Bernardino Telesio tra filosofia naturale e scienza moderna 8862275447, 9788862275446

Sul rapporto di Bernardino Telesio con la tradizione filosofica antica e sulla dimensione innovatrice del suo pensiero i

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Italian Pages 184 [176] Year 2012

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Sommario
Mario Alcaro, Giuliana Mocchi, Premessa
Emilio Sergio, Parrasio, Antonio Telesio e l’Accademia cosentina
Carlo Fanelli, Umanesimo e teatro in Calabria prima di Telesio : l’attività di Coriolano Martirano
Elisabetta Selmi, ‘Formazione’ e ‘ricezione’ del pensiero telesiano nel dialogo con i filosofi e i letterati dello Studio Patavino
Luigi Maierù, Alcune riflessioni attorno al contesto in cui leggere il De rerum natura di Bernardino Telesio
Raffaele Cirino, Bernardino Telesio e « delle cose che in aria si fanno »
Hiro Hirai, Il calore cosmico di Telesio fra il De generatione animalium di Aristotele e il De carnibus di Ippocrate
Gabriele De Anna, Telesio e il naturalismo : le critiche alle tesi aristoteliche sull’immortalità dell’intelletto
Elisabetta Scapparone, Telesio in volgare : fisionomia di una traduzione coeva del De rerum natura
Jean-Paul De Lucca, Giano Pelusio : ammiratore di Telesio e poeta dell’«età aurea»
Sandra Plastina, Bernardino Telesio nell’Inghilterra del Seicento
Giuditta Bosco, Elia D’Amato e l’eredità telesiana nell’Accademia Montaltina degli Inculti
Luca Parisoli, Dalla cristianizzazione di Aristotele al naturalismo telesiano : una lettura alla luce di Pierre Legendre
Abbreviazioni
Indice dei nomi
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Bernardino Telesio tra filosofia naturale e scienza moderna
 8862275447, 9788862275446

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B RU N I A NA & C A MPA NELLI A NA Ricerche filosofiche e materiali storico-testuali sup p l e m e n ti, xxxv · studi, 1 4

BERNARDINO TELESIO TRA filosofia naturale E SCIENZA MODERNA a cur a di giuliana mo cchi, sandr a plastina, emilio sergio

PIS A · ROMA FABRIZ IO SERRA E D ITO RE MMXI I

Volume pubblicato con un contributo della Facoltà di Lettere e Filosofia - Università della Calabria, e con un contributo del Dipartimento di Filosofia sui fondi Miur (ex 60%) e del Comitato Nazionale per le celebrazioni del v centenario della nascita di Bernardino Telesio. * Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. * Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2012 by Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma. Fabrizio Serra editore incorporates the Imprints Accademia editoriale, Edizioni dell’Ateneo, Fabrizio Serra editore, Giardini editori e stampatori in Pisa, Gruppo editoriale internazionale and Istituti editoriali e poligrafici internazionali. www.libraweb.net Uffici di Pisa: Via Santa Bibbiana 28, I 56127 Pisa, tel. +39 050542332, fax +39 050574888, [email protected] Uffici di Roma: Via Carlo Emanuele I 48, I 00185 Roma, tel. +39 0670493456, fax +39 0670476605, [email protected] * i s b n 9 78 - 8 8 - 62 2 7 - 5 4 4 - 6 e - i s b n 9 78 - 8 8 - 62 2 7 - 5 4 5 - 3 i s s n 1 1 2 7 - 6 04 5

Sommario

SOMMARIO Mario Alcaro, Giuliana Mocchi, Premessa 11 Emilio Sergio, Parrasio, Antonio Telesio e l’Accademia cosentina 15 Carlo Fanelli, Umanesimo e teatro in Calabria prima di Telesio : l’attività di Coriolano Martirano 23 Elisabetta Selmi, ‘Formazione’ e ‘ricezione’ del pensiero telesiano nel dialogo con i filosofi e i letterati dello Studio Patavino 37 Luigi Maierù, Alcune riflessioni attorno al contesto in cui leggere il De rerum natura di Bernardino Telesio 51 Raffaele Cirino, Bernardino Telesio e « delle cose che in aria si fanno » 65 Hiro Hirai, Il calore cosmico di Telesio fra il De generatione animalium di Aristotele e il De carnibus di Ippocrate 71 Gabriele De Anna, Telesio e il naturalismo : le critiche alle tesi aristoteliche sull’immortalità dell’intelletto 85 Elisabetta Scapparone, Telesio in volgare : fisionomia di una traduzione coeva 99 del De rerum natura Jean-Paul De Lucca, Giano Pelusio : ammiratore di Telesio e poeta dell’«età aurea» 115 Sandra Plastina, Bernardino Telesio nell’Inghilterra del Seicento 133 Giuditta Bosco, Elia D’Amato e l’eredità telesiana nell’Accademia Montaltina degli Inculti 145 Luca Parisoli, Dalla cristianizzazione di Aristotele al naturalismo telesiano : una lettura alla luce di Pierre Legendre 155  













Abbreviazioni 167 Indice dei nomi 169

Som Som Mar Emi Car Mar Elis sofi Luig Bern Raf Hir il De Gab talit Elis reru Jean 115 San Giu culti Luc alla Abb Indi

in memoria di mario alcaro

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Mario Alcaro, Giuliana Mocchi, Premessa

PREMESSA

S

ul rapporto di Bernardino Telesio con la tradizione filosofica antica e sulla dimensione innovatrice del suo pensiero, i suoi più attenti studiosi hanno offerto un quadro ampio ed estremamente documentato ; ne è esempio tra tutti la ricostruzione puntuale di Roberto Bondì, che ne ha analizzato il tessuto tematico nella sua completezza, recuperando alcune lacune delle edizioni critiche e gli ammanchi dei precedenti interventi filologico-storiografici. Gli studi presenti in questo volume intendono approfondire alcuni tratti intorno all’opera telesiana e ne lambiscono certi versanti interpretativi, in particolare quelli affrontati dai divulgatori del pensiero telesiano, nel tentativo anche di offrire uno sguardo d’insieme al reticolato intellettuale che si dipana tra gli studiosi dell’epoca. Il faticoso lavoro telesiano di rielaborazione dei quadri teorici messi in uso nei suoi scritti, l’intenso confronto con i dispositivi dell’indagine naturalistica aristotelica, gli sforzi di rivisitazione critica del suo poderoso impianto argomentativo, il disegno ricompositivo degli assunti generali in esso presenti, in un quadro di parziale decostruzione della prospettiva cosmologica classica, ha consegnato ai suoi divulgatori contemporanei un compito assai impegnativo. Ma altrettanto complesso è il lavoro di messa a fuoco dei debiti intellettuali contratti dai suoi commentatori e seguaci quando tentano di bilanciare gli aspetti più riduzionisti del naturalismo telesiano con il rispetto del dettato teologico, in un periodo storico particolarmente severo nei confronti della ripresa di antiche tradizioni di pensiero da cui potevano scaturire approdi teorici discordanti con la dottrina ufficiale della Chiesa. Il diletto e giovamento reciproco di ogni cosa nel toccarsi con ogni cosa, l’horror vacui che sembra percorrere come un sentimento universale tutti gli enti naturali, le forze terrestri e solari, le sostanze agenti che conferiscono ad ogni ente la propria natura e con essa la duplicità del permanere e del venir meno, l’inammissibilità di generare dal nulla e l’impossibilità di diventare il niente, l’indeterminatezza dello spazio in cui si avviluppano e si contrastano i principi intrinseci, nature agenti che non sussistono al di là del sostrato corporeo, involucro di spirito e/o anima, o di entrambe, nelle “devote precisazioni” e nei ripensamenti di Telesio. E ancora : i moti del sentire, le passioni e le emozioni, l’impulso alla conservatio sui, il mutamento perenne che non tende all’annientamento, ma alla costruzione, il movimento costante e la stabilità, le metamorfosi e la continuità, componenti ricondotte tutte all’azione inestinguibile di contrasto ed equilibrio della natura a partire da ciò che la costituisce. Questo modo di studiare il mondo fisico dal suo interno e non spiegandolo dai suoi presupposti metafisici, si presenta sulla scena culturale e scientifica del tardo ‘500 come un’imprudente ed astrusa rivisitazione dei canoni e delle metodologie necessarie per studiare e capire le leggi eterne delle cose del mondo. Eppure questo modo nuovo di riconoscere la totale autonomia della natura e delle sue leggi in virtù delle caratteristiche proprie della natura-materia e di ciò che ne determina stabilità e continuità, pur contrapponendosi ai presupposti dell’impianto metodologico e metafisico aristotelico, non si discosta dalla logica espositiva propria dei  



12 premessa peripatetici, ma, aderendovi tenacemente, ne mette in risalto i punti deboli, mantenendone i principi, ne smonta la valenza epistemologica, riducendone gli elementi, ne sovverte esplicitamente gli assunti teorici. Di questo genere di sovvertimenti Telesio è perfettamente cosciente, lo testimonia l’ininterrotta rielaborazione del De natura, gli incontri ravvicinati con gli specialisti della dottrina aristotelica, l’attenzione che riserva ai suoi divulgatori e ai suoi critici e alle edizioni volgarizzate della sua opera. La sua versione della philosophia naturalis, in qualche misura estranea alla cultura accademica, ma attentissima alle sue imposizioni metodologiche, ispira e movimenta dibattiti specie nel meridione d’Italia, promuove discussioni, genera simpatizzanti e discepoli, che ne divulgano, anche variandone alcuni elementi, le sue posizioni polemiche nei confronti di un sapere naturale raggiunto con i mezzi di una ragione troppo radicata nelle favole metafisiche. La realtà naturale si scopre con altri strumenti, in primis con quelli dell’esperienza sensibile, cioè con ciò che è connesso alla realtà naturale e quasi con essa identificato : la vita stessa delle cose si coglie perché chi la indaga ne è parte, animale dotato del medesimo spirito che scorre in tutti gli altri animali, con qualcosa in aggiunta che rende l’animale umano consapevole delle sue operazioni intellettuali, o per meglio dire conoscitive, ma non lo discosta dal comune sentire-percepire di ogni cosa viva. Da cui cogliere, per analogia o contrasto, il fluire conservativo delle sensazioni remote, e da cui non è estraneo il mondo delle virtù morali, originandosi da ciò che è utile oppure nocivo alla condizione universale del vivente : conservare la continuità e rifuggire ciò che vi si oppone. Con tutte le cautele delle aggiunte e delle rifaciture in ordine alla natura dell’anima umana, alla sua sede principale e alla sua presenza diffusa in ogni parte del corpo, o alla compresenza di spiritus e di anima, l’immagine dell’umano in Telesio rimane comunque saldamente ancorata ai principi basilari del suo naturalismo radicale. Ogni azione conoscitiva si riduce infatti ai processi della sensibilità : lo spirito corporeo sente, immagina, ricorda e intende. La conoscenza estimativa oppure commemorativa è sempre sensibilità e percezione, ma illanguidita come un senso imperfetto. Anche la vita morale è condizionata da una ‘percezione’ di bene e di male che è mossa da un’esigenza preminente – presente anche in quegli enti dotati di spirito e privi di anima – e che si riduce alla conservazione della propria natura. È dunque questo bisogno di conservazione che induce alla ricerca del bene e alla resistenza da ciò che nuoce, una sorta di determinismo delle passioni che sottende l’alternarsi di vizi e virtù e la ricerca di una misura sulla scorta non tanto di prescrizioni e abitudini, ma piuttosto ‘per comando della natura’. Così come per comando naturale agisce lo spirito, sostanza corporea, all’interno dei corpi e consente ad essi di percepirne le modificazioni : senso è infatti propriae passionis perceptio, e se lo spirito è diffuso in tutti gli enti, ne consegue che tutti gli enti sentano a seconda della propria disposizione materiale. Questa posizione invalida la pretesa antropocentrica che riconosce agli esseri umani una posizione speciale nel cosmo creato, i quali, per diritto naturale o mandato sopra-naturale, accumulano, utilizzano, distruggono quanto prodotto dal cosmo stesso : gli uccelli nel cielo e pesci nel mare, ciò che riposa nella terra o da essa è prodotta. Quindi tale posizione è in netto contrasto  









13 premessa con l’immagine prometeica dell’homo faber, padrone, manipolatore e divoratore di un patrimonio ricevuto in cambio di una sofferta libertà, immagine ambiguamente promossa anche dal pensiero ermetico e platonizzante rinascimentale. Ma si pone anche in contrasto con la centralità di una ragione o di un’anima strettamente ancorata ai fini supremi di un disegno divino, per cui al sapere e all’agire umano viene consegnato un destino che travalica i limiti del suo esistere mondano, quando Telesio risolutamente sgancia il sapere naturale da macchinosi fondamenti metafisici. Nella sua prospettiva ogni essere organico e inorganico è strumento, involucro, sede di una sostanza unica ; il vivente è tutto ciò che è attraversato da tale sostanza, rinunciando allo schema aristotelico materia-forma-privazione. La sua visione immanentista elude anche qualsiasi separazione tra spirito e materia : nessuna eterogeneità di principi dunque, nessuna differenza nel senso universale che è veicolo di conoscenza e anche di congruità tra le cose del cielo e quelle della terra. L’animaspirito infatti è materia dilatata, sotto l’azione del calore, provenendo dal seme, concentrato, si potrebbe dire, di calore e di spirito. Elemento naturale alla stregua di altri elementi determinanti per l’essere vivente e la sua continuità biologica. È dunque lo spirito che sente attraverso il corpo ? È necessario che ne abbia coscienza ? E soprattutto, capire e spiegare tutto questo a partire da ciò è principio interno, significa per l’animale umano alienarsene ? Oppure riconoscere il limite biologico della coscienza umana può voler dire piuttosto accettarne l’origine, qualunque essa sia, e adattarla alle esigenze della vita ? Telesio ripete costantemente che lo scopo perenne di tutto ciò che vive è conservarsi, anche se questo significa attraversare mutamento e scontro.  











Mario Alcaro · Giuliana Mocchi I nostri ringraziamenti vanno a tutti coloro che hanno partecipato ai lavori del convegno Telesius redivivus, svoltosi all’Università della Calabria, nel maggio 2009, che costituisce il nucleo originario di questo volume. In particolare ringraziamo la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria, il Dipartimento di Filosofia e il Comitato Nazionale per le celebrazioni del v centenario della nascita di Bernardino Telesio, per il sostegno ricevuto. Un sentito ringraziamento a Brunello Procopio per aver collaborato alla revisione dei testi e curato l’indice dei nomi. Dedichiamo il volume a Mario Alcaro che ci ha lasciato nel giugno 2012. G. M. · S. P. · E. S.

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Emilio Sergio, Parrasio, Antonio Telesio e l’Accademia cosentina

PARRASIO, ANTONIO TELESIO E L’ACCADEMIA COSENTINA Emilio Sergio

Q

 ello che intendo presentare, in forma embrionale, è il sommario di uno u stato dell’arte sulla biografia intellettuale di Antonio e di Bernardino Telesio, e una riflessione sulle possibili direzioni di una ricerca che potrà arricchirsi in futuro tanto più proficuamente quanto più diventerà l’obiettivo condiviso di un lavoro storiografico. Il mio interesse per la letteratura telesiana è nato in seno ad una prospettiva di storia delle idee, sviluppatasi in primo luogo da una ricerca sulle biografie dei principali autori della scienza, della filosofia e della letteratura nell’Italia rinascimentale. Lungo questo percorso, Bernardino Telesio è stato un punto di riferimento obbligato, e uno dei punti di snodo di una ricerca condotta sulle istituzioni culturali dell’Umanesimo e del Rinascimento, in Calabria e nel Mezzogiorno d’Italia. È per questa ragione che trovo di grande interesse quella parte della biografia telesiana relativa, da un lato, alla prima formazione ricevuta – tra Cosenza, Milano, Roma, Venezia, Napoli e ancora Cosenza – e dall’altro, alla non meno interessante, decisiva fase di gestazione del capolavoro naturalistico di Bernardino Telesio, e cioè il De natura iuxta propria principia, che uscì, in due libri, a Roma, nel 1565. Si tratta di un cinquantacinquennio della vita del filosofo cosentino – dunque un lungo periodo – di cui lo stesso Telesio lascia pochissime tracce o notizie : rare le lettere o le minute di argomento filosofico, rari i cenni autobiografici, raro il desiderio di parlare di sé, fatta eccezione, com’è noto, del Proemio alla prima edizione del De natura. Possiamo dividere, per comodità, questo mezzo secolo in due grandi periodi della vita del filosofo : il primo, compreso tra il 1509, data della sua nascita, e il 1534, data della morte del suo principale e forse unico tutore, lo zio Antonio ; una data, quest’ultima, coincidente anche con il rientro dei due Telesio a Cosenza, da Napoli. Il secondo, più lungo torno di tempo, è compreso tra il 1535, data in cui Bernardino comincia probabilmente a maturare l’intenzione di trascorrere un periodo di otium, di ritiro in uno dei monasteri benedettini calabresi, e il 1563, data della trasferta di Bernardino a Brescia, per sottoporre ad un ormai maturo Vincenzo Maggi (14981564), aristotelico padovano, le bozze di quel De Natura che vedrà la luce negli anni successivi. Questi due grandi periodi, presi insieme, rappresentano, ancora oggi, uno dei capitoli incompiuti della biografia telesiana : come ho già detto, poche e scarne sono le notizie che Telesio lascia per la ricostruzione delle diverse fasi della sua vita e del suo pensiero ; e se ci appelliamo, con le dovute cautele, alle altrettanto esigue notizie provenienti dagli scritti dei suoi contemporanei, riusciamo forse ad ottenere un quadro più definito, ma non meno bisognoso di ulteriori approfondimenti. 1  









1

  Per un inquadramento complessivo della figura di Telesio nella cultura del suo tempo si veda la

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emilio sergio Proprio per questa ragione, per questa cronica mancanza di elementi documentari e di dati storici, il focus storiografico non può non estendersi verso quell’ambiente, quelle istituzioni, e quegli autori che possano in qualche modo consentire di collocare i dati in possesso sulla biografia telesiana in un contesto più preciso. Nel caso di Telesio, dobbiamo compiere una sorta di operazione inversa a quella che si compie solitamente quando di un certo autore possediamo in abbondanza notizie sulla sua vita : e cioè, non è più la biografia o l’autobiografia ad illuminare il tempo in cui visse l’autore, ma è il tempo stesso in cui questo visse ad illuminarne la biografia. In tal senso, è evidente che lo sguardo dello studioso non può concentrarsi solo sulle vite dei filosofi piuttosto che su quelle dei letterati, sugli umanisti piuttosto che sugli scienziati. Questa ampiezza di vedute è inscritta del resto nell’identità, nella cifra stessa dell’umanista italiano del Cinquecento. Da Pontano a Scaligero, la cultura italiana del Rinascimento è ricca di figure enciclopediche, che coltivarono interessi diversi, nei campi più disparati : dall’architettura alla matematica, dalla medicina all’astrologia. 1 Esemplare è il caso di Giovanni Pontano : un letterato umanista di origini umbre, naturalizzato a Napoli, autore celeberrimo di etica e di poesia, compositore di poemetti latini a tema astrologico e naturalistico, commentatore di Aristotele, editor di alcune opere di Tolomeo e di astronomia antica ; studioso di cosmologia stoica, filologo di testi latini, da Cicerone a Manilio e a Lucrezio ; uomo di stato e esperto di politica e di retorica ; fondatore, dopo il Panormita, dell’Accademia Pontaniana di Napoli. La particolare cifra dell’enciclopedismo umanistico e rinascimentale mostra dunque l’utilità di una storiografia che prenda le mosse dalle vite dei principali autori della scienza, della filosofia e della letteratura nell’Italia del xvi secolo. Proprio attraverso una storia delle biografie intellettuali di autori appartenenti ad uno stesso comprensorio culturale, è possibile mettere in relazione, integrare la storia delle istituzioni e dei protagonisti di luoghi geograficamente diversi dell’Italia rinascimentale ; e questo perché i grandi autori della letteratura e della filosofia in Italia raramente vissero sempre nello stesso luogo ; al contrario, furono instancabili viaggiatori, in Italia e in Europa. Giordano Bruno è senza dubbio un caso eccezionale di peregrinatio, in Italia e nei maggiori centri della cultura europea, eppure non è il solo, tra gli intellettuali del Centro-Sud d’Italia, a intrecciare il filo della propria vicenda filosofica e umana con le vite degli altri intellettuali, di allievi e corrispondenti, di patroni e mecenati dei maggiori centri dell’Italia e dell’Europa. Gli stessi Telesio, Bernardino e Antonio, costringono i loro biografi ad un approfondimento della storia dei centri urbani e degli atenei nei quali essi soggiornarono : Milano, Padova, Venezia, Brescia, Roma, Napoli, e infine Cosenza. E con la storia delle città e delle università, il biografo di questo o di quest’altro autore è indotto a inanellare  

















sezione I Telesio e la cultura filosofico-letteraria in Calabria, a cura di S. Plastina, E. Sergio, « Bruniana & Campanelliana », xvi , 2010, 1, pp. 109-188. 1   Celebre è il caso dell’Accademia della Virtù o Vitruviana di Giovan Battista Tolomei, che ebbe vita a Roma nella prima metà degli anni 1540, frequentata dai fratelli Martirano, ospitò letterati e filosofi, scienziati e umanisti.  



17 parrasio, antonio telesio e l ’ accademia cosentina le biografie di quegli intellettuali che in quelle città, in quei collegi, in quelle accademie vissero e operarono, e con i quali i nostri protagonisti entrarono eventualmente in contatto. 1 Questa è, in estrema sintesi, la serie delle ragioni per cui, in una ricerca avente come obiettivo ultimo la biografia telesiana, ho ritenuto d’obbligo partire dalla storia di un altro intellettuale cosentino, di un altro letterato calabrese di inizio Cinquecento, Giovan Paolo Parisio, meglio noto sotto il nome arcadico di Aulo Giano Parrasio. Parrasio e Bernardino, molto probabilmente, non si incontrarono mai : quando il Parrasio si trova a Cosenza, tra il 1511 e il 1515, il piccolo Bernardino è appena un bambino ; e quando Parrasio fa ritorno, per l’ultima volta, a Cosenza, tra il 1520 e il 1521, Bernardino si trova a Milano, sotto la protezione dello zio Antonio. Eppure, se si ferma lo sguardo su Parrasio, si intuisce subito che l’approfondimento di alcuni aspetti della sua biografia può gettare luce su quella telesiana, confermando o smentendo dati precedentemente acquisiti, o verificando ipotesi formulate. Attraverso il fil rouge della biografia parrasiana, molti dati acquisiti della biografia di Telesio cominciano ad assumere un certo rilievo ; smentendo, in alcuni casi, ipotesi storiografiche precedentemente acquisite. Alcuni anni fa, Roberto Bondì esordiva nella sua Introduzione a Telesio con una tesi che si collegava idealmente a una suggestione di Francesco Fiorentino, affermando che « il primo e forse unico maestro di Bernardino Telesio fu lo zio Antonio, poeta e letterato umanista di grande finezza, professore di greco e di latino ». 2 Ora, proprio perché la suggestione di Fiorentino (quella di un « giovanetto Bernardino » che aveva « dovuto sovente meditare sui versi dello zio ») 3 è realisticamente vera, è evidente che l’eventuale debito culturale contratto da Bernardino nei confronti di Parrasio non potrebbe mai eguagliare quello già esistente con lo zio Antonio. E la ragione è semplice : perché laddove tra Antonio Telesio e Bernardino si può ancora immaginare, come già Fiorentino fece, l’idea di un passaggio dal naturalismo poetico del primo al naturalismo filosofico del secondo, questa operazione non è più replicabile nel caso di Parrasio. Non è questo, né sarebbe mai questo il senso del ricostruire il pensiero e l’opera di Bernardino Telesio a partire dalle orme di Giano Parrasio. Parrasio è tuttavia importante per la ricostruzione della biografia telesiana, prima ancora che della sua filosofia ; ed è in questa prima prospettiva che si può lavorare sulla vita del celebre umanista, avendo in mente le vite dei Telesio. Da questo intreccio storiografico emergono alcune interessanti connessioni. La prima riguarda l’Accademia Cosentina : cioè quella che in un primo momento fu nota come Accademia Parrasiana, fondata (nel 1511) dallo stesso Parrasio, il quale fu precettore e maestro di molti degli intellettuali e dei letterati che costituirono successivamente il nuovo nucleo dell’Accademia, nella cosiddetta « seconda fase »,  



























1   Non sono da meno altri due intellettuali cosentini con cui i Telesio furono in relazione, e cioè i fratelli Martirano, Bernardino e Coriolano, i cui impegni letterari, politici e diplomatici li portarono non solo in molte città d’Italia, ma anche in diverse nazioni europee, come l’Inghilterra, la Germania, la Francia e la Spagna. E la lista potrebbe continuare. 2 3   Bondì, p. 3.   Fiorentino, vol. i, p. 47.

18 emilio sergio cioè a Napoli, presso la villa dei fratelli Martirano, a partire dalla prima metà degli anni 1530. 1 La seconda connessione riguarda la presenza di Parrasio in due luoghi cruciali per la formazione e l’attività letteraria di Antonio e di Bernardino Telesio : e cioè, Napoli, da una parte, e Roma, dall’altra. Giova ricordare che presso lo Studium urbis, nel 1515, Parrasio fu chiamato da Leone X a ricoprire la cattedra di retorica, carica che mantenne fino al 1519, negli stessi anni in cui Agostino Nifo e Paolo Giovio tenevano rispettivamente le cattedre di filosofia e di morale. E proprio Roma e lo Studium costituiscono l’ambiente della prima formazione di Bernardino : negli anni compresi tra il 1522 e il 1527, infatti, Antonio Telesio occupa verosimilmente presso lo Studium la stessa cattedra che era stata di Parrasio, ed è plausibile pensare che il giovane Bernardino seguisse i corsi tenuti dallo zio in quegli anni. 2 E non c’è dubbio che nel quinquennio che va dal 1522 al 1527 le biografie dei due Telesio finiscano col convergere, avendo Bernardino dovuto frequentare, di riflesso, gli stessi ambienti culturali (lo Studium, la corte papale, il milieu di Paolo Giovio, la cerchia dei Martirano) 3 frequentati dallo zio. La terza connessione riguarda la ‘seconda fase’ dell’Accademia, che prese vita, non più a Cosenza ma a Napoli, presso la dimora dei Martirano, a partire dal 1531. All’epoca, Parrasio è già morto da un decennio : ma è ancora il suo nome a risuonare nelle riunioni tenute nella villa di Leucopetra, e nelle epistole, nei sonetti e nelle odi che gli furono dedicate in quegli anni. In qualche modo, a distanza di un decennio dalla sua morte e di un ventennio dalla nascita, a Cosenza, di una scuola di greco e di latino, Parrasio diventa una sorta di padre fondatore della nuova comunità di intellettuali, calabresi e napoletani, che prese a riunirsi regolarmente nella villa Martirano. Ora, il fatto che questa nuova koinè di studiosi e di letterati continui a riferirsi a Parrasio come a un padre intellettuale, è un segno eloquente,  





1   Il primo documento attestante l’esistenza, a Cosenza, di un’istituzione culturale nella quale si possano individuare i prodromi di quella che in seguito prese il nome di Accademia Cosentina è una lettera di Parrasio, scritta intorno al 1512, e indirizzata al barone di Belmonte Vincenzo di Tarsia (c.1480/90–1530), padre del celebre poeta e futuro membro dell’Accademia Cosentina, Galeazzo di Tarsia (c.1510/20–1553). In questa lettera, Parrasio fa un preciso riferimento all’esistenza di una scuola per l’educazione della gioventù cosentina : « Remittiret aliquid de iudicio suo Lucius, et qui Lucio subscripsit, Cicero, si viverent hac aetate, iuventutemque Consentinam bonarum artium studiis cum quavis Italiae civitate certantem viderent » ; cfr. S. Mattei, Quaesita per epistolam, Neapoli, Simonis Fratribus, 1771, p. 110. Dell’importanza di tale documento si accorse già C. De Frede, Il poeta Galeazzo di Tarsia, signore feudale di Belmonte, « Archivio Storico per le Province Napoletane », lxxxi, 1962, 2, pp. 7-28. Cfr. E. Sergio, Parrasio in Calabria (1511-1515) e la fondazione dell’Accademia Cosentina, « Bollettino Filosofico », xxiii, 2007, Dipartimento di Filosofia, Uni­versità della Calabria, pp. 419-436. 2   Una prova della presenza di Antonio Telesio a Roma con incarichi accademici viene da Paolo Giovio, il quale negli Elogia veris clarorum virorum imaginibus (1546) afferma che Antonio avrebbe « tenuto un corso su Orazio all’Università di Roma, con affabilità e delicata sensibilità », cfr. P. Giovio, Elogi dei letterati illustri, a cura di F. Minonzio, Torino, Einaudi, 2006, p. 338. Il frutto di queste lezioni fu edito nella Antonii Thilesii Consentini In Odas Horatii Flacci auspicia ad iuventutem Romanam, Romae, apud F. Minitium Calvum, 1527. 3   Alcune figure correlate : Vittoria Colonna (1490-1547), a Roma nel 1520 e nel 1527 ; Tommaso De Vio (Cajetanus), a Roma nel 1524 e nel 1527 ; Paolo Giovio, cattedra di Filosofia morale presso lo Studium, 1514-1519, e poi ancora nel 1523-1527 e nel 1540-1549 ; Agostino Nifo, cattedra di Filosofia presso lo Studium dal 1515 al 1519 ; Matteo Giberti, datario papale già sotto Leone X (anche se negli anni 1522-1527 si trova a Roma solo per brevi periodi). La cerchia di Vittoria Colonna era in contatto anche col Giovio.  





























19 parrasio, antonio telesio e l ’ accademia cosentina non solo della trasformazione della natura stessa dell’Accademia (la quale, da semplice gymnasium, diventa uno dei centri nevralgici dell’intellighenzia napoletana), ma anche della natura enciclopedica del tipo di conoscenze richieste all’intellettuale del tempo. È pur vero che Parrasio non si occupò mai di filologia, al contrario di un autore come Pontano, che ebbe fama di filologo e di ‘cacciatore di manoscritti’. Ma è anche vero che nella biblioteca parrasiana, trasferita a Napoli dopo la sua morte, era possibile trovare opere non solo della poesia classica, ma anche della filosofia e delle scienze antiche : Platone e Senofonte, Diogene Laerzio e Cicerone, Seneca e Ovidio, Proclo e Tertulliano, Aristotele e Boezio ; e poi ancora, Tolomeo e Strabone, Pausania e Manilio ; gli Elementi di Euclide ; il De rerum natura di Lucrezio ; 1 e infine, testi di medicina, di biologia e di storia naturale greca e latina. C’è anche un famoso passo del Commento parrasiano all’Ars poetica di Orazio, pubblicato da Bernardino Martirano nel 1531 (e ripubblicato a Parigi nel 1533), che indica chiaramente il tipo di conoscenze necessarie sia al poeta che al filologo :  











Quemcumque autem poetam rerum omnium peritum esse oportet, ut de una quaque re possit copiose dicere. Mores populorum, consuetudines, iura, terrestrium, maritmarunque cognitiones urbium, locorumque descriptiones, agriculturam, rem militarem, clarorum virorum dicta factaque pernoscat, graphidos peritus sit, geometriae eruditus, architecturam edoctus, musicam sciat, scientiam cum naturae et morum, tum disserendi calleat, medicinae non ignarus, iuriconsultorum responsa teneat, astrologiam, coelique rationes compertas habeat.2 È necessario che qualunque poeta sia esperto in ogni disciplina, affinché possa parlare con facondia di qualsiasi argomento. È necessario che il poeta conosca alla perfezione gli usi, i costumi, le leggi dei popoli, le città terrestri e marittime, la geografia, l’agricoltura, l’arte militare, i detti e le imprese degli uomini illustri, sia esperto nell’arte del disegno, erudito nella geometria, istruito nell’architettura, conosca la musica, abbia esperienza non solo della scienza della natura e dei costumi, ma anche dell’arte del discorso, non sia sprovvisto di conoscenze mediche, intenda i responsi dei giureconsulti, abbia sicuro possesso dell’astrologia e delle scienze celesti. 3

Ora, c’è un ultimo punto della biografia parrasiana che merita di essere preso in considerazione, perché getta nuova luce sulle biografie intellettuali di Antonio e Bernardino, e sulla storia stessa dell’Accademia Cosentina. Questo punto riguarda la data di morte di Parrasio. Per stabilire quest’ultima, gli studiosi dispongono oggi di un documento chiave, che è il testamento di Parrasio, con la data della sua apertura : e la data è quella del novembre del 1521. Questa data cambia di molto le cose. Ad esempio, mentre Francesco Fiorentino, che fa morire Parrasio nel 1534, suppone che l’Accademia Cosentina prosegua indisturbata sotto la guida di Parrasio sino a quella data, la retrodatazione della morte di Parrasio ci costringe a fare i conti con una prevedibile interruzione delle attività dell’Accademia dopo il 1521, e ci induce a pensare che la cosiddetta ‘secon 

1   In due esemplari : l’uno, di Teodoro De Ragazonibus, annotato dal Pontano e dallo stesso Parrasio ; l’altro, nell’edizione di Gian Battista Pio o di Hieronimus Avancius. Cfr. M. A. Paladini, Parrasio e Lucrezio, « Vichiana », iv s. , ii , 2000, 1, pp. 95-118. 2   Orazio, Ars Poetica, ed. B. Martirano, Napoli, 1531, Praefatio. 3   Le traduzioni sono nostre.  







20 emilio sergio da fase’ dell’Accademia, di cui lo stesso Fiorentino parla, non abbia avuto luogo prima del trasferimento della maggior parte dei suoi primi membri, ex allievi o auditores a Napoli, sotto il patronato dei fratelli Martirano, che scelsero, come ho già detto, la dimora di Portici come luogo ideale per gli incontri fra gli intellettuali cosentini, i letterati napoletani, l’aristocrazia e la classe dirigente del Viceregno di Napoli. È pur vero che questo cambio di prospettive dal punto di vista della periodizzazione dell’Accademia e della biografia parrasiana non muta nella sostanza quello che già Fiorentino aveva intuito essere l’unico, più importante maestro di Bernardino, e cioè l’insigne poeta, lo zio Antonio. E tuttavia questa nuova data costringe a guardare con più attenzione l’intera produzione letteraria di quegli intellettuali, di quelle figure che, da Parrasio ai Martirano, passando per Antonio Telesio, costituirono il punto di riferimento culturale più importante della prima formazione del giovane filosofo. Mi limiterò qui a citare solo alcuni passi degli scritti di Antonio Telesio, in cui ritroviamo alcuni luoghi classici del naturalismo e del neoclassicismo rinascimentale, di quel naturalismo e di quel filoellenismo che da Cardano e Ficino giunge fino a Campanella, e dunque allo stesso Bernardino. Dell’opera di Antonio Telesio non si può non ricordare la nota serie dei Poemata che già colpirono l’attenzione di Fiorentino e di un altro importante studioso di Antonio Telesio, che fu Antonio Pagano ; 1 ma è altrettanto importante ricordare altri due scritti di Antonio, che non possono non aver colpito la fantasia del giovane Bernardino. Il primo scritto è il piccolo trattato sui colori, il De coloribus, che fu pubblicato la prima volta a Venezia, nel 1528, quando Antonio venne chiamato ad insegnare in quella città dal Consiglio dei Dieci. 2 Il secondo scritto è l’Imber Aureus, un poema tragico sul mito di Dànae che fu pubblicato nel 1529, e che costituisce uno dei migliori frutti della produzione poetica di Antonio Telesio. Il De coloribus di Antonio non è una trattazione filosofica sui colori, bensì un’analisi dal punto di vista linguistico e poetico sull’uso dei nomi dei colori in letteratura. Antonio stesso lo dichiara apertamente nella prefazione al testo. Di questo scritto è importante notare il primo capitolo, Caeruleus, e la fine del cap. xiii, cioè l’Epilogus. Leggiamo dal cap. i :  



Exordiar primum a caeruleo : quo nisi natura ìpsa màxime gauderet, nùnquam profecto deorum hoc domicìlium, Contìnuo cìrcum compléxu cùncta coérces, spécie tam laéta univérsum exhilaràsset. 3 Per primo comincerò con il blu : che se la natura stessa non gode sommamente di esso, nondimeno non si è mai così piacevolmente allietata come con questa dimora divina, che cinge, racchiude, abbraccia ogni cosa nel suo cerchio.  



