Cinema muto italiano: tecnica e tecnologia. Brevetti, macchine, mestieri [Vol. 2] 884303684X, 9788843036844

Strettamente connesso al volume di inquadramento teorico del tema, questo testo si sofferma invece sugli aspetti tecnici

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Italian Pages 135 [129] Year 2006

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Cinema muto italiano: tecnica e tecnologia. Brevetti, macchine, mestieri [Vol. 2]
 884303684X, 9788843036844

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Premessa di Michele Canosa, Giulia Cariuccio, Federica

Villa

La ricerca interuniversitaria “Le tecnologie del cinema» Le tecnologie nel cine­ ma* ha voluto dedicare particolare attenzione al periodo del cinema muto ita­ liano, come momento fondativo sia per quanto riguarda l’acquisizione di un patrimonio tecnologico da parte del cinematografo, costituito dal varo di invenzioni di macchine e di apparecchi atti a supportare la nascita di un’indu­ stria produttiva a tutti gli effetti, sia per quanto concerne il definirsi di una teo­ ria di discorsi sulla tecnica/tecnologia che hanno concorso a delincare la fisio­ nomia e l’identità del cinema come nuovo mezzo espressivo. In questa direzio­ ne, tanto Panatisi della disponibilità tecnica del cinema e delle relative mae­ stranze coinvolte nelFutilizzo della strumentazione quanto lo spoglio di un

rappresentativo corpus di riviste pubblicate tra il 1910 e il 1931 hanno condotto a prospettare una serie di riflessioni intorno al processo di istituzionalizzazio­ ne del cinematografo nel quadro di un dibattito acceso e finalizzato a legitti­ marlo sia come medium autonomo che come nuova forma d’arte. In particolare il lavoro di approfondimento intorno a tecnica e tecnologia nel cinema muto italiano ha coinvolto due équipe di ricercatori appartenenti

all’Univcrsità di Torino e all’Univcrsità di Bologna. L’unità torinese si c con­ centrata soprattutto sullo spoglio delle riviste, procedendo da un lato a imple­ mentare il massiccio lavoro di catalogazione consultabile all’interno della banca dati on line, dall’altro, proprio a partire da questo primo regesto di materiali, a suggerire possibili linee di lettura dei documenti e a prospettare ulteriori campi di approfondimento. L’unità bolognese si e concentrata invece a sviluppare una serie composita di percorsi di ricerca intorno ad alcune gran­ di questioni in gioco: dalle logiche di sperimentazione c attestazione dei bre­ vetti alla ricostruzione storica del percorso vitale delle macchine fino alla sco­ perta e alla relativa rivalutazione di particolari memorie professionali che hanno segnato lo scenario tecnologico del cinema muto italiano. L’esito di questa prima fase di studio è raccolto in due volumi che, pur distinti in relazione al lavoro delle due unità coinvolte e nelle differenti moda­ lità di analisi e di studio dei materiali reperiti, sono da ritenersi un corpo unico di riflessioni sul tema.

Brevetti, macchine, mestieri. Nota del curatore

«C’e una sorta di giocattolo che da un po’ di tempo tende a moltiplicarsi, e del quale non ho da dire ne bene ne male. Sto parlando del giocattolo scientifico». Chi parla è Charles Baudelaire. E il giocattolo scientifico di cui parla in Mora­ le du joujou è il fcnachistoscopio. Segue ampia descrizione. Il curatore dell’e­

dizione italiana non resiste alla tentazione: «Il fcnachistoscopio era un’inven­ zione che precorreva il cinematografo»1. Non è il solo a cedere a questa e ad analoghe tentazioni. Anzi, è la regola: tra scienza c attività ricreative, la conge­

rie ha preso l’imprevidente nome di “precinema*'. Non c questo il luogo per discorrere dei rapporti di parentela tra il cinematografo c i suoi presunti ascen­ denti. Diciamo invece che, negli studi sulle origini del cinema, la citazione obbigatoria del brano di Baudelaire finisce per dileguare il successivo: ci sono bambini che non usano i loro giocattoli, ne fanno economia, li tengono in ordi­

ne, «ne fanno biblioteche c musei», li mostrano ai loro amici con la preghiera di non toccare. E Baudelaire conclude: «Volentieri diffiderei di questi bambini­ adulti». Anche noi ne diffidiamo. E, simmetricamente, non meno ci insospetti­

scono quei bibliotecari e conservatori di musco c collezionisti (adulti-bambi­ ni?) che ci tengono lontani dai pezzi a loro affidati in custodia. Ma la questio­ ne che qui ci sospinge è un altra: dei giocattoli, «la maggior parte dei marmoc­ chi vuole soprattutto vedere l’anima». Dunque, i giocattoli hanno un’anima c,

per di più, visibile. I macchinari cinematografici hanno un’anima? E se pure alla curiosità infantile, alla sua furia autoptica seguita da sicura delusione, sostituissimo la delicatezza chirurgica dell’anatomista o piuttosto la pazienza meccanica dell’orologiaio, non troveremmo (o vedremmo) ancora l’a­ nima (cioè l’essenza) ma appena le interiora di un corpo, qualche organo metal­

lico, rotismi c ingranaggi solidali. Delizia (meccanica) e croce (di Malta) dei cercatori. Del resto, all’epoca - segnatamente nei primi anni della “fotografìa animata”, quando il cinematografo era dell’ordine della trovata e della Meravi­ glia -, dalla lettura di queste viscere tecniche si traevano, nella pubblicistica divulgativa, aruspici a volte esultanti (“la mirabile invenzione del domani”) altre volte disforici (“una invenzione senza avvenire”).

“Leggere” un apparato tecnico significa fame un testo: un testo preso in un discorso - che non e solo di ordine tecnico. Di questo processo, tutt’altro che pacifico, di testualizzazione della tecnica cinematografica in età di cinema muto, si occupa il primo volume della presente opera (a cura di Giulia Cariuccio e Fede-

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CINEMA MUTO ITALIANO: TECNICA E TECNOLOGIA

rica Villa). Qui, invece, facciamo all’inverso. Partiamo, intanto, da testi d’epoca

relativi alla tecnica cinematografica per tentare di rintracciare certi tratti della serie “tecnologia del cinema muto”: mezzi e materie; invenzioni, innovazioni e appli­ cazioni; nomi, date e luoghi. In breve, quei testi e altri, li consideriamo fonti. (Circa la tipologia di queste fonti diremo presto. Intanto una precisazione: le due prospettive teste accennate sono “complementari”. L’affermazione può

suonare un po’ di circostanza. Allora mettiamola così, semplicemente: c’è un movimento rotatorio in un senso c un movimento contrario, di precessione.

Insomnia, in entrambi i casi, si prilla come trottole.) Per il periodo in questione abbiamo compulsato: riviste cinematografiche (e attigue: scientifiche o di volgarizzazione), elenchi di brevetti e descrizione di brevetti con schemi e progetti allorché disponibili, cataloghi (pochi) dei fab­ bricanti, annunci pubblicitari, manualistica specializzata c prontuari per gli addetti (proiezionisti). Ove possibile, abbiamo esaminato documenti e memo­ rie, carte c carteggi (presso archivi pubblici o personali); quando ancora possi­ bile, abbiamo fatto appello alle testimonianze (ai ricordi) dei personaggi inte­ ressati o piuttosto - a questo punto - ai loro discendenti o eredi. Poi ci sono le

macchine stesse e i film. I macchinari superstiti (i rari conservati presso i musei o raccolti dai collezionisti privati) e i film superstiti (gli originali presso le cine­

teche) sono gli oggetti della ricerca non le fonti, tuttavia possono essere usati come fonti, ovvero si possono convocare quali testimoni di un determinato assetto tecnologico. Nel presente volume, ciascun contributo muove dalla santa deplorazione dell’assenza (o del difetto) di una storia attendibile e aggiornata della tecnica delle “immagini in movimento” dei primi tre decenni, in Italia (e non solo). Questa assenza (o questo difetto) è la ragione stessa del presente lavoro.

Non siamo in grado di giudicare se gli studi cinematografici di tradizione siano la causa o l’effetto di una tale obliterazione (o deficienza) della dimen­ sione tecnologica del cinema; il risultato è comunque il medesimo: la perdita della memoria del sapere materiale e l’ignoranza del know-how storico. A que­ ste condizioni, per rompere il silenzio delle macchine o far parlare un film muto, occorrono certo perizia c metodo ma - in prima istanza, ci pare - giova meno una distanza critica che un atteggiamento di dilezione, una prossimità

amichevole: una confidenza. Ecco cosa manca, intanto. Come fa un operatore di cabina a capire qual è il “lato emulsione” del film per montarlo correttamente nel proiettore? Assaggia la pellicola. Prima di ogni scrutinio scopico o expertise protocollare, come si capisce se un vecchio film ha un supporto in nitrato o in acetato? Annusandolo. E per individuare una giun­ ta a colla o solo una perforazione lacerata? Si lascia scorrere il rullo nella pas­ safilm, adagio, sotto i polpastrelli. Precisiamo: non intendiamo levare al cielo un’elegia sensista della pratica minuta, tentiamo solo di rendere sensibile un’esigenza che in altri campi appare

acquisita: la presa diretta dei materiali (oggetti e documenti). Questa prima esi­ genza, ancorché modesta e irrinunciabile, è risultata di ardua soddisfazione a causa delle difficoltà di accesso. Seconda esigenza: saperli interrogare, questi materiali, da presso. Il che richiede una competenza storico-teorica, non solo tee-

BREVETTI» MACCHINE. MESTIERI. NOTA DEL CURATORE

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nica. A duplice esigenza, doppio passo» Per dare un’idea: come Chariot di Modem

Times (1936), infilarsi nel ventre della macchina senza farsi stritolare dagli ingra­ naggi (c senza impazzire, possibilmente) e, insieme, come Keaton di Sherlock Jr.

(1924), farsi proiezionista e investigatore insieme. Prosopopea di una scepsi. Il campo d’indagine qui attraversato e il cinema muto italiano. In via pre­ liminare, e appena il caso di esplicitare: non si tratta di una storia sia pure som­ maria della tecnica cinematografica - che resta di là da venire. Né copre l’inte­ ro ambito cinematografico che interessa la tecnologia - e la scienza. A tale pro­

posito abbiamo stabilito delle soglie di pertinenza. Abbiamo fissato un margi­ ne sottostante: i principi scientifici (chimico-fisici); e un margine antistante: lì dove l’applicazione tecnica si fa forma espressiva o tratto di stile, tékhnè. Men­ tre il primo limite è stato solo vagamente lambito, il secondo e stato più volte trasgredito, naturalmente. (11 cinema non è una macchina per fare il vuoto.) Anzi, lo abbiamo definito “antistante”, dunque prospettico, proprio perche

segna il lavoro essenziale che ci troviamo innanzi, e che occorrerà intraprende­ re: almeno questo e l’auspicio. Per ora ci contentiamo di definirlo come limite, un limite mobile. Dalle riprese alla proiezione dei film. Visitiamo qui i “luoghi” che impe­

gnano un’inventiva, un sapere, una pratica di ordine tecnico. Altrimenti, impe­ gnano un’abilità nelle tecniche settoriali: i “mestieri”. In particolare gli opera­ tori di ripresa e gli scenografi. Nonché i proiezionisti, o piuttosto descriviamo il loro regno esclusivo (la cabina di proiezione secondo la manualistica d’epoca). Inoltre: la fabbricazione delle didascalie e i “formali ridotti”; ancora: il sono-

ro/parlato nel cinema muto e il Kinemacolor in Italia. Questi argomenti, pres­ soché inediti o rari, sorgono come autentici sintomi di rimozione o emargina­ zione nella storiografia cinematografica e, del cinema muto, revocano in causa: il “purovisibilismo” (dove gli interritoli sono avvertili come greve residuo lette­ rario) e il mutismo assoluto (disconoscendo i numerosi, continui tentativi di sonorizzazione), la naturalizzazione del formato standard delle pellicole (che invece non e affatto connaturato al cinematografo) c la presunta cromofobia (che si conferma come un inganno retrospettivo). Detti argomenti sono qui con­ siderati sotto il profilo della tecnica; ma anche sotto questo profilo, squisito e

senza palinodia, verifichiamo che il cinema muto (italiano) e un campo eteroge­ neo che vanifica ogni impresa di reductio ad unum e di spiegazione lineare. Lo sviluppo delle tecniche del muto, con le sue accelerazioni, scarti e ritardi, risponde meno alla evoluzione interna della serie tecnologica che alle esigenze dell’“istituzione” cinematografica. Ovvero, secondo prospettiva storica: rispon­ de alle esigenze del cinema disposto in un movimento di istituzionalizzazione. Invenzione innovazione diffusione. Ancora: implementazione dei brevetti, fabbricazione e commercializzazione. Tra questi termini si gioca la fortuna della tecnologia del cinema. Numerosi sono i “trovati” italiani. Numerosi gli inventori, ma lasciati alla solitudine dei loro esperimenti. Generosi o velleitari, mandati a effetto o inesitati, dipende. L’italico genio o la lettera morta, dall’in­

dustria dipende. Vedremo. MICHELE CANOSA

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CINEMA MUTO ITALIANO: TECNICA E TECNOLOGIA

PS. Tra i contributi italiani, non ci siamo potuti awalcrc del recente lavoro di C. Montanaro, Dall'argento al pixel. Storia della tecnica del cinema, Le

Mani, Recco (GE) 2005, perche e apparso quando il presente era già conclu­

so. Allora, citiamo almeno r/wc/p/7 della nota di apertura: «Ho cominciato infante a rompere giocattoli e quant’altro per capire “come funzionava”». Baudelaire sorride. Note 1. G. Montesano, Note ai testi di Ch. Baudelaire, Opere, a cura di G. Raboni, G. Mon­ tesano, I Meridiani Mondadori, Milano 1998, p. 1676, nota. Morale del giocattolo sta alle pp. 1569-76.

Tecnologia e storia del cinema di Aldo Bernardini

La storia del cinema, l’evoluzione dello spettacolo cinematografico dalle origi­ ni a oggi sono legate certo alla creatività degli autori, alla professionalità dei

tecnici, al coraggio imprenditoriale dei finanziatori, all’abilità di commercianti ed esercenti; ma sono state anche indubbiamente condizionate da una serie di invenzioni che ne hanno contrassegnato le diverse fasi di sviluppo. Senza gli

inventori e gli innovatori delle tecnologie di ripresa e di proiezione, il cinema non sarebbe mai nemmeno nato e non sarebbe mai diventato quel linguaggio

complesso e incisivo che oggi tutti conosciamo. Sono considerazioni ovvie, alle quali però mi sembra che per molto tempo gli storici del cinema non hanno prestato molta attenzione: anche perché i per­ corsi tecnologici non sono sotto gli occhi di lutti, come lo sono invece quelli espressivi o imprenditoriali. Studiare l’evoluzione e gli apporti delle tecnologie comporta sia una quantità di competenze scientifiche e tecniche, che di solito agli storici del cinema mancano, sia la capacità e la volontà di scavare in profondità nei processi di lavorazione dei film, per scoprirne e catalogarne aspetti (proprio quelli delle tecniche e delle tecnologie impiegate) sui quali le informazioni sono sempre molto scarse anche nella pubblicistica specializzata.

Non stupisce dunque il fatto che, mentre in molti paesi si continuano a scrive­ re e a pubblicare lavori di ricerca sempre più approfonditi, dettagliati e atten­ dibili sulla storia generale del cinema o sull’evoluzione di singole cinematogra­ fie, o analisi di singoli film, mancano a tutt'oggi contributi altrettanto

approfonditi e sistematici sulle rivoluzioni tecniche e tecnologiche che hanno accompagnato e condizionato il cinema internazionale nel corso di tutta la sua storia ormai ultracentenaria. Eppure si tratta di aspetti del lavoro cinematografico che sono importanti, in certi casi essenziali, per capire anche come e perché si sia giunti a determi­ nati risultati espressivi, per comprendere ragioni e conseguenze di alcune svol­ te stilistiche. Pensiamo, per capirci meglio con qualche esempio, a quanto la rivoluzione neorealista del cinema italiano fosse legata alle condizioni difficili del secondo dopoguerra, alle difficoltà di girare nei teatri di posa diventati ina­ gibili o di rifornirsi di pellicola vergine; e quanto dovesse poi l’altra grande ondata di rinnovamento intemazionale del cinema (dalla Nouvelle Vague fran­ cese alle varie esperienze del nuovo cinema degli anni Sessanta) alla diffusione di macchine da presa e di mezzi di registrazione del suono meno ingombranti che per il passato, in grado di consentire a piccole troupe di lavorare con la macchina a mano e in presa diretta.

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ALDO BERNARDINI

Un altro aspetto tecnologico oggi molto interessante, e che preoccupa molti, e quello derivante dal rapporto tra i sistemi di ripresa e quelli di proie­

zione: rapporto divenuto particolarmente importante da studiare nella nuova fase storica in cui ci troviamo, nel passaggio dall’immagine cinematografica su pellicola all’immagine elettronica. Conoscere formati e obicttivi usati al momento della ripresa c decisivo per capire se le immagini di un film che vedia­

mo trasferite sul nastro del video o sul disco del DVD abbiano qualche proba­ bilità di rispettare e quindi di farci conoscere, nei suoi dati espressivi essenzia­

li, l’opera cinematografica d’origine. Ncll’impostare l’Archivio informatico del cinema italiano dell’ANICA la mia ambizione era anche quella di fornire punti di riferimento sicuri ai futuri studiosi della storia delle tecniche c delle tecno­

logie, registrando per ogni film - ad esempio - la marca delle pellicole usate per le riprese c per la stampa, il tipo di obicttivi c il fonnato dei maschcrini usati sul set o previsti per la proiezione, i nomi dei laboratori per lo sviluppo c la stampa, per la sincronizzazione o per il doppiaggio e così via: ma nell’im­ presa mi sono scontrato con la contraddittorietà di tante fonti, con la lacuno­ sità dei titoli di testa c di coda, con la scarsa attenzione dedicata anche dalle fonti più accurate a questi aspetti della lavorazione dei film. Oggi poi, con la sospensione a tempo indeterminato del lavoro dcll'Archivio, la speranza di poter un giorno coordinare il lavoro dei pochi appassionati che si occupano di questi problemi, mettendo a disposizione informazioni di prima mano e spazi di confronto, non ha più alcuna giustificazione. Pcr fortuna in questi ultimi anni non sono mancati i segnali di un risve­ glio per lo studio finalmente sistematico e approfondito anche di questi aspet­

ti della storia del cinema, da parte di studiosi e ricercatori di nuova genera­ zione. Pionieristico ed esemplare è stato, ad esempio, per il periodo del cine­ ma muto, il lavoro effettuato a Torino, non solo per il recupero e la pubbli­ cizzazione dei materiali conservati dal suo benemerito Museo del Cinema, ma

anche c soprattutto per l’opera di un nuovo appassionato ricercatore come Alberto Friedemann c della sua associazione Filming with a European Regard in Turin (FERT), col puntiglioso lavoro effettuato non solo sulle strutture di stabilimenti e teatri di posa, ma anche su fornitori di servizi, accessori e appa­ recchi. Mi auguro che questa esperienza pilota, che sta producendo una serie di pubblicazioni molto accurate, ne faccia nascere di analoghe anche in una città come Roma, che come tutti sappiamo è stata ed è l’epicentro del sistema cinematografico nazionale. Fa ben sperare inoltre quest’altra iniziativa impor­ tante: la ricerca a livello interuniversitario, coordinata dal prof. Francesco Casetti, su “Le tecnologie del cinema. Le tecnologie nel cinema”. È molto

significativo che anche in questo caso ci si avvalga delle risorse dell’informati­

ca costruendo un apposito database. Sarebbe comunque, a mio avviso, auspi­ cabile che anche questa iniziativa si coordinasse con il lavoro già sviluppato ncll’Archivio dell’ANICA, per rendere possibile il confronto tra i dati reperiti nello spoglio di fonti scritte con quelli ricavati dall’esame delle copie dei film e dei titoli di testa e di coda. Si comincia cioè ormai a intravedere la possibi­ lità che, almeno per quanto riguarda l’Italia, si creino abbastanza presto le condizioni per poter cominciare a scrivere, in maniera precisa c attendibile.

TECNOLOGIA E STORIA DEL CINEMA

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almeno qualche capitolo di quella storia della tecnica e delle tecnologie del cinema di cui lamentavo appunto l'assenza, ricostruendo storia c vicende anche dei laboratori di sviluppo e stampa, per la sincronizzazione, il doppiag­ gio ecc. Il mio auspicio è che questa fioritura di iniziative si stia verificando anche fuori dai confini nazionali, e investa soprattutto i paesi più tecnologica­ mente avanzati, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna: perché, come per il

cinema, anche per le sue tecnologie la storia di ciascun paese è strettamente condizionata da quella degli altri; e per capire la portata di un'innovazione non e produttivo limitarsi a studiarne gli effetti nell'ambito di una singola cinematografia. Ma pure da questo punto di vista, la tendenza attuale alla glo­ balizzazione della cultura e delle idee garantisce che questi progressi di cono­ scenza saranno condivisi. Vorrei infine soffermarmi un momento su alcuni aspetti particolari del rap­ porto tra storia del cinema c tecnologia: con alcune osservazioni soprattutto

sulla situazione italiana. Se, come ho detto, lo studio delle tecnologie è sempre culturalmente molto interessante e importante per quanto riguarda tutte le fasi di evoluzione dello spettacolo cinematografico, è ancora più fondamentale quando ci si occupa del

periodo delle origini del cinema, di un'epoca cioè in cui il cinema nascente c i suoi pionieri dipendevano totalmente dalle risorse tecniche a disposizione, che consentivano per la prima volta l'esplorazione e la codifica del nuovo linguag­ gio dell'immagine in movimento. Questa osservazione vale naturalmente anche e soprattutto per capire le prime fasi di sviluppo delle attività cinematografiche nel contesto italiano, soprattutto nel decennio ancora abbastanza oscuro e ine­ splorato che va dalle prime proiezioni pubbliche del 1896 all’avvio dell’eserci­ zio stabile e dell'industria nazionale (negli anni tra il 1904 e il 1906-07). Molti

aspetti delle tecnologie di quei primi anni sono stati chiariti, ma molti interro­

gativi restano ancora senza risposta1. I motivi per i quali in Italia non si sono sviluppate tin da subito attività commerciali e industriali legate al cinema sono senz'altro collegati alla situa­ zione economica del paese, non favorevole a investimenti in un settore nuovo e pieno di incognite; ma c'entra anche, indubbiamente, il fatto che la tecnolo­

gia di base che ebbe allora pivi fortuna e ottenne maggiori apprezzamenti in Europa Ri il Cinematographe Lumiere, inventato e lanciato dai francesi. C'e­

rano in quei primissimi anni molti altri apparecchi in circolazione, tedeschi (il Kincmatograph di Oskar Messier, ad esempio), inglesi (ricordiamo per tutti il Theatrograph di Robert William Paul), americani (il Vitascope e il Projecting Kineloscope di Edison) e anche francesi (il Chronophotographe di Georges Demeny, ad esempio): apparecchi la cui presenza in Italia è stata nella maggior parte dei casi documentata negli anni 1896-97. Ma nessuno di questi apparec­ chi fu lanciato c apprezzato come il Cinematographe, riconosciuto a lungo come il migliore, il più efficiente, anche nelle occasionali proiezioni organizza­ te nel nostro paese fino ai primi anni del Novecento (anche se è difficile oggi stabilire in che misura il gradimento del pubblico rispecchiato allora dalle cro­ nache giornalistiche fosse autentico e non strumentalmente enfatizzato dagli agenti e dagli operatori della ditta lionese).

