Ah, se fosse buona! Tutto sarebbe salvo24!

Nel volto di Nastas’ja il principe coglie un elemento conosciuto – la sofferenza, capace di risvegliare in lui, come era avvenuto in Svizzera, una profonda compassione e il desiderio di portare aiuto – ma anche qualcosa di ignoto, che lo attrae e lo mette in crisi. “È difficile giudicare la bellezza – confessa alle Epancˇin –. Non ci sono ancora preparato. La bellezza è enigma”25. Parlando dell’Eros nelle opere di Dostoevskij, Pavel Evdokimov scrive: L’Eros aspira alla Bellezza ed è chiaro allora perché il problema estetico abbia tormentato Dostoevskij per tutta la vita. “Il bello è ciò che è normale, ciò che è santo”, annota. Ma non è tutto così semplice. Mysˇkin nell’Idiota è profondamente turbato ... Dostoevskij riflette da filosofo. È indubbio che l’unità iniziale di Verità, Bene e Bellezza si sia dislocata. I principi gnoseologico, etico ed estetico non sono più integrati nel principio religioso ... Da allora l’uomo può mostrarsi sensibile alla bellezza, rimanendo totalmente indifferente al bene ... All’Eros della creazione corrisponde l’Eros della distruzione26.

24 F. M. Dostoevskij, Idiot, pp. - (L’idiota, p. ). 25 Id., Idiot, p.  (L’idiota, p. ). 26 “L’E´ros aspire à la Béauté et l’on comprend que le problème esthétique ait préoccupé Dostoïevsky durant toute sa vie. ‘Le Beau, c’est ce qui est normal, ce qui est saint’, note-t-il. Mais tout n’est pas si simple. Mychkine dans l’Idiot est profondément troublé ... Dostoïevsky réfléchit en philosophe. Il est indubitable que l’unité initiale de la Vérité, du Bien et de la Beauté, s’est disloquée. Les principes gnoséologique, éthique et esthétique, ne se trouvent plus intégrés dans le principe religieux ... Dès lors, l’homme peut se montrer sensible à la beauté, tout en restant totalement indifférent au bien ... A l’E´ros de la création répond l’E´ros de la destruction” (P. Evdokimov, Gogol et Dostoïevsky, pp. -).



Innocente come una creatura appena venuta al mondo, Mysˇkin percepisce, come gli abitanti del paradiso della Genesi, “l’unità di Verità, Bene e Bellezza”27. Quello che egli non riesce a comprendere – “Ah, se fosse buona! Tutto sarebbe salvo!” – è il fatto che proprio il dono di una non comune bellezza in quel contesto avvelenato è per Nastas’ja Filippovna il gravissimo handicap che compromette la sua vita28. È infatti la causa dell’offesa di cui è stata vittima quando era ancora quasi bambina da parte di un uomo raffinato come Tockij, certamente sensibile al bello, ma totalmente indifferente al bene. Proprio a causa degli abusi subiti la protagonista dell’Idiota, che disprezza se stessa e si considera indegna d’amore, cerca una rivalsa e una soddisfazione alla sua frustrazione nel tentativo di tenere in pugno con fredda determinazione le vite degli altri29. Mysˇkin, inesperto di sentimenti e pulsioni adulte e incapace di distinguere i diversi piani, resta confuso e disorientato dal groviglio di forze che lo spingono verso Nastas’ja. La compassione e il desiderio di dare aiuto, mescolati a pulsioni nuove, lo portano in poche ore quasi suo malgrado a rompere promesse appena fatte, ad abbandonare il piano di vita che si era trac27 Cf. a questo proposito un altro brano di Evdokimov da me citato nel c. II (P. Evdokimov, Teologia della bellezza, pp. -). 28 Sul potere altamente distruttivo della bellezza di Nastas’ja cf. V. Terras, Idiot, pp. -. 29 Nella prima parte dell’Idiota Nastas’ja si mostra docile e ragionevole con Tockij ed Epancˇin desiderosi di farla sposare con Ganja Ivolgin, ma in realtà agisce secondo un piano elaborato a tavolino per vendicarsi di tutti loro nella serata del suo compleanno. Nella seconda parte, cambiato l’obbiettivo perché la passione che la domina ora è uno smisurato amore per Mysˇkin, Nastas’ja continua a pianificare e a tramare. Ritenendosi indegna della propria personale felicità, essa si dedica a muovere i fili delle vite degli altri con lo scopo dichiarato di rendere felice il suo principe e quello inconscio di punire e annientare se stessa. Per questo in una scena di scandalo in pubblico scredita Evgenij Pavlovicˇ, pretendente di Aglaja, spinge Aglaja attraverso lettere ambigue e appassionate a realizzare il sogno d’amore che ritiene impossibile per lei e prepara la sua clamorosa uscita di scena attraverso il matrimonio con Rogozˇin, equivalente a un suicidio. Simile in questo allo Stavrogin dei Demoni, la protagonista dell’Idiota, che non è stata educata a vivere una forma normale di amore, compensa la sua profonda insoddisfazione con giochi di potere, che almeno superficialmente la appagano.



ciato e a fare passi incauti e avventati30. Da questo momento il protagonista dell’Idiota è in preda alle idee doppie, che lo lacerano in tutta la seconda parte del romanzo. Come ho detto precedentemente, negli appunti della primavera del  è come se Dostoevskij procedesse a tentoni, esplorando improbabili possibilità di successo per il suo protagonista. Anche se lo scrittore in questo momento estremamente travagliato della sua vita31 non sembra ancora rendersene conto, lo sviluppo del romanzo è già tutto contenuto in questa prima parte nelle scelte ingenue di un protagonista adulto-bambino catapultato in un mondo avvelenato da un grado altissimo di distruttività, nella totale assenza di figure guida (come Tichon, Makar, Zosima), nell’accenno al rasoio che Nastas’ja Filippovna fa alla fine della sua serata. Oggi tutti sono accecati da questa cupidigia e perdono a tal punto la testa per il denaro, che sembrano proprio istupiditi. Uno magari è ancora un bambino e già comincia a fare lo strozzino, oppure avvolge un rasoio nella seta ben stretto e arriva piano piano alle spalle dell’amico per sgozzarlo come un montone, come ho letto poco tempo fa32.

Il messaggio di Nastas’ja agisce a diversi livelli. Suggerisce a Rogozˇin un’indicazione, che trova un’eco profonda nella sua natura. Conteporaneamente offre all’autore dell’opera una so30 Più volte, a cominciare dal primo incontro in treno, Mysˇkin assicura a Rogozˇin di non voler interferire nel suo amore con Nastas’ja. Inoltre nella prima visita a casa Epancˇin afferma: “Non posso sposare nessuno. Sono malato” (F. M. Dostoevskij, Idiot, p. ; L’idiota, p. ), rivelando una consapevolezza dei suoi limiti, che soltanto poche ore dopo sarà perduta. 31 Come è testimoniato dalle lettere e dai ricordi della moglie, in questo periodo Dostoevskij è angosciato dalla mancanza di denaro, è indebolito da frequenti crisi epilettiche, gioca e perde alla roulette. L’evento più doloroso, che lo colpisce proprio durante l’elaborazione di questa seconda parte del romanzo, è la morte il  maggio a soli tre mesi di vita della sua primogenita, profondamente amata. 32 F. M. Dostoevskij, Idiot, p.  (L’idiota, p. ).



luzione finale, che sarà accolta soltanto più tardi, ma che si affaccia già ora alla sua mente.

La Pietroburgo dell’“Idiota” e il sesto capitolo dell’Apocalisse La giornata in cui Mysˇkin, a distanza di sei mesi dal  novembre, torna a Pietroburgo ha tre momenti importanti, strettamente legati al tema che è al centro di questo di lavoro: il colloquio con Lebedev, l’incontro con Rogozˇin e la crisi epilettica33. Il personaggio, che era arrivato in Russia libero da qualunque legame e peso materiale, padrone del suo tempo, felice e innamorato della vita (“Il bagaglio che ho con me consiste in un fagottino con la biancheria e nient’altro ... di tempo ne ho. Ho tutto il tempo che voglio”), torna, dopo le esperienze a Mosca, in provincia e nella campagna russa, profondamente trasformato. Il denaro che ha ricevuto in eredità lo inserisce quasi suo malgrado nella società pietroburghese e nelle sue manovre di compravendita. L’ostinata dedizione a Nastas’ja Filippovna, che ha deciso di salvare a ogni costo, e la rete di male, violenza, intrighi, che egli intuisce intorno a sé34, lo rendono “triste,

33 In questa seconda parte del romanzo i primi cinque capitoli sono dedicati a questa giornata, che esaminerò in dettaglio, e i capitoli VI-XII ai primi tre giorni di Mysˇkin a Pavlovsk, preparatori rispetto agli eventi decisivi che si verificheranno nella terza e nella quarta parte dell’opera. 34 Oltre al piano che Nastas’ja mette in atto per favorire le nozze di lui con Aglaja ma anche per annientare se stessa, Rogozˇin in preda alla gelosia lo aspetta a Pietroburgo pronto a ucciderlo. Ancora, Burdovskij e la sua banda attendono il principe a Pavlovsk per carpirgli con l’inganno una parte dell’eredità e il suo padrone di casa Lebedev specula su questa situazione. A loro volta Ippolit, Ganja Ivolgin e sua sorella Varja entrano nell’intrigo, intrattenendo rapporti con Aglaja e Rogozˇin in un clima torbido di contatti sotterranei.



preoccupato, frettoloso come se temesse di perdere tempo”, oppresso dai primi sintomi di ricaduta nella malattia superata in Svizzera. Al momento della stesura definitiva di questa seconda parte dell’opera, di cui pubblica i primi quattro capitoli nel giugno , Dostoevskij ha ormai abbandonato l’idea di “Mysˇkin – Cristo”, più volte ripresa negli appunti della primavera35. Il personaggio, che era stato concepito come “una persona bella nel senso pieno del termine”, appare qui un uomo, confuso, debole, timoroso di guardare dentro se stesso, disposto a morire e a far diventare Rogozˇin assassino pur di verificare un’idea che lo tormenta, perché è incapace di accettarla. Quasi tutti i versetti e i riferimenti biblici inseriti nell’Idiota sono tratti dall’Apocalisse. L’episodio dell’incontro con Lebedev è importante, perché secondo me offre al lettore una chiave di lettura per la comprensione della vicenda. La ragione della visita alla casetta di via della Natività di un principe distratto, sofferente, dimentico perfino di salutare, è l’angoscioso desiderio di sapere dove si trova Nastas’ja Filippovna e quale ruolo sta giocando con lei Lebedev (“Rogozˇin è qui già da tre settimane. Io so tutto. Siete riuscito a vendergliela come l’altra volta o no?” dice il principe al suo interlocutore accusandolo di “servire due padroni”)36. È apparentemente sconcerante che l’autore abbia affidato a un personaggio ambiguo, bugiardo, disposto per denaro a qualunque intrigo, il ruolo di interprete dell’Apocalisse, che egli si assegna in tutto il corso del romanzo, dichiarando una competenza che di fatto consiste soltanto in una conoscenza spicciola e superficiale.

35 “Il principe è Cristo (Knjaz’ – Christos)” è una frase che torna più volte negli appunti: cf. F. M. Dostoevskij, Idiot (rukopisnye redakcii), pp.  ( marzo),  e  ( aprile). 36 Cf. Id., Idiot, p.  (L’idiota, p. ).



Portavoce di un mondo corrotto e vuoto di valori, Lebedev legge il Nuovo Testamento alla luce della sua visione delle cose, cercando i versetti che la confermano e tralasciando tutto il resto. Come faranno più tardi Ivan Karamazov e il suo Inquisitore37, egli concentra tutta l’attenzione sui brani in cui domina la logica del mondo – gli interessi materiali, la menzogna, la divisione, l’inganno – staccandoli da un contesto che nella sua globalità dà un senso anche agli aspetti più negativi della realtà. Ho cominciato a curarla con l’Apocalisse – dice il personaggio parlando di Nastas’ja Filippovna – ... Si è dichiarata d’accordo con me che siamo all’epoca del terzo cavallo, quello nero come un corvo, e del cavaliere che tiene una bilancia in mano, perché nel secolo attuale tutto è misura e contratto, e tutti gli uomini cercano soltanto il loro diritto: “una misura di frumento per un denaro e tre misure di orzo per un denaro...”. E per giunta vogliono conservare lo spirito libero e il cuore puro e il corpo sano, e tutti i doni di Dio. Ma col solo diritto non li conserveranno, e allora verrà il cavallo verdastro, e quello il cui nome è Morte, e dopo di lui c’è ormai l’inferno. Di questo discorriamo quando ci incontriamo, e tutto ciò ha agito fortemente su di lei38.

Il riferimento di Lebedev è al capitolo sesto dell’Apocalisse: Quando l’Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: “Vieni”. Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: “Una misura di grano per un danaro e tre misure d’orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati”.

37 Cf. infra, pp. -. 38 F. M. Dostoevskij, Idiot, pp. - (L’idiota, pp. -).



Quando l’Agnello aprì il quarto sigilllo ... mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno39.

Il brano ha un immediato riscontro nella società pietroburghese, che abbiamo visto descritta nella prima parte del romanzo. È naturale che la sua lettura colpisca Nastas’ja Filippovna, vittima e oggetto di compravendita da parte di uomini che, come Tockij ed Epancˇin, sono convinti di poter conservare in ogni caso la rispettabilità e il benessere. Lo sviluppo della situazione descritta nei versetti  e  è nel testo biblico l’apparizione del cavallo verdastro40, cavalcato dalla Morte, a cui viene dietro l’Inferno. Una lettura dell’Apocalisse, che si fermi a questo punto, suggerisce un quadro fosco e senza speranza, capace di confermare la protagonista, angosciata da un senso di indegnità che le sembra senza rimedio e che la carica di distruttività, nei suoi disegni di annientamento di se stessa e degli altri41. Lebedev e i suoi più attenti ascoltatori – qui Nastas’ja e più tardi Ippolit – immersi in un mondo avvelenato di cui trovano eco in queste pagine, vedono solo una parte del disegno, accecati dal loro guardare troppo da vicino.

39 Ap ,-. 40 “Il quarto cavallo – scrive Bruno Corsani – non è ‘giallo’ come spesso si afferma, ma verdastro o giallastro. Ha il colore livido dei cadaveri. Lo accompagna come scorta l’Ades cioè il soggiorno dei morti” (B. Corsani, L’Apocalisse, p. ). Delebecque, a proposito del colore del quarto cavallo, nota che “nel greco classico chlorós, colore giallastro e cadaverico, qualifica spesso gli uomini malati o terrorizzati” (E. Delebecque, L’Apocalypse de Jean, p. ). Vale la pena di ricordare che il romanzo si conclude con la scena di morte in cui il bellissimo corpo di Nastas’ja Filippovna è già avviato alla decomposizione e che l’immagine di Cristo presente nel romanzo è quella verdastra e tumefatta del cadavere dipinto da Holbein, immagine alla quale nessuno dei personaggi dell’Idiota riesce a trovare un senso che non sia di totale e disperato annientamento. 41 “Mi sposa perché probabilmente è proprio una coltellata che si aspetta da me” dice Rogozˇin, consapevole che il piano di Nastas’ja, che si ritiene indegna del principe, consiste nel togliersi di mezzo attraverso un matrimonio che equivale a un suicidio.



I versetti  e , che abbiamo citato, evidenziano il potere di sfruttamento e di oppressione di un mondo che, schiacciando gli altri, cerca il proprio interesse e profitto42 con un accanimento tanto egoistico e cieco da causare alla fine il proprio autoannientamento (Ap ,-). Viene dato qui il quadro della storia come è percepita dalla terra. Gli ultimi tre sigilli, ai quali Lebedev non fa riferimento, presentano tuttavia una realtà diversa: la testimonianza delle vittime, che pagano questa situazione col loro stesso sangue e chiedono insistentemente a Dio un intervento – “Fino a quando ...” (Ap ,) – che porterà alla fine del libro alla Gerusalemme celeste e alle parole conclusive di Cristo: “Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente all’acqua della vita” (Ap ,). Ritornerò su questo versetto nell’analisi della terza parte del romanzo. Quello che mi sembra importante sottolineare qui è il fatto che esso – così come il messaggio globale dell’Apocalisse, che sfugge ai personaggi dell’Idiota – era ben presente a Dostoevskij, assiduo lettore del testo biblico e in particolare del Nuovo Testamento, il libro che dagli anni della Siberia resta accanto a lui sul tavolo di lavoro fino alla morte. In un mondo dominato dalla distruttività e dalla violenza, l’Apocalisse interpretata da Lebedev funziona in questo capitolo del romanzo come uno strumento altamente distruttivo, co42 Vanni nota che colui che cavalca il cavallo nero è un protagonista attivo dell’ingiustizia: fissa in modo arbitrario i prezzi, lasciando alla portata del povero soltanto l’orzo (U. Vanni, L’Apocalisse, pp. -). Scrive a questo proposito Bruno Corsani: “Siccome un denaro era la paga giornaliera di un bracciante, secondo alcune parabole (per esempio Mt ,-), e un litro di frumento era il consumo giornaliero di un adulto, la carestia aveva come conseguenza che un uomo, con la sua paga non era in grado di sfamare la famiglia, oppure doveva comprare orzo invece di frumento. Le ultime parole, che menzionano l’olio e il vino, fanno pensare a una crisi economica simile alla nostra di oggi, in cui i generi indispensabili alla sopravvivenza dell’uomo scarseggiano, mentre abbondano i generi di lusso o superflui” (B. Corsani, L’Apocalisse, p. ). Nell’Idiota il denaro, oppure il proprio interesse personale, è la molla che muove il comportamento della maggior parte dei personaggi.



sì come appare portatore di morte il Cristo del quadro di Holbein, perché manca ai personaggi una conoscenza del contesto biblico. Il secondo momento importante di questa giornata è l’incontro del principe con Rogozˇin in una casa buia e cupa, che attrae Mysˇkin come una calamita e occupa tutti i suoi pensieri. Avvicinandosi ... si meravigliò egli stesso della sua straordinaria agitazione; non si aspettava che il cuore gli battesse fino a fargli male ... “La casa è di sicuro quella”. Si avvicinò con curiosità straordinaria, per verificare la sua congettura. Sentiva che se avesse indovinato, chissà perché, la cosa gli sarebbe riuscita particolarmente sgradita43.

Nella giornata che si conclude con un tentato omicidio, che egli avrebbe potuto e dovuto evitare44, e con la crisi epilettica, il protagonista dell’Idiota è tutto concentrato su un’idea doppia, che lo tormenta fino a farlo ammalare: il sentimento di amicizia e di intimità, che lo lega a Rogozˇin e che sente ricambiato, e l’intuizione, rifiutata a livello cosciente, dell’odio omicida di lui, che fin dalla mattina lo segue in mezzo alla folla con un coltello in mano. L’irresistibile attrazione verso quella casa e quella persona nasce dal bisogno di una verifica che il personaggio vuole e insieme non vuole compiere, perché nella sua esclusiva ricerca di bene, di amore, di luce egli come i bambini ha un timore viscerale del buio. Penso che il protagonista dell’Idiota, lasciato dall’autore senza aiuti in un mondo tanto più forte di lui, sia sconfitto proprio a 43 F. M. Dostoevskij, Idiot, p.  (L’idiota, p. ). 44 Pur avendo già comprato il biglietto, Mysˇkin rinuncia all’ultimo momento a partire per Pavlovsk e a sottrarsi così ai desideri omicidi di Rogozˇin. Al contrario, lo provoca dirigendosi verso la casa dove vive Nastas’ja, pur sapendo che lei è già partita, col solo scopo di verificare l’idea che lo tormenta (cf. Id., Idiot, p. ; L’idiota, p. ).



partire da questo momento dalla sua resistenza a crescere: ad accettare cioè il doloroso processo conoscitivo, che comporta l’incontro a occhi aperti con il buio e il male presente non solo negli altri, ma anche all’interno di se stessi. L’Idiota è il romanzo in cui tutti i protagonisti, indipendentemente dalla loro età anagrafica, hanno un sentimento e una visione del mondo ancora adolescente: una sete di assoluto che, escludendo le vie di mezzo, impedisce di cogliere la complessità e la larghezza del reale. Nastas’ja Filippovna, Aglaja, Rogozˇin, Ippolit proiettano sul principe un loro purissimo ideale, che non regge al confronto con la persona concreta. Di qui la delusione, che si ripercuote tragicamente sulle loro vite. A sua volta Mysˇkin, non più trasparente perché, dopo il risveglio del suo istinto erotico ha interessi e desideri personali, continua per tutto il romanzo a inseguire un assoluto che non esiste. Deluso nei suoi sogni adolescenziali d’amore da Nastas’ja, perché non riesce a tollerare la spaccatura fra la sua straordinaria bellezza e una verità e bontà tanto appannate in lei da apparire quasi spente, il principe nella sua fanciullesca inesperienza trasfersice le sue speranze di felicità su Aglaja, che gli appare l’unico punto luminoso45 nel momento in cui la dimensione di gioia della Svizzera è perduta. Sarà un’altra illusione perché, ancora una volta abbagliato dalla bellezza fisica, il personaggio non è in grado di cogliere le ombre e le zone di buio della personalità ancora acerba e contraddittoria della ragazza.

45 “Ho provato un desiderio irresistibile di ricordarmi a voi, e proprio a voi – le scrive durante la Settimana Santa nel periodo dei sei mesi di assenza da Pietroburgo – ... delle tre io vedevo soltanto voi. Ho bisogno di voi, ne ho un grandissimo bisogno. Non ho nulla da scrivervi di me. Non ho nulla da raccontarvi. E del resto non lo vorrei. Avrei un enorme desiderio che voi foste felice. Siete felice? Ecco, volevo dirvi solo questo” (F. M. Dostoevskij, Idiot, p. ; L’idiota, p. ). Come è sottolineato dal commentatore di Polnoe sobranie socˇinenij (IX, p. ), il nome Aglaja viene dal greco agláos luminoso. È inoltre Nastas’ja Filippovna a scrivere ad Aglaja: “Egli si ricorda di voi come di una ‘luce’, sono parole sue, gliele ho sentite pronunciare ... Per me voi rappresentate la stessa cosa che per lui: uno spirito di luce” (F. M. Dostoevskij, Idiot, p. ; L’idiota, p. ).



L’intimità e la comunione, che Mysˇkin aveva realizzato con Marie, con i bambini, con i pazienti di Schneider, non è possibile con i personaggi che incontra a Pietroburgo, perché, anche se involontariamente, essi sono doppi, sottoposti a forze contrastanti, che finiscono col contagiare lo stesso principe, incapace di scegliere e tenere in mano i fili della sua vita. Il protagonista dell’Idiota non si perde a causa dell’orgoglio e del desiderio di affermazione personale, che tormentano Raskol’nikov, Stavrogin, Ippolit e Ivan Karamazov, ma per la sua resistenza a vedere le zone di buio e di male fuori e dentro di lui. Questa lacuna del protagonista dell’Idiota è tanto più importante se si considera il fatto che a partire da Delitto e castigo Dostoevskij, nutrito dagli scritti dei padri della chiesa d’oriente, considera la conoscenza della propria larghezza interiore una tappa indispensabile nel cammino di crescita dell’essere umano. * Fra tutti i personaggi dell’Idiota, Rogozˇin è l’unico vero partner dialogico del protagonista, colui al quale egli rivela parti profonde e intime di sé. A Mosca avevano avuto l’occasione di incontrarsi spesso e a lungo, anzi, durante i loro incontri c’erano stati dei momenti che erano rimasti profondamente impressi nei loro cuori ... “Ricorda come andavamo d’accordo a Mosca e come parlavamo un tempo”46.

I due personaggi si attraggono irresistibilmente perché ognuno ha quello che all’altro manca e che lo rende incompleto. A

46 Id., Idiot, pp.  e  (L’idiota, pp.  e ). Soltanto a Rogozˇin Mysˇkin parla di quello che sono per lui Dio e la fede, soltanto a lui rivela le intime sensazioni di gioia e di pienezza che lo pervadono nel momento preepilettico.



Rogozˇin, roso dal senso di inferiorità che lo fa vergognare di fronte a Nastas’ja, allevato in una casa senza amore, educato soltanto al cupo ed egoistico piacere del possesso, Mysˇkin rivela una diversa visione del mondo, che ha il suo centro nell’aprirsi agli altri e offrirsi in dono: una dimensione di amore disinteressato, che Rogozˇin intravede soltanto attraverso di lui. Adesso che sei con me nemmeno da un quarto d’ora, tutto il mio odio sta scomparendo, e mi sei di nuovo caro come un tempo. Resta un po’ qui ... Io credo alla tua voce quando sono con te47.

Grazie alla sincera attrazione che prova, nonostante la divorante gelosia, Rogozˇin desidera la compagnia del principe, lo interroga sulla fede, gli chiede lo scambio delle croci, lo fa benedire dalla propria madre nel tentativo istintivo di aggrapparsi a una fratellanza spirituale che lo salvi dalla distruttività e dalle passioni sfrenate che lo dominano. A sua volta, Mysˇkin nella sua incompletezza ha bisogno di sperimentare attraverso il fratello di elezione zone di buio a lui sconosciute. La spiegazione fra i due personaggi riguardo a una Nastas’ja Filippovna, che Mysˇkin assicura di “amare non per amore ma per compassione”48 e che Rogozˇin desidera con una passione vicinissima all’odio per quello che lei gli fa subire, è dominata dalla presenza dell’immagine del coltello, che occupa la mente del principe durante tutta questa giornata.

47 Id., Idiot, p.  (L’idiota, p. ). 48 “‘Non l’ami più ... E allora perché ti sei precipitato qui a rotta di collo? Per compassione?’ ... ‘Pensi che ti stia ingannando?’ chiese il principe. ‘No, ti credo ... La cosa più probabile forse è che la tua pietà è ancora più forte del mio amore’” (Id., Idiot, p. ; L’idiota, p. ). Con un attaccamento non inferiore a quello di Rogozˇin, che oscura la sua mente e gli fa dimenticare tutto il resto, nella seconda parte del romanzo Mysˇkin sacrificherà a questa compassione non solo la sua vita, ma anche la parola data ad Aglaja e a Rogozˇin, a cui aveva promesso di non interferire più. Sul complesso sentimento, che lega Mysˇkin a Nastas’ja, cf. Id., Idiot, p.  (L’idiota, p. ).



“... tu forse saresti pronto a tagliarle la gola” ... “mi sposa perché probabilmente è proprio una coltellata che si aspetta da me ... Lei ama un altro, cerca di capirlo! In questo momento lei ama un altro, esattamente nello stesso modo in cui io amo lei” ... “Lascia perdere” disse Parfen, e strappò in fretta dalle mani del principe un coltellino che lui aveva preso dal tavolo ... “Ma non è un coltello da giardiniere?”. “Sì, è un coltello da giardiniere. Non si possono forse tagliare le pagine con un coltello da giardiniere?”49.

Mysˇkin, che coglie e rivela all’amico tanti lati della sua personalità possessiva e distruttiva, ma anche del suo bisogno di un amore normale, della stima e dell’affetto degli altri, è cieco rispetto a quello che Rogozˇin, esperto di passioni, vede lucidamente e che potrebbe, se compreso, salvare entrambi: l’amore smisurato che Nastas’ja nutre per il suo principe, causa dei piani e dei comportamenti solo apparentemente privi di senso che determineranno la tragedia del finale. Al di là della vicenda contingente che li coinvolge e li divide, Mysˇkin e Rogozˇin, come Ivan e Alesˇa Karamazov alla trattoria, vivono in questo incontro un momento speciale di apertura reciproca in una dimensione sospesa fuori dello spazio e del tempo consueti. A determinare questa situazione è lo stesso Rogozˇin, che, accompagnandolo all’uscita, guida il suo ospite attraverso una serie di stanze buie e opprimenti fino alla copia del Cristo morto di Holbein, che con la sua inquietante presenza domina la casa. Il quadro, che Parfen ama contemplare e che fa contemplare ai protagonisti del romanzo50, è un’immagine di morte, ma

49 Id., Idiot, pp. - (L’idiota, pp. -). 50 “Il principe vi gettò un’occhiata di sfuggita ... ma non si fermò, e avrebbe voluto oltrepassare la porta ... ma Rogozˇin si fermò improvvisamente davanti al quadro” (Id., Idiot, p. ; L’idiota, p. ). E nel racconto di Ippolit: “Mi venne in mente all’improvviso il quadro che avevo visto da Rogozˇin quel giorno, in una delle sale più tetre della casa, appeso in cima a una porta. Me lo aveva mostrato lui stesso, quando eravamo passati



anche molto di più. È infatti la realistica raffigurazione del cadavere verdastro e tumefatto di chi si era dichiarato il Salvatore, avviato qui a un’inarrestabile decomposizione. Il quadro, fascio di informazioni che vengono da un passato lontano quasi duemila anni, viene a innestarsi nel presente dei personaggi con un angoscioso interrogativo, che riprenderò nella terza parte quando sarà Ippolit a porlo nella sua “spiegazione”. Immagine di un frammento del vangelo staccato dal contesto, esso è in questo episodio dell’Idiota la Parola densa di significato che sta fra i due protagonisti, fermi sul pianerottolo con la porta già chiusa alle spalle e “l’aria di aver dimenticato dove erano e cosa dovevano fare”51. Immediatamente prima della conclusione di un incontro che è già alla fine e subito dopo la visita al quadro, Rogozˇin formula la domanda esistenziale che più gli sta a cuore all’unico uomo incontrato nella sua vita che forse potrebbe rispondergli. Dimmi un po’, Lev Nikolaevicˇ, era un pezzo che te lo volevo chiedere, tu credi in Dio o no52?

Mysˇkin risponde con alcuni aneddoti, che significativamente ripetono il rapporto fra lui e Parfen: l’ateo che “gli parla d’altro” perché il senso del divino gli sfugge, il contadino che sgozza l’amico per avidità per prendergli una cosa che desidera, la persona debole e viziosa che specula sulle croci con l’inganno, infine il peccatore che potrebbe pentirsi e “pregare Dio dal profondo del suo cuore”. Il punto di arrivo – attraverso il racconto della giovane madre che ha visto sorridere per la prima volta il suo bambidi lì, io mi ero soffermato a osservarlo per cinque minuti circa” (Id., Idiot, p. ; L’idiota, p. ). Anna Grigorievna descrive nelle sue memorie la fortissima impressione che il quadro di Holbein esercitava sullo stesso Dostoevskij (A. Dostoevskaja, Dostoevskij mio marito, pp. -). 51 Cf. F. M. Dostoevskij, Idiot, p.  (L’idiota, p. ). 52 Id., Idiot, p.  (L’idiota, pp. -).



no – è la confortante immagine di un Dio, che gioisce quando qualcuno ritorna a lui dopo i propri errori come un padre felice per il ritorno del figlio. La celebrazione, che Mysˇkin compie in questa pagine di un perdono che può abbracciare tutto e tutti è già presente in Delitto e castigo e sarà il leitmotiv dei Fratelli Karamazov. Essa non può tuttavia aiutare Rogozˇin, perché il protagonista dell’Idiota sorvola proprio sul punto dolente, che ha provocato la domanda. Sulla sofferenza apparentemente inutile del Cristo di Holbein il principe, che conosce la gioia e la dimensione di amore del paradiso della Genesi, ma non ha esperienza della croce e del ruolo del male nel mondo, non è in grado di dare risposte. Il Mysˇkin che, in un momento di ispirazione simile a quelli vissuti in Svizzera, comunica all’amico un messaggio di fiducia e di gioia, se ne va dalla casa di Rogozˇin confuso, turbato, oppresso dai sensi di colpa. Gli ripugnava cercare di risolvere i problemi che gli pesavano sull’anima e sul cuore. “Ma ho forse colpa io di tutto questo?” mormorava fra sé senza quasi rendersi conto delle proprie parole53.

Il “sentirsi ... per tutti e per tutto colpevoli” sarà un motivo centrale dei Fratelli Karamazov, legato per i protagonisti a una scoperta che cambia la loro visione del mondo e si accompagna a una dimensione di felicità. Al contrario per il protagonista dell’Idiota, che distoglie con repulsione lo sguardo dal groviglio di desideri e di pulsioni contrastanti che lo agitano, questo pensiero è causa di un’insopportabile angoscia che esploderà nella crisi epilettica: momento di fuga dalla realtà e insieme ritorno precario e patologico alla dimensione di gioia sperimentata in Svizzera e ormai perduta. 53 Id., Idiot, p.  (L’idiota, p. ).



È significativo che lo scrittore faccia vivere al suo fragile protagonista in modo diretto o per interposta persona – come avviene per la condanna a morte sospesa – due esperienze fondamentali anche per il suo autore. Pur nella loro diversità, entrambe deautomatizzano e dilatano il tempo quotidiano, lasciando intravedere sia pure per pochi istanti un’altra dimensione di esistenza infinitamente più ricca e appagante. Mysˇkin non è il solo personaggio di Dostoevskij malato di epilessia, ma è l’unico che rifletta consapevolmente sull’esperienza dell’aura. E tuttavia arrivò infine a una conclusione straordinaria e paradossale: “Che importa se è una malattia? ... se il risultato, se quel minuto di sensazioni rievocato e analizzato poi in condizioni normali si rivela armonia e bellezza al più alto grado e dà un senso fino ad allora insospettato e inaudito di pienezza ... e di trepida fusione di preghiera con la suprema sintesi della vita?” ... “in quel momento” come aveva detto un giorno a Rogozˇin a Mosca durante i loro incontri “in quel momento mi diventa in qualche modo comprensibile il detto insolito, che non esisterà più il tempo”54.

Nel romanzo del  la malattia ha una doppia funzione: è il limite che impedisce al personaggio di inserirsi in modo equilibrato nell’esistenza quotidiana, ma è anche il peculiare strumento di una conoscenza che a pochi personaggi dostoevskiani è dato di sperimentare. “La luce”, “la calma suprema, piena di gioia serena, di armonia e di speranza”, “lo straordinario rafforzamento dell’autocoscienza” sono gli elementi di un’esperienza alla quale, nonostante gli sbandamenti, gli errori e la confusione di questi mesi, Mysˇkin resta legato fino alla fine. Rispetto agli altri protagonisti privilegiati – Stepan Trofimovicˇ, l’uomo ridicolo, Markel, Zosima, Alesˇa, Mitja – che vanno dal buio verso 54 Id., Idiot, pp. - (L’idiota, pp. -).



una dimensione di luce e di felicità, il protagonista dell’Idiota compie, come abbiamo già detto, il cammino inverso. In questo senso la crisi epilettica riflette nel suo tempo breve e nella sua ripetitività il percorso esistenziale del personaggio. Il passaggio del principe dal luminoso paradiso della Svizzera al buio del mondo pietroburghese, che finirà con l’annientare e spegnere la sua coscienza, è un’esperienza che egli sperimenta nel tempo breve di ogni crisi, perché la luce dell’aura svanisce nel buio dell’attacco e nella piccola morte da questo provocata. Nella seconda metà del romanzo l’attacco epilettico, che si ripete nella serata di presentazione del principe a casa Epancˇin, offre al protagonista l’unico possibile precario ritorno a quella dimensione di gioia sperimentata al momento del suo primo risveglio alla vita, verso la quale continua a protendersi con tutto il suo essere.

Il “Cristo morto” di Holbein e la “sorgente della vita” (Ap ,) Al centro della terza parte del romanzo Dostoevskij pone un lungo testo nel testo – la spiegazione di Ippolit – che a sua volta ne contiene altri: l’incubo dello scorpione, che apre lo scritto, e la descrizione del quadro di Holbein, già ricordato. Dostoevskij ha inserito nelle sue opere quattro lunghe confessioni. Gli autori di questi testi nel testo, pur nella loro diversità, sono tutti personaggi che hanno grosse difficoltà di comunicazione e insieme un disperato bisogno di aprire l’animo a qualcuno, nel momento in cui non vedono una via d’uscita all’angoscia e al disagio interiore che li opprime. Orgogliosi, chiusi in se stessi, incapaci di trovare un senso alla loro esistenza, Raskol’nikov, Ippolit, Stavrogin e Ivan Karamazov si aprono almeno una volta nella vita a una persona che in qualche modo suscita in lo

ro un sentimento di fiducia. Mysˇkin, l’interlocutore privilegiato al quale Ippolit si rivolge – prima della lettura e nel corso di essa attraverso frequenti citazioni di frasi di lui – è l’unico essere umano che spinge il ragazzo a uscire dal suo guscio e a rivelare il suo inferno interiore. La serata del compleanno del principe, in cui viene letta la “spiegazione”, segna il momento risolutivo dell’intera vicenda. Per i protagonisti è la notte in cui tutto appare ancora possibile, prima che la situazione precipiti55. Per l’autore, che in un appunto del  settembre  definisce Ippolit “l’asse principale di tutto il romanzo”56, è l’occasione per esprimere gli interrogativi che più gli stanno a cuore, ripresi in tutte le opere successive fino alla larga serena risposta dei Fratelli Karamazov. Nel dolore per le vicende personali di questi mesi, nella fretta determinata dalla mancanza di denaro, nella sofferenza delle ripetute crisi epilettiche, Dostoevskij lascia affiorare nell’Idiota dubbi, conflitti interiori, ostacoli, che impediscono di percepire il valore e la ricchezza dell’esistenza. Due sono le grandi domande che vengono poste attraverso Ippolit. La prima – “Perché nella costruzione del mondo sono necessari i condannati a morte?”57 – è formulata soltanto negli appunti e poi inserita nell’opera non in forma diretta, ma come leitmotiv della “spiegazione” e più ampiamente del romanzo, a partire dall’episodio dell’esecuzione di Lione. È un interrogativo molto simile nella sua essenza profonda a quello che circa dieci anni più tardi l’autore fa porre a un altro personaggio chiuso e tormentato, Ivan Karamazov, incapace di

55 Ippolit, nonostante il suo dichiarato pessimismo, legge la “spiegazione” perché spera ancora di trovare negli altri l’amore e il conforto di cui ha un disperato bisogno. Mysˇkin è tutto preso dal sogno della sua felicità personale con Aglaja, Nastas’ja è gratificata dal suo progetto di autosacrificio, che sente come un atto di eroismo, Rogozˇin spera nella possibilità del matrimonio con Nastas’ja. 56 Id., Idiot (rukopisnye redakcii), p. . 57 Ibid., p. .



accettare e comprendere la sofferenza e il male che vede nel mondo. L’adolescente dell’Idiota, condannato dalla natura a una morte precoce, che gli appare ingiusta e insensata, potrebbe essere uno dei tanti casi che Ivan presenta al fratello Alesˇa58. La seconda domanda è posta a Mysˇkin sempre da Ippolit nella serata della sua “spiegazione”: Che cosa significa “la sorgente della vita” nell’Apocalisse? Avete mai sentito parlare della “stella dell’Assenzio”, principe59?

Anche se il personaggio sembra non rendersene conto, i due richiami all’ultimo libro della Scrittura che lo hanno colpito (Ap , e ,) sono strettamernte intrecciati fra loro. La risposta che Dostoevskij pone di fronte ai personaggi e ai lettori è contenuta, come vedremo, nell’immagine del Cristo morto, che costituisce secondo me, come le epigrafi dei Demoni e dei Fratelli Karamazov, la chiave interpretativa di questo complesso e ambiguo romanzo. La “spiegazione” è custodita dal ragazzo in un plico chiuso da un sigillo, sul quale egli richiama più volte l’attenzione dei presenti. In un romanzo con tanti riferimenti diretti e indiretti all’Apocalisse questo particolare è significativo60.

58 Anche la posizione che Ippolit ha riguardo all’esistenza di Dio ha stretti punti di contatto con quella che Ivan esprime al fratello, accompagnandola con una larga casistica, tratta dai giornali. “Ammetto l’esistenza della vita eterna – afferma Ippolit – forse l’ho sempre ammessa ... ma ritorna l’eterna domanda: a che scopo si richiede la mia rassegnazione? Perché non è possibile che io venga semplicemente divorato senza che mi profonda in lodi per il fatto che mi hanno divorato? ... Se avessi avuto il potere di non nascere, non avrei certo accettato l’esistenza a condizioni così ridicole” (F. M. Dostoevskij, Idiot, pp. -; L’idiota, pp. -). Per la posizione di Ivan cf. infra, pp. -. 59 Id., Idiot, p.  (L’idiota, pp. -). 60 I sigilli nei documenti antichi erano posti ai trattati di alleanza, di cui una copia era pubblica e l’altra, che serviva di garanzia, era sigillata. Secondo il diritto romano inoltre i testamenti dovevano essere chiusi da sigilli. Il rotolo che Dio tiene in mano – nota Bianchi – porta i tratti di un patto di alleanza secondo il mondo semita e di un testamento secondo il mondo romano (cf. E. Bianchi, L’Apocalisse, p. ).



I capitoli - dell’ultimo libro della Scrittura sono quelli sui quali si concentra l’attenzione dei personaggi dell’Idiota e del suo autore. Se Lebedev insiste sul sesto libro e in particolare sull’apertura del terzo e del quarto sigillo, nei discorsi di Ippolit ci sono richiami diretti e indiretti al capitolo quinto, all’ottavo che contiene il versetto sulla stella Assenzio, al nono con l’apertura del pozzo dell’Abisso. Nel capitolo quinto il dramma che si manifesta di fronte al rotolo sigillato, è quello della sua apertura (“Io piangevo molto, perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo”, Ap ,). Nel contesto del romanzo, l’apertura del plico – ovvero la rivelazione di tutto il bene e il male dell’oscura esistenza di Ippolit – è per chi la compie, sia pure a un livello individuale e privato, un atto estremamente importante, una questione di vita o di morte, in cui il personaggio mette in gioco tutto se stesso. Nessuno sarà degno dell’ascolto, neanche il principe che, distratto e preoccupato dalle sue vicende personali, non dà al ragazzo l’attenzione, il conforto e le risposte che potrebbero aiutarlo. La lettura del disgraziato Ippolit nel tempo e nell’ambiente sbagliato61 determina il crollo del personaggio, che muore nell’angoscia e nella solitudine. Nella visione provvidenziale della Rivelazione di Giovanni è Cristo, “agnello immolato”, l’unico che può dissuggellare il rotolo e svelarne tutto il significato. Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione62. 61 Nei romanzi successivi saranno degni dell’ascolto delle confessioni di Stavrogin, del “visitatore misterioso”, di Ivan personaggi come Tichon, Zosima e Alesˇa, “rinati dall’alto” dopo aver rinunciato a se stessi e ai propri tornaconti personali, capaci cioè di trasparenza e di una calda compassione nel senso etimologico del termine. 62 Ap ,.



Mi soffermo su questo versetto, importante per la comprensione del messaggio dell’ultimo libro della Scrittura, perché illumina un punto che è essenziale nel romanzo e che sfugge a tutti i protagonisti. Chi può rivelare il senso della storia collettiva e individuale non è il Cristo tutto luce e bellezza, di cui parla Dostoevskij nelle lettere, ma l’agnello, che porta i segni dello sgozzamento, che ha accettato cioè la bruttezza di una morte oscura e umiliante e le sue conseguenze63. Proprio questi versetti del quinto libro sono importanti per la comprensione del significato dell’immagine del Cristo morto, che Dostoevskij pone al centro della “spiegazione” e del suo romanzo. In un complesso gioco, che ricorda gli incastri delle scatole cinesi, la chiave dell’Idiota è secondo me proprio questo testo nel testo, posto all’interno di un altro testo nel testo. Il quadro contemplato dai tre protagonisti appare nel romanzo non soltanto l’inquietante materializzazione visiva della domanda di Ippolit sui condannati a morte, ma anche una ripresa da un’altra angolazione delle riflessioni di Mysˇkin su questo tema, espresse nella sua prima giornata a Pietroburgo. Il pensiero che attanaglia e imprigiona l’autore della “spiegazione” è la sua impotenza di fronte a una natura sorda e indifferente, che lo sta uccidendo in un mondo che non lo ama e non gli dà aiuto. Questo stato d’animo è espresso già nella prima pagina del suo scritto nel sogno dell’essere ripugnante, che si introduce nella stanza del ragazzo per morderlo e divorarlo. Assomigliava a uno scorpione, ma non era uno scorpione, era più ripugnante, più spaventoso, proprio per il fatto che animali simili in natura non esistono ... era un rettile strisciante 63 “Noi capiamo l’opera di Dio a partire non dalla creazione, ma dalla croce” scrive Enzo Bianchi, commenntando questo passo e sottolineando che “per ben ventotto volte nel corso dell’Apocalisse Giovanni utilizza il termine arnion per identificare Cristo come agnello” (E. Bianchi, L’Apocalisse, pp. -). “Agnello – scrive Corsani – è una delle parole chiave dell’Apocalisse. La troviamo usata  volte, di cui  per Gesù” (B. Corsani, L’Apocalisse, p. ).



marrone provvisto di guscio ... guardando dall’alto l’animale nel suo complesso dava l’impressione di un tridente ... già arrivava ai miei capelli con la coda che mulinava e si contorceva a grandissima velocità64.

L’incubo di Ippolit, che conosce almeno superficialmente la Scrittura e che la cita ripetutamente nella serata del compleanno di Mysˇkin, sembra materializzare in immagini uno dei capitoli più bui dell’Apocalisse: quello dell’apertura del pozzo dell’Abisso da cui escono cavallette alle quali “è dato un potere pari a quello degli scorpioni della terra”. I loro denti erano come quelli dei leoni. Avevano il ventre simile a corazze di ferro ... avevano code come gli scorpioni, e aculei. Nelle loro code il potere di far soffrire gli uomini per cinque mesi65.

Il rettile immondo del sogno è ibrido e impuro come queste cavallette, simili agli scorpioni, animali che nella Scrittura si identificano con le forze del male (cf. Sir ,-, Lc , eccetera). La sinistra e inquietante presenza che invade la sua camera suscita in Ippolit l’interrogativo che percorre come un filo sotterraneo tutto il suo scritto: Avevo il terrore che mi mordesse, sapevo che era velenoso, ma quello che mi tormentava di più era scoprire chi l’avesse mandato nella mia stanza, che cosa volevano da me e quale fosse il mistero66.

Il sogno lascia affiorare dall’inconscio del personaggio la paura che lo attanaglia di una forza inarrestabile e incomprensibile, che lo sovrasta per annientarlo e che lo spinge a chiedere aiuto. 64 F. M. Dostoevskij, Idiot, pp. - (L’idiota, pp. -). 65 Ap ,-. 66 F. M. Dostoevskij, Idiot, p.  (L’idiota, p. ).



(Quando si sveglia da questo sogno, Ippolit si trova davanti il principe ed è certamente lui a fargli venire il desiderio di apririsi a qualcuno). Tutta la “spiegazione” è in bilico fra due opposte visioni del mondo e fra le figure guida che appaiono all’autore dello scritto come la loro incarnazione. Da un lato c’è una dichiarata sete di vita, di bene, di amore, di bellezza, di cui il personaggio ha una scarsa esperienza, ma anche un viscerale e insopprimibile desiderio. Dall’altro c’è la tentazione di abbandonarsi al potere distruttivo della sua sofferenza, che lo porta a chiudersi in se stesso nell’autocommiserazione, in un risentito disprezzo e nell’amaro piacere di fare male agli altri. Nell’ultima primavera della sua vita Ippolit arriva faticosamente a intravedere – grazie a una serie di incontri casuali per lui felici e all’aiuto che riesce a dare ad altri esseri umani67 – la possibilità di un’esistenza appagante e ricca di significato. Gettando il vostro seme – dice al compagno di scuola Bachmutov, ricordando l’esempio del vecchio generale che per tutta la vita si era preso cura dei prigionieri e dei criminali – ... voi date una parte di voi stesso e accogliete in voi parte di un altro essere umano, entrate in comunione con l’altro. Con un po’ di attenzione sarete ricompensato dalla conoscenza e dalle scoperte più inaspettate68.

Questo discorso, ispirato dal clima di gioia serena prodotta dall’azione che i due adolescenti hanno compiuto insieme, anticipa il pensiero dello starec Zosima e uno dei motivi centrali dei 67 L’incontro col medico caduto in disgrazia – al quale restituisce il portafoglio perduto e poi, grazie all’intervento del compagno di scuola che ha uno zio influente, il posto che gli competeva – permette a Ippolit di provare il piacere di fare qualcosa per gli altri, di sentirsi almeno per una volta circondato dalla riconoscenza e dell’affetto. Contemporaneamente tuttavia egli umilia con sadica soddisfazione il vicino povero Surikov, a cui è morto di stenti il figlioletto (cf. Id., Idiot, p. ; L’idiota, p. ). 68 Id., Idiot, p.  (L’idiota, p. ).



Fratelli Karamazov. Proiettandosi per un momento in un futuro non suo, Ippolit si dice convinto che questi semi potranno crescere e germogliare in chi li ha ricevuti e saranno trasmessi ad altri e da questi ad altri ancora. Nella fiduciosa visione confidata al compagno di scuola affiora però contemporaneamente il desiderio di una vistosa affermazione personale, alla quale questo personaggio, debole, frustrato e non abituato a dare e a ricevere amore, non sa rinunciare. (“Vanità di un carattere debole” scrive Dostoevskij negli appunti del settembre  a proposito di Ippolit)69. L’ostacolo, che al ragazzo appare insormontabile, è la scarsità del tempo a sua disposizione. Soltanto “una vita intera dedicata a fare il bene” può – dice – “elevare a un punto tale da consentire di ... gettare un seme enorme e di lasciare al mondo in eredità un pensiero di portata eccezionale”70. Quello che tormenta l’autore della “spiegazione”, tutto proiettato verso un futuro che gli sfugge, è l’incapacità di vivere il presente, di aprirsi e percepire l’immensità e ricchezza del singolo istante di tempo71. Rifiutando per orgoglio l’affetto e il calore del compagno di scuola e della famiglia del medico da lui aiutato, egli si chiude alla vita e alla scoperta che illumina l’esistenza di altri personaggi dostoevskiani vicini alla morte: i già ricordati Stepan Trofimovicˇ e Markel, ma anche il condannato graziato, di cui parla il principe nella prima parte del romanzo. 69 Id., Idiot (rukopisnye redakcii), p. . 70 Id., Idiot, p.  (L’idiota, p. ), il corsivo è mio. 71 La diversa percezione del tempo di Ippolit e di Mysˇkin è espressa anche dal loro modo di interpretare un versetto dell’Apocalisse citato da entrambi. “Domani ‘non ci sarà tempo’ – dice Ippolit al principe, che lo consiglia di rimandare la lettura della ‘spiegazione’ – ... ricordate principe chi annunciò ‘non ci sarà più tempo’? Lo annunciò l’enorme e potente angelo dell’Apocalisse” (Id., Idiot, pp. -; L’idiota, p. ). A Ippolit il versetto “non ci sarà più tempo” (Ap ,) suggerisce l’urgenza determinata dalla mancanza di tempo, dalla vita che gli sfugge. A Mysˇkin, che ne parla a proposito del momento dell’aura epilettica, questo versetto richiama invece l’istante di estasi e di pienezza, in cui non c’è più passato e futuro perché tutto è compresente (cf. Id., Idiot, p. ; L’idiota, pp. -).



Poiché il tempo per realizzare le sue grandiose imprese di bene gli è negato dalla malattia, Ippolit, raggiunto l’apice del sogno, imbocca improvvisamente il cammino inverso: la vertiginosa caduta che si conclude con la teorizzazione del suicidio come unica via di uscita. Così come questo personaggio la vive, la sua visita a casa di Rogozˇin, determinata da un ambiguo gioco di intrighi portatori di dolore e di male72, segna per lui l’ingresso nella sfera delle tenebre, della distruzione e della morte, di cui Rogozˇin gli appare il cupo signore. Colpito dagli aspetti più sinistri della personalità del suo interlocutore, il ragazzo non comprende la complessità e l’infelicità di questo personaggio, divorato dal desiderio di riempire il suo vuoto interiore con il possesso dell’oggetto d’amore a cui dedica tutte le proprie energie. Con la sua acuta sensibilità di malato, Ippolit coglie e ingigantisce soltanto la potente carica negativa che Rogozˇin, violento e dominato da istinti omicidi, porta in sé. Nel suo bisogno di aggrapparsi a qualcosa, egli elegge questo personaggio, concentrato nel suo pensiero ossessivo e indifferente agli altri, a figura-guida della sua vita avviata alla morte. Ne fa infatti il protagonista dell’allucinazione in cui, come Stavrogin e Ivan Karamazov, egli materializza la parte più buia e brutta del suo mondo interiore, che “lo umilia” e lo “offende”. Il Rogozˇin, prodotto dalla mente di Ippolit, non più “in veste da camera e con le pantofole” come nella realtà, ma “in frac, con gilet e cravatta bianca” appare nell’allucinazione il potente signore di questo mondo di tenebra: “Rogozˇin va da Ippolit al posto di Dio” scrive Dostoevskij negli appunti del  ottobre73. Beffardo suggeritore e portatore di morte, egli conduce il ragazzo “per mano alla luce di una candela, gli mostra un’enorme

72 A Pavlovsk Ippolit si inserisce nell’intrigo ordito da Nastas’ja. Entra infatti in contatto con Rogozˇin per organizzare ad Aglaja l’incontro con Nastas’ja Filippovna (cf. Id., Idiot, p. ; L’idiota, p. ). 73 Id., Idiot (rukopisnye redakcii), p. .



e ributtante tarantola, cerca di convincerlo che quello era l’essere oscuro, sordo e onnipotente e ride della sua indignazione”74. Come nel capitolo nono dell’Apocalisse, gli animali ibridi e ripugnanti e il loro re portatore di morte, il cui “nome in ebraico è Perdizione, in greco Sterminatore” (Ap ,), appartengono nell’allucinazione di Ippolit allo stesso mondo di tenebra, di male, di assenza di senso, al quale il ragazzo si abbandona, vinto da un sentimento di “offesa, di dispetto e di rigetto”. Proprio nella dimora di Rogozˇin “simile a un cimitero”, che ispira idee di morte e di suicidio, Ippolit si trova di fronte all’immagine del Cristo di Holbein, che è il cupo emblema di quella dimora e insieme, nella sua densità di significato, il portatore del messaggio di luce del romanzo. In un libro in cui la Bellezza ha come abbiamo visto un ruolo importante, Dostoevskij sceglie di inserire questa immagine insolita di Cristo, nella quale, come sottolinea Ippolit, “di bellezza non ce n’è neanche l’ombra”75. Nella seconda metà di un’opera, che era nata dall’idea di rappresentare un personaggio tutto luce a modello di Cristo, “smisuratamente e incommensurabilmente bello”, è come se l’autore fosse stato indotto dalla vicenda da lui immaginata a fare i conti con l’essenza della Bellezza più vera e profonda. Nei romanzi di Dostoevskij a salvare il mondo non è la bellezza, intesa come pura armonia estetica, che rivela in questo romanzo i suoi limiti e le sue ambiguità, ma l’amore nel senso più alto del termine, espresso qui nel dono totale di sé raffigurato nel quadro “brutto” di Holbein e più tardi nelle parole dello starec Zosima riflesse in tutta la vicenda dei Fratelli Karamazov. Il Cristo morto, che esercita un potere inquietante e magnetico sul proprietario e sui suoi ospiti, è prima di tutto l’immagine di

74 Cf. Id., Idiot, p.  (L’idiota, p. ). 75 Id., Idiot, p.  (L’idiota, p. ).



un cadavere, di un condannato a morte che ha subito dolorose torture (“Dal suo viso traspare la sofferenza come se ancora soffrisse”). Ippolit lo descrive come la raffigurazione di un individuo umiliato e vinto da “una forza oscura, nuda, eterna e inconsapevole alla quale tutto è assoggettato”: “Contemplando quel quadro – dice nella confessione – la natura appare come una belva enorme, implacabile e cieca”76. È chiaro in queste parole il collegamento fra il primo e l’ultimo testo nel testo inseriti nella “spiegazione”. Quello che il ragazzo vede nel dipinto di Holbein con angoscioso ribrezzo è l’azione di quella stessa bestia immonda che nel sogno si preparava a divorare lui. Il particolare ancora più doloroso è il fatto che l’azione di questa forza cieca si esplica qui sull’essere che il ragazzo definisce “sublime e inestimabile”, lo stesso essere che “aveva superato le leggi della natura durante la sua vita, l’aveva piegata a sé, colui che aveva pronunciato ‘Talitha cumi!’ e la fanciulla si era alzata, ‘Lazzaro alzati!’, e il morto era risorto”77. La contraddizione di Ippolit, che accetta e cita i miracoli, la parte bella e luminosa della vita di Gesù (cf. Mc ,- e Gv ,-), ma dimentica la resurrezione di lui, testimoniata dallo stesso testo evangelico, nasce dalla sua incapacità di sopportare la contemplazione della croce: segno tangibile dell’esistenza nel mondo del male, dell’ingiustizia, della sofferenza, contro i quali questo Messia scoronato e fisicamente annientato sembra non potere niente. Nel quadro Ippolit vede un’immagine-anticipazione della propria morte, che tocca qui non solo il livello fisico e materiale, ma anche la possibilità, annunciata da Gesù stesso, di una vita al di là della vita.

76 Id., Idiot, p.  (L’idiota, p. ). 77 Ibid.



Lo strano è che quando guardi quel corpo straziato ti viene una domanda curiosa e particolare: se era quello il corpo (e doveva essere proprio così) che videro i suoi discepoli ... che credevano in lui e lo adoravano, come potevano essi credere, guardando un cadavere così ridotto, che quel martire sarebbe risorto78?

Il Cristo morto nella sua dolente fisicità comunica a Ippolit soltanto quello che egli già conosce e sperimenta sulla propria pelle. In quell’immagine egli vede la debolezza, cioè la parte di sé che non accetta, mentre gli sembra che Rogozˇin irridente e privo di paure sia superiore a tutto questo. Nell’episodio evangelico scelto da Holbein per il suo quadro, Cristo deturpato dalla sofferenza e dalla morte subite è repellente per un mondo che non accetta ciò che è brutto e deforme. A un altro livello tuttavia, per un destinatario che conosca e comprenda il messaggio globale della Scrittura e in particolare quello dei capitoli dell’Apocalisse richiamati più volte nell’Idiota, il Cristo vittima immolata, portatore di tutti i segni del suo sofferto sacrificio, è qui spiritualmente bellissimo proprio grazie al dono che egli fa di se stesso, senza limiti né compromessi. Come in Delitto e castigo, anche nell’Idiota il tema biblico della morte e della resurrezione campeggia al centro del romanzo. In questo caso Dostoevskij, come il pittore tedesco, non rappresenta l’evento glorioso, ma il momento altrettanto importante che lo precede, celebrato anche nell’epigrafe dei Fratelli Karamazov (Gv ,) e nel capitolo “Kana Galilejskaja” (Cana di Galilea), dove ha tanta importanza il decomporsi del corpo dello starec79. Nessuno dei personaggi dell’Idiota riesce – almeno fino alle dense pagine finali – ad aprire questa porta, ad andare cioè oltre

78 Ibid. 79 Cf. a questo proposito infra, pp. -.



l’immagine di morte che il quadro presenta ai suoi osservatori80. Non ci riesce Ippolit, privo di una guida, di affetti familiari e attanagliato dalla paura di un evento che gli sembra la fine di tutto. Non ci riesce Mysˇkin finché, nella sua ricerca esclusiva della luce, del bene, dell’innocenza, sfugge il contatto col male e non comprende il suo ruolo nel mondo. Non può aprire questa porta Nastas’ja, per la quale l’idea dell’autosacrificio nasce non dal desiderio di offrirsi in dono, ma dall’impulso distruttivo di punirsi e insieme dall’orgoglio di compiere un gesto eroico, né lo “Sterminatore” Rogozˇin, che conosce quasi esclusivamente il male e la violenza del mondo. Anche se non se ne rende conto, Ippolit ha di fronte agli occhi proprio nell’immagine umile, sconfitta, oscura del Cristo morto quella “sorgente della vita” di cui aveva chiesto notizia a Mysˇkin subito prima della lettura della “spiegazione”. L’espressione “sorgente della vita” rimanda agli ultimi due capitoli dell’Apocalisse. Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine. A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita81. Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello82. Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita83.

80 Una risposta larga, ricca e argomentata ai dubbi irrisolti posti dal quadro ai protagonisti del libro del  verrà soltanto dieci anni più tardi nei Fratelli Karamazov, che riprende gli interrogativi dell’Idiota e presenta personaggi che, come Markel, Grusˇen’ka, Alesˇa, vivono situazioni simili a quelle di Ippolit, di Nastasja, di Mysˇkin, ma trovano altre soluzioni, aperte alla vita, alla sua larghezza e complessità. 81 Ap ,. 82 Ap ,. 83 Ap ,.



Questi versetti richiamano a loro volta altri passi del Nuovo Testamento, dove la “sorgente” è sempre Cristo, Principio e Fine (cf. Gv ,-; Gv ,-). La descrizione del “fiume di acqua viva” rimanda a sua volta a un altro fiume, che esce dall’Eden per irrigare il giardino nel capitolo secondo della Genesi. Non è un caso che Ippolit faccia la sua domanda proprio a Mysˇkin, che ha sperimentato questo paradiso, ma che ormai non può più parlarne, perché immergendosi nel mondo lo ha dimenticato e perduto. Nelle parole rivolte al principe il ragazzo fa seguire alla domanda sulla “sorgente della vita” quella sulla stella Assenzio. Ancora una volta, attraverso queste due citazioni, viene espressa la sua oscillazione fra la sete di vita, che esiste in lui ma che egli non riesce a soddisfare, e il desiderio di arrendersi ai veleni del mondo che ha sempre davanti agli occhi. La stella, che cade dal cielo, come era caduto Lucifero, simbolo del potere di Babilonia, e avvelena le acque (Ap ,), ha il nome del liquido amaro che nell’Antico Testamento viene fatto bere agli idolatri (cf. Ger , e ,; Lam ,)84. Nella conclusione dell’ultimo libro della Scrittura tutti i veleni sono purificati dal “fiume di acqua viva, che scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello” (Ap ,). In una prospettiva biblica proprio nel Cristo morto, che ha bevuto i veleni del mondo fino a morirne, Ippolit ha dunque di fronte in casa di Rogozˇin “la sorgente” che non è capace di vedere. Mysˇkin, che ha conosciuto in Svizzera una dimensione simile a quella del paradiso della Genesi, potrebbe dare solo una ri-

84 Mi sembra importante ricordare qui che, le “acque amare” (Ap ,) richiamano l’episodio dell’Esodo delle acque di Mara, che vengono rese dolci da Mosè gettandovi un legno (Es ,). Secondo il commento dei padri Gregorio di Nissa e Origene, il legno, spesso impiegato nel Nuovo Testamento come sinonimo di croce (cf. At ,; ,; ,; Gal ,; eccetera) era da intendersi come la croce: “È dunque Gesù Cristo, che, appeso al legno della croce, ha bevuto questo assenzio, assumendone tutta l’amarezza (cf. Gv ,)” (cf. E. Bianchi, L’Apocalisse, p.  e nota).



sposta parziale alla sua domanda, raccontandogli, come aveva fatto nella sua prima giornata a Pietroburgo, le esperienze che lo hanno portato a percepire il valore e la ricchezza di ogni singolo istante di esistenza. Il protagonista dell’Idiota, decaduto da quello stato di grazia, vive con Ippolit il primo grande fallimento della sua nuova vita, abbandonando a se stesso l’adolescente che, più di tutti gli altri personaggi, avrebbe potuto trarre beneficio dalla compassione e dall’amore disinteressato di lui. Paradossalmente non sono qui i semi di luce di Mysˇkin a germogliare in Ippolit ma è il senso di esclusione, che il ragazzo esprime con la sua “spiegazione”, ad attrarre di nuovo il principe nella sfera di buio della malattia da cui si era ristabilito85. Nella seconda parte dell’Idiota sono coloro che si trovano nel buio ad attrarre gli altri nella loro sfera, perché la luce di Mysˇkin e di Aglaja è troppo debole e la distruttività di Nastas’ja, di Rogozˇin e dei loro aiutanti (Lebedev, Ganja, Ippolit) tanto più potente.

Le vittime (Ap ,) Scrive Dostoevskij a Majkov nell’ottobre : Adesso che vedo tutto chiaramente come in uno specchio mi rendo amaramente conto che in tutta la mia vita di letterato non ho mai avuto un’idea poetica più ricca e più profonda di quella che mi si è chiarita adesso, in un piano dettagliato, per la quarta parte. E intanto devo affrettarmi, lavorare con tutte le mie forze senza neppure rileggere86.

85 Cf. F. M. Dostoevskij, Idiot, pp. - (L’idiota, pp. -). 86 Pis’ma -, p.  (Lettere sulla creatività, p. ).



Pierre Pascal e Leonid Grossman sostengono che l’Idiota è stato “scritto e concepito in funzione di questo scioglimento”, “germe” di tutta l’opera87. Come sottolinea il commentatore di Polnoe sobranie socˇinenij (Opere complete) l’idea di questa ultima scena è venuta in realtà a Dostoevskij “in uno stadio del lavoro già relativamente tardo”. Penso tuttavia che i due studiosi abbiano ragione nel sottolineare l’importanza del finale per la comprensione del significato del romanzo. Quello che colpisce prima di tutto nella conclusione dell’Idiota è la dimensione di tenebra, che trionfa e avvolge i tre protagonisti. Per Nastas’ja è quella di una morte voluta come annientamento di se stessa, per Rogozˇin è l’oscurità di un vuoto immenso, dopo che ha distrutto con le sue mani l’oggetto della passione che occupava tutto il suo essere. Per Mysˇkin è una condizione di non vita peggiore della morte e del bagno penale, dalla quale, a quanto sappiamo dall’epilogo, egli non si risveglierà. Ognuno dei personaggi sembra perfezionare così la propria negatività: il principe l’idiozia da cui era uscito dopo le cure in Svizzera, Nastas’ja il ruolo di “donna perduta” di cui si compiace amaramente, Rogozˇin, già ripudiato e umiliato dal padre, la sua esclusione non solo dalla famiglia ma anche da una società, che lo condanna a una lunga detenzione, Ippolit la morte solitaria, infelice, inutile che temeva fin dall’inizio. L’assassinio, che conclude il libro e annienta i tre protagonisti, ha tuttavia nel contesto dell’opera una funzione complessa: non è solo un atto di violenza e di male, ma è anche il seme

87 Cf. P. Pascal, Dostoevskij: l’uomo e l’opera, p.  e L. Grossman, Seminarii po Dostoevskomu, p. . È oggi sicuro, alla luce degli appunti pubblicati nella Polnoe sobranie socˇinenij, che Dostoevskij non è partito da questa idea per l’elaborazione del romanzo. Dopo avere immaginato tante diverse soluzioni finali, egli la registra per la prima volta in un appunto il  ottobre : “Rogozˇin e il principe accanto al corpo. Finale. Bene (nedurno)” (F. M. Dostoevskij, Idiota [rukopisnye redakcii], p. ). Come sottolinea il commentatore, il “bene”, che conclude questa nota, è un segno di soddisfazione dell’autore per la soluzione trovata (ibid., p. ).



dolorosamente fecondo da cui può scaturire per i personaggi e soprattutto per i lettori una conoscenza più profonda della larghezza dell’essere umano e del significato del suo esistere. Rogozˇin non è solo carnefice, ma è anche vittima. A condurre il gioco è infatti Nastas’ja, che più volte gli suggerisce indirettamente di ucciderla, perché, come abbiamo detto, aspira a un’impresa eroica, un podvig che le sembra possa nobilitarla e riscattarla: assumere il ruolo di una martire, che sacrifica la sua vita per rendere possibile la felicità di colui che ama88. Al di là dei desideri della propria vittima, Rogozˇin, attraverso un gesto che per lui è equivalente a un suicidio perché non sembra lasciargli speranze nel mondo, compie l’unica azione capace di spezzare il cerchio che imprigiona lui, Mysˇkin e Nastas’ja. Nei pochi mesi in cui si svolge l’azione del romanzo, la vita di questi personaggi è infatti impegnata in un gioco di fughe, ricerche, ritrovamenti, progetti di matrimonio che saltano sempre per dare inizio a un nuovo ciclo uguale al precedente89. Il Rogozˇin, che cerca e accoglie Mysˇkin nell’ultimo episodio del libro, è confuso, svuotato, privo della forza della passione che lo sorreggeva. Disperato e indifeso, si appoggia all’essere umano che in alcuni momenti della sua vita è stato per lui fratello e amico, l’unico capace di trattarlo come persona, di dargli considerazione e rispetto.

88 Come Ippolit col Cristo di Holbein, anche Nastas’ja si proietta in un’immagine di Cristo creata dalla sua mente a propria immagine e somiglianza. In una lettera ad Aglaja essa descrive infatti questo soggetto per un quadro da lei immaginato: un Cristo lontano dalle folle al tramonto “con la mano inconsciamente poggiata sulla testa di un bambino” che gli sta accanto e lo sguardo triste in cui si riflette “un pensiero immenso come il mondo intero” (Id., Idiot, pp. -; L’idiota, p. ). L’ora della giornata, la tristezza, la presenza del bambino lasciano trasparire nella lettera il pensiero segreto di chi scrive di immolare se stessa come Cristo per il bene degli innocenti Aglaja e Mysˇkin. In realtà, proiettandosi in un modello altissimo, Nastas’ja mente a se stessa, occultando il suo desiderio di felicità personale, il suo senso di indegnità e la sua disperata gelosia. 89 Nastas’ja fugge dal principe, lui la ricerca e la ritrova, la conforta e la asseconda, quando lei gli chiede amore. A questo punto, schiacciata dal senso di colpa, lei fugge da Rogozˇin e poi di nuovo viene raggiunta dal principe.



La cura amorosa, che il nuovo Rogozˇin spogliato di tutto rivolge al principe, preparandogli il letto, sorreggendolo quando lo vede tremare, chiedendogli di restare con lui, colpisce il protagonista dell’Idiota più della morte di Nastas’ja e della violenza omicida, che Parfen gli aveva scaricato contro nel passato. Ad un tratto Rogozˇin si mise a gridare e a ridere forte ... Il principe sobbalzò sulla sedia in preda a un nuovo terrore. Quando Rogozˇin tacque di nuovo e di colpo, egli si chinò in silenzio verso di lui, gli si sedette accanto e col cuore in tumulto e il respiro affannoso prese a scrutarlo ... Una sensazione completamente nuova gli tormentava il cuore con un’angoscia infinita90.

Per comprendere quello che avviene a Mysˇkin in questo momento, penso sia importante l’insistenza dell’autore sul “nuovo terrore” e la “sensazione completamente nuova”, che il personaggio sta provando. Nella notte di veglia, che conclude la sua vita cosciente, il principe resta sconvolto non tanto dalla contemplazione del bellisssimo corpo di Nastas’ja già avviato alla decomposizione, che nell’ultima pagina egli sembra dimenticare, ma dalla disperata sofferenza del suo fratello di elezione, di cui lui stesso è indirettamente corresponsabile. Nell’inutile e avventato tentativo91 di alleviare la sofferenza di Nastas’ja per le offese ingiuste e maligne ricevute da Aglaja, il principe, completamente dimentico dell’amico, gli ha infatti portato via l’unica ragione di vita, rompendo la promessa più volte ripetuta di non interferire.

90 F. M. Dostoevskij, Idiot, pp. - (L’idiota, pp. -), il corsivo è mio. 91 Si tratta di un tentativo inutile perché, come era prevedibile, ancora una volta Nastas’ja fugge dalla felicità che le viene offerta, e avventato perché, proponendole il matrimonio, rompe non soltanto le promesse fatte a Rogozˇin, ma anche l’impegno preso con Aglaja, che viene ferita profondamente, perché – come gli dice Evgenij Pavlovicˇ – “lei lo ama come una donna e non come uno spirito disincarnato”.



Al senso di colpa, che lo coglie improvvisamente di fronte all’annientamento di Rogozˇin, Mysˇkin reagisce offrendo alla vittima dei suoi errori e delle sue illusioni una compassione tanto profonda da fare dei due quasi un unico essere. Rogozˇin di tanto in tanto si metteva a borbottare forte, bruscamente, gridava, rideva. Il principe allora tendeva la mano tremante verso di lui e gli accarezzava la testa, i capelli, le guance... più di quello non poteva fare ... Si allungò sul cuscino, privo di forze ormai, disperato, avvicinò il suo viso a quello pallido e immobile di Rogozˇin. Le lacrime sgorgavano dai suoi occhi e bagnavano le guance di Rogozˇin, ma forse allora non era più cosciente delle sue lacrime e non ne sapeva nulla92.

Il protagonista dell’Idiota passa così dalla coscienza all’incoscienza, accarezzando l’assassino Rogozˇin e lasciando che le sue lacrime bagnino le guance di lui unendosi con le sue. È questo il punto di luce che illumina il finale: l’amore purificato da tutte le impurità, che unisce finalmente questi due personaggi e li porta ad accettarsi fino in fondo, facendo propria l’uno la sofferenza dell’altro. Vittima e carnefice diventano così una cosa sola, non scindibile, perché le loro colpe si intrecciano. Sarà questo il primo seme del tema che percorre come un leitmotiv i Fratelli Karamazov. Si realizza in quest’ultima scena del romanzo l’idea luminosa intravista per un momento da Ippolit prima di imboccare la strada opposta: Gettando il vostro seme ... voi date una parte di voi stesso e accogliete in voi parte di un altro essere umano, entrate in comunione l’uno con l’altro93.

92 Id., Idiot, pp. - (L’idiota, p. ). 93 Id., Idiot, p.  (L’idiota, p. ).



Nel contesto dell’Idiota Rogozˇin ha bisogno dei semi di luce del principe non più di quanto Mysˇkin ha bisogno dei semi distruttivi di lui per arrivare a vedere il male racchiuso nella larghezza del suo mondo interiore come in quello di ogni altro essere umano. Nella notte di veglia al cadavere di Nastas’ja Mysˇkin, non più innocente, e Rogozˇin, purificato dal suo essere ormai spogliato di tutto, umile e nudo, donano l’uno all’altro un’accettazione incondizionata che parte dal cuore, un amore che è puro perché nasce dall’ammissione e dalla consapevolezza delle proprie colpe reciproche. Diventa comprensibile a questo punto perché Dostoevskij amasse tanto questo finale. Mysˇkin è stato una fonte di scoperte anche per il suo autore, un personaggio che gli è sfuggito di mano e ha imboccato un cammino diverso da quello previsto. Una conclusione ingenua sarebbe stata far trionfare il principe nel mondo reale, secondo il progetto che lo scrittore, dopo i tanti piani documentati dagli appunti, lascia faticosamente cadere, perché non gli appare convincente. Facendo fallire il suo protagonista, egli celebra la complessità e la larghezza dell’essere umano, che può giungere a una realizzazione autentica e adulta di se stesso soltanto accettando di conoscere tutto il bene e il male presenti fuori ma anche dentro di lui. Nella ricerca artistica e conoscitiva di un autore, che si è posto il compito di rappresentare “un essere umano pienamente bello”, proprio il finale dell’Idiota e il crollo di Mysˇkin consentono il salto di qualità, che attraverso gli starcy Tichon e Zosima porta ad Alesˇa Karamazov, chiamato a vivere non fuori ma all’interno del mondo. Usando la terminologia dell’Apocalisse – e in particolare quella dei capitoli sullo scioglimento dei sigilli più volte richiamati in questo testo – possiamo dire che i tre protagonisti dell’Idiota sono fra quei personaggi dostoevskiani che rientrano nella schiera delle vittime, “coloro che sono passati attraverso la gran

de tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’agnello” (Ap ,). Il silenzioso messaggio che Mysˇkin lascia alla fine al suo fratello assassino e insieme al lettore è importante come quello della Matresˇa dei Demoni, la bambina violentata e spinta al suicidio, chicco dolorosamente fecondo, che, morendo, germoglia nel cuore del suo carnefice dando i primi frutti. L’autore non fornisce alcuna notizia sui quindici anni vissuti in Siberia da Rogozˇin, che nell’isolamento dei lavori forzati ha davanti un tempo larghissimo per meditare ed eventualmente far fiorire – come avviene a Raskol’nikov e ad alcuni personaggi di Zapiski iz mertvogo doma (Memorie di una casa di morti) – i semi di luce, le carezze, l’amore ricevuti dall’amico Mysˇkin, che lui ha contribuito a distruggere. Nonostante il silenzio dell’epilogo, Rogozˇin è, fra i personaggi che restano in vita alla fine del romanzo, il più complesso e il più interiormente ricco, aperto a sviluppi, che Dostoevskij esplorerà nei suoi romanzi successivi, in particolare nel Mitja passionale e violento dei Fratelli Karamazov.



Capitolo III I DEMONI

Besy (I demoni) contiene due lunghi brani evangelici (Lc ,- e Ap ,-), letti dai personaggi nel corso del romanzo, e una larga rete di citazioni bibliche. L’idea intorno alla quale si sviluppa il progetto di questo libro prende forma lentamente attraverso scritture e riscritture fino a che, dopo una lunga interruzione nell’estate del  dovuta a gravi attacchi di epilessia, il lavoro si riorganizza in una sintesi finalmente soddisfacente per lo scrittore intorno a due nuclei centrali. Uno è il colloquio fra Stavrogin e Tichon, che contiene la confessione del protagonista incorniciata dalla lettera alla chiesa di Laodicea, recitata all’inizio e poi ripresa alla fine nelle parole dello starec, l’altro è l’episodio dell’indemoniato di Gerasa. Se esaminiamo la genesi del romanzo, ben documentata dai quaderni e dalle lettere, possiamo cogliere il modo in cui Dostoevskij crea ed elabora la sua opera attraverso un processo che lentamente sposta in secondo piano lo spunto contingente e il problema ideologico a esso legato per abbracciare un tema più largo – quello del male nel mondo – dove è appunto la Bibbia a svolgere un ruolo chiave. A Dresda, nell’ultimo periodo vissuto all’estero con la famiglia (agosto -luglio ) lo scrittore è da un lato sollecitato da avvenimenti di cronaca che lo scuotono profondamente – in particolare dal delitto Necˇaev e dalle sue implicazio

ni1 – dall’altro fortemente attratto dall’idea di un’opera monumentale – Zˇitie velikogo gresˇnika (La vita di un grande peccatore) – che come i romanzi di Tolstoj avrebbe dovuto abbracciare l’intero arco di esistenza del protagonista e insieme “centocinquant’anni di pensiero russo”2. Di questo progetto Dostoevskij scrive con entusiasmo nelle lettere del maggio  proprio nello stesso periodo in cui lavora alla prima stesura dei Demoni, presentato da lui stesso come un’opera con obiettivi più modesti, soprattutto ideologici3. Come risulta dai quaderni4, inizialmente il protagonista del libro doveva essere l’occidentalista Granovskij (rappresentato in Stepan Trofimovicˇ) contrapposto al pensatore ortodosso Golubov. L’interesse dell’autore si sposta però quasi subito su due personaggi immaginari, il principe (il futuro Stavrogin) e lo studente Sˇatov e sulle loro riflessioni e discussioni sulle idee di Necˇaev e di Golubov. Il  aprile  Dostoevskij decide di eliminare il personaggio positivo Golubov. “Golubova ne nado” (“Non c’è bisogno di Golubov”) scrive negli appunti5 e lascia solo il principe con i suoi dubbi e le sue lacerazioni.

1 Come è noto, lo studente Ivanov, affiliato a un gruppo rivoluzionario, era stato accusato di tradimento, ucciso e gettato in un lago ghiacciato il  novembre . Fu riconosciuto come principale colpevole Necˇaev, discepolo di Bakunin. 2 L’espressione è di Jacques Catteau, che la usa nel suo libro La création littéraire chez Dostoevskij. Catteau ha dedicato alcuni capitoli del suo libro al progetto della Zˇitie. Secondo gli appunti e le lettere, l’opera doveva seguire il protagonista dall’infanzia infelice all’adolescenza in monastero fino alla rigenerazione finale dopo i delitti e gli sbandamenti. Nel monastero, guidato dallo starec Tichon, avrebbero dovuto incontrarsi e discutere personaggi ispirati a Pusˇkin, Belinskij, Cˇaadaev, Pavel di Prussia e Konstantin Golubov. Nelle lettere del periodo Dostoevskij afferma di non affrontare subito questo lavoro per motivi contingenti: la lontananza dalla Russia e la necessità di produrre subito un romanzo per far fronte alle necessità economiche. 3 “Voglio esprimere certe mie idee, anche a costo che la riuscita artistica ne soffra – scrive a proposito dei Demoni –. Mi sento attratto dal desiderio di dire ciò che mi si è accumulato in testa e nel cuore. Può darsi che ne venga fuori soltanto un pamphlet, ma almeno mi sfogherò fino in fondo” (Lettera a Strachov del  marzo/ aprile ). 4 F. M. Dostoevskij, Besy: glava “U Tichona”, pp. -. 5 Ibid., p. .



Nell’estate del  si verifica un improvviso cambiamento. Il grande ambizioso romanzo, che era stato definito nelle lettere “l’opera più importante della sua vita”, smette di occupare l’attenzione di Dostoevskij e viene abbandonato. Contemporaneamente I demoni acquista importanza fino a coinvolgere lo scrittore completamente. Alla fine dell’anno scorso – scrive Dostoevskij nell’ottobre  – consideravo questo romanzo ... come cosa ormai pronta e fatta, ma poi sono stato visitato dall’autentica ispirazione e a un tratto mi sono innamorato del mio tema, mi ci sono dedicato interamente e ho cancellato quello che avevo scritto. Quindi in estate si è verificato un altro cambiamento: si è fatto avanti un nuovo personaggio [Stavrogin] ... cosicché il precedente protagonista [Petr-Necˇaev] si è ritirato in secondo piano. Questo nuovo protagonista mi ha talmente affascinato che ho cominciato un’altra volta a riscrivere il romanzo6.

Da questo momento, come risulta dagli appunti dell’estate7, il capitolo “U Tichona” (Da Tichon) assume un ruolo centrale. Ora, se si esaminano i quaderni e le lettere, è chiaro che questo cambiamento non nasce da un’idea nuova, improvvisamente affiorata alla coscienza, ma è piuttosto il risultato del trasferimento di temi e personaggi da un’opera all’altra. Credo che la scoperta dell’estate consista nell’improvvisa presa di coscienza del fatto che il nucleo più vivo e caro all’autore della futura Zˇitie poteva trovare subito spazio e soprattutto concretezza nell’opera che stava già componendo. Proprio il laborioso processo di elaborazione dei Demoni è indicativo delle spinte profonde che guidano lo scrittore nella

6 Lettera a Strachov del / ottobre . 7 F. M. Dostoevskij, Besy: glava “U Tichona”, pp. -.



sua ricerca. Nonostante i piani di lavoro già pronti e l’interesse dell’uomo Dostoevskij per le discussioni filosofico-ideologiche di quegli anni, i portatori di idee presenti nei suoi romanzi (Raskol’nikov, Ivan Karamazov, il primo Sˇatov, Kirillov) si dibattono tutti sotto il peso di contraddizioni che non riescono a risolvere. Questo avviene perché, come vedremo nel corso dell’analisi, il loro autore è profondamente convinto che le risposte importanti ai problemi dell’esistenza non si trovano nelle idee astratte – ovvero nella “testa” –, ma, in armonia con gli insegnamenti degli starcy, dei padri della chiesa d’oriente e con la sua stessa esperienza conoscitiva, nel profondo dell’essere e nel suo “cuore”8. La stesura definitiva del romanzo e la sostituzione del pensatore ortodosso Golubov9 con Tichon mostrano con chiarezza che il dibattito ideologico di quegli anni interessa Dostoevskij molto meno della discesa nel profondo della coscienza dei suoi protagonisti. Nei Demoni questa discesa è guidata non dalle ideologie del tempo, ma da una larga visione della vita ispirata dalla Scrittura, espressa nel romanzo dallo starec e inaspettatamente nel finale 8 È azzardato, perché smentito dal messaggio globale del romanzo, attribuire a Dostoevskij le opinioni dei suoi personaggi teorici, come fa Pascal, che si serve delle idee sostenute dal primo Sˇatov, per illustrare le posizioni dell’autore (P. Pascal, Dostoevskij: l’uomo e l’opera, pp. -). Al di là delle sue posizioni personali di uomo, Dostoevskij scrittore non è interessato a una “religione politica, che muove dal ‘cristianesimo russo’ e approda all’ortodossia” (ibid., p. ), ma a un messaggio molto più largo e complesso, che ha la sua base non nelle elaborazioni concettuali di correnti ideologico-politiche, ma in una lunga e meditata riflessione sul testo biblico e sugli scritti dei padri della chiesa d’oriente. 9 Come risulta dalle lettere e dagli appunti (cf. F. M. Dostoevskij, Besy: glava “U Tichona”, pp. - e la lettera a Majkov dell’/ dicembre ) Dostoevskij apprezzava Golubov per la sua idea di realizzare il “paradiso sulla terra” attraverso il lavoro su se stessi. Non è stato però Golubov l’ispiratore della dimensione di paradiso di cui parlano i personaggi della sua opera. Dostoevskij era interessato all’opera del pensatore russo perché ne condivideva le convinzioni, ma non poteva non essere consapevole del fatto che le idee di Golubov non erano originali, ma si ispiravano a un insegnamento della spiritualità orientale, le cui fonti – gli scritti dei padri della chiesa d’oriente e degli starcy – erano ben note allo scrittore e da lui profondamente amate.



dal frivolo e colpevole Stepan Trofimovicˇ, maturato improvvisamente dall’esperienza di morte e distruzione che conclude il romanzo. Introducendo il personaggio Tichon, Dostoevskij era del resto ben consapevole di compiere un’operazione nuova e importante non solo per la sua opera, ma per la letteratura russa. Per la prima volta voglio venire in contatto con una categoria di persone ancora poco toccata dalla letteratura. Come ideale di questo tipo prendo Tichon di Zadonsk ... Ho molto timore, perché non ho provato mai; ma questo mondo lo conosco un po’10.

E a Majkov, quando ancora lo starec era inserito nel progetto della Zˇitie: Anche se per gli altri tutto ciò non vale nulla, per me è un tesoro ... Spero mi sia dato di creare una figura elevata, positiva, santa. Questo non è Kostanzˇoglo, né il tedesco in Oblomov. Chissà, forse proprio Tichon è quel tipo russo positivo che la nostra letteratura va cercando ... In verità non creerò nulla, ma soltanto rappresenterò l’autentico Tichon, che ho accolto nel mio cuore da tempo con entusiasmo. Ma ritengo che, se questo mi riuscirà, avrò fatto per parte mia una cosa molto importante11.

In questo stesso periodo, iniziando la stesura definitiva dei Demoni, come è testimoniato dalla lettera a Majkov12, Dostoev-

10 Lettera a Katkov del / ottobre . 11 Lettera a Majkov del  marzo/ aprile . 12 “Ma qui avvenne quello di cui ci testimonia l’evangelista Luca ... i demoni sono usciti dal corpo dell’uomo russo e sono entrati in un gregge di porci, cioè nei Necˇaev e nei Serno-Solov’evicˇ e simili. Questi sono affogati o affogheranno di certo e l’uomo guarito siederà ai piedi di Gesù ... Se vi interessa questo è appunto il tema del mio romanzo. Esso si intitola I demoni ed è la descrizione di come questi demoni entrano nel



skij si appoggia al brano dell’indemoniato di Gerasa per definire il messaggio che vuole trasmettere con questo romanzo. Come vedremo, il passo dell’Apocalisse e quello di Luca forniscono una chiave interpretativa il primo per il problema esistenziale del protagonista, il secondo per la situazione del mondo russo in cui la vicenda si svolge. Contemporaneamente i due brani si compenetrano e si collegano fra loro. La prima parte dell’episodio dell’indemoniato – non citata, ma certamente presente nella memoria dell’autore e del lettore – illumina infatti indirettamente la situazione di Stavrogin, mentre la Lettera alla chiesa di Laodicea offre un’indicazione perché l’individuo e la società di cui esso fa parte si liberino da quel male.