1

 Sui Poemata, del resto, resta ancora da realizzare un lavoro di ricerca sulle eventuali fonti ovidiane e lucreziane, che possono aver influenzato per alcuni aspetti la poesia di Antonio Telesio. 2   È inutile ricordare l’interesse di Bernardino per i temi legati alla teoria dei colori : oltre al De rerum natura, egli dedica all’argomento due trattati, uno degli opuscoli (De colorum generatione, 1570), e uno dei libelli (De coloribus, 1590), oltre, naturalmente, al De iride (1590). 3   A. Telesio, De coloribus, Venetiis, 1528, caput. i, Caeruleus.  

parrasio, antonio telesio e l ’ accademia cosentina

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Qui si nota, oltre all’implicita presa di distanza dalla concezione lucreziana dello spazio, il richiamo ad alcuni passi del De natura deorum di Cicerone. In particolare, il parallelismo testuale con il passo 102 del libro secondo :  

Restat ultimus et a domiciliis nostris altissimus omnia cingens et coercens caeli complexus, qui idem aether vocatur, extrema ora et determinatio mundi, in quo cum admirabilitate maxima igneae formae cursus ordinatos definiunt. 1 Resta il cielo o etere che dir si voglia, il più lontano ed il più alto sopra i luoghi da noi abitati, che tutto cinge ed abbraccia nel suo amplesso, estrema piaga ed ultimo confine del mondo in cui delle masse di fuoco percorrono orbite mirabilmente regolari.

Una forte affinità tematica si riscontra anche con il passo 40 dello stesso libro.2 Ma ancora più importante, in questo passo telesiano, è l’uso dei termini gaudéret, laéta, ed exhilaràsset, che rinviano all’idea di una natura senziente, che gode, sente, gioisce, si diletta, si allieta delle sue stesse forme sensibili. Antonio torna sullo stesso tema nell’Epilogus :  

Videtur ad extremum natura amàre Caeruleum : eo enim ut initio dìximus, Mare collustravit, ac Caelum ipsum, quod numquam stellis fulgentibus ornàsset, nisi eadem quoque Fulvo maxime delectaretur. [...] Viridem, Pullum, atque Album Naturae gratum esse nemo potest dubitare. [...] Gàudet ìgitur rérum mater colore Nigro, quam a Rubro nihil abhorrere, hominum, ac ceterorum animantium sanguis facile declàrat. 3 Sembra che la natura ami sommamente il colore ceruleo : con esso infatti, come abbiamo detto all’inizio, ha dipinto il mare, e il cielo stesso, che mai avrebbe adornato di stelle splendenti se non avesse tratto massimamente diletto anche dal giallo. Ma poiché alternatamente vediamo che la terra o è coperta di verde, o, spoglia di tale ornamento, è bruna, oppure ancora che è ricoperta di niveo candore, nessuno può dubitare che alla natura sia gradito il verde, il bruno e il bianco. [...] La madre delle cose pertanto gode del colore nero [e] nulla dimostra facilmente che essa aborrisca il rosso del sangue degli uomini e degli altri esseri animati.  



L’uso dei verbi collustrare e delectare (oltre al succitato gaudére) evoca un celebre passo dell’ Orator di Cicerone, precisamente il testo 11 :  

In picturis alios horrida, [...] et opaca : contra alios nitida, laeta, collustrata delectant. 4 Nella pittura ad alcuni piacciono i quadri appena abbozzati e privi di colore, ad altri quelli rifiniti, dettagliati e ricchi di colore e di luce.  

Mentre l’uso, nello stesso Epilogus, dei verbi collustrare e ornare, si richiama ad un altro verbo, pingere, usato da Antonio nel cap. iiii, a proposito del colore leucophaeus, in cui emerge esplicitamente l’idea di una natura animata dalla stessa vitalità 1

  Cicerone, De natura deorum, ii, 102.   Ivi, ii, 40 : « Nam solis et candor inlustrior est quam ullius ignis, quippe qui in inmenso mundo tam longe lateque conluceat », « il caldo splendore del sole supera quello di ogni altro fuoco come è naturale che avvenga per un corpo luminoso che diffonde per così largo spazio la sua luce nell’immensità dell’universo ». Per l’idea di una natura che « ogni cosa accomuna e abbraccia in sé », cfr. ivi, i, 39 e ii, 36. 3 4   A. Telesio, De coloribus, ed. cit., cap. xiii, Epilogus.   Cicerone, Orator, 11. 2















22 emilio sergio creatrice che l’uomo riscontra nell’artista : « Est et color Albi Nigrìque particeps, a Graecis inde Leucophaeos, voce iam a nostris usurpata, vocatus. Genus est id coloris Natìvi, non enim infìcitur, sed ovis ipsa sic Natura quasi pìngitur ». 1 Anche questa suggestione ricorre più volte nelle pagine del De natura deorum. Sempre nel libro ii, infatti, leggiamo, al testo 35 e 57, quanto segue :  







naturam suo quodam itinere ad ultimum pervenire, atque ut pictura et fabrica ce teraeque artes habent quendam absoluti operis effectum, sic in omni natura, ac multo etiam magis, necesse est absolvi aliquid ac perfici. 2 la natura seguendo un suo particolare cammino riesce a giungere alla piena realizzazione del suo scopo e come la pittura, l’architettura e le altre arti posseggono un loro supremo grado di perfezione, allo stesso modo ed in grado assai maggiore la perfezione dovrà realizzarsi ed attuarsi nell’ambito della natura presa nel suo insieme. Zeno igitur naturam ita definit, ut eam dicat ignem esse artificiosum, ad gignendum progredientem via. Censet enim artis maxime proprium esse creare et gignere ; quodque in operibus nostrarum artium manus efficiat, id multo artificiosius naturam efficere, id est, ut dixi, ignem artificiosum, magistrum artium reliquarum. 3 Zenone definisce la natura come fuoco artificiere che procede alla generazione degli esseri secondo un metodo preciso. Compito proprio e peculiare dell’attività artistica è infatti, secondo il nostro filosofo, quello dì provvedere alla generazione e creazione delle cose e ciò che nelle nostre creazioni artistiche è opera della mano dell’uomo, con arte assai più raffinata lo compie la natura, cioè, come s’è detto, quel fuoco artificiere, maestro di tutte le altre arti.  

Fin qui, il De coloribus. E passi scelti dell’Imber Aureus non avrebbero bisogno di altri commenti all’infuori delle palesi assonanze con l’idea (stavolta lucreziana, e pliniana) di una natura omniparens, già affermata nei Poemata. In una prospettiva storiografica che discuta della relazione che Telesio intrattenne con la nascita e la tradizione della scienza moderna, ritengo importante che si guardi con uguale attenzione al contesto e alla tradizione umanistica dalla quale fuoriuscì, quasi come un corpo alieno, la filosofia telesiana. In realtà, attraverso il breve spaccato delle biografie intellettuali di Parrasio e di Antonio Telesio, può efficacemente mettersi in luce l’esistenza di linee di continuità tra le biografie di questi ultimi e il vissuto intellettuale di una figura come quella di Bernardino ; linee di continuità che, se da una parte avvicinano i vissuti biografici degli autori, dall’altra non possono stabilire in maniera univoca il debito culturale di Bernardino. Altre sono e possono essere state le sue scelte di lettura, dopo l’intuizione iniziale, la strategia, sia retorica che scientifica, di una filosofia della natura iuxta propria principia, presente già in nuce nelle pagine di Antonio Telesio ; scelte, dunque, che il giovane Bernardino può avere effettuato anche in completa autonomia, all’indomani della scomparsa (che non potè non essere dolorosa, traumatica) dello zio Antonio, ossia di colui che, dagli otto ai venticinque anni, costituì il riferimento costante, morale e intellettuale, scientifico e umano, del giovane filosofo.  



1

  A. Telesio, De coloribus, ed. cit., cap. iv, p. 7, Albus. 3   Cicerone, De natura deorum, ii, 35.  Ivi, ii, 57.

2

Carlo Fanelli, Umanesimo e teatro in Calabria prima di Telesio : l’attività di Coriolano Martirano  

UMANESIMO E TEATRO IN CALABRIA PRIMA DI TELESIO : L’ATTIVITÀ DI CORIOLANO MARTIRANO  

Carlo Fanelli 1. Nascita, formazione e soggiorno a Napoli

C

oriolano Martirano è certamente un personaggio da rivalutare nella cultura rinascimentale calabrese e nazionale, non solo perché noto negli ambienti eruditi e politici della Napoli di Carlo V, e alla corte papale di Clemente VII, ma anche per il respiro riconosciuto anche posteriormente alla sua attività letteraria. Studioso cosentino, fratello del più noto poeta petrarchista Bernardino, Coriolano, pur non direttamente collegato alla filosofia e alla scienza telesiana, è comunque riconducibile al milieu letterario fiorito intorno al noto filosofo calabrese presso l’Accademia Cosentina. 1 La ricostruzione biografica parziale della famiglia Martirano, 2 portata a termine da Francesco Pometti a fine Ottocento, raccoglie e integra gli stringati riferimenti su Coriolano tratti da alcuni studi sette-ottocenteschi. Pometti è riuscito a risalire, come gli viene riconosciuto da Croce, 3 alla nascita di Martirano, avvenuta a Cosenza nel 1503. 4 Il riscontro è tratto dal documento del 3 giugno 1530, 5 nel quale Clemente vii, « nullo supplicante », lo aveva nominato vescovo di S. Marco Argentano (località nei pressi di Cosenza), « anno 27° aetatis suae », in sostituzione del deceduto Ludovico de Amato. 6 Si sa pure che l’investitura ecclesiastica, che lo portò al Concilio di Trento, era stata preceduta, nel 1529, dall’incarico di Doganiere del maggior fondaco di Gaeta, probabilmente rifiutato poco dopo la nomina, 7 in vista di quella vescovile. L’ufficio di Doganiere gli venne concesso per intercessione del fratello Bernardino, eletto, nello stesso anno, segretario del Regno di Napoli, la cui carica ricoprì sino al 1548, anno della sua morte. 8 Insieme alla nomina impe 







1   C. Fanelli, Studia humanitatis e teatro prima di Telesio. Tra Cosenza e l’Europa. « Bruniana & Campanelliana », xvi, 2010, 1, pp. 125-137. 2   Il toponimo Martirano proverrebbe dal paese calabrese di Martorano (l’antica Maumertium), ma è molto probabile che la famiglia sia originaria di Cosenza, dove è presente almeno dal 1380. Cfr. F. Pometti, I Martirano in, « Atti dell’Accademia dei Lincei », iv, 1897, Roma, pp. 13-16; B. Croce, I fratelli Martirano, in Aneddoti di varia letteratura, i, Bari, Laterza, 1897, pp. 380-381. 3  B. Croce, I fratelli Martirano, cit. p. 378. 4  F. Pometti, I Martirano, cit., pp. 47, 64-65, 67. 5   Arch. Vaticano, Schedario universale dei vescovi, n. 23. Regesto Vaticano per la Calabria, a cura di F. Russo, Roma, Gesualdi, 1974, vol. iii, docc. 16875, 16876. F. Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiae et insularum adjacentium, Venezia, 1721, t. i, p. 879 ; F. Pometti, I Martirano, cit., p. 16. 6   Archivio Vaticano, Schedario universale dei Vescovi, n. 23, 838-1515, 9 febbr. 7   Cfr. F. Pometti, I Martirano, cit., pp. 48-49. 8   Cfr. F. Pometti, I Martirano, cit., pp. 27-35. Nulla aggiungono A. Piromalli, La letteratura calabrese, 2 voll. Cosenza, Pellegrini, 1996, pp. 108-110, P. Crupi, Storia della letteratura calabrese. Autori e testi, 2 voll., Cosenza, Periferia, 1994, pp. 42-47.  









24 carlo fanelli riale, Bernardino ottenne anche la prebenda di doganiere in Altomonte. 1 Educato nella città natale da uno sconosciuto Lattanzio, come lo stesso Coriolano scrive nel suo epistolario, è probabile che sia poi entrato in contatto col cenacolo umanistico radunato intorno al noto Aulo Giano Parrasio, già maestro di suo fratello Bernardino. L’anziano umanista era tornato definitivamente nella natale cittadina calabrese nel 1520-’21, morendovi nel ’21, 2 dopo avervi già soggiornato temporaneamente fra il 1509 e il 1514, trasferendo in loco la sua preziosa biblioteca, 3 e dando vita al nucleo originario dell’Accademia cosentina, detta anche « Parrasiana », che vide, nei vari anni di attività, la presenza dei più attivi intellettuali locali e nella quale mosse i primi passi Bernardino Telesio. Trasferitosi a Napoli prima del ’30, probabilmente in coincidenza delle investiture di suo padre e suo fratello presso la corte napoletana, Coriolano intraprese studi giuridici e filosofici. La posizione acquisita dai due fratelli negli ambienti diplomatici e culturali napoletani fu certamente di rilievo, oltre che particolarmente agiata. Sin dal 1528, grazie alla munificenza dell’Orange, Bernardino venne in possesso di « case e giardini dentro la città ». 4 I due fratelli fissarono dimora in una villa di Portici, denominata Leucopetra, divenuta ben presto il ritrovo di amici e letterati e per questo segnalata da alcuni come « Accademia Martirano ». 5 Nella villa, il 22 dicembre 1535, fu ospitato l’imperatore Carlo v di ritorno dalla vittoria di Tunisi, il quale atteso a Cosenza, dove restò dal 7 al 9 settembre, 6 vi attese per tre giorni la conclusione dei preparativi degli apparati dell’ingresso in città, attestando la stima dell’imperatore verso i fratelli Martirano. Alcuni frequentatori di Leucopetra sono noti, fra questi il poeta Luigi Tansillo, la cui stima è testimoniata dalle stanze dedicate a Bernardino Martirano e contenute nel suo Canzoniere. 7 Giano Anisio che : « aveva studiato leggi e poi si era dato alla carriera ecclesiastica », plausibilmente condividendo con Coriolano l’identico cursus studiorum. Il legame fra i due fu duraturo e basato sulla stima reciproca, tant’è che  

















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  Arch. di Stato di Napoli, Collaterale privilegiorum, vol. xvii, fol. 32, l’atto è firmato F. Chalon. Probabilmente Bernardino ottenne l’importante ufficio, grazie all’elezione di suo padre Giambattista, a reggente della Magna curia cunctorum, sotto Carlo V. Catalogus regentium magnae curiae cunctorum, vol. iii, 4, n. ord. 55 ; V. Topius, De origine omnium tribunalium urbis Neapolis, Napoli, Savij, 1655, 2   Cfr. F. Lo Parco, Aulo Giano Parrasio. Studio biografico-critico, Vasto, Tip. Anelli, 1899, pp. 99-113. Fiorentino, vol. i, p. 33; F. Pometti, I Martirano, cit., p. 19; E. Sergio, Parrasio in Calabria (1511-1515) e la fondazione dell’Accademia Cosentina, « Bollettino Filosofico », xxiii, 2007, Dipartimento di Filosofia, Uni­ versità della Calabria, pp. 419-436. 3   Trasferitosi a Milano nel 1499, Parrasio venne a contatto col greco Demetrio Calcondila (del quale sposò la figlia Teodora), traduttore di Euripide e Sofocle, nelle edizioni pubblicate rispettivamente a Milano nel 1493 e a Venezia nel 1501. Dal Calcondila, tra le altre cose, ottenne materiale librario per la sua biblioteca. Cfr. F. Lo Parco, Aulo Giano Parrasio, cit., p. 33, 41, 61-62. 4   Di una concessione fatta a Bernardino si trova testimonianza in Arch. di Stato di Napoli, Coll. privil., vol. xxi f. 150. 5   Si tratta della grecizzazione del toponimo « Pietrabianca », che designava al tempo la località dove la villa era collocata, sostituendo l’originale « sguazzatoio », cfr. F. Pometti, I Martirano, cit., p. 36, n. 1. 6  Cfr. Il segnalato et bellissimo apparato nella felicissima entrata di la Maestà Cesaria in la nobil città di Cosenza facto con lo particular ingresso di essa Maestà ordinatissimamente descritto, Napoli, 1536, trascritto in D. Zangari, L’entrata solenne di Carlo V a Cosenza, Napoli, Casella, 1940, nel quale Bernardino Martirano è indicato come destinatario dello scritto. 7  L. Tansillo, Il Canzoniere edito e inedito secondo una copia dell’autografo ed altri manoscritti e stampe, a cura di E. Pèrcopo, Napoli, Società Editrice della Biblioteca degli scrittori meridionali, 1926.  













25 l ’ attività di coriolano martirano l’Anisio sottopose alla mende dell’erudito Coriolano il suo Protagonos (1532-1536). 1 Ancora, il poeta Giovanbattista della Torre, Bernardino Rota, il filosofo Agostino Nifo, Francesco Franchini, Aulo Pirro Cicala. Infine, tutta una ‘colonia’ di conterranei residenti o di passaggio nella capitale del Regno. 2 2. L’ incontro con Juan de Valdés Con un temporaneo soggiorno napoletano di Coriolano, successivo al suo trasferimento a Roma dopo il ’30, coincide un importante incontro dell’autore con Juan de Valdés, il noto riformista spagnolo e sostenitore, prima in Spagna poi in Italia, della dottrina di Erasmo da Rotterdam. 3 Giunto in Italia, probabilmente a Napoli, nel 1529, Valdés raggiunse Roma per prendere possesso del titolo di « camerarius », concessogli da Clemente VII, e vi rimase sino al 1532 4 anno in cui ricevette da Carlo V, di passaggio per l’Italia dopo la vittoria di Tunisi, il titolo di « secretario », per spostarsi poi a Bologna e Mantova nel 1532-’33. 5 Dal settembre al dicembre ’33, durante il viaggio di Clemente vii in Francia, fu nuovamente a Napoli, sebbene non si abbiano dati precisi. 6 Il riscontro della conoscenza tra i due si trova nel Dialogo de la lengua 7 di Valdés. Tra gli interlocutori del dialogo dedicato alla lingua castigliana e scritto a Napoli nel 1535-’36, risultano un « Coriolano » e un « Marcio », nei quali Edward Boehmer ha proposto di riconoscere Coriolano Martirano e suo nipote Mario (detto anche Marcio), 8 figlio di Bernardino. 9 Bisogna dire, tuttavia, che tale riconoscimento è stato successivamente contestato da Croce, il quale ha ritenuto : « Il riscontro dei nomi […] curioso, ma probabilmente casuale », 10 associando al Marcio valdésiano il più noto Marcantonio Magno, traduttore dell’Alphabeto christiano del Valdés. 11 Nonostante tale autorevole parere discordante a noi pare che il « señor Coriolano » « novicio » della lingua castigliana, interessato ai suoi proverbi, di cui chiede un libro che li contenga ; e ancora i suoi rimandi al latino e al greco, l’interesse per la parola « abadengo » variante del vocabolo « abad », il riferimento alle Questiones di Cicerone, a S. Paolo e Quintiliano ; infine la richiesta di suggerimenti bibliografici : « qué libros  













































1   Coriolani Martirani cosentini episcopi sancti Marci, Epistolae familiares, Simonetta, Napoli, 1556, c. 37. Giovanni Francesco Anisio, detto Giano, nato forse a Sarno fra il 1465 e il 1475, e morto a Napoli poco dopo il 1540, letterato e poeta legato all’Accademia Pontaniana. 2  F. Pometti, I Martirano, cit., pp. 40-45. 3   Richiama l’attenzione su questo particolare B. Croce, Aneddoti di varia letteratura, cit., pp. 385-386 n. 1. Nel 1528 Valdés aveva iniziato la sua corrispondenza con Erasmo, nel periodo in cui lavorava al Dialogo de doctrina cristiana, cfr. J. De Valdés, Dialogo de la lengua, edición y notas por José F. Montesinos, Madrid, Espara-Calpe, 1926, p. xvii. 4   E. Cione, Juan de Valdés. La sua vita e il suo pensiero religioso, Bari, Laterza, 1938, p. 29; J. De Valdés, Dialogo de la lengua, cit., p. xxi. 5 6   E. Cione, Juan de Valdés, cit., p. 50.   Ivi, p. 53. 7   Cfr. J. De Valdés, Dialogo de la lengua, cit., p. xliii. Il dialogo ebbe diffusione manoscritta sino al 1737, anno della sua prima edizione, e fu poi ristampato nel 1873 e nel 1895, ivi, pp. lxiii-lxiv. 8  E. Boehmer, Cento e dieci divine considerazioni del Giovanni Valdesso, Halle, 1860, p. 515. 9   Cfr. F. Pometti, I Martirano, cit., pp. 16, 60, 67. 10   B. Croce, Giulia Gonzaga e l’“alfabeto cristiano” del Valdés, in Storie e leggende napoletane, Napoli, Ricciardi, 1921, p. 240 n. 4 (rist. a cura di G. Galasso, Milano, Adelphi, 1990). Cfr. anche E. Cione, Juan De Valdés, cit., pp. 57-58. Cfr. C. De Frede, I lettori di umanità, cit., p. 167. 11  B. Croce, Giulia Gonzaga e l’“Alfabeto Cristiano” del Valdés, cit., p. 244.

26 carlo fanelli castellanos os parece podemos leer para hazer buen estilo », 1 offrano un profilo confacente con quello di Martirano. Nel dialogo si fa notare l’intraprendenza di « Marcio » che, seppure aveva insospettito Croce, per il quale : « par difficile che il nipote fosse allora in tale età da tenere la parte che tiene nel dialogo », 2 restituisce la risolutezza di Marzio Martirano nel dare alle stampe a Napoli, come si vedrà, gli scritti del reticente e ignaro zio Coriolano. L’ipotizzato riconoscimento di Martirano fra gli interlocutori del dialogo valdésiano, quindi la traccia della conoscenza tra i due e l’affiliazione al noto circolo valdésiano di Napoli, 3 assume grande importanza nella ricostruzione della sua biografia, offrendone un ritratto sconosciuto, di sostenitore di quella Riforma della Chiesa cattolica richiesta a gran voce dal suo interno, da esponenti autorevoli poi accusati e condannati per eresia, in molti facenti parte del gruppo gravitante intorno al Valdés. Si tratta di persone riunite intorno all’alumbrado presso la residenza napoletana di Giulia Gonzaga, alla quale i Martirano erano vicini e tra i cui affiliati si contano rilevanti figure come Bernardino Ochino, Pietro Martire Vermigli, Galeazzo Caracciolo, Gian Francesco Alois, Pietro Carnesecchi, Marcantonio Flaminio, Jacopo Bonfadio, gli arcivescovi di Otranto e Cava, Pietrantonio di Capua e Giovan Tommaso Sanfelice, 4 alcuni dei quali poi processati per eresia. Molte anche le nobildonne che si lasciarono affascinare dal dotto castigliano, come Dorotea Gonzaga, Isabella Breseña, Roberta Carafa, Clarissa Ursina, Costanza d’Avalos, Caterina Cirba, Maria e Giovanna d’Aragona. 5 Non tutti i membri del ‘circolo’ valdésiano di Napoli furono di dichiarata e comprovata affiliazione, alcuni, come probabilmente il Martirano, restarono nel totale anonimato. 6 Le suggestioni giunte dalla dottrina di Erasmo al pensiero valdésiano, si erano concretizzate, con l’arrivo di Juan de Valdés in Italia, in un « protestantismo evolutivo », il cui movimento resta squisitamente italiano.  















3. L’amicizia con Johann Albrecht Widmanstetter La biografia di Martirano si arricchisce di un altro importante episodio reso noto da Carlo De Frede : 7 l’amicizia con l’umanista tedesco Johann Albrecht Widmanstetter. Si tratta, infatti, del Lucretius Oesiander più volte menzionato nell’epistolario del Martirano, col quale il cosentino condivide un’affettuosa amicizia e, soprattutto, la comune passione per i libri, comprovata anche dai cosiddetti Oefeleana  

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 J. De Valdés, Dialogo de la lengua, cit., pp. 15, 36, 130, 141, 157, 162.   B. Croce, Giulia Gonzaga, cit., p. 240, n. 4. 3   Sul cenacolo si veda : A. Percauti, Giulia Gonzaga e il movimento valdésiano in Italia nel secolo xvi, Napoli, Studium, 1954, pp. 167-183; F. Abbate, Un possibile episodio valdésiano a Napoli : la tomba di Galeazzo Caracciolo in San Giovanni a Carbonara, « Bollettino d’arte », lxiv, 1979, pp. 97-102; N. Caserta, Juan de Valdés e i valdésiani a Napoli, Napoli, Aprenas, 1959, pp. 309-345; E. Pontieri, I movimenti religiosi del secolo xvi e l’Italia, Napoli, Libreria scientifica editrice, 1965, pp. 31-61. 4   Cfr. E Cione, Juan de Valdés, cit., p. 111. 5   Ibidem. Cfr. C. De Frede, Un calabrese del Cinquecento emigrato a Ginevra. Apollonio Merenda, « Archivio Storico per le Province Napoletane », x, 1971, pp. 3-13. 6   Bibliotheca Dissidentium. Répertoire des non-conformistes religeux des seizième et dix-septième siècles, Tome ix, edite par André Séguenny en collaboration avec Irena Backus et Jean Rott, Éditions Valentin Koerner, Baden-Baden & Bouxwiller, 1988, p. 113. 7  C. De Frede, L’orientalista Johann Albrecht Widmanstetter e i suoi rapporti con i Pontaniani del ’500, « Atti dell’Accademia Pontaniana », xxxii, 1983, pp. pp. 287-299. 2

















27 l ’ attività di coriolano martirano del Widmanstetter, raccolta di suoi documenti e scritti, oggi alla Staattsbibliothek di Monaco. 1 Giunto in Italia nel 1527 « per perfezionarsi negli studi classici e iniziare quelli delle lingue orientali », Widmanstetter è ricordato come « conoscitore dell’arabo, dell’ebraico, del siriaco la cui opera più meritoria fu la pubblicazione del Nuovo Testamento nella redazione siriaca », 2 L’incontro col Martirano potrebbe essere avvenuto durante il primo viaggio a Napoli del tedesco, nella primavera del 1530, allorquando « si legò di profonda amicizia con il Seripando, con i fratelli Giano e Cosimo Anisio, con Giovanni Minadois, con Giovanni Angelo Pisanelli e con Agostino Nifo », 3 tutti facenti parte del giro di conoscenze dei fratelli Martirano. Molto probabilmente i contatti tra i due proseguirono a Roma, in seguito all’investitura vescovile di Coriolano e l’incarico del Widmanstetter presso il cardinale Nikolaus von Schönberg, arcivescovo di Capua, nel 1535. 4 L’amicizia con l’orientalista Widmanstetter è una preziosa informazione che ci conduce al riscontro con la profonda passione per i libri testimoniata dalla raccolta di volumi custodita a Napoli dai fratelli Martirano.  











4. La biblioteca di Leucopetra e i libri di Sannazaro La passione bibliofila dei fratelli Martirano, condivisa col Widmanstetter, è stata messa in evidenza dalle ricerche di Carlo Vecce sui lasciti bibliografici di Jacopo Sannazaro. 5 Difatti, incontrato Sannazaro a Napoli poco prima della sua morte, 6 Widmanstetter potè approfondire la conoscenza del suo patrimonio librario grazie al legame con Coriolano Martirano, venuto in possesso « con il decisivo appoggio politico di Bernardino Martirano », 7 di « parte dei manoscritti classici di Sannazaro ». 8 La prova di tale passaggio è la nota di possesso « Martirani et doctorum amicorum », impressa sul Viennese 3261. 9 La suggestiva notizia di Bernardino, a caccia di codici da ‘salvare’ durante il sacco di Roma, è riportata nella prefazione al De triplici ortu et occasu imaginum secundum poetas di Francesco Sirigatto, stampato a Napoli nel 1531. 10 Inoltre, lo stesso Bernardino funge da testimone per la controversa questione della sparizione di volumi posseduti dal Parrasio e dati per testamento ad Antonio Seripando. 11 Di Coriolano si sa, invece, che possedette il Viennese 3413, il « celebre codice » contenente il De bello neapolitano (1502) di Giovanni Pontano ; sue sono le note « Pontani manu scripta » (ff. 2v, 151v, 246v) e « Actii Synceri manu scripta », appostevi :  



























1  C. Vecce, Iacopo Sannazaro in Francia. Scoperte di codici all’inizio del XVI secolo, Padova, Antenore, 1988, p. 168. 2   C. De Frede, L’orientalista Johann Albrecht Widmanstetter, cit., p. 287. Cfr. C. De Frede, I lettori di Umanità nello Studio di Napoli durante il Rinascimento, Napoli, L’Arte Tipo3 grafica, 1960, p. 104.   Ivi, p. 288. 4 5   Ibidem.   Ivi, pp. 168-177. 6   Ivi, p. 168. Cfr. C. De Frede, L’orientalista Johann Albrecht Widmanstetter, cit., p. 288. 7 8  C. Vecce, Iacopo Sannazaro in Francia, cit., p. 168.   Ibidem. 9 10   Ibidem.   Ibidem. 11  G. Mercati, Prolegomena de fatis bibliotecae monasterii s. Columbani Bobiensis, in M. T. Ciceronis De republica libri e codice rescripto Vaticano latino 5757 phototipice expressi, Roma, Città del Vaticano, 1934, p. 119, cita la seguente testimonianza di Bernardino Martirano : « Omnes pene Parrhasi vigilas, vix eo defuncto, rapacissimis unguibus occuparunt […]. Actum profecto de iis scriptis fuisset funditusque occidissent, ni Antonius Seripandus, vir non minus probitate quam humanitate clarus ».  





28 carlo fanelli assolutamente affini all’Actii Sinceri manuscripta del Viennese 3261 f. 1. Questo materiale, oggi conservato alla Nationalbibliothek di Vienna, è parte delle acquisizioni del bibliofilo ungherese Giovanni Sambuco, che tra il 1562 e il 1563 risiedette a Roma e a Napoli. 1 Anche il Viennese 3503, « zibaldone quasi interamente autografo di Sannazaro », dovette destare un doppio interesse nell’umanista calabrese ; è molto probabile che sia sua la nota manoscritta « Actii Sinceri manu elucubrata », 2 dato il contenuto caratterizzato da indici metrici e alfabetici, oltre che da traduzioni dal greco in latino ; nonostante si tratti di una : « pedissequa traduzione parola per parola, dal greco in latino, lasciando immutate forme e casi come richiesto dalla sintassi greca, senza riorganizzarle secondo le leggi della lingua d’arrivo ». 3 Un fondamentale supporto che dalla : « […] officina di lettura e smontaggio dei testi classici funzionale alla creazione poetica » 4 di Sannazaro, era poi passato ad un altro umanista il quale avrebbe potuto utlizzarlo nel suo lavoro di traduzione di testi classici. In aggiunta, il Viennese 3503 riporta anche l’indice di una parte degli Adagia di Erasmo, 5 particolare non trascurabile considerando la supposta adesione del Martirano alla dottrina erasmiana. Dopo il suo definitivo ritorno a Napoli, nel 1552, Coriolano recò con sé la sua raccolta di manoscritti e libri a stampa e, come sostiene Vecce, a lui si deve la « singolare riapparizione » dell’Halieuticon di Ovidio nella seconda metà del secolo. 6 Da questo punto in poi, purtroppo, si perdono le tracce della sua preziosa raccolta di volumi.  



























5. Sertorio Quattromani e gli scritti dispersi del Martirano Sulle tracce della biblioteca dei Martirano incontriamo Sertorio Quattromani, intellettuale cosentino che molto ebbe che fare con scritti e libri lasciati da Coriolano. Allievo di Onorato Fascitelli, citato nell’epistolario del Martirano, fu grande amico di Ottavio Martirano, nipote di Coriolano, dal quale ebbe il « permesso di guardare liberamente tra le carte e i libri del vescovo di San Marco, affinché desse un’edizione delle opere ancora inedite ». 7 In una lettera a Ottavio, spedita da Napoli, Quattromani rende conto del materiale rintracciato. 8 Un’altra lettera, inviata qualche giorno prima a Giovanni Battista Vecchietti, sebbene priva di riferimenti precisi, contiene ulteriori tracce del passaggio di Quattromani, dalla biblioteca napoletana del Martirano e la meraviglia destata nel visitatore dal suo contenuto. 9 Logico dedurre che da Quattromani siano passati anche i lavori inediti del Martirano, del cui destino successivo nulla ancora si conosce. Di questi rende conto un passo di un altro suo scritto : Di Giano Parrasio e di altri autori cosen 





1   Cfr. H. Gerstinger Johannes Sambucus als Handschriftensammler, in Festschrift der Nationalbibliothek in Wien, Wien, Osterreichischen staatsdruckerei, 1926, pp. 251-400. 2 2   Ivi, p. 63.   Ivi, p. 150. 4 5   Ivi, p. 67.   Ivi, pp. 93-101. 6 7  C. Vecce, Iacopo Sannazaro in Francia, cit., p. 168.   Ivi, p. 172. 8  S. Quattromani, Lettera a Ottavio Martirano, a Roma, Napoli 25 ottobre 1598, in Idem, Scritti, a cura di F. W. Lupi, Arcavacata, Centro Editoriale e Librario Università degli Studi della Calabria, 1999, p. 158. 9  S. Quattromani, Lettera a Giovanni Battista Vecchietti, a Roma, Napoli 20 ottobre 1598, in Idem, Scritti, cit., p. 157.

29 l ’ attività di coriolano martirano tini del xvi secolo, che li elenca insieme a quelli confluiti nell’edizione delle opere di Martirano, pubblicata a Napoli nel 1556. Delle orazioni citate se ne conservano tre, sempre se realmente incluse nella selezione in possesso del Quattromani. Dell’Iliade si conserva il manoscritto presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, 2 mentre nulla si sa degli Inni omerici. I « due libri di lettere », infine, potrebbero corrispondere alla raccolta completa delle Epistole del Martirano, di cui una silloge venne pubblicata a Napoli nel 1556. Certo è il passaggio di « carte e libri dei Martirano » dall’importante biblioteca napoletana di S. Giovanni a Carbonara, come ha dimostrato Cesare Bozzetti, 3 transitati dalla biblioteca partenopea, insieme ai libri di Parrasio, 4 conseguente al lascito del cardinale Gerolamo Seripando che li aveva ereditati. Ma presso il convento degli Agostiniani di Napoli, erano passati diversi umanisti, come il Widmanstetter. Non è da escludere, quindi, che il patrimonio librario da questo accaparrato a Napoli abbia incluso anche materiale appartenuto al Martirano, così come gli acquisti fatti nella città dall’umanista ungherese Giovanni Sambuco che, insieme ai codici sannazariani, era venuto in possesso di manoscritti appartenuti a Martirano. Ipotesi alternativa è che le carte Martirano già a S. Giovanni a Carbonara, siano quelle già citate oggi custodite presso la Biblioteca Nazionale di Napoli. 1









6. La permanenza a Roma e l’Epistola a Claudio Tolomei In coincidenza con l’investitura a vescovo di S. Marco Argentano, Martirano si trasferì a Roma abbandonando i pubblici uffici precedentemente assunti. Tuttavia, se mai risiedette presso la sua diocesi, non vi restò quanto previsto, oppure, tentò di rimanervi il meno possibile. Difatti, ottenute due differenti dispense, di nove e quattro mesi, rispettivamente il 10 luglio 1530, 5 e il 29 aprile 1535, 6 rimase a Roma, di certo attratto dalle opportunità che la città già gli aveva offerto. Poi, col successivo ritorno a Napoli e l’insediamento nella segreteria imperiale, al posto del fratello Bernardino, 7 fortificò ulteriormente le sue posizioni di prestigio all’interno della corte. Al periodo di permanenza nella città capitolina risalgono i rapporti di Martirano con l’Accademia della Virtù, riunita intorno a Claudio Tolomei, la cui conoscenza risalirebbe al 1525, allorquando Coriolano fu accolto nell’Accademia degli Introna1   Ms. 20187, cc. 69r-76v della Biblioteca Civica di Cosenza, in S. Quattromani, Di Giano Parrasio e di altri autori cosentini del xvi secolo, ora in Idem, Scritti, cit., pp. 257-269. 2   Si tratta del Ms. xxii 140 oggi alla Biblioteca Nazionale di Napoli, che proviene dal Museo Nazionale della Certosa di S. Martino di Napoli. Contiene appunto i libri I-V dell’Iliade latina del Martirano (cc. 1-23v e 45-88v). 3   G. di Tarsia, Rime, a cura di C. Bozzetti, Milano, Mondadori, 1980, p. xxv. 4   Alla morte del Parrasio i libri furono ceduti per testamento all’amico Antonio Seripando. Il testamento e l’inventario, insieme ad un’analisi del materiale librario oggi custodito presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, si trova in C. Tristano, La biblioteca di un umanista calabrese : Aulo Giano Parrasio, Manziana, Vecchiarelli, 1988. 5   Arch., Vat., sched. cit., 838-1530, 10 Jul. Clem. P. P. 7. Brev. quo Coriolano Martyrano Electo s. Marci, indulget ne per novem mensem Rochetum et abitum p. Epõs gestari solitum suscipere teneatq. (Lib. 27, Min. Br. n. 330). 6   Arch., Vat., Br. Paul. 3, epis. 96, p. 105, sched. cit. 838-1535, 29 apr. Cor. Martyrano electo s. Marciprorogatum, consecr. ad 4 menses. 7   Ivi, pp. 48-57. B. Croce, I fratelli Martirano, cit., pp. 382-383.  

