Commedia dell'Inferno. Un travestimento dantesco 9788843032600, 8843032607

Il testo teatrale, originale e graffiante - come è nelle corde di Sanguineti procede attraverso una sequenza di scene in

191 12 2MB

Italian Pages 126 [132] Year 2010

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Recommend Papers

Commedia dell'Inferno. Un travestimento dantesco
 9788843032600, 8843032607

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

PICCOLA BIBLIOTECA LETTERARIA /

21

Collana diretta da Gian Mario Anselmi, Andrea Battistini, Emilio Pasquini

Nella richiesta di nuovi strumenti di studio resta ancora es­ senziale la necessità di disporre di testi sicuri e ben illustrati in edizione accessibile a un pubblico ampio. Fuori dai per­ corsi inamidati dei canoni scolastici esistono in/atti testi di­ menticati o periferici che, quantunque appartenenti anche a scrittori di primo piano, attendono una ricezione più cordia­ le di quella che l'inerzia o la distrazione abbiano loro finora concesso. Questa collana perciò si propone in primo luogo di presentare, con il corredo di un apparato esegetico sobrio e funzionale, opere che meritano di entrare in un circuito più esteso di lettori: non solo per il loro valore estetico e culturale, ma anche per la godibilità e la freschezza della scrittura, rappresentativa della loro epoca. Accanto a testi di tale natura, a completare il quadro di una collana che vuole suggerire una pluralità di suggestioni e di mappe, non man­ cheranno guide alla lettura ed edizioni di testi famosi� veri classici della nostra tradizione talora mai commentati oppu­ re non. raggiungibili in edizioni correnti dotate di adeguata esegesi.

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore via Sardegna 50, 00187 Roma, telefono 06 / 42 81 84 17, fax 06 / 42 74 79 31

Visitateci sul nostro sito Internet: http://www.carocci.it

Edoardo Sanguineti

Commedia dell'Inferno Un travestimento dantesco A cura di Niva Lorenzini

Carocci editore

La prima edizione del testo di E. Sanguineti, Commedia dell'Inferno. Un travestimento dantesco, è stata pubblicata a Genova nel 1989 per i tipi della casa editrice Costa & N olan

ristampa, giugno 2010 a 1 edizione, gennaio 2005 © copyright 2005 by Carocci editore S.p.A., Roma 1

a

Finito di stampare nel giugno 2010 dalle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Avvertenza / 9 Introduzione (teatrale) a commedia (cinematografica) / di Federico Tiezzi

11

COMMEDIA DELL'INFERNO. UN TRAVESTIMENTO DANTESCO I 23 Primo tempo /

25

Secondo tempo / 56 Notizia I 97 di Edoardo Sanguineti Nota al testo seguita da un Dialogo con l'Autore / di Niva Lorenzini Nota bio-bibliografica /

7

125

101

Avvertenza

A quattro anni dal travestimento goethiano (Faust. Un travestimento, 1985, ristampato nel 2003 in questa stessa collana), Sanguineti pubblicava il suo travestimento dantesco (Commedia dell'Inferno. Un travestimento dan­ tesco, 1989). Lo si ripropone qui, facendolo precedere dal testo di Federico Tiezzi che corredava la prima edizione: In­ troduzione (teatrale) a commedia (cinematografica). Un testo scritto dal regista in chiave drammaturgica, il pen­ siero rivolto alla realizzazione scenica del gruppo dei Magazzini, che debuttò al Fabbricane di Prato il 27 giu­ gno '89. Un racconto-resoconto dal ritmo mosso, che coniuga dialogo, stacchi da coup de théatre, riflessioni tecniche, suggestioni interpretative. Un viatico per un viaggio infernale: che resta, per parte sua, autonomo e sorprendente, nelle sue risorse retoriche, ribaltamenti grotteschi, degradazioni comiche, scorci apocalittici, nientificazione estrema. A conclusione del percorso di lettura, la Nota al testo propone sobri codicilli al travestimento, lasciando al1'Autore, come si conviene, la battuta finale. N. L.

9

Introduzione (teatrale) a commedia (cinematografica) di Federico Tiezzi

Genova, 13 dicembre 1988, ore 18 e 30. Scesi dal treno e mi avviai verso la Facoltà di Lette­ re. Pensavo all'Inferno (quello degli spaventi notturni) e mi dicevo che deve somigliare un po', l'Inferno, a una città: luogo della nequizia sonora e della luce assente. Le alte case strette, come inchiodate al monte, di Geno­ va, sembravano annuire e dire: >. Di sonno ... Il teatro che dorme aspettava un riII

sveglio: che poteva essere questo progetto folle: riscrive­ re l'Inferno di Dante per uno spettacolo da tenersi al F abbricone, a Prato, alla fine di un lungo laboratorio (con la partecipazione degli attori della mia compagnia e di neodiplomati delle scuole di recitazione nazionali). Ri­ attraversando, insieme a un drammaturgo, la terra deva­ stata del teatro verso un difficile approdo: che era: un te­ sto per uno stile teatrale (il mio), e uno stile teatrale che si muta attraverso un testo (DanteSanguineti). L'ho det­ to: una follia. Lividissima Genova, e materna: quel giorno eri sen­ za sole e ghiaccia come lastra di pietra serena umida in canto scuro di chiesa. Palus putredinis. Sanguineti sa orientare il linguaggio: sa concentrarlo e guidarlo come esperienza verbale, come esperienza stori­ ca. La sua poesia possiede un quid di in/ernalità: un io narrante, disintegrato, cerca nella selva oscura delle pa­ role (e forse trova, attraverso la narrazione, attraverso il racconto) un suo catastrofico ordine, o salvezza. Nel caos deflagrante del plurilinguismo, nella babele dell'afa­ sia, il procedere (quasi per analisi freudiana) dell'io ren­ de flagrante (identificandosi l'io, il soggetto, con l'espe­ rienza verbale in atto), liricamente, l'attività di questa esperienza. Riconducendo le parole a un ordine, a un co­ smo. Insomma: se la poesia di Sanguineti scoppia come esperienza verbale (attraverso sonorità, citazioni e inten­ zioni in altre lingue, parole "alte" e termini "bassi"), essa si ricompone come riflessione sul racconto interiore. Il verso, spezzato, frantumato dall'attività dell'esperienza e ricomposto dalla riflessione che il poeta compie sulla stessa esperienza (nel suo farsi), rende la poesia di San­ guineti pronta per la phoné dell'attore: un canto. Berberianamente ribobolano le parole dei versi di

12

Sanguineti nel cavo orale dell'attore: lì divengono proiet­ tili pronti per addensarsi al cuore e ai sensi dell'ascoltato­ re. Come nuove revolverate lucinesche. Il teatro, mi dicevo sempre andando, ha bisogno di questa analisi per scuotersi dal suo sonno. Andavo. Quando da una vetrina imbrillantata surse­ ro fuori le copertine degli ultimi successi letterari. Come belve: anche se un po' depresse. Specie su tre affissai lo sguardo. Nonostante la loro pelle fosse elegante potevo immaginare la lingua lisa e sbattuta nella quale i raccon­ ti erano stati scritti: pronti già al masticatoio. Lividissi­ ma palus della lingua. Avvicinarsi a Dante, attraverso Sanguineti, acquistava il significato di una rivolta a quel­ le tre belve e alla loro lingua papposa. Una rivolta? Una missione? Con impeto risorgimentale mi dico: verso il limbo, verso Virgilio. . Balzai all'indietro sulla sedia. Sanguineti guardava e mi sorrideva un po' mefistofelico. Avevo in mente, per l' In/erno di Dante, una immaginazione di diavoli e dan­ nati, fuoco e acque tormentose, nudi attori e vento: un catalogo un po' da Mille e una notte ( così è per me l'inte­ ra Commedia). Sapevo che tutta questa Sistina di bellurie teatrali si sarebbe rappresa nella sintesi di spazio-tempo­ voce che, ahimè, avrei dato allo spettacolo: ma, insomma, togliere il tutto. . . quasi un affronto a Dante. . . Sanguine­ ti, invece, con la sua proposta mi aveva riportato violente­ mente nell'ambito dell'esperienza poetica come esperien­ za verbale: e, poi, in quella transverbale che spettatori di teatro avrebbero fatto di Dante. Quale proposta? Eccola. Sanguineti aveva individuato il suo intervento, nella riscrittura, immediatamente sull'officio dell'endecasilla­ bo: a cui avrebbe voluto togliere membri ritmici o di si13

gnificato: specialmente nei brani più famosi e che ogni spettatore sa a memoria. Così, ad esempio, il verso di Francesca (v, 136) sarebbe vissuto, nel teatro, senza il tutto, sostituito da una pausa ritmica dell'attore. Il celebre endecasillabo avrebbe risuonato attivamente: lo spettatore-ascoltatore sarebbe stato scosso da quella pausa più che dalla pre­ senza della parola: il verso sarebbe stato (attraverso il cuneo di quella assenza) straniato, messo a nudo. Il suo significato si sarebbe allontanato: il significante ritmico sarebbe venuto in primo piano. Ingegnoso (in senso etimologico!) pensai: sarebbe un po' come quelle scampanellate, con entrata in scena improvvisa, che arrivano a estraniare certe situazioni fortemente emotive, certi dialoghi coinvolgenti, nelle opere di Cechov . . . Frammentare il verso significava dare estrema im­ portanza alle pause, situare negli intervalli creati all'in­ terno dell'endecasillabo la concreta esperienza recitativa dell'attore: e cioè il teatro. I vuoti del verso sarebbero stati, teatralmente, dei pieni. Soprattutto essi sarebbero stati sperimentati dall'attore come indugi, come intermit­ tenze di senso: lo avrebbero obbligato a costruire una phoné disintegrata, assolutamente dinamica. Questo pro­ cedimento è stato usato per la riscrittura dell'incontro tra Dante e Virgilio. I versi frammentari assuonano (più che rimare) tra loro. Si creano false rime interne, nuovi significati. Si crea una nuova musica: che attraverso il principio dell'assuono sembra più seriale rispetto a quel­ la tonale della terzina incatenata. Più leverkiihnesca. (Faustiana?). Questo lavoro Sanguineti lo ha offerto al laboratorio come metodo: gli attori vi avrebbero trovato sospensio­ ni e pause, appoggi ritmici per la voce, lacerazioni del 14

verso che poi essi avrebbero dilatato ulteriormente sul piano di una dissonanza recitativa. In un primo momento Sanguineti intendeva applica­ re alla riscrittura di tutta la cantica la frantumazione in­ terna al verso; successivamente ha preferito limitare questo procedimento ai canti introduttivi, scegliendo per il resto di isolare i vari personaggi attraverso interi blocchi di terzine, tutt'al più trasferendo, dove necessa­ rio, gruppi di versi dalla prima alla terza persona o vice­ versa, o mettendo in bocca, ad esempio a Capaneo, pa­ role pronunciate da Virgilio. In una fase ancora successiva ha abbandonato anche l'idea di sconvolgere l'ordine di entrata in scena di epi­ sodi, situazioni e personaggi, restando fedele alla suc­ cessione originale dantesca: la Commedia è anche un grande viaggio iniziatico. Dice Dante nella Epistola a Cangrande: : quasi un proce­ dere alchemico, da una nigredo fetida ad una albedo desiderabile. Kerényi afferma che qualsiasi viaggio ini­ ziatico, affinché il partecipante ne tragga giovamento, deve muovere da un inizio funesto e approdare ad una felice risoluzione (così anche Propp e de Santillana). Causa finale della Commedia (come dice l'antico commentatore) è: rimuovere quegli che nella presente vi­ ta vivono, dallo stato della miseria allo stato della felicità. Che è poi, in qualche modo, anche la motivazione che Aristotele attribuisce alla catarsi: l'opera d'arte risuona nella polis, nel tessuto umano e sociale e diviene, oltre che attività politica, anche azione morale. Sanguineti taglia il testo dantesco secondo una tea­ tralità non euclidea (si potrebbe forse definire in tal mo­ do tutta la sua attività di drammaturgo): si passa di per15

sonaggio in personaggio, come in una galleria di ritratti: e sono ritratti erosi, statue che hanno perduto le loro parti: episodi e situazioni di cui il drammaturgo fa ag­ gallare solo il cuore, il centro prospettico. E la tecnica cinematografica del montaggio: i vari episodi si legano tra loro per tagli netti (più all'insegna di Godard che di Ejzenstejn), senza dissolvenze . . . E tutto un seguitare di primi piani, una esclusione totale della carrellata dantesca (che consiste in un avvicina­ mento progressivo alla situazione o al personaggio, at­ traverso anticipazioni fatte di descrizioni, similitudini, stati d'animo ecc.): tutto un procedere per zoomate, per piani fissi, per prospettive che affondano verso il nucleo drammatico della scena. Un modo, anche questo, di at­ tivare la coscienza dello spettatore, di rendere dinamico il rapporto con il testo. Nello spettacolo tutto questo sarebbe poi rifluito come successione rapidissima di episodi, come cambi luminosi e sonori in rottura dissonante, come frattura a oltranza dei tempi di recitazione e del tempo di scorri­ mento del racconto, come simultaneità e dinamicità del1'azione scenica. Con le didascalie Sanguineti isola e "abbassa" le al­ tezze delle situazioni verbali secondo una visione cine­ matografica del testo. Dove cinema qui vuole dire visio­ narietà o allucinazione (quasi surrealistica: e penso a Un chien andalou e a L:age d'or di Bufiuel-Dali). Con questa loro intrinseca visionarietà (e quanto più questa è "bas­ sa" tanto più è efficace) le didascalie portano il testo dantesco da una situazione di quiete (alta, come ce l'ha consegnata l'interpretazione romantica) a una di preca­ rietà e disequilibrio. Si potrebbe definire, quella di Sanguineti una dram­ maturgia cinematografica? O cinetica? Teatralmente, poi, 16

avrei attivato ulteriormente i nuclei drammatici offerti da Sanguineti, attraversando Dante, con gli improvvisati degli attori al modo dei Comici dell'Arte: innescando ancora quel procedimento atomico che, partito da Dan­ te, avrebbe deflagrato infine nel cuore e nella mente dello spettatore. Insieme alla tecnica del montaggio, quella della segmentazione, del découpage, è il segno base di Comme­ ) dia dell In/erno. Torna in mente quello che Bufiuel scri­ veva su Découpage o segmentazione cinegra/ica: >. Il regista vede di questa riscrittura soprattutto la drammaturgia: il passato si conserva e si accresce, suc­ chiando il presente del lavoro del poeta Sanguineti. La Commedia è un fantasma che possiede il corpo, tutto, della nostra letteratura. Gioco rapido e allarmante di stili e di lingue è questo travestimento che a poco a po­ co prende nel suo innesto (sull'albero Dante) attori e re­ gista. Che, compreso il metodo dell'innesto, potrebbero continuare all'infinito . . . Anche oltre Dante.

22

Commedia dell'Inferno. Un travestimento dantesco

Primo tempo

pista vuota sul fondo, coperta di sabbia: un circo attrezza­ to, nei modi consueti:· tre gabbie, con le tre fiere impaglia­ te, gigantesche; le pareti� ai lati della pista a fossa, sono provviste di una scala laterale a chiocciola, variamente intrecciata e incro­ ciata, a cui si accede da vani interni: collocati a diversa al­ tezza, chiusi da saracinesche, da cui potranno apparire i personaggi; i due presentatori ap p aiono come due imbonitori o clowns, irrompendo come in pista, a bandire lo spettacolo; parlano con grandi gesti� molto velocemente, talvolta ru­ bandosi la battuta, interrompendosi� sovrapponendo le voci> tra quanto dicono e la recitazione, da comici di circo, vi deve essere piena dissociazione,- anche i loro abiti� i vol­ ti colorati vivacemente, devono corrispondere a una situa. . zione circense; Presentatori

Acciò che quello che io debbo dire sia onore e gloria del santissimo nome di Dio e consola­ zione e utilità degli uditori, intendo, avanti che io più oltre proceda, quanto più umilemente posso, ricorre­ re ad invocare il suo aiuto, molto più della sua beni­ gnità fidandomi che d'alcuno mio merito. E imperciò che di materia poetica parlare dovemo, poeticamente quello invocherò con Anchise troiano, dicendo quei

PRESENTATORE

I

25

versi che nel secondo del suo Eneida scrive Virgilio: Iùpiter omnìpotens, prècibus si flècteris ullis, àspice nos: hoc tantum: et, si pietate meremur, da dèinde auxilium, pater - etcetera. PRESENTATORE 2 Invocata adunque la divina clemenzia che alla presente fatica ne presti della sua grazia, avanti che alla lettera del testo si vegna estimo sieno da vedere due cose, le quali generalmente si sogliono cercare nei princìpi di ciascuna cosa che apartenga a dottrina: la primiera è dimostrare quante e quali sie­ no le cause di questa opera; la seconda, a qual parte di filosofia sia la presente opera supposta. PRESENTATORE 1 Le cause di questa opera son quatro: la materiale, la formale, la efficiente e la finale. PRESENTATORE 2 La materiale è, nella presente opera, doppia, così come è doppio il suggetto, il quale è colla materia una medesima cosa. E adunque il suggetto, secondo il senso litterale, lo stato dell'anime dopo la mor­ te dei corpi semplicemente preso, per ciò che di quello, e intorno a quello, tutto il processo della presente opera intende; il suggetto secondo il senso allegorico è: come l'uomo, per lo libero arbitrio meritando e dismeritando, è alla giustizia di guiderdonare e di punire obligato. PRESENTATORE 1 La causa formale, o vero il modo del trattare, è poetico, fittivo, discrittivo, digressivo e transun­ tivo; e, con questo, difinitivo, divisivo, probativo, re­ probativo e positivo d'essempli. PRESENTATORE 2 La causa efficiente è esso medesimo autore Dante Alighieri. PRESENTATORE 1 La causa finale della presente opera è: rimuovere quegli, che nella presente vita vivono, dal­ lo stato della miseria allo stato della felicità. PRESENTATORE 2 La seconda cosa principale, la quale dissi essere da investigare, è a qual parte di filosofia

sia sottoposta la presente opera; la quale, secondo il mio giudicio , è sottoposta alla parte morale, o vero etica: per ciò che, quantunque in alcun passo si tratti per modo speculativo , non è perciò per cagione di speculazione ciò posto, ma per cagione dell'opera, la quale quivi ha quel modo richiesto di trattare. PRESENTATORE I La forma di questo inferno, parlando di lui come di cosa materiale, discrive l'autore essere a guisa di un corno il quale diritto fosse, e di questo fermarsi la punta in sul centro della terra e la bocca di sopra venire vicina alla superficie della terra ; in quello, agirandosi l'uomo intorno al vòto del corno a guisa che l'uomo fa in queste scale ravolte, che vul­ garmente si chiamano chiocciole, discendersi, benché in alcuna parte apaia questo luogo, se non quanto al­ lo spazio della via onde si scende, essere in parte ca­ vernoso e in parte solido: cavernoso in quanto vi di­ stingue luoghi, li quali appella cerchi e nei quali i mi­ seri sono puniti; e alcuna volta vi discrive scogli, e al­ cuni valichi, e fiumi. PRESENTATORE 2 Vedute le p redette cos e , avanti che ali' ordine della comedìa si vegna, pare doversi rimuo­ vere un dubbio , il quale spesse volte già è stato , e massimamente da litterati uomini, mosso, il quale è questo. Dicono adunque questi cotali: " Secondo che ciascuno ragiona, Dante fu litteratissimo uomo; e se egli fu litterato , come si dispuose egli a comporre tanta opera e così laudevole, come questa è, in volga­ re? " . Ai quali mi pare si possa così rispondere. PRESENTATORE I Certa cosa è che Dante fu eruditissimo uomo, e massimamente in poesì, e disideroso di fama, come generalmente siam tutti. Cominciò il presente libro in versi latini, così: Ultima regna canam flùvido contèrmina munda, 27

spirìtibus que lata patent, que premia solvunt • • • • pro mer1t1s cu1cunque su1s - etcetera. E già era alquanto proceduto avanti, quando gli par­ ve da mutare stilo; e il consiglio che il mosse fu mani­ festamente conoscere i liberali studi e i filosofici esse­ re del tutto abandonati dai prencipi e dai signori e dagli eccellenti uomini, li quali solevano onorare e rendere famosi i poeti e le loro opere: e però, veggen­ do quasi abandonato Virgilio e gli altri, o essere nelle mani d'uomini plebei e di bassa condizione, estimò così al suo lavorìo dovere adivenire, e per conseguen­ te non seguirnegli quello per che alla fatica si som­ mettea. PRESENTATORE 2 Di che gli parve dovere il suo poema fare conforme, almeno nella corteccia di fuori, agl'in­ gegni dei presenti signori, dei quali se alcuno n'è che alcuno libro voglia vedere e esso sia latino, tantosto il fanno trasformare in volgare; donde prese argomento che, se vulgare fosse il suo poema, egli piacerebbe, dove in latino sarebbe schifato. E perciò, lasciati i versi latini, in rìttimi vulgari scrisse, come veggiamo.

le voci dagli altoparlanti recitano in maniera uniforme e inespressiva, come si trattasse di preghiere; intonazione ti­ picamente chiesastica; i presentatori� intanto, lasciano correndo la pista, e si manifesta la scena: scale a chiocciola e caverne sul fondo; una macchina appresta un ponte sopra il vuoto, e qui appare Dante; Altoparlanti ALTOPARLANTI Dicit autor: Nel mezzo del cammin di nostra vita. Sed quod est medium iter nostrae vitae? Dicunt aliqui quod est medium nostrae vitae somnus, quia Philosophus dicit primo Ethicorum quod nihil dìfferunt felices a miseris secundum dimidium vitae, et appellat dimidium vitae somnum. Videtur ergo au­ tor velle dicere se habuisse hoc per visionem in som­ no, sed hoc non valet, quia, ut dicit commentator phi­ losophus, per somnum intèlligit ibi quietem: non enim est verum quod homo dormiat medietate temporis. ALTOPARLANTI Alii dicunt quod dimidium nostrae vi­ tae est nox; tantum enim habemus in mundo isto de tenebra, quantum de luce, et autor noster visionem habuit de nocte. Visiones enim et subtiles imaginatio­ nes, ut plurimum, adveniunt in nocte, quando anima magis recòlligit se ad se, et est magis semota a curis temporalibus. Sed certe, quamvis istud totum verum sit, tamen non est intentio autoris hic.

29

Unde dico quod autor describit tempus annorum suae vitae, in quo incepit istud opus. Veri­ tas est, quod autor per istud medium intendit tempus triginta quinque annorum, et tale quidem tempus be­ ne vocat dimidium vitae; quod confirmat autòritas Prophetae dicentis: "dies annorum nostrorum in ipsis septuaginta annis". Et addit: "quod si pervenerit ad octoginta, amplius labor et dolor". ALTOPARLANTI Et dicit autor: Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura che la diritta via era smarrita. ALTOPARLANTI

30

ponte sul vuoto, irto di cavz� o piatta/orma mobile; sul medesimo ponte, o su altra piatta/orma, dopo Dante, ap­ parirà Virgilio; selva oscura: una selva selvaggia, e aspra, e forte: io era pieno di sonno: e al piè d'un colle giunto, guardai in alto: temp'era dal principio del mattino, e il sol montava in su: posato un poco il corpo lasso, ripresi via, per la piaggia deserta: ed ecco, quasi al cominciar dell'erta, una lonza leggiera, presta molto: di pel macolato era coverta: e non mi si partìa dinanzi al volto, e io fui, per ritornar, più volte vòlto, per quella fera, e fera presta molto: e la vista m'apparve d'un leone, con la testa alta, con rabbiosa fame: e d'una lupa, bestia sanza pace, che più di tutte le altre bestie ha preda, per la sua fame, sanza fine cupa: con la paura che uscìa di sua vista, io perdei la speranza dell'altezza: e rovinava in basso loco:

DANTE

31

Altoparlanti (come fondo sonoro alla voce di Dante) (per la lonza) ALTOPARLANTI Tria sunt animalia praecipue habentia pellem variis maculis distinctam, scìlicet lynx, sive lynceus, qui vulgariter dicitur lupus cerverius, par­ dus, et panthera. ALTOPARLANTI Modo dico quod per lontiam autor po­ test intelligere lyncem, per quam figurar luxuriam. Per quod dat intelligi quod luxuria consistit in pelle, quia in apparentia pulcritudinis exterioris. ALTOPARLANTI Per lontiam etiam potes intelligere par­ dum multiplìciter. Primo, quia pardus est naturaliter luxuriosissimus; ideo bene figurat luxuriam. Secun­ do, quia pardus habet pellem varie maculatam, sicut et lynceus. Tertio, quia pardus est multum praesto, adeo quod volare videtur; et talis est luxuria. Quarto, quia pardus cum cepit aliquam feram, sugit totum sanguinem eius: ita recte mulier libidinosa. Quinto, pardus non vult ab homine videri cum se pascit: ita et mulier luxuriosa, de quocumque pastu loquaris. Sex­ to, pardus quamvis familiariter domesticetur, saepe fallit et prodit: ita et mulier virum fortissimum forma et fraude vincit. A LT O PA RL A N TI Potes etiam per lontiam intelligere pantheram; nam panthera suo halitu odorifero attra­ hit ad se alia animalia cum vult pasci, et illa, quae èli­ git, sibi vorat: ita et foemina, sicut et magnes ferrum, àttrahit homines, et quos sibi èligit, consumit. ALTOPARLANTI Credo tamen quod autor potius intèlli­ gat hic de pardo, quam de aliis, tum quia proprietates pardi magis videntur convenire luxuriae, ut patet ex dictis, tum quia istud vocabulum florentinum lonza videtur magis importare pardum, quam aliam feram. 32

(per il leone)

A LTOPA RLA NTI Hic autor describit secundam feram,

guae occurrit sibi, scìlicet leonem, per quem figurat superbiam; et merito, nam leo solùmmodo rugitu suo caetera animalia terret et obstupefacit.

(per la lupa)

ALTOPARLANTI Hic autor describit tertiam feram, scìli­

cet lupam, idest avaritiam, quam ultimo ponit, quia cum, adveniente senectute, cetera vitia senescant, sola avaritia iuvenescit. Et merito figurat avaritiam per lu­ pam, guae est anima! vorax et rapax, et cuius ventris ingluvies est insatiabilis. DANTE miserere di me, qual che tu sii, od ombra, od omo certo! VIRGILIO non omo, omo già fui, e li parenti miei furon lombardi, mantoani per patria, ambedui: nacqui sub Julio, e vissi a Roma, sotto il buono Augusto: poeta fui, e cantai di quel giusto figliuol d'Anchise DANTE o degli altri poeti onore e lume, tu sei il mio maestro, e il mio autore: vedi la bestia, aiutami da lei! VIRGILIO a te conviene tenere altro viaggio, se vuoi campar d'esto loco selvaggio: questa bestia uccide: infin che il veltro verrà, che la farà morire: questi la caccerà fin che l'avrà rimessa nello inferno: ma tu mi segui, e io sarò tua guida per luogo etterno: 33

udirai le disperate strida, vedrai li spiriti dolenti: la seconda morte ciascun grida: DANTE poeta, io ti richeggio che tu mi meni là, sì che io veggia coloro che tu fai cotanto mesti: allor si mosse, e io li tenni dietro

Altoparlanti (per Virgilio)

ALTOPA RLANTI Autor ostendit qualiter, dum ipse sic

infestaretur a praedictis tribus feris, et relaberetur in . . . . . . ' . pr1stmam caec1tatem 1gnorant1ae et v1c1orum, occurr1t sibi quidam fugaturus nubem a mente eius, et hic erat Virgilius poeta. Ad quod est diligentissime prae­ notandum quod Virgilius figuràliter est ratio naturalis in homine, qui novit scientias et artes liberales, quae ab intellectu humano sciri possunt per adquisitionem; quam rationem autor bene figurat in persona Virgilii, quia in eo maxime viguit ratio naturalis inter poetas.

34

appaiono, dalle grotte interne, aprendosi le loro saracine­ sche, in luoghi diversi: sopra le scale a chiocciola, e parla­ no, simultaneamente, rivolgendosi a gruppi diversi� gri­ dando lontano, del pubblico, Caronte, Minosse, Pluto: (si­ multaneamente, anche gli altoparlanti: come sopra): guai a voi ! io vegno per menarvi all'altra riva, nelle tenebre etterne, in caldo e in gelo ! MINOSSE O tu che vieni al doloroso ospizio: guarda come entri, e di cui tu ti fide: non t'inganni l'ampiezza dell'intrare ! PLUTO papé Satàn papé Satàn aleppe ! CARONTE anima viva, pàrtiti da cotesti, che son morti: per altra via, per altri porti • • verrai, non qui, per passare: più lieve legno convien che ti porti: Altoparlanti (per i custodi infernali) ALTOPARLANTI per me per me si va nella città dolente, per me si va nell'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente: lasciate, lasciate ogni speranza, voi che intrate ! CARONTE

35

Francesca e Paolo) dentro una grande voliera mobile) una gabbia da zoo per uccelli: portata sospesa nel vuoto) da una macchina a gru (altre macchine minori: che recano comparse isolate) nude) o anche semplicemente vuote) oscillanti pure nel vuoto); simultaneamente) parlano Paolo) e ancora Mi­ nosse) e la voce (come in precedenza)) o le voci: in altopar­ lante: PAOLO amor è un desio che ven da core

per abundanza de gran plazimento, e gli occhi en prima generan l'amore, e lo core gli dà nutrigamento: amore e il cor gentil sono una cosa, sì come il saggio in suo dittare pone: falli natura quand'è amorosa, amor per sire e il cor per sua magione: bieltate appare in saggia donna, pui, che piace a li occhi sì, che dentro al core nasce un disio della cosa piacente: e simil face in donna omo valente: MINOSSE e come li stornei ne portan l'ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena, così quel fiato li spiriti mali: di qua, di là, di giù, di su li mena: e come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga, così vedi venir, traendo guai,

ombre portate dalla detta briga: quali colombe, dal disio chiamate, con l'ali alzate e ferme al dolce nido, vegnon per l'aere dal voler portate:

Altoparlanti (per Paolo)

ALTOPARLANTI amor est passio quaedam innata procè­

dens ex visione et immoderata cogitatione formae al­ terius sexus, ob quam aliquis super omnia cupit alte­ rius potiri amplexibus et omnia de utriusque volunta­ te in ipsìus amplexu amoris praecepta compleri: ALTOPARLANTI dicitur autem amor ab amo verbo, quod significat capere vel capi: nam qui amat, captus est cu­ pidinis vinculis aliumque desiderat suo capere hamo: FRANCESCA o animal grazioso e benigno, che visitando vai per l'aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno, se fosse amico il re dell'universo, noi pregheremmo lui della tua pace, poic'hai pietà del nostro mal perverso: di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che il vento, come fa, si tace: siede la terra dove nata fui sulla marina dove il Po discende • • • per aver pace co1 seguaci sui: amor, che al cor gentil ratto s'apprende, prese costui della bella persona che mi fu tolta, e il modo ancor m'offende: amor, che a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona: amor condusse noi ad una morte: ma, se a conoscer la prima radice

37

del nostro amor, tu hai cotanto affetto, dirò come colui che piange e dice:

Altoparlanti

ALTOPARLANTI quant Lanceloz voit la reìne

qui a la fenestre s'acline, qui de gros fers estoit ferrée, d'un dolz salu l'a saluée: et ele un autre tost li rant, que molt estoient desirrant, il de li, et ele de lui: li uns pres de l'autre se tret, et andui main a main se tienent: de ce que ansamble ne vienent, lor poise molt a desmesure, qu'il en blasment la ferreùre: mes de ce Lanceloz se vante, que, s'a la reìne atalante, avoec li leanz anterra: ja por les fers ne remanra: et cil s'aparoille et atorne de la fenestre desconfire: as fers se prant, et sache, et tire, si que trestoz ploier les fet et que fors de lor leus les tret: mes si estoit tranchanz li fers que del doi marne jusqu'as ners la premiere once s'an creva, et de l'autre doi se trancha la premerainne jointe tote: et del sane qui jus en degote, ne des plaies, nule ne sant cil qui a autre chose antant: FRANCESCA noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse:

soli eravamo, e sanza alcun sospetto: per più fiate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso: ma solo un punto fu quel che ci vinse:

Altoparlanti

ALTOPARLA NTI la fenestre n'est mie basse,

neporquant Lanceloz i passe molt tost et molt delivremant: et puis vint au lit la reìne, si l'aore et se li ancline, car an nul cors saint ne croit tant: et la reìne li estant ses bras ancontre, si l'anbrace, estroit pres de son piz le lace, si l'a lez li an son lit tret, et le plus bel sanblant li fet que ele onques feire li puet, que d'amors et del cuer li muet: d'amors vient qu'ele lo conjot: et s'ele a lui grant amor ot, et il cent mile tanz a li, car a toz autres cuers failli amors avers qu'au suen ne fist: mes en son cuer tote repr1st amors, et fut si anterine qu'an toz autres cuers fu frarine: FRA NCESCA quando leggemmo il disiato riso esser baciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi baciò tutto tremante: Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante:

39

Ciacco} sul fondo: alcuni diavoli� con pompe a acqua} lo colpiscono con getti (un'autocisterna della polizia si muo­ ve sul terreno)} insieme con altri dannati nudi: altri� in stile da set cinematografico} producono la pioggia (macchi­ ne da presa e da illuminazione} intorno); o tu che sei per questo inferno tratto, • • • • r1conosc1m1, se sai: tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto: la tua città, che è piena d'invidia, sì che già trabocca il sacco, seco mi tenne in la vita serena: voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa della gola, come tu vedi, alla pioggia mi fiacco: e io, anima trista, non son sola, ché tutte queste a simil pena stanno, per simil colpa: li cittadin della città partita verranno al sangue, e la parte selvaggia caccerà l'altra, con molta offensione: poi appresso convien che questa caggia, infra tre soli, e che l'altra sormonti, con la forza di tal che testé piaggia: alte terrà lungo tempo le fronti, tenendo l'altra sotto gravi pesi, come che di ciò pianga, o che n'aonti:

CIACCO

superbia, invidia e avarizia sono le tre faville c'hanno i cuori accesi: ma quando tu sarai nel dolce mondo, priègoti eh'a la mente altrui mi rechi: più non ti dico, e più non ti rispondo:

41

.

altra zona del fondo: cimitero) con le tombe aperte) czrcondate di fiamme: Farinata) poi Cavalcante: FARINATA •

VlVO

o tosco, che per la città del foco

ten



val ,

piacciati di restare in questo loco: sì come ad Arli, ove Rodano stagna, sì come a Pola, presso del Carnaro, che Italia chiude e suoi termini bagna, fanno i sepulcri tutto il loco varo: ma tra gli avelli fiamme stanno sparte, per le quali son sì del tutto accesi, che ferro più non chiede verun'arte: e tutti li coperchi stan sospesi: qui son li eresiarche, coi lor seguaci, d'ogne setta, e molto più che non credi son le tombe carche: simile qui con simile è sepolto, e i monimenti son più e men caldi: • • tutti saran serrati quando di Iosafàt qui torneranno coi corpi che là su hanno lasciati: suo cimitero da questa parte hanno, con Epicuro, tutti i suoi seguaci che l'anima col corpo morta fanno: (le due voci simultanee) ma in gara per coprirsi a vicenda) FARINATA li maggior tui 42

fieramente furo avversi • • • • • • a me, e a1 m1e1 pr1m1, e a mia parte, sì che per due fiate li dispersi: ei fur cacciati, ma tornar d'ogni parte, l'una e l'altra fiata: ma i nostri non appreser ben quest'arte: • CAVALCANTE se per questo cieco carcere vai per altezza d'ingegno, mio figlio ov'è? e perché non è teco? come? come dicesti? non vive elli ancora? non fiere li occhi suoi lo dolce lome? FARINATA ciò mi tormenta più che questo letto: ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia della donna che qui regge, che tu saprai quanto quest'arte pesa: e se tu mai nel dolce mondo regge, dimmi: perché quel popolo è sì empio, incontro ai miei, in ciascuna sua legge? al grande scempio che fece l' Arbia colorata in rosso, non fui io sol, né certo sanza cagion con li altri sarei mosso: ma fui io solo, là dove sofferto fu per ciascun di tòrre via Fiorenza colui che la difese a viso aperto: CAVALCANTE noi veggiamo, dinanzi, quel che il tempo seco adduce, ma nel presente teniamo altro modo: noi veggiam come quei c'ha male luce le cose, dico, che ne son lontano: cotanto ancor ne splende il sommo duce: quando s'appressano o son, tutto è vano 43

nostro intelletto: e s'altri non ci apporta, nulla sapem di vostro stato umano: però comprender puoi che tutta morta fia nostra conoscenza, da quel punto che del futuro fia chiusa la porta: qui con più di mille giaccio: qua dentro è il secondo Federico: e de li altri, mi taccio:

44

Pier della Vigna, sopra la scala, uomo-pianta, in una sel­ va: la voce è deformata dalla mascheratura vegetale: perché mi schiante? perché mi scerpi? non hai tu spirto di pietade alcuno? uomini fummo, e or siam fatti sterpi: ben dovrebb'esser la tua man più pia, se state fossimo anime di serpi: come d'un stizzo verde, ch'arso sia da l'un de' capi, che da l'altro geme e cigola per vento che va via, sì della scheggia rotta escono insieme parole e sangue: • • • 10 non posso tacere: e voi non gravi perch'io un poco a ragionar m'inveschi: io son colui che tenni ambo le chiavi del cor di Federigo, e che le volsi, serrando e diserrando, sì soavi, che dal secreto suo quasi ogn'uom tolsi: fede portai al glorioso offizio, tanto ch'io ne perdei li sonni e i polsi: la meretrice che mai dall'ospizio di Cesare non torse li occhi putti, morte comune, e de le corti vizio, infiammò contra me li animi tutti, e li infiammati infiammar sì Augusto,

PIER DELLA VIGNA

45

che i lieti onor tornaro in tristi lutti: l'animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto: per le nove radici d'esto legno, vi giuro che giammai non ruppi fede al mio segnar, che fu d'onor sì degno: e se di voi alcun nel mondo riede, conforti la memoria mia, che giace ancor del colpo che invidia le diede: quando si parte l'anima feroce dal corpo ond'ella stessa n'è disvelta, Minòs la manda alla settima foce: cade in la selva, e non l'è parte scelta, ma là dove fortuna la balestra, quivi germoglia, come gran di spelta: surge in vermena, e in pianta silvestra: l'Arpìe, pascendo poi delle sue foglie, fanno dolore, e al dolor fenestra: come l'altre, verrem per nostre spoglie, ma non però eh'alcuna sen rivesta: ché non è giusto aver ciò eh'om si toglie: qui le trascineremo, e per la mesta selva saranno i nostri corpi appesi, ciascuno al prun dell'ombra sua molesta: irrompono due ombre, correndo, gettandosi nella selva, inseguite da demoni mascherati da cani: una di queste si butta sopra un cespuglio: gridando: OMBRA or accorri, accorri, morte ! parla il cespuglio: (faticosamente, per la mascheratura, co­ me Pier della Vigna, ma con effetto /onico diverso): CESPUGLIO che ti è giovato di me fare schermo? che colpa ho io della tua vita rea? o anime, che giunte

siete a veder lo strazio disonesto c'ha le mie fronde sì da me disgiunte, raccoglietele al piè del tristo cesto: io fui della città che nel Batista mutò il primo padrone; ond'ei per questo sempre con l'arte sua la farà trista: e se non fosse che in sul passo d'Arno rimane ancor di lui alcuna vista, quei cittadin che poi la rifondarno sovra il cener che d'Attila rimase, avrebber fatto lavorare indarno: io fei giubbetto a me delle mie case:

47

altre zone delle scale: terrazze sabbiose, pioggia di fuoco: Capaneo, gigantesco, steso a terra: poi Brunetto, cammi­ nando lentamente: poi i tre fiorentini: correndo in cerchio ) su e giù, quasi danzando: poi l usuraio Scrovegni: le zone sono illuminate, adesso) soltanto da fuochi artifi­ ciali: che esplodono rumorosi: e ricadono sui dannati: durante l ) ultima sezione di Capaneo, su schermi: cascate e rumori di acque, in proiezioni: e immagini di fiumi e pa­ ludi ecc. : io, Capaneo, fui l'un dei sette regi che assiser Tebe, ed ebbi, e par che io abbia Dio in disdegno, e poco par che io il pregi: qual io fui vivo, tal son morto: se Giove stanchi il suo fabbro, da cui crucciato prese la folgore aguta onde l'ultimo dì percosso fui, o s'elli stanchi li altri a muta a muta, in Mongibello, a la focina negra, chiamando "buon Vulcano, aiuta, aiuta !", sì com'el fece alla pugna di Flegra, e me saetti di tutta sua forza, non ne potrebbe aver vendetta allegra: Capaneo e Brunetto BRUNETTO qual maraviglia ! io son qui, ser Brunetto: e dico: figliuol mio, non ti dispiaccia se Brunetto Latino un poco teco CAPANEO

ritorna indietro, e lascia andar la traccia: o figliuol mio, qual di questa greggia . . . s ' arresta punto, giace poi cent ' anni sanz' arrostarsi, quando il foco il feggia: però va' oltre: io ti verrò ai panni: e poi rigiugnerò la mia masnada : o figliuol mio, se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto, se ben m 'accorsi nella vita bella: e s'io non fossi sì per tempo morto, veggendo il cielo a te così benigno , dato t'avrei ali' opera conforto: ma quello ingrato popolo maligno , che discese di Fiesole ab antico, e tiene ancor del monte e del macigno, ti si farà, per tuo ben far, nimico: ed è ragion , ché tra li lazzi sorbi si disconvien fruttare al dolce fico: vecchia fama nel mondo li chiama orbi: gent'è avara, invidiosa e superba: dai lor costumi fa' che tu ti forbi: la tua fortuna tanto onor ti serba, che l'una parte e l'altra avranno fame di te: ma lungi fia dal becco l'erba: faccian le bestie fiesolane strame di lor medesme, e non tocchin la pianta, s ' alcuna sorge ancora in lor letame, in cui riviva la sementa santa di quei roman, che vi rimaser quando fu fatto il nido di malizia tanta: di più direi: ma il venire e il sermone più lungo esser non può, però ch'io veggio là surger nuovo fummo del sabbione: gente vien con la quale esser non deggio: 49

sieti raccomandato il mio Tesoro, nel qual io vivo ancora, e più non cheggio: (Capaneo, ora, parla come fondo sonoro a Brunetto): CAPANEO in mezzo mar siede un paese guasto che s'appella Creta, sotto il cui rege fu già il mondo casto: una montagna v'è, che già fu lieta d'acqua e di fronde, che si chiamò Ida: ora è diserta, come cosa vieta: Rea la scelse già per cuna fida del suo figliuolo, e per celarlo meglio, quando piangea, vi facea far le grida: dentro dal monte sta ritto un gran veglio, che tien volte le spalle inver Dammiata, e Roma guarda come suo speglio: la sua testa è di fin oro formata, e puro argento son le braccia e il petto, poi è di rame infino alla forcata: da indi in giuso è tutto ferro eletto, salvo che il destro piede è terra cotta: e sta in su quel più che in su l'altro eretto: ciascuna parte, fuor che l'oro, è rotta d'una fessura che lagrime goccia, le quali, accolte, foran quella grotta: lor corso in quella valle si diroccia: fanno Acheronta, Stige e Flegetonta: poi sen van giù, per questa stretta doccia, infin là ove più non si dismonta: fanno Cocito: e qual sia quello stagno, tu lo vedrai; però qui non si conta: Letè vedrai, ma fuor di questa fossa, là dove vanno l'anime a lavarsi, quando la colpa pentuta è rimossa: Rusticucci e Scrovegni

se la miseria d'esto loco sollo rende in dispetto noi e nostri prieghi, e il tinto aspetto e brollo, la fama nostra il tuo animo pieghi; questi, l'orme di cui pestar mi vedi, tutto che nudo e dipelato vada, fu di grado maggior che tu non credi: nepote fu della buona Gualdrada: Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita fece col senno assai e con la spada: l'altro, eh'appresso me la rena trita, è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce nel mondo su dovrìa esser gradita: e io, che posto son con loro in croce, Iacopo Rusticucci fui, e certo la fiera moglie, più eh'altro, mi nuoce: or Guglielmo Borsiere, il qual si duole con noi per poco, e va là coi compagni, assai ne cruccia con le sue parole: la gente nuova e i subiti guadagni orgoglio e dismisura han generata, Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni: e tu, se campi d'esti luoghi bui, e torni a riveder le belle stelle, quando ti gioverà dicere "io fui", fa' che di noi a le gente favelle: (Scrovegni� come fondo sonoro al fiorentino Rusticucci): SCROVEGNI filosofia, a chi la intende, nota, non pur in una sola parte, come natura lo suo corso prende dal divino intelletto e da sua arte: e se tu ben la tua Fisica note, tu troverai, dopo non molte carte, che l'arte vostra quella, quanto pote,

IACOPO RUSTICUCCI

51

segue, come il maestro fa il discente, sì che vostr'arte a Dio quasi è nepote: da queste due, se tu ti rechi a mente lo Genesì dal principio, convene prender sua vita e avanzar la gente: e perché l'usuriere altra via tene, per sé natura, e per la sua seguace, dispregia, poi ch'in altro pon la spene: ora ten va': e perché sei vivo anco, sappi che il mio vicin Vitaliano sederà qui, dal mio sinistro fianco: con questi fiorentin son padovano: spesse fiate m'intronano li orecchi, gridando: "vegna il cavalier sovrano, che recherà la tasca con tre becchi!":

Altoparlanti

ALTOPARLANTI with usura:

with usura hath no man a house of good stone: with usura hath no man a painted paradise on bis church wall, harpes et luthes: with usura no picture is made to endure nor to live with, but it is made to sell and sell quickly: with usura, sin against nature: contra naturam:

52

dal /ondo, una macchina solleva Gerione sino all'altezza degli spettatori: Altoparlanti

ALTOPARLANTI ecco la fiera con la coda aguzza,

che passa i monti, e rompe i muri e l'armi: ecco colei che tutto il mondo appuzza: e quella sozza imagine di froda sen viene, e arriva qui la costa e il busto, ma in su la riva non tragge la coda: la faccia sua è una faccia d'uom giusto, tanto ha benigna di fuori la pelle, e d'un serpente tutto l'altro fusto: ha due branche pilose insin l'ascelle, lo dosso e il petto e ambedue le coste ha dipinti di nodi e di rotelle: con più color, sommesse e sovraposte non fer mai drappi tartari né turchi, né fuor tai tele per Aragne imposte: come tal volta stanno a riva i burchi, che parte sono in acqua e parte in terra, e come là tra li tedeschi lurchi lo bivero s'assetta a far sua guerra, così la fiera pessima si sta sull'orlo ch'è di pietra e il sabbion serra: nel vano tutta la sua coda guizza, torcendo in su la venenosa forca,

53

che a guisa di scorpione arma la punta: ALTOPA RLA NTI and a sour song f rom the f olds of his belly sang Gerione: GERIONE circling in eddying air, in the hurry: I am Geryon, twin with usura: you who have lived in a stage set: a thousand were dead in my folds: five million, youth without jobs: four million, adult illiterates: fifteen million, vocational misfits, that is with small chance for jobs: nine million person annua!, injured in preventable industriai accidents: (la macchina riconduce Gerione sul fondo) Altoparlanti ALTOPARLANTI hic Geryon est: hic hyperusura: ALTOPARLANTI come la navicella esce di loco, in dietro in dietro, sì quindi si toglie, e poi ch'al tutto egli si sente a gioco, là ov'era il petto la coda rivolge, e quella tesa, come anguilla, move, e con le branche l'aere a se raccoglie: come il falcon, che è stato assai sull'ali, che, sanza veder logoro o uccello, fa dire al falconiere "ohmè, tu cali !" , discende lasso onde si move isnello, per cento rote, e da lungi si pone dal suo maestro, disdegnoso e fello, così si pone al fondo, Gerione, al piè al piè della stagliata rocca: si fugge poi, come da corda, cocca: GERIONE Pietro Lombardo carne not by usura: Duccio carne not by usura, nor Pier della Francesca: Zuan Bellin' not by usura, 54

nor was "La Calunnia" painted: carne not by usura Angelico: carne not Ambrogio Praedis: carne no church of cut stone signed: "Adamo me fecit": not by usura St Trophime, not by usura St Hilaire: usura rusteth the chisel, it rusteth the craft and the craftsman, it gnaweth the thread in the loom, none learneth to weave gold in her pattern: azure hath a canker by usura: cramoisi is unbroidered: emerald findeth no Memling: contra naturam: they bave brought whores for Eleusis: corpses are set to banquet, at behest of usura: (buio)

55

Secondo tempo

Malebolge: sopra un grande schermo si proietta la Torre di Babele di Brueghel, rovesciata; attraverso dissolvenze incrociate, seguono, come in una lenta metamorfosi: altre immagini della struttura infernale, ricavate da opere pit­ } ) " toriche (compresi gli schemi dell imbuto ' infernale dan­ tesco, nei manuali scolastici); davanti allo schermo, accompagnato da vallette e boys, un tipico presentatore televisivo (allusioni precise a schemi e personaggi noti: ma senza elementi strettamente parodici); è bene che il suo ingresso sia preceduto da un breve ballet­ to (rock duro), sempre tipicamente televisivo (le proiezioni dello schermo devono seguirne il ritmo, in stile videomu­ sic)) fortemente erotico, e piuttosto osceno (molto nudo); presentatore e valletta parlano e gestiscono nei modi abi­ tuali: spostando completamente il tono dei testi (latino di Benvenuto, e versi danteschi); (in parte leggono, come ) d uso, in parte sembrano improvvisare, con pause, incer­ tezze) umorismo, ironia, ecc. ); (applausi e risate registrate); Presentatore e Valletta PRESENTATORE Describitur primo locus a nomine novo, et est nomen convèniens: bulgia enim, in vulgari fio­ rentino, est idem quod vallis concava et capax: modo iste circulus continet intra se multas valles, quarum quaelibet est capax multorum valde: et est nomen

compòsitum singularis numeri: et bene sic vocatur, quia cum omnes valles inferni sint malae, istae per excellentiam possunt dici malae: VALLETTA o Simòn Mago, o miseri seguaci che le cose di Dio, che di bontade deon essere spose, e voi rapaci per oro e per argento avolterate, or convien che per voi suoni la tromba: PRESENTATORE o somma sapienza, quanta è l'arte che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo, e quanto giusto tua virtù comparte!

Altoparlanti

ALTOPARLANTI luogo è in inferno detto Malebolge,

tutto di pietra di color ferrigno, come la cerchia che dintorno il volge: nel dritto mezzo del campo maligno, vaneggia un pozzo assai largo e profondo: quel cinghio che rimane adunque è tondo tra il pozzo e il piè dell'alta ripa dura, e ha distinto in dieci valli il fondo: ALTOPARLANTI quale, dove per guardia delle mura più e più fossi cingon li castelli, la parte dove son rende figura, tale imagine quivi fanno quelli: e come a tai fortezze dai lor sogli alla ripa di fuor son ponticelli, così da imo della roccia scogli movono ricidendo argini e fossi, infino al pozzo che i tronca e raccogli: ALTOPARLANTI la frode, ond'ogni coscienza è morsa può l'uomo usare in colui che in lui fida e in quel che fidanza non imborsa: ipocrisia, lusinghe, e chi affattura, falsità, ladroneccio e simonia, 57

ruffian, baratti, e simile lordura: per l'altro modo quell'amor s'oblia che fa natura, e quel ch'è poi aggiunto, di che la fede spezia! si cria: onde nel cerchio minore, ov' è il punto dell'universo, in su che Dite siede: qualunque trade in etterno è consunto:

(presentatore e valletta si /anno innanzi� sopra le scale qui trattate come scenografia televisiva); (con questi: un prestigiatore); lungo la parete} sopra un ripiano delle scale} una serie di casse (stile bara)} in verticale} come si usano nelle scene della "ragazza segata in due)) ; pontefici> cardinali� vescovi: sono chiusi dentro le casse} che presentatore} valletta, pre­ ) ) stigiatore, osservano dall alto, e dall alto comunicano con papa Niccolò} in particolare; le casse sono chiuse da porte a vetro, che rendono visibili i simoniaci� dentro sepolti> questi� ovviamente} stanno a testa in giù, con i piedi in al­ to, che sporgono, fiammeggianti> la voce del papa esce fa­ ticosamente (con microfono che fischia, è disturbato} ru­ moreggia, soffia, prima che egli parli)} dal fondo della cas­ sa, dove sta la sua testa; Prestigiatore e Niccolò III PRESTIGIATORE o qual che se', che il di sù tien di sotto, anima trista come pal commessa, se puoi, fa' motto: (il prestigiatore deve mescolare toni e gesti di mago e di parapsicologo, tra puro spettacolo e esperimento parascientifico) NICCOLÒ se' tu già costì ritto, se' tu già costì ritto, Bonifazio? di parecchi anni mi mentì lo scritto: se' tu sì tosto di quell'aver sazio 59

per lo qual non temesti tòrre a inganno la bella donna, e poi di farne strazio? PRESTIGIATORE non son colui, non son colui che credi: NICCOLÒ dunque, che a me richiedi? se di saper chi io sia ti cal cotanto, che tu abbi però la ripa corsa, sappi ch'io fui vestito del gran manto: e veramente fui figliuol dell'orsa, cùpido sì per avanzar li orsatti, che su l'avere, e qui me misi in borsa: di sotto al capo mio son li altri tratti che precedetter me simoneggiando, per le fessure della pietra piatti: là giù cascherò io altresì, quando verrà colui ch'io credea che tu fossi, allor ch'io feci il sùbito dimando: ma più è il tempo già che i piè mi cossi, e ch'io son stato così sottosopra, eh'el non starà piantato coi piè rossi: ché dopo lui verrà di più laida opra, di ver ponente, un pastor sanza legge, tal che convien che lui e me ricopra: novo Iasòn sarà, di cui si legge nei Maccabei, e come a quel fu molle suo re, così fia lui chi Francia regge: Presentatore, Prestigiatore, Valletta PRESENTATORE (con tono da quiz) deh, or mi di': quanto [tesoro volle Nostro Segnore in prima da san Pietro eh'ei ponesse le chiavi in sua balìa? PRESTIGIATORE (a parte) certo non chiese, se non "Viemmi " [retro : né Pier né li altri tolsero a Mattia oro od argento, quando fu sortito al loco che perdé l'anima ria: 60

però ti sta, che tu sei ben punito: e guarda ben la mal tolta moneta, eh'esser ti fece, contra Carlo, ardito: e se non fosse eh'ancor lo mi vieta la reverenza delle somme chiavi, che tu tenesti nella vita lieta, io userei parole ancor più gravi, ché la vostra avarizia il mondo attrista, calcando i buoni, e sollevando i pravi: PRESTIGIATORE di voi, pastor, s'accorse il Vangelista, quando colei che siede sopra l'acque puttaneggiar coi regi a lui fu vista: quella che con le sette teste nacque , e dalle diece corna ebbe argomento, fin che virtute al suo marito piacque: fatto v'avete Dio d'oro e d'argento: e che altro è da voi a !'idolatre, se non ch'elli uno, e voi ne orate cento? ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote, che da te prese il primo ricco patre ! (mentre il prestigiatore parla, le luci si attenuano sino a spegnersi: nella zona dei simoniaci - intanto, presentatore e valletta tornano presso lo schermo che si riattiva: passa­ no) in dissolvenza incrociata) come prima) figure demonia­ ) che: adesso sono immagini d arte medievale) diavoli e mo­ stri - balletto in tono, di girls e boys, rock duro);

VALLETTA

61

i Malebranche; una piscina, grande, sul fondo; liquido nero, in apparenza ribollente (bolle che si gonfiano, in superficie, e si spacca­ no, con caratteristico rumore), e fumo che si solleva; sopra la superficie, qua e là, manichini bianchi che galleggiano, rappresentando i dannati (deve essere evidente} tuttavia, che si tratta di manichini da vetrina, nudi); ai lati� quanto occorre per una piscina (sdraio, tavolini� gommoni: salvagente} cabine, accappatoi: spugne} ecc. ); un trampolino} ecc. ; i diavoli alati di Malebranche} appaiono in tipico costume di subacquei: la voce deformata dalla maschera: tute nere} pinne ai piedi - e ali molto grandi: in più, sempre nere, da pipistrello} ma goffe, impaccianti:· sono tutti armati di fucili subacquei: ogni tanto} colpisco­ no i manichini: trafiggendoli> guanti con artigli evidenti> alcuni diavoli sotto la doccia; altri escono e entrano da ca­ bine laterali:· (il primo Malebranche arriva correndo - altri sono stesi a terra o sopra le sdraio, oziosi: leggendo giornali: ascoltan­ do radioline: si sente discomusic leggiera} sullo sfondo - a fatica - per le ali e le pinne - con un manichino su una spalla: sale sul trampolino, e lo getta nella piscina): MALEBRANCHE 1 o Malebranche ! ecco un de li anzian di Santa Zita !

mettete! sotto, ch ' io torno per anche a quella terra, che n ' è ben fornita; ogn ' uom v ' è barattier, fuorché Bonturo: del no, per li denar, vi si fa ita: (esce, correndo, dopo aver pronunciato questo discorso dal!'altezza del trampolino, oscillandovi sopra con /or­ za, e dopo aver gettato il manichino nella piscina): (i Malebranche, in coro, a una voce, mirando e sparando con i loro fucili): (coro parlato, scandito, scolastico): I MALEBRANCHE qui non ha loco il Santo Volto: qui si nuota altrimenti che nel Serchio ! però , se tu non vuoi di nostri graffi, non far, sopra la pegola, soverchio: coverto, convien che qui balli, sì che, se puoi, nascosamente accaffi ! (due Malebranche si concentrano sopra un manichino, vi­ cino alla scaletta che dà accesso alla piscina): MALEBRANCHE 2 vuoi che il tocchi in sul groppone? MALEBRANCHE 3 sì, fa che gliel ' accocchi ! (interviene Malacoda, con autorità): MALACODA posa, posa, Scarmiglione ! tra ' ti avante, Alichino, e Calcabrina, e tu, Cagnazzo: e Barbariccia guidi la decina: Libicocco vegn ' oltre, e Draghignazzo, Ciriatto sannuto, e Graffiacane, e F arfarello , e Rubicante pazzo: cercate intorno le boglienti pane ! (i dieci si raccolgono intorno a Malacoda, e a questo pun­ to indossano le maschere, se già non le hanno, e raccolgo­ no i /ucili subacquei� se non li hanno già in mano - si va­ riano le situazioni� e gli atteggiamenti: le maschere, tutte da sub, sono tuttavia caratterizzate: Alichino ha una ma-

schera a vivaci colori: arlecchinesca appunto: Calcabrina una maschera che pare un passamontagna: Cagnazzo una maschera rossa a muso di cane: Barbariccia una maschera vistosamente barbuta: Libicocco una maschera primitiva africana: Draghignazzo una orientale: Ciriatto una testa di maiale con zanne: Gra//iacane una testa da gatto: Far/arella una maschera carnevalesca: Rubicante macchiata di sangue - movimenti diversi: ma con un fondo costante, in questo momento, da commedia dell'arte); (si raccolgono intorno a Malacoda, e, prima di indossare la maschera, o taluni levandola un momento, mostrano la lin­ gua - atteggiamenti osceni: tutti: qualcuno fa il gesto del pernacchia); (rumorosa "del cul trombetta" di Malacoda, in posa ostentata, a culo nudo, scoprendosi il sedere, tatuato come una faccia, tirando una chiusura lampo: ma si scopre anche il fallo enorme, in erezione, con enormi testicoli); (a ritmo di pernacchi: tutti mascherati - le maschere aiu­ tano il rimbombo - in fila indiana, percorrono la sponda della piscina, in ronda); ( Gra//iacane si /erma di colpo, prende una sorta di lunga fiocina, a//erra un manichino che ha una grossa parrucca, che galleggia nella piscina, e lo tiene sospeso in aria): I MALEBRA NCHE o Rubicante, fa' che tu li metti li unghioni addosso, sì che tu lo scuoi ! (il manichino parla, voce da automa su nastro: è una sorta di androide): MA NICHINO io fui del regno di Navarra nato: mia madre a servo d'un segnor mi puose, che m'avea generato d'un ribaldo, distruggitor di sé e di sue cose: poi fui famiglia del buon re Tebaldo: quivi mi misi a far baratteria: di ch'io rendo ragione, in questo caldo: ( Ciriatto lo aggredisce con le sue zanne, lacerando l'an-

droide; dal suo corpo escono grosse vitz: bulloni: molle: è una sorta di robot che si guasta: mugolio interno, metalli­ co, e voce di registratore che ruota impazzito): ) (Barbariccia abbraccia l androide) per proteggerlo): BARBARICCIA State là, mentr'io lo inforco: (il manichino riprende a parlare, come un nastro a veloci­ tà impropria, che risuona cosi' rimbombando) deformata): • • •• MANICHINO 10 ml part11, poco è, laggiù, da un degli altri rii, sotto la pece, che fu già latino: così foss 'io ancor con lui coperto ! ch'io non temerei unghia né uncino: (Lzbicocco interviene) con una fiocina) e gli stacca un braccio): LIBI COCCO troppo avem sofferto ! (Draghignazzo gli spara alle gambe) e dal manichino) al solito, fuorescono pezzi metallici): BARBARICCIA chi fu colui da cui mala partita di' che facesti, per venire a proda? (il manichino risponde con voce sempre più lenta e stona­ ta, tuttavia ancora intelligibile, ma a fatica) e con lunghe pause) di silenzi e di gracchiamenti strani): MANICHINO fu frate Gomita, quel di Gallura, vasel d' ogne froda, eh' ebbe i nemici di suo donna in mano, e fe' sì lor, che ciascun se ne loda: danar si tolse, e lasciolli di piano, sì come ei dice: e ne li altri offici anche barattier fu non picciol, ma sovrano: usa con esso danno Miche! Zanche di Logodoro: e a dir di Sardigna le lingue lor non si sentono stanche: ohmè, vedete l'altro che digrigna: io direi anche, ma io temo eh'ella non s'apparecchi a grattarmi la tigna:

(Far/arella cerca di assalire !)androide: Barbariccia lo pro­ tegge): BARBARICCIA fatti in costà, malvagio uccello ! MANICHINO se voi volete vedere o udire toschi o lombardi, io ne farò venire: ma stieno i Malebranche un poco in cesso, sì eh' ei non teman de le lor vendette: e io, seggendo in questo loco stesso, per un ch 'io son, ne farò venir sette, quand'io suffolerò, com'è nostro uso di fare, allor che fuori alcun si mette: CAGNAZZO odi malizia eh'elli ha pensata, per gittarsi giuso ! MANICHINO malizioso son io troppo, quando procuro ai mia maggior trestizia: ALICHINO se tu ti cali, io non ti verrò dietro di gualoppo, ma batterò sovra la pece le ali: lascisi il collo, e sia la ripa scudo, a veder se tu sol più di noi vali ! (i Malebranche si ritirano, appoggiando il manichino a un ) portamantellz� che sta vicino al! orlo della piscina) metten­ dolo faticosamente in equilibrio: il margine della piscina rimane cosz' vuoto) con i demoni raccolti in un angolo) co­ me giocatori di rugby in attesa): (il manichino ha come uno scatto meccanico improvviso, e con un salto cade in acqua): (Alichino, che sarà appeso a un filo metallico, con una carrucola, su cui poi parte anche Calcabrina, vola sulla pi­ scina, rasentando la superficie): ALI CHINO tu se' giunto ! (rimane sospeso per aria) girando su se stesso) dopo aver mancato il manichino: Calcabrina lo segue) carrucolato, e i due si scontrano in aria: sganciati: precipitano nella pe66

ce) dentro la piscina): (grande tumulto: i due démoni si agitano disperati: annaspando nell )acqua) come annegan­ do) impacciati dalle loro maschere} dal costume} dalle ali: spariscono e riemergono) tra i manichini): (Barbariccia con grandi gesti impone a tutti di schierarsi intorno alla piscina) cercando di soccorrerli� con uncini - si gettano due salvagenti enormi: si gettano corde): (colonna sonora fragorosa) mentre) dai due lati della pisci­ ) na) come in un finale d opera) si chiude un sipario di vel­ luto rosso):

ladri:· ) un deserto, un oasi (stile tra cartolina e presepe): palme) dune, tende, un pozzo (volendo) cammelli sullo sfondo); Altoparlanti ALTOPARLANTI più non si vanti Libia con sua rena: ché se chelìdri, iàcule e farèe produce, e ceneri con anfisibèna, né tante pestilenzie, né sì ree, mostrò già mai con tutta l'Efiòpia, né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe: esce dal pozzo una grande massa) in lunga fila, di uomini­ serpente (in verità, piuttosto figure di draghi� quali posso­ no vedersi in raffigurazioni medievali e orientali), e, in continuo movimento) invadono la scena) come tentacoli che proliferano, sibilando e soffiando (risulti evidente che si tratta di rivestimenti gon/tati� indossati da mimi); ma dal pozzo, in mezzo ai serpenti: emergono anche uomini nudi: che (in una sorta di balletto) cercano di districarsi dai serpenti (serpenti minori legano le loro mani: le loro gambe, rendendone dif/t"cili i gesti e i movimenti: barcollano) in­ ciampano) impediti di sfuggire veramente; questi serpenti­ vincolo devono risaltare sopra il bianco dei corpi: nerissimi); un uomo avanza in primo piano, quasi sfuggendo ai ser­ penti� ma un grosso serpente lo tra/t·gge tra il collo e le spalle (stile vampiresco - meglio se il serpente sarà alato, con denti draculeschi); è Vanni Fucci> 68

l ) uomo si accende, arde (il serpente ritorna nella massa più confusa)} cade a terra} come epilettico, dibattendosi� sparisce nella sabbia mobile; luce concentrata sopra il bu­ } co sabbioso dove è scomparso; poi� un po alla volta, egli riappare, in atteggiamento smarrito} come ritornando in sé, faticosamente, molto lentamente, nel silenzio (cessano i soffi e i sibili: i serpenti sono immobili): VANNI FUCCI io piovvi di Toscana, poco tempo è, in questa gola fera: vita bestia! mi piacque, e non umana, sì come a mul ch'io fui: son Vanni Fucci bestia, e Pistoia mi fu degna tana: in giù son messo tanto, perch'io fui ladro a la sagrestia dei belli arredi, e falsamente già fu apposto altrui: ma perché di tal vista tu non godi, se mai sarai di fuor dai luoghi bui, apri li orecchi al mio annunzio, e odi: Pistoia, in prima, di Negri si dimagra: poi Fiorenza rinnova gente e modi: tragge Marte vapor di Val di Magra, ch'è di torbidi nuvoli involuto, e con tempesta 1mpetuosa e agra sovra Campo Picen fia combattuto: ond'ei repente spezzerà la nebbia, sì ch'ogne Bianco ne sarà feruto: e detto l'ho perché doler ti debbia ! mentre Vanni Fucci parla, le luci si attenuano (segnata­ ) mente da "luoghi bui ') progressivamente, sino al buio; poi tornano di colpo: VANNI FUCCI togli, Dio, che a te le squadro ! (e fa il ge­ sto delle fiche con entrambe le mani); due serpenti escono dal gruppo} che riprende un movi­ mento intenso; uno lo stringe al collo} dicendo:

non vo' che più diche: (con voce mostruosa); un altro gli vincola le braccia; lotta (alla Laocoonte, con evidente allusione scultorea), con momenti di immobilità statuaria; Vanni Fucci� infine, si libera dalla stretta dei serpenti� che tornano piano nella massa; nel!) atto in cui Fucci prende a correre, arriva un centauro (è piuttosto un cammello dal volto umano, in armonia con la scena), che lo insegue: è Caco: CACO ov'è, ov'è l'acerbo? Fucci sparisce fuori scena: Caco si arresta, e recita pacata­ mente, rivolto al pubblico: CACO io sono Caco, che sotto il sasso di monte Aventino di sangue feci spesse volte laco: non vo coi miei fratei per un cammino, per lo furto che frodolento feci del grande armento ch'io m'ebbi a vicino: onde cessar le mie opere sotto la mazza d'Ercule: si allontana, fiaccamente, nella direzione di Fucci� e esce; ora, vengono avanti� staccandosi dalla massa, i tre ladri fiorentini (lo stile è quello di tre comici� che avanzano a prodursi� sul proscenio, insieme - anche tenendosi per mano, volendo); LADRO 1 Cianfa dove fia rimaso? si guardano in giro; arriva d'un balzo un serpente nero a sei piedi� che piomba addosso al Ladro I, avvinghiandolo e gettandolo a terra: scena di coito violento e prolungato; Ladro 2 addita lo spettacolo a Ladro 3: LADRO 2 co' piè di mezzo li avvince la pancia, e con li anterior le braccia prende, e poi li addenta e l'una e l'altra guancia: li diretani alle cosce distende, e li mette la coda tra ambedue: SERPENTE

e dietro, per le ren, su la ritende: ellera abbarbicata mai non fue ad alber sì, come l'orribil fiera per l'altrui membra avviticchia le sue: s'appiccan sì, come di calda cera fossero fatti, e mischian lor colore: né l'un né l'altro pare già quel eh'era: come procede innanzi dall'ardore, per lo papiro, suso, un color bruno, che non è nero ancora, e il bianco more: (per gradz: l )amplesso si fa più lento: l )uomo bianco è co­ me assorbito dal serpente nero; ma il colore è bruno: l'ef /etto di violenza carnale si attenua per gradi) : LADRO 3 ohmè, Agnel, come ti muti ! vedi che già non sei né due né uno ! il serpente a sei piedi ha assorbito in sé, copulando, l'uo­ mo: con zampe-mani traballanti: ora, si allontana, goffo, de/orme, in/orme, rigonfio; . . . . . ' LADRO 2 ogni pr1ma10 aspetto qu1v1 e casso: due e nessun l'imagine perversa già pare: e tal sen va, con lento passo: appena ha pronunciato queste parole, mentre il mostro sparisce fuori scena, un serpente in figura di ramarro) ros­ so e nero, si avventa sul Ladro 2, e con un morso gli ) squarcia ! ombelico; il suo ventre sanguina (effetto di par­ to); egli sbadiglia vistosamente, come preso da sonno; il ventre gli fuma; e fuma la bocca del ramarro gigante; i due si guardano, l )uno di fronte all )altro) immobili: Altoparlanti ALTOPARLANTI taccia Lucano ormai, là dove tocca del misero Sabello e di Nasidio, e attenda a udir quel eh'or si scocca: taccia di Cadmo e d' Aretusa Ovidio, ché se quello in serpente e quella in fonte 71

converte poetando, io non lo invidio: ché due nature mai a fronte a fronte non trasmutò, sì eh ' amendue le forme a cambiar lor matera fosser pronte: il /umo si sparge) sempre più denso) e avvolge le due figu­ re) che si intravedono vagamente; Ladro 3 descrive la scena) guardando intentamente nella nube di /umo) con tono e gesti da telecronista; LADRO 3 insieme si rispondono a tai norme, che il serpente la coda in forca fende, e il feruto ristringe insieme l' orme: toglie la coda fessa la figura che già si perde là, e la sua pelle molle si face, e quella di là dura: io vedo in trar le braccia per l' ascelle, e i due piè della fiera, che son corti, allungan tanto quanto accorcian quelle: poscia, li piè di retro, insieme attorti, diventano lo membro che l'uom cela , e il misero, del suo, ne ha già due porti: mentre che il fummo l'uno e l'altro vela di color novo, e genera il pel suso per l'una parte e dall'altra il dipela, l'uno si leva e l'altro cade giuso, non torcendo però le lucerne empie, sotto le quai ciascun qui cambia muso: quel ch'è ora dritto, il tragge ver le tempie, e di troppa materia che in là viene escon li orecchi dalle gote scempie: ciò che non corre indietro, e si ritiene di quel soverchio, fa naso alla faccia: le labbra ingrossa quanto si conviene: quello che giace, il muso innanzi caccia, e li orecchi ritira per la testa, 72

come face le corna la lumaccia, e la lingua, che aveva unita e presta, prima, a parlar, si fende: e la forcuta nell 'altra si richiude: e il fummo resta: di colpo) il /umo si dissolve: le due figure hanno scambia­ to le parti� come se l )uomo fosse divenuto un grande ra• marra e viceversa; il grande ramarro rientra tra i serpenti: fischiando come un ) treno; l uomo gli sputa dietro) energicamente) più volte) co­ me a scongiuro: è il Ladro 4 (interpretato dal Ladro 2): LADRO 4 io vo' che Buoso corra, come ho fatt'io, carpon, per questo calle: (buio completo)

73

Ulisse e Guido: i dannati appaiono) adesso) illuminati da luci psichedeli­ ) che) come in una discoteca) che, rosse, aiutano l immagine di fiamme: i dannati sono uomini-fiamma: sono fantasmi che si aggi­ rano, ma in lenzuola rosse) con buchi neri per gli occhi� ben segnati: trascinando catene ai piedi: nei movimenti� si comprende come sono travestiti: agitano le braccia come fossero lingue di fiamma, grottescamente: la scena è un prato molto verde) come un tappeto da giuo­ co (rosso puro del costume, verde puro del terreno): i fan­ tasmi sembrano /orzati: con la palla al piede, appunto) in un tono da /umetto, però: la figura umana è tradita dai movimenti del travestimento) ma deve riuscire al possibile cancellata, come emergente involontariamente, e goffa­ mente: Ulisse e Diomede) ovviamente, sono due in un lenzuolo solo) doppio fantasma: le voci sono, per Ulisse e per Guido, quelle di chi vuole, in un episodio da cartone animato) spaventare come fan­ tasma travestito: ma quella di Ulisse, corposa e grave: quella di Guido, per contro) acuta, e acida: sul tappeto verde del prato) rovine da vecchio castello, sparse, come possono convenire a fantasmi: che appaiono da ruderi: il loro coro si apposta tra le rovine, sia durante il discorso di Ulisse) sia durante quello di Guido: la loro visione gioca come prologo, come intermezzo, come con74

elusione: i racconti di Ulisse e Guido sono come le grandi arie) che emergono sopra movimenti di comparse d )opera e di balletto: (la fiamma cornuta si stacca dal coro dei fantasmi: è chia­ ro che Ulisse sta trascinando il suo Diomede) a /orza: poi "rugghia ))) comincia a "crollarsi mormorando))) mena "qua )) e là la cima come una lingua: e) infine) parla: pur con la deformazione vocale indicata) il tono è alto) solenne) /or­ te) e /ortemente a/faticato): quando mi dipartii da Circe, che sottrasse me più d'un anno, là, presso a Gaeta, prima che sì Enea lo nomasse, né dolcezza di figlio, né la pièta del vecchio padre, né il debito amore lo qual dovea Penelopé far lieta, vincer potero dentro a me l'ardore ch'io ebbi a divenir del mondo esperto, e delli vizi umani, e del valore: ma misi me per l'alto mare aperto, sol con un legno, e con quella compagna picciola, dalla qual non fui diserto: l'un lito e l'altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l'isola dei sardi, e l'altre, che quel mare, intorno, bagna: io e i compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dove Ercule segnò li suoi riguardi, acciò che l'uom, più oltre, non si metta: dalla man destra, mi lasciai Sibilia: dall'altra, già, m'avea lasciata Setta: "o frati", dissi, "che per cento milia perigli siete giunti all'occidente, a questa tanto picciola vigilia

ULISSE

75

dei nostri sensi, ch'è del rimanente, non vogliate negar l'esperienza, di retro al sol , del mondo sanza gente: considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, . . ma per seguir v1rtute e canoscenza" : li miei compagni fec'io sì aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena, poscia, li avrei ritenuti: e volta nostra poppa nel mattino, dei remi facemmo ala, al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino: tutte le stelle già dell'altro polo vedea la notte, e il nostro tanto basso, che non surgea fuor del marin suolo: cinque volte racceso, e tante casso, lo lume era di sotto dalla luna, poi che intrati eravam nell'alto passo, quando ne apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto, quanto veduta non avea alcuna: noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto: ché della nova terra un turbo nacque, e percosse del legno il primo canto: tre volte il fe' girar con tutte l'acque: a la quarta levar la poppa in suso, e la prora ire in giù, come altrui piacque: infin che il mar fu sovra noi richiuso: (per i gesti di Ulisse: essi accompagnano il racconto, oscil­ lando sempre tra effetto di fiamma ardente e rivelazione della corporeità umana: impaccio nei gesti per la presenza di Diomede muto, sotto il lenzuolo: penso a passaggi ca. me) poniamo, "da la man destra") "da l)altra))) "e va lta no)) " stra poppa", dei remi facemmo ala , "una montagna",

))

))

".f.

)

.

))

".

))

".

"un tur o nacque ) "e percosse ) 1 e girar , zn susa , zn giù )) . . . : l ) effetto può essere baroccamente grottesco, mai comico, tuttavia) (analogo discorso per Guido, ma con scarti evidenti: alla vo­ ce fredda corrisponderanno gesti più angolosi e taglienti): quando Ulisse ha finito di parlare, si allontana: si /a avan­ ti� prendendo esattamente il suo posto, come sopra una pedana (si può pensare a un cerchio tracciato nettamente, nero, sul tappeto verde)) il fantasma di Guido: GUIDO s'io credesse che mia risposta fosse a persona che mai tornasse al mondo, questa fiamma starìa, sanza più scosse: ma però che già mai, da questo fondo, non tornò vivo alcun, s'io odo il vero, sanza tema d'infamia ti rispondo: io fui uom d'arme, e poi fui cordigliera, credendomi, sì cinto, fare ammenda: e certo il creder mio venìa intero, se non fosse il gran prete, a cui mal prenda ! che mi rimise nelle prime colpe: e come, e quare, voglio che m'intenda: mentre ch'io forma fui d'ossa e di polpe che la madre mi dié, l'opere mie non furon leonine, ma di volpe: li accorgimenti e le coperte vie io seppi tutte, e sì menai lor arte, eh'al fine, della terra, il suono uscìe: quando mi vidi giunto in quella parte di mia etade ove ciascun dovrebbe calar le vele, e raccoglier le sarte, ciò che pria mi piacea, allora m'increbbe, e pentuto e confesso mi rendei: ahi miser lasso ! e giovato sarebbe: lo principe dei novi Farisei, b

77

avendo guerra presso a Laterano, e non con saracin né con giudei, ché ciascun suo nimico era cristiano, e nessuno era stato a vincer Acri, né mercatante in terra di Soldano, né sommo officio né ordini sacri guardò in sé, né in me quel capestro che solea fare i suoi cinti più macri: ma come Costantin chiese a Silvestro, d'entro Siratti, a guerir della lebbre, così mi chiese questi per maestro, a guerir della sua superba febbre: domandommi consiglio, e io tacetti, perché le sue parole parver ebbre: ei poi ridisse: "tuo cuor non sospetti: finor t'assolvo, e tu m'insegna fare sì come Penestrino in terra getti: lo ciel poss'io serrare e diserrare, come tu sai: però son due le chiavi che il mio antecessor non ebbe care": allor mi pinser li argomenti gravi, là ove il tacer mi fu avviso il peggio, e dissi: "padre, da che tu mi lavi di quel peccato ov 'io mo cader deggio, lunga promessa, con l'attender corto, ti farà triunfar nell 'alto seggio": Francesco venne poi, com'io fui morto, per me: ma un dei neri cherubini li disse: "non portar, non mi far torto: venir se ne dee giù tra i miei meschini, perché diede il consiglio frodolente, dal qual in qua stato li sono ai crini: eh'assolver non si può chi non si pente, né pentere e volere insieme puossi,

per la contradizion che nol consente": oh me dolente ! come mi riscossi, quando mi prese, dicendomi: "forse tu non pensavi che io loico fossi ! ": a Minòs mi portò: e quelli attorse otto volte la coda al dosso duro: e poi che per gran rabbia la si morse, disse: "questi è dei rei del foco furo": per ch'io là dove vedi son perduto, e sì vestito, andando, mi rancuro: ( Guido, e il coro degli uomini-fiamma, lentamente, come fantasmi che si dissolvono, si a/fiosciano, piegandosi al suo­ lo, suscitando al possibile l'el/etto che si svuotino, come se a terra ne rimanessero, vane spoglie, i costumi indossati)

79

su una cornice a scale) che sporge sul vano) procedono i seminatori di scandalo e di scisma; lento corteo di piagati: feriti: monchi: storpiati: mutilati:· lacerazioni e mutilazioni ) sono visibili e sanguinose: l effetto è tra un corteo di han­ dicappati e uno di /orzati> si può adottare) volendo) una sorta di pigiama carcerario) e anche carrozzine, grucce) ecc. ; Altoparlanti ALTOPARLANTI s'el s'aunasse ancor tutta la gente che già in su la fortunata terra di Puglia fu del suo sangue dolente, per li Troiani, e per la lunga guerra che de l'anella fe' sì alte spoglie, come Livio scrive, che non erra, con quella che sentìo di colpi doglie per contastare a Ruberto Guiscardo, e l'altra, il cui ossame ancor s'accoglie a Ceperan, là dove fu bugiardo ciascun pugliese, e là da Tagliacozzo, dove sanz'arme vinse il vecchio Alardo: e qual forato suo membro, e qual mozzo mostrasse, d'aequar sarebbe nulla il modo di cotesta bolgia sozzo: emerge) nella fila) Maometto: è come spaccato in due: pi­ ) giama penale aperto e strappato) trascina l intestino che pende tra le gambe: parla) aprendosi il petto lacerato con le manz: a allargare la /erita: 80

davanti a luz: Alz�· se Maometto è diviso dal mento al ven­ tre, Alì è spaccato in testa, dal mento alla fronte: MAOMETTO già veggia, per mezzul perdere o lulla, qual vedi me, così non si pertugia, rotto dal mento infin dove si trulla: tra le gambe mi pendon le minugia: la corata qui pare e il tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia: or vedi com'io mi dilacco ! vedi come storpiato è Maometto ! dinanzi a me sen va piangendo Alì, fesso nel volto dal mento al ciuffetto: e tutti li altri che tu vedi qui, seminator di scandalo e di scisma fur vivi, e però son fessi così: un diavolo è qua dietro, che n'accisma sì crudelmente, al taglio della spada rimettendo ciascun di questa risma, quando avem volta la dolente strada: però che le ferite son richiuse prima che altri dinanzi li rivada: (Maometto ha parlato fermandosi:· prosegue ora discor­ rendo velocissimo, con un piede sollevato, pronto a riprendere la marcia): Or di' a fra Dolcin, dunque, che s'armi, tu che forse vedrai il sole in breve, s'ello non vuol qui tosto seguitarmi, sì di vivanda, che stretta di neve non rechi la vittoria al Noarese, eh'altrimenti acquistar non sarìa lieve: (e procede oltre): avanza un altro dannato, Pier da Medicina, con la gola fo­ rata, il naso troncato, e gli manca un orecchio: (parla tossendo, tra sbocchi di sangue, che macchiano il suolo): 81

o tu, cui colpa non condanna, e cui io vidi su in terra latina, se troppa simiglianza non m'inganna, rimembriti di Pier da Medicina, se mai torni a veder lo dolce piano che da Vercelli a Marcabò dichina: e fa' sapere ai due miglior da Fano, a messer Guido e anco ad Angiolello, che, se l'antiveder qui non è vano, gittati saran fuor di lor vasello e mazzerati presso alla Cattolica, per tradimento di un tiranno fello: tra l'isola di Cipri e di Maiolica non vide mai sì gran fallo Nettuno, non da pirate, non da gente argolica: quel traditor, che vede pur con l'uno, e tien la terra che tale qui meco vorrebbe di vedere esser digiuno, farà venirli a parlamento seco: poi farà sì che al vento di Focara non sarà lor mestier voto né preco: (/erma un altro dannato, che gli è accanto, e gli spalan­ ca la bocca) : e se tu porti su, di me, novella, questi è colui dalla veduta amara: dico che questi è desso, e non favella: questi, scacciato, il dubitar sommerse in Cesare, affermando che il fornito sempre con danno l'attender sofferse: or vedi quanto pare sbigottito, con la lingua tagliata nella strozza, Curto, che a dir fu così ardito ! si fa avanti un altro dannato, con le mani mozze, che sol­ leva i moncherini: cosi' che il sangue gli scende largamente sulla faccia: è Mosca dei Lamberti: PIER DA MEDICINA

ricorderàiti ancor del Mosca, che disse, lasso, "capo ha cosa fatta", che fu il mal seme per la gente tosca, e, lasso, che fu morte di mia schiatta ! altro dannato, Bertram de Born, senza testa: la porta per mano, come una lanterna, e la solleva verso gli spettatori: come la voce gli uscisse dalla bocca: BERTRAM oh me ! ora vedi la pena molesta, tu che, spirando, vai veggendo i morti: vedi se alcuna è grande come questa: e, perché tu di me novella porti, sappi ch'io son Bertram dal Bornio, quelli che diedi al Re Giovane i mal conforti: io feci il padre e il figlio in sé ribelli: Achitofèl non fe' più d'Absalone e di Davìd, coi malvagi punzelli: perch'io partii così giunte persone, partito porto il mio cerebro, lasso, dal suo principio, ch'è in questo troncone: così s'osserva, in me, lo contrapasso: (buio) MOSCA

un ospedale) o piuttosto un lazzaretto: su giacigli vari: let­ tini: barelle) mucchi di paglia, tra strumenti medici arcaici e moderni� variamente mescolati� un grande numero di dannati: come ricoverati: che gemono e urlano (un tono da ricovero psichiatrico degradato) una "/ossa dei serpenti))); Altoparlanti

qual dolor fora, se degli spedali di Valdichiana, tra il luglio e il settembre, e di Maremma e di Sardigna i mali fossero in una fossa tutti insembre, tal ora è quivi, e tal puzzo qui n'esce qual suol venir delle marcite membre: non credo che, a veder, maggior tristizia fosse in Egina il popol tutto infermo, quando fu l'aere sì pien di malizia, che li animali, infino al picciol vermo, cascaron tutti, e poi le genti antiche, secondo che i poeti hanno per fermo, si ristorar di seme di formiche: ch'è qui a veder, per questa oscura valle, languir li spirti, per diverse biche: qual sovra il ventre, e qual sovra le spalle l'un dell'altro qui giace, e qual carpone qui si trasmuta, per lo tristo calle: due dannati: seduti: che si sorreggono, voltandosi le spalALTOPARLANTI

le, con la schiena, grattandosi furiosamente, con la pelle macchiata, lebbrosi: Grz//olino e Capocchia: GRIFFOLINO io fui d'Arezzo, e Albero da Siena fu colui che mi fe' mettere al foco: ma quel per ch'io morii qui non mi mena: vero è ch'io dissi lui, parlando a gioco, "io mi saprei levar per l'aere a volo": e quei, che avea vaghezza, e senno poco, volle ch'io li mostrassi l'arte: e solo perch'io nol feci Dedalo, mi fece ardere a tal, che l'avea per figliuolo: ma in quest'ultima bolgia delle diece, me, per l'alchìmia che nel mondo usai, dannò Minòs, a cui fallar non Ieee: or fu già mai gente sì vana come la sanese ? certo non la francesca, sì d'assai: CAPOCCHIO rispondo al detto tuo: tràimene Stricca, che seppe far le temperate spese: e Niccolò, che la costuma ricca del garofano prima discoperse nell'orto dove tal seme s'appicca: e tràine la brigata, in che disperse Caccia d'Ascian la vigna e la gran fronda, e l'Abbagliato suo senno proferse: (una pausa: Capocchia si rivolge al pubblico): ma perché sappi chi sì lo seconda contra i Sanesi, aguzza ver me l'occhio, sì che la faccia mia ben ti risponda: sì vedrai che son l'ombra di Capocchia, che falsai li metalli con l'alchìmia: e te dee ricordar, se ben t'adocchio, com'io fui di natura buona scimia: (entrano una dannata, Mirra, e un dannato, Gianni Schic-

chi� correndo furiosamente: Schicchi azzanna Capocchia sul collo, con i suoi denti: e così mordendolo, lo trascina a terra, rovesciandolo sul ventre, e allontanandolo da Grif /olino, che rimane privo di sostegno, e si torce, grattando­ si sempre): GRIFFOLINO quel folletto è Gianni Schicchi, e va rabbioso altrui così conciando: se l'altra non mi ficchi, li denti addosso, dirò chi è, pria che di qui si spicchi: quella è l'anima antica di Mirra scellerata, che divenne al padre, fuor del dritto amore, amica: questa a peccar con esso cosi venne, falsificando sé in altrui forma, come l'altro che là sen va , sostenne, per guadagnar la donna della torma, falsificare in sé Buoso Donati, testando, e dando al testamento norma: (mentre Gri//olino parla, Schicchi continua a strascinare con i denti sul collo Capocchia: Mirra va mordendo, qua e là, gli altri dannati: oscenamente, leccandoli� stringendoli: poi /ugge, di colpo, con Schicchi): (le luci: prima concentrate sui lebbrosi: si spostano ora su maestro Adamo, idropico, le labbra gonfie aperte, il ven­ tre enorme; accanto a lui: per ora un po' in ombra, Sino­ ne, tremante di febbre): (più in ombra ancora, mera com­ parsa, una donna, che è la moglie di Puti/arre): ADAMO o voi che sanza alcuna pena siete, e non so io perché, nel mondo gramo, guardate e attendete alla miseria del maestro Adamo: io ebbi, vivo, assai di quel ch'io volli, e ora, lasso , un gocciol d'acqua bramo: 86

li ruscelletti che dei verdi colli del Casentin discendon giuso in Arno, faccendo i lor canali freddi e molli, sempre mi stanno innanzi, e non indarno, ché l'imagine lor vie più m'asciuga che il male ond'io nel volto mi discarno: la rigida giustizia che mi fruga tragge cagion del loco ov'io peccai a metter più li miei sospiri in fuga: ivi è Romena, là dov'io falsai la lega suggellata del Batista, perch'io il corpo su, arso, lasciai: ma s'io vedessi qui l'anima trista di Guido, o d'Alessandro, o di lor frate, per Fonte Branda non darei la vista: dentro e' è l'una già, se l'arrabbiate ombre che vanno intorno dicon vero: ma che mi val, che ho le membra legate? s'io fossi pur di tanto ancor leggiero, ch'io potessi in cent'anni andare un'oncia, io sarei messo già per lo sentiero, cercando lui tra questa gente sconcia, con tutto eh'ella volge undici miglia, e men d'un mezzo di traverso non ci ha: io son per lor tra sì fatta famiglia: ei m'indussero a batter li fiorini che avevan tre carati di mondiglia: i due tapini che fumman come man bagnate il verno, giacendo stretti ai miei destri confini, qui li trovai, e poi volta non dierno, allora, quando piovvi in questo greppo, e non credo che dìeno, in sempiterno: l'una è la falsa che accusò Giuseppa:

l'altro è il falso Sinòn, greco, da Troia: per febbre aguta gittan tanto leppo: (le luci si accrescono, Sinone entra veramente in campo, per­ cuotendo il ventre enorme di Adamo, che suona come un tamburo: Adamo gli percuote il volto con un /orte pugno): ADAMO ancor che mi sia tolto lo muover, per le membra che son gravi, ho io il braccio, a tal mestiere, sciolto: SINONE quando tu andavi al fuoco, non l'avei tu così presto: ma sì e più l'avei, quando coniavi: ADAMO tu di' ver, di questo: ma tu non fosti sì ver testimonio, là ove del ver fosti a Troia richiesto: SINONE s'io dissi falso, e tu falsasti il conio: e son qui per un fallo, e tu per più eh'alcun altro demonio: ADAMO ricòrditi, spergiuro, del cavallo, e sìeti reo che tutto il mondo sallo: SINONE e te sia rea la sete, onde ti criepa la lingua, e l'acqua marcia che il ventre, innanzi alli occhi, sì t'assiepa: . ' . ADAMO COSl Sl squarcia

la bocca tua, per tuo mal, come suole: ché s'io ho sete e omòr mi rinfarcia, tu hai l'arsura e il capo che ti duole, e per leccar lo specchio di Narcisso, non vorresti, a invitar, molte parole: ( a mano a mano, mentre Adamo dice questa sua ultima battuta, il coro dei lamenti e delle grida riprende) in rapi­ do crescendo, sempre più alto e intenso) finché copre le ul­ time parole, e non rimane che un insieme sonoro di mag­ matica vocalità disperata) /ortissimo, assordante: contem­ poraneamente, le luci si attenuano sino al buio completo): 88

Ugolino; uno squallido obitorio in rovina; i cadaveri si indovinano qua e là, sopra panconi irregolarmente disposti> sono se­ misommersi da parallelepipedi di ghiaccio, e lastroni se­ mitrasparenti� collocati con apparente incuria; in evidenza, su un medesimo pancone, due figure, Ugoli­ ) no e ! Arcivescovo; dopo una prolungata immobilità silen­ ziosa, i due corpi prendono a muoversi lentamente, in uno stile squisitamente horror; Ugolino si leva su un go­ mito, si sposta adagio, finché, presa posizione adatta, prende a rodere la testa dell'Arcivescovo, sopra e dietro, con avidità, metodicamente e gustosamente, con fame; quindi si volge al pubblico, ripulendosi prima accurata­ mente la bocca con i capelli del compagno; tu dei saper ch'io fui conte Ugolino, e questi è l'arcivescovo Ruggieri: or ti dirò perché i son tal vicino: che, per effetto dei suoi mai pensieri, fidandomi di lui, io fossi preso, e poscia morto, dir non è mestieri: però, quel che non puoi avere inteso, cioè come la morte mia fu cruda, udirai, e saprai s'ei m'ha offeso: breve pertugio dentro dalla muda la qual per me ha il titol della fame, e in che conviene ancor che altrui si chiuda,

UGOLINO

m'avea mostrato, per lo suo forarne, più lune già, quand'io feci il mal sonno che del futuro mi squarciò il velame: questi pareva a me maestro e danno, cacciando il lupo e i lupicini al monte per che i Pisan veder Lucca non panno: con cagne magre, studiose, e conte, Gualandi, con Sismondi, e con Lanfranchi, s'avea messi dinanzi dalla fronte: in picciol corso mi parìeno stanchi lo padre e i figli, e con l'agute scane mi parea lor veder fender li fianchi: quando fui desto, innanzi la dimane, pianger sentii fra il sonno i miei figliuoli, eh'eran con meco, e dimandar del pane: ben sei crudel, se tu già non ti duoli pensando ciò che il mio cor s'annunziava: e se non piangi, di che pianger suoli? già eran desti, e l'ora s'appressava che il cibo ne solea essere addotto, e per suo sogno ciascun dubitava: e io sentii chiavar l'uscio di sotto ali'orribile torre: ond'io guardai nel viso ai miei figliuoi, sanza far motto: io non piangeva, sì dentro impietrai: piangevan elli: e Anselmuccio mio disse: "tu guardi sì, padre, che hai?": perciò non lacrimai né rispuos'io tutto quel giorno, né la notte appresso, infin che l'altro sol nel mondo uscìo: come un poco di raggio si fu messo nel doloroso carcere, e io scorsi per quattro visi il mio aspetto stesso, ambo le man, per lo dolor, mi morsi: ed ei, pensando ch'io il fessi per voglia 90

di manicar, di subito levarsi e disser: "padre, assai ci fia men doglia se tu mangi di noi: tu ne vestisti queste misere carni, e tu le spoglia": quetàimi allor, per non farli più tristi: lo dì e l'altro stemma tutti muti: ahi, dura terra, perché non t'apristi? poscia che fummo al quarto dì venuti, Gaddo mi si gettò disteso ai piedi, dicendo: "padre mio, ché non m'aiuti?" quivi morì: e, come tu mi vedi, vid'io cascar li tre, ad uno ad uno, tra il quinto dì e il sesto: ond'io mi diedi, già cieco, a brancolar sovra ciascuno, e due dì li chiamai, poi che fur morti: poscia, più che il dolor, poté il digiuno: (Ugolino riprende a mordersi la testa dell'Arcivescovo) con violenza crescente: poi i morsi si /anno più radz� sempre più deboli: e lentamente, lui e l'Arcivescovo, ri­ tornano nella posizione iniziale, distesi) intanto) prende a parlare un altro cadavere) dal viso livido) un teschio, che incomincia a tremare) senza altro movi­ mento: gli occhi sono chiusi da un velo di ghiaccio) e pare che abbia occhiali trasparenti: è /rate Alberigo: uno zombi: mentre parla) incomincia un lieve rumore) un ronzio che cresce adagio, tra il sibilo del vento e il condizionatore d'aria) ma con effetti eminentemente meccanici e tecnici: anche nel suo caso) due corpi sopra un medesimo panco­ ne: anche l'altro cadavere) dopo che Alberigo prende a parlare di luz: incomincia a tremare, sempre più convulsi­ vamente: è Branca Daria: ALBERIGO o anime crudeli, levatemi dal viso i duri veli, sì che io sfoghi il duol che il cor m'impregna, un poco, pria che il pianto si raggeli: 91

io son frate Alberigo: io son quel dalle frutta del mal orto, che qui riprendo dattero per figo: morto così, come il mio corpo stea nel mondo su, nulla sc·ienza porto: cotal vantaggio ha questa Tolomea, che spesse volta l'anima ci cade innanzi che Atropòs mossa le dea: e perché tu più volentier mi rade le invetriate lagrime dal volto, sappie che, tosto che l'anima trade, come fec'io, il corpo suo l'è tolto da un demonio, che poscia il governa, mentre che il tempo suo tutto sia vòlto: ella ruina in sì fatta cisterna: e forse pare ancor lo corpo susa dell'ombra che di qua dietro mi verna: elli è ser Branca Daria, e son più anni poscia passati ch'el fu sì racchiuso: e mangia e bee e dorme e veste panni: nel fosso su, però, dei Malebranche, là dove bolle la tenace pece, non era ancora giunto Michel Zanche, che questi lasciò un diavolo, in sua vece, nel corpo suo, ed un suo prossimano, che il tradimento insieme con lui fece: (il rumore meccanico è ormai un frastuono fortissimo: le ultime parole di Alberigo sono gridate, tentando di soverchiarlo): ma distendi, oggimai, in qua, la mano: aprimi gli occhi ! (tutti i cadaveri dell'obitorio, intanto, prendono a tre­ mare convulsivamente);

92

Luci/ero; dal fondo oscuro) adesso) prima invisibile) sempre più evi­ dente progressivamente) avanza una gigantesca macchina) una vera macchina infernale) e si comprende che il sibilo) sempre più alto di tono) e sempre più insopportabile) pro­ viene da questo apparato: è un insieme caotico di mecca­ nismi in /unzione) alla Tinguely, sobbalzante) che procede minacciosa verso gli spettatori: il suo tremare è sincroniz­ zato con il tremito dei cadaveri: è una macchina celibe, come in moto perpetuo: è un rudere da prima rivoluzione industriale) con getti di vapore: il sibilo diventa sempre più simile a quello di un jet che si avvia a decollare: parti della macchina) mentre avanza) rotolano (viti: molle, ecc. ) a terra; la macchina scorre su vecchie rotaie: tutto è ruggi­ noso, ricco di spunzoni: di aculei: di antenne tremolanti: il mostro meccanico, a mano a mano, rivela aspetti antro­ pomorfici: che, con i suoi movimenti in avanti: e con i suoi interni spostamenti (leve) stantuffi: catene) ecc. ), si defini­ scono sempre meglio, con l'aiuto di fanali: lampade) che si accendono qua e là: pare un busto di gigante) con la testa a tre /acce: quella centrale si colora in rosso, quella destra in giallo e bianco, quella sinistra del!'azzurro da oscuramento bellico delle luci:· il busto del gigante ha due grandi ali a pale meccaniche ai lati� che progressivamente si stirano, minacciando di uscire pericolosamente dai limiti della scena verso gli spettatori: e suggerendo la /orma di ali di pipi­ strello, che si muovono a scatti: nelle tre bocche dei tre volti si vedono tre manichini che 93

appositi /erri uncinati graffiano e lacerano e torcono) evi­ denziandone l )interno da robot) che si guasta e ricompone . . . ' in continuita; di colpo) tutto si arresta: silenzio assoluto: rientrano in scena Dante e Virgilio) come a principio) e scendono sul fondo: entrano nell )obitorio) tra i cadaveri che continuano) essi soli: a tremare: ecco Dite: ed ecco il loco dove convien che di fortezza t'armi: (Virgilio addita a Dante i tre manichini: accostandosi alla macchina di Luci/ero): (tono di ingegnere che illu­ stra un ordigno industriale da museo): quel!'anima là su, che ha maggior pena, quello è Giuda Scariotto, che il capo ha dentro, e fuor le gambe mena: delli altri due, che hanno il capo di sotto, quel che pende dal nero ceffo è Bruto: vedi come si storce, e non fa motto: e l'altro è Cassio, che par sì membruto: mentre Virgilio dice queste parole) una troupe di medici: infermieri in camice) poliziotti: giudici in toga) sgombera l )obitorio) portando via i panconi: con l )aiuto di inservien­ ti: con improvviso affollamento disordinato: la macchina avrà cosi' uno spazio ulteriore) quando dovrà riprendere) più oltre) i propri movimenti: Virgilio e Dante scalano la macchina) appigliandosi alle varie sporgenze: (il tono della recitazione) qui: è quasi da )) "Corriere dei Piccoli ) calcando sopra le rime baciate): VIRGILIO attienti ben, che per cotali scale conviensi dipartir da tanto male: la via è lunga, e il cammino è malvagio, e non è camminata di palagio: DANTE entriamo a ritornar nel chiaro mondo: VIRGILIO

94

saliamo su, tu primo, e io secondo, tanto che io veda delle cose belle, e quindi usciamo a riveder le stelle: Dante e Virgilio) scalata la macchina) giunti in cima) scompaiono alla vista del pubblico) come introducendosi negli occhi del mostro meccanico; appena scomparsi� la macchina riprende a scuotersi e avanzare esattamente come prima) ricominciando come tutto da capo) ma con velocità superiore) sino a recuperare i livelli di movimento e di rumore già raggiunti prima) molto in breve) e superandoli ancora: ma un po' alla volta) il rumore altissimo si trasforma) e diventa un canto corale molto /orte) che si fa via via intel­ ligibile) con effetto da nastro registrato che assume presto la velocità corretta: la voce corale della macchina è diffu­ sa) appunto come canto corale) di tono nettamente eccle­ siastico) un sacro salmodiare arcaico) dagli altoparlanti: Altoparlanti (canto corale) ALTOPARLA NTI vexilla regis prodeunt inferni: la macchina) a questo punto) prende a decomporsi� a rom­ persi� a disfarsi sempre più rapidamente) in tanti pezzi: le sue luci� che sono ormai le sole che illuminano la scena) saltano un po' alla volta) e si spengono sino al buio com­ pleto: nell'istante in cui tutto è immerso nelle tenebre) gli altoparlanti tacciono di colpo.

95

Notizia

Ho definito "travestimento", qualche anno fa, un mio ) 1 Faust • Per questa Commedia dell In/erno, che qui pub­ blico quale la consegnai al regista, riproducendo senza correzione alcuna il copione originario, ho ripreso il vo­ cabolo, in quella stessa e in altra accezione, insieme 2 • Per intanto, molto elementarmente, nel senso in cui "trave­ stimento" è il migliore sinonimo esplicativo che io co­ nosca per "teatro", giacché chi sta in scena sta comun­ que per un altro, è in "maschera", e questo luogo finge un altrove, e questo tempo simula un diverso allora. Sia detto per inciso, poiché non desidero davvero innestare qui obliquamente una specie di microteoria della scena, anche nel caso in cui il comico X recita se stesso, collo­ candosi esplicitamente nel vero luogo Y, nell'autentico momento Z, si avrà "travestimento" ancora, e nella for­ ma liminare, nel caso, dell' "autotravestimento" - sia pat­ tuito tra di noi che io sto fungendo da "io", hic et nunc ( "proprio come nella vita"). La verifica di questo assunto si ha rovesciando la prospettiva, e considerando che, ovunque si abbia "travestimento", lì si ha necessariamen­ te "teatro", per aurorale e germinale che ne sia la condi­ zione. Ma "travestimento" è categoria che incide, e queFaust. Un travestimento, uscito per Costa & Nolan, Genova 1985, è stato ristampato da Carocci, Roma 2003 , a cura di Niva Lorenzini. 2. Commedia dell'Inferno è uscita per Costa & Nolan nel 1989, con Introduzione (che qui si ripubblica) di Federico Tiezzi. 1.

97

sto adesso importa soprattutto, ove intervenga un mate­ riale verbale, nella trasformazione che subisce il testo, fa­ cendosi voce e gesto corporeo, straniandosi in azione. Il teatro di parola è travestimento di parola. Quando Federico Tiezzi mi propose questo eserci­ zio di realizzazione drammatica della prima cantica dan­ tesca, in ogni caso, accolsi l'idea, in primo luogo, per la sua manifesta "impossibilità". Non c'è gusto a lavorare, se non si pone un problema, e il gusto cresce, ovvia­ mente, in proporzione con la sua, almeno apparente, ir­ resolubilità. Non si trattava di disinnescare soltanto !'"intimidazione" dell'apparecchio letterario più intimi­ datorio di cui disponga la nostra poesia, ma, in qualche modo, per necessità, di approfittarne, rovesciandola co­ me un guanto, puntando sopra la distanza tra il "poema sacro" e la sua scenica praticabilità concreta, suggeren­ do la massima divaricazione tra la "citazione" testuale e !'"incarnazione" drammatica. In breve, ho speculato al massimo sopra la pulsione teatrale immanente al testo. Questo "travestimento" è anche, in forma di "commedia", un saggio implicito, tutto dimostrativo, sopra la dimensione drammatica del­ la Commedia, abusando del suo titolo stesso, onde il "travestimento", prima che in sottotitolo, è già in evi­ denza in insegna. Dunque, emarginazione del Dante narratore (e del suo complice Virgilio), confinati in cor­ nice, tra "prologo" e "epilogo", con i personaggi che si rivolgono, anche quando apostrofano l'autore, non al viandante ultraterreno, ma agli spettatori in sala - e una sorta di selezione naturale degli episodi, che procede sulla base dell'inclinazione intrinseca al dettato dell'Inferno, e costruisce, pressoché spontaneamente, una "se­ quenza" di scene, di "stazioni", in cui trovano spazio e ritmo la grande aria monologante, alla Francesca o alla

Ugolino, il duetto "a parte", alla Farinata e Cavalcante, e "a tenzone", alla Adamo e Sinone, il tipico "gruppo" d'azione, come tra i sodomiti e tra i ladri, sino alla com­ plessa "farsa" dei Malebranche, vero luogo d'incontro con la carnevalizzazione medievale. Su questa traccia, era dunque lecito giocare di sovrapposizione e di incro­ cio, contraendo, e facendo reagire l'uno sopra l'altro, segmenti contigui ma distinti, sovrapponendo quanto stava in successione, in grumi e nodi d'azione. In questo processo elaborativo, hanno potuto trovare innesto materiali diversi, che vanno dal Boccaccio esposi­ tore al Benvenuto commentatore, da Andrea Cappellano a Chrétien de Troyes, da Giacomo da Lentini alla Vita nuova, sino a Pound, impiegato ovviamente in relazione al motivo fondante dell'usura, ma proiettato, non a caso, su Gerione, per motivazioni non meno ideologiche che strut­ turali. Il supplemento di colori linguistici era ben lontano dal dispiacermi, e per nulla dantescamente impertinente, poi. E che questi inserti abbiano una significazione anche "didattica", mi dispiace altrettanto poco, poiché infine teatralizzare Dante, occorre dirlo con assoluta tranquillità, significa entrare in gara con gli "illustratori" della Com­ media, nella duplice valenza del vocabolo, un po' di glos­ satori in margine, poiché si tratta comunque di "interpre­ tare", e di traspositori del racconto in termini visivi, poi­ ché teatro e spettacolo sono, come in etimo, in primissima istanza, discorso rivolto allo sguardo, fenomeno "figurati­ vo" - e "figurale". Dantescamente proprio, è in giuoco una "visione" - e una visione "allegorica". Se una dida­ scalia propone Brueghel, letteralmente rovesciato, non è un caso, come non è un caso che la macchina luciferina conclusiva sia pensabile à la manière de Tinguely. Ma le allusioni, in questo ambito, sono il meno. So­ no indizi. Il più rimangono le didascalie, che, per questa

99

volta, contro le mie abitudini, benché sobrie al possibi­ le, sono determinanti. Il centro di questa Commedia, in­ fatti, non riposa, propriamente, per me, nella selezione e nel montaggio, che pure decidono di necessità della "materia prima" verbale, ma in quella politica dell'im­ magine che è nelle proposte esecutive per un Dante fat­ to visibile e praticabile, in termini che, fedeli alle radici delle sue invenzioni, le rendano immediatamente agibili agli attori, trasparenti agli spettatori attuali, mirando a un'evidenza quotidiana e concreta. Come già suggerivo, il testo sta in "citazione", ma questa poi opera, a scarto, . ". . " 1n 1ncarnaz1one . Il tutto, finalmente, può anche riassumersi in una formula quasi epigrammatica, per cui un Dante "in tra­ vestimento" è il contrario giusto di un Dante "in costu" me . EDOARDO SANGUINETI

settembre 1989

100

Nota al testo seguita da un Dialogo con l'Autore -;'.di Niva Lorenzini

>, con trucco scopertamente esi­ bito: da quel momento è il buio a ritmare la degradazio­ ne dell'umano, il bloccarsi improvviso dei gesti su plasti­ cità deformi, la cancellazione della parola, il suo fondersi in "magmatica vocalità disperata", il materializzarsi del silenzio come non suono, non gesto, dissolvenza estrema. Il buio, o buio completo, chiude le sezioni X (), XIV (), XVI ( ), XVII e XIX (). E come se la spettacolarizzazione, che va acIl dialogo si è svolto nell'aula absidale dell'Università di Bolo­ gna, in occasione di una lettura dantesca tenuta da Edoardo Sangui­ neti il 20 gennaio 2004 , all'interno del ciclo La parola La voce pro­ mosso da UniboCultura e dal Dipartimento di Italianistica. 1 (

101

centuandosi a mano a mano che la Commedia procede verso l'epilogo, recasse con sé il proprio contrappasso, si­ no a ridurre lo spazio testuale (teatrale) a contenitore vuo­ to, al termine di un percorso sempre più concitato e babe­ lico, tra spericolate invenzioni visive e acustiche. Se è questa la dominante del Secondo tempo della Commedia dell ) In/erno, tra didascalie sempre più invasi­ ve e autosufficienti (fino a sostituire, intendo proprio, la testualità dantesca, o a stravolgerla), il Primo tempo è piuttosto il luogo della messinscena della voce e delle sue contraffazioni, che si impongono tra microdidascalie ridotte dall'autore a sobria essenzialità illustrativa, eppu­ re perfettamente eversive. Mi riferisco alle voci recitanti che veicolano il testo dantesco, sempre "detto", "citato", in selezioni scorciate che spiazzano l'orizzonte d'attesa, quando personaggi prim'attori (Paolo e Francesca, Fari­ nata e Cavalcante, Pier della Vigna, come poi Ulisse, Ugolino . . . ) s'impadroniscono di scatto della scena e del­ la parola, scardinando ruoli da sempre consacrati alla lo­ ro immutabilità. Ma penso anche alle voci che, contraffa­ cendosi, divengono insieme racconto e commento; a quelle che intonano gli assolo o si sciolgono in dimensio­ ne corale, sovrapposte o mutile, dissociate e reificate, iperbolicamente drammatizzate, degradate, oscene. Tra­ vestite e straniate, insomma, come più non si potrebbe. Non so se si può parlare di teatro di parola alla ma­ niera consueta a Sanguineti, che consiste - perlomeno da Storie naturali del '71, se non già dai lavori teatrali degli anni Sessanta 1 - nel trasferire il linguaggio verbale in realtà sonora. Qui entrano in gioco, simultaneamente, il

Storie naturali furono pubblicate nel '71 da Feltrinelli, l'editore anche di E. Sanguineti, Teatro (che comprende K - Passaggio Traumdeutung - Protocolli), Milano 1969. 1.

102

poeta e il saggista, l'aspirante scenografo e il coreografo, in un travestimento infarcito di travestimenti. Lo si av­ verte fin dalle prime battute messe in bocca a clowns im­ bonitori, che irrompono su una pista da circo per pro­ nunciare, alterate dalla inflessione farsesca, frasi dal so­ lenne pedigree: nientepopodimeno che - è il caso di segna­ larlo - il commento del Boccaccio alla Divina Commedia (Esposizioni sopra la Comedia di Dante, di cui si selezio­ nano passi dell'Accessus contenenti inserti puntualmente ripresi dal Boccaccio stesso, in traduzione letterale, dalla dantesca Epistola a Cangrande: il tutto per discorrere delle cause dell'opera, delle basi filosofiche, della struttu­ ra fisica, delle ragioni del volgare) 2 • Dopo Boccaccio, toc­ ca a Benvenuto da Imola comparire nella sezione II, col suo Comentum super Dantis Comoediam3 limitato, nel ca­ so in questione, all'analisi del primo verso del Canto I ( ): un comentum che le voci degli altoparlanti diffondono con intonazione chiesastica, inespressiva, uniforme, in perfet­ to contrasto con la centralità e drammaticità dell'argo­ mento (cosa si deve intendere, si chiede Benvenuto, per ? Il somnus, o la nox, o propriamen­ te l'età dell'autore, il ?). Trascorrono così le due prime sezioni. Che fa Sangui­ neti? Prende tempo ? L'approccio diretto alla parola di Dante è rinviato con intenzione precisa: lasciare agli inter­ preti, agli illustratori evocati sulla pagina, il compito di tra­ sformare da subito il travestimento in saggio critico, allo G. Boccaccio, Esposizioni sopra la Comedia di Dante precedu­ te dall'Accessus, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca, voi. VI, Mondadori, Milano 1965. 3. Ci si rifà, per il confronto critico, all'edizione Benevenuti de Rambaldis de Imola Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam, Typis G. Barbèra, Florentiae MDCCCLXXXVII . 2.

103

scopo di mettere in evidenza il valore drammatico, la pro­ toteatralità, per così dire, insita nella Commedia d'origine. E però l'operazione di diffrazione, di straniamento, pro­ duce un primo effetto sorprendente là dove, alla fine del lungo accessus, si passa dal latino medievale di Benvenuto al volgare di Dante, dalla litania prosastica al verso, dalla linearità da basso prolungato e continuo dei commenti al­ la verticalità della terzina, esposta nella sua icasticità: ALTOPARLANTI Et dicit autor:

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura che la diritta via era smarrita.

Per effetto di dissonanza timbrica, ci si trova così immer­ si all'improvviso non tanto e non solo nel più noto inci­ pit trasmesso da tradizione plurisecolare, quanto già, di­ rettamente, in una vocalità contrastiva: un anticipo, in qualche misura, di quelle ben note al Sanguineti indagatore, nell'8o, dei modi della Canzone sacra e canzone pro/ana4 . Un' "antimusica" accoglie insomma il pellegrino lettore sin dal Prologo, ancora sulla soglia del travestimento: ed è subito, nella sezione successiva che ospita la presenza in scena del Dante "agens", una "musique brute", di­ sorientante, angosciosa, come rivelano la grafia disinte­ grata dell'endecasillabo, la sua spastica, residuale fonia. DANTE selva oscura:

una selva selvaggia, e aspra, e forte: io era pieno di sonno: e al piè d'un colle giunto, guardai in alto: 4. Il saggio è ora contenuto in E. Sanguineti, Dante reazionario, Editori Riuniti, Roma 1992, di cui si cita la p. 150. 104

La parola si contorna di vuoto, il racconto si fa intermit­ tente, elisi nessi causali e temporali, scardinato l'ordine dei versi; finché tocca di nuovo a Benvenuto ristabilire una continuità narrativa, una linearità frastica che però toglie alla lonza, al leone, alla lupa, coinvolti in sottili disquisizioni, ogni effetto terrifico. Quello che compete invece a un Dante e a un Virgilio irritualmente concitati, con le loro espressioni irrelate, monche, soppressi i , i , che nell'originale ritmavano il dia­ logo ( - ). . Federico Tiezzi, nella sua In­ troduzione, accennava a un Sanguineti > - ). Non a caso quei lacerti verbali dalla figuralità così intensa ri­ chiamano il lettore di Sanguineti a un'eco suggestiva: quella di Laborintus II, prova altissima di "teatro musi­ cale" approntata dal poeta nel '65 per Luciano Berio5 • A 5. Il testo di Laborintus II, composto da Sanguineti tra il ' 63 e il ' 65, è ora compreso in E. Sanguineti, Per musica, a cura di L. Pesta­ lozza, Ricordi-Mucchi, Modena 1993. 105

quasi venticinque anni di distanza resta immutato l'im­ patto fonico, visivo, la vocalità corporea di quei segmen­ ti retti su attriti tonali, che i segni interpuntivi scandiva­ no nella loro icasticità, attualizzando la simbologia della " selva " e della " lup a " nella nuova violenza del potere capitalistico, con le sue guerre devastanti: e nel mezzo: e in una selva: oscura: selvaggia selva: e aspra: ed una lupa: ma: not only in the middle of the Way: una lupa: in the middle: con [paura: ma questa bestia uccide: uccide [... ] et dans le labyrinthe: e in una selva: selvaggia selva e forte: ed una lupa: but: ali the way: l'entre deux guerres: una lupa: dans le labyrinthe: con paura: ma questa bestia uccide [... ].

Non a caso saranno l'usura, l'avidità, la brama cieca di denaro, a costituire, come in Laborintus II, uno dei nu­ clei tematici dominanti nel travestimento, lo sguardo ri­ volto al Pound dei Cantos: lo indica, ancora sulla soglia, la stessa collocazione di Pluto , il demone preposto da Dante al quarto cerchio degli avari e dei prodighi, qui elevato, nella sezione IV, a custode dell'intero regno del­ le , alla pari di Caronte e Minosse. So­ no versi fusi in singolare mixaggio quelli che aprono la sezione proponendo, al modo di una partitura, l' esecu­ zione simultanea delle voci, seguita da un crescendo af­ fidato agli altoparlanti, a siglare la percussione anaforica che scandisce, in Dante, l'ingresso all'Inferno (, canto III , vv. 1- 3 , 9 ) . Ma nel travestimento la scansione dei versi si fa ellittica, ri­ chiamandosi di nuovo, per eco fonica, a Laborintus II,

106

ove già i segmenti , , si isolavano nel­ lo spazio scenico della pagina: e per me: per me: lasciate:

ne l' etterno dolore:

ne la città dolente:

per me: tra la perduta gente

lasciate ogni speranza:

Se è vero che Sanguineti punta - parola sua - a disinne­ scare l' che il testo dantesco produce su chiunque gli si accosti, e se è altrettanto vero che aspira a suggerire tra il testo d'ori­ gine e la sua drammatica, non ci potreb­ be essere avvio più promettente. E ciò che segue non è da meno: stupisce semmai che rimanga salvaguardata, pure negli stravolgimenti più azzardati, una fedeltà asso­ luta alla "lettera" dantesca, un rispetto totale, da filolo­ go scrupolosissimo, per la ricchezza delle soluzioni reto­ riche proposte da Dante, dalla regola del contrappasso alla puntualità delle similitudini. Impossibile darne con­ to dettagliato: ma il lettore può farlo, tenendo a fianco il testo originale là ove occorra, per valutare al meglio co­ me, nonostante tagli sostanziosi e sostanziali, trasforma­ zioni di dialoghi in monologhi, sostituzione di soggetti, mutamento di tempi verbali, finzioni e mascheramenti, l'Inferno trovi nel travestimento della Commedia le ri­ sorse per inverarsi, nel senso proprio di farsi "più vero del vero", come si conviene ad ogni pratica d'artificio. A partire dalla grande "aria" di Francesca, pezzo forte per ogni lettura romanticamente connotata: per Sanguineti, episodio di perizia interpretativa e di felice creatività, sino dalle didascalie che stipano i lussuriosi in voliere mobili, dando sostanza e tenuta alla rete di simili107

tudini che corredano nel testo dantesco l'apparizione dei due amanti ( >), entra in un contesto fitto di ipotesti, tra il trattato De amore di Andrea Cappellano 6 , le etimologie medievali, il Lancelot di Chrétien de Troyes 7 , generosa­ mente citato dagli altoparlanti per il valore di seduzione che scatena, in tempo reale , sulla pagina, esibendo l'a­ more adultero per ironizzare intorno all'amore cortese e ai suoi eroi. La tabe letteraria viene messa, insomma, alla berlina, additata nella sua pericolosità, proprio mentre la citazione che Francesca veicola, complice il suo autore ( - ...), diviene concreta esperienza carnale, consumata tra effetti di rifrazione incrociata. 6. Il trattato De amore di Andrea Cappellano (probabilmente il fran cese An drea di Luyères, cappellano della contessa Ma rie de Champagne) venne composto intorno al 1185. 7. Lancelot ou le Chevalier à la Charrette, romanzo incompiuto di Chrétien de Troyes dedicato alla medesima Marie de Champagne, viene collocato dagli studiosi negli anni di poco successivi al 1176 (l'autore morì nel 1190) . Lo accompagna un destino curioso: venire assunto come esaltazione del perfetto cavaliere (Lancillotto, appun­ to) , contro le intenzioni decisamente dissacranti dell'autore.

108

Un travestimento. Certo. E travestiti sono Farinata e Cavalcante, scippati, soprattutto il primo, di ogni monu­ mentalità, esposti a smontaggio e ricomposizione dei ruoli: la teatralità del testo dantesco viene ridimensionata non solo dalla soppressione dei versi introduttivi alla situazio­ ne e alla postura degli eretici, ma dalla scomparsa stessa del dialogo e della scansione scenica dell'originale (Dante­ Farinata, poi Dante-Cavalcante e ancora Dante-Farinata). Ne deriva una sobrietà illustrativa che toglie a Farinata ogni statuaria plasticità: colui che si drizza in eterno - nel1'immaginario popolare, davvero, complice la lettura de­ sanctisiana - , l'eroe che ogni tradi­ zione romantica vorrebbe avocare a sé, erto , a sfida del luogo e del ruolo di dannato ( , appunto), esce dalla stilizzazione, insieme a un Cavalcante non più con­ trapposto, figurativamente, al suo compagno di pena, ma spaesato, afasico, all'inseguimento, più che del ricordo straziato e straniato del figlio Guido, della ricomposizione progressiva, in climax ascendente, dell'endecasillabo che ne ritma la quete (). Accanto alla maschera da morto dei due eretici, che in un , per l'appunto, vengono situati, morti travestiti da morti, morti che più non si può, dacché > (e Dante, vv. 43-45: ). Voce , av­ verte la didascalia. Ma qui la maschera è sostanza defor­ me, ibrida. Contraffatta la contraffazione, si è abbastan­ za avvertiti circa le potenzialità infinite del travestimen­ to, d'ora in avanti, se possibile, ancora più disinibito ri­ spetto all' autoriale, e incline al fanta­ smagorico: lo è la pioggia di fuoco trasformata in spetta­ colo pirotecnico per una fragorosa resa scenografica dei violenti contro Dio e contro natura (la sezione IX che mescola, nell'ordine, versi dei canti XIV, xv, XVI, XVII, XI dell'Inferno, oltre che un inserto poundiano dai Cantos, XLV 9 , già utilizzato in Laborintus II, mentre Capaneo e Brunetto Latini si danno addosso con la voce, l'uno all'altro); lo sono le macchine sceniche 9. Il Pound dei Cantos diviene largamente protagonista della se­ zione decima, che occupa un posto centrale nella Commedia dell'In­ ferno. La sua voce ( Cantos LI, XLVI, XLV) occupa, mutuata da Gerione, ben 30 versi del testo sanguinetiano, a fronte dei 39 versi danteschi ci­ tati dal canto XIX. IIO

da teatro barocco, che piegano il "meraviglioso" alla tecnologia più illusionistica e involgarita. Quella da set cinematografico o da schermo televisivo, veri spettacoli nello spettacolo, allestiti per dare corpo, in sette sezioni contigue (XI-XVII), alle bolge dei fraudolenti dell'ottavo cerchio dantesco : un terreno congeniale, si sa bene, quello delle Malebolge su cui si alza il sipario del Secon­ do tempo, al Sanguineti dantista10 • Che qui infatti si sca­ tena, sostituendo, alla bisogna, alle zoomate dei primi piani la babele dei cori, dei gruppi di figuranti, con cro­ matismo sfrenato, da demonismo farsesco, carnevalizza­ to in modi popolari, degradati, bassi (basterà accennare ai manichini bianchi che affiorano nella piscina dei Ma­ lebranche, acciuffati da diavoli in tuta nera, con ma­ schere carnevalesche, appunto, da strampalati comici dell'arte, o ai mimi serpenti della bolgia dei ladri, neris­ simi anch'essi sul bianco dei corpi dei dannati, al ramar­ ro rosso e nero, alle bolle, al fumo . . . ). Al cromatismo diabolico da cartapesta si associano sonorità stridenti (fischi, mugolii, silenzi e gracchiamenti, nastri da regi­ strazione dalla velocità impazzita, microfoni disturbati), mentre l'organico regredisce verso l'inorganico, il robo­ tizzato, l'androide, il subumano, il mostruoso. Lo zom­ bi, infine, infernale caricatura della morte: e il pensiero va a Ugolino, cadavere parlante in congelamento da obi­ torio (perfetta resa del ghiacciato Cocito assegnato da Dante ai traditori), qui in esibizione orrifica (da genere horror, propriamente), che sostituisce a gesti (il rodere avidamente la testa dell'Arcivescovo Ruggieri, il ripulirsi la bocca coi suoi capelli) i versi celebri Si allude ovviamente al Sanguineti autore di Interpretazione di Malebolge, la tesi di laurea pubblicata nel 1961 per i caratteri della casa editrice Olschki di Firenze. 10.

III

che gli vengono sottratti dal regista-travestitore ( , insomma, con quel che segue, espunto per lasciare spazio a un colloquiale coin­ volgimento del pubblico, scioccante, ad effetto: