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ACCADEMIA TOSCANA DI SCIENZE E LETTERE “LA COLOMBARIA” Classe di Filologia e Critica letteraria 3
Michele Feo
Cosa leggeva la Madonna? Quasi un romanzo per immagini
L’editore è disponibile ad assolvere eventuali oneri derivanti da diritti di riproduzione per le immagini di cui non sia stato possibile reperire gli aventi diritto.
In copertina: Antonello da Messina, Annunciata, Palermo Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis.
www.polistampa.com © 2019 MICHELE FEO © 2019 EDIZIONI POLISTAMPA Via Livorno, 8/32 - 50142 Firenze Tel. 055 73787 [email protected] - www.leonardolibri.com ISBN 978-88-596-1897-3
Alle donne che hanno ricevuto la visita dell’angelo e a quelle che non l’hanno ricevuta
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Le vie della ricerca
C’era una volta, poi non c’è più. Come tutte le favole che non sono più, è sempre bello tornare a raccontarle. Non esiste più la favola di Maria di Nazareth che legge un libro. Pure, l’hanno raccontata per secoli. Torneremo a raccontarla noi. Non sono né teologo né storico dell’arte, non sono credente. Ho dato al mio discorso il sottotitolo «Quasi un romanzo per immagini» per fugare il sospetto che abbia inteso dirimere complesse questioni di fede e di dottrina. Niente di tutto ciò. Come si potrà constatare, rasenterò sì questioni teologiche, ma guardandole con l’occhio con cui le ha guardate quella entità che si dice popolo e, in una certa misura, con cui le hanno guardate alcuni intellettuali, in particolare di età e formazione umanistica. Navigherò per entro l’immenso mare dell’arte figurativa, soprattutto italiana, ma non solo, medievale e rinascimentale. L’iconografia cristiana si è impossessata di tutta la storia della Madonna e ne ha costruito davvero un romanzo per immagini. Potremmo anche noi ripercorrere questa storia ricercando e seguendo le infinite rappresentazioni delle stazioni: nascita, educazione, presentazione al tempio, nozze, annunciazione, visita a santa Elisabetta, parto, adorazione dei pastori, visita dei re magi, circoncisione di Gesù, fuga in Egitto con le soste e i vari miracoli, crescita di Gesù, la sacra famiglia, Gesù fra i dottori e suo ritorno a casa, giovinezza di Gesù, preannunci della sua morte, nozze di Cana, Maria sotto la croce, deposizione, morte di Maria, assunzione al cielo, incoronazione, episodio della cintura, Giudizio finale. 7
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Volendo, questo presente potrebbe essere un primo capitolo di un libro più ampio, intitolato Il romanzo iconografico di Maria. Qui mi limiterò invece a uno solo dei tanti aspetti della storia, la lettura appunto. Il primo stimolo a questa ricerca mi venne anni fa proprio in occasione di una conversazione sulla lettura tenuta a Barga, su sollecitazione della indimenticata amica Bruna Cordati, poi uscita col titolo Leggere nel «Ponte», LII, n. 9 (sett. 1996), pp. 83-97. Cercando un solo particolare della scena dell’Annunciazione di Maria, incontreremo artisti di diversa formazione culturale, di diversa sensibilità e gusti, probabilmente guidati anche dalla mente di intellettuali diversi.1 Gli storici e gli amanti dell’arte mi perdoneranno se
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Sull’Annunciazione nelle arti la letteratura è vastissima: A. M. JAMESON, Legends of the Madonna as represented in the fine arts, Hutchinson & Co., London 1852; rist. numerose volte, fino alla Kindle Edition 2014 (possiedo la settima edizione del 1888, già proprietà di don Silvano Burgalassi); S. BEISSEL, Die bildliche Darstellung der Verkündigung Mariä, «Zeitschrift für christliche Kunst», IV (1891), pp. 191-196, 207-214; N. POKROVSKIJ, Evangelie v pamjatnikach ikonografij: preimuscestvenno vizantijskich i russkich, St. Petersburg 1892 (Progress-tradicija, Moskva 2001); M. GERSBACH, Iconographie de l’Annonciation, Paris 1898 (introvabile); A. VENTURI, La Madonna. Svolgimento artistico delle rappresentazioni della Vergine, Hoepli, Milano 1900; P. SCHUBRING, Die ‘Verkündigung’ in der romanischen Kunst, «Preussische Jahrbücher», CXX (1905), pp. 458 ss.; D. SCHUMANN, Die Darstellung der Verkündigung in der italienischen Kunst der Renaissance, Teubner, Leipzig-Berlin 1910; Y. HIRN, The sacred shrine. A study of the poetry and art of the Catholic Church, Macmillan, London 1912; G. MILLET, Recherches sur l’iconographie de l’Évangile aux XIVe, XVe et XVIe siècles, Fontemoing, Paris 1916 (II ed.: De Boccard, Paris 1960), pp. 67-91; Id., Monuments de l’Athos, I: Les Peintures, Leroux, Paris 1927, pp. 67-92; J. WILPERT, Die römischen Mosaiken und Malereien der kirchlichen Bauten vom 4. bis 13. Jahrhundert, Herdersche Verlagshandlung, Freiburg i. Br. 1916, II, pp. 744-748; L. BRÉHIER, L’art chrétien. Son dévéloppement iconographique des origines à nos jours, Librairie Laurens, Paris 1918, passim; E. MÂLE, L’art religieux du XIIe siècle en France. Étude sur les origines de l’iconographie du moyen âge, Colin, Paris 1905 (VII ed. 1966); H. LECLERCQ, Annonciation dans l’art, in Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, I, Letouzey et Ané, Paris 1924, coll. 2255-67; K. KÜNSTLE, Ikonographie der christlichen Kunst, Herder, Freiburg i.
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nel viaggio apparirò sostanzialmente estraneo ai valori della bellezza e della forza poetica dei dipinti, dei rilievi e delle statue. A quei valori
Br. 1928, I, pp. 332-341; R. VAN MARLE, L’annonciation dans la sculpture monumentale de Pise et de Sienne, «Revue de l’art ancien et moderne», LXV (1934), pp. 111-126; E. PANOFSKY, The Friedsam Annunciation and the problem of the Ghent altarpiece, «The art bulletin», XVII (1935), pp. 433 ss.; D. M. ROBB, The iconography of the Annunciation in the fourteenth and fifteenth centuries, «The art bulletin», XVIII (1936), pp. 480-526; L. ZELLER, Menschwerdung, in Lexikon für Theologie und Kirche, Herder, Freiburg i. Br. 1930-38, s. v.; J. SAUER, Verkündigung Mariä, ivi, s. v.; G. PRAMPOLINI, L’Annunciazione nei pittori primitivi italiani, Hoepli, Milano 1939; W. KAUFHOLD, Die Verkündigung nach den Apokryphen in Literatur und Kunst, Diss. Frankfurt a. M. 1942; H. ROSEMAN, A study in the iconography of the Incarnation, «Burlington Magazine», LXXXV (1944), pp. 176-179; A. MAYER-PFANNNHOLZ, Mariae Verkündigung im Wandel der Kunstgeschichte, «Das Münster», I (1947-1948), pp. 257-272; A. PRANDI - P. TOSCHI, Annunciazione, in Enciclopedia Cattolica, I, Ente per l’enciclopedia cattolica e per il libro cattolico, Città del Vaticano 1948, coll. 1382-96; W. BRAUNFELS, Die Verkündigung, L. Schwann, Düsseldorf 1949; A. LIPINSKY, Contributi all’iconografia dell’Annunciazione: ‘Et Verbum caro factum est’, «Arte cristiana», XLII (1954), pp. 253-264; J. R. SPENCER, Spacial imagery of the Annunciation in the fifteenth century Florence, «The art bulletin», XXXVII (1955), pp. 273-280; L. RÉAU, Iconographie de l’art chrétien, PUF, Paris 1955-1959, II/2, pp. 174-191; E. GÖSSMANN, Die Verkündigung an Maria im dogmatischen Verständnis des Mittelalters, Hüber, München 1957; A. LIPINSKY, Heterodoxe Darstellungen der Verkündigung Mariä, «Das Münster», XI (1958), pp. 250252; G. M. TOSCANO, Il pensiero cristiano nell’arte, Istituto Italiano d’arti grafiche, Bergamo 1960, I, pp. 171-209; O. PÄCHT, The full-page miniatures, in: The St. Albans Psalter (Albani Psalter), The Warburg Institute-University of London, London 1960, pp. 63-67; E. GULDAN, Eva und Maria. Eine Antithese als Bildmotiv, Böhlau, GrazKöln 1966; G. SCHILLER, Ikonographie der christlichen Kunst, Gerd Mohn, Gütersloh 1968, I, pp. 44-63; E. GULDAN, «Et Verbum caro factum est», «Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und für Kirchengeschichte», LXIII (1968), pp. 145-169; J. H. EMMINGHAUS, Verkündigung an Maria, in: Lexikon der christlichen Ikonographie, hg. v. E. Kirschbaum, IV, Herder, Rom-Freiburg i. Br. 1968, s. v.; G. SCHILLER, Iconography of Christian Art, trad. J. Seligman, Humphries, London 1971; M. BAXANDALL, Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento, Einaudi, Torino 1978; A. APPIANO CAPRETTINI, Lettura dell’Annunciazione, fra semiotica e iconografia, Giappichelli, Torino 1979; G. SCHILLER, Maria, vol. IV/2 della Ikonographie der christlichen Kunst,
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non sono affatto insensibile, ma qui occorre altro viaggio: cercheremo di individuare e di ricostruire quello che chiamo racconto o romanzo, nella convinzione che le opere che vedremo, pur appartenendo ad ambienti, artisti e committenti diversi, costituiscano un tessuto che si tiene nel tempo, come si tiene il tessuto della letteratura che si muove parallelamente alle arti figurative. Un’altra convinzione che mi ha mosso, e alla quale credo infine di avere dato sostanza di verità, è che il racconto non sia l’iterazione di una icona immobile, ma invece si dipani ed evolva, proponendo soste di piacevolezza aneddotica, a tratti si drammatizzi, cerchi o inventi soluzioni inedite, se non dottrinalmente spericolate, e approdi attraverso secoli di edonismo figurativo e di trasporti religiosi, di astrazione teologica e di umana terrestrità, alle rive di nuove attese di civiltà. La parola scritta accompagna spesso l’immagine, ma è proprio questo l’aspetto della nostra storia che meno è stato studiato dagli
Gerd Mohn, Gütersloh 1980 (dal punto di vista iconografico è molto meno ricco di quanto ci si aspetterebbe; le attestazioni figurative non sono poche, ma sono tutte tarde e legate soprattutto al mondo nordico); S. Y. EDGERTON, “How shall this be?”, part II, «artibus et historiae», XVI (1987), pp. 45-53; W. MELCZER, La porta di Bonanno nel duomo di Pisa. Teologia ed immagine. Contributi bibliografici ed iconografici: E. KALTENBRUNNER-MELCZER, tr. it. A. Gentili, Pacini, Pisa 1988, pp. 61-77; A. GHIDOLI, Annunciazione, in: Enciclopedia dell’arte medievale, II, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1991, pp. 40-46; J. LIEBRICH, Die Verkündigung an Maria. Die Ikonographie der Italienischen Darstellungen von der Anfängen bis 1500, Böhlau, Wien 1997; D. ARASSE, L’Annonciation italienne, Hazan, Paris 1999 (L’Annunciazione italiana. Una storia della prospettiva, tr. it. C. Presezzi, con un saggio di O. Calabrese, VoLo publisher, Firenze 2009); L’annunciazione di Leonardo. La montagna sul mare, a cura di A. Natali, saggi di D. Arasse e altri, Amilcare Pizzi, Cinisello Balsamo 2000; Iconografia evangelica a Siena dalle origini al Concilio di Trento, a cura di M. Bacci, saggi di R. Argenziano, A. Gianni, M. Corsi, Monte dei Paschi di Siena, Siena 2009; G. DALLI REGOLI, Appunti sull’iconografia medievale dell’Annunciata, in: Territorio, culture e poteri nel Medioevo e oltre. Scritti in onore di Benedetto Vetere, a cura di C. Massaro e L. Petracca, Congedo, Galatina 2011, pp. 239-260; S. BARBAGALLO, L’Annunciazione nell’arte. Iconografia e iconologia del rimorso e della redenzione, Musei Vaticani, Città del Vaticano, 2013. Altra bibliografia specifica sarà citata nel corso dell’esposizione.
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storici. La parola scritta si ripete con ossessiva iteratività sulle pagine aperte del libro, ma troppo pigramente si è creduto che fosse sempre la stessa. Ho cercato di decifrare quante più possibili attestazioni: sono 41 quelle qui pubblicate; ne restano fuori probabilmente molte altre, o perché sconosciute o irraggiungibili, o perché, in mancanza di buone riproduzioni, illeggibili. E oltre alla pagina squadernata c’è la pagina di intellettuali e narratori che sono stati catturati da questa storia meravigliosa. Dei testi che sottopongo all’attenzione dò la traduzione italiana; se non altrimenti detto, tutte le traduzioni sono mie. Quasi pleonastica è la nozione che l’evento di cui mi accingo a parlare avvenne un 25 marzo. Anche gli studenti alle prime armi lo sanno: in passato, in molte città e stati d’Europa, l’anno non cominciava il 1° gennaio, ma il 25 marzo: con la differenza che, rispetto allo stile moderno, che comincia col 1° gennaio, alcune città anticipavano, altre posticipavano. Firenze posticipava, Pisa anticipava. Il 25 marzo è dunque il giorno dell’annuncio a Maria di Nazareth che avrebbe concepito e generato il figlio di Dio ed è il giorno della contestuale immacolata concezione di Gesù; il 25 dicembre, esattamente nove mesi dopo, Gesù sarebbe venuto al mondo.2 La letteratura mariana è sterminata.3 Tutto è stato già detto. Senza le ricerche di molte generazioni di studiosi la qui presente non sarebbe
2 A. CAPPELLI, Cronologia, cronografia e calendario perpetuo, Seconda ed., Hoepli, Milano 1930 (rist. anast. 1960), p. 11. 3 La più ampia raccolta di testi in traduzioni, con apparati storici, è quella in otto volumi, curata da molti studiosi, Testi mariani del primo millennio, e del secondo millennio, Città Nuova, Roma 1966-2003 (opera tuttavia del tutto incurante delle arti figurative e della nostra questione della lettura). Il lettore comune desideroso di una prima informazione critica sui problemi della figura di Maria, può ricorrere alla grande voce Maria, santissima, regina di tutti i santi, a cura di vari, in Bibliotheca Sanctorum, VIII, Istituto Giovanni XXIII della Pontificia Università Lateranense, Roma 1967, coll. 814-962 (di parte laica cattolica), o all’Inchiesta su Maria di C. Augias e M. Vannini, Rizzoli, Milano 2013 (di parte laica), anch’esse non interessate al nostro tema. Esistono anche enciclopedie specifiche, fra le quali ricordo G. Roschini, Dizionario di Mariologia, Studium, Roma 1961.
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neanche venuta in mente. Ma, come dicevano alcuni medievali, anche se i maestri hanno detto tutto, non è impossibile agli allievi aggiungere qualche particolare, pur senza essere nani sulle spalle dei giganti. In tanta messe di ricerche, non esiste uno strumento che inventari, riproduca e spieghi tutte le attestazioni figurative di Maria che legge. A questo aspetto specifico o piuttosto al suo lontano miraggio è dedicato il nostro lavoro, che ha quindi l’entusiasmo e l’imperfezione delle cose pionieristiche. Dall’esperienza stessa di questo studio si è formata in me l’idea di un progetto, che data la mia età non posso neanche disegnare, ma che propongo alla platea degli storici: il corpus delle iscrizioni medievali e rinascimentali delle opere d’arte, pittoriche e scultoriche. Il metodo di schedatura dovrebbe restare quello disegnato cinquanta anni fa da Augusto Campana per le epigrafi.4 So bene che l’erudizione è oggi nemica della lettura: ma non ho potuto né voluto rinunziare a quella che dà forza, se forza c’è, alle mie argomentazioni; né ho voluto, come anche si fa per catturare il lettore, respingerla fuori della pagina, nel limbo delle note finali. Dò al mio caro lettore un consiglio utile per l’uso: saltare a piè pari le parti erudite e andare subito a quelle narrative, come io stesso da ragazzo facevo coi romanzi di Salgari, quando scavalcavo le descrizioni di foreste dagli infiniti alberi, di bonacce sul mare e di altre attrezzature ritardanti, e andavo diritto al filo delle avventure.
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A. CAMPANA, Tutela dei beni epigrafici, in: Per la salvezza dei Beni culturali in Italia. Atti e documenti della Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, [presidente F. Franceschini], Colombo, Roma 1967, II, pp. 539-547; rist. in «Epigraphica», XXX (1968), pp. 5-19; e in A. C., Scritti, a cura di R. Avesani, M. Feo, E. Pruccoli, II: Biblioteche, Codici, Epigrafi, Tomo I, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2017 (Storia e Letteratura, Raccolta di studi e testi, 241), pp. 433-445.
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Dalla miseria di Nazareth all’opulenza del Rinascimento Dalla brocca e dal fuso al libro
IL RACCONTO DEI VANGELI SINOTTICI Ricordiamo preliminarmente cosa dicono i Vangeli sinottici. Marco e Giovanni non raccontano nulla di nulla della nascita di Gesù. Matteo (I 18-19) non parla di annunciazione. Dice solo che essendo desponsata (promessa, gr. μνηστευθείσης Μαρίας) a Giuseppe, si vide che Maria era gravida di Spirito Santo antequam convenirent, gr. πρὶν ἢ συνελθεῖν αὐτοὺς (prima che contraessero matrimonio). Giuseppe, non volendola traducere (cioè esporla a infamia), decise di rimandarla ai suoi genitori.1 Ma un angelo gli andò in sogno e gli disse di non farlo, spiegandogli che Maria aveva concepito dallo Spirito Santo e che avrebbe partorito un figlio di nome Gesù, il quale avrebbe salvato il suo popolo dai suoi peccati. Tutto ciò per compiere quanto preannunciato dal Si-
1 Cito il Nuovo Testamento dall’ed. Novum Testamentum Graece et Latine. Textum Graecum post E. et E. NESTLE communiter ediderunt B. et K. Aland, J. Karavidopoulos, C. M. Martini, B. M. Metzger. Textus Latinus Novae Vulgatae Bibliorum Sacrorum Editioni debetur. Utriusque textus apparatum criticum recensuerunt et editionem novis curis elaboraverunt B. et K. Aland una cum Instituto Studiorum Textus Novi Testamenti Monasterii Westphaliae, 3. neue bearb. Aufl., 6. korrig. Druck, Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart 2008; e il Vecchio dall’ed. Septuaginta, id est Vetus Testamentum graece iuxta LXX interpretes, ed. A. Rahlfs, ed. altera quam recogn. et emend. R. Hahnart, Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart 2006.
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Dalla miseria di Nazareth all’opulenza del Rinascimento
gnore per bocca del profeta. A questo punto Matteo (I 23) cita il passo di Isaia VII 14: «Ecce virgo in utero habebit et pariet filium; et vocabunt nomen eius Emmanuel»; quod est interpretatum ‘nobiscum Deus’.
Chi invece racconta ampiamente l’annunciazione nella forma entrata nella tradizione è Luca (I 26-38). L’angelo Gabriele andò a Nazareth da Maria, desponsata a Giuseppe. Entrato che fu disse: «Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum». Maria resta turbata, ma l’angelo la rassicura: «Ne timeas, Maria, invenisti gratiam apud Deum. Ecce concipies in utero et paries filium et vocabis nomen eius Iesum…»; aggiunge poi una promessa di gloria e di regno senza fine al figlio. Maria chiede come tutto ciò possa avvenire, non conoscendo essa uomo. L’angelo spiega che lo spirito dell’Altissimo scenderà su di lei. E Maria pronuncia le famose parole di umiltà: «Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum». Ho detto angelo, ma avrei dovuto dire arcangelo. Perché a Maria fu mandato un arcangelo? La risposta più ovvia è che gli arcangeli sono la gerarchia angelica più alta e che quindi alla prossima madre di Gesù non poteva essere mandato che un ambasciatore di massima autorità e prestigio. Ma è una risposta sbagliata. Gli arcangeli nelle classificazioni più antiche (Ps.-Dionigi l’Areopagita) sono non i più alti, ma i più bassi, e per questo i più vicini agli uomini. E gli uomini sono essi stessi creature già appartenenti alle categorie angeliche, destinate a rimpiazzare gli angeli ribelli, poi anch’esse deposte dalla primitiva dignità. Dunque, entro le gradazioni classiste dell’ordinamento divino del mondo, gli arcangeli erano le creature più vicine alle bassure degli uomini e le più adatte a comunicare con essi.2
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M. BURGER, Albert the Great-Mariology, in: A Companion to Albert the Great. Theology, Philosophy, and the Sciences, ed. by I. M. Resnik, Brill, Leiden-Boston, 2012, pp. 118-119.
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MARIA FIDANZATA Quando avvenne l’annunciazione, Maria era fidanzata a Giuseppe; e il fidanzamento era un vero e proprio contratto, che precedeva il matrimonio di un anno. Su questo punto è ambiguo l’abbigliamento di Maria: più spesso è velata, e poiché nella civiltà italiana antica il velo era obbligo per le maritate, e non per le ragazze, si deve pensare che per i più dei pittori fosse di fatto maritata a Giuseppe; ma non mancano immagini di Maria che al momento dell’annunciazione non ha velo in capo. Aggiungiamo che nel mondo ebraico la donna si fidanzava in genere sui dodici o tredici anni, l’uomo sui 18-24;3 che Maria era un nome molto comune, e significa, non come comunemente si crede, ‘stella maris’, ma ‘signora’, più o meno il nostro ‘madonna’, e il nome stesso indica che la fanciulla apparteneva a gente umile. Se fosse in possesso di un qualche grado di cultura i Vangeli sinottici non dicono. Non sempre Maria ha letto. Stando a più Vangeli apocrifi,4 quando sentì la voce che le annunciava il suo drammatico destino, era alla fonte ad attingere acqua e, in preda a grande agitazione, si era poi rifugiata in casa a filare, e qui fu visitata dall’angelo. Altre fonti dicono solo che se ne stava in casa,5 o tacciono del tutto.6
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G. RICCIOTTI, Vita di Gesù Cristo, con introduzione critica e illustrazioni, Rizzoli, Milano-Roma 1941 (rist. innumerevoli volte fino a Mondadori, Milano 1999), p. 258. 4 Protovangelo di Giacomo, X, in: Evangelia apocrypha, collegit atque recens. C. de Tischendorf, Mendelssohn, Lipsiae 18762 (rist. anast. Olms, Hildesheim 1966), pp. 20-21 = I Vangeli apocrifi, a cura di M. Craveri, con un saggio di G. Pampaloni, Einaudi, Torino 1969 (II ed.: 1990), p. 15; Vangelo dello Pseudo-Matteo, IX, ed. Tischendorf cit., pp. 70-71 = ed. Craveri cit., p. 76; Vangelo dell’infanzia armeno, V 1, ed. Craveri cit., p. 156. 5 Luca, I 26 ss.; Libro sulla natività di Maria, IX, ed. Tischendorf cit., p. 119 = ed. Craveri cit., p. 222. 6 Vangelo di Tommaso: ed. Tischendorf cit., pp. 140-180; Il Vangelo secondo Tommaso, versione dal copto e commento di J. Doresse, Il Saggiatore, Milano 1960;
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LOTTA FRA GABRIELE E MARIA Altamente drammatica è la lotta fra l’angelo Gabriele, che vuol convincere Maria della necessità del suo destino escatologico, e la fanciulla saldamente ferma ai buoni costumi d’antan, in una omelia bizantina del patriarca san Germano di Costantinopoli.7 Gabriele ha intercettato Maria alla fonte, come lei stessa confesserà a Giuseppe («Avevo preso l’anfora per andare ad attingere acqua alla fonte onde estinguere la mia sete, quando giunse al mio orecchio un fievole suono di voce e sentii queste parole: ‘Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te’»). Maria si è rifugiata in casa e ha ripreso a tessere la porpora, ma l’angelo la raggiunge e la torchia con l’impietosa insistenza del suo messaggio. Maria si difende vanamente e sempre più debolmente, obiettando la conseguente reazione dello sposo e la consegna nelle mani dei giudici, il vilipendio del suo stesso buon nome e la sua misera sorte di donna abbandonata, pur se incolpevole. Alla fine concede il suo assenso, e a questo punto, senza che ci sia stata rivelazione angelica, pronuncia misteriosamente il nome del futuro figlio. Non c’era bisogno di tacerlo, perché tutti lo sanno. Ma come faceva Maria a saperlo in quel momento? Qualche lume viene dal successivo quadro drammatico, il dialogo serrato e affilato fra la donna e Giuseppe tornato a casa, che è stranamente simile a certi litigi coniugali borghesi. All’uomo furioso e offeso nella sua dignità, che
Il Corano, a cura di H. R. Piccardo, prefazione di F. Cardini, introduzione di P. Blasone, Newton Compton, Roma 20106 (I ed.: Edizioni Al Hikma, Imperia 1994) = Il Corano, introduzione, traduzione e commento di A. Bausani, Sansoni, Firenze 1978, III 42-47, XIX 16-22. Sulla presenza di Maria nel Corano v. A. ROSMINI, Maria nel Corano, Morcelliana, Brescia 2013, con ampia introduzione di F. De Giorgi. Bausani esorta invece all’equilibrato opuscolo di P. Jean-Muḥammad ABD AL-JALIL, Problèmes de mariologie dans le Coran, s. l. 1948. 7 Teatro religioso del Medioevo fuori d’Italia. Raccolta di testi dal secolo VII al secolo XV, a cura di G. Contini, Bompiani, Milano 1949, pp. 6-17 (la traduzione è di O. Prosciutti).
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vuole farsi vendetta sul presunto adultero, Maria sciorina dottamente a sua discolpa un apparato di citazioni veterotestamentarie: «Non è forse scritto nei Profeti: ‘Una vergine concepirà nel suo grembo e ci sarà largito un pargolo’? [Isai., VII 14]. Pensi forse che i Profeti possano ingannare? Grave è il tuo torto, o Giuseppe, quando acerbamente mi rimproveri». E poi ancora: «Confida nei Profeti di Dio e non piombare la tua anima in uno smoderato dolore; nei loro libri troverai scritto: ‘Ecco una vergine concepirà e partorirà un figlio e chiameranno il nome di lui Emmanuel’ [Isai., VII 14]». E continuerà, dopo che Giuseppe sarà stato convinto da lei e dall’angelo in sogno: «Io penso che mio figlio sarà chiamato re, poiché è scritto nei Profeti: ‘Colma il tuo animo di allegrezza, o figlia di Sion; giubila, o figlia di Gerusalemme: ecco scende dai cieli il tuo re possente portatore di giustizia, datore di salvezza’ [Zacch., IX 9]»; e allargherà le aspettative soteriologiche e millenaristiche del popolo ebraico: «Apparirà nel cielo un segno fulgente; è scritto infatti nei Profeti: ‘Una stella nascerà da Giacobbe e un uomo si leverà da Israele e distruggerà i comandanti di Moab’ [Num., XXIV 17]». E mentre Giuseppe ormai si rallegra di tanto alto destino, Maria passa alle prove trionfali: «Sarà offerto oro in gran copia al fanciullo che nascerà dal mio grembo, perché il profeta e re David canta: ‘Vivrà e sarà colmato dell’oro dell’Arabia’ [Ps., LXXI 15]»; «Apri ancora il profeta Michea e troverai la precisa indicazione del luogo: ‘E tu, Bethleem Eufratha, non ti rammaricare perché sei una delle mille città di Giuda; da te sorgerà colui che sarà chiamato signor d’Israele’ [Mich., V 2]».
L’OMBRA DI DIO Nel dialogo serrato fra l’angelo che incalza e Maria che si difende, Gabriele introduce un termine numinoso per spiegare alla fanciulla come potrà avvenire il concepimento in una donna che non ha conosciuto uomo. Dice Luca (I 35): πνεῦμα ἅγιον ἐπελεύσεται ἐπὶ σὲ καὶ δύναμις ὑψίστου ἐπισκιάσει σοι; lat. Spiritus Sanctus superveniet in 17
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te, et virtus Altissimi obumbrabit tibi. Molto ha inquietato il significato di quegli ἐπισκιάσει / obumbrabit, e alcune pagine raffinate e acute ha scritto un filosofo su quest’ombra «che non oscura, che copre senza occultare, che copre illuminando», giungendo alla conclusione che nella storia di Maria c’è un mistero di ombra e luce, una nostalgia di luce che passa attraverso l’ombra e che infine si fa carne. Di questa contraddizione sono portatori «quegli angeli fiammeggianti, luciferini che abbagliano in certe Annunciazioni» e «trovano rifugio all’ombra della donna, spengono il loro canto altisonante, rammemorano, infine, di essere messaggeri dell’ombra, da cui Maria è stata resa feconda». L’ombra «entra in Maria come il silenzio nel discorso, come la pausa nel canto».8 Con maggiore franca crudezza aveva già dato espressione formale (oserei dire grammaticale) alla contraddizione uno storico dell’arte: «l’irruzione della luce divina copre Maria con la sua ombra paradossale».9 Tutto ciò nella sua ambiguità suggerisce all’animo voli e fughe dalla dura e testarda realtà positiva. Èd è segno dei tempi che tali suggestioni vengano da una intelletualità progressiva e ansiosa delle avventure politiche dei nostri giorni. Per questo ho voluto ricordarle. Ma insieme vorrei ricordare anche, mettendolo a contrasto con una sorta di irrazionalismo laico, un lontano razionalismo confessionale. Dice a proposito dell’ombra Alberto Magno, il gigante di Colonia:10 Umbra…, ut dicit Origenes, non intelligitur obscuritas, quae de summa luce nulla procedit, sed imago reflexa a speculo umbra aspicientis dicitur. Sic enim deus umbram, hoc est imaginem, suae omnipotentiae in parvo et infantili corpore formavit, ut totam maiestatis divinae per aequalitatem potestatis exprimeret imaginem.
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M. CACCIARI, Generare Dio, Il Mulino, Bologna 2017, pp. 33-40. ARASSE, p. 92. 10 ALBERTI MAGNI Postilla super Isaiam, primum edidit F. Siepmann, in: Opera omnia, XIX, Aschendorff, Monasterii Westfalorum 1952, p. 110 (cap. VII 14). L’editore richiama anche il commento di Alberto a Luca I 35, dove l’argomento ritorna. 9
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Con umbra, come dice Origene, non si intende l’oscurità, che in nessun modo promana dalla somma luce, ma si indica l’immagine di chi guarda riflessa dallo spechio. Così infatti Dio formò l’ombra, cioè l’immagine, della sua onnipotenza in un corpo piccolo e infantile, per poter esprimere tutta l’immagine della maestà divina attraverso una eguale potestà. [E vedi l’Addendum 1 a p. 64].
MARIA AL POZZO (1-7) Sul sapere della fanciulla di Nazareth torneremo. Qui restiamo ai suoi gesti e alle sue mansioni. Osservando che la filatura permane tetragona sulla scena sacra liturgica per secoli anche in Occidente. Ne è prova l’anonimo Ludus de nativitate, che nel famoso codice di Benediktbeuern si accompagna alla grande raccolta di canti goliardici. Dopo una sfilata di profeti e di schermaglie fra sant’Agostino e l’arcisinagogo, ecco l’angelo si presenta a Maria, «intenta ai lavori femminili».11 La scena del pozzo è rara nelle arti figurative. Ne conosco almeno sette casi.12 Maria attinge l’acqua con una brocca in un mosaico dell’XI sec. in San Marco a Venezia13 (1; tav. I). Più dinamico è l’episodio
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E. FRANCESCHINI, Un «Ludus scenicus de nativitate Christi» del secolo XII, «Rivista italiana del dramma», III (1939), pp. 292-317; ID., Teatro latino medievale, Nuova Accademia, Milano 1960, p. 217; Carmina Burana, Texte und Übersetzungen, … hg. v. B. K. Vollmann, Deutscher Klassiker Verlag, Frankfurt am Main 1987, p. 720. 12 Da questo momento dò un numero progressivo ad ogni Annunciazione di cui vengo parlando secondo un procedimento tendenzialemente cronologico. Se le madonne leggenti sono cresciute in numero straordinario, i libri d’arte sono cresciuti ancor di più, assecondando i grandiosi movimenti turistici. La bibliografia qui citata non ha alcuna ombra di completezza e serve solo come punto di riferimento identificativo. 13 J. H. EMMINGHAUS, op. cit., fig. 5; MELCZER, p. 75 n. 63; REGOLI, p. 241, fig. 3; P. BLASONE, Nonostante Raffaello. Altre Annunciazioni, geocities.ws.
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nel codice Vaticano Graec. 1162, sec. XII, delle Omelie mariane del monaco Giacomo di Bitinia: alla fonte appare l’angelo e le parla (2; tav. II), Maria è spaventata e si rifugia in casa dove era intenta a filare una tela per il tempio; l’angelo la raggiunge e fa l’annuncio per la seconda volta (3; tav. III)14. Un’altra raffigurazione, del 1315, viene dal Museo Kariye, già chiesa del Santo Salvatore a Istanbul. Altre presenze nel cofanetto di Werden15 (4); in una tavoletta d’avorio del Museo di arti applicate a Milano16 (5); in un capitello della chiesa di Saint Trophime ad Arles17 (6); in un dipinto murale ora al Museo dell’arte catalana di Barcellona18 (7). Secondo un evoluzionismo troppo meccanicistico, una volta esaurita la sua funzione, la brocca si sarebbe trasformata nel vaso in cui spesso si trova un giglio.19
MARIA FILA (8-36) Più largamente diffusa è la scena della filatura o della tessitura (ne ho raccolte 24 attestazioni). Lunghe discussioni hanno accompagnato i tentativi degli archeologi di individuare la prima rappresentazione dell’Annunciazione. Caduta la proposta di vedere una sorta di arche-
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C. STORNAJOLO, Miniature delle omilie di Giacomo monaco (Cod. Vatic. grec. 1162) e dell’Evangeliario greco urbinate, Danesi, Roma 1910, tavv. XLVIII-LVII; L. BRÉHIER, Les miniatures des “Homélies” du moine Jacques et le théatre religieux à Byzance, «Monuments Piot», XXIV (1920), tav. VIII 1, e pp. 115-119; ROBB, p. 481 e fig. 1; J. SAUER, op. cit., col. 56; GHIDOLI, p. 45; MELCZER, p. 66. 15 MELCZER, p. 75, nota 63. 16 SCHILLER, fig. 583; REGOLI, p. 242, fig. 4. 17 ROBB, p. 482; REGOLI, p. 242, fig. 5. 18 REGOLI, p. 243, fig. 6. 19 C. DEL POPOLO, L’«Annunciazione» di Feo Belcari: «fonti» e «citazioni», in: «E ’n guisa d’eco i detti e le parole». Studi in onore di Giorgio Bárberi Squarotti, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2006, I, p. 623, nota 42.
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tipo in una scena, per altro poco caratterizzata, della catacomba di Priscilla a Roma, la concordanza degli studiosi pare orientata verso il cosiddetto sarcofago Pignatta di Ravenna20 (8), che porterebbe al sec. IV-V, e coglie Maria in atto di dipanare la matassa da un cesto di vimini. Il gesto si fissa ben presto in una forma canonica. 9. Maria fila nell’Annunciazione del Castello Sforzesco a Milano, sec. IX. REGOLI, Preveggenza, fig. 15. 10. Vasca battesimale di Verona, sec. XIII. REGOLI, Preveggenza, fig. 16. 11. Maria prende la lana da un cesto in una ampolla di Monza. R. GARRUCCI, Storia della arte cristiana nei primi otto secoli della Chiesa, Guasti, Prato 1872-1880, VI, tav. 433, 8; MELCZER, p. 75, nota 48. 12. Evangeliario Rabbula di Firenze. R. GARRUCCI, op. cit., tav. 130; C. CECCHELLI - G. FURLANI - M. SALMI, Evangeliarii syriaci, vulgo Rabbulae, in Bibliotheca Medicea-Laurentiana (Plut. 1, 56) adservati ornamenta, Urs Graf, Olten-Lausanne 1959; MELCZER, p. 75, n. 49. 13. Cattedra di Massimiano del Museo Arcivescovile di Ravenna, realizzata a Ravenna o Costantinopoli fra il 545 e il 553: ha in mano il fuso. J. H. EMMINGHAUS, op. cit., fig. 1; MELCZER, pp. 63, fig. 43; 65, 75 nota 49. 14. Croce di Vicopisano (sec. IX). M. BACCI, Croce pettorale con scene cristologiche, in: Mandylion, Intorno al «Sacro Volto», da Bisanzio a Genova, a cura di G. Wolf, C. Dufour Bozzo, A. R. Calderoni Masetti, Skira, Genova-Milano 2004, pp. 243-244. 15. Mosaico della chiesa dei ss. Nereo e Achilleo a Roma, dei tempi di Leone III. R. GARRUCCI, op. cit., I, tav. 284; MELCZER, p. 75, nota 49.
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V. la eccellente tesi di laurea di M. SBALCHIERO, La Vergine Maria e l’angelo Gabriele. Studio iconografico dell’Annunciazione, relatore prof. G. Trovabene, Università Ca’ Foscari, Venezia 2015-16, p. 99 e passim (in rete).
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16. Omelie mariane del monaco Giacomo di Bitinia, cod. Paris, Bibliothèque nationale de France, Graec. 1208, sec. XII, f. 154 v. A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, Hoepli, Milano 1901-1939, I, pp. 143-145; GHIDOLI, p. 45; MELCZER, p. 75, nota 49. 17. Chiesa di Saint-Trophime ad Arles. A. KINGSLEY PORTER, Romanesque sculpture of the pilgrimage roads, Marshall Jones Company, Boston 1923 (rist. anast. Hacker art books, New Yorl 1966), IX, fig. 1370; ROBB, p. 482. 18. Annunciazione di Torcello, sec. XI. Bibliotheca Sanctorum, VIII (1967), coll. 831-832. 19. Annunciazione dell’Exultet del Duomo di Pisa, sec. XI. A. R. CALDERONI MASETTI - C. D. FONSECA - G. CAVALLO, L’Exultet «beneventano» del Duomo di Pisa, Congedo, Galatina 1989, fig. 10. 20. Scultura (arcaica) della chiesa di S. Leonardo a Siponto. A. PRANDI, L’arte, in Puglia, a cura di F. Biancofiore e altri, Banca Nazionale del Lavoro, Milano 1966, tav. XXXIX. 21. Hortus deliciarum di Herrada di Landsberg, fine sec. XIII (tav. IV). G. CAMES, Allégories et symboles dans l’Hortus deliciarum, Brill, Leiden 1971, tav. XXVIII, fig. 45. 22. Lastra di Manfredonia. 23. Annunciazione della chiesa d’Ognissanti a Trani. M. PASQUALE, Simboli e messaggi nella facciata di S. Maria della Strada a Taurisano in Terra d’Otranto. Note di iconologia medievale, «Rivista di scienze religiose», XVI (2002), pp. 373-396; EAD., Le antiche facciate della cattedrale di Altamura. Note di iconologia, in: La cattedrale di Altamura fra restauri scoperte interpretazioni, a cura di B. Tragni, Adda, Bari 2009, pp. 49-50, figg. 67, 69 e 70. 24. Porta di Bonanno a Pisa (1179) (tav. V). P. SANPAOLESI, Il Duomo di Pisa, Sadea-Sansoni, Firenze 1965, tav. 16. MELCZER, p. 72, fig. 51. 25. Porta di Bonanno a Monreale datata 1179. MELCZER, pp. 66-69, 72 e fig. 52, tav. V; REGOLI, p. 250, fig. 19. 26. Pitture murali dalla chiesa di san Giovanni a Pürgg, sec. XII2. E. PANOFSKY, La prospettiva come “forma simbolica” e altri scritti, a cura di G. D. Neri, tr. it. E. Filippini, Feltrinelli, Milano 1966 (Die Perspektive als “symbolische Form”, Teubner, Leipzig-Berlin, 1927; I ed. it. 1961), tav. 9. 22
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27. Annunciazione del pergamo di Guglielmo ora nel duomo di Cagliari. G. DALLI REGOLI, Iconografia e stile, un rapporto da indagare. La traccia offerta dal pergamo pisano di Guglielmo, «Critica d’arte», LXXV, n. 55-56 (lu.-dic. 2013), p. 10, fig. 7. 28. Pulpito di Barga. W. BIEHL, Toskanische Plastik des frühen und hohen Mittelalters, Seeman, Leipzig 1926, tav. 141; M. SALMI, La scultura romanica in Toscana, Rinascimento del libro, Firenze 1928, fig. 223; MELCZER, p. 68, fig. 46; G. DALLI REGOLI, Coerenza, ordine e misura di una maestranza: il pulpito di Barga e i Guidi, «Arte medievale», s. II, VI, n. 2 (1992), pp. 91-111: a pp. 98 e 109 note 37-38, figg. 12 e 16. Nelle note la Regoli elenca numerose altre attestazioni della presenza del fuso. Segnalo che a p. 100 il primo rigo dell’epigrafe sovrastante la Natività è da leggere così: MAGNUM MISTERIUM MIRABILE SACRAMENTUM. 29. Pergamo di Nicola Pisano del Battistero di Pisa (1259). M. L. TESTI CRISTIANI, Nicola Pisano architetto scultore. Dalle origini al pulpito del Battistero di Pisa, Pacini, Pisa 1987, tav. II b; M. SEIDEL, Padre e figlio. Nicola e Giovanni Pisano, Marsilio, Venezia 2012, II, pp. 229, fig. 216; 318, fig. 303. 30. Pergamo di Giovanni Pisano nel Duomo di Pisa (1310). E. CARLI, Il pergamo del duomo di Pisa, Cassa di Risparmio di Pisa Franco Maria Ricci, Pisa-Milano 1975, tavv. 40, 42; L’ambone del duomo di Pisa, a cura di C. Valenziano, Cassa di Risparmio di Pisa - Franco Maria Ricci, Pisa-Milano 1993, p. 79. 31. Annunciata di S. Giacomo all’Orto di Venezia. REGOLI, p. 254, fig. 21. 32. Statua di Castellappiano. REGOLI, p. 255, fig. 20. 33. Annunciazione di S. Vito dei Normanni. REGOLI, p. 253-256, fig. 22. 34. Museo Puškin di Mosca, placca d’avorio (VI sec.). MELCZER, pp. 64 e 75, note 50-51; p. 67, fig. 45. Un altro elenco di attestazioni a p. 76, note 83 (Bisanzio) e 85 (Occidente).
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Ancora nell’Annunciazione del preraffaellita John William Waterhouse (1914) si può vedere una Maria cui stanno accanto gli strumenti della tessitura e un leggìo con libro (35).21 E numerose sono nel tempo le rappresentazioni in cui la filatura si è interrotta e a terra giace il cesto con la lana (36). Commenta finemente un iconografo: «Il filare diventa… una triplice rassicurazione: non soltanto è un compito altamente onorevole perché il tessuto è destinato alla cortina del Tempio; non soltanto è un’attività domestica appropriata alle fanciulle, con forti connotazioni simboliche di castità; ma, inoltre, diventa un’attività dagli effetti psicologici altamente tranquillizzanti e rassicuranti. Non c’è da meravigliarsi che gli iconografi si siano impadroniti del motivo della filatura e l’abbiano applicato all’episodio con grande prontezza».22 Per secoli la figura di Maria annunziata è stata associata a questa attività manuale domestica. È l’Annunciazione dell’arte bizantina e di quella europea orientalizzante, in qualche modo sentita come arcaizzante.
MARIA LEGGE O È IN COMPAGNIA DEL LIBRO (37-404) La più grande innovazione iconografica (e ideologica) nella rappresentazione dell’Annunciazione è quella per cui Maria, nel ricevere il messaggio è associata alla lettura o semplicemente a un libro.23 La
21 L. SENISE, Letture iconologiche. «Borea» di J. W. Waterhouse, «artedossier», XXXIII, n. 358 (ottobre 2018), pp. 34-35. 22 MELCZER, pp. 63-64. A riprova di quanto afferma il Melczer basterà ricordare che Lucrezia, la matrona modello di castità violentata da Tarquinio, è descritta da Livio (I 57, 9) e da altri suoi apologeti come signora che in casa stava a filare in mezzo alle sue ancelle. 23 G. SCHILLER, Iconography, cit., p. 42; MELCZER, pp. 68-69; S. SCHIBANOFF, Botticelli’s «Madonna del Magnificat»: Constructing the women writer in early Humanist Italy, «PMLA. Publications of the Modern Language Association of America», CIX (1994), p. 193.
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testimonianza più antica risale al IX secolo. È un cofanetto d’avorio francese, ora al Museo di Braunschweig: un pannello mostra un leggìo con un libro davanti alla Vergine seduta in trono24 (37; tav. VI). Forse si trattò di un’estensione alla mitologia cristiana di un fenomeno di crescita culturale delle classi dirigenti europee, quello appunto di un maggiore accesso delle donne alla parola scritta, che vide figure della grandezza di Dhuoda e Rosvita. L’innovazione ebbe successo e trovò i primi consensi nel mondo anglo-sassone: risalgono alla fine del X secolo il Benedizionale di San Aethelwold (Londra, British Library, Add. 49398, f. 15v (38), e i Vangeli anglo-sassoni di Boulogne (Ms. 11, f. 11r) (39). In entrambe le testimonianze tradizione e innovazione convivono: la Vergine regge il libro aperto nella destra e il fuso nella sinistra. Secondo Otto Pächt il centro propulsore della nuova iconologia e della sua ideologia fu la cultura cluniacense: proviene infatti da Cluny il famoso Lezionario ora Parigino NAL 2246 (40), con Vergine e libro chiuso nella sinistra al f. 6r; esso data alla fine dell’XI secolo, dunque è posteriore ai libri anglo-sassoni appena citati, ma il suo sfondo culturale – come si dirà avanti – precede. Contemporanea alla miniatura cluniacense, se non anteriore, è l’Annunciazione dei Vangeli di Vyšehrad (cod. Praga, Bibl. Univ., XIV A 13, f. 20v) (41), che si datano al 1085-86. Entriamo nel XII secolo. Circa quarant’anni dopo l’annunciazione boema, il libro aperto nella sinistra della Vergine, rivolto allo spettatore, ma con le pagine bianche, appare nel Salterio di Sant’Albano (42).25 Seguono a metà secolo un capitello della chiesa di Saint-Martin d’Ainay a Lione26 (43; tav. VII) e una placca di smalto dell’altare di
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PÄCHT, tav. 118 e. Sulla funzione del leggìo e del libro nell’arte cristiana del Medioevo v. G. DALLI REGOLI, Il libro e il leggìo: da Guglielmo a Giovanni Pisano, in: sorridere fra i libri. Per Gianfranco e Mirella Borghini. fons scientiarum irriguus, [a cura di S. Bruni e M. Feo], Edizioni ETS, Pisa 2017, pp. 235-247. 25 Cod. Hildesheim, Dombibl., St. Godehard 1. Cfr. PÄCHT, p. 67, tavv. 15b, 118b. 26 J. BIROT, Les chapiteaux des pilastres de Saint-Martin d’Ainay à Lion, in: Congrès archéologique de France, LXXIV (1907), pp. 527 sgg. (con datazione non
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Nicolas de Verdun (1181) nell’Augustinerchorherrenstift di Klosterneuburg presso Vienna: la Vergine sta in piedi a mani alzate davanti all’angelo, e in mezzo alle due figure un alto leggìo con libro aperto e pagine bianche divide lo spazio (44).27 A questa età appartengono probab. l’Annunciazione del Libro d’ore di Bourges (ms. Londra, British Library, Yates Thompson 37, f. 19)28 (45); e una Annunciazione anonima nella chiesa pisana di S. Pietro in Vinculis (qui il libro è aperto e si intravedono lettere, ma per l’usura del tempo non sono decifrabili).29 (46) È un’avanzata che va d’accordo con quello che sappiamo del contemporaneo grande slancio della letteratura latina. L’età in cui lo zio di Eloisa sogna per la nipote una educazione umanistica che la renda la prima fra le donne di Parigi per cultura come era la prima per bellezza, questa età deve aver trovato giusto che la donna più alta e più pura di tutte le creature sapesse anche leggere e magari scrivere. Ancora un altro secolo e l’iconografia riappare nella cattedrale di Amiens (sec. XIII), in un avorio francese ora al Louvre30 (47), in un mosaico di Pietro Cavallini nella Chiesa romana di S. Maria in Trastevere, datato 1291:31 (48) in quest’ultimo la Vergine tiene nella sinistra un libro chiuso, non legge, ma ha letto o leggerà; in un rilievo di fine secolo sul lato sud di Santa Maria del Fiore a Firenze (49);32
convincente alla fine del sec. XI); E. MÂLE, op. cit., fig. 43; PÄCHT, p. 64; tav. 117a; GHIDOLI, p. 42. V. infra, cap. III. 27 MELCZER, p. 70, fig. 49. 28 REGOLI, p. 245, fig. 9. 29 BURRESI-CALECA, p. 209. 30 R. VAN MARLE, op. cit., pp. 111-126, fig. 5; MELCZER, p. 76, nota 89; M. SEIDEL, op. cit., I, p. 366, fig. 333; II, p. 303, fig. 288. 31 J. WILPERT, op. cit., II, fig. 310; ROBB, p. 482 e fig. 2; MELCZER, p. 76, nota 89; Bibliotheca Sanctorum, VIII (1967), coll. 841-842; L’Annunciazione di Leonardo, cit., p. 25; O. CALABRESE, in ARASSE, p. 7. 32 M. CARLOTTI - M. CATTOLICO, L’uomo che lavora. Il ciclo delle formelle del Campanile di Giotto, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2001, p. 11.
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nella chiesa di S. Maria delle Cerrate a Squinzano33 (50). Segue a distanza di pochi anni Giotto della cappella degli Scrovegni (13031305)34 (51; tav. VIII). Qui, entro un grande arco con la corte celeste, l’Eterno in trono decreta l’evento avvenire; sotto, ai due lati, l’angelo da una parte e Maria dall’altra lo realizzano sulla terra. Maria sta davanti a un mobile provvisto di leggìo e tiene nelle mani incrociate sul petto un libro chiuso. Un decennio dopo Giotto e la sua bottega realizzano a Firenze l’Annunciata di S. Reparata35 (52): Maria spaventata dall’arrivo dell’angelo si alza in piedi per ritirarsi, mentre con la mano destra oppone il rifiuto e nella sinistra stringe un libro chiuso.36 Una bella testimonianza federiciana nel sud d’Italia è purtroppo difficilmente databile. Il portale della cattedrale di Altamura è un vero ricamo sulla pietra. Il secondo ordine del fregio, partendo dall’interno, presenta alla base l’Annunciazione: (53; tav. IX) a destra la Madonna, a sinistra l’angelo. La Madonna, vestita di un abito a fiori, seduta entro nicchia con arco trilobato, ha le braccia incrociate. È stata sorpresa mentre leggeva un libro aperto davanti a sé (sul quale non si vede scritta alcuna). La costruzione della cattedrale è datata con sicurezza al 1232, stando all’atto con cui Federico nomina Riccardo da Brindisi arciprete «in ecclesia nostra Altamurae… per nos ad honorem
A. PRANDI, L’arte, cit. , p. 302, fig. 357. ROBB, p. 483, fig. 3; L’opera completa di Giotto, presentazione di G. Vigorelli, apparati critici e filologici di E. Baccheschi, Rizzoli, Milano 1977 (II ed. 1999), pp. 100-101; BELLOSI, pp. 236-237; REGOLI, p. 258, fig. 25; ARASSE, pp. 38, 40-41. 35 REGOLI, pp. 259-260, fig. 26; L. C[ARLETTI] e C. G[IOMETTI], in: Cimabue a Pisa. La pittura pisana del Duecento da Giunta a Giotto, a cura di M. Burresi e A. Caleca, Pacini, Ospedaletto (Pisa) 2005, pp. 252-253. 36 Il gesto di rifiuto con la mano è già visibile in un dipinto nella tribuna della Chiesa del Sepolcro a Barletta; ma la palma che si oppone è la sinistra; purtroppo buona parte della scena è andata distrutta e non è possibile appurare cosa facesse la destra. Non so neanche a che data risalga il dipinto, ma direi che è anteriore a Cimabue. Vedilo in A. PRANDI, L’arte, cit., fig. 206 a p. 205. L’annunciata di Squinzano (50) invece alza tutte e due le mani in alto in segno di spavento (Ivi, p. 302, fig. 357). 33 34
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beatae Virginis de novo fundata». Ma un terremoto provocò al tempio numerosi danni, che furono arginati da architetti bitontini nel 1316. Il portale, secondo i più recenti studiosi, sarebbe stato rifatto ex novo ancora più tardi, negli anni fra il 1356 e il 1374.37 Il volto della Vergine di Altamura è di una bellezza che oserei dire rinascimentale, e anche stilisticamente sembra davvero posteriore ai tempi di Federico. Ma se per avventura questa Annunciazione riproducesse un modulo iconografico coevo alla prima costruzione, allora andrebbe retrodatata di oltre un secolo e sarebbe pre-giottesca. Intanto nel 1333 un’altra Madonna leggente in pietra era apparsa in Puglia: è l’Annunciazione di Bitetto38 (54) che, sia pure artisticamente inferiore a quella di Altamura (ma i volti sono consunti dal tempo), è ad essa iconograficamente vicinissima. Al tema dell’Annunciata che legge sembra insensibile Dante, che in Purg., X 34-45, resta incantato davanti alla vivida raffigurazione, ma non dice di aver visto ombra di libro. Comunque dopo Giotto le Marie leggenti non si contano più. Ne ho messe in fila, per mio comodo, centinaia, e non sarebbe male farne un catalogo, con diversificate serie per date, per regioni, per tipologie. È uno straordinario patrimonio artistico di immenso valore, che si addensa in città come Firenze, Roma, Siena, Pisa, ma che è disperso in tutto il nostro paese, in città e pievi nascoste, è spesso sconosciuto e frequentemente è oggetto di furti e indegni mercati. È segno di una penetrazione profonda e capillare della religione per tutta quanta la geografia dell’Italia e dell’Europa, ma è anche segno di qualcosa di più sottile, voglio dire di una risposta affettuosa e generosa dal basso alla diffusione del mito di Maria, di una strepitosa ricezione popolare, che diventa in qualche modo storia e oserei dire psicologia delle classi sociali subalterne. Sulla fortuna iconografica della Madonna ho già ricordato una cospicua bibliografia. Non si possono trascurare due grossi libri di due
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M. PASQUALE, Le antiche facciate, cit., pp. 22-45, tavv. 61, 64-65. M. PASQUALE, Ivi, p. 49 e fig. 68.
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donne, quello ottocentesco di Anna Jameson e quello del 1980 di Gertrud Schiller. Ma il lettore potrà anche aprire con frutto le pagine di internet Google libri e Pinterest, nelle quali dovrà muoversi tuttavia con circospezione. Di questa immensa storia sbirceremo solo alcuni aneddoti. Attingerò casualmente qualche narrazione a grandi e piccoli maestri, avvertendo che nella rappresentazione di Maria cum libro si distinguono due rivoli, uno in cui lei legge un libro aperto che poggia su un leggìo o in grembo, e uno in cui ha letto e tiene il libro chiuso in mano o lo ha lasciato così accanto a sé. Ho raccolto, senza pretesa di completezza e in ordine tentativamente cronologico, un numero cospicuo di testimonianze, di cui faccio seguire qui un sommario elenco. 55. Guido da Siena, Princeton University, The Art Museum, ca. 1280. ARASSE, p. 68, fig. 23. 56. Duccio di Buoninsegna, Annunciazione alla National Gallery di Londra, dalla predella della Maestà, 1308-1311. ROBB, p. 483, fig. 4; E. CARLI, Duccio, Fabbri, Milano 1964 (I maestri del colore, 16), p. V; Duccio. Alle origini della pittura senese, a cura di A. Bagnoli e altri, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2003, pp. 192194; ARASSE, p. 69, fig. 24 (tav. X). 57. Annunciazione Spinola 1309-1320 ca., Torino, Collezione privata. ARASSE, p. 76, fig. 31. 58. Jean Pucelle, francese ammiratore di Duccio, Petites Heures de Jeanne d’Évreux, 1325-1328, al Metropolitam Museum di New York (The Cloisters Collection, 54.1.2). BELLOSI, pp. 356-359; WALTHER-WOLF, p. 208. 59. Guido di Graziano, altro seguace di Duccio, che si vorrebbe datare. Duccio. Alle origini della pittura senese, op. cit., pp. 88-89. 60. Una cospicua e disseminata scuola di giotteschi: Maestro dei Domenicani in S. Domenico a Bolzano; Maestro delle Tavolette di Aix; Maestro della Madonna Strauss alla Galleria dell’Accademia di Firenze, ultimo ventennio del Trecento; Maestro della Madonna Cini a Barcellona, Museu d’Art de Catalunya.
