Cinema muto italiano: tecnica e tecnologia. Discorsi, precetti, documenti [Vol. 1] 8843036831, 9788843036837

Intorno alla nascita del cinematografo si è sviluppata immediatamente una teoria di discorsi interessati alla carica di

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Italian Pages 263 [253] Year 2006

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Cinema muto italiano: tecnica e tecnologia. Discorsi, precetti, documenti [Vol. 1]
 8843036831, 9788843036837

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Premessa di Michele Canosa, Giulia Cariuccio, Federica Villa

La ricerca interuniversitaria “Le tecnologie del cinema. Le tecnologie nel cine­ ma” ha voluto dedicare particolare attenzione al periodo del cinema muto ita­ liano, come momento fondativo sia per quanto riguarda l’acquisizione di un patrimonio tecnologico da parte del cinematografo, costituito dal varo di invenzioni di macchine di apparecchi atti a supportare la nascita di un’indu­

stria produttiva a tutti gli effetti, sia per quanto concerne il definirsi di una teo­ ria di discorsi sulla tecnica/tecnologia che hanno concorso a delincare la fisio­ nomia e l’identità del cinema come nuovo mezzo espressivo. In questa direzio­

ne, tanto l’analisi della disponibilità tecnica del cinema e delle relative mae­

stranze coinvolte nell'utilizzo della strumentazione quanto lo spoglio di un

rappresentativo corpus di riviste pubblicate tra il 1910 c il 1931 hanno condotto a prospettare una serie di riflessioni intorno al processo di istituzionalizzazio­

ne del cinematografo nel quadro di un dibattito acceso c finalizzato a legitti­

marlo sia come medium autonomo che come nuova forma d’arte.

In particolare il lavoro di approfondimento intorno a tecnica e tecnologia nel cinema muto italiano ha coinvolto due équipe di ricercatori appartenenti all’Univcrsità di Torino c all’università di Bologna. L’unità torinese si c con­ centrata soprattutto sullo spoglio delle riviste, procedendo da un lato a imple­ mentare il massiccio lavoro di catalogazione consultabile all’interno della

banca dati on line, dall’altro, proprio a partire da questo primo regesto di

materiali, a suggerire possibili linee di lettura dei documenti e a prospettare ulteriori campi di approfondimento. L’unità bolognese si c concentrata invece a sviluppare una serie composita di percorsi di ricerca intorno ad alcune gran­

di questioni in gioco: dalle logiche di sperimentazione e attestazione dei bre­

vetti alla ricostruzione storica del percorso vitale delle macchine fino alla sco­ perta e alla relativa rivalutazione di particolari memorie professionali che

hanno segnato lo scenario tecnologico del cinema muto italiano.

L’esito di questa prima fase di studio è raccolto in due volumi che, pur distinti in relazione al lavoro delle due unità coinvolte e nelle differenti moda­

lità di analisi c di studio dei materiali reperiti, sono da ritenersi un corpo unico di riflessioni sul tema.

Discorsi, precetti, documenti. Nota delle curatrici di Giulia Cariuccio, Federica Villa

Il presente volume, al di là della struttura, ponendosi l’obiettivo di riflettere

suH’effelliva possibilità di mettere in relazione “tecnica e tecnologia del cine­ ma”, “periodo muto italiano” c “pubblicistica, intesa come stampa di settore” sembra far emergere sostanzialmente tre grandi modalità di discorsivizzazione

della materia tecnologica. In estrema sintesi ci sembra infatti che i discorsi sulla

tecnica/tccnologia nel periodo in questione vengano a definire tre modalità di attestazione: forme di verbaliz&zione esplicita (riviste di sottosctiore come “La Tecnica Cinematografica”, manualistica o documentazione di stretta pertinen­

za come il “Bollettino della proprietà intellettuale”, pubblicazione ufficiale del ministero dell’Agricoltura, dell’industria e del Commercio in materia di bre­ vetti dal 1902 al 1940); forme di non verbalizzazionet o sospetta reticenza in

materia (le riviste di settore, “La Vita Cinematografica”, “Il Maggese Cinema­ tografico”, “La Rivista Cinematografica”, “Cine Mondo”, non parlano spesso

e volentieri di tecnica/tecnologia, anche se si avverte che in qualche modo ne

tengono conto);/bw/e^/ rimozione forzata, dove la materia tecnologica è inter­

detta, esitata sistematicamente, per una sorta di silenzio programmatico.

In particolare i primi discorsi, quelli espliciti, vengono a definire una bio­ logia della tecnica per il cinema, origine e corso vitale di oggetti, strumenti,

macchine. Il discorso punta al rilievo tecnologico preciso, puntuale, ingegneri­ stico, dove il dato, la misura, il numero sono variabili necessarie a sostenere e

ad avvalorare quanto si dice. La vita del proiettore cinematografico, il modifi­

carsi del corpo macchina, vengono riportati con entomologa cura. Il discorso

sulla tecnica, nei luoghi deputati, ripetiamo, esalta la propria natura di verbalizzazione deirù/rwz/bwc per l'uso e del modo di funzionamento (si pensi anche

alle pagine dei manuali dell’epoca impegnate a descrivere minuziosamente il lavoro intorno ai sistemi di titolazione dei film e alla produzione di didascalie). L’esuberanza di tecnologismi in questo tipo di discorsi è naturalmente legata alla consapevole dimensione propulsiva che i testi esaminati vogliono ottenere

nei confronti della tecnica intesa come pura invenzione, discorsi propedeutici

in questo senso, che precedono l’effettiva messa in opera, che preparano la tec­ nica come uso di macchine. La descrizione precisa, cifra stilistica di questi

discorsi, sembra apparentemente preparare gli utenti, intesi come operai alle macchine, all’impatto con l’invenzione, impatto esaltante, certo, ma al con­ tempo foriero di preoccupazione in quanto smobilita competenze, abilità, fun­

zioni fino a quel momento mai messe alla prova. Se lette con la necessaria

IO

GIULIA CARLUCCIO. FEDERICA VILLA

attenzione, queste pagine fanno intravedere però uno scarto molto significati­ vo rispetto al naturale obicttivo che la manualistica in materia si pone, ovvero quello di preparare a fare, mettere nelle condizioni di operare. Questi discorsi

sono sì propedeutici, ma non tanto ncll'abilitarc alla pratica delle macchine, bensì sono iniziatici per costruire un'abitudine all'invenzione, una competenza scarsamente operativa, piuttosto conoscitiva. La pubblicistica dell'epoca entra

nell'apparecchiatura cinematografica, la smonta c la rimonta, non per creare buoni meccanici, operatori, tecnici, bensì per preparare un uomo ad ampia

competenza tecnologica, e quindi una competenza quanto più completa e tanto meno specifica. Tali discorsi che, ripetiamo, appartengono a una zona confinata dichiaratamente a materia tecnologica (si parla di tecnica e tecnolo­

gia esplicitamente lì e solo lì, in una sorta di porto franco o zona di sicurezza), lavorano come sistema di ammortamento dell'impatto che la tecnologia come

invenzione produce: istruendo abitudini al fare tecnologico, smussando la naturale spigolosità delle macchine in discorsi che, almeno a parole, fanno cre­

dere in un facile utilizzo. In sostanza, ciò che questo tipo di discorsi ci dice

rispetto alla tecnica è relativo al vissuto, fatto di desiderio frammisto a timore, di fronte a uno spettacolo che si manifesta come necessariamente tecnologico.

Esistono però anche discorsi di un'altra natura, quelli cioè che congiungo­ no tecnica c cinema attraverso forme di dialogo non necessariamente esplicite.

La verbalizzazione della materia tecnologica si rintraccia in questo caso in por­

zioni minime di testo (da qui la capacità investigativa richiesta ai ricercatorischedatori), nel setaccio delle parole come motori di ricerca che possono con­

durre alla materia tecnologica (per questo l'importanza di scovare “parole chia­ ve" giuste, non scontate, in grado di leggere il discorso sul cinema mulo come discorso sulla tecnologia del muto). Quello che si vuole dire e che recensioni, interviste, rubriche prospettano discorsi che apparentemente non fanno men­

zione, sono muti appunto, rispetto alla tecnica c alla tecnologia del cinema, ma

non per questo non offrono elementi sostanzialmente densi per la riflessione in

materia. Sono discorsi da tradurre, da interpretare, da radiografare. Sono discorsi di apparente facile lettura, ma di diffìcile capitalizzazione, poiché pon­

gono almeno due ordini di problemi: da una parte si avverte la necessità di con­ siderarli come dati preziosi per la ricerca, ma per fare questo, non avendo in se

motivi e figure esplicitamente tecnologiche, devono trovare giuste modalità di

assestamento tra i discorsi naturalmente regestabili nel data base on line. Il secondo problema, di portata maggiore, e quello del lavoro sulle parole-spia: queste vanno de-testualizzate, prelevate dal testo, per essere contestualizzate,

cioè per essere messe in stretta relazione con lo stato della cinematografia coeva, inteso come sensibilità, politica, e (appunto) tecnica del visibile. Queste

parole, ripetiamo, non hanno di per sé pregnanza tecnologica, sono dei volani che conducono alla tecnologia, ma, come dire, non possono farlo da sé, devo­ no trovare dei sostegni, delle giustificazioni, delle pertinenze. In questo senso i

discorsi chiamano in causa altri discorsi, altri testi, altri documenti (non diret­

tamente implicati nel corpus di partenza) nella costruzione di una rete interte­

stuale di legittimazione del dato. Quindi anche se, in questo secondo tipo di discorsi, la materia tecnologica non appare in tutta limpidezza, se ne rintraccia

DISCORSI, PRECETTI. DOCUMENTI. NOTA DELLE CURATRICI

II

la presenza come necessario elemento di confronto e allineamento, come oriz­

zonte al quale rifarsi, sistema di macchine e possibilità operative dal quale non

si può prescindere e con il quale è necessario avere a che fare. La tecnica e la tecnologia si impongono, dunque, come variabili ineludibili per colmare i vuoti

tra immaterialità dei discorsi sul cinema e concretezza della resa filmica, tra una testualità volta a dire prima (precettistica) o dire dopo (critica) e il film che

contestualmente parla di tecnica e di tecnologia nel suo essere artefatto. Infine incontriamo i discorsi programmaticamente muti. Questa program-

maticità si evince da una chiara volontà di rimuovere la materia tecnologica laddove il confronto con essa si pone come diretto e naturale. Il senso della

rimozione, della determinazione a non parlarne, se da una parte e da imputare

a una generale svalutazione della materia tecnologica all’interno di una stampa di settore fortemente condizionata da una concezione estetico-idealistica del processo di produzione, dall’altra appare in alcuni casi così radicale da risulta­ re tendenziosa, provocatoria, indicativa. La radicalità sta nel fatto che qui ci

troviamo di fronte al non dicibile, piuttosto che al non detto. Pensiamo all’evi­

dente emarginazione dei discorsi sui trucchi c sugli effetti speciali che manua­ listica professionale e paramanualistica mettono quasi sistematicamente in atto. Non se ne deve parlare, sembra essere l’imperativo categorico, la rimozione

diventa condizione necessaria e sufficiente per Tcffìcacia del trucco stesso. Esi­

ste, dunque, una sorta di reticenza verbale, in una dimensione quasi scandali­ stica, che sottrae gli aspetti tecnologici, li minimalizza, tende a farli scompari­

re. Bisogna insabbiare le prove della natura squisitamente tecnica del trucco, si

deve altresì mettere in risalto il puro effetto, non la meccanica che l’ha pro­ dotto. Così accade, in particolare, anche sulle riviste fotografiche del periodo che affrontano, con curiosità, ma di nuovo con reticenza, l’apparire del cine­ matografo. La produzione del movimento, nella sua dimensione puramente

fattuale cd empirica, viene celata, di nuovo si ragiona sulla forza dcH’cffeito per tener nascosto il processo di realizzazione. In questo senso Toccultamento delle prove, dei meccanismi appunto, sottrae attenzione al versante produttivo per mettere in risalto quello ricettivo: il funzionamento del trucco così come la resa

del movimento non sono questioni da indagare dal punto di vista tecnico rea-

lizzativo, bensì nella loro capacità di essere accolti dallo spettatore, al di là, e

sarebbe opportuno dire senza la necessità, di una matura consapevolezza tec­

nica. Ecco perché entra in gioco la rimozione: la consapevolezza che il cinema sia in primo luogo un apparato tecnologico con delle specificità tecniche nuove definisce l’orizzonte imprescindibile, abbiamo già detto, del cinema nella sua

costitutiva natura di invenzione. In questo scenario, questa pressione tecnolo­ gica deve essere attutita, scartata, per lasciare spazio alla nascita di uno spetta­

tore come soggetto ignaro e quindi attratto e illuso, in grado di stare al gioco, senza scoprire, pudicamente, la tecnica dell’effetto, ma limitandosi allo stupo­

re della resa. Travisare, alterare così come perfezionare, in modo che non sia

più possibile discemere il vero dal falso, è opera della natura truccografica

della tecnica (l’immagine cinematografica come trucco primo) e per questo deve essere tenuta nascosta, non si può dire, perche il trucco riesca perfetta­

mente.

GIULIA CARLUCCIO, FEDERICA VILLA

12

Entrando invece nel merito della struttura del primo volume» il lavoro pro­ pone un ventaglio di prime possibilità esplorative per lo studio della tecnica e

della tecnologia del cinema nell’epoca del muto italiano. Il cuore del contribu­ to, come accennato in più riprese, sta nei percorsi antologici di lettura dei docu­

menti che i giovani ricercatori - Azzurra Camoglio» Marco Grifo, Melita Man­

dala, Valentina Rossetto, coordinati da Silvio Alovisio - suggeriscono intorno ad

alcune aree tematiche scelte: la macchina da presa, gli stabilimenti c i teatri di posa, il lavoro del set, lo sviluppo c la stampa della pellicola, la sua colorazione, la sincronizzazione con i suoni (o la loro registrazione), e infine la proiezione in

sala. A fianco della valorizzazione dei documenti» vengono proposti due approfon­ dimenti: Giaimc Alonge prospetta una riflessione intorno alla relazione tra tec­

nica bellica c tecnologia cinematografica nel periodo della Grande Guerra» par­ tendo anche in questo caso dall’analisi delle riviste del periodo per verificarne l’effettiva ricaduta storiografica; Franco Prono» invece, interroga le riviste foto­

grafiche del primo Novecento per scoprire in quale modo abbiano accolto la

tecnologia del cinema e in quale misura abbiano contribuito all’affcrmarsi di una fisionomia tecnica del nuovo mezzo. Chiude il primo volume un capitolo dedicato ai Percorsi bibliografici, che approfondisce i temi dei percorsi antologi­

ci proposti, aprendo inevitabilmente nuove prospettive di indagine.

Per la realizzazione di questo primo volume si vuole ringraziare innanzitutto il Museo Nazionale del Cinema di Torino, il personale della Biblioteca “Mario

** Gromo

che ha non solo consentito lo svolgimento della ricerca, ma anche age­

volato la consultazione dei materiali; la Biblioteca Nazionale di Torino e in par­ ticolare il direttore» dottor Aurelio Aghemo c la dottoressa Agata D’Alessan­ dro; la Biblioteca Civica Centrale di Torino, e in particolare il dottor Aldo Ima-

risio, dirigente della Biblioteca, c il dottor Alberto Blandin Savoia; Alberto Friedemann, per i preziosi suggerimenti; Riccardo Redi, per la disponibilità a

rivedere la bibliografia; Chiara Giorgetti Prato per il contributo alla cataloga­ zione delle riviste; un sentito ringraziamento infine ad Alberto Baracco,

responsabile del Laboratorio audiovisivi del Dipartimento Arte, Musica e Spettacolo dell’università di Torino, per l’assistenza tecnica.

L’occhio e il cervello dell’esercito. Tecnologia bellica e tecnologia cinematografica nelle riviste degli anni Dieci di Giaime Alonge Tutto è nuovo, d'acciaio: d'acciaio è il sole, d'acciaio sono gli alberi, d'acciaio gli uomini. Evgenij Zamjàtin, No/, 1922

I

Marte ed Efesto, una premessa

Il predominio della tecnologia nella vita quotidiana, così come nelle attività

economiche o nell’agirc politico, si configura certamente quale carattere distin­ tivo di ciò che generalmente (o, forse, sbrigativamente) definiamo "moder­ nità”. È la tecnica l’origine della «intensificazione della vita nervosa» degli abi­

tanti delle metropoli su cui ragiona Georg Simmel nel suo famoso saggio del *. 1903

Ed e sempre la tecnica, la quale offre all’uomo moderno «la coscienza o

la fede che basta soltanto volere, per potere ogni cosa», la causa ultima del

«disincanto del mondo» di cui parlerà Max Weber una quindicina d’anni dopo2. Michela Nacci, nella sua ampia ricostruzione della querelle novecente­ sca sulla tecnica, osserva che nella discussione sociologica e filosofica «si è veri­

ficata una saldatura fra il discorso sulla tecnica e il discorso sulla massificazio­ ne della società»5. Si tratta di un intreccio che, ad esempio, è oggetto della

riflessione del Kracauer del periodo weimariano, il quale analizza appunto le forme di interscambio tra civilisation machiniste e intrattenimento di massa4.

Se, parafrasando Majakovskij, la Macchina e la Massa sono «sorelle gemelle di fronte alla Storia», allora c chiaro che nel contesto dei mutamenti che attra­

versano il Novecento, un’epoca appunto dominata dalla nozione di "massa”,

quella della tecnica non può che essere una delle questioni centrali del lungo dibattito sulla natura del moderno che parte da Simmel c Weber per attraver­

sare lutto il secolo. E in questo quadro la Grande Guerra gioca un ruolo asso­ lutamente cruciale.

Com’è noto, il conflitto segna una prodigiosa accelerazione del processo di

"meccanizzazione del mondo” - per usare il titolo di un articolo del 1912 di Walter Rathenau, imprenditore e ministro degli Esteri della Repubblica di

Weimar5 - avvialo dalla seconda rivoluzione industriale. Nelle trincee del 191418 lo spirito della civiltà meccanica e massificata si dispiega nelle sue forme più

radicali e sanguinose. Strumenti di morte già sperimentati in precedenza, come

la mitragliatrice (in uso a partire dalla guerra civile americana), il sommergibi­

le (che nel senso moderno del termine compare a fine Ottocento) e l’aeropla­ no (il bombardamento aereo nasce durante al guerra di Libia, ad opera dell’e­ sercito italiano), trovano il loro primo impiego su vasta scala proprio durante la Grande Guerra. Altre macchine vengono messe a punto nel corso dello

scontro: in primis il carro armato (ideato dagli inglesi), che fa il suo debutto nel 1916, Ma, al di là dei singoli ritrovati tecnici, alcuni decisivi (la mitragliatrice),

altri tutto sommato secondari (il tank, il cui trionfo avrà luogo soltanto nel

1939-40, con il Rlitzkrieg tedesco), la guerra e “meccanica” nel suo insieme, nella sua intima logica. La prima guerra mondiale, infatti, vede lo scontro tra

potenti sistemi socioeconomici, in cui i contendenti mobilitano completamen­ te le rispettive risorse. E quella che gli storici militari definiscono “guerra tota­ le”. Milioni di uomini vengono chiamati alle armi, addestrati, spediti al fronte, e, una volta caduti, rimpiazzati da nuove reclute, grazie al lavoro di un gigan­

tesco apparato burocratico, in cui il singolo individuo diventa appunto - la metafora non e casuale - ingranaggio di un’enorme macchina, E lo scontro tita­

nico c alimentato da un'altra macchina, il così detto “fronte interno”, dove altri

milioni di uomini (c di donne: il conflitto provoca un’impennata dell’occupa­

zione femminile) lavorano nelle fabbriche, nei cantieri navali, nei campi, per

vestire, armare e sfamare i combattenti. Insomma, la Grande Guerra rappresenta un potente catalizzatore della modernità in quanto le battaglie, prima ancora che dalle armate sul terreno,

sono vinte proprio da quelle istituzioni che per Weber definiscono il moderno: il capitalismo da un lato, e l’ordinamento statuale razione e impersonale dal­ l’altro. Scrive uno dei maggiori studiosi italiani del pensiero di Weber: Come il capitalismo moderno in campo economico, così lo Stato burocratico - anch’csso peculiare delfOccidente moderno - in campo politico realizza il più alto grado di razionalità formale. Perciò tra essi esiste una sostanziale corrispondenza, la quale si tra­ duce anche in un condizionamento reciproco6.

Lo sterminio di massa del 1914-18 e il lato oscuro della produzione di massa,

inaugurata non molto tempo prima dello scoppio delle ostilità da Henry Ford

(il quale, peraltro, cercherà di porre fine alla guerra con un intervento diplo­ matico personale). Le linee dei camminamenti sono il proseguimento ideale

delle lince di produzione del modello T. Non a caso, la catena di montaggio viene concepita prendendo ispirazione dalla “catena di smontaggio” dei maia­

li dei grandi macelli di Chicago7. Nell’universo novecentesco, dominato dal fuoco - degli altifomi o dell’artiglieria - e dalle ruote dentate di «durissimo acciaio» (per citare ancora Weber nel finale “apocalittico * dclTE/zor protestan­ te e lo spirito del capitalismo)9, i corpi c le macchine, quasi interscambiabili,

vengono assemblati o smembrati a piacimento, a seconda delle esigenze.

In realtà, la bruciante novità della Grande Guerra, la sua portata rivolu­ zionaria nel quadro dello sviluppo delle dottrine tattico-strategiche, stenta ad

essere colta da molti dei contemporanei. Mentre il conflitto è in corso, sono gli stessi generali a continuare a ragionare con una mentalità ottocentesca, “napo­

leonica”9. Però, una volta terminata la strage, nella cultura del tempo inizia a

emergere la piena consapevolezza dei mutamenti che si sono prodotti. Nelle

ultime pagine del Tramonto deH’Occidente, Oswald Spengler parla di un «occulto potere demonico» delle macchine10. Certamente, Spengler, il quale

pubblica il suo libro proprio nel 1918, scrive avendo davanti agli occhi le “tem­ peste d’acciaio” del fronte occidentale. Su tutt’altre posizioni ideologiche (sia

Cocchio e il cervello dell’esercito

17

nel senso strettamente politico, sia per quanto riguarda il giudizio di valore

sulla tecnologia) troviamo Antonio Gramsci, che, nelle pagine dei Quaderni del carcere dedicate ad Americanismo e fordismo, mette in relazione la logica della

catena di montaggio con quella della guerra di trincea. Polemizzando con la “sfrenatezza" dei “ruggenti anni Venti", Gramsci (che in tal modo esplicita tutto il moralismo della tradizione comunista, soprattutto nella versione della

III Intemazionale) sostiene che le basi concettuali dell’autocontrollo degli

“istinti animali" che il taylorismo richiede agli operai, e che il fondatore del PCI ritiene essere un obiettivo imprescindibile per la classe lavoratrice, sono repe­ ribili nella natura tattica del primo conflitto mondiale: Nel dopoguerra si è verificata una crisi dei costumi di estensione e profondità inaudite, ma si è verificata contro una forma di coercizione che non era stata imposta per creare le abitudini conformi a una nuova forma di lavoro, ma per le necessità, già concepite

come transitorie, della vita di guerra e di trincea. [...] Appare chiaro che il nuovo indu­ strialismo vuole la monogamia, vuole che Tuomo-lavoratore non sperperi le sue energie nervose nella ricerca disordinata ed eccitante del soddisfacimento sessuale occasionale:

(operaio che va al lavoro dopo una notte di "stravizio” non è un buon lavoratore11. Ritroviamo l’idea del legame tra operaio c combattente di trincea in Tecnica e cultura di Lewis Mumford, una delle prime grandi sintesi storiche sulla que­

stione della tecnologia. Il libro di Mumford, uscito nel 1934, si fonda sull’idea che la civiltà delle macchine non sia nata improvvisamente con la rivoluzione industriale, bensì molto prima, attraverso un lento percorso di “preparazione

culturale”, che vede il progressivo sorgere di una “mentalità macchinistica", di uno spirito razionale che tende a considerare gli uomini come ingranaggi di un congegno, come numeri interscambiabili, e di cui si troverebbe traccia nei con­

venti medioevali, nel sistema bancario rinascimentale, e nelle armate dell’età

barocca. Infatti, in contrapposizione al caos dell’orda barbarica o all’indivi­ dualismo della cavalleria medioevale, negli eserciti moderni (ma il discorso vale

già per la falange oplitica e per la legione romana) il singolo viene addestrato ad annullarsi nel collettivo, a obbedire agli ordini e ad agire in sintonia con gli

altri, proprio come in una fabbrica. Secondo Mumford, a partire dal Cinquecento, in Europa, guerra e mecca­ nizzazione vanno di pari passo: L’efficacia del combattimento di massa aumentava man mano che il soldato veniva ridotto a una macchina ed abituato a muoversi come automa. [...] La generale diffu­ sione dei modi di pensare soldateschi nel diciassettesimo secolo fu, sembra probabile, un grande aiuto psicologico alla diffusione dell’industria meccanica. [...] 11 fatto più

importante nell'arte militare moderna è il continuo aumento della meccanizzazione dal quattordicesimo secolo in poi: il militarismo accelerò il passo ed aprì un varco allo svi­ luppo della moderna industria standardizzata. [...] Lesercito è in effetti la forma ideale verso cui deve tendere un sistema industriale puramente meccanico11.

Per Mumford, che inizia a lavorare alla sua opera poco più di una decina d’an­ ni dopo la fine della prima guerra mondiale, la battaglia novecentesca, massi-

inamente tecnologica, rappresenta (’incarnazione suprema dello spirito della civiltà capitalistica:

La differenza fra gli Ateniesi che combattevano a Maratona con le loro spade c i loro

scudi e i soldati che sul Fronte Occidentale hanno affrontato i carri armati, i cannoni, i lanciafiamme, i gas asfissianti e le bombe a mano è la stessa differenza che esiste fra i riti della danza e le operazioni di un mattatoio. Da una parte una rappresentazione di bra­ vura e di coraggio in presenza della morte, dall'altra un trionfo delle arti della morte nel quale gli atti di valore rappresentano solo degli episodi. [... ] Finché la macchina rimarrà un assoluto, la guerra non potrà non rappresentare per questa società la somma dei suoi valori0.

2 Bandiere e macchine per scrivere:

le riviste di cinema italiane di fronte alla guerra moderna Nel quadro della guerra tecnologica, così come essa viene configurandosi nel

corso degli anni Dicci del XX secolo, il cinema opera a più livelli. I film sono strumento di propaganda necessario alla mobilitazione del fronte interno e alla trasmissione delle parole d’ordine del governo. Inoltre, essi sono mezzo di

documentazione: il primo archivio cinematografico pubblico è quello dcll’Imperial War Museum inglese, dove, poco dopo la fine della Grande Guerra,

viene creata una cineteca per raccogliere le immagini relative alle imprese delle forze armate di Sua Maestà. Da ultimo, i film sono anche parte integrante del

dispositivo bellico: la fotografia aerea serve agli alti comandi per studiare le posizioni nemiche. Dunque, nel 1914-18 (ma sarà lo stesso anche nei successivi conflitti novecenteschi), quello tra cinema e guerra si configura come un rap­

porto stratificato, a più livelli, in cui la questione della tecnica, che qui ci inte­ ressa, emerge soprattutto quando la macchina da presa si trova al fronte, per

registrare l’andamento dello operazioni oppure per spiare le linee avversarie.

Di questo processo di convergenza tra “macchina della visione” e “macchina

della distruzione”, così come, più in generale, della vocazione tecnologica della

battaglia novecentesca, le riviste di cinema italiane degli anni della spedizione in Libia (1911-12) c della Grande Guerra sono del tutto consapevoli, ceno ben di più delle case di produzione, nei cui war movies si stenta a cogliere la novità

del primo conflitto mondiale, che viene invece rappresentato attraverso cano­ ni tardo ottocenteschi. Tale capacità di afferrare il senso profondo degli eventi

bellici coevi da parte della stampa cinematografica ha - credo - una duplice origine. Da un lato c’è l’orientamento politico delle testate, per lo più marca­ tamente nazionaliste, che fa sì che esse si interessino alle questioni militari, dal­ l’altro c’è la loro costante attenzione verso la tecnologia, non solo quella cine­

matografica, ma la tecnologia tout court. Riviste come “La Vita Cinematografica” o “La Cinematografia Italiana ed

Estera” ci offrono l’immagine di un’industria apertamente allineata con le scel­ te governative, un’industria che si sforza costantemente di dimostrare, con le

parole e con i fatti, il proprio patriottismo. Il 10 ottobre del 1911, “La Vita Cine­

matografica” apre con un editoriale entusiasta della campagna in Nord Africa,

Cocchio e il cervello dell’esercito

>9

intitolato II tricolore italiano a Tripoli, scritto nello stile canonico della retorica imperialista. L’apertura e interessante, con un’excusatio non petita del diretto­

re Cavallaro circa la natura non politica della sua testata, che però non può

impedirgli di annunciare il proprio entusiasmo per la notizia che «la grande

Proletaria si è mossa»:

Sebbene l’indole della nostra Rivista non consenta di occuparci di politica, ci sia per­ messo di unirci al coro di giubilo della Nazione, in questo momento che il cuore degl’i­ taliani tutti palpita di gioia, perché il tricolore glorioso e vittorioso sventola sui forti tri­ polini, ed il fatidico stellone d’Italia splende più raggiante su quel lembo di suolo afri­ cano, già dominio dell’antica Roma ed asservito finora all’impero della Mezzaluna14. Lo scoppio delle ostilità tra l’Intesa e gli Imperi Centrali, nell’estate del 1914,

trova fredde le riviste di cinema italiane, le quali aderiscono alla posizione neu­

tralista del governo. Nelle prime settimane di guerra, “La Vita Cinematografi­ ca’’ ospita un lungo articolo del professor Arnaldo Monti, il quale, dopo aver

giustificato la spedizione africana del 1911 sulla base del principio della supre­ mazia culturale («Nel caso della guerra libica, ove si trattava di soggiogare un

popolo di civiltà disegnale, il fenomeno della guerra era ancor giustificato»), condanna con decisione il conflitto in corso come inutile c insensato, nonché assai dannoso per l’industria cinematografica: «Dunque la guerra - bisogna con­

fessarlo e ammetterlo - anche per i cinematografi si risolve in un vero e proprio disastro»15. Per “La Cinematografìa Italiana ed Estera”, nel febbraio del 1915, la

guerra e semplicemente «nefasta»1*. Ma appena l’Italia entra nella mischia, il

conflitto diviene immediatamente una sacra impresa. Leggiamo, sempre sulla “Cinematografia Italiana ed Estera”, pochi mesi dopo: «Che le patrie nostre [Italia e Francia] riescano presto vincitrici del comune nemico pcr l’umanità e

per la civiltà»17. E sulla “Vita Cinematografica”: «Se mai guerra santa fu bandi­

ta dalle Crociate in poi, e questa che l’Italia condurrà in oggi»18. Ce qualche eccezione, come ad esempio un intervento pacifista apparso nel 1916 sull”4 Arte Muta”: «Chi sopravviverà allo sterminio, l’avrà dinanzi agli occhi, per molti e

molti anni, quest’onta incancellabile verso il diritto di riproduzione della specie e verso il diritto di vita dell’umanità»19. Ma, nel complesso, le riviste rimangono

fedeli alla linea bellicista per tutta la durata del conflitto. Come si diceva poc’an­ zi, l’industria del cinema vuole dimostrare il proprio attaccamento al tricolore non solo con le parole, ma anche in maniera concreta: si producono film di pro­

paganda, i dirigenti e gli impiegati delle diverse case di produzione e delle stes­

se riviste partono per il fronte, oppure offrono generosamente alla patria il loro sostegno economico. Il tutto, con un grande battage pubblicitario. Aurelio De Marco, Vice-Direttore e Procuratore della “Cinematografia Italiana cd Estera". Nato da ottima famiglia meridionale, della sua alma terra ha tutti gli ardori e lo slancio, più un oprar fecondo, una fermezza di propositi, un carattere, un’onestà supe­ riori a ogni encomio. Aggiungi una soda coltura. Ora egli fa il suo dovere sul campo di battaglia, col grado ben meritato di Tenente del R. Esercito. Gli auguriamo un glorioso ritorno, mentre il cuore di chi lo apprezza c lo ama lo segue ovunque con trepidazione, sì, ma eziandio con orgoglio20.

Non c senza un vivissimo compiacimento che apprendiamo che il Signor Glucksman, il poderoso e a tutti cognito compratore e noleggiatore di pellicole cinematografiche ita­ liane per l’America del Sud e Centrale, ha (a mezzo delTattiva e gentile Signora Bravais, reggente con tanto intelletto di amore, solerzia e capacità l’Ufficio Glucksman a Parigi) pregato l’egregio Avvocato Giuseppe Barattolo di considerarlo sottoscrittore al Prestito Nazionale per una più grande Italia per la cospicua somma di Lire 10.000 (diecimila) * 1.

Insomma, se le riviste sono così fortemente interessate alla guerra, non è solo

per sincero attaccamento ai destini nazionali, ma anche perché l’intera indu­ stria del cinema vede nella propria azione patriottica un’ottima occasione di

autopromozione. Il cinema c nato da soli vent’anni, ampi settori dc\Vestablish­

ment politico e culturale guardano ancora con sospetto a questa nuova forma di intrattenimento: quale miglior occasione della guerra per acquisire meriti di

fronte a ministri e professori? Ma, come abbiamo anticipato, se la guerra tecnologica del XX secolo trova

ampio spazio sulle riviste italiane di cinema degli anni Dicci, non è unicamen­ te per il nazionalismo (genuino o simulato, poco importa) di queste testate.

L’altra ragione è rappresentata dal forte interesse della stampa cinematografica per la tecnologia. Usando le categorie di cui si serve Tomas Maldonado (il quale le ricava da Detlev Langencggcr), possiamo dire che sulle pagine della

“Vita Cinematografica", della “Cinematografia Italiana ed Estera", dell’“Arte Muta", è reperibile un ampio spazio sia per la “tecnica mediata", ossia «da tec­ nica vissuta come discorso», sia per la “tecnica immediata", ovvero «la tecnica

vissuta come realtà nel contesto quotidiano della produzione c dell’uso»22. “Il

Maggese Cinematografico" ha una rubrica intitolata La cinematografia pratica

attraverso ai tempi, dove vengono spiegati i segreti della macchina da presa. “La Cinematografia Italiana ed Estera", invece, ne presenta una, intitolata significativamente Sul nostro terreno, in cui si dà sistematicamente notizia dei nuovi brevetti. E nell’aprile del 1916, sulle colonne di Sul nostro terreno, com­

pare il caso di un “inventore combattente": «Nuovo proiettore. Funziona a gas, ed e specialmente indicato per proiezioni ad uso dei militari al fronte. Ne è

inventore l’operatore Luciano Weber, un combattente. La nuova macchina ha

dato buoni risultati»21. Al di là della tecnologia specificamente cinematografi­ ca, è la tecnologia in quanto tale che dilaga su queste colonne. Rimanendo in contesto bellico, sempre nelle pagine di Sul nostro terreno, ad esempio, viene pubblicato un articolo dedicato a una «nuova invenzione che permetterebbe di

ricevere, in tempo utile per la difesa, il preavviso dell’awicinarsi di un’aerona­ ve»24. Le inserzioni pubblicitarie riguardano i manufatti tecnologici più diver­ si, dalla Underwood, «la macchina per scrivere che prima o poi comprerete»25,

alla lavatrice sterilizzatrice automatica della ditta Bernardi, «davvero impor­ tante per l’igiene, sia privata sia pubblica»2*. Altri annunci, invece, danno

conto di un’economia capitalistica che opera su scala planetaria. La Società Piemontese di Trasporti, ad esempio, assicura di consegnare la merce da Tori­ no a Parigi in 48 ore, a Mosca in 5 giorni, a New York in 12 e a Sydney in 35-40,

«salvo casi provati di forza maggiore»27. Insomma, si tratta di pubblicazioni in piena sintonia con lo spirito dei tempi, con quella “meccanizzazione del

mondo" di cui abbiamo parlato. Ed è per questo che le riviste italiane del cine­

Cocchio e il cervello dell’esercito

21

ma muto, nel momento in cui scoppia la Grande Guerra, si trovano in una posizione particolarmente adatta per cogliere la “modernità" di quell’evento.

Sin dai primi giorni di guerra, la stampa cinematografica italiana percepi­ sce il fatto che ci si trova di fronte a un campo di battaglia del tutto differente

rispetto a quello delle campagne napoleoniche o delle guerre risorgimentali.

L’aumento esponenziale della gittata delle armi da fuoco, infatti, ha “spopola­

to" il terreno dello scontro: i soldati ben di rado vedono i loro nemici, perché questi sono distanti (le artiglierie lontane chilometri dalla linea del fuoco)

oppure nascosti (le fanterie sepolte nelle trincee). Tutto ciò pone un grave pro­ blema alla macchina da presa: cosa registrare? I pittori di battaglia delfOllocento riempivano le loro tele di fantaccini e cavalieri, con un condottiero al

centro che dirigeva le operazioni. I fotografi e i cineoperatori degli inizi del

Novecento, invece, si trovano dinnanzi a un ben misero spettacolo: lo spazio desolato della terra di nessuno. Il risultato c che i cinegiornali e i documentari

della Grande Guerra, quei film che le riviste italiane chiamano “scene dal vero", abbondano di immagini delle retrovie, ma contengono pochissimi epi­ sodi di autentico combattimento, per seguire il quale le apparecchiature cine­

matografiche dell'epoca - ben più ingombranti delle macchine da presa 16 mm della seconda guerra mondiale - erano poco adatte * 3. Nel novembre 1914, quando il nostro paese e ancora neutrale, “La Cine­ matografìa Italiana ed Estera» pubblica l'articolo di un giornalista italiano, che racconta del suo incontro con un cineoperatore americano, nel settore setten­ trionale del fronte occidentale. In questo breve pezzo, che riportiamo quasi per

intero, troviamo già molti dei nodi centrali della complessa questione dell’uso della macchina da presa come strumento di documentazione della battaglia

moderna. Gino Calza Bedolo, invialo dal “Giornale d’Italia" sui luoghi ove ferve ter­

ribile la mischia delle genti europee, così scrive, brillantemente, in una sua cor­

rispondenza dal Belgio, a proposito di un operatore americano, recatosi, come molti altri, a filmare le scene terrificanti dell’immane conflitto: [...] Il mio amico cinematografista, naturalmente americano, c un uomo straordinario, che non parla mai e lascia in ogni caso discutere lobbiettivo. [...] Ci conoscemmo ad Anversa: era arrivato prima di me c mi raccontava d’aver già fotografato duecento obici, trecento shrapnell ** mille morti, duemila feriti. (...] Nel suo mestiere è uno statistico. [...] La sera, quando si va a dormire, c lieto di potervi dire: «Ho ventiquattro morti qui dentro...». E vi mostra un rotolo nero: una specie di cimitero tascabile. [...] Un giorno che ci acchiapparono i belgi a Boomc, a venti chilometri da Anversa, mentre io discutevo come un indemoniato per dimostrare la mia qualità di giornalista,

egli aveva piantato il cavalletto e continuava a girare tranquillamente la manovella. A me che gliene domandavo la ragione, replicava serenamente: «Oh! very interesting scene... The arrest of an Italian correspondent of war...». Non e’e fatto umano che per lui non si riassuma in un metro di pellicola. A Lynth e stato capace di rimanere col cavalletto in una trincea, mentre i tedeschi sparavano da ottocento metri. M’ha fatto ammirare quel pezzo della sua film. Ci si vedono i soldati stramazzar feriti a terra... Poi, a un certo punto, la film si interrompe... quella interruzione ha questo significato: «I tedeschi cominciavano ad essere fotografabili...» * 9.

L’insistenza sui morti è probabilmente una licenza “letteraria". In tutti i paesi la censura circa le immagini di cadaveri era molto stretta, in quanto si temeva

che la rappresentazione diretta della morte potesse avere effetti demoralizzan­ ti sulla popolazione civile. Pare abbastanza improbabile che le scene riprese

dall’anonimo operatore americano potessero comparire integralmente nei cine­ giornali. Invece, la sottolineatura della dimensione “statistica" del lavoro del reporter statunitense, così come l’insistenza sulla natura abnorme del suo

oggetto di studio («duecento obici, trecento shrapnell?»), danno conto di uno

dei tratti distintivi del cinema di non fiction della Grande Guerra. Nel 1914-18, infatti, sia per la difficoltà di accedere alla linea del fronte (gli alti comandi con­

cedono pochi permessi) e per i problemi tecnici ai quali si è accennato sia per

l'importanza della componente industriale nel quadro delle operazioni (la guerra totale di cui si è detto), troviamo spesso sequenze, girate negli arsenali

o nelle retrovie, che esaltano la potenza dell’industria bellica e la sua capacità di accumulare tonnellate di materiale. Il secondo elemento interessante del­

l’articolo è rappresentato dall’idea dell’“oggettività’’ della cinepresa: l’uomo,

sempre muto, è quasi soltanto un’appendice della macchina («non parla mai e lascia in ogni caso discutere l’obiettivo»), tanto che, con sangue freddo c

humour più britannici che statunitensi («Oh! very interesting scene... The

arrest of an Italian correspondent of war...»), continua a girare anche mentre

il suo compagno rischia di essere arrestato. L’idea della superiorità dell’occhio tecnologico su quello biologico sarà un tema guida delle avanguardie storiche,

dalla photogénie di Delluc ed Epstein al kinoglaz di Vertov. Pochi anni dopo l’articolo della “Cinematografia Italiana ed Estera", nel 1917, Louis Delluc scri­

ve, a proposito di un’attualità di argomento militare:

Tutta Parigi ha acclamato un film che c, a dire il vero, stupefacente. Chi non ha ancora visto la traversata di una nave da trasporto militare e delle vedette di scorta con il brut­ to tempo? È bello. (...) Questa è bellezza, bellezza superiore, direi quasi la bellezza del caso, ma bisogna rendere giustizia all'operatore; ha saputo vedere con tale abilità da farci provare le sue stesse sensazioni di mare, di cielo, di vento10.

Da ultimo, bisogna sottolineare che l’autore dell’articolo mette in luce, forse inconsapevolmente, una delle questioni nodali delle moderna guerra tecnolo­

gica, ossia quella sovrapposizione tra “campo di tiro" c “campo di ripresa" di cui parla Virilio (le cui tesi, comunque, ritengo vadano prese con il beneficio di inventario)11. L’operatore americano fugge nel momento in cui inizia a vede­

re i tedeschi: in una guerra dominata dall’invisibilità quasi costante del nemi­ co, quando questo è fotografabile significa che c anche potenzialmente letale. Nell’articolo pacifista che già abbiamo citato (“L’Arte Muta", 15 luglio 1916)

ritorna l’idea del cinema come puro dispositivo tecnologico capace di una regi­ strazione impersonale, “oggettiva", della realtà. Sul campo di battaglia, la mac­

china da presa impressiona sulla pellicola le immagini di una guerra di macchi­

ne, a futura memoria della follia omicida degli uomini degli inizi del XX secolo. Osserviamo il cinematografo nel suo ufficio di archivio, che non darà più luogo a con­ testazioni, a divario di fonti, a sofisticazioni d’interpreti, quando, fra quattro lustri, se

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non prima, tutt’i colori iridati dei libri diplomatici abbaglieranno gli occhi e insidieran­ no il senso critico del coscienzioso storico dell'attuale guerra. Giacché di questo proprio vogliamo intrattenerci. Della funzione, cioè, affidata al cinematografo nell'immane conflitto che dilania l'Europa. Credete che sia trascurabile la forza documentativa della pellicola? [...] Nulla dei tentativi monchi, dei saggi fugaci, del dilettantismo finora esercitato sulle retrovie della guerra. Si tratta d'uno sforzo del talento, d'una reale cima da conquista­ re, combattendo con la sorte e con gli uomini, affilando le armi, nel senso figurato e, probabilmente, anche nel senso letterale. Nuove vie - e non più sulle retrovie. [...] Nessun dubbio che il futuro critico militare avrà a sua disposizione il documento più sicuro per un giudizio spassionato e competente. E la scelta degli clementi infor­ mativi, gli elenchi dei rapporti specifici c dei bollettini, che gli stati maggiori potranno fornire alla storia militare di una guerra, impallidiranno, come valore probatorio, al cospetto di una tenue striscia fotografica, che avrà raccolto d'après nature, con l'impar­ zialità del testimone indifferente c con l'automatismo della macchina incorruttibile, le fasi complete d'un'azione. [...] *. Vedere - vedere la strage che giorno per giorno si compie, vedere la recisione quo­ tidiana del fiore di ogni razza, l'estirpamento della giovinezza, come se fosse la mala radice invece che il germe gaudioso della specie umana; vedere gli obici che polverizza­ no, le mitragliatrici che mietono, le bombe che squarciano, le fucilerie che atterrano il rigoglio della vita; vedere il crollo delle fortezze, lo sterminio delle selve, l'imputridi­ mento delle carogne, il formicaio pestilenziale delle trincee, il supplizio delle mutilazio­ ni, la rabbia dei corpo-a-corpo e il duello mutato in rissa, coi pugni, coi denti, col coltel­ lo; vedere come dall'eroica pugna delle falangi, che i poeti antichi cantarono nel nome sacro della Patria e nell'esaltazione del coraggio e della virtù civile, si giunga a questa mostruosa distruzione anonima, senza valore individuale c senza generosità cavallere­ sca, ove i calibri decidono e il braccio muove soltanto le troppe macchine di morte, vedere tutto questo e sentirne la stolida barbarie: ecco quanto la filosofia morale può chiedere alla visione cinematografica in soccorso dei suoi sterili divieti, dei suoi piagni­ stei nobilissimi, che non cambieranno mai la bestia criminale in creatura d'amore e di convivenza fraterna. Resti, dunque - per arbitrio di un congegno fragile c ricettivo - come esempio ai venturi, la visione della clade mondiale. Lavorino le macchine sui campi della lotta, non per un diletto degenerativo e per un morboso appagamento di sensazione truce da offri­ re agli spettatori quotidiani, che hanno molte gocce del loro sangue su que' campi scar­ latti, ma vi raccolgano l'orrore dal quale saremo perseguitati nei secoli12.

L’idea del cinema come archivio capace di fornire prove certe e indiscutibili, grazie alla natura meccanica della riproduzione («una tenue striscia fotografi­ ca, che avrà raccolto d'après nature, con l'imparzialità del testimone indiffe­ rente e con l'automatismo della macchina incorruttibile, le fasi complete d’un’azione») e tipica della cultura positivista a cavallo tra Ottocento e Nove­ cento. Già alla fine del XIX secolo, pochissimi anni dopo la leggendaria proie­ zione del 28 dicembre 189$, Boleslaw Matuszcwski sosteneva idee fondamen­

talmente analoghe. Leggiamo nel suo primo articolo, Una Nuova Fonte della

Storia (Creazione di un deposito di cinematografia storica), pubblicato nel 1898: «Immaginate che si cominci a discutere su una manovra militare o navale. Se il cinematografo ne ha riprese le fasi, la discussione finisce subito, perche esso

può far calcolare con matematica esattezza le distanze fra i soggetti presi in

esame»”. Ma il lavoro di documentazione di cui parla l'autore delfarticolo

dell’* Arte Muta * c certo più inquietante di quello cui pensava Matuszcwski, il quale scriveva nel pieno della pacifica belle epoque. Inoltre» mentre Matuszew­

ski opera in assenza quasi totale di tradizione» sia sul piano della pratica realiz­ zai iva sia su quello della riflessione teorica. Saverio Precida ha alle spalle

ventanni di cinema di non fiction, c, soprattutto» due anni di ‘‘scene dal vere *

della Grande Guerra, Dal punto di vista di Precida, il cinema permette certo una registrazione “fedele *

della realtà, ma esso non è stato ancora messo nelle

condizioni di esprimere a pieno le proprie potenzialità. Da qui derivano la polemica contro il «dilettantismo finora esercitato sulle retrovie della guerra»

e lo slogan: «Nuove vie - c non più sulle retrovie». Come abbiamo detto» i

documentari dell’epoca sono pieni di immagini della “periferia * del campo di

battaglia, mentre la «visione della dade» è sostanzialmente assente. Precida chiede una mobilitazione del punto di vista, che deve diventare una sorta di

“occhio di Dio *

che tutto vede, percorrendo in lungo e in largo il campo di

battaglia. Si tratta, ovviamente, di una richiesta puramente retorica, perche, al

di là dei divieti degli alti comandi, e proprio sul piano tecnico che tale “visio­

ne totale *

era impossibile (lo e ancora oggi, nonostante l’apparente ubiquità

dei cameraman della CNN, anche se ora la causa di questa “cecità * è più politi­ co-censoria che non tecnica).

Peraltro, questa non è la sola denuncia delle carenze del cinema nella rap­ presentazione della guerra reperibile sulle colonne della stampa specialistica

italiana. In un articolo apparso su “Apollon , *

sempre nel 1916, si lamenta il

fallo che le ricostruzioni delle battaglie contemporanee presenti nei film di fin­ zione siano per lo più ridicolmente lontane dalla verità:

Sono riusciti forse i metteurs en scène a dare una esatta visione della guerra? No; essi hanno riprodotto ciò che vedevano nella loro fantasia, non quello che avrebbero dovuto vedere i loro occhi. Essi sono riusciti soltanto a far cadere l’Eroico ed il Tragico nel più grande ridicolo; e nei fantastici assalti alla baionetta in ranghi serrati (quando mai?) e nella fattura di trincee ove si e sbizzarrita l’arte costruttrice del diret­ tore di scena e nei reticolati... per modo di dire» noi troviamo profuso il ridicolo a piene * mani 4. Tornando all’articolo di Precida, bisogna aggiungere che il suo aspetto più

interessante c l’insistenza sulla dimensione tecnologica del conflitto. Nella visione apocalittica che evoca l’autore, la Grande Guerra e un’orrenda carne­

ficina dove gli uomini sono del tutto privi di volontà o capacità di incidere sugli eventi» e i corpi sono fatti a pezzi da strumenti tecnologici di ogni tipo: Gli obici che polverizzano, le mitragliatrici che mietono, le bombe che squarciano, le fucilerie che atterrano il rigoglio della vita; [...] mostruosa distruzione anonima, senza valore individuale e senza generosità cavalleresca, ove i calibri decidono e il braccio

muove soltanto le troppe macchine di morte. Questa scena infernale viene registrata da altri strumenti tecnologici: «Lavori­ no le macchine sui campi della lotta».

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L'operatore che gira la manovella non viene neppure nominato: ad agire è un

puro dispositivo meccanico. A ciò si aggiunge il paragone con il mondo classi­ co («eroica pugna delle falangi, che i poeti antichi cantarono nel nome sacro

della Patria c nell'esaltazione del coraggio e della virtù civile»), dove la batta­

glia, per quanto cruenta, era un'esperienza ancora "a misura d'uomo". Se si confronta questa parte dell'articolo deU’"Artc Muta" con il passo di Tecnica e

cultura che abbiamo citato alla fine del primo paragrafo, ci si rende conto di come Saverio Precida utilizzi, quasi vent’anni prima, parole e immagini identi­

che a quelle di Lewis Mumford: da una parte la guerra moderna quale mostruoso scontro di macchine, dall'altra la memoria della battaglia antica, che

nulla ha in comune con quella del XX secolo.

J Cinema e guerra aerea Dunque, nelle riviste italiane degli anni Dieci troviamo un'evidente consape­

volezza del fatto che la prima guerra mondiale c "altro" rispetto ai conflitti del passato, sia esso un passato remoto (i greci di cui parlano Procida e Mumford)

oppure recente (le guerre risorgimentali, che per gli italiani del 1915-18 rappre­ sentavano l’esperienza più vicina nel tempo di uno scontro europeo). Per indi­

care Maratona, Solferino e Verdun usiamo la medesima parola, "battaglia", ma nel terzo caso essa indica un evento affatto diverso rispetto agli altri due. Tale mutamento - lo ripetiamo - deriva largamente delle innovazioni tecnologiche,

che hanno inciso pesantemente sulla dimensione qualitativa, oltre che su quel­ la quantitativa, del combattimento, che diviene sempre di piti scontro tra mac­

chine, di cui gli uomini sono solo appendici o bersagli. E nel vasto arsenale delle macchine di morte della Grande Guerra, quella che colpì maggiormente

l'immaginazione fu certamente l’aeroplano. L'altra "meraviglia" bellico-tecno­ logica del periodo, il tank, non avrà lo stesso effetto, soprattutto in Italia, e que­ sto - penso - per due ragioni. Da un lato, mentre aerei e dirigibili erano già ampiamente diffusi nel 1914 (il primo volo dei fratelli Wright c del 1903), i carri

armati compaiono soltanto a metà del conflitto, e per di più non sul fronte ita­ liano, dove, a causa della natura montagnosa del terreno, non se ne fece uso (l'unico tank realizzato nel nostro paese durante la Grande Guerra, il Fiat 2000, prodotto in soli due esemplari, entrò in linea alla fine del 1918). Dall'al­ tro, gli aeromobili, capaci di realizzare uno dei sogni più antichi dell’uomo,

sono obiettivamente più affascinanti dei rozzi e lenti carri armati della Grande Guerra, che per di più, nonostante le attese del comando britannico, non si

rivelarono un'arma risolutiva. Come osserva Edgar Morin neW incipit del suo Le cinéma, ou l’homme ima *

ginaire, macchina da presa c aeroplano sono invenzioni tardo ottocentesche che il vecchio secolo lascia in eredità al nuovo: «Le XIX siècle qui meurt lègue

deux machines nouvelles. Lune et Cantre naissent presque à la méme date, presque au meme lieu, puis s’clanccnt simultancment sur le monde, recouvrent Ics

continents»”. In contesto bellico, l'incontro tra queste due tecnologie e quasi

immediato: l'uso di macchine fotografiche e cineprese montate su aeroplani e

dirigibili inizia già durante la guerra di Libia, e si sviluppa grandemente duran­ te la prima guerra mondiale. Si tratta di uno scambio fruttuoso per entrambi,

in quanto il cinema conosce dei miglioramenti tecnici proprio grazie al suo

impiego militare nel 1914-18: «The war had considerable impact on the techno­

logy of film making: the hand-held camera, telephoto lens and efficient view finders were all wartime developments» * 4. Nel 1910 il Regio Esercito riceve i primi apparecchi e la guerra di Libia rap­ presenta una sorta di prova generale del successivo conflitto europeo per quan­

to riguarda fuso tattico degli aeromobili, tanto nella ricognizione quanto in funzione offensiva. Tra il febbraio e il marzo del 1912, nel pieno del trionfo coloniale italiano, “La Vita Cinematografica” pubblica due ampi articoli in cui

si esaltano le potenzialità della sintesi tra cinema e aviazione. Anche la navigazione aerea è balzata d‘improvviso quasi perfetta nella grande gara mon­ diale delle invenzioni di questo secolo prodigioso. Per poco che essa vada ancora per­ fezionandosi, e nella concorrenza industriale riduca i prezzi, la navigazione per gli spazii atmosferici si farà popolare, sarà alla portata di tutti, farà servizi regolari e chiunque potrà dall'alto veleggiare sul mondo. [...] Udiremo lassù a stento il rimbombo delle artiglierie come lontani scoppii di tuono e l'eco morirne nell'infinito delle sabbie, come fruscio misterioso in un sipario di tea­ tro... allora, chi sarà che non avrà con sé una macchina cinematografica per colpire al volo con una film incessante, con una striscia chilometrica di pellicole, il taumaturgico paesaggio di vita che si spiega come un tappeto arabo-turco, come uno sterminato drap­ po orientale... autentico, sotto ai vostri occhi? E quale non sarà allora la gioia del pacifico spettatore che con due palanconi soltan­ to, non un centesimo più, non un centesimo meno, potrà assistere a tutto questo atlante vivo, animato, forse tragico e cruento, ricco della vita della morte, fulgido e sinistro di bat­ taglie, di stragi, di eroismi, che si apre e sciorina tutte le sue pieghe e le sue gemme ruti­ lanti dinanzi al suo occhio sbarrato, ipnotizzato dalla meraviglia e dal terrore? * 7

I tenenti aviatori Piazza, Gavotti e forse in seguito anche altri avevano potuto mirare dal sommo dell'aeroplano la battaglia e assalto di Merghcb non solo, ma anche prenderne (il Piazza) istantanee fotografiche. Ciò che io, non sempre Cassandra, andavo, diremo, leggendo nel futuro come il mago Merlino, si andava già iniziando. Forse telepatia? Io pensavo alla grande utilità di rilievi fotografici, anzi cinematografici, delle battaglie. [...] Ma ora posso dire intiero il mio pensiero e far riflettere come un altro immenso van­ taggio si ritrarrà dall'applicazione - che mi pare tutt'altro che impossibile - di una mac­ china cinematografica ai dirigibili e agli aeroplani, con cui prendere e sorprendere dal vero la dinamica viva di una battaglia, dal suo inizio al suo svolgersi e spiegarsi, al suo ultimo termine: non saranno più possibili, allora, le notizie di fonte turca. La verità sarà una sola: quella della macchina co' suoi obbiettivi, e obbiettiva^. Il Gavotta, che secondo “La Vita Cinematografica” avrebbe permesso, con le sue immagini “obiettive”, di smentire la “propaganda” turca, oltre che pionie­ re della fotografia aerea fii anche autore di uno dei primi bombardamenti aerei

della storia * 9. Del militarismo e del nazionalismo delle riviste di cinema nostra­ ne abbiamo detto, per cui non mi ci soffermo ulteriormente. Allo stesso modo,

nello scorso paragrafo abbiamo già avuto modo di parlare della fiducia “alla Matuszcwski” nell obiettività del cinema («La verità sarà una sola: quella della

Cocchio e

il cervello dell'esercito

27

macchina») reperibile nella stampa cinematografica italiana. Ciò che invece

vorrei sottolineare dei due brani sopra citati è l’entusiasmo di marca positivista pcr le conquiste della tecnica, che rappresenta un tratto distintivo delle testate

cinematografiche italiane degli anni Dieci. Formule quali «grande gara mon­

diale delle invenzioni di questo secolo prodigioso», oppure la chiusura (che non abbiamo riportato) del secondo articolo, in cui si parla del cinema come di un'incontro tra scienza, arte e industria, sono tipiche, appunto, della tradi­

zione positivista. Se, come scrive Norberto Bobbio, «il positivismo in Italia era

morto prima di nascere», le riviste del cinema muto rappresentano una sorta di cittadella dove - nelle forme della vulgata popolare - si celebrano i fasti della

scienza c della tecnica dell'età del ballo Excelsior * 0. Ed è proprio su questa base

culturale che si verifica l’incontro “naturale’’ tra cinema e guerra aerea. La ripresa aerea rappresenta la realizzazione suprema della vocazione macchini­

stica e panottica del cinema, essa si configura quale potente simbolo della nuova civiltà della macchina, dove, grazie alla tecnologia, la visione e il movi­

mento subiscono un’espansione c un’accelerazione strabilianti4’: «Panoramica presa da un aeroplano tipo militare. Interessante - meravigliosa - artistica»,

recita la pubblicità di una “scena dal vero” pubblicata sulla “Vita Cinemato­ grafica" nel 191241. Non a caso, sempre nel 1912, “La Vita Cinematografica" insi­

ste sulla necessità che l'industria cinematografica collabori finanziariamente alla costituzione delle forze aeree nazionali4’.

Vedere dall’alto, però, non significa soltanto vedere “di più" o più veloce­

mente: significa anche vedere “altro". Se uno dei problemi strutturali della guer­ ra di trincea e la vacuità del campo di battaglia, l’impossibilità di vedere il nemi­ co, la fotografìa aerea restituisce la vista agli eserciti, ma la prospettiva che ne

scaturisce è del tutto diversa da quella - terrestre - del pittore di battaglie del(’Ottocento cui abbiamo fatto riferimento. La ricognizione aerea offre ai coman­

danti che esaminano le fotografie un’immagine iperreale, un’immagine dove si vede “tutto", ma dove “tutto" sembra finto, un plastico per il trenino elettrico,

anziché un terreno su cui i soldati si battono e muoiono. E, infatti, ciò che manca

nelle fotografìe aeree sono proprio gli uomini, troppo piccoli per comparire se non come puntini: vediamo le trincee, i bunker, i paesi nei pressi del fronte, i

magazzini, ma, coerentemente con lo spirito di una guerra macchinistica, non gli esseri umani. Leggiamo una perfetta descrizione dell’effetto straniarne di questo

tipo di immagini in un articolo del 1916 della “Cinematografia Indiana ed Este­ ra", ricavato da un giornale inglese (non e ben chiaro se si tratti di una tradu­

zione in senso stretto oppure di un qualche tipo di “adattamento")44.

Il Consiglio di guerra, nel silenzio c nell'ombra della camera oscura, può considerarsi seduto al posto deH’osservatore e vedere con i suoi stessi occhi, esattamente, quello che gli si viene spiegando davanti. Seguendo una film, che è stata presa dall'alto, lo spettatore ha dinanzi a sé. viven­ te, il teatro della guerra. Le costruzioni assumono un aspetto lillipuziano, il paesaggio sembra diviso e suddiviso da lince geometriche, che sono in realtà le strade, i viottoli, i fiumi c le ferrovie. Qualche volta uno spazio di una quarantina o una sessantina di miglia prende l'aspetto generale del lavoro di un fanciullo diligente, il quale, con della creta, abbia costruito un piano su una larga tavola da pranzo.

Via via clic qualcuno s'abitua all'aspetto st nino di un paesaggio veduto da un punto di usta non ordinario, l'osservatore scorge di qua e di là e dovunque piccole linee moventesi come lunghe file di formiche. Sono le masse delle truppe nemiche. [...] Un batuffolo di bianca lana, come una nuvola d'estate, chiude la vista per qualche secondo. Ma non e una nuvola. È il segno visibile di un messaggio, che viene da “arcibaldo” (il cannone antiae­

reo). che, accortosi dell'osservatore aereo, gli ha lanciato contro il suo proiettile. (...] Le mastodontiche dreadnoughts [/e possenti navi da battaglia della Grande Guerra] diventano giuocattoli, mentre le più piccole navi sembrano mosche moventcsi sulla superficie di uno specchio. [...] Cinematografare la guerra dall'alto delle nubi e diventato uno dei più esclusivi obblighi dei rispettivi belligeranti. Nell'esercito tedesco i cinematografisti aerei sono messi in guardia di non lisciare cadere nelle mani dei nemici la film che essi hanno presa e la distruzione di questa e una imperiosa legge nel caso di caduta sul territorio ostile. Questa precauzione e imperativa: l'aeroplano è l'occhio deU'esercito; ma il lungo nastro di celluloide sensibilizzato, appena largo un pollice, ne costituisce il cervello, poi­ ché esso porta seco un indelebile ricordo di ciò che è stato rivelato all'aviatore durante la sua rotta, e deve poter essere consultato con vantaggio tutte le volte che lo si desidera45. Ancora una volta, tutta l’attenzione è sul dispositivo meccanico: il nastro di cel­ luloide che scorre nella macchina da presa montata sull’aeroplano; un oggetto

inerte, eppure vivo, scaturito dalle fabbriche della seconda rivoluzione indu­ striale, si fa “cervello”, anticipando così i droni (gli aerei senza pilota) e i mis­

sili intelligenti delle guerre che sarebbero seguite. Note i. G. Simmel, Le metropoli e la vita dello spirito, Armando, Roma 2000, p. 36. 2. M. Weber, La scienza come professione, in Id., Il lavoro intellettuale come professione,

Einaudi, Torino 1948, p. 20. 3. M. Nacci, Pensare la tecnica. Un secolo di incomprensioni, Laterza, Roma-Bari 2000, p. 69. 4. Cfr. S. Kracauer, Lomamento di massa, in Id., La fabbrica del disimpegno, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2002, pp. 97-107. $. Cfr. W. Rathenau, La meccanizzazione del mondo, in T. Maldonado (a cura di). Tecni­ ca e cultura. Il dibattito tedesco fra Bismarck e Weimar, Feltrinelli, Milano 1987, pp. 171-201. 6. P. Rossi. Max Weber, Razionalità e razionalizzazione. Il Saggiatore, Milano 1982, p. 31. 7. Cfr. M. D'Eramo, Il maiale e il grattacielo. Chicago: una storia del nostro futuro, Fel­ trinelli, Milano 1999, p. 28. 8. Cfr M. Weber, Letica protestante e lo spirito del capitalismo, Rizzoli, Milano 1991, p. 240. 9. Su questo problema rimando al mio Cinema e guerra. Ilfilm, la Grande Guerra e l'im­ maginario bellico del Novecento, UTET Libreria, Torino 2001. 10. 0. Spengler, Il tramonto dell'occidente, Longanesi, Milano 1981, p. 1393. 11. A. Gramsci, Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno. Editori Riuni­ ti, Roma 1977, pp. 456, 461. 12. L. Mumford, Tecnica e cultura. Storia della macchina e dei suoi effetti sull'uomo. Net, Milano 2005, pp. 102,105,107. 13. Ivi, pp. 319-20. 14. A. A. Cavallaro, Il tricolore italiano a Tripoli, in uLa Vita Cinematografica", 10 otto­ bre 1911, p. 1. 1$. A. Monti, La guerra e il cinematografo, in “La Vita Cinematografica", 15-22 agosto 1914. PP- 35. 39.