30 carlo fanelli 1 ti di Siena. La partecipazione di Martirano al dibattito culturale dell’Accademia risalirebbe a dopo il 1530, epoca in cui Martirano invitato dallo stesso Tolomei, gli indirizza un’epistola in volgare in cui postilla una terzina del Triumphus Cupidinis di Petrarca, 2 che firma come vescovo di S. Marco. L’epistola è apprezzabile per un duplice motivo : è l’unico scritto in volgare conosciuto di Martirano e, discostandosi dalla matrice classicistica dei suoi studi, prospetta inediti interessi del dotto prelato.3 La permanenza a Roma del Martirano, dovette protrarsi sino al 1546, 4 anno della partenza per Trento. Documenti relativi al Concilio attestano la sua presenza a Napoli il 13 gennaio 1549, 5 mentre il suo ritorno a Trento è rilevato il 28 settembre 1551. 6 Da Carlo Vecce, infine, si apprende che fece definitivamente ritorno a Napoli nel 1552, 7 dove rimase sino alla sua morte, sopraggiunta il 27 agosto del 1557.  

7. Le Epistolae familiares Sebbene sia stato uno scrittore alquanto prolifico, tenuto conto dei suoi impegni vescovili e diplomatici, come dimostrato dalle memorie di Sertorio Quattromani, di Coriolano restano soltanto una silloge di testi classici tradotti dal greco in latino, insieme alla sua tragedia Christus e un epistolario, pubblicati a Napoli nel 1556. L’insieme delle missive data alle stampe dal nipote Mario, col titolo Epistolae familiares, costituisce certamente solo una parte dell’intero epistolario dello zio, probabilmente quella disponibile al momento del frettoloso assemblaggio del volumetto. Delle quarantasei lettere, sulle cinquantaquattro contenute nell’epistolario, di cui cinquantuno scritte dall’autore, Francesco Pometti ha elaborato la cronologia, suddividendo la silloge in quattro periodi. 8 Come ha sostenuto De Frede : « La raccolta pone, come altre del genere, il problema dell’attendibilità del suo contenuto ». 9 In ogni caso non sembra accettabile la sua proposta di raggruppare tutte le lettere tra il 1545 e il ’48. 10 Fra i corrispondenti dell’epistolario compaiono, oltre al fratello Bernardino e ad un nipote, alcuni personaggi la cui menzione risulta utile al fine di delineare un profilo psicologico di Martirano, le frequentazioni avute nel corso dei suoi spostamenti, l’atteggiamento assunto al Concilio di Trento. Nel periodo che Pometti assegna : « alla dimora, in età giovanile, di Coriolano in Napoli, forse dopo lasciato l’ufficio di Gaeta, se pure lo tenne mai », cioè prima del 1530, le lettere sono tutte indirizzate al fratello. Si rife 











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  Lo proverebbe la menzione di un « Signor di Martinano [sic] », col soprannome di « Travagliato », nei « Tabelloni » dell’Accademia degli Intronati di Siena, insieme a quella del Tolomei (« Il Sottile »), cfr. L. Sbaragli, I « tabelloni » degli intronati, « Bullettino senese di storia patria », xlix, 1942, 3, pp. 177-213. 2  C. Tolomei, Delle lettere facete ec., raccolte da Francesco Turchi, Venezia, 1575, t. 2, p. 209. 3   Per l’analisi dell’Epistola al Tolomei si rimanda a C. Fanelli, Un commento di Coriolano Martirano ad una terzina dei ‘Trionfi ’ di Petrarca, « La Nuova Ricerca », xii, 2004, pp. 9-15. 4   Risale al 13 luglio 1546, una lettera che Pietro Bembo scrive da Roma a Bernardino Martirano, in risposta dei suoi ringraziamenti per alcuni favori concessi a Coriolano : P. Bembo, Lettere, ed. critica a cura di E. Travi, Commissione per i testi di lingua, Bologna, 1993, vol. iv (1537-1546), p. 362. 5   Concilium Tridentinum. Diariorum, Actorum, Epistolarum, Tractatum nova collectio, a cura di GorresGellschaft, Herder, Freiburg, 1901, t.xi, p. 489. 6  A. Theiner, Acta genuina ss. oecumeniici concilii Tridentini, Zagabrie, 1878, vol. i, p. 515. 7  C. Vecce, Iacopo Sannazaro in Francia, cit., p. 170. 8  F. Pometti, I Martirano, cit., p. 58. 9 10   C. De Frede, L’orientalista Johann Albrecht Widmanstetter, cit., p. 294.   Ibidem.  





























31 l ’ attività di coriolano martirano riscono soprattutto a questioni familiari. Nella xlii, Coriolano affida a Bernardino le cosiddette leges geniales, appositamente scritte per adornarne il Ninfeo della villa di Portici. Nell’epistola vi, Coriolano raccomanda al fratello il giovane Bernardino Telesio. 1 Altre lettere a Bernardino sono importanti per il riferimento agli scritti di quest’ultimo, come l’Aretusa, oppure al volgarizzamento degli Amori di Ismene. Nella lettera vii, Coriolano ricorda il suo precettore Lattanzio, del quale poco si conosce. 2 Il tenore delle lettere cambia, come già Pometti aveva riscontrato, dopo il trasferimento di Coriolano a Roma : « Coriolano, passato a Roma, da Napoli, continua l’affettuosa corrispondenza col fratello ; ma ora le sue lettere sono più circospette, perché non vi parla soltanto di cose familiari. Con studio, egli circonda di mistero le sue parole, quando parla di lettere cesariane, o di liti, o di avversari ». 3 Nell’epistola xxiii scritta da Trento, informa il fratello della sua sistemazione, non tralasciando di sottolineare la dispendiosità della permanenza. La conclusione di questa lettera presenta un riferimento abbastanza preciso alla condotta filo-imperiale del vescovo Martirano durante il Concilio, che si evince in modo chiaro soprattutto dai continui riferimenti incensatori nelle sue orazioni. Un’altra missiva, anch’essa scritta da Trento ad un « Legato Cesaris », 4 molto probabilmente Francesco da Toledo, seppure di semplice cortesia, rappresenta un’ulteriore traccia della fedeltà a Carlo V. Del resto lo stesso Pometti insiste, a ragione, su questo punto, motivando anche il criterio adottato nell’analizzare le Epistole familiares. 5 Un’importante e salda amicizia, testimoniata dall’epistolario, è quella con l’orientalista tedesco Johann Albrecht Widmastetter, di cui si è gia detto, destinatario di sette lettere comprese nell’epistolario del Martirano (xxix, xxx, xxxi, xxxiv, xli, xliv, xlvii). Anche se, solo indirettamente, le lettere citate testimoniano degli scambi di informazioni e materiale librario intercorso fra i due. 6 Nell’epistola xix, indirizzata a Bernardino, ad esempio, Coriolano informa il fratello di avere ricevuto dal tedesco la traduzione del romanzo di Eustazio (o Eumazio) Macrembolita Amori di Ismene, al cui volgarizzamento, oggi disperso, lavorava Bernardino prima del 1535 7 – oltre che di avere consegnato all’amico l’Aretusa di Bernardino –, che il tedesco aveva dedicato a Isabella Manrique Bresegna, moglie del Manrique, alle cui dipendenze aveva militato.  











8. La partecipazione al Concilio di Trento Conseguentemente all’investitura vescovile del 1530 Martirano prese parte al Concilio di Trento. 8 La sua convocazione ricade fra quelle decretate dalla bolla « Decet  

1   La lettera si riferisce molto probabilmente all’intercessione di Bernardino a favore del Telesio, catturato a Roma dai Lanzichenecchi durante il « sacco » del ’27, per la quale cfr. Fiorentino, vol. i, p. 82 ; De Franco 1989 p. 4. 2   Sappiamo che a Cosenza fu attivo, fra i maestri di grammatica, un Lattanzio, accreditato appunto come precettore di Coriolano. T. Cornacchioli, Nobili, borghesi e intellettuali nella Cosenza del Quattrocento, Cosenza, Periferia, 1990, pp. 236, 245, 247, 262. 3 4  F. Pometti, I Martirano, cit., p. 60.   Ivi, c. 28. 5   Ivi, p. 64, n. 3. 6   Qualche notizia in più potrebbero fornire gli Oefeleana del Widmanstetter, come indicato da Carlo Vecce, raccolta manoscritta di notizie bibliografiche, conservata presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco. 7   B. Martirano, Il pianto d’Aretusa, cit., pp. 11-17. 8   Partecipò alle sedute degli anni 1545, 1546, 1547, 1551, 1552. Cfr. Arch. Vat. Concilia, t. 123, 35 t.; P. Sarpi,  





32 carlo fanelli nos » del 17 aprile 1545 che, negando valore alle procure inviate da molti per evitare la partenza, obbligava i renitenti alla partecipazione al Concilio. 1 Martirano arrivò a Trento il 1 giugno 1545. 2 All’avvio dei lavori i legati pontifici decisero di suddividere i padri in tre gruppi paralleli, ciascuno dei quali presieduto da un legato. Tale partizione sottostava alla necessità di organizzare gruppi con competenze specifiche. Tuttavia, del lavoro di breve durata di tali commissioni poco o nulla si conosce. 3 Martirano, insieme all’arcivescovo Tagliavia, Tommaso Campeggi, Orsini, Fonseca e Giacomelli, e poi, Vigieri, Piccolomini, Giovan Battista Campeggi e Roverella, fu integrato nella commissione presieduta da Marcello Cervini, la quale mostrò una particolare sensibilità per le questioni dogmatiche. Il primo intervento del Martirano alle discussioni conciliari risale al marzo 1546, dedicato al canone delle Sacre Scritture e sulla Vulgata della Bibbia, 4 verso cui il dotto prelato espresse tutti i suoi dubbi di cultore delle lettere. 5 Il 10 dicembre 1546 ebbero inizio i dibattimenti sul precetto « de justificatione quoad primum statum ». Nonostante questo fosse uno degli argomenti centrali del Concilio, dopo sei mesi di discussione, non fu possibile fare chiarezza fra gli stessi interlocutori. Lo stesso Martirano non si espresse sull’argomento, 6 riservandosi di intervenire sul tema della giustificazione per fede nella seduta del 6 ottobre, ma in un clima non ideale all’effettiva importanza del problema dogmatico da affrontare. 7 Intensa anche se circoscritta fu l’allocuzione letta dal Martirano il 7 gennaio 1546, 8 con la quale il vescovo propose l’apologia spirituale e secolare, l’invettiva contro i « falsi Germani » luterani, il tenore retorico modulato dal sincretismo fra teologia e classicismo. Nonostante alcuni attacchi, diretti verosimilmente più alla posizione di prelato imperiale che personali, il discorso del Martirano suscitò un diffuso consenso. A dispetto delle sue posizioni, ugualmente protese verso l’imperatore e la politica pontificia, nell’Istoria di Sarpi, Martirano, insieme a Benedetto de’ Nobili, Salvatore Alepo, Tommaso Campeggi e Cornelio Musso, viene associato ad una fazione « più papale del papa », che intendeva rimettere direttamente le decisioni al pontefice, suscitando l’indignazione dei prelati spagnoli. 9 Vibrato fu anche il suo  













Istoria del concilio tridentino, a cura di C. Vivanti, Torino, Einaudi, 1974, vol. i, pp. 240, 242, 249, 416, 433; H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, trad. it., Brescia, Morcelliana, 1962, vol. ii, pp. 34-35 e passim; G. Alberigo, I vescovi italiani al Concilio di Trento, cit., pp. 208-220; F. Pometti, I Martirano, cit., p. 50. 1  G. Alberigo, I vescovi italiani al Concilio di Trento, cit., p. 200. 2   Concilium Tridentinum, cit., vol. i, p. 198. Stranamente il diario redatto da Girolamo Seripando anticipa l’arrivo del Martirano al mese di maggio : « Episcopi Neapolitani venere, Caputaquensis, S. Marci, Stabiensis, Castellimaris, Lanciani. », Concilium Tridentinum, cit., p. 407, n. 2. Ma è certo che il vescovo di S. Marco fu a Trento l’1 giugno 1545, cfr. Concilium Tridentinum, cit., vol. i, p. 198. 3   Ivi, p. 269. 4   Come ha scritto Alberigo : « Martirano e Giacomelli, che parlarono nella medesima seduta, sostennero […] l’assoluta necessità del divieto delle traduzioni ». Ivi, pp. 280-281. 5   Concilium Tridentinum, cit., vol. i, p. 504. Ivi, vol. v, p. 25. 6 7  G. Alberigo, I vescovi italiani al Concilio di Trento, cit., p. 379.   Ivi, vol. v, p. 105. 8   Come ricorda Alberigo : « […] incaricato di tenere l’orazione d’apertura della seconda sessione del 7 gennaio 1546. Egli fece una disanima delle cause della decadenza morale e religiosa e sottolineò l’importanza del Concilio, suscitando ampie approvazioni.G. Alberigo, I vescovi italiani al Concilio di Trento, cit., pp. 248-249. 9  P. Sarpi, Istoria del concilio tridentino, cit., p. 416; H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, cit., p. 408.  















33 l ’ attività di coriolano martirano intervento nella seduta del 13 agosto, nel corso della quale, oltre a prendere ancora la parola nella discussione sul canone della giustificazione, attaccò la dottrina luterana, alacremente osteggiata dal papa e dall’imperatore verso i quali, come si vedrà, i panegirici ricorrono costantemente nei suoi interventi al Concilio, 1 con toni e argomenti che rimandano al suo precedente discorso. In seguito Martirano prenderà parte al dibattito del febbraio del 1547 riservato al decreto « de residentia » ; 2 avrebbe dovuto anche tenere un nuovo sermone il 3 marzo 1547, ma, come attestano i documenti, ne fu impossibilitato da un’improvvisa raucedine. Nella prosecuzione dei lavori e precisamente l’11 marzo 1547, nel corso dell’ottava sessione, venne esposto il decreto di traslazione a Bologna della sede conciliare. 3 La decisione suscitò dissenso in molti, fra cui anche Martirano che, come ricorda Alberigo : « Fu l’unico dei prelati rimasti per protesta contro la traslazione che, in un secondo tempo, lasciò la città del Concilio ». 4 A questo punto è plausibile che il malcontento suscitato dal trasferimento di sede, abbia affievolito l’interesse del vescovo calabrese verso il Concilio, visto che dal ’49 al ’51, anno in cui Trento ritornò sede sinodale, la sua presenza non è attestata né risulta che si sia mai recato a Bologna. Sono noti, unicamente, suoi spostamenti durante gli anni ’45-’49. Il 1 maggio 1551, nel corso dell’undicesima sessione, viene emanato il decreto di riconvocazione del Concilio, secondo la Bolla di Giulio iii. 5 Il 28 settembre 1551 ritroviamo il Martirano a Trento in occasione di discussioni sull’Eucarestia e probabilmente della controversia tra le rappresentanze francescane e domenicane sulla presenza di Cristo nell’Eucarestia, 6 temi di considerevole importanza, che molto interessano da vicino la sua ideologia religiosa, marcando l’ispirazione teologica del Christus. Molto probabilmente si tratta dell’ultimo atto della sua partecipazione al Concilio di Trento, tenuto conto che, come già anticipato, rimase presso la città del Concilio sino al 1552, per fare definitivamente ritorno a Napoli nello stesso anno, restando presso questa residenza sino al 27 agosto 1557, data della sua morte.  











9. L’edizione degli scritti di Coriolano Martirano L’erudito vescovo Martirano non fu mai convinto di pubblicare i suoi scritti, meditando al contrario di distruggerli. 7 Ciò che ci resta ed è stato dato alle stampe è frutto delle cure del nipote Mario che nel 1556 consegnò all’editore Simonetta di Napoli ciò che aveva potuto preservare dai propositi censori dello zio, 8 a insaputa dello stesso che probabilmente si trovava in Spagna. L’edizione che ci è stata tra1   Concilium Tridentinum, cit., vol. i, p. 101; F. Pometti, I Martirano, cit., p. 64 n. 3. Il giudizio di Alberigo è più netto, rispetto a quello di Pometti : « Uomini come Tagliavia o Martirano giunsero anche ad avere importanti uffici politici, ma rimasero sempre sudditi fedeli del re di Spagna, senza alcuna partecipazione agli affari generali della cristianità ». G. Alberigo, I vescovi italiani al Concilio di Trento, cit., pp. 214-215. 2   Ivi, p. 52. 3  P. Sarpi, Istoria del concilio tridentino, cit., pp. 440-442. 4  G. Alberigo, I vescovi italiani al Concilio di Trento, cit., p. 249. 5 6  P. Sarpi, Istoria del concilio tridentino, cit., pp. 501-502.   Ivi, pp. 535-536. 7   Cfr. F. Pometti, I Martirano, cit., p. 105 ; Fiorentino, vol. i, p. 55. 8   Coriolani Martirani cosentini episcopi sancti Marci / Tragoediae viii : Medea / Electra / Hippolitus / Bacchae / Phoenisse / Cyclops / Prometeus / Christus. Comoediae ii : Plutus / Nubes. Odysseae lib. xii. Batracomyomachia. Argonautica, Neapoli, mdlvi.  











34 carlo fanelli mandata è quasi interamente occupata da testi teatrali e precisamente traduzioni latine di tragedie greche e più specificamente : Medea, Baccanti, Fenicie, Ippolito, il dramma satiresco Ciclope di Euripide ; Prometeo di Eschilo ; Elettra di Sofocle ; le commedie Pluto e Nuvole di Aristofane. A queste opere teatrali si aggiunge la traduzione latina dei primi dodici libri dell’Odissea, la Batracomiomachia e il primo libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio. Infine, l’edizione contiene la tragedia Christus. Si tratta di una tragedia in cui il Martirano, facendo uso del canone classico, incentra sul tema della Passione di Cristo proponendo un interessante e originale sincretismo tra il dramma classico e la tragedia religiosa rinascimentale, tuttavia assumendo, a ben vedere, una posizione del tutto originale rispetto ad entrambi i prototipi.  







10. Studi sulle traduzioni La definzione di una cronologia degli scritti contenuti nell’edizione Simonetta risulta alquanto impervia. Mancano notizie certe sulla relativa redazione, nessun ausilio fornisce l’edizione napoletana, in cui l’unico criterio redazionale presente è quello della suddivisione delle opere per genere, con al principio le tragedie, seguite dalle commedie e dai poemi. Tuttavia, nell’oblio che per lungo tempo ha ricoperto le traduzioni latine di Martirano un varco è stato aperto da un articolo che Monique Mund-Dopchie ha dedicato alla trasposizione del Prometeo. Nonostante vi si accosti con « prudenza », la studiosa belga riconosce al lavoro di Martirano una certo rigore nel seguire l’ordinamento strutturale della tragedia eschilea pur ascrivendola nel novero delle « belle infedeli », cioè stilisticamente apprezzabile ma filologicamente infedele. Anche la traduzione dell’Elettra ha ricevuto attenzione in ambito internazionale da parte della studiosa ungherese Júlia Sárközy, 1 la quale l’ha individuata come prototipo della traduzione in lingua ungherese del dramma euripideo di Péter Bornemisza. 2 La traduzione dell’Ippolito è stata brevemente esaminata da Anna Cerbo che la presenta come :  









il migliore degli otto drammi [in cui] l’autore sembra schivare sia gli ornamenti retorici e l’abuso delle sentenze di Euripide, sia le affettazioni di Seneca, per puntare decisamente sulla essenzialità delle passioni – e concludendo sulla protagonista femminile del dramma – rispetto al testo greco, la Fedra del Martirano è senz’altro più passionale che ragionatrice. 3

11. Fonti e datazioni Nonostante la non esigua tradizione a stampa illustrata, la ricerca sulle fonti utilizzate dal Martirano potrebbe anche non escludere la tradizione manoscritta e nello specifico – in via del tutto ipotetica e ancora priva delle necessarie confer1

 J. Sárközy, L’Elettra latina di Coriolano Martirano, « Acta Antiqua Academiae Scientiarum Hungari2 cae », xxxix, 1999, pp. 313-328.   Ivi, p. 313. 3  A. Cerbo, Il teatro dell’intelletto. Drammaturgia di tardo rinascimento nel Meridione, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1990, pp. 80-81. La peculiarità della versione di Martirano, rispetto a Seneca è stata ben evidenziata anche da G. Distaso, Strutture e modelli nella letteratura teatrale del mezzogiorno, Fasano, Schena, 1990, p. 24 n. 32.  



35 l ’ attività di coriolano martirano me – manoscritti presenti nella biblioteca del conterraneo Aulo Giano Parrasio. Si tratterebbe del patrimonio bibliografico appartenuto al maestro di Bernardino, comprendente manoscritti greci di Eschilo, Sofocle ed Euripide, raccolto, come già detto, da Gerolamo Seripando presso la Biblioteca di S. Giovanni a Carbonara di Napoli.1 Non è da escludere, ancora, che Martirano possa essersi anche servito degli indici e repertori presenti nella biblioteca di Sannazaro, come sappiamo passata ai Martirano dopo la morte dell’autore. Per di più, specificamente nel caso della parziale traduzione dell’Iliade, un utile supporto potrebbe essere stato per il Martirano l’incontro fatto a Napoli con l’orientalista tedesco Johann Albrecht Widmanstetter il quale, ricoprendo nel 1531 l’incarico di lettore di greco presso lo Studio di Napoli, 2 vi tenne pubbliche letture dell’opera omerica tradotta. L’individuazione delle fonti utilizzate per le traduzioni risulta altresì preziosa per determinare anche la cronologia delle opere di Martirano, pubblicate nell’edizione napoletana del 1556, trattandosi di scritti di certo precedenti all’effettiva pubblicazione. Una prima ipotesi di datazione è stata proposta da Monique Mund-Dopchie che colloca il Prometeo in anni vicini al 1552. Diversamente, l’ipotizzato nesso con i manoscritti parrasiani e sannazariani potrebbe consentire di retrodatare le traduzioni agli anni ’30-’40 : 3 collocate negli anni ’30-’40, le traduzioni del Martirano, apparirebbero come un significativo ed erudito approccio ai classici. Mentre raggiungendo la metà del secolo il loro valore risulterebbe attenuato rispetto ad esiti più felici di personalità letterarie di maggiore rilevanza.  

12. Conclusioni Per una corretta disamina biografica e letteraria dell’erudito vescovo calabrese è necessario installarne l’appartenenza alla temperie che precede e accompagna l’epoca di avvicendamento tra Riforma e Controriforma, gli anni Quaranta del Cinquecento così densi di avvenimenti cruciali per la società e la cultura rinascimentale dell’intera Europa. Da un punto di vista letterario, Martirano è da associare al classicismo che in Aristotele e Orazio trova una vincolante strutturazione di genere e che in Italia meridionale rivela riferimenti importanti anche nella riscoperta e rivalutazione in sede editoriale e spettacolare di tragedie e poemi classici. 4 È questa l’epoca in cui è in pieno fervore l’attività di riedizione dei tragici greci. Nel 1502 Aldo Manuzio pubblica in greco Sofocle, l’anno successivo Euripide e nel 1518 Eschilo, edizioni alle 1   Nello specifico ci si riferisce ai ms. Neap. ii f 29, con Prometeo, Sette a Tebe e Persiani, che riporta note marginali in latino vergate dal Parrasio. 2   Mansione che fu di Costantino Lascaris nel 1465, cfr. C. De Frede, I lettori di Umanità, cit., p. 28. 3   Si tenga presente che le fonti greche del Prometeo utilizzate da Robortello e per l’edizione aldina, rimontano ad un gruppo di manoscritti che appare riferibile a diversa fonte e non facenti parte di uno stesso stemma, mentre risultano abbastanza vicini, per relazione e tradizione d’appartenenza, a quelli posseduti da Parrasio. 4   Martirano viene collocato in area meridionale anche da A. Della Rocca, L’Umanesimo napoletano del primo cinquecento e il poeta Giovanni Filocalo, Napoli, Liguori, 1988, pp. 33-34 ; G. Distaso, Strutture, cit., pp. 18 e 24, e A. Cerbo, Il teatro dell’intelletto, cit., pp. 14, 59, 80-81. Un accento sulla connotazione religiosa dell’opera del Martirano, pure nel contesto dell’Italia meridionale, si trova in G. Fallani, La letteratura religiosa in Italia, Napoli, Loffredo, 2001, p. 60 e A. Bisicchia, Il teatro e il sacro, Milano, San Paolo, 1998, p. 125.  

36 carlo fanelli quali va associata la traduzione latina di Euripide curata da Erasmo da Rotterdam nel 1506. 1 Ma questa è anche l’epoca in cui, grazie alla « generazione venuta dopo l’Ariosto », 2 si avvia il « dibattito intorno alla Poetica » che, inaugurato a Padova da Bartolomeo Lombardi nel 1541, proseguito da Vincenzo Maggi, era stato anticipato dalla prima edizione in greco del 1503 e la traduzione in latino di Giorgio Valla (1498) e del Pazzi (1527), dilaganti poi nel 1548 grazie alle Explicationes del Robortello, il volgarizzamento di Bernardo Segni (1549), e i Commentarii del Vettori (1560). Questa prima fase del dibattito è accompagnata da una seconda sollecitata dai « grandi commenti volgari » di Lodovico Castelvetro (1570), Alessandro Piccolomini (1575) e quello latino del Riccoboni (1585). 3 In ogni modo alla produzione letteraria in latino, a partire dagli anni ’40, comincia a subentrare quella in volgare. Conseguenza e allo stesso tempo dimostrazione di tale avvicendamento è il mutamento subito dall’attività della stamperia di Aldo Manuzio che fino al 1536 aveva prodotto prevalentemente opere latine e greche, finché dal 1539, ad opera dei suoi eredi, indirizzerà le sue scelte editoriali verso testi in volgare. 4 Si attesta, pertanto, l’epoca in cui, come ha scritto Carlo Dionisotti : « Alla rarefazione dei testi classici corrisponde il prodigioso moltiplicarsi dei volgarizzamenti », 5 dei quali valore emblematico assume l’Eneide di Annibal Caro, la cui redazione ebbe inizio nella primavera del 1563 e si concluse nei primi di maggio del 1566. 6 Di contro, infine, il Christus, l’opera più importante e nota del vescovo calabrese, componimento che installa il fervore religioso in un genere teatrale rigidamente definito, si impone come perfetto esempio di sincretismo tra le forme tragiche classiche e il dramma religioso, un insieme strutturale che figura come uno dei più interessanti esempi di drammaturgia sacra anch’essa proteso e incline verso la cultura europea della Controriforma.  

















1   Come ricorda F. Doglio : « L’ultimo dato culturalmente importante per la storia del teatro tragico del ‘500 […] è rappresentato dalla riscoperta e divulgazione, attraverso il nuovo strumento, la stampa, dei classici greci, specialmente di Aristotele e dei tragici», cfr., Il teatro tragico italiano, Parma, Guanda, 1960, p. xxxi. 2   Secondo la definizione di E. Raimondi, Rinascimento inquieto, Palermo, Manfredi, 1965, p. 13. 3   Cfr. M. Pieri, La nascita del teatro moderno in Italia, Torino, Boringhieri, 1989, pp. 145-46. 4   Cfr. C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1967, p. 241. 5   Ibidem. 6   Cfr. G. Crupi, L’Eneide di Virgilio di Annibal Caro, in Letteratura italiana, Le opere, t. i, Dalle origini al Settecento, a cura di A. Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1993, pp. 564-565.  



Elisabetta Selmi, ‘Formazione’ e ‘ricezione’ del pensiero telesiano nel dialogo con i filosofi e i letterati dello Studio Patavino

‘FORMAZIONE’ E ‘RICEZIONE’ DEL PENSIERO TELESIANO NEL DIALOGO CON I FILOSOFI E I LETTERATI DELLO STUDIO PATAVINO Elisabetta Selmi

I

l Proemium alla prima edizione in due libri del De natura iuxta propria principia (1565) immortala l’immagine del dottissimo Vincenzo Maggi, brixianus e peripatetico rappresentante del dibattito più illuminato dello Studio padovano, quale supervisore imparziale e lungimirante dell’opera del Cosentino, pronta per essere licenziata alle stampe. Nella sua immagine di ‘sapiente antico’, affrancato da faziosità di parte e in grado, per la sua autorevolezza, di mediare anche nella roccaforte più intransigente dell’aristotelismo cinquecentesco le novità di metodo del pensiero telesiano, il Maggi, lì ricordato a pochi mesi di distanza dalla morte, 1 viene ad incarnare icasticamente il modello di una moderna libertas philosophandi. Contro ogni verosimile presunzione dei suoi animosi detrattori, Telesio attribuisce al filosofo bresciano una condotta di equanime ascolto e di favorevole accoglienza verso quella sorta di esprit de clarté con cui egli aveva saputo attaccare non indiscriminatamente le verità dei Peripatetici, ma piuttosto la ridda inconcludente delle cavillose contraddizioni stratificatesi nella glossa vulgata dei commentatori aristotelici, per l’oscurità e le lacune esistenti nell’impianto logico e definitorio con cui lo Stagirita aveva trattato aprioristicamente i fondamenti elementari delle scienze, 2 così che, di fronte alle ricusazioni telesiane, anche il Maggi di necessità « principia nihil improbavit et quod non e principiis flueret videre nihil potuit, Aristotelem in nullis certe satis defendere est visus ». Quel 1563 in cui, già nel lontano Ottocento, Francesco Fiorentino collocava la data dell’incontro telesiano 3 con il Maggi, acclarata da un’illustre lettera, del 22 settembre dello stesso anno, di Sertorio Quattromani, 4 nella quale riferiva all’amico cosentino delle stupefatte reazioni con cui i filosofi romani avevano appreso, loro malgrado, del consenso accordato dal magister bresciano all’opera; se non cancella  



1   G. Tiraboschi, Storia della Letteratura italiana. t. vii, Napoli, Muccis, 1781, p. 261, pone la data della morte del Maggi nel 1564. Ma mi permetto di rinviare anche alla mia voce : Maggi Vincenzo, in dbi, Roma, Istituto della Enciclopedia Treccani, 2006, pp. 365-369. 2   Stante alla collazione dei codici telesiani relativi alla prima edizione del 1565, ora descripta da A. Ottaviani nell’edizione critica De natura 2006, pp. xi-lix, dall’esemplare postillato di carte autografe del cod. 71 3 D 29 conservato in Roma, Biblioteca Nazionale (= cod. Ro), una sorta di « codice di lavoro », si evince il tormentato iter redazionale e teorico che coinvolge alcuni nodi cruciali del confronto telesiano con l’aristotelismo scolastico e quello cinquecentesco e della critica telesiana al De caelo di Aristotele che 3 coinvolge il processo correttorio dei capitoli centrali del ii libro.   Fiorentino, pp. 83-85. 4   S. Quattromani, Scritti, a cura di F. W. Lupi, Cosenza, Centro Editoriale e Librario, 1999, pp. 2021.  





38 elisabetta selmi del tutto dubbi e sospetti di un’enfatizzazione mirata degli esiti, all’interno di una strategia pubblicitaria abilmente giostrata da un preciso côté meridionale, segna nondimeno lo spartiacque decisivo di una ricezione avviata su binari d’indiscusso prestigio. La stessa scelta del Maggi, senza avventurarsi sul terreno spinoso, congetturato dal Fiorentino, di un’intermediazione del Casa o del Vettori nel rapporto fra i due filosofi e in attesa di una più fondata documentazione sui soggiorni patavini del Telesio, resta comunque un termometro prezioso di un coinvolgimento non occasionale di pensatori di punta nell’establishment dell’aristotelismo veneto di medio Cinquecento, riguardo a una dialettica di indirizzi e posizioni sfumate, innescata da un vero e proprio gruppo di novatores, non liquidabile sic et simpliciter in una partita di pregiudiziali contrapposizioni. A dare consistenza a un ruolo del Maggi apripista, all’interno dello schieramento aristotelico giunge il frammentario e ancora disperso corpus manoscritto delle carte che raccolgono le lezioni del filosofo bresciano sul De coelo di Aristotele. 1 È in particolare un fascicolo di discussioni accademiche che si conserva nella miscellanea di Adnotationes et Disputationes sulla Metafisica e sulla Fisica, sottoscritte da illustri e meno noti interpreti di Aristotele (Paolo Gradi, Simone Porzio, Marcantonio Passeri, il Genua, con l’aggiunta di Antonio Persio), racchiusa nel cod. G 69 inf. della Biblioteca Ambrosiana a offrirci alcuni lumi di indirizzi e interessi del Maggi nel dibattito degli anni Cinquanta, in cui l’aristotelismo critico più aggressivo dello Studio patavino aveva inteso avviare una revisione epistemologica a tutto campo su quegli agentia rerum omnium principia, che, per altre vie, anche Telesio poneva al centro di una rifondazione moderna sensibus demonstrata. Da tale corpus già in passato Luciano Artese aveva stralciato ed edito le carte di Antonio Persio, le Disputationes, 2 al medico Sebastiano Augenii, che aveva dato alle stampe a Venezia, nel 1551, i suoi In Hippocratis librum de natura humana commentarii duo, per l’appunto l’opera di cui sono replica le dissertazioni del fedelissimo allievo e collaboratore di Telesio, dal Paparella plausibilmente conosciuto negli anni del suo insegnamento presso lo Studio perugino. Una stessa linea ideale di affinità e di discussione metodologica, pur nella varietà delle posizioni aristoteliche e naturalistiche, su luoghi precipui della Fisica accomuna gli interventi riuniti nella miscellanea ambrosiana a rafforzare l’ipotesi di una raccolta predisposta dalla mano di un erudito esperto di questioni accademiche : carte di servizio che si ritengono provenienti dall’archivio di Gian Vincenzo Pinelli, che, fra l’altro, del Genua a Padova, al dire di Paolo Manuzio, 3 era stato felicissimo allievo ; carte in seguito entrate a far parte dei fondi del cardinale Federico Borromeo. Lo stesso De numero et qualitati 



1   Il suo insegnamento si trova raccolto in Compendium in libros de Coelo et Mundo, di cui il censimento delle carte mss. si legge in C. H. Lohr, Latin Aristotle Commentaries. Renaissance authors, ii, Firenze, Olschki, 1988. 2   L. Artese, Filosofia telesiana e Ramismo in un inedito di Antonio Persio, « Giornale critico della filosofia italiana », xlvi, 1987, pp. 433-458, pubblica in Appendice le Disputationes quatuor : Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. G 69 inf, cc. 139r-149r. 3   La notizia si evince in primo luogo dalla Storia della letteratura italiana di G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, in Modena, Società Tipografica, 1777, t. vii, p. 350 sgg. (cfr. Lettere di Paolo Manuzio copiate sugli autografi esistenti nella Biblioteca Ambrosiana, Parigi, Renouard, 1834, p. 367 : lettera n. xxv).  







39 ‘ formazione ’ e ‘ ricezione ’ del pensiero telesiano bus, ricostruito nella sua storia da Artese, è ritenuto appartenere a quel gruppo di opuscoli con cui il Persio, intorno agli anni Settanta, lasciata la dimora perugina, si recava a Venezia profondendosi nell’opera di divulgazione delle tesi e degli scritti telesiani, di cui nota è la disputa filosofica che ne rappresentò, per così dire, l’acme, svoltasi in casa del patrizio Giorgio Corner il giorno dell’ascensione, nel 1575, con un gruppo di filosofi e medici in buona parte di provenienza dallo Studio patavino. 1 Una disputa, si ricorda, che fu parte di quella strategia promozionale veneto-padana di dibattimento sul pensiero telesiano, in cui s’inscrive pure l’incontro, quanto le ragioni di una progressiva dialettica distanziante, per sommi capi riconducibile al nodo del rapporto tra sensi e ragione e alla comprensione cognitiva della materia, fra Francesco Patrizi e Telesio sul comune terreno di ricerca di una veritas perennis e di una sapienza degli antiquiores, fisiologi e presocratici, 2 da giostrarsi in funzione antiperipatetica, contro le devianze di un aristotelismo colpevole di aver causato un divorzio, ormai insanabile, fra il pensiero e le res. Tale confronto, già ben illustrato dalla critica più recente e dalle ricognizioni patriziane di Vasoli, si legge in appendice ai Varii de naturalibus rebus libelli, editi da De Franco. 3 Nel suo esordio il De numero et qualitatibus si configura anch’essa come una confutazione del metodo contraddittorio con cui nel « Primo Phisice » 4 Aristotele aveva liquidato le teorie fisiologiche di Melisso e di Parmenide, valutando erroneamente il principio parmenideo dell’« Uno immobile » su un piano che finiva per confondere la riflessione naturalistica con quella metafisica e ontologica, 5 con l’esito poi di rivalersi di un ente parmenideo, così travisato, per definire il proprio « primum principium […] immobile, unum eternum », ossia il ‘motore immobile’ : in una prospettiva, quindi, comune ad altri censori di Aristotele, e, tra questi, lo stesso Patrizi, che intendeva far risaltare, oltre ai fondamenti equivoci del pensiero dello Stagirita, anche i suoi innumerevoli plagi. Del resto, come ha ben messo in luce Artese, il senso dell’intervento del Persio, riletto anche nel contesto di altre opere scritte, in quegli anni, dal telesiano, quali il Liber novarum positionum (1575) e il Trattato dell’ingegno dell’huomo 6 (1576), mostra di fiancheggiare per vari aspetti la critica patriziana ad Aristotele delle Discussiones peripateticae, il cui primo volume aveva visto la luce proprio nel 1571, con uno scambio assai vivace di opinioni da cui ripartire, attingendo ad altre tradizioni esegetiche sulla linea di Simplicio o sulla neoplatonica di Bessarione e di Giovan Francesco Pico, 7 per rifondare la conoscenza e sviluppare un più autentico confronto con l’ele 













1   Della disputa dà conto Artese, con una pregevole ricostruzione delle sue motivazioni più profonde, sia in Filosofia telesiana e ramismo, cit., pp. 436-437 ; sia in Idem, Il rapporto Parmenide-Telesio dal Persio al Maranta, « Giornale critico della filosofia italiana », lxx, 1991, pp. 19-21. 2   Si rinvia alle sempre persuasive pagine di C. Vasoli, Il ritorno alle origini e la difesa della « libertas philosophandi ». Aristotele e i filosofi « antiquiores » nelle « Discussiones peripateticae », in Francesco Patrizi da Cherso, Roma, Bulzoni, 1989, pp. 150-153 ; Idem, Su alcune obiezioni di Francesco Patrizi al Telesio, in Atti del Convegno internazionale di Studi su Bernardino Telesio, Cosenza, Accademia Cosentina, 1990, pp. 193-203. 3 4   Libelli 1981, pp. 453-495.   L. Artese, Filosofia telesiana, cit., p. 443. 5   Ibidem. Nel ms. De numero et qualitate : alla c. 141r. 6  Il Trattato dell’ingegno dell’uomo, Venezia, Manuzio, 1576, ed. moderna a cura di L. Artese, Antonio Persio, Trattato dell’ingegno dell’huomo, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 1999. 7  Vedi infra.  





















40 elisabetta selmi atismo. Ma soprattutto, nel suo valore meno contingente, appare come un tentativo molto più complesso e strategico di difesa, da parte di Persio, di quella unità originaria fisica e metafisica del principio eleatico e dell’ente parmenideo in funzione di un ‘parmenidismo’ telesiano, trascendente le stesse intenzioni di Telesio, di replica a chi, come il Chersino, aveva sollevato non pochi dubbi sui modi con cui il Cosentino avrebbe finito per farsi interprete di una sorta di ‘eleatismo dimidiato’ : ridotto a una conoscenza contraddittoria solo per via dei sensi, laddove Parmenide, giusta la censura del Patrizi, 1 aveva conferito invece valore conoscitivo unicamente alla ragione. Persio si prefiggeva, in sostanza, di compensare i limiti e le aporie del naturalismo telesiano con il supporto di forti suggestioni neoplatoniche e avviandone, attraverso il concetto di uno spiritus universalis che si declina secondo la molteplicità dei ‘sensibili’, la ricezione su una linea parmenidea che si sovrapporrà e agirà come filtro nella lettura postuma del De rerum natura, già a partire da un intelligente, interprete moderno, quale Francesco Bacone, che nella sua allegoria filosofica delle fabulae Cupidinis et Coeli fa mostra di accostare il pensiero di Telesio a quello di Parmenide nella categoria delle ‘filosofie pastorali’ e contemplative. L’intervento di Persio, raccolto nel cod. ambrosiano, è prezioso testimone, quindi, del dialogo e della collaborazione che il Materano intrattenne con Telesio in rapporto alla seconda edizione del De rerum natura (1570), e al lungo e tormentato processo di revisione della terza redazione dell’opera, che si concluse con la stampa del 1586. È, inoltre, documento dei modi con cui il discepolo, pensatore a sua volta originale, si faceva tramite presso gli ambienti settentrionali di una ricezione del maestro chiaramente orientata a smussarne le asperità a rischio di censura teologica, 2 come ad allontanare l’equivoco formarsi, anche per un certo effetto di ricaduta delle obiezioni del Patrizi, di una non meno pericolosa riduzione del naturalismo telesiano, nella sua critica all’aristotelismo scolastico in favore di una Natura autonoma provvista di forza e sensibilità propria, a una semplice riproposizione di dottrine parmenidee, viziate da un insanabile dualismo corporeo-incorporeo. Contro tale riduzione Persio aveva inteso fare fronte proprio con il puntello di soluzioni cosmologiche di derivazione neoplatonica, che enfatizzavano e reinterpretavano alcuni tratti di un certo ‘naturalismo vitalistico’ meridionale, presenti in Telesio, in una chiave di animismo misticheggiante, 3 di partecipazione dello spiritus alla vita universale e di rilettura ‘teologica’ dei presupposti dell’eleatismo : nell’ottica, ben illustrata dal Garin e poi dall’Artese, di « uno Spirito parte di una natura solare », datore di vita e sensibilità all’Universo, nel suo anamnestico ritorno attraverso « la scala di terreni et umani Soli per gradi al celeste et intellettual Sole ». 4 È  











1   Le censure patriziane a Telesio si leggono nell’Appendice in calce alle Solutiones obiectionum Francisci Patritii, in Libelli 1981, pp. 463-464. 2   Sia sufficiente ricordare le ampie polemiche e i risvolti religiosi sollevati dalle considerazioni telesiane sull’elemento dell’acqua, che, non casualmente, acquista un’importanza centrale anche nella terza e quarta parte delle Disputationes quatuor de numero et qualitatibus elementorum del Persio, immediatamente sottoposte all’accusa di essere eretiche. 3   Fra i tanti, esemplare un passo del Trattato dell’ingegno dell’huomo, cit., p. 28, che con motivi neoplatonici espone un’immagine dell’Universo compenetrata dall’azione dello spiritus. 4   L. Artese, Filosofia telesiana e ramismo, cit., pp. 441-443.

41 ‘ formazione ’ e ‘ ricezione ’ del pensiero telesiano una strada, questa intravveduta dalla rilettura del Persio, che sembrerebbe gettare un ponte verso alcune « suggestive intonazioni », debitrici del « giudiciosissimo Telesio », di un Telesio per l’appunto filtrato da uno schermo panteistico e neoplatoneggiante, che si leggono nel De la causa di Bruno, dove si ribadisce che « raggionandosi iuxta gli propii principii si mostra una essere la materia di cose corporee et incorporee ». 1 Di fatto, lo stesso Persio, re inscrivendo la gnoseologia sensistica di Telesio in un cosmo animato da una mens anima mundi neoplatonica, aveva a suo modo cercato di aggirare quelle tensioni dualistiche tra senso e ragione su cui avevano posto l’accento le censure patriziane. Di recente Mario Agrimi, in un saggio sulla fortuna telesiana, ipotizzava nella tela dei rapporti fra Francesco Muti (al dire del Chersino, nella Nova de universis philosophia, « auditor » di Telesio), attivo nella cultura ferrarese e collaboratore del Persio nella cura dei Varii libelli, il Persio stesso e il Patrizi la presenza di un comune intento di rilettura del filosofo cosentino « in senso platonizzante, ma di poco successo ». 2 Un giudizio, si crede, forse un po’ limitativo che meriterà un supplemento d’indagine proprio in quel territorio, ancora in buona parte da esplorare, sfuggente a rigide catalogazioni, singolare di un certo sincretismo estense e padano, combinatorio di saperi ermetici, naturalismo medico e platonismo mediocinquecentesco, in voga sia nella riflessione accademica come nella letteratura cortigiana, che si ritrova nei Commentari e negli scritti influenzati da Antonio Musa Brasavola e di Antonio Montecatini o nelle opere di Renato ed Ercole Cato, come nelle complesse stratificazioni di indirizzi e fonti dei dialoghi di letterati quali Flaminio Nobili, Annibale Romei o di Torquato Tasso. 3 Non c’è ragione, tra l’altro, per non prestar fede al giudizio spassionato di un contemporaneo di Bacone, il matematico e filosofo inglese Henry Savile che, in una lettera (anche questa ritrovata fra materiali manoscritti di appartenenza al Pinelli) di recente pubblicata, scrivendo al vescovo apostata Andrea Dudith-Sbardellati, ricordava come nel suo soggiorno a Ferrara presso il Patrizi, nei primi anni Ottanta, avesse potuto constatare l’insofferenza del Chersino per « i trofei di Telesio », la cui « setta » aveva trovato « lì molto lodatori ». 4 Sempre nel cod. Ambrosiano, fra le carte trasmesse dall’archivio del Pinelli, il fascicolo di abbozzi e appunti di riflessione sul « Proemio della Fisica », vergato dalla mano del Maggi, documenterebbe, invece, di quella fase iniziale di un confronto fra i presupposti critici del pensiero telesiano, circolante nella forma dell’editio princeps in due libri, e le punte più avanzate della riflessione ermeneutica e logica dell’aristotelismo patavino sulla filosofia della natura (nell’intreccio problematico e sempre più dirimente dei rapporti fra fisica e metafisica) : testimonianza, quindi, di quei precorrimenti che favorirono un terreno di dialogo, per un proficuo scambio di opinioni, e la scelta d’elezione del peripatetico bresciano, fra i tanti illustri colle 





































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  G. Bruno, Dialoghi italiani, a cura di G. Aquilecchia, Firenze, Sansoni, 1957, p. 261 e p. 182.   Ibidem. 3  Vedi infra. Per i dialoghi del Romei, esemplare testimonianza del sincretismo filosofico estense, si rinvia a S. Prandi, Il cortigiano ferrarese : i discorsi di Annibale Romei, Firenze, Olschki, 1990. 4   Le lettere del Savile si conservano presso la Biblioteca Ambrosiana, cod. D 243, si leggono trascritte in Appendice a C. Maccagni-G. Derenzini, Libri Apollonii…qui desiderantur, in Scienza e Filosofia. Saggi in onore di Ludovico Geymonat, a cura di C. Mangione, Milano, Garzanti, 1985, p. 688. Ne parla anche L. De Franco, La teoria della luce di Bernardino Telesio, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, a cura di R. Sirri e M. Torrini, Napoli, Guida, 1992, pp. 51-77 : a pp. 75-76. 2





42 elisabetta selmi ghi aristotelici del tempo, per il varo accademico del De natura. Quello ambrosiano è, infatti, un frammento di quel più ampio magistero del Maggi, ancora in attesa di una moderna ricostruzione critica, sui naturalia aristotelici, che si interroga, con gli strumenti della methodus logica patavina, sui fondamenti della gnoseologia ‘sensistica’ e sui limiti epistemologici con cui Aristotele aveva proceduto nella determinazione delle ‘cause prime’. Nella miscellanea ambrosiana sembrerebbe proprio il Porzio, con una Paraphrasis, declaratio ad loca (cc. 113r-v), un ‘sommario’ di discussione metodologica su alcuni passi difficili e contrastanti della Fisica e del De generatione et corruptione, relativi alle causae primae, 1 a sollevare la quaestio e a sollecitare l’intervento del Maggi. Il dialogo che coinvolge i due filosofi sui « principi intrinseci delle cose naturali », a partire dall’asserzione porziana che « innata est autem ex notioribus nobis via, et manifestioribus ad manifestiora naturae » (cc. 113r-v), aggiunge un modesto tassello documentario al mosaico ancora nebuloso di quei « multis et eximiis quidam viriis » che, negli anni Cinquanta, insieme al logico bresciano avevano contribuito con la loro libertà di critica e revisione dei fondamenti aristotelici, relativi alla materia e alla forma, al moto e all’anima, a creare i presupposti e i termini per un confronto tutt’altro che marginale con il sistema della conoscenza e della fisiologia telesiani. Saranno se mai ragioni estrinseche, il « rigore dei tempi » e la messa all’indice dell’audacia con cui Telesio aveva affrontato da una stessa presunzione naturalistica il corporeo e l’incorporeo, nella consegna dello spiritus a una sostanziale fisicità e dell’etica a un dominio di attitudini naturali, senza il ricorso ai consueti schermi della doppia verità e alla scissione fra ragione e fede, così abituali alla tradizione patavina degli allievi del Pomponazzi, come poi a Zabarella e Cremonini, 2 a far prevalere l’idea di una pregiudiziale e un po’ forzosa reductio ad unum storiografica fra i logici aristotelici patavini pregalileiani e galileismo fisico-sperimentale e matematico, quale unica linea dei progressi della moderna rivoluzione scientifica. Così da emarginare la lezione naturalistica del Cosentino, fissandola nel presunto, quanto discutibilissimo alla luce di una ben più attrezzata storiografia recente, isolamento aureo di un contributo più di « demolizione dell’aristotelismo scolastico » che di effettiva incidenza sulla nuova cultura. Un processo, si è detto, cui aveva cercato di ovviare, a suo modo, proprio il ‘parmenidismo’ del Persio e il suo tentativo di ricomposizione della fisica e della metafisica attraverso soluzioni sincretistiche neoplatoneggianti, di cui si faranno mediatori alcuni dei seguaci più originali del telesianesimo tardocinquecentesco, come Quattromani e Campanella. 3 Anche in tale contesto a Campanella interessava far risaltare una linea parmenideo-pitagorico-platonica, interprete di una struttura generale del mondo, di cui Telesio diveniva l’indiscusso capostipite moderno e il geniale collettore delle energie latenti di un fiorente vitalismo meridionale, di una metafisica e  



















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  Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. G 69 inf., fasc. 8, c. 113r.   Su Jacopo Zabarella la bibliografia è sterminata, si rinvia solo al sempre utile A. Poppi, La dottrina della scienza in Giacomo Zabarella, Padova, Antenore, 1972 ; per Cremonini si rimanda ora al recente G. F. Pagallo, Alla ricerca dei principi : ermeneutica e questioni di metodo nei primi scritti di Cesare Cremonini, in Cesare Cremonini aspetti del pensiero e scritti. i, Il Pensiero, a cura di E. Riondato, A. Poppi, Padova, La Garangola, 2000, pp. 43-85. 3  Nella Prima disputatio della Philosophia sensibus demonstrata, in T. Campanella, Opere complete, a cura di L. De Franco, Napoli, Vivarium, 1992, pp. 15-16. 2





43 ‘ formazione ’ e ‘ ricezione ’ del pensiero telesiano di una cosmologia naturalistica radicata nell’esperienza e nella ricerca speculativa, già a partire da un certo umanesimo del Parrasio e del Pontano : una linea che nei prosecutori seicenteschi della lezione telesiano-campanelliana, fra Marco Aurelio Severino e gli Investiganti di Tommaso Cornelio, si paleserà anche nel suo tentativo più polemico di delineare « una tradizione filosofica italica autonoma e alternativa rispetto a quella peripatetica ». Non va però tralasciato un dato tangibile, non sfuggito infatti alla critica più attenta, ossia di come la veste con cui si presentava l’editio princeps in due libri dell’opera telesiana contribuisse a indurne equivoche ricezioni o a favorirne alcuni stereotipi (a mostrare in tutta la sua complessità lo scarto operato dalla nuova ‘fisica’ e dalla nuova ‘antropologia’ di Telesio saranno, per l’appunto, oltre all’impegnativo v libro, sull’intera fisiologia degli esseri viventi, a partire da piante e animali, i finali, vii, viii e ix, della terza edizione del De rerum natura), favorendo quelle semplificazioni astrattivo-metafisiche del sistema filosofico del Cosentino, di cui fanno fede emblematicamente le critiche del Patrizi che, non senza qualche ragione, osservava come : « contemplatio omnium pulcherrima, quaeque universam tuam philosophiam comprehendit ; sed magis metaphysica videtur quam physica ». 1 Non diversamente anche il Ristretto in volgare della filosofia di Telesio licenziato dal Quattromani, 2 che molto probabilmente si era fatto tramite anche a ripensamenti del Tasso e della cultura ferrarese sul naturalismo meridionale, rafforzava l’immagine, sia pure in quella « strategia riduttiva » 3 con cui era intervenuto l’epitomatore, di un’opera internamente sommossa anche da un’ambizione cosmologica, progettualmente orientata a una metafisica naturale attraverso una gnoseologia del senso. Non sappiamo come il Maggi leggesse i primi due libri del De natura, da quale angolazione conducesse l’inevitabile confronto fra i principia naturali di Telesio e quelli aristotelici della sua formazione (ma anche classici, di un naturalismo pliniano e plutarcheo peculiare di una certa tradizione umanistica bresciana e veneta da cui proveniva, nonché appartenenti a una cultura medica ben visibile nei suoi scritti) : principi di un aristotelismo, fra l’altro il suo, che ancora attende di venire adeguatamente valutato per essere sottratto a indebite e fuorvianti generalizzazioni. Non ultime si configurano pure le resistenti e inerti, perché trasmesse acriticamente da una vulgata storiografica che quasi esclusivamente ha atteso agli scritti retorici del filosofo, etichette di un pius Madius lettore controriformistico dell’etica e della Poetica aristoteliche (paradosso in terminis, anche solo cronologico), laddove esplicito si presenta l’aggiornamento logico-scienziale della lezione maggiana rispetto ai fondamenti delle artes sermocinales e alla loro destinazione, se mai, utilitaristica, all’insegna di quel ruolo ‘architettonico’ assunto dalla ratio civilis nella tassonomia delle discipline ridisegnate dal dibattito ‘Infiammato’ patavino e dalla trattatistica  



















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  Il passo è ripreso dal Caput xxix delle confutazioni di Patrizi, in Libelli 1981, cit., p. 470.   S. Quattromani, La filosofia di Bernardino Telesio ristretta in brevità e scritta in lingua toscana (1589), a cura di E. Troilo, Bari, Società Tipografica Barese, 1914. 3   Si rinvia per un equilibrato bilancio dell’intervento del Quattromani a A. Fratta, Il ‘Ristretto’ di Sertorio Quattromani nell’ambito delle tradizioni scientifico-filosofiche del secondo Cinquecento, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, cit., pp. 297-315. 2

44 elisabetta selmi filosofica ed etica di uno Sperone Speroni o di un Alessandro Piccolomini. 1 Il pensiero etico e retorico del Maggi sembra piuttosto inclinare verso quelle correnti dell’‘utilitarismo’ civile veneto, in cui la riflessione aristotelica si coniugava con le istanze sempre vive di una neoplatoneggiante institutio del vivere sociale e della mondana felicità, e dove dottrine come quella piccolominea dei « semi di virtù » 2 o quella ereditata dal Della Casa della comune filia fra gli uomini, 3 quale fondamento della conviventia, tradiscono visibilmente la torsione verso nuovi assetti teorici nel tradizionale rapporto delle categorie di ‘naturalità’ e ‘socialità’, rappresentando anche un terreno propedeutico per esiti cui giungerà il naturalismo morale telesiano, nei libri finali dell’edizione 1586 dei Commentarii de rerum natura. 4 Più sfuggente si prospetta invece l’ancora frammentaria conoscenza dell’aristotelismo ‘fisico’ del filosofo bresciano e la sua collocazione nel quadro delle animose diatribe che in quegli anni agitavano la vita dello Studio patavino. Che l’insegnamento del Maggi sui Naturalia incontrasse favori e successi lo testimoniano varie fonti del tempo 5 a partire da una lettera di Francesco Davanzati 6 a Pier Vettori in cui lo informava del suo proposito di recarsi a Ferrara per seguire le lezioni del lettore bresciano, perché a Padova, dopo la sua partenza nel 1543, non era restato nessuno di tale prestigio nelle ‘sposizioni’ della Fisica. Nel suo magistero estense l’esordio del Maggi (che in seguito si rivolgerà invece al commento erudito e alla Poetica) dovette cimentarsi con il De Physico Auditu, come si evince anche dal folto corpus di reportationes inedite dei suoi allievi e in particolare di Alessandro Sardi, conservato nella Biblioteca Estense. 7 A Ferrara, il Maggi si ritrova anche alla guida di Accademie ducali come gli Elevati o di più informali radunanze, del tipo di quella che si riuniva in casa di Orazio Malaguzzi, di cui dà menzione nei suoi carteggi Giulio Castellani, 8 un convinto alessandrista, fedele ammiratore del Porzio, ricordando il tempo in cui insieme a Benedetto Manzuoli, in origine allievo del Castelvetro, chiamato poi al servizio del Cardinale d’Este, amico del Tasso e dedicatario delle Discussiones peripateticae patriziane, si formava nello studio delle scienze sotto il magistero del Maggi. Con loro è presumibile condividesse ricerche e discussioni pure un più oscuro Jacopo Antonio Boni che, nel 1571(2), pubblicò, con i tipi modenesi del Gadaldini,  

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  Per il ruolo architettonico di cui è investita la ratio civilis presso l’Accademia degli Infiammati, si veda quanto ne dice S. Speroni, Dialogo della retorica, in Trattatisti del Cinquecento, a cura di M. Pozzi, i, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978, pp. 678-680. 2   A. Piccolomini, De la institutione di tutta la vita de l’huomo nato nobile e in città libera, Venetiis, apud Hieronymum Scotum, 1543, i, 6, cc. 20r-22r. 3   G. Della Casa, Trattato degli uffici comuni, in Prose e poesie scelte, con la vita di esso scritta da L. Carrer, Venezia, 1852, pp. 80-81 ; ma ora si veda G. Della Casa, Rime et prose. Latina monimenta, a cura di S. Carrai, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006, pp. 29-31. 4   Il termine Commentarii per definire il De rerum natura compare usato nel cap. 2 dell’ opuscolo telesiano De cometis et lacteo circulo, in Libelli 1981, p. 3 : ad esso si ricorre come sinonimo autorizzato del De rerum natura. 5   Mi permetto per tali aspetti di rinviare al mio Maggi Vincenzo, DBI, cit., p. 366. 6   Epistulae clarorum virorum ad Petrum Victorem, Firenze 1758, i, p. 54. 7   Modena, Biblioteca Estense, ms. lat. 174 ( O. 6. 15) e lat. 188 (O. 6. 19). 8   Il Castellani, nato a Faenza nel 1528, aveva studiato a Ferrara nella cerchia del Maggi di cui tesse un fervido elogio nel suo De humano intellectu (1561), che definisce come un’opera scritta a seguito delle lezioni sul De anima del Maggi.  



45 ‘ formazione ’ e ‘ ricezione ’ del pensiero telesiano un Trattato del tremuoto in cui compaiono, come interlocutori, personaggi legati al Maggi, quali il Manzuoli stesso e Alessandro Sardi : un opuscolo che, già dal titolo, mostrerebbe di riallacciarsi al libello telesiano, edito per le cure del Persio proprio negli anni Settanta, ossia il De iis quae aere fiunt de terraemotibus ; un’opera quindi che meriterà una più puntuale disamina, proprio in ragione di una possibile e tempestiva ricezione di concetti telesiani nell’ambiente padano cresciuto intorno alla figura del Maggi. È verosimile che proprio l’alessandrinismo naturalistico del Maggi avesse creato i presupposti favorevoli al dialogo con Telesio, in una ricerca comune sui fondamenti originari non corrotti della lezione aristotelica, con un ritorno, attraverso Alessandro e per via della mediazione del Pomponazzi nel complesso capitolo della quaestio de anima, a una rilettura più approfondita delle idee-guida con cui Aristotele aveva distinto il corporeo e l’incorporeo, il piano delle ragioni metafisiche e degli universali astratti, logici e di immaginazione (senza quelle transvalutazioni trascendenti, tipiche di un certo aristotelismo neoplatoneggiante e averroistico) e quello della natura, dove realtà e verità si misurano sul piano individuale dell’esistenza. Alessandro che, nella sua difesa dell’insegnamento dello Stagirita contro la scuola stoica imperante nel suo tempo, ritenuta responsabile del prevalere di una cosmologia deterministica, aveva inteso salvaguardare il fondamento aristotelico dell’anima ‘forma del corpo’, ne aveva nondimeno modificato profondamente l’entelechia « in potenza della vita, in perfezionamento del corpo ». 1 Così come in funzione di una critica antidemocritea e antiatomistica il commento di Alessandro apportava chiarimenti e una lezione importante per la messa a fuoco dei punti deboli rilevabili nell’analisi peripatetica del principium attractionis, dell’aristotelico movimento per contatto dei corpi, 2 rispetto alla ‘struttura della materia’ e quindi al nexus esistente fra corpo e anima in cui si rifletteva il rapporto fra la realtà sublunare e la celeste, con riferimento al movimento delle sfere o all’influenza delle stelle per cui l’Afrodiseo aveva introdotto il concetto di ‘imitazione’, 3 secondo il quale le specie rispecchiavano il moto circolare celeste : tesi con cui Telesio entrerà in un’ampia discussione per via di distinguo, ma soprattutto per ragioni di metodo. Ed è proprio infatti, in un quadro di progressivi ritorni e di meditazioni sul commento di Alessandro alla Fisica 4 e al De anima (e presumibilmente in un dialogo dinamico con gli alessandristi patavini, promotori di un suo riaggiornato rilancio in chiave squisitamente naturalistica), incrementato dalla I alla III redazione del De rerum natura di nuove determinazioni e – come già osservava Bondì – 5 di una maggiore chiarezza espositiva, che Telesio, mentre confuta la teoria che vorrebbe il Cielo incompatibile con il mondo sublunare, e via via perfeziona, anche terminologicamente, il suo concetto delle « motuum  











1   F. Fiorentino, Pietro Pomponazzi : studi storici su la scuola bolognese e padovana del sec. xvi, Firenze, Le Monnier, 1868, pp. 108 sgg. 2   Si rinvia a A. Doninelli, Dal non-essere all’essere. Generazione naturale ed eternità del mondo nel « De generazione et corruptione » di Aristotele, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006, p. 244 sgg. 3   Il concetto viene trattato in Alexandri Aphrodisiei, Commentaria in duodecim Aristotelis libros De prima philosophia, Venetiis, apud Hieronimum Scotum, 1551, c. 127v sgg. 4   Oltre alle Quaestiones naturales si fa riferimento al commento di Alessandro, nella traduzione di Guillaume de Moerbeke ai Metereologica di Aristotele (ora nell’ed. a cura di A. J. Smet, Louvain-Paris, 5 Béatrice-Nauwelaerts, 1968.  Cfr. Introduzione a La natura 1999, p. xvi.  





46 elisabetta selmi similitudines » e l’idea della luce non come qualitas o accidente (aristotelicamente l’attrito causato dal moto del Sole), ma species, ossia manifestazione più perfetta del calore, sviluppa pure il suo affondo in crescendo, fino all’approdo ultimo dei capp. 27-28 dell’ottavo libro della ne varietur, contro gli « inventores » « cogitativae humanaeque intelligentiae ». Prende corpo, in tali passaggi strategici per la definizione del lessico concettuale telesiano, l’idea già ben focalizzata da Bruno di un Telesio ‘novatore’ che aveva saputo « far onorata guerra ad Aristotele » con le sue stesse armi e, si deve aggiungere, a una tradizione di commentatori peripatetici che via via si stratificano all’occorrenza, e in rapporto all’incremento delle letture e degli auctores acquisiti dalla biblioteca telesiana, da cui sarà doveroso in futuro ripartire. Così nella critica a un’intellectio e a un’imaginatio degli aristotelici, separati da qualsiasi organo corporeo, si misura l’inflessibile ritorno tutto telesiano all’indivisibilità del sentire e del conoscere, actio impartibilis, che se, per così dire, ‘naturalizza’ l’intelletto (recuperando una consistenza reale a quella sostanza pensante in cui pure i più ‘fisici’ dei peripatetici, come Temistio ed Alessandro, si erano invano aggirati), insieme per converso conferisce invece le ali proprio a quella memoria-phantasia, ora phantastica imaginatio con facultas existimandi, che lo Stagirita aveva relegato, fra le ‘facoltà passive’, al basso dominio della sensazione, in virtù di un’unità ricomposta sensibile-intelligibile. In quella stessa cifra, per intenderci, da cui germina il creduto, ma in sé coerente, ossimoro di un ‘tatto intellettuale’, ‘materialistico’, di fortunata ricezione poi a indicare nuovi orizzonti conoscitivi nella cultura di fine secolo e di cerniera verso la futura sperimentazione barocca, nell’immaginario, ad esempio, di un altro meridionale come Giambattista Marino, 1 di Telesio lettore non distratto, a partire dalla fisiologia delle funzioni sensorie immessa nel ductus poetico del ‘giardino dei cinque sensi’ dell’Adone. Mentre rovesciata, nella destinazione di un processo conoscitivo spirituale, trascendente la materia e la natura, la nozione di ‘tatto intellettuale’ ritorna emblematicamente in un tardo dialogo del Tasso, Il Ficino overo de l’arte, 2 quale approdo ultimo e più audace di una riflessione a tutto giro intesa a tratteggiare, con una polarità specularmente invertita rispetto a quella telesiana (e piacerebbe poter documentare, in tale caso, anche un intento allusivo, da parte tassiana, di replica al ‘sensismo’ del Cosentino), l’idea di una conoscenza immaginativa e creatrice transvalutante ogni forma di corporeità (e lo stesso fondamento mimetico dell’arte), che assimila l’operazione eidetica dell’uomo a quella del Demiurgo celeste, nell’assoluta oltranza e alterità di un ‘nesso/contatto’ diretto tra intelletto umano e divino. Vi si accenna qui nella convinzione che anche quello tassiano possa rappresentare un campo privilegiato di indagine per un discorso sulla ricezione critica del pensiero di Telesio, in un diagramma reattivo di confronti, soprattutto in direzione di quei dialoghi increspati da inquietudini ‘eterodosse’, come il Forno, il Ficino, il Cataneo overo de le conclusioni amorose, dove la presenza di dense digressioni scientifiche e la ripresa di nodi cruciali del dibattito sulla Fisica e la gnoseologia aristoteliche, intorno ai quei temi del nexus universi, dell’ordine e  













1  Nella Galeria del 1620, Marino inserisce un ritratto di Telesio, a cui riconosce l’indubbio merito di aver iniziato la battaglia per la difesa del pensiero moderno, senza tuttavia riuscire vincitore. 2   T. Tasso, Il Ficino overo de l’arte, in Idem, Dialoghi, a cura di G. Baffetti, Milano, Rizzoli, i-ii, 1998, ii, p. 971.

47 ‘ formazione ’ e ‘ ricezione ’ del pensiero telesiano della razionalità del cosmo, nonché alle discussioni sulla fisiologia della conoscenza e della creazione intellettuale, vantano una tale congerie di confronti ambiziosi con le auctoritates antiche e moderne in materia de naturalibus, da lasciar intravvedere la possibilità di un approccio interrogativo, da parte del Tasso (anche con puntuali riscontri tutti da investigare), alle soluzioni proposte dal naturalismo telesiano. Da sottolineare ci sembra, comunque, come nel quadro delle tensioni interne alla macrostruttura concettuale della « conoscenza per contatto », di tradizione sì aristotelica, ma ancor prima di derivazione empedoclea e democritea, così come in seguito feconda di sviluppi anche presso i neoplatonici, concatenanti i ‘processi intellettuali per somiglianza’ con quelli ‘per contatto’, Telesio radicalizzi la funzione di una sensibilità tattile (i tattilia) che si metamorfizza al massimo grado con tutti gli enti. La sua natura potenziata e camaleontica finisce così per includere l’intero campo delle modalità percettive, predisponendo la substantia dello spiritus, nel contatto con gli enti, a un continuo proteiforme mutamento (quasi un preludio genetico della futura legge ‘vicissitudinaria’ del cosmo, peculiare di un certo ‘panteismo’ bruniano). 1 E va detto che a una tale riduzione, a una tale cognatio ‘empedoclea’ delle sfere percettive al tatto, comprensiva pure della vista (con imagines agentes per il nexus qui contingit), approdano raramente anche i più convinti assertori di una gnoseologia sensistica, che incontra per altro nuove resistenze, nel secondo Cinquecento, per il rilancio del commentario di san Tommaso al De sensu e sensato 2 di Aristotele, con la sua critica antiempedoclea a una visione per deflusso di immagini. Unica eccezione, per Telesio, in quella sua specie di ‘panpsichismo naturalistico’ è rappresentata dalla non ‘tattilità’ dell’udito, e dal suono che « ad spiritum non defertur eumque non contingit » (drn, vii, 8, p.30) : un suono che, inevitabilmente, significa anche ‘voce’ e quindi ‘parola’ e che, perciò, chiama in causa la residualità di un logocentrismo umano, una sfera di attività percettive superiori non dissolte in un’indifferenziata ‘sensibilità animale’. Affine si presenta, nel cap. 14 del De sympathia di Girolamo Fracastoro, capitolo dedicato alla percezione sonora, l’attribuzione del primato all’udito che si motiva proprio in conseguenza della sua funzione cardinale nello sviluppo dell’attività intellettiva e fantastica. 3 È mia convinzione, del resto, che il dialogo sotterraneo, di non piccolo conto, che dovette intercorrere fra Telesio e Fracastoro (incrementato lungo l’iter redazionale del De rerum natura, ma anche del Quod animal universum per le questioni galeniche e del De somno nell’inusuale tête-à-tête del Cosentino con i « nostri temporis philosophi »), 4 un Fracastoro conosciuto non solo attraverso il De anima (a cui più volte fa cenno la critica telesiana) ma anche attraverso il De sympathia (1546), implichi per Bernardino un campo di  













1   Del concetto della vicissitudine e della contrarietà offre una significativa definizione lo Spaccio de la bestia trionfante, in Opere di Giordano Bruno e Tommaso Campanella, a cura di A. Guzzo, R. Amerio, Milano, Napoli-Ricciardi, 1956, pp. 474-475. 2   San Tommaso, La conoscenza sensibile. Commenti ai libri” De sensu e sensato”. “De memoria e reminiscenza”, a cura di A Caparello, Bologna, Edizioni dello Studio Domenicano, 1997. 3   H. Fracastorii, De sympathia et antipathia rerum, Venetiis, Giunta, 1546 ; cfr. oltre al cap. 14, dove si afferma il primato dell’udito, in quanto veicolo del discorso, anche il cap. 3, par. 2 e il cap. 5, par. 5. 4   Il riferimento esplicito a una critica rivolta non solo contro Aristotele e Galeno, come di consueto in Telesio, ma anche ai filosofi contemporanei si legge nel cap. x del De somno libellus, Libelli 1981, pp. 400-401.  

48 elisabetta selmi sollecitazioni ed interessi accresciuti in direzione di una lettura o rilettura dei già citati commenti di Temistio e di Alessandro alla Metafisica e alla Fisica aristoteliche. E, in particolare, il riferimento va a quelle Quaestiones naturales, morales et de fato da cui prende avvio il trattato fracastoriano sulla ‘simpatia’ nella sua complessa analisi sui processi della attrazione fra simili e nell’individuazione, attraverso una serrata critica antiatomistica, di un principium attractionis davvero universale e funzionante all’interno della propria peculiare visione di un cosmo simpatetico. A supportare tale ipotesi può offrirsi il campione significativo dei capp. 30-32 del primo libro (edizione 1570 del De rerum natura) capitoli centrali nel processo di assestamento redazionale dell’opera, alquanto ampliati e incrementati da nuove determinazioni concettuali, oltre che da fonti, rispetto alla stesura della princeps, e non ultima dall’aggiunta di quell’inserto problematico e allotrio di un’anima ‘metafisica’ « a Deo ipso in singula hominum corpora infusa ». 1 Scrutato più da vicino, il reticolo argomentativo della densa disquisizione telesiana, che ha per oggetto proprio il tema della “generazione dei simili” (per « externa species » o per interna natura, il calor), mostra infatti di addizionare le obiezioni sollevate da una certa ermeneutica peripatetica sui nodi aporetici del sistema aristotelico, da cui riparte la critica telesiana per confutare le vacillanti tesi della dinamica dello Stagirita sulle leggi di contatto o di attrazione universale, incapaci di individuare un principium generalissimo e coerente. Nella fattispecie, in predicato è soprattutto il ricorso al commento di Temistio (De anima) 2 e alle Quaestiones naturales di Alessandro, sulla cui base si sviluppa la rielaborazione telesiana di quel concetto di similitudo fra gli enti, in chiave sensistica, che Telesio verrà poi progressivamente affinando fino alla edizione ultima della sua opera ; e che, nel contesto in questione, prende a configurarsi per via di differenze sia con i principi di una cosmologia aristotelico-platoneggiante, che avalli l’idea o di un’anima mundi o di una intelligenza esterna separata in grado di introdurre le forme delle cose, sia di matrice platonico-plotiniana (a suo dire « rem obscurissimam ») nel suo riannodare a filo doppio fisica e metafisica, il concetto della similitudo e ‘analogia’ generativa con la processione ed emanazione delle idee. Ma se il confronto con le teorie degli antichi è l’iniziale pars destruens del discorso di Telesio, la premessa indispensabile ad una trattazione che coltiva ambizioni rifondanti, il vero fine del ragionamento lascia trasparire anche un ‘surplus’ di intenzioni, non apertamente dichiarate, che hanno di mira le tesi dei moderni, e in primo luogo, si crede, proprio quella concezione della similitudo per species materiales o spirituales su cui a lungo si era interrogato il Fracastoro, nella ricerca di un criterio uniforme e compatibile con il suo cosmo simpatetico, da estendere a tutti i fenomeni della realtà fisica e psichica. Una stessa ratio investigante accomuna l’inchiesta telesiana con l’indagine che aveva spinto il filosofo veronese a ricercare la vera natura di quel principio di attrazione fra gli enti non coerentemente spiegato dal finalismo/i degli antichi, senza che tuttavia fosse messo in discussione il tradizionale rapporto fra ‘agente’, ‘paziente’ e materia dell’azione, quanto invece piuttosto il meccanismo delle forme di attrazione (ossia il tipo di simulacrum che realizza il  













1

  La natura 1999, i, 31, p. 98   Themistius, Paraphrasis de anima, interprete Hermolao Barbaro, in Idem, Opera, Tarvisii, per B. Confolonerium et Morellum Gerardinum de Salodio, 1481, 4r. 2

49 ‘ formazione ’ e ‘ ricezione ’ del pensiero telesiano 1 contatto fra i corpi). Nel cap. v del De sympathia, dove è presente la confutazione di dottrine di matrice peripatetica e medica sulle ‘cause medie’, non ambigue in sé, ma interpretabili, ossia « non percepibili coi sensi, ma deducibili dalla sola esperienza », 2 Fracastoro introduce la sua idea delle species spirituales come collante dei processi di attrazione e repulsione su cui si fonda la ‘comunicazione simpatetica’ ; species da cui emanano anche gli idola che impressionano senso e fantasia, in una progressiva gradualità dal dominio delle realtà fisiche a quello delle realtà psichiche e metafisiche. Simulacra di tutt’altra natura, quindi, dai corporeum simulara di Epicuro e degli atomisti (per cui Fracastoro si avvaleva della critica del De placitis di Galeno), 3 proprio in quanto species spirituales (anche Ficino nel De sensu aveva distinto fra l’efflusso corporeo atomistico e quello spirituale platonico, libero dalle determinazioni locali e dai vincoli della materia), 4 che garantiscono, sul piano fisico, un sistema di continuità anche nell’azione a distanza fra i corpi e, sul piano metafisico, una catena di corrispondenze fra il mondo astrale e il mondo sublunare. Nella nuova redazione telesiana del De rerum natura del 1570 s’impone, verosimilmente, l’ipotesi che, dietro alla strategia che aveva indirizzato il riassettato mosaico di tessere vecchie e nuove dei capp. 30 e 31, con la problematica aggiunta dell’outrance metafisica di un’anima a Deo infusa (mentre immissa diventerà, e con una correzione lessicale di non poco rilievo, nel drn 1586) e il dialogo con Alessandro e gli antichi riguardo alle dottrine simpatetiche, agissero anche istanze e stimoli ricavati proprio dalla lettura dei testi fracastoriani, e la volontà di un confronto chiarificatore con la loro ricercata concordia, per via neoplatonica, fra l’orizzonte filosofico-cosmologico e i processi vitali e fisici dell’anima. Se il concetto dell’infusione dell’anima rimanda al linguaggio di una tradizione pitagorico-platonica, con un’anima infusa dei cieli e degli astri 5 che si trasmette al cosmo animale vivente ; l’espressione ‘anima immissa’ richiama piuttosto una sfera analogica di realtà fisiche, di « agentes rerum causae » : 6 il calor immissus di Alessandro e dei naturalisti aristotelici, di cui si ricorderà anche il linguaggio del Novum organum di Bacone. Uno spostamento semantico, dunque, che si ritiene operi nel sistema variantistico telesiano proprio in rapporto allo stratificarsi delle fonti e alle correzioni imposte da una strategia enunciativa ed ermeneutica che, di volta in volta, si cala nel vivo delle categorie degli avversari, assimilandone (per confutarle) anche il lessico, in un corpo a corpo che è un combattere l’antagonista « con le sue stesse armi ».  

















1   H. Fracastorii De sympathia, in Idem, Opera omnia, Venetiis, apud Iuntas, 1574, p. 61; e ancora cfr. De sympathia et antipathia rerum, Liber i : ed. critica e trad. di Concetta Pennuto, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2008, cap. v, pp. 30-36; p. 61. 2   Si rinvia a C. Pennuto, La natura dei contagi in Fracastoro, in Girolamo Fracastoro. Fra medicina, filosofia e scienza della natura, Firenze, Biblioteca di ‘Nuncius’, 2006, pp. 57-71. 3   Galenus, De Hippocratis et Platonis decretis, Venetiis, apud Haeredes Lucaeantonii Iuntae Florentini, 1541, par. i. 4   M. Ficino, Interpretatio Prisciani Lydi in Theophrastum de sensu, phantasia et intellectu, in Id., Opuscula, Venetiis, in aedibus Aldi, 1497, cap. 13 Marsilii segn. O4r : cfr. Fracastoro, De sympathia, cit., cap. v, p. 34 (cfr. C. Pennuto, Simpatia, fantasia, contagi. Il pensiero medico e il pensiero filosofico di Girolamo Fracastoro, Roma, Storia e Letteratura, 2008, pp. 180-183). Diversamente da quelle spirituali, le species materiales possono agire solo dentro limiti di spazio, sono condizionate dal luogo e dalla costituzione del corpo. 5   In particolare nel De vita Coelitus comparanda di Ficino. 6   Della natura 1999, i, 30, p. 92.  



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elisabetta selmi Appendice

La lettera, inedita, che qui si trascrive proviene dal fondo dell’Archivio Storico parmense che raccoglie un vasto corpus epistolare (Epistolario scelto) di letterati, artisti e uomini di pensiero italiani. Benché sprovvista del nome del firmatario, dato che indusse ad attribuire, sull’intestazione della busta che le conserva, a Bernardino le lettere ma con qualche esitazione, la data del 14 gennaio 1543 porta ad escludere tuttavia la possibilità di confusione con l’altro Telesio illustre, lo zio Antonio, a quell’altezza già morto. La lettera si trascrive sulla base di un orientamento conservativo, limitandosi a sciogliere le abbreviazioni, a normalizzare l’uso dell’accento e dell’apostrofo, l’h e le grafie etimologiche, a risolvere la congiunzione et con e ; e a intervenire sulla punteggiatura per rendere più leggibile il testo.  

[Parma, Archivio di Stato, Epistolario scelto, busta Bernardino Tilesio] Reverendo Signore e Patron mio colendissimo Monsignore Della Casa supplica Vostra Signoria caldissimamente che se degni procurare il salvacondotto per Messer Rugiero poiché non se può più per un anno e ultra, ad bene placitum mandogli la minuta. Io più che di cosa che facessi mai che come prima potrà farci l’officio per il signor Don Diego e rendasse certa che se fosse per me proprio nol desidererei con tanta ansietà e se sapesse la caggione n’harebbe compassione; per l’amor di Dio sia fatto e bene perché se torni in Roma. Mando a Pelegrino la supplicazione di quelli beneficii vacati in Cosenza. Supplico Vostra Signoria mi faccia grazia ordinargli, che non n’ho fatto metter il nome dell’oratore o per visto che cel metta, e dicagli che li parrebbe a proposito ; ho pensato sopra il zingaro per esser del paese se piacesse a Vostra Signoria credo sarebbe a proposito e gli bacio le mani. Da Roma alli 14 di Gennaio del 1543 Di Vostra Signoria Reverendissima  

Deditissimo e obbligatissimo servitore Tilesio

rerum natura di Bernardino Telesio

ALCUNE RIFLESSIONI ATTORNO AL CONTESTO IN CUI LEGGERE IL DE RERUM NATURA DI BERNARDINO TELESIO Luigi Maierù

L

eg gendo il De rerum natura iuxta propria principia di Bernardino Telesio sono stato sollecitato a registrare un elenco di problemi, che, se risolti, darebbero la possibilità di collocare lo scritto telesiano nel contesto delle discussioni filosofico-scientifiche che animarono il dibattito nella seconda metà del Cinquecento : 1. 1. a. Quale conoscenza ha Telesio degli scritti di Aristotele : ne ha una conoscenza diretta oppure si serve solo dei commentatori arabi e latini dello Stagirita ? 1. 1. b. Poiché Telesio, dalle prime pagine 1 alle ultime della sua opera, si schiera costantemente contro Aristotele, la sua posizione si deve qualificare come antiaristotelica ? 1. 1. c. Di quale antiaristotelismo si tratta e a quali scritti aristotelici fa riferimento ? 1. 2. a. Poiché nel corso del De rerum si fa esplicito riferimento alle opere mediche di Ippocrate e di Galeno, possiamo affermare che egli sposi le tesi dell’uno e dell’altro ? 1. 2. b. Data la differenza metodologica di Ippocrate e di Galeno, Telesio coglie questa differenza, servendosene nel momento in cui spiega i fenomeni del corpo umano ? 1. 2. c. In particolare, quale conoscenza ha Telesio dell’Ars parva e degli studi che attorno a questo scritto si registrano nell’arco del Cinquecento ? 2 1. 3. a. In relazione ai fenomeni naturali ed oltre la conoscenza degli scritti aristotelici e di suoi commentatori, possiamo affermare che Telesio abbia avuto per le mani l’Almagesto e l’Opus quadripartitum di Tolomeo ? Secondo quale edizionetraduzione ? 1. 3. b. In relazione a problemi di riflessione e di rifrazione quali sono i suoi scritti di riferimento ? Conosce solo scritti di Ottica o anche scritti di Perspectiva e quelli che si raccolgono sotto i termini De speculis comburentibus ? 1. 3. c. Quale carattere ha la luce emessa dal sole toccando una superficie ? Possiamo studiare la luce esprimendola con raggi di emissione e di trasmissione ? Oppure  



























1   Nelle prime battute della dedica all’Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore Don Ferdinando Carafa, Duca di Nocera, Telesio si esprime in questi termini : « dato che noi condanniamo la dottrina di Aristotele, (che da Alessandro fu tanto onorata e venerata e che sotto il suo patrocinio tanto fiorì e in così grande onore fu tenuta), perché contrasta sempre sia col senso che con se stessa, e dato che ne poniamo un’altra molto diversa da essa, abbiamo ritenuto giusto che questa opera dovesse essere pubblicata non sotto gli auspici di un qualsiasi re », cfr. De rer. nat. 1965, p. 19. Da questi termini si deduce la chiarezza del suo programma e la distanza dalle posizioni aristoteliche. 2  Cfr. M. Akakia, Ars medica quae et Ars parva dicitur, Martino Akakia Caetalaunensi Doctore medico interprete et enarratore, Lugduni, apud Guil. Rovillium, 1548.  





52 luigi maierù la luce si diffonde secondo grandezze indivisibili che si muovono in linea retta ? La luce emessa è quantificabile oppure solo descrivibile qualitativamente ? 1. 3. d. Aveva Telesio conoscenze matematiche, anche se solo marginalmente toccate nel suo scritto ? 1. 3. e. Possiamo affermare che avesse conoscenza di ciò che si discuteva attorno alla matematica (la questione De certitudine mathematicarum) e attorno a problemi relativi al metodo ? Non avendo certo la pretesa di dare una risposta puntuale ad ognuno di questi problemi, cercheremo di presentare, nelle pagine che seguiranno, alcune osservazioni in merito ad essi.  







2. La mia riflessione comincia e si articola con il considerare la dimostrazione che Telesio colloca nel cap. xiii del libro iv, dal titolo : La luce, la quale su se stessa e sulla sua immagine, prodotta sulla superficie sottostante, si riflette secondo angoli retti, sulla superficie si riflette secondo angoli eguali a quelli di incidenza. 1 La dimostrazione di Telesio può compendiarsi nei seguenti punti : 2. 1. Egli concepisce la luce emessa dal sole come un’area non come un segmento oppure un raggio ed afferma che essa tocca direttamente e perpendicolarmente la superficie sottostante, diventando una sola cosa con questa superficie e riflettendosi secondo angoli retti. Ciò succede quanto il sole è allo zenit. 2. 2. Quando il sole si sposta dallo zenit, la superficie, verso cui il sole si è spostato, deve considerarsi più ‘vicina’ al sole ; la luce giunge, perciò, inclinata alla superficie. Per questo fatto, essa da una parte è più corta e dall’altra parte è più lunga. 2. 3. In questa situazione, l’asse superficie-sole è cambiato rispetto a quando il sole era nello zenit. In questa nuova situazione la luce si riflette secondo angoli di tanto minori dal retto di quanto la luce si è spostata dalla perpendicolare. 2. 4. Specificamente, « la superficie resta sempre la stessa ed anche lo stesso resta il suo asse, il quale è perpendicolare sempre allo stesso punto ; ma non resta sempre identica l’immagine della luce, che su di essa si produce, né l’asse di questa, il quale non è più perpendicolare allo stesso punto, ma l’immagine della luce diretta si produce diretta e piana, mentre sarà inclinata e saliente quella luce inclinata, e questo tanto più quanto più la luce vi arriva inclinata […] e questo punto è tanto più lontano dallo zenit, a cui era rivolto l’asse della superficie, quanto più il sole si è allontanato da esso e la luce è diventata inclinata e saliente ».2 2. 5. In conclusione la luce si « riflette secondo angoli retti, dato che si riflette su se stessa e sulla sua ultima immagine e non sulla superficie ; […] sulla superficie invece si riflette secondo angoli uguali a quelli di incidenza ».3 Le situazioni finora espresse e quelle che seguono sono compendiate nella figura che Telesio pone nel suo scritto (Figura 1, p. 51). 2. 6. Telesio conclude questa parte affermando : « anche se questo fatto è stato visto abbastanza, non ci sia gravoso tuttavia vederlo meglio in una dimostrazione ».4 Questa prima parte del discorso di Telesio è articolata per mezzo di semplici af 























1

2

3

4

  De rer. nat. 1974, pp. 68-83.   Ivi, pp. 70-73.

  Ivi, pp. 70-71.   Ibidem.

53 contesto in cui leggere il de rerum natura di telesio fermazioni, senza argomentazione alcuna. Attorno a queste può essere posta la domanda da dove gli vengono 1) la concezione della luce come area e 2) la legge della riflessione. Circa la concezione della luce si deve annotare che nel quarto libro Telesio a più riprese ne parla, affermando che : - essa è una realtà che fluisce ed è strettamente legata al calore ; 1 - per sua natura è massimamente mobile, viene riflessa e si effonde da tutte le cose su cui arriva, da se stessa riluce Fig. 1. comunque sia divenuta per 2 qualità e quantità ; - « si riflette e si rifrange dalle cose, in cui viene riflessa e rifratta, secondo angoli retti » ; 3 - « non promana da queste cose e neanche dal sole ma da se stessa, che si è in esse riprodotta ». 4 2. 7. Che cosa è, allora, la luce ? Telesio non ne dà una definizione, ma una ricca descrizione da diversi punti di vista, senza chiedersi se le diverse descrizioni siano congruenti l’una con l’altra. Parla della luce come di un fluido ; nello stesso tempo afferma che essa è incorporea, « non è spinta per andare avanti da alcuna forza, né propria né estranea », « non ha bisogno di nessun luogo o spazio », « non è colpita né spostata né ripercossa dalle cose sulle quali si riflette e si rifrange ». 2. 8. Circa poi la legge della riflessione, è sufficiente notare che questa viene dall’antichità (si parla di essa già nell’Ottica attribuita ad Euclide e fa da sfondo alla teoria degli specchi, qualunque sia la loro forma). La teoria degli specchi viene anch’essa da molto lontano ed ha una lunga e documentata storia. Prendiamo in considerazione la dimostrazione, nella quale emerge con chiarezza la sua concezione della luce, che lo condiziona mentre presenta le argomentazioni della dimostrazione. Descrive nel piano ciò che si svolge nello spazio. Fa ciò convinto che « la dimostrazione viene resa possibile, mentre la figura viene descritta e vista più comodamente ». 5 Sia data la circonferenza ABC, di centro D e di diametro BC. Sia A considerato come lo zenit dove si trova il sole.  

































1

  De rer. nat. 1976, ix, pp. 44-55.  Ivi, xii, pp. 64-69.

4

2

 Ivi, x, pp. 54-55.

3

 Ivi, xi, pp. 60-63.   Ivi, pp. 72.73.

5



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luigi maierù

1) Da A è emanata la luce EADF. Telesio annota che la luce non deve pensarsi come una linea priva di larghezza, ma ‘ampia e così come arriva’. Questa luce tocca la superficie FD perpendicolarmente, rimanendo sempre uguale, mentre la sua immagine si mantiene parallela ad EA. Questa immagine, a sua volta, si riflette secondo angoli retti su EA (Figura 2). 2) Si sposti, poi, il sole nei punti GH (Figura 3). Da questi punti emana la luce HGDI della stessa larghezza di EA, Fig. 2. mentre il punto I è più vicino al sole di quanto non lo sia D : « questo lo dimostra sia il senso che la ragione ». 1 La sua immagine sulla superficie inclinata diventa più ampia che sulla superficie diretta. Telesio argomenta in questo modo : consideriamo il triangolo DHI, i cui lati sono HD che rappresenta la luce ‘diretta’, ID che è la luce ‘inclinata’ e HI che è la luce ‘decurtata’. Poiché GD è parallela ad HI e CB interseca entrambe, allora ∠HID = ∠GDC. Ma ∠GDC = ∠GDA + ∠ADC (che è retto). Allora ∠HID è maggiore di un angolo retto. Fig. 3. Di conseguenza, HD > HI. Ma DH = DG, perché sono raggi della circonferenza. Quindi, DG è più lungo di HI. 3) Perciò, quanto più il sole si allontana dallo zenit, tanto più la superficie ID si avvicina al sole. La luce, che dai punti GH si porta alla superficie ID, non rimane costante (« uguale a se stessa ») : da una parte diventa più breve e dall’altra più lunga. Da questo fatto e come conseguenza dell’espressione precedente che « l’immagine  















1

  Ivi, pp. 74-75.

55 contesto in cui leggere il de rerum natura di telesio della luce è più ampia, quando la luce è inclinata rispetto alla superficie », Telesio trae la seguente conclusione : « la sezione comune della superficie sottostante e della luce, che vi si porta, è una ellisse come la chiama Apollonio, cioè una mancanza, insomma una figura da una parte più alta e dall’altra più bassa, simile in tutto a quella che si forma con un cilindro che venga segato da un piano non parallelo alle basi ». 1 Questa ultima affermazione, però, sembra non avere incidenza nel prosieguo della sua dimostrazione. Interrompiamo un momento la dimostrazione per fare qualche osservazione. Leggendo le parole di Telesio, alla luce di ciò che avverrà qualche decennio dopo, potremmo affermare che tra le righe sono ‘nascoste’ le leggi di Keplero, lette in maniera inversa. Si pone l’accento sul fatto che il sole, spostandosi dallo zenit, descrive un’ellisse non una circonferenza, e che l’area che rappresenta la luce è costante. Telesio fa riferimento all’ellisse descritta da Apollonio nella prop. I, 13 degli Elementi conici oppure descritta come sezione cilindrica. L’una e l’altra descrizione, così come si trova nel passo telesiano, pone il problema della sua conoscenza dello scritto di Apollonio e delle sezioni cilindriche (esplicitate da Sereno da Antissa), se cioè queste conoscenze giungono a Telesio per una lettura diretta della traduzione che Federico Commandino fa dell’una e dell’altra nel 1566 oppure tramite gli scritti di Ottica e di Perspectiva, o ancora tramite qualche trattatello di Francesco Maurolico. A priori non è da escludere nessuna delle possibilità. Nel Cap. x parla dei « cultori di perspettiva » senza fare alcun nome : si deve arguire che egli abbia avuto modo di avvicinarsi forse agli scritti Alhazen o di Witelo, che sono pubblicati nel 1572 in una edizione curata da Federico Risner, oppure a quelli Roger Bacon o alla ampia e documentata tradizione araba o ancora allo scritto di Daniele Barbaro, che forse avrà anche avuto modo di conoscere. Torniamo alla seconda parte della dimostrazione. 4) « Nella parte estrema della luce, portatasi dai punti GH alla superficie ID, si produce un’ellisse, cioè un’immagine inclinata, il cui asse non andrà a finire al sole o al punto A, ma ad un altro punto, il quale sarà tanto lontano dal punto A di quanto il sole si è allontanato da esso » : 2 si individua il punto K, tale che l’arco GB sia uguale all’arco KC, e quindi l’arco AG è uguale all’arco AK. L’arco GB individua l’angolo d’incidenza, mentre l’arco KC individua quello di riflessione (Figura 4). A questo punto Telesio dimostra la legge della riflessione, collegandola ai risultati della prima parte della dimostrazione : 5) (Figura 5) Se alla parte integra GD della luce inclinata si traccia perpendicolarmente il diametro LMDN e la luce HI è prolungata fino al punto M, poiché la luce dai punti GH « tende alla propria superficie », dalla superficie intermedia BC è tolta la porzione IDM. Ora sul segmento EF si trovi il punto O tale che OF = IM. Allora si tracci il diametro PODQ, tale che ∠OFD = ∠IMD, che sono retti. Nei triangoli rettangoli OFD e IDM, che hanno un cateto uguale, si ha che ∠ODF = ∠IDM perché lati opposti ad angoli uguali, e ∠DOF = ∠DIM ; di conseguenza FD = MD (che sono immagini “dirette” della luce) e OD = ID. Allora i due trian 



























1

  Ivi, p. 75.

2

  Ibidem.

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luigi maierù

goli OFD e IDM sono tra loro congruenti. Se la luce, che dalla superficie ID e dal punto D si riflette sul punto K, si riflette su OD secondo angoli retti, allora l’arco KP è uguale all’arco KQ (cioè K ha uguale distanza da P e da Q), cosicché ∠KDP = ∠KDQ = 90°, cioè i due angoli sono ambedue retti. 6) Poiché l’arco AB è uguale all’arco GL perché ambedue quadranti della circonferenza, consideriamo le differenze di archi : AB – GB = GL – GB, allora l’arco AG è uguale all’arFig. 4. co BL. Ma l’arco AG è uguale all’arco AK e l’arco BL è uguale all’arco BP (perché si aveva che ∠IDM = ∠OFD, cioè ∠BDL = ∠PDB), allora l’arco BP è uguale all’arco AK. Di conseguenza, ∠BDP = ∠ADK. Ma ∠ADP + ∠PDB = 90°, allora ∠ADP + ∠ADK = 90°. Telesio, quindi, conclude : « E così la luce su se stessa e sulla sua immagine, prodottasi con la superficie inclinata, si riflette secondo angoli retti, mentre sulla superficie si riflette secondo angoli uguali a quelli di incidenza ». 1 2. 9. Di fronte a questa ‘dimostrazione’ di Telesio ci si deve chiedere se essa abbia veFig. 5. ramente ‘dimostrato’ che l’angolo di incidenza sia uguale all’angolo di riflessione oppure se essa, dietro un apparente e minimale linguaggio formale, dia ai lettori la certezza di potere arrivare ad una conclusione, senza che in realtà ciò sia vero da un punto di vista dimostrativo. La dimostrazione di Telesio può essere semplificata. arrivando a conclusioni molto più evidenti di quelle che egli ha dato.  







1

  Ivi, pp. 80-81.

57 contesto in cui leggere il de rerum natura di telesio Partendo dalla figura che ha dato nel suo scritto e leggendo i fatti della riflessione della luce del sole nel piano, così come egli ha fatto, considerando che la luce si propaga, non come un raggio, ma come un’area, possiamo facilmente concludere che, quando il sole è nello zenit, la luce arriva alla superficie sottostante, di diametro BDA perpendicolarmente, formando l’immagine che è riflessa perpendicolarmente. Quando il sole si sposta dallo zenit nel punto G, la luce, che conserva la stessa area, tocca la Fig. 6. superficie in modo inclinato. Possiamo ritenere come ‘postulato’ che la luce si conserva, cioè l’area si mantiene costante. A questo punto bisogna vedere come l’immagine creatasi è riflessa. Riteniamo che G rispetto al segmento AD, che congiunge lo zenit con il centro della superficie sottostante, ha come simmetrico il punto K. Allora ∠GDB = ∠KDC oppure ∠ADG = ∠ADK, essendo ∠ADB = ∠ADC = 90°. Ora, se la luce si conserva (AE = GH), si deve geometricamente osservare che l’area GHID è minore dell’area AEFD. Di quanto sia minore si può vedere per mezzo della seguente costruzione (Figura 6). Tracciando la perpendicolare LMD a GD e da H la parallela a GD che interseca questo diametro in M, si vede che area GHID + area IMD = area EAFD. Ora, se su EF si prende FO = IM e si congiunge O con D, si osserva che area FOD = IMD. Se si traccia il simmetrico di O rispetto ad AD, si ottiene il punto O’ ; per O’ tracciamo il segmento O’F’, parallelo a OF ; se, infine, da F’ tracciamo la parallela a DK, questa interseca la circonferenza BEAC nel punto J. Allora area GHID è uguale all’area KJF’D. In questo modo si è costruita l’area inclinata riflessa dell’area GHID, constando che ∠BDO = ∠O’DC, cioè l’angolo di incidenza è uguale all’angolo di riflessione. 2. 10. Possiamo dare anche un’altra lettura delle pagine di Telesio, facendo le opportune modifiche. Se, invece di considerare una circonferenza su cui si muove il sole rispetto alla superficie sottostante che è illuminata dalla sua luce, consideriamo un ellisse mantenendo ferma l’affermazione che la luce del sole si mantiene costante, allora possiamo leggere la riflessione perpendicolare ed obliqua nei seguenti termini (Figura 7). Se l’asse maggiore dell’ellisse è BC, quello minore è AE ed il centro è D, se il sole si trova nello zenit A, la sua luce AXFD si riflette dalla superficie sottostante perpendicolarmente.  



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luigi maierù

Fig. 7.

Se il sole si sposta da A verso B nel punto G e se la sua luce si mantiene costante, allora possiamo considerare l’area della luce GHID uguale all’area AXFD. Come costruire l’immagine di diametro ID ? Una lettura potrebbe essere la seguente : Costruisco il simmetrico di GD rispetto ad AD individuando il punto K. Poi, dal punto H tracciamo il suo simmetrico rispetto ad AD, individuando il punto J. Successivamente, dal punto I tracciamo il segmento parallelo ad AD che individua il punto O su GD ; tracciamo, quindi, il simmetrico di O rispetto ad AD, individuando il punto O’ ; da O’ tracciamo il segmento parallelo ad AD che interseca BC nel punto I’ ; tracciamo, infine, il segmento I’J. Allora l’area AHID è riflessa nell’area KDI’J, con la condizione che l’angolo d’incidenza GDB è uguale all’angolo di riflessione KDC oppure che l’angolo HDB è uguale all’angolo JI’C. In questo caso il sole è più vicino alla superficie sottostante : è il sole che segue, rispetto a questa superficie, una traiettoria ellittica. La vicinanza tra il sole e la superficie sottostante è minore nella misura in cui il sole è più inclinato rispetto alla stessa superficie. Queste variazioni dimostrative prendono avvio dalla dimostrazione data da Telesio, mantenendo inalterate le sue premesse. Ciò porta ad affermare, ancora una volta, che il suo scritto non lascia indifferente il lettore, ma lo stimola a seguirlo nel suo discorso, anche nel caso in cui, come in questa dimostrazione, noi, con la nostra moderna sensibilità, non cogliamo la portata vera della sua dimostrazione. Abbiamo l’impressione che vi siano affermazioni valide, senza che esse siano coerenti l’una con l’altra e senza giungere ad una conclusione unica e certa, cioè tale che la sua dimostrazione sia veramente accettabile da noi postmoderni. 2. 11. Cerchiamo di osservare la dimostrazione di Telesio nella sua interezza. Può questa ritenersi una ‘dimostrazione geometrica’ così come traduce De Franco il termine demonstratio del testo telesiano ? Dal confronto con gli scritti di Perspettiva, entro cui si può collocare la sua dimostrazione, si può ipotizzare che nel momento in cui Telesio affronta il problema del rapporto sole-luce-calore, abbia  













59 contesto in cui leggere il de rerum natura di telesio davanti agli occhi la trattazione della ‘riflessione perpendicolare ed obliqua’, che costituisce il cuore del Cap. xiii, ben presente negli scritti di Alhazen e di Witelo.1 Inoltre, analizzando da vicino i singoli passi della dimostrazione, si può affermare che la sua è una dimostrazione che all’interno dei trattati di Ottica geometrica e di Perspettiva trova molti riscontri. Non si può dire che la sua sia una dimostrazione strettamente filosofica e non una dimostrazione ottico-geometrica o matematica : una simile affermazione non ha senso se si confrontano scritti coevi sullo stesso argomento. Non so quale senso dare ad una dimostrazione filosofica che non sia nello stesso tempo una dimostrazione ottico-geometrica in relazione alla questione della riflessione della luce. La dimostrazione di Telesio si può collocare in un momento storico che precede quello in cui la dimostrazione matematica, e tutte quelle realtà ad essa collegate, come i problemi di ottica e la teoria degli specchi, vengono poste come ‘questioni’. Ciò induce a ritenere che la preparazione e la documentazione del Cosentino su questi temi risalga ad un periodo precedente a quello in cui all’Università di Padova si discute sul senso delle dimostrazioni matematiche, se, nello specifico, possano ritenersi demonstrationes potissimae, cioè dimostrazioni secondo i dettati espressi da Aristotele negli Analitici posteriori, dimostrazioni che riflettono le quattro cause aristoteliche (materiale, formale, efficiente, finale). La questione del De certitudine mathematicarum mette a fuoco il carattere epistemologico della dimostrazione sia essa matematica, fisica, ottica o medica. Del resto, verificando i testi aristotelici a cui Telesio fa riferimento, si può notare che tra questi non figurano gli Analitici : la ‘questione’ del metodo, così come storicamente si è sviluppata, non trova pertanto posto nell’opera di Telesio.  



3. Per approfondire meglio questo aspetto, è opportuno chiarire quale conoscenza avesse Telesio degli scritti aristotelici. Si registra che la posizione di Aristotele riguardo ad un determinato fenomeno diventa punto di partenza della riflessione telesiana, che ne coglie i limiti con l’intento di andare, in ogni questione, al di là del pensiero aristotelico. Si ricava l’impressione che Telesio voglia ‘smontare’ pezzo per pezzo l’elaborazione aristotelica riguardo ai fenomeni naturali. Egli dà l’impressione di essere lontano mille miglia da posizioni qualificabili come aristoteliche. Se ciò è vero, da dove nasce questa presa di posizione nei confronti di Aristotele ? Che tipo di conoscenza dell’opera dello Stagirita possedeva il filosofo cosentino ? Molti studiosi concordano che Telesio abbia ricevuto dallo zio Antonio un’ottima formazione classica e abbia appreso il greco e il latino. In linea di principio, quindi, si può affermare che egli abbia letto gli scritti aristotelici in lingua greca, familiarizzando con il linguaggio proprio di Aristotele. Leggendo e rileggendo il De rerum natura, arrivo alla conclusione che questa lettura diretta degli scritti aristotelici non  



1   Alhazen (Ibn al-Haytham), Opticae Thesaurus. Alhazeni Arabis libri septem, nunc primum editi. Eiusdem liber de crepusculis et nubium ascensionibus. Item Vitellionis Thuringopoloni libri x. Omnes instaurati, figuris illustrati & aucti, adiectis etiam in Alhazenum commentarijs, a Federico Risnero, Basileae, per Episcopios, 1572, rist. anast., con introduzione di D. C. Lindberg, New York, Johnson Reprint Corporation, 1972, lib. iv, pp. 102-125 ; pp.136-140 ; pp. 218-220.  



60 luigi maierù lo abbia condizionato ; nel suo scritto è più evidente l’influenza dei commentatori latini e arabi di Aristotele. Per chiarire meglio ciò, è sufficiente confrontare gli scritti di autori nei quali diventa più evidente l’influenza dei manoscritti greci rispetto ad altri. Nel De expetendis et fugiendis rebus opus di Giorgio Valla (1501), ad esempio, come in altri scritti del primo ‘500, l’interesse filologico, con il quale si studiano le diverse redazioni del testo nel tentativo di dare una lectio la più accreditata possibile, svolge un ruolo prevalente rispetto all’interesse ermeneutico, in cui si è molto condizionati da una lettura interpretativa che cerca di dare del testo una lettura accettabile nel contesto culturale del tempo. Nell’una e nell’altra situazione e rispetto ad Aristotele, si afferma un primato di Aristotele, il cui messaggio arriva alle generazioni successive anche attraverso le pagine di Alessandro di Afrodisia, di Temistio, di Simplicio, di Avicenna, di Averroé, di Sigieri di Bramante, di Giovanni di Jandun. Si ha l’impressione che il commento di questi autori segua più il modello della parafrasi che non quello di una redazione-interpretazione critica. D’altra parte dobbiamo presupporre che coloro che hanno curato le edizioni degli scritti di Aristotele, come, ad esempio, Nicolò Leonico Tomeo (1527) e Federico Turrisano (1551), abbiano avuto, come punto di riferimento un manoscritto greco, che assume una posizione di riferimento predominante rispetto ai commentatori latini ed arabi. In linea generale, la maggior parte degli studiosi del periodo conoscono Aristotele attraverso i commentatori latini oppure attraverso i commentatori arabi. Ciò, in particolare, si deve affermare in relazione alla Philosophia naturalis, termine sotto il quale si raccoglie la lettura e l’interpretazione dei fenomeni naturali. Ma dobbiamo ampliare le fonti antiche per lo studio dei fenomeni ed annoverare tra queste in particolare la conoscenza dell’Almagesto e dell’Opus quadripartitum di Claudio Tolomeo, e anche la conoscenza di scritti di Ottica 1 e di Perspectiva o De speculis comburentibus nella tradizione araba ed in quella latina. In particolare, faccio riferimento alla Perspectiva di Witelo, molto diffusa, che vede per la prima volta la stampa nel 1535 e per la seconda volta nel 1572 ; all’Opticae Thesaurus di Alhazen che vede la stampa nel 1572, nell’edizione curata da Federico Risner. Questi due scritti pongono questioni che trovano una larga risonanza nell’opera telesiana, che vanno dalla considerazione degli specchi, del loro uso e della loro forma per studiare in particolare i fenomeni di riflessione e di rifrazione, alla natura della luce e dei raggi solari, alla forma dello spazio.  



4. Nel Cinquecento una questione certamente nuova è quella che racchiudiamo con l’espressione De certitudine mathematicarum o ‘problema del metodo’, la cui nascita risale al dibattito interno all’aristotelismo padovano, intorno al 1550, che vede 1

  Giovanni Imperiale attesta che Telesio, dopo la liberazione dalla prigionia dei Lanzichenecchi a Roma, « ad Patavinas se contulit Athenas, ubi sedulo Mathematicarum addictus studio ac potissimum Opticae, nova, inexcogitata, imperscrutabilia prope quam plurima deterxit », cfr. G. Imperiale, Musaeum Historicum et Physicum Ioannis Imperialis, Phil(osophi) et Med(ici) Vicentini, Venetiis, apud Iuntas, 1640, p. 79. Non abbiamo documenti che attestano quale sia stato il concreto percorso culturale seguito da Telesio nel periodo del suo soggiorno presso l’Università di Padova.  



61 contesto in cui leggere il de rerum natura di telesio protagonisti Alessandro Piccolomini, Francesco Barozzi, Jacopo Zabarella, Agostino Nifo e Iacopo Aconcio. 1 C’è da ricordare, comunque, che la questione del metodo comincia ad essere dibattuta a Padova, quando Telesio è ormai lontano da tempo dalla città. Se la sua permanenza tra Venezia e Padova si colloca negli anni 1527-1535, si può affermare con molta verosimiglianza che egli abbia ascoltato le lezioni di filosofia di Gerolamo Amaltea e quelle di matematica e di etica di Federico Delfino. 2 D’altra parte, non tenendo conto della conoscenza degli Analitici, dalla lettura dei commentatori arabi e latini di Aristotele, si evince un primato consolidato della ragione rispetto al sensi. Questa posizione, che afferma il primato assoluto della ragione, è quella che Telesio qualifica come aristotelica e contro cui afferma la propria posizione. Affermare il solo ragionamento quale mezzo di conoscenza porta ad una lettura a priori della natura e del mondo, a differenza di ciò che afferma Telesio attraverso il primato dei sensi che devono dare il via al ragionamento. 3 Telesio, ma anche Bruno e Campanella, ereditano un concetto di filosofia e di scienza derivante dal Medioevo (la matematica è letta come ars, non ancora come scientia), assieme ad un ampliamento del ruolo culturale della filosofia e della scienza. Il pensiero di questi autori si collega in tal modo strettamente a quello di Pierre de la Ramée dei Scholarum mathematicarum libri e a quello di Gerolamo Cardano del De Subtilitate, procedendo verso la nuova scienza. 5. Da una parte, leggendo l’opera di Telesio, notiamo che egli si è ben documentato su vari argomenti scientifici sia nel periodo della sua formazione sia, soprattutto, in seguito : la discussione, che parte dai testi della tradizione filosofica, rimane una costante dell’opera di Telesio. Attraverso lo studio dei testi egli è arrivato a volgere lo sguardo alla natura ed a chiedersi quale possa essere il migliore metodo per leggerla. La scelta di una registrazione di dati attraverso i sensi fa pervenire ad una prima e fondamentale lettura della natura, in grado di cogliere somiglianze e differenze e affermando il ragionamento quale strumento necessario per spiegare il significato fisico più autentico dei fatti naturali. Dall’altra parte, si registrano alcune somiglianze di atteggiamenti e di espressioni con testi coevi : ad esempio un collegamento con alcune pagine del De Methodo di Aconcio e, ancor di più con le scelte metodologiche che Gerolamo Cardano esprime nel De Subtilitate del 1550 e Pierre de la Ramée esprime nelle Dialecticae Institutio 



1   Si riscontrano molte vicinanze tra le scelte ‘metodologiche’ di Telesio e quelle che Aconcio fa nel suo trattatello De Methodo del 1558, soprattutto in quei punti in cui Aconcio, cercando la spiegazione delle cose, dà spazio ai dati della storia, da una parte, e a quelli che provengono dall’esperienza, dall’altra, con la certezza che solo chi mette a frutto la naturalis ratio può cogliere le somiglianze, le differenze e le 2 conseguenze delle cose.   De Franco 1989, p. 4. 3   Come sappiamo, Telesio afferma che studia « quelle cose che il senso manifesta e quelle che si possono trarre dalla somiglianza delle cose percepite con il senso ». Studiare la natura attraverso i sensi, non significa studiarla attraverso l’esperimento : ciò mette in evidenza cosa si vuole studiare e cosa si vuole raggiungere. Lo studio della natura attraverso i sensi pone almeno il problema della scelta di un criterio che indica come questo studio debba procedere. Dal passo citato si evince che il criterio è dato dalla ricerca della ‘somiglianza’ tra le cose. D’altra parte Telesio non va alla ricerca di una metafisica, ma semplicemente di una filosofia naturale che venga costruita a partire dai sensi e, attraverso il ragionamento, cerca di dare una spiegazione dei fenomeni.  





62 luigi maierù nes del 1543 e nei Scholarum Mathematicarum libri del 1569. Con questo non intendo per nulla affermare una ‘soggezione’ metodologica di Telesio nei loro confronti ; affermo semplicemente una vicinanza e una consonanza di vedute. 5. 1. Sfogliando il suo De propria vita liber pubblicato da Naudé nel 1643 per la prima volta, possiamo renderci conto degli interessi culturali e metodologici di Cardano, che vanno da argomenti strettamente matematici e medici ai pronostici e all’astrologia, dall’immortalità dell’anima, alla provvidenza, al commento a scritti di Claudio Tolomeo. Nel De subtilitate libri del 1550, e nel De rerum varitate libri del 1557, egli indica una chiave di lettura dei fenomeni naturali. Il primo scritto mette in evidenza, prima di tutto, quale debba essere il rapporto corretto con la natura e come l’arte contribuisca a far raggiungere alla stessa natura la sua finalità, assieme ad una prima analisi di fenomeni che viene completata con il secondo scritto.Vediamo in breve le scelte metodologiche di Cardano. Egli apre il primo libro chiedendosi in cosa consista la subtilitas :  



Propositum nostri negocij in hoc opere est, de subtilitate tractare. Est autem subtilitas ratio quaedam, quae sensibilia a sensibus, intelligibilia ab intellectu, difficile comprehenduntur. Ergo, si singula quae subtilitate constant, magnum etiam per se exhibere negotium, suntque difficillima, quid rogo de ea tractatione dicendum erit, in qua omnis subtilitatis ratio explicanda est ? Idque solum apertum & facile videri potest, quod in unaquaque disciplina est obscurissimum. Maiusque nobis negotium superest in ipsius rei tractatione, quam in ipsa re. Cum enim scribentes in quatuor laborent generibus, rerum obscuritate, incertorum dubitatione, causarum inventione, rectaque eorum explicatione, omnia haec hoc in libro cumulatius habentur. 1  

La conoscenza della natura prende avvio dalla lettura dei testi di autori che si sono dedicati alle osservazioni dei fenomeni naturali e alla loro comprensione, con una serie di riflessioni ed invenzioni racchiuse sotto il termine di ars. Questa esprime una teoria della conoscenza, che procede per gradi : Cardano presenta la natura nella sua complessità ed articolazione, indicando la via per arrivare alla piena comprensione di essa e studiando, quando è necessario, la sua trasformazione. Il metodo è indicato come subtilitas. A differenza di Telesio, Cardano non offre lunghe riflessioni sui sensi : arriva velocemente a parlare dell’experimentum, come frutto dei sensi e della ragione, ed offre molti spunti nella polemica del rapporto tra experimentum e ratio. La ratio è l’elemento indispensabile che porta necessariamente alla dimostrazione quale piena comprensione del fenomeno, dopo che l’experimentum lo ha reso palese e lo ha manifestato. L’experimentum, quindi, rende consapevoli del fenomeno e della sua modalità di espressione e porta ad esprimere i dubbi su di esso, mentre la ratio verifica se la spiegazione data è esatta anche nel caso in cui si consideri l’evoluzione di uno stesso fenomeno. Ora, se alla luce di questi elementi di carattere epistemologico, si confrontano le pagine di Cardano e quelle di Telesio su uno stesso fenomeno, si vede che le affinità che emergono sono molto più numerose delle differenze, e che entrambi ‘professano’ la stessa forma di antiaristotelismo.  



1   G. Cardano, Hieronymi Cardani Mediolanensis Medici de subtilitate libri xxi. Nunc demum recogniti atque perfecti, Basileae, per Ludovicum Lucium, 1554, pp. 1-2.

63 contesto in cui leggere il de rerum natura di telesio 5. 2. Tutti sappiamo che, dopo gli insegnamenti di Pierre de la Raméee sul ruolo primario di una dialettica e di una logica non aristoteliche, e sul valore della matematica, si possono individuare studiosi ramisti e studiosi antiramisti. Mentre Robinet 1 sostiene che il proclama di una filosofia antiaristotelica si trova nell’edizione della Dialettica di Pierre de la Ramée del 1555, preferisco porre l’accento sulle Dialecticae institutiones, in cui l’autore presenta gli aspetti positivi della dialettica rispetto a quelli della logica, enunciando a più riprese nei suoi scritti che lo scopo primario della dialettica deve essere quello di illuminare lo spirito, quale luce naturale, che non si poggia su alcuna metafisica. Essa si poggia sul superamento della differenza tra scienza ed opinione, vero e falso, certo e probabile, termini contrapposti documentati negli scritti aristotelici. Aristotele ha dato una logica per la scienza, un’altra per l’opinione. La Ramée propone una ‘arte del conoscere’, che è la dialettica, la quale nello stesso tempo si esprime nel ben ragionare e ben disputare : ciò comporta una capacità di sapere esporre per mezzo di ragionamenti e con una valida argomentazione, sapere esaminare una questione punto per punto, dibattere una questione per arrivare ad una decisione, e ciò qualunque sia la questione, cioè sia che essa riguardi una disciplina sia che essa riguardi la vita e le questioni ordinarie dell’esistenza. Di fronte alla domanda se la dialettica sia un’arte o una scienza, la risposta è perentoria : la dialettica è un’arte che si persegue con un esercizio e con l’osservanza di regole che portano a ben ragionare ed a ben discutere ; non è una scienza che ha una sua epistemologia. La stessa matematica è strettamente legata a questa dialettica. Per questo Pierre de la Ramée afferma che l’aritmetica è un’arte analitica che permette di comunicare alcuni contenuti in maniera facile e trasparente. Il numero, che è l’oggetto della aritmetica, esiste in natura prima di essere classificato come grandezza. Ciò porta ad affermare un primato dell’aritmetica sulla geometria, per il fatto che la prima è lo strumento per leggere ciò che esiste in natura, mentre la seconda dà un ordine a ciò che con l’aritmetica è già conosciuto.  





1   A. Robinet, Aux sources de l’esprit cartésien: l’axe La Ramée - Descartes de la Dialectique de 1555 aux Regulae, Paris, Vrin, 1996.

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Raffaele Cirino, Bernardino Telesio e « delle cose che in aria si fanno »  



BERNARDINO TELESIO E «DELLE COSE CHE IN ARIA SI FANNO» Raffaele Cirino

I

n questo breve contributo prenderemo ad oggetto della nostra inchiesta quella parte della riflessione filosofico-naturalistica telesiana che riguarda, in un modo o nell’altro, l’aspetto relativo ai fenomeni atmosferici, cioè alcuni eventi strettamente connessi alla struttura dinamica dell’atmosfera che si pongono in relazione con la superficie terrestre ed il mare. Gli accadimenti meteorologici, quali elementi caratterizzanti direttamente la vita dell’uomo e della natura, sono stati da sempre oggetto di indagine e di studio non solo da parte dei filosofi naturali, ma anche da letterati, poeti, navigatori, gente comune. Talete, che viene considerato tradizionalmente il capostipite dei filosofi occidentali era un ottimo ‘meteorologo’ dato che, secondo la leggenda, si arricchì prevedendo con largo anticipo, sulla base dell’osservazione dei mutamenti meteorici, il verificarsi un’annata eccezionale di produzione di olive. Il primo che, tuttavia, trattò in maniera sistematica e ‘scientifica’ i fenomeni atmosferici fu Aristotele, il quale con ripetuti riferimenti in diversi scritti e, soprattutto, nei Meteorologica affronta da par suo i ‘cangiamenti’ dell’aria. Ora, essendo Telesio il primo dei rivoluzionari scientifici, oltre che uno dei massimi oppositori dello Stagirita, non poteva tralasciare un ambito così variegato ed interessante come quello degli eventi atmosferici e climatici. Noi tenteremo di esporre le linee generali di tali riflessioni prendendo in considerazione due opuscoli molto brevi, ma estremamente interessanti, e cioè il De mari e il De iis quae in aere fiunt et de terremotibus. 1 La traduzione di quest’ultimo fatta a suo tempo da Luigi De Franco ne modifica il titolo, snaturandolo, in Dei fenomeni celesti e dei terremoti. Siamo convinti, infatti, che sia invece molto più confacente tradurre alla lettera il titolo di questo opuscolo, ossia Delle cose che in aria si fanno e dei terremoti, poiché tale esegesi non solo penetra essenzialmente e più nello specifico la prospettiva naturalistica telesiana, ma anche perché si presta meglio al taglio interpretativo che proponiamo brevemente in questa relazione. Un primo elemento da sottolineare è che questi due opuscoli furono pubblicati nel 1570 insieme al De rerum natura. In verità, nel ‘pacchetto’ editoriale era compreso un terzo opuscolo, il De colorum, il quale venne però stralciato tre anni dopo in sede di traduzione da Francesco Martelli e che noi, in questo contesto, non prenderemo in considerazione. In ogni caso, il fatto che tali scritti siano stati pubblicati in concomitanza col De rerum natura è indice della stretta connessione teorico-metodologica esistente tra i suddetti opuscoli e l’opera maggiore di Telesio. L’elemento altrettanto interessante 1   Entrambi gli opuscoli si trovano in una edizione fuori commercio B. Telesio, De iis quae in aere fiunt et de terremotibus ; De mari, a cura di L. De Franco con la trad. it a fronte a cura di F. Martelli, Cosenza, Bios, 1990, da cui citeremo.  

66 raffaele cirino è che il De mari e il De iis quae in aere fiunt siano stati ripubblicati assieme nel 1990 (tradotti in italiano da De Franco) in occasione del xxii Congresso Internazionale di Idraulica e Costruzioni Idrauliche organizzato dal Dipartimento di Ingegneria dell’Università della Calabria. I due opuscoli, anche se provenienti da un « campo disciplinare diverso », secondo gli organizzatori erano giustamente in assonanza con i lavori del Congresso poiché si trattava, tra le altre cose, di uno dei fenomeni naturali più straordinariamente interessanti qual’è il « ciclo dell’acqua ». Dei due scritti telesiani si sottolineavano in quella sede non tanto le teorie proposte dal cosentino quattro secoli prima quanto, come si dice opportunamente nella prefazione, « lo sforzo di indagare alcuni fenomeni naturali con la mentalità che ha avuto il merito di favorire successivamente lo sviluppo delle scienze idrauliche ». 1 È importante allora far viaggiare i due opuscoli assieme tenendo ben presenti il De rerum natura, anche perché per la prima volta, a differenza di Aristotele, Telesio intuiva la stretta relazione, dimostrata poi scientificamente, che passa tra il mare, il clima terrestre e gli eventi meteorologici in generale. Un primo elemento notevole del De mari è una presa di posizione metodologica. Cioè, mentre negli altri scritti normalmente Telesio prima espone le sue tesi e poi, sugli stessi argomenti, contraddice quelle avanzate da Aristotele, in questo scritto prima espone le tesi dello Stagirita e poi le critica dettagliatamente. Ed è lo stesso autore a sottolineare l’importanza della inversione di metodo, nella dedica che ne fa a Ferdinando Carafa.  











E, contrariamente al mio abituale modo di fare, in questo le tesi di Aristotele vengono esposte ed esaminate prima, affinché il lettore possa facilmente capire che tu giustamente non ti sei potuto accontentare di esse ; in seguito vengono aggiunte le nostre tesi. 2  

Dal punto di vista strettamente teorico, la critica che Telesio indirizza al filosofo greco su tali argomenti meteorologici parte, invece, dal De iis quae in aere fiunt. In tale scritto, infatti, ad un certo punto afferma :  

Anchor che Aristotile rettamente cavi la materia de’ venti dalle cose più secche, non rettamente certo dalla terra sola la cava ; sì come manifestamente si vede che dal mare (e forse più che dalla terra) si cavano quelli vapori che per l’aria scorrono, e che particularmente spirono […] ; onde essendo egli spogliato di poca tenuità, in sale si condensa, e non mai è dal Sole in qual si voglia modo validamente aperto ; per che essendo egli continuamente agitato e mosso, fugge in un certo modo l’attion sua, et apre solamente a vapori più tenui ; e sì come si vede (il che doveva ancho vedere Aristotile) che quelli vapori che son più tenui, più prontamente in venti si diffondono, non doveva parerli che più dalla terra che dal mare fussin cavati. 3  







La ‘materia’ di cui parla il cosentino, la quale è alla base di numerosi fenomeni atmosferici, è evidentemente la stessa di cui parla nel De mari. In realtà, in questo 1

 Il xxii Convegno di Idraulica e Costruzioni Idrauliche, si è svolto a Cosenza dal 4 al 7 ottobre 1990 e la Prefazione al volume è curata dall’allora presidente del comitato organizzatore del convegno, nonché Rettore dell’Unical, Giuseppe Frega. 2  B. Telesio, De Mari, ed. cit., p. 71 ; il brano si trova nei saluti che Telesio porge, all’inizio dell’opuscolo, a Ferdinando Carafa conte di Soriano. 3  B. Telesio, De iis quae in aere, ed. cit., p. 55.  

67 bernardino telesio e «delle cose che in aria si fanno» passo si vede come Telesio relativamente all’argomento vapori (esalazioni), cioè il motore fisico-meccanico dei venti e delle perturbazioni atmosferiche in genere sia effettivamente molto più preciso e nel vero rispetto ad Aristotele. Quest’ultimo, in effetti, pensava che la maggior parte dei vapori e delle esalazioni provenissero dal suolo terrestre, dalla terra insomma, mentre Telesio, come hanno dimostrato in seguito l’osservazione e gli esperimenti sulla fisica dell’atmosfera, asserisce esplicitamente che il vero motore produttivo dei vapori è il mare e l’oceano. In realtà, per coloro che hanno una certa familiarità, anche minima, con la meteorologia è risaputo che la maggior parte delle perturbazioni che giungono nel nostro paese, e non solo, ci arrivano direttamente dall’oceano Atlantico. Come tutti ormai sanno, per esempio, che le due correnti marine il Niño e la Niña, di cui si parla diffusamente in alterni periodi, riescono a condizionare l’intero clima mondiale poiché regolano essenzialmente il ciclo dell’acqua, di cui sopra, a livello planetario. Nel De mari vengono inoltre affrontate altre questioni : la salinità dell’acqua, i diversi moti del mare, le loro cause, etc., tuttavia, non potendole affrontare tutte, ci concentreremo sul fenomeno che, a nostro avviso, meglio evidenzia il collante sistematico-teorico della riflessione naturalistica telesiana, e non solo riguardo agli scritti che stiamo qui analizzando ma anche nella sua più generale visione del mondo. Il fenomeno è quello delle maree in relazione alla riflessione della luce solare, e non a caso mi collego espressamente ad una parte molto significativa del contributo di Luigi Maierù, presente in questo volume, da un punto di vista strettamente geometrico-matematico. Naturalmente, Telesio non poteva sapere che alla base delle maree ci fosse la forza di attrazione gravitazionale della luna, come di altri pianeti e che, in minima parte, intervenisse anche il moto di rotazione terrestre (questione, quest’ultima, che trarrà in inganno anche Galilei, il quale attribuiva l’intero moto di marea al movimento rotatorio della Terra). Ed ecco, allora, che il Cosentino ci offre la sua ipotesi in proposito annettendola ad un effetto particolare della luce lunare, per come ora vedremo.  

Nel plenilunio e nella luna nuova si vede che il mare è grandemente innalzato e sollevato, per che nel plenilunio la luce che reflette cava molti vapori, ma nella nuova (se però è vero che il mare si inalzi) il fa per che essendosi raffreddato l’aere, il calore del mare si raccoglie e si unisce, et essendo divenuto più potente manda fuori più vapori […] : ma poco si inalza ne’ quadrati della luna, per che non riflette da quella molta luce, ne il proprio calor nel mare si può in se stesso raccogliere : oltre à ciò li vapori li quali esalano dal mare, non solamente lo inalzano ma lo spingono anchora et al moto lo incitono ; sì come ci dimostra la paglia posta sopra l’acqua, per che se la luce del Sole reflessa continuamente da uno specchio nell’acqua opposita alla paglia, in modo che li vapori i quali continuamente nascono percuotino essa paglia come dalle spalle, vedremo che essa sarà sospinta nel luogo opposito e che di nuovo ella ritornerà adetro, se la luce nel medesimo modo dall’altra parte refletta […] ; per che la luce reflessa genera nell’acqua un certo spirito, e questo esalando spinge l’acqua e la paglia nella parte opposta. 1  







1   B. Telesio, De mari, ed. cit., p. 115 ; la paglia serviva come prova osservativa per evidenziare il moto superficiale dell’acqua del mare e, dunque, le correnti.  

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Come si vede, Telesio collega la produzione e lo sviluppo dei vapori non tanto al calore solare incamerato precedentemente dal mare, quanto alla direzione e all’inclinazione con la quale la luce colpisce la superficie (e non solo) del mare stesso. In effetti, quando parla della riflessione proveniente dai raggi della luce lunare è ovvio che Telesio non lega lo sviluppo dei vapori, che si producono nel fondo del mare, al calore inesistente di tale riflessione, ma essenzialmente alla inclinazione dei raggi incidenti e, soprattutto, all’angolazione dei raggi riflessi, a loro volta, dal fondo marino. In altri termini, Telesio considera la riflessione ottica dei raggi come la causa principale del fenomeno delle maree. Effettivamente che in ottica geometrica esistono diversi angoli di riflessione, tuttavia in questo caso la più efficace per produrre i vapori e far sollevare le acque del mare è quella che, come afferma Maierù, avviene ad angolo retto, cioè ritorna sulla direttrice dei raggi incidenti. Naturalmente, per Telesio, è importante anche l’area, cioè la sezione o quantità di superficie di mare che viene ad essere colpita dai raggi, come pure la corrispondente porzione di piano del fondale marino e la sua profondità. Il perché la marea ed il flusso e reflusso del mare sono in alcuni luoghi grandi e manifesti, ed altrove minimi e tali che molto a stento possono essere percepiti, sta nel fatto che in un posto il mare è meno profondo, e in un altro lo è di più, e che non sempre ovunque gli sottostà la medesima terra, in quanto questa in un posto è dura e densa, in un altro molle e rilasciata ; e così, come è stato più ampiamente detto nei libri su La Natura) la luce non si reflette la stessa da qualsiasi fondo marino, ma da uno viene reflessa ben raccolta e ben robusta, da un altro più esile e più languida e tale da generare insomma meno vapori […] per che qualsiasi mare non è sempre illuminato da una medesima luce, ma quasi sempre da una diversa luce del Sole e della luna. 1  

Come si evince espressamente da questo passo, per provocare la risalita del mare non è essenziale solo l’intensità della luce, ma anche l’angolazione della riflessione la quale dipende dalla profondità del fondale marino e dalla costituzione materiale dello stesso. Poiché non tutti i fondali riflettono la luce allo stesso modo e non tutti i mari della terra ricevono la stessa quantità di luce solare la quale si diversifica a secondo del luogo e della latitudine. Importante in questo brano è pure il riferimento che Telesio fa al De rerum natura, a dimostrazione che gli opuscoli erano effettivamente connessi dal punto di vista speculativo, oltre che editoriale, all’opera più importante del cosentino. Un’altra questione teorica che è fondamentale per capire la concezione del moto delle maree proposta da Telesio, è che non è tanto la quantità dei vapori che si innalza dal fondo del mare a generare il sollevamento dell’acqua, quanto la qualità, cioè la densità dei vapori stessi. E parimenti, sono minime le maree ed i flussi e reflussi nei solstizi, perché in quello invernale la luce del Sole, che è obliqua e languida al massimo, genera molti pochi vapori e tali che, non potendo essi uscir fuori da un mare ben costretto e non essendo capaci di muoverlo perché è stato già reso ben pesante, necessariamente saranno trattenuti in esso sino a tanto che, dopo aver raggiunto una tenuità somma, possono andar via senza innalzare affatto il mare, oppure innalzandolo solamente un poco ; in quello estivo invece, per che il Sole  

1

  Ivi, p. 127.

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diretto genera di certo moltissimi vapori, ma molto tenui e tali che senza quasi innalzare il mare essi vanno via da esso mare, che è stato reso più robusto da un caldo specialmente robusto. In primavera ed in autunno questi moti sono grandissimi perché (come è stato detto nell’opuscolo Le piogge) il Sole medio genera molti vapori alquanto crassi. 1

Quando Telesio fa riferimento all’opuscolo Le piogge, che non esiste, in realtà si riferisce ai primi dieci capitoli del De iis quae in aere fiunt. In questo caso, comunque, come si vede, il moto delle maree è dovuto ai vapori più densi e ‘crassi’ i quali fuoriuscendo con sforzo dal mare fanno attrito con le particelle dell’acqua e quindi trascinano verso l’alto il mare stesso sollevandolo. Il contrario avviene con i vapori meno densi, i quali non facendo attrito col volume dell’acqua escono fuori senza attrarre verso l’alto il mare ; è come se scivolassero verso la superficie dell’acqua senza alcun vincolo di frizione. In effetti, non è un caso che il titolo dell’opuscolo reciti Delle cose che in aria si fanno (con l’aggiunta) e dei Terremoti, due tipologie di fenomeni naturali che appartengono ad elementi materiali diversi, cioè l’aria e la terra, ma che hanno il medesimo principio generatore e di funzionamento. In realtà, secondo una lunga e fallace tradizione di pensiero, che parte da Aristotele, i terremoti erano prodotti da attività eoliche sotterranee originate dai vapori del sottosuolo, le quali facendo aumentare la pressione barica nelle viscere della terra producevano un violento sollevamento tellurico che generava i terremoti. Nell’opuscolo De iis quae in aere fiunt et de terremotibus Telesio, infatti, afferma :  



Per che il Sole genera i vapori, non solamente nelle parti supreme e molli della terra, ma nelle più profonde anchora e ben crasse e dense […] ; ma per che li vapori, nelli concavi della terra ristretti, non si fanno subitamente in tanta copia, quanta è bisogno per spingere ò aprire la terra, non così subito di uscir fuori si sforzono, ma lungo tempo alcuna volta con quella, in un certo modo combattono insino à quando divenuti molti di più, quella (come spessissime volte si è veduto) spezzino ò che dotati di somma tenuità di quivi esalino ; e mentre che l’uscita sforzono, variamente squotono, e muovon la terra, onde si vede che ella trema e si muove ; e così i tremuoti sono frequenti nelle terre calde e dense e cavernose. 2  





Per inciso, sia lo Stagirita che il cosentino non conoscendo, come detto, quale fosse la vera causa delle maree, cioè l’attrazione gravitazionale, non potevano sapere che esistono in verità anche le cosiddette maree terrestri, che pure la superficie terrestre subisce, per effetto della gravitazione lunare e dei pianeti, un impercettibile sollevamento. In ogni caso, tali considerazioni sugli effetti prodotti dall’aria, reperibili nel Delle cose che in aria si fanno e dei terremoti, interessano strettamente anche il libro VIII del De rerum natura, in particolare ci interessa una circostanza che dimostra il vero legame tra questi due scritti e che spesso passa inosservata. In realtà, ‘le cose’ che si ‘fanno’ nell’aria non riguardano solo i fenomeni meteorologici, ma l’aria è fondamentale anche per la natura degli spiriti ed in particolare per lo spirito della ‘cosa’ più importante tra ‘le cose della Natura’, cioè l’uomo. Non potendo approfondire, per ovvi motivi, un aspetto così rilevante della riflessione telesiana ci affidiamo soprattutto alle illuminanti considerazioni dell’autore. 1

  Ivi, p. 133.

2

 B. Telesio, De iis quae in aere, ed. cit., p. 47.

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Orsù dunque, dato che, come si è detto, gli spiriti differiscono tra loro non tanto solo per il caldo quanto anche per tenuità e purezza, non ci sia noioso il rispiegare quale caldo trae fuori da quella tenuità e quanto pura la trae e da quale cosa la trae, anche se è stato dimostrato abbastanza nelle pagine precedenti e sono state poste come davanti agli occhi nell’opuscolo Le piogge, come tutte quelle altre cose che riguardano la spiegazione di un fatto così importante. 1

Il riferimento va ancora ai primi dieci capp. del Delle cose che in aria si fanno, e con queste espressioni, attraverso le quali si impegna nel prosieguo a rispiegare la differenza tra gli spiriti in base al loro calore, tenuità e purezza, Telesio chiude l’ottavo libro del De rerum natura. Qualche pagina prima, nel medesimo capitolo xxxi, riferendosi sempre allo spirito, aveva affermato : « Dato che, come si è detto nei libri precedenti, lo spirito diminuisce continuamente, per questo se si deve conservare, dev’essere continuamente rifatto ». 2 L’attenzione cade essenzialmente sul verbo rifarsi (ri-farsi). Anche perché la sensazione principale è che Telesio, volendo considerare la naturalezza dello spirito e la sua tenue materialità, proponga una corrispondenza analogica e funzionale tra le ‘cose’ (fenomeni meteorologici) e la ‘cosa’ (l’uomo) della natura. Si ha l’impressione, cioè, che il cosentino voglia dire : così come le ‘cose nell’aria si fanno’, così lo spirito ‘per (attraverso) l’aria si rifà’.  







Per questo è molto ragionevole che lo spirito si rifaccia massimamente con qualsiasi cosa calda e tenue, a cui sia stata aperta l’entrata sino ai ventricoli del cervello ed alla stessa totalità dello spirito, con quelle cose cioè che possono penetrare in questi ventricoli e mescolarsi allo stesso spirito, e soprattutto con l’aria, che noi inspiriamo continuamente, e con i vapori che il caldo dello stomaco e del ventre continuamente fa salire dal cibo preso, e maggiormente con l’evaporazione che viene fuori da qualsiasi vena ed arteria, che arriva a toccare i ventricoli del cervello e soprattutto da quell’arteria che alla base del cervello si complica in numerose circonvoluzioni a mo’ di rete, per cui ha ricevuto il nome di reticolo. 3

Non a caso il titolo di questo capitolo del De rerum natura recita : Con quali cose e da chi lo spirito viene rifatto.  

1

  De rer. nat. 1976, p. 315.   Ivi, pp. 303-304 (corsivo mio).

3

2

  Ivi, p. 303.

Hiro Hirai, Il calore cosmico di Telesio fra il De generatione animalium di Aristotele e il De carnibus di Ippocrate

IL CALORE COSMICO DI TELESIO FRA IL DE GENERATIONE ANIMALIUM DI ARISTOTELE E IL DE CARNIBUS DI IPPOCRATE Hiro Hirai 1. Il passo cosmologico del De generatione animalium , 2.3

L

’en igmatico passo del De generatione animalium, 2.3, 736b29-737a5, è uno dei brani più commentati delle opere biologiche di Aristotele nel corso del Medioevo e del Rinascimento. Esso spiega il contenuto invisibile e segreto del seme degli esseri viventi :  

La facoltà di ogni anima sembra dunque aver parte di un corpo diverso e più divino dei cosiddetti elementi, e come le anime differiscono per nobiltà o ignobiltà le une dalle altre, così differisce anche siffatta natura. Nel seme di tutti gli animali è presente ciò che rende fecondi i semi : ciò che è chiamato caldo. Questo però non è fuoco, né una facoltà simile al fuoco, ma il pneuma racchiuso nel seme e nella schiuma e la natura contenuta nel pneuma, che è analoga all’elemento di cui sono costituiti gli astri. Perciò il fuoco non è in grado di generare alcun animale e non risulta che se ne componga alcuno neppure nelle sostanze infuocate, in quelle umide o in quelle secche. Il calore del sole invece e quello degli animali, non solo quello agente attraverso lo sperma, ma anche qualsiasi altro residuo della loro natura, possiede un principio vitale.1  

Nel seme si trovano dunque il pneuma, tradotto in latino con spiritus, e il suo calore. Aristotele suggerisce che la natura di questo calore corrisponda per analogia all’elemento delle stelle, vale a dire alla sostanza celeste, l’aether. È così che all’interno del discorso embriologico viene introdotta una dimensione cosmologica. Il presente saggio si propone di analizzare il ruolo di questo passo nel pensiero di Bernardino Telesio. 2 Ma prima di tutto è necessario spiegare il suo contesto storico ed intellettuale. Gli antichi commentatori greci di Aristotele, come Alessandro di Afrodisia o Simplicio, non hanno prestato una particolare attenzione al potenziale interpretativo del passo. Effettivamente, bisogna attendere molto più tardi, Michele di Efeso – Desidero ringraziare di cuore Germana Ernst, Carla Rita Palmerino, Kuni Sakamoto ed Emilio Sergio per il loro aiuto nella preparazione del presente saggio. 1   Aristotele, De generatione animalium, 2.3, 736b29-737a5, in Idem, Riproduzione degli animali, in Opere, a cura di M. Vegetti e D. Lanza, Roma-Bari, Laterza, 1973, vol. 5, pp. 207-208, corsivo mio. Su questo passo, si veda F. Solmsen, The Vital Heat, the Inborn Pneuma, and the Aether, « Journal of Hellenic Studies », lxxvii, 1957, pp. 119-123 ; A. Preus, Science and Philosophy in Aristotle’s Generation of Animals, « Journal of the History of Biology », iii, 1970, pp. 1-52 : 35-38 ; D. M. Balme, Aristotle’s De partibus animalium I and De generatione animalium I, Oxford, Clarendon, 1972, pp. 161-164 ; G. Freudenthal, Aristotle’s Theory of Material Substance. Heat and Pneuma, Form and Soul, Oxford, Clarendon, 1995, pp. 107-119 ; J. G. Lennox, Aristotle’s Philosophy of Biology, Cambridge, Cambridge University Press, 2001, pp. 229-249. 2   Sulla vita e sulle opere di Telesio, si veda De Franco 1989 ; De Franco 1995 ; Bondì ; M. Mulsow, Frühneuzeitliche Selbsterhaltung : Telesio und die Naturphilosophie der Renaissance, Tübingen, Meyer, 1998.  

























72 hiro hirai autore, nel xii secolo, di un commentario sul De generatione animalium –, perché alcuni significati impliciti o nascosti del testo aristotelico possano emergere nella maniera più perspicua. Una delle rare eccezioni in età alessandrina è costituita dalla parafrasi di Temistio al De anima di Aristotele, 1 in cui troviamo un breve riferimento al testo del De generatione animalium. Seguendo probabilmente questa parafrasi, notoriamente diffusa nel mondo arabo, autori come Avicenna e Averroè – i quali erano, allo stesso tempo, filosofi e medici –, non solo hanno compreso il valore del passo cosmologico del De generatione animalium, ma l’hanno anche utilizzato per spiegare l’idea galenica della « virtù formativa » (duvnami~ diaplastikhv) del seme, per avvicinarsi alla nozione di intelletto (intellectus).2 Infatti, nello stesso capitolo del De generatione animalium aristotelico, s’incontrano due passi che parlano dell’origine dell’intelletto. Il primo afferma :  





Resta dunque che solo l’intelligenza giunge dall’esterno e solo essa è divina, perché l’attività corporea non ha nulla in comune con la sua attività. 3

Il secondo dice :  

Si consideri la parte corporea dello sperma nella quale viene trasportato il principio animante che per una parte è dotato di esistenza separata dal corpo in tutti gli animali in cui è presente qualcosa di divino (siffatta è quella che viene chiamata intelligenza) […]. 4

Questi due passi erano spesso utilizzati per sostenere la natura incorporea e incorruttibile, e dunque immortale, dell’anima umana. È in tale prospettiva che, al seguito degli Arabi, i Latini avevano sviluppato la loro interpretazione non soltanto dal punto di vista filosofico e teologico, come in Alberto Magno (ca. 1193-1280) e Tommaso d’Aquino (ca. 1225-1274), ma anche in ambito medico, come in Pietro d’Abano (1257-ca. 1315). 5 In ugual modo questi tre passi del De generatione animalium, 2.3, di Aristotele sono spesso evocati nei discorsi dei teologi, dei filosofi e dei medici durante il tardo Medioevo. 6 1   Temistio, In de anima, 1.3, in Themistii in libros Aristotelis de anima paraphrasis, ed. R. H. Heinze, Berlin, Reimer, 1899, p. 19 (d’ora in poi Heinze) = Temistio, On Aristotle’s On the Soul, trans. by R. B. Todd, Ithaca, Cornell University Press, 1996, p. 35 (d’ora in poi Todd). 2   H. Hirai, Semence, vertu formatrice et intellect agent chez Nicolò Leoniceno entre la tradition arabo-latine et la renaissance des commentateurs grecs, « Early Science and Medicine », xii, 2007, pp. 134-165 ; Idem, Medical Humanism and Natural Philosophy. Renaissance Debates on Matter, Life and the Soul, Leiden, Brill, 2011. 3   Aristotele, De generatione animalium, 2.3, 736b27-29, ed. cit., pp. 207-208. Cfr. P. Moraux, À propos du nou`~ quvraqen chez Aristote, in Autour d’Aristote, ed. A. Mansion, Louvain, Presses universitaires de Louvain, 1955, pp. 255-295. È ancora Temistio che fa un riferimento all’idea dell’« intelligenza che giunge dall’esterno » del De generatione animalium, 2.3, nella sua parafrasi al De anima di Aristotele : vedi Temistio, In de anima, 1.5 (Heinze, p. 37 ; Todd, p. 54). 4   Aristotele, De generatione animalium, 2.3, 737a7-10, ed. cit., p. 208. 5   P. d’Abano, Conciliator…, Venetiis, apud Iuntas, 1565, diff. 48, f. 72r. Cfr. B. Nardi, Saggi sull’aristotelismo padovano dal secolo xiv al xvi, Firenze, Sansoni, 1958, pp. 3-8 ; E. Paschetto, Pietro d’Abano, medico e filosofo, Firenze, Vallecchi, 1984, pp. 199-202 ; D. Jacquart, Médecine et astrologie à Paris dans la première moitié du xive siècle, in Filosofia, scienza e astrologia nel Trecento europeo, a cura di G. Federici Vescovini et alii, Padova, Il Poligrafo, 1992, pp. 121-134 ; Eadem, L’influence des astres sur le corps humain chez Pietro d’Abano, in Le corps et ses énigmes au Moyen Âge, ed. B. Ribémont, Caen, Paradigme, 1993, pp. 73-86. 6   Si veda G. M. Nardi, Problemi d’embriologia umana antica e medioevale, Firenze, Sansoni, 1938 ; B. Nardi, Studi di filosofia medievale, Roma, Storia e Letteratura, 1960 ; R. Martorelli Vico, Medicina e  























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il calore cosmico di telesio

Nel Rinascimento, il medico francese Jean Fernel (1497-1558) – a cui va il merito d’aver dato nuovo impulso alla tendenza umanista ad armonizzare Platone ed Aristotele –, sviluppando la nozione dello spiritus nel suo dialogo filosofico De abditis rerum causis (Parigi, 1548), fa ricorso a più riprese al passo cosmologico del De generatione animalium, collegandolo all’idea dello spiritus universale del mondo (spiritus mundi) del platonico fiorentino Marsilio Ficino (1433-1499). Con Fernel, questo passo di Aristotele diventa il topos della medicina filosofica del Rinascimento. 1 Dal punto di vista della filosofia naturale e medica, il passo cosmologico del De generatione animalium comporta un altro elemento importante, poiché alla fine della frase Aristotele parla di « principio vitale » (ajrchv zwtikhv), origine della vita, che è racchiuso nel calore del sole e degli esseri viventi. Nel seme si trova anche un calore che conserva il segreto dell’origine della vita. Per comprendere meglio questa dimensione, viene spesso invocato un altro passo del De generatione animalium, 3.11. Si tratta di quello sulla generazione spontanea :  





Gli animali e le piante si producono nella terra e nell’acqua, perché nella terra è presente l’acqua, nell’acqua il pneuma, e in questo dappertutto c’è calore animante ; di conseguenza tutte le cose sono in certo modo piene di anima. 2  

Questa connessione offre un’occasione formidabile al milanese Girolamo Cardano (1501-1576), per spiegare la sua concezione panvitalista del mondo in un’opera estremamente diffusa, il De subtilitate (Norimberga, 1550), in cui egli formula la sua teoria del calore cosmico e avanza l’idea dell’onnipresenza delle anime nell’universo. 3 Per Cardano, il calore cosmico è la fonte di tutti gli altri calori terrestri, in quanto causa efficiente di ogni generazione, esso è il principio attivo della formazione degli esseri naturali, compresi i minerali e i metalli. Cardano si spinge ancora più lontano, affermando che il calore cosmico è l’anima stessa o piuttosto il suo imprescindibile strumento :  

[…] è evidente che Ippocrate ha parlato correttamente, vale a dire che l’anima non è niente altro che questo calore celeste. Ciò si accorda anche con l’opinione di Aristotele, dal momento che egli sostiene che il calore dello spiritus ha una certa analogia con l’elemento filosofia : per una storia dell’embriologia medievale nel xiii e xiv secolo, Milano, Guerini, 2002 ; M. Van Der Lugt, Le ver, le démon et la vierge : les théories médiévales de la génération extraordinaire, Paris, Les Belles Lettres, 2004. 1   Cfr. H. Hirai, Alter Galenus. Jean Fernel et son interprétation platonico-chrétienne de Galien, « Early Science and Medicine », x, 2005, pp. 1-35 ; Idem, Medical Humanism and Natural Philosophy, cit. Su Fernel, si veda anche H. Hirai, Le concept de semence dans les théories de la matière à la Renaissance. De Marsile Ficin à Pierre Gassendi, Turnhout, Brepols, 2005, pp. 83-103. Sulla teoria ficiniana dello spiritus mundi, cfr. Idem, Concepts of Seeds and Nature in the Work of Marsilio Ficino, in Marsilio Ficino. His Theology, His Philosophy, His Legacy, ed. M. J. B. Allen e V. Rees, Leiden, Brill, 2002, pp. 257-284 : 273-274. 2   Aristotele, De generatione animalium, 3.11, 762a18-21, ed. cit., p. 266. Cfr. H. Hirai, Semence, vertu formatrice et intellect agent, cit., p. 119 ; Idem, The Invisible Hand of God in Seeds. Jacob Schegk’s Theory of Plastic Faculty, « Early Science and Medicine », xii, 2007, pp. 377-404 : 395 ; Idem, Medical Humanism, cit. 3   H. Hirai, Le concept de semence, cit., pp. 135-156 : 140-148 ; Idem, Prisca Theologia and Neoplatonic Reading of Hippocrates in Fernel, Cardano and Gemma, in Cornelius Gemma. Cosmology, Medicine and Natural Philosophy in Renaissance Louvain, ed. H. Hirai, Roma, Serra, 2008, pp. 91-104 ; Idem, Medical Humanism, cit.  





























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delle stelle. Di fatto, che il calore sia l’anima o il suo primo strumento, là dove ci sarà questo genere di calore, è necessario evidentemente che l’anima stessa sia presente, dunque anche la vita. Poiché la vita non è niente altro che l’opera dell’anima. 1

In questa occasione, Cardano fa riferimento al passo cosmologico del De generatione animalium aristotelico. 2 Al riguardo, bisogna precisare che egli si basa anche sul passo riguardante la generazione spontanea della stessa opera per sostenere l’onnipresenza delle anime. Un altro elemento è importante in questa citazione : Cardano cita Ippocrate per rafforzare il proprio argomento, nonostante non riveli la propria fonte. Si dà il caso, infatti, che questa idea sia ricavata dall’esordio del trattato De carnibus, in cui Ippocrate propone la dimensione cosmologica dell’origine dell’anima :  



Nulla mi sembra necessario d’essere detto a proposito delle cose celesti e sublimi, se non che gli uomini e gli altri animali, che nascono e vivono sulle terre, derivano il loro principio e origine a partire da esse e che la loro anima deriva dal cielo. Mi sembra perciò che si possa affermare che ciò che noi chiamiamo ‘caldo’ è immortale, e comprende ogni cosa, vede e conosce ogni cosa, il presente come il futuro. 3

È proprio su questo passo, non dimentichiamolo, che Fernel fonda la sua argomentazione a favore dell’origine celeste dell’anima umana e della sua immortalità. 4 Fernel, per la lettura di Ippocrate segue la traduzione latina di Marco Fabio Calvo (ca. 1440-1527), pubblicata in Hippocratis octoginta volumina (Roma, 1525) e poi nella collezione ippocratica (Parigi, 1527), mentre la versione di Janus Cornarius (1500-1558), pubblicata in Hippocratis opera omnia (Venezia, 1546), è più vicina ad una lettura moderna. 5 Quanto a Cardano, egli afferma che il calore cosmico è « anima 

1  G. Cardano, De subtilitate, 5, ed. critica a cura di E. Nenci, Milano, Angeli, 2004, vol. i, pp. 451-452. Sul tema, cfr. G. Giglioni, Girolamo Cardano e Giulio Cesare Scaligero. Il dibattito sul ruolo dell’anima vegetativa, in Girolamo Cardano. Le opere, le fonti, la vita, a cura di M. Baldi e G. Canziani, Milano, Angeli, 1999, pp. 313-39 : 324-325 ; I. Schütze, Die Naturphilosophie in Girolamo Cardanos De subtilitate, Munich, Fink, 2000, pp. 122-123 ; H. Hirai, Cosmic Heat in Medicine and Astrology. The Case of Antoine Mizauld’s Conversion between Urania and Asclepius, di prossima pubblicazione ; K. Sakamoto, The World-Soul and Universal Unity in Girolamo Cardano and Julius Caesar Scaliger, di prossima pubblicazione. 2   Cfr. M. L. Bianchi, Motivi scolastici nel primo e secondo libro del De subtilitate di Girolamo Cardano, « Lexicon philosophicum », vi, 1993, pp. 7-20 ; Idem, Scholastische Motive im ersten und zweiten Buch des De subtilitate Girolamo Cardanos, in Girolamo Cardano. Philosoph, Naturforscher, Arzt, ed. E. Kessler, Wiesbaden, Harrassowitz, 1994, pp. 115-130. 3   Ippocrate, De carnibus, 2, in Œuvres complètes d’Hippocrate, vol. viii, par É. Littré, Paris, Baillière, 1839-1861, p. 584 (d’ora in poi Littré). Cfr. E. Schöner, Das Viererschema in der antiken Humoralpathologie, Wiesbaden, Steiner, 1964, pp. 52-54 ; W. Spoerri, L’anthropogonie du Peri sarkon (et Diodore, i 7, 3 s.), in Formes de pensée dans la Collection hippocratique, ed. F. Lasserre e P. Mudry, Ginevra, Droz, 1983, pp. 57-70 ; G. Freudenthal, Aristotle’s Theory of Material Substance, cit., pp. 95-97. 4   J. Fernel, De abditis rerum causis, 2.4, in Jean Fernel’s On the Hidden Causes of Things. Forms, Souls and Occult Diseases in Renaissance Medicine, ed. by J. M. Forrester and J. Henry, Leiden, Brill, 2005, p. 445 : « De coelestibus autem rebus et sublimibus, mihi nihil dicendum videtur, nisi quatenus homines animaliaque caetera quae in terris degunt et gignuntur, principium inde et originem habent : quodque anima de coelo est ». 5   Cfr. Cinq cents ans de bibliographie hippocratique, 1473-1982, ed. G. Maloney e R. Savoie, Québec, Sphinx, 1982, p. 37, n. 92, e p. 39, n. 106. Cfr. R. Gualdo, M. F. Calvo, ad v., in Dizionario biografico degli italiani, xliii (1993), Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, pp. 723-727. Su Cornarius, cfr. B. Mondrain, Éditer et traduire les médecins grecs au xvie siècle. L’exemple de Janus Cornarius, in Les voies de la science grecque, ed. D.  

























75 il calore cosmico di telesio to » e anche « dotato di intelligenza » secondo Ippocrate. Con il filosofo milanese, la mescolanza con il De carnibus di Ippocrate diventa la moneta corrente nella lettura platonizzante del passaggio cosmologico del De generatione animalium di Aristotele nel Rinascimento. Allo stesso modo, il platonico fiammingo Cornelio Gemma (1535-1578) accetta in modo naturale questa mescolanza, in quanto a suo parere esprime il segreto del principio vitale e dell’origine dell’anima in una dimensione cosmologica. Nella sua prima opera principale, De arte cyclognomica (Anversa, 1569), questo grande ammiratore di Fernel e di Cardano collega il calore cosmico alla teoria ficiniana dello spiritus mundi :  







Sopra le qualità pongo lo spiritus, che non è, secondo il mio parere e secondo quello di Ippocrate nei trattati De diaeta e De carnibus, nient’altro che il calore innato, proprio come lo spiritus universale del mondo non differisce dall’elemento delle stelle. Ci sono molti che ne parlano spesso, ma pochissimi lo intendono realmente. Quello spiritus è qui il primo strumento della forma futura o dell’anima. Esso collega la forma ai corpi, ed è legato ad essi come veicolo intermediario della qualità. Secondo Ippocrate, questo spiritus non è altro che ciò che perfeziona, collega, vede e comprende tutte le cose. 1

2. il calore cosmico di telesio Passiamo ora a Bernardino Telesio (1509-1588). Nel De rerum natura iuxta propria principia (Napoli, 1586), così come nella prima edizione dell’opera De natura (Roma, 1565), egli riduce (seguendo probabilmente Cardano) il numero degli elementi a due, il caldo (calor) e il freddo (frigus), che assumono un ruolo attivo, soppiantando le quattro qualità elementari di Aristotele. 2 Telesio vi aggiunge come terzo elemento la materia che è puramente inerte e informe. 3 Per lui, il calore è il principio attivo positivo di tutte le cose, rappresentato dal cielo o dal sole, mentre il freddo è il principio attivo negativo, simbolizzato dalla terra. 4 Egli giustifica questa scelta del cielo e della terra in base all’autorità della Bibbia, poiché il Genesi insegna che Dio al principio della creazione del mondo creò il cielo e la terra. In Telesio l’autorità della Bibbia è molto più importante di quanto non sembri. 5 In quanto principio attivo dell’universo, il calore cosmico è responsabile di tutte le azioni terrestri e agisce con l’intervento del freddo sulla materia. In un altro passo, Telesio giustifica i suoi tre principi anche con il ricorso alla Metafisica, 12.4, dove Jacquart, Ginevra, Droz, 1997, pp. 391-417 ; M.-L. Monfort, L’apport de Janus Cornarius à l’édition et à la traduction de la collection hippocratique, tesi di dottorato, Università di Parigi iv-Sorbonne, 1998. 1   C. Gemma, De arte cyclognomica, Anversa, C. Plantin, 1569, 2.3, p. 42 : Cfr. H. Hirai, Prisca Theologia and Neoplatonic Reading of Hippocrates in Fernel, Cardano and Gemma, cit., pp. 100-101. 2   Ho utilizzato le seguenti edizioni di Telesio : De rer. nat. 1965 ; De rer. nat. 1974 ; De rer. nat. 1976 ; La natura 1999 ; De natura 2006. 3   Sulla teoria della materia di Telesio, si veda soprattutto K. Schuhmann, Telesio’s Concept of Matter, in Atti del convegno internazionale di studi su Bernardino Telesio, Cosenza, Accademia Cosentina, 1990, pp. 115-134. 4   Sulla sua idea del principio di freddo, si veda L. De Franco, La funzione del freddo nella fisica telesiana, in De Franco 1989, pp. 143-158. 5   De rer. nat. 1965, 1.3, p. 48. Cfr. L. De Franco, La religiosità di Telesio, in De Franco 1989, pp. 203-212. Si veda anche De natura 2006, 1.43, p. 164.  













76 hiro hirai Aristotele afferma : « Gli elementi dei corpi sensibili hanno come forma il caldo, ma in un altro senso il freddo, che ne è la privazione, e per materia ciò che è in potenza ». 1 Come vedremo, questo passo è fondamentale per Telesio nella sua rielaborazione della teoria aristotelica dei quattro elementi. Ciò che egli propone attraverso il suo naturalismo non è probabilmente il rifiuto puro e semplice di Aristotele, ma una riforma radicale del peripatetismo, in base soprattutto alla sua notevole conoscenza dei commentatori greci di Aristotele. 2 Ora vorremmo considerare più da vicino l’idea del calore cosmico di Telesio. Nel secondo libro, che è dedicato alla spiegazione dei principi dell’universo, egli presenta l’argomento degli aristotelici secondo i quali il caldo e il freddo non sono sostanze che « sentono e conoscono quello che fanno », ma strumenti di un’altra sostanza principale, vale a dire della forma o dell’anima. Telesio risponde che il calore agisce secondo il proprio ingenium, per cui esso non può essere lo strumento di un’altra sostanza :  











Poiché il caldo non agisce mai in tutti gli enti secondo l’ingenium di un’altra sostanza, ma sempre secondo il proprio ingenium. E gli enti naturali sono chiaramente costituiti dal solo caldo, che agisce secondo il suo ingenium e la sua forza, senza l’aiuto di alcun’altra sostanza […]. 3

Per rafforzare questa tesi, Telesio torna alla spiegazione della costituzione dei quattro elementi. Utilizzando le parole di Aristotele del De generatione et corruptione, prova a mostrare che la sola materia ed anche una sola opposizione delle quattro qualità (caldo, freddo, umido e secco) sono sufficienti alla loro costituzione. Telesio deduce che queste quattro qualità sono le forme stesse degli elementi, poiché tutto è stabilito da forma e materia. 4 Per giustificare il suo argomento, Telesio fa ricorso ai commentatori greci di Aristotele che sono, secondo lui, « i migliori e i più nobili dei peripatetici » (peripatericorum longe optimi longeque praestantissimi). Qui il metodo di Telesio è quello tipico degli umanisti del Rinascimento. Egli cita in primo luogo Alessandro di Afrodisia, il quale, nel suo commento alla Metafisica, 12.4, afferma : « Il caldo è una sostanza perché esso è la forma del fuoco ». 5 Al contempo, Telesio fa ricorso anche ad Ammonio e a Galeno. 6 Questo riferimento ad Ammonio, che  









1   De rer. nat. 1965, 3.4, p. 414. Cfr. Aristotele, Metaphysica, 12.4, 1070b11-12 ; Averroe, Commentarium magnum in libros metaphysicarum, 12.22, in Averroès. Grand commentaire de la Métaphysique d’Aristote, livre lam-lambda, éd. par A. Martin, Paris, Les Belles Lettres, 1984, p. 150. 2   Per il suo atteggiamento verso Aristotele, si veda soprattutto M.-P. Lerner, Aristote ‘oublieux de luimême’ selon B. Telesio, « Les Études Philosophiques », iii 1986, pp. 371-389. 3   De rer. nat. 1965, 2.22, p. 334. 4   De rer. nat. 1965, 2.24, pp. 342-344. Cfr. Aristotele, De generatione e corruptione, 2.1, 329a28-35, 2.1, 329b23-25, 2.2, 329b6-9, 1.3, 318b16-18. Cfr. De natura 2006, 1.56, pp. 74-75. 5   Cfr. (Ps-)Alessandro di Afrodisia, In Aristotelis metaphysica, 12.4, in Alexandri Aphrodisiensis in Aristotelis metaphysica commentaria, ed. M. Hayduck, Berlin, Reimer, 1891, p. 680 = Alessandro di Afrodisia e Pseudo Alessandro, Commentario alla Metafisica di Aristotele, a cura di G. Movia et alii, Milano, Bompiani, 2007, p. 1901. Per il passo originale di Aristotele, vedi supra la nota 1 della p. 76. Cfr. De natura 2006, 1.56, p. 76 ; M.-P. Lerner, Aristote ‘oublieux de lui-même’ selon B. Telesio, cit., pp. 383-384. 6  Cfr. Ammonio, In Porphyrii isagogen, in Ammonii in Porphyrii isagogen, ed. A. Busse, Berlin, Reimer, 1891, p. 113 = Ammonius Hermeae commentaria in quinque voces Porphyrii, trans. P. Gaurico, Venezia, 1539, rist. Sttutgart-Bad Cannstatt, 2002, f. 16v ; Galeno, De elementis ex Hippocrate, 9, in Galeni opera omnia, 20 voll., ed. C. G. Kühn, Leipzig, 1821-1833 ; rist. Hildesheim, Olms, 1965, vol. i, p. 482 = Galen. On the Elements according to Hippocrates, trans. P. De Lacy, Berlin, Akademie, 1996, p. 128.  











77 il calore cosmico di telesio sembra raro nelle discussioni della filosofia naturale del suo tempo, attesta la sua profonda conoscenza dei commentatori greci. 1 Telesio ritorna così ancora una volta al suo prediletto Alessandro, secondo cui le qualità sono le forme sostanziali degli elementi. 2 Quindi aggiunge che Filopono aderisce a questa tesi affermando che le qualità sono dei principi formali. 3 Dopo un riferimento a Olimpiodoro, giunge infine ad Ippocrate :  

Ippocrate, il divino progenitore della medicina, nel libro Sulle carni quali meraviglie non dice del caldo ? Ci piace riferire nel testo greco le sue parole, perché contengono cose degne di essere ammirate. « Ora, io paleserò il mio parere. Mi sembra che quella cosa, che noi diciamo caldo, è immortale e conosce tutte le cose, e vede e sente e sa tutto, sia il presente che il futuro ». Forse che per Ippocrate il caldo è un accidente ? Se [i Peripatetici] ponessero attenzione a tutte queste cose, affermerebbero che la forma non solo degli elementi, ma anche degli enti, che sono costituiti dal caldo, è il caldo, e il freddo la forma di quelli, che sono costituiti dal freddo. 4  







Così, per giustificare il proprio argomento, Telesio utilizza come evidenza decisiva esattamente lo stesso passaggio del De carnibus, caro a Fernel, a Cardano e a Gemma. D’altra parte, si tratta di uno dei rari passi in cui Telesio cita per esteso il testo greco. Di seguito, continua a sottolineare come Aristotele stesso non ammetta nessun’altra sostanza all’infuori di quella che proviene dal cielo per la formazione delle cose naturali :  

Infatti tutti gli altri enti e persino le piante e gli animali, secondo Aristotele, sono fatti non di altre cose né da altre nature, ma dagli enti più semplici e dalle loro forme, tra loro mescolate ed unite e reciprocamente diminuitesi ; ed egli non adduce mai alcun’altra sostanza per la loro costituzione, né, se volesse, avrebbe donde trarla. In fatti dal cielo, da cui solamente questa potrebbe emanare, per Aristotele emana solamente il caldo, e questo non promana affatto dalla sostanza del cielo […]. 5  

Telesio afferma chiaramente che ciò che emana dal cielo è nient’altro che il calore cosmico secondo l’insegnamento di Aristotele. È precisamente a questo punto che egli continua con una parafrasi del passo cosmologico del De generatione animalium, 2.3 aristotelico in una dimensione, non platonizzante come in Cardano o in Gemma, ma totalmente ‘naturalistica’ :  

[…] perché forse potrebbe sembrare più nobile di quello elementare o almeno diverso da esso, ma si produce nel fuoco, mosso e sfregato dal moto del sole, senza aver patito altro, e dallo stesso fuoco portato fin qui ; il quale caldo, dunque, non è affatto più nobile di quello  

1   Sulla ricezione di Ammonio nel Rinascimento, si veda C. H. Lohr, Renaissance Latin Translations of the Greek Commentaries on Aristotle, in Humanism and Early Modern Philosophy, ed. J. Kraye e M. W. F. Stone, London, Routledge, 2000, pp. 24-40 : 27-30 ; J. Hankins e A. Palmer, The Recovery of Ancient Philosophy in the Renaissance, Firenze, Olschki, 2008, p. 30. 2  Cfr. Alessandro di Afrodisia, De anima, 2.8, in Alexandri Aphrodisiensis praeter commentaria scripta minora, ed. I. Bruns, Berlin, 1887, vol. i, p. 127 3   Filipono, In de generatione et corruptione, 2.2, in Ioannis Philoponi in Aristotelis libros de generatione et corruptione commentaria, ed. H. Vitelli, Berlin, Reimer, 1897, p. 215 = Philoponus. On Aristotle’s On Coming-to-Be and Perishing, 1.6-2.4, ed. C. J. F. Williams, Ithaca, Cornel University Press, 1999, p. 125. 4   De rer. nat. 1965, 2.24, p. 348 = Appendice iii. Cfr. Ippocrate, De carnibus, 2, in Littré, vol. viii, p. 5 584.   De rer. nat. 1965, 2.24, pp. 348-350 = Appendice iii.  



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hiro hirai

igneo o differente da esso per altra ragione, cioè per natura o per facoltà di agire e di operare, ma solamente per forza. 1

Telesio conclude che, se gli aristotelici ammettono il caldo e il freddo come le forme dei corpi semplici, devono anche considerarle come quelle di tutti gli altri esseri. Abbiamo visto come, per Telesio, il calore cosmico non agisca sotto la direzione di un’altra sostanza, ma secondo il proprio ingenium, 2 mentre rifiuta di attribuire la causa della generazione degli animali alla loro anima secondo quanto avrebbero fatto taluni aristotelici e rintraccia l’affermazione di Aristotele che mostra chiaramente come il calore e lo spiritus costituiscano la sostanza di tutte le cose e anche l’anima stessa degli esseri viventi.3 Al fine di confermare questa tesi, egli cita il brano sulla generazione spontanea del De generatione animalium aristotelico e quindi ritorna ancora una volta al passo cosmologico dello stesso trattato. 4 Con il rinvio a questi due passi aristotelici, Cardano intendeva sottolineare l’onnipresenza delle anime, che derivano dal calore cosmico. Cardano si basa soprattutto sulla concezione aristotelica del ‘calore psichico’ (qrmovth~ yucikihv) che si osserva nella generazione spontanea, che racchiude il segreto del principio vitale. 5 Invece Telesio li utilizza per accentuare il ruolo del calore cosmico e dello spiritus più che quello dell’anima. Lo spiritus, che in Telesio gioca il ruolo di anima degli esseri viventi, è la parte della materia nella quale il calore cosmico risulta concentrato nella maniera più efficace.6 Per il filosofo cosentino, lo spiritus è, per così dire, il veicolo quasi materiale del calore cosmico, cioè la sua manifestazione materiale. È per questo che egli parla molto spesso dello spiritus che « è derivato dal seme » (eductus e semine), ciò non è altro che un’evidente allusione al passo cosmologico del De generatione animalium, 2.3. In conclusione, il passo cosmologico del De generatione animalium, 2.3 di Aristotele sta all’origine della concezione del calore cosmico di Telesio. 7 Già nel De natura  



1

  De rer. nat. 1965, 2.24, p. 350 = Appendice iii. Cfr. Anche La natura 1999, 1.53, p. 176, questa parte si trova dopo la citazione del passo cosmologico del De generatione animalium, 2.3, di Aristotele. 2   Cfr. anche De rer. nat. 1965, 2.25, p. 352. 3   De rer. nat. 1965, 2.25, p. 354 = Appendice iv : « […] ma ascoltare lo stesso Aristotele mentre chiaramente afferma che per lui il caldo e lo spiritus costituiscono la sostanza non solo dei corpi semplici, ma anche di tutti i corpi misti ed inoltre delle anime degli animali ». 4   De rer. nat. 1965, 2.25, pp. 354-356 = Appendice iv. Qui Telesio utilizza anche Aristotele, Meteorologica, 4.1, 379b7-9, identificando con l’anima il calore che è latente nella materia putrefatta per la generazione spontanea. Cfr. De natura 2006, 1.15, p. 31 = Appendice i. 5   Sul calore psichico, si veda Aristotele, De generatione animalim, 2.1, 732a18-19 ; 2.4, 739a11 ; 3.1, 752a23 ; 3.11, 762a20. Cfr. J. Althoff, Das Konzept der generativen Wärme bei Aristoteles, « Hermes », 120 (1992), pp. 183-193 ; G. Freudenthal, The Medieval Astrologization of Aristotle’s Biology. Averroes on the Role of the Celestial Bodies in the Generation of Animate Beings, « Arabic Sciences and Philosophy », xii, 2002, pp. 111-137 : 119, 123, 127. 6   Sul concetto di spiritus, si veda L. De Franco, Telesio e la medicina, in De Franco 1989, pp. 167-176 ; N. Badaloni, Sulla costruzione e sulla conservazione della vita in Bernardino Telesio, in Bernardino Telesio nel 4º centenario della morte, cit., pp. 9-49 ; A. Ingegno, Corpo, spiritus, anima. Il problema della libertà in B. Telesio, ivi, pp. 51-70 ; R. Bondì, Spiritus e anima in Bernardino Telesio, « Giornale critico della filosofia italiana », lxxii , 1993, pp. 405-417. 7   De natura 2006, 1.15, pp. 30-31 = Appendice i. Cfr. De natura 2006, 1.56, pp. 76-77 = Appendice ii. M. L. Bianchi, Motivi scolastici, cit., pp. 19-20 (Idem, Scholastische Motive, cit., pp. 128-129) parla dell’influsso di Cardano su Telesio a proposito della particolare lettura del passo cosmologico del De generatione anima 

































79 il calore cosmico di telesio del 1565, egli giustifica la sua scelta di sostituire l’anima con il calore cosmico, affermando, in base al passo sopra citato, che Aristotele identifichi l’anima con il calore. In un altro luogo dell’ultima versione della sua opera, collegando il passo cosmologico ancora una volta con quello della generazione spontanea nello stesso trattato, Telesio compara lo spiritus con il calore nel seme. 1 L’onnipresenza del calore, principio dell’universo, sostituisce così secondo Telesio l’idea dell’animazione universale, che è sostenuta in Cardano attraverso l’onnipresenza delle anime derivate dal calore cosmico. Beninteso, il passo cosmologico di Aristotele, anche con l’aiuto degli altri passi dello stesso trattato, non sarebbe sufficiente per comprendere la tesi telesiana secondo la quale il calore cosmico, principio attivo del mondo, o la sua manifestazione materiale, spiritus, « sente e conosce quello che fa » perché è dotato di ingenium. Questa tesi, a prima vista enigmatica, rivela il suo autentico significato quando si tiene conto in modo corretto del passo del De carnibus di Ippocrate, secondo cui il calore cosmico è dotato d’intelligenza e « vede e conosce ogni cosa », perfino « l’avvenire ». Telesio probabilmente viene a conoscenza di questo passaggio tramite la lettura delle opere di Cardano, ma lo interpreta in modo naturalistico, fedele alla sua dottrina. Probabilmente, dietro questo naturalismo radicale è anche possibile vedere l’ombra di Averroè, che ha sviluppato un’interpretazione del calore cosmico, come principio generatore delle anime nel mondo sublunare. 2 In ogni caso, il tema del calore cosmico del De carnibus di Ippocrate diventa dal Rinascimento in poi un topos, che ricomparirà nelle discussioni intorno alla nozione della natura dei filosofi del Seicento come Giusto Lipsio (1547-1606), Ralph Cudworth (1617-1688), Robert Boyle (1627-1691) o Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716). 3 Trent’anni fa, Alfonso Ingegno ha magistralmente dimostrato il fondamento ippocratico della filosofia naturale di Cardano. 4 In Telesio, attento lettore del suo precursore milanese, possiamo senza dubbio trovare l’influsso di questo ippocratismo peculiare del Rinascimento.  











lium, 2.3. M. Mulsow, Frühneuzeitliche Selbsterhaltung, cit., p. 234. Telesio cita questo passo anche in De rer. nat. 1974, 5.5 e 6.40, pp. 234 e 668-670. Quanto al passo sull’intelletto che « viene da fuori » (De generatione animalium, 2.3, 736b28), vedi L. Spruit, Elementi aristotelici e polemica anti-peripatetica nella dottrina dell’anima divina di Telesio, « Verifiche », xxi, 1992, pp. 351-370 : 355-57, 369. 1   De rer. nat. 1974, 6.40, p. 670. 2   Si veda G. Freudenthal, The Medieval Astrologization, cit., pp. 128-137. 3   Lipsio ha usato questo passo del De carnibus nella sua Physiologia stoicorum (1604), mentre Cudworth vi ha fatto riferimento nel suo trattato A True Intellectual System of the Universe (1678), Boyle nella sua opera A Free Inquiry into the Vulgarly Received Notion of Nature (1686), e Leibniz nella sua Natura Ipsa (1698). Si veda G. Lipsio, Physiologia stoicorum, Anversa, C. Plantin, 1604, 1.6, pp. 13-14 ; R. Cudworth, The True Intellectual System of the Universe, London, 1678, 1.3.7, p. 109 ; R. Boyle, A Free Inquiry into the Vulgarly Received Notion of Nature, ed. E. B. Davis e M. Hunter, Cambridge, Cambridge University Press, 1996, p. 43 ; G. W. Leibniz, Natura ipsa, in Idem, Philosophical Papers and Letters, ed. L. E. Leomker, Dordrecht, Reidel, 1956, p. 499. Su Lipsio, cfr. H. Hirai, L’âme du monde chez Juste Lipse entre théologie cosmique romaine et prisca theologia renaissante, « Revue des sciences philosophiques et théologiques », xciii, 2009, pp. 251-273 : 256. 4  A. Ingegno, Saggio sulla filosofia di Cardano, Firenze, La Nuova Italia, 1980, pp. 226-234. Sull’ippocratismo di Cardano, vedi anche J. Pigeaud, L’hippocratisme de Cardan. Étude sur le Commentaire d’ael par Cardan, « Res publica litterarum », viiii ,1985,, pp. 219-229 ; N. G. Siraisi, The Clock and the Mirror. Girolamo Cardano and Renaissance Medicine, Princeton, Princeton University Press, 1997 ; H. Hirai, Prisca Theologia and Neoplatonic Reading of Hippocrates in Fernel, Cardano and Gemma, cit., pp. 95-98.  





























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hiro hirai APPENDICE i De natura 2006, 1.15, pp. 30-31 1

At et sensus vitaque cum motu a calore constitui Aristoteli videntur et proprii esse caloris : « Generantur, inquit, in terra humoreque animalia quoniam humor in terra, spiritus in humore, calor animalis in universo inest, ita ut quodammodo plena animae sunt omnia, quoamobrem consistunt celeriter, cum calor ille comprehensus sive exceptus est, comprehenditur autem et humoribus corporeis incalescentibus efficitur velut bulla spumosa ». 2 Calor igitur anima Aristoteli videtur, at non quilibet, sed in tenui, in proprio nimirum existens subiecto, qui igitur, ubi in humido efficitur, retineturque corpore, animal constitutum apparet  ; et omnia animae plena, quod spiritus, calidae nimirum tenuisque rei. Id enim spiritus Aristoteli etiam videtur, et non hoc modo, sed quod caloris animalis, propterea, reor, quod ipse innuere videtur, non tota spiritus moles, sed calor tantum spiritui inexistens, videri anima poterat. Et non e putri tantum enatorum animalium anima calor Aristoteli videtur, sed semine etiam constitutorum maximeque perfectorum : « Inest, inquit, in omnium semine quod facit ut foecunda sint semina, quod calor vocatur. Id autem non ignis, non talis aliqua facultas sed spiritus, qui in semine spumosoque corpore continetur, et natura, quae in eo est spiritu, proportione respondens elemento stellarum. Quamobrem ignis quidem nullum animal generat, at solis calor, et animalium, non modo qui semine continetur, verum etiam siquid excrementi sit, quamvis diversum a natura. Tamen id quoque principium habet vitale, animalem nimirum calorem ».3 Alibi itaque : « Putrefactis, inquit, facillime ingenerantur animalia, quod excreta caliditas constituit et componit corpora »,4 ipsa videlicet anima : ipsa enim constituit Aristoteli corpora, sive igitur semini inclusus et a sole ingeneratus spiritus animae sit substantia, sive ut Aristoteli forte placet, spiritui inexistens calor e menstruo foemineo sanguine et e putri animam educat, quoniam calorem modo e cuiusvis materiae sinu quivis educere potest calor, aliud nihil praestantius praesertim quod sit diviniusque, nequaquam animale principium atque animam ipsam calorem esse negare aut queat aut velit Aristoteles ; at igneum esse qui nihil illi generare omnino videtur uspiam […].  























ii De natura 2006, 1.56, pp. 76-77 5 Aliam agentem substantiam nulla agnoscit Aristoteles simplicia constituens et neque mista etiam componens, ex elementorum ipsa constituens differentiis, non quidem integris, at mutuo passis imminutisque : « Elementa, inquit, omnia contrarietatem habent, quoniam ipsorum differentiae contrariae existunt ». 6 Differentiis porro a quibus constituuntur immutatis, immutantur et ipsa, ex aqua igitur aer fit, frigidate in caliditatem versa : « At si neutra, inquit, differentia neutram vicerit, mutuo autem in se ipsas agentes et mutuo patientes, sese mutuo imminuerint debilitaverintque, utriusque igitur retusa appareat vis et refracta  







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  Si veda anche la versione del De rerum natura del 1570 in La natura 1999, 1.53, pp. 174-176.   Aristotele, De generatione animalium, 3.11, 726a18-24. 3   Ivi, 2.3, 736b34-737a6. 4 5   Aristotele, Meteorologica, 4.1, 379b7-9.  Cfr. La natura 1999, 1.53, p. 174. 6   Aristotele, De generatione et corruptione, 2.4, 331a15-16. 2

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utrumque immutatur, non igitur aqua amplius remanet nec aer et neque aer constituitur nec aqua, sed tertium quoddam, veluti ex utroque compositum. Quoniam autem virium inaequalitas non in indivisibili, non unum modo generetur, sed infinita propemodum, carnes, inquit, et ossa ». 1 Et rerum generationem constitutionemque edocens Aristoteles : « Est, inquit, simplex et naturalis generatio transmutatio facta ab activis qualitatibus, a caliditate videlicet et firigiditate, e subiecta materia ». 2 Non igitur simplicium modo formae caliditas Aristoteli videtur et firigiditas, sed compositorum ex ipsis omnium, refractae illae quidem et mutuo a se ipsis passae imminutaeque, at ipsae eaedem tamen et neque aliae videri queant ; neque enim, ut dictum est, aliud a se ipsis constituant illae ; at neque aliunde compositis forma alia superveniat ulla, quae nimirum e caelo defluere queat tantum. At e caelo nihil praeter calorem Peripateticis manat, et non ille a propria caeli substantia, sed in sublunari aere a caeli motu factus, qui igitur non alius ab elementari videri queat ; at quicunque sit calor, certe superaddi e caelo mistis potest tantum. Non igitur alia insit mistis forma, at calor vel frigus tantum ; et non caetera omnia a calore constitui Aristoteli videtur, sed animalium etiam animae, et non e putri tantum enatorum, sed e semine etiam constitutorum. Neque igitur in illius neque in huius constitutione aliam affert substantiam agentem ullam, at illam a solis, ut dictum est, calore incorporeo humido, hanc a semini incluso spiritu, a spiritui inexistente natura quae, quid sit, aliud quam calor effingere nullus queat. In menstruo foemineo sanguine generari constituique affirmat Aristoteles : animam itaque calorem esse.  

















iii De rer. nat. 1965, 2.24, pp. 346-350 Quoniam igitur ignis aerisque et aquae generatio, eorumque omnium et terrae etiam conditiones quae non penitus a solis calore, in suprema ipsius superdicie, quae nobis conspicua est, corruptae sunt ; prerterea et actiones operationesque uno illa omnia a calore et uno terram a frigore constitutam, et non aliam illorum ulli substantiam sed unum illis omnibus calorem et unum terrae frigus inesse declarant ; nihilque in illorum ullo spectatur, quod alii naturae merito attribuatur et quod calori frigorive attribui non possit ; ad illorumque constitutionem naturam aliam nullam sed unum modo calorem unumque Aristoteles affert frigus ; utique, nisi positionis tenaces esse velint calorem frigusque non amplius ignis reliquarumque simplicium formarum organa, sed terrae quidem et aquae frigus, aeris vero et ignis calorem formam ponant. Quam rem bene aperte scribit Galenus, dum elementa non aliud esse quam materiam primam et solas qualitates docet, ex quibus habent quod elementa sint. Alexander, praeter adducta superius loca, clarissime libro secundo De anima, qualitates formas substantiales elementorum, ac etiam libro primo Naturalium quaestionum appellat. Philoponus itidem huic assentitur sententiae, secundo De ortu et interitu : inquit enim, ex qualitatibus et prima materia simplicia constare corpora qualitatesque principium esse formale. Hoc idem habet Olympiodorus, quarto Meteorologicorum. Sed quid multa ? Divinus medicinae parens, Hippocrates in libro De carnibus quae mirabilia de calido narrat ? Libet ejus verba, quia admiratione digna continent, graece referre : « Nu`n de; ajpofaivnomai aujto;~ ejmewutou` gnwvma~. dokevei dev moi o} kalevomen qermo;n,  

















ajqavnatovn te ei\nai, kai; noei\n pavnta kai; ojrh`n kai; ajkouvein kai; eijdevnai pavnta kai; ta; o]nta kai; ta; mevllonta e[sesqai ». 3 Numquid Hippocrati calidum est accidens ? Heac  



omnia si attente animadvertent, non elementorum tantum sed reliquorum itidem entium,

1

2   Ivi, 2.7, 334b7-27.   Aristotele, Meteorologica, 4.1, 378b33-35.   Ippocrate, De carnibus, 2 in Littré, vol. viii, p. 584.

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hiro hirai

quae a frigore constituta apparent, frigus, quae vero a calore, calorem formam asserent. 1 Nam entia reliqua omnia et ipsae etiam plantae et animalia non aliis e rebus neque aliis a naturis, sed e simplicioribus ab eorumque formis, sibi ipsis commixtis complicatisque et mutua actione refractis, Aristoteli efficiuntur : et substantiam, aliam nullam ad eorum constitutionem is affert usquam, nec si afferre velit, unde illam eruat habet. E caelo enim, e quo solo defluere illa queat, calor tantum Aristoteli defluit, minimeque is a caeli substantia emanans, 2 qui elementari forte praestantior vel ab eo diversus videri queat, sed ipso in igne, a solis motu commoto contritoque, aliud nihil passo, factus et ab ipso huc delatus igne ; qui igitur nequaquam igneo praestantior vel alterius ab illo rationis, non natura videlicet agendique et operandi facultatibus sed robore tantum differens est. 3 Quamobrem calorem frigusque simplicium formas esse si, quod oportet faciant, Peripatetici assentiant, reliquorum itidem entium quorumvis, vel calor vel frigus vel huic commixtus ille, forma necessario ponendus est ; nihilque nobis reprungnandum, calorem frigusque substantias et rerum omnium principia ponentibus.  





iv De rer. nat. 1965, 2.25, pp. 354-356 Aristoteli porro non simplicium modo corporum sed mixtorum etiam omnium et animalium animarum insuper substantiam calorem et spiritum visum esse, 4 non ex ipsius dictis colligere sed ipsum apertissime id enunciantem audire licet : « Elementa, inquit, omnia contrarietatem habent, quoniam ipsorum differentiae contrariae sunt ». 5 Differentiis porro a quibus constituuntur immutatis, et ipsa itidem immutantur. Frigore igitur in calorem immutato, aqua in aerem transit et aer fit. « At si neutra, ait, differentia neutram vicerit, mutuo autem in se ipsas agentes et mutuo a se ipsis patientes, mutuo sese imminuerint ac debilitaverint, et utriusque vis retusa appareat refractaque, utrumque immutatur : et nec aqua amplius remanet nec aer, neque aer constituitur nec aqua, sed tertium quoddam veluti ex utroque compositum. Quoniam vero virium inaequalitas non in indivisibili, non unum modo constituitur sed infinita propemodum, carnes, inquit, et ossa ». 6 Tum propius eorum generationem edocens, « Simplex, ait, et naturalis generatio transmutatio est, facta ab activis qualitatibus, a calore videlicet et frigore, e subiecta materia ». 7 Praeterea animalium sponte nascentium exortum explicans, « Generantur, inquit, in terra humoreque animalia, quoniam humor in terra, spiritus in humore, calor animalis in universo inest, ut omnia quodammodo animae plena sint. Quoamobrem consistunt celeriter, cum calor ille comprehensus sive exceptus est ; comprehenditur autem, et humoribus incalescentibus efficitur veluti spumosa bulla ». 8 Et alibi, « Putrefactis, dicit, facillime ingenerantur animalia ; quod excreta caliditas constituit et componit corpora », 9 ipsa nimirum anima : siquidem anima corpora Aristoteli constituit. Tum perfectorum generationem tradens, « Inest, inquit, in omnium semine quod calor vocatur : id autem non ignis, non talis aliqua facultas sed spiritus, qui in semine spumosoque corpore continetur, et natura, quae in eo est, proportione respondens  

































1

  A partire da « Divinus medicinae », si veda supra la nota 4 della p. 77.   A partire da « Nam entia reliqua », si veda supra la nota 5 della p. 77. 3   A partire da « qui elementari forte », si veda supra la nota 1, della p. 78. 4   Si veda supra la nota 3 della p. 78. 5   Aristotele, De generatione et corruptione, 2.4, 331a15-16. 6  Ivi, 2.7, 334b7-27. 7   Aristotele, Meteorologica, 4.1, 378b33-35. 8   Aristotele, De generatione animalium, 3.11, 726a18-24. 9   Aristotele, Meteorologica, 4.1, 379b7-9. 2













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elemento stellarum. Quamobrem ignis nullum animal generat : at solis et animalium calor generativus, neque is modo, qui in semine continetur, verum etiam si quid excrementi sit, quamvis a natura diversum ». 1 Clarum est, animalium animae generationem comminus intuito Aristoteli, non igneus quidem at calor certe ea esse visa est.  



1

  Aristotele, De generatione animalium, 2.3, 736b34-737a5.

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Gabriele De Anna, Telesio e il naturalismo : le critiche alle tesi aristoteliche sull’immortalità dell’intelletto  

TELESIO E IL NATURALISMO : LE CRITICHE ALLE TESI ARISTOTELICHE SULL’IMMORTALITÀ DELL’INTELLETTO  

Gabriele De Anna 1. Introduzione

L

a critica di Bernardino Telesio alla concezione aristotelica dell’intelletto pone almeno due questioni, tra loro collegate. La prima riguarda il rifiuto, da parte di Telesio, della tesi aristotelica secondo la quale l’intelletto potrebbe operare senza alcuna congiunzione con la materia, quella che tradizionalmente è stata chiamata ‘tesi dell’immaterialità dell’intelletto’. La seconda riguarda l’ammissione, da parte di Telesio, dell’esistenza, nell’uomo, di un’anima immateriale creata da Dio (a Deo immissa), accanto allo spiritus, l’anima materiale che vivifica l’uomo, come gli altri animali, e che deriva dalla generazione naturale (e semine educta). 1 La prima questione non mi pare controversa a livello interpretativo, ma è sicuramente aperta dal punto di vista filosofico. È insomma abbastanza chiaro quali argomenti Telesio usi per rigettare la conclusione aristotelica, ma non è scontato il giudizio filosofico che si può dare di essi. La seconda questione, invece, è controversa in tutti e due i sensi : non è chiaro quali siano le ragioni che indussero Telesio ad ammettere l’esistenza nell’uomo di un’anima immateriale immessa da Dio e, proprio per questo, non è facile valutare la forza filosofica della sua tesi. Accennavo all’esistenza di una relazione tra le due questioni menzionate. La relazione si può porre nei termini seguenti. Telesio non si limita a criticare gli argomenti che Aristotele usa per concludere che l’intelletto è immateriale, ma rifiuta la stessa conclusione. Le sue ragioni per rifiutare l’argomento aristotelico sono tali che non soltanto inficiano il raggiungimento della conclusione, ma ne implicano anche la falsità. Ora, come può Telesio affermare l’esistenza nell’uomo di un’anima immateriale dotata di un intelletto suo proprio, subito dopo aver negato che l’intelletto umano sia materiale ? Perché le argomentazioni che propone contro Aristotele non dovrebbero dirigersi anche contro la sua tesi riguardante l’anima creata da Dio ? Per rispondere a questa domanda si deve tenere ben presente la distinzione tra il piano esegetico e quello della valutazione filosofica, a cui ho fatto cenno : il principio di carità dell’interpretazione ci suggerisce che la soluzione al problema ermeneutico relativo alla seconda questione (su che basi Telesio introduce l’anima creata da Dio ?) può forse essere risolto se si suppone che Telesio avesse una concezione grosso modo coerente e filosoficamente giustificata della realtà. Si deve quindi veri 









1   Una ricostruzione accurata del pensiero di Telesio e dei principi naturali che la definiscono si trova in G. Saitta, Il pensiero italiano nell’Umanesimo e nel Rinascimento, vol. iii (Il Rinascimento), Bologna, Zuffi, 1951, pp. 1-77.

86 gabriele de anna ficare se esista o possa esistere una comprensione filosofica delle sue tesi dal punto di vista della quale esse possano coesistere. Secondo il principio di carità, solo massimizzando il numero delle credenze vere di un autore si può interpretare quello che dice. Ma l’affermazione del principio non va fraintesa come volontà di coerenza a tutti i costi. La massimizzazione delle credenze vere può mettere in luce incoerenze reali e può anche fornire elementi per interpretare tali incoerenze : può suggerire, cioè, se si tratti di errori, di mascheramenti, di depistaggi, o di altro ancora. Il problema del rapporto tra le due questioni menzionate ci porta in questo modo al cuore della valutazione della filosofia telesiana : il senso dei suoi riferimenti a Dio, quale creatore dell’anima immateriale, il senso e i limiti del suo naturalismo e, quindi, più in generale, il reale significato del suo ossequio nei confronti della Chiesa cattolica e dei suoi insegnamenti. Da questo punto di vista, l’affermazione telesiana dell’esistenza di due anime, una materiale generata e una immateriale creata da Dio, ha già mostrato tutta la sua rilevanza nella storia della critica recente. Se l’introduzione dell’anima immessa da Dio fosse coerente nell’impianto filosofico telesiano, si potrebbe presumere che egli fosse sincero nel sostenere di credere nella compatibilità dei risultati dei propri studi con la dottrina cattolica. Se, al contrario, l’ammissione di un’anima immessa da Dio fosse così incoerente con il resto della sua speculazione da sembrare improbabile che egli non se ne fosse accorto, allora si dovrebbe supporre che il discorso sull’anima immessa da Dio fosse finalizzato ad accattivarsi le simpatie della gerarchia ecclesiastica, o per lo meno, a non suscitarne l’opposizione. Così Luigi De Franco, come è noto, ritiene che :  





la teoria dell’anima divina […] nel sistema telesiano non rappresenta, come da diversi suoi studiosi è stato sostenuto, un’aggiunta inutile all’economia del sistema […], ma svolge una funzione molto importante, quella cioè di permettere all’uomo di passare nelle sue conoscenze dal terreno al divino. 1

In questo modo può sostenere, peraltro senza in alcun modo cedere alla tentazione di facili conclusioni radicali, che le dichiarazioni di adesione all’ortodossia da parte di Telesio erano sincere, che le opposizioni verso di lui da parte del mondo cattolico vanno ricondotte all’erronea identificazione di antiaristotelismo e anticattolicesimo e che, dunque, la sua messa all’indice era un errore. 2 D’altra parte, Roberto Bondì, portando a compimento un’esegesi genetica delle opere di Telesio, che Gentile 3 e Garin 4 avevano ritenuto necessaria e che, peraltro, De Franco aveva iniziato, mette in luce come i riferimenti all’anima creata siano stati aggiunti, sotto la pressione delle critiche, in stesure tarde del De rerum natura, tanto che « nel processo conoscitivo questa sostanza immateriale non riveste alcuna funzione reale ». 5 Secondo  



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  De Franco, 1995, pp. 303-304.   Ivi, pp. 74-78 ; si veda anche L. De Franco, « Scrupoli religiosi » nell’opera di B. Telesio, in Storia e cultura del Mezzogiorno. Studi in memoria di U. Caldora, a cura di L. Firpo, E. Pontieri e G. Spini, Cosenza, Lerici, 1978, pp. 33-50. Su questa linea mi pare si collochi anche A. Ghisalberti, La filosofia della natura di Bernardino Telesio e le sue fonti, Cosenza, Busento, 1989, p. 20. 3   G. Gentile, Bernardino Telesio, Bari, Laterza, 1911. 4   E. Garin, Noterella telesiana, « Giornale critico di filosofia italiana », xxxvi, 1957, p. 56. 5   Bondì, p. 103. Si veda anche Idem., « Spiritus » e « anima » in Bernardino Telesio, « Giornale critico della filosofia italiana », lxxii, 1993, pp. 405-417. La tesi risale almeno a Fiorentino, vol., i, pp. 288-289. 2























87 telesio e il naturalismo questo autore, « il mutamento di posizioni, così radicale, ravvisabile nel passaggio dalla redazione primitiva a quella definitiva del De rerum natura non indica incoerenza o equivocità dottrinale, ma l’accettazione, con il trascorrere degli anni, di un gravoso compromesso », 1 un compromesso accettato consapevolmente, poiché « Telesio sapeva bene che […] alcune sue convinzioni si [rivelavano] inconciliabili con la dottrina ufficiale della Chiesa ». 2 Quindi, Telesio era un pio e fedele figlio della Chiesa che cercava vie nuove per la ragione, compatibili con quelle tradizionali della fede, o uno scaltro oppositore della tradizione cattolica che per motivi tutti da considerare (opportunità, paura, convenienza, quieto vivere) copriva i propri genuini intenti filosofici ? La considerazione degli argomenti telesiani contro l’immaterialità dell’intelletto può forse ispirare ulteriori considerazioni utili alla chiarificazione della questione, senza pretendere di risolverla, e il suo atteggiamento verso Aristotele e l’aristotelismo può anche suggerire la definizione di posizioni intermedie tra le due appena presentate.  









2. Critica della tesi aristotelica sull’immaterialità È noto che, secondo Aristotele, l’anima è la forma del corpo (animale e vegetale) vivo, e svolge funzioni (ossia ha facoltà) che consistono nell’operazione vitale degli organi del corpo. 3 Tra le capacità di un essere vivente, c’è quella di essere consapevole dell’ambiente esterno. Tale consapevolezza può realizzarsi in modi diversi, secondo i diversi tipi di esseri e i tipi di vita ad essi relativi. Una pianta reagisce alle condizioni dell’ambiente e in questo senso lo sente. Le anime degli animali hanno anche facoltà cognitive vere e proprie, che consistono nella capacità degli organi di senso esterni di ricevere le forme sensibili delle cose che riescono ad agire su di essi in modo appropriato. L’organo di senso è attivato dall’azione di un oggetto esterno che si realizza secondo le modalità determinate dalla forma dell’oggetto. C’è quindi un isomorfismo tra le caratteristiche dell’oggetto che agisce sul senso e il tipo di attivazione che il senso riceve. Aristotele esprime questo isomorfismo affermando che il senso coglie la forma sensibile dell’oggetto. Accanto ai sensi esterni esistono sensi interni : organi che con la loro attività permettono di unificare le forme sensibili colte da diversi sensi esterni formando oggetti di percezione complessi, la memoria che permette di rivivere situazioni già vissute, l’immaginazione, con la quale si possono combinare forme contenute nella memoria in modi non necessariamente coincidenti con quelli con cui esse si presentano nella realtà. Tutte queste facoltà, tuttavia, permettono di cogliere solo esseri individuali, ossia esseri che hanno una determinata collocazione spazio-temporale. Ad esempio, anche se visualizzo mentalmente un ippogrifo lo immagino in una condizione spazio-temporale determinata, con determinate caratteristiche individuali. L’anima dell’uomo, però, secondo Aristotele, sarebbe capace anche di operazioni che non richiedono l’attivazione di alcun organo : l’intelletto, infatti, è una facoltà  



1

2   Bondì, p. 81.   Ivi, p. 42.   Il luogo in cui Aristotele discute più estesamente le questioni che seguono è naturalmente il De anima, tradotto in italiano in Aristotele, Anima, a cura di G. Movia, Milano, Rusconi, 1996 ; per un’utile discussione contemporanea di questi temi aristotelici : Essayes on Aristotle’s De Anima, a cura di M. C. Nussbaum e A. Oksenberg Rorty, Oxford, Clarendon Press, 1992. 3





88 gabriele de anna tipicamente umana, capace di cogliere le forme universali delle cose, astraendole dalle forme sensibili ricevute dai sensi. Poiché la forma può esistere universalmente solo se è priva di qualsiasi materia, le forme universali devono esistere, nell’intelletto, prive di materia, e questo significa che l’intelletto può operare indipendentemente da qualsiasi organo. Questo giustificherebbe la conclusione che l’intelletto è immateriale e che quindi, poiché è una facoltà dell’anima umana, può vivere, ossia operare, indipendentemente dal corpo. È noto che la conclusione di Aristotele può essere intesa in sensi diversi, e così è stato nel corso della storia dell’interpretazione di queste tesi. 1 Secondo la linea Averroè-Sigieri di Bramante, l’anima immateriale, proprio perché priva di materia, non può essere individuale e quindi è unica per l’intero genere umano. Per la linea Avicenna-Tommaso d’Aquino, invece, la comprensione degli universali è diversa per ciascun individuo umano e quindi ogni uomo deve avere un intelletto suo proprio. Dal punto di vista metafisico, Tommaso d’Aquino poteva superare l’obiezione degli averroisti sostenendo che l’individuazione non avviene necessariamente attraverso la materia, perché ciò che primariamente fa essere ciascun ente quello che è il suo atto di essere, ed è questo, quindi, che fonda l’individuazione. È l’atto di essere che trae ciascuna anima dal nulla, per opera creatrice dell’essere sussistente, che individua ciascuna anima, a prescindere dalla materia che le è connaturale. 2 Prescindendo comunque dalle esigenze teoretiche e ermeneutiche che hanno condotto a diverse interpretazioni, lo schema generale dell’argomentazione aristotelica relativa all’immaterialità dell’intelletto può essere riassunta così : 1. I sensi conoscono le cose individuali. 2. L’intelletto conosce le cose universali. 3. La conoscenza è la ricezione della forma della cosa conosciuta. 4. La forma di una cosa ricevuta in un organo di senso rappresenta la cosa come individuo (‘singolare’) (da 1 e 3). 5. La forma di una cosa ricevuta nell’intelletto, per contro, rappresenta la cosa in termini di natura universale (da 2 e 3). 6. Nelle cose materiali e corporee la natura comune è individuata dalla materia esistente in dimensioni determinate (premessa). 7. L’universale esiste in atto per astrazione dalla materia e da tutte le condizioni materiali individuanti (premessa). 8. I sensi devono ricevere le forme in modo corporeo (da 4 e 6). 9. L’intelletto deve ricevere le forme in modo incorporeo (da 5 e 7). 10. Tutto quello che è ricevuto in modo corporeo è ricevuto in qualcosa di corporeo, tutto quello che è ricevuto in modo incorporeo è ricevuto in qualcosa di incorporeo (premessa). 11. I sensi sono corporei e l’intelletto è incorporeo. Nella sua discussione dei poteri cognitivi, nel capitolo xii del libro viii del De rerum natura, Telesio sembra proprio avere di mira la conclusione (11) di questa argomentazione. Infatti, termina la propria disquisizione relativa alle facoltà cognitive  

1   Sulla questione si veda E. Gilson, La filosofia nel Medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del xiv secolo, Firenze, La Nuova Italia, 1973, p. 677 sgg. 2  Cfr. T. d’Aquino, Unità dell’intelletto, a cura di A. Ghisalberti, Milano, Bompiani, 2000.

89 telesio e il naturalismo affermando che « Aristotele in maniera superflua abbia immesso nell’anima umana un’altra sostanza, [...] per vedere e raccogliere la similitudine delle cose ». 1 Si noti immediatamente che Telesio confonde un po’ i termini della questione, affermando che Aristotele ammette « un’altra sostanza » : l’intelletto per Aristotele non è una sostanza, ma una facoltà della sostanza uomo. E così anche per i commentatori medievali, arabi e latini. Non intendo qui speculare su questa deriva terminologica, che però sottolineo perché è solo un caso di un fenomeno frequente, di per sé indicativo di come ormai Telesio sia così lontano dalla comprensione aristotelica della realtà che lo stesso dialogo tra i due parrebbe essere compromesso. Non mi soffermerò più su altri indicatori di questo tipo e lo faccio ora solo per anticipare che la discussione dei presupposti metafisici delle obiezioni di Telesio sarà fondamentale per la nostra questione. Anche se non sempre lineare, mi pare che la tattica argomentativa di Telesio contro la conclusione di Aristotele sia chiara, come anticipato all’inizio. Dico che l’argomentazione di Telesio non è sempre lineare perché pare trovare la via definitiva dopo un tentativo fallito. Dapprima pare aggredire direttamente la premessa 2 :  











Quale […] sostanza potrebbe o stabilire o insomma conoscere che ogni bianco dilata e il nero costringe, se non quella stessa che viene costretta dal nero e dilatata dal bianco ? oppure quale sostanza potrebbe stabilire e intendere la conclusione di un qualche ragionamento, che è contenuta nelle premesse e che necessariamente deriva da essi, se non quella che percepisce le premesse ? 2  



La forma retorica interrogativa di queste affermazioni rivela la consapevolezza della loro inefficacia filosofica : esse di per sé non rispondono all’istanza aristotelica, ma si limitano a negarla. Telesio però non si arrende e spinge molto più a fondo la propria analisi, tentando di indurre gli aristotelici a contraddirsi. A questo punto l’argomento di Telesio si fa lucido : gli aristotelici, dice, devono sostenere che l’intelletto astrae la forma intelligibile da quella sensibile. Ma questo significa che la forma intelligibile è desunta dai sensi. Ora, i sensi, quando, per esempio, vedono un uomo, non percepiscono due uomini, uno sensibile e uno intelligibile, ma uno solo. Questo significa che la forma sensibile e quella intelligibile sono la medesima. Ossia, il fatto che una forma rappresenti un contenuto universale, privo delle condizioni materiali di individuazione, non significa, secondo Telesio, che la forma stessa sia immateriale e priva di condizione di individuazione. Afferma infatti che il senso può operare  



sulle cose assenti, anche se in modo più oscuro e languido, però allo stesso modo e con la stessa ragione con cui opera sulle presenti. Allo stesso modo dunque di quando vede parecchi uomini li può paragonare tra loro ; chi infatti lo potrebbe negare ? e ciò che è stato visto simile ed identico in tutti, lo attribuisce a tutti, e non le cose che appaiono proprie di ciascuno ? 3  





Rispetto all’argomento aristotelico, quindi, Telesio rifiuta l’inferenza per cui l’intel1

  De rer. nat. 1976, l. viii, cap. xii, p. 221.   Ivi, p. 219. Ho leggermente modificato la traduzione, solo per uniformità di terminologia con il mio testo, preferendo « premesse » a « presupposti », per rendere « assumptiones ». 3   Ibidem. 2













90 gabriele de anna letto riceverebbe le forme in modo incorporeo (9), per il fatto che la forma di una cosa ricevuta nell’intelletto rappresenta la cosa in termini di natura universale, e per il fatto che l’universale esiste in atto per astrazione dalla materia e da tutte le condizioni materiali individuanti : quelle affermazioni riguardano il contenuto della forma, non il suo modo di esistenza e così, per Telesio, è il senso che può vedere forme universali che accomunano diversi particolari esperiti. Se le cose stanno così, non c’è ragione di concludere con Aristotele che l’intelletto è immateriale e quindi non segue nemmeno la conclusione che l’anima umana sia immateriale. Notavo sopra che la contro-argomentazione di Telesio non si limita a negare la validità dell’inferenza aristotelica, ma permette anche di concludere che la sua conclusione è falsa. Se infatti la forma può avere un contenuto universale senza essere in un sostrato universale, il senso dovrà essere identico all’intelletto e, poiché il senso è un organo corporeo, l’intelletto dovrà essere materiale. D’altra parte l’intelletto è la più alta facoltà cognitiva umana e se questa può essere spiegata in modo materialistico, tutto l’uomo può essere spiegato in quel modo. Nessun argomento razionale può affermare che ci sia qualcosa che sorpassi la materialità, nell’uomo. Così, da un punto di vista esegetico, la critica telesiana all’argomento aristotelico a favore dell’immaterialità dell’intelletto mi pare non apra questioni di rilievo. Diversa è la questione della sua forza filosofica. Come ho avuto modo di notare altrove, la forza dell’argomentazione aristotelica a favore dell’immaterialità dell’intelletto sta nel fatto che la forma non è resa universale o individuale dal suo contenuto. 1 Potremmo immaginare due nozioni complete alla Leibniz, due forme determinate in ogni possibile dettaglio, e comunque non giungeremmo all’individuale. Secondo Aristotele, ciò che rende individuale la forma è il fatto che stia strutturando la materia, che sia principio di organizzazione della materia, ed è la materia che individua l’essere. Una stessa forma, poi, può essere contenuta nella materia, e quindi essere individuata, in due modi diversi : può dare, ma può anche non dare alla materia le proprie caratteristiche. I medievali parlavano rispettivamente, nei due casi, di esistenza naturale ed esistenza intenzionale della forma. 2 L’astrazione che conduce all’universale non è un’astrazione dai contenuti, ma dall’atto di essere, che per gli oggetti materiali è costituito dalla materia, ossia dalle coordinate spazio-temporali in cui un oggetto viene identificato come ‘quell’oggetto’. La tesi di Aristotele è che la forma non può mai perdere tali condizioni spazio-temporali quando esiste intenzionalmente in un organo di senso. Una considerazione puramente formale della realtà, ossia che non consideri l’atto di essere come costitutivo della realtà, non potrà mai cogliere la necessità di una realtà diversa da quella che si dà empiricamente. È per questo che il fatto che la medesima forma intelligibile sia contenuta inizialmente nel senso – come fa notare Telesio nella sua obiezione – non gioca alcun ruolo nell’argomentazione di Aristotele : il punto per lui è che la forma si universalizza nel momento in cui perde il riferimento all’atto di essere di una cosa de 





1   G. De Anna, Tommaso d’Aquino, l’immaterialità dell’intelletto e la fallacia del contenuto, in Linguaggio, mente, mondo. Saggi di filosofia del linguaggio, filosofia della mente e metafisica, a cura di M. Carrara, G. De Anna, S. Magrin, Padova, Il Poligrafo, 2003, pp. 179-198. 2   Sulla questione si veda il capitolo secondo di F. Bottin, Filosofia medievale della mente, Padova, Il Poligrafo, 2005.

91 telesio e il naturalismo terminata, e questo avviene quando non è più identificabile spazio-temporalmente, cioè quando non esiste più naturalmente nella materia dell’oggetto, ma nemmeno intenzionalmente nella materia di un organo materiale (che può essere un organo di senso, la memoria o l’immaginazione). Ciò che ci interessa è che Telesio non coglie questa connessione. Come vedremo, il suo naturalismo ha forti connotazioni empiriste e il suo sensismo riduce l’esperienza alle proprietà sensibili esperite. In questo modo, però, preclude possibili aperture alla trascendenza della realtà rispetto all’esperienza. Ogni nozione della divinità dovrà essere di tipo fideista. Quindi, se ha ragione Bondì quando sostiene che l’anima creata da Dio non gioca alcun ruolo nel sistema, è anche vero che per Telesio solo un Dio che non c’entra nulla con la natura, che non è assolutamente accessibile ai nostri mezzi cognitivi naturali può essere ammesso. Se un Dio ci deve essere, è necessità del sistema che sia un Dio di quel tipo. Anzi è una necessità derivante dall’assunzione che la natura vada studiata attraverso principi propri, ove questi vengano identificati con principi pienamente accessibili empiricamente. 3. La questione dell’anima creata da Dio È noto che nell’ottavo libro del De rerum natura, dopo aver criticato l’argomento aristotelico per l’immaterialità dell’anima, Telesio introduce la nozione di « anima creata da Dio » (capitolo xv), che sarebbe la forma dell’uomo vivo e che distingue l’uomo dall’animale. In virtù di questa seconda anima, l’uomo ha un secondo intelletto, accanto all’intelletto dello spirito : è l’intelletto dell’anima creata, che può accedere alla conoscenza delle cose divine. Secondo Telesio, è necessario introdurre questo secondo intelletto e l’anima in cui esso esiste, per dar conto del fatto che l’uomo capisce e desidera ‘cose divine’. Abbiano notato all’inizio che, secondo Bondì, l’anima creata non si giustifica nel sistema di Telesio e che per questo va considerata un puro compromesso utile a tacitare le obiezioni che gli giungevano dal mondo cattolico. De Franco non condivideva questa tesi e sosteneva che l’anima creata svolge un ruolo decisivo e importante nel sistema telesiano. Secondo l’esplicita affermazione di Telesio, infatti, l’esistenza dell’anima creata deve essere ammessa perché così insegna la fede, ma anche perché lo richiede la ragione : sarebbe un fatto d’esperienza che l’uomo ha desideri che trascendono il mondo naturale e quindi comprende oggetti divini, che esistono al di là del mondo sensibile. L’unico modo per dar conto di questo fatto è ammettere l’esistenza della seconda anima. Credo che la lettura, proposta sopra, della critica telesiana all’argomento aristotelico a favore dell’immaterialità dell’anima possa gettare un po’ di luce su questa discussione. Ammettendo l’esistenza dell’anima creata, Telesio riapre le porte all’argomento aristotelico ? Nella ricostruzione che ho proposto, quell’argomento non fa alcuna menzione del passaggio delle forme delle cose dal senso all’intelletto, come ho notato. È Telesio che richiama quel passaggio, pur accettato da Aristotele in altro contesto, per criticare l’argomento. Ma l’argomento si basa solo sulla capacità dell’intelletto di comprendere oggetti che per natura sono immateriali. E Aristotele si riferisce spesso ad oggