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Italian Pages 167 [172] Year 2005
LE POETICHE
collana diretta da Paolo Bagni
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MICLA PETRELLI
DISCONOSCIMENTI POETICA E INVENZIONE DI FERNANDO PESSOA
PA~re
©
Copyright 2005 by Pacini Editore SpA
ISBN 88-7781-693-7
Realizzazione editoriale
Pmre
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INDICE PREMESSA Situazione di Pessoa ................................................................... .
pag.
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I. ABITARE UN POETA l. Tra le mani di un poeta ............................................................................. . 2. Lingue della memoria ............................................................................... . 3. Nel disconoscimento di se stesso ............................................................... . 4. Una parola distolta da sé ........................................................................... . 5. Il profilo degli acquedotti e i paesaggi sognati (uno scarto minimo) ....... . 6. Il lato Mallarmé di Fernando Pessoa ........................................................... .
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Il. LINGUE DELL'ALTRO I. Come Verlaine nel corpo di Orazio. Una tradizione inventata ............... . 2. Pessoa e Kafka. Traiettorie senza spostamento ......................................... . 3. In attesa di identità ................................................................................... . 4. Nominare ................................................................................................... . 5. Donarsi il nome ......................................................................................... . 6. L'ombra sul linguaggio ............................................................................... . 7. Donarsi una lingua ..................................................................................... .
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43 47 50 54 56 60 69
III. SCRITTURE DELL'INTENZIONE
l. 2. 3.
4. 5.
Da questa plurivocità non si esce ............................................................. . Poetica versus poesia ................................................................................. . Poetica, invenzione di verità ..................................................................... . Poesia, poetica, diferentemente o mesmo ....................................... . Spiegare con ragioni: un mito difensivo ................................................... .
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77 79 91 97 105
IV. IL RITMO DEL PENSIERO 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
La parola libera della prosa ....................................................................... . La stessa avventura del linguaggio ............................................................. . Frasi e ritmi ............................................................................................... . Poesia e prosa: incontri dell'altro ............................................................... . Tra differenza e riconciliazione ................................................................. . Il creolismo dell'immagine ......................................................................... . Ritmo del pensiero ..................................................................................... . Una generosa scrittura pensante ............................................................... .
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APPENDICE Un testo di Pessoa
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Nella Foresta dello Straniamento ......................................................................... .
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Bibliografia di riferimento ............................................................................... .
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"Dietro il nome sta ciò che non si nomina" J.L. Borges 1 "Esclama lo Straniero fra le sabbie, «ogni cosa al mondo mi è nuova!. .. ». E la nascita del suo canto non gli è meno estranea" S.-J. Perse 2
Una bussola, in L'altro, lo stesso, Milano, Adelphi, 2002. Esilio, Milano, Se, 1989.
PREMESSA
Situazione di Pessoa Da quando gli scritti di Fernando Pessoa, alla sua morte, sono diventati oggetto, subito della sorpresa, poi dell'attenzione scrupolosa di filologi, critici, storici della letteratura, e soprattutto dello sguardo rivelatore di alcuni poeti, non si è mai smesso di riconoscere nella sua esperienza di scrittura tratti della più significativa letteratura europea del Novecento, così che il suo nome è stato messo accanto ai Joyce, Kafka, Svevo ... Eppure rimane il piacere e la difficoltà, tutta quell'avventura del leggere che si svolge nell'esplorazione di un'opera la cui mappatura sembra farsi e disfarsi in permanenza. Ci si affida allora a Pessoa stesso che sembra esponga con gesto esplicito, gesto riflessivo, e metta dunque a disposizione del lettore, tutti i dispositivi per sondare e sollecitare il segreto del suo mondo poetico. Che sembra fornisca per ogni stanza la chiave d'accesso. Fino ad essere indotti a letture talmente "interne" a quel mondo (al mondo di ciascun eteronimo, ad esempio), e sentirci in esso a volte così perfettamente funzionanti, da smarrire una visione d'insieme, seppure di un insieme provvisorio e ipotetico: fino a confondere, insomma, i nostri stnimenti critici con i suoi. Pessoa, autore in continua autodiagnosi, pratica e giustifica l'eteronimia, fa della finzione una condotta poetica e teorica. E noi a ricostruire il senso della complessità della sua scrittura sul modello della ripartizione dell'opera tra gli eteronimi, a impegnarci nel disoccultamento dei meccanismi della poetica del fingimento. Tutto questo ha una misura di necessità, certo, e risponde al legittimo bisogno della critica più avvertita di calibrare metodo e modelli dell'interpretazione proprio sull'autore, interrogando le interne ragioni che muovono la sua scrittura e fondano il suo linguaggio. I.:altemativa non può, in ogni caso, consistere nel confezionare in atmosfera protetta oggetto e strumenti di indagine e, con questi, procedere al rilievo sui testi. Senonché la chiave favorisce sempre l'ingresso, ma in stanze nelle quali non è possibile dimorare, spazi poetici instabili, abitati da tensioni depersonalizzanti che sospingono l'io scrivente verso l'unica destinazione possibile: il disconoscimento di se stesso proprio attraverso la scrittura. Ciò che occorrerebbe chiedersi è, quindi, se questa maniera di entrare e aderire all'autore, confortata dalla presunzione che ciò che troviamo depositato al livello della sua poetica, trovi conferma nella poesia, e viceversa, renda davvero un buon servizio a Pessoa. Se essa, al contrario, non finisca per produrre discorsi che lo isolano, e che, nel rilevare l'eccezionalità della sua intelligenza poetica, lo relegano ad una
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DISCONOSCIMENTI: POETK:A E INVENZIONE DI FERNANDO PESSOA
dimensione di esistenza recintata, solitaria e autosufficiente. Così che venga meno la possibilità di stabilire un autentico rapporto di integrazione del poeta alla complessità del suo tempo. Che non sia il caso, invece, di procedere liberando Pessoa da sé medesimo, o meglio, liberandolo dal nostro assillo del sé - non era forse questo che indirettamente chiedeva al suo lettore di fare r-, e dalle forme attraverso le quali questo sé pure si produce e, con insistenza, si ripresenta. Ossia, di liberarlo da un sistema di atteggiamenti e miti riconducibili all'idea tutta novecentesca di coscienza, vale a dire all'idea di un conoscere che, nel frequentare il suo oggetto, lo infesta, gli imprime un movimento che sembrava non avere e gli accorda intenzioni che non potevano essergli attribuite. Liberare Pessoa da tutto ciò significherebbe procurare l'ampiezza e lo spazio d'azione giusti ad ogni articolazione del suo linguaggio, e, finalmente, restituire quest'ultimo ad un dialogo aperto con le strutture di pensiero della modernità. Perché la sua situazione, come la situazione di Baudelaire per Valéry, è quella in cui si trova quello scrittore che ha un critico dentro di sé ("è classico I.o scrittore che ha un critico dentro di sé, e che associa intimamente tale critico ai propri I.avori. [... ] Ecco perché Baudelaire, per quanto romantico come origine, e addirittura romantico come gusto, può talvolta assumere l'aspetto di un classico" 1 ). Ed è proprio quell'essere critici dentro di sé, che, quando riferito alla personalità letteraria di Pessoa, viene condotto alla sua estrema potenza di senso. Infatti, non più di una "associazione", bensì di una profonda "compromissione" dei ruoli del pensiero critico e dell'invenzione della poesia si deve, nel suo caso, rendere conto. Sono proprio le attitudini divergenti di pensiero e invenzione a creare in lui le condizioni per cui le operazioni condotte sul linguaggio poetico tendono ad eludere ed eccedere quanto la riflessione teorica e critica progetta. È anche per questo che si è creduto che valesse la pena ritornare, parlare ancora di Pessoa. Fiduciosi nell'efficacia di una sorta di metodo di contrasto, un metodo che facesse reagire il testo pessoano - i momenti del testo -, quando venga messo a contatto con categorie stilistiche e retoriche, con le istituzioni della poesia che esso stesso coinvolge, con le teorie e le scritture degli altri. Per osservarne la risposta, ma soprattutto, per verificare come ne risultino modificate, arricchite, rinnovate, se non destituite del loro significato più consolidato. In ogni caso, riattivate nelle loro relazioni interne e laterali, riattivate da un andamento di pensiero incessantemente proteso alla traduzione, all'inversione, all'aggiramento di ogni movimento identificante. Insomma, ritornare a parlare di Pessoa come occasione, unica nel suo genere, per andare nuovamente all'incontro con le nozioni di poetica e poesia, di prosa e verso, di intenzione e lingua poetica, di metafora e linguaggio. Per rimettere ancora una volta in circolazione la loro disposizione significante, insieme al loro valore di strumenti della introspezione e conoscenza dei fatti letterari. P. YALÉRY, Situazione di Baudelaire, in Varietà (1924), a cura di S. Agosti, Milano, Rizznli, 1971, p. 229.
I ABITARE UN POETA
1. Tra le mani cli un poeta Nello stabilire un rapporto di confidenza con le parole, parole nelle "mani piene di disegni di porti" di un poeta l, è possibile che, da lettori, ci si vada a collocare presso la sua lingua supponendo che essa provenga dal tempo in cui, come nella storia personale di ciascuno, memoria e identità appartengono al primo progetto di realizzazione dell'io. Quando questa lingua, poi, incomincia a dischiudere i suoi ingranaggi, silenziosamente reclamando un ascolto complice della memoria delle lingue apprese e ritornanti, quelle smarrite o solo disperse, o ancora a venire, allora diventa sempre più evidente che quella lingua non ha mai fatto segno con l'identità. E che dunque quel progetto di realizzazione dell'io, nel suo tragitto di compimento, è stato sempre esposto all'irruzione dell'alterità. Il poeta non ha potuto concordare e riunirsi con se stesso, né sostenersi ad un modello sicuro, essendo, ora più che mai, la sua voce molte voci, essendo il poeta "nello stesso tempo" - le parole sono di Octavio Paz - "oggetto e soggetto della creazione poetica: è l'orecchio che ascolta e la mano che scrive ciò che detta la sua stessa voce" 2• La parola si fa, in simili circostanze, non destinazione o approdo, ma luogo di separazione e di attraversamento, proprio come un porto dal quale non è dato mai partire per poter poi tornare, ma nel quale sono possibili solo infiniti transiti. È questo il caso di Fernando Pessoa, annoverato da Roman Jakobson tra i grandi poeti "la cui complessità è sottomessa a una strutturazione integrale" 1, la
F. PESSOA, Pioggia Obliqua, nella traduzione di L. STEOAONO PICCHIO, in «Chuva ObUqua»: dall'Infinito turbolento di F. Pessoa all'lntersezionismo portoghese, "Quaderni portoghesi", 2, 1977, p. 37. Ora in: L. STEGAGNO PICCHIO, Nel segno di Orfeo. Fernando Pessoa e l'Avanguardia Jiortoghese, Genova, Il Melangolo, 2004. In lingua originale: F. PESSOA, Obra Poética, Rio de Janeiro, Nova Aguilar, 2003 ( 1960 1), Organizaçào, lntroduçào e Notas de M.A. Galhnz, p. 115 (Poesia de Fernando Pessoa / Cancioneiro). [Relativamente alle citazioni da testi di Pessoa, diamo il riferimento alle edizioni in lingua originale accessibili, e, qualora esistano, alle traduzioni italiane utilizzate. Nel caso manchi quest'ultima indicazione, si intende che la traduzione italiana è nostra. Citiamo preferibilmente i testi di Pessoa dalle edizioni Nova Aguilar; esistono anche altre edizioni correnti, comprese le prime raccolte e trascrizioni, con variazioni dell'organizzazione dei testi pessoani]. O. PAZ, L'arco e la lira, a cura di E. Franco, Genova, Il Melangolo, 1991, p. 177. R. )AKOBSON - L. STEGAGNO PICCHIO, Gli ossimori dialettici di Fernando Pessoa, in
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DISCONDSCIMB\11,: POETlCA E INVENZIONE 01 FERNAADO PESSOA
cui scrittura, dinnanzi ad esperienze come l'abbandono della lingua madre, reimparata, in un ~econdo momento, con la mediazione di una lingua diversa, assume su di sé la cifra di una lacerazione mai riassorbita. Scrittura che intraprende un percorso alla ricerca del proprio statuto, e che, pur muovendo dalla perdita della immediatezza di una glossolalla, ovvero di quella dimensione "prima" della hngua in cui il significato si dà per acquisito perché è la voce a riprodurne le movenze, ritrova la forza significante della parola nella sua interna tensione dialettica. A qualsiasi livello di compiutezza o frammentarietà, e sotto qualunque apparenza, forma o genere si presenti, la scrittura pessoana è infatti sempre se stessa, proprio perché si concretizza in una scrittura diversa, ogni volta in fuga dalla propria angoscia di identità. Con questa premessa, si può partire dall'osservazione micrologica del comportamento anche di segmenti minimi di un testo, per comprendere quanto il linguaggio della figura più significativa della letteratura portoghese del Novecento sia, in ogni suo momento, sintomatico di una condizione di insufficienza. Insufficienza rispetto alle forti pressioni identitarie che attraversavano la cultura europea di quegli anni, e dunque dinnanzi al proprio compito, consistente nel rappresentare realtà, inclusa la realtà del sogno - sogno personale e collettivo-, e render conto di identità - quella individuale e nazionale -, che pervenivano al Novecento già investite da linguaggi, a loro modo specifici ed esaustivi. Insufficienza anche rispetto alle zone ben perimetrate delle poetiche e dei movimenti delle avanguardie primonovecentesche, che, ad una personalità da outsider come quella di Pessoa, apparivano luoghi da frequentare, sui quali sostare, ma non di più; luoghi sui quali fare semmai esercizio di invenzione e variazione del diverso, perché una tradizione personalissima, in cui posizionare una letteratura propria e con cui stabilire un dialogo o animare un dibattito, potesse costruirsi. Si prenda, dunque, ad esempio, per dare inizio ad una osservazione sullo stile che si vuole appostare a ridosso del linguaggio per poterne intercettare i movimenti di senso, una parola-paesaggio cara a Pessoa: assombrar 4 • Parola il cui spazio semantico oscilla tra: ombreggiare, oscurare, ma anche folgorare, stupire, spaventare, con i suoi quasi-equivalenti assombroso, assombro, più insidiati dall'effetto di senso compiuto, esonerati, diciamo, dai movimenti del tempo. Parola dal senso ambivalente, quindi, con la vocazione ad esprimere insieme eccedenza e privazione, parola-metafora. Scrive Pessoa, a proposito di paesaggio:
PICCHIO, Nel segno di Orfeo, cit., p. 40. Apparso in "Langagcs" (Paris, 12 dic. 1968), Les oxymures dialectiques de Fernando Pessoa, sta anche in R. jAKOBSON, Poetica e poesia, a cura di R. Picchio, Torino, Einaudi, 1985. L'area semantica del verbo Assombrar, nella sua funzione transitiva, si estende fino a comprendere quattro categorie di significati: 1. ombreggiare, adombrare, oscurare; 2. stupire, sorprendere, meravigliare, sbalordire, sbigottire; 3. spaventare, impaurire, sgomentare; 4fulminare, folgorare. STEGAONO
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Asm•,RE ~
POETA
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Ogni stato d'animo è un paesaggio. Voglio dire che ogni stato d'animo è non solo rappresentabile con un paesaggio ma è veramente un paesaggio. C'è in noi uno spazio interno in cui la materia della nostra vita fisica si agita. Così una tristezza è un lago morto entro di noi, una allegria, un giorno di sole nel nostro spirito ... Avendo noi, pertanto, allo stesso tempo, coscienza dell'esterno e del nostro spirito, ed essendo il nostro spirito un paesaggio, abbiamo al tempo stesso coscienza di due paesaggi. Questi paesaggi si fondono, si interpenetrano, in modo che il nostro stato d'animo, quale esso sia, soffre del paesaggio che stiamo vedendo - in un giorno di sole un'anima triste non può essere tanto triste come in un giorno di pioggia - e anche il paesaggio esterno soffre del nostro stato d'animo ... Così che l'arte che voglia rappresentare convenientemente la realtà dovrà renderla con una rappresentazione simultanea e del paesaggio interno e del paesaggio esterno. Ne risulta che egli dovrà tentare di produrre una intersezione di due paesaggi [... ] ;
Ecco che l'assombrar, in virtù della duplice direzione del suo dispositivo semantico, "fare ombra" ma anche "stupire" sino a "folgorare", può valere come esempio di paesaggio della parola, "spazio interno in cui la materia della nostra vita fisica si agita", dimensione di coesistenza, inquieta e antifrastica, del paesaggio interno, stupefacente, meraviglioso, e del paesaggio esterno, sul quale la folgore, per eccesso di luce emanata, e per contrasto ad essa, fa ombra, oscura, fino a generare spavento. Il paesaggio al sole, a sua volta, contemplabile solo dall'interno, da una finestra, anche attraverso i piani obliqui e slittanti del sogno, magnetizza lo sguardo, imponendogli una visione ad occhi chiusi, perché lo sgomento, che il meraviglioso espandendosi produce, possa essere sostenuto. Mentre il paesaggio interno, il paesaggio dell'anima, i cui figuranti giungono dal mondo, dalla scena, in quanto costantemente adombrato, sebbene dispensatore di luce, può godere di visibilità discretamente e ad occhi aperti 6• Difficile, dunque, in simili condizioni, rinvenire con immediatezza un "dentro la parola", presupponendone una chiara identità di profilo, poiché essa, la parola, si lascia captare solo nell'attraversamento del suo movimento significante, nello scambio di vite che ha luogo all'intersezione dei suoi volti. È in quell'istante che si danno suono, forma, colore, evidenza e possibilità d'uso, e tutto questo si scopre parola dicibile, parola prodigio, miracolo, incerta per elezione, con il diritto (stupore, sorpresa) sempre insieme al rovescio (paura) di un senso naturalmente agglutinante.
Citiamo il brano nella traduzione di STEGAGNO PICCHIO, in «Chuva ObUqua», cit., p. 71. PESSOA, Chuva Obliqua, in Obra Poética, cit., p. 101 [Cancioneiro / Nota preliminar]. Se si cerca una immagine di tale fenomenologia della relazione paesaggio interiore-paesaggio esteriore, la troviamo rappresentata in una delle più celebri poesie di Pessoa-A. dc Campos, Tabacaria.
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0SCONOSCIMENTI: POETICA E l~NZIONE 01 FERNl'.t-100 PESSOA
Nelle mani del poeta, dunque, la parola sembra risuonare della sua naturale dialogicità. Dialogicità che le è naturale in quanto nel gioco delle inflessioni e delle immagini che in essa si rifrangono, entrano voci, echi di senso della stessa parola già detta e pronunciata, dunque già almeno una volta declinata e significata. Quella che Bachtin chiama "l'atmosfera sociale" della parola si costruisce stilisticamente, per l'appunto, in un orizzonte dialogico in cui sempre risuonano le sue altre pronunce, si riflettono i suoi volti 7• Ora, è vero che la parola a cui Bachtin fa riferimento è la parola della prosa romanzesca, poiché alla parola poe, tica, al contrario, non è dato ricordare "la storia della contraddittoria compren, sione verbale del proprio oggetto e l'altrettanto pluridiscorsivo presente di que, sta comprensione" 8 • Nell'immagine poetica, in altri termini, nel suo paesaggio, l'azione si giocherebbe in linea diretta tra la parola e l'oggetto. Eppure, essendo tutte le parole e tutte le forme penetrate, saturate di intenzioni, proprio alla lingua poetica è data la possibilità di far vivere e respirare quella parola stessa, delle molteplici e complesse relazioni che l'io stabilisce con il mondo, proprio e altrui. Nella poesia, i tragitti dell'intenzione che muove i significati e da questi è movimentata, si rendono visibili, hanno l'apparenza dei loro movimenti incarnata nella sostanza verbale. Scrive Pessoa-Bernardo Soares: D'improvviso qualcuno scuote quest'ora doppia come in uno staccio. E, mescolata, la polvere delle due realtà cade sulle mie mani piene di disegni di porti.
[... ]
Polvere d'oro bianco e nero sulle mie dita ...
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Ho riempito le mie mani di sabhia, l'ho chiamata oro, e ho aperto le mani facendo-
la scorrere via. La frase era stata l'unica verità. Una volta detta la frase, tutto era fatto, il resto era la sabbia che era sempre stata 10 . Nelle mani del poeta, la natura anfibologica della parola (l'assombrar ne è solo un esempio) diviene orizzonte di movimento di ogni gesto poetico, emergenza stilistica e modello discorsivo di grande forza e pervasività. È dentro questa dimensio-
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Cfr. M. BACHTIN, La /Jarola nel romanzo, in Estetica e romanzo (1975), Torino, Einaudi, 2001, pp. 83-108. Ibidem, p. 86. F. PESSOA, Pioggia Obliqua, nella traduzione di STEGAGNO PICCHIO, in «Chuva Obl{qua», cit., p. 69. PESSOA, Obra Poética, cit., pp. 115-116. F. PESSOA, Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares, Milano, Feltrinelli, 2002 (1986 1), trad. di M.J. de Lancastre e A. Tabucchi, p. 165.
ABITARE UN POETA
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ne, retta dal movimento inesauribile del senso, che il linguaggio pessoano conia la propria metafora. Il miracolo di prestidigitazione della sabbia chiamata aro, che si verifica nel tempo in cui si dice I.a frase, non sta nel fatto che al posto della sabbia ora vi sia l'oro. Il vero miracolo, che si compie ogni volta sotto gli occhi di tutti, sta nel fatto che, dopo che la sabbia è stata trasformata in oro, l'uno non è andato semplicemente ad occupare il posto dell'altra, non l'ha fatta dileguare, perché sabbia, "la sabbia che era sempre stata", e oro, adesso coesistono nella frase. Questa dimensione metaforica della parola ha per davvero diversi modi di durare: nel tempo di una metamorfosi, di un transito, e insieme nel tempo che ciascun elemento in essa coinvolto per sé reclama. Come si vedrà, ciò che fa di Pessoa uno dei grandi poeti della "strutturazione integrale" è l'aver agito la dialogicità, il movimento inesausto del pensiero, della memoria e della lingua, entro uno spazio letterario così animato da tempi che vanno a velocità e in direzioni differenti, e che di quello spazio incessantemente smuovono e riassettano le dimensioni. Uno spazio del divenire in cui, come scrive Blanchot, "Le parole stanno sempre soltanto a designare l'estensione dei loro rapporti: lo spazio in cui si proiettano e che, accennato appena, si ripiega e ritorce, non essendo in nessun punto della sua presenza" 11 • Spazio che non è mai riconducibile "alla sua presenza", e che nemmeno può attendersi garanzie dal poeta, il quale, prima ancora d'essere poeta, è il poema che lo fa essere e la Poesia, una qualsiasi idea di Poesia, non gli è anteriore. Può valere per Pessoa, anche se con le dovute correzioni, quanto Blanchot dice del Libro di Mallarmé, e cioè che: Il poeta sparisce sotto la pressione dell'opera, secondo lo stesso processo che fa sparire la realtà naturale. Più esattamente: non basta dire che le cose svaniscono e che il poeta si dilegua, bisogna dire che le une e gli altri, pur subendo la sospensione di una autentica distruzione, si affermano nel loro sparire e nel divenire di quella scomparsa[ ... ] 12 •
Infatti, "realtà naturale" e "poeta", in Pessoa, si affermano nel loro sparire mediante una pluralizzazione dei punti di vista che fa lievitare il numero delle personalità, delle lingue poetiche, perché l'effetto finale, a fronte della dispersione, della sottrazione dell'io, sia l'affermazione del linguaggio. Anche la memoria, recuperabile nel sogno mentre il sogno stesso ne sta ricordando una versione tutta propria, rimane coinvolta nella "scomparsa parlante" del poeta, e si fa allora memoria parlante il linguaggio del sogno i i 11
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M. BLANCHOT, li libro a venire (1959), trad. di G. Ceronetti e G. Neri, Torino, Einaudi, 1969, p. 236. Ibidem, p. 228. Come hene ha inteso Antonio Delfini, l'autore dell'intrnvahilità dell'evento effettuale, preso
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DISCONOSCIMENTI: ~OETICA E INVENZIONE DI FERNANDO PESSOA
2. Llngue della memoria Memoria della lingua, si diceva. O meglio, memoria delle lingue: apprese, ritornanti, smarrite, disperse, a venire. In un tale contesto, sottoposta com'è alla spinta di linee di tensione diversamente orientate, la memoria è ciò che rende possibile la convivenza di una molteplicità di tempi, e che nella scrittura ritrova la propensione al sogno. Un "sogno creatore" che, a sua volta, non potendo restituire l'origine, disfa e ricrea la nascita, e con essa la sua lingua. Origine, memoria, lingua, implicate, dunque, in un processo di incessante ripensamento e riscrittura. L'esperienza poetica di Pessoa può valere come esempio di una attitudine della scrittura a mettere in gioco una lingua propria, una lingua della scrittura, per l'appunto, insieme, e nello stesso tempo, ad una lingua del pensiero: più volte nella sua vita si rimescolano le carte, e la lingua in cui pensa non solo talvolta non è la stessa in cui scrive, ma non è la stessa. Esse sembrano essere coinvolte in un processo di traduzione in cui i testi di partenza e di arrivo possono anche scambiarsi i ruoli. In realtà, le due dimensioni, "lingua della scrittura" e "lingua del pensiero", che, comunemente, in ogni processo creativo, desiderano l'identificazione (disperante identificazione), la sovrapposizione (anche, e soprattutto, nei casi di poliglottismo), in Pessoa muovono da un dato biografico segnato, a quanto pare irreversibilmente segnato, dalla dialettica adesione / allontanamento-oblio / riappropriazione della lingua (patria) madre. Movimento talmente frequente e invasivo da valere, in tutte le possibili modulazioni, da criterio per l'interpretazione di ogni suo "atto di scrittura", visto che non propriamente, o quantomeno subito, di "opera" di "un autore", in questo caso, si può parlare 14
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com'è tra le ombre del ricordo e le profezie del sogno, quando ha scritto, nel Ricordo della Basca, di "Giacomo e !sabei che bisbigliano i propri paesaggi e pensieri, gusti e ardimenti, paure e disprezzi": "Luna[ ... ] non vedi dunque più quando la Basca e Giacomo si scambiavano i paesaggi! «Ho il tuo paese nel mio», diceva lui, «e non vi scorgo che una lampada a petrolio rovesciata sul tavolo. Vedo anche se voglio altre cose. [... ]Ho il tuo paese perché ti vedo, e niente posso desiderare di più». (A. DELFINI, Il ricordo della Basca (1938), Milano, Garzanti, 1992, pp. 19.3-194 ). L'intero racconto, dall'apparizione sino al congedo della Basca, si apre con l'emergere di una voce (con una parola dal suono straniero a Giacomo incomprensibile, impossibile da ricordare) che aderisce così intimamente all'io, è talmente presente da non essere memorabile, e si chiude con uno strappo, l'ineluttabilità del ricordo, affidato ad un canto in una lingua sconosciuta. Cfr. G. AGAMBEN, Un enigma della Basca, in Note di uno sconosciuto. Inediti e altri scritti, in "Marka", 27, 1990, pp. 93-96, e M. PETRELLI, Scritture dell'immemarabile: Antonio Delfini, in "Preprint" 25, 2003, P. Bagni (a cura di), pp. 37-62. Con questo non si intende negare l'agire di quella strutturazione fortemente costruita che Jakobson riconosce all'opera pessoana, strutturazione che ci consente di pensarla al di là della logica esegetica della spartizione eteronimica. Resta, comunque, il carattere di verosimiglianza e coerenza proprio delle opere e degli autori eteronimi, che autorizza una esegesi specifica per ciascun eteronimo.
ABITARE UN POETA
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Riconosciamo, infatti, nell'adozione del portoghese a lingua della sua scrittura poetica (a parte le composizioni volute e pensate in un inglese letterario e per un pubblico inesistente), la lingua materna, dell'infanzia, la lingua perduta e poi ritrovata, e, nell'inglese, la lingua della formazione, delle letture, dei modelli e delle scelte letterarie 15 • La prima non solo si fa carico di parlare, attraverso gli schermi, le immagini, i tòpoi della irrecuperabilità del passato, del sogno di totalità, dell'infanzia, come del tempo in cui ancora non si erano date fratture, separazioni, interruzioni ("Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno, io ero felice e nessuno era morto") 16 • Si rende, in più, disponibile alla sperimentazione delle sue possibilità: dalla innovazione dei propri moduli espressivi sino all'invenzione neologistica, proprio in quanto lingua reimparata nel dramma di un personalissimo "esilio", e con tutte le difficoltà (e talvolta i vantaggi) che il non potersi sentire più appartenente ed aderente "per istinto" ad una tradizione può veicolare. Se, dunque, il portoghese varrà come lingua della scrittura, l'inglese continuerà ad essere la lingua con cui pensare nella scrittura, la lingua che dà struttura, organizzazione, morfologia, sostanza, alla prima. E semmai un risultato la falsa endiadi "lingua e scrittura" ha prodotto in Pessoa, questo è stato un idioletto del futuro, alla ricerca di una tradizione, che non poteva parlare al tempo in cui è apparso. Richiamare qui l'idea di tradizione che, con Eliot, intendiamo come "struttura di totalità della tradizione, totalità nello stesso tempo chiusa, poiché essa instaura il criterio di valore dell'opera, e aperta, nel suo essere «presente momento del passato»" Ii, può voler dire ricalibrare il rapporto tra personalità e tradizione. Tra "il sacrificio della personalità individuale[ ... ] in funzione di un modello del fare", che essere nella tradizione comporta, e la necessità di "arrendersi interamente all'opera che deve esser fatta" 18 • Questione i cui termini si compii-
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Cfr. U. DE SENA] ]orge de Sena risponde a tre domande su Pessoa, Intervista in "Quaderni portoghesi", n. l, 1977, pp. 137-158. L'inglese poetico di Pessoa è una lingua astratta, eccessivamente "letteraria", così come mostrano, all'osservazione del loro traduttore portoghese )orge de Sena, le poesie e i sonetti "nella loro imitazione dello stile «metafisico» dei sonetti elisabettiani (più che di quelli dello stesso Shakespeare che non è mai così aridamente «metafisico»)" (p. 156 ). In quanto lingua acquisita durante l'infanzia e la prima giovinezza, l'inglese per Pessoa "è, dentro lui stesso, una distanza difensiva che egli mantiene nei confronti di un mondo portoghese di cui {sic] si considera infinitamente superiore (e lo è), ma esiste solo per consumo «interno»" (p. 149). F. PESSl)A, Anniversario, in Poesie di Alvaro de Campos, a cura di M.J. de Lancastre, trad. di A. Tabucchi, Milano, Adelphi, 1993, p. 275. PESSOA, Aniverscirio, in Obra Poética, cit., pp. 379-380 (Ficçi5es do interludio I Poesias de Alvaro de Campos). P. BAGNI, Alcuni pensieri sulla tradizione, in Studi in onore di Luciano Anceschi in occasione del suo settantesimo compleanno, a cura di L. Rossi e E. Scolari, Modena, Mucchi, 1982, p. 22. Loc. cit., e T.S. ELK~T, Il bosco Sili.TO ( 1920), trad. di L. Anceschi, Milano, Mursia, 1971, p. 101.
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DISCONDSCi~NTI: POETlCA E INVENZCNE DI FERNANDO PESSOA
cano, se pensiamo che la comunità, la tradizione, della quale Pessoa rappresenta "l'orizzonte futuro del presente" 1'l, appare ordinata e composta su criteri decisamente transculturali e plurihnguistici (come si potrebbe dire, per vie diverse, di Svevo, Kafka, Ungaretti). Se davvero una comunità è garantita, nella sua durata e persistenza, dal "fissarsi della lingua nella scrittura" 20, allora dovremmo interrogarci sull'identità di quale tradizione, con il progetto del suo personale fare poetico, Pessoa produce e istituisce, tradizione che non riceve sotto forma di eredità, ma che sa con grande fatica conquistarsi; tradizione da cercare, almeno in parte, nell'incrocio tra ciò che giunge alla cultura portoghese, cioè alla provincia dell'Europa, nel primo trentennio del Novecento, dal proprio passato (e sappiamo che tutto ciò che giunge da quel passato va ribaltato sull'immagine di sé che il Portogallo ogni volta vuole produrre), e quanto la cultura imperialistica britannica ha lasciato migrare nelle colonie sudafricane {lì dove per Pessoa ha avuto luogo la prima formazione), alla fine del secolo precedente. Se la tradizione, insomma, è "gesto con cui muoversi nel mondo" 21 , anteporre Milton a Camoes è innanzitutto scelta che risponde al bisogno di allestire, in proprio, una tradizione della letteratura nella quale insediarsi e dalla quale attendersi legittimazione all'esistenza.
3. Nel disconoscimento di se stesso Dal mio ritorno da Buchenwald, io ero preso nell'immobile vertigine di due bisogni o desideri pressanti ma contraddittori. Il desiderio di vivere, o di tornare a vivere, perciò di dimenticare. Il desiderio di scrivere, di elaborare e trascendere l'esperienza del campo attraverso la scrittura, perciò di rammentare, di tornare a vivere nella memoria, senza pause, l'esperienza della morte 22 •
Per ]orge Semprun, dunque, scegliere la vita è abolizione della memoria, lutto della scrittura. In realtà dalla scrittura si è scelti, così come si è sempre nel proprio passato, soprattutto perché quel passato, che si desidera solo obliare, non 19
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BAGNI, op. cit., p. 22. Ibidem, p. 23 . Ibidem, p. 24. J. Semprun, Préface a C.--E. MAGNY, Lettre sur le pouvoir d'écrire (1947), Paris, Climats, 1993, p. 12. "Depllis mon retollr de Bllchenwald, j'étais pris dans l'immobile vertige de dellx hesoins Oli désirs contraignants mais contradictoires. Le désir de vivre Oli de revivre, donc d'ollhlier. Le désir d'écrire, d'élaborer et de trascender l'expérience dli camp par l'écritllre, clone de me souvenir, de revivre sans cesse par la mémoire, l'expérience de la mort". Cfr. J. SEMPRÙN, La scrittura o la vita, trad. di A. Sanna, Parma, Guanda, 1996.
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tarda ad impossessarsi della scrittura, nel suo farsi, e ad invadere, così, il breve sogno della vita. Per chi, invece, come Pessoa, non si dà che la vita senza pause della scrittura, la memoria diviene vocazione e destino, in ogni caso il punto dal quale intraprendere un necessario percorso di separazione da sé, di straniamento, un viaggio nel discmwscimento di se stesso che, quando conduce alla perdita della propria immagine, scrive Marfa Zambrano, "rende la persona un po' assente come conviene esserlo per informarsi bene delle cose": Ma c'è un'immagine di sé, densa, carica di sentimenti, quasi corporea, che, se assume contorni molto fissi, è già sulla via di convertirsi in "personaggio", più reale della persona stessa, alle spese della quale si alimenta ... E mentre il personaggio cresce e si impossessa di tutto lo spazio vitale che i suoi simili gli consentono, la persona che lo alimenta diviene come un fantasma 11 • Forse in questa tonalità occorrerebbe parlare dei "personaggi" pessoani, quando parliamo di proliferazione eteronimica, di moltiplicazione delle identità e degli autori. Ovvero non solo ai nomi, alle biografie ad essi imprestate, alla ricerca delle loro particolari pronunce stilistiche e poetiche varrebbe la pena rivolgere uno sguardo di comprensione, bensì a quel "fantasma" che, con l'aspirazione a "sentire tutto in tutte le maniere, / vivere tutto da tutte le parti" 24, manifesta il desiderio di "essere tutta la letteratura", di "informarsi bene delle cose" con lo "sguardo nitido come un girasole" 25 • Perché è solo da questo angolo che probabilmente diviene possibile scorgere tutte le occasioni, più o meno evidenti, in cui Pessoa si volge al recupero, sempre segnato dal fallimento, della propria immagine unitaria, l'immagine del Pessoa ele-s6. La memoria, dunque, qui, non garantisce nient'altro che la registrazione della diffrazione delle fughe di realtà, non sedimenta se non la continua germinazione di varianti al tema della "nostalgia di ciò che non c'è mai stato e il desiderio di ciò che potrebbe essere stato" 26 • Memoria di eventi mai accaduti se non nel sogno, nell'immaginazione, e, data l'impossibilità di ricordare il sognato, di avo-
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M. ZAMBRANO, Delirio e destino, traci. di R. Prezzo e S. Marcelli, Milano, Raffaello Cortina, 2000, pp. 29-30. PESSOA, Il passaggio delle ore. Ode sensaziunista, in Poesie di Alvaro de Campos, cit., p. 129. PESSOA, Passagem das horas, in Obra Poética, cit., p. 344 (Ficçòes do interludio I Poesias de Alvaro de Campos). E PESSOA, Il guardiano di greggi, in Una sola moltitudine, a cura di A. Tabucchi, trad. di M.J. de Lancastre, voi. Il, Milano, Adelphi, 1984, p. 75. PESSOA, O Guardador de Rebanhos (19 I 1-19 I 2), in Obra Poética, cit., p. 204 (Ficçcies do interludio I Poesias de A. Caeiro). PESSL)A, Il libro dell'inquietudine, cit., p. 195.
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0SCONOSCIMENT1: POETICA E INVENZIO\JE Cl FEANANDO PESSOA.
cario a sé, memoria che può permettersi di guadagnare solo un futuro vuoto, orizzonte aperto sulle scelte mai, o non ancora, effettuate (tranne una, quella che ora fa il presente) e dal quale nulla può ormai provenire: "Perché hanno tutti, con me, il futuro nel passato" n. È dunque con il negativo della memoria che abbiamo a che fare. Filigrana negativa che, è bene chiarire, non produce mai, per questo, una immediata apertura alla vita (o la scrittura, e dunque la memoria, o la vita, si poneva in questi termini la scelta, per Semprun), se non nella prospettiva del sogno, della vita sognata, dal momento che il sognatore è colui che "è attento all'inesistente" 28 • Resiste la scrittura, le scritture, le lingue del sogno creatore. Così ancora dalle parole della Zambrano: L'azione vera che i sogni della persona propongono è un risveglio dell'intimo fondo della persona( ... ], azione poetica, creatrice, di un'opera e persino della persona stessa, che può così rivelare via via il suo vero volto, che può giungere ad essere visibile in se stesso, che può giungere a essere invisibile confondendosi con l'opera stessa 19 .
Visibile in se stesso, dunque, nella misura in cui risulta invisibile e confuso con l'opera stessa, Pessoa è ele-mesmo sempre e solo in ogni suo esercizio di scrittura (si ritiene che il Pessoa ortonimo non sia altro che un suo ennesimo personaggio), rappresentando ogni nuova voce una "aggiunta" di esperienza al se stesso che va costituendosi, tra iper-coscienza e diserzione delle parole. Ogni qual volta il lettore ricerca dietro l'opera di Pessoa l'autore, perché venga ridotto al minimo il rischio di caduta nell'equivoco sulla proprietà - quale autore per/ di quale opera?- si ritrova di fronte a singoli esercizi di scrittura, anche se all'apparenza spesso inconciliabili. Salvo affidare la ricostruzione forzosa, a volte del tutto ipotetica, di quella relazione autore-opera, a rischiose operazioni critiche. Esercizi di scrittura che valgono come "eventi" di linguaggio, e che, se considerati in questa dimensione, consentono di sospendere quelle valutazioni condotte su criteri inadeguati, valutazioni miranti a riconoscere "il miglior Pessoa", "il Pessoa più se stesso", "il Pessoa meno contraddittorio". Scrive, al proposito, il "quasi Pessoa" Bernardo Soares: Le impressioni che costituiscono la sostanza esterna della mia consapevolezza di me [... ] le traduco in parole vagabonde che mi disertano nel momento in cui le
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Ibidem, p. 129. Loc. cit. M. ZAMBRANO, Il sogno creatore, a cura di C. Marseguerra, trad. di V. Martinetti, Milano, Mondadori, 2002, p. 79.
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scrivo e che vagano, indipendenti da me, per pendii e prati di immagini, per viali di concetti, per sentieri di confusioni 10 •
Le parole, dunque, appartengono al poeta nel solo istante in cui vengono scritte. La loro storia successiva è una storia fatta di percorsi indipendenti, di incontri con intenzioni, parole, non coincidenti con le intenzioni da cui hanno mosso i loro primi passi, parole difficilmente riconducibili ad un progetto iniziale a cui attribuire un potere estensivo di significazione. Certo, il richiamo ad un "fondo della persona" da cui un "vero volto" possa emergere, ci riporta al miraggio dell'unità di una coscienza per la quale si suppone che esista sempre un "se stesso" a cui far ritorno. Il potere di scrivere. Ora, perché le parole di Maria Zambrano sul sogno creatore possano, in questo contesto, esercitare tutto il loro potere revulsivo, è necessario che vengano assunte non tanto, non solo, nella loro risoluzione "mistica", ma in una prospettiva di lettura che lasci emergere il richiamo, proveniente dall'intimità della sua esperienza umana e poetica, alla ricerca dell'"essere tutto intero". Quel richiamo che ce la fa apparire costantemente presa dallo sforzo di "integrazione estetica dell'esperienza alla personalità e all'opera", come scrive ClaudeEdmond Magny nella sua Lettre sur le pouvoir d'écrire indirizzata a Semprun, nel tracciare un possibile percorso verso l'autenticità 31 • Lungo questo tragitto, si può restare miracolosamente in equilibrio tra la "poesia", la "severità poetica", e le vibrazioni della prosa accordate sul "ritmo anonimo e multiplo del sangue", arrivare a sparire dietro la creazione, "distogliendosi da sé", fino ad "assentarsi da sé". Per ritornare all'esistenza accresciuti di quella esperienza di allontanamento 32 • Il desnacer della Zambrano è, per l'appunto, il modo in cui si nasce, sempre e di nuovo, per non "essere", per tradire il progetto del mio essere (stato) originato, e cancellare quella "prima nascita" di cui nessuno ricorda nulla ll_ È il modo in cui si disfa la nascita, perché allora "involucri temporali", sotto forma di "coaguli della memoria" 34, diano inizio alla rinascita attraverso se stessi, attraverso l'azio-
Il libro dell'inquietudine, cit., p. 163. Lettre sur le pouvoir d'écrire (I 947), cit., p. 35.
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MAGNY,
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Ibidem, pp. 39-44. Cfr. ZAMBRANO, Delirio e destino, cit., pp. 15-18. "Ombre del sogno di Dio. La mia vita non è il mio sogno e se la sogno è perché io che la sogno vengo sognato. [... ] Dio mi sogna? Sarà possibile realizzare il suo sogno? O, all'opposto disfare la nascita [desnacer]? Nel primo caso, affronto il giudizio, il suo giudizio; il progetto del mio essere rimane sottoposto alla sua giustizia e deve passare attraverso di essa, davanti a essa. Se invece voglio solo disfare la nascita, posso tradirlo, posso cancellare ciò che Egli voleva che fossi" (pp. l 6-17). Ibidem, pp. 115-116.
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01SCXJNOSCIMENTI: POETICA E lt-lVEN210NE DI FERi,ANDO PESSOA
ne poetica dei propri sogni, alla possibilità un'altra volta di vivere nel puro anelito. "Essere" ed "esistenza" risuonano qui della stessa omofonia che suggerisce a Paul Claudel, su sollecitazione lucreziana e attraverso l'adozione della via negationis scolastica, di attribuire alle forme l'attitudine, propria della natura, a nascere, a naftre e dunque a n'etre, a non-essere i;_ Per cui la natura, nella s11::1_ t;:,talità, e cioè il mondo delle forme, gli appare, nel nascere, "tutta occupata" a esistere, a essere ciò che non è, a non essere. Di "allontanamento" e "ritorno" si sta dunque parlando. Nelle accezioni di presa di distanza da sé (il "distogliersi da sé" della Magny per riavere in cambio una scrittura "pura di cuore"), e di disnascere, disfare la nascita, nel senso della Zambrano, per tornare ad essere "opachi a noi stessi in quella prima e spontanea forma di conoscenza che è la memoria" 16 • Movimento che presiede al potere di scrivere, ma che non di meno appartiene all'interiorità dell'opera, alla possibilità stessa del suo farsi, in quanto tensione verso l'immaginario, verso "l'assenza che rende la presenza desiderabile" lì_ Allontanamento dal quale il poema ottiene il ritorno con a carico la totale realtà, la totalità delle cose ricomposta - pretesa poetica per eccellenza - insieme "alla sua impossibilità e alla sua irrealizzazione" 1t1. Perché se, come scrive Blanchot pensando a René Char, "l'immaginazione poetica", che "non si lega alle cose e alle persone, così come sono date, ma alla loro mancanza", "si allontana dal reale per aggiungere ad esso lo stesso movimento di allontanamento" 39 , allora la frantumazione pessoana, la sua disposizione a costruire un'opera per negazione e discontinuità, ci restituisce l'immagine di un poeta intento, ossessivamente intento, a sperimentarsi nella scrittura e nella lingua per accertarsi di sé, sino ai limiti della dissipazione. Un poeta intento ad immaginare, a desiderare "un desiderio di possedere tutto, / di essere tutto, di vedere tutto, di amare, / di godere, di odiare, di volere e non volere /" 40 , e a praticare il futuro confondendo le carte del presente, scambiando gli originali con le copie. Perché è solo da esso, dal "vuoto" futuro abitato dal desiderio di tutto, che può aspettarsi il "se medesimo", quell'unità di cui noi pure abbiamo sempre bisogno per dirlo "poeta". La stessa unità, mobile densità della voce poetica, che Andrea Zanzotto riconosce, all'interno dell'opera del poeta portoghese, in quell"'inconfondibile rumore-sussurro oceanico che, così a orecchio, si avverte in tutta la [sua] grande poesia", nei mots sous mots "ser-
i; 16
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P. CLAUDEL, Arte poetica, a cura di F. Fimiani, Milano, Mimesis, 2002, pp. 13-14. ZAMBRANO, Delirio e destino, cit., p. 21. M. BLANCHOT, René Char, in La part du feu, Paris, Gallimard, 1949, pp. 110-111.
Loc. cit. Loc. cit. F. PESSOA, Faust, a cura di M.J. de Lancastre, Torino, Einaudi, 1991, pp. 159-161.
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peggianti al di sotto della superficie testuale" e che "gettano ponti tra gli eteronimi", tra tutti i nomi 41 • Eppure il vuoto, l'assenza, il nulla, in cui si inabissa la sua scrittura, è la vertigine necessaria perché il poeta ritorni, da quel viaggio nel desiderio di tutto che lo ha abbandonato nell'indigenza, spogliato dell'io, liberato dall'ostacolo dell'io, di nuovo disponibile alla scoperta dell'identità attraverso il paJsaggio per ciò che non si è 42 . E vero, Fernando Pessoa non è Alberto Caeiro, Alvaro de Campos, Ricardo Reis, Bernardo Soares, o altri verosimili ed autentici, ma al contempo non può conoscersi se non ignorandosi attraverso essi. Come per i grandi poeti dell'epoca moderna, anche per Pessoa, la memoria è impegnata a negare ogni indizio di appartenenza all'origine, al passato, se per passato si intende ciò che ci unisce e destina a noi. E dalla voce nitida di Ricardo Reis, il poeta della classicità nostalgica, del purismo esagerato, giunge questa misurata consapevolezza: Non so di chi ricordo il mio passato ché altro fui quando lo fui, né mi conosco come se sentissi con l' anima che ho l'anima che sentendo ricordo. Da un giorno all'altro ci disancoriamo. Niente di veritiero a noi ci unisce siamo chi siamo, e chi fummo fu cosa vista di dentro 4 i
4. Una parola distolta da sé Come la ritrovo in un ricordo dai caratteri infantili, non è un edificio intero. In me ne ho soltanto delle parti; una stanza, un'altra stanza, poi un tratto di corridoio che non unisce le due stanze ma s'è conservato isolato, come un frammento. [... ] È come se l'immagine di questa casa fosse caduta nel mio spirito da un'altezza infinita, frantumandosi poi sul fondo 44
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[A. ZANZOTTO], Andrea Zanzotto risponde a tre domande su Pessoa, Intervista in "Quaderni portoghesi", 2 (1977), pp. 192-193. Cfr. O. PAZ, Ignoto a se stesso. Saggi su Fernando Pessoa e Luis Cemuda, a cura di E. Franco, con un saggio di A. Tabucchi, Genova, Il Melangolo, 1988, p. 39. PESSOA, Odi di Ricardo Reis, in Una sola moltitudine, voi. Il, cit., pp. 49-51. PESSOA, Obra Poética, cit., p. 284 (Ficçcìes do interludio I Odes de Ricardo Reis). R.M. RILKE, J quaderni di Malte Laurids Brigge. Autoritratto del poeta giovane ( 1910), trad. di G. Zampa, Bari, De Donato, 1966, p. 23.
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DS:ONOSClfvENTI: POE"TlCA E NIIENZJONE DI FEFl"IAADO PESSOA
Ancora per Rilke era possibile aggirarsi tra i frantumi della memoria come tra stanze non comunicanti, sebbene senza alcuna speranza di vederli ricomposti, riaggregati in una qualche immagine unitaria {"l'edificio intero"); perché quei frantumi, intanto, si sono conficcati sul fondo come vetri acuminati. Tuttavia un "fondo dello spirito" che li ospiti è pur sempre rintracciabile. Il timore angoscioso è, semmai, "che tutto vada in frantumi, tutto e per sempre" 45 • L'integrità smarrita dell'io è suggellata dalla paura per quei "ricordi confusi, fluttuanti come alghe intorno a un oggetto sommerso" 46 • Paura, dunque, non dello smarrimento bensì dell'integrità, paura di soggettività, che Malte ha l'impressione di poter raccogliere, ad ogni angolo di strada, per eredità o per contagio, come "quando, per esempio, qualcuno veniva meno su una panchina e tutti gli stavano intorno e lo guardavano e lui era già oltre la paura: allora io avevo la sua paura" 47 . Per Malte era dunque possibile ancora, una volta allentata la morsa dei ricordi e liberato dalla loro presa l"'oggetto sommerso", e cioè, nei termini della Magny, "distolti da noi stessi", potersi riappropriare pienamente di sé attraverso la parola, perché i ricordi, in sé, non sono tutto. Solo quando diventano in noi sangue, sguardo, gesto, anonimi e indistinguibili da noi, soltanto allora può succedere che in un'ora rarissima da essi si stacchi e s'innalzi la prima parola di un verso 48 •
Per Pessoa, un simile processo ricostruttivo della parola, si dà attraverso l'intreccio dei ricordi che, come alghe, cercano invano di un noi, a tutti gli effetti, introvabile. Chiave di lettura dell'esistenza poetica di Pessoa è il riconoscimento dell'isomorfia di reale e sognato (e il ricordo è sempre e solo sognato), piani disponibili all'intersezione, agli attraversamenti, ma senza che tra essi si profili mai alcun rapporto di anteriorità o un preciso ordine generativo. Manca loro il riferimento al "fondo dello spirito" rilkiano: "a minha alma", "o meu espirito", sebbene risuonino delle resistenze tipiche dell'io romantico, sono infatti luoghi di passaggio, di transito, da una parte all'altra. Perché, qualora non ci fossero i paesaggi della realtà e del sogno a trafiggersi nella scintilla metaforica - "ma nel mio spirito il sole di questo giorno è porto buio" 49 - probabilmente dall'in-
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47 4" 49
Ibidem,p.47. Loc. cit. Ibidem, p. l 13. Ibidem, p. 20. F. PESSOA, Pioggia Obliqua, in STEGAGNL1 PICCl-lll), «Chuva ObUqua», cit., p. 67. Chuva ObUqua, in OIYra Poética, cit., p. 113.
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contro non nascerebbe che una immagine, senza alcun destino poetico, presa tra l'indecisione di due specchi, lasciata al vortice del "non so chi mi sogno". Pessoa, che sa come prendere le distanze da sé perché "s'innalzi la prima parola di un verso", lo fa inventando opere per autori capaci di dire ciò che "egli non avrebbe mai detto". Di questo ha scritto Paz: Reis e Campos dissero ciò che forse egli non avrebbe mai detto. Contraddicendolo, lo espressero; esprimendolo lo obbligarono a inventarsi. Scriviamo per essere ciò che siamo e per essere ciò che non siamo. Nell'uno e nell'altro caso, cerchiamo noi stessi. E se abbiamo la fortuna di trovarci - segno di grazia - scopriamo che siamo uno sconosciuto 50 .
Pessoa ha l'infanzia intrappolata tra realtà e sogno, e la memoria della sua lingua presa nel dissidio di un sentire senza interruzioni e un pensare corrosivo e disperante. Infanzia rincorsa da tutti i lati, ma sempre imprendibile e sfuggente, slittante tra i piani trasparenti e obliqui di un "muro bianco", il "muro di cortile" di Chuva Obliqua. "A minha infancia", "na minha infancia", "incontro a minha infancia", "a minha infancia", "da minha infancia": il quarto blocco della lirica intersezionista è costruito lungo gli assi tracciati da tutte le direzioni percorribili per sorprendere l'infanzia. Se non ché essa reclama la propria appartenenza al sogno, sembra non essere mai esistita al di fuori di esso, e diviene recuperabile, insieme ad una riconciliata ed inconsapevole unità, solo attraverso "la mano trasparente" del poeta, si fa e disfa "al suono della mia penna che corre sulla carta" 51 • Significativamente, in Chuva Obliqua, nulla Pessoa fa provenire "Dalla mia infanzia": è mancante il "dalla" indicatore di fonte a cui attingere, o derivazione, origine da cui attendersi spontanei segnali di identità. Anche il verso di Mario de Sa-Carneiro, interlocutore europeo e modernista di Pessoa, registra in più luoghi lo stesso smarrimento, ma nella forma della dispersione, eterizzata e bizantina, di chi suppone una interiorità e vi sprofonda inutilmente, scivola verso un oltre per non trovare che il nulla. E una volta decisa l'azione, risoltosi a creare "soltanto con la forza del sognare", non rinviene che "ceneri, solo ceneri senza fuoco", "un cimitero falso senza ossame": In un'ansia di possedere qualcosa, vago in me stesso alla ricerca, in me sprofondo invano, e nulla trovo, e la mia anima smarrita non riposa.
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01SCIJNJ5CIMENT1: POETICA E INVENZIONE DI FERNANDO PESSOA
A mani vuote, risolvo di creare: brandisco la spada: sono luce armoniosa e fiamma geniale che tutto osa soltanto con la fona del sognare Ma la fulva vittoria già svanisce E ceneri, solo ceneri, senza fuoco ... - Dov'esisto, che non esisto in me 1
Un cimitero falso senza ossame, notti d'amore senza premere la bocca, e nessuno spasimo è inizio o fine . . . 52
Dal fondo di alghe e frantumi di Malte, in cui riconosciamo la coscienza pessoana, o meglio, la pessoana "coscienza dell'assenza" 5\ possono emergere vite nuove per la prima parola di un verso: Vite di cui non avremmo saputo mai nulla salgono alla superficie confondendosi con quanto è realmente accaduto, rimuovono un passato che credevamo conoscere: perché in quanto risale è una forza nuova, riposata, mentre quello che è lì da sempre è stanco d'essere troppo ricordato 54 .
Anche senza poter contare sulla stabilità di un tempo presente (i tempi che dovrebbero registrare il presente sono scelti tra il futuro del congiuntivo e l'infinito personale), o su una lingua disponibile e già naturalmente "appropriata", Pessoa, passando per le vie della negazione, agisce in senso costruttivo, generativo: pluralizza tutto ciò che sfugge alla presa, vita, idioma, letteratura. SaCameiro, al contrario, nell'inseguire la falsa illusione di "ricostruirsi", non si trova e dissipa se stesso: "Vorrei ricostruirmi, e dissipo me stesso" 55 • Il potere di trasfigurazione viene da Pessoa come estorto alla parola 56, paro12
11 14 51 16
M. DE SA-CARNE!R0, Scavo, in Dispersione, a cura di M.J. de Lancastre, Torino, Einaudi, 1998, p. 5. PAZ, lgnow a se stesso, cit., p. 39. R.M. RILKE, op. cit., p. 47. DE SA--CARNEJRO, Alcole, in op. cit., p. 9. La cultura letteraria portoghese di fine Ottocento, segnata dal disastroso evento politico dell'Ultimatum inglese (1890), perviene ai suoi migliori esiti poetici con l'esperienza premodernista di Cesario Verde (O Livro de Cesario Verde) e simbolista di Camilo Pessanha (Clepsidra), entrambi modelli di "trasfigurazione della parola" per Pessoa. Ciò che li prece-
ABITARE UN POETA.
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la manipolata e rivoltata nel senso, per aggressioni successive alla sua pronuncia affermativa: si può dire una cosa, il suo contrario, in forma negata, qualificata, ridotta, moltiplicata, si può dire anche ciò che non è. Egli, però, ama estrarre la virtù negativa della parola dal suo interno, anche aggiungendola, quella negazione, o privazione, o separazione. Insistere nell'uso di termini composti con il prefisso privativo - cles -, termini che trova assai disponibili nella lingua portoghese, in espressioni come descaminho, desconhecer, desfazer, descontinuo, desdormir, desvegetar,se, partecipa di quel processo di sottrazione per addizione, per integrazione, che riconosciamo come suo proprio atteggiamento, anche talvolta come vizio, psicologico e letterario. È pur vero che, come egli stesso dichiara, "Caeiro scriveva male il portoghese, Campos ragionevolmente ma con lapsus come dire "io proprio" invece di "io stesso", ecc., Reis meglio di me, ma con un purismo che considero esagerato", e che dunque ogni dettato è adeguato, verosimile nella misura in cui non è quello di Fernando Pessoa 57 . Né ad una definitiva divaricazione né ad una sintesi giunge la diglossia rinvenuta nella sua esperienza poetica, in quanto {lingua del) pensiero e (lingua della) scrittura: realtà e sogno, autenticità (degli eteronimi, della loro opera) e finzione (affabulazione dell'io), idea ed emozione, si recuperano ogni volta vicendevolmente, e ad un alto grado di implicazione, nella "verità della metafora" 58 • Ovvero nella dimensione della sua personale accezione della poetica del fingimento, per la quale persino "il silenzio", scrive nel dramma O Marinheiro (Il Marinaio), "comincia a prendere corpo, a diventare una cosa" 59 •
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de, sono le poetiche della Geraçiio '70, dal realismo polemico di colui che viene definito lo stilista della prosa portoghese, Eça de Queir6s, alla poetica di "denudamento" del realismo postromantico di Guerra Junqueiro. Poetiche segnate, per un verso dalla crisi politica e di ideali che fa seguito al tracollo definitivo del potere coloniale portoghese, e con esso del suo sogno imperialistico, per l'altro verso, da quel rapporto di dipendenza culturale dalla Francia che accompagna il progetto di ammodernamento a cui il Portogallo in quegli anni si volge. F. PESSOA, La lettera sugli eteronimi. Lettera a Adolfo Casais Monteiro sulla genesi degli eteronimi, in STEGAGNO PlCCIIIO, Nel segno di Orfeo, cit., pp. 268-269. F. PESSOA, A Genese dos heteréìnimos, in Obra em Prosa, Rio de Janeiro, Nova Aguilar, 2004 ( 1974 1), Organizar,.'ào, lntroduçao e Notas de C. Berardinelli, p. 98 (Os outros eus I Genese e justificaçào da hete-
ron[mia). 1~
;"
PESSOA, Il libro dell'inquietudine, cit., pp. 85-86. "Ha detto Amiel che un paesaggio è uno stato d'animo, ma la frase è l'esile felicità di un esile sognatore. Quando il paesaggio è un paesaggio, esso cessa di essere uno stato d'animo. Oggettivare significa creare; e nessuno direbbe che una poesi.:i scritta è lo stato d'animo di pensare di farla. [... ] Sarebbe più giusto dire che uno stato d'animo è un paesaggio; la frase avrebbe il vantaggio di non ospitare la menzogna di una teoria ma solo la verità di una metafora". F. PESSOA, li marinaio. Dramma statico in un quadro, trad. di A. Tabucchi, Torino, Einaudi, 1988, p. 11.
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O1SCCN:JS::IMEN11: POETICA. E INVENZIONE DI FERNANDO PESSOA
È chiaro che, avverte Weinrich, non può darsi metafora nella parola, presup, ponendo la compattezza .semantica di un'unica parola. È sempre e solo "un con, testo" in grado di generarla, con le sue interne tensioni tra le aspettative che i significati propri di una parola determinano e la "delusione", con conseguente "effetto di sorpresa", che quel contesto stesso produce quando, attraverso un'al, tra idea controdeterminante, di quella parola svia e conduce in direzione contra, ria il senso originario 60• Ma una espressione come desvegeta.r,se, a partire dalla forma ortografica che la lingua portoghese le conferisce, non può forse già dirsi "testo" e coinvolgere, per come internamente si articola, campi metaforici, esse, re metafora? Essa contiene in sé un movimento fortemente dialettizzato: procede dalla negazione (il prefisso des) di un gesto, vegetar, che solitamente, come acca, de anche per desdormir o descaminhar, non prevede l'inversione privativa del senso. Sebbene, poi, sia nel suo significato proprio e primo, sia in senso figurato, non appartenga all'ordine delle azioni che tollerano riflessività, vegetar viene da Pessoa sorprendentemente legato al suffisso se. Des,vegetar,se, a tutti gli effetti, funzionano da morfemi, cioè da segmenti linguisticamente significanti, in rap, porto "audace" tra loro. La sorpresa metaforica, che Weinrich ritiene possibile solo in una interna dinamica di contesto, qui è ottenuta con una immagine risul, tante dall'appropriazione riflessiva di un gesto negato per privazione. Riconoscere nell'invenzione di un simile movimento, tutto interno alla parola, "l'andatura" poetica di Pessoa, non è forse gesto troppo arrischiato. Non sarebbe la prima volta, d'altronde, che sfatare retoricamente la metafora porti a ricono, sceme, in cambio, tutto il potere pervasivo ed euristico. Se, poi, la particolare "condizione linguistica" di portoghese naturalizzato, in cui Pessoa vive la propria esperienza espressiva all'interno della pratica let, teraria, non ha, certo, in via diretta, orientato la complessità della sua poetica, è anche vero che solo quella precisa condizione ha potuto "oggettivare" in una scrittura ininterrotta, straordinariamente unitaria, e insieme molteplice e dif, fratta, il dramma della non appartenenza, della mancata adesione ad un preci, so sistema culturale. Sistema che, non avendo mai pienamente riconosciuto come proprio, non ha mai neppure esplicitamente avversato. Nel linguaggio di Benveniste, le "categorie di lingua" implicate, in virtù del bilinguismo pessoano eterogenee e funzionanti in relazione contrastiva, sarebbero la condizione di realizzazione del suo pensiero. Al di fuori della capacità formati, va e strutturante di quelle categorie, infatti, "non c'è che volizione oscura, impul, so che si risolve in mimica" 61 , in Pessoa, nella mimica indifferenziata del sogno e
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Cfr. H. WEINRICH, Semantica generale della metafora, in Metafora e menzogna: la serenità dell'arte, a cura di L. Ritter Santini, Bologna, li Mulino, 1976, pp. 88-89. E. BENVENISTE, Categorie di pensiero e categorie di lingua, in Problemi di linguistica generale (I 966), a cura di M.V. Giuliani, Milano, li Saggiatore, I 994, p. 80.
ABITI\RE UN POETA
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della dispersione consapevole. E persino se inseguiamo gli andamenti dinamici propri del sogno, così come quelli del pensiero, finiamo per cogliere di nuovo le stesse categorie discorsive della lingua ad esprimerlo, a rappresentarlo. Fa rilevare Benveniste come, nelle analisi freudiane, il soggetto si serve della parola e del discorso per «rappresentare» se stesso, quale vuole vedersi, chiamando !'"altro" a costatarlo.[ ... ] Per il solo fatto di parlare, chi parla di se stesso insedia l'altro in sé e in tal modo coglie se stesso, si confronta, si instaura quale aspira a essere, e infine si storicizza in quella storia incompleta o falsata 6 !
Nella parola, dunque, l'altro è mezzo di affermazione di se medesimo. Per Pessoa, invece, proprio nella parola si consuma una fenomenologia dell'alterità che non conduce ad alcuna forma strumentale di individualizzazione. Si delinea un percorso in un certo senso inverso, in quanto non si tratta di chiedere all'altro se stessi, semmai di disfarsi di sé nell'altro. Allo stesso modo, se la categoria di persona, il suo designarsi in un discorso come "io", che permette di "appropriarsi dell'intera lingua", si produce solo con "l'insediamento della «soggettività» nel linguaggio" 63 , allora una parola-paesaggio-metafora come desvegetar-se, non solo oppone resistenza ad ogni "insediamento di personalità", ma ne stravolge la traccia attraverso l'infinito rinvio ossimorico. Essa "riflette" un'azione che nega, afferma l'io e insieme lo sconfessa. Sappiamo, d'altronde, che "fingir é conhecer-se" ("fingere è conoscersi"), che Pessoa, poeta del Novecento, si conosce nella finzione della molteplicità dialogante dei nomi, delle voci poetiche, delle posizioni critiche, delle fisionomie, degli stili enunciativi degli altri che ogni volta egli è.
5. Il profilo degli acquedotti e i paesaggi sognati (uno scarto minimo) La scena degli eteronimi, parlanti e scriventi una lingua propria, portatori ciascuno di una parole individuale, è la scena drammatizzata di un dialogo che, per molti aspetti, sembra esser mosso da una sorta di "volontà di romanzo". Alla forma del romanzo come totalità pluridiscorsiva e stratificata di cui non si dà, né si può presupporre (non più), alcuna risoluzione in unità e compiutezza, sembrerebbe rinviare !'"opera" pessoana. Pensabile, infatti, solo nella forma di eventi di scrittura, più che di semplici frammenti di una supposta anteriore idea di opera,
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BENVENISTE, Note sull.a funzione del linguaggio nell.a scoperta freudiana, ibidem, pp. 95-96. Ibidem,p.314.
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eventi che mostrano il romanzo "a cuore aperto" e con la sua struttura dialogica esplosa e decostruita, essa dimostra flno a che punto "la lingua del romanzo è il sistema delle «lingue»" 64 • Essere tutta la letteratura, per Pessoa, non soltanto è espressione dell'urgenza di chi, con la decadenza del romanzo poliziesco, si vede per sempre negata la possihilità di accedere alla letteratura moderna, cosicché, avendo scoperto "che la lettura è una specie di sogno schiavizzatore" preferisce sognare i propri sogni 6; E abbandona l'abitudine di leggere letteratura: Ho abbandonato l'abitudine di leggere. Non leggo più niente ad eccezione di un giornale o l'altro, letteratura leggera e occasionalmente libri tecnici su argomenti che mi capiti di star studiando o nei quali il semplice ragionamento possa risultare insufficiente 66 •
Essere tutta la letteratura è anche la vocazione del romanzo in quanto genere, l'unico genere letterario in divenire, capace di liberare gli altri generi, da tempo compiuti, "dalla convenzionalità delle loro forme e dei loro linguaggi", accogliendoli per criticarli, parodiarli, reinterpretarli 67 • L'"opera" non conclusa di Pessoa è dunque il romanzo, mai iniziato, rappresentato tramite il gesto stesso della scrittura "nel suo processo di autocoscienza", come direbbe Bachtin 68 ; mentre prendono forma e vita il racconto di Alexander Search, il poema di Alberto Caeiro o il manifesto di Alvaro de Campos, il diario di Bernardo Soares, la poesia di Ricardo Reis, il dramma di Fernando Pessoa, il saggio di Antonio Mora. E conviene non leggere questi modelli di invenzione o riflessione poetica esaurendoli nel regime della loro reciproca contraddizione, perché semmai andrebbero accolti come estremi esperimenti di scrittura su generi, temi, linguaggi, dialoganti in forma aperta e diveniente. Esperimenti condotti da un autore La paro/o. nel romanzo, cit., p. 70. Notas pessoais [ms. 1910?}, in Obra em Prosa, cit., p. 76. "La decadenza del roman-
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zo poliziesco ha sharrato per sempre la porta attraverso cui io penetravo nella letteratura moderna [... ] Ho scoperto che la letteratura è una specie di sogno schiavizzatore. Se devo sognare, perché non sognare i miei stessi sogni?". ("A decadencia do romance policial fechnu para sempre urna porta por onde penetrava eu na literatura moderna. [... ] Descobri que a leitura é urna espécie de sonho escravizador. Se devo sonhar, por que nào sonhar os meus pr
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PESS0A, Novas poesias inéditas I1930], in Obra Poética, cit., pp. 684-685. "Dormi. Sonhei. No informe labirinto / Que ha entre a vida e a morte me perdi. / E o que, na vaga viagem, eu senti / Com exacta memoria nào o simo. / Se quero achar-me em mim dizendo-o, mimo. / A vasta teia, estive-a e nào a vi./ Obscuramente me desconcebi." È sempre legittimo credere che l'eteronimo fosse la maschera, nel caso del neopagann Alberto Caeiro, la maschera storica e passata, che poteva consentire a Pessoa di esser letto dai suoi contemporanei, all'inizio del Novecento, e di sentirsi protetto così dall'incomprensione dell'ambiente circostante. Per cui la portata rivoluzionaria della sua opera, l'intuizione di un tempo e un mondo futuro, o la loro possibilità di essere inscritti nel presente, rimase illeggibile. Cfr. S. CARVALH0, À procura de uma tradiçào. Alberto Caeiro. A linguagem porética e a Estética da lmperfeiçao, in www.ipn.pt/literatura/pessoa.htm, p. 5. [A. ZANZOTIO) Andrea Zanzotto risponde a tre domande su Pessoa, Intervista in "Quademi Portoghesi", cit., p. 191.
U\lGUE DB..L' ALTR)
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La necessità di nominare proviene dalla consapevolezza che la realtà non ammette di essere pensata se non per linee di discontinuità e che il pensiero, a sua volta, non è presentabile a nudo nelle sue superfetazioni continue ed ininterrotte. Il nome porta con sé, per certi versi, la pudicizia ancora tutta ottocentesca e la vocazione, già novecentesca, a far corpo, corpo individuale e sociale, con il segno; rinvia, con lo spirito di denotazione e determinazione che gli è proprio, a un se stesso che avverte incrinato, frantumato e irrecuperabile in una dimensione unitaria. In questo senso è del tutto messo fuori gioco quel ritorno all'"oggetto in sé", alla sensazione pura, su cui dadaismo e surrealismo fondavano i loro programmi. In deroga ad una idea di poesia il cui linguaggio appariva talmente sovraccarico di significazioni, da risultare corrotto, svilito e poeticamente inutilizzabile, le avanguardie reagivano "mettendo al sicuro la poesia nel suo ultimo sacro dominio" n_ Disfacendo il linguaggio del significato, dell'assillo del dire "significati", aspiravano a restituirlo ad una sua dimensione originale, anteriore a tutti i linguaggi, a fare della poesia gioco verbale o immagine fonetica, il cui "sacro dominio" sembrava poter esser quello di una parola in cui suono e senso fossero resi, come all'inizio, indistinguibili. È in questo modo, in nome di una purezza restituita alla parola, "oggetto in sé", in nome di una forma verbale pura, che l'invenzione cede il posto alla sorpresa, sino agli estremi di una poesia "fatta di sillabe e voci senza senso" ll _ È evidente, a Pessoa, che "oggetti in sé", oggetti "puri" non ancora nominati, non possono darsi. La sua poesia può essere inscritta al capitolo di quella poesia moderna che ricava e pronuncia la propria dissidenza con la sottrazione della persona, con la de-personalizzazione della scrittura poetica, più che con la sottrazione dei significati alla parola. Pessoa dice l'alienazione del sé, consapevole del
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Sul tema della ricerca di un linguaggio anteriore a tutti i linguaggi, nella poesia moderna, si veda la riflessione di Octavio Paz (O. PAZ, Lettura e contemplazione, in Passione e lettura. Sul riso, illinguaggio e l'erotismo (1971), trad. di M. Finassi, Milano, Garzanti, 1990, pp. 2736). Le esperienze del dadaismo e del surrealismo rappresentano uno di quei momenti in cui riappare, sotto forma di una ossessione, il desiderio di una poesia riconsegnata all'identità tra la parola e ciò che essa nomina. La diffidenza che il poeta nutre nei confronti di una relazione tra suono e senso regolata da una convenzione arbitraria è del tutto naturale dal momento che la poesia nasce dall'antica credenza magica in quella identità. Per Paz "quel linguaggio non manca di senso. Più esattamente: ciìi che viene enunciato non sta prima ma dopo la significazione. Non è un balbettìo presignificativo: è una realtà a un tempo fisica e spirituale, udibile e mentale, che ha attraversato il regno dei significati e li ha incendiati. Nnn sta al di qua ma al di l.à del significato. Il dire cessa di significare: mostra realtà inintelligibili e intraducibili ma non incomprensibili. Non significa e, nello stesso tempo, è impregnato di senso" (Ibidem, pp. 35-36). Ibidem, p. 35.
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DISCONOSCIMENTI: POETCA E INVE~IONE 01 FER,JN\00 PESSOA
fatto che è con un linguaggio in-alienabile che occorre fare i conti. Ciò che resta, semmai, è la possibilità di mettere al mondo sempre nuove "parole altrui su di essi", su quegli oggetti già a loro volta nominati. Perché è dall'incontro, nel mare della pluridiscorsività, con le "parole altrui" e con i "molteplici accenti", che "la parola può organizzare in questo processo dialogico la propria fisionomL::: e il proprio tono stilistici" 34• È poi il viaggio che la parola, secondo Bachtin, intraprende nel romanzo: La parola concepisce il proprio oggetto con un atto complesso: ogni oggetto «nominato• e «discusso», da una parte è illuminato e, dall'altra, oscurato dall'opinione sociale pluridiscorsiva, dalla parola altrui su di esso, e in questo complesso gioco di chiaroscuro entra la parola, se ne satura, sfaccettando in esso i propri contorni semantici e stilistici i;
La possibilità di nominare se stessi e le cose passa quindi attraverso una procedura straniante in cui la fisionomia stilistica, la scelta espressiva, è atto fondativo, nel senso che l'identità è una conquista indiretta del gesto che si moltiplica e rifrange all'incontro con i gesti circolanti in un mezzo denso e animato da discussione, decisamente impuro. Discussione in Pessoa movimentata dalle voci eteronimiche e il cui ambiente di diffusione è prismatico e riflettente, è l'ambiente plurilingue in cui ciascuna delle lingue adottate subisce una flessione in direzione e a favore di ciascun parlante, con notevoli effetti di distorsione dello specifico valore comunitario di ciascuna lingua.
5. Donarsi il nome Affermare che "darsi uno stile" è un po' come "darsi un nome" può sortire un effetto certamente paradossale, ma non privo di conseguenze. Siamo di fronte ad una equivalenza tra elementi dissimili, dal momento che uno stile possiamo in ogni modo procurarcelo, un nome ci viene donato, il mondo dei nomi ci preesiste. All'inizio i nomi sono già lì, alla fine, abbandoniamo la partita davanti a loro. La perdita del nome e la sua nascita si confondono in noi con i limiti della vita e della morte, arriviamo sempre troppo tardi, partiamo sempre troppo presto per cogliere la sua mobilità 16
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BACHTIN, La parola nel romanzo, cit., p. 85. Loc. cit. M. LAUGAA, La pensée du pseudon-yme, Paris, PUF, 1986, p. 318.
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Così scrive Maurice Laugaa, riflettendo su quei passaggi dalle identità alle non identità, e viceversa, che l'istituzione dello pseudonimo regola nelle nostre società. In realtà, è proprio osservando le procedure che accompagnano la formazione dello stile, che siamo indotti a pensare che quella che spesso si verifica è una "donazione dello stile". Infatti siamo noi stessi, prima di ogni altra cosa, a donarci identità stilistica attraverso la trascrizione, il calco mimetico, rispecchiando tic e lapsus altrui, attraverso la sfida alla contraffazione, simulando un altro (autore) di cui assumiamo in pieno le movenze. Non c'è inizio di una pratica della scrittura che non si misuri innanzitutto con l'esercizio esteriore dell'imparare l'originalità di un altro, di accedere a se stessi provenendo dal di fuori. In alcuni casi, come avverte Remy de Gourmont, "si tratta di lasciarci convincere del fatto che l'originalità si acquisisce attraverso l'imitazione" di modelli di bello stile, come prescrive una retorica dell'arte di scrivere insegnata in venti lezioni che non ha smesso di avere una sua fortuna "didattica", almeno sino alla metà del secolo scorso i 7• Pratica che Pessoa coltivò assiduamente negli anni della formazione anglosassone in Africa, come testimonia una lettera del suo professore di inglese: i suoi componimenti inglesi erano in generale notevoli, sfiorando a volte la genialità. Era un grande ammiratore di Carlyle ed ebbi una certa difficoltà a moderare una sua predisposizione ad imitare molto da vicino lo stile di Carlyle 3~.
Prendersi in prestito dalle tracce stilistiche di un altro scrivente è una prassi frequente nel momentaneo esercizio di un apprendistato, esercizio che può perdurare (à la manière de Mallarmé scriverà Pessoa negli anni tra il 1911 e il
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Ci si sta riferendo al testo di A. ALBALAT, L'art d'écrire ensei,gné en vingt leçons (Paris, Librairie Armand Colin, 1899), obiettivo polemico di R. DE GOURMONT (La questione dello stile, in Retorica e stile, Firenze, Alinea, 1995, p. 68). Stralcio della lettera del professor Belcher contenuta nella biografia pessoana di A. CRESPO, La vita plurale di Fernando Pessoa, Roma, Pellicani, 1997, p. 44. Cfr. anche, per un accesso più diretto alle fonti: A.E. SEVERINO, Fernando Pessoa na Africa do Sul: a formaçào ingles de Fernando Pessoa, Lisboa, Puhlicai,,'t"ies Dom Quixote, 1983. È fatto curioso, ma forse non troppo per uno scrittore bilingue profondo conoscitore della lingua e della letteratura inglese, che anche Borges, come Pessoa, possa aver detto, ripensando alle sue prime letture: "Naturalmente, l'importante è quello che sta dietro la poesia. lo ho cominciato tenumJo - come fanno tutti i giovani - di nascondermi. All'inizio ero così in ermre che, quando lessi Carlyle e Whitman, pensai che il modo in cui Carlyle scriveva prosa fosse l'unico possibile, così come mi sembrò che il modo di scrivere poesia di Whitman fosse l'unico possibile. Non feci alcun tentativo per capire come due uomini così diversi avessero stranamente ottenutu la perfezione della prosa e del verso". J.L. BoRC,ES, Il credo di un /)()eta in L'invenzione della poesia. Le lezioni americane, traJ. di V. Martinetto e A. Morino, Milano, Mondadori, 2001, p. 108.
se
01SCONOSCIMEN77: POETICA E INVENZIONE DI FERN/!J'JDO PESSOA
1917), convertirsi in forme diverse (nell' autotraduzione, ad esempio). Esercizio che può addirittura evolversi, come accade in Borges, in una poetica delle letture e scritture come riscritture, quando non in quel gioco tutto interno tra Borges e io, in cui "All'altro, a Borges, accadono le cose": lo cammino per Buenos Aires e indugio. I, .. J Sarebbe esagerato affermare che la nostra relazione è di ostilità; io vivo, mi lascio vivere, perché Borges possa tramare la sua letteratura, e questo mi giustifica. Non ho difficoltà a riconoscere che ho dato vita ad alcune pagine valide, ma quelle pagine non possono salvarmi, forse perché ciò che v'è di buono non appartiene a nessuno, neppure all'altro, ma al linguaggio o alla tradizione.[ ... ] A poco a poco vado cedendogli tutto, sebbene conosca la sua perversa abitudine di falsificare e ingigantire 19 .
Non si può dire che verso la stessa perversa abitudine alla falsificazione si sia diretto, lungo gli anni della maturità, il percorso poetico pessoano. Mentre la relazione tra "io" e "Borges" sembra esser sorretta dal vampirismo e dalla diffidenza, dal sospetto, per poi concludersi nel riconoscimento che è "al linguaggio e alla tradizione" che appartiene ciò che non è né dell'io né dell'altro, e risolversi nel finale sospeso: "Non so chi dei due scrive questa pagina" 40, l'istituzione dell'altro, in Pessoa, è operazione assolutamente sincera e veritiera. Almeno quanto "véritable" è sempre il nome dell'eteronimo, stando alla definizione di Littré: "Ouvrage hétéronyme, ouvrage publié sous le nom véritable d'un autre; Auteur hétéronyme, auteur qui public un livre sous le nom véritable d'une autre personne" 41_ Gli eteronimi pessoani non sono infatti rubricabili nella categoria dei falsi nomi o dei nomi travestiti, non si tratta di pseudonimi, effetti dello sdoppiamento, del mascheramento o del nascondimento di una identità biografica. Effetti che, in molta poesia simbolista, si sostengono ancora sull'idea che l'alterità si dia a partire dalla presupposta unitaria anteriorità dell'io e degli esistenti 42 • Si pensi al "Je suis l'autre" di Nerval, al "Je est un autre" di Rimbaud o al "dolce conforto rivivere in altrui" di Gozzano. Il tema dell'altro nell'esperienza crepuscolare, e in Gozzano in particolare, viene svolto tutto all'interno del discorso poetico e si gioca nella direzione dell'identità del poeta in quanto Poeta, e del significato che assume il fare poesia, lo statuto stesso della poesia. Per cui quest'ultima, attraverso la tecnica del rovesciamento parodico, mentre si fa, diviene, finge di divenire
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BoRGES, Borges e io, in L'artefice, cit., p. 57. Ibidem, p. 58. P.-E. LJTIRÉ, Dictionnaire de la langue française, voce «Hétéronymie». Nell'allonimo e nell'eteronimo, scrive Laugaa, "!'«altro» è insieme colui che è stato, da cui è preso il nome e l'altro del vero nome, ossia un immaginario". LAUGAA, op. cit., p. 64.
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"l'altra" poesia, quella che nega se stessa e profana le sue istituzioni, "cosa non seria", quasi prosa, mentre il poeta sente il proprio io svanire a poco a poco e Jiventare altri, "un altro gozzano" H. Non è attraverso i prestiti, i furti o addirittura le deleghe (dipende dall'angolo dal quale vogliamo osservare il fenomeno) alle biografie e agli stili altrui, per quanto di propria produzione, o l'allestimento del "mondo alla rovescia" della parodia 44 , che Pessoa scrive, ininterrottamente scrive, ma è, tramite ogni atto di scrittura, ogni volta che si mette a scrivere, un altro e diverso. La questione, d'altronde, non è in quanti riconoscersi o rendersi riconoscibili, come ce ne dà testimonianza Alfred Doblin quando scrive: "La personalità non è altro che una vanitosa limitazione", "Se i miei romanzi sopravvivranno, spero che il futuro li attribuisca a quattro persone diverse" 45 , e lo stesso Pessoa, nel saggio sulla fama postuma Erostrato: "Nessuno dovrebbe lasciare dietro di sé venti libri diversi, a meno che non sia in grado di scrivere come venti uomini diversi" 46 • Dalla pratica giovanile dell'imitazione, alla successiva appropriazione di una pluralità di mondi poetici, guadagnati attraverso il commercio onesto con ogni singolo e proprio movimento stilistico e linguistico, a Pessoa non interessa scoprire in quanti riconoscersi, come si diceva, piuttosto in quanti evitarsi. Così da poter, allo stesso tempo, liberarsi e in-dividuarsi come soggetto psicologico e come scrivente, come poeta. Lo dimostra il fatto che, quando vuole dar espressione all'urgenza di un sentimento d'amore, Fernando Pessoa finisce con il non riconoscere la propria voce, le proprie parole divenute estranee all'ascolto del poeta; mentre, quando, invertendo i termini, il poeta Ricardo Reis, nel pieno possesso dei suoi strumenti, scientemente da medico-poeta, si propone di descrivere il sentimento, questo rapidamente si dilegua, si estingue nella rarefazione di un mondo neoclassico, è già sospinto nella dimensione della nostalgia: Se mi dovessi addormentare davanti alla mia stessa voce Che ti dice quanto l'amore tuo è il mio sogno, Mi scoprirei in ascolto di me, il rumore Di parole mie fatte estranee nell'udirle.
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Cfr. G. GOZZANO, Il più atto (I colloqui) e L'altro (Poesie sparse), in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1995, pp. 160 e 309-310. M. BACHTIN, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Torino, Einaudi, 1968, p. 160. Dichiarazione citata nella biografia sintetica borgesiana di Alfred Otlblin in: J.L. BoRGES, Testi prigionieri, a cura di T. Scarano, Milano, Adelphi, 1988, p. 170. PESSOA, Erostratus. Ensaio sobre a fama postuma de obras literarias, in Paginas de Estética e de Teoria e Cntica Literarias, cit., p. 208. "No man should leave twenty different books unless he can write like twenty different men".
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01SCONOSCIMEl',/Tl; POE"TlCA E INVENZIONE DI FERNAt\100 PESSDA
Ma non c'è da meravigllarsi: questa è l'anima del poeta
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Una lingua sconosciuta parla in noi, di cui Siamo alle parole, di fronte dalla realtà ""·
Le parole, il loro rumore, appaiono estranee al poeta: nell'udirle non gli è dato riconoscerle, perché lo stare addormentati, nell'oblio, dinnanzi alla propria voce (asleep to mine oom. voice), come le parole stanno di fronte dalla realtà (words fron~ ted &om reality), descrive lo spazio di una distanza estraniante, ma anche di una fuga, di un abbandono dei territori proprietà privata dell'io poetico. Dalla voce dolente dell'esule Ricardo Reis, l'esuberanza dell'emozione, si diceva, viene ricondotta alla serenità "triste" del verso e della rima delle odi saffiche ed alcaiche, viene elusa a favore di un ideale equilibrarsi della soggettività del sentimento e dell'oggettività dell'intelletto, l'ideale pessoano dell'arte. Pongo nell'altera mente il fisso sforzo dell'altezza, e alla sorte lascio, e alle sue leggi, il verso; ché, quando il pensiero è regale e alto, suddita La frase lo cerca e schiavo il ritmo lo serve 49
Così la frase e il ritmo, nella poetica di Reis, sono al servizio di una poesia che, per nascere, deve essere individuale, ma che per non morire deve essere quasi estranea all'individuo stesso, ad esso rimanere indifferente: deve provenire dall'individuo, e in esso, ogni volta, disconoscersi.
6. L'ombra sul linguaggio Così come non esiste "un solo pensiero che non porti la propria proiezione 47
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PESSOA, Sonnet XIIJ (35 Sonnets), in Obra Poética, cit., p. 593. "When I should be asleep to mine own voice / In telling thee how much thy love's my dream, / I find me listening to myself, the noise / Of my words othered in my hearing them. / Yet wonder not: this is the poet's soul. /I ... )". Si è preferito, in questa occasione, non utilizzare la traduzione italiana esistente dei sonetti inglesi a cura di A. Serani: F. PESSOA, I trentacinque sonetti, Firenze, Passigli, 1999, p. 49. PESSOA, Sonnet XXV (35 Sonnets), in Obra Poética, cit., p. 597. "[ ... ) / An unknown language speaks in us, which we / Are at the words of, fronted from reality". PESSOA, Odi di Ricardo Reis, in Una sol.a moltitudine, voi. II, cit., p. 57. PESSOA, Od.es de Ricardo Reis, in Obra Poética, cit., p. 291.
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e non imprima la propria ombra sul linguaggio", avverte Jean Paulhan, la qual cosa ci consente di cogliere la sua parte inabbordabile e segreta che non ci è Llato osservare direttamente, poiché è appunto la parte dalla quale stiamo ad llSservarlo, allo stesso modo ci è inaccessibile il nostro stesso linguaggio: "un linguaggio sconosciuto [che] parla in noi" 50• Per reinsediarmi nel linguaggio, sconosciuto in quanto mio pronunciamento, occorre spostare di continuo gli angoli d'osservazione, fargli la posta mentre lo colgo su labbra altrui, tra obbedienza e abiure al pensiero, occorre sentire tutto in tutte le maniere, vivere tutto da tutte le parti. Stare al posto dell'altro. Meglio ancora declinando la parola in una lingua forestiera. E, nella condizione del nostro poeta, ogni lingua è sempre una lingua alla quale pervenire, a cui giungere di passaggio, per attraversamento, venendo da "fuori", una lingua di cui riconquistare la presunta naturalità o mimare la dizione letteraria. Proprio la lingua (le lingue, gli idiomi) si offre a noi come esperienza privilegiata dell'alterità. Non vi è la possibilità di aderire, abitare o stare insediati nella "unicità" di una lingua materna o naturale, avere il possesso sicuro delle sue regole, poiché nulla ci è più estraneo del luogo nel quale desideriamo attestare una identità. Così, è solo con un gesto di allontanamento che siamo in grado di avvicinare il più possibile, stare presso, il nostro io. L'appartenenza, quando ricercata, appare di continuo sottoposta ad interdizioni ed esposta all'altro, da esso proveniente. Ragion per cui essa è destinata a patire l'incertezza, l'enigmaticità, l'inadeguatezza, a vivere in un clima inospitale quell'apertura alla lingua che si parla o si scrive, anche idiomaticamente, ma che in realtà non si possiede mai 51 • Quello che Derrida chiama il "monolinguismo dell'altro" deriva, appunto, dall'interrogarsi sulle ragioni per cui "pur non avendo che una lingua, quella lingua non è la mia". La lingua che si parla, la lingua detta madre, non solo non ci precede ma ci eccede, di essa siamo spossessati, e la singolarità del nostro "dire io" è il risultato ogni volta provvisorio di una sorta di traduzione in assenza di una lingua di partenza, la conseguenza di una cittadinanza donata e perduta nel corso della propri.a vita. Ora ci chiediamo se la particolarità del "caso Pessoa" non suggerisca un rovesciamento dell'antinomia del "non si parla mai che una sola lingua e quel-
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Cfr. J. PAULHAN, Le don des langues (Ou1,-res complétes, lll, Paris, Cercle du Livre Précieux, 1968; ora anche in J.P., Les Fleurs de Tarbes, éd. par J.-C. Zylberstein, Paris, Gallimard, 1990), citato in Il segreto delle parole, a cura di P. Bagni, Firenze, Alinea, 1999, p. 17. Il rema dell'alterità della lingua è stato oggetto Jella rinessione di Jacques Derrida a parti--
re dall'esperienza dell'accesso interdetto sia alla lingua non francese d'Algeria, sia alla lingua francese, la monolingua in cui parla, insieme alla messa in discussione dell'idea generale dell"'essere propria" di una lingua a favore di un suo "essere altrove" e senza dimora. Cfr. J. DERRinA, Il monolinguismo dell'altro o la protesi dell'origine ( 1996), a cura di G. Berto, Milano, Raffaello Cortina, 2004. Cfr. anche: A. DJERAR, Queste voci che mi assediano. Scrivere nella lingua dell'altro, trad. di R. Salvadori, Milano, Il Saggiatore, 2004.
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06CO\.OSCIMB\ITI: POETICA E INVENZIONE DI FERNANXJ PESSOA
la lingua non è la propria" nell'altro argomento, meno internamente antagonistico, ma non meno denso di implicazioni, che potrebbe suonare così: "come, in, a quali condizioni, è possibile parlare la propria lingua, quando quella lingua non è la sola?" Con tutte le conseguenze teoriche a cui conduce, anche qui, l'ampliamento dell' io parlo nel si parla. La "posizione" linguistica, e dunque poetica, di Pessoa è infatti quella del perpetuo dissidente, di colui che non ha pace trovandosi sempre "esposto" ad un altro sempre diverso, né propriamente unico o plurale, ma diverso, ogni volta dovendosi arrendere all'evidenza che il Linguaggio è più forte dell'io, perché è nel linguaggio che si vive di esilio e nostalgia. Straniera, ma anche molto "intima", per Pessoa, rimane la scrittura in inglese in Portogallo, così come lingua dell"'esilio" era stato, negli anni della formazione, il portoghese, lingua madre e familiare, in terra "britannica" ;z_ Né si è mai verificato, nella vita dello scrittore e del corrispondente commerciale in ditte di import-export, che una lingua sostituisse del tutto l'altra, anche se solo per una stagione ben circoscritta, come è accaduto per molti scrittori poliglotti. Non si è mai verificato che si stabilissero vere priorità o gerarchie, che un tema o una particolare congiuntura veicolassero, in maniera decisiva, una lingua escludendo le altre. Pessoa seppe fare della sua lingua madre una lingua plurale, la lingua destinata, nella profezia di Messaggio, a rappresentare l'universalità del Quinto Impero del Portogallo, l'umanità in senso sovra-nazionale e cosmopolita (il "Tudo pela Humanidade, nada contra a Naçao" di Pessoa, in risposta al "Tudo pela Naçào, nada contra a Naçao" di Salazar). Non può non sorprendere come questa poetica venga intessendosi, nel corso della sua vita, di valori antitetici che, nell'autointerpretazione del poeta, risultano essere però sempre ragionati e motivati, sembrano raccogliersi in inoppugnabile teoria, la teoria di ciò che, stando a Pessoa, dovrà accadere alla lingua propria e del Portogallo. Se all'aspirazione ad una "unicità" della lingua, a cui si alleano attributi di "purezza" e "nazionalità", si affianca la sua vocazione alla "pluralità", alla "diversità", all'"universalità", è perché "Il buon portoghese è svariate persone[ ... ]. Non mi sento mai così portoghesemente io come quando mi sento differente da me" ,i_ È inevitabile che si arrivi a constatare che il portoghese più 11
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Permane per tutta la vita di Pessoa l'assillo per un inglese che teme essere non troppo perfetto e per un portoghese deteriorato e corrotto dall'influenza dell'inglese (è l'accusa che Ricardo Rcis muove ad Alvaro de Campos, l'ingegnere educato in Scozia). In realtà, Jorge de Sena ha sostenuto che la lingua anglosassone, con Pessoa, ha arricchito la lingua portoghese, e che persino i suoi capolavori in portoghese siano stati pensati in inglese. Cfr. J. llE SENA, Fernando Pessoa e a literatura inglesa, in "Estrada Larga", voi. I, Porto, 1954. F. PESSl1A, Ptiginas fntimas e de Auto-lnterpretaçao, a cura di G.R. Linde J. do Prado Coelhn, Lisboa, Atica, 1966, p. 94. "O bom portuges é varias pessnas [... ]. Nunca me simo tào purtuguesmente eu corno quando me sintn diferente de mim".
LNGUE DEL.LALTRO
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i:he corretto, che obbedisce all'ideale di purezza imperativa, e verso il quale Pessoa sente di essere sempre inadempiente proprio nella misura in cui è compulsivamente impegnato a metterne in circolazione tutte le peculiari virtualità, è il pmtoghese "inventato" dell'estrangeiro. Certo, mettendo in campo la nozione di esilio, a proposito di Pessoa, non si ,,u('l non precisare che si è in presenza di uno di quegli "esili interiori", come scrive Édouard Glissant nel tracciare le Linee di una Poetica del diverso, eredità "dell'erranza occidentale", che "è stata un'erranza di conquiste, un'erranza di fondazione di territori", e che ha prodotto quei " momenti in cui l'immaginario o la sensibilità sono tagliati fuori da tutto quello che gli accade intorno" 54 • Pessoa porta su di sé i segni, in un certo senso, dell'esilio interiore scatenato da un movimento di erranza di quel tipo. D'altro canto, egli si trova a partecipare, in anticipo sui tempi, di quelle oggi sempre più frequenti "erranze interne", cioè "proiezioni verso una totalità-mondo e ritorni su di sé mentre si è immobili, mentre non ci si è mossi dallo stesso Luogo" 55 • È pur vero, infatti, che c'è stato un momento nella vita del poeta, che sembra non abbia lasciato traccia nella sua memoria personale e al quale egli stesso non fa mai esplicita menzione, in cui si è potuto trovare "in presenza di tutte le lingue del mondo", ovvero abbia fatto esperienza, sebbene dall'enclave chiusa e protetta della colonia britannica nel Sudafrica, di quella "totalità-mondo" composita e molteplice. Per una definizione del multilinguismo pessoano e delle "aperture linguistiche" di cui la sua scrittura si fa carico, pur "senza muoversi dallo stesso luogo", si può partire appunto da qui, dall'intuizione, talvolta occultata, di una coscienza della "diversità" e della "relazione" a cui La propria letteratura non poteva restare estranea, pur rimanendo una letteratura dell'erranza in prossimità dei porti e non in transito per mari aperti 56 • Vale la pena ascoltare Glissant, ovvero quella stessa coscienza riconquistata e di cui la Letteratura è ora il primo testimone, mentre parla di sé scrittore che, "per arrivare a scrivere", ha "dovuto attraversare l'eco, il ricordo della lingua creola", poi "L'influenza scolastica delle poetiche di Rimbaud e Mallarmé", per arrivare ad "accedere alla struttura di un'opera senza realmente conoscere il suo linguaggio" 57 :
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É. GLISSANT, Poetica del diverso, trad. di E Neri, Roma, Meltemi, 1998, p. 70. Luc. cit.; cfr. anche, sul Lema del nomadismo, dei fenomeni e dei comportamenti sociali ad esso collegati, M. MAFFESOLI, Del nomadismo. Per una sociologia dell'erranza, trad. di A. Toscani e R. Vitali, Milano, Franco Angeli, 2000. Nell'Ode Marftima di Alvaro de Campos, le immagini dei transiti navali, l'entrare e uscire dai porti, disegnano distanze esteriori, le distanze delle navi dai porti, che confluiscono, all'interno della sensazione, nelle distanze inLerinri tra il me e me. 0LISSANT, o/J. cit., pp. 92-93.
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DISCONOSCIMENTI: POEnCA E INVENZIONE Cl FERNANDO PESSOA
Parlo e soprattutto scrivo in presenza di tutte lt: lingue del mondo [ ... ], e ciò non vuol dire [... ) conoscere tutte le lingue del mondo (... ]. Vuol dire che la mia lingua La dirottll e la sovverto non operando attraverso sintesi, ma attravef'S(., aperture linguistiche che mi permettono di pensare i rapporti delle lingue rra loro, oggi, sulla terra [...]. Cioè, nell'attuale drammatico rapporto tra le lingue, come non scrivo più in maniera monolinguistica, così non posso più difendere la mia lingua in modo monohnguistico ( ... ]. Il multilinguismo non presuppone la coesistenza delle Lingue, né la coesistenza di molte lingue, ma la presenza delle lingue del mondo nella pratica della propria" 1b, poiché [... )non si può parlare che la propria lingua ;g_
Dunque ogni lingua, nella dispersione babelica degli idiomi particolari che servono a dire le cose particolari, così come nella personale frantumazione eteronimica, ogni lingua per la scrittura, per Pessoa, è una lingua madre, intima e straniera; ognuna, nel cercare la propria radice, trova la radice dell'altra lingua, si imbatte in essa e la traduce. Ma quale statuto della traduzione possiamo mettere in campo, dal momento che Pessoa ci appare innanzitutto scrittore in continua auto-traduzione, impegnato com'è in una operazione di reinvenzione di sé sotto la spinta di una "intenzione identifuga" 60 ? In ogni attività traduttiva, o meglio, nel tradurre, "l'altro", il "diverso" è dato, sta davanti a noi, ed è a partire dall'ascolto che di esso si fa che diviene possibile un intervento sull'identità e sulla lingua del traduttore, sulla sua poetica. Si tratta, come avverte Henri Meschonnic, di mettere in scena "une pratique heureuse du traduire" 61 che riassorba le separazioni e superi la logica delle opposizioni - l'irrazionale e il razionale, il significante e il significato, secondo il modello del segno - per condurre alla creazione di una forma che sia metafora dell'alterità. Far "entrare l'alterità nell'identità" - e la traduzione è quell'attività di relazione che permette, meglio di ogni altra, di riconoscere l'alterità nell'identità-, impedendo che si continui a "spingere l'altro nella sua alterità", porta alla storicizzazione dell'identità, alla "identità-storicità": ;~ Ibidem, pp. 33-34. ;q Ibidem, p. 99. Scrive ancora Glissant: "Nella nostalgia di non conoscere una lingua c'è più poetica che nella pratica della lingua stessa. È la differenza tra multilinguismo e poliglos""
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sia" (p. 114). Cfr. H. MESCHONNIC, Tramformation du traduire et alt.érité, in Poétique du traduire, Lagrasse, Verdier, 1999. Nella traduzione, la nuova forma alla quale si perviene mettendo in campo una intenzione identifuga, è sempre una metafora dell'alterità. "li y a des différences entre les langues. Mais la différence entre deux traductions ne passe pas par certe différence-là. Elle met en ceuvre, à l'intérieur d'une meme langue, un travail de l'altérité sur l'identité. Elle montre que l'autre n'est pas tant l'autre langue que l'autre de la situation dans la théorie du langage" (p. 192). Ibidem, p. 196.
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LINGUE DELL'ALTRO
[ ...] l'identità-storicità, al contrario dell'identità astratta, mitica, che è quella della logica del segno, è ciò che dà accoglienza interiore all'alterità, il rinnovamento costantemente in corso dell'identità attraverso l'alterità. L'identità non è un nome, ma un verbo, incompiuto 6'.
All'lnterno di quel modo della relazione che è il tradurre, può insinuarsi il desiderio della scomparsa dell'alterità, del suo annullamento nella lingua di traduzione, perché si mostri nient'altro che la cancellazione dell'estraneità dell'altro, insieme all'ideale di una traduzione invisibile, che non lasci tracce. Occultando ogni traccia del passaggio da un testo ad un altro, ignorando differenze culturali, linguistiche, storiche, fino alla trasparenza assoluta, la traduzione "fedele" si fa così in nome della coerenza del discorso e della lingua d'arrivo, ricacciando, per l'appunto, l'identità nell'identità. Una pratica che, con qualche difficoltà in più, può correre il rischio di negare e nascondere la diversità mentre la ricerca, in virtù del fatto che istituire la diversità costituisce il proprio obiettivo, è, come si è visto, l'autotraduzione. Traslocare la propria scrittura in un'altra lingua indebolisce il profilo identitaria in quanto lo espone alla pluralità, genera una soggettività più predisposta all'erranza, minata alla radice. Poiché, in chi si traduce in una lingua altra, la radice può per l'appunto somigliare al rizoma, desiderare l'espansione verso altre radici, nella figura dell'intreccio dinamico. Nell'autotraduzione, in un certo senso, l'altro viene istituito per mano propria: il testo d'arrivo è insieme il mio testo dell'al, tro che lavora sulla lingua e modifica l'identità, e si sostiene davvero sulla consapevolezza che la scrittura è una modalità d'accesso alla lingua. Ricorriamo, per questo, ancora a Meschonnic: Scrivere non si fa dentro alla lingua, come in una lingua madre, già data, ma verso la lingua. Scrivere può soltanto essere, inventandosi, un accedere alla lingua madre. È lo scrivere che, a sua volta, si fa madre della lingua. E tradurre non è tale se il tradurre non accetta il medesimo rischio 61
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Ibidem, p. 190. "[ ... ] l'identité-historicité par opposé à l'identité abstraite, mythique qui est celle de la logique du signe, c'est celle qui est l'accueil intérieur à l'altérité, le renouvellement constamment en cours de l'identité par l'altérité. L'identité n'est pas un nom, mais un verbe, à l'inaccompli." MESCHONNIC, Si trnduire est écrire ... , in Poétique du traduire, cit., p. 459. "Écrire ne se fait pas dans la langue, comme si elle était matemelle, donnée, mais vers la langue. Écrire n'est peut-étre qu'accéder, en s'inventant, à la langue matemelle. Écrire est, à son tour, materne!, pour la langue. Et traduire n'est cela aussi que si traduire accepte le méme risque. 11
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Se tradurre è far entrare l'alterità nell'identità, con i rischi connessi, l'autotraduzione conduce l\dentità verso l'alterità, la espone al diverso, è uno scrivere andando verso la lingua. Così l'Lnvenzione poetica pessoana, il suo "tradurre" se stesso come se fosse un altro, è appunto un ricercare accessi alla lingua (Pessoa si autotraduce in questo senso), attraverso tentativi che seminano nel percorso tracce più che visibili e, di ritorno, non possono più sperare di restituire un volto immacolato all'identità. La modernità di Pessoa è anche lo sguardo di chi ha visto negli occhi di questa irreversibilità, eppure non ha mai smesso di passare da una lingua all'altra, di saltare dall' utopia di una lingua universale alle lingue particolari degli eteronimi, dalla poesia alla prosa. Per quanto in prosa è più difficile essere altri, trattandosi di un modo di scrivere più prossimo a quel "fenomeno naturale" che è il linguaggio parlato, l'oralità viva 64 • "Arte della fuga da una lingua all'altra, senza che la prima si cancelli e senza che la seconda rinunci a presentarsi", la traduzione, per parlare come Glissant, suggerisce la sovranità di tutte le lingue, la loro molteplicità, nel nostro immaginario 65 . Molteplicità che in Pessoa viene inquadrata e ricondotta spesso ad un modello humboldtiano di spartizione delle possibilità "spirituali" delle Lingue (a partire dall'identificazione della loro nascita e posizione nel sistema delle lingue europee), perché insieme possano concorrere all'elezione di una lingua unica. In tal senso, l'inglese, per il suo doppio elemento germanico e latino, e il portoghese, per i due elementi latino e arabo, hanno Le basi culturali più ampie per fondare una lingua "imperiale". Così annota Pessoa in Babel - or the future of speech, scritto metà in portoghese e metà in inglese, una "spartizione" per "contiguità": Dobbiamo fare dell'inglese il latino del mondo intero. A tal fine occorre non solo il contributo di una grande popolazione, ma anche il contributo di una grande letteratura e del grande potere di una ancor più grande letteratura. Dobbiamo venire a patti con la realtà. Non possiamo fare della lingua portoghese il privilegio dell'umanità. Però possiamo convertirla nella metà di un tale privilegio. Gli Dei non ci concedono di più: non possiamo pretendere di più. Concentriamoci sul portoghese, come se dovesse essere tutto; non dimentichia-
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Diversa è la posizione di Bernardo Soares, difensore del primato della prosa sul verso. La sua idea di "prosa", della propria prosa, ci appare in forte consonanza con la ridefinizione che ne dà Meschonnic (prosa come "ritmo dell'ignoto", "recitativo del linguaggio", per fornire solo alcune sigle), a partire dal superamento dell'opposizione categoriale prosa-poesia, tipica del discorso della stilistica e della retorica tradizionaliste, nel continuum del linguaggio. Cfr. H. MESCHONNIC, La prosa, ritmo dell'ignoto, in "Studi di estetica", 29 (2004), pp. 19-36. GLISSANT, Poetica del diverso, cit., p. 38.
ll\.GU E DELL ALTIIO
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moci però che non può essere che la metà di tutto. Il Quinto Impero tutto per lo spirito - metà per il verbo '' 6 •
È vero anche che, quando si passa all'invenzione, la lingua poetica di ciascun eteronimo, sebbene ricondotta allo stesso principio, cioè all'adozione della lingua nazionale (la maggior parte della produzione pessoana è in portoghese), è il risultato di una serie di variazioni e aggiustamenti all'equilibrio tra parola parlata e parola scritta 61 . I riversamenti dell'una nell'altra, le accentazioni idiosincratiche, l'eterografia, tutto si incide nel corpo della scrittura di ciascun "altro", di modo che, a cercare una "origine" in Fernando Pessoa, ci si ritrova ad avvicinarvisi molto, a sfiorarla, quasi. L:origine è però sempre altrove, rinviata di luogo in luogo, da nord a sud, da Porto, città di nascita di Ricardo Reis, a Tavira, da cui proveniva Alvaro de Campos 6.\ come se si procedesse per dimenticanze successive, per sottrazione e riaddensamenti in nodi di memoria. L'origine è in nessun luogo, proprio per il suo essere insistentemente cercata, in tutta la produzione poetica di Pessoa, nell'infanzia del Largo S. Carlos a Lisbona. È il nessun luogo di tutte le lingue, che sfugge alla logica di una norma o di un sistema, così come, per Bernardo Soares, la grammatica, in quanto non legge ma strumento, può contenere in sé le violazioni alle regole più elementari. Variazioni alle regole di concordanza di genere e di numero tra sostantivo ed aggettivo, alle regole ortografiche, con l'introduzione della traslitterazione grecolatina, ad esempio, che creano, nella frase, il movimento incerto ed errante dell'ambiguità, in chi legge e in chi si legge. Come scrive nel Libro del!' Inquietudine, "anche l'ortografia è una persona" ("Sim, porque a orthographia também é gente") e "la parola è completa se vista e udita" 69 , inaugurando così una grammatica "altra", che giustifica negli enunciati gli incroci linguistici, gli echi delle
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[E PESSOA), Pessoa inédito, coordination de T.R. Lopes, Lisbonne, 1993, p. 242; citato in
J.A. SEABRA, Des utopies linguistiques aux écritures hétéronymiques de Pessoa, in O Coraçào do texto: Novos ensaios pessoanos, prefacio de M.A. Galhoz, Lisboa, Cosmos, 1996, p. 176. "We
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must make English the Latin of the wider world. To that end not only does a great population concur, but also a great literature and a great power of a stil! greater literature. Temos que pactuar com a realidade. Nao podemos fazer da lingua portugueza o privilegio da humanidade. Podemos, porém, converrei-a em metade de tal privilegio. Os Deuses nao nos concedem mais: nao podemos aspirar a mais. Concentremo-nos no portuguez, come elle se houvesse de ser tudo; nao esqueç,amos porém que elle pode nao ser mais que metade de tudo. O Quinto Imperio rodo pelo espirito - metade pelo verbo." Cfr. lbidem, pp. 175-180. Cfr. SEABRA, A patria de Pessoa ou a lingua ma.tria, in O Coraçào do texto, cit., pp. 61-72. PESS0A, li libro dell'inquietudine, cit., p. 252. Preferiamo qui citare la frase in lingua originale così come riportata nell'edizione Àtica che trascrive "orthographia" (PESSOA, Livru do Desa.ssossego, voi. I, cit., p. 17 ).
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OS:::ON0SCMENT7: POETICA E 1NVENZ10t\E D FER\IAND0 PESSOA
lingue vive e morte. È così che Soares può chiedersi: "Ma a cosa assisto quando mi leggo come un estraneo~" ("Mas a que assisto quando me leio corno a um extranjo?"). Dove "extranjo", al posto della forma corrente "estranho", raccoglie in sé, in una sintesi imprevedibile, almeno quanto lo sono le sintesi di Finnegaru Wake, le radici multiple di quella stessa parola nel portoghese, nel francese, nell'inglese 70 . Le parole di Joyce, hanno osservato Deleuze-Guattari, effettivamente "infrangono l'unità lineare della parola, o anche della lingua, solo stabilendo un'unità ciclica della frase, del testo o del sapere", unità che "non smette di essere avversata ed ostacolata nell'oggetto, mentre un nuovo tipo di unità trionfa nel soggetto". Finnegans Wake è, in questo senso, ancora un "libro-radice" che riconosce un suo centro preciso, il soggetto, e da esso può cercare derivazione e orizzonte 71 . Si può dire che accada la stessa cosa in Pessoa, in cui le ascendenze poetiche e le genealogie personali, per un verso sono sempre inseguite, lucidamente disegnate in cartografie e mappe onomastiche, per un altro, si sgretolano e disfano, per riaggregarsi e connettersi in "molteplicità", per ritrovarsi "altri" nell'esercizio della scrittura! Ovvero transitando ogni volta per se stessi? Con Pessoa, si diceva, siamo dentro l'universo della traduzione, per la quale, tra una lingua e l'altra, il traduttore inventa un linguaggio necessario ed imprevedibile rispetto ad ognuna di loro, un linguaggio che, per richiamare il creolismo di Glissant, va ad arricchire di tracce e relazioni i luoghi della totalità-mondo. La lingua madre diviene qui piuttosto la lingua nella quale più che altrove ci si può sentire estranei a se stessi, l'utopia di una unità originaria che sottrae continuamente il soggetto alla sua identità, riversandolo su di un piano d'esistenza che è un piano che diffrange, e facendo dell'espressione, di ogni parola detta, l'occasione per mettere al mondo una lingua nuova 72
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Cfr. SEABRA, Fernando Pessoa e a lingua de Babel, in op. cit., pp. 37-44. li mito della confusione babelica delle lingue ("Dio parla tutte le lingue"), evidente retaggio della poetica di Pessoa / Soares, come dimostra Seabra, possiede una sua dimensione esoterica, che si inscrive nel rosacrocianesimo e nel cristismo gnostico del poeta (p. 43 ). Cfr. G. DELEUZE e F. GUATTARI, Rizoma, Parma, Pratiche, 1977, pp. 25-26. Se in Joyce si ravvisa la sopravvivenza del modello del "libro-radice", in cui la radice è la figura di ogni origine e fondamento, l'opera di Kafka è il vero "rizoma", il gambo sotterraneo e superficiale a diramazioni irregolari, decentrato e molteplice, capace di procedere per ramificazioni non previste, e che dunque sfugge alla soggettivizzazione. Come vediamo, Soares dichiara una poetica dell'antisistema e dell'irregolarità, e lo fa intervenendo sul piano formale della scrittura, sull'ortografia ufficiale, ad esempio, proponendo una ortografia etimologica (ha scritto "orthographia" e non, come sarebbe stato corretto, "ortografia"), assumendo la lingua ad oggetto di esperimento dimostrativo nel momento stesso in cui la sta utilizzando.
i.JNGUE DB..L'ALlRO
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7. Donarsi una lingua Traduzione, tracda, identità. Poiché di "transiti" si sta parlando, conviene forse mettere meglio a fuoco le condizioni di vita che, una volta "toccata" l'identità, vengono a stabilirsi in un mondo nel quale, alle poetiche dello "sradicamento", in cui pure molta letteratura primonovecentesca si è riconosciuta, si avvicendano esperienze di scrittura per tracce di memoria 73 • Una pratica della traccia, si è visto, è anche nella traduzione letteraria, che vuole appunto che qualcosa si smarrisca, nel passaggio, perché qualcosa d'altro, ad esso riconducibile, venga trovato. Traccia può esservi, infatti, non solo nel residuo di un attraversamento, il lusso dell'erranza, che mi ricorda: lì qualcosa è stato. Ma anche, l'esatto inverso, nell'indizio di una dimenticanza: perché lì qualcosa è andato perduto. In virtù del potere fondante dell'oblio, la pratica della traccia può infatti anche essere definita la pratica della rigenerazione della memoria a partire da (,gni singola dimenticanza, manifesta o latente che sia: il candore di un foglio di carta prima della poesia, di Mallarmé, le pagine bianche del libro da riscrivere, da tradurre, nella "propria" lingua, la lingua madre dimenticata, di ]orge Sempn:in i 4• Videntità non è un nome ma un verbo, si è detto, è il movimento stesso della scrittura che rifugge l'identico, viaggia a carico delle dinamiche della memoria e per essa, per l'oblio che la fonda, è disposta a procurarsi persino l'anomla. Nel leggere la produzione che chiamiamo "ortònima" di Pessoa possiamo essere vinti, in virtù dell'attesa di autenticità su cui si fonda ogni atto di lettura, dall'illusione di udire la "vera voce" del poeta. È come se, in conseguenza della falsa domanda che pure continuiamo a porci, "dove, dietro quale nome, è il vero Pessoa?", ci aspettassimo di incontrarlo. Vimpressione è, in realtà, quella di leggere come in assenza di un nome/autore, di essere al cospetto di una scrittura che si fa da sola, al cospetto del punto di massima opacità dell'autore. Vittime dello stesso avvelenamento che, scrive Bernardo Soares, ci avrebbe
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Cfr. A. ASSMANN, Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, Bologna, li Mulino, 1999, in part. il cap. VIII Scrittura (par. 4, Dai testi alle tracce, 5. Scrittura e traccia, 6. Tracce e rifiuti), pp. 22 7-241. La scelta di scrivere in francese, non in spagnolo, Il grande viaggio, ("L'avevo scritto in francese perché avevo fatto di quella lingua la mia lingua madre"), e il successivo divieto da parte della censura franchista alla pubblicazione del libro in Spagna, fanno sì che Semprun, in occasione del premio Formentor a Salisburgo, si ritrovi tra le mani, in segno d'augurio, una copia dell'edizione spagnola de El largo viaje dalle pagine bianche, prive di qualsiasi segno di stampa. "Un giorno, mi son detto dopo quella serata a Salisburgo, un giorno riscriverò questo libro sulle pagine bianche della copia unica. Lo riscriverò in spagnolo, senza tener conto della traduzione esistente. [... ] Che questo libro resti ancora da scrivere, che il compito sia infinito, la parola inesauribile". SEMPRÙN, La scrittura o la i1ita, cit., pp. 252-253.
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DISCO"IOSOMENTI: POETICA E INVENZ()NE DI FERNANDO PESSOA.
procurato l'inventore dello specchio: per noi, il nome, come l'identico, non ha volto: L'uomo non deve potersi guardare in volto, perché è la cosa più terribile che esista. La Natura gli ha dato il dono di non potersi vedere, come gli ha dato il dono di non poter fissare i suoi stessi occhi. Soltanto nell'acqua dei frumi e dei laghi egli poteva fissare il suo volto. E perfino la posizione che doveva prendere era simbolica. Doveva curvarsi, abbassarsi per commettere l'ignominia di vedersi. L'inventore dello specchio ha avvelenato l'animo umano 75.
M:a, come sappiamo, l'identità può trovare, e perdere, nel linguaggio la sua patria. Glissant riconosce in Pessoa, nel suo aver fatto della lingua portoghese la sua patria ("La mia patria è la lingua portoghese"), l'affermazione di una sorta di universale assoluto linguistico, lo stesso universale assoluto che per Saint-John Perse è la lingua francese e che gli fa dire: "J'habiterai mon norn ... " ovvero "j'hahiterai ma langue". E la sua abitazione è la piantagione, figura e sistema della schiavitù e dell'oppressione, che controbilancia e frena il movimento nomade, errante, "l'en-avant" 76 • Esiste poi una situazione in cui eleggere patria e lingua, scegliersi le origini, provenendo dall'esperienza del "male radicale", consente di sopravvivere al richiamo mortifero della memoria di quell'esilio, e ritrovare, in essa, il potere di scrivere. È quanto testimonia ]orge Semprun, con la decisione di scrivere, solo dopo circa vent'anni dall'esperienza del campo di concentramento di Buchenwald, Il grande viaggio in francese: Per quel che mi riguarda, avevo scelto il francese, lingua dell'esilio, come seconda lingua madre, originaria. Mi ero scelto delle nuove origini. Avevo fatto dell'esilio una patria. / Insomma, non avevo più una vera lingua madre [... ]. Mi si dirà che vi ero stato costretto dalle circostanze dell'esilio, dello sradicamento. Ciò è vero solo in parte; in minima parte. Quanti spagnoli hanno rifiutato la lingua dell'esilio? Hanno conservato il loro accento, la loro estraneità linguistica, nella speranza patetica, irragionevole, di restare se stessi? Cioè altri? 77 •
Attraverso la memoria, e quindi attraverso la cancellazione dell'identità, in quanto il passato ha sepolto la lingua madre, a Semprun viene reso il potere di PESSOA, Il libro dell'inquietudine, cit., p. 257. Cfr. A. PEREZ, De la poétique de la relation au Tout-Monde, lnterview d'Édouard Glissane, in http://site.ifrance.com/ATALAIA/glissant.htm. 77 J. SEMPRÙN, La scrittura o la vita, cit., p. 252.
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scrivere. E scrivere comporta, dunque, il ridarsi lingua e origini, ciò che meno ci appartiene, motivo per cui "l'immacolato biancore" delle pagine del libro da riscrivere in spagnolo è insieme un "biancore innocente e perverso" 78 • È andando con la scrittura verso il linguaggio, che a un certo punto si dà la possibilità di scegliersi nome, lingua, tradizione, di ridefinire la misura di una appartenenza al nome, alla lingua, alla tradizione dalle quali si proviene. Ancor più che all'individualità etica e poetica di una lingua che, insieme ad altre, alla loro specificità, può mettere radici nel paesaggio spirituale del poeta, il gesto inventivo attinge a quanto di ciascuna di esse confluisce nel continuum del linguaggio, rispetto al quale non si danno estraneità e separazioni. La traduzione stessa, abbiamo visto, è una questione di relazione, in cui ciò che conta è il luogo della ( interno alla) relazione, più che i suoi singoli termini, la tensione del confronto tra poetiche, dell'autore e del traduttore. Scrive Sempn'.in: In fin dei conti, la mia patria non è la lingua, né il francese né lo spagnolo, la mia patria è il linguaggio. Ovvero uno spazio di comunicazione sociale, d'invenzione linguistica: una possibilità di rappresentare l'universo 79 •
È chiaro che non è possibile misconoscere l'importanza che, rispetto a tutta l'opera, ha ricoperto in Pessoa l'ideale del portoghese lingua universale; ma d'altro canto la categoria dell"'universale", insieme ad altre dello stesso tenore (il "nazionale", ad esempio), non si lascia comprendere al di fuori del nodo cruciale del tema dell'alterità. Tema fondativo attraverso il quale, mettendo "altruisticamente" in circolazione nei sotterranei della modernità una poetica della pluralità e della relazione, per quella stessa modernità si è fatto carico di sognare profeticamente il passato. Ad essa ha consegnato una tradizione, diffondendo un sistema aperto e mobile di radici alle quali, domani, altri, anche provenienti dall'esperienza del "male radicale", hanno potuto allacciarsi per continuare a prodursi in diramazioni, in vie di fuga ed incroci. Per essa ha edificato sistemi teorici ed estetici con "il sacro istinto di non avere teorie" (" ... o sagrado instinto de nao ter teorias ... ") 80 • È la modernità. In cosa consistesse, per Pessoa, l'andare verso il linguaggio e verso la letteratura, passando per la lingua patria, lo comprendiamo, forse, leggendo una pagina tratta da quel laboratorio dello stile straniato ("estilo alheio") che è il Libro
dell'Inquietudine:
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Ibidem, p. 251. SEMPRÙN, Male e modernità (1995), Firenze, Passigli, 2002, p. 86. PESSOA, Livro do Desassossego, cit., p. 248.
J.
O1SCONOSCIMENll: POETICA E lr-lVENZICJNE ~ FERNANDO PESSOA
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Mi piace dire. Dirò meglio: mi piace parolare. Le parole sono per me corpi toccabili, sirene visibili, sensualità incurporate. ( ... ] Una certa pagina di Fialho, una certa pagina di Chateaubriand fanno formicolare tutta la mia vita in tutte le mie vene, mi rendono furioso, con una nervosa quiete, di un piacere irraggiungibile che sto avend(.1. Di più: certe pagine di Vieira, nella loro fredda perfezione di ingegneria sintattica, mi fanno tremare come un ramo al vento in un delirio passivo di cosa mossa. ( ... ] E così, spesso scrivo senza voler pensare, in un vaneggiamento esterno, lasciando che le parole mi accarezzino.[ ... ] Mi ricordo, come se lo vedessi, la sera in cui, da bambino, lessi per la prima volta in un'antologia il celebre passo di Vieira sopra re Salomone:" ... Eresse un palazzo ... [... ] Quel movimento ieratico della nostra chiara lingua maestosa, quell'esprimersi delle idee in parole inevitabili [... ]: tutto questo mi offuscò per istinto come una grande emozione politica. [ ... ]La mia patria è la lingua portoghese. Non mi importerebbe niente se invadessero od occupassero il Portogallo, a condizione che non mi disturbassero personalmente. Ma odio, con un odio vero, con l'unico odio che sento, non chi scrive male il portoghese, non chi non sa la sintassi, non chi scrive con un'ortografia semplificata, ma la pagina scritta male [... ) 81 •
Una esperienza della parola, del parolare (palavrar), e fare delle parole evidenze corporee, ritmi verbali, scrivere senza voler pensare, l'orrore della pagina scritta male: l'ingegneria sintattica di Vieira "come una grande emozione politica". Se volessimo prendere sul serio e intendere fino in fondo i due termini di questa relazione come termini di una analogia, allora dovremmo subito prendere coscienza del fatto che quell'esperienza della parola è, per Pessoa, sufficientemente distante da una emozione politica, da suggerire i lineamenti di una relazione tutt'altro che inerte e affermativa e che, ancora una volta, ciò che ancora una volta si sta esprimendo, è un travaglio del linguaggio. Se mai un'azione politica Pessoa ha potuto intraprendere, questa è stata una azione politica del linguaggio. Non a caso la possibilità di dire "io mi ricordo" ha luogo quando l'io si riflette nella fantasia della lettura, nel "delirio passivo" procurato dalle "inevitabili" parole d'esordio di una pagina memorabile, la pagina di chi scrive bene portoghese. Quanto alle infrazioni, che Pessoa si cura di praticare e rendere ben visibili, alle regole della sua prima lingua, il gusto della scrittura idiomatica, i grafismi, le doppie, le tracce etimologiche, tutto ciò testimonia di un corpo a corpo con la lingua, il desiderio di avere un accento, è sintomo di una agitazione ad essa tutta interna. Si conferma il rovesciamento di prospettiva Pessoa-Derrida, rispetto al rapporto lingua madre - lingua del!' altro. Funzionale ad una esigenza di "purezza della lingua", una esigenza né etica, né politica né sociale, confessa Derrida, è l'i-
"'
PESSOA,
Il lilrro dell'inquietudine, cit., pp. 251-252.
LINGUE DB..L'ALTRO
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perbolismo che lo porta a parlare e scrivere un francese "piì:1 francese del francese", e a provare insofferenza verso chi, non rispettando quell'assioma, lo compromette lasciando che un qualsiasi accento invada la scrittura 82 • Ma proprio dentro alla lingua risiede sia il rischio di soffocare nell'incubo della propria identicità, della omogeneità e della semplificazione che comporta ogni reductio ad unum, sia la possibilità di salvazione attraverso l'esperienza della propria limitatezza, della negazione di sé per voler essere altro. È quanto fa rilevare Paolo Bagni che, rileggendo Ortega y Gasset, indica nella metafora quel congegno del linguaggio, quel particolare funzionamento della sua "istanza di negazione" (il senso della metafora non si esaurisce nell'"essere come") che sa "negare una realtà per far emergere l'irreale dal reale", che sa lasciar passare l'essere qualcosa attraverso l'altro che non è. "Non la somiglianza alimenta la metafora, bensì la negazione, mediante la quale s'instaura nella lingua il regime di un doppio profilo, reale irreale, che è «l'unica maniera in cui per una cosa è possibile esserne un'altra»" si. Come accade in ogni immagine che rappresenta, come nel teatro, nel pessoano drama em gente. Tra "la mia patria" e "la lingua portoghese", dunque, dobbiamo immaginare non la identificazione, la specularità terribile della quale Pessoa / Soares sembra volerci convincere: "L'uomo non deve poter vedere il proprio volto". La relazione che piuttosto vige tra le due espressioni è un essere come che dice, prima, l'impossibilità di una relazione di pacifica contiguità tra i due termini, la loro reciproca negazione, poi, il loro comune destino, l'essere plurali, altri. È anche tramite il legame metaforico "patria-lingua", legame che estraendo l'irreale dal reale sperimenta la limitatezza e la finitudine, che ricaviamo, nella dizione tutta pessoana, l'istituzione poetica dell'alterità. Istituzione poetica che, secondo la definizione che Luciano Anceschi ha dato alla nozione di "istituzione", descrivendone il profilo teorico, l'agire storico e i sistemi operativi, può essere assunta (insieme all'analogia, al correlativo oggettivo, allo stile), come vettore dell'interpretazione di molte esperienze poetiche del Novecento 84 • Qui,
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"Non ne sono fiero, non ne faccio una dottrina, ma è così: l'accento, qualsiasi accento francese, e in primo luogo il forte accento meridionale, mi sembra incompatibile con la dignità intellettuale di una parola pubblica. (Inammissibile, non è vero? Lo confesso) Incompatibile a fartiori con la vocazione di una parola poetica: aver sentito René Char, per esempio, leggere i suoi aforismi sentenziosi con un accento che mi è sembrato insieme comico e osceno, il tradimento di una verità, mm è stata poca cosa nel guastarsi di un'ammirazione di gioventù". DERRl[)A, op. cit., p. 55. P. BAGNI, Come le tigri azzurre. Cliché e luoghi comuni in letteratura, Milano, Il Saggiatore, 2003, pp. 216-218. Per la citazione interna, il riferimento è a J. 0RTEGA Y GASSET, Meditazioni del Chisciotte (1914), introduzione di O. Lottini, trad. di B. Arpaia, Napoli, Guida, 1986, p. 192. Cfr. L. ANCESCHI, Le istituzioni della poesia (I 968), Milano, Bnmpiani, 1983. Una ricerca
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0ISCONOSCIMENTI: POETICA E IWENZIONE DI FERNANDO PESS'.JA
intendere !"'alterità" come istituzione attiva nel fare letteratura di una determinata civiltà poetica, comporta il rivolgere l'attenzione alle relazioni che questa istituzione stabilisce con altre istituzioni letterarie, e non solo letterarie, nonché al ruolo decisivo che l'idea di poetica come "sistema di intenzioni" assume, soprattutto quando riferita ad un autore come Fernando Pessoa. Mai come in questo caso, infatti, l'idea di intenzione poetica risulta sottoposta a tensioni che ne mettono in crisi l'univocità di senso. La tensione che agisce all'interno dell'universo poetico e linguistico pessoano, e che si rinnova ad ogni frammento in intensità e accenti 8~, è proprio una tensione, non un movimento risolubile nei termini di generali antinomie o contraddizioni locali. Una tensione tra la spinta a decomprimere l'unità di lingua e identità - perché si sfaldi, si disgreghi e si moltiplichi - e l'effetto di riappropriazione di sé nell'unità finzionale. A quest'ultimo scopo sembrerebbero esercitarsi quegli atteggiamenti del pensiero e della riflessione coinvolti in un inappuntabile, iperlogico, e altrettanto vertiginoso raziocinio deduttivo. Perché è quell'unità, è l'identità piuttosto che la pluralità eteronimica, ad avere tutta l'aria di una "finzione", di una invenzione di realtà, risiedendo la molteplicità delle esperienze di linguaggio (nomi, lingue, tradizioni) nell'orizzonte dell'autentica e immediata "irrealtà" di una condizione metaforica, di un destino metaforico.
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che, secondo l'insegnamento anceschiano, proceda osservando l'operare delle istituzioni della poesia, "piccoli sistemi prammatici" con i quali intercettare i motivi di continuità e di trasformazione della vita dell'arte, consente di andare oltre le singole esperienze poetiche per organizzarle e comprenderle in un sistema aperto e mobile di relazioni. "Lo stato del mio spirito mi obbliga ora a lavorare parecchio, senza volontà, al Libro dell'Inquietudine. Ma tutto frammenti, frammenti, frammenti" ("O meu estado de espfrito obriga-me agora a trabalhar bastante, sem querer, no Livro ili> Desassossego. Mas tudo fragmentos, fragmentos, fragmentos"). Cnsì Pessoa scrive in una lettera a Armando CortesRodrigues del 19 novembre del 1914. PESSOA, Livro dr> Desassossego, cit., p. 50.3 (Apendice).
III SCRITTURE DELL'INTENZIONE
1. Da questa plurivocità non si esce Il modularsi del nesso lingua-scrittura nel linguaggio poetico di Pessoa si rende permeabile ad una idea di pluralità di cui abbiamo constatato il carattere pervasivo e ritornante, per cui a ragione possiamo parlare di sue lingue e scritture. Pluralità che si traduce in "plurivocità" dal momento in cui la stratificazione dell'espressione "in lingue" porta a sperimentare i limiti di tenuta dell'io poetico, a generare stili dialoganti dell'identificazione, ad articolare un contesto di enunciazione internamente discordante e incline alla negazione, ma non per questo inadempiente a quel bisogno di obiettività a cui il mondo pessoano non manca mai di rispondere. Lingue e scritture, dunque, e il loro andare insieme verso possibilità di linguaggio. Se concentriamo ora l'attenzione sulla scrittura, nelle forme e i generi in cui essa si incarna, la domanda che sembrerebbe ricorrere con insistenza, all'ombra delle immagini sempre nette e icastiche che quella scrittura in Pessoa produce, e a cui occorre dar voce, potrebbe essere: come, in quali, a quali condizioni è possibile parlare una lingua, in altri termini, darsi un linguaggio per l'espressione poetica, quando quel linguaggio vive "in presenza" delle proprie altre lingue ( delle altre scritture)? Ovvero in presenza del linguaggio (della scrittura) della riflessione in generale, di quella in particolare sul fare poesia, del pensiero critico e teorico sulle circostanze del proprio, e altrui, dirsi poeta? L'essere "in presenza", in questo caso, non solo chiama in causa un rapporto di "implicazione" tra linguaggi, tra scritture, un trovarsi sempre esposti gli uni allo sguardo degli altri. Esso dichiara altresì il loro comune essere raggiunti e interessati dallo stesso incubo dell'identicità, della riduzione all'uno, da quella che abbiamo chiamato esperienza di limitatezza che in Pessoa si risolve nell'inesausta invenzione di altri. Dell'idea di pluralità vediamo infatti l'agire anche nell'allestimento degli argomenti e dei temi che ascriviamo alla sua poetica esplicita e che appaiono riversati nelle pagine di estetica, teoria e critica letteraria, nella prosa della sua auto-interpretazione. Persino quegli "argomenti" ci pervengono nella forma dell'articolazione internamente plurivoca, che è il modo stesso in cui il mondo poetico pessoano, come si è visto, tende a costituirsi e strutturarsi.
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DSCXJI\OSCIMENll: POETICA E INVENZ(JNE DI FERNMIXJ PESSOA
Così, nella trama delle relazioni tra l'invenzione poetica e le idee che sostengono l'apparato della riflessione teorica, è vero, frammentaria, spesso occasionale e della dimensione del progetto, dell'abbozzo o dell'annotazione estemporanea a margine (ma cosa si può dire che non lo sia in Pessoa?), la plurivocità non agisce soltanto per via laterale, né si apposta in un tempo antecedente o successivo a quello dell'opera. L'inclinazione alla soluzione ossimorica, così come l'istituzione dell'alterità, non si può dire che semplicemente "condizionino" la nascita del pensiero del poeta, come accade tra cause ed effetti, dal momento che ci è impossibile identificare, cioè declinare al singolare i movimenti del suo pensiero, rintracciare una unitaria poetica o teoria estetica; al limite, ci è dato di parlare della singolarità delle teorie e delle poetiche di Antonio Mora, di Alvaro de Campos, di Ricardo Reis, ecc., come di manifestazioni del loro pensiero esplicito coerenti e pertinenti alla produzione poetica di ciascuno. Il senso della messa in scena di una discorsività e dialogicità del pensiero teorico tra quelle singolarità, dialogicità di tipo romanzesco, si produce infatti nello stile del "dialogo interiore", dove "colui che annuncia e contemporaneamente si denuncia, si contraddice, si accusa di menzogna, si giudica ironicamente, si burla di se stesso, e di noi" 1• Senonché proprio lo spazio dell'interiorità, nel quale, come per il Dostoevskij di Bachtin, ha luogo lo sdoppiamento della coscienza nelle sue immagini, e che vale ancora a tenere insieme una ambientazione dialogica, in Pessoa salta e diviene esso stesso tema, oggetto di una prassi regolata da movimenti di decostruzione e riaggregazione della coscienza. E, come vedremo, non vi è nulla che a quella prassi riesca a sottrarsi. La plurivocità serve così a pluralizzare dall'interno i testi, di qualsiasi natura o genere essi siano. Ma assolve ad una funzione di ancor più ampio significato: informa la relazione stessa poesia-poetica, inquieta e snerva l'intensità e la spinta volitiva dell'intenzione alla scrittura che a quella relazione promette senso e direzione (l'andare dalla poesia verso la poetica e viceversa). Sconvolge, insomma, l'orientamento dell'asse "poesia - riflessione consapevole della/ sulla poesia", consegnandolo, per l'appunto, alle tensioni di un dialogo, ad un contesto di enunciazione in cui i ruoli sono lì a contendersi proprio il diritto a quell'intenzione. Per cui ci ritroviamo a chiederci a chi appartenga quel diritto. Limitarsi d'altronde a riconoscere nella plurivocità una categoria capace di investire il versante della poesia da una parte e quello della poetica dall'altra, perT. TOIX1RllV, li gioco dell'alterità. Memorie del sottosuolo, in Poetica della prosa. Le leggi del racconto (l 978), Roma-Napoli, Teoria, 1989, p. 150. Come scrive Bachtin a proposito di Dostoevskij: "Quando si prende conoscenza della vasta letteratura dedicata a Dostoevskij, si ha l'impressione che si tratti non di un solo artista che ha scritto romanzi e racconti, ma di una serie di interventi filosofici pronunciati da alcuni pensatori: Raskol'nikov, Myskin, Stavrogin, Ivan Karamazov, il Grande Inquisitore, ecc." (BACI-ITIN, Il romanzo polifonico di Dostoevskij e la sua interpretazione nella letteratura critica, in Dostoevskij, cit., p. 11 ).
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ché quei piani possano allo stesso tempo essere pensati nella loro speculare sovrapponibilità, sino alla loro coincidenza perfetta (la poesia plurivoca quanto la poetica), rischia di annullare e neutralizzare gli effetti liberatori che quella stessa plurivocità pure esercita. E in più, favorisce un rafforzamento della tendenza a fondare l'esegesi dell'autore sull'individualità compatta e unitaria dell'eteronimo, volta a volta di ciascun eteronimo, tradendo così la vocazione pessoana alla scrittura che genera scrittura e moltiplica se stessa, che prolifera in immagini e modelli di scrittura. Gli eteronimi, in quanto t,eTs01Ule, sembrano essere semplicemente gli effetti di una messa in scena, soluzione puramente letteraria, come vestire il pronome personale del personaggio. In realtà andrebbero pensati in numero imprecisato, come il prodotto di una sorta di incontenibile coazione a ripetere, una creazione continua di voci già di per sé dotate di tono ed espressione, sensibilità e senso (in questo si misura la distanza tra Pessoa e Pirandello) 2• Prese come figure di rappresentazione, gli eteronimi certo poco ci aiutano a formulare ipotesi, a tracciare vie percorribili, quanto meno per una analisi delle forme della scrittura; ascoltati poi come pure voci dialoganti nel testo non si può dire che riescano a far depositare strati di "serenità" interpretativa, in grado di rassicurare il lettore circa la reperibilità di un possibile immediato senso di unità dell'opera, per la quale stabilire l'inizio e la fine. Parafrasando ciò che Todorov scrive a proposito di "Dostoevskij-scrittore": "tutti si accalorano per le sue «idee» dimenticando che le si ritrovano nei romanzi" 3, potremmo dire di Pessoa che tutti si accalorano per i suoi "romanzi" dimenticando che "il romanzo" è nella sua idea di scrittura. Da questa plurivocità non si esce perché in Pessoa non vi è univocità in nessun luogo, non esiste un luogo in cui da essa trovar riparo perché è prima di tutto la scrittura, come attività poietica di cui possiamo ricercare le isotopie ma non sopprimere la libera vocazione a sperimentare forme e linguaggi diversi, ad esserne pervasa.
2. Poetica versus poesia Se è vero che vogliamo essere altri per poter essere noi stessi, non gli stessi, per cui si deve provenire da un gesto di negazione perché la diversità si affermi, il ritorno al valore affermativo della scrittura, il suo pieno recupero, è possibile solo in un atto poetico che trattenga a sé la coscienza del suo svolgersi disgiunto da
È proprio sul valore drammaturgico del gioco delle parti, nel dispositivo semiotico della rappresentazione scenica, e della sua dissoluzione, che invece Pirandello costruisce il dramma della identità dell'uomo moderno. TonoRov, Il gioco dell'alterità, cit., p. 138.
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DSXJNOSCIMENTI: :>()ETICA E 1NVEl\00NE DI FEANANDO PESSOA.
una intenzione preliminare, che di deliberato, in Pessoa, sembra avere solo il volersi mantenere incompleto e incompillto, dispers,.1. È stato osservato che il poema pessoano rappresenta, {in opposizione a ciò che è stato classificato come "drammatico") 4, un modello di poema seriale, caratterizzato dunque dall'assenza di uno sviluppo tematico progressivo, dalla strutturazione aleatoria e dispersa delle sue parti, da una forma modulare che permette la ripetizione di motivi e la loro migrazione da un testo all'altro, secondo un procedere casuale e non subordinato ad alcuna finalità 5• Ora, questo sistema seriale che presiede alla composizione del poema potrebbe rappresentare, se reso disponibile e generalizzato, un modello per la interpretazione della scrittura pessoana, estendibile ad ogni dimensione della sua scrittura. Per cui anche gli scritti teorici e di poetica entrerebbero, come inserzioni modulari in ricombinazioni successive ed eterodosse, nella discontinua continuità di un unico discorso letterario. Ne conseguirebbe una idea del "fare scrittura" che non ce la fa a sorreggere fino in fondo, cioè fino alla sua realizzazione, un progetto di opera persistente perché preesistente in virtù di una intenzione unica ed inalterabile che presieda a qualsiasi scelta. Perché, al contrario, quel progetto rimane aperto ed espansivo: scrivere come una cosa che "accade" a chi scrive e non "una cosa fatta di gesti": (... ) vado scrivendo i miei versi senza volerlo, come se lo scrivere non fosse una cosa fatta di gesti,
Tra le categorie stilistiche codificate da Emil Staiger, rispetto all'idea di "lirico", fondato sul ricordo, sull'unità soggettiva dell'atmosfera, e all'idea di "epico", rappresentazione retta dal principio compositivo della semplice addizione, dell'allineamento paratattico tra le parti, il "drammatico" è lo stile del discorso patetico, della tensione tra l'attesa e la risoluzione dell'evento, dei costrutti concessivi, consecutivi, finali. Mentre la poesia epica è lo sguardo omerico lucido e razionale, disteso omogeneamente sulle cose per amore della visibilità, l'elemento drammatico introduce nella poesia l'impazienza per "ciò che deve essere". Esso movimenta l'intreccio proiettando di fronte un "problema", cosicché da quel momento non vi è gesto o passione che non venga orientato alla sua soluzione. Cfr. E. STAIGER, Fondamenti della poetica ( 1946), trad. di A. Borsano Fiumi, Milano, Mursia, 1979. Cfr. CARVALHO, À Procura de urna Tradiçào, cit., pp. 4-6. L'analisi della Carvalho ritrova tutte le caratteristiche del poema seriale pessoano ne O Guardador de Rebanhos, esempio di palingenesi contemporanea di una "Estetica dell'imperfezione", ami-aristotelica, antimetafisica, e debitrice della concezione presocratica o pre-classica della poesia come emergenza o presentificazione. Il carattere aperto di questa estetica, che non si fonda su una gerarchia di valori ma che privilegia le categorie dell'incompiuto, dell"'inconjunto", e una idea di poesia come attività, un fare non predeterminato, giustifica il fatto che nella produzione di Pessoa possano esistere anche un poema tradizionale come Mensagem e una estetica aristotelica della perfezione formale dell'opera.
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come se lo scrivere fosse una cosa che mi capitasse come il sole che dall'esterno mi raggiunge 6•
Dove "l'accadere" non è da leggersi qui come la fatalità o l'indecisione in cui una prassi rimarrebbe sospesa, ma come l'ampiezza di possibilità dinnanzi alla quale colui che scrive fa quell'esperienza che, scrive Octavio Paz, "consiste nel nominare ciò che, prima di essere nominato, manca propriamente di esistenza. E perciò l'analisi dell'esperienza include quella della sua espressione. Le due cose sono inseparabili". E con la poesia, che rivela la nostra costitutiva alterità, il nostro nascere "lanciati ad essere tutti i contrari", il linguaggio viene recuperato come realtà totale, possibilità di ricongiunzione dei contrari 7• Per cui non esiste forma di scrittura che possa dirsi al sicuro dagli accadimenti che accompagnano la storia e la vita di ogni nominazione: neppure la scrittura che si sofferma a riflettere lo è, se è vero che ogni parola sa delle intenzioni dalle quali, in una certa circostanza, in un determinato momento, è stata vissuta. Il Libro dell'inquietudine è, in tal senso, la testimonianza di come poesia e poetica, indistinguibili, insistano sulla stessa scrittura, ad un tempo di confessione e finzione. E se può verificarsi che, come Anceschi scrive di Baudelaire, in qualche caso, "la prosa nutre il verso" 8 , allora è lecito pensare che al riflessivo Bernardo Soares "accade" di scrivere nella prosa della confessione, mentre, in luoghi diversi, altri Pessoa stanno elaborando teorie della scrittura alternative. Quando Soares dichiara che Ogni gesto, per quanto facile, rappresenta la violazione di un segreto spirituale. [ ... ] L'azione è una malattia del pensiero, un cancro dell'immaginazione. Agire è esiliarsi. [... ]La poesia che io sogno non fallisce che quando tento di realizzarla 9 , PESSOA, li guardiano di greggi [XLVI], in Una sola moltitudine, voi. Il, cit., pp. 129 e 131. PESSOA, O Guardador de Rebanhos, XLVI, in Obra Poética, cit., p. 225 (Ficçòes do Interludio I Poemas completos de A. Caeiro). PAZ, Varco e la lira, cit., p. 167. "Quello stato di cui parla Breton, in cui «la vita e la morte, il reale e l'immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l'incomunicabile, l'alto e il basso, cessano di essere percepiti contraddittoriamel;1te», non si chiama vita eterna, né si trova laggii:1, fuori dal tempo. E tempo e si trova qui. E l'uomo lanciato ad essere tutti i contrari che lo costituiscono. E può arrivare a esserli tutti, perché nascendo già li porta in sé, già è essi. Nell'essere se stesso, è l'altro. Altri. Manifestarli, realizzarli, è il compito dell'uomo e del poeta". Ibidem, p. 165. L. ANCESCHI, Breve osservazione su Baudelaire, in Itinerario aperto, Parma, Pratiche, 1990, p. 43. "In qualche caso, certe prose si riveleranno come l'abbozzo, il progetto di certe composizioni poetiche. La prosa nutre il verso." Anceschi si sta qui riferendo a Amoenitates Belgicae, un esempio di prosa "che anticipa e prepara la poesia", e ad alcuni connotati rivelatori che questa operina mette in luce del metodo di Baudelaire. PESSl)A, Il libro dell'inquietudine, cit., p. 273.
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0s::CJNOSCNENTI: POETICA E INVENZIONE [) F E ~ PBS&l.A
sta nutrendo il verso senza gesti di Alberto Caeiro, ma "in presenza" di una dottrina estetica formalista e razionalista, diffusa tra pagine e lettere spesso non attribuite (chi sta scrivendon. Una dottrina che misura il grado di perfezione dell'opera sui valori della composizione e della costruzione, dunque sui tempi di un lavoro intellettuale, un "agire" sull'opera che prima di tutto è "cosa" da fare. La filosofia della composizione di Poe non è estranea al Pessoa che prescrive um traballio de intelectualizaçào sulla sensibilità, perché si dia un'opera. Non sempre dunque la lettura di Pessoa, l'esplorazione del raggio intero della sua produzione, procede rinvenendo le conferme e le convergenze, i rafforzamenti, i nutrimenti che, seppur a latitudini differenti, ci si aspetterebbe di trovare tra posizioni teoriche e motivi poetici, tra indicazioni esplicite e soluzioni di invenzione, tra prosa e poesia. Qui non è sufficiente addurre a giustificazione delle frequenti fluttuazioni, quando non delle inversioni di rotta della poesia e della poetica - l'una che va non verso l'altra ma in direzione contraria all'altra -, la pluralità contrastiva dei caratteri eteronimici, la loro indole dialettica generatrice di dibattito. Nell'indagare i movimenti e le tensioni interne ad un universo poetico non ci si può affidare ad un unico asse interpretativo che ne veicoli la comprensione, ad uno solo dei suoi presupposti, anche se questo è il più evidente e convincente: l'eteronimia, per l'appunto, con tutto ciò che ne consegue. Perché ad essere rimessa in discussione, in questo caso, è proprio la funzione metodologica che la relazione poetica-poesia può esercitare, e l'orientamento significante che al suo interno la nozione di intenzione viene ad assumere. La natura biunivoca del nesso poesia-poetica è stata con chiarezza definita da Anceschi quando, nel procedere alla riabilitazione delle poetiche, indicava in Valéry e in Eliot quei casi, non rari tra le poetiche novecentesche, in cui è evidente come la poetica nasca e si accompagni ai movimenti della poesia, come la formazione dei principi della poetica accompagni nel modo più attento lo svolgimento delle forme e, viceversa, il movimento delle forme condizioni il chiarimento e lo sviluppo di quei principi come tali Il'_
È innegabile che anche la poetica pessoana nasca e si accompagni, proceda con e dentro la sua poesia, e che con essa non manchi di stringere un patto per la verosimiglianza degli eteronimi: la poetica e la poesia di Ricardo Reis condividono direzione e accenti, progetto e soluzioni, viaggiano in congiunzione di intenti. Ma che il movimento delle forme poetiche Jd Pessoa colui che scrive, il Pessoa irrintracciabile eppure sempre lì, l'escrevedor di escritores, a sua volta, rie-
1"
L. ANCESCHI, Delle poetiche, in Progetto di una sistematica dell'arte, Modena, Mucchi, 1983 ( 1962 1), p. 46.
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sca a "chiarire" e "sviluppare" i principi della sua poetica, appare più difficile da riconoscere, quanto meno in un percorso che aspiri alla linearità degli accessi e all'immediatezza dei riscontri. Così come, limitarsi a pronunciare anceschianamente la "poetica come sforzo intenzionato verso la poesia" 11 , nel caso di Pessoa, significa non dare il giusto rilievo a quella appariscente divaricazione tra poesia e poetica, con tutti gli scollamenti e le spinte contrarie che tra esse si esercitano, che rende sempre incerta e irrisolta qualsiasi mossa interpretativa. Mentre la poesia di Pessoa, da un lato sperimenta in anticipo sui tempi la straordinaria modernità del poema seriale, invenzione postmodemista e paradigma della poesia contemporanea, che libera l'unità strutturale, spazio-temporale e semantica dello short poem in favore di una costruzione "dispersa" e "incongiunta" 12 • Mentre la poesia, costitutivamente disposta ad interpolazioni e varianze, impegna il verso, o gruppi di versi, in addensamenti, rovesciamenti, diluizioni di un senso che tarda a deporsi. Mentre la sparizione dell'identità allenta e lascia fluttuare in un universo plurivoco la cellula minima dell'io, sempre ulteriormente divisibile per sdoppiamento nell'altro, e fa dell'erranza linguistica la condizione per cui, più che andare in cerca di un linguaggio proprio, il poeta appare in continua e laboriosa autotraduzione 11 • Se tutto questo fa di Pessoa colui che, inventandosi tradizione, lingua, nome, sogna il passato per una civiltà poetica futura, dall'altro lato, la lettura delle pagine sparse di poetica, estetica, teoria - a noi non sempre pervenute "spartite" tra gli autori del drama em gente -, di molta corrispondenza, degli aforismi, rivela uno scenario intellettuale di tutt'altro segno e ordine di complessità. Come scrive Georg Rudolf Lind, nel curare, insieme a Jacinto do Prado Coelho, le Pa.ginas de Estética e de Teoria e Cr{tica Litera.rias, "Pessoa era, innanzi-
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Ibidem, p. 47.
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Il termine è di derivazione pessoana ed è attinto dai Poemas Inconjuntos che i filologi propendono ad attribuire ad Alberto Caeiro. "Quando si dice che un poeta cerca il proprio linguaggio, non si vuol dire che vada per biblioteche o per mercati facendo incetta di forme antiche e nuove, ma piuttosto che, indeciso, vacilla tra le parole che realmente gli appartengono, che sono in lui sin dal principio, e le altre apprese nei libri o in strada. Quando un poeta incontra la propria parola la riconosce: era già in lui. E lui era già in essa. La parola del poeta si confonde con il suo stesso essere. [... ] La creazione consiste in un portare alla luce alcune parole inseparabili dal nostro essere". Da questa riflessione di Octavio Paz emerge il legame ineludibile che unisce l'essere del poeta e le parole da cui è inseparabile, le parole necessarie. Per cui, la conseguente impossibilità della traduzione poetica ("La vera traduzione non può dunque essere che una ri-creazione") rafforza l'idea che i destini dell'opera poetica e del poeta sono indistinguibili, che entrambi partecipano di una "totalità vivente" all'interno della quale al poeta è dato solo di oscillare tra le parole apprese e quelle a cui appartiene sin dal principio. PAZ, L'arco e la lira, cit., p. 48.
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tutto, Lm raziocinatore di specie deduttiva" 14• E infatti lo vediamo discorrere scolasticamente, ripartire, isolare, classificare in enunciati chiusi. Partire da definizioni astratte per curvare ad esse la lettura degli autori, enunciare leggi e principi, stabilire gerarchie valutative, organizzare e muovere all'interno di una sorta di schematismo dogmatico le categorie di classico, romantico, genio, follia, talento, spirito. Anche includendo la parentesi rappresentata dagli Appunti per una estetica non-aristotelica di A. de Campos, Pessoa reagisce al "soggettivismo esagerato, all'incapacità di costruzione e alla subordinazione dell'intelligenza all'emozione" 15, proprie del tardo romanticismo e del simbolismo francese. E lo fa difendendo i principi di unità, universalità e oggettività ricavati da un classicismo pagano e astratto, avversando qualsiasi forma di ambiguità e invitando il poeta a ricercare l'espressione chiara, la parola dai margini lucidamente determinati, il senso indubitabile. Sul piano di una teoria poetica, poi, Pessoa dichiara l'autonomia della poesia, il suo essere "una invenzione con valore assoluto", risultato di un processo di astrazione dal sentimento e di depurazione di quanto esso ha di particolare e soggettivo 16 • L'arte stessa è intellettualizzazione della sensazione attraverso l'espressione, risultato dell'armonia tra particolarità dell'emozione e universalità della ragione. Il poema risponde alle regole di costruzione oggettiva di un artefatto, è organismo, forma, rifiuta la contaminazione tra i generi. Uno dei momenti in cui saggiamo, peraltro in una tonalità della frase meno rigida del solito, una prossimità di temi e di pensiero tra il Pessoa teorico e il poeta, è la nota, non firmata ma dattiloscritta, nella quale anziché di "idea" (la proiezione dell'idea in parole attraverso l'emozione produrrebbe poesia), si parla di "ricordo": La composizione di un poema lirico deve esser fatta non nel momento dell'emozione, ma nel momento in cui la si ricorda. Il poema è un prodotto intellettuale, e una emozione, per essere intellettuale, in quanto, evidentemente, in sé non lo è, deve esistere intellettualmente. Ora, l'esistenza intellettuale di una emozione è la sua esistenza nell'intelligenza - cioè, nel ricordo, unica parte dell'intelligenza, propriamente tale, che può conservare una emozione li
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G.R. LINO, Ref/exòes acerca da estética de Fernando Pessoa, in G.R. LlNO-J. DO PRADO Introduçiio, Pagina.~ de Estética e de Teoria e Crftica Literarias, cit., p. X. Ibidem, p. XII. Ibidem, p. XXV. PESSOA, Estética (datt., 1928?), in Paginm de Estética e de Teoria e Crftica Literarias, cit., p. 72. "A composiçào de um poema lfrico deve ser feita nào no momento da emoçào, mas nn momento da recordaçàn dela. Um poema é um produto intelectual, e uma emoçào, para ser intelectual, tem, evidentemente, porque nào é, de si, intelectual, que existir intelectualmente. Ora a existencia intelecrual de urna emnc,.'ào é a sua existencia na inteligencia COELHO,
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Ora, se l'insieme degli scritti che chiamiamo di poetica, proprio quegli scritti che parlano nel linguaggio del pensiero pragmatico, anziché orientarsi, come ci aspetteremmo, verso una idea di poesia da farsi e interrogarne le strutture anche dall'interno, tende piuttosto a spostare altrove, a differire il momento e il luogo in cui correlarsi a quell'idea, talvolta con brusche deviazioni di traiettoria; insomma, se è un legame di alterità - la poesia l'altro della poetica e viceversa - a mettere in relazione questa esperienza di poesia così intimamente "disgiunta" e che agglutina senso e immagini per via di rovesciamenti e negazioni, con una poetica dell'unitario e dell'ordine intellettuale, allora il significato di poetica "sforzo intenzionato verso la poesia", subito apparso inadeguato a rappresentare una situazione di questo tipo, può rendersi disponibile solo in una dimensione storicizzata delle relazioni tra quei linguaggi. Ovvero, più che domandarci se in Pessoa la poetica si comporta così, se si fa carico di un simile compito, dovremmo chiederci se discontinuità, fluttuazione, contraddizione, coesistenza di linguaggi operativi e teorici tra loro distanti, non rappresentino la "situazione" storica e di cultura estetica nella quale egli si trova a vivere il proprio ruolo di poeta e intellettuale. Per cui non risulterebbe più così eccezionale professarsi mistico e insieme razionale, al punto da sostenere la verificabilità scientifica dell'Alchimia e dell'Astrologia. La categoria di "scientifico" ha infatti le sue dirette ascendenze, in Pessoa così come in molte voci della cultura europea primonovecentesca, nella dottrina scientista e positivista che convive con una forma diffusa di misticismo profetico e di spiritualismo. E una simile provenienza, che deve i suoi effetti alla cosiddetta "bancarotta" delle scienze sedotte dai misteri di ciò che appare Inconoscibile, lascia in Pessoa segni inequivocabili 18 • Dal momento che la ricaduta di linguaggi su altri linguaggi, nei primi decenni del Novecento, è il sintomo più evidente della tendenza al sovrapporsi di serie storiche e culturali differenti, di identità e ideologie differenti, la compresenza di scientismo, esoterismo, classicismo, avanguardismo, modernismo, fa di Pessoa, malgré lui, un uomo del suo tempo. Situazione che, se per un verso nel lettore alimenta il mito della "inspiegabilità" di molti tratti della sua opera, quando addirittura la sua inaccessibilità, per l'altro verso, per il poeta, si fa alternativa salvifica all'afasia poetica e condizione di narrabilità di una biografia 19
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- isto é, na recordaçao, unica parte da inteligencia, pròpriamente tal, que pode conservar urna emor,.'ào". Cfr. M. PETRELLI, Dell'ideale. Alcune ovvietà dell'arte all'inizio del Novecento italiano, Firenze, Alinea, 2000. La crisi di quei linguaggi che nel corso dell'Ottocento si erano fatti garanti di dicibilità e governabilità delle cose, di comprensione organizzata dell'esperienza (i realismi, i naturalismi, i positivismi), ha come immediata conseguenza lo sgretolamento dell'unitarietà delle idee (le categorie estetiche e stilistiche), dei metodi critici e degli orizzonti filosofici. Va da sé che il Novecento, erede di quella crisi, si apra alla destabilizzazione e alla fluttuazione, agli
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Vale anche la pena chiedersi se non ci troviamo dinnam:i ad uno di quei casi in cui la poetica, quando teorizza e riflette, retrocede rispetto alla novità che la poesia esibisce. E lo fa in virtù del suo essere sottoposta alla pressione delle norme, dei precetti, delle dottrine, pressione propria dei sistemi, che solitamente subisce un allentamento nella fase creativa. È vero che sono "le epoche di forte codificazione letteraria e di robusta vita delle teorie degli stili" a tollerare che il poeta produca innovazioni dirompenti travalicando i limiti e le leggi formali che invece la coscienza teorica continua a imporre all'opera 20• Al contrario il Novecento è il secolo che più di altri, ai suoi albori, concede ai programmi, ai progetti, alle intenzioni teorizzate, il potere di un dispositivo di sovversione, e che poi, dinnanzi a quegli stessi programmi, è capace di arretrare, anche quando si tratta del programma di una rivoluzione estetica H_ Ma Pessoa, come abbiamo visto, sembra seguire il tragitto in una direzione inversa, in quanto compie una rivoluzione poetica su programmi che ne sono la negazione 22
incroci di linguaggi, ruoli e funzioni; così come, ad esempio, il Positivismo aveva assimilato
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il linguaggio teorico e artistico al linguaggio scientifico, ora, in clima idealistico, il critico può parlare il linguaggio del filosofo. M. CORTI, Lingua e lingua letteraria, in Principi della comunicazione letteraria, Milano, Bompiani, 1976, p. 93. Non a caso l'esempio più luminoso che la Corti può suggerire di questo rapporto dissimmetrico "linguaggio dell'artista-lingua letteraria", all'interno dello stesso autore, è quello di Dante. Così Tatarkiewicz segnala, come atteggiamento ritornante nella modernità, il fronteggiarsi di una teoria monolitica e di un'arte internamente differenziata in tendenze molteplici: "anziché adattare la teoria ai nuovi sviluppi dell'arte si cercava invece in genere di costringere l'arte all'interno dello schema teorico preesistente", cosa che conduce, a volte anche se solo per brevi periodi, al declino dell'interesse degli artisti stessi verso teorie e trattati. W. TATARKIEWICZ, Scoria dell'estetica, voi. III (L'estetica moderna), Torino, Einaudi, 1980, pp. 369-370. È al Surrealismo che ci si sta riferendo che, nel giudizio severo di Claude-Edmonde Magny, con la dilapidazione dell'eredità della letteratura francese che ha praticato "in un certo stato di furore", con l'ingratitudine verso un passato che li aveva formati e ancora li nutriva (Rimbaud, Jarry, Nietzsche), con il disprezzo del romanzo in quanto genere specializzato nella riproduzione di quelli che Breton chiama i "momenti nulli della vita" e in nome di una rivoluzione che non ha veramente preparato l'avvenire, "non ha aiutato efficacemente a nascere il futuro, foss'anche attraverso la negazione". C.-E. MAGNY, La confraternita surrealista, in Romanzieri francesi del Novecento (1950), trad. di L. Lombardo Prezza, Milano, Feltrinelli, 1963, pp. 31-38. 1 "programmi" pessoani appongono il segno negativo alle estetiche "false" del simbolismo e alle degenerazioni romantiche penetrate in quegli anni anche in Portogallo, mentre attribuiscono un vero effetto rivoluzionario all'idea di restaurazione di un classicismo pagano del tutto astratto, ad un ritorno degli dei che restituisse una oggettività inequivoca all'immaginazione. Con l'Ultimatum, in pieno stile "manifesto d'avanguardia", Pessoa, adeguando la letteratura portoghese alla temperie europe;i, si scaglia, come per effetto di un riflesso condizionato, contro gli stessi Anatole France, Loti, Barrès, Maurras, contro i quali si accaniscono i
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E, se vogliamo, una controprova del carattere "storico", ma anche "geografico", della tendenza di poetica e poesia alla dissociazione, e del suo configurarsi come una sorta di propensione della cultura letteraria europea primonovecentesca, e in particolar modo iberica, la rintracciamo in un poeta spagnolo, Antonio Machado 21 • Senonché nella scrittura di Machado poetica e poesia procedono in direzioni nettamente invertite rispetto ai percorsi della scrittura pessoana. Per un verso il poeta di Solidades e di Campos de Castilla, con un gesto di rifiuto dell'invenzione poetica simbolista e avanguardista, si volge al recupero della forma della canzone tradizionale, del romance (la ballata), e dunque al canto della memoria e delle origini della lirica castigliana, ad una poesia da intendersi come "risveglio" - e non come "sogno" - delle "idee cordiali", degli "universali del sentimento"; per l'altro verso, affida alla prosa dei suoi scritti critici, all'insegnamento dell'apocrifo professor Juan de Mairena, e del suo maestro Abel Martfn (due eteronimi, in realtà), riflessioni di una lucida modernità ed intuizioni in straordinario anticipo sui tempi. Dai suoi appunti per una teoria della conoscenza emerge infatti una idea dell'"essenziale eterogeneità dell'essere" che, nelle parole di Mairena, diviene "la rivelazione molto profonda dell'insanabile «alterità dell'uno»": Essendo l'essere vario (non uno), qualitativamente diverso, richiede dal soggetto, per essere pensato, un frequente spostamento dell'attenzione e un'interruzione bmsca del lavoro che suppone la formazione di una percezione per la formazione di un'altra z4_ [ ••• ) Il linguaggio è molto meno mio del mio sentimento. Intanto ho dovuto acquisirlo, impararlo da altri. Prima di essere nostro - giacché esclusivamente mio non lo sarà mai - era di essi, di quel mondo che non è né oggettivo né soggettivo, di quel terzo mondo su cui la psicologia non si è ancora fermata abbastanza, del mondo degli altri io 25
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surrealisti. Breton, certo, a differenza di Pessoa, faceva così i conti con la letteratura di casa propria, in realtà, ancora secondo la Magny, "distruggendo qualcuno che ritenevano morto da molto tempo" (Ibidem, p. 32). Antonio Machado (Siviglia, 1875-1939) è il poeta che, secondo Paz, testimonia più di altri dell'impossibilità dell'opera poetica spagnola di aderire alla prosa e con essa combinarsi, caso unico nell'epoca moderna. Ciò in virtù della predisposizione della lirica spagnola a conciliare felicemente nell'immagine poetica quel conflitto suo proprio tra versificazione regolare, misura sillabica e libertà ritmica, conflitto che invece nella prosa si dibatte in una continua tensione e non si risolve, come dovrebbe, nel concetto. "Per questo la prosa spagnola trionfa nel racconto e preferisce la descrizione al ragionamento; [... ] in spagnolo[ ... ] non esiste la prosa nel senso corretto del termine: discorso, teoria intellettuale". PAZ, L'arco e la lira, cit., p. 95-96. A. MACHA!X), Prose, trad. e note di O. Macrì e E. Temi Aragone, Roma, Lerici, 1968, p. 121, (Eterogeneità del!' essere. Appunti per una teoria della conoscenza, 1915). Ibidem, p. 13, (Problemi della lirica, 1917).
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Quando il nostro mondo interiore e il fluire della coscienza ci conducono all'ipotesi della "radicale eterogeneità dell'essere", allora il problema della razionalità assume un carattere negativo: Obiettività non è nulla di positivo, è semplicemente il rovescio indistinro e sbiadito dell'essere. In realtà esistono solo coscienze individuali, coscienze varie e uniche, integrali e incommensurabili tra loro. Comune a tutte le coscienze è solo il lavoro di dissoggettivazione, l'attività omogeneizzatrice, creatrice, di quelle due negazioni in cui le coscienze coincidono: tempo e spazio, basi del linguaggio e del pensiero razionale 26•
Se potessimo immaginare una poetica per la poesia di Fernando Pessoa, appropriata a quella poesia, questa avrebbe le parole di Antonio Machado. La congiunzione di quei discorsi sembra creare infatti un autentico sistema di pensiero dalla doppia vita, ma confluente in una identità indubitabile, quasi un autore. Poetica e poesia finalmente conciliate nell'intenzione ed orientate in un'unica direzione di senso. L'equivoco della mia mano destra che è La mano sinistra dell'altro che mi sta di fronte; come allo specchio, Lo sguardo riflesso di qualcuno che mi aderisce come un complemento ideale. Ma stiamo parlando di Spagna e Portogallo, per cui quest'immagine andrebbe probabilmente modificata, poiché le due nazioni sembrano darsi le spalle e avere lo sguardo rivolto in direzioni opposte, la Spagna all'Europa, il Portogallo all'Atlantico. O meglio, come nei primi versi di Messaggio, il Portogallo è lo sguardo sfingico e fatale dell'Europa all'Occidente 27 • Alla riflessione critica di Machado sulla nozione di spazio e tempo, dimensioni discontinue e plurali, omogenee solo quando pensate svuotate degli oggetti e sottratte degli eventi, all'idea di desoggettivizzazione della coscienza, che potrebbero tutte essere credibilmente lette come glosse filosofiche a Chuva ObUqua, si affianca una meditazione sulla storia in quanto "arte di profetizzare il passato": quando meditiamo sul passato per renderci conto di quello che portava in sé, è facile che vi troviamo un cumulo di speranze - non realizzate ma neppure fallite - un futuro, insomma, oggetto legittimo di profezia. In ogni caso, l'arte di profetizzare il passato è l'attività complementare dell'arte, non meno paradossale, di preferire il futuro, ed è quello che facciamo ogni volta che, rinunciando a una spe-
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Ibidem, p. 127, Eterogeneità dell'essere, cit; qui la traduzione "dissoggettivazione" per il termine machadiano "desubjetivizaci6n". "L'Europa [... ] Fissa, con sguardo sfingico e fatale, / L'Occidente, futuro del passato. / Il volto con cui fissa è il Portogallo./" PESS0A, Messaggio ( 1934), in Una sola moltitudine, voi. II, cit., p. 141. PESS0A, Mensagem, in Obra Poética, cit., p. 71 (Brasào).
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rama, giudichiamo "saggiamente" [... ] che si può considerare passato ciò che è rimasto a venire !,
Così in questa immagine di passato come "ciò che è rimasto a venire" sentiamo già risuonare il progetto orteghiano, l'approdare dell'io al presente costantemente slanciato verso il futuro, ma anche il movimento della nostalgia pessoana, movimento in questo caso solo apparente in quanto non registra spostamento alcuno. Nostalgia per ciò che non è mai stato se non nella "grande disfatta vile" del sogno e dell'immaginazione: perché "hanno tutti, come me," scrive Bernardo Soares, "il futuro nel passato" 29 • Certo la riflessione machadiana sull'alterità entra in quello che il poeta stesso chiama il suo "ideario estetico", e senza provenire dall'esperienza della pluralità linguistica e della radicale messa in questione dell'appartenenza e dell'identità. Allo stesso modo, l'idea secondo cui "con la nostra logica andiamo sempre dall'una all'altra cosa, che non è il suo contrario, ma semplicemente qualcosa d'altro" 30 assiste la sua ricerca di una "essenzialità" poetica, ma attraverso un confronto con i destini della tradizione lirica spagnola, con il suo presente e il suo passato. Rimanendo, quindi, sempre a quella tradizione interno e connaturato, senza uscire da se stesso, potendo ancora parlare di un sentimento nostro davanti al mondo esterno lJ. Tutto questo continua certo ad apparire come attraversato da una sottile ma profonda e resistente discrepanza interna, e a rinviarci alla ricerca di motivazioni, ragioni, in sostanza, ci lascia sospesi ad interrogarci ancora sull'"intenzione". Sull'intenzione dell'autore. Ma, si è visto, l'infrangibile unitarietà dell'autore, della sua coscienza, del suo linguaggio, è categoria che ha perduto vigore e sostenibilità, e quanto alle "proprietà" di quell'autore, non ve ne restano che non gli siano state già confiscate, così come è avvenuto per la "sua" intenzione. Se proprio appartiene a qualcuno, l'intenzione è infatti di chiunque ne sappia riconoscere e rispettare la fisionomia mutevole e la natura camaleontica, di chi sappia muoversi con essa consapevole del fatto che nell'osservarla, e dunque nell'arrestarne il movimento, se ne può compromettere la direzione. A
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MACHADO, Prose, cit., p. 362, Uuan de Mairena parla ai suoi PESSOA, li libro dell'inquietudine, cit., p. 129. MACHADL), op. cit, p. 363, (Appunti presi dagli alunni di Juan
alunni). de Mairena).
"Il mio sentimento davanti al mondo esterno, che qui chiamo paesaggio, non si produce senza un'atmosfera cordiale. Il mio sentimento non è, insomma, esclusivamente mio, ma piuttosto nostro. Senza uscire da me stesso, noto che nel mio sentimento altri ne vibrano e che il mio cuore canta sempre in coro, anche se la sua voce è per me la voce meglio accordata. Che lo sia anche per gli altri, questo è il problema dell'espressione". MACHADO, op. cit., p. 13, (Problemi della lirica, 1917).
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meno che non si voglia credere all'innocenza di una osservazione disinteressata, senza intenzioni proprie. L'intenzione ha pertanto natura "processuale", è il processo attraverso cui il senso viene costituendosi, come tale sta r-ra le cose dell'opera e non fuori di essa, e, come la poesia stessa, "non si risolve nella misura della immediata leggibilità" ii. Dunque è dentro alla poesia, è collocandosi lungo la scia delle istituzioni che la attraversano, che le intenzioni, come si vedrà, acquistano evidenza e funzione significante. Viene cosl ad assumere qui una particolare azione chiarificatrice quanto Blanchot, scrivendo sulla poesia di René Char, osservava a proposito del poeta, del poema, della poesia, della centralità del poema e del suo essere totalità e anteriorità, tensione assoluta verso il significato:
li poeta esiste solo dopo il poema. [... ) Il poeta nasce mediante il poema che crea; è secondo rispetto a ciò che fa; è posteriore al mondo che ha suscitato [ ... ]. Il poema è la sua opera, il movimento più vero della sua esistenza, ma il poema è ciò che lo fa essere [ ... ] H_ Ma il poema non guarda alla poesia come ad una potenza che gli sia anteriore e dalla quale attendersi giustificazione o esistenza[ ... ) i 4 _ L'ispirazione non è il dono, di un segreto o di una parola, concesso a qualcuno che esiste già; essa è il dono dell'esistenza a qualcuno che ancora non esiste 15.
Cosicché, alla luce di una idea di poema che si presentifica nell'atto poetico e non presume alcuna generalità che duri più di lui, più di quell'atto, ovvero più della misura dell'istante 16 , per Blanchot comprendere il poema "è anche com-
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ANCESCHI, Progetto di una sistematica dell'arte, cit., p. 69. BLANCHOT, René Char, in La pare du feu, cit., p. 106. "Le poète n'existe qu'après le poème. [... ] Le poète nait par le poème qu'il crée; il est secon