Cocchio

e il cervello dell’esercito

*9

16. Cfr. “La Cinematografia Italiana ed Estera”. 2$ febbraio 191$, p. 72. 17. “La Cinematografia Italiana ed Estera”, 51 maggio 1915, p. 24. 18. G. di Nardo, / cinematografisti italiani di fronte agli eventi della Patria, in “La Vita Cinematografica”, 22 maggio 191$, p. 43» 19. S. Precida, Cinematografie di guerra, in “L’Arte Muta”, 1$ luglio 1916, p. 16. 20. “La Cinematografia Italiana ed Estera”, 1$ giugno 191$, p. 16. 21. G. I. E, Max Glucksman sottoscrive al Prestito Italiano, in “La Cinematografia *Italia na ed Estera”, 1$ febbraio 1916, p. 65. 22. T. Maldonado, Memoria e conoscenza. Sulle sorti del sapere nella prospettiva digitale, Feltrinelli, Milano 200$, p. 20$. 23. “La Cinematografia Italiana ed Estera”, 50 aprile 1916, p. 82. 24. L"invenzione di uno scienziato americano per segnalare ravvicinarsi delle aeronavi, in “La Cinematografia Italiana ed Estera”, 15-30 novembre 191$, p. 47. 25. “La Cinematografia Italiana ed Estera”, 1$ marzo 1915, p. 78, 26. ’’L’Arte Muta”, 15 ottobre-15 novembre 1916, p. XCIV. 27. “La Vita Cinematografica”, 30 gennaio 1915, p. 42. 28. Circa il problema della vacuità del campo di battaglia moderno, e del suo effetto sulla rappresentazione cinematografica, rimando ancora al mio Cinema e guerra, dt. 29. Il Cinema alla guerra, in "La Cinematografìa Italiana ed Estera”, 13* 0 novembre 1914, p. 11. 30. L Delluc. La bellezza del cinema, in G. Pescatore (a cura di), Fotogenia. La bellezza del cinema, dossier monografico di “Gnema & Cinema”, n. 64, maggio-agosto 1992, pp. 108 * 9. 31. Cfr P. Virilio, Guerra e cinema. Logistica della percezione, Lindau, Torino 1996. 32. Precida, Cinematografie di guerra, cit., pp. 14-6. 33. B. Matuszcwski, Una Nuova Fonte della Storia (Creazione di un deposito di cinema­ tografia storica), in G. Grazzini, La memoria negli occhi. Boles law Matuszewski: un pioniere

del cinema, Carocd, Roma 1999. p. 66. 34. E Mazzantini, La guerra nella realtà e nel cinematografo, in "Apollon”, i° febbraio 1916, p. 20. 3$. E. Morin, Le cinema, ou l'homme imaginaire. Essai d’anthropologic, Les Editions de

Minuit, Paris 1956, p. 13. Sono andato a rileggermi il capitolo iniziale del libre di Morin su suggestione del bell’articolo di R. De Berti, Il genere aviatorio italiano negli anni Trenta tra modernità e identità nazionale. Il caso de "L'armata *azzurra (1932), in "Comunicazioni soda­ li”, maggio-agosto 2002, pp. *194 201. 36. M. Paris, From the Wrigfit Brothers to Top Gun. Aviation, Nationalism and Popular Cinema, Manchester University Press, Manchester 1995, p. 34. 37. C. Previtali, Dirigibili e films, in "La Vita Cinematografica”, 29 febbraio 1912, p. 4. 38. C. Prcvitali, Teatro e Cinematografo. La guerra (pellicolefra le nubi), in "La Vita Cine­ matografica”, 1$ marzo 1912, p. 2. 39. Cfr. G. Fiocco, Dai fratelli Wright a Hiroshima. Breve storia della questione aerea

(t90j-i94S), Carocd, Roma 2002, p. 17. 40. N. Bobbio, Profilo ideologico del Novecento italiano, Einaudi, Torino 1986. p. 7. 41. Più in generale, sul cinema in quanto "nuovo sguardo” che plasma la vita e la cultu­ ra del XX secolo, cfr. F. Casotti, Locchio del Novecento. Cinema, esperienza, modernità, Bom­ piani, Milano 200$. 42. "La Vita Cinematografica”, 1$ marzo 1912, p. 443. Cfr.: L. Ricci, Per la flotta aerea nazionale, in "La Vita Cinematografica”, 30 aprile 1912, p. 24; G. Piscicelli, Pro Flotta Aerea. Uno spettacolo cinematografico al San Carlo di Napoli, in "La Vita Cinematografìa)”, 31 maggio 1912. pp. 2-3. 44. Le traduzioni di articoli stranieri, nonché la pubblicazione di pezzi in inglese o fran­ cese, erano piuttosto comuni nelle riviste italiane del muto. 45. "La Cinematografia Italiana ed Estera”, 30 gennaio 1916, p. 65.

Cinema/fotografia: il dibattito sulla tecnologia nelle riviste fotografiche italiane del primo Novecento di Franco Prono

Questa ricerca ha preso in esame una decina di riviste italiane specializzate nel campo della fotografìa conservate nella Biblioteca del Musco Nazionale del Cinema di Torino dal primo numero disponibile fino al 1929, con l’obiettivo di

rinvenire in esse tutti gli scritti di vario genere riguardanti il cinema c gli altri meccanismi atti a riprendere e riprodurre immagini in movimento. Il fascicolo con datazione più antica risale al 186$; il 1929 viene considerato come termine

(provvisorio) della ricognizione in quanto si ritiene che con la diffusione del cinema sonoro si concluda la prima fase dello sviluppo tecnologico del cine­ matografo.

Le riviste più importanti c diffuse delle quali si è compiuto lo spoglio siste­

matico sono: “Il Progresso Fotografico”, “La Fotografia Artistica”» “Il Dilet­

tante di Fotografia”, “Il Corriere Fotografico” c il “Bollettino della Società Fotografica Italiana”. Di queste testate la Biblioteca torinese conserva annate

quasi complete; purtroppo non sono ancora state né digitalizzate» né microfil­

mate neppure in parte; pertanto la consultazione si è presentata spesso poco agevole.

Scopo della ricerca è stato quello di verificare quale tipo di attenzione que­ sti periodici abbiano riservato alle nuove invenzioni nel campo delfimmagine

in movimento che in quel periodo si presentavano come evoluzioni della tec­

nologia fotografica. Alla fine del lavoro di analisi dei numerosi documenti rin­ venuti non si possono presentare risultati sintetizzabili in modo univoco» né conclusioni soddisfacenti sul piano storico. La tecnologia del cinema e degli altri meccanismi similari negli ultimi anni dell’Ottocento c nei primi del Nove­ cento pare infatti tanto lontana dall’odierna competenza in materia da costrin­

gere il ricercatore dei nostri giorni ad accostarsi ai testi dell’epoca formulando

spesso ipotesi interpretative, avanzando talvolta dubbi sulla veridicità delle

fonti, assumendo talaltra per veritiere e verosimili affermazioni che non è più possibile verificare.

Mentre i numerosi annuari (“Annuario della Fotografìa”, “Annuario della

Fotografia Artistica”, “Annuario del Progresso Fotografico”, “Annuario della

Fotografia e delle sue Applicazioni” ecc.) prendono in considerazione le ripro­ duzioni fotografiche esclusivamente da un punto di vista estetico e non fanno

sostanzialmente alcun cenno significativo al cinematografo, invece tutte le rivi­ ste prima citate sulle quali è stata compiuta la ricerca riservano un numero limi­

tato di pagine alla stampa di fotografie scelte per le loro qualità formali e dedi­

cano gran parte dello spazio a offrire “consigli” ai fotografi dilettanti. Occorre

peraltro considerare che in quell'epoca le ditte specializzate nella vendita dei prodotti meccanici e chimici del settore (apparecchiature e pellicole) avevano una rete distributiva mollo carente e spesso imponevano prezzi assai elevati;

d'altra parte i laboratori di sviluppo e stampa erano poco diffusi, soprattutto in alcune zone del nostro paese, e i costi di tali lavorazioni non erano accessi­

bili ai ceti sociali con scarsa disponibilità economica. Perciò i “dilettanti” che

intendevano praticare la fotografia dovevano necessariamente non soltanto provvedere spesso personalmente ai procedimenti di sviluppo, stampa, ingran­

dimento, viraggio ecc., ma anche trovare in modo artigianale la soluzione di problemi tecnici quali l'illuminazione e la messa a fuoco. Il cinematografo dei fratelli Lumiere (e prima di esso gli altri apparecchi

ottici capaci di produrre immagini in movimento) trova posto su queste riviste inizialmente come semplice curiosità, c in seguito viene considerato un aspet­

to particolare del discorso tecnologico sulla fotografia. I cineoperatori dilet­

tanti vengono informati sulle novità messe in commercio dalle industrie nazio­ nali ed estere; vengono loro forniti consigli sulla scelta degli obicttivi c “ricet­ te” sui bagni chimici da utilizzare per sviluppare c stampare la pellicola cine­ matografica. Negli anni Dicci assume sempre maggiore spazio la discussione

sui vari sistemi brevettati per ottenere fotografie a colori - c di conseguenza

film a colori - utilizzando diversi sistemi, basali essenzialmente sulla tricromia

o sulla bicromia; contemporaneamente si presentano diversi sistemi studiati per riprodurre in sincrono immagini in movimento c suoni. Numerose sono le polemiche sui brevetti, con continue rivendicazioni di “primogenitura” da

parte di alcuni su invenzioni attribuite ad altri; talvolta i corrispondenti dall'e­ stero informano sugli ultimi ritrovati tecnologici presentati in mostre cd espo­ sizioni commerciali del settore. I materiali prodotti dalle grandi ditte interna­

zionali (Gaumont, Pathc, Eastman, Kodak, Lumière) sono confrontati spesso in modo sommario, con notizie d'ordine tecnologico non di prima mano, c con l’evidente intento di favorire nei giudizi certe ditte nei confronti di altre. Molto di rado vengono citati film e case di produzione, un certo interesse viene inve­

ce dimostrato per l’utilizzo didattico, scientifico e militare del cinema e per la

legislazione internazionale che riguarda i diritti d'autore. Quest’ultimo argo­ mento riveste grande interesse anche per i fotografi. Fin dal primo numero del 1891, il mensile “Il Dilettante di Fotografia” (con

sede a Milano, diretto da Luigi Gioppi, sopravvivrà fino al 1905) si dichiara

“emanazione diretta” della rivista francese “Les Annales Photographiques” di

cui ripubblica numerosi articoli. Costituisce essenzialmente uno strumento per fornire notizie e consigli ai dilettanti appassionati di fotografia: V Editoriale afferma che la rivista e «destinata in modo speciale a coloro che muovono i

primi passi nell’arte fotografica, o per semplice divertimento, o per lucro [...]

e ai provetti, per i quali riassumeremo di volta in volta tutte le più importanti novità della scienza e dell'industria»1. Molto ricca e ampia e la rubrica Piccola Posta; tra gli argomenti più spesso trattati appaiono informazioni su vari con­

corsi fotografici e sulle esposizioni fotografiche di Roma, Torino c Milano; sulle

nuove apparecchiature offerte dal mercato (macchine, sviluppatori e generato­

ri di luce di vario genere); sul modo più corretto per utilizzare obiettivi e ottu­ ratori. c per ottenere buoni risultati di sviluppo e stampa in camera oscura. Particolarmente interessanti sono la Bibliografia che compare in ogni numero,

ricca di molti titoli soprattutto stranieri, i saggi di tipo storico e gli interventi

sul problema della proprietà fotografica e della sua tutela legale. Nel settembre 1891 e nel giugno 1893 si parla con scetticismo e qualche ironia del chinetografo

di Edison, «un complemento del fonografo» capace di unire parole e suoni a

immagini in movimento, o meglio «una combinazione della elettricità con la fotografia»2: evidentemente gli autori degli articoli non hanno visionato di per­

sona l’apparecchio e riportano testimonianze altrui che paiono talmente entu­

siastiche da risultare poco credibili. Nel novembre 1893 leggiamo invece che «il meraviglioso istrumento c giunto anche a Milano» e suscita interesse e ammi­

razione incondizionata: «l'illusione e perfetta malgrado la piccolezza delle

prove [...] Non mancano che il colore c la riproduzione del suono, ma non sono ostacoli insuperabili certamente per il gran mago americano»’. Nel 1896 il professor A. Gay illustra invece con dovizia di particolari il funzionamento del cinematografo Lumiere, inserendo nel suo articolo alcuni disegni tecnici molto

dettagliati dei particolari meccanici c ottici, con lunghe c precise didascalie descrittive. Egli mette in rilievo gli elementi tecnologici che rendono questo apparecchio nettamente superiore a quello di Edison, così da riuscire a

«mostrare a tutta una assemblea, proiettandole su uno schermo, delle scene ani­

mate, durante un minuto circa. La profondità del quadro non ha limiti, e si arriva al punto da poter rappresentare il movimento d’una via, d’una pubblica

piazza, con un’apparenza di verità assolutamente impressionante»4. II “Bollettino della Società Fotografica Italiana”, mensile fondato nel 1889

con sede a Firenze è, come dice il titolo, il notiziario della Società Fotografica Italiana; pertanto il suo ruolo essenziale e quello di informare i lettori sulle

assemblee, le riunioni, le conferenze, i concorsi e le varie iniziative assunte dalla Società stessa. Non mancano peraltro, nel 1891, notizie piuttosto vaghe sul chi-

nctografo di Edison c altre più precise sulle esperienze nel campo della foto­

grafia istantanea e della cronofotografìa compiute da Marcy, Muybridge, Anschiitz. Viene citata in modo dettagliato una conferenza di Marey al Colle­ gio di Francia suH’«estensione del suo lavoro allo studio del movimento degli esseri animati»5 utilizzando non più lastre fotografiche come in precedenza, ma

pellicole perforate. Le esperienze cronofotografichc di Muybridge sembrano

trovare un ottimo continuatore in Anschiitz il quale ha brevettato uno zootropio che permette di visionare il risultato del suo lavoro e lo ha messo sul mer­ cato a condizioni convenienti: «li prezzo dell’apparecchio c modico, cioè circa

L. 16; ogni dispensa di 5 serie di immagini ammonta al prezzo di L. 15»6. II chi­

netografo di Edison tenta di “accoppiare” lo zootropio fotografico e il fono­

grafo. con il fine di creare immagini sonore; il risultato però è limitato, in quan­ to «siamo ben lontani dalla soluzione del problema della visione a distanza, a traverso lo spazio e a traverso ostacoli, visione che dovrebbesi ottenere per mezzo di un filo conduttore, nello stesso modo che l’audizione è ottenuta per mezzo del telefono»7. Il fascicolo del novembre 1896 si apre con un lungo arti­

colo (otto pagine riprese dalla rivista tedesca “Phot. Corresponded”) dedica-

to al cinematografo dei Lumiere, nel quale si delinea storicamente il modo in cui il progresso tecnologico ha portato a questa «ingegnosissima» invenzione, dal “ revolver fotografico” dell’astronomo francese Janssen alle cronofotografie

Muybridge, dal “fucile fotografico a ripetizione” di Marey alle esperienze di

Anschiitz e al chineloscopio di Edison. Il cinematografo «permette non solo l’eseguimento delle negative o delle copie dalle medesime, ma serve pure per la proiezione delle copie sopra uno schermo in modo da renderle visibili a tutta un’assemblea», con un effetto di verosimiglianza talmente perfetto «da poter

dare con diritto il nome di “fotografia animata” a tali proiezioni»8. Del cine­ matografo viene fornita una descrizione precisa e puntigliosa, con l’ausilio di

numerosi disegni dettagliati nei particolari. Il risalto è attribuito alla nuova

invenzione è evidente; si segnalano anche le “meritate” onorificenze che il re d’Italia ha attribuito motu proprio ad Auguste Lumiere9. Tra i pochissimi arti­

coli dedicati alle immagini in movimento e ancora da segnalare l’esauriente descrizione del mirografo di Rculos c Goudcau, un apparecchio per dilettanti che può essere usato sia per riprendere e proiettare film come il cinematografo,

sia per visionarli attraverso un dispositivo simile al chinetoscopio di Edison. Il meccanismo dell'apparecchio e di un'estrema semplicità, e differisce del tutto da quelli di cinematografi finora in uso; esso si compone di un solo pezzo che e animato da un moto continuo rotatorio c che agisce sopra la pellicola in modo progressivo e non a scatti come negli apparecchi ordinari10.

La pellicola e larga 20 millimetri, lunga 6 metri c comprende 84 immagini per ogni metro. “Il Corriere Fotografico” e un mensile fondato a Milano nel 1904. Soltan­ to nel 1921 inizia a occuparsi di cinema offrendo soprattutto informazioni sulle

apparecchiature disponibili sul mercato. In aprile viene descritto (’otturatore-

diaframma Cine-Sector («atto a sostituire il cosiddetto dispositivo a “occhio di gatto” [...] si applica sul parasole dell’obbiettivo e dissolve a perfezione la

scena che si prende o si proietta»)11; in maggio troviamo notizie sui nuovi gran­ di stabilimenti della Kodak in America («L’area della società, conosciuta sotto il nome Kodak Park, comprende ora circa 225 Acres con più di 100 fabbricati che hanno un’area di lavoro di piti di 70 Acrcs. Il numero di operai è ora di

circa ó.ooo»)11 e sulle ditte italiane e straniere presenti alla Fiera Campionaria di Milano e alla Fiera di Lipsia con i loro prodotti nel campo del cinema e della

fotografia0. Nel fascicolo di luglio viene affrontalo in modo alquanto confuso il problema delle deformazioni prospettiche che si determinano quando nel­ l’immagine fotografica e cinematografica compaiono, accanto a riprese dal vero, modellini in scala ridotta14; il mese dopo si annuncia la costituzione dcll’Unione tecnici operatori cinematografici, costituita a Torino per «riunire in un unico sodalizio tutto il personale tecnico sia delle case produttrici che degli stabilimenti di sviluppo e stampa»0. Nasce a Torino nel dicembre del 1904 la rivista mensile “La Fotografia Artistica” (“Revuc Internationale Illuslrcc Rcdigce en Italien et en Francis”)

sotto la direzione di Annibaie Cominciti. Circa metà dei testi è pubblicata in

francese, la lingua più usata all’epoca in Italia in campo scientifico. Nei primi

anni di vita (sarà edita fino al 1916) la rivista ha 16 pagine di grande formato,

contenenti riproduzioni fotografiche anche fuori testo. Viene dedicata molta attenzione all'aspetto artistico della fotografia e alle grandi esposizioni del set­

tore; vengono fomite non molte segnalazioni di nuove apparecchiature e rari consigli ai dilettanti; gli inserti pubblicitari sono assai limitati.

Dal 1908 compare (non su lutti i numeri) la rubrica Cinematografia, conte­ nente notizie e informazioni di vario genere sulfargomento, ma i testi di mag­ giore lunghezza vengono pubblicali in modo autonomo, generalmente nell’ul­

tima parte della rivista. Il primo articolo della rubrica sopra citata rivela un’e­ vidente diffidenza verso la nuova forma di spettacolo che ormai si e già diffu­ sa anche a livello popolare:

Sinora il cinematografo non c penetrato nella cerchia dei dilettanti. Ne sono causa il costo notevole, i difetti della maggior parte degli apparecchi messi in commercio e anche il fatto che la cinematografìa ha subito un notevole deprezzamento a causa degli infiniti cinematografi spuntati sulla terra come tanti funghi, ove si rappresentano delle scene prese in laboratori a luce artificiale senza valore artistico16.

Il dilettante che volesse comunque dedicarsi al cinema farebbe meglio, secon­ do la rivista, a lavorare con materiali pienamente affidabili (come quelli pro­

dotti da Lumiere ed Eastman) anche se non a buon mercato, e durante le ripre­ se dovrebbe cercare di tenere sempre fermo il suo apparecchio sul treppiede,

limitandosi «a fotografare oggetti che durante Posposizione restino nel suo campo visivo, che lo spostare il cinematografo sarebbe dannoso»’7.

Per la prima volta si leggono espressioni entusiastiche per il mezzo cine­ matografico nel 1912, in una sintesi storica firmata da C. Tibaldcro: costui cita

Archimede e Aristotele, e poi via via segue i progressi nello studio della luce compiuti da Bacone, Della Porta, Kircher, Priestley, Wedgwood, Daguerre,

Niepce, Talbot, Plateau, Reynaud, Muybridge, Marey, Edison, fino a Lumiere.

Il cinematografo e ormai una macchina efficiente, ha eliminato i difetti tecno­

logici dei primi tempi, e «non c che questione di tempo per il colore, la ste­

reoscopia, il sonoro»18. Enorme c l’importanza del cinema come mezzo di documentazione, per cui si può prevedere che in un prossimo futuro «i popo­

li avranno le filmstechc come oggi hanno le ^/W/oteche»19. Nel giugno 1912, in un articolo intitolato La cinematografia e i fotografi, si afferma che la tecnolo­

gia del cinema «è oramai alla portata di ciascun fotografo, professionista e dilettante»20, ma stranamente pochi fotografi professionisti vi si dedicano, rinunciando ai facili guadagni che ne potrebbero derivare. Seguono consigli

sulla scelta dei materiali e istruzioni sull’uso della cinepresa. Tra i numerosi argomenti tecnici di cui parla la rivista troviamo: il restauro delle pellicole dete­ riorate dall’uso21, la Roentgen-cinematografia per fare riprese con i raggi X22, la lampada Cooper a vapori di mercurio2*, la macchina da presa di Casimir Prosynsky con motore a scoppio24, la sincronizzazione tra proiettore cinematogra­ fico e fonografo messa a punto dalla Gaumont2*, il confronto tra i diversi tipi di schermo cinematografico in commercio26, la cinematografia a lastre di San­

dro Bellini (ogni lastra di vetro misura 131 per 216 millimetri e contiene 576

immagini che vengono esplorate in successione dall’obiettivo del proiettore)27,

la proiezione a luce fredda brevettata dal ginevrino Dupaud utile a ridurre il

pericolo di incendi23, l’isolamento dei fili elettrici sui set29, la trasmissione e proiezione di immagini a distanza * 0, l’apparecchio privo di otturatore e privo di movimento a intermittenza denominato Reflex-Cinema e messo a punto da Emile Mechau’1.

Nel 1912 vengono messi a confronto tre diversi tipi di pellicola cinemato-

grafica a colori ideati da Friesc-Green, Gaumont e Kodak sulla base del pro­

cedimento della tricromia che appare, «fino a oggi, il solo che possa essere impiegato per ottenere la riproduzione dei colori nel cinema»’2*, Tanno seguen­ te vengono descritti ancora il sistema Gaumont”, quello brevettato dal torine­

se Battistini (con filtri verde e arancio) * 4 e quello dei lionesi Rodolphe Berthon

e Maurice Audibert (con due obiettivi uno davanti all'altro)”. uLa Fotografia Artistica" dedica una certa attenzione all'uso pratico del cinema (ad esempio, la documentazione del viaggio di Scott al Polo Sud per

mano delToperatore M. Ponting’6 e le riprese dall'aeroplano per scopi scienti­

fici, meteorologici, cartografici e bellici)’7 c ai problemi legali e normativi * 8.

Molto interessante pare l'intervento di Edouard Sauvel sul diritto d’autore: nei casi in cui la pantomime cinematografica riproduce un'opera letteraria o dram­

matica, non esiste ancora una legislazione chiara in proposito, che riconosca la diversità profonda tra il lavoro del cineasta e quello dello scrittore * 9. Spesso

sulle pagine della rivista si discute il molo del cinema come mezzo d'istruzio­ ne scolastica; la Germania viene considerata la nazione all’avanguardia in que­

sto campo, ma vengono pure fornite informazioni sulla situazione in Francia, Russia, Serbia40. Anche il tema della censura è trattato a livello europeo, con­ frontando la legislazione assai difforme nei diversi paesi e, talvolta, all’interno dello stesso paese41.

La rubrica Lettre de Berlin compare regolarmente a firma E Felix, fornendo

informazioni d’ogni genere dalla capitale tedesca, quali il successo ivi ottenuto dai film italiani, le novità tecniche presentate in Esposizioni intemazionali, le misure prese in Germania per preservare i diritti d’autore, per assicurare la sicu­

rezza degli spettatori durante le proiezioni, per ventilare i locali, per garantire la qualità della cinematografia didattica e conservare le pellicole in archivio42.

Delle qualità estetiche dei film si parla per la prima volta nel fascicolo del

febbraio 1912, riccamente illustrato con fotogrammi cinematografici; l’articolo La cinematografia artistica riconosce che il perfezionamento tecnico va di pari

passo con l’eleganza formale c il divertimento popolare. «Meriti di Ambrosio che [...] vuole elevare i gusti della folla»4’. Il mese dopo, nella seconda parte

dell’articolo si replicano gli elogi ad Ambrosio e si riportano le trame di alcuni degli ultimi film prodotti dalla nota Casa torinese44; a maggio vengono presen­

tati alcuni film della Savoia45; a giugno quelli della Cincs4*; a luglio quelli della Milano Films47; a settembre nuovamente si parla deH’Ambrosio a proposito

dell’anteprima di Parsifal (M. Case rini, 1912)48; a novembre dell’itala49, Occor­ re inoltre segnalare un interessante scritto del professor Wihlfahrt il quale

afferma che «il direttore delle scene cinematografiche è qualcosa di più che un

semplice direttore tecnico, egli c un collaboratore, anzi sovente il più impor­

tante collaboratore dell'opera cinematografica»50, pertanto dovrebbe essere

sempre nominato nei titoli dei film. Un saggio di grande importanza pare quel * lo apparso nel maggio 1913 con il titolo La fotodinamica futurista di Anton Giu­ lio e Arturo Bragaglia. Edoardo di Sambuy affronta Targomento con grande competenza e utilizzando strumenti culturali adeguati: la continuità del movi­

mento impressionato su lastre fotografiche procura al fruitore una vertigine visiva che ci introduce in «un universo a più di tre dimensioni»5’.

Nel 1914 la rivista non ha più dubbi: il cinematografo non è solo una nuova tecnologia, ma un’arte. All’argomento è dedicato V Editoriale del numero di

agosto-settembre con il titolo Per l’arte cinematografica51, a cui seguono nei numeri succesivi due articoli di Ugo Valcarenghi, La cinematografia e l’arte e

La cinematografia e il teatro * nei quali si cerca di fondare la dignità estetica del mezzo confrontandolo con le arti tradizionali55.

Il periodico più significativo tra quelli analizzali nel corso di questa ricer­

ca, sia per il numero consistente di articoli sul cinema sia per il loro contenuto tecnologico, si è dimostrato MII Progresso Fotografico”, fondato a Milano nel 1894. Il sottotitolo dichiara: **Rivista mensile illustrata di fotografia e delle applicazioni ai processi fotomeccanici di stampa”. Direttore è fin dal primo numero il «Prof. Cav. Rodolfo Namias Abilitato all’insegnamento della Chimi­ ca pura e applicata negli Istituti Tecnici». La figura di questo direttore deter­

mina in modo preciso la fisionomia della rivista non solo perche egli intervie­ ne spesso sulle sue pagine con articoli, saggi, polemiche e note non firmate, ma

perche impone alla pubblicazione uno stretto rapporto con la propria attività di insegnamento e di ricerca. Spesso appaiono infatti notizie dettagliate sul

lavoro compiuto dalla Scuola-Laboratorio del 44Progresso Fotografico”, volto soprattutto a individuare i prodotti chimici più adatti ai bagni di sviluppo e stampa delle pellicole fotografiche, analizzare le diverse caratteristiche delle

pellicole stesse, studiare i differenti sistemi di produzione del colore, verificare l’efficacia delle nuove invenzioni e dei brevetti, soprattutto nel settore della chimica. Sembra che Namias e i suoi collaboratori non abbiano competenza specifica nel campo della tecnologia del cinema e che le attrezzature di cui

dispongono non siano in grado di permettere studi in questo senso; pertanto la sperimentazione avviene essenzialmente sui supporti emulsionati: le lastre, le

diapositive c le pellicole fotografiche e cinematografiche. D’altra parte la Scuola-Laboratorio si configura come vero e proprio corso

professionale i cui programmi di insegnamento (pubblicati nel luglio 1914) coprono un ambito molto vario della prassi sia nel campo della fotografia che

in quello del cinema. Tra le materie insegnate troviamo: Processi fotomeccani­

ci, Fotografia vetrificata e Fotoceramica, Cinematografia, Applicazioni indu­ striali varie della fotografia (Fotorilievografia, Decorazione fotografica di

mobili e tessuti ecc.), Chimica fotografica. Gli argomenti compresi nella mate­ ria Cinematografia sono i seguenti:

Principi scientifici ncccssarii aHoperatore cinematografico per valersi con criterio dcll’obbiettivo, diaframma, filtri luce, ottenendo il massimo effetto prospettico ed evitan­ do esagerazioni di prospettiva - Bagni di sviluppo più adatti e più economici per le pel­ licole negative e positive - Controllo chimico dei bagni di sviluppo [...]- Bagni di fis­ saggio razionali - Viraggi varii delle diapositive - Coloritura con colori diversi [...] -

Congiunzioni delle pellicole con preparati resistenti alla trazione - Difetti che presen­ tano i negativi e i positivi pellicolari e le loro cause54.

Reduce da un viaggio in Europa» nel 1907 Namias dichiara un sincero entusia­ smo per la “verità" e l'efficacia spettacolare e drammatica delle proiezioni cine­

matografiche a cui ha assistito in Francia e Inghilterra:

Nessuna serie d’istantanee per quanto numerosa» potrà darci modo come una cinema­ tografìa di farci un’idea di un certo avvenimento. Nessun ritratto ci può rappresentare un dato personaggio con tanta verità come una cinematografìa che ce lo mostri in movi­ mento. [...] Potrebbe anche darsi che la passione per le scene cinematografiche prepa­ rate che oggi è intensa andasse affievolendosi, ma le scene dal vero interesseranno sem­ pre e la cinematografìa non potrà mai decadere55. Egli rileva che dal punto di vista tecnologico il cinema non ha fatto molti pro­ gressi dall’invenzione dei Lumière, ma presumibilmente un grande passo in avanti giungerà quando si riuscirà a migliorare la sensibilità deH’emulsione delle pellicole, in modo da poterle impressionare con luce scarsa c poter ottenere

buoni effetti cromatici attraverso la tricromia. Al momento, larga applicazione hanno «i viraggi colorati ai ferrocianuri e specialmente quelli al rame e al

ferro»56, già studiati da Namias stesso fino dal 1893. Diversamente da altre rivi­ ste di fotografia, “Il Progresso Fotografico” mantiene sempre vivo finteressc

per il cinema come campo di applicazione della chimica e della meccanica, con

grande fiducia nelle potenzialità dello sviluppo scientifico. Lo scritto più

approfondito e organico pubblicato da Namias appare nel gennaio del 1921 ed

è l’estratto di uno studio di chimica già apparso sulTMAnnuario di Chimica

Scientifica e Industriale” diretto dal professor Felice Garelli. Namias rileva innanzitutto la grande importanza industriale ed economica ormai assunta dal

cinema (testimoniata da numerosi brevetti in tutto il mondo) e denuncia il fatto

che «non si può dire che i chimici s’interessino molto di questo ramo»57 della loro scienza. Il discorso prosegue poi con tono divulgativo, tracciando una

breve storia della fabbricazione della pellicola cinematografica e fornendo in for­ mazioni sui vari tipi di emulsione e sulle varie tecniche di sviluppo e stampa.

L’argomento di cui la rivista nel suo complesso si occupa con maggiore attenzione e costanza è quello della riproduzione del colore su diapositive e pellicole. I “sistemi di coloritura” di cui viene data notizia dal 1904 in poi si

basano essenzialmente sul procedimento lricromo e su quello bicromo, cioè

sulla sovrapposizione durante la proiezione delle immagini derivanti da foto­ grammi identici impressionati attraverso diversi filtri colorati. Senza soluzione di continuità, fascicolo dopo fascicolo, vengono presentati c confrontati siste­

mi di fotografìa e cinematografìa a colori di varia provenienza5*, il migliore dei quali, nel 1912 - secondo la rivista -» pare quello brevettato da Smith dell’Ur-

ban Trading di Londra, di cui viene documentata una dimostrazione pubblica presso il Teatro dei Filodrammatici di Milano: «Questo sistema ha raggiunto

oggi la massima praticità e perfezione»5*. In una lettera G. Dreyfus, direttore della sede italiana della Pathe Frèrcs, contesta l’entusiasmo per questo sistema

inglese sostenendo che

la riproduzione cinematografica dei colori - fotochimica, se preferisce - non e stata ancora inventata: cosicché tutte Ie films colorate sono colorate indirettamente, cioè a traverso speciali processi e non direttamente dalla luce che serve all'impressione [...] Punico sistema pratico e preciso che esista oggi di produrre su un'unica film tutti i colo­ ri, uguali a quelli della realtà, in modo che vengano esattamente e direttamente ripro­ dotti nella proiezione, è il sistema inventato e perfezionato dai Fratelli Pathc60. N ami as ribatte che «l’occhio non cerca la realtà ma l’illusione. [...] Così quan­

do alternando un’immagine rossa e una verde noi diamo all’occhio l’illusione

della realtà, non solo nel movimento, ma anche nel colore, non è raggiunto lo scopo?»6’. Il Kinemacolor mostrato a Milano, secondo Namias, riesce a dare

approssimativamente i colori reali, mentre il metodo fotochimico c ancora pura fantasia. Oggi non abbiamo modo di capire quanto fossero avanzale le ricerche della Pathé, né fino a che punto Namias fosse interessato economicamente a sostenere la tricromia, dal momento che egli stesso deteneva alcuni brevetti in

questo campo. Nel 1914 “Il Progresso Fotografico” presenta in modo particolareggiato il

sistema di coloritura tricromo messo a punto da Gaumont, che pare essere par­ ticolarmente efficiente, pubblicando la traduzione di un estratto della relazio­ ne «dell’eminente fisico E. Wallon» (già edita sul “Bulletin de la Sociele

Frammise de Photographic”) che illustra «l’invenzione Gaumont c i meriti dell’inventore, mostrando tutte le difficoltà inerenti alla risoluzione del proble­

ma»61. Seguono descrizioni sommarie di metodi più complessi e meno affida­ bili, quali il processo Ulysse della Sociele Fran^aisc de Photographic6*; la pel­

licola KDB di Bcrthon c Keller-Dorian, «costituita da una emulsione fotografi­

ca il cui supporto è formato da un’infinità di cellule lenticolari microscopiche

giusta poste»64; il misterioso sistema inventato dal venticinquenne inglese Clau­ de Fricsc-Grccnc65; il metodo brevettato dal berlinese Emil Wolff-Hcidc, basa­

to sulla «tricromia additiva»66; il processo Kodachromc basato sulla bicromia c sulla “pinatipia” (un processo pcr trattare la pellicola negativa con un bagno

speciale che insolubilizza la gelatina)67; il sistema di coloritura Pathccolor tra­

mite maschere traforate68 e altri brevetti ancora, fino alla pellicola pancromati­ ca della Kodak (basata sulla bicromia) la quale peraltro suscita molte perples­ sità in Namias che aveva sempre espresso le sue preferenze per la tricromia.

Egli non ha però la possibilità di compiere sperimentazioni nel suo laboratorio

sulla pellicola Kodak in quanto essa non è ancora venduta in Italia e si limita pertanto a riportare quanto è ormai noto in tutto il mondo: «La bicromia ha

oggi tutti i requisiti della praticità. [...] Certo non vi è da aspettare che con soli due colori l’esattezza della resa dei colori possa essere raggiunta»69. Un paio di

mesi dopo Namias afferma che «la bicromia è un processo incompleto»70, ma

riconosce che questo sistema si è dimostrato mollo più affidabile e pratico della

tricromia, soprattutto grazie al processo di “mordenzatura” (studiato c speri­ mentato da Namias stesso) che trasforma le due immagini colorate in immagi­

ni monocrome. «L’autore di questo articolo se ha la soddisfazione di avere get­

tato le basi del procedimento che ha condotto già in altri paesi alla realizzazio­ ne della cinematografia in colori [...] non può che rammaricarsi di vederlo applicato solo in paesi esteri»7’.

La rivista esprime ancora perplessità di fronte ad altri sistemi di cinema a colori brevettati da Karl Martin72, l'ingegner Gualtierotti75, Paolo Benedetti74,

le Società Hcrault75 c Lignose76 e altre ancora; emette invece un giudizio larga­ mente positivo dopo aver assistito alla proiezione di un film su pellicola ame­ ricana Technicolor («la film [...] raggiunge attraverso la bicromia degli effetti

veramente meravigliosi c pittoreschi. Eccellente»)77. Ugualmente soddisfacen­ ti risultano, un anno dopo, le pellicole Agfa Superpanfilm7* e quelle della East­

man-Kodak per cineamatori79. Tutti questi sistemi per cinema a colori vengo­ no descritti in maniera talvolta particolareggiata e talvolta sommaria, secondo

le informazioni più o meno dettagliate fomite dalle ditte produttrici e dalle riviste specializzate straniere. La Scuola-Laboratorio con le proprie attrezzatu­

re approfondisce dal canto suo lo studio della “coloritura *'

di diapositive e film

per imbibizione, cioè i viraggi: numerosi articoli forniscono “ricette” relative agli elementi chimici necessari per ottenere i colori desiderati80.

Nel 1924 Rodolfo Namias rivendica la paternità degli studi «sulla fissazione dei colori di catrame sulle immagini d'argento virate ai ferrocianuri metallici

specialmente al fcrrocianuro di rame»8’ c ottiene il riconoscimento dclI’Ufficio Brevetti di Berlino che nega il brevetto richiesto da un certo dottor Traube, a

imitazione di quello italiano. Due anni dopo, “11 Progresso Fotografico” lamen­

ta alcune inesattezze contenute nell'articolo di Corrado Ross di Dessau, Quello

che deve sapere il dilettante di cinematografia, pubblicato nell'opuscolo mensile “Note Fotografiche” della Società Agfa. Innanzitutto l'inizio della storia del

cinema viene fatto risalire addirittura al pittore tedesco del Settecento Lautcr-

burg di Fulda, vengono citati Muybridge ed Edison, ma non si «accenna affat­ to ai fratelli Lumière, che sono i veri creatori della cinematografia! Forse la poli­

tica entra in questa dimenticanza. Ma verso la fine dell'articolo vi è un'altra dimenticanza che colpisce un italiano»82, cioè il professor Rodolfo Namias: Ross parla del cinema a colori «secondo il metodo di Traube o simili. Ora non esiste

affatto un metodo Traube: l’Uffìcio dei Brevetti di Berlino ha negato a Traube

il brevetto perché il procedimento che egli tentava di brevettare era stato inven­ tato parecchi anni prima dal nostro direttore Prof. Namias»85. La rivista dedica pochi interventi agli esperimenti di sonorizzazione del cinema: oltre all'ampio apprezzamento per la qualità di sincronizzazione tra

immagine c suono del cronografo Gaumont84, troviamo soltanto cenni poco

convinti a tre invenzioni: la cinemetrofonia del brasiliano Paolo Benedetti85, il cinefotono o cinematografo parlante dell'italiano Ivo Crocchi86 e il cincfono

dei fratelli Lamberto e Azeglio Pineschi87.

Molti scritti si rivolgono in modo specifico ai dilettanti del cinema, soprat­ tutto presentando apparecchiature a loro destinate, costruite dalle maggiori

ditte intemazionali: la macchina da presa e da proiezione Kino (o Kinox) della Ernemann di Dresda88, l'Oikos (a lastre di vetro) prodotta dalla Società Cine-

mas-Plaques di Parigi89, la Kinox commercializzata dalla Ernemann90, la Dina­ mo e la Monopoi della Ica, il Pathe-Baby della Pathé (questo apparecchio - di

grande successo mondiale - viene descritto con precisione e disegni particola­ reggiati)91, il Semper92, il Cine-Kodak c il Kodascope95. La Scuola-Laboratorio fornisce spesso consigli ai cineamatori sul modo migliore, meno costoso, più

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FRANCO PRONO

pratico e sicuro per ottenere l’inversione dell’immagine dal negativo originale

al positivo e per effettuare artigianalmente lo sviluppo delle pellicole PathcBaby, evitando gli alti costi chiesti dai laboratori specializzati94. Si sottolinea

talvolta il fatto che «è il processo d’inversione Namias ideato sino dal 1899 che»

dopo aver avuto larga applicazione nell’autocromia, è ora sfruttato nella cine­ matografia d’amatori per evitare la stampa della pellicola»95. Scarsi sono inve­

ce, sul “Progresso Fotografico", gli interventi su temi molto dibattuti in altre riviste di fotografia, quali l’applicazione del cinema in campo scientifico9* e in

campo didattico97 e la legislazione del settore9’.

Infine numerosi testi, talvolta inseriti in varie rubriche (Notizie Varie. Novità deirindustria Fotografica. Cinematografia) affrontano temi riguardanti diversi settori della tecnologia del cinema; nel dicembre 1923 viene istituita la rubrica

Tecnica Cinematografica alla quale la rivista intendere dare «uno sviluppo ade­

guato alla sua importanza, tanto più che in Italia manca una rivista che con basi

scientifiche si occupi di tecnica cinematografica»99. Molti sono gli argomenti tecnologici affrontati nel campo dell’illuminotecnica (i progressi nella luce ossi­ drica, i perfezionamenti delle lampade ad arco, l’illuminazione dei teatri di posa

con lampade elettriche a incandescenza)100, nel campo della tecnologia di proie­ zione (l’uso di lampade a luce fredda, a filamento metallico a basso voltaggio, a

riflettore parabolico, dispositivi per eliminare il tremolio e lo scintillamento, considerazioni sulla velocità preferibile di trascinamento)101, nel campo della

chimica applicata (pellicole ininfiammabili, in cellophane, in acetato di cellulosa c in carta; apparecchi per regolare l’intensità luminosa nel processo di stampa; sistemi per eseguire la paraffinatura e per eliminare arborcscenze, graffi, mac­ chie, aloni e veli d’ossidazione delle pellicole; composizione dei bagni di svilup­ po, inversione, fissaggio c stampa)102, nel campo di apparecchiature da ripresa quali il proiettore Kok delia Pathe (con pellicola larga 15 mm e «lampade d’in­ candescenza con filamenti metallici. [...] Siccome la luce impiegata e pochissi­

mo calorifica e la pellicola è incombustibile si possono lasciare fisse le immagi­ ni per tutto il tempo che è necessario»)105, il Kinamo della Ica di Dresda (mac­

china da presa silenziosa, solida e di piccole dimensioni: 9x12 cm)104, il Tek della Fratelli Serra di Torino (macchina da presa e da proiezione con «un viseur pri­

smatico che permette una esatta inquadratura del soggetto direttamente sulla negativa»)105, nel campo infine di altri dispositivi e apparecchiature (lenti, obiet­

tivi, macchine per la stampa, il montaggio ecc.)10*. Nella seconda metà degli anni Venti sulle pagine della rivista appare in modo costante sempre la stessa considerazione: l’Italia è molto più arretrata di altri paesi nello studio, nella sperimentazione e nella produzione di apparecchi e pellicole, e questa, secondo “Il Progresso Fotografico", è la causa prima della

crisi in cui si agita il cinema nazionale. «Non si può dire che il Governo, crean­ do come ha fatto con R. Decreto 3 gennaio 1926, l’istituto Nazionale Luce per

la propaganda e la coltura per mezzo della cinematografia, abbia colle nomine fatte dimostrato di tener nel debito conto anche la parte tecnica della cinema­ tografìa»107, ed c veramente sconsolante che in Italia non si faccia nulla per sol­ levare il nostro cinema dal basso livello tecnico in cui da tempo è caduto.

Noi abbiamo in Italia capacità direttive non certo inferiori a quelle degli altri paesi, abbia­ mo capitali a sufficienza, attori capaci, ma ci manca la fiducia in noi stessi: questo perche

ci sentiamo inferiori, e di molto, agli altri nella tecnica cinematografica. Ritengo infatti che essa rappresenti il maggior coefficiente per una buona produzione inquantoche il pubbli­ co ricerca oggidì nel cinema principalmente l’effetto ottico, dato che il soggetto e I’intcrprefazione non presentano più ormai nulla di nuovo e si sono standardizzati su di una medesima falsariga. Quindi, per elevare un films (s/c) dalla mediocrità, occorre studiare nuovi effetti di luce di gradevole impressione, nuovi trucchi ingegnosi, modellatura delle immagini sempre più curate, intonazione e viraggi appropriati ccc.10® Un primo passo positivo potrebbe essere costituito dalla fondazione di una

scuola di tecnica cinematografica. La redazione del “Progresso Fotografico” riconosce che il «Governo si è

vivamente interessato alla cosa»109, ma il ministero ha nominato una Commis­ sione in cui sono rappresentati soltanto “esperti di commercio” e non figurano

né industriali, ne tecnici, né registi, con il risultato che tale Commissione ha imposto agli esercenti una percentuale obbligatoria di film italiani da proietta­

re, ma nessuno ha «considerato un fattore d’eccezionale importanza pcr l’effetto suggestivo delle proiezioni ed è questo la perfezione tecnica»110. In con­ clusione: «Cosa si e fatto in Italia per perfezionare la tecnica cinematografica e per creare dei veri tecnici? Nulla»111. La “rinascita” del cinema italiano non può

non iniziare dunque che da una riorganizzazione del settore tecnico, perché

«non vi può essere industria senza tecnica»112. La soluzione migliore del pro­

blema sarebbe quella di istituire «un vero e proprio Consiglio Tecnico Nazio­

nale, al quale dovrebbero far capo tutte le energie in grado di giovare real­ mente alla nuova grande imprcsa»,u. Naturalmente tra i membri di questo Consiglio dovrebbe con buon diritto figurare il direttore della rivista stessa, in

virtù dei suoi meriti scientifici. Infatti,

uno dei progressi tecnici più notevoli della cinematografia moderna [...] e nato preci­ samente a Milano. Vogliamo alludere al viraggio per mordenzatura, cIk ha permesso la realizzazione della cinematografia bicroma (sistema della Technicolor): [...] già 18 anni or sono. l’Egr. Prof. Namias descrisse c suggerì i viraggi per mordenzatura che. trascu­ rati per incompetenza da noi. hanno trovato all'estero (...) il terreno fertilissimo a tutti noto114. Rodolfo Namias interviene infine su questo argomento invocando «un’orga­

nizzazione tecnica della Cinematografia» che comprenda «i rappresentanti di

tutti gli elementi che intervengono nella produzione del film cinematografico e quindi autori [...], attori, direttori di scena e per la parte tecnica propriamen­

te detta ingegneri e chimici specializzati»11* e sollecitando il governo a interes­ sarsi «dell’industria cinematografica perché, se ha oggi una straordinaria importanza economica, ha anche un eccezionale interesse politico e morale»116.

Tali espressioni riconoscono nel Governo fascista l’unica autorità in grado di

dare concretezza alla “rinascita” tecnica del cinema italiano. Ogni discorso sulla tecnologia, dal più serio al più velleitario, alla fine, deve fare i conti, nella prassi, con il potere politico.

FRANCO PRONO

4*

Note

i. Amid lettori, in *11 Dilettante di Fotografìa", l, n. i, maggio 1890, p. i. z. Il Kinetografo, in "Il Dilettante di Fotografìa", II, n. 17, settembre 1891, p. 261. 3. L. G. [Luigi Gioppi], ll Kinetografo Edison, in *11 Dilettante di Fotografia". IV. n. 4).

novembre 1893. p. 676. 4. A, Gay. Il Cinematografo di A. eL Lumière, in "II Dilettante di Fotografìa", vii, n. 70, febbraio 1896, p. 1109 (il corsivo è nel testo). 5. A. C. [Arnaldo Corsi], Nuove esperienze del Marey, in "Bollettino della Società Foto­ grafica Italiana", HI, n. 8-9, agosto-settembre 1891, p. 179. 6. T. Manichi Lonzi, llZoetropio di O. Anschutz, in "Bullonino della Società Fotografi­ ca *Italiana . IX. n. 3, marzo 1897. p. 83. 7. A. C. [Arnaldo Corsi], // Cbinetografo di Edison, in ‘Bullonino della Società Foto­ grafica Italiana", III, n. 7, luglio 1891, p. 151. 8. O. Volkmer, ll Cinematografo di A. e L Lumière, in "Bullonino della Società Foto­ grafica Italiana", Vili, n. 11, novembre 1896, p. 306. 9. Cfr. Onorificenza, in "Bullonino della Società Fotografica Italiana", X, n. 12, dicembre

1898, p. 401. 10. G. Pizzighclli, ll Mirografo di Rentes, Goudeau e C., in “Bulicitino della Società Foto­ grafica Italiana", XIII, n. 3, marzo 1901, p. 84. 11. Ne/campo dell'industria - Cine-Sector, in “Il Corriere Fotografico’, XVlll, n. 4.1 apri­ le 1911. P- 73912. La Eastman Kodak Co., in "Il Corriere Fotografico", xvni, n. 5,1 maggio 1921, p. 3758. 13. Cfr. La Fotografìa e Cinematografia alla Fiera Campionaria di Milano, in "Il Corriere Fotografico", XVlll, n. $, 1 maggio 1921. p. 375; Fotografia e Cinematografia alla Fiera di Lipsia,

ivi, pp. 3756-7. 14. Cfr. A. Giambrocono, Gli effetti prospettici nel trucco cinematografico, in "Il Corrie­ re Fotografico", xviii, n. 7.1 luglio 1921. pp. 3784-6. 1$. Unione Tecnici Operatori Cinematografici, Torino - Galleria Subalpina, in "Il Corrie­ re Fotografico", xvm. n. 8.1 agosto 1921, p. 3821. 16. La Cinematografia, in "La Fotografia Artistica", v. n. 2, febbraio 1908, p. 21.

17. 18.

Ibid, G Tìbaldero, Cinematografia (Storia e considerazioni), in "La Fotografia Artistica’,

IX, n. 1, gennaio 1912, p. 12. 19. Ivi, p. 13. 20. La cinematografia ed i fotografi, in "La Fotografia Artistica’, IX, n. 6, giugno 1912, P- 96. 21. 22. 23. 24. 25.

Cfr. Cinematografia, in "La Fotografia Artistica", VII, n. 4, aprile 1910, p. 64. Cfr. ibid. Cfr. Cinematografia, in “La Fotografia Artistica’, vili, n. 1, gennaio 1911, p. 10. Cfr. ibid. Cfr. C. De Albroit, Cinematografia, in "La Fotografia Artistica", Vili, n. 3, marzo 1911.

pp. 40-1. 26. Ibid. 27. Cfr. G. V. dal E. Le Cinématograhe àplaques Bettini, in "La Fotografia Artistica", IX. n. 11, novembre 1912, pp. 193-428. Cfr. A. Albert, Proiezioni ordinarie e cinematografiche a luce fredda, in "La Fotogra­ fia Artistica", X. n. 4, aprile 1913, pp. 59-62. 29. Cfr. A. Steffen, Lelectridté au cinématographe. Canalisation et pose des conducteurs, in "La Fotografia Artistica", x, n. 9, settembre 1913, pp. 143-$.

CINEMA/FOTOG RAFIA

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30. Cfr. E Felix» Cinématographie Télégraphique, in “La Fotografia Artistica’, XI, n. 6.

giugno 1914, pp. 132-3. 31. Cfr. E Felix, Le dnématographe sans obturateur, in “La Fotografìa Artistica", XI. n. it-12, novembre-dicembre 1914, pp. 197-9 * 32. G. Mareschal. La Cinématographie en couleurs, in “La Fotografia Artistica", IX, n. 3.

marzo 1912, p. 46. 33. Cfr. L. Gaumont, La Cinématographie en couleurs, in "La Fotografia Artistica", X, n. 2, febbraio 1913, pp. 32-3. 34. Cfr. C. De Albroit. La cinematografia a colori e il metodo Battistini, in “La Fotogra­ fia Artistica", X, n. 3. marzo 1913, pp. 41-3. 35. Cfr. Prise de vues et de projections cinématographiques en couleurs par Mrs. Rodolphe Berthon et Maurice Audibert à Lyon, in “La Fotografia Artistica". X, n. 5, maggio 1913, pp. 69-71. 36. Cfr. E de T., Le dnématographe au Pole, in “La Fotografia Artistica", vili, n. 6-7. giu­ gno-luglio 1911, p. 108. 37. Cfr. A. Protin, La Cinematographic en aeroplane, in “La Fotografìa Artistica", vili. n. 12, dicembre 1911. pp. 164-6; X, La cinematographic et {'instruction milita ire, in “La Fotogra­ fia Artistica", IX, n. 8, agosto 1912, pp. 133-6. 38. Cfr. G. Soavi, Cinematographic ., for ever!, in “La Fotografia Artistica", X, n. 5, maggio 1913, pp. 75-7; E Felix, La guerre cantre la cinematographic, in “La Fotografia Arti­ stica". X. n. 6, giugno 1913, pp. 89-90; C. Camerano, Sulla tutela dei diritti d'autore all'estero relativamente a films cinematografiche, in “La Fotografia Artistica", X, n. 7. settembre 1913, p. 133. 39. Cfr. E. Sa uvei, dnématographe et propriété httera ire, in “La Fotografia Artistica", VI. n. 9, settembre 1909, pp. 139-43. 40. Cfr. A. Wihlfahrt. il cinematografo mezzo d'istruzione scolastica, in "La Fotografia Artistica", vili, n. 10-11, ottobre-novembre 1911, pp. 146-7; A. G.» La Cinematographic dans les dcoles, in "La Fotografia Artistica", IX, n. 9, settembre 1912, p. 158. 41. Cfr. Lintervento delle autorità tedesche nelle rappresentazioni di Films Cinematogra­ fiche, in “La Fotografìa Artistica", IX, n. 9, settembre 1912, pp. 137-8. 42. Cfr., oltre agli articoli di E Felix già citati, quelli che compaiono in “La Fotografìa Artistica" nel 1912 (nn. 4, 3,6, 7 e 10) c nel 1913 (nn. 2, 3, 8 c 10). 43. Cfr. Btand, La cinematografia artistica, in "La Fotografìa Artistica", IX, n. 2, febbraio

1912, p. 28. 44. Cfr. Brand. La cinematografia artistica, in “La Fotografìa Artistica", IX, n. 3. marzo

1912, pp. 44-6. 43. Cfr. La cinematografia artistica. La "Savoia Film", in "La Fotografìa Artistica", IX, n.

3, maggio 1912. pp. 81-3. 46. Cfr. La cinematografia artistica. La "Cines Film", in “La Fotografìa Artistica", IX, n. 6, giugno 1912, pp. 101-2. 47. Cfr. R. Canavasso, La cinematografia artistica: La "Milano Films", in “La Fotografìa Artistica", IX, n. 7, luglio 1912, pp. 114-7. 48. Cfr. G. V. dal E, La cinematografia artistica. Il soggetto artistico in Cinematografia, in "La Fotografìa stilistica", IX, n. 9, settembre 1912, pp. 133-7. 49. Cfr. La cinematografia artistica. L'Itala Film", in “La Fotografìa Artistica", IX, n. 11, novembre 1912, pp. 190-2. 50. A. Wihlfahrt. II direttore di scena nella tecnica cinematografica, in "La Fotografia Artistica", IX, n. 9, settembre 1912. p. 138. 31. E. di Sambuy, La fotodinamica futurista di Anton Giulio e Arturo Bragaglia, in "La Fotografia Artistica". X, n. 3, maggio 1913, pp. 71-3. 32. Cfr. Per l'arte cinematografica, in “La Fotografia Artistica", XI. n. 8-9, agosto-settem­ bre 1914, pp. 153-4-

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FRANCO PRONO

53. Cfr. U. Valcarenghi, La cinematografia e l'arte, in “La Fotografìa *Artistica . XI. n. 10. ottobre 1914. pp. 172-4; La cinematografia e il teatro, in "La Fotografìa Artistica”. XI, n. 11-12, novembre-dicembre 1914. pp. 186-7. 54. La *"Scuola-Laboratorio del "Progresso Fotografico9 e programmi d'insegnamento, in "Il Progresso Fotografico”. XXI. n. 7. luglio 1914. p. 219. $5. R. Namias. Di ritorno da Parigi e Londra. La fotografia dei colori - La cinematografia Le arti fotomeccaniche, in “11 Progresso Fotografico”, XIV. n. 8, agosto 1907. p. 134. 56. Ibid. $7. R. Namias. La chimica dell'industria e dell'Arte Cinematografica, in "Il Progresso Fotografico”. xxvm, n. 1. gennaio 1921, pp. 1-7. $8. Cfr. infra, il CAP. Percorsi bibliografici (PAR. Colore) che chiude il volume. 59. Kinemacolor Urban-Smith, in "Il Progresso Fotografico”. XIX, n. 4, aprile 1912. p. 135. 60. R. Namias. Ancora la Cinematografia in colori, in “Il Progresso Fotografico”. XIX, n. $. maggio 1914. p. 162. 61. Ivi, p. 163. 62. Il processo Gaumont di cinematografia in colori e le benemerenze del Sig. L Gaumont in questo campo, in "Il Progresso Fotografico”. XIX. n. 3. marzo 1914. pp. 83-4. 63. Cfr. Cinematografia in colori: processo Ulysse, in "11 Progresso Fotografico”, XXVIII, n. 4, aprile 1921, pp. 106-7. 64. Cinematografia in colori colle pellicole KDb, in “Il Progresso Fotografico”, XXX, n. 5. 2$ maggio 1923. p. 150. 6$. Cfr. Cinematografia in colori, in *11 Progresso Fotografico”, XXXI, n. 2. 2$ febbraio 1924. p. $4. 66. Una nuova pellicola per la cinematografia in colori, in “Il Progresso Fotografico”, XXXI, n. 9, 2$ settembre 1924, p. $79. 67. Cfr. Il processo Koda chrome di cinematografia in due colori, in "Il Progresso Foto­ grafico”, XXXI, n. 12, 25 dicembre 1924, pp. 336-7: La cinematografia in colori mediante appli­ cazione del processo di bicromia Kodachrom, in "Il Progresso Fotografico”, XXXll, n. 12. 2$ dicembre 1925. pp. 372-4. 68. Cfr. L. Didier, Il metodo di coloritura delle pellicole chiamate "Pathécolor9, in "Il Pro­ gresso Fotografico”, XXXIII, n. 1, 2$ gennaio 1926, pp. 27-9. 69. Intorno ad alcuni nuovi processi di cinematografia bicroma, in "Il Progresso Fotogra­ fico”, XXXIII, n. 6, 25 giugno 1923, p. 180.

70. R. Namias, La Bicromia col processo di fissazione dei colori per mordenzatura ed importanza della sua applicazione alla Cinematografia in colori, in *11 Progresso Fotografico”, XXX1II, n. 8, 25 agosto 1926, p. 225. 71. Ivi, p. 234. 72. Cfr. Un nuovo processo di cinematografia in colon, in “Il Progresso Fotografico”, XXXlll, n. 9, 2$ settembre 1926. p. 281. 73. Cfr. La cinematografia bicroma per sintesi additiva, in “D Progresso Fotografico”,

xxxiv, n. 6,2$ giugno 1927. pp. 190-2. 74. Cfr. Un processo di cinematografia in colori ideato da un italiano residente in Brasile, in "Il Progresso Fotografico”, XXXIV, n. 12, 2$ dicembre 1927, p. 386. 75. Cfr. Un metodo di pseudo trìcromocinematografia, in “D Progresso Fotografico”, XXXiv, n. 10. 2$ ottobre 1927, pp. 308-9. 76. Cfr. I film per cinematografia in colori Lignote, in "Il Progresso Fotografico”, xxxiv, n. 12, 2$ dicembre 1927, p. 38$. 77. A proposito di una film cinematografica a colori, in “Il Progresso Fotografico”, XXXIV, n. 6, 25 giugno 1927, p. 190. 78. Cfr. Una nuova film per cinematografia in colori col processo di bicromia sottrattiva, in "11 Progresso Fotografico”, XXXV, n. 6, 30 giugno 1928, pp. 196-7.

CINEMA/FOTOG RAFIA

45

79. Cfr. Una nuova pellicola Kodak destinata alla cinematografia in colori per amatori, in “Il Progresso *Fotografico , XXXV, n. io, 30 ottobre 1928, pp. 335-7. 80. Cfr. infra, il CAP. Percorsi bibliografici che chiude il volume. 81. A proposito di una rivendicazione, in *11 Progresso Fotografico", XXXI, n. 2, 2$ feb­ braio 1924, p. $4. 82. Per l'esattezza e la verità, in “11 Progresso Fotografico”, XXXIII, n. 7, 2$ luglio 1926. p.

214.

83. Ivi, p. 215. 84. Cfr. Cinematografo e fonografo combinati, in “Il Progresso Fotografico”, X, n. 1, gen­ naio 1903, p. 13; Il cronografo Gaumont a Milano, in *D Progresso Fotografico", Xiv. n. 7, luglio 1907, p. 112; La fonodnematografia applicata con mezzi esclusivamente ottici, in “Il Pro­ gresso Fotografico”, XXXIV, n. 10, 25 ottobre 1927, pp. 309-11. 8$. Cfr. La Cinemetrofonia: un nuovo metodo per ottenere una perfetta concordanza fra le proiezioni e le esecuzioni orchestrali e vocali negli spettacoli cinematografici, in "Il Progresso Fotografico”, XX, n. 3, marzo 1913, pp. 78-9. 86. Cfr. ll Cinefotono o Cinematografo parlante, in “Il Progresso Fotografico”, XXI, n. 11, novembre 1914, pp. 339-41. 87. Cfr. La film parlante, in “11 Progresso Fotografico”, XXVIII, n. 3, marzo 1921, pp. 81-2. 88. Cfr. Cinematografo per Dilettanti della casa Ernemann A. G., in “Il Progresso Foto­ grafico", XI, n. 1, gennaio 1904, pp. 10-r, La cinematografia pei dilettanti, in “11 Progresso Fotografico”, XIII, n. 3, marzo 1906, pp. 41-2. 89. Cfr. Cinematografo a lastra destinato specialmente agli amatori 'Olikos", in "Il Pro­ gresso Fotografico”, XIX, n. 5, maggio 1912, pp. 156-7; Cinematografia su lastre per amatori, in “Il Progresso Fotografico", XX, n. 2, maggio 1913, pp. 42-4. 9a Cfr. Kinox-Ernemann - ll modello più pratico di cinematografo per famiglia, club e scuole, in “D Progresso Fotografico”, XXI, n. 3, marzo 1914, pp. 83-6. 91. Cfr. Nuovi apparecchi cinematografici francesi specialmente per amatori, in *11 Pro­ gresso Fotografico”, xxxi, n. 1, 2$ gennaio 1924, pp. 19-24. 92. Cfr. Capparocchio cinematografico “Semper’, in “Il Progresso Fotografico”, XXX III, n.