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BELLOSI, pp. 103, 139, 151; A. VOLPE, Giotto e i Riminesi. Il gotico e l’antico nella pittura di primo Trecento, Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini - F. Motta, Rimini-Milano 2002, p. 45; ARASSE, p. 126, fig. 62. 61. Lippo e Tederigo Memmi (o Barna da Siena?) nella Collegiata di San Gimignano (1330 ca.). Iconografia evangelica a Siena, pp. 40-41, fig. 18; ARASSE, pp. 104, 106107, figg. 44-45. 62. Maestro di Colonia, ca. 1330. Madonna e Bambino, p. 14. 63. Simone Martini, Annunciazione degli Uffizi 1333 (con la collaborazione di Lippo Memmi). F. BOLOGNA, Simone Martini, Fabbri, Milano 1966 (I maestri del colore, 119), tav. XVI; Iconografia evangelica a Siena, p. 34, fig. 12; Bibliotheca Sanctorum, VIII (1967), col. 853; E. CASTELNUOVO, Pittori girovaghi nell’Avignone dei papi, in: Il romanzo della pittura, «La Repubblica», Suppl. al n. 233 del 26.10.1988, p. 53; ID., Simone Martini. L’Annunciazione, Silvana Editoriale - Il sole 24 ore, Cinisello Balsamo 2003; A. MONCIATTI, in C. FRUGONI, Lorenzetti, p. 92; ARASSE, pp. 78-79, fig. 33; Ambrogio Lorenzetti, p. 430, fig. 2 (tav. XI). 64. Simone Martini, Annunciazione di Anversa ante 1342. F. BOLOGNA, op. cit., tav. XIII; E. CASTELNUOVO, op. cit., p. 60. 65. Matteo di Giovanni, Asciano, Museo d’arte sacra, 1445-46. ARASSE, p. 39, fig. 10. 66. Matteo di Giovanni, Annunciazione del Museo Diocesano di Siena. Ambrogio Lorenzetti, p. 441, fig. 9; ARASSE, p. 110, fig. 47. 67. Annunciazione della Chiesa Matrice di Grottaglie (tav. XII). A. PRANDI, L’arte, cit., p. 277, fig. 315. 68. Francesco dell’Orcagna (?) in collezione privata. E. CARLI, Pittura pisana del Trecento, II: La seconda metà del secolo, Aldo Martello, Milano 1961, fig. 20. 69. Pietro Lorenzetti, Polittico Tarlati, Pieve di S. Maria di Arezzo, 1320. ROBB, p. 484, fig. 6; A. MONCIATTI, in FRUGONI, Lorenzetti, pp. 20-21; ARASSE, p. 77, fig. 32. 70. Pietro Lorenzetti, Annunciazione di Castiglione del Bosco, Cappella di San Michele, affresco, 1345. A. MONCIATTI, in FRUGONI, Lorenzetti, pp. 116-117. 30
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71. Pietro Lorenzetti, polittico di San Giusto, Siena, Pinacoteca Nazionale, 1335-1340. ARASSE, p. 85, fig. 36. 72. Francesco Traini, mosaico nel transetto del Duomo di Pisa, ca. 1340. BURRESI-CALECA, p. 87. 73. Breviario di Belleville alla Bibliothèque nationale de France, cod. Lat. 10483, ante 1343, f. 163v. ROBB, pp. 491, fig. 16; 494. 74. Ambrogio Lorenzetti, Pinacoteca Nazionale di Siena (1344) (tav. XIV). E. BORSOOK, Ambrogio Lorenzetti, tr. it. P. Bertolucci, Sadea-Sansoni, Firenze 1966, tavv. 63-66; Iconografia evangelica a Siena, pp. 41-43, fig. 19; FRUGONI, Lorenzetti, pp. 120, 197-199; ARASSE, pp. 66 ss.; figg. 22, 34, 35; A. CAFFIO, in Ambrogio Lorenzetti, pp. 346-348. 75. Ambrogio Lorenzetti, Annunciazione di Montesiepi, post 1340. FRUGONI, Lorenzetti, pp. 148-151. 76. Ambrogio Lorenzetti, Annunciazione di Massa Marittima. Ambrogio Lorenzetti, p. 455, fig. 7. 77. Seguace di Ambrogio Lorenzetti, nel Museo Civico di Siena (ca. 1340). Il Museo Civico nel Palazzo Pubblico di Siena, a cura di A. Cairola, Edizioni “La balzana”, Siena 1962, pp. 201 e tav. 31. 78. Ferrer Bassa, Affresco di Pedralbes (Spagna), Cappella di San Michele, 1345-46. ARASSE, p. 96, fig. 42. 79. Giuliano di Simone, dalla chiesa dell’Alba, ora nella Casa diocesana di Marliano (Lucca). M. BACCI, Immagini e forme di reificazione del sacro nella Toscana medievale, in Visibile parlare. Le arti nella Toscana medievale, a cura di M. Collareta, Edifir, Firenze 2013, p. 342: la Vergine ha in mano un libro aperto e punta il dito indice della sinistra su un punto della pagina. 80. Annunciata di Coreglia Antelminelli. M. BURRESI, Lupo di Francesco, in: Il secolo di Castruccio. Fonti e documenti di storia lucchese, a cura di C. Baracchini, M. Pacini Fazzi, Lucca 1983, pp. 169-171 (a p. 170 le didascalie delle foto dell’angelo e della Madonna sono invertite). Le Annunciate 80-83 in terra lucchese sono marmoree e appartengono ai tempi di Castruccio Castracani. 81. Annunciazione della chiesa parrocchiale di Barga Tiglio. 31
Dalla miseria di Nazareth all’opulenza del Rinascimento
M. BURRESI, Il gruppo dell’Annunciazione di Tiglio di Barga, ivi, pp. 174-175. 82. Annunciazione di artista lucchese nel Museo Nazionale di Villa Guinigi. M. BURRESI, ivi, pp. 176-178. 83. Annunciazioni di Cabasciana e Mirteto. M. BURRESI, La scultura tra la fine del XIV secolo e gli inizi del secolo successivo, ivi, pp. 188-189. 84. Agnolo Gaddi nella cattedrale di Prato, sec. XIV ex. ARASSE, p. 124, fig. 60. 85. Cristoforo di Bindoccio e Meo di Pero (?) nella scena dell’Annunciazione del trittico di Pienza. Iconografia evangelica a Siena, p. 19, fig. 5. 86. Giovanni da Milano, Annunciazione di Palazzo Venezia a Roma, 13501365. ROBB, p. 484, fig. 10; 489. 87. Foglio di corale, Bologna sec. XIV, a Venezia, Fondazione Giorgio Cini. Miniature italiane della Fondazione Giorgio Cini dal Medioevo al Rinascimento, schede di P. Toesca, presentazione di G. Fiocco, Neri Pozza, Vicenza 1968, p. 18, n. 9, tav. 9. 88. Giovanni da Milano, Annunciazione nel Museo Nazionale di Pisa. P. TOESCA, La pittura e la miniatura nella Lombardia. Dai più antichi monumenti alla metà del Quattrocento, nuova ed. a cura di E. Castelnuovo, Einaudi, Torino 1966, fig. 176. 89. Giovanni da Milano, Anconetta nella Galleria Nazionale di Roma. P. TOESCA, op. cit., fig. 177. 90. Giovanni da Milano, Annunciazione del Polittico del Museo Civico di Prato. Musei della Toscana. Il Museo Civico di Prato, Giunti, Firenze 1992, p. 3; A. e C. FRUGONI, Storia di un giorno in una città medievale, Laterza, Bari-Roma 1997, p. 157. 91. Giovannino e Salomone de’ Grassi, Annunciazione dell’Offiziolo Visconti di Modrone, Firenze, Bibl. Naz., B. R. 397, f. 104v. P. TOESCA, op. cit., fig. 263, pp. 143-145. 92. Giovanni da Rimini, Rimini, Sant’Agostino, sec. XIII ex. - XIV. Giovanni Baronzio e la pittura a Rimini nel Trecento, a cura di D. Ferrara, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2008, p. 18. 32
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93. Giovanni di Nicola a Pisa, Chiesa di San Martino, metà sec. XIV. E. CARLI, Pittura pisana del Trecento, II, cit., p. 40; BURRESI-CALECA, pp. 99 e 195. 94. Giovanni di Nicola, Annunciazione del Seminario di Pisa. E. CARLI, Pittura pisana del Trecento, II, cit., fig. 78: la Madonna ha chiuso il libro e lo tiene sotto il braccio destro. 95. Miniatore pisano dell’Antifonario F del Museo Nazionale di Pisa, f. 252 (metà sec. XIV). CARLI, pp. 122-123, n. 135; fig. 153. 96. Annunciazione dell’oratorio dei Disciplinati di Clusone. 97. Turino Vanni da Pisa (m. dopo il 1438) nel Museo Nazionale di Pisa. CARLI, p. 87, n. 89; tav. XXIII; ID., Pittura pisana del Trecento, II, cit., p. 67, tav. IX: libro aperto sul leggìo con segni senza senso. 98. Taddeo Gaddi, Annunciazione di Fiesole (metà sec. XIV). Musei della Toscana. Il Museo Bandini di Fiesole, Giunti, Firenze 1992, p. 5; Un erudito del Settecento, Angelo Maria Bandini, a cura di R. Pintaudi, Sicania, Messina 2002, fig. 8; ARASSE, p. 116, fig. 50. 99. Jacopo di Mino del Pellicciaio, Annunciazione di Fiesole (sec. XIV). Il Museo Bandini di Fiesole, cit., p. 7. 100. Affresco del sec. XIV sull’altare della SS. Annunziata a San Miniato, ex convento degli Agostiniani. 101. Tomaso da Modena, Modena, Museo Civico di Storia e d’Arte Medievale e Moderna. C. VOLPE, in Tomaso da Modena, Catalogo a cura di L. Menegazzi, Edizioni Canova, Treviso 1979, pp. 173-174. 102. Giovanni da Milano (1355-1360 ca.). CARLI, p. 55, n. 44; figg. 63-64. 103. Biagio di Goro Ghezzi nella chiesa di S. Michele a Paganico (1368). Iconografia evangelica a Siena, p. 42, fig. 20; ARASSE, pp. 94 e 103, figg. 40-41, 43. 104. Giovanni da Milano, Annunciazione del refettorio di S. Maria del Carmine a Pisa (ca. 1360). BURRESI-CALECA, pp. 110 e 262. 105. Giovanni di Pietro da Napoli (tardo Trecento). CARLI, pp. 64-65, n. 58; fig. 80; ID., Pittura pisana del Trecento, II, cit., fig. 65. 33
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106. Giovanni di Benedetto da Como, Libro d’ore per Bianca di Savoia, ms. Monaco, Staatsbibl., clm. 23215, ca. 1350-1378, f. 8v. ROBB, pp. 522, fig. 45; 524-525. 107. Lippo Vanni nella chiesa di S. Leonardo al Lago a Monteriggioni (1370). Iconografia evangelica a Siena, p. 44, fig. 22; ARASSE, p. 93, fig. 39. 108. Matteo di ser Cambio (1377), Annunciazione nel Registro della Matricola del Collegio della Mercanzia: Archivio di Stato di Perugia, Archivio storico del Collegio della Mercanzia, ms. 2. GARIBALDI-MANCINI, p. 403. 109. Altichiero, Padova, Oratorio di San Giorgio, 1379-1384. ARASSE, pp. 114-115, fig. 49. 110. Niccolò di Buonaccorso, Roma, Collezione Sterbini, ca. 1380. ARASSE, p. 109, fig. 46. 111. Liber viaticus di Giovanni di Neumarkt (ms. Praga, Národní Muzeum). ROBB, p. 491, fig. 12. 112. Ignoto di scuola avignonese (ora nella Collezione Sachs di New York). ROBB, p. 491, fig. 13. 113. Meister Bertram nella Kunsthalle di Hamburg. ROBB, p. 491, fig. 14. 114. Cecco di Pietro, Annunciata del Polittico di Agnano, ora presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa, fine sec. XIV. R. P. CIARDI - A. CALECA - M. BURRESI, Il polittico di Agnano. Cecco di Pietro e la pittura pisana del ’300, Pacini, Pisa 1986, pp. 10, 56-57, 9899, 106-107 (le parole che si vedono sulla pagina aperta sono scarabocchi senza senso); E. CARLI, Pittura pisana del Trecento, II, cit., fig. 164. 115. Annunciata del trittico già collezione Cosson di Firenze. Il polittico di Agnano, cit., pp. 78 e 81 (la scrittura nelle due pagine del libro aperto sulle ginocchia della Vergine non è decifrabile). 116. Seguace di Nino Pisano, Annunciata lignea, sec. XIV avanzato. CARLI, pp. 26-27, n. 19; tav. I. 117. Annunciata di Andrea di Nerio ad Arezzo, Museo Diocesano. P. REFICE, in: Petrarca e i Padri della Chiesa. Petrarca e Arezzo, a cura di R. Cardini e P. Viti, Pagliai Polistampa, Firenze 2004, pp. 133-134; ARASSE, p. 116, fig. 51. 118. Formella di un pulpito smembrato, opera di un anonimo scultore pisano seneseggiante della seconda metà del Trecento. CARLI, pp. 27-28, n. 20; fig. 26. 34
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119. Giovanni del Biondo, Lewinsburg (Pennsylvania), Bucknell Art Gallery, 1370 ca. ARASSE, p. 118, fig. 53. 120. Giovanni del Biondo, Spedale degli Innocenti a Firenze. ARASSE, p. 123, fig. 59; G. GIURA, in: Orbatello da asylum a biblioteca. Accoglienza, cultura, arte, Biblioteca Umanistica, Firenze 2012, pp. 17-18. Una grande riproduzione è esposta nella sezione di Storia dell’arte della Biblioteca Umanistica dell’Università di Firenze, in via della Pergola. 121. Giuliano da Maiano, Firenze, Duomo, Sacrestia. ‘per bellezza, per studio, per piacere’. Lorenzo il Magnifico e gli spazi dell’arte, a cura di F. Borsi, Cassa di Risparmio di Firenze, Firenze 1991, p. 242, tav. 99; ARASSE, p. 179, fig. 97. 122. Les Très Belles Heures de Notre-Dame, 1389, cod. Paris, Bibliothèque nationale de France, NAL 3093, f. 1 v. ROBB, p. 492, fig. 19 (allora proprietà dei Rothschild); wikiwand.com. 123. Getto di Iacopo (1391). CARLI, p. 86, n. 87; fig. 106. 124. Carlo da Camerino, Urbino, Galleria Nazionale, 1395-1400. ARASSE, p. 119, fig. 54. 125. Melchior Broederlam (1393-1399), Annunciazione nello sportello di sinistra dell’altare di Champmol, ora a Digione, Musée des Beaux-Arts. ROBB, pp. 492, fig. 23; 496: BELLOSI, p. 154, fig. 112. 126. Bernardo Daddi, Annunciazione del Louvre (tav. XXIII). Braccia incrociate dell’angelo e della Vergine. 127. Bernardo Daddi, Annunciazione degli Uffizi. Braccia incrociate dell’angelo e della Vergine. 128. Bernardo Daddi, Annunciazione con due angeli, Parigi, Louvre. C. FRUGONI, La voce delle immagini. Pillole iconografiche dal Medioevo, Einaudi, Torino 2010, pp. 9-10, figg. 7-8. 129. Bernardo Daddi, Madonna del Magnificat, Musei Vaticani. Una redazione simile è posseduta dal Paul Getty Museum. 130. Vanni di Baldolo, Bibl. Augusta di Perugia, ms. 973, sec. XIV. M. SUBBIONI, La miniatura perugina del Trecento, Guerra, Perugia 2003, p. 157. 131. Jacopo Landini del Casentino, Annunciazione del Museo Poldi Pezzoli di Milano, già Collezione Loeser a Firenze, sec. XIV (tav. XXIV). 35
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ROBB, p. 484, fig. 8; Catalogo della Fondazione Federico Zeri, Università di Bologna, on line. Battista da Vicenza, Madonna della Misericordia di Monte Berio. Annunciazione dell’Officium Beatae Mariae Virginis, cod. 77 della Bibl. Reale di Torino, sec. XIV ex.-XV in. P. TOESCA, op. cit., fig. 358 e pp. 175-176. Annunciazione del Maestro del Giovanni Battista nel cod. 47 del Museo Civico d’Arte Antica di Torino (1380/90 - 1420). WALTHER-WOLF, pp. 36-37; per la datazione v. p. 239. Mariotto di Nardo (1395), Pinacoteca Vaticana (tav. XXII). Riprod. Pinterest: Web Gallery of Art. Angelo con le braccia incrociate. Mariotto di Nardo, Firenze, Galleria dell’Accademia. Annunciazione delle Beaufort Hours (Londra, British Library, Royal Ms. 2 A XVIII, f. 23v), attribuita a Hermann Scheerre. WALTHER-WOLF, p. 257: sul libro aperto si legge la prima parola ecce. Fratelli di Limbourg nelle Belles Heures du Duc de Berry, al Metropolitan Museum di New York (The Cloisters Collection, 54.1.1, f. 30r), 1408-09. F. WINZER, Die Stundenbücher des Duc de Berry. Les Belles Heures. Les Très Riches Heures, Harenberg, Dortmund 1982 (Die Bibliophilen Taschenbücher, 289), pp. 14-15. Fratelli di Limbourg nelle Très Riches Heures du Duc de Berry, al Musée Condé di Chantilly, Ms. 65, f. 26r. ROBB, p. 497, fig. 24. Jacquemart de Hesdin, Libro d’ore del Duca di Berry a Bruxelles, Bibl. Royale, ms. 11060-61, f. 18r. ROBB, p. 492, fig. 22; 495. Maestro delle Heures du Maréchal de Boucicaut, a Parigi, Collezione Jacquemart-André, f. 53v. ROBB, p. 497, fig. 25. Id., Libro d’ore dell’Ordine dello Spirito Santo, nella Collezione Durrieu di Parigi. ROBB, p. 497, fig. 26. Corrado di Soest, altare della chiesa di Wildungen (1414). ROBB, pp. 497, fig. 27; 503. Scuola del Maestro coloniese Herman Wynrichs, altare Brenken nel
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Bode Museum (già Kaiser-Friedrich-Museum) di Berlino. ROBB, pp. 498, fig. 28; 503. Miniatura del cod. Arnstein nello Hauptstaatsarchiv di Wiesbaden (1410-1420). ROBB, pp. 502, fig. 32; 503. Lorenzo Monaco, Firenze, Galleria dell’Accademia, 1410-15. O. CALABRESE, in ARASSE, p. 9, fig. VII. Lorenzo Monaco, Firenze, Santa Trinita, 1422-23. ARASSE, pp. 129 e 133, figg. 64 e 67. Giovanni di Francesco Toscani, Annunciazione del polittico Ardinghelli, sec. XIV ex. - XV in. LAUREATI-MOCHI ONORI, pp. 276-277. Arcangelo di Cola, Annunciazione di Parcieux, Collezione Chalandon. LAUREATI-MOCHI ONORI, pp. 284-285. Jacopo della Quercia a San Gimignano (1421). Iconografia evangelica a Siena, p. 47, fig. 25; Jacopo della Quercia, presentazione di C. BRANDI, Rizzoli-Skira, Milano 2005, pp. 118-119. Jacopo della Quercia a Siena (1428-30). Jacopo della Quercia, cit., pp. 126-127. Hans Memling, Trittico di Merode, New York, Metropolitam Museum of Art, 1425. O. CALABRESE, in: ARASSE, p. 12, fig. XVI. Rilievo di Donatello in S. Croce a Firenze. Bibliotheca Sanctorum, VIII, coll. 891-892. Libro d’ore, Parigi 1422-25; cod. Wien 1855, f. 25r. SCHILLER, fig. 467. Gentile da Fabriano, Annunciazione (sede sconosciuta) (?) Forse di qui una riprod. ad uso turistico. Gentile da Fabriano, Annunciazione nella Pinacoteca Vaticana (14211425) (tav. XXVI). A. DE MARCHI, Gentile da Fabriano. Un viaggio nella pittura italiana alla fine del gotico, Motta, Milano 2006, fig. 67; G. CORNINI, in LAUREATI-MOCHI ONORI, pp. 266-267; Gentile da Fabriano, presentazione di E. Micheletti, Rizzoli-Skira, Milano 2005, pp. 26-27, 136-137, 158; A. DE MARCHI, Gentile la sua bottega, in Gentile da Fabriano. Studi e ricerche, a cura di A. De Marchi, L. Laureati, L. Mochi Onori, Electa, Milano 2006, p. 15, fig. 7; ARASSE, p. 120, fig. 56; L. STEINBERG, op. cit., p. 37, fig. 12; F. MARCELLI, Gentile da Fabriano, Silvana Editoriale, 37
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Cinisello Balsamo 2005, pp. 205, 210, 214-215. Gentile da Fabriano o bottega, Annunciazione (Londra, collezione privata, poi New York, Barbara Johnson Piasecka). L. STEINBERG, “How shall this be?” Reflexions on Filippo Lippi’s «Annunciation» in London, «artibus et historiae», XVI (1987), p. 31, fig. 6 (autografa); A. DE MARCHI, Un viaggio, p. 173; A. DE MARCHI, Gentile e la sua bottega, cit., p. 15, fig. 18. È quasi un doppio di 155. Gentile da Fabriano, Annunciazione, Chiesa della SS. Annunziata a Firenze, affresco. GHIDOLI, p. 44. Anonimo Fiorentino, Firenze, SS. Annunziata, sec. XV. ARASSE, p. 120, fig. 55: simile alle Annunciazioni di Gentile da Fabriano. Gentile da Fabriano, Annunciazione nelle cuspidi dell’Adorazione dei Magi agli Uffizi (1423). F. MARCELLI, op. cit., pp. 138-139; E. MICHELETTI, op. cit., pp. 124125; LAUREATI-MOCHI ONORI, fig. 34. Scuola di Gentile da Fabriano, muro in cima alle scale del chiostro di San Lorenzo a Firenze. Giovanni di Francesco, Firenze, Museo del Bargello. ARASSE, p. 240, fig. 139. Jacopo di Cione (?), Firenze, San Marco (controfacciata). ARASSE, p. 121, fig. 57. Cristoforo di Jacopo da Foligno, Annunciazione di Montefalco, Pinacoteca Comunale di San Francesco. A. DE MARCHI, Gentile la sua bottega, cit., p. 14, fig. 6. Altare del Maestro di Flémalle, ovvero Robert Campin, nella Collezione Mérode di Bruxelles (ca. 1425). ROBB, p. 498, fig. 29. Maestro di Flémalle, Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts, 1420. O. CALABRESE, in: ARASSE, p. 13, fig. XVIII. Paolo Uccello, Annunciazione di Oxford (1425 ca.). A. C. QUINTAVALLE, Le mostre, forma e contenuto, «Corriere della sera», La Lettura, 97 (29 sett. 2013), pp. 16-17; Da Donatello a Lippi. Officina pratese, a cura di A. De Marchi e C. Gnomi Maravelli, Giunti, Firenze 2013. Pisanello, Annunciazione di San Fermo a Verona (1424-26) con libro chiuso. F. MARCELLI, op. cit., p. 69.
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169. Olivuccio da Ciccarello a Recanati. C. AUGIAS - M. VANNINI, op. cit., fig. 2: la colomba punta diritto verso l’orecchio della Vergine. 170. Rilievo della Marienkapelle a Würzburg. C. AUGIAS - M. VANNINI, op. cit., fig. 3: la Vergine ha un libro aperto e punta un dito sulla pagina. 171. Giovanni di Marco, Pratovecchio, Santa Maria a Poppiena, 1430 ca. ARASSE, p. 130, fig. 65. 172. Francesco d’Antonio, Montgomery (Alabama), Montgomery Museum of Fine Arts, 1430 ca. ARASSE, p. 131, fig. 66. 173. Bicci di Lorenzo, Baltimora, The Walters Art Gallery, 1430. ARASSE, p. 136, fig. 69. 174. Bicci di Lorenzo, in collaborazione con Stefano di Antonio, pieve di S. Maria Assunta a Stia in Casentino (tav. XXVII). On-line s. v. Bicci di Lorenzo. 175. Beato Angelico, Madrid, Museo Nacional del Prado, 1425-26 ca. Beato Angelico, presentazione di L. Berti, Rizzoli-Skira, Milano 2004, pp. 19, 84-85, braccia incrociate dell’angelo e della Vergine; LAUREATI-MOCHI ONORI, p. 40 (tav. XXV). 176. Beato Angelico, Firenze, Museo di S. Marco, armadio delle reliquie, 1428 ca. L. BERTI, op. cit., pp. 96-97, braccia incrociate dell’angelo (sembra) e della Vergine. 177. Beato Angelico, Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Ms. Gerli 54, f. 8r, ante 1430. ARASSE, p. 35, fig. 7 (con errore di segnatura). 178. Beato Angelico, San Giovanni Valdarno, Museo di Santa Maria delle Grazie, 1432 ca. L. BERTI, op. cit., pp. 116-117; ARASSE, p. 151, fig. 77: braccia incrociate dell’angelo e della Vergine. 179. Beato Angelico, Museo Diocesano di Cortona, 1434-35 ca. Musei della Toscana. Il Museo Diocesano di Cortona, Giunti, Firenze 1992, p. 7; L’Universale. La grande enciclopedia tematica. Arte, Garzanti, Milano 2003, II, pp. 1354-55; L. BERTI, op. cit., pp. 56-57, 128129: libro aperto con segni senza senso, braccia incrociate; ARASSE, p. 145 e 147, figg. 74-75. 39
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180. Beato Angelico, Firenze, Convento di S. Marco, corridoio settentrionale, 1438-1446, o 1442-43. L. BERTI, op. cit., pp. 140-141; ARASSE, pp. 140-141, fig. 73; BEATO ANGELICO, Annunciazione, con un testo di Ph. Daverio, RCS MediaGroup, Milano 2015: braccia incrociate dell’angelo e della Vergine, senza libro. 181. Beato Angelico (con collaboratori), Museo di S. Marco a Firenze, armadio degli argenti della Santissima Annunziata, primo pannello, 144041 secondo Padoa Rizzo, 1450 ca.-1452 Berti. ARASSE, p. 47, fig. 16; PADOA RIZZO, pp. 54 e 56: braccia incrociate, senza libro. 182. Paolo Schiavo, Castiglione Olona, Collegiata, 1440 ca. ARASSE, p. 137, fig. 70. 183. Anonimo Spagnuolo, Madrid, Museo Cerralbo. O. CALABRESE, in: ARASSE, p. 13, fig. XIX. 184. Mariotto di Nardo, Trittico dell’Annunciazione nel Museo Civico di Pistoia, 1420 ca. ARASSE , p. 137, fig. 71. 185. Giovanni della Robbia nella chiesa di San Domenico a San Miniato. 186. Andrea della Robbia, terracotta invetriata nel santuario della Verna (tav. XIII). Occhio sul Casentino, a cura di U. Baldesi, P. F. Greci, E. Lisi, Firenze 1980, pp. 1 e 6 n. n. 187. Francesco di Domenico da Valdambrino, Annunciazione in legno policromo, sec. XV in. Musei della Toscana. Il Museo Civico di Volterra, Giunti, Firenze 1992, p. 7 (il libro stava nella sinistra della Vergine, ma ora è scomparso). 188. Masolino da Panicale, National Gallery di Washington, databile al 1423-24 o 1427-29. ARASSE, p. 29, fig. 2. 189. Masolino da Panicale (con Masaccio?), Roma, San Clemente, 1428 ca. ARASSE, p. 31, fig. 4; 32-33, figg. 5-6. 190. Anonimo Fiorentino, Oxford, Ashmolean Museum, 1420-1430. ARASSE, p. 138, fig. 72. 191. Jacopo Bellini, Brescia, Sant’Alessandro, 1430-35. ARASSE, p. 311, fig. 190. 40
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192. Dieric Bouts, Los Angles, Paul Getty Museum, 1450-55. O. CALABRESE, in: ARASSE, p. 11, fig. XIV. 193. Rogier van der Weyden al Louvre (1433-1435). ROBB, pp. 509, fig. 34; 508; Madonna e Bambino, p. 12; O. CALABRESE, in: ARASSE, p. 12, fig. XVII. 194. Rogier van der Weyden, Monaco, Alte Pinakothek, 1455. O. CALABRESE, in: ARASSE, p. 11, fig. XIII. 195. Jan van Eyck, Annunciazione di Gand nel Polittico dell’Agnello mistico, 1424-1432. ROBB, p. 502, fig. 33; Van Eyck, presentazione di R. Brignetti, Rizzoli-Skira, Milano 2004, pp. 44-45, 48-49, 66-67, 70-71. Il libro è aperto, ma la pagina non è leggibile. Le parole della risposta di Maria si muovono al contrario, da destra a sinistra. Maria incrocia le braccia. 196. Hubert von Eyck, Deesis, Gand, Polittico dell’Agnello mistico, 142432: Maria è intenta a leggere. Early Netherlandish Paintings, Rediscovery, reception and research, ed. by B. Ridderbos, A. Van Buren, H. Van Veen, Amsterdam University Press, Amsterdam 2005, p. 51; R. BRIGNETTI, op. cit., pp. 42, 69, 74-75. 197. Jan e Hubert van Eyck, Annunciazione della Collezione Reinhart a Winterthur (ca. 1440). 198. Hubert (?) van Eyck, Annunciazione della National Gallery of Art di Washington, 1433-35 ca. ROBB, p. 502, fig. 31; R. BRIGNETTI, op. cit., pp. 108-109: le parole di Maria al contrario, come a 95. 199. Jan van Eyck, Annunciazione di Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza, 1435 ca. R. BRIGNETTI, op. cit., pp. 114-115. 200. Hubert van Eyck (o Petrus Christus), Annunciazione al Metropolitan Museum di New York. 201. Jan van Eyck, New York, Museum of Modern Art. O. CALABRESE, in: ARASSE, p. 15, fig. XXV. 202. Lezionario padovano della Pierpont Morgan Library di New York, ms. M. 180, f. 26v. ROBB, pp. 521, fig. 40; 519; sito web della Morgan Library. 203. Barthélemy van Eyck, Annunciazione di Aix-en-Provence (ca. 1443). ROBB, pp. 510, fig. 39; 517; L.-H. LABANDE, Les primitifs français. 41
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204. 205.
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Peintres et peintres-verriers de la Provence Occidentale, Tacussel, Marseille 1932, p. 145 ss.; L. DEMONTS, Le maître de l’Annunciation d’Aix et Colantonio, «Revue de l’art ancien et moderne», LXVI (1934), p. 131 ss.; Enciclopedia del Medioevo, Garzanti, Milano 2007, p. 998; SRICCHIA SANTORO, p. 22. Giovanni di Paolo, Washington, National Gallery of Art, 1445 ca. ARASSE, p. 231, fig. 133. Maestro lombardo dell’inizio del sec. XV, Annunciazione della Fondazione Ca’ d’Oro. LAUREATI-MOCHI ONORI, pp. 76-77. Ignoto di scuola pisana del sec. XV. CARLI, pp. 88-89, n. 93; fig. 112. Breviario francescano, cod. 337 della Bibl. Univ. di Bologna (ca. 1446). P. TOESCA, op. cit., fig. 452 e pp. 216-217. Konrad Witz, sec. XV, Norimberga, Germanisches Nationalmuseum, 1440. H. HERRMANN, La vita di Maria, tr. it. M. Rosci, Morcelliana, Brescia 1955 (I ed.: Marienleben, Herder, Freiburg i. B. 1940), fig. 3; O. CALABRESE, in: ARASSE, p. 12, fig. XV. Domenico Veneziano, Cambridge, Fitzwilliam Museum, 1445 ca. ARASSE, pp. 44-45, fig. 15. Leonardo da Besozzo, Annunciazione, Napoli, San Giovanni a Carbonara, cappella di Sergianni Caracciolo. SRICCHIA SANTORO, p. 45. Jacomart (Jaume Baço), Annunciazione di Valenza, Museo de Bellas Artes. SRICCHIA SANTORO, p. 60; angelo con paramenti vescovili. Un’altra Annunciazione di Jacomart, pure a Valenza, manca di libro (ivi, p. 65). Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Foglio probabilmente di corale bolognese, sec. XV. Miniature italiane, cit., pp. 35-36, n. 56, tav. 56. Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Iniziale ornata lombarda, metà sec. XV. Miniature italiane, cit., p. 30, n. 43, tav. 43. Petrus Christus, Berlino, Gemäldegalerie, 1452. O. CALABRESE, in: ARASSE, p. 10, fig. XII. Petrus Christus, Bruges, Musée Groeninge, 1452. O. CALABRESE, in: ARASSE, p. 15, fig. XII.
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216. Benedetto Bonfigli, Annunciazione, Madrid, Collezione Thyssen-Bornemisza, ca 1450. M. R. SILVESTRELLI, in: GARIBALDI-MANCINI, pp. 172-173; ARASSE, p. 184, fig. 100. 217. Benedetto Bonfigli, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, 1450-53 ARASSE, p. 183, fig. 99. 218. Neri di Bicci, Firenze, Santa Trinita, 1453. ARASSE, p. 232, fig. 134. 219. Neri di Bicci, Firenze, S. Maria Novella, 1455. ARASSE, p. 232, fig. 135. 220. Neri di Bicci, Firenze, Galleria dell’Accademia, 1464. ARASSE, p. 233, fig. 136. 221. Anonimo della Biccherna senese del 1456. M. C. P[AOLUZZI], in: Le Biccherne di Siena. Arte e finanza all’alba dell’economia moderna, a cura di A. Tomei, Retablo-Bolis, Roma-Azzano San Paolo 2002, pp. 190-192. 222. Ignoto Fiorentino in Santo Spirito a Firenze (sec. XV). 223. Ignoto in Santa Maria Novella a Firenze, ca. 1400. ROBB, p. 484, fig. 9; ARASSE, p. 125, fig. 61. 224. Anonimo Pisano, Pisa, Museo Nazionale di S. Matteo. 225. Filippo Lippi (fra 1442 ca. e 1460 ca.), Annunciazione, London, National Gallery. U. BALDINI, Filippo Lippi, Fabbri, Milano 1964 (I maestri del colore, 61), tav. IX; ‘per bellezza, per studio, per piacere’, cit., p. 110, tav. 13; ARASSE, pp. 162-163, 167, figg. 84 e 86. 226. Filippo Lippi, Monaco, Alte Pinakothek, 1445 ca. ARASSE, p. 159, fig. 82. 227. Filippo Lippi, Roma, Galleria Doria Pamphili, 1445-50. O. CALABRESE, in: ARASSE, p. 10, fig. XI. 228. Filippo Lippi, Spoleto, Duomo, 1466-1469. ARASSE, p. 160, fig. 83. 229. Filippo Lippi, Annunciazione, Firenze, Basilica di San Lorenzo, 1442 ca. Le Muse, VI, 1966, p. 500; C. ACIDINI, La Primavera perfetta. Storia dei fiori a Firenze tra arte e scienza, Le Lettere, Firenze 2010, p. 74; D. ARASSE, Non si vede niente. Descrizioni, prefazione di C. Cieri Via, Artemide, Roma 2005 (I ed.: On n’y voit rien. Descriptions, Denoël, Paris 2000), p. 26; ARASSE, pp. 152-161, figg. 78-79; I. ZULIANI, La 43
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231. 232. 233. 234.
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239. 240.
241.
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via segreta e si va da Filippino Lippi, «Corriere fiorentino», 10 giugno 2016, pp. 18-19. Filippo Lippi, Annunciazione, Galleria Nazionale di Arte Antica a Roma, 1440. Le Muse, VI, 1966, p. 502; ARASSE, p. 158, fig. 81: il libro è aperto e lo scritto è forse leggibile. Filippo Lippi, Corsham Court, Methuen Collection, 1466 ca. ARASSE, p. 157, fig. 80. Alessio Baldovinetti, Firenze, Galleria degli Uffizi, 1457. ARASSE, p. 238, fig. 138. Vecchietta, Pienza, Museo Diocesano, 1462. ARASSE, p. 228, fig. 131. Niccolò di Liberatore, detto l’Alunno, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, 1466. V. GARIBALDI, in Dipinti, sculture e ceramiche della Galleria Nazionale dell’Umbria. Studi e restauri, a cura di C. Bon Valsassina e V. Garibaldi, Arnaud, Firenze 1994, pp. 228-229; ARASSE, p. 182, fig. 98. Cosmè Tura, Ferrara, Museo della Cattedrale, 1469. ARASSE, pp. 188, 189, 191, figg. 101, 102, 104. Guillaume Vrelant nel ms. 9270 della Bibl. Royale di Bruxelles, f. 2 (1461). ROBB, pp. 509, fig. 35; 513. Mariano d’Antonio (metà sec. XV), Annunciazione, Parigi, Musée Jacquemart-André. P. SCARPELLINI, in: GARIBALDI-MANCINI, pp. 170-171. Annunciazione entro il Polittico della Misericordia di Piero della Francesca a Sansepolcro (1445-1462). Musei della Toscana. Il Museo Civico di Sansepolcro, Giunti, Firenze 1992, pp. 4-5; Il romanzo della pittura. Masaccio e Piero, «Repubblica», suppl. al n. 239 del 2 novembre 1988, pp. 38-39. Piero della Francesca, Arezzo, San Francesco, 1455 ca. ARASSE, pp. 60-61. Piero della Francesca, Polittico di Sant’Antonio, nella Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia, 1450-1468. Piero della Francesca, presentazione di O. Del Buono, Rizzoli-Skira, Milano 2003, pp. 102-103; ARASSE, pp. 50-51, fig. 18. Libro d’ore di Luigi di Savoia, ms. della Bibliothèque nationale de France, Lat. 9473, f. 17r (metà sec. XV).
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242. 243. 244. 245. 246.
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V. LEROQUAIS, Les livres d’heures manuscrits de la Bibliotèque Nationale, I, Paris 1927, pp. 293 ss.; ROBB, pp. 510, fig. 37; 517. Spinello Aretino, Arezzo, Santissima Annunziata, facciata, 1370-1375. ARASSE, p. 117, fig. 52. Spinello Aretino, Arezzo, San Francesco, 1390-1400 ca. ROBB, p. 510, fig. 38; ARASSE, p. 58, fig. 20. Michele Pacher, Monaco, Alte Pinakothek, 1465-70. O. CALABRESE, in: ARASSE, p. 10, fig. X. Benvenuto di Giovanni (1466) nella chiesa di S. Girolamo a Volterra. Iconografia evangelica a Siena, p. 35, fig. 13. Maestro E S, Annunciata di Berlino, Kupferstichkabinett. M. COLLARETA, Antonello e il tema dell’Annunciazione, in: Antonello da Messina, l’opera completa, a cura di M. Lucco, con il coordinamento scientifico di G. C. F. Villa, Silvana Editoriale, Cinisello Balsano 2006, p. 72. Benedetto Caporali, Avignone, Musée du Petit-Palais, 1460-1465 ca. ARASSE, p. 172, fig. 92. Girolamo di Giovanni, Camerino, Pinacoteca Civica, 1461 ca. ARASSE, p. 207, fig. 114. Benvenuto di Giovanni, Volterra, Museo d’arte sacra, 1466. ARASSE, p. 224, fig. 128. Benvenuto di Giovanni nella chiesa di S. Bernardino a Sinalunga (1470). Iconografia evangelica a Siena, p. 46, fig. 24; ARASSE, p. 223, fig. 127. Benvenuto di Giovanni, Buonconvento, Museo d’arte sacra della Val d’Arbia, 1490-1495 ca. ARASSE, p. 222, fig. 126. Francesco Antonio del Chierico, Annunciazione come capolettera in un corale di S. Maria del Fiore, ora Biblioteca Medicea Laurenziana, ms. Edili 151, f. 1v. C. ACIDINI, La Primavera, cit., p. 29. Livre d’heures, Utrecht 1475-1500: Bruxelles, Bibliothèque Royale «Albert Ier», ms. IV. 542, f. 13v. La miniature hollandaise. Le grand siècle de l’enluminure du livre dans les Pays-Bas septentrionaux, Bibliothèque Royale Albert Ier, Bruxelles 1971, pp. 60-61, n. 48, tav. 23. Horae beatae Mariae Virginis, Napoli, Biblioteca Nazionale, ms. I. B. 26, f. 13r. 45
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Italiaanse miniaturen van de 10de tot de 16de eeuw, Catalogus door A. Daneu Lattanzi en M. Debae, Koninklijke Bibliotheek Albert I, Brussel 1969, p. 57, n. 64, tav. 22. Benozzo Gozzoli (sec. XV2), Annunciazione di Narni, Palazzo Comunale. PADOA RIZZO, p. 60. Benozzo Gozzoli (con collaboratori), Annunciazione di Certaldo, ex chiesa dei Santi Michele e Jacopo, Tabernacolo dei Giustiziati. Ivi, pp. 170-171. Benozzo Gozzoli, Annunciazione della Pinacoteca Vaticana, predella. Ivi, p. 64. Benozzo Gozzoli, Annunciazioni del Camposanto di Pisa. Ivi, pp. 186 e 188-189; ARASSE, p. 177, fig. 96. Benozzo Gozzoli (con collaboratori), Annunciazione di Castelfiorentino, Biblioteca Comunale. PADOA RIZZO, pp. 232-233. Francesco Del Cossa a Dresda, Staatliche Kunstsammlungen, Gemäldegalerie Alte Meister (1470-72). D. ARASSE, Non si vede niente, cit., pp. 20-31; ARASSE, pp. 212 e 215, figg. 119 e 120; M. COLLARETA, Antonello, cit., p. 71. Jacopo del Sellaio, San Giovanni Valdarno, Museo della Basilica, 1472. ARASSE, p. 242, fig. 141. Lorenzo di Credi agli Uffizi, 1480-1485. ARASSE, p. 171, fig. 91. Leonardo da Vinci agli Uffizi (1473-76). A. CECCHI, p. 21; Il romanzo della pittura. Michelangelo e i maestri del Cinquecento, «Repubblica», suppl. al n. 251 del 16 novembre 1988, pp. 74-75; C. ACIDINI, La Primavera, cit., pp. 118-119; ARASSE, pp. 272-273, fig. 163. Ora sostengono l’attribuzione dell’opera al Pollaiolo M. GIONTELLA e R. FUBINI, Sacra Rappresentazione, teatralità, allegoria politica. L’«Annunciazione» degli Uffizi attribuita a Leonardo e le ragioni per assegnarla ad Antonio del Pollaiolo (1481), «Atti e Memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria, LXXIX-LXXX (2014-2015 [ma 2016]), pp. 161-189. Leonardo da Vinci, Parigi, Louvre, 1478. O. CALABRESE, in ARASSE, p. 7, fig. III.
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265. Antonio e Piero del Pollaiolo, Berlino, Gemäldegalerie, 1470 ca. ‘per bellezza, per studio, per piacere’, cit., p. 118, fig. 33; ARASSE, p. 173, fig. 93. 266. Gherardo e Monte del Fora, Annunciazione nel messale Firenze, Museo Nazionale del Bargello, ms. 67, f. 5 (1474). P. SCARPELLINI, in: GARIBALDI-MANCINI, pp. 212-213. 267. Liberale da Verona (1473-79 ca.), Annunciazione in una iniziale miniata O del Graduale 5 nella Libreria Piccolomini del Duomo di Siena. Enciclopedia Biografica Universale, La Repubblica-L’Espresso, Roma 2007, XI, p. 487. 268. Francesco di Giorgio Martini e Neroccio de’ Landi, New Haven, Yale University Art Gallery, 1468-1475 ca. ARASSE, p. 226, fig. 129. 269. Francesco di Giorgio Martini, Annunciazione nella Pinacoteca Nazionale di Siena (1475). Le Muse, V, 1965, p. 102; ARASSE, p. 227, fig. 130. 270. Francesco Botticini, Annunciazione di Empoli (1480 ca.). Musei della Toscana. Il Museo della Collegiata di Empoli, Giunti, Firenze 1992, p. 11; ARASSE, p. 243, fig. 142. 271. Maestro dell’Annunciazione Gardner, Boston, Isabella Gardner Museum, 1480 ca. ARASSE, p. 220, fig. 125. 272. Annunciazione di San Martino alla Scala, ora agli Uffizi, 1481. CECCHI, pp. 174-175; Bo, pp. 108-109. 273. Bartolomeo di Giovanni, Firenze, Spedale degli Innocenti, 1488. O. CALABRESE, in: ARASSE, p. 9, fig. IX. 274. Sandro Botticelli, Annunciazione di Cestello, Firenze, Galleria degli Uffizi, 1488-89. Bo, pp. 142-143; ARASSE, pp. 270-271, figg. 161-162; CECCHI, pp. 252255. 275. Sandro Botticelli, Annunciazione del Museo Puškin di Mosca. CECCHI, p. 267. 276. Sandro Botticelli, Annunciazione della Glasgow Art Gallery, 1490 ca. Bo, pp. 144-145; ARASSE, p. 210, fig. 116. 277. Sandro Botticelli, Annunciazione di Glenn Falls (New York), The Hyde Collection Art Museum, 1490 ca. ARASSE, p. 210, fig. 117. 47
Dalla miseria di Nazareth all’opulenza del Rinascimento
278. Sandro Botticelli, Annunciazione del Metropolitan Museum di New York, 1490-93. Bo, pp. 146-147; ARASSE, p. 211, fig. 118. 279. Domenico Ghirlandaio, Santa Maria del Fiore, lunetta della porta della mandorla, 1491. ‘per bellezza, per studio, per piacere’, cit., p. 243, tav. 102; p. 327, tav. 11. 280. Domenico Ghirlandaio, Firenze, Santa Maria Novella, 1491. ARASSE, p. 206, fig. 113. 281. Luca Signorelli, Volterra, Pinacoteca, 1491. ARASSE, p. 170, fig. 90. 282. Michele Ciampanti (Maestro di Stratonice), Firenze, San Giovannino dei Cavalieri (tav. XXVIII). 283. Pintoricchio, Annunciazione dei Musei Vaticani, Sala dei misteri dell’appartamento Borgia. MANCINI, p. 138, fig. 86; ARASSE, p. 253, fig. 150. 284. Pintoricchio, Annunciazione di Spello in Santa Maria Maggiore (tavv. XV e XXI). Pintoricchio a Spello. La Cappella Baglioni in Santa Maria Maggiore, a cura di G. Benazzi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2000; P. SCARPELLINI - M. R. SILVESTRELLI, Pintoricchio, Motta, Milano 2004, p. 242; MANCINI, pp. 182, fig. 111; 188, fig. 116; 191, fig. 118; GARIBALDI-MANCINI, pp. 113, fig. 2; 411, fig. 16; ARASSE, pp. 254-257, figg. 151-152. 285. Pintoricchio, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, Pala di Santa Maria dei Fossi, 1495 (tavv. XXIX-XXX). MANCINI, sovraccoperta, pp. 165-167, figg. 101 e 102; GARIBALDIMANCINI, p. 148. 286. Giovanni Bellini, Annunciazione del polittico di san Vincenzo Ferrer, a Venezia, Santi Giovanni e Paolo. M. COLLARETA, Antonello, cit., p. 70. 287. Giovanni Bellini, Venezia, Gallerie dell’Accademia, 1500. ARASSE, p. 319, fig. 197. 288. Antonello da Messina, Annunciata di Palermo, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis (tav. XVI). Bibliotheca Sanctorum, VIII, col. 882; Antonello da Messina, presentazione di R. Causa, Rizzoli-Skira, Milano 2004, pp. 66-67 e 140-141; Madonna e Bambino, p. 9; SRICCHIA SANTORO, p. 209. 48
MICHELE FEO
289. Antonello da Messina, Annunciata di Monaco, Alte Pinakothek (tav. XVII) Antonello da Messina. Messina - Museo Regionale, 22 ottobre 1981 31 gennaio 1982, Catalogo a cura di A. Marabottini e F. Sricchia Santoro, De Luca, Roma 1981, pp. 148-149; Alte Pinakothek München, Bruckmann, München 1991, pp. 143-144; R. CAUSA, Antonello, cit., pp. 112-113; SRICCHIA SANTORO, p. 183. 290. Antonello da Messina, Annunciata di Siracusa, Galleria Regionale di Palazzo Bellomo. ROBB, pp. 521, fig. 41; R. CAUSA, Antonello, cit., pp. 116-117; ARASSE, p. 205, fig. 112; SRICCHIA SANTORO, pp. 185-187. 291. Antonello da Messina, Annunciata del polittico di San Gregorio; Messina, Museo Regionale (1473). F. CAMPAGNA CICALA, in Antonello da Messina 1981, cit., pp. 142-143, 147; SRICCHIA SANTORO, pp. 167, 170. 292. Antonello da Messina, Annunciata del polittico di San Nicola (copia di Antonio Giuffré); SRICCHIA SANTORO, p. 115. 293. Antonello da Messina, Vergine leggente di Venezia. R. GENNARO, in Antonello da Messina 1981, cit., pp. 84-85; SRICCHIA SANTORO, p. 89. 294. Antonello da Messina, Vergine leggente di Baltimora. R. GENNARO, in Antonello da Messina 1981, cit., pp. 98-99; R. CAUSA, Antonello, cit., p. 79; SRICCHIA SANTORO, p. 112. 295. Antonello da Messina, Vergine di Como. R. GENNARO, in Antonello da Messina 1981, cit., p. 83; R. CAUSA, Antonello, cit., p. 75; SRICCHIA SANTORO, p. 79. 296. Anonimo antonelliano, Annunciazione nel polittico della chiesa di San Martino a Randazzo. SRICCHIA SANTORO, p. 171. 297. Carlo Crivelli, Annunciazione del polittico di Massa Fermana, 1463. Tutta la pittura del Crivelli, a cura di A. Bovero, Rizzoli, Milano 1961, pp. 54-55, tav. 10. 298. Carlo Crivelli, Annunciazione di Francoforte, Städelsches Kunstinstitut. A. BOVERO, op. cit., p. 71, tavv. 82-83; G. PEROCCO, Carlo Crivelli, Fabbri, Milano 1964 (I maestri del colore, 32), tavv. VIII-IX. 299. Carlo Crivelli, Annunciazione di Londra, National Gallery, 1486 (tav. XIX). 49
Dalla miseria di Nazareth all’opulenza del Rinascimento
300. 301. 302.
303.
304. 305. 306.
307.
308. 309. 310.
311. 312.
50
G. PEROCCO, op. cit., tavv. X-XI; ARASSE, pp. 201 e 203, figg. 110 e 111; D. ARASSE, Non si vede niente, cit., p. 27. Gentile Bellini, Madrid, Collezione Thyssen-Bornemisza, 1465 ca. ARASSE, p. 316, fig. 194. Maestro dell’Annunciazione Ludlow (Lorenzo Marini da Cattaro). I tempi di Giorgione, a cura di R. Maschio, Gangemi, Roma 1994, fig. 129. Giovanni Amadeo, Annunciazione del Louvre (1480-82), proveniente dal Duomo di Cremona. F. FERRO, Giovanni A. Amadeo, Fabbri, Milano 1996 (I maestri della scultura, 26), tav. VI. Filippino Lippi a San Gimignano (1483-84). F. LIPPI, L’«Annunciazione» di San Gimignano, a cura di A. Cecchi, Giunti, Firenze-Milano 2015; ARASSE, pp. 194-195, figg. 105-106. Biagio di Antonio Tucci, Faenza, Pinacoteca, 1483. ARASSE, p. 170, fig. 88. Pietro Alemanno, Ascoli Piceno, Pinacoteca Civica, 1484. ARASSE, p. 200, fig. 109. Scuola di Sandro Botticelli, Hannover, Niedersächsisches Landesmuseum, 1495 ca. ARASSE, p. 197, fig. 108. Alunno di Benozzo, New York, Metropolitan Museum of Art, 14801500. ARASSE, p. 242, fig. 140. Carlo Braccesco, Parigi, Musée du Louvre, 1490-1495. ARASSE, p. 219, fig. 124. Cima da Conegliano, San Pietroburgo, Hermitage, 1495. ARASSE, p. 318, fig. 196. Fra Bartolomeo (Baccio della Porta), Firenze, Maddalena delle Caldine, 1515. ARASSE, p. 289, fig. 173. Fra Bartolomeo (Baccio della Porta), Firenze, Galleria degli Uffizi. ARASSE, p. 266, fig. 158. Albrecht Dürer, Die Verkündigung, ca. 1503, incisione. K. A. KNAPPE, Dürer. Incisioni, Opera completa, tr. it. R. De Ferrari, Vallardi, Milano 1964; Das Marienbild in Renaissance und Humanismus, [a cura di] M. Knofler e F. Wagner, BASF, Schwarzheide [2003], pp. 24-25 (sul leggìo multiplo di Maria stanno tre libri).
MICHELE FEO
313. Piero di Cosimo, Incarnazione 1505, agli Uffizi. CECCHI, pp. 312-313. Vasari dice di questo dipinto che la Vergine ha un libro in mano; ma deve aver confuso un ricordo o un’informazione. Un libro è caduto a terra, semiaperto, forse dalle mani della Vergine, ma le mani sono libere. Sulla fronte del basamento su cui la Vergine sta in piedi, è raffigurata una piccola Annunciazione: qui la Vergine potrebbe avere un libro nella sinistra, ma non si può affermare con certezza. 314. Lucas Cranach, Die Verkündigung, ca. 1513, incisione. Das Marienbild, cit., pp. 26-27 (libro aperto sulle ginocchia). 315. Benedetto Diana, Washington, National Gallery of Art, 1520-25. O. CALABRESE, in: ARASSE, p. 9, fig. VIII. 316. Il belliniano romagnolo Bartolomeo Coda, Annunciazione (1540) del polittico del Convento di S. Maria dei Servi a Valdragone nella Repubblica di San Marino. A. GIOVANARDI, ‘Belliniani in Romagna’. Benedetto e Bartolomeo Coda nell’arte sacra del primo Cinquecento, «L’Arco», VI, n. 1 (gennaio-aprile 2008), p. 32. 317. Id., Annunciazione (1541) di Cesena, Basilica del Monte. A. GIOVANARDI, ivi, p. 34. 318. Libro di preghiere di Lorenzo de’ Medici, miniato da Francesco Rosselli (Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 23639, f. 13v). WALTHER-WOLF, pp. 390-391. 319. Pietro Perugino, Annunciazione a Santa Maria Nuova di Fano (prob. 1489). V. GARIBALDI, Perugino, con la collaborazione di S. Innamorati, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2004, p. 108; ARASSE, p. 246, fig. 144. 320. Pietro Perugino, pala di Fano, Santa Maria Nuova, ca. 1497. ARASSE, p. 247, fig. 145. 321. Pietro Perugino, Annunciazione della collezione Ranieri a Perugia. V. GARIBALDI, Perugino, cit., p. 145. 322. Pietro Perugino, Annunciazione della pala di Durante di Giovanni Vianuzzi in Santa Maria Nuova di Fano, predella. V. GARIBALDI, Perugino, cit., p. 144. 323. Benedetto da Maiano, Napoli, Chiesa di Monteoliveto, Cappella Correale Terranova, pala marmorea. ‘per bellezza, per studio, per piacere’, cit., p. 410, tav. 14. 51
Dalla miseria di Nazareth all’opulenza del Rinascimento
324. Piero del Donzello, Firenze, Chiesa di S. Spirito, cappella Frescobaldi, ca. 1490. C. ACIDINI, La Primavera, cit., p. 78; ARASSE, p. 260, fig. 154. 325. Luca Signorelli a Volterra (1491). Musei della Toscana. Il Museo Civico di Volterra, Giunti, Firenze 1992, p. 9. 326. Annunciazione del cod. Princeton, University Library, 223, f. 9r (sec. XV2). S. MARTINELLI, Il libro di preghiere Arnolfini-Cenami (Princeton University Library, ms. 223). Un’inedita testimonianza di committenza lucchese nelle Fiandre, «LUK», Studi e attività della Fondazione Ragghianti, 19 (genn.-dic. 2013), pp. 84-85. 327. Annunciazione del cod. New York, Pierpont Morgan Library, M 673, f. 181r. Ibidem. 328. Annunciazione del Maestro di Anna di Bretagna (Très Petites Heures d’Anne de Bretagne, ca. 1498, a Paris, Bibliothèque nationale de France, cod. NAL 3120, f. 28r). WALTHER-WOLF, p. 410. 329. Bartolomeo della Gatta, Avignone, Musée du Petit-Palais, ca. 1500. ARASSE, p. 218, fig. 121. 330. Mariotto Albertinelli, Firenze, Galleria dell’Accademia, 1510. ARASSE, p. 288, fig. 172. 331. Mariotto Albertinelli, Milano, Museo Poldi-Pezzoli. ARASSE, p. 267, fig. 159. 332. Annunciazione del Libro d’ore di Ghislieri (London, British Library, Yates Thompson Ms. 29, realizzato a Bologna ca. 1500, f. 74v). WALTHER-WOLF, p. 41. 333. Vittore Carpaccio, Annunciazione della Ca’ d’oro (1504). Carpaccio, presentazione di M. Cancogni, Rizzoli-Skira, Milano 2004, pp. 132-133; ARASSE, p. 317, fig. 195. 334. Antonio Giuffré, Annunciazione nella cattedrale di Milazzo. SRICCHIA SANTORO, p. 335. 335. Marco Palmezzano, Forlì, Pinacoteca Civica, 1493-95. ARASSE, p. 245, fig. 143. 336. Raffaello, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana, 1502-03. ARASSE, p. 249, fig. 147. 52
MICHELE FEO
337. Marco Palmezzano nella chiesa di S. Maria dei Servi di Forlì (1511-12). Marco Palmezzano. Il Rinascimento nelle Romagne, a cura di A. Paolucci e altri, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, 2005. 338. Andrea del Sarto, Annunciazione, Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina (1512). C. ACIDINI, La Primavera, cit., p. 129; Pontormo e Rosso Fiorentino. Divergenti vie della “maniera”, a cura di C. Falciani e A. Natali, Mandragora, Firenze 2014, pp. 40-41; ARASSE, p. 275, fig. 164; v. qui, p. 301 339. Francesco Franciabigio, Torino, Galleria Sabauda, 1515 ca. ARASSE, p. 277, fig. 166. 340. Mathias Grünewald, altare di Isenheim, 1510-1515, Colmar, Museo di Unterlinden. O. CALABRESE, in: ARASSE, p. 14, fig. XXI. 341. Giovanni Antonio Sogliani, Firenze, Santa Maria degli Innocenti, 1517 ARASSE, p. 268, fig. 160. 342. Anonimo umbro del sec. XVI. Bibliotheca Sanctorum, VIII, col. 918. 343. Anonimo italiano del sec. XVI, pastorale in avorio di Pio V: Annunciazione con la Vergine inginocchiata davanti al leggìo con libro aperto (Museo Diocesano di Fano). M. CARMINATI, Meraviglie d’Italia salvate e restituite, «Il Sole - 24 ore», CLII, n. 125 (8 maggio 2016), pp. 36-37. 344. Pellegrino da San Daniele, Annunciazione nel Museo di Udine (1519). Le Muse, IX, 1967, p. 79. 345. Maestro dell’Annunciazione di Santa Rosalia, Torino, Galleria Sabauda, 1524. ARASSE, p. 170, fig. 89. 346. Fra Paolino, Vinci, Oratorio della SS. Annunziata, 1525-1530. ARASSE, p. 276, fig. 165. 347. Tiziano, Venezia, Scuola Grande di San Rocco, 1530 ca. Tiziano. Palazzo Ducale, Venezia. National Gallery of Art, Washington, Marsilio, Venezia 1990, pp. 213-217; ARASSE, pp. 322-323, fig. 199. 348. Tiziano, Venezia, Chiesa di San Salvador, 1567. Tiziano, cit., pp. 318-321; ARASSE, p. 326, fig. 202. 349. Simone da Firenze, attivo in Basilicata nella prima metà del sec. XVI, Polittico di Salandra. 53
Dalla miseria di Nazareth all’opulenza del Rinascimento
350. 351.
352.
353.
354. 355. 356. 357. 358.
359. 360. 361. 362.
54
Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri, a cura di A. Grelle Iusco, De Luca, Roma 1981, rist. 2001, pp. 187-189, tav. VIII; R. VILLANI, La pittura in Basilicata dal Manierismo all’Età Moderna, Consiglio Regionale della Basilicata, Potenza 2006, p. 33. Leonardo Grazia, Lucca, San Martino, 1530 ca. ARASSE, p. 304, fig. 185. Lorenzo Lotto, Museo Civico di Recanati, 1532. Lotto, presentazione di R. Pallucchini, Rizzoli-Skira, Milano 2004, pp. 72, 154-155; Madonna e Bambino, p. 12. Francesco Salviati nella Chiesa di San Francesco a Ripa (Roma, 1534 ca.). Il Cinquecento a Firenze. “Maniera moderna” e Controriforma. Firenze, Palazzo Strozzi, 21 settembre 2017 - 21 gennaio 2018, [mostra a cura di C. Falciani e A. Natali, redazione: M. Salucci], Mandragora, Firenze 2017, p. 10 n. n.: Maria presenta un rigonfiamento del ventre. Perino del Vaga (allievo di Raffaello), Annunciazione a penna e acquerello, Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe. ARASSE, p. 48. Girolamo del Pacchia, Oratorio di San Bernardino a Siena, sec. XVI. A. VENTURI, La Madonna, cit., pp. 192-193. Francesco Salviati, Roma, San Francesco a Ripa, 1533-34. ARASSE, p. 283, fig. 169. Girolamo Savoldo, Pordenone, Museo Civico, 1535 ca. ARASSE, p. 302, fig. 184. Pordenone, Murano, Santa Maria degli Angeli, 1537-38 ca. ARASSE, p. 328, fig. 203. Bonifacio de’ Pitati, Trittico dell’Annunciazione, Venezia, Gallerie dell’Accademia, ante 1540. ARASSE, pp. 308-309, figg. 188-189. Domenico Beccafumi, Sarteano (Siena), San Martino, 1546. ARASSE, p. 282, fig. 168. Michelangelo, New York, The Pierpont Morgan Library, IV.7. ARASSE, p. 285, fig. 170. Alessandro Allori, Firenze, Gallerie dell’Accademia, 1578-79. C. ACIDINI, La Primavera, cit., p. 140; ARASSE, p. 298, fig. 181. Alessandro Allori, Firenze, Galleria dell’Accademia, 1597. ARASSE, p. 299, fig. 182.
MICHELE FEO
363. Paris Bordon, Caen, Musée des Beaux-arts, 1550 ca. ARASSE, pp. 332-333, fig. 207. 364. Paolo Veronese, Firenze, Galleria degli Uffizi, 1555 ca. ARASSE, p. 335, fig. 209. 365. Paolo Veronese, Madrid, Collezione Thyssen-Bornemisza, 1570 ca. ARASSE, p. 341, fig. 213. 366. Paolo Veronese, Annunciazione delle Gallerie dell’Accademia a Venezia, 1578. A. PRANDI, in Enciclopedica Cattolica, I, cit., coll. 1393-94; ARASSE, pp. 338-339, fig. 211. 367. Paolo Veronese, Washington, National Gallery of Art, 1580 ca. ARASSE, p. 343, fig. 214. 368. Paolo Veronese, Escorial, San Lorenzo, 1583. ARASSE, p. 340, fig. 212. 369. Paolo Veronese, Austin, Jack S. Blanton Museum of Art, Texas University, 1585 ca. ARASSE, p. 347, fig. 218. 370. Cristofano Allori, Milano, Duomo, 1580. ARASSE, p. 122, fig. 58. 371. Tintoretto, Annunciazione della Scuola Grande di San Rocco a Venezia (1582-87). Tintoretto, presentazione di F. Pedrocco, Rizzoli-Skira, Milano 2004 (I classici dell’arte, 30), pp. 56-57, 154-155; ARASSE, pp. 348-349, fig. 218. 372. Tintoretto, Berlino, Gemäldegalerie, 1550. ARASSE, p. 335, fig. 208. 373. Domenico Beccafumi nella chiesa dei santi Martino e Vittoria a Sarteano (1546). Iconografia evangelica a Siena, p. 49, fig. 27; ARASSE, p. 282, fig. 168. 374. Ludovico Carracci, Bologna, Pinacoteca Nazionale, 1585 ca. ARASSE, p. 301, fig. 183. 375. Palma il Giovane, Pesaro, Sant’Agostino, 1595. ARASSE, p. 330, fig. 205. 376. Annunciazione di El Greco, fine ’500. Madonna e Bambino, p. 13. 377. Teodoro d’Errico (Dirk Hendricksz), Annunciazione di Montorio nei Frentani (sec. XVI ex.). 55
Dalla miseria di Nazareth all’opulenza del Rinascimento
378.
379. 380. 381. 382. 383. 384.
385.
386.
387.
388. 389.
56
G. PREVITALI, Teodoro d’Errico e la ‘Questione meridionale’, «Prospettiva», I, n. 3 (ottobre 1975), pp. 18-20, fig. 1; ARASSE, p. 297, fig. 180. Teodoro d’Errico in una delle quindici storiette che circondano la Madonna del Rosario di Saviano. G. PREVITALI, op. cit., pp. 19-20, figg. 3-4. Ludovico Cardi detto il Cigoli, Firenze, Convento dei Cappuccini di Montughi. Annunciazione di Francesco Curia al Museo di Capodimonte a Napoli. G. PREVITALI, op. cit., p. 19, fig. 2. Gerolamo Imparato nella Chiesa dell’Annunciata a Nola. G. PREVITALI, op. cit., p. 33, fig. 34. Federico Barocci, Perugia, Santa Maria degli Angeli. ARASSE, p. 295, fig. 178. Vincenzo Campi, Busseto, Oratorio di Santa Maria Annunziata. ARASSE, p. 296, fig. 179. Annunciazione di Giovanni Caccini sulla porta bronzea del duomo di Pisa (1603). L. TONGIORGI TOMASI, in: R. P. CIARDI - C. CASINI - L. TONGIORGI TOMASI, Scultura a Pisa tra Quattro e Seicento, Cassa di Risparmio, Pisa 1987, p. 299 e tav. 354. Hans Clemer, Maestro d’Elva, numerose annunciazioni. Hans Clemer, il Maestro d’Elva, a cura di G. Galante Garrone e E. Ragusa, Artistica Piemontese, Torino-Savigliano 2002, pp. 7, 10, 19, 89, 136-137, 176-177, 183, 250-251. Jacopo da Empoli nella Chiesa di Santa Trinita a Firenze, cappella Strozzi, 1603 o 1609. C. ACIDINI, La Primavera, cit., p. 142; Il Cinquecento a Firenze, op. cit., p. 46. Francisco de Zurbarán al Museo di Grenoble (1638 ca.). F. CAPPELLETTI, Zurbarán, Giunti, Firenze 2013 (artedossier, 303), p. 40. Francesco Curradi, chiesa di San Francesco a San Miniato, sec. XVII. Angelo Solimena (ca. 1660) nella Chiesa del Purgatorio a Gravina in Puglia. S. DE SIMONE, Gli Orsini di Solofra e la pittura a Gravina fra XVII e XVIII secolo, Adda, Bari 2005, p. 149, fig. 6.
MICHELE FEO
390. Bartolomé Esteban Murillo, Annunciazione del Prado 1655-1660. 391. Bartolomé Esteban Murillo, Annunciazione di Londra, Wallace Collection, 1160-1680. 392. J. Rogers, incisione su dipinto di Murillo in un libro inglese non identificato del 1830, presso chi scrive. 393. Aurelio Lomi, Annunciazione nella chiesa di S. Maria Maddalena a Genova (1603). R. P. CIARDI - M. C. GALASSI - P. CAROFANO, Aurelio Lomi. Maniera e innovazione, Cassa di Risparmio di Pisa, Pisa 1989, pp. 118 e 120. 394. Aurelio Lomi, Pisa, Cassa di Risparmio. R. P. CIARDI - R. CONTINI - G. PAPI, Pittura a Pisa tra Manierismo e Barocco, Cassa di Risparmio di Pisa, Pisa 1992, p. 71. 395. Baccio Lomi, Pisa, Ospedale di Santa Chiara. Ivi, p. 57. 396. Sordo da Pisa, Pisa, Chiesa di San Martino. Ivi, p. 68. 397. Ventura Salimbeni, Pisa, Chiesa di San Frediano. Ivi, p. 144. 398. Paolo Guidotti, Pisa, Palazzo Reale. Ivi, p. 116. 399. Andrea Boscoli, Chiesa di Santa Maria del Carmine. Ivi, p. 168. 400. Piero Confortini, Buti, Chiesa di San Francesco. Ivi, p. 183. 401. Giovanni Balducci, chiesa del Convento di Cancellara in Basilicata. R. VILLANI, La pittura in Basilicata, cit., pp. 93-95. 402. Pietro Antonio Ferri, Annunciazione di Albano. A. GRELLE, in: Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri, a cura di A. Grelle Iusco, De Luca, Roma 1981, rist. 2001, p. 117. 403. Pompeo Batoni, Vergine leggente, 1740, che non possiamo con certezza classificare fra le Annunciazioni. A. IMBELLONE, in Pompeo Batoni 1708-1787. L’Europa delle corti e il Grand Tour, a cura di L. Barroero, F. Mazzocca, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2008, pp. 230-231. 404. Santino devozionale senza luogo e data, ma verisimilmente di metà Novecento (in possesso di chi scrive).
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Dalla miseria di Nazareth all’opulenza del Rinascimento
Non so spiegare perché ogni tanto in questo percorso secolare appaiano Annunciazioni, in certo senso irregolari, senza libro. Tali sono, per esempio, quelle delle miniature del trecentesco Neri da Rimini.39 Ma voglio richiamare l’attenzione anche su aspetti giocosi della rappresentazione, su cui non possiamo indugiare: sono la presenza al centro della scena di lumache e cetrioli, lo spavento di un gatto all’atterraggio dell’angelo di Lotto (351), e la curiosissima distrazione di un angelo di Crivelli che incontra per strada un altro santo interessato alla dedicazione di una città e gli attacca un bottone (299; tav. XIX). Maria sta solitamente entro casa, una casa di famiglia nobile o almeno benestante. Lippo e Tederigo Memmi a San Gimignano si spingono a collocarla nella sua camera, provvista di letto con le cortine; e non resistono al gusto ‘comico’ di raffigurare in una stanzetta accanto la serva personale che interrompe la filatura per origliare, incuriosita dai discorsi che vengono dalla camera della giovane (61).40 A mia volta non so resistere alla tentazione di informare i miei lettori, anche se andiamo fuori tema, che da poco uno studioso francese ostile all’iconografia ha impegnato tre lustri a dimostrare che le architetture delle annunciazioni italiane, soprattutto quelle prospettiche, sono uno strumento per esprimere l’indicibile, ossia come sia potuto avvenire il mistero della penetrazione dell’infinito nella finitezza: problema per altro affrontato da antichi padri e risolto ben altrimenti – il raggio di luce che attraversa il vetro senza romperlo (Garzo41) e il verbum
39 Neri da Rimini. Il Trecento riminese tra pittura e scrittura, Electa, Milano 1995, pp. 161, 185. 40 Ma anche questo ha tutta l’aria di essere un motivo comune: in questo senso interpretano una figura retrostante Maria i curatori del catalogo Miniature italiane, cit., pp. 35-36 (212). 41 GARZO, Opere firmate, a cura di F. Mancini, Archivio Guido Izzi, Roma 1999, p. 169: «Stando colle porte chiuse, / in te Cristo si rinchiuse; / quando di te si dischiuse, / permansisti purissima. // Quasi como la vetrera, / quando i rai del sol la fèra, / oltra passa colla spera / ché tant’è splendidissima».
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che entra dall’orecchio (Zenone da Verona e Efrem Siro, sec. IV42), problema sul quale anche il Concilio di Trento ebbe a dire la sua. Ad ogni modo Maria è diventata una gran signora. È solo con la spiritualità di fine Cinquecento rinnovata dalla Controriforma che può tornare ad essere una donna del popolo. Nell’Annunciazione veneziana del Tintoretto (1582-87) (371) essa vive in una casa modesta di falegname, con muri cadenti e una sedia rustica sfondata. Alla sua sinistra si vedono il fuso e l’arcolaio, a ricordare i suoi lavori manuali di povera donna. Quando dal cielo piomba un robusto messo alato accompagnato da un esercito di angeli, spaventata Maria lascia cadere sul grembo il libro aperto che stava leggendo senza leggìo. Si può ipotizzare che Tintoretto abbia voluto polemizzare proprio con la fastosità delle abitazioni attribuite a Maria dai suoi colleghi di lavoro. Lo farebbe ritenere il confronto iconografico con la scena simile costruita dal Veronese qualche anno prima (1578) nell’Annunciazione delle Gallerie dell’Accademia (366), dove per esempio al posto della povera sedia si trova un nobile scranno. La scena si ripete ancora in una tavola di un immigrato in Italia, che ha molto lavorato in area meridionale, Teodoro d’Errico: l’Annunciazione di Montorio nei Frentani (ca. 1580) (377), che viene celebrata da studiosi locali ipereccitati come la più bella annunciazione del mondo. Ma forti sono a mio parere le somiglianze col Veronese e suppongo che di esso Teodoro sia un imitatore. Ci limitiamo a questi pochi esempi. Ma, come si diceva, le raffigurazioni sono sterminate. E, nonostante il decreto di estinzione della Chiesa, non accennano a finire. Direi anche che la forza di questa iconografia esce dai limiti della religione e sollecita artisti a usare l’antico modello per fantasie e ricerche di nuovi lidi. Voglio qui ricordare almeno due casi, quello dissacratorio di Carmelo Bene di Nostra Signora dei Turchi, dove la madonna otrantina di cui è devoto lo sgangherato eroe fuma e legge i fumetti di «Grand Hotel», e quello, molto più rispettoso,
42
L. STEINBERG, op. cit., pp. 25-44.
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di un artista vivente (Jürgen Brodwolf) apparso su una copertina della rivista laica «Il Grandevetro» (XLI, n. 231, primavera 2017): dove si vedono chiaramente un angelo che porta un annuncio venendo dall’alto, e una madonna che umilmente seduta a terra riceve il messaggio soteriologico affidato alla poesia e scritto su un libro aperto. L’attribuzione della lettura alla Madonna ottiene tal successo di pubblico, che deborda dall’iconografia dell’Annunciazione e investe altre sante donne. Per ora conosco solo qualcosa che accade nella saga della Maddalena. La Maddalena penitente nella grotta presso Marsiglia, dipinta da Tiziano,43 volge lo sguardo ispirato all’alto e ha davanti a sé un libro aperto, nel quale nulla è a noi dato leggere. Il tema è stato ripreso da Cristofano Allori, verisimilmente nei primi anni del Seicento, con una carica di erotismo in più: la santa, vestita ma scoperta dal busto in su, sta sdraiata per terra, dolcemente assorta, e regge con la sinistra un librone rilegato aperto, mentre il braccio destro fa da colonna fra il libro stesso e la testa.44 Non mi pare che l’iconografia sia giustificata da qualche racconto, fra i tanti che sono corsi.
COSA LEGGEVA MARIA? Ma cosa leggeva Maria di Nazareth? Poesie? Romanzi? Le storie dell’Antico Testamento? Normalmente la pagina del bel codice pergamenaceo che si apre davanti a lei volge a noi il dorso e non è dato poter sbirciare; e se righe o pagine intere si vedono, sono illeggibili. Nei Vangeli di Vyšehrad (41) e nel Salterio di Sant’Albano (42) la
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All’Hermitage di San Pietroburgo: C. AUGIAS - M. VANNINI, op. cit., fig. 14. Si trova nella Galleria Palatina di Firenze: v. J. KELEN, Offrande à Marie Madeleine, La table ronde, Paris 2001, copertina. È un po’ lo schema dell’os columnatum (il mento poggiato sulla mano, che risale alla figura plautina di Nevio imprigionato, e che ha avuto fortuna nel Medioevo). 44
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pagina è aperta, ma vuota. Ma è immetodico attribuire la scarsa leggibilità o la mancanza di testo a volontà di mistero. Come è immetodico affrontare ogni singolo caso, staccandolo dal flusso della tradizione cui appartiene e dalla connessa ideologia, come fosse una monade o una assoluta individualità artistica. È quanto meno strano che chi si è preoccupato di cercare i significati di tutti i minuti particolari della tradizione bizantina della filatura e delle sue giustificazioni nei testi, non abbia poi sentito analogo bisogno di capire perché e che cosa in prosieguo di tempo e con una fortuna assolutamente vittoriosa in tutta Europa la Madonna leggesse. Nel lungo disinteresse per il problema da parte degli storici dell’arte si segnalano fin dalla seconda metà dell’Ottocento i ben intenzionati, ma fallaci, tentativi di Anna M. Jameson, che attribuì la genesi del fenomeno a un presunto commento di san Bernardo (PL, CLXXXIII, col. 71).45 Nel 1936 David M. Robb si affaccia timidamente sulla questione del libro, ma la sorvola rapidamente e male: «a motive which was probably suggested by theological writings of the time».46 Gli scritti teologici possibili si riducono in una parca nota alle Meditaciones vitae Christi, opera che al momento in cui Robb scriveva andava fra gli scritti spuri di san Bonaventura, e che invece recenti indagini hanno restituito a un frate francescano che stando a San Gimignano scriveva a metà Trecento,47 quindi molto dopo l’apparizione del libro nell’An-
45 A.M. JAMESON, op. cit., p. 181; v. le ragionate controdeduzioni di O. PÄCHT, op. cit., pp. 63-64. 46 ROBB, pp. 482-485. Rinvia a Y. HIRN, op. cit., pp. 279-280. 47 IOHANNIS DE CAVLIBVS Meditaciones vite Christi, olim S. Bonauenturo attributae, cura et studio M. Stallings-Taney, Brepols, Turnholti 1997 (Corpus Christianorum, Cont. Med., CLIII). Non è stato trovato un corrispondente volgare soddisfacente per la forma latina del cognome. A Cauli e Calvoli preferirei il più prosaico Cavoli. Sul personaggio v. E. CASTALDI, Un francescano sangimignanese ispiratore del rinnovamento dell’arte del secolo XIV, «Miscellanea storica della Valdelsa», XXXV (1927), pp. 34-51, 109-119; e M. ARISIO, Giovanni de’ Cauli, in DBI, LV (2000), pp. 768-774.
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nunciazione (che Robb data con Cavallini al 1293). E se non bastasse, l’appiglio alle Meditaciones è tanto esile, quanto inesistente del tutto: giacché nei capp. III e IV, dedicati all’Annunciazione, alla sua messa in scena e ai suoi sensi, nulla di nulla l’autore dice di una lettura di libri all’arrivo dell’angelo nella domuncula, limitandosi a caratterizzare la giovinetta come «in sapiencia legis Dei erudicior» e «in carminibus Davidicis elegancior» (III 77-78).48 A sua volta William Melczer ancora nel 1980 cerca i motivi che portarono all’abbandono della tradizione (filatura) e li trova in una sorta di ristrettezza di quel tema al mondo della domestica quotidianità e quindi nella sua incapacità di accendere l’immaginazione devozionale.49 Sarei più crudo e vedrei volentieri un cammino parallelo dell’abbandono dell’umile lavoro manuale e della sempre maggiore ascesa sociale della madre di una Chiesa secolarizzata e compromessa con tutti i grandi della terra. Recentemente è stato ipotizzato essere il libro di Maria un libro d’ore o di preghiere.50 Ma il libro d’ore in mano a Maria sarebbe un anacronismo: poiché il libro di Maria compare nelle arti figurative, come vedremo subito, prima dell’invenzione del libro d’ore (secc. XII-XIII), Maria non leggeva un libro d’ore. (Leggerà un libro d’ore in un solo e tardo caso, che esigerà un’attenzione particolare). La complicata storia fu sbrogliata con cristallina chiarezza dal grande Otto Pächt (1902-1988) in un volume uscito nel 1960 presso
48 Sul problema delle Meditaciones è tornata E. SIMI VARANELLI, Le «Meditationes vitae nostri domini Jesu Christi» nell’arte del Duecento italiano, «Arte medievale», s. II, VI, n. 2 (1992), pp. 137-148. Essa data l’opera «intorno agli anni 1260» e la ritiene responsabile di tutta una nuova sensibilità popolare, che influenzerebbe l’iconografia sacra dei pittori che hanno operato prima di metà Trecento. Ma deve fare la sua operazione a prezzo di non tenere alcun conto delle acquisizioni filologiche. 49 MELCZER, p. 68. 50 REGOLI, pp. 248, 251, 259.
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il Warburg Institute di Londra.51 Ma incertezze ed equivoci permangono anche dopo quel sicuro punto di arrivo. Ad ogni modo il passaggio dal fuso al libro non è stato né immediato né meccanico: ci sono voluti almeno due secoli perché l’innovazione vincesse dappertutto. Esistono anche annunciazioni prive di fuso e prive di libro: saranno da collocare logicamente in mezzo, fra l’una e l’altra soluzione. Il che può significare che l’introduzione del libro non è nata propriamente da una guerra contro il fuso, bensì da una sorta di horror vacui. Se poi è lecito applicare alla diffusione di questi temi la legge delle aree laterali, che è stata scoperta come legge linguistica e che ha dimostrato di funzionare anche in altri campi storici, come la diffusione dei testi letterari,52 allora si deve ipotizzare che aree come la Puglia post-federiciana e angioina, che nel Trecento si attardano nella figurazione del fuso, si comportino come aree laterali rispetto al centro francese dell’innovazione. Intanto la domanda preliminare è: che cosa leggeva Maria? Si può sospettare che, come la Francesca di Dante, ossia la grande eroina dell’amore terreno, leggeva in filigrana la storia del suo destino, presa col suo Paolo dalle travolgenti epopee d’amore cortese,53 così Maria, la più grande eroina dell’amore celeste, dovesse specchiarsi per similitudine e per contrasto in una rivelazione sacra e profetica.
51
The St. Albans Psalter (Albani Psalter). 1. The full-page miniatures, by O. Pächt; 2. The initials, by C. R. Dodwell; 3. Preface and description of the manuscript, by F. Wormald, The Warburg Institute-University of London, London 1960 (Studies of the Warburg Institutte, ed. by Gertrud Bing, 25). 52 Alludo alle teorie spaziali di Matteo Giulio Bartoli, raccolte nei Saggi di linguistica spaziale, V. Bona, Torino 1945 e all’introduzione di G. PASQUALI alla Storia della tradizione e critica del testo, Le Monnier, Firenze 1934, 19522, pp. XVII-XVIII. 53 La prova che a Rimini nell’età di Dante si producessero codici contenenti romanzi cortesi in francese è stata recata da Augusto Campana con la scoperta del cod. miniato Vaticano Urb. Lat. 11: v. P. G. PASINI, Un codice malatestiano del Trecento, «Il ponte», Settimanale cattolico (Rimini), XVI, n. 21 (2 giu. 1991), p. 15, fig. 1 n. t.
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Addendum 1. Luce e ombra Ma c’è anche un’altra acuta spiegazione della parola obumbrabit (di cui a pp. 17-19). Essa fa forza sull’idea che la luce sia la prima forma corporea e quindi il principio stesso di vita. Su ciò esiste un trattatello di Roberto Grossatesta, De luce seu de inchoatione formarum, le cui intuizioni raccomandiamo all’attenzione dei fisici contemporanei (R. GROSSATESTA, Metafisica della luce, a cura di P. Rossi, Rusconi, Milano 1986, pp. 107-123). Ad esso collegherei volentieri una, credo, omelia di Onorio d’Autun sull’Annunciazione (dalla parte III del suo Speculum ecclesiae, in PL, CLXXII, coll. 901-908). Si chiede Onorio come si siano potuti conciliare in Maria il concepimento e la virginità. E trova un parallelo con il fuoco della fornace nella quale Nabucodonosor gettò i tre ebrei. Come per opera divina il fuoco bruciò quelli che stavano fuori della fornace, e non toccò nemmeno un capello a quelli che stavano dentro la fornace, così lo Spirito Santo illuminò internamente la Vergine e la adombrò esternamente. Con le sue parole: «Sic Spiritus Sanctus beatam Virginem suo igne interius illuminans fecundavit, exterius ab omni concupiscentia obumbravit». Cioè, lo Spirito Santo gettò dentro di lei la luce creatrice e così la fecondò, e all’esterno cancellò, oscurò con la tenebra, ogni elemento carnale e purificò il corpo da concupiscenza e, s’intende, da qualsiasi materiale violazione. Pare di dover pensare che questo Dio Padre sia padrone della luce e delle tenebre, come due realtà distinte e, immaginiamo, opposte.
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III
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1. DALLA FRANCIA CAROLINGIA ALL’ITALIA TARDO-GOTICA Se la Madonna legge nelle rappresentazioni figurative fin dal IX secolo (e non, come ancora si afferma, fra Due e Trecento), il primo artista che – fino a prova contraria – ci riveli il contenuto della lettura è, qualcosa come tre secoli più tardi, l’Anonimo di un capitello di Lione (43; tav. VII). La Vergine tiene il libro aperto nella sinistra e lo volge allo spettatore, come fossero, osserva Maria Fancelli, tavole della legge. Le due pagine sono equamente ripartite in quattro caselle, e in ognuna di esse è inscritta una lettera capitale, sovrastata da titulus; [ma vedi l’Addendum 2 a p. 74]: – E – V
– C – E
Nella loro essenzialità queste lettere hanno qualcosa di misterioso, che è tipico dei nomina sacra. Aggiungo, sollecitato dall’osservazione della Fancelli, che le due colonne verticali e le due strisce orizzontali formano un quadrato che incorpora quattro quadrati minori, e che il quadrato potrebbe evocare i sensi mistici della divina quaternità (le quattro età del mondo, i quattro fiumi dell’Eden, i quattro evangelisti,
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i quattro elementi, i quattro sensi della Scrittura, ecc.).1 Il ritmo quaternario delle cose non è solo un ordine geometrico, fisso, della realtà, ma un segno del suo architettonico dinamismo finalistico. Sulla quaternità si può avanzare qualche dubbio; ma dubbio non c’è sulla interpretazione delle quattro parole compendiate. Ce lo dice la posteriore evoluzione del motivo figurale. Sono le iniziali delle prime parole del versetto VII 14 di Isaia: E(cce) V(irgo) C(oncipiet) E(t).
Per poter leggere con maggiore pienezza il passo, cruciale per la storia del cristianesimo, bisognerà aspettare il senese Duccio e la sua Maestà iniziata nel 1308 e portata a compimento nel 1311. Nella oceanica pala che racconta tutta l’epica del Nuovo Testamento Duccio ha rappresentato l’Annunciazione nell’ultimo riquadro a sinistra della predella (ora alla National Gallery di Londra) (56; tav. X). Maria, colta di sorpresa, abbassa la mano sinistra che stringe un libro aperto verso lo spettatore, con la seguente scrittura, stesa su due colonne in minuscola gotica, si direbbe ‘notulare’: ecce uirgo conct et pa
et filiu ⦢ uoc abitur
Le lettere mancanti, qui integrate con le uncinate, sono coperte dalle dita di Maria. Trascriviamo queste righe in testo continuo, sciogliendo i compendi e introducendo la punteggiatura:
1
S. GIET, La divine quaternité de Raoul Glaber, «Revue du moyen age latin», V (1949), pp. 238-241; J. FRANCE, The divine quaternity of Rodulfus Glaber, «Studia monastica», XVIII (1975), pp. 283-294; P. E. DUTTON, Raoul Glaber’s ‘De divina quaternitate’, «Mediaeval studies», XLII (1980), pp. 439 ss.; RODOLFO IL GLABRO, Cronache dell’anno Mille, a cura di G. Cavallo e G. Orlandi, Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori, Milano 1989, p. 297, note 11-12; inoltre un mio lavoro in corso sull’autobiografia di Opizzino de Canistris.
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Ecce virgo conct et paet filium, et vocabitur…
È appunto la profezia di Isaia VII 14, che continua: nomen eius Hemanuel. Lo stesso testo riappare poco dopo, sufficientemente leggibile, in maiuscole nel libro che Maria regge in grembo nell’Annunciazione fiorentina del Maestro Strauss (60): ECCE VIRGO CO NCI PIET
ET PAR IET FILI VM ⦢ VOCA
E ancora in lettere maiuscole nel libro poggiato sulle ginocchia di Maria nell’Annunciazione in terracotta invetriata di Andrea della Robbia nel santuario della Verna: (185; tav. XIII): ECCIE · VIRGO CONCIPIẸ T · ET PARIẸ FILIVM Ẹ VOCAB TVR · NO MEN · EIV
La Vergine dell’Annunciazione di Simone Martini del 1333 (63; tav. XI) tiene nella sinistra il libro semichiuso, mentre con tutto il corpo si ritira spaventata dall’annuncio e porta la destra al petto con gesto autoprotettivo. Ma dietro la mano che con il pollice incastrato fra le pagine tiene ancora il segno del testo che stava leggendo, si intravedono le ultime lettere in verticale della colonna di scrittura. Sulla prima riga: [p]ariet; sulla seconda nom. Le altre lettere sembrano non aver senso. Ma le prime due leggibili rimandano inequivocabilmente alla profezia di Isaia: Ecce virgo concipiet et pariet 67
Le profezie e il destino
filium et vocabitur nomen eius…: passo che del resto si legge in uno dei tondi che nel trittico sovrastano l’Annunciazione, quello col profeta Isaia.2 Lo stesso testo, purtroppo mal leggibile, sembra indovinarsi sulla pagina di destra del libro aperto sul grembo della Vergine annunciata nella chiesa di S. Martino a Pisa, opera di Giovanni di Nicola, un pittore attivo a metà Trecento (93). Lo stesso, scritto distesamente, si legge sul libro aperto davanti all’Annunziata di Giovanni del Biondo (1372-1376 o 1385), allo Spedale degli Innocenti a Firenze (120): Ecce ui rgo co ncipi et ⦢ pa riet fi lium
et uo cabi tur n ome eius Ema.
È certamente ed esattamente questo il testo che si legge nelle Très Belles Heures de Notre-Dame (122), libro allestito nel 1389 per il duca Giovanni I di Berry, solo un po’ diversamente incolonnato: Ecce uirgo cocipi et ⦢ ϼ iet fi
liu et uocab’ tur no men ei9 emanuel
E un Ecce virgo sembra intravedersi nel libro dell’Annunciazione di Anonimo fiorentino, ca. 1400, a Firenze, in Santa Maria Novella
2
Le scritte sono leggibili nell’aureo volumetto di E. CASTELNUOVO, Simone Martini, L’Annunciazione, cit., pp. 37 e 20. Non sono lettere decifrabile quelle invece dell’Annunciazione di Anversa (64).
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(223); e così pure nella pagina di destra del libro aperto sulle ginocchia della Vergine di Ambrogio Lorenzetti del 1344 (74; tav. XIV)3. Ancora lo stesso testo con qualche piccola dilatazione del brano testamentario nell’Annunciazione di Masolino da Panicale alla National Gallery di Washington databile al 1423-24 o 1427-29 (188). Il libro è aperto e la mano sinistra della Vergine copre parzialmente la scrittura corsiva, che si distende su due pagine: Virgo 9ci[ci]
iet ⦢ pt fi
u
emanuel butirum ⦢ mel come det u siat prova
E così nella pur tanto autonoma Annunciazione dell’ibero-napoletano Jacomart (nomignolo di Jaume Baço), che esibisce i testi oramai tradizionali in una gotica bastarda, lontanissima dalla ariosità conquistata dalla minuscola umanistica italiana (211): Ysıe viss [o vii?] Propt hc dabit Dns ipe vob sig Ecce vgo Cōcipiet et
pariet filiu et vocabr nn ei9 Hemnuel butir et mel com
Sciolte le numerose abbreviazioni, si legga: Ysaie visio [o VII?]. Propter hoc dabit Dominus ipse vobis signum. Ecce virgo concipiet et pariet filium et vocabitur nomen eius Hemanuel. Butirum et mel comedet… Un velato erotismo controriformistico si effonde nella scena raffigurata da Jacopo da Empoli ai primi del Seicento (386), nella chiesa
3
Sulla pagina di sinistra sembra invece leggersi In principio, che è un modo di dichiarare che il libro è la Bibbia.
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Le profezie e il destino
di Santa Trinita a Firenze: dalle labbra semiaperte di Maria alla più che devozionale dolcezza dell’angelo, per non dire delle inopportune rose sparse sul pavimento; la casa è ancora quella povera del Tintoretto, con il cesto della biancheria da lavare e una sedia ruvida, ma Maria indossa una bella veste rossa e un magnifico scialle, ambedue di stoffe preziose, porta al collo un monile e ha già l’aureola di santità sul capo. Il monile per lunga tradizione è ornamento delle maritate e, secondo l’etimologia di Uguccione da Pisa,4 segno di castità e serve a proteggere il petto della donna da mani indiscrete. Dal libro aperto e posato su un tavolo una pagina si solleva e rivela ancora una volta la nota profezia: ECCE VIRGO CONCIPIET ET PARIET FILIVM.
La profezia di Isaia è, secondo, la tradizione esegetica cristiana, a cominciare dal Vangelo di Luca (I 31), anello di collegamento fra le attese dell’Antico Testamento e il compimento del Nuovo. Essa accompagna spessissimo l’Annunciazione nelle arti figurative, anche se non è scritta nei libri. Nell’Annunciazione di Cortona del Beato Angelico (179) un tondo con l’immagine di Isaia sovrasta la colonna che s’interpone fra l’angelo e Maria. Su una rilegatura cinquecentesca sono organizzate varie icone bibliche: una di esse rappresenta il profeta Isaia con la didascalia Ecce virgo concipiet et pariet, e un’altra mostra la Vergine col Bambino e le stesse parole in ebraico.5
4
Derivationes, ed. E. Cecchini et alii, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2004, s. v. M 146, 85. 5 M. FEO, Un Livio postillato durante la Rivoluzione Francese, in: Talking to the text: marginalia from papyri to print. Proceedings of a conference held at Erice, 26 september - 3 october 1998, as the 12th Course of International School for the Study of Written Records, ed. by V. Fera, G. Ferraù, S. Rizzo, Centro interdipartimentale di Studi Umanistici, Messina 2002 [ma 2003], II, p. 944, nota (il libro è mia proprietà).
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Va da sé che molte altre pagine potranno leggersi, potendo usufruire di migliori riproduzioni o, preferibilmente, di autopsie. La più bassa attestazione del tema a me nota è datata 1613, e appartiene a una Annunciazione di Giovanni Balducci, nella chiesa del Convento di Cancellara in Basilicata (401): ECCE VIRGO CONCIPIET E PARIET.
Dunque la pagina dove Maria non lesse avante è quella delle scritture che profetizzano il suo destino. Maria vi legge in trasparenza la propria biografia mistica: biografia ab aeterno scritta dalla Provvidenza nel libro dei destini dell’umanità e ora in procinto di attuarsi e manifestarsi nella carnalità della storia, biografia di gloria e di dolore.6 Non si può escludere, anzi è fortemente probabile, che il motivo primo che ha spinto a mettere davanti a Maria un libro sia stato quello di rappresentare per immagini visibili un ragionamento e una verità invisibile, secondo la concezione della rappresentazione artistica universalmente accettata nel mondo cristiano medievale:7 ossia la presenza del libro non aveva all’inizio valore realistico, non rappresentava un fatto realmente avvenuto, non voleva dire che Maria leggeva o aveva letto, che era dotta e preparata nelle Sacre Scritture, ma voleva simbolicamente indicare che Maria incarnava l’alleanza fra Antico e Nuovo Testamento, che in quel momento si dava compimento, attraverso di lei, alle profezie affidate alle scritture sacre, che finalmente
6
Nella fiction televisiva Maria di Nazaret, regia di Giacomo Campiotti, trasmessa da RAI1 il 1° apr. 2011, all’obiezione del padre Gioacchino che mai vergine ha partorito, Maria risponde appellandosi alla profezia di Isaia. 7 R. ASSUNTO, La critica d’arte nel pensiero medievale, Il Saggiatore, Milano 1961.
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la verità profetica affidata al libro si inverava. Il libro, non solo quello sacro della cultura ebraico-cristiana, è stato per secoli, e – nonostante tutto – forse lo è ancora nel nostro mondo allargato verso le soglie dell’universo, ma sconcertato, è stato il testimone e il depositario della ‘verità’ contro la corruzione del tempo umano. Si apre il libro con l’ansia di trovarvi la risposta giusta. La regola è… prendete la grammatica, aprite il Calepino. La tua sorte è… sfoglia a caso Virgilio. È scritto nel libro della memoria. Agli uomini tutto era stato profetizzato fin dall’inizio. Ma la parola era sigillata. Ora con Maria il libro serrato dalla genesi si apriva verso l’evangelo. C’è a Pisa una Annunciazione periferica, lignea, opera di un seguace di Nino Pisano (116), che ha una sua eccezionalità. Vedremo, andando avanti, come la reazione iniziale della Vergine alle parole dell’angelo sia stata di perplessità e timore. Ebbene l’anonimo pisano ha raffigurato una Maria che tiene il libro aperto nella sinistra e lo indica col dito indice: finalmente lei stessa, grazie alla sua dottrina, può ilico et immediate confermare pacificamente che l’annuncio dell’angelo trova riscontro nei sacri testi. È per lo meno mirabile che, in secoli nei quali l’istruzione era relegata a cerchie molto ristrette della società, la Madre di tutti sia stata pensata e venerata come detentrice di sapere e come strettamente legata a un libro. Qualcuno poté arrivare a figurarsi Maria come «il libro animato del Cristo»,8 così come Dante potè immaginarsi Dio stesso come un libro sigillato. Non si insisterà mai troppo sul valore universale del libro nella civiltà antica e medievale e sul suo identificarsi con la civiltà stessa. Se questa origine teologico-simbolica del tema figurativo mariano è probabile, certo è che col tempo e con l’uso la presenza e la lettura del libro si sono evolute in dati cronachistici o favolistici, in un episodio novellistico, che poi la Chiesa ha riassorbito e cancellato dalla sua iconologia e dai suoi racconti. Non ce n’è traccia nella vita di Gesù
8
72
ARASSE, pp. 72 e 356-357.
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(scientifica) di Giuseppe Ricciotti né nel libro (pastorale) dedicato da papa Ratzinger all’infanzia di Gesù.9 Ma anche il destino stesso del libro laico come archivio dello spirito dell’uomo è diventato problematico nella nostra era che vorrebbe essere post-umanistica.
9
J. RATZINGER BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, tr. it. I. Stampa, RizzoliLibreria Editrice Vaticana, Milano-Città del Vaticano 2012.
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Le mie nuove e tanto desiderate ricerche fiorentine
Addendum 2. Il capitello di Lione Non è certo che il libro aperto nel capitello di Lione (di cui a pp. 65-66) dimostri lettura da parte di Maria. È possibile infatti interpretare la scena come semplice dichiarazione di identità. Lo lascia supporre un altro capitello della stessa serie (J. BIROT, op. cit., p. 529 e tav. a fronte di p. 532), in cui Gesù, seduto fra i quattro simboli degli evangelisti, benedice con la destra, e con la sinistra regge un libro aperto, come quello di Maria quadripartito e come quello recante quattro lettere capitali: – E – S
– L – M
che significano E(go) s(um) l(ux) m(undi) e sono citazione di Ioh., VIII 12.
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IV
Le profezie e il destino
2. IL PINTORICCHIO E I BORGIA Dunque, se secondo una tradizione l’educazione di Maria consiste nell’apprendimento dei lavori domestici femminili, secondo un’altra è invece un processo di formazione scolastica che a tratti prende l’aspetto di una vita di collegio per nobili fanciulle.1 Più spesso è la madre Anna o i due genitori a insegnare a leggere alla bambina. Dolcissime sono le scene familiari di Bernhard Strigel (Norimberga 1501)2 col padre che gira la pagina e indica il passo, e ancor più intensa quella di Murillo con Anna seduta che regge il libro aperto sulle ginocchia e la piccola in piedi col dito indice sul rigo.3 E ancora Tiepolo, Pellegrini, La Tour. È comunque una tradizione tarda (sembra iniziare nel sec. XIV). In questi dipinti normalmente non si dice cosa esattamente Maria legga. Lo dice invece Lluís Borrassà, in una tavola d’altare di fine sec. XIV a Vilafranca del Penedès (tav. XX): Maria sta al leggìo come una brava scolaretta che fa i compiti e dietro di lei la madre padrona con gesto imperioso le addita un passo tremendo:
1 2 3
SCHILLER, fig. 558. SCHILLER, fig. 560. SCHILLER, fig. 561.
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Audi fi lia ⦢ uide ⦢ inclina aure tu
a·quia 9cupuit rex spm tuam.
Un avvertimento e una minaccia capace di terrorizzare qualsiasi ragazza, nonché la santa vergine. Il passo è somma di due versetti dei Salmi, XLIV 10 e 11: «Audi, filia, et vide et inclina aurem tuam… Et concupiscet rex decorem tuum». E la madre sembra più una signora decisa a procacciare un buon partito per la figlia che la pia sant’Anna. Su Maria che legge le profezie portò un contributo in Italia nel 1501 Bernardino da Perugia, un pittore ‘provinciale’, ma grande a dispetto del nomignolo Pintoricchio. Lo portò con una Annunciazione conservata nell’umbra Spello (284; tav. XXI)4. Il libro lussuoso è aperto, e Maria vi poggia sopra la mano, mentre una candida colomba portata sulle nuvole scende verso di lei. Il testo, in maiuscole, occupa le due pagine aperte e nessuna lettera è occultata dalle dita della Vergine: Ecce uigo CHONCipet E PARIET FILIVN · ET BOCABITVR N OME EIVS HEMA NVEL. BVTIRV ET MEL CHOME DET: VTE SCIA RE PROVARE MALV ET ELIIERE BONN VM | ||| || | || | || | || | || | || | | ||| ||| ||| || | || | || | || | || | || |
DOMINE DOMINVS NOSTRE: QVA AMIR ABILLE EST · NOMEN TVVN IN VNIVERSA TERA · QVNIAN ELE VATA ESTE MAGNI FICENTIA TVA SVPER CE LOS · EX ORE IN FAN[TI]CI ET LACTECI
Si tratta di due testi distinti, tutti e due dell’Antico Testamento. Li ritrascriviamo in minuscole, sciogliendo i compendi e introducendo
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Il libro è stato riprodotto molte volte, ma non vedo che i testi siano stati mai trascritti.
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la punteggiatura, integrando fra parentesi uncinate le lettere mancanti e togliendo con le quadre quelle superflue, ma non correggendo le caratteristiche ortografiche, né i deliziosi volgarismi e altri tipi di errori, che ci dànno il sapore di una cultura guidata da mente esperta, ma grammaticalmente insicura. Isaia, VII 14-15 Ecce vigo choncipet e pariet filiun et bocabitur nomen eius Hemanuel. Butirum et mel chomedet, ut[e] scia reprovare malum et eliiere bonnum. Ecco una vergine concepirà e partorirà un figlio e il suo nome sarà chiamato Emanuele. Mangerà burro e miele, affinché sappia rigettare il male e scegliere il bene. Salmi, VIII 1-2 Domine, Dominus nostre, quam amirabille est nomen tuun in universa tera! Quonian elevata est[e] magnificentia tua super celos. Ex ore infantium et lactecium… Signore, Signor nostro, quanto è ammirabile il tuo nome su tutta la terra! Giacché la tua magnificenza è elevata sopra i cieli. Dalla bocca degli infanti e dei lattanti…
La profezia di Isaia è quella già incontrata nell’archetipo francese e poi in Duccio, ma qui arricchita di un versetto prima taciuto. Ecco che la madre del futuro liberatore di Israele dagli assiri, cui pensava Isaia, diventa la nuova Eva che schiaccerà la testa del serpente e genererà l’Emanuele (‘Dio con noi’), che, da capo politico-militare protetto da Dio, si muterà in Salvatore di tutto il mondo. Il bambino si nutrirà come tutti i bambini di burro e miele, perché il figlio di Dio sarà vero uomo, e già in fasce sarà in grado di discernere con la sua divina sapienza il bene dal male. Quanto al nome Emmanuel del bambino, che è più appellativo che vero e proprio nome, è illuminante una pagina di Alberto Magno, che 77
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previene sia le interpretazioni nazionalistiche della tradizione ebraica sia quelle polari e simili del nazismo tedesco (Gott mit uns). Dice infatti Alberto che Emmanuel significa «nobiscum deus», ma nel senso che «natura divina humanae naturae unita Emmanuel efficitur». Questo nome rivela il mistero della coniunctio del dio con gli uomini, il segreto delle due nature del Cristo, «deus et homo».5 Il primo passo nella sua interezza tornerà un decennio dopo nell’Annunciazione di Mathias Grünewald (1510-1515) sull’altare di Isenheim (340). Sul libro aperto si legge,6 nelle due pagine: Ecce virgo concipiet et pariet filiu et uocabitur nome eius ema nuel. Butiru et melcomedet ut sciat repbare ma lu et
eligere bonu. Ecce uirgo concipiet et pariet filium et vocabitur nomen eius Emanuel
Il passo dei Salmi è invece un luogo chiave dell’ambizione universalistica del cristianesimo. Il nome del Signore è infatti non ristretto a un solo popolo, bensì a tutta l’umanità. Nella traduzione geronimiana si ripete il nome Dominus per povertà linguistica del latino: ma nell’ebraico la prima parola è Jahvé, ‘colui che è’, l’indicibile; la seconda è Adonai, greco Κύριος, padrone di tutte le cose. Il secondo versetto, lasciato a mezzo nel dipinto di Spello, suona nella sua interezza: «Ex ore infantium et lactentium perfecisti laudem propter inimicos tuos, ut destruas inimicum et ultorem». È uno dei tanti luoghi ferinamente
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ALBERTI MAGNI Postilla super Isaiam, VII 14; ed. F. SIEPMAN, cit., p. 111, rr. 29-34, 81-83. 6 È incredibile che O. CALABRESE (in ARASSE, p. 15), sostenga che vi si legga: «Ave Maria di Grazia piena».
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bellicosi dell’Antico Testamento. Un moderno commentatore della Bibbia lo ingentilisce, quando lo spiega nel senso che tutto quello che Dio fa per l’uomo, «dal principio del suo nascere fino a tutta l’infanzia, è argomento di laude e di ringraziamento per l’autore di tutto il bene».7 Lo fece anche Gesù, quando, per difendersi dalle accuse dei sacerdoti e degli scribi di aver fomentato le lodi di se stesso, citò il passo, dicendo (Matth., XXI 16): «Nunquam legistis: ex ore infantium et lactentium perfecisti laudem’?» (“Non avete mai letto che ‘dalla bocca degli infanti e dei lattanti hai reso perfetta lode’?”). E io mi sentirei molto sicuro nel pensare che anche alla Madonna il pittore rinascimentale e il suo dotto suggeritore8 intendessero affidare solo quella parte del messaggio del salmista che Gesù volle ritagliare per sé. Allora Maria legge la storia di una vergine che nei progetti imperscrutabili della somma divinità è destinata a soddisfare i desideri di un re e concepirà un bambino, lo partorirà e gli porrà un nome che sarà per lui e per lei garanzia della continua presenza protettiva di Dio. Quel bambino sarà un uomo e mangerà, come tutti i bambini di carne, burro e miele; e apprenderà il sapere, per potere scegliere fra il bene e il male. Si conferma che Maria legge nelle profezie la sua storia e vi vede esposto il suo destino. Destino di grandezza: perché suo figlio sarà l’uomo che porterà nel mondo la rivoluzione del Bene; perché attraverso questa vicenda si celebrerà l’onnipotenza del supremo essere, signore di tutte le cose. Le ultime predizioni di Isaia sono lasciate nella penombra, ma Maria può intuire che la buona novella uscirà
7
La Sacra Bibbia secondo la Volgata, tradotta in italiano e dichiarata con note da A. Martini, Borghi e Compagni, Firenze 1833, II, p. 1230. 8 È stato ipotizzato che il progetto iconografico della cappella Baglioni si debba all’umanista perugino Francesco Maturanzio: v. G. BENAZZI, Pintoricchio, l’umanesimo e la Cappella Baglioni, in: Pintoricchio a Spello, cit., p. 27; MANCINI, pp. 190 e 203, nota 27. Su di lui (Perugia ca. 1443-1518) v. G. ZAPPACOSTA, Francesco Maturanzio, umanista perugino, Minerva Italica, Bergamo 1970; P. FALZONE, Maturanzio, Francesco, in DBI, LXXII (2009), pp. 338-341.
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dalla bocca dei bambini, dalla bocca degli innocenti, e che la prima di quelle bocche ancor poppanti sarà quella del suo bambino. L’attesa di Maria non è diversa dalle tante attese soteriologiche dell’antichità affidate alla nascita del bambino: delle quali la più bella e famosa è quella della quarta egloga di Virgilio.9 Nel dipinto del Pintoricchio Maria ha già letto i due passi biblici: quando l’angelo la saluta e le comunica quello che le accadrà, essa distoglie gli occhi dalla lettura, li abbassa per umiltà, accetta il volere superno e poggia una mano sul libro sacro. La mano sul libro è atto di giuramento. Con quel gesto Maria accetta, conferma, autentica, sacralizza, promette: suggella l’alleanza triangolare fra le profezie, il suo destino e la sua volontà. Nello spirito della vertigine escatologica gli allestitori del ‘romanzo’ figurale hanno però taciuto alla povera ragazzina rivestita di panni sontuosi, ma rimasta una povera ragazzina indifesa, il costo della gloria in excelsis: hanno taciuto la tragedia e il dolore dello scempio e della morte del figlio. Ma la contraddizione dei due destini non era sfuggita ad altri autorevoli scrittori del romanzo di Maria, per esempio, come vedremo (cap. XVI), a un pensatore acuto e sensibile come Alberto Magno.
9
J. CARCOPINO, Virgile et le mystère de la IV e églogue, L’artisan du livre, Paris 1930 (Virgilio e il mistero della IV egloga, tr. it. D. Mazzone, introd. L. Canali, Edizioni dell’Altana, Roma 2001); Saturnia regna ovvero La nascita del bambino, [a cura di M. Feo], Tipografia Editrice Pisana, Pisa 1990.
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Alla fine del Trecento l’Annunciazione Vaticana del fiorentino Mariotto di Nardo (135; tav. XXII) legge il testo d’obbligo, qui in maiuscole rigorosamente gotiche: ECE VIR GHO
CON CIP IET.
Ma non sono le parole del libro le peculiarità di questa tavola, quanto piuttosto la figura dell’angelo. Che venga da destra, invece che da sinistra, è anomalia di poco conto e non unica, anche se rara. Colpisce invece che il volto dell’angelo sia marcatamente femmineo e che questa femminilità sia accentuata da una capigliatura del tutto uguale a quella della Madonna, e da una veste decisamente non maschile. Certamente l’angelo aveva l’obbligo di essere bellissimo, ma doveva pur sempre essere maschile. Tanto che in alcune narrazioni la sua virilità è motivo di turbamento per Maria;1 e non è nemmeno da considerare tanto assurda la reazione sconcertata dei Goncourt davanti alla «beltà perversa» dell’angelo martiniano dell’Annunciazione degli Uffizi.2 Ragion per cui ci sono stati dei pittori che hanno puntato a
1 2
V. la drammatizzazione di san Germano (supra, cap. II). E. CASTELNUOVO, op. cit., p. 27.
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raffigurare un androgino. Qui, non mi par dubbio, la figura sembra propendere ad essere una donna. Ultimo e più impressionante aspetto della scena: l’angelo non annuncia, ma s’inchina devotamente alla grandezza, al destino, alla volontà di Maria: e lo fa con le braccia incrociate. Quella delle mani incrociate sul petto è una delle due iconografie canoniche e stabili della Vergine annunciata: indica l’accettazione, pacifica o drammatica che sia, del suo destino di ancilla domini. Parole di Antonio Cornazzano, un intellettuale vivace ed eclettico del Quattrocento, tanto eclettico da celebrare con pari devozione la mite Madonna e il condottiero Bartolomeo Colleoni: «Subito lei coll’incrociar le braccia / ‘ecco l’ancella sua’, e in pede salse, / ‘la volontà del mio signor si faccia’».3 Una Madonna frontale in pietra che stringe le braccia al petto e si chiude in una sua impenetrabilità, mentre l’angelo le porge il messaggio venendo da sinistra è nella Chiesa Matrice di Grottaglie (da datare) (67; tav. XII). Ma le annunciate con le braccia incrociate sono molte: fra queste Francesco dell’Orcagna (?) (68), l’Annunciata di Altamura (53; tav. VIII), due Annunciate di Ambrogio Lorenzetti (74-75), Beato Angelico (174-181), Jan van Eyck (195) (1426-32), Jacomart (211), Neri di Bicci (218 e 220) (1453-64), Antonio e Piero del Pollaiolo (265), Giovanni di Francesco Toscani (148), Giuliano da Maiano (1465 ca.) (121), le Annunciazioni di Siracusa (290) e di Monaco (289) di Antonello; Benozzo Gozzoli, con regolarità (255259); Domenico Ghirlandaio (279-280); un libro d’ore francese (154); il giovane Leonardo agli Uffizi (263), Dürer (312). Sulla mimica delle mani tornerò avanti, sia a proposito di una gestualità dell’angelo, sia
3
Cito da La santissima vita di Nostra Donna, Florentius de Argentina, [Venezia] 1472, cap. III. Il primo getto dell’opera sembra risalire con ogni verisimiglianza al 1457-58. Sul Cornazzano vd. P. FARENGA, in DBI, XXIX (1983), pp. 123-152; sulla Vita D. BIANCHI, La “Vita della Vergine” di Antonio Cornazzano, «Bollettino storico piacentino», LX (1965), pp. 57-74.
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per un’esegesi della mano dell’Annunziata palermitana di Antonello da Messina. Aggiungo che in una scena di adorazione del neonato Gesù attribuita a Benozzo Gozzoli4 (che fa parte dello stesso armadio fiorentino in cui una Maria del Beato Angelico riceve l’annuncio a braccia conserte), le braccia in croce le ha san Giuseppe: e non a torto, perché anche lui ha bisogno di confermare al suo Dio, oltre che a se stesso, l’accettazione umile del destino che sta sconvolgendo la sua famiglia; meno chiaro è perché Maria stessa adori con le braccia in croce il suo Bambino che tiene sulle ginocchia in un dipinto di Gentile da Fabriano al Museo Nazionale di San Matteo a Pisa5 e in un altro del Gozzoli al Kunsthistorisches Museum di Vienna.6 Si capisce invece bene la pertinenza del gesto nelle Incoronazioni di Brera (1405-10 ca.) e di Los Angeles (1420 ca.) ad opera del Figlio, sempre di Gentile;7 in quella di Antonio da Fabriano,8 in quella di Giovanni Fanciullacci.9 Ma torniamo a Mariotto. A incrociare le braccia non è Maria, ma l’angelo. E osserviamo che neanche per sogno si può parlare di errore, visto che Mariotto ripropone le braccia incrociate di Gabriele in un’altra Annunciazione fiorentina (136). Queste braccia indicano certo la
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PADOA RIZZO, p. 55. E. MICHELETTI, op. cit., pp. 23, 44-45, 122-123; F. MARCELLI, op. cit., pp. 207, 209; A. DE MARCHI, Un viaggio, cit., fig. 56; C. FROSININI, in LAUREATI-MOCHI ONORI, pp. 248-251. 6 PADOA RIZZO, p. 79. F. ZERI, Un riflesso di Antonello da Messina a Firenze, «Paragone», IX, n. 99 (marzo 1958), pp. 16-21 e tav. 18, conosce di questa iconografia un altro caso (per lui l’unico), quello del fiorentino Biagio di Antonio [Tucci?]. Con un ragionamento che non esito a definire tortuoso arriva a sostenere che lo strano episodio figurativo sia un effetto di un passaggio di Antonello da Messina per Firenze e di una imitazione dell’Annunciata di Monaco, trasformata appunto da Annunciata in Adorante. 7 F. MARCELLI, op. cit., pp. 75-76, 104, 109; A. DE MARCHI, Un viaggio, cit., figg. 11 e 33. 8 I. FIUMI, in LAUREATI-MOCHI ONORI, pp. 228-229. 9 LAUREATI-MOCHI ONORI, p. 52. 5
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sua sottomissione e venerazione della predestinata, ma insomma il vero compito dell’angelo non è quello di adorare Maria, ma di renderla edotta del suo destino e di convincerla ad accettarlo. Se poi osserviamo gli occhi dei due, vediamo che l’angelo li tiene bassi, a significare ulteriormente la sua soggezione a Maria, e che Maria invece li ha puntati e decisi. Ora, noi sappiamo che la direzione della storia doveva andare al contrario: dal messaggio divino sostanzialmente imperioso, che non ammette ripulsa, alla umana accettazione umile e dolente. Che cosa può significare questa sorta di inversione da parte di Mariotto? Ipotizzo che ci troviamo davanti alla compresenza di più momenti in successione: primo atto (qui assente, ma implicito), l’angelo o una voce o qualcosa ha portato il messaggio; secondo atto (la scena di sinistra), Maria recepisce il messaggio con perplessità e recisa autodifesa; terzo atto (qui assente, ma necessario), Maria viene convinta o si convince; quarto atto (scena di destra), Maria accetta in umiltà il suo destino di ancella del Signore e l’angelo ne rende grazie. Se è davvero così, se cioè il pittore è ricorso a una tecnica di rappresentazione cinematica,10
10
Esempi di rappresentazione cinematica racchiusi entro lo spazio di un’unica raffigurazione sono rari, ma ben attestati. Un caso quattrocentesco è il miracolo di S. Zanobi da Firenze di Benozzo Gozzoli (Metropolitan Museum of Art di New York), dove si vede al centro della scena un bambino steso a terra, morto, e, nello stesso tempo in piedi, vivo e vispo, risuscitato dal santo. Nel frontespizio di una Novella di un monaco e un abate di Bastiano di Francesco linaiuolo, Simone di Niccolò Nardi, Siena 1511, assistiamo contemporaneamente a quel che avviene dentro e fuori una cella; ma le due scene si devono leggere come due momenti in successione temporale: dentro il monaco allunga le mani al seno di una ragazza; passa del tempo e, quando i due sono più avanti (e noi non vediamo questo avanzamento), l’abate spia e origlia all’uscio. Su ciò v. M. FEO, Simone e le figure, «Studi medievali e umanistici», III (2005), p. 42 e tav. XXV. Un altro caso mirabile, di Ambrogio Lorenzetti, è illustrato da C. FRUGONI, Vivere nel Medioevo. Donne, uomini e soprattutto bambini, Il Mulino, Bologna 2017, pp. 110-114. Per la discussione teorica sul crepuscolo del Rinascimento v. S. TOMASI VELLI, Le immagini e il tempo. Narrazione visiva, storia e allegoria tra Cinque e Seicento, Edizioni della Normale, Pisa 2007.
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egli ha trasferito l’acmé del piccolo-grande dramma sulla figura dell’angelo, caricandolo della doppia funzione di agens e di actus, di un ruolo attivo e passivo. Che cos’è allora, in definitiva, quest’angelo anomalo, misterioso, se non qualcosa come una extra-icona di Maria? Una proiezione spirituale della Vergine e dei suoi pensieri, della sua psicomachia? Facciamo un tentativo di scovare l’origine dell’invenzione, muovendoci nell’ambito dei tópoi figurativi. Ci imbatteremo in una Annunciazione ancora più strana, di una generazione prima di Mariotto, opera di Bernardo Daddi, ora al Louvre (126; tav. XXIII). Scenografia fuori dell’ordinario, e per una incredibile presenza, quella di due angeli annuncianti, invece che uno. Perché? Una spiegazione ne ha data Chiara Frugoni.11 A destra vediamo la Madonna col libro aperto sulle ginocchia e le mani in croce (dalle foto non si riesce a leggere, ma forse è solo difetto meccanico); a sinistra due angeli, uno più avanzato che con la mano alzata saluta e porge il messaggio, un secondo, più arretrato, che con le braccia in croce mima il gesto della Madonna. Secondo la Frugoni, non potendo il primo angelo, impegnato in altra gestualità, esprimere la sua devozione, il pittore ha voluto rimediare alla dissimmetria, inserendo un compagno che «con le mani incrociate sul petto indica il dovuto e deferente ossequio». Detto altrimenti, le funzioni di un solo attore sono state sdoppiate in due personaggi. A me pare che ci sia ancora qualcosa di più complesso e di più sottile. Intanto è da tempo nota una seconda Annunciazione con due angeli annuncianti e spunta dallo stesso ambiente di Bernardo Daddi: è l’Annunciazione del Museo Poldi Pezzoli di Milano (131; tav. XXIV), che, tolti pochi particolari, ha la stessa struttura di quella del Daddi. Autore è il prolifico, ma un po’ provinciale, Jacopo del Casentino ovvero Jacopo Landini, padre del famoso cieco organista. A sinistra si trovano i due angeli nelle stesse attitudini e funzioni di quelli del Daddi: uno, più avanzato, porge il messaggio con la destra alzata e
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C. FRUGONI, La voce delle immagini, cit., p. 9.
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due dita indicatrici, e con la sinistra regge un grande giglio; il secondo, più arrretrato, guarda reverente con le braccia in croce; la Vergine, diversamente dall’omologa, non incrocia le braccia, ma porta la mano destra verso la spalla sinistra e abbandona sulle ginocchia la sinistra. Il testo sul libro aperto è ben leggibile e ben noto, risponde alla tecnica che chiamo della ‘storia in diretta’ e su cui tornerò nel cap. VIII: Ecce ancil la domi ni fiat michi
secun dum uerbu tuum
Chi dei due viene prima? Gli specialisti di questo ambiente artistico sono concordi nel sostenere che il maestro sia il Daddi e che Jacopo, tenuto anche conto di una sua maggiore ruvidezza formale, faccia parte di una sorta di scuola di giotteschi attardati. È probabile che sia così. Ma, essendo i due quasi coetanei, una maggiore cautela pare consigliabile. Comunque stiano le cose, la gestualità diversa della Vergine è un qualche impedimento a trovare una soluzione ermeneutica univoca, anche se all’univocità siamo molto vicini. Partiamo da Bernardo: il secondo angelo appartiene all’ultima scena della rappresentazione che ho testé immaginato, dopo l’annuncio, dopo l’accettazione, quando il messo, soddisfatto e reverente, esprime il suo gradimento per il risultato dell’ambasceria. Possiamo pensare che la stessa cosa valga per Jacopo e che le mani della sua Vergine significhino la stessa cosa che quelle di Bernardo; ma non deve essergli parso ragionevole quell’ardito raddoppio delle braccia in croce. Se possiamo continuare a muoverci nell’ambito di una azione latamente scenica, si deve comunque riconoscere che tutti e due i pittori hanno fatto ricorso a una tecnica teatrale povera e primitiva.12
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Non mi pare possa ricondursi a questa problematica l’Annunciazione Martelli, una tavola datata ca. 1442 di Filippo Lippi nella basilica di San Lorenzo a Firenze (229).
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Mariotto, posto davanti a un problema simile a quello del Daddi o di Jacopo, ha inventato una soluzione geniale e sottilmente inquietante, che rischia di forzare le Sacre Scritture, e che resterà a lungo isolata e incompresa. Elimina il doppio angelo, rischiando l’oscurità del senso: ossia, con tecnica, anche questa teatrale, riduce due personaggi o due funzioni a un solo attore. Forse in ciò c’è qualcosa dello spirito dei tempi. Gli umanisti stanno infatti riprendendo il dialogo col teatro e, fra eredità medievali e nuove aperture filologiche, sono sulla strada che riporterà in vita il teatro antico. Ma il cammino è ancora lungo. In prosieguo di tempo il gesto di umiltà verrà attribuito all’angelo anche da altri pittori, da Spinello Aretino (243), da Gentile da Fabriano (156), dall’Anonimo Fiorentino vicino a Gentile (159), da Jacopo di Cione (163), dal Beato Angelico (175, 176, 178, 180) da Neri di Bicci (218 e 219), da Antonello da Messina (289), Cristofano Allori (370), fino alle intense estenuazioni erotizzanti del barocco. Ma sarà solo un gioco figurativo, la ripetizione di una bella iconografia senza vero significato, o forse con altro significato.13 (Ma sul doppio invito il lettore ad attendere un approfondimento nel capitolo che segue).
Lo spazio è diviso in due scene uguali e distinte. A destra vediamo l’annunciazione vera e propria con l’angelo inginocchiato, Maria sorpresa e il leggìo; in primo piano un fiasco spagliato con acqua. A sinistra altri due angeli si intrattengono su un qualche argomento che loro interessa particolarmente e che non pare abbia nulla a che vedere con l’annunciazione. Si ritiene che siano testimoni dell’incarnazione. Ma, a dire il vero, è come se fossero capitati lì per caso, e si può pensare che abitassero lì da tempo a vegliare sulla giornata della Vergine: in tal caso dovrebbero essere invisibili a noi e alla Vergine stessa. – Aggiungo che questa Annunciazione con tre angeli non è un unicum. Ne conosco altre tre: la prima (1483), opera di Biagio di Antonio Tucci, nella Pinacoteca di Faenza (304), imita da vicino il Lippi; la seconda (inizi del sec. XVI), dello stesso Biagio, nell’Accademia Nazionale di San Luca, con pochissime differenze rispetto alla prima; la terza, ancora più tarda (1512), è l’Annunciazione di Andrea del Sarto a Palazzo Pitti (338). 13 Io possiedo due angioletti in gesso colorato del Novecento, provvisti di regolari ali, trovati in una bottega di poverissimo antiquariato, che fungono da lampade per comodino notturno. Saranno probabilmente due angeli custodi, ma qui interessano, perché uno ha le mani giunte, l’altro le mani incrociate sul petto. Hanno un valore iconografico? Mi pare di no. I loro gesti sono verisimilmente desemantizzati ed esprimono ormai solo una generica valenza religiosa.
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Portiamoci ancora un poco avanti nel tempo. E proviamo a leggere le Annunciate del Beato Angelico, da quella del Prado (tav. XXV) che parrebbe essere la più antica (1425-26) (175) a quella del Museo di S. Marco (176). La madonna, ricevuto l’annuncio, normalmente per il Beato incrocia le braccia, e per ben quattro volte. La vediamo colpita da sconcertante meraviglia, come traspare dagli occhi tristi e dalla bocca semichiusa, seduta su un rozzo panchetto, qualche volta stranamente senza libro. A sinistra l’angelo accenna a una genuflessione, china appena testa e occhi, e chiude anche lui le braccia in croce. Maria con quel gesto accetta la volontà divina, ma l’angelo cosa accetta? Abbiamo visto la proposta avanzata dalla Frugoni: le braccia dell’angelo indicano il suo dovuto e deferente omaggio. Due risposte diverse vengono ora da due diversi libretti da edicola. Nei nuovi «Classici dell’Arte», con cui il «Corriere della sera» ha riproposto ad uso popolare una vecchia e fortunata collana Rizzoli si afferma con tutta sicurezza che Gabriele tiene le braccia incrociate, «attendendo la risposta dopo aver dato l’Annuncio»;14 nell’altra serie, pure diffusa dal «Corriere della sera», con altrettale sicurezza si spiega invece che Maria e l’arcangelo «si scambiano il saluto» «secondo un antico cerimoniale che ricorda l’iconografia bizantina».15 Ora, alla prima soluzione si può obiettare che, avendo Maria incrociato le braccia, anche l’ultimo dei cherubini per profitto scolastico non poteva ignorare la fenomenologia della gestualità degli italiani e di altri popoli. Dalla seconda si può pretendere qualche prova in più. Quello che invece non si può negare e non ha bisogno di dimostrazione è la identità dei gesti dei due attori, identità che per effetto della contrapposizione delle figure diventa riflessione speculare. Il Beato pittore ricordava angeli lontani che ripetevano il gesto di umiltà della Vergine e come lei incrociavano le braccia. Forse non riusciva a mettere bene a fuoco il perché di quei gesti, ma gli dovettero sembrare affascinanti
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L. BERTI, op. cit., p. 140. BEATO ANGELICO, Annunciazione, con un testo di Ph. Daverio, cit., p. 18.
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nella loro spoglia semplicità, e forse intuì che era proprio attraverso quella trasmissione familiare di umili segni che si attuava il mistero della trasmissione nel ventre della donna del seme divino: e infatti manca in queste sue scenografie la figura di Dio che dall’alto governa l’azione e invia in segno di se stesso una colomba, si direbbe pronuba, e se c’è, se ne sta in un catino come un elemento decoratore infisso nella parete. Il buon frate Beato, nella solitudine della sua cella piantata nel cuore di Firenze eppure lontana dal mondo dei peccati e delle sue bassezze, non riusciva forse ad espellere dai suoi pensieri e dalle sue visioni paradisiache rovelli impuri su quelle parole misteriose che suonavano cose sconosciute come verginità, concepimento, parto e perfino figlio. Qualcuno si proverà a ripetere il gioco del doppio incrociare le braccia, per esempio Niccolò di Liberatore detto l’Alunno nel 1466 (234). Ma temo che nessuno in realtà abbia davvero capito l’esperimento rivoluzionario di Mariotto, né la reinterpretazione che ne ha fatto il Beato Angelico. Ci voleva per questo la parola di un visionario dagli intrecci e inganni vaghissimi come Shakespeare della Dodicesima notte. A un vero scandaglio nell’animo perturbato della Vergine, operato con la pura immagine, si arriverà solo con Antonello da Messina.
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Un angelo con quattro ali
Ritorniamo ora a metà Trecento, prima di Mariotto, e soffermiamoci su un’altra affascinante Annunciazione italiana che forse non ha ancora rivelato tutti i suoi segreti. È l’Annuncizione del 1344 di Ambrogio Lorenzetti a Siena (74; tav. XIV). Hanno sorpreso dell’angelo il dito, le scritture, e la doppia coppia di ali. Ma invece di indugiare sulle interpretazioni date da altri, passo subito alla mia lettura, che presuppone la compresenza di momenti narrativi in successione, quindi di quella che ho chiamato rappresentazione cinematica. Partiamo da Maria. Prima scena, la Vergine è seduta e ha sulle ginocchia un libro aperto. Sta leggendo l’Antico Testamento e precisamente il passo di Isaia che preannuncia l’avvento di una fanciulla che partorirà ecc. (v. quanto ne ho detto al cap. III). Seconda scena, arriva l’angelo e le fa l’annuncio; parte del messaggio è stata scritta in tondo nell’aureola che circonda la testa della Vergine; sono le parole, in parte obliterate dal tempo, AVE GR(ATI)A … DOMINVS TE; l’angelo aggiunge ovviamente altre parole che conosciamo, entro l’aureola non registate, sul parto del figlio. Terza scena, Maria è turbata e chiede come ciò possa avvenire, non conoscendo lei uomo. Quarta scena, l’angelo risponde a quest’obiezione, spiegando che lo Spirito Santo scenderà su di lei e la adombrerà. Fa quindi l’esempio di Elisabetta, che, pur vecchia, ha concepito un figlio ed è già al sesto mese, «quia non erit impossibile apud Deum omne verbum» (Luc., I 37). Queste ultime parole (senza il quia) sono effettivamente scritte in uno spazio orizzontale che va
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dalla bocca dell’angelo alle mani della Vergine, e sono scritte in una elaboratissima onciale (ma la parola erit, come vedremo subito, crea un problema). Mentre fa la sua arringa l’angelo chiude la destra in pugno e punta il pollice verso l’alto (non verso le sue spalle, né verso se stesso), per indicare la fonte che rende possibile l’impossibile. Sesta scena, Maria dichiara di essere ancilla domini: alza la sua testa coraggiosa e guarda verso il cielo. Fine del minuscolo dramma, con la precisazione (mia) che le parole ECCE A(N)CILLA D(OMI)NI non sono, come è stato scritto più volte, collocate «a rovescio». Infine Maria, nel mentre pronuncia le parole di umiltà ha le braccia incrociate. Quanto all’angelo, nella sua plebea ed eccezionale mascolinità, ha bisogno di una legittimazione estetica. Ben pettinati sono i suoi capelli, sui quali vuol posarsi (a ridosso della laurea petrarchesca del 1341) una corona di foglie, che potrebbero essere dell’ulivo di pace o dell’alloro di gloria. Ma hanno bisogno di legittimità soprattutto le quattro ali, che non sono proprio normali nella tradizione e alle quali non è stata data finora una spiegazione soddisfacente. Inaccettabile è una vecchia tesi che si tratti dell’effetto di un antico sciagurato restauro e che quindi andrebbero semplicemente dimezzate con una operazione di pulizia.1 Saggiamente gli autori dell’ultima mostra senese su Ambrogio hanno abbandonato definitivamente la aberrante via, essendo state nel frattempo individuate altre due raffigurazioni di Gabriele con più di due ali: il monocromo di Monaco attribuito al senese Niccolò di Buonaccorso (nel quale Gabriele ha quattro ali)2 e l’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano entro la pala Strozzi degli Uffizi (nella quale ne ha sei),3 testimonianze posteriori
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Su ciò v. N. E. MULLER, Ambrogio Lorenzetti’s Annunciation. A re-examination, «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», XXI (1977), pp. 1-11. 2 P. PALLADINO, Art and devotion in Siena after 1350. Luca di Tommè and Niccolò di Buonaccorso, Timken Museum of Art, San Diego 1997, pp. 54-56, fig. 52. 3 A. DE MARCHI, Un viaggio, cit., tav. 34 e fig. 106 a p. 202; F. MARCELLI, op. cit., pp. 130-134, e fig. a pp. 138-139. È tuttavia da notare che ambedue questi benemeriti studiosi non hanno commentato le ali di Gabriele, anche se le hanno messe bene in evidenza.
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all’Annunciazione del 1344, ma non per questo meno rilevanti.4 A queste aggiungo l’Illustratore del Decretum Gratiani di Monaco, da cui dipenderebbe il Maestro del Trionfo della Morte di Pisa;5 un Angelo agli Eremitani di Padova;6 e un San Michele Arcangelo attribuito da ultimo a Pellegrino di Giovanni e di datazione incerta, che pare comunque risentire del Gabriele della pala Strozzi.7 Già per conto mio avevo cominciato col chiedermi timidamente se Ambrogio o il suo suggeritore non si fossero confusi fra le gerarchie angeliche ed avessero conferito all’arcangelo Gabriele gli attributi di un cherubino. Navigando a vista nella sterminata letteratura mariana, mi imbatto in una ponderosa edizione dei Sermones de beata Virgine del domenicano Bartolomeo da Breganze, vescovo di Vicenza, datati 1266.8 Vado alla ricerca, in quelle più che ottocento pagine, di notizie su Gabriele, che da sempre sappiamo essere un arcangelo. Apprendo che Gabriele vuol dire Dei fortitudo e che è l’angelo che addestra la schiera degli illuminati ovvero dei dottori; che tale schiera consta di due ordini, dei cherubini e dei serafini; a loro capo sta Gabriele «ut seraph et ut cherub» (In Ann., 43, 6).9 Apprendo anche che, quando rivelò gli arcani del Verbo incarnato e quando fece la sua missione presso Maria, Gabriele svolse molteplici compiti, in sostanza quelli di tutte e nove le gerarchie angeliche. Nella prima azione esercitò il compito di serafino, quando rivelò ai patriarchi e ai profeti che sarebbe venuto
4 A. CAFFIO, L’Annunciazione per l’Ufficio di Gabella, in Ambrogio Lorenzetti, a cura di A. Bagnoli, R. Bartalini, M. Seidel, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2017, pp. 346-350. 5 L. BELLOSI, Buffalmacco e il Trionfo della Morte, a cura di R. Bartalini, Abscondita, Milano 2016 (I ed. 1974), pp. 95-98. 6 G. FIOCCO, L’arte di Andrea Mantegna, Neri Pozza, Venezia 1959 (I ed. 1927), fig. 131. 7 A. DE MARCHI, Un viaggio, cit., fig. 74; p. 202, fig. 105; M.R. SILVESTRELLI, in: LAUREATI-MOCHI ONORI, p. 120. 8 BARTOLOMEO DA BREGANZE, I «Sermones de beata Virgine» (1266), introduzione ed edizione critica di L. Gaffuri, Antenore, Padova 1993. 9 Ivi, p. 287.
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il Figlio, uscito, eterno amore, dal Padre; quello di cherubino, in quanto pienezza di scienza, quando rivelò ai predetti che il Figlio sarebbe stato il signore delle scienze; quello di trono, quando rivelò il potere del Figlio alla fine dei tempi; quello di dominazione, quando rivelò che il Figlio sarebbe venuto nella carne; quello di virtù, quando rivelò che il Figlio incarnato avrebbe innovato i segni e mutato le meraviglie; quello di potestà, quando rivelò che il Figlio avrebbe cacciato dalla terra le malizie dei demoni; quello di principe, quando rivelò che il Figlio sarebbe stato principe di pace tra Dio e gli uomini, tra gli angeli e gli uomini, tra gli uomini e gli uomini; quello di arcangelo, quando rivelò che il Figlio avrebbe svelato agli eletti i tesori nascosti; quello di angelo, quando rivelò che il Figlio direttamente e attraverso il suo messaggero avrebbe annunciato alle genti piccole e grandi verità (In Ann., 44, 2).10 In perfetto parallelo, nella seconda azione, quella che a noi più interessa dell’Annunciazione, Gabriele svolse il compito di serafino, giacché infiammò Maria e la rese ardente ed estatica; quello di cherubino, in quanto infuse in lei «plenitudinem scientie salutaris»; quello di trono, facendo in modo che il Figlio ponesse in lei il suo trono; quello di dominazione, in quanto la rese signora delle signore e dei signori; quello di virtù, in quanto fece sì che una vergine concepisse e partorisse; quello di potestà, in quanto fece sì che lei generasse chi doveva schiacciare serpenti e draghi; quello di principe, in quanto la costituì principessa di vergini e madri; quello di arcangelo, «ostendens quod non esset inpossibile apud Deum omne verbum»; quello di angelo, quando si partì da lei ed esortò Giuseppe a non rifiutarla (In Ann., 44, 3).11 Insomma Gabriele esercita presso Dio il compito di ministro plenipotenziario, e può volta a volta presentarsi come arcangelo, serafino, cherubino, ecc. Apriamo un’altra lunga trattazione di Bartolomeo, quella che prende avvio dalla visione di Isaia (VI 1-3). Isaia vede Dio seduto su un eccelso trono; intorno al trono stanno i serafini, sei ali a
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Ivi, pp. 289-293. Ivi, pp. 293-295.
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uno e sei ali all’altro, e si richiamano a vicenda dicendo: «Sanctus, sanctus, sanctus». Con due ali velano la faccia di Dio, con altre due velano i piedi di lui, con le ultime due volano. Bartolomeo ritiene che in quella scenografia di Isaia i serafini non siano una folla, ma due soli. Ma per noi la cosa più importante è che tutta la visione sarebbe prefigurazione dell’Annunciazione. E le ali sarebbero le sei promesse fatte alla Vergine nell’Antico Testamento. Intanto noi obietteremmo che Gabriele fu uno e gli angeli di Isaia erano due. Ma Bartolomeo ha la risposta pronta: «Per istos duos seraphim unus Gabriel intelligitur qui, etsi fuit unus in suo individuo, quasi duo tamen fuit officio, quia astabat ad dexteram divine nature in Christo contemplando et stabat ad sinistram humane nature qua formari debebat in lapidicina Marie ministrando»12 (“Con questi due serafini si deve intendere il solo Gabriele, il quale, sebbene sia stato uno nella sua individualità, tuttavia nella funzione fu quasi due, giacché stava alla destra della natura divina, contemplando in Cristo, e stava alla sinistra della natura umana, entro la quale si doveva formare, servendo Maria nella cava di pietre”). Ecco allora una possibilità inedita di spiegazione del doppio angelo nelle Annunciazioni del Daddi e di Jacopo (di cui al cap. precedente). Questo doppio noi mortali non lo vediamo, o non dovremmo vederlo, perché la persona nella realtà visibile è una, ma nell’ufficio divino è doppia. E come facevano i poveri pittori a rappresentare questo sdoppiamento sovrasensibile se non attraverso una scenografia crudamente sensibile? Allora, se è così, uno dei due Gabrieli di quelle annunciazioni prefigura e annunzia la divinità e l’altro l’umanità del nascituro. Ecco, forse questa è anche la via per spiegare perché in tanti polittici la Vergine solitaria o col Bambino è fiancheggiata da due angeli, quasi guardiani, che ora possiamo etichettare come sdoppiamento di Gabriele in testimone della mediazione fra Maria e la divinità e in testimone della sua mediazione con l’umanità. Lasciamo il doppio angelo alla sua doppia significazione.
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Ivi, p. 300.
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Per fortuna o per avventura le pagine di Bartolemo esortano a una nuova esegesi delle ali dell’angelo di Lorenzetti. Lasciando da parte la complessa e complicata storia della genesi degli angeli cristiani, dei loro rapporti di discendenza e conflittualità coi demoni pagani, dei loro peccati, del sesso e della stessa peculiarità delle ali, veniamo a quel che delle ali dei serafini di Isaia pensa il vulcanico Bartolomeo (In Ann., 45, 4):13 hee vero ale fuerunt sex facte Virgini promissiones. Prime due, ale scilicet capitales, fuerunt: concipies et paries. Hee velaverunt faciem deitatis quia secundum iudicium humane rationis deitatem a concipiendo et pariendo filium abstulerunt, alienum quippe est ei qui dat concipere concipi et qui dat omnibus generare generari. Due ale quasi pedales fuerunt: Filius Altissimi vocabitur et regnabit in domo Iacob in eterno. Hee velabunt Virgini concipiendi et pariendi pedes, id est infirmitatem et mortalitatem, aliena enim est a servo regia maiestas que est Patris qualitas [equalitas ed.], aliena prorsus a mortali eternitas, et Gabriel promittebat quod regni concepturi et parituri filii non esset finis. Due laterales ale fuerunt: Spiritus sanctus superveniet in te et virtus Altissimi obumbrabit tibi. Has duas halas seraph Gabriel expandit ante Virginem ad misterium incarnationis Virgini reserandum quod per duas capitales erat velatum quoad deitatem, per duas pedales quoad humanitatem. Per hoc enim quod dicit Spiritus sanctus superveniet in te, ostendit quod conceptus Virginis non debebat esse naturalis set miraculosus et quod non erat inconveniens concipi et generari, matre intacta et integra, operatione Spiritus sancti qui quod faciebat agebat voluntate communi Patris et Filii. Et per hoc quod ait virtus Altissimi obumbrabit tibi, ostendit quod non erat inconveniens quod Christus esset infirmus in forma servi et Deus maiestatis in forma Domini, et quod non erat inpossibile quod eternus secundum deitatem passibilis et mortalis fieret secundum humanitatem. Queste sei ali furono le sei promesse fatte alla Vergine. Le prime due, cioè le ali capitali, furono: concepirai e partorirai. Queste velarono
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BARTOLOMEO, op. cit., p. 301.
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la faccia della divinità, perché secondo il giudizio della ragione umana distolsero la divinità dal concepire e partorire il figlio; infatti l’essere concepito è estraneo a chi dà di concepire e l’essere generato a chi dà a tutti di generare. Le due ali quasi pedali furono: Sarà chiamato Figlio dell’Altissimo e regnerà in eterno nella casa di Giacobbe. Queste veleranno alla Vergine i piedi del concepimento e del parto, cioè l’infermità e la mortalità; infatti è estranea al servo la regia maestà, che è qualità del Padre, estranea del tutto ai mortali l’eternità, e Gabriele prometteva che non ci fosse fine del regno del figlio che sarebbe stato concepito e partorito. Le due ali laterali furono: Lo Spirito Santo verrà su di te e la virtù dell’Altissimo farà scendere su di te la sua ombra. Queste due ali il serafino Gabriele spanderà davanti alla Vergine per svelare alla Vergine il mistero dell’incarnazione, che con le due capitali era velato quanto alla divinità, con le due pedali quanto all’umanità. Infatti con le parole Lo Spirito santo verrà su di te mostra che il concepimento della Vergine non doveva essere naturale ma miracoloso e che non era sconveniente che il concepimento e il parto avvenissero essendo la madre intatta e integra, per opera dello Spirito santo che quello che faceva lo faceva per volontà comune del Padre e del Figlio. E dicendo le parole la virtù dell’Altissimo farà scendere su di te la sua ombra mostra che non era sconveniente che Cristo fosse infermo in forma di servo e il Dio della maestà in forma di Signore, e che non era impossibile che l’eterno secondo la divinità diventasse patibile e mortale secondo l’umanità.
È ora di trarre qualche conclusione. Se non abbiamo avuto delle allucinazioni, 1) Gabriele può avere più di due ali, 2) può svolgere funzioni più ampie che non quelle di messaggero, 3) ha un ruolo fondamentale profetico nel raccordo tra la visione di Isaia e l’Annunciazione, 4) le sue ali hanno un significato anagogico, 5) nell’esegesi dei significati simbolici delle opere d’arte la storia fenomenologica dei temi iconografici deve andare di pari passo con quella dei rapporti coi ‘letterati’, siano essi storici, predicatori, teologi, filosofi, poeti. Se adattiamo ora tutto ciò all’Annunciazione di Ambrogio Lorenzetti, potremmo, sia pure con cautela, scoprire nell’iconografia qualche significato segreto. Le quattro ali non sono un errore, ma una scelta del 97
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pittore o del suo suggeritore, e veicolano esse stesse messaggi che integrano quelli affidati alle lettere dell’alfabeto, sono dunque immagini parlanti. La coppia di ali superiori, quelle per intendersi più piccole, sono le ali capitali di Bartolomeo, quelle che rivelano a Maria la profezia di Isaia e le annunciano il suo destino di vergine e madre: concipies et paries. Le grandi ali, che scendono lungo il corpo di Gabriele sono le ali laterali di Bartolomeo, quelle che fronteggiano la Vergine, che fanno i conti col mistero dell’incarnazione, che veicolano la risposta all’obiezione più grave: come potrà essere, se io non conosco uomo? e la risposta: Spiritus sanctus superveniet in te et virtus Altissimi obumbrabit tibi. Il significato di queste ali si protende nella scritta orizzontale che dalla bocca di Gabriele arriva al volto di Maria: «quia non est impossibile apud Deum omne verbum»,14 ed è integrato dal gesto del pollice dell’angelo che platealmente rinvia per la responsabilità del mistero al volere di chi può ciò che vuole. Dei Sermones possediamo un solo manoscritto (Vicenza, Biblioteca Bertoliana, G. 8. 8. 2) e sarebbe prova di spericolatezza sostenere che Ambrogio l’abbia letto. Ma non si può negare che egli sia stato il
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Un critico iperrazionalista ha ritenuto che quest’ultima frase sia stata oggetto anch’essa di un falso maldestro. Dove ora si legge non est impossibile apud Deum omne verbum, la lezione critica del Nuovo Testamento è non erit ecc. Ma non si vede che cosa potesse impedire di adattare la citazione al contesto. Per puro spirito di astrattezza teorica, si può tuttavia pensare che nel dipinto si debba leggere né erit né est, bensì est, essendo le lettere fra uncinate non visibili, perché sovrastate dalla palma. Perché esset, che non è del Vangelo (almeno stando all’ed. critica degli Aland)? Perché il Lorenzetti o il suo consigliere dottrinale potrebbe aver attinto la citazione non al Vangelo, ma a qualche trattato sull’Annunciazione, nel quale la frase era diventata una subordinata. – Dello stesso critico non condivido la spiegazione che ha voluto dare della diversità di modulo nelle lettere delle parole angeliche: non di falsificazione maldestra di un restauratore si tratta, a mio parere, ma di espediente grafico dello stesso Ambrogio, il quale, accortosi che lo spazio non gli bastava per tutta la citazione e che rischiava di arrivare sgraziatamente fin sul viso della madonna, ha provveduto a ‘risparmiare’ riducendo l’altezza delle lettere.
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più colto della scuola senese.15 Ma il punto è un altro: ed è che i Sermones esistono, con le loro teorie, e sono testimonianza che quelle teorie sono esistite. Quanto agli altri due casi ricordati in cui Gabriele ha più di due ali, si può ritenere che Niccolò di Buonaccorso abbia semplicemente imitato un modello che era in casa; ma Gentile deve aver avuto conoscenza diretta delle speculazioni intorno alla figura dell’angelo. La pala Strozzi dell’Adorazione dei Magi, cui la sua Annunciazione appartiene, relegata e spezzata nelle cuspidi, fu commissionata da un rappresentante della famiglia fiorentina allora più ricca e colta, quel Palla di messer Palla Strozzi che aveva studiato con Manuele Crisolora, che vantava amici nella cerchia umanistica, che voleva costruire una biblioteca di pubblica utilità e che con l’Adorazione volle stupire i suoi concittadini. Il senese Ambrogio Lorenzetti, cittadino di una città repubblicana, devota alla Vergine, ma mai assoggettata allo Stato della Chiesa, autore dell’allegoria del Buon Governo nel Palazzo Pubblico, e da una istituzione pubblica come la Gabella chiamato a realizzare questa Madonna, ha rinunciato ad attaccare a Gabriele le ali pedali, le ali del potere che inquietantemente preannunciavano: regnerà in eterno: quel preannuncio che invece avrebbero poi voluto registrare e sanzionare come sacro i signori Trinci di Foligno (v. cap. XVI) e la chiesa temporale dei Borgia (v. cap. IX).
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Sulla cultura di Ambrogio, sulla sua collaborazione alle idee e interessi delle classi dirigenti senesi, sull’atmosfera che si crea nella città all’arrivo di molti professori dell’Universià di Bologna insiste giustamente ARASSE, pp. 95-96.
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Le giustificazioni dottrinali della lettura
SANT’AMBROGIO E LA SUA EREDITÀ NEL MEDIOVEO Nessun artista avrebbe mai avuto la cultura e l’ardire sufficiente a rompere e trasformare una ortodossia iconografica riconosciuta e legittimata concordemente per secoli dalle due Chiese, quella orientale bizantina e quella occidentale romana. Poteva prendere l’iniziativa solo se richiesto esplicitamente da un’autorità forte e competente. E infatti andò così. Il movimento nelle sue vicende ideologiche e diacroniche è stato ricostruito, come si è detto, da Pächt, che si è avvalso del soccorso di insigni studiosi di mariologia, quali Jean Leclercq, H. Farré e C. H. Talbot. Tutto comincia in età molto alta, quando in età patristica sant’Ambrogio (sec. IV2) così commenta l’episodio dell’annunciazione in Luca:1 Denique, «Accipe», inquit, «tibi signum: Ecce virgo in utero accipiet et pariet filium». Legerat hoc Maria, ideo credidit futurum; sed quomodo fieret, ante non legerat.
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Expositio in Lucam, II 15, in PL, XV (1845), col. 1558. La diacronia di Pächt è la migliore finora esibita; ma è da osservare che ad essa è del tutto assente la tradizione bizantina. Fra Ambrogio e Beda andrebbe assegnato un posto, come si è visto, almeno al patriarca di Costantinopoli san Germano (634-733?).
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Le giustificazioni dottrinali della lettura
Alla fine l’angelo disse: «Eccoti la prova: Ecco la vergine riceverà un figlio nell’utero e partorirà un figlio». Questo Maria l’aveva letto, e perciò credette che potesse accadere. Ma come potesse accadere, non l’aveva letto.
Dove Maria aveva letto la profezia Ambrogio non dice, perché per lui è ovvio: in Isaia, VII 14. Ambrogio ha trovato il testo giusto per «far combaciare» le profezie dell’Antico Testamento con i Vangeli.2 Che poi Maria fosse in grado di leggere il dottore non ha dubbi, anzi per lui l’abitazione della ragazza era piena di libri, oltre che di arcangeli e profeti, che le tenevano compagnia: «Quin etiam tum sibi minus sola videbatur, cum sola esset. Nam quemadmodum sola, cui tot libri adessent, tot archangeli, tot prophete?».3 Anche questa familiarità col libro prima dell’annunciazione ha avuto un seguito figurativo. In una tavola di Strasburgo, ca. 1445, esattamente come vuole Ambrogio, Maria sta in solitudine in una cameretta, in preghiera davanti a un libro aperto su un altarino domestico e le fanno compagnia figure adulte oranti e angeli osannanti anche loro con libro aperto; e nell’Annunciazione di Spello, testé ricordata (284; tav. XV), si vedono, dietro la Vergine, vari libri poggiati alla rinfusa su una mensola. Segue Ambrogio da vicino, ampliandolo, il venerabile Beda:4 Quia ergo legerat «Ecce virgo in utero habebit et pariet filium», sed quomodo id fieri posset non legerat, merito credula iis que legerat, sciscitatur ab angelo quod in propheta non invenit». Perché aveva letto: «Ecco una vergine avrà un figlio nell’utero e lo partorirà», ma non aveva letto come ciò potesse accadere, e dunque, giustamente credendo a quel che aveva letto, chiede all’angelo quel che non ha trovato nel profeta.
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Cfr. su ciò una pagina breve, ma chiara, di Aldo CAPITINI, Discuto la religione di Pio XII, Parenti, Firenze 1957, p. 110 («Maria»). 3 De virginibus, II 10, in PL, XVI (1845), col. 210. 4 In Lucam, I 1, in PL, XCII (1862), col. 318.
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Ha ragione Pächt nell’osservare che fin qui si dice che Maria ha letto, non che stia leggendo quando arriva l’angelo. La decisiva innovazione avviene con un sermone di Odilone di Cluny (962-1049):5 ubi erat… quando a Domino mittebatur angelus ad eam?… Quid agebat?… orabat, legebat. Quomodo orabat? Canticum quod cecinit tympanizans, exclamat: «Magnificat anima mea Dominum». Quid legebat? Forsitan occurrebant ei divine Scripture testimonia ad illud ineffabile sacramentum… Sciebat enim Dei genitrix… processurum de se Dominum… Non enim dubitabat ad se pertinere, Spiritus Sancti illustrata lumine, quod Isaiam prophetam recolebat dixisse: «Ecce Virgo concipiet et pariet filium»; et: «Egredietur virga de radice Jesse, et flos de radice eius ascendet». Dov’era quando l’angelo del Signore arrivò a lei? … Che faceva? … pregava, leggeva. Come pregava? Intonando il cantico che cantò, esclama: «Magnifica la mia anima il Signore». Che cosa leggeva? Forse le venivano sotto gli occhi le testimonianze della Sacra Scrittura circa quel sacramento ineffabile… Sapeva infatti la genitrice di Dio che da lei sarebbe nato il Signore… Infatti non dubitava, illuminata dalla luce dello Spirito Santo che riguardava proprio lei quello che ricordava che aveva detto il profeta Isaia: «Ecco una vergine concepirà e partorirà un figlio»; e: «Uscirà un rampollo dalla radice di Jesse, e dalla sua radice ascenderà un fiore».
E finalmente con Aelredo di Rievaulx (1109-1166) il percorso si chiude, e Maria viene colta con effetto altamente drammatico, non in un momento in cui sa per aver letto, ma nel momento stesso in cui legge le profezie:6
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In assumptione, in PL, CXLII (1850), col. 1024. AELREDI ABBATIS RIEVALLENSIS Sermones inediti, ed. C. H. TALBOT, apud Curiam generalem sancti Ordinis Cisterciensis, Romae 1952, p. 85. 6
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Non est igitur inventa foris in oculis carnis, non est inventa in nundinis, intus erat in secreto, in cubiculo suo, ubi orabat patrem suum in abscondito. Audeamne coniicere quid ex momento temporis agebat, quibus utebatur meditationibus, quali oratione pascebatur? Forte in manibus tenebat Ysaiam et ordine legendi in illud inciderat capitulum: «Ecce virgo concipiet et pariet filium et vocabitur nomen eius Emmanuel». Non fu trovata fuori, sotto gli occhi della carne, non fu trovata in una fiera, stava dentro in segreto, nella sua cameretta, dove pregava nascosta il padre suo. Posso osar congetturare che cosa faceva in quel momento, a quali meditazioni era abbandonata, di quali orazioni si pasceva? Forse teneva fra le mani Isaia e andando avanti nella lettura si era imbattuta in quel capitolo che dice: «Ecco una vergine concepirà e partorirà un figlio e il suo nome sarà Emanuele».
Aelredo sa che la sua è una congettura, e lo confessa: audeamne coniicere? e come noi facciamo nelle nostre edizioni critiche accompagna alla congettura l’avverbio forte. Per gli artisti la congettura è diventata certezza. Intanto altri grandi intellettuali cristiani veri o sedicenti venivano costruendo una figura di Maria come padrona di ogni sapere e titolare anche del dono della profezia. Un De laudibus Virginis attribuito ad Anselmo d’Aosta o ad Onorio d’Autun ne parla così:7 Maria Dei genitrix didicit hebraicas litteras adhuc patre eius Ioachim vivente. Erat docilis, amans doctrinam et circa Sacram Scripturam perseverabat. Opus vero manuum eius erat lanae, lini et serici. […] Mos eius erat modicae loquelae, expeditae obedientiae, mundae conversationis sine audacia, sine risu, sine turbatione, sine ira, benigne salutans. Eloquentiam eius homines admirabantur. Fuscos habebat
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Per questo passo v. E. VON DOBSCHÜTZ, Zum Lentulus-Briefe, «Zeitschrift für wissenschaftliche Theologie», XLII (1899), pp. 461-463.
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oculos, rectos aspectu, nigra supercilia, mediocrem nasum. Vultus eius longus, longae manus, longi digiti, mediocris statura. Perseverans in orationibus, ferens pannum proprii coloris, lectioni, ieiunio et labori manuum et omni bonae virtuosaeque operationi se dederat. Maria, madre di Dio, imparò le lettere ebraiche quando suo padre Gioacchino era ancora in vita. Era pronta ad imparare, amava il sapere e dedita allo studio della Sacra Scrittura. I suoi lavori manuali erano la lana, il lino e la seta. […] Era suo costume parlar poco, obbedire subito, conversare gentilmente senza aggressività, senza ridere e senza turbamenti, senza ira, salutando con amorevolezza. La gente ammirava il suo eloquio. Aveva occhi castani, sguardo diritto, sopracciglie scure, naso misurato. Il viso era allungato, le mani affusolate e le dita lunghe, media la statura. Perseverante nelle preghiere, coperta di velo di colore appropriato, si era dedicata alla lettura, al digiuno, al lavoro manuale e ad ogni opera buona e virtuosa.
Quanto alle doti di profetessa, le furono attribuite da molti, con particolare convinzione da Basilio Magno, a commento del passo cruciale di Isaia:8 Niuno a dir vero può negare esser stata la Vergine quella profetessa cui si accostò in ispirito Isaia, se vogliasi alcun poco richiamare alla mente le parole che profferì ella, cioè il cantico Magnificat…
e dal benedettino Ruperto di Deutz (1075-1130), autore di una interpretazione del Cantico dei cantici in chiave mariana, che così integra e arricchisce la cultura sapienzale già in Maria cresciuta nei secoli grazie all’ingigantimento della figura operato dai Padri e dai teologi:9
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Opera, in PG, XXXI; tr. it. E. GENTILUCCI, Il perfetto leggendario ovvero storia della vita di Maria santissima, Tipografia della Minerva, Roma 1848, p. 35, nota 1. 9 RUPERTUS TUITIENSIS, Commentaria in canticum canticorum, ed. H. Haacke, Brepols, Turnholti 1974 (CC, Cont. Med., XXVI), p. 32. Cfr. C. FRUGONI, La voce
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Le giustificazioni dottrinali della lettura
Prophetissa namque eram, et ex quo mater eius facta sum, scivi eum ista passurum. Cum igitur carne mea taliter progenitum, talem filium sinu meo foverem, ulnis gestarem, uberibus lactarem, et talem eius futuram mortem semper prae oculis haberem, et prophetica, immo plus quam prophetica mente praeviderem, qualem, quantam, quam prolixam me putatis materni doloris pertulisse passionem? Ero una profetessa e dal momento che diventai sua madre sapevo che egli avrebbe patito tutto questo. Quando tenevo in grembo un tale figlio generato dalla mia carne, quando lo abbracciavo, quando lo allattavo alle mie mammelle e sempre avevo davanti agli occhi la sua morte futura, e la prevedevo con mente profetica, anzi più che profetica, quale, quanta, quanto lunga sofferenza di dolore materno pensate che io abbia sopportato?
ABELARDO Al difficile problema logico della figura di Maria non poté sfuggire neanche il razionalismo di Pietro Abelardo (m. 1142). Nel Sermone primo sull’Annunciazione10 egli deve per prima cosa partire dalla certezza che Maria fosse dedita alla lettura e alla preghiera, che quindi conoscesse bene i testi sacri. Quando arriva l’angelo, ella è nella lettura. A tal proposito Abelardo, a quanto mi par di vedere, è l’unico ad addurre un passo di Luca dal quale si potrebbe evincere una prova ‘autentica’ che Maria avesse letto l’Antico Testamento («Legerat quidem Abrahae factam de Christo promissionem, sicut et ipsa postmodum profitetur»). Il passo è Luca I 54-55, e corrisponde agli ultimi due versetti del Magnificat, l’inno al Signore che la Vergine eleva durante la visita ad Elisabetta:
delle immagini, cit., pp. 245, 248, 293 n. 31; e Testi mariani, 2° mill., III, pp. 131137; a pp. 136-137 sulla dottrina. 10 Sermo primus in Annuntiatione beatae Virginis Mariae, in PL, CLXXVIII (1855), col. 385. Vd. anche Testi mariani, 2° mill., III, coll. 180-186.
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Suscepit Israel puerum suum, recordatus misericordiae suae. Sicut locutus est ad patres nostros, Abraham et semini eius.
Secondo Abelardo qui Maria, con spirito di profetessa, ha interpretato le promesse del Vecchio Testamento come riferite a se stessa e al suo figliuolo. E ne ricade la conseguenza logica che sapesse leggere e intendere quei testi.11 Nel diverbio con una fanciulla talmente dotta da odorare un poco di Eloisa fu facile per l’angelo riportare una vittoria accademicamente dialettica. «Quomodo autem tam legis maledictum evitet, si virgo permaneat, quam propositi sui votum incorrupta custodiat, patenter exponit dicens eam pariter tam esse parituram quam virginem permansuram. Parituram, inquam, non solum hominem, verum etiam hominum Salvatorem, hoc est Jesum…» (“In qual modo essa eviterà la maledizione della Legge se rimarrà vergine [scil. la maledizione di tutti quelli che non lasciavano seme in Israel] e come manterrà incorrotta l’impegno da lei promesso, l’angelo lo spiega apertamente quando dice che ella partorirà e nello stesso tempo rimarrà vergine. E partorità, dico, non solo un uomo, ma il Salvatore degli uomini, cioè Gesù…”).12
LO PS.-ALBERTO MAGNO Intanto, mentre di letture taceva l’eloquentissimo Iacopo da Varazze,13 veniva scomodato anche il nome del grande Alberto di Colonia
11
PL, CLXXVIII (1885), col. 385. Cfr. Testi mariani, 2° mill., III, pp. 179-187. PL, CLXXLVIII, col. 384. 13 IACOPO DA VARAZZE, Legenda aurea, con le miniature dal codice Ambrosiano C 240 inf., testo critico riveduto e commento a cura di G. P. Maggioni, trad. it. coordinata da F. Stella, SISMEL-Edizioni del Galluzzo-Biblioteca Ambrosiana, Firenze-Milano 2007. 12
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per costruire (fine sec. XIII) la leggenda di Maria dotata di ogni sapere. A lui è stato attribuito un trattato Super missus est, che studiosi hanno recentemente dimostrato spurio.14 Un passo di quest’opera (q. 99 ss.) ha per lungo tempo fatto parte integrante di una sorta di dossier indiscutibile sulla dottrina di Maria. Così lo riprende in una sua predica il domenicano Giovanni d’Altamura (al secolo Giuseppe Antonio Ricciardi 1599-1635),15 e noi per brevità lo riprendiamo dal riassunto che egli ne fa: Ma bisogna discorrere particolarmente per haver qualche notizia della sapienza della Vergine, per contemplarla et ammirarla. Alberto il Grande [Super missus est, q. 99] discorre per ciascheduna scienza e sapienza, e tutte le ritrova nella Vergine in sommo grado, come la Grammatica, essendo necessaria ad intendere la Sacra Scrittura perfettamente, così la Rettorica, perché dice s. Agostino nelle sacre carte vi sono molti colori rettorici. L’istessa Vergine Madre, come imperadrice, dovea esser dottissima delle leggi civili e canoniche, e perché dice san Girolamo in Iob et altri luoghi della Sacra Scrittura vi sono molte proposizioni principii assunti e conclusioni, dunque hebbe la logica. E perché lei era potentissima a sanare l’infermità dell’anima e del corpo, conobbe le proprietà dell’erbe e pietre preziose, dunque hebbe la medicina e la fisica. Nel principio della Genesi si fa mentione
14
Ed. A. BORGNET, in ALBERTUS MAGNUS, Opera omnia, XXXVII, apud Ludovicum Vivès, Parisiis 1898, pp. 1-321. Sulla non autenticità A. FRIES, Die unter dem Namen des Albertus Magnus überlieferten mariologischen Schriften, in «Beiträge zur Geschichte der Philosophie und Theologie des Mittelalters», XXXVII, München 1954; B. KOROŠAK, Mariologia sancti Alberti Magni eiusque coaequalium, in «Bibliotheca Mariana Medii Aevi», VIII, Roma 1954; L. GAMBERO, Testi mariani, 2° mill., IV, pp. 343-349. Sul pensiero autentico di Alberto vd. M. BURGER, Albert the Great - Mariology, in: A companion to Albert the Great. Theology, Philosophy, and the Sciences, ed. by I. M. Resniek, Brill, Leiden-Boston 2012, pp. 105-136; Testi mariani, 2° mill., IV, pp. 328-342. 15 GIOVANNI D’ALTAMURA, Nove prediche in honore della sacratissima Vergine Maria, L. Cavallo, Napoli 1667, predica VII, pp. 134-135.
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del sole, luna e stelle, dunque per conoscere perfettamente la Sacra Scrittura fu dottissima d’astrologia. E perché nel Nuovo Testamento è molto usitato il canto, fu perfettissima nella musica. Hebbe l’aritmetica, perché sapeva i numeri mistici della Sacra Scrittura; e perché nell’istessa si sono le misure, dunque hebbe la geometria e tutte le scienze; e se l’apostoli senza haver havuti maestri furono perfettissimi teologi, anche Maria fu perfettissima teologa. Oltre tutte queste sopradette scienze, quali hebbe la sapientissima madre della sapienza Maria Vergine, come a suo loco già detto prova Alberto, soggiunge l’istesso essere nella medesima madre altre scienze, le quali si bene par che alcune di quelle siino scienze che appartengono al stato de’ beati nella bella patria del cielo, lei fu tutta piena di sapienza come a viatrice et hebbe in questa vita le scienze dell’altra in quel modo si possono havere, e così per gratia speciale conobbe il misterio della ss. Trinità, e mediante l’istessa gratia singolare et esperimentale conobbe il misterio dell’Incarnatione, vidde l’angeli e l’anime separate et altre simili scienze.
DA TOMMASO D’AQUINO A GIROLAMO SAVONAROLA Anche il grande allievo di Alberto, Tommaso d’Aquino, ritiene che Maria sapesse leggere; anzi lo dà per scontato, senza attardarsi in dimostrazioni, riprendendo di peso testo e argomentazioni di sant’Ambrogio.16 Un successo straordinario con infiniti manoscritti ed edizioni ebbe il commento di Niccolò da Lira o Lyra (1270 ca. - 1349) alla Bibbia, a dispetto della sua mancanza di filologia e di senso critico. A commento di Isaia il francescano teologo non perse l’occasione di raccordare le profezie a Maria. A VIII 3, quando il profeta dice: «Et accessi ad prophetissam, et concepit et peperit filium», già la Glossa ordinaria aveva
16
Catena super Lucae Evangelium, I 10, in THOMAE AQUINATIS Opera omnia, studio ac labore S. E. Fretté, XVII, L.Vivés, Parrisiis 1876, p. 16.
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spiegato che prophetissa poteva riferirsi a Maria, «quam prophetissam fuisse nemo dubitat»; Niccolò confermò brevemente: «Et accessi ad prophe(tissam), idest Virginem Mariam, ut predictum est».17 Assisteremo avanti agli sviluppi umanistici e poi ancora cinque e seicenteschi di questa glorificazione di Maria dottissima fra le creature. Un passaggio non eludibile è il Savonarola delle prediche fiorentine, che proprio sullo Ps.-Alberto si fonda. Così annota nel suo Breviario:18 Virgo erat docta in scripturis. Habet enim omnes gratias datas, ut dicit Thomas et Albertus, inter quas prima est sapientia. La Vergine era dotta nelle Scritture. Ha infatti tutte le grazie concesse, come dicono Tommaso e Alberto, fra le quali la prima è la sapienza.
Savonarola, come già Ruperto e Abelardo, estremizza il sapere di Maria verso la profezia nelle prediche sopra Giobbe, sopra Ruth e Michea. In quella del settembre 1496 assomiglia Maria alla profetessa Delbora, eroina bellica del Libro dei Giudici: «Delbora profetessa donde ebbe lei le profezie? Da Dio. Chi sarà adunque questa Delbora? La sarà quella beata mamma, madre di Dio e madre ancora nostra».19
17
Cito da Biblia sacra cum glossa interlineari ordinaria, Nicolai Lyrani expositionibus…, IV, Venetiis 1588, cc. 21v-22r. 18 A. F. VERDE, Il Breviario di Frate Girolamo Savonarola, postille autografe trascritte e commentate, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, Firenze 1999, p. 322. Per questa parte su Savonarola sono debitore ad alcune suggestioni di REGOLI, Preveggenza, e alle dettagliate considerazioni di F. VERESS, Michelangelo e Savonarola: la «Pietà» di San Pietro, «Zeitschrift für Kunstgeschichte», LXXIII (2010), pp. 539554. Ma iniziatori di queste indagini, volte a chiarire influssi del Savonarola su Michelangelo, sono stati E. STEINMANN, Das Madonnenideal des Michelangelo, «Zeitschrift für bildende Kunst», N. F., VII (1896), pp. 169-210, e Ch. DE TOLNAY, The youth of Michelangelo, Princeton University Press, Princeton 1947, pp. 125-132. 19 G. SAVONAROLA, Prediche sopra Giobbe, a cura di R. Ridolfi, Belardetti, Roma 1957, I, pp. 418-419; ID., Prediche sopra Ruth e Michea, a cura di V. Romano, Belardetti, Roma 1962, II, pp. 243-245, 254-256.
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Al punto terminale di questo processo che si entusiasma di se stesso e cresce senza controllo potremmo citare un frate polacco che a metà Seicento, trattando delle litanie lauretane di Maria, dedica un intero capitolo alla Regina prophetarum,20 proclamandola princeps fra le dieci antiche sibille, la Cumea (!), la Cumana, la Persica, l’Ellespontica, la Libica, la Samia, la Delfica, la Frigia, la Tiburtina e l’Eritrea. Con lui sta in buona compagnia il lucchese Ippolito Marracci, che in una sua Polyanthea Mariana, ci ammannisce un lungo elenco di autori che considerano Maria profetessa.21 La ricerca potrebbe estendersi ad altri autori. Per ora fermiamoci al nucleo del fenomeno. Con una domanda. Cosa o chi ha autorizzato Ambrogio e dietro di lui i dotti medievali a ritenere che Maria conoscesse e leggesse le Sacre Scritture? Non certo i vangeli sinottici. La radice ultima di questa tradizione parrebbe risiedere nei capp. IV e VI dello Ps.-Matteo, dove si racconta che nel tempo che soggiornò nel tempio la Vergine eccelse nella conoscenza della legge, nei carmi di Davide, nella preghiera e nell’osservanza della legge. Lo ps.-Alberto fa responsabile di ciò Sargun Ibn Mansur, o Giovanni Damasceno, l’arabo innamorato di Maria (676-749). Maria, egli dice, conobbe la grammatica, sapeva leggere e intendere, «quia legere et non intelligere negligere est»; e il Damasceno testimonierebbe che Maria «in templo fuit enutrita, ubi virgines instruebantur».22
20 I. MIECHOVIENSIS, Discursuum praedicabilium super litanias lauretanas beatissimae Virginis Mariae tomus secundus, Sumptibus Philippi Borde, Laurentii Arnaud et Claudii Rigaud, Lugduni 1660, pp. 483-486. 21 I. MARRACCI, Polyanthea Mariana, F. Metternich, Coloniae Agrippinae 1710, pp. 548-550. 22 Non trovo il passo preciso del Damasceno. Potrebbe essere l’Omelia I sulla Dormizione di Maria, in PG, XCVI, col. 513, tramandato con qualche varietà di lezione. Su Giovanni vd. Omelie cristologiche e mariane, introduzione, traduzione e note a cura di M. Spinelli, Città Nuova, Roma 1980, 19832; e Testi mariani, 1° mill., II, pp. 482-571. La sua conoscenza in Occidente dovette passare attraverso la traduzione latina del De fide orthodoxa, realizzata nel 1150 da Burgundio Pisano.
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A dire il vero, lo Ps.-Matteo non afferma che Maria sapesse leggere, né parla esplicitamente di lettura, ma l’esame e la conoscenza della legge può ben essere frutto della lettura. Ad ogni modo ecco il testo:23 Cum autem tertio anno perlactasset eam, abierunt simul Ioachim et Anna soror eius ad templum domini, et offerentes hostias domino tradiderunt infantulam suam Mariam in contubernium virginum, quae die noctuque in dei laudibus permanebant. Quae cum posita esset ante templum domini, quindecim gradus ita cursim ascendit ut penitus non aspiceret retrorsum, neque, ut solitum est infantiae, parentes requirebat. […] Erat autem Maria in admiratione omni populo. Quae cum trium esset annorum, ita maturo gressu ambulabat et perfectissime loquebatur et in dei laudibus studebat, ut non infantula esse putaretur sed magna, […]. Insistebat autem operi lanificii […]. Denique cum senioribus virginibus in dei laudibus ita docebatur, ut iam nulla ei in vigiliis prior inveniretur, in sapientia legis dei eruditior, in humilitate humilior, in carminibus Davidicis elegantior […]. Ed al terzo anno, avendola svezzata, Gioacchino e sua moglie Anna andarono insieme al tempio del Signore e offrendo vittime al Signore affidarono la loro piccola bimba, Maria, perché abitasse con le giovinette che trascorrevano giorno e notte nell’adorazione di Dio. Quando essa fu posta davanti al Tempio del Signore salì così di corsa i quindici gradini che non si volse affatto a guardare indietro, né – come di solito si fa nell’infanzia – cercò i genitori. […] Era adunque Maria oggetto di ammirazione a tutto il popolo. Pur essendo appena di tre anni, camminava con passo così sicuro, parlava così perfettamente e così bene si applicava all’adorazione di Dio, che non si sarebbe detta una bambina, ma una persona grande, […].
23
Evangelia apocrypha, ed. Tischendorf cit., pp. 61-63; ed. Craveri cit., pp. 7173. Sulla rilevanza di questo passo vd. anche A. PRANDI, in Enciclopedia cattolica, I, cit., col. 1391; SCHILLER, fig. 556.
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Si dedicava anche ai lavori con la lana […]. Era tanto docile agli insegnamenti che riceveva nel culto di Dio con le giovinette più grandi, che nessuna si trovava più sollecita di lei nelle veglie, nessuna più istruita nella conoscenza della legge di Dio, più umile in semplicità, più intonata nel cantare i salmi davidici […].
Questo racconto è fondamentale anche per molti altri aspetti della leggenda di Maria. È qui che si racconta come al momento di dover uscire dal tempio e di prender marito si rifiutasse e proclamasse di volere restare sempre vergine, di come il sacerdote bandisse un concorso entro la tribu di Giuda e come lo vincesse contro sua voglia il falegname Giuseppe con la verga da cui spiccò il volo una colomba, come Giuseppe fosse costretto a portare Maria a casa come sua promessa, mentre invece avrebbe voluto darla in moglie a un suo figlio, come lui assente Maria stesse in casa in compagnia di altre cinque fanciulle con il compito di filare la tela del Tempio, ecc. ecc., persino con particolari e pettegolezzi da cortile. Ribadiamo, anche se la cosa è arcinota, che la Chiesa, se ha ripudiato questo con tanti altri Vangeli, condannandoli come apocrifi, cioè falsi, spuri, non autentici, non si è mai opposta all’uso di essi nelle arti e nella letteratura. Chi non ricorda quadri famosi, come l’ascesa al Tempio della bambina Maria di Carpaccio24 e di Tiziano e lo Sposalizio della Vergine di Raffaello commissionato da una chiesa di Città di Castello, con il sommo sacerdote, le cinque vergini compagne, Giuseppe vecchio, i pretendenti sconfitti, e la variante della verga fiorita di Giuseppe? Raffaello ha sbagliato solo il numero degli scalini del tempio. Il miracolo della verga fiorita anche in Carpaccio alla Pinacoteca di Brera (1502).25 Orbene dobbiamo pensare che dallo Ps.-Matteo si dipani una tradizione i cui rami non è facile ricostruire. Ad essa appartiene certa-
24 25
M. CANCOGNI, Carpaccio, cit., pp. 128-129. M. CANCOGNI, Carpaccio, cit., pp. 130-131.
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mente una lauda drammatica abruzzese resa nota da Vincenzo De Bartholomaeis, la Disponsazione e festa della Nostra Donna di anonimo aquilano del sec. XIV.26 Qui la cultura di Maria è rilevata due volte dal padre Gioacchino al momento della consacrazione, in età di tre anni, al Tempio: una prima volta quando le insegna i quindici salmi graduali e le raccomanda: «figliola, sta collo animo desto / se quisti salmi tu sapire voi» (vv. 57-58); una seconda volta, ancora più esplicitamente, quando congedandosi da lei, la esorta a pregare e a leggere: «e tu, figliola, coll’altre te starrai / in orazione e legere, se vorrai» (vv. 77-78). E a metà Quattrocento sugli apocrifi costruirà la vita della Vergine per queste vicende Antonio Cornazzano, cui abbiamo già fatto cenno e su cui torneremo. Prendiamo l’ascesa al Tempio della bambina. Sembra proprio la teatralizzazione di una sceneggiatura scritta dal Cornazzano (II 15-24) sulla base dello ps.-Matteo: Posta che l’hebbe la sua madre giuso, che piangendo de spalla la desmise montando i padri ognun con la sua suso, lei della man paterna si divise e senza aiuto al gran Tempio ascendendo passò la scala e mezzo se ne rise. Né mostrò di strachezza un piccol mendo, più come donna d’una età possente, anzi animosa disse: «A Dio mi rendo».
Sono molti i casi in cui la Chiesa o piuttosto la tradizione cristiana fa propri aneddoti e storie raccontati da testi ritenuti non autentici, per esempio l’incontro di Pietro che fugge da Roma con Gesù (dagli Acta Petri).
26 V. DE BARTHOLOMAEIS, Il teatro abruzzese del medioevo, Zanichelli, Bologna 1924, pp. 56-65; di lui v. anche Origini della poesia drammatica italiana, seconda ed. accresciuta, Società Editrice Internazionale, Torino 1952, pp. 308-309. Una nuova edizione del breve testo, cui faccio riferimento, è stata curata da L. Petrucci, Centro Studi Origini Teatro Italiano, Cortona 1972 (Testi del primo teatro italiano, 4).
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Come ho accennato nel cap. IV, qualcuno ha immaginato che Maria sia stata educata a leggere e scrivere dalla madre Anna. Anche di questo tema si è appropriata la pittura, e l’Educazione letteraria della Vergine ha inondato le tele. Fa eccezione Dante Gabriele Rossetti, che nella Fanciulezza della Vergine (1849) alla Tate Gallery di Londra fa sì che Anna insegni alla figlia non a leggere e scrivere, bensì a tessere, mentre vicino a loro un angelo affianca una poderosa pila di grossi tomi dedicati alle virtù.27 L’incontro di Maria col libro è stato un momento decisivo per la storia dell’arte occidentale. Filippo Lippi ha conferito una teatralità maestosa al sogno di san Bernardo: in esso è Maria in persona che promuove il suo destino iconografico, rilasciando al banditore della sua gloria una sorta di patente di regista della comunicazione libraria (v. Appendice III). Gli artisti orientali, osserva Pächt, «were never aware of the potentialities of the concept of the Virgin absorbed in devout studies».
27
Le Muse, IX, 1967, p. 348.
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VIII
Il presente è già storia
Dalla profezia alla storia del presente. Intorno al 1340 un mosaico raffigura un’Annunciazione monumentale nel transetto settentrionale del Duomo di Pisa (72). L’autore è stato credibilmente riconosciuto in Francesco Traini, un pittore di grande valore che opera anche altrimenti e a lungo nella città. La Vergine riceve il messaggio angelico seduta su un ricco trono intarsiato. Porta la destra al petto e lascia cadere sul ginocchio un libro aperto, sulle cui pagine si leggono con qualche minima incertezza le seguenti parole in maiuscole gotiche: ECCE ACIL LA D
OMINI FIAT MI
Non è più la profezia di Isaia, ma la risposta al saluto che si legge nel cartiglio in mano all’angelo: AVE GRA PLENA. Sono le parole che Maria non può trovare scritte nel libro che sta leggendo, perché lei stessa deve ancora pronunciarle e non sono state ancora storicizzate da un narratore. Le avrebbe tempo dopo inserite nel suo vangelo Luca, I 38: «Ecce ancilla domini. Fiat mihi secundum verbum tuum». Il caso non è isolato. Si conoscono più Annunciazioni di Gentile da Fabriano e della sua scuola, una prima in sede a me sconosciuta (155), una seconda in collezione privata prima Londra e poi a New York (157), una terza nella chiesa della SS. Annunziata a Firenze (158), una quarta agli Uffizi (160) e una quinta nella Pinacoteca Vaticana (156; tav. XXVI); alla sua scuola sembra appartenere una modesta Annunciazione 117
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sul muro in cima alle scale che portano dal chiostro inferiore a quello superiore di San Lorenzo a Firenze (161). Sono molto simili tra di loro, ma concettualmente diverse. Nella prima, che presumo sia quella che è stata fatta oggetto di riproduzione su tavola per il commercio turistico (un esemplare presso di me), e che leggo attraverso tale riproduzione, Maria sta seduta su uno scranno ligneo con le mani in grembo; accanto a lei un libro aperto è poggiato su una panca, sorretto da cuscino rosso. Sulle due pagine del libro si legge la solita profezia scritta nell’Antico Testamento, che Maria può pensare riferita a se stessa: ECCE VIR GO CON
CIPI ET ET PA RIET FI LIV3
Per aria dalla bocca di Maria partono parole scritte in maiuscola quadrata e leonardescamente rovesciate: vanno verso il Padreterno che dal cielo in alto a sinistra le manda lo Spirito Santo in forma di colomba. Sono le parole dell’accettazione: ECCE ANCCILLA DNI. Identica situazione nella SS. Annunziata (158): con l’unica differenza che le lettere del libro sono nella prima parte smozzicate1. Sostanzialmente simile è la raffigurazione povera di San Lorenzo (161) col libro sulle ginocchia e le parole di Isaia in maiuscole alquanto rovinate dall’esposizione agli agenti atmosferici (ma senza la risposta di Maria)2:
VIR GO CON
CIPI ET ET PA RIET ET VOC
1 Rovesciata è l’accettazione nell’Annunciazione di Gand di Jan van Eyck del 1424-1432 (195). 2 Quella che segue è la mia lettura di anni anteriori al 2018; ma una verifica
118
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Verisimilmente questa versione, legata com’è alla tradizione, è anteriore. Ma agli anni 1421-1425 risalgono l’Annunciazione, che si ritiene autografa, londinese (157) e quella, forse di scuola, vaticana (156). In queste due Maria continua a star seduta su uno scranno ligneo con le mani in grembo; accanto a lei un libro continua a stare aperto su una panca, sorretto da cuscino rosso. Ma sulle due pagine del libro si leggono le parole che nella prima Annunciazione volavano nell’etere, qui in minuscola: Ecce ancil a don mii
Fiat mich i secu dum
Sono le parole con cui Maria, dopo aver mosso obiezioni al messaggio dell’angelo, accetta la sua sorte umanamente impossibile. Sono scritte con capolettera in rosso, ortografia medievale e un pasticcio nella parola domini, in una non elegantissima gotica. Alle parole corrispondono come una sorta di resa simbolica le mani sul grembo. Si ripete l’assurda situazione del mosaico del Traini. Le parole che noi leggiamo sono quelle che Maria pronuncia realisticamente nella scena che vediamo rappresentata. Ma perché sono scritte sul libro? O tutto l’atto drammatico era già scritto nel libro e Maria lo stava leggendo in anticipo prima che accadesse nella realtà, o l’evento viene scritto sul libro in diretta, mentre accade, come una cronaca televisiva dei nostri giorni. In ogni caso, anche qui, il libro che Maria legge è quello che racconta la sua vita.3
fatta il 5 febbr. 2018 mi sorprende. Un turpe restauro ha riscritto a caso le lettere, tranne VIRGO. 3 Da Pisa all’Europa: negli stessi anni o poco dopo il dilettoso gioco viene riproposto da due anonimi, un valenziano (Collezione Plandiura al Museu Nacional d’art de Catalunya) e un pugliese (Basilica di S. Caterina d’Alessandria a Galatina).
119
Il presente è già storia
E tuttavia questa mini-storia nella storia dell’immagine di Gentile potrebbe essere andata diversamente. Secondo un’altra ricostruzione,4 il prototipo risale al 1234, quando fra Bonfiglio, uno dei sette fondatori dell’ordine dei serviti di Cafaggio (Firenze) ne affidò l’esecuzione a un giovane pittore innominato della Compagnia (ma sembra una leggenda costruita a posteriori, nel sec. XV). Dell’affresco dei serviti furono fatte numerose riproduzioni tre-quattrocentesche (a Firenze San Marco, Ognissanti, Santa Lucia al Prato, Santa Maria Novella: cui aggiungo la scala di San Lorenzo). Una copia, realizzata da Carlo Dolce, si troverebbe nella galleria di Palazzo Pitti.5 Ebbero tutte successo per le capacità taumaturgiche loro riconosciute. In particolare la riproduzione di Ognissanti sarebbe stata fatta eseguire nel 1369 da un barbiere per l’anima del figlio Gaspare, come recita l’iscrizione che la accompagna. Insomma è o no Gentile il primo pittore di questa immagine? Sarà pure una leggenda la storia di fra Bonfiglio e del dipinto del 1234; ma la copia di Ognissanti è anteriore a Gentile.
Il meccanismo di questo rapporto anomalo tempo-scrittura-lettura si spinge ancora oltre nella sua irrazionalità in un dipinto di Bicci di Lorenzo (in collaborazione con Stefano di Antonio) del 1430 ca., che si trova nella pieve di S. Maria Assunta a Stia in Casentino (174; tav. XXVII). Qui nel libro aperto sulle ginocchia di Maria si leggono le parole di lode a Dio che essa pronuncerà per ringraziarlo di averla scelta come veicolo dell’incarnazione (Luca, I 46-48). Sono scritte in maiuscola onciale su due colonne: MAGNIFI CAT AIA MEA DO MINU ET EXUL TAUIT
4
MEUS IN DEO SALUT ARI MEO QUIA RE SPEXIT
M. BACCI, «Pro remedio animae». Immagini sacre e pratiche devozionali in Italia centrale (secoli XIII e XIV), GISEM-Edizioni ETS, Pisa 2000, pp. 58-61, e fig. 5. 5 A.M. JAMESON, op. cit.,p. 169: ma non dice copia di quale redazione.
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SPS
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L’anima mia magnifica il Signore; ed esultò il mio spirito in Dio, mia salvezza, perché ha considerato…
Se la risposta all’angelo è registrata in diretta, questa lode al Signore è scritta sul libro che non erra prima che Maria la pronunci. Dice infatti Luca che Maria qualche giorno dopo la visita dell’angelo andò da Elisabetta e fu in quella occasione che pronunciò il Magnificat. È vero che già Odilone, molti secoli prima, si era mostrato convinto che Maria cantasse il Magnificat prima dell’arrivo dell’angelo, certa, come egli crede che fosse, di essere la predestinata. Qui, nel Quattrocento italiano, assistiamo a un progressivo trasferimento di Maria in una dimensione metatemporale e a un suo innalzamento ai vertici del sapere umano. In una annunciazione di anonimo pisano del sec. XV (224) sul libro aperto in grembo a Maria sono scritte parole in una maiuscola artefatta che non corrisponde a nessuno dei canoni noti; è una scrittura che arieggia i caratteri cufici arabi, e che vuole occultare il messaggio sotto il velo di segni misteriosi. Sulla prima colonna sembra doversi leggere SALVE / GRATIA / PLENA, ma nella seconda le lettere diventano sempre meno decifrabili. Potrebbe trattarsi anche di segni in cifra, ma non si riesce a trovare il codice. Dal poco che è dato capire, pare che il breve testo sia la salutatio angelica. Se è così, abbiamo un’altra versione, sofisticata, della vita in diretta. Quello che l’angelo dice, viene scritto nello stesso tempo sul libro, ma, per bizzarro che possa apparire, il libro è aperto verso l’angelo ed è l’angelo stesso a leggere, non Maria. Un altro caso in cui il libro sarebbe rivolto verso l’angelo, il quale celebrerebbe, leggendo, un rito liturgico di adorazione, è stato visto da alcuni storici nel Cigoli6; ma è un abbaglio e il libro è in questo caso correttamente rivolto verso la Vergine.
6
F. FARANDA, Ludovico Cardi detto il Cigoli, De Luca, Roma 1986, pp. 74-75; R. CONTINI, Il Cigoli, Edizioni del Soncino, Soncino 1991, pp. 64-65. Per avere richiamato la mia attenzione su questo problema ringrazio Maria Fancelli.
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Anche il lucchese Michele Ciampanti, detto Maestro di Stratonice,7 pone un libro davanti a Maria nel momento in cui arriva l’Angelo (282; tav. XXVIII). Il libro è poggiato aperto su una specie di davanzale o balaustra che divide la Vergine dall’angelo, e sul davanzale sotto il libro si è posato protettivamente un lembo della lunga veste della Vergine. Il dipinto, ora nella chiesa di San Giovannino dei Cavalieri a Firenze, non è databile con precisione, ma si fa collocare a cavallo fra Quattro e Cinquecento. La sua più significativa particolarità è l’eccezionalità del testo sul quale il libro è aperto. Il testo è un passo dei Salmi (VI 1-2), che non fa predizioni sull’avvento della figliolanza divina. Dice: DOMINE NE IN FVRORE TVO ARGV AS ME NE QVE IN IR A TVA ·
CORIPIAS ME QONI AM INFIR MVS SVM SANA M
Nella restituzione critica: «Domine, ne in furore tuo arguas me neque in ira tua corripias me . Quoniam infirmus sum, sana m». Maria legge i Salmi, perché nella estensione che si è fatta della sua cultura, è diventato del tutto ovvio che legga uno dei testi sacri più familiari al fedele. Ma la pagina non è indifferente alla sorte che Maria sta vivendo. E quelle parole che legge riflettono il suo stato d’animo in quel momento: il senso del suo sgomento e l’am-
7
Sul Ciampanti M. NATALE, Note sulla pittura lucchese alla fine del Quattrocento, «The J. Paul Getty Museum Journal», VIII (1980), pp. 35-62; M. TAZARTES, Anagrafe lucchese. II. Michele Ciampanti, il Maestro di Stratonice, «Ricerche di storia dell’arte», XXVI (1985), p. 22; EAD., in La pittura in Italia. Il Quattrocento, a cura di F. Zeri, I, Electa, Milano 1987, pp. 309 e 314; C. BARACHINI - M. T. FILIERI - G. GHILARDUCCI - F. SERRI, Pittori a Lucca tra ’400 e ’500, «Annali della Scuola Normale di Pisa», Cl. Lett. e filos., s. III, XVI (1986), pp. 743-824.
123
IX
L’autoliturgia
ANCORA PINTORICCHIO L’Annunciazione del Pintoricchio della Pala di Santa Maria dei Fossi nella Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia è grandiosa e fastosa (285). La pala fu eseguita nel 1495 a glorificazione dei Borgia e modificata parzialmente dopo la morte di Alessandro VI (1503), per cancellare il ricordo di quella scomoda famiglia. L’Annunciazione è bipartita in due quadrati posti in alto a destra e sinistra della figura centrale della Madonna col Bambino. È difficile pensare che essa abbia preso il posto di altre immagini nel 1503, giacché, come si può vedere da analoga concezione di Antonello,1 quella era la posizione canonica dell’Annunciazione, e dunque si può stare sufficientemente tranquilli alla data 1495 (tav. XXIX). Maria legge un libro aperto sulla prima pagina di un’opera, contenuta in un volume più ampio. La pagina di sinistra è occupata interamente da una miniatura, in cui non si fa fatica a riconoscere una Annunciazione, con l’angelo e Maria medesima. La pagina di destra è occupata quasi interamente dal titolo o inscriptio in inchiostro rossastro e dalle prime parole del testo in inchiostro nero: il tutto in una minuscola tonda (tav. XXX).
1
È il Polittico di S. Gregorio al Museo Regionale di Messina, datato 1473 (291).
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L’autoliturgia
Incipit offici u bẹ⎣ati⎦ssime v⎣i⎦rginis ṃari e s’m cosue⎣t⎦u dinem roman e curie. Ad ma tutinas V’ Domine la
Trascriviamo queste righe in discorso continuo, con scioglimento delle abbreviature, introducendo la punteggiatura, e facendo seguire la traduzione italiana. Incipit officium beatissime virginis Marie secundum consuetudinem romane curie. Ad matutinas. Ver(sus): Domine la. Comincia l’Ufficio della beatissima vergine Maria secondo l’uso della curia romana. A mattutino. Versetto: Signore, le mie labbra aprirai.
Maria legge nientemeno l’Ufficio della Vergine Maria, libro liturgico d’ore per la devozione pubblica e privata. Il libro comincia con la preghiera del mattutino, appena accennata dal versetto dei Salmi L 16. Come una qualunque donna che si affida alla Madonna, che di tutti è amorevole protettrice, e le rivolge le sue preghiere, anche Maria di Nazareth si affida alla Madonna e le rivolge le sue preghiere. Ma la Madonna di cui Maria di Nazareth legge l’Ufficio è lei stessa, o meglio è una delle sue tante reincarnazioni, epifanie, personificazioni, metamorfosi e santificazioni. In una canzoncina per bambini del mio paese persone e santi formano una catena di sguardi, in cui le monachelle mirano la Nunziata e la Nunziata faccia-tonda mira la Madonna: la Nunziata è ovviamente la Madonna stessa.2 Tutti sanno del resto
2
Tuppe tuppe, a cura di Etrusco Lucano [Michele Feo], Edizioni Bandusia, Pisa 2009 (I Libretti del Monacello, 7).
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quanto si sia moltiplicata l’unica Madonna nei paesi della cristianità: la Madonna delle Nevi, quella del Bell’amore, e quella del Carmelo, quella di Banzi, quella di Montenero e l’Incoronata di Foggia, quelle di Fatima, di Lourdes, di Medjugorje e di Częstochowa, ecc. ecc., tutte autonome e nell’immaginario popolare competitive fra loro per poteri taumaturgici, avvocateschi e consolatori. Ma la Madonna di Perugia non appartiene a queste forme di politeismo o polimorfismo, impraticabili dagli scaltriti committenti del Pintoricchio. Questa Maria di Nazareth o di Perugia, nel mentre riceve l’annuncio, vede in un libro la sua annunciazione come l’avrebbe rappresentata un miniatore quindici secoli dopo, e legge a suo conforto spirituale la propria glorificazione liturgica come sarebbe stata codificata quindici secoli dopo dalla Chiesa di Roma istituzionale e gerarchica. Non c’è più l’adolescente ignorantella, vestita di stracci, che abita in una casa di fango e va alla fontana per strade di polvere. Maria non è più la madre di colui che aveva una sola tunica, non è più la protettrice dei poveri e dei derelitti: è stata adornata di vesti preziose, ha traslocato in un palazzo principesco italiano, ha imparato il latino, ed è diventata l’architrave di un potere terreno alto, ricco e tracotante, immorale, tanto illegittimo quanto indiscutibile, quello della curia romana. Eppure dentro questo trionfo della Chiesa sacramentale commissionato dai Borgia è rimasto un nucleo teologico severo della Chiesa spirituale. Perché l’iconologia di Maria che legge se stessa è un vortice temporale che si avvolge su se stesso. Al centro dell’immensa pala sta Maria in trono col bambino, circondata e protetta da santi e da momenti della sua stessa vicenda, dall’annunciazione e dalla morte del figlio; ma se andiamo a ficcare lo sguardo sempre più in profondità nell’annunciazione, vedremo che lì Maria legge un libro nel quale è rappresentata l’annunciazione e si può legittimamente sospettare che anche in questa rappresentazione Maria legga la storia di Maria e la sua gloria e così all’infinito. È un gioco di specchi e di specchiati sembianti che si auto-riflettono trascorrendo dal passato al futuro, dal cielo alla terra, dall’invisibile al visibile, su un filo immaginario che collega finitezza ed eternità. Ed è anche forse un modo per dire che 127
L’autoliturgia
la storia di Maria, razionalisticamente indecifrabile, non può essere rappresentata con le forme e i canoni espressivi della ‘normalità’. Che la storia di Maria è anche una non-storia, un cerchio magico incontaminato dal divenire delle cose. Quando Maria tiene in braccio il suo bambino e lo allatta o gioca con lui è al livello ermeneutico più elementare l’incarnazione della madre perenne. Quando attraverso la lettura si immerge negli abissi inconosciuti dell’essere, la storia è diventata una metastoria al quadrato: una metastoria che ospita in sé un’altra metastoria. Il paradosso Maria è anche il vertice del mysterium. Riappare il problema affrontato con minore ebbrezza teorica attraverso il movimento delle braccia in croce che si affrontano alle braccia in croce dell’angelo. Maria può solo contemplare se stessa, come la Rachele dantesca che «mai non si smaga / dal suo miraglio» (Purg., XXVII 104-105).3
3
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Ma per l’invenzione del tema vd. il cap. XI su Botticelli.
X
Maria filologa?
Non c’è dubbio che il già ricordato Bicci di Lorenzo, pittore fiorentino del primo Quattrocento, debba aver amato la figura di Maria col libro, tante volte l’ha rappresentata con cura, non distinguendosi molto dai suoi contemporanei nello schema generale. Si distingue invece vivacemente nell’Annunciazione di Baltimora del 1430 (173), perché lì accompagnano Maria, non uno, ma due libri aperti, uno in grembo e l’altro posato su un leggio, pure esso aperto. Per la verità non è l’unico caso di presenza di due o più libri in casa di Maria,1 ma questo sembra l’unico in cui i testi in essi scritti siano ben leggibili. Il primo ripete in maiuscole onciali il passo notissimo di Isaia: ECCE UIR GO CONC IPIET ⦢
Ma il secondo introduce nella storia del tema iconografico, anche se non nella storia del problema teologico, una assoluta novità. Stesa su due colonne, parimenti in onciale, si legge la seguente frase:
1
Un libro aperto in grembo a Maria, e due posati chiusi su un leggio su una cassapanca nell’Annunciazione di Carlo da Camerino (124); tre libri, di cui uno aperto, sul leggìo dell’Annunciazione dureriana del 1503 (312).
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Maria filologa?
FEMIA CIRCU DABIT
UIRU IEREM IA ˛PPH’A
Femina circumdabit virum. Ieremia propheta. Una donna rinchiuderà dentro di sé un uomo. Geremia profeta.
Gli esegeti cristiani vedono in questa profezia di Geremia (XXXI 22) il preannuncio della incarnazione di Gesù e la rivelazione del mistero di Maria, che, donna, sarà portatrice del mistero di rinchiudere nel suo seno quello che in nessun oggetto può essere rinchiuso.2 Qui Maria sembra comportarsi come un umanista, intenta a operare la critica delle fonti, a confrontare i testi profetici che parlano del suo destino e a fare di fonti plurime una synkrisis storiografica interiore. Nella deesis di Jan van Eyck a Gand3 Maria regge nella sinistra un libro aperto, nel quale legge, e nella destra un libro chiuso, nel quale il dito indice tiene il segno, a ricordare evidentemente un passo di quelli che i filologi chiamano paralleli. È l’inizio di una nuova stagione, in cui si accentuano il sapere e la dottrina di Maria.
2
Il passo di Geremia sarà recuperato nella lista delle profezie messianiche da Gerson (vd. infra,p. 163). 3 G.T. FAGGIN, Jan van Eyck, Fabbri, Milano 1965 (I maestri del colore, 72), tav. II e copertina.
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XI
Dopo la nascita del Bambino
1. MARIA TORNA A LEGGERE. BOTTICELLI E LA «MADONNA DEL LIBRO» Se Maria abbia continuato a leggere fra l’annunciazione e la nascita del bambino le arti figurative normalmente non dicono: con un paio di eccezioni. Una appartiene a una serie di storie della Vergine, dipinte da un anonimo nell’oratorio di Solario, povero villaggio nella piana di Saronno.1 Qui fra la visita a Elisabetta e la fuga in Egitto è rappresentato il sogno di Giuseppe: mentre il vegliardo dorme e un angelo gli parla, la Vergine, seduta, sta a guardarlo e intanto ha abbandonato un libro aperto sul grembo. Su quel libro è scritto evidentemente il passo di Matteo I 20-23, che acquisisce anche le parole profetiche di Isaia che hanno già convinto Maria, e sulle quali forse essa continua a ruminare. La seconda è molto simile alla prima. Proviene da area tedesca, ma è più tarda, di metà Quattrocento.2 Maria sta seduta, in una stanza gremita di oggetti, è intenta a un lavoro domestico, ma soprattutto, come dicono i tedeschi, ist in der Hoffnung, è in dolce attesa. I libri stanno alle sue spalle, chiusi. In una stanza adiacente Giuseppe riceve il messaggio dall’angelo.
1
P. TOESCA, op. cit., fig. 184, e pp. 112-113; cfr. D. SANT’AMBROGIO, L’oratorio di Solaro presso Saronno, «Archivio storico lombardo», s. II, XX (1893), p. 842. 2 Frammento di altare da Strasburgo, ca. 1420. SCHILLER, fig. 586.
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Dopo la nascita del Bambino
La terza, una Madonna di Nardo di Cione (metà sec. XIV), non ha contesto, ma è fotografata, vestita in pompa magna, poco prima del parto: nella sinistra regge un libro chiuso, evidentemente il libro della verità sigillata e del suo destino. Coeva, la Maria di Montefiesole, attribuita a un pittore vicino ad Agnolo Gaddi, si accarezza con la destra il pancione e tiene gli occhi fissi sul libro nella sinistra.3 Nella fuga in Egitto a dorso di asino e nel teatro della natività Maria riprende la sua condizione di povera, e non legge, né ha pensato di portarsi dietro libri. Riprende contatto col libro e torna a leggere dopo la nascita del Bambino, una volta rientrata in case comode e ricche, anche provviste di giardino. Ma ora deve fare i conti con la tirannia del bambino, che vuole tutta l’attenzione per sé e mal sopporta la madre assente dietro una faccenda incomprensibile come la lettura. Ho raccolto sparsamente alcune testimonianze di questa nuova avventura. Già nella più antica a me nota, di metà Trecento, i resti a Modena di un affresco del pittore Tomaso,4 è evidente l’insorgere di un mini-conflitto, che la madre ha cercato di risolvere con un compromesso. Nella destra tiene chiuso il libro che stava leggendo, quando ha dovuto interrompere, e con l’indice marca il segno della pagina. Al Bambino ha dato un altro libro, sperando che ci possa giocare e lasciarla in pace. Il piccolo in effetti lo maneggia come fosse un vero intellettuale e fissa attentamente le pagine che ha aperto. È un attimo di felicità sospesa, colto in una sapiente istantanea. Ma non c’è speranza di una futura conciliazione delle due esigenze. I pittori hanno trovato fertile il nucleo narrativo e l’hanno percorso in tante forme. Ricorderò qui alcuni aneddoti. La Madonna col Bambino e due santi, nella chiesa di S. Maria presso S. Gelso a Milano, sec. XV in.;5 la Madonna dell’Umiltà di
3
Il Museo Bandini di Fiesole, cit., p. 2. Tomaso da Modena,catalogo a cura di L. Menegazzi, Edizioni Canova, Treviso 1979, p. 160. 5 P. TOESCA, op. cit., fig. 423. 4
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scuola senese, al Pennsylvania Museum di Philadelphia;6 la Madonna dell’Umiltà del Maestro di Flémalle alla National Gallery di Londra;7 la Madonna del Parafuoco di Robert Campin (National Gallery di Londra), ca. 1430;8 la Madonna del davanzale di Fiorenzo di Lorenzo (ante 1480), Parigi, Museo Jacquemart-André;9 le Madonne con Bambino di Hans Memling10 (reggono e mostrano il Bambino, ma intanto rubano la lettura del libro); la Madonna di Palma il Vecchio ai Musei di Dahlem a Berlino (la madre può leggere perché il bambino dorme).11 Ancora: Niccolò del Priore (?) a Perugia, anni 1473-1498;12 Liberale da Verona;13 Bernardo Strozzi;14 Anonimo di Bruxelles ca. 14951500 (la Madonna, seduta nel giardino di una casa regge il libro aperto nella sinistra e volge lo sguardo al piccolo, che intanto sfoglia le pagine in malo modo);15 la Madonna col Bambino di un maestro tedesco del sec. XV16 (nel mentre legge Maria dà al Bambino, che chiede attenzione, una rosa); la Madonna col Bambino di Bartolomé Bermejo (con la sinistra la madre regge il Bambino e con la destra tiene aperto un libro al quale tuttavia non riesce a dedicarsi);17 e, speculare, una Madonna in trono col Bambino fra san Pietro e Davide, di Giovanni Antonio Bevilacqua detto Liberale (firmato 1502), alla Pinacoteca di
6
M. MEISS, The Madonna of Humility, «The art bulletin», XVIII (1936), p. 446, fig. 21. 7 M. MEISS, op. cit.,p. 446, fig. 22. 8 Madonna e Bambino, p. 37. 9 GARIBALDI-MANCINI, p. 40, fig. 1. 10 Ex. gr. H. HERRMANN, op. cit., fig. 11. 11 I tempi di Giorgione, op. cit., fig. 22. 12 P. SCARPELLINI, in: GARIBALDI-MANCINI, pp. 194-195. 13 V. SGARBI, Quella torsione del volto di Maria. Riappare una tavola di Liberale da Verona, «Corriere della sera. Sette», 14 aprile 2017, p. 89. 14 REGOLI, Preveggenza, p. 60. 15 Madonna e Bambino, p. 70 (proprietà privata). 16 H. BIEDERMANN, Enciclopedia dei simboli, tr. it., Garzanti, Milano 2004, p. 447. 17 SRICCHIA SANTORO, p. 102.
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Brera (con la destra regge il bambino e con la sinistra tiene aperto un libro in grembo);18 Carpaccio, Vergine leggente a Washington, National Gallery, datata 1505-1507;19 Tiziano e Francesco Vecellio, Madonna con il Bambino incoronata dagli angeli e due angeli musicanti, Chiesa parrocchiale di Sedico, ca. 1515.20 Molti pittori ritornano volentieri sul tema. Due volte Giorgione con la Madonna col Bambino dell’Hermitage;21 e con la Madonna Tallard (1508) a Oxford, Ashmolean Museum22 (qui Maria si è trasferita in una casa veneziana con vista sul Palazzo Ducale). Quattro volte Botticelli con la Madonna del libro del 1480-148123; la Madonna della melagrana (1487), Firenze, Galleria degli Uffizi24 (Maria non legge, ma si ha come l’impressione che per lei impegnata col Bambino leggano gli angeli che la circondano); la Madonna col Bambino e san Giovanni Battista al Louvre, 1468 ca.; la Madonna del Padiglione alla Pinacoteca Ambrosiana, 1496. Tre volte Albrecht Dürer: nell’altare di Dresda, 1496 (il libro appoggiato sul leggìo è chiaramente uno stampato); nella Muttergottes mit den drei Hasen, incisione del 149725 (il bambino si è impossessato del libro e lo apre); e nella Muttergottes
18
Cfr. M. DE MEDICI, I colori tornano a splendere grazie ai big della finanza, «Corriere della sera. Sette», marzo 2015, pp. 66-67. 19 M. CANCOGNI, Carpaccio, cit., pp. 142-143. Il Bambino non si vede, perché quella parte del dipinto è stata tagliata, come dimostra il confronto col corrispondente disegno su cartone. 20 Le vie di Giorgione nel Veneto. Ambienti, opere, memorie, a cura di L. Puppi, E. M. Dal Pozzolo, G. Fossaluzza, Skira, Ginevra-Milano 2009, p. 224. 21 E.M. DAL POZZOLO, Giorgione, Motta, Milano 2009, p. 257. 22 E.M. DAL POZZOLO, Giorgione, cit., pp. 279-280; ma secondo M. COLLARETA, La «Madonna» di Oxford di Giorgione, «Iconographica», V (2006), pp. 150-153, la scena non è veristica e Maria è rappresentata prima della concezione, mentre legge nei libri sacri il mistero della Incarnazione. Ma la lettura dopo la nascita del Bambino è un tópos della pittura europea. 23 BO, pp. 106-107. 24 CECCHI, p. 244. 25 Das Marienbild, cit., pp. 52-53.
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mit der Meerkatze, incisione dell’anno dopo26 (il bambino è attratto da un uccellino cui dà da mangiare, e il libro resta chiuso nelle mani della madre, che guarda con compiacimento il figlio). Il tema è caro a Raffaello: sue sono la Madonna Solly (1500-1504), Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie;27 la Madonna con il Bambino fra san Giovanni Battista e san Nicola di Bari (1505), Londra, National Gallery28 (in questi due dipinti la madre legge e il bambino rivolge lo sguardo verso il libro); La Belle Jardinière (1507), Paris, Musée du Louvre29 (la madre ha chiuso il libro e rivolge tutta l’attenzione al bambino); la Sacra Famiglia Canigiani (1507-1508), Monaco, Alte Pinakothek30 (la madre chiude momentaneamente il libro, tenendo l’indice fra le pagine, per prestare attenzione ai giochi di Gesù con san Giovannino); la Madonna col Bambino e san Giovannino alla National Gallery di Washington (situazione simile alla precedente);31 la Madonna del cardellino32 (il libro della Madonna è semiaperto, ma non so se si legga; la madre però trascura di leggerlo e volge lo sguardo al gioco dei due bambini). La Madonna im Garten di Hans Burgkmair (1509) a Norimberga, seduta in giardino, si divide fra aprire un libro sulle ginocchia e tenere per mano il piccolo che gioca con una tartarughina.33 Ma alla fine anche col Burgkmair a vincere è il piccolo, e Maria in una xilografia chiude il libro e lo ripone, dedicando tutte le attenzioni al figlio.34
26
Ivi, pp. 56-57. Raffaello, present. di M. Prisco, Rizzoli-Skira, Milano 2003, pp. 76-77. 28 M. PRISCO, op. cit., pp. 86-87. 29 M. PRISCO, op. cit., pp. 104-105. 30 M. PRISCO, op. cit., pp. 110-111. 31 REGOLI, Preveggenza, p. 55. 32 L’amore, l’arte e la grazia. Raffaello: la «Madonna del Cardellino» restaurata, a cura di M. Ciatti e A. Natali, con la collaborazione di P. Reitano, Mandragora, Firenze 2008: a p. 63 il libro prima e dopo il restauro. 33 SCHILLER, fig. 835. 34 M. COLLARETA, La «Madonna» di Oxford, cit., p. 152, fig. 3. 27
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Nella Heilige Sippe di Lucas Cranach, incisione ca. 1509, chi ha un libro aperto in mano è Anna, la madre di Maria, e pare che passi il bambino a Maria per poter leggere con comodo: secondo la scheda in Das Marienbild, cit., p. 50, la scena ha a suo fondamento una visione di santa Coletta di Corbie. È del 1645 la Sacra famiglia di Rembrandt:35 in una povera casa, che è anche la bottega artigianale di Giuseppe, Maria interrompe la lettura di un librone scritto su due colonne per pagina, per guardare il Bambino che dorme nella culla. Quando poi Gesù è più svezzato, Maria può sognare a libro aperto, mentre il figlio è trattenuto dal gioco con san Giovannino.36 Ancora nell’Ottocento il tema resiste con lo scozzese William Dyce.37 Fa eccezione il sano senso della realtà di un libro d’ore per signora, che richiama ruvidamente, all’altezza del 1440, alle necessità di una famiglia modesta: e così, Maria, invece di perder tempo a leggere, lavora tutta contenta al telaio, mentre Giuseppe pialla una tavola e Gesù sta al sicuro in un girello.38 In questa appendice novellistica campeggiano grandi maestri come van Eyck, Antonello, Pintoricchio e Piero di Cosimo, uomini che dovevano avere una vera passione per i libri, se li hanno disseminati dappertutto nei loro dipinti, introducendo tocchi meravigliosi. Del resto essi vivono negli anni del massimo fulgore dell’umanesimo, civiltà il cui fulcro fu il libro. Nella Madonna della Pala di S. Cassiano di Antonello, ora a Vienna,39 Maria tiene delle ciliege nella mano aperta, per porgerle, come in altre raffigurazioni, al Bambino; ma questi non sembra interessato al piccolo piacere terreno: ha preferito impossessarsi del libro, e, tenendolo appoggiato al ginocchio, vi poggia
35
Madonna e Bambino, p. 19. REGOLI, Preveggenza, p. 60, fig. 55. 37 Madonna e Bambino, p. 37. 38 Libro d’ore di Caterina di Clèves, New York, Pierpont Morgan Library, M. 917; A. e C. FRUGONI, Storia di un giorno, cit., fig. 103. 39 Antonello da Messina 1981, cit., pp. 176-178. 36
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sopra la sinistra con aria di possesso, mentre con la destra benedice ispirato, rivendicando il suo ruolo sacrale. Van Eyck e Pintoricchio ci dànno della scena una versione più domestica e realistica: nella Madonna fiamminga di Ince Hall40 e in quelle umbre del Pintoricchio41 il Bambino, attirato dal codice in mano alla madre, glielo ha preso, Maria glielo ha ceduto amorevolmente, e il piccolo, col prezioso giocattolo in mano, lo sfoglia garbatamente e ne contempla le pagine tutto compreso e serio. È ancora il Pintoricchio che nella Sacra famiglia nella Pinacoteca di Siena, ci mostra Maria che tiene un libro aperto nella sinistra, ma lancia un’occhiata al figlio che con san Giovannino sembra avviarsi verso la scuola con un libro chiuso sotto braccio;42 e poi ce la mostra ancora la madre in atto di assecondare il bambino mentre fa il compito di esercitarsi nella lettura: in piedi su uno sgabello, legge (o fa le prime prove di scrittura?) in un libro tenuto dalla madre, seguendo le lettere con un’asticella o stilo nella destra (tav. XXXII);43 irreperibile è purtroppo la Madonna di Pintoricchio con bambino e libro aperto abbandonato a terra, un tempo a Perugia in abitazione privata.44 Il Bambino si impossessa del libro della Madre ancora in una grandiosa pala di Filippino Lippi:45 il libro sta nella destra della Madre,
40
R. BRIGNETTI, op. cit., pp. 106-107. Pintoricchio reinventa due volte la scena, tutte e due le volte con una dolcezza appena appena ironica: Madonna col Bambino e san Giovannino, Cambridge, Fitzwilliam Museum (MANCINI, p. 219, fig. 131); Madonna col Bambino leggente in un paesaggio, Raleigh, North Carolina Museum of Art, Kress Collection (MANCINI, p. 156; F. ORTENZI, in GARIBALDI-MANCINI, pp. 248-249). 42 Le Muse, IX, 1967, p. 188. 43 Madonna di Philadelphia, Museum of Art, John J. Johnson Collection (MANCINI, p. 157; F. ORTENZI, in GARIBALDI-MANCINI, pp. 250-251). Il dipinto è stato imitato da uno spagnuolo nella cosiddetta Madonna delle febbri (MANCINI, p. 162; F. ORTENZI, in; GARIBALDI-MANCINI, pp. 260-261). 44 S. RIZZO, Un milione di opere d’arte rubate e mai ritrovate, «Corriere della sera. Sette», 2 agosto 2013, pp. 22-23. 45 Pala degli Otto (1486), Firenze, Galleria degli Uffizi (CECCHI, p. 51). 41
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ma il Bambino lo afferra e lo maneggia con tutte e due le mani in modo sgarbato. Circondano il trono angeli in cielo e ai due lati santi vestiti della pompa della loro grandezza, il Battista, due vescovi e san Domenico reggente un libro aperto. In mezzo a tanta gloria il Bambino che si appropria del libro vuol dire che spetta a lui infrangere le regole del gioco e riempire la storia di un racconto nuovo e inedito. La situazione è poco diversa, ma il significato identico, in un dipinto cinquecentesco del trevigiano Paris Bordon, la Madonna con Bambino tra sant’Enrico d’Uppsala e sant’Antonio da Padova: stando in braccio alla madre, il Bambino afferra un libro aperto che gli porge il vescovo sant’Enrico e lo maltratta, fino a strapparne una pagina.46 E ancora il piccolo gioca col libro illustrato della madre in un dipinto di Vittore Carpaccio a Francoforte.47 E nella Sacra Famiglia, pure cinquecentesca, di Domenico Beccafumi: stando in braccio alla madre, il bambino sfoglia sgarbatamente un grosso codice di un santo.48 Col tema Piero di Cosimo ha giocato a più riprese, divertendosi a toccare varie situazioni della giornata di una madre col suo bambino. Quando il Bambino dorme, la madre legge tranquilla, standogli comunque vicino (Madonna adorante il Bambino di Toledo, Ohio;49 Madonna col Bambino e san Giovannino della raccolta Antonini a Parigi50). Ma quando è sveglio, la vita si fa più difficile. Allora la mamma deve barcamenarsi. Una volta pare che ce la faccia a seguire la pagina, nonostante l’irrequietezza del santo monello (Madonna con il bambino del Louvre, 1485-150051). Un’altra volta riesce a ‘piaz-
46 Cfr. Paris Bordon in Puglia. Un restauro e due scoperte, a cura di C. Gelao, Marsilio, Venezia 2013, p. 33. 47 M. CANCOGNI, Carpaccio, cit., pp. 96-97. 48 Musei della Toscana. Il Museo della Fondazione H. Percy Horne a Firenze, Giunti, Firenze 1992, p. 10. 49 L’opera completa di Piero di Cosimo, introd. e coord. da Mina Bacci, Rizzoli, Milano 1976 (Classici dell’arte Rizzoli), tav. XV, p. 88. 50 M. BACCI, Piero di Cosimo, cit., p. 101, n. 77. 51 M. BACCI, Piero di Cosimo, cit., tav. XIV; p. 90, n. 23.
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zare’ il bimbo fra le braccia di Giuseppe, solitamente a questa incombenza refrattario (Sacra famiglia con san Giovannino della Fondazione Cini52). Ma per due volte deve rassegnarsi a chiudere il libro (Madonna con Bambino e angeli della Fondazione Cini a Venezia;53 e sua variante non localizzata54); nello stesso torno di anni si arrendono similmente anche la citata Madonna col Bambino di Giorgione ora all’Hermitage di San Pietroburgo55 e la statuaria Madonna col Bambino di Bruges di Michelangelo:56 la Madre di Giorgione regge il Bambino con la destra e tiene serrato il libro nella sinistra; quella di Michelangelo stringe nella destra il libro e sorregge il Bambino con la sinistra. Ma in conclusione anche la Madonna di Piero, come quelle dei colleghi van Eyck, Antonello e Pintoricchio, a un certo punto si arrende e abbandona il libro nelle mani del Bambino. Il quale, prima lo tiene ritto e lo sfoglia con aria di grande competenza, mentre la mamma si lascia prendere da un certo nervosismo, percepibile solo dal movimento delle mani (Madonna col Bambino di proprietà privata fiorentina, opera giovanile57); poi lo posa su un leggìo piatto e ne maneggia le pagine, bistrattandole con voluttà, incurante delle attrattive di un cesto
52
M. BACCI, Piero di Cosimo, cit., pp. 94 e 96, n° 50. Apparentemente simile è la situazione della Madonna col Bambino, san Giovannino e san Giuseppe della Pinacoteca Nazionale di Siena (F. ORTENZI, in GARIBALDI-MANCINI, pp. 280-281). La tavola è probabilmente opera di bottega e risale agli ultimi anni del Quattrocento. Maria tiene aperto un libro, ma ne distoglie turbata lo sguardo; Giuseppe invece fissa proprio le pagine, accigliato; a destra i due bambini, sereni, Giovanni coi segni del battesimo e della croce, Gesù con un libro sigillato in mano. Penso che la scena sia altamente simbolica e che racchiuda la storia futura, tragica, di tutta la famiglia: i due adulti ne acquisiscono consapevolezza dalla lettura presaga del libro. Ancora una volta Maria legge il suo futuro scritto nel libro. 53 M. BACCI, Piero di Cosimo, cit., tav. XLVII, e p. 93, n° 38. 54 M. BACCI, Piero di Cosimo, cit., pp. 95-96, n° 49. 55 E. M. DAL POZZOLO, Giorgione, cit., p. 157. 56 Michelangelo scultore, presentazione di G. C. Argan, Rizzoli-Skira, Milano 2005 (I classici dell’arte, 64), p. 97; D. ARASSE, Non si vede niente, cit., p. 35. 57 M. BACCI, Piero di Cosimo, cit., pp. 84-85, n. 1.
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d’uva e di una albicocca, sotto lo sguardo, non più umilmente rassegnato, ma alla fin fine divinamente felice della mamma (Madonna con il bambino delle collezioni reali di Stoccolma, probab. 1488 ca.58). Quali sono i nuovi libri della biblioteca di Maria? Il primo a rivelarcene uno è stato Sandro Botticelli nella Madonna col libro, del 1480-81.59 Maria tiene in braccio il Bambino e poggia la mano destra su un codice aperto, elegante ma attardato nella gotica in una città che sullo scorcio del secolo precedente aveva inventato la minuscola umanistica. Il testo della pagina di sinistra non è identificabile, ma dovrebbe essere legato per sintassi e senso a quello che segue a destra. Anche quest’ultimo non è perfettamente riconoscibile, ma frammenti di esso sono chiari: Ecce vir(go concipiet) e mel commedet di Isaia VII 14 e 15; Deo gratias; Deus in adiutorio. Ma altre parole si inframettono senza una ragione percepibile. La mescolanza di testi diversi e l’alternanza di righe in rosso e righe in nero rimandano con tutta verisimiglianza a un libro d’ore, a un ufficio della Vergine. Se è così, l’idea dell’auto-liturgia che abbiamo visto nitida nel Pintoricchio si deve retrodatare a Botticelli. Il pitttore fiorentino l’ha però immaginata dopo la nascita del Bambino e l’ha lasciata nell’incertezza di scritture non bene organizzate nella sacramentalizzazione istituzionale e devozionale.
58 59
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M. BACCI, Piero di Cosimo, cit., tav. II, e pp. 84-85, n. 5. BO, pp. 106-107.
XII
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2. MARIA SCRIVE. BOTTICELLI E IL «MAGNIFICAT» Alla Madonna del libro del Botticelli fa seguito poco dopo il tondo del Magnificat agli Uffizi di Firenze (tav. XXXIII).1 Entro un gioco mirabile di occhi che si specchiano, Maria, al centro, col Bambino in braccio fa qualcosa che la innalza ulteriormente rispetto alla semplice lettrice che abbiamo finora visto. Maria scrive. Ha ancora in mano la penna che si intinge nel calamaio tenuto da un angelo. Ha vergato, nella stessa gotica della Madonna del libro, due pagine di un codice aperto. Del testo della pagina di sinistra si leggono solo parole smozzicate e qualcuna intera come umbra morti, ma è impossibile ricostruire un senso ordinato. Nitido è invece il testo di destra: Magnificat aıa mea dnṃ ul tauit sps m salutari ṃ humilita ue: ecce enioc me dicet oms
1
BO, pp. 49, 110-111; CECCHI, pp. 208-211; C. AUGIAS - M. VANNINI, op. cit.,
fig. 6.
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Quia
Sono le parole con cui Maria ringrazia il Signore per essere stata scelta come veicolo dell’incarnazione (Luca, I 46-49): Magnificat anima mea Dominum xultavit spiritus me in Deo salutari m humilitauae: ecce eni ex hoc be me dicent omne. Quia . L’anima mia magnifica il Signore; ed esultò il mio spirito in Dio, mia salvezza. Perché ha considerato l’umiltà della sua ancella: ecco infatti per questo tutte le generazioni mi diranno beata. Perché grandi cose ha fatto a me…
Il Magnificat, che abbiamo visto agire anche in qualche Annunciazione, ora continua ad esercitare il suo fascino dopo la nascita del Figlio. Maria infatti legge il Magnificat in un dipinto del maestro di Borsigliana o di Stazzema, che non si sa se sia anteriore o posteriore a Botticelli, certo contemporaneo, identificato in Pietro da Talada.2 Ma a differenza della Maria di Borsigliana, che si limita a leggere la sua storia, come da tradizione consolidata, questa di Botticelli scrive anche la sua storia. È stata sostenuta la tesi che il dipinto dimostri e celebri l’apparizione della donna scrittrice nell’Italia di età umanistica3
2 In Botticelli, nel Talada (p. 147) e nell’Annunciazione di Battista da Vicenza (p. 198) la lez. vulgata salutari sostituisce quella critica salvatore. 3 S. SCHIBANOFF, Botticelli’s «Madonna del Magnificat», cit. Ma la questione esige un’indagine più attenta e documentata. Solitamente anche le donne scrittrici, della cui esistenza non v’è dubbio, lasciano scrivere i loro testi da altri: certi sono i casi di Ildegarde di Bingen, che dettava le sue visioni al segretario Vollmar (vedi le tavole del codice di Lucca 1942 pubblicate in: Sanctae HILDEGARDIS Revelationes, a cura di A. Calderoni Masetti e G. Dalli Regoli, Cassa di Risparmio di Lucca, Lucca 1973) e di Angela da Foligno, che lasciava raccogliere le sue scomposte esternazioni
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e nello stesso tempo intenda presentarla come figura miracolosa e realisticamente impossibile: tesi più ardita che fondata. Più importa osservare qui che il Magnificat accompagnerà Maria fino alla suprema gloria dell’assunzione. Dopo le lodi del coro paradisiaco lei canterà «de semetipsa»:4 Beatam me dicent omnes generationes, quia fecit mihi magna qui potens est et sanctum nomen eius.
dal frate Arnaldo (Il «Liber» della Beata Angela da Foligno. Edizione in fac simile e trascrizione del ms. 342 della Biblioteca Comunale di Assisi con quattro studi, a cura di E. Menestò, Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 2009). Ma sono esistite nel Medioevo tedesco anche monache copiste: vd. E. PETZET - O. GLAUNING, Deutsche Schrifttafeln des IX. bis XVI. Jahrhunderts aus Handschriften der k. Hof- und Staatsbibliothek in München, Carl Kuhn, München 1910, Taf. 21; A. BRUCKNER, Zum Problem der Frauenhandschriften im Mittelalter, in Aus Mittelalter und Neuzeit. Gerhard Kallen zum 70. Geburtstag, Peter Hanstein, Bonn 1957, pp. 171-183; ID., Weibliche Schreibtätigkeit im Spätmittelalter, in Festschrift Bernhard Bischoff zu seinem 65. Geburtstag, Hiersemann, Stuttgart 1971, pp. 441-448; E. GEBELE, Hätzerlin Clara, in Neue deutsche Biographie, VII, Dunker & Humblot, Berlin 1966, p. 455; B. BISCHOFF, Die kölner Nonnenhandschriften, nelle sue Mittelalterliche Studien, I, Hiersemann, Stuttgart 1966, p. 31; e Paläographie des römischen Altertums und des abendländischen Mittelalters, Erich Schmidt, Berlin 1979, 19862, pp. 137 e 286; Paleografia latina. Antichità e Medioevo, ed. it. a cura di G. P. Mantovani e S. Zamponi, Antenore, Padova 1992, pp. 153 e 327; Krone und Schleier. Kunst aus millelalterlichen Frauenklöstern, Hirmer, München 2005; C. FRUGONI, Vivere nel Medioevo, cit., p. 303. Sull’insegnamento materno ai figli v. qui subito appresso. – Una carrellata di donne altolocate, immortalate da pittori di valore mentre sono intente alla lettura, offre Novella MACOLA in appendice a RICCARDO DE BURY, Philobiblon. La passione per i libri, a cura di C. Carena, Allemandi, Torino-Firenze 2006. Le signore leggono di preferenza il Canzoniere di Petrarca; ma la Lucrezia Panciatichi del Bronzino tiene aperto un uffiziolo della Vergine; e una presunta Maddalena di Piero di Cosimo legge un testo sacro non identificabile. – L’unica donna, a mia conoscenza, raffigurata in atto di scrivere un libro è Christine de Pizan (1365-1430 ca.), nel ms. dell’Épitre d’Othéa à Hector Londra, British Library, Harley 4431, f. 4r (WALTHER-WOLF, p. 261). 4 IACOPO DA VARAZZE, Legenda aurea, CXV; ed. Maggioni, cit., §§ 52-53, pp. 868-869.
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XIII
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3. LA QUOTIDIANITÀ FAMILIARE Le scene della quotidianità familiare sono molte e molto graziose, in esse entra in azione anche san Giuseppe. E su questo si potrebbe vagabondare in libertà. Seguiamo brevemente il destino della madre e del figlio. Maria madre torna a leggere, salvo che non sia distratta dalla cura del piccolo e allora chiude il libro o lo abbandona aperto.1 Nella Maestà del maestro di San Quirico d’Orcia è il bambino in persona che toglie il libro di mano alla madre.2 Ma già nel sec. XIII si era decisa-
1
V. il cap. XI e i casi lì citati. Qui ricordo ancora: Giovanni Pisano (?), Madonna in trono col Bambino, statua nell’edicola del pilastro sud-est di S. Maria della Spina a Pisa, sec. XIV (M. BURRESI, Santa Maria della Spina in Pisa, fotografie di A. Amendola, Cassa di Risparmio-Silvana Editoriale, Pisa-Cinisello Balsamo 1990, p. 91); Madonna con il Bambino e angeli musicanti, di Marco Zoppo, 1455, al Louvre (Mantegna 1431-1506, a cura di G. Agosti e D. Thiébaut, ed. ital., Officina Libraria, Milano 2008, pp. 92-93); Madonna e due angeli adoranti il Bambino, della Collezione Bayer a NewYork, attribuita a Crivelli (A. BOVERO, op. cit., p. 87 e tav. 152); Pala di santa Maria dei Fossi del Pintoricchio a Perugia (MANCINI, pp. 165-167). La Madonna del tabernacolo di Filippino Lippi nel Museo Civico di Prato lascia il libro chiuso su una panca e si dedica tutta al bambino (Musei della Toscana. Il Museo Civico di Prato, Giunti, Firenze 1992, p. 16). 2 Duccio. Alle origini della pittura senese, op. cit., p. 272 (Monteriggioni, Chiesa di San Lorenzo).
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mente impossessato del libro: nella cappella di S. Barbara della basilica dei SS. Quattro Coronati, stando in braccio alla madre in posizione frontale, benedice con la destra e regge un libro chiuso nella sinistra.3 La scena si ripete nella statua della madonna sulla facciata di Notre Dame a Parigi.4 Con il maestro degli Aringhieri si è impossessato di un foglio di carta e con la destra allontana la mano della madre.5 Con Hans Baldung ha chiesto le coccole alla mamma che leggeva, e lei lascia il libro aperto per terra e abbraccia il piccolo. In un dipinto del Museo di Troyes (sec. XV) madre e figlio sfogliano insieme un grosso volume.6 Meritatamente ha goduto di straordinaria fortuna una Sacra famiglia di Pompeo Batoni datata 1777.7 Qui c’è un libro aperto poggiato su un tavolo, ma non è Maria che gli presta attenzione, bensì Giuseppe. La cosa è molto strana, perché il falegname era verisimilmente analfabeta e nessun pittore ha ritenuto di ritrarlo in rapporto coi libri o altri oggetti di cultura. Il Batoni aveva certamente una grande simpatia per l’uomo che rappresenta come eccessivamente vecchio rispetto alla quasi bambina Maria e gli ha dedicato un dipinto in cui tiene in braccio il Bambino e lo contempla teneramente più come nonno che come padre. Sembra che nella Sacra Famiglia Batoni abbia voluto elevare culturalmente il povero artigiano. Ma non è così: in realtà il libro era di Maria, l’unica per così dire intellettuale della famiglia, e si può pensare che vi leggesse il Magnificat. Presa dalle attenzioni al san Giovannino e al Bambino, che intanto protende le braccia verso la vecchia Elisabetta venuta in visita, la mamma ha lasciato il libro aperto sul tavolo. Giuseppe ha visto il libro e ne è incuriosito; ma lo tratta in un modo maldestro, che non ha riscontro negli ieratici rapporti fissati dai santi medievali
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Bibliotheca sanctorum, VIII, coll. 845-846. Bibliotheca sanctorum, VIII, col. 855. Duccio. Alle origini della pittura senese, op. cit., p. 311. Bibliotheca Sanctorum, VIII, col. 890. A. IMBELLONE, in: Pompeo Batoni 1708-1787, cit., pp. 260-261.
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e dagli umanisti, ne solleva metà con la destra e poggia il gomito sulle pagine di sinistra; la curiosità è stata vinta dall’attrattiva della scena familiare. Torniamo indietro a Maria. Quando il figlio è in età di apprendimento, si trasforma in mater magistra e si preoccupa di insegnare a lui a leggere: il citato Pietro da Talada o Maestro di Borsigliana ha colto Maria nel momento in cui distrae lo sguardo dal libro che tiene aperto nella sinistra per osservare Gesù che compita sulla tavola dell’alfabeto (tavv. XXXIV-XXXVI).8 Cosa leggeva Maria? Leggeva il Magnificat, cioè le parole con cui lei, durante la visita a Elisabetta, aveva ringraziato il Signore per essere stata scelta come veicolo dell’incarnazione (Luca, I 46-49). Ecco cosa si vede ancora chiaramente nel libro: [M]agnific at anima ṃea dnm
et exultau it spus m eus in deo salutari.
Purtroppo non è stato possibile agli scopritori del Talada datare il dipinto; e poiché, come vedremo, l’invenzione della lettura del Magnificat ebbe un momento di grande felicità in Botticelli, non si riesce a capire se la primogenitura spetti al centro dal quale il tema migra
8 È la Madonna col Bambino di Capraia di Pieve Fosciana: v. Il Maestro di Borsigliana. Un pittore del '400 in Alta Val di Serchio, Maria Pacini Fazzi, Lucca 1987 (pp. 23-42: G. DALLI REGOLI, L’Abbecedario di Cristo); M. T. FILIERI, Pietro da Talada e il Trittito di Borsigliana, Maria Pacini Fazzi, Lucca 1991, p. 12. Cfr. A. e C. FRUGONI, Storia di un giorno, cit., pp. 143-146. In un altro dipinto dello stesso maestro, la Madonna col Bambino al Museo Nazionale di Villa Guinigi a Lucca, datata 1463, Maria ha lasciato il libro aperto sul ginocchio per dedicare le sue attenzioni al figlio, cui offre una rosellina (FILIERI, pp. 16-17). Su Pietro anche N. ALBERTINI, Pietro da Talada. Un pittore del Quattrocento in Garfagnana, Garfagnana editrice, Castelnuovo di Garfagnana 2011.
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verso la sperduta provincia, o se piuttosto, come credo, non sia accaduto in questo caso il contrario. Il piccolo Gesù compita. La tabula, o carta, o santacroce, simile al nostro tagliere per fare il battuto in cucina,9 porta scritto su due righe orizzontali tutto l’alfabeto: A.a.b.c.d.e.f.g. k. .p.q.r.s.t.u.x.y.ç.⦢..
Alcune lettere sono coperte dalla mano del Bambino. Gli ultimi segni sono le tachigrafie per et e con: si trovano spesso nelle serie alfabetiche che compaiono nei registri finali delle cinquecentine a riepilogo della successione dei quaderni. Seguono su altre due righe le prime combinazioni delle consonanti con le vocali: Ba.be.bi.bo.bu. Ca.ce.ci.co.cu.
Le due scritte, sul libro e sulla tabula, sono in una gotica così regolare da rispettare persino la norma delle curve contrapposte che si sovrappongono10 in be, bo e de. Come si sa, il bambino imparava a
9
Della tabula si hanno altre attestazioni pittoriche. In un dipinto, raffigurante s. Agostino portato a scuola dalla madre Monica, conservato nei Musei Vaticani appare due volte, appesa alla cintola del santo bambino e sul tavolo davanti a uno scolaro che la legge. Una terza raffigurazione proviene ancora dalle storie di s. Agostino, quelle dipinte nella chiesa omonima di San Gimignano da Benozzo Gozzoli: a sinistra santa Monica porta il piccolo Agostino a scuola e lo consegna al maestro; a destra Agostino sta accanto al maestro in atto di battere con la ferula il sedere denudato di un bambino discolo; gli altri scolari sembrano tutti disattenti; Agostino ha in mano la tabula e la guarda con intensità. 10 V. ex. gr. G. BATTELLI, Lezioni di paleografia, Pontificia Scuola Vaticana di Paleografia e Diplomatica, Città del Vaticano 19493, p. 226; G. CENCETTI, Compendio di paleografia latina per le scuole universitarie e archivistiche, Istituto Editoriale
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sillabare leggendo b a, ba, b e, be, ecc.: il che indusse un malizioso artigiano senese del Cinquecento a dedicare alcune sue stanze carnevalesche al C. A. CA.11 L’indice del bambino si posa sulla lettera g, che, come ebbe ad osservare mia moglie, è l’iniziale del nome Gesù («g come Gesù»). E se è così, come è, questo è un indizio che il primo insegnamento grammaticale non era fatto sempre e necessariamente in latino. Ed è anche una prova che le madri potevano impartire in casa i primi rudimenti della scrittura ai loro bambini. L’iniziatore dell’umanesimo tedesco, Albrecht von Eyb, nato il 1420 da famiglia aristocratica, ha ricordato con gratitudine l’insegnamento ricevuto dalla madre Margarethe, morta quando lui aveva 12 anni.12 Rivolgendosi alla sua opera maggiore, la Margarita poetica, le dice: «Haud abs re, opus clarissimum, tibi nomen sume tuum a genitrice mea dignissima, domina Margarita de Wolmershusen, femina quidem clarissima, a qua tamquam magistra optima litterarum prima hausi elementa» (“A ragion veduta, o tu, la più importante fra le mie opere, prendi il nome dalla mia degnissima madre, la signora Margherita di Wolmershusen, donna specchiatissima, dalla quale come ottima maestra appresi i primi elementi della grammatica”). I compiti di maestra domestica gravano lungamente su Maria. (Per un altro caso v. il cap. XVI). Ancora intorno al 1600 glieli affida il
del Mezzogiorno, Napoli 1972, p. 74; J. STIENNON avec la collaboration de G. Hasenohr, Paléographie du Moyen Age, Armand Colin, Paris 1973, p. 114; B. BISCHOFF, Paleografia latina, cit., p. 188. 11 M. PIERI, Lo Strascino da Siena e la sua opera poetica e teatrale, Edizioni ETS, Pisa 2010, pp. 259-262 (Ca è evidentemente la prima sillaba di termine osceno). 12 Cfr. M. HERRMANN, Albrecht von Eyb und die Frühzeit des deutschen Humanismus, Weidmannische Buchhandlung, Berlin 1893, p. 13; M. FEO, Primo dossier sul Petrarca di Gotha, «Quaderni petrarcheschi», IV (1987), p. 55. Ora non sarei più sicuro nel ritenere che Margarethe avesse avviato il figlio agli studi letterari, e ritengo più verisimile che gli abbia insegnato i primi rudimenti della grammatica, se non proprio le lettere dell’alfabeto, insomma a leggere e scrivere. Correggo, nel testo fornito da Herrmann, l’impossibile tum in tuum.
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pittore di San Miniato Ludovico Cardi detto il Cigoli. In un dipinto ora alla Galleria Palatina di Firenze la madre, umilmente seduta a terra accanto a una cesta di lavori femminili, tiene il libro aperto sulle ginocchia e mette il dito sulle prime parole della pagina. Queste parole, per fortuna leggibili, salvo dalla terza riga in poi, sono l’inizio del salmo CXII «Laudate pueri / Dminu lau / date nomen Domini».13 È un salmo che ha avuto un successo strepitoso nella storia della musica, avendo attirato su di sé l’attenzione amorosa di artisti quali Monteverdi, Haendel, Vivaldi, Flixi, Biber, Haydn, Tarsia e altri. Il Bambino, ben educato al nuovo stile di vita e di religione del mondo controriformato, guarda con dolcissima curiosità e punta anche lui il tenero ditino verso la scrittura. In questa nostra Italia dalla straordinaria cultura, che per prima ha assaporato il gusto di glorificare i valori borghesi degli affetti familiari e ha scoperto ‘artisticamente’ il bambino, ecco che anche la storia sacra prende i colori e i toni della vita quotidiana. E dall’Italia questa libertà e questo piacere di contemplare la vita si estende all’Europa. Nel leggere il passato non bisogna mai perdere la bussola della distanza storica. Nel caso specifico mai dimenticare che la chiesa di Roma ha assunto per secoli il monopolio delle immagini. Esse sono state asservite alla sola contemplazione dei protagonisti della storia religiosa dell’umanità, l’impero celeste con la sua corte e i suoi simboli, i regni oltremondani, la vicenda umana della redenzione coi suoi protagonisti, Cristo, la sua famiglia e i suoi seguaci, e poi la teoria infinita degli eroi minori, martiri, santi, guerrieri della fede, protagonisti della chiesa temporale: tutta una mitologia corredata di una imperiosa iconografia senza antagonisti. Le ragioni della terrestrità, i sentimenti umani e le passioni dell’al di qua per molti secoli non hanno avuto diritto autonomo ad entrare nelle arti visive. E quando cominciano ad entrare devono farlo surrettiziamente: come immagini documentarie in libri tecnici, e, nelle ‘opere d’arte’, come particolari
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F. FARANDA, Ludovico Cardi, cit., pp. 61-62.
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di sfondo, come paesaggio e momenti bassi su cui far meglio stagliare la grandezza dei protagonisti veri. Fu l’amore per la natura e per la vicenda temporale delle cose del tardo-gotico internazionale il motore che svegliò gli artisti dal lungo torpore teologico; e poi l’empito di vita dei Comuni e delle Repubbliche, la ragion borghese di Stato e di famiglia imposero la figura dell’uomo laico coi suoi vizi, le sue imprese e i suoi affetti.14 Questo travolgente movimento invase e pervase anche l’arte sacra. Le madonne portarono sulle tele e sulle pareti delle chiese le più belle fanciulle delle città e dei villaggi, e assunsero forme femminili sempre meno astrattamente metafisiche e sempre più carnalmente prorompenti, nei visi dolcissimi, nelle capigliature fortemente erotiche, nelle vesti diabolicamente sontuose e nei seni floridi che si offrono ai piccoli Gesù, nelle carni nude, morbide e grassottelle degli stessi gesuini, nel loro esibito sesso che è un preboccaccesco uccellino che canta.15 Il realismo occidentale contro l’astrattismo metafisico dell’Oriente.
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Lo aveva già rapidamente afferrato Burckhardt nel Cicerone, quando diceva che con Filippo Lippi la Madonna era diventata una massaia fiorentina (ed. it., a cura di P. Mingazzini e F. Pfister, Sansoni, Firenze 1952, p. 878). Sulla laicizzazione dei temi figurativi in età rinascimentale si leggono sempre con piacere le pagine di B. BERENSON, The italian painters of the Renaissance, Phaidon, London 1952 (I pittori italiani del Rinascimento, tr. it. E. Cecchi, Sansoni, Firenze 1954). 15 Per gli aspetti pedagogici, medici, istituzionali del bambino, ma anche con l’arricchimento di qualche ninna-nanna, è di grande utilità K. ARNOLD, Kind und Gesellschaft im Mittelalter und Renaissance, Schöningh-Lurz, Paderborn-München 1980. Una corsa attraverso le arti visive è invece il suggestivo libro di C. FRUGONI, Vivere nel Medioevo, cit. Altri significativi contributi: J. LE GOFF, Petits enfants dans la littérature des XIIe-XIIIe siècles, «Annales de démographie historique», 1973, pp. 129-132; S. NAGEL - S. VECCHIO, Il bambino, la parola, il silenzio nella cultura medievale, «Quaderni storici», n.s., 57 (dic. 1984), pp. 719-763; D. ALEXANDRE-BIDON - M. CLOSSON, L’enfant à l’ombre des cathédrales, Presses Universitaries de LyonCNRS, Lyon-Paris 1985; A. GALLONGO, Il bambino medievale. Educazione e infanzia nel Medioevo, Dedalo, Bari 1990; P. RICHÉ - D. ALEXANDRE-BIDON, L’enfance au Moyen Âge, Seuil, Paris 1994; A. e C. FRUGONI, Storia di un giorno, pp. 121-152.
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La Madonna diventa pian piano nella coscienza del cristiano qualsiasi la madre universale. La posa di colei che nelle chiese regge un bambino sul braccio sinistro è l’icona che scorre sotto gli occhi di tutti nella realtà della vita quotidiana nelle case e nelle piazze, nelle vie e nei mercati. Allora è facile, con movimento contrario, riversare sulla Madonna tutta l’esperienza della maternità, integrando quanto dogmi e testi ufficiali non dicono. Narratori privi di autenticità, pittori, poeti e umili cantori hanno costruito una pia leggenda popolare adorna di saporosi tocchi di ‘comicità’. Alla fine del Trecento il mistico senese Neri Pagliaresi, che fu seguace e segretario di santa Caterina, abbassò più volte nelle sue laudi la Madonna a dolce madre amorosa e inventò attraverso la storia sacra la poesia del bambino prima che la facesse sua la letteratura e l’arte profana:16 Dì, Maria dolce, con quanto disio miravi il tuo figliuol Cristo, uomo e dio. Quando tu ’l parturisti senza pena, la prima cosa, credo, che facesti, sì l’adorasti, o di grazia piena; poi sopra ’l fien nel presepio ’l ponesti, con pochi e povar panni lo ’nvollesti maravigliando e godendo, credo io. O quanto gaudio avevi e quanto bene, quando tu te ’l tenevi ne le braccia! Dimmi, Maria (ché forse ti convene c’ un poco per pietà mi satisfaccia), baciavil tu, allora, ne la faccia? Sì ben, credo, e dicevi: – O figliuol mio! –
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NERI PAGLIARESI, Rime sacre di certa o probabile attribuzione, a cura di G. Varanini, Le Monnier, Firenze 1970, lauda X, pp. 179-181. Nel volume Vergine madre figlia del tuo figlio. Le più belle pagine dall’antichità a oggi scritte sulla Madonna e raccolte da padre P. Régamey, ed. it. a cura di G. Vigorelli, Atlante, Roma 1952, pp. 253-254, la poesia era attribuita a Giovanni Dominici.
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[…] Quando un poco talora el dì dormiva e tu, destar volendo el paradiso, pian piano andavi che non ti sentiva, poi il viso ponevi al santo viso e dicevi con un materno riso: – Non dormir più, ché ti sarebbe rio. –
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[…] Quando chiamar tu ti sentivi mamma, come non ti morivi di dolcezza?
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Parallelamente gli artisti si abbandonano, verisimilmente al di là degli ordini della committenza, a rappresentare la vita dei bambini: sono i piccoli, vestiti di abiti sfarzosi, che vanno a scuola nelle storie di sant’Agostino di Benozzo Gozzoli a San Gimignano, e quelli che nel Camposanto di Pisa affollano le storie dell’Antico Testamento, giocano col cane, si litigano e si rotolano per terra; e il bambino che in un interno invernale padovano del Palazzo della Ragione, elegantemente vestito, con tarallo in mano, guarda la fiamma del focolare che il nonno tiene viva; e le frotte di bambini che, come polloni intorno al tronco dell’albero robusto, si abbarbicano fiduciosi al corpo protettivo e vivifico della madre Caritas nella marca del tipografo senese Giovanni di Alessandro Landi; e la madonna di Giovanni Pisano che arretra il busto per poter meglio contemplare il suo bambino. E fra le pagine dotte di Petrarca e di Boccaccio si infilano le figure strazianti di figliolette e nipotini morti, come quel bambino che nei capitelli veneziani del Palazzo Ducale trasforma in tragedia la dolce storia d’amore di due ragazzi, come quell’altro bambino della fiaba che appare di notte alla mamma per pregarla di non pianger più, affinché la sua camicina bagnata si possa asciugare, e come il figlio del fiorentino Giovanni di Paolo Morelli che, spentosi dopo lunga agonia davanti agli occhi impotenti dei genitori, significa la fine stessa della famiglia e 153
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della sua tensione ottimistica verso la continuità del vivere civile. E dolente è la figura dell’esule Opizzino de Canistris che, solo nell’immenso palazzo dei papi ad Avignone, ricorda con nostalgia i giochi infantili a Pavia con la sorellina, e annota il giorno della morte della madre, dicendo che quello fu il suo vero svezzamento, e confessa che c’è in lui un perenne bambino che ha nome Opizzino o Opicinus e convive col suo io adulto che invece si chiama Obizzo o Opizzo. Ritornano i bambini gioiosi dei bassorilievi dell’antica Roma, quando mandavano veloci il cerchio, e ora cercano spazi ludici fra le drôleries sui margini ornamentali dei più seriosi manoscritti di trattati teologici, fra chiocciole armate, asini in cattedra e lupi vestiti da frati.17 È una ventata nuova, di origine squisitamente popolare, che fa definitivamente giustizia di una cultura dominata da religiosi che nulla sapevano della vita ordinaria, delle sue gioie e dei suoi dolori, e men che mai della famiglia: quella cultura che aveva trattenuto Dhuoda dal dichiarare al figlio lontano tutta la nostalgia del suo viso; che aveva potuto far dire a Eloisa che mai avrebbe voluto caricare il suo uomo, un intellettuale prestigioso, dei fastidi procurati dai bambini, i pianti, le sporcizie e le ninne nanne; che riempiva le poesie di Deschamps di astiosi rimproveri alla vita e di lodi a chi non ha figli, «perché i bambini sono nient’altro che chiasso e puzzo, e noia e fatica; vanno vestiti, calzati, nutriti…; c’è sempre il rischio che caschino o si faccian male…».18
17 Rinvio qui solo ad alcuni dei documenti meno ovvi: per Benozzo Gozzoli a Pisa v. Pitture a fresco del Camposanto di Pisa, disegnate da G. Rossi ed incise da G. P. Lasinio, Tipografia all’insegna di Dante, Firenze 1832; per San Gimignano Benozzo Gozzoli. Le Storie di Sant’Agostino a San Gimignano, a cura di R. Cardini, A. Padoa Rizzo, M. Regoliosi, Bulzoni, Roma 2001; e PADOA RIZZO; per il bambino notturno J. HUIZINGA, L’autunno del Medio Evo, tr. it. B. Jasink, introd. di E. Garin, Sansoni, Firenze 1966, p. 204; per Opizzino de Canistris M. FEO, La «peciola» ritrovata (Fragmentum Barberinianum Lat. 2999), in Omaggio ad Augusto Campana, a cura di C. Pedrelli, Società di Studi Romagnoli, Cesena, 2003, pp. 222-348. 18 DHUODA, Manuel pour mon fils, ed. par P. Riché, Editions du Cerf, Paris 1991,2 pp. 72, 86, 348; tr. it. G. Zanoletti, Jaca Book, Milano 1982, pp. 35, 42, 149;
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I piccoli Gesù fanno parte di diritto della lunga e tortuosa marcia di emancipazione delle immagini dalla tirannia della servitù alla teologia, della laicizzazione e mondanizzazione della pietà popolare. Ma lo storico d’arte moderno, catechisticamente laico e bacchettone, sa che ogni particolare di un dipinto sacro ha un significato religioso che va al di là del puro oggetto ed è sempre pronto a redarguirci per la nostra contemplazione ingenua, mostrandoci, per dire, che ciliege, melograne e giocattoli sono premonizioni della morte del Cristo. Sarà: però occorrerebbe allora spiegare il significato anagogico di uccellini regalati al piccolo, talora legati con crudeli fili alle zampette, e il pianto del bambino quando una volta si lascia scappare di mano l’uccellino, o quando l’uccellino gli becca stizzito un dito, o peggio quando gli muore tra le mani, e il valore simbolico del gesto della madre di fargli le ghìgole sotto il piede, quello di porgergli il capezzolo o quello dei sorrisetti reciproci, o la paura del piccolo in braccio al barbuto sacerdote Simeone che si accinge a circonciderlo, o l’ha già fatto, e il suo protendere le manine verso le braccia della madre (Gentile da Fabriano):19 dove la cosa più importante non è il rito, ma la reazione del bambino e la protettività della madre; infine, il gesto più segreto di tutti, quello della mano del bambino infilata nel corpetto della madre alla ricerca della poppa;20 a non dire dell’inesplicabile significato religioso del rametto di corallo attaccato al collo del bambino divino in funzione apotropaica, insomma, a dirla coi napoletani, per evitare con arte magica e superstiziosa il malocchio.21 I pittori, costretti dalle
ABELARDO ed ELOISA, Lettere, a cura di N. Cappelletti Truci, introduzione di C. Vasoli, Einaudi, Torino 1979, p. 36; J. HUIZINGA, op. cit., p. 43. 19 A. DE MARCHI, Un viaggio, cit., tav. 52; M. MINARDI, in LAUREATI-MOCHI ONORI, pp. 252-255. La scena fu ripresa nel 1601 da Leonardo Mascagni nella pieve di S. Pietro a Iolo presso Prato. 20 Antonello, Madonna Benson, in: Antonello da Messina 1981, cit., p. 159. 21 Barnaba da Modena, Madonna dei mercanti (1379 ca.), in: CARLI, pp. 56-57, n. 47, e fig. 66. Cfr. anche C. FRUGONI, Vivere nel Medioevo, cit., p. 53-55. Sulla non pertinenza ideologica di alcuni particolari entro la struttura scenica v. Appendice IV.
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committenze a celebrare solo gli emblemi, le storie e i miti della religione cristiana, si sono con grande destrezza ritagliati spazi per narrare (non solo nelle storie della Madonna) piccoli aneddoti della umanità minuta, aneddoti che parlano della vita e dei sentimenti degli uomini comuni: e Maria era l’occasione per celebrare, sul grande scenario dell’incarnazione e della redenzione, i sentimenti di tutte le madri che generano nel dolore e allevano nel sacrificio e nella gioia.22 È noto che, secondo Luca II 42-49, Maria e Giuseppe smarrirono il figlio dodicenne e lo ritrovarono dopo tre giorni che discuteva nel Tempio coi dottori. Spaventata come buona madre, Maria lo rimproverò: «Filii, quid fecisti nobis sic? Ecce pater tuus et ego dolentes quaerebamus te». Simone Martini ci ha donato una dolcissima scena (datata 1342),23 in cui Giuseppe accigliato riporta a casa il ragazzo saputello col libro sotto il braccio e lo consegna alla madre. Questa se ne sta seduta ansiosa con un libro aperto sulle ginocchia. Indovinate cosa si legge sulla pagina di sinistra? Proprio le parole che secondo Luca rivolse al figlio ritrovato, scritte in una gotica posata di bella fattura petrarchesca, parole che non hanno bisogno di trascrizione critica (tav. XXXVII): filii qui feci sti n.
Quello che oggi un cartoonist scriverebbe per aria dentro una nuvoletta e un santo del gotico internazionale esporrebbe in un filatterio, l’amico del Petrarca ha trasferito subito nel luogo deputato della memoria, il libro.
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Sulla umanità di Maria insistono vari scrittori e studiosi laici dei nostri giorni: citando a caso C. AUGIAS e M. VANNINI, op. cit.; M. VELADIANO, Lei, Guanda, Milano 2017; M. CACCIARI, op. cit. 23 Liverpool, Walker Art Gallery. Cfr. F. BOLOGNA, op. cit., tav. XIV-XV; Iconografia evangelica a Siena, p. 89, fig. 70.
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XIV
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I DISCIPLINATI PERUGINI Lo dichiarò fin dal 599 il grande papa Gregorio Magno: le pitture murali nelle chiese erano per i digiuni di lettere lo strumento per apprendere quello che non erano in grado di leggere nei libri.1 E fu poi questa per tutta l’età medievale e rinascimentale la grande funzione attribuita dalla Chiesa all’arte figurativa. Alla pietà popolare si addice l’immagine. E dietro l’immagine c’è sempre, direttamente o indirettamente, la dottrina, sia quella di un dotto sia quella della lunga tradizione. Abbiamo visto come per l’ostentato sapere scritturale del Pintoricchio della cappella Baglioni sia stato ipotizzato il suggerimento di un umanista locale, il Maturanzio. Sarà nel caso specifico vero, sarà un’illusione. Ma il problema esiste. E abbiamo visto come nei fatti sia spesso verificabile la presenza della cultura alta dietro questo tipo di pietà popolare. Ma, dagli inizi altomedievali, con lo scorrere dei secoli e l’adattarsi dei temi sacri ad ambienti e uomini diversi, dalle possenti cattedrali, alle case mercantili, alle chiese di umili villaggi,
1
Epist., IX 105, in PL, LXXVII (1862), coll. 1027-28. Cfr. F. NOVATI, Origini e sviluppo dei temi iconografici nell’Alto Medio Evo, nei suoi Freschi e minii del Dugento, Cogliati, Milano 1925, pp. 297 e 353.
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la motivazione teologica trascorre nella pietà popolare. E la pietà popolare è fatta di timore di Dio e di caldo sentire, ma anche di furberie e gusto del divertimento, di superstizione e di piacere della favola. Quanto nella secolare vicenda della Vergine va incontro alla pietà popolare e alimenta il tessuto della Bibbia dei poveri, e quanto resta ancorato all’universo teologico e umanistico? La risposta è difficile. Ma alcuni elementi si possono allineare. È nella seconda metà del sec. XIII che nella misticheggiante Perugia i Disciplinati producono l’accesa poesia delle laudes drammatiche, destinata a svolgere un importante ruolo nella nascita del nuovo teatro italiano. Tre di quei testi sono dedicati all’Annunciazione. Ed è in essi che, forse per la prima volta, appare un elemento romanzesco nuovo nella storia di Maria, destinato ad avere in seguito una certa fortuna. Esaminiamo il primo testo, anonimo. Prima che l’angelo le si presenti, la fanciulla si rivolge al Padreterno con queste parole:2 O Pate Onnipotente, escritto truovo che tu deie encarnare, per salvare onne gente: chi seria quista en cui sì te dei fare? Sua fante voria stare tutto lo tempo de la vita mia; molto me piaceria essere io serva de sì alta meta. O Pate, Re del Cielo, Signor de l’arie e tutta la marina, gionto m’è un gran zelo: che quista donna trovare io vorria.
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Laude drammatiche e rappresentazioni sacre, a cura di V. De Bartholomaeis, I, Le Monnier, Firenze 1943, p. 100, vv. 45-66. Al v. 65 l’editore scrive Edio.
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E subito dopo arriva l’angelo con l’inatteso messaggio: Dio te salve, Maria, la qual se’ sopre onne benedetta! E Dio Pate t’ha eletta nel mondo singular del Figliuol mate.
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Maria ha letto nelle sacre scritture (escritto truovo, naturalmente in Isaia) che ci sarà l’incarnazione divina in una vergine prediletta. È rimasta così affascinata dalla figura femminile delle profezie, che è stata presa da un desiderio incontenibile di conoscerla e con lei trascorrere tutta la propria vita, anche facendole da serva. In tutte le belle favole del tempo che fu Cenerentola, Biancaneve, Sei-povera-masei-bella e le loro infinite incarnazioni non sanno fino al coup de théâtre che le fortunate baciate dalla sorte e destinate al matrimonio col principe dei sogni sono proprio loro, le ultime nella scala sociale. A chi ha studiato attentamente le laude esse son parse opera di «versificatori provetti», di «ecclesiastici postisi al servizio del laicato», insomma creazioni di gente tutt’altro che rozza e ingenua.3 Ma l’origine indubbiamente dotta non ne ha impedito il successo fra gente indotta. Il secondo testo, anch’esso anonimo e cronologicamente non ben definibile, ha avuto una grande fortuna musicale dal Cinquecento a oggi. Maria, in dialogo con un suo fedele, chiarisce quale fosse il suo stato d’animo al momento dell’annunciazione:4 Stava nella mia camera soletta, sopra la profetia ch’è in Isaia, che dice: «La Vergin concepirà,
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Laude drammatiche, cit., I, p. 32. Laudi mariane ovvero Rime in onore della Vergine Santissima de’ più insigni poeti di tutti i secoli della letteratura italiana, raccolte da F. Martello, G. Cataneo, Napoli 1851, pp. 83-84; Vergine madre figlia del tuo figlio, cit., pp. 251-252. 4
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e poi partorirà Emmanuel, che del Ciel tien le chiavi». Tacita stava e nel pensier dicea: «O dolce Signor mio, concedi a me che la mortale iddea che veder la poss’io, la Vergin che te Dio eletta eternalmente ha a partorire; ch’io la possa servire, prima che le mie membra troppo aggravi! Quest’era il pensier mio in gran dolcezza, così mi stavo meco, e quivi apparve una nuova chiarezza, e il Santo Spirto seco, e disse: «Dio è teco, tu se’ piena di grazia e benedetta, fra tutte donne eletta!» Temetti allor di que’ parlar suavi. L’Angiol soggiunse e disse: «Non temere, o Maria graziosa; io son venuto per farti assapere che tu se’ Madre e Sposa, candida olente rosa, partorirai dell’Altissimo il figlio; a te conviensi il giglio, fatta se’ quella a cui servir pregavi!» Intesi allor l’angelica favella, risposi con affetto: «Ecco del mio Signor la sua ancella, sia fatto come ha detto».
FEO BELCARI Nella coltissima Firenze quattrocentesca è il piissimo Feo Belcari che spiega agli spettatori della sacra rappresentazione quello che i pittori figuravano in tutte le chiese della città: cioè che Maria, quando 160
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piomba l’angelo, «meditava sopra Ecce virgo concipiet etc.».5 E riprendendo il disciplinare perugino, fa pronunciare a Maria questa ottava, dopo aver ascoltato profeti e sibille:6 Concedi a me, o giusto, eterno Dio, ch’io ami e serva te, con pura mente, e guarda me da ogni vizio rio, e fammi accetta a te e sapïente; e prego te, Signor benigno e pio, ch’io vegga quella vergine eccellente che ti concepirà di Spirto Santo, e ch’io li parli, e tocchi e serva alquanto.
GIOVANNI GERSON Ma a dar voce alla terrestre umanità di colei che esplica il ruolo di madre di tutti, ci sono pure tre o quattro umanisti cristiani, i quali entrano in gara per un sedile di gloria nell’empireo dell’epica di ispirazione classica. Il primo è Giovanni Gerson, il teologo e proto-umanista francese, da un lato impegnato in una grande battaglia dentro la Chiesa francese, dall’altro attirato dalla figura del nostro Petrarca e dal fascino che promanava dall’umanesimo spirituale del De remediis utriusque fortune. Gerson fu autore di un’epica in versi dedicata alla figura più umile della prosopografia cristiana, san Giuseppe. La Josephina fu iniziata probabilmente nel 1414 e portata a compimento il 27 luglio 1418, in un momento in cui l’umanesimo italiano è in pieno vigore e quello francese agli albori. Nella quarta sezione o distinctio del poema Maria ci viene incontro al risveglio mattuttino, poco prima dell’arrivo dell’angelo Ga-
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Rappresentazione della Annunziazione, in: Sacre rappresentazioni dei secoli XIV, XV e XVI, raccolte e illustrate per cura di A. D’Ancona, I, Le Monnier, Firenze 1872, p. 188. 6 Sacre rappresentazioni, cit., I, p. 178.
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briele. Ricordando incontri e profezie, rivolge a Dio Padre la preghiera che si compia la promessa di salvazione. Subito dopo scende, sfolgorante di luce, il messo divino. La saluta come piena di grazia e benedetta fra le donne. Maria è turbata. L’angelo la convince, Maria dà l’assenso. Leggiamo i vv. 1069-1085 della Dist. IV, quelli della preghiera del risveglio:7 «Alme pater, tociens hominum miserate labores, nunc miserere, precor. Etenim tempus miserandi venit quo dire frangatur ianua mortis, quo celos reseres; utinam diruperis illos. O celi, rorate! Pluant o nubila iustum, germinet et terra Salvatorem benedictum. Concurrunt pariter sacrorum carmina vatum quod Dominus prope, quod gens quem desiderat omnis adveniet. Propera, iam non tardaveris oro. Iam sceptrum a Iuda sublatum, iam Danielis visio complenda, iam virgo puerpera fiet, iamque virum mulier circumdabit Emanuelem. Sic Symeon, sic Anna senes dixere recenter et Zacharias vir et Elizabeth uxor anilis, dum me deifici templi secreta tenerent: misterium pregrande nimis. Quis noverit illud? Quis capiet? Sed certa fides prestanda prophetis».
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1070-71 cfr. Ps., CI 14 «Tu exsurgens misereberis Sion, quia tempus miserendi eius, quia venit tempus» 1071 ianua mortis: cfr. Isai., XXXVIII 10 «portas inferi» 1073-74 cfr. Isai., XLV 8 «Rorate, caeli desuper, et nubes pluant iustum: aperiatur terra et germinet salvatorem» 1077 non
tardaveris: cfr. Ps., LXIX 6 «Domine, ne moreris»; Psalterium sancti Hieronimi (PL, LXXVIII e CXV) «ne tardaveris» (e in altre preghiere)
7
J. GERSON, Josephina, … par G.M. Roccati, LAMOP, Paris 2001 (CD-Rom). Ho ritoccato la punteggiatura e conservato al v. 1072 la lez. celos delle precedenti edizioni di L.E. Du Pin (1706) e P. Glorieux (1962).
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MICHELE FEO 1078 sceptrum: cfr. Gen., XLIX 10 «Non auferetur sceptrum de Juda… donec veniat qui mittendus est, et ipse erit expectatio gentium» 107879 Danielis visio: Dan., II, soprattutto 44 «suscitabit Deus caeli regnum, quod in aeternum non dissipabitur» 1079 virgo: cfr. Isai., VII 14 1080
cfr. Jerem., XXXI 22 «creavit Dominus novum super terram: foemina circumdabit virum» 1081 Symeon: Luc., II 25-32; Ps.-Matth., XV 2 Anna: Luc., II 36-38; Ps.-Matth., XV 3 1082 Luc., I 42 (Elizabeth), 6779 (Zacharias): secondo il Protovangelo di Giacomo, X, l’episodio di Zaccaria accade mentre Maria sta nel Tempio, prima dell’arrivo dell’angelo e dell’annunciazione.
«O almo padre, tu che tante volte hai avuto pietà dei dolori degli uomini, abbi ancor ora pietà, ti prego. È venuto infatti il tempo d’aver pietà, 1070 il tempo che tu infranga la porta della morte, che spalanchi i cieli, che li squarci. Voi cieli, versate rugiada! Facciano le nuvole piovere colui che è giusto, e germini la terra il Salvatore benedetto. Concordano i carmi dei sacri vati nel dire 1075 che il Signore è vicino, che colui che tutte le genti attendono è per venire. Affrettati, ti prego, non tardare. Già lo scettro è stato tolto a Giuda, già di Daniele si compie la visione, già la vergine è per diventare puerpera, e già una donna è per racchiudere in sé un uomo, cioè l’Emanuele. 1080 Così dissero poco fa i vecchi Simeone e Anna, così Zaccaria e sua moglie, la vecchia Elisabetta, quando mi tenevano i penetrali del tempio divino: grandissimo mistero. Chi lo conoscerà? Chi lo comprenderà? Ma fede sicura è da prestare ai profeti». 1085
Altro che sempliciotta! Questa fanciulletta di Nazareth è una doctissima puella, e se non fosse che è la santa Vergine Maria, sarebbe da dire che è anche un tantino saccente. Conosce i Salmi e i profeti dell’Antico Testamento, conosce i fatti del Nuovo Testamento che la riguardano, anche quelli che devono ancora accadere: li conosce, questi ultimi, non si intende bene se per combinamento di fonti fra quelle autentiche e quelle cosiddette apocrife, o per distrazione del poeta. E 163
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conosce anche non ben precisati carmi di sacri vati, che non possono che essere profezie di scrittori pagani, supponiamo, anche se non è detto esplicitamente, Virgilio della quarta egloga e le Sibille. Per di più conosce tutti questi testi con il valore aggiunto dell’esegesi patristica che li riconduce alla nascita del redentore cristiano. Come fa Maria a sapere tutto questo senza aver letto e meditato testi e, si direbbe, frequentato corsi di teologia? Nel momento in cui Gerson la rappresenta orante, Maria non legge, ma ha certamente letto. Non osa dichiarare di essere lei la predestinata, ma lascia capire di averlo capito da quello che di lei e del suo figlio hanno dichiarato Simeone e Anna, Zaccaria ed Elisabetta, allorché si trovava al tempio. Ricordiamo che, secondo alcuni apocrifi, soggiornò lungamente nel Tempio come consacrata da bambina, e le profezie di Simeone e Anna accaddero prima della nascita del bambino (ma come si sistemano gli interventi temporalmente scombinati di Zaccaria ed Elisabetta?). Dunque per Gerson, quando arriva l’angelo annunciante, Maria ha letto i testi sacri delle profezie testamentarie e pagane che la riguardano, anche se non ha per le mani libro alcuno. Era a Gerson arrivata per qualche via notizia del dramma religioso bizantino, aveva letto Odilone e, come lui, si era convinto che Maria sapeva ormai di essere la predestinata? Gerson non osa affermarlo, ma lo lascia sospettare. Egli ha cercato di accorciare la distanza fra la pietà popolare, come per esempio riflessa nella tradizione pittorica delle Annunciate leggenti, e le sistemazioni dottrinarie che armonizzano storia e profezie dei due Testamenti. E, soprattutto, ha lasciato aperta nell’animo della fanciulla la domanda su chi sia per essere la madre del Salvatore. Pochi attimi dopo arriverà il messaggio di Gabriele.
ANTONIO CORNAZZANO Le qualità poetiche di Gerson sono fortemente ipotecate da un opprimente didascalismo teologico. Ma ciò non gli impedisce certo di fare scuola. Ho già avuto modo di far ricorso a una Vita della Vergine Maria 164
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in terzine dantesche di Antonio Cornazzano, risalente probabilmente al 1457-58. Anche per il Cornazzano, che non fu insensibile a sirene umanistiche, Maria fu dottissima fin da bambina. Intoccata da ogni richiamo lascivo, suonava la cetra davidica, cantava i salmi e leggeva molto.8 Anchor, per quel ch’era la sua vita, ho letto di quanto tempo oltre l’orar spendea: principalmente in lettre havea dilecto. Lassamo star la gran scrittura hebrea, l’idioma de’ mendaci greci intese e l’arabica lingua e la caldea. Tutte le guerre e tutte le contese de’ regni anteriori e de l’historie come alphabeto gli furon palese. Del popol macedon tutte le glorie te avria narrate e de gli assyriani, fra i quali Nino hebbe sì degne victorie; le infinite battaglie de’ romani infino al dì che Dio la prima massa divise come hor sta con le sue mani. (II 111-125) Tutti quei che parlaro in profetia, tutti gli intese e vide assai dinante l’avvegnimento del vero Messia. Ma la non fu giamai tanto arrogante che questo del suo corpo presumisse, né se tenea nel numer delle sante. Perciò nel suo Magnificat disse: «L’altissimo Signore hebbe rispecto alla sua ancella che troppo humil visse». Così crescendo fede in lo intellecto, tanto quanto cresceva di doctrina, ogni dì l’angel nel tempio che ho decto la visitava per cosa divina. (II 177-189)
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Per l’autore e l’ed. v. supra, p. 82, nota 3.
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La fanciulla disegnata dal Cornazzano è del tutto simile a quella di Gerson. È dotta in tutto lo scibile umano, ma soprattutto nelle storie e nelle profezie; ha capito che sta per avvenire il compiersi dei tempi e l’avvento del Messia; e non ha in alcun modo capito che la predestinata è lei, tanta è la sua umiltà. Quando arrivò l’angelo con l’annuncio era in orazione, come la sua controfigura gersoniana (cap. III).
IL MANTOVANO Nel 1481 un carmelitano italiano dalla penna incontenibile, proclamato beato nel 1885, pubblica un poema in tre libri sulla Vergine Maria, la Parthenice Mariana, ossia ‘il canto della parthenos Maria’,9 poi ripubblicato altre 67 volte. È stupefacente come il santo poeta sia riuscito a trasferire tutta la storia sacra cristiana entro un contesto religioso pagano. Se i suoi predecessori hanno speso vite intellettuali per ‘cristianizzare’ il mondo pagano e renderlo conciliabile con la ‘verità’ biblica ed evangelica per mezzo di strumenti ideologici volta a volta raffinati o rozzi, il Mantovano, al secolo Battista Spagnoli, capovolge il metodo e ‘umanistizza’ tutta la storia sacra. Dante fece solo qualche prova e osò chiamare Dio ‘sommo Giove’: il Mantovano saccheggia tutte le vesti, tutti gli attributi e tutti i nomi del pantheon greco-romano per vestire, ornare e nominare gli abitanti del pantheon cristiano. Nessuno aveva osato prima chiamare Maria nimpha. Il Mantovano fece questo ed altro. Non so se avesse nozione del tentativo di Pierre Bersuire, il dottissimo amico del Petrarca, di chiamare a testimone Ovidio per provare la verginità della Madonna con uno spericolato confronto con la
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E. BOLISANI, La Partenice Mariana di Battista Mantovano (Introduzione, testo latino e versione metrica, note), Tipografia Antoniana, Padova 1957. In questa parte riprendo una serie di considerazioni fatte nel mio Nascon fiori dove cammina, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera 2015, pp. 69-72.
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maternità partenogenetica di Pallade Atena (Met., II 553);10 né so se avesse letto i versi del suo contemporaneo sanminiatese, Lorenzo Bonincontri, che solo tre lustri prima in un poema astrologico aveva osato identificare, forse con anacronistica ragionevolezza antropologica, ma rischiando qualche pesante condanna, Maria, «sancta Dei genitrix», con Venere, sia pure «sub nomine ficto».11 Certo la fanciulla di Nazareth del Mantovano conosceva tutto il ciclo umanistico della paideia, lo aveva percorso con ogni diligenza e lo aveva assimilato con assoluta perfezione (Parth., I 594-655), senza escludere neppure le storie erotiche e incestuose raccontate da Ovidio.12 Il Mantovano racconta ovviamente e distesamente la vicenda dell’annunciazione (II 469-660), amplificando fino a circa duecento versi i pochi versetti di Matteo e Luca. È notte, Maria giace sola in luogo nascosto e leva la mente ai problemi celesti. Chiama a sé l’amica Sofia, figlia di Mnemosine e di Uso, e nipote del Creatore: fanciulla purissima e conoscitrice delle cose divine e di quelle umane. Con tal guida, taciturna passando la notte insonne, Maria considera il caos primigenio e l’origine del mondo, le varie forme della natura e
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PETRUS BERCHORIUS, Dictionarium seu Repertorium morale, Venetiis, apud haeredem Hieronymi Scoti, 1574, II, p. 469 (erroneamente num. 479), col. b. 11 B. SOLDATI, La poesia astrologica nel Quattrocento. Ricerche e studi, Sansoni, Firenze 1906; rist. anast. con una presentazione di C. Vasoli, Le Lettere, Firenze 1986, pp. 191-192. Ricordo per curiosità che una studiosa (Joanne SNOW-SMITH, The “Primavera” of Sandro Botticelli. A neoplatonic interpretation, P. Lang, New York 1993, p. 198) ha pensato che la Venere della Primavera rappresenti nelle intenzioni dell’autore proprio la Vergine Maria, beninteso al quarto livello interpretativo, quello anagogico. 12 Cfr. W. LUDWIG, Die humanistische Bildung der Jungfrau Maria in der «Parthenice Mariana» des Baptista Mantuanus, in: Ovid. Werk und Wirkung. Festgabe für Michael Albrecht zum 65 Geburtstag, hg. v. W. Schubert, P. Lang, Frankfurt a. M. 1999, II, pp. 921-942; rist. nella sua Miscella Neolatina. Ausgewählte Aufsätze 1989-2003, edenda curavit A. Steiner-Weber, Olms, Hildesheim-Zürich-New York 2004, I, pp. 463-485. Questa parte dedicata al sapere di Maria è assente nei Testi mariani, 2° mill., V, pp. 77-83.
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la struttura del cosmo con le sue stelle e i suoi pianeti, l’avvicendarsi delle stagioni. La mente sale in alto e perviene al Paradiso, dove siede il Padreterno contornato dalle divinità superne, come un Giove in vetta all’Olimpo, intento a governare il mondo col suo scettro. Il corpo resta intanto sul letticciuolo. Qui la fanciulla sfoglia un codice, che s’intende deve essere il Vecchio Testamento, e nel leggerlo si imbatte in un passo del profeta, che predice il gravido ventre di una vergine e la prole di Dio soggetta alle sofferenze umane. Maria ne viene colpita e pronuncia una altissima lode della vergine predestinata. A questo punto scende dall’Olimpo un nunzio alato e penetra nella segreta camera. Maria ne ha spavento, temendo per la sua castità. Ma l’angelo la rassicura, annunciandogli l’immacolata concezione e la gloria del figlio. Maria accetta il suo destino e subito il suo ventre comincia a gonfiarsi. Leggiamo alcuni passi di questo lungo racconto. Iamque soporiferae tempus dare membra quieti suaserat: at Virgo secreti sola cubilis clausa loco curis aperit caelestibus almum pectus et in summum sensim levat aethera mentem; unam ad se comitum vocat in penetralia tecti, praestantem egregio vultus animique decore. Mnemosyne genetrix illi, pater Usus ab ipsa caelesti genus arce trahit, nam conditor orbis est avus: hanc Grai Sophiam dixere priores. Nare sagax oculis penetrans cava Tartara et altum aethera: nullius linguae, non ullius artis inscia, labe carens, vitiis infesta, pudore circumfusa genas et iaspide pectus et auro splendida contexto: causas et nomina rerum per media ex imis gradiens ad summa Deumque et mundi metitur iter. Hac indice Virgo insomnis ducens taciturnae tempora noctis contemplatur uti rerum longaeva propago texta sit: unde prior mundi descendit origo;
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Già l’ora spingeva a dare le membra alla quiete13 del sonno: ma la Vergine, sola, rinchiusa nella stanza del suo segreto letto, apre l’almo petto alle celesti cose e pian piano leva la mente all’etere sommo; chiama a sé, nei penetrali della casa, una delle compagne, prestante per egregia bellezza del volto e dell’anima. Mnemosine è sua madre, il padre Uso trae origine dalla rocca celeste, infatti il creatore del mondo è suo antenato: Sofia la chiamaron gli antichi greci. Sagace nel fiuto, capace di penetrare con gli occhi il cavo Tartaro e l’alto etere, non c’è lingua, non c’è arte di cui sia inesperta, immune da macchia, nemica dei vizi e soffusa le guance di pudore, splendente nel petto ornato di iaspide e d’oro, salendo dalle bassure alle somme altezze, misura cause e nomi delle cose, e Dio e l’umano viaggio. Sotto la guida di costei la Vergine, insonne trascorrendo il tempo della silente notte, contempla come sia tessuta la lunga serie delle cose: da dove sia nata l’origine del mondo;
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Segnalo varie imprecisioni della traduzione Bolisani: a v. 543 solium non è la soglia, ma il trono; a v. 548 tuentur non vale guardano, ma sostengono, difendono, proteggono; a v. 550 per hos significa non per questi, ma attraverso questi; e, particolarmente grave per il fraintendimento di senso, a v. 589 formam mirata viri non vuol dire che Maria mira l’aspetto dello sposo (che per la verità non sta con lei nella cameretta), ma che essa ammira la bellezza maschile dell’angelo e teme per la sua castità; nello stesso passo tabescere castum pectus dice il timore di Maria che il messaggero sia un uomo mal intenzionato. L’ammirazione per la bellezza di Gabriele e la paura di essere ingannata erano già nelle parole della Maria dell’Omelia per l’Annunciazione di san Germano da Costantinopoli: «Mirabili, o giovanetto, le armoniose fattezze del tuo volto; è degno del pennello di un pittore; e che dire del tuo aspetto radioso? Ma strane suonano al mio orecchio le tue parole e mai ne udii di simili, sí che temo che tu sia venuto per ingannarmi» (Teatro religioso del Medioevo fuori d’Italia, cit., pp. 7-8). Non so più quale scrittore dei primi secoli aveva dato all’angelo l’aspetto di un uomo vecchio, per liberare Maria da questo tipo di imbarazzo.
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et chaos et silvam informem, discretaque formis corpora paulatim varias induta figuras vi propria petiisse suis loca viribus apta; utque gravem liquido suspenderit aëre terram Omnipotens opifex duplici cum prolis honore, Oceanumque suis complexum fluctibus orbem fuderit; aetheriis incluserit ignibus auras; utque feris terras: mare piscibus, aëra cessit alitibus variis ornans animantibus orbem. […………………………………………..] Mens, calefacta Deo sanctisque exercita curis atque laborando vires et robur adepta, altius it semperque magis terrena relinquit. Iam Superis admixta, domos explorat et arcem et solium sublime Patris, quod plurima circum turba, leves animi, volitant decimoque sedenti orbe Deo assistunt vigiles et cuncta fideli iussa ministerio peragunt, versantque rotatu sidera perpetuo quidam, mortalia quidam facta regunt pressasque gravi sub mole tuentur corporis humanas mentes et regna gubernant. Omne per hos exercet opus, Pater ipse quieto tranquillus sceptro sedet et complectitur orbem. Virginis hae curae, seseque oblita virumque, miscetur divis caelique palatia lustrat. Atque toro recubans, summo spatiatur Olympo. Interea Virgo, thalami dum sola recessu excubat occulto, per longa silentia noctis, fatidici vatis, quem ferrea turba gementem in geminas secuit dentato robore partes, codice versato, primum locus ille legenti obvius occurrit, gravidum qui virginis alvum praecinit et magni prolem mortale Tonantis corpus et humanae subituram incommoda sortis. «O felix nimium», dixit, «quaecumque futura es et matres longe ante alias dignissima Virgo:
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e il caos e la materia informe, e come i corpi, distinti per forme, rivestiti a poco a poco di varie figure, per propria forza si diressero ai luoghi loro adatti; 490 e come l’onnipotente artefice, col duplice onore della prole, sospese nel liquido aere la pesante terra, e come versò l’Oceano che coi flutti abbraccia l’orbe; e come diede l’aure alle fiamme eteree, e le terre alle fiere, il mare ai pesci, e l’aere 495 agli uccelli, l’orbe ornando di animali varii. […………………………………………] Scaldata da Dio, la mente, esercitata in sante faccende, perviene con la fatica all’acquisto di vigore e forza, 540 sale sempre più in alto e abbandona le cose terrene. Ecco, unita ai superi, percorre le sedi e la rocca e il trono sublime del Padre, intorno al quale vola una grande schiera di anime leggere che assistono vigili Dio seduto nel decimo cielo e tutti 545 gli ordini eseguono con fedele ufficio, alcuni muovendo con perpetua rotazione le stelle, altri reggendo i mortali fatti e sostenendo le menti umane sotto la grave mole del corpo oppresse e governando i regni. Attraverso queste essenze il Padre esercita la sua opera, 550 e tranquillo siede con quieto scettro, abbracciando il mondo. Queste sono le attenzioni della Vergine, e dimentica di se stessa e del marito, si unisce ai divi e osserva i palazzi del cielo. E giacendo sul letto spazia sulla sommità dell’Olimpo. Frattanto, stando sola nel letto in occulto angolo 555 del talamo, nell’alto silenzio della notte, nello sfogliare il libro del fatidico vate che una ferrea turba tagliò gemente in due parti con una sega di quercia, le venne sotto gli occhi, mentre leggeva, il passo che predice il ventre gravido di una vergine 560 e la prole del grande Tonante destinata a sopportare un corpo mortale e i disagi della condizione umana. «O molto felice», disse, chiunque tu sia per essere, Vergine sopra tutte le altre madri di gran lunga la più degna:
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quae paritura Deum fruituraque coelibe lecto magna senescenti renovas miracula mundo. Non ego communi patrum te labe volutam crediderim, talem cui dant oracula palmam. Tu vetus extingues vitium scelerisque reclusa limina concludes. Tu protoplastis acerbam ingluviem delebis, agens nova saecla novumque foedus et humanum supra genus omne fereris. Te tua, te ventura omnis mirabitur aetas. Et tibi perpetuis ardebunt ignibus arae. Oh, mihi, si tantum non est audere superbum, conceptus liceatque tuos vultusque tueri! Dicite, Carmeli qui sancta silentia montis incolitis, vates vatumque aeterna propago, quos imitans taedas sum dedignata iugales, dicite, quae regio iubar hoc, quae proferet aetas? Credimus e terris venturam an ab aethere summo lapsuram? Taline hominum debetur origo?» Dumque ita, caelesti mentem succensa calore, in laudes ignara suas prorumpit, Olympo labitur et veniens fulgentes explicat alas nuntius et celeri penetrat secreta volatu limina. Ad ingressum subitae perterrita lucis extulit attonito titubantia lumina vultu; et, formam mirata viri, tabescere castum pectus et insidias metuens, pallescere coepit. Aliger, arguta reserans nova nuntia voce, «Pone metus», inquit, «Superis gratissima Virgo. Laetus ab aetheria venio tibi nuntius arce aeterni iucunda ferens mandata Tonantis. Conceptura novos ullo sine semine fetus et prolem paritura Dei, materque futura es, aetheriae sobolis tactus non passa viriles; et Deus ipse tuam veniens labetur in alvum gressibus occultis tuaque intra viscera corpus ipse sibi formans, post nonae tempora Lunae,
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tu che partorirai Dio e fruirai di celibe letto, 565 rinnovi grandi prodigi al senescente mondo. Non posso credere che sia macchiata del comune peccato dei padri tu, cui gli oracoli danno tale palma. Tu estinguerai l’antico vizio e chiuderai le porte dischiuse del delitto. Tu cancellerai la gola fatale ai progenitori, 570 recando una nuova età e un nuovo patto, e sarai innalzata al disopra di tutto il genere umano. Te la tua età, te ammirerà tutta quella ventura. E per te arderanno gli altari con fuochi perpetui. Oh, se non è un osare superbo, fosse concesso a me 575 un tale concepimento e mi fosse permesso contemplare il tuo volto! Dite, voi che abitate il santo silenzio del monte Carmelo, voi vati ed eterna schiatta di vati, imitando i quali io ho sdegnato le fiaccole nuziali, dite, quale terra, quale età produrrà questa luce? 580 Dobbiamo credere che verrà dalla terra o che scenderà dall’alto del cielo? A tale donna si addice origine umana?» Mentre così, accesa la mente di calore celeste, prorompe ignara in lodi di se stessa, scende dall’Olimpo e scendendo dispiega le ali fulgenti 585 un messaggero, e con celere volo penetra nelle stanze segrete. Atterrita, verso l’entrata della subita luce levò gli occhi titubanti con volto attonito: e, al mirare la bellezza dell’uomo, temendo che si corrompesse la sua castità e paventando insidie, cominciò a impallidire. 590 L’alato, nuove cose con arguta voce svelando, «Deponi ogni timore», disse, «o Vergine gratissima ai superi. Io vengo a te come lieto messaggero dalla eterea rocca per portarti il gioioso volere dell’eterno Tonante. Tu concepirai nuovo feto senza alcun seme 595 e partorirai prole di Dio, e sarai madre di figlio del cielo, senza aver sopportato contatto con uomo; e Dio stesso verrà e scenderà nel tuo ventre con passi occulti, e prendendo forma di corpo entro le tue viscere, dopo il tempo di nove lune 600
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exiet humanae velatus imagine formae. Arma ferens pacis venit atque salutifer orbi: propterea sanctam dabis attestata salutem nomina: in immensum crescet, venturaque magno saecula consensu templis congesta superbis dona ferent illi, rutilo qua surgit ab ortu Lucifer Hesperias et qua declinat in undas, qua micat Arctophylax, latum qua sustinet orbem axis inocciduus, resonans qua nascitur Auster. Imperio premet omne genus, telluris et undae possesurus opes caelique habiturus honorem perpetuum et mundum aequatis recturus habenis. Sed neque fulgentes auro radiante coronas nec Tyrios regum feret ornamenta colores. [………………………………………….] Nuntius haec. Humilis firmato pectore Virgo, «Imperio», dixit, «magni parere Tonantis cogimur»; et miti curvans caput annuit ore: candida virginitas, simplex prudentia, velox et matura fides, humilisque modestia totos laetitia implevit caelos et sidera cantu.
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(l’esperienza) cfr. Gell., Noct. Att., XIII 8, 3 «Versus Afrani sunt in togata, cui Sellae nomen est: Usus me genuit, mater peperit Memoria, / Sophiam vocant me Grai, vos Sapientiam» 492 la duplice prole è costituita da Gesù e lo Spirito Santo 559-562 Isai., VII 14 Secondo Tertulliano, Girolamo, Agostino e altri Isaia morì nel supplizio della sega (da tarda fonte talmudica) 577-579 Maria si rivolge anacronisticamente ai frati carmelitani, cui apparteneva il Mantovano, dicendo di imitarne la vita, laddove sono i carmelitani che si professano devoti di Maria; i carmelitani sono tenuti all’osservanza stretta del silenzio; ma come può affermare Maria di aver rifiutato le nozze, se al momento è desponsata a Giuseppe?
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uscirà sotto il velo dell’immagine umana. Viene portando le armi della pace e salute al mondo: perciò gli darai un nome che attesta la santa salvezza: crescerà fino all’immensità e i secoli futuri con grande consenso gli porteranno doni raccolti in superbi templi, 605 là dove sorge dal rutilante oriente Lucifero e dove si getta nelle onde esperie, dove brilla il custode dell’orsa, dove l’asse che non tramonta sostiene l’orbe, dove nasce l’austro sonante. Terrà sotto il suo impero su tutti i popoli, avrà il possesso 610 delle ricchezze e l’onore perpetuo del cielo e reggerà il mondo con giuste redini. Ma non indosserà corone fulgenti di oro né colori di porpora, che sono ornamenti di re. [………………………………………………] Questo disse il messaggero. Col cuore sicuro umilmente 655 la Vergine «All’ordine», disse, «del grande Tonante ubbidire debbo»; e piegando il capo annuì con mite volto. Virgineo era il suo candore, schietta la prudenza, veloce e matura la fede, umile la modestia: tutti i cieli riempì di letizia, tutte le stelle di musica. 660
A conferma della forte coloritura paganizzante di questa Maria ricordiamo il passo che segue della visita alla cugina Elisabetta (Parth., II 727-751). Qui a Maria, diventata Grande Madre cristiana, viene trasferita tutta la virtù fecondatrice della Venere Naturale, esiodea e lucreziana, e durante il cammino essa fa sbocciare fiori sotto i suoi passi, proprio come Afrodite appena uscita dal mare e approdata sulla terra. Al culmine di un processo millenario di svuotamento e di appropriazione dei miti pagani, la nuova Signora scaccia dal trono la titolare e si insedia al suo posto.14
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Nascon fiori dove cammina, cit., pp. 71-72.
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IACOPO SANNAZARO Il sacro fuoco che anima sia Gerson e che il Mantovano si affievolisce e si spegne nell’eccesso di tortuosi e arroganti itinerari ascensionali e misticheggianti. Ma esso si riaccende, purificato da un autentico fiotto di poesia e ricondotto entro l’alveo di un più discreto umanesimo classicista, da Iacopo Sannazaro, che nel De partu Virginis è riuscito miracolosamente a dare ai miti cristiani i colori fulgidi e le linee morbide della pagina polizianesca e della tavola botticelliana. Anche Sannazaro ferma l’immagine su Maria un attimo prima che l’angelo arresti il suo volo davanti a lei (I 91-104). Poi anche lui farà sbocciare fiori sotto i piedi della Vergine nel tratto di strada verso Elisabetta: Ast ubi palmiferae tractu stetit altus Idumes, reginam haud humiles volventem pectore curas aspicit, atque illi veteres de more Sybillae in manibus, tum si qua aevo reseranda nepotum fatidici casto cecinerunt pectore vates. Ipsam autem securam animi laetamque videres authorem sperare suum: nanque affore tempus quo sacer aethereis delapsus spiritus astris incorrupta piae compleret viscera matris audierat. Pro, quanta alti reverentia coeli virgineo in vultu est! Oculos deiecta modestos, suspirat matremque Dei venientis adorat felicemque illam humana nec lege creatam saepe vocat, necdum ipsa suos iam sentit honores.15
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Ma quando alto si fermò nel cielo della palmifera Palestina, la regina gli appare che nel petto rivolge nobili pensieri;
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I. SANNAZARO, De partu Virginis, a cura di Ch. Fantazzi e A. Perosa, Olschki, Firenze 1988, p. 29.
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ha tra le mani come di consueto le antiche Sibille e gli oracoli che, affidati all’intelligenza dei nipoti, con puro cuore cantarono i fatidici vati. 95 Potevi vedere in lei la sicurezza dell’animo e la gioia per lo sperato avvento del suo Creatore: s’avvicinava infatti il tempo, aveva sentito, in cui lo Spirito Santo, disceso dagli eterei astri, avrebbe riempito di sé il ventre incorrotto di una pia madre. Oh quanto timore per la profondità del cielo 100 in quel volto di fanciulla! Con gli occhi modestamente abbassati, sospira e adora la madre del Dio venturo, e la chiama spesso felice e creata sopra l’ordine umano, né lei stessa ancor s’accorge che quegli onori sono i suoi.
Nell’umanista francese si avverte la consonanza con una tradizione conciliatrice delle verità testimoniate dalle sacre scritture e di quelle affermate dai filosofi e dalle profezie precristiane (nella sacra rappresentazione dell’Annunciazione attribuita a Feo Belcari i profeti dell’Antico Testamento si alternano alle Sibille nell’annunciare il prossimo compiersi dei tempi). Sannazaro è affiatato con la nostrana innovazione volgare (lauda perugina, Feo Belcari) che voleva Maria inconsapevole del fatto che le profezie parlavano di lei. E aggiungiamo in coda, per finire, che la mitologia di una Maria saputa che aveva familiari i testi sacri stenta a morire fra i teologi cattolici.16 Tutti e tre i nostri umanisti (Gerson, Mantovano, Sannazaro, e anche il Cornazzano) hanno verisimilmente sfruttato una tradizione esegetica che aveva antiche radici, almeno nel pieno medioevo di Odilone, forse anche nella spiritualità bizantina, come abbiamo visto. Ma mentre per Odilone Maria, per aver molto letto e studiato, ha già prima dell’arrivo dell’angelo la consapevolezza di essere la predestinata, per gli umanisti tale coscienza regredisce raffinatamente verso il sospetto,
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Cfr. P. PARENTE - A. PIOLANTI - S. GAROFALO, Dizionario di teologia dommatica, Studium, Roma 1952; con le obiezioni di A. CAPITINI, Discuto la religione di Pio XII, cit., p. 111.
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il dubbio, il timore, e nel Cornazzano si cancella del tutto per un atto di umiltà.
CINQUE E SEICENTO L’eredità dell’approdo poetico umanistico di Gerson, del Mantovano, del Cornazzano e del Sannazaro evolverà nel tardo Cinquecento e nel Seicento in forme di deificazione smisurate, che sanno di vuoto scolastico e gorgia predicatoria. Ricorderò solo alcuni fra i più esasperati di questi aneddoti. Il senese Celso Cittadini, autore nel 1604 di una Partenodoxa, si appoggia allo ps.-Alberto Magno:17 Ed Alberto Magno dice che l’intelletto di Maria fu così egregiamente illuminato dal Signore Dio, che Ella possedè così universalmente ed eccellentemente tutte le scienze, che di esse hebbe cognitione più che altro filosofo o dottore del mondo havesse giamai, e per fino all’arti liberali e meccaniche, fuor quelle che al grado di Lei ed al sesso feminile ripugnavano.
Poco dopo, nel 1606, gli fece eco da Napoli Lorenzo Maselli, con una sua Vita della Beatiss.ma Vergine madre di Dio:18 Vogliono Alberto Magno, s. Antonino, Cartusiano, Busto et s. Bernardino che oltra la fede et cognitione naturale, havesse nell’istante
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C. CITTADINI, Partenodoxa o uero Esposition della Canzone del Petrarca alla Vergine Madre di Dio, Salvestro Marchetti, all’insegna della Lupa, Siena 1604, pp. 7-8. Devo la conoscenza della Partenodoxa al compagno di studi Roberto Barzanti, che ne scrisse in Petrarca nel tempo. Tradizione lettori e immagini delle opere, a cura di M. Feo, VII Centenario della nascita di F. Petrarca (2004), Comitato Nazionale, [Firenze-Roma] 2003, pp. 150-157, e poi mi donò il CD Rom del raro testo. 18 L. MASELLI, Vita della Beatiss.ma Vergine madre di Dio, Andrea Pellegrini, Napoli 1606, l. VII, p. 619.
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della concettione, scienza et cognitione infusa delli divini misterii. S. Bernardo, s. Anselmo et s. Bonaventura dicono che hebbe la sapienza theologica a conoscere più distintamente le cose della fede. Et andò crescendo di modo in questa sapienza, che vuole Ruperto abbate che la questione de esserno cessate le cerimonie della legge, nata fra gli apostoli, la b. Vergine la scioglesse.
Con enfasi trionfale ancora maggiore dilaga Girolamo Menghi in un suo Celeste thesoro della gloriosa madre di Dio, Maria Vergine:19 Sedia della sapienza. Similmente è detta la Santa Madre di Dio per questo che hebbe cognitione di tutte le scienze secondo alcuni contemplativi; poscia che hebbe l’intelletto più illuminato che mai havesse alcuna pura creatura. Et perciò fu illuminata sopra Aristotile, qual hebbe la notitia di tutti gli elementi et dell’altre cose naturali. Sopra Platone, il quale ricevé la cognitione delle sostanze separate. Fu manco illuminata sopra Mosè, che conobbe l’origine delle creature et vidde Dio a facia a facia. Sopra san Stefano parimenti fu illuminata, qual vidde i cieli aperti. Sopra san Paolo, che fu rapito fino al terzo cielo et udì tai misteri che non è lecito all’huomo parlarne. Sopra Davidde fu illuminata, qual fu primo et singulare fra’ profeti, posciaché più alte cose degli altri profetò secondo i theologi. Fu più illuminata di san Giovanni Battista, che fu più che profeta, et più di Giovanni Evangelista, del quale dice sant’Agostino: «Se più alto intonava, va nel dire In principio erat verbum, tutto il mondo non l’havrebbe potuto capire». Et brevemente conchiudendo dico che la beata Vergine hebbe ogni scienza et maggiore cognizione che mai havesse alcuno huomo, né meno haverà per l’avenire, percioché hebbe la cognitione del creatore, nella quale ogni cosa conosceva, et perciò essa fu a tanta cognitione di Dio sublimata, che da niuno intelletto creato naturalmente si può comprendere.
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G. MENGHI, Celeste thesoro della gloriosa madre di Dio, Maria Vergine, Evangelista Deuchino et Gio. Battista Pulciani, Bologna 1609, p. 494.
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Né conosce freni il già citato predicatore Giovanni d’Altamura. Può fermarsi questa escussione di testimoni seriali con un altro uomo di religione, Gioacchino da Santa Maria, autore di una Mystica anatomia sacratissimi nominis Deiparae Virginis Mariae.20
LE SIBILLE Un’attenzione a sé meritano le Sibille. Sacerdotesse pagane, intermediarie fra gli uomini e Dio, avrebbero secondo una tradizione cristiana annunciato la figura di Cristo con profezie affidate agli Oracula Sybillina. Finora nessun pittore le ha chiamate in causa, anche se delle loro profezie hanno contezza Gerson, Sannazano e i poeti delle Sacre Rappresentazioni. Ma eccole farsi avanti, sia pure con lentezza, in un’area marginale. Un pittore di valore, che ha operato in Basilicata, Pietro Antonio Ferri (ca. 1570 - ca.1650), in una sua Annunciazione di Albano ha affidato la predizione che Maria legge nel libro proprio a una Sibilla, l’Eritrea o Ellespontica (402):21 NASCE TVR DE VIRGINE EBREA.
Questa sibilla appartiene al canone rinascimentale o Barbieri, dal nome del frate domenicano Filippo Barbieri che il 1° dicembre 1481 lo pubblicò a Roma nell’opuscolo Discordantiae sanctorum doctorum
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IOACHIM A S. MARIA, Mystica anatomia sacratissimi nominis Deiparae Virginis Mariae, IV 7, 5; Typ. Petri Antonii Brigoncii, Venetiis 1690, p. 175. 21 A. GRELLE, in: Arte in Basilicata, cit., p. 117. Il dipinto del Ferri imita da vicino la più famosa Annunciazione di Teodoro d’Errico, conservata a Montorio nei Frentani (377), nella quale però manca o non si legge la citazione della Sibilla.
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Hieronymi et Augustini. Nella prima edizione la sibilla è l’Eritrea, in una ristampa diventa Ellespontica. Il testo preciso che le si attribuisce è il seguente: Sibylla Hellespontica in agro troiano nata, vetula et antiqua veste rurali induta, ligato velo antiquo capite, sub gula circumvoluta usque ad scapulas, quasi despectu. De qua scribit Heraclides, dicens: «De excelsis [corr. excelso] celorum habitaculo prospexit Deus humiles suos. Et nascetur in diebus novissimis de virgine hebrea in cunabulis terre». La Sibilla dell’Ellesponto, nata in terra troiana, vecchia e vestita di antica veste da contadina, col capo coperto da velo antico, avvolto il collo fino alle scapole quasi per dimostrarle disprezzo. Di lei scrive Eraclide, dicendo: «Dall’alto abitacolo dei cieli Dio guardò i suoi devoti. E negli ultimi giorni nascerà da una vergine ebrea in una culla terrestre».
La profezia è la stessa scritta in capitali quadrate e in ortografia classica sul pavimento del duomo di Siena (realizzato negli anni ottanta del Quattrocento), con la sola differenza che a Siena è attribuita alla Sibilla Eritrea.22 Se ha tardato ad entrare nell’iconografia dell’Annunciazione, questa Sibilla ha tuttavia riscosso l’attenzione di Pintoricchio e della sua scuola. Almeno tre volte fa la sua apparizione con le parole della profezia messianica: nella chiesa di S. Maria Maggiore a Spello (la profezia è divisa fra i due altari ai lati della Sibilla, non son riuscito a leggere il testo sul libro aperto a terra23), nell’ap-
22
R. GUERRINI, Ermete e le Sibille. Il primo riquadro della navata centrale e le tarsie delle navate laterali, in: Il pavimento del Duomo di Siena. L’arte della tarsia marmorea dal XIV al XIX secolo. Fonti e simbologia, [a cura di] M. Caciorgna, R. Guerrini, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2004, p. 27. Sulla tradizione latina degli oracoli sibillini vd. B. BISCHOFF, Die lateinischen Übersetzungen und Bearbeitungen aus den «Oracula Sibyllina», in: Mélanges Joseph De Ghellinck, S. J., Duculot, Gembloux 1951, pp. 121-147. 23 MANCINI, p. 186.
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partamento Borgia del Vaticano, nella chiesa di S. Maria del Popolo a Roma. «Dal canone ‘umanistico’ delle dodici Sibille, [il Pintoricchio scelse] le quattro che meglio si prestavano a introdurre, con i propri oracula, il mistero dell’Incarnazione di Cristo: la Samia, l’Eritrea, l’Europea e la Tiburtina».24 A conclusione di questa indagine sull’atteggiamento degli umanisti e dei loro più o meno cenciosi epigoni, si può tranquillamente affermare che le storie di Maria che scrive lettere a sant’Ignazio25 o ai cittadini di Messina26 siano potute nascere solo sulla premessa leggendaria, diventata nozione comune, che la Vergine sapesse leggere e scrivere, anzi fosse dotata di straordinaria cultura.
24
G. BENAZZI, Pintoricchio, l’umanesimo e la Cappella Baglioni, in: Pintoricchio a Spello. La Cappella Baglioni in Santa Maria Maggiore, a cura di G. Benazzi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2000, p. 27. 25 C. CIOCIOLA, in: Il Duomo di Modena, a cura di C. Frugoni, Panini, Modena 1999, I, pp. 589-591; III, pp. 345-349. 26 La seconda accolse benevolmente anche Quevedo (1642-44), polemizzando contro la critica razionalistica dello storico siciliano Rocco Pirri, per il rispetto a suo parere dovuto «a la piedad religiosa de muchos». Alcuni messinesi avrebbero chiesto a san Paolo, al momento del suo ritorno in patria, dopo le prediche in Sicilia, di accompagnarlo nel viaggio, per conoscere da vicino la madre del Salvatore ancora vivente. Non solo furono esauditi, ma al loro rientro a Messina, Maria li gratificò di una lettera nella quale riconosceva la loro fede e assicurava la sua protezione a tutta la città. La lettera, in latino, è datata Gerusalemme 3 giugno 42. Cfr. V. NIDER, in F. DE QUEVEDO VILLEGAS, La caída para levantarse. El ciego para dar vista, el montante de la Iglesia en la vida de San Pablo Apóstol, Giardini, Pisa 1994, pp. 2526, 274-277.
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Le Annunciate di Antonello
Nel racconto che gli umanisti fanno dell’Annunciazione c’è un particolare cui ho già accennato e che ora vorrei tornare a sottolineare. E questo mi riporta indietro all’Annunciata palermitana di Antonello (tav. XVI e copertina). È la più bella di tutte le Annunciate che furono che sono e che saranno, e a mio gusto è l’opera più grande di tutta la pittura europea. Lei sola merita nella vita un viaggio a Palermo. Ma oltre ad essere la più bella è anche la più misteriosa. Lei è sola. Perché manca l’angelo? Antonello se l’è dimenticato? Lo ha collocato o intendeva collocarlo in una tavola a parte da mettere a fronte della Vergine1? L’angelo non c’è, perché in realtà Maria non ha mai ricevuto la visita di un angelo, bensì ha ricevuto un messaggio interiore, che comunque l’ha turbata? Non credo a nessuna di queste interpretazioni e propongo una mia ipotesi. E trascuro anche come narcisistica la segreta e ambigua rivelazione che vuole esser sottesa all’autoritrattoNachahmung di Giorgio de Chirico del 1923.2 L’interpretazione che
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È la tesi di F. ZERI, op. cit., pp. 16-21, tavv. 16- 18. Non vedo che abbia riscosso consensi. Non la condividono M. COLLARETA, Antonello, cit., pp. 65-73, e SRICCHIA SANTORO, p. 191, nota 46. 2 P. BALDACCI, De Chirico, Giunti, Firenze-Milano 2018, p. 26. Il pittore è ripreso in una posizione che riproduce quella dell’Annunciata e con le mani fa gli stessi movimenti di lei; ma secondo una tesina universitaria di due studentesse, invece di guardare il messaggero fuori della tavola, guarda noi (cfr. G. AMBROSINI
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poggia su un messaggio interiore è oltre tutto dottrinalmente impossibile. Si era affacciata in tempi lontanissimi, ma era stata rifiutata da Agostino e poi da Alberto Magno. Essi ritenevano che esistessero tre tipi di apparizioni: la visio intellectualis, imaginaria e corporalis; ma sostennero che nel caso di Maria non si trattò di una mera acquisizione intellettuale di conoscenza. Noi potremmo dire con parole povere che Dio aveva bisogno di due atti molto concreti: la chiamata di Maria alla maternità e la esplicita accettazione di Maria. Dio avrebbe potuto realizzare la sua volontà con un atto di autorità. Volle invece che il Figlio diventasse uomo attraverso una serie di passaggi umani, e fra questi l’annuncio a Maria, l’accettazione di Maria, e la stessa scelta del messaggero entro la schiera angelica più bassa e più vicina agli uomini.3 Qui c’è qualcosa di molto vicino alla situazione in cui Beatrice spiega a Dante che non basta che i beati possano leggere nei pensieri di lui, ma che è importante che lui impari ad esprimere a parole concetti e desideri (Par., XVII 7-9). Come dire che il mondo vero non è quello che sta in mente Dei, ma quello che ci appare in forme da noi percepibili. Potenza del realismo della cultura occidentale. (Sulla posizione di Collareta e Sricchia Santoro avanti). Anche le madonne di Antonello (tranne una) leggono. Ma purtroppo, se dispiega il libro aperto o solo ne lascia scoperto un pezzo di pagina, il pittore non ha voluto rivelarci il testo letto. Ciò accade nelle Annunciate di Monaco (289; tav. XVII), di Siracusa (1474) (290), di Palermo (1475-76) (288), probabilmente anche in quella rovinata del polittico di San Gregorio (291) e certamente in quella di San Nicola (292). Nella prima sono ben tre le pagine visibili, e due nella loro interezza; nella seconda una mezza pagina, e nella terza il
e A. MAZZOLI, Mercurio nelle opere di Giorgio De Chirico: www.it/corsi/txt/mercurio_dechirico.html). Non vedo la cogenza di questa interpretazione. Il pittore sa di avere alle spalle Mercurio messaggero, e non guarda nulla e nessuno, pensa a se stesso e alla sua autoconvinzione di essere il protagonista di un messianesimo classico-giudaico. 3 M. BURGER, Albert the Great, cit., pp. 120-121.
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lembo superiore di due carte verso. Se si esclude il dipinto di Siracusa, rovinato per cause meccaniche, gli altri due giocano con una abilissima e disperante arte di far intravedere lettere precise e di sfumarle nell’indistinto. Altrettanto accade nelle due madonne leggenti. Finché qualche espediente fotografico non riuscirà a fornire un aiuto risolutivo, bisognerà contentarsi di queste ombre illusorie.4 Nelle quali una pare e non pare prendere forma. La parola che in entrambi i casi par di vedere è un ecce. Ecce è parola diventata simbolica dell’Annunciazione. Essa apre la profezia di Isaia, come abbiamo visto: «Ecce virgo concipiet et pariet filium». Nella narrazione del Vangelo di Luca compare sei volte: «Et ecce: eris tacens, et non poteris loqui…» (I 20); «Et ecce concipies in utero et paries filium, et vocabis nomen eius Jesum» (I 31); «Et ecce Elisabeth cognata tua, et ipsa concepit filium in senecta sua» (I 36); «Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum» (I 38); «Ecce enim ut facta est vox salutationis…» (I 44); «Ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes» (I 48). Dunque Antonello sotto questo aspetto sta nella tradizione. Ma alcuni ricercatori, impegnati in una indagine molto vantata come risolutrice di misteri,5 leggono nella pagina dell’Annunciata di Palermo una M, che chiamano onciale, e poi inducono che nel libro sia scritto il Magnificat. Ma quella che loro pare una M onciale è invece una O e quella che dovrebbe essere l’asta centrale cui convergono le anse laterali della M è una traccia della rigatura verticale del foglio. Si aggiunga che nessuna delle lettere seguenti risponde alla possibilità di leggere Magnificat anima mea. D’altro canto la presunta M è scritta nella seconda riga. Nella prima è invece abbastanza leggibile, come si è detto, un ecce.
4 Ciò vale anche per diversi altri dipinti, in cui potrebbe essere la cattiva qualità della riproduzione la causa della non leggibilità del testo scritto. 5 www.beniculturali.it/…/visualizza_asset.html_1542966079.html, 27 giugno 2013.
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Se esaminiamo il catalogo di Antonello, vediamo che le Madonne, annunciate e no, sono parecchie, almeno otto. Tre sono tradizionali di profilo, con l’angelo. Le altre sono tutte frontali; di queste due sono certamente annunciazioni, quelle di Palermo e di Monaco. Ripercorriamo l’insieme di questa produzione. Escludiamo le Annunciate tradizionali di profilo, con l’angelo: quella di palazzo Acreide a Siracusa (290), quella di San Gregorio a Messina (291), quella di San Nicola a Milazzo, copia (292). Sono invece frontali e senza angelo quella appunto di Palermo (288), e quella di Monaco (289). Sono di tre quarti quelle di Como (295), di Venezia (collezione Luciana Forti degli Adimari) (293), e di Baltimora (294). Rimettiamo in fila e diamo ordine a questa appassionata ricerca di Antonello sulla figura e sulla interiorità di Maria, s’intende un ordine logico e non necessariamente cronologico. Le prime Marie, anche stilisticamente remote, sono le tre di Venezia (attribuzione incerta), di Baltimora e di Como. Di queste tre una è candidata ad essere un’Annunciazione, quella di Como, perché lo dichiara il cartiglio «Ave Maria, gratia plena», anche se non ha libro.6 Le altre due (Venezia e Baltimora) sono Marie leggenti, entrambe incoronate da angeli. Potrebbero essere annunciate, ritratte poco prima dell’arrivo dell’angelo, ma la lettura potrebbe appartenere alla quotidianità di Maria, che a quest’epoca è diventata nell’immaginario una grande lettrice.7 È evidente che Antonello ha scoperto le potenzialità del ritratto, che è una delle linee forza di tutta la sua attività, e le ha sperimentate su Maria, mettendosi fuori della iconografia tradizionale. Come collocare le Annunciate di profilo con angelo? Quella di Siracusa raccoglie tutta la scena in un unico quadro, con angelo e libro. Nelle due pale di San Gregorio e San Nicola all’annunciazione è dedicato uno spazio apposito nei riquadri superiori, e in ambedue i casi angelo e
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SRICCHIA SANTORO, p. 79, lo esclude, se la intitola Virgo Advocata. SRICCHIA SANTORO, pp. 91 e 112, non si impegna neanche sulla Madonna Forti e quella di Baltimora, e le intitola entrambe Vergine che legge. 7
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Maria si guardano da due spazi separati e lontani. Verisimilmente queste opere vengono dopo le tre del primo gruppo. Antonello rientra nella tradizione, sotto la pressione della commissione, che è imperiosa almeno nei casi delle pale. Il vertice della ricerca è raggiunto con le Annunciate di Palermo e di Monaco, che vanno lette a fronte l’una dell’altra.
EXCURSUS: UNA MANO RIBELLE? Prima di procedere nel ragionamento avviato mi si consenta una divagazione su un particolare ritenuto inquietante dell’Annunciata di Palermo: il movimento della mano destra e il suo significato.8 La chirologia, volgarmente detta gesticolazione, non credo sia mai stata ritenuta un modo nobile di espressione. Albertino Mussato considerava un vitium la possibilità che il gesto contaminasse la parola. Per Leopardi nello sviluppo della storia umana viene prima il gesto e poi la parola, come dire che la parola – anche a non voler dare giudizi di valore – appartiene ad una fase più avanzata di civiltà. Un amico d’Oltralpe che ci ha lasciato, Paul Gerhard Schmidt,9 ebbe a ricordare un racconto medievale secondo cui a un frate che aveva gesticolato veniva strappata la pelle delle dita, e ad un altro, che aveva proprio peccato eccessivamente in tal senso, fracassavano le mani sul pulpito a colpi di martello: ciò per fortuna non nella realtà, ma in una visione. E io riflettevo che, come meridionale, temo di dover subire qualche punizione del genere in un aldilà interessato a far scontare siffatte colpe, ma non per questo intendo redimermi.
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Questo paragrafo fu presentato, fuori programma, nel convegno messinese su Antonello il 19 febbraio 1982. Piacque all’ospite Gianvito Resta, che lo avrebbe voluto negli Atti, che però non ci furono. Lo riformulo con qualche adattamento. 9 Sul linguaggio dei gesti nel Medioevo, soprattutto in ambiente monastico, v. dello SCHMIDT, Ars loquendi et ars tacendi. Zur monastischen Zeichensprache des Mittelalters, «Berichte zur Wissenschaftsgeschichte», IV (1981), pp. 13-19. Più in generale sul gesto G. COCCHIARA, Il linguaggio del gesto, Fratelli Bocca, Torino 1932. Sul significato delle braccia conserte qui il cap. V.
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L’arte di parlare per gesti nei conventi fu un modo di eludere l’obbligo del silenzio in particolari circostanze, per esempio in refettorio o durante la celebrazione delle cerimonie sacre. Ci furono anche delle codificazioni e in un trattato dell’XI sec. si catalogarono 359 gesti. Tuttavia anche della chirologia era prescritto un uso limitato: tanto che alcuni monaci, non essendo consentito parlare con le mani, «pedibus invicem loquebantur» e niente meno si raccontavano gesta di re e tutte le novità e le dicerie del mondo: coi piedi! Ben altra cosa fu il parlare con le mani dei copisti: la loro attività manuale e la trasmissione della parola attraverso la scrittura furono ritenute da Gerson una vera e propria battaglia spirituale e un predicare con le mani («si lingua silet, manus predicat, et fructuosius aliquando»).10 Il linguaggio delle mani nell’Ultima cena di Leonardo affascinò Goethe: «… dobbiamo spiegare un grande espediente di cui Leonardo si è principalmente servito per animare questo dipinto: è il movimento delle mani, al quale però soltanto un italiano poteva ricorrere. Nella sua nazione il corpo intero è pieno di spirito, tutte le membra partecipano a ogni espressione del sentimento, della passione, persino del pensiero. Tramite la diversa posizione e il movimento delle mani l’italiano dice: ‘Che m’importa!’ – ‘Vieni qui!’ – ‘Quello è un furfante, guardati da lui!’ – ‘Ormai ha i giorni contati!’ – ‘Ecco il punto essenziale. Ricordatevelo bene, miei ascoltatori!’. Leonardo, che osservava con la massima attenzione ogni tratto caratteristico, dovette rivolgere i suoi occhi indagatori soprattutto a questa particolarità nazionale…».11 Il linguaggio delle mani deve avere esercitato una notevole suggestione su Antonello. Non a caso nei libri fotografici su di lui si riproducono spesso i particolari delle mani. Sono mani veramente parlanti, sia che esprimano disperazione (Crocifissione di Anversa) o desolazione (Crocifissione di Londra), sia che traducano il saluto (An-
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M. FEO, L’«Elogio del copista» di Gerson, in: Gli antichi e i moderni. Studi in onore di Roberto Cardini, a cura di L. Bertolini e D. Coppini, Edizioni Polistampa, Firenze 2010, II, pp. 600-601. 11 J. W. GOETHE, Il Cenacolo di Leonardo, a cura di M. Carminati, tr. C. Groff, Abscondita, Milano 2004, pp. 17-18; e v. «Il Sole-24 ore», CXL, n. 59 (29 febbraio 2004), p. 27.
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gelo del Polittico di San Giorgio) o la benedizione (Bambino della Pala di San Cassiano; Salvator mundi di Londra), o altro che non mi riesce molto chiaro (guardie del San Sebastiano di Dresda; Visita dei tre angeli ad Abramo). Un omaggio veristico alla realtà? Forse anche, ma non troppo: ovvero Antonello ha riprodotto sì gesti usati nella realtà effettuale, in modo che il suo pubblico potesse riconoscerli e comprenderli. Ma il suo intento vero è stato altro e duplice: da un lato dar forma al movimento, dall’altro tradurre in immagine delle parole. Due prove tecniche, con le quali Antonello entra da grande atleta nella gara del progresso artistico.12 L’Annunciazione di Palermo è propriamente un ritratto. Il viso, chiuso dalla mantellina azzurra, è un capolavoro di eloquenza psicologica. Ma ad Antonello non è bastato: la destra si muove, per comunicare allo spettatore un ulteriore messaggio. A tal fine l’artista avrebbe potuto, che so, adoperare un cartiglio gotico; ma egli ha voluto essere uomo del suo tempo e mostrare tutte le possibilità dell’immagine. Qual è questo messaggio? In un intervento giornalistico una femminista, Laura Viotti, ebbe a sostenere polemicamente che il movimento della mano dell’Annunciata traduce, non un pensiero della Vergine Maria, né quello del pittore, bensì il rifiuto che la modella, popolana siciliana, farebbe della maternità. La probità dell’artista starebbe nella fedeltà con cui egli ha riflesso fedelmente la realtà che aveva di fronte.13 Tutto ciò ebbe già a suscitare le risentite risposte di Alessandro Marabottini, Maurizio Calvesi, Leonardo Sciascia e Salvatore Tramontana.14 Ma la questione merita di essere riconsiderata, perché le interpretazioni proposte in alternativa non soddisfano la loro parte.
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Progresso, s’intende, nel senso chiarito da E. G. GOMBRICH, La concezione del progresso artistico nel Rinascimento e le relative conseguenze (1952), nel suo Norma e forma. Studi sull’arte del Rinascimento, tr. it. V. Borea, Einaudi, Torino 1973, pp. 3-17. 13 L. VIOTTI, Guida parziale ad Antonello per uso femminista, «Lotta continua», 28 ottobre 1981. 14 «L’Espresso», XXVII, n. 46 (22 novembre 1981), pp. 170-180.
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Il Marabottini, curatore del catalogo della mostra con Fiorella Sricchia Santoro,15 nega tutto il metodo di lettura della Viotti, ma non può negare che il gesto sia di rifiuto, ed escogita una soluzione, che a sua volta è fantastica: «Se questo gesto non è, come non può essere, arbitrario, e la sua apparenza di rifiuto deve trovare una spiegazione, questa spiegazione va cercata nel contesto dottrinario e devozionale dell’Annunciazione. Nell’Annunciazione, secondo un’iconografia presente anche in Italia, ma diffusa in area fiamminga, accanto all’annuncio della nascita del Cristo, può essere presente quello della passione e della morte. L’angelo nero a fianco dell’angelo bianco, o la colomba scura accanto a quella candida (ben visibile nell’Annunciazione di Antonello conservata a Siracusa) hanno questo significato. Ed è questo doloroso destino del figlio che la Vergine può voler allontanare da sé». Il Tramontana discute della condizione della donna, ma non del gesto. Nel dipinto di Siracusa io non vedo colomba nera. E normalmente le profezie battono sulla gloria del nascituro, non sulla crocifissione; Maria difende, a volte energicamente, la sua castità, come abbiamo visto, e solo col tempo capirà che qualcosa di terribile le è stato tenuto nascosto. Lo Sciascia lascia capire che la Viotti abbia ripreso alcune sue idee,16 senza dir chiaro quali. Il Calvesi, in generale molto polemico nel suo intervento, sul punto cede un po’: tutta la costruzione di Antonello è «mirabile e delicata». «Questa delicatezza interpreta, non meno efficacemente del gesto, lo stato d’animo della Vergine turbato dall’annuncio. Il gesto, come in altre Annunciate di altri autori, è insieme di timido e perplesso saluto (di fronte ha l’angelo che le dice: ‘Salve!’; ‘essa a quelle parole si turbò e si chiedeva quale fosse il significato di quel saluto’: Luca, 1, 29) e come di pudico schermirsi. Leggerlo come gesto di rifiuto, significa proiettarvi un sentimento e un’ideologia personali, il che non è però questo gran delitto, perché l’arte può essere fruita anche così. Solo allo storico non sarebbe lecito farlo…». Insomma Calvesi
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Antonello da Messina 1981, cit. Espresse, a quanto è dato capire, in L’opera completa di Antonello, presentazione di L. Sciascia, Rizzoli, Milano 1967. 16
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sfuma, ma resta che il gesto indica, se non rifiuto, qualcosa di simile: «pudico schermirsi» egli dice (il saluto non ha nulla a che fare). Questa lettura ‘morbida’ del Calvesi ha avuto uno strano esito nell’interpretazione che propongono i giornalisti innominati di Madonna e Bambino, p. 9, quando spiegano che «la mano sollevata dal leggio è un gesto di benedizione». Buona l’intenzione, ma pessimo il risultato. Chi benedice Maria? L’angelo? Ma l’angelo non ha bisogno di essere benedetto da Maria, dato il suo stato di essenza già più che benedetta. Noi che contempliamo Maria? Ma come fa Maria a sapere che torme di viaggiatori l’avrebbero visitata, fedeli nei secoli? E come fa la ragazzina di Nazareth a sapere di avere il potere di benedire, lei che in quel momento è già abbastanza sconvolta da quel che le sta accadendo? Torniano alla provocatrice, per dire che le va riconosciuto il merito di avere posto all’attenzione un problema e di avere percepito giustamente nella mano un significato che, se non sta decisamente nell’ambito della negazione – come lei sostiene – non sta certamente in quello dell’affermazione. Quello su cui non val la pena di perder tempo è l’arroganza meta-semantica, antistorica e antifilologica, che, oltre i diritti-doveri della commissione, oltre il rispetto della tradizione sacra e popolare, oltre la storia di Maria, vorrebbe portarci nelle sabbie mobili dei territori indefinibili di una modella proveniente dal popolo e di un suo protagonismo da feuilleton tardo ottocentesco, che riesce a imporre a tal punto le esigenze esistenziali sue e quella della donna del Quattrocento e, se vogliamo, della donna di sempre.17 Se si confronta questa Annunciata con altre dello stesso Antonello, la singolarità della mano colpisce ancor di più. Il confronto è parti-
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Fallace sarebbe il confronto con la situazione del San Girolamo nello studio della National Gallery di Londra, su cui L. PUPPI, Antonello da Messina. San Girolamo nello Studio, Silvana Editoriale - Il Sole 24 ore, Cinisello Balsamo - Milano 2003; rist. in San Girolamo nello Studio, a cura di G. Barbera, Electa Napoli, Napoli 2006, pp. 21-30; e V. FERA, Lo Studio del ‘San Girolamo’ di Antonello, «Prospettiva», 126-127 (aprile-luglio 2007), pp. 105-114: fallace, perché qui il sopravanzare della personalità storica del personaggio ritratto sull’iconografia sacra non è il risultato di inconsci cedimenti o ricerca di allotri significati, ma effetto di accordi di committenza da individuare fattualmente.
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colarmente impressionante con l’Annunciata di Monaco (tav. XVII), che a quella di Palermo è vicina per tante ragioni. Molti elementi esterni comuni (l’assenza dell’angelo dalla composizione, la figura della Vergine tagliata a mezzo busto, la stessa mantellina azzurra, il libro aperto) sono tratti di richiamo dall’una all’altra opera che non si possono eludere. Si direbbe che l’artista intenzionalmente abbia calcato la mano su questi tratti identici, per meglio far risaltare le diversità. E le diversità non sono piccole: diritta, composta e sicura la Maria di Palermo, le labbra chiuse alla parola esplicita, le mani mosse sì, ma con una misura e un ordine ieratico; al contrario la Maria di Monaco ha il capo lievemente chinato a destra, gli occhi troppo spalancati, sì da lasciar scorgere il bianco sotto le pupille, la bocca aperta a pronunciare parole, le braccia incrociate sul petto e le mani vibranti in un movimento delle dita, che, se non è scomposto, non si può nemmeno dire armonioso. Tutto ciò è casuale? Non mi pare. Se si sottrae all’Annunciata di Monaco il carattere di forte drammaticità, otteniamo in sostanza le altre Annunciate di Antonello. E otteniamo, in fondo, quello che, in maniera più o meno forte, appartiene alle annunciate di tutti i tempi e di tutti gli artisti: lo sgomento davanti al profilarsi di un evento sconvolgente. Non avevano saputo ciò tutti gli artisti che con quel momento si erano misurati? E non si erano levate ogni tanto voci esortanti a non esasperare il turbamento della Vergine? Ossia, da un punto di vista compositivo ed espressivo, la Maria di Monaco sta in gran parte nella norma fissatasi con la prassi. L’eccezionale è rappresentato dalla tavola di Palermo. Teniamoci per ora al livello elementare dei segni, quello che nei testi scritti chiamiamo la lettera. E trasferiamoci per un momento a Venezia. Nel XXIV capitello del loggiato terreno del Palazzo Ducale è rappresentata una storia d’amore e di morte, dall’incontro di due giovani, al loro innamoramento fino alla nascita e morte di un figlio.18 Nel riquadro secondo (tav. XVIII) i ragazzi sono a colloquio, che è uno dei primi gradi della scala erotica. Il giovane ha dichiarato alla fanciulla il suo amore e questa risponde: ‘io ti ricambio’ (lo dice con
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Sul capitello dell’amore ho in corso da anni un altro mio lavoro.
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la sinistra che risale verso il cuore), ‘ma tu non toccarmi’ («Pamphile, tolle manus!», dice Galatea a Panfilo in una famosa commedia elegiaca; «manus frenare memento», ordina Dafne a Stuppeo-Petrarca nella terza egloga del poeta-umanista): questa seconda dichiarazione la ragazza fa con la mano destra avanzata come uno scudo protettore. Il giovane accetta con le mani in croce sul petto. Dunque nel capitello abbiamo insieme i gesti dell’assenso e della distanza cautelativa. Le braccia conserte sono quelle che troviamo nell’Annunciata di Monaco (e nelle altre, di Messina e di Siracusa), e qui, come nelle Annunciate hanno lo stesso identico significato (v. supra, capitolo V). Insomma, siamo in presenza di una gestualità non arbitraria, ma rispondente a convenzioni semantiche.19 Del resto si tratta di gesti anche oggi non incomprensibili, e Antonello non aveva certo bisogno di apprenderli dal capitello di Venezia. Senonché la figura della ragazza del rilievo, con la sinistra che risale sul petto e la destra spinta in avanti, sembrerebbe essere proprio il modello iconografico della composizione dell’Annunciata di Palermo. Certo Antonello è infinitamente più raffinato sia sul piano tecnico che su quello semantico. Egli ha genialmente trasformato il messaggio gotico-cortese della sinistra in un pudico rinserrarsi nei fortilizi della castità. Se la ragazza veneziana porta la mano al petto in segno di corresponsione, la Vergine richiude il velo. È rimasto invece nel suo ambito originario il movimento della destra: netto, perentorio (anche se solo tattico) diniego nel rilievo; misteriosamente diverso, ma sempre diniego, nell’Annunciata: diniego che non direi né «trepido» né «pudico schermirsi»; e che non
19 Semmai sarebbe da spiegare perché questo gesto, di per sé semanticamente chiaro, sia stato usato, con lieve adattamento, anche nella composizione dei cadaveri sia durante l’esposizione della veglia funebre sia nei rilievi tombali. In questo caso le braccia non risalgono verso il petto, ma scendono sull’addome. Proprio nel capitello dell’amore troviamo, accanto alle braccia in croce degli innamorati per dire assenso, le braccia in croce di un bambino morto e pianto dai genitori. Nelle Avventure di Pinocchio, al capitolo XV, il burattino, inseguito dagli assassini, cerca invano rifugio in una casa dalla quale si affaccia la bambina «coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto», per dirgli che lì son tutti morti, anche lei. Forse che assentire è anche un po’ morire?
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vedo come possa coesistere con un «timido e perplesso saluto», che mi pare del tutto inesistente. A chi volesse insistere sull’incommensurabilità fra la fanciulla veneziana e la Vergine palermitana ricorderò l’ovvietà che comuni mortali e grandi artisti possono adoperare la stessa lingua istituzionale, come sulla scena un grande attore può adoperare gli stessi gesti naturalistici della realtà quotidiana: ma nell’uso dell’artista quella stessa parola, quello stesso gesto comuni a tanti altri uomini possono caricarsi di una forza simbolica ed evocativa di amplissime dimensioni. Ciò detto, è però anche da dire che l’artista veneziano, che forse fu il grande architetto Filippo Calendario, impiccato fra le colonne da lui stesso innalzate, indagò accuratamente e rappresentò nella sua storia anche la dimensione psicologica dei personaggi, attraverso i piani dei volti e i gesti delle mani. Antonello fu a Venezia nel 1475; il capitello – secondo la ricostruzione più attendibile – era stato scolpito fra il 1344 e il 1355, più probabilmente negli ultimi che non nei primi anni. Il Palazzo Ducale era l’opera più grandiosa in cui i veneziani si erano impegnati per secoli, e Antonello non poté ignorarlo. La storia della ragazza veneziana sarà stata forse sentita da lui soprattutto come tragica storia di una maternità (finisce infatti con il pianto disperato della madre sul corpo del figlio morto), e sarebbe una lettura suggestiva. Certo Antonello è rimasto impressionato positivamente dalla eleganza sobria della composizione ed ha voluto trarne una lezione in proprio, impegnandosi anche in una gara con la scultura, quasi a dimostrare che le tre dimensioni possibili in scultura potevano essere in pittura non solo emulate, ma rese perfino più plausibili: le dita dell’Annunziata sono infatti dislocate ognuna su piani diversi e vengono veramente fuori dalla tavola. Ritroveremo quei gesti. In una annunciazione di Marco Palmezzano nel primo cinquecento romagnolo la Madonna fa gli stessi identici gesti della ragazzina veneziana. Se questi rapporti hanno un senso, ecco trovata nell’Annunciata di Palermo quella ‘venezianità’ necessaria per abbandonare definitivamente la data 1474: l’Annunciata è veramente del 1476-77 e presuppone il soggiorno veneziano del 1475.
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Torniamo al confronto fra le Annunciate di Palermo e di Monaco. Non è possibile che entrambe le tavole siano residui di composizioni più ampie, alle quali appartenevano quadri separati e affrontati con l’angelo. Sarebbe strano, ma fortunosamente possibile, che siano andati perduti due pezzi di due composizioni diverse e in tutti e due i casi quelli con l’angelo. Ma ciò risulta impossibile quando si pensi che le due Marie non guardano di profilo o di tre quarti un deuteragonista, che necessariamente deve stare loro di fronte, ma guardano nel vuoto davanti a sé, guardano in certo senso noi spettatori del dramma. Dico in un certo senso, perché in realtà non sanno di essere guardate e piuttosto sfuggono alla nostra osservazione, perdendo gli occhi verso la nostra sinistra. In tutto il percorso iconografico ho trovato cinque madonne frontali. Due sono valorizzate da Marco Collerata, in una lettura che, con quella sostanzialmente concorde di Fiorella Sricchia Santoro, è di tutte la più affascinante.20 La prima è una icona bizantina a mani incrociate, senza libro. La seconda è una incisione tedesca del 1467 (246) con la Madonna a mani giunte e libro aperto. Io conosco la Madonna di Grottaglie (67; fig. XII), di datazione incerta, ma forse appartenente a uno stadio dell’espressione artistica tecnicamente arretrata. Alla sua sinistra c’è l’angelo, ma non capisco perché Maria lo ignori e guardi fissa davanti a sé: forse il messaggio dell’angelo non la interessa granché e segue un suo vagare interiore dei pensieri. Una quarta Maria senza angelo è la Madonna del Magnificat di Bernardo Daddi, testimoniata in più redazioni, risalenti all’autore o alla sua scuola. Nella forma posseduta dai Musei Vaticani (129) Maria regge un libro aperto sulle ginocchia, nel quale si legge distintamente l’inizio del Magnificat (il primo rigo della seconda pagina è coperto dal pollice della Vergine):
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M. COLLARETA, Antonello, cit., pp. 65-73; SRICCHIA SANTORO, pp. 182-183, 211-212.
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Magnifi.. cat anima mea domi num Et exultavit
spiritus m in deo saluta ri meo Quia respexit hui.21
La quinta è la madonna di Battista da Vicenza (sec. XV), nel santuario della Madonna della Misericordia di Monte Berio, Vicenza (132). Anche questa legge nel libro aperto il Magnificat. Anch’essa è frontale, senza angelo. In mancanza di dichiarazioni esplicite si deve ritenere che la lettura del Magnificat sia motivata da una tradizione che risale a Odilone. Questa Maria colta nella sua solitudine ha la certezza o il sospetto di essere la predestinata. Le due Marie di Antonello stanno vivendo emozioni diverse. Quella di Palermo è pensosa, forse preoccupata, ma sicura di sé nel ritrarsi nella sua identità incontaminata; quella di Monaco ha accettato il suo destino con le braccia in croce, ma è umanamente sconvolta dalla cognizione di quello che la attende: il disordine interiore si riflette nella dilatazione degli occhi, nella tormentata piegatura delle dita e nella scompostezza dei capelli. La Maria di Monaco è colta nel momento in cui, alla rivelazione del mistero dell’incarnazione, dichiara di accettare la volontà del Signore. E quella di Palermo? Da cosa dipende il senso di mistero e di incomprensibilità che pervade il quadro, privo di ambientazione, privo di scena e privo di prospettiva, privo della presenza dell’angelo e della
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In una variante di scuola di questo dipinto al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze (riprod. in L. BELLOSI, Buffalmacco, cit., fig. 94), sul libro aperto in grembo e disposto alla lettura dello spettatore, si legge la seguente invocazione alla Vergine disposta su due pagine aperte: (a) «Dolcissima Ver /gine Maria / da Bangnuolo / priegoui che pre/ghiate lui per / (b) la sua charita / et per la sua pote/ cia mi faccia ga / di ciò che mi fam/mestiere» (testo corretto rispetto a R. OFFNER - K. STEINWEG - M. BOSKOVITS, A critical and historical Corpus of Florentine painting, Sect. III, vol. IV, Giunti, Florence 1991, p. 192).
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colomba dello Spirito Santo,22 con una Maria sola con se stessa, coi suoi pensieri e col suo libro, avvolta nell’intenso e protettivo blu del suo manto,23 emergente grandiosa e luminosa da una sorta di buco nero dell’eternità? Collareta ha il merito di aver finalmente fatto giustizia del problema dell’assenza dell’angelo. Ma lo fa attraverso una immissione fra psicologica e metafisica dello spettatore dentro la vicenda narrata dal quadro: «l’angelo, che nel polittico di San Gregorio serviva già solamente per introdurre lo spettatore alla Vergine [di Monaco], viene definitivamente esautorato dallo spettatore che ne usurpa il posto. La coerenza narrativa non implica più la presenza dell’angelo, perché chiunque si trovi di fronte al quadro è posto nella condizione di recitare perfettamente la parte che compete all’angelo stesso». Il passaggio alla successiva Annunciata di Palermo è, se ben intendo, solo un procedimento di affinamento e sublimazione, in cui (e qui Collareta ha perfettamente ragione) il «linguaggio visivo» riesce a superare i limiti di quello verbale, realizzando «una perfetta continuità tra il mondo
22
Anche su questo punto devo dissentire dagli studiosi cit. a p. 185. Essi vedono la presenza dello Spirito Santo nel soffio che muove le pagine del libro. Ma forse non sono mai stati in una biblioteca a consultare manoscritti. Avrebbero visto che quasi tutti i codici, posati sul leggìo, non distendono le pagine per nostra maggior comodità, ma le sollevano per effetto della legatura e del lungo stare richiusi, e che per tener ferme dette pagine occorre usare pesi o altri strumenti di cui le biblioteche sono attrezzate o seguire la lettura della pagina poggiando su di essa un cartoncino. In caso di comportamenti men che corretti sarete redarguiti dal personale di sala o esclusi dalla consultazione. Ma la Madonna di Palermo aveva tutte e due le mani impegnate in gesti eloquenti di riserbo e non poteva usarle per tener giù le pagine. Del resto basta scorrere libri di storia della nostra arte per vedere come le pagine di libri si sollevino frequentemente senza che le smuova lo Spirito Santo. 23 Blu o azzurro è il manto dell’Annunciata ab antiquo: così anche nel mosaico di Istanbul, nella Madonna degli Uffizi di Simone Martini, in quella di Spoleto del Pintoricchio, in quelle di Monaco e di Siracusa dello stesso Antonello, in Palmezzano, Filippino Lippi, e molti altri.
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Le Annunciate di Antonello
dei sensi corporei e quello dell’esperienza interiore».24 In elegante consonanza la Sricchia Santoro riprende l’idea che Antonello con «superba ‘invenzione’ iconografica» abbia reso superflua la presenza dell’angelo nell’Annunciata di Monaco, e vede nell’Annunciata palermitana la «mitica sublimazione dell’incontro tutto interiorizzato con l’angelo già messo in campo nella versione di Monaco», pervenendo così alla «più coinvolgente immagine femminile del secolo prima dei ritratti di Leonardo».25 Sono pagine che non vanno toccate, come testimonianze di profonda e generosa Einfühlung. Ma la ragione ‘positiva’ che ha animato tutto il mio viaggio in terra incognita mi dice che qualcosa non torna. Questo qualcosa è proprio la narrazione. Se c’è successione fra le due annunciate, come può Maria regredire dall’accettazione, sia pure drammatica, di Monaco, alla perplessità pensosa di Palermo? Allora, se un’aporia insorge, occorre cercare altra strada. La mia ipotesi esegetica è il punto di arrivo e di convergenza di vari percorsi, quello esile, ma sicuro, delle Marie solitarie, quello della semantica dei segni, e soprattutto quello della lettura dei testi umanistici appena considerati. In essi Maria sta leggendo le profezie che parlano dell’avvento del Salvatore e della mediazione di una Vergine. D’un tratto è presa da tale ammirazione e trasporto verso questa fortunata fanciulla, che si lascia andare a un inno di lode per lei. Poco dopo apprenderà che la donna fortunata è proprio lei. A questo punto gli umanisti, se non inventori, esaltatori di questa variante della storia, entrano in contraddizione: come fa infatti la Vergine a ritirarsi sgomenta davanti alla prospettiva di diventare deipara, se poco prima lo ha desiderato? Io credo che Antonello si sia addentrato in meandri simili, ma con una sua personale suggestiva intuizione. Quando la sua Maria legge i testi e apprende della Vergine che concepirà ecc., viene d’un tratto presa dal presagio che si stia parlando proprio del suo de-
24 25
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M. COLLARETA, Antonello, cit., pp. 67 e 72. SRICCHIA SANTORO, pp. 182 e 212.
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stino. Non l’angelo dunque le porta l’annuncio primo della sua sorte, ma una illuminazione dell’intelligenza: quella capacità di predire il futuro che anche il laico Ernesto de Martino negli ultimi giorni di vita riteneva possibile, purché si possedessero tutti gli elementi conoscitivi per tirare le somme.26 Non sarà che tutti questi testi sacri parlino proprio di me? Non sarà che questa immane sorte tocchi proprio a me? E perché a me? No, non è possibile. Non a me, non alla mia nullità questo compito e questa responsabilità! Passi da me questo calice! Poco dopo arriverà l’angelo e sarà quella la vera annunciazione. Questa che vediamo di Palermo non è l’annunciazione, ma dell’annunciazione solo la premonizione. Maria divinatrice? Perché no? L’antichità ha attribuito volentieri questa qualità misteriosa ad alcune donne. Non solo alle Sibille e a Cassandra, ma a Tiresia (che era un trans, come sapeva anche Dante), e alle mogli di Pilato e di Cesare, che fecero sogni presaghi, e alla madre di Dante che secondo Boccaccio vide, anche lei in sogno, chi avrebbe partorito.27 E abbiamo già visto come tutta una tradizione dottrinale abbia attribuito a Maria la dote della profezia, che si avvicina alla premonizione, anche se non è la stessa cosa. Concordo nel ritenere che le due annunciate senza l’angelo siano contigue nel tempo della loro narrazione artistica, come probabilmente lo furono nel tempo della composizione. Ma, diversamente dagli autorevoli due studiosi prima ricordati, credo che la ‘storia’ proceda da quella di Palermo a quella di Monaco. Come la fanciulla di Gerson, la Maria palermitana, che tutto ha letto ed è edotta dei destini dell’umanità, mentre è sola nella notte e vaga con la mente per le sconfinate plaghe delle altezze celesti, è colta da un improvviso moto dell’anima che la induce a pensare e temere di essere lei la protagonista
26
Rapporto sull’aldilà. L’ultima intervista di Ernesto de Martino, a cura di F. Leoni, «L’Europeo», XXI, n. 21 (23 maggio 1965), p. 83. 27 Sulla moglie di Pilato vd. A. MARTINENGO, Un “topos” classico nel Vangelo di Matteo, in «A Campanassa», XLIII, n° 4 (2016), p. 28.
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Le Annunciate di Antonello
designata dalle Sacre Scritture. Turbata si ritira in se stessa. Qualche attimo dopo arriverà l’angelo. Quel che accade dopo il messaggio esplicito e imperioso lo dice la tavola di Monaco: Maria fu convinta dalla logica ferrea di Gabriele e si piegò ai voleri divini, ma l’accettazione fu tutt’altro che pace e letizia di cuore, aprì subito un cammino all’insegna del dolore, e Maria, ancora più sola al cospetto di un incomprensibile mistero, si strinse al petto le povere mani di bambina ignara della vita.
UN OMAGGIO OCCULTO A VAN EYCK? È noto28 che Vasari credeva o inventò un viaggio nelle Fiandre di Antonello per conoscere Jan van Eyck e apprendere da lui i segreti della pittura. Dissoltasi la leggenda, resta il problema critico dei rapporti innegabili del messinese coi fiamminghi. Mi pare di avere intravisto una sorta di citazione di van Eyck abilmente adombrata proprio nell’Annunciazione di Palermo. La pagina infatti del libro aperto sul leggìo forma un triangolo, e questo triangolo corrisponde al triangolo del libro aperto in mano di Maria nella deesis di Gand (infra, pp. 215-216); al triangolo della pagina sezionata fa riscontro nei due il triangolo della scrittura; infine le due pagine cominciano entrambe con una riga di testo, disobbedendo alle regole della moderna impaginazione tipografica che non vogliono a inizio di pagina una riga solitaria; e solo alla seconda riga arriva l’inizio di paragrafo con una grande iniziale maiuscola.
28
A. MARABOTTINI, Antonello: la vita e le opere, in: Antonello da Messina 1981, cit., pp. 37-38; SRICCHIA SANTORO, p. 14; G. POLDI, Con o senza Fiandre: come dipinge Antonello da Messina, in: Antonello da Messina, a cura di C. Cardona, G.C. F. Villa, Skira, Milano 2019, pp. 293-299.
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XVI
Il destino del Figlio
Gli affreschi di Palazzo Trinci a Foligno, fortunatamente recuperati, se pure in parte, in età recente dopo gli insulti del tempo e dei papi, furono realizzati intorno al 1411-12 da Gentile da Fabriano e collaboratori su progetto dell’umanista, allievo del Petrarca, Francesco da Fiano.1 Non precisamente attribuibile è l’affresco che raffigura, nella serie delle Arti liberali, la Grammatica.2 Poco male per il nostro scopo, perché le immagini sono così nitide da rendere chiaro il messaggio iconografico. A sinistra della composizione una donna regge in grembo un libro aperto. A destra un ragazzo legge, contribuendo con la mano sinistra a tenere ritto il libro, fino a toccare la mano della donna, e puntando lo stilo su una lettera della serie alfabetica (tav. XXXVIII). La donna è certamente allegoria della Grammatica: lo dimostrano la funzione che essa assolve nella scena e la posizione che assume nel programma generale degli affreschi. Ma una riflessione in più obbligano a fare i testi scritti sulle due pagine aperte del libro. Che non sono testi qualsiasi sui quali apprendere a compitare. Essi sono tre,
1
Cfr. Nuovi studi sulla pittura tardogotica. Palazzo Trinci, a cura di A. Caleca e B. Toscano, Sillabe, Livorno 2009, p. 202, fig. 5; A. e C. FRUGONI, Storia di un giorno, cit., pp. 148 e 150. 2 A. DE MARCHI, Gentile e la sua bottega, cit., p. 20; copertina del vol. Dante in lettura, a cura di G. De Matteis, Longo, Ravenna 2005; Nuovi studi sulla pittura tardogotica, cit., 202. p.
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Il destino del Figlio
uno sulla pagina a sinistra di chi guarda (il verso della carta), e due a destra (il recto), tutti e tre scritti in una minuscola gotica disadorna. I Dixit do minus do mino meo. Se de [a de] a dextris meis. D[d]onec ponam inimi cos tuos sc abelu peduṃ ọrum. Vir mitet…
II abcde fghikl m n o .p a r s [?] p a [?]
III ve Mar gratia p., ominus tec. , benedi
Conosciamo ormai abbastanza bene il secondo e il terzo dei due testi. Il terzo è l’inizio della salutatio angelica a Maria, che accompagna di regola le annunciazioni dipinte, o volando per l’etere o im202
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presso sulla pagina del libro che la Vergine sta leggendo in quel momento. Il secondo testo è l’alfabeto latino, seguito da alcune parole incomprensibili. Nuovo è invece il primo testo. Si tratta dei primi due versetti del salmo CIX e dell’inizio del terzo. Le lettere fra uncinate sono oscurate dalla mano della donna e quelle fra quadre sono ripetizioni erronee del pittore. Il passo si legga così: 1 Dixit Dominus Domino meo: «Sede a dextris meis. 2 Donec ponam inimicos tuos scabellum pedum orum». 3 Virmittet . 1 Disse il Signore al mio Signore: «Siedi alla mia destra. 2 Fino a tanto che io riduca i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi». 3 Il Signore stenderà la verga del tuo potere da Sion: esercita il tuo dominio sui tuoi nemici.
Il luogo dei Salmi è uno di quelli che hanno fatto la storia del cristianesimo. Secondo tre degli evangelisti (Matth., XXII 44-45; Marc., XII 36; Luc., XX 42-44) lo aveva già citato lo stesso Gesù per dimostrare che egli come Cristo era figlio non di Davide, bensì di Dio. Davide infatti, l’autore dei Salmi, aveva sostenuto che il Signore Jahvé (Dominus) aveva consentito al Cristo figlio (Domino) di sedersi alla sua destra. E Matteo aveva concluso: «Si ergo David vocat eum Dominum, quomodo filius eius est?». E che il predestinato alla vittoria terrena e al trionfo celeste sia Gesù non possono dubitare Paolo (I Cor., XV 25; Hebr., I 13 e X 13) e l’autore degli Atti degli Apostoli (II 33-35).3 Insieme con il famoso e qui spesso ricordato luogo di Isaia, questo dei Salmi è uno dei cardini della struttura ideologica che regge l’unità
3
A. MARTINI, op. cit., ad l., p. 596. Per una diversa interpretazione v. cap. XVIII, pp. 220-221.
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dell’Antico e del Nuovo Testamento: l’Antico prefigurazione del Nuovo e il Nuovo inveramento dell’Antico. Una grandiosa prevaricazione della storia pregressa, che ha governato il destino della storia avvenire. Si tenga tuttavia ben conto che, mentre tutto il Nuovo Testamento compatto s’arresta nella citazione al § 2 del salmo, la mente che a Foligno guida la mano del pittore la estende all’inizio del § 3. Agli evangelisti e a Paolo basta dimostrare che Gesù è figlio di Dio; l’umanista vuole molto di più: vuole che al suo lettore non sfugga di mente che al Cristo (e ai suoi vicari sulla terra) spetta il dominio del mondo, non solo quello celeste, ma soprattutto quello terrestre, da Gerusalemme fino agli spazi indebitamente occupati dai nemici della fede, e che questo dominio è anche una missione imposta da Dio Padre e scritta nei libri sacri della Verità. È questa davvero la rappresentazione dell’arte liberale della Grammatica, come vuol far credere il programma del ciclo iconografico, o è qualcosa di altro? Certo i gesti che compiono i due protagonisti, il libro aperto, la presenza dell’alfabeto ci riportano al meccanismo dell’apprendimento e della trasmissione del sapere. Ma: il piccolo non è proprio un bambinello, anzi si trova in età in cui dalla decifrazione dei segni alfabetici si sta passando decisamente alla lettura di un testo e alla comprensione del suo contenuto. Il bambino stringe uno stilo fra l’indice e il medio e lo punta sulla che apre l’alfabeto, lanciando un messaggio ancor più esplicito di quello del suo omologo di Pietro da Talada. Insomma è evidente e innegabile che la donna sia Maria (e concediamo pure che sia prestata per un momento a svolgere l’ufficio della Grammatica) e il ragazzo sia suo figlio Gesù. Il testo dell’annunciazione racconta la storia della fanciulla di Nazareth chiamata a svolgere il compito di portare sulla terra il figlio di Dio. Il testo dei salmi rivela che il ragazzo è davvero il figlio di Dio e preannuncia il suo destino di trionfatore sul male e di dominatore su tutto il mondo. Attraverso il trait d’union della grammatica, cioè di quell’arte che nella vicenda dell’uomo assicura la trascrizione delle memorie, dei contratti, delle leggi in segni comunemente accettati e decifrabili, il 204
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programmatore e l’artista hanno congiunto i destini della madre e del figlio in un unico disegno provvidenziale, che tuttavia deve passare attraverso il sacrificio della Croce. Siamo in presenza di un caso unico? Forse sì per la chiarezza del messaggio. Ma esiste pure qualche altro testo iconografico che sembra rasentare il problema. Credo per esempio che non si debba interpretare solo realisticamente una Madonna di Berlino che tiene in braccio il Bambino scrivente su un libro.4 Che il Bambino scriva non c’è dubbio: nella sinistra stringe una boccetta d’inchiostro e con un calamo riempie la pagina recto semivuota. È possibile che un bambino così piccolo possa scrivere correntemente un libro di quello spessore? E che ci fa sulla sinistra della scena un imponente san Gerolamo, intento a guardare con grande interesse l’attività del Bambino? Mi par chiaro che, acquisite e superate le minuziose descrizioni realistiche di oggetti e vestiti, si debba passare a una lettura allegorica. Che è la seguente: il Bambino scrive la sua storia presente e futura, ossia il vangelo; san Gerolamo, il massimo conoscitore dei testi sacri, mira intensamente l’atto della scrittura e con l’indice sinistro indica il gran libro che lui stesso scriverà e già tiene nella destra. Ma è importante che il Figlio cominci a scrivere la sua storia stando in braccio alla Madre. E altra soluzione non vedo per spiegare il gesto di un Bambino del giottesco Bernardo Daddi (secc. XIII-XIV), nella Madonna della Galleria Nazionale di Parma: seduto sulle ginocchia della Madre ieraticamente assente poggia l’indice della destra su una riga di un libro che lei gli tiene aperto. Decifrare le lettere è pressoché impossibile (sembra trattarsi di lettere immaginarie), ma si può agevolmente ritenere che egli legga la propria storia o piuttosto quella sua e della Madre insieme. Questa aspro-dolce tradizione soffusa di levità borghese trova la sua massima espressione nella michelangiolesca Madonna col Bam-
4
Berlin-Dahlem, Staatliche Museen, Gemäldegalerie (F. ORTENZI, in GARIBAL-
DI-MANCINI, pp. 256-257).
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bino del Tondo Pitti del 1502-04 (tav. XXXIX),5 dove l’asprigno prende il sopravvento sulla dolcezza. Maria non è seduta né sul trono né per terra (non è quindi né la Madre gloriosa né la Madre dell’Umiltà); sta su rozzo masso e tiene sul grembo un libro aperto verso il Bambino, il quale, sorretto dal braccio sinistro della madre, poggia il braccino sulla pagina aperta del libro e con la mano si sostiene la fronte; sbircia la pagina di traverso con aria fra ironica e sussiegosa, chiaramente disinteressato. Egli ha inconsapevolmente assunto una posa «da genio funerario», che allude presaga alla sua morte, ma non sa che nel libro è scritto il suo tragico destino: è ancora solo un Bambino, anche se predestinato. Sa invece la Madre, ce lo dice la benda che le stringe i capelli, coronata da un cherubino, l’angelo della dottrina, protettore degli studenti e degli uomini di studio.6 Sa e per questo sente il dovere di trasmettere al Figlio quello che di lei e di lui è scritto nei libri sacri. Gli porge il libro, ma lei stessa volge umanamente altrove il viso bellissimo, velato di dolorosa coscienza e drammatica impotenza. Sul tema Michelangelo sarebbe tornato nella tarda Madonna del silenzio.7 Maria tiene nella destra il libro aperto della verità, nel quale
5
Firenze, Museo Nazionale del Bargello. Cfr. Michelangelo scultore, cit., pp. 112-113. 6 Su ciò concordano le fonti: Girolamo, Liber interpr. hebr. nom., Ex. C, Brepols, Turnholti 1959 (Corpus Christianorum, Ser. Lat., LXXII), p. 74; Gregorio Magno, Hom. in Ev., I 34, 10, in PL, LXXVI (1865), col. 1252; Ps.-Dionigi Areopagita, De coel. hier., VII 1, in PG, III (1857), coll. 205-206; tr. lat. di Giovanni Scoto Eriugena, in PL, CXXII (1853), col. 1050; Tommaso d’Aquino, Summa theol., I 63, 4, ad 1; Dante, Par., XI 39; Riccardo da Bury, Philobiblon, I; ed. Carena, cit., p. 27. – Che questa Maria sia preveggente hanno visto in molti: H. FRIEDMANN, The symbolic goldfinch. Its history and significance in European devotional art, Bollingen Foundation, Washington 1946, p. 95 ss.; Ch. DE TOLNAY, Michelangelo, Princeton University Press, Princeton 1947-1949, I, p. 76; R. S. LIEBERT, Michelangelo. A psychoanalytic study of his life amd images, Yale University Press, New Haven-London 1983, p. 95 ss.; REGOLI, Preveggenza, p. 15. Forse è stato però eccessivo assimilare la Madonna a una Sibilla. 7 Londra, Collezione del Duca di Portland. REGOLI, Preveggenza, p. 41, fig. 30.
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questa volta campeggia il nulla, e con la sinistra accenna a una carezza trattenuta al Bambino che si è abbandonato a un Sonno omericamente fratello della Morte, con la testa reclinata sulla gamba della Madre, mentre un vecchio e mesto Giuseppe contempla incapace di capire e di intervenire, ma anche di rassegnarsi. Sulla fronte, ad aumentare il mistero che circonda quest’opera, Maria ha una benda sulla quale spicca una testina di putto, che altro non può essere che il cherubino del Tondo Pitti. Sarà nel Giudizio Universale della cappella Sistina, alla fine dei tempi, che i ruoli si invertiranno: il Figlio trionfatore prenderà la sua centralità e il suo potere di giustiziere, e la Madre si rannicchierà mite accanto a lui, diventata anche fisicamente più piccola di lui.8 Qui occorre fare un passo indietro e tornare al momento dell’Annunciazione e del Concepimento. Concepimento e parto divini di Maria dovevano essere secondo le profezie puri e indolore, ma non così doveva essere la morte del figlio, quando la natura umana avrebbe richiesto i suoi diritti con l’esplosione del dolore. Fu solo all’apparire del vero che, secondo Alberto Magno, Maria capì del tutto il senso del suo destino: «tunc enim per cordis intimum dolorem scivit, quid fuit matrem esse». Fu quando vide il figlio appeso in croce che capì davvero, attraverso il dolore più profondo del cuore, che cosa fu per lei esser madre.9 In tempi probabilmente coevi ad Alberto Magno, ma in tutt’altra area e in tutt’altro mondo spirituale, un poeta volgare italiano, metteva sulla bocca della madre distrutta dal dolore della morte del figlio un’accusa tutta umana di reticenza, se non di tradimento, contro l’arcangelo Gabriele. È il lungo lamento funebre cantilenato di area meridionale, qui affidato a una lauda forse urbinate forse senese (vv. 218-239):10
8
È evidentemente eredità michelangiolesca il volgere la testa altrove della madonna di Paris Bordon, poco fa ricordata. 9 Postilla super Isaiam, cit., VII 14; ed. SIEPMANN, p. 110, rr. 45-50. 10 Laude drammatiche, cit., I, p. 17.
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Figlio, a che male porto la tua mamma è venuta! Averieme traduta l’Agnelo Gabrielle che, tra l’altre novelle, disse ched eri Deo figliolo? Figlio mio, che divissi morire non me lo volse dire, nanti m’assecurao e claro me mustrao la mia concezione: portar senza gravezza, o nessuna agresteza cun gaudio parturire, senza dolor sentire. Viveia in quella spene ma retornato m’ène lo gaudio in dolore! O figlio mio, Signore, ora te parturisco; maior dolor patisco che quello de lo parto.
Dall’apogeo del Rinascimento italiano al grande patetismo melodrammatico della religiosità controriformatrice spagnola. Francisco de Zurbarán ci ha rappresentato Maria nella umile quotidianità di Nazareth: prima con tenerezza ci mostra la bambina che ricama sotto gli occhi dei genitori o che, appoggiata a una sedia impagliata, si assopisce col libro chiuso in mano e con l’indice ancora alla pagina su cui si è fermata la lettura.11 Poi, in una dilagante tela del terzo decennio del secolo ci riporta al presentimento del dramma (tav. XL).12 In una casa
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Museo di Bilbao. Cleveland (Ohio), The Cleveland Museum of Art. Cfr. R. CAUSA, Francisco de Zurbaràn, Fabbri, Milano 1966 (I maestri del colore, 181), tavv. XIV-XV. 12
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modesta e linda, i cui unici arredi sono una panca e un tavolo su cui sono sparsi tre libri, di cui uno semiaperto, una Maria popolana è distratta dal suo lavoro domestico di cucitura di un panno bianco e volge lo sguardo verso un adolescente Gesù che si è punto un dito nell’intrecciare per gioco una corona di spine. Gesù non pare consapevole del presagio, ma Maria sì. Poggia la guancia sulla mano e lascia scorrere una lagrima silenziosa. Ancora una volta è fedele al suo ruolo di donna condannata dalla volontà divina a un destino atroce: non si oppone a quanto la Provvidenza ha stabilito per lei e per il figlio, ma la promessa della gloria ultraterrena non compensa il suo dolore umano di madre. Questo altro aspetto della storia di Maria, ossia il destino di morte del Figlio, la previsione, il dolore, ecc. attende di essere raccontato. Quando Maria capì che il suo Emmanuel non sarebbe diventato l’imperatore del mondo, ma sarebbe morto in croce come un malfattore? e quale fu il segno rivelatore? La croce, l’agnello o altri indizi ancora? Michelangelo, Zurbarán e altri lasciano capire che Maria ebbe contezza del destino di morte prima del martirio finale. Ma non sanno dire da dove l’apprendesse. Massimo Cacciari13 è convinto che non fu cosa appresa sui libri, ma fu una previsione interiore. Trova questa coscienza espressa sui volti delle Madonne di Mantegna, quella del Museo Poldi Pezzoli e quella di Berlino. Chiara Frugoni la vede anticipata sui volti delle madonne di Ambrogio Lorenzetti.14 È una intuizione che è stata corroborata almeno con un dato concreto, la dote di profetessa attribuita a Maria, come si è visto, dote che integra e arricchisce la cultura sapienzale già in lei cresciuta nei secoli grazie all’ingigantimento della figura operato dai Padri e dai teologi.
13 14
M. CACCIARI, op. cit. C. FRUGONI, La voce delle immagini, cit., pp. 246-249.
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XVII
L’Annunciazione della morte
Risale al secolo VI d.C. l’inizio della leggenda della morte e assunzione al cielo della madre di Gesù. Il più antico dei numerosi apocrifi che narrano la storia è la Dormitio Mariae Virginis attribuita a Giovanni evangelista. Maria si reca ogni giorno al sepolcro del Figlio a bruciare incenso e a pregare che Egli venga da lei. Un giorno che era parasceve la santa Maria andò, secondo il costume, presso il sepolcro, e mentre pregava accadde che si aprirono i cieli e l’arcangelo Gabriele scese presso di lei e le disse: «Ave, o genitrice di Cristo, nostro Dio. La tua preghiera, giunta nei cieli, è stata accolta da Colui che è nato da te, e tra poco, secondo la tua richiesta, tu lascerai il mondo e andrai nei cieli presso tuo figlio, nella vita autentica, che non ne ha un’altra dopo di sé.1
Posteriore alla Dormitio è il Transitus Mariae Virginis attribuito allo Ps. Giuseppe d’Arimatea, che così racconta l’annuncio dell’angelo: E il terzo giorno prima di morire venne a lei l’angelo del Signore e la salutò, dicendo: «Ave, Maria, piena di grazia, il Signore è con te».
1
Dormitio, cap. III, in: Apocalypses apocryphae, … edidit C. Tischendorf, Mendelssohn, Lipsiae 1866 (rist. anast. Olms, Hildesheim 1966), p. 96 (testo greco); I Vangeli apocrifi, ed. Craveri cit., p. 449.
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Ed ella rispose, dicendo: «Deo gratias». Allora egli le disse ancora: «Prendi questa palma, che il Signore ti ha promesso». Ed ella con grande gioia, rivolgendo ringraziamenti a Dio, prese dalla mano dell’angelo la palma che le era stata mandata. L’angelo del Signore le disse: «Fra tre giorni sarà la tua assunzione». Ed ella rispose: «Deo gratias».2
Di questa seconda annunciazione così riferisce ser Garzo, il nonno del Petrarca, in una sua lauda:3 Poi che ’l termine è compiuto l’Angelo recò il trivuto: «Ave», disse nel saluto, «donna grazïosissima! Lo Segnore mi ti manda c’a la corte t’adimanda per compir la lor vivanda di gioia allegrissima. Da oggi al terzo giorno tu farai in ciel soggiorno, sempre ’n estar più addorno per te, rosa freschissima. O recevi nella palma la corona de la palma, virgo regi mater alma, decora fugiosissima».
2
Transitus, cap. IV, in: Apocalypses apocryphae, cit., pp. 114-115 (testo lat.); I Vangeli apocrifi, ed. Craveri cit., p. 466. 3 GARZO, Opere firmate, a cura di F. MANCINI, Archivio Guido Izzi, Roma 1999, p. 171, str. XVI-XIX, vv. 63-78.
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Anche questa seconda annunciazione ha avuto una fortuna figurativa, pur se meno intensa della prima. La più famosa attestazione è quella di Duccio nel coronamento anteriore della Maestà, terminata nel 1311 (Museo dell’Opera del Duomo di Siena).4 Maria siede su una modesta cassapanca, in casa e non al sepolcro: in realtà se la Dormitio colloca l’evento al sepolcro, il Transitus non è esplicito. Gabriele ha in mano qualcosa che secondo il Transitus dovrebbe essere una palma, e che qui sembra piuttosto un candelabro a sette braccia. Anche in questa annunciazione davanti a Maria c’è un libro aperto sul leggìo, non legittimato dalle fonti. Il testo è scritto su tre righe per pagina e si ha tutta l’impressione che il pittore abbia voluto far credere che la lingua sia l’ebraico, ma è solo un’illusione fallace: le apparenti lettere in realtà sono segni senza corrispondenza a un codice scrittorio.5 Ciò vale anche per molti altri dipinti in cui le lettere non decifrate hanno spinto alcuni studiosi a fantasticare di chissà quali misteri e lingue arcane. Secondo Robb6 la palma è segno dell’appressamento della morte; ma non ne vedo la ragione. Direi piuttosto che è simbolo di gloria. Un’altra annunciazione della morte è quella di Ottaviano Nelli, 1424, nella cappella di palazzo Trinci a Foligno. La madonna ha un libro aperto sul grembo e l’angelo una palma nella destra.7 Mantegna è tornato sull’evento, e ha rappresentato Maria morta e stesa sul letto, circondata dagli apostoli; a sinistra fra quelli che la vegliano c’è l’angelo con la palma in mano.8 La Madonna, composta, tiene nella destra il libro che secondo Duccio stava leggendo quando
4
ROBB, pp. 486 e n. 30; 483, fig. 5; BELLOSI, pp. 356 e 358; SCHILLER, fig. 659. Ringrazio per il chiarimento l’ebraista Alessandro Catastini. 6 ROBB, p. 486. 7 La Madonna del Pianto di Foligno. III centenario dell’incoronazione, a cura di G. Bertini, E. Presilla, L. Sensi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2016, fig. 18, a fronte di p. 317. 8 Dormitio Virginis, Museo del Prado a Madrid: v. V. SGARBI, Nel nome del Figlio. Natività, fughe, passioni nell’arte, Bompiani, Milano 2012, pp. 113-114. 5
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è arrivato l’annuncio:9 segno della fedeltà al suo destino scritto nei libri della Provvidenza. Durante tutto il nostro percorso di lettura ho usato spesso, forse abusandone, la parola e il concetto di destino: destino di Maria e, in misura minore, destino del Figlio. In conclusione val la pena di fare sul punto qualche riflessione. Destino è la biografia predeterminata per ognuno di noi, che si attua con o contro la nostra volontà. Questa prescrittura, che esiste prima degli eventi, può essere ontologicamente immanente alla persona e costituire di essa l’essenza. ῏Ηθος ἀνθρώπῳ δαίμων, il destino di ognuno è il suo carattere, diceva l’antichissima sapienza greca (Heracl., B 119).10 Ma il destino poté essere anche un ordine, una prescrizione, una scrittura della storia ab aeterno, trascendente e imposta anche contro l’ethos dell’individuo. La tragedia greca fu lo squadernamento agli occhi e alle intelligenze di tutti dello scontro dell’uomo, dei suoi desideri e dei suoi affetti, delle sue debolezze, con l’eroismo impostogli dal suo daimon. Da quello scontro l’individuo uscì per lo più sconfitto, ma nella sconfitta riuscì a glorificare valori superiori alla sua personale vicenda. Dopo l’esperienza della tragedia anche gli eroi senza macchia e senza paura dell’epica dovettero convivere con le contraddizioni fra le loro piccole umane ambizioni e i grandi compiti loro imposti da una superiore volontà. Trovare l’equilibrio giusto fra quegli opposti fu il compimento dell’areté o virtus. Compimento ora diventato doloroso e pagato al prezzo del sacrificio di innocenti, come Didone travolta dall’ineluttabile destino di grandezza di Roma e dei suoi fondatori.
9
Riprendendo tutto l’impianto di Mantegna, Carpaccio nella sua Morte della Vergine, lo ha impoverito, eliminando il libro. Cfr. M. CANCOGNI, Carpaccio, cit., pp. 136-137. 10 Ho in mente alcune pagine geniali di Erich AUERBACH, Dante, poeta del mondo terreno (1929), in: Studi su Dante, tr. it. M. L. De Pieri Bonino, Feltrinelli, Milano 1963, pp. 3 ss.
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Maria di Nazareth non seppe mai che l’uomo umanistico sta al centro dell’universo e che è faber del suo destino. Si trovò anch’essa (oserei dire come Didone) all’incrocio scandaloso di una privata vita piccola piccola e di una grandiosa missione universale riguardante tutta l’umanità. Anche Maria fu per queste ragioni personaggio di tragedia, di una tragedia che coinvolse lei e suo figlio, una tragedia che le ha conferito il privilegio di diventare contro il suo stesso ethos la più alta delle creature, ma che ha dovuto pagare, senza averne colpa, col più atroce dei dolori. Un dolore che ha condiviso col figlio, quando questi in quanto vero uomo, ha dovuto subire, senza averne colpa, il disonor del Golgota.11 La storia di Maria e del libro finisce qui. Ma la sua vicenda continua oltre la morte. Saranno agiografi medievali a raccontarla, ancora una volta appoggiandosi in parte ai testi ufficiali e in parte agli apocrifi. Maria sarà assunta in cielo e di lì lancerà giù a san Tommaso la sua cintura. Oltre il tempo diventa l’avvocata dei disgraziati, tutti suoi figli. Non ha certo ormai più bisogno di libri. Eppure c’è stato chi l’ha voluta col libro in mano anche in questa suprema funzione. È stato Jan van Eyck nella deesis o ‘supplica’, ‘intercessione’, una scenografia di origine orientale, che ha avuto una sua fortuna anche in Occidente. Al centro, in trono, siede Cristo, signore del cielo e della terra, giudice inflessibile. Ai due lati, quasi due avvocati difensori, san Giovanni e Maria. È il polittico dell’Agnello Mistico di Gand (195). Maria ausiliatrice è intenta alla lettura di un grosso libro. La sovrasta una doppia corona circolare nella quale si leggono le lodi che l’Antico Testamento tributa alla Sapienza e che qui sono riversate su di lei:12
11
Non dimentichiamo che la tragedia appartiene alla civiltà greca e che Maria fu un’ebrea. A Siena vollero sottolinearlo col particolare dell’orecchino che essa porta in vari dipinti di Ambrogio Lorenzetti (ARASSE, p. 85). E tuttavia antichisti tedeschi del Novecento si sono posti il drammatico problema, non solo scientifico, se siano esistiti contatti fra grecità e semitismo (v. su ciò il bel libro di L. BOSSINA, Stoa, Ellenismo e catastrofe tedesca, Edizioni di pagina, Bari 2012). 12 G.T. FAGGIN, op. cit., tav. II e copertina.
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+ · HEC E SPECIOSIOR SOLE · + SVP - OEM STELLARV DISPOSICONE3 LVCI / 9P -ATA IVEIT’ P’O . CADOR E ENI LV. NE · + SPECLM SN / MACLA DEI . Sap., VII 29 Hec est speciosior sole; super omnem stellarum disposicionem; luci comparata invenitur prior. Sap., VII 26 Candor est enim lucis eterne, speculum sine macula Dei . Più bella del sole è costei; supera tutta l’armonia delle stelle; se la si mette a confronto con la luce, la vince. Il suo è infatti candore di luce eterna, specchio senza macchia di Dio.
Hec non è più l’astratta idea veterotestamentaria della Sapienza: è diventata Maria, colei che, compiendo le attese millenarie, ha incarnato la Sapienza su questa terra e l’ha rivestita di un’eterna bellezza che vince il sole, le stelle e la luce. Tante altre curiosità ci restano. Com’era, come reagì al ricevimento della somma gloria? E che età aveva quando morte la colse? Nell’annuncio della fine di Duccio è donna matura, ma non vecchia; e una giovinetta, più giovane del figlio morto che regge in braccio, è nella Deposizione vaticana di Michelangelo. Molto vecchia è invece sul catafalco di Mantegna, circondata dai discepoli. E vecchia l’ha voluta Pasolini nel suo Vangelo secondo Matteo, dandole il volto doloroso della sua propria madre. Ognuno l’ha immaginata secondo la sua fantasia e secondo i suoi desideri. Nel Giudizio Universale Michelangelo la rimpicciolì accanto al Figlio trionfatore e giustiziere; laddove un minore del Trecento, Stefano da Firenze, l’aveva ingigantita fino a predominare sulla figura del Figlio.13 La parte più emozionante di queste ultime scene della Sacra Rappresentazione è precisamente quella del ricongiungimento della madre col figlio: Iacopo da Varazze l’ha narrata coi toni e con le parole dell’incontro fra gli amanti del Cantico dei Cantici14. E un anonimo Maestro di Cesi
13
A. CALECA, L’Assunta di Stefano da Firenze, in: Pisa - Museo delle Sinopie del Camposanto Monumentale, Opera della Primaziale Pisana, Pisa 1979, pp. 68-69. 14 Legenda aurea, CXV; ed. Maggioni, cit., pp. 866-899, partic. §§ 44-57.
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ha rappresentato l’incontro fra i due proprio come l’incontro degli amanti del Cantico: due figure di pari altezza e di pari giovinezza che si abbracciano entro una mandorla.15 Infine Mantegna è andato genialmente contro corrente e ha voluto raffigurare Maria ridiventata bambinella e tenuta in braccio dal Figlio, che sta seduto su un trono celeste ed è circondato da angeli nella gloria della sua onnipotenza (tav. XLI).16 Il pittore ha certo dato forma all’assunzione in cielo dell’anima della Madre. Ma ha anche umanamente dato forma al sogno di tutti i bambini, quello di invertire i ruoli e tenere loro in braccio i genitori diventati bambini.17 Maria ha sopportato tutto quello che la volontà divina le ha imposto contro la sua volontà: ha accettato il matrimonio, mentre avrebbe voluto restare nubile, ha accettato di avere per figlio l’immensità del mistero, ha sopportato il dolore di vederlo morire in croce; finalmente le tocca un risarcimento, ma non è esattamente la gloria, è piuttosto la semplice e umana gioia di madre di ricongiungersi al figlio e quella di essere tenuta in braccio dal figlio, lei che in braccio lo ha tenuto bambino in migliaia di tele, di pareti e di libri, e poi morto dopo la deposizione. Nell’immaginario popolare Maria continuerà ad operare nella vita degli uomini con miracoli, apparizioni, pianti più o meno politici, ed elargizione di aiuto e di conforto agli ultimi. Ma io preferisco chiudere il nostro romanzo su questa tonalità, che pare la più consona all’archetipo dell’umiltà. Quell’umiltà che è il balsamo del dolore, se pure balsamo improponibile come risarcimento ai semplici e ai derelitti non predestinati alla gloria. E chiudere con una domanda inquietante: se la storia che abbiamo raccontato non sia allegoricamente anche la storia del difficile incontro di ognuno di noi col proprio demone.
15
Mostra Capolavori del Trecento. Il cantiere di Giotto, Spoleto e l’Appennino: capolavoridel trecento.it. 16 Cristo con l’animula della Vergine, Pinacoteca Nazionale di Ferrara: cfr. R. LONGHI, Lettera pittorica a Giuseppe Fiocco (1926), nei suoi Saggi e ricerche 19251928, I, Sansoni, Firenze 1967, p. 92; L. ATTARDI, in: Mantegna 1431-1506, cit., pp. 188-190; V. SGARBI, Nel nome del Figlio, cit., p. 115. 17 Anche questo momento Carpaccio ha semplificato, riconducendolo al tema dell’animula che sale al cielo: v. M. CANCOGNI, Carpaccio, cit., p. 147.
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XVIII
Marginalità o centralità della Madre?
La storia sacra del cristianesimo è sostanzialmente storia del Verbo che si incarna, patisce, vince la morte e alla fine trionfa, è cioè storia del Figlio che attua nel mondo la volontà redentrice del Padre. In misura minore quella storia è anche, fin dall’inizio, e poi in modo sempre più possente, storia dell’elemento femminile e maternale che unisce cielo e terra, che riesce misteriosamente a trascinare la divinità dalle altezze siderali giù dentro la carne, spegnendone la assolutezza e umiliandola nelle bassure della corruzione, e che di converso sarà abilitata a elevare per sé e per gli altri la carne corrotta e a ricondurla alla vertigine metafisica dell’eterna purezza. Il mistero della divinità ebraico-cristiana si manifesta attraverso tre persone maschili, quelle del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo o Paracleto, che è l’amore che trascorre tra Padre e Figlio. La Madre è assente. Eppure il Figlio promana dal Padre attraverso la Madre, come tutti gli uomini semplici sanno e come la stessa teologia ha affermato. Che Dio debba essere pensato non solo come Padre, ma anche come Mamma, sfuggì di bocca a un povero papa di trentatré giorni. Ma la Chiesa gerarchica romana dà l’impressione di avere ignorato, se non tacitato, quell’incauta parola. Si contenta di proteggere e di non ostacolare, se non di incrementare, un culto mondiale dagli aspetti politeistici e taumaturgici per una figura che resta ancillare e quasi ‘demonica’, ossia mediatrice e avvocatesca. L’immagine visiva che meglio esprime questo ruolo è quello che a Maria assegna Mi219
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chelangelo nel Giudizio Universale della cappella Sistina: una povera e buona mamma che non ha poteri propri, se non quelli di perorare presso l’onnipotente figlio la causa dei disgraziati e convincerlo a temperare la giustizia con la pietà e l’amore, come una volta su questa terra lo aveva indotto a farle il favore di trarre d’imbarazzo poveri sposini di paese. Una invadente letteratura da supermercato trabocca dalle vetrine e dai palchetti delle librerie paoline e mira a tenere in piedi nella religiosità popolare questa idea. La storia strana che ho raccontato, scritta da centinaia e centinaia di intellettuali e artisti, vissuta dal popolo dei fedeli nel corso di duemila anni, alla fin fine ci trasmette forse, lo dico con molti forse, l’esigenza che le parole sacre che accompagnano il segno di croce non siano solo «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», ma diventino «Nel nome del Padre, della Madre, del Figlio e dello Spirito Santo». Qualcosa di simile ha aleggiato nell’esegesi biblica a proposito di Ps. XLIV 9 («Astitit regina a dextris tuis») e CIX 1 («Sede a dextris meis»), dove il personaggio che sta in piedi o siede alla destra del Padre e/o del Figlio è stato anche riconosciuto in Maria. E se il card. Roberto Bellarmino,1 proprio quello del processo a Galilei, si limitava a catalogare questa interpretazione fra le possibili, ben altra convinzione ha affermato una non esile tradizione, di cui fornisco qui qualche testimonianza. Decisamente a favore di Maria sono Cesare Calderani (1593),2 il gesuita Liborio Siniscalchi (1743),3 e il miniatore del cod. della British Library Add. 2114, sec. XIII, che a f. 10v affianca alla figurazione della morte e coronazione della Vergine la citazione di Ps. CIX «Sede
1
Explanatio in Psalmos, nova editio, Sumptibus Ioannis Iost, Parisiis 1633, p.
319. 2
Concetti scritturali sopra il Magnificat, Heredi di Marchiò Sessa, Venezia 1593, f. 76r. 3 Panegirici sacri, ed. seconda, Lorenzo Baseggio, Venezia 1743, p. 232.
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a dextris meis».4 È esistita anche una posizione conciliativa. Ad essa aderì Ulrico Zwingli:5 «ad Christum et Mariam simul referri debet». Ma l’espressione più appassionata che abbia letto è quella di mons. Nicola Maria Laudisio,6 maestro di Sacra Teologia, che fa parlare il Dio Figlio alla Madre col voi casereccio e con la mentalità familistica del Regno di Napoli: «Sede poi a dextris meis, m’imagino ancora che a Lei rivolto dicesse l’Eterno Verbo ed il gran Figlio Dio, sede a dextris meis, sedete alla mia destra, o mia carissima Madre, prendete il possesso di tutto questo mio beato regno, da me conquistato col prezzo del sangue, che da Voi ho ricevuto…; sedetevi accanto a Me, fregiata di tutte le insegne di vera ed universale Regina, di universale ed assoluta Padrona: poiché se il Figlio è Re, la Madre ha da esser Regina; se onnipotente ed universale Padrone è il Figlio, onnipotente ed universale Padrona deve essere ancora la Madre». Dunque, ripensando l’affresco folignate (pp. 201-203), appare niente affatto azzardato ipotizzare che le promesse di gloria riferite al Figlio possano equivocamente dirsi anche della Madre, unita al Figlio nel destino di sconfitta umana e di vittoria teologica.
Nel passaggio dalle religioni naturalistiche pre-cristiane al monoteismo, la Madre ha perso la sua grandezza. Venere Astarte Cibele, la Magna Mater che faceva germinare i fiori e volgere le stagioni, che muoveva i cieli e i mari, l’ipostasi della forza vitale della Natura che genera gli esseri, muore sotto i colpi delle persecuzioni cristiane e viene degradata a superstizione, falsa e orrida anti-divinità peccatrice e veicolo di male. Miracolosamente è nel XII secolo che la donna divina e divinizzatrice riemerge prepotentemente dal buio della storia.
4
MIRELLA LEVI D’ANCONA, The iconography of the Immaculate Conception in the Middle Ages and Early Renaissance, College Art Association of America in conjunction with the Art bulletin, s. l. 1957, p. 28. 5 De casta Virgine Maria, in Opera, curantibus M. Schulero et Io. Schulthessio, I, t. 1, apud Fridericum Schulthessium, Turici 1829, p. 110. 6 Discorsi in onore di Maria Santissima, Tipografia De Dominicis, Napoli 1838, p. 88.
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Il culto di Maria si espande vittorioso. E parallelamente sorge esotericamente la più grande, misteriosa e paradossale invenzione del Medioevo: quella dell’amore che nobilita, che strugge l’animo e che non vuole il possesso. È esistita davvero Lilith accanto ad Eva? Lilith prima compagna di Adamo, Lilith amante di Dio e progenitrice di Satana, Lilith bellissima e mostruosa, Lilith ribelle, Lilith antinomia perversa di Maria. Forse su questi e altri incroci di contraddizioni si è incardinata la nascita dell’amore cortese, e sono convinto che a questo cammino appartenga anche la rivoluzionaria e decisiva collocazione della Vergine a chiusura dei Rerum vulgarium fragmenta del Petrarca. Si dice Maria come se si trattasse di un’unica identità. Ma le Marie sono almeno due: la Maria orientale, filosofica, astratta, theotókos o madre di Dio, e quella occidentale che, all’insegna del realismo dell’arte e dell’amore sconfinato per le immagini, ci ha tenuto per mano, ci ha aiutati ad essere genitori e figli di uomini fragili come fragili siamo noi stessi, ci ha permesso di portare la divinità alle dimensioni dell’uomo e della sua debolezza, ci ha consentito di guardare attraverso specchiati sembianti e ombre fuggevoli gli aenigmata indecifrabili di verità metafisicamente sovrumane. Sono questo abbarbicamento alla realtà e questo amore per le immagini, alleati con il grande veicolo di civiltà che è stato il libro, che hanno permesso la costruzione del romanzo, che hanno permesso di riannodare Maria con le sue prefigurazioni nella Magna Mater, in Bastet, in Venere e in Cibele, e di riconciliarla con l’empiria di tutte le madri che su questa terra nascono inter faeces et urinas, attendono il loro angelo messaggero, generano nel piacere e nel dolore, allevano i loro cuccioli e li piangono amaramente o sono da essi amaramente piante. La nostra Maria non è una prescrizione catechetica di perfezione sopralunare che scende sulla terra. È al contrario una creatura terragna e femminile che, umiliandosi, si è innalzata ai vertici della sublimazione, senza mai perdere umanità e terrestrità. In questo risiedono la estrema semplicità e anche il fascino del suo romanzo perenne, che intriga credenti e non credenti.
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Appendici
I. ABBREVIAZIONI E SIGLE BIBLIOGRAFICHE Ambrogio Lorenzetti = Ambrogio Lorenzetti, a cura di A. Bagnoli, R. Bartalini, M. Seidel, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2017 ARASSE = D. ARASSE, L’Annonciation italienne, Hazan, Paris 1999 (L’Annunciazione italiana. Una storia della prospettiva, tr. it. C. Presezzi, con un saggio di O. Calabrese, VoLo publisher, Firenze 2009) BELLOSI = L. BELLOSI, Giotto e la sua eredità, catalogo di G. Ragionieri, E-ducation.it - Il Sole 24 ore, Firenze-Milano 2007 (I grandi maestri dell’arte, 3) Bo = Botticelli, presentazione di C. Bo, Rizzoli-Skira, Milano 2003 BURRESI-CALECA = M. BURRESI - A. CALECA, Affreschi medievali a Pisa, Catalogo a cura di C. Bozzoli, Cassa di Risparmio di Pisa - Pacini, Ospedaletto (Pisa) 2003 CARLI = E. CARLI, Il Museo di Pisa, Pacini, Pisa 1974 CECCHI = A. CECCHI, Botticelli e l’età di Lorenzo il Magnifico, E-Ducation.it - Il Sole 24 ore, Firenze-Milano 2007 (I grandi maestri dell’arte, 1) DBI = Dizionario biografico degli Italiani FRUGONI, Lorenzetti = Pietro e Ambrogio Lorenzetti, a cura di C. FRUGONI; testi di A. Monciatti, C. Frugoni, M. M. Donato, Le Lettere, Firenze, 2010 GARIBALDI-MANCINI = Pintoricchio, a cura di V. GARIBALDI - F. F. MANCINI, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2008 GHIDOLI = A. GHIDOLI, Annunciazione, in: Enciclopedia dell’arte medievale, II, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1991, pp. 40-46 Iconografia evangelica a Siena = Iconografia evangelica a Siena dalle ori-
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Appendici
gini al Concilio di Trento, a cura di Michele Bacci, Monte dei Paschi di Siena, Siena 2009 LAUREATI-MOCHI ONORI = Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento, a cura di L. Laureati, L. Mochi Onori, Electa, Milano 2006 Le Muse = Le Muse. Enciclopedia di tutte le arti, direttore A. Boroli, Istituto Geografico De Agostini, Novara, I-XII, 1964-1968 Madonna e Bambino = La Madonna e il Bambino Gesù, «Gente speciali», II, n. 5 (dic. 2014) MANCINI = F. F. MANCINI, Pintoricchio, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2007 MELCZER = W. MELCZER, La porta di Bonanno nel duomo di Pisa. Teologia ed immagine. Contributi bibliografici ed iconografici: E. KALTENBRUNNER-MELCZER, tr. A. Gentili, Pacini, Pisa 1988, pp. 61-77 PADOA RIZZO = A. PADOA RIZZO, Benozzo Gozzoli, un pittore insigne, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, 2003 PÄCHT = O. PÄCHT, The full-page miniatures, in: The St. Albans Psalter (Albani Psalter), The Warburg Institute-University of London, London 1960 PG = Patrologia Graeca PL = Patrologia Latina REGOLI = G. DALLI REGOLI, Appunti sull’iconografia medievale dell’Annunciata, in: Territorio, culture e poteri nel Medioevo e oltre. Scritti in onore di Benedetto Vetere, a cura di C. Massaro e L. Petracca, Congedo, Galatina 2011, pp. 239-260 REGOLI, Preveggenza = G. DALLI REGOLI, La preveggenza della Vergine. Struttura, stile, iconografia, nelle Madonne del Cinquecento, Pacini, Pisa 1984 ROBB = D. M. ROBB, The iconography of the Annunciation in the fourteenth and fifteenth centuries, «The art bulletin», XVIII (1936), pp. 480-526 SCHILLER = G. SCHILLER, Maria, vol. IV/2 della Ikonographie der christlichen Kunst, Gerd Mohn, Gütersloh 1980 SRICCHIA SANTORO = F. SRICCHIA SANTORO, Antonello, i suoi mondi, il suo seguito, Centro Di, Firenze 2017 Testi mariani, 1° mill., II = Testi mariani del primo millennio. II. Padri e altri autori bizantini (VI-XI sec.), a cura di G. Gharib, E. M. Toniolo, L. Gambero, G. Di Nola, Città Nuova, Roma 1989 Testi mariani, 2° mill., III = Testi mariani del secondo millennio. Autori medievali dell’Occidente, secoli XI-XII, a cura di L. Gambero, Città Nuova, Roma 1996 224
Appendici
Testi mariani, 2° mill., IV = Testi mariani del secondo millennio. Autori medievali dell’Occident, secoli XIII-XV, a cura di L. Gambero, Città Nuova, Roma 1996 Testi mariani, 2° mill., V = Testi mariani del secondo millennio. Autori moderni dell’Occidente, secoli XVI-XVII, a cura di S. De Fiores, L. Gambero, Città Nuova, Roma 2003 WALTHER-WOLF = I. F. WALTHER - N. WOLF, Codices illustres. I codici miniati più belli del mondo dal 400 al 1600, a cura di F. del Moro, Taschen, Köln 2014 (I ed. ted.: 2003). II. SEGNI DIACRITICI (nell’edizione di epigrafi) Trattino sovrapposto a una lettera: indica compendio paleografico, per lo più una nasale. Punto sottostante una lettera: indica parziale perdita del segno. 9 in basso = con 9 in alto = us ⦢ = et ’ = compendio generico ( ) = scioglimento di abbreviature [ ] = espunzione < > = integrazione III. L’APPARIZIONE DELLA VERGINE A SAN BERNARDO Tutto il racconto di Luca I 26-31 campeggia nelle due pagine del libro aperto sopra una catasta di altri libri che sta, in un dipinto di Filippino Lippi alla Badia Fiorentina, fra san Bernardo di Chiaravalle in atto di scrivere col calamo in mano e la Vergine che gli appare1. Il passo del Vangelo, in gotica libraria, con due iniziali ornate a capo di pagina, è questo:
1
Pala della Badia, Firenze, Badia Fiorentina, 1479-1486; riprod. in: S. ZUFFI, Leggere, Electa, Milano 2009, p. 45.
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Missus est angelus gabriel a deo in ci uitatem galilee: cui nomen naçareth ad uirginem desponsa tam uiro. cui nom erat ioseph de domo dauid. et nomen uirginis maria: Et ingressus an gelus ad eam dix
Aue gra plena dns. tecum Benedicta tu. in mulieib3. Q’ cum audisset tur bata e in s’moe ei9 ⦢ cogitabat qual’ eet ista salutio. Et ait agl’s ei. Ne tıe as maria ıueisti enı gram ap’d deu. Ecce 9cipies ı utero
26 Missus est angelus Gabriel a Deo in civitatem Galilee, cui nomen Nazareth, 27 ad virginem desponsatam viro, cui nomen erat Ioseph de domo David, et nomen virginis Maria. 28 Et ingressus angelus ad eam dixit: «Ave, gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus». 29 Quod cum audisset, turbata est in sermone eius et cogitabat qualis esset ista salutatio. 30 Et ait angelus ei: «Ne timeas, Maria; invenisti enim gratiam apud Deum. 31 Ecce concipies in utero .
Il testo, rispetto all’ed. critica di Nestle-Aland presenta l’addizione benedicta tu in mulieribus, che appartiene alla comune tradizione dotta e popolare, e la variante, ugualmente vulgata, Quod cum audisset, al posto di Ipsa autem. La Vergine sembra volgere gli occhi al passo di Luca, ma posa la mano destra sul libro aperto davanti a Bernardo, come per autenticarlo. Della pagina noi scorgiamo solo una striscia verticale a sinistra, ma le lettere sono scritte distintamente in minuscola umanistica corsiva e il passo è identificabile. È un frammento famoso dell’omelia seconda sul Vangelo, entrato nella liturgia e nella trattatistica mariana. Maria tocca con le dita la parola iniziale Loquamur. Bernardo sta ancora scrivendo il discorso e si è arrestato alla parola ne, dopo la quale alza il calamo e lascia vuoto il resto della riga. Lquamur maris stel enter apt 226
Appendici
quia sicut radium, si sideri ra ni filius s ex Iacob minat. inferos p magis m vita. Ip inquam est preclara et eximia stella super hoc mag micans intelligis et temp ne
Ricordiamo che Bernardo è stato il grande alfiere della diffusione del culto mariano, come testimonia anche Dante, allorché nel Paradiso mette screanzatamente in bocca a lui la preghiera alla Vergine2. La Vergine appare a san Bernardo anche in un dipinto di fra Bartolomeo di un ventennio più tardo. Anche qui libri a profusione. Un angelo ai piedi della Vergine ne regge uno aperto, mostrandolo a Bernardo. Purtroppo i caratteri troppo minuti non consentono di decifrare il testo.3
IV. LA MADONNA E LA CHIOCCIOLA Daniel Arasse, uno studioso dal quale ho avuto già occasione di dissentire, si è esibito in giochi di equilibrismo critico, divertendosi a prendere in giro gli iconografi partendo da un articolo del «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes» sulla chiocciola che, in una Annunciazione di
2
R. MANSELLI, in Enciclopedia Dantesca, I, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1970, pp. 604-605. 3 Apparizione della Vergine a san Bernardo (1504-1507), Firenze, Galleria degli Uffizi (CECCHI, pp. 294-296).
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Del Cossa alla Gemäldegalerie di Dresda (260), se ne sta in primo piano, pronta a uscire fuori dal quadro, fra l’angelo e la Madonna4. L’opera non è datata, ma si ritiene che sia la prima realizzata in Bologna, quindi negli anni Sessanta del Quattrocento. Ma infine lo stesso Arasse si infila nel tunnel delle interpretazioni mistico-simboliche allegoriche. Sarebbe il caso di gettare uno sguardo sulla tradizione e vedere se in quello spazio non sia a un certo momento divenuto topico introdurre un elemento estraneo e perché. Lo stesso Del Cossa ha collocato una lucertola giusto ai piedi di san Giovanni nel deserto a Brera (1473). Non pare che il Del Cossa sia l’inventore del tema. Una situazione simile già in Filippino Lippi a San Lorenzo di Firenze (1437-1441). Proprio in quel punto l’artista ha collocato un vaso di vetro. La giornalista Zuliani nel «Corriere fiorentino» si sbraccia a sostenere che «simboleggia la purezza della Vergine». Dopo Lippi e Del Cossa, Crivelli nell’Annunciazione di Londra (1486) (299; tav. XIX) ci ha collocato un cetriolo e una mela che, con tutte le interpretazioni che si vogliano trovare, restano un cetriolo e una mela. Anche questi oggetti hanno una grandezza spropositata rispetto ad altri, e anch’essi stanno quasi per uscire dal quadro. È azzardato dire che frutta e verdura fossero a Crivelli molto graditi e che le collocasse con voluttà dovunque poteva?
V. LE INVOCAZIONI E GLI INNI DEI POETI Le invocazioni-preghiere a divinità femminili cominciano con quella di Lucio a Iside alla fine delle Metamorfosi di Apuleio, continuano con le invocazioni alle Muse5, e a un certo punto si rivolgono alla Vergine cristiana, che evidentemente assume su di sé le funzioni di protettrice dell’ispirazione
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D. ARASSE, Non si vede niente, cit. Sulle invocazioni alle Muse nel Medioevo v. l’importante lavoro di E.R. CURTIUS, Die Musen im Mittelalter. Erster Teil: bis 1100, «Zeitschrift für romanische Philologie», LIX (1939), pp. 129-188: che però andrebbe raccordato a una più ampia ricerca del rapporto del poeta con l’ispirazione dall’alto. 5
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artistica. Delle numerose che si potrebbero evocare, riporto le più famose e significative, ma non tutte note. Nessuno, per es., ha ricondotto a questo problema le preghiere dell’Anticlaudianus, del De vetula e del Garlandia. Normalmente le invocazioni stanno all’inizio e al mezzo dell’opera. È curioso e andrebbe capito, perché i poeti abbiano preferito collocare la preghiera alla divinità femminile a chiusura dell’opera. Tralascio la trascrizione delle invocazioni di Dante e di Petrarca, perché facilmente accessibili. E non capisco perché Dante abbia messo la preghiera alla Vergine in bocca a un personaggio moralmente e intellettualmente indecente per la persecuzione perpetrata contro Pietro Abelardo. Quanto a Petrarca, la scoperta della forza strutturale della canzone posta a chiusura avvenne nella fase fervorosa dell’ultima sistemazione, e fu certamente una suggestione dantesca o un ‘avanzo’ raccolto alla mensa della Commedia.6 Ma dello scomodo padre Dante in questo caso l’alfiere della nuova letteratura fu oserei dire più ‘coraggioso’: perché, mentre per Dante il termine fisso restò saldamente Dio, e Maria regredì in una sorta di anticamera dell’ultima udienza, Petrarca raccolse il senso di un diverso percorso di civiltà, mettendosi sulla scia della creatura umile e alta, della umanità sublimata e della divinità negata. 1. Apuleio di Madaura, sec. II d. C., Met., XI 25 (a cinque capitoli dalla fine dell’opera); tr. it. di M. Bonfantini, Einaudi, Torino 1973, pp. 430-431: Tu quidem, sancta et humani generis sospitatrix perpetua, semper fovendis mortalibus munifica, dulcem matris adfectionem miserorum casibus tribuis. Nec dies nec quies ulla ac ne momentum quidem tenue tuis transcurrit beneficiis otiosum, quin mari terraque protegas homines et depulsis vitae procellis salutarem porrigas dexteram, qua fatorum etiam inextricabiliter contorta retractas licia et Fortunae tempestates mitigas et stellarum noxios meatus cohibes.
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Cfr. M. FEO, «In vetustissimis cedulis». Il testo del postscriptum della senile XIII 11 γ e la “forma Malatesta” dei Rerum vulgarium fragmenta, «Quaderni petrarcheschi», XI (2001) [Verso il centenario. Atti del seminario di Bologna 24-25 settembre 2001, a cura di L. Chines e P. Vecchi Galli, Le Lettere, Firenze 2004], pp. 119-148, partic. 130 e 138; ID., «Fragmenta». Gli avanzi della mensa di Dante, «Studi petrarcheschi», n.s., XXVII (2014 [ma dic. 2016]), pp. 1-46.
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Te superi colunt, observant inferi, tu rotas orbem, luminas solem, regis mundum, calcas Tartarum. Tibi respondent sidera, redeunt tempora, gaudent numina, serviunt elementa. Tuo nutu spirant flamina, nutriunt nubila, germinant semina, crescunt germina. Tuam maiestatem perhorrescunt aves caelo meantes, ferae montibus errantes, serpentes solo latentes, beluae ponto natantes. At ego referendis laudibus tuis exilis ingenio et adhibendis sacrificiis tenuis patrimonio; nec mihi vocis ubertas ad dicenda, quae de tua maiestate sentio, sufficit nec ora mille linguaeque totidem vel indefessi sermonis aeterna series. Ergo quod solum potest religiosus quidem, sed pauper alioquin, efficere curabo: divinos tuos vultus numenque sanctissimum intra pectoris mei secreta conditum perpetuo costodiens imaginabor. Santa e perpetua salvatrice del genere umano, tu che sei sempre larga di favori ai mortali, largisci un dolce affetto di madre alle sventure dei miseri. Né un giorno né una notte e nessun istante passa senza i tuoi benefizi, tu proteggi per mare e per terra gli uomini, e disperdi le tempeste della vita, e distendi la tua mano salutare, tu che hai anche la potenza di districare le fila inestricabili dei fati; tu mitighi le tempeste della fortuna e trattieni gl’influssi nocivi delle stelle. Te onorano i celesti, ti venerano gl’Inferi, tu fai roteare il mondo, fai comparire il sole, reggi l’universo, calchi il Tartaro. A te rispondono le stelle, per te ritornano le stagioni, giubilano i numi, servono gli elementi. Al tuo cenno spirano i venti, le nubi si gonfiano, i semi germogliano, i germogli crescono. Si impauriscono gli uccelli che trapassano per i cieli davanti alla tua maestà, le fiere erranti pei monti, i serpenti nascosti nel suolo, le belve nuotanti nel mare. Ma io sono troppo scarso d’ingegno per poter intrecciare le tue lodi, e sono povero per poterti offrire sacrifici, né ho voce tanto potente da dire quello che sento intorno alla tua maestà, perché non bastano mille bocche e altrettante lingue, né un discorso instancabile che durasse eterno. Tuttavia quello che può un povero sacerdote mi sforzerò di condurre a termine. Tenendo nascosto e custodito in perpetuo entro i segreti del mio petto il tuo volto divino, non tralascerò dal rappresentarmelo sempre presente.
2. Alano di Lille, Anticlaudianus, sec. XII, V 471-514 (alla fine del libro; da v. 515 trascorre nelle lodi di Cristo); ed. R. Bossuat, Librairie philosphique J. Vrin, Paris 1955, pp. 137-139 (al v. 486 correggo vestibus in vestitus; al v. 491 correggerei volentieri amenans in amenus):
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Hic superos cives proprio precellit honore Virgo que proprium pariendi lege pudorem non perdens, matris meruit cum virgine nomen, in qua concordant duo nomina, lite sepulta, que secum pugnare solent litesque movere, nec iam discordant mater virgoque, sed ipsis litibus exclusis, se pacis ad oscula vertunt. Hic natura silet, logice vis exulat, omnis rethorice perit arbitrium racioque vacillat. Hec est que miro divini muneris usu nata patrem natumque parens concepit, honorem virgineum retinens nec perdens iura parentis, in cuius ventris thalamo sibi summa paravit hospicium deitas, tunicam sibi texuit ipse filius artificis summi, nostreque salutis induit ipse togam, nostro vestitus amictu. Hec est stella maris, vite via, porta salutis, regula iusticie, limes pietatis, origo virtutis, venie mater thalamusque pudoris, ortus conclusus, fons consignatus, oliva fructiferans, cedrus redolens, paradisus amenans, virgula pigmenti, vinaria cella, liquore predita celesti, nectar celeste propinans, nescia spineti florens rosa, nescia culpe gracia, fons expers limi, lux nubila pellens, spes miseris, medicina reis, tutela beatis, proscriptis reditus, erranti semita, cecis lumen, deiectis requies, pausacio fessis. Hec est que primos casus primeque parentis asbstersit maculas, vincens virtute reatum. Diruta restituens, reddens ablata, rependens perdita, restaurans amissa, fugata repensans, post vespertinos gemitus nova gaudia donans, post mortis tenebras vite novitate relucens; cuius ad adventum redit etas aurea mundo, post facinus pietas, post culpam gracia, virtus post vicium, pax post odium, post triste iocundum.
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Ut rosa spineti compensat flore rigorem, ut dulcore suo fructum radicis amare ramus adoptivus redimit, sic crimina matris ista luit, matrem facit sua nata renasci, ut sic munda ream, corruptam virgo, pudica effrontem, miseram felix humilisque superbam abluat et vite pariat sua filia matrem.
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Qui [nei cieli] per propria gloria sui cittadini celesti eccelle la Vergine, che, senza perdere il suo pudore per effetto di parto, meritò il nome di madre e di vergine, e in lei vanno d’accordo, sepolti i contrasti, due nomi che fra loro stridere sogliono e muoversi guerra, 475 ed ecco non discordano madre e vergine, ma, eliminate le discordie, mirano a darsi baci di pace. Qui tace la natura, esula forza di logica, perisce ogni arbitrio di retorica e vacilla la ragione. Questa è colei che, con mirabile uso di dono divino, 480 figlia genitrice concepì il padre e figlio, l’onore verginale conservando e i diritti genitali non perdendo, nel talamo del cui ventre la somma deità si preparò ospizio, e il figlio stesso del sommo artefice tessè la sua tunica e indossò la toga 485 della nostra salute, vestito dei nostri panni. Questa è stella del mare, via della vita, porta di salvezza, misura di giustizia, soglia di pietà, principio di virtù, madre di perdono, talamo di pudore, orto concluso, fonte sigillata, olivo 490 fruttifero, cedro profumato, paradiso di bellezza, ramoscello di droga, cantina di vino, proprietaria di celeste liquore, mescitrice di nettare celeste, florida rosa senza spine, grazia senza colpa, sorgente priva di fango, luce che caccia le nubi, 495 speranza per i miseri, medicina per i rei, tutela per i beati, rimpatrio per i proscritti, sentiero per i dispersi, vista per i ciechi, requie per gli abbattuti, riposo per gli affaticati. Questa è colei che la prima caduta e le macchie 232
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lavò della prima madre, con la virtù sconfiggendo il peccato, 500 ricostruendo le rovine, restituendo il maltolto, compensando le perdite, ridando i beni smarriti e pareggiando quelli rubati, facendo dono di nuove gioie dopo i pianti vespertini, rilucendo di nuova vita dopo le tenebre di morte; al suo avvento torna al mondo l’età dell’oro, 505 torna la pietà dopo il delitto, la grazia dopo la colpa, la virtù dopo il vizio, la pace dopo l’odio, la letizia dopo la tristezza. Come la rosa compensa col fiore l’asprezza della spina, come colla sua dolcezza il ramo innestato purifica il frutto della radice amara, così costei lava della madre 510 i peccati, e da figlia fa rinascere la madre, talché l’innocente purifichi la colpevole, la vergine la corrotta, la pudica la sfrontata, la felice la sventurata, l’umile la superba, e la figlia partorisca alla vita la propria madre.
3. Giovanni di Garlandia, Epithalamium beate Virginis Marie, sec. XII, X 511-552 (fine dell’opera); ed. e tr. it. A. Saiani, Olschki, Firenze 1995 (Accademia Toscana di Scienze e Lettere «La Colombaria», Studi, CXXXIX), pp. 650-653: Ad Gades operis perveni, fessus anhelo cursu, clivoso calle, tremente gradu. Corporis infirmi labor immatura relinquit de virga Iesse poma legenda decem. Pagina, flore cares; theoflore nuda Marie depingens thalamos ora repinge tua. Ora laves oro; si spicula dirigit in te Scorpius invidie perfer, et ipsa cadet. Sol vera lucet in Virgine, per mare mundi livor in occiduis Piscibus ima petit. Maturis ostende viris tua primitus ora, ne tibi mecha novum plebs lutulentet iter. Fundo preces in fine breves ut gemma polita Virgo poli poliat me sibi fine bono: «Salve meta vie, sudoris terminus, aura letitie, vite nuntia, Stella Maris,
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laurea feminea, cleri victoria, plebis libertas, procerum palma, corona ducum; felix prelustris precellens aurea vivens, principio medio fine, decore Deo. Cotidie dum peccat homo, properante dierum curriculo, properat mors, cumulatur onus. Sed iuga frena fores, Pharaonis criminis Orci, deles delaqueas conteris, una trina. Quisque tenetur in hoc, pedibus submittere colla prona tuis, castos vertice ferre pedes: nam sumus antipodes, quos veri semita Solis ambit et illustrat Gratia carne tua, sepe sed excecat mundum caligo minorem, dum velut eclipsi cecus oberrat homo. Umbram terrene sordis nostrique reatus eximis eclipsim lucida sole tuo. Ergo, principium plausus finisque doloris et pacis medium, finis adesto mihi: dilue tolle fuga misero tria: dilue culpam, penam tolle, dolos Hostis amica fuga, ut te, sponsa Dei, celi matrona, potestas imperii, thalami flos sine fine canam. Cordis corda sonet, cordi respondeat oris plectrum, confirmet os operosa manus. Organa si cordis hymnizent consona voci, concordi corda, musica dulcis erit». Sono giunto alla fine dell’opera, stanco per la corsa affannosa, per la strada scoscesa, per il passo tremante. La fatica del debole corpo lascia immaturi i dieci pomi della Verga di Iesse. O pagina, tu manchi del fiore; cantando le nozze del divino fiore Maria, rinnova il tuo volto. Lava il volto, ti prego; se lo Scorpione dell’invidia contro te dirige gli strali, sopporta, ed essa cadrà. Nella Vergine vera il Sole risplende, nel mare del mondo
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il livore affonda negli occidui Pesci. 520 Mostra prima il tuo volto agli uomini dotti, affinché la plebe non infanghi il tuo nuovo cammino. Levo in fine una breve preghiera, onde la Vergine, fulgida gemma del cielo, di buona fine mi adorni: «Salve, o meta della via, termine dell’affanno, aura 525 di letizia, messaggera di vita, o Stella del Mare, gloria delle donne, vittoria del clero, libertà della plebe, palma dei capi, corona dei duci. Beata più di tutti tu splendi, su tutti sovrasti, aurea vivi nel principio, nel mezzo, alla fine, per l’onore e per Dio. 530 Ogni giorno, mentre l’uomo pecca e la corsa del tempo si affretta, si affretta la morte e si accumula il peso; ma il giogo i lacci le porte, del Faraone del peccato dell’Orco, distruggi sciogli abbatti, tu sola tre cose. Ciascuno deve sottoporre il collo ai tuoi piedi, 535 ciascuno col capo deve reggere i casti tuoi piedi: infatti noi siamo gli antipodi, che il corso del vero Sole circonda e la Grazia con la tua carne rischiara; ma spesso la tenebra accieca il mondo minore, mentre l’uomo, come accecato da eclissi, devia. 540 Tu togli l’ombra della macchia terrena e l’eclissi del nostro peccato, tu del tuo Sole fulgente. Perciò, principio della gloria, fine del dolore e mezzo di pace, assistimi tu come fine: al misero lava, togli, allontana tre cose: lava la colpa, 545 togli le pene, del Nemico allontana le insidie, perché io canti te senza fine, o sposa di Dio, signora del cielo, dignità dell’impero, fiore del talamo. Risuoni la corda del cuore, al cuore risponda il plettro della bocca, la mano operosa confermi la bocca. 550 Se l’organo del cuore canta intonato alla voce con corda concorde, sarà dolce la musica».
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4. De vetula, sec. XIII, III 772-811: ed. P. Klopsch, Brill, Leiden-Köln 1967, pp. 277-278; tr. it. M. Feo, Il secolo XIII, corso di Filologia medievale e umanistica nell’Università di Firenze, a. acc. 2006-07: O virgo felix, o virgo significata per stellas, ubi spica nitet! Quis det michi tantum vivere, quod possim laudum fore preco tuarum! Nam nisi tu perfecta fores, non eligeret te hic deus omnipotens, ut carnem sumeret ex te uniretque sibi nisi digna fores etiam, quod filius ille tuus, postquam surrexerit et de morte triumpharit, te vellet honorificare te super exaltans celosque locans super omnes et sibi concathedrans; ubi namque locaverit illam electam carnis partem, quam sumpserit ex te, et carnem, de qua fuerit sua sumpta, locabit. Fas etenim non est, quod, postquam portio carnis una tue fuerit, sic cum deitate levata reliquias alibi locet, ut sua deminuantur munera circa te, dum, quod bene ceperit hac in parte tui, non in te tota prosequeretur. Nam contracta manus tanto est indigna datore, perfectum perfecta decent; absit, quod, apud quem plena potestas est, illi det dona recisa, quam vult sublimare creaturam super omnem. Sed nec ad id, quod sic prelata resurgat, oportet exspectare statum motus in fine dierum, quando resurrecturi sunt generaliter omnes, presertim cum sit illi carni specialis causa resurgendi, que materialiter illam de se producet carnem, que primo resurget, unde resurgendi vis propagabitur ad nos. Nec fas est etiam, quod eatenus in minus alto sistatur suus ordo gradu, quia, quam deus ante secula donandam tanto previdit honore, non opus est, ut eam velit exaltare gradatim, sed simul assumet simul et sibi concathedrabit. 236
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Illic esto tui memorum memor, optima virgo, illic cum fueris pro nobis tracta, trahendis pro nobis te non pigeat suadere, quod ad se nos trahat is per te, qui per te venerit ad nos, maxima quem per te dilectio traxerit ad nos. A nobis ipsi sit gloria laudis; ab ipso gratia sit nobis et mete nescia vita! O Vergine felice, o Vergine simboleggiata dalla costellazione in cui brilla la spiga! Chi mi darà da vivere tanto da poter esser banditore delle tue lodi! Se tu non fossi stata perfetta, non ti avrebbe eletta Dio onnipotente per assumere da te la carne e unirsi a te, se non fossi anche stata degna che tuo Figlio, dopo esser risorto e aver trionfato della morte, ti onorasse esaltandoti e collocandoti al di sopra dei cieli e facendoti sedere sul trono al suo fianco; là dove infatti avrà collocato quella parte eletta di carne che prese da te, là collocherà anche la carne da cui fu presa la sua. Non è infatti giusto che, dopo essere stato parte della tua carne, una volta innalzato alla divinità collochi altrove le reliquie, sì che si attenuino i suoi doni per te, se quel che ha ben cominciato in una parte di te non portasse a termine in te tutta. La mano stretta non è degna di tanto donatore, a chi è perfetto si addicono cose perfette; non sia che colui che ha piena potestà dia doni ritagliati a colei che vuole sublimare sopra ogni creatura. E neppure quanto al fatto che costei così prelata risorga è giusto aspettare la situazione della fine dei giorni, quando tutti universalmente risorgeranno, soprattutto perché ha una speciale ragione di risorgere quella carne che materialmente produrrà da sé la carne che per prima risorgerà, da cui la forza della resurrezione si propagherà a noi. E neanche è giusto che il suo ordine stia in grado
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poco alto, perché, colei che Dio prima dei secoli previde degna del dono di tanto onore, non ha senso che voglia esaltarla a gradi, ma nello stesso istante la innalzerà e la porrà sul trono accanto a sé. Lì, ottima Vergine, ricordati di chi ti ricorda, lì, quando sarai stata per noi assunta, per la nostra salvezza non ti dolga di pregare che ci attiri a sé colui che venne a noi tramite te, colui che l’amore più grande trasse a noi tramite te. A lui vada da noi la gloria della lode; da lui venga a noi la grazia e la vita senza meta! 773 spica: è una stella della costellazione della Vergine.
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Ringraziamenti
Ho raccontato la storia della Madonna che legge in più occasioni: nell’Accademia degli Euteleti di San Miniato al Tedesco il 25 marzo 2016, anniversario fortuito dell’Annunciazione liturgica nella Chiesa cattolica, su invito del presidente Salvatore Mecca, con dedica alla memoria di Dilvo Lotti; quindi a Firenze, nell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”, l’11 aprile 2017, entro il ciclo di lezioni «Editori e lettori dall’antichità al futuro» organizzato da Mario Citroni; poi ancora a Messina, presso l’Accademia dei Peloritani, il 14 dicembre 2017, su invito di Vincenzo Fera e con presentazione di Caterina Malta. Le conferenze sono state sempre seguite da una eccezionale presenza di pubblico, che dimostra ad abundantiam che non solo Jesus Christ, ma anche Mary fu ed è superstar, ma soprattutto che, al di là della facezia, Maria di Nazareth è entrata davvero da gran signora nelll’immaginario popolare di tutti gli strati sociali. Ho tutte le volte abbondato nella proiezione di immagini, di cui qui ripropongo solo una parte, purtroppo di necessità in bianco e nero. Molti sono gli amici che mi hanno seguito in questo pellegrinaggio, con la loro presenza, con interventi e suggerimenti. Ringrazio tutti con affetto, ricordando quanti mi hanno variamente sostenuto o hanno partecipato esplicitamente alla discussione: Maria Fancelli con numerose segnalazioni, Gigetta Dalli Regoli con indicazioni bibliografiche, Marco La Rosa, Giulia Perucchi, mia figlia Giuditta Moly e mia moglie Gabriella Mazzei, il pittore Luca Macchi, l’ebraista Alessandro Catastini, Roberto Barzanti, Ersilia e il compianto Gianni Perona, Stefano Bruni, Alessandro Martinengo, Lucia Baroni della Biblioteca Universitaria di Pisa, e tanti altri. Ma il grazie più caloroso va all’Accademia “La Colombaria”, al suo presidente Sandro Rogari, che mi fa l’onore di accogliere
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Ringraziamenti
il lavoro nelle rinnovate serie delle secolari pubblicazioni, a Vaima Gelli e Claudia Tombini, che con intelligenza hanno affrontato e risolto con me i problemi della stampa, e alla paziente compositrice Francesca Bernardeschi. Last but not least, ringrazio le biblioteche pisane che hanno offerto vastissimi materiali bibliografici per una indagine che quasi non ha confini, e tutte le istituzioni che mi hanno fornito generosamente foto e fotocopie di opere d’arte e dati scientifici; fra queste particolarmente generose la Galleria Nazionale di Parma e il Museo Nazionale di S. Matteo di Pisa.
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TAVOLE
Tav. I. Maria alla fonte. Venezia, San Marco, mosaico dell’XI secolo.
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Tav. II. Maria alla fonte. Omelie mariane di Giacomo di Bitinia: cod. Vaticano Gr. 1162, sec. XII.
Tav. III. Maria fila. Omelie mariane di Giacomo di Bitinia: cod. Vaticano Gr. 1162, sec. XII.
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Tav. IV. Hortus deliciarum, f. 84v. Ricostruzione del ms. sec. XII ex., distrutto nel 1870 durante la guerra franco-prussiana.
Tav. V. Porta di Bonanno nel Duomo di Pisa, 1179.
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Tav. VI. Avorio francese del sec. IX: Museo di Braunschweig.
Tav. VII. Lione, Chiesa di Saint-Martin d’Ainay, capitello, sec. XII.
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Tav. VIII. Giotto, Cappella degli Scrovegni a Padova.
Tav. IX. Altamura, portico della cattedrale.
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Tav. X. Duccio di Buoninsegna, Maestà: predella a Londra, National Gallery.
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Tav. XI. Simone Martini, Annunciazione 1333: Firenze, Galleria degli Uffizi.
Tav. XII. Grottaglie, Chiesa Matrice.
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Tav. XIII. Andrea della Robbia, Santuario della Verna.
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Tav. XIV. Ambrogio Lorenzetti, Annunciata, 1344: Siena, Pinacoteca Nazionale.
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Tav. XV. Pintoricchio, Annunciata: Spello, Santa Maria Maggiore.
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Tav. XVI. Antonello da Messina, Annunciata, Palermo, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis.
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Tav. XVII. Antonello da Messina, Annunciata, Monaco di Baviera, Alte Pinakothek.
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Tav. XVIII. Venezia, Palazzo Ducale, capitello XXIV del loggiato inferiore, riquadro secondo.
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Tav. XIX. Carlo Crivelli, Annunciazione, Londra, National Gallery, 1486.
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Tav. XX. Lluís Borrassà, Tavola d’altare a Vilafranca del Penedès, sec. XIV ex.
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Tav. XXI. Pintoricchio, Annunciata, Spello, Santa Maria Maggiore, particolare.
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Tav. XXII. Mariotto di Nardo, Pinacoteca Vaticana.
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Tav. XXIII. Bernardo Daddi, Annunciazione con due angeli, Parigi, Louvre.
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Tav. XXIV. Jacopo Landini (del Casentino), Annunciazione con due angeli, Milano, Museo Poldi Pezzoli.
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Tav. XXV. Beato Angelico, Annunciazione, Madrid, Museo Nacional del Prado.
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Tav. XXVI. Gentile da Fabriano, Annunciazione, Pinacoteca Vaticana.
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Tav. XXVII. Bicci di Lorenzo con Stefano di Antonio, Annunciazione, Stia in Casentino, Chiesa di S. Maria Assunta.
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Tav. XXVIII. Maestro di Stratonice (Michele Ciampanti), Annunciazione, Firenze, Chiesa di San Giovannino dei Cavalieri.
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Tav. XXIX. Pintoricchio, Annunciazione, Pala di S. Maria dei Fossi, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria.
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Tav. XXX. Pintoricchio, Annunciazione, Pala di S. Maria dei Fossi, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, particolare.
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Tav. XXXI. Sandro Botticelli, Madonna del libro, 1480-81, Milano, Museo Poldi Pezzoli.
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Tav. XXXII. Pintoricchio, Madonna che insegna a leggere al Bambino, Philadelphia, Museum of Art.
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Tav. XXXIII. Sandro Botticelli, Madonna del Magnificat, 1482-83 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi, particolare.
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Tav. XXXIV. Pietro da Talada, Madonna col Bambino, Capraia di Pieve a Fosciana.
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Tav. XXXV. Pietro da Talada, Madonna col Bambino, Capraia di Pieve a Fosciana, particolare del libro della madre.
Tav. XXXVI. Pietro da Talada, Madonna col Bambino, Capraia di Pieve a Fosciana, particolare della tabula del Bambino rovesciata.
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Tav. XXXVII. Simone Martini, Educazione di Cristo, Liverpool, Walker Art Gallery.
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Tav. XXXVIII. Gentile da Fabriano e scuola, Arti liberali, Grammatica, Foligno, Palazzo Trinci, Sala delle Arti.
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Tav. XXXIX. Michelangelo Buonarroti, Madonna col Bambino del Tondo Pitti, 1502-04, Firenze, Museo Nazionale del Bargello.
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Tav. XL. Francisco de Zurbarán, Gesù e la Vergine nella casa di Nazareth, Cleveland (Ohio), The Cleveland Museum of Art, Samuel H. Cress Collection.
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Tav. XLI. Mantegna, Cristo con l’animula della Vergine, Ferrara, Pinacoteca Nazionale.
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Indice degli artisti
Albertinelli, M., 52 Alemanno, P., 50 Allori, A., 54 Allori, C., 55, 60, 87 Altichiero, 34 Alunno di Benozzo v. Gozzoli, B. Amadeo, G., 50 Andrea del Sarto v. Del Sarto, A. Andrea di Nerio, 34 Anonimo antonelliano, 48 Anonimo Arnolfini-Cenami, 52 Anonimo avignonese, 34 Anonimo bizantino, 195 Anonimo degli Eremitani, 93 Anonimo dei Quattro Coronati, 146 Anonimo dei Vangeli di Vyšehrad, 25, 60 Anonimo del capitello di Lione, 43, 65, 73 Anonimo del Decretum Gratiani, 9 Anonimo della Madonna dell’Umiltà di Londra, 133 Anonimo della Madonna dell’Umiltà di Philadelphia, 132-133 Anonimo delle Omelie di Giacomo, 22 Anonimo delle Très Belles Heures de Notre-Dame, 35, 68
Anonimo dell’Hortus deliciarum, 22 Anonimo del Libro d’ore di Luigi di Savoia, 44 Anonimo del Libro d’ore Ghislieri, 52 Anonimo del Libro d’ore Napoli, 45 Anonimo del Libro d’ore Parigi, 37, 82 Anonimo del Libro d’ore Utrecht, 45 Anonimo del rilievo di Würzburg, 38 Anonimo di Altamura, 27, 28, 82 Anonimo di Arles, 22 Anonimo di Barga Tiglio, 31 Anonimo di Barletta, 27 Anonimo di Biccherna, 43 Anonimo di Breviario francescano, 42 Anonimo di Bruxelles, 133 Anonimo di Corale bolognese, 42 Anonimo di Coreglia, 31 Anonimo di Grottaglie, 30, 82, 195 Anonimo di Iniziale ornata lombarda, 42 Anonimo di Lezionario padovano, 41 Anonimo di Manfredonia, 22 Anonimo di Montefiesole, 132 Anonimo di New York, 52 Anonimo di Notre Dame, 146 Anonimo di Pürgg, 22
* Non sono indicizzati l’autore, i santi, gli scrittori della bibliografia, i monumenti, i luoghi, i testi antichi e medievali citati.
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Indice degli artisti Anonimo di S. Gelso, 132 Anonimo di S. Martino alla Scala, 47 Anonimo di santino devozionale, 57 Anonimo di Siponto, 22 Anonimo di Solario, 131 Anonimo di Squinzano, 27 Anonimo di Strasburgo, 131 Anonimo di Torcello, 22 Anonimo di Trani, 22 Anonimo di Troyes, 146 Anonimo fiorentino della SS. Annunziata, 38, 87 Anonimo fiorentino di Oxford, 40 Anonimo fiorentino di S. Maria Novella, 43, 68, 69 Anonimo fiorentino di S. Spirito, 43 Anonimo italiano del pastorale, 53 Anonimo pisano di S. Matteo, 43, 121 Anonimo pisano sec. XV, 42 Anonimo pugliese, 119 Anonimo spagnuolo di Madrid, 40 Anonimo spagnuolo della Madonna delle febbri,137 Anonimo umbro, 53 Anonimo valenziano, 119 Anonimo: v. anche Maestro Antonello da Messina, 45, 48, 49, 82, 83, 87, 136, 139, 155, 183-200 Antonio da Fabriano, 83 Arcangelo di Cola, 37 Artista di Villa Guinigi, 32 Baccio della Porta v. Fra Bartolomeo Baço, J. v. Jacomart Baldovinetti, A., 44 Balducci, G., 57, 71 Baldung, H., 146 Barnaba da Modena, 155 Barna da Siena, 30 Barocci, F., 55 Baronzio, G., 32
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Bartolomeo della Gatta, 52 Bartolomeo di Giovanni, 47 Bassa, F. 31 Batoni, P., 57, 146 Battista da Vicenza, 36, 142, 196 Beato Angelico, 39, 40, 70, 82, 83, 8789 Beccafumi, D., 54, 55, 138 Bellini, Gentile, 50 Bellini, Giovanni, 48 Bellini, J., 40 Benedetto da Maiano, 51 Benvenuto di Giovanni, 45 Bermejo, B., 133 Bernardino da Perugia v. Pintoricchio Bertram, 34 Bevilacqua, G. A. (Liberale), 133 Biagio di Antonio [Tucci?], 83 Bicci di Lorenzo, 39, 120, 129 Bonanno Pisano, 9 Bonfigli, B., 43, 123 Bordon, P., 55,138 Borrassà, L., 75 Boscoli, A., 57 Botticelli, S., 24, 47, 48, 131, 134, 140142, 147, 167 Botticelli, S. (scuola), 50 Botticini, F., 47 Bouts, D., 41 Braccesco, C., 50 Breviario di Belleville, 31 Broederlam, M., 35 Buffalmacco, 93 Buonarroti, M., 46, 54, 139, 206, 207, 209, 216, 219, 220 Burgkmair, H., 135 Caccini, G., 55 Campi, V., 55 Campin, R. (Maestro di Flémall), 38, 133
MICHELE FEO Caporali, B., 45 Cardi, L. v. Cigoli Carlo da Camerino, 35, 129 Carpaccio, V., 52, 113, 132, 138, 217 Carracci, L., 55 Cavallini, P., 26 Cecco di Pietro, 34 Christus, P., 41, 42 Ciampanti, M. (Maestro di Stratonice), 48, 122 Cigoli (Ludovico Cardi), 56, 121, 150 Cimabue, 27 Cima da Conegliano, 50 Clemer, H., 55 Coda, B., 51 Confortini, P., 57 Corrado di Soest, 36 Cranach, L., 51, 136 Cristoforo di Bindoccio, 32 Cristoforo di Jacopo, 38 Crivelli, C., 49, 58, 145, 228 Curia, F., 55 Curradi, F., 55 Daddi, B., 35, 85-87, 195, 205 de Chirico, G., 183, 184 Del Cossa, F., 46, 228 Della Francesca, P., 44 Della Robbia, A., 40, 67 Della Robbia, G., 40 Del Sarto, A., 53, 87, 301 Diana, B., 51 Dirk Hendricksz v. Teodoro d’Errico Dolce, C., 120 Donatello, 37 Duccio di Buoninsegna, 29, 66, 77, 145, 213, 216 Dürer, A., 50, 82, 129, 134 Dyce, W., 136 El Greco (Domìnikos Theokòpoulos), 55 Eyck (van), B., 41
Eyck (van), H., 41 Eyck (van), J., 41, 82, 118, 136, 137, 139, 200, 215 Fanciullacci, G., 83 Ferri, P. A., 57, 180 Fiorenzo di Lorenzo, 133 Fra Bartolomeo (Baccio della Porta), 50, 227 Fra Paolino, 53 Francesco Antonio del Chierico, 45 Francesco d’Antonio, 39 Francesco dell’Orcagna, 30, 82 Francesco di Domenico, 40 Franciabigio, F., 53 Fratelli di Limbourg, 36 Gaddi, A., 32, 132 Gaddi, T., 33 Gentile da Fabriano, 37, 38, 83, 87, 92, 99, 117-120, 155, 201 Gentile da Fabriano (scuola), 38 Getto di Iacopo, 35 Gherardo del Fora, 47 Ghirlandaio, D., 48, 82 Giorgione, 50, 134, 139 Giotto di Bondone, 26-28, 30, 217 Giovanni da Milano, 32, 33 Giovanni da Rimini v. Baronzio, G. Giovanni del Biondo, 35, 68 Giovanni di Benedetto, 34 Giovanni di Francesco, 38 Giovanni di Marco, 38 Giovanni di Nicola, 33, 68 Giovanni di Paolo, 42 Giovanni di Pietro, 33 Girolamo del Pacchia, 54 Girolamo di Giovanni, 45 Giuffré, A., 52 Giuliano da Maiano, 35, 82 Giuliano di Simone, 31 Giunta Pisano, 27
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Indice degli artisti Gozzoli, B., 46, 82-84, 148, 153 Gozzoli, B. (Alunno), 50 Grassi (de’), G. e S. 32 Grazia, L., 54 Grünewald, M., 53, 78 Guglielmo scultore, 23, 25 Guido da Siena, 9 Guido di Graziano, 29 Guidotti, P., 57 Herrada di Landsberg, 22 Ignoto v. Anonimo Imparato, G., 55 Jacomart (Jaume Baço), 42, 69, 82 Jacopo da Empoli, 55, 69 Jacopo della Quercia v. Quercia (della), J. Jacopo del Sellaio, 46 Jacopo di Cione, 38, 87 Jacopo di Mino, 33 Jacquemart de Hesdin, 36 Landi (de’), Neroccio, 47 Landini, J., 35, 85, 86 La Tour, G., 75 Leonardo da Besozzo, 42 Leonardo da Vinci, 10, 26, 46, 82, 188 Liberale da Verona, 47, 133 Lippi, Filippino, 44, 50, 137, 145, 197, 225-228 Lippi, Filippo, 43, 44, 86, 87, 151 Lomi, A., 57 Lomi, B., 57 Lorenzetti, A., 30, 31, 69, 84, 91-93, 97-99, 209, 215 Lorenzetti, P., 30, 31 Lorenzo di Credi, 46 Lotto, L., 54, 58 Luca di Tommè, 92 Lupo di Francesco, 31 Maestro degli Aringhieri, 146 Maestro dei Domenicani, 29 Maestro del Giovanni Battista, 36
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Maestro della Madonna Cini, 29 Maestro della Madonna Strauss, 29, 67 Maestro dell’Annunciazione Gardner, 47 Maestro dell’Annunciazione Ludloff (Marini, L.), 50 Maestro delle Heures del Maréchal de Boucicaut, 36 Maestro delle Tavolette di Aix, 29 Maestro del Trionfo della Morte, 93 Maestro di Anna di Bretagna: 52 Maestro di Cesi, 216 Maestro di Colonia, 30 Maestro di Flémalle v. Campin, R. Maestro di San Quirico d’Orcia, 145 Maestro di Santa Rosalia, 53 Maestro di Stratonice v. Ciampanti, M. Maestro E S, 45, 195 Maestro lombardo, 42 Maestro: v. anche Anonimo Maître de l’Annunciation d’Aix, 42 Mantegna, A., 145, 209, 213, 216, 217 Mariano d’Antonio, 44 Mariotto di Nardo, 36, 40, 81, 83, 84, 87, 89, 91 Martini, F., 47 Martini, S., 30, 67, 156, 197 Masaccio, 40 Mascagni, L., 155 Masolino da Panicale, 40, 69 Matteo di Giovanni, 30 Matteo di ser Cambio, 34 Memling, H., 37, 133 Memmi, L., 30, 58 Memmi, T., 30, 58 Meo di Pero, 32 Miniatore della British Library, 220 Miniatore di Arnstein, 37 Monaco, L., 37 Monte del Fora, 47 Murillo, B. E., 57
MICHELE FEO Nardo di Cione, 132 Negretti, I. v. Palma il Giovane Negretti, I. v. Palma il Vecchio Nelli, O., 213 Neri da Rimini, 58 Neri di Bicci, 43, 82, 87 Niccolò del Priore, 133 Niccolò di Buonaccorso, 34, 92, 99 Niccolò di Liberatore (l’Alunno), 44, 89 Nicolas de Verdun, 26 Olivuccio da Ciccarello, 38 Pacher, M., 45 Palma il Giovane (Iacopo Negretti), 55 Palma il Vecchio (Iacopo Negretti), 133 Palmezzano, M., 52, 53, 194, 197 Pellegrini, D., 75 Pellegrino da San Daniele, 53 Pellegrino di Giovanni, 93 Perino del Vaga, 54 Perugino, P., 51 Piero del Donzello, 52 Piero di Cosimo, 51, 136, 138-140 Pietro da Talada, 142, 147, 204 Pintoricchio (Bernardino da Perugia), 48, 75-80, 102, 125-128, 136, 137, 139, 145, 157, 182, 197 Pisanello (Antonio Pisano), 38 Pisano, Antonio v. Pisanello Pisano, Bonanno v. Bonanno Pisano Pisano, Giovanni, 23, 25, 145, 153 Pisano, Nicola, 23 Pitati (de’), B., 54 Pollaiolo (del), A., 46, 47, 82 Pollaiolo (del), P., 47, 82 Pontormo, 53 Pordenone, G. A., 54 Pucelle, J., 29 Quercia (della), J., 37 Raffaello (R. Sanzio), 52, 113, 135 Rembrandt Harmenszoon van Rijn, 136
Riccardo da Brindisi, 27 Robusti, J. (il Tintoretto) v. Tintoretto Rogers, J, 57 Rosselli, F., 51 Rosso Fiorentino, 53 Sacchis (de’), G. A. (il Pordenone) v. Pordenone Salimbeni, V., 57 Salterio di Sant’Albano, 25, 60 Salviati, F., 54 Sanzio, R. v. Raffaello Savoldo, G., 54 Scheerre, H., 36 Schiavo, P., 40 Scuola di Wynrichs v. Wynrichs, H. Seguace di Ambrogio Lorenzetti, 31 Seguace di Nino Pisano, 34, 72 Signorelli, L., 48, 52 Simone da Firenze, 53 Sogliani, G. A., 53 Solimena, A., 55 Sordo da Pisa, 57 Spinello Aretino, 44, 87 Stefano da Firenze, 216 Stefano di Antonio, 39, 120 Strigel, B., 75 Strozzi, B., 133 Talada (da), P. v. Pietro da Talada Teodoro d’Errico (Dirk Hendricksz), 55, 59 Tiepolo, G., 75 Tintoretto, 55, 59, 70 Tiziano (T. Vecellio), 53, 60, 113, 134 Tomaso da Modena, 33, 132 Toscani, G., 37, 82 Traini, F., 31, 117, 119 Tucci, B., 50, 87; v. anche Biagio di Antonio Tura, C., 44 Uccello, P., 38
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Indice degli artisti Vanni, L., 34 Vanni, T., 33 Vanni di Baldolo, 35 Vasari, G., 51 Vecchietta, 44 Vecellio, F., 134 Vecellio, T. v. Tiziano Veneziano, D., 42
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Veronese, P., 55, 59 Vrelant, G., 44 Weyden (van der), R., 41 Witz, K., 42 Wynrichs, H., 36 Zoppo, M., 145 Zurbarán (de), F., 55, 208, 209
Indice degli interpreti antichi e moderni
Abelardo, P., 106-107, 229 Aelredo di Rievaulx, 103 Agostino (s.), 184 Alano di Lille, 229, 230-233 Alberto Magno, 14, 18, 77, 78, 80, 184, 207 Ps.-Alberto Magno, 107-111, 178 Ambrogio (s.), 101, 102, 109, 111 Anselmo d’Aosta, 104 Arasse, D., 10, 18, 26, 27, 29-35, 3755, 99, 227-228 Bacci, M., 10, 21, 31, 120 Basilio Magno, 105 Beda, 101, 102 Belcari, F., 20, 160-161, 177 Bellarmino, R., 220 Bene, C., 59 Bernardo di Chiaravalle, 61, 115 Bersuire, P. (Petrus Berchorius), 166, 167 Brodwolf, J., 60 Cacciari, M., 18, 209 Calvesi, M., 189-191 Caules, G. (Iohannes de Caulibus), 61 Cittadini, C., 178 Collareta, M., 31, 135, 183, 184, 195, 197 Cornazzano, A., 82, 114, 164-166 Dalli Regoli, G., 10, 19-23, 25-27, 110, 133, 135, 136, 142, 147, 206
Efrem Siro, 59 Frugoni, C., 30-32, 35, 85, 209 Garlandia, G., 233-235 Garzo dall’Incisa, 58, 212 Germano da Costantinopoli, 16, 81, 101, 169 Gerolamo (s.), 205 Gerson, J., 130, 161-164, 188, 199 Giacomo di Bitinia, 20, 22, 244 Gioacchino da Santa Maria, 180 Giovanni d’Altamura (G. A. Ricciardi), 108-109, 180 Giovanni Damasceno (Sargun Ibn Mansur), 111 Goethe, J. W., 188 Goncourt fratelli, 81 Jameson, A. M., 8, 29, 61 Laude drammatiche, 114, 158-160, 208 Laudisio, N. M., 221 Mantovano (Battista Spagnoli), 166-175 Marabottini, A., 189, 190 Marracci, I., 111 Maselli, L., 178 Maturanzio, F., 79, 157 Melczer, W., 62 Menghi, G., 179 Niccolò da Lira (Lyra), 109-110 Odilone di Cluny, 102, 107, 196
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Indice degli interpreti antichi e moderni Onorio d’Autun, 64, 104 Origene, 18 Pächt, O., 9, 25, 26, 62, 63, 101, 102, 115 Pagliaresi, N., 152, 153 Paolo (s.) Prandi, A., 9, 22, 27, 30 Regoli, G.: v. Dalli Regoli, G. Robb, D. M., 9, 20, 26, 27, 29-32, 3438, 41, 45, 49, 61, 62, 213 Rossetti, D. G., 115 Ruperto di Deutz, 105 Sannazaro, I., 176-178 Savonarola, G., 110
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Sbalchiero, M., 21 Schibanoff, S., 24 Schiller, G., 20, 24, 29 Sciascia, L., 187, 190 Simi Varanelli, E., 62 Spagnoli, B. v. Mantovano Sricchia Santoro, F., 42, 133, 183, 184, 190, 195, 198 Tommaso d’Aquino, 109 Tramontana, S., 187 Viotti, L., 187, 190, 191 Zenone da Verona, 59 Zeri, F., 36, 83, 183 Zwingli, U., 221
Indice dei nomi e cose notevoli
Agostino (s.) bambino, 148, 153 Albrecht von Eyb, 149 alfabeto, 148 Alighieri, D., 184, 199, 227, 229 Angela da Foligno, 142 angeli: a. con quattro ali, 91-99; a. con sei ali, 92; a. alla fonte, 15; nella domuncula, 62; braccia incrociate, 39; annunciazione con due angeli, 35, 85, 86, 87, 95; annunciazione con tre angeli, 87; a. si distrae, 58; a. bellissimo, 81, 82, 169; schiere angeliche: cherubini, serafini, troni, dominazioni, potestà, arcangeli, 14, 93, 94, 96; a. con palma o candelabro, 213 Apuleio di Madaura, 228-232 architetture dell’Annunciazione, 58 aree laterali, 63 bambino nell’arte, 150, 151, 153-155 Barbieri, F., 180 Bartoli, M. G., 63 Bartolomeo da Breganze, 93, 94, 96 Barzanti, R., 178 Bastiano di Francesco linaiuolo, 84 Bernardo (s.) di Chiaravalle, 225-227 Boccaccio, G., 153, 199 Bonfiglio, 120 Borgia famiglia, 125-128
Burckhardt, J., 151 Burgundio da Pisa, 111 Calderani, C., 220 Calendario, F., 194 Campana, A., 12, 63, 154 Campiotti, G., 71 Canistris (de), O., 154 capitello dell’amore, Venezia, 153, 192-194 carta v. tabula Cassandra, 199 Catastini, A., 213 Cesare, G., 199 chirologia, 187 Christine de Pizan, 143 colomba dello Spirito Santo, 118, 197 Delbora, 110 de Martino, E., 199 Deschamps, E., 154 De vetula, 229, 236-238 Dhuoda, 154 Didone, 214, 215 Disciplinati di Perugia, 158 divina quaternità, 65, 66 donne lettrici, 143 donne scrittrici, 142, 143 Dormitio Mariae Virginis, 211 Eloisa, 154
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Indice dei nomi e cose notevoli Eraclito, 214 Fancelli, M., 65, 121 Fera, V., 191 Francesca da Rimini, 63 Garlandia (di), G., 229, 233-235 gesto e parola, 187 Gesù: nascita, 13, 14; biografia, 15; gioca, 135, 155; in un girello, 136; bambino maneggia i libri, 132-135, 138, 145, 146; impara a leggere, 137, 148; scrive, 205; riportato a casa da Giuseppe, 156; premonizioni sul suo destino, 206, 208-209; morte, 207208; incontro con la madre in cielo, 207, 217 Giacomo di Bitinia, 20, 22 Giovanni di Neumarkt v. Jan ze St�edy Giuseppe (s.): sposa Maria, 13, 113; discute con Maria, 16-17; sogno, 131; si cura del figlio, 139, 146, 156; pialla, 136; Josephina, 161-163 Ps.-Giuseppe d’Arimatea, 211 Gombrich, E. G., 189 Grammatica di Foligno, 201, 204 Gregorio Magno, 157 Herrada di Landsberg (Herrad von Hohenburg), 22 Hortus deliciarum, 22 Iacopo da Varazze (Iacobus de Voragine), 107, 216 iconografia, 9; i. evangelica, 10; i. del rimorso, 10 Ildegarde di Bingen, 142 Isaia, 14, 66-71, 77, 79, 91, 94, 95, 102, 104, 105, 109, 118, 131, 140, 174, 203 Iside, 228 Jan ze Str? edy, 34 Landi, G., 153 Leopardi, G., 187
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Lilith, 222 Lucrezia romana, 24 Ludus de nativitate, 19 Maddalena penitente, 60 Magna Mater, 221, 222 mandylion (sacro volto) 21 Margherita von Wolmershusen, 149 Maria di Nazareth: alla fonte, 15, 16, 19-20; alleanza fra Antico e Nuovo Testamento, 71; al Tempio, 111; annunciazione, passim; autobiografia, 71, 79; archetipo dell’umiltà, 217; assunzione in cielo e incoronazione, 83; ausiliatrice, 215, 220; autoliturgia, 125-128; braccia incrociate, 27, 35, 39-41, 81-89; cintola, 215; concepimento attraverso orecchio, 39; deesis, 200, 215; dotata di ogni sapere, 108, 110, 121, 129-130, 163165, 179, 199; educazione, 75; fanciullezza, 75; fidanzata, 15; fila e tesse, 16, 19-25; filologa, 50, 129130; immacolata concezione, 10; invocazioni dei poeti 228-238; legge, 24-58, passim; lettera ai messinesi, 182; lettera a sant’Ignazio, 182; libro animato di Cristo, 72; Madonna dell’umiltà, 133; madre universale, 128, 152, 156; M. e la Trinità, 220, 221; maestra del figlio, 147-150; magnificat, 105, 121, 140-142, 146, 147, 165, 185, 195, 196; mariologia, 11; monile, 70; morte, 211-213; nascita, 7; nel Corano 16; ombra e luce di Dio, 18, 19, 64; oppone rifiuto, 27; piange, 209; povera casa, 70; profetessa o divinatrice, 107, 110, 111, 199, 206; ricezione popolare, 28; ridiventata bambinella, 217; romanzo iconografico, 8, 28-29; scrive, 141;
MICHELE FEO siede o sta alla destra del padre o del figlio, 220-221; ‘signora’, 15; spaventata, 27, 168; stella maris, 15, 231, 233; tragica, 215; turbata, 91 Medici (de’), L., 51 Mnemosine, 167, 174 Morelli, G., 153 Muse, 228 Mussato, A., 187 Nardi, S., 84 Paolo (s.), 182, 204 Pasolini, P. P., 216 Pasquali, G., 63 Petrarca, F., 149, 153, 193, 212, 222, 229 Pignatta (sarcofago), 21 Pilato, P., 199 Pinocchio, 193 Pirri, R., 182 Priscilla (catacomba), 21 progresso artistico, 189 Protovangelo di Giacomo, 15 Quevedo y Villegas, F., 182 Rabbulae (Evangeliari siriaci), 21
rappresentazione cinematica, 84 rappresentazione dell’invisibile, 71 realismo occidentale, 151 Ricciotti, G., 73 santacroce v. tabula Schmidt, P. G., 187 Shakespeare, W., 89 Sibille, 111, 177, 180-182, 199, 206 Siniscalchi, L., 220 Sofia / Sapienza, 167, 174 Strascino da Siena (Niccolò Campani), 149 tabula, o carta, o santacroce, 148 Tiresia, 199 Tommaso (s.), 215 Transitus Mariae Virignis, 211 Ufficio della Vergine Maria, 126 Uso (l’esperienza), 167, 174 Vangeli apocrifi, 9, 15, 112 Vangelo dell’infanzia armeno, 15 Vangelo dello Ps.-Matteo, 15, 111-114 Vangelo di Tommaso, 15 Vergine Maria v. Maria di Nazareth Virgilio, 80
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Indice dei manoscritti
ASSISI, Biblioteca Comunale Ms. 342 (Liber di Angela da Foligno): 143 BOLOGNA, Biblioteca Universitaria 337 (Breviario francescano): 42 BOULOGNE-SUR-MER, Bibliotèque Municipale Ms. 11 (Vangeli anglo-sassoni): 25 BRUXELLES, Bibliotèque Royale «Albert 1er» Ms. 9270: 44 Ms. 11060-61: 36 Ms. IV. 452 (Livre d’heures): 45 CHANTILLY, Musée Condé Ms. 65 (Très Riches Heures du Duc de Berry): 36 CITTÀ DEL VATICANO, Biblioteca ApostolicaVaticana Barber. Lat. 2999 (Opizzino de Canistris): 154 Gr. 1162 (Giacomo di Bitinia): 20, tavv. II-III Urb. Lat. 11: 63
290
FIRENZE, Biblioteca Medicea Laurenziana Edili 151: 45 Laur. I 56: 21 FIRENZE, Biblioteca Nazionale Centrale B.R. 397 (Offiziolo dei Visconti di Modrone): 32 FIRENZE, Museo nazionale del Bargello Ms. 67: 47 HILDESHEIM, Dombibliothek St. Godehard 1 (Salterio di Sant’Albano): 25 LONDON, British Library Add. 2114: 220 Add. 49398 (Benedizionale di San Aethelwold): 25 Harley 4431 (Épitre d’Othéa à Hector): 143 Royal 2 A XVIII (Beaufort Hours): 36 Yates Thompson 29 (Libro d’ore Ghislieri): 52 Yates Thompson 37 (Libro d’ore di Bourges): 26
MICHELE FEO LUCCA, Biblioteca Statale Ms. 1942 (Revelationes di Ildegarde di Bingen): 142 MILANO, Biblioteca Nazionale Braidense Ms. Gerli 54: 39 MÜNCHEN, Bayerische Staatsbibliotek Lat. 4660 (Benediktbeuern 160): 19 Lat. 23215 (Libro d’ore per Bianca di Savoia): 34 Lat. 23639 (Libro di preghiere di Lorenzo de’ Medici): 51 NAPOLI, Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III» I B 26 (Horae beatae Mariae Virginis): 45 NEW YORK, Metropolitam Museum of Art, The Cloisters 54.1.1 (Belles Heures du Duc de Berry): 36 54.1.2 (Petites Heures de Jeanne d’Évreux): 29 NEW YORK, Pierpont Morgan Library M. 180 (Lezionario padovano): 41 M. 673: 52 M. 917 (Libro d’ore di Caterina di Clèves): 136 PARIS, Bibliothèque nationale de France Graec. 1208 (Giacomo di Bitinia): 22 Lat. 9473 (Libro d’ore di Luigi di Savoia): 44 Lat. 10483 (Breviario di Belleville): 31 NAL 2246 (Lezionario di Cluny): 25 NAL 3093 (Les Très Belles Heures de Notre Dame): 35
NAL 3120 (Très Petits Heures d’Anne de Bretagne): 52 PARIS, Collezione Durrieu Libro d’ore dell’Ordine dello Spirito Santo: 36 PARIS, Collezione Jacquemart-André Heures du Maréchal de Boucicaut: 36 PERUGIA, Archivio di Stato Archivio Storico del Collegio della Mercanzia, Registro della Matricola della Mercanzia Ms. 2: 34 PERUGIA, Biblioteca Augusta Ms. 973: 35 PISA, Museo dell’Opera del Duomo Exultet 2: 22 PISA, Museo nazionale di San Matteo Antifonario F: 33 PRAHA, Národní Muzeum XIII A 12 (Liber viaticus di Jan ze Str? edy): 34 PRAHA, Státni Knihovna XIV A 13 (Vangelo di Vyšehrad): 25 PRINCETON, University Library Ms. 223 (Libro di preghiere ArnolfiniCenami): 52 SIENA, Archivio di Stato 6 (Gabella 1456): 43 SIENA, Duomo Libreria Piccolomini, Graduale 5: 47
291
Indice dei manoscritti STRASBOURG, Bibl. et Archives 955 (Hortus deliciarum): 22, tav. IV TORINO, Biblioteca Reale Ms. 77 (Officium beatae Virginis): 36 TORINO, Museo Civico d’Arte Antica Ms. 47: 36 VENEZIA, Fondazione Giorgio Cini Inv. 2115 (Corale bolognese): 42 Inv. 2098 (Iniziale ornata lombarda): 42
292
VICENZA, Biblioteca Bertoliana 6. 8. 8. 2 (Sermones di Bartolomeo da Breganze): 98 WIEN, Österreichische Nationalbibliothek Cod. 1855 (Horarium latino-gallicum): 37, 82 WIESBADEN, Hauptstaatsarchiv Abt. 3004 Nr. C 8 (Cod. Arnstein): 37
Indice delle tavole
Copertina. Antonello da Messina, Annunciata, particolare. Palermo, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis. Tav. I. Maria alla fonte. Venezia, San Marco, mosaico dell’XI secolo. Tav. II. Maria alla fonte. Omelie mariane di Giacomo di Bitinia: cod. Vaticano Gr. 1162, sec. XII, f. 117v (rielaborata dall’ed. anast. Miniature delle Omilie di Giacomo Monaco (cod. Vatic. Gr. 1162 e dell’Evageliario Greco Urbinate (cod. Vatic. Urbin. Gr. 2), a cura di C. Stornajolo, Danesi, Roma 1910, sito web miniaturedelleom00storuoft_orig_0125.jp2). Tav. III. Maria fila. Omelie mariane di Giacomo di Bitinia: cod. Vaticano Gr. 1162, sec. XII, f. 118r (rielaborata dall’ed. anast. Miniature delle Omilie di Giacomo Monaco, cit., URL miniaturedelleom00storuoft_orig_0127.jp2). Tav. IV. Hortus deliciarum, f. 84. Ricostruzione del ms. sec. XII ex., distrutto nel 1870 durante la guerra franco-prussiana (da G. CAMES, Allégories et symboles dans l’Hortus deliciarum, Brill, Leiden 1971, tav. XXVIII, fig. 45). Tav. V. Porta di Bonanno nel Duomo di Pisa, 1179. Tav. VI. Avorio francese del sec. IX: Museo di Braunschweig (da The St. Albans Psalter (Albani Psalter). 1. The full-page miniatures, by O. Pächt, The Warburg Institute-University of London, London 1960, tav. 118e). Tav. VII. Lione, Chiesa di Saint-Martin d’Ainay, capitello, sec. XII (da A. GHIDOLI, Annunciazione, in: Enciclopedia dell’arte medievale, II, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1991, p. 42). Tav. VIII. Giotto, Cappella degli Scrovegni a Padova. Tav. IX. Altamura, portico della cattedrale (da La cattedrale di Altamura, a cura di B. Tragni, Adda, Bari 2009) Tav. X. Duccio di Buoninsegna, Maestà: predella a Londra, National Gallery. Tav. XI. Simone Martini, Annunciazione 1333: Firenze, Galleria degli Uffizi. Tav. XII. Grottaglie, Chiesa Matrice. Tav. XIII. Andrea della Robbia, Santuario della Verna.
293
Indice delle tavole Tav. XIV. Ambrogio Lorenzetti, Annunciata, 1344: Siena, Pinacoteca Nazionale (rielaborata da Pietro e Ambrogio Lorenzetti, a cura di C. Frugoni, Le Lettere, Firenze 2010, p. 198). Tav. XV. Pintoricchio, Annunciata: Spello, Santa Maria Maggiore Tav. XVI. Antonello da Messina, Annunciata, Palermo, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis. Tav. XVII. Antonello da Messina, Annunciata, Monaco di Baviera, Alte Pinakothek. Tav. XVIII. Venezia, Palazzo Ducale, capitello XXIV del loggiato inferiore, riquadro secondo. Tav. XIX. Carlo Crivelli, Annunciazione, Londra, National Gallery, 1486. Tav. XX. Lluís Borrassà, Tavola d’altare a Vilafranca del Penedès, sec. XIV ex. Tav. XXI. Pintoricchio, Annunciata, Spello, Santa Maria Maggiore, particolare (rielaborata da MANCINI, p. 191). Tav. XXII. Mariotto di Nardo, Pinacoteca Vaticana. Tav. XXIII. Bernardo Daddi, Annunciazione con due angeli, Parigi, Louvre. Tav. XXIV. Jacopo Landini (del Casentino), Annunciazione con due angeli, Milano, Museo Poldi Pezzoli. Tav. XXV. Beato Angelico, Annunciazione, Madrid, Museo Nacional del Prado. Tav. XXVI. Gentile da Fabriano, Annunciazione, Pinacoteca Vaticana. Tav. XXVII. Bicci di Lorenzo con Stefano di Antonio, Annunciazione, Stia in Casentino, Chiesa di S. Maria Assunta. Tav. XXVIII. Maestro di Stratonice (Michele Ciampanti), Annunciazione, Firenze, Chiesa di San Giovannino dei Cavalieri. Tav. XXIX. Pintoricchio, Annunciazione, Pala di S. Maria dei Fossi, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria (da MANCINI, p. 165). Tav. XXX. Pintoricchio, Annunciazione Pala di S. Maria dei Fossi, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, particolare (rielaborata da MANCINI, sopracoperta). Tav. XXXI. Sandro Botticelli, Madonna del libro, 1480-81, Milano, Museo Poldi Pezzoli. Tav. XXXII. Pintoricchio, Madonna che insegna a leggere al Bambino, Philadelphia, Museum of Art (da MANCINI, p. 157). Tav. XXXIII. Sandro Botticelli, Madonna del Magnificat, 1482-83 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi, particolare. Tav. XXXIV. Pietro da Talada, Madonna col Bambino, Capraia di Pieve a Fosciana. Tav. XXXV. Pietro da Talada, Madonna col Bambino, Capraia di Pieve a Fosciana, particolare del libro della madre. Tav. XXXVI. Pietro da Talada, Madonna col Bambino, Capraia di Pieve a Fosciana, particolare della tabula del bambino. Tav. XXXVII. Simone Martini, Educazione di Cristo, Liverpool, Walker Art Gallery.
294
MICHELE FEO Tav. XXXVIII. Gentile da Fabriano e scuola, Arti liberali, Grammatica, Foligno, Palazzo Trinci, Sala delle Arti. Tav. XXXIX. Michelangelo Buonarroti, Madonna col Bambino del Tondo Pitti, 1502-04, Firenze, Museo Nazionale del Bargello. Tav. XL. Francisco de Zurbarán, Gesù e la Vergine nella casa di Nazareth, Cleveland (Ohio), The Cleveland Museum of Art, Samuel H. Cress Collection. Tav. XLI. Mantegna, Cristo con l’animula della Vergine, Ferrara, Pinacoteca Nazionale.
295
Indice
I.
Le vie della ricerca
7
II.
Dalla miseria di Nazareth all’opulenza del Rinascimento Dalla brocca e dal fuso al libro Il racconto dei Vangeli sinottici Maria fidanzata Lotta fra Gabriele e Maria L’ombra di Dio Maria al pozzo Maria fila Maria legge o è in compagnia del libro Cosa leggeva Maria? Addendum 1. Luce e ombra
13 13 15 16 17 19 20 24 60 64
III.
Le profezie e il destino 1. Dalla Francia carolingia all’Italia tardo-gotica Addendum 2. Il capitello di Lione
65 65 74
IV.
Le profezie e il destino 2. Il Pintoricchio e i Borgia
75 75
V.
Le braccia in croce
81
VI. Un angelo con quattro ali
91
VII. Le giustificazioni dottrinali della lettura Sant’Ambrogio e la sua eredità nel Medioevo Abelardo Lo Ps.-Alberto Magno Da Tommaso d’Aquino a Girolamo Savonarola
101 101 106 107 109
VIII. Il presente è già storia
117
297
IX. L’autoliturgia Ancora Pintoricchio
125 125
X.
129
Maria filologa?
XI. Dopo la nascita del Bambino 1. Maria torna a leggere. Botticelli e la «Madonna del libro»
131 131
XII. Dopo la nascita del Bambino 2. Maria scrive. Botticelli e il «Magnificat»
141 141
XIII. Dopo la nascita del Bambino 3. La quotidianità familiare
145 145
XIV. Dalla pietà popolare all’Umanesimo I Disciplinati perugini Feo Belcari Giovanni Gerson Antonio Cornazzano Il Mantovano Iacopo Sannazaro Cinque e Seicento Le Sibille
157 157 160 161 164 166 176 178 180
XV. Le Annunciate di Antonello Excursus: una mano ribelle? Un omaggio occulto a van Eyck?
183 187 200
XVI. Il destino del Figlio
201
XVII. L’Annunciazione della morte
211
XVIII. Marginalità o centralità della Madre?
219
Appendici I. Abbreviazioni e sigle bibliografiche II. Segni diacritici (nell’edizione di epigrafi) III. L’apparizione della Vergine a san Bernardo IV. La Madonna e la chiocciola V. Le invocazioni e gli inni dei poeti 1. Apuleio di Madaura 2. Alano di Lille 3. Giovanni di Garlandia 4. De vetula
223 225 225 227 228 229 230 233 236
298
Ringraziamenti
239
Tavole
241
Indici degli artisti Indici degli interpreti antichi e moderni Indici dei nomi e cose notevoli Indici dei manoscritti Indici delle tavole
279 285 287 290 293
299
Scrisse Andrea del Sarto sul fianco del leggìo della sua Annunciata fiorentina: ANDREA DEL SARTO T’À PINTA QUI COME NEL COR TI PORTA ET NON QUAL SEI MARIA PER ISPARGER TUA GLORIA ET NON SUO NOME. Queste parole dicono in tutta semplicità quanto amore e quanta devozione i pittori abbiano deversato nella rappresentazione del loro eterno femminino cristiano. E noi che pittori non siamo le facciamo nostre.
Finito di stampare in Firenze presso la tipografia editrice Polistampa Giugno 2019