Il campo dei demoni: il “saggio serpente” L’epigrafe13 presenta al lettore i due campi di azione del romanzo: quello dei demoni che dà il titolo all’opera e l’altro opposto di “ritorno in se stessi”, di equilibrio, di pace, legato alla figura di Cristo. Il primo di questi due campi, dopo una parte introduttiva necessaria alla comprensione del presente, è inserito nel romanzo in modo diretto a partire dal V capitolo.

gregge di porci” (lettera a Majkov del / ottobre ). L’interpretazione del brano ha nella lettera un’impronta ancora fortemente ideologica, secondo il progetto iniziale. Nel complesso intreccio della stesura finale, il passo di Luca sarà portatore come vedremo di un messaggio che si esplica a più livelli, ricco di molteplici significati. 13 Per il testo dell’epigrafe cf. infra, p. . In questa sede non prendo in considerazione l’altra epigrafe, tratta da una poesia di Pusˇkin. Inoltre, dato il taglio di questo lavoro, non è oggetto della mia analisi il contesto storico-politico del romanzo, né un esame dettagliato dell’evoluzione delle figure di Kirillov, di Sˇatov e di Mar’ja Timofeevna e di altri aspetti dell’opera non strettamente legati all’influenza del testo biblico e della tradizione della chiesa d’oriente.



Per rappresentare i veleni delle nuove generazioni e la loro carica distruttiva, Dostoevskij sceglie di partire non dai grandi centri del dibattito ideologico e dei fermenti rivoluzionari, ma da un salotto borghese in un’insignificante cittadina russa di provincia, bersaglio di una rete distruttiva tessuta nell’arco di anni, a partire dalle vicende pietroburghesi del protagonista e dai suoi intrighi all’estero14. Il titolo scelto per questo capitolo, “Premudryj zmij” (Il saggio serpente) è denso di richiami biblici. Il riferimento diretto è al versetto di Matteo (,): “Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe (Bud’te mudry kak zmii i prosty kak goluby)”. È il consiglio di prudenza che Cristo dà agli apostoli “mandati come pecore in mezzo ai lupi”. Nel romanzo tuttavia l’espressione premudryj zmij è resa ambigua dal contesto e ancora di più dal personaggio che la introduce già nel terzo capitolo. A pronunciarla è infatti il capitano Lebjadkin15 che dice di inchinarsi in questo modo davanti all’intelligenza di Stavrogin16, ma contemporaneamente ne mette in luce la pericolosità e la capacità di tenere gli altri in suo potere. Proprio l’allusione al serpente, contenuta nel titolo del quinto capitolo, dopo l’epigrafe sui demoni, offre una chiave per comprendere il modo in cui Dostoevskij ha

14 Il personaggio Nikolaj Stavrogin, idolo dei protagonisti del romanzo, che conoscono solo alcuni aspetti della sua personalità, torna nella cittadina d’origine, dopo avere vissuto a Pietroburgo un periodo di crimini culminante col delitto sulla bambina e col matrimonio immediatamente successivo con la zoppa e infelice Mar’ja Timofeevna. All’estero, nel periodo che precede il ritorno, Stavrogin ha stretto rapporti con Liza a causa della quale è tentato di liberarsi della moglie col delitto, con Dasˇa, che ha fatto innamorare raccontandole molto della sua vita, con Petr Verchovenskij che, dominato da un violento desiderio di rivalsa e consapevole della sua mediocrità, vorrebbe porre Stavrogin a capo di un movimento capace di distruggere il vecchio mondo, con Kirillov al quale ha fornito l’idea del suicidio come atto estremo di libertà e infine con Sˇatov, che ha nutrito con l’idea del “popolo russo portatore di Dio”. 15 Lebjadkin è ambiguamente legato a Stavrogin dal denaro che riceve, ufficialmente per mantenere la sorella Mar’ja Timofeevna sposata da Stavrogin, di fatto per conservare il segreto sul matrimonio. Il personaggio intuisce di essere al centro di un intrigo pericoloso, che potrebbe concludersi tragicamente. 16 F. M. Dostoevskij, Besy, p.  (I demoni, p. ).



costruito questa parte del romanzo17. I passi della Scrittura inseriti come testi nel testo nelle opere di Dostoevskij svolgono una doppia funzione. Offrono una chiave interpretativa attraverso la quale leggere la vicenda e contemporaneamente introducono temi, che si sviluppano come leitmotiv nel corso del racconto. Nei Demoni i due grandi leitmotiv che percorrono l’opera sono da un lato quello dei demoni, del buio, delle azioni di male, dall’altro quello delle epifanie, dell’armonia e della luce che comincia a manifestarsi già nell’episodio della notte. Nel romanzo il comportamento di Petr e Nikolaj – che nel salotto di Varvara Petrovna nel momento del loro rientro dopo anni di assenza, recitano una parte, mentono, si coprono a vicenda, facendo volontariamente del male a molti dei presenti – resta a una prima lettura abbastanza ambiguo non solo per gli ospiti del salotto, ma anche per i destinatari del romanzo. Se tuttavia utilizziamo la chiave che chi scrive ci fornisce con l’epigrafe e con il titolo di questo capitolo, il modello che si presenta alla mente è il serpente della Scrittura, a partire dal personaggio tentatore e mentitore di Genesi  fino all’Apocalisse dove Satana è definito “il serpente antico che seduce tutta la terra” (,). Nella scena del salotto, con la freddezza, il dominio di sé e la prudenza di un rettile, mentendo sul matrimonio e sulle intenzioni di Petr, Stavrogin tiene legati a sé con un potere di seduzione, che il narratore paragona a quello di un serpente boa, la madre, Lebjadkin, Liza, Dasˇa, Mar’ja Timofeevna18.

17 Come è testimoniato dai quaderni, “Premudryj zmij” è stato per Dostoevskij un capitolo particolarmente travagliato e difficile, probabilmente anche perché lì dovevano essere poste le basi del problema che gli stava a cuore. “Dopo aver spedito alla redazione l’inizio dei Demoni – scrive il commentatore dei quaderni – da ottobre a dicembre Dostoevskij lavora agli ultimi capitoli della prima parte. Per molto tempo non riesce a trovare il piano definitivo del quinto capitolo” (F. M. Dostoevskij, Besy: rukopisnye redakcii, nabroski, p. ). 18 Ne è un chiaro esempio la reazione del personaggio alla domanda della madre: “‘È vero che questa donna infelice, zoppa ... è vero che è la vostra legittima moglie?’. Senza rispondere neanche una parola, si avvicinò piano alla mamma, prese la sua mano, la por-



Nel testo biblico il progetto di Satana, termine ebraico che come è noto significa “avversario”, è il rovesciamento di quello di Dio. La sua parola afferma non la verità, ma la menzogna, tende a dividere e a distruggere, a dare non la vita ma la morte (“La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono”, Sap ,). Vale la pena di seguire in questa chiave il progetto di distruzione e di morte rappresentato da Dostoevskij nel romanzo. Come lo sposo del Cantico e il Cristo della Lettera alla chiesa di Laodicea, il protagonista dei Demoni “sta alla porta e bussa”. Lo fa anche materialmente nell’episodio della notte. Quelle porte, una volta spalancate, si aprono però non a un incontro di condivisione e di amore, ma alla rovina. Sostenendo di essere quello che non è, instillando sentimenti che non prova e facendosi portatore di idee in cui non crede, Stavrogin agisce come il seminatore della parabola evangelica ma alla rovescia19, perché i suoi semi portano sofferenza, morte, distruzione. L’operazione che il personaggio compie sugli altri, invadendo il loro mondo interiore, consiste nell’individuare i punti di debolezza di ciascuno e nel potenziarli. tò rispettosamente alle labbra e la baciò. Ed era così forte il suo irresistibile ascendente sulla madre che nemmeno allora ella osò ritrarre la mano” (Id., Besy, p. ; I demoni, pp. -). Ancora, a proposito di Liza, che vede uscire Nikolaj con Mar’ja Timofeevna, dopo che il “saggio serpente” ha pronunciato la sua menzogna (“Sebbene io sia il vostro amico più devoto, tuttavia sono pur sempre un estraneo per voi, né marito, né padre, né fidanzato”): “[Liza] si rimise a sedere, ma nel suo viso c’era una specie di movimento convulso, come se l’avesse punta qualche rettile” (Id., Besy, p. ; I demoni, p. ). E a proposito di Lebjadkin: “Il capitano parve a un tratto rannicchiarsi tutto davanti a lui e rimase irrigidito sul posto senza distogliergli lo sguardo di dosso, come un coniglio davanti a un serpente boa” (Id., Besy, p. ; I demoni, p. ). 19 A suggerire questa immagine è uno dei personaggi da lui sedotti quando, “ricordando un maestro che pronunciava grandi parole e uno studente resuscitato dai morti”, dice che “il seme è rimasto ed è cresciuto”, sottolineando alla fine del colloquio che ha affidato a Stavrogin tutto se stesso (cf. Id., Besy, pp. -; I demoni, p. ) E ancora, sempre da parte di Sˇatov: “Ho saputo da lui [Kirillov] che nello stesso momento in cui seminavate nel mio cuore Dio e la patria, avvelenavate il cuore di questo infelice, di questo maniaco di Kirillov” (Id., Besy, p. ; I demoni, p. ). La stessa immagine, rovesciata, è usata da Zosima nei Fratelli Karamazov (cf. infra, pp. -).



Così, per Petr il protagonista agisce su un desiderio smisurato di rivalsa, che arriva fino al delitto20. In Kirillov, come il tentatore della Genesi che suggerisce agli uomini di sostituirsi a Dio, Stavrogin potenzia in modo ipertrofico un cupo orgoglio, che nasce dall’infelicità e dalla frustrazione. La vita è dolore, la vita è paura e l’uomo è infelice – dichiara il personaggio all’inizio del romanzo –. Colui che vincerà il dolore e la paura sarà lui Dio e quell’altro Dio non ci sarà più21.

In Sˇatov Stavrogin individua e sviluppa la tendenza a lasciarsi schiacciare sotto il peso delle idee astratte22. Il risultato dell’operazione compiuta su questo personaggio è evidente nell’episodio della notte in cui Sˇatov soffre e si dibatte sotto il peso di un’idea – quella del “popolo russo portatore di Dio” – che non riesce a fare completamente propria, perché manca dell’unico sostegno che potrebbe darle concretezza. “Io credo nella Russia, credo nella sua ortodossia. Credo nel corpo di Cristo... credo che il nuovo avvento sarà in Russia”. “E in Dio?”. “Io... io crederò in Dio”23.

Ancora, Stavrogin fa crescere l’avidità di Lebjadkin e di Fed’ka l’evaso, fa nascere il sogno di una passione folle e straordinaria in Liza, tanto desiderosa di sensazioni forti da andare a vedere per pura curiosità il cadavere di un adolescente suicida,

20 “Voi siete il mio idolo ... siete il sole e io il vostro verme – dice Petr a Stavrogin –. Io mi sono appoggiato a voi proprio perché non avete paura di nulla ... Se non vi avessi guardato da un angolo, non mi sarebbe venuto in testa nulla” (F. M. Dostoevskij, Besy, pp. -; I demoni, pp. -). 21 Id., Besy, p.  (I demoni, p. ). 22 Id., Besy, p.  (I demoni, pp. -). 23 Id., Besy, pp. - (I demoni, p. ).



insinua l’idea di un amore fiabesco e romantico nella mente infantile e immaginosa di Mar’ja Timofeevna. In armonia col versetto della Sapienza che abbiamo citato, nel progetto di Stavrogin rielaborato da Petr, dotato della concretezza che manca al suo maestro, sono destinati a fare esperienza della morte tutti coloro che si sono lasciati sedurre: come vittime chi, come Sˇatov e Mar’ja Timofeevna, è riuscito a liberarsi dall’influenza distruttiva, come i porci del vangelo tutti gli altri che fino alla fine hanno affidato se stessi al loro maestro. In una prospettiva rovesciata rispetto al messaggio evangelico e al progetto di Dio, la distruttività si rivolge nei Demoni soprattutto verso le creature più fragili e deboli: i bambini e i “piccoli”. Mar’ja Timofeevna, definita da Stavrogin “l’ultima delle creature”24, è simile – e non solo nel nome – a un’altra Maria, la ragazza emarginata posta da Mysˇkin nel romanzo Idiota al centro di una rete di amore, che le consentirà di morire sostenuta dalla solidarietà e dall’affetto. Nei Demoni la creatura “storpia” e indifesa è invece al centro di un intrigo di distruzione e di morte, vittima e insieme inconsapevole strumento di male nei giochi di Nikolaj e di Petr. L’episodio centrale nella vita di Stavrogin è l’annientamento di Matresˇa, la bambina violentata e spinta al suicidio. Ancora, i bambini sono al centro dei deliri di potenza e di corruzione di Petr. ... il maestro che ride coi bambini del loro Dio e della loro culla è già dei nostri ... Gli scolari che ammazzano un contadino per provare delle emozioni sono dei nostri ... Io stesso ho visto un bimbo di sei anni che conduceva a casa la madre ubriaca, che lo ingiuriava con orribili parole. Voi pensate che

24 Id., Besy: glava “U Tichona”, p.  (I demoni, p. ).



io ne sia contento? ... Ma una generazione o due di corruzione ora sono necessarie25.

Al termine della ricognizione dell’influenza del testo biblico sulla prima parte del romanzo, vorrei sottolineare un aspetto importante della ricerca che Dostoevskij compie sul male, a partire dalle lacerazioni del mondo a lui contemporaneo. La devastante negatività di Stavrogin e di Verchovenskij non è l’espressione di un male astratto e metafisico, sempre uguale a se stesso, ma ha nel romanzo tutta la concretezza e l’unicità delle vicende che questi personaggi hanno vissuto sulla loro pelle e a cui non hanno saputo reagire se non moltiplicando con un processo a valanga la negatività della vecchia generazione. Tra i piccoli non amati e maltrattati dei Demoni possiamo includere, come vedremo meglio più avanti, anche Nikolaj e Petr, bambini abbandonati a se stessi, infelici, privi di affetto e di modelli positivi capaci di fornire una guida e un orientamento. In questo mondo buio, marcio, malato a partire dal capitolo “Nocˇ’” (La notte) Dostoevskij introduce elementi che vanno in un’altra direzione. Al di là di come Stavrogin appare a coloro che sono stati sedotti, esiste un altro strato del suo mondo interiore, più profondo e segreto, al quale si addice l’espressione “saggio serpente” nel senso letterale del vangelo di Matteo. A questo secondo livello, che si rivela nel colloquio con Tichon, Stavrogin appare effettivamente “una pecora in mezzo ai lupi”, minacciato non tanto dai nemici esterni quanto dalle debolezze che lo imprigionano e dai meccanismi che lui stesso ha messo in moto. Nel salotto della madre il personaggio è tanto freddo, prudente, calcolatore, proprio perché sa di camminare su un terreno estremamente sdrucciolevole, che lo costringe a mentire e a strisciare come il serpente della Genesi condannato da Dio. 25 Id., Besy, pp. - (I demoni, pp. -).



Ancora una volta, a intuire il vero stato d’animo di Stavrogin è l’astuto Lebjadkin. È vero che con questo taumaturgo tutto è possibile, vive per fare del male alla gente. E se avesse paura anche lui ... paura come non mai? ... E perché venire di nascosto, di notte, quando lui stesso vuole rendere pubblico tutto (il matrimonio)26?

Come sarà chiarito nel colloquio con lo starec, a spingere Stavrogin in questo momento non sono il senso di superiorità e la fredda sicurezza di avere in pugno la situazione, ma il turbamento, la paura, la consapevolezza di essersi legato le mani da solo e insieme un sotterraneo soffocato desiderio di un’altra dimensione esistenziale, dominata dalla luce del sole e da una calda felicità.

Il campo della luce: via dell’Epifania Il secondo campo di azione dei Demoni, introdotto dall’epigrafe, comincia a manifestarsi a partire dall’episodio della notte. Come nel quinto capitolo è presente qui, anche se in modo meno evidente, un’allusione biblica nel nome significativo della strada verso la quale Stavrogin si dirige nella sua uscita notturna: Bogojavlenskaja ulica (via dell’Epifania). È qui che Dostoevkij ha collocato la casa delle vittime: Kirillov, Sˇatov, Lebjadkin, Mar’ja Timofeevna27.

26 Id., Besy, p.  (I demoni, p. ). 27 Nel capitolo “Nocˇ’” Mar’ja Timofeevna e Lebjadkin sono già stati trasferiti da Petr in un’abitazione al di là del fiume, ma è in via dell’Epifania che Mar’ja Timofeevna



Merita attenzione già il modo in cui si presentano a Stavrogin, uscito per verificare la fedeltà dei suoi adepti e insieme la solidità del progetto di confessione che lo tormenta, le prime stanze della casa occupata da Kirillov. L’ingresso e le prime due camere erano buie, ma nell’ultima ... ardeva un lume e si udivano risate e certe strane esclamazioni ... In mezzo alla stanza c’era una vecchia ... teneva in braccio un bambino di un anno e mezzo, con una camiciola, le gambine nude, le guance accese e i capelli chiari arruffati, appena tolto dalla culla ... in quel momento tendeva le braccia, batteva le mani e rideva ... Davanti a lui Kirillov lanciava sul pavimento una gran palla rossa di gomma28.

Dopo le devastanti immagini di bambini offesi, maltrattati, spinti al vizio, che abbiamo esaminato, questa scena colpisce per la sua diversità. È un particolare significativo, anche se a una prima lettura poco evidente, il fatto che ognuno dei tre appartamenti di via dell’Epifania sia legato alla presenza di un bambino. Nella stanza di Sˇatov nasce il figlio di sua moglie Marie e di Stavrogin. E ancora, di un suo neonato, stavolta soltanto immaginato, ma comunque accolto, pianto e amato parla in questo stesso luogo Mar’ja Timofeevna. Nell’episodio descritto nel vangelo di Matteo (,-), i Magi si inchinano con devozione e rispetto di fronte alla manifestazione divina incarnata in un bambino. Nei Demoni i segni di accoglienza, rispetto e amore per le creature in cui comincia la vita si trovano solo in via dell’Epifania, dove proprio la presenza dei bambini ha un effetto esplosivo, capace di far percepire ai loro

ha vissuto fino a quel momento ed è lì che ha raccontato a Sˇatov e al narratore la vicenda della sua rigenerazione e del suo bambino. 28 Id., Besy, pp. - (I demoni, p. ).



abitanti forme – sia pure diverse – di manifestazione del divino e una piena anche se precaria felicità. Questo effetto è evidente in Sˇatov quando – dopo la devastante festa di morte – nella sua estrema povertà e assenza di orgoglio accoglie in via dell’Epifania il bambino non suo con lo stupore e la gioia di chi assiste al “mistero grande e inspiegabile dell’apparizione di un nuovo essere”. Sˇatov ora piangeva come un ragazzino, ora diceva Dio sa che, in modo brusco, confuso, ispirato ... le parlava [alla moglie Marie] di Kirillov, di come ora avrebbero cominciato a vivere “di nuovo e per sempre”, dell’esistenza di Dio, del fatto che tutti sono buoni29...

Soltanto dopo questo evento, l’esistenza di Dio, che era apparsa il punto dolente del personaggio nel colloquio notturno con Stavrogin, diventa per Sˇatov una certezza, capace, come dice lui stesso a Marie, di aprire la via a una nuova vita. Un’esperienza simile accade a Kirillov, che vive da sempre chiuso dolorosamente in se stesso. Giocando con la piccola creatura, che casualmente si è trovato in casa, egli riscopre le sensazioni di se stesso bambino (la bellezza di una “foglia verde, lucente, con le venature” immaginata d’inverno a occhi chiusi) e a partire di qui il suo amore per la vita e la felicità. “Amate i bambini?” chiede Stavrogin nell’incontro notturno – “Sì, li amo”. “Dunque amate anche la vita?”. “Sì, amo anche la vita ...”. “A quanto pare siete molto felice”. “Sì molto felice” ... Stavrogin lo spiava accigliato e sprezzante, ma nel suo sguardo non c’era ironia. “Scommetto che quando verrò qui un’altra volta, ormai crederete anche in Dio”30.

29 Id., Besy, p.  (I demoni, p. ). 30 Id., Besy, pp. - (I demoni, pp. -).



Ancora, Mar’ja Timofeevna in via dell’Epifania racconta a Sˇatov e al narratore la sua esperienza di rigenerazione e di gioia, oscurata da un’ombra di morte, che il personaggio materializza nella vicenda immaginaria del neonato a cui abbiamo accennato. Come dice lei stessa, la sua rinascita è avvenuta nella pace del soggiorno in monastero, grazie al consiglio di una vecchia penitente (“ogni lacrima terrena è gioia per noi e quando avrai imbevuto con le tue lacrime la terra sotto di te fino a un mezzo arsˇin, allora subito ti rallegrerai per tutto”). “Da quel giorno, quando prego ... bacio ogni volta la terra e piango. E ti dirò, Sˇatusˇka, non c’è proprio niente di male in queste lacrime e, anche se tu non hai mai avuto nessun dolore, le tue lacrime scorreranno soltanto per la gioia”31.

Mi occuperò del “dono delle lacrime” nella tradizione della chiesa d’oriente nel capitolo dedicato ai Fratelli Karamazov. Quello che vorrei sottolineare qui, perché contribuisce a spiegare il significato dell’esperienza di Mar’ja Timofeevna, è il fatto che la “teologia delle lacrime”, manifestazione della grazia dello Spirito santo, svolge un ruolo significativo negli scritti di Isacco il Siro, di Giovanni Climaco e di Simeone il Nuovo Teologo. In particolare Isacco il Siro considera le lacrime come “il limite cruciale fra lo stato corporeo e lo stato spirituale”, come il punto di transizione fra l’era presente e quella a venire, alla quale si può accedere in anticipo anche in questa vita. Il neonato piange quando arriva in questo mondo; allo stesso modo il cristiano piange quando rinasce nell’eone futuro32. Così piange anche la Mar’ja Timofeevna dei Demoni nel momento in cui percepisce una dimensione divina larga e luminosa alla quale si abbandona con tutta se stessa. Dostoevskij concede il “dono delle lacrime” 31 Id., Besy, p.  (I demoni, p. ). 32 Cf. K. Ware, Riconoscete Cristo in voi?, pp. -.



a uno dei suoi personaggi più piccoli, evidentemente a lui caro: fisicamente infelice e oltraggiato da Stavrogin, ma dotato di una limpida purezza di cuore e di una acuta capacità intuitiva. Nel contesto del romanzo, dove la gioia e il processo di rigenerazione di questi tre personaggi sono violentemente interrotti, è significativo che tutti e tre i bambini siano legati contemporaneamente alla vita e alla morte. Quello che abita in casa di Kirillov viene portato via dalla nonna alla morte della madre, ospitata in via dell’Epifania. Sarà proprio l’assenza di queste persone a facilitare il suicidio del loro ospite, guidato da Petr nell’appartamento deserto. Gli altri due, entrambi figli senza padre, generati ma non accolti da Stavrogin, muoiono, il primo materialmente nella situazione di caos successiva all’assassinio di Sˇatov, il secondo nell’immaginario di Mar’ja Timofeevna, per effetto di un processo mentale che abbraccia un doppio livello. Il personaggio sente infatti oscuramente che il matrimonio di lei con Stavrogin non può dare che frutti di morte. Contemporaneamente, dopo la sua rigenerazione in monastero, in quel bambino proietta se stessa, presentendo la propria fine. È un dettaglio secondo me significativo il fatto che nel buio cupo della sua notte di verifica e di ricerca Stavrogin incontri piccole luci anche materiali: quella accesa da Kirillov davanti all’icona e l’altra nella casa di Mar’ja Timofeevna. Nel suo giro notturno il protagonista dei Demoni non trova discepoli sottomessi, portavoce di ciò che lui ha “seminato”, ma personalità complesse, che hanno elaborato il messaggio ricevuto e lo ritrasmettono al loro maestro con significative variazioni. Ognuno dei tre personaggi visitati ha qualcosa di importante da comunicare a Stavrogin. Kirillov non lo mette in discussione. Semplicemente risponde alle sue domande e gli comunica la sua esperienza di armonia e di piena felicità in stridente contrasto con l’idea del suicidio istillatagli dal suo interlocutore e non ancora rifiutata. Stavrogin 

ne è colpito perché, come vedremo, ha sperimentato una sensazione simile alla fine del sogno che racconta nella confessione, così come è toccato dall’enigmatica risposta del personaggio al problema che lo tormenta (“Se uno oltraggia o disonora la bambina è bene?” ... “Tutto è bene, tutto”33). Mar’ja Timofeevna, immersa nel suo mondo interiore e aperta ai messaggi dell’inconscio, mette a nudo il suo “principe”, togliendogli la maschera di innamorato romantico e devoto, lo scaccia e lo denuncia per quello che è: un impostore. Grazie alla violenta reazione istintiva del personaggio che egli ha definito “l’ultima delle creature”, Stavrogin è messo di fronte al suo stesso autoinganno: alla debolezza del proposito relativo alla confessione pubblica e alla vita con Mar’ja in un cupo angolo della Svizzera e contemporaneamente alla forza del desiderio latente in lui di liberarsi della moglie col delitto. In queste visite protette dalle tenebre (cf. Gv ,: “Chiunque fa il male odia la luce ... perché non siano svelate le sue opere”), il protagonista dei Demoni non soddisfa i suoi desideri manifesti, ma altre aspirazioni più profonde e soffocate: la sete di conoscere “fonti di vita” che lui non ha, dimensioni che gli sono rimaste nascoste. Le sue vittime di via dell’Epifania legate ai bambini cominciano a rivelargliele. Il messaggio più importante e diretto viene dal terzo personaggio, Sˇatov, che si è spinto più avanti degli altri nella comprensione del mondo interiore del suo maestro, sottoposto in questo incontro notturno a un interrogatorio che lo inchioda a pesantissime responsabilità. Nel tentativo di salvare l’idea e insieme la persona che gli sta più a cuore di se stesso, il discepolo offre come estremo rimedio un prezioso inaspettato consiglio – la visita allo starec Tichon – aprendo così la strada all’episodio centrale del romanzo.

33 F. M. Dostoevskij, Besy, p.  (I demoni, p. ).



La confessione di Stavrogin e la “discesa con la mente nel cuore” Abbiamo visto nelle lettere il profondo interesse e l’attrazione di Dostoevskij per Tichon e lo starcˇestvo, “non fondato sulla teoria – scrive nei Fratelli Karamazov – ma nato in Oriente da una pratica millenaria”. Per comprendere il significato dell’episodio centrale dei Demoni e l’interpretazione del brano biblico che viene proposto nel capitolo “U Tichona” (Da Tichon), è necessario soffermarsi brevemente su queste figure della spiritualità russa, marginali rispetto alla chiesa ufficiale, ma anche capaci di richiamare un altissimo numero di visitatori appartenenti agli strati sociali più diversi, dai contadini agli intellettuali34. Una buona definizione viene dallo studioso ortodosso Kallistos Ware: Cos’è che conferisce a un uomo il diritto di agire in qualità di starec? Come e da chi è designato? Lo starec o padre spirituale è essenzialmente una figura “carismatica” e profetica, accreditata a svolgere questo compito dall’azione diretta dello Spirito santo. È ordinato non da mani di uomo ma da quelle di Dio. È un’espressione della chiesa come “evento” o “avvenimento” piuttosto che della chiesa istituzione35.

34 Cf. L. Smolitsch, Santità e preghiera, pp.  e : “L’eremo di Optina Pustyn’, dove vissero gli starcy Leonid, Makarij, Amvrosij, costituì un centro di attrazione per gli intellettuali russi. Gli anni fra il  e il  sono caratterizzati dall’instabilità dei valori. In quell’epoca si fa strada un’ideologia materialista, che tende ad allontanare le classi colte dall’ortodossia e dall’influenza della Chiesa. Lo starcˇestvo ... formò una controcorrente la cui importanza non è stata fino a oggi abbastanza riconosciuta ... Gli ambienti colti hanno trovato nello starcˇestvo ... uno stile di vita di fede, l’unità vissuta fra sapere e fede e insieme il mezzo per pervenire a tale unità”. John Dunlop sottolinea che fra il  e il  lo starec Makarij ricevette Gogol’, il filosofo Kireevskij e altri intellettuali russi, e racconta le visite di intellettuali, contadini, persone appartenenti ai livelli sociali più diversi, riportando anche le risposte dello starec ai quesiti di questi visitatori eterogenei ( J. Dunlop, Staretz Amvrosy). 35 K. Ware, Riconoscete Cristo in voi?, p. .



La parola degli starcy, dotata di autorità e di una forza di convinzione particolare, si appoggia sempre sui passi della Scrittura e dei padri della chiesa. “Chiunque riteneva di dover contraddire gli argomenti umani, ascoltava con raccoglimento la Parola di Dio e lasciava perdere ogni riflessione personale” afferma Ignatij Brjancˇaninov a proposito degli starcy Leonid e Makarij36. Secondo tutte le fonti, gli starcy, nutriti di silenzio interiore, di concentrazione, di preghiera hanno un dono particolare: la capacità di leggere nell’animo dei loro interlocutori, di cogliere le profondità nascoste di cui l’altro non è consapevole. Uno starec – scrive Vladimir Lossky – si rivolge sempre a una persona con la sua unicità, la sua vocazione, le sue particolari difficoltà. Grazie a un dono speciale egli vede dentro ogni essere come lo vede Dio e cerca di aiutarlo aprendo i sensi interiori di lui senza fare violenza alla sua volontà ... Per compiere questa operazione carismatica, non è sufficiente avere una profonda conoscenza della natura umana ... bisogna avere una visione della persona37.

Racconta John Dunlop a proposito dello starec Amvrosij, a cui nel  si presenterà lo stesso Dostoevskij, che molti andavano da lui con una combinazione di paura e di sfiducia e si trovavano poi “all’improvviso e involontariamente in ginocchio”38. Ad attrarre una personalità creativa, calda, percettiva, assetata di spiritualità come quella di Dostoevskij non sono state – e difficilmente avrebbero potuto esserlo – le astratte argomentazioni dei teologi e della chiesa ufficiale, ma, usando un’espressione di Pavel Evdokimov, “un cristianesimo aereo, immenso, traboccante di speranza e di grazia, interamente aperto al soffio

36 Cf. I. Smolitsch, Santità e preghiera, p. . 37 V. Lossky, Padri nello spirito. 38 J. Dunlop, Staretz Amvrosy, p. .



dello Spirito”39. Lo ha trovato nella larghezza degli starcy, nutriti dagli insegnamenti dei padri della chiesa e degli esicasti, che hanno dedicato la loro vita a una ricerca capace di coinvolgere non solo le facoltà intellettuali ma tutto l’essere. Mi soffermo su questo aspetto della chiesa d’oriente perché, come vedremo fra poco, è importante per la comprensione di alcuni nodi centrali dell’opera di Dostoevskij e del processo conoscitivo che egli fa compiere ai suoi personaggi. Ad uno starec, ovvero a un personaggio che ha compiuto questa ricerca nel profondo di se stesso, si presenta il protagonista dei Demoni nel momento più critico della sua vita. È l’episodio centrale e il capitolo chiave del romanzo40. Con una struttura che sarà ripresa nei Fratelli Karamazov, dove il racconto della vita dello starec Zosima si contrappone dialogicamente alla vicenda del grande inquisitore immaginata da Ivan, I demoni presenta quattro grandi testi nel testo: la confessione e la lettera di Stavrogin a Dasˇa da un lato e i brani del vangelo di Luca e dell’Apocalisse dall’altro. I primi sono l’espressione di un individuo sottoposto alle influenze distruttive del mondo a lui contemporaneo. I passi biblici, appartenenti a un passato lontano quasi duemila anni, sono i due grandi punti di luce nel buio cupo del romanzo. La Lettera alla chiesa di Laodicea merita un’attenzione particolare. Interpretata secondo la visione larga dello starec, essa offre una chiave importante per la comprensione non solo dei problemi interiori dello Stavrogin dei Demoni, ma anche di altri dei protagonisti dei progetti di quegli anni e dei romanzi successivi.

39 P. Evdokimov, Gogol et Dostoïevsky, p. . 40 Come è noto, nonostante i tentativi fatti da Dostoevskij per salvare il capitolo, Katkov rifiutò di pubblicarlo e il romanzo uscì senza di esso. “U Tichona” ci è giunto in due versioni, arricchite da numerose varianti (cf. F. M. Dostoevskij, Besy: rukopisnye redakcii, nabroski, pp. -). Ho seguito per la mia analisi il testo pubblicato in F. M. Dostoevskij, Besy: glava “U Tichona”, pp. -, tenendo conto delle sfumature introdotte dalle varianti.

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Per comprendere il significato e il ruolo che questo passo del Nuovo Testamento ha nell’opera di Dostoevskij, è necessario secondo me partire dall’altro testo nel testo presente nello stesso capitolo. La confessione che Stavrogin fa leggere allo starec è come spaccata in due parti. La prima è un resoconto freddo, analitico, quasi compiaciuto della superiorità e del dominio di sé di chi scrive. La seconda, legata all’episodio del sogno, è il racconto doloroso e commosso di sensazioni e desideri mai sperimentati prima, che l’autore del testo sente il bisogno di comunicare, quasi cercando un aiuto per la ricomposizione della sua personalità divisa. Nella prima parte l’angusto appartamento di Matresˇa con le porte sempre aperte si presenta simile a un palcoscenico con le luci puntate sull’attore-protagonista. Con compiacimento Stavrogin si descrive impegnato in giochi sadici con una cameriera e con la sua padrona, ma soprattutto signore della vita e della morte della bambina, dopo che egli ha individuato – grazie all’episodio del temperino – il punto di debolezza della ragazzina: l’accettazione del ruolo di vittima delle piccole violenze della madre. Se i meccanismi sono gli stessi che abbiamo esaminato nel capitolo della notte, la vicenda della bambina presenta un elemento sconcertante, inaspettato per lo stesso personaggio che la vive. La presi sulle mie ginocchia, le baciai il viso e le gambe ... Allora accadde a un tratto una cosa molto strana, che non dimenticherò mai e che mi colmò di meraviglia: la bambina mi cinse il collo con le braccia e cominciò a baciarmi furiosamente. Il suo viso esprimeva un vero entusiasmo. Feci per alzarmi e andarmene, tanto la cosa mi era sgradevole in un essere così piccolo; mi sentii preso da pietà. Ma superai il mio improvviso sentimento di orrore e rimasi41. 41 Id., Besy: glava “U Tichona”, p.  (I demoni, p. ).

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È un passo molto delicato, a lungo meditato dall’autore. Come sottolinea Tichon al termine della lettura, il delitto compiuto è estremamente grave e brutto, ma è vissuto da tanti altri che commettono crimini simili senza il tormento di Stavrogin. Per capire la situazione interiore del protagonista dei Demoni un punto nella descrizione mi sembra fondamentale. È la prima volta che egli afferma di provare zˇalost’ (compassione), di partecipare cioè almeno per un momento alla sofferenza di un altro essere umano. Una chiave metodologica utile per comprendere questo punto cruciale del romanzo è offerta dalla teoria del dialogo formulata da Jurij Lotman. Perché lo scambio informativo porti a una feconda crescita della conoscenza, è necessario – afferma il semiologo – che i due partner siano “enantiomorfi”: diversi perché altrimenti non potrebbero produrre un messaggio nuovo, ma anche simili per poter arrivare a comprendersi42. Ora, la piccola e insignificante bambina è vistosamente opposta e speculare rispetto a un partner adulto, consapevole della sua superiorità e del suo potere. È possibile individuare tuttavia un punto di somiglianza, che fa scattare il processo di empatia e un dialogo che il personaggio non riesce a portare a termine neppure a quattro anni di distanza dalla morte di Matresˇa. L’autore della confessione si limita a registrare il comportamento della bambina che lo ha tanto colpito. La descrizione lascia intuire il risveglio in lei di una femminilità ancora dormiente, la vergogna, l’imbarazzo, il piacere di fronte a sensazioni e azioni ignote. L’entusiasmo della risposta, che rende tanto dolorosa la scena a chi la vive e perfino a chi la legge, trova tuttavia secondo me una motivazione profonda in una grande carenza di affetto, nel bisogno anche fisico di carezze e di attenzioni (“La madre le voleva bene, ma la picchiava spes-

42 Ju. Lotman, La semiosfera, pp. -.



so e la sgridava terribilmente secondo l’uso delle donne del popolo”43). Il messaggio muto che Matresˇa trasmette al partner è legato al suo mondo di bambina: la serenità di chi vive concentrato nel momento presente espressa anche attraverso il canto durante il lavoro44, l’evidente bisogno di amore, infine la ribellione manifestata attraverso il piccolo pugno alzato contro di lui45. Il piccolo minaccioso pugno di Matresˇa turba tanto Stavrogin, probabilmente anche perché c’è un elemento comune a lei e a lui bambino nella rabbia di un essere piccolo e indifeso di fronte a qualcosa di troppo più grande di lui, contro il quale non può niente46. Per una drammatica contraddizione Matresˇa risveglia in Stavrogin, attraverso un lungo processo sotterraneo che comincia in 43 F. M. Dostoevskij, Besy: glava “U Tichona”, p.  (I demoni, p. ). 44 Questo dettaglio richiama alla mente del lettore un altro personaggio al quale Dostoevskij ha assegnato il ruolo di vittima, la mite del racconto omonimo (Krotkaja). Il punto in comune tra queste due giovani creature non è soltanto il canto durante il lavoro, che rivela il loro rifugiarsi in un mondo personale di pace non contaminato dall’esterno. La ragazza punta una pistola contro il suo persecutore, così come Matresˇa alza il piccolo pugno. Ancora, entrambe si uccidono, perché non riescono a sopportare di sentirsi colpevoli (cf. a questo proposito S. Salvestroni, “I meccanismi della psiche”). 45 “Mi è insopportabile questa sola immagine ... lei sulla soglia con il piccolo pugno alzato e minaccioso ... dopo di allora mi si presenta quasi ogni giorno. Non si presenta da sé ma io stesso lo evoco e non posso non evocarlo, anche se vivere così per me è insopportabile” (F. M. Dostoevskij, Besy: glava “U Tichona”, p. ; I demoni, p. ). È appunto nel tentativo di porre fine a questa intollerabile visione che Stavrogin medita la pubblicazione della sua confessione e decide di recarsi da Tichon. 46 Il piccolo Stavrogin vive un’infanzia frustrata e povera di affetti. È infatti affidato dalla madre a uno Stepan Trofimovicˇ che fa del piccolo il confidente e il consigliere dei suoi tormenti esistenziali (“Più di una volta svegliò questo ragazzo di dieci undici anni, nella notte, unicamente per sfogare in lacrime, i propri sentimenti offesi ... senza accorgersi che ciò era inammissibile”: Id., Besy, p. ; I demoni, p. ). Varvara Petrovna da parte sua trascura il figlio per dedicare le sue energie a consolidare e a estendere il suo potere, come è evidente dall’episodio di Pietroburgo nel quale la visita a Nikolaj è solo un pretesto e la ragione vera è il desiderio “di riallacciare e ampliare le proprie relazioni”. Col bambino “parla poco”, ma “il ragazzo sente su di lui il suo sguardo morboso che lo segue”. A livello probabilmente non consapevole c’è nella madre di Stavrogin il desiderio di fare anche di lui uno strumento del suo successo mondano nella cittadina, ma soprattutto a Pietroburgo dove – afferma il narratore – “spera di riallacciare attraverso Nikolaj le relazioni perdute” (Id., Besy, p. ; I demoni, pp. -).

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quei giorni di sole di giugno, il desiderio di una dimensione che lei gli ha lasciato intravedere e che proprio lui le ha distrutto. Il personaggio non riesce a portare a termine il colloquio mentale con la bambina anche perché dopo la sua morte egli l’ha assimilata all’interno del suo mondo interiore, fino a farla diventare parte di lui47. L’immagine di Matresˇa, che Stavrogin “trae fuori dalle proprie viscere” e che presenta a Tichon con un’implicita richiesta di aiuto, è, come vedremo, l’elemento che ha messo in moto la discesa nel profondo di se stesso, che porta il personaggio all’unico momento di felicità di tutta la sua vita. L’episodio del sogno è preparato da un lungo processo durante il quale – nonostante le resistenze-difese legate al vecchio modo di vivere e concepire il mondo48 – una forza sotterranea, che agisce a un livello più profondo della coscienza, spinge il personaggio a compiere una serie di azioni non calcolate fino all’esperienza nel piccolo albergo circondato di fiori a cui egli arriva apparentemente per puro caso, per la distrazione che gli fa dimenticare di scendere dal treno alla stazione prevista. In questo luogo “sospeso”, fuori degli spazi e dei tempi programmati, avviene l’incontro con sentimenti e desideri ancora ignoti al suo io cosciente.

47 Cf. Ju. Lotman, La semiosfera, pp. -. “Per il proprio sviluppo dinamico – scrive lo studioso russo – la coscienza ha bisogno di un’altra coscienza, la quale, autonegandosi, cessa di essere altra, nella misura in cui il soggetto ... creando nuovi testi nell’incontro con un altro cessa di essere se stesso. Come l’organismo per nutrirsi deve attaccare con i suoi enzimi ciò che gli hanno fornito dall’esterno e distruggerne l’unità organica per trasformarla in una sostanza assimilabile, il lavoro dell’interlocutore dialogico consiste nel trarre fuori dalla proprie viscere un’immagine del partner realizzata attraverso la distruzione-riorganizzazione del testo ricevuto”. 48 Stavrogin reagisce all’insolito sentimento di pietà per la bambina, di cui si vergogna come di una debolezza, con la paura che lei possa parlare e distruggere la sua immagine. La paura genera a sua volta la rabbia e il disgusto di sé, che portano il personaggio “a storpiare ulteriormente la sua vita” col matrimonio con Mar’ja Timofeevna. Contemporaneamente agisce in lui una forza sotterranea che lo spinge a comprare la fotografia di una bambina che somiglia a Matresˇa, a soffermarsi a Dresda sul quadro Aci e Galatea, a sbagliare stazione ferroviaria, a leggere la Bibbia fino a impararne a memoria alcuni brani, infine ad andare da Tichon.



Come ho scritto nell’“Introduzione”, alcuni critici hanno discusso sulla natura e sulle fonti dei sogni dell’età dell’oro e più ampiamente della dimensione di armonia e di felicità che lo scrittore fa vivere ai suoi protagonisti colpevoli e non credenti: Raskol’nikov, Stavrogin, Versilov, l’uomo ridicolo del racconto omonimo. A mio avviso, gli scritti dei padri della chiesa d’oriente e gli insegnamenti degli starcy forniscono la chiave per comprendere il significato del “paradiso sulla terra”, di cui parlano alcuni personaggi e lo stesso Dostoevskij nelle sue riflessioni e negli appunti. La fonte a cui lo scrittore si è ispirato non è né la mitologia, che fornisce solo il guscio esterno dell’immagine suggerita dal quadro di Lorrain, né il pensiero di Rousseau e degli utopisti francesi. È invece il versetto del vangelo di Luca (Lc ,), così come lo interpreta la chiesa d’oriente (“Il regno di Dio è dentro di voi”), che per aiutare i suoi discepoli a percepire la presenza del divino ha elaborato il metodo della “discesa con la mente nel cuore”. Come abbiamo già sottolineato, Dostoevskij conosceva il mondo degli starcy, aveva letto Isacco il Siro e altri padri della chiesa d’oriente. Dai suoi scritti è evidente tuttavia che egli è giunto alla percezione di quella dimensione di gioia immensa e vibrante di vita da lui definita “paradiso” non attraverso i metodi di meditazione e di preghiera, ma seguendo un’altra strada49. Attingendo alla propria esperienza esistenziale e conoscitiva, Dostoevskij accompagna i suoi personaggi privilegiati alla scoperta di una dimensione di “paradiso” provocata dalla malattia (Markel, Mysˇkin) o da eventi tanto traumatici da scuotere alla radice il loro essere (il “visitatore misterioso”, Stavrogin, l’uomo ridicolo del racconto omonimo nella notte in cui decide di suicidarsi). Per alcuni avviene di colpo tanto da poter precisare il mi-

49 Cf. supra, p. .



nuto esatto in cui hanno percepito l’armonia. Per altri la discesa nel profondo del proprio essere è alla fine di un lungo processo sotterraneo, improvvisamente accelerato da un evento casuale (l’incontro con Zosima per il “visitatore misterioso”, quello con la bambina per l’uomo ridicolo, la vista del quadro a Dresda per Stavrogin). Non tutti arrivano alla scoperta del “regno” all’interno di se stessi. Tuttavia la prima tappa descritta da Ware – la discesa nel luogo interiore del cuore che non è più carne – è la scoperta di una dimensione di bene, di luce, di amore “immessa in ogni uomo dallo Spirito santo”, percepita nella prima infanzia e rimasta poi nascosta e soffocata50 – è propria di ognuno di loro, anche del più colpevole di tutti, Nikolaj Stavrogin. Questa chiave interpretativa trova una conferma anche nel fatto che nell’epilogo dopo questa esperienza Raskol’nikov prende in mano il vangelo e che l’uomo ridicolo dichiara di ispirare la sua nuova vita a un versetto della Scrittura (Luca , che riprende Lv ,)51. Lo stesso protagonista dei Demoni, nella sua solitaria ricerca, dopo il sogno si rivolge alla Bibbia fino a impararne a memoria alcuni brani, che sente dolorosamente importanti per lui e che non riesce a decifrare fino in fondo52. Esaminiamo il messaggio del sogno.

50 Cf. supra, p. . 51 Nel racconto Il sogno di un uomo ridicolo, il protagonista, nel descrivere gli uomini del suo sogno tanto simili a quelli del sogno di Stavrogin, afferma: “Mai avevo veduto sulla nostra terra tale bellezza nell’uomo. Forse solo nei nostri bambini nei loro primissimi anni di età si potrebbe trovare un lontano anche se debole riflesso di questa bellezza”. Mi sembra anche significativo che il protagonista sottolinei che nel sogno “si è sparato al cuore: al cuore e non alla testa; io invece avevo stabilito di spararmi senza fallo alla testa”. 52 È Stavrogin a citare a Kirillov l’Apocalisse (,), a chiedere a Tichon il brano della Lettera alla chiesa di Laodicea e a recitargli versetti del vangelo di Matteo (,) e di Marco (,). Si può notare qui una somiglianza fra Stavrogin e il protagonista di Zˇitie velikogo gresˇnika che – scrive Dostoevskij negli appunti – “legge la Bibbia fino a fondersi con essa” (Idiot [rukopisnye redakcii], p. ). Una frequentazione assidua della Scrittura è manifestata anche da un altro personaggio in ricerca, Ivan Karamazov.

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Testo nel testo all’interno di un altro testo nel testo, esso è nel romanzo il nodo di una rete che si allarga in molteplici direzioni, capace di racchiudere il passato, il presente e il futuro della persona che sogna e di mettere a fuoco il nocciolo del conflitto che il personaggio non riesce a risolvere. Le immagini oniriche, suggerite dal quadro di Lorrain rimandano, come sottolinea lo stesso Stavrogin, all’infanzia dell’umanità, ma anche nel contesto della confessione e del romanzo a qualcosa che è molto più vicino al personaggio, ripescato dall’inconscio nella memoria. La scena presenta infatti elementi che ricordano il mondo di Matresˇa, come Stavrogin lo ha visto e percepito: il canto, la luce del sole durante i loro incontri, un’innocenza non contaminata da sensi di colpa, infine, in antitesi con tutto questo, l’immagine del ragno osservato durante il suicidio della bambina, che Stavrogin ha seguito passo dopo passo. Attraverso la prima parte del sogno è come se il protagonista dei Demoni tornasse al punto di partenza della vita di lei, ma anche di se stesso: a un mondo in cui è possibile sperimentare una “candida gioia”, “la sovrabbondanza di forze intatte”, un caldo reciproco amore. Questa dimensione non è propria soltanto del bambino, ancora ignaro della complessità dell’esistenza e quindi destinato a perdere questo paradiso, ma – secondo gli starcy e gli esicasti – anche dell’individuo adulto che, con una consapevolezza infinitamente maggiore, l’ha ritrovato all’interno di se stesso attraverso una profonda esperienza spirituale53. Al di là delle contraddizioni e dei dubbi naturali in una fede sempre in ricerca, viva e vibrante, la personalità di Dostoevskij – dai quaderni alle riflessioni, dalle conversazioni con gli ami-

53 È la dimensione descritta da Isacco il Siro nel brano che abbiamo citato nell’“Introduzione”: “La pace abiti nel tuo cuore e il cielo e la terra saranno in pace con te. Sforzati di entrare nel tesoro che è in te e vedrai il regno dei cieli ...” (cf. supra, p. ).



ci54 alla creazione letteraria – è protesa verso ciò che rende possibile realizzare il “regno” all’interno di sé, dei personaggi da lui creati, di coloro ai quali egli si rivolge con la parola e con gli scritti. Nei suoi romanzi il “paradiso sulla terra” è qualcosa di vivo e costantemente presente nel proprio cuore soltanto per pochi. Per la maggior parte dei personaggi è soltanto una scoperta in fieri, qualcosa di intravisto per un momento, ma non ancora assimilato dalla coscienza e fatto proprio. Per giungere a questa “pace” c’è bisogno di compiere un lungo lavoro su se stessi oppure – come avviene a Markel, al “visitatore misterioso” e allo stesso Stepan Trofimovicˇ – di essere nella condizione speciale della persona che sente e accetta l’imminenza della propria morte. Stavrogin va nella prima direzione quando, sotto la spinta del suo io sotterraneo, si reca dall’unico individuo che, nel luogo in cui si svolge il romanzo, avrebbe la capacità e gli strumenti per guidarlo alla scoperta in se stesso di una dimensione stabile di paradiso. In questa chiave va letta secondo me anche l’esperienza di Kirillov. Alcuni dei critici, che si occupano di questo personaggio, sottolineano il suo ateismo dichiarato senza mettere in evidenza un punto importante della sua personalità. “Dio mi ha 54 Nel volume Dostoevskij v vospominanijach sovremennikov sono frequenti i ricordi di conversazioni nelle quali Dostoevskij parla della Bibbia, di Dio, del “paradiso sulla terra” (cf. ad esempio S. Kovalevskaja, p. ; V. Timofeeva, pp. , , ; V. Solov’ev, p. ; E. Opocˇinin, p.  eccetera). Studiosi come Pierre Pascal, che avanzavano dubbi sull’ortodossia della fede dello scrittore e parlano delle sue “fughe di fronte al trascendente” (P. Pascal, Dostoevskij: l’uomo e l’opera, pp. -), trascurano queste testimonianze e non tengono conto del fatto che coloro ai quali Dostoevskij si ispira “non sono i dottori dell’ortodossia, ma i testimoni dei carismi e dei doni dello Spirito santo”. Scrive Evdokimov che “le type religieux de Dostoïevsky ressort de la théologie apophatique du christianisme oriental ... Son objet n’est pas la connaissance de Dieu, qui demeure à jamais l’Inconnaissable, mais c’est l’union mystique ... Elle ... postule une nudité réceptive, totalement ouverte à la révélation, à la manifestation de la Présence ... Il est donc facile de concevoir que Dostoïevsky soit un ‘enfant terrible’, ... et qu’il inquiète et ne cessera d’inquiéter les âmes trop ‘installées’ dans le confort de la tradition ou du conformisme” (P. Evdokimov, Gogol et Dostoïevsky, pp. -, ).

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tormentato tutta la vita (Menja vsju zˇizn’ Bog mucˇil )” dice il personaggio al narratore con “sorprendente espansività” nella prima parte del romanzo55. Il verbo mucˇit’ è lo stesso che l’indemoniato di Gerasa pronuncia quando si avvicina a Gesù (Lc ,), formulando un messaggio doppio e contraddittorio: la richiesta esplicita è infatti di essere lasciato in pace, ma l’azione di andare spontaneamente verso Gesù e di stabilire un contatto lascia intravedere un desiderio latente, che si realizza con la guarigione. Se l’esperienza di Kirillov56 viene letta come prima tappa della “discesa con la mente nel cuore”, si chiarisce secondo me il senso di un passo del suo discorso che è apparso spesso ambiguo e quasi delirante, perché ingloba oscuramente nel disegno di bene anche i crimini di Stavrogin: “Tutto è bene, tutto. Tutto è bene per colui che sa che tutto è bene” ... “E se uno muore di fame, se uno oltraggia e disonora una bambina è bene?”. “Sì, è bene ... Sono cattivi perché non sanno di essere buoni. Quando lo sapranno, non violenteranno più la bambina ... Io prego tutto. Vedete, un ragno si arrampica sul muro e io lo guardo e gli sono riconoscente perché si arrampica”57.

55 Cf. F. M. Dostoevskij, Besy, p.  (I demoni, p. ). Come sottolinea Sergej Bulgakov, che cita appunto la frase Menja vsju zˇizn’ Bog mucˇil, “Kirillov appare una delle creazioni più profonde e straordinarie del genio mistico di Dostoevskij ... Ingegnere di professione, Kirillov vive soltanto di interessi religiosi” (S. Bulgakov, “Russkaja tragedija”, p. ). 56 Come si ricava dal contesto, l’esperienza di Kirillov è provocata dall’esplosiva, traumatica situazione interna di un uomo che attraverso l’incontro con un bambino riscopre la pienezza e bellezza dell’esistenza, ma continua a teorizzare la necessità del suicidio come atto di affermazione estrema di se stesso. Sia Sˇatov che Stavrogin sottolineano la “bontà” e “generosità” di questo personaggio. Sˇatov avanza anche l’ipotesi che l’esperienza di armonia e di limpida gioia di Kirillov, avvenuta esattamente alle  e  di un mercoledì, sia dovuta all’insorgere dell’epilessia, che starebbe per manifestarsi. Vorrei ricordare che anche Mysˇkin accede a questa dimensione di armonia e di felicità immediatamente prima dei suoi attacchi epilettici. 57 F. M. Dostoevskij, Besy, pp. - (I demoni, pp. -).



Questa apparentemente paradossale espressione di armonia cosmica e di amore senza limiti trova riscontro negli scritti di Isacco il Siro, letti da Dostoevskij, in particolare in questo famosissimo brano sul quale torneremo nel capitolo dedicato ai Fratelli Karamazov: Che cos’è un cuore caritatevole? È un cuore che si infiamma di carità per l’intera creazione, per gli uomini, per i demoni, per tutte le creature ... una compassione immensa penetra il suo cuore ... esso prega anche per i rettili, mosso da una pietà infinita58.

Questa assoluta limpida purezza, che accomuna il pensiero di Isacco il Siro al modo di sentire di Kirillov, offre una chiave per la comprensione-accettazione della presenza del male nel mondo, problema che è al centro delle riflessioni tormentose di alcuni personaggi di Dostoevskij, e in particolare di Ivan Karamazov. Alla luce di un disegno di amore e di bene tanto largo da inglobare tutto, l’incontro con Matresˇa, che si conclude col delitto, è effettivamente per Stavrogin, colpito per la prima volta da pietà, l’unica occasione di rigenerazione di tutta la sua vita, che la bambina sia pure involontariamente gli offre, pagando un prezzo altissimo. Se utilizziamo come chiave per questo episodio l’indicazione di Isacco il Siro, l’intuizione di Kirillov, il versetto di Giovanni (,) che sarà l’epigrafe dei Fratelli Karamazov e il messaggio del libro dell’Apocalisse, tanto caro a Dostoevskij, allora Matresˇa in una prospettiva che – come suggeriscono i testi biblici – va al di là della finitezza terrena, non subisce nella sua essenza profonda alcun male. Può infatti essere accolta grazie all’estrema offesa subita da creatura piccola e indifesa fra gli “eletti” della

58 Isaak Sirin, “Slovo” , pp. -.

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Rivelazione di Giovanni: le “vittime che sono passate attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap ,). Contemporaneamente, per chi ha fatto il male essa è il chicco dolorosamente fecondo che, morendo, ha germogliato nel cuore di lui e che ha già dato i primi frutti. Sembra a questo punto contradditorio che il Kirillov capace di riconoscere la presenza del disegno divino in tutti gli aspetti della creazione, anche i più sconvolgenti e disgustosi, termini la sua vita col suicidio, addossandosi in una lettera i delitti di Petr. Un esame attento della luminosa sintesi intuitiva operata da questo personaggio rivela tuttavia una lacuna, che sarà alla base del fallimento della sua esistenza. Il mistico Kirillov percepisce l’armonia del mondo e il disegno di bene, ma, come afferma con un lapsus rivelatore, “è incapace di partorire”59, di far nascere cioè all’interno di se stesso una nuova visione del mondo. L’idea del suicidio come atto di affermazione di sé e l’estatica percezione della bellezza e pienezza dell’esistenza restano in lui due blocchi contrapposti ugualmente potenti. Per comprendere i meccanismi psichici del personaggio appaiono significative le sue preferenze bibliche e i suoi commenti ai brani da lui amati. Kirillov legge all’evaso Fed’ka l’Apocalisse, è attratto dal passo sul giudizio finale in cui si afferma che “non ci sarà più tempo” (Ap ,), cita a Sˇatov il versetto di Marco sulla venuta definitiva del regno (,). 59 “Peccato che io non sappia partorire” dice il personaggio a Sˇatov in cerca di una levatrice per la moglie. Al di là del significato immediato in quel contesto, con questa espressione, che pronuncia assorto in se stesso, rispondendo quasi meccanicamente, Kirillov esprime la sua condizione interna. È interessante anche la professione scelta da Dostoevskij per questo personaggio. Kirillov è ingegnere e dice di essere venuto nella cittadina perché spera di avere un impiego per la costruzione di un ponte. Il personaggio non costruirà il ponte materiale, né quello metaforico, che gli permetterebbe di passare dalla sua vecchia idea di distruzione alla nuova visione, che ha intuito, ma non fatta propria.

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Io credo che l’uomo dovrebbe smettere di generare. A che scopo i figli, a che scopo il progresso, se il fine è stato raggiunto? Nel vangelo è detto che, dopo la resurrezione, gli uomini non genereranno, ma saranno come gli angeli di Dio60.

Kirillov percepisce il punto di partenza (“Dio quando creava il mondo alla fine di ogni giorno della creazione diceva: Sì, questa è la verità, questo è buono”) e si proietta con tutto il suo essere verso quello di arrivo. Dà però per scontato che il “fine è già stato raggiunto”, salta tutto il percorso, colloca se stesso e il mondo già nella Gerusalemme celeste, senza tentare di sciogliere i nodi e le contraddizioni irrisolte nel profondo di se stesso e della realtà in cui vive. Privo di qualcuno più consapevole di lui, che lo aiuti a decifrare il senso della sua esperienza e dei brani biblici che gli stanno a cuore, subisce l’influenza di Petr fino ad autodistruggersi. Per ragioni diverse, come vedremo, anche Stavrogin è vittima di questa logica, evidente già nel sogno dove l’immagine del ragno si contrappone alla felicità della scena precedente, senza che il personaggio riesca a trovare in se stesso la capacità di elaborare queste due immagini in una visione nuova che possa contenerle entrambe.

La Lettera alla chiesa di Laodicea L’atteggiamento di Stavrogin nell’incontro con Tichon è simile a quello descritto da John Dunlop per i visitatori dello starec Amvrosij. Ci sono da un lato l’ironia e le ripetute affermazioni della propria autosufficienza (“Non ho bisogno di sapere nulla

60 F. M. Dostoevskij, Besy, pp. - (I demoni, p. ).

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da nessuno ... nella mia anima non chiamo nessuno ... non ho bisogno di nessuno. Posso fare da me”61). Contemporaneamente sono presenti nel modo di esprimersi di Stavrogin una semplicità di spirito (prostodusˇie) e una sincerità (otkrovennost’) per lui assolutamente insolite. Il personaggio che si reca dallo starec è, come abbiamo visto, un uomo che ha sempre presentato a tutti una seducente immagine di superiorità e che del suo potere sugli altri ha fatto la ragione della propria vita. Di qui la paura di perdere quello che ha e insieme il desiderio che qualcuno, togliendogli una maschera divenuta ormai quasi insopportabile, guardi finalmente dentro di lui e lo veda per quello che è: spaventato, incerto, bisognoso degli altri. Stavrogin può parlare tanto liberamente e perfino dire al suo interlocutore “Sapete vi voglio molto bene”, perché per la prima volta nella sua vita trova qualcuno capace di accoglierlo, di leggergli dentro senza fargli male. Questo dialogo già difficile, lo è reso ancora di più dal fatto che il personaggio ha preparato nella sua mente le risposte che spera di ottenere dallo starec e che sono legate alle sue personali interpretazioni dei passi biblici intorno ai quali si sviluppa il colloquio. È in questo senso significativo il brano del capitolo immediatamente precedente alla recitazione della Lettera. Anche in questo caso non è Tichon ma Stavrogin a proporre un versetto della Scrittura (Mt ,): “Credete in Dio?” ... “Ci credo”. “Perché è detto che se uno crede e ordina a una montagna di muoversi quella si muoverà ... del resto scusatemi per questa assurdità. Tuttavia sono curioso di sapere se siete capace di muovere una montagna o no”62.

61 Id., Besy, pp. - (I demoni, pp. -). 62 Cf. Id., Besy: glava “U Tichona”, p.  (I demoni, p. ). L’altro versetto che Stavrogin cita nel capitolo è tratto dal vangelo di Marco (,) “chi scandalizza uno di

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Il versetto è la risposta di Gesù alla domanda dei discepoli “perché non abbiamo potuto scacciarlo?”, riferita all’episodio della guarigione di un indemoniato, che Cristo ha compiuto e che a loro non è riuscita. Come è evidente, il brano di Matteo è per il protagonista del romanzo, che ha appena raccontato la sua quotidiana allucinazione di un demone presente accanto a lui, tutt’altro che casuale. Spinto da una disperata esigenza di cambiamento interiore, Stavrogin ha escogitato il podvig della confessione pubblica, per lui pesantissima da sopportare. Qui tuttavia viene indirettamente verificata un’altra possibilità. La domanda formulata allo starec è il goffo tentativo di un personaggio, che si accosta per la prima volta al campo spirituale con un misto di scetticismo e di avida voracità, per capire se Tichon, uomo santo, potrebbe liberarlo subito dal male con un’azione dall’alto, grazie al suo potere bianco di taumaturgo. È evidente che nella sua interpretazione del brano di Matteo Stavrogin utilizza categorie a lui familiari fin dall’infanzia: la logica di potenza, l’agire dall’alto sulla vita degli altri63. L’operazione da lui compiuta accostandosi alla Bibbia si configura così come un semplice rovesciamento, un cambiamento di segno rispetto a ciò questi piccoli ...”, che a sua volta richiama Matteo (,). Nonostante l’apparente noncuranza e ironia della domanda, Stavrogin attraverso questo versetto esprime il timore di uno che vorrebbe liberarsi dal suo male, ma ha paura di aver compiuto una colpa per la quale non c’è perdono. Questo stesso versetto ha un ruolo centrale nell’Adolescente. Esso è inserito all’interno del testo nel testo raccontato da Makar: la storia del mercante Skotobojnikov. Il versetto fornisce la chiave di interpretazione per il racconto di Makar e più ampiamente per tutta la vicenda del romanzo. Non svolgo in questo lavoro una analisi dettagliata dell’Adolescente perché il romanzo tocca temi e problemi già ampiamente trattati nel corso di questo volume e inoltre perché le poche citazioni bibliche contenute nel libro, esclusa questa di Makar, sono pronunciate nel corso di conversazioni mondane da Versilov e da Arkadij e non appaiono significative nel contesto dell’opera. 63 Sono in questo senso importanti le indicazioni che il narratore ci fornisce su quelli che dovrebbero essere i suoi modelli. Da un lato il suo educatore si affida ai consigli del piccolo Nikolaj e piange di notte sulla sua spalla. Dall’altro la madre, che – come sottolinea enigmaticamente Tichon – ha con lui una somiglianza interiore, dedica la sua vita a dirigere e guidare dall’alto l’esistenza degli altri: Stepan Trofimovicˇ, Dasˇa, perfino la venditrice di vangeli incontrata alla fine del romanzo.

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che gli è già noto. A questa proposta, che ricorda la terza tentazione di Satana che vorrebbe fare di Cristo un Messia di potenza (cf. Lc ,-), Tichon risponde con grande umiltà, scompaginando le aspettative del suo interlocutore. La Lettera alla chiesa di Laodicea, recitata subito dopo queste battute, è oggetto di interpretazione da quasi venti secoli. Inserita nel contesto dei Demoni, essa acquista tuttavia una intensità e un significato particolari, suggeriti da quello speciale contesto64. Per il personaggio che la ascolta, essa è materia incandescente, parola che parla in quel momento con un effetto sconvolgente e liberatorio proprio e soltanto a lui. Per comprendere il messaggio che Dostoevskij vuol trasmettere al lettore con il capitolo chiave del suo romanzo, penso che sia importante analizzare il brano parola per parola, perché quasi ogni espressione del testo biblico illumina per somiglianza e per contrasto gli aspetti più intimi e segreti del protagonista dei Demoni e del suo dramma esistenziale. All’Angelo della chiesa di Laodicea scrivi: Così parla l’Amen, il Testimone fedele e verace, il principio della Creazione di Dio. Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo. Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla”, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo65.

A caratterizzare questa lettera rispetto alle altre dell’Apocalisse è una particolare insistenza sui titoli di Cristo e un lin-

64 Scrive Lotman a proposito del testo nel testo: “Proprio perché il messaggio che entra dall’esterno è un testo e non un ‘senso nudo’, esso acquista nel nuovo sistema indeterminatezza, si presenta come una costruzione poliglotta, passibile di una serie di interpretazioni dal punto di vista di linguaggi diversi” (Lotman, La semiosfera, p. ). 65 Ap ,-.

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guaggio estremizzato, nei toni taglienti dell’inizio come nel calore del finale, che alcuni hanno interpretato come segno della speciale forma di amore con la quale Cristo si rivolge a chi è quasi perduto66. Ora, per i destinatari interni ed esterni dei Demoni, gli aggettivi che qualificano Colui che parla si presentano come l’esatto opposto di ciò che Stavrogin è stato, ha cercato, ha voluto per tutta la sua vita. Cristo è l’Amen67, il “Testimone fedele e verace” cioè il sì pieno, sincero, totale alla volontà del Padre, mentre il protagonista dei Demoni, visceralmente infedele e insincero, è stato fino a questo momento il no, la negazione del progetto di vita, di bene, di felicità. Nell’Apocalisse Colui che dice sì al progetto di Dio e che lo testimonia con tutto se stesso si rivolge a chi va nella direzione opposta per aiutarlo a pronunciare lo stesso sì. Cristo “conosce le opere” del suo interlocutore. Il verbo greco oîda (tr. russa znaju) esprime una conoscenza piena, che non ha bisogno di crescita e di verifica. È lo stesso tipo di conoscenza di cui, secondo le testimonianze, sono dotati gli starcy, capaci di vedere da subito la persona nella sua interezza, al di là delle apparenze e degli schermi68. Un’attenzione particolare meritano gli aggettivi di denuncia. Vale la pena di prendere in considerazione le sfumature e i richiami che essi hanno nel contesto biblico, perché queste sfu-

66 Cf. U. Vanni, L’Apocalisse; S. Tarocchi, “Il ruolo del soggetto interpretante”. 67 Amen è il participio del verbo ebraico aman e indica l’essere “sicuro, solido, certo, durevole” (cf. C. Tresmontant, Apocalypse de Jean). Vanni fa notare che è l’unico caso in cui il termine è presente nel Nuovo Testamento come attributo di Cristo e che il suo modello veterotestamentario è Isaia , (U. Vanni, L’Apocalisse, pp. -). Cristo, in quanto amen è il sì definitivo di Dio (cf. E. Bianchi, L’Apocalisse). 68 Il verbo oîda – scrive Vanni – esprime una conoscenza piena, posseduta, senza quel divenire della coscienza stessa che invece esprime il termine analogo ghignósko. Nell’Apocalisse (,) Cristo definisce se stesso: “Io sono colui che scruta i reni e i cuori e darò a voi a ciascuno secondo le opere vostre”.

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mature sono importanti per illuminare il significato che il passo dell’Apocalisse ha per il destinatario interno dei Demoni. Nel testo greco la posizione enfatica di sy` eî (“tu proprio tu sei ...”) sottolinea con drastica chiarezza che il destinatario a cui la Lettera si rivolge è proprio l’opposto di quello che afferma di essere. Il termine greco talaíporos e il verbo e il sostantivo con la stessa radice (tr. russa zˇalok, tr. italiana “infelice”) hanno nel contesto biblico – afferma Vanni – il significato di “essere insufficiente, manchevole di un elemento essenziale” (cf. Rm , e ,; Gc , e ,). Eleeinós (tr. russa beden, tr. italiana “miserabile”) ha alla lettera il valore di “degno di compassione, commiserazione”. Nel contesto del romanzo questi due termini suonano come una precisa smentita all’immagine che Stavrogin offre di se stesso, superiore a tutti, non bisognoso di nessuno. È proprio questo punto – la paura del ridicolo e il non sopportare di essere per gli altri oggetto di compassione – che determinerà il fallimento del colloquio con lo starec. Ancora Laodicea è ptochós (tr. russa nisˇ, tr. italiana “povero”), typhlós (tr. russa slep, tr. italiana “cieco”), ghymnós (tr. russa nag, tr. italiana “nudo”). Come la chiesa di Laodicea di fronte a Cristo, il protagonista dei Demoni si presenta a Tichon, a cui crede e non crede, nella sua miserevole nudità e povertà spirituale, incapace di vedere il suo male, degno di compassione, insufficiente a risolvere da solo la tragedia della sua vita. In modo simile a lui, i personaggi più chiusi e orgogliosi creati da Dostoevskij, Raskol’nikov e Ivan Karamazov, ai quali ben si adattano gli aggettivi di denuncia della Lettera, mostrano la loro nudità a un solo personaggio, di cui almeno parzialmente si fidano (Sonja, Alesˇa). Ancora, come Laodicea, Stavrogin non è “né caldo né freddo”. Non è ignaro infatti della dimensione di felicità e di armonia che ha sperimentato nel sogno, ma non ha la fiducia e la 

determinazione sufficienti per liberarsi dei suoi mali e abbandonare la vecchia vita69. L’ascolto del brano biblico dalla voce di un altro, che ci crede con tutto se stesso, funziona come una lente di ingrandimento che mette a fuoco il nocciolo dolente della vicenda esistenziale di chi ascolta e si sente così finalmente rivelato non solo a se stesso, ma anche a un altro essere umano. Come vedremo, l’occasione di rigenerazione che è offerta a Stavrogin da questa particolare situazione si gioca tutta sull’accettazione-rifiuto della seconda parte della Lettera, assente nel romanzo, perché il personaggio interrompe lo starec. Cito il brano mancante perché proprio la sua assenza è significativa e portatrice di senso. Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista. Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti. Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere presso di me sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese70.

Questo messaggio è inserito indirettamente nel capitolo attraverso i consigli dello starec, che assume nell’ultima parte del colloquio lo stesso ruolo che ha Cristo nella Lettera, il quale a sua volta fa suo l’atteggiamento dello sposo del Cantico dei Cantici.

69 Inoltre Tichon sottolinea che il credere al demonio senza credere in Dio, come afferma Stavrogin, è espressione di tiepidezza, dell’“indifferenza mondana, che non ha nessuna fede al di fuori di una paura nera” (cf. F. M. Dostoevskij, Besy: glava “U Tichona”, p. ; I demoni, pp. -). 70 Ap ,-.

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Parlando attraverso una porta quasi chiusa, Tichon si fa piccolo e umile, esprime entusiasmo, calore, commozione, spianando la strada a Stavrogin perché lo ascolti. Come abbiamo visto, il protagonista dei Demoni aspira a vistosi, plateali, immediati cambiamenti, operati dal potere dello starec o dal suo stesso atto di pubblica confessione. Il nocciolo del messaggio della Lettera è invece la proposta di un lavoro lungo, difficile e certamente anche doloroso da fare su se stessi, che Cristo e i suoi messaggeri possono indicare e incoraggiare, ma non compiere per un altro71. L’espressione agorásai par’ emoû significa alla lettera “acquistare presso di me” (non “da me” come traduce la Bibbia di Gerusalemme; in russo è kupit’ u menja) e sottintende non un atto immediato ma una purificazione che si compie attraverso la vicinanza a Cristo, la frequentazione assidua della Parola di Lui e la comprensione profonda del suo messaggio. Nel contesto dei Demoni, due sono le indicazioni chiave fornite dal brano, che tornano nelle parole di Tichon (“ti consiglio di comperare da me vesti bianche ... e collirio ... per recuperare la vista”). La “veste” è espressione di come l’uomo si relaziona e si presenta davanti agli altri72. La veste bianca nei vangeli è propria degli angeli accanto al sepolcro (cf. Gv ,; Mc ,; Mt ,): partecipa alla resurrezione, è legata alla rinascita a una nuova vita. Nel brano di Luca, posto da Dostoevskij come epigrafe del romanzo, l’indemoniato è nudo in mezzo ai sepolcri, ma “vestito e tornato in sé” ai piedi di Cristo. 71 In questa chiave, in armonia col brano biblico, va letta, secondo me, la conclusione dell’episodio. La causa del fallimento è la resistenza di Stavrogin a vincere le sue debolezze e non l’insufficienza dello starec Tichon come sostengono alcuni interpreti. Cf. S. Linner, Starets Zosima, pp. -, che a sua volta cita V. Komarovicˇ, Dostoevski Mystik, pp. -. 72 Cf. S. Tarocchi, “Il ruolo del soggetto interpretante”.

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Tichon sconsiglia il podvig escogitato da Stavrogin, perché con la confessione pubblica si spoglierebbe nel modo peggiore, esponendo con disprezzo come una sfida la sua vergognosa nudità. Come sottolinea lo starec, questo atteggiamento si rivela anche negli errori di ortografia e nella bruttezza della forma, trascurata, sciatta, buttata in faccia al lettore senza riguardi. La proposta di Tichon non è il rovesciamento improvviso a cui aspirano Stavrogin e Kirillov ma un periodo di “cinque sette anni di noviziato segreto”: Con questo grande sacrificio acquisterete tutto ciò che desiderate e che forse non vi aspettate neanche, poiché ora non potete nemmeno capire quello che riceverete ... Abbandonate questi fogli e la vostra intenzione e allora sarete un vincitore completo – dice lo starec riprendendo il termine “vincitore” che conclude la Lettera –. Mortificate tutta la vostra superbia e il vostro demonio! Finirete da vincitore, raggiungerete la libertà73.

Il messaggio che il brano dell’Apocalisse e Tichon trasmettono con amore è che per rinascere a nuova vita è necessario prendere coscienza delle proprie debolezze e degli ostacoli e accettare di morire a quello di cui si è prigionieri con dolore. La cecità di Stavrogin, come rivelano la confessione e tutto il suo atteg-

73 F. M. Dostoevskij, Besy: glava “U Tichona”, p.  (I demoni, pp. -). Vorrei qui sottolineare una sfumatura secondo me importante nel concetto di libertà presente nei romanzi di Dostoevskij. Afferma Catteau: “Le problème métaphisique au coeur de la Vie d’un Grand Pécheur est au-delà de l’existence de Dieu, qui n’est pas niée ... la difficile conciliation de la liberté de Dieu et de la liberté de l’homme. Ce serait le thème central de l’oeuvre de Dostoevskij” ( J. Catteau, La création littéraire, p. ). Ora, secondo me, il valore primario verso cui tendono i protagonisti di Dostoevskij non è la libertà nell’accezione laica contemporanea, ma il raggiungimento di quel “paradiso sulla terra” all’interno del quale questo termine ha il significato che Tichon gli attribuisce nelle parole che abbiamo citato. Penso che sia questo il senso che un termine così largo e ricco di sfumature assume nel contesto dei romanzi di Dostoevskij maturo, nutriti dall’influenza della Bibbia e della tradizione della chiesa d’oriente.

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giamento, ha la sua radice nella non conoscenza di sé, nella repressione di qualcosa di essenziale nell’essere umano: le emozioni e le relazioni d’amore, frustrate in lui bambino e screditate più tardi dai modelli di un mondo percorso da spinte altamente distruttive. Poiché non conosce e non ama se stesso, Stavrogin non è in grado di capire e amare gli altri: li manipola e li usa, come abbiamo visto, per acquistare potere o per puro divertimento, cercando di colmare così la sua insufficienza esistenziale. Nella lettera a Dasˇa, scritta poco prima del suicidio, egli afferma di avere “provato ovunque la sua forza”: “ma a che cosa applicare questa forza, ecco quello che non ho mai visto e non vedo nemmeno ora”74. Alla luce del brano dell’Apocalisse interpretato da Tichon, la soluzione era quella opposta: far fiorire e fruttificare la propria debolezza, nascosta da Stavrogin perfino a se stesso, prendere coscienza del bisogno degli altri, della propria insufficienza e povertà interiore. Il cammino indicato dagli starcy e dai padri della chiesa nei loro scritti75 ha come base lo studio dei meccanismi delle passioni umane. Gregorio Palamas, Nil Sorskij, Paisij Velicˇkovskij e gli starcy di Optina Pustyn’ – scrive John Dunlop – hanno elaborato di generazione in generazione una “mappa” sempre più circostanziata, capace di descrivere con precisione scientifica, analizzandola e catalogandola, ogni passione umana, a partire dall’orgoglio, dalla vanagloria, dalla lussuria76. Affrontando la stessa tematica e facendola vivere nei suoi romanzi grazie a una non comune forza creativa, il Dostoevskij

74 F. M. Dostoevskij, Besy, p.  (I demoni, pp. -). 75 Lo stesso Dostoevskij aveva probabilmente intrapreso questo cammino, a lui noto attraverso le sue letture. Dunlop racconta che lo starec Amvrosij, dopo il suo incontro con lo scrittore avrebbe detto: “È uno che si pente”. Di Solov’ev che lo accompagnava avrebbe detto invece: “Quest’uomo non crede nella vita dopo la morte” ( J. Dunlop, Staretz Amvrosy, p. ). 76 Ibid., pp. -.

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della maturità pone di fronte al suo lettore la vasta gamma delle passioni umane: dallo sfrenato desiderio di denaro dell’“adolescente”, del “grande peccatore”, di tanti personaggi del romanzo L’idiota, all’avidità di affermazione sociale di Ganja Ivolgin, dal rancore autodistruttivo di Nastas’ja Filippovna alla lussuria di Fedor Pavlovicˇ e Mitja Karamazov. All’apice della scala di queste passioni si pone – per gli asceti come per lo scrittore – la più subdola e pericolosa, quella che è al centro appunto del romanzo che stiamo esaminando. Torniamo ora al problema del significato del capitolo chiave dei Demoni, dove il colloquio tra Tichon e Stavrogin si intreccia con i due testi nel testo che abbiamo esaminato. Ho detto nell’“Introduzione” che il lavoro artistico di Dostoevskij è proteso verso la ricerca di che cosa consente all’uomo di scoprire in se stesso il “paradiso” e che cosa genera invece il fallimento di tante esistenze, in cui finisce per prevalere la chiusura in se stessi, il senso di vuoto, la distruttività. Il mondo russo del secondo Ottocento offriva allo scrittore innumerevoli esempi di questi fallimenti, come li offre cento anni dopo, in un contesto storico-culturale tanto diverso, la realtà in cui noi viviamo. Il meccanismo che imprigiona Stavrogin trova nel romanzo la sua chiave interpretativa nel testo biblico, sentito da Dostoevskij come parola viva e feconda, per lui stesso, per i suoi personaggi, per ogni essere umano. In un commento al capitolo delle tentazioni di Luca (,-) un interprete occidentale contemporaneo, parlando del potere, afferma che esso gioca sull’esigenza di fondo di ogni persona, quella di essere accolta. Questa necessità è ferita da esperienze negative nel cammino di ognuno. Quanto più è profonda e traumatizzata l’insicurezza, tanto più la persona gravita sul potere. In questo riceve aiuto dai modelli culturali orientati nella stessa direzione. La sfiducia genera aggressività e l’orgoglio nasconde la frustrazione di non essere riusciti in quello che è essenziale: la comunicazione con gli altri, la realizzazione di dinamiche 

di amore. Il test di uno che “è rinato dall’alto” è il suo essere “aperto al dialogo, liberato dalla tentazione del potere”77. Ho citato questo commento al passo di Luca di un nostro contemporaneo, attento ai mali anche economici e politici della società di oggi, perché per un paradosso credo solo apparente esso illumina con estrema chiarezza il nocciolo doloroso – la ferita – che è alla base della complessa vicenda esistenziale di un personaggio creato più di cento anni fa. A collegare questi due testi così diversi e lontani è la chiave biblica a cui entrambi si ispirano. Ricordo che il capitolo di Luca era caro a Dostoevskij, che lo pone al centro delle lacerate riflessioni di Ivan Karamazov. Nei Demoni esso non è citato, ma è, come abbiamo visto, indirettamente presente nei giochi di seduzione di Stavrogin, nella proposta a Tichon di muovere la montagna, così come nelle deliranti parole di Petr che offre a Stavrogin il dominio del mondo. L’influenza del testo biblico sulle opere di Dostoevskij è stata colta con una brillante intuizione, non sviluppata poi in un’analisi, da uno dei suoi primissimi interpreti, Vladimir Solov’ev: Soltanto pochi in Israele ... conoscevano un nemico più terribile e misterioso dei romani, e cercavano un’altra vittoria, ancora più ardua ma in compenso più fruttuosa. Per costoro, alla domanda “che fare?” c’era una sola risposta ... “Se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio” ... Dostoevskij penetrò più profondamente degli altri l’essenza del regno veniente e con più forza e slancio di chiunque altro lo preannunciò ... Non c’è in Dostoevskij ... un ideale sociale esterno, un ideale che non sia legato alla trasformazione interiore dell’uomo e alla sua rinascita dall’alto78. 77 “Queste persone non riuscite – continua il commentatore – si proiettano in strutture alienanti, creano dei modelli a loro immagine e la catena continua ... I campi che offrono all’uomo la possibilità di creare degli ambiti di potere, il vestiario per essere accolti dagli altri, sono la sfera politica, quella religiosa, quella economica” (A. Paoli, La radice dell’uomo, pp. -). 78 V. Solov’ev, Dostoevskij, pp. -.

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Come è facile vedere, il passo del vangelo di Giovanni (,) riprende il motivo conduttore dei brani della Scrittura inseriti nei romanzi di Dostoevskij, che abbiamo citato nell’“Introduzione”. Il problema di come “rinascere dall’alto” con le sue molteplici implicazioni esistenziali è alla base di tutta l’opera di Dostoevskij maturo da Delitto e castigo ai Fratelli Karamazov.

L’indemoniato di Gerasa Resta da esaminare l’ultimo testo biblico inserito nei Demoni79: Vi era là un numeroso branco di porci che pascolavano sul monte. Lo pregarono che concedesse loro di entrare nei porci, ed egli lo permise. I demoni uscirono dall’uomo ed entrarono nei porci e quel branco corse a gettarsi a precipizio dalla rupe nel lago e annegò. Quando videro ciò che era accaduto i mandriani fuggirono e portarono la notizia nella città e nei villaggi. La gente uscì per vedere l’accaduto, arrivarono da Gesù e trovarono l’uomo dal quale erano usciti i demoni, vestito e sano di mente, che sedeva ai piedi di Gesù; e furono presi da spavento. Quelli che erano stati spettatori riferirono come l’indemoniato era stato guarito80.

Considerando la “memoria interna” del libro da cui è tratto il brano, è significativo nel contesto del romanzo il fatto che l’episodio dell’indemoniato di Gerasa sia immediatamente successivo a quello della tempesta sedata, caratterizzato dal sonno 79 Di alcuni aspetti di questo testo nel testo, dei suoi legami con la Lettera alla chiesa di Laodicea, delle ragioni della sua scelta come epigrafe ho già parlato nei paragrafi precedenti. 80 Lc ,-.

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di Cristo, che fa temere ai discepoli il naufragio della barca. Il mondo dei Demoni presenta una situazione simile in tutta la prima parte dell’opera. Il brano di Luca lega l’inizio e la fine del romanzo a un doppio livello, che coinvolge i destinatari interni ed esterni. Il lettore si vede infatti richiamare alla mente l’epigrafe proprio nell’ultimo capitolo, quando tutta la vicenda è compiuta. È un invito a riprendere in mano la chiave di lettura fornita all’inizio, capace di rivelare ora più larghi e complessi significati, alla luce dell’ampio bagaglio informativo che il destinatario ha ricevuto. All’interno, Stepan Trofimovicˇ ne chiede la lettura alla fine della sua vita, ricordando che “questo passo gli è rimasto nella mente dall’infanzia”. Usando un’espressione dello starec dei Fratelli Karamazov, possiamo dire che un seme gettato in lui da bambino germoglia felicemente proprio quando la sua vita si conclude: Occorre solo un piccolo seme, un minuscolo seme – dice Zosima a proposito della lettura della Bibbia – che lo gettino nell’animo di un uomo semplice ed esso non morirà, ma vivrà nella sua anima per tutta la vita, resterà nascosto in lui tra le tenebre, fra il lezzo dei suoi peccati, come un puntino luminoso, come un sublime ammonimento81.

La metafora del puntino mi sembra significativa anche per I demoni. Nel campo delle nostre percezioni ottiche una zona di buio non è significativa in un ambiente in cui domina la luce. Al contrario, nelle tenebre anche una piccolissima sorgente luminosa è avvertibile e attrae l’attenzione. Lo stesso avviene nel campo esistenziale dei protagonisti del romanzo, e qui in parti-

81 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).

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colare in quello del personaggio al quale Dostoevskij dedica le ultime pagine dell’opera, prima del breve capitolo di chiusura. L’“originalissima conclusione del destino di Stepan Trofimovicˇ”, alla quale Dostoevskij allude nella lettera a Majkov del / marzo , è contrassegnata dal momento di autocoscienza che nella vicinanza della morte consente al personaggio di mettere per la prima volta a fuoco – proprio attraverso il passo biblico – il male che è in lui stesso e che ha tanto disastrosamente influito sulla giovane generazione a lui affidata (in particolare su Nikolaj, Petr, Liza). Nel momento in cui sente di finire come individuo e di avere fallito, Stepan Trofimovicˇ trova la forza, ancora sotto la spinta del brano evangelico, di proiettarsi in qualcosa che sopravviverà a lui, più grande del piccolo io che ha coltivato per tutta la vita. Usando uno strumento fino ad allora a lui estraneo, il frivolo, debole, egoista Stepan Trofimovicˇ, nella visione-riflessione che conclude la sua esistenza, immerge la Russia, che dice di avere sempre amato, in una luce soffusa di speranza, immaginando la sua futura rinascita e guarigione. Nel momento in cui per la prima volta egli dimentica se stesso, una dimensione di luce viene ad avvolgere anche gli ultimi istanti della sua esistenza individuale. Dostoevskij concede a questo personaggio di compiere in un tempo brevissimo tutto il cammino verso una dimensione di pienezza e di felicità. Come per il Dostoevskij degli appunti, è una gioia raggiunta attraverso la sofferenza, che in questo caso colpisce il personaggio tanto a fondo da uccidere il suo corpo. A scuoterlo fino alla radice del suo essere sono il crollo di tutto il suo mondo avvenuto in un giorno solo – quello della festa del governatore e dei crimini della cinquina – e la fulminea malattia mortale, che lo spoglia dei falsi valori dietro ai quali aveva nascosto anche a se stesso le sue più profonde esigenze esistenziali. Come tutti coloro che nell’opera di Dostoevskij scoprono una grande, luminosa verità, Stepan Trofimovicˇ ha bisogno di comunicarla a qualcuno. Con salti logici, spinto da una grande fret

ta sapendo di non avere più tempo, egli la trasmette all’unico ascoltatore che gli è rimasto, la venditrice di vangeli incontrata per caso durante il viaggio. Sof’ja Matveevna, povera e pura di cuore come la Sonja di Delitto e castigo, offre a Stepan Trofimovicˇ al momento giusto il libro che mette in moto il suo dialogo interiore. È lei a leggergli il brano di Luca e ancora, alla sua richiesta di aprire a caso la Bibbia, la Lettera alla chiesa di Laodicea, che colpisce il personaggio soprattutto per il versetto “perché sei tiepido, né freddo né caldo”82. Come Stavrogin, ma senza le sue resistenze, Stepan Trofimovicˇ arriva finalmente – grazie alla lente di ingrandimento fornita dai brani evangelici – a vedersi nudo in tutta la sua povertà esistenziale e accetta l’aiuto che gli viene offerto da un altro essere caldo di cuore. Il messaggio finale dei Demoni è affidato da Dostoevskij proprio alle ultime parole di questo personaggio, profondamente affini alle testimonianze del fratello di Zosima mortalmente malato, del “visitatore misterioso”, dell’uomo ridicolo del racconto omonimo. Che cos’è più prezioso dell’amore? L’amore è superiore all’esistenza, è il coronamento dell’esistenza ... Oh, come vorrei vivere un’altra volta – esclamò con intensa energia –. Ogni minuto, ogni attimo di vita devono essere una beatitudine per l’uomo ... devono, lo devono assolutamente. È un dovere dell’uomo che sia così; è la sua legge segreta, ma senza dubbio esistente ... Oh, come vorrei vedere Petrusˇa ... e tutti loro ... e Sˇatov83. 82 In modo diverso da Stavrogin, Stepan Trofimovicˇ rivela la sua indifferenza mondana nel proclamarsi ateo da un lato e nelle sue ripetute frivole affermazioni di fede in lingua francese, che colpiscono la sua allieva Liza dall’altro. (Vorrei ricordare che la ragione dell’inserimento qui del brano dell’Apocalisse è dovuta a cause esterne – il rifiuto di pubblicare il capitolo “U Tichona” –, ma acquista in questo contesto nuove sfumature e importanti motivazioni). 83 F. M. Dostoevskij, Besy, p.  (I demoni, p. ).

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Capitolo IV I FRATELLI KARAMAZOV

Brat’ja Karamazovy (I fratelli Karamazov) è il testo in cui, più che in ogni altra opera di Dostoevskij, si rivela in tutta la sua evidenza il ruolo della Bibbia1, libro-chiave senza il quale non è possibile comprendere il significato dell’opera nella sua complessità, originalità e ampiezza. La difficoltà di interpretazione di questo romanzo, oggetto fin dalla prima pubblicazione di critiche e vistosi fraintendimenti2, nasce dalla scelta di un autore che, dopo aver fornito 1 Scrive Viktor Terras: “The importance of secular sources pales before the all pervading presence of Bible and religious literature in the Brothers Karamazov” (V. Terras, A Karamazov Companion, p. ). 2 Esiste un’interpretazione, condivisa ancora oggi da alcuni studiosi, che tende a privilegiare “Il Grande Inquisitore” come luogo delle simpatie segrete dell’autore e come centro del messaggio dostoevskiano (cf. V. Rozanov, La Leggenda del grande Inquisitore [], L. Sˇestov, La filosofia della tragedia [] e i numerosi interpreti anche contemporanei, che sottolineano la simpatia di Dostoevskij per le idee dell’inquisitore). Scrive l’autore delle note della Polnoe sobranie socˇinenij: “Il piacere con cui Dostoevskij ha lavorato all’elaborazione delle tesi che vanno contro l’idea di un mondo creato da Dio ... si può spiegare soltanto col fatto che molte delle cose dette da Ivan erano vicine allo stesso autore del romanzo” (F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. ). Non pochi interpreti legati all’ortodossia hanno d’altra parte accusato lo scrittore di una scarsa conoscenza delle tradizioni spirituali del suo paese e di un eccessivo ottimismo che renderebbe il messaggio dello starec Zosima troppo roseo e in sostanza poco credibile (cf. K. Leont’ev, Sobranie socˇinenij, I. Kologrivov, Santi russi eccetera). La prima interpretazione, sulla quale tornerò più avanti, è secondo me insostenibile se si considerano il contesto in cui “Il Grande Inquisitore” è inserito e l’uso che Ivan fa del testo biblico. Poco accettabile appare tuttavia a mio avviso anche la seconda. Essa non tiene conto infatti del difficile e a volte quasi disperato cammino che porta alcuni personaggi a sperimentare questa dimensione di felicità. Soprattutto essa

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tutte le chiavi (le vicende dei personaggi e le referenze bibliche per interpretarle) lascia al lettore il compito di ricomporre il quadro e di trarre le conclusioni. Nell’amplissima rete di citazioni bibliche che percorre I fratelli Karamazov spiccano all’inizio, al centro e alla fine dell’opera alcuni passi tratti dal vangelo di Giovanni. Il primo brano – “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo. Se invece muore produce molto frutto” (Gv ,) – è posto come epigrafe e ripreso più volte nel corso del libro. L’intero episodio delle nozze di Cana (Gv ,-) è collocato dall’autore al centro dell’opera. Infine numerosi richiami a versetti del “libro dell’addio” (Gv -) sono inseriti nella seconda parte e nella conclusione. Come vedremo, questi brani del quarto vangelo sono strettamente interconnessi non solo all’interno del testo di origine ma anche nel percorso dei Fratelli Karamazov. I curatori della Polnoe sobranie socˇinenij v tridcati tomach (Raccolta completa delle opere in trenta volumi) hanno segnalato nelle note le citazioni dirette contenute nei testi di Dostoevskij, fra le quali i versetti tratti dalla Scrittura. L’utilità dell’elenco dei frammenti biblici inseriti nel romanzo è indubbia. Resta da compiere un’analisi che mi sembra importante per la comprensione del ruolo che la Bibbia svolge nell’opera. I numerosissimi testi nel testo biblici contenuti nei Fratelli Karamazov e le allusioni alla Scrittura, che spesso i curatori non segnalano, si combinano insieme in una rete di interrelazioni in modo tale che ognuno di essi entra in rapporto dialogico con gli altri, dando vita a un originale messaggio capace di offrisembra ignorare non la liturgia e gli aspetti esteriori della chiesa del suo tempo, ma il nucleo centrale del messaggio dei padri della tradizione orientale che sono alla base della spiritualità di quella chiesa e ai quali Dostoevskij si ispira. Non mi sembra convincente, perché contraddetta dal messaggio globale del romanzo, neanche la posizione di Michail Bachtin, secondo il quale le idee di Dostoevskij “si trasformano in immagini artistiche ... si dialogizzano completamente ... ed entrano nel grande dialogo del romanzo su basi di assoluta parità” (M. Bachtin, Dostoevskij, p. ). Secondo Bachtin le idee di Zosima e quelle di Ivan sarebbero su un piano di “assoluta parità”.

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re una chiave interpretativa a tutta la vicenda. Se il romanzo si legge tenendo conto di questa rete, le risposte alle domande poste da Ivan Karamazov sul significato del male e della sofferenza nel mondo non vengono soltanto – come sostengono alcuni critici che trovano deboli le argomentazioni dello scrittore – dal racconto della vita dello starec, ma da tutto il contesto dell’opera attraverso due piani interconnessi: le vicende concrete vissute dai personaggi e le referenze bibliche che ne illuminano il significato. Il grande serbatoio dal quale lo scrittore trae i materiali per I fratelli Karamazov, così come per I demoni e per l’Adolescente, è la massa di appunti per una serie di progetti paralleli, alcuni dei quali mai realizzati, a cui egli lavora già dalla fine degli anni sessanta3. La fase iniziale della preparazione dell’ultimo romanzo, la più difficile e decisiva, ci è purtroppo quasi del tutto sconosciuta a causa della perdita di alcuni quaderni4. Nel marzo  Do-

3 Come abbiamo visto nel capitolo III, l’idea di ambientare almeno una parte di un suo romanzo in un monastero era già stata presa in considerazione nel progetto di Zˇitie velikogo gresˇnika (Vita di un grande peccatore) e parzialmente realizzata nell’episodio del colloquio fra lo starec Tichon e Stavrogin nei Demoni. Ancora, Ivan, che negli appunti preparatori è chiamato Ucˇenyj (lo Studioso) e Ubijca (l’Assassino), ha evidenti punti di contatto con il personaggio orgoglioso e ribelle che Dostoevskij sperimenta in una serie di varianti: il protagonista della prima stesura del romanzo L’idiota, quello della Zˇitie, lo Stavrogin dei Demoni. A sua volta Alesˇa, che negli appunti è chiamato idiot, rivela anche attraverso questa definizione il suo legame con Mysˇkin. Ancora, nei manoscritti degli anni settanta viene nominata e tratteggiata psicologicamente più volte Lizaveta Smerdjasˇcˇaja, che troverà posto nell’ultimo romanzo come vittima di Fedor Pavlovicˇ (cf. F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. ). 4 I manoscritti di preparazione ai Fratelli Karamazov “sono soltanto una parte dei manoscritti conservati dalla vedova dello scrittore. Resta ancora ignoto il luogo in cui si trova l’altra parte di questi manoscritti che non sono stati rinvenuti nel ” (cf. F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. ). Jacques Catteau, che nel suo volume dedica ampio spazio all’analisi dei quaderni, scrive: “La tourmente révolutionnaire aura été fatale aux carnets des Frères Karamazov. En effet, un cahier et le manuscrit complet déposés dans une banque par la veuve de Dostoevskij n’ont pas été retrouvés. Les  feuillets rescapés ne nous proposent que des fragments disparates ou assez proches de la rédaction définitive” ( J. Catteau, La création littéraire, p. ). Di alcune indicazioni fornite dai quaderni mi occuperò più avanti nel corso dell’analisi.

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stoevskij, che aveva raccolto già molti appunti per il nuovo libro, scrive a Michajlov che “ha ideato e presto comincerà un grande romanzo ... nel quale avranno una parte notevole i bambini”5. Come già era avvenuto per I demoni, in questa fase preparatoria nella primavera del  si hanno improvvisamente una svolta e un’accelerazione determinate dal verificarsi di due eventi: la morte del figlio di tre anni Alesˇa avvenuta il  maggio per un attacco di epilessia e il viaggio nel mese successivo a Optina Pustyn’. Qui Dostoevskij può avere finalmente un’immagine concreta del monastero russo nel quale già da alcuni anni voleva ambientare una parte di un suo romanzo. In particolare, l’esperienza dell’incontro con uno starec che, come ricorda la moglie, lo colpisce profondamente, accresce il suo interesse creativo per questa figura che, già introdotta nell’episodio centrale dei Demoni, avrà nell’ultimo libro ampio spazio e soprattutto un ruolo determinante. A Optina Pustyn’ sono legati molti dei libri teologici che lo scrittore aveva nella sua biblioteca: Zˇizneopisanie Optinskogo starca ieromonacha Leonida (La vita dello starec di Optina Leonid, ), Istoricˇeskoe opisanie Kozel’skoj Vvedenskoj Optinoj Pustyni (Descrizione storica di Optina Pustyn’, ), ma anche Slova podvizˇnicˇeskie (Discorsi ascetici) di Isacco il Siro () e le opere di Simeone il Nuovo Teologo pubblicate a Optina sotto

5 Cf. Pis’ma -, p.  (Epistolario, p. ). Come risulta dal primo foglio preparatorio per la stesura dei Fratelli Karamazov, che si è conservato (F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, pp.  e ss.), i nuclei intorno ai quali Dostoevskij inizia a costruire la vicenda sono due. Uno è quello dei bambini al quale, come afferma in questa pagina, egli aveva intenzione di dedicare molto spazio. L’altro nucleo è la storia dell’omicidio di un vecchio, avvenuto a Tobolsk vent’anni prima. Del delitto, compiuto dal figlio più piccolo, era stato accusato il figlio maggiore Dmitrij Il’inskij che, pur essendo innocente, aveva passato un lungo periodo al bagno penale. Già nel , durante l’elaborazione dell’Adolescente, Dostoevskij aveva scritto un appunto sulla storia di Il’inskij come primo abbozzo di un romanzo (cf. ibid., p. ). Il punto comune, che lega nella mente dello scrittore questi due nuclei, appare nei quaderni il rapporto tra i padri e i figli, che, già affrontato nell’Adolescente, sarà uno dei temi centrali dell’ultimo romanzo.

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la guida dello starec Makarij6. Questi testi, contenuti nell’elenco compilato dalla moglie e riportato da Grossman in Seminarii po Dostoevskomu (Seminari su Dostoevskij), sono secondo me fondamentali per l’elaborazione e la comprensione del messaggio dell’ultima opera.

Il secondo libro dei “Fratelli Karamazov”: i due padri della Scrittura L’azione dei Demoni si apre con una “scena conclave” ambientata in un salotto borghese, dominato dai giochi di potere e dalla menzogna, quella dei Fratelli Karamazov con una riunione di tutti i protagonisti nella cella di uno starec in un monastero simile anche nei dettagli a Optina Pustyn’7. È il vecchio Karamazov a proporre la riunione per arrivare a un accordo con Dimitrij sull’eredità e sulla valutazione dei beni, oggetto di una lite esasperata dalla rivalità amorosa fra padre e figlio per il possesso di Grusˇen’ka8.

6 Cf. supra, p. , n. . 7 Cf. a questo proposito F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. . All’eremo di Optina ha dedicato una ricca e approfondita monografia V. Kotel’nikov, L’eremo di Optina (in particolare per i rapporti fra Dostoevskij e l’eremo di Optina cf. pp. -). Su Optina Pustyn’ e gli scrittori russi cf. anche il libro di L. Stanton, The Optina Pustyn Monastery in the Russian Literary Imagination. Delle impressioni ricevute da Dostoevskij durante la sua visita a Optina parla la moglie nelle sue memorie (A. Dostoevskaja, Dostoevskij mio marito, p. ). 8 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ). Apparentemente, la molla che spinge i personaggi a riunirsi è un interesse economico e materiale. Lo sottolinea lo stesso starec quando, dopo aver dato il consenso, commenta con una frase del vangelo di Luca – “Chi mi ha messo a fare da giudice fra di loro?” (Lc ,) – pronunciata da Cristo in risposta a chi gli chiedeva di intervenire su un problema di eredità. Nel Nuovo Testamento la domanda offre lo spunto per un discorso che mette in guardia dalla cupidigia. Nello stesso spirito Zosima trasforma una riunione, richiesta ufficialmente per discutere di problemi materiali, in un colloquio intimo, capace di mettere a nudo i punti dolenti dei suoi interlocutori.

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Nel contesto dell’opera “Neumestnoe Sobranie” (Una riunione inopportuna), uno dei libri del romanzo più ricco di citazioni e allusioni bibliche9, è secondo me importante. In questo brano di apertura sono presentati infatti tutti i leitmotiv che verranno ripresi e modulati nel corso dell’opera. Come già aveva fatto nella prima parte dei Demoni, l’autore concentra qui l’attenzione sulla vecchia generazione: in particolare su un personaggio come Fedor Pavlovicˇ, che esercita una forte influenza sui figli e su tutta la vicenda del romanzo. Contemporaneamente, attraverso la risposta che un altro “anziano” – Zosima – dà al vecchio Karamazov, Dostoevskij fornisce una prima importantissima chiave, fondamentale secondo i padri della chiesa d’oriente per il processo di “discesa con la mente nel cuore”, che porta alla scoperta del “regno all’interno di se stessi”10. Con Fedor Pavlovicˇ lo scrittore sceglie di partire dal livello più basso: quello di un uomo che ha stoltamente sprecato la sua vita nella ricerca dei piaceri più rozzi e materiali e che è rimasto prigioniero delle sue stesse debolezze. Nel discorso dissacratorio e apparentemente sconclusionato, che egli rivolge allo starec in questo episodio, le numerose citazioni bibliche, che sembrano saltargli in mente in modo del tutto casuale, rivelano una logica che segue un pensiero sotterraneo del personaggio11. Se si legge alla luce dei comportamenti abi9 Mi soffermo qui sulle citazioni bibliche fatte da Fedor Pavlovicˇ, mentre tornerò più avanti nell’analisi di “Russkij inok” (Un monaco russo) sui versetti a cui Zosima fa riferimento. 10 Cf. supra, pp. -. 11 Il vecchio Karamazov parte da un frammento tratto dai Salmi (, e ,) – “Dice lo stolto in cuor suo, Dio non esiste” – ascoltato, sostiene, una ventina di volte dai proprietari locali quando da giovane viveva a loro spese. Prosegue rivolgendosi allo starec con una frase presa dal vangelo di Luca, “Beato il ventre che ti ha portato e le mammelle che ti hanno allattato” (Lc ,), distorta dall’aggiunta “le mammelle soprattutto”. Termina infine con la domanda: “Che cosa devo fare per conquistare la vita eterna?” (Mc , e Lc ,). Il vecchio Karamazov interrompe le ultime due citazioni subito prima di arrivare al punto che potrebbe riguardarlo in modo diretto. In

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tuali di un uomo, che arraffa denaro senza scrupoli e appaga in ogni modo la sua bestiale e sadica sensualità12, il passo da cui il vecchio parte nel suo discorso – “Dice lo stolto in cuor suo, Dio non esiste” (Sal , e ,) – e la domanda “Che cosa devo fare per conquistare la vita eterna?” (Mc , e Lc ,) esprimono – a un livello più profondo del blaterare buffonesco che gli fa da scudo – i dubbi e le paure latenti di un individuo tanto spaventato dal degrado in cui ha stoltamente trascinato la propria vita da avere terrore di restare da solo la notte13. Zosima risponde alla domanda diretta e ai dubbi inespressi del suo interlocutore, rivelandogli la molla segreta che è alla base di un comportamento così degradato. E, soprattutto, non vergognatevi tanto di voi stesso, giacché è da questo che deriva tutto ... La cosa più importante è che non mentiate a voi stesso. Colui che mente a se stesso e dà ascolto alla propria menzogna, arriva al punto di non saper distinguere la verità né dentro se stesso né intorno a sé e, quindi, perde il rispetto per se stesso e per gli altri. Costui non avendo rispetto per nessuno cessa di amare14.

Le parole dello starec forniscono una chiave di lettura non solo per lo scoperto mentire dei personaggi che, come il vecchio KaLuca Gesù ribatte alla donna: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc ,). La risposta alla domanda formulata nel vangelo di Marco è contenuta nel testo ed elenca come ostacoli le azioni compiute abitualmente da Fedor Pavlovicˇ. È evidente da tutto il suo discorso che il personaggio ha ascoltato con le orecchie fino a imparare a memoria alcuni brani della Bibbia, ma ha rimosso dalla sua mente e dalla sua vita i passi scomodi per l’esistenza in cui si è adagiato, così come il problema di fondo dell’esistenza di Dio. 12 Fedor Pavlovicˇ approfitta ad esempio della demente Lizaveta per far colpo sui compagni ubriachi e gode delle crisi isteriche della moglie Sof’ja da lui stesso provocate. A proposito della personalità di Fedor Pavlovicˇ cf. R. Guardini, Dostoevskij, p. ). 13 Cf. F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, pp. - (I fratelli Karamazov, p. ). 14 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, pp. - (I fratelli Karamazov, pp. -).

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ramazov, si vergognano di se stessi15, ma anche per un altro tipo di menzogna, più dissimulata e, come vedremo, difficile da decodificare: quella che è alla base del disagio esistenziale di Ivan Karamazov e del suo alter ego inquisitore, così come dello Stavrogin dei Demoni e del Raskol’nikov di Delitto e castigo. Vale la pena di esaminare in dettaglio questo meccanismo16. Parlando delle capacità dello starec Leonid di Optina di cogliere quello che restava nascosto alla coscienza abituale degli uomini, Vladimir Lossky osserva che spesso l’essere umano, non conoscendo a sufficienza se stesso, si fa una falsa idea di sé e si fabbrica un io artificiale. Questa maschera finisce col “rimpiazzare la vera persona come si trova davanti a Dio”17. Ora, lo Zosima dei Fratelli Karamazov, collocandosi nella linea degli insegnamenti degli starcy di Optina Pustyn’, chiarisce appunto in questo episodio gli insidiosi e sottili processi interiori che portano alla creazione di questo io artificiale. Come spiega ai suoi ascoltatori, il mentire a se stessi e il dare ascolto alla propria menzogna – ovvero il costruire un’immagine artificiale 15 Per il vecchio Karamazov – come lo starec sottolinea fin dall’inizio – alla base della menzogna c’è la vergogna di sé e della vita dissoluta in cui si è impantanato, che lo spinge a rivalersi sugli altri, sbattendo loro in faccia con disprezzo un’immagine di buffone peggiore di quella che tutti si aspettano. Un meccanismo molto simile di autodifesa spinge un altro personaggio dostoevskiano, la Nastas’ja Filippovna del romanzo L’idiota a farsi del male, comportandosi peggio di come gli altri la giudicano. Nello stesso libro il desiderio frustrato di attenzione e di apprezzamento da parte degli altri spinge il generale Ivolgin a raccontare storie – mai avvenute nella realtà – di cui il personaggio è protagonista. Questo gioco fatto di menzogne apparentemente innocenti lo condurrà nell’ultima parte del romanzo a una vergogna tanto grande da provocare in lui una fulminea e mortale malattia. 16 Questo meccanismo è alla base di tutto il IV libro, “Nadryvy” (Lacerazioni), dove le lacerazioni di Katerina Ivanovna, di Ivan, del capitano Snegirev, di suo figlio Iljusˇa sono prodotte dall’incrinarsi dell’immagine artificiale di se stessi che questi personaggi si sono costruiti per orgoglio o per la vergogna di mostrare la miseria della loro vita. Questo è particolarmente evidente nel comportamento della fidanzata di Dmitrij, Katerina Ivanovna che, innamorata di Ivan, tormenta lui e se stessa, recitando il ruolo di martire della virtù, eternamente fedele a un uomo che di fatto può ricevere solo male dal suo amore insincero. Cf. a questo proposito l’analisi di V. Terras, A Karamazov Companion, pp. -. 17 V. Lossky, Padri nello Spirito, p. .

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del proprio io – sono generati da un meccanismo di difesa, dalla paura inconscia di guardarsi dentro, vedersi e accettarsi per quello che veramente si è, riconoscendo le proprie debolezze e limitazioni. Dalla fragile consistenza dell’io che ci si è costruiti derivano – sottolinea Zosima – l’estrema suscettibilità di chi nel profondo non è sicuro di sé, l’isolamento generato dalla paura di aprirsi e mettersi in discussione, il disprezzo degli altri giudicati dall’alto dell’immagine che ci si è creati, l’incapacità di amare e, in ultima analisi, di vivere e accettare la vita. La creazione di una “falsa idea” di sé e il mentire a se stessi è non solo per Zosima ma anche per Isacco il Siro e per lo starec Leonid18, una delle principali fonti di infelicità, il primo e forse il più grave ostacolo che impedisce di compiere la “discesa con la mente nel cuore”. Nei suoi Discorsi Isacco parla ripetutamente della conoscenza di se stessi, legata a una profonda sincerità e umiltà, come base per accedere a una dimensione di gioia e di conoscenza del tutto19. Quello che Isacco il Siro vuole trasmettere ai discepoli è la necessità di liberarsi da tutti i condizionamenti: in particolare dall’orgoglio e dal desiderio di affermazione personale, che portano a mentire agli altri e a se stessi. Non bisogna avere paura di guardarsi dentro senza maschere, senza farsi forti di conoscenze teoriche che risultano sterili nel delicato processo di “discesa con la mente nel cuore”: “Cammina davanti a Dio con semplicità e senza essere fiero delle tue conoscenze (Chodi pred’ Bogom v prostote i v neznanii)”20. Mi sembra significativo, alla luce del pensiero di Isacco il Siro, che la preparazione scientifica e le conoscenze teoriche sia18 Scrive in una lettera lo starec Leonid: “Se tu fossi come gli apostoli, di cuore semplice, non nasconderesti i tuoi difetti, non simuleresti una particolare devozione, non saresti ipocrita ... La mancanza di simulazione, il non essere sleale, l’avere un animo aperto, ecco che cosa è gradito al Signore” (K. Zedergol’m, Zˇizneopisanie, p. ). 19 Ho riportato alcune citazioni di Isacco il Siro su questo tema nel c. I, cf. supra, pp.  e . 20 Isaak Sirin, “Slovo” , p. .

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no una delle caratteristiche che Dostoevskij attribuisce a Ivan chiamato negli appunti preparatori Ucˇenyj brat (Il fratello dotto). Per arrivare a compiere l’operazione di cui ha più terrore – guardare dentro se stesso con sincerità – il giovane orgoglioso Karamazov avrà bisogno del trauma prodotto dalla rivelazione di Smerdjakov e dello schermo patologico fornito dall’allucinazione. Il tema dell’ipocrisia e della menzogna – classico nell’insegnamento degli starcy e dei padri della chiesa d’oriente – è presente nel testo biblico a partire da Genesi  fino all’Apocalisse come principale attributo dell’avversario del disegno di Dio e di coloro che ne hanno fatto la loro guida. È Satana-serpente, frustrato dalla sua impotenza di fronte al Creatore e spinto dall’invidia, a parlare da impostore, attribuendosi poteri che di fatto non possiede. È lui a rubare la parola per sostituirla con una menzogna che ha lo scopo di dividere, distruggere, dare non la vita ma la morte. Sono gli stessi effetti che a un altro livello – quello quotidiano – vengono prodotti nel romanzo dal mentire a se stessi, in modo come vedremo tanto più devastante quanto più ambizioso è il disegno di chi costruisce l’immagine. Nel secondo libro dei Fratelli Karamazov è Fedor Pavlovicˇ a richiamare direttamente il tema biblico quando, accettando l’analisi di Zosima, afferma: “Ho mentito, mentito spudoratamente per tutta la mia vita, ogni giorno, ogni ora. In verità sono la menzogna e il padre della menzogna”. La citazione è tratta dal vangelo di Giovanni: Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio ... Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna21. 21 Gv ,-.

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L’espressione “padre della menzogna”, che il vecchio Karamazov riferisce a se stesso, è fondamentale secondo me come chiave di accesso al conflitto interiore che è alla base del “Grande Inquisitore”. La prima parte dei Demoni si organizza intorno al tema biblico del serpente. Nei Fratelli Karamazov, a partire dalla confessione di Ivan, il nodo centrale è l’azione del Padre, violentemente contestata da un personaggio che proietta su Dio e la sua creazione l’immagine che più gli fa ribrezzo: quella di una paternità umana che, secondo la stessa definizione di Fedor Pavlovicˇ, è il rovesciamento di quella divina non nella veste seducente di Lucifero, ma nel suo aspetto più abietto e degradato22.

Ivan interprete della Bibbia La contrapposizione fra due logiche opposte è presente nel secondo libro nel contrasto fra la spudoratezza del vecchio Karamazov, l’indifferente frivolezza mondana del parente Mjusov, i freddi ragionamenti di Ivan da un lato e tutto l’atteggiamento dello starec dall’altro. Essa appare con un’evidenza ancora maggiore nei due grandi testi nel testo inseriti nel romanzo: “Velikij Inkvizitor” (Il Grande Inquisitore) e “Russkij inok” (Un monaco russo). La confessione di Ivan, che contiene il poema, ha tanto colpito gli interpreti dell’opera perché affronta un problema che ogni 22 Scrive Ivanov a proposito dei Fratelli Karamazov che Lucifero è “l’originario duce e vessillifero dell’eterna rivolta, il fattore dell’orgogliosa aspirazione umana a un’esistenza simile a quella di Dio”, mentre Ahriman, che nella religione zoroastriana è il malvagio e il maleodorante demonio del sudiciume e del cibo infetto, è “colui che colmo di malizia tutto dissolve e tutto contamina, lo spettro del male in tutta la tenebra del suo vuoto ... e della sua sconfinata nullità” (V. Ivanov, Dostoevskij, p. ). Un “rappresentante della religione di Ahriman” è secondo Ivanov il diavolo frutto dell’allucinazione di Ivan Karamazov, che tanto ha in comune con Fedor Pavlovicˇ.

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essere umano non può non porsi nei momenti critici della propria esistenza e della realtà in cui vive. Da come questo problema viene risolto nel profondo di sé deriva la pace interiore della persona, l’armonia con se stessi, con gli altri, col mondo o al contrario un acuto disagio esistenziale. Come vedremo, nella sua ultima opera Dostoevskij dà ai lettori una larga e articolata risposta, frutto di tutta la sua esperienza di uomo e di scrittore, filtrata attraverso una meditazione assidua del testo biblico. Credo che, qualunque sia la concezione politica e religiosa degli interpreti dei Fratelli Karamazov, sia giusto confrontarsi con questa risposta, che rappresenta il messaggio ultimo e più compiuto di un artista tanto ricco e creativo. Per comprendere il significato del “Grande Inquisitore”, che ha il suo nucleo centrale nelle tentazioni di Matteo e nel capitolo  dell’Apocalisse, un punto di partenza importante è l’immagine del suo autore Karamazov e il ruolo che nella costruzione di questa immagine ha il mentire agli altri e a se stessi. Ivan Fedorovicˇ spicca nell’ambiente della cittadina di provincia in cui si svolge il romanzo per la sua intelligenza, la lucidità di ragionamento, la preparazione culturale, l’ostentata capacità di restare al di sopra delle passioni che agitano quel piccolo mondo. La sua brillante personalità esercita un potere di attrazione su Smerdjakov, su Katerina Ivanovna, su Fedor Pavlovicˇ, così come su Liza e Kolja ancora quasi bambini. Figura solitaria, distaccata, superiore, il giovane Karamazov conduce una vita apparentemente irreprensibile: non deve niente a nessuno, non sembra avere bisogno di nulla. Ora, l’inquisitore da lui creato ha queste stesse caratteristiche con una differenza: il livello è molto più alto. Il protagonista del poema è presentato infatti come un anziano uomo di potere, integerrimo e superiore alla media, che si è posto il problema di Dio e della creazione e ha scelto, secondo Ivan in modo realistico e magnanimo, di dare alle masse quel paradiso sulla terra che la sua intelligenza gli nega. 

L’azione del vecchio cardinale consiste nel correggere l’operato di un Dio indifferente e crudele e di un Cristo che pretende troppo dagli esseri umani deboli e viziosi. Più modestamente il suo autore Karamazov, nella confessione al fratello che precede il poema, si limita a esprimere con dolore le ragioni della sua “non accettazione del mondo”. Gli argomenti che Ivan porta a sostegno di questa tesi si basano su un’analisi accuratamente documentata dei comportamenti umani e in particolare delle violenze sui più piccoli e indifesi (“Tutti gli aneddoti relativi ai bambini sono fatti avvenuti, stampati nei giornali e posso indicare dove” scrive Dostoevskij nella lettera a Ljubimov del  maggio ). L’esposizione appare tanto convincente e serrata da spingere il novizio Alesˇa a chiedere insieme a Ivan la fucilazione per il generale che ha fatto sbranare dai suoi cani un ragazzino di otto anni. Se gli episodi citati si staccano dal contesto e ci si concentra sulla loro sadica crudeltà, è difficile non essere d’accordo con Ivan. Come vedremo, la risposta verrà nel corso del romanzo. Tuttavia già in questo discorso si possono notare alcune lacune significative e soprattutto un uso anomalo dei richiami biblici, che percorrono tutto il quinto libro. Simile a Kirillov dei Demoni, il secondo dei Karamazov appare tormentato dal problema di Dio e attratto da tutto ciò che lo riguarda23. I ragionamenti, gli aneddoti, i poemi da lui elaborati partono sempre da un confronto con la Scrittura.

23 È Ivan a “combinare, aizzare approvare il progetto” della riunione di famiglia nella cella dello starec dal quale evidentemente si sente attratto (cf. F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. ; I fratelli Karamazov, p. ). Negli appunti Dostoevskij aveva previsto come nei Demoni un incontro personale fra i due personaggi: “Il fratello dotto era stato, risulta, dallo starec precedentemente (dopo) (Ucˇenyj brat, okazyvaetsja, byl u Starca prezˇde [potom])” (Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. ). Probabilmente il timore che Ivan dimostra di un incontro aperto con gli altri e con se stesso fa scegliere a Dostoevskij nella stesura definitiva l’incontro del personaggio non con Zosima ma con Alesˇa, che è dotato di sensibilità e ricchezza spirituale, ma che ancora non è pronto per rispondere ai complessi interrogativi del fratello.



Per comprendere l’atteggiamento mentale di questo personaggio è importante secondo me un elemento che sarà introdotto più tardi, quando Ivan riesce finalmente a portare a livello della coscienza gli aspetti di sé dei quali più si vergogna. Il diavolo prodotto dalla sua allucinazione, nel quale egli proietta il marcio che c’è in lui, si presenta nelle vesti di un parassita sciatto e conciliante, particolare che ricorda prima di tutto ciò che Fedor Pavlovicˇ era stato nella sua giovinezza. Ora il parassita, non soltanto umano ma anche animale e vegetale, è qualcuno che vive a spese di un altro essere. Nella pianta si colloca nei punti nodali attraverso i quali scorre la linfa vitale e la succhia, danneggiando e a volte anche uccidendo l’organismo che lo nutre. In questa prospettiva potremmo definire un parassita anche il Satana della Scrittura, che attinge dal disegno divino, senza il quale lui stesso non potrebbe esistere, per attaccarlo dall’interno con una velenosa e costante azione distruttiva e costruire così il proprio potere. Se osserviamo il modo in cui Ivan interpreta la Scrittura, possiamo notare che il personaggio compie questo stesso tipo di operazione. Si concentra infatti sulle parti in cui domina la logica del “principe del mondo”, staccandole da un contesto nel quale è sempre presente e attivo anche l’altro polo, quello della luce e della vita. Questa lettura, che si innesta all’interno del messaggio biblico, potenzia così al massimo grado il ruolo delle forze distruttive, che vengono a occupare artificialmente tutto lo spazio e disseccano coi loro veleni la linfa di vita che pervade tutto il testo. Questo meccanismo, che come vedremo è alla base del “Grande Inquisitore”, si può cogliere già nella confessione ad Alesˇa. Qui Ivan parte da una dichiarazione di fede nel “Verbo che era presso Dio” (Gv ,), prosegue con una allusione alla Genesi (,) per contrapporre gli adulti che hanno mangiato il frutto ai bambini innocenti e termina con una celebrazione della pienezza dei tempi, ispirata a Isaia (,) e all’Apocalisse (,), per ribaltare alla fine tutto il discorso. 

Io voglio vedere con i miei occhi il daino sdraiato accanto al leone e la vittima che si alza ad abbracciare il suo assassino ... Capisco quale sconvolgimento universale avverrà quando ogni cosa in cielo e sottoterra si fonderà in un unico inno di lode e ogni creatura viva o che ha vissuto griderà: “Tu sei giusto o Signore, giacché le tue vie sono state rivelate” ... Io voglio perdonare e voglio abbracciare, ma non voglio che si continui a soffrire ... Immagina che tocchi a te innalzare l’edificio del destino umano ... ma immagina che l’edificio debba fondarsi sulle lacrime invendicate di quella bambina – accetteresti di essere l’architetto a queste condizioni24?

Immedesimandosi nella logica del fratello, che a partire da questi presupposti appare più compassionevole e giusto del Dio “architetto” della creazione (cf. Pr ,), Alesˇa risponde “Non accetterei”, anticipando la reazione di numerosi interpreti e di chi pretende che l’autore abbia condotto meglio la confutazione dell’inquisitore che l’affermazione di “Un monaco russo”. Se osserviamo con attenzione tutto il ragionamento, vediamo tuttavia che, come per il Kirillov e lo Stavrogin dei Demoni, una delle principali difficoltà di Ivan Karamazov è costituita dal fattore temporale: il desiderio del tutto e subito contrapposto alla lentezza del cammino biblico. Ivan si dichiara infatti disponibile a credere nell’inizio e nella fine dei tempi, ma non accetta il sofferto lungo percorso, perché non comprende il senso della sofferenza e soprattutto del male che egli coglie con disgusto in ogni aspetto del mondo che lo circonda. Alla base del suo atteggiamento mentale, come di quello del fratellastro Smerdjakov, c’è un inconscio processo selettivo che lo porta a dirigere l’attenzione su un solo aspetto del reale. La molla che fa scattare questo meccanismo va ricercata secondo me nel rapporto di Ivan con i due padri della Scrittura, di 24 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, pp. - (I fratelli Karamazov, pp. -).



cui ho parlato nel paragrafo precedente: Dio Padre e Satana “padre della menzogna” (Gv ,). È un rapporto che per questo personaggio ha la sua origine nella dolorosa non accettazione di chi materialmente lo ha messo al mondo: Fedor Pavlovicˇ, “padre della menzogna”, primo modello che ha riempito l’infanzia del bambino non di affetto, accoglienza e calore ma di rancore e di ribrezzo. Se, come più volte sottolinea il testo biblico, l’uomo diventa ciò che ascolta, Ivan ha prestato ascolto soprattutto a un padre indegno. Nelle sue scelte, nel suo stile di vita, nei suoi pensieri il punto di riferimento è infatti sempre Fedor Pavlovicˇ, dal quale egli cerca in ogni modo di differenziarsi, ma che comunque, essendo al centro della sua mente, lo influenza quasi suo malgrado. Senza rendersene conto il giovane Karamazov sviluppa nei suoi ragionamenti proprio questa linea. Nella confessione ad Alesˇa questo è evidente in due riferimenti indiretti alla Scrittura, ispirati a una logica opposta a quella divina. Non ho mai potuto capire come si possa amare il prossimo. Secondo me è impossibile amare proprio quelli che ti stanno vicino25.

25 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ). Con queste parole, al di là delle sue dichiarazioni d’amore per tutta l’umanità, Ivan rivela al fratello un modo di sentire, che si manifesta nei suoi concreti atteggiamenti verso gli altri e nei giudizi sprezzanti e impietosi su Smerdjakov, Fedor Pavlovicˇ, Mitja e perfino su Liza ancora quasi bambina. “Gli è saltato in mente di avere grande stima di me – dice del fratellastro che ha fatto di lui il suo modello – ma è solo un lacché e un villano. Carne da prima linea comunque, per quando verrà l’ora ... Quelli come lui verranno prima e poi seguiranno i migliori” (Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. ; I fratelli Karamazov, pp. -). Inoltre, una frase, che il personaggio si lascia sfuggire, lo avvicina in modo esplicito al Caino della Bibbia (Gen ,): “‘Sono forse il custode di mio fratello Dmitrij?’ fece per tagliar corto Ivan, ma di colpo sorrise amaramente. ‘È la risposta che Caino dette a Dio dopo aver ucciso il fratello, vero?’” (Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. ; I fratelli Karamazov, p. ). È significativo che una risposta simile venga data ad Alesˇa nell’episodio immediatamente precedente da Smerdjakov: “Come faccio a sapere i fatti di Dmitrij Fedorovicˇ? Potrei capire se fossi il suo custode” (Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. ; I fratelli Karamazov, p. ).



L’affermazione di Ivan sul suo non capire come si fa ad amare il prossimo mette in discussione un punto-cardine della Scrittura che si sviluppa dal Levitico (“Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso”, Lv ,) fino ai vangeli e alle Lettere di Paolo. Nella stessa linea, dopo aver raccontato le atrocità dei turchi che sparano a bruciapelo a un neonato dopo averlo carezzato per farlo ridere, Ivan afferma: Io credo che se il diavolo non esiste e se, quindi, è stato l’uomo a inventarlo, questi l’ha creato a sua immagine e somiglianza.

Il riferimento alla Genesi (“E Dio disse: ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza’”, Gen ,) subisce qui un doppio rovesciamento, perché è l’uomo e non Dio a creare e l’immagine non è quella di cui parla il primo libro della Scrittura ma il suo opposto. L’affermazione di Ivan è tanto più significativa se si considera l’attenzione che la chiesa d’oriente ha dedicato a questo versetto. Per Isacco il Siro l’uomo immagine di Dio è il punto di partenza e di arrivo dell’esistenza umana che, dopo un processo di purificazione, torna alla sua condizione originaria: Quando non entrano acque straniere [sc. le passioni] nella sorgente dell’anima, sgorgano da lei quelle della sua natura, quelle intelligenze stupende, che in ogni tempo si muovono verso Dio ... Quando i sensi sono avvolti da uno sconfinato silenzio e con l’aiuto del silenzio invecchiano le memorie, tu vedi qual è la natura dei pensieri dell’anima ... Dio non ha fatto passionale la sua immagine26.

26 Isaak Sirin, “Slovo” , p.  (“Discorso” , pp. -).



Come scrive Pavel Evdokimov, per la spiritualità orientale non viene riparata la colpa, ma a ripararsi è la stessa natura, perché ciò che era stato dato da Dio come dono – l’essere creati a immagine e somiglianza di Lui – non è stato attualizzato. È questo che costituisce l’essenza della sofferenza infernale: l’amore non realizzato, la tragica non conformità rispetto all’immagine e alla somiglianza27. Viene toccato qui il punto dolente della “sofferenza infernale” espressa da Ivan nella sua confessione: l’incapacità di percepire l’amore, di riceverlo, di trasmetterlo, di coglierne l’azione nelle vicende del mondo intorno a lui. Nella realtà che lo circonda, nella lettura dei giornali, nella Bibbia il personaggio cerca e trova conferma soltanto a quello che conosce già. Il giovane Karamazov non è quindi la persona superiore che l’immagine da lui faticosamente costruita lascerebbe supporre, ma è un individuo frustrato da un’infanzia difficile e profondamente carente proprio di quello che è più essenziale per la ricchezza e pienezza dell’essere umano. Usando una metafora di Simeone il Nuovo Teologo, noto a Dostoevskij, possiamo dire che Ivan si comporta come l’uomo che, avendo imparato a memoria tutta la Scrittura come un solo salmo, porta il pesante e prezioso scrigno sulle spalle, ma continua a ignorare il tesoro che vi è nascosto, perché non ha trovato la chiave28. Non è casuale che il protagonista del poema di Ivan, irresistibilmente attratto dal testo biblico, sia un uomo di chiesa che ha lungamente meditato sulla Scrittura. L’inquisitore sviluppa la sua teoria a partire da un punto nodale: le tentazioni del vangelo di Matteo e di Luca (cf. Mt ,- e Lc ,-). Il quadro, che il vecchio cardinale presenta di un mondo egoista, avido di beni materiali e incline a farsi ammaliare da un po-

27 P. Evdokimov, L’ortodossia, pp. -. 28 Simeone il Nuovo Teologo, Le catechesi, pp. -.



tere corrotto e dalla sua seducente propaganda, è definito dal personaggio la visione realistica di una persona che “ha aperto gli occhi”. Per comprendere il significato di questo testo nel testo credo che sia necessario tuttavia tener presente un punto fondamentale. L’autore Dostoevskij, che dimostra in tutta la sua opera matura una profonda conoscenza della Scrittura, non può essere ignaro del fatto che questo stesso quadro è presentato con altrettanto realismo nel capitolo  dell’Apocalisse, che viene citato dall’inquisitore, non come condizione irrimediabile del cammino umano ma come momento di un percorso. Chi conosce il Nuovo Testamento e il suo messaggio globale sa che esso non promette ai discepoli protezione dalle sofferenze, dalla morte fisica, dall’azione dei carnefici e dalle forze distruttive, ma la possibilità di accedere a una dimensione di profonda intima gioia, capace di dare forza interiore per agire nella realtà. Esaminiamo i passaggi fondamentali del “Grande Inquisitore”. Il vecchio cardinale vede l’episodio del rifiuto delle tre tentazioni da parte di Cristo come il momento centrale della storia del cristianesimo in cui si è perduta la via che avrebbe potuto soddisfare i bisogni primari degli esseri umani e renderli felici. Quello delle “vie perdute” è uno dei concetti chiave degli ultimi due libri di Jurij Lotman La cultura e l’esplosione e Cercare la strada. Secondo il semiologo, l’analisi delle “vie perdute” ovvero del fascio di possibilità che – pur senza realizzarsi – accompagnano ogni episodio significativo consente un approfondimento della complessità e ricchezza di senso dell’evento storico o esistenziale analizzato. Nel romanzo di Dostoevskij a compiere questa operazione è l’inquisitore che sviluppa, mostrandone le possibilità latenti, la via che Cristo ha rifiutato di imboccare. Le vedi quelle pietre in questo spoglio deserto arroventato? – dice l’anziano cardinale al suo interlocutore muto – trasfor

male in pani e l’umanità correrà dietro di te come un gregge, riconoscente e sottomesso ... Replicasti che l’uomo non vive di solo pane. Ma lo sai che per amore di quel pane terreno lo spirito della terra si solleverà contro di te e ti sconfiggerà e tutti lo seguiranno gridando: Chi può stare alla pari con questa bestia, essa ci ha dato il fuoco tolto dal cielo29.

Dostoevskij concentra qui in poche righe i riferimenti a due episodi biblici: la prima tentazione (Mt  e Lc ) e il capitolo  dell’Apocalisse, che contiene l’ascesa della bestia a cui Satana ha dato il potere (“Allora la terra intera, presa da ammirazione andò dietro alla bestia e gli uomini adorarono il drago perché aveva dato il potere alla bestia”, Ap ,-) e il riferimento al fuoco che la seconda bestia come Prometeo è in grado di far scendere dal cielo30. C’è infine il richiamo a un altro fuoco, quello che Cristo è venuto a portare sulla terra (Lc ,). Questo fuoco, dice l’inquisitore poche righe più avanti, viene ancora

29 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, pp. -). 30 Cf. Ap ,-: “Vidi poi salire dalla terra un’altra bestia ... Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. Operava grandi prodigi, fino a far scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini”. Per comprendere l’operazione che l’inquisitore compie sul messaggio del Nuovo Testamento, assolutizzando e isolando alcuni brani, è utile il commento al c.  dell’Apocalisse scritto da Enzo Bianchi che, appoggiandosi a numerosi passi della Scrittura, mette in evidenza alcuni elementi che risultano importanti per la comprensione del V libro dei Fratelli Karamazov. “La bestia – scrive – è immagine del potere depravato e degradato, che ha la pretesa di spingersi fino alla bestemmia”. Quello che Giovanni mette in discussione non è il ruolo dello stato, al quale in tutto il Nuovo Testamento sono riconosciuti diritti sui cittadini in vista del bene comune (cf. Mt ,-; Rm ,-; Tm ,-; Pt ,. eccetera). Nel c.  è “semplicemente presente la realistica constatazione che quel potere, verso il quale i cristiani devono atteggiarsi con lealismo, come afferma tutto il Nuovo Testamento, può pervertirsi da ministro di Dio (Rm ,) a ministro e servo di Satana”. L’“asservimento al potere, l’organizzazione del consenso è perseguito e garantito dall’opera di persuasione della seconda bestia: la pubblicità, la propaganda ideologica con il suo potere di fare presa sugli uomini. Essa ha delle capacità enormi, opera grandi prodigi, fino a far scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini” (cf. E. Bianchi, L’Apocalisse, pp. -).

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reclamato da un’umanità che chiede la soddisfazione del suo bisogno primario, il cibo materiale, perché “coloro che hanno promesso il fuoco dal cielo non ce l’hanno dato”. Da che parte si schieri il protagonista del poema in questa lotta fra due opposte concezioni è evidente dalle citazioni scelte, tutte portatrici della “logica del mondo”. Il discorso del cardinale può essere accattivante e seducente nel suo pessimistico realismo, perché fa leva su esigenze e bisogni che esistono effettivamente nell’essere umano, così come sulla frustrazione che nasce dalla constatazione dei vizi, delle debolezze e della crudeltà dei propri simili. Il senso di questo episodio del romanzo non può essere compreso, tuttavia, se non si tiene conto della base di questo ragionamento. Il protagonista del poema non è un pensatore del diciannovesimo secolo, che ha costruito le sue teorie su presupposti laici e materialisti, ma è, per volontà del suo autore Karamazov, prima un asceta e poi un uomo di chiesa, che si appoggia nel suo discorso a una logica presente nella Scrittura e la sviluppa fino alle sue conseguenze estreme. Per comprendere “Il Grande Inquisitore” non si può quindi fare astrazione dal testo biblico, perché come vedremo è da lì che Ivan e il suo alter ego sono partiti per mettere in evidenza quella che a loro appare una palese contraddizione e frutto di scarso realismo. Soltanto mezzo rigo è dedicato nel poema al rifiuto della prima tentazione, compiuto facendo ricorso alla Scrittura (Dt ,): “Ma egli rispose ... Sta scritto: Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt ,). Il senso dell’episodio evangelico è contenuto proprio in questa brevissima frase, con la quale Gesù mostra di non disconoscere – come sostiene invece l’inquisitore – i bisogni umani (“non di solo pane” significa “anche di pane”). Egli sottolinea tuttavia che il primo cibo di Mosè nel deserto così come in ogni tempo è nella prospettiva biblica il fidarsi di Dio: non pretende

re che sia elargito dall’alto ciò che si desidera, ma seguire il suo disegno. Nel contesto dei Fratelli Karamazov così come nel Nuovo Testamento la prima tentazione richiama un altro episodio, sul quale torneremo più avanti. Al cibo che si vorrebbe dato dall’alto da un Messia di potenza con un vistoso miracolo si contrappone la condivisione dal basso, “il compartire” dell’episodio della moltiplicazione dei pani e nel romanzo la condivisione della mensa – non solo spirituale ma anche materiale – nell’episodio del pranzo funebre per il piccolo Iljusˇa. Nel quadro proposto dall’inquisitore un particolare mi sembra importante per gli echi e i richiami che è in grado di suscitare. Il tema del fuoco torna qui con tre valenze diverse. È prima di tutto quello “fatto scendere dal cielo dalla bestia” (cf. Ap ,), espressione di un potere totalitario corrotto e blasfemo che, per mantenere e consolidare la sua autorità, vuole carpire qualcosa che in questi termini non gli spetta. Nella prospettiva del capitolo , citato nel poema, il fuoco divino rappresenta “l’immagine e la somiglianza di Dio, che è già in noi; nessuno deve perciò andare a carpirlo, solo il Figlio (Lc ,) o un inviato di Dio (Ap ,; ,; ,) possono portarlo sulla terra”31. Come è evidente analizzando e confrontando i due testi – il romanzo e il capitolo  della Rivelazione di Giovanni – l’operazione compiuta dall’inquisitore è quella di sviluppare con astuta abilità soltanto la “logica della bestia”. Lo fa ignorando, o fingendo di ignorare, il contesto in cui quella logica è inserita. Come il suo creatore Ivan, anche questo “asceta che ha mangiato le radici nel deserto” per rendere se stesso libero e perfetto, ma ha trovato soltanto frustrazione, coglie e sviluppa nel testo che ha frequentato per tutta la vita una sola linea: quella distruttiva delle forze che risucchiano e negano la vita. 31 Cf. ibid., p. .



C’è subito dopo nel discorso dell’inquisitore l’allusione indiretta e polemica a un altro fuoco del quale il cardinale, che taglia la citazione eliminando il versetto immediatamente successivo, distorce il significato: Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! – C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato finché non sia compiuto32.

Nel testo biblico il fuoco elargito con la discesa dello Spirito non è il cibo materiale di cui parla il personaggio di Ivan, ma è “il frutto finale della missione di Cristo, il compimento del disegno divino”33. Come sottolinea un altro commentatore34, il battesimo, di cui si parla nel capitolo  di Luca, è legato alla persona e alla morte di Gesù ovvero al sacrificio del “chicco di grano” del passo di Giovanni, che Dostoevskij ha messo come epigrafe al suo romanzo (Gv ,). Vedremo più avanti che la risposta agli interrogativi di Ivan e alle amare e ciniche riflessioni dell’inquisitore viene proprio dal versetto dell’epigrafe – strettamente connesso al battesimo di cui parla Luca in questo brano – e a un altro livello dalle vicende concrete di Markel, Zosima, Iljusˇa, che con la loro morte producono frutto. Nel poema è presente anche un terzo fuoco, non unificante e portatore di vita, ma distruttivo e dividente: quello dei roghi35 attraverso i quali il potere dell’inquisitore difende se stesso. La seconda tentazione, che il cardinale ricorda al suo interlocutore muto, insistendo sul bisogno che l’essere umano ha del 32 Lc ,-. 33 E. Bianchi, L’Apocalisse, pp. -. 34 S. Fausti, Una comunità, p. . 35 È lo stesso spirito che nel vangelo di Luca muove i discepoli in collera con i samaritani, che non vogliono accogliere il loro Maestro: “Signore, vuoi che diciamo che scenda il fuoco dal cielo e li consumi?” (Lc ,); “La proposta – sottolinea il commentatore – è espressione di uno zelo senza discernimento, principio di tutti i roghi di tutti i tempi” (cf. S. Fausti, Una comunità, p. ).

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miracolo, è nel contesto dell’opera di Dostoevskij carica di significato, perché propone come oggetto di riflessione uno dei motivi chiave dei grandi romanzi dello scrittore. Presente fin dall’Antico Testamento come provocazione nei confronti di Dio (Es ,)36, la proposta di Satana è fare sì che Dio segua noi e i nostri desideri, ponendo il proprio ego al primo posto37. L’invito a servire se stessi si ripresenta in un’altra forma nei vangeli nell’episodio della croce, rinfacciato dall’inquisitore a un Cristo che lo ha deluso con tutte le scelte della sua vita. Tu non scendesti dalla croce quando ti gridavamo per ingiuria e per beffa: “Scendi dalla croce e allora crederemo che sei tu” ... L’uomo ha una natura più debole e più vile di quella che tu credevi, te lo giuro! È forse egli in grado di fare quello che hai fatto tu, eh38?

Il lettore che abbia presenti le opere di Dostoevskij non può non ricordare, leggendo queste parole, le angosciose riflessioni dell’adolescente Ippolit, mortalmente malato, che nel romanzo Idiota contempla il quadro di Holbein Cristo morto. Nostro malgrado ci si dice: se la morte è una cosa così terribile, se le leggi della natura sono così potenti, come trionfare su di esse? Come vincerle se non è riuscito a farlo nemmeno colui, che da vivo trionfava sulla natura, che la comandava, che

36 Cf. Es ,: “Si chiamò quel luogo Massa e Meriba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: ‘Il Signore è in mezzo a noi sì o no?’”. 37 È la stessa pretesa dello Stavrogin dei Demoni che, appoggiandosi a una interpretazione a suo vantaggio di un brano di Matteo (,), si accosta allo starec con un misto di scetticismo e voracità per chiedergli di liberarlo subito dal male che lo opprime con un miracolo dall’alto (cf. supra, p. ). 38 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).

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aveva esclamato “Talitha cumi!” e la fanciulla si era alzata; che aveva detto “Lazzaro alzati!” e il morto era uscito dalla tomba? ... Quei discepoli che avevano circondato il morto, e di cui nemmeno uno è rappresentato nel quadro, dovevano essere in preda a una terribile angoscia e a un turbamento inesprimibile, in quella sera che aveva sfasciato di colpo le loro speranze e perfino la loro fede ... E se il Maestro stesso, alla vigilia del supplizio, avesse potuto vedere la propria immagine, chissà se sarebbe salito sulla croce e vi sarebbe morto come morì39?

Come abbiamo visto nel II capitolo, nel romanzo L’idiota nessuno risponde agli interrogativi del ragazzo sgomento di fronte al corpo disfatto di Cristo perché è incapace di credere che colui che ha richiamato altri alla vita non abbia potuto o voluto salvare se stesso. Così Ippolit termina la sua esistenza disperato, senza riuscire a dare un senso a una morte fisica che gli appare la fine di tutto. Nel momento che precede il suicidio, un’angoscia ancora più distruttiva si impossessa del Kirillov dei Demoni di fronte all’immagine delle tre croci40. Sfugge ai personaggi di Dostoevskij più tormentati, assetati di miracoli capaci di spazzare via in un solo momento le sofferenze e i problemi degli uomini, che nel testo biblico Gesù compie qualcosa di non meno straordinario della discesa dalla croce, mostrandosi vivo fino a condividere il cibo e luminosamente ri-

39 Id., Idiot, p.  (L’idiota, pp. -). 40 “Ascolta una grande idea – dice Kirillov a Petr Verchovenskij – c’era un giorno in cui sulla terra c’erano tre croci ... morirono, andarono e non trovarono né il paradiso né la resurrezione ... Ascolta, quell’uomo era il più alto di tutta la terra, costituiva ciò per cui essa doveva vivere ... E se è così, se le leggi della natura non hanno risparmiato neppure Quello, se non hanno risparmiato neanche il proprio miracolo, costringendolo a vivere nella menzogna e a morire per la menzogna, vuol dire che tutto il pianeta è menzogna e che si regge sulla menzogna e su una stupida presa in giro” (Id., Besy, p. ; I demoni, pp. -).

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sorto non a tutti, ma soltanto a coloro che lo amano. Di più, egli assicura ai discepoli, a qualunque tempo appartengano: “Sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt ,). Nella seconda parte dei Fratelli Karamazov questo tema, vissuto in modo angoscioso nel romanzo L’idiota, sarà ripreso e sviluppato da altri personaggi, che vivono la morte fisica in prima persona o come testimoni profondamente partecipi. Nel poema di Ivan, l’inquisitore, che attraverso una proiezione di se stesso legge il rifiuto della seconda tentazione in chiave di “magnifico orgoglio”, si dichiara deluso non solo dal miracolo non avvenuto, ma anche dal fatto che il messaggio di Cristo gli sembra escludere quasi tutta l’umanità, troppo debole e viziosa. Il tuo grande profeta dice, in visione e per immagini, di aver visto tutti i partecipanti alla prima resurrezione, dodicimila eletti per ciascuna tribù ... ma ricorda che erano solo qualche migliaio e per di più dèi, e tutti gli altri41?

L’anziano cardinale cita qui di nuovo l’Apocalisse, dove il riferimento ai centoquarantaquattromila è presente due volte (Ap , e ,), ma tralascia di ricordare che essi sono accompagnati “da una moltitudine immensa che nessuno poteva contare ... coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’agnello” (Ap ,-). Nella visione di Giovanni di fronte al trono di Dio non ci sono quindi soltanto i centoquarantaquattromila purissimi eletti, ma tutti coloro che “sono passati attraverso la grande tribolazione”. Rientrano in questa categoria i piccoli e gli indifesi ricordati da Ivan e tutte le vittime (Matresˇa, Marja Timofeevna, lo Sˇatov dei Demoni, così come la madre di Alesˇa e Iljusˇa nei Fratelli Karamazov). 41 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).



La terza tentazione, che offre i regni della terra (Mt ,-), consente all’inquisitore, tutto proteso verso l’avere, il potere e l’apparire, di formulare la sua personale teoria di un mondo finalmente felice. L’immagine del “paradiso sulla terra”, da lui ideata, è nel contesto dell’opera di Dostoevskij significativa proprio per ciò che la distingue dagli altri paradisi vissuti in sogno dall’uomo ridicolo, da Versilov, da Stavrogin. È la negazione della spontaneità, di un amore che parte dall’interno e si trasmette a tutti gli esseri, della libera espressione di ciò che si percepisce nel profondo di se stessi. È imposto dall’alto, costruito sulla menzogna, protetto dalla violenza dei roghi. Se, come scrive Pavel Evdokimov, “i tre aspetti caratteristici del male sono il parassitismo, l’impostura, la parodia”42, il personaggio del poema di Ivan li incarna tutti nella sua persona. Parassita della Bibbia, consapevole di mentire e quindi impostore, è capace di produrre solo una parodia di quel regno di amore, di gioia e di pace, che afferma di voler offrire a un’umanità, che di fatto disprezza profondamente. Se la soluzione proposta nel poema è cinica e pessimista al massimo grado, il problema che Ivan Karamazov affronta nella sua confessione con sofferta sincerità è serio e importante43. Usando termini tratti dalla Scrittura, la questione che non solo al giovane Karamazov appare difficile risolvere è perché, se “i capelli del nostro capo sono tutti contati” (Mt ,), ci sono tante sofferenze, morti inutili o inspiegabili, soprattutto tante 42 P. Evdokimov, Le età della vita spirituale, p. . 43 Lo starec capace di “leggere nel cuore” dei suoi interlocutori, coglie la profondità e la serietà del conflitto che tormenta il giovane Karamazov già nella riunione in monastero all’inizio del romanzo: “Questa idea non ha ancora trovato una risposta nel vostro cuore e lo tormenta ... Ma ringraziate il Creatore che vi ha concesso un cuore nobilissimo, capace di sopportare una tale pena, di ‘meditare cose sublimi, giacché la vostra dimora è nei cieli’” (F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, pp. -; I fratelli Karamazov, pp. -). Le parole che Dostoevskij cita tra virgolette sono tratte da Col ,- e Fil ,.

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vittime innocenti e invendicate – interi popoli, uomini, bambini torturati e massacrati – a partire dai racconti biblici fino alla realtà concreta del mondo contemporaneo. Alesˇa, unico destinatario del poema, resta turbato dal discorso del fratello e non è in grado di dare immediatamente una risposta. Secondo il piano progettato da Dostoevskij e illustrato nelle lettere, essa doveva venire nel libro immediatamente successivo – “Un monaco russo” – dalle parole di Zosima, ispirate come vedremo dai Discorsi di Isacco il Siro. Nel processo di creazione artistica del libro lo scrittore trova, a mio avviso, una soluzione più ricca e felice di quella pensata prima della stesura. La risposta al problema posto da Ivan viene dall’insegnamento dello starec, nutrito dall’esperienza di tutta una vita e da una quotidiana meditazione della Bibbia, ma anche e soprattutto dalle scoperte interiori vissute da personalità fra loro diversissime, capaci di illuminare non uno solo ma tanti percorsi che conducono a una dimensione di gioia e di pienezza esistenziale. Queste stesse vie sono contemplate negli scritti di Isacco, di Simeone, dello starec Leonid, consapevoli che la strada di chi si ritira dal mondo non è l’unica che consente di “realizzare il regno” all’interno di se stessi. È in questo senso significativo che il discorso di Zosima, che occupa tutto il VI libro, inizi non con i suoi insegnamenti, ma con il racconto della vicenda del fratello Markel.

Il chicco di grano Markel (Gv ,) Come ho detto nell’“Introduzione”, uno dei procedimenti narrativi preferiti da Dostoevskij è quello di inserire nei suoi romanzi una serie di testi nel testo – sogni, racconti, confessioni, 

passi biblici – che contengono a loro volta altri frammenti di testi, capaci di sviluppare in questa complessa rete dialogica un alto potenziale di senso. “Il Grande Inquisitore”, inserito nella confessione di Ivan, consente prima di tutto a un personaggio con evidenti difficoltà di comunicazione di esprimere indirettamente, attraverso lo schermo di un poema da lui immaginato, il nucleo doloroso e irrisolto del proprio mondo interiore. Contemporaneamente questo testo nel testo è importante per il suo unico ascoltatore che, anche attraverso “Il Grande Inquisitore”, acquista una maggiore conoscenza di se stesso e del mondo in un momento importante della sua giovane esistenza. I veleni di Ivan e perfino le tentazioni che suscitano in lui saranno come vedremo per questo personaggio portatori di grazia. La risposta di Alesˇa, che viene dopo alcuni mesi, è il testo da lui elaborato: “Un monaco russo”. Come sottolinea il narratore, scrivendo a distanza di tempo un discorso così lungo e complesso, Alesˇa ha certamente selezionato, riorganizzato, ampliato il racconto fatto da Zosima nella sua ultima notte di vita col ricordo di incontri precedenti. Mi sembra significativo che Dostoevskij abbia scelto di presentare ai lettori l’esperienza e gli insegnamenti di uno starec non in modo diretto, ma attraverso il filtro e l’interpretazione di uno dei Karamazov che, quando scrive questo testo, ha già assimilato il messaggio di Zosima tanto da viverlo e ritrasmetterlo nella dolorosa vicenda che colpisce lui e tutti coloro che ama. Infine, entrambi i testi nel testo acquistano per i lettori ulteriori significati nel rapporto che si sviluppa con tutta la vicenda del romanzo. In un libro che, come abbiamo detto nel primo paragrafo, ha uno dei suoi più forti punti di riferimento nel vangelo di Giovanni, il lungo monologo di Zosima richiama, in modo implicito ma evidente, un altro discorso di addio, quello che Gesù, offrendo il suo immenso potenziale di amore, rivolge ai discepoli, 

raccogliendo insieme tutto quello che nell’imminenza della morte desiderava ricordare e trasmettere a coloro che amava44. Vanno in questa direzione le parole pronunciate da Zosima nel suo ultimo giorno di vita: Non morirò prima di inebriarmi ancora una volta della conversazione con voi che amo con tutto il cuore, prima di guardare ancora una volta i vostri cari visi ed effondere in voi la mia anima45.

Lo starec racconta soltanto due momenti della sua vita: il ricordo di infanzia che come un punto luminoso ha influenzato tutta la sua esistenza e il tempo della svolta quando quel seme ha dato frutto. La storia del fratello adolescente di Zosima, Markel, il primo personaggio che nei Fratelli Karamazov vive e testimonia la dimensione del paradiso sulla terra, ha un’importanza centrale nell’ultimo romanzo e nel contesto dell’opera di Dostoevskij. In tre sole pagine dense di senso vengono a convergere e a concentrarsi in questo episodio – in una prospettiva opposta rispetto a quella di Ivan – il problema del significato della morte fisica, quello della sofferenza, il senso del miracolo, che non consiste qui in una vistosa e soprannaturale manifestazione della potenza divina, ma nella limpida percezione che miracolo è la vita stessa nella sua pienezza. L’autore sceglie di non entrare nella pelle di Markel, come aveva fatto con Ippolit e come farà di nuovo con Alesˇa e Mitja, che vivono dall’interno un’esperienza affine. Per introdurre un tema chiave, che sarà ripreso e modulato nella seconda parte del

44 Cf. Gv -. Cf. a questo proposito C. Dodd, L’interpretazione del quarto Vangelo, pp. -. 45 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).

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romanzo in una serie di variazioni, Dostoevskij si affida all’osservazione di un bambino di nove anni, il futuro starec Zosima, che ricorda la trasformazione esteriore del fratello e soprattutto il testamento spirituale costituito dalle sue parole, ma non ha accesso al mondo interiore di lui. Sta ai lettori comprendere, così come a coloro che all’interno del romanzo ascoltano il messaggio del ragazzo. Due sono le frasi chiave dei discorsi di Markel: La vita è un paradiso. Ognuno di noi di fronte a tutti è per tutto colpevole46.

Apparentemente lontane e contrastanti, queste due intuizioni del personaggio sono legate non solo nel ricordo di Zosima, ma anche nei testi più alti e significativi della spiritualità ortodossa, che descrivono i metodi che portano alla realizzazione del “regno” all’interno di se stessi. Markel, la cui vicenda si colloca nella lontana infanzia dello starec, è nel romanzo il primo portavoce del messaggio frutto di questa esperienza: un messaggio che si diffonde attraverso onde sempre più larghe fino a raggiungere anche coloro che ignorano l’esistenza del ragazzo. Attraverso Zosima le parole di Markel arrivano fino al “visitatore misterioso”, che troverà anche lui, sia pure a un prezzo altissimo questo paradiso47, e successivamente ad Alesˇa, Mitja, Grusˇen’ka. 46 “Zˇizn’ est’ raj. Vsjakij iz nas pred vsemi vo vsem vinovat” (F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. ; I fratelli Karamazov, p. ). 47 Il “visitatore misterioso”, che vive stimato da tutti e amato da una famiglia ignara dell’omicidio da lui compiuto nella giovinezza, è colpito dalle parole di Markel sul paradiso, ascoltate da Zosima. Egli esita tuttavia a compiere il passo doloroso di rivelare la menzogna su cui ha costruito la sua vita, perché questo comporterebbe non solo la perdita della sua reputazione, ma anche la disperazione della sua famiglia. Zosima, trasmettendogli l’esperienza sua e quella del fratello morto ormai da molti anni, lo aiuta a compiere un podvig, qui necessario, appoggiandosi a due citazioni bibliche: Giovanni , (che è al centro di questo VI libro) e un versetto della Lettera agli Ebrei (“Terribile è cadere nelle mani del Dio vivente”, Eb ,) che nella sua durezza colpisce il personaggio già credente e assetato della dimensione di paradiso. È una citazio-

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Per spiegare l’effetto di questo “chicco di grano” che morendo produce tanti frutti, mi sembra illuminante una metafora usata dallo studioso ortodosso Kallistos Ware, che la riprende da un saggio orientale: Guarda questa finestra, non è altro che un buco nel muro, ma grazie a essa tutta la stanza è piena di luce. Così, quando le facoltà sono sospese, il cuore è pieno di luce, e quando è pieno di luce diventa un influsso da cui gli altri vengono segretamente trasformati48.

Markel, come il monaco russo di cui parla Ware, è appunto “quel buco nel muro attraverso il quale passa la luce”. Svuotando il proprio cuore da tutte le impurità, egli diventa una finestra per gli altri. Attratto dalla condizione dell’adolescente, in cui tutto è ancora in divenire, Dostoevskij sceglie, per affrontare nel suo romanzo il tema chiave legato all’epigrafe49, un diciassettenne in-

ne evangelica anche la brevissima frase che il “visitatore misterioso” pronuncia quando incontra Zosima dopo la confessione: “Soversˇilos’”. Come nota Giuseppe Ghini, questa espressione, resa dai traduttori con “È fatto”, “It is done”, “I did it”, è quella che “la Bibbia sinodale pone sulle labbra di Cristo crocifisso, le parole con cui l’evangelista Giovanni (,) fa terminare la sua missione terrena, l’equivalente, cioè, di ‘Tutto è compiuto’” (G. Ghini, La Scrittura e la steppa, p. ). 48 K. Ware, La vita monastica, p. . 49 Questo tema era già stato introdotto nel secondo libro in un episodio apparentemente marginale: la risposta di Zosima a una madre che non si consola per la perdita del suo piccolo Aleksej. Il messaggio dello starec, espresso alla contadina in un linguaggio adatto alla sua mentalità, è quello di non lasciarsi andare a una sofferenza distruttiva, che provoca solo male a se stessa e agli altri (il marito debole e facile al bere lasciato solo), ma di aprirsi alle forze di vita racchiuse proprio in questo dolore. Nell’ottica di Zosima, il bambino vivo in un’altra dimensione, come il chicco di frumento del vangelo di Giovanni, può essere ancora e forse più di prima, per coloro che con amore lo hanno messo al mondo, il centro intorno al quale tenere unito un nucleo familiare di affetti e preziosi ricordi comuni, che si sta disgregando proprio per lo strazio dell’assenza fisica di lui. Attraverso le parole dello starec, che si appoggia su due brani biblici (Mt , e Gv ,), viene introdotto già in questo episodio un tema chiave, fondamentale per la risposta al problema del significato del dolore: l’occasione offerta proprio dalla sofferenza di aprire gli occhi su una dimensione esistenziale più larga, che i

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telligente e sensibile, irascibile e stranamente taciturno, incline ad assorbire le mode culturali del suo tempo fino a dichiararsi ateo convinto. La malattia mortale che lo colpisce è come se aprisse una crepa in un’esistenza vissuta fino ad allora in superficie. L’autore dei Fratelli Karamazov, con la sua ricchissima esperienza di vita, è ben consapevole del potere distruttivo della sofferenza, quando chi la subisce si chiude in se stesso nell’autocommiserazione o nell’amarezza50. Lo dimostra attraverso figure come Ippolit e Nastas’ja Filippovna, che vivono un’esperienza simile a quella di Markel e di Grusˇen’ka, ma concludono la loro vita nella disperazione e nella tragedia. Il grande romanzo-sintesi del  è come se inglobasse anche questi personaggi e gli interrogativi irrisolti delle loro vite. Il quadro di Holbein, che incombe con la sua dolente fisicità sui protagonisti del romanzo L’idiota, è una delle voci dostoevskiane che trovano risposta nell’ultima opera, dove il problema della morte fisica è affrontato in tutta la sua profondità. L’adolescente Ippolit è privo di una famiglia che lo ami, di interlocutori disposti all’ascolto, di un contatto con la natura che il muro di mattoni davanti alla sua finestra di malato gli nasconde. Markel invece è sostenuto dal calore affettivo di un nucleo familiare pieno di amore, dall’esperienza di una primavera traboccante di colori, suoni, odori nel rigoglioso giardino della sua casa, dall’influenza di una particolare settimana, quella di Palimiti imposti dalla materialità quotidiana impediscono di percepire. Vale la pena di ricordare che questa risposta – come testimonia la moglie Anna – è molto vicina a quella data dallo starec Amvrosij a Dostoevskij, angosciato per la morte del figlioletto Aleksej, morte capace di portare frutto nella creazione dell’ultimo romanzo dello scrittore. 50 Geir Kjetsaa ritiene che probabilmente proprio la concezione della sofferenza espressa dallo starec rende difficile accettare la filosofia di Zosima e ricorda che lo scrittore Somerset Maugham, in polemica con Dostoevskij, sostiene che la sofferenza porta l’uomo a diventare querulo, egoista, intollerante (cf. G. Kjetsaa, Dostoevsky, p. ). Dostoevskij non nega questa possibilità, ma ne mette in evidenza anche e soprattutto altre, frutto della propria personale esperienza e della riflessione sui testi spirituali da lui più amati.

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squa, che egli accetta di vivere come la madre e la njan’ka (balia) gli chiedono. La malattia mortale, che lo spoglia delle maschere superflue assunte per sfida o per curiosità, lo rende disponibile ad aprirsi con tutti i sensi ai richiami di quel particolare momento dell’anno e della sua vita. Il “tono strano e deciso” col quale il ragazzo pronuncia all’improvviso le sue insolite verità, il suo palpitare di amore, di commozione, di gioia, esprimono per lui un modo completamente nuovo di guardare al mondo, a se stessi, alla vita. ... sto piangendo per la gioia, non per il dolore. Anche se non riesco a spiegarlo, lo stesso voglio essere colpevole dinanzi a loro (gli uccelli che cantano alla sua finestra), giacché non so nemmeno come amarli ... non mi trovo già forse in paradiso adesso51?

È lo stesso modo di sentire espresso da Isacco il Siro e da Simeone il Nuovo Teologo nel momento in cui descrivono l’esperienza del “regno” all’interno di se stessi. Seguiamo le tappe di questo percorso così come ce le presentano questi due padri della chiesa d’oriente. Quando si raggiunge la vera conoscenza, mossi dalla percezione dei misteri di Dio – scrive Isacco – si è consumati dall’amore ... quando scrivevo di queste cose, le mie dita si fermavano sulla carta. Non potevo sopportare la gioia che nasceva nel mio cuore e che rendeva i sensi silenziosi ... L’amore è figlio della conoscenza52.

A un amore immenso, sconfinato nel senso più vero del termine, che scaturisce dalla percezione del divino all’interno di se 51 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ). 52 Isaak Sirin, “Slovo” , pp. -.

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stessi, Isacco ha dedicato i suoi discorsi più vibranti, capaci di abbracciare senza esclusione come se fosse un solo corpo tutto ciò che vive, anche gli esseri più sgradevoli e ripugnanti. Un cuore caritatevole è un cuore che brucia d’amore per tutta la creazione: l’uomo, gli uccelli, gli animali, i demoni e tutto ciò che esiste, così che al loro ricordo o alla vista di essi gli occhi si bagnano di lacrime per la forza dell’amore ... [un cuore caritatevole] prega perfino per i nemici della verità e per quelli che fanno il male, anche per i rettili, per la forza di una compassione che si riversa nel suo cuore senza misura53.

È questo immenso amore, che permette di immedesimarsi in tutto e tutti, a generare il pentimento – quello provato appunto da Markel –, che Isacco definisce “il tremore dell’anima davanti alla porte del paradiso”. “Metánoia – scrive Kallistos Ware – significa letteralmente trasformazione della nostra prospettiva, un nuovo modo di vedere noi stessi, gli altri e Dio”. Come fa osservare Teofane il Recluso, finché una stanza è immersa nell’oscurità non si nota la sporcizia, ma, se la si illumina bene, si vede ogni granello di polvere. Allo stesso modo si può descrivere lo spazio della nostra anima. Solo quando la luce entra nella nostra vita, si comincia veramente a comprendere che c’è menzogna nel nostro cuore”54. È appunto questa esperienza non di sterile senso di colpa ma di apertura a un amore e a una gratitudine senza limiti che vive Markel quando afferma di “piangere per la gioia e non per il dolore” e che il suo “chiedere perdono perfino agli uccelli” nasce da un amore per tutto ciò che vive tanto immenso da non sapere nemmeno come manifestarlo. 53 Id., “Slovo” , pp. -. 54 Cf. K. Ware, Riconoscete Cristo in voi?, p. .

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Il fratello di Zosima testimonia quello che ha scoperto attraverso pochissime parole. La sintesi dell’esperienza di Markel è contenuta nella frase che lo starec ricorda nel momento cruciale della sua vita, durante la notte che precede la conversione. In verità ciascuno è colpevole davanti a tutti per tutti, solo che gli uomini non lo sanno, ma se lo sapessero, oggi stesso sarebbe il paradiso55.

Come vedremo, nella seconda parte del romanzo Dostoevskij affida ad altri personaggi – Zosima nei suoi insegnamenti, Alesˇa in “Kana galilejskaja” (Cana di Galilea), Mitja nel capitolo “Gimn i sekret” (L’inno e il segreto) – di riprendere e approfondire l’intuizione di Markel, che è per lo scrittore fondamentale nel processo interiore che porta alla realizzazione del paradiso all’interno di se stessi. Markel scopre questa dimensione nella quotidianità di comuni giornate primaverili, rischiarate dalla consapevolezza dell’imminenza della morte che – come era già avvenuto per il condannato descritto da Mysˇkin nel romanzo L’idiota – ha la capacità di dilatare il presente fino a renderlo quasi infinito. A partire da questo episodio la sofferenza, che Ivan vorrebbe scartare – così come l’inquisitore vorrebbe eliminare la croce – acquista un diverso significato. Quello scoperto da Markel è un segreto che, come dice lui stesso, è sotto gli occhi di tutti. Pure gli uomini non lo vedono. Come abbiamo già detto, perché il velo cada dagli occhi, secondo Dostoevskij così come secondo i padri della chiesa d’oriente, due strade sono possibili: la via del monaco che si allontana dal mondo oppure il trauma causato da una sofferenza che perfora e lascia umili e nudi di fronte a se stessi e a Dio. È la condizione di Markel nelle sue ultime setti-

55 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).

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mane. In questa prospettiva la morte fisica non distrugge la vita, ma è per chi si prepara ad accoglierla aprendo tutto se stesso e per i testimoni partecipi di questa esperienza via d’accesso a una dimensione infinitamente più larga di quella sperimentata fino ad allora. Si capisce attraverso questo episodio il senso profondo della parola di Paolo secondo il quale – come sottolinea Evdokimov nel suo volume L’ortodossia56 – anche la morte è un dono di Dio messo a disposizione dell’uomo: Tutto è vostro: ... il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio57.

In questo senso anche la pur tanto dolorosa morte di Zosima è un dono prezioso per Alesˇa, che solo attraverso la crisi prodotta da questo lutto comprende il senso degli insegnamenti ricevuti. In questa prospettiva va letto nel romanzo di Dostoevskij anche il dono più grande che sgomenta tanti personaggi: la morte di Cristo sulla croce, senza la quale, come Alesˇa con Zosima, i discepoli non avrebbero potuto capire. Il senso di Cristo crocifisso, del suo compartire, sperimentandole sulla propria pelle, le sofferenze più atroci dei disperati di tutti i tempi, capaci di cogliere assai più dei sapienti il senso di questo messaggio58, non è

56 P. Evdokimov, L’Ortodossia, p. . 57 Cor ,-. 58 Cf. Cor , e ss.: “Parliamo sì di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo ... Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria ... Ma a noi Dio le ha rivelate [quelle cose] per mezzo dello Spirito”. Una conferma alla parola di Paolo viene anche nel nostro mondo contemporaneo dallo stridente contrasto fra ciò che spinge i “dominatori del mondo”, che detengono il potere, e la fiducia in Dio che anima i popoli più oppressi, ad esempio in Chapas, in Salvador, in Guatemala.

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facile da comprendere per i personaggi di Dostoevskij, né probabilmente per i suoi lettori. Perché si riveli, è necessaria la presenza dello Spirito (cf. Cor ,-), che si manifesta quando l’individuo dopo un lungo processo di purificazione o sotto lo stress prodotto da una sofferenza lacerante apre le porte di se stesso59. Un processo simile, che porta da un’amarezza “che divora le viscere” a un’immensa gioia, è descritto da Simeone il Nuovo Teologo attraverso immagini di grande e limpida efficacia: Qual è l’uomo che, colpito al cuore dal veleno, preso dal dolore ... e tormentato dal grande male che ha dentro di sé, si prende cura di qualche piccola ferita ... La malattia nascosta che ha nel cuore coprirà qualsiasi male ... Essa [la gioia] ... è il risultato della pena e dell’amarezza della sua anima e dell’incontro con lo Spirito ... [la gioia] sarà come vino distillato davanti al sole, che ancora più brilla e risplende e mostra più puro il suo colore, dandoti allegria e scintillando sul volto di chi lo beve in faccia al sole. Ma ... c’è qualcosa che non riesco a capire. Non so infatti che cosa mi allieti di più, se la vista e il diletto che viene dalla purezza dei raggi del sole, oppure il bere e il gustare il vino nella mia bocca60.

Come nota il commentatore del volume, Umberto Neri, Simeone descrive qui un duplice movimento: il perdersi dimenticando se stessi nella visione della luce e il ritrovarsi nell’intima gioia (il vino) della comunione con questa luce61. 59 Per questa seconda via cf. supra, pp. - e in particolare la nota scritta da Dostoevskij il  dicembre : “Non si ha la felicità in una situazione di comodità. È attraverso la sofferenza che essa si raggiunge. Questa è la legge del nostro pianeta, ma questa conoscenza diretta (soznanie), percepita attraverso il processo vitale, è una gioia così immensa che si può pagare con anni di sofferenza” (Prestuplenie i nakazanie [rukopisnye redakcii], pp. -). 60 Simeone il Nuovo Teologo, Le catechesi, pp. -. 61 Di questo stesso processo parla Isacco il Siro nei suoi scritti. Cf. le citazioni riportate supra, pp.  e .

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L’esperienza di Markel, che dopo una crisi esistenziale Zosima farà sua, permette di affrontare a questo punto il problema del presunto “panteismo” dello starec di Dostoevskij e della sua visione che è apparsa ad alcuni “troppo ottimistica, rosea e zuccherosa”, e che lo porrebbe al di fuori della corretta linea ortodossa. Mi riferisco in particolare ai lavori di Leont’ev, di Kologrivov, di Linner e di Terras, che sostiene che “any form of paradise on earth snaks of heresy and utopian socialism”62. Il problema è secondo me ben impostato da Pavel Evdokimov, che tuttavia si limita nel suo libro a brevissimi accenni alle fonti patristiche di Dostoevskij (“La sua opera non è né un trattato dogmatico, né un catechismo ... cercare un sistema dottrinale in Dostoevskij significa passare accanto al suo genio. Il solo metodo che convenga qui è di situare la sua visione nella Tradizione della sua Chiesa e di rivelarne le fonti ... un’analisi più attenta del retroterra patristico lascia facilmente scorgere l’ortodossia assolutamente corretta di Dostoevskij”)63. Ogni filo d’erba, ogni moscerino, ogni formica o ape dorata, ogni creatura – afferma Zosima in una delle pagine del romanzo più contestate dai critici ortodossi – conosce il proprio cammino così bene da lasciare sbalorditi; pur non avendone consapevolezza, essi testimoniano del mistero divino e lo realizzano incessantemente ... tutta la creazione e tutte le creature, sinanche ogni singola fogliolina, aspirano al Verbo, cantano la gloria di Dio64. 62 Cf. K. Leont’ev, Sobranie socˇinenij, I. Kologrivov, Santi russi, S. Linner, Staretz Zosima, V. Terras, A Karamazov Companion. Secondo Terras, Zosima ha una forte dose di vitalismo mistico e di panteismo, è poco eloquente e dice luoghi comuni morali e religiosi (V. Terras, A Karamazov Companion, p. ). Lo stesso amico di Dostoevskij, Vladimir Solov’ev scrive in una lettera a Leont’ev che Dostoevskij secondo lui guarda alla religione “attraverso un cannocchiale rosa” e che “non è riuscito a porsi su un terreno autenticamente religioso” (cf. F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. , n. ). 63 P. Evdokimov, Gogol et Dostoïevsky, pp. -. 64 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, pp. - (I fratelli Karamazov, pp. -).

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Questa pagina richiama l’atteggiamento di Markel di fronte agli uccelli che cantano alla sua finestra, dettaglio che negli appunti Dostoevskij ripete più e più volte (“Chiedeva perdono agli uccelli [U ptic prosil prosˇcˇenija]”) perché è evidentemente qualcosa che gli sta a cuore65. Lo stesso rapporto di reciproco amore fra l’uomo puro e gli animali è descritto da Isacco il Siro nei suoi Discorsi66. Ancora, va nella stessa direzione il ben noto testo ortodosso Otkrovennye rasskazy strannika duchovnomu svoemu otcu (Racconti sinceri di un pellegrino al suo padre spirituale), dove il protagonista scopre che la ripetizione incessante della preghiera di Gesù trasfigura il suo rapporto con la creazione materiale che lo circonda. Mi sembra possa aiutare a chiarire il senso di quello che provano e trasmettono Zosima e Markel, la descrizione dell’icona della trasfigurazione di Teofane il Greco fatta da uno studioso ortodosso contemporaneo – Anthony Bloom – in questo stesso spirito, del resto ampiamente presente nella Bibbia nei salmi di ringraziamento e di lode, dove è tutto il mondo naturale – gli alberi, i fiumi, gli animali, il mare – a cantare e gioire di un unico amore. Tutti questi raggi di luce che cadono dalla presenza divina (Cristo risorto) non danno rilievo ma trasparenza alle cose. Si ha l’impressione che ... raggiungano le cose e affondino in esse, le penetrino, toccando qualcosa dentro di esse, quel punto segreto che fa sì che dal loro stesso cuore, dal cuore di tutte le cose create la medesima luce si rifletta e brilli a sua volta come se la luce divina vivificasse le capacità, le potenzialità di tutte le cose e consentisse loro di tendere verso la stessa Luce. In quel momento la pienezza escatologica è raggiunta e, secondo le parole di Paolo, “Dio è tutto in tutti”67. 65 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, pp. -. 66 Isaak Sirin, “Slovo” , pp. . 67 A. Bloom, “Body and Matter in Spiritual Life”, pp. -.

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Questa profonda unità di tutto il creato è il miracolo della vita che Markel percepisce e che Zosima esprime nel suo discorso con la stessa ottimistica gioia espressa da Simeone e da Isacco nelle loro opere. Le pagine dei Fratelli Karamazov – e in particolare quelle di “Un monaco russo”, una delle parti del romanzo meno analizzate in dettaglio – sono intrise del pensiero dei due più famosi padri della chiesa d’oriente, testimoni dei carismi e dei doni dello Spirito. Liquidarle velocemente come “troppo rosee, ottimiste e zuccherose” oppure come sospette di eresia, o ancora come estranee alla spiritualità del mondo russo significa di fatto non tenere conto delle fonti – gli scritti di Isacco e di Simeone, sui quali l’ortodossia si è formata – per conservare e difendere invece un guscio fatto di regole rigide e liturgie formalmente ineccepibili, ma povere proprio di quello Spirito che illumina e ispira i testi dei padri della chiesa d’oriente. Che l’attenzione di questi interpreti sia rivolta soprattutto alla forma esteriore è evidente anche da un altro appunto di Leont’ev: Si parla poco degli uffici religiosi, delle obbedienze; neanche una liturgia, neanche un Te Deum68.

A questi critici così attenti agli aspetti formali sfugge, secondo me, l’essenza profonda del romanzo. Come spiegherò più avanti, Dostoevskij ha costruito il suo ultimo libro secondo un percorso che, dopo la presa di coscienza da parte dei protagonisti delle proprie debolezze e imperfezioni, culmina in un banchetto di gioia prima nel sogno di Alesˇa e poi nel pranzo funebre della conclusione – entrambi comunione (pricˇastie) e rendimento di grazie (evcharistija) –.

68 K. Leont’ev, Sobrananie socˇinenij, pp. -.

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Costruendo il romanzo come un’azione che culmina nel banchetto eucaristico (nel senso etimologico del termine), lo scrittore dimostra non solo di non aver ignorato la ricchezza e il significato profondo della liturgia ma di aver fatto molto di più. Ha infatti trasferito tutto questo su un piano più alto della rappresentazione realistica in un romanzo che celebra la profonda e ricchissima spiritualità della chiesa d’oriente calandola nella carne e nel sangue dei personaggi da lui creati. Una piena sintonia fra i discorsi di Zosima e le sue fonti appare evidente se si esaminano in dettaglio i temi trattati dallo starec, che hanno nel contesto del romanzo molteplici funzioni. In particolare costituiscono il testamento spirituale che Alesˇa renderà vivo e attivo nel mondo dove il suo maestro gli ha chiesto di vivere. Contemporaneamente offrono una risposta indiretta agli interrogativi dei personaggi, che non trovano un senso all’esistenza perché sono incapaci di amare. Con una radicalità, sottolineata dallo stesso Zosima, è affrontato in queste pagine un problema che tormenta Ivan. Ricordati soprattutto che non puoi essere giudice di nessuno. Giacché non può esistere sulla terra giudice di un criminale, se quello stesso giudice prima non abbia compreso che è egli stesso colpevole ... Per quanto possa sembrare assurda, questa è la verità. Giacché se io fossi stato giusto, forse quel criminale che ora sta di fronte a me non sarebbe stato tale69.

Queste parole, che si rifanno al testo biblico, filtrato attraverso gli insegnamenti di Isacco il Siro e dello starec di Optina Leonid70, assumono nel romanzo una particolare concretezza se ri69 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, pp. -). 70 Scrive Isacco il Siro “Non voler sapere chi è degno e chi non è degno. Da parte tua ritieni degni tutti gli uomini, soprattutto perché facendo così li stimolerai verso la verità” (Isaak Sirin, “Slovo” , p. ). E lo starec Leonid: “Non devi giudicare gli altri perché non sai con quale scopo agiscono ... Cerca di rivolgere l’attenzione su di te

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ferite alle posizioni e ai comportamenti del secondo dei Karamazov, che si erge a giudice dei suoi simili e dello stesso Dio, e nello stesso tempo, non conoscendo la sua larghezza interiore, sparge inconsapevolmente intorno a sé semi di male. Attraverso le sue argomentazioni teoriche egli instilla infatti, pur senza esserne consapevole, l’idea dell’omicidio nel fratellastro Smerdjakov, spinge Katerina Ivanovna a un autosacrificio sterile e dannoso, influenza negativamente perfino i quattordicenni Liza e Kolja, cioè quegli stessi bambini che vorrebbe difendere dal male. Al di là del problema legato a Ivan, le parole di Zosima sono importanti perché ripresentano da un’altra angolazione uno dei punti-chiave della testimonianza di Markel (“ognuno è per tutti colpevole”). Alla base degli insegnamenti dello starec nel suo discorso di addio c’è la percezione della stretta interconnessione di tutte le cose: Mio fratello chiedeva agli uccelli di perdonarlo; questo sembrerebbe privo di senso, eppure è giusto: tutto è come un oceano in cui tutto scorre e confluisce, un contatto in un punto genera una ripercussione all’altro capo del mondo71.

Deriva da qui la responsabilità nel bene e nel male di ogni essere umano per tutto ciò che lo circonda72. e non analizzare le azioni degli altri ... Se tu non vedi nei fratelli l’amore è perché tu stesso non ce l’hai” (K. Zedergol’m, Zˇizneopisanie, p. ). 71 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, pp. -). 72 “Tu non lo sai – dice Zosima a proposito di chi, passando accanto a un bambino con l’animo irato pronuncia brutte parole – tu potresti anche non aver notato quel bambino, ma egli ha visto te ... tu non lo sai ma potresti aver seminato un seme cattivo”. E ancora: “Se tu fossi stato una luce, avresti illuminato il cammino degli altri e colui che ha commesso una colpa, forse non l’avrebbe commessa. Ma anche se la tua luce risplendesse e tu vedessi che gli uomini non vengono salvati da essa, tu resisti lo stesso” (Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, pp. -; I fratelli Karamazov, pp. -).

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Un modo di sentire affine a quello di Zosima è espresso nel volume L’esicasmo. Che cosa è e come lo si vive: Se crediamo all’interrelazione di tutte le cose – “impossibile sollevare un filo di paglia senza disturbare una stella” – possiamo essere certi che un essere di pace comunica la sua calma e serenità al mondo intero73.

Prima di completare il percorso che lo ha portato a realizzare il regno all’interno di se stesso, “l’essere di pace”, di cui parla Leloup – come Markel, come Zosima, come Alesˇa –, è dovuto necessariamente passare attraverso la tappa della conoscenza di se stesso, dei semi di bene e di male che sono dentro di lui e che agiscono sugli altri. Fratelli non abbiate paura del peccato degli uomini – afferma ancora Zosima – amate l’uomo anche nel suo peccato, giacché proprio questa è l’immagine dell’amore divino ed è la forma suprema dell’amore sulla terra74.

Come ho già accennato, queste affermazioni dello starec, criticate da alcuni interpreti, così come quelle di Isacco e di Simeone, possono apparire generiche e a volte anche scontate, se si isolano dal contesto e si scorrono distrattamente. Se si considera tutto il romanzo, così come il testo globale delle opere dei due teologi, queste parole si riempiono di significato nel messaggio complesso e tutt’altro che facile da assimilare di autori che a ogni rilettura rivelano nuovi strati di senso. Quello espresso da Zosima nella frase citata è lo stesso modo di accostarsi a chi fa il male che porta Isacco il Siro, capace di

73 J. Y. Leloup, L’esicasmo, p. . 74 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).

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pregare anche per i rettili e per gli esseri più ripugnanti, all’affermazione: “Se vedi tuo fratello che sta per peccare, getta sulle sue spalle il mantello del tuo amore”. E ancora un modo di sentire molto simile è espresso da Simeone il Nuovo Teologo: Io conosco un uomo – scrive Simeone – che desiderava con tale ardore la salvezza dei suoi fratelli che spesso domandava a Dio con lacrime brucianti di tutto cuore ... o che i suoi fratelli fossero salvati con lui, o che fosse anch’egli condannato con loro. Poiché egli si era legato con loro nello Spirito di un tale vincolo d’amore che non avrebbe neppure voluto entrare nel regno dei cieli se avesse dovuto per questo separarsi da loro75.

Si tratta di un amore insolito e apparentemente folle, motivato tuttavia dalla percezione di un vincolo con tutto ciò che vive più profondo della stessa fratellanza (un unico corpo) e dalla consapevolezza – comune a Markel, a Zosima, a Isacco, a Simeone – della larghezza della natura umana ovvero del male che è presente in ognuno di noi e che può avere esso stesso una funzione di bene. Può infatti distruggere l’orgoglio di chi è capace di vederlo e permettergli di rivolgersi anche ai più colpevoli senza ribrezzo o timore, non sentendoli estranei ma parte di sé. Ne è ben consapevole Alesˇa quando si lascia tentare da Rakitin, quando confida a Liza di vedere anche lui demoni in sogno, quando si riconosce Karamazov con tutto ciò che questo comporta. Le parole di Zosima costituiscono anche la prima risposta al desiderio di vendetta di Ivan, incapace di perdonare i carnefici: una risposta che viene dal profondo di coscienze che si sono aperte a un amore capace di accettare tutto e tutti. 75 Questo brano di Simeone è citato da V. Lossky, La teologia mistica, p. .

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Come ho scritto nel capitolo III – utilizzando come chiavi per gli episodi delle vittime le indicazioni di Isacco il Siro, il versetto di Giovanni (,), il messaggio del libro dell’Apocalisse, ovvero i testi citati dallo stesso Dostoevskij – i piccoli sadicamente torturati e uccisi, di cui parla il secondo dei Karamazov, non subiscono nella loro essenza profonda alcun male in una prospettiva che, come suggerisce la Scrittura, va al di là della finitezza terrena. Possono infatti essere accolti, grazie all’estrema offesa subita da creature deboli e indifese fra gli eletti della Rivelazione di Giovanni: “coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap ,). In questa stessa prospettiva, più difficile e ancora più degna di compassione appare la condizione dei carnefici, che sperimentano già sulla terra l’inferno di cui parla Zosima, chiaramente ispirato da Isacco il Siro: Che cos’è l’inferno? ... La sofferenza di non essere più capaci di amare ... quel tormento non è fuori, bensì dentro di loro. Ma se pure fosse possibile liberarli da esso, credo che la loro infelicità si farebbe ancora più amara ... giacché alimenterebbe in loro più forte che mai la fiamma della sete di un amore reciproco, attivo e riconoscente, che ormai è impossibile76.

76 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, pp. - (I fratelli Karamazov, pp. -). E Isacco il Siro: “Coloro che soffrono nell’inferno sono colpiti dalla frusta dell’amore. E come è amaro e crudele questo tormento d’amore ... L’amore è frutto della visione della verità, che è data a tutti. Ma l’amore con la sua forza agisce in due modi: tormenta i peccatori, come accade anche qui fra gli uomini e dà gioia a coloro che hanno osservato i suoi comandamenti” (Isaak Sirin, “Slovo” , p. ). Questa concezione dell’inferno si ritrova anche in Tichon di Zadonsk (cf. R. Pletnev, “Serdcem mudrye”, pp. -). Ai punti di contatto tra il pensiero di Tichon di Zadonsk e l’opera di Dostoevskij ha dedicato un lavoro N. Gorodetzky, Saint Tikhon of Zadonsk. I punti comuni messi in evidenza dai due studiosi sono già presenti tuttavia nelle opere di Isacco il Siro, che è la fonte comune al vescovo di Zadonsk e allo scrittore. Vorrei sottolineare che, dopo i riferimenti di Dostoevskij a Tichon nelle lettere e negli appunti relativi a Zˇitie velikogo gresˇnika, l’attrazione dello scrittore per questa figura diminuisce, mentre cresce l’interesse suscitato dagli starcy e dai padri della chiesa d’oriente.

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La condizione dei dannati, non tanto materiale quanto soprattutto interiore, di cui parlano lo starec di Dostoevskij e Isacco il Siro, nasce dall’impossibilità di ricevere e trasmettere l’amore. Lo stesso inferno è vissuto nella quotidianità da Raskol’nikov dopo il delitto, da Stavrogin dopo il sogno dell’età dell’oro, da Ivan Karamazov dopo la rivelazione di Smerdjakov e dagli altri personaggi dostoevskiani a loro affini, schiacciati dal peso delle colpe commesse. Un’altra risposta indiretta a coloro che non comprendono il senso della sofferenza e dubitano di Dio è costituita dai passi biblici, che Zosima afferma di preferire e che commenta nel suo ultimo discorso: in particolare il libro di Giobbe77 e il capitolo di Genesi in cui Giacobbe lotta con Dio (Gen ,-). Il primo testo, caro allo stesso Dostoevskij, in cui “l’antico dolore [del protagonista] per il grande mistero della vita umana si trasforma in una calma e commossa gioia”, in una serena ac77 Il libro di Giobbe viene ricordato altre due volte nel romanzo. È il testo preferito dal devoto servo Grigorij, che interpreta tutto alla lettera ed è incapace di comprendere il senso profondo della Scrittura. È citato inoltre con cinica ironia dal diavolo frutto dell’allucinazione di Ivan (F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. ; I fratelli Karamazov, p. ). Nel suo volume La Scrittura e la steppa. Esegesi figurale e cultura russa, Giuseppe Ghini fa un’approfondita analisi del ruolo che la figura di Giobbe ha nel romanzo. Due sono gli aspetti fondamentali da lui individuati. Il primo è il fatto che “la parafrasi del Libro di Giobbe, quale compare nell’agiografia di Padre Zosima, presenta un dupice legame con l’epigrafe”, che Ghini analizza nelle pagine successive. Il secondo è il fatto che “la figura di Giobbe è legata in modo saldo e significativo a Cristo per il tramite della liturgia pasquale. Mentre infatti la liturgia cattolica prevede nella Settimana Santa la lettura delle profezie messianiche di Isaia, la liturgia ortodossa concentra in quella che chiama Settimana di Passione la lettura dei capitoli iniziali e finali del Libro di Giobbe. Né ciò sembri strano: nella liturgia pasquale infatti si dà compimento al dramma veterotestamentario, e spiegazione, pur nel mistero, all’apparente contraddizione tra la sofferenza dell’innocente e la giustizia divina”. Come lo studioso sottolinea, Zosima nelle sue memorie lega il suo ricordo infantile del libro di Giobbe alle letture della Settimana santa. È inoltre significativa l’annotazione dello starec, che ricorda la settimana in cui si compie la conversione di Markel mortalmente malato: “A partire dal martedì mattina mio fratello prese a digiunare e a fare le sue devozioni”. “Si tratta – nota Ghini – precisamente del martedì della Settimana di Passione, giorno immediatamente successivo, nella serie liturgica, a quel lunedì in cui si riattualizza la rinascita di Giobbe” (cf. G. Ghini, La Scrittura e la steppa, pp. -).

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cettazione di quello che è stato per quanto doloroso abbia potuto essere, è la risposta classica della Scrittura – facile da comprendere in superficie ma difficile da fare propria – a chi subisce perdite ed eventi dolorosi. Il secondo testo (Gen ,-) – il combattimento dell’angelo con Giacobbe, che fino ad allora era vissuto solo per se stesso fuggendo la chiamata di Dio – è la descrizione di un momento particolare, sospeso fra la grazia e la disperazione, in cui tutta la vita è messa in discussione78. È lo stesso combattimento che si svolge all’interno di Markel all’insorgere della malattia, del “visitatore misterioso” subito prima della confessione pubblica, di Zosima nella notte del duello, di un Ivan che vorrebbe ma non sa decidersi ad arrendersi all’avversario. Il nucleo centrale, che unisce tutti gli altri temi, è nell’insegnamento di Zosima il discorso sull’amore, capace di mettere a nudo il punto debole dei personaggi che non hanno ancora trovato se stessi e il senso della propria esistenza. L’amore è un gran maestro, ma dovete saperlo acquistare, giacché esso si conquista con difficoltà, si compra a caro prezzo, attraverso un lungo lavoro e tempi molto lunghi79.

È una definizione dell’amore simile a quella che era già stata formulata nel secondo libro (“Neumestnoe sobranie”, “Una riunione inopportuna”) nelle parole rivolte in modo diretto alla madre di Liza, e più ampiamente a tutti i presenti all’incontro. Cercate di amare il prossimo attivamente e infaticabilmente. Nella misura in cui progredirete nell’amore, vi convincerete

78 Per l’interpretazione dell’episodio di Genesi in questa chiave cf. P. Stancari, I Patriarchi, pp. -. 79 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).

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sia dell’esistenza di Dio sia dell’immortalità della vostra anima ... Mi dispiace di non potervi dire nulla di più consolatorio, giacché l’amore attivo è crudele e terrificante se paragonato all’amore dei sogni. L’amore dei sogni anela all’azione rapida, dai risultati immediati alla vista di tutti. Gli uomini darebbero perfino la vita purché l’esecuzione non duri a lungo, ma si consumi in fretta come su un palcoscenico, con un pubblico attento e plaudente. L’amore attivo invece è fatica e disciplina ... Ma vi predico questo: nel momento stesso in cui vi accorgerete con orrore che, a dispetto di tutti i vostri sforzi, non solo non vi sarete avvicinati allo scopo, ma ve ne sarete quasi allontanati, in quello stesso istante, vi predico, voi avrete raggiunto lo scopo all’improvviso e vedrete chiaramente sopra di voi la potenza miracolosa del Signore80.

In queste parole di Zosima c’è in prospettiva tutto il percorso di Alesˇa, di Mitja e di Ivan Karamazov: i conflitti e gli ostacoli che rendono difficile il loro cammino, ma anche le soluzioni dalle quali in questo capitolo di apertura essi sono ancora lontani. Non solo Ivan, ma lo stesso Alesˇa ha, come i suoi coetanei, “brama di azione immediata”81. Il podvig, sognato dallo Stavrogin e dal Kirillov dei Demoni come da Ivan e da Alesˇa, lusinga perché è qualcosa di eccezionale, che gratifica l’io attraverso l’approvazione del pubblico. Ispirandosi al comandamento di amore, centrale nel vangelo di Giovanni che, come nota Kjetsaa82, è il testo più sottolineato da Dostoevskij, Zosima dà una definizione di amore che nella sua apparente semplicità smaschera quanto di marcio può essere presente anche nelle azioni che sembrano più luminose. Lo starec indica una via poco attraente, quotidiana, priva di fretta. È quella che ha portato lui a una dimensione di gioia, che irradia da tutta la sua persona, ca80 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, pp. - (I fratelli Karamazov, pp. -). 81 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ). 82 Cf. G. Kjetsaa, Dostoevsky and his New Tetstament, p.  e Dostoevsky, p. .

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pace di attrarre anche i personaggi che sembrano più lontani dalla sua sfera: Mitja, che in carcere ne ripete le parole, Grusˇen’ka, che comprende il dolore di Alesˇa per una perdita così grande come la morte di Zosima, Ivan che è colui che “dietro a Fedor Pavlovicˇ ha voluto e organizzato” la riunione in monastero, dove riceve indicazioni che lo aiuteranno più avanti a comprendere se stesso e i suoi desideri più segreti.

Cana di Galilea (Gv ,-) La seconda parte dei Fratelli Karamazov riprende da un’altra angolazione i temi centrali dei due grandi testi nel testo e li sviluppa nelle vicende concrete dei tre protagonisti che – in modo diverso l’uno dall’altro – vivono in un brevissimo spazio di tempo epifanie capaci di scuoterli alla radice del loro essere. La più compiuta di queste esperienze è quella vissuta da Alesˇa ed è legata all’ascolto durante la veglia al cadavere del suo starec del brano delle nozze di Cana (Gv ,-) riportato quasi per intero nel romanzo. Nella premessa al suo ultimo libro Dostoevskij sottolinea che il più giovane dei Karamazov è il protagonista dell’opera. Nelle prime quattrocento pagine questo personaggio è una presenza silenziosa, un ascoltatore partecipe, un testimone83. L’indicazione fornita dall’autore rivela tuttavia la sua importanza e il suo significato nel IV capitolo della terza parte. 83 Nella prima parte Alesˇa è il destinatario delle confessioni di Mitja, di Ivan, di Grusˇen’ka, del padre di Iljusˇa, di Liza, del racconto autobiografico di Zosima. È inoltre il testimone partecipe delle scene di scandalo al monastero, nel salotto di Katerina Ivanovna, in casa del padre minacciato e ferito dal primogenito. È ancora lui il tramite fra Mitja e Fedor Pavlovicˇ, Mitja e Katerina, Katerina e il capitano e più tardi fra Iljusˇa e i suoi compagni di scuola.

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Come ho detto nell’“Introduzione”, Alesˇa è l’unico personaggio a cui è concesso di scoprire questa dimensione in piena coscienza e con le forze vitali ancora intatte84. L’esperienza avviene non nel momento in cui il giovane si allontana dal mondo scegliendo il monastero, ma quando si immerge con dolore nella quotidianità alla quale il suo maestro Zosima lo rimanda. Per comprendere “Cana di Galilea” è importante il punto di partenza intorno al quale si costruisce la vicenda esistenziale di Alesˇa85. Se l’intreccio dei Fratelli Karamazov si sviluppa in tre soli giorni nella prima parte e poi nel tempo breve del processo a Mitja, il romanzo ha una profondità temporale molto più ampia, che affonda nell’infanzia di Zosima e di Alesˇa. Quasi in risposta e a riprova dell’affermazione dello starec (“tutto è come un oceano in cui tutto scorre e tutto confluisce e un contatto in un punto genera una ripercussione all’altro capo del mondo”86), le parole di Markel, come abbiamo visto, agiscono a distanza di anni e anni su persone che non lo hanno mai conosciuto. Ugualmente la scena di amore, dolore, fede disperata vissuta nella prima infanzia dal terzo dei Karamazov, porta frutto non solo nelle vicende della famiglia, ma anche in quelle di Kolja, di Iljusˇa, di Grusˇen’ka. La scena che Alesˇa, rimasto orfano a quattro anni, conserva dentro di sé per tutta la vita è simile a un’immagine onirica, a

84 Cf. supra, p. . Vorrei ricordare qui che, come sottolinea Kallistos Ware (“Presentazione”, p. ), la prima tappa di questa esperienza, che porta a percepire il “regno di Dio” all’interno di se stessi, è la “discesa nel cuore profondo che non è più carne” e la scoperta di una dimensione di pace, di luce, di amore immessa in ogni uomo dallo Spirito. Questa dimensione – quella che si rivela a Stavrogin, a Kirillov e a Versilov – si percepisce prima di arrivare a Dio in un processo che può essere bloccato da circostanze esterne o dalle resistenze di chi lo vive. 85 Alesˇa è la felice variante di un personaggio come Mysˇkin, dotato di un luminoso altruismo ma destinato al fallimento, perché patologicamente privo di passato e di esperienza, ignaro non tanto dei mali del mondo quanto delle spinte contraddittorie all’interno di se stesso, turbato dalle “idee doppie” che lo tormentano, privo di interlocutori e di guide che lo aiutino a superare le difficoltà che finiranno con l’annientarlo. 86 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).

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un quadro che si è impresso nella sua mente staccato dal contesto, “come un punto luminoso nelle tenebre”. Egli ricordava una mite sera d’estate, le finestre aperte, i raggi obliqui del sole che tramontava (ricordava soprattutto quei raggi obliqui), in un angolo della stanza l’immagine sacra con un lumino acceso, davanti all’immagine in ginocchio ... c’era sua madre che lo afferrava ... e pregava per lui la Madre di Dio, protendendolo dal suo abbraccio con entrambi le mani, verso l’immagine, come per affidarlo alla protezione della Vergine ... Quello era il quadro. Alesˇa ricordava anche il viso di sua madre in quell’istante: diceva che era delirante ma bellissimo87.

In queste poche righe è già racchiuso in nuce il nucleo della personalità del futuro protagonista del romanzo, che si sviluppa a partire da questi semi. Con un atto d’amore estremo e disperato la mite Sof’ja, vittima fino alla morte dei giochi sadici di Fedor Pavlovicˇ, offre a Colei a cui si affida con tutta se stessa il suo piccolo figlio, consacrato attraverso il suo gesto fin da questo momento. Contemporaneamente essa dà al bambino tutto ciò che ha, la sua immensa fiducia e il suo amore, affidandolo all’unica forza in cui lei, creatura indifesa e oppressa da tutti, trova rifugio. Se, come Zosima, Alesˇa è stato chiamato (prizvan)88, la chiamata comincia a manifestarsi fin dalla sua venuta al mondo, a partire dal nome scelto per lui e da questa consacrazione che la madre gli lascia come unico dono e ricordo di sé89. Fin dalla prima adolescenza 87 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ). 88 Cf. Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ). 89 La consacrazione, che Alesˇa, che non può dimenticare questo momento, è consapevole di avere ricevuto, ricorda episodi biblici di altri bambini consacrati (cf. Sam ,-). Inoltre il suo nome – “Aleksej uomo di Dio” è chiamato più volte nel romanzo – lega il personaggio a un santo molto amato in Russia che, come Alesˇa, è chiamato a vivere e ad agire nel mondo. Per il rapporto fra il terzo dei Karamazov e sant’Alessio, cf. V. E. Vetlovskaja, “Literaturnye i fol’klornye istocˇniki”.

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il ragazzo è tutto occupato da questa immagine, che cresce in lui e lo rende diverso dagli altri. Per comprendere la personalità del protagonista scelto da Dostoevskij per il suo ultimo romanzo sono importanti alcuni dettagli di questo quadro. La madre è amore, bene, bellezza, ma è anche un essere malato e delirante. Il figlio, che percepisce il sentimento di lei, che lo riscalda e lo appaga, la accetta così com’è, cogliendo il bene e la luce di quel prezioso ricordo. Il vincolo di amore con questa madre determina probabilmente l’inclinazione del ragazzo ad accogliere tutto e tutti senza giudicare, a essere sensibile a chi come lei soffre e ha bisogno di aiuto. In questa luce Sof’ja è il personaggio che fin dalle prime pagine del romanzo introduce e rende concreto il tema dell’epigrafe: quello dell’umile e insignificante chicco di grano, capace morendo di produrre frutto. Un particolare importante di questa scena con la madre, che rimane fisso nella mente di Alesˇa, è costituito dai “raggi obliqui del sole al tramonto”, gli stessi che tornano nel colloquio tra Zosima bambino e il fratello malato e che lo starec nel suo ultimo discorso dice di amare profondamente (“Benedico il sorgere del sole ogni giorno e il mio cuore come sempre canta in suo onore, ma adesso amo ancora di più il suo tramonto, i suoi lunghi raggi obliqui”)90. Motivo ricorrente negli ultimi romanzi di Dostoevskij, questa immagine è legata nei Fratelli Karamazov a personaggi che, vicini alla fine della loro esistenza, accettano questo tramonto con fiducia e senza timore, in attesa di una dimensione altra nella quale niente andrà perduto. Nel primo ricordo di infanzia, che riscalda il cuore di Alesˇa, il morire è così già presente in un’immagine di pace e di luce.

90 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).



È evidente a questo punto che il nucleo antitetico attorno al quale i due figli di Sof’ja costruiscono la loro personalità e la loro vita è per Ivan l’odio freddo e il ribrezzo per il padre, per Alesˇa il caldo ricordo della madre e che sono queste due opposte spinte interiori a riportare i due fratelli nel luogo dove sono nati. Nella notte di veglia al suo starec Alesˇa è un personaggio che ha già sperimentato in soli tre giorni – immedesimandovisi sino a star male – la brutale e sadica sensualità del padre, la ribellione di Ivan, la crisi di Mitja, che non riesce a vincere le sue debolezze ma aspira disperatamente alla gioia, e soprattutto la pesante percezione della carica di violenza che esplode in quella stessa notte con l’omicidio di Fedor Pavlovicˇ. Per questo personaggio, dolorosamente consapevole che i vizi e le debolezze dei Karamazov sono anche dentro di lui, il colpo più grave, l’“illegittima cometa”91 che scuote alla radice una visione del mondo che gli sembrava salda e ormai acquisita, è l’odore di putrefazione che emana dal corpo dell’amato starec, dal quale per un momento nella sua ansia di assoluto e di perfezione egli si sente tradito92. È tuttavia proprio questo non miracolo – in netta antitesi con la sete di eventi straordinari rivelata da Ivan e dal suo inquisitore – a generare il travaglio interiore capa-

91 Come ho già detto nell’“Introduzione”, questa espressione tratta da Pusˇkin, è usata da Jurij Lotman per la descrizione dei processi esplosivi ovvero degli eventi che si verificano quando ci si imbatte in qualcosa che mette in crisi la vecchia collaudata visione del mondo (che è poi quanto avviene ad Alesˇa nell’episodio che stiamo esaminando). Nella sua esposizione Lotman sottolinea che, perché un’esplosione si verifichi, è necessario l’incontro con un altro, che può essere un individuo, un gruppo di persone o anche semplicemente un libro, un quadro, un articolo (qui l’odore di decomposizione). “La funzione di questo altro è immensa – scrive lo studioso – e consiste proprio nel fatto di essere collocato al di fuori di tutte le funzioni e di irrompere nel mondo consueto come ‘un’illegittima cometa nel cielo sgombro di astri’” ( Ju. Lotman, Cercare la strada, p. ). Mi soffermo su queste indicazioni di Lotman perché mi sono state preziose per l’analisi dei Fratelli Karamazov. 92 Cf. F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).



ce di portare Alesˇa all’esperienza, che non ribalta ma trasforma la sua vita. Come nell’episodio delle nozze di Cana, è l’intervento di una donna a mettere in moto il processo che produce per Alesˇa il vino della gioia. Nello sbandamento interiore, che gli fa accettare la tentazione di Rakitin e lo porta a casa di Grusˇen’ka, che si è dichiarata pronta a sedurlo, il più giovane dei Karamazov riceve inaspettatamente proprio da questo personaggio, giudicato negativamente da tutti ma capace di percepire il bene e la luce93, il tassello mancante per la comprensione del messaggio dello starec. Specchiandosi nelle parole di un altro94, che valorizza il suo maestro caduto in disgrazia ed esprime una calda e spontanea compassione per una perdita tanto grave, Alesˇa, reso opaco dal dolore che lo soffoca, è come risvegliato e di nuovo pronto a dare luce agli altri. Nel rapporto che si stabilisce fra due esseri che si parlano in assoluta sincerità “come alla propria coscienza”, Grusˇen’ka confessa finalmente le sue ferite e scopre la propria dignità nell’accettazione totale di un altro. A sua volta Alesˇa, anche attraverso la storia della cipollina raccontata dalla donna per se stessa95, comprende quello che non aveva mai capito prima: l’importanza e il valore del relativo, di un amore che non si esprime in azioni grandiose e gratificanti ma nei piccoli ge-

93 Grusˇen’ka, sedotta nell’adolescenza e “rimasta nella miseria e nell’infamia”, non ha mai ricevuto niente senza dare e ha imparato a difendersi con astuzia e durezza, ma nel profondo di se stessa è ferita, insoddisfatta della sua vita, aperta al cambiamento. 94 In un gioco di corrispondenze che ricorda l’oceano di Zosima, una frase casuale di Rakitin (“il suo starec è morto oggi”) provoca l’immediata e sincera reazione di Grusˇen’ka, capace di comprendere il dolore di Alesˇa. Il ruolo svolto in questo episodio da Grusˇen’ka, messa in crisi proprio in quel momento dall’arrivo improvviso del suo seduttore, è stato ben analizzato da Leonard Stanton nel suo libro The Optina Pustyn Monastery. 95 Grusˇen’ka racconta ad Alesˇa la storia di una “vecchia cattiva come una vipera”, che al momento della morte l’angelo custode tenta di salvare porgendole una cipollina data da lei a un poveretto, l’unica azione positiva della sua vita. Nel suo slancio di sincerità Grusˇen’ka confessa di aver dato anche lei in tutta la sua vita di frustrazione e di rancore soltanto una cipollina.



sti, nelle “cipolline” date ogni giorno. Sono le espressioni di conforto e di compassione reciproca scambiate in questo episodio a far percepire al giovane Karamazov in tutta la sua concretezza il senso dell’“amore attivo” che, predicato dallo starec nel secondo capitolo del romanzo, torna in “Cana di Galilea” al centro del sogno. È un Alesˇa purificato dall’incontro con Grusˇen’ka, che ha sentito “sorella”, riconciliato col suo starec e colmo di gioia, a sedere esausto di fronte alla salma di Zosima, in ascolto del brano letto da padre Pajsij, un ascolto che scivola lentamente nel sonno e nel sogno delle nozze di Cana. Fra le numerosissime citazioni e allusioni bibliche che Dostoevskij inserisce nelle sue opere spiccano per la lunghezza e l’importanza che assumono nel contesto dei suoi libri tre passi del Nuovo Testamento riportati quasi per intero: la resurrezione di Lazzaro in Delitto e castigo, la Lettera alla chiesa di Laodicea nei Demoni, le nozze di Cana nei Fratelli Karamazov. Punti di luce nelle oscure vicende di Raskol’nikov, di Stavrogin, della famiglia Karamazov, essi offrono ai destinatari una chiave preziosa, che ha il potere di evidenziare, selezionare e riorganizzare elementi e aspetti della realtà interni ed esterni a loro. Riporto il passo biblico delle nozze di Cana, che nel romanzo è intercalato a intuizioni e a immagini di Alesˇa, perché, se si analizzano i singoli dettagli, le corrispondenze con le circostanze e le vicende dell’opera appaiono tanto evidenti da far ipotizzare che l’autore abbia sviluppato l’intreccio anche a partire da questo brano. Tre giorni dopo ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. E Gesù rispose: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”. La madre dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”. [Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei giudei, 

contenenti ciascuna due o tre barili: il v.  manca nel brano inserito nel romanzo]. E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le giare”; e le riempirono sino all’orlo. Disse loro di nuovo: “Ora attingetene e portatene al maestro di tavolo”. Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola che non sapeva da dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua) chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli quello meno buono; tu invece hai conservato fino a ora il vino buono”96.

È significativo che nell’episodio della veglia funebre a un personaggio, che ha legato tutto il suo insegnamento e la sua vita a un messaggio di gioia, Dostoevskij scelga di inserire proprio il passo delle nozze di Cana. Col suo primo segno Cristo è venuto a portare la festa e la gioia, ma è una gioia che, come sarà evidente dall’analisi di questo brano, costa un prezzo molto alto, di cui egli è fin da ora ben consapevole97. Il passo ascoltato da Alesˇa è definito da alcuni interpreti fondamentale nel contesto del vangelo di Giovanni, perché anticipa e ingloba in sé tutto il percorso: è alla gioia infatti che si torna dopo che il cammino è compiuto. Scrive Donatien Mollat nel suo libro Dodici meditazioni sul vangelo di Giovanni: “È questo l’inizio dei segni e li contiene tutti in germe”. Il dettaglio temporale, che apre l’episodio ha attirato l’attenzione della maggior parte dei commentatori. Quello di Cana è il settimo giorno delle settimana inaugurale di Gesù, ma è anche il terzo giorno (tre giorni dopo l’evento precedente), “espressio-

96 Gv ,-. 97 Letto in questa luce, il capitolo “Cana di Galilea”, che sottointende un’interpretazione di tutto il quarto vangelo, offre, come vedremo, un’altra importante risposta alle domande poste da Ivan sul perché della presenza nel mondo del male, della sofferenza, della morte.

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ne” che nell’Antico Testamento indica un tempo di compimento (cf. Gen ,; Es , eccetera) e nel Nuovo il giorno della resurrezione (cf. Cor ,; Lc , eccetera)98. L’episodio di Cana – afferma Daniel Attinger – non conclude solo la settimana inaugurale, ma la fa sfociare nel tempo eterno99. Come vedremo, non solo questo passo del vangelo, ma anche il capitolo di Dostoevskij sfocia per il protagonista nel tempo eterno: in una dimensione di gioia e di festa senza fine, che si allarga ad accogliere tutti coloro che in ogni tempo rispondono all’invito. Ora, nel romanzo Alesˇa ascolta il brano nella notte del terzo giorno a partire dall’inizio delle vicende narrate100, durante le quali ha sperimentato, come i discepoli del Nuovo Testamento, la sofferenza della perdita del maestro, lo sbandamento, le tentazioni. Quella descritta in “Cana di Galilea” è per lui una notte di morte e di rinascita come lo è per il fratello Mitja che, giunto al punto estremo di disperazione e deciso a uccidersi prima dell’alba101, scopre in questa stessa ora un altro se stesso: l’uomo nuovo che era rimasto nascosto dentro di lui.

98 Cf. D. Mollat, Dodici meditazioni, p. ; C. Dodd, L’interpretazione del quarto Vangelo, p. ; E. Bianchi, Evangelo secondo Giovanni, p. : “Il giorno di Cana non è solo il settimo giorno, ma è anche ‘tre giorni dopo’, espressione tecnica dei cristiani per evocare la resurrezione”. E ancora: “Per Giovanni questa datazione delle nozze doveva risuonare come legata al mistero pasquale di Gesù risorto il terzo giorno (Gv ,-) e all’evento del Sinai quando Adonai, il terzo giorno, rivelò la sua gloria a Mosè (Es ,) ... Sinai, Cana e Pasqua sono tre pietre miliari dell’unico itinerario di salvezza ... sempre datati il terzo giorno” (E. Bianchi, La madre di Gesù, p. ). 99 D. Attinger, L’Evangelo secondo Giovanni, p. . 100 Il primo giorno è occupato dalla riunione in monastero, dal pranzo a casa di Fedor Pavlovicˇ, dalla visita di Alesˇa a Katerina Ivanovna, dalla confessione di Mitja. Il secondo giorno è occupato dagli incontri di Alesˇa con lo starec, con Fedor Pavlovicˇ, con Liza, con Katerina Ivanovna, con il padre di Iljusˇa, con Ivan che fa la sua confessione e dal discorso di addio di Zosima. Nel terzo giorno, che si conclude con la veglia, il protagonista piange la morte del suo starec, va da Grusˇen’ka e torna infine in monastero dove si siede in ascolto della lettura del passo delle nozze di Cana. 101 Scrive Mollat che nel vangelo di Giovanni “il miracolo avviene quando si è giunti al limite dello sforzo e delle risorse umane, che esso assume trasfigurandole” (D. Mollat, Dodici meditazioni, p. ). È quanto avviene anche ad Alesˇa e a Mitja nella notte più angosciosa della loro vita non attraverso un vistoso miracolo dall’alto, ma grazie a un’esperienza interiore che li trasforma.

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Il brano delle nozze di Cana dà spazio al ruolo di un personaggio femminile, che tornerà nel quarto vangelo soltanto un’altra volta, quasi alla conclusione. La madre di Gesù non agisce qui in prima persona, ma “anticipa tutti”, richiamando l’attenzione su una mancanza, e “intercede a favore di una festa che rischia di essere definitivamente compromessa”102. Anche per l’ascoltatore Alesˇa nei due momenti cruciali della sua vita è fondamentale l’intervento di una figura femminile, che non agisce in prima persona ma, consapevole di una mancanza, lo affida con totale fiducia a qualcuno che saprà guidare e indirizzare la sua vita. Nella prima infanzia del personaggio, Sof’ja, disperatamente consapevole dell’assenza di vino – il senso e la gioia di esistere – nella sua famiglia, mette in moto un processo che darà frutto attraverso il figlio. Nel tempo presente, Grusˇen’ka mostra compassione e intercede indirettamente a favore di una festa, che rischia di essere compromessa dal sordo dolore di Alesˇa, il quale dopo questo incontro torna dal suo starec riconciliato con lui e aperto al suo messaggio. Il primo miracolo fa intravedere il regno di Dio già su questa terra. Cristo “visita la gioia degli uomini, non il dolore”103. Ai servi, che sanno da dove viene il vino, è affidato il compito di portarlo agli invitati ignari. È quello che nel romanzo faranno Alesˇa e Mitja, resi aperti e disponibili agli altri dall’aver gustato l’intima e profonda esperienza della rinascita attraverso quel vino. Questo episodio di festosa allegria è legato tuttavia da espliciti richiami al momento più drammatico dell’esistenza di Gesù. Come molti interpreti hanno notato, il particolare dell’“ora”, la presenza di Maria, che tornerà soltanto nel capitolo , e l’espressione che le è rivolta – “donna” – richiamano tutti il mo102 E. Bianchi, La madre di Gesù, p. . 103 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).

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mento della crocifissione e della morte. L’ora che a Cana “non è ancora giunta”, verrà nel capitolo  di Giovanni: È giunta l’ora che sia glorificato il figlio dell’uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo. Se invece muore, produce molto frutto104.

È evidente da questo raffronto che l’epigrafe e il più lungo e importante brano biblico inserito nei Fratelli Karamazov sono strettamente legati. Nel quarto vangelo l’inizio si congiunge alla fine, perché il banchetto che si prepara e di cui è anticipato qui soltanto un aspetto – l’allegria semplice e festosa – non può avere luogo senza il sacrificio del chicco che morendo porta frutto. Molte parabole sinottiche – scrive Charles Dodd – sono costruite sul motivo del gámos, “festa nuziale”. Nell’Apocalisse giovannea incontriamo la “cena di nozze dell’Agnello” (Ap ,-). L’immagine viene poi applicata dalla chiesa al tema eucaristico ... È possibile che i primi lettori di Gv ,- pensassero a questo simbolismo eucaristico e che, perciò, il brano sia stato composto in vista di tale associazione105.

In un romanzo dove i richiami al discorso di addio dell’ultima cena tornano più volte in “Un monaco russo” come nelle parole di Alesˇa nella conclusione, questa connessione è enfatizzata nell’episodio che stiamo esaminando da un complesso gioco di interazioni. Nel sogno di Alesˇa la festa di nozze ha come centro e protagonista un personaggio che è lì morto nella bara e insieme partecipa al banchetto. Nella cena di intimo raccoglimento e di condivisione che si compie a Gerusalemme, la morte è presente 104 Gv ,-. 105 C. Dodd, L’interpretazione del quarto Vangelo, p. .

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nella consapevolezza di Cristo – che si rivela tutto e trasfonde se stesso nei discepoli – che il pane e il vino di quella mensa sono il corpo e il sangue di lui (cf. Cor ,-; Mc ,-; Lc ,-). La cena di Gesù è partecipazione a quel corpo e a quel sangue, che viene assimilato e trasfuso in chi lo riceve. Nel sogno, che trasferisce Alesˇa all’interno del quarto vangelo, il personaggio partecipa sia della gioia delle nozze di Cana sia dell’esperienza vissuta dai discepoli nella notte di Gerusalemme. È un momento di unione profonda col suo starec e col Cristo di cui egli è tramite, di commossa gratitudine traboccante di felicità e insieme di nutrimento essenziale per la sua nuova vita tutta da vivere106. Nei momenti centrali dei Fratelli Karamazov è attraverso la morte che viene trasfusa la vita. Come scrive Guardini a proposito di Markel, di Zosima, di Alesˇa, “una vita interiore personale è trasfusa nella vita di un altro”107. Markel morendo dà a Zosima tutto se stesso. A sua volta Zosima trasmette al discepolo la sua “ricchezza segreta”, perché la ritrasmetta agli altri e non venga mai a mancare il vino. L’accoglienza piena e consapevole di ciò che viene offerto si accompagna – per gli apostoli, come per Zosima nella notte del duello e per Alesˇa in questa veglia – a una crisi esistenziale: comporta infatti il morire a se stessi, a una visione ristretta, agli attaccamenti e ai desideri del vecchio io. 106 Scrive uno studioso contemporaneo, che si appoggia a un passo di Paolo (Cor ,-), a proposito dell’eucarestia: “Si riceve quel corpo al fine di poter rimanere in permanente comunione con esso nella realtà della propria vita ... La continuazione dell’eucarestia la viviamo nella realtà della vita quotidiana ... Partendo da questa prospettiva, quella della Lettera ai Corinzi ... si sente il bisogno di riscoprire l’Eucarestia, di riscoprire che cosa vuole Gesù: vuole coinvolgerci, vuole trasmettere la sua vita, vuole continuare attraverso di noi questa sua donazione, questo dono di sé attraverso di noi” (A. Paoli, “Meditazioni su Cor ,-”, pp. -). È un brano che aiuta a comprendere il significato dell’esperienza di Alesˇa, che non vive in questo episodio un momento di unione intimistica da gustare ed esaurire nel profondo di sé, ma sente con tutto se stesso l’esigenza di darsi agli altri, di ritrasmettere quello che ha ricevuto. 107 Cf. R. Guardini, Dostoevskij, p. .



I discepoli devono rinunciare al tanto desiderato Messia di potenza. Alesˇa, con la sua sete di azioni eroiche e immediate, deve morire ai propri desideri per assimilare il senso vivo delle parole del suo starec e farle proprie. Nel sogno vengono a fondersi insieme il messaggio della pagina evangelica, l’insegnamento di Zosima che va nella stessa direzione e infine il ricordo recentissimo della storia della cipollina che, solo apparentemente ingenua e riduttiva, offre al personaggio una chiave per una comprensione più profonda degli altri due testi. Il “vino nuovo, il vino della nuova grande gioia”, che si beve nel sogno, si colora così, rispetto a quello di Cana, di sfumature presenti nel testo evangelico, ma in questo passo non esplicitate. Ho dato una cipollina – dice lo starec – e così sono qui anch’io. E molti sono qui per avere dato una cipollina, solo una piccola cipollina. Che cosa sono in fondo tutte le nostre azioni108?

È una ripresa del discorso sull’amore attivo fatto da Zosima alla Chochlakova, che ora finalmente Alesˇa può comprendere. Quello che il giovane Karamazov scopre attraverso il messaggio denso e sintetico del sogno è che sono invitati al banchetto non solo i pochi eletti, che compiono imprese eroiche, ma anche gli indegni: Mitja, Grusˇen’ka, Zosima, umiliato dall’odore di decomposizione del suo cadavere. Possono partecipare tutti – i poveri, gli emarginati, i peccatori “trovati ai crocicchi delle strade” – purché siano aperti all’amore e all’accoglienza degli altri (ovvero, usando una metafora evangelica, purché abbiano “l’abito nuziale”: Mt ,-). 108 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).

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La scena di un banchetto109 è presente due volte nella seconda parte del libro: prima in questo episodio e poi come vedremo in quello della mensa funebre per Iljusˇa. Se a questo punto si raccolgono insieme i fili della rete di richiami biblici che percorrono e interpretano il romanzo, proprio l’immagine del banchetto, che torna dall’Antico Testamento fino all’Apocalisse, gioia ritrovata dopo l’esperienza della sofferenza e della morte fisica o interiore, appare il nucleo e il centro irradiante dell’opera. È la dimensione di pienezza e di felicità esistenziale, di “paradiso sulla terra”, verso la quale Dostoevskij si protende con tutta la ricerca artistica della sua maturità. Nell’ultimo romanzo questa dimensione viene offerta ai protagonisti privilegiati e insieme agli ideali destinatari, ai lettori disposti a rispondere all’invito: a rimuovere cioè come Alesˇa e Mitja le resistenze che impediscono di gustare già nel qui e ora del quotidiano la gioia di esistere. Come ho detto nel paragrafo dedicato a Ivan, uno dei conflitti irrisolti di questo personaggio è la sua sete dei tempi ultimi, quelli preannunciati da Isaia, che gli appaiono disperatamente lontani e per lui irraggiungibili. Per Zosima, Alesˇa, Mitja – così come per le grandi fonti dello scrittore, Isacco il Siro e Simeone il Nuovo Teologo – si tratta invece di una dimensione sempre presente, accessibile a ogni esistenza che si apra ad accoglierla. Egli si è fatto uguale a noi per amore – afferma Zosima nel sogno – e gioisce insieme a noi, converte l’acqua in vino per non interrompere la gioia degli ospiti, aspetta nuovi ospiti, ne invita continuamente di nuovi, e così nei secoli dei secoli110.

109 Nei Fratelli Karamazov ci sono altri due banchetti. Il primo è quello offerto – nel giorno che apre la vicenda del romanzo – dall’igumeno del monastero, al quale come i personaggi del vangelo di Matteo (,-) gli invitati rifiutano di partecipare. L’altro, immerso nella logica della lussuria e delle passioni, si svolge in casa di Fedor Pavlovicˇ e si conclude con il ferimento del vecchio da parte di Dmitrij. 110 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).

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Uno dei punti cardine degli insegnamenti di Simeone il Nuovo Teologo è quello della “presenza”111. L’esperienza di questa presenza, annunciata dalle parole di Zosima, è vissuta subito dopo il sogno dal protagonista del romanzo. Nell’assopimento durante la lettura di padre Paisij, Alesˇa ha l’immagine di “una strada larga, dritta”, illuminata dal sole. Nel bisogno di spazio e di libertà che al risveglio lo spinge all’aperto, è come se questa strada diritta si dilatasse fino a diventare un cerchio infinito, capace di abbracciare tutto e tutti112. Non sapeva perché stesse abbracciando la terra ... eppure la baciava, piangendo, singhiozzando, giurava appassionatamente di amarla, di amarla nei secoli dei secoli. “Irrora la ter111 Citiamo qui fra i tanti su questo tema due brani di Simeone: “Fratelli e padri, ci sono molti, dei quali ben sentiamo le parole, che dicono continuamente: ‘Se fossimo vissuti ai giorni degli apostoli e come loro fossimo stati resi degni di contemplare il Cristo, anche noi ci saremmo fatti santi come loro!’. Ma costoro non sanno che egli è colui che allora come ora parla in tutto il mondo. Se infatti egli non fosse ora lo stesso di un tempo, restando totalmente Dio tanto nelle sue energie che nelle operazioni, in che modo il Padre sempre apparirebbe nel Figlio e il Figlio nel Padre mediante lo Spirito, poiché è detto: ‘Il Padre mio opera fino a ora e anch’io opero’ (Gv ,)” (Simeone il Nuovo Teologo, Le catechesi, p. ). E ancora: “Ti ringrazio perché hai adempiuto ogni mia domanda e ... mi hai dato miriadi di altri beni che non desideravo ... Da dove avrei saputo che ti manifesti a chi ancora vivente nel mondo, viene a te, così da cercare anche di contemplarti? ... Io credevo infatti di credere compiutamente in te ... e invece non avevo assolutamente nulla, come appresi dopo dai fatti ... O come avrei conosciuto o Sovrano che tu, invisibile e incontenibile, sei veduto e contenuto dentro di noi?” (Id., Inni e preghiere. Autobiografia mistica, pp. -). Sul tema della “presenza”, cf. supra, pp. -. 112 Quello che Alesˇa prova in questo momento ha punti di contatto con i racconti autobiografici di Simeone il Nuovo Teologo, ma è anche diverso perché è qualcosa di profondamente personale, legato alla sua esperienza e alla sua individualità, nutrita dall’insegnamento del suo starec così come Simeone è guidato dal maestro Simeone il Pio. L’esperienza forse più vicina a quella di Alesˇa è descritta dal teologo bizantino nella “Catechesi” : “A questo punto il giovane non seppe più nulla e dimenticò se si trovasse in una casa o sotto un tetto. Vedeva infatti solo luce dovunque e neppure sapeva se i suoi piedi toccavano terra ... tutto presente alla luce immateriale e divenuto, gli sembrava, luce egli stesso, dimentico del mondo intero, fu inondato di lacrime di gioia e di esultanza incontenibili, inesprimibili. Poi ... vide un’altra luce ... e gli apparve – cosa straordinaria – in piedi vicino a quella luce quel santo di cui si è detto [Simeone il Pio, N.d.T.]” (Simeone il Nuovo Teologo, Le catechesi, p. ; cf. anche “Catechesi” , pp. - e Inni e preghiere, pp. -).

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ra con le lacrime della tua gioia e amale quelle tue lacrime...” risuonò dentro di lui ... Oh, nella sua esultanza egli piangeva persino per quelle stelle che brillavano per lui nell’abisso della notte e “non si vergognava della propria estasi”113.

Nel passo che abbiamo citato, sono inserite fra virgolette due citazioni. Sono le parole di Zosima già contenute in “Un monaco russo” che Alesˇa sente risuonare dentro di lui: “Bacia la terra e amala incessantemente, insaziabilmente, ama tutti, ama tutto, ricerca l’esultanza e l’estasi che riserva questo amore. Irrora la terra con le lacrime della tua felicità e amale, quelle tue lacrime. Non provare vergogna per questa estasi: abbine cura, giacché è un dono divino, un grande dono, che non a molti è concesso, solo agli eletti”114.

Questi brevissimi testi nel testo hanno un significato importante. Sono il seme che ora dà frutto nel discepolo e insieme offrono ad Alesˇa una chiave per comprendere l’evento. La pur personalissima discesa con la mente nel cuore, che il personaggio vive nella notte di veglia, ha i segni caratteristici descritti nei testi dei padri della chiesa d’oriente. Il dono delle lacrime, che accompagna l’esperienza di Alesˇa – ma anche quella di Mitja, di Markel, di Zosima nella notte del duello – è un motivo ricorrente nelle opere di Simeone il Nuovo Teologo e di Isacco il Siro, che nei loro scritti spiegano l’importanza e il significato di questo pianto di gioia. All’improvviso ti sarà data una fontana di lacrime – scrive Isacco –. Le lacrime scorreranno dai tuoi occhi come le acque dei torrenti, senza costrizione ... Quando vedrai questi segni

113 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ). 114 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).

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nella tua anima, fatti coraggio, tu sei passato al di là del mare ... Finché non avrai incontrato questi segni, la tua via non è ancora arrivata del tutto al monte di Dio. Quando sarai giunto alla regione delle lacrime, comprendi che la mente è uscita dalla prigione di questo mondo e ha posto i suoi piedi sulla via del mondo nuovo. Ora incomincia a respirare l’aria meravigliosa di là, ora incomincia a versare lacrime115.

Quello che Alesˇa prova in questo episodio è simile al sentimento espresso da Markel: un amore immenso che, come le lacrime purificatrici che gli scendono dagli occhi, lava ogni rancore, amarezza, divisione che allontani da qualsiasi altro essere umano. Tutto ciò che è vero e meraviglioso è sempre pieno di perdono ... Aveva voglia di perdonare tutti di tutto e di chiedere perdono, ma non per se stesso – no! – ma per tutti, per tutto e per ogni cosa, mentre “per me saranno gli altri a chiedere” gli risuonò ancora nella mente. Ma a ogni istante egli avvertiva chiaramente e quasi tangibilmente, che qualcosa di stabile e imperturbabile come la volta del cielo, era penetrato nella sua anima116.

Alesˇa abbraccia l’infinito come un unico corpo e il sentimento, che lo avvolge tutto e lo riempie di pace profonda, è di accettazione e di perdono. È un’altra e forse la più importante risposta a Ivan anche nei confronti dei più spietati carnefici: una risposta che non viene dagli insegnamenti di un teologo, ma che è vissuta dall’interno dal protagonista del romanzo con tutto il suo essere. È inoltre la ripresa da un’altra angolazione del moti-

115 Isaak Sirin, “Slovo” , pp. -; “Slovo” , p.  (Discorsi ascetici I, pp. - e ). Cf. ancora Simeone il Nuovo Teologo, Le catechesi, pp. -, -,  eccetera. 116 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, pp. - (I fratelli Karamazov, pp. -).

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vo introdotto da Markel: ognuno di noi è per tutti colpevole, così come gli altri sono colpevoli e responsabili nei nostri confronti in un universo in cui tutto è interconnesso.

L’uomo nuovo Mitja e gli uomini vecchi Ivan e Smerdjakov (Col ,) Nella stessa notte della veglia allo starec, il sogno fatto da Dmitrij Karamazov ripete le caratteristiche essenziali della “discesa con la mente nel cuore” compiuta da Markel e da Alesˇa117. Ognuna di queste “discese” ha tuttavia qualcosa di unico, legato all’esperienza esistenziale e alla sensibilità del personaggio che la vive. L’evento interiore che trasforma Mitja è importante nel romanzo, perché attraverso la vicenda di questo personaggio Dostoevskij esplora un’altra possibile via di accesso a una dimensione di pienezza, di gioia e di amore per la vita. A scuotere alla radice il maggiore dei Karamazov non è, come avviene per Markel, il trauma prodotto dalla percezione della morte imminente, né, come per Alesˇa, la sofferenza causata da vicende esterne estremamente dolorose. Nella notte di Mokroe, Mitja, profondamente colpevole e consapevole di esserlo, tocca il punto più basso della sua esistenza a causa delle debolezze, che non riesce a dominare e che lo hanno portato a una situazione che gli sembra senza via d’uscita. Come abbiamo visto nel I capitolo, secondo gli insegnamenti degli starcy, di Isacco e di Simeone, è nei momenti più bui

117 È lo stesso percorso descritto da Isacco il Siro, da Simeone il Nuovo Teologo e dagli studiosi ortodossi contemporanei Kallistos Ware e Pavel Evdokimov. Rimando perciò per le tappe e i dettagli di questo percorso alle analisi che ho già fatto nei paragrafi dedicati a Markel e ad Alesˇa.

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– quando la persona è umiliata e nuda di fronte a se stessa e a Dio – che può aprirsi la porta verso nuove sconosciute dimensioni di conoscenza e di gioia. Il maggiore dei Karamazov è uno dei personaggi del romanzo che frequentano meno la Bibbia. C’è una brevissima citazione (Lc ,) nella confessione ad Alesˇa e un’altra – “allontana da me questo calice” (Lc ,) – nella preghiera fatta nella notte di Mokroe, quando il personaggio è convinto di avere perduto Grusˇen’ka e di avere ucciso poche ore prima nella sua foga sfrenata il servo Grigorij. Ad aiutare Mitja nella notte che dovrebbe essere l’ultima della sua vita sono qualità opposte rispetto a quelle del fratello Ivan: una sincerità estrema, la piena consapevolezza delle sue debolezze e miserie, ma anche la capacità di sollevare gli occhi verso l’alto e di chiedere aiuto. Signore accoglimi ... Non mi giudicare perché mi sono già giudicato da me, Signore! Sono abietto, ma ti amo: se mi manderai all’inferno, ti amerò anche là e anche da là urlerò che ti amo nei secoli dei secoli. Ma lasciami amare fino alla fine ... la regina della mia anima118.

Il tramite che apre la strada all’esperienza di Mitja è, come era avvenuto per Alesˇa, una Grusˇen’ka che, finalmente liberata dal groviglio di rancori e di desideri coltivati per cinque anni, offre ora a Mitja un sentimento puro119.

118 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, pp. -). 119 “Prima c’erano soltanto le sue curve infernali che mi affliggevano – dice Mitja in carcere al fratello Alesˇa – mentre adesso ho accolto tutta la sua anima nella mia anima e attraverso di essa sono diventato un uomo” (Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. ; I fratelli Karamazov, p. ). Il cambiamento di Grusˇen’ka è determinato dall’aver verificato in quella notte lo squallore e la miseria morale dell’uomo che l’aveva sedotta a diciassette anni e al quale lei aveva continuato a pensare con rabbia ma anche con rimpianto.

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Scrive Kallistos Ware a proposito dell’esperienza di cambiamento della mente (metánoia) che la sua essenza consiste nel poter dire: Io sono accettato da Dio; quello che mi è chiesto è di accettare il fatto di essere accettato. Questa è l’essenza del pentimento. Pentirsi – sottolinea lo studioso ortodosso – non è guardare verso il basso, verso le proprie imperfezioni, ma verso l’alto, in direzione dell’amore di Dio ... È cogliere non quello che non si è riusciti a essere ma ciò che si può ancora diventare per mezzo della grazia di Cristo120.

Per accettare di essere accettato da Dio e vivere l’esperienza, il personaggio di Dostoevskij nella sua riconosciuta debolezza ha bisogno dell’aiuto di una donna che – come Sof’ja con Alesˇa – lo accetti e lo avvolga col suo amore. Come tanti personaggi dostoevskiani, anche Mitja scende nel profondo di se stesso attraverso un sogno che arriva per lui al momento giusto. Egli si addormenta al termine dell’interrogatorio relativo all’assassinio di Fedor Pavlovicˇ, durante il quale è stato umiliato, deriso, spogliato anche materialmente (i suoi vestiti vengono requisiti come prove per il processo). La condizione interiore del personaggio di fronte ai suoi accusatori è espressa dalla vergogna per la sua nudità: “Quando tutti sono svestiti, non c’è tanto da vergognarsi, ma quando è svestito uno solo e tutti gli altri lo guardano, che vergogna” gli tornava ripetutamente in mente121.

Mitja scivola nel sogno esausto, umiliato, indifeso, ma anche riconciliato con se stesso dal calore e dalle promesse di Grusˇen’ka 120 K. Ware, Riconoscete Cristo in voi?, pp. -. 121 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).

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e inoltre dalla notizia, per lui liberatoria, che Grigorij è vivo. Al centro di una scena onirica desolata – una steppa brulla, case bruciate, gente povera e affamata – c’è una “creatura” (ditë) che piange, tenuta in braccio da una donna sfinita che non ha latte. La domanda che affiora alla coscienza del personaggio, che si risveglia con “l’anima scossa dalle lacrime”, è: Perché non si abbracciano, perché non si baciano, perché non intonano canti di gioia, perché si sono così anneriti per la miseria nera? Perché non danno da mangiare a quel bambino122?

In queste parole, tanto simili a quelle pronunciate da Markel nei suoi ultimi giorni di vita, c’è un sentimento di profonda condivisione e di amore e insieme la percezione del prezioso valore della vita che va protetta, coltivata, aiutata a svilupparsi in tutte le circostanze. È lo stesso modo di sentire che più tardi, in carcere, il personaggio esprime ad Alesˇa: Anche lì [nelle miniere] si può vivere, amare e soffrire. Si può far rinascere e resuscitare nell’ergastolano (che ci si trova a fianco) un cuore raggelato, si può curarlo per anni e portarlo dal buio alla luce ... e ce ne sono molti, a centinaia, e noi siamo tutti colpevoli per loro! Altrimenti perché avrei sognato quella “creatura” proprio in quel momento? ... È stata una profezia per me! È per quella creatura che sono pronto ad andare. Perché siamo tutti colpevoli per tutti gli altri ... Oh sì, staremo in catene e non ci sarà libertà, ma allora, nel nostro grande dolore, noi resusciteremo in quella gioia senza la quale l’uomo non può vivere né Dio esistere, giacché Dio dà gioia, è il suo grande privilegio123.

122 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, pp. -). 123 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ), il corsivo è mio.



Nel linguaggio denso e polisemico del sogno la “creatura” ha più valenze e significati. È lo stesso “nuovo” Mitja124 che sta venendo al mondo in una situazione per lui materialmente quasi disperata, ma è anche un’immagine che riunisce in sé i piccoli, i deboli, gli indifesi, di cui parla con tanto turbamento il fratello Ivan. Nell’esperienza che trasforma il maggiore dei Karamazov – come in quelle di Markel, di Zosima, di Alesˇa – tornano il “dono delle lacrime”, la gioia e soprattutto un sentimento di amore senza limiti, di condivisione e di perdono, capace di lavare ogni amarezza e rancore. “Siamo tutti colpevoli per tutti gli altri” dice Mitja che attraverso questa esperienza giunge a un modo di sentire vicino a quello di Markel, di Alesˇa, di Isacco e di Simeone. Dostoevskij non dimentica tuttavia la debolezza del personaggio da lui creato. Nonostante i suoi slanci sinceri, Mitja ammette nelle pagine conclusive di non essere in grado di sopportare la lontananza da Grusˇen’ka, le percosse, le umiliazioni della vita carceraria. “Io volevo ‘intonare l’inno’, ma poi non ho la forza di sopportare che una guardia carceraria mi dia del tu”125. Appoggiandosi ai brani evangelici che denunciano i pesi troppo gravosi legati sulle spalle degli altri (Mt ,; Lc ,), Alesˇa dopo il sogno di Cana e della cipollina mostra di avere compreso a pieno il valore del “piccolo” e del relativo. Senza giudicare, accetta Mitja così com’è e cerca il suo bene, anche a costo di corrompere lui stesso le guardie per favorire la sua fuga in America con Grusˇen’ka.

124 “In me è risorto un uomo nuovo! Era rinchiuso dentro di me, ma non si sarebbe mai manifestato se non fosse stato per questo colpo” (Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. ; I fratelli Karamazov, p. ). L’espressione “uomo nuovo”, che Mitja ripete più volte parlando di se stesso richiama il passo di Paolo (Col ,-): “Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo”. 125 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).



L’esperienza di pienezza e di gioia, che lo scrittore fa vivere nei Fratelli Karamazov ad alcuni personaggi privilegiati, ha così per ognuno di loro, a seconda delle circostanze e del carattere, effetti diversi. Illumina le ultime settimane di Markel e del “visitatore misterioso”, si dispiega nella lunga vita di Zosima di cui conosciamo l’inizio e la fine, si compie in Alesˇa, che accetta di fare dono pieno di se stesso, riscatta le esistenze di Mitja e di Grusˇen’ka, ancora deboli e vacillanti, disponibili non a gesti eroici e totali, ma alle piccole, quotidiane azioni di amore, che – come ha sottolineato Zosima – anticipano nel qui e ora la felicità del regno. * A distanza di alcuni mesi dalla notte di Alesˇa e di Mitja, anche Ivan vive un momento di crisi, che lo spoglia della sua immagine irreprensibile e lo lascia nudo di fronte a se stesso. L’allucinazione che lo porta a dialogare col diavolo è, rispetto alle esperienze dei fratelli, un’epifania alla rovescia. L’aiutante attivo in questo caso è il discepolo Smerdjakov, disperatamente deluso dal suo idolo, che aveva teorizzato il “tutto è permesso” e l’“uomo-dio” e che appare ora sgomento, non padrone di sé, spaventato di fronte alla rivelazione che è lui l’ispiratore del delitto. Il libro XI, che contiene i colloqui di Ivan con Smerdjakov, le tentazioni di Liza e l’allucinazione, segna il ritorno in primo piano delle forze del male e della distruttività. L’unico personaggio dei Fratelli Karamazov totalmente privo di luce è il servo Smerdjakov, umiliato fin dalla prima infanzia dal padre adottivo Grigorij, che lo accusa di aver causato con la sua venuta al mondo la morte della madre, Lizaveta Smerdjasˇcˇaja. Nutrito da Grigorij di una lettura letterale e ottusa della Bibbia, che il ragazzo è troppo intelligente per accettare, disprezzato e battuto per questo, Smerdjakov sfugge a una situazione per lui insostenibile rifugiandosi nella malattia (le crisi 

epilettiche) e nei sogni a occhi aperti che lo assorbono in assorte contemplazioni non condivise con nessuno126. Al centro del mondo interiore di questo individuo, profondamente frustrato e privo di amore, c’è uno smisurato desiderio di affermazione personale, che si manifesta in lui bambino nel potere di vita e di morte esercitato sugli unici esseri che sente inferiori, gli animali, e più tardi nell’adulto in una cura quasi maniacale della sua persona e soprattutto nel sogno che Ivan gli istilla con le sue teorie e che egli cerca di realizzare attraverso l’omicidio. L’assassinio che Smerdjakov compie, convinto di fare la volontà del suo modello, dovrebbe infatti secondo i suoi piani stabilire un indissolubile legame con colui che ha scelto come guida e nello stesso tempo fornirgli – attraverso i tremila rubli del plico destinato a Grusˇen’ka – il denaro sufficiente a “cominciare una nuova vita a Mosca o ancora meglio all’estero” (“Avevo quel sogno, signore, soprattutto perché ‘tutto è permesso’”)127. Mi sembra significativo che nella sistematica e accurata strategia che dovrebbe portarlo a diventare uomo-dio, Smerdjakov dissacri e inviti a dissacrare tutto ciò che trova sul suo cammino. È lui a consigliare a Fedor Pavlovicˇ di trasferire il plico coi soldi destinati a Grusˇen’ka nell’angolino dietro le icone (“perché lì nessuno avrebbe pensato di guardare”). Ancora, nell’episodio del terzo incontro con Ivan viene compiuta una dissacrazione che ha nel contesto dei Fratelli Karamazov un ruolo particolare. Isacco il Siro è più volte nominato negli appunti preparatori. Nel testo definitivo invece è presente soltanto due volte: nell’elenco dei libri preferiti da Grigorij, che “lo legge con tenacia da anni senza capirci quasi nulla” e in questo episodio.

126 Cf. Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, pp. - (I fratelli Karamazov, p. ). 127 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).



Allora [Smerdjakov] prese l’unico oggetto che stava sul tavolo, quel voluminoso libro giallo, che Ivan aveva notato entrando e infilò i soldi dentro di esso. Il titolo del libro era: I detti del nostro santo padre Isacco il Siro. Ivan Fedorovicˇ fece in tempo a leggere macchinalmente il titolo128.

Non viene spiegato nel testo perché Smerdjakov, che si è trasferito in una camera d’affitto, ha con sé proprio questo volume. Dopo il delitto il personaggio ammalato e deluso, vive una situazione di crisi esistenziale. È un momento di svolta che potrebbe annientarlo, ma anche scuoterlo tanto da aprirlo ad aspetti dell’esistenza mai considerati prima. Col suo messaggio di amore, di accoglienza e di perdono senza limiti il testo di Isacco il Siro potrebbe dare un senso nuovo a una vita infelice e colpevole. Tuttavia il libro, che per il Dostoevskij dei Fratelli Karamazov è una fonte preziosa, rimane chiuso sul tavolo dell’assassino e viene usato come nascondiglio per i soldi del delitto. Penso che questo inquietante dettaglio possa essere letto come indicazione dell’autore sulla condizione di chi si chiude ad aspetti dell’esistenza che, a causa di blocchi interiori che non è riuscito a superare, rifiuta di esplorare anche quando gli capitano davanti agli occhi. Condizionato da un’esistenza disgraziata fin dalla nascita, Smerdjakov sceglie la strada di Ivan e usa tutte le sue energie per portarla fino in fondo, rifiutando ogni altra possibile chiave esistenziale. Il suo ultimo gesto, il suicidio che compie subito dopo il terzo colloquio con Ivan, è accompagnato dal biglietto: “Distruggo la mia vita per mio desiderio e volontà, per non accusare nessuno”129. Questa lettera brevissima e apparentemente neutra è in realtà l’ultimo e forse il più grave gesto distruttivo 128 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ). 129 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).



contro la famiglia Karamazov. Con la scomparsa e il silenzio dell’assassino viene a mancare infatti l’unico personaggio che conosce tutta la verità. Il risultato è la condanna di Mitja per un omicidio che non ha commesso. La reazione patologica di Ivan, costretto da Smerdjakov a guardare dentro se stesso, è un’allucinazione nella quale si materializzano in un diavolo parassita, accomodante, cinico, preoccupato del suo benessere materiale, tutte le qualità negative delle quali nell’ultimo colloquio il “discepolo” lo ha accusato130. Dei protagonisti dei Fratelli Karamazov Ivan rimane il più incompiuto. Dostoevskij lo abbandona nelle pagine conclusive nella condizione di incoscienza causata dalla febbre cerebrale che lo ha colpito, lasciando aperta la strada a un altro racconto su di lui, che avrebbe voluto ma che non poté scrivere.

Il chicco di grano Iljusˇa (Gv ,) La parte conclusiva dell’opera, dedicata agli adolescenti – il nucleo originario del primo abbozzo del romanzo – presenta un nuovo Alesˇa, non più ascoltatore e tramite, ma “protagonista” consapevole del proprio ruolo. Dopo la morte del suo starec il personaggio deve affrontare il dichiarato disprezzo del fratello Ivan, che dice di voler interrompere i rapporti con lui, le aggressioni isteriche di Liza che nella prima parte del libro gli aveva dichiarato il suo amo130 Non mi soffermo su questo episodio, perché ho già analizzato le problematiche relative al personaggio di Ivan nei paragrafi precedenti. Vorrei soltanto sottolineare che le citazioni e le allusioni bibliche fatte dal diavolo prodotto dall’allucinazione sono lasciate cadere nel contesto con una cinica e ironica noncuranza, che le svuota del loro senso profondo (cf. in particolare i riferimenti a Giobbe, a Tommaso: Gv ,-; alle “acque che erano sopra il firmamento”: Gen ,).



re131 la dolorosa vicenda del processo e della condanna di Mitja, la malattia e la morte di Iljusˇa, vittima della miseria materiale della sua famiglia, ma soprattutto delle offese subite a cui non è estranea la famiglia Karamazov132. Il nuovo Alesˇa, più forte e determinato del precedente, sente di “essere colpevole per tutti”, ma non si colpevolizza per gli attacchi e per le fughe degli altri. Dopo essere disceso nel profondo di se stesso e avere conosciuto la propria “larghezza”, trova infatti l’energia e il coraggio di agire per il bene dei suoi interlocutori, anche a costo di perderli. Ha la forza di mettere in crisi Ivan, rivelandogli il suo dubbio segreto, ma dandogli anche la chiave per superarlo (“Non l’hai ucciso tu ... dammi ascolto, non sei stato tu. Dio mi ha mandato a dirti questo”)133. Ancora, conforta Liza, confessandole i suoi propri momenti di tentazione, e consola il quattordicenne Kolja, che si sente finalmente compreso da uno che lo tratta alla pari e lo rivela a se stesso. L’episodio conclusivo del romanzo riprende per l’ultima volta il motivo dell’epigrafe. La casa di Iljusˇa, mortalmente malato, diventa il centro aggregante intorno al quale Alesˇa riunisce in un legame di reciproco amore il gruppo dei compagni di scuola del bambino. Il giovane Karamazov nel suo realismo non si rivolge 131 Liza, attratta dalla luminosità di Alesˇa e dal suo mondo, ha contemporaneamente all’interno della sua personalità ancora non formata desideri e pulsioni che la avvicinano non solo a Ivan Karamazov, ma anche a Stavrogin. In particolare il suo sogno a occhi aperti, suscitato da un libro dove si racconta di un bambino crocifisso a una parete, è una variazione di un tema centrale nei Demoni: “A volte penso di essere stata io stessa a crocifiggerlo. Lui se ne sta lì appeso e piange, mentre io me ne sto seduta di fronte e mangio la mia compote di ananas. Mi piace moltissimo la compote di ananas. A voi piace?” (F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. ; I fratelli Karamazov, p. ). Quello che il personaggio sottintende implicitamente è: ti sto sopra e godo del potere di vita e di morte che ho su di te; accresco questo godimento mangiando un cibo prelibato. Come Stavrogin, seppure a un livello soltanto mentale, Liza sperimenta qui il piacere che viene dall’affermazione di un potere assoluto su un altro essere. 132 È stato Mitja, esasperato dai suoi problemi finanziari e dalle trame di Fedor Pavlovicˇ, a umiliare davanti al figlio e ai suoi compagni di scuola il padre di Iljusˇa, tirandolo per la barba. 133 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).



in modo diretto al mondo adulto della cittadina, dominato da interessi materiali, da desideri di affermazione personale, da piccole e grandi menzogne e rancori, che rendono difficile aprirsi a esperienze orientate in altre direzioni. I discepoli più adatti e ricettivi per il giovane maestro, mandato dallo starec nel mondo, sono questi adolescenti in bilico fra gli stimoli delle idee contemporanee, che giungono a loro attraverso Rakitin e Ivan Karamazov, e gli slanci che vengono dal profondo del loro cuore e che si vergognano di manifestare. Tra i ragazzi Alesˇa dedica una cura particolare a Kolja Krasotkin, che per la sua esuberante coraggiosa personalità mostra fin da ora le caratteristiche del leader. È a lui soprattutto che egli trasmette la “ricchezza segreta” del suo starec, perché a suo tempo dia frutto. È significativo che in una linea di continuità ideale, Alesˇa ripeta al ragazzo quello che Zosima ha detto a lui: Ascoltate, Kolja, voi sarete molto infelice nella vita ... “Lo so, lo so. Come fate a saperlo in anticipo?” confermò Kolja immediatamente. “Ma benedirete la vita nel suo complesso”134.

Le parole di commiato pronunciate dal giovane Karamazov accanto al macigno, dove Iljusˇa ha sognato e sperato una vita diversa, contengono sottili e molteplici richiami a un altro discorso di addio, a cui ho fatto riferimento nei capitoli precedenti per il lungo monologo di Zosima e per il sogno del banchetto di Alesˇa. È significativo che i ragazzi riuniti siano cˇelovek dvenadcat’ (circa dodici), come gli apostoli ai quali Gesù si rivolge (undici dopo l’uscita di Giuda). Come il Cristo di Giovanni, Alesˇa chiama i suoi ascoltatori moi detocˇki. Il termine greco usato in Gv , è il diminutivo affettuoso teknía (figliolini) e non tékna (figli): 134 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ).



Figliolini miei, ancora per poco sono con voi ... Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri135.

Come Gesù, Alesˇa sottolinea che la loro separazione è imminente e che “forse non comprenderanno quello che ora sta dicendo” (cf. Gv ,). Ma voi ricordate lo stesso – è il consiglio del giovane Karamazov – e un giorno in futuro sarete d’accordo con le mie parole. Sappiate che non c’è nulla di più sublime, di più forte, di più salutare e di più utile per tutta la vita, di un buon ricordo e soprattutto di un ricordo dell’infanzia della casa paterna136.

Come il personaggio sottolinea, chi ha unito tutti loro in un profondo reciproco vincolo di affetto è Iljusˇecˇka, “il dolce ragazzo che sarà caro a noi nei secoli dei secoli”, il compagno di scuola col quale in passato si erano reciprocamente offesi fino a ferirsi. In questo primo discorso pubblico di Alesˇa l’addio non è soltanto il suo nel momento in cui sta per lasciare la cittadina, ma anche e soprattutto quello del “chicco di grano” Iljusˇa, centro irradiante di amore trasmesso e ricevuto, capace come Markel di dare frutto. Il libro dell’addio del vangelo di Giovanni ha al suo centro il comandamento di amarsi reciprocamente, espresso dal termine agapân che – a differenza di fileîn: “affezione naturale, unione fra simili” – esprime “dono, intimità, sacrificio generoso di sé”, esteso a tutti, anche ai nemici137. È a questo amore libero, disinteressato, aperto ad abbracciare tutto, che Alesˇa invita i suoi piccoli discepoli riuniti intorno a 135 Gv ,-. 136 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ). 137 Cf. C. Spicq, Agapè, pp.  e  e E. Delebecque, Evangile de Jean, p. .



Iljusˇa, morto per la miseria e gli stenti, ma anche e soprattutto per le offese subite dal padre che il bambino, nel suo grande amore per chi lo ha messo al mondo, ha condiviso con tutto se stesso. In una felice sintesi creativa Dostoevskij congiunge il messaggio centrale degli ultimi capitoli del vangelo di Giovanni a un tema per lui di importanza vitale: il rapporto con la casa paterna, che è il tormento dei Karamazov, di Stavrogin e di Petr nei Demoni, di Arkadij nell’Adolescente. Nei Fratelli Karamazov, nonostante la tragedia di un padre indegno, che pure Alesˇa accetta senza giudicare, il rapporto con le proprie radici viene compiutamente recuperato in quest’ultimo episodio. In una prospettiva profondamente unificante, che abbraccia tutto l’arco dell’esistenza, Alesˇa crea un vincolo di reciproco amore fra i suoi discepoli intorno al ricordo della casa paterna di Iljusˇa, ma implicitamente anche intorno a quella di ognuno di loro e di se stesso. Nello stesso tempo, in risposta a una domanda di Kolja, il personaggio si proietta verso una dimensione futura, libera dai vincoli ristretti che ora li separano dal loro piccolo amico: Senza dubbio risorgeremo, senza dubbio ci rivedremo e in gioia e lietezza ci racconteremo l’un l’altro tutto il nostro passato138.

Il finale dei Demoni attraverso le parole del morente Stepan Trofimovicˇ celebra il valore di un’esistenza preziosa anche nei suoi minimi istanti139. La pagina che chiude l’ultimo romanzo di Dostoevskij si spinge ancora più avanti nella fiduciosa accettazione-attesa di una dimensione nella quale niente di ciò che è stato andrà perduto. 138 F. M. Dostoevskij, Brat’ja Karamazovy, knigi -, p.  (I fratelli Karamazov, p. ). 139 Cf. Id., Besy, p.  (I demoni, p. ).



Nell’epilogo dei Fratelli Karamazov l’inizio (l’epigrafe) viene così a congiungersi alla fine per aprirsi a una dimensione di condivisione e pienezza accessibile a tutti nel qui e ora del quotidiano. Il romanzo si conclude con un banchetto, che non è quello messianico al di là dello spazio e del tempo ordinari a cui Alesˇa partecipa nel sogno delle nozze, ma la modesta mensa funebre nella casa poverissima degli Snegirev. L’idea di un pranzo dopo il funerale suscita un senso di turbamento nel gruppo dei quattordicenni toccati per la prima volta da una morte a loro così vicina (“È strano tutto questo, dice Kolja, un tale dolore e poi tutto a un tratto, i bliny, è tutto così innaturale nella nostra religione”140). Nel clima di intento e commosso raccoglimento, che pervade il piccolo gruppo intorno al macigno dopo il discorso di addio, il pranzo funebre al quale i ragazzi stanno per partecipare, appare – come quello vissuto da Alesˇa nel sogno – un momento di comunione e di rendimento di grazie per il dono ricevuto: l’alimentarsi insieme all’amore che, nato intorno e dal piccolo Iljusˇa, nutrirà le loro vite illuminate da questa esperienza.

140 Id., Brat’ja Karamazovy, knigi -, p. .

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

INDICE BIBLICO

In corsivo i numeri delle pagine dove la citazione ricorre solo in nota.

Genesi ,   ,-  , , ,-

Esodo , , ,

  ,      -

  

Samuele ,-



Giobbe -

-, 

Salmi , ,

- -

Proverbi ,



Levitico ,

, 

Sapienza ,



Deuteronomio ,



Siracide ,-



Giudici , ,

 

Isaia , ,

 



Geremia , ,

 

Lamentazioni ,



Matteo ,-  ,-  ,   ,- , , ,- - , ,- - , , 

  , ,   ,     , ,      -    

Marco , ,- ,  , , ,- ,

Luca , ,- , ,-



,-  - ,  ,   - ,-  , - , ,-  ,-

Giovanni , ,- ,  ,- ,- ,- ,- ,

   , ,  -   

 , , -, ,   

 ,- ,  ,   , -

-  , , , , , -, -    -   -   - -,    

 , ,, , -     - , , , , , , -,  , , , , , , , -, , , , ,   -       

Atti degli apostoli , 

, ,

 

Romani , , ,-

  

Corinti ,- ,- ,- ,

, -   

Galati ,



Filippesi ,



Colossesi ,- -

 

Timoteo ,-



Ebrei ,



Pietro ,-



Apocalisse , ,- - ,  ,-  ,  ,  ,-  ,  , , ,- - , , , , 

 , , , , , , , -,     , - ,   , , ,   , -,  ,    , , ,    - -    - , 



INDICE DEI NOMI

In corsivo i numeri delle pagine dove il nome ricorre solo in nota.

Amvrosij di Optina -, , ,  Attinger D.  Bachtin M. M. , ,  Bakunin M. A.  Barsanufio  Berdjaev N. A. , ,  Bianchi E. , , , , , -, - Belinskij V. G.  Black M. Bloom A.  Bori P. C. 

Conte G.  Corsani B. -,  Corti M. ,  Delebecque E. ,  Dionigi l’Areopagita  Dickens C. ,  Dodd C. , ,  Doroteo  Dostoevskaja A. , , , , ,  Dostoevskij A. M.  Dunlop J. , -, , 

Brjancˇaninov I. , 

Evdokimov P. -, , -, , , , , -, , -, -, , , , , , 

Bryner E. 

Fausti S. I. , 

Budanova N. F. 

Florovskij G. 

Bouyer L. 

Bulgakov S. N. , , 

Fudel’ S. , -, -

Busi G.  Cˇaadaev P. Ja. 

Germano, patriarca di Costantinopoli 

Catteau J. , , , , 

Giovanni Cassiano 

Chateaubriand F. R. A. 

Giovanni Climaco , , , 

Clément O. , 

Giovanni Crisostomo 

Ghini G. , 



Gogol’ N. 

Losskij N. 

Golubov K. E. , 

Lossky V. , , , , , , 

Gorodetzky N.  Granovskij T. N. 

Ljubimov N. A. 

Gregorio di Nissa 

Lotman Ju. M. -, , , , , , , 

Gregorio Palamas ,  Gregorio Sinaita 

Majkov A. N. , -, , -, 

Grossman L. P. , 

Makarij di Optina , -, 

Guardini R. , , , , , 

Maugham S. 

Holbein H. , , , , , -, , -, , , 

Mazurin V. F. 

Il’inskij D. N.  Isacco il Siro , , -, -, -, , , , , , , , , , , , , , -, , -, , -, , -, , -

Meyendorff J.  Michajlov V. V.  Mollat D. - Necˇaev S. G. , -,  Neri U. , 

Ivanov V. , 

Nicodemo Aghiorita 

Ivanova S. A. , 

Nietzsche F. 

Janysˇev I. L. 

Nil Sorskij , , 

Jackson R. L. 

Opocˇinin E. N. 

Katkov M. N. , , , , 

Paoli A. , 

Kavelin L. 

Pascal B. 

Kireevskij I. V.  Kjetsaa G. -, , ,  Kologrivov I. , ,  Komarovicˇ V. L.  Kotel’nikov V. , -, ,  Kovalevskaja S. V.  Leclercq J. ,  Leloup J. Y ,  Leont’ev K. N. , , , ,  Leonid di Optina -, , -, , - Linner S. ,  Lorrain C. , , 



Pascal P. , , ,  Pesce M.  Peterson J.  Pletnev R.  Picchio R. , -,  Pseudo-Macario  Pusˇkin A. S. , , , ,  Rozanov V. V.  Rousseau J. J. ,  Salvestroni S. ,  Segre C.  Sˇestov L. 

Silvano del Monte Athos 

Teofane il Greco 

Simeone il Nuovo Teologo , -, , , , , , , , , -, - 

Teofane il Recluso , , 

Smolitsch L. ,  Solov’ev S.  Solov’ev V. , , ,  Sofronio  Spicq C.  Stancari P.  Strachov N. N. - Stanton L. ,  Subilia V.  Suslova A. P. 

Terras V. , , , ,  Tichon di Zadonsk , ,  Tichomirov B. N. ,  Timofeeva V. V.  Tolstoj L. N.  Tresmontant C.  Umeckaja O. ,  Vanni U. , - Velicˇkovskij P. ,  Vetlovskaja V. E. ,  Vrangel’ A. E. , 

Tachiaos A.-E. N. 

Ware K. -, , , , , , , , , 

Tarocchi S. , 

Zedergol’m K. , 



INDICE

    

INTRODUZIONE Capitolo I. DELITTO E CASTIGO La prima epifania: il monologo di Marmeladov La seconda epifania: la lettura del brano sulla resurrezione di Lazzaro La terza epifania: l’esperienza in Siberia

    

Capitolo II. L’IDIOTA Il protagonista dell’“Idiota” e il paradiso della Genesi La Pietroburgo dell’“Idiota” e il sesto capitolo dell’Apocalisse Il “Cristo morto” di Holbein e la “sorgente della vita” (Ap ,) Le vittime (Ap ,)

     

Capitolo III. I DEMONI Il campo dei demoni: il “saggio serpente” Il campo della luce: via dell’Epifania La confessione di Stavrogin e la “discesa con la mente nel cuore” La Lettera alla chiesa di Laodicea L’indemoniato di Gerasa

      

Capitolo IV. I FRATELLI KARAMAZOV Il secondo libro dei “Fratelli Karamazov”: i due padri della Scrittura Ivan interprete della Bibbia Il chicco di grano Markel (Gv ,) Cana di Galilea (Gv ,-) L’uomo nuovo Mitja e gli uomini vecchi Ivan e Smerdjakov (Col ,) Il chicco di grano Iljusˇa (Gv ,)



BIBLIOGRAFIA



INDICE BIBLICO



INDICE DEI NOMI