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ALDO BERNARDINI

Da parte nostra, in Italia potevamo vantare solo il kinetografo di Filoteo

Alberini, apparecchio regolarmente brevettato, che - a quanto pare - non ebbe però pratiche applicazioni (sicuramente non venne mai prodotto in serie), forse proprio perche non paragonabile, per efficienza, al modello francese; e non è casuale il fatto che quando Alberini stesso deciderà di realizzare dei fil­ mati di attualità, si servirà proprio di un apparecchio Lumière. A quanto pare,

l’Italia è il paese europeo in cui l’uso del Cinématographe si protrasse più a lungo nel tempo, arrivando fino al primo quinquennio del Novecento: proba­ bilmente anche perché, mancando la possibilità di investire risorse nell’acqui­ sto degli apparecchi più perfezionati che intanto gli industriali all’estero stava­

no mettendo a punto, i pochi esercenti in attività (ambulanti o impresari di spettacoli di varietà) preferivano continuare a servirsi dei vecchi apparati che erano riusciti a procurarsi; e non dimentichiamo che, pur rinunciando molto presto all’esclusiva sulla loro invenzione, i Lumière continuarono la produzio­ ne dei loro filmati, garantendo quindi ai proprietari del loro apparecchio la disponibilità di repertori di immagini via via aggiornati. La situazione italiana cominciò a modificarsi solo negli anni tra il 1900 e il 1901, grazie al coraggio imprenditoriale di un pioniere dell’esercizio fiorentino, Rodolfo Remondini. che portò al successo la sua sala Edison grazie all’efficacia delle ini­ ziative promozionali, alla moltiplicazione delle riprese di avvenimenti locali, ma anche c soprattutto rinnovando di anno in anno i propri apparecchi da ripresa e da proiezione, che come i film andava ad acquistare dai produttori esteri, in Fran­ cia o in Germania. L’esempio di Remondini venne poi messo a frutto, nella stessa

Firenze e poi a Roma, da Filoteo Alberini, che aprì la seconda sede storica dell’e­ sercizio italiano, il Cinematografo Moderno di piazza Esedra, a Roma. Questi pur apprezzabili e importanti sforzi imprenditoriali dovevano però fare i conti con il lento progresso che stavano allora compiendo gli apparecchi da presa c da proiezione: progresso che avveniva soprattutto all’estero, in Fran­ cia, ad esempio, grazie al successo di un’impresa allora all’avanguardia nel set­ tore. quella di Charles Pathé, che nel 1902 aveva acquistato dai Lumière i dirit­ ti sulla loro invenzione (anche in base a ricerche recenti, risulta davvero molto scarso in Italia il numero di brevetti registrati riguardanti innovazioni nel campo degli apparecchi cinematografici)1. I progressi della tecnologia del cinema si riferivano sia alla qualità dell'immagine in proiezione, compromessa da tremo­

lìi e sfarfallamenti fastidiosi per gli occhi degli spettatori, sia all’angustia degli chassis utilizzati per la pellicola vergine, che consentivano solo riprese di breve durata. I presupposti per il progresso delle tecnologie di ripresa e di proiezione furono da un lato la separazione delle due funzioni (che nel Cinématographe e in altri apparecchi d’epoca erano riunite insieme) e dall’altro la diffusione della possibilità di utilizzare l’energia elettrica, la cui distribuzione sul territorio dive­

niva di anno in anno sempre più capillare, a costi sempre più accessibili. Il fatto di limitare la lunghezza dei film a 100, 150 metri non era la conse­

guenza di una libera scelta di realizzatori e cineasti, dipendeva soprattutto dalla limitatezza della tecnologia a disposizione, che progredì abbastanza lentamen­ te fino a consentire - negli anni tra il 1904 e il 1905 - la possibilità di impiegare * magazzini” più capienti. Ma questo progresso non poteva incidere più di

TECNOLOGIA E STORIA DEL CINEMA

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tanto sulla lunghezza dei singoli film, finché non si arrivava a risolvere nei proiettori il problema della stabilità dell’immagine offerta agli spettatori delle sale. Sembra che questo sia avvenuto con l’adozione nei proiettori, a partire dal 1904, del sistema di trascinamento a croce di Malta (si cita a questo proposito il nuovo proiettore ABR lanciato allora sul mercato dalla Pathé Frères) e con l’invenzione di un nuovo speciale otturatore dimostratosi in grado di elimina­

re lo sfarfallamento. Un altro problema che all’epoca limitava la circolazione dei film c che ren­ deva frequenti le interruzioni degli spettacoli e la rottura delle pellicole, oltre a rendere diffìcile lo scambio di esperienze tra quanti operavano nel settore, era la molteplicità dei formati, dei tipi di perforazione e delle velocità previste per lo scorrimento della pellicola; sarà solo negli anni 1908-09 che in campo inter­ nazionale verranno stabiliti dei criteri per uniformare gli apparati e renderli dunque compatibili. Si può notare come, per il progresso generale del cinema, siano risultati piti determinanti i perfezionamenti apportati nei proiettori rispetto a quelli delle macchine da presa, dato che in queste ultime gli obietti­ vi utilizzati erano in grado di fornire fin dall’inizio immagini pressoché perfet­

te (siamo stati tutti affascinati, negli anni più recenti, dalla bellezza e dalla niti­ dezza anche dei primissimi film Lumiere restaurati a Bois d’Arcy), e anche per­

ché per molto tempo, a differenza dei proiettori, esse rimasero proprietà pres­ soché esclusiva delle società di produzione che le conservavano gelosamente proteggendone i segreti, gli accorgimenti di fabbricazione. Si comprende dunque a questo punto come il vero sviluppo del cinema in quanto industria di massa e quindi anche come mezzo espressivo non sia in realtà avvenuto in tutto il mondo prima degli anni 1909-10; e si spiega così come, pur essendo partiti con dieci anni di ritardo rispetto ai colleghi francesi

e statunitensi, i pionieri italiani siano riusciti a recuperare il tempo perduto e ad arrivare, in pochi anni, a dar vita a una delle cinematografìe più evolute e fiorenti del mondo.

Note 1.1 testi più interessanti che (almeno fino a pochi anni fa) fornivano il maggior numero di informazioni sull'evoluzione della tecnologia nel muto erano quello di G.-M. Coissac, His-

toire du Cinématographe. De ses origine! jusqu’à nos jours, Cinéopse, Paris 192$, che si occu­

pava però prevalentemente di quanto era accaduto in Francia, e il trattato di J. Vivié, Traité

général de technique du cinéma. I. Historique et développement de la technique cinématograpbique, BPl, Paris 1946. r L'elenco dei brevetti registrati nel periodo delle origini ha a mio avviso un valore pura­ mente indicativo, segnala le tendenze, le direzioni di ricerca di tecnici e inventori, ma non è

davvero rivelatore della reale situazione del progresso tecnologico in ogni paese. Occorre tener conto che, al di là della priorità di un brevetto, è molto più importante e produttivo

accertare se gli apparecchi brevettati erano poi davvero realizzati industrialmente e immessi sul mercato. Questo poteva non avvenire mai o accadere a mesi o ad anni di distanza dalla

registrazione ufficiale del brevetto (ho già segnalato a questo proposito i limiti dell'esperien­ za di Alberini).

Innovazioni nella tecnica cinematografica. I brevetti italiani (1908-20) di Chiara Garanti

I Premessa Il cinema nasce c si diffonde in un’epoca di notevole sviluppo scientifico, frutto di una rivoluzione industriale ancora in piena espansione: la macchina rappre­ senta il modello di molti oggetti di produzione industriale destinati a entrare nel­ l’uso comune. Sotto questo rispetto, le invenzioni relative al cinema non sono dif­ ferenti dalle altre: il loro sfruttamento genera un guadagno, e dà la possibilità di

avviare (o ampliare) un’attività economica. I trovati in questo campo vengono dunque “brevettati”: depositati, cioè, presso una struttura competente che stabi­ lisce il proprietario dell’invenzione, gli consente di trarre profitto dalla realizza­ zione o dalla vendita della sua invenzione e persegue i produttori di falsi.

Fin dagli inizi, il campo della tecnica cinematografica e un campo di guer­ re fra innovatori e inventori che mettono sul mercato apparecchi diversi con la stessa funzione, e che in alcuni casi arrivano a combattere strenuamente per avere l'esclusiva della produzione e diffusione del loro prodotto1. A dire il vero,

questo fenomeno non si verificò mai in Italia, un paese caratterizzato da una realtà industriale ancora tutta da avviare. Ora, lo studio dei brevetti e stretta­ mente connesso alla storia c allo sviluppo dell’economia e dell’industria. In Ita­ lia, nel periodo esaminato, non si può ancora parlare di vera c propria indu­ strializzazione2: sia le strutture che le competenze necessarie sono carenti, con conseguente ritardo rispetto ai paesi stranieri e, dunque, perdita di competiti­ vità. Nondimeno, il campo della tecnica cinematografica vede la nascita di numerose sperimentazioni in Italia: numerose sono le sperimentazioni, ma manca la capacità di investimento, cosi si preferisce importare i macchinari dal­ l’estero. In effetti, si direbbe che i brevetti italiani in materia di tecnica cinema­ tografica solo in pochi casi siano stati veramente sfruttati tramite la produzione e la commercializzazione dei relativi prodotti. Pur in questo scarto tra invenzione e “artefatto” eseguito, tra invenzione (o innovazione) e produzione (o diffusione), tra attività progettuale ed esito indu­

striale-commerciale, il brevetto resta un indicatore significativo dei mutamenti tecnologici di settore. Non c il solo, certo, e non tutte le invenzioni cercavano o ricevevano legittimazione nell’attestato, lo sappiamo. Ma - come altrove acquisito, così nel campo del cinema - non e una buona ragione per seguitare a eludere i brevetti, questi luoghi dell’44inventiva certificata”.

INNOVAZIONI NELLA TECNICA CINEMATOGRAFICA

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Attestati di privativa industriale:

i brevetti Le ricerche che abbiamo fin qui condotto riguardano la schedatura di tutti i brevetti dal 1908 al 1920, nonché il reperimento di un buon numero di esem­

plari originali. A questo punto, occorre chiarire sia la tipologia delle fonti consultate sia l'ordinamento che regola i brevetti. Ma, intanto, va precisato che il termine hreve!to non c propriamente esalto: negli anni Dieci si parla piuttosto di privativa industriale, ovvero di proprietà intellettuale sancita e regolamentata di un’in­ venzione. Solo molti anni dopo, l’espressione “privativa industriale* verrà

sostituita con “brevetto*; tuttavia, per comodità c maggiore comprensione,

ricorreremo a quest'ultimo termine anche nella presente trattazione. Il brevetto, dunque, e un progetto di un’invenzione o di un’innovazione di un apparecchio esistente, c consta di una descrizione accompagnata da uno schema che rappresenta il funzionamento dell'invenzione. Negli anni consi­ derati, veniva depositato presso la prefettura di un capoluogo di provincia o di regione, che badava a inviarlo presso quello che oggi viene denominato Ufficio centrale dei brevetti, a Roma: c in questa sede che il progetto era sot­ toposto a vaglio. Se l'invenzione veniva approvala, si provvedeva a depositare il brevetto presso l’Ufficio, altrimenti - se il progetto veniva respinto o se occorrevano delle modifiche - si rimandava il tutto alla prefettura da cui il brevetto era partito. ^attestato di privativa industriale c il documento che veniva rilasciato dall’Ufficio centrale dei brevetti di Roma e che, appunto, attestava l’approvazio­ ne dell'invenzione c la facoltà di deposito per il numero di anni richiesto dal­ l’inventore, eventualmente prolungabile. La fonte preliminare che abbiamo consultato per giungere alle informa­ zioni circa i brevetti c il “Bollettino della proprietà intellettuale*, pubblicazio­

ne ufficiale del ministero dell'Agricoltura, dell’industria e del Commercio, che si occupa di proprietà industriale per un periodo che va dal 1902 al 1940. Pub­ blicato inizialmente con cadenza bimestrale, il “Bollettino della proprietà intel­ lettuale* è suddiviso in due parti: la prima riguarda la normativa (sia italiana che estera), con esempi di casi giudiziari relativi alla proprietà intellettuale; la seconda, invece, scheda le invenzioni approvale, in ordine tematico, e presen­ ta la segnatura (numero di catalogazione) fornita sia dal primo deposito pres­ so la prefettura che dalla catalogazione finale presso l’Ufficio brevetti. Giova notare che nel “Bollettino della proprietà intellettuale* vengono schedate anche le invenzioni straniere provenienti dai paesi membri della Con­ venzione di Parigi. Nata nel 1883, anche con l’adesione dell’Italia, sancisce la protezione della proprietà industriale ai cittadini degli Stati membri: il deposi­

to di un brevetto in uno qualsiasi degli Stati membri e dunque valido anche in tutti gli altri Stati’. La pubblicizzazione ufficiale dei brevetti, certo, non elimina i casi di pla­ gio o di deposito di brevetti sostanzialmente uguali nell'innovazione di mecca-

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nismi di funzionamento4, tuttavia consente la diffusione delle informazioni fra i vari paesi, mentre sul piano dell’analisi storica consente di considerare le

invenzioni (italiane, nel nostro caso) all’interno di un panorama piti ampio.

Dalle segnature riportate nel “Bollettino della proprietà intellettuale” è possibile risalire alle fonti primarie: il documento di avvenuta (o mancata) approvazione dell’invenzione c reperibile presso l’Archivio di Stato della Pro vincia nella quale è stata avanzata richiesta di approvazione del brevetto, men­

tre il brevetto vero e proprio c reperibile solo presso una sezione distaccata del-

l’Archivio centrale dello Stato di Roma. Come si vede, dal “Bollettino della proprietà intellettuale” ai singoli bre­ vetti il passo non è breve né spedito. Inoltre, come abbiamo accennato, la conoscenza dellV/er normativo e indispensabile per guadagnare le fonti prima­ rie (il dettato dei brevetti); per contro» a nostra saputa, non esiste una compiu­ ta disciplina storico-giuridica in questa materia protocollare: per noi, un’altra difficoltà di passo.

3 La schedatura dei brevetti Il periodo tra il 1908 e il 1920 è ricco di invenzioni e innovazioni nel campo della tecnica cinematografica. Fin dai primi anni, molti si sono ingegnati a trovare soluzioni ai vari problemi legati alla realizzazione e alla rappresentazione dei Him.

Un primo dato: sempre riferito a questo periodo 1908-20, abbiamo censito circa 800 invenzioni brevettate nei paesi aderenti alla Convenzione di Parigi; di esse,

circa la metà è italiana. L’elevata percentuale di invenzioni italiane denota una fervida attività

intorno al miglioramento o all'invenzione di dispositivi per il cinema; il dato registrato dal “Bollettino della proprietà intellettuale”, comunque, può non

essere rappresentativo della presenza degli inventori italiani nel panorama

intemazionale; d’altronde, per gli inventori stranieri era possibile, ma non

automatico, richiedere l’attestato di privativa industriale in altri paesi; è dun­ que probabile che molte invenzioni brevettate all’estero non lo siano state in Italia5. A prescindere dalle invenzioni straniere, l'Italia presenta un numero eleva­

to di pratiche depositate, con una percentuale piuttosto stabile rispetto alle invenzioni di altri paesi registrate nel “Bollettino della proprietà intellettuale”. Come si evince dalla FIG. 1, l’andamento dell’attività brevettuale italiana è piuttosto discontinuo, e caratterizzato da una sorta di specularità fra il nume­ ro delle invenzioni depositate prima e dopo il 1914, anno in cui si riscontra la maggior quantità di invenzioni; dal 1917, poi, le invenzioni decrescono note­

volmente, eccezion fatta per il settore delle armi e dei materiali bellici. In ogni caso, l’andamento del deposito di brevetti da parte degli inventori italiani non si discosta, se non nel volume, da quello dei brevetti stranieri; questo dato testi­

monia come l’attività di sperimentazione italiana segua il trend europeo anche

- come vedremo - per quello che riguarda gli specifici campi di innovazione.

INNOVAZIONI NELLA TECNICA CINEMATOGRAFICA

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Dalla nostra schedatura, il numero dei brevetti italiani risulta decisamente ele­ vato; tuttavia è opportuno specificare come molle invenzioni depositate siano dei completivi, ovvero richieste di modifiche a un brevetto già depositato, oppure attestati di prolungamento, ossia richieste di prolungamento della dura­ ta della proprietà intellettuale su un brevetto. La F1G. 2 riporta la percentuale di questo genere di attestati rispetto a quello delle pratiche depositate.

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La percentuale di attestati completivi e di prolungamento s'innalza negli anni che mostrano un maggior numero di pratiche depositate: questo dato denota che il numero dei brevetti veri e propri si riduce ulteriormente. D'altra parte, lo stesso dato testimonia un aspetto interessante relativo ai trovati registrati: il deposito di attestati completivi o di prolungamento dimo­

stra che l’intento dell'inventore era effettivamente di sfruttare la propria inven­ zione, o quantomeno di non perderne la proprietà intellettuale in vista di uno sfruttamento futuro, o addirittura che, l’invenzione, la stesse già sfruttando. Numerosi inventori, dunque, pur trovandosi ad operare in una situazione dif­

ficile e poco favorevole dal punto di vista industriale, sembrano aver compre­ so appieno l'importanza del brevetto sia dal punto di vista legale che da quel­ lo più strettamente commerciale: non a caso l'Italia, dal 1905 al 1915-16, presen­ ta una crescita nelle attività collegate alla produzione industriale in quasi tutti i settori, ma soprattutto uno sviluppo rapido rispetto alle condizioni di arre­ tratezza economica che la caratterizzano sin dall'Unità.

4 I campi dell’innovazione

Gli attestati di privativa pubblicati nel “Bollettino della proprietà intellettuale'’ sono schedati secondo ordine tematico (con poche variazioni negli anni). Consi­ derato che il numero dei brevetti è piuttosto elevato, abbiamo proceduto a un’a­ nalisi parziale, in cui abbiamo tentato di quantificare il numero dei brevetti per ogni specifico campo di innovazione, anche se, soggiungiamo, non sempre il campo di appartenenza c ben delimitato o non sempre le “rubriche" sono ine­ quivoche4. Ulteriore precisazione: non unte le invenzioni rientrano in campi spe­ cifici, oppure magari fanno parte di campi marginali o non strettamente inerenti a quelli della tecnica cinematografica: in questo caso verranno riportate sola­ mente le invenzioni degne di nota, o brevettate da inventori importanti per la sto­ ria della tecnica cinematografica italiana. Nella F1G. 3 seguente vengono esempli­ ficati i campi di innovazione nei quali si sono suddivise le innovazioni schedate, e si e tentato di smdiame l'andamento. Le voci che raccolgono il maggior numero di brevetti sono quelle relative al proiettore e alla pellicola. Il proiettore, per la sua complessità di funziona­ mento, conosce le invenzioni più disparate: molle sono incentrate sui meccani­ smi di trascinamento della pellicola, che all'epoca causava ancora numerosi problemi e non era stato ancora risolto in maniera definitiva. In molti casi ven­ gono brevettati non solo componenti, ma interi sistemi di proiezione: fra il 1910 e il 1916, ovvero negli anni di maggiore espansione dell’industria cinematogra­ fica italiana, si riscontrano numerose invenzioni relative sia a modifiche ai siste­ mi di proiezione già esistenti, sia a sistemi di proiezione nuovi. Negli anni suc­ cessivi alla Grande Guerra, marcati da un netto calo dei brevetti depositati, il proiettore rimarrà comunque il campo più frequentato. Le innovazioni relative alla pellicola, invece, mostrano segni di crescita

solo nel “periodo d'oro" del cinema italiano: numerosi inventori apportano innovazioni relative ai metodi di colorazione, di sviluppo, di stampa e persino al formato dei film, forse anche sulla scia della notevole attività dei laboratori esi­

INNOVAZIONI NELLA TECNICA CINEMATOGRAFICA

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stenti7. Questo campo d’innovazione sarà tuttavia destinato a perdere compe­ titività con Parvente delle grandi case di produzione di pellicola straniere» che

conquisteranno il monopolio del mercato a partire dagli anni Venti.

Poco numerose e rilevanti le invenzioni relative alfo/ZZc», quali lenti e obictti­ vi: in questo caso si importa la tecnologia prevalentemente dall’estero, da case produttrici ormai avviate come, ad esempio, la Zciss. Due campi di innovazione particolarmente mirati sono invece quello del

sonoro e quello di sistemi per la stereoscopia: potremmo scorgervi una certa lungimiranza (presbiopia?) degli inventori italiani, che - si direbbe - non si accontentano di “piatte” immagini sullo schermo, accompagnate da un com­ mento musicale dal vivo. Con notevole anticipo sui tempi, vengono depositati numerosi brevetti relativi alla sincronizzazione delle immagini con la musica, alla sonorizzazione della pellicola, e ai meccanismi atti a produrre immagini

multiple, ingrandite e, in alcuni casi, colorate con filtri speciali. 5 Le invenzioni

Come abbiamo visto, sin dagli inizi del secolo si assiste a un rapido incremento dei brevetti in materia cinematografica: la prima invenzione ad opera di italiani è il kinetografo Alberini (nuovo apparecchio fotografico), di poco successiva a quella dei Lumiere, e viene depositata il 20 dicembre 1895; l’inventore è Filotco Alberini, il quale nel 1899 brevetta il “Cinesigrafo a serie, apparecchio per otte­ nere con successive fotografìe le rappresentazione del movimento”1. I titolari del brevetto sono Anchise Cappelletti, Lionello Ganucci-Cancellieri e Filoteo Alberini, personaggio eminente, quest’ultimo, nel cinema italiano. Socio fondatore della prima ditta di produzione italiana (Alberini & San­ toni, poi Cines), realizzatore del film “inaugurale” della nostra cinematografia (La presa di Roma, 1905), Filoteo Alberini era anche un brillante inventore: nel

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1907 brevetta una 44Pulitrice automatica per pellicole cinematografiche", per la quale richiederà un prolungamento nel 1909 e uno nel 19119; nel 1910, insieme ad Arturo Perugia, brevetta un “Cinematografo tascabile"10, c nel 1911 un “Nuovo apparecchio per la presa di fotogrammi cinematografici", per il quale chiederà ben quattro volte il prolungamento11. Questa attività brcvcttuale di

Alberini lascia indovinare un serio proposito di sfruttamento dei suoi trovati;

comunque, quanto ai tentativi d’immissioni sul mercato, dobbiamo ammettere che - allo stato delle nostre ricerche - sappiamo troppo poco, e nessuna noti­

zia abbiamo di eventuali esiti commerciali. I fratelli Pineschi, titolari della cinematografica Società Italiana Pineschi, brevettano nel 1908 un “Dispositivo per 1’awiamento automatico di gram­ mofoni nelle rappresentazioni cinematografiche cantate”12. Questo apparec­ chio viene utilizzato per la realizzazione di film sincronizzati con dischi, ed c uno dei pochi ad essere pubblicizzato nelle riviste di settore.

Sempre nel medesimo campo, va citato l’isosincronizzatore Pierini. Acquista­ to dalla Fabbrica Italiana Pellicole Parlate di Pisa e perfezionato nel 190915, dove­ va essere il punto di forza dell’impresa toscana, invece la proposta ebbe scarsa fortuna e così film e dischi e apparecchiature verranno assorbiti in altri listini. Ancora, tra i pionieri delle “macchine parlanti”, ricordiamo Pasquale Paglie).

Già nel 1900 brevetta il “Nuovo grafonografo Paglicj"M, e nel 1907 un apparecchio per ottenere il sincronismo fra suono e immagine cinematografica proiettata sullo schermo15. Il “sistema Paglie," trova applicazione nel 1908 in due film (Manon Lescaut e Lucia di Lammerrnoor) presentati dall’itala Film di Torino. La ditta cinematografica di Giovanni Pastrone c Carlo Sciamengo va anche ricordata come la prima “manifattura” (di film) che provvede al brevetto delle

sue invenzioni (tecnologiche); i trovati interessano in particolare il trattamento delle pellicole. Nel 1911 viene brevettato un “Sistema per eseguire la ritagliatu­ ra delle maschere usate nella colorazione delle pellicole cinematografiche"16 e nel 1913 vengono brevettati un nuovo tipo di pellicola e un sistema che doveva

conferire ai film proiettati l’effetto di rilievo’7; per entrambe le invenzioni viene richiesto il prolungamento dei diritti. Nel 1914, un “Sistema per la presa di foto­ grafie a colori applicabile alla cinematografia a colori"’8; i diritti di questo bre­

vetto vengono prolungati per tre anni’9. Insieme alla Pasquali & C. e alla Savoia Film, l’itala Film è una delle poche case di produzione a possedere un laboratorio di sviluppo e stampa nonché

un’officina meccanica, piuttosto attivi20, dove provare, collaudare ed effettua­ re i trovati. Tuttavia, la coesistenza tra reparti dedicati alla lavorazione delle apparecchiature e reparti per la realizzazione dei film non è destinata a durare. Con lo sviluppo sempre più rapido della tecnologia, si renderà necessaria una separazione fra i vari reparti. In Italia avrà luogo in ritardo rispetto agli altri paesi, con conseguente perdita di competitività in entrambi i settori (realizzalivo dei film e costruttivo dei congegni). Infatti, a partire dalla fine della prima

guerra mondiale, entrambi attraverseranno un periodo di crisi, come del resto

risulta - lo abbiamo visto - dallo stesso andamento brevettuale. Anche le altre case cinematografiche brevettano invenzioni, in maniera per lo più sporadica: la Savoia Film perfeziona nel 1911 le proprie perforatrici,

IN NN’OVA ZIO\l NELLA TECNICA CINEMATOGRAFICA

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mentre la Pasquali Film figura nel “Bollettino della proprietà intellettuale” del 1916 con un “Perfezionamento nelle lampade elettriche per riflettori”12: è pos­ sibile che 1'invenzione non abbia avuto successo, o comunque abbia avuto una diffusione limitata. D'altronde, nel campo dell’illuminazione per apparecchi cinematografici. l'Italia poteva vantare una delle più famose e longeve industrie: le Officine Galileo; gli attestati relativi ai perfezionamenti ai proiettori elettrici» brevettati nel 1909 e 1914**, vengono più volte prolungati. Le attività delle Officine Gali­ leo - di tale ampiezza che richiederebbero una trattazione a parte - testimo­ niano dell'unica struttura italiana di levatura industriale che, nel settore, opera con continuità e si premura di tutelare le proprie invenzioni14. Le ditte citate sono le sole a presentare brevetti, e risultano in netta mino­ ranza rispetto al numero dei singoli inventori. Fra questi, poi» scarsi sono i nomi legati all'industria cinematografica. Vi sono» tuttavia» alcuni nomi ricor­ renti» prevalentemente dislocati a Torino: la città» oltre ad essere considerata la capitale del cinema, è uno dei rari poli industriali della nazione. L'industria tec­ nica cinematografica» dunque, non può che svilupparsi in queste zone, poiché abbisogna di materiali e di attrezzature che richiedono investimenti di una certa entità (impensabili per un’economia ancora di tipo agricolo) e che neces­ sitano della prossimità di grandi industrie c di capitali. Fra gli inventori torinesi più prolifici troviamo i fratelli De Giglio, entram­ bi, tra l’altro, coinvolti nella costituzione e gestione di società tecniche1*: Alfon­ so brevetta nel 1911 un apparecchio cinematografico che impressiona pellicole fotografiche, per il quale prolungherà la durata nel 19141*; Gaetano brevetta nel 1914 una “Macchina per la pulitura di pellicole cinematografiche”, e nel 1915 un “Apparecchio cinematografico di presa-vedute perfezionato”, per il quale pro­

lungherà la durata nel 191817. Un altro inventore attivissimo e Carlo Rossi. Titolare prima della Carlo Rossi & C., poi direttore delle vendite alla Cines, regista alla Pathe Frères e, nel 1910, fondatore della società Duplex-Rossi Film18: nel 1908, Carlo Rossi brevet­

ta un “Dispositivo pcr l'allacciamento delle estremità delle pellicole cinemato­ grafiche”19; l’anno successivo ottiene l’attestato di approvazione per una “Piat­

taforma panoramica orizzontale e verticale per la presa di vedute cinematogra­ fiche e per apparecchi fotografici in genere”*0; nel 1910 brevetta la “Pellicola cinematografica multipla”*1 c nel 1911 un “Sistema c apparecchio per far passa­ re in modo continuo le pellicole cinematografiche”*1. Quest'ultimo brevetto, almeno sulla carta, si rivela particolarmente inge­ gnoso. Rossi elabora una bobina raccoglitrice di pellicola dotata di ganci fissa­ ti al suo interno a intervalli regolari, e disposti a formare delle circonferenze di

dimensioni sempre più ridotte a mano a mano che ci si avvicina al centro della bobina. La pellicola passata in proiezione viene avvolta sulla bobina raccogli­ trice, tenuta ferma grazie ai ganci. L'allacciamento della pellicola e regolato da un meccanismo posto sul retro della bobina, e consiste nell'abbinamento di cinghie e rulli che muovono in maniera intermittente la bobina, e consentono prima l’alloggiamento della pellicola fra le griffe raccoglitrici, poi il suo svolgi­ mento a partire dal centro della circonferenza della bobina. La complessità del­

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l’invenzione e data dalla serie di movimenti che il motore del meccanismo deve

compiere» e soprattutto dalla precisione meccanica con cui deve essere tarato. La complessità meccanica di tale congegno ha forse inibito la sua diffusione. In ogni caso, può essere considerato un antenato deU’odiemo sistema a piatti, ela­ borato dalla ditta produttrice di proiettori Kinoton c successivamente dalla Cinemeccanica, che consiste proprio in una bobina dotata di apposite griffe che raccoglie la pellicola passata in proiezione c che la svolge a partire dal cen­ tro per la proiezione successiva. Il sistema è ancora oggi piuttosto delicato, c si basa su una perfetta calibratura del movimento della bobina raccoglitrice, e su un complesso sistema di rimessa in macchina della pellicola riavvolta. Allora, per quanto ci riguarda, il fatto che un’idea simile fosse stata sviluppata già negli

anni Dicci corregge in parte il luogo comune dell’arretratezza delle innovazio­ ni tecniche italiane. Le invenzioni di Rossi, oltre ad essere un esempio di inventiva veramente

fuori dal comune, sono forse le uniche che vengono utilizzate in piti occasioni: tanto è vero che Rossi richiede, talora a più riprese, un prolungamento di pri­

vativa per tutte le sue invenzioni. Altrettanto si può dire di Giuseppe Giovanni Battista Tartara, lui pure coinvolto in più di una società tecnica”: nel 1917 brevetta una “Disposizione per assicurare al tamburo di avvolgimento l’estremità delle pellicole cinematografi­ che”; nel 1919 un “Apparecchio automatico permettente di prendere a volontà fotografie fisse o animate c utilizzabile pure per la stampa delle cinematografie fìsse” e un “Perfezionamento agli apparecchi per la presa e la stampa di vedu­ te cinematografiche”; nel 1921 un “Apparecchio per lo sviluppo delle pellicole cinematografiche”M. Tutti i brevetti hanno ottenuto un attcstato di prolunga­ mento, che comprova l’interesse dell’inventore a sfruttare questi trovati. Sempre a Torino c attivo Ernesto Zollinger. Questi lavora prima alla Carlo Rossi & C., poi all’Ambrosio Società Anonima”, e brevetta, oltre ad alcuni apparecchi fotografici, un “Procede pour réduire les images des pelliculcs cincmatographiques” nel 1910, un “Apparcil pour le dcvcloppcmcnt et le séchagc mccaniqucs des films cincmatographiques” nel 1914 c un “Apparcil à prise de vucs cincmatographiqucs” nel 1919 (titolare del brevetto è anche Eugène Planchat, altro inventore torinese piuttosto prolifico)**. Come si vede, l’intestazione dei brevetti è in lingua francese, e lascia supporre che Zollinger puntasse allo sfruttamento dei propri trovati nel più fiorente c dinamico mercato d’oltralpe. Dalla seconda metà degli anni Dicci, inoltre, cominciano a farsi strada alcuni nomi destinati a diventare famosi negli anni: tra questi va sicuramente citato Attilio Prevost, che nel 1914 brevetta la sua prima macchina da presa*7, e negli anni successivi si specializza ulteriormente, fino a brevettare nel 1920 un “Dispositivo per correggere la posizione del fotogramma cinematografico negli

apparecchi da proiezione”, c nel 1921 una “Cassetta per apparecchio presa vedute cinematografiche”*8. Un altro importante nome nella storia della tecni­ ca cinematografica italiana è Ernesto Fumagalli, che, oltre a commerciare apparecchi cinematografici di altre case, mette sul mercato apparecchi di pro­ duzione propria: il suo nome è uno dei più famosi nel periodo del muto. Egli brevetta nel 1918 un “Dispositivo per inquadrare il fotogramma della films [j/c]

INNNOVAZIONI NELLA TECNICA CINEMATOGRAFICA

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sul finestrino del proiettore cinematografico"19: la sua invenzione, come quella

di Prevost, e rivolta al perfezionamento di una parte fondamentale del proiet­ tore e conferma come i produttori di macchinari per la ripresa e la proiezione

fossero molto attenti sia al miglioramento degli apparecchi che alla tutela dei propri trovati, per quanto Fattività brevettuale di queste due aziende non sia, negli anni a venire, proporzionale alla loro espansione produttiva. Proprio da questi particolari emerge la differenza fra gli inventori che, per motivi di lavoro, avevano un contatto stretto con le attrezzature cinematogra­ fiche c coloro che invece brevettavano in maniera estemporanea e costruisco­ no macchinari a volte molto complessi, soprattutto nel campo della sonorizza­ zione c sincronizzazione. A questo proposito, possiamo menzionare il fonocinematografo Jacquinto, brevettato a Napoli nel 191340. Questo “sistema Jacquinto" si compone di quattro parti principali, colle-

gate fra loro da un impianto elettrico appositamente costruito. Due motori sono predisposti per registrare il movimento della pellicola, mentre gli altri due trasmettono le informazioni, sotto forma di onde elettriche e di impulsi mec­ canici, a due altoparlanti di un grammofono. Il dato interessante è che la ripro­ duzione sonora è qui già affrontata nei termini che porteranno, anni dopo, all’elaborazione dei sistemi di sonorizzazione della pellicola; si tratta del pro­ blema della trasmissione del suono attraverso la gestione meccanica di impulsi elettrici, nonché della loro conversione in onde di diversa ampiezza e frequen­

za, onde sonore. Tuttavia, la descrizione del brevetto e il relativo disegno sono davvero ardui da decifrare e, insomma, insinuano qualche perplessità circa la costnizione effettivo di un tale macchinario. La nostra perplessità e rafforzata da alcuni studi condotti da esperti in materia di fisica meccanica ed elettrica, che hanno chiarito diverse questioni di merito. In conclusione, si direbbe che diverse invenzioni brevettate, senz’altro ingegnose per concezione, fossero d’improbabile realizzazione perche i congegni risultavano oltremodo compli­ cati in quanto basati esclusivamente sulla meccanica. In altri termini: ciò che oggi funziona correntemente con sistemi elettronici, all’epoca doveva coniare su sistemi meccanici: dunque, tutto diventava più difficile da costruire e,

soprattutto, da far funzionare. Ecco perché - secondo noi - certe invenzioni

pur brevettate non hanno trovato applicazione.

6 Qualche osservazione conclusiva Per gli anni del muto, dunque, ferve l’attività inventiva degli italiani nel campo della tecnologia cinematografica. Eppure gli studiosi sono concordi nel soste­ nere che tutte le innovazioni tecnologiche relative al cinema venivano impor­ tate dai paesi stranieri, e che l’Italia si è sempre mossa in ritardo nel campo della tecnica, come del resto nel settore della produzione c del commercio dei

film. Queste affermazioni, apparentemente in contrasto con le notizie sopra

esposte, adombrano un aspetto critico: numerose invenzioni o non sono state mandate a effetto o, peggio, si sono rivelate fallimentari. Le riviste italiane di settore pubblicate all’epoca recherebbero conferma indiretta (in absentia) alla

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tesi della “tecnologia d’importazione**: non abbiamo rilevato, infatti, alcuna informazione circa lo sfruttamento industriale e commerciale dei brevetti ita­ liani41. Tuttavia, la cautela verso queste fonti, in tal caso, e d'obbligo: se non altro perché, a partire dalla metà degli anni Dicci, esse dedicano sempre minor attenzione alle questioni della tecnica (del resto, gli aspetti principali legati alla ripresa, allo sviluppo, alla proiezione dei film erano già stati trattati e assimila­ ti) e anche perché, dal 1914-15, si assiste a una sorta di adeguamento a standard tecnici acquisiti. L'“istituzionalizzazione” del cinema passa attraverso la tecno­ logia, anche. L’Italia, pur avendo una rigogliosa produzione brevettuale, non sviluppa un'autentica politica tecnico-industriale. Le invenzioni sono perlopiù frutto di ingegno individuale e di ricerche appassionate quanto isolate, dovute a perso­ nalità estranee o marginali all'universo dell'industria cinematografica. Le invenzioni non hanno sbocchi commerciali. Eppure non si tratta di “macchine celibi”: se non trovano posto sul mercato è per carenza di strutture adeguate a implementare i progetti come a costruire gli apparecchi brevettati.

Quanto alle società tecniche italiane in campo cinematografico, esse non hanno gran peso nel complesso dell'attività brevettuale nazionale. Come già osservato, nel periodo considerato (anche negli anni a venire), l'industria nostrana tende a investire poco nella sperimentazione in loco e preferisce importare le innovazioni dall’estero42. Nondimeno il numero di società tecni­ che italiane resta cospicuo: allora, dobbiamo concludere che questo difetto di attività brevettuale (rispetto a quella dei singoli inventori) sia compensato da un'attività manifatturiera (lavorazione dei materiali) di qualità. Insomma, anche qui, vizi (industriali) e virtù (artigianali) del “fatto in Italia”. Note 1. Cfr. M. Calzini, Storia tecnica del film e del disco, Cappelli, Bologna 1991, pp. 74-9. 2. La questione dello sviluppo industriale c tecnologico in Italia è piuttosto complessa;

per un esame generale cfr. R. Giannetti, Tecnologia e sviluppo economico italiano rt/o-ippo, il Mulino, Bologna 1998. 3. Cfr. A. Bardi, Manuale dei trattati di proprietà intellettuale, Zanichelli, Bologna 1999,

pp. j-8. 4. Come già vari storici hanno messo in luce, distinguendo il cambiamento tecnico per “imitazione* da quello per “innovazione*: cfr. R. Giannetti, //progresso tecnico, in P. L. Cioc­ ca, G. Tomolo (a cura di). Storia economica d’Italia. Industrie, mercati, istituzioni, voi. HI, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 304.

5. Cfr. Ilardi, Manuale dei trattati di proprietà intellettuale, cit., p. 6. 6. Il periodo qui considerato non conosce ancora una chiara “istituzionalizzazione tec­ nica* dei campi di invenzione, e - per quanto qui andiamo discorrendo - i trovati brevetta­ ti riguardano spesso molteplici componenti sia delle macchine da presa che dei proiettori.

7. Un notevole contributo alla storia degli stabilimenti chimici e meccanici si deve ad

Alberto Friedemann: cfr. il suo Celluloide e argento. Le società tecniche torinesi. Associazio­ ne FERT, Torino 2003. 8. Per il kinctografo Alberini, cfr. “Rivista delle privative industriali: raccolta di legisla­

zione, giurisprudenza, dottrina*, n. 2, 1896, p. 74. La validità del brevetto del cinesigrafo viene poi prolungata nel 1902. Cfr. “Bollettino della proprietà intellettuale*, n. 15, giugno

INNOVAZIONI NELLA TECNICA CINEMATOGRAFICA

*9

1902» p. 353. Nella presente trattazione non abbiamo considerato, se non in maniera margi­ nale, i brevetti rilasciati ante 1902, ossia prima dell'inizio della pubblicazione del "Bollettino deDa proprietà intellettuale’. Per notìzie relative al periodo precedente, cfr. R. Redi, Tecno­

logia rivisitata, in A. Costa (a cura di). La meccanica del visibile, La casa Usher, Firenze 1983, pp. 33-46. 9. "Bollettino della proprietà intellettuale”, rispettivamente: n. 5, 1$ marzo 1907, p. 185; n. 21-22,15-30 novembre 1909, p. 1164; n. 1,15 gennaio 1911, p. 1354. 10. "Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 10-11,31 maggio-15 giugno 1910, p. 818.

ir.

"Bollettino della proprietà intellettuale*, n. 21,15 novembre 1911. p. 1354; n. 18,30 set­

tembre 1912. p. 973; n. 10. 31 maggio 1913, p. 74$; n. 4. Il trimestre 1914» p- 23; n. 7-8, Il trime­ stre 1915, p. 243. 12. "Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 21,15 novembre 1908, p. 1259. Precisazio­ ne: in Italia, le sperimentazioni nel campo del "cinema sonoro” (sincronizzazione tra dischi

e film) sono assai precoci ma non tutte danno luogo a brevetti. Per le invenzioni in questo

campo, come per le altre, qui ci limitiamo a segnalare solo quelle brevettate, anzi solo i bre­

vetti più importanti. 13. "Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 3,15 febbraio 1909. p. 151. 14. Cfr. Redi, Tecnologia rivisitata, cit., p. 43. Nel 1902 il brevetto viene modificato, e viene prolungata la sua durata: cfr. "Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 6,9-22 marzo 1902, pp. 99-100. 1$. "Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 24,31 dicembre 1907, p. 1183.

16.

"Bollettino della proprietà intellettuale*, n. 19,15 ottobre 1911, p. 10.

17.

"Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 5,15 marzo 1913, p. 338 e n. 2, 31 gennaio

1913, p. 108. 18. "Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 3, Il trimestre 1914, p. 528. 19.

"Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 13-14, III trimestre 1916, p. 174.

20. Cfr. Friedemann, Cellulloide e argento, cit., pp. 146-9,198-9. 21. "Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 23,15 dicembre 19:2, p. 1290.

22.

"Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 21-24, IV trimestre 1916, p. 366.

23. 24.

"Bollettinodella proprietà intellettuale*, n. 1-2,1 trimestre 1914, p. 56. Per approfondimenti sulla storia di questa impresa cfr. G. Procacci, G. Rindi, Storia

di una fabbrica. Le “Officine Galileo* di Firenze, in “Movimento Operaio”, n. 1, gennaio-feb­

braio 1954.

25. 26.

Cfr. Friedemann, Cellulloide e argento, cit., pp. 34-5,176-9. "Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 24,31 dicembre 1911, p. 1612; n. 5-6, III tri­

mestre 1914, p. 285. 27. "Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 5-6, li trimestre 1914, p. 718; n. 3-4.1 tri­ mestre 1915, p. 114; n. 1-4, gennaio-febbraio 1918, p. 21. 28.

Per approfondimenti cfr. Friedemann, Cellulloide e argento, cit., pp. 169-70.

29.

"Bollenino della proprietà intellettuale*, n. 22, 30 novembre 1908, p. 1325.

30.

"Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 21-22,15-30 novembre 1909, p. 1132.

31.

"Bollettinodella proprietà intellettuale”, n. 6, 31 marzo 1910, p. 385. L’invenzione, pro­

babilmente, fu una delle poche a non avere successo: cfr. M, A. Proio, Storia del cinema muto italiano, vol. I, Il Poligono, Milano 1951, p. 98. nota 18. 32. "Bollettino della proprietà intellettuale*, n. 1,1$ gennaio 1911, p. $.

33.

Cfr. Friedemann, Celluloide e argento, cit., pp. 167,187-

34.

"Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 5-8, l-ll trimestre 1917, p. 114; n. 1-4, gen­

naio-febbraio 1919, p. 119; n. 7-12, li trimestre 1921, p. 135. 35.

Cfr. Friedemann, Celluloide e argento, dt„ p. 134.

36.

"Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 16, 31 agosto 1910, p. 1060; n. 3-4, II tri­

mestre 1914, p. 159; n. 5-8, marzo-aprile 1919, p. 202.

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CHIARA GARANTI

37. * Bollettino della proprietà intellettuale'*, n. 1-2, 1 trimestre 1914, p. 30.

3$. “Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 3-6, l trimestre 1920, p. $9; n. 9-12. mag­ gio-giugno 1921, p. 23. 39. • Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 17-20, settembre-ottobre 1918, p. 360.

40. “Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 1, iv trimestre 1913, p. 23. La privativa verrà prolungata l'anno successivo: cfr. “Bollettino della proprietà intellettuale”, n. 5-6, IV tri­ mestre 1914, p. 546. 41. Eppure, nelle riviste, le invenzioni italiane venivano segnalate in apposite rubriche di aggiornamento sui nuovi trovali: cfr. ad esempio la rubrica Sul nostro terreno. Invenzioni e scoperte, in “La Cinematografia Italiana ed Estera”. Lo spoglio della rivista riguarda le anna­ te dal 1908 al 1917. 42. Cfr. L Bizzarri, L. Sol ardi, L'industria cinematografica italiana, Parenti, Firenze 1958,

p. 52.

Il proiettore cinematografico. Sviluppi tecnici (1907-23) di Elena Tamtnaccaro

I Premessa L’apparecchio di proiezione ha conosciuto numerosi cambiamenti nel corso dei primi due decenni dalla nascita del cinematografo. Qui intendiamo esami­ nare le principali modifiche, esattamente nel periodo compreso tra il 1907 c il 1923. Le date ci sono suggerite dalle fonti d’epoca che abbiamo studiato, ovve­ ro dall’anno di edizione di quattro compendi italiani di carattere cinematogra­ fico: Il cinematografo e i suoi accessori, di Guglielmo Re (1907); Proiezioni fisse

e cinematografo, di Luigi Sassi (1911); La Cinematografia, di Guido Vincenzoni (1914); Guida pratica della cinematografia, di Vittorio Mariani (192.3). Inoltre, un quinto e importante libro, Il Cinematografo, scritto da Franz Paul Liesegang nel 1909 c tradotto già all’epoca in italiano1. I testi di riferimento testé menzionati rientrano tutti nella tipologia del “manuale” e, pertanto, hanno una destinazione funzionale e un carattere divulga­ tivo. Ora, per quanto riguarda le macchine da proiezione d’epoca, la manualistica cinematografica - più di qualsiasi altra forma di pubblicazione di settore - costi­ tuisce un corpus di informazioni essenziali sia sul versante descrittivo dei meccani­ smi e degli apparati tecnologici sia - seppure a tratti - per le notizie che recano circa le innovazioni tecniche e gli apporti degli inventori (italiani) segnalati. La loro

lettura in successione cronologica, rispetto all’oggetto qui esaminato (proiettore/proiezione), contribuisce alla comprensione dello sviluppo tecnologico in

campo cinematografico. Probabilmente, al di là degli aspetti strettamente pram­ matici, lo studio delibarle della proiezione” può aiutare a illuminare certi caratte­ ri specifici Cperformativi”) della rappresentazione cinematografica dell’epoca (cinema muto, prima e dopo la sua istituzionalizzazione). Tuttavia, questa prospet­ tiva pur auspicabile è forse, oggi, ancora prematura, considerata la deficienza di una puntuale storia della tecnica del cinema. Per questo, intanto, tentiamo qui di estrarre dai manuali informazioni di ordine tecnico, a un livello medio di spiega­ zione (scientifica), intomo agli “organi vitali” del corpo macchina specializzato (il proiettore), intorno alle sue appendici e dentro il luogo sorgivo della proiezione dei film (la cabina di proiezione). Precisiamo che, di volta in volta e ove possibile, que­ sti testi sono stati sottoposti a riscontro con altre pubblicazioni d’epoca, perlopiù riviste specializzate e i pochi cataloghi trovati delle case fabbricanti italiane. Per (’essenziale, i cambiamenti tecnici nel periodo in questione rispondo­ no ad esigenze di funzionamento del dispositivo cinematografico, ovvero di

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ELENA TAM MACCA RO

miglioramento della “qualità" della proiezione: stabilità dell’immagine, velo­

cità di scorrimento della pellicola, massima riduzione del Flimmern\ integrità del film e minima usura delle parti meccaniche del proiettore. Sulla base di queste esigenze, sono apportate all’apparecchio proiettore diverse modifiche puntuali, in particolare nel sistema dì trascinamento*, a partire dal Cinematographe Lumiere, attraverso la sperimentazione di vari altri sistemi, fino all’affermarsi del meccanismo a tamburi dentati con croce di Malta. Sempre negli stessi anni, il corpo macchina del proiettore subisce diverse altre modifiche; esse riguardano l’otturatore, il finestrino, il numero e la tipologia degli obietti­ vi, il sistema a bobina datrice (o “debitrice") e a bobina raccoglitrice. L’appa­ rato meccanico viene azionato tramite motore o manovella. Le modifiche nel sistema di proiezione interessano non solo il corpo macchina del proiettore, ma anche la lanterna e, più in generale, le attrezzature presenti nella cabina di

proiezione. Ricordiamo che inizialmente la lanterna c separata dalla macchina e solo in seguito verrà accorpata ad essa. La lanterna ospita una sorgente luminosa, la quale può essere di vario tipo: lampada ad arco, lampada a incandescenza o anche lampada a filamento di ossidi metallici. La luce della lanterna viene rac­ colta e diretta sull’obiettivo dal condensatore formato da due lenti piano con­ vesse. Per proteggere la pellicola dal calore della lanterna, al condensatore viene affiancata una vaschetta contenente del liquido refrigerante. Nel corso degli anni sia il condensatore sia il contenitore del refrigerante hanno assunto diverse forme e, in certi casi, sono stati assimilati in un unico comparto. Infine, ulteriori e frequenti modifiche vengono apportate al proiettore per scongiura­ re il pericolo d’incendio: dall’applicazione di scatole parafuoco (o “sai va fuo­

co*1) ai dispositivi per la difesa automatica. 1

La cabina di proiezione Fu ideata In cabina dai primi operatori per togliersi dalla vista dei curiosi che si affolla­ vano intorno al tavolo per vedere funzionare l’apparecchio. In seguito la commissione di vigilanza sui teatri l’impose per salvaguardare il pubblico dal pericolo di un improv­

viso incendio delle pellicole e dalle sorprese della corrente elettrica’.

Come testimonia questo passo, Guglielmo Re, nel suo manuale del 1907. sostie­ ne che la cabina serva a nascondere alla vista del pubblico l’apparecchio di proiezione e che solo in un secondo momento subentri l’esigenza della sicu­ rezza degli spettatori. I materiali che raccomanda di utilizzare per la costruzio­ ne della cabina non sono necessariamente incombustibili; oltre alla costruzio­ ne in muratura, consigliata ovviamente per gli impianti fissi, Guglielmo Re parla di ferro ma anche di legno o di tela, da utilizzare per allestire il posto ove

collocare il proiettore. Lo spazio utile all’operatore per lavorare all’interno della cabina, secondo l’autore, deve avere una superfìcie di 2,50 x 2 m. In Italia, per la prima volta nell’estate del 1908, vengono emanati due rego­ lamenti - dai prefetti di Torino c di Milano - che stabiliscono prescrizioni det­

IL PROIETTORE CINEMATOGRAFICO

tagliate per la sicurezza e l’igiene delle sale cinematografiche4. Entrambi i rego­ lamenti prevedono, per gli impianti fissi, l’obbligo di una cabina di proiezione

separata dalla sala, e indicano il materiale incombustibile adatto alla sua costru­ zione5. Non trascurano l'importanza di una buona ventilazione creala, ove pos­ sibile, con aspirazione di aria daU’cstemo6. In particolare, il regolamento di Milano si occupa della cabina e dei sistemi di sicurezza, specificando che la cabi­ na non solo deve avere accesso separato rispetto alla sala, ma con essa non deve avere alcuna comunicazione fatta eccezione per le finestrelle di spia, per le quali

è prevista anche la reticella metallica di sicurezza, e quelle per il passaggio del fascio luminoso. La prefettura di Milano indica anche le misure per l'interno della cabina: la lunghezza di ciascun lato non deve essere inferiore a 2,20 m7. Abbiamo ricordato questi regolamenti perche segnano un intervento ammi­

nistrativo che, di fatto, si discosta dalle prescrizioni di Guglielmo Re (preceden­ ti questa regolamentazione) e definiscono nonne che, pur non generalizzate sul­ l'intero territorio italiano, non possono essere ignorate. Lo stesso ing. Henry Hir­ sch, curatore dell’edizione italiana del volume di Liesegang, ha avvertito l’op­ portunità di inserire in appendice il testo completo dei due regolamenti.

Del resto, per la costruzione della cabina negli impianti fissi, lo stesso Liesegang raccomanda di applicare le disposizioni prescritte dalle amministrazio­ ni pubbliche contro i pericoli d'incendio. Lui pure sostiene che «quanto meno

l’apparecchio è visibile, tanto più vantaggioso è per lo spettacolo»: il proietto­ re, infatti, non deve distrarre il pubblico. La cabina di proiezione prospettata da Liesegang è composta di lamine in ferro e può essere trasportabile; ha una porta d’accesso posteriore, mentre nella parte anteriore (che guarda lo scher­ mo) vi sono le due spie e una o due aperture per la proiezione, con un sistema di chiusura automatica in caso d’incendio. Per la ventilazione, è prevista una rete metallica sulla parte posteriore del soffitto della cabina. Le dimensioni indicate sono: 2x2m. Comunque, il principio è uno solo: «nel determinare la posizione dell’apparecchio si deve pensare meno alle comodità dell’operatore, e più alle esigenze del pubblico». Liesegang suggerisce inoltre, per gli impian­ ti stabili, di collocare vicino all’apparecchio un interruttore che permetta di dare la luce nella sala e di spegnerla al momento voluto. Altrimenti occorre un

mezzo rapido e silenzioso di comunicazione con l’operatore, perché la sala sia prontamente illuminata in caso di pericolo8. Tra Re e Liesegang, in soli due anni, avviene un passaggio importante: l’ob­ bligo, per gli impianti fìssi, di costruire la cabina con materiale incombustibile c con accesso separato rispetto alla sala. Nei manuali successivi queste disposi­ zioni non verranno più messe in discussione; Sassi e Vinccnzoni, rispettiva­ mente nel 1911 e nel 1914, le ripeteranno sinteticamente. Nel volume del 1923, Vittorio Mariani consiglia di utilizzare ferro e amian­

to non solo per la costruzione della cabina ma anche per qualsiasi mobile o attrezzo in essa ospitato. Inoltre Mariani parla dell’esistenza in commercio di cabine complete Mprefabbricate”, usate perlopiù in impianti trasportabili ma

spesso adottate dagli esercenti delle sale stabili per il loro basso costo, la loro praticità e sicurezza, in quanto costruite nel rispetto delle norme antincendio, secondo le modalità illustrate precedentemente (FIG. t).

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ELENA TAMM ACC ARO

HGURA !

3.

Accessori per la cabina di proiezione Dal raffronto tra i manuali presi in esame* notiamo che i lesti più vecchi mostrano una maggiore attenzione ai dettagli relativi all’attività in cabina. In generale* questi manuali sono vere e proprie guide al lavoro esecutivo degli operatori cinematografici; in particolare* agli operatori di cabina offrono con­ sigli: per ottenere una buona proiezione, per mantenere funzionali gli appa­ recchi, come agire in caso di pericolo d’incendio o di guasti degli apparecchi o di rottura della pellicola* senza mai sminuire l’importanza dell’esperienza diret­ ta. Ad esempio, Guglielmo Re afferma che un buon operatore può dirsi tale solo dopo sci mesi di cabina, almeno. Nei primi anni, per l’allestimento degli impianti fissi, nulla c dato per scon­

tato. Guglielmo Re è il trattatista che più degli altri scende nei particolari, anche minuti, e certo non tralascia l’utilità degli accessori in cabina. Qui non possono mancare: un secchio d’acqua, una spugna, una coperta di lana, la «cas­ setta fabbisogno»9, una scorta di pezzi di ricambio e il cartello (oggi diversamente ispirato): «Vietato Rimare»; ancora* servono: l’oliatore con olio neutro per ingrassare l’apparecchio, la vaselina da stendere sulle forcelle, sui tamburi o sulle glissières d’acciaio, oltre che pelle di camoscio e pezzuole per la pulizia delle lenti, del condensatore e della vaschetta refrigerante; infine* è buona nonna munirsi di un’assicella di legno di larice* da mettere sotto i piedi quan­ do si lavora, per evitare scosse elettriche. Quanto al sostegno del proiettore, quello di Guglielmo Re si distingue dagli altri manuali successivi: ne fornisce un’accurata descrizione, ne indica le misure10 e la sistemazione ottimale della macchina da proiezione; invece, solo due anni dopo, Liesegang parla piuttosto

di «cavalletto costrutto in forma di tavola», mentre per proiezioni nei teatri sta­ bili indica sostegni in legno o ferro su cui il proiettore va fissato, preferibil­ mente avvitato. A sua volta Liesegang, diversamente dagli autori dei manuali

IL PROIETTORE CINEMATOGRAFICO

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successivi, fa un elenco dettagliato degli accessori complementari che un buon

proiezionista deve tenere sempre a portata di mano: sono gli stessi strumenti elencati da Guglielmo Re con un'attenzione maggiore a quelli necessari per

improvvise riparazioni e per la manutenzione degli apparecchi. Tutti i manuali spiegano che l'esecuzione di una giunta deve essere fatta per mezzo dell’ * incollatrice”. Re e Liesegang descrivono nei dettagli la procedura mentre Luigi Sassi si sofferma sulla descrizione dello strumento, definendolo come un «torchietto a tre pezzi maschiettati», preferibilmente in legno oppure

in metallo, e munito di punte metalliche che, introdotte nelle perforazioni, sor vono a tenere ferma la pellicola. Inoltre, Sassi suggerisce di ricorrere a un cali­ bro di cristallo per «raschiare dritta la pellicola da saldare». La bobina raccoglitrice è un elemento del proiettore che non risulta affatto acquisito ne preferito nel manuale di Guglielmo Re; questi, anzi, afferma di rite­ nere migliore la “borsa raccoglitrice”, meglio se di tela incombustibile. La bobi­

na datrice - o “portabobina”, come la chiama Fautore - c invece descritta come una sorta di «forca doppia»11, in ferro, in acciaio, in rame, o in ottone (preferibi­

le secondo Re, giacché meno attaccabile dalla ruggine). Fino a Vincenzoni, è verosimile che i proiezionisti prediligano la borsa raccoglitrice. Liesegang nel 1909 raccomanda di usare una cassa metallica con un coperchio mobile fornito di una fessura per Fintroduzione del film, ma precisa anche che per raccogliere

la pellicola si può utilizzare una cassa diversa, una cesta o un sacco. Per i film lun­ ghi, Liesegang suggerisce il ricorso a un rocchetto raccoglitore, all'occasione chiu­ so in scatole metalliche, come il debitore. Tra gli accessori della cabina. Luigi Sassi include bobine di varia grandezza (possono contenere dai 200 ai 600 metri di pellicola); le bobine fanno parte integrante del proiettore. Sassi distingue due tipi di bobine: quelle munite di due dischi perforati e fissi, e quelle smontabili.

Nel volume di Sassi, la presenza di bobine raccoglitrici appare scontata; in tutte le foto dei proiettori riportale nel suo manuale appaiono le due bobine (debitri­

ce c raccoglitrice). Vincenzoni descrive in dettaglio il percorso della pellicola a partire dal rocchetto debitore fino al rocchetto raccoglitore, che viene applicato in basso e può essere messo in movimento da una corda che scorre su una puleg­ gia sospesa all'asse del rocchetto superiore (come già esposto da Liesegang). Vin­ cenzoni specifica che ancora per proiezioni di pochi metri, soprattutto nei pic­ coli cinematografi, questo secondo rocchetto e sostituito da una «cesta speciale», anche se, soggiunge, quest'ultima è stata quasi del tutto abbandonata perché danneggiava seriamente le pellicole. Nel 1923, Vittorio Mariani parla ornai di car­ ters debitori e ricevitori, scatole in lamiera nelle quali il film entra attraverso una sottile fessura e lì si raccoglie; con questo sistema, se il film prende fuoco, le fiam­ me restano relegate entro le scatole senza estendersi al resto della pellicola. I “moderni proiettori”, secondo Mariani, sono tutti dotati di questi accessori. Questi carters non sono che le “scatole salvafuoco” che ritroviamo negli altri testi; secondo Re. Liesegang e Vincenzoni sono fatte di latta e, all'interno, trova­

no alloggio un rocchetto per avvolgere il film, nonché due piccoli rulli all'ingres­ so per evitare che la pellicola sfreghi sugli spigoli della scatola. I manuali che abbiamo preso in esame richiamano sempre la necessità della presenza in cabina di una macchina avvolgifilm\ sono citati diversi tipi, ma

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ELENA TAMM ACC ARO

sono unti apparecchi verticali e, naturalmente, a manovella. Guglielmo Re ne descrive un modello a un solo braccio, da avvitarsi al tavolo. Liesegang illustra due diversi modelli: uno simile a quello di Re ma agganciato al tavolo con una morsa c l’altro a due bracci. Liesegang aggiunge che in casi eccezionali per il riawolgimcnto dei film si può utilizzare l’apparecchio di proiezione stesso, facendo passare la pellicola esternamente al meccanismo di trascinamento. Sassi, Vincenzoni e Mariani indicano tutte e tre le possibilità elencate. Mariani ci parla anche di un modello specifico introdotto in Italia in tre diverse versio­ ni, l’awolgifilm Figi aro, apparecchio a due bracci, particolare perche dotato di un pressore che comprime i bordi della pellicola lungo le perforazioni, duran­ te 1’awolgimento. Mariani, inoltre, introduce un tipo di avvolgitore doppio

orizzontale, che dice destinato al montaggio.

4 Il proiettore Da Re a Mariani, l’apparecchio di proiezione è costituito neH'insieme dagli stessi elementi, con le stesse funzioni: sistema di trascinamento, finestrino di proiezione, otturatore, sistema ottico e apparato motore. Le tipologie di costruzione del proiettore c l’azione svolta sulla pellicola e, in generale sugli effetti della proiezione variano nel corso degli anni presi qui in considerazione. I costanti sforzi per migliorare lo spettacolo cinematografico portano alla spe­

rimentazione di diverse tecniche c apparecchiature, all’interno però di un siste­ ma ormai riconosciuto c consolidato. Le varianti vanno perciò cercate nei sin­ goli componenti (o parte di essi) la macchina di proiezione. 4.1. Sistemi di trascinamento

Per ciò che riguarda più strettamente il corpo macchina del proiettore, l’ele­ mento che ha subito maggiori trasformazioni e il sistema di trascinamento della pellicola. In rapida sintesi: dal Cinematographe Lumiere (trascinamento a scat­ ti della pellicola con un congegno a forcelle o griffe), alla successiva proposta del sistema Demcny (a camma eccentrica), poi modificato per il proiettore

Gaumont (a battente) c il contemporaneo “sistema Edison” (a tamburi denta­ ti), fino al sistema a croce di Malta12. Per contenere I’altrito fra i metalli e la conseguente alterazione, quasi da subito la croce di Malta agisce all’interno di un contenitore pieno d’olio, introdotto da Pathé intorno al 1905. Nel 1907, Guglielmo Re scrive che i sistemi principalmente impiegati negli apparecchi di proiezione sono il “sistema Lumière” a forcelle o griffe c il “siste­ ma Edison” a tamburi dentati con croce di Malta. L’autore non trova significa­ tive differenze tra i due, «tanto guastano le pellicole le forcelle come i tambu­ ri»11. L’unico vantaggio a suo parere è che gli apparecchi del modello Edison permettono proiezioni di pellicole più lunghe c ammette che forse e proprio per questo motivo che il sistema a tamburi dentati si sta imponendo sul mercato.

Sassi c Vincenzoni confermano che negli anni successivi il “sistema Lumiere” viene lentamente abbandonato a favore del “sistema Edison”, il cui meccanismo

IL PROIETTORE CINEMATOGRAFICO

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usura meno le pellicole perché nel trascinamento il tamburo esercita la sua pres­ sione su otto perforazioni anziché due come invece nel “sistema Lumière”. Sassi elenca c descrive una serie di proiettori in commercio all’epoca soffermandosi in particolare su un proiettore a croce di Malta messo in commercio dalla Gau­ mont, che in precedenza aveva commercializzato il sistema a camme brevettato da Demcny. Sassi cita molte altre case fabbricanti e gli apparecchi da esse com­ mercializzati, tutti sistemi a croce di Malta, come quello della Ditta dei fratelli Lapierre o della Casa Erncmann, il cui proiettore Impcrator, all’epoca molto pubblicizzato, ha la croce di Malta immersa in un bagno d’olio. Vincenzoni, nel 1914, conferma le osservazioni di Re e di Sassi; descrive inoltre accuratamente il passaggio della pellicola attraverso i tamburi di propulsione e di raccoglimento, nei quali il movimento si effettua attraverso ruote dentate, preferibili rispetto al sistema a forcelle che nel trascinamento, al contrario, trasmette alla pellicola un colpo localizzato. Liesegang, diversamente dagli altri autori, analizza approfon­ ditamente i principali sistemi di trascinamento proposti e utilizzati all’epoca, sottolineando che non esiste un sistema migliore degli altri e che il buon fun­ zionamento di un apparecchio non dipende dal sistema adottato ma dal livello di perfezionamento che un fabbricante riesce a raggiungere: Dopo aver presa visione dei vari tipi di congegno di movimento, ci possiamo doman­ dare: qual e il sistema migliore? E questa è una domanda che via) sempre rivolta, ma

ad essa anche gli esperti in materia non possono dare una risposta precisa, essendo que­ sta spesso conseguenza di esperienza e anche di gusto personale. Del resto ogni costrut­ tore serio sceglie quel sistema che crede più adatto, e che ritiene di poter portane a un maggior grado di perfezionamento14.

I diversi sistemi di trascinamento descritti da Liesegang sono, secondo l’auto­ re, solo i principali tra i molti fin lì sperimentati. Essi sono riconducibili a quat­ tro tipi: lo spostamento del film per mezzo di un tamburo dentato, il moto dato da un eccentrico, il «sistema d’agganciamento»15 c infine un sistema basato sulla traslazione dei dischi di frizione.

Liesegang descrive paratamente i diversi sistemi, con l’aiuto di disegni illu­ strativi, ma senza mai citare il nome delle case fabbricanti che potrebbero aver­ li adottati. Resta dunque difficile, per alcuni congegni, capire se abbiano mai avuto effettiva applicazione. Lo stesso Liesegang ammette che «i mezzi infatti sono molti, ma in pratica si usano solo pochi tipi di costruzione»’6. Rientra nella prima tipologia il sistema di trascinamento a croce di Malta, di cui fanno parte anche altri congegni, nessuno dei quali però - ammette l’autore - sembra sia stato adottato. Uno di questi e un meccanismo che ha lo stesso fun­

zionamento della croce di Malta ma dove il movimento propulsivo del tambu­ ro dentato si ottiene con una modificazione del moto elicoidale. Sull’asse di un tamburo dentato è fissato un disco avente sulla sua circonferenza un certo numero d’intaccature, posizionate a uguale distanza Luna dall’altra. In queste intaccature s’ingrana una sorta di ruota a elica, la cui spirale sporgente corre per un tratto diritta per poi spostarsi in diagonale all’altro lato, per continuare poi di nuovo diritta. In questo modo quando gira la ruota a elica, il disco con le intaccature resta fermo, finché si arriva al punto in cui la spinile si sposta dia-

ELENA TAM MACCA RO

gonalmente c di conseguenza anche Tintaccatura de) disco» Così, a ogni giro della ruota a dica, si ottiene un moto propulsivo del tamburo, che corrisponde all’avanzamento del fotogramma (F1G. 2).

FIGURA 2

D movimento di trascinamento della pellicola può essere dato anche da un siste­

ma funzionante per mezzo di un ccceu/rieo, che attraverso un percussore impri­ me il moto di avanzamento della pellicola. Il percussore agisce sulla pellicola trascinandola per un fotogramma dal finestrino, e lasciandola in sosta durante il gito completo dell’eccentrico. Liesegang afferma che questo è un sistema molto usato nella pratica, in particolare in una sua variante deAnita «pestello»17. Il trascinamento basato sul sistema d’agganciamento è chiaramente, anche se non dichiaratamente, il “metodo Lumière”. Il traduttore italiano del volume di Liesegang, ing. Hirsch, ne ha traslato il nome con «sistema a forchetta». Licsegang ne distingue tre diversi tipi. Nel primo tipo, la forchetta aggancia le perforazioni della pellicola, la tra­ scina per la lunghezza di un fotogramma, si Ubera dai fori e si solleva nuova­ mente, per ripetere con regolarità questo movimento. Il movimento di ascesa c di discesa si effettua per mezzo di un eccentrico. Il secondo tipo prevede l’utilizzo di una forchetta uncinata che nel movi­ mento di risalita libera le perforazioni, senza bisogno della molla - come inve­

ce nel precedente - per riagganciarle nella discesa. Infine la forchetta può esse­ re sostenuta da un telaio e mossa da un sistema di camma eccentrica. Il difetto di questo congegno è che potrebbe agganciare male le perforazioni danneggia­ te; per ovviare a questo inconveniente Liesegang rileva l’esistenza di sistemi a forchette multiple, che si agganciano in più perforazioni. Nel terzo tipo, il trascinamento può essere dato per frizione di due tamburi.

Liesegang afferma che questo sistema c usato anche nella pratica e prevede l’a­ vanzamento della pellicola attraverso due tamburi, uno più grande con un rilie­ vo corrispondente all’altezza del fotogramma e uno più piccolo. Allorché, nella

rotazione, il rilievo si trova a contatto col tamburo piccolo, la pellicola viene ser­ rata e trascinata per la lunghezza di un fotogramma. Perche il sistema risulti pre­ ciso occorre un tamburo dentato, collocato al di sopra del finestrino di proiezio­ ne, che tira il fdm per un tratto in modo da formare un riccio di pellicola, corri-

IL PROIETTORE CINEMATOGRAFICO

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spendente alla lunghezza trascinata dalla frizione dei due dischi. Ma* in pratica* qual e il sistema migliore? Liesegang osserva che il sistema a forchetta e in realtà

il più trascurato e sempre meno utilizzato per le proiezioni, mentre il percusso­ re e la croce di Malta sono i più diffusi. Come già precedentemente sottolinea­ to, Liesegang non si esprime sull’argomento: si limita a concludere che «pel fun­ zionamento dell’apparecchio è affatto essenziale il modo col quale vien fatto funzionare». Si tratterebbe* insomma, di una questione di qualità tecnologica e non di maggiore funzionalità di un sistema rispetto a un altro. Nel 1923 il “sistema Edison” si direbbe ormai consolidato. Mariani non fa

il minimo accenno ad altri possibili sistemi di trascinamento. Si dedica alla descrizione di un apparecchio-tipo: il proiettore Carpentier, apparecchio Lumiere dotato appunto di croce di Malta, la quale - come suggerisce - deve

essere abbondantemente lubrificata per assicurare il buon funzionamento. Il congegno migliore, insomma, e quello più lubrificato. 4.2. Il finestrino

Solo Liesegang dedica un intero paragrafo del suo manuale alla descrizione del

finestrino^ gli altri autori ne parlano in maniera marginale o estemporanea. Liesegang fornisce una precisa descrizione di questo apparecchio che frena c tiene immobile la pellicola il tempo necessario alla proiezione di un fotogramma* per­ mettendo la fissità c il fuoco dell’immagine. Analizza cinque varianti. La prima (FIG. 3) - a suo parere la più utilizzata - prevede due parti, una fìssa e l'altra mobile, legate da una “cerniera”; c presenta due scanalature che corrispondono nella seconda a due molle longitudinali, i pattini pressori. Quando la finestra è chiusa le due molle premono sui lati del film e lo tengono fermo. La pellicola appoggia solo sui due lati e scorre su un binario sul quale è compressa dalle molle così da non graffiare il fotogramma. Una variante a questo sistema e costi­ tuita dalla diversa collocazione della parte mobile, che e posta sopra a quella

fissa. Ma si possono trovare anche finestrini che presentano, invece di due uni-

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che molle longitudinali, più molle piccole (solitamente tre), oppure un doppio sistema di molle. Liesegang parla ancora di un altro sistema in cui si utilizza una «tavoletta a guide», in cui le molle longitudinali non premono direttamente sul film, ma su una piastra dotata di guide laterali sulle quali il film viene premuto

sui due bordi. Liesegang aggiunge che il velluto nel finestrino di scorrimento rischia di consumare la pellicola e di rigarla perché tende a trattenere particelle minuscole di materia, e pertanto ne sconsiglia fuso. Guglielmo Re accenna al finestrino del proiettore in un capitolo dedicato alla Manutenzione, sorveglianza e lavori1*, in cui si raccomanda di spalmare legger­ mente di vaselina le glissières in acciaio del corridoio di scorrimento. Sassi, inve­ ce. descrive un proiettore Gaumont: qui, finestrino e otturatore e obiettivo coa­ bitano in un unico blocco; questo sistema permette di spostare il finestrino insie­ me agli altri due elementi - così da evitare errori di otturazione - sempre conser­ vando in asse la sorgente luminosa da un lato, l’otturatore e l’obicttivo dall’altro. Vincenzoni. in contrasto con Liesegang. scrive che il corridoio di scorrimen­ to nel finestrino e ricoperto di velluto per una migliore protezione della pellicola.

4.3. L’otturatore Le proiezioni animate [...] saranno sempre alquanto vacillanti, oscillanti e trepidanti. Sono difetti questi che secondo la mia limitatissima intelligenza non si toglieranno mai per quante modificazioni si abbiano ad apportare agli apparecchi proiettori. Pretendere che

un’ombra rimanga immobile quando La cosa che la produce si muove c pretesa assurda1*.

Così scrive Guglielmo Re nel 1907. Il che testimonia che il problema del Flint-

mern non e ancora del tutto risolto. Re ritiene impossibile sormontare l*“inconvcniente” dello sfarfallio in proiezione. Nello spiegare il funzionamento del­

l’otturatore, afferma che questo congegno serve a coprire lo spostamento tra un fotogramma e il successivo, e non accenna all’esistenza di otturatori a più pale che coprano l’immagine anche mentre il fotogramma è fermo nel finestri­ no di proiezione. Re viene però contraddetto dalle immagini di otturatori a tre pale che sceglie d’inserire come esempio, senza però fornire alcuna descrizione

(FIG. 4). L’unica soluzione che riconosce è l’utilizzo del ventaglio denominato La Grille che permetterebbe una proiezione di «una fissità assoluta c senza la minima trepidazione»10. FIGURA 4

IL PROIETTORE CINEMATOGRAFICO

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Liesegang analizza accuratamente il meccanismo dell’otturatore» che divide in

tre diverse tipologie: a forma di disco, di ala o di sezione cilindrica (quest’ulti­ mo c il meno usato). Liesegang afferma che il Fliwwern c causato dall’ottura­ tore c, pur riconoscendogli un’importanza fondamentale nel meccanismo cine­ matografico, esamina la possibilità di eliminare questo congegno dal proietto­ re, considerando vantaggi e svantaggi di entrambi i sistemi. Non fornisce una soluzione definitiva ma lascia aperto il quesito, la cui risposta non è unica ma dipende dal «gusto delle singole persone»11. L’analisi che Liesegang fa dell’ot­

turatore è finalizzata alla eliminazione del Flimmenr. è questa esigenza che con­ durrà ai progressivi miglioramenti del congegno. Una delle soluzioni proposte da Liesegang consiste nel fornire la pala dell’otturatore di un certo numero di fori o di costruirlo con materiale semitrasparente - con dei fogli di mica o di gelatina colorati di viola o azzurro - in modo da diminuire il contrasto tra la luce della proiezione e il buio dato dalla chiusura dell’otturatore. Questo scam­ bio di luce e buio c per Liesegang la causa del Flimmern^ nella sua logica, dun­ que, diminuendo questo contrasto diminuirebbe anche lo sfarfallio. Ma nep­ pure questa sembra essere la soluzione adeguata. Liesegang comprende che l'occhio non percepirebbe più questo fastidioso sfarfallio se la velocità di proiezione fosse maggiore, tuttavia questa strada è impraticabile perché occor­ re rispettare la velocità con cui il film è stato ripreso. L’unica soluzione possi­ bile appare infine quella di dotare l’otturatore di una o più pale addizionali,

meglio se costruite in materiale semitrasparente. Si partì dallosscrvazionc che in una ruota che abbia pochi raggi, per cs. 4, si possono

nettamente distinguere i singoli raggi quando la ruota non giri troppo in fretta; per con­ tro se si osserva una ruota con molti raggi, girante con la stessa velocità, essi sono per­

cepiti confusamente. E anche qui il maggior numero di ali ha per scopo di dare una gra­

dita omogeneità alla successione delle luci11.

Naturalmente anche questo sistema pone dei problemi, il maggiore dei quali consiste nella perdita di luminosità in proiezione. La soluzione proposta in questo caso è di costruire le ali dell’otturatore in materiale semitrasparente o dotare l’ala otturatrice principale di piccole fessure. Nel 1911 Sassi ha coscienza dei progressi che avvengono in materia di ottu­ ratori, si rende conto che lentamente il problema dello scintillio sta per essere risolto. Ricostruisce una breve storia di questo congegno attraverso una lunga citazione di Mallet del 1908, in cui si dice che l’otturatore, composto di un disco

con un settore pieno, e stato in seguito modificato con l’applicazione di setto­ ri pieni alternati ai vuoti, di varie forme e dimensioni. In particolare Sassi cita l'otturatore Lux a cristalli cromatici, ne elogia le caratteristiche e ne addita i difetti. Questo congegno, brevettato da Enrico Mazza, «ha per scopo di aumentare la luminosità e la fissità delle proiezioni, togliendo sullo schermo le vibrazioni luminose derivanti dai passaggi d’ombra che avvengono con gli ottu­

ratori in uso»15. Questo otturatore c formato da una montatura metallica e otto cristalli - che, come leggiamo nel “Bollettino della proprietà intellettuale’*, sono costituiti di materia trasparente come vetro, cristallo, celluloide o altro -,

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di cui due bianchi e sci diversamente colorati di rosso, blu e giallo. I cristalli si fissano sulla montatura metallica in base agli effetti che si vogliono ottenere.

Questo congegno, in linea con la teoria di Liesegang precedentemente richia­ mata, è costruito con materiale semitrasparente e dunque - secondo Luigi Sassi - copre lo spostamento del fotogramma conservando illuminato lo schermo24. L'otturatore Lux può essere applicato a qualsiasi proiettore senza modificarlo. Sassi rileva due difetti di questo sistema: pesantezza e fragilità. Svantaggi risol­ ti da Salomoni, un altro costruitone, «distinto meccanico e operatore cinema­

tografista»25, il quale inventò prima di Mazza - secondo Sassi - un otturatore molto simile, ma leggerissimo, di un solo colore e molto più piccolo rispetto al modello Lux, e dunque più facilmente applicabile a qualsiasi proiettore. Vincenzoni non concede molto spazio alla trattazione deirotturatore: ne spiega sinteticamente il funzionamento e afferma che non tutti i * cinematografi­ sti* lo ritengono necessario, dato che per eliminare alcuni inconvenienti causati da questo congegno se ne creano altri che fautore decide di non trattare. Anche Mariani c molto sintetico nel descrivere questa parte del proiettore pur ricono­ sciuta fondamentale. Ne descrive un solo modello come se fosse l’unico, forma­ to da un disco metallico pieno per un quarto e vuoto per i restanti tre quarti. 4.4. Il sistema ottico Il sistema ottico degli apparecchi di proiezione e costituito dal condensatore e dall’obiettivo. La luce della lanterna arriva attraverso il condensatore alla fine­

stra mobile del proiettore e quindi all’obiettivo. «Il condensatore concentra la luce che la sorgente luminosa fornisce; l’obiettivo raccoglie il fascio luminoso uscente dal condensatore, lo modifica, lo ingrandisce e lo trasmette sul dia­ framma bianco»16. Condensatore c obicttivo devono quindi - come puntualiz­

za Liesegang - essere in giusto rapporto uno rispetto all’altro relativamente alla loro lunghezza focale. 4.4.1. Il condensatore La descrizione del condensatore coincide in lutti i manuali che abbiamo esa­ minato: due lenti piano convesse, con le superfìci piane all’esterno unite da cer­ chi di ottone a vite. Liesegang c Mariani affermano l’esistenza di «condensato-

ri tripli»17: essi consentono di avvicinare maggiormente questo congegno alla lampada, per utilizzare più luce e dare dunque maggior luminosità alle imma­ gini. Questa tipologia di condensatore prevede, infatti, l’inserimento di un

menisco concavo convesso18 posto anteriormente rispetto alle due lenti piano convesse. II condensatore, che è esposto al calore della sorgente luminosa, è molto sensibile agli sbalzi di temperatura che possono essere causa di una dila­ tazione del vetro c una conscguente rottura delle lenti. Per ovviare a questo inconveniente, tutti gli autori segnalano l’uso del refrigerante, che consiste essenzialmente in una vaschetta metallica contenente dell’acqua distillata29. Intorno a questo apparecchio le varianti si moltiplicano nel corso del tempo. Liesegang descrive una vaschetta con due aperture circolari, chiuse da lastre di

IL PROIETTORE CINEMATOGRAFICO

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cristallo a essa ben aderenti. Quando il liquido contenuto si e surriscaldato

bisogna provvedere alla sostituzione del recipiente. Ma Liesegang segnala un'innovazione applicata a questo modello dall’ing. Ruppert: un sistema in cui al contenitore principale sono affiancati altri due contenitori più piccoli - che

non si surriscaldano perché si trovano a lato della lanterna - contenenti il liqui­ do c uniti alla vaschetta centrale attraverso tubi di comunicazione che permet­ tono un costante ricambio di liquido. Liesegang consiglia di posizionare il refri­

gerante fra il condensatore e la pellicola» e indica che la posizione ideale sareb­ be alFintcmo del condensatore stesso. Sassi descrive un modello molto simile

e aggiunge che i Lumière sostituiscono il condensatore con un «pallone di cri­ stallo»*0 pieno d'acqua che funziona da condensatore e da vaschetta, c che assorbe molto meglio i raggi “calorifici”. Mariani documenta quindi che que­ sto tipo di condensatore sferico e in uso anche nel 1923.

4.4.2. Gli obicttivi

Nella trattazione del sistema degli obiettivi, gli autori dei cinque manuali con­ siderati partono tutti dallo stesso presupposto: l’obicttivo utilizzato nei proiet­ tori c lo stesso delle lanterne magiche. Secondo Re» l’obiettivo c costituito di

una lente biconvessa, di una biconcava c di un menisco. Inoltre per la messa a fuoco dell’immagine descrive un sistema che permette di portare avanti c indie­

tro meccanicamente l’obicttivo stesso. Una particolare preoccupazione di que­ sto autore c rivolta ai “cinematografisti” ambulanti, cui raccomanda di avere a

disposizione un discreto numero di obicttivi di differente focale per poter adat­ tare la propria apparecchiatura alle diverse situazioni. Liesegang c Sassi parlano entrambi deìTobiellivo a doppia combinazione acromatico di PetzwaL Esso prevede due sistemi di lenti: quello anteriore costi­ tuito da due lenti saldate insieme, c quello posteriore sempre a due lenti» però separate tra loro da un anello metallico. Il tutto c trattenuto da un*“armatura” di ottone» munita di una vite a cremagliera che permette la messa a fuoco del­ l’immagine. Liesegang c Sassi» nonché Guido Vinccnzoni*1, asseriscono che le lenti di diversa focale sono montate in un “porta-obiettivo” universale, che si fissa al proiettore e consente di cambiare facilmente gli obiettivi per ottenere la

distanza focale necessaria alla grandezza dell’immagine che si desidera proiet­ tare. Sassi avanza una variante alla tipologia finora proposta con un obicttivo che definisce simmetrico» posto in commercio da Gaumont. Provvisto di una montatura in entrambi i sensi, il pregio di questo obicttivo sta nel permettere una perfetta correzione dell’aberrazione di sfericità c cromatica. Mariani, che dedica un intero capitolo del suo volume alle invenzioni italiane, aggiunge la descrizione di un particolare obicttivo denominato Cincsolor messo in com­ mercio dalla Società Anonima Ganzini di Milano. Queste le sue caratteristiche: È costruito nella sola lunghezza focale reale di 70 mm. che mediante l'applicazione di

una lente addizionale può essere ridotta di 5 in 5 mm fino a 2$ mm, oppure essere porta­ ta a millimetri 180. Con la lente addizionale (elemento variabile) il “Cincsolor" è appli­ cabile a ogni genere di proiezioni, per spettacoli pubblici, istituti, privati.

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Lenti addizionali. Al “Cinesolor" si applica pertanto la lane addizionale “Ciditor” dìe rende universale l’obicuivo, e [...] che montala sul bariletto anteriore dellobicttivo ne modifica la lunghezza focale; la risultante può essere di qualche millimetro inferiore o superiore a quella desiderata51.

4.$. Lappa rocchio motore L’apparecchio motore c costituito da una grande ruota dentata» a cui è fissata

la manovella, e da un pignone; il pignone è azionato dalla ruota dentata e si trova sullo stesso asse del disco che permette la trasmissione del movimento, talché la piccola ruota o disco, per ogni giro di manovella, esegua circa 1$ giri al secondo. La messa in moto avviene per mezzo della manovella o di un elet­ tromotore. Questo è in sintesi quanto affermano tutti gli autori considerati; diversa è solo la dovizia dei dettagli. Re non dà indicazioni sul numero di giri di manovella che occorrono per una buona proiezione, tuttavia raccomanda all’indirizzo dei proiezionisti di valutarne la giusta velocità. Liesegang specifi­

ca che il movimento del tamburo propulsore che trascina il film dal rocchetto

al finestrino, si ottiene per mezzo di una catena o di ruote dentate. Sassi cita come grande innovazione un proiettore Gaumont in cui la catena è abolita in favore di ingranaggi elicoidali. Mariani descrive dettagliatamente il processo di messa in moto, fino a soffermarsi sui singoli ingranaggi e sui passaggi che li

azionano uno dopo l’altro. Note 1. G. Re, // cinematografo e i suoi accessori, Hocpii, Milano 1907; L. Sassi, Proiezionifisse

e cinematografo. Hocpii, Milano 1911; G. Vincenzoni, La Cinematografia, Sonzogno, Milano 1914; V. Mariani, Guida pratica della cinematografia. Hocpii. Milano 1923; E P. Liesegang.

ilandbucb der Praktiscben Kinematografia, Leipzig 1908 (trad. il. // Cinematografo, Elli

Bocci. Torino 1909). 2. Il termine Flimmern è utilizzato da Liesegang. Nella citata versione italiana del suo

testo, non si trova tradotto. L’autore dedica a questo argomento un intero paragrafo intito­

lato: // *Flimmem” e i mezzi per evitarlo. Qui spiega sinteticamente che «il Plimmern ha la sua origine nella funzione stessa dell’apparecchio; consegue a ciò che la presa c la riprodu­ zione delle vedute si effettua a scatti in modo saltuario, dal quale deriva un continuo scam­ bio di chiaro e scuro» (Liesegang, // Cinematografo, cil., p. 267). In italiano, il termine equi­ valente è “scintillìo” o "sfarfallio” o "farfallamento* o, più correntemente, si ricorre all’in-

glesc flickering. 3.

Re, Il cinematografo e i suoi accessori, dt., p. 7.

4. Cfr. Liesegang» Il Cinematografo, cit., p. 395. Prima del 1908 in Italia non esistevano disposizioni legislative nazionali che regolassero rimpianto c l’esercizio dei cinematografi.

Per primi, i prefetti di Milano e di Torino emanarono dei regolamenti speciali in cui stabili­ rono le norme cui avrebbero dovuto attenersi gli esercenti. 5. Dal regolamento di Torino: «Art. 5 - Struttura e arredamento dell'edificio. Li cabina di proiezione dovrà essere costruita con muratura, assegnando alle sue pareti uno spessore

non minore di 13 centimetri: potrà essere eventualmente sorretta con colonne di ferro o ghisa.

Viene per essa vietato l’impiego del legno anche per il pavimento ancorché rivestito di lamie­ ra o di amianto» (cfr. Liesegang, Il Cinematografo, dt.. p. 299).

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6. Dal regolamento di Torino: «Art. io - Aerazione. La cabina di proiezione dovrà esse­

re debitamente ventilata con aspirazione dall'esterno e costruita in modo che, verificandosi

la combustione delle pellicole, le fiamme c il fumo non possano penetrare nella sala proie­ zioni» (cfr. ivi, p. 403).

7. Dal regolamento di Milano: «Art. 11 — Il locale avrà una cabina costrutta in mate­ riale incombustibile e destinata all’apparecchio per le proiezioni. Essa dovrà essere ester­

na alla sala delle proiezioni e non avere alcuna comunicazione con questa, toltone le fine­ strelle di spia e quella per il passaggio dei raggi luminosi; dovrà misurare aU’interno non meno di m 2.20 per cada un lato e dovrà inoltre avere sufficiente e buona ventilazione, pos­ sibilmente con presa d’aria all’esterno del locale. Le finestre e finestrelle della cabina, com­ prese quelle di spia, ed eccettuatane solo quella destinata all’uscita del fascio luminoso per

le proiezioni, saranno munite di reticella metallica».

«Art. 12 - La scala di accesso conducente alla cabina dovrà essere in materiale incom­ bustibile, munita di mancorrenti, e collocata fuori della vista e del passaggio del pubblico. La porta della cabina si aprirà verso l'esterno e sarà munita di semplice molla a scatto» (ibid.).

8. 9.

Ivi, p. 149. Re, li cinematografo e i suoi accessori, cit., p. 106.

io. Cfr. ivi, p. 11. Le misure indicate dall’autore sono: 1 m (lunghezza) x i,io m (larghez­ za) x o,$5 m (spessore).

11. Ivi, p. 66. 12. In breve: la croce di Malta è composta da quattro bracci scanalati che, comandati dall’eccentrico, permettono a un rocchetto dentato di trascinare a ogni quarto di giro un

fotogramma. 13.

Re, Il cinematografo e i suoi accessori, cit.» p. 16.

14.

Liesegang, Il Cinematografo, cit., p. 44.

1$. Ivi, p. 47. 16.

Ivi, p. 27.

17. 18.

Ivi, p. 35. Re, Il cinematografo e i suoi accessori, cit., p. 49.

19. Ivi, p. 78. 20. «A togliere alla proiezione questo spiacevole difetto [il tremolio] venne artificiosa­

mente in aiuto Ting, costruttor Parigino L. Gaumont con un ventaglio denominato La Gril­

le, ingegnosissmo oggetto che ha per lo appunto lo scopo di sopprimere qualsivoglia trepi­ dazione o bagliore delle proiezioni animate di qualsiasi apparecchio cinematografico. Met­

tendo questo ventaglio davanti agli occhi c facendolo dondolare a mo' di un pendolo da

destra a sinistra si vede svolgere la scena animata con una fissità assoluta e senza la minima trepidazione» (ivi, pp. 81-2). 21. Liesegang, II Cinematografo, cit., p. $$. 22. Ivi, p. 60. 23. Attestato di privativa industriale concesso a Enrico Mazza dall'ufficio della pro­ prietà intellettuale nel febbraio del 1910. Brevetto n. 28, voi. 325 del 25 febbraio 1910.

24. Luigi Sassi fornisce la seguente descrizione dell’otturatore Lux: «I cristalli bianchi

mentre aumentano la luminosità del quadro, diminuiscono leggermente il dettaglio dcll’immagine; vengono usati quando si devono proiettare pellicole fortemente colorate o intense o quando non si dispone di una sorgente luminosa molto forte o quando si proietta a grande

distanza. I cristalli colorati ammorbidiscono lo scintillio e danno alla proiezione una tonalità calda o fredda a seconda dei colori impiegati e tolgono all'immagine quella crudezza che di

solito si nota nelle pellicole in chiaro-scuro. I colori usati per i cristalli sono i fondamentali:

rosso, giallo, blu, e di ciascun colore si hanno due toni. La scelta di questi cristalli colorati dipende dall’intensità della sorgente luminosa e da quella della colorazione viratura della pel­

licola da proiettare» (Sassi, Proiezioni fisse e cinematografo, cit., p. 420).

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Ivi, p. 421.

25.

Re, Il cinematografo e i suoi accessori, eie., p. 143.

26. 27.

Cfr. Liesegang, Il Cinematografo, cit., p. 117; Mariani, Guida pratica della cinemato­

grafia, dr. p. 340.

28.

Il menisco è definito come una lente com'essa da una partee concava dall'altra; è con­

vergente o divergente a seconda che i bordi abbiano minor spessore dd centro o viceversa. 29.

Re consiglia di aggiungere all'acqua distillata o bollila una piccola dose di allume di

soda. Liesegang indico invece di aggiungervi un po' di glicerina pura, perché assorbe i raggi

termid. Sassi invece suggerisce di mescolare all'acqua dell'acido acetico che ne ritarda l'e­

bollizione. 30.

Sassi, Proiezioni fisse e cinematografo, dt., p. 412.

31.

Cfr. Vincenzoni, La Cinematografia, dt., p. 34.

32.

Mariani, Guida pratica alla cinematografìa, cit., pp. 334-5.

Apparecchi cinematografici (1910-30): i tipi Prevost e Cinemeccanica di Vera Carimati

I

Officine Attilio Prevost & C.

PREVOST

Oggi la Prevost SRL è una delle aziende italiane più affermate nella produzione di apparecchiature cinema­ tografiche, proiettori e moviole in primis. ma il suo rap­ porto con “la magia delle immagini" ha radici lontane. Nel 1764, infatti, nasce Pierre Prevost, artista parigino che si afferma nell’ambiente artistico della capitale fran­

cese come maestro del Panorama*. Nel 1807, in società con famericano James W. Thayer, apre una grande rotonda in Boulevard des Capucines (lo stesso boulevard che conoscerà la

“prima proiezione pubblica" del Cinematographc Lumiere). Inoltre, dalle pubblicazioni delflnstitut National de la Propriété Industrielle di Parigi2 emerge che, il 15 aprile 1816, Pierre Prévost depositò il brevetto francese del Panorama, in cui spiegava dettagliatamente il proprio metodo d’esecuzione, una tecnica aggiornata rispetto a quella dell’inventore Barker. Nonostante i

grandi meriti e riconoscimenti ricevuti pcr la sua opera, Pierre Prévost resta noto ai piti per aver accollo nel suo atelier un ventenne intraprendente di nome Louis-Jacques-Mandé Daguerre, il quale l’n luglio 1822 inaugurò con grande successo il primo Diorama’ (all epoca, il più sofisticato tra tutti gli spettacoli del “prccinema") e successivamente inventò il dagherrotipo4. Poco dopo il 1823, data della morte di Pierre Prévost, la famiglia si trasferisce in Italia, e nel 1890, a Torino, nasce Attilio Prévost (non più accentato), uomo di grande inge­ gno che dedicherà tutta la vita a progettare e costruire apparecchi per il cine­ matografo. La prima immagine che abbiamo di Attilio Prévost lo ritrae poco più che ventenne proprio accanto a una macchina da presa, in un periodo cruciale che segnerà profondamente la sua esistenza. Nel 1910, infatti, il giovane Attilio parte alla volta di Milano dove, nello stes­ so anno, fonda la società Prévost. Nonostante si dilettasse già da tempo a pro­ gettare c costruire macchine da presa, quando inizia l’attività preferisce indiriz­ zare la produzione prevalentemente alla costruzione di lanterne (prima con lam­ pade a incandescenza, poi con arco a carboni, specchio parabolico e condensa­ tore di luce). Alla fondazione, i dipendenti dell’officina di Via Ripamonti 43 (gli uffici si trovavano nella più centrale Via Leopardi 26) sono poche unità, ma un



VERA CAR1MATI

mercato in continua espansione crea le premesse per una regolare, progressiva crescita dell organico (tranne che nel periodo della Grande Guerra, mentre toc­ cherà la punta massima di 200 impiegati negli anni Sessanta-Settanta). Con la cre­ scita del personale entrano in produzione anche i primi proiettori e le macchine da presa 35 mm. Nel 1928, uffici c officina vengono trasferiti in Via Forcella 9; poi, nel 1936, verrà costruito l’apposito stabilimento di Via Desenzano 2 (nuova sede fino al 1990, anno del trasferimento a Settimo Milanese, in Via Enrico Fermi 8, tuttora in piena attività). È importante sottolineare che Attilio Prevost senior, oltre ad essere stato un abile imprenditore che intuì sin da principio la portata dell’invenzione dei Lumiere, nutriva una profonda passione per la ripresa cine­ matografica: un entusiasmo e una curiosità che lo portarono, nel 1913, a costrui­ re una macchina da presa e a partire poi, durante il primo conflitto mondiale, alla volta della Libia, insieme al pioniere documentarista Luca Comerio*, suo grande

amico e collaboratore. Grazie a quell’apparecchio artigianale, che ebbe poi note­ vole successo e che oggi è conservato al Museo del Cinema di Torino, trascorrerà tre anni nei panni di tenente d'artiglieria, inviato al fronte come operatore accre­

ditato dal Comando Supremo. Le pellicole girate in quegli anni sono conservate presso l’Archivio di Stato e, oltre a rappresentare un documento storico unico della spedizione libica, sono la testimonianza di coloro che Gian Piero Brunetta definisce «gli apostoli del nuovo verbo visivo»6: pionieri come Omegna, Fiorio,

Vitretti, nonché Comcrio e Prevost, i quali, veri c propri avventurieri, diventano con la loro cinepresa operatori-rr/wr/err alla ricerca ossessiva di eventi da immor­ talare e consegnare ai posteri. Dopo l’esperienza al fronte, Attilio Prevost rientra a Milano e decide di dedicarsi completamente alla costruzione d’apparecchiatu­ re cinematografiche: lanterne, proiettori, stampatrici e moviole. Riuscire a quan­ tificare con esattezza la produzione delle macchine dalla ditta Prevost tra il 1910 e il 1945 è di fatto impossibile a causa dei bombardamenti del secondo conflitto mondiale che hanno distrutto completamente gli archivi dell’azienda. L’unico custode di alcuni dati certi e l’ing. Attilio Prevost junior, oggi ottantaseienne, che iniziò a lavorare con lo zio, Attilio senior, nel secondo dopoguerra (a lui si deve la progettazione delle prime moviole combinate 16/35 mm) c che ha passato poi

le redini dell'azienda al figlio Paolo Prevost, attuale direttore. Nel corso di una fìtta corrispondenza intrattenuta con l’ing. Attilio Prevost, grazie alla sua cortesia (c pazienza) abbiamo potuto apprendere che, alla fine del 1932, in Italia 120 sale cinematografiche erano attrezzate con apparecchi di proiezione sonori Prevost. Se aggiungiamo il dato della modesta quantità dei proiettori esportati in quegli anni, c se teniamo conto che molte cabine di proie­ zione erano attrezzate con doppio proiettore, possiamo ipotizzare una produ­ zione annua per il periodo 1928-32 di circa 60 proiettori l’anno. Giova ricorda­ re che gli anni in questione coincidono col periodo del passaggio dal mulo al sonoro, e che quindi le sale italiane provvedono a sostituire o a modificare i pro­

pri apparecchi, facendo così salire la domanda e conseguentemente la produ­ zione di macchine per proiezione. Per gli anni successivi, fino al 1940, possiamo stimare che la produzione media annua sia stata di circa 90-100 proiettori, affiancata dalla produzione sempre più cospicua di moviole, assai apprezzate anche all'estero e dai grandi cineasti7. Nel corso del tempo la struttura operali-

APPARECCHI CINEMATOGRAFICI

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va della società ha subito profondi mutamenti per adeguarsi alle esigenze del mercato c alle condizioni del lavoro. Occorre tener conto che la costruzione di apparecchi cinematografici professionali non ha mai rappresentato, nelle varie parti del mondo, un’industria molto importante per numero di unità prodotte; anzi, sono modestissime se paragonate a quelle di altri settori della grande indu­ stria (automobili, elettrodomestici, macchine fotografiche ecc.); pertanto, non e stato possibile sfruttare tutti quei perfezionamenti tecnologici di processo che permettono, nelle grandi produzioni di serie, una minore incidenza del costo del lavoro sul prezzo del prodotto finito; di qui i cambiamenti delle strutture

operative delle grandi aziende d'apparecchi cinematografici come Prevost e Cinemeccanica. In passato, ciascun fabbricante di questo settore costruiva in proprio tutti i pezzi degli impianti cinematografici (motori, trasformatori, altoparlanti, raddrizzatori, amplificatori ecc.). Le ditte maggiori chiamavano i migliori tecnici e

ingegneri da tutta Europa, e solo saltuariamente stringevano collaborazioni con aziende esterne per la fornitura d’alcuni componenti8. In quasi cento anni d'attività, la famiglia Prevost ha messo a disposizione del cinema mezzi d'alta qualità che hanno modificato il “linguaggio” cinematografico stesso. Uno

sguardo lungimirante, quello di Attilio Prevost senior, che già dai primissimi anni comprese il potenziale sviluppo deH'invcnzione cinematografica. In una breve intervista che ha voluto concederci, Attilio Prevost junior così ricorda: Di quegli anni, mio zio mi descriveva spesso lo smarrimento stupito degli spettatori che

aveva visto in Francia, durante uno dei suoi numerosi viaggi alla ricerca di nuove infor­ mazioni sulla grande invenzione dei Lumière, in occasione delle prime proiezioni cine­

matografiche e, ancora, degli applausi che venivano rivolti allo schermo al termine della proiezione dei primi film sonori, come se si trattasse del palcoscenico di un teatro.

Erano quelli, anche, gli anni dei telegrammi di felicitazione che i diversi pro­ prietari di cinema spedivano alla Prevost dopo ogni inaugurazione delle sale. A questi ricordi si aggiungono poi tanti aneddoti di situazioni insolite; ne ripor­ tiamo solo uno: un importante personaggio del mondo arabo fece richiesta di

uno schermo riflettente ma parzialmente trasparente da sistemare in mezzo alla sala cinematografica di sua proprietà; i tecnici della Prevost obiettarono che in questo modo gli spettatori della proiezione per trasparenza avrebbe visto le immagini invertite; per tutta risposta, ottennero solo una conferma: la parte riflettente era riservata agli uomini, l'altra alle donne.

Proponiamo qui di seguito una cronologia e descrizioni degli apparecchi cinematografici Prevost dal 1913 (prima macchina da presa) al 1929, con l’av­ vertenza che cronologia e descrizioni sono parziali, e non solo per comprensi­ bili ragioni di economia testuale. Infatti, come abbiamo detto, gran parte del materiale documentativo è da considerarsi disperso, pertanto è probabile che non tutti i tipi Prevost progettati o costruiti siano trattenuti dalla nostra rico­

struzione; inoltre, in mancanza di ulteriori testimoni (carte, macchine, conge­ gni), la nostra descrizione non potrà essere sempre certa o esaustiva.

VERA CARI MAT I

50

i.l

Cronologia

- 1913: macchina da presa per vedute cinematografiche; - 1919: dispositivo per correggere la posizione del fotogramma cinematografi* co negli apparecchi di proiezione; - 1920: impianto di proiezione Record; cassetta per apparecchio da presa per vedute cinematografiche; procedimento per ottenere immagini multiple nello spazio occupato sulla pellicola dal comune fotogramma cinematografico; - 192$: impianto di proiezione grande modello con lampada Splendor; - 1929: impianto di proiezione sonoro.

1.2.

Descrizione degli apparecchi

1.2.1. Macchina da presa per vedute cinematografiche. Brevetto n. 166703 del 6 settembre 1913 FIGURA I

Come risulta dal primo numero del 1914 del “Bollettino della proprietà intel­ lettuale** pubblicato dal ministero delTAgricoltura, dell’industria e del Com­ mercio, Attilio Prevost senior depositò nei 1913 per tre anni il brevetto di una “Macchina da presa per vedute cinematografiche" (FIG. 1). È con questa came­ ra per pellicola 35 mm che, due anni più tardi, Attilio Prevost partì alla volta della Libia con l'amico Luca Comerio. Caratteristiche fondamentali di questa camera sono «il suo volume estremamente ridotto grazie a un sistema d'aper­ tura assolutamente nuovo e il suo speciale sistema di trazione della pellicola»9. In realtà, la trazione della pellicola era garantita dal tradizionale sistema a griffa10: le punte della griffa penetrano nella perforazione della pellicola e, mediante il movimento eccentrico dell’albero, essa viene trascinata in basso per la lunghezza di un quadro a ogni giro dcH’ccccnirico. Alla fine della corsa, la griffa esce dalla perforazione (ad opera di un movimento combinato dcll’ccccntrico c della feritoia curva che bilancia la stessa griffa su un perno centrale), risale a vuoto, quindi rientra nella perforazione e ripete l’evoluzione a ogni giro

dell’albero eccentrico.

APPARECCHI CINEMATOGRAFICI

51

Quanto al volume della camera Prevost, esso e effettivamente ridotto rispet­ to alle macchine coeve. La riduzione dell’ingombro è il risultato di un nuovo sistema di caricamento della pellicola, strettamente legato al sistema d'apertura della parte posteriore della macchina, lì dove sono posizionate le scatolemagazzino del film (due contenitori stagni per circa 160 metri di pellicola). A differenza di altre macchine da presa, la camera Prevost si apre ruotando sulla

cerniera finterò corpo posteriore dal basso verso l’alto: si scopre così finterò percorso del film, dall'alloggio della pellicola vergine al tamburo distributo^e,,. Grazie a quest'innovativa apertura, e possibile maneggiare agevolmente la pel­ licola: viene fatta passare nel corridoio dove, pressata dallo sportello di chiu­ sura, passa davanti all'apertura d'impressione; quindi, uscendo, si sposta late­

ralmente entrando nel tamburo ricevitore; infine, per mezzo degli ingranaggi e della pressione, viene avvolta nella scatola-magazzino ricevitrice. Inoltre, sui tamburi dentati insistono dei rulletti di pressione che impediscono alla pelli­ cola di debordare durante la corsa. Questa camera, interamente metallica, è dotata di un contametri (della pellicola impressionata) e di due alberi: sul

primo si avvita la manovella di comando per la velocità normale, sul secondo quella per la velocità ridotta. La macchina e compatta: le uniche appendici esterne, oltre la manovella, sono il mirino e un braccio su cui è fissato un dia­ framma a iride*1 > azionato da una leva. Per quanto riguarda gli obicttivi, le offi­ cine Prevost hanno da sempre montato sui propri apparecchi (sia da presa che

da proiezione) lenti Zeiss0. Nonostante i pregi che si possono riconoscere a questa camera, occorre comunque ricordare che, nel 1913, sul mercato europeo erano diffuse macchi­ ne da presa francesi (come le Débric-Parvo) che avevano già raggiunto una raf­ finatezza tecnica in diversi anni d’esperienza nel settore c che, già nel 1908, ave­ vano commercializzato una camera compatta, molto simile a quella delle offi­

cine italiane. La nostra industria era effettivamente in ritardo in questo campo, e la con­ correnza aveva ormai conquistato un mercato c una fama pressoché irraggiun­ gibili. In ogni caso - stando ad Attilio Prevost junior - questa camera continuò ad essere prodotta almeno sino al 1920, e riportò un discreto successo com­

merciale, per lo più entro i confini nazionali.

1.2.2. Dispositivo per correggere la posizione del fotogramma cinematografico negli apparecchi di proiezione. Brevetto n. 174897 del 15 maggio 1919

Si tratta di un congegno meccanico ideato da Attilio Prevost nel 1919. Esso per­ mette di correggere ferrata posizione che viene ad assumere il fotogramma rispetto al finestrino del proiettore. Il dispositivo è assolutamente di nuova concezione. Per l'essenziale, i componenti del dispositivo sono: un telaio, un

disco, un eccentrico, una croce di Malta, un tamburo dentato. In una sede cir­ colare del telaio, sta il disco metallico. Al centro del telaio, attraverso un foro,

passa l’albero dell’eccentrico che aziona la croce di Malta; l’albero ruota entro una bronzina concentrica al disco. La croce di Malta e unita in posizione assia­

52

VERA CAR1MATI

le al tamburo dentato ed è sostenuta da un supporto eccentricamente fissato al disco; tra la croce di Malta c il centro del disco c'è la distanza utile ad assicu­ rare la perfetta aderenza tra i due clementi. Ora, ruotando il disco, l’albero delI’cccentrico mantiene la sua posizione (giacché ruota entro la bronzina con­ centrica al disco) mentre la croce di Malta e il tamburo dentato assumono diversa posizione ma conservano equidistanza tra l’albero deH’eccentrico, della croce di Malta e il tamburo. Dato che i denti del tamburo impegnano le perforazioni laterali del film, lo

spostamento del tamburo provoca un analogo spostamento del film. Lo spo­ stamento del tamburo ha un’escursione verticale di 20 mm (pari alla rotazione del disco di 1/12 di giro). Lo spostamento della croce di Malta sull’ccccntrico produce un’azione - a seconda - ritardata o accelerata anche del suo scatto (per mezzo del nottolino), determinando così una posizione errata dell’ottura­ tore (pari a un massimo di 1/12 di giro): a questo punto interviene un altro dispositivo. Si tratta di un meccanismo di compensazione della posizione dcll’ottura-

lorc allorché, per rettificare il quadro, viene fatto ruotare il disco. Una ruota dentata trasmette il moto all'otturatore, il quale è montato su un albero di pignone dentato. Il disco ha una feritoia, una forcella e nottolini articolati col pignone. Il pignone può spostarsi lungo l’asse in senso longitudinale, mentre resta fisso in senso circolare; il pignone, azionato dal disco, trasmette il movi­ mento all'albero dell'otturatore, il quale compie automaticamente una frazione di giro, fino alla corretta messa in quadro.

1.2.3. Dispositivo per lo scambio rapido degli obiettivi nelle macchine da presa di vedute cinematografiche.

Brevetto n. 184751 del 26 gennaio 1920

Si tratta di un congegno meccanico brevettato da Attilio Prevost nel 1920 che, applicato alle macchine da presa, permette il rapido scambio dell’obiettivo operante con un altro di lunghezza focale diversa durante la marcia dell’ap­ parecchio (F1G. 2). Il dispositivo e composto da un disco circolare che si avvita allo sportello per mezzo del passo di vite praticato sulla corona. Sul disco sono fissate due

montature a spostamento elicoidale che servono per la messa a fuoco separa­ ta di due obiettivi di lunghezza focale diversa. Ad esempio: se sulle montatu­ re sono applicati due obiettivi di lunghezza focale rispettivamente di 50 mm e 100 mm e se vogliamo scambiare il primo con il secondo, è sufficiente far com­ pletare mezzo giro al disco abbassando la leva nel senso indicato dalla freccia fino a urtare con la leva stessa il bottone d'arresto. Per ritornare al 50 mm basta compiere l’operazione inversa. Il bottone d'arresto serve per fissare il limite di spostamento circolare del disco, mentre l'altro bottone serve come arresto della leva quando si sposta verso il basso. Per evitare che la luce passi dall’obiettivo in riposo all'interno dell’apparec­ chio, il dispositivo e dotato anche di una calotta che esclude la luce, nonché di un'apertura in corrispondenza dell’obiettivo operante.

APPARECCHI CINEMATOGRAFICI

FIGURA 2

1.2.4. Nuovo processo per ottenere la colorazione delle immagini nelle proiezioni luminose in genere. Brevetto n. 269139 del 26 aprile 1928

Si tratta di un processo, ideato da Attilio Prevost nel 1928, per ottenere in modo semplice ed efficace la colorazione delle immagini nelle proiezioni luminose, sia quelle cinematografiche che quelle fisse. Esso consiste nel proiettare sullo schermo, indipendentemente dalla proiezione dell'immagine fotografica, un

secondo fascio di luce del colore scelto dall’operatore e delle stesse dimensio­ ni della proiezione fotografica, in modo che sullo schermo la luce colorala combaci esattamente con l’immagine proiettata. Ne risulta che le parti scure della proiezione fotografica (vale a dire le porzioni di schermo non illuminate) ricevono dal fascio di luce addizionale un’illuminazione nel colore scelto, inve­ ce, le parti chiare dell'immagine (le porzioni di schermo illuminate dalla luce bianca passante attraverso la pellicola cinematografica o la diapositiva), pur ricevendo il fascio luminoso addizionale colorato, rimangono chiare perché il colore è soverchiato dalla luce bianca. Si ottiene così l’immagine colorata volu­ ta, nella quale il colore degrada progressivamente dalle parli nere alle mezze tinte, sino alla sua completa scomparsa nelle parti bianche. La colorazione del fascio luminoso addizionale si produce interponendo, dietro o davanti all’o­ biettivo, dei cristalli o delle gelatine colorate. Nel medesimo brevetto però Atti-

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VERA CARI MAT I

Iio Prevost aggiunge un secondo metodo per quanto concerne la fonte lumi­

nosa addizionale. Con un dispositivo appropriato» infatti» la luce per la proie­ zione del fascio colorato può essere presa dalla stessa sorgente luminosa impie­ gata per la proiezione del film (o diapositiva) anziché da una sorgente indi­

pendente.

1.2.5. Impianto di proiezione Record Nel corso delle proiezioni cinematografiche, il rischio d’incendio (pellicola infiammabile) era alto e le conseguenze gravi. Gli incidenti si succedevano e cresceva la preoccupazione. Ad esempio» il dott. Amleto Luise, corrisponden­ te a Milano della rivista quindicinale “La Cinematografia Italiana”» scriveva nel 1908: Accade purtroppo» e non di rado - la funesta conflagrazione del Bazar di Carità a Pari­ gi, quella deU'Àndronico a Taranto, la terza di Verona e l'altra di Madrid ne sono testi­ monianza - che i cinematografi abbiano a subire i danni del fuoco, sì per un corto cir­ cuito elettrico, come, e soprattutto, per la grande infiammabilità delle pellicole. A parte il primo caso, data la concentrazione dei raggi sulle pellicole stesse, il pericolo non potrà forse mai essere del tutto eliminato. Però si potrebbe affermare di aver conseguito sul temuto avversario un notevole vantaggio quando si potesse diminuire la potenza calorifera della sorgente luminosa, mediante un lento raffreddamento con uno sgorgo d'ac­ qua, oppure ove fosse possibile fare la proiezione col sussidio di una corrente di assai minore intensità. Di solito, negli odierni tempi, s'impiegano correnti di 30 c persino 50 amperes, laddove, per evitare» in modo assoluto, l'infiammabilità delle pellicole, l'in­ tensità della corrente non dovrebbe oltrepassare di molto le 6 amperes. Sino a ora però, non e stato ancora trovato un apparecchio che consenta siffatta diminuzione. Per il momento possiamo tuttavia attirare l'attenzione dei lettori sopra un meccanismo costruito diai Signori Schonburg e Compagni di Berlino. Esso consta di un recipiente d'acqua, messo in bilico, il quale, non appena si appicchi il fuoco, si rovescia immedia­ tamente sulla pellicola. È noto che questa s'incendia quasi sempre davanti all'obiettivo, e ivi, appunto, si trova inserito un sistema di sicurezza, il cui componente principale è una sostanza di facile fusibilità» oppure infiammabile, per esempio: un filo; un filo in comunicazione» manco a dirlo, col recipiente d'acqua summentovato. Se il filo s'abbru­ cia, il recipiente d'acqua, che trovasi» come abbiamo detto» collocato in bilico» si sposta dalla sua posizione normale, e l'acqua, senz'altro, si versa14.

Un sistema certamente ingegnoso quello Schonburg, anche se poco pratico e forse anche inefficace. Del resto, erano passati 11 anni dal disastroso incendio del Bazar de la Charité (Parigi, 4 maggio 1907) che aveva causato la morte di 121 persone, per la maggior parte donne dell’alta società, e ancora non si era trovato un sistema che garantisse una proiezione del tutto sicura. Nei primi modelli di proiettori le bobine erano nude, malgrado l’alta infiammabilità della pellicola in nitrato. Quando le autorità di pubblica sicurezza percepirono la minaccia della situazione, imposero l'obbligo di chiudere le bobine in scatole parafuoco munite di particolari corridoi per l’ingresso c l'uscita della pellicola, atti a evitare che un principio d’incendio nello sportello di proiezione potesse raggiungere fintemo delle scatole di protezione. L’“Impianto con proiettore

APPARECCHI CINEMATOGRAFICI

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Record n. 701 e lampada Record** della ditta Prévost e uno dei primi modelli della seconda generazione» corredato appunto di scatole parafuoco. Una delle sorgenti di luce utilizzate dai primi proiettori era la lampada a incandescenza: una comune lampada accesa vicino al quadruccio di proiezione che proiettava una quantità di luce assai modesta. Successivamente, si passò a lampade a bassa tensione con una forma di filamento particolarmente favorevole alTillumina-

zione del quadruccio. Si trattava per lo più di lampade da 900 W (30 V x 30 A oppure 1$ V x 40 A) alimentate dalla rete monofase tramite opportuno trasfor­ matore. La lanterna era munita anche di uno specchio di recupero e di un con­ densatore, che consentivano di sfruttare al massimo il flusso luminoso genera­

to dalla lampada. La lampada Record e appunto dotata di specchio» condensa­ tore e di un dispositivo di centramento» come riporta il listino originale: Lampada Record completa con ottica e portalampadc di scorta: è una lampada per l’im­ piego delle lampadine a filamento metallico’5 da 30 volts - 30 amperes e 1$ volts - 40

amperes. In essa ogni particolare e stato studiato per rendere l’assieme adatto alle spe­ ciali caratteristiche della sorgente luminosa. Lo specchio e il condensatore permettono il maggior sfruttamento possibile dei raggi luminosi emessi dalla lampadina. Con la

Record si ottengono ottime proiezioni di metri 4,50 x 6»oo (la distanza non ha influen­ za). Il calore irradiato sul film c molto inferiore a quello delle lampade congeneri, c non

costringe l’operatore a un’attenzione maggiore di quella necessaria per una lampada a carboni. Il centramento delle lampadine è reso oltremodo semplice da un dispositivo

che viene fornito con la lampada. Impiegando il trasformatore regolabile Record la durata media efficace delle lampadine è di circa 500 ore.

L’impianto Record è un apparecchio professionale per pellicola 3$ mm costi­ tuito da un piedistallo metallico a colonna e una tavola» sulla quale sono fissa­ ti la lampada, il corpo macchina (detto anche “castello”), due bracci portabobine per 450 metri di pellicola con scatole parafuoco e il sistema ottico. Come tutti i proiettori dell’epoca, l’apparecchio è azionato a mano dall’operatore di cabina attraverso una manovella posta a lato del castello. La velocità di scorri­ mento della pellicola (16/18 fotogrammi al secondo) era dunque affidata esclu­ sivamente alla mano del proiezionista. A questo proposito, King. Attilio Prevost ci ha raccontato: Mio zio visitava spesso le sale durante le comuni proiezioni per verificare il funziona­ mento degli impianti, e molte volte constatava che l’ultimo spettacolo risultava sensi­ bilmente più breve, perché i proiezionisti avevano fretta di chiudere la giornata e tor­ narsene a casa...

Il sistema di trascinamento della pellicola è classico: una serie verticale di roc­ chetti, pattini e rotismi che trasportano il film dalla bobina superiore davanti allo sportello di proiezione e quindi nella bobina riawolgitrice inferiore. Il irai­

no intermittente della pellicola è reso possibile da un blocco croce di Malta che permette l’esposizione per alcune frazioni di secondo del fotogramma davanti al fascio di luce emesso dalla lampada. A garantire la corretta proiezione vi è anche l’otturatore, in questo caso un disco a tre settori16 Il * posizionato *** davanti

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VERA CAR1MATI

all’obiettivo17, deputato a interrompere il fascio di luce durante l’avanzamento della pellicola. Il movimento dell’otturatore e naturalmente sincronizzato con quello del blocco croce di Malta e degli altri organi di trasmissione. L’ottura­ tore, poi, e chiuso in un carter. detto anche “paraotturatore", onde evitare i rischi conscguenti all’alta velocità del suo movimento di rotazione18. 1.2.6. Impianto di proiezione grande modello con lampada Splendor

L’impianto grande modello con lampada Splendor (corpo macchina in FIG. 3) entra in produzione intorno al 1925: destinato alla proiezione di film 35 mm, que­ sto tipo c una evoluzione del precedente. Le bobine possono contenere 600 metri di pellicola (150 metri in più del precedente), e più grandi sono il piedi­ stallo e la tavola di sostegno del castello. Ma l’autentica novità di quest’impian­ to sta soprattutto nella sorgente di luce: una lanterna con arco a carboni. Un significativo progresso nell’illuminazione, infatti, fu conseguito negli anni Venti con l’adozione di lanterne nelle quali il flusso luminoso proveniva dall’arco vol­ taico19 generato da due carboni. Il flusso luminoso, quindi, era captato da uno

specchio parabolico e inviato a un condensatore ottico che lo concentrava sul fotogramma. La lanterna di cui è dotato l’impianto Prevost contiene appunto una lampada a carboni denominata Splendor: La lampada Splendor realizza il risparmio dell’80% sul consumo della corrente elet­ trica e del 60% sul consumo dei carboni. È di manovra semplicissima: vi e un solo

APPARECCHI CINEMATOGRAFICI

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comando per Tawicinamcnto dei carboni e il cratere luminoso si forma sempre nelle*

satto centro focale dello specchio. L’illuminazione che fornisce e la più intensa fino a oggi raggiunta ed c distribuita sullo schermo con la più grande uniformità. Non riscal­

da il film30.

Questa lanterna monta l’arco a specchio Splendor, con carboni posti ad ango­ lo ottuso e con un specchio parabolico in cristallo argentato e ramato da 207 mm o 260 mm di diametro. L’idrocondcnsatore11 può essere normale a circola­

zione d’acqua con ottica da 200 mm, cono e chiusura a ghigliottina oppure con raffreddamento a serpentina in bronzo inossidabile (ottica sempre da 200 mm, cono e chiusura). Gli organi del castello mostrano aneli’essi vari progressi: l’ot-

tu rotore (a tre settori) è posizionato tra lo sportello di proiezione e la lanterna. Per andare incontro alle esigenze degli esercenti delle Siile, la ditta Prevost dava la possibilità al cliente di acquistare degli impianti di proiezione combi­ nati. Infatti, da una fattura originale dell’azienda, datata 27 ottobre 1927, risul­ ta che l’acquirente ordinò, per una spesa totale di 8.100 lire, un proiettore Record (la cui produzione c proseguita per tutti gli anni Venti) munito però di lanterna Spendor.

2 Società Anonima Cinemcccanica

®

Nella primavera del 1920, si costituiva a Milano, al civico 20 dell’allora Viale Lombardia, oggi Viale Campania, la Società Anonima Cinemcccanica, con il programma di riprendere c sviluppare l’attività delle vecchie Officine R. Bossi, una fonderia di ghisa dove in origine si fabbricava­ no forni per il pane, motociclette c qualche proiettore cinematografico. La nuova dirigenza intendeva realizzare una vasta gamma di prodotti, soprattutto nel campo di

tecnologie per il cinema, c relativi accessori, con l’ambizione di conquistare il

mercato nazionale. Già alla prima Fiera Campionaria di Milano del 1920, la Cinemcccanica poteva esporre nel suo stand i vari tipi d’impianti cinemato­

grafici in produzione. Pochi anni dopo, nel 1924, mutate le esigenze di mercato, s’imponeva una ristrutturazione dell’azienda: la Cinemcccanica veniva affidata all’ing. France­ sco Mauro. Eletto Presidente della Società, questi nominava direttore genera­ le il giovane ing. Umberto Cccchi, persona di grande spirito imprenditoriale che, del resto, rimase punto di riferimento della ditta fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1979. A lui si deve la trasformazione delle vecchie officine in un’industria altamente specializzata: nuovo risalto, infatti, venne dato allo stu­ dio c alla progettazione di apparecchi originali, nonché ai problemi del loro

collaudo. Il 1929, anno fondamentale per la storia del cinema italiano, segnò un’ulte­ riore trasformazione dell’azienda milanese: quella che fino ad allora era stata un'officina esclusivamente meccanica, doveva allargare la sua attività anche al



VERA CARIMATI

campo elettronico, per poter rimanere al passo con i tempi e fornire alle sale cinematografiche del nostro paese impianti sonori di alta qualità. Dunque, per adeguarsi alle mutate esigenze del mercato, la Società Anonima Cinemcccanica iniziò una collaborazione con un'altra ditta lombarda, la Allocchio & Bac­ chio!, che doveva occuparsi della tecnologia sonora da applicare ai nuovi impianti di proiezione. Il primo frutto di questa partnership è proprio del 1929: l'apparecchio cinesonoro Cinefono, con proiettore Victoria II munito di testi­ na sonora con lettore a cellula fotoelettrica (si tratta dell'evoluzione del primo Victoria, il capostipite simbolico degli apparecchi della ditta). Contemporaneamente, la Cinemeccanica sviluppava gli esperimenti sulle sorgenti luminose e sulle apparecchiature per la riproduzione del suono. Dalla prima lanterna a carboni neri pcr “proiezioni fisse e animate” (la Zenith), si passò agli archi a specchio sempre più perfezionati, fino alla realizzazione del­

l'avanzamento automatico dei carboni con gli archi a specchio Zenith II e Zenith III. Fin da subito, il reparto “marketing” si applicò per rendere il mar­ chio Cinemeccanica leader in campo nazionale e, grazie al reparto ricerca-pro­ gettazione in continua attività per lo studio di soluzioni sempre più all'avan­ guardia, la ditta lombarda iniziò ben presto a vendere i propri prodotti all'e­ stero, diventando un'icona della perfetta fabbrica fascista. Il periodo che va dal 1930 al 1935 può essere considerato l’epoca d’oro dell’azienda milanese: le sale italiane, infatti, dovettero sostituire o modificare gli apparati di proiezione per adeguarsi alle nuove pellicole sonore, c la Cinemeccanica, aumentando il suo organico sia in officina che nel reparto progettazione, diede il via alla produ­ zione in serie di modelli nuovissimi e alla distribuzione internazionale dei suoi prodotti. Ma di questo, un'altra volta. Proponiamo qui di seguito una cronologia degli apparecchi cinematogra­ fici della Cinemeccanica (fino al 1930) e la descrizione dei proiettori più importanti.

2.1. Cronologia (1921-30)

-

1921: proiettore Lux; 1923: proiettore Victoria; 192$: proiettore Super Victoria II; 1926: inizio produzione camera Avia e camera Reporter22; 1927: inizio della costruzione a uso militare della cinemitragliatrice Dux, della Tclefoto e del Telefono ottico; proiettore Victoria III;

- 1929: apparecchio di proiezione sonora Cinefono (con proiettore Victoria II); apparecchiatura sonora per sistema Vitaphonc a doppio piatto; - 1930: prosegue lo studio e la produzione di proiettori sonori (Victoria IV, Vic­ toria V, Victoria VI, lanterne Zenith II e Zenith III). 2.2. Descrizione degli apparecchi 2.2.1. Proiettori Victoria (1923), Super Victoria c Victoria 11 (1925)

11 primo proiettore Cinemeccanica di cui abbiamo qualche vaga notizia e il modello Lux, tuttavia è con il Victoria che iniziò il percorso della ditta verso la

APPARECCHI CINEMATOGRAFICI

59

conquista del mercato. Il Victoria, brevettato nel 1923, divenne il simbolo della nuova dirigenza della Cinemeccanica e dell’impronta aziendale degli ingegneri Mauro e (Zecchi. Ciascuno dei componenti di quest’apparecchio deriva dalla summa delle conoscenze nel campo della meccanica dei proiettori all’altezza del 1923. Ora, attraverso le immagini c a una parte del Listino originale recu­

perati, abbiamo identificato diversi componenti c, quindi, siamo riusciti a rico­ struire una fisionomia dell’apparecchio sufficientemente precisa. Sul piano di un piedistallo a quattro gambe, avevano sede: una lanterna (fino a 120 ampères) in lamiera metallica, con sportelli laterali, fumaiolo supe­ riore che servava da aspiratore d’aria calda c cono condensatore (le pareti inter­ ne erano ricoperte d’amianto); il castello con i rotismi per il trascinamento della pellicola; due portabobine da 400 metri (senza scatole parafuoco); il siste­ ma ottico e l’otturatore. Il film seguiva il seguente percorso (verticale): dalla bobina superiore, la pellicola veniva trascinata dal rocchetto debitore (a 32 denti), guidata da patti­ ni in acciaio nello sportello; all’uscita, le perforazioni venivano agganciate dal blocco croce di Malta (con rullo a 16 denti); quindi definiva un’ansa (riccio inferiore) e concludeva il percorso nel debitore inferiore (a 32 denti), dunque nel portabobine inferiore. L’otturatore a tre settori, fissato davanti all’obietti­ vo, era di cartone indurito e dotato di paraotturatore. A richiesta veniva forni­ to l’otturatore a due settori. La montatura del l’obiettivo, fissato al castello con un morsetto, poteva portare obiettivi di 42,5 mm di diametro. Cinemeccanica montava sui suoi proiettori obiettivi tedeschi Busch23. Il proiettore era inoltre dotato di una scatola per l’olio, con coperchio, guarnizione spia e vetro, e di un oliatore femmina e uno maschio. La marcia era azionata mediante il giro della manovella che, attraverso una cinghia metallica nichelata, trasmetteva il moto a tutti gli ingranaggi. Oggi c possibile ammirare un Victoria perfettamente restaurato al Musco della Scienza c della Tecnica di Milano. Poco dopo la commercializzazione del Victoria, fu realizzato anche il Super Victoria, identico al precedente ma dota­ to di qualche accessorio in più: protezione in velluto sui pattini pressori; mon­ tatura per obicttivi di diametro di 42,5 x 52,5 x 62,5 mm; portabobine da 900 metri. Invece, riguardo al proiettore Victoria II, entrato in produzione nel 1925, abbiamo pochissime informazioni. Le uniche immagini recuperate, oltre al disegno riportato sul listino, sono le fotografie di un impianto, il cui corpo macchina è certamente un Victoria II, ma, poiché è rimasto in funzione fino al 1959, ha subito numerose modifiche nel corso degli anni. Possiamo nota­

re un otturatore ancora esterno posto davanti all’obiettivo (lenti Busch 62,5 mm di diametro), i debitori superiori e inferiori sono rocchetti a 32 denti fis­ sati al perno mediante placca con tre vili disposte a triangolo equilatero: questo sistema di fissaggio è presente, identico, su molti apparecchi della ditta milanese Fedi14. Precisiamo che l’esemplare da noi esaminato c stato modificato nel 1930 per la proiezione del film sonoro La canzone Jell'amore di Gennaro Righelli, quindi risonorizzalo nel 1933 Per / miserabili di Ray­ mond Bernard.

6o

VERA CAR1MATI

2.2.2. Proiettore Victoria III FIGURA 4

Il proiettore Victoria III (FIG. 4), entrato in produzione nel 1927, conquistò subi­ to un largo mercato per alcune caratteristiche considerate davvero innovative: innanzitutto la facile intercambiabilità del blocco croce di Malta. Questo blocco, infatti, essendo il cuore di ogni proiettore, necessita di una attenta manutenzio­ ne e pulizia. La possibilità di estrarre tutto il blocco dalla sua sede rendeva molto

più agevole il lavoro dclFopcratorc. Nonostante si tratti ancora di un proiettore per proiezione di film muti, in questo tipo sono già presenti tutte quelle novità meccaniche che ritroveremo nei modelli successivi (dotati di lettore del suono): lubrificazione forzata, abolizione deUa trasmissione a candela, otturazione razio­ nale posteriore e completo “incarteramento* di tutto il complesso di movimen­ to. Rispetto ai modelli precedenti, la Cinemeccanica ha puntato al compatta­

mento degli organi di trasmissione in un carter stagno. Lo sportello a scorrimen­ to verticale doveva anch’esso facilitare il posizionamento della pellicola, mentre il movimento di marcia poteva essere tradizionale (a manovella) o, su richiesta, a motore monofase con trasformatore. Per quanto riguarda la sorgente luminosa, purtroppo non e dato sapere con certezza quale lampada fosse montata, ma molto probabilmente doveva trattarsi della lampada con arco a specchio Zenith, la stessa montata sul Victoria e sul Victoria II. L'obiettivo Busch doveva avere un

diametro di 52,5 mm adatto sia per proiettori con lampada a incandescenza che per lampade a carboni medie (diametro dello specchio: 140 mm). L’avanzamen­

to dei carboni e ancora manuale, una vera tortura per gli operatori*. Note 1. «Panorama. Il termine fu coniato verso il 1790 per designare un*immensa veduta este­ sa a 360°, i cui limiti coincidevano con l’orizzonte visivo dello spettatore, posto al centro di

un grande cilindro dipinto. Con il titolo L/ Nature à coup d'oeil, la veduta era stata brevetta­ ta a Londra nd 1787 da Robert Barker, pittore specializzato in ritratti e paesaggi» (G A. Zoili àMinici, a cura di. Geografia del precinema. Percorsi della visione dalla Camera Oscura alla

61

APPARECCHI CINEMATOGRAFICI

Luce dei Lumière. Guida alla mostra, Bologna 27 aprile-12 giugno 1994, Grafts Edizioni, Bolo­

gna 1994, sub vocem}. 2. Cfr. i documenti ritrovati da Laurent Man noni negli archivi parigini e pubblicati in L. Man noni, D. Pesenti Compagnoni, D. Robinson (eds.), Light and Movement: Incunabula of the Motion Picture, 14201S96. Le giornate del cinema muto, Gemona (UD) 1995, pp. 161-70. 3. Louis-Jacques-Mandé Daguerre introduce nella rappresentazione panoramica la

dimensione temporale. La spedale tecnica di messa in scena adottata permette di mostrare al pubblico le variazioni progressive di luminosità, i contrasti chiaroscurali e le armonie cro­ matiche che accompagnano lo scorrere naturale della vita.

4. Immagine fotografica ottenuta, mediante il procedimento inventato nel 1859. su lastra d’argento o di rame argentato. La lastra, sensibilizzata con vapori di iodio, viene impressio­ nata e poi sviluppata con vapori di mercurio e fissata con iposolfito. Il dagherrotipo, in copia unica e non riproducibile, veniva spesso colorato a mano, coperto da una lastrina in vetro e

sigillato affinché non si arrugginisse o si scrostasse. $. Cfr. C. Manenti, N. Monti, G. Nicodcmi, Luca Comerio fotografo e cineasta. Electa,

Milano 1979. 6. G. P. Brunetta, Cent'anni di cinema italiano, vol. I. Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 45-6. 7.

Orson Welles ordinò la sua prima moviola Prévost nel 1936.

8. Oggi la situazione è completamente cambiata, tutti utilizzano articoli costruiti da ditte specializzate nei vari settori limitando il proprio intervento alla lavorazione e alla costruzione

dei componenti spedftci che richiedono una particolare specializzazione nonché una lunga

esperienza per l’assemblaggio e il collaudo finale. Una modificazione profonda che l’industria intemazionale del settore ha subito nel corso del XX secolo e ha inevitabilmente trasformato

anche il profilo aziendale della Prévost, che oggi esporta i suoi prodotti in tutto il mondo. 9. Dal listino originale Prevost. 10. Il Cinématographe Lumière (apparecchio da presa e da proiezione) funzionava già col sistema di trascinamento a camma con doppia griffa. Tuttora, le macchine da presa utilizzano

questo sistema per il trascinamento intermittente della pellicola, mentre per i proiettori è stata adottata la croce di Malta (la griffa, infatti, aggancia piuttosto violentemente le perforazioni della pellicola). Nella macchina da presa il passaggio è unico (non ripetuto) e la pellicola è ver­

gine (integra): a tali condizioni, la griffa assicura una maggior stabilità durante la ripresa e, per­

tanto, resta ancora il sistema di trascinamento più soddisfacente delle macchine da presa.

11. La maggior parte delle camere dell'epoca era invece dotata di due scatole portabo binc fissate esternamente al corpo della macchina: o entrambe fissate sulla parte superiore o

altrimenti (come nella maggior parte dei proiettori) la cassetta per la pellicola vergine era

situata sulla parte supcriore, mentre la scatola per la pellicola impressionata era assicurata a quella inferiore. Questa disposizione pur funzionale andava però a discapito della compat­ tezza e della maneggevolezza della macchina.

12.

Il diaframma a iride viene anche detto “diaframma all’americana”.

13. Marca dell’officina di meccanica di precisione e ottica, aperta da Carl Zciss nel 1846 a Jena (Germania). Insieme alla Busch - fornitrice invece della Cinemeccanica

la Zciss

dominava il mercato intemazionale degli strumenti ottici. 14. A. Luise, Un mezzo per prevenire Lincendiarsi delle pellicole, in *La Cinematografia

Italiana - Rivista dell’Arte c dcU’Industria”, 20 gennaio 1908, n. 1, pp. 3-4. 1$. Le prime lampade elettriche a incandescenza avevano i filamenti in carbone (realiz­ zate da Edison nel 1878), ma a causa dell’alta volatilità del carbonio erano poco efficienti e di breve durata. A Howell si deve la metallizzazione dei filamenti, realizzata nel 1903. 16. Tuttora l'otturatore può essere un disco rotante a una, due o tre pale oppure a forma

di farfalla. Il settore principale dell’otturatore serve appunto a oscurare il fascio luminoso,

mentre i settori secondari, detti “settori di compenso”, limitano lo sfarfallamento (flickering.

in inglese).

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VERA CARIMATI

17. Anche nei primi modelli delle grandi ditte francesi l'otturatore era posizionato davanti all'obiettivo. Successivamente invece venne sistemato tra lo sportello di proiezione e la lanterna, ed è chiamato appunto "otturatore posteriore". 18. In generale, nei primi proiettori, l'otturatore era fatto di metallo o di cartone, e si pre­ sentava nudo. La successiva adozione di un paraotturatore è dovuta probabilmente a qual­

che incidente occorso durante la marcia.

19. L’arco voltaico utilizza carboni (cilindretti fatti di carbone di storta) come elettrodi. La luce è prodotta dal calore del cratere dell'elettrodo positivo. Trattandosi di una lampada che utilizza la fiamma ottenuta dalla scarica elettrica, gli operatori di albina erano chiamati alla massima cautela.

20.

Dal listino originale Prevost.

21.

L’idrocondcnsatore raffredda il fascio di luce che colpisce la pellicola.

22.

Con opportune migliorie l'Avia si diffuse in tutto il mondo nel lustro 1930-3$.

23. Fondata da Emil Busch, la ditta Busch divenne industria ottica nel 1872 e produsse

accessori ottici per decenni con successo intemazionale. Nel 1946 fu assorbita dalla Zeiss. 24. Ci sono informazioni discordanti riguardo alla ditta Fedi. Certi proiezionisti di lunga esperienza sostengono che gli apparecchi Fedi abbiano molte somiglianze con quelli della

Cinemeccanica; infinti, prima di mettersi in proprio, Angiolo Fedi aveva lavorato nelle offi­

cine Cinemcccanica. Altri, tra cui Mario Calzini, sostengono invece la precedenza della Fedi: cfr. il saggio di M. Calzini, too anni di cinema in Italia: un profilo storico, pubblicato on line

http:/Avww.mcdiasallcs.it/ybkccnt/ybk9$J.htm * Per questo scritto, ci siamo avvolsi delle notizie a noi trasmesse dall’ing. Attilio Prevo­

st, che qui ringraziamo. Oltre ai listini originali delle ditte Prevost e Cinemcccanica, abbia­ mo consultato l'"Annuario statistico italiano" del ministero dcll'Intemo, Direzione generale

di Statistica (Roma); il "Bollettino dei marchi di fabbrica e di commercio* del ministero ita­ liano dell’Agricoltura, Industria c Commercio (Roma), in particolare dal 1913 (fase. 1) al 1940 (fase. 4): i Rendiconti annuali, Scz. A, Scienze Matematiche e Applicazioni, Scz. B: Scienze Chi­

miche e Fisiche, Geologiche, Biologiche e Mediche, Regio Istituto Lombardo di Scienze c Let­

tere. Milano 193$.

Tracce sonore. Giovanni Rappazzo, inventore di Alessia Nauantieri

I primi tentativi di sonorizzazione delle immagini in movimento si basano sulla riproduzione meccanica del suono, mediante la registrazione delle onde sono­ re su un cilindro di cera e, successivamente, su un disco. Tutte le ricerche inau­ gurali in questo campo, sia in Italia sia all'estero, si concentrano quindi sulla sincronizzazione tra proiettore e grammofono. Invece la colonna sonora ottica, come noi la intendiamo oggi, si ottiene grazie alla trasformazione delle onde

sonore in variazioni luminose. Queste variazioni vengono impresse su una parte della pellicola (della larghezza di due millimetri circa) posta tra la serie delle perforazioni e la serie dei fotogrammi. 11 suono viene poi amplificato e riprodotto in sala attraverso altoparlanti. Seppur in via del tutto generica, sono questi i punti principali alla base del sonoro cinematografico. Il lasso di tempo intercorso tra le ricerche condotte a partire dai primi anni del Novecento sui dispositivi di sincronizzazione e il conseguimento di un vero e proprio sistema di registrazione c riproduzione del suono ottenuto nella secon­ da metà degli anni Venti (sistema Movietone) e caratterizzato da un lungo lavo­ ro di ricerca c sperimentazione, a livello intemazionale. Il problema principale da risolvere riguarda non tanto la registratone del suono su pellicola, quanto la sua amplificatone. Nd primo caso, infatti, oltre al pioniere Hermann Simon1, anche Ernst Ruhmer, con il suo Photographophone, era riuscito, già nd 1901. a trasfor­ mare le onde sonore in variazioni di intensità luminosa, quindi a iscriverle su una pellicola 3$ mm. La traccia sonora, però, ricopriva l'intera area fotogrammatica. I suoi studi, comunque, servirono da base per le ricerche future. Con il Photodnematophone di Eugene Lauste, brevettato in Gran Bretagna nd 1907, si arriva ad avere insieme, sulla stessa pellicola, sia le immagini sia il sonoro, anche se sia le une che l'altro occupavano lo spazio di metà fotogramma2. Anche in Italia, sin dai primi anni del secolo scorso, ci si dedica agli studi sulla sonorizzazione del cinema, sperimentando, principalmente, apparecchi in grado di sincronizzare il grammofono col proiettore. I brevetti depositati rela­ tivi alla sincronizzazione grammofono/proiettore sono numerosi1, e dimostra­ no come anche nel nostro paese le ricerche sul sonoro non sono da meno rispetto a quelle europee. Il primo contributo italiano che intende prospettare un diverso approccio a tale questione risale al 1908, o almeno questa e la data della pubblicazione in cui appare un articolo (di Arturo Lancellotti) dedicato al fotofonografo4 di Nicola Magnifico1. Il dispositivo inventato da Magnifico - applicabile al cine-

*4

ALESSIA ^AVANTIERI

ma, ma non solo - c in grado di registrare il suono sulla pellicola, a mezzo di un microfono (che comprendeva in circuito una pila) e di un galvanometro a riflessione. Per quel che riguarda la riproduzione dd suono, invece. Magnifico ricorre a un dispositivo che sfrutta il selenio c permette di udire i suoni grazie a un telefono ricevitore. Questo dispositivo, per quanto ricco d’interesse, pre­ senta due difetti di ordine diverso: il primo riguarda il fatto che, nonostante gli apprezzamenti della stampa dell’epoca6, l’invenzione non sembra sia stata mai accompagnata dalla registrazione di alcun brevetto; il secondo e strettamente tecnico e riguarda l’amplificazione dei suoni, i quali possono essere ascoltati, ancora, solo mediante un telefono ricevitore. È del 1909, invece, il primo brevetto depositato a Genova da Stanislas Noworyta (n. 97331) per il suo "Processo e apparecchio per la riproduzione di suoni a mezzo della fotografìa su pellicole c dell’azione delle onde elettriche’7. Tuttavia, dobbiamo soggiungere che, al momento, non siamo a conoscenza del suo funzionamento, ne sappiamo se c come venisse risolto il problema dell’amplificazione del suono. Nel 1912, a Reggio Calabria, Salvatore Palazzolo ottiene il brevetto n. 94904 (richiesto nel marzo 1908) relativo al suo "Cincmatofono ossia apparecchio che incide e riproduce i movimenti e la parola*. In questo caso l’invenzione, a dif­ ferenza di quella di Nicola Magnifico, è espressamente rivolta al cinema. Essa prevede un apparecchio per la registrazione simultanea di immagini c suoni, quindi un ulteriore dispositivo che permette di riprodurre il suono ricorrendo, anche in questo caso, al selenio e, anche in questo caso, il suono può essere ascoltato mediante telefono. Tra i congegni consimili, possiamo menzionare: la "Camera e dispositivo per la impressione contemporanea e la riproduzione contemporanca dei suoni e delle vedute per apparati cinematografici” (brevetto n. 129661 del 1913) di Giuseppe Sacripanti e Vittorio Miliardi, c il cinctofono* di Ivo Crocchi (bre­ vetto n. 139647 del 1914)- Anche quest’ultimo, per la riproduzione del suono, si avvale di una cellula al selenio collegata elettricamente a uno spedale telefono amplificatore da posizionare dietro lo schermo. Non è del tutto chiaro, però, cosa si debba intendere per "telefono amplificatore”, c comunque tale inven­ zione, pur scortata da cospicui encomi, non avrà grande fortuna. Di tutti i nomi fin qui diati, non rimangono molte tracce nei (pochi) manuali di storia della tecnica cinematografica; per contro, vengono regolar­ mente ricordati come pionieri personalità quali Pasquale Pagliej o i fratelli Pineschi, anche se il loro contributo dato alla sonorizzazione del cinema rima­ ne legato alla sincronizzazione tra film e disco. Nel campo della sonorizzazione del cinema, un altro inventore italiano, non meno trascurato, c Giovanni Rappezzo, il quale si e occupato della registrazio­ ne dd suono su pellicola, ha ridotto la larghezza della banda sonora collocata sul margine del film, ha provveduto al suo sdoppiamento (da una a due bande sottili) e, dunque, a una ripartizione delle diverse tracce audio (prindpio base della "stereofonia” a venire); inoltre ha tentato di risolvere lo spinoso problema dell’amplificazione del suono. Di tutto questo diremo partitomente più avanti, per ora ricordiamo che Giovanni Rappazzo comincia le sue sperimentazioni di

TRACCE SONORE. GIOVANNI RAPPAZZO, INVENTORE

6$

sonorizzazione del cinema fin dal 1913, tuttavia solo nel 1921 provvede a deposi­ tare i tre brevetti relativi alla sua invenzione, chiamata nel complesso elettrocinefono*, c ad avanzare un’ulteriore richiesta di brevetto per il suo vibratore fono-dcttrico. Qualche sommaria notizia biografica: Giovanni Rappazzo nasce a Messina il 1$ ottobre 1893. Frequenta la Regia Scuola Tecnico-Industriale " Verona-Trcnto*. Sezione Elettromeccanica. Da giovane lavora come operatore presso l'Eden Cine Concerto, di proprietà del fratello Luigi. In questi anni, si diletta ad armeggiare con microfoni, macchine da presa e proiettori nel suo laboratorio chiamato CGS, con l'intento d'imprimere fotograficamente il suono su pellicola. Dopo il diploma, viene assunto dalla Società Elettrica della Sicilia Orientale. Nel 1917 si trasferisce a Milano, dove lavora in vari stabilimenti come la Brown Boveri e la Marcili di Sesto San Giovanni. A metà dd 1919 si trasferi­ sce a Genova, dove trova impiego nella Società G. Ansaldo di Sampicrdarena Campi. Nel 1922 rientra a Messina con la speranza di ottenere degli appoggi eco­ nomici per le sue invenzioni: non riesce a trovare i finanziamenti e. pertanto, deve rinunciare a rinnovare i propri brevetti. Insegna per alcuni anni a Caglia­ ri, quindi si ritrasferiscc definitivamente nella sua città natale: qui muore nel 1995, con un sogno mai divenuto realtà, quello di vedere riconosciuta la sua invenzione c, dunque, la * paternità" dell'invenzione del cinema sonoro. Come abbiamo accennato, nel 1912, Giovanni Rappazzo lavora come ope­ ratore nella sala cinematografica del fratello. Nel corso di un banale incidente di proiezione ha una sorta di folgorazione: un rullo era stato montato di coda, e il pubblico in sala, alla vista delle immagini capovolte, prende a protestare con urla e schiamazzi; Giovanni si ritrova con la pellicola tra le mani e delle voci provenienti dalla sala; così, gli balena l'idea che quelle voci, quei suoni, quei rumori potevano provenire direttamente dalla pellicola. Di qui le assidue ricerche e sperimentazioni. Dai suoi racconti e dai suoi scritti10, però, non è chiaro quando esattamente arriva a implementare l'invenzione. I suoi brevetti sono tutti datati 1921, ma nel 1919 troviamo una lettera della Pathc Frères in risposta a Rappazzo, dalla quale possiamo inferire che l'inventore italiano fosse già alla ricerca di un finanziatore interessato allo sfruttamento commerciale del prodotto. Nella lettera in questione, datata 13 gennaio 1919 e inviata a un indi­ rizzo di Milano (dove Rappazzo in quell'anno è domiciliato) si legge: Monsieur, nous avons bicn re^u votre lettre et nous vous prions de bicn vouloir nous envoyer, en communication, les brevets conccmant voire invention. Nous pourrons aloes vous dire si est susceptible d'inicfcsscr noire Compagnie.

La richiesta di parte francese resta lettera morta; del resto, nel 1919, Rappazzo non può inviare brevetti che non ha ancora depositato. Siamo nel dopoguerra e i tempi sono diffìcili. Rappazzo non demorde, continua a cercare finanziato­ ri, tuttavia non riesce nell'intento prima degli inizi degli anni Venti. Il primo brevetto - o, più precisamente, "attestato di privativa industriale* - viene presentato da Rappazzo alla Regia prefettura di Genova il 19 febbraio 1921, col n. 195883. L'invenzione e denominata "Pellicola a impressione con­ temporanca di immagini c suoni*. Sembra che Rappazzo volesse chiamarla

66

ALESSIA NAVANTUJtl

Fono film, ma il termine viene respinto dall’ufficio di proprietà intellettuale in

quanto "film* è parola straniera. Così. L'attestato di privativa industriale ha tre anni di validità e sarà seguito da un ulteriore brevetto completivo, con lo stesso titolo, n. 199012, del 9 maggio 1921. Per una descrizione di questa invenzione ri affidiamo direttamente a quan­ to riportato da quest’ultimo brevetto: Oggetto della presente invenzione, è una pellicola cinematografica, la quale sia atta a ricevere contemporaneamente e a registrare pure contemporaneamente le immagini

mobili delle figure e quelle sonore, convenientemente fissate, che hanno accompagnato la impressione delle pellicole e che servono ad accompagnare la proiezione della pelli­

cola stessa. L'invenzione è stata messa in pratica, usando pellicola del tipo comune, munita della normale perforazione, atta a produrre il movimento della pellicola stessa, entro l’apparecchio d'impressione, che di proiezione.

La pellicola e costituita di due parti: una a ricevere le impressioni delle immagini, l’altra le impressioni dei suoni [qtterl'ukùfM] e costituita da due strisce laterali [ràp Cft R. Redi, H town del muto, in Id. (a cura di), G'wmw muto ìttlùw ttopipiò, OK, Roma 1992. 4. Cfr. A. Lancdlotti, //Fotofonografo, in "Varietà#",V. n. $4.ottobre 1908. pp. 778-81. 5. Nicola Magnifico (Trani. 1889-Roma, i960) è un impiegato postale con una particola­ re predilezione per le scienze fìsiche. L'idea dd fotefanografa gli viene leggendo un reso­ conto sull'invenzione del telegrafano, del danese Valdemar Poulsen, presentata aU’Espesizione Universale di Parigi dd 1900. Se questi era riuscito ad ottenete la registrazio­ ne magnetica dd suono. Magnifico pensa di poterlo riprodurre graficamente su pdlicola.

6. Cfr. Lancdlotti, IlFotefimogrufo, cit. 7. Tutti i dati sui brevetti italiani da qui in poi citati provengono dal "Bollettino ddla proprietà intcDetiuale" eri sono stati cortesemente favoriti da Chiara Cacanti. 8. Cft E. Tammaccaro. IlCiwtó/ow), in Storia Tcrwo/ogàw Je/ G’nema - Treccani - DVD ROM, Enciclopedia del cinema, Istituto deDa Encidopedia Italiana Treccani. Roma 200$, sub

voctn. 9.

Uno schema ddl'dettrodnefano appare anche sono la rubrica: /fftww/ italiane

bmfdu/e, in "La Scienza per tutti*, n. 8.1$ aprile 1911. p. 11$. 10. Su Rappazzo esistono numerosi articoli apparsi su vari quotidiani o riviste, dal 1921 al 199$: senza menzionarli tutti, ricordiamo i seguenti: La gnr/rdr invenzione Jr un messinese: UGne parlato, in "La Cronaca*, 12 marzo 1921; liinventore del Film-sonoro ? un messinese, in "Gazzetta dìel popolo*. 20 luglio 1929; L'inventore del Film-sonoro è wr messinese , in "Il

Caffaro”, 25 luglio 1929; Del Film-sonoro al bipennino, in "L'Unione sarda*. 6 settembre 1929; G. M. Ardizzonc, li Film-sonoro ? invenzione italiana, in "Il Mattino*, 13 giugno 1930; Incontro con G, Rappazzo. *11 Mattino”, 24 novembre 1959; Come Meucci e Pacinotti, in “Gazzetta del Sud*, 18 agosto 77, Fin dal ifH quattro brevetti del Film*sonoro, in "Corriere ddla sera*. Milano. 24 novembre 1977*. E NucciicUi, il sistema anticipato da Rappazzo, in "Araldo dello spettacolo*. 20 febbraio 1978. E Cicero. Lumiere inventore ma non profeta, in "Gazzetta dd Sud*. 30 agosto 198$; R, Bruno, / soliti ignoti Giovanni Rappazzo, in "Sette*, supplemento del "Corriere della Sera", 4 maggio 199$. A questi Giovanni Rappazzo accompagnò, in diversi scritti, le sue memorie, tra cui: Dove, quando e come nacque il Film-sonoro, Grafiche La Sicilia, Messina 1950; Big/ietto d'in* ggesso a prezzo ridotto, anno /9B. La scoperta del sincronismo cinefonico. Dove quando e come nacque ilfilm sonoro. La Grafica editoriale, Messina 1986. 11. Dall'attestato di privativa industriale n. 199022. completivo dd n. 19(889, riportante lo stesso titolo: "Pellicola ad impressione contemporanca di immagini e suoni*, dd 9 mag­ gio 1921. il DaD'attcstalo di privativa industriale n. 19(884. "Rivelalore elettrico di suoni per cinematografìa”, dd 19 febbraio 1921. 15. 1. Rappazzo, II film sonoro di Giovanni Rappezzo, promemoria suH'cspericnza dd* l'inventore a noi trasmesso in forma privata; il testo è consultabile presso il seguente indiriz­

zo internet hiiprvrcb.iiscalinct.it/grappazzaf 14. Descrizione dell'teg. Italo Rappazzo citata supra, nota 13. 1$. Rappazzo, Bigfietto d'ingresso a prezzo ridotto, di., p. 92. 16. Cft Valentini. Il Sistema KA, in Storia Tecnologica del Cinema - Treccani, dt.. sub vocem. 17. 18.

Redi, Il sonoro del muto, di., p. 68. Cfr. Li macchina Path/ che usò ^inventore del Filmsonoro nei suoi esperimenti, in

TRACCE SONORE. GIOVANNI RAPPAZZO. INVENTORE

7$

"Cine Corriere", i febbraio 1978. e L. Dolci, Rapporto il padre ripudiato del Film»soHorot in •L'Unità", 26aprile i994w p. tj19. Ndle numerose intcAMie rilasciale ai quotidiani già diali. Rappazzo racconta di aver iniziato a rivendicare da subito la sua {menzione. Tra le personalità politiche italiane contattate. il primo a ricevere un suo messaggio è staio Mussolini, nel 19 50; l'ultimo Andreotti La stampa ha pubblicalo varie sue lettere aperte (ad esempio. "Ecomond Press", 14 novembre 1977). In ambito intemazionale si rivolse, nel 1952. alla Suprema Corte dell'Aja c successhamentc all'ONV. Nel novembre 1977» in occasione dd $0* anniversario dell'inven­ zione ufficiale del sonoro. Rappazzo tiene una conferenza a Roma in cui mostra le varie apparecchiature (efe Redi, II sonoro del muto, di., p. 69). Di quasi tutte queste rivendicazioni I discendenti di Rappazzo conservano le lettere, i Rimati e le copie degli articoli pubblicati. 20. L'articolo L'iiwenvwe del film sonoro fatta da uh italiano, in "Corriere degli Italiani”, 20 maggio 1921. è cosi citato da Giovanni Rappazzo nei suoi vari scrini (menzionati supra). Dobbiamo precisare che non siamo riusciti a trovare l'originale, né altra traccia nei cataloghi delle prindpali biblioteche di New York e di Los Angeles, nonché di quelle nostre. Forse i dati della pubblicazione riportati da Rappazzo non sono corretti. Forse "Corriere degli Italiani" é la traduzione italiana dd nome di qualche testata americana, forse è il titolo di una rubrica di qualche giornale americano... Di più non sappiamo dire. Per ora. * Desidero esprimere la mia gratitudine alla famiglia Rappazzo; in particolare, afl’ing. Italo e al figlio Giovanni, per la disponibilità accordatami nel corso delle ricerche, per i numerosi documenti messi a mia disposizione e per i tanti incontri e chiarimenti. Ringrazio inoltre: Chiara Garanti, per i dati fomiti relativi ggll attestati di privativa industriale; Elena Tammaccaro. per le informazioni sul cinetofono di ho Crocchi; Riccardo Redi, per varie

notizie, nonché per i richiami alla prosa di realtà delle invenzioni.

La fabbrica delle didascalie di Giandomenico Zeppa

Nel cinema muco, diversi tratti di film iscrivevano delle parti grafiche tipogra­ fiche iconografiche. Queste scritte e disegni e comici e cifre e ornamenti e colo* ri» più o meno frequenti, più o meno estesi, di varia fattezza, dislocazione e gia­ citura, sono anch'essi film: segmenti di pellicola impressionata. Eppure se. di queste scritte, la dimensione propriamente linguistica e la funzione testuale prendono oggi ad essere studiate1, del tutto ignorato resta il lato tecnico-mate­ riale della produzione: gli strumenti, le modalità e la prassi della produzione e riproduzione dei segni (alfabetici, e le altre occorrenze grafiche) su supporto pellicolare. Di questo aspetto particolare, umile e trascurato (trascurato perché umile?), ci occuperemo qui di seguito. Nel cinema muto, le parti scritte dei film avevano nomi differenti c incerti a loro volta degni di studio, senz'altro; ora, lasciando al lessicologo il proprio mestiere, possiamo qui accontentarci di chiamarle “didascalie” (in mancanza di meglio c salvo ulteriori specificazioni). Tuttavia, con riferimento a una denomi­ nazione d’epoca» tratteniamo anche l'espressione generica di "titoli”. Chi prov­ vedeva alla realizzazione dei titoli, oltre al resto, erano le “manifatture”, le case di produzione cinematografiche. Per l'esecuzione dei titoli occorreva che la ditta di produzione interessata disponesse di un laboratorio fotografico. Secon­ do Jacques Ducom1. l'atelier deputalo ai tìtoli poteva essere invetriato, come i primi teatri di posa cinematografici o i gabinetti fotografici correnti, ma era pre­ feribile prevedere un locale sufficientemente grande dose installare una poten­ te illuminazione elettrica in grado di fotografare ovvero cinematografare con tempi appropriati (lunghi) i grafemi dei titoli: caratteri bianchi sul fondo nero. I manuali d'epoca indicano differenti procedimenti per ottenere i titoli a parti­ re da cartelli. In ogni caso - per l'essenziale - tutti questi testi indicano che, nei sistemi affermati mediante ripresa cinematografica, i cartelli venivano riprodot­ ti direttamente su pellicola positiva. Al fine di conseguire un contrasto maggio­ re. si preparava il negativo del cartello direttamente sul supporto di partenza (diapositiva, cartone, lastra di vetro). Comunque, la distinzione positivo/negativo riguardava di fatto solo il risultato finale (scritta bianca su fondo nero) e non la specie di materiale rispetto ai valori cromatici: almeno sino al 1914, la pel­ licola cinematografica utilizzata per i titoli era di una sola specie, pertanto, fino a tale data, nessuno distingueva la differenza (positivo/negativo) semplicemen­ te perche non si dava. Lungo le pellicole impiegale correva un unico tipo di perforazione (detta Pathe). Solamente nel 1924 fu stabilito uno standard per il

LA FABBRICA DELLE DIDASCALIE

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profilo delle perforazioni: rettangolare con i lati coni arrotondati (tipo RH) per i negatisi; rettangolare con gli angoli arrotondati (tipo KS) per i positivi. Uno dei primi testi di riferimento è il prontuario redatto da Vittorio Maria* nP, la cui prima edizione risale al 1916. Qui si legge: «Per la stampa dei titoli è stato oggi abbandonato il procedimento per eseguirli prima su negativo e poi fame le copie»4.1 sistemi preferiti sono due: