Differenza e negazione. Per una filosofia positiva 8882921069, 9788882921064

La nostra epoca sta assistendo a un'accelerazione vertiginosa del processo d'illimitata trasformazione dell�

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Differenza e negazione. Per una filosofia positiva
 8882921069, 9788882921064

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La nostra epoca sta assistendo a un'accelerazione vertiginosa del processo d'illimitata trasformazione dell'intera realtà ad opera dell'agire umano. Ciò manifesta oggi come illusoria qualsiasi pretesa di individuare qualcosa di immodificabile o irrevo-cabile, e spalanca quindi come possibile scenario quello di un nichilismo estremo: tutto può venire negato, cioè criticato e distrutto, e quindi tutto diventa oggetto di una interminabile e incontrollabile contesa planetaria. Il problema è che pensare un orizzonte alternativo a quello definito dall'interpretazione negativa (nichilistica) della realtà signfica in qualche modo prendere le distanze dall'intera tradizione culturale dell'Occidente, come hanno avvertito i pensatori più profondi del Novecento (Wittgenstein, Heidegger, Severino). Tuttavia qualsiasi forma di rifiuto della nostra tradizione civile, culturale e filosofica finirebbe per riproporre in pieno il problema; e per un motivo fondamentale, che rin-negare la nostra civiltà, proprio in quanto questa è espressione della logica della negazione, equivarrebbe per ciò stesso a riaffermarne il carattere essenziale. Così la vera alternativa all'apparenetemente ineludibile prospettiva nichilistica consiste in una filosofia positiva, capace cioè di distinguere la differenza dalla negazione e con ciò di venire a capo della questione decisiva: come è possibile assumere un atteggiamento filosoficamente, cioè universalmente, positivo, dal momento che questo, appunto in quanto universale, deve riferirsi pure al negativo? Offrire una risposta adeguata a questa domanda impone un riattraversamento di tutto il campo del sapere filosofico (alla logica all'ontologia, dall'etica alla teologia e alla politica) nonché un ripensamento di tutti i suoi più significativi esponenti (da Platone a Hegel fino ai contemporanei); solo così risulta possibile, in una dimensione culturale ormai inevitabilmente planetaria, dare vita ad un pensiero capace di unificare in maniera armonica filosofia occidentale e spiritualità orientale, tecnica e sapienza, pratica e verità.

In copertina: Paul Klee, Cupole rosse e bianche, 1914, Düsseldorf, Kustsammlung, Nordrhein Westfalen.

Luigi Vero Tarca è nato in Valtellina, a Sondrio, nel 1947 e abita ora a Treviso. Laureato in Filosofia presso l'Università Cattolica di Milano sotto la guida di Emanuele Severino, ha insegnato Filosofia teoretica presso l'Università di Salerno e attualmente è titolare dell'insegnamento di Logica presso l'Università Ca' Foscari di Venezia. Studioso del pensiero contemporaneo, e in particolare di Ludwig Wittgenstein (Il linguaggio sub specie aeterni, Francisci, Abano (PD) 1986), è andato via via elaborando e approfondendo una serie di problematiche teoriche generali (Elenchos. Ragione e paradosso nella filosofia contemporanea, Marietti, Genova, 19932) che gli consentono ora di presentare, con questo libro, una originale prospettiva filosofica complessiva.

LUIGI TARCA

DIFFERENZA E NEGAZIONE PER UNA FILOSOFIA POSITIVA

LA CITTÀ DEL SOLE

2001

Questo volume è frutto di una ricerca promossa dal­ l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. * * *

Volume stampato con il parziale contributo dei Dipartimenti di Filosofia delle Università di Salerno e di Venezia, fondi ex 60%.

Copyright O 2001 by ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI Napoli, Palazzo Serra di Cassano Via Monte di Dio, 14 EDIZIONI «LA CITIA DEL SOLE» Napoli ISBN 88·8292· 106·9

INDICE

Prefazione

p.

Avvertenze

21 22

Introduzione PER UNA COMPRENSIONE FILOSOFICA

DELLA FILOSOFIA l. La novità in filosofia e l'inevitabile fraintendi-

mento del discorso filosofico 2. Filosofia positiva: come riproporre oggi una verità filosofica 2.1. Verità e violenza 2.2. Il sapere del puro positivo 3. Verità filosofica e verità quotidiana: la peculiarità del discorso filosofico 3 .1. L'opposizione tra verità e senso comune come causa del rz/iuto della filosofia 3.2. La filosofia e la dimensione libera rispello al negativo a ) Accordo e linguaggio: la realtà della verità

23 25 25 28 33 33 35 35

b ) Universalità e rif/essivilà: /'autolras/orma1.ione della verità c) Filosofia, sapere, beatitudine

4. Le pretese del discorso filosofico e la loro giustificazione 4.1. L'unità del tut/o e il cara//ere autoverificante del sapere filosofico 4.2. Il ruolo decisivo della filosofia nella vicenda umana 4.3. Il dire filosofico fra teoria e pratica

36 40 45 45 46 47

5

4.4. Il privilegio del discorso /t'losofico

4.5. Modestia in /t'loso/ia tJ) Il rilpt:tlo dt:lla ven'tà b) Presunvone, ven'tà e superstizione

p. 50 5 . 2 52 54

5. Struttura e significato del presente lavoro 5.l. Articolazione del libro tJ) PtJr/t: primtJ: la /eoritJ del puro positivo b) PtJr/e secondtJ: la prtJiiCil de/libero tJCcordo universtJie

56 56 56 59

5.2. Logica philosophica: la legillimità e il senso di

una trai/azione razionale delle questioni ultime 5.3. Le ragioni della 'inaccettabilità' del discorso fi­ losofico in generale e di questo in particolare 6. Confessioni di un filosofo 6.1. Il destino della parola fi'/osofica 6.2. Sogni c verità: la filosofia come verità del sogno 6.3. Gratitudine vera tJ) l debiti filoso/ici b) LA /iloso/itJ e il filosofo

60 66

69 69 72 75 75 78

PARTE PRIMA

LA FILOSOFIA COME TEORIA DEL PURO POSITIVO Capitolo primo

LOGICA PHILOSOPHICA La logica della filosofia come determinazione innegabile del positivo

A . IL SISTEMA LOGICO COME SISTEMA FILOSOFICO l. IL PROBLEMA DELLA LOGICA FILOSOFICA

83

l. Il rifiuto della logica filosofica nel pensiero

contemporaneo 6

83

2. La logica della filosofia e la sua parabola 3. " C'è del metodo in questa follia " : la logica del­

l'abbandono della logica

p. 84

92

Il. L'ELENCHOS COME FONDAMENTO DELLA LOGICA l. Il carattere elenctico del principio di non con­ traddizione 2. Riconduzione della logica al principio di non contraddizione: le tavole di verità

93

III. LOGICA E METAFISICA l. La metafisica come condizione della possibili­ tà della logica 2. L'articolazione della metafisica 2.1. Logica formale 2.2. Gnoseologia 2.3. Ontologia 2.4. Teologia ed etica 2.5. Altri aspetti della metafisica

103

93 97

103 105 1 05 108 109 112 114

B. PROBLE M I E L I M ITI DEL SISTEMA LOGICO- FILOSOFICO l. I L CARATTERE AUTOCONTRADDITTORIO DEL SISTEMA LOGICO-FILOSOFICO E IL DOGMATISMO

114

l. Autocontraddittorietà del sistema logico-meta-

fisico 2. Il dogmatismo 3. Lo sviluppo della logica come superamento dell' autocontraddittorietà del sistema

114 116 119

Il. I NADEGUATEZZE E LIMITI DEL SISTEMA LOGICO PENSATO COME SISTEMA FILOSOFICO-UNIVERSALE

122

l. La contraddizione nel calcolo proposizionale

pensato come sistema filosofico

122 7

2.

Logica e verità: i limiti del sistema logico e la concezione cnichilistica' della verità

p.

126

III. I PARADOSSI LOGICI COME SINTOMO DELLA INADEGUATEZZA FILOSOFICA DEL SISTEMA STANDARD DELLA NON CONTRADDIZIONE

131

l. I paradossi connessi all'implicazione

131

1.1. Il significato filosofico dei' paradossi dell'i'mpli'cazione materi'ale 1.2. Il paradosso dell'impli'cazione logico-razionale

131 13 6

2.

Il limite e il presupposto del sistema standard della non contraddizione 3. L'illusione connessa al valore a priori della logica e la sua origine 4. Lo sviluppo della logica come tentativo di porre rimedio ai limiti del sistema standard 5. Il riproporsi delle questioni filosofiche

139 148 165 175

C. LA LOGICA FILOSOFICA COME AUTO­ SUPERAMENTO DELLA LOGICA DELLA NON CONTRADDIZIONE I. DAL DOGMATISMO ALLA DIALETIICA, DALLA DIALETIICA AL NICHILISMO

179

l. Fondazione, autofondazione e universalità:

2.

necessità di un ripensamento della fondazione elenctica La dialettica

2.1. La dialettica come superamento della non contraddizione 2.2. L'Aufhebung come veri'tà del sistema dialettico

179 187

3. Il nichilismo

187 191 197

Il. L'ALTERNATIVA AL/DEL NICHILISMO: VERITÀ DEL NICIULISMO

201

l. Il problema dell'alternativa al nichilismo

201

8

2. Il nichilismo come negazione (nullità) della verità 3. La contraddizione assoluta come verità del nichilismo 4. La verità del nichilismo come negazione del nichilismo 5 . L'alternativa aVdel nichilismo

p.

203 206 208 210

III. L'AUTOFONDAZIONE DELLA LOGICA FILOSOFICA

218

l. Contraddizione, negazione, innegabilità

218 218 223

Inevitabilità della contraddizione e dialettica 1.2. Negazione e innegabilità l. l.

2. L'innegabilità della negazione e il suo autosuperamento 2.1. La negazione come innegabile

2.2. L'autonegazione della negazione: contradictio contradictionis

2.3. Il puro positivo e l'illusorietà dell'illusione 3. L'autofondazione assoluta e I'élenchos positivo

3.1. L'autofondazione dell'innegabile positivo 3.2. L'élenchos positivo 3.3. La fondazione elenctica nella sfera del discorso

228 228 229 234 241 241 246 250

4. Il compimento della logica della non contraddizione

IV. LA LOGICA DELLA FILOSOFIA l. L'onnialetismo come principio della logica filosofica 2. La forma della logica filosofica 3. Carattere positivo della logica filosofica 4. Il sistema logico-filosofico 5 . Il ragionamento filosofico come "passaggio dal vero al vero" 6. La logica della filosofia come logica dell'accordo

255 260 260 262 269 275 292 297 9

7. Logica ed esperienza 8. Il pensare filosofico

p. 300

302

Capitolo secondo

LA DETERMINAZIONE DEL NEGATIVO

La costituzione della logica filosofica come parricidio: il So/ista di Platone l. IL PROBLEMA DEL SOFISTA: L'APORIA DEL NEGATIVO

305

l. Il problema del non essere: la sfida di Parme-

nide e la risposta di Platone 1.1. Il non essere e l'inevitabilità della contraddiZione 1.2. La legittimità della contraddizione e il parricidio 2. Il carattere 'negativo' della soluzione platonica e le sue difficoltà 2.1. Il fondamento della soluzione platonica: la diversità come negazione 2.2. Parricidio e nichilismo: il superamento della contraddizione come estensione illimitata di questa II. RIPENSARE IL PARRICIDO PER "SALVARE I FENOMENI"

305 305 308 312 312

323

327

l. Ripensare il So/ista: la differenza tra diversità e

negaztone

2. Ripensare tutti i problemi della filosofia 2.1. La definizione: metodo diairetico e logica dell'esclusione 2.2. L'evidenza del negativo: l'opposizione e la contraddizione 10

327 339 340 343

2.3. Il riproporsi del problema dell'errore e le dz//i· coltà della filosofia ·�negativa", cioè polemica e critica

p.

3. Quale alternativa al parricidio? 3.1. Omnis determinatio est negatio: la soluzione platonica e il nichilismo 3.2. L'Occidente: la dinastia dei parricidi 3.3. Il compito della filosofia: pensare la verità del parricidio

347 351 351 355 357

Capitolo terzo

DER PHILOSOPHISCHE SATZ

Kant - Wittgenstein - Hegel: l' autodissoluzione della logica filosofica e la sua trasfigurazione I. WITIGENSTEIN E KANT: LA CONTRADDIZIONE E LA RINUNCIA ALLA FILOSOFIA

l. Introduzione: Kant, Hegel e Wittgenstein

2.

361 361

Wittgenstein e la soluzione kantiana del problema della filosofia Il Dio della negazione Determinazione, negazione e contraddizione: l'Inbegri/f di Kant La negazione in questione La soluzione kantian-wittgensteiniana: la rinun· eia alla filosofia

377

Il. HEGEL: IL SUPERAMENTO LOGICO DELLA LOGICA

380

3. 4. 5. 6.

362 368 370 376

l. La critica di Hegel a Kant: la contraddizione investe tutta la realtà 2. L'autodissoluzione della logica e la proposizione filosofica 3 . Il carattere logico del superamento della logica

380 384 389 11

III. HEGEL E WIITGENSTEIN: CONTRADDIZIONE E STILE

p.

l. La relativizzazione della logica come realizzazione del philosophischer Satz 2. L'indicibile e lo stile della filosofia 3. Soluzione hegeliana e soluzione wittgensteimana

392 392 394 399

Capitolo quarto

VERITÀ DEL RELATIVISMO

Il pensiero contemporaneo tra relativismo e nichilismo l. Il relativismo contemporaneo e le sue implicazioni nichilistiche

1.1. Relatività universale e nichilismo 1.2. Apocalisse infinita: il carallere negativo del nichilismo 1.3. L'irrinunciabilità del relativismo e l'esigenza di separar/o dal nichilismo

403 403 404

Assoluta relatività

408 410

2.1. L'assoluto come autotrasfigurazione in positivo dell'innegabile 2.2. Relativismo, dogmatismo e nichilismo

410 413

3. Dire la verità: la filosofia come 'conversione' delle posizioni negative

415

2.

3.1. L'alleggiamento positivo nei confronti del negativo 3.2. La filosofia come rovesciarsi del negativo 3.3. La concezione 'creativa' della verità come alternativa a quella 'nichilistica'

415 421 425

4. Relatività del vero e verità del rclativismo: la realtà dell'assoluto e l'orizzonte della finitezza

12

431

4.1. L'assoluta verità di relativismo, dogmatismo e nichilismo 4.2. Il carattere ideale dell'assoluto e i problemi a ciò connessi 4.3. Finitezza, determinazione e negazione

p.

431 434 442

Capitolo quinto

NULLA DETERMINATIO EST NEGATIO Antidogmatismo, nichilismo e alternativa positiva

I. L'ORIZZONTE DEL NEGATIVO

447

l. Il carattere antinomico della situazione presente

447

2.

L'antidogmatismo come orizzonte della nostra civiltà 3. Antidogmatismo come nichilismo 4. La spiegazione teorica dell'antinomia

449 450 456

Il. LA NULLITÀ DEL NEGATIVO

461

l. L'alternativa come nulla

461

1.1. Tra Occidente e Oriente: Schopenhauer e il nulla come positivo 1.2. La contraddizione del nulla: Vitiello e la contradictio contradictionis

2.

L'alternativa come anti-nichilismo

2.1. L'opposizione come principio innegabile: Severino e la negazione del nulla 2.2. Il volto positivo dell'opposiZione universale: la nulla-opposizione 2.3. L'anti-nichilismo come intensi/icazione estrema del negativo 2.4. L'autonegazione de//'anti-nz'chilismo 3. Verso l'assoluta nullità del negativo

461 464 467 467 470 474 478 48 1 13

III. LA DETERMINAZIONE POSITIVA DEL NEGATIVO

p.

l. Il positivo come il tutt'altro del negativo l. l.

Il nulla come determinazione a) Nulla

b) Nulla di nuila: nulla altro c) Detcrminazione-nuJ/a d) Tull'altro dd nulla

e) Diverso dal nulla: la determinazione del puro positivo

1.2. La determinazione positiva del nulla 1.3. La libertà rispello al negativo

2.

La determinazione assoluta del positivo

2.1. 2.2. 2.3. 2.4.

La determinatezza positiva del tu/lo Il negativo come op-positivo La fondazione tra negativo e positivo La filosofia come determinazione del positivo ���ak

486 486 486 486 487 487 488 489 490 492 496 496 497 499 5�

3. L'alternativa al (del) nichilismo: la nullità del nichilismo vista come determinazione positiva

3 .l. Apologia del negativo? 3.2. L'alternativa al bisogno di alternative

506 506 513

PARTE SECONDA

LA FILOSOFIA COME PRATICA DEL LIBERO ACCORDO UNIVERSALE Capitolo primo

POLEMOS

Universalismo e conflitto: la destinazione planetaria della civiltà occidentale l. L'AFFERMAZIONE UNIVERSALE DELLA CIVILTÀ OCCIDENTALE E IL SUO PARADOSSO

525

l. L'unificazione planetaria nel segno dell'Occidente

14

525

2.

Il carattere ambivalente dell'attuale modello di civilizzazione 3. L'antinomia della situazione presente

p.

527 532

Il. IL SENSO DELLA INVINCIBILITA DELLA NOSTRA CIVILTÀ

534

l. La ragione della invincibilità

534

l.l. Il successo mondiale della nostra civiltà: un'af fermazione di fatto o di diritto? 1.2. L'equivalenza tra negazione e violenza come chiave per la comprensione del fondamento innegabile della nostra concezione del mondo

538

Verità della liberai-democrazia: l'incontestabile valore positivo dell'orizzonte negativo

540

2.1. Libertà della democrazia: la negazione della violenza 2.2. Giustizia de/libero mercato: la meritocrazia 2.3. Bontà della tecnologia: l'eliminazione del dolore

540 550 555

III. L'ASPEITO DISTRUITIVO DEL SISTEMA DELL'INNEGABILE

561

2.

534

l. Si vis pacem para bellum: la ragione dell'inevi­ tabile rovesciarsi in negativo della nostra invincibile civiltà 2. Solo un principio diverso può evitare che il tentativo di eliminare il male si trasformi nell'intensificazione estrema della sofferenza 3. lnvincibilità e debolezza della nostra civiltà hanno una comune radice IV. L'ALTRO V6LTO DELL'OCCIDENTE

561

568 571 575

l. La possibilità di un'alternativa positiva al do-

2.

minio della civiltà attuale L'altro orizzonte: la costituzione della società puramente positiva

575 578 15

3. Il volto nascosto della nostra civiltà: l'Occidente

4.

come alternativa a se stesso P6lemos: tra universalismo e superstizione

4.1. Universalismo e conflitto 4.2. Il conflitto e la superstiZione

p.

594 596 596 600

Capitolo secondo

KRATOS: IL POTERE DELLA SUPERSTIZIONE

La democrazia e l'orizzonte positivo della politica l.

IL POTERE IN QUESTIONE: LA DEMOCRAZIA COME PROBLEMA

l. Superstizione, potere, violenza

1.1. L'accecamento degli umani di fronte al male compiuto in nome del bene 1.2. La violenza sistematica e il rimedio an/i-assolutistico 1.3. Il pericolo della nostra epoca e la superstizione democratica 1.4. Il rischio della democrazia: da polo positivo a orizzonte negativo

2.

L'orizzonte democratico e il suo limite costitutivo

2.1. La negazione del potere assoluto e della sua violenza come giustt/icazione del potere demoero/� 2.2. La possibilità di 'negare' il potere come essenza della democrazia 2.3. Il paradosso del criterio della maggioranza come sintomo della natura condizionata dei prindpi democratici 16

605 605 605 608 613 615 621 �l 624

626

2.4. Il limite essenziale della democrazia: l'indecidibilità del valore delle sue decisioni Il. I L

SISTEMA

DELLA

VIOLENZA :

p.

633

L'ORIZZONTE

63 6

DEMOCRATICO COME RISCHIO ESTREMO

l. La superstizione politica: il metodo democra­ tico e l 'intensificazione illimitata del conflitto

63 6

1.1. La spada magica del potere e il mito della le­ gittimità della violenza 1.2. L'autogenerazione del conflitto e la produzio­ ne dell'uomo 'polemico' 1.3. La torre di Babele 1.4. Il patto con il diavolo

640 643 647

La superstizione economica: il sistema della produzione del conflitto

648

2.

2.1. Il sistema antropico e l'ambivalenza dello svi­ luppo tecnico-economico 2.2. La giungla e il giardino: l'economia di libero mercato e il presupposto delle regole giuste 2.3. Meritocrazia economica: il migliore dei mondi possibili per uomini ostili 2.4. L'imposizione universale della competizione economica e la con-fusione di politica ed eco­ nomza 2.5. Il rovescio della liberai-democrazia 2.6. L'ambiguità del comportamento umano di fron­ te a un sistema contraddittorio III.

POLITICA POSITIVA: LA STRAORDINARIA

636

648 651 652 655 660 665

OP­

PORTUNITÀ DELL'ORIZZONTE DEMOCRATICO

l. L'orizzonte della politica positiva

1. 1 . La via stretta della politica positiva tra la ne­ cessità di un orizzonte nuovo e il rischio del­ l' an/i-democrazia 1.2. Universalità, idealità e realtà della politica po­ sitiva

673 673

673 677 17

2.

Le condizioni di possibilità di una politica positiva

2.1. L'individuazione a priori della società giusta a) lstitu:àon� � superstizion�.· il puro positivo com� d�t�rminazion� a priori d�l •giusto•

b) La costituzione della società giusta e la dichiarazione originaria: le società del libero accordo universale

2.2. La natura creativa della politica positiva come rimedio alla violenza sociale a) Istituzione e innovazione: rl carattere sempre-nuovo della politica positiva b) Malattia sociale e terapia politica

p.

681 681 681 683 689 689 694

3. La realizzazione della società universalmente positiva

700

3.l. La straordinaria opportunità o/ferla dall'orizzonte della democrazia e il carattere democratico della società positiva 3.2. La con-fusione democratica e la politica della distinzione

700

a) La democrazia come con-fusione

b) La distinzione della politica dal potere c) L 'auto-distinzione interna al/4 democrazia

3.3. Le società della libera unanimità 3.4. La separazione consensuale: dividersi per migliorare insieme 3.5. L'innovazione creativa come tratto distintivo della politica diversa da quella s/a/ocentrica

4.

18

704 704 706 708 709 711 716

Politica del risveglio: l'illusione del potere e l'autorealizzazione dell'umanità

722

4.1. L'uomo 'qualunque' è il problema politico anziché la sua soluzione 4.2. La consapevole aulotras/ormazione dell'uomo 4.3. Politica, religione e filosofia: unità e distinzione

722 724 727

a) Politica e religione: necessità e rischi della loro n·congiunzione b) La salvaguardia positiva della democrazia

727 730

c) L'età

mela-antropica tra nuove /orme di esistenu

c

leolecnocrazia planetaria

4.4.



Il potere come superstizione e il risveglio dall'incubo della violenza

732 734

Capitolo terzo

LA FILOSOFIA COME SCIENZA RIGOROSA, OVVERO LA PRATICA DEL LIBERO ACCORDO UNIVERSALE

La liberazione dal dolore e la realizzazione della pace come essenza del filosofare I.

L'ECLISSI DEL PROGETIO DELLA FILOSOFIA COME SCIENZA RIGOROSA

739

l. Superstizione, scienza, filosofia: la filosofia

2.

come scienza del bene e quindi come scienza della scienza Gli ultimi progetti di scientifizzazione della filosofia

2 .l. Il programma della filoso/t·a come scienza rigorosa in Husserl 2.2. La rigoriz.zazione della filosofia nella prospettiva logico-positivistica

739 744 744 748

3. L'autosuperamento del progetto della filosofia .

.

come scienza rigorosa

751

3.l. La dissoluzione del fondamento della soggettività e l'interpretazione dell'essere inassoggertabile

3.2. Il carattere non scientifico del fondamento del sapere 3.3. Il congedo della /tioso/t"a dalla scienza

751 754 756 19

Il. I L

'

FONDAMENTO' DELLA FILOSOFIA:

LA

SCIEN·

ZA COME GA RANZIA DEL LIBERO ACCORDO UNI·

p. 758

VERSALE l. Interpretazione filosofica della scienza: la veri­

2.

tà scientifica come garanzia dell'accordo universale Interpretazione scientifica della filosofia: l'ac­

cordo come condizione del conseguimento dei fini umani 3. Il progetto della filosofia e il suo sviluppo

3.1. La filosofia come "scienza della pace" 3.2. La parabola del progetto filoso/t'co: il disvelarsi del fondamento 'soggellivo' del sapere 'oggett�o· 3.3. La questione filosofica nell'epoca della variabilità totale Il l. PRATICARE

FILOSOriA

OGGI:

SCIENZA

758

760 767 767

770 777

E

SAPIENZA

781

l. L'epoca del compimento della filosofia come

teoria e come pratica

l. l. Il contenuto della filoso/t'a come sapere teori-

781 781

co: la variazione libera dalla negazione 1.2. La filosofia come sapere pratico: la umprenuova liberazione dal disaccordo 1.3. Verità e illusione: la liberazione dal dolore tra scienza occidentale e sapienza orientale

785

2. "Pace nei pensieri": la natura del filosofare 2.1. Filosofia come scienza e come sophia 2.2. La filoro/t'a come parola buona e insieme vera

793 793 799

20

784

PREFAZIONE

Il presente lavoro costituisce la revisione di un libro pubblicato nel 1999 per l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici con il titolo Filosofia positiva, e presenta in ma­ niera più compiuta e coerente la prospettiva Hlosofica espo­ sta in uno scritto, che per molti versi aveva un carattere prowisorio, pubblicato nel 1995 con il titolo Logica philo­

sophica. La filosofia come determinazione del positivo uni­ versale (Magazzino editrice, Salerno). Desidero qui esprimere la mia profonda gratitudine nei confronti di quanti hanno favorito l'uscita di questo lavo­ ro: in primo luogo l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofi­ ci, in particolare nelle persone dell' Awocato Gerardo Marotta e del Professore Antonio Gargano, quindi i Pro­ fessori Emanuele Severino e Vincenzo Vitiello, e poi i Di­ partimenti di Filosofia delle Università di Salerno e di Ve­ nezia che hanno contribuito con i fondi di ricerca ministe­ riali . Ringrazio anche il Professore Alfonso Gambardella in rappresentanza della Casa editrice Magazzino. Sarebbe giusto, infine, che avessero qui un riconosci­ mento esplicito tutti coloro - e non sono pochi - che in vario modo hanno contribuito al venire alla luce di questa opera; ciò non è possibile per più ragioni, mi farebbe però piacere che quanti riconoscono qualcosa di loro nel presente testo avvertissero la mia sincera e profonda rico­ noscenza. L. T. Treviso, 22 dicembre 2000

21

AVVERTENZE Quando un testo è gia stato citato all'interno dello stes­ so capitolo viene usata semplicemente la formula " cit. " , quando invece è stato citato in un capitolo precedente vie­ ne fornita l'indicazione della pagina e della nota (n.) all 'in­ terno delle quali è possibile trovare le relative indicazioni bibliografiche. Nelle indicazioni bibliografiche, ma solo quando pote­ vano sorgere dei dubbi, l'anno di alcune edizioni è stato posto tra parentesi per segnalare che i numeri delle pagine citate si riferiscono non a queste edizioni ma all'edizione che non è messa tra parentesi. Con l'espressione "lvi " ci si riferisce alla stessa opera ma non alla stessa pagina, con "Ibidem" , invece, alla stessa pagina della stessa opera.

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INTRODUZIONE

PER

UNA COMPRENSIONE FILOSOFICA DELLA FILOSOFIA

' l. LA NOVITÀ IN FILOSOFIA E L INEVITABILE FRAINTEN­ DIMENTO DEL DISCORSO FILOSOFICO

Questo scritto offre una prospettiva filosofica com­ plessiva; presenta quindi una interpretazione dell'attuale situazione dell'umanità dal punto di vista della verità. Lo rendo pubblico essenzialmente per due motivi. Il primo è che la filosofia che propongo mi pare dica qualcosa di diverso da quanto espresso dagli altri discorsi filosofici, e rappresenti dunque qualcosa di nuovo. Il secondo è che spero che comunicare queste idee possa invogliare qual­ cuno a interessarsi all a prospettiva qui presentata ed even­ tualmente anche a condividere questo tipo di ricerca. Già questo esordio basterà forse a scoraggiare molti dal proseguire; se non altro perché - così qualcuno avrà osservato - non può pretendere di costituire qualcosa di nuovo una prospettiva che si dichiara guidata dall'idea di verità; questa, infatti , rappresenta la più classica delle no­ zioni filosofiche. Ciò parrebbe sufficiente a rendere dop­ piamente inaccettabile la posizione che viene annunciata: innanzitutto essa appare contraddittoria ( afferma di essere originale ma ripropone un'ottica filosofica assolutamente tradizionale) , e in secondo luogo, tornando ad assumere come proprio punto di vista quello della verità, fa propria una impostazione che il pensiero contemporaneo conside­ ra ormai superata. Il fatto è che le parole con le quali ho esordito pos­ sono essere intese correttamente solo alla luce della pro23

spettiva che nel libro viene presentata, al di fuori della quale, invece, si espongono fatalmente all'obiezione indi­ cata e a molte altre simili. Nella migliore delle ipotesi quelle affermazioni potrebbero dunque venire comprese in maniera adeguata solo al termine della lettura del libro, sicché il loro fraintendimento risulta in qualche misura inevitabile. Del resto questa situazione, che non a caso è impa­ rentata con la nota questione del circolo ermeneutico, dipende non da circostanze accidentali ed estrinseche ri­ spetto al discorso filosofico ma dalla sua natura essenzia­ le. Proprio ciò, nonostante sia noto da tempo il carattere paradossale di ogni premessa a un'opera filosofica (penso per esempio a quello che dice Hegel nella celeberrima " Prefazione " alla Fenomenologia dello spirito), rende tale premessa qualcosa di opportuno e in qualche modo indi­ spensabile, come ora cercherò brevemente di chiarire. La filosofia ha la proprietà , peculiare anche se non esclusiva , di modificare sostanzialmente, rinnovandolo, il sistema di riferimento generale che determina il significato complessivo dell'esperienza umana. Tale trasformazione, proprio perché globale, riguarda in maniera del tutto par­ ticolare il linguaggio, quindi investe pure il senso delle parole che il filosofo impiega. D'altro canto il discorso fi­ losofico è contraddistinto dal carattere pubblico e univer­ sale del suo messaggio, così che chi lo accosta si sente istin­ tivamente autorizzato a intenderne le parole nel senso che a queste viene 'normalmente' attribuito. In tal modo esse sono regolarmente fraintese, quindi considerate false - in quanto sono difformi da ciò (il significato immediato delle parole) che appare come 'evidente' - e per questo rifiutate. Appunto per tale motivo una premessa al discorso fi­ losofico risulta utile ed importante. In primo luogo con essa bisogna fare avvertito di questo tratto specifico del dire filosofico, cioè della inevitabilità del suo fraintendimento e 24

quindi della sua immediata 'incomprensibilità', il lettore che non ne sia già consapevole. Secondariamente è opportuno anticipare sinteticamente almeno il senso fondamentale delle innovazioni introdotte, così che i malintesi vengano, se non azzerati, almeno ridotti. Questo compito è tanto più neces­ sario quanto più radicale è la trasformazione prospettica che il discorso filosofico determina, e dunque quanto più profondamente esso tocca le strutture portanti della cultu­ ra vigente. Una siffatta premessa, insomma, è indispensabile per evitare almeno i fraintendimenti più grossolani, quelli che, ove non siano rimossi, determinano un'incomprensione tale da far apparire senz' altro falsa la prospettiva presentata e inducono quindi a cessare immediatamente la lettura an­ che coloro che invece sarebbero molto interessati al senso autentico del discorso proposto qualora potessero coglier­ lo. Le affermazioni che costituiscono la premessa rimanda­ no dunque continuamente, per la loro adeguata compren­ sione, al seguito dell'opera filosofica, alla quale peraltro ap­ partengono integralmente pur svolgendo, al suo interno, una funzione tutta particolare.

2. fiLOSOFIA POSITIVA: COME RIPROPORRE OGGI UNA VE­ RITÀ FILOSOFICA

2. 1 .

Verità e violenza

Vediamo dunque brevemente quali sono i punti fon ­ damentali rispetto ai quali la comprensione del presente lavoro richiede una trasformazione radicale del nostro abi­ tuale modo di intendere la realtà; e prendiamo lo spunto proprio dalla obiezione sopra sollevata, quella relativa alla inaccettabilità attuale della riproposizione di una lettura fi­ losofica della realtà che si ispiri alla verità. 25

La semplice ricerca di una verità filosofica viene oggi generalmente considerata nello stesso tempo sintomo e causa di un atteggiamento prepotente se non propriamen ­ te violento. Perché - così, grosso modo, si argomenta - la verità della filosofia rivendica un valore assoluto, quindi incondizionato ed innegabile; ma una cosa siffatta non può esistere, dal momento che ogni posizione è relativa a un contesto linguistico, antropologico, o comunque spa­ zio-temporale. La pretesa di disporre di una verità asso­ luta è dunque illusoria, e per questo colui che la fa pro­ pria finisce inevitabilmente per assumere un atteggiamen ­ to arrogante e violento. Infatti, se a qualcosa viene attri­ buito un valore assoluto, allora favorirne l'affermazione è giusto incondizionatamente, cioè qualunque sia il costo che ciò comporta. In particolare, dal momento che il valore assoluto è oggettivo e necessario, quindi vincolante per tutti, risulta lecito imporre un siffatto valore a chiunque, anche a chi non ne riconoscesse la validità. In tal modo risulta legittimata una particolare prepotenza (violenza) , quella che è connessa alla pretesa d i imporre l a verità universalmente, cioè tanto a chi è d 'accordo quanto a chi non lo è 1• Così , sostenere l'esistenza di una verità assoluta sembra equivalere a riconoscere la 'bontà' di un certo tipo di violenza, ragion per cui sembra che chi in generale intende rifiutare la violenza sia tenuto a rifiutare la prete­ sa di conoscere la verità assoluta. Tutte queste considerazioni sono giuste. Esse però lo sono relativamente a un orizzonte che possiamo chiamare negativo. Ritenere che la verità assoluta possa venire impo­ sta a qualcuno sign ifica pensarla come opposta a qualcosa, cioè come incompatibile con qualcosa e come caratterizzata da un rapporto negativo (contrappositivo) nei confronti di 1 Compreso il soggetto stesso che si fa paladino della verità e che in tal modo si sottomette ad essa.

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qualche determinazione della realtà. La situazione muta radicalmente se si pensa invece che veramente assoluta la verità può essere considerata solo nella misura in cui conformemente alla prospettiva che viene qui presentata essa si configura come essenz.ialmente libera rispetto a ogni

/orma di negazione e quindi di opposizione. Ma - ecco la questione decisiva - la verità assoluta, così definita, non risulta appunto qualcosa di inconcepi­ bile e quindi di assurdo? In effetti, se ci si muove all'in­ terno della prospettiva per la quale la diversità implica in quanto tale una negazione e quindi ogni determinazione si costituisce come la negazione di tutte le determinazioni dalle quali si differenzia (omnis determina/io est negatio) , allora anche la verità non può essere pensata se non come negazione di tutto ciò che da essa si distingue, e in primo luogo, naturalmente, del falso. In questa ottica, tanto per fare un esempio significativo, " assoluto " significa "non relativo " e "relativo " significa "non assoluto " , così che per un verso la verità assoluta si costituisce come negazio­ ne del mondo relativo e per l'altro verso dalle situazioni relative bisogna escludere la verità. Similmente, dire che la verità è qualcosa di definitivo significa affermare che essa è in-variabile (o immutabile), in-condizionata ed in­ negabile, ed implica quindi la negazione di tutto ciò che è variabile e mutevole, condizionato e negabile. Pertanto in quest'ottica la verità filosofica, in quanto assoluta e definitiva, si presenta come negazione dei discorsi che da essa differiscono, quindi delle opinioni e delle ipotesi non filosofiche: affermare la verità assoluta di una posizione significa negare le posizioni che da essa si differenziano e quindi dichiararle false. In tal modo colui che dichiara vero il proprio discorso filosofico viene automaticamente ad assumere l'atteggiamento di chi oggettivamente mira a impedire ogni possibile variazione rispetto al discorso ritenuto vero e quindi inevitabilmente a tacitare (sia pu27

re a fin di bene, cioè 'di verità ') ogni posizione diversa dalla sua. In maniera ultrasintetica, possiamo dire che il pensie­ ro contemporaneo ha mostrato con estrema efficacia come tutto sia relativo, e quindi anche come ogni in-variabile e in­ mutabile (non-variabile e non -mutevole) sia in realtà mute­ vole e variabile. All'interno della prospettiva 'negativa', per la quale la relatività coincide con la negazione dell'assolu­ tezza e per la quale la definitività e la positività coincidono con la negazione della variabilità e della negabilità, l' accer­ tamento della variabilità del tutto equivale alla esclusione che possa esistere qualcosa come una verità assoluta.

2.2. Il sapere del puro positivo Solo all 'in terno di una prospettiva radicalmente diver­ sa da questa che abbiamo chiamato 'negativa' risulta dun­ que pensabile qualcosa come la verità filosofica e diventa possibile affermare questa senza dare adito ad alcuna legit­ timazione della violenza. Ma si tratta di una strada imper­ via, perché - come abbiamo incominciato a vedere - si deve assumere un'ottica diversa da quella che si fonda su assun­ ti che appaiono indiscutibili, a cominciare dal principio per cui omnis determina/io est negatio. Si tratta , dunque, di superare l'ottica negativa. Ma come è possibile un'impresa del genere? Tale via a tutta prima si presenta addirittura come semplicemente impraticabile. Della straordinaria difficoltà che caratterizza il tentativo di sfuggire al pensiero negativo ci si incomincia a rendere conto quando si riflette sul fatto che il negativo si presenta come in-negabile, dal momento che non lo si può negare senza insieme anche, in qualche modo, affermarlo, giacché negare qualcosa significa porlo come negativo. Precisamente da una considerazione di questo tipo trae la propria imma28

ne forza l'orizzonte negativo, il quale si basa appunto sul­ l'invincibilità del procedimento tipicamente filosofico che chiamiamo élenchos, il quale consiste nel mostrare la sal­ dezza inattaccabile di ciò che non può essere negato senza essere anche affermato. In ogni caso sfuggire all'ottica ne­ gativa sembra senz'altro impossibile quando ci si colloca , come accade in filosofia, in una prospettiva universale, cioè onnicomprensiva. Perché una prospettiva positiva e nello stesso tempo universale sembra semplicemente contraddit­ toria: se è universale deve includere anche il negativo, ma allora non è più positiva; se invece vuole conservare la propria positività allora deve rinunciare a trattare il nega­ tivo, ma in questo caso deve rinunciare a essere universale. Ciò significa che una prospettiva positiva è possibile solo all'interno di una concezione, quale appunto quella qui proposta, la quale consideri il positivo, che pure è certamen­ te dzf/erente dal negativo, come distinto dalla negazione del negativo, e precisamente come il tutt'altro della 2 negazione del negativo e quindi del suo stesso essere negazione del negativo. Ma tutto questo presuppone che la diversità sia pensata come diversa dalla negazione; e questo, da capo, implica che la determinazione sia concepita come dz//eren­ te dalla negazione. In altri termini, un'ottica positiva può essere conse­ guita solo se la verità assoluta viene distinta dall'in-nega­ bile (inteso appunto come negazione del negabile e del negativo), e quindi, similmente, da ogni in-variabile etc. D'altro canto per sua stessa natura tale distinzione deve significare qualcosa di diverso dalla negazione del caratte­ re innegabile della verità, perché altrimenti questa rica­ drebbe semplicemente nel regno di ciò che è negabile e 2 La ragione per cui viene usata, ricorrendo a una sorta di Mlicenza filosofica " , questa formula (Mtutt'altro di " ) a prima vista scorretta, è esau· rientemente spiegata nel testo, in particolare alle pp. 2 12-2 1 3 . 29

negativo, cosa che la annullerebbe come verità. Risulta dunque necessario attingere una prospettiva puramente positiva nel senso che essa è perfettamente libera rispetto al negativo. Di qui il sottotitolo del libro che parla ap­ punto di filosofia positiva 3 • L a verità va distinta dall'in-negabile perché questo, proprio in quanto è negazione del negabile (del negativo), si rivela esso stesso qualcosa di negativo e quindi di nega­ bile. Veramente 'non-negabile' può dunque essere solo ciò che è libero dal negativo perché differisce da questo ma in maniera diversa da quella secondo cui ne differisce ciò che è negazione del negativo. La verità dunque, distinguendosi da ogni forma di negatività, si differenzia persino dal suo stesso essere negazione del negabile, ed è in tal modo per­ fettamente libera dal negativo. All 'in terno di questa comprensione, la verità torna a presentare tutti i caratteri che l'hanno tradizionalmente caratterizzata, ma li ripresenta, per cosl dire, purificati da ogni loro aspetto negativo. L'assolutezza, la definitività, la perfezione sono sl i tratti propri della verità filosofica, la quale in tal modo si distingue da ciò che è relativo, varia­ bile e negativo, ma ciò accade in maniera tale che siffatta distinzione risulta essenzialmente differente pure dalla ne­ gazione di ciò che appartiene agli ambiti dai quali la verità si differenzia. Proprio perché si distingue da ogni forma di negazio­ ne e di opposizione, per principio la verità filosofica prende

' Si tratta dunque di una filosofia positiva in un senso diverso da quello attribuito a tale aggettivo da altre prospettive (quali innanzitutto il positi­ vismo c - naturalmente su tutt'altro versante - la filosofia di Friedrich Schclling) benché essa sia, per i motivi che emergeranno chiaramente, com­ patibile e addirittura consonante pure con queste. Peraltro si potrà forse coKliere qualche significativa somiglianza con il pensiero della differenza che si è sviluppato nel nostro secolo Qacques Dcrrida c Gilles Deleuze, soprattutto). 30

nettamente le distanze da qualsiasi forma di legittimazione di qualsivoglia imposizione o violenza, nel senso che ogni giustificazione di un atto prepotente e negativo sarebbe in contraddizione con la verità, la quale si presenta dunque come definitoriamente libera dalla violenza. In questo orizzonte risulta concepibile una prospettiva - quale appunto quella qui presentata - la quale ripropon­ ga la verità filosofica come qualcosa di essenzialmente di­ verso dalla prepotenza del dogmatismo. La posizione filo­ sofica che viene proposta si distingue chiaramente dall'oriz­ zonte di pensiero oggi vigente (che tendenzialmente rifiuta la verità filosofica), senza però contrapporsi in alcun modo a questo, del quale anzi riconosce la piena verità, perché interpreta il rifiuto della verità, che lo caratterizza, come il passo attraverso il quale viene superata la concezione nega­ tivo-oppositiva della verità 4• In altri termini il rifiuto della verità - inteso come rifiuto della sua violenza - costitui­ sce la verità della nostra epoca (anche se, è il caso di pre­ cisare subito, la verità in quanto tale è ciò per cui il pensie­ ro della nostra epoca si libera pure del carattere negativo insito in questo stesso rifiuto). La prospettiva qui presenta­ ta si differenzia dunque da ogni posizione che contesti il pensiero contemporaneo, benché si guardi bene dal rinne­ gare la tradizione filosofico-metafisica, come invece quello tendenzialmente fa. Questo dovrebbe incominciare a rendere comprensi­ bile, almeno a un livello introduttivo, come si possa pre­ sentare come nuova una concezione che ripropone il clas­ sico tema della verità assoluta e definitiva. All'interno della

� Mi permetto, per questo aspetto, di rimandare al mio saggio Ricono­ scere la verità, in M . Donà (a cura di), Sulla verità, Il Poligrafo, Padova

1998, pp. 1 63 - 1 82 (numero monografico della rivista "Paradosso", n. 2-3 / 1997 ). 31

concezione che chiamo oppostttva (negativa) ogni varia­ zione di prospettiva comporta una negazione, cosl che ogni innovazione filosofica determina un rinnegamento del sistema di riferimento precedente. In una siffatta ottica solo chi ripete le parole della tradizione evitando ogni variazione può presentarsi come un difensore della verità tradizionale; chi invece introduce delle novità diventa au­ tomaticamente un 'parricida' , così che risulta impossibile essere nel contempo innovatori e difensori del sapere fi­ losofico tradizionale. Ma all'interno della prospettiva po­ sitiva , per la quale la diversità (con questo termine inten­ diamo qui indicare sia la varietà sia la variazione della realtà), cioè la determinazione dell'essere, è formalmente distinta dalla negazione, risulta possibile introdurre delle novità senza che questo comporti una sconfessione delle filosofie preceden ti. Anzi la verità, in quanto liberazione radicale rispetto al negativo, si presenta - come verrà il­ lustrato meglio nel corso del lavoro - come sempre-nuova ripresentazione del puro, perfetto positivo (ciò per cui ogni entità è libera rispetto al negativo) . Così , la pretesa di originalità è pienamente compati­ bile non solo con il rispetto per la tradizione (ivi compre­ sa la tradizione contemporanea), ma addirittura anche con il riconoscimento esplicito della sua piena verità. La no­ vità che è qui testimoniata è sl una novità radicale rispet­ to a quella della tradizione, ma lo è in quanto la verità in quanto tale si presenta come la sempre-nuova libertà ri­ spetto al negativo. Per questo la circostanza che il discor­ so filosofico si costituisca come una radicale novità, men­ tre all'interno di un'ottica negativa impedisce ad esso di presentarsi come la medesima verità testimoniata dalla tradizione, viene qui invece a significare che esso, pur distinguendosi da quella verità, rappresenta il volto che essa assume nella situazione attuale.

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3. VERIT À FILOSOFICA E VERIT À QUOTI DIANA: LA PECULIARITÀ DEL DISCORSO FILOSOFICO

3. 1 . L'opposizione tra verità e senso comune come causa del

rz/iuto della filoso/t'a Quanto sin qui detto dovrebbe consentirci di superare anche quei malintesi che da sempre accompagnano in ge­ nerale le opere di filosofia e non solo il presente scritto; essi, infatti, dipendono in grandissima parte proprio dalla circostanza che tra il comune buonsenso e la verità filoso­ fica si determina un rapporto di opposizione, cioè di reci­ proca negazione. La pretesa del filosofo di dire la verità viene solitamente 'condannata' dal normale modo di con ­ cepire la realtà, e il capo di imputazione principale è la presunzione. Il senso comune nega la legittimità della presa di posizione filosofica perché avverte come minacciosa nei confronti delle proprie convinzioni la presunta assolutezza della verità filosofica, e quindi percepisce i suoi giudizi come pericolosi nei confronti di quelle cose e di quei progetti che stanno normalmente a cuore agli uomini. Il senso co­ mune, insomma, intende difendersi dalla filosofia il cui at­ teggiamento avverte come negativo nei confronti del mon­ do; e questo dipende fondamentalmente dalla circostanza che il sapere filosofico, dal momento che evoca una verità diversa da quella del senso comune, viene inteso come ne­ gazione di quest'ultimo. Ora, in siffatta contrapposizione entrambi i conten ­ denti passano dalla parte del torto. La filosofia perché nel momento in cui considera il senso comune come un oppo­ sitore viene a sua volta a configurarsi come un polo con­ flittuale e quindi negativo perdendo in tal modo la pro­ pria presunta innegabilità; il senso comune perché nel rinnegare e sconfessare la filosofia si appella a qualcosa che viene tenuto fermo come verità assoluta, e cade per33

ciò esso stesso in un dogmatismo del tutto simile a quello che imputa alla filosofia. Ma questo conflitto è scatenato appunto dalla contrap­ posizione tra i due poli; esso viene dunque risolto all'inter­ no di una prospettiva per la quale - come abbiamo inco­ minciato a vedere il nome di verità viene riservato alla dimensione caratterizzata proprio dal fatto di essere libera da ogni forma di opposizione e perciò libera da ogni aspet­ to negativo e minaccioso. In tal modo, rivendicare il valore assoluto della verità filosofica, e in particolare della pro­ pria prospettiva, non solo significa qualcosa di diverso dalla condanna (negazione) delle posizioni diverse dalla propria, ma addirittura implica in qualche modo il riconoscimento del loro appartenere alla piena verità. Cosl, solo un atteg­ giamento nettamente distinto da ogni attitudine dogmati­ ca, prepotente e presuntuosa può avanzare una •pretesa di verità' che sia chiaramente distinta da ogni posizione •pre­ tenziosa' destinata a rovesciarsi nel proprio contrario. Questo dovrebbe consentirci anche di chiarire l'equi­ voco in base al quale si è spesso portati a rifiutare il discorso filosofico in quanto astratto, lontano dalle cose concrete e quindi incline a trattare come se fossero effet­ tivamente reali entità che invece sono puramente fittizie. Spesso si nega recisamente, o comunque si mette in dub­ bio, l'esistenza della verità filosofica e della realtà di cui il discorso filosofico parla. Non si hanno dubbi circa l'esi­ stenza della verità intesa come fatto umano, come evento logico-gnoseologico di origine (natura) antropologica, né, ovviamente, circa l'esistenza delle cose del mondo; si ha però difficoltà ad ammettere la verità filosofica, la cosid­ detta verità assoluta. Ma se appena si riflette ci si rende conto che tale contrapposizione scaturisce dal fatto che l'esistenza di cose quali le piante, gli uomini, etc. viene assunta come un dato di fatto indiscutibi/e, cioè in fondo come una verità innegabile e privilegiata. -

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La filosofia consiste in prima battuta nel mostrare come siffatti 'oggetti' (piante, case, e simili) siano il risul­ tato di interpretazioni e di 'congetture', e come tali siano dzfferenti dalla verità innegabile. Ma se questo rilevamen­ to assume la forma di una negazione di tutte queste entità il senso comune si ribella a tale presa di posizione distrut­ tiva , e si difende rinnegando a sua volta la verità. Solo che ciò che viene rinnegato non è, propriamente, la veri­ tà, la quale, in quanto è appunto ciò che è libero da ogni contrapposizione, viene a mostrarsi come ciò che è svin­ colato dal conflitto con le realtà del mondo, le quali ap­ paiono ora nel loro appartenere alla verità filosofica.

3.2 . La filosofia e la dimensione libera rispetto al negativo a) Accordo e linguaggio: la realtà della verità

La verità filosofica va dunque qui intesa sostanzialmente come un fenomeno reale, qualcosa cioè che appartiene in maniera essenziale alla concreta esistenza e all'esperienza umana; così come il movimento degli astri, l'alternarsi del­ le stagioni, oppure la fame, il dolore, il lavoro, la gioia, etc. Del resto tutto questo risulta facilmente comprensibile se si riflette sul fatto che la verità assoluta ( quella della filosofia) è in fondo semplicemente la medesima verità del senso comune, solo collocata in un contesto differente, cioè posta nella dimensione dell'universalità e quindi condotta a includere riflessivamente se stessa nel proprio contenuto. La verità della filosofia è la stessa verità ordinaria, solo per così dire - portata al lim ite. Vediamo brevemente in che modo la concezione 'normale' della verità trapassi in maniera praticamente necessaria in quella filosofica . Volendo farci un'idea in prima battuta della realtà effettuale della verità potremmo descriverla come un par35

ticolare rapporto che l'essere umano intrattiene con la realtà, precisamente quella relazione che si instaura quan­ do l'uomo, mediante il linguaggio, si trova in accordo (ar­ monia) con la realtà. La filosofia si presenta allora come la conoscenza di quell 'ambito specifico costituito dai rap­ porti di accordo (verità) o di disaccordo (falsità) che il linguaggio umano intrattiene con il mondo. Sin qui, dun­ que, nulla di misterioso o di 'metafisico': quel fenomeno reale che è il linguaggio ha relazioni reali con le altre cose 'concrete' che popolano il nostro mondo ordinario: pian­ te, case, uomini, etc.; tale rapporto può essere di concor­ danza (verità) o di discordanza (falsità).

b) Universalità e ri/lessività: l'au/otras/ormazione della verità

Noi tutti riteniamo utile, e quindi lecito, considerare la realtà, e in particolare l'uomo e le sue vicende, da diversi punti di vista: quello della struttura fisica , del movimento e della composizione dei corpi (scienze fisico-naturali ) , quello del numero c della quantità (matematica) , poi, per venire più specificamente all 'uomo, quello della salute del corpo (medicina), quello delle esperienze mentali, dei sen ­ timenti etc. (psicologia) , quello del lavoro produttivo e dello scambio (economia) , o della successione cronologica dei vari avvenimenti (storia) , o ancora delle esperienze del bello (arte) e del divino (religione) , e così via. Per questo, imme­ diatamente legittima dovrebbe essere considerata anche una trattazione delle vicende umane condotta dal punto di vi­ sta del comportamento umano nei confronti di quel /atto specifico costituito dal linguaggio (e quindi dal sapere) e dalle relazioni che questo instaura con il mondo. Eppure, l' indagine filosofica viene per lo più affrontata con estremo sospetto, quando non sia addirittura ritenuta illegittima. Ciò dipende in gran parte dal fatto che essa, pur rivendicando 36

una qualche forma di scientificità, non riesce a fornire, del suo conten uto, una teoria paragonabile a quelle delle altre discipline; la filosofia non è cioè in condizione - così al­ meno sembra - di produrre oggetti, metodi e formulazio­ ni che godano di un sufficiente grado di fissità e di stabilità oggettiva, e che siano quindi capaci di ottenere un consen­ so sostanzialmente universale. La filosofia, infatti, non sem­ bra capace di porre un contenuto indipendente dalla di­ mensione soggettiva, e il suo discorso risulta quindi can ­ giante in funzione dei vari punti di vista soggettivi. Ora, quello su cui spesso non si riflette è che ciò è inevitabile, dal momento che la filosofia, avendo come cam­ po di indagine specifico l'ambito della verità, quello cioè dell'accordo tra la dimensione del linguaggio (del discorso, del sapere) e quella della realtà, per principio non può prescindere dall'esperienza umana e quindi dalla dimen­ sione soggettiva. Essa non può, insomma, restare fedele al proprio oggetto senza chiamare in causa anche l'elemento soggettivo e linguistico della realtà. Di più, poi: dal momento che una disciplina non può costituirsi rigorosamente, cioè in maniera •scientifica', sen­ za presentarsi nella forma dell'universalità, il discorso filo­ sofico non può realizzarsi autenticamente senza mettere a tema riflessivamente il rapporto che esso stesso intrattiene con la realtà. Non potendo fare a meno di prendere in considerazio­ ne le relazioni che connettono l'oggetto di cui tratta al soggetto che le conosce, e non potendo prescindere, nel determinare il proprio contenuto, dal suo stesso agire, la filosofia non può fare propria quella originaria scissione che, separando l'ambito del linguaggio (della verità) da quello del mondo (la realtà) , consente l'instaurarsi di una certa oggettività di tipo scientifico. La verità non può venire considerata come una pro­ prietà del discorso scissa e indipendente dall'oggetto di 37

questo; oggetto che, a sua volta, non può venire inteso come separato da quella. Di conseguenza la filosofia non può presupporre che il proprio oggetto resti immodz/icato anche dopo l'intervento del discorso filosofico. È proprio il peculiare oggetto della filosofia che non le consente di fare propria quella concezione della verità per la quale si suppone che né esso (l'oggetto) viene modificato dalla verità del dire che lo assume come proprio contenuto, né questa (la verità) risulta trasformata ad opera del discorso che ha la proprietà di esser vero in relazione a quell'oggetto. La verità è sempre l'accordo tra il linguaggio e la real ­ tà; ma nel momento in cui viene considerata dal punto di vista dell'universalità, essa viene a includere, sia pure solo formalmente, anche il proprio agire nei confronti del pro­ prio con tenuto. È in questo modo che la verità ordinaria diventa verità filosofica: essa, per poter essere scientifica deve essere universale, ma per poter essere tale deve rinun­ ciare a quell 'altro criterio che definisce la scientificità ordi­ naria, e cioè la esclusione delle variazioni introdotte dal proprio in terven to. Nel sapere scientifico 'ordinario' 5, dal contenuto del­ l'indagine restano escluse le relazioni tra la verità del di­ scorso e il suo oggetto. Più esattamente, vengono estro­ messe le trasformazioni che l'oggetto del discorso e la veri­ tà di questo operano reciprocamente. In particolare, poi , restano escluse proprio le modificazioni che il discorso che tratta della verità determina su questa, e reciprocamente quelle che la verità caratteristica di questo tipo di discorso opera sul suo oggetto, e cioè sulla verità stessa. Interpreta­ ta in questo modo limitato, cioè oggettivistico, la verità viene dunque intesa in generale come nulla dei fatti che sono ' Qui questo termine significa qualcosa come " t radizionale", giacché l'epistemologia con temporanea, come vedremo tra poco, mal si riconosce in un quadro di questo genere.

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oggetto del discorso; e dunque, in quanto il discorso sia visto come qualcosa che riguarda ogni possibile oggetto, essa si riduce a nulla della realtà. Ma la filosofia - e si sarà osservato che per ora non stiamo dicendo niente di più di quello che Hegel ha già mirabilmente chiarito in maniera conclusiva - incomincia proprio laddove oggetto del discorso è la verità in tutta la sua pienezza: la realtà che è oggetto del dire filosofico include il discorso che ne parla, la cui verità entra a far parte del contenuto del discorso unitamente all'insieme totale delle relazioni che essa intrattiene con le altre real­ tà. In quanto la trattazione filosofica è di portata univer­ sale, succede allora che entrano a fare parte del suo con­ tenuto anche le trasformazioni che la filosofia produce nel suo stesso oggetto (cioè nella verità, e quindi anche nel suo relazionarsi all'oggetto-verità) , nonché quelle che sif­ fatta modificazione dell'oggetto determina nel significato che assume l'esser vero da parte delle stesse proposizioni filosofiche. In breve, possiamo dire che la filosofia considera la realtà, e il fenomeno umano in particolare, da quel punto di vista specifico che è costituito dalle trasformazioni che un oggetto subisce ad opera dell'intervento del discorso vero. Così, in quanto anch 'essa è un discorso vero, la filo­ sofia medesima si trasforma in maniera essenziale in fun­ zione del proprio oggetto: trasforma la verità, e viene a sua volta da questa modificata. La trattazione filosofica della verità , dunque, opera un cambiamento nel proprio ogget­ to, e con ciò muta pure se stessa. Caratteristica tipica della filosofia, in altri termini, è quella per cui la soluzione filo­ sofica di un problema è tale da modificare la natura del problema stesso. Di qui, sostanzialmente, tutte le complicazioni che da questa semplice circostanza scaturiscono, e che sono tipi­ che del discorso filosofico. Sempre di qui la peculiarità della 39

filosofia, e una certa impossibilità, da parte sua, di soddi­ sfare i requisiti che sopra abbiamo visto, cioè di esibire un oggetto /isso, dal momento che proprio il suo parlarne lo trasforma. Ma questo, come incominciamo a capire, non dipende da un suo scarso rigore, bensì, al contrario, pro­ prio da quel principio fondamentale della 'scientificità' che impone di considerare l' oggetto della trattazione da un punto di vista universale e completo .

c)

Filosofia, sapere, beatitudine

Con tutto questo, però, non abbiamo compiuto an­ cora il passo decisivo. Perché la filosofia non è certo l'uni­ ca disciplina che include nel proprio oggetto l'elemento soggettivo (si pensi anche solo alla sociologia, alla psico­ logia etc. ) . Non solo, ma l 'epistemologia contemporanea, a partire per esempio dal principio di indeterminazione, fa prop rio questo carattere 'filosofico' per il quale la te­ oria interviene a trasformare il proprio oggetto . Tutto ciò, di per sé, non impedisce alle 'scienze umane' di tendere ad avere un carattere oggettivo, sia pure infinitamente aperto in quanto autoinclusivo . La riflessione o autorife­ rimento, insomma, di per sé non impedisce una trattazio­ ne scientifica, cioè universale e a priori del proprio ogget­ to, benché ciò vada ora inteso in maniera diversa da quella che esclude (nega) la possibilità della variazione; solo è necessario che anche la variazione introdotta dalla cono­ scenza scientifica sia conforme a una regolarità che in qualche modo deve essere presente all'interno della legge scientifica stessa e quindi in qualche misura descritta da questa. Ed è qui che entra in gioco la peculiarità della disci­ plina filosofica. Perché essa, avendo per oggetto il rappor­ to di accordo o di disaccordo del linguaggio (la teoria) 40

con la realtà, non può non includere nel proprio contenu­ to il momento della negazione in generale di una qualsiasi affermazione, cioè la falsità delle teorie. Del contenuto specifico del sapere filosofico, insomma, fa parte essenzia­ le la negazione del contenuto del sapere in generale, e quindi anche di quello della filosofia. Così, la trasfor­ mazione introdotta nel mondo dal dire filosofico assume essenzialmente l'aspetto di una negazione generale della realtà data. In una situazione del genere il carattere universale proprio del sapere scientifico viene a significare che la regola alla quale la variazione dell'oggetto e conseguente­ mente del sapere viene sottoposta a priori è quella della possibilità delle negazione. Questo fa sì che la filosofia si presenti come la dimensione in cui si realizza la negazione universale della realtà, quindi anche, dato il carattere autoreferenziale, l'autonegazione totale; il suo esito è dunque la contraddizione assoluta, e il nichilismo puro, com e leto. E a questo proposito che torna di nuovo in primo pia­ no il significato particolare delle prospettiva che viene pre­ sentata in questo libro. Perché, una volta preso atto della inevitabile variabilità dell'oggetto del dire filosofico, que­ st'ultimo può costituirsi come qualcosa di diverso dalla negazione universale (quindi anche dall'autonegazione) solo

a condizione che la variazione sia qualcosa di distinto dalla negazione e cioè a condizione che la differenza sia qualcosa di distinto dalla opposizione. Ed è proprio attraverso la negazione universale che caratterizza la filosofia che viene alla luce quell'aspetto della diversità per cui questa risulta libera dalla negazione. Infatti nella negazione universale si mostra ciò per cui persino il negativo differisce da se stes­ so, e mediante tale singolare autoliberazione del negativo si chiarisce il senso della peculiare differenza tra la diffe­ renza e la negazione: il negativo differisce da se stesso gra41

zie a ciò per cui la realtà in quanto tale si mostra indenne dal negativo, grazie dunque a ciò che proprio per questo chiamiamo il puro positivo. Solo nella misura in cui la differenza in generale si distingue dalla negazione anche la variazione introdotta dal dire filosofico può distinguersi dalla negazione universale della realtà e risultare dunque qualcosa di positivo. Sola­ mente un pensiero che scorga questa dimensione puramente positiva può costituirsi come un sapere libero dalla con­ traddizione, e cioè, se vogliamo ancora usare queste espres­ sioni, come scienza, e come scienza rigorosa. Dal momento che si costituisce come il sapere di ciò per cui la varietà e la variazione dell'essere, cioè il suo determinarsi (la deter­ minazione) , si distinguono dalla negazione e con ciò ne risultano libere, la filosofia viene qui presentata come il sapere del puro, perfetto positivo: come sapere positivo. La filosofia che non giunga a questa consapevolezza è destina­ ta a essere tanto più nichilistica e distruttiva quanto più è coerente; perché l'ammissione dell'assoluta variabilità del reale, se questa non è pensata come libera dalla negazione, coincide con l'affermazione dell'assoluta negabilità-negati­ vità del tutto. Il sospetto di inesistenza che solitamente si nutre nei confronti degli 'oggetti' del dire filosofico cade nel mo­ mento in cui la filosofia attinge la dimensione per la quale la realtà si presenta libera rispetto al negativo. Perché allora il discorso filosofico giunge, grazie alla sua tipica riflessività, a includere all 'interno di siffatta dimensione perfettamente positiva il proprio stesso dire, il quale risul­ ta in tal modo a sua volta indenne da ogni possibile ne­ gazione. Il sapere filosofico, in quanto include essenzial­ mente se stesso nel proprio contenuto, viene ad essere la cognizione di quella dimensione per cui il sapere è origi­ nariamente libero rispetto alla possibilità della falsità, cioè del negativo. 42

È dunque proprio il carattere universale e quindi au­ toreferenziale tipico della filosofia che, se da un lato com ­ porta !"inconveniente' per cui il contenuto della filosofia diventa qualcosa di infinitamente aperto e variabile, dal­ l'altro lato consente di risolvere in generale il problema del negativo. Vale la pena di soffermarsi brevemente su questo pun­ to. Finché il sapere viene inteso in maniera tale che il rapporto di accordo o di disaccordo tra due elementi (ed eminentemente tra il linguaggio e la realtà) , cioè il rap­ porto positivo/negativo, resta qualcosa di esterno al con­ tenuto del sapere stesso il dubbio circa la verità della conoscenza (e quindi anche della propria conoscenza) non può venire superato. Ma nel momento in cui il sapere assume come proprio oggetto precisamente la relazione positivo/negativo nella sua universalità (quindi anche rela­ tivamente all'ambito linguaggio-realtà) oggetto della cono­ scenza viene ad essere la negatività universale, quindi anche la possibilità della discordanza in generale tra due ele­ menti. Ora, dato che il contrasto tra due oggetti è possi­ bile solo sulla base di una qualche forma di co"isponden­ za tra i due, la conoscenza che ha per contenuto il nega­ tivo universale e quindi le condizioni della possibilità del disaccordo universale tra linguaggio e realtà si costituisce come l'evocazione dell'ambito definito da una sorta di accordo assoluto, quello che si verifica persino nel caso del massimo disaccordo possibile. Si viene in tal modo a determinare quella forma di conoscenza (il sapere filoso­ fico, appunto) che resta valida anche nell'ipotesi che il tutto del sapere venga sottoposto a negazione. Momento essenziale del sapere filosofico viene così a essere quella dimensione nella quale il discorso si trova in accordo con la realtà persino nel caso in cui si verzfichi disaccordo tra

sapere e mondo. 43

Quello che qui vale la pena di sottolineare è che que­ sta dimensione del puro positivo, che è esempio paradig­ matico delle entità tipicamente 'metafisiche', scaturisce di necessità, dal momento che deriva dalla considerazione della negazione universale, dalla semplice circostanza che la ve­ rità 'normale' , cioè naturale, ordinaria, quotidiana, viene pensata nella prospettiva della universalità. Questo aspetto 'paradossale' e 'metafisico' tipico del discorso filosofico, se presenta qualche svantaggio per l'uo­ mo, dal momen to che assume un volto inconsueto ed al­ quanto estraniante rispetto al senso comune, tuttavia gli offre anche qualche non trascurabile vantaggio. In parti­ colare l'autoreferenzialità implicita nella universalità del suo riferimento fa sì che lo stesso dire filosofico costitu­ isca quell'even to che consente di 'verificare' concretamen ­ te, e quindi di inverare, la ' teoria' che esso stesso afferma essere vera. L'esperienza filosofica si costituisce in tal modo, piut­ tosto che come 'astratta' conoscenza del puro positivo (ov­ vero come sapere di ciò per cui la realtà è libera dal nega­ tivo, secondo quanto abbiamo già indicato), anche e so­ prattutto come consapevolezza del proprio appartenere a questo per/etto positivo. In tal modo quest'ultimo risulta, oltre che pensato, anche sperimentato e vissuto 'in prima persona '. In questo senso la filosofia consiste nell'esperien ­ za della perfetta beatitudine; la beatitudine che deriva dal fatto di sapere che la propria appartenenza al puro, perfet­ to positivo è assoluta verità, cioè partecipa di quella di­ mensione alla quale solamente questo alto nome (verità) compete legittimamente e pienamente. La filosofia si pre­ senta così come il sapere che consente di conoscere l'equi­ valenza in generale tra verità e beatitudine: la gioia è la verità, ma la verità dice che la gioia è vera, e che verace è dunque la prop ria beatitudine. 44

4 . L E PRETESE DEL DISCORSO FILOSOFICO E LA LORO G IUSTIFICAZIONE

4 . 1 . L'unità del tutto e il carattere autoverificante del sapere

filosofico Le considerazioni sin qui svolte ci consentono di get­ tare una qualche luce su altri importanti fattori che solita­ mente determinano l'incomprensione del dire filosofico. Alcuni fondamentali fraintendimenti divengono inevi­ tabili se si tratta il contenuto della filosofia come qualcosa che prescinde dal filosofare stesso. Così, per esempio, è sovente guardata con sospetto e con scetticismo la pretesa filosofica di considerare la realtà come un tutto unitario, e quindi di eleggere come proprio oggetto ciò che unifica tutti gli aspetti della realtà e ne determina il reciproco ac­ cordo. Questa diffidenza, che può apparire legittima se dal campo della trattazione si esclude quella particolare entità rappresentata dallo stesso atto del filosofare che ha come contenuto l'unità del tutto, risulta immediatamente supe­ rata nel momento in cui anche il discorso sulla verità viene a far parte a pieno titolo della realtà di cui la filosofia par­ la. In questo caso, infatti, almeno il discorso filosofico co­ stituisce proprio una espressione - fosse pure, al limite, negativa - dell'elemento unificante di cui si va in cerca. Affermare questo - sia detto qui di passaggio - significa qualcosa di ben diverso dal sostenere che l'unità dell'esse­ re è il risultato (il prodotto) di un'azione umana (il dire filosofico) , si vuole però rilevare che il semplice darsi del discorso filosofico è sufficiente a conferire una qualche forma di verità all'affermazione di quella dimensione della realtà nella quale resta effettivamente posta l'unità del tut­ to della realtà. Anche se - è il caso di precisare - questo aspetto autoverificante del discorso filosofico in tanto ha veramente valore in quanto sia a sua volta collocato all'in45

terno di quella dimensione del puro positivo che peraltro per il suo stesso tramite si manifesta. All'interno di questo orizzonte il discorso filosofico costituisce esso medesimo la realtà che legittima il campo della propria ricerca (anche se affermare questa sorta di identz/icazione dei due, cioè del filosofare e dell 'unità degli enti, significa qualcosa di diver­ so dal negare che essi siano due cose diverse) ; ed anche questo aspetto è tipico della singolarità del fare filosofia nonché della difficoltà di comprenderne il senso.

4 .2. Il ruolo decisivo della filosofia nella vicenda umana

Analogamente, adottare la questione della verità come chiave di lettura delle vicende umane appare immediata­ mente improponibile laddove queste siano considerate come fatti che sussistono a prescindere dalla loro relazione con il linguaggio, e in pa rticolare con il discorso vero, cioè lad­ dove la tensione al valore ideale che è propria della filoso­ fia sia ritenuta estranea agli avvenimenti del mondo. Ma la situazione cambia radicalmente se a far parte della tratta­ zione, come uno dei /atti della storia umana, entra a far parte la verità e quindi la sua pretesa di individuare, in forza del suo assumere come proprio oggetto } " innegabi­ le' , ciò che solo può costituire la guida positiva degli uomi­ ni. Persino il discorso che sostenesse la scarsa o nulla rile­ vanza della verità (e della filosofia) in merito alle vicende umane non potrebbe fare a meno di rivendicare per sé la pretesa di essere, in un qualche senso del termine, vero. Ma nella misura in cui tale posizione fosse vera, proprio essa verrebbe a costituire quel discorso filosofico capace di co­ stituire il principio positivo che sarebbe bene da parte degli uomini assumere come guida. In questo modo il tema della verità è ben lungi dal ridursi a un momento astrattamente logico-gnoseologico, 46

perché viene visto nella sua essenziale relazione con quella assunzione assiologica, cioè relativa al valore, alla quale l'esperienza umana è essenzialmente vincolata. Ma allora la pretesa filosofica di avere a che fare, in quanto tratta del discorso vero, con ciò che è decisivo per l'uomo, risulta immediatamente giustificata. Perché in questo caso ciò che è determinante per il destino dell 'umanità resta effettiva­ mente determinato, fosse pure in maniera negativa (come spesso in effetti accade, secondo quanto si mostrerà anche nel seguito del testo ) , precisamente da quella pretesa, la quale proprio per questo viene in qualche misura ad essere ciò che definisce quel destino, e con ciò, in un certo senso, lo decide.

4 . 3 . Il dire filosofico fra teoria e pratica

A questo punto è opportuno introdurre qualche preci­ sazione in merito a un punto estremamente delicato e im­ portante, quello relativo al rapporto tra la dimensione del valore e quella del sapere, quindi anche tra teoria e pratica, ovvero tra logica ed esistenza. Una delle grandi acquisizioni del pensiero contempo­ raneo consiste nella comprensione del ruolo fondamentale che giocano nella esperienza umana dimensioni (quella esi­ stenziale, quella precategoriale, quella antropologico-cultu­ rale, quella corporea etc.) diverse dalla realtà astrattamente logico-gnoseologica. Così è via via apparso sempre più chiaro che la stessa sfera teoretica risulta fortemente con­ dizionata da questi fattori rispetto ai quali solo apparente­ mente essa è del tutto estranea. La pretesa della teoresi di costituire un ambito sottratto alla variabilità degli eventi e alla relatività delle vicende umane si è definitivamente rive­ lata illusoria. Questo vuoi dire che la dimensione pratica (nel senso più lato del termine) si presenta come un oriz47

zonte intrascendibile, dal quale nemmeno l'ambito teoreti­ co può prescindere, se non in maniera illusoria. Può allora sembrare che un'impostazione la quale, come fa la nostra, ripropone la centralità filosofica del tema della verità sia arretrata rispetto a questa prospettiva, perché pare che essa voglia tornare a sostenere una sorta di astratto primato del momento teorico-conoscitivo. Anche tale que­ stione potrà ricevere una risposta adeguata solo nel seguito del discorso, in particolare in relazione al delicato tema della non -negabilità della verità. Per ora basterà fare due osser­ vazioni fondamentali . La prima è che la constatazione della inscindibilità del momento teorico da quello pratico-esistenziale è ben lungi dal costituire la soluzione dei problemi relativi alla verità. Se così si intende è solo perché si presuppone che la prassi sia qualcosa la cui natura è evidente e definibile a prescindere dal suo rapporto con la teoria. In tale ipo­ tesi non solo si presume di disporre di una qualche verità conclusiva (quella appunto riguardante la natura dell 'agi­ re umano) ma si presuppone pure che tale verità sia ne­ gativa , almeno nel senso che essa risulta escludente nei confronti della dimensione della verità, dalla quale ritiene appunto di poter prescindere. Anche ammettendo, insomma, che sia vero che l'origi­ nario è 'prassi' , e che quindi in qualche senso 'tutto è pras­ si', sarebbe comunque fuori luogo pretendere di avere con questo risolto o liquidato il problema della verità . Il quale, viceversa, proprio qui incomincia; perché anche in questo caso (a prescindere peraltro dalla domanda, tipicamente filosofica, circa il valore della posizione che afferma il ca­ rattere originario della prassi) ci si può - e ci si deve continuare a chiedere: qual è il significato di quella parti­ colare dimensione della prassi che è la pratica della verità? Che cosa accade, e dove si va a finire, quando si pratica la verità ? Se non si vuole cadere in una posizione dogmatica, 48

e tale sarebbe quella di chi presupponesse la validità asso­ luta di un tipo di risposta che fosse pregiudizialmente esclu­ dente nei confronti di alcuni aspetti del fenomeno della ve­ rità, le difficoltà iniziano proprio a questo punto. In rela­ zione a tale questione, insomma, la domanda filosofica può essere espressa in questo modo: " D'accordo, ogni esperienza umana accade nella forma della esistenza 'pratica'; ma qual è, in verità, il significato della prassi ? E, in ogni caso, qual è il significato della pratica della verità? " . La filosofia è appunto quella singolare pratica che con­ siste nel tentare una risposta a questo tipo di domanda. Solo chi presuma di conoscere già la risposta vera, oppure chi escluda pregiudizialmente (ma con quale diritto?) una domanda siffatta può ritenersi autorizzato a ignorare la domanda filosofica. Può farlo, più precisamente, solo chi sa già come stanno le cose in verità, anche qualora la verità fosse appunto - come poi in effetti in qualche senso è - la comprensione che si può anche fare a meno di filosofare. La secon da osservazione, chiaramente connessa alla precedente, consiste nel rilevare che la trasformazione essen­ ziale del significato dell'esperienza che caratterizza la pratica filosofica impone una reinterpretazione radicale non solo di che cosa sia l'agire dell'uomo, cioè la pratica, ma anche di che cosa significhi un termine come " verità " . Questa va ora distinta da qualsiasi fenomeno che risulti pregiudizialmen­ te ingabbiato all'interno di un ambito preliminarmente de­ finito in via conclusiva (per esempio di carattere logico-gno­ seologico, mentale, antropologico, o simili) ; perché una cosa del genere, da capo, postulerebbe dogmaticamente la cono­ scenza della verità relativa a questi ambiti; e avremmo dun­ que a che fare con una verità escludente, quindi negativa. Ciò che è importante capire, insomma, è che la trasforma­ zione determinata dalla filosofia riguarda non solo il signi­ ficato delle varie, singole parole, ma specialmente e ancor più l'interpretazione di che cosa significhi in generale lo stes49

so " significare " . Così, nel nostro caso, la parola verità, con il suo originario riferimento alla relazione positivo/negativo, viene a evocare uno spazio il cui significato risulterebbe frainteso ove si pensasse di definirlo secondo una logica che non fosse quella che esso stesso istituisce, giacché in questo caso esso verrebbe pensato e quindi determinato in manie­ ra escludente rispetto ad altri ambiti; esso costituisce inve­ ce una dimensione che - tanto per riferirei alle tradizionali partizioni della realtà - risulta nello stesso tempo logica, antologica ed esistenziale, quindi etico- assiologica e pratica oltre che gnoseologica.

4 . 4 . Il privilegio del discorso /t'loso/ico

La pretesa di parlare secondo verità delle vicende de­ gli uomini, e di ciò che per loro è bene e male, può appa­ rire insensata solo fin tanto che si esclude dalla propria trattazione proprio l'atto che pone il problema della verità, cioè la filosofia. Così facendo si espelle dalla 'realtà' la re­ lazione tra il discorso e la verità in generale e in particolare la relazione che il proprio stesso discorso instaura con essa, perciò anche la trasformazione che questo determina nella realtà. È proprio la semplice considerazione che pure il discorso che si confronta con il problema della verità ap­ pa rtiene a pieno titolo alla realtà a farci apparire legittima quella pretesa. Questo può indurci a ritenere che il discorso filosofico debba godere di un certo privilegio nei confronti degli al­ tri. Ora, piuttosto che affrettarsi a sostenere con calore o a negare con decisione tale affermazione mi pare opportuno che ci si fermi un momento a riflettere sul fatto che la fi­ losofia, la quale, come abbiamo visto, trasforma profonda­ mente il senso di ogni esperienza umana, modifica pure il significato di una parola come " privilegio " . Se la specifici·

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tà del discorso filosofico (il suo avere come oggetto il puro positivo e il suo essere consapevole del proprio appartene­ re ad esso) viene intesa in maniera siffatta che la sua posi­ tività implica automaticamente una qualche negatività di ciò che da esso differisce, accade che il dire filosofico, lun­ gi dall 'essere testimonianza del puro positivo, si rovescia in quel negativo che è rappresentato dalla negazione di ciò che è diverso dal discorso filosofico in generale e dal pro­ prio discorso in particolare. Questo, però, accade solo fin tanto che ci si muove all 'interno di una concezione negati­ vo-oppositiva del positivo, perché quando da questa si è liberi la peculiare trasformazione che il dire filosofico de­ termina consiste nel rivelarsi del fatto che ogni altra deter­ minazione appartiene al puro positivo. Così, se di privile­ gio del discorso che ha per oggetto la verità si può parlare, va però subito aggiunto che tale privilegio consiste nel costituire l'orizzonte al cui interno ogni altra determinazio­ ne appartiene al puro positivo. Affermare che il discorso filosofico è un discorso di verità significa innanzitutto e principalmente qualcosa di diverso dal sostenere che esso rivendica per sé un merito particolare in relazione al valore della verità; ciò vuoi dire, piuttosto, che esso si fa esplicitamente carico del problema della verità, e per ciò entra in una relazione esplicita con questa. Il dire filosofico è un discorso di verità innanzitut­ to ed essenzialmente nel senso che esso elegge a proprio oggetto il fenomeno della verità, inteso nel senso integrale e completo di cui si è detto, quindi tale da comprendere anche la propria relazione con il vero. È solo in questo sen­ so che risulta necessario che tale discorso, per quanto di­ storta e inadeguata possa essere l'immagine della verità che esso fornisce, sia in qualche misura vero. Uno specchio d'acqua che, increspato dal vento, riflette le cime dei mon­ ti ne fornisce pur sempre un'immagine, per quanto tremo­ lante, capovolta, e quindi al limite anche fuorviante questa 51

possa essere. In senso analogo il discorso filosofico, e quin­ di pure questo discorso, per il semplice fatto che parla della verità, la fa presente e in questo modo è vero. Con l'ag­ giunta - rispetto al paragone del laghetto di montagna che il vero è proprio ciò la cui natura si presenta nella sua compiutezza qualunque sia il grado di distorsione che esso possa subire. Ma l'approfondimento di questi temi costi­ tuisce proprio uno di quegli argomenti centrali del libro il rinvio ai quali si rivela particolarmente necessario; per ora basterà dire che l'intento del presente studio è proprio quello di determinare la verità della filosofia, e quindi an­ che di fissarne rigorosamente (addirittura scientificamente, in una qualche accezione del termine) l'oggetto; nei limiti e nel senso, evidentemente, secondo cui ciò è possibile per questa singolare e paradossale disciplina.

4 . 5 . Modestia in filosofia a) Il rispetlo della verità

Quanto sin qui detto dovrebbe consentirci di compren ­ dere in modo diverso da quello usuale che cosa significhi essere modesti in filosofia. I temi trattati in questo libro sono importanti; già per questo esso può apparire preten ­ zioso; considerarli poi , come qui si fa, dal punto di vista della verità può sembrare imperdonabilmente presuntuo­ so. Ma non essere presuntuosi vuoi dire innanzitutto essere rispettosi della realtà di cui si parla; e questo non accade se si pretende pregiudizialmente di abbassarla a un livello che non le compete, solo perché questo ci è più familiare. La filosofia considera la realtà dal punto di vista della verità, c quindi dell'accordo tra le determinazioni, cioè dell'armo­ nia dell'essere. L'accordo in cui consiste la verità si mani­ festa come corrispondenza della realtà a un modello dato. 52

Ora, all'interno di una considerazione a priori e universale, quale è quella filosofica, da modello può fungere solo ciò che per principio non può essere smentito da alcuna realtà. Condizione della possibilità di ogni verità è dunque il darsi di un modello immune da negatività; anche per questo esso può venire chiamato ideale, nel senso però che è qualcosa di compiuto, perfetto. Solo a un 'entità simile, infatti, può essere conferito a priori un valore universale, cioè vincolan­ te per tutti. Essere realmente modesti, in filosofia, significa perciò avere riguardo per questo aspetto 'divino' della realtà, con­ siderarla quindi dal punto di vista per il quale essa appare nella perfetta bellezza della sua armonia. Essere veramente modesti significa dunque accettare il compito di parlare secondo verità di ciò che vale universalmente per gli uomi­ ni, ovvero di ciò che di straordinario li accomuna nella prodigiosa esperienza della vita, e che è tale proprio in quanto è libero dal negativo. Sarei lieto se il mio libro contribuisse a favorire una riflessione sul significato profondo del rifiuto della verità che oggi caratterizza l'esperienza umana, e sulla immane presunzione di verità che è a questo atteggiamento sottesa. Tal e presa di posizione, infatti, nasce dal giusto desiderio di liberare l'uomo dalle false pretese di chi si arroga il di­ ritto di imporsi agli altri in nome della verità. Ma credere di liberarsi dai soprusi compiuti in nome della verità rinne­ gando qualsiasi discorso che si proponga come espressione della verità significa non rendersi conto che in tal modo si fa propria la pretesa di conoscere che cosa la verità sia, dal momento che ci si ritiene in grado di decidere se essa pos­ sa darsi o no. Così facendo si erige l'uomo - o meglio: una particolare, e limitata, concezione dell'uomo - a padrone e giudice del fenomeno della verità. Siffatta pretesa di libe­ rarci dal giogo della presunzione della verità finisce per renderei schiavi del volto negativo di essa. Giacché il rifiu53

to, cioè la negazione, della verità è in realtà l'imposizione deJla verità negativa, cioè della verità che ha la forma della negazione: la verità distruttiva. Essere veramente capaci di avere un atteggiamento mo­ desto significa riconoscere il fatto della verità, e il suo acca­ dere, anche nella misura in cui non ne tocchi a noi la gloria.

b) Presunzione, verità e superstizione

La falsa modestia che, in filosofia, si esprime nel rifiu­ to della verità è strettamente legata a un atteggiamento superstizioso. Questo scritto ha, come uno dei suoi intenti principali, quello di dare un contributo al tentativo degli uomini di liberarsi da una superstizione fondamentale; anzi, più precisamente, dalla superstizione. Ma proprio per ciò esso, dal momento che consiste in una vasta articolazione di argomentazioni razionali, può apparire immediatamente qualcosa di assurdo. Superstizioso, infatti, è quell 'atteggia­ mento che consiste nel tener ferme determinate assunzioni a dispetto di ogni evidenza e di qualsiasi ragionamento; sembra dunque insensato affrontarlo e sperare di venirne a capo per mezzo di una complessa struttura argomentativa. Tuttavia la questione non può essere liquidata in maniera così sbrigativa; se non altro perché abbiamo qui a che fare con la definizione stessa della superstizione. Ciò vuoi dire che il pregiudizio in questione scaturisce in qualche misura dal modo stesso di interpretare l'esser superstiziosi e quin ­ di, più in generale, il rapporto tra il discorso e la supersti­ zione. È per questo che anche definire in un modo diverso tale fenomeno può forse contribuire a farlo svanire. La difesa nei confronti della superstizione e del fana­ tismo che quasi sempre ne è una conseguenza assume oggi sostanzialmente la forma del rz/iuto di qualsiasi parola che intenda presentarsi come dotata di un valore assoluto. Il 54

motivo per cui si ritiene che questo atteggiamento ci metta al riparo dal rischio della superstizione è che esso, conside­ rando negabi/e ogni posizione, ci consente di non restare vincolati ad alcuna assunzione e quindi, in linea di princi­ pio, di correggere qualsiasi eventuale errore. In particola­ re, se non ci leghiamo in maniera assoluta ad alcuna pro­ spettiva, noi non siamo spinti a difendere fanaticamente il nostro punto di vista a qualunque costo, e siamo dunque disposti ad abbandonarlo quando ci accorgiamo che esso si trasforma in un atteggiamento violento. Ma proprio questa convinzione costituisce la forma di superstizione più rischiosa del nostro tempo. Perché, se superstizioso è l'atteggiamento di chi attribuisce un valore incondizionato a qualcosa che invece non ha tale proprietà perché può in determinate circostanze rivelarsi dannoso, allora la prospettiva che abbiamo chiamato 'negativa' rap­ presenta proprio l'orizzonte stesso della superstizione, ap­ punto per il motivo che essa prende per positivo precisa­ mente quel negativo che consiste nella negazione del nega­ tivo. Definire il positivo come ciò che si oppone al negativo significa intenderlo come qualcosa che nega ed è negato, dunque come qualcosa di negativo. Ciò equivale dunque a identificare il positivo con il negativo, e questa identifica­ zione del valore assoluto con qualcosa di negativo costitui­ sce appunto la definizione stessa della superstizione. La liberazione dalla superstizione, e cioè dall'illusione del negativo, può darsi solo all'interno della prospettiva per la quale il positivo si distingue chiaramente da ogni forma di negativo, compresa quella che consiste nel suo stesso opporsi, negandolo, al negativo. Una prospettiva di questo genere risulta impossibile solo all'interno dell'ottica per la quale ogni determinazione si costituisce come negazione di qualcosa; perché allora anche qualsiasi posizione che pre­ tenda di essere assoluta, dovendo essere, inevitabilmente, una determinata posizione, finisce per essere negativa. 55

5 . STRUITURA E SIGNIFICATO DEL PRESENTE LAVORO 5 . l . Articolazione del libro

La concezione che definisce il positivo come negazio­ ne del negativo è con traddittoria, perché identifica il positivo con il negativo; e tuttavia - come abbiamo sopra accennato - essa appare innegabile, se non altro nel senso che chi la volesse negare sarebbe costretto a porre come negazione (del negativo) almeno quel positivo in cui con ­ siste la propria affermazione. La prospettiva •negativa' appare dunque tanto contraddittoria quanto innegabile.

a) Parte prima: la teoria del puro positivo

Pertanto la prima parte del libro consiste, sostanzial­ mente, nel mel/ere in discussione questa apparentemente 'innegabile' e perciò indiscutibile definizione 'negativa' del positivo. È proprio la comprensione del senso secondo cui è possibile liberarsi dall'equazione tra l'assoluto positivo c l'innegabile che conduce al cospetto di quel senso del po­ sitivo per il quale questo si presenta come ciò che è asso­ lutamente indenne da negazione, persino da quella nega­ zione in cui consiste la negazione del negativo. Il positivo si presenta allora, in verità, come il tutt'altro della negazio­ ne del negativo: ciò che è libero dal negativo in generale, e cioè dal nulla. Ma definire in tal modo il positivo è cosa ben diversa dal negare l'opposizione tra il positivo e il nega­ tivo e quindi dall'escludere il fatto che l'uno neghi l'altro; anzi, tale definizione presuppone la consapevolezza del senso secondo cui il negativo, pur essendo ciò rispetto a cui il positivo è assolutamente libero, risulta innegabile. Originariamente dunque la logica della filosofia (capi­ tolo l) si costituisce come posizione dell'innegabile nella 56

sua veste essenzialmente negativa (il principio di non con ­ traddizione) ; quindi, a rigore, si configura come nichilismo puro, assoluto. Ma tale aspetto non rappresenta la defini­ zione esaustiva, cioè verace, della logica filosofica; di que­ sta, infatti, esso rappresenta solo quel tratto particolare per il quale la determinazione assoluta del positivo (la quale costituisce, essa sì , la definizione propria della logica filo­ sofica) si realizza come determinazione della verità del ne­ gativo, la quale consiste appunto nella libertà rispetto al positivo oppositivo O'op-positivo). La determinazione del positivo assoluto (il puro, per­ fetto positivo) - la quale rappresenta il nodo centrale del pensiero filosofico - costituisce dunque la verità della figu­ ra dell'innegabile. Solo questa può fungere da determina­ zione a priori del positivo, e quindi può valere come deter­

minazione del positivo universale. A questo proposito è opportuno osservare che la figu­

ra dell 'universale viene a presentarsi come qualcosa di es­ senziale per la filosofia in quanto si configura come il modo in cui il positivo viene garantito anche in presenza del ne­ gativo (il conflitto tra le differenti determinazioni) . L'uni­ versalità, che è tipica del dire filosofico, rivela cioè il suo scaturire dalla necessità del positivo di liberarsi dal negati­ vo. Da un lato, dunque, la posizione del positivo assoluto implica quella dell'universale, perché presuppone necessa­ riamente la relazione al negativo (per quanto si tratti di una relazione di libertà rispetto ad esso). Dall'altro lato, però, il positivo assoluto va distinto dall'universale, in quan­ to appunto questo è il positivo in relazione al negativo, e va pensato piuttosto come perfetto positivo: ciò per cui la realtà in quanto tale si differenzia dal negativo. È questo tipo di impostazione che consente di venire a capo di una delle difficoltà capitali della filosofia, pre­ cisamente quella che riguarda appunto la possibilità di pensare un positivo universale. Il nodo consiste in questo, 57

che quando si pone il positivo universale succede, dato il nesso necessario tra il positivo e il negativo, che si è co­ stretti ad assumere l'opposizione tra i due come il princi­ pio assoluto, e quindi a fare del negativo (l'opposizione) l'orizzonte dell 'essere e del pensare. Questo esito, appun­ to, risulta inevitabile nella misura in cui , definendo il positivo come negazione del negativo, si intenda come in­ trascen dibilmente negativa la relazione tra i due poli; e ciò a sua volta accade necessariamente ove si assuma come ineludibile il principio per cui la determinazione è di per sé negazione. La liberazione dall'orizzonte del negativo risulta dunque possibile, come si diceva, nella misura in cui si comprenda come il nesso che lega di necessità il positivo al negativo sia un nesso di libertà: il positivo è sì definito dalla sua relazione al negativo, ma come ciò che rispetto a queseultimo è essenzialmente libero. La figura del perfetto positivo esprime precisamente ciò per cui il positivo si presenta come puro positivo: positivo libero rispetto al negativo. Il problema tipicamente filosofico della determinazione del positivo universale può dunque essere risolto solo a partire dalla consapevolezza di quella dimensione per la quale la determinazione può essere assolutamente positiva in quanto perfettamente libera rispetto al negativo. Centra­ le per il pensiero si rivela pertanto la questione della rela­ zione tra determinazione e negazione, ovvero della distin­ zione tra la diversità e il negativo. Così, la vicenda della filosofia occidentale ruota attor­ no al problema cruciale della relazione-identificazione tra determinazione e negazione. Tale vicenda passa dalla con ­ trapposizione parmenidea tra l'essere e il non essere, che annulla le determinazioni, al parricidio platonico che, per salvarle, si vede costretto a identificarle con la negazione (cap. Il), giungendo poi in epoca moderno-contemporanea (con Kant, Hegel , Nietzsche, Heidegger, Wittgenstein etc.) 58

al proprio compimento (cap. III ) , compimento che è nel contempo il principio dell'autodissoluzione che conduce tale logica filosofica a confrontarsi con il relativismo assoluto (cap. IV). Esposto al rischio del nichilismo estremo, e quindi condotto innanzi al puro nulla, il pensiero filosofico si autorivela allora come prospettiva alternativa alla logica ni­ chilistica . Ma tale esso può risultare solo nella misura in cui riesce a distinguersi chiaramente pure dalla posizione che rin-nega il nichilismo, del quale deve anzi mostrare il significato positivo. In tal modo la filosofia si rivela come ciò che porta a compimento la logica negativa in maniera tale che questa giunge a mettere in discussione se stessa e a liberarsi così dal giogo del principio di determinazione­ negazione e dalla definizione oppositiva del positivo, cioè da quello che abbiamo chiamato l'orizzonte del negativo (cap. V).

b) Parte seconda: la pratica del libero accordo universale

Ma, come si sa, la superstizione ha una valenza che va ben al di là di quella meramente logica o astratta. Anzi essa, in quanto esprime la determinazione, sia pure negati­ va, del positivo, rappresenta il motore profondo delle vi­ cende della civiltà occidentale e, oggi , dell'umanità, tutta tesa a conferire determinatezza al positivo (cioè a realizza­ re benessere, felicità, progresso, etc. ) . Questo aspetto 'con­ creto' del manifestarsi della verità costituisce appunto l'ar­ gomento della seconda parte del libro. Così tutta la vita dell'uomo, e le sue istituzioni - che pure scatu riscono dalla verità, cioè dalla determinazione del positivo universale ( anzi, proprio perché da essa procedo­ no) - si trovano essenzialmente in bilico sul crinale della superstizione e quindi della follia della guerra. Tali istitu­ zioni, infatti, sono figure della negazione del negativo; di 59

modo che la loro logica, laddove sia identificata con l' oriz­ zonte del positivo e non sia vista come un modo particola­ re e superabile di determinarsi da parte del positivo, si rovescia nel massimo della negatività; cioè, concretamente, nella estensione illimitata della violenza e del conflitto tra gli umani. Questo si rivela essere il problema cruciale che, nel momento in cui la civiltà occidentale appare destinata ad imporsi a livello planetario, investe le categorie che la defi­ niscono: atteggiamento critico e antidogmatico, democra­ zia, libero mercato, metodo scientifico, apparato tecnologi­ co (cap. 1). Queste categorie si trasformano in manifesta­ zioni della superstizione essenziale nel momento in cui si presuppone che per realizzare il bene dell'umanità consi­ stente nell 'accordo degli uomini (cioè per determinare il positivo universale) non sia necessario creare determinata­ mente e in positivo un libero e pieno accordo universale, ma sia invece sufficiente opporsi alla violenza, ovvero ne­ gare il negativo (cap . I l ) . Nella misura in cui porta a compimento il progetto originario, implicito nella scienza, di unificare gli uomini nel segno della verità, cioè della pace libera da costrizioni, la filosofia si realizza come scienza rigorosa nel momento in cui acquista consapevolezza di essere, in verità, 'sapere' del libero accordo universale (cap. III ) .

5 . 2 . Logica philosophica: la legittimità e il senso di una trat­

tazione razionale delle questioni ultime Il significato peculiare del libro e quindi anche - alme­ no dal mio punto di vista - il suo valore (se non altro per la fatica che ciò è costato, difficilmente comprensibile da pa rte di chi non si sia impegnato personalmente in un'im­ presa del genere) consiste nel fatto che la trattazione si 60

sviluppa in modo tale che le varie tematiche (pratico-poli­ tiche, etiche, religiose, antologiche, logiche e in genere te­ eretiche) ruotano tutte attorno a un nucleo concettuale unico: il principio della determinazione universale del po­ sitivo inteso come il puro positivo. Dunque esse si presen­ tano tutte come espressioni determinate di tale principio, c l'interpretazione della realtà e delle vicende umane che ne risulta è rigorosamente unitaria e sistematica. Proprio un simile modo di trattare argomenti di que­ sto tipo può tornare a far nascere in molti forti perplessi­ tà: è incredibile - dirà per esempio qualcuno - che anco­ ra oggi non si distingua nettamente, per esempio, tra politica e morale, tra logica e ontologia, o tra storia e filosofia, e così via. Capisco bene perché un'impostazione del genere pos­ sa venire considerata assurda. Essa, infatti, si differenzia nettamente da quelli che costituiscono i postulati di fondo del nostro attuale sistema di riferimento concettuale; per questo può essere letta come una negazione radicale della nostra cultura e dell'intera civiltà occidentale. Però è possi­ bile interpretarla anche in un altro modo. Ritorna qui da un punto di vista alquanto diverso, e merita dunque di essere ripresa brevemente, la questione già sopra toccata quando si è parlato del carattere unitario che caratterizza la lettura filosofica della realtà. La filosofia costituisce proprio il luogo in cui quegli ambiti che normalmente vengono tenuti separati si presen­ tano nella loro essenziale connessione e quindi unità. Ora, all'interno di un'ottica negativa trattare unitariamente le diverse sfere che articolano l'agire umano (politica, religio­ ne, etc. ) è follia, perché significa congiungere ( unificare) elementi che si escludono reciprocamente, e quindi scate­ nare una contraddizione (e quindi un conflitto) universale. Ma d'altro canto fare di tale logica della separazione l'oriz­ zonte dell'esistenza umana e della sua valenza positiva si61

gnifica porre come irrimediabile il negativo (cioè il conflit­ to e la violenza) e quindi intensificarlo al massimo. A questo proposito è sufficiente qui osservare che ciò da cui trae la propria incontestabile legittimità la condanna nei confronti del modo filosofico di trattare i problemi della vita, della società e della storia è quell'assunzione 'negati­ va' che costituisce precisamente il pre!iupposto centrale che il presente scritto intende proporre alla discussione. La condanna del modo in cui nel presente libro si affrontano i problemi di quel tipo ha come proprio fondamento pre­ cisamente ciò su cui questo libro invita a riflettere; essa insomma postula come verità evidente ciò che per noi qui costituisce problema. Chi non vuole assumere in maniera pregiudiziale, e quindi sostanzialmente superstiziosa, il va­ lore incondizionato delle scissioni che definiscono la nostra civiltà non può sottrarsi a una discussione in merito. Que­ sto libro vuole appunto costituire un contributo all'apertu­ ra di questo tipo di discussione. Nel Tractatus logico-philosophicus Wittgenstein mostra/ dimostra che degli argomenti che più stanno a cuore al­ l'uomo, quelli che riguardano il valore assoluto, non si può parlare 'logicamente' . Questo tipo di conclusione co­ stituisce, a prescindere dalle singole, specifiche valutazio­ ni del pensiero wittgensteiniano, quasi lo sfondo, o la premessa , del pensiero filosofico attuale. Il titolo del pri­ mo, importante capitolo, cioè " Logica philosophica" 6 , sta appunto a significare che qui si intende parlare logicamen­ te (conformemente alla logica del vero e del falso) pro­ prio di quelle realtà delle quali, secondo quanto si è det­ to, è impossibile parlare razionalmente, owero secondo logica. Si capisce dunque - dato che qui la nostra inten1' Dove l'utilizzo del termine "Logica " , quasi non auestato in l1uino nella forma del sostanrivo, è dovuto proprio all'intenzione di esplicitare il rapporto di identità /differenza con la formula wiugensteiniana.

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zione è ben diversa da qualla di chi intende confutare una qualsivoglia posizione, compresa dunque pure quella che, nel senso indicato, possiamo definire 'wittgensteiniana' come il discorso svolto sia destinato a muoversi sempre sul limite della contraddizione, ed elegga questa a proprio oggetto primario. Ma il problema della contraddizione fa qui tutt'uno con quello dell'innegabile, e quindi, attraverso questo, su­ scita la questione del puro positivo: il bene in sé, quel perfetto compiuto che, essendo libero da ogni negativo, attrae le nostre esistenze. Questo libro intende appunto parlare secondo verità delle questioni fondamentali relative al senso della vita. In quanto è filosofico, il presente discorso, conforme­ mente a quanto sopra si diceva, enuncia la soluzione dei problemi filoso/ici. Esso, cioè, si assume consapevolmente la responsabilità connessa al tentativo di portare nel lin­ guaggio, determinandolo, il perfetto positivo di cui si è detto; diversamente da quanto accade laddove ci si adagia su quella parziale verità che consiste nell'affermare l'indici­ bilità del perfetto positivo e l'insolubilità dei problemi filo­ sofici. Questa posizione, infatti, è certamente vera; ma è, per così dire, solamente l'inizio della verità filosofica, il cui percorso proprio là incomincia, dove normalmente l 'atteg­ giamento non filosofico ritiene concluso il cammino. Chi avverta come presuntuosa la pretesa di dare una soluzione ai problemi filosofici è invitato, piuttosto che a rinnegare questa sua opinione, a fare un passo ulteriore, cioè a interrogarsi circa il significato e la validità di quella concezione della verità e della filosofia che fanno apparire, e dunque in qualche misura anche essere, senz' altro vera la sua presa di posizione. All'interno di tale concezione, in effetti, risulta realmente assurdo il tentativo di dire la veri­ tà. Ciò, però, accade appunto perché quella determinata concezione della verità, che è appunto una particolare in 63

terpretazione della verità e precisamente quella negativo­ oppositiva, viene assunta come orizzonte del dire e del pensare. In quanto tale, questa posizione viene a essere partecipe di quella verità assoluta che intendeva rifiutare; e proprio a partire da questa contraddizione si apre il di­ scorso propriamente filosofico. Se ben si riflette, l'impossibilità di dare una soluzione razionale (conforme a verità, quindi in qualche modo an ­ che logica) alle questioni reali, l'impossibilità cioè di forni­ re una risposta ai problemi della filosofia, è qualcosa che risulta immediatamente vero solo laddove si supponga la scissione tra la dimensione etico-pratica e quella logico­ veritativa. Ma proprio tale scissione, che, unitamente alla separazione tra i vari ambiti 'disciplinari ' di cui abbiamo già detto, caratterizza in maniera essenziale la nostra civil ­ tà, costituisce il punto che si intende qui assumere come oggetto di pensiero e di discussione. Vale la pena di osservare come anche in questa circo­ stanza il nodo centrale sia costituito dalla interpretazione della nozione di determinazione, e quindi dalla validità del presupposto per il quale dire che due determinazioni si differenziano equivale ad affermare che esse si negano escludendosi reciprocamente. La questione cruciale, infat­ ti, concerne qui la possibilità di instaurare tra i vari set­ tori di cui abbiamo detto (etico, logico, politico etc.) un rapporto tale che il riconoscimento della loro essenziale diversità significhi qualcosa di diverso dal porre automa­ ticamente la necessità di una reciproca opposizione, cioè una mutua incompatibilità ed esclusione. Al di fuori di questo presupposto 'negativo', che alla luce di quanto abbiamo visto possiamo ora chiamare anche illusione o superstizione, l'ambito logico- razionale della verità può ben distinguersi da quello etico-pratico-esistenziale senza per questo risultare incompatibile con esso e quindi ad esso estraneo. 64

Certo, trattare unitariamente, cioè in base a un prin ­ cipio fondamentale, ambiti così diversi (logica e ontologi­ ca, politica e religione, etc . } presenta problemi e difficoltà notevoli. La filosofia è, da questo punto di vista, la con ­ fusione totale, perché essa vede lo stare insieme (l'esser uno) di ogni determinazione rispetto a tutte le altre. Ma solo da questa assoluta con-fusione può scaturire la chia­ rezza che consente di distinguere con nettezza i tratti della realtà, e di comprendere chiaramente ciò che accade. Proprio come succede con quei disegni (gli stereogrammi) che, osservati in un certo modo, fanno improvvisamente apparire meravigliose e inaspettate immagini tridimensio­ nali, cosa che però accade solo dopo che si sia riusciti (per esempio avvicinando esageratamente l'ill u strazione agli occhi) a confondere la visione al punto tale da far scom­ parire tutto ciò che prima si vedeva. Ed è proprio quando non si vede più nulla, cioè quando tutte le singole deter­ minazioni sono svanite, che appare, come per incanto, un oggetto assolutamente irriducibile a quelli che si scorgeva­ no prima. Questo, tuttavia, proprio di quelli risulta com­ posto; così che nello stesso tempo si tornano a vedere chiaramente, ma come trasfigurati, anche gli elementi che apparivano all'inizio e che sembravano essere tutto ciò che si poteva vedere. In maniera analoga, la filosofia giun­ ge a mettere in questione tutte le fissazioni che costitui­ scono le definizioni e i significati astrattamente, cioè in­ giustificatamente, presupposti; essa arriva quindi a far svanire tutte le determinazioni, che sembrano come in­ ghiottite dal nulla . Proprio questa con-fusione, che in un primo tempo pare condurre all a cecità assoluta, ovvero alla più completa follia, può determinare l'apparizione di ciò che conferisce significato positivo a tutte quelle deter­ minazioni, le quali rz"compaiono ora all'interno di un con­ testo di senso essenzialmente trasfigurato. 65

5 .3 . Le ragioni della ,inaccettabilità ' del discorso filosofico

in generale e di questo in particolare Nessun chiarimento preliminare è sufficiente a evitare i fraintendimenti legati alla comunicazione filosofica. È dunque possibile che anche la presente lettura filosofica della realtà venga rifiutata in via pregiudiziale. Anzi , ciò è estremamente probabile. Perché solo all 'interno dell'oriz­ zonte di pensiero radicalmente positivo di cui qui si sta parlando è possibile che una novità filosofica venga accolta come qualcosa di diverso da un atto in qualche misura ne­ gativo e quindi prepotente. Una novità filosofica, infatti, comporta una modificazione complessiva del sistema di ri· ferimento ultimo, sicché essa può venire accolta in maniera positiva solo da parte di chi considera la variazione come qualcosa di diverso dalla negazione, quindi solo da chi in qualche modo condivide la concezione filosofica qui propo ­ sta. Ma il darsi di tale orizzonte, e cioè di un atteggiamento puramente positivo, è qualcosa di estremamente raro e dif­ ficile da conseguire e da mantenere anche per colui (a co­ minciare da chi scrive queste parole) che ne avesse una con· sapevolezza concettuale. Cosl, nonostante le precauzioni e i chiarimenti sin qui portati , molto probabilmente la lettu· ra filosofica della realtà che viene proposta verrà intesa come una qualche forma di negazione. Per esempio sarà vista come rinnegamento delle altre posizioni filosofiche, oppure degli altri tipi di interpretazione della realtà (di carattere econo­ mico, politico, religioso, artistico etc . ) , o più in generale come una sorta di rifiuto della cultura vigente, e come tale verrà immediatamente rz/iutata. Del resto, se ciò di cui qui si parla viene inteso come qualcosa che può essere rifiutato - ovvero rispetto al quale è possibile assumere un atteggia­ mento negativo - allora è inevitabile che esso lo sia. Se il presente discorso viene rifiutato esso non può, in coerenza con la verità che esso stesso enuncia, opporre 66

alcuna resistenza nei confronti di tale rifiuto. Perché ciò vorrà dire che esso appare come un discorso oppositivo ri­ spetto a qualche posizione, e in questo senso sopprime da sé la propria pretesa di costituire qualcosa di immune dal negativo, cosi che il suo rigetto accade secondo verità. Nella misura in cui il presente discorso diventa il polo di un conflitto, infatti, le sue affermazioni vengono a dire il con­ trario di quello che pure intendono affermare. Non a caso, del resto, gran parte del testo consiste proprio nel tentati­ vo di illustrare in che senso persino nel rifiuto della verità si manifesti un aspetto della esperienza della verità. È probabile che così in effetti accada; è anzi necessario che queste parole vengano sostanzialmente rifiutate, nella misura in cui esse nascono e cadono in un contesto che, come dicevo, appare largamente segnato dall ' opposizione; e quanto questo sia probabile lo si capisce se ci si rende conto del fatto che anche lo scrivere libri di filosofia ap­ partiene a siffatto contesto. A conferma di quanto sia difficile sfuggire ali' oriz­ zonte negativo si faccia attenzione a un aspetto particola­ re che caratterizza una pubblicazione di questo tipo. Essa è il risultato di un impegnativo lavoro costato anni e anni di lavoro e di fatiche. La fatica, però, non è solo di chi lo ha concepito ed elaborato, perché anche chi desideri com­ prenderlo non può riuscire in questo intento senza impe­ gnarsi a seguire gli stessi impervi percorsi teorici che sono qui tracciati, cosa che richiede una disponibilità mentale totale e una concentrazione assoluta. Così questo libro si configura come un gioco concettuale estremamente inten­ so, articolato e complesso. Ma il punto delicato è che, date queste sue caratteristiche, esso - al di là delle inten­ zioni di chi lo ha composto - risulta immediatamente escludente nei confronti di una grande quantità di perso­ ne, cioè di tutti coloro che, per un motivo o per l'altro, non si trovino nelle condizioni di seguire un così arduo e 67

particolare tragitto teorico. In tal modo tale scritto si vie­ ne a trovare in una situazione ancora una volta estrema­ mente paradossale. Da un lato esso definisce la verità come lo spazio di ciò che vale universalmente (per tutti) in for­ za del libero riconoscimento di ognuno; la verità viene insomma presentata come il luogo in cui tutti si trovano, indipendentemente dalla loro intelligenza, capacità, o si­ tuazione personale. Dall'altro lato, però, questo determi­ nato annuncio assume la forma di un discorso incompren­ sibile ai più, dunque di /atto tutt'altro che universale. L' af­ fermazione della verità è la proclamazione del luogo uni­ versalmente ospitale, ma tale annuncio si costituisce come l'edificazione di una roccaforte inaccessibile alla maggior parte delle persone ! T al e paradosso è in qualche misura essenziale a quella esperienza cui diamo il nome di filosofia, e credo che molti tratti che caratterizzano il pensiero contemporaneo, a par­ tire per esempio dalla proposta di carattere decostruttivi­ sta, scatu riscano precisamente dalla percezione di tale dif­ ficoltà. Difficoltà che tuttavia non può esimere il filosofo dal dovere di indicare con chiarezza la forma che la verità assume anche in relazione a quel complesso e sofisticato apparato concettuale costituito dal discorso filosofico. Che il carattere 'straordinario' (extra- ordinario) dell'esperienza filosofica comporti quasi au tomaticamente una qualche forma di rifiuto da parte della mentalità ordinaria costitu­ isce un suo specifico problema, e in un certo senso una peculiare contraddizione del dire filosofico; il quale dun­ que deve prendere atto di tale eventuale (ma estremamente probabile) contrasto e inventare una mossa capace di risol­ vere tale conflitto (mossa della quale già questa semplice avvertenza fa in qualche misura parte). È dunque verosimile che anche questo discorso si co­ stituisca come polo di una contesa, e come tale perda la propria legi ttimità. Ma è ciò davvero inevitabile? Ora, in 68

ogni situazione, quindi anche nella presente, esiste la pos­ sibilità che qualcuno si riconosca in ciò che altri dice in positivo circa la verità e il bene. Addirittura in linea di principio è possibile che chiunque senta come proprio quello che viene affermato circa ciò che in verità è buono; anche perché probabilmente di ogni libro di filosofia si può dire - con il Nietzsche dello Zarathustra - che esso è scritto " per tutti e per nessuno". È dunque possibile che qualcu­ no riconosca, in ciò che qui viene detto, quello che an­ eh' egli sa in verità. Del resto un libro di filosofia - e pure questo è probabilmente un suo carattere distintivo - lo può comprendere solo chi in qualche modo ne abbia già pensa­ to in proprio i pensieri in esso espressi, come ha giusta­ mente osservato Wittgenstein nella " Prefazione" al suo

Tractatus logico-philosophicus. 6. C ONFESSIONI DI UN FILOSOFO 6. 1 . Il destino della parola filosofica

Se questo accadesse, cioè se le mie parole trovassero accoglienza da parte di qualcuno, ne sarei felice; e colui al quale capitasse di riconoscersi in quello che ho cercato di comunicare non faticherebbe a comprendere il perché di tale soddisfazione. Del resto ho fatto tutto quello che era nelle mie capacità per far sì che i non semplici contenuti qui esposti potessero essere accolti da tutti. Perché sono convinto che solo il riconoscimento della verità qui evoca­ ta possa condurre l'umanità verso una esperienza positiva di pace, di soddisfazione e di piena autorealizzazione. Se questa convinzione della importanza della verità qui testi­ moniata viene associata alla persuasione, sopra manifesta­ ta, della essenziale originalità del presente discorso sembra allora di dover concludere che la pubblicazione di questo 69

scritto ha la pretesa di costituire un gesto decisivo per le sorti dell'umanità. Ebbene, questa altissima pretesa (e non a caso torna qui il tema della presunzione filosofica ! ) è tipica della filo­ sofia, ed è in qualche modo ad essa connaturata. In un certo senso è vero che l'elaborazione di una filosofia 'nuova' si accompagna inevitabilmente alla convinzione che il suo affermarsi sia destinato a rappresentare un evento decisivo per l'esistenza, nel senso che quanto più chiaramente e rapidamente gli uomini si ispirano ai suoi veritieri princìpi tanto minore è lo scotto in termini di sofferenza e di vio­ lenza che essi sono destinati a pagare. Tuttavia è qui il caso di ricordare come sia solo all'in­ terno dell'ottica che abbiamo chiamato negativo-oppositi­ va che il mancato ascolto del discorso filosofico, quindi nel nostro caso di questo discorso, costituisce qualcosa di 'ne­ gativo'. Solo in una prospettiva negativa, infatti, rivendica­ re al proprio discorso l'intenzione e in qualche misura la capacità di realizzare l'accordo universale significa automa­ ticamente negare tale capacità alle posizioni altrui. Perché è solamente se si presuppone che queste, essendo diverse da quella qui espressa, necessariamente la negano, che si può vivere come negativo il fatto che la propria inaudita parola filosofica si levi nel mondo come una voce inascol­ tata. In tale prospettiva negativa, in effetti, il dire filosofico al quale non venga prestata attenzione viene necessariamente ad assumere il tono arrogante della riprovazione e della con­ danna, rendendosi inaccettabile, e quindi veramente falso, agli occhi degli umani che vivono comunque nella esigenza della verità, e nella sua luce. Diversa, invece, è la situazione quando ci si collochi in un 'ottica differente da quella oppositiva. Perché allora l'af­ fermazione con la quale il discorso filosofico dichiara di essere ciò che determina il positivo (e l'espressione " deter­ minare" va qui presa in tutti i sensi del termine, come vie70

ne specificato più oltre nel testo) non solo significa qualco­ sa di ben diverso dalla condanna degli altri discorsi e delle esperienze altrui (ché, anzi, ne pone l'incondizionata posi­ tività) , ma addirittura si distingue dalla stessa rivendicazio­ ne di un merito o di un privilegio qualsiasi nella misura in cui questo implica una qualsiasi forma di sentenza sfavore­ vole nei confronti, non dico degli altri discorsi, ma anche solo delle altre forme di esistenza. In questa luce la 'pre­ sunzione filosofica' si presenta invece come il profondo ri­ conoscimento di tutte le altre posizioni, come anche di tutte le 'umili' cose che accompagnano gli uomini nelle loro esi ­ stenza: il pane, l a rosa, i l respiro del vento. Determinare il positivo universale significa dire ciò per cui nulla può intaccare la positività delle singole determi­ nazioni, ciò per cui tutto appartiene alla compiuta perfe­ zione. È vero, dunque, che il discorso filosofico ha l'imma­ ne pretesa di essere ciò grazie a cui si realizza l'armonia universale. Ma questa accade, invece che in forza del discor­ so filosofico e come una conseguenza successiva al suo co­ stituirsi, grazie al semplice fatto che esso dice e quindi in esso realmente si mostra - il darsi attuale del positivo com­ piuto, ovvero di quell'aspetto per cui ogni realtà, persino quella cui viene dato il nome di negativo, mostra la propria appartenenza all'accordo universale. Il dire filosofico deter­ mina l' armonia univers ale, ma in tanto può fare ciò in quanto la mostra come ciò che si realizza grazie a ogni altra cosa. Nella verità, ogni cosa appartiene al positivo perfetto anche per quegli aspetti che la differenziano dalla verità, cioè che la rendono autonoma rispetto a questa. Il destino positivo di queste parole, e cioè il loro con­ tribuire all'armonia universale, è dunque segnato dal loro stesso costituirsi, nel senso che esse, in quanto effettiva­ mente si determinano come espressione del puro positivo, conservano tale carattere anche in relazione al negativo in generale, e quindi persino a quel negativo che scaturisse -

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dallo stesso realizzarsi del discorso filosofico, ivi compresa la sua incapacità di farsi ascoltare secondo verità. Proprio sulla base di tale consapevolezza questo libro è stato pen­ sato e scritto come se da ogni sua parola e sfumatura di pensiero dovesse dipendere il destino di ogni uomo e del­ l'intera esistenza cosmica; come se alle sue parole toccasse di liberare gli uomini, ogni uomo, dal dolore e di offrire loro la piena soddisfazione. E in qualche m isura è effetti­ vamente così; nel senso che fa parte essenziale della verità la consapevolezza di essere espressione di ciò per cui si realizza il destino dell'intero universo. Ma naturalmente così è in quel senso particolare che l 'esser vero assume all'inter­ no di quella esperienza filosofica positiva di c:ui questo li­ bro parla .

6.2. Sogni e verità: la filosofia come verità del sogno

Quando, quasi sempre in giovane età, si inizia il cam ­ mino che conduce, attraverso l'indagine dei vari aspetti dei problemi filosofici fondamentali , al loro chiarimento, si è mossi dalla convinzione, profonda anche se non sempre del tutto esplicita, che si giungerà un giorno a individuare una prospettiva pienamente soddisfacente, non solo per chi la elabora, ma, data la natura dei problemi, per tutti i viventi; una prospettiva, cioè, universalmente positiva. L'approfon­ dimento della ricerca e il passare degli anni pongono impie­ tosamente il pensatore difronte alla enormità del compito, e alla debolezza delle proprie forze. Ma l'esito cui questo conduce è tutt'altro che negativo, e addirittura tutt'altro che limitativo. Anzi: la vera natura di quell'aspetto della realtà che si compren de (e si realizza) mediante il filosofare si manifesta proprio nel fatto che la pochezza del gesto che alla verità si rivolge, e con ciò stesso le appartiene, è ben lungi dallo scalfirne in qualche modo la compiutezza. 72

Così, alla conclusione del tragitto, per un verso si può guardare all 'intenzione originaria da cui è scaturita l'espe­ rienza filosofica con la sorridente indulgenza che si riserva ai progetti sognanti dei bambini; ma per un altro verso resta pienamente confermata la verità profonda di quei sogni, e il loro essenziale compiersi. In filosofia come nella vita si giunge infine a scorgere come la magica atmosfera dei so­ gni (anche nei suoi aspetti terribili e inquietanti) costitui­ sca in fondo una manifestazione autentica della dimensio­ ne vera della realtà, quella che guida i nostri incerti passi in quello straordinario, divino sogno che è la nostra esistenza determinata. In filosofia come nella vita, giunge il momen­ to nel quale le cose del mondo mostrano la propria verità nel loro venire a combaciare con le figure del sogno, e si scopre la straordinaria verità di quel sogno che presenta come reale le vicende sognate. Quello che già sopra si rilevava, e cioè che in filosofia la soluzione dei problemi è tale da modificarne in maniera essenziale i termini e il significato, vale insomma anche per quanto riguarda gli effetti che il discorso filosofico può avere. In particolare, la nozione stessa di efficacia, e di re­ lazione tra discorso e realtà, subisce ora una trasformazio­ ne essenziale, così che solo la comprensione profonda delle tematiche che qui si propongono può rendere plausibili le affermazioni circa ciò che è lecito attendersi dalla comuni­ cazione pubblica di un discorso filosofico. Ho detto che la positività del discorso filosofico, così inteso, risiede nel suo restare una determinazione del po­ sitivo persino in presenza del proprio stesso rovesciarsi in qualcosa di negativo. La speranza di chi scrive di queste cose è, naturalmente, che le sue parole possano accendere una scintilla capace di illuminare quella esperienza umana di concordia e di piena soddisfazione che costituisce l'essenza stessa del filosofare. In questo senso il discorso che qui viene presentato intende essere, piuttosto che una ' astratta teo73

ria ', una effettiva proposta di vita rivolta a tutti. Ma le scin ­ tille possono provocare anche grandi, tragici incendi. Non è verosimile che un discorso come questo possa avere un largo ascolto, se non altro perché - come ho già accennato - seguire l'articolazione dei suoi momenti concettuali richie­ de, soprattutto in alcuni punti, un impegno e una disponi­ bilità totali, nonché il coraggio di accettare di portarsi di fonte alla più totale contraddittorietà, cioè all'assoluto ne­ gativo. Ma se ai pensieri qui espressi venisse riservata una qualche attenzione da parte di un vasto pubblico, succede­ rebbe probabilmente che essi, cadendo all 'interno di un contesto oppositivo, diventerebbero oggetto di contrappo­ sizione e di contesa. Del resto, questo è già stato il destino di parole tali - penso in particolare a quelle di Gesù di Nazareth - che non vedo come potrebbe questo mio discor­ so evitare una sorte simile. Tuttavia questo rovesciamento in negativo va pensato come qualcosa di diverso da ciò che è l'inevitabile; anzi , secondo quanto si argomenta ampiamente nel testo, il tem ­ po presente è caratterizzato proprio dal fatto che forse per la prima volta nella storia umana risulta concepibile un messaggio di accordo universale che sia pubblico e nello stesso tempo indenne dalla contraddizione consistente nel­ lo scatenamento di un conflitto, cioè di una contraddizio­ ne; anche se, certo, una cosa di questo genere resta pur sempre un evento assai prossimo al miracolo. Rendo pubblici questi miei pensieri, comunque, nella speranza che essi possano determinare il massimo possibi­ le di comprensione. Vorrei quindi che essi raggiungessero coloro che mostrano un atteggiamento benevolo (positivo) nei confronti delle cose di cui qui si parla, e quindi di tutte le cose. La speranza è insomma che questo scritto costituisca a sua volta un momento di quel libero accordo universale di cui parla. Ma in che misura, poi , questo possa accadere grazie ad esso, non è poi una questione 74

così rilevante. Anzi, pretendere che ciò accada in forza del proprio operare, e del proprio dire, significa in qualche modo compromettere la possibilità che quanto si spera av­ venga; proprio come accade nell'amore, dove la pretesa di imporlo a un 'altra persona è il modo più sicuro per impe­ dire che esso fiorisca.

6 . 3 . Gratitudine vera

a)

l

debiti filoso/ici

Un libro di filosofia raggiunge il proprio scopo, sem­ pre per rifarci alle parole della " Prefazione" del Tractatus, quando procura piacere a chi lo legge comprendendolo; dove però il piacere cui qui si allude è quello che deriva dal realizzarsi della perfetta soddisfazione che viene attinta nel filosofare. La filosofia consiste, infatti, nel riconoscere come verità il fatto che tutto ciò che si manifesta nella nostra esperienza è espressione del puro, perfetto positivo. Proprio in considerazione di questa componente di appagamento che contraddistingue il pensare filosofico si può comprendere quale gratitudine io abbia nei confronti di tutti coloro che mi hanno guidato verso questo tipo di esperienza. Per alcuni di costoro la mia riconoscenza ha avuto modo di manifestarsi in maniera esplicita anche in questo scritto, mediante un dialogo diretto con le loro po­ sizioni; ma nella maggior parte dei casi questo non è acca­ duto, e non perché gli insegnamenti di costoro non abbia­ no avuto importanza, o ne abbiano avuto poca. Questo vale nei confronti sia di colleghi dai quali pure molto ho appre­ so, sia, e naturalmente in misura ancora più rilevante, di persone i cui contributi non sempre sono stati filosofici in senso stretto. Trasformare in interlocutori diretti tutti co­ loro dai quali ho imparato qualcosa di importante per la 75

composizione del presente lavoro avrebbe comportato una modificazione radicale del libro, oltre che un incremento non sostenibile della sua ampiezza. Del resto, se bene ho compreso il senso di quegli insegnamenti, il fatto che qual­ cuno riconosca qualcosa di suo nelle mie parole dovrebbe costituire per lui, anche in mancanza di un puntuale riferi­ mento, un motivo di soddisfazione piuttosto che di ram­ marico; mi auguro comunque che non mancheranno altre occasioni nelle quali anche questi aspetti troveranno una loro esplicitazione adeguata. A questo proposito in un certo senso potrei dire che tutto quanto di valido vi è in questo libro lo ho imparato da altri. Questo solo apparentemente contraddice l'affer­ mazione, sopra fatta, della originalità del presente scritto; giacché, per quello che mi è dato di vedere, credo di poter dire che la filosofia qui presentata costituisce, come prospettiva complessiva e unitaria, qualcosa di assoluta­ mente singolare. E tuttavia in primo luogo mi farebbe solo piacere venire a sapere che anche altri sostengono o hanno sostenuto quanto qui affermato; secondariamente vi è un senso secondo cui si deve dire che la verità qui enunciata è, in fondo, la stessa che viene testimoniata da tutti coloro che hanno affrontato simili questioni (anche se nella maggior parte dei casi bisogna avere la disponi­ bilità e la pazienza di tradurre i termini di una posizione in quelli dell 'altra ) ; e infine in ogni caso anche quanto di irriducibilmente originale vi è nella presente posizione in tanto ha valore in quanto si presenta come pienamente compatibile con tutte le altre posizioni, benché diverso dal loro contenuto. La dimensione propria della filosofia, infatti, è differente da quella in cui le varie individualità costituiscono determinazioni che se ne stanno indipen­ denti e contrapposte; essa è piuttosto quella in cui quelle si danno reciproco riconoscimento, per quanto diversi possano apparire i destini di ciascuna di loro. Sicché, nella 76

misura in cui l'originalità di un discorso significasse la sua contrapposizione rispetto alle altrui posizioni, si dovrebbe dire che tanto più il discorso filosofico è autentico quanto meno è originale. L'originalità che caratterizza un auten­ tico dire filosofico si manifesta dunque nel fatto che esso si presenta come un even to nuovo e inaudito che però mostra la propria appartenenza a quella medesima verità che pure, altrove, assume una forma di tutt'altro genere. Il fatto stesso che qualcuno decida di prendere la parola in filosofia sottintende che egli ritiene di avere da dire qualcosa che è bene e, in qualche senso, importante dire, ma questo è qualcosa di essenzialmente diverso dalla convinzione che testimoniare la verità significhi contraddi­ re qualcosa o qualcuno. In generale, insomma, vale anche per il rapporto tra la filosofia che viene qui presentata e le altre filosofie quanto sopra detto, e cioè che il significato autentico di tale rap­ porto può essere compreso veramente solo alla luce della interpretazione della realtà e della verità che viene qui for­ nita. Per esempio, per restare ai filosofi a noi più prossimi, questo discorso riconosce una importanza decisiva, al fine della determinazione di un pensiero filosofico positivo, al tema dell' élenchos, in particolare quale esso trova la pro­ pria formulazione nel pensiero di Emanuele Severino (pen­ siero che mi sembra, nonostante la sua notorietà, per lo più incompreso nel suo significato di fondo) . E tuttavia a qualcuno il presente discorso apparirà piuttosto come una radicale alternativa alla impostazione filosofica severiniana, se non altro per la fondamentale differenza che sembra esservi in merito al punto decisivo relativo al rapporto tra la verità e l'opposizione. Per quanto mi riguarda, tengo semplicemente a ribadire che è solo all'interno del nuovo senso che, con il presente scritto, viene conferito a nozioni come l'identità , la diversità e l'opposizione che è possibile decidere quale sia il tipo di rapporto che la filosofia che -

-

77

qui formulo intrattiene con le altre filosofie in generale e con quella severiana in particolare. In ogni caso, è evidente che è completamente mia la responsabilità delle proposte che qui vengono avanzate; tanto per la prima quanto, ov­ viamente, per la seconda parte del lavoro. b)

La

filosofia

e

il filosofo

Normalmente appare senz'altro improprio che la com­ ponente affettiva e personale entri in una trattazione di tipo 'scientifico'. Ma così è solo fin tanto che si intende che il carattere universale o oggettivo del sapere risulterebbe ine­ vitabilmente compromesso dalla introduzione di componen­ ti di carattere individuale e particolare. La filosofia che qui presento, invece, è caratterizzata dal fatto che almeno in li­ nea di principio la relazione che essa intrattiene con la vita effettiva e concreta è positiva, e perciò diversa da ogni for­ ma non solo di contrapposizione ma anche di semplice indz/­ ferenza ed estraneità. Se, dunque, con queste prime pagine sono riuscito a comunicare qualcosa del significato autenti­ co che assume in questa prospettiva il fare filosofia, chi le ha lette non si stupirà troppo di trovare, a conclusione di questa Introduzione, un pensiero affettuoso rivolto a tutte le persone la cui vicinanza è stata importante per la mia vita e quindi per la mia filosofia, dato appunto che le due sono congiunte in maniera essenziale. Penso dunque che sia 'fi­ losoficamente' corretto, oltre che doveroso, ricordare alme­ no coloro con i quali ho vissuto mentre elaboravo questa mia prospettiva , a cominciare da mia madre, il cui insegnamen ­ to è qui presente forse più di quanto possa apparire a pri­ ma vista, e da mio fratello, alla cui esperienza di vita, così diversa e così identica alla mia, va tra l'altro il merito parti­ colare di avermi fatto entrate in contatto con la figura di Pa­ ramahansa Yogananda. E poi, naturalmente, dedico tutto l'affetto di cui sono cariche queste mie così 'astratte' paro78

le a coloro che in questi anni hanno allietato la mia esisten ­ za ed hanno in tal modo condiviso profondamente la mia esperienza filosofica: Graziella, Giovanni e Anna, per tacer di Vega. Nelle loro figure sono presenti, con identico e sem­ pre nuovo, quindi sempre diverso, affetto, tutti gli altri 'ami­ ci ' , che qui sarebbe troppo lungo ricordare singolarmente. Anche questi riconoscimenti, in verità, appartengono in maniera profonda a ciò di cui tratta la filosofia, a differen ­ za di quanto può sembrare a prima vista; e credo che pure questo potrà facilmente intendere chi avrà compreso il di­ scorso che viene qui proposto.

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PARTE PRIMA

LA FILOSOFIA COME TEORIA DEL PURO POSITIVO

CAPITOLO PRIMO

LOGICA PHILOSOPHICA La logica della filosofia come determinazione innegabile del positivo

A. IL SISTEMA LOGICO COME SISTEMA FILOSOFICO I. IL PROBLEMA DELLA LOGICA FILOSOFICA l. I L RIFIUTO DELLA LOGICA FILOSOFICA NEL PENSIERO

CONTEMPORANEO

Parlare oggi di una logica filosofica può sembrare for­ temente discutibile, se non decisamente insensato. In primo luogo, se per logica si intende una particola­ re disciplina, anch'essa, come ogni altro ' sapere', si costitu­ isce all'interno di un 'apertura più originaria, precisamente quella che caratterizza l'ambito propriamente fùosofico. Che questo si debba intendere come orizzonte esistenziale ed antologico (Heidegger) o come dimensione pratico-antro­ pologica (Wittgenstein) , in ogni caso la dimensione teore­ tico-gnoseologica, cui la logica appartiene, sembra rinviare inevitabilmente a uno spazio più fondamentale, che essa non può dunque pretendere di circoscrivere e regolare. In secondo luogo, proprio per la natura dell'apertura originaria con la quale ha essenzialmente a che fare la fùo­ sofia, questa viene vista oggi come qualcosa che non può avere una logica, se con questo termine si intende qualcosa che sia vincolante per tutti e definitivo, qualcosa cioè che possa essere determinato una volta per tutte e a priori. L'abbandono di ogni fondamento, e di ogni verità, com­ porta l'impossibilità che il discorso fùosofico comprenda un tratto che permanga fisso ed immutabile. Il carattere 83

radicalmente imprevedibile dell'essere come evento (Ereig· nis) e l'impossibilità di predetermin are il concreto organiz­ zarsi dei giochi linguistici (Sprachspiele) e delle connesse forme di vita (Lebensformen) impediscono che si possa pensare, se non in maniera dogmatica, a qualcosa che risul­ ti permanente ed irrevocabile. La logica della filosofia dovrebbe costituire quella par­ ticolare determinazione definitiva capace di rappresentare ciò che è l'inevitabile tanto del discorso quanto dell 'essere; ma la pretesa di individuare qualcosa del genere appare ai nostri occhi, di uomini cresciuti alla scuola del pensiero contemporaneo, frutto di presunzione o di ignoranza, se non di entrambe 1 •

2 . L A LOG ICA DELLA FI LOSOFIA E L A SUA PARABOLA Questa posizione rappresenta una rottura profonda rispetto alla tradizione filosofica occidentale, della quale si può dire, sempre avendo consapevolezza del modo in cui devono essere prese generalizzazioni di questo tipo, che sorge e si sviluppa nel segno della logica: per essa, in qual­ che misura, logica e filosofia sono tutt'uno. Il pensiero filosofico assume per la prima volta una forma consapevole e in qualche misura definitiva con Par­ menide, quando il grande Eleate pone come legge intra­ sgredibile quella che oppone l'essere al non essere, e con ciò vieta la contraddizione. Ho trattato con una certa ampiezza questo tema nel mio libro Marietti , Genova 1 9932 (prima edizione Treviso 1990) , d'ora in avanti semplice· mente Elencho1. Chi fosse interessato può consultare in particolare la prima parte del volume; ma in generale si può fare riferimento ad esso per l'approfondimento, anche bibliografico, delle questioni per le quali si prescinde qui da riferimenti critico-storiografici. 1

Ekncho1. Ragione e paradosso nella filoso/io contemporanea,

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Il gen iale strumento dialettico-confutativo ideato da Parmenide e perfezionato da Zenone e Melisso fornisce ai sofisti un'arma formidabile per imporsi in quelle situazio­ ni, assai rilevanti dal punto di vista pratico, costituite dalle contese discorsive che caratterizzano la vita della p6lis gre­ ca (nei tribunali, nei dibattiti politici, nell agora, etc. ) . Come i sofisti, Socrate eredita la 'tecnica' parmenidea, anche se la rivolge contro di loro, assegnandole una fun­ zione del tutto nuova. Egli da un lato mette in questione l'in tera cultura dell'epoca ( religiosa, giuridica, politica) mostrandone I'infondatezza, dall'altro lato protesta di non sapere nulla, limitandosi, nel suo dialogare, a mostrare la mancanza di validità delle affermazioni di coloro che inve­ ce presumono di sapere. I cosiddetti, o sedicenti , sapienti (politici, poeti, artigiani, ma poi anche magistrati, sacerdo­ ti, oratori, retori, sofisti, etc . ) presumono di sapere, ma il loro sapere, sottoposto a un'analisi dia-logica accurata, si dimostra inconsistente. Socrate, per confutare le posizioni di questi presunti sapienti, non ha bisogno di contrapporre ad essi una propria teoria; per essere più sapiente di loro, come appunto aveva affermato I' oracolo di Delfi, gli basta sapere di non sapere. Eppure il paradosso implicito in questa formulazione ( " so di non sapere " ) non può essere sottovalutato. In effet­ ti, non è vero che Socrate non sappia proprio nulla. Egli sa di non sapere nel senso che sa di essere nella stessa situa­ zione dei suoi interlocutori, cioè egli sa almeno che i suoi interlocutori non sanno. E questo è sufficiente a renderlo più sapiente di costoro. Ma come fa Socrate a sapere che quelli non sanno, se egli non conosce la verità? La risposta a questo apparente paradosso ci svela il cuore del metodo socratico. I vari aspetti che esso assume (come metodo dell'ironia, maieutico, elenctico-confutativo, dialogico-dia­ lettico), ruotano tutti attorno al perno che gli consente di smascherare i falsi sapienti; tale punto centrale consiste nel '

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rilevamento del fatto che rinterlocutore cade in contraddi­ zione. La posizione dei 'sofisti' - nel presente contesto in­ dichiamo con questo termine tutti coloro che danno l'im­ pressione di sapere mentre non sanno - è inaccettabile perché è con traddittoria. È per questo che Socrate non ha bisogno di contrapporre alle loro teorie una concezione sua propria: gli è sufficiente mostrare l'invalidità delle loro af­ fermazioni rilevandone la contraddittorietà. Dunque, come si diceva, non è vero che Socrate non sappia proprio nulla; almeno una cosa egli sa: sa che la contraddizione non può essere vera; che una posizione con­ traddittoria non può avere valore. In altri termini, Socrate sa che la contraddizione è un negativo; è qualcosa di asso­ lutamente, innegabilmente negativo. È Platone che dà esplicitezza a questa assunzione, formulando con una certa chiarezza quello che poi passe­ rà alla storia con il nome di principio di non contraddi­ zione. Questo, che in Socrate opera in maniera consape­ vole ma irriflessa (cioè non tematizzata, non esplicitata formalmente) , incomincia, con il suo grande discepolo, a venire al centro dell'attenzione 2• In tal modo esso diventa il fondamento di ogni discorso valido, assumendo il ruo­ lo di J3eJ3cxtotcit11 àpxl'\ (bebaiotdte arche}, come mostrerà Aristotele, ovvero di prindpium /irmissimum, per dirla con i latini. Proprio divenendo oggetto esplicito di riflessione, esso incomincia anche a mutare di significato. Platone, infatti, è costretto in qualche modo ad ammettere la contraddizione; in particolare laddove si trova nella necessità di compiere il parricidio 3 • Tuttavia questa legittimazione della contrad2 Naturalmente ciò vale nella misura in cui si ritiene possibile distin­ guere l 'insegnamento di Socrate da quello di Platone; e questo, come si sa, costituisce un grosso problema. 1 Questo punto verrà trattato con una certa ampiezza nel capitolo intitolato " La determinazione del negativo". 86

dizione appare come l'unico modo ragionevole per salva­ guardare, in particolare contro i sofisti, il principio di non contraddizione, e con ciò, dal suo punto di vista, la possi­ bilità di un discorso filosofico valido, cioè di un discorso vero riguardo al positivo (il bene) . Ma è solo con Aristotele che vengono esplicitati for­ malmente i motivi che conferiscono a questo principio va­ lore assoluto e fanno di esso il fondamento ultimo. Platone pone il valore incondizionato del principio che formula; Aristotele, mediante il procedimento che indichiamo con il nome di ÈÀEyXoç (é/enchos), ne mostra, e con ciò ne /onda , il valore inattaccabi/e 4• Il principio detto di non contraddi­ zione si presenta nel libro r (IV) della Metafisica piuttosto come un principio di determin azione. O meglio, esso si realizza nella forma di quello che chiameremo qui principio di determinazione-opposizione: ogni entità si determina op­ ponendosi a ogni altra entità '· Esso ha un valore assoluto - ecco in breve il procedimento elenctico - perché non può essere negato; e non può essere negato perché chi in­ tendesse negarlo dovrebbe - proprio nel tentativo di fare ciò - determinare oppositivamente la propria posizione ri­ spetto al principio, ma con ciò sarebbe appunto in qualche modo costretto ad affermarlo. Quando si pensa ad Aristotele come al padre della logica, di solito si ha in mente l'Organon; e certo questo non è un errore. Tuttavia il fondamento di tutta la logica � Aristotele, Aristotelis Metaphysica, (ed. critica a cura di W. Jaeger) , E Typographeo Clarendoniano, Oxonii 1957, repr. 1963 ; trad. it. di G.Reale, LA Metafisica, Loffredo, Napoli 1968, 2 volumi (in seguito anche semplice­ mente Metafisica) , libro r (ovvero IV). � L'opposizione coincide con la negazione nella misura in cui è appun­ to la negazione reciproca di due determinazioni distinte-opposte. Questo punto verrà ulteriormente precisato più avanti, in particolare alle pp. 224 e 450-45 1 (n. [= nota] 2).

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aristotelica è appunto questo principio, al quale almeno in un certo senso quella, come si evidenzierà più chiaramente in seguito, è interamente riconducibile. Si origina da qui il dominio fondamentale della logica nella filosofia occidentale. Anche quando l'apparato logico aristotelico-scolastico viene messo in discussione, in particolare all'inizio dell'età moderna, questa critica viene mossa in nome di una sua inadeguatezza logico-conoscitiva, e quindi in nome di una rigorizzazione di quella stessa logica. Francis Bacon invoca un nuovo organo, che, pur all'interno di innovazioni che si pretendono radicali, non si discosta, nel punto fondamen ­ tale che qui abbiamo indicato, dalla logica aristotelica. Descartes poi, nell'atto di sovvettire l'intero edificio del sapere preesistente, comprese le scienze esatte e la stessa •logica', fonda il suo nuovo, rivoluzionario sapere su un pro­ cedimento di tipo chiaramente, benché non esplicitamen ­ te, elenctico: del cogito non si può dubitare, e quindi non lo si può negare, appunto perché dubitare della verità di quella affermazione significherebbe determinarne la verità. La rivoluzione logica operata da Kant con l'introdu­ zione della logica trascendentale non solo lascia immodifi­ cata la logica aristotelica, da lui ritenuta sostanzialmente compiuta e perfetta, ma, anche laddove può apparire come un ridimensionamento radicale delle pretese dell'apparato logico tradizionale, non fa che ribadire il primato incontra­ stabile di quella logica. La stessa logica trascendentale, in­ fatti, si sviluppa seguendo il filo conduttore della logica tradizionale. Tutte le figure e le •categorie' , in senso sia proprio che lato, in cui si dipana la critica della ragion pura si producono specularmente rispetto a quelle della logica formale. Ma poi lo stesso passaggio all'altra dimensione, quella della ragion pratica, awiene precisamente sulla spinta della necessità di superare la contraddizione essenziale in 88

cui si imbatte il tentativo di cogliere teoreticamente l'in­ condizionato. Così che pure la critica della ragion pratica, e poi anche quella del giudizio, si sviluppano sulla base dell'esigenza di togliere le contraddizioni della ragione nel suo realizzarsi effettuale; per esempio la contraddizione fenomenica tra la virtù e l 'infelicità è tolta mediante la postulazione, a livello noumenico, di Dio. Ancora una volta la logica, e segnatamente la logica della non contraddizione, risulta il fondamento della rifles­ sione kantiana; e proprio per questo essa risulta anche il motore della speculazione hegeliana. Questa, infatti, toglie l'astratta separazione che regna tra i momenti (teoretico, pratico, estetico-teleologico) della filosofia kantiana e rior­ ganizza l'intero campo del sapere e della realtà deducen ­ dolo dal principio che possiamo chiamare di opposizione 6• Certo viene qui a cadere, c in maniera consapevole ed esplicita, il principio di non contraddizione. Ma questo avviene solo nel senso che esso non può essere affermato senza che sia posta la contraddizione; sicché esso può vale­ re come principio inattaccabile non contrapponendosi astrattamente ad essa , ed escludendola, bensì solo ponen­ dola per superar/a; ponendola cioè come tolta, o, meglio, come toglientesi nel processo dialettico. Il superamento hegeliano del principio di non contrad­ dizione è, come già era successo in qualche modo a Plato­ ne, l'unico modo corretto per tenerlo fermo; il superamen­ to dialettico della contraddizione è così il principio da cui scaturisce il senso del tutto, e la logica vede in tal modo ribadita la propria innegabilità ed intrascendibilità. Non a caso il sistema hegeliano principia dalla logica, e il succes­ sivo inverarsi della posizione originaria è un incessante e continuo ruotare all'interno del cerchio da essa tracciato. 6

Su questo punto si può vedere, più avanti, il capitolo intitolato "Der

philosophische Satz" .

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L'epoca contemporanea costituisce invece, almeno in parte, il grandioso ten tativo di fare i conti con Hegel ; ma cioè, in base a quanto si è detto, di congedarsi dalla lo­ gica , di revocarne il privilegio, la incontestabilità e la in­ trascendibilità. Il problema della nostra epoca, nell'interpretazione che stiamo fornendo del fenomeno della filosofia, è quello di liberarsi del principio di non contraddizione ma senza ca­ dere in un sistema del tipo di quello dialettico hegeliano. Non è certamente una circostanza fortuita che i punti di riferimento più alti del pensiero contemporaneo mettano radicalmente ed esplicitamente in questione il principio di non contraddizione, ma nello stesso tempo segnino una presa di distanza netta rispetto a Hegel . Questo accade con Nietzsche; poi con Heidegger (che non a caso opera una fondamentale ripresa critica della 'metafisica' nietzscheana) 7 e infine con Wittgenstein 8 • Questo vuoi dire che la messa in questione del princi­ pio di non contraddizione si configura qui come una depo­ sizione della logica, cioè come una denuncia della illegitti­ mità della sua pretesa di costituire l'orizzonte vincolante del pensiero filosofico. Si registra cosl, nel pensiero contempo­ raneo, una significativa convergenza sulla impossibilità di realizzare un pensiero filosofico adeguato restando all 'inter­ no dell 'ambito della logica, cioè assoggettandosi ad essa. Il capolavoro giovanile di Wittgenstein non si intitola .. Philo­ sophical Logic " ; perché questo sarebbe, dal suo punto di vista, sbagliato, dal momento che non vi è nulla di simile a una logica filosofica: vi è solo la logica, ma essa ha dei limi7 Si veda in particolare, a questo proposito, il volume che raccoglie i corsi dedicati al pensiero di Nietzsche: Nielzsche, G. Neske, Pfullingen 196 1 , 2 voli .; trad. it. d i F. Volpi, Adelphi, Milano 1994 . � H o approfondito questo rema, oltre che nel già citato Ek,.ebo•, in Il

linguaggio 1ub 1peeie •eterni. Lo filosofia di Ludwig Willgenslein come alli­ vilà razionale ed esperienza mistica, Francisci , Abano Terme (Padova) 1986.

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ti costitutivi, che la rendono per principio inadeguata a esprimere il senso della realtà, cioè la sua dimensione mi­ stica . Anche per Heidegger la filosofia non ubbidisce alla logica , perché si costituisce in un ambito più originario di quello logico 9, un ambito per il quale si rivela più adegua­ to un altro tipo di linguaggio, in particolare quello poetico. In generale si può poi ormai dire che per l'attuale sen­ so comune intellettuale la filosofia, che tratta dell'orizzonte ultimo di senso, non può avere una logica, dal momento che l'apertura originaria si presenta sempre e solo nella forma della differenza indeterminabile (della "différance " ) , e quindi non come identità d i u n a determinatezza logica. Nell'epoca dell'ermeneutica, se la logica, disponendo di un fondamento solido (appunto il principio di non contraddi­ zione) , sulla sua base costruisce, al contrario la filosofia so­ stanzialmente interpreta, e con ciò anche de-costruisce. Ogni dato, infatti, presuppone una interpretazione. Del resto una logica filosofica, o una filosofia logica, è un assurdo anche per l'altra grande corrente del pensiero contemporaneo, la filosofia analitica. Nella fase del neopo­ sitivismo la logica della non contraddizione resta un valore (un positivo) innegabile 10, ma essa non è propria della filo­ sofia piuttosto che di qualunque altra disciplina: non vi è una logica specifica e peculiare della filosofia. Non vi è, msomma, una 'logica' superiore che possa giudicare dal9 Cfr. Was ist Metaphysik?, ( 1 929) in Martin Heidegger, Wegmarken, Vittorio Klostermann, Frankfurt a.M. ( 1 967 1 ) 1976 (vol. IX della "Ge­ samtausgabe", a cura di f.. W. von Herrmann), pp. 1 - 19; trad. it. di F. Volpi, Che cos'è metafisica?, in M. Heidegger, Segnavia, (a cura di F. Volpi), Adel­ phi, Milano 1 987 , pp. 59-77. 111 Carnap replica duramente, nella Oberwindung der Metaphysik, allo Heidegger che metteva in questione il principio di non contraddizione. Si veda Rudolf Carnap, Oberwindung der Metaphysik durch logische Analyse der Sprache, "Erkenntnis " , II ( 1 932), pp. 2 1 9-24 1 ; trad. it. di E. Mdandri, Il superamento della meta/inca mediante l'analisi logica del linguaggio, in A. Pasquinelli (a cura di ), Il Neoempirismo, Utet, Torino 1969, pp. 504-532.

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l 'alto, per così dire, le logiche ' reali' , quelle della scienza, dell'epistemologia e della disciplina logico-matematica in senso proprio. Nella fase successiva, poi, la stessa imposta­ zione analitica è costretta, per esempio con Quine, a rico­ noscere il carattere in qualche misura limitato e relativo di qualsiasi principio, compresi quelli della logica. Cosl, an ­ che laddove la logica della non contraddizione conserva un suo ruolo fondamentale e orientativo, ogni pretesa di asso­ lutezza e di fon datività viene a cadere: il primato tocca ora a uno stile di lavoro piuttosto che a un principio teoretico.

3.

DEL METODO IN QUESTA FOLLIA " : LA LOG ICA DELL ABBANDONO DELLA LOGICA

"C'�

'

Potremmo dunque dire che rinnegare la sovranità del­ la logica significa portare a compimento un parricidio radi­ cale nei confronti dell 'intera tradizione filosofica occiden ­ tale. Natu ralmente questo non sarebbe falso; e tuttavia la vicenda che abbiamo presentato può anche essere inter­ pretata in maniera differente. Quello che infatti a mio avviso è importante compren ­ dere è che la deposizione della logica, cioè il rz/iuto (o la negazione) della logica filosofica (o della filosofia logica) , è precisamente il risultato della logica filosofica. Questo ci risulta immediatamente chiaro, almeno nei suoi termini formali , appena scorgiamo come la logica filosofica, in quanto logica dell'opposizione o della negazione 1 1 , si costiCioè del negativo, ovvero anche del nulla. � importante fare atten· zione fin da ora alla seguente circostanza: l'adozione di questi termini (ne· gazione, negativo, nulla) va rigorosamente distinta da ogni valutazione ne· galiva di ciò cui essi rimandano; dire che qualcosa possiede una logica negativo è diverso da giudicare negativamente quello cosa; è diverso, insom ­ ma, da un invito a negare ciò che assume quel carattere. Più avanti si chia· rirà l'importanza di questo rilievo. 11

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tuisca intrinsecamente come logica del rz/iuto e quindi del parricidio. Così, il gesto con il quale il pensiero contempo­ raneo giunge a ricusare la logica filosofica si configura come la forma estrema che questa stessa logica assume: la forma, insomma , d eli ' autoricusazione. Questo è appunto quello che intendo mostrare un poco più in concreto: il rifiuto di una logica filosofica non è al­ tro che il punto di approdo estremo della stessa logica del principio di non contraddizione. Se l'abbandono del prin­ cipio di non contraddizione può essere descritto, richia­ mandoci a uno dei maggiori logici della nostra epoca (Gott­ lob Frege), come una sorta di follia, allora potremmo vera­ mente dire, parafrasando le parole di Shakespeare, che c'è

della logica in questa follia 1 2 •

II. L'ELENCHOS COME FONDAMENTO DELLA LOGICA l . I L CARATTERE ELENCTICO DEL PRI NCIPIO DI NON

CONTRADDIZIONE

Il rifiuto della logica filosofica, dicevamo, in qualche modo appartiene ad essa stessa. E questo accade inevitabil ­ mente; perché - per dirla quasi in forma di slogan - il ri­ fiuto della logica appartiene alla logica del rifiuto, la nega­ zione della logica appartiene alla logica della negazione. Ma in che senso si può dire che la logica filosofica è logica della negazione? Incominciamo, per chiarire questo punto decisivo, a rilevare che le formulazioni appena presentate attribuisco­ no alla logica la struttura di quel procedimento, sopra rau Polonius: «Thought this be madness, yet there is method in't» (William Shakespeare, Hamlet, Atto II, scena seconda: la citazione è tratta dalla p. 98 della edizione bilingue BUR a cura di G. Baldini: Amleto, Riz­ zoli, Milano 1975; prima edizione Rizzoli 1963 ) .

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pidamente illustrato, che chiamiamo élenchos. È proprio questo, in effetti , che per oltre due millenni ha conferito alla logica la sua straordinaria forza; e chi voglia veramente venire a capo della signoria (della tirannia?) della logica in filosofia, quindi anche del logocentrismo, deve appunto fare i conti con questa peculiare figura filosofica. La logica ha goduto per intere epoche di un credito pressoché assoluto; ma raramente si è riflettuto adeguatamente sul motivo di ciò. Essa è quasi sempre stata assunta come un sistema vincolante, e incontestabile, ma quasi mai è stata fornita una giustt/icazione adeguata di tale assunzione. Raramente, insomma, si è riflettuto esplicitamente sul fatto che il fon­ damento del valore indiscutibile del sistema logico risiede nel suo carattere elenctico. In base a che cosa diciamo che la logica gode di una fondazione di tipo elenctico? Una prima, fondamentale risposta consiste nell'osser­ vare che da un certo punto di vista la logica è interamente riconducibile a quello che sopra abbiamo chiamato princi­ pio di non contraddizione. Questo, però, non va inteso in senso ristretto e specialistico, per esempio come separato dal principio di identità e del terzo escluso, bensl in un'ac­ cezione conforme al carattere filosofico del discorso che stiamo svolgendo u . Così , quando parliamo di principio di 11 Conformemente a ciò, e particolarmente in considerazione del fatto che il nostro problema è ora quello della fondazione filosofica della logica, i term ini vengono di norma usati secon do il significato più comprensivo che essi hanno assunto nella t radizione filosofica piuttosto che nell 'acce­ zione fissata da specifiche definizioni tecniche le quali , pur utilissime a un certo stadio del discorso, presuppongono già una determinata impostazio­ ne filosofica , e quindi rischierebbero a questo livello del discorso di pro­ du rre equivoci piuttosto che portare chiarezza. Questo delicato punto merita qualche osservazione ul teriore. Dato che le definizioni ' tecniche' introdot­ te dalla logica intesa come una disciplina specifica sono, dal punto di vista 'filosofico ' , problematiche (si pensi per esempio alla nozione di implicazio-

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non contraddizione come fondamento della logica ci rife­ riamo a quello che possiamo chiamare anche principio di opposizione, il quale appunto può essere considerato una espressione emblematica del procedimento elenctico. Possiamo evidenziare questo dando la seguente formu­ lazione del principio della logica: " Tutte le proposizioni sono aut vere aut false (non -vere) " 14• Essa comprende tan ­ t o il principio d i identità, inteso i n maniera tale che l'iden­ tità di A implica il suo non essere non-A (-A), quanto quelli di non contraddizione e del terzo escluso. Essa costituisce una espressione del principio di non contraddizione nel senso che afferma l'impossibilità che una proposizione sia contemporaneamente vera e falsa, ovvero l'impossibilità che una proposizione contraddittoria sia vera, essendo la con­ traddizione definibile come la contemporanea affermazio­ ne e negazione di una proposizione, cioè la contemporanea assunzione della sua verità e della sua falsità. Il carattere elenctico di tale principio risulta ancora più evidente se noi lo consideriamo come una variante di quelne, di cui si discuterà ampiamente in seguito) esse non possono venire qui assunte come pregiudizialmentc vincolanti per il discorso, appunto perché in questo caso esse sarebbero presupposte. Tanto per accennare un po' al cuore della questione, esse in linea di massima presuppongono la separa· zione tra il linguaggio c il resto della realtà (si pensi alla nozione di "enun­ ciato", c alla sua distinzione dalla "proposizione• ) . Tutto questo, se è legit­ timo c addirittura indispensabile all'interno di un 'gioco' particolare, quale è per esempio la tecnica logica, è invece problematico a livello filosofico. Insomma, il problema qui è appunto quello della istituzione 'filosofica' (dal punto di vista fùosofico, cioè della inncgabilità-universalità) delle no­ zioni; per questo la sua soluzione non può venire pre-giudicata dall ' assun­ zione di definizioni presupposte come valide a prescindere dall'analisi fon­ dativa di carattere filosofico. Ciò, che vale ora specificamente per il prin­ cipio di non contraddizione, si riferisce anche ad espressioni come per esempio "senso" e "significato", ma poi anche all ' uso che dd termine "pro­ posizione" verrà fatto qui di seguito, in particolare nella formulazione del principio di opposizione logica, c in generale poi a tutte le altre nozioni. 14 Si tenga presente la precisazione che abbiamo fatto a proposito dell'uso di termini come "proposizione" e simili. 95

lo che possiamo chiamare il principio di opposizione logi­ ca: " Il vero si oppone al falso " . Infatti, si può dire che que­ sto è schiettamente elenctico perché chi lo volesse negare sarebbe costretto ad affermarne la falsità, ma in tal modo egli dovrebbe opporre, alla falsità di quel principio, la veri­ tà della propria affermazione ( " Il vero non si oppone al fal­ so " ) . Così facendo, l'oppositore del principio dovrebbe ne­ cessariamente, proprio per essere tale (cioè oppositore) , af­ fermare la verità del principio che pure intendeva negare 15• Questo consente di affermare l'innegabilità della dimen ­ sione logica, e del suo principio; ed è sufficiente a conferi­ re ad essa quell 'aspetto assoluto, per non dire ' divino' , che tale disciplina ha spesso assunto agli occhi della nostra tra­ dizione culturale. Questo carattere 'divino' può essere com­ preso adeguatamente solo quando si veda il principio di opposizione logica come una individuazione del vero e proprio principio di opposizione ( " Il positivo si oppone al negativo " ) . Perché, se ammettiamo che il positivo, inteso nel senso più ampio del termine, quindi includente anche la dimensione etico-assiologica, si definisce in relazione al negativo, allora ciò che si presenta come in-negabile sem­ bra avere il diritto di essere considerato assolutamente positivo in quanto risulta essere, per definizione, ciò che non può essere in alcun modo negato e quindi non può essere negativo. Pensato in universale, insomma, il caratte­ re dell' innegabilità tende a coincidere con quello della perfezione. L' assoluta non -negabilità, cioè non-negatività, è l'assoluta perfezione; ma questa, appunto, è la definizio1' È vero che dovrebbe affermarne la verità solo relativamente ad un ma questo sarebbe sufficiente a determinare uno spa%io di opposizio­ ne logica che può essere assunto come definitorio dell'opposizione logica.

caso,

Ovvero: poiché è innegabile che si dia (in qualche forma) l'opposizione logica, definiamo il vero e il falso (e quindi poi la proposizione, etc.), sulla base di tale opposizione, la quale diventa pertanto universale in relazione all'ambito logico-proposizionale, che da essa risulta definito. 96

ne stessa di Dio. Non è poi così strano, allora, che spesso l'elemento logico abbia assunto, in filosofia, le sembianze del divino. Ma queste considerazioni saranno approfondite più avanti. Per ora limitiamoci a ribadire quello che abbia­ mo visto: l'opposizione del vero e del falso (bipolarità) è innegabile; e tale è dunque anche il principio di non con­ traddizione, nella misura in cui questo non è che una espres­ sione di quella opposizione. È opportuno fare attenzione al motivo per cui il prin­ cipio di non contraddizione può essere considerato equiva­ lente a quello di opposizione logica. A prima vista i due sembrano diversi se non addirittura contrapposti; perché il primo, negando la contraddizione, sembra escludere pro­ prio quella forma di opposizione in cui essa consiste. Ma in verità quello che esso esclude è che due determinazioni contrapposte, delle quali viene appunto posta l'opposizio­ ne, possano venire identificate; in tal modo esso ne salva­ guarda l'opposizione. Il secondo, per parte sua, stabilisce l'opposizione di tutti quegli elementi che, ove fossero iden­ tificati, darebbero luogo a contraddizione. Potremmo anche dire che il principio di non contrad­ dizione è l'espressione /inguistico-proposiz.iona/e del princi­ pio di opposizione logica, il quale risulta innegabile, quin­ di assolutamente positivo, in forza di un'argomentazione di tipo elenctico. Se si riesce a mostrare che la logica è riconducibile - o addirittura riducibile - a tale principio, ecco spiegato il motivo del privilegio di cui essa ha goduto.

2. RI CONDUZIONE DELLA LOGICA AL PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE: LE TAVOLE DI VERIT À

Un primo, efficace modo per comprendere come il sistema logico sia riconducibile al principio di non con­ traddizione (inteso sempre nel senso visto, cioè come prin 97

cipio di opposizione logica) consiste nell'osservare come le tavole di verità, che di tale logica costituiscono il nucleo essenziale dal momento che praticamente fatto tutt'uno con il calcolo proposizionale 16, possano in sostanza essere de­ scritte come un sistema interamente basato sul principio per cui tutte le proposizioni date sono aut vere aut false 17• Tale sistema è infatti regolato proprio dal principio della incompatibilità tra vero e falso, per cui è impossibile che a una data proposizione (P , o Q, etc.) siano assegnati con ­ temporaneamente i valori del vero e del falso. Al suo inter­ no risulta impossibile, per una proposizione qualsiasi, risul­ tare contemporaneamente vera e falsa. Questo è il principio generatore del sistema delle ta­ vole di verità 18• Ciò vuoi dire che tutto quanto il sistema di calcolo, e quindi anche tutte le leggi logiche che da questo scaturiscono in maniera automatica, dipendono esclusivamente da tale fondamento originario. Tutte le leggi logiche Oe tautologie) sono infatti una conseguenza di questo Grund-Satx, di questo principio fondamentale: tut­ te le tautologie sono tali proprio in forza del sistema che abbiamo indicato. Esse sono necessariamente vere in quan ­ to esprimono i vari aspetti nei quali si manifesta il prin 1 1' Si può infatti dimostrare che il sistema di calcolo delle tavole di verità è coincidente: con quello di tipo derivazionalc:, come mostra qualsiasi manuale di logica di base, quale per esempio quello di Edward J. Lemmon , Beginning Logic, (Th . Nelson and Sons, 1965 1 ) Van Nostrand Reinhold, London 1 988 (reprinted) ; trad. it. di M. Prampolini, Elementi di logica, Laterza, Roma-Bari ( 1 975 1 ) , 1 986 (prima edizione BUL: d'ora in avanti, indicheremo l'edizione italiana di questo testo anche dicendo semplice­ mente " Lemmon " oppure usando la sigla EL). Si considerino in particola­ re i §S 3 , 4, 5 del cap. Il. Cfr. «Così, in conclusione, i due distinti tipi di approccio al calcolo proposizionale, quello tramite derivazione c quello tramite tavole di verità, vengono a coincidere» hrad. it., p. 100). 1 7 Accettiamo qui l'indicazione del Lemmon (Elementi di logica, cit., p. 9) per cui con il termine "proposizione" intendiamo la proposizione dichiarativa, quella insomma che: esprime enunciati. lA ( P/ Q: VV,VF,FV,FF). 98

cipio che governa il sistema logico; la necessità della loro verità dipende appunto dal fatto che esse esprimono ( raf­ figurano) il sistema stesso. Le leggi logiche sono tutte, in questo senso, figure diverse dell'unico, grande principio, quello che costituisce (produce) il sistema delle tavole di verità, che determina cioè le possibilità di verità e di fal­ sità delle proposizioni 19• Per esempio, che la formula "- (P " - P) " è necessaria­ mente vera vuoi dire semplicemente che la sua negazione è necessariamente falsa; e questo a sua volta significa che, costruite le colonne delle possibili combinazioni dei valori di verità delle due proposizioni (P e - P) , non si dà alcun caso nel quale entrambe siano vere. Ogni aspetto del calcolo proposizionale, dunque, di­ pende dal principio per il quale, date n proposizioni, ci sono Kn 20 possibilità della verità e della falsità loro, e Ln possibilità di concordanza e non-concordanza con tali possi­ bilità di verità 2 1 • E questo principio a sua volta è espressio­ ne di quello che chiamiamo il principio di non contraddi­ zione, cioè de/t esclusione della possibilità che una proposi­

z.ione sia contemporaneamente vera e falsa. Il valore del principio che governa-costituisce il sistema va dunque rigorosamente distinto da quello delle proposi­ zioni (o delle formule, quale per esempio "- (P " - P) " ) che appartengono al sistema, e sono interne a d esso. 1 9 Su questo punto è sempre chiarissima la presentazione fornita da Wingenstein nel suo Tractatus: aforismi 4.28; 4.3 (Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philowphicus, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1989 (kritische Edition hrsg. von B. McGuinness un d J. Schulte; prima edizione 192 1 (Lo­ gisch-philosophische Abhandlung, in "Annalen der Naturphilosophie"); poi (col titolo Tractatus /ogico-philosophicus e con trad. inglese di C.K. Ogden ) Routledge & Kegan Paul, London 1 922, 1 93.32; con nuova trad. inglese di D.F. Pears and B. McGuinncss, ivi 1 96 1 e 197 12); trad. it. a cura di A.G. Conte, con testo originale a fronte, Einaudi, Torino 1 989). 20 Traclalus, 4.27; cfr. 4.28. 21 Traclalus, 4 .42.

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Il sistema delle tavole di verità, dunque, null'altro dice se non l'opposizione della verità e della falsità delle singole proposizioni, cioè l'incompatibilità del vero e del falso; e quindi tutto ciò che appartiene al calcolo proposizionale (tutte le regole logiche e tutti i calcoli) procede da questo semplicissimo assunto, da questo Verbo. A tale principio dovrà essere ricondotto ogni altro aspetto della logica che voglia valere in maniera conclusi­ va, quindi effettivamente a priori. Il Tractatus di Wittgen­ stein rappresenta un meraviglioso esempio di come questo possa accadere rigorosamente. Qui avan ti espliciteremo in che senso questo valga per la composizione interna delle proposizioni e quindi per la loro struttura. Per il momento possiamo limitarci ad osservare che se il calcolo proposi­ zionale in quanto tale dipende interamente dal principio detto 22, allora anche tutto il resto della logica, in quanto dipende a sua volta dal calcolo proposizionale, che ne co­ stituisce la base e il nucleo imprescindibile, è in ultima istan­ za riconducibile al principio in questione. Per restare alle grandi suddivisioni, il calcolo dei pre­ dicati rappresenta semplicemente un ampliamento di quel­ lo proposizionalc; un ampliamento, dunque qualcosa che non ne mette in questione (né per altro ne può giustificare) il fondamento. La teoria del sillogismi è a sua volta ricon­ ducibile al calcolo dei predicati, del quale costituisce un momento particolare. E lo stesso vale evidentemente per il calcolo con identità. Il problema, caso mai, consisterà nel vedere in che senso tutti gli ampliamenti e le estensioni della logica, nonché tutte le nozioni concettualmente essenziali al suo costituir­ si (quali le distinzioni introdotte da Frege tra senso e deno­ tazione e tra concetto e oggetto) siano riconducibili al prin n

Dara la perfeua in rerscambiabi lirà della versione derivazionalc con

quella delle f avole di vcri r à .

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cipio di opposizione logica che abbiamo visto essere l'au­ tentico fondamento di questa disciplina. Rimandando a fra poco r approfondimento di questo aspetto, qui possiamo !imitarci a osservare che possono appartenere alla logica, intesa come l'ambito privilegiato di ciò che è rigorosamen ­ te a priori in quanto elencticamente innegabile, tutte e solo quelle nozioni che appaiono necessarie essendo condizione

della possibilità dell'opposizione del vero e del falso. Ma c'è un'altra via che ci consente di cogliere intuiti­ vamente come l'intera logica sia basata su una fondazione di carattere elenctico. La logica è la scienza che riguarda non la verità o la falsità delle proposizioni, ma la validità o non validità (la correttezza o non correttezza) dei ragionamenti 23• Per que­ sto essa può venire definita come l'insieme delle afferma­ zioni che restano vere anche se tutte le proposizioni date

dovessero risultare fa/se 24• Una conferma visiva di questo fatto l'abbiamo osser­ vando ancora una volta le tavole di verità. Noi vediamo infatti che l'ultima riga (FF) delle possibilità di verità e di falsità ( P/Q: VV, VF, FV, FF) rappresenta appunto la si­ tuazione in cui tutte le proposizioni date (P, Q) sono false. Ebbene, le leggi logiche valgono anche in questo caso; così che la logica può essere descritta come il regno di ciò che resta vero comunque, cioè anche nel caso in cui l'ambito

dell'errore (falsità) assuma la maggior estensione possibile. Ovvero: la logica, con le sue leggi , costituisce l'ambito di 2 ' La logica, come si sa, è la scienza che riguarda la correttezza dei ragionamenti, e non la verità delle proposizioni. Quest'ultima è irrilevante ai fini della logica, nel senso che un ragionamento può essere perfettamen­ te corretto anche se composto di proposizioni tutte false ('' Tutti gli italiani hanno le ali " ; "Ciinton è italiano" ; "Ciinton ha le ali " ) . 2 4 Per proposizioni date s i intendono qui quelle che per esempio nel Tractatus sono chiamate proposizioni elementari.

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quelle verità che non possono in alcun modo essere scalfite

dal 1negativo', cioè dalla possibilità della falsità e dell'errore. Ebbene, quest'ultima formulazione è un altro modo per esprimere la natura dell'élenchos, il quale appunto mostra come ci siano delle proposizioni che sono vere in maniera necessaria perché restano tali anche nel caso in cui il 'ne­ gativo' (il falso) ha la maggior estensione possibile, tant'è vero che esse risultano vere persino nel caso in cui si voles­ se ipotizzarne la falsità. Il fondamento della logica è dun­ que l'innegabile, inteso come ciò che non può essere reso negativo (falso) . Per questo essa enuncia le verità in/alst/i­ cabi/i (innegabili), determinando con ciò la struttura inne­ gabile della verità. Il carattere elenctico-innegabile della logica è stretta­ mente connesso al fatto che essa , come sopra è già stato accennato, è logica della negazione. Le implicazioni filoso­ ficamente più rilevanti di questo punto le tratteremo più avanti, quando illustreremo il senso secondo cui proprio la negazione si presenta come l'assolutamente innegabile. Ma già da ora I' aspetto cristallino ed essenziale che la logica assume nel nostro secolo con la sua formalizzazione di tipo simbolico-matematico consente di scorgere in maniera chia­ rissima il ruolo veramente fondamentale della negazione. Wittgenstein ci indica, con la sua tipica efficacia e concisio­ ne, come la " forma generale della proposizione" 25, cioè la forma logica, consista nella progressiva negazione di tutte le proposizioni. La logica è cioè la negazione di tutto ciò che è possibile negare, la negazione di ogni dato; l'intero sistema logico è costruito mediante l'operazione di negazione. Il privilegio filosofico della logica deriva dal fatto che essa è innegabile, e questo a sua volta dipende dalla circo-

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stanza che essa si costituisce come logica della negazione, sicché non è possibile negarla senza farla propria. Questo fondamento elenctico è ciò che ha conferito alla logica un ruolo filosofico determinante. Ed è sempre esso che ha condizionato in maniera de­ cisiva la natura di quella cosa che noi chiamiamo filosofia. È sufficiente ricordare, a questo proposito, l'importanza del pensiero cartesiano, il quale, come abbiamo già accennato, rimanda a un fondamento di tipo elenctico: il cogito che, inteso come luogo della possibilità del dubbio, è indubita­ bile precisamente perché non è possibile dubitare di esso senza riconoscere l'esistenza del pensiero dubitante. Se poi si considera che da questa figura scaturisce la filosofia moderna che culmina in Kant e nell'idealismo tedesco, in­ cominciamo a farci un 'idea adeguata della rilevanza che questa struttura concettuale possiede all'interno della no­ stra tradizione filosofica. Ma vale probabilmente la pena di presentare qualche significativa esemplificazione capace di mostrarci in che senso sia legittimo dire che l'intera filosofia, quale si è re­ alizzata nella nostra tradizione, può essere considerata come un ambito riconducibile nelle sue strutture essenziali alla fondazione di tipo elenctico e con ciò, in qualche misura, alla logica stessa.

III. LOGICA E METAFISICA

l . L A METAFISICA COME CONDIZIONE DELLA POSSIBILITÀ DELLA LOG ICA

La filosofia può essere concepita come la considera­ zione della realtà basata sul principio logico, quello della non contraddizione o della determ inazione-opposizione. Così, tutto ciò che è condizione della possibilità della con 103

formità della realtà a tale principio viene a costituire un nucleo concettuale necessario dal punto di vista filosofico. All 'insieme di tutte le proposizioni che hanno come pro­ prio contenuto questo ambito essenziale possiamo dare il nome di metafisica 26• Questa costituisce dunque l'insieme di tutte le propo­ sizioni che sono necessariamente vere sulla base della sem­ plice assunzione del principio di opposizione, inteso nella sua valenza più ampia. La metafisica, insomma, rappresen­ ta l'insieme di tutto ciò che della realtà può essere afferma­ to rigorosamente a priori. Così essa, nel suo nucleo essenziale, comprende innan­ 7 zitutto i princìpi (a) della conoscenza (in quanto 2 questi sono indispensabili al costituirsi del principio di non con ­ traddizione: Logica e Gnoseologia) e (b) della realtà, quale questa deve essere perché possa essere oggetto di conoscen ­ za vero/falsa (Ontologia) senza risultare contraddittoria anche se pensata nella sua totalità (Teologia) 28• Il resto della metafisica ricostruisce poi il tutto dell'esperienza ricondu­ cendolo ai princìpi generali così individuati, studia cioè a quali con dizioni l'ente naturale (spazio-temporale) è non ­ contraddittorio (Filosofia della natura l Cosmologia) . In questo ambito va compresa anche la vita in generale, e quella umana in particolare (Antropologia) con i suoi peculiari tratti coscienziali (Psicologia) , i quali schiudono la sfera del 21' Naturalmente questa non intende essere una definizione escludente ed esaustiva del fenomeno cui diamo il nome di " metafisica " ; tuttavia ci pare che l'aspetto qui evidenziato non ne costituisca un tratto accessorio o superfluo. 27 In generale uso l'espressione "in quanto" nell'accezione più lettera­ le, cioè nel senso di " per quel tanto che " , " nella misura in cui " , espressioni che a loro volta vanno intese nel loro senso più proprio, cioè con una valenza proporzionale. Qui si vuoi dire, per esem pio, che una legge è tanto più (o tanto meno) indispensabile alla logica quanto più (o quanto meno) direttamente è riconducibile al principio di opposizione. 2" Dio costituisce il toglimento delle contraddizioni del mondo.

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comportamento umano e dai quali discendono poi, nei loro tratti essenziali, anche le dottrine etiche, sociali e politiche.

2. L ' ARTICOLAZIONE DELLA METAFISICA 2 . 1 . Logica /orma/e

In questa prospettiva, tutta la metafisica mette capo, in ultima istanza, al principio elenctico di non contraddi­ zione (o di opposizione-determinazione) . La logica formale (quella che una volta veniva chiama­ ta logica minor) è l'ambito di ciò che è immediatamente implicito nella posizione stessa del principio. In merito a questo aspetto l'essenziale è già stato detto; qui basterà aggiungere qualche cenno per mostrare in che modo anche gli altri tratti della logica che pure sembrano indipendenti dal principio siano ad esso riconducibili, almeno nella mi­ sura in cui vogliano essere considerati vincolanti e quindi essenziali. L'elemento che ci consente di mettere in relazione que­ sti tratti con il principio di opposizione è costituito dalla nozione di errore (o di falsità) . Questa, infatti, rappresenta una sorta di medio nella riconduzione di ogni aspetto della logica al principio, perché da un lato è una variazione del principio logico di opposizione e dall'altro implica tutta una serie di postulazioni che vengono quindi a fungere da assunzioni ulteriori. Che l'opposizione logica implichi la nozione di errore è reso manifesto dagli stessi termini del­ l'opposizione (il vero e il falso) . Dunque tutto ciò che è condizione della possibilità del darsi dell'errore sarà assun­ to a pieno titolo come appartenente alla sfera di ciò che vale a priori dal punto di vista gnoseologico. Una riflessio­ ne attenta ci mostra, in effetti, come le nozioni essenziali della logica formale rispondano al requisito di essere mo105

menti particolari di ciò che è condizione della possibilità del darsi dell'errore, e quindi del gioco del vero e del falso. Il tratto costitutivo della logica è la scissione tra forma e con tenuto: da una parte la forma logica della conoscenza, dall'altra il senso, il significato e la verità delle singole pro­ posizioni. La logica, infatti, si costituisce a prescindere dal­ la conoscenza del valore di verità delle singole proposizio­ ni, nonché del loro significato specifico. Altro, infatti, è il contenuto del principio di non contraddizione, altro è il singolo contenuto delle varie proposizioni. Le molteplici opposizioni di vario tipo che caratterizzano la logica (clas­ se l elemento; concetto l oggetto; senso l denotazione; a priori l a posteriori; logico l empirico; senso l verità, etc.) sono variazioni di questa fondamentale distinzione. Possiamo chiarire questo punto mediante una consi­ derazione emblematica. Perché si possa dare l'errore è necessario che vi sia qualcosa (il senso) che permane im­ mutato a prescindere dalla verità della proposizione. Infat­ ti, se l'errore consiste nel prendere per vera una proposi­ zione falsa ( " La luce è accesa " ) , allora questo può accadere solo a condizione che il senso di tale proposizione ci sia dato indipendentemente dall'esperienza con cui ne accer­ tiamo il valore (la verità o falsità) . Così , la dimensione della conoscenza risulta ca ratterizzata da una scissione che pos­ siamo chiamare originaria, perché se questa non ci fosse noi non potremmo cadere in errore, e non potendo pren ­ dere per vero il falso e viceversa il gioco del vero e del falso (il gioco logico) non potrebbe avere luogo. La netta distinzione tra una forma fissa e delle combi­ nazioni variabili costituisce la condizione della possibilità dell'errore. Una conferma significativa di ciò ci viene dalla considerazione che la concezione per cui la componente fissa della proposizione viene in tesa come possibilità di combinazioni mutevoli costituisce, in quanto è condizione della possibilità del darsi del falso, un punto fermo della 106

nostra teoria della conoscenza dal So/ista di Platone al Tractatus di Wittgenstein 29• Tutti gli altri elementi logici rimandano, in qualche modo, a questa essenziale scissione, alla quale sono da ricon­ durre, concettualmente, tutte le opposizioni logiche. Per esempio quelle che caratterizzano la nozione, veramente fondamentale, di classe (o insieme) , la quale appunto risul­ ta (tra l'altro) definita dalla distinzione rispetto agli elementi che le appartengono. Se non esistesse la distinzione tra og­ getti (elementi} e classi, non sarebbe possibile nemmeno l'er­ rore, nel senso che non sarebbe possibile attribuire erronea­ mente un oggetto a una classe cui invece quello non appar­ tiene. Considerazioni analoghe potrebbero essere sviluppa­ te per quanto riguarda la fondamentale distinzione tra esten­ sione ed intensione, nonché a proposito dell'opposizione tra una classe e il suo complemento, dove torna a manifestarsi in maniera esplicita, assumendo la forma dell 'impossibilità che un oggetto appartenga a una classe e al suo complemen­ to, il principio di non contraddizione. Così la logica delle classi può essere ricondotta a una variazione di questo prin ­ cipio, variazione per la quale ogni oggetto da un lato deter­ mina una classe alla quale appartiene e dall'altra il comple­ mento di questa, alla quale non può appartenere Jo. Un discorso simile può essere svolto a proposito della classica, e altrettanto fondamentale, distinzione tra univerSi veda, per esempio, l'aforisma 2 .027 1 del Tractatus. Infatti il principio della logica delle classi è che l'appartenenza di un oggetto a una classe coincide con il suo avere una proprietà: «a t lx: Fxl +-+ Fa» (Lcmmon , EL, p. 224) . Ora, se mettiamo in connessione questo prin­ cipio con i teoremi del complemento (cioè il 209, a p. 227 : « f- a t a' +-+ ­ (a t a)» c il 2 1 9, a p. 230: « f- a n a' = A) possiamo dire che principio della logica è appunto il principio di non contraddizione. Se noi ora con­ sideriamo l'insieme totale v, cioè la classe universo (ivi, p. 230), possiamo dire che vale come principio generale di tale logica che, dati un qualsiasi oggetto e una qualsiasi classe, allora o l'oggetto appartiene alla classe, oppure non le appartiene (e appartiene dunque al suo complemento). 29 10

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sale e particolare; e lo stesso si può dire per le altre nozioni logiche, fondamentalmente tutte riconducibili a quella di­ stinzione. In particolare possiamo ricordare qui, con riferi­ mento a Frege, la «assoluta [ . . ] differenza tra concetto e oggetto» 3 1 , la analogia tra concetto e funzione (con la con ­ nessa correlazione tra le nozioni di variabile, argomento e valore) 32, nonché la distinzione tra senso (Sin n) e denota­ zione (Bedeutung), per la quale in sostanza vale quanto detto qui sopra a proposito del senso. Di particolare interesse filosofico, in connessione al problema della dialettica , sa­ rebbe poi una riflessione sulla indipendenza (scissione) che vi è tra i valori di verità delle proposizioni elementari che compaiono nel sistema della logica H . Ma quanto detto dovrebbe essere sufficiente a mostra­ re come il fenomeno 'negativo' della possibilità dell'errore costituisca l'essenza della logica, intesa come lo spazio del gioco dell'innegabile: quello del vero e del falso. .

2 . 2 . Gnoseologia

Qualcosa dello stesso genere si può affermare in gene­ rale, anche se forse in maniera meno immediata , per la teo/ und Gcgensland, w Vierteljah rsschrift fi.ir 11 Gottlob Frcgc, Obcr Bcgn/ wissenschaftlichc Philosophie", 16, ( 1 892 ) , pp. 192-205 ; trad. i t. di S. Zec­ chi, Conce/lo e oggcllo, in AA.VV. (a cura di A. Bonomi), La slrullura lo· gica del linguaggio, Bompiani, Milano 1 973, pp. 373-386, p. 374, corsivo mio. Qui Frege sta rispondendo polemicamente a Benna Kerry, il quale appunto «[ . . ] vorrebbe che non si considerasse assoluta la differenza tra concetto e oggetto)) (ibidem). 12 Tutto ciò è condizione della possibilità dell'errore. Per esempio la funzione proposizionale "x è bianca " diventa una proposizione vera o falsa a seconda che l'argomento sia "la neve" o w la pece " . 1 1 Potremmo anche dire, anticipando il richiamo al tema della dialet· tica che verrà introdotto in seguito, che il presupposto della logic-a è una antologia 'oggettuale', cioè una antologia in cui l'oggetto è dato come qual· cosa di indipendente (scisso) rispetto al concetto. Su questo punto si veda anche la parte conclusiva di questo capitolo. .

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ria della conoscenza o gnoseologia (quella che - può essere interessante qui rilevarlo - nella tradizione, soprattutto sco­ lastica , è andata sotto il nome di logica maior) . Le sue no­ zioni fondamentali sono sostanzialmente riducibili alla scis­ sione determinata dalla possibilità dell'errore. Questo vale per la distinzione soggetto/oggetto, per quella universale/ particolare (con il connesso problema degli universali) , per quella tra verità di fatto e verità di ragione, o tra verità im­ mediatamente e mediatamente evidenti (dimostrate dedut­ tivamente o induttivamente) , e ancora tra metodo e verità. A titolo di esempio paradigmatico possiamo dire, in breve, che soggetto e oggetto restano definiti come ciò che deve darsi affinché ci possa essere l 'errore: il soggetto è la dimensione che può entrare in conflitto (in caso di errore, appunto) con la realtà oggettiva. Attraverso questo duali­ smo, poi , tutta quanta la gnoseologia è riconducibile alla necessità di rendere ragione della oscillazione della propo­ sizione tra gli opposti poli del vero e del falso (bipolarità) . Per esempio, per l a nozione di universale vale quanto det­ to a proposito della nozione di classe; e l'ambito che pre­ tende di valere a priori (immediatezza, verità di ragione) non è che una particolare veste che assume la figura del­ l'innegabile. Ancora una volta, il Tractatus di Wittgenstein costituisce un grande tentativo di ridurre tutta la teoria della conoscenza all'ambito di ciò che è presupposto dalla sem­ plice posizione della bipolarità logica.

2 . 3 . Ontologia

Proprio il riferimento al capolavoro filosofico giovani­ le di Wittgenstein ci consente di comprendere chiaramente che le condizioni della possibilità del sistema logico non si limitano all'ambito logico-gnoseologico; esse investono in­ fatti anche il campo antologico. La 'metafisica logica' im1 09

plica pure una ontologia minimale (ma non per questo meno decisiva, come si vedrà), precisamente quella che è richie­ sta dalla logica dell'opposizione. In ambito logico-gnoseologico, come abbiamo visto, il tratto fondamentale è costituito dall'oscillazione della proposizione tra i poli del vero e del falso. Proprio per questo il carattere definitorio dell'ontologia, in quanto essa riguarda ciò che appartiene necessariamente all'essere (cioè all 'essere in quanto tale) , è costituito da ciò che è condi­ zione della possibilità del suo corrispondere al linguaggio, del suo essere oggetto di discorso 34• Così l'essere in quan­ to tale (dal momento che nella sua necessità, cioè nella sua essenza, esso è ciò che corrisponde al discorso che oscilla tra i poli del vero e del falso) resta definito come ciò che oscilla tra gli opposti poli dell'essere e del non essere. Perché è quando la realtà (che corrisponde al di­ scorso) è, che il discorso è vero; e viceversa è quando la realtà non è, che quello è falso. La realtà, dunque, deve necessariamente essere pensata come ontologicamente va­ cillante: alla oscillazione gnoseologica, i cui poli sono il vero e il falso, corrisponde quella ontologica, i cui estremi sono l'essere e il non essere. Di nuovo, un testo esemplare da questo punto di vista è il Tractatus di Wittgenstein: la realtà è composta di /atti, piuttosto che di oggetti, appunto perché - questo emerge dalla nostra interpretazione - solo così essa può corrispon1� Ciò che l'essere in quanto tale è neccs.rariamcnle, cioè inncgabilmen­ lc, è ciò che gli compete in quanto esso corrisponde al discorso, in quanto

cioè è oggetto (contenuto) del dire. Anche a questo proposito abbiamo una sorta di dimostrazione elenctica di quello che possiamo chiamare il teorema idealistico: tutto l'essere è compreso nel pensiero, ovvero il pen­ siero è intrascendibile. Infatti, il carattere della corrispondenza (apparte­ nenza) al pensiero è innegabile, perché chi volesse affermare l'esistenza di qualcosa trascendente il pensiero potrebbe fare ciò solo ponendo-pensan­ do questo qualcosa , ma in tal modo sarebbe costretto a negare quella stes­ sa tesi che intendeva affermare. 1 10

dere a quella combinazione variabile di elementi fissi in cui deve consistere il linguaggio (la proposizione: Satz) per poter essere vero/falso. Tale opera è appunto uno splendido esem­ pio di come sia possibile 'dedurre' rigorosamente la strut­ tura di tutto e solo ciò che è condizione della possibilità del gioco del vero e del falso. Ma con siderazioni simili, benché meno immediate, possono essere svolte anche per quelle impostazioni (si pensi per esempio a Quine) H che pongono come unico presup­ posto ontologico il riferimento alle variabili vincolate e ai loro valori. Anche qui, infatti, risulta ribadita la distinzione essenziale tra l'elemento accidentale (variabile, appunto) e quello /isso, ancorché i due non vengano più determinati a priori. In altri termini potremmo dire che la relatività an­ tologica è proprio il correlato dell'assunzione a priori della correlazione logica -o n tologia. La realtà deve dunque essere definita come accidentale; nel senso che è innegabile che si dia l'ambito in cui le cose possono essere o non essere in un determinato modo, e quindi anche l 'ambito della realtà che può tanto essere quanto non essere. Tutto ciò che accade in quest'ambito è inevitabilmente contingente: è così ma poteva essere diver­ samente; è accaduto ma poteva non accadere. n «[ . ] questo, sostanzialmente, è l'unico modo in cui ci si può impe­ gnare ontologicamente: c cioè con l'uso che facciamo delle variabili vinco· late. [ . ] Essere ritenuti entità vuoi dire unicamente e semplicemente esse­ re considerati valori di una variabile» (Willard V.O. Quine, Su ciò che vi è, in Il problema del significato, Ubaldini, Roma 1 966, pp. 3 - 19, p. 1 3 ; [que­ sto libro costituisce la traduzione italiana, a cura di E. Mistretta, di From a Logica/ Poinl o/ View, ( 1 953) Harvard University Press, Cambridge (Mass.) and London 1 96F). Cfr. «Essere è essere il valore c.li una variabile» (ivi, p. 16); c anche: «[ .. ] una qualsiasi teoria rimanda a quelle e solo a quelle entità cui è ne­ cessario che le variabili vincolate della teoria stessa si riferiscano perché le affermazioni /atte nella teoria siano vere» (ivi, p. 1 4 ) . Qui si esplicita che ciò che è presupposto è tutto c solo ciò che è condizione dell'esser vero da parte delle proposizioni (che possono essere anche false). .

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È per questo che sopra abbiamo detto che questa on­ tologia, benché minimale, ha una portata decisiva. Perché l'accidentalità dell 'essere ne comporta, in fin dei conti, l' in ­ sensatezz.a. Accidentale, infatti, è ciò che succede a caso, owero senza un senso. Così che, quando l'ambito della fat­ tualità contingente verrà assunto come orizzonte intrascen ­ dibile e quindi totale, l'unico scenario possibile diventerà un relativismo assoluto tendente al pieno nichilismo. In­ somma: gli esiti radicali ed estremi del pensiero contempo­ raneo sono già contenuti, in nuce, nel semplice principio che istituisce la logica.

2 . 4 . Teologia ed etica

Ma questo, appunto, accadrà solo con l'affermarsi del ­

la persuasione che " Dio è morto " , cioè che il mondo diveniente (la " terra " di Nietzsche) costituisce l'orizzonte totale dell 'esperienza. L'imporsi di questa convinzione non sarà un mero dato di fatto, come vedremo più avanti, bensì uno sviluppo rigoroso di pensiero; ma proprio per cogliere questo è necessario ora chiarire come la 'meta­ fi sica logi ca' debba necessariamente includere anche una componente teologica, con tutte le implicazioni eti­ che del caso. Dal momento che il mondo (con questo termine in­ tendiamo ciò che corrisponde alle proposizioni vero/fal­ se, quindi ciò di cui queste parlano) è per sua natura oscillante, esso è essenzialmente relativo e accidentale, quindi insensato. Il mondo, cioè, è essenzialmente p rivo di valore assoluto. Posto come assoluto, dunque, questo mondo è essenzialmente contraddittorio. Perciò esso ri­ manda necessariamente a un essere assoluto che lo tra­ scende: quello che nella nostra tradizione ha preso il nome di Dio. 1 12

Dalle cinque vie di S. Tommaso fino al formalismo logico del Tractatus Dio viene introdotto come ciò che è necessario per togliere la contraddizione del mondo rela­ tivo-diveniente, ma cioè viene assunto come condizione della possibilità del darsi di questo mondo oscillante e insensato. Sono evidenti le implicazioni etiche di questa imposta­ zione; perché, se il mondo è privo di valore assoluto-inne­ gabile, allora il valore assoluto non può che essere trascen­ dente rispetto ad esso. La figura della scissione che defini­ sce la logica ritorna qui sotto una forma particolare, quella della separazione tra il perfetto mondo divino da una parte e quello della nostra esperienza quotidiana segnata dal negativo dall'altra. Si annuncia già qui, a livello embrionale, quella com­ ponente etica che caratterizza il pensiero contemporaneo e alla quale diamo il nome di 'etica della disperazione' : l'evi­ denza indubitabile è il mondo oscillante e insensato 16; l'in­ discutibile è dunque che tutto ciò che (ci) può accadere e che (noi) possiamo sperimentare è senza valore (assoluto). Una esposizione chiarissima, esemplare, di questa si­ tuazione è, ancora una volta, quella presentata da Wittgen­ stein nella Conferenza sull'etica 31; ma, per altro verso, non a caso il discorso di Heidegger, nel momento in cui tenta di superare il nichilismo occidentale, fa perno sulla nozio­ ne di onto-teo-logia.

� " Qui sfrutto, evidentemente, la radicalità del pensiero di Emanuele Severino che ci consente di mettere in discussione l'evidenza del divenire, cioè, appunto, del mondo ontologicamente oscillante. �7 L. Wittgenstein, A Lecture on Ethics, ( 1 929), in " Philosophical Re­ view", LXXIV ( 1 965 ) , pp. 3- 12; trad. it. di M . Ranchetti, [Con/erenz.a] Sul­ l'etica, in L. Wittgenstein, Lezioni e conversazioni sull'etica, l'estetica, la psicologia e la credenz.a religiosa, (a cura di M . Ranchetti), Adelphi, Milano ( 1967 1 ) 1 9762, pp. 5 - 1 9.

1 13

2 . 5 . Altri aspetti della metafisica

Il resto della metafisica consiste nell'organizzare l'inte­ ro campo del sapere a partire da questi prindpi. La filosofia della natura (Cosmologia) «[ . . . ] studia a

quali condizioni l'ente mutevole spazio-temporale è non-con­ traddittorio» 38• Le trattazioni dell'uomo svolte nell'antropologia e poi nella psicologia sono basate su «dottrine metafisiche» qua­ li «la concezione finalistica della realtà e l'affermazione della libertà umana» 39 (Etica ) . Da questo insieme di considera­ zioni si sviluppa poi tutto il discorso teorico concernente la vita sociale e politica dell'uomo, e quindi la trattazione filosofica della storia, della società e della politica. Non è difficile scorgere la connessione che vi è tra la casualità del mondo e la libertà dell'uomo; nonché quella tra l'impianto teologico e la concezione finalistica. In tal modo l'intero sistema metafisico rimanda al fondamento logico e, tram ite esso, al principio elenctico dell'opposizione.

B. PROBLEMI E LIMITI DEL SISTEMA LOGICO­ FILOSOFICO l . I L CA RATTERE A U T O C O N TRADDITTORIO DEL SI STEMA LOGICO- FILOSOFICO E IL DOGMATISMO l.

A UTOCONTRADDITTORIET À DEL SISTEMA LOG ICO­ METAFISICO

Per metafisica intendiamo qui il sistema concettuale che esprime il tutto della realtà in quanto questa è conforme al principio di non contraddizione. Così questo sistema si '" Sofia Vanni Rovighi, Elementi di filosofia, La Scuola, Brescia ( 1963 1 ), 1 9652, 3 volumi; vol . III, p . 1 1 . 1 9 S. Vanni Rovighi, Elementi di filosofia, cit., vol . III, p. 20 1 . 1 14

presenta da un lato come innegabile, in quanto fondato sul principio logico di opposizione o di determinazione-nega­ zione, e dall 'altro come totale. In quanto tale, esso non può non includere al proprio interno pure la trattazione del suo stesso principio originario. Ma - ecco il passo avanti che adesso si tratta di compiere - venendo ad essere rifles siva la metafisica si espone alla contraddizione. La contraddittorietà cui va incontro il sistema logico­ metafisica si presenta sotto innumerevoli aspetti; ma in questa fase del discorso il motivo di fondo che la determi­ na può essere presentato nel modo seguente. Come abbia­ mo visto , la logica non riguarda la verità di alcuna propo­ sizione, ma solo le relazioni che intercorrono necessaria­ mente tra proposizioni qualsiasi. Necessarie sono quelle relazioni che discendono direttamente dal principio, cioè dal fatto che ogni proposizione deve venire originariamen­ te pensata come tale da poter essere aut vera aut falsa. Questo vuoi dire che una qualsiasi p roposizione, dal punto di vista del sistema logico, è essenzialmente problematica, intendendo con questo termine la circostanza che essa può essere tanto vera quanto falsa (benché naturalmente non possa essere insieme vera e falsa) . In altri termini, ogni proposizione, in quanto appartenente al sistema, è per prin­ cipio fallibile, e quindi negabile. Ora, il sistema, se vuole essere totale, deve riferirsi anche a quella proposizione che esprime il principio che lo fonda; solo che, se tale proposizione viene trattata alla stre­ gua di tutte le altre proposizioni, anch'essa va considerata problematica e quindi negabile. È appunto questo che de­ termina una contraddizione; perché il principio che ci ap­ pariva come innegabile ci si presenta ora come negabile. Questa circostanza mette inesorabilmente il sistema logico di fronte all'impossibilità di sfuggire al problema della contraddizione.

115

Perché per sfuggire alla contraddizione indicata il prin ­ cipio dovrebbe rinunciare alla pretesa di essere innegabile. (Abbiamo visto infatti che il principio è risultato contrad­ dittorio non di per sé, o immediatamente, ma solo in quan ­ to venga assunto come innegabile) . Solo che fare questo equivale ad ammettere che il principio di non contraddi­ zione è negabile, e quindi che vi sono delle situazioni nelle quali esso può non valere, cioè delle situazioni contraddit­ torie. Se invece lo si pone come innegabile, allora esso deve valere universalmente (nel senso - almeno - che non ci possono essere situazioni nella quali esso non risulti vali­ do) , ma quindi anche nei confronti del suo stesso princi­ pio, col che appunto si produce la situazione vista. Questa determina non solo una contraddizione, ma quella partico­ lare contraddizione per cui a venire contraddetto è lo stes­ so principio di non contraddizione, cosa che di nuovo im­ pone che si riconosca la possibilità che si diano situazioni contraddittorie .

2 . IL

DOGMATISMO

Quando il criterio della non contraddizione viene di /atto trattato come p rincipio universale-innegabile del sa­ pere, ma senza fare i conti con il problema della contrad ­ dizione, abbiamo quello che possiamo chiamare il dogma­ tismo. Con questo termine ci riferiamo a quella posizione che assume senza giustificarla (senza fondarla) la verità in ­ condizionata del principio della logica. Essa si basa sul principio di opposizione ma senza pensar/o, cioè senza pen­ sare il suo fondamento elenctico. Usiamo il termine " dog­ matismo " appunto perché per tale posizione ci sono delle proposizioni (in primo luogo il principio di non contraddi­ zione) che fungono da dogmi: esse vengono fatte valere in 1 16

maniera incondizionata ma in forza di una decisione arbi­ traria, cioè non legittimata (giustificata) benché universal­ mente vincolante . Il dogmatismo consiste appunto nel trattare come vin­ colante e ineludibile un 'assunzione che non è stata fonda­ ta 4 0 ; essa viene in tal modo sottratta al vaglio del pensiero. Il sistema logico non pensa il proprio fondamento perché vuole evitare la contraddizione; infatti esso non può, pena la contraddizione, p arlare della propria verità, della verità dei princìpi che lo costituiscono. Così, quella che ci si era presentata come la straordi­ naria forza del principio della logica, cioè il fatto di poter prescindere dalla verità delle proposizioni, si rivela qui come la sua debolezza: esso non può fondare se stesso, e così si espone alla possibilità della falsificazione e della contraddizione 4 1 • Il peculiare significato filosofico del si­ stema logico risiede nel fatto che esso riesce a esibire proposizioni che godono di una verità necessaria ma sen­ za essere costretto a postulare la verità di alcuna proposi­ zione, cosa questa che costituirebbe un presupposto ingiu­ stificato e quindi un'assunzione dogmatica. Esso infatti afferma ciò che resta necessariamente affermato anche nel caso in cui una qualsiasi proposizione data fosse falsa, 4 0 È il dogmatismo la radice ultima del dualismo che è stato spesso rimproverato alla metafisica; perché nella misura in cui è dogmatica essa resta divisa in due sfere nettamente distinte: da una parte le proposizioni che esprimono ciò che è implicito nel principio primo, le quali sono poste come necessariamente vere in quanto non vengono sottoposte all'esame della critica; dall'altra parte tutte le altre proposizioni, le qua­ li invece per principio non possono garantire la propria necessaria ve­ rità essendo esposte costitutivamente (in quanto oscillanti tra i poli del vero e del falso in forza dello stesso principio) alla possibilità della falsificazione. 41 Si osservi che il sistema, se potesse porre la propria verità, con ciò riuscirebbe a presentarsi come innegabile. Infatti in base al suo stesso principio se esso fosse vero non potrebbe essere falso, e dunque sarebbe innegabile.

1 17

owero nel caso in cui ognuna fosse falsa, cioè tutte lo fossero 42 • Esso sembra poter rinunciare a qualsiasi assun­ zione di verità e nello stesso tempo porsi come dotato di valore infallibile. Questo suo carattere deriva in fondo proprio dall' élenchos, la cui peculiarità fon dati va consiste precisamente in questo, che pur rinunciando a ogni po­ stulazione di verità esso riesce a istituire un sapere che non è arbitrario ma vincolante (universale, razionale) . Come emerge chiaramente già dal classico passo del libro r (IV) della Metafisica di Aristotele, il principio primo non può essere fondato né 'empiricamente' (su dati di fatto) , giac­ ché non sarebbe più innegabile, né per via deduttiva, giac­ ché non sarebbe più il principio primo, e la fondazione darebbe luogo a un circolo vizioso. La fondazione elenc­ tica, che proprio per questo è il paradigma della raziona­ lità filosofica 43 , costituisce un altro tipo di giustificazione, caratterizzato proprio dal fatto di non presupporre la verità di proposizioni né empiriche né logiche. Ma la contraddizione che abbiamo illustrato mette in questione questa prospettiva. Il valore del sistema logico-metafisico consiste nella innegabilità del suo principio. Ma ora è proprio questo suo carattere che si mette in questione, perché è precisamente esso che determina la contraddizione. È in qualche misura la nozione stessa di innegabilità, e quindi la stessa fondazio­ ne elenctica, ad essere messa in questione. Se non si riesce �2 Se qualsiasi proposizione può essere falsa, allora è possibile anche che tutte le proposizioni siano false. È vero che il fatto che ogni cittadino possa diventare Presidente della repubblica non implica che tutti i cittadi­ ni lo possano; ma questa impossibilità è determinata dall'esistenza di una legge. Qui, invece, ci troviamo in quella dimensione in cui non è possibile presupporre come valida alcuna legge. H Si veda su questo anche la posizione di Enrico Berti, per esempio in Contraddizione e dialettica negli antichi e nei moderni, L'Epos, Paler­ mo 1 988.

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a venire a capo di questo problema si deve rinunciare a ogni pretesa di innegabilità e quindi di autentica universa­ lità, per cui qualsiasi principio si assuma non potrà che essere arbitrario, cioè scelto in base a una decisione non vincolante, non inevitabile.

3 . Lo SVILUPPO DELLA LOGICA COME SUPERAMENTO DELL ' AUTOCONTRADDITTORIETA DEL SISTEMA

Il sistema logico-filosofico della non contraddizione, posto come sistema universale, è contraddittorio in quanto le proposizioni che esprimono il suo principio e ne affer­ mano la verità danno luogo, se compaiono al suo interno, a una contraddizione. Un sistema che voglia essere non contraddittorio, cioè che voglia escludere la contraddizione, deve dunque ri­ nunciare a quelle che tradizionalmente sono state le pre­ tese più radicalmente filosofiche, e soprattutto a quella di costituire un sapere perfettamente innegabile, quindi pie­ namente universale. Questo comporta evidentemente la rinuncia a un sistema dotato di un autoriferimento com­ pleto e perciò l' abbandono della presunzione di un meta­ discorso totale. Il problema è che non possiamo cancellare il meta di­ scorso senza privarci della p arte più importante del sapere, ivi compresa la concettualità scientifica, per esempio mate­ matica. Così, lo sviluppo della logica nel nostro secolo da un punto di vista filosofico può essere descritto in sostanza come un duplice movimento consistente da un lato nella formalizzazione rigorosa dei limiti che il sistema logico non può superare se vuole evitare di imbattersi in una contrad­ dizione, e dall 'altro lato nel recupero quanto più ampio possibile, naturalmente nel rispetto di questi limiti, dell' am­ bito del metadiscorso. 1 19

Le tappe essenziali di questo tragitto rappresentano i momenti essenziali della logica del nostro secolo, soprat­ tutto della sua prima metà. Mi riferisco al rilevamento del­ l' antinomia, evidenziata da Russell, che infida il mirabi­ le edificio logico progettato da Frege. Si trattava di uno straordinario sistema capace di ricostruire l'intero sapere logico-matematico (ma poi in prospettiva, attraverso que­ sto nucleo concettuale purissimo, la struttura essenziale del­ l'intero sapere scientifico e in generale teorico-razionale) su una base in qualche modo definitiva . Questa era infatti costituita da nozioni (pensiamo a quella di classe, o di in­ sieme) e da princìpi (del tipo di: " Qualsiasi proprietà de­ termina una classe, e un qualsiasi oggetto è membro di tale classe se e solo se possiede la proprietà che la definisce " ) che appaiono indispensabili a ogni sapere e irrefutabili in quanto perfettamente logico-concettuali, e cioè liberi da ogni compromissione con elementi sia empirici che meta­ empirici (teologico-metafisici) . Ebbene, l'antinomia della classe di tutte le classi che non contengono se stesse come membri 44 mostra che tale sistema, se viene assunto come illimitatamente (quindi universalmente, incondizionatamen­ te) valido, dà luogo a contraddizioni. Se si vuole evitare la contraddizione diventa dunque indispensabile porre dei limiti. Che questo esito sia asso­ lutamente inevitabile viene dimostrato in maniera conclu­ siva dalle vicende del programma fondazionalista di Hil­ bert che giungono , con i famosi teoremi di Kurt Godei (ma poi anche di Alfred Tarski , per quanto riguarda la semantica) , a dimostrare in maniera perentoria, grazie alla completa aritmetizzazione del procedimento dimostrati­ vo, l'impossibilità che un sistema logico universale sia in �4 Antinomia consistente nel fatto che se tale classe contiene se stessa allora non può contenersi; e se viceversa non si contiene allora per ciò stesso si contiene.

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grado di garantire la propna coerenza (non contraddit­ torietà) . L a soluzione del problema consiste dunque nel porre un limite al sistema. Dato che, come abbiamo detto, que­ sto limite deve essere tale da risultare il meno dannoso possibile, cioè da sacrificare il meno possibile il metadi­ scorso, la chiave della soluzione consisterà sostanzialmente nel realizzare il metadiscorso attraverso un processo illimi­ tatamente progressivo che rimanda all 'infinito il completa ­ mento dell'operazione. I n questo modo s i dovrebbe evitare il costituirsi di quell 'orizzonte onnicomprensivo che gene­ ra la contraddizione, ma nello stesso tempo non vi dovreb­ be essere alcuna parte del metadiscorso che resti definiti­ vamente esclusa dalla possibilità di una trattazione logica; non vi sarebbe, insomma , un ambito 'mistico' sottratto alla razionalità. L' ambito totale di questa si costituisce così come una sorta di progresso all'infinito che, in riferimento alla questione della dialettica che verrà affrontata più avanti, potrebbe essere descritto come una sorta di cattiva infini­ tà. In buona sostanza la soluzione consiste nel dislocare su piani o livelli diversi i vari momenti del metadiscorso, in maniera tale che non possa accadere che si dia un discorso che costituisca un metadiscorso completo, cioè tale da esse­ re autoinclusivo, ovvero da contenere integralmente se stes­ so come discorso oggetto. Questa linea di soluzione è indicata in maniera già chiarissima dalla teoria dei tipi (semplice e ramificata) di Russell , e, almeno nel suo significato essenziale, resta riba­ dita dai risultati di Godei e di Tarski. In tal modo, dun ­ que, viene imposto il limite senza che alcuna parte del metadiscorso venga persa a priori. La ricerca logica rappresenta in tal modo l'ardua impre­ sa di individuare la stretta via tra Scilla e Cariddi: in quanto escluda ambiti del metadiscorso risulta inadeguata e insod­ disfacente, ma in quanto lo venga a includere integralmente 12 1

si espone alla contraddizione 45• Il sistema logico è dunque caratterizzato da una serie di p roblemi che assumono l'aspetto o della inadeguatezza o della contraddizione a se­ conda del lato verso il quale si sbilanciano, cioè a seconda del punto di vista dal quale quel sistema viene considerato. Vale la pena di dare qualche significativo esempio in proposito, e di svolgere qualche considerazione in merito.

IL INADEGUATEZZE E LIMITI DEL SISTEMA LOGICO PENSATO COME SISTEMA FILOSOFICO UNIVERSALE

V aie la pena di soffermarsi un po' sul sistema logico che possiamo chiamare standard ( quello, cioè, che viene presentato in un qualsiasi manuale logico di base) per mostrare come effettivamente esso da un lato risulti immu­ ne da contraddizione solo in quanto sia pensato come limi­ tato (cioè tale da non comprendere tutte le possibili pro­ posizioni) , e dall' altro lato presenti, proprio a causa di questa limitazione originaria, dei caratteri che lo rendono insoddisfacente e inadatto a rappresentare in maniera ade­ guata la razionalità in generale.

l.

L A CONTRADDIZIONE NEL CALCOLO PROPOSIZIONALE PENSATO COME SISTEMA FILOSOFICO

Come al solito, il sistema delle tavole di verità ci forni­ sce una illustrazione quasi 'visiva' di questa situazione, e per questo verso particolarmente chiara e immediatamente � 5 Potremmo anche paragonare la logica (utilizzando un'immagine che mi è stata suggerita dal professore Mauro Nasti, anche se non in riferimento a questo aspetto particolare) , al letto di Procuste: troppo lungo per chi vuole assolutamente evitare il rischio della contraddizione ma troppo corto per chi intende renderla adeguata a rispecchiare completa­ mente la razionalità.

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evidente. Per esempio, se noi interpretassimo le proposi­ zioni elementari (o semplici: P, Q, etc . ; che qui, per quanto già detto, chiameremo anche proposizioni date) , come l'in­ sieme totale di tutte le possibili affermazioni sulla realtà, il sistema risulterebbe immediatamente contraddittorio . Per­ ché anche le proposizioni affermanti la verità o la falsità di una proposizione dovrebbero risultare incluse in questo insieme, ma allora avremmo necessariamente il caso in cui una proposizione è vera e nello stesso tempo è vera la pro­ posizione che la dichiara falsa 46• Il sistema , infatti, per ogni proposizioni prevede necessariamente casi in cui essa è vera e casi in cui è falsa 47• Ancora più evidente la cosa risulta ipotizzando che tra le proposizioni ' date' ve ne sia una che esprime il principio di non contraddizione. In questo caso, infatti, risulterebbe necessario ammettere la possibilità che esso sia falso. Da queste banali considerazioni emerge in maniera chiarissima il punto fondamentale: se si vuole evitare la contraddizione bisogna escludere, dal campo delle propo­ sizioni date, tutte quelle che parlano di ciò che è necessa­ rio, cioè innegabile; perché in caso contrario questo ver­ rebbe ad essere problematico (e quindi negabile) dal mo­ mento che il sistema è definito dal fatto di non impegnarsi circa la verità delle singole proposizioni. Ma in tal modo resta estromesso dal campo del dicibi­ le tutto ciò che riguarda l'essenza del sistema logico-teori­ co (le leggi logiche) o ne costituisce il presupposto e la con41' Se per esempio Q potesse venire interpretata come la proposizione affermante la verità di P, succederebbe che "P f\ Q", la quale pure è una formula perfettamente legittima e quindi in certe circostanze (precisamen· te nell'ipotesi V,F) risulta vera, sarebbe una contraddizione. 47 Il sistema, infatti, consiste nell'insieme delle situazioni determinate da tutte le possibili combinazioni di possibiltà di verità e di falsità delle proposizioni elementari. -

123

dizione della possibilità (la verità, etc. ) , insomma tutta la filosofia, intendendo con questo termine il discorso che riguarda proprio ciò che vale necessariamente, in m aniera innegabile. Non è un caso, del resto, che l'esclusione della filosofia non riducibile ad analisi logica del linguaggio co­ stituisca un momento programmatico centrale nella wissen­ scha/tliche Weltau//assung che si ispirava , tra l ' altro , al Tractatus wittgensteiniano. È chiaro, però, che non è possibile escludere totalmen­ te dal campo del dicibile ciò che per altro costituisce l'aspet­ to più importante del sistema adottato, il quale dovrà quindi comprendere, in qualche forma , anche la dimensione me­ tadiscorsiva. Ma è altrettanto chiaro che questo dovrà isti­ tuire un livello diverso da quello delle proposizioni 'vere e proprie'; e questa circostanza non può evidentemente non avere delle conseguenze rilevanti. Non si può fondare la dimensione essenziale del siste­ ma logico restando al suo interno, e dunque essa viene, per quanto sta a tale sistema, assunta dogmaticamente. As­ sumere il sistema come orizzonte del pensare risulta dun­ que, da un punto di vista radicalmente filosofico, una opzione non vincolante, e la sua adozione viene così a presentare una serie di problemi, appunto perché risulta problematico che esso sia effettivamente in grado di rap­ presentare legittimamente l'essenza di tutto quello che noi chiamiamo razionalità e conoscenza. Vale la pena di approfondire un po' questo aspetto . Ancora una volta, le tavole di verità ci forniscono una esemplificazione eccellente· di alcuni momenti essenziali di quanto abbiamo detto. Esse rappresentano infatti in ma­ niera evidente - riprendiamo qui il discorso svolto sopra ­ il fatto che le formule che esprimono la leggi della logica (per esempio "- (P A - PY, "P � P" , etc.) devono stare non sullo stesso piano delle proposizioni elementari, ma 124

su un piano diverso , quello delle proposizioni che possia­ mo chiamare complesse. Grazie a questo dislivello risulta in qualche modo possibile rappresentare, all'interno del si­ stema, i suoi stessi princìpi (identità: " P � P" ; non con­ traddizione: " - (P 1\ - P)"; terzo escluso: "P v - P" ) . Addi­ rittura risulta pos sibile mostrarne la innegabilità, cioè la necessaria verità, dal momento che per esempio quel­ la che viene chiamata «legge di non contraddizione», cioè " - (P 1\ - PY 4 8 , risulta, all'interno del sistema, necessaria­ mente vera, in quanto assume il valore " vero " in tutti i casi possibili. Va peraltro ricordato, a questo proposito, che comun­ que questa circostanza non può in alcun modo costituire una sorta di auto/ondazione del sistema; perché questa, come sappiamo, risulterebbe contraddittoria. In effetti , come autofondazione essa darebbe luogo a un circolo vizioso, perché la legge di non contraddizione risulta necessaria­ mente vera solo perché il sistema è stato costruito in ma­ niera tale da rispettare e quindi da imporre la logica del­ l'opposizione-incompatibilità tra il vero e il falso. Qualsiasi tautologia insomma risulta infalsificabile solo all'interno del sistema istituito dal quel principio, cioè solo in quanto se ne sia presupposto il valore. Le tautologie, in altri termini, non pongono, ma presuppongono, la verità del principio che fonda la verità del sistema 49• In questo senso si potrebbe dire, 4 8 Cfr. Lemmon , EL, p. 58. Questa legge viene formulata nel seguente modo: «- (P A - P)» (ivi, p. 56, teorema n. 3 7 ) . Prescindiamo qui dalla considerazione che il principio potrebbe eventualmente essere espresso più adeguatamente da una formula composta di «variabili metalogiche» (cfr. ivi, p. 55), quale "- (A " - A) " , perché questa rappresenta tutti i singoli casi di formule ben formate che sono negazione di una contraddizione (dunque non solo "- (P " - P) " ma anche "- ( Q " - Q) " , "- ((P " Q) " - (P " Q) ) " , etc.), mentre - (P " - P) " rappresenta solo una individuazione particolare di tale principio generale. 49 Altro dunque è il principio che governa il sistema, e che è presuppo­ sto da questo, altro è la legge che, al suo interno, risulta vera in forza delle "

125

richiamandosi a Wittgenstein , che il vero principio costitu­ tivo del sistema e il suo valore non sono dicibili (raffigura­ bili) dalle tautologie, benché si mostrino in queste 50•

2.

L OGICA E VERITÀ : I LIMITI DEL SISTEMA LOGICO E LA CONCEZIONE ' NICHILISTICA ' DELLA VERITÀ

Considerazioni del tutto simili valgono evidentemente per quanto concerne quelle proposizioni (o metaproposizio­ ni) che riguardano la verità (o falsità) di altre proposizioni, cioè che comprendono la verità come loro contenuto.

regole del sistema stesso. Ciò a cui diamo il nome, all'interno del sistema, di principio di non contraddizione è una cosa diversa dal principio che organizza e governa il sistema, anche se è imparentato con questo. Una conferma di ciò la troviamo nella considerazione che ogni legge logica, e non solo quella chiamata principio di non contraddizione, è necessaria­ mente vera, e in questo senso equivale alla legge di non contraddizione. Una tautologia come per esempio "P � P" esprime il principio del sistema tanto quanto la formula "- (P " - P) " . Quello che chiamiamo principio, insomma, è espresso dalla totalità delle leggi logiche, e non da una singola formula; e lo stesso vale, evidentemente, a livello di variabili metalogiche. Dobbiamo dunque operare una distinzione tra la formula interna al sistema che esprime il principio di non contraddizione (- (A " - A)) e il principio che regola e costituisce il sistema. Questo è il principio che impo­ ne ordini e proibizioni; quegli ordini e quelle proibizioni che fanno sì che le proposizioni della logica risultino necessariamente vere. Per evitare equi­ voci, possiamo chiamare legge logica di non contraddizione la formula in­ terna al sistema, e principio di non contraddizione il suo fondamento ori­ ginario. Ora, il principio comprende al proprio interno, a differenza della legge logica, il motivo per il quale questa è necessariamente vera; i due non possono dunque coincidere. 5° Ci si potrebbe chiedere, a questo proposito: come si fa, all'interno del siStema, a dire che una proposizione è tautologica? Si potrebbe rispon­ dere: mediante una formula del tipo " T � P " (dove T è una qualsiasi tautologia); nel senso che, se P è una tautologia, allora questa proposizione è vera (perché in questo caso è sempre vera, cioè è a sua volta una tauto­ logia) . Ma questo non cambia la situazione che abbiamo visto. Innanzitutto questa proposizione è vera, sia pure solo in qualche caso, anche se P non è una tautologia; sicché non pare corretto interpretarla come espressione ,

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Anche queste, come abbiamo gta visto, se fossero espresse dalle proposizioni elementari darebbero vita a delle contraddizioni. Ciò vuoi dire che la verità e la falsità delle proposizioni non appartengono - dal punto di vista del sistema logico-proposizionale - ai fatti del mondo, e dun­ que che la conoscenza del vero e del falso non è una cono­ scenza normale, o naturale 5 1 . S e l'esser-vero e l'esser-falso fossero due 'fatti' , allora essi sarebbero straordinari, 'sovrannaturali' ; perché, a dif­ ferenza di tutti gli altri fatti ( quelli espressi dalle propo­ sizioni elementari) essi avrebbero una relazione necessaria tra di loro (una relazione di incompatibilità) . Così, il 'fat­ to' (che) P-è-vera sarebbe incompatibile con il 'fatto' (che) P-è-falsa. La vero/falsità insomma è trascendente i fatti del mon­ do, e quindi anche il mondo della logica. Questo risulta confermato pure dal fatto che il sistema presuppone, per poter funzionare, che l'assegnazione dei valori di vero/fal­ sità alle proposizioni sia qualcosa di fisso, stabilito in ma­ niera conclusiva. La vero/falsità è un presupposto del siste­ ma logico; essa viene dunque assunta dogmaticamente, e proprio per questo ciò che in tal modo viene postulato di "P è una tautologia" , la quale risulta falsa tout court se P non lo è. E poi, che cosa è, in concreto, T nel nostro calcolo? Essa non può essere che una determinata, particolare tautologia (per esempio " P --+ P"); per cui, da capo, il problema è che essa non dice, di sé, che è una tautologia, ma lo mostra (nei suoi valori di verità). Sicché non abbiamo fatto un passo avanti rispet­ to alla situazione precedente, là dove si osservava che a 'dire' che una pro­ posizione è tautologica non può essere una proposizione interna al sistema ma solo il valore che tale proposizione assume all'interno del sistema. 5 1 Anche qui, come per le tautologie, le proposizioni affermanti la vero/ falsità potrebbero essere espresse eventualmente solo dalle proposizioni complesse. Per esempio "- P" (FFVV) equivarrebbe a "P è falsa " , e " + P" (VVFF) a "P è vera" . Ma le proposizioni composte, i n quanto funzioni di verità delle pro­ posizioni elementari, non esprimono fatti del mondo nuovi rispetto a quelli raffigurati dalle proposizioni elementari. 127

assume un carattere metafisica: ha una natura superiore, trascendente quella dei 'normali ' fatti del mondo. Nella misura in cui il fenomeno della vero/falsità non può essere un fatto del mondo, la logica risulta fondata su una teoria della verità che potremmo chiamare nichilistica 52• Con questo intendo esprimere il fatto che tutto ciò di cui non si può parlare senza generare una contraddizione non può essere considerato, dal punto di vista del sistema, come qualcosa di esistente, e deve quindi essere trattato come nulla. In qualche misura dunque la stessa verità è nulla. La verità (l'opposizione vero/falso, e quindi il valore di verità di ogni singola proposizione) è ilfondamento e l'essenza del sistema, e tuttavia esso è, per il sistema stesso, nulla. È stata questa circostanza a far sì che un'impostazione strettamente logico-filosofica si sia trovata esposta a una serie di attacchi di natura peculiarmente filosofica. Il siste­ ma risulta caratterizzato dal fatto di avere una serie di pre­ supposti (quelli impliciti nel principio) che costituiscono il suo fondamento e che tuttavia (ma proprio per questo) sono sottratti al pensiero, e quindi non possono essere messi in discussione e fondati. Una conferma estremamente chiara di ciò può essere ricavata dalla considerazione di alcuni teoremi logici parti­ colarmente significativi, i quali mostrano come questa di­ sciplina presupponga niente meno che l 'affermazione prin­ cipale della metafisica, quella per la quale vi è qualcosa piut52 Il carattere nichilistico del sistema va inteso almeno in un duplice senso. Da un lato il fondamento è l'opposizione, ovvero l'oscillazione logi­ ca della proposizione (tra i poli del vero e del falso) e la corrispondente oscillazione ontologica dei fatti (tra i poli dell'essere e del non essere). Dall'altro lato il fondamento - cioè la vero/falsità delle proposizioni, o l'essere/non essere dei fatti - è qualcosa che per il sistema è come se non fosse, è nulla, nel senso indicato che non può costituire alcuno dei suoi contenuti. Su questo problema si può vedere anche il paragrafo 3 .3 del capitolo IV ( ''Verità del relativismo" ) di questa prima parte.

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tosto che nulla 5 3. Ora, come può non venire in mente il problema sollevato da Heidegger, quando il filosofo tede­ sco ci ricorda che la questione filosofica fondamentale può essere espressa, richiamandosi a Leibniz, in questo modo: «Perché vi è, in generale, l'essente e non il nulla?» 54• La logica, dunque, presuppone l' ontologia; e la contraddizione si scatena quando le proposizioni ontologiche vengono tra­ sferite all 'interno del sistema 55 • Si potrebbe dire, p arafra5 l Tra i teoremi del calcolo dei predicati ve ne è uno che suona: " 1- (3 x) Fx v ( 3 x) - Fx" (Lemmon, EL, teorema 152, p. 1 95 . A proposito dell'apo­

ria del nulla cfr. ivi, pp. 227 , 229, 230, 232). Che questo sia un teorema vuoi dire che è una verità necessaria, per la logica, che esista qualcosa; perché se così non fosse quel teorema risulterebbe falso (Lemmon, ivi, p. 1 95 ; cfr. p . 1 7 3 ), ma l a falsità d i u n teorema equivarrebbe alla distruzione della logica. Più precisamente, la logica presuppone che esista qualcosa di oscillan­ te (accidentale) , perché si tratta di qualcosa che o ha o non ha una deter­ minata proprietà, come risulta confermato dal teorema 129 (ivi, p. 165 , chiamato «legge di non contraddizione») che suona: " 1- (x) - ( Fx 1\ - Fx) " . Presupposto della logica è dunque l'affermazione antologica che esiste qualcosa di accidentale. Questo si manifesta anche nel fatto che è un teo­ rema una formula come la seguente: " (x) (Fx v - Fx) " (ivi, p. 173 [la for­ mula è quella di p . 156 del testo originale, perché quella della traduzione italiana è errata] . Si consideri, a questo proposito, anche il fatto che «gli universi vuoti hanno proprietà formali così particolari che è bene non con­ siderarli» (EL, p. 173 ), e che «il calcolo dei predicati richiede un'interpre­ tazione di universi di discorso non vuoti» (ivi, p. 1 95 ) . La logica presuppone dunque come verità necessaria un'affermazione che può grosso modo essere espressa così: "Esiste necessariamente qualco­ sa che o ha o non ha una certa proprietà " . 54 M. Heidegger, Ein/iihrung in die Metaphysik, (corso un. 1935 ), Max Niemeyer, Tiibingen 1966; trad. it. di G. Masi, Introduzione alla metafisica, Mursia, Milano ( 1 968 1 ) 1972 2 ; p. 13 della traduzione italiana. Questa do­ manda riprende le battute conclusive del citato saggioWas ist Metaphysik? 55 Può essere interessante considerare da questo punto di vista alcu­ ni aspetti della teoria elementare delle classi. Qui (Lemmon, EL, p. 229) si parla della classe nulla (/\ [x : x � x)) e vengono poste come teo­ rem i le affermazioni che di nessun oggetto si può 'predicare' il nulla ( 1- (x) - (x e /\) " : teorema 2 1 8; ivi, p. 230) e che ogni elemento 'appartie­ ne all'essere': «[. . . ] ogni classe è inclusa nella classe universo» (ivi, p. 232); cfr. il teorema 228: " 1- a ç v " (ibidem) . Da questo segue anche, i n connessione con i paradossi della implica­ zione formale (ivi, p. 1 7 1 ) , l'affermazione che "la classe nulla è inclusa in :::;;

"

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sando appunto la posizione heideggeriana, che il sistema della non contraddizione ci conferma che la logica (e quin­ di la scienza) non pensa. Questo non va inteso come una sorta di 'insulto' , ma come il rilevamento che essa non può pensare il proprio fondamento onto-logico senza contrad­ dirsi. In Che cos'è metafisica ?, infatti, Heidegger ci indica nell'incapacità di pensare il nulla, e quindi l'essere, il limi­ te essenziale del pensiero scientifico 5 6• È per questo che per lui si impone, dal punto di vista filosofico , la necessità di un superamento della logica 57 , superamento che fa tutogni classe" (ivi, p. 232); cfr. il teorema 227 : " 1- 1\ !: a" (ibidem). Da ciò deriva pure che il nulla è incluso nella classe universo. Il significato onto­ logico-teoretico di assunzioni di questo tipo è evidente. 56 In Che cos'è metafisica?, cit., Heidegger afferma che la scienza non pensa il nulla. Cfr. «Il niente si svela nell'angoscia, ma non come ente, e tanto meno come oggetto» (p. 69) . E del resto questo impensato è il fon­ damento; perché solo sulla base del niente è possibile il «dirigersi all'ente e occuparsene» (ivi, p. 70), ed è possibile «l'evidenza dell'ente in generale» (p. 70). Cfr. «Si è così ottenuta la risposta alla questione del niente. Il niente non è un oggetto, né in generale un ente» (p. 7 1 ) . «Il niente non si presenta per sé, né accanto all'ente a cui per così dire inerisce. Il niente è ciò che rende possibile l'evidenza dell'ente come tale per l'esserci umano» (p. 7 1 ) . Cfr. : «[ .. ] appare chiaro che l'esserci dello scienziato è possibile solo se sin da principio si tiene immerso nel niente» (p. 76). �7 «Non è infatti ancora per nulla pacifico che la logica e le sue regole fondamentali siano in grado di offrirei, in generale, un criterio per il proble­ ma dell'essente come tale. Potrebbe essere, al contrario, che tutta la logica da noi conosciuta, e considerata come piovuta dal cielo, si fondi già su una determinata e particolare risposta alla domanda sull'essente, tale che ogni pensiero che ubbidisce solamente alle regole della logica tradizionale si trovi fin da principio nell'impossibilità anche solo di comprendere, in generale, la domanda circa l'essente, e tanto più nell'impossibilità di svilupparla realmen­ te e di pervenire a una risposta. Non c'è in realtà che una apparenza di ri­ gore scientifico nell'appellarsi al principio di non contraddizione e in genere alla logica per provare che ogni pensiero o discorso sul nulla è contraddit­ torio e perciò privo di senso. " La logica " è considerata, da questo punto di vista, come un tribunale eterno, di cui, naturalmente, nessun uomo ragione­ vole può mettere in dubbio la giurisdizione nella sua competenza di prima e ultima istanza. Chi parla contro la logica è conseguentemente, in modo tacito o espresso, sospettato di arbitrio. Si fa valere questo semplice sospetto come una prova e un'obiezione, ritenendosi esonerati da un più ampio ed autentico esame della questione» (Introduzione alla metafisica, cit., p. 36). .

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t'uno con un ripensamento radicale dell'essenza della ne­ gazione 58 . Rimandando a dopo la ripresa di questo fondamentale giro di problemi, per il momento ci limitiamo a prendere atto della problematicità che viene a caratterizzare il siste­ ma logico nella misura in cui questo si trova costretto, per evitare la contraddizione, a porsi dei limiti ed escludere determinati contenuti. III . I PARADOSSI LOGICI COME SINTOMO DELLA I N A D E G U ATEZZA F I L O S OFICA D E L S I S TEMA STANDARD DELLA NON CONTRADDIZIONE

l.

l PARADOSSI CONNESSI ALL ' IMPLICAZIONE

1 . 1 . Il significato filosofico dei paradossi dell'implicazione materiale Non mancano certo sintomi significativi della inade­ guatezza o addirittura della invalidità che caratterizzano la logica standard 59 quando essa venga intesa come un 58 «Il "non " non nasce dalla negazione, ma la negazione si fonda sul "non" che scaturisce dalla nientificazione del niente» (Che cos'è metafisica?, cit., p. 72); così che «il niente è l'origine della negazione, e non viceversa» (ibidem). Ma, «se nell'ambito del domandare del niente e dell'essere viene così infranto il potere dell'intelletto, allora qui si decide anche il destino del dominio della "logica" all'interno della filosofia. L'idea della "logica" si dissolve a sua volta nel vortice di un domandare più originario» (ibidem). Cfr.: «La filosofia si mette in moto soltanto attraverso un particolare salto della propria esistenza dentro le possibilità fondamentali dell'esserci nella sua totalità. Per questo salto sono decisivi: anzitutto il fare spazio al­ l'ente nella sua totalità; quindi il lasciarsi andare al niente, cioè il liberarsi dagli idoli che ciascuno ha e con i quali è solito evadere; infine il lasciare librare sino in fondo questo essere sospesi, affinché esso ritorni costante­ mente alla domanda fondamentale della metafisica, a cui il niente stesso costringe: Perché è in generale l'ente e non piuttosto il niente?» (ivi, p. 77). 5 9 Ricordiamoci sempre che qui stiamo parlando di quella che abbia­ mo chiamato logica standard, la quale però costituisce la base di ogni ul­ teriore ampliamento.

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sistema capace di comprendere ogni forma di ragiOna­ mento valido . Un esempio assai noto e particolarmente significativo di questa circostanza è l'insieme di quelli che vanno sotto il nome di " paradossi dell'implicazione materiale " , i quali ci impongono di mettere esplicitamente in discussione la pretesa che quello che la logica ci propone come ragiona­ mento corrisponda effettivamente a ciò che noi intendiamo con questo nome 60• Infatti se interpretiamo il calcolo logi­ co come qualcosa che corrisponde al nostro ragionare nor­ male ci troviamo di fronte a risultati fortemente controin ­ tuitivi e inaccettabili . Vediamo più precisamente. Se interpretiamo il connet­ tivo dell'implicazione come ciò che corrisponde, all'interno del sistema logico, a quella che chiamiamo implicazione quando ci riferiamo al nostro normale modo di ragionare otteniamo, mediante ragionamenti assolutamente corretti dal punto di vista logico, delle conclusioni inaccettabili 6 1 • Ma

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Il sistema logico pretende di essere una interpretazione del nostro quotidiano modo di ragionare certamente più rigorosa di questo, perché meno ambigua (cfr. per esempio Lemmon, EL, pp. 1 13 ss.; si tenga inoltre presente, tra l'altro, la questione delle descrizioni definite trattata da Rus­ sell) ma nella sostanza identica a questo. È proprio da questa circostanza che tale sistema trae le propria importanza e il proprio valore. Dover am­ mettere che, su questioni essenziali, esso produce esiti che sono in contra­ sto con ciò che noi intendiamo per ragionamento significa dover ricono­ scere la sua invalidità, o inadeguatezza, come metodo universale del ragio­ namento e quindi la problematicità della pretesa di assegnargli tale ruolo. (, l Perché, per esempio, costituiscono ragionamenti validi del calcolo logico schemi di questo tipo: ( l ) "P 1- (Q --+ P) " e (2) "- P 1- (P --+ Q) " (Cfr. Lemmon, EL, pp. 66; rispettivamente sequenze 50 e 52). Ora, se appunto interpretiamo l'implicazione logica come equivalente a quella 'normale' (ordinaria) , otteniamo risultati paradossali. Poniamo infatti di sostituire, in ( 1 ) , a P "La neve è bianca" e a Q "Roma è la capitale d'Italia" . Accettando l'interpretazione detta, potremmo affermare che dal punto di vista logico, se è vero che la neve è bianca, allora necessariamente risulta esservi una implicazione tra il fatto che Roma è la capitale d'Italia e il fatto che la neve è bianca. Dato, dunque, che effettivamente è vero che la neve è bianca, 132

poi, dal momento che, grazie alla perfetta corrispondenza tra il segno di asserzione ( 1-) e quello di implicazione ( � ) 62 , l'unico elemento interno al calcolo che può rappresentare il segno di asserzione è proprio il connettivo dell'implica -

sembra che la logica ci costringa ad accettare come una verità necessaria l'affermazione dell'esistenza di una connessione (una implicazione) tra il fatto che Roma è la capitale d'Italia e la circostanza che la neve è bianca. In maniera analoga, nel caso (2 ), se noi sostituiamo a P " Io [= L.T.] faccio parte della nazionale di calcio" e a Q " L'Italia vince i campionati mondiali di calcio" , dato che non è vero che io giochi nella nazionale, dal punto di vista logico risulta essere necessariamente vera l'affermazione (formulata in ma­ niera un po' libera proprio per evidenziare la paradossalità della situazio­ ne, e prescindendo qui dalla questione dei controfattuali di cui si dirà qual­ cosa più avanti) che "Se io facessi parte della nazionale di calcio allora l'Italia vincerebbe i campionati del mondo" ; diventa cioè una sorta di verità neces­ saria l'affermazione di mie straordinarie capacità calcistiche. Se (pur senza voler sottovalutare le mie doti di calciatore) vogliamo sfuggire a questo paradosso, dobbiamo dichiarare apertamente che il segno di implicazione non comporta alcuna correlazione (alcuna implicazione, verrebbe fatto di dire, per evidenziare appunto la paradossalità della situa­ zione) tra l'antecedente e la conseguente (P e Q) . Ma affermare questo equi­ vale ad affermare che tale segno non corrisponde a/fatto a ciò che chiamiamo implicazione quando par!t"amo del nostro ordinario modo di ragionare. Il paradosso risulta evidente in questi casi, ma esso ha le sue radici nei fondamenti stessi del sistema logico. Perché, per esempio, esso si riaffaccia anche nella circostanza che sia tautologica una formula come "P � (Q � P) " . E del resto ciò è strettamente connesso a quella che costituisce una delle regole primitive del calcolo, cioè la Introduzione della disgiunzione {lv) , e più precisamente alla circostanza che il suo utilizzo è legittimato dal fatto che essa «non può condurre da una premessa vera ad una conclusione falsa» (Lemmon, EL, p. 26). Non a caso è proprio questa regola che ricompare nelle dimostrazioni delle sequenze 'paradossali' quali "P 1- (Q � P) " e "- P 1- (P � Q) " (cfr. ivi, p. 66 e p. 67 ). Del resto, come osserva il Lemmon, quel­ le due s�quenze «possono essere anche provate usando unicamente» altre re­ gole primitive, il che dimostra «quanto sia difficile 'evitare' i paradossi» {ivi, pp. 67 -68); appunto perché essi sono legati non a una regola particolare piut­ tosto che a un'altra, ma in qualche modo al fondamento stesso del sistema. ÉÀ.tJ.La. yi yvEta.t. [ . . . ] a.\mìv oùx i Ka.vroc; ÌO'J.LEV' Et OÈ J.LlÌ ÌO'J.LEV. UVEU OÈ 'tCXUtlleÀ.oc;. OOcr1tEP ouo' Et lCE1Ct'liJ.LE8a n UVEU tou à.ya.eou. . .

(Platone) 1

I . L'ECLISSI DEL PROGETTO DELLA FILOSOFIA COME SCIENZA RIGOROSA l.

SU PERSTIZIONE, SCIENZA, FILOSOFIA: LA FILOSOFIA COME SCIENZA DEL BENE E QUINDI COME SCIENZA DELLA SCIENZA

L ' autorealizzazione di un ' umanità soddisfatta passa attraverso la liberazione dalla supers tizione, cioè dalla con­ vinzione della inevitabilità e quindi della legittimità del negativo. La filosofia si è sempre proposta come l'alterna1 [ « [ ] che l'idea del bene sia la somma scienza l'hai certo udito più volte, quell'idea attingendo alla quale il giusto e le altre cose diventano utili e giovevoli. [ . ] noi non conosciamo a sufficienza quell'idea; e se non la conosciamo, anche il conoscere quanto più è possibile il resto senza di essa tu sai che a noi non sarebbe di giovamento alcuno, così come il possedere una qualsiasi cosa senza il bene» ] . È un passo della Repubblica: Platone, llOAITEIA, cit. (v. sopra: p. 3 1 0, n. 1 2 ) , libro VI, 505a2 5 05 b 1 ; trad. it. pp. 232-23 3 . ...

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ti va essenziale all ' atteggiamento superstizioso. Anch 'essa, infatti, si presenta come l'individuazione di ciò che per l'uo­ mo è bene fare, ma, a differenza della superstizione, le in­ dicazioni che fornisce sono conformi a verità. La filosofia è dunque il discorso che tratta il bene 2 , ma lo tratta appunto in maniera verace e non ingannevole, non illusoria. La ragione fondamentale che ha consentito alla filo­ sofia di attribuire a sé un carattere non superstizioso è stato il suo legame essenziale con la dimensione che nella nostra tradizione di pensiero rappresenta emblematicamen­ te ciò che è libero dai p regiudizi , cioè la dimensione della scienza. La filosofia si è presentata infatti come la tratta­ zione scientifica dei problemi fondamentali dell'esistenza umana, e innanzitutto del problema del bene e del male. Essa è cioè innanzitutto la scienza del bene e del male, la «È1ttcr'tTlJlll [ . . . ] àya�oi) 'tE K:aÌ 1CU1COU» 3• I l filosofo assume dunque, come valore originario, il carattere positivo del sapere scientifico, in quanto questo si differenzia dalla superstizione . La scienza, fondata sulla verità, si p resenta come qualcosa che è originariamente, ed innegabilmente, un bene, un positivo . Pertanto il sapere filosofico, proprio in quanto ha come proprio argomento ciò che ha valore per l'uomo , si configura inevitabilmente , e innanzitutto , come scienza della verità, come scienza della

scienza stessa . Questa presentazione della filosofia rende ragione non solo della sua storia ma anche della partizione nella quale essa si è tradizionalmente, e per lungo tempo, articolata.

2 Sotto questa parola raccogliamo l'insieme di tutti quegli aspetti ai quali in precedenza ci siamo riferiti con il termine "positivo " . 1 Cfr. Platone, XAPMMHJ; (Charmides) , in Platonis Opera, cit. (v. so­ pra: p. 3 06, n. 3 ) , tomo III ( 1 903 , repr. 1 965 ) ; trad. it. di P. Pucci , Carmide, in Opere complete, cit . , vol . IV, pp. 12 1 - 1 5 1 ; 1 74d. Cfr. la discussione in merito alla nozione di saggezza e il problema della scienza delle scienze; per esempio: La «saggezza è scienza delle scienze» (ivi, 17 4 d ) . 740

Vediamo , nell'ordine, questi suoi due aspetti, rispettivamen ­ te storico e sistematico. Secondo una narrazione che ha avuto fortuna, la filo­ sofia sorge in contrapposizione al mito. Essa eredita i temi che anticamente erano stati della magia, della stregoneria, della religione, della poesia, e, per così dire, li trapianta in ambito scientifico. Le critiche di Senofane e di Parmenide alla tradizione teologico-mitologica costituiscono un gesto decisivo nella nostra storia culturale. Con Platone , e poi definitivamente con Aristotele, le scienze diventano il mo­ dello del sapere. Anche la conoscenza relativa al bene e al giusto dovrà dunque conformarsi a questo paradigma. La dialettica è , in effetti , la scienza del l6gos, che va inteso innanzitutto come il discorso che parla del giusto, del san­ to, del buono, secondo quanto accade nei dialoghi socrati­ co-platonici . In tal modo la verità, che è il tratto fondamen ­ tale del sapere rigoroso, si trasforma nel valore originario del dire filosofico. La filosofia tratta del bene, ma lo fa a par­ tire dal presupposto originario della positività della verità. Un'analoga dinamica di pensiero tornerà a realizzarsi tutte le volte che la filosofia dovrà ribadire la propria iden­ tità in contrapposizione alle altre forme di sapere. Per esem ­ pio, e in maniera particolarmente significativa, ciò accadrà ali ' inizio d eli ' età moderna, quando il sa pere filosofico riaf­ fermerà la sua indipendenza rispetto a quello teologico­ metafisica appellandosi al fondamento scientifico-veritati ­ vo che lo definisce. Anche le partizioni interne della filosofia, o della me­ tafisica (nel senso che si preciserà in seguito) , derivano da questo suo carattere epistemico. In quanto scienza della s cienza, essa si presenta inn an ­ zitutto ed essenzialmente come Gnoseologia (poi come Epi­ stemologia) e quindi come Logica; cioè come trattazione scientifica del fenomeno della conos cenza in generale, di quella scientifica in particolare, e infine del fondamento e 74 1

dei princìpi universali di ogni discorso e di ogni conoscen­ za. Così la filosofia ha per oggetto anche ciò che è innega­ bile (il fondamento logico-gnoseologico) e, con ciò, il princi­ pio della realtà tutta in quanto essa è qualcosa di conoscibile. Essendo scienza della scienza, la filosofia si configura originariamente come scienza della realtà in quanto vera, ossia in quanto è oggetto di una conoscenza valida. Ma la conoscenza di ciò che la realtà è in verità, cioè non solo relativamente a uno o all' altro dei suoi aspetti particolari, è la conoscenza della realtà in quanto tale, quindi anche in quanto totalità. Questa è, appunto, l'antologia, la quale rappresenta così il fondamento della interpretazione veri­ tiera della realtà tutta e perciò anche della cosmologia. In quanto scienza della realtà quale essa si presenta nella luce della verità - che, ricordiamolo, è il valore impre­ scindibile e origin ario - la filosofia rappresenta anche la scienza del valore ultimo, assoluto. La sfera del divino è ap­ punto la n6esis noéseos, che si preciserà via via anche come realtà perfettissima dalla quale tutta la realtà procede. In questo modo la filosofia costituisce pure il fonda­ mento ultimo di ogni atteggiamento morale e di tutte le interpretazioni etico -pratiche della esperienza umana nelle sue componenti esistenziali, storiche e politiche . Essa si struttura così come enciclopedia che compendia in sé tutto lo scibile umano elaborato secondo verità: Gnoseologia (Logica Maior e Logica Minor; oggi, poi, Epistemologia) ; Cosmologia; Teologia; Psicologia; Etica; Antropologia, etc. Ma la filosofia, in quanto scienza della scienza, presen ­ ta immediatamente dei tratti affatto peculiari. Essa, come abbiamo vis to, si distingue originariamente rispetto al sapere che, non essendo ispirato all' epistéme, vie­ ne da essa percepito come superstizioso, e si autointerpreta come luogo in cui il bene si realizza con verità. Che la filo­ sofia mira al bene secondo verità significa che essa lo inten742

de in maniera universale (perciò innegabile e necessaria) , e che quindi la sua attitudine fondamentale è quella di ren­ dere ragione (l6gon did6nai) delle p roprie affermazioni. E deve renderne conto a tutti gli uomini; deve cioè accertarsi della loro accettazione. La filosofia, insomma , è un sapere senza presupposti; essa non può fermarsi o inchinarsi di fron­ te ad alcuna cosa che non sia la pura e semplice verità 4• È questo carattere quello che ha sempre reso la scienza filosofica qualcosa di affatto peculiare e singolare. Se si può per esempio intendere che la scienza - originariamente con­ cepita (matematica, geometria) - procede per 'deduzioni' da premesse assunte come valide, questo non può accadere a quella scienza che deve giustificare anche tutte le premes­ se. Ecco la necessità, emersa chiaramente fin dagli albori della filosofia, di produrre un discorso che, pur conservan ­ do il carattere della razionalità, cioè la capacità di rendere ragione, si distinguesse da quello dimostrativo tradizionale, cioè deduttivo. Così nasce appunto la dimostrazione aristo­ telica di tipo elenctico . Ma soprattutto, in quanto è scienza della scienza stes­ sa, la filosofia si presenta come sapere ultimo e fondamen ­ tale, come scienza rigorosa. Essa, infatti, ha per oggetto eminentemente ciò che fa esser scienza la scienza; e dun4 Questo aspetto è caratteristico del filosofare. Il giudice, in quanto è giudice, deve arrestarsi (almeno nella tradizione italiana, giacché in altre il 'dato' può essere un po' diverso) davanti alla legge, che deve essere da lui assunta, proprio perché egli è giudice, come un dato immodificabile, come un presupposto, appunto. L'uomo di religione (poniamo il cattolico) di fronte alle affermazioni dogmatiche della Chiesa o ai testi delle Sacre scrit­ ture deve arrestare il proprio dubbio e la propria pretesa di giudicare. Tantissime cose egli può mettere in discussione, ma non tutto; per esempio non il carattere salvifico del messaggio di Cristo. Quando questo accades­ se, egli non sarebbe più un cristiano, un fedele. E via via lo stesso vale per tutti gli altri settori. Il filosofo - parafrasiamo così l 'attacco della "Introdu­ zione" alla Enciclopedia delle scienze filosofiche di Hegel - non ha questo privilegio, di poter assumere come dato un qualsiasi elemento, fosse anche minimo; egli di tutto deve rendere ragione, nulla può p resupporre come incondizionatamente valido.

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que anche ciò che fa sì che la scienza, e la verità, siano viste come il bene innegabile e imprescindibile. La filosofia è scienza rigorosa in quanto riguarda l'essenza della scien­ za stessa, e dunque è scienza del fondamento delle scienze; perciò anche del bene, nella misura in cui la scienza è in­ negabilmente un bene. Da Platone in poi la filosofia rappresenta lo stadio su­ premo del sapere, quello che corona, governa e comprende (in tutti i sensi) anche tutte le altre forme di sapere, proprio perché di queste conosce l'essenza, la natura profonda.

2 . G LI ULTIMI PROGETTI DI SCIENTIFIZZAZIONE DELLA FILOSOFIA Ma, come si sa, questa concezione della filosofia, che pure, con variazioni più o meno significative, è rimasta in auge per secoli e secoli, sembra essersi ormai eclissata, perché il progetto della filosofia come scienza rigorosa è andato incontro a difficoltà che appaiono insormontabili. Ai nostri giorni, addirittura, interpretare la filosofia come una scienza sarebbe considerato un segno sicuro del fatto che non si è compreso nulla del pensiero contemporaneo. La cosa più interessante, da un certo punto di vista, è che questa convinzione p ropria della cultura filosofica at­ tuale scaturisce, come una sorta di contraccolpo, da due grandiosi tentativi, operati all'inizio del nostro secolo, di portare a compimento in maniera conclusiva il formidabile progetto della scientifizzazione del sapere filosofico.

2 . 1 . Il programma della filosofia come scienza rigorosa in

Husserl Il primo di questi grandi progetti è quello di Husserl. Nel celebre saggio comparso sulla rivista " Logos" nel 1 9 101 1 , e intitolato appunto Philosophie als strenge Wissenscha/t, 744

si proclama risolutamente che la filosofia deve, e intende, essere scienza, ma non lo è 5• La questione - Husserl sotto­ linea con forza questo punto - non è astrattamente teorica, ma ha una portata eminentemente etico-pratica 6 perché riguarda i supremi interessi dell'umanità 7• Quali sono le caratteristiche che definiscono il sapere scientifico; quelle, quindi, che anche la filosofia, in quanto voglia essere scienza rigorosa, dovrà assumere? La scienza ha, innanzitutto, un carattere oggettivo e «impersonale [unpersonlich]» 8, libero cioè da « " opinioni " , " intuizioni " e " punti di vista" privati» 9• È questo che - ad avviso di Husserl - impedisce alle filosofie del suo tempo di presentarsi come scienze; in esse, infatti, vige il primato dell'interpretazione, del punto di vista 1 0 • Essa deve inoltre possedere un carattere sistematico; deve cioè organizzarsi come un sistema 1 1 che si erige dal basso su di un fonda­ mento definitivo 12• Insomma, contro il naturalismo positivistico, e contro lo storicismo delle Weltanschauungen, Husserl ribadisce la «fiducia nella possibilità di una filosofia scientifica» 13• Un 5 Edmund Husserl, Philosophie als strenge Wissenschaft, in Id., Aufsiitze und Vortriige (1 9 1 1 - 1 92 1) (herausgegeben von Th .Nenon und H.R. Sepp),

Martinus Nijhoff Publishers, Dordrecht 1 987, pp. 3 -62 ("Husserliana " , Band XXV; il saggio è comparso per la prima volta in " Logos " , I ( 1 9 1 1 ) , pp. 289·3 4 1 ) ; trad. it. di C. Sinigaglia, La filosofia come scienza rigorosa, Later­ za, Roma-Bari ( 1 994 1 ) 1 9982 • Si veda per esempio: " [ . . . ] dico semplice­ mente che non è ancora una scienza [sie sei noch keine Wissenscha/t] " (p. 4 (5 ) ) ; cfr. pp. 3 -5 (3 -5) e p. 5 8 ( 1 00); i n umeri delle pagine si riferiscono, qui e in seguito, alla edizione Nijhoff; seguono, tra parentesi, quelli relativi alla edizione italiana. � La filosofia come scienza rigorosa, cit., p. 4 (4). 7 lvi, p. 7 ( 1 0- 1 1 ) . K lvi, p. 5 9 ( 1 02 ) . 9 lvi, p. 5 (6). 10 V. ivi, p. 5 (7 ). 11 V. ivi, pp. 5-6 (7-8) . 12 Cfr. ibidem, e ivi, p. 58 ( 1 0 1 ) . 1 1 lvi, p. 8 ( 1 1 ) .

745

sapere, quindi, oggettivo ma non naturalistico, impersona­ le e rigorosamente separato dalla dimensione della sapien­ za personale 1 4 ; libero da ogni pregiudizio 1 5 e in questo senso caratterizzato da una assoluta radicalità 16• Tale forma di nuovo sapere, che per Husserl è ancora tutto da costruire, risulta dunque contrapposto alla tradizione filosofica, che si è dimostra ta incapace di realizzare ciò di cui peraltro la nostra epoca ha maggiormente bisogno 17• Il meto d o per l a real izzazione d i questo progetto, come si sa, è innanzitutto quell o d ell a prensione d iretta, fenome­ nologica, delle essenze 1 8 , il quale ovviamente privilegia la d imensione d elle i d ee rispetto a quell a dei fatti empirici (ivi, p . 84 ) . Tale metodo si realizzerà tramite la epoché, che, attraverso successive riduzioni, condurrà ad attingere la dimensione ultim a dell'intera realtà. Tutte queste tematiche verranno riprese, sviluppate e rielaborare dal pensatore tedesco anche nelle opere succes­ sive . Per esempio l a necessità, per l 'umanità, d i assumersi di nuovo il compito di erigere una filosofia come scienza assoluta ritornerà nello scritto probabilmente più impor­ tante dei suoi ultimi anni: la Krisis, una interpretazione della crisi delle scienze europee 1 9• Il disagio della civiltà europea affond a le proprie radi­ ci nella incapacità, da parte di questa, di rimanere fedele alla tensione originaria volta alla edificazione di un sapere scientifico basato su un fondamento realmente ultimo. Il peccato originale del sapere scientifico è stato quello di

14

V. ivi, pp. 58-60 ( 1 0 1 - 1 04 ) . Risulta in tal modo ribadito il gesto

originario della filosofia intesa come distinzione tra sophia e philo-sophia. 1 5 V. ivi, p . 61 ( 1 05 - 1 06). 1 6 V. ivi, pp. 60-61 ( 1 04 - 1 05 ) . 17 V. ivi, p. 60 ( 1 04 ) . I H v. tVt, p . 62 ( 1 06). 19 E . Husserl, Die Krùis der europiiischen Wissenscha/ten . , ci t. (v. so­ pra: p. 5 3 5 , n. 2 ) . . .

746

essersi, per così dire, tuffato a capofitto nel mondo degli oggetti naturali dimenticando la soggettività costituente, obliando cioè la dimensione della Lebenswelt, che pure è quella all 'interno della quale solamente possono nascere e prodursi tutte le oggettualità naturali. Le scienze possono avere valore solo sulla base di que­ sto fondamento filosofico ultimo . Anche la logica formale, che in qualche modo sta alla base di tutte le altre scienze, deve essere fondata mediante un approccio trascendentale. La filosofia deve fornire un fondamento assoluto alle scienze naturali e a quelle dello spirito, un fondamento trascen­ dentale, quello che dischiude le dimensioni della Lebens­ welt e della soggettività originaria . Tale situazione richiama abbastanza da vicino , anche se forse Husserl non ne aveva una consapevolezza adegua­ ta, quella che si realizza con la speculazione tedesca degli inizi del secolo scorso (Fichte, S chelling, Hegel ) . La filoso­ fia costituisce una sorta di sintesi tra la dimensione delle scienze naturali , che sono rigorose ma riguardano solamente oggetti naturali presupposti all 'attività del soggetto, e quel­ la soggettiva , la quale riguarda ciò che è più profondo e più significativo per l'uomo (per esempio l 'aspetto senti­ mentale) , ma che , proprio per questo, non è passibile di una trattazione scientifico-oggettuale e richiede invece un approccio, per esempio e in particolare, di tipo artistico. La filosofia costituisce appunto, e Hegel è rappresentante sommo di questa consapevolezza, la trattazione rigorosa (e in questo senso scientifica) della esperienza nella sua inte­ gralità, cioè comprensiva anche della dimensione soggetti­ va, esistenziale, spirituale. Il suo problema è quello di tro ­ vare il metodo corretto per trattare " scientificamente " (ri­ gorosamente) quella dimensione che sta prima del mondo degli oggetti e lo costituisce. La metafisica tradizionale non fornisce - per le prospet­ tive che abbiamo evocato, e segnatamente per quella husser747

liana - una soluzione soddisfacente; perché, in sostanza, reifica 1' oggetto con cui ha a che fare . Essa trasforma in un dato na turale- oggettivo quello che è invece un fluente, mobile atto della soggettività concretamente esistente. La nuova , autentica filosofia non potrà dunque non presentar­ si anche nella forma di una critica della tradizione filosofi­ co-metafisica. La visione eidetica (intuizione delle essenze) sorge da una preliminare messa tra parentesi (epoche') di ogni conoscenza data, anche di quella filosofica. La vera meta­ fisica è un p rogramma, perché è tutta da costruire sulla base di questo fondamento: intuizione eidetica, riduzione feno­ menologica, io trascendentale. Il problema-compito !ascia­ toci da Husserl è quello di una scienza del fondamento originario di ogni esperienza e di ogni sapere; di quel fon­ damento che sta prima di ogni 'teoria' già costituita. Il destino dell'umanità - possiamo allora compendiare in questo modo il senso di questa prospettiva - dipende dalla sua capacità di dar vita a una filosofia come scienza rigorosa, cioè come scienza del fondamento di tutte le scien­ ze. E il fondamento ultimo è, per Husserl, la soggettività trascendentale al cui interno si costituisce quella visione delle essenze che rappresenta la base appunto di ogni sa­ pere scientifico.

2 . 2 . La rigorizzazione della filosofia nella prospettiva logico­

positivistica Nel secolo che si sta chiudendo un secondo importan­ te p rogramma vòlto a ren dere scientifica la filosofia è stato quello avviato da Bertrand Russell e dal neopositivismo. Anche qui la filosofia diventa scienza rigorosa in quan­ to ha per oggetto l'essenza, e quindi il fondamento, della scienza in generale , e quindi di ogni singola scienza. Ma questa volta tale fondamento non deve essere disvelato mediante una risalita alla fonte origin aria della soggettività 748

costituente; esso infatti è fornito per un verso dai dati del­ l 'esperienza e per l'altro verso dalla struttura logica, che è l'essenza indiscutibile di ogni sapere scientifico e ne costi­ tuisce quindi anche la base ultima . Pure qui, dunque, abbiamo a che fare con u n fonda­ mento che possiamo chiamare in qualche senso assoluto perché da esso non si può prescindere, quello costituito dalla logica matematica che si va realizzando proprio tra la fine del secolo scorso e i primi decenni del nostro. La lo­ gica simbolica rappresenta un metodo assoluto innanzitut­ to nel senso che essa pretende di valere per ogni branca del sapere. Tale sua pretesa è giustificata dal fatto che essa è interamente basata su nozioni (quali, per esempio, quelle di vero/falsità, di negazione, di insieme, o di classe) che non sono di natura né empirica ( dunque neanche psicolo­ gica) né metafisica, bensì rigorosamente logico-concettuale, cioè in qualche modo innegabile 2 0• Tali nozioni, pertanto, non sono relative né alla mutevole dimensione dell'espe­ rienza empirico-fattuale né all' altrettanto variabile ambito della cultura e delle opinioni umane. Si tratta di nozioni immediatamente coglibili (e in questo senso non meta/isi­ che, cioè non dipendenti da un atto di fede o da un insie­ me di argomentazioni, sempre passibili di dubbio) e tutta­ via non di carattere empirico-sensibile, cioè non passibili di mutamento e quindi di smentita. Anche qui il presupposto è che la filosofia come scien­ za rigorosa non ci sia ancora, ma vada costruita sulla base del nuovo metodo trovato . La scientifizzazione della filoso­ fia la si consegue trasferendo all' ambito delle questioni fi­ losofiche non i risultati della scienza, bensì i suoi metodi 21 • 20

Vale qui la pena di richiamare il discorso svolto sopra in particolare nel capitolo intitolato "Logica philosophica " . 21 «Non i risultati, m a i metodi, possono essere trasferiti con profitto dalla sfera delle scienze specializzate alla sfera della filosofia» (Bertrand Russell, Scientific Method in Philosophy, Clarendon Press , Oxford 1 9 1 4 ; 749

Ma poi, anche qui viene ribadita una netta scissione tra la dimensione etica e religiosa da una parte e quella scientifi­ ca dall ' altra 22 • Quali sono allora, per Russell, i caratteri della filosofia scientifica? Essa consta di proposizioni universali 23 • Non riguarda però la totalità intesa come un oggetto; perché esi­ stono molte cose ma non un insieme di tutte queste cose 24• La filosofia può essere una scienza perché riguarda la possibilità, e non i fatti; per questo le sue proposizioni de­ vono essere a priori, e così essa «diviene indistinguibile dalla logica» 25 • Infallibile e definitiva nel suo nucleo logico, che per altro nulla dice dei fatti del mondo, la nuova filosofia sarà, proprio per questo, parziale e sperimentale esattamente come ogni altra forma di sapere scientifico 26, e caratteriz­ zata dal procedimento dell' analisi, non della sintesF7• Il Tractatus di Wittgenstein , che costituirà uno dei punti di riferimento principali per tutta la concezione scientifica della realtà, cioè per il positivismo logico, strutturerà in maniera mirabilmente architettonica questo programma russelliano: l 'unico assoluto è la logica, la quale peraltro nulla dice. La realizzazione della filosofia scientifica si co­ stituisce come un annullamento delle proposizioni filosofiristampato come cap . VI di Mysticism and Logic and Other Essays, Allen & Unwin!W.W. Norton , London/New York 1 929; trad. it. di L. Pavolini, Sul metodo scientifico in filosofia, in Misticismo e logica e altri saggi, Longanesi , Milano ( 1 964 1 ) 1 980 (prima edizione PB) ; pp. 93 - 1 1 7 ; p. 94 dell'edizione italiana. 22 Sul metodo scientifico in filosofia, cit. , p. 93 . n lvi, pp . 1 04 s s . 24 lvi, p. 105 . 2 5 lvi, p. 1 06. 2 6 «Una filosofia scientifica quale io raccomando sarà frammentaria e andrà avanti per tentativi , come le altre scienze [ . . ] . Questa possibilità di approssimazioni successive alla verità è, più di ogni altra cosa, la fonte dei trionfi della scienza. Trasferire tale possibilità alla filosofia vuol dire assicu­ rarle un progresso metodologico la cui importanza è quasi impossibile sopravvalutare» ( ivi p. 107 ) . .

27 Ibidem.

750

,

che, dal momento che ogni proposizione valida che non sia di carattere empirico-fattuale deve essere una legge logica.

3 . L' AUTOSUPERAMENTO DEL PROGETTO DELLA FILOSOFIA COME SCIENZA RIGOROSA La nostra attuale convinzione che la filosofia non pos­ sa assolutamente essere una scienza nasce precisamente dal rilevamento della inconsistenza di quel fondamento che, nelle due impostazioni, avrebbe dovuto garantire la solidi­ tà e il valore dei rispettivi edifici.

3 . l . La dissoluzione del fondamento della soggettività e t in­ terpretazione dell'essere inassoggettabile Il cammino verso la nuova filosofia (verso la nuova metafisica) conduce al rilevamento della sua impossibili­ tà, e quindi al superamento, o abbandono , della filosofia scientifica. Questo essenzialmente perché - riferendoci ora al pri­ mo dei due progetti presentati - il terreno deputato a co­ stituire il fondamento ultimo, e cioè la soggettività costi­ tuente, se deve potersi sbarazzare realmente di ogni conte­ nuto presupposto, di ogni elemento naturalistico, non può non mettere in moto un procedimento destinato a travol­ gere anche l'elemento trascendentale, anche la stessa figura del soggetto costituente, portandosi di fronte al puro e sem­ plice nulla. Questo è quanto accade in maniera particolar­ mente evidente con il pensiero di Heidegger. Il primo passo (Sein un d Zeit) 2 8 consiste nel mostrare il carattere esistenziale del fondamento; quindi non gno2H

M. Heidegger, Sein und Zeit, cit. (v. sopra: p. 354,

n.

56). 75 1

seologico, non strettamente antropologico, non logico. Il secondo , più decisivo , consiste nel prendere atto del nulla di fronte al quale ci si viene a trovare ( Was ist Metaphy­ sik?) 29 quando si pensa tale fondamento; e il terzo, conse­ guentemente, nel registrare la radicale, irriducibile differenza tra la dimensione ultima, che riguarda l'essere (ed è quindi propria della filosofia) e quella determinata degli enti ( che è tipica della scienza) . Il fondamento si presenta in tal modo come assolutamente irriducibile ed imprevedibile rispetto a tutto ciò che si dà. Quello che doveva costituire il solido, stabile fonda­ mento della scienza filosofica e quindi di tutta la nostra esistenza si manifesta ora come qualcosa che conferisce il massimo di instabilità e di 'infermità' al nostro mondo. Se la filosofia scientifica, husserlianamente intesa, doveva es­ sere quella che trattava rigorosamente, e quindi esponeva, il fondamento dell'esistenza, Heidegger ci mostra come il pensiero, proprio per essere rigoroso, debba concepire tale fondamento nella forma dell'Ab-grund 30, dell'abisso, cioè di quanto di più inoggettivabile ed inafferrabile vi possa essere 3 1 . Il fondamento ultimo, in quanto è essenzialmente

29 La metafisica si trova di fronte al p roblema della negazione e del niente, e quindi al problema: «Perché, infine, l'essente e non piuttosto il niente?» ( Was ist Metaphysik?, cit. (v. sopra: p. 9 1 , n . 9) p. 34 della trad. it. ) . Cfr. l'inizio della Introduzione alla metafisica, cit. (v. sopra, p. 129, n . 54). Si badi che la metafisica, così concepita, non è più soggetta alla logica (cfr. Che cos'è metafisica ?, cit., p. 26 trad. i t.; cfr. p. 3 1 ) . lo Cfr. M. Heidegger, Vom Wesen des Grundes, ( 1 929), in Id., Weg­ marken, ci t. (a p. 9 1 , n. 9); trad. i t. di F. Volpi, Sull'essenza delfondamento, in Segnavia , cit. Cfr. : « La libertà è il fondamento del fondamento [ . . . ] la libertà è il fondo abissale [Ab-grund] dell'esserci» (p. 1 3 0 della trad. it. ) . li La scienza del fondamento porta all'Ab-grund, alla revoca di tutti i tradizionali tratti della filosofia-metafisica. Il p rincipio di non contraddi­ zione viene messo in questione nella sua pretesa di valere incondizionata­ mente (Logica) . Né vi è sostanza; giacché l'essenza precede l 'esistenza (Ontologia) . E, infine, Dio, cioè la pretesa di conferire stabilità all'essere, è morto (Teologia) .

752

libertà, non è una soggettività costituente, e quindi l'essere è fondamentalmente inassoggettabile. Non solo, dunque, la scienza del fondamento ultimo (la filosofia) non è possibile, ma anzi proprio il tentativo di realizzarla costituisce l' errore fondamentale della civiltà occidentale . Pensiero autentico non sarà quello che porta a compimento l'intento di realizzare la filosofia come scienza rigorosa, ma - tutto al contrario - quello che abbandona questa pretesa. Solo rinunciando al progetto di costituirsi come scienza il pensiero potrà attingere il fondamento ul­ timo, e realizzare in tal modo il proprio fine autentico. La filosofia , in quanto è dimentica dell'essere (ma, bisognerebbe probabilmente dire, dimentica del fatto che l'essere non può non essere dimenticato) è metafisica, ter­ mine che va qui inteso in senso quanto meno limitativo, se non propriamente negativo. Dunque in qualche modo il superamento della metafisica implica il superamento della filosofia 32; e il compito della filosofia-metafisica può essere eseguito solamente con una modalità che è radicalmente altra rispetto a quella della scienza-tecnica. Il tentativo di realizzare la filosofia come scienza rigo­ rosamente fondata conduce a constatare l ' assurdità di tale progetto e quindi la insanità connessa a tutti i tentativi di realizzarlo. Gli esiti negativi e distruttivi del nichilismo occidentale sono lì a testimoniare questa verità. La filosofia come scienza diventa metafisica, e questa è espressione del nichilismo occidentale. Bisogna dunque operare una Destruktion della mètafi­ sica occidentale, cioè della pretesa di operare una tratta­ zione scientifica dei problemi ultimi dell'esistenza. Si reaJ l Cfr. : «Il pensiero a venire non è più filosofia, perché esso pensa in modo più originario della metafisica, termine che indica la stessa identica cosa» (Lettera sull'umanismo ( 1 949), in Segnavia, cit . , pp. 265-3 1 5 , p. 3 1 4, il corsivo è mio); titolo originale: Brie/ uber den Humanismus, i n Wegmarken, cit. , pp. 145 - 1 94 .

753

lizza così una riabilitazione di tutto ciò a cui la filosofia come scienza si era opposta. I pre-giudizi, innanzitutto, vengono ora (nel pensiero post-heideggeriano) visti come inevitabili ed imprescindibili , e negativi solo dal punto di vista della pretesa di attingere un fondamento ultimo. La filosofia pratica viene riabilitata, non dovendo più chinare il capo di fronte a una presunta scienza teorica fondamen­ tale. E, in generale, la ricerca della verità scientifica lascia il posto al gioco dell 'interpretazione (ermeneutica) ; fino agli esiti estremi che segnano un abbandono radicale del pro­ blema filosofico-metafisico in generale. La scienza è la pretesa di assoggettare l'essere, di ren ­ derlo cioè conforme agli schemi della soggettività costituen ­ te. Ma il pensiero rivolto al fondamento ne mostra il carat­ tere essenzialmente irriducibile alla soggettività: t essere è inassoggettabile; la filosofia come scienza non è possibile, la pretesa di imporle questa veste è nefasta.

3 .2. Il carattere non scientifico del fondamento del sapere Anche l'altro grande tentativo di erigere una filosofia come scienza rigoros a ha condotto a un esito sostanzial­ mente coincidente, perché ha confermato l'impossibilità di realizzare quel programma . Il motivo fondamentale è che vengono a vacillare entrambi i pilastri sui quali si basava tale programma: da un lato i " fatti " e dall' altro la logica. Entrambi questi punti fermi, infatti, da elementi /issi ven ­ gono a trasformarsi in figure indeterminate e variabili. Sia i primi che la seconda si mostrano infatti essenzialmente radicati nel nostro linguaggio, inteso come insieme impre­ vedibilmente aperto di giochi linguistici (Sprachspiele) in ­ carnati in sempre cangianti e quindi relative forme di vita (Lebensformen ) . In merito alla componente a posteriori di tale fondamento, quella cioè costituita dai " fatti " , anche 754

questi si mostrano riconducibili in ultima istanza agli sche­ mi linguistico-interpretativi della realtà. Quanto invece alla sua parte a priori (la logica) , che traeva la propria forza dal fatto di esprimere l'essenza del linguaggio, ci viene ora di­ mostrato, grazie soprattutto all'impietosa autocritica del secondo Wittgenstein , che t ale essenza non vi è; viene dunque meno il privilegio del discorso e, con ciò, l' assolu­ tezza del meta discorso filosofico 33 • Ogni fattore del meto­ do scientifico viene dunque a perdere la propria assolutez­ za e quindi il diritto di presentarsi come un fondamento indiscutibile di ogni discorso, compreso quello filosofico. Lo stesso principio di non contraddizione , come ormai sappiamo, se viene assunto in maniera propriamente filo­ sofica, e cioè rigorosamente universale, finisce per produr­ re un sistema contraddittorio 34• La riflessione su questa situazione di essenziale incon­ sistenza 3 5 del fondamento si sviluppa in una direzione che conduce alla caduta di tutti i presupposti della filosofia intesa come scienza rigorosa. Oltre alla possibilità di ap­ pellarsi a dati di fatto empirici (non ci sono fatti, ma solo costruzioni-interpretazioni) viene meno anche il sogno di assegnare valore assoluto a qualsiasi principio logico ( che è sempre relativo a un sistema di riferimento storico-antro­ pologico) . Non vi è un metodo scientifico (Feyerabend) , perché la validità di ogni 'ragionamento' è relativa a una prospettiva, e quindi in ultima istanza indecidibile risulta la scelta ' razionale' tra schemi concettuali o tra sistemi di riferimento contrapposti . Così è lo stesso programma vòlto 11

Ho trattato più ampiamente questi temi nella prima parte del mio libro Elenchos, cit. (v. sopra : p . 84 , n. 1 ) , al quale mi permetto di rimandare chi volesse approfondire la questione. H Questo aspetto è stato trattato nel primo capitolo del libro: "Logica

philosophica " .

}5 Termine d a in tendersi sia nel senso d i " m ancanza di fondamento e solidità " sia in quello di "incoerenza " .

755

a elaborare il metodo rigorosamente scientifico (e perciò indenne da contaminazioni metafisiche in quanto basato sul binomio logica/esperienza) che conduce al rilevamento che ogni sapere è basato su paradigmi in ultima istanza metaempirici e non scientifici. Risulta confermato anche per questa via, dunque, che il discorso scientifico, il quale determina in maniera non­ contraddittoria i suoi oggetti, va nettamente distinto da quello filosofico che ha di mira l'orizzonte ultimo. Da un lato l'orizzonte filosofico è indeterminabile per via scien­ tifica, cioè mediante modelli e formule a priori, o perché è abisso inattingibile ( Heidegger) , o perché è imprevedi­ bile pratica antropologica (Wittgenstein) . Dall'altro lato parlare in maniera logico-scientifica dell'orizzonte ultimo e dello stesso fondamento della scienza produrrebbe con ­ traddizione. L'approdo comune verso il quale, al di là delle molte­ plici differenze, l'esito ermeneutico e quello post-positivi­ stico convergono è così una sorta di relativismo, o prospet­ tivismo, assoluti: è impossibile determinare in via conclusi­ va un fondamento assoluto, vincolante per ogni realtà. È assurdo pensare di fissare qualcosa che valga a priori per la realtà. La filosofia deve di conseguenza abbandonare la pretesa di costituirsi come s cienza.

3 .3 . Il congedo della filosofia dalla scienza Il pensiero contemporaneo mostra che non vi è, nella scienza, qualcosa come un fondamento assoluto; quindi non vi è alcun metodo conclusivamente vincolante e perciò non ci si può rivolgere ad essa come a un modello capace di guidare anche la filosofia sulla via di un sapere rigoroso. Nemmeno nella s cienza è possibile rin tracciare un qualche elemento privilegiato che possa legittimamente ri756

vendicare il titolo di fondamento ultimo e inattaccabile del sapere: non lo sono né i fatti empirici né la logica; non vi è alcun dato, non vi è alcun /atto: tutto è interpretazione. Anche laddove si vogliono contenere e controllare i rischi nichilistici di questa conclusione ci si guarda bene dal ri­ tornare a posizioni che pretendano di fiss are un assunto posto come dogmaticamente vero ed irrinunciabile. Il punto è p roprio qui. Quello che sta diventando di giorno in giorno più chiaro è che tutto ciò che era stato as­ sunto come immutabile si mostra in verità variabile, mutevo­ le. Anche ciò che è stato considerato e trattato come a priori (le leggi della logica, i princìpi metodologici etc . ) in realtà è a posteriori . Anche l' epistéme e i suoi assiomi costituiscono un evento storico-antropologico; ogni presunta verità di ra­ gione è anch 'essa, in qualche senso, una verità di fatto; ogni immediato è un mediato (linguisticamente, culturalmente) ; così anche ciò cui diamo il nome di assoluto è relativo a un qualche contesto interpretativo o gioco linguistico. Ogni punto fisso (fermo) in realtà è solo frutto di una fissazione. La convinzione di poter trovare nella scienza un qual­ che elemento oggettivamente valido si è rivelata illusoria: il fondamento di valore di ogni posizione scientifica è un elemento soggettivo, sia pure da intendersi nel senso del riconoscimento intersoggettivo , pubblico e controllabile. La filosofia si svincola così, al termine di una plurimil­ lenaria storia in comune, dalla scienza. È stato proprio il ten ­ tativo, ripetutamente progettato, di dare veste scientifica alla filosofia a mostrare l'impossibilità che questo sogno si rea­ lizzi. Questo evento si annuncia come portatore di effetti ri­ levanti e dalle conseguenze incalcolabili. Il rischio, per esem­ pio, è che chi si continua a occupare dei temi della filosofia sia condotto a condannare e poi a rinnegare la dimensione scientifico- tecnica, ritenuta profondamente alienata in quan­ to essenzialmente estranea alla dimensione della verità ulti­ ma. Questo finirebbe per consegnare il destino dell'umani757

tà allo sviluppo dell' apparato scientifico-tecnologico, il quale per altro si mostra di giorno in giorno più problematico e tanto bisognoso di una 'guida' quanto insofferente ad essa. La scissione tra la filosofia e la scienza comporta l'inimici­ zia tra l' uomo e l'apparato tecnico-scientifico. Se la filosofia non si può più presentare come scienza rigorosa e quindi come una specie di guida delle scienze allora la vicenda dello sviluppo scientifico resta avvolta nell'imprevedibile destino che l'essere assegnerà alle vicende umane. E non è affatto detto che il p rogresso tecnico sia destinato a condurre al bene; è possibile che esso, tutt'al contrario, si riveli come una clamorosa trappola 36• Non solo, ma in quanto la scienza pre­ tenda di essere in sé, cioè necessariamente, un valore, essa stessa si presenta come una superstizione, e quindi come fonte di male e di danni incalcolabili per gli uomini; tanto più ingenti, poi, quanto più sterminato è il suo potere.

II. IL ' FONDAMENTO ' DELLA FILOSOFIA: LA SCIENZA COME

GARA N Z IA

DEL

L IBERO

ACC ORDO

UNIVERSALE

l . INTERPRETAZIONE FILOSOFICA DELLA SCIENZA: LA VERITÀ SCIENTIFICA COME GARANZIA DELL'ACCORDO UNIVERSALE La domanda fon damentale che dobbiamo porci, nel momento in cui la filosofia cessa di riconoscere nella scien -

16

«La vera visione apocalittica del mondo è quella secondo cui le cose

non si ripetono. Non è insensato, ad esempio, credere che l'era scientifica e tecnica sia l'inizio della fine dell'umanità; che l 'idea del grande progresso sia un abbaglio, come anche quella che si finisca per giungere alla cono­ scenza della verità; che la conoscenza scientifica non arrechi nulla di buo­ no o di desiderabile e che l'umanità, mirando ad essa, cada in una trappola [in eine Falle] . Non è affatto chiaro che non sia così)) (L. Wittgenstein, Pensieri diversi, cit. (v. sopra: p . 3 63 , n. 5), p. 1 06 (p. 56 del testo originale ed. 1 980) ) .

758

za il proprio modello, è questa: qual è il motivo per cui il sapere scientifico ha esercitato una forza di attrazione così potente nei confronti della filosofia? E per quale ragione oggi tale capacità di presa viene meno? Per rispondere a queste domande dobbiamo incomin ­ ciare a capire che il sapere (la conoscenza) costituisce una situazione di accordo tra il soggetto conoscente e la realtà da lui indipendente. La conoscenza vera, infatti, è espres­ sione della concordanza ( accordo , armonia ) tra il modello di cui dispone l'uomo (le sue immagini del mondo) e la realtà quale essa è effettivamente. Capita , spesso, che l'uo­ mo si trovi in 'disaccordo' con la realtà; questo comporta per lui uno scontro con le forze naturali, quindi il dolore connesso a tale conflitto: malattie, sofferenze, morte. La realtà presenta sovente nei confronti dell'uomo un volto minaccioso e distruttivo; per questo la ' verità' rappresenta un dono per gli esseri umani : per quel tanto che si trova a disporre di una conoscenza vera della realtà il soggetto umano concorda con la natura. Sicché l'uomo, nella misura in cui viene considerato come puro soggetto conoscente, si trova in perfetta concordanza ( armonia, accordo) con l'og­ getto conosciuto, cioè con la realtà; grazie alla verità l'uo­ mo vive in accordo con la realtà, è libero dal conflitto con il mondo e quindi è felice, soddisfatto. Ora, il sapere scientz/ico si è presentato agli uomini come un sapere universale, cioè vincolante per tutti e vali­ do in ogni situazione. Ciò che consente a tale sapere di avere quel carattere generale è il suo permanere identico a sé in qualsiasi situazione e in qualsiasi circostanza. Questo vuoi dire che il suo contenuto è dato, per richiamare qui il discorso kantiano, a priori rispetto all'esperienza, anche se non si può dire che ne è indipendente dal momento che vale rispetto ad essa . Per ciò le affermazioni della scienza sono sottratte al rischio di venire negate e falsificate, e ri­ sultano quindi necessarie e innegabili.

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Questo vuoi dire che dalla conoscenza scientifica l' ac­ cordo dell 'uomo con la realtà naturale viene garantito: in quanto è soggetto teoretico, cioè scientificamente conoscen­ te, l ' uomo è certo di trovarsi in accordo con la realtà. Af­ fidandosi alla scienza egli non corre il rischio di scontrarsi con il mondo; sicché all'interno del sapere scientifico il singolo uomo concreto si viene a trovare sicuramente in una situazione di accordo con la realtà esterna e da lui indipen­ dente. Insomma, la conoscenza scientifica della realtà ga­ rantisce, sia pure limitatamente a quegli aspetti della vita e a quegli ambiti della realtà ai quali tale sapere si estende, l'accordo tra l'individuo e la natura. Così, la scienza ha assunto l'aspetto di una sfera magica nella quale l'uomo risulta assolutamente sottratto alla minaccia del negativo, libero cioè dal dolore e dall'insoddisfazione che caratteriz­ zano in gran parte la sua esistenza. L 'avvento della scienza si è presentato, agli occhi di un 'umanità sbalordita e affa­ scinata, come l ' annuncio di un regno nel quale la vita umana, piegata sotto il peso delle sofferenze, poteva final­ mente trovare un'oasi libera dal dolore e dalla pena, e po­ teva dunque intraprendere un cammino indirizzato verso una vita caratterizzata dall' accordo, dall'armonia e perciò dalla beatitudine.

2. INTERPRETAZIONE SCIENTIFICA DELLA FILOSOFIA: L ' ACCOR­ DO COME CONDIZIONE DEL CONSEGUIMENTO DEI FINI UMANI Ma la conoscenza scientifica, quale essa si presenta agli albori della filosofia , è parziale e limitata (astratta) . Innan­ zitutto essa non considera la concreta vita dell'uomo. Le discipline scientifiche delle origini (quali aritmetica, geo­ metria, astronomia) riguardano oggetti ' n aturali' e non comprendono dunque gli argomenti più importanti per l'es-

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sere umano (la sua dimensione esistenziale, le sue intenzio­ ni e i suoi desideri) ; esse quindi non riguardano le questio­ ni sociali, politiche, religiose, e così via. Pertanto le scienze possono costituire la guida del comportamento umano solo per quanto riguarda le questioni ' fisiche' , ma per risolvere i suoi problemi di creatura propriamente umana l'uomo si deve rivolgere ad altri saperi, quali quelli rappresentati dalla religione, dal mito, dalla sapienza (sophia), dalla politica, e così via. Ma poi - in secondo luogo - anche all'interno dell'am­ bito fisico-naturale il sapere scientifico si mostra insuffi­ ciente; perché qui l'uomo può realizzare i propri p rogetti solo mediante l' aggiunta di una componente operativa e pratica che eccede la dimensione astrattamente teorica. Questa, infatti , si limita a enunciare l'insieme organico delle possibilità offerte dalla natura all' uomo; ma il passaggio dal sistema del possibile all' attualizzazione di una determinata realtà richiede da parte degli individui una decisione e conseguentemente un efficace operare pratico. Per esem­ pio - ed è un esempio non casuale - la conoscenza scien­ tifica del movimento dei corpi celesti costituisce una pre­ messa in dispensabile per una n avigazione sicura o per un' agricoltura redditizia, tuttavia non garantisce né l ' una né l'altra , dal momento che il successo di queste imprese richiede anche altre condizioni, di carattere non teoretico. Per questo la scienza, in quanto è sapere oggettivo, non garantisce la realizzazione dei concreti progetti delle singo­ le persone, realizzazione che esige l'introduzione di una componente soggettiva. Il sapere scientifico, potremmo dire, è condizione necessaria ma non sufficiente per il consegui­ mento dei fini umani. La realizzazione dei progetti dell'uo­ mo richiede infatti da un lato un sapere di tipo diverso, cioè propriamente umano, e dall' altro lato una pratica ef­ fettiva. Da un lato - potremmo dire - la sapienza (mito, religione etc . ) , dall' altro lato la tecnica.

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Eppure , nonostante questi limiti costitutivi , il s apere s cientifico si impone pian piano come il modello ideale di ogni forma di conoscenza valida, e la filosofia si presenta precisamente come la prospettiva che inventa e dà compi ­ mento alla strategia volta ad affermare illimitatamente la conoscenza scientifica. È necessario comprendere come mai accada una cosa del genere. Abbiamo detto che la scienza , in quanto sapere ogget­ tivo, non è sufficiente a garantire la soddisfazione dei desi­ deri e dei progetti dell 'uomo. Tuttavia vi è un particolare fine umano il cui conseguimento viene garantito dal sapere scientifico; si tratta dell'accordo tra gli uomini, giacché per quanto riguarda l ' ambito della realtà che è oggetto di co­ noscenza scientifica gli uomini sono tutti necessariamente

d'accordo. La realtà con la quale, nel sapere s cientifico, l'uomo si viene a trovare in accordo è innanzi tutto la natura, la physis intesa come realtà 'fisica' ; il sapere scientifico è, appunto, oggettivo. Il sapere s cientifico già costituito (matematica, geometria, astronomia) riguarda indubbiamente la vita con­ creta degli uomini e quindi la realtà 37, ma è in qualche senso indipendente dalla varia, molteplice e imprevedibile espe­ rienza degli uomini. È perché prescinde dalla concreta espe­ rienza umana e dalle opposizioni (negazioni) in questa pre­ senti che il carattere definitorio del contenuto scientifico, cioè l'identità, assume la forma della in-varianza, della in­ mutabilità, ovvero la forma della negazione della variazione e del mutamento. Le sue conoscenze, in quanto oggettive e a p riori, sono immutabili o invariabili. È appunto perché è astratta rispetto alle posizioni soggettive e scissa dall'effet-

H Perché le scienze riguardano rispettivamente (semplificando al mas­ simo) : l 'equivalenza quantitativa tra gli oggetti che gli uomini si scambiano (matematica) , la misurazione della terra e dei suoi campi (geometria) c i movimenti dei corpi celesti (astronomia).

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tiva esperienza umana che la conoscenza scientifica risulta vincolante per tutti gli uomini. La conoscenza oggettiva della realtà, insomma , ha un incomparabile pregio soggettivo: essa mette d'accordo tutti gli esseri forniti di pensiero, discorso e ragione, cioè tutti gli es seri dotati di l6gos. Si osservi che è proprio il caratte­ re oggettivo della scienza quello che le conferisce questo valore straordinario ; in quanto tale, infatti, essa prescinde dalle componenti private, individuali, soggettive, quelle circa le quali gli uomini si trovano in contrasto, e riguarda solo quella sfera rispetto alla quale gli uomini non possono non andare d'accordo appunto perché essa non dipende dalle loro variabili e contrastanti inclinazioni soggettive. Insom ­ ma: il pregio fon damentale del sapere scientifico è la sua capacità di porre un vincolo necessario tra gli uomini, vin­ colo che però è libero nel senso che è imposto non dalla volontà di alcuna persona (il sovrano, il despota etc. ) , ben ­ sì dalla realtà oggettiva, cioè indipendente dai gusti, dalle propensioni e dalle parzialità proprie delle decisioni indivi­ duali . La conoscenza scientifica è oggettiva (universale, necessaria e reale) e non soggettiva; in quanto tale è libera dai conflitti che si scatenano tra le differenti interpretazio­ ni soggettive. Nella lettura che stiamo fornendo , il tratto distintivo del sapere scientifico, cioè la sua oggettività, che pure ne costituisce un limite essenziale, possiede un valore incondi­ zionato per il fatto che la scienza , essendo libera da quella componente soggettiva e cioè arbitraria che vede gli uomi­ ni in conflitto in quanto dotati di propensioni differenti, costituisce un luogo nel quale gli uomini vanno necessaria­ mente d'accordo; essi sono, per così dire, liberamente co­ stretti ad andare d' accordo. La scienza, insomma, è il luo­ go che garantisce la pace tra gli uomini. Il pregio soggettivo della scienza oggettiva risiede nel fatto che essa garantisce l' accordo tra i vari soggetti umani. Il valore ' assoluto' della

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scienza consiste nel suo determinare uno spazio nel quale tutti gli esseri umani si trovano uniti ma in maniera libera, un ambito cioè nel quale si realizza un libero accordo uni­ versale. Questo è, in verità , il fondamento della scienza; ciò che costituisce nel contempo la giustificazione del suo va­ lore incondizionato e il criterio generale di ogni forma di validità: la sua necessaria - ma libera - positività universale. È questo suo carattere queiio che ha folgorato i pensa­ tori dell 'epoca deii'inizio della filosofia: Socrate, e Platone, innanzitutto. La geometria, per esempio, ci fornisce delle conoscenze che sono valide per tutti, e in maniera indiscu­ tibile; ma il loro valere universalmente non è il frutto di un comando che al singolo individuo provenga dall' esterno; esso deriva direttamente dallo spontaneo e libero assentire deii'uomo a queilo che egli stesso vede. Il caso della famo­ sa dimostrazione geometrica effettuata nel Menone dal ser­ vo con l' aiuto di Socrate è paradigmatica a questo proposi­ to. I teoremi deiia geometria esprimono qualcosa di neces­ sariamente, universalmente vero; la dimostrazione geometri­ ca con duce a una conclusione aiia quale inevitabilmente deve giungere chiunque sia dotato di pensiero , perché tale esito è scritto originariamente nell'anima di ognuno ma non come un dato suo esclusivo, particolare. Proprio per que­ sto la 'verità' scientifica non costituisce qualcosa che Socrate debba imporre al servo. La maieutica è ancora una volta centrale, anche sotto questo riguardo . Socrate e il servo (quindi, come dire, tutti i possibili uomini) , così diversi quanto alle opinioni che possono avere su un grande nume­ ro di altre questioni, in questa dimensione del sapere scien ­ tifico si trovano uniti in maniera necessaria; lo sono di ne­ cessità e per accordo reciproco, cioè per mutuo consenso. Ciò che rende la scienza così importante per il filosofo è - nell'interpretazione che stiamo fornendo - il fatto che in essa si p resenta un tipo di umficazione che vale per tutti in maniera, è proprio il caso di dire, pacifica: tutti sono 764

necessariamente ma spontaneamente d 'accordo circa i risul­ tati scientifici . La rilevanza di questo punto è eviden te : si annuncia , con la comparsa del sapere scientifico, una dimensione che consente di pensare una legge, qualcosa dunque che vinco­ la il comportamento di tutti, la quale non sia basata sulla imposizione} sulla violenza . L 'ideale che sta, più o meno consapevolmente, al fondo del pensiero filosofico, irresisti­ bilmente attratto nell' orbita dell' astro nascente della scien­ za, è quello di una legge} o di un regola} libera dalla violen­ za della coercizione. Una regola che non nasca dalla forza dell 'imposizione - e solo essa - può consentire agli uomini di vivere in armonia reciproca, cioè in pace. Il sogno è quello di una unità libera, e perciò felice, degli uomini. Solamente questa norma libera dalla violenza può garantire la condi­ zione indispensabile di ogni bene umano, cioè l'allontana­ mento del più devastante dei mali: la maledizione della guerra e della violenza tra gli uomini. Gli antichi sanno bene che molti sono i dolori che l' uomo è destinato a su­ bire nella sua vita di mortale; ma il peggiore di tutti, il più tremendo ed intollerabile, è quello che gli viene dagli altri uomini: la violenza. E il male totale è quel trionfo della violenza che è costituito dal conflitto tra gli umani, dalla guerra che tutto travolge e distrugge. La filosofia nasce da questa intuizione fondamentale; al suo fondo vi è dunque questo sogno: una società armo­ nica, pacifica, positiva, composta di persone pienamente soddisfatte. La scienza sembra realizzare, a livello embrio­ nale, il prototipo di una cosa del genere: una società di uomini uniti in un libero accordo universale. Il luogo di questo accordo si precisa come l6gos, che dice insieme ra­ gione e discorso, quindi verità. Il fondamento del sapere scientifico, ciò che costituisce tanto il criterio della sua validità epistemica quanto il motivo del suo avere valore dal punto di vista etico-assiologico, è l 'accordo che si rea765

lizza, al cospetto dell'armonia del cosmo, tra tutti gli esseri dotati di l6gos.

È facile

comprendere, allora, come la scienza, in quan­ to luogo della unificazione libera - quindi non coatta, non forzata possa avere avuto un fascino irresistibile per degli esseri, come gli umani, da un lato costretti a unirsi ai loro simili ma dall ' altro lato da questi stessi continuamente minacciati . Così, la pratica scientifica si è presentata come un modello ideale di vita umana in quanto la convivenza realizzata tramite essa è apparsa di carattere universalmen­ te positivo. La scienza si è configurata come un ' esperienza nella quale l' uomo viene ad essere arricchito dalla comuni­ tà di vita con altri esseri umani, ma nel contempo è libero dal rischio che tale rapporto costituisca per lui un danno o una minaccia. In questo senso potremmo anche dire che il motivo per cui l'esperienza scientifica ha avuto una irresi­ stibile forza attrattiva sull 'uomo è che essa si è presentata come un modello positivo dal punto di vista politico (in­ ten dendo con tale termine l'ambito della convivenza socia­ le consapevole) e quindi esistenziale ( cioè dal punto di vi­ sta di una esperienza umana integrale) . -

La scienza garantisce dunque almeno uno dei fini pro­ priamente umani: il libero accordo degli uomini, owero la pace. Rispetto a questo fine particolare essa è, dunque, condizione necessaria e sufficiente. Ma - ecco il punto decisivo - questo non è un fine qualsiasi; potremmo anzi dire che la pace è la condizione della possibilità della realizzazione compiuta di ogni altro fine umano. Perché, dal punto di vista negativo il conflitto tra gli uomini è tale da minacciare e compromettere qualsiasi altro bene, e dal punto di vista positivo l ' accordo tra le persone è con di­ zione necessaria per una loro proficua collaborazione, la quale a sua volta è - e in maniera sempre crescente - la 766

premessa indispensabile per il conseguimento di ogni fine umano. Così la conoscenza scientifica, in quanto garanzia del­ l' accordo universale tra gli uomini, si presenta come ciò che garantisce quella che è la condiz i one necessaria per il pieno soddisfacimento delle aspirazioni dei singoli individui , cioè per il conseguimento di qualsiasi bene da p arte dell'uomo. Essa si presenta pertanto come qualcosa che ha senz'altro valore , qualcosa che è in sé, incondizionatamente un bene. Grazie a questo suo carattere la scienza è stata assunta come qualcosa di valido per tutti gli uomini anche quando non si era in grado di accertare concretamente la loro adesione e il loro riconoscimento; per questo la sua estensione illimi­ tata si è presentata come qualcosa che rappresenta comun­ que qualcosa di positivo, qualcosa che in ogni caso è bene estendere ed applicare a tutti i campi. Così, ogni interven ­ to sulla realtà e sugli stessi uomini che discenda direttamente da una conoscenza siffatta risulta legittimo, dal momento che esso non impone altro se non ciò su cui tutti sono ine­ vitabilmente d'accordo, ciò, quindi, che rispetta necessaria­ mente la libera volontà di ognuno. L ' unico agire che sia garantito quanto alla sua capacità di fare il bene dell 'uomo, di ogni uomo, è quello che è conforme al sapere scientifi­ co. Si capisce allora come tale tipo di sapere, nonostante i suoi limiti costitutivi , abbia finito per assumere un valore incondizionato e quindi una portata illimitata.

3 . IL PROGETTO DELLA FILOSOFIA E IL SUO SVILUPPO 3 . l . La filosofia come "scienza della pace" Proprio da questo tipo di considerazioni scaturisce sostanzialmente quell 'evento al quale è stato riservato il nome di filosofia. Questa, infatti, è la prospettiva che as767

sume il sapere scientifico come via privilegiata per conse­ guire, attraverso l' accordo universale, la piena autorealiz­ zazione degli uomini. Così la filosofia rappresenta l 'esten­ sione universale del sapere scientifico e quindi tendenzial­ mente il superamento dei suoi limiti: da un lato l'atteggia­ mento scientifico deve essere applicato a ogni campo della realtà, anche alla dimensione soggettiva esistenziale e quin­ di alla sfera del senso e dei valori; dall'altro lato la scienza deve diventare la guida pure dell' agire pratico dell 'uomo. Il primo versante è quello lungo il quale, in prospettiva, il sapere scientifico invade ogni ambito della conoscenza e soppianta via via ogni altra forma di sapere (mitico, religioso, sapienziale, politico etc . ) ; il secondo versante è quello che, soprattutto in epoca più recente, conduce alla tecnica, che va intesa appunto come l'istituzione di una pratica guidata dalla conoscenza scientifica e totalmente . Immersa m essa. Prende così il via quel processo che pone l'umanità sotto la tutela ma anche sotto il potere del sapere teoreti­ co-scientifico. In particolare, l 'applicazione di tale sapere a quegli ambiti che di fatto la scienza già costituita ancora trascura e nei quali le contrapposizioni tra gli uomini risul­ tano più dure e dannose ( religione, politica etc . ) è vista come ciò che solo può consentire un vero progresso per l'umanità. Il problema e il compito della filosofia si preci­ sano proprio in questo senso: solo quando anche le que­ stioni sulle quali nascono i conflitti tra gli uomini saranno affrontate in maniera scientifica sarà veramente possibile realizzare il sogno di una società giusta e pacifica. Quando la sophia diventerà scientifica, allora finalmente avremo la convivenza umana ideale. Così nasce la filosofia, come .

ambito nel quale il discorso relativo alla vita dell'uomo assu­ me i caratteri della scientz/icità. La filosofia è la sophia che si fa scienza. In tal modo essa costituisce l'estensione illimi­ tata del sapere di tipo scientifico. 768

Dal momento che la mossa decisiva consiste nell'esten ­ dere ad altri campi il modello del sapere s cientifico, il momento centrale della ricerca filosofica viene progressi­ vamente a coincidere con l'indagine circa il motivo per cui la scienza possiede quelle prerogative che la rendono così preziosa. Si tratta insomma, per stare a una terminologia più tradizionale, di scoprire l'essenza del sapere s cientifico; ed è per questo che la questione della individuazione del metodo scientt/ico assume un 'importanza sempre crescente. Il 'progetto' della filosofia è quello di trasformare la società umana in un luogo di convivenza armonica e sod­ disfacente; ma tale formidabile variazione della situazione dell'uomo diventa possibile solo nella misura in cui gli uomini si lascino guidare in ogni ambito da un sapere di tipo scientifico. Per questo l'ideale filosofico è quello di un sapere che sia scientifico ma nel contempo universale (tota­ le, completo , integrale) . Proprio in quanto tale esso risulta necessariamente formale e fornisce solo il metodo generale per la determinazione concreta di ogni altro sapere. Esso riguarda infatti i princìpi a priori concernenti il pensiero (logica) l'essere (antologia) e il valore (etica, teologia) . La metafisica tradizion ale costituisce appunto siffatta scienza, quel sapere filosofico oggettivo che rappresenta il sapere

assoluto. La mossa della filosofia consiste nel porre l'atteggiamen­ to scientifico come orizzonte integrale della vita e perciò della convivenza umana, e quindi nell'estendere totalmente ( cioè a tutti gli aspetti dell' esistenza) il metodo scientifico che per il momento è ancora limitato ad alcuni ambiti cir­ coscritti. In tal modo si ottiene la garanzia che ogni pratica umana si inseriva nell'orizzonte dell' accordo universale. Il dominio che racchiude i problemi vitali dell ' uomo è tracciato dal discorso, dal l6gos; nella parola l'uomo trova la propria natura essenziale. L' applicazione filosofica del metodo s cientifico dovrà dunque, in primo luogo, riferirsi 769

all 'ambito del dire umano, e il sapere filosofico si costitui­ rà innanzitutto come scienza del discorso. L 'interpretazione dialettica della filosofia consiste essenzialmente nel venire in primo piano di questo aspetto. Il discorso filosofico è la trattazione scientifica non dei numeri, o delle figure, ma delle parole, owero delle idee che organizzano e guidano la vita degli uomini per quanto riguarda il buono, il bello, il giusto. La vicenda del pensiero filosofico, da Socrate a Platone (pur tenendo conto delle dovute differenze, per esempio per quanto riguarda il passaggio dalla concezione dialogica, cioè critica e aperta, propria di Socrate a quella fondativa e costruttiva caratteristica di Platone) 311, può tut­ ta essere racchiusa nel gesto con il quale da un lato la sophia assume veste scientifica, e dall ' altro la scienza si rivolge all'uomo stesso e alla sua dimensione più propria. La filo­ sofia diventa dialettica, cioè scienza del discorso e quindi della scienza, perché intende essere il sapere che realizza, attraverso il libero accordo universale, il bene dell 'uomo. Il suo essere scienza della scienza è inscindibile dal suo essere conoscenza della unità universale non impositiva, cioè dell ' accordo universale : scienza del bene, e quindi anche

scienza della pace. 3 .2 . La parabola del progetto filosofico: il disvelarsi del fon­

damento 'soggettivo ' del sapere 'oggettivo ' La nascita della filosofia esprime dunque la volontà di introdurre nella vita dell 'uomo una novità capace di deter­ minare una variazione positiva della sua situazione: tale novità è la garanzia di una convivenza sociale che esprima lH

Si veda per esempio la interpretazione fornita da Gabriele Giannan­ toni nei capitoli dedicati a Socrate e a Platone in M. Dal Pra (diretta da), Storia della filosofia, Vallardi, Milano 1 975 , I O volumi, vol. III, rispettiva­ mente capitoli VII (pp. 1 1 5- 1 3 5 ) e IX-XII (pp. 1 4 7 -224 ) . 770

il libero accordo degli umani. Siffatta trasformazione posi­ tiva diventa possibile nella misura in cui il comportamento umano nel suo complesso sia guidato da un sapere scienti­ fico universale , cioè filosofico. Dal punto di vista pratico, la filosofia è dunque il pro­ getto della trasformazione complessiva dell 'esperienza uma­ na sulla base del s apere filosofico-metafisico. Questo pro­ cesso di modificazione ha quindi una direzione duplice: da un lato si rivolge all ' uomo (soggetto) , che deve venire edu­ cato a conformarsi al sapere scientifico 39, dall' altro lato si rivolge alla natura (oggetto) , che deve venire assoggettata in maniera da conformarsi ai modelli teorici degli uomini. Il primo indirizzo, che è stato largamente predominante fino all' avvento della scienza moderna, è quello di stampo cultu rale -umanistico; il secondo è quello s cientifico- tecno­ logico, che prende nettamente il sopravvento negli ultimi secoli della storia occidentale. Oggi , comunque, i due di­ stinti movimenti tendono ormai a unificarsi in un unico , gigantesco processo di trasform azione tecnologica dell 'in­ tero universo, compreso lo stesso uomo. La filosofia, dunque, sorge come elaborazione di una conoscenza capace di garantire l' accordo universale e quindi di determinare una trasformazione positiva delle vicende umane. Ma - come si s copre pian piano - la filosofia 'me­ tafisica ' , l ungi dal determinare una situ azione di pacifica­ zione universale , diventa essa stessa un campo di contese inestinguibili e quindi un fattore che scatena feroci con­ trapposizioni tra gli umani. Si rende dunque necessario un ripensamento della natura della scienza e del suo metodo, al fine appunto di riproporre il progetto di emancipazione che è proprio della filosofia.

�� Perché è solo nella misura in cui si identifica con il soggetto teore­ tico che l'uomo si trova in perfetto accordo con il tutto della realtà ed è quindi pienamente soddisfatto.

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L'età moderna, in particolare, è caratterizzata dal con­ trasto netto tra il potere unificante e libero del nuovo sape­ re scientifico e la violenza insensata delle contrapposte fa­ zioni religiose e ideologiche che pretendono di imporre universalmente la propria parziale concezione del mondo. Da una parte Galilei e Newton elaborano una teoria che, essendo basata sulle " evidentissim e " ed " incontestabili" strutture concettuali matematico-geometriche, da un lato unifica in una sola legge i vari movimenti dei corpi celesti guidati dalla gravitazione universale, ma nello stesso tempo dall' altro lato unisce anche tutti gli uomini attorno a un sapere tanto oggettivamente vero quanto universalmente valido . All 'unificazione operata dalla trionfante affermazio­ ne dell'interpretazione matematizzante della natura fa da contraltare il paesaggio desolante delle guerre ideologiche (di religione e politiche) che, al contrario, vedono gli uo­ mini ferocemente e irriducibilmente opposti gli uni agli altri. La filosofia si trova dunque costretta a ripetere il gesto originario vòlto a rapportare al sapere scientifico ogni at­ teggiamento umano ; filosofo , insomma, è colui che ribadi­ sce, con Leibniz, che solo quando saremo in grado di dire "calculemus ! " anche nelle questioni etiche , religiose e poli­ tiche oltre che in quelle matematiche l' umanità potrà vive­ re un 'epoca di pace e di serenità. Solamente quando verrà espugnata dal sapere scientifico la cittadella costituita dalla natura dell' uomo, come sognava di fare Hume con la sua ricerca, l ' umanità avrà fatto un passo avanti decisivo . Ma il compito essenziale del filosofo consiste ora innanzitutto nel cercare di capire come mai la filosofia come scienza rigoro­ sa ( cioè la metafisica) abbia prodotto un effetto opposto a quello previsto, rivelandosi un campo di lotte senza fine. È necessario riprendere pazientemente il filo del discorso , cercan do di penetrare meglio, alla luce delle fondamentali innovazioni metodologiche introdotte dalla modernità , il segreto del sapere scientifico . 772

Così, emerge pian piano la consapevolezza che la ogget­ tività del sapere scientifico, quella che costituisce la ragio­ ne del potere unificante della scienza, riposa su un fonda­ mento che non prescinde completamente da una componen­ te che possiamo chiamare soggettiva. Kant mostra come la condizione della possibilità del sapere scientifico, cioè uni­ versale e necessario ma riguardante la realtà, è che gli 'og­ getti naturali ' siano in parte costituiti da forme a priori in qualche senso soggettive: lo spazio e il tempo, innanzitutto; e poi, più a fondo, le categorie dell'intelletto e le idee della ragione. Si tratta, certo, di elementi soggettivi in senso tra­ scendentale e non intimistico o individualistico; tuttavia il problema posto dalla speculazione kantiana è che per rea­ lizzare la filosofia intesa come un sapere che garantisca la pace universale perpetua non si può più pensare di copiare le scienze, o semplicemente di applicarle; bisogna invece edificare ex nova un s apere filosofico-metodologico che abbia per oggetto la dimensione soggettiva trascendentale la quale è la sola che possa valere universalmente. La fon­ damentale scoperta insita nella cosiddetta rivoluzione coper­ nicana, insomma, è che la oggettività (necessità e universa­ lità) del sapere scientifico altro non è che la sua universali­ tà soggettiva : l 'oggettività - potremmo dire con una termi­ nologia più consona a chi verrà dopo Kant che non al pen­ satore di Konigsberg - non è altro che intersoggettività 40. In altri termini, l'a priori oggettivo altro non è se non ciò che costituisce la necessaria unità di tutte le esperienze sogget­ tive: la realtà oggettivamente a priori è l'unità dei soggetti; l'invariante oggettivo non è che l'identità soggettiva. 40 Tale mutamento di prospettiva ci impone oggi, dato il carattere ine­ vitabilmente prospettico ed ermeneutico di ogni posizione, di dire - in breve - che non si può più affermare: " Poiché questa teoria è una verità universale, cioè è sapere scientifico, tutti gli uomini sono d'accordo su di essa " ; ma, viceversa: " Poiché tutti gli uomini sono d'accordo su questa affermazione, noi la chiamiamo scienza e la assumiamo come verità " .

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Il segreto del carattere oggettivo della scienza consiste nel suo esprimere quelle che sono le condizioni soggettive necessarie ed invariabili. Il progetto filosofico di individuare nell'identità invariabile ciò su cui gli uomini si trovano necessariamente d 'accordo non viene meno; ma ora esso ruota la propria direzione prospettica. Se l'invariabilità (in­ negabilità) degli oggetti della scienza dipende dalla dimen ­ sione trascendentale (intersoggettiva) allora la vera filoso­ fia sarà quella che studia non gli 'oggetti immutabili' , bensì le identità invarianti dell' esperienza soggettiva del mondo. La filosofia, esattamente come prima, si rivolge a ciò che è universalmente vincolante, ma ora questo è costituito dalle forme a priori. L'identità innegabile e necessaria è tale in forza non più di un elemento estrinseco rispetto alla sog­ gettività umana, bensì grazie alle funzioni trascendentali originariamente operanti in essa. La Filosofia Prima resta sempre la scienza che indaga quegli elementi che sono universalmente validi per tutti in quanto sono necessari e quindi vin colanti; ma mentre nella metafisica 'dogmatica ' questi sono rappresentati da dati oggettivi, per così dire realistico- n aturalistici, nell 'epoca moderna, quella della soggettività, essi si presentano come elementi trascenden­ tali nel nuovo senso introdotto da Kant. Il sapere proprio della filosofia è ora quello che espone gli elementi neces­ sariamente appartenenti alla soggettività costituente; e la nuova etica filosofica riposerà quindi non più su un conte­ nuto oggettivo, ma sull'imperativo categorico, all'interno di una prospettiva che coinvolge, come momento essenziale del proprio contenuto, la stessa pratica umana. In Kant, come si sa ( almeno nel Kant più 'ufficiale ' , giacché lo stesso sviluppo del suo pensiero va gradatamen­ te nella direzione che stiamo per indicare ) , le forme a prio ­ ri del sapere scientifico conservano tendenzialmente una loro invariabilità oggettiva, cioè una fondamentale indipen­ denza e quindi astrattezza rispetto all 'esperienza concreta 774

degli individui e alla loro esistenza effettuale. Così, anche a livello pratico (in senso kantiano) la scienza filosofica non è in grado di determinare concretamente in che cosa consi­ sta l 'accordo tra le persone reali; essa si limita a porre i princìpi generali che dovrebbero garantirlo a prescindere dalle singole esperienze individuali. Ma, una volta scoperta la natura 'soggettiva' del fondamento del sapere scientifi­ co, per la filosofia si pone necessariamente il compito di determinare con precisione tale dimensione trascendental­ soggettiva, cioè di fondarla nella sua innegabile invariabili­ tà. Così la rivoluzione copernicana va inevitabilmente incon ­ tro a un processo di rigorizzazione che fa venir meno la scissione tra l ' ambito fen omenico e quello noumenico e pone un nuovo principio dell'intero sapere scientifico , prin ­ cipio che evidentemente non può più essere meramente oggettivo. Fichte individua ed enuncia il principio primo e unitario di tutto il nuovo 'ed ificio filosofico-metafisica' (l'identità-opposizione tra Io e Non-io) , e Hegel riconduce l'intero sviluppo della realtà complessiva al dipanarsi di questo incontestabile principio. L'elemento formale, o a priori , per Hegel non consiste più in elementi pregiudizial­ mente dati rispetto al concreto , storico svilupparsi della soggettività umana e quindi della vita sociale , ma è costitu ­ ito da null 'altro che dal farsi della soggettività dell'uomo nel suo realizzarsi come universalità libera , cioè non impositi­ va: come spirito assoluto. La scienza dell'uomo universal­ mente libero (la filosofia, appunto) deve rinunciare alla ji"s­ sità e alla immutabilità non solo del dato oggettivo , m a anche d i quello soggettivo- trascendentale, i l quale si produ­ ce nel vivo della storia umana e del suo concreto progredi­ re. L'identità invariabile non è qualcosa di dato indipenden­ temente dal concreto fluire storico. Essa non viene meno, ma non si presenta più come sostanza bensì come soggetto. A questo punto la filosofia, che può restare scientifica solo se costituisce un sapere universalmente vincolante, 775

cioè a priori, come proprio contenuto non può avere gli oggetti naturali, né i soggetti empirici, e nemmeno le astrat­ te categorie trascendentali, ma solo il principio che gover­ na e guida con polso inflessibile l'irresistibile procedere degli eventi storici reali , cioè il principio della riconcilia­ zione del soggettivo e dell'oggettivo. �oggetto reale del sapere assoluto non è altro che il movimento che produce l 'unificazione dell'umanità; l'identità invariante (il conte­ nuto del sapere filosofico) è l'unità concorde degli umani che si realizza nel corso del processo che li unifica. Così, il sapere filosofico deve comprendere nel proprio conte­ nuto anche il processo storico-sociale che trasforma la situazione umana. Dal punto di vista ' pratico' questo vuoi dire che il compito della filosofia viene realizzato non da ' astratti pen­ satori metafisici' ma da quella forza (potenza) effettuale che interviene nella realtà trasformandola consapevolmen­ te in un mondo nel quale il soggetto umano è signore. �esecuzione di tale compito p resuppone, da parte del­ l'uomo, la capacità di dominare gli elementi irrazionali che impediscono il realizzarsi di un 'esperienza armonica. Essi son o , in p a rticolare: l ' originaria volontà ( S ch o ­ penhauer) , l e forze tecnico-produttive che determinano la struttura economica (Marx) , gli impulsi della libido e dell 'inconscio (Freud) . Questo controllo degli elementi irrazionali awiene mediante delle pratiche mirate, quali in riferimento agli esempi appena proposti - l 'ascesi, la lotta politica, la presa di coscienza dei traumi del proprio passato. Tale processo di liberazione awiene mediante l ' agire e la volontà dell'uomo, così che veri filosofi sono quelli che assumono consapevolmente la decisione di tra­ sformare ( anziché limitarsi a interpretare) il mondo e l'uo­ mo, assecondando e accelerando il processo che solo con­ sente all' umanità di superare le contraddizioni della socie­ tà e i disagi della civiltà. 776

Ma la 'decisione filosofica' di realizzare l'unità degli umani si scontra con gli uomini così come essi, in quanto dominati da tali potenze irrazionali, di fatto sono; e allora il programma 'filosofico ' , originariamente inteso a trasfor­ mare l'esistenza in una esperienza di pace e di armonia , non può evitare d i assumere la forma di u n a lotta , più o meno intensa, contro il dato umano, finendo in tal modo per rovesciarsi nel proprio contrario. Questo fenomeno, che è di portata generale , risulta particolarmente evidente a livello politico, dove il progetto filosofico di liberazione universale si rovescia nella barbarie dell 'imposizione tota­ litaria. La volontà di pace, di bene, di giustizia e di ogni altro 'valore' si trasforma inesorabilmente nella peggiore delle prepotenze, quella che assume i falsi panni del sog­ getto giusto e pacifico. La variazione determinata dal­ l'intervento 'filosofico' realizza una situazione di conflitto e di violenza che è esattamente il contrario di quanto ci si era prefissi.

3 . 3 . La questione filosofica nell'epoca della variabilità totale Il punto al quale va prestata la massima attenzione è che questo aspetto negativo della trasformazione ' filosofi­ ca' della realtà, come emerge in maniera sempre più chia­ ra e perentoria, non è né provvisorio né casuale. Perché l'unificazione degli uomini, la quale viene assunta come quel bene che giustifica l'intervento filosofico e ne legit­ tima il conseguente operare, può avvenire in infiniti modi differenti, relativi ai più vari sistemi di riferimento e pro­ getti operativi , così che la violenza ritenuta provvisoria diventa definitiva . L'identità invariante consistente nell'uni­ ficazione dell 'umanità viene a sua volta a presentarsi come una variabile, cioè come qualcosa di mutevole.

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La potenza unificante è così di volta in volta, a secon­ da delle circostanze e dei punti di vista, lo Stato etico oppure la classe rivoluzionaria, la religione oppure la tec­ nica . L' unz/icazione universale, che dovrebbe portare alla luce l'elemento invariabile della realtà e quindi la garanzia dell 'accordo tra gli uomini, si presenta a sua volta come qualcosa di variabile e di revocabile. Essa costituisce, in­ vece che una situazione fissa, un campo di lotte dove si scontrano contrastanti progetti globali di organizzazione del mondo, e in tal modo da orizzonte di pacificazione universale si trasforma in fattore di intensificazione di un conflitto inestinguibile. L 'uomo s copre a sue spese che la stessa identità in­ negabile e in-variabile che determina l'unità universale è qualcosa di essenzialmente variabile e negabile. Ogni de­ terminazione a priori si rivela essere il risultato di una in­ terpretazione fattuale; ogni immutabile è il risultato di un processo di mutamento; ogni innegabile è l'esito di un atto di negazione e di contrapposizione ed è quindi a sua volta esposto alla revoca e alla sconfessione. La variabilità risulta dunque totale. Ogni in -variabile (in-negabile) - inteso come negazione di ciò che è variabi­ le, e cioè come soggetto capace di resistere assolutamente alle forze che vorrebbero modificarlo (negarlo) e di impor­ si ad esse mediante la lotta - si rivela, proprio in quanto si pone come non-variabile o anti-variabile, origin ariamente esposto alla variazione. Insomma, l 'invariabile stesso è, proprio in quanto negazione del variabile, variabile; l'iden­ tità medesim a, in quanto negazione della differenza, si pa­ lesa come determinatezza differente e oppositiva rispetto alle altre determinazioni; ogni assoluto, in quanto negazio­ ne del relativo, si mostra relativo. A questo punto risulta chiaro che l'identità , posta come non -variabile, non può essere in grado di garan tire l 'unificazione pacifica degli umani. Il punto decisivo è che se si pone come paradigma 778

di ciò che ha valore l'identità intesa come negazione della variazione, allora non si è più in grado di assicurare la po­ sitività (il valore) di quella variazione che viene introdotta dall'intervento filosofico. D'altro canto l' uomo non può prescindere dalla posi­ zione di un qualche dato assunto a priori come valido . Non lo può in linea di principio, perché questa , cioè la posizione di una identità assunta in via preliminare rispet­ to al flusso esperienziale , è la condizione della possibilità della sua dimensione cognitiva, e quindi in fondo del suo stesso esser uomo. E non lo può comunque di fatto , per­ ché egli non può ormai rinunciare a tutto ciò che la vi­ cenda filosofico-metafisica ha prodotto, cioè all 'apparato tecnico- scientifico, alla collaborazione tra gli uomini gui­ data dall'organizzazione politica , e così via . L' uomo, dun­ que, non può fare a meno di assumere come orizzonte dell'esperienza un qualche elemento; deve cioè assumere una 'identità' (in un qualche senso del termine) posta a priori. L'uomo, in altri termini, non può fare a meno di rapportarsi alla filosofia , la quale ha 'istituzionalmente' a che fare con l'identità, con ciò che vale a priori. Ma se tale rapporto, in considerazione del fatto che ogni invariabile si è mostrato come una minaccia e come una violenza per le persone, si riduce ad essere una nega­ zione dell'invariabile, allora l'uomo finisce per porre come unica assunzione a priori ( quindi come unica identità inva­ riabile) l'impossibilità della filosofia . E se la posizione del­ l'uomo nei confronti della filosofia si limita a esserne un rinnegamento e un rifiuto, allora l' orizzonte della sua esi­ stenza viene ad essere tracciato dal divieto di realizzare la concordia universale. Se ci si limita a rifiutare la filosofia (la verità filosofica) , allora l'unico a p riori è l'impossibilità di un sapere riguardante l'accordo universale; ma in tal modo insieme all 'acqua sporca (la violenza implicita nel­ l'unificazione coatta degli umani operata in nome dell'ideo-

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tità invariabile) si finisce per buttar via anche il bambino (un sapere vòlto a realizzare il libero accordo universale e la pace tra gli uomini) . Questa lotta contro l'innegabile (l'invariabile) , peral­ tro, di per sé consiste in un infinito autotoglimento filo­ sofico, dato che qualsiasi posizione presuppone qualcosa di fisso. Essa culmina quindi necessariamente nell ' auto­ toglimento della stessa filosofia e quindi nel nichilismo assoluto. Se la verità filosofica, a seguito del crollo di tutti gli in­ variabili , si riduce alla negazione della filosofia e di tutti gli in-mutabili, su questo scenario di rovine si erge, come unico elemento innegabile, l 'illimitabile volontà di potenza volta a imporre la propria legge 'arbitraria' e imperscrutabile alla totalità degli esseri umani. In tal modo qualsiasi progetto di mettere d 'accordo gli uomini scatena il più gigantesco e interminabile dei conflitti: ogni unificazione è una prevari­ cazione; ogni soggetto inteso a portare pace e giustizia as­ sume in realtà il ruolo del giustiziere. Quello che il pensiero contemporaneo ha compreso in maniera ormai definitiva è che il contenuto filosofico capace di determinare l ' accordo tra gli umani non è un contenuto oggettivo, se con ciò si intende qualcosa che può prescindere dalla effettiva volontà e dalla reale capa­ cità degli uomini di mettersi d 'accordo. Questa presa di distanza dalla filosofia 'oggettiva ' costituisce l 'aspetto di verità testimoniato efficacemente in particolare in Italia dal cosiddetto "pensiero debole " (Gianni Vattimo, Pier Aldo Rovatti) . Ma se il pensiero si limita a pronunciare una sentenza 'negativa' nei confronti del 'sapere' filosofi­ co esso si preclude la possibilità di proporre un intervento positivo, e deve dunque rinunciare al cuore del 'program­ ma' filosofico, quello cioè vòlto a determinare una varia­ zione positiva (libero accordo, pace) nella situazione umana. 780

III . PRATI CARE

FILOSOFIA

OGGI :

S C IENZA

E

SAPIENZA

l . L'EPOCA DEL COMPIMENTO DELLA FILOSOFIA COME TEORIA E COME PRATICA 1 . 1 . Il contenuto della filosofia come sapere teorico: la va­

riazione libera dalla negazione Il nostro tempo esige dunque, se vuole assumere un volto positivo, che si tenga fede all'originario progetto filo ­ sofico, che lo si ripensi e lo si riproponga. Ma l'unico modo per far ciò, ormai , è quello di porre il contenuto (l'identi­ tà) che garantisce l'accordo tra gli umani come qualcosa di diverso dall'in -variabile. Il positivo filosofico (universale) deve venire distinto dall'in-negabile e dall'in-mutabile. Ciò vuol dire che l'a priori filosofico deve in qualche misura includere la varietà dell'essere e la sua variazione; e in particolare deve includere quella peculiare variazione che è determinata dall'intervento filosofico. Nel contenu­ to a priori della filosofia deve insomma essere compresa quella che potremmo chiamare la diversità dell' essere, termine con il quale intendiamo appunto indicare da un lato la sua varietà (molteplicità delle determinazioni) e dall' altro la sua variazione (il cambiamento dell' esperien­ za) 4 1 • L'identità che costituisce il contenuto del sapere filosofico deve dunque avere nei confronti della diversità dell'essere un rapporto diverso da quello negativo ed esclu­ dente. Il contenuto deve essere una identità, ma questa deve essere pensata come capace di 'sopportare' la varietà (molteplicità) e la variazione. 41

Potremmo anche, al posto di " diversità " , usare l'esp ressione " (il)

diverso " , con la quale indicare sia la diversità sia la diversificazione dell'es­

sere. Ma si potrebbe, sempre a tal fine, usare il termine "varianza " (va­ rietà + variazione). 781

Ma questo non basta ancora. Perché la filosofia può essere veramente conoscenza dell ' accordo universale e di ciò che lo garantisce solo se l'identità che essa pone come proprio contenuto costituisce qualcosa che anche nella di­ versità conserva il carattere pienamente positivo. Il conte­ nuto della filosofia è l ' accordo universale; ma questo può essere posto a priori solo se viene inteso come ciò per cui la varianza in quanto tale è libera dalla negazione; quindi solo se la determinazione in quanto tale è libera dal nega­ tivo. Solamente questo contenuto - cioè la realtà nel suo essere libera rispetto al negativo - al quale diamo appunto il nome di puro positivo , è tale da garantire (cioè porre a priori) l' accordo tra gli uomini 42 • In particolare, solo siffat­ to contenuto è tale da garantire la positività dello stesso intervento filosofico che lo annuncia. Infatti la variazione determinata dall'intervento filosofico costituisce sicuramente (necessariamente) qualcosa di positivo (assicura cioè l' ac­ cordo tra gli esseri) solo se essa stessa appartiene di neces ­ sità al positivo ; e questo, appunto, può essere garantito, cioè posto a priori, solo se il contenuto del sapere filosofi­ co è ciò per cui la realtà in quanto tale è libera dal negativo, appartiene cioè al puro positivo . In questo caso, infatti, ogni realtà appartiene in qualche senso al positivo , e quindi ciò accade necessariamente anche al dire filosofico. Il conte­ nuto del sapere filosofico deve ormai essere, dun que, il perfetto positivo . La necessità che il con tenuto della filosofia sia costitu­ ito dal perfetto positivo può essere compresa anche a par­ tire da un interrogativo del tipo seguente. In che cosa può mai consistere la verità, cioè la garanzia della corrisponden­ za con la realtà data , nel momento in cui ci si rende conto

42 Del resto, si potrebbe osservare che per poter restare Identico pur in presenza della variazione un contenuto deve essere libero dalla negazione; perché in caso contrario questa ne comprometterebbe l'identità.

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che tutto è variabile e quindi che ogni dato è un'interpre­ tazione? Ebbene, la corrispondenza può essere garantita solo da ciò per cui le varie determinazioni della realtà si trovano in accordo persino nel caso in cui dovesse darsi opposizione reciproca. E questo è appunto il puro, perfetto positivo. Qualsiasi contenuto che non sia questo è esposto al rischio della falsificazione, una volta che si è rinunciato a porre una struttura oggettiva e invariabile della realtà; e in tal caso qualsiasi pretesa di garantire la corrispondenza con la realtà risulta infondata. Solo il puro positivo assicura la corrispondenza con la realtà, perché esso è ciò che resta positivo persino di fronte al negativo , rispetto al quale si presenta come la liberazione . M a se, u n a volta superata l a persuasione della oggetti­ vità invariabile della realtà, la forma della verità è il perfet­ to positivo, allora si deve dire che la ' teoria' vera è quella il cui contenuto rappresenta la liberazione universale ri­ spetto al negativo. Una volta che tutto è interpretazione, l'interpretazione vera può essere solo la migliore delle in­ terpretazioni possibili, quella appunto che interpreta la re­ altà come la manifestazione del puro, perfetto positivo . Quando tutto è interpretazione - potremmo dire - la veri­ tà è la ' storia' più bella che si riesca a raccontare. Con la precisazione - decisiva - che però la migliore tra tutte le storie può essere solo quella che è pienamente ' reale' ; e che riguarda in prima persona colui che la narra . La migliore delle interpretazioni possibili è quella nar­ razione della vicenda universale che è la più bella dal pun ­ to di vista etico ed assiologico: migliore è quella teoria che produce la maggior soddisfazione possibile in ogni senso del termine. Valida (vera) è l' interpretazione della realtà che dice la cosa più bella, la più piacevole. Parola vera è dunque essenzialmen te quella che dice il bene, come ci insegna Platone nel passo dell a Repubblica che abbiamo adottato come motto . Ma, ecco il punto, il massimo del piacere si 783

attinge nella misura in cui la cosa bella di cui si parla è reale. La 'teoria ' vera è allora - tanto per richiamarci a un luogo classico del pensiero filosofico occidentale - quella interpretazione della realtà della quale è impossibile pensar­ ne una migliore 43•

1 .2 . La filosofia come sapere pratico: la sempre-nuova libe­

razione dal disaccordo Il contenuto della filosofia è dunque l 'identità costitu­ ita dal perfetto positivo , visto però nel suo assumere forme sempre diverse. La filosofia è sì un sapere che ha un con­ tenuto determinato e a priori; ma tale contenuto è l'iden ­ tità infinitamente varia del puro-perfetto positivo. In quan ­ to poi il sapere filosofico consiste, oltre che nel riconosci­ mento del puro positivo , anche nella consapevolezza del proprio stesso appartenere ad esso, tale sapere riesce a ri­ sultare libero dalla contraddizione solo nella misura in cui realmente si presenta come un intervento che determina l' accordo universale. Da questo punto di vista il sapere fi­ losofico si configura essenzialmente come una pratica, pre­ cisamente quella che consiste nella sempre-nuova determi­ nazione dell 'accordo universale libero rispetto al negativo costituito dal disaccordo (il conflitto) . La filosofia compiuta è un sapere che è un a pratica. È un sapere nel senso in cui si dice che qualcuno "sa suonare il violino " : filosofico può essere detto solo il gesto di colui che sa determinare l'ac­ cordo tra i viventi. � � M i sia consentito il rimando, su questo punto che richiama eviden­ temente l' argomento antologico di Sant'Anselmo, al mio saggio Il discorso

del quale è impossibile pensarne uno migliore. L'argomento antologico come caso paradigmatico di questione filosofica, cit. (v. sopra: p. 52 1 , n. 1 4 4 ) . A proposito della espressione 'negativa' presente in questa formula ( "impos­ sibile " , cioè "non possibile " ) valgono le precisazioni più volte portate in merito al rapporto tra il perfetto positivo e il negativo. 784

La filosofia compiuta è un sapere che è un saper fare; ma è un saper fare che riesce a compiere realmente ciò a cui mira solo nella misura in cui si colloca nell' orizzonte del vero sapere: il sapere del puro positivo. In questo sen­ so la nostra interpretazione della filosofia si differenzia nettamente da quella che semplicemente passa dal privile­ gio della teoria a quello della pratica; si tratta infatti di individuare la sfera nella quale queste due dimensioni (teo­ ria e pratica) coincidono positivamente. Certamente la pro­ spettiva che stiamo illustrando è diversa da quella che con ­ sidera la teoria un bene incondizionato (cioè qualcosa che è bene a prescindere da quale situazione reale venga pro­ dotta dal gesto in cui la teoria stessa consiste) ; però tale prospettiva differisce pure da ogni impostazione che indi­ vidui il comportamento capace di garantire una variazione positiva per l'esperienza umana in una pratica che prescin ­ de dalla consapevolezza di quella realtà che sola può ren ­ dere veramente positiva una qualsiasi cosa. La filosofia subisce in tal modo una essenziale trasfor­ mazione. Essa si differenzia nettamente dalla teoria, se con questo termine si intende qualcosa che resta non-variato nei vari contesti; ma si differenzia pure da ogni mera pra­ tica, se con tale parola si intende un'attività che introduce nella realtà una variazione senza aver risolto il problema della sua positività. La pratica filosofica è quella dimensio­ ne nella quale la variazione dell'essere si manifesta come l'avvento della consapevolezza del puro positivo, ovvero di ciò per cui la variazione è libera dalla negazione.

1 .3 . Verità e illusione: la liberazione dal dolore tra scienza

occidentale e sapienza orientale

È solo all 'interno di questa dimensione inscindibilmente teorico-concettuale da un lato ed etico-pratica dall' altro che 785

può darsi quella trasformazione dell 'esperienza umana che costituisce il fine della filosofia. Questa assume allora la forma della modificazione del tutto della realtà, modifica­ zione capace di liberare dal negativo l'esperienza in gene­ rale. Conformemente a quanto visto, tale metamorfosi as­ sume un duplice volto: da un lato quello della conversione ( auto- conversione) dell'uomo al puro positivo; dall'altro lato quello della trasfigurazione, priva di violenza, dell 'intera esperienza del mondo. La filosofia è la 'tecnica' capace di realizzare questa 'miracolosa' trasformazione del tutto del­ la realtà. 'Miracolosa' perché la liberazione dal dolore del mondo è la liberazione da ciò, il negativo, che pure è in­ negabile (perché se viene negato viene riprodotto) e quindi è, in qualche senso, in-evitabile. La filosofia è allora , per così dire, "la scienza del miracolo " . T al e straordinaria trasform azione che costituisce il compimento della filosofia rappresenta da un lato l'unifi­ cazione di teoria e pratica e dall ' altro la con -posizione dei tratti essenziali dei due grandi universi che oggi si vanno unificando a livello planetario: Oriente e Occidente. Tale congiunzione presenta molteplici aspetti a loro volta stret­ tamente collegati alla coappartenenza di teoria e di pratica. Da un certo punto di vista l ' Occidente può essere considerato come il rappresentante della pura teoria, cioè della verità , a differenza dell'Oriente, tradizionalmente vi ­ sto, invece, come portatore di una pratica soteriologica che identifica l'orizzonte ultimo con la liberazione dal dolore (Buddha) 44 • Solo che ormai anche la teoria si rivela essere , agli occhi degli stessi occidentali , una particolare pratica, e come tale perde quindi il proprio privilegio incondiziona4 4 Sulla possibilità di istituire un confronto serio tra filosofia occiden ­ tale e cultura orientale vale la pena di considerare il saggio di Giangiorgio Pasqualotto, Illuminismo e illuminazione. La ragione occidentale e gli inse­ gnamenti del Buddha, Donzelli, Roma 1 997 .

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to. Nel momento in cui l'Occidente si rende conto che il valore incondizionato accordato alla teoria, cioè alla verità (la scienza ) , dipende dal fatto che questa si è presentata come ciò che garantisce la liberazione dal dolore e dal conflitto (disaccordo) , ecco che l' unificazione dei due uni­ versi culturali diven ta possibile. Questa unificazione assume un duplice volto. Da una parte qualsiasi teoria deve essere in grado di giustificarsi, oltre che da un punto di vista astrattamente concettuale, anche in relazione al suo impatto reale nella vita pratica degli uomini. La cultura teorico-scientifica è dunque tenu­ ta a confrontarsi con quello che costituisce il patrimonio tipico della cultura orientale , la quale da sempre offre un insieme di pratiche (meditazione, yoga, e simili) che hanno come loro esplicito scopo quello di portare l'uomo alla piena autorealizzazione e di garantirgli un'esistenza soddisfatta. La ' bontà' della pratica teoretico-scientifica deve dunque fare i conti con l'apporto della sapienza dell 'Oriente, che mira a migliorare l'esistenza umana mediante la via dell'il­ luminazione e della consapevolezza conseguite attraverso ben precise pratiche. Ma, dall' altra parte, una qualsiasi pra­ tica in tanto può garantire il conseguimento del proprio scopo in quanto dispone effettivamente di una qualche forma di 'verità ' ; e questo vale evidentemente anche per tutte le pratiche che 'promettono' la salvezza e la liberazio­ ne. Insomma, la teoria deve costituire un aspetto essenziale di ogni autentica pratica ' salvifica ' , la quale dunque può essere davvero tale solo se costituisce un momento della verità; e tutto questo, come abbiamo visto, è possibile solo se ci si colloca all'interno della consapevolezza del puro, perfetto positivo. Così , per questo verso la filosofia consi­ ste nell'insieme delle pratiche ( comprese evidentemente le pratiche teoriche) capaci di determinare realmente la sod­ disfazione dell ' uomo mediante il raggiungimento della (auto) consapevolezza del puro positivo. 787

La necessità di combinare insieme le istanze pratiche e quelle teoretiche di matrice tanto orientale quanto occiden­ tale risulta confermata e rafforzata se consideriamo la que­ stione da un punto di vista diverso, se non rovesciato, quello per il quale è l'Occidente a presentarsi come difensore di un atteggiamento eminentemente pratico, mentre l'Oriente vie­ ne ad assumere il ruolo di testimone della verità, intesa come consapevolezza dell'assoluto. In effetti, da un lato la 'astratta verità' della scienza occidentale si rivela essere la pratica più efficace e universale, in quanto è ciò che garantisce il suc­ cesso dell'operare tecnico. Dall'altro lato le 'tecniche' orien ­ tali, in quanto sono intese ad attingere , mediante la medi­ tazione trascendentale e l'identificazione con la coscienza su­ prema, la consapevolezza del carattere illusorio della realtà, si presentano come autentiche pratiche di verità, dal momen­ to che questa (la verità) può essere definita appunto come ciò che viene determinato per distinzione rispetto all'illusio­ ne. Anche da questo punto di vista, dunque, si può osser­ vare che solo una tecnica guidata dalla verità, o, se si pre­ ferisce, una verità capace di orientare e guidare la trasfor­ mazione pratico- tecnologica può presentarsi come ciò che conduce a un miglioramento essenziale la vicenda umana. Solo il risveglio alla verità può far sì che l ' agire efficace dell'uomo, cioè il suo operare tecnico-pratico, costituisca per noi un dono meraviglioso anziché una trappola inferna­ le; ma d ' altro canto il titolo di verità può essere conferito solo a ciò che effettivamente è in grado di dare compimen­ to alle esigenze umane in tutti i loro aspetti concreti. Così, la congiunzione di scienza occidentale e di sa­ pienza orientale può essere vista come il pieno consegui­ mento del fine dell 'operare umano in generale: la promo­ zione di un'esistenza libera dal dolore e perciò capace di determin are la compiuta soddisfazione dei viventi. Ed è in quanto realizza l' esperienza della beatitudine scaturente dalla piena autorealizzazione che l'esperienza filosofica può 788

presentarsi come il coronamento sia delle istanze pratiche che di quelle teoretiche. Quanto alle prime, infatti, l 'autentico filosofare del nostro tempo appare come l'integrazione della tecnologia occidentale , definita dalla capacità di garantire scopi 'par­ ticolari' ('materiali' e strumentali) , con quell'insieme di ' tec­ niche' (quali meditazione e yoga) che hanno come scopo precipuo il conseguimento della beatitudine in vita e che caratterizzano appunto la sapienza orientale (benché siano presenti anche in Occidente, soprattutto nel Cristianesimo, per esempio con pratiche quali la preghiera e simili) . Ma proprio questo fa sì che tale modo di intendere la filosofia rappresenti il compimento anche delle seconde, cioè delle istanze teoretiche, dal momento che solo sperimentando la beatitudine scaturente dalla consapevolezza dell' accordo universale si può cogliere quel positivo libero dal negativo (in-negabile) che tradizionalmente è andato sotto il nome di verità. Si palesa , insomma, che se da un lato ogni auten­ tica verità deve essere liberazione dal dolore, dall'altro lato pratica salvifica reale è solo quella che accade nella luce della verità. La filosofia giunge così a compimento assumendo la forma di una trasformazione (trasfigurazione) essenziale dell 'esistenza umana, della società e del mondo intero. Tale variazione si manifesta attraverso un insieme assai ricco e diversificato di pratiche, che vanno da quelle più tradizio ­ nalmente personali (meditazione , yoga, e simili) a quelle tipicamente collettive (tecnica, politica ) . Ma questa imma ­ n e trasformazione può determinare veramente l a compiuta soddisfazione dell'uomo solo se, insieme alla realtà nel suo complesso, subisce una trasfigurazione essenziale anche il senso di tutti i termini in gioco (operare, esistenza, uomo, tecnica, e così via): la trasfigurazione determinata dal loro ricomparire all 'interno della consapevolezza del puro, per­ fetto positivo.

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La " con-posizione" di Occidente e Oriente, di pratica e teoria, di scienza e sapienza assume naturalmente molti altri significati, dei quali vale la pena di sottolineare ora quello che ci pare più rilevante nel presente contesto di discorso. L ' Occidente può essere visto come il paladino della determinazione, e in particolare della concreta vita del singolo individuo um ano; per questo la nostra cultura ri­ fiuta la verità, nella misura in cui questa viene vissuta come ciò che opprime e soffoca (nega) l'affermazione e lo svilup ­ po delle singole determinazioni (i singoli uomini) . La tec­ nica, cioè la trasformazione della realtà conformemente a un modello , proprio in quanto costituisce la garanzia del conseguimento di uno scopo (progetto) determinato, rap­ presenta l ' apoteosi di tale impostazione. Ebbene, proprio la situazione determinata dal trionfo ormai senza freni del­ la tecnica occidentale si configura come una sorta di di­ mostrazione della verità del contenuto essenziale della sa­ pienza orientale; l'estensione universale della tecnica, cioè, realizza effettua/mente, e comunque rende mamfesta a tut­ ti, proprio quella che costituisce 'la verità' dell'Oriente. Voglio dire che la possibilità di una trasformazione illimi­ tata di ogni realtà e della stessa natura umana - questa possibilità è appunto ciò che la tecnica rivela - mostra come sia vero quello che la consapevolezza orientale testimonia da millenni, e cioè che tutto ciò che si manifesta è " illuso­ rio " (il velo di maya) . Se ogni cosa può essere modificata, allora tutto ciò che si mostra è lo spettacolo della assoluta " vanità" del reale . Ma qui sta il punto decisivo ; tutto di­ pende da come si interpreta questa " illusorietà " . Perché se essa viene intesa nel senso che la verità 45 non consiste in altro che nella consapevolezza che tutta la realtà può veni­ re distrutta e annullata (cioè 'negata' ) , allora l'incontro tra 4 5 La quale scaturisce appunto dalla presa di coscienza di ciò che è illusorio.

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le due grandi piattaforme culturali (Oriente e Occidente) avviene nel segno del più sfrenato nichilismo e quindi del pieno dispiegamento della violenza. La consapevolezza della " illusorietà " dell 'intero " mondo dell'esperienza " può co­ stituire un effettivo coronamento della sapienza custodita da entrambe le tradizioni (quella occidentale e quella orien­ tale) solo all ' interno di una interpretazione 'veritativa' per la quale a presentarsi come 'illusorio ' è fondamentalmente il carattere negativo della realtà, quello che ce la fa appari­ re negabile e quindi non solo distruttibile 46 ma anche in generale dolorosa e sfavorevole. In verità, invece, essenzial­ mente illusoria si manifesta ogni cosa negabile (quindi an­ che ogni cosa annientabile) , e perciò in generale illusoria si presenta la convinzione che la realtà sia, in verità, qualcosa che può venire negato (quindi anche distrutto) . Se la tecni­ ca è ciò che mostra la 'illusorietà' degli oggetti che può manipolare e trasformare, allora la tecnica suprema è quel­ la che 'modifica' quel particolare oggetto costituito dallo stesso operare tecnico; o, più precisamente, quella pratica nella quale si manifesta una trasformazione radicale del modo stesso di intendere tutto ciò che accade, compreso quindi lo stesso operare tecnico. Si p resenta in tal modo quella prospettiva per la quale la consapevolezza della illusorietà dell'intera manifestazio­ ne significa qualcosa di ben diverso dalla convinzione che ogni cosa della realtà si manifesta come negabile-annulla­ bile; per tale prospettiva, infatti, la verità è precisamente che 'nulla' si presenta come una entità passibile di negazio­ ne. 'Illusori a ' , insomma, è, invece che la determinazione in �1' In questo senso credo che il ripensamento della filosofia di Severino (l'eternità di tutte le determinazioni, pensata però, conformemente a quan­ to abbiamo visto, come libertà rispetto alla dis truzione piuttosto che come negazione della distruttibilità di quelle) costituisca una indicazione prezio­ sa in relazione alla possibilità di un confronto autentico tra Oriente e Occidente.

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quanto tale, la determinazione in quanto appartenente al­ l' orizzonte (illusorio) del negativo, quello appunto per il quale essa appare passibile di negazione e di annullamento. Solo così le istanze profonde dei due diversi mondi cultu­ rali possono essere portate a compimento. Perché da un lato la determinazione (ciò che per l'Occidente ha senz' al ­ tro valore) viene pienamente salvaguardata dal momento che risulta ormai libera dalla minaccia portatale dal carat­ tere negativo- annientante dell'orizzonte ultimo; ma dall'al­ tro lato - per converso - viene tutelata anche l'esperienza suprema della verità, quella che si distingue da tutto ciò che è illusione, appunto perché tale esperienza significa ora qualcosa di ben diverso dalla rinuncia all'esistenza determi­ nata, dato che ' illusorio' si rivela ora solo il carattere nega­ tivo della realtà. La liberazione dal dolore è garantita ora dal fatto che la determinazione funge da valore assoluto solo nella misu­ ra in cui si colloca all'interno dell'orizzonte per il quale essa è libera da ogni componente nociva nei confronti del­ le altre determinazioni. La congiunzione epocale di Occi­ dente e Oriente, per la quale l'awento della tecnica plane­ taria si configura come l'effettivo realizzarsi dell'esperienza umana libera dal dolore , costituisce dunque il compimento di ciò a cui da sempre entrambe le tradizioni mirano; ma il verificarsi di tutto ciò esige che tale congiunzione accada all 'interno della dimensione - che qui abbiamo chiamato del puro, perfetto positivo - per la quale la determinazione (e quindi la variazione) è libera da ogni carattere negativo. Proprio l'età che si apre può essere il momento in cui questa positiva conciliazione planetaria incomincia a mani­ festarsi e a realizzarsi consapevolmente e quindi pubbli­ camente. La tecnica 'occidentale' , in quanto è il mezzo supremo che garantisce in generale il conseguimento dello scopo, è costretta a confrontarsi con quello che può essere definito come il presupposto di tutti gli scopi, cioè la libe7 92

razione dal dolore e in particolare dalla sofferenza genera­ ta dal conflitto, dal flagello della violenza e della guerra. Ma questo è precisamente lo scopo che la cultura orientale si è consapevolmente ed esplicitamente posta da millenni; e per questo verso la civiltà occidentale, con la sua tecnica, è destinata a rivolgersi rispettosamente alla plurimillenaria sapienza orientale. Questa, dal canto suo, è ormai tenuta a confrontarsi con gli straordinari risultati conseguiti dalla concezione tecno-scientifico-filosofica dell'Occidente pro­ prio nel campo della liberazione non solo dal dolore ma anche dalla violenza. La tecnica occidentale trasforma ' oggettivamen te' il mondo nella sua totalità. Ma solo una radicale ' autocon ­ versione spirituale' degli uomini può garantire che tale immane operazione assuma una significato positivo anzi­ ché catastrofico. Occorre dunque che l'operare tecnico si inseriva all'interno di un orizzonte di 'sapere' grazie al quale gli umani realizzano l'esperienza del puro accordo con la realtà e innanzitutto con gli altri esseri viventi. La trasfor­ mazione decisiva è quella che rende l'uomo un essere ca­ pace di con- porre la propria vita con quella degli altri e con il resto della realtà. Solo a questa condizione può rea­ lizzarsi la filosofia intesa come la 'variazione positiva' del­ l' esperienza umana.

2.

"P

" ACE NEI PENSIERI : LA NATURA DEL FILOSOFARE

2 . 1 . Filoso/t'a come scienza e come sophia La filosofia è la 'scienza' della gioia (beatitudine) sca­ turente dall' accordo universale; ed è quindi in p articolare la 'scienza' della pace tra gli uomini. Essa è pertanto la pratica della con-posizione delle differenti determinazioni. In quanto 'scienza' essa è la determinazione a priori di

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tale accordo. Solo il puro, perfetto posmvo costituisce tale determinazione. Ogni altra determinazione che pre­ tenda di porsi come garanzia dell'accordo a prescindere dal suo partecipare al puro positivo si p resenta come prepotenza e violenza 47 • Tuttavia il positivo (l' accordo) univers ale può essere determinato a priori, giacché non solo esso stesso è una determinata entità, ma poi anche ogni determin azione , in quanto p artecipa del perfetto positivo, ne costituisce una determinazione. L'interpretazione della filosofia che emerge dalle no­ stre considerazioni può apparire alquanto sorprendente; eppure potremmo dire che essa è ' rigorosamente scientifi­ ca' anche nel senso che riesce a rendere ragione (a dare una spiegazione) della natura e delle vicende del pensiero filosofico. Innanzitutto essa determina con precisione l'oggetto della filosofia-metafisica, il quale solitamente viene ritenu­ to qualcosa di sfuggente ed enigmatico dal momento che si ritiene che per definizione esso non sia rintracciabile tra le cose del mondo. In effetti è proprio così, nel senso che l'ac­ cordo tra le varie determinazioni è sempre, necessariamen ­ te, qualcosa di distinto da una qualsiasi determinazione particolare, e trascendente ognuna di queste. Esso, infatti, si dà solo in quanto si dia l 'armonia tra le varie determina­ zioni che compongono il mondo, la quale dz//erisce dunque da ciascuna delle altre determinazioni singolarmente prese. Analogamente bisogna sempre distinguere rigorosamente la pace tra gli uomini sia da un p articolare soggetto (uomo , istituzione) sia da una determinata iniziativa di qualcuno; essa, infatti, consiste nel fatto che ogni uomo si accorda

47 E

-

si badi - tutto ciò che in qualsiasi modo determini disaccordo

non è - per quel tanto che non realizza accordo - il perfetto positivo; non

lo è nemmeno il discorso che parla del puro positivo e lo annuncia, nella misura in cui si trova ad essere il polo di un conflitto. 794

pacificamente con tutti gli altri. Tuttavia l' accordo univer­ sale e la pace tra gli uomini costituiscono dei contenuti assolutamente determinati e, a loro modo, concreti. Essi rappresentano la realtà in quanto questa è qualcosa di di­ verso da un insieme di cose contrapposte le une alle altre. Tutto questo rende ragione del carattere essenzialmente trascendente e astratto ( 'non - cosale ' ) della metafisica, cioè del suo carattere, appunto, meta-fisico. M a , n ello stesso tempo , l'interpretazione che stiamo fornendo spiega come alla filosofia-metafisica tocchi regolarmente in sorte di ve­ nire contestata e confutata, e come mai oggi essa normal­ mente venga ritenuta semplicemente impossibile, prima ancora che dannosa. Ciò dipende dal fatto che la metafisi­ ca, in quanto sapere dotato di un contenuto specifico, si presenta come una delle varie determinazioni del mondo. Come tale essa, se viene separata dalla sua appartenenza al puro positivo , entra in opposizione con le altre determina ­ zioni, e d a annuncio e pratica dell'accordo e della pace si trasforma nell'imposizione di una volontà di parte e quindi in una intensificazione generalizzata della violenza. All 'in ­ terno del presupposto per cui omnis determinatio est nega­ tio questo rovesciamento risulta inevitabile: se ogni deter­ minazione comporta una negazione , allora nessuna entità può esprimere il puro positivo . In questo caso anche quel­ la determinazione in cui consiste il sapere filosofico vero non può che avere un carattere oppositivo; dunque anche la metafisica, lungi dal realizzare la pace, produce il conflitto : una metafisica in senso proprio (intesa cioè come garanzia della mancanza del disaccordo) è impossibile. All'interno di questa prospettiva 'negativo-oppositiva' è vero che la deter­ minazione del positivo universale va tenuta rigorosamente distinta da ogni elemento individuale-concreto, dal momen­ to che questo introdurrebbe un elemento determinato e per ciò stesso oppositivo. È questo il motivo di fondo per il quale il fondamento del sistema etico-politico dell' Occidente è

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costituito dalla decisione di prescindere da ogni valore as­ soluto (è costituito cioè da una sorta di pre-scissione rispet­ to al positivo) : da Machiavelli in poi la politica deve pre­ scindere d alla morale; dopo G alilei la conoscenza della natura deve prescindere dalla religione; e così via. La metafisica - concepita in senso negativo - è la pre­ tesa di attribuire a qualcosa di oggettivo, inteso come pre­ scindente dall'elemento soggettivo-individuale, il ruolo di va­ lore supremo. Il pensiero contemporaneo si rende conto della violenza che ciò comporta; esso avverte che porre qualcosa di oggettivo (nel senso precisato, cioè di escluden­ te il soggettivo) come valore supremo e imprescindibile per l' accordo tra gli uomini è un atto di dogmatismo estremo, e come tale di imposizione violenta. Ma se, in conseguenza di ciò, si compie il gesto di rin-negare la filosofia, allora si finisce per escludere la possibilità dell' accordo e di fatto si diventa banditori della guerra ' civile' planetaria. È vero che la 'verità ' ha spesso assunto il volto della prepotenza e della violenza; ed è giusto prendere le distanze da tale suo com­ portamento; ma bisogna comprendere il motivo che ha scatenato tale prepotenza; se non si fa questo si determina un ' ulteriore intensificazione della violenza. L'imposizione metafisica è nata dall 'intenzione di liberare l 'uomo dal dolore e dalla violenza. Ma l'assoggettamento dell'uomo alla legge 'oggettiva ' della verità per liberarlo dal negativo si è rivelato un rimedio peggiore del male. Tuttavia è un 'illu­ sione credere di potersi liberare dal male semplicemente rifiutando la medicina sbagliata; è necessario riproporre il problema, e individuarne in positivo la soluzione. È vero che la filosofia che nega (reprime) ciò che determina il dolore (il negativo) non libera l'uomo dalla sofferenza e dal conflitto, e tuttavia il semplice rifiuto del filosofare (e �ella verità) riconsegna senza riserve l ' umanità al negativo . E venuta l'ora di determinare in positivo l' accordo univer­ sale e la pace tra i viven ti. 796

Se omnis determina/io est negatio, allora la metafisica è impossibile e la filosofia è violenza, perché ni-ente (nessun ente) può garantire la pace. Se la determinazione è in sé negazione allora il fondamento della scienza, cioè l' accor­ do libero e universale tra gli uomini, è (il) nulla. Ma per chi è libero dalla superstizione che il positivo sia la nega­ zione del negativo , e che dunque ogni determinazione sia di per sé negazione, diventa possibile il pensiero di ciò che è in sé assolutamente positivo - quindi anche pacifico perché è assolutamente libero dall' opposizione, essendo il tutt'altro del nulla , il tutt' altro del negativo. La metafisica - la garanzia dell' accordo tra gli uomini - diven ta allora possibile come testimonianza di questo assoluto positivo. L'unificazione degli umani accade nel segno del riconoscimento di ciò che, senza violenza, li rac­ coglie insieme; ciò che li tiene insieme persino quando essi si oppongono nella maniera più violenta, persino quando stanno avvinghiati nella più feroce delle lotte. La filosofia deve necessariamente realizzarsi come un sapere determinato. Ma il suo accadere si può distinguere dal solito rovesciamento nel p roprio contrario solo se la parola in cui essa consiste riesce a essere libera da ogni opposizione nei confronti di ogni altra realtà, di ogni altra parola. Essa si realizza in quanto determina - cioè realizza - l' armonia universale . La scienza è manifestazione dell 'accordo universale li­ bero dalla costrizione. La filosofia è scienza della pace in quanto è conoscenza del fondamento della scienza, cioè della sua ragione, la quale consiste appunto nel fatto che essa garantisce l' accordo tra gli uomini. Ma il fondamento del­ l' accordo tra gli uomini è il positivo universale, e quindi è la determinazione assoluta del positivo, la posizione del puro positivo. La filosofia si compie come garanzia della pace (come metafisica) in quanto si costituisca come ciò che determina-realizza l' accordo universale, cioè l 'esperienza umana liberata dal dolore e dal negativo . -

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Interpretare la metafisica come scienza dell' accordo universale e quindi della pace tra gli uomini significa qual­ cosa di diverso dall'aggiungere una finalità estrinseca di ordine morale (la ricerca della pace) a un apparato teorico asetticamente scientifico. Questa interpretazione, infatti, individua l'elemento che è necessario per conferire 'scien­ tificità' al discorso filosofico. Perché essa, oltre a rendere ragione delle classiche, tradizionali partizioni della metafi­ sica 48, fornisce anche la chiave per la soluzione 'rigorosa' dei suoi 'irresolubili' problemi. Infatti, la determinazione del perfetto positivo, intesa come il tutt'altro del negativo-nulla: nella forma dell' élenchos positivo fornisce la soluzione dei problemi logico-gnoseologici relativi al fondamento del sapere vero; in quanto identificazione dell'essere-vero con la realtà in quanto essa è il tutt' altro del negativo (nulla) costituisce la determinazione dell 'essere in quanto tale, e con ciò il compimento dell 'antologia 49; 48 Tutta l'articolazione interna della filosofia-metafisica, che sopra (v. pp. 1 05 ss.) abbiamo schematicamente tracciato, discende dall'attribuzione di un valore assoluto alla verità scientifica, cioè dalla identificazione dell 'as­ soluto positivo con l'in-negabile scientifico. È per questo motivo essenziale che la sophia , nell 'Occidente, viene a coincidere con la filosofia-metafisica. Così , questa: - Come Gnoseologia (Epistemologia - Logica) assume come fonda­ mento l'opposizione del vero e del falso, cioè il principio di non contraddi­ zione, dal quale dipende tutta la 'logica' della filosofia. - Come Ontologia identifica i caratteri positivi dell'essere con quelli che sono necessari perché questo possa corrispondere al sapere basato sull'oscillazione tra il vero e il falso. La condizione originaria di ciò è ap­ punto che la realtà oscilli tra i due poli opposti dell 'essere e del non essere, e cioè si costituisca come processo del divenire accidentale. - E infine, come Teologia, pone Dio come condizione della possibilità del divenire, cioè come quella realtà assolutamente positiva che è necessa­ ria per togliere la contraddizione in cui consiste il divenire. 49 La realtà in verità è accordo; ma lo è in quanto pone come accordo ogni tutt'altro da/di sé. La realtà, in verità, è dunque accordo di cielo, vento e rosa. Si badi, però: è in verità (cioè solo in verità, se così si può dire} che la realtà è armonia e accordo.

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- e infine, determinando la realtà come il tutt ' altro del ne­ gativo realizza l'esperienza del divino in cui consiste la soddisfazione incondizionata degli uomini, e con ciò dà vita anche all 'umanità pacificata. La filosofia, in quanto sophia nella forma della scienza, è la cura (promozione) del sapere-come-salvezza, cioè come bene; essa è la posizione (promozione-determinazione) del vero come bene, cioè del vero bene. Questo è il bene libero dall1illusione, cioè libero rispetto alla possibilità di rove­ sciarsi in negativo . In quanto determinazione del bene (po­ sitivo) nella forma del vero, la filosofia è la determinazione del sapere, o del discorso (/6gos) , nel suo aspetto positivo . La metafisica è la filosofia in quanto scienza realizzata. Essa è la determinatezza del positivo assoluto ( 'innegabi­ le' ) , cioè vero; è il carattere determinato del sapere come bene, del sapere che salva. La metafisica è la determinazio­ ne di ciò che vale come assoluto positivo, il quale di per sé si distingue da ciò che gli umani esplicitamente riconosco­ no. Tuttavia rilevare questo significa qualcosa di diverso dall' affermare che l' assoluto positivo è un contenuto in­ dipendente dal fatto che gli esseri umani lo riconoscano e lo accettino. Perché esso si realizza, in verità, solo nella misura in cui sia libero da ogni forma di opposizione anche rispetto agli uomini e al loro gradimento.

2 . 2 . La filosofia come parola buona e insieme vera La filosofia è la scienza della verità ( quindi della scien­ za) in quanto bene. L'epoca della filosofia è l'epoca della scienza come vero-bene; il che vuoi dire: della scienza come autentico bene, e del vero (della verità) come bene. È l'epo­ ca dell'unità degli uomini realizzata nel segno della verità. Ma la verità, se (in quanto) è oppositiva , tiene uniti gli uomini nel conflitto.

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Per questo si tende oggi a interpretare il tempo pre­ sente come quello della conclusione dell'epoca della filoso­ fia-metafisica. La con clusione dell' epoca della filosofia­ metafisica significa che tramonta la pretesa di porre come garanzia della pace universale qualcosa ( una Chiesa; un partito; una ideologia) che sia escludente-oppositivo. Ma è solo all'interno di un' ottica negativa che questo implica necessariamente che la costruzione della pace debba avere come proprio fondamento la negazione della determinazio­ ne del positivo universale; anzi, nella misura in cui accade questo, la volo1:1tà di realizzare la pace si tras forma nella manifestazione della più colossale volontà di potenza, cioè di violenza. Il tempo presente è la conclusione dell 'epoca della metafisica in quanto questa è vista come la determinazione impositiva della pace: giacché la metafisica (nell'accezione negativa del termine) è proprio l'imposizione della pace 50• Imposizione realizzata , in primo luogo , mediante il potere. La conclusione della metafisica impositiva è così il compimento dell'epoca della filosofia. L' unificazione degli uomini si realizza mediante la verità che pone a fondamen­ to dell'accordo la determinazione del positivo universale. Se ogni determinazione è oppositiva , allora un qualsi­ asi discorso scientifico (una qualsiasi teoria) che pretenda di esprimere l'universale positivo è essenzialmente un atto di hybris. All'interno di questo orizzonte ogni discorso è fallibile; cioè, in ultima istanza, può trasformarsi in un in­ ganno e in una maledizione per gli uomini. A queste con ­ dizioni è inevitabile che la pretesa di costituire una scienza della pace venga rifiutata come una presunzione arrogante e violenta. Ma all 'interno della determinazione del puro po­ sitivo , cioè della comprensione della positività di tutte le 50 Sul tema del rovesciamento della verità mi sia consentito il rimando al mio saggio Riconoscere la verità, cit. (v. sopra: p. 3 1 , n. 4 ) .

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determinazioni, anche quella particolare determinazione che è la scienza della pace può presentarsi, insieme a ogni altra cosa, come un aspetto del perfetto positivo. Perché il fatto che essa si realizzi come un che di determinato configura ora una situazione ben diversa da tutte quelle nelle quali la posizione di una teoria scientifica implica la negazione di qualche altra teoria e, con ciò, la possibilità della propria

/alsz/icazione. Il compimento dell 'epoca della filosofia è la completa autorealizzazione dell 'umano attraverso la mediazione del­ la 'scienza' della pace, è cioè la determinazione dell'univer­ sale positivo 5 1 • La scienza metafisica, in quanto determina­ zione del positivo , si realizza dunque, prima ancora che in 5 1 Se volessimo fornire un quadro sintetico della vicenda filosofica potremmo allora presentarla nel modo che segue (tenendo però sempre presente che tale rappresentazione, soprattutto per quel tanto che evoca una esperienza di tipo temporale, è sempre un modo particolare di esporre la verità filosofica).

P111LD-SOPHIA Philo-sophia: amore del sapere; amore rivolto alla conoscenza, alla

verità. L'uomo ama il sapere perché questo a lui appare come il bene. Il sa­ pere infatti è il luogo dell 'accordo universale. Nella conoscenza si registra corrispondenza, cioè concordanza, tra uomo e mondo; e nell'accordo l'uo­ mo, libero dal dolore della negazione e del conflitto, è felice. Il sapere è il luogo in cui l'armonia è garantita per gli umani. La verità del sapere (scien­ za) è un bene diverso da quello illusorio del 'mondo', perché assicura l'ac­ cordo dell'uomo con l'essere. Essa appare come il bene libero dalla nega­ zione, come il bene 'in -negabile'. Filosofia è la realizzazione compiuta del sapere. Ciò che vale (sophfa significa anche abilità, destrezza, valentia) è, ora, il sapere vero ; la saggezza (sophia) si trasforma in filosofia.

SoPI-IIA

i:-

PuntA

L'uomo è attratto dal sapere, lo desidera; ma, nella misura in cui an­ cora non conosce questo aspetto della sua esistenza, egli non sa quello che fa . L'uomo ignora che cosa è sapere e che cosa è amare. Non sa: amare. E ciò che ama in realtà non è il conoscere. Attratto dalla conoscenza, e per realizzarla compiutamente, l'uomo rin­ nega la terra povera di sapere. Le impone (Éltt cr tt1 J.111 è ciò che si impone: bti + 'icrt'lJ.lt) la verità data e la costringe ad amare il sapere. Il bene si presenta allora, nella sua natura essenziale, come opposizione tra il positivo 801

un pesante apparato concettuale, nel gesto leggero che ri­ vela ogni cosa nella sua assoluta positività. Essa si manife­ sta nella parola che riconosce ad ogni entità la sua già com­ piuta, piena soddisfazione; nel cenno che realizza, di ogni realtà, il perfetto compimento. La parola pienamente filosofica è quella pratica ' scien­ tifica' che si distingue da ogni determinazione dogmatica (ciò che corrisponde alla verità) e il negativo (ciò che ne è privo, e la con­ trasta). La filosofia determina il positivo ( universale) come op-positivo. Questa opposizione diventa destino, giogo di cui non si ci può libera­ re; perché ogni tentativo di negarlo, proprio in quanto lo nega, lo riaffer­ ma. L'innegabile verità è la negazione delle determinazioni, gli esseri della terra, i quali dunque resistono alla verità. Così, il desiderio dell'armonia si realizza come distruzione della realtà. L'amore, imposto, si trasforma in stupro, in lacerazione del mondo; il sapere diventa il potere, idolo-appara­ to che esige sacrifici umani. Ora è p6lemos, il conflitto, a tenere uniti gli uomini. La verità soggioga la terra dell'uomo; la domina, non la ama né la n conosce. Dacché la verità nega il vivente (l'uomo), questi rin-nega la verità, e la filosofia, e con questa anche la sapienza. Il sapere viene scisso dall'amare, è opposto ad esso: Sophia :F. Philia. Il teatro dell'opposizione tra sophia­ epistéme e philia è la terra devastata; la filosofia si allontana dalla saggezza. L'uomo che si ribella al dominio che epistéme esercita nei confronti del mondo trasforma questo nel luogo del rifiuto della verità. Le cose e gli abitanti del mondo sono, allora, i rifiuti della verità.

SOPH/A

=

PHIUA:

SAPERE - AMARE

Poiché il rinnegamento della verità è il gesto con cui questa si oppone al mondo assoggettato alla conoscenza vera, tale atto si trova di fronte, come un nemico da combattere, anche quella opposizione che esso stesso realizza. Ma solo un atto diverso dall 'opposizione può vincere l'opposizio­ ne; solo ciò che è libero da conflitto può presentarsi come liberazione dal negativo. Il positivo, allora, si presenta come altro dalla negazione del ne­ gativo; è (il) tutt'altro dell'oppositivo. Il positivo è il tutt'altro del nulla; il tutt 'altro del negativo (del negativo che è la negazione di ciò che è nega­ tivo); è dunque il puro positivo. La verità cessa di opporsi alla terra, anche alla terra soggiogata. Il positivo si compie come ciò che è libero da opposizione persino nei con­ fronti dell'opposizione. Conoscendo il perfetto positivo la filosofia giunge a comprendere quello che fa, quello che è. Capisce che la conoscenza, in quanto è opposizione e disaccordo-disarmonia, rinnega se stessa, si contraddice, non è vera cono­ scenza; perché la conoscenza è vera in quanto è concordanza, armonia. Ma in quanto armonia essa è rapporto di amore (philia); di quell'amore che 802

dell'apparato, nonché da qualsiasi gesto che sia espressio­ ne di una soggettività contrapposta e scissa rispetto al con­ creto vivere del mondo. Essa è scientifica nel senso essen ­ ziale: riesce a realizzare il suo fine; ed è in tal modo effica­ ce. È efficace in quanto è la parola di ciò che è perfettamen­ te positivo: dice il perfetto positivo , e questo suo annun­ ciarlo fa sì che anch ' essa gli appartenga. Il problema filosofico-metafisico è quello della parola buona e insieme vera. Questa accade laddove l'intelligenza dell 'uomo presenta un volto benevolo, ovvero dove il suo sentire buono è guidato dalla verità. La metafisica è la parola dell'uomo veramente - buo­ no 52. Ma può un uomo diventare buono da solo? Ora, se però è perfettamente libero da ogni forma di negazione e quindi di potere. I:epistéme in tanto ha valore in quanto è philia. Filosofia è ora il sapere che è amore vero, e così si /a reale; è la verità che ha cura delle determinazioni, le ha a cuore. I:uomo-filosofo ora sa quello che fa. Nella filo-sofia l'amore è diretto al sapere-che-è-amore; ma si tratta di quell'amore che è accordo, cioè di nuovo sapere. Essa è conoscenza del sapere e dell 'amore: conoscenza dell 'amore che è sapere, sapere di quel­ l'amore che include l'amore per il sapere. Il sapere-che-è-amore è manifestazione dell 'armonia degli esseri; nel cerchio tracciato da tale sapere gli uomini si uniscono nella pace. I:armo­ nia degli esseri è ciò per cui il rapporto tra le determinazioni è libero dal­ l'opposizione: nulla determina/io est nega/io. Solo all'interno della dimensione del puro, perfetto positivo il bene­ vero può determinarsi, e quindi entrare nel mondo, senza distruggerlo e quindi senza rovesciarsi in negativo: la determinazione del positivo univer­ sale è il tutt'altro della negazione delle cose del mondo. In quanto il sapere del vero bene è il sapere per cui è nulla ogni op­ posizione, nulla è anche il contrasto tra sapere e mondo: tutti i discorsi appartengono alla verità. Nella libertà dall'opposizione si trasfigura la filo­ sofia. La phtlo-sophia: amore del sapere; conoscenza rivolta all 'accordo degli esseri , cioè all 'amore. L'uomo conosce l'amore; sa: amare. Philia-sophia: sapere - amare. Filosofia è quella sophia che, in verità, è philia; con-posi­ zione di sapere e di amore: sophia ::: philia. 52 Credo che I fratelli Karamazov di Dostoevskij (v. sopra: p. 509, n . 128), nella figura di Alesa, considerato i n particolare nella sua relazione 'dialettica' con lvàn, possano essere considerati come il tentativo di 'pro­ gettare' un uomo consapevole della verità e nello stesso tempo perfettamen­ te buono.

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un uomo si migliora senza che questo implichi immediata­ mente un identico miglioramento di tutti gli altri , tale suo comportamento fa apparire 'negativo ' il modo di essere degli altri uomini rispetto al suo. Da ciò consegue che, in quanto il desiderio vitale e profondo di tutti gli uomini è quello di essere riconosciuti assolutamente 'positivi ' , il miglioramen ­ to 'solitario' dell'uomo buono assume la forma di una ne­ gazione dei desideri degli altri uomini , e quindi si palesa, in realtà, come un comportamento 'negativo ' 53 • Da questo punto di vista si può dire che l'uomo buono, di per sé solo, è essenzialmente cattivo . Veramente buono, dunque, è solo l'uomo che manifesta la bontà degli altri, e la riconosce. Uomo davvero buono, potremmo dire, è quello che dagli altri (dalla loro ' cattiveria') si lascia 'salvare' piuttosto che colui che ' s alva' gli altri, i ' cattivi ' . O, forse anche, vera­ mente buono è colui che salva gli altri consentendo loro di essere buoni, cioè di salvarlo. La filosofia ha come oggetto eminente l'uomo che vive in pace, ma ciò può accadere solo se la parola filosofica proviene dalla bontà dell'uomo, la quale a sua volta può scaturire solo dalla sua profonda soddisfazione. L'uomo veramente buono è l'uomo pienamente soddisfatto; ma tale è quello nella cui esperienza nulla vi è di negativo ; quello per cui l'intera realtà si presenta come manifestazione del puro positivo , il tutt' altro del negativo . La scienza, in generale, è vera quando i suoi concetti riescono a dire correttamente il proprio oggetto. L' oggetto della filosofia è l' esperienza dell'uomo in armonia con il 5 1 In termini un po' meno formali, si potrebbe osservare che come l'arrivo di una persona· simpatica spesso mette in ombra quelle meno do­ tate, alle quali dunque quella finisce sovente per risultare antipatica, così la comparsa dell'uomo 'buono', nella misura in cui mette in cattiva luce quel­ li meno buoni e in tal modo li danneggia, per ciò stesso rende ' cattivo' anche il buono. Ma questo , naturalmente, si verifica solo nell 'ipotesi che ciò che è 'buono' possa danneggiare qualcuno, cioè essere negativo nei suoi confronti.

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mondo; essa dunque tanto più si realizza come sapere rigo­ roso quanto più esplicitamente e chiaramente enuncia il proprio oggetto: l' accordo universale e la pace degli uma­ ni. Ma allora se tale accordo non si dà ogni discorso che lo afferma risulta non -vero. La filosofia dunque si può realiz­ zare come scienza rigorosa (cioè a priori) solo laddove si presenti come quella determinazione il cui semplice esiste­ re realizza, e per ciò dice con verità, l 'accordo universale. O anche : possiamo chiamare filosofia compiuta quel gesto, e quindi anche quella parola, in cui si fa presente l'accordo degli umani. Il rigore della parola filosofica, la p arola buo­ na e vera , consiste nel fatto che essa è il luogo del recipro­ co, libero accordarsi degli umani. La metafisica , come scienza della pace, ha per oggetto ciò che tutti gli uomini, necessariamente, unifica; e dunque ciò che è per tutti vincolante in maniera positiva. Laddove questo vincolo è oppositivo-impositivo essa diventa il gio­ go della violenza. È però solo all'interno di un' ottica nega­ tiva che questo implica che per sfuggire alla violenza meta­ fisica si debba rinnegare il vincolo che unisce tutti gli uo­ mini in maniera assolutamente positiva. L'universale positivo si determina nel gesto-parola che dice, e con ciò realizza, la verità come bene. Esso procede direttamente da ciò per cui gli umani si trovano uniti dal vincolo ' inallen tabile ' dell 'accordo. Questo si manifesta nell' uomo liberato : il vivente portatore della parola deter­ minata in cui si realizza il vero - cioè reale appagamento dei viven ti. L'espressione " filosofia come scienza rigorosa " è qual­ cosa di diverso da un programma, è essenzialmente diffe­ rente dal progetto di qualcosa che ancora non vi è e deve essere costruito. Essa è innanzitutto la descrizione di ciò che già da sempre nello sguardo della filosofia - anche con­ traddittoriamente - accade: la realizzazione della libera unificazione degli umani. -

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La filosofia è rigorosa in quanto dà soluzione a tutti i problemi teorici; ovvero, seguendo l'indovinata formula wittgensteiniana, quando porta la «pace nei pensieri» 54• Ma pace nei pensieri può darsi solo laddove il pensiero sia veramente un pensiero di pace. Il pensiero pacificato è diverso da quello che contende con l'essere, che gli si oppone. Il pensiero libero dal conflitto con-pone le varie determinazioni, e con ciò pone, ovvero determina e ri­ crea, il puro positivo: la manifestazione del libero accordo universale .

54 « Friede in den Gedanken. Das ist das ersehnte Ziel dessen der philosophiert [Pace nei pensieri . Questa è la meta agognata da chi fiÌ oso­ fa]» (L.Wittgenstein, Pensieri diversi, cit . , p. 86, p. 43 del testo originale ed. 1 980)_

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Finito di stampare dalle Arti Grafiche «Il Cerchio» - Napoli nel mese di marzo 2001 per le Edizioni «La Città del Sole» della Manes Editori di Emiliano Manes Napoli - Fax 08 1/293 107