5, 25 maggio 1926, pp. 152-3. 93. Cfr. Il Cine-Kodak e il Kodascope: apparecchi di presa e di proiezione per cinemato­ grafia d'amatori, in “Il Progresso Fotografico”, XXXIV, n. 8, 25 agosto 1927, p. 251. 94. Cfr. / processi d inversione dell'immagine fotografica e la cinematografia d'amatori, in “Il Progresso Fotografico”, XXXIl, n. 1,25 gennaio 1925, pp. 20-3; Ancora iprocessi d'inversio­ ne, in *11 Progresso Fotografico”, XXXI1, n. 4, 25 aprile 1925, pp. 121-2; La composizione dei bagni di sviluppo e inversione per pellicole cinematografiche, in “11 Progresso Fotografico", XXXII, n. 5, 25 maggio 1925, p. 150; Uno sviluppo per pellicole del Patbé-Baby destinate a subi­ re l'inversione, in *11 Progresso Fotografico”. XXXll, n. 9, 25 settembre 1925, p. 284; Uinver­ sione deU'immagine nella cinematografia d'amatori, in “Il Progresso Fotografico”, XXXIV, n. 6, 25 giugno 1927, pp. 170-4; Alcune norme per assicurare la riuscita, in “Il Progresso Foto­ grafico", XXXIV, n. io, 25 ottobre 1927, pp. 311-4; Memento 1917, in *11 Progresso Fotografico", XXXV, n. 1, 30 gennaio 1928, pp. 1-4; Una causa ignorata di velatura nell1inversione dell’imma­ gine, in “11 Progresso Fotografico”, XXXV, n. 2, 29 febbraio 1928. p. 66; G. Pompizii, Note per lo sviluppo delle pellicole Pathé Baby, in “Il Progresso Fotografico”, XXXV, n. 5, 30 maggio 1928. pp. 170-3; Lo sviluppo e l'inversione nella pratica di un esperto cine-amatore, in “Il Pro­ gresso Fotografico”, XXXV, n. 6,30 giugno 1928, pp. 197-203; Esistono altre pellicole invertibi­ li per la fotografìa d'amatori oltre la Patbé?, in “11 Progresso Fotografico”, XXXV, n. 9, 30 set­ tembre 1928, p. 316; Le pellicole invertibili Agfa, in *11 Progresso Fotografico”, XXXV, n. 11, 30 novembre 1928, p. 375. 95. La Cinematografia d’Amatori, in “11 Progresso Fotografico”, XXXIV, n. 8, 25 agosto 1927» pp. 246-51.

46

FRANCO PRONO

96. Cfr. Fotografia Scientifica e Scienza Fotografica. Applicazioni scientifiche della cine­ matografia, in “Il Progresso Fotografico’, xxvn, n. nv novembre 1920, pp. 300-1; Il cinemato­ grafo nel laboratorio dello scienziato, in "Il Progresso Fotografico", XXVIII, n. 7, luglio 1921,

pp. 186-7. 97. Cfr. Per Finsegnamento della fotografia, cinematografia, fotomeccanica, in “Il Pro­ gresso Fotografico", XXII, n. 12, dicembre 191$, pp. 580-). 98. Cfr. A. Taillcfcr, Sulla protezione delle opere Fotografiche e Cinematografiche nelle leggi recenti e nelle convenzioni intemazionali, in *11 Progresso Fotografico", XVlll, n. 2. feb­

braio 1911, pp. 57-9. 99. L Lobel, Tecnica cinematografica. Note varie, in “Il Progresso Fotografico’, XXX, n.

12, 2$ dicembre 1923. p. 378. 100. Cfr. Importanti progressi nella luce ossidrica, in “Il Progresso Fotografico", XXI, n. 2, febbraio 1914, pp. 58-60; L. Pines chi, liilluminazione dei teatri per pose cinematografiche con potenti macchine elettriche a incandescenza da 1/2 Watt, in "11 Progresso Fotografico". XXIV, n. 1, gennaio 1917, pp. 28-31; Lilluminazione delle sale di posa cinematografiche con lampade a incandescenza survoltate, in "Il Progresso Fotografico", XXXll, n. 8,25 agosto 1925, p. 248. 101. Cfr. infra, il CAP. Percorsi bibliografici che chiude il volume. 102. Ibid. 103. Il cinema da sala *"Kob della casa Pathé, in “11 Progresso Fotografico’, XX, n. 1, gen­ naio 1913. p. 17. 104. Cfr. IlKinamo, in *11 Progresso *Fotografico , XXIX, n. 8, agosto 1922, pp. 251-2. 105. // “*Tek nuovo apparecchio cinematografico di costruzione italiana, in “Il Progresso

Fotografico", XXX1I1, n. 3, 25 marzo 1926, pp. 86-7. 106. Cfr. Per congiungere le film, in *11 Progresso Fotografico", XXXll, n. 8,25 agosto 1925, pp. 248-9; Macchine per la stampa delle pellicole cinematografiche per negozianti di materiale fotografico, in "Il Progresso Fotografico". XXXll, n. 11, 25 novembre 1925, pp. 337-8; Lenti sup­ plementari per gli obbiettivi da presa cinematografica, in "Il Progresso *Fotografico , XXX III, n. 7, 25 luglio 1926, p. 214. 107. Necessità che anche in Italia sia valutata Fimportanza della tecnica cinematografica,

in "11 Progresso Fotografico", XXXIII, n. 3, 25 marzo 1926, p. 86. 108. S. Clavello, Per una miglior organizzazione tecnica della Cinematografia in Italia, in *11 Progresso Fotografico’, xxxill, n. 11, 25 novembre 1926, p. 339. 109. La rinascita della Cinematografia italiana e la grave lacuna al riguardo del perfezio­ namento tecnico, in *11 Progresso *Fotografico ,

XXXV1, n. 4, aprile 1927, p. 118.

no. Ivi, p. 119. 111. Ibid. 112. A. Maiolani, Rinascita cinematografica, in *11 Progresso Fotografico", XXXV, n. 7, 30 luglio 1928, p. 233. 113. Ivi, p. 234. 114. Ivi, p. 235. 115. Ivi, p. 236. 116. Ibid.

Lo spoglio delle riviste del cinema muto italiano: il corpus e i primi risultati di Silvio Alovisio

Nel quadro della ricerca nazionale interuniversitaria Cofin “Le tecnologie del

cinema. Le tecnologie nel cinema ”, un’équipe dell’università di Torino ha

effettuato lo spoglio di un rappresentativo corpus di riviste del cinema italiano

pubblicate tra il 1910 e il 1931. I risultati di questo lavoro di catalogazione sono oggi integralmente consultabili alTintemo della banca dati on line Tecnologia del cinema1. La realizzazione del regesto ha fatto emergere alcuni interrogativi

storici e alcune questioni di metodo, conseguenti all’ipotesi di considerare le riviste di settore come fonti (o “tracco”)1 per la ricerca storiografica di tipo tec­

nico-tecnologico. Le questioni messe in gioco sono numerose e di non facile risoluzione. Ad esempio, quale rilievo occupavano le informazioni tecniche

nella stampa specializzata dclfopoca? AH’interno di quali progetti editoriali tali notizie erano rese visibili? Quali erano le tipologie delle informazioni disponi­

bili? Sotto quali forme si presentavano (o, eventualmente, si nascondevano) queste notizie? Qual è la loro reale attendibilità? Ad alcuni di questi interro­

gativi si è già tentato di rispondere quando il progetto di spoglio era ancora in corso di realizzazione1. Oggi, finalmente, gli esili del lavoro sono resi visibili simultaneamente, l'uno accanto all’altro, e in un’ottica aperta, ossia non fun­

zionale a una ricerca singola, a un'indagine rigidamente orientata, ma al con­

trario, disponibile a sviluppare un’indagine tecnico-tecnologica estensiva, pro­

spettica, plurale, aperta al confronto con i documenti di archivio, con i film c gli oggetti tecnologici. La conclusione del lavoro offre non solo la possibilità di

chiarire definitivamente i criteri che hanno ispirato la selezione del corpus e di presentare i primi risultati della catalogazione (finalmente visibili in forma organica e coerente), ma consente anche di ragionare ulteriormente sulla pro­

blematicità e la ricchezza dei dati raccolti.

1 Il corpus

La definizione del corpus di periodici da regestare e stata ispirata da tre prin­ cipi: la reperibilità delle testate nelle sedi bibliotecarie torinesi (la Biblioteca del Museo Nazionale del Cinema, la Biblioteca Nazionale Universitaria e la

Biblioteca Civica Centrale), la completezza delle consistenze in esse disponibi­

li e la rappresentatività delle raccolte. I primi due principi sono, per così dire, “congiunturali” (e pcr questo - ne siamo consapevoli - inevitabilmente arbi­

trari c dunque piti discutibili)4, mentre il terzo, il più importante, e maturato da un’attenta valutazione storica del panorama editoriale dell’epoca.

La stampa cinematografica italiana ha prodotto, tra il 1907 e i primi anni Trenta, un volume pressoché sterminato di materiali: in base a stime non defi­ nitive, desunte dal fondamentale repertorio curato da Riccardo Redi *,

si calco­

la che il numero delle testate specializzate pubblicate nel periodo considerato

si aggiri all’incirca sulle duecento unità. Si tratta di un corpus non solo molto vasto, ma anche decisamente eterogeneo, al cui interno, tuttavia, è possibile distinguere alcune tipologie editoriali, diverse per motivazioni, destinatari e

ambizioni. Si va dalle riviste “gcneralistc” come “La Vita Cinematografica”

(riviste animate dall'intenzione di difendere tutte le categorie professionali e di affrontare con eguale attenzione la pluralità degli aspetti del settore) alle rivi­

ste “d’arte” vagamente intellettuali, dai periodici delle associazioni di catego­

ria alle riviste con una dichiarata vocazione tecnica, dalle pubblicazioni satiri­ che agli organi ufficiali di enti o istituti, dai periodici di puro intrattenimento

(come la torinese “Al Cinema”) per arrivare, soprattutto verso la fine degli anni Venti, alle riviste di “militanza”. L’inevitabile selezione che si c dovuta operare all’interno di questa produ­

zione così vasta ha comunque cercato di salvaguardare sia l’importanza delle

singole testate che l’uniforme copertura del periodo considerato. Si e scelto così di procedere allo spoglio integrale di due riviste torinesi “generaliste” di assoluto rilievo nel panorama della stampa specializzata dell'epoca: la già cita­

ta “Vita Cinematografica” (Torino 1910-33), diretta da Alfonso A. Cavallaro, e

“La Rivista Cinematografica” (Torino 192O-43)6, fondata da Aurelio De Marco.

La prima, pur proseguendo le pubblicazioni sino ai primi anni Trenta, è parti­ colarmente rappresentativa per gli anni Dieci, mentre la seconda svolge un

ruolo analogo per gli anni Venti. A questi due periodici autorevoli, che restituiscono in buona parte la com­

plessità storica di un ventennio, si sono aggiunte al corpus altre riviste, parzial­

mente diverse. Il settore, decisamente marginale7, delle riviste cinematografi­ che italiane a dominante vocazione tecnica è rappresentato da “La Tecnica

Cinematografica”, un periodico uscito dal 1914 al 1915 c poi, con un nuovo tito­ lo (“Coltura Cinematografica”), tra il 1919 e il 1921. La “Tecnica Cinematogra­

fica”, come rilevato in un recente contributo di Giulia Graglia interamente

dedicato a questa importante rivista torinese8, costituisce quasi un'eccezione nel panorama editoriale del mulo italiano:

Già dal titolo, infatti, si può evincere come il proposito dominante della direzione della rivista fosse quello di concentrarsi sulle caratteristiche tecniche del cinema, materia quasi insondata a livello di analisi sistematica, per lasciare in disparte una trattazione più contenutistica e artistica del cinema, già affrontata da un certo numero di riviste del set­ tore. Mentre nell'ambito della critica e del giornalismo cinematografico fervevano anco­ ra i dibattiti sull'artisticità del nuovo mezzo e i fautori di un'industria ancora agli albo­ ri si battevano per consolidarne la patente morale, “La Tecnica Cinematografica”, basandosi sull'aiuto di collaboratori e tecnici esperti, affrontava i problemi relativi all'ouimizzazionc della resa tecnica, analizzando passo per passo ogni momento della produzione cinematografica, dalla costituzione chimica della pellicola alla proiezione

LO SPOGLIO DELLE RIVISTE DEL CINEMA MUTO ITALIANO

$1

nelle sale, senza preoccuparsi di prendere in esame il valore di un opera dal punto di vista artistico9.

Per verificare sul campo in modo più diretto c preciso la relativa anomalia de “La Tecnica Cinematografica”, si e deciso di inserire nel corpus anche una rivi­

sta piuttosto nota come “Il Maggese Cinematografico”10: ci sembrava infatti

interessante confrontare due testate torinesi praticamente coeve (“Il Maggese Cinematografico” esce dal 1913 al 1915) ma assai diverse in quanto a progetto editoriale: più attenta alle questioni tecniche la prima, più generalista e orien­ tata verso fattività critica la seconda.

La scelta di rcgestare un periodico importante come “In Penombra”11* (e il

suo immediato antecedente, “Penombra”) è stata motivata dalla necessità di rendere conto, in qualche modo, delfevoluzione della stampa di settore dopo il 1916. “In Penombra” è infatti una rivista che appartiene pienamente a quella che Davide Turconi ha definito come la seconda stagione della stampa di set­

tore in Italia11: una stagione, inaugurata nel 1916 con fuscita di due riviste inno­ vative ed eleganti come “L’Arte Muta” e “Apollon”. A differenza dei periodici

orientati verso un pubblico settoriale, queste riviste vogliono indirizzarsi non tanto o non solo a un pubblico di operatori professionali ma a una fascia colta

di spettatori e lettori. Si tratta di pubblicazioni dai prevalenti interessi estetici,

che si propongono - come proclama l’editoriale che apre il primo numero di “Apollon” - di «elevare l’industria cinematografica a dignità di forma artistica

e a nobiltà di contenuto umano». Eleganti, persino lussuose nella veste grafica, particolarmente curate sul piano iconografico, le riviste di quest’area incorag­

giano la riflessione culturale sul nuovo medium e cercano di coinvolgere firme letterarie prestigiose (da Goffredo Bellone! a Matilde Serao, da Roberto Brac­

co a Luciano Zuccoli). Il desiderio di capire come la metamorfosi dei discorsi tecnico-tecnologici

fosse gradualmente quanto inesorabilmente condizionata non solo dai rappor­

ti sempre più stretti con la politica ma anche dalfinanestabile crisi produttiva, dalla rapida obsolescenza degli apparati tecnici, dal confronto con i modi di produzione e le tecnologie del cinema statunitense e dai primi segnali di ricon­

versione tecnologica legati al sonoro ha motivato la scelta di inserire nel corpus due riviste pubblicate a cavallo tra gli anni Venti e Trenta, molto diverse tra loro ma unite da una comune ed esplicita adesione al regime fascista: “Cine

Mondo”1’ (Torino 1927-31) e “La Rivista Intemazionale del Cinema Educatore”

(Roma 1929-34)14, diretta da Luciano De Feo, organo ufficiale dell’istituto

intemazionale per la cinematografia educativa, un ente della Società Nazioni con sede a Roma1’.

2 I materiali

Il dato più evidente che emerge dallo spoglio bibliografico di un corpus così ricco e rappresentativo risiede nella produttiva eterogeneità dei materiali cata­

logati. un’eterogeneità che si spiega con almeno due ragioni: da un lato la

diversità tipologica delle riviste, appena ricordata, dall’altro lato (’estrema

varietà dei discorsi tecnici che si possono rintracciare anche all’interno di una singola rivista.

La diversità dei singoli progetti editoriali selezionati nel corpus produce

un’eterogeneità dei discorsi tecnico-tecnologici che non e difficile da intuire. Le

riviste “generai iste", pur occupandosi del cinema in tutti i suoi aspetti riservano alle questioni e ai problemi della tecnica un’attenzione sistematica, ma senza scendere in dettagli tecnici troppo settoriali e dando maggiore rilievo alle impli­

cazioni industriali (e pubblicitarie) dei fattori tecnici: non a caso le tracce più significative del discorso tecnico si trovano nei reportage dai teatri di posa (non

di rado dettati da ragioni esclusivamente promozionali), mentre risultano spes­ so genericamente diluite nella retorica, oggi quasi illeggibile, degli editoriali

(spesso intrecciate alla battaglia per la difesa dell’industria cinematografica nazionale). Il potere più direttamente informativo di queste riviste e però garan­

tito dai materiali pubblicitari16 (regolarmente segnalati nella banca dati on line)

e dalle molte notizie relative a nuove sperimentazioni o applicazioni, costante­

mente aggiornate grazie alle brevi note redatte dai numerosi corrispondenti ita­ liani c intemazionali. Se la forma discorsiva della “nota" (particolarmente dif­ fusa nella “Vita Cinematografica" e nella “Rivista Cinematografica", come si può rilevare dal CAP. Percorsi bibliografici alla fine di questo volume) da un lato consente al ricercatore di ipotizzare quale fosse lo stato di avanzamento e di

conoscenza non solo delle ricerche in corso ma anche delle loro applicazioni industriali, dall’altro lato non offre quasi mai informazioni esaustive, proprio

per l’inevitabile genericità e brevità di queste telegrafiche corrispondenze.

Decisamente più specifici e professionali sono invece i discorsi tecnico-tec­ nologici nella “Tecnica Cinematografica". La scelta di sviluppare argomenti set­ toriali con argomentazioni competenti e indirizzate a un pubblico professionale

è d’altronde dichiarata sin dall’editoriale che apre il primo numero della rivista: Essa vivrà fra le macchine c gli apparecchi, nei teatri di posa e nei laboratori, nelle cabi­ ne di proiezione e nelle officine cinematografiche, portando ovunque il perfezionamen­ to del tecnico, il consiglio dello studioso, la parola dell’artista. [...] Tutti i perfeziona­ menti, gli studi, i tentativi e quanto nel campo cinematografico si riferisce alla mecca­ nica, alla chimica, all’edilizia, alle lavorazioni varie, sarà argomento principale del nostro testo, al quale aggiungeremo articoli di finanza, legislazione, critica, od altro sem­ pre che abbia attinenza con la vita cinematografica. Tutti i componenti la grande nostra famiglia a qualunque grado o classe appartengano, siano essi dirigenti, artisti, operato­ ri, chimici, attori, operai o altro, avranno nella nostra “Rivista” una fedele alleata, soste­ nitrice indipendente dei diritti di ciascuno

L’attenzione quasi esclusiva ai fattori tecnici arriva persino a innovare l’attività critica: soprattutto nei primi numeri della rivista sono frequenti le recensioni che liquidano in fretta gli aspetti narrativi (oggetto privilegiato delle normali

recensioni dell’epoca) per indugiare invece sulle scenografie, l’illuminazione, la

qualità della stampa c dei viraggi ecc.

Ancora diversa è invece la forma del discorso tecnico in una rivista come “In Penombra". Già dall’editoriale di Tommaso Monicelli che apre il primo

LO SPOGLIO DELLE RIVISTE DEL CINEMA MUTO ITALIANO

»

numero della rivista, emerge una visione marcatamente idealistica del proces­

so di produzione e delle sue componenti tecnologiche, una visione che colloca V autore e la sua intuizione poetica al centro esclusivo del processo produttivo,

mentre restringe le prerogative della tecnica alla vincolata funzione applicati­

vo- esecutiva deH’immaginazione creativa deH'autore stesso: «Il paziente sfor­

zo», scrive Monicelli, «onde s'esprime in animata visione di figure e di luoghi, la vicenda immaginata dall'autore è volta in successione di quadri dal pittore, dal decoratore, dallo scenografo, finche ricostruita e fusa davanti all obbiettivo

si proietti sullo schermo»’8.

Nella “Rivista Intemazionale del Cinema Educatore ", invece, i discorsi

tecnici sono funzionali alle caratteristiche dell'istituto intemazionale per la cinematografia educativa. Uno dei motivi di interesse della rivista, forse quello

che più degli altri ci ha convinto a inserirla nel nostro corpus, e la sua vocazio­ ne intemazionale: non solo la pubblicazione era infatti stampata in cinque edi­

zioni differenti, ma lo scambio delle informazioni e il costante aggiornamento anche e soprattutto su questioni tecniche erano due obiettivi prioritari della

redazione: l'istituto, addirittura, si era proposto di raccogliere e classificare tutti i brevetti riguardanti il cinema su scala mondiale. La pubblicazione si offre anche come fonte indiretta di documentazione su altre riviste. Una rubri­ ca della rivista, infatti, si proponeva di regestare una buona parte dei periodici

tecnici di settore, italiani e intemazionali, per segnalare gli articoli più interes­ santi sull'argomento, accompagnando la selezione con un breve, utile abstract.

Una rivista di servizio, ben poco giornalistica, quindi, redatta da tecnici e desti­ nata ai tecnici, ma molto indicativa per comprendere il livello (o quanto meno

le potenzialità) di aggiornamento del know-how tecnico in Italia: di certo stu­ pisce che, a parte isolate eccezioni (come Rodolfo Namias) la maggior parte dei

contributi di tipo tecnico sia firmata da studiosi ed esperti stranieri.

L’eterogeneità dei materiali, come si e anticipato, non dipende solo dalla diversità dei progetti editoriali: anche all'interno della stessa rivista, infatti, esi­

stono diversi livelli di produzione discorsiva, distinguibili per il differente livel­ lo di mediazione rispetto al processo tecnico o all'oggetto tecnologico’9.

Accanto a materiali che documentano in modo più esplicito la sfera tecni­ co-tecnologica (articoli tecnici dal taglio manualistico se non quasi nonnativo,

e materiali pubblicitari) ve ne sono molti altri che rientrano invece nella sfera di una produzione di discorsi meno esplicita, più mediata. Le riviste regestate

sono infatti anche e soprattutto dei grandi, complessi produttori di discorsi: discorsi che assumono di volta in volta forme diverse, dall'editoriale, alla recen­

sione, dalla breve corrispondenza all'articolo che prende posizione su proble­

mi economici, prototeorici, tecnici e così via. Il dato complessivo che emerge a conclusione del lavoro di spoglio è proprio la netta prevalenza, alfintemo delle

riviste, di questi ultimi materiali rispetto alla documentazione tecnica più espli­ cita. Il discorso esplicito sulla tecnica, all’interno del corpus, non è rimosso, esi­ ste, ma non si può certo affermare che goda di grande fortuna: “La Tecnica

Cinematografica", ad esempio, esordisce come si è detto nel 1914 con ambizio­ ni molto tecnicistiche, impostando di conseguenza anche il discorso critico, ma dopo i primi numeri l'attenzione alle componenti tecniche sfuma, come se

54

SILVIO ALOVISIO

implicitamente si riconoscesse la difficoltà di avviare un discorso tecnico in Ita­ lia, anche nell'ambito della stampa specializzata. La breve vita della rivista stes­

sa, che non sopravvive - a differenza di molte altre riviste - al conflitto, dimo­ stra questa difficoltà: la testata rinasce nel 1919, ma con un titolo diverso e con

un'attenzione alle componenti tecniche non più prevalente. La situazione, pochi anni dopo, alla fine degli anni Venti, non sembra molto cambiata se una

rivista come ‘"Cine Mondo” rimuove ben presto la rubrica di tecnica cinema­

tografica, Curiosità tecniche. Questa presenza non irrilevante ma sicuramente assai ridotta della lettera­

tura autenticamente tecnica all’interno delle riviste di settore è un dato che non deve stupire. La marginale visibilità del discorso tecnico, infatti, c in fondo

direttamente proporzionale al debole sviluppo di una seria e solida industria

tecnico-cinematografica in Italia. Se c’c un aspetto costante che riemerge perio­ dicamente nella pubblicistica di settore con sempre identiche amarezza e

impotenza è infatti proprio la denuncia di una scarsa considerazione dei fatto­

ri tecnici nel nostro paese.

Il prevalere ricorrente, rispetto alla tecnologia come oggetto di studio, della traccia indiziaria sulla fonte chiaramente sintomatica, ha obbligato a riconsiderare le metodologie del lavoro di spoglio: e evidente che se le infor­ mazioni tecnologiche (sugli oggetti, sulle tecnologie di produzione e consumo)

si depositano spesso nelle pieghe di discorsi che parlano poco o parlano d’al­ tro, allora per svolgere una catalogazione efficace e indispensabile allargare l’o­

bicttivo della ricerca. Si tratta non più o non solo di cercare l’oggetto (la tec­

nologia come sintomo di un determinato know-how) nel discorso, operando una selezione, una scrematura (ad esempio selezionando solo le informazioni

più direttamente tecnologiche) ma anche di cercare il discorso stesso, per capi­ re che cosa potrebbe rivelarci - più indirettamente che direttamente - non solo sul definirsi, sullo strutturarsi degli apparati tecnologici di produzione e con­

sumo tra gli anni Dieci e Venti, ma anche sulla circolazione della tecnologia nei discorsi sociali.

Il lavoro di spoglio, allora, da semplice lavoro di censimento, di sistema­ zione organica dei dati espliciti si e gradualmente trasformato in un lavoro di indagine, di investigazione, e quindi in fondo anche di interpretazione: la scel­ ta di riportare un dato tecnico ha presupposto il più delle volte la ricerca, il riconoscimento e la classificazione di un indizio. Di fronte a questo sistema di

fonti indiziarie così delicato e complesso, il lavoro svolto dalla giovane équipe

torinese non poteva naturalmente nutrire, sin dall’inizio dello spoglio, alcuna

pretesa di completezza: la struttura stessa della banca dati, d’altronde, è stata concepita per incoraggiare la costante integrazione dei dati, la loro verifica, il

loro aggiornamento, persino la loro eventuale correzione. Resta comunque

intatto il valore propositivo di questa prima raccolta e classificazione di dati che restituisce visibilità - in una forma organizzata - a notizie e testi il più delle volte poco noti o difficilmente disponibili. L’auspicio è che l’apertura di que­ sto piccolo “cantiere” di materiali di lavoro possa offrire un ulteriore strumen­

to per coloro che si muovono con crescente sicurezza sul territorio, ormai sem­ pre più ampio, della ricerca storico-tecnologica.

LO SPOGLIO DELLE RIVISTE DEL CINEMA MUTO ITALIANO

55

3 La proposta antologica e i percorsi bibliografici La sezione che segue propone una prima antologia di testi e documenti di argo­

mento tecnico-tecnologico pubblicati sulle riviste del corpus, divisa in sottose­

zioni curate dai giovani ricercatori che hanno svolto il lavoro di analisi e di catalogazione delle riviste (Azzurra Camoglio, Marco Grifo, Melita Mandala, Valentina Rossetto). I percorsi proposti sono necessariamente molto selettivi,

per inevitabili limitazioni di spazio, e quindi possono restituire solo in piccola parte la complessità e l’ampiezza delle fonti disponibili. Nella selezione dei testi, tuttavia, si è comunque cercato di salvaguardare due aspetti caratteristici

dei materiali del corpus *.

la discreta continuità cronologica dei discorsi tecnico­

tecnologici e la loro estrema varietà tipologica, di cui si e già detto. L’ordine dei temi proposti segue indicativamente le fasi del processo pro­

duttivo: la macchina da presa, gli stabilimenti e i teatri di posa, il lavoro del set (regia, illuminotecnica c operatori, trucco, costumistica e scenografia), lo svi­ luppo e la stampa della pellicola, la sua colorazione, la sincronizzazione con i

suoni (o la loro registrazione), e infine la proiezione in sala. La scelta dei temi che strutturano i diversi percorsi antologici è stata condizionata non solo dalla

variabile consistenza dei materiali raccolti20 ma anche da alcune valutazioni dell’équipe di lavoro. Si è scelto, ad esempio, di non dedicare una sezione anto­ logica a quei ruoli professionali in cui prevalgono in modo pressoché esclusivo

i “saperi” tecnici in formazione rispetto alle componenti oggettivamente e materialmente tecnologiche: per questa ragione non sono presenti testi relativi alla sceneggiatura o alla recitazione. Una parziale eccezione e costituita dalla

presenza di una sezione dedicata all’emergente ruolo del regista, ma la scelta si giustifica con il fatto che quello del “direttore di scena” e un molo le cui fun­

zioni di coordinamento e centralizzazione si estendono (o vorrebbero esten­ dersi) anche al controllo degli apparati tecnologici. La variabile consistenza dei percorsi antologici cerca di riflettere la diffe­

rente visibilità dei temi prescelti: sulle pagine delle riviste del corpus, infatti,

alcuni argomenti esplicitamente tecnologici (ad esempio, la macchina da presa o la scenografìa) sono infatti molto meno visibili di quanto si potesse supporre in base alla loro evidente centralità nel processo di produzione. Altri argomenti

(come per esempio l’illuminotecnica, o la regia) sono invece spesso presenti sulle riviste attraverso la forma, decisamente poco diretta, del breve lesto bio­ grafico (il necrologio, la presentazione promozionale, la nota di carriera ecc.) o

autobiografico. Altri temi, come gli stabilimenti e i teatri di posa, sono invece presenti attraverso la forma narrativa e, come si e detto, spesso promozionale del reportage.

Per offrire un veloce strumento di consultazione su supporto cartaceo,

infine, si è scelto di presentare una parte dei record inseriti nel data base in

un’agile bibliografia (il CAP. Percorsi bibliografici a chiusura del volume) che

approfondisce i temi dei percorsi antologici. La bibliografìa e anche arricchita, grazie alla collaborazione di Franco Prono, con ulteriori notizie bibliografiche

ricavate da alcuni periodici italiani di fotografia del primo Novecento: all’in­

56

SILVIO ALOVISIO

temo dei singoli percorsi i riferimenti a editoriali, articoli, corrispondenze, brevi note11 ecc. pubblicati nelle riviste del corpus sono ordinati cronologica­

mente e integrati, se necessario, da un abstract che ne chiarisce il contenuto. Ecco l’elenco dei periodici regestati:

“La Vita Cinematografica” (Torino), 1910-30; -

“Il Maggese Cinematografico” (Torino), 1913-1$;

-

“La Tecnica Cinematografica” (Torino), 1914-15;

-

“Penombra” - “In Penombra” (Roma), 1917-19; “Coltura Cinematografica” (Torino), 1919-20;

“La Rivista Cinematografica” (Torino), 1920-30; “Cine Mondo” (Torino), 1927-31; -

“Rivista Internazionale del Cinema Educatore” (Roma), 1929-30. Note

1. L’indirizzo Internet del data base è: http://archivispettacofo.pin.unifi.it/Tccnologia/Webindcx.aspx. Per una presentazione generale del data base c delle sue modalità di organizzazionc/ìnterrogazionc dei dati cfr. P. Valentini, ‘Tecnologia del cinema”: presupposti e primi esiti di un data base, in “Bianco & Nero", n. 549, 2004, pp. 105-15. 2. La proposta di riprendere la distinzione tra tracce c fonti, introdotta nei primi anni Cinquanta dallo storico olandese Gustav J. Renier, è in R Burke Testimoni oculari, ll signifi­ cato storico delle immagini (til. or. Eyewitnessing. The Uses of Images as Historical Evidence, Rcaktion Books, London 2001), Carocci, Roma 2003, pp. 15-6. 3. Cfr. S. Alovisio, Le riviste del muto italiano: una fonte per la ricerca tecnologica?, in

“Bianco & Nero", n. $49, 2004, pp. 31 * 44. 4. Il criterio della reperibilità (condizione preliminare per l'avvio della catalogazione in sede) ha portato ad esempio, con rammarico, ad escludere dal corpus alcune riviste conte­ nenti notizie tecnico-tecnologiche piuttosto significative come “La *Cinc-Fono c “La Rivista , *Fono-Cincmatografica “La Cinematografia Italiana ed Estera * e “La Rivista Italiana di . Gli spogli di alcune riviste del cinema muto italiano non presenti nel corpus *Cinetecnica sono tuttavia consultabili nei preziosi CD ROM pubblicati dall’Associazione nati sotto la dire­ zione di Alberto Friedemann (cfr. in particolare: L. Mosso, S. Valmachino (a cura di), Luce et Verbo - La casa di vetro, Biblioteca FERT, Torino 2004; S. Valmachino (a cura di), Le rivi­ ste Pittaluga, Biblioteca FERT, Torino 2004). 5. Cfr. R. Redi, Cinema scritto. Associazione italiana ricerche di storia de) cinema, Roma 1992-

6. Lo spoglio della “Rivista *Cinematografica è limitato al 1930. 7. La prima rivista italiana di settore con parti significative sulla tecnica è “La Rivista fono-cincmatografica c degli automatici, istrumcnti pneumatici e *affini (Milano 1907-08). Nel 1914, a Torino, inizia le pubblicazioni “La Tecnica Gnematografìca”, che però chiuderà già l'anno successivo (la testata verrà ripresa nel 1919 con il nuovo titolo “Coltura Cinematografi­

* ). ca Dalla fine degli anni Venti esce invece, già ricordata “Rivista Italiana di *Cinetecnica (Roma 1928-34). Si tratta pubblicazioni indirizzate in primo luogo gli operatori di categoria, o agli aspiranti tecnici, con contributi firmati non di rado da professionisti del settore. 8. G. Graglia, ‘La Tecnica Cinematografica” e‘Coltura Cinematografica”, Biblioteca FERT, Torino 2003. 9. Ivi, p. 13. io. Sul “Maggese *Cinematografico cfr. M. Grifo, // Maggese Cinematografico, Bibliote­ ca FERT, Torino 200$.

LO SPOGLIO DELLE RIVISTE DEL CINEMA MUTO ITALIANO

57

il Per una prima introduzione alla rivista e alla figura del suo direttore cfr. M. Pistoia» Un intellettuale e la sua rivista: Tommaso Monicellie In Penombra, in M. Canosa (a cura di), A nuova luce. Cinema muto italiano l, CLUEB, Bologna 2000, pp. 155-46. Sulla grafica della rivi­ sta cfr. invece E. Godoli, / colori dello schermo: due riviste per il rinnovamento dell1illustra­

zione italiana, in “Bianco & Nero”, n. 550-551, 2004-05, pp. 171-5. 12. Cfr. D. Turconi, La stampa cinematografica in Italia e negli Stati Uniti dalle origini al 19jo. Amministrazione Provinciale di Pavia, Pavia 1977. 15. Su "Cine *Mondo cfr. L. Mosso, Cine Mondo. Biblioteca EERT» Torino 2005. 14. Dal gennaio 1955 la rivista cambia il titolo in “Intercine .* 15. La rivista segue assiduamente l'attività dell'istituto, documentando, attraverso inchieste e statistiche, lo sviluppo delle applicazioni del cinema in campo scientifico e socia­ le, nonché affrontando i rapporti del nuovo strumento di educazione con la religione c il mondo del lavoro, senza tralasciare i problemi riguardanti industria, censura c legislazione. 16. Come riconosce anche Friedemann, molto scettico sull'ipotesi di considerare le rivi­ ste del muto come fonti per la ricerca storica, «le inserzioni pubblicitarie, ricche di dati tec­ nici e illustrazioni, cambiano frequentemente le immagini dei prodotti, permettendo in tal modo di seguirne lo sviluppo e l'evoluzione nel corso degli anni» (A. Friedemann, Il bene archivistico come fonte della ricerca tecnologica. Il caso torinese, in * Bianco & *Nero , n. 549, 2004. p. 175). 17. “La Tecnica *Cinematografica , l, n. 1, agosto 1914, p. 2. 18. T. Monicelli, Preludio, in *Penombra . I, n. 1, novembre-dicembre 1917. 19. Per una prima ipotesi di classificazione tipologica dei materiali cfr. Alovisio, Le rivi­ ste del muto italiano: una fonte per la ricerca tecnologica?, cit. 20. L'esiguità dei materiali rintracciati nelle riviste del corpus, ad esempio, non ha con­ sentito di articolare un percorso antologico sui trucchi e gli effetti speciali. 21. Per ragioni di spazio non sono stati inseriti i riferimenti bibliografici alle numerose recensioni contenenti cenni più o meno estesi su aspetti tecnico-tecnologici, così come non sono stati riportati (se non con poche eccezioni) i riferimenti alle pubblicità tecniche: entrambe le notizie si possono recuperare comunque consultando la banca dati on line.

Teatri di posa a cura di Melita Mandala

[Davanti agli articoli sui teatri di posa è subito evidente che non c’è differenza tra

la descrizione di una visita guidata in un museo e una agli stabilimenti cinemato­ grafici italiani. Gli autori di tali articoli si sono avvalsi di questo tipo di esperienza

per meglio raccontare cosa avviene in questi luoghi e come essi sono organizzati. Il modo di affrontare l’argomento è analogo in ogni rivista, anche a distanza

di anni. Gli articoli della nostra antologia sono compresi tra il 1911 e il 1921; nel­ l’arco di dieci anni, notiamo che l’organizzazione interna di questi stabilimenti è

rimasta pressoché uguale, mentre le tecniche, le attrezzature e soprattutto le dimensioni dei teatri sono mutate considerevolmente. Gli aspetti che risaltano maggiormente sono appunto quelli estetici: il più

delle volte la prima notizia che ci viene data riguarda la struttura esterna dei tea­ tri e le misure piuttosto precise di ogni fabbricato. Anche il luogo su cui sorgono

queste grandi costruzioni è preso in considerazione, ponendo in primo piano alcu­ ni requisiti fondamentali di ogni teatro di posa, per rispondere alle numerose esi­ genze produttive.

Secondo Vittorio Mariani1, è opportuno scegliere con cura e intelligenza l’a­ rea nella quale costruire un teatro di posa che dev’essere non troppo distante dalla

città, ricco di risorse moderne (come l’elettricità), ben esposto alla luce.

Gli autori degli articoli, nelle loro visite, sono sempre accompagnati da pro­

fessionisti, i quali si prendono l’impegno di condurli in ogni angolo dello stabili­ mento, alla scoperta dei laboratori di sviluppo, delle falegnamerie, dei camerini, degli uffici e infine dei veri e propri teatri di posa. Questi ultimi sono costruiti in ferro e vetro, in modo da poter disporre di tutta la luce possibile del giorno, hanno

pavimenti di legno e sono costruiti su grandi lunghezze, per ottenere sfondi il più possibile realistici, senza bisogno di scenari artificiali (e costosi).]

Una visita all’itala Film-UCl * Amilcare Dova

AllTtala Film, ove ci rechiamo per una visita agli stabilimenti, ci attende la noti­

zia ufficiale della nomina di Piero Fosco **

a Direttore generale.

* A. Dova. Una visita attitata Film-uà. in “Coltura Cinematografica* (già “La Tecnica Cinematografica”). !V. n. 5,50 marzo-t; aprile 1921» pp. 62-3. “ Com’è noto. Piero Fosco è lo pseudonimo di Giovanni Pastronc.

TEATRI DI POSA

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Il nome di Piero Fosco e strettamente legato alle opere indimenticabili da lui create: Cabiria c Fuoco, e ancora» recentemente Hedda Gabler, che ebbe al

suo apparire tanto successo di critica» non ultima la nostra. Senza entrare nel merito dell’assunzione, ci sia consentito esternare tutto il nostro compiacimento per la nomina che sapevamo imminente. Piero Fosco ritorna all’itala Film dopo un’assenza di pochi anni, e intor­ no a lui si incrociano i più disparati pronostici. Dal canto nostro, attendiamo

fiduciosi la prossima prova. Troviamo un cortese c amabile cicerone: il colonnello Stagni, che rivela,

nella voce tonante e nel gesto imperioso, l’abitudine al comando. Pensiamo sarà, come è sempre stato, un ausiliario preziosissimo.

Nel primo cortile, a sinistra di chi guarda, verso la facciata esteriore, sorge

il “vecchio” teatro dell’itala. Il primo» cioè, ove si cimentarono nei primi ten­ tativi cinematografici alcune glorie nostre (poche!) e oscuri lavoratori del film (molti!). Ove gli attori di una allora florida compagnia dialettale, eseguirono le prime semplicissime scene, che mandarono in visibilio una parte deU’umanità.

Pensiamo ai sogni fatti sotto i vetri scintillanti e ardenti pel sole folgoreg­ giarne, spesso caduti nel nulla. Pensiamo alle speranze irraggiunte di gloria, alle

illusioni fuggevole a molte esistenze distrutte per il sogno di un’ora. E l’eterno, inesplicabile fascino che sulle folle oscure suscita, fin dal suo apparire, quest’Arte cternalrice del gesto.

Il44vecchio” teatro ha subito, dalla sua fondazione, dei notevoli mutamen­ ti: un’ala abbastanza spaziosa è stata aggiunta al primo corpo fabbricato, costniendo un’ampia nicchia di vetro.

A destra, un gabinetto per la forza elettrica. Motori e dinamo girano verti­ ginosamente con ronzio continuato. Sono le produttrici della luce artificiale,

che possono produrre sino a quattordici milioni di candele di luce.

«Qui facciamo il giorno... anche di notte» commenta un giovane operaio addetto alla cabina.

E proseguiamo la visita verso il nuovo teatro. Sorge su un grande spiazzo di terreno, circondato all’intorno da minuscole

colline, che, ci spiega il nostro cicerone, servono all’esecuzione di scene svariate. Un’armatura colossale di acciaio sostiene il fabbricato di vetri. Ci dà l’im­

pressione di un immenso hangar per dirigibili. Nell’interno, da un lato in muratura, e fiancheggiato dai magazzini del

materiale scenico. Convenientemente ordinati si allineano mobili di ogni epoca e stile. Ve ne sarebbe da far la felicità di tanta gente senza letto, né tetto!

Visitiamo gli uffici dei direttori di scena: semplici, ma sufficienti a lavora­ re. Con noi ha luogo la visita di controllo di Giovanni Pastrone. E passiamo nei camerini: alcuni vuoti, alcuni occupati. I primi, gelidi, lasciano traspirare dai muri nudi un senso di tristezza, i secondi emanano i pro­

fumi più alla moda, dernier cri, profumi che ricordiamo di aver sentito addos­

so a quelle graziosissime bambole, adorate dai pubblici. Quanti dispetti, quan­ te crisi di pianto fra quelle quattro mura strette per un nastro ribelle, per un

ricciolo... idem, per una toeletta non indovinata, per una parte ricevuta che

non soddisfa. Emana da tutto il profumo della femminilità: si sente la donna...

6o

MELITA MANDALA

In quelli degli uomini non ci fermiamo molto: non dicono nulla, e vi è trop­ po squallore. Il profumo dei primi, scompare sotto l’odore nauseante dell’im-

biancatura tresca dei muri. Vediamo ancora il laboratorio meccanico, ove, ci spiega il capo-reparto, si

costniiscono e si riparano le macchine da presa e tutti gli altri utensili mecca­

nici, e il laboratorio dei falegnami. Qui si costruiscono c si riparano mobili...

antichi e moderni, telai per scenari ecc. E con questo la visita alla parte, diremo così, artistica, ha termine. Il colonnello Stagni ci passa nelle mani del dottor Rossi, il direttore tecni­ co dei reparti di sviluppo, di stampa, e lavorazione del film ultimato. Preceduti dal chiaro dottore, procediamo alla visita della parte meno appa­ riscente e chiassosa, forse più umile, ma non meno indispensabile.

Vediamo di sfuggita il laboratorio privato del nostro cortese cicerone, ove

fra alambicchi e storte, elabora formule chimiche.

Con parola chiara e vivace il dottor Rossi ci illustra i vari reparti. Dal mon­ taggio dei positivi passiamo, fra la curiosa attenzione di un allegro sciame di fanciulle, ai reparti di quelli che potremmo definire i proletari del film, se la

maggioranza non fosse composta... di ragazze. E difficile immaginare il lavoro che danno quei chilometri di sottili stri­ scinole di celluloide impressionata!

Siamo al buio. Buio pesto, che ci rende il passo esitante per il timore di

finire in qualche macchina. Il dottor Rossi ci rassicura: non esistono pericoli gravi. Qualche lampadina rossa spande qua e là una luce fioca, appena suffi­ ciente a scorgere ombre indistinte che vagano come in un limbo. È il reparto di perforatala dei negativi e positivi. Sempre al buio, passiamo alla prepara­

zione dei positivi: gli occhi si abituano aU’oscurità, e distinguiamo perfetta­

mente le macchine in funzione, dalle quali brillano delle fuggevoli luci, come fuochi fatui. Vorremmo avere delle cognizioni tecniche che ci permettessero di dilun­

garci in spiegazioni interessantissime, ma l’ora tarda non ci consente di chie­ dere di più alla nostra cortese guida, che ci conduce attraverso i meandri del

reparto stampa e sviluppo, spiegandoci come ancora sia in uso il sistema di tra­ sporto, telai a mano, per evitare inconvenienti facili a verificarsi nel trasporto

meccanico. Con i reparti lavaggi ed essicazionc ha fine la visita. Accomiatandoci dal dottor Rossi, non possiamo non rilevare tutta l’im­

portanza del compito, affidato a lui e ai suoi subalterni, congratulandoci sin­ ceramente per l’ordine che regna ovunque. Vorremmo che il pubblico cono­

scesse meglio l’opera umile, ma indispensabile, di questa categoria di lavorato­

ri, che esegue in condizioni malagevoli un lavoro improbo e faticoso. A nostro giudizio, l’itala Film è forse uno dei migliori stabilimenti cine­

matografici italiani, per la vastità degli ambienti e per il corredo di materiale scenico e tecnico. E oggi, possiamo aggiungere, anche per le menti direttive.

TEATRI Di POSA

61

Visitando la “Savoia Film”*

Il Rondone [A ncbe nell"articolo del Rondone è riservata la stessa struttura: descrizione accu­

rata degli ambienti e brevi anticipazioni sulle ferventi attività stagionali dello sta­ bilimento torinese della Savoia Film,]

Alla vigilia delle prime programmazioni di questa nuova grande Casa Torine­ se, che lancerà a giorni i suoi lavori sul mercato mondiale, abbiamo voluto visi­

tare il grandioso stabilimento, non ancora ultimato, ma nelle sue lince genera­ li quasi completo. Ci fu di guida in questa nostra visita l’egregio dottor Gariazzo, il vigile c competente ideatore c organizzatore della Savoia Film. Lo stabilimento sorge in Via Asti 20, in una delle migliori località di Tori­

no, c occupa un’arca di ben 5.000 metri quadrati; i vasti locali, un tempo occu­ pati da un istituto di educazione, vennero con meravigliosa celerità ampliati c

adattati per le nuove esigenze, c da ben cinque mesi lavorano incessantemente numerose squadre di operai, pcr completare c definire ogni particolare, stu­

diato e meditato con cura paziente c meticolosa. Così dove prima regnava la quiete e il raccoglimento agli studi, oggi sorge

uno stabilimento modello, nel quale ferve un’attività meravigliosa, e una mol­ titudine di gente per l’approssimarsi del periodo attivo, e certo fortunato della Casa, per la quale vi è un’aspettativa generale.

La Savoia Film ha rilevato l’officina meccanica del signor Brero c l’ha tra­ sportata in locali propri: qui lavorano una ventina di operai meccanici alla

costruzione delle nuove macchine utensili, che completeranno l’impianto della fabbrica. Gli uffici di amministrazione c i locali per stampa, sviluppo ecc., sono cor­

redati da ogni comfort moderno, e la loro stessa disposizione dinota quell’or­ dine che deve regnare oggigiorno nelle aziende che sorgono con criteri nuovi e

riformatori. Nulla è trascurato; tutto è al suo posto, senza confusione e senza ostentazione. Lo stabilimento c interamente senza porte, per la maggiore facilitazione nell’areazione c circolazione degli operai; a separare i reparti oscuri da quelli

illuminati, un nuovo sistema di labirinti facilita l’accesso c l’uscita c impedisce

il passaggio della luce. Quest’innovazione e utilissima ed evita tanti inconve­ nienti dell’aprirc e chiudere, correnti d’aria, infiltrazioni di luce ecc.

Un compressore elettrico raccoglie l’aria fresca in un giardinetto a nord

dello stabilimento e la getta e distribuisce dappertutto, in modo che gli operai

lavorino in continua aria rinnovata, fresca d’estate e calda nella stagione inver­ nale, perché con apposito dispositivo l’aria viene cacciata nei meandri di un calorifero, quando comincia la stagione fredda. Un termosifone, poi, riscalda le vasche dei bagni di sviluppo, secondo le esigenze della stagione, e un termoventilatore elettrico raccoglie in camere spe­ * 11 Rondone, Visitando la "Savoia-Film\ in “La Vita Cinematografica", l!, n. 17,10 otto­ bre 1911, p. !$.

ciali Faria filtrata, la riscalda c la getta negli asciugatoi, ove ventilatori verticali

e laterali, e un elettro estrattore l'agitano e determinano un rapido prosciuga­ mento della pellicola.

Nei locali di stampa c perforazione si allineano zi macchine a stampa e 12 perforatrici, in attesa che altre ne vengano aggiunte, man mano che tutto verrà

completato a seconda dei bisogni della produzione. I teatri sono tre: due terrazze scoperte di circa metri quadrati 160 Tuna, costrutte in piattabande di cemento armato, perché offrono un'assoluta immo­

bilità ai tremolìi, tanto frequenti nei pavimenti in legno, usuali.

11 vasto teatro coperto poi, misura metri 30 x 18, pure costrutto in cemento armato, ferro e vetri, e sarà un modello del genere (da quando abbiamo potu­

to constatare dai disegni e dalla costruzione in atto poiché ci vorranno ancora un paio di mesi a che sia completo). Un'intera parete grande di esso, si apre, rientrando nelle pareti laterali, e permette uno sfondo di scena vastissimo.

Sull'impianto di luce, che il dottor Gariazzo sta pensando di fare nel tea­ tro, dobbiamo conservare il massimo riserbo perché si tratterebbe di un'asso­ luta novità.

La cortesia del dottor Gariazzo ci ha portati anche a visitare i locali destina­

ti alla coloritura delle films, che se sono ancora in erba, promettono - da quan­ to si può vedere - che la medesima cura sapiente e attiva veglierà a loro.

La produzione fatta in questi primi cinque mesi di vita della Savoia Film è

veramente sorprendente: sono circa quaranta films che attendono la program­

mazione in questo prossimo inverno e non noi ma il pubblico giudicherà della

loro eccellenza. Possiamo soltanto assicurare che i lavori sono eseguiti con cri­ teri veramente artistici, c con una cura minuziosa di ogni particolare tecnico c scenografico, così da apportare una felice innovazione e da far risaltare - anche a occhio profano - la bontà delle films c della loro esecuzione. Un complesso

direttivo e artistico di prim'ordine - del resto - qual è quella della Savoia Film,

dà affidamento che le cose sono fatte a dovere, specialmente nel momento attuale fortunato che attraversa la cinematografìa, e nella presente gara delle case per conseguire la superiorità della produzione.

A parte le cose pronte un lavoro continuo e diligente sta preparando importantissime novità. Non vogliamo commettere indiscrezioni col citare anzitempo le cose da

noi viste, ma non possiamo tacere che le films proiettate a noi, e che saranno le

prime ad essere programmate, sono di una bellezza e di un interesse grande e si staccano non poco dal genere solilo delle produzioni di tutte le Case, che

badano più al lato commerciale che all’affermazione artistica. Films drammati­ che, dense di emozionanti episodi e situazioni, svolti logicamente e ricchi di

sfumature e intonazioni; commedie giocate divinamente bene ed esilaranti assai, e comiche... comicissime e di buon sangue, aspettano il loro appello

nominale per presentarsi sullo schermo e ricevere il battesimo del successo. E il successo non potrà certamente mancare data la generale simpatia della

quale e circondata la Savoia Film e la persuasione in tutti che qualcosa di nuovo sta per entrare in campo.

La Savoia Film sarà fra poco la concorrente temuta c formidabile delle altre Case e non solo torinesi e noi le auguriamo non il successo, ma un trionfo

che coroni i voti dei suoi ideatori c cooperatori e ripaghi costoro della vigile

cura spiegata nella preparazione c nella esecuzione di tutto. Naturalmente una Casa così ben organizzata, oltre al personale direttivo e artistico, ha alle sue dipendenze anche quello indispensabile per fotografia,

stampa, chimica, pittura, decorazioni, sarti ecc., tutto personale assunto in gran numero c in ordine già.

L’organizzazione commerciale affidata specialmente alle sapienti cure del

signor Daniele Plucker sta poi per completarsi e integrarsi, in modo definitivo in questi giorni, così che i prodotti della Savoia Film contemporaneamente che da noi saranno lanciati in tutto il mondo cinematografico dai migliori agenti del ramo,

ormai in attesa della parola d’ordine per iniziare la loro... campagna vittoriosa. Naturalmente questa nostra breve e incompleta descrizione, non potrà

dare l’idea esatta dell’importanza dello stabilimento e di quella che assumerà la Casa colla sua produzione, ma i conoscitori dell’arte nostra potranno immagi­ narsi quello che noi abbiamo taciuto, o perche non conviene ancora palesare o perche si attende l’assetto completo per riparlarne. "La Vita Cinematografica” intanto, che per prima diede il saluto augurale a

questa Casa, rinnova ora i suoi caldi voti per l’ottimo coronamento del lavoro

compiuto, in attesa di interessarsi e più diffusamente in un prossimo avvenire. La vita cinematografica a Roma *

Ulrico Imperi [7hi una descrizione e un’altra non manca l’occasione per pubblicizzare alcuni

prodotti: ad esempio, durante la visita al teatro della FERT, a Roma, l’autore rac­ conta brevemente come in questo grande stabilimento sappiano utilizzare al meglio le proprie nuove apparecchiature, citando così il marchio e la ditta forni­

trice di impianti di luce.] La FERT, già da qualche tempo, lavora nel suo grandioso stabilimento, nella son­

tuosa Villa Anziani, a Via Nomentana. Ha da poco terminato il rifinimento di uno dei suoi teatri che ha tutto il gaio aspetto di una cosa d’arte, con la precisio­ ne d’una costruzione industriale. Il teatro di posa e il più grande di tutti quelli di

Roma, ed essendo l’ultimo costruito è il primo nell’ordine e nel perfezionamen­ to. Situato nel centro di una grande costruzione in muratura, ha per isfondo

un’ampia tettoia, grande quasi quanto il teatro stesso, adattatissima alla lavora­

zione completa a luce artificiale, ch’è data da una numerosa dotazione di lampa­ de Jupiter, dalla luce fìssa e perfetta che dà risalto e vita alla fotografia, con gio­

chi di luce e ombre, dall’effetto il più artistico e vivace, e consentono di lavorare quando il ciclo è grigio, c di notte. Le lampade, perfettissime, superiori a tutte le concorrenti, sono state fomite dalla Ditta Enrico Piumati & C. di Torino.

* Ulrico Imperi, La vita cinematografica a Roma, in “La Vita Cinematografica”, XI, nn. 9-10, 7-15 marzo 1920, pp. 103-4.

Da un lato di questa tettoia si va - come in un comodissimo palazzotto -

ai vari camerini degli artisti» i quali, senza uscire allo scoperto, possono così, a tutto loro agio, andare e venire dal teatro. Al lato opposto sono situate le attrezzerie, la scenografia e la falegnameria; il tutto in modo così comodo e razionale, che non solo il personale c alla por­

tata di mano c dei cenni del solerte scenografo Giulio Lombardozzi, e dei numerosi direttori artistici, ma da un momento all'altro si possono apportare quei rapidi cambiamenti di scenario, come se in questa lavorazione si dovesse procedere con la quasi rapidità necessaria a una esecuzione teatrale. Ho visitato lo stabilimento a più riprese, dall'inizio della sua costruzione

che ha segnato un'eccezione di rapidità, a qualche giorno addietro, quando già da tempo ferveva il lavoro dei numerosi film che sono per essi editi e lanciati alla proiezione. La solerte rapidità del concetto esecutivo del signor Enrico

Fiori, in tutto ciò coadiuvato dalla consumata esperienza di Giulio Lombar­

dozzi - il tecnico del movimento scenico che fra tutti gli scenografi attivi e il più attivo - e ammirevole. Un'altra volta vi dirò più ampiamente e dettagliata­

mente dei lavori che si stanno ponzando c compiendo, dei vari direttori e degli artisti» essendo, queste mie poche osservazioni, tutte personali e obiettive.

Una visita alla società italiana cinematografica “Unitas”’

Veritas [Uincremento della produzione cinematografica ha senza dubbio creato un nuovo

settore nell’industria italiana, aumentando così anche la richiesta di lavoro e di specializzazioni: di questo parla /'autore Veritas, rispetto all *attività

della Un itas

e ancora II Rondone rispetto alla Centauro Films, entrambe a Torino. Questi ultimi sono fra gli stabilimenti più moderni negli anni 1911-12; pos­ seggono caratteristiche molto avanzate per Tepoca, a cominciare dalle loro strut­

ture. (Hi autori si soffermano soprattutto sulla grandezza dei teatri e sul numero di laboratori che occorrono per gestire ogni attività: laboratori di sviluppo e stam­ pa, di coloritura, macchine perforatrici e via dicendo. Anche i magazzini hanno la

loro importanza e infatti ne sono riportate alcune brevi descrizioniA

Informati che - dopo un breve periodo di tregua c preparazione - l'Unilas sta per risorgere a novella vita, con criteri nuovi e promettentissimi, abbiamo volu­

to assicurarci de visti se ciò corrispondeva a verità» recandoci allo stabilimento»

sulla strada della Pellerina» a pochi passi, cioè» dalla Barriera del Martinetto.

La prima impressione che si prova, giungendo a quel luogo incantevole e apparentemente tranquillo, si è quella che, invece di una casa cinematografica»

ci si trovi in una valla sontuosa e sterminata» con castello, prato, boschi, aiuole»

torrenti» cascate ecc.» un ritrovo poetico, insomma, abitato da persone fortuna­ te c godenti tutti gli agi della vita, piuttosto che da una moltitudine di gente

affaccendata a un lavoro premuroso, ininterrotto. Tale impressione spari com’ Veritas. Una visita alla società italiana cinematografica "Unitasi in “La Vita Cinemato­ grafica’'. il. n. 16. 20-2$ settembre 19», p. 8.

plctamentc, non appena varcammo la porta dello stabilimento, per lasciare il posto alla visione reale delle cose, assai diversa e confortante.

Guidati gentilmente dall’egregio ingegnere Omcgna, direttore generale, la

nostra visita di ogni reparto cominciò dalla grandiosa palazzina, adibita a pian terreno per gli uffici di amministrazione, arredati con gusto squisito, e ai piani

superiori per camere di sviluppo, stampa, gabinetto di chimica, macchinario ecc., il tutto disposto in modo che dinota un grandissimo ordine e un criterio direttivo che fa bene sperare per l’avvenire della Società. Un immenso spiazza­

le, circondato di piante e aiuole, separa questa palazzina dal teatro di posa -

aperto - il di cui palco misura la bellezza di zoo metri quadrati, e sul quale gli artisti possono lavorare a tutto bell’agio e a riprodurre scene le più grandiose c complicate. Attigua al teatro è stata costrutta una vastissima tettoia, ove è depo­ sitata una grande quantità di scenari, e accanto a questa una seconda, e più vasta, per deposito della mobilia, divisa in vari reparti, a seconda delle diverse epoche. Qui sono anche ammassati un gran numero di costumi - dal 1000 all’e­ poca presente - cric un magnifico reparto attrezzeria con armi delle varie epo­ che; la sartoria con magazzino vestiario; un vasto camerino per la toeletta delle comparse e i diversi camerini degli artisti, assai spaziosi, ben disposti, muniti di

ogni comodità, mobiliati elegantemente e illuminati a luce elettrica. Tutto il personale dello stabilimento poi è sensibilmente aumentato: artisti, fotografi, operatori, personale di sviluppo, stampa, sarte, attrezzisti, macchinisti

furono in questi ultimi tempi assunti in gran numero, e dovunque ferve un lavo­ ro febbrile, che preludia all’imminente inizio delle programmazioni di una note­ vole quantità di films, elaborate ed eseguite con ogni cura e perfette, sia dal lato artistico che tecnico. È stato persino assunto un apposito personale per l’elabo-

razione dei soggetti e con nessun’altra attribuzione che questa! La Società ha un nucleo di artisti assai bravi, che lavorano con amore e coscienza per questa attesa resurrezione, sicché niun dubbio che i lavori che

quanto prima saranno lanciati sul mercato cinematografico, otterranno quel successo schietto e unanime che servirà di sprone e incoraggiamento; di ciò ce

ne dà affidamento la competenza del direttore artistico signor G. De Witten c l’abilità degli artisti principali: signorina Lorini e signori G. De Sarto e Cesare Zocchi, che conosciamo personalmente e apprezziamo quali ottimi clementi.

La nostra impressione, dopo questa visita, si e che l’Unitas prenderà quan­ to prima un posto importante fra le Case editrici italiane, le quali lanciano i loro prodotti in ogni angolo della terra, tenendo ben alto il prestigio della nostra

industria cinematografica. E tale c il nostro augurio.

Uno sguardo alla “Centauro Films”* Il Rondone Della Centauro ci interessammo altra volta su queste colonne stesse, quando

cioè sdoppiatasi l’Unitas, l’egregio ingegnere D. Omegna diveniva proprietario * Il Rondone, Uno sguardo alla 'Centauro Films'\ in “La Vita Cinematografica”, n. 14, 30 luglio 1912. pp. 18. 31.

dello stabilimento della strada Pellcrina. Allora accennavamo ai propositi di

questo attivissimo giovane di fare assurgere la sua Casa al livello delle altre, nulla trascurando pur di raggiungere questo fine; oggi possiamo affermare che

la cosa è un fatto compiuto. Non mancano che gli ultimi ritocchi allo stabili'

mento, perché la Centauro possa prendere il suo degno posto fra le Case edi­ trici italiane: e di ciò ci rallegriamo sinceramente, congratulandoci coll’ingcgnere Omegna e con quanti finora lo hanno coadiuvato. Una visita di volata ci permise di assicurarci che le nostre previsioni non

erano errate, quando dicevamo che (’ingegnere Omegna ci dava affidamento di saper fare le cose bene.

Il teatro di posa - in ferro c vetri - esposto in piena luce c munito di tutto

ciò che è indispensabile alle odierne esigenze dell’arte, venne costrutto, su pro­

getto dell’ingegnere Albera, nella Officina-Sala. Misura 25 metri di lunghezza per 1$ di larghezza e 13 di altezza. A giorni sarà pronto. Le nostre fotografie

furono prese parecchi giorni indietro, mentre ferveva il lavoro per coprirlo e tutta l’armatura era compiuta. Oltre a questo venne conservato il teatro sco­ perto, a velari, anch’esso spazioso e ben disposto, così che due compagnie

potranno comodamente lavorare e fra poco avrà inizio il periodo attivo di pro­ duzione, per la quale abbiamo ottime promesse che saranno indubbiamente

mantenute. Intanto nuovi artisti vengono ad aumentare il numero di quelli preceden­ temente scritturati, e che altra volta menzionammo, e fra questi ricordiamo le

signorine Scolari Emilia, Balladori Esterina, Marchetti Costantina e il signor Galeotti Giuseppe noto attore drammatico, proveniente dalle migliori com­ pagnie. Anche la troupe comica è a posto: quale protagonista venne scritturato il signor Quest Cesare (Tartarin) che presentiamo ai lettori. Egli e allievo di Poli-

dor (Tontolini) col quale lavorò fino a poco tempo fa presso la casa Pasquali. Ha ottime disposizioni ed è animato dalla migliore volontà per riuscire e noi non dubitiamo che saprà farsi apprezzare: quelli che lo precedettero in questo

genere diffìcile, e che oggi sono notissimi e ben quotati, fecero anche loro i primi passi incerti e studiando riuscirono.

Venne notevolmente aumentato il personale tecnico, il numero degli ope­ ratori e il basso personale per i servizi diversi; come pure venne costrutto il

garage per le automobili e sono in ordine i diversi magazzini di scenari, attrez­ zerie, mobili, vestiario ecc.

Il direttore artistico signor De Witten, venuto in cinematografia passando per il palcoscenico dei migliori teatri e con primarie compagnie (Novelli, Ema­

nuel, Ernesto Rossi, Maggi) moltiplica la sua attività perche tutto proceda bene, a ciò ottimamente coadiuvato dal De Sarto, che, date le esigenze del lavo­

ro, abbandona il ruolo di attore giovane.

Che di più? I migliori auguri della u Vita Cinematografica” in attesa di regi­

strare - a fra poco - il successo morale e finanziario della giovane c promet­

tente Centauro Films.

TEATRI DI POSA

67

*** [G7z interventi di questo genere sono indubbiamente lusinghieri nei confronti di queste case, tanto da esaltarne la perfezione e farle diventare fabbriche di sogni e

speranze, come avviene nell’articolo già riproposto in precedenza, parlando della visita all’itala Film, nel 1921.

In alcuni casi, si parla delle opere in corso, ma non sempre vengono date

informazioni approfondite; come pure nella descrizione degli impianti in via di utilizzo si mantiene un certo riserbo, su richiesta diretta degli accompagnatori di turno, poiché si tratta di novità assolute, non ancora sperimentate.

Nella maggior parte degli articoli non manca il riferimento al numero di pro­ duzioni annue italiane, considerate con tono rassicurante verso il lettore che tre­

pida in attesa dell’uscita di un’opera. Lo spazio occupato da questo argomento sulle pagine delle riviste è molto

ampio. Questo avviene perché il modo di affrontare l’argomento è quello di rac­ contare dettagliatamente ogni aspetto di un teatro di posa. Esso racchiude in sé

una duplice dimensione: quella artistica e quella tecnica. Per poterne parlare suf­ ficientemente e analizzarne gli elementi nel modo più completo, più semplice e interessante possibile, l’autore spesso è costretto a ricorrere a questa forma. Ciò gli permette di rimanere vicino al lettore, rendendolo partecipe e complice della sua perlustrazione.}

Note

1. Cfr. V. Mariani, Guida pratica della cinematografia^ Hocpii, Milano 1916.

Regia a cura di Melita Mandala

[Mentre per argomenti come il trucco, la scenografia, la costumistica, è possibile seguire una linea abbastanza uniforme per quanto riguarda la forma di presenta­ zione e, quindi, di divulgazione, nell'affrontare la questione del regista ci si trova

difronte a una serie di elementi eterogenei: la pubblicazione di lettere, la confes­

sione del regista in prima persona, elogi, e così via. Gli spazi occupati sulle rivi­ ste da questo argomento sono piuttosto ampi, hanno una lunghezza media di due,

tre pagine, al di fuori delle brevi recensioni che ne trattano solamente le capacità nel contesto generale deiropera trattata.

La prima evoluzione evidente che si nota nella successione degli articoli pub­ blicati tra il 191} e il 1926 sulle diverse riviste italiane, riguarda il cambiamento

della parola che denomina il ruolo di “regista *: “direttore artistico *,

inizialmente è ancora definito

o met tour cn scene, anche se Edoardo Niga nell'articolo sul

“Maggese Cinematografico *,

come vedremo poco più avanti, cerca di delinearne

la specificità del ruolo e soprattutto l'importanza- Negli articoli successivi, poi,

viene adottato il termine “direttore *,

a cui si cerca di dare una specificità profes­

sionale ben precisa. Quello che sembra fondamentale in questa figura è la capa­

cità di saper coordinare le numerose persone che intervengono per la realizzazio­ ne di un'opera filmica, la capacità di saper fronteggiare le improvvise situazioni problematiche, di saper scegliere ogni elemento, da quello più tecnico a quello più teorico. Colui che dovrebbe, quindi, anche tenere insieme le fila del lavoro di

tutta una troupe.}

Le peculiarità artistiche di Augusto Genina Aldo Gabrielli

Mai come nella Cinematografia la responsabilità di uno spettacolo pubblico incombe intera e assoluta sul direttore artistico. Nelle comuni scene di prosa o

di canto, l’opera di questo direttore gode di mille rifugi e di mille schermi per

i quali può, all’occorrenza, celare in tutto o in parte le deficienze e le mende che qua e là possono infirmarla.

Ed ora la cantante àfona, ora la tirchieria deirimpresario che lesina sulla luce e sugli scenari, ora il primo attore che ha bisticciato col capocomico e, * A. Gabrielli, Le peculiarità artistiche di Augusto Genina, in "La Rivista Cinematografi*

ca*. vii, 20*30 ottobre 1926, pp. 12,15.

REGIA

69

alterato come, dà al personaggio un risalto che non deve avere: e così via di

questo passo, tutti questi non sono, in fine, che diversivi opportuni e provvi­

denziali che possono salvare, desiando l’osservazione, le deficienze del diretto­ re artistico. Nella Cinematografia, no. Le cose qui van ben diversamente. Comincian­ do dalla base. E dove là son biglietti da mille, qui ballettano milioni e quando

ci son milioni per lo meno, la raucedine dell'attore. la scarsezza degli effetti di luce, la striminzita venustà dei costumi sono scuse che non attaccano, non fanno che aumentare il disdoro contro il direttore poco abile. Gli è che il direttore artistico cinematografico è il perfetto detti ex machi­

na di tutte le situazioni sceniche. Anche se la prima attrice ha i nervi, tocca al

direttore farglieli cambiare; c se non ci riesce, questo direttore è per tre quarti liquidato nella considerazione di chi gli è da presso, e lo paga, e gli ubbidisce. Ecco quindi questo sciagurato novello Atlante, sollevar sulle spalle pazien­

ti l’urbe e l’orbe cinematografico. E debbono essere spalle robuste, che è un momento piegare giù sotto il peso non lieve. Dalla scelta dello scenario, dalla sua impostazione riguardo alla parte arti­

stica c tecnica della realizzazione, dalla scelta degli interpreti, dalla recitazione vera e propria fino al taglio e finanche allo smercio della film, questo paziente

cireneo deve necessariamente dimostrar sempre dovunque quella capacità assoluta e indiscutibile che è il segreto primo, e forse ultimo, della buona riu­

scita di tutto il complesso lavoro: che va. Io ripetiamo, dal lavoro di tavolino per opera dell’autore, fino a quello della "cassetta” per opera della biglicttaia

nella sala di proiezione. Capacità, dunque, assoluta e indiscutibile. E così fattamente e incredibil­ mente mutevole e duttile alle più mutcvoli c duttili contingenze c situazioni

impensate e prevedibili, che rendono questo direttore artistico, dopo l’Atlante metaforico, anche, e più forse il vero Proteo della baracca cinematografica. Non deve quindi destar meraviglia, ne deve condurre i solili necrofori e piagnoni quotidiani a tirar le loro conclusioni pessimistiche e catastrofiche, il fatto che di direttori artistici veramente "in gamba”, tali cioè da rispondere con

egual capacità e destrezza a ogni fase, principale c accessoria del loro mestiere, ce ne sono, fra l’Italia e l’estero, pochini pochini davvero. Direttori completi,

intanto, come m’intendo io (che, tra parentesi, non ho mai fatto il direttore c certo non lo farò mai) in Italia ce n’c tre. Dico solamente tre. Non faccio, ben inteso, nomi. O, meglio, ne faccio uno solo, per lasciar modo a tutta la pleiade

direttoriale italiana di coricarsi sul comodo tettuccio dell’illusione, la quale concede di credersi inclusi nella felice coppia residuale. Quest’uno solo che

nomino è precisamente Augusto Genina.

Lo so; non ho fatto nessuna scoperta. Augusto Genina, mi si dirà, è Augu­ sto Genina da qualche anno e non ci voleva questa chiacchierata per venircelo

a rappresentare. Naturalmente. Una cosa però mi sembra che nessun altro abbia detto finora, di questo giovane direttore cinematografico, sul quale tut­

tavia c’è scritto parecchio, c anche troppo, c anche non troppo giustamente c sinceramente. Oggi, invece io voglio essere sincero, c credo anche giusto.

Genina, ho detto, e un direttore che mi piace. Dirige bene. Più brevemen­ te: dirige (giacché io credo che dire direttore di uno che dirige male e un con­

trosenso). Ha, anche lui, delle mende, dei momenti di debolezze, delle, come

dicono i francesi, défaillance. Li ha. Ma siccome anche babbo Omero, eh’è babbo Omero, ogni tanto dormicchiava, anche Genina mi può rispondere che

lui, quando gli pare comodo, dormicchia. E io gli do ragione.

Però, quel che si ha il diritto di esigere è questo: che quando uno che dorme si sveglia, si svegli bene e agisca bene. E Genina fa precisamente così. E si fa ammirare e si fa perdonare a usura quella parte che può apparire, di lui, meno nobile.

Tutto questo eh’è, che voi vedete, un grande merito degno di grandissimo elogio, egli lo ottiene però, con un sistema incredibilmente umile, direi trascu­ rabile, dirci mite; con quello che nelle scienze c nelle arti in genere si definisce

il sistema del minimo mezzo. Perche Augusto Genina è, in realtà, il direttore delle minuzie, il direttore che si tiene con le unghie agli orli anziché coi piedi alle basi, il direttore che corre dietro alle ombre, alle mezze tinte, agli scorci, ai riflessi, anziché ai corpi concreti e alle immagini palesi c tangibili.

Questo è Augusto Genina: l'innamorato del particolare, a tutto interesse del generale. Ed è questo il pregio mirabile, la preziosa chiave con cui il giovi­

ne artista apre il secreto scrigno dei cuori e degli intelletti degli uomini.

Mi occorrono alcuni paragoni.

Il costruttore geniale, il costruttore principe, quando deve metter su palaz­ zo, che fa? Comincia con lo studiare, millimetro a millimetro, la forma del mat­ tone che gli deve servire a innalzare il palazzo. Poi perde due o tre ore a stu­

diare un ghirigoro, ne perde cinque a disegnare lo stipite d’una porta, perde tre giorni a ideare un cardine, un cornicione, una maniglia. Ma non perde, in

realtà, né ore né giorni: li guadagna. Perché alla fine, con fatica infinitamente minore in proporzione a quel che si ottiene, il palazzo vien su che c una mera­ viglia. E quel ghirigoro, quello stipite, quel cardine, che sembrano risibile cosa

di fronte al poderoso resto, si vede invece che sono le chiavi di volta di tutto l'effetto finale e complessivo. Ancora. Un generale che voglia ottenere una vittoria piena e assoluta, e

non la vittoria parziale c, il più delle volte in conclusiva, che fa? Suddivide la

vittoria idealmente concepita in tante piccole vittorie isolate. E se quella è in effetto pressoché impossibile, queste, in un percento almeno assai elevato, sono

possibilmente c quasi certe. E bastano cinque, sei piccoli assalti ben condotti e

ben disposti per far crollare tutta una fronte immensa, e per ottenere quell’intento che il generale si riprometteva.

Esempi, lo capisco, empirici; ma anche efficaci. Perché Genina è davvero

il costruttore che sembra perder più tempo intorno alla forma del piccolo mat­ tone e tiene più a guidare i suoi soldati a venti piccole vittorie isolate ma certe che al rischio di una solo grande vittoria impossibile.

Io non conosco Genina di persona e non l’ho mai veduto dirigere né l’ho mai udito parlare né pure per radio telefonia. Ma io giurerei che quando Geni­ na ha in mano uno scenario da realizzare, prima cosa che fa è quella di smern-

REGIA

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brado, spezzettarlo, triturarlo per vedere (come fanno i bambini che sono i

principi delle osservazioni) come e fatto udentro”.

E se Mdentro” è fatto bene allora capisce che anche il di fuori verrà bene. Sostanza? No, per dentro non si intende dire sostanziabilità dello scenario, che

è espressione metafisica di dubbio significato; per dentro si intende soltanto: peculiarità assoluta dei membri che si prestano in modo particolare alla realiz­ zazione filmistica. Se la peculiarità non c’c, lo scenario non serve; o, per lo

meno, servirà a un altro direttore che non e Genina. A meno che lo stesso Genina, con fine intuito e geniale abilità, non capisce che quel dentro famoso lo può rimpolpare benissimo e ossigenare con le mani sue.

Genina, dunque, analizza il soggetto. Ma non lo analizza con la pedante­ sca prolissità diluitrice dei vecchi romanzieri d’appendice, né tanto meno, con

la pazzoide vacuità di certi pittori modernisti. Genina analizza con quel siste­ ma che è forse più stringato e sbrigativo di un sistema sintetico. Perché egli ricorre allenatisi, sì, ma sa legare i frammenti con quella linea ideale che è piti

spicciativa ed efficace a creare una compiuta sensazione.

Anche qui un esempio per capire o per spiegarmi meglio. Genina deve rappresentare un teatrino di paese. Come fare? C’c il modo

solito: si può fotografare Icstcrno, si può fotografare l’interno, onde mostrare

la povertà, la miseria di quel teatrino. Genina ricorre a ben altro. Ti fotografa un lato del loggione, con in primo piano, uno scugnizzo che sbuccia un aran­

cia coi denti e che sputa giù il pezzo di buccia.

Il pezzo di buccia cade in platea, sul capo di un signore calvissimo, che si volta, mostra i pugni, protesta. Senza una didascalia, senza nessun intermezzo, Genina salta in palcoscenico, entra nel camerino della prima attrice, la quale

sta infilandosi, per esempio, una calza: Genina ti fa vedere che quell’attrice,

quella prima attrice, scopre un buco enorme sul calcagno della sua calza: nien­ te paura: si fa un groppo, si cela il buco, la scarpa nasconde ogni cosa, e la prima attrice è pronta per recitare. Ora ditemi voi se quella buccia d’arancia e quel buco alla calza non han reso

il carattere miserevole di quel tal teatro meglio di trenta metri di film tra pro­ spettive panoramiche, primi piani e didascalie piene di suggestione letteraria.

E fa sempre, si badi, così: tanto nelle azioni degli uomini, quanto nella rap­ presentazione della natura. Sempre, e dovunque, il particolare, la macchietta,

l’episodictto, che sembra a volte sovrapporsi all’episodio centrale, e invece non serve, in fine, che a rafforzarne il rilievo, a moltiplicarne Tcffctto. Indagare l’origine di questo sistema d’arte, equivale a ricercare l’essenza

stessa dell’anima di questo direttore. Genina è artista nato, non fabbricato pcr casualità e tanto meno per abitudinarictà e assuefazione.

Fra Genina e uno di questi codesti direttori qui fortuiti c’è la stessa diffe­

renza che passa fra un orecchiante e Paderewski.

Genina è nato artista e ha quindi un suo stile che si manifesta, precisamente, in questa osservazione del particolare, e che sta a dimostrare quella con­ vinzione che non può non sorgere in chi considera attentamente una sua film *. Genina è un direttore artistico che non ha fretta.

Strano che nessuno abbia mai pensato di dare una sì fatta definizione del-

Kartista, nato; io dirci «è artista nato colui che nelle sue opere d’arte dimostra di non aver fretta». E mi sembra verissimo. Un esempio meraviglioso lo offrono le scene di

prosa: l'attore eccelso recita piano, calmo, con pause lunghe, con scatti imme­

diati, lunghi respiri, riprese lente, arresti, sospensioni. L’attore così così ha la smania di correre, sembra che abbia una gran fretta, sembra che non pensi ad

altro che a finire, a ingoiarsi tutta la pappardella che deve snocciolar negli orec­ chi di chi lo ascolta, per potersi, alla fine, fermare, con un lungo interior respi­ ro di soddisfazione per essere arrivato al traguardo senza rottura di gambe e senza sbucciature di piedi. Gli è che l'attore eccelso domina la parte là dove

l'attore mediocre ne c dominato. Cose vecchie anche queste. Sarà; ma Genina

e proprio come dico io, è proprio come quell’attore che non ha fretta, che non conta le righe che deve recitare, ma ascolta il tono che quelle righe devono ren­

dere c rappresentare. Se per il mestierante e le virgole e i punti e i punti e virgola non sono che

segni neri fatti così e così, per l’artista vero rappresentano invece né più né

meno che altrettanti stati e sfumature dell’animo, e rappresentano impeto, c

rappresentano dubbio e gioia e perplessità, c tutto quel che volete, che è come dire rappresentano la vita vera, e non la vita manufatta dei pupazzi meccanici

con tanto di molla e di chiavetta. Che pena mi fanno quei poveri direttori artistici d’occasione o d’ambizio­

ne che non hanno altro fantasma, dinnanzi, che quel massiccio fascicolo dove

si parla di parte prima e seconda e terza e così via, e di quadro numero uno e di primo piano numero X, fino alla liberatrice parola fine. Genina quel fasci­ colo non se lo ricorda mai. È spensierato, distratto. Perciò ha, beato lui, il

tempo e l'animo di occuparsi delle quisquiglie e delle coserelle; delle fronde, se volete, anziché dei tronchi. Ma è, badate bene, spensieratezza di quella sana, distrazione di quella apparente. Perché Genina fa (c lui me lo permette) come il gatto che ha acciuf­ fato il topo, e di quando in quando finge d'esseme dimenticato; ma provi un

po' l’animaletto a spostarsi solo di un centimetro, e sentirà che la zampa del

gatto gli e sopra, inesorabile. Questo artista, dunque, mi sembra Genina, uno dei tre direttori veri, ho

detto, che abbiamo in Italia. E a lui, se l’accetta, propongo questa insegna che non ha vanità letterarie, ma dice assai più forse, di una epigrafe piena di pom­

posità c risonanza: senza mai fretta. Le metteur en scène Edoardo Niga

[// metteur en scene è invece considerato dal professor Edoardo Niga, sul “Mag­ gese Cinematografico'', come esclusivo custode di un segreto, al di sopra di ogni altra professione, per la sua capacità di mantenere unica la sua posizione, attorno

alla quale ruotano tutte le altre, ]

* E. Niga, Le metteur en scène, in "Il Maggese Cinematografico", l, n. 3, 2$ maggio 1913,

pp. t-2.

REGIA

73

Dei numeri precedenti a questa giovanissima e simpatica Rivista, mi sono occu­ pato prima delle notabilità drammatiche, poi degli attori cinematografici, in relazione alla forza che potrebbero e che dovrebbero esplicare in cinematogra­

fia, portandole un altro considerevole sviluppo. Voglio occuparmi oggi, così brevemente, parlando del rnetteur en scène, sulle cui spalle gravita tanta responsabilità! Le rnetteur en scène, per mio conto, più che un direttore, sarei tentato di

qualificarlo per un pittore... e un pittore non dedito particolarmente a questa

o quella scuola, a quello o qucsfaltro sistema, ma dato tutto a le varie pitture di luci, ombre, colori, chiaro-scuri, sfondi, contorni, moto, essenza, verità, pla­

stica, atteggiamenti che sola può abbracciare c circoscrivere nel cerchio d’un

attimo quella sublime creatrice che e la natura! ! ! Infatti, le rnetteur en scène, non è soltanto colui che dirige un atto e sugge­

risce un’intonazione più vera all’attore. No, le metteur en scène c poco meno che un autore'. Non so se nessuno di coloro che leggeranno abbia mai assistito all’esecu­

zione di una film. Io e già da tempo che mi sono tolto il curioso capriccio... e non nascondo che la prima volta che ebbi occasione di seguire una di queste

singolari esecuzioni, così sostantivamente diverse dagli usi dei palcoscenici,

non nascondo che ne riportai una vivissima sorpresa! Infatti su di un palco­ scenico un attore si accinge alla prova dopo avere già bene studiata c conside­

rata la parte... ma in cinema nulla affatto di tutto questo!!!

Un attore (ho avuto modo di constatarlo seriamente) molte volte si veste e

si dispone ad eseguire ciò che, indeciso, già sia trapelato e divulgato da un’al­ tra Casa concorrente e alla vedetta! ! ! Queste sono guerriglie commerciali c nessuno ha nulla a ridirci. Il com­

mercio si difende... gli effetti ne ricadono sul valore dell’arte! Ma c inutile, per il momento, ritornarci sopra... forse, col tempo, riporte­

remo questa questione gravissima trattandola nelle sue cause. Ora mi ripeto. L’attore cinematografico si dispone all’interpretazione della sua parte

senza sapere ciò che farà! Solo le rnetteur en scène e il nume che custodisce c mantiene il segreto. Voltaire ha stabilito tra le tre cose più difficili a farsi nella vita, questa: custodire un segreto1 .

Ebbene, voi troverete, forse, un avvocato a cui accorta interrogazione, potrete rubare un barlume di luce sul sistema di difesa del cliente: voi potrete trovare un medico che vi traccerà uno schiarimento ambiguo, sì, ma pur sem­ pre uno schiarimento sul vero stato di salute del suo illustre infermo: voi potre­

te trovare un notaio pronto a lasciarvi capire ch’egli è l’unico ed esclusivo

depositario dell’incartamento di tutta una cospicua famiglia: voi potrete trova­ re una bellissima donna, sempre condiscendente a rivelarvi il segreto più inti­

mo (sia pure anche fisico) del suo più segretissimo amante; ma voi non riusci­

rete mai a trovare un rnetteur en scène disposto a darvi la più piccola informa­ zione sul tema ch’egli dipanerà misteriosamente cupo, come la prima Parca

('loto'. !

MELITA MANDALA

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Un metteur en scène è un uomo tenebroso! Si porta sempre un pensiero

fitto davanti agli occhi; egli lo vede da per tutto; lo segue, lo tocca; non parla! ! Simile ai poeti, vive sempre nelle nuvole... c qualche volta ne casca!!

Sul foglietto di carta bianca, che gli viene consegnato, forse le parole scrit­ te sono quattro, rìgide e dure come le linee d’un quadrato. Da queste calcinate parole, deve scaturire l’effetto. 1* interesse, il colpo di scena. Varmonia. V insieme'.

[...] Non lo toccate: badate di scegliere il momento opportuno per parlargli:

mentre forse vi accingete a rivolgergli una sciocca domanda, egli sta tra sé con­

fabulando, che in quel dato angolo della terra, o in quella famosa ascesa del monte, v’c un magnifico sasso, da cui un'attrice può spiccare un salto terribile,

e precipitando spaccarsi la testa con la massima naturalezza!!! La naturalezza!!! La naturalezza; ecco la vera prerogativa della cinemato­ grafia, ecco l’incubo del metteur en scène di genio. «Devo far parlare gente che in effetto deve restare muta», egli dice a se stesso! ! Ma vi e mai riuscito di articolare una sillaba senza muovere la lingua??

Povero metteur en scène, su cui ricade tutta la responsabilità dell’insucces­ so d’una programmazione!

Egli dev’essere da per tutto: egli deve vedere tutto cercare tutto! Guai se gli sfugge il più piccolo particolare: ne uscirà subito un contrasto stridente, un

controsenso; basta un nulla e la sua naturalezza affogherà irremissibilmente in

un bicchiere d’acqua!! Così vanno tutte le cose del mondo! A una a una formano un’unità subli­

me: scomponetele e non avranno più forma. Basta la macchiolina sulla punta di un bel nasino a sciupare un volto soavissimo. Questa e cosa vecchia! Se il

mondo e un’armonia, non è mai fatta tutta di armonie la vita! Essa e, e resterà

pur sempre un risultato relativo: qualche maligno potrebbe anche aggiungere: molto relativo! Un vecchio professore d’istituto mi disse, una volta: «Eccoti un

buon programma per vivere: concedi tutto a tutti. Sii pratico: l’assoluto non

esiste!». Come parlando dei metteurs en scène, sia stato tratto a considerare l\/.wolulo non saprei: pure e steso per il mondo un sottilissimo filo, tanto da essere quasi invisibile, che propaga a tutto, via via passando, una porticina di scintil­ la! La scintilla nostra, oggi e passata ai melteurs en scène'.

Perché poi sia uso chiamarli con la formula francese non saprei, forse, il

nostro italiano - direttore - non è abbastanza elegante... ma, mio Dio, è tanto più breve! Tacito e in ribasso!!!... Ma questo e positivo: metleur en scène o

direttore, la persona a cui è affidata la conduttura delle films è sempre tra l’in­ cudine e il martello! Chi sta sopra, chi sta sotto, chi sta intorno... tutto con­

corre a fargli girare la testa!

E qualche invidioso ha il coraggio di chiamarlo un mestiere facile e profi­

cuo!! Per profìcuo, passi, ma facile... non so se da quanto ho detto può risul­ tarne il contrario... a ogni modo si potrebbe provarlo. Ma ormai qui, sarebbe troppo lungo. Questo solo si può accertare! Le met­

teur en scène, dispone di un’arma potente c pericolosa: solo la sua intelligenza.

REGIA

75

la sua osservazione e la sua resistente pazienza può fargliela, tra tanti ostacoli, adoperare con arte, con sentimento, con equità! !

Si, perche voi soli, melteurs en scene, pieni di responsabilità c di pensieri, e voi artisti spogliati d’ogni responsabilità e d ogni pensiero di studio, voi soli

siete coloro che potrete dare alla cinematografia ciò che ancora le manca... e

che appunto gl’intellettuali le rimproverano! Augusto Genina e la “Signorina Ciclone”* Augusto Genina [La classificazione dei ruoli e le rispettive attribuzioni di meriti o demeriti sono

un altro problema su cui si trovano spesso annotazioni. La pubblicazione della protesta di Augusto Genina nel 1918 sulla “Vita Cinematografica" è un chiaro esempio di come si evinca la mancanza di collaborazione tra le diverse figure pro­

fessionali e quindi la conseguente confusione di ruoli. In questo caso il problema

si pone sul film La Signorina Ciclone, sul quale Genina rivendica lo statuto di

unico realizzatore contro le false affermazioni, a sua detta, di Lucio D'Ambra a sua volta difensore del proprio genio sul film.} Signor Direttore,

ne *11 Piccolo” del 29 marzo, in un articolo su Napoleoncina della Do-ReMi, si parla nuovamente di Lucio D’Ambra, come autore della Signorina Ciclo­

ne. Questo non sarebbe nulla; è cosa di ogni settimana. Lo strano c che si parla di me come suo imitatore, con i films Lucciola e Maschiaccio, «tutte le Luccio­

le c tutti i Maschiacci» dice l’articolo. La persistente pubblicazione di cose non vere, che, se non riescono a dan­ neggiarmi artisticamente stancano la mia pazienza, mi costringe a una necessa­

ria rettifica onde rivendicare la paternità della Signorina Ciclone e, di conse­

guenza, l’originalità dei suoi films gemelli Maschiaccio e Lucciola, ma special­ mente di quest’ultimo, che, se le somiglia in parte, è pieno di tutta la dolorosa poesia che un poeta di squisito sentimento e di molto ingegno, Fausto Maria

Martini, ha voluto e saputo infondergli con la sua opera costante e preziosa. Ma ecco ora, qual c la vera storia della Signorina Ciclone.

Alla Medusa Film, ove mi trovavo nel gennaio 1916, si pensò di far seguire una commedia al dramma di Giannino Antona Traversi, Il Sopravvissuto, che era stato il lavoro d’inaugurazione della Casa. Era il momento delle riduzioni

di opere d’autore; avevamo bisogno di un nome da mettere come etichetta al

film, c io suggerii Lucio D’Ambra, che era stato molto gentile scrivendo un articolo, magnifico e lusinghiero per me, sulla prima visione del Sopravvissuto. Si approvò l’idea c il giorno dopo, mi presentai a lui, alla “Tribuna”, con la

trama della commedia. Quando gliela lessi, Lucio D’Ambra la giudicò divertentissima e gli piac­ que talmente, che trovò subito il titolo: La Signorina Ciclone. Egli si prese le

* A. Genina, Augusto Genina e la "Signorina Ciclone9, in “La Vita Cinematografica”, ix. n. t$-i6, 22-30 aprile 1918, p. 8$.

* cartelle e io la sera dopo andai al suo villino per sottoporgli la sceneggiatura

delle due prime parti. Da certi corteggiatori che avevo messo intorno alla ragazza americana * venne a Lucio D’Ambra l’idea dei sette peccati mortali * e il

finale graziosissimo.

Nei giorni seguenti * alla lettura delle ultime inquadrature, ci fu anche discussione perche egli voleva far uscire quanto più fosse stato possibile dai

limiti della realtà (ciò che ha poi fatto in tutti i suoi lavori) le figure dei sette peccati mortali e costringere le ultime parti in una azione meno serrata c incal­ zante. Sottoposta la questione ad alcuni amici di Lucio D’Ambra, convenuti

nel suo salotto, la mia versione fu la prescelta. Questo per il copione. Riguardo alla messa in scena, cioè alla vera e pro­

pria creazione del film (e ormai fuori discussione che il copione di un soggetto cinematografico, serve a un buon direttore di scena * quanto agli oratori quei brevi vaghi appunti, di cui hanno bisogno per l’equilibrio del loro discorso), il D’Ambra non ha fatto che elogiare il film vedendolo Anito, completamente

* finito vale a dire tagliato e provvisto di tutte le sue didascalie.

Mentre io a Milano mi ero tormentato * la mente * l’anima * i nervi * per la dif­ ficile esecuzione del lavoro (ne sa qualche cosa il pittore Giulio Folchi, che mi fu compagno nella non facile impresa), Lucio D’Ambra era rimasto tranquilla­

mente a Roma, forse dimentico anche che esistesse una Signorina Ciclone, poi­ ché, in quell’epoca, non si occupava di cinematografo.

Dopo invece, fin dalla prima visione in Italia, si affannò a battere la gran-

cassa sul suo nome e sul successo del film, di cui * a ogni costo, volle tutta inte­ ra la paternità, sebbene sul lavoro, dopo il titolo principale, il mio nome figu­

rasse accanto al suo come autore del soggetto. Seccato di ciò, scrissi una lette­ ra a Ugoletti, mio carissimo amico e allora direttore del “Tirso”, rivendicando

il merito, quasi esclusivo, che avevo nella creazione del geniale lavoro; lettera

che ritirai, pregato dal D’Ambra stesso, il quale pubblicò allora una dichiara­ zione, dove La Signorina Ciclone risultava uscita dalla più si reila e sincera nostra collaborazione. Però, subito dopo, questo ricordo lo abbandonava * cosicché io da un anno

assisto indifferente alla pubblicazione di articoli suoi e di altri, ove non si fa che parlare della Signorina Ciclone e di Lucio D’Ambra, quale suo unico e genia­

lissimo autore. Gli articoli, che nel periodo di gestazione di ogni suo film rimangono con­ finati nei giornali cinematografici, passano poi sui quotidiani, quando i films

vengono rappresentati. Non contenti dell’oblio in cui mi si c lasciato, ora si

vuole anche attaccare l’originalità del mio lavoro, facendomi passare per l’imi­

tatore di un film che fu creato da me, che mi ha creato e a cui devo l’inizio della mia piccola fortuna d’autore e di direttore di scena. Francamente si passano i

limiti. Oggi il cinematografo * quando è fatto con criteri seri e sani * non ha nes­ suna ragione di essere trattato differentemente dal teatro. Per le opere di tea­

tro è aspettato il nome degli autori; nulla dice che non debba essere anche così per quelle cinematografiche.

Per questo, pregiatissimo signor Direttore, la prego di pubblicare la mia lettera, che mi lusingo stabilirà, finalmente, le cose nella loro giusta luce.

REGIA

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Vertenza grammaticale Xilo-Genina *

Augusto Genina - Giovanni Xilo

[G’Zi due anni prima, cioè nel 1916, lo siesso Genina, sulla medesima rivista, aveva pubblicato una breve lettera di chiarimenti in merito alle didascalie di due

film da lui realizzati e ricorrei(e dalla casa di produzione. In risposta al suo recla­

mo il corrispondente della Monopoi Film di Roma, Giovanni Xilo, interviene aggiungendo alla vertenza le sue ragioni, utilizzando un tono piuttosto duro. Di

seguilo, proponiamo i due testi della vertenza Sgrammaticale9 in questione.] Egregio Signor Direttore, desidero togliermi ogni responsabilità per i grossolani errori di concetto e di forma che si noteranno nelle didascalie di due films: Il Presagio c La Men­ zogna. Le indirizzo perciò queste brevi righe, pregandola vivamente d’un po’ di posto nel Suo autorevole giornale.

Nel settembre scorso, tali films furono da me licenziati per la stampa, per­ fettamente “tagliati * c provvisti di didascalie che, se non altro, avevano il meri­ to di essere appropriate, chiare e redatte in buona lingua italiana.

La Monopoi Films, non $0 con quale diritto e con quale scopo, ha credu­ to necessario di cambiarle quasi tutte. Almeno lo avesse fatto bene! Per fortu­

na, nonostante le sgrammaticature, le amenità sul genere di quelle che si pos­

sono trovare sui giornali delle donne di servizio o dell’epistolario galante, i due films scorrono e si fanno comprendere egualmente. Solo questo mi resta come

fiche di consolazione! Con i più vivi ringraziamenti e i più cordiali saluti, mi creda, Suo Dev.mo

Augusto Genina

Sig. Direttore della “Vita Cinematografica *, alla lettera fatta pubblicare dal signor Genina, rispondo: io avevo dato

incarico al Genina di mettere in scena, per mio conto, due suoi soggetti, e non

già di abbandonarsi, nella compilazione dei titoli, a intenzionali virtuosità let­ terarie e a bizzarrie grammaticali. Ora, poiché egli ciò ha fatto, io ho creduto, per la serietà del mio commercio, di provvedere e ho provveduto. Non ho altro

da aggiungere. Grazie e saluti.

Giovanni Xilo

Mi confesserò" Enrico Guazzoni [Rispetto al metodo con ad viene affrontata la questione dell'operatore, che uti­ lizza come unico punto di vista quello professionale, net caso del regista lo stile è

’ A. Genina, Vertenza grammaticale Xilo-Genina, in "La Vita Cinematografica", vii, numero speciale, dicembre 1916, p. 264; G. Xilo, Vertenza grammaticale Xilo-Genina, in "La Vita Cinematografica", vii, numero speciale, dicembre 1916, p. 264. * * E. Guazzoni, Mi confesserò, in "In Penombra", l. n. 2, luglio 1918, pp. 55. $7.

Ji lidl'altra specie. Negli articoli che trattiamo in questa sezione si tende a amiti­ nicare le caratteristiche che riguardano il direttore artistico attraverso un'indagi­ ne sul personaggio, anziché sulla tecnica o sul modus operandi.

Attraverso un esempio diretto, sulla rivista “In Penombra *,

nel /p/8> il regi­

sta Enrico Guazzoni scrive egli stesso una sorta di confessione sul proprio lavoro e sulle proprie responsabilità, coadiuvando il tutto con una serie di fotografie che lo ritraggono durante la sua attività. Più volte si è notato come questo periodico

possegga la peculiarità di comunicare le notizie in una maniera assolutamente distante dal linguaggio tecnico, rimanendo legato a uno stile narrativo. II raccon­

to sembrerebbe la forma che si avvicina maggiormente al gusto dei suoi lettori. Prendendo proprio il testo di Enrico Guazzo» i, si notano gli stessi aspetti: non

racconta solamente il suo operato, ma attraverso di esso si può a capire quale tipo di personaggio ci si trova davanti; in questo modo si delinca un percorso attra­

verso il racconto della sua storia, della sua formazione, delle sue esperienze, prima

di arrivare a ricoprire con successo il suo ruolo. ] La Direzione di "In Penombra" vuole che parli di me stesso, di quanto ho ten­

tato e fatto nel campo del cinematografo c del metodo che ho seguito: vuole in altre parole il mio credo. Sono come un condannato senza attenuanti: ho fatto

del cinematografo, dunque debbo scontare la mia confessione. Il buon Dio mi

perdoni se peccherò d'immodestia! Lascio ad altri, se ne avranno voglia, il com­ pito di tracciare la mia biografia, con albero genealogico, date, documenti, pro­ digi d'infanzia ecc. Credo e spero che “In Penombra” non vorrà classificarmi

tra gl'immortali c che, pel momento, i lettori, desiderando leggere una Vita, sce­ glieranno quella di Benvenuto Cellini, e desiderando leggerne parecchie, quelle

del Vasari, tanto per rimanere nel campo dell'arte. Piuttosto che alla mia, accen­

nerò all'infanzia del cinematografo: parlo di il o 14 anni fa. Il cinematografo era allora “bambinello ancor” c portava il sottanino corto: due o trecento metri di lunghezza al massimo... Le code di tre o quattromila metri - il lungo metrag­ gio, come si dice in gergo filmistico - erano di là da venire. Si costruivano

pazientemente, faticosamente dei minuscoli films, privi di ogni pretesa, è vero, e anche d'ogni buon gusto artistico: e parevano prodigi. Fu assistendo all'ese­

cuzione d'uno di questi primitivi saggi del cinematografo, mentre decoravo col Ballester il salone del Cinema-Moderno, del cav. Alberini, che fui preso dal desi­ derio vivissimo di dedicare un po’ della mia attività a questa nascente forma,

non ancora assurta agli onori e al titolo d’arte, ma che a me pareva avesse certi

notevoli rapporti con la pittura. Tradii così per la prima volta pennelli e colori, costruendo, coi mezzi elementari d’allora e con la mia inesperienza, qualche pic­ colo film di carattere campestre: erano povere cose, ma valsero a persuadermi

che molto di più e molto di meglio si poteva fare.

Entrai in una Casa editrice, venuta su allora e che si è trasformata via via sino a raggiungere uno dei primissimi posti nella cinematografia mondiale: la Cines. Per alcuni anni dovetti anch'io seguire la corrente. Mi tormentavo in vani conati. Vedevo altri e più vasti orizzonti alla cinematografia: ma allora si rideva

ancora quando qualcuno osava parlare d'arte applicata al cinematografo. Passa­ vo per un utopista, un poeta... io che nella cinematografia vedevo la fusione di

tutte le arti, dei colori, della plastica, della mimica... Pensavo: il cinematografo, a differenza grande del teatro, consentirà di abbracciare e dare visioni di campi vastissimi; potrà non avere quasi limitazioni, così da spezzare le tradizionali

pastoie dell'unità di tempo e di luogo; potrà, attraverso momenti sintetici e rap­ presentativi, ricostruire grandi figure e l’ambiente in cui si mossero, insomma tutto un mondo... Ma i mezzi mancavano. Proprio in quegli anni Quo vadis?&A

Sienkiewich aveva raggiunto una diffusione cui forse nessun altro romanzo s’è neppure avvicinato. Vagheggiai l’idea di tradurre sullo schermo quella grande visione dell’età imperiale di Roma: e ne preparai uno scenario. Ma per oltre due anni rimase a dormire nel fondo di un cassetto. Quando proponevo l’impncsa,

sentivo rispondermi che il

vadis? non poteva destare interesse e non avreb­

be incontrato il favore del pubblico, il quale voleva drammetti moderni, d'ef­

fetto o d’cffcttaccio ccc. Le mie molte insistenze però toccarono il segno; più per fare a me uno speciale favore che per altro, si consentì al progetto. E io mi

accinsi al lavoro. I mezzi erano limitatissimi: a volte mi mancavano gli scenari, a volte persino i costumi. Ricordo di un espediente cui dovetti ricorrere un gior­ no per far agire delle piccole masse nello sfondo d’un quadro, masse a cui man­

cavano i costumi adatti. Ordinai alle comparse di cavar fuori dai pantaloni le camicie, c panerò degli autentici romani dell’epoca neroniana! Quelli del Quo Vadis? furono giorni in cui vissi una vita intera. Le notti erano tutte bianche per

me. Dinnanzi ai mici occhi balzavano i quadri vividi, sì, ma senza calore: c io con l'immaginazione animavo figure e sfondi; facevo muovere le prime e schiarire i secondi. E poi tornavo, non ancora soddisfatto, a rimuovere il quadro intero, sino a raccogliere, in uno sforzo violento, le più impercettibili sfumature, i più lontani movimenti. Il film fu eseguito in poco più di due mesi: c sembrò un tempo enorme. Si disse che col Quo vadis? io ostacolavo la produzione ordinaria assai più reddi­

tizia. Quanto poi abbia reso il Quo vadis? io non so... però si affermò e scris­ se che aveva sconvolto l'industria cinematografica, elevandola a dignità d'arte. Le mie fatiche non potevano chiedere un migliore compenso.

Il successo del Quo vadis? mi permise di indirizzare la mia attività di diret­ tore scenico per quella via in cui vedevo delle finalità artistiche. Shakespeare mi

aveva appreso che un dramma non ha bisogno di riassumersi in questo o quel

personaggio, ma che tutti i personaggi possono cooperare allo svolgimento del­ l'azione, dando per risultato, non la rappresentazione di un individuo, ma di tutto un mondo, con infinite varietà c gradazione di individui, con alternative di

clementi comuni e di clementi tragici. Ed è da Shakespeare che trassi la con­ vinzione che una grande polifonia potesse sostituirsi al monotono a solo-, la gran­ de polifonia della realtà, della vita, col suo intreccio perenne di fatti grandi e umili, di serio e di comico, di nobile c di vile, di generoso c di menzognero, di

tenebrore c di luce. Secondo questa concezione polifonica ho appunto cercato

di realizzare visivamente dei grandi drammi della storia, quello di Antonio c Cleopatra, quello di Giulio Cesare, quello di Ivan il Terribile, quello della Tal-

lien, quello dei primi cristiani in Fabiola, quello delle crociate in Gerusalemme Liberata. Volutamente, sempre attendendomi ai canoni dei maggiori drammi shakespeariani, in ciascuna di queste restituzioni storiche ho mirato soprattutto

a far sì che il protagonista vero fosse la folla, la grande folla variopinta, che alberga sentimenti diversi, passioni più disparate, fede e fanatismo, virtù e

colpe, eroismi di sacrificio c di rassegnazione, ed esplosioni di repressa barba­ rie, tutto quel caos che ogni età agita nel suo immenso crogiuolo. Ma bisogna

dare un'estetica a tutta questa folla, un'estetica cinematografica.

Il cinema come un tesoro che gli è consentito, può sfruttare su larga scala

il movimento delle masse, necessariamente troppo angusto nelle limitazioni sceniche. Ma in genere, nella scena muta si ha ('abitudine di creare movimenti di folle secondo un concetto euritmico preordinato: e dimenticando che gli

esseri che vivono sullo schermo hanno una loro precisa volontà e un gesto indi­ viduale. si finisce col creare un movimento collettivo del quale è evidente tutto l’artificio. Io invece ho sempre cercato di liberarmi di questo errore, compren­

dendo che la vivacità più profonda della massa deve scaturire dalla libertà con *

sentita a ogni individuo. Lontano quindi dalla preoccupazione di creare un movimento ritmico della folla, preordinato e prestabilito, ho sempre voluto che

ogni figura vivesse e gestisse liberamente nell'ambito del suo gioco scenico,

persuaso che la ricerca del ritmo e dell'armonia collettiva sarebbe stata soddi­ sfatta dalla libertà lasciata a ogni individuo di agire e gestire come egli volesse.

Ma quale fatica per tradurre in pratica questi elementari principi! Il pub­

blico ignora quante ansie, che palpiti, quali sforzi supremi costi una pellicola

del genere ch'io prediligo, perché più vicino ai sentimenti umani. La ricerca dei particolari - perché il cinematografo è un documento crudele per chi non cura

il particolare, anche minimo - è tutta una battaglia che si scatena dentro l’ani­ ma di un direttore di scena che compia con scrupolo e con amore la sua deli­ catissima mansione. E per questi dettagli io devo consultare biblioteche intere

sugli usi e costumi dell'epoca che voglio far rivivere, consultare stampe antiche,

visitare musei, frugare nei negozi d'antiquari, disegnare, sulla scorta di docu­ menti storici, armi e attrezzi, rintracciare riti, ritrovare modelli di acconciature

e poi di tutto preparare disegni c bozzetti, e curarne l’esecuzione, sorvegliando enormi squadre di scenografi, di carpentieri, di sarti, di attrezzisti ecc.

Ogni montaggio di scena prende un tempo prezioso, perché ogni elemen­ to sia al suo posto: poi. finalmente, incomincia l'esecuzione del film, lunga,

paziente, faticosa, che dirigo sempre da solo. La parte-dramma, a pochi perso­

naggi, rappresenta come delle pause di semiriposo; ma poi vengono le giorna­ te con le grandi masse. Per questo ho un mio procedimento, che funziona con

precisione d’orologio; questa organizzazione forma un po’ il mio orgoglio. Il giorno d’un grande quadro, 2.000, 3.000 comparse trovano tutto preparato, in

modo che in un’ora possano essere pronte. Le comparse, che i mici capicomparse reclutano in ogni categoria sociale,

vanno dallo studente che sala la scuola, al gentiluomo spiantato, al dilettante, al teppista. Tutti entrano nello stabilimento controllati e provvisti, all’ingresso, di un timbro sulla tessera personale. Quindi passano rapidamente nei locali

delle sartorie, dove in un attimo si vestono, giacché ogni indumento c prece­

dentemente preparato. Una volta vestiti i miei interpreti si radunano sul piaz­ zale, fuori della scena. Non è cosa superflua: c’c chi ha l'elmo a rovescio, chi la

spada a sinistra, chi la parrucca storta... Infine tutti entrano nel campo d’azio­

REGIA

8l

ne: ma uno non sa quello che dovrà fare, e neppure c’e tempo per insegnar­

glielo. Divido la massa in gruppi e mi servo di mezzi chiari, spesso persuasivi. A me pare di esercitare una specie di suggestione sulla massa. Quelle migliaia di persone che improvviso e pongo qua e là nella vastità del quadro, si

muovono come mi detta la mente già compresa della visione con un semplice

gesto. Di questo solo io posso ritenermi felice. Di essere compreso dalla massa di cui, d’altra parte, conosco ormai tutta la psicologia. Del resto, quando io ho fisso nel cervello tutto il quadro, ho già fissato pure ogni movimento ed episo­

dio. Così nel momento del rilevamento io non vedo che palpitare sotto gli

occhi quando già era fervido nella mia immaginazione. Queste giornate di intenso lavoro durano parecchie ore: a volte la stessa

massa seno per parecchie ore, e alla fine è stanca, dà anche segni di indiscipli­ natezza: ma c contenta, e frenata, senza bisogno che io la strapazzi, ravvivata

anche con scherzi, barzellette e altri piccoli espedienti. E quando infine fo rom­ pere le righe l’ovazione uar cavaliere” c immancabile.

L’episodio più caratteristico, che meriterebbe d’essere da solo cinemato­ grafato, è, a quadro finito, dopo cinque o sei ore di lavoro sotto la sferza del sole, la fuga finale. La corsa di berberi, verso gli spogliatoi: e seminano nel campo tutto, armi, scudi, elmi, indumenti... La battaglia cinematografica per quel giorno è finita: la mia confessione anche.

Scenografia, trucco, costumistica a cura di Melita Mandala

[La questione del trucco, della costumistica e della scenografia, trattata negli arti­

coli delle principali riviste cinematografiche italiane tra il 1911 e il 1929, occupa uno spazio considerevolmente ampio. Nell’arco di tempo considerato, tali que­

stioni sono affrontate in modo assai diverso: nei primi anni si prediligono un uso accentuato del trucco, uno spiccato sfarzo scenografico e un utilizzo dell’abbiglia­

mento come manifestazione del bello, per arrivare dopo qualche anno a promuo­

vere la sobrietà, il naturalismo e soprattutto la coerenza tra l’attore, i ruoli inter­ pretati e l’ambiente rappresentato.] La truccatura *

B. Rossi

[Sw una linea simile si muove anche l’autore del prossimo articolo, descrivendo le

diverse fasi del trucco e offrendo consigli sulle dosi da utilizzare per creare gli “impasti”. Come avviene in altri casi, anche qui si fa presente il risultato che si ottiene usando determinati colori: evidentemente l’attenzione a questo problema

non è mai stata eccessiva, vista la frequenza con cui la questione è affrontata.]

La (Riccatura c per se stessa un’arte molto comune, molto a portata di mano, ma non facile come può a prima vista sembrare osservando l’uso che se ne fa a proposito od a sproposito in modo parco o esagerato, nella vita di tutti i gior­

ni od in quella della scena ottenendo il più delle volte gli effetti estetici perfet­ tamente opposti a quelli cui si tendeva. La truccatura e istintiva delle donne che col pretesto di un principio di igiene cominciano col sistema più semplice

infarinandosi il viso in modo più o meno abbondante, per asciugarsi dicono

loro, o spalmandosi di un qualsiasi unguento colt-crème che dir si voglia, per

preservare la morbida pelle dai rigori del clima vuoi freddo, vuoi caldo, dico­ no sempre loro. In effetto, tutto ciò che si usa unicamente per tentare di dare

un maggiore risalto alla freschezza naturale della pelle, a rendere più poetica­ mente bianca qucll’abbronzata, a velare qualche sinuosità che sotto forma di

nighe impertinenti il tempo inesorabilmente lascia passando.

E questi sono i primi passi che finiscono poi per condurre a quelle esage­ razioni che riducono bene spesso il viso di molte donne a una espressione pii* B. Rossi, La truccatura, in “La Tecnica Cinematografica”, I, n. 1, agosto 1914, pp. 9-10.

SCENOGRAFIA. TRUCCO. COSTUMIST1CA

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Corica, grottesca c antiestetica ove il rosso alle labbra, il bleu agli occhi, il nero alle ciglia, il rosa alle orecchie fanno a gara per rendere intollerabile anche il visino più simpatico e più fresco. A questa truccatura istintiva si è venuta di

mano in mano aggiungendo quella voluta dalla moda che imponeva un neo ove non era; una pettinatura rigonfia ove non esistevano che pochi capelli, un colore alle chiome variante dal biondo oro al giallo rame ove i capelli erano

neri o castani. Le attrici del Varieté c quelle del teatro sono forzatamente costrette a rinforzare con l’abile artifizio del belletto, della cipria e del lapis,

quelle tinte che le luci dei riflettori o della ribalta renderebbero piatte e senza effetto. L’artificio del trucco quindi e loro imposto dalle esigenze tecniche del palco scenico, ove pure il trucco deve usarsi per marcare le rughe dell’età, i segni del dolore, o per rendere a mandorla un occhio rotondo, o pcr stringe­

re una bocca troppo larga ecc. Tutti questi elementi che dal teatro o dal Varieté sono entrate in cinematografia, hanno imperioso il bisogno della truc­

catura e non saprebbero posare innanzi all’obbiettivo se non avessero il viso barbaramente dipinto, commettendo così uno dei tanti delitti che in cinema­ tografia sono tollerati. Bando ai pasticci; bando alle ciprie e ai belletti e pre­

sentatevi in campo col vostro viso naturale, ben lavato, c ben asciugato col­

l’apposito lino e non con cipria. Pensate che il rosso e il rosa risaltano nero in fotografia c non stupitevi se

dopo esservi accuratamente dato il rosso alle labbra, alle narici, alle gote, vi

vedrete sullo schermo nere come tante africane, o se un’abbondante strato di cipria ha reso il vostro viso piatto, insignificante, cereo. Una delle tante ragioni per cui sullo schermo vediamo sempre visi estrema­

mente neri o costantemente cadaverici sta appunto nel brutto vezzo di truccarsi, vezzo contro il quale i maestri di scena dovrebbero insorgere seguendo il sistema di un loro noto collega di una Casa Francese, il quale manda inesorabilmente a

lavarsi il viso tutte le attrici che gli si presentano con tinte non naturali. A differenza quindi del palco scenico ove la truccatura è una necessità, per

la cinematografia c un errore dei più gravi. Come nel gesto, neH’esprcssione»

così nell’estetica rimanete quali siete e giocate con la vostra fisionomia quale essa è; voi ne awantaggcrcte in efficacia, in cinematografia, in valore. Qualche eccezione alla massima generale fanno i visi per natura troppo accesi, quelli troppo pallidi e coloro che debbono impersonare un carattere più

vecchio di quello che non comporti la loro età. Per questi ultimi qualche leg­

gerissima ruga tratteggiata sapientemente sul viso è sufficiente; guai se le rughe sono forti e le linee dure; l’ingrandimento che subisce il fotogramma darà un

dettaglio esagerato, orribile che trasforma la ruga ili solco, la riga ili macchia.

Ove occorra correggere in qualche modo il naturale colorito delle carni o

troppo rosse o troppo pallide si tenga ben presente che il rosso, il rosa e il gial­ lo marcato risultano neri in fotografia; il hleit e il violetto vengono bianchi; il

bianco viene bianco piatto senza risalti e alona facilmente. Eliminare quindi le

ciprie del commercio bianche, rosa o racheL Una buona cipria economica e assai fotogenica e quella formata da polvere di riso alla quale si aggiunge una punta di cucchiaino di nero fumo c profumo a volontà. Non usare mai del ros­

setto, ma del nero. Secondo poi che si ha una pelle arida od una pelle grassa si

84

MELITA MANDALA

useranno prodotti grassi o secchi. Il Kress consiglia le seguenti formule per il

grasso nero e bianco fotogenico:

Per il nero:

-

cera bianca, too gr;

-

assogna pura benzoinata, 125 gr;

nero Rimo, 125 gr.

Per il bianco: -

cera bianca, 2$ gr;

-

vaselina purissima, 2$o gr;

-

sottoazotato di bismuto a.c., 200 gr;

talco di Venezia, 50 gr; bianco di balena, 25 gr; -

pro Rimo a volontà, 25 gr. L’unione proporzionale dei due prodotti darà tutte le gradazioni del grigio

da usarsi per accentuare leggermente la coloritura alle labbra, per marcare

l'ombra alle ciglia, per attenuare il rossore del viso o per sRimare un colorito

uniforme. L'attore cinematografico abbia per massima di rimanere quello che e, ma ove occorra qualche modificazione, non usi il materiale del commercio perché dannoso e non abusi di quello da noi suggerito, perché inutile.

Ed essenzialmente alle donne rivolgo il mio consiglio, alle donne che pur belle e vezzose, si trasformano il più delle volte in cinematografìe, come un

vivente oltraggio di se stesse. La truccatura *

Agostino Vcrrua [Agostino Verrua, nel 1920, critica fortemente ìutilizzo delle tecniche eccessive

già usate a teatro, considerando l’effetto rivelatore del cinematografo fatto anche

di primi piani.} Trasformare il viso dell'attore fino ad adattarlo al carattere, all'età, allo stato fìsico e morale del personaggio, ecco il compito della truccatura di palcosceni­

co. Infatti sulla scena attori c attrici di una certa età incarnano personaggi gio­ vanissimi; e, per chi non li conosce personalmente l'illusione è perfetta. Così

pure si dica per attori e attrici che ancora giovani sostengono ruoli di caratte­

rista, padre c madre nobile.

Per il cinematografo la cosa è tutt'altra: la giovinezza non si crea con poma­ te, bistri e posticci, così come la vecchiaia non la si rappresenta con parrucche,

rughe, ciprie e cosmetici, perché l’obiettivo della macchina di presa scruta e rivela ogni piccolezza, ogni neo che l'occhio umano e un binocolo da teatro

non percepiscono, sia pure da una poltrona di prima fila. In film i giovani deb­ bono esser giovani, e i vecchi, vecchi. * A. Vcrrua, La truccatura, in “Coltura Cinematografica* (già “La Tecnica Cinemato­ graficain, n. 2, 29 febbraio 1920, pp. 83, 8$.

SCENOGRAFIA. TRUCCO. COSTUMIST1CA

85

Parlo naturalmente delle prime parti, quelle che agiscono in primo piano

e che, nei momenti salienti dell’azione, compaiono nei cosiddetti ’‘medaglioni” per lasciar comprendere meglio uno stato d’animo, un particolare che a distan­

za sfuggirebbe.

Non può un’attrice, sia pure valorosa, interpretare un film nel quale debba

far dire agli attori «come siete bella!», se effettivamente non lo c un pochino. La gente riderebbe.

Invece quando una coppia amorosa è veramente giovane c bella, quando

in un medaglione due bocche fresche e giovanili stanno per unirsi in un bacio

lungo, interminabile, gli spettatori si dimenticano della finzione scenica, e ogni uomo diventa quell’uomo, c ogni donna quella donna, cosicché le due bocche

si uniscono con mille altre bocche, e il piacere del bacio vibra su ogni labbro e in ogni cuore. Ma se la donna e un po’ vecchiotta, se l’uomo a stento nasconde le calvizie

sotto pochi peli stiracchiati e impomatati, allora il pubblico che legge il titolo : «Come siete fresca! Mi sembrate una rosa appena sbocciata a l’alba di questa

giornata di maggio» oppure: «Come siete bello, o mio giovane cavaliere!», ride alla turlupinatura, e tutta l’azione drammatica o patetica va a farsi... benedire. Solo si ride. II dramma diventa allora una farsa. Mi ricordo d’aver visto, molti anni or sono, un film della Leonardo inter­

pretato dai coniugi Sainati, gli insuperabili attori del Grand Guignol.

Lei, Bella Starace-Sainati, interpretava la parte di una giovinetta, e in certi primi piani gli spettatori non potevano far altro che ridere, perche l’età dell’interprete (anno più o anno meno) saltava agli occhi, e il gestire dell’attrice

diventava ridicolo. Notate bene che si trattava di un film tragico.

Esempi non me ne mancano. Basterebbe esaminare tutti i film che le cele­ brità del palcoscenico hanno interpretati.

Salvo pochissimi, ove il ruolo dell’artista si confaceva alla sua età, quasi tutti, per il truce aggio che non è possibile, furono degli aborti.

Non si può piangere innanzi a una scena patetica ove due vecchi che per l’occasione si fingono giovani, follemente amandosi si dicono addio per neces­

sità di cose, si dicono addio colle lagrime negli occhi e colla morte nel cuore. No, non si può. E neppure si può ridere innanzi a una donna che, già avanti negli anni, fa

la giovinetta ingenua, capricciosa, biricchina, quando sullo schermo le si vedo­ no le rughe, quando la sua faccia bruttina desta tutt’altro che quegli amori creati dall’autore del soggetto. No. Ripeto: i giovani debbono esser giovani, c i vecchi, vecchi.

Le bellezze poi, debbono essere veramente tali.

L’altro giorno, al Valentino, ho assistito a una scena “girata" non so da qual

Casa torinese. C’erano una giovinetta e una istitutrice. La prima, snella, quasi magra; la

seconda, grassona c un po’ bassa. I corpi erano adatti alla creazione della scena, ma i visi, oh! I visi erano tutt’altro che adatti.

La giovinetta era ossuta e rugosa; la vecchia freschissima, un viso di mon­ tanara, tondo e rubicondo.

La prima aveva i capelli ossigenati; la seconda una parrucca grigia che si

rivelava lontano un chilometro. Mi immagino che scena ne deve uscire! Torto dcirinscenatore. Non si dice a una donna, perché magra c birichina,

tu farai l’ingenua, e non si mette in testa a una bella ragazzona una parrucca grigia costringendola a divenire mamma, nonna, o che so io. Non nego che un po' di truccatura sia possibile. Gli occhi, per esempio, le

labbra, possono essere corretti, resi un po’ più freschi o un po’ più sciupati. Non bisogna esagerare però. Vi sono delle nostre attrici che si mettono, tanto

nero sotto gli occhi che le pupille s’infossano in una maniera spaventosa.

Alle labbra poi danno tanto rosso da farle sembrar nere, perche il rosso in

fotografia assume questo colore. 11 rosa non se lo possono dare sulle guance, perché in film risulta bianco. L’arancione diventa nero.

Come fare? Come truccarsi, se tutti i colori, più stabili tuttavia dei deputati, assumono

un altro colore ben definito che altera l’effetto? Non parliamo poi di parruc­ che, di barbe e di baffi artificiali.

Le parrucche si vedono anche in testa alle donne, immaginate in testa agli

uomini. Le barbe appiccicate, in primo piano, si rivelano subito, e così pure i

baffi. Ma la ragione del poco uso di barba e di baffi in film e un’altra. L’azione spezzettata, viene girata in giorni così diversi e lontani che l’atto­

re non potrebbe, truccandosi, mettersi sempre la stessa quantità di barba e

baffi e dar loro una stessa forma, cosicché proiettando il film non sarebbe impossibile il vedere un attore al quale, passando da una stanza all’altra, od

uscendo da un ritrovo qualsiasi, gli si siano allungati o raccorciati i baffi o la barba. Ci sarebbe da ridere, non e vero? E io ho riso tante volte così!

Come vi truccate? * Edmond Épardaud

[Una delle forme di presentazione maggiormente diffusa è quella dell *intervista rivolta ai più famosi attori, ma soprattutto attrici, dell'epoca. È interessante nota­ re come gli interventi e le opinioni siano assai differenti tra loro, giungendo a con­ frontare polemicamente i sistemi di truccatura e lavorazione con quelli statuni­

tensi e tedeschi, giudicali non sempre migliori di quelli italiani. In questo caso l'articolo di Épardaud apparso sulla "Rivista Cinematografica" nel 192}, offre

brevi interventi da parte di alcune attrici di fama internazionale, ognuna delle quali esprime il suo giudizio in merito ai diversi sistemi di truccatura.}

E. Épardaud, Come vi truccate?, in “La Rivista Cinematografica , ** dicembre 1923. pp. $4, $8.

IV, n. 23-24, 25

SCENOGRAFIA. TRUCCO. COSTUMIST1CA

87

I La questione del trucco ha veramente una grande importanza. L’occhio che costituisce l’obiettivo dell'apparecchio da presa è un giudice severo. Al cinematografo tutto e subordinato al rendimento fotogenico, il

quale, a sua volta, dipende da queste due ondizioni essenziali: La qualità c la distribuzione della luce [foto];

La disposizione degli oggetti e dei volti a usufruire della luce. È necessario, quindi, saper trar partito dalla luce; questa è la grande legge

della tecnica cinematografica. Come il metteur en scène si preoccupa per sce­

gliere degli sfondi decorativi, dei mobili, delle stoffe che siano fotogenici, così gli artisti debbono scrupolosamente attendere alla loro truccatura. La truccatura accentua la fotogenia d’un viso, e aiuta la luce a perfeziona­

re la sua opera.

Si tratta d'un arte assai delicata e assai complessa, e infatti la maggior parte degli artisti non perviene a trovare la truccatura che meglio le conviene, se non

dopo parecchi mesi di ricerche pazienti. Questo indicherebbe che non vi sono e non vi potrebbero essere delle regole fisse in maniera di truccatura: gli stessi

procedimenti convengono a certi visi e non convengono affatto ad altri. uMon Cine” ha avuto l’idea di domandare alle nostre più gentili artiste in

che modo si truccano, c se, a loro avviso vi sono una o più truccature. Equiva­ leva un po’ a chiedere loro il segreto dei loro graziosi primi piani, ma toMon

Cine” e assai riservato e le confidenze delle simpatiche stelle parigine non

uscirà dalla famiglia - assai numerosa però - dei suoi fedeli lettori. La mia domanda sorprende la signorina Rachel Devirys, in mezzo a gran­ di preparativi di viaggio. Ancora tutta commossa dal suo bel successo in Vidocq, la signorina Devirys si prepara a partire per Losanna. Ella non va a rial­

zare il prestigio della Francia alla Conferenza interalleata, quantunque il fatto

d’esser nata sulle rive del Mar Nero le conferirebbe qualche diritto a parteci­

pare a questo consesso. No, la signorina Rachel Devirys va semplicemente a

girare un film con Giacomo Fcyder c da Losanna, si spingerà fra le alte nevi del San Bernardo.

«Mi chiedete come mi trucco? - disse ella - Perche non dovrei dirvelo? D’altra parte c così semplice che vi espongo subito la ricetta. Primo: spalmo il

mio volto con un corpo grasso, vaselina o cold-cream. Asciugo scrupolosa­

mente, poi vi estendo del fond de teint rosa; quindi non mi resta che incipriar­ mi, pure in rosa, con quella polvere professionale chiamata La Plaissetty, dal

nome dell’abile metteur en scène che ne scoprì la formula. Secondo: la trucca­ tura degli occhi esige delle cure speciali. Mi faccio le palpebre con il bistro indiano bleu chiaro e le ciglia sono spalmate di cilanna. Terzo: le mie labbra

sono fatte con il rosso assai schiarito. Questo, si capisce, per le parli ove non

occorre invecchiarsi. Quando invece si impone questa necessità, sostituisco il fond de teint rosa e la cipria rosa con della polvere d’ocra; essa accentua sol­ tanto i tratti. Quando poi occorre presentare delle rughe, mi servo... della pol­ vere, perche le rughe con la matita sono troppo visibili». A giudicare dai risul­

tati che abbiamo ammirati in tanti riuscitissimi films quali: La nuova aurora,

Prisca. La voce dell’oceano. Vidocq. il metodo della signorina Dcvirys non deve essere cattivo. Ma ho motivo di credere che anche quello della signorina Gina Palermo

non sia meno eccellente. La graziosa Margot del capolavoro del De Musset, di cui ci chiede recentemente una riedizione opportuna è un meraviglioso sog­ getto fotogenico. I suoi “grandi primi piani”, per impiegare il linguaggio pro­

prio degli studi, sono tra i migliori della cinematografia francese. «Io mi trucco il meno possibile - mi scrisse la gentile interprete di Lìeterno

femminino. Non faccio uso del fond de teint se non allo studio, ed è più che altro per preservare la pelle dalle offese del calore violento dell’ilium inazione elettri­ ca. 11 trucco, a mio parere, deve sempre essere uniforme. Gli occhi c le labbra

debbono essere pochissimo truccati, specialmente nei primi piani. Vi sono

parecchie truccature, le chiare e le scure, e ogni specie ha i suoi sostenitori ardenti, i suoi apostoli. Per conto mio preferisco il trucco chiaro, il che però non

significa ancora che io sostenga il tono 14farina”; ma ritengo che il trucco chiaro

s’accordi meglio con la luce sullo schermo. Gli uomini devono truccarsi un po’ in bruno. Ma il miglior trucco e la funzione di una buona illuminazione, senza

la quale non sarebbe possibile fare proficuamente del cinematografo».

La signorina France Dhélia sembra dare un’importanza assai relativa alla

questione che preoccupa tanto le sue colleghe. Dobbiamo credere alla deliziosa

artista, quando ci afferma che ella si trucca pochissimo? Certamente; ma a nostra volta potremmo meravigliarci che senza il concorso di sapienti preparazioni, ella resti tanto graziosa e fotogenica. Può anche darsi che la signorina France Dhélia

esiti a confidarci il suo segreto, richiamando in questo il celebre Paganini, che sosteneva di non studiare mai il suo violino. Comunque l'interprete favorita di René Le Somptier ha molto spirito. Ed ecco il grazioso biglietto che ho ricevuto:

«Io non mi trucco mai, o, al massimo m’accontento d'una sfumatura di rimmel

agli occhi c un po’ di rosso alle labbra. Ho ragione? Ho torto? “Avete ragione”, mi dissero Somptier. Fcuillade, Germaine Dulac, Desfontaines. Armand Du Plessy. quando lavorai con essi. Spero che quei vostri lettori che hanno visto La sultana dell’amore. L’ascesa verso /’Agropoli. La crociata. Malencontre. La bestia

battola ecc. siano del parere di quegli eminenti realizzatori. Se per caso, essi fos­

sero d’opinione contraria non ditemelo troppo bruscamente; truccate un po’ i loro prezzamenti, affinché io non ne risenta troppo dispiacere. Vogliate credere, signore, alla assicurazione dei miei migliori non truccati‘sentimenti». Se noi giudichiamo dal piccolo corso assai completo e assai preciso che la signorina Geneviève Felix m’invia, debbo dedurre che la Signora di Monsoreau è assai esperta nell’arte del trucco. È evidente che l’amabile Diana di Méridor ha

molto osservato, molto riflettuto c molto ricercato in questo campo, ove proba­

bilmente si possono sempre portare delle innovazioni. La sua risposta è seria e

interessantissima; eccone i punti principali: «La truccatura dello studio differi­

sce completamente da quella della città. Invece gli artisti francesi, salvo qualche rara eccezione, impiegano gli stessi metodi: fond de teint rosa came un po’ scuro,

che si copre con uno strato di cipria della stessa unta. Le ciglia e le sopracciglic sono spalmate di rimmel. Non ho mai ombreggiato le palpebre, perché questo procedimento offende la dolcezza dello sguardo e indurisce la fisionomia. E raro

SCENOGRAFIA. TRUCCO. COSTUMIST1CA

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vedere un’artista americana oscurarsi le palpebre tranne Theda Bara, Io non mi trucco in città, salvo un leggero strato di cipria ottenuta mescolando quella bian­

ca con quella rosa carne, e un po’ di rosso alle labbra; ma non tocco affatto gli occhi. Io penso che in città una donna deve evitare il più possibile il trucco, o, almeno, deve far uso d’una truccatura assai discreta. Ma allo studio, a dispetto

di tutte le teorie contrarie, la truccatura è una necessità».

Altre interessanti risposte sono pervenute da Gina Relly, Paulette Ray, Louise Collincy. Suzanne Despres e dalla mamma della piccola Regine Dumien, la quale pure si e compiaciuta di farmi sapere come ella trucca la sua

graziosa figlioletta allo studio. Ma tali risposte sono per il seguente capitolo.

Il Le artiste di cui abbiamo fin da qui esposte le opinioni, sulla grave questione

del trucco, non sono completamente d’accordo. Si deve dunque concludere

che i sono tanti metodi di truccarsi quanti sono gli artisti? Certo questo sareb­ be un’esagerazione; ma e evidente che il trucco e differente secondo le pelli

chiare o brune, le tinte rosate o pallide, i volti uniformi o rugosi, secondo le

parti, l’età, il carattere dei personaggi interpretati, secondo pure l’illuminazio­ ne dello studio c la luce degli esterni. Questo si deduce dalle risposte di Genevieve Felix, Rachel Devirys, Gina Palermc, France Dhelia, come abbiamo visto. Ma ecco, sempre su questo pro­

blema tanto interessante per la tecnica cinematografica, altri autorevoli pareri. La signorina Louise Colliney, con la sua solita gentilezza mi inviò da Hendaye la seguente lettera: «Vi mando, qui acclusa, una piccola fotografìa [...], di

una truccatura, presa in campagna durante l’esecuzione di un film. E rispondo alle vostre domande. Primo: come vi truccate? Come tutti gli altri: fond de leint

classica, marron di preferenza c cipria rosa. Per gli occhi impiego l’ammirevo­

le cilanna, che non brucia affatto. Secondo: si deve parlare di trucco, o di truc­

chi? Vi sono numerosi trucchi, e diversi tra di loro, poiché variano secondo gli sfondi chiari o cupi d'innanzi ai quali si gira, secondo l’illuminazione necessa­ riamente violenta o calma, infine secondo se si gira all’interno di uno studio, oppure al feste rno».

La signorina Gina Relly, sostiene che nella qustione della truccatura, e

necessaria la collaborazione dell’artista, del mclleur en scène e dell’operatore. La graziosa e fine interprete di Lemperenr des pauures e di Sang de Fintici, ha dell’esperienza: ella è una delle poche artiste francesi che hanno lavorato in America ed e la sola che abbia lavorato in Germania dopo l’armistizio. I suoi

studi comparativi conferiscono al suo giudizio un particolare valore: «A mio avviso - ella ci disse - la questione della truccatura al cinematografo è delle più delicate e occupa un posto importante nell’esecuzione di un film. Essa è poi

particolarmente essenziale nei primi piani.

«Io ho l’abitudine di usare un fond de leint rosa pallido, sul quale metto un leggero strato di cipria rosa (finissima, per evitare le discontinuità). Aggiungo un po’ di bistro sulle palpebre per dare profondità allo sguardo, un po’ di mali-

ta grassa marron sulle ciglio e un po’ di rosso leggerissimo sulle labbra per dise­ gnarne i contorni. «Ma tutto ciò e subordinato al fatto ch'io sia informata anticipatamente dei

vari generi di luce c dei diversi metodi degli operatori. E evidente che, con lam­ pade a mercurio, o sotto il fuoco d’un sunlight i tratti non restano riprodotti allo stesso modo: ciò che sarebbe troppo notevole con l'uno, sarebbe troppo

debole con l'altro. Si hanno quindi delle spiacevoli sorprese che sarebbe facile

evitare se metteur en scène e operatori presentassero, in generale, maggior attenzione a questa grave questione. Avviene talvolta di ammirare, durante una

proiezione, un primo piano, dolce, vaporoso, diafano, seguito bruscamente da un viso dagli occhi bianchi, dai lineamenti alterati e gonfi. La truccatura che

segnava così graziosamente le qualità del viso nel primo caso, diventa una cata­ strofe nel secondo caso. Non fui accusata alla presentazione di un grande film,

d'essermi posta, in certe scene, “un chilogrammo di fuliggine sugli occhi", mentre in realtà avevo conservato lo stesso trucco per tutti i dodici episodi del

film? Ma questo trucco produceva effetti diversi c talvolta opposti, secondo

l'illuminazione usata dall'operatore. «Ne ho fatto cento volte l'esperienza nei diversi paesi, in cui ho lavorato.

Così in America, ove le luci sono particolarmente eccellenti, è più che suffi­ ciente un trucco assai leggero: ho visto infatti delle grandi attrici impiegare sol­

tanto un leggero strato di cipria come in città. Ed il risultato era ugualmente meraviglioso. In Germania, la luce degli studi e così cattiva che si è costretti a ricorrere a delle sapienti combinazioni pittoriche. La prima volta che vidi un

artista tedesco dinnanzi all'apparecchio credetti che fosse diventato pazzo, con

quella faccia orribilmente carica di fond de teint spesso, quegli occhi al burro nero e quelle labbra sanguinanti. Ma in seguito compresi la necessità di questo trucco da clown e dovetti fare come gli altri, sotto pena d'aver gli occhi bian­

chi, le guance gonfie, le labbra esangui e un triplo mento! «Di grazia, non accusate gli artisti della loro cattiva truccatura! La miglior

prova che non ne abbiamo alcuna colpa è che noi siamo sempre più graziose agli esterni, perché là, una volta convenientemente truccati, la grande, la bella,

la sola luce, quella del sole, non ci tradisce».

La signorina Paulette Ray mette le cose a posto con grande semplicità e chia­ rezza. La graziosa artista, recentemente applaudita in Semplice errore reclama l’i­ stituzione di corsi speciali di truccatura, sul tipo di quelli già esistenti in Ameri­

ca. Ed ecco un'idea interessante che farà strada: «Io mi trucco con fond de teint

n. 2 e con cipria rosa. Mi inazzurro le palpebre e mi annerisco le ciglia; metto pochissimo rosso sulle labbra. Secondo me, vi sono parecchie truccature. Il colo­

re del fond de teint deve variare secondo la tinta naturale dell'artista. Così ho pro­ vato parecchie volte una truccatura mauvec ho ottenuto una tinta pallida, il che diminuisce assai l'espressione della fisionomia. Viceversa quel fond de teint si

adattava assai ad artiste bionde di mia conoscenza. Inoltre ogni attrice deve conoscere i suoi piccoli difetti e quindi procurare di rimediarvi ombrando leg­ germente le ali d’un naso camuso, ingrandendo gli occhi piccoli, o riduccndo

delle sopracciglie troppo spesse o mal disegnate. Vi e poi ancora il trucco detto “di composizione" (infermità, sfregio, vecchiaia ecc.). 11 trucco e una cosa impor­

SCENOGRAFIA. TRUCCO. COSTUMIST1CA

91

tantissima per gli artisti dello schermo, e per conto mio deploro che da noi, in Francia» non abbiamo» come in America, dei corsi professionali, ove si impara questa arte così diffìcile, nelle quali le stars americane sono tanto esperte».

Avevo chiesto alla piccola Regine Dumien di esprimere il suo parere sulla

questione che ci tormenta, immaginando che V Angioletto avrebbe pregato la mamma di rispondere in sua vece. Ella infatti non ha mancato, ed ecco la gen­ tile lettera che mi inviò la signora B. Dumien: «Siccome la mia piccola Regine è troppo giovane per potere rispondere alle vostre domande, risponde la mamma

in nome suo. No, signore, io non penso affatto a truccare questo visetto roseo e paffuto, dai grandi occhi neri ornati da lunghe ciglia, dalle labbra rosse e un pic­

colo punto nero presso la bocca di cui Monna Natura l’ha beneficata. Però

debbo confessare che fui costretta a ricorrere al trucco, per due films, c cioè:

Fior di Maria nei Misteri di Parigi, e La Piccola Loupiote. Ma con della semplice polvere di brace sono pervenuta a rendere emaciato il viso rotondo di Regine,

la cui ottima aria non si confaceva con quelle parti di bambini sofferenti». Ho riservato per la fine un piccolo biglietto, assai laconico c un po’ scon­

certante della grande artista Suzanne Despres. L’incomparabile interprete di Ibsen ci aveva al cinematografo profondamente commossi in: L’ombre Décbirée

di Leon Poirier. Ci era parso allora che oltre al suo talento drammatico la signo­ ra Suzanne Despres si fosse servita di un sapiente trucco per accentuare il pal­

lore doloroso e mistico del suo bel viso. Era perciò interessante conoscere il suo

parere; ma ecco la sua risposta: «firn Signore. Per me al cinematografo non esi­ ste truccatura, perche io non mi trucco. AmichevoImente» Suzanne Després». È una frase a effetto? Può darsi, poiché rammentiamo che per girare La por­ tatrice di pane, la signora Despres ha spinto i suoi scrupoli artistici fino a far sco­

lorire i capelli e ricoprire il viso di uno strato di fond de teint rosa e di cipria della stessa sfumatura. La signorina France Dhélia, ch’è pure nemica della truccatura»

dichiarava che però è costretta a truccarsi un pochino. E questo poco è ancora molto. Penso perciò che, come tutti, anche la commovente interprete di L’ombre

Décbirée, metta un velo di cipria c un atomo di rimmel. E concludo, con la mag­ gioranza, che la questione del trucco allo studio è assai delicata, tanto che deve costituire per ogni artista un vero studio; poiché un cattivo trucco può compro­

mettere le grazie della più soave figura, o lo splendore della miglior luce, mentre

un buon trucco può attenuare le imperfezioni del viso e l’insufficienza della luce. Il trucco - come si può dedurre dalle piccole consultazioni delle nostre gentili corrispondenti - è una condizione essenziale della fotogenia. £ l’abc

della professione etnografica. Carte di creare la maschera scenica *

M. A.

[U>/ altro metodo interessante di affrontare l’argomento è quello di pubblicizza­ re opuscoli informativi e libretti distruzione per apprendere l’arte del trucco.

* M. /X., Lane di creare la maschera scenica, in ‘La Rivista Cinematografica**, II, n. 2, 25 gennaio 1921, p. 22.

Accompagnati da illustrazioni, questi brevi fascicoli rappresentano un sistema efficace per avvicinare i lettori interessati e gli abituali fruitori dì opere cinema­

tografiche, nonché artisti in cerca di delucidazioni] È il titolo di un accurato opuscolctto di Emilio Dalla Brida edito dalla tipo­

grafia editrice Fratelli Pcrctto, Torino» Corso Casale 8» e uscito da poco. Sono circa una sessantina di interessantissime pagine sull’arte del trucco» corredate di relative illustrazioni, con una parte storica e una illustrativa, per mettere

maggiormente in rilievo e in condizioni di apprezzare l’importanza del trucco»

tanto nel teatro di prosa, lirica, varietà ccc. che nei teatri di posa. È tuttavia un’ottima esposizione, chiara» senza esagerazioni e senza pretese»

fatta ottimamente a scopo pratico» specialmente per coloro che non conoscono o non hanno saputo ancora comprendere l’importanza di modificare artificio­

samente la propria fisionomia a fine di dare maggior risalto alla personificazio­ ne individuale c ai singoli caratteri che l’attore si propone di rispecchiare.

Un opuscolctto veramente pratico c scritto con buon gusto» dove ciascuno può imparare da solo il modo di truccarsi, il modo di correggere i propri linea­ menti senza alterarli, l'adattabilità di ogni c qualsiasi fisionomia a ogni e possi­

bile parte, mediante una ben suddivisa elencazione di tipi e di caratteri» con i relativi e più adatti mezzi da adoperarsi, corredati di illustrazioni c di esempi pratici. Non è nel genere una novità, ma fra i più conosciuti è certamente dei

più ben fatti c completi.

Abbigliamento dell’attore in posa *

Gottuso Fasulo [Rispetto alla questione dell'abbigliamento, un articolo interessante è quello di

Ciuft uso Fasulo, apparso sulla “Rivista Cinematografica" nel luglio del 1923. Tale articolo è inizialmente una critica verso le grandi incoerenze che dominano le pro­

duzioni. Lo sguardo che Fautore rivolge al tema tocca diversi aspetti del set cine­ matografico a partire, in primo luogo, dalle scenografie. L'inadeguatezza degli abbinamenti tra gli attori e il loro ruolo, degli ambienti stessi, è all'origine della critica. Idahhigliamento è un punto d'arrivo in questo discorso; esso può diventa­

re, in certi casi, oggetto di secondi fini, come ad esempio la pubblicità di case d'al­ ta moda internazionali, in altri diventa la causa finale di una brutta e scadente

fotografia. Il tutto derivante dai adori utilizzati, dal modo di indossare i costumi e, insieme, dalla coerenza con il soggetto del film.] Ancora un po’ di astruserie scientifiche; ma che pure hanno la loro sostanzialità

integratrice de l’Arte. I mici bravi lettori non se n’abbiano a male, ma credano

che la gran maga» la fascinatrice» se veramente è arte, non può emanciparsi dalla scienza» perche arte c ancora scienza, così come la scienza c arte laminatricc a sua volta. Entrambe han comune l’indagine; entrambe hanno fattore il Genio.

* G. Fasulo, Abbigliamento deU*attore in posa, in “La Rivista Cinematografica*, IV. n. i j. io luglio 1925, pp. $-6.

SCENOGRAFIA. TRUCCO. COSTU.MISTICA

93

Nel numero precedente mi sono indugiato brevemente - così come è con­ sentito dalle colonne di una Rivista - su l’Armonia, quella virtù che come un profumo grato deve spirare da lutto {'insieme di un lavoro cinematografico,

che come un soave lirismo deve emanare dalla concordanza artistica di un buon film; di quell'armonia sapientemente e genialmente intesa che deve governare l'intera lavorazione del film.

Pur troppo non sempre la cinematografìa ha saputo mantenere nella pro­ duzione questa unicità di concetto che deve attonare i diversi fattori. Notiamo

anzi che bene spesso si fa scempio di così essenziale principio e con tanta supi­

na disavventurezza, per quanto incocrenze le più stridenti si riscontrano tut­

todì nelle proiezioni anche più pretenziosamente annunziate. E la magnificen­ za di un ambiente aristocratico troviamo impoverirsi da una danza trivialmen­ te eseguita; lo splendore di una pittorica vediamo annientarsi su uno sfondo di

cartone sfacciatamente dipinto con salsa alla maionese; bravi attori dal viso cin­ quantenario. incartapccorito all’americana, appaiono camuffati grottescamen­ te da collegiali; figurazioni in costume storico vengono malmenate da figuran­

ti anacronistici, goffamente infagottati; fisionomie di matrona romana riescono sfigurate da maquillage alla Pierrot; giovani attori dal comportamento irre­

prensibile stuonano incappucciati da una parrucca teatrale di cui l'inesorabile fotografia registra l’incocrenza coi lineamenti giovanili; espressività c compor­ tamenti psicologici di rilievo sono smentiti dalla didascalia; falsi riflessi di luce

sfigurano o appiattiscono la fisionomia; il lirismo di uno svolgimento è insidia­ to da una mossa volgare; una mossa lasciva viene a guastare tutto il profumo

verginale di una fanciulla; una donzella d'alto lignaggio balla con movenze da

tabarin-, un signore fuma maleducatamente nel gabinetto d’una gentildonna, la prima volta che vi è ammesso; vediamo infine tutta quella pleiade di tonalità a sproposito, di eterogeneità, di snobismo d’arte che deturpa produzioni anche altrimenti degne di rispetto.

Sarebbe il caso veramente di una classificazione di così fatte manchevolez­ ze, che specificamente potremmo dire di improprietà, di incocrenza, di inco­

stanza, di carattere... ma tutte e di qualsiasi natura hanno l’effetto di concor­ danza di oltraggio all'armonia, che balzano agli occhi dello spettatore; di cui ciascuna basta a compromettere da sola il valore di una produzione, la reputa­

zione di una casa editrice.

Or una delle incocrenze, c diciam pure delle dissonanze, comunissima in cinematografìa, si riscontra ncH’abbigliamcnto degli attori.

Generalmente gli attori da posa, preoccupati da un senso di esibizionismo personale, finiscono per smarrire la visione del lavoro c non tengon conto se la

loro indiscutibile eleganza - o presunta tale - si trovi o meno in armonia col carattere che l’attore riveste, col suo ruolo, col tipo storico voluto, coll’insieme della scena. Non solo; ma sovente trascurano la giusta previsione dell’effetto fotogenico sui colori c perfino sulla qualità di stoffa del proprio abbigliamento.

L'abbigliamento costituisce forse la preoccupazione principale che, per ragioni diverse, ingombra la mente degli attori e anche dei direttori artistici; preoccupazione che sarebbe sufficientemente giustificata se promossa dal con­

cetto di esteticità e armonia che deve presiedere ad assistere l'intera lavorazio­

ne di un film d'arte. Non ci accorgiamo però - nella maggior parte delle visio­ ni cinematografiche - della prevalenza di tale concetto; mentre notiamo che fattore tende a sfoggiare un lusso di abbigliamento tutto a suo modo, magari

a sproposito, c non c raro il caso in cui fattore - c segnatamente fattrice - tol­

gano l’occasione del cinema per far da mannequin delle grandi Case di moda. In tali condizioni è ben difficile che la foggia e il colore del vestito si trovino in

esatta corrispondenza collo spirito di armonia della produzione e colle esigen­ ze di fotogenia anzicennatc.

Per oltre, nelle scelte degli abiti - sotto il punto di vista del taglio - i più fermano la loro attenzione ai dettagli tecnici più rimarcabili o più rinnovati che

si ritengono voluti dalla moda, come l’ampiezza e lunghezza del calzone, la lun­ ghezza e l’attillatura della giacca, il numero e postura delle tasche, la montatu­

ra del collctto dietro la nuca c lo sparato sul davanti; c per la donna: il parti­

colare taglio del bolero o del figaro, la brevità c la larghezza della gonna, l’al­ tezza e larghezza della vita, l’ampiezza del cappello o l’abbondanza delle piume

ecc., ma sempre senza riguardo alcuno al concetto estetico ispiratore della

nuova foggia di vestire c senza alcun riferimento a quel rapporto di armonia da

cui il dettaglio stesso promuove. Si noti che in così grave imprevidenza incorrono sovente i sarti medesimi, anche i più rinomati, i quali, privi di gusto d’arte, privi di quella percettiva este­ tica che vale a dar ragione del tipo, della linea, della particolare foggia che la moda ha voluto introdurre, corrono alla ricerca della particolare innovazione, alla ricerca del dettaglio novatore. Dettaglio che, interpretato a loro modo,

perde nella loro mente il suo riferimento al tipo di insieme; ma che esagerato,

snaturato, contraffatto, finisce per dare quei confezionamenti oltraggiosi del­ l’estetica c del bon gusto, oltre che della moda stessa.

Così avviene che una stessa foggia di vestire in voga possa avere adotta­ menti c interpretazioni disparati tra città diverse della stessa regione, e chi -

avendo avuto modo di apprezzare un dato modo di vestire in un centro come Firenze - si trovasse in un’altra città, troverebbe goffi e provinciali i più rigo­ rosi osservanti dell’ultimo taglio: allorché furono lanciati i lailleurs, l’abito

guaina, il princesse, fogge tutte ispirate alla linea di un fiore o di un’anfora, ebbi per la prima volta a notare, a Parigi - la capitale dell’eleganza - dei modelli in cui spiccatamente si scorgeva l’idea di voler dare alla donna la figura svelta e

leggera di un vilucchio sul punto di sbocciare. Altri esemplari più espressivi del geniale principio riscontravo subito dopo a Londra, c altri - poco difformi rividi poscia tra l’eleganza muliebre di Firenze, di Roma ecc. Qualche tempo dopo, quella foggia floreale di vestire subì delle lievi tra­ sformazioni cd ebbe allora l’impressione che quel leggero cartoccio di convol­

volo schiudesse in cima il suo calice con la nuova foggia di cappello a larghe tese. Ciò che dava alla donna elegante l’aspetto soave di un bel calice floreale.

Ebbene, in quella stessa epoca, migliaia di eleganti, di quelle della moda al

dettaglio, si videro girar per le vie pei ritrovi di lusso avvolte e costrette gros­

solanamente sotto cappelloni sgraziati, senza linea né garbo, vere caricature. La maggior parte delle figlie di Èva aveva ritenuto che il segreto dell’eleganza si

racchiudesse nell’ampiezza del cappello c nella costrizione della gonna avvol-

SCENOGRAFIA. TRUCCO. COSTUMIST1CA

95

Colata attorno alle gambe» Si videro così cappelli tanto larghi da non permette­

re alle detentrici di entrare in un vagone ferroviario, le piscbnnne di Firenze

andare attorno con scatoloni da apparire ruote da mulino e delle gonne tanto strette da limitare il passo della donna a pochi centimetri, tanto da non poter salire in tranvai. Egualmente accade per l’altro sesso - quello forte-quella gran parte, cioè,

di ganimedi che l'eleganza fanno consistere nella rigida osservanza di una moda che non capiscono, che mal si adatta al proprio corpo, che mette in evi­

denza soltanto la propria idiozia. Essi tengono più a dar nell’occhio con un pre­ tenziosa eleganza da provinciale, fondata sulle primizie del nuovo dettaglio, sulla esagerazione di esso. Or finché non si è capaci di scernerc lo spirito promotore di una nuova

moda, finche non si otterrà quella percezione di estetica che riesce a farla com­ prendere, finche non si saprà adattare la moda alla linea del proprio corpo, c

in maniera rispondente all’uso per cui l’abbigliamento è destinato, non si potrà

ottenere quel che si dice eleganza di vestire.

Ma vieppiù in cinematografia bisognerà raggiungere questa perfezione intuitiva, dovendo essa rispondere ancora alle esigenze ambientali in cui deve

agire l’attore, se si vuol realmente ottenere proprietà, buon gusto, e armonia di abbigliamento. Il buon gusto dcll’attorc cinematografico non deve fermarsi unicamente alla scelta e confezione dell’abito, ma altresì a tutti gli altri coeffi­

cienti dell’abbigliamento: la calzatura, il colletto, la cravatta, i guanti, siano per qualità, tipo c colore in perfetta armonia con il vestito c propriamente adatta­

tati al corpo dcll’attorc, c coerentemente all’ambiente scenico c al ruolo in cui è chiamato ad agire. Una stella del firmamento cinematografico potrà darci spettacolo di una toilette abbagliante, che potrà riuscire insuperabile per un

ritrovo di mondanità; ma riuscirà discordante c fuor di luogo nella scena da cinema in cui dovrà agire.

Nella confezione degli abiti per la scena l’attore dovrà tenere in gran conto

le esigenze di fotogenia - abbiamo detto prima - e ciò perche molti dei colori dell’iride assai malamente si impressionano nella pellicola fotografica. Né in cinematografia si possono - come in fotografia - adottare i compensatori ortocromatici, data la rapidità di esposizione del film negativo (2/4$ di secondo). È appunto per le ragioni di fotogenia che riesce opportuno dipingere gli

scenarii in bianco c nero. Gli stessi accorgimenti imposti dalla fotogenia per gli scenarii c per il maquillage sono ancor più da osservarsi per il vestiario: l’aran­ cione, il verde, il giallo cromo o l’ocra non impressionano che assai imperfet­

tamente il gelatino bromuro d’argento della pellicola mentre diversamente

impressionano il bleu e il violetto che daranno una tinta grigiastra indefinibile dove malamente saranno identificate le ombre e le pieghe. Il rosso riesce nero; mentre il celeste, il verde pallido, il rosa danno quasi bianco in fotografia. I monili d’oro riescono neri; quelli d’argento, bianchi. Senza contare che i colori promiscui o i colori antifotogenici darebbero

tinte false, e pieghe, e ombre indecise o mancanti affatto; anche il bianco va destituito dall’abbigliamento per evitare l’alone provocato dal riflesso di forte luce: se si vuole ottenere l'effetto del bianco bisognerà adottare il giallo palli­

do. il verde o il rosa pallidissimi o il grigio molto chiaro, secondo l’effetto che si vorrà ottenere. Non c qui il caso di parlare dei vari effetti che riflessi di luce

producono in alcune stoffe; basti per ora affermare che la nuova cinematogra­ fìa d’arte - se veramente vorrà esser tale - dovrà abbandonare anche in questo i vecchi convenzionalismi e nulla trascurare perche la fedeltà del vero sia rigo­

rosamente ottenuta. Fino ad oggi: e domani? * Teresita Guazzaroni [D/ abbigliamento parta anche l'eresila Guazzaroni, su “In Penombra *,

nell’ago-

sto del 1918. L’autrice vede nell'abbigliamento una potenzialità, oltre che artisti­

ca, di affermazione dell’attore rispetto alla personalità, al gusto, alla razza. Ciò che pare di grande importanza è la cura del dettaglio, visto come condizione essen­ ziale per giungere alla perfezione fotogenica. La preferenza del pubblico - soprat­ tutto maschile — pare essere rivolta a narrazioni d’amhientazione moderna e il

motivo lo leggiamo all’interno dell’articolo. ]

Un giorno ci pensai guardando alcune fotografìe di artiste belle. Poi come il cielo era grigio e la mente carezzava un po’ sonnolenta le immagini, ricordai quella

vecchia cosa poco divertente» che pur riempiva così bene tante pagine» rigando­

le leggiadramente di nomi illustri o quasi» quando i giornali avevano dieci pagi­ ne da stampare e neppure un briciolo di guerra mondiale; quella cosa dal noio­

sissimo nome, cui erano non di meno in tanti ad abboccare: il referendum. Interrogavo le fotografìe delle artiste belle, e molto mi sarebbe piaciuto

ottenere risposte non dalle immagini, ma dalle stesse donne, viventi e operan­ ti nella loro arte. Non sarebbe stato impossibile, ma non era gioco da tempo di guerra. Intanto il pensiero si svegliava un poco, senza turbare la mia pigrizia, molto

lieta sempre di non fare qualche cosa. E mi dissi allora che la risposta era già

tutta in quella magnifica iconografìa, sotto i miei occhi. Poiché si trattava di artiste dell’arte muta, bisognava bene sapere fare a meno della loro parola, c

capir tutto dal volto, dal gesto, dall’abbigliamento. Referendum silenzioso.

Soprattutto dall’abbigliamento, che e uno dei grandi mezzi consentiti all’artista cinematografica per affermare il suo gusto, la sua personalità, vor­

remmo dire la sua razza: quella che ogni giorno migliora, poiché il buon san­ gue fluisce allo schermo bianco dal teatro, e da più degni strati sociali. L’abbi­ gliamento, mezzo di dominio c di selezione: forza innegabile di attrazione per

il pubblico femminile che quasi sempre c maggiore parte di ogni teatro cine­ matografico; l’abbigliamento, grazia integrale c necessaria dell’artista che deve tutto alla bellezza e compiutezza della visione.

Ma di questo - io so - sono già bene persuase le silenziose eroine delle

nostre films passionali; né sul valore innegabile dell'eleganza, per il buon esito del loro compito, avrei voluto interrogarle.

’ T. Guazzaroni, Fino ad oggi: e domani?, in “In Penombra’*, l, n. 3, agosto 191$, pp. 110,112.

SCENOGRAFIA. TRUCCO. COSTU.MISTICA

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Avrei voluto piuttosto chiedere se non sia fra le artiste (e anche fra certo pubblico) una spiccata preferenza per l’eleganza modernissima; quella che si

identifica con l’ultimo figurino espresso nella forma più lussuosa. Minor cura

e minore passione hanno, credo, in genere le artiste (ci sono naturalmente magnifiche eccezioni) a impersonare eroine vissute nella leggenda e nella sto­ ria. evocanti immagini passate e tempi passati. Avvertiamo subito che la prefe­

renza ha molte giustificazioni.

Intanto essere eleganti, essere perfette è più facile quando i grandi sarti hanno magnifici modelli da offrire, da scegliere, già creati e sanzionati nell’ar-

tistica fucina laboriosa della moda.

E facile anche a un’attrice di gusto mediocre comprendere la necessità di

curare il dettaglio; poiché da un momento all’altro lo schermo può ingrandire

un vezzo, un gioiello qualsiasi, e avvicinarlo così agli occhi altrui, come se fosse solo in una vetrina invasa da un fascio di luce, sopra un cuscino di velluto. E il

profilo di una scarpetta si può in un dato punto scorgere così nitido come la linea di un volto; e se solo una pietruzza mancasse a una fibbia, quella man­ canza si avvertirebbe e l’artista elegante ne sarebbe mortificata.

Il teatro, ove pure il gusto dell’eleganza va pariginamente crescendo, è in realtà per molli riguardi meno esigente per rcsteriore delle sue artiste. Non importa neppure che siano belle; tanto, anche quando lo sono, la distanza che

li divide dal pubblico impone la deturpazione degli abbondanti bistri e bellet­ ti. Il palcoscenico ammorbidisce, avviluppa quasi la persona che recita; lo schermo bianco la rivela nitida, cruda. Quindi la rivelazione deve essere affron­ tata da una bellezza impeccabile, da una grazia perfetta.

Le artiste migliori hanno naturalmente anche sul teatro la cura minuziosa

del particolare, ma più per bisogno e compiacimento del proprio spirito, per insito gusto della perfezione, che non per la minuscola e spesso inafferrabile

gioia dello spettatore. Per l’attrice della film ciò che non può apparire all’oc­

chio - cioè tutto di lei - ha un valore sostanziale imprescindibile: come nella

vita, vicino alla persona che ama c che guarda ogni minuzia.

Per essere nello schermo, un poco, quello che piace apparire nella vita, o

viceversa, inconsapevolmente, istintivamente, l’attrice è più accurata quando impersona l’eroina moderna: elegantissima, seducentissima, e avviluppata di

quell’aureola di fatalità, di romanticismo, di passionalità, che gli autori di film dispensano senza avarizia. Tutto ciò e naturalmente piacevolissimo. Un po’ di

quelle irradiazioni passionali ella crede sentire (e forse anche gli altri) intomo a sé finche vive e opera, pur fuori della scena sotto gli stessi aspetti, quanto dire

sotto le stesse - o simili - vesti. L’abito è parte viva nella donna elegante, e finisce per aderire alla sua per­ sona come una espressione diretta della natura. E il pubblico? Non si appas­

siona forse di più alle artiste nelle produzioni di ambiente moderno? Veramente la parola passione è eccessiva. Se si tratta di pubblico intelli­

gente, si deve convenire che sente già la pienezza delle terribili storie d’amore;

e raramente uno spettatore fine, conoscitore del buon teatro è soddisfatto della traslazione di una buona commedia moderna dal palcoscenico allo schermo. Ma resta sempre il compiacimento di vedere belle donne vestite bene. Mentre

per Ie signore è una gioia Vétalage delle magnifiche toilettes delle più fortuna­ te sovrane della scena muta: la stessa gioia che proverebbero entrando curiose

e trepide nei grandi saloni di Paquin e di Lenoir quando i mannequins viventi

passano nel fulgore mite e delicato delle toilettes nuove» appena uscite dalle mani degli artisti e delle artefici, recanti le modificazioni» talora lievissime per

cui son distinte profondamente da quelle di un mese» di una settimana prima. La stessa gioia, ma con minor rammarico; perche dallo schermo gli abiti belli sulle persone belle non sono offerti per essere comprati; e hanno quel tanto di fugace e di irreale, da non render l’esibizione tentatrice quasi tormentosa. In quanto agli uomini, cui i segreti dell’abbigliamento femminile sono molto più celati e irraggiungibili, per la buona ragione che non vi sarebbe inte­

resse sufficiente a far la fatica di raggiungerli; per gli uomini, l’eroina muta della film di ambiente moderno piace perché e simile alle donne che sono d’in­ torno nella vita del mondo, pur non rimanendo un esemplare plastico dei più perfetti sotto la luce migliore.

Sanno anche, i signori uomini, che l’artista di teatro può da vicino essere

diversa da quella che appare; l’artista della film è lei. E così, inesorabilmente. E la certezza di trovarsi, pur di fronte alla irrealtà dello schermo, così vicini alla realtà da non poter essere ingannati, ispira un naturale benevolo compiaci­

mento, dirci quasi una specie di benessere. Dunque, se io avessi potuto fare quel referendum tra le attrici (pur deli­ ncando la questione a quanto riguarda la parte esteriore, cioè il costume) quasi

sicuramente l’eroina moderna avrebbe riscosso il maggior numero di voti. Il

pubblico avrebbe forse fatto altrettanto poiché s’c create le sue immagini fami­

liari nelle films di tutti i giorni; e non si darebbe la pena di rammentare che gli

spettacoli più clamorosi e di maggior rendimento da cui esso stesso fu avvinto, sono pur quelli di carattere c di ispirazione storica. Questa non grande e vaghissima minoranza rimane un po’ velata dalle infinite trovate poliziesche, c

dai fatali drammi d’amore della fatalissima donna del ventesimo secolo. Così fino a oggi. E domani?

Un domani forse molto vicino, signore e signorine attrici - specie novelli­

ne - perché nulla quanto la scena muta ha bisogno di apparire c di essere ver­

tiginosamente nuova. E la novità, o perlomeno una larga fonte di freschezza, potrà sempre venire allo schermo del passato. I secoli sono profondi c ricchis­

simi. e la leggenda, l’epopea, la storia, inesauribili. Solamente bisogna adattar­ vi meglio l’occhio, lo spirito, bisogna vederla, la ricchezza che non è stata attin­ ta, e affezionarcisi per quello che non ha dato ancora.

Il cinematografo ha progredito infinitamente nei suoi artisti, nei suoi autori,

nei suoi spettatori. Dovrà c potrà migliorare ancora, lì si potrà sempre più ragio­

nevolmente chiedere di essere espressione di arte. Ma non andiamo troppo lon­ tano ora. Parlavamo del costume, e di questo segno esteriore e potente. Tale ele­

mento che non e principale, ma non secondario - perché nulla e secondario di quanto avvince gli occhi in un modo di godimento che non ha altra via se non gli

occhi - assume valore grandissimo quando la film non è di ambiente moderno. Ma, perché Tati rice vi si interessa un po’ meno? I magnifici paradisile pel­

licole morbide morbide, le vesti fragili c ricche nate per vivere poche ore, sono

SCENOGRAFIA. TRUCCO. COSTU.MISTICA

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molto più facilmente comprensibili, molto più caramente amate dei saioni e degli

strascichi che servono sulla scena. Il costume storico è nella mente degli attori più nuovi e più. diremo così, cinematografici, e un po’ anche nel pensiero c nell’o­

pera dei costruttori di film correnti (ci sono naturalmente anche magnifiche ecce­ zioni). il costume storico è stilizzato entro un numero limitato di esemplari, i quali dovrebbero rappresentare le fogge di interi secoli. Il paggio vestito di

maglia, con cappelliera al vento e relativo liuto» il cavaliere con la cotta di ferro lavorato, il gentiluomo con il robone di velluto, la donzella con l’abito a coda

aperto in quadrato sul petto c le maniche a piccoli sbuffi, bastano a rappresen­

tare una serie illimitata di personaggi, per un indefinito periodo di tempo. Se la ricostruzione storica si curasse più amorosamente, dovremmo invece assistere - e assistiamo infatti qualche volta - a una grandissima ricchezza c

mutevolezza di costume. Ogni secolo offre una varietà infinita di visioni. In

questo il cinematografo potrebbe fare tutto quello che il teatro non ha potuto fare che rare volte. Sotto il dominio della volontà spassionata di D’Annunzio la

scenografia e l’arredamento ebbero talora dignità di ricostruzione storica. Tutti ricordano, anche per questo riguardo, l’importanza di Francesca Da Rimini e

della Nave! Ma anche D’Annunzio dovette rassegnarsi a veder tramontato il

suo sogno di esteta, perché costava troppo dispendio c fatica, mentre, come sempre, il palcoscenico inghiottiva le meraviglie del dettaglio amorosamente

curato, che scompariva nel quadro d’insieme. Si dice anche che lungo e faticoso fosse il lavoro di Eleonora Duse per

vestire con esattezza e varietà le vesti di Francesca, ma anche di ciò il pubblico non le fu abbastanza grato tutto intento a giudicare l’opera di poesia. Ma d’al­ tra parte Eleonora Duse sapeva bene che un buon mezzo per avvicinarsi al per­

sonaggio che si rappresenta e lo studiarne amorosamente le vesti: ottimo modo per una donna, di giungere allo spirito di una donna.

Le nostre eroine nel Medioevo come nel Rinascimento avevano tutte qual­

che cosa di personale nell’abbigliamento, che differiva da città a città, da fami­ glia a famiglia: secondo le tradizioni, gli usi, il parentado di ciascuna. Il guar­ daroba delle antiche signore è pieno di molti segreti profumati e di eleganze nascoste. Ad un’attrice che dovesse riprodurre una di quelle donne che i quadri rap­

presentano un po’ scialbe c che furono protagoniste delle più conosciute leg­ gende e storie tragiche italiane, consiglierei di leggere in un vecchio libro, come

se ne trovano molti, in coda a un contratto di nozze di un’illustre dama, l’in­ ventario del corredo» che faceva parte della dote: ricordate il mirabile corredo

della duchessa d’Urbino e le innumerevoli camicie di seta di Elisabetta d’Inghilteira c le 122 paia di calze di Josephine de Bcauharnais. Ci prenderebbe

subito gusto e avrebbe una gran voglia di possedere una di quelle magnifiche arche di legno storiato piene della fragile tela renisa, ricamata a punto pieno;

dei broccatelli e delle sciamiti variopinti.

Con le stoffe si possono ritrovare le fogge. Per ogni buona interpretazione

ci vuole l’interessamento personale e diretto dell’attrice; che coadiuvi l’opera del rnetteur en scène; il gusto della ricerca c della fedeltà c nella riproduzione. Un’artista del film che facesse questo, avrebbe già posseduto a mezzo il suo

personaggio e troverebbe più facilmente l’efficacia del gesto, come lo trova per l’eroina contemporanca, che sembra più interessante perche e già un po’ se

stessa. Il cinematografo, purificando i suoi clementi, ampliando e arricchendo sempre più i suoi mezzi, ci prepara certamente espressioni e forme di godi­ mento nuovo. Sostituì subito gli scenari di tela e di carta con le amplitudini

della natura, gli orizzonti aperti e reali. Domani potrà sostituire a tutta la sce­ nografia di carta-pesta il vero ambiente storico, come già per qualche raro film, molto ben riuscito, è stato fatto. La questione è qui guardata appena di scor­

cio, ma e facile completarla e considerarla sotto molti aspetti. La presa degli interni in cinematografia *

G.R. [Anche nell'ambito della scenografìa continua ad alternarsi l'idea di trovare da

una parte una forma tesa al naturalismo scenografico, dall'altra invece di sottoli­ neare l'importanza della decorazione scenografica o dell'utilizzo di elementi arti­

ficiali (a favore della comodità e del risparmio) affinché possa crearsi una deter­ minata atmosfera e si possa specificare un carattere particolare di una scena. In linea generale, tra i due estremismi, sembra auspicarsi una sorta di via di mezzo: il cinema, essendo definito un'arte moderna e quindi anche fondato su

regole tecniche, necessita di ritocchi agli ambienti non totalmente naturali. Entrando nello specifico, nel 1921 sembra anatra persistere una teoria di tipo

conservatorista (così la chiama l'autore dell'articolo che vedremo tra poche righe).

Mantenere pertanto una via intermedia fra gli estremismi è non solo un'ideolo­

gia dell'arte cinematografica, ma diventa anche un'esigenza educativa e politica.} Le questioni interne sono divenute acute in tutti i paesi. E logicamente doveva

venire alla ribalta anche la questione degli interni del Cinematografo, teatro universale. La Rivista “Cinema" di Parigi, nel numero del 7 corrente, contiene un inte­ ressante articolo a firma del signor Enrico Éticvant, dal titolo Les intérieurs

vivants au Cinema. Egli si richiama all’opinione del signor Mcrcanton, il quale

ritiene che per la formazione dcgl’j7//ej7// si debba abbandonare il sistema attuale della creazione entro i teatri di Films, c si debba invece ritrarli al natu­ rale. I metteurs en scène sono infatti troppo abili, troppo studiati, scostandosi

così dalla verità. Dopo un confronto fra il teatro c il cinematografo per quanto riflette la

visuale dello spettatore, e dopo aver osservato che il teatro francese è passato

dal periodo classico e pel romantico, mentre la funzione di teatro naturalista c

veramente repubblicano spetterebbe al cinematografo, l’autore dell’articolo dà

ragione al Mcrcanton sotto il punto di vista teorico. Ma giustamente rileva subito la difficoltà pratica di avere sempre a disposizione interni naturali da

* G. R., La presa degli interni in cinematografia, in “Coltura Cinematografica” (già “La Tecnica Cinematografica”), iv. n. 1. 31 gennaio 1921, pp. 13-4.

SCENOGRAFIA. TRUCCO. COSTU.MIST1CA

IOI

ritrarre colla fotografìa, e soprattutto la mancanza, nella maggior parte dei casi,

della distanza indispensabile per la presa. Donde la conseguenza che soltanto nelle vaste sale sarebbe possibile operare, e non nei piccoli ambienti, clic sono i più interessanti. Il signor Éticvant conchiude proponendo che il metteur en scène cerchi gVinterni nel modo stesso che usa per gli esterni, ma con un Véra-

scope; interni, che poi farà riprodurre nello studio.

Per la fotografia potrà quindi prendere il campo di vista alla distanza che gli parrà opportuna.

Noi fra il conservatorismo attuale e V estremismo soverchiamente teorico del signor tMercanton, corretto circa la pratica attuazione dal riformismo del signor Étiévant, il quale ammonisce che v’è pure una realtà che s’impone e spesso

obbliga a dare... macchina indietro, noi ci sentiamo centristi. Ed ecco quanto ci pare abbiano dimenticato i due egregi preopinanti, o

almeno non risulta chiaramente dall’articolo citato: che fotografare un interno

come si presenta allo stato naturale, e riprodurlo tale e quale, è fare un natura­ lismo che non sembra appropriato nemmeno al cinematografo. Anche per la

creazione dell’ambiente s’ha da osservare il comandamento che vuole la buona scelta dei soggetti allo scopo che si vuole ottenere. Ora, come nell’azione comi­

ca o drammatica del cinema (e tanto più del teatro) non si può portare un asso­ luto verismo agli occhi dello spettatore perché, oltre al bisogno estetico, vi sono leggi e abitudini di moralità e di decenza che - per quanto l’andazzo tenti di sorpassarle - pure si osservano in certa misura, la stessa regola vale, o deve

valere, per la preparazione d’ambiente. Forseché si riprodurrebbe in tutti i suoi dettagli un locale, dove si trovassero - putacaso - arnesi... di vita intima, messi

in bella vista?

E sarà possibile trovare nella realtà un ambiente che presenti il quadro

esatto e il preciso colore locale che si richiedono per una data scena di un dato lavoro, e con dati personaggi?

Ed ecco la necessità di qualche modificazione, in meno o in più. Si tratta insomma di fare come il fotografo, quando vuole accontentare una donna che

sa di non avere tutti i requisiti di bellezza e non vuol mettere in circolazione la brutta figura di se stessa. Il fotografo ritocca il negativo, togliendo qua un

bitorzolo e aggiungendo là qualche dozzina di capelli, se addirittura non modi­ fica i lineamenti.

E qui verrebbe pure in campo la questione se la cinematografìa sia un’ar­ te, nel senso elevato della parola. Nel qual caso soltanto dovrebbe seguire certe

regole, incominciando precisamente dalla scelta di soggetti estetici (e nel voca­

bolo soggetto s’intende anche un oggetto, un ambiente).

Come, ad esempio, per la poesia sonvi immutabili principi!, ai quali non è

lecito derogare, già magistralmente dettati da Orazio nell71r.f poetica.

Noi riteniamo che il cinematografo, se vorrà salvarsi, dovrà ispirarsi a cri­ teri d’arte. E - s’intende - con scopi educativi e morali. Allora avrà diritto all’appoggio del Governo e degli Enti locali. Allora, bene guidato il gusto del

pubblico, accorreranno al cinematografo molte persone che ora se ne astengo­

no e finiranno per applaudire alla riforma anche quelli che ora si dilettano sol­ tanto di scene inverosimili e delittuose.

Ma, a prescindere dall’artc, ripetiamo che un naturalismo assoluto non è ammissibile nemmeno in cinematografìa, c che Panifìcio, al fine di migliora­ mento estetico c per la stessa verità in rapporto alla finzione scenica ideata, sarà

necessario anche per la creazione degli interni, pur valendosi in massima di interni naturali fotografati. Quanto poi alla possibilità pratica di avere tali interni a disposizione, sem­ bra che in Italia la difficoltà sia bell’e risolta, se è vero ciò che scrisse il signor

Lconcc Denans in “Ciné Speciales”, c cioè che «tout le peuple de ce pays,

depuis les cardinaux, la noblesse et les syndics jusqu’au plus humbles citoyens,

se prete à la prise de vue en mettant à la disposition des opérateurs les palais les plus somptueux, commc les demeurcs les plus modestes».

L’avreste immaginato, o lettori? Genesi pratica del cinematografo'

Leon Moussinac [Leon Moussinac, in un suo articolo del 1922, osserva e commenta le decorazioni

che compongono le scene di alcuni film di rilievo internazionale, come II gabi­ netto del dottor Caligari e altri titoli svedesi. A parere deU’autore la categoria dei

pittori e dei decoratori non dovrebbe ritenersi così certa di aver trovato un punto

di riferimento lavorativo tanto stabile, visti i molteplici fattori che intercorrono a

rendere fotogenica una determinata scena e vista la differenza pratica tra cinema e teatro. Inoltre si ritorna su un dibattito già acceso in altri casi: quello del natu­ ralismo contrapposto airartificiosità degli ambienti. ]

In cinegrafìa, il sentimento della realtà c indispensabile all’emozione. Il cinematografo ha le sue convenzioni, ma queste convenzioni gli appar­

tengono esclusivamente. La messa in scena, o meglio, la composizione cinegrafica è nell’esecuzione di un film, ciò che sembra aver maggiormente preoccupato finora i cinegrafi-

sti. Però per quanti siano i problemi ch’cssa solleva, questa parte di realizza­ zione non è più importante del montaggio del film. Tutti sembrano essere stati

sedotti soprattutto da certi tours de force tecnici e aver consacrato alla soluzio­ ne dei problemi fotografici e meccanici un tempo piuttosto esagerato, in con­ fronto a quelli riservati allo studio della decorazione propriamente detta, del-

l'interprctazione e dell’illuminazione.

I. La decorazione La questione della decorazione ha provocato numerose e appassionate discus­ sioni. La rappresentazione del film tedesco “impressionista”: ll gabinetto del

dottor Caligari ha dato luogo all’eccitazione dei critici e dei cinegrafisti. I pit­

tori hanno esultato: essi speravano che, in seguito a questo esempio, si sareb* L. Moussinac, Genesi pratica del cinematografo, in “La Rivista Cinematografica"*, III, n. 23-24, 2$ dicembre 1922, pp. 29-30.

SCENOGRAFIA. TRUCCO. COSTU.MISTICA

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bere rivolti ad essi per la decorazione dei films dclfavvcnirc, come si sono

rivolti ad essi pcr la decorazione delle scene. Ma essi hanno torto di nutrire tante speranze, poiché si preparano delle terribili disillusioni morali e contem­ poraneamente delle disillusioni artistiche» non essendo essi sufficientemente

preparati alla tecnica cinegrafica. Parlare di decorazione è un po' resuscitare un vecchio dibattito. È porre gli uni di fronte agli altri, coloro che, confondendo spesso l'esatto con il vero,

pretendono che l’arte dello schermo debba prendere i suoi elementi d’espres­ sione dalla sola realtà, senza alcuna idea di interpretazione, e coloro i quali

sostengono che si tratti esclusivamente di suggerire per creare l'emozione este­ tica. Se il teatro ha le sue convenzioni necessarie - il fallimento del Teatro libe­

ro l’ha provato - il cinematografo ha pure le sue, che sono però opposte a quel­

le del teatro. Ciò che forma la potenza dell’emozione cinematografica c ch'essa dev’essere provocata dal sentimento della vita stessa. Noi partecipiamo nel­

l'oscurità a drammi che potrebbero essere vissuti nel quadro della vita normale - o anormale - e che un apparecchio avesse registrati. Occorre dunque che l’il­

lusione sa costante, cioè: al cinematografo il sentimento della realtà è indispen-

sa bile all'emozione. L’esperienza de II gabinetto del dottor Caligari ha confermato a proposito

quest’opinione che potrebbe essere una delle prime leggi dell’espressione cinegrafica. Vi sono in questo film delle parti che non sono affatto del cinemato­

grafo, ma del teatro e della pittura: dal teatro, data l'insufficienza della magia

delle luci, si ha l'impressione di muoverci con gli attori tra muri di tela; della

pittura quando appare una piccola villa esattamene dipinta sullo sfondo, né meglio né peggio che in quadro da cavalletto, ma con in meno la grazia del

colore. Invece, allorché la luce si diffonde sulla decorazione e le presta siffatta­ mente i suoi valori, che essa ingegnosamente adattata ai sentimenti dei perso­

naggi, sembra vivere, noi partecipiamo pienamente all’emozione c alla bellezza

della composizione. Tali immagini contengono numerosi spunti per realizza­ zioni nuove e originali; esse sono ricche di fotogenia. Ma le disformità e gli errori grossolani de II gabinetto del dottor Caligari ci hanno illuminato sul valo­ re dei principii necessari c ci aiutano a scoprire le leggi che noi crediamo. Vi sono dunque attualmente due scuole: quella che pretende che i films deb­

bano essere girali in decorazioni naturili, c quella che vuole realizzare tutto in quel misterioso laboratorio che e lo stabilimento. Mercaton ha fatto passeggiare

dei gruppi elettrogeni per la verità di Miarka c di Phroso. Ciò non ha provato se non che certe materie naturali non danno allo schermo l’impressione della realtà

e che e necessario sostituirle con delle materie artificiali. L’esatto resta per il film

dal vero c non ha nulla a vedere con l'arte creatrice. Cinematografo, occorre ripe­ terlo infinitamente, non vuol dire bella fotografìa, più che non significhi regi­

strazione di spettacoli di cui si potrebbe facilmente considerare la rappresenta­

zione sopra una scena perfezionata c veramente moderna. L'apparecchio cine­ matografico registra il sentimento non soltanto attraverso il viso degli uomini, ingrandito cento volte dai primi piani, ma anche attraverso la decorazione, e lo registra dalla sua origine alla sua maturità cioè in tutto il suo sviluppo. La deco­

razione ha così una parte definita, necessaria, che obbliga a concepirla in rap-

|x>rto al sentimento. La luce interviene a tempo e sufficientemente per fornirle la vita; essa e curiosamente creatrice ma occorre rendersene padroni.

Ciò appare più certo ancora quando si affronta il dominio inesplorato degli incantesimi» del fantastico e della fantasia pura. Ciò non significa però che» necessariamente, tutto debba eseguirsi nello stabilimento e che non si debba

mai far partecipare all'azione il pittoresco d'un paesaggio o il suo carattere. Gli

svedesi» con II tesoro d'Ame e / Proscritti ce l'hanno provato, ma questo deve essere sempre più eccezionale. La luce permette di creare con materie comuni

dei paesaggi tali che non si saprebbe scoprirne sulla terra e dei più perfetti e meglio adatti al tema visuale da svolgere. Grazie ad essa il cinegrafista mesco­ la il bianco e il nero per far sorgere una nuova bellezza; domani egli mescolerà

tutti i colori viventi, poiché domani vi saranno degli acquafortisti e dei pittori.

Se si trattasse di registrare soltanto i diversi aspetti colorati della natura, la Cinematografia a colori non ci interesserebbe dal punto di vista artistico, ma la sua scoperta pratica permetterà di registrare le pitture mobili del cinegrafista,

grazie alla decorazione da lui creata con colori definiti e alle reazioni cliniche della pellicola. Se l'arabesco d’un gesto deve inscriversi c svilupparsi - il cinematografo è soprattutto movimento, non dimentichiamolo - in un complesso di linee dove esso ha il suo posto preciso studiato, fcspressionc d’un sentimento potrà affer­

marsi e spandersi nel quadro magico dei colori e delle luci appropriati, poiché è un fatto che noi attribuiamo i differenti colori dei valori sentimentali. Miste­

riosa corrispondenza. Con una semplice sovrimprcssione, per esempio, quale

sottile gioco di tonalità potrebbe produrre una mescolanza armoniosa» accor­ do o dissonanza delle atmosfere colorate di due scene: quella che muore e quel­

la che nasce!

Pertanto i cinegrafisti sono lungi dall’essere d’accordo sul principio del colore allo schermo. Sovente, poco sicuri di se stessi, essi hanno accolto opinio­ ni diverse. Pittori, scultori, musici e anche naviganti, speziali e capi-stazione,

hanno le loro idee in proposito. Alcuni sostengono che con il colore non vi sarà una creazione originale, ma una seconda interpretazione dapprima per mezzo

dell’obiettivo, poi per mezzo, della pellicola, quindi, nulla d'artistico. Facendo

tale dichiarazione essi pensano cvidentemente ai processi di riproduzione in

colore dell'incisione e pensano che la riproduzione in tricomania, per quanto perfetta ella sia, d’un quadro, non il quadro. Si tratterebbe d’esser logici. Il cine­

matografo registra il movimento. Se si ammette che vi sia arte dal momento in

cui il cinegrafista compone c realizza conoscendo perfettamente le deformazio­ ni dell’obiettivo e la trasposizione dei colori in bianco e nero, non v'c alcuna

ragione per sostenere che non vi è più arte trattandosi di riprodurre delle ripro­ duzioni in colori, dal momento che queste composizioni sono sorte dall'imma­ ginazione e dall’emozione creatrice del cinegrafista e sono state realizzate con

dei mezzi puramente artistici. Si tratta piuttosto di intenderci su questi mezzi. Il colore allo schermo - come il rilievo - richiederà un cambiamento com­

pleto nei metodi di lavoro, il perfezionamento e la scoperta di nuovi processi pratici, una tecnica particolare e delicata al servizio d’una sensibilità d'artista

più profonda e più completa.

SCENOGRAFIA. TRUCCO. COSTUMIST1CA

105

Creare un’atmosfera, specificare il carattere d’una scena, farsi dimenticare

o imporsi, questo e il compito generale della decorazione, compito che può in

certi momenti soverchiare l’interpretazione stessa.

Io non so quale sorte sarà riservata alla ricostruzione storica. Il regno del passato è certo difficilmente evocato dinnanzi ai nostri occhi esigenti e critici;

senza dubbio, l’avvenire ci riserverà grandi sorprese in questo campo. Ma non

si tollera alcuna alterazione: occorre attenerci al senso della realtà. La realizza * zionc è dunque il fatto più difficilmente realizzabile sullo schermo. E, cosa curiosa, è proprio a questo fatto, assai al di sopra delle condizioni attuali di progresso della cinematografìa, che ci si attacca subito. È perche si è *affascina

ti dall’idea di superare il teatro. Ed infatti si e ottenuto di più. Ma questi films, a parte alcune rarissime eccezioni, quali: ll tesoro d'Ame o La prova del fuoco (film svedesi), costituiscono soltanto degli spettacoli. Noi questo non lo chia­

miamo cinematografo. Pare dunque che lo schermo sia soprattutto mirabilmente atto a sviluppa­ re i sentimenti e le aspirazioni dell’anima moderna, e nel suo quadro.

Le architetture animate nella scenografìa cinematografica * G. C. S. [L’ultimo articolo sulla scenografia che proponiamo appartiene a "La rivista cine­ matografica" del gennaio 1929, ricordando che lo stesso articolo apparve su “ll

Lavoro d’Italia" del novembre 1928, si tratta di una notizia che riguarda i sistemi

di crollo di edifici, brevettato da un architetto italiano, Alfredo Mon tori. Lin­ venzione, sperimentata a partire da modelli plastici di famosi edifici storici, dopo

minuziosi controlli da parte di ingegneri costruttori, ha trovato largo utilizzo in

numerose produzioni, ] Una delle più importanti innovazioni in materia di costruzioni cinematografi * che, è la riduzione plastica. Quanti spettatori sono rimasti attoniti davanti alla

visione di colossali chiese o edifici, senza spiegarsi il metodo della riproduzio­

ne? Da più parti si domanda: «Per costruire da capo a piedi, per esempio, la cattedrale di Notre Dame o la chiesa romanica di S. Ruffino, quanti milioni sono stati spesi?». Le riduzioni plastiche di queste chiese erano tanto perfette che e naturale sentirsi rivolgere tale domanda, perché è solo una piccolissima parte del pub­

blico che si e accorta dei trucchi, su cui del resto si basa quasi tutta la sceno­

grafia moderna, traendone enormi vantaggi di economia c di tempo, mentre

nella realtà fotografica raggiungono effetti di grandiosità illuminata. Logica­

mente la riduzione è plastica e parziale. Quando il direttore artistico ha stabilito il campo d'azione, lo scenografo lo costruisce dal vero, il resto, cioè quello che è più difficoltoso e dispendioso, lo costruisce a riduzione. La chiesa di S. Ruffino di Assisi, che nella fotografia

* G. C. S.. Le architetture animate nella scenografia cinematografica, in “La Rivista Cine­ matografica*. X. n. 1.1$ gennaio 1929. p. 9.

risulta, in proporzione alla folla, alta metri 22, è riprodotta in tela e calce fino

ai capitelli sopra l’arco centrale della porta misurando, in altezza reale, metri 8, mentre la rimanente facciata, con il campanile e la torre è ricostruita in plasti­ ca e misura metri 14. Il segreto della riuscita del trucco sta nell’abilità dello scenografo, il quale deve impedire all’obiettivo di mostrare la linea che separa la costruzione dal

vero e quella della plastica, che è posta vicinissima alla macchina da presa. Tutto deve essere calcolato scrupolosamente, specie poi se la scena ha molta profon­

dità e quindi richiede numerosi apparecchi di illuminazione che è necessario

installare con criterio, tenendo presente il tipo di illuminazione della plastica. Molte volte però, quando occorre realizzare una scena di produzione, a campo infinito, si ricorre a sole plastiche. Questi piccoli templi ed edifici che

crollano, visti a se, non danno alcuna sensazione, mentre intercalati a brevi trat­ ti nello svolgimento di un’azione drammatica, rendono il loro magnifico effetto. Anche il crollo delle plastiche, per raggiungere lo scopo, deve essere fatto a gradazione, in modo che lo spettatore rimanga convinto che si siano distrut­

te grandi costruzioni. Fino a poco tempo fa. lo spettatore, anche il più profa­ no, poteva notare in questo genere di scena, il falso e l’artificioso, perché il

crollo avveniva fulmineo c le macerie erano ridotte addirittura in poltiglia, mentre c a conoscenza di tutti che anche i più violenti cicloni o il terremoto, lasciano sempre qualche casa intatta o almeno semidistrutta.

I) problema aveva appassionato molli studiosi di scenografia c di trucchi

fotografici, ma tuttavia non si era risolto nulla, trovando per di più inutile e

dannosa la ripresa a rallentare che mostrava più chiaramente l’artificio. Ma l’ingegno italiano che trionfa sempre e ovunque, ha dato anche in que­

sto campo il suo contributo, portando una completa innovazione alla cinema­ tografia che è in grado di realizzare le più difficoltose scene di distruzione, con

un sistema semplice. II sistema ingegnoso e stato ideato e applicato per la prima volta dall’ar­ chitetto Alfredo Montori, giovane studioso di scenografia, su di una sua costru­

zione in plastica di S. Giovanni del 1200 ed è riuscito sotto tutti i punti di vista. Infatti, questa applicazione, permette, nello spazio di quindici o venti secondi

(quanto può durare una scossa di terremoto) di vedere l’edificio sussultare, inclinarsi c crollare con uno schianto pauroso. Il sistema di Montori e sempli­ ce. Nell’intemo di ogni colonna c’c una leva snodabile, che ubbidisce a un

perno centrale, posto sopra il tetto, mentre il campanile e la facciata, che devo­

no cadere dopo le colonne, hanno leve a se. Basta un semplice colpo alla leva centrale perché i vari nodi delle leve si muovano provocando lentamente il

crollo; se poi l’edificio non deve essere completamente distrutto, allora la leva si fa girare al contrario c lutto ritorna al suo posto.

La geniale invenzione è stata oggetto di visite minuziose di ingegneri costruttori, i quali hanno potuto constatare che nel cinematografo, specie nelle

costruzioni del Montori, ardite e innovatrici, si possono applicare tutti i siste­ mi meccanici conosciuti e sconosciuti dcll’arte architettonica, spingendo i gradi Consorzi di produzione a fabbricare pellicole con grandiosi trucchi che

entusiasmano le folle.

SCENOGRAFIA, TRUCCO, COSTUMISTA

107

Anche sulla plastica animata si sono ottenuti dei risultati perfetti, potendo

lo spettatore vedere degli autentici pupazzetti, che nell’obiettivo non occupa­ no un trecentesimo di un fotogramma, muoversi e agire a tempo, fra le minu­

scole costruzioni ingrandite al naturale. Indubbiamente tutti questi studi ten­ dono a ridurre considerevolmente le enormi spese che si incontrano per pro­ durre un film, mentre creano una numerosissima categoria di scenografi-archi­

tetti, che nel cinematografo trovano la sistemazione e la rinomanza.

*** [Lo spazio occupato da questi tenti non rispetta un modello simile per ogni artico­ lo. Riferimenti al trucco, ai costumi o alla scenografia si possono trovare in tipi di

articoli molto diversi tra loro. Le recensioni, ad esempio, sono un'ottima dimo­ strazione di come, nella brevità della notizia, si potesse inserire un commento con­ ciso ma esaustivo sugli aspetti estetici di un film. / casi che abbiamo considerato

nella nostra antologia non appartengono a questo gruppo, ma sono parte di un altro modello di articolo; la lunghezza, innanzitutto, è varia e può consistere in più colonne e pagine. Alami scritti sono tratti da riviste internazionali, oppure da periodici d'altro genere, o ancora firmati da corrispondenti stranieri e tradotti.

Infine, per quanto riguarda il linguaggio adottato nei testi presi in esame si notano due principali linee di sviluppo: da un lato viene fatto largo uso di termi­

ni tecnici, senza dubbio rivolti a lettori esperti e conoscitori del tema trattato, dal­ l'altro un linguaggio piuttosto colloquiale espone chiaramente le notizie, ammic­ cando anche a una presa di posizione ironica rispetto a certi aspetti trattati. Que­

sto modo di descrivere gli eventi, o semplicemente le procedure solite della lavo­

razione di un film, fanno sì che fautore si avvicini ulteriormente al lettore, cercando di stupire e stupendosi a sua volta, a giudicare dai commenti e dalle

esclamazioni talvolta spontanee che vi leggiamo. È una tecnica indubbiamente personale, come una firma, spesso inconfondi­

bile. Ciò dimostra come il cinema ai suoi primordi e poco dopo abbia dato vita a un meccanismo di suggestioni, fatto di aspettative, disappunti, polemiche, come

pure ammirazione e continua ricerca della perfezione.}

Pellicola a cura di Marco Grifo

[Dal corpus di periodici presi in esame sono emersi materiali eterogenei sulla pel­ licola cinematografica, costituiti principalmente da pubblicità per la vendita di

pellicola vergine (nuova o scarti), da articoli che trattano dei problemi legati alla proiezione e da interventi riguardanti la pellicola come supporto per le immagini

in movimento. Questi ultimi (i più diffusi nelle riviste) informano soprattutto del trattamento della pellicola (negativa e positiva) nelle fasi che precedono e seguo­

no la ripresa e degli esperimenti volti alla produzione di un supporto più resi­

stente e durevole nel tempo.

Benché le riviste si occupino occasionalmente dell1argomento (con la parziale eccezione della “Tecnica Cinematografica * e della “Coltura Cinematografica *,

che

dedicano ampio spazio alle questioni legate allo sviluppo e alla stampa), si riscon­ trano alcuni interventi interessanti, nella maggior parte dei casi destinati a un pub­ blico di professionisti (come dimostrano il linguaggio tecnico e i consigli per la riso­

luzione di problemi), ma anche a un pubblico non particolarmente avvezzo, che desidera accostarsi alla tecnica (è il caso di articoli di carattere più generale).

Altri articoli invece si occupano di aspetti più parziali: spesso corredati di

tabelle di riferimento e/o formule chimiche, suggeriscono al lettore soluzioni e

consigli per risolvere i problemi, come ad esempio Tre formule per eliminare l’i­ posolfito dai negativi1, La correzione dei negativi2 o II fissaggio del negativo *»

In quest'ordine di interventi si possono includere anche gli articoli sulle appa­

recchiature utilizzate negli stabilimenti per la lavorazione della pellicola (va segnalata l'iniziativa della “Coltura Cinematografica * di pubblicare fra agosto del 1920 e marzo del 1921 una serie di articoli volti a presentare ai lettori i principali

strumenti per la preparazione della pellicola vergine e per la stampa), nonché

quelli che spiegano come allestire un laboratorio. Fra i primi è degno di nota l'articolo Delle macchine stampatrici a trazione

continua, che descrivendo le caratteristiche di questi nuovi apparecchi e i vantag­ gi derivanti dal loro impiego negli stabilimenti, testimonia la volontà della stam­ pa specializzata di aggiornare i professionisti sulle innovazioni e sugli sviluppi tec­

nologici. Dei secondi invece è interessante un intervento intitolato La illuminazione dei laboratori, che illustra quali luci e schermature adottare nei locali adibiti a

laboratorio per lo sviluppo e la stampa delle pellicole, invitando gli “industriali * a creare ambienti che permettano agli operai di svolgere il lavoro in condizionifavo­

revoli, presupposto indispensabile per incrementare e migliorare la produzione.

La maggior parte dei periodici dedica in generale poco spazio agli esperimen­

ti condotti sulla pellicola come supporto, riservando a queste notizie poche righe in rubriche generaliste. La quasi totale assenza poi di un "industria nazionale volta alla produzione di pellicola vergine *,

spinge le riviste a concentrare l’attenzione

nei confronti delle notizie che giungono dall’estero (ricorrendo talvolta alla pra­ tica di riportare interventi pubblicati su testate straniere): sappiamo così che in

paesi come l’Inghilterra e la Francia, l’impiego di pellicole in nitrocellulosa, a

causa dell’infiammabilità del supporto, fu proibito già negli anni Dieci5. ll forte rischio di infiammabilità e la rapida usura, furono dunque motivo di numerosi

tentativi per creare un supporlo ignifugo e resistente alle sollecitazioni subite durante la proiezione: si ha notizia di pellicole senza perforazione, di particolari formule chimiche in grado di renderle infrangibili, di supporti in carta e in tessu­ to, fino al caso estremo di una pellicola in alluminio: la notizia viene riportata nel

maggio del 1922 dalla “Rivista Cinematografica9 (che dedica poche righe)? e nel­

l’agosto dello stesso anno dalla “Vita Cinematografica9 (che riserva al contrario una pagina intera, riprendendo l’articolo dallo “Scientific American9).

Scarso interesse sembra riveslisserò anche le questioni legate ai diversi for­ mati delle pellicole: se si escludono un paio di brevi articoli pubblicati su “La

Rivista Cinematografica9 nel maggio del 1950 (i quali si limitano a informare del­

l’adozione della Warner Bros e della Paramount di una pellicola 6$ mm e delle possibilità della stessa di ospitare “diverse partizioni musicali9), le riviste non riportano notizie sull’argomento.

Di notevole interesse invece due interventi relativi alla conservazione delle pellicole cinematografiche: Suggerimenti pratici per preservare le pellicole dal fuoco e La conservazione dei negativi. Entrambi prescrivono una serie di regole

(suffragate dai risultati di studi ed esperimenti condotti dalla Kodak, ai quali i

due autori fanno riferimento) cui attenersi per evitare il rapido deterioramento delle pellicole. Mentre il primo però si concentra soprattutto sulle norme di sicu­ rezza da adottare nell’allestimento dei locali atti allo stoccaggio dei film, il secon­

do riserva particolare attenzione alla composizione fisica e chimica della pellicola

e alle cause che ne provocano il decadimento.

Cominciava a farsi strada l’idea di costituire degli archivi, allo scopo di sal­ vaguardare il patrimonio cinematografico, riconoscendone finalmente il valore

storico-documentario e artistico,} Il negativo * Jean D’Albrct

[Eautore si sofferma sulla sensibilità delle emulsioni e sull’apparecchiatura da impiegare per poterla determinare con esattezza, spiegando come ipersensihilaz-

zare e pancromatizzare la pellicola all’occorrenza. Non trascura poi di informare il lettore sui problemi legati alla conservazione (la sensibilità delle pellicole si

manteneva stabile per brevi periodi di tempo nonostante particolari accorgimen­

* J. D'Albrec, Il negativo, in “La Tecnica Cinematografica*, n. i, gennaio 1915. pp. 17-23; n. 2, febbraio 191$. pp. 45-50.

MARCO GRIFO

no

ti che D’Albret consiglia di adottare, come lo stoccaggio a basse temperature in

luoghi asciutti), alla formazione di condensa e alla staticità accumulata dalla pel­ licola durante la lavorazione (causa del fastidioso fenomeno delle scintille). Infi­

ne accenna alla differenza fra la perforazione della pellicola negativa rispetto quella positiva, descrivendo le tipologie più diffuse. Il risultato è un ritratto sintetico ma sufficientemente esauriente della pelli­

cola negativa, che risponde sia alle esigenze del lettore esperto che dell’amatore.]

La film negative / The Negative Film I Das Film-Negativ

La pellicola negativa e, senza contrasti, la materia che in una fabbrica di “films”

deve ricevere le cure maggiori: è quindi quella che procura le noie maggiori e dà nello stesso tempo adito alle più grandi speranze. La fabbricazione del negativo è sempre difficile e la sua manutenzione,

delicata. Centro da cui si dipartono infiniti errori, causa di discussioni interminabi­

li tra gli pseudo operatori, il negativo sa procurare ai buoni operatori delle sod­ disfazioni uguali a quelle che gli artisti ritraggono dal loro lavoro.

Il negativo ha generalmente un carattere di adattamento estesissimo, da qualunque fabbrica sia uscito.

Sensibile come le lastre dette rapide da qualità ordinaria, di una granula­

zione fine e regolare, non possiede che modestamente il velo negativo.

Le fabbriche di pellicole vergini sono in grado di dare la pellicola ortocro-

malica avente la stessa sensibilità che la pellicola ordinaria e la pellicola extra rapida double speed convenientissima per operare con tempo coperto o con la

luce artificiale.

Tulle le pellicole negative sono ugualmente buone dal punto di vista del­ l'emulsione: non si tratta che di saperle adoperare. Al giorno d'oggi tutte le fabbriche di pellicola vergine nei rapporti della

sensibilità e della finezza granulare sono giunte a risultati che per lo più si equi­

valgono. Non vi e differenza sensibile che nelle qualità della cellulosa, nella

cura della confezione, nell'aderenza dello strato gelatinoso, nella quantità degli

effluvi (scintille) nella conservazione, nel prezzo ecc. Le pellicole negative, ricevono dalle fabbriche un numero che ne indica la sensibilità: questa indicazione, dal punto di vista pratico, non ha su per giù

altro valore che quello di referenza, ed eccone le ragioni: -

Tra i numerosi operatori ve ne sarà circa uno su cento che conosca che cos’è

un grado a Vmccke o Hurter e Driefflcld. -

Ciascuna fabbrica enumera le proprie emulsioni seguendo un sistema dif­

ferente. -

La numerazione (étalonnage) fatta con esattezza nella fabbrica indica un

valore che non e più esatto, al momento deU’impiego del film imperocché la

sensibilità delle pellicole varia secondo la loro data. -

Non esiste alcuna relazione comoda fra i gradi dei diversi sensitometri e le

unità dei sistemi di misura fisici non più che con la potenza dinamica della luce,

e ancor meno con i diversi bisogni della cinematografia.

PELLICOLA

-

111

La facilità con la quale le fabbriche di pellicola vergine eseguivano le ven­

dite di un tipo medio cosiantc su contratto di grande quantità, toglieva dalle

officine ogni preoccupazione a riguardo della sensibilità»

-

L'ignoranza dei pasticciatori di films copriva sovente l’opinione comprata. I milioni sprecati per una disgraziata incuria, potevano apportare dei frutti

più saporosi. Ma ritorniamo sulla buona strada: le discussioni sugli errori passati non

sono compatibili con le necessità del laboratorio. È d’uso in qualunque industria il verificare la merce quando la si riceve, rendersi conto del suo valore, analizzarla sia per trame il piti utile partito, sia

per applicarvi il trattamento più appropriato, e nessuna ragione esiste per non fare in cinematografìa la stessa cosa. Scopo del negativo c la scena che viene rappresentata dinnanzi all’obbiet-

livo. Vi sono delle scene il cui prezzo e favoloso c che non si possono ricomin­ ciare: non vi è dunque nulla di stupefacente in questo che, pcr fotografarle, si

faccia scelta della pellicola che meglio si adatti alle loro disposizioni generali.

Tirarne un campione prima di girare la scena è evidentemente un mezzo semplicissimo c sicuro per fare il meglio possibile: ma se esso vi garantisce la

riuscita del quadro che voi state per fare, ha pure come principale inconve­ niente quello di non essere un mezzo facilmente applicabile se non quando voi siete abbastanza vicini al vostro laboratorio. Ora questo campione vi darà, io fammetto, il mezzo di correggere la posa

difettosa, ma non vi indica certamente che fra le emulsioni diverse del vostro armadio ve ne una che si presterebbe a una interpretazione più esatta del

vostro soggetto. Ho personalmente osservato con grande curiosità che due emulsioni di

una Casa importantissima, aventi lo stesso grado di sensitomctro, per una stes­ sa scena, girata alla stessa ora, trattate in modo identico, non mi hanno dato

due negativi simili. La differenza di gradazione delle mezze tinte differiva sufficientemente perché l’uno dei due fosse perfetto e l’altro appena appena mediocre. Noi siamo ora in un tempo in cui la mediocrità fotografica non e più tolle­

*, rata

e nulla dev’essere trascurato per arrivare alla perfezione. Bisogna che la

pellicola sia misurata all’officina, poco tempo prima di essere impiegata; eh’es­ sa sia munita di un numero utile a qualche cosa, d’un numero che sia fattore

del tempo di posa, e che gli operatori siano in grado di servirsene con fiducia

e con sicurezza. I mezzi impiegati per l’esatta valutazione del tempo di posa non mancano, ma non risulta che fino a oggi siano stati messi in pratica in modo corrente. Il sensitometro che dà i migliori risultati non si trova ancora in commercio:

io l’ho veduto tuttavia in uso in due fabbriche che l’hanno costniito nelle loro officine e me ne hanno lodati i risultati senza riserva.

Ve lo descriverò meglio che sia possibile. L’apparecchio in questione non e brevettato, c ciascuno può farselo costruire: il suo inventore del resto mi ha autorizzato a divulgarlo nell’interes­

se dell’industria cinematografica.

Talc apparecchio si compone di due parti ben distinte: una sorgente lumi­ nosa graduata e un otturatore. La sorgente luminosa è assai caratteristica, in questo senso: eh essa è indi­ retta e sintetica. Tre lampade a incandescenza a filamento metallico (a, a, a)

sono poste dentro ad astucci in metallo annerito in modo da non emettere

alcun’altra luce che quella che è trasmessa da un condensatore, (t>) il quale per mezzo di uno schermo (e) frapposto non lascia passare che della luce colorata;

i tre fasci luminosi vengono a colpire un piccolo schermo di carbonato di magnesia (schiuma marina) (D).

L’intensità delle tre lampade e la natura del loro schermo è tale che la com­ binazione delle luci colorate dà della luce bianca per riflessione. L’insieme di quest’apparecchio può essere allontanato da un disco (e) il blocco di carbona­

to di magnesia si trova posto perpendicolarmente e al centro di questo disco a una distanza di trenta centimetri. Il disco otturatore, in alluminio annerito,

possiede, dalla periferia andando verso il centro secondo un raggio, delle aper­ ture in forma d’un arco di cerchio. Apparecchio per valutare (etallonage) normalmente le pellicole e per verificare la sensi­ bilità ai diversi colori dello spettro, il loro ortocromatismo o il loro pancromatismo

Visto di fianco

Visto di fronte. Dietro dell'apparecchio: la fenditura lascia vedere in M le pellicole da valutare

La larghezza di queste aperture è di due millimetri e mezzo, ed esse sono

distanti fra loro nella stessa misura. L’altezza di queste aperture va decrescen­ do dal centro alla periferia, essendo la più alta di otto millimetri e di due la più

bassa. Queste aperture cominciano a sei centimetri dal centro pcr finire a un centimetro dal margine esteriore del disco, il quale ha 32 centimetri di diame­ tro. Una piastra metallica (F) a cerniere, serve a mascherare o a scoprire le

aperture a tempo opportuno. Dietro a questo disco fìsso esiste un altro disco (g) montato su di un asse e suscettibile di prendere un movimento di rotazione di 60 giri al minuto. Que­

sto disco mobile riceve la pellicola da valutare. I campioni di pellicola vergine, tagliati a striscioline di otto millimetri di

altezza sono fissati in sedici raggi equidistanti dal cerchio mobile, il che per­ mette di fare in una sola volta sedici misure.

PELLICOLA

"J

Infine sul piano dell’apparecchio si trova un fotometro che permette di regolare la distanza dello schermo per avere la potenza luminosa esatta. Ecco il modo di servirsi di questo apparecchio.

I campioni di pellicola messi al loro posto sul disco mobile, la piastra ottu­

ratrice davanti alle aperture, un movimento di orologieria fa girare il disco

mobile. In capo a qualche secondo il disco avrà raggiunta la sua velocità nor­

male c regolare. Quando questa velocità è raggiunta, la piastra che copre le aperture si

abbassa automaticamente, le scopre durante un giro completo, poi si richiude.

Ciascuna lista di pellicola avrà dunque ricevuta l’impressione luminosa in ragione dell’intensità luminosa, della distanza della sorgente e proporzionata­

mente al tempo di posa che va decrescendo dal centro alla periferia del disco. Le striscioline di pellicola preventivamente numerate che erano state intro­

dotte vengono tolte dall’apparecchio, montate su di un piccolo telaio speciale e sviluppate in un bagno la cui formola e la seguente: -

metolo i gr,

-

idrochinone 1 gr;

-

solfito di soda 50 gr,

-

bromuro di potassio 1 gr,

-

acqua 1.000 gr. Questo bagno alla temperatura di 18 centigradi è rinnovato a ogni prova.

carbonato di potassa 50 gr;

Dopo tre minuti e mezzo di sviluppo le prove sono fissate, lavate e secca­ te con cura. In seguito, sovrapponendo il film a una scala graduata si legge la cifra di questa scala che corrisponde alla prova più oscura sui margini della quale non si nota alcun halo. È il grado di sensibilità normale.

Il grado di fronte al quale l’impressione scompare e stato chiamato grado d’i­ nerzia; infine la differenza tra questi due numeri e il coefficiente di rendimento.

Più questo numero e elevato, più la pellicola e suscettibile di dare un negativo

ricco di mezzotinto. Sarà dunque possibile classificare il negativo in parecchie serie, impiegare

i films meno morbidi alle vedute all’aperto ben illuminato e riservare i miglio­

ri agli interni, ai primi piani in cui il valore artistico è costituito dalla ricchezza di tonalità.

Vi ha di meglio. Le cifre inscritte sulla scala-tipo indicano per un tempo di posa di un trentaduesimo di secondo a quanto bisognerebbe diaframmare un

obiettivo che si supponga avere F/i e che lavori nelle condizioni di più forte

luce per esempio a 45 gradi di latitudine nella seconda quindicina di giugno a mezzogiorno, in piena luce.

Questo numero è così facilmente riportabile al valore di ciascun obbietti­

vo ed esistono delle tavole antichissime, facili a ritenersi a memoria, indicanti

la potenza della luce in ciascuna epoca dell’anno, secondo l’ora.

La grande sensibilità del film negativo ha invalsa in tutte le fabbriche la cat­ tiva abitudine di lavorare in locali oscurissimi quando la delicatezza del lavoro

avrebbe richiesto, al contrario, che si potesse disporre di locali molto illuminati.

L’illuminazione del laboratorio deve esser accuratissima, in ciò che con­

cerne la scelta delle radiazioni che si devono impiegare, ma non v'c alcun inconveniente ad avere numerose sorgenti luminose di debole intensità

individuale, ben scelte. Ritorneremo su questo punto in un nostro articolo speciale. La pellicola negativa non si conserva. Essa perde abbastanza rapidamente

la sua meravigliosa sensibilità in conseguenza dei vapori sviluppali dalla base di celluloide. È necessario mantenerla nell'imballaggio originale, senza aprirla, in un luogo molto asciutto e in cui la temperatura sia la più bassa possibile: in

ogni caso mai supcriore ai dieci gradi; al contrario c raccomandabile che la si impieghi a una temperatura media di quindici gradi al minimum. Quando la pellicola passa nell’apparecchio presa-vedute senza essere

lasciata alquanto alla temperatura dell’ambiente in cui si sviluppa l'azione, la celluloide si ricopre di umidità a mano a mano eh'essa si svolge al punto da

compromettere il funzionamento dell'apparecchio.

Questo fatto si verifica sopratutto nell'estate quando i locali in cui la pelli­ cola è stata o perforata o depositata sono molto freddi e gli operatori sono stati obbligati a caricare le loro macchine in fretta al momento di girare.

Questa umidità condensata sulla celluloide nel momento in cui la pellico­

la si avvolge nel ricevitore della macchina tende ad essere assorbita dalla gela­ tina, impedisce lo slittamento regolare dei giri del film gli uni sugli altri, la pel­

licola si avvolge male; e non pochi bourrages non dipendono che da questo. Quando la pellicola e stata impressionata occorre procedere al suo svilup­ po nel più breve tempo possibile e mantenerla in ambiente fresco se lo svilup­ po deve essere ritardato di parecchi giorni.

L'immagine latente rimane un tempo discretamente lungo su di una lastra,

ma via via che la pellicola perde la sua bontà, l'immagine latente scompare. Se la pellicola vergine diviene meno sensibile, ma sopratutto se si vela a

causa del suo tempo, occorre tener ben certo che l'azione del supporto conti­ nua dopo l'impressione.

Ma a questa causa se ne aggiunge un'altra: i raggi infrarossi non sono per­ cepiti dalla nostra retina; essi impressionano male le lastre fotografiche, hanno però la curiosa proprietà di cancellare l'impressione luminosa lasciata sulle pre­ parazioni sensibili dai raggi che hanno una minore lunghezza di onde, e inol­

tre essi attraversano quasi tutti i corpi. E a) dr. Gustave Lebon che noi siamo debitori della scoperta di questo fenomeno.

Certi metalli, e particolarmente lo zinco, emettono dei vapori che deterio­ rano le emulsioni; sarebbe dunque piuttosto pericoloso rinchiudere dei films vergini in scatole di zinco saldate. Tutte queste considerazioni non si applicano evidentemente quando si

tratta di tempi a corto periodo, ma hanno una capitale importanza quando si tratta di periodi di tempo che sorpassano un mese. Si è accertato che le emulsioni extra rapide hanno la granulazione più gros­

sa delle emulsioni ordinarie, malgrado che in questi ultimi anni si siano fatti in proposito dei progressi notevoli; parrebbe che ciò debba avere per la cinema­ tografia una considerevole importanza dato il formidabile ingrandimento al

quale i fotogrammi sono soggetti nelle proiezioni. In appoggio a questo è stato

dato di osservare che certi films presi in condizione di luce sfavorevole davano l’impressione di essere osservati attraverso la caduta di una neve nera.

L’impressione alquanto sfavorevole che produce questo genere di inconve­ niente non ha per ragione la granulazione più o meno grossa; è invece dovuta alla sovrapposizione in zone di aggruppamenti di grani, non avendo nulla a che

vedere con la fotografia del soggetto.

La pellicola, insufficientemente esposta, ha sofferto nel suo sviluppo: essa

è rimasta troppo tempo nel rivelatore. Gli atomi di bromuro d’argento che si trovano alla superficie subiscono di

fatti nelle diverse manipolazioni della pellicola uno sfregamento che produce lo stesso effetto della luce.

Questo sfregamento e più intenso in certe zone e, con la lunghezza dello

sviluppo, questi veli accentuano la loro importanza. Ciò che noi vediamo sullo schermo non è che la superposizione di questi grani sviluppati alla superficie.

Non vi è rimedio per questo difetto: le sole fabbriche di pellicola vergine potrebbero fare qualche cosa, ma, in fondo, c meglio non girare se non quan­ do la luce è sufficiente, sia essa naturale o artificiale.

Con ciò siamo portati a parlare delle scintille, il flagello dell’inverno. Quante scene sono state ricominciate, anzi quanti lavori intieri, a causa di queste scintille! Eliminarle sembra impossibile. Le scintille hanno origine dal momento in cui si emulsiona la pellicola.

Esse risultano dalla rottura dell’equilibrio elettrico tra le due facce della foglia di celluloide a contatto dell’emulsione calda. Dalla lucidatura della foglia di celluloide si sviluppa una certa quantità di elettricità, che si disperde abbastanza rapidamente, ma ne rimane ancora al

momento in cui si emulsiona il film. Avviene allora un fenomeno simile a quel­ lo che produce il flux elettrico nelle macchine statiche: la celluloide si carica di

elettricità positiva e l’elettricità negativa passa nella macchina. Le quantità di elettricità così formate possono essere rivelate per mezzo

dell’elettroscopio, ma non sono sufficienti pcr manifestarsi spontaneamente. Quando la pellicola passa nella macchina tagliatrice una nuova quantità di elettricità scompare, ma si riproduce ben tosto e questa volta e più considere­

vole al momento dell’avvolgimento dopo la verifica. Quando la pellicola arriva a noi è carica di elettricità. È anche facile a coloro che non posseggono un elettroscopio di renderse­

ne conto, rimanendo qualche tempo nell’oscurità completa: quindi, quando l’occhio si è ben riposato, aprire una scatola di pellicola vergine e togliere la

carta di stagno che avviluppa direttamente il rotolo. Se allora si fa saltare con l’unghia l’etichetta che mantiene il rotolo chiuso,

si manifesta una luminosità fosforescente tanto più percettibile quanto più il

rotolo sarà svolto velocemente. Se voi sviluppate a fondo un pezzo di questo film voi vi potete rendere

conto che le scintille si rivelano.

MARCO GRIFO

IlÓ

La questione dcllcliminazionc delle scintille è delle più difficili a risolver *

si; si può dire anzi che fino a oggi essa non è stata risolta integralmente. Tra i mezzi impiegati, quello che sembra aver dato risultati più soddisfacenti è quel *

lo impiegato e brevettato dalla Casa Gevaert, che consiste nel passare sulla cel­

luloide, dalla parte opposta dell’emulsione, uno strato di vernice isolante for­ mata da una soluzione di destrina al 1 per cento. Un altro mezzo che non è protetto da alcun brevetto consiste nello svolge­ re lentissimamente la pellicola e nell’avvolgcrla di nuovo facendola passare

sotto una forte calamita mentre la pellicola appoggia sopra un rullo metallico levigato, in contatto elettrico con la terra.

Questa operazione si fa in un luogo saturo di umidità.

Per evitare la formazione di scintille nell’apparecchio presa vedute è meglio sostituire il quadro premente di solito in metallo ricoperto di seta con

un quadro premente formato da un blocco di cera dura proveniente da vecchi cilindri di fonografo e accuratamente levigato col zaffiro.

Questi quadri si consumano rapidamente ma si possono rinnovare con facilità. Perché essi non producano alcuna polvere nell’apparecchio occorre sorve­ gliare che non vengano a poggiare sulla sola perforazione.

Se questi mezzi non giungono a sopprimere radicalmente le scintille è certo che essi ne diminuiscono gli effetti in proporzione di circa l’8o per cento. Le belle giornate di estate permettendo una posa sufficiente e uno svilup­ po breve, fanno sparire le scintille.

Nella maggior parte delle pellicole che passano sullo schermo si riscontra­ no delle parti colorate combinate con una illuminazione studiatamente specia­

le allo scopo di darci fimprcssione di certi effetti di luce.

In linea generale, malgrado l’ingegno e l’abilità del rnetteur en scène, il risultato non è che approssimativo, c noi diremo convenzionale. Per giungere a un rendimento quasi perfetto, vi e un mezzo che ben pochi impiegano.

Esso consiste nel porre dinnanzi all’obbiettivo, ogni volta che si dispone di luce sufficiente, uno schermo coloralo appropriato al genere di luce che si vuol

rendere e la cui tinta raddoppia la posa. I positivi, colorati convenientemente, daranno una interpretazione più

esatta dell’effetto cercato.

In linea generale, per fare della buona cinematografìa, occorrerebbe un impiego sollecito degli schermi; al contrario non sono impiegati, a ciò che sem­ bra, se non quando si è forzatamente costretti: il che dimostra che la maggior

parte degli operatori di teatro non hanno ricevuta una istruzione teorica suffi­ ciente in rapporto alle responsabilità che loro dovrebbero incombere. Alle case cinematografiche preoccupate del loro avvenire, io non saprei abbastanza raccomandare la formazione di una biblioteca in cui si trovino

aggruppale le pubblicazioni fotografiche moderne; biblioteca che potrebbe

essere il centro di riunione degli operatori nelle ore all’infuori della loro effet­

tiva occupazione; c di cercare con qual mezzo esse potrebbero incoraggiarli ad acquistare la conoscenza e la coltura individuale necessarie ad esercitare ono­

revolmente il proprio mestiere, creando, per esempio, una specie di concorso

permanente premiato a ogni fine di esercizio. Annesso alla biblioteca dovreb­ be essere un laboratorio munito dei prodotti necessari; il tutto sotto la sorve­ glianza di una personalità dalle conoscenze severamente accertate. Ciò varreb­

be assai meglio che lasciar vagare gli operatori qua e là, trattenuti in discorsi futili quando il tempo non permette il regolare lavoro. Una reazione in questo senso e assolutamente necessaria. Bisogna avere il

coraggio di perfezionarsi. Se le scuole cinematografiche mancano è necessario supplirle: se i trattati sono vecchi o volontariamente incompleti occorre saper riunire le parti che sono state omesse.

Tutti i nostri sforzi tenderanno a questo scopo. Voi troverete sempre esposto in questa Rivista, a poco a poco, lutto ciò che vi è necessario o utile sapere. Con Tanno che si apre prendete risolutamente il coraggio per perfezionar­ vi: ne troverete ben presto la necessità, vi accorgerete che voi conoscete ben poco di ciò che voi credete sapere c la coscienza che voi trarrete della vostra

superiorità intellettuale, sarà già una immensa soddisfazione. Per vincere bisogna lottare, e occorre lottare perche la vostra industria non sia sopraffatta dalla concorrenza straniera. Per vivere in tranquillità bisogna vincere: per Tonore della vostra industria

avanti con coraggio! Succede spesso che la quantità di luce di cui si dispone per prendere le

vedute non permette di adoperare gli schermi colorati, come noi abbiamo sug­

gerito nelle lince precedenti, senza correre pericolo di sotto esposizione. Se in questo caso si desiderasse ottenere un effetto analogo basta croma­

tizzare la pellicola stessa.

Siamo completamente d’accordo che una simile operazione, per una per­ sona che non sia pratica della manipolazione della pellicola vergine, pare, se non impossibile, almeno molto noiosa.

Ma c bene saperla fare, tanto più che se si fa un poco d’attenzione riesce

sempre a meraviglia, e d’altra parte il materiale richiesto per eseguirla e lo stes­

so di quello adoperato per la ipcrsensibilizzazione. Eccoci dunque in mezzo a una questione veramente nuova.

Si può sperare che fra poco tempo la cinematografia a colori sarà di pro­ duzione corrente e se voi siete allenato a manipolare la pellicola vergine per Ti-

persensibilizzazione voi avrete di già compiuto metà del difficile cammino che

conduce al successo delle nuove applicazioni. È dunque del più grande interesse per ogni fabbrica di pellicole intra­ prendere la costruzione degli apparecchi, disporre i locali appropriati per fare accuratamente questa operazione del tutto nuova, irta di difficoltà, nessuna

delle quali è insormontabile. Per riuscire ci vuole cura, metodo, in una parola, grande attenzione.

Quando avete scelto un sistema bisogna seguirlo fino alla fine.

Evitate di mutare apparecchi e sistemi nella speranza di esiti migliori, perche un tal metodo comprometterebbe per sempre, o almeno, ritardereb­

be la vostra riuscita; vi scoraggierebbe spesso, causandovi sempre delle spese inutili.

Scieglictc dunque con cura fra i diversi sistemi quello che vi sembrerà più

adatto ai vostri bisogni, poi mettetevi bene in testa che tutti gli inconvenienti che incontrerete al principio saranno dovuti sopratutto alla vostra imperizia.

Per cromatizzare una pellicola negativa basta colorire i grani d’emulsione

per mezzo di certi coloranti che hanno la proprietà di rendere questi grani più sensibili a certe radiazioni; per conseguenza la riduzione dell’argento sarà più intensa nelle parti della lastra colpite dai raggi della stessa tinta di quella della

zona dello spettro per la quale la negativa è stata sensibilizzata. Eccitare i grani dell'emulsione per tutti i colori, di modo che la loro sensi­

bilità per i diversi colori dello spettro sia pcr la lastra come per i nostri occhi, si chiama pancromatizzare una emulsione. Finalmente aggiungere a questi coloranti diversi agenti catalizzatori in maniera da eccitare la sensibilità dell’emulsione stessa e ipersensibilizzare.

Quando si tratta di una lastra l’operazione pare delle più facili però quelli che già hanno provato sanno assai bene che gli esiti non sono dei più costanti.

Ciò non ha niente di sorprendente poiché il più delle volte le condizioni

nelle quali le diverse manipolazioni sono state effettuate non sono rigorosa­

mente identiche.

Eccoci dunque davanti alla prima difficoltà. Per ben riuscire nella ipersensibilzzazione come nella cromatizzazione biso­

gna che le condizioni di temperatura e lo stato igrometrico mentre si effettuano le operazioni siano sempre rigorosamente identici.

Quanto alla pulizia dei locali bisogna che sia assoluta. Il nemico più terribile è la polvere.

Come nelle sale delle operazioni chirurgiche, l’accesso ai locali dove si

lavora sarà preceduto da un vestibolo, dove gli operai dovranno cambiarsi di abiti e indossare una specie di combinaison che loro serva da pantaloni e da biouse, come quelli adoperati dai motociclisti, ma confezionati in tela cerata o

in gomma, perche queste stoffe non lasciano sollevare della polvere nello sfre­

gamento. Delle scarpe di gomma e un berretto di tela cerata completano que­ sto abbigliamento bizzarro, ma indispensabile.

Le pareti dei locali saranno rivestite di piastrelle di porcellana smaltata

verde scuro riunite con cura. Nessuna finestra; l’aerazione sarà fatta per mezzo di ventilatori abbastanza forti che mandano sotto pressione nelle camere dell’aria lavata, filtrata e asciu­

gaiNella parte superiore delle pareti si trova tutto intorno un canale, scavato nello spessore dei muri, per mezzo del quale si può far colare su tutta la loro

superfìcie un sottile velo d’acqua. Perche il lavaggio avvenga regolarmente le

pareti sono fatte a leggiero pendio e l’acqua che ha colato lungo i muri si span­ de pcr l’impiantito lavandolo; poi ne esce da un buco situato nel mezzo della stanza. Dopo una mezz'ora di lavatura c due ore di ventilazione si può credere che

tutta la polvere sia eliminata e la stanza abbastanza asciutta. I locali necessari per questo genere di lavoro non sono molto importanti.

In linea generale, per ipersensibilizzare due mila o due mila cinquecento metri

al giorno, basta avere a disposizione due sale oscure di quattro metri per tre.

Un laboratorio mezzo chiaro c mezzo scuro c il vestibolo possono occupare un

identico spazio. In quanto al personale, bastano un capo di laboratorio e due o tre aiutan­ ti. I prodotti che si adoperano per ipersensibilizzare e per cromatizzare le pel­

licole sono carissimi; alcuni costano fino venti mila lire al chilogramma. Noi siamo convinti che questo stato di cose sta per cessare c d'altra parte, essendo le quantità impiegate infinitesimali, non sarà questa ragione che impe­

dirà alla cinematografia a colori di spiccare il suo volo. Ad ogni modo il prezzo di questi prodotti resterà per molto tempo abba­ stanza elevato perche non si possa impiegare il metodo di immersione per la preparazione delle emulsioni; e questa è una circostanza veramente felice per­

che il processo delle bacinelle per la cromatizzazione e il più difettoso; quello che causerebbe la maggior parte di insuccessi: bisogna averlo provato per ren­ dersene conto. Che l’esperienza altrui vi sia di profitto! Guardatevi bene di ricorrere a questo mezzo! I nostri lettori avranno già pensato che la cromatizzazione e l’ipersensibi-

lizzazione siano delle operazioni che si facciano dopo la perforazione della pel­

licola. Questo va da sé, poiché la pellicola acquista una sensibilità talmente grande che diventa impossibile lavorarla se non nella più completa oscurità se si vuol essere sicuri di non correre il rischio di velare la pellicola.

Una buona precauzione da prendere è quella di procedere prima di tutto alla verificazione del film da cromatizzare e ricercare per mezzo dell’analisi qual è il colorante impiegato dalle fabbriche di film vergine per la ortocroma-

tizzazione. Può darsi che i fornitori di films vergini non facciano grandi difficoltà per

informare la loro clientela su questo punto. Certi lettori osserveranno senza dubbio che la cosa più semplice, secondo loro, sarebbe di incaricare le fabbriche stesse di films vergini di questa opera­ zione; questo ragionamento sarebbe giusto apparentemente, ma pecca da que­

sto lato. La pellicola ipcrsensibilizzata non si conserva sovente oltre qualche giorno senza velarsi, cosa molto noiosa; oppure nel caso contrario la sensibilità c dimi­ nuita moltissimo c non si può più raggiungere lo scopo; di più la perforazione deve farsi in condizioni di luce molto sfavorevoli. È molto meglio quindi poter fare questo lavoro da sé a misura che se ne ha bisogno. Dopo l’ipersensibilizzazione si procederà a una verifica che permette di

rendersi conto dell’accrescimento di sensibilità ottenuta; questa sarà indicata

sulla scatola e servirà di regola agli operatori.

Tra le macchine fabbricate per l’ipersensibilizzazione del film negativo, una delle più semplici secondo me e che dà i migliori risultati, può essere rap­

presentata schematicamente da un sopporto (a) che riceve il rotolo della pelli­ cola da trattarsi.

MARCO GRIFO

120

Rappresentazione schematica di un dispositivo per ipersensibilizzarc

Un tamburo dentato (A) frenato, per impedire che il film si srotoli liberamen­ te. Cinque rulli (J) sono in contatto con il film da cromatizzare e gli cedono il

liquido che essi ricevono da un cilindro di più gran diametro (c) immerso in un

recipiente a livello costante (e). Il film dopo aver ricevuto le quantità di liqui­ do necessaria è trascinato sopra un tamburo dentato di grande diametro (/),

poi si rotola su un nastro essicatorc (g).

Per terminare la descrizione dell’apparecchio dobbiamo dire che il tam­

buro dentato di grande diametro riceve il movimento da un piccolo motore elettrico mediante una vite eterna. Una serie d’ingranaggi comanda i rulli (c) e

(J) dimodoché quelli piccoli vanno a una velocità doppia di quello grande e in

senso opposto al movimento della pellicola. Infine un attrito regola l’arrotolamento della pellicola sul nastro essicatore: questo attrito deve essere abbastanza forte da assicurare 1’awolgimento

della pellicola c del nastro e mantenere la pellicola tesa, ma essa non deve in nessuna occasione forzare la perforazione. Questo punto e abbastanza delica­

to a regolare, ma per arrivare facilmente a questo scopo, occorre che la pelli­

cola sia perforata con precisione e che ingrani perfettamente col tamburo den­ tato. Non bisogna dimenticare che il film essendo umido si è allungato e di

dividere quindi il tamburo. In una parola è necessario che i denti in presa con

la perforazione vadano d’accordo per dividersi lo sforzo.

Il nastro essicatore è un apparecchio assai antico ma poco conosciuto. Io ricordo d’averlo veduto in Inghilterra nel 1903 in una piccola fabbrica di pelli­ cole. Si c molto perfezionato d’allora in poi per adattarsi al suo nuovo uso.

Esso è costituito oggigiorno d’un fortissimo nastro di tela ricoperto di gomma, sugli orli del quale sono incollate delle striscio striate della stessa mate­

ria. I) film arrotolandosi, teso su questo nastro fra le due striscio laterali pre­ senta la superficie umida all’azione dell’aria che circola sotto pressione attra­

verso i vuoti lasciati dalle strie.

PELLICOLA

III

Nastro essicatore

Le tele di gomma non devono contenere che della gomma pura e la vulcaniz­

zazione del nastro deve essere molto debole se no i vapori di zolfo guastereb­ bero senza rimedio le pellicole» E dunque da raccomandarsi di verificare accu­

ratamente i nastri, farli analizzare al caso, e rifiutarli senza scrupolo se conten­ gono di gomma fittizia o di zolfo più di un mezzo per cento. Il sopporto in tela cotone, purché sia di qualità buona, e più soffice e meno spesso che i tessuti di canapa. È da raccomandarsi di rinforzare il nastro per mezzo di alcuni fili metallici finissimi che impediscono al nastro di deformarsi

e assicurano che il nastro scorra più regolarmente.

Quando la pellicola e arrotolata sul nastro essicatore, si porta sulle tavole di ventilazione, che non sono altro che delle condutture metalliche piane nelle

quali sono praticati degli alvei che contengono esattamente i nastri essicatori.

Non potendo l’aria trovare altro sfogo che attraverso gli interstizi delle strie, essa viene in contatto con il film e l’essicazione ha luogo in qualche minu­

to, condizione essenziale per ottenere un buon prodotto. La temperatura di essicazione non deve in nessun caso essere superiore ai i$ gradi centigradi. Per avere in queste condizioni una essicazione rapida, biso­ gna che l’aria sia molto asciutta.

Si ottiene questo risultato adoperando le colonne di essicazione d’aria; queste colonne sono composte di un grosso cilindro metallico avente come

sezione il volte la sezione del tubo del ventilatore essicatore. In questo cilindro

sono disposti quindici setacci a larghe maglie sui quali e steso uno strato di clo­ ruro di calce in grossi pezzi. Traversando questo setaccio a una velocità ridot­

ta in ragione dell’aumento di sezione, l’aria si spoglia intieramente della sua umidità, diventa molto avida di vapore acqueo e perciò produce una cssicazio-

ne energica. Dopo qualche ora di servizio la colonna d’essicazione sarà sostituita da un’altra, mentre quella che è stata adoperata e portata a i20°, di modo che si

possa levare il vapore acqueo ricevuto durante il lavoro; pcr una produzione

continua bisognerebbe avere almeno tre essicatori d’aria.

Per purificare l’aria dalla polvere che potrebbe venire dal difuori o che si

potrebbe elevare dal cloruro di calce, si fa passare dopo l’essicazione in una colonna a filtro; questa colonna dello stesso genere di quello dcll’cssicatorc, ha

la stessa costruzione. Essa comprende un cilindro, la cui sezione è cinquanta volte la sezione del condotto d'aria. In questo cilindro sono disposte a cinque centimetri di distanza le une dalle altre delle fini tele metalliche imbevute di gli *

cecina; il numero dei setacci e di 25. Se si ha cura di togliere ogni giorno i cin­

que filtri inferiori e di lavarli per rimetterli nella parte superiore, non un atomo di polvere penetrerà nelle camere.

Si capisce che per arrivare a dei buoni risultati è necessario adoperare dei

ventilatori ad altissima pressione. I ventilatori Roots sono molto indicati, ma hanno l'inconveniente di fare un rumore sgradevole.

D’altra parte siccome l’aria così soffiata va direttamente alle tavole d’essi-

cazione, basta per qualsiasi caso un ventilatore di 35-40 centimetri d’acqua di

pressione e di 14 centimetri di bocca. Ora che abbiamo fatto conoscenza con l’impianto e con gli apparecchi vediamo che cosa se ne può fare.

Se volete riprodurre l’effetto di un incendio con precisione, non bisogna solamente ottenere una veduta con dei grandi contrasti di luce c che voi colo­

rirete dopo in rosso; ciò sarà convenzionale, ma non sarà vero. Al contrario se voi sensibilizzate la pellicola con il sensibilizzatore rosso, e

se voi potete ancora aggiungere uno schermo color arancio, moltiplicando la posa per due come dicemmo precedentemente, voi otterrete un positivo che tinto convenientemente vi renderà fedelmente quello che avreste veduto della

scena alla luce monocroma dell’incendio; con questa differenza, che voi pote­ te conservare un’infinità di dettagli c di mezze tinte che la sotto-esposizione e

lo sviluppo imposto ai films più a lungo per ottenere questo effetto di notte, avrebbero distrutti. In questo caso la pellicola è cromatizzata nella maniera seguente. Nella

bacinella dell’apparecchio si mette una soluzione di: -

alcool 60 gr,

-

acqua 4.000 gr; pinacianolo 0,86 gr;

-

ammoniaca 60 gr. Quando è asciutta, la negativa viene esposta con uno schermo color aran­

cio chiaro. La negativa ottenuta sarà semplicemente una negativa selezionata della

specie di quelle che si adoperano in tricomia, ma di cui la selezione sarà sola­

mente parziale. In questa negativa gli oggetti verdi, per esempio, non avranno per così dire impressionato la negativa, ciò che darà un positivo dove il verde sarà più scuro di quello che sembrerebbe alla luce del giorno. Ebbene se voi avete avuto occa­ sione di guardare gli alberi al bagliore di un incendio voi avrete avuto una

impressione simile. Per tutti gli altri colori è le stesso.

Dunque, il positivo colorato convenientemente vi darà il senso giusto. Se voi dovete fare un chiaro di luna voi potete adoperare lo stesso bagno

come sensibilizzatore ma interporrete lo schermo verde. Se non volete adoperare lo schermo basterà che al pinacianolo della for­ inola precedente sia sostituito il bleu R o il verde brillante. Operando così la

sensibilità della pellicola è aumentata per tutti i raggi compresi fra il giallo e il

violetto ma diminuita per il color arancio c i rossi; il che si avvicina all’effetto

ottenuto con la sotto esposizione, ma vi permette di conservare in tutto il loro valore le mezze tinte della fotografia.

Non possiamo nello spazio di un solo articolo fermarci più a lungo su que­ sto processo, ma vi ritorneremo sopra più tardi quando avremo passato in ri su­

sta tutto quello che riguarda la cinematografia moderna.

Per terminare questo capitolo diamo la formola di ipersensibilizzazione

che crediamo più adatta per ottenere delle negative selezionate: per ottenere dei buoni negativi cinematografici per sintesi ottica.

Alcool Pinacromo Eric resina Ortocromo Violetto etyle cristalizzato Eosina Acqua Ammoniaca Nitrato d’argento

1.000,0 gr 0.6 gr

0.5 gr 0.4 gr 0.4 gr 1.0 gr 40.000,0 gr 100,0 gr 1,0 gr

Le negative così preparate devono essere asciugate molto rapidamente. Sicco­

me la conservazione e limitata a qualche giorno, bisogna preparare soltanto la quantità necessaria giorno pcr giorno. Bisogna anche dire che questa formola sta bene a seconda degli schermi

che si adoperano, ma ognuno può modificarla per renderla più esatta secondo gli schermi che ha scelto. D'altra parte bisogna tener conto del grado di orto-

cromatismo della pellicola che si suole adoperare. Tutte le pellicole che si trovano in commercio sono effettivamente se non

ortocromatiche, almeno corrette, per impedire il più possibile l'esagerazione della sensibilità del bromuro d’argento ai raggi violetti. Ne segue che per cia­

scuna marca corrisponde una formola esatta. La discussione di questa materia potrebbe riempire dei volumi, ma ciò che maggiormente ci interessa è di indi­

care per il momento il senso nel quale si sviluppano i lavori intrapresi dalle più

grandi Case cinematografiche che si dispongono a disputarsi senza pietà il pri­ mato del mercato mondiale della cinematografia.

Per completare questa biografia della pellicola negativa diremo due paro­

le sulla perforazione. La perforazione delle negative non è come quella delle positive, universale. Se alcune negative hanno la perforazione a 4 buchi per immagine detta americana, molte hanno una perforazione del genere Lumière modificata: cioè

un buco per immagine che invece di essere rotondo come la perforazione Lumière originale, ha la forma dei buchi americani: questa disposizione ha pcr la fissità dei grandi vantaggi. Essa permette inoltre una sicurezza assoluta per

la superposizione delle loro impressioni. Il passo è anche molto variabile: certe fabbriche hanno il passo di 19 mm,

altre 19 mm c $. Altre adoperano delle misure intermedie, ciò non ha del resto

MARCO GRIFO

124

alcuna importanza quando l'apparecchio di tiraggio funziona regolarmente

In via generale lo scopo prefisso è di ottenere, quando la negativa è finita, un passo che sia leggermente differente dal passo del positivo vergine e rime­

diare alla differenza della lunghezza del film col frenare quello che è il più corto. Si può affermare che quando le due pellicole hanno la stessa lunghezza, la fissità lascia a desiderare. È meglio quando la negativa ha un buco per immagine; un errore di perfo­

razione di cui l'ordine di grandezza è minore della differenza fra le due pelli­

cole, questa non ha alcuna influenza sulla fissità dell'immagine. All'infuori di questi due generi di perforazione ne esiste una quantità d'al­

tri di cui l'utilità sembra assai discutibile, ma di cui non possiamo giudicare le

ragioni che le hanno fatte adottare. È interessante parlare pertanto della perforazione centrale adottata da una Casa americana, allo scopo di sopprimere l'ondeggiamento laterale. Il passo di questa perforazione è di ventisei millimetri. Il fotogramma occupa quasi tutta

la larghezza del film e il tiraggio ha luogo per sistema ottico. Secondo i fabbri­ canti la negativa si conserva meglio; si può qualche volta correggere il campo preso dall'operatore: in tutti i casi dobbiamo convenire che la fissità c perfetta quando la perforazione della positiva e buona.

Per quanto riguarda la qualità fotografica non c’c alcuna ragione perché non sia tanto buona come per contatto. Siccome gli obbiettivi hanno sempre

un po’ di profondità di fuoco, non è necessario di comprimere molto la pelli­ cola per ottenere che sia perfettamente nitida. L'inconveniente maggiore che presenta questo sistema è l'ingombro relati­

vo degli apparecchi di tiraggio e il minor numero d'immagini utilizzabili per

ogni metro di negative.

A questa obbiezione mi fu risposto che le scene dove il rotolo di no metri e stato impiegato integralmente, sono ancora da vedersi. Taceremo delle perforazioni delle pellicole di grandezza ridotta per dilet­ tanti che pcr il loro impiego minimo non interessano.

Parigi La Tecnica cinematografica. Lo sviluppo del negativo *

P. G. P. [(di articoli che si occupano della lavorazione della pellicola, sembrano espressa-

mente dedicati ai professionisti del settore: i trattamenti di sviluppo, fissaggio,

rinforzo ed essiccazione trovano una discreta documentazione sulle pagine delle riviste. Fra questi interventi, alcuni si limitano a indicare le operazioni basilari per procedere al trattamento: è il caso di II rinforzo7 o di Essicazione della pelli­

cola nelle fabbriche di films *,

o ancora di La Tecnica cinematografica. Lo svi-

* P. G. P.. La Tecnica cinematografica. Lo sviluppo de! negativo, in *La Vita Cinemato­ grafica”, numero speciale, dicembre 1918. pp. 202-3.

luppo del negativo, che ricordano quali accorgimenti seguire per ollenere risul­

tali ottimali.} L'impressione grafica del fotodramma cinematografico» è formata da bromuro di

argento, ridotto dal rivelatore ad argento metallico, in suddivisione infinitamen­ te piccola, che all'occhio si presenta nero, e perciò appunto atto a fornire la gra­

dazione di chiaro-scuro perfetta, che alla proiezione forma l'immagine visiva. Questa suddivisione dell'argento - pochi lo sanno - è così minima, che a

oltre due miliardi sono valutati i granuli d'argento che concorrono a formare

ogni singola immagine; e questa e racchiusa in una superficie di circa tre cen­ timetri quadrati.

La cifra, sebbene di primo impulso possa sembrare esagerata o fantastica, tale non è, se solo si vuol tenere presente che la fotografia stessa e un potentis­ simo mezzo d'investigazione, perche appunto permette la proiezione di

microfotografie, cioè, dell'invisibile, deH’tf/owo, di quella materia impondera­ bile qual e - a mo * d'esempio - la scia odorosa che una signora lascia dietro di sé per ore e ore, anzi per interi giorni, della pur già microscopica dose di pro­

fumo, usata per irrorarsi i capelli o i vestiti. Il chimico Berthelot, dopo lunghe ricerche, era arrivato alla conclusione

che un milligramma solido di muschio, esalante continuamente giorno e notte, e che perciò proiettasse tutto attorno parti di sé (siano pure parti infinitesima­ mente piccole) impiegherebbe la bellezza di centomila anni per disgregarsi

com pie tamen te. Data tale suddivisione del milligramma di muschio, non parrà più esagera­

ta la suddivisione del bromuro d’argento che concorre a formare la singola

vignetta del nastro cinematografico; e se un dubbio pur minimo potesse anco­ ra molestare il lettore, una parziale conferma pratica di quanto asseriva il

Berthelot si può avere in Torino nel Musco Egizio, che conserva la tomba di Merit, la moglie dcH’Architctto Kha, dove fra i molti ninnoli conservati perfet­ tamente si trovano vasetti di profumi che ancora olezzano fortemente... e la

tomba risale alla bellezza di tremila seicento anni fa; ora più, ora meno. Questa diversione, che quasi involontariamente, ma certo non inutilmente fui costretto a fare, varrà certo a convincere tecnici e profani dell'assoluta meti­

colosità che occorre usare nelle singole manipolazioni di prodotti costituiti a suddivisione così ridotta, e perciò appunto, di facilissima alterabilità, anche per non grossolani errori di trattamento.

Sappiamo che il fotogramma del nastro cinematografico deve avere un’im­ pressione il più possibilmente giusta, per dare allo sviluppo la migliore tonalità

di chiaro-scuro; ma per ottenere una gradazione perfetta, occorre in sommo grado avere un bagno di sviluppo razionalmente dosato, preparato con prodot­

ti purissimi, ad azione piuttosto lenta, perché molto più adatto a fornire negati­

vi di una buona morbidezza non disgiunta da una tonalità purissima, adatti a

una stampa rapida e perfetta nei valori di trasparenza; mentre invece un bagno ad alta percentuale d'alcali (carbonato) fornisce uno sviluppatore troppo ener­ gico, d'azione troppo rapida, che svilupperà negativi troppo urtati e vigorosi, con grana fortemente accentuata; anzi, dirò meglio: i grani di bromuro d'argen-

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MARCO GRIFO

to, che, come si e detto, in cifra di due miliardi circa concorrono a formare il fototipo, se sono sottoposti a un'azione troppo violenta di riduzione, li cataliz­ za. sviluppando enormemente quelli maggiormente impressionati dalla luce, a

puro danno dei granuli d'argento impressionati solo dalle mezze tinte; dando

così negativi che alla proiezione rivelano una costituzione molecolare così for­ temente accentuata, da dare l'impressione, non più di un disegno a morbide gradazioni di chiaro-scuro, ma un disegno formato da innumerevoli c grossi

punti neri. Ed ecco perché occorre preparare un bagno d'azione non troppo energi­ ca, a bassa percentuale d'alcali; essendo più adatto a sviluppare negativi pasto­

si e trasparenti. Bisogna ancora tener presente che la temperatura del bagno ha somma importanza, sia sulla durata dello sviluppo, sia sui risultati finali; perché lo stes­

so bagno di sviluppo, a parte l'azione sua molto lenta, a cinque gradi centigra­ di darà certamente un negativo contrastato, cioè bianco e nero; mentre lo stes­

so bagno portato a venti centigradi, pur sviluppando parte dello stesso negati­

vo, lo fornirà immancabilmente fiacco, senza contrasti, monotono nei valori. Accennato a ciò, ricordando che in casi specialissimi potrà tornare utile,

vediamo come va sviluppato un negativo. Se chi si sente un po' artista, si preoccupa dell'inquadratura della linea,

dell’effetto di luce, perché deve poi disinteressarsi, o quasi, dello sviluppo? quando solo se questo verrà eseguito razionalmente, potrà dare il massimo ren­ dimento col riprodurre perfettamente il quadro fotografato?

11 negativo cronometro non è ancora trovato, ne si troverà mai, e se si tro­ vasse, sarebbe un danno. In arte, il gusto, il senso individuale, le proprie men­

talità hanno bisogno di essere, altrimenti non vi sarebbe più arte e tutto diver­

rebbe meccanica. Perciò appunto se non sviluppiamo noi stessi i negativi, for­

niamo di dati lo sviluppatore, curiamone il lavoro, perché possa portarlo a ter­ mine nel modo il più possibilmente perfetto, ricordando che l'intensità appare sempre maggiore che non dopo il fissaggio; non perché coi fissaggio si abbassi

il tono, ma perché lo strato di bromuro d’argento, non ridotto ad argento metal­ lico, conserva una certa opacità che l'azione riducente dell'iposolfito asporta.

Dire propriamente quando un negativo e giustamente sviluppato, e cosa

impossibile; ma basta ricordare che un buon negativo non deve presentare

delle parti non scritte, vuote; che neppure le grandi luci devono annerire com­ pletamente; anzi, il negativo deve essere sviluppato in modo che in nessuna

parte l'argento ridotto abbia a raggiungere un'opacità tale da dare alla stampa il bianco assoluto e annullare i dettagli nelle parti luminose.

11 bianco perfetto, il nero assoluto, in natura non esistono, c i dipinti dei quadri maestri ne fanno fede: mai si trova in essi una pennellata di purissimo

bianco e tantomeno di nero perfetto. Succede altrettanto sullo schermo?! È doloroso il confessarlo, ma troppo... troppo spesso il bianco più puro

della proiezione sta a rappresentare il valore in chiaro-scuro, di una strada, la

parete di una casa, la guancia di una persona in un bel primo piano... a edifi­ cazione degli oppositori alla fotografia.

Per evitare simili stonature che urtano i nervi anche al più profano in valori di tonalità, occorre, oltre alla massima cura nella presa, una cura profonda, meti­

colosa allo sviluppo, ricordando che se l'immagine appare rapidamente dopo breve immersione nel bagno di sviluppo, c cresce in monotona rapidità, il nega­

tivo è troppo posato; giusto di posa, invece, se sviluppa gradatamente c acquista

vigore nelle tonalità, per mantenersi brillante. Se l’immagine stenta a rivelarsi e si mostra vigorosa solo nelle grandi luci, il negativo è mancante di posa. Visto per trasparenza, un buon negativo dovrà essere trasparente, ricco di

mezze tinte, vigoroso nelle grandi luci, ma assolutamente non opaco, e i gran­ di neri dovranno essere ancora largamente scritti. 11 negativo sovra-esposto, sarà grigio, monotono, senza valori, sebbene

scritto largamente, e per la sopra impressione largamente ancora, anche nelle

parti più scure del soggetto.

Quello mancante di esposizione avrà i neri sfondati, non scritti, e i bianchi senza valori. È studiando con amore c con cura il negativo, che sarà possibile perfezio­

narsi, correggersi, progredire; ricordandosi che se all operatore incombe l’obbli­ go di afferrare il momento fuggevole di una scena passionale, la grandiosità di un tramonto sul mare, dove gli ultimi raggi profondono un polverio d’oro, il qua­

dretto campestre, la profonda poesia di un levar di sole, pcr riprescntarlo tal quale in tutta la più sentita realtà, deve poi assolutamente curare che i suoi col­ laboratori vigilino a che la parte pure essenzialissima di sviluppo c di stampa sia

curata altamente, c fatta con criteri d’arte; sì, di arte. Perché qualche volta, se il

film è scadente, la colpa è un po’ della mal sana febbre che ha invaso tutti e tutto:

è della industrializzazione del lavoro, che va invadendo il campo con la sua pro­

duzione chilometrica, con le sue smanie della super-produzione compensala. Ma appunto per questa mal sana febbre, l’occhio solerte e amoroso dell’artcfice primo deve essere sempre vigile c attento, ben più adesso che indu­

strializzandosi la cinematografia sempre più, si spinge il fotografo addetto

all’impressione del nastro a lavorare con false luci, in ore inadatte, o peggio per

un ritardo involontario o... volontario di qualche attrice o attore, per una massa di persone immobilizzate, per mille e mille motivi che ai bei tempi di una volta non esistevano, o se esistevano, erano sorvolati... girando... il giorno dopo, all’ora propizia.

Ed ecco dove possono avere principio le mende, gli errori, che sventurata­

mente - come vedremo in seguito - si susseguono, crescono magari nella stam­ pa del positivo, e ancora si accentuano nella sala di proiezione.

Delle macchine stampatrici a trazione continua *

II Meccanico Già da parecchi anni, prima del conflitto europeo, alcune Case, fabbricanti di

macchinario cinematografico, avevano studiato il modo di eseguire la stampa * Il Meccanico, Delle macchine stampa Irta a trazione continua, in “Coltura Ci nomato* grafica”, n. jo marzo*!? aprile 1921, pp. 60-1.

dei films diapositivi abbandonando il sistema della trazione intermittente (sistema a griffe), il quale, oltre a dare un basso rendimento, proporzional­

mente all'unità d'impressione dell’emulsione positiva, esige anche un’assidua sorveglianza da parte dcH’opcraia, pcr mantenere costante l'inquadratura del

fotogramma, difetti questi che, in ultima analisi, si ripercuotono in un maggior

costo della produzione stessa. Non è qui il caso di citare le Case che studiarono e anche lanciarono in

commercio i loro tipi a trazione continua; ma non si può negare che, nell’ef­ fettivo e diuturno uso, questi sistemi non corrisposero completamente alle esi­ genze tecniche desiderate, sicché gli stabilimenti che l’avevano adottati finiro­

no per dimetterli ritornando al vecchio sistema a griffe.

La causa principale dell’abbandono di questo sistema eminentemente razionale, fu causato dall’aver mantenuto sostanzialmente in dette macchine tutti quei dispositivi, i quali, se necessari alla macchina a griffe, erano d’im­

paccio e causa di difficoltà di manovra per le macchine a trazione continua. Difatti, i freni, le parallele e altri simili congegni, trovano la ragione di essere

nelle macchine a griffe, perche lo sforzo di trazione, in modo intermittente, è riservato esclusivamente a quest’ultimo, c quindi, sia per il consumo non tec­ nicamente uniforme delle griffe stesse, sia per le differenze di perforazione tra

negativo e positivo, fu giocoforza ricorrere in pratica ai suddetti congegni

ausiliari onde sopperire agli inevitabili spostamenti c inconvenienti d’altra natura, che, senza di essi, si verificavano nel corso della stampa.

La moderna tecnica, per quanto si riferisce al tipo di macchine stampatrici a

trazione continua, ha soppresso d’un colpo tali dispositivi, perché con i tamburi a grande presa, l'aggiustamento delle due pellicole avviene automaticamente qua­

lunque sia il loro passo di perforazione, mentre è eliminata qualsiasi deviazione laterale a causa del movimento rotatorio continuo, che, unito al parallelismo della

trazione, a sua volta effettuata in modo inalterabile, obbligano le due pellicole a un lavoro matematicamente preciso, senza produrre in pari tempo nessun dete­ rioramento al negativo, anche dopo un ripetutissimo passaggio della macchina. Un’altra concausa, del mancato sviluppo delle stampatrici rotative, fu il senso di sfiducia nei direttori tecnici pcr la troppo grande velocità di queste

macchine in confronto ai vecchi sistemi. E, allora, noi ci domandiamo: perché l'automobile ha sostituito la vettura a cavalli, malgrado l’enorme differenza di

velocità fra questi due mezzi di trasporto? Il motivo è, che l'automobile ha saputo vincere la diffidenza del pubblico c imporsi in tutto il mondo, provan­

do con ciò che le forti velocità non rappresentano un pericolo, quando il mac­

chinario che (’estrinseca, sia stato, a tale scopo, accuratamente studiato e costruito c coscienziosamente collaudato.

Perché non dovrebbe essere lo stesso nel campo cinematografico nei riguardi della stampatrice rotativa?

Abbiamo avuto occasione di esaminare in questi giorni un nuovissimo modello (come innanzi si è accennato) di stampatrice rotativa, dovuta al ferti­

le ingegno dell’ing. Seibert, specialista in tecnica cinematografica, e possiamo assicurare che nulla di più semplice, pratico c corrispondente allo scopo» pote­ va essere così felicemente abbinato.

La macchina in esame, della quale volutamente tralasciamo il nome della Ditta fabbricante e del suo rappresentante in Italia, e atta a fornire una produ­

zione perfetta sotto ogni rapporto, con un rendimento di 600 metri l’ora, pur­

ché abbia la sorgente luminosa servita da corrente continua, scendendo tale rendimento fino a un minimo teorico di 360 metri-ora se venisse usata corren­ te monofase a 42 periodi al minuto secondo.

Tutti gli organi di comando, i quali si limitano a due indispensabili e a un terzo facoltativo, si trovano sul davanti della macchina, e con la sola manovra di essi si può stampare qualsiasi negativo qualunque ne sia il passo di perfora­

zione e sua conservazione, e ne sia stata l’esposizione c lo sviluppo di esso.

Una delle principali caratteristiche di questa macchina è anche l’indovina­ to e pratico impiego di una saracinesca a coulisse * mercè la quale si regola senza nessuna difficoltà la quantità di luce necessaria per l'esatta impressione del

positivo in lavorazione, senza perciò dover ricorrere agli usuali spostamenti c variazioni dell'intensità luminosa necessari nelle macchine a griffe. Inoltre, per

la speciale struttura e modo di lavoro della macchina in oggetto, la sorveglian­ za assidua dell’operaia sull’andamento della stampa è assolutamente superflua, permettendo così a una sola persona di accudire a quattro di queste macchine

senza pericolo di produrre il più piccolo inconveniente.

Oggi che il costo della mano d’opera è giunto a quell’altezza che tutti cono­ sciamo. e la concorrenza toma a riaffacciarsi in tutte le industrie, non ci è sem­ brato superfluo d’aver richiamato, con questo scritto, l’attenzione degli indu­

striali e direttori tecnici su questo nuovo tipo di macchina, la quale, veramen­ te può corrispondere alle attuali esigenze tecniche e finanziarie della nostra fio­

rentissima industria cinematografica. La illuminazione dei laboratori *

Jean D’Albrct

Nel nostro precedente articolo, noi abbiamo accennato alla questione dell’illu­

minazione dei laboratori da stampa e sviluppo dei films cinematografici. Un errore troppo comune è quello di ridurre le camere oscure a vere grot­ te ove non penetra che diffìcilmente luce rossa, e molto indebolita quando vi

penetra, c sovente, nulla affatto di altra luce che non sia quella delle lampade:

ciò ch’è peggio, poi. un’aerazione assolutamente insufficiente. Quest’ossessione della camera oscura, veramente buia, che ha un'impor­

tanza relativa pcr coloro che ne fanno uso soltanto alcuni momenti della gior­

nata o qualche ora durante il mese, ha un’importanza infinitamente più gran­ de quando si tratta della salute di operai che vi debbono rimanere per dicci ore in una sequela di anni. Le camere oscure devono e possono essere abbastanza chiare per permet­

tere di leggervi con tutta facilità uno stampato in nero, c non vi sarebbe alcun inconveniente ad aprirvi vaste finestre a condizione che i vetri siano mattinici

* J. D’/Mbrct, La illuminazione dei laboratori, in “Coltura Cinematografica", n. 8, 31 agosto-i$ settembre 1921. pp. 160-1.

IJO

MARCO GRIFO

per Ie qualità d’emulsione che vi si lavorano: non e affatto la quantità di luce

che nuoce a una preparazione fotografica» ma la qualità.

Evidentemente non è facile trovare dei vetri che rispondano esattamente alla necessità di non lasciar passare che la zona spettrale inattiva per la prepa­

razione sensibile adoperata» ma è possibile ottenere una perfezione sufficiente. Pei locali» ove si lavora la positiva» ad esclusione della negativa, si può impie­ gare una finestra doppia consistente di un vetro cattedrale» verdc-azzurrognolo»

all esterno, e d’un vetro aranciato in placcato oro e argento: si chiamano così i vetri composti di una placca di vetro ordinario coperti di smalto, nella composi­

zione dei quali entra la porpora di Cassio e l’ossido d’argento. Pressoché tutti i

vetri rossi sono preparati con questo processo. I vetri aranciati di piena pasta» usati in commercio, in generale non soddisfano al bisogno. Questi vetri aranciati saran­

no smerigliati e il lato smerigliato sarà rivolto verso il vetro cattedrale esterno. Una positiva Eastmann Kodak, esposta per un’ora alla distanza di io cen­

timetri da tale luce e sviluppata per 5 minuti in bagno normale, non presenta al

microscopio traccia di velo, mentre a un metro di distanza, e dopo un’ora» una negativa rimane velata in parte; dopo due ore una positiva esposta a un metro dalla finestra non ha mostrato che un velo impercettibile all’occhio. Tali fine­ stre devono essere orientale al nord od avere esternamente degli stores jx:l caso

che il sole le colpisse. La detta illuminazione è assai dolce per l’occhio, e permette di leggere qualsiasi scrittura nera o azzurra o violetta.

La luce rossa ha un effetto deprimente sui centri nervosi, mentre l’illumi­ nazione formata nel modo indicato ha un effetto calmante.

La questione è più delicata per la negativa, specialmente quando questa è ortocromatica, ma nella maggior parte dei casi basta avere delle impannate mobili all’interno munite di vetri violetti, che, sovrapposti alle finestre prepa­

rate nel modo suaccennato, danno una luce d’un rosso rubino che offre una sicurezza incomparabile. Poiché il lavoro dei negativi non e continuo» c un vantaggio avere delle

impannate interne che s’impiegano soltanto quando c necessario. Date luce a coloro che lavorano allo sviluppo, al tiraggio» alla perforazione

dei films. Datene più che potete, e voi non avrete mai a pentitene. L’operaio c l’operaia saranno più disposti a lavorare, trovandosi meglio in salute: la loro

attenzione si manterrà più a lungo perché la loro fatica sarà minore, i loro noni più normali, c quindi il lavoro sarà migliore, c voi potrete esigerlo più perfetto

e più abbondante. Oltre alla luce, badate che l’acreazionc sia perfetta. Una ventilazione abbondante e una temperatura pressoché costante da un capo all’altro dell’an­

no, e di circa 15° o 16°, qualunque sia la temperatura esterna» sono precauzioni

che aumentano» si le spese generali, ma sono queste spese utili perché decri­ ptano l’interesse in un’annata a causa del maggior lavoro che darà un operaio

coscienzioso trattato coi detti riguardi. Gl’industriali che non cercano di collocare il loro personale nelle migliori

condizioni possibili, commettono delitti contro la società per la loro noncu­ ranza della salute generale, e contro se stessi per la perdita del profitto.

PELLICOLA

IJI

Se il personale fosse sempre e fosse stato sempre ben trattato moralmente,

si sarebbe ottenuto un rendimento ben maggiore di quello che si poteva spera­ re coll’aumento eccessivo dei salari, e se con questo, una selezione ragionevole fosse stata operata a tempo, forse non si sarebbero mai conosciuti gli scioperi.

Ma lasciamo ouesta discussione fìlosofico-umanitaria pcr ritornare al

nostro argomento. E sottinteso che i vetri da impiegarsi dovranno essere veri­ ficati mediante lo spettroscopio, ma siccome la zona di sensibilità della lastra

non corrisponde alla sensazione del colore che ha l’occhio, bisogna fare delle prove dei vetri allo spettrografo, oppure al semplice torchietto, tenendo conto

che l’esposizione del vetro per contatto aumenta la sensibilità alla luce. In gene­

rale e sufficiente che non si constati alcuna traccia di velo sul film che, in un tempo uguale a 1/5 di quello che la preparazione sopporta, collocato a un metro dall’apertura, resta esposto alla luce.

I muri delle sale dovranno essere della medesima tinta dei vetri: in tal

modo la luminosità interna e notevolmente aumentata, e quando le finestre sono chiuse, si ha la sensazione di pareti bianche.

E di relativa importanza non impiegare colori a base di bianco di zinco, ma soltanto a base di barite e di biacca di carbonato di piombo in debole quantità,

essendosi verificati dei casi di fosforescenze in seguito all’impiego di colori composti con bianco di zinco contenenti traccio di fosfati di zinco. È stato consigliato di applicare ai vetri dei laboratori, delle carte speciali,

ma sebbene queste carte corrispondano molto bene dal punto di vista della

selezione, esse lasciano passare minor luce che i vetri, hanno l’inconveniente di alterarsi assai rapidamente e di richiedete perciò, assai sovente, la loro sostitu­

zione. D’altronde il loro prezzo è molto elevato, e il loro impiego dal lato indu­ striale non sembra pratico. La pellicola di alluminio

La pellicola trasparente di cellulosa, che per tanto tempo aveva tenuto il mono­ polio, dovrà in avvenire misurarsi con una scria e forse superiore compctitricc: la pellicola metallica opaca e a riflessione.

Se bene già siano state inventate pellicole quasi ininfiammabili, tuttavia una film fatta di materia organica, come la cellulosa, non può, per la sua stessa

natura, essere incombustibile. Mentre questo e proprio il caso della film di allu­

minio inventata dal signor Werthen di Berlino; invenzione che risolve inoltre un buon numero di altri problemi coi quali l’industria filmistica ebbe a lungo a contendere.

Infatti, le films di alluminio sono molto più durevoli di quelle di celluloide, mentre queste ultime, dopo poche settimane di uso, non servono più e ogni volta

prima di essere ri noleggiate debbono essere sottoposte a un’accurata verifica fin-

tanto che i ripetuti tagli dei pezzi difettosi non ne abbian ridona la lunghezza a quasi la metà; le films di alluminio hanno una durata almeno dicci volte maggio-

* Anonimo. Lì pellicola di alluminio, in “La Vita Gncmatografica'', n. 29-32. agosto 1922. P- 47-

re e possono quindi essere continuamente adoperate per un anno intero. Inoltre,

costano dal 40 al $0% di meno e la loro superiorità dal punto di vista economi­ co potrà essere ancora maggiore se utilizzata da ambo i lati; coll’ulteriore van­ taggio di ridurre della metà il volume e il peso della film. Mentre la prima metà, durante la rappresentazione, viene svolta da una bobina, la seconda metà viene

contemporaneamente avvolta nella bobina posteriore in direzione opposta, evi­ tando cosi di doverla riawolgerc mediante un’operazione separata.

Un altro vantaggio e presentato da una migliore utilizzazione della luce.

Mentre la celluloide, che non è mai completamente trasparente, assorbc

una quantità considerevole di luce (15-18%) la film di alluminio a riflessione

permette di valersi di tutta l’intensità luminosa utilizzabile. Inoltre, la figura riflessa non presenta mai quei bruschi passaggi dalle luci alle ombre, che si

notano nella proiezione di una film trasparente di celluloide; ciò che ha per la vista un risultato di più piacevole effetto. Per di più, sempre a causa della riflessione sulla superficie di alluminio a

grana fine, si ottengono sullo schermo effetti rimarchevoli che ricordano quel­

li della fotogravure. fra i quali specialissima una sorprendente plasticità. La film di alluminio è il risultato di dodici anni di strenuo lavoro, esplica­

tesi per buona parte nelle diffìcili condizioni del tempo di guerra e senza l’aiu­ to dell'altrui consiglio. Problemi vari chiedevano una preliminare soluzione:

problemi di metallurgia, di chimica, di tecnica fotografica e di ottica, e gli spe­

cialisti in coleste diverse materie, ogniqualvolta venivano consultati dall’inven­ tore, si adoperavano in buona fede per dissuaderlo da ogni ulteriore spesa di

lavoro e di tempo. A mo *

d’esempio, uno speciale sistema di lavorazione ha dovuto essere

immaginato per ottenere che la superficie della film risultasse di grana fine e

uniforme. Così dovette l’inventore trovare una speciale emulsione fotografica, e prima ancora un procedimento speciale per unire lo strato sensibile col

metallo; al quale effetto l’inventore, seguendo la pratica della natura, che pre­ senta l’alluminio in forma di silicati, inserì tra il metallo e l’emulsione una sot­ tilissima pellicola di silice. La combinazione ottenuta è così intima, che nessun

trattamento meccanico può giungere a separare lo strato fotografato dal sotto­ posto metallo; per modo che si può piegare e spiegazzare la film senza che la minima parte dello strato fotografico vada perduto.

Finalmente, il sistema ottico da adottare per la proiezione della film opaca doveva rispondere a speciali condizioni. /\nchc in questo l’inventore fece tutto

da se. Non solamente fabbricò egli stesso i suoi apparecchi all’incudine e al tor­

nio, ma le lenti costruì da se.

Coll’aggiunta di uno speciale apparecchio d'illuminazione, ottenne di potersi servire del medesimo proiettore, sia colle films di celluloide, che con quelle di alluminio. Tuttavia, mediante il semplice cambiamento del portalam­ pada, qualunque proiettore dei soliti può essere adoperato senza ulteriore

modificazione. Va da sé che le films di alluminio non possono adoperarsi se non come positive, e preferibilmente in relazione con una negativa cello», che

è praticamente ininfiammabile.

(Dallo “Scientific American”)

’33

PELLICOLA

Suggerimenti pratici per preservare le pellicole dal fuoco *

Pier Da Castello Conseils pratiques pour presenter les pellicules du feu /

Practical Suggestions for Preserving the Films from the Danger of Fire I Praktische Ratschlàge um die Film banger gegen Feuer zu schutzcn

Conoscevo già da parecchi anni il sistema in uso presso le nostre Case, di

immagazzinare le pellicole. In seguito volendomene occupare un po’ più da vicino, feci qualche inchiesta, e dovei dedurne che, in massima, non ce n’e alcu­

no che risponda a qualche cosa che valga a preservarle in caso d’incendio. Si tengono in casse entro le apposite scatole di latta, o allineate su rudi­

mentali scaffali a diversi piani. Qualche rara Casa le tiene ammonticchiate in

armadi di ferro, e credo che finora non si sia andati più in là di questa ultima

espressione precauzionale. A dire il vero, grazie al santo protettore degli incendi, che non ricordo più

come si chiami, finora, ch’io mi sappia, non si è avuto a deplorare alcun incen­ dio, pur essendo la pellicola considerata quale materia infiammabile di prim’ordine. Ma, si sa, ciò che non e avvenuto in tanti anni, non si può escludere che

possa capitare da un momento all’altro; e il danno potrebbe essere enorme, e, sotto qualche aspetto, irreparabile. Immaginiamo che, cogli stabili, andassero

distrutti gli uffici con tutto il patrimonio d’incartamenti riguardanti i più vita­

li interessi amministrativi, i magazzini con tutto il materiale indispensabile al lavoro; macchinari, depositi, e migliaia di negativi e positivi, tutto un materia­ le, quest'ultimo specialmente, preziosissimo, per le possibili esumazioni, e più

ancora, per la storia della Casa e per quella dell’arte cinematografica italiana. Dovremmo noi ammettere che questo ultimo danno, gravissimo per chi ha

sentimento d’arte e orgoglio nazionale, sia per gli industriali e per i direttori

delle Case cinematografiche, l’ultimo pensiero?

Sia comunque, diremo come gli americani, e in particolare la Società East­ man Kodak, abbiano pensato c seriamente studiato il problema della preserva­ zione della pellicola, riunendo in un apposito volume tutti i più minuti parti­

colari del lavoro compiuto e dei vari risultati ottenuti . **

Il volume è riccamen­

te corredato di cliches, seguiti da tavole con nitidissime c particolareggiate

dimostrazioni grafiche che danno un’idea esatta e precisa della forma delle

costruzioni meglio adatte allo scopo.

Procureremo di dare in breve qualche idea di queste costruzioni, del resto semplicissime, desumendole dal succitato volume.

A tutta prima appare chiaro che si è adottata, per principio, la * segrega­ zione". Infatti, gli armadi o scaffali, comunque si vogliano chiamare i depositi

’ P. Da Castello, Suggerimenti pratici per preservare le pellicole dal fuoco, in “Coltura Cinematografica", numero di saggio, 20 dicembre 1919. pp. 19-22. * Suggestion on Fire Protection Experiments in the Storage of Motion Picture Film, The Eastman Kodak Company - Rochester Company, Rochester NY.

della pellicola, costrutti in metallo a forma di forzieri, o in muratura, portano delle divisioni non soltanto orizzontali (piani) ma anche verticali, doppie, in modo da dividere ogni piano in due scompartimenti staccati di circa 15 centi­

metri l’uno dall’altro. Le scatole stesse, che secondo le prescrizioni devono essere del diametro

di io pollici e mezzo, pari a 32 centimetri circa, e un pollice e tre quarti, circa 4

centimetri di spessore, secondo le esperienze fatte, si devono tenere legger­ mente separate fra loro, mercè una sporgenza o bordo, risultante dalla forma­ zione stessa della scatola. In difetto di questo e per massima precauzione ven­ gono introdotti nelle assi orizzontali che reggono le scatole dei fogli, probabil­ mente d’amianto, così da stabilire un piccolo spazio fra loro. Ogni scaffale o

armadio e congiunto a un sistema comunissimo di tubi per l’introduzione del­

l’acqua nel caso d’incendio, ed e munito di sportelli per la ventilazione e sfogo dei gas.

Le prove fatte dagli ingegneri e chimici della Casa Eastman, come lo dimo­

strano le fotografie, hanno dato per risultato che le pellicole così immagazzi­ nate sono efficacemente difendibili in caso d’incendio. In quelli provocati per

esperimento dalla Casa, risultò che il fuoco non ebbe campo di propagarsi da uno scompartimento all’altro e che alcune scatole di pellicole dello scomparti­ mento incendiato rimasero illese. È ovvio il ripetere che le scatole fatte con materiale incombustibile sono da

preferirsi, massime se vi si devono rinchiudere pellicole di valore. Nel succita­ to manuale si raccomanda inoltre di tenere la pellicola in sotterranei armati,

piuttosto che nei solai come pur troppo molti usano da noi, e la ragione non ha bisogno di spiegazioni.

Un sistema molto pratico e quello indicato, sempre della Casa Eastman Kodak, di formare i vari piani con tubi di ferro nei quali vengono infilati dei

dischetti d’amianto per la separazione da scatola a scatola. Come si vede, sia con l’uno o con l’altro sistema, subito che si verificasse l’incendio in uno o più

scompartimenti di pellicola, l’acqua condottavi dalle annesse tubature, ha il

campo di circolare liberamente c abbondantemente in ogni scompartimento incendiato c domare facilmente il fuoco.

L’esperimento fatto nei sotterranei della Eastman, dei quali l’edizione dà una minuta e particolareggiata descrizione, ha dato questi risultati: -

Acceso il fuoco in uno scompartimento di pellicole alle 3 13’ 30”. si aspettò

fino alle 3 15’ prima di far manovrare i getti d’acqua, cioè quando la pressione

atmosferica dello scompartimento incendiato fece scoppiare in frantumi il vetro del finestrino ventilatore e le fiamme irruppero violenti nel loro massimo sviluppo. Alle 3 25’ o” cioè dicci minuti dopo messi in azione i getti d’acqua il fuoco era completamente spento. -

Aperto l’armadio incendiato si constatò che su 2.565 libbre di pellicola,

solo 678 erano state parte carbonizzate e parte disciolte dal calore; in totale il danno cagionato dal fuoco era stato del 24,4%.

Oltre a una serie di prove, fatte allo scopo di eliminare o attenuare i danni

prodotti dall’incendio, altre se ne sono fatte a scopo scientifico, sia per stabili­ re il tempo e il grado di calore occorrente per provocare la decomposizione

delle pellicole più prossime al focolare di incendio e altre per ottenere pura­ mente delle analisi chimiche dei gas prodotti dalla suddetta decomposizione.

Una prova che credo possa molto interessare c quella fatta per stabilire se

zione chimica degli acidi solfìdrico-idro-cloridrico e nitrato poteva produrre l'accensione della pellicola. L'Immersione di alcuni ritagli di film fatta in tali

acidi, contenuti in recipienti di vetro, non diede per risultato che il rammolli­

mento della pellicola e nient'altro. L'aggiunta però di qualche goccia d'acqua, lasciata cadere nell'acido solfidrico, provocò l'immediata decomposizione della pellicola e il successivo incendio.

Ho creduto utile accennare a questo esperimento pcr mettere in guardia gli operatori, specie quelli di cabina e in generale tutti coloro che lavorano alla

congiunzione delle films, sul pericolo che potrebbero correre non usando i

massimi riguardi nell'esecuzione dei loro lavori. Come ho accennato più sopra, in Italia finora non si e avuto a deplorare

che qualche raro caso d’incendio, sviluppatosi in cabine di proiezione durante uno spettacolo, fatto grave più pel panico causato e le sue tristi conseguenze

che pel danno. Questo proverebbe che i nostri lavoratori della pellicola sanno essere cauti, attenti c bene istruiti su tutte le cause che possono generare l’in­

cendio. Ciò nullameno credo utile fissare alcune norme indicate dall'Eastman Kodak, dedotte dalle indagini fatte dai suoi chimici nei casi d'incendio verifi­

catisi in /Xmcrica. Le perdite annuali causate dall'incendio, dice il testo citato, negli SU è di

circa 250.000.000 di dollari. La cifra ci sembra un po’ grossa ma non vi è ragio­

ne di ritenerla inesatta. Gli americani fanno le cose sempre in grande. Da noi brucia un pagliaio, lì brucia una città. Da noi un colpo di mare rovescia una

casa, lì sconvolge una provincia. Da noi il mare inghiotte uno scoglio, lì inghiot­ te un continente: l’Atlantidc. Ne il numero delle vittime causate sempre dagli incendi, non e indifferente: 2.000 vite all’anno. Vogliamo sperare che anche colà la percentuale dei disastri provocati dalla “pellicola” sia minima come in

Italia. Sarebbe doloroso pcr questo benedetto cinematografo, tanto bistrattato, se gli dovessero accollare anche i danni del fuoco. Il nostro governo avrebbe

un nuovo motivo per appioppargli... un'altra tassa.

Tutti gli Stabilimenti dovrebbero tenere esposte nei luoghi di lavorazione della pellicola c immediate adiacenze, delle tabelle colle seguenti norme, per essere osservate da tutto il personale:

-

Ordine c pulizia. È severamente proibito di fumare c portare in tasca fiammiferi comuni.

-

Non gettare, né lasciare per terra pezzi di pellicola.

-

Tenere sui tavoli di lavorazione la sola pellicola strettamente necessaria al

bisogno. -

Tenere la pellicola negli appositi recipienti c non altrove.

-

Proteggere convenientemente i globi elettrici che si devono pcr ragioni di

lavoro tenere sospesi sovra le pellicole.

-

Non lasciare rotoli di pellicola sciolta sul pavimento.

Alle Case poi viene suggerito: -

Far uso di spruzzatori automatici.

-

Tenere in vista gli estintori, fame conoscere il luogo e fuso al personale

dello stabilimento.

-

Proteggere con ripari i radiatori.

-

Procurare che nessun filamento elettrico sia posto a contatto con tubi a gas.

-

Usane recipienti di metallo per contenere carte o detriti e pezzi di pellicola

inservibile. -

Far uso di mobilio metallico.

-

Tubi estintori costantemente a posto e in grado di prontamente funzionare.

A coronamento di tutto questo si suggerisce di tenere presso il telefono il numero telefonico del corpo pompieri. Ma questo per noi c superfluo, poiché

la questura e i pompieri si possono chiamare direttamente. La conservazione dei negativi *

In vista del grande sviluppo della produzione cinematografica negli ultimi anni

e della ripresa di soggetti di eccezionale valore storico e documentario od arti­ stico il problema della conservazione dei negativi assume la massima impor­ tanza. Il poter conservare, per decenni e per secoli, negativi concernenti la vita

odierna, il folklore, la figurazione etnica dei paesi che si vengono trasforman­

do. le spedizioni, le scoperte, i grandi voli e le grandi conquiste dell’ardimento

umano (oggi tutti portano seco almeno una macchina da dilettante!) rappre­ senta un problema del maggiore interesse. L’esame che possiamo fare di vecchie negative fotografiche su vetro o di copie positive stampate su carta preparata con una emulsione di collodione e gelatina sta a provare che le immagini si mantengono benissimo a patto che si

abbia cura di osservare alcune norme fondamentali.

Il processo cinematografico c relativamente troppo recente per poter sta­ bilire un paragone fra la stabilità nella conservazione di una lastra o di una pel­ licola. Anche però - sfortunatamente - molte pellicole di interesse storico che

furono riprese negli ultimi anni dello scorso secolo o nei primi di questo, furo­

no abbandonate in condizioni pietose e poco di esse si conserva. I films cinematografici negativi su supporto in nitrocellulosa furono per la prima volta preparati nel 1889 c l’emùIsionc non fu allora e non fu per un con­

siderevole periodo di tempo sensibile come quella odierna. Sino al 1895 tale emulsione fu usata anche per la stampa delle copie positive. Solo in tale anno fu iniziata la produzione commerciale della pellicola positiva c due o tre anni

dopo la distinzione fu marcata nettamente fra negativa e positiva. Tuttavia, durante questo periodo, vi è stato un crescente uso di pellicole

negative per fotografia e siccome il supporto era perfettamente simile a quello

dei negativi cinematografici ed era preparato in maniera uniforme e subiva Io stesso trattamento, noi possiamo avere una opinione comparativa sulla qualità

e possibilità di conservazione dei films, salvo le differenze dovute alla diversa confezione.

* Anonimo. L? conservatone dei negativi, in “ Rivista Intemazionale del Cinema Educa­ tore’. n. 1. luglio 1929. pp. 75-6.

Uno studio fatto dalla Kodak sta a indicare che la conservazione di negativi accuratamente lavati e fissati e possibile per un lungo periodo di tempo. Le parti

che costituiscono un film cinematografico negativo sono un supporto di nitro­ cellulosa e uno strato di gelatina contenente argento. La base di nitrato di celiti *

Iosa consta principalmente di nitrocotonc c questa sostanza, apparentemente sta­

bile, è soggetta a una lenta trasformazione, mentre la gelatina contenente la emul­

sione, se perfettamente fissata lavata e asciugata, e assolutamente stabile. Il cambiamento o il deterioramento nel supporto di nitrocellulosa sarà tra­ scurabile se conservato a una temperatura costantemente bassa, ma si accen­

tuerà sempre di più se soggetto a temperature elevale perché si sviluppa il

perossido di azoto che, modificando le proprietà fisiche del supporto, può attaccare la emulsione e gradatamente distruggere [’immagine. Anche il fissaggio fatto in maniera insufficiente o un lavaggio imperfetto di

una pellicola, con il risultato di lasciare traccie di iposolfito, accelera di molto il fenomeno della alterazione producendo una tipica colorazione giallastra dello

strato di gelatina. Da ciò deriva la grande importanza del fissaggio e del lavaggio ed c necessario che, per una maggiore precauzione, dopo l’ordinario bagno di fis­

saggio, il negativo venga di nuovo fissato in iposolfito fresco e poscia abbondan­

temente lavato; se si tratta di negativi preziosi è bene che l’acqua sia distillata! Quando, poi, i negativi vengono confezionati per una lunga conservazione

è bene arrotolarli su nuclei di legno e avvolgerli in carta chimicamente pura ponendoli in scatole sigillate preferibilmente fatte di fibra o di ebanite, chiuse a loro volta in scatole di metallo. In ogni caso è bene - contrariamente a quel

che si pratica quasi sempre - che durante il periodo di conservazione il negati­ vo non sia in contatto diretto con il metallo! Come si e detto, a causa della influenza della temperatura sul supporto di

nitrocellulosa, e bene che la scatola sia conservata in un locale a temperatura fresca e asciutta e opportunamente ventilato. Le condizioni ideali possono

essere paragonate a quelle di un buon frigorifero per uso domestico. Si evita­

no in tal modo alterazioni fisiche del supporto e dello strato di gelatina, come

pure si evita il raccorcia men lo del film, il suo accartocciamento che può pro­ durre effetti disastrosi in caso di stampa c successiva proiezione pcr lo spostarsi

della perforazione. Infine bisogna avere la cura di non conservare per lunghi anni il negativo senza toccarlo. E opportuno stampare almeno una copia annualmente c ciò per fugare quelle piccole traccie di gaz che si possono formare; nel caso di impos­ sibilità sarà bene svolgere i rotoli una volta all’anno, anche per controllare se vi

sia traccia di dclcriorizzazione. Note i. Tre formule per eliminare Tiposolfito dai negativi, in “La Tecnica Cinematografica”, n.

I. gennaio 191$, p. 23. 2. J. D'Albrct, La correzione dei negativi, in “Coltura Cinematografica”, n. 8-9, 31 dicem­

bre 1920, pp. 233-4. 3. J. D’Albret, Il fissaggio del negativo, in “Coltura Cinematografica”, n. 1, 31 gennaio 1921, pp. 11-2.

MARCO GRIFO

4. Nel giugno 1921, “Coltura Cinematografica” pubblica un articolo di Guido Destefanis che» presentando la Esto (fabbrica romana per la produzione di pellicola vergine), sotto linea la deficienza dell’Italia in questo settore e la necessitò di costituire altre fabbriche sul modello della Esto, che permettano all’Italia di rendersi indipendente, disponendo di una produzione interna e abbattendo così gli onerosi costi legati all’importazione: cfr. G. Destcfanis, Verro 1'indipendenza. in "Coltura Cinematografica”, n. 6, 30 giugno 1921, pp. 103 5. 5. Cfr. G. Destcfanis, In Cabina e in Tbff/ro, in "La Tecnica Cinematografica”, n. 2, feb­ braio 191$, p. 41; cfr. anche A. A. Cavallaro, Pcr un'intesa di lealtà, in "La Vita Cinematogra­ fica”, n. *3) 34, 7-15 settembre 1916, pp. 77-$. che riporta la protesta di «un forte industriale ita­ liano» non meglio precisato, costretto a rinunciare alla distribuzione del film Cuore della Gloria a causa di «un decreto governativo imponente l’ininfiaminabilitò della pellicola posi­ tiva» in Francia (eloquente il sottotitolo ddl’articolo che recita La nuova minaccia del nPilmu

ininfiammabile). 6. llfilm d alluminio, in "La Rivista Cinematografica”, n. 9,10 maggio 1922, p. 42. 7. Giani, //rinforzo, in "La Tecnica Cinematografica”, n. 2, settembre 1914, pp. 50-!. 8. Il Tecnico, Essicazjone della pellicola nelle fabbriche di films, in "La Tecnica Cinema­ tografica”, n. 4, novembre-dicembre 1914, pp. 103-7.

Ripresa a cura di Valentina Rossetto

[Le riviste di cinema nel periodo muto, anche quelle più concentrate sugli aspet­

ti tecnici, tendono a occuparsi della macchina da presa in modo sporadico e dedi­ candole uno spazio estremamente ridotto. Questi brevi interventi inseriti all'in­

terno di rubriche generali, insieme alle informazioni indirette ricavabili dalle

recensioni dei film e dalla pubblicità, costituiscono la maggior fonte di informa­

zioni sulla tecnologia legata alla ripresa cinematografica. Un punto ricorrente nelle notizie brevi tanto di ambito italiano che straniero, è la capacità della mac­

china da presa di accompagnare e registrare le scoperte dell'uomo, si tratti di quel­ le geografiche o scientifiche, funzione simile a quella già attribuita alla fotografia. Un'altra caratteristica del discorso tecnologico è il mettere l'accento sul "virtuosi­

smo", sulla possibilità di realizzare, soprattutto nell'ambito della produzione di film a soggetto, riprese particolarmente complesse e spettacolari. Anche se vengo­

no riconosciute alla macchina da presa queste importanti funzioni, quello che emerge nello studio dei diversi interventi è una generale mancanza di informa­

zioni dettagliate che caratterizza anche i pochi articoli di una certa lunghezza che, pur entrando nel merito del suo funzionamento, restano all'interno di un discor­

so molto generale.] Il più piccolo apparecchio presa-vedute *

Il Tecnico

[Le riviste sul cinema nel periodo muto si occupano direttamente della macchi­ na da presa, dei suoi accessori e del suo funzionamento in modo irregolare e, nella maggior parte dei casi, attraverso notizie brevi inserite all'interno di rubriche di carattere generale. Le riviste che concentrano la loro attenzione sulle tematiche tecniche non fanno eccezione. Anche le possibili informazioni

indirette che ci vengono fornite nelle recensioni dei film, nelle interviste ad attori, registi e tecnici, sono rare e le poche testimonianze degli operatori sono,

nella maggior parte dei casi, concentrate sulle difficoltà che hanno dovuto soste­ nere per realizzare una certa inquadratura senza approfondire gli aspetti più tec­

nici. Il più piccolo apparecchio presa-vedute fornisce molte informazioni pre­

liminari e dettagliate sulle parti che compongono la macchina da presa e sul loro funzionamento. Tuttavia queste vengono date facendo costante riferimen-

* Il Tecnico, Il più piccolo apparecchio presa-vedute. in “Coltura Cinematografica" (già "La Tecnica Cinematografica"), 111, n. 4, aprile-luglio 1920, pp. 160-1.

VALENTINA ROSSETTO

140

to alla nuova cinepresa fabbricata dalla Prevost, tanto che, sin dal titolo, Parti-

colo ha finalità soprattutto pubblicitarie.}

Il più piccolo apparecchio esistente attualmente sul mercato cinematografico è

quello fabbricalo dalla Casa A. Prevost & C. di Milano. Questo apparecchio misura il x 20 x 27 cm e pesa completo con le scatole magazzino kg 5,500 e porta 120 metri di pellicola.

Malgrado il volume estremamente ridotto, ogni singola parte del movimen­ to è stata calcolata per uno sforzo assai superiore a quello che deve fare. La

grande riduzione di volume si c potuta ottenere con una razionale distribuzio­ ne delle diverse parti e con uno speciale sistema di apertura dall’apparecchio.

L’apertura della camera per il caricamento della pellicola si opera istanta­ neamente mediante la semplice pressione di un bottone. Coll’apertura della camera tutte le parti del movimento soggette a mano­

vra per il caricamento si vengono a trovare completamente libere e il passaggio del film nei tamburi dentati debitori c nello sportello si opera nel modo più

semplice. La messa a fuoco si può eseguire sia direttamente sul quadruccio d’im­ pressione a macchina aperta, sia a macchina chiusa col solo spreco di un foto­

gramma. La messa a fuoco con questo secondo sistema si opera a mezzo di un monocolo d’ingrandimento per riflessione e non per trasparenza utilizzando in tal modo tutta la luminosità fornita dall’obbiettivo.

Innovazione importante in quest’apparecchio è l’applicazione di uno spe­ ciale dispositivo per lo scambio istantaneo dell’obbiettivo operante con altro di lunghezza focale diversa a scena aperta senza arresto di macchina.

Tale dispositivo permette all’operatore di eseguire quadri in dettaglio durante lo svolgimento della scene; l’effetto ottenuto con l’impiego di tale sistema è dei

più gradevoli, poiché, fruendo per i dettagli di un obbiettivo di maggior lun­ ghezza focale di quello normale, il punto d’interesse viene insensibilmente

avvicinato allo spettatore senza gli inevitabili salti di recitazione e di inquadra­

tura che avvengono col sistema comunemente usato.

RIPRESA

Ml

È ovvio che tale sistema non può essere adottato per tutti i dettagli che si

devono eseguire» ma bensì unicamente per quelle scene i cui dettagli possono essere ritratti sullo stesso asse ottico dell’obbiettivo normale; anche con questa limitazione però il dispositivo può avere un larghissimo impiego.

N. Bottone d'apertura dello sportello ante­

riore z\. Leva per lo scambio degli obbiettivi B. Arresti per lo scambio degli obbiettivi C. Bottone per fissare il movimento di scam­ bio degli obbiettivi O. Punzone per la foratura del film al termi­ ne della scena D. Monocolo per la messa a luoco E. Bottone da estrorsi pcr la marcia indietro E Bottone d'apertura della camera

In ogni caso» anche quando non si voglia operare lo scambio dcllobbieitivo a scena aperta, toma sempre utilissimo il poter disporre rapidamente di un

secondo obbiettivo di fuoco diverso, già collocato sull’apparecchio e pronto a

operare; gli obbiettivi sono fissati sulle montature elicoidali in modo da essere

disimpegnati rapidamente e scambiati con altri, così da poter ottenere qualsia * si coppia di obbiettivi voluta. Mediante lo stesso dispositivo si ottiene il decentramento degli obbiettivi in alto e in basso. Gli obbiettivi sono montati su uno sportello metallico a nervature che nella

chiusura forma un corpo solo col restante del movimento; l’otturatore è a chiu­ sura variabile. La marcia indietro si eseguisce colla semplice estrazione di un

bottone; il caricamento della pellicola nelle scatole magazzino ricevitrici per la marcia indietro e uguale come pcr la marcia normale, così che qualsiasi scato­ la magazzino caricata pcr la marcia normale sen e anche par la marcia indietro.

La frizione pcr l’avvolgimento della pellicola c regolabile dall’esterno c così pure il suo regolare funzionamento c continuamente controllabile, durante la

marcia daH’estcmo dell’apparecchio.

L’apparecchio può essere azionato colle due marce: a 8 quadri e a 1 quadro pcr ogni giro di manovella. Sul davanti del l’apparecchio si può rapidamente

fissare un supporto sul quale c applicabile ogni forma di maschera a contorni

sfumati» compreso il così detto “diaframma americano”.

Il quadruccio d’impressione normale è scambiabile colle dita senza aiuto di utensili» con altri che la Casa fornisce assieme all’apparecchio nelle seguen­

ti mascherature: circolare, ovale» a binocolo, a sesto acuto, a foro di serratura, quadro diviso in diagonale. Nella fessura d’ingresso della pellicola nelle scatole magazzino c stato sop­

presso il velluto comunemente usato; l’occlusione della luce è stata ottenuta mediante l’impiego di uno speciale corridoio a rulletti contrapposti che. pur

permettendo il passaggio scorrevolissimo del film, impedisce a ogni raggio di

142

VALENTINA ROSSETTO

luce di penetrare all'interno della scatola, anche se esposta ai raggi diretti del sole. Con questo sistema si rimedia così a due inconvenienti comuni alle mac­

chine per presa vedute: il pericolo delle rigature provocate sul film dalla pol­

vere e dai detriti della pellicola che si immagazzinano nel velluto c la necessita di far operare fortemente la frizione d'avvolgimento per vincere l'attrito d'a­

derenza del velluto stesso. Un quadrante contatore registra ì metri e i fotogrammi. Le lancette hanno

la rimessa a zero istantanea. Su ogni apparecchio vi è un orologio contasecon­ di per controllare la durata delle scene durante le prove.

Un laboratorio subacqueo * [La maggior parte degli articoli che hanno amie oggetto la macchina da presa

sono brevi e appaiono soprattutto nelle rubriche che passano in rassegna te ulti­

me novità nel campo cinematografico italiane e straniere, Quello che lega questi

brevi interventi è il fatto di occuparsi soprattutto dei nuovi tipi di macchina da presa e di considerarli uno strumento privilegiato per accompagnare e testimo­

niare le conquiste del XX secolo sia geografiche che scientifiche. Vengono segna­ late cineprese capaci difilmare le immagini dagli aeroplani, delle profondità mari­

ne, o di documentare esperimenti scientifici e operazioni chirurgiche. Non man­

cano le note sulle spedizioni geografiche e sull’espansione coloniale in cui possia­ mo ritrovare accenni al tipo di macchina da presa usato. In alcuni casi, come nell articolo proposto, sono presenti descrizioni dettagliate di particolari tipi di

macchina da presa e delle condizioni in cui venivano usati.] Un dottore inglese aveva fatto costruire in Inghilterra un apparecchio sottomari­ no a scopo di rendere possibili osservazioni subacquee per studio scientifico.

Apprendiamo oggi che in seguito alle felici esperienze compiute con un apparec­ chio analogo a quello del Dottor Ward, costruito dal padre, Ernesto e Giorgio

Williamson sono riusciti a farne una praticissima applicazione al Cinematografo. L'apparecchio consiste in un tubo verticale allungabile e accordabile di ferro avviluppato in materie impermeabili. Esso viene calato dal fondo di un battello speciale, e contiene all'interno una cabina sferica, nella quale sta l'osservatore. E

munito di un potente obbiettivo rivestito di ferro e che termina in un grande

cono esterno per eliminare le iridescenze come nell'apparecchio Pean.

La luce viene data a partire da dieci metri di profondità mediante una lam­ pada elettrica a mercurio di circa 20.000 candele. L’operatore, chiuso nella cabina, può vedere molto distintamente e rivol­

gere il suo obbiettivo sui soggetti che l'interessano.

Molte esperienze furono già fatte e sopratutto notevole il successo ottenu­ to in 20.000 leghe sotto i mari di Giulio Verne nel quale furono prese a mezzo

del medesimo apparecchio delle intere zone sottomarine.

* Un laboratorio subacqueo, in *La Rivista Cinematografica’, 1. n. 23-24,10-25 dicembre 1920. p. 288.

RIPRESA

M3

La macchina da presa

La Commissione Tecnica della UTOC [('73

nula la mascheratura esatta, l'applicazione del colorante si fa con apparecchi a rulli di peluche il cui pelo viene costantemente ed egualmente imbevuto e rad­ drizzato. Si adoperano anche, c meglio, degli speciali polverizzatori pneumati­ ci del liquido colorante. Come è facile vedere, il sistema si presta anche a una specie di sintesi poli­ croma artificiosa: infatti, lasciando avvenire delle sovrapposizioni tra i vari colori semplici, un abile artista può ottenere molti colori composti con buo­ nissimo risultato sulla omogeneità della coloritura. La precisione raggiunta da alcune case nella loro coloritura meccanica è grandissima: basta pensare che sullo schermo delle nostre sale da proiezioni non si vedono, con taluni film, né sbavature, ne errori, malgrado l'enorme ingrandimento. Guardando poi a occhio nudo una di queste pellicole non e possibile vedervi la minima traccia di errore nella sovrapposizione del colore, né il minimo segno dei trattamenti subiti. Con questo abbiamo dato un'idea dello stato attuale della cinematografia a colori. Come si vede, malgrado gli enormi sforzi, si è molto, ma molto lonta­ ni dall'averla perfettamente conseguita.

La cinematografia a colori * Ernest Coustct

La cinematographic à couleurs / The Colour Cinematography / Die farbige Kinematographie La pubblicazione dd nostro precedente articolo (“Tecnica Cinematografica , * numero 2), sulla cinematografia a colori, ci ha procurato parecchie lettere che ci richiedono qualche informazione d'indole più generale su questo interes­ sante argomento. Pcr accontentare i richiedenti riproduciamo quanto Ernesto Coustct. di cui è nota la profonda competenza, dice sulla “Rcvuc generale des Sciences * pure et applique» . *

L'attrattiva del colore, la superiorità manifesta delle vedute dipinte sulle vedute monocrome, spiegano l'importanza delle ricerche che in questi ultimi anni si sono moltiplicate, per fornire a) cinematografo un nuovo elemento di interesse. Anche in mancanza del colorito reale, una tonalità variata di tempo in tempo, una dominante appoggiala alla natura del soggetto, valgono meglio d'un grigio uniforme, donde l'utilità dei viraggi e delle tinture. Ma a questo non può limitarsi l'oggetto di uno spettacolo che sopratutto deve produrre l'illusione della realtà vivente c che non ha le stesse ragioni del disegno o della scultura per fare astrazione dal colorito. Così c che, in mancanza di un mezzo facile e sicuro di cromofotografìa animata, gli editori di pellicole si sono dapprima rassegnati provvisoriamente a far colorire i loro nastri positivi a mano o allo stampo. * E Courtct, Lrf àftemetografa a colori, fai “La Tecnica Cinematografica". I, n.

bre 1914. pp. 71-8.

otto­

174

MARCO GRIFO

Si ottengono così, a prezzo di un lavoro lungo delicato e costoso, dei risul­ taci senza dubbio interessanti, ma che non fanno perdere di vista lo scopo da raggiungersi, cioè i colori prodotti automaticamente mediante operazioni pura­ mente fotografiche. Il metodo intcrfcrenzialc apparisce inapplicabile al cinematografo, per varie ragioni. 11 metodo indiretto, la tricromia, presenta anch’csso grandi diffi­ coltà, che però non sono insormontabili, poiché già ne esistono varie soluzioni assai curiose e piene d’avvenire. Coloritura 11 gran numero d’immagini di cui si compone una pellicola e la esiguità loro, rendono la coloritura a mano una operazione minuziosa, affaticante e costosa. Questo lavoro, generalmente confidato a mani femminili, esige molta attenzio­ ne, pazienza, e un occhio esercitato. Si tratta, naturalmente, di colorire a una a una tutte queste piccole imma­ gini e di dare lo stesso tono agli stessi oggetti riprodotti successivamente un gran numero di volte. La divisione del lavoro l’ha reso più facile, più rapido e più regolare. Ogni operaia e incaricata dell applicazione di una sola tinta, di cui il tono e la posizione sono determinali dal capo colorista. La pellicola passa quindi a volta a volta su diversi telai di vetro smerigliato illuminati per disotto, analoghi a quelli di cui si servono i ritoccatori fotografici. 11 colore all acquerello è applicato in tinte piatte, mediante pennelli finissi­ mi, e siccome la piccola quantità che se ne usa è assorbita dalla gelatina, l’es­ siccazione avviene rapidamente. Qualunque siano le cure impiegate e l'abilità della mano che conduce il pennello, il colore sconfina spesso dai limiti asse­ gnatigli. Per poco che sorpassi i contorni, rirregolarità, amplificata alla proie­ zione, risulterebbe sensibile sullo schermo, se essa si ripetesse sempre negli stessi punti sulle successive immagini, ma, siccome ciò non succede mai, le irre­ golarità si compensano in qualche maniera, si neutralizzano mutuamente, e l'insieme non ne risulta generalmente difettoso. Quando da un negativo non si deve tirare che un numero limitato di posi­ tivi, la coloritura a mano è la sola praticata. Ma più spesso gli editori di pellicole tirano da ciascun fototipo un gran numero di nastri positivi e non sarebbe pratico di ricominciare ogni volta lo stesso lavoro per ciascun esemplare. Si economizza la mano d'opera e si gua­ dagna tempo, effettuando la coloritura allo stampo. Si sacrificano a tal uopo alcuni positivi, tanti quante sono le tinte da appli­ carsi. Supponiamo per semplicità che i colori siano ridotti a tre: il turchino, il giallo e il rosso. Il nastro che deve servire da patron pcr il turchino, sarà taglia­ to mediante un istrumcnto a punzone in modo da tagliare tutte le parti che devono ricevere il colore turchino: così, in un paesaggio preso in tempo sere­ no, la punzonatrice ritaglierà tutto il ciclo. Si tolgono anche, sulla seconda pel­ licola. le parti corrispondenti al giallo c, sulla terza, le pani riservate al rosso. Si immergono le tre pellicole così traforate in acqua calda per togliere la gela­ tina, c allora esse sono pronte pcr la distribuzione dei colori.

DAL FILM COLORATO AL CINEMA A COLORI

«7$

Ciascun nastro da colorire è posto in contatto, dal lato gelatina, con una delle pellicole scampo, quella del turchino per esempio, in modo che le loro perforazioni coincidano, e i due nastri così accoppiati sono disposti sulla mac­ china da colorile: dei rulli di trascinamento, di cui i denti penetrano nelle perforazioni, li trasportano sotto un rullo clastico impregnato di tinta turchina, oppure sotto una specie di vaporizzatore che proietta la soluzione colorata in minuscole goccioline. In un caso come nell'altro, il colore non può raggiunge­ re l’immagine che sotto le parti traforate del patron, e la coloritura delle imma­ gini successive si compie rapidamente c regolarmente. Quando la pellicola intera è sfilata nella macchina del turchino, la si sepa­ ra dal primo patron, la si applica contro il secondo c si fa passare la coppia attraverso la macchina del giallo, e analogamente poi per il rosso. Si potrebbe supporre che sia assai diffìcile di ritagliare i patroni con tutta la precisione necessaria, malgrado l’esiguità delle immagini. Vera in ciò realmente una difficoltà, che però si e riusciti a sormontare. Una pellicola proveniente dallo stesso negativo come quella che si tratta di rita­ gliare. vien disposta in una lanterna di proiezione di cui lo schermo e contiguo al piccolo telaio sul quale passa il nastro da ritagliare. L'operaio tagliatore non ha che a dirigere i movimenti di un pantografo, di cui il ramo maggiore termi­ na in una punta che può essere condotta su qualunque punto dello schermo, mentre il ramo più breve porta un utensile tagliente, mosso meccanicamente sulla pellicola in taglio. 1 due rami sono regolati in maniera che le ampiezze dei loro movimenti abbiano lo stesso rapporto dell’amplificazione realizzata dalla lanterna di proiezione. L’immagine proiettata sullo schermo essendo opportu­ namente messa in corrispondenza con l’immagine a ritagliarsi, l’operaio non ha che a far passare sulla prima il tracciatore del pantografo seguendo tutti i con­ torni che devono limitare il taglio: tutti i movimenti che la punta del tracciato­ re eseguisce sulla grande immagine, sono riprodotti dall’utensile tagliente sulla piccola immagine, con una precisione che sarebbe impossibile raggiungere con il ritaglio diretto. Tricromia

Benché il numero dei colori sia indefinito, essi possono tutti quanti ridursi, dal punto di vista della impressione che esercitano sulla nostra retina, a tre colori fondamentali, il violetto, il verde e il rotto aranciaio, di cui le combinazioni sono suscettibili di produrre tutte le tonalità cromatiche possibili. La persistenza delle impressioni retiniche permette d’altra parte di assimilare la successione rapida dei colori fondamentali alla loro visione simultanea. Potremo dunque realizzare delle proiezioni cinematografiche a colori, sia proiettando simulta­ neamente tre immagini esattamente corrispondenti sullo schermo, una imma­ gine violetta, una verde e una rossa, sia facendo sfilare rapidamente delle immagini alternativamente violette, verdi, rosse. In un caso come nell’altro, la sintesi del colore non potrà esattamente rea­ lizzarsi che a condizione di aver dapprima decomposto le colorazioni com­ plesse del soggetto, in maniera che ciascun negativo non sia impressionato che

176

MASCO GHIFO

dal colore fondamentale che esso deve servire a riprodurre: bisogna insomma cominciare con 1'analisi delle colorazioni. Questa analisi viene realizzata interponendo, mentre si fa la presa, tre schermi o filtri selettori, colorati rispettivamente in violetto, in verde e in rosso aranciato. La superfìcie sensibile esposta dietro lo schermo violetto, sarà impressiona­ ta dalle parti del soggetto che contengono del violetto, ddl'azzurro o del rosso porpora: il giallo invece arrestato dal filtro selettore, non determinerà alcuna riduzione del bromuro d argento. II diche negativo sarà dunque reso opaco, allo sviluppo, nei punti corrispondenti al violetto, all'azzurro e al rosso porpora, mentre resterà trasparente negli altri punti. 11 positivo offrirà l'aspetto inverso: sarà opaco nei punti corrispondenti al giallo e trasparente negli altri punti. Se proiettiamo questa immagine, interponendo un vetro violetto, non vedremo sullo schermo che i punti del soggetto che contenevano del violetto, dell'azzurro o del porpora. Un ragionamento analogo ci mostrerebbe che il verde e il rosso aranciato sono analogamente riprodotti con l'interposizione di schermi selettivi corri­ spondenti. In quanto agli altri colori essi determinano degli assorbimenti par­ ziali e disuguali fra i diversi schermi e sono ricostituiti, alla proiezione, dalle opacità differenti dei di apositivi. Le porti bianche del modello sono impressionate attraverso i tre filtri ana­ lizzatori, dunque i tre positivi lasceronno passare la luce attraverso queste regioni dell'immagine, e la riunione delle tre luci colorate ricostituirà il bianco sullo schermo di proiezione. La tricromia e, come si vede, ben semplice in teoria. Praticamente, la sua applicazione cinematografica diviene un problema assai complesso. Bisogna dapprima tener conto della differenza che esiste fra la sensibilità cromatica del bromuro d'argento e del nostro occhio. Le emulsioni fotografiche sono rapi­ damente impressionate dall'azzurro e dal violetto, che ci appaiono oscure e anche dall'ultra-violcito che il nostro occhio non vede: mentre il rosso, l'aran­ ciato e il giallo più luminoso rimangono quasi senza azione sulle pellicole cine­ matografiche ordinarie. Si conosce, veramente, il mezzo per attenuare queste differenze, in una cena misura: però, le emulsioni onocromatizzate conserva­ no ancora un eccesso di sensibilità per la regione più rifrangibile dello spettro, e l'equilibrio del colorito esige che si prolunghi la posa attraverso i filtri verdi e rosso-aranciato in proporzioni tali che la fotografia istantanea e in particola­ re la cinematografia, divengono impraticabili nella maggioranza dei casi. D'altra parte non e questa la sola difficoltà, e nessuno dei metodi finora proposti è esente da inconvenienti. Questi metodi possono ridursi a due modi di analisi e di sintesi del colorito; le immagini successive e le immagini simul­ tanee. Nel primo caso, le immagini sono prese dietro uno schermo a volta a volta violetto, verde e rosso aranciato. L'otturatore è generalmente costituito da un disco diviso in tre settori opachi alternati con settori colorati l'uno in violetto, l'altro in verde, il terzo in rosso aranciato. Questo disco e collegato al mecca­ nismo di trascinamento in maniera che al momento in cui la pellicola è immo­

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bilizzata, uno dei settori trasparenti lascia passare la luce, mentre durante il progredire del nastro l’obbiettivo è chiuso da uno dei settori opachi. La stessa combinazione e applicata all'apparecchio di proiezione. La luce bianca e intercettata da un disco a tre settori colorati giranti di un terzo di cir * conferenza a ogni cambiamento d'immagine, dimodoché l'immagine corri­ spondente alla impressione del violetto non lascia passare che delle radiazioni violette, mentre la seguente corrisponderà alla proiezione del verde e la terza alla proiezione del rosso. La persistenza delle impressioni retiniche fa confon­ dere in una sola risultante queste tre perfezioni visuali successive, a condizione che le immagini si succedano rapidamente. Per realizzare una fusione perfetta o per evitare lo scintillamento, si ammette che la proiezione pcr colori succes­ sivi debba farsi tre volte più rapidamente della proiezione ordinaria. Ne segue che la presa delle vedute dovrebbe effettuarsi tre volte più rapidamente che in cinematografìa monocroma. Questa accelerazione del movimento porta con sé gravi difficoltà. Dappri­ ma, il difetto di sensibilità delle emulsioni pcr il verde c il rosso esigerebbe pro­ lungamento di posa: se invece bisogna abbreviarla, il procedimento rimane limitato ai soggetti estremamente luminosi presi mediante un obbiettivo di grandissima apertura c quindi di piccola profondità di campo. Secondaria­ mente, se la velocità di trascinamento viene triplicata, bisognerà impiegare una pellicola tre volte più lunga (figura 1, 1*), c tre volte più costosa. Le pellicole positive saranno d altronde rapidamente poste fuori d'uso dai bruschi sposta­ menti che soffriranno attraverso lo sfilatore. figura 1

Lo seconda combinazione, a immagini simultanee, non esige accelerazione della velocità di trascinamento, poiché si possono disporre le tre immagini sopra una stessa linea orizzontale. La pellicola impiegata in questo caso non e più lunga di una pellicola ordinaria, ma c tre volte più larga (figura 1. 2*), e per conseguenza tanto pesante e costosa come nel caso precedente. Ma la difficoltà principale della simultaneità delle immagini, e Li loro corrispondenza sullo schermo. Se le tre serie di vedute giustamente sono prese con tre obbiettivi contigui, ciascuno munito di un filtro selettivo colorato, bisogna proiettare i nastri posi­ tivi con l'aiuto di tre obbiettivi ugualmente muniti di filtri rispettivamente vio­ letto, verde c rosso aranciato. Ma siccome la distanza che separa lo schermo dagli obbiettivi di proiezione è variabile, la messa a fuoco delle tre immagini si complica con l'effetto di parallasse. Le tre immagini non essendo state prese esattamente dallo stesso punto, costituiscono tre elementi stereoscopia non

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sovrapponibili. Sc il quadro non contiene che soggetti lontani» si giunge a far corrispondere le tre immagini modificando la distanza che separa i ere obbiet­ tivi di proiezione; ma se si tratti di soggetti approssimati» e impossibile sovrap­ porre esattamente le tre immagini che non sono identiche sugli orli; anche facendo corrispondere esattamente i tre centri, si avrebbero ancora sugli orli delle frange colorate dovute al difetto di coincidenza degli orli. *c cercalo di ovviare a questo difetto utilizzando» sia per la presa delle S vedute, sia per la proiezione» un obbiettivo unico, dietro il quale il fascio lumi­ noso è diviso in tre, in modo da formare tre immagini contigue» o a proietta­ re sullo schermo perfettamente sovrapposti i tre positivi contigui. A tale scopo, i raggi luminosi sono parzialmente intercettati, fra lobbìettivo e la pel­ licola, mediante due giuochi di prismi o di specchi che li scartano dall’asse e li proiettano sulle estremità laterali della pellicola a destra e a sinistra. Tra le due immagini così formate, si dispone la terza, proveniente dai raggi che hanno oltrepassato lo spazio libero fra i due giuochi di prismi o di specchi. Dei setti anneriti separano i tre compartimenti nei quali passano i raggi destinati a ciascuna delle immagini. I filtri selettivi, violetto, verde» rosso aranciato» sono disposti ciascuno in uno dei compartimenti. Bisogna notare che i raggi deviati per la formazione delle immagini laterali hanno dovuto per­ correre un cammino più lungo dei raggi direttamente proiettati sulla immagi­ ne centrale. Per regolare la messa a fuoco» si e obbligati di compensare questa differenza di cammino. La interposizione di lenti non realizza tale compensa­ zione se non modificando la dimensione delle immagini: non così, se Velon * fazione viene realizzata con la interposizione di uno spessore sufficiente di vetro a facce parallele, ma questa soluzione fa perdere molta luce e appesan­ tisce notevolmente l’apparecchio. Gascuna delle combinazioni precedenti si presta a una quantità di varian­ ti. Un gran numero di brevetti descrive delle disposizioni che appaiono assai ingegnose» ma di cui la maggior patte non diede alla prova che mediocri risul­ tati. Fino a oggi il solo cinematografo nicromo che sia riuscito oggetto di uno sfruttamento utile è il Chronocbrome della Casa Gaumont. Gli consacreremo quindi un paragrafo speciale. Ma prima non e inutile menzionare una soluzio­ ne. a vero dire incompleta, ma che è la prima da cui si sia potuto realmente trarre partito: si tratta di una bicromia.

Bicromia

Questo processo consiste nel limitare i colori componenti, a due soltanto, il rosso e il verde. A tale scopo, l’apparecchio di presa e l’apparecchio di proie­ zione sono disposti come fu indicato per la tricromia a immagini successive, con questa differenza che il disco girante non porta che due schermi selettori. Non v’ha così che due specie di immagini (figura t» 5* ), e la velocità di trasci­ namento e soltanto raddoppiata. Su questo principio è fondato il processo Urban-Smith, sfruttato sotto il nome di Kinemjco/or.

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FIGURA 2

La pellicola negativa e coperta da una emulsione pancromatica. Viene sfilata al fuoco dcH'obbiettivo, in ragione di 32 immagini al secondo, e Torturatore ordi­ nario è sostituito da un disco composto di due settori opachi e due settori tra­ sparenti colorati l'uno in rosso e l’ahro in verde (figura 2). Nel momento in cui la pellicola avanza, uno dei settori opachi intercetta la luce: poi, quando la pellicola e immobilizzata, l'uno dei settori trasparenti, ad esempio, il verde, lascia passare le radiazioni verdi. II secondo settore opaco viene di poi a chiudere l’obbiettivo, la pellicola progredisce di nuovo, poi si arresta e il secondo settore trasparente lascia passare le radiazioni rosse. Si ha dunque una serie di immagini alternativamente impressionate dal verde e dal rosso. I negativi così ottenuti servono a imprimere delle pellicole positive che devono venire proiettate in ragione di 32 immagini al secondo, interponendo un filtro colorato, alternativamente verde e rosso. Per ovviare, nella misura del possibile, all’imperfezione risultante dall’as­ senza d'uno dei tre colori fondamentali, si sono sostituiti i settori opnehi del­ l’otturatore di proiezione con schermi azzurro-violetti (figura 3), tanto poco trasparenti che l’occhio non percepisca il cambiamento d’immagine. La sensa­ zione di luce azzurra che si produce così, compensa sufficientemente la domi­ nante giallastra delle proiezioni bicrome. È evidente che questo espediente non sostituisce le tonalità assenti, poiché la luce azzurra così proiettata e distribui­ ta su tutto lo schermo, invece di essere localizzata sulle parti azzurre del sog­ getto; ma il nostro occhio e assai tollerante, e la sintesi si effettua in modo pura­ mente suggestivo. Nondimeno la resa del colorito è ben lungi dalla perfezione raggiunta dal Gaumont col suo Chronochmmet e per quanto sia interessante il risultato della bicromia, non si potrebbe considerarla se non come una solu­ zione provvisoria della cinematografia a colori. FIGURA 3

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MARCO GRIFO

Cronocromia

La pellicola impiegala da Gaumont ha la larghezza normale. Le immagini monocrome vi figurano Luna in seguito all'altra, benché cia­ scuna tripla venga proiettata simultaneamente. Il meccanismo d avanzamento è disposto in maniera da far progredire il nastro» durante l'otturazione, d'una lunghezza uguale all'altezza delle tre immagini, e la finestra che limita il fascio luminoso ha ugualmente per altezza quella delle tre immagini. In queste condizioni, se si fossero conservate le dimensioni abituali delle immagini cinematografiche (18 x 24 mm). si avrebbe dovuto far avanzare ogni volta il nastro di $4 mm. Per diminuire i rischi di rottura e anche per ridurre il costo della pellicola, Gaumont prese il partito di diminuire di un terzo la altezza delle immagini senza modificarne la larghezza. Il formato di ciascun monocromo diviene così 12 x 24 mm (figura 1, 4*), e queste proporzioni non hanno nulla di spiacevole alla proiezione. Le immagini sono proiettate mediante tre obbiettivi sovrapposti, davanti ai quali stanno i filtri selettori: violetto, verde e rosso aranciato. I tre assi ottici sono separati l'uno dall'altro da un intervallo uguale all'altezza di una immagi­ ne. Per non ridurre di troppo la luminosità, si impiegano delle lenti assai lar­ ghe, ma limitate da due piani paralleli orizzontali (figura 4). figura 4

L'obbiettivo centrale B è fisso: gli obbiettivi estremi A, C, sono montati su telai mobili permettenti di inclinarli in tutti i sensi. Questa mobilità è necessaria per assicurare una perfetta corrispondenza delle tre immagini sullo schermo di proiezione, malgrado le prospettive da punti di vista diversi c malgrado il riti­ ro che subisce la pellicola. Questa regolazione e assai delicata, poiché il più piccolo scarto di orienta­ zione degli obbiettivi corrisponde sullo schermo a spostamenti considerevoli. L'operatore che manovra le viti di regolazione e troppo lontano dallo schermo per controllare la corrispondenza ottenuta. Quindi deve essere guidato da un osservatore che si trovi più vicino allo schermo. I due uomini si parlano con un telefono, e le istruzioni date in poche parole, secondo un'intesa, sono eseguite immediatamente. I tre monocromi vengono illuminati da un solo arco. Tre focolari luminosi avrebbero senza dubbio fornito proiezioni tre volte più brillanti, ma le loro variazioni di splendore avrebbero nuociuto all'esattezza del colorito. Si è aumentata al possibile l'intensità della lanterna e la proiezione si effettua sopra uno schermo metallizzato.

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Questo schermo diffonde meno luce che non le superftei matte-, invece di disseminarla in cune le direzioni, non la riflette che in un campo assai limitato e fornisce così delle immagini che appaiono più brillanti agli spettatori situati in questo campo. Questo modo di proiezione richiede, adunque, una sola di piccola lar­ ghezza. L'esattezza del colorito non lascia nulla a desiderare. Si tratti di scene d'in­ terno o di vedute all'aria libera, le minime sfumature del soggetto sono fedel­ mente riprodotte. Pcr porre in evidenza lo splendore o la finezza di tinte, che realizza il eronocromo, si sono cinematografati dei gioielli, dei fiori e delle farfalle esotiche dalle ali sfolgoranti, montati su supporti girevoli. Questo movimento dà perfettamente allo spettatore una impressione di rilievo altrettanto completa come quella che darebbe l'esame binoculare di uno stereogramma. L'effetto c sopratutto sorprendente con le farfalle, di cui le vive colorazioni, di natura interfcrenziale, si trasformano man mano che varia l'in­ cidenza della luce. Autocromia Le tre immagini e i tre schermi selettori utilizzati nei processi tricromi, posso­ no essere sostituiti da una immagine unica, divisa in compartimenti ristretti, in cellule microscopiche, colorate le uno in violetto, altre in verde, e altre in rosso aranciato (figura t, 5*). Se gli clementi colorati sono sufficientemente fini c con­ venientemente distribuiti, questo mosaico apparirà incoloro a occhio nudo od anche, a una proiezione moderatamente amplificata, e se la si ricopre con una emulsione al gelatine bromuro di argento, si otterrà una immagine in colori risultante dal deposito d'argento opaco che mostrerà certe cellule c non lascierà vedere che quelle corrispondenti alle tinte del modello. L'esecuzione del microscopico mosaico ha dato luogo a numerose ricerche. Sino a oggi la migliore combinazione c quella immaginata dalla Casa Lumiere pcr la preparazione delle loro lastre autocromatiche, di cui il reticolo selettore è costituito da granuli di fecola colorati rispettivamente in violetto, verde e aranciato, accuratamente rimescolati a secco c giustapposti in maniera da for­ mare una sottile pellicola tra l'emulsione sensibile c il suo supporto. Questo procedimento fornisce dei bellissimi dispositivi in colori per proie­ zioni fìsse; si c cercato quindi di applicarlo anche alle proiezioni animate. Fino­ ra delle serie difficoltà vi si opposero. L'interposizione del filtro tricromo e di un vetro giallo compensatore, necessario all'equilibrio del colorito, assorbe molta luce, di maniera che malgrado l'estrema sensibilità dell'emulsione, il tempo di posa richiesto è circa da sessanta a ottanta volte più lungo che in foto­ grafìa monocroma: dò che rende la cinematografìa impossibile nella maggio­ ranza dei casi. L'assorbimento di luce per parte delle cellule colorate è anche più nocivo olla proiezione. Non abbiamo più qui, come nei casi precedenti, tre proiezioni che vengono a sommarsi sullo stesso schermo; non esiste più che una sola

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MAKCO entro

immagine, divisa in scompartimenti, i quali non lasciano passare ciascuno che un terzo al più delle radiazioni di cui si compone la luce bianco. Ne segue che se si volessero proiettare sullo schermo delle immagini altrettanto brillanti come d'ordinario, bisognerebbe accrescere l’intensità della sorgente luminosa a tal grado che la banda di celluloide si infiammerebbe sicu­ ramente. Del resto il reticolo autocromatico, come lo si fabbrica oggi, non resiste neanche a una esposizione prolungata al sole e si spezza troppo facilmente. Pare pero non difficile il rimediarvi, fissando i grani di fecola sulla pellico­ la, mediante un adesivo che conservi una certa elasticità. Finalmente il grano di fecola, se e invisibile a occhio nudo, diviene appari­ scente alla proiezione. Tuttavia questo difetto sarebbe assai attenuato dalla distribuzione irregolare degli elementi colorati, cambiandola loro posizione da un'immagine all’altra. Si produrrebbe così una compensazione continua, analoga a quella di cui si e parlato a proposito della coloritura a mano. L'autocromia cinematografica non e dunque ancora realizzata, ma nulla prova che non sia possibile giungere a fame un processo pratico. lui pellicola a mosaico sarebbe senza dubbio più costosa della pellicola ordinaria, ma più leggera, meno voluminosa e forse meno costosa delle pelli­ cole tricrome a immagini separate. Non si avrebbe a diminuire l'altezza delle immagini, e le proiezioni a colori non richiederebbero altri apparecchi diversi da quelli che servono per le proiezioni monocrome. Perfezionamenti nella Cinematografìa a colori per selezione trictoma simultanea * R.S.

(/ procedimenti impiegati per la riproduzione dei colori si distinguevano dunque in meccanici (colorazione a mano e a pochoirA chimia (imbibizione, viraggio, mordenzatura), ottici e fotochimici (bicromia, tricromia, autocromia). Dagli arti * coli è possibile però dedurre ebe alla colorazione meccanica o chimica delle pelli­ cole (considerate più delle operazioni creative che dei tentativi di fedele imitazio­ ne del reale, a causa degli evidenti limiti intrinseci delle suddette tecniche) si pre­ ferisse Cadozione di processi fotochimici; diversi interventi vengono dedicati agli sviluppi, alla risoluzione dei problemi e alle migliorie apportate nel campo della ripresa e della proiezione a colori con questo tipo di procedimenti.} Perfectionnement dans la cinematographic a couleurs par selection triduo matique simultanee / Improvements in Coloured Cinematography by Simul­ taneous Trichromatic Selection / Vcrvollkommnung in dcr farbigen Kincmatographic durch gleichzeitig dreifarbige Auswahl

‘ R. S„ Perfezionamentt nella Cinematografia a colori per selezione rricroma simultanea, tn *La Tecnica Cinematografica *. I. n. 2, settembre 1914. pp. 58-42.

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L'invenzione dcITingcgncr Paolo Mortier di Parigi» ha per scopo di rime­ diare ai difetti della cinematografia a colori per mezzo della selezione tricroma simultanea» cioè: - Ridurre e anche sopprimere la mancanza di sovrapposizione dovuta agli scarti fra gli assi ottici degli obbiettivi. - Permettere alla proiezione la illuminazione simultanea omogenea senza perdita dei tre monocromi mediante un solo fascio condensato» e il funziona­ mento corretto dei tre obbiettivi relativamente alle tre immagini che si devono proiettare, ed elevare per conseguenza al massimo la luminosità» la nettezza, e l'esattezza delle sfumature. - Regolare la sovrapposizione dei tre monocromi senza alcuno spostamento relativo fra gli obbiettivi che possono allora formare un tutto invariabile. - Conservare per il passaggio delle films spedali destinate alla proiezione a colori, il passo normale c la forma di perforazione usata con la cinematografìa in nero, c per conseguenza poter passare le films ordinarie ncll'opparccchio. senza apportare modificazioni a questo. - Impiegare gli obbiettivi a montatura corrente e di serie tanto per la presa che per la proiezione. - Limitare la lunghezza della film speciale per proiezioni a colori» a quella ordinaria per la proiezione in nero, c ciò con lo stesso formato speciale che con gli altri procedimenti di tricromia simultanea, ciò che conduce a un guadagno del too per too. Questi risultati sono ottenuti per mezzo della combinazione di varie dispo­ sizioni. Prima fra esse la ripartizione sulla superfìcie della film, delle tre immagini dello stesso soggetto prese simultaneamente secondo due lince oblique, le tre immagini non essendo contigue. Questa ripartizione è completamente differente da quelle proposte sino a oggi nelle quali i tre monocromi simultanei sono o scaglionati fianco a fianco, seguendo la lunghezza della film, ovvero uniti 3 a 3 secondo la lunghezza.

FIGURAI

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MASCO GUFO

Nei due modi di ripartizioni rappresentati dalla figura i: a) I centri delle tre immagini simultanee tf. b, c, si trovano su di una stessa linea obliqua alla direzione longitudinale della film J. b) I circoli e degli obbiettivi circoscritti ai rettangoli, inquadranti le tre imma­ gini, lungi dal sovrapporsi uno sull'altro, lasciano al contrario fra di essi note­ voli intervalli. c) Fra i bordi della film c le immagini restano spazi/non occupali pcr rice­ vere i fori di perforazione, i quali alternando gli uni rispetto agli altri sui due orli assicurano una buona trazione della film per mezzo dei denti dei tamburi, d) Con I’intcrvallo di 13,6 millimetri tra la perforazione corrispondente al posso normale delle films ordinarie, il formato di ciascuna delle immagini è di 11 mm per 17,5 mm, grandezza correntemente ammessa oggi in cinematografia a colori. FIGURA 2

La camera fotografica dell'apparecchio presa-vedute rappresenta in sezione verticale c in sezione trasversale (figura 2) nella quale sfila la film vergine nega­ tiva. e divisa da due diaframi g e otturata con delle maschere A. cosicché le sole parti della film corrispondenti alle regioni tratteggiale delle figure 1 e 2 siano sottomesse alla azione dei raggi impressionanti. La triplice impressione è prodotta da altrettanti obbiettivi anastigmatici ordinari e, fissati alla parete anteriore della camera, i di cui assi corrispondono rispettivamente ai centri delle tre caselle rettangolari A, g. Una seconda combinazione e quella del blocco diottrico triplicatole di immagini. Questo blocco si pone all'interno della camera dell'apparecchio presavedute, davanti gli obbiettivi e, in modo da distribuire a questi tre obbiettivi tre

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ri produzioni identiche dello stesso soggetto che si vuole prendere. Questo blocco (figura 2, in alto) comprende quattro pezzi prismatici /,/ £, l, di flint molto rifrangente» incollati fra loro col balsamo del Canada. Le faccio in contatto A, B, per i prismi A» B. C, D, e B, E, per il prisma A. B, E, sono state ricoperte con una argentatura sia trasparente e uniforme, sia opaca ma interrotta da un sistema rettangolare di larghe rigature, lascienti sola­ mente fra esse dei piccoli quadrati specchianti. U gioco delle riflessioni indicato dai tratti misti, mostra senza più oltre insistere come avviene la triplicazione dcll'imprcssione, e perché le tre immagini esattamente sovrapponibili sono esenti da ogni scarto parallattico. Ognuna delle tre immagini è selezionata da uno schermo abe, corrispondente a uno dei colori fondamentali, posto davanti alla film d. c la trasparenza delle superaci riflettenti, è regolata in modo che l'imma­ gine selezionata in rosso, la più difficile a prendersi, usufruisse di una maggiore proporzione di luce, e l'immagine in bleu, molto attinica, di una più debole. FIGURA J

Le figura y mostra una semplificazione del blocco diottrico che non comporta che due pezzi m, n, e non vi ha più che una sola riflessione parziale. Due delle immagini sono esattamente sovrapponibili, ma la terza ottenuta senza interposizione del prisma ha uno scarto parallattico per rapporto all'in­ sieme delle due altre; si otterrà cori il massimo della luminosità a prezzo di uno scarto non interessante che uno solo dei tre monocromi.

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MAKCO curo

Terza combinazione è quella del condensatore tripli calore d'illuminazione. Il telaio y nd quale sfila la film positiva o ha tre aperture p (figura 4) inquadran­ ti i tre monocromi simultanei quali sono indicati nella figura 1. Le tre aperture essendo non contigue e separate da notevoli intervalli, è possibile di concentrare su ciascuna di esse un fascio d'illuminazione indipen­ dente 339'41- Sulle sperimentazioni di Ivo Crocchi relative alla possibilità di fotografare e trasmettere la parola mediante la luce. Gnematografo parlante, in “La Tecnica Cinematografica *, 1, n. 4, novembre-dicembre 1914. pp. 113-4. Articolo contenuto nella rubrica Note e commenti in cui si annuncia l'invenzio­ ne del cinematografo parlante (anche detto cinctofono) ad opera di Ivo Crocchi di Gavorrano (Grosseto).

Bersten, La reginetta delle rose, in "Il Maggese Cinematografico", III, n. 7, 30 aprile 1915, pp. 2-3. Recensione del film La reginetta delle rose, con riferimenti al tentativo (uno dei primi) di adattamento musicale all'azione cinematografica.

Lemme Goffredo G., Ancora del teatro silenzioso, in “La Vita Cinematografica", VII, n. 9-10, 7-15 marzo 1916, pp. 73-4. Articolo sui rapporti tra cinema c accompagnamento musicale, in cui si riconosce al cinema la capacità di raggiungere enormi fasce di pubblico. Si propone l’abolizione dell'accompagnamento musicale durante te proiezioni, limitandolo al solo pia­ noforte, in quelle scene in cui la presenza della musica sia giustificata narrativamente (bulli, concerti). La presenza della musica viene ritenuta adatta anche «nei punti patetici e assolu­ tamente contemplativi». Nascerà così un soggetto prettamente cinematografico, incaricato di riprodurre la natura nei suoi molteplici aspetti. Il Rondone, La questione di Cavalleria Rusticana, in “La Vita Cinematografica *, vii, n. 19-20. 22-30 maggio 1916, p. 76. Articolo sulle vertenze legali relative alle trasposizioni di Caval­ leria Rusticana e Fedora.

Maraziti Zaffignani Carlo, Cinematografia Teatrale II, in *La Vita Cinematografica", vii, n. 2930, 7-15 agosto 1916. pp. 69-70. Seconda parte di un articolo sulla cinematografia teatrale. Partendo da esempi legati alle cartoline illustrate, si delinca quale tipo di interazione avvenga tra parola e immagine. L'autore auspica che diventi usuale la pratica di affiancare un "oratore" allo schermo, che legga nei momenti di maggiore pathos e scavo psicologico le parti auliche delle opere letterarie da cui i film sono tratti. La differenza tra cinemato­ grafo e cinematografia teatrale consiste nel fatto che nel primo il quadro è in funzione delFintreccio e vi sono personaggi; nel secondo fa parte di una situazione psicologica e vi sono dei caratteri.

Maraziti Zaffignani Carlo, Cinematografia Teatrale in, in “La Vita Cinematografica", VII, n. 31-32, 22-30 agosto 1916, pp. 76-7. Terza parte di un articolo sui rapporti tra cinema e tea-

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AZZURRA CAMOGLIO, MARCO GRIFO, MELITA MANDALA, VALENTINA ROSSETTO

eroe sulla cinematografìa teatrale. Mentre la didascalia collega i quadri e rende meno oscu­ ro l'intreccio. il “cinedramma” è la sintesi armonica di due film, uno cinematografico e uno ideale, che costituisce fazione psicologica del film. L'abbinamento parola-immagine deve innanzitutto conformarsi alla "necessità drammatica”. Il cinedramma è descritto come un film da vedere con «gli occhi della mente». Bertolucci A., Lettere dagli Stati Uniti (Nostra corrispondenza particolare), in *La Vita Cine­ *', matografica vii, n. 35-36, 22-30 settembre 1916, p. 91. Breve nota da Philadelphia che accenna a un brevetto riguardante il sincronismo sonoro. Non viene indicato il nome del­ l’inventore del brevetto, definito genericamente come «un nostro con nazionale».

Da Castello Pier, I Pagliacci (Mediolanum Films), in "La Vita Cinematografica”, vii. n. 35-36. 22-30 settembre 1916. p. 141. Recensione moderatamente positiva del film / Pagliacci, in cui si sottolinea che il film è pensalo espressamente per essere accompagnato dalle arie di Leoncavallo, e che laddove la proiezione si svolga senza accompagnamento perde di valo­ re e compattezza, perché l’azione è condotta in modo tale da seguire il sincronismo con la musica e si rivela troppo breve per reggere da sola. Cavallaro Alfonso A., Il successo della stagione. Cbristns. Il nuovo capolavoro della *Cines" all'Augusteo di Roma, in "La Vita Cinematografica”, vii, n. 41-42,7-1$ novembre 1916, pp. 79-82. Recensione ampiamente positiva del film Christus. Si segnalano con dovizia di par­ ticolari le singole parti della partitura originale per orchestra composta da don Giocondo Fino come poema sinfonico accompagnato (in alcuni punti) da cori. Si segnalano gli abbi­ namenti tra sequenze e brani musicali.

Da Castello Pier. Le grandi Première * Cinematografiche. Intolerance di Griffith, in "La Vita *, Cinematografica IX, n. 9-10, 7-15 marzo 1918, pp. 83-90. Ampia recensione che affronta anche la questione dell’accompagnamento musicale durante la proiezione. Luciani Sebastiano Arturo, La idealità del cinematografo, in *In Penombra”, II, n. 1, gennaio 1919, pp. 3-4. Articolo in cui teatro e cinema vengono comparati con l’intento di far emer­ gere le caratteristiche peculiari di quest’ultimo.

Gianoglio Mario, La musica al cinematografo, in "Coltura Cinematografica”, III, numero di saggio, 20 dicembre 1919, pp. 15-9. Riflessioni sul rapporto tra cinema e musica d’accom­ pagnamento. L’articolo riporta anche l'estratto di un articolo firmato da S. A. Luciani c pubblicato sulla rivista ”11 Primato”.

Drovetti Giovanni, La musica ed il cinematografo, in "La Rivista Cinematografica”, l, n. t-2. 10-25 gennaio 1920, p. 6; l, n. 4, 25 febbraio 1920. p. 7. Magni Enrico, Musica e films, in "Coltura Cinematografica”, III, n. 2, 29 febbraio 1920, pp. 80, 83. Articolo critico sul rapporto tra film e musica d'accompagnamento. La vedetta. Bimbi lontani, in "La Rivista Cinematografica”, I, n. 5, io marzo 1920, p. 61. Recensione del film Bimbi lontani edito dalla Film D’Arte Italiana con riferimento alla musica di accompagnamento.

Il Cronista, Cinema Ambrosio, in "La Rivista Cinematografica". I, n. 12, 25 giugno 1920, p. vi. Articolo che presenta la programmazione del Cinema Ambrosio di Torino, con riferimen­ to all'accompagnamento musicale.

La sincronizzazione dei suoni e dei gesti, in "La Rivista Cinematografica”, l, n. 20, 25 ottobre 1920, p. XXXII. Articolo che riporta la notizia del tentativo condotto da uno scienziato sta­ tunitense (del quale non vengono fomiti dati) di riprodurre la voce di un attore senza uti­ lizzare un fonografo. Filippi Luigi, Limiti e possibilità dell’arte cinematografica, in "Coltura Gnematografica”, ili, n. 8-9,31 dicembre 1920, pp. 229-30. L’articolo si sofferma sui principali limiti del cinema in rela­ zione al teatro, con particolare attenzione all’accompagnamento musicale per i film. ^invenzione della film parlante, in "La Rivista Cinematografica”, 11, n. 3-4,10-15 febbraio 1921, pp. 91-2. Articolo che presenta l’invenzione dei fratelli Azeglio e Lamberto Pineschi, il dnefono, descrivendo accuratamente alcune proiezioni dimostrative. £ presente in calce una noia redazionale che sottolinea, citando un trafiletto pubblicato su "La Stampa”, come questi esperimenti non siano in realtà innovativi.

PERCORSI BIBLIOGRAFICI

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Una rivoluzione nel cinematografo. Ilfilm parlante inventato dai Fratelli Pineschi, in "La Vita *, Cinematografica XII, n. 9-10» 7-15 marzo 1911, pp. 64-5. Notizia tratta da “Il Messaggero" che annuncia (’invenzione di un sistema sonoro per il cinematografo da parte dei Fratelli Pineschi.

Il Cronista, Salone Gbersi, in “La Rivista Cinematografica", ll, n. 5-6,10-2$ marzo 1921, p. 96. Presentazione della programmazione del Salone Ghcrsi di Torino. Un paragrafo è dedica­ to all'accompagnamento musicale eseguito per il film Zingari, Piceno, // film parlante, in “La Vita Cinematografica", XII, n. 11-12, 22-50 marzo 1921, p. 72. Notizia, apparsa nella rubrica Marginalia, in cui si presenta l’esperimento di cinema sono­ ro condotto a Torino dai Fratelli Pineschi. La film parlante, in “11 Progresso Fotografico", XXVni, n. 3, marzo 1921, pp. 81-2. Sulle speri­ mentazioni dei fratelli Pineschi (articolo tratto da “La Tribuna *, 5 marzo 1921).

D’Albret Jean, Lo sforzo sterile, in “Coltura Cinematografica", IV, n. 6, 30 giugno 1921, pp. 114-5. Articolo che descrive l’invenzione della Cinefonografìa. Geremia A., ll cinema che parla, in “Coltura Cinematografica", IV, n. 6, 30 giugno 1921, pp. 115-6. Notizia della proiezione di immagini sincronizzate col suono su invenzione di Léon Gaumont. Guttuso Fasulo, La musica al cinema, in “La Vita Cinematografica", XII, n. 25-26, 7-15 luglio 1921. pp. 54-5. Articolo die analizza le caratteristiche fondamentali della musica d’accom­

pagnamento al cinema.

Noi, Musica e cinematografo, in “La Rivista Cinematografica", II, n. 17,10 settembre 1921, p. 6. Proposta di istituire il ruolo del “visiofonista", operatore addetto al controllo della velo­ cità di proiezione per cercare di coordinare orchestra in sala e immagini; proposta del Congresso dei Cinematografisti c dei Musicisti di New York di pubblicare un repertorio musicale che indichi per quale tipologia d’azione possono essere utilizzati i singofi brani. ll Visionofo, in “La Rivista Cinematografica", ll, n. 18, 25 settembre 1921, p. 69. Nell'articolo, contenuto nella rubrica ll Notiziario, si presenta l’invenzione del visionofo.

11 Cronista, Gnema Ambrosio, in “La Rivista Cinematografica *, II, n. 20, 25 ottobre 1921, p. 63. Descrizione dell’accompagnamento musicale per il nim La Douloureuse, proiettato al cine­ ma Ambrosio di Torino. Una bella invenzione, in “La Rivista Cinematografica", li, n. 22. 25 novembre 1921, p. 47. Arti­ colo in cui s'illustra un'invenzione che permette di registrare tutti i suoni durante la ripre­ sa per riprodurli durante la proiezione delle immagini.

Gabrielli Aldo, Il cinema parlante, in “La Rivista Cinematografica *, IH, n. 6, 25 marzo 1922, pp. 4-5. Articolo in cui si analizzano pro e contro del “cinema parlante * La conclusione delfautore è che il cinema sonoro ha solo un interesse scientifico.

Gnema Ambrosio, in “La Rivista Cinematografica *, IH, n. 6, 25 marzo 1922, p. 35. Descrizio­ ne dell'accompagnamento musicale scelto per il film Teodora dell’Ambrosio.

Gabrielli Aldo, Musica e cinematografo, in “La Rivista Cinematografica", HI, n. 7,10 aprile 1922, pp. 21-2. Riflessioni sull’utilizzo del commento musicale per le proiezioni di film. Si afferma che l’unico scopo della musica in sala è quello di eliminare l'eccessivo silenzio.

Brevetti d'invenzione, in “La Rivista Cinematografica", III, n. 7,10 aprile 1922, p. 37. Elenco di brevetti tecnici pubblicato dalla “Rcvue Francaisc de Photographic". Oltre all’elenco viene fornita una descrizione tecnica dettagliata dei brevetti. Fra questi figura un cinema­ tografo c fonografo a registrazione fotografica. Gnematografo parlante, in “La Rivista Cinematografica", III, n. 12, 25 giugno 1922, p. 16. Descrizione e brevetto per la sincronizzazione elettrica tra un fonografo e un cinemato­ grafo. L'articolo, pubblicato dalla “Rcvue Franose de Photographic", fa parte della rubri­ ca Brevetti d'invenzione. Concordanza della musica e del cinematografo, in “La Rivista Cinematografica, HI, n. 12, 25 giu­ gno 1922, p. 16. Articolo, pubblicato dalla “Rcvue Franose de Photographic" c contenu­ to nella rubrica Brevetti d'invenzione, che propone un’ipotesi di concordanza di musica c immagini.

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AZZURRA CAMOGLIO. MARCO GRIFO. MELITA MANDALA. VALENTINA ROSSETTO

Guttuso Fasulo, Sentimenti relativi in Arte Cinematografica, in “La Rivista Cinematografica *. Ili, n. 13, io luglio 1922. pp. 7-8. Riflessione dedicata a come suscitare sentimenti nel pub­ blico in sala, eventualmente attraverso l’utilizzo della musica.

// marconifono, in "La Rivista Cinematografica”. Ili, n. 14, 25 luglio 1922, p. 45. Notizia dell'invenzione del marconifono, strumento di telegrafia senza fili applicato ai cinematografi londinesi; l'invenzione appartiene alla Marconi Wireless Telegraph Company. Un'altra invenzione per il cinema parlante, in "La Rivista Cinematografica”, III, n. 20, 25 ottobre 1922, p. 24. Articolo che descrive un nuovo metodo di sincronizzazione suoniimmagini. La Fono-Cinema Zeppieri, in “La Rivista Cinematografica *, III, n. 23-24, 2$ dicembre 1922, p. 128. Si annuncia la costituzione della Fono-Cinema Zeppieri di Milano per lo sfrutta­ mento del fono-cinema (Brevetto Zeppieri).

Caducei Angelo O., Note Messinesi, in "La Vita Cinematografica”. XIV, n. 1.13 gennaio 1923, p. $5. Brc\c nota da Messina (4 gennaio 1923) in cui si accenna all'invenzione del cinematofono. Marconi Guglielmo. Un pensiero di Guglielmo Marconi, in "La Rivista Cinematografica”. IV, n. 3, io febbraio 1923, p. $6. Guglielmo Marconi esprime un parere in merito al possibile utilizzo della sincronizzazione dell'onda elettrica e della parola nei film. Musica e Cinematografo, in "La Rivista Cinematografica”, iv. n. 16, 25 agosto 1923. p. 11. Arti­ colo. pubblicato sul "Kinematograph”, relativo all'utilizzo della musica durante le proie­ zioni cinematografiche. Bossoli Renato. Corriere Bolognese, in "La Vita Cinematografica", XIV. n. 17, 1$ settembre 1923. p. $8. Nota in cui si descrive genericamente il Cinema-Pan, apparecchio di riprodu­ zione musicale per proiezioni cinematografiche, introdotto in una sala di Ferrara di recen­ te riapertura. Pastori E., Corriere Veneto, in "La Vita Cinematografica *, Xiv, n. 18,30 settembre 1923, p. $0. Breve nota in cui si accenna a uno spettacolo di sincronismo cinematografico (sistema dell'ing. Pagliei) tenutosi a Venezia.

m.. Film sincronizzata, in "La Vita Cinematografica *. XIV. n. 19,1$ ottobre 1923, p. 42. Arti­ colo in cui si riepilogano brevemente i tentativi finora compiuti di sincronizzare musica e immagini e si presenta l'attività del Sindacato Italiano Sincronizzazione Films Musicali con sede in Genova. Man, Haydèe. Cinematografia sincronizzata, in "La Rivista Cinematografica *, IV, n. 20, 25 ottobre 1923, p. 2$. Lega Giuseppe, Il film-operetta e il pubblico gabbato, in "La Vita Cinematografica”, XIV, n. 21.15 novembre 1923. p. 42. Articolo in cui. traendo spunto dalla proiezione del film Gei­ sha bionda, l'autore deplora il tentativo di sincronizzare suono e immagini.

Da Re, Cronaca Trevigiana, in "Lo Vita Cinematografica”, XIV, 21, i$ novembre 1023, p. $4 Breve nota in cui si accenna all'introduzione del" cinematografo parlante”. Il film sonoro è considerato come un'invenzione senza futuro. Franceschini Niso, Corriere di Padova, in "La Vita Cinematografica”, XIv, n. 21,15 novembre 1923. P- 54- Breve nota in cui si accenna alle reazioni del pubblico alla prima proiezione di un film "sincronizzato” a Padova. Cessione di privativa, in "La Vita Cinematografica *, XIV, n. 22, 30 novembre 1923, p. 40. Annuncio pubblicitario in cui Paulo Benedetti, titolare di una privativa industriale per “film sincronizzate” con esecutori musicali, offre in vendita o in noleggio tale licenza. Si segnala che è possibile richiedere informazioni presso l'Ufficio Tecnico dell'ing. Mannucci a Firenze. V, Cronaca di Trento, in “La Vita Cinematografica”. XIV, n. 22,30 novembre 1923, p. 55. Breve nota in cui si scanala la proiezione di un film sincronizzato (sistema Pagliei), che riscosse buon successo di pubblico. Lissctra, Il Cinema-parlante al "Teatro Olimpia". La geniale trovata del tenore Ventura, in “La Vita Cinematografica”. Xiv, numero speciale, dicembre 1923, p. 119. Breve nota in cui si dà

PERCORSI BIBLIOGRAFICI

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notizia delle proiezioni sincronizzate dal tenore Ventura che si sono svolte a Palermo con buon successo di pubblico. Catinella Domenico, Cronaca Fiorentina. Pisa. in “La Vita Cinematografica", XV, n. 10, 30 maggio 1924, p. 34. Notizia della proiezione del film Haidée, si fa riferimento a un nuovo sistema di sincronizzazione sonora.

Guttuso Fasulo, La musica al cinema, in “La Rivista Cinematografica", VI, n. 11, 15 giugno

1925. pp. 11-3,17. Argus, Ilfilm acustico "Triergon" di G Pupikofer, in "La Vita Cinematografica", xvi, n. 13-14,30 lugfio-30 agosto 1925, pp. 9-13. Sono presenti anche alcune fotografie: l'apparecchio di proie­ zione Tricigon con accanto un tecnico, per comprendere quali siano le dimensioni effettive dell'attrezzatura, e due foto dell'altoparlante Statophone (una in primo piano, una con accanto un tecnico). La ‘film * che canta in Tribunale, in “La Vita Cinematografica", XVI, n. 13-14. 30 luglio-30 ago­ sto 1925. p. 40. Notizia di una vertenza che ha opposto in tribunale Emilio Zcppieri, inven­ tore di un sistema di sincronizzazione tra suono e immagine, e la ditta Fonofilm Robimarga e C., detentrice dei diritti di sfruttamento. Napoli canta, in “La Rivista Cinematografica", vii, n. 7,15 aprile 1926, p. 13. Pubblicità del film musicale Napoli canta dell’A non ima Pittaluga, caratterizzato da una integrazione musicale e vocale a cura di una grande orchestra.

Gli orchestrali Barbieri, in “La Rivista Cinematografica". VII, n. 20, 30 ottobre 1926, p. 6. Gli orchestrali Barbieri sono strumenti elettromeccanici che permettono, da un pianoforte, di ottenere i suoni di un'intera orchestra per gli accompagnamenti musicali in sala. Il Duce e i film parlati, in “La Rivista Cinematografica", Vili, n. 16, 30 agosto 1927, p. 32.

La fonocinematografia applicata con mezzi esclusivamente ottici, in “Il Progresso Fotografico’, XXX1V, n. 10, 2$ ottobre 1927, pp. 309-11. Articolo sui "procedimenti d'iscrizione ottica" del suono sperimentati da Petersen e Poulsen. Col “Movietone" è stato risolto il sincronismo, in "Cine Mondo", I, n. 4, 20 novcmbrc-5 dicem­ bre 1927, p. 32. I progressi tecnici del Movietone presentati dal cavalier Bruno Fux all'As­ sociazione italo-americana di Roma.

Clarridre George, / principali sistemi di films sonori, in ‘La Rivista Cinematografica", IX. n. 23-24.30 dicembre 1928, p. 4. Articolo, tratto da “La Cinematographic Francaisc", in cui si elencano e descrivono i principali sistemi di sonorizzazione delle ocllicole: film-immagine con disco di fonografo; film-immagine con sonorità al margine della pellicola per varia­ zione di densità; film-immagine con sonorità al margine per variazione della registrazione in larghezza; film-immagine con un secondo film di sonorità separato.

Comunicazioni varie alla Soc. Fran^.: film para Ilassico, film acustico, film pancromatico, scher­ mi grigj, Progresso Fotografico". XXXVI, n. 2, 28 febbraio 1929. pp. 56-7.

O. R.. Larte muta è minacciata dai progressi del fonocinematografo?, in “La Rivista Cinema­ tografica", X, n. 5,15 marzo 1929. pp. 9-10. Articolo tratto da “U Corriere della Sera" del 28 febbraio 1929 in cui si afferma che il progressivo avanzare delle nuove tecniche di sincro­ nizzazione del suono, anche se ancora imperfette, mette in crisi la produzione abituale di film muti. Corsi Mario, Il film sonoro in Italia, in "La Rivista Cinematografica", X, n. 7,1$ aprile 1929. p. 12. Articolo, tratto da "La Gazzetta del popolo" del 19 marzo 1929. in cui si intervista Bisi in merito all’avvento del sonoro anche nel cinema italiano. Solari Pietro, Il primo film parlante: "Melodia del mondo", in “La Rivista Cinematografica *, X, n. 7. 1$ aprile 1929. pp. 17-8. Resoconto della prima proiezione di un film “parlante * a Berlino. L'articolo è tratto da “La Gazzetta del Popolo" del 23 marzo 1929.

Chiarello, Il miracolo della nuova industria, in ‘La Rivista Cinematografica", X, n. 7,15 apri­ le 1929, p. 2$. Annuncio di proiezioni a Torino. Milano e Roma di un film ‘parlante". La Pittaluga presenterà i primi films parlanti a Roma, Torino e Milano, in “La Rivista Cine­ matografica". X, n. 7, 15 aprile 1929, p. 36 Annuncio delle proiezioni di film sonori, attra­ verso i sistemi Vitaphone c Movietone.

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Come si prepara un film parlante, in "La Rivista Cinematografica", X. n. 8, 30 aprile 1929, p. 4.

Cronaca cinematografica, Louis Lumière a Roma e sue opinioni sulfilm parlato (Movietone) sul film musicale e accenni ai suoi studii sulla cinematografia in colori, in "Il Progresso Foto­ grafico’. XXXVI. n. 4, 30 aprile 1929, pp. 133 *5. Riproduzione parziale di un articolo pubbli * caro sul "Messaggero" del 27 marzo in cui si riporta l'opinione di Louis Lumière sul cine­ ma sonoro. Chiarello. Il cantante diJazz, in "La Rivista Cinematografica", X, n. 9,15 maggio 1929, pp. 16 *7. Estratti di articoli pubblicati sulle principali testate giornalistiche italiane relativi alla proie * zione del film. // successo del film sonoro a Milano e Torino, in ‘La Rivista Cinematografica", X, n. 9,15 mag­ gio 1929, p. 36. Cronaca della prima del film ll cantante di Jazz, ll film parlante alla fiera di Padova, in "Cine Mondo", III, n. 40, 20 maggio 1929, pp. 25-6. La presentazione del cinema sonoro nel corso della Fiera di Padova.

La ‘Cines * per film sonoro, in “Cine Mondo", III, n. 41,5 giugno 1929, p. 28. I lavori per l’a­ dattamento degli stabilimenti "Cines" alla produzione di film sonori. Un italiano precursore del fonocinema, in “Cine Mondo", III, n. 42, 20 giugno 1929, p. 37. Gli esperimenti sul cinema sonoro di Luigi Robimarga.

Berna rdel li E, Teatro e film sonoro, in "La Rivista Cinematografica". X, n. 12, 30 giugno 1929.

PPVergarti Orio, Le due regole del film sonoro, in "La Rivista Cinematografica", X, n. 12, 30 giu * gno 1929, pp. 16-7. Articolo tratto da "Il Corriere della Sera" del 25 maggio 1925. Una prima visione del cinematografo sonoro in prospettiva sul più largo schermo del mondo, in "Rivista Internazionale del Cinema Educatore", 1, n. 1, luglio 1929, pp. 78, 81. L'articolo si concentra su uno dei primi esperimenti di cinema sonoro, il RCA Photophone.

Gli aspetti tecnici del cinematografo, ll cinema parlante, in "Rivista Intemazionale del Cine­ ma Educatore", 1,1, luglio 1929. pp. 83, 88. L'articolo si occupa del cinema sonoro parten­ do dal rapporto che la musica stabiliva con le immagini ai tempi del muto. Vengono cita­ ti due diversi sistemi di riproduzione sonora: quello con i dischi e quello fotoelettrico (il sistema delle prime colonne sonore a densità variabile) dove il suono è riportato sulla pel­ licola e letto da un fascio di luce. Entrambi sono considerati ancora imperfetti. La Loupe John, Prima impressione sul film sonoro, in “La Rivista Cinematografica", X, n. 14. 30 luglio 1929, pp. 3-4. L'autore, prima critico verso il sonoro, ora Io elogia.

Onori Roberto. Appunti sul film sonoro, in "Cine Mondo’. ili, n. 45,5 agosto 1929, pp. 25-6. I principi di funzionamento del cinema sonoro e in particolare dei sistemi di impressione fotografica. La Rosa C., A proposito d'un primato, in "Cine Mondo", III, n. 45,5 agosto 1929, pp. 29-30. Gli esperimenti legati al cinema sonoro di Giovanni Rappazzo. inventore dcH'elettrocinefono.

Apparecchi sonori “Roma”, in "La Rivista Cinematografica", X, n. 15-16.15-30 agosto 1929, p. 59. Gli aspetti tecnici del cinematografo, in "Rivista Intemazionale del Cinema Educatore", l, n. 2, agosto 1929. pp. 196,198. L'articolo si occupa del sistema sonoro inventato sfruttando le ricerche di Poulsen sulla diffusione sonora tramite un filo sottilissimo di acciaio. Viene preso in considerazione sia il funzionamento fisico di questo sistema sia i vantaggi che pre­ senta rispetto alla registrazione del sonoro su disco.

Buzzi Paolo, Lanterna magica e film sonoro, in “Cine Mondo", III, n. 47. 5 settembre 1929, p. 5-6. La diffusione del cinema sonoro, le reazioni c i cambiamenti tecnici c il "fono-fìlm" di Robimarga.

La Rosa G, Altre notizie sull'attività di Giovanni Rappazzo, in “Cine Mondo", III, n. 47. 5 set­ tembre 1929, p. 20. Gli esperimenti del ‘Kinofono * altIstitufo ‘Luce *, in "La Rivista Cinematografica", X, n. 17, 15 settembre 1929, p. 12. Notizia di alcuni esperimenti del Kinofono in un sala di proiezio * ne dell'istituto Luce.

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A proposito di sincronizzazione, in “La Rivista Cinematografica”, X, n. 19,1$ ottobre 1929, pp. 18-9. L’articolo cerca di chiarire la confusione die si crea tra i termini “sincronizzazione” c “sonorizzazione”. Simonelli Giorgio C., / progressi del film sonoro e l'opera dei tecnici italiani, in “La Rivista Cinematografica", x, n. 19.15 ottobre 1929, pp. 19-20. Articolo che affronta i problemi rela­ tivi alla costruzione di apparecchi sonori. ^acustica nelle sale per la riproduzione del suono, in “Rivista Intemazionale del Cinema Educalore”, l, n. 4, ottobre 1929, pp. 473, 481. Articolo che affronta il problema dell’acustica nelle sale cinematografiche e degli impianti di riproduzione sonora, concentrandosi in par­ ticolare sull’isolamento della sala dai rumori esterni, l’acustica della sala e gli impianti di riproduzione. Argomenti tecnici, in “Rivista Internazionale del Cinema Educatore”, I, n. 4, ottobre 1929. p. 493. Nell’articolo, contenuto nella rubrica Argomenti tecnici, il prof Moscone rivendi­ ca per l’Italia il primato nell'invenzione del film sonoro.

/ due primi lavori della “Pittaluga9, in “Cine Mondo”. HI, n. 52, 20 novembre 1929, p. 28. I primi due film sonori prodotti dalla Anonima Pittaluga negli stabilimenti Cines.

La presentazione del "Sincropbone Gaumont" a Milano, in “La Rivista Cinematografica *, X, n. 21, 15 novembre 1929. p. $5. Presentazione dell’apparecchio Gaumont a Milano, presso il Cinema Lux. Gli apparecchi RCt saranno a Roma in dicembre, in ‘Cine Mondo”. Ili, n. 52, 20 novembre 1929, p. 28. L’installazione entro dicembre degli impianti RCA agli stabilimenti Cines di

Roma, e l’inizio delle riprese a gennaio. Per la sonorizzazione deifilms muti, in “La Rivista Cinematografica *. X, n. 23-24,15-30 dicem­ bre 1929, p. 97. Articolo sulla diffusione dei film “sonorizzati”, cioè film muti ai quali è stato innestato un elemento sonoro.

L71rr. Pittaluga adotterà per la “Gnes” il sistema “Photopbone", in “Gne Mondo", IV, n. 55, 5 gennaio 1930, p. 24. La scelta dell’impianto RCA Photophone per gli stabilimenti Cines. La televisione a colori sincronizzata col suono, in “La Rivista Cinematografica *, XI, n. 2, 30 gennaio 1930, p. 3. Il prossimo esordio cineparlante della “Pittaluga" - La mia più bella intervista, in “Cine Mondo”, iv. n. 58.20 febbraio 1930, pp. 23-4. Intervista a Umberto Parisi, capo dell’ufficio stampa della Pittaluga, sulle nuove produzioni sonore della Cines. Schwarz Hans, Il suono nelfilm, in “La Rivista Cinematografica”, XI, n. 4, 28 febbraio 1930, p. 3. L’autore sostiene la nuova causa del film sonoro, confrontandola con il ricordo del muto. Sciorin A., Il cinema parlante, in “Rivista Intemazionale del Cinema Educatore’, 11. n. 2, feb­ braio 1930, pp. 211. 216. Articolo che affronta il funzionamento del sistema di riproduzione sonora Sciorin e degli impianti installati in diversi cinema.

Elementi emotivi di vita, in “Rivista Intemazionale del Cinema Educatore”, 11. n. 3, marzo 1930, pp. 303, 309. Articolo che si concentra sull’evoluzione tecnica del cinema verso il sonoro e sul suo rapporto con il teatro. “Sincrofono”, in “La Rivista Cinematografica’, XI, n. 7,15 aprile 1930, p. 47. Articolo sull’in­ stallazione del nuovo apparecchio di sincronizzazione dei film sonori a Torino.

Pornmer Erich, // film sonoro e la sua tecnica, in “La Rivista Cinematografica”, XI, n. 8, 30 aprile 1930, pp. 3-4. La prospettiva delle vod e del suono, in “La Rivista Cinematografica”, XI, n. 8, 30 aprile 1930, p. 9. L’articolo descrive le operazioni dei tecnici nel regolare le voci degli attori tramite un macchinario di misurazione acustica.

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Cambi Mario, L'arte e la macchina, in “La Rivista Cinematografica , ** XI, n. 13-14.15-30 luglio 1930, pp. 3-4. Articolo sulla positiva accoglienza del cinema sonoro da parte di chi non è del mestiere. Registrazione e riproduzione, in “La Rivista Gnematografica , ** XI, n. 13-14, 15-30 luglio 1930, pp. 25-6. / recenti progressi tecnici, in “La Rivista Cinematografica”, XI, n. 15-16.15-30 agosto 1930, p. 18. Alcuni progressi tecnici nei due diversi settori della cinematografia: suono c immagine e il loro impatto sulla percezione dello spettatore.

Frediani Gastone. Radiofono a pellicola fotografica funzionante senza cellula fotoelettrica, in “Rivista Intemazionale del Cinema Educatore”, 11, n. 10, ottobre 1930, pp. 1233,1235. L’articolo illustra il funzionamento di un nuovo dispositivo di riproduzione sonora che sosti­ tuisce la cellula fotoelettrica con un impianto elettrico a rulli. Il sistema, inventato dalTingegner Frediani, sfrutta il passaggio della corrente elettrica tra due rulli in mezzo ai quali scorre la pellicola sulla quale si trova una speciale colonna sonora. Un nuovo teatro di sincronizzazione, in “Cine Mondo”, IV, n. 76, 20 novembre 1930, p. 17. L’a­ pertura di un nuovo studio di sincronizzazione sonora della Cines.

Il teatro n. 3 attrezzato al sonoro, in “Cine Mondo”, IV, n. 76, 20 novembre 1930, p. 18. L’am­ pliamento del teatro n. 3 della Cines. Piceno, /... pionieri del *parlato", in “Cine Mondo’, V, n. 80,20 gennaio 1931. pp. 5-6. Il suono nel film muto e l'origine del cinema sonoro.

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Carambolage, Proiezionifuse e cinematografo, in “La Vita Cinematografica”, 11, n. $, 15-20 marzo 1911, p. 8. Recensione positiva del volume Proiezioni fisse e Gnematogpafo, scrino dal don. Luigi Sassi c pubblicato dalla Hoepli di Milano.

Forniture complete per proiezionifisse, in ‘La Vita Cinematografica”, 11, n. 5,15-20 marzo 1911. p. 8. Articolo promozionale della ditta M. Ganzini di Milano. Comirias De Albroit, Gnematografia, in “La Fotografia Artistica”, vili, n. 3, marzo 1911, pp. 40-1. Sugli schermi a superficie metallica.

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Il Portavoce, A 40 metri al minuto..., in “La Vita Cinematografica *, III, n. 2, 30 gennaio 1912, p. 8. Protesta semiseria per l'eccessiva velocità di proiezione delle pellicole. Uno del pubblico, Comunicati e Proteste, in “La Vita Cinematografica *, III, n. 6, 30 marzo 1912. pp. 9-10. Pubblicazione di una protesta relativa all'eccessiva velocità di proiezione.

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(Senza titolo], in “La Vita Cinematografica", III, n. io, 31 maggio 1912, p. 12. Breve nota sul rilascio di un brevetto d'invenzione per un nuovo macchinario di proiezioni fisse c cine­ matografiche a uso scolastico, dal nome Cinema-Docet.

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Germania. Invenzioni, in “La Vita Cinematografica *, IH. n. 14, 30 luglio 1912, p. 6. Nota sul­ l'invenzione di un dispositivo di sicurezza per le proiezioni. Veritas [Alfonso A. Cavallaro], Spettacoli continui senza riavvolgimento della pellicola, in “La Vita Cinematografica", ni. n. 19,15 ottobre 1912. pp. 4, io. Articolo sul sistema Vesuvio di riavvolgimento della pellicola.

Mariani Jean. Comunicati e proteste, in “La Vita Cinematografica *, p. 57. Breve lettera relativa agli obiettivi Anastigmat Orbi.

III, n. 20, 30 ottobre 1912,

Luhima invenzione di Edison, in “La Vita Cinematografica", III, n. 23,1$ dicembre 1912, p. 29. Articolo sul Cinematografo-Miniatura inventato da Edison.

Ernemann Cinematografo da presa per pellicole a perforatura normale, in “La Vita Cinemato­ grafica", III, n. 23,15 dicembre 1912, pp. 31-2, 37.

Meritata onorificenza, in “La Vita Cinematografica", IV, n. 1,15 gennaio 1913, o. 42. Breve nota che segnala un premio vinto dalla Ditta Bietenholz e Bosio di Torino pcr il suo awolgifìlm Vesuvio ritenuto utilissimo ed indispensabile a tutte le sale cinematografiche. ll cinema da sala “Kob * della casa Pathé, in “Il Progresso Fotografico’, XX, gennaio 1913.

pp. 17-9. Lldrocondensatore **Appiani’, in “La Vita Cinematografica", IV, n. 2, 30 gennaio 1913, p. 40.

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Un nuovo ingrandimento della Fabbrica di articoli foto-cinematografici della Soc. An. Ernemann di Dresda, in “La Vita Cinematografica’*. IV, n. 3,1$ febbraio 1913, p. 14. Annuncio dei lavori di ampliamento della Fabbrica Ememann per far posto ad altri 200 operai in più.

Francia. Nuova Casa, in “La Vita Cinematografica’*. IV, n. 3,15 febbraio 1913, p. 1$. Nota che segnala la costituzione della Radiograph & G e le caratteristiche dei suoi prodoni. Abcrt Armando. Proiezioni ordinarie e cinematografiche a luce fredda, in “La Fotografia Arti­ *. stica X. n. 4, aprile 1913, pp. $9-62. Berton Angelo Pietro, Vendetta di giornalista, in *11 Maggese Cinematografico *, l, n. 3, 2$ maggio 1913, p. 7. Recensione del film * Vendetta di giornalista * prodotto dalla Gaumont, con riferimento all’errata velocità di proiezione del film. Inghilterra. Nuova Compagnia, in “La Vita Cinematografica", IV, n. 11,15 giugno 1913, p. 3$. Nota sulla Kine Stereo Pictures, una Compagnia che intende sfruttare la stereoscopia.

/ nuovi domini del Cinematografo, in “La Vita Cinematografica", IV. n. 12,30 giugno 1913, pp. *5. 32 Articolo su alcuni particolari sviluppi del cinema: nuovi tipi di pellicola e sistemi di proiezione. Sassonia. Una nuova onorificenza alla grande Casa ‘Ernemann * , in "La Vita Cinematografi­ ca", IV. n. 12,30 giugno 1913, p. 48. Nota sui premi vinti dalla Ditta Ememann nella recen­ te Esposizione Cinematografica Intemazionale di Londra. Mirvilia, il cinematografo al nostro Stadium, in “Il Maggese Cinematografico *, I, n. 8, io ago­ sto 1913, p. 22. Annuncio della prova generale deU’impianto cinematografico allo Stadium di Torino il i° agosto 1913. con indicazioni topograficne della struttura.

Nota della Direzione, Un notevolissimo progresso nella teorica delle proiezioni cinematografi­ che. La lampada speciale ad arco trifase con proiezioni luminose, in “Il Maggese Cinemato­ *. grafico 1, n. 9, 25 agosto 1913. p. 13 Annuncio dell'invenzione di una nuova lampada per le proiezioni cinematografiche, che consente un risparmio di energia elettrica considere­ vole oltre che una maggiore fissità e intensità nella proiezione.

Pcyron E. F.. Note Inglesi, in “La Vita Cinematografica". IV, n. 16, 30 agosto 1913. p. 51. Breve nota su un proiettore che funziona senza pellicola sostituita da dischi di cristaÙo. Un nuovo otturatore, in “La Vita Cinematografica *,

IV, n. 16. 30 agosto 1913, p. 80. Breve nota

su un nuovo otturatore. Lo scenografo Ugo Belilo di Milano, in “Il Maggese Cinematografico", I, n. 11. 25 settembre 1913, p. 20-1. Notizie sulla produzione di una nuova tipologia di schermo (corredata di una descrizione analitica) elaborata dallo scenografo Ugo Bellio.

Fantomas, Lettere dalla Spagna, in “La Vita Cinematografica", IV, n. 19,15 ottobre 1913. p. 70. Nota su un nuovo tipo di croce di Malta della Gaumont. La 000° camera Ememann, in “La Vita Cinematografica". IV. n. 21,15 novembre 1913. p. 113. Nota su un traguardo produttivo raggiunto dalla Ememann.

Lari Armando, Kineplasticon, in “Il Maggese Cinematografico", I, n. 16,10 dicembre 1913, p. 15. Notizie sull’avvento e diffusione del Kineplasticon, il cinema a proiezioni senza scher­ mo, di recente invenzione. Veritas [Alfonso A. Cavallaro], Fumagalli, Pion & C. Milano, in “La Vita Cinematografi­ ca", iv, n. 23-24, numero speciale, dicembre 1913, p. 152. Profilo della Ditta Fumagalli. Pion & C. Veritas [Alfonso A. Cavallaro], Una simpatica festa e una breve visita allo studio modello di scenografia dei F.lli Francesco e Carlo Ponsettia Venaria Reale, in “La Vita Cinematografi­ ca", v, n. 13. 7 aprile 1914, p. 7a

L. n. 254, L’uovo di Colombo, in “La Vita *Cinematografica , Analisi dei difetti della pellicola e della sua proiezione.

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Lodigiani E., La Cinematografia pratica attraverso ai tempi, in “Il Maggese Cinematografico *, il, n. io, 25 maggio 1914, p. 10. Articolo sulle origini del cinema, arricchito da un’illustra­ zione esplicativa della Pila Leclanchè. Lodigiani E-, La Cinematografia pratica attraverso ai tempi, in “Il Maggese Cinematografico *,

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Ponte G., La stereocinematoscopia e la proiezione stereocinematografia, in “La Tecnica Cine­ matografica”, 1, n. 2, settembre 1914, pp. 42,4$.

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R. S., Larco multiplo, in “La Tecnica Cinematografica”, l, n. 3, ottobre 1914, pp. 84-$. Articolo estremamente dettagliato sul principio di funzionamento della sorgente luminosa per proie­ zioni cinematografica ad arco multiplo brevettata dalla ditta A. Zanottn & C. di Milano. Vernici opache per schermi bianchi, in "La Tecnica Cinematografica", I, n. 3, ottobre 1914, pp. 86-7. Articolo che riporta le diverse formule per ottenere vernici bianche da applicare agli schermi. Lodigiani E., Tecnica cinematografica, in "11 Maggese Cinematografico”, li, n. 18. 30 ottobre 1914, pp. 1-2; II, n. 19,15 novembre 1914, p. 9. Articolo che spiega dettagliatamente il prin­ cipio di funzionamento del proiettore, arricchito da 2 illustrazioni esplicative. Lodigiani E., La Cinematografia pratica attraverso ai tempi, in “Il Maggese Cinematografico", II, n. 20,30 novembre 1914, p. 9. Articolo in cui viene spiegato dettagliatamente come si cal­ cola la lunghezza focale di un obiettivo o di una lente in base alle dimensioni della proie­ zione. Lodigiani E., La Cinematografia pratica attraverso ai tempi, in “Il Maggese Cinematografico", II, n. 22, 30 dicembre 1914, pp. 1-2. Articolo in cui si descrivono i diversi tipi di meccani­ smo per la trazione della pellicola e il principio di funzionamento dello “schermo di sicu­ rezza”, dispositivo che impedisce alla pellicola di prendere fuoco.

Destefani Guido, In Cabina ed in Teatro, in “La Tecnica Cinematografica". Il, n. 1, gennaio 191$, PPi6< Articolo sulla cabina di proiezione e sull’impiego di apparecchiature per il raffreddamento della lanterna, corredato di 4 illustrazioni.

Lodigiani E., La Cinematografia pratica attraverso ai tempi, in “Il Maggese Cinematografico", ili, n. 3, 28 febbraio 191$, pp. 1-2. Articolo in cui si descrive il collocamento della pellicola e la meccanica di trazione di quest’ultima all’interno di un proiettore Gaumont a croce di Malta. Bacchiega Omero, Scuola operatori: f Lezione, in “La Tecnica Cinematografica”, li, n. 2, feb­ braio 191$, pp. 43-4. Articolo che ripercorre la storia dell'impiego dell'elettricità in fase di proiezione.

Destefani Guido. In Cabina ed in Teatro, in “La Tecnica Cinematografica”, II, n. 2, febbraio 191$, PP- 4L 43 * Sul problema della riparazione della pellicola in caso di rottura durante la proiezione. Lodigiani E.. La sorgente luminosa, in "Il Maggese Cinematografico”, III, n. 4,1$ marzo 1915, pp. r-2. Articolo che descrive il principio di funzionamento degli accumulatori elettrici impiegati per le proiezioni. Lodigiani E., La Cinematografia pratica attraverso ai tempi, in “Il Maggese Cinematografico", III, n. 6,15 aprile 1915, p. 3. Articolo che descrive le caratteristiche dei carboni impiegati per le lampade.

Lodigiani E., La Cinematografia pratica attraverso ai tempi, in “Il Maggese Cinematografico",

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III. n. 7. 30 aprile 191$. p. 8. Articolo che spiega come calcolate la potenza della lampada in base alla dimensione dello schermo da illuminare. Riflettore ellittico per proiezioni cinematografiche con lampada ad incandescenza REBUS - Bn *vetto ing. Salto - Costruzione Ganzini, a. XXV, in *11 Progresso Fotografico", n. $, maggio 1918. pp. 114-8. Toddi Emmanuele, Rettagolo Film /g), in “In Penombra". I, n. 3. agosto 1918. pp. 111-3. Larticolo analizza il formato dello schermo in relazione all'occhio umano, proponendo l'utilizzo dei diaframmi mobili con un'applicazione della psicogeometria.

Una grande società milanese per la fabbricazione di apparecchi cinematografici, in “La Vita Cine­ matografica", X, n. $-6,7-15 febbraio 1919, p. 72. La fusione tra la Anonima Officine Mecca­ niche Zanotta c la Ditta Fumagalli Pion & C. fabbricatrici di apparecchi cinematografici.

Louis Lumière a II'Accademia delle Scienze, in "La Rivista Cinematografica". I. n. 4, 2$ feb­ braio 1920. p. $5. Malizia Ugo. Nuovo apparecchio per proiezioni cinematografiche, in “Coltura Cinematografi­ ca". in. n. 2. 29 febbraio 1920. pp. 75. 80. Sul principio di funzionamento di un nuovo proiettore che non si basa sul fenomeno della persistenza retinica. D’Albret Jean, Le lampade a filamento metallico nella proiezione, in "Coltura Cinematografi­ ca", HI, n. 4, aprile-luglio 1920, pp. 159-60.

ll noto industriale Cav. Pion Pio, in "La Rivista Cinematografica", 1, n. 15, 10 agosto 1920. p. IX. Viene data la notizia della ripresa dell'attività del cavaliere Pion che continua a produrre il proiettore Eureka. D’Albret Jean. La cinestereoscopia, in “Coltura Cinematografica", III, n. 6, 30 settembre-!? ottobre 1920. pp. 203-4. Lo spirograph, in “Coltura Cinematografica". Ili, n. 8-9. 31 dicembre 1920, p. 248. Notizia della realizzazione di un proiettore in miniatura utilizzabile in piena luce.

M., Un nuovo apparecchio per proiezioni cinematografiche, in “La Rivista Cinematografica", II, n. 5-6, 10-2$ marzo 1921. p. 24. Presentazione ddl'apparecchio Cine-Parvus (brevetto Teppati, acquistato per la fabbricazione della Edison Film) che funziona a corrente elet­ trica e permette una proiezione molto luminosa. Un'importante applicazione cinematografica, in “La Vita Cinematografica", XII, n. 11-12, 22-30 marzo 1921, p. 61. Il Cine-Parvus per la proiezione di immagini cinematografiche in piena luce con l’uso di una lampadina elettrica (brevetto Edison) e di uno schermo speciale. Cine-Sector (R. Brandazzi), in *11 Corriere Fotografico", n. 4.1 aprile 1921, p. 739. Nota su un otturatore-diaframma a settori per la proiezione.

In Giro pel Mondo. La Fotografia e Cinematografia alla Fiera Campionaria di Milano, in "Il Corriere Fotografico", n. 5, 1 maggio 1921, p. 3756.

Fotografia e Cinematografia alla Fiera di Lipsia (Nostra corrispondenza), in "Il Corriere Foto­ grafico", n. s, 1 maggio 1921. pp. 3756-7. Nuovo apparecchio refrigerante della luce condensata, in "La Rivista Cinematografica", il. n. ti, 10 giugno 1921. p. 62. Viene annunciata la realizzazione di un nuovo impianto refrige­ rante che scongiura almeno in parte il rischio di incendi durante la proiezione. Contro l'incendio della pellicola, in "La Rivista Cinematografica", n. n. 12, 25 giugno 1921. p. 62. Descrizione del dispositivo, realizzato dalla Cinemcccanica di R. Bossi, da applicare a qualunque proiettore per evitare il rischio di incendi.

Due nuove invenzioni?, in "La Rivista Cinematografica", ll. n. 12, 25 giugno 1921. p. 64. Ven­ gono annunciate due invenzioni: lo schermo concavo e un sistema di colorazione del film. Li terza dimensione nelle proiezioni cinematografiche, in *La Vita Gnematografica", XII, n. 37-38, 22-30 ottobre 1921, pp. 87-8. Il brevetto dello stercocincma da parte di Girolamo Brus allupi c la possibilità di un'eventuale fusione con il grammofono. Un nuovo obbiettivo per la proiezione animata ultra luminoso, X, in “11 Progresso Fotografi­ co", XIX, n. 2, febbraio 1922. pp. 58-9. Sul nuovo obbiettivo doppio acromatico prodotto dall’Optische Industrie Hugo Mcyer & Co. di Goerlitz.

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L’Operatore. L'angolo del tecnico. Un economizzatore tranquillizzfltore ad alta intensità per archi da proiezione, fari e simili, in “La Vita Cinematografica *, XIII, n. 21-22, 7-1$ giugno 1922, p. 38. Le caratteristiche del trasformatore Reform che permette di ottimizzare le pre­ stazioni delle lampade ad arco da proiezione. Otturatore per proiettore cinematografico, in “La Rivista Cinematografica , ** 111, n. 12, 25 giugno 1922, p. 16. Descrizione e brevetto di un otturatore “a tronco di cono” che può essere inse­ rito all’interno de) proiettore cinematografico.

Proiettore cinematografico, in “La Rivista Cinematografica , ** III, n. 12, 25 giugno 1922, p. 16. Descrizione c brevetto del sistema di proiezione Borzecki che utilizza due proiettori alter­ nativamente impiegati in una cabina. Romano Fabrizio, La cinestereoscopia e la cinematografia a colori, in “La Vita Cinematografi­ ca", XIII, n. 27-28. 22-30 luglio 1922. pp. 32. 3$. I principi e i metodi del professor Pertugi per ottenere immagini stereoscopiche.

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Tormeza» // riavvolgimento delle pellicole, in "La Vita Cinematografica", xtv, n. 8, 30 aprile 1923, p. 42. Nota in italiano e in francese in cui si annuncia l’invenzione del riawolgimento automatico delle pellicole. Macchinario cinematografico *Eureka", in “La Rivista Cinematografica", IV, n. 11, 10 giugno 1923. p. $9. Notizia che riguarda l'apertura di un’agenzia di rappresentanza del macchina­ rio Eureka.

Mari Sergio, impressioni londinesi, in “La Vita Cinematografica", XIV, n. 22, 30 novembre 1923. pp. 37-8. Articolo sulle notazioni raccolte dall’autore durante un soggiorno in Gran Bretagna riguardanti soprattutto la proiezione. Una nuova affermazione delle Officine Pio Pion di Milano, in “La Rivista Cinematografica *, v, n. 3.10 febbraio 1924. 0. 64. NeH’articolo si fa riferimento al proiettore Eureka e all'ar­ co con specchio delle Officine Pio Pion. L'arco a specchio riflettore nelle proiezioni cinematografiche, in “Il Progresso Fotografico *.

XXXI, n. 3, 2$ marzo 1924, pp. 92-4. Un ordine del giorno del Sindacato Operatori di Cabina di Roma, in "La Vita Cinematografi­ ca", xv. n. 7-8,15-30 aprile 1924. p. $0. Breve nota in cui si informa che il Sindacato Ope­ ratori di Cabina di Roma ha stabilito in un’assemblea che qualunque danno o incidente dovesse derivare dalla proiezione forzatamente accelerata delle pellicole è da ascriversi unicamente ai gestori dei locali.

La Fiera Campionaria di Milano, in “La Rivista Cinematografica *, v, n. 8, 25 aprile 1924» PP- >3 *4Descrizione del padiglione dell’Ottica-Foto-Cine presso la Fiera Campionaria di Milano.

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Bernabò Silorata Aristide. Cronaca di Civitavecchia, in "La Vita Cinematografica’'. XV. n. 9. 1$ maggio 1924. p. 36. Nota in cui il corrispondente da Civitavecchia lamenta la pessima qualità di proiezione del Cinema Politeama Guglielmi. Cinema in rilievo, in "La Vira Gnematografica”, XV, n. 10, 30 maggio 1924, p. 47. Sperimen­ tazione a Parigi di una nuova tecnica pcr ottenere "film in rilievo”. Tormeza, Corriere di Parigi, in "La Vita Cinematografica *. XV, n. 11.15 giugno 1924» P« 42. Breve nota in cui si dà notizia di un dispositivo che permette l’arresto del film in proie­ zione fissa, sperimentato negli stabilimenti Aubert.

La film plastica, in "Il Progresso Fotografico”. XXXI, n. 11, 2$ novembre 1924. pp. 335-6. Sul cinema stereoscopico. / diritti del pubblico, in "La Rivista Cinematografica *, VII, n. 8. 50 aprile 1926, pp. 1-2. L’arti­ colo sottolinea l’importanza del pubblico e pur criticando alcune scelte degli esercenti evi­ denzia la rilevanza de) loro lavoro di promozione del film e della cornetta proiezione nelle sale. Consigli per le imprese di proiezioni cinematografiche, in "Il Progresso Fotografico”, XXXIII, n. 12, 2$ dicembre 1926, pp. 370-1. Relazionefra la velocità della proiezione ed il metraggio all'ora per L Lobel (dalla Revue Fran{. De Phot.), in "Il Progresso Fotografico”, XXXIV, n. 2, 2$ febbraio 1927, pp. $9-60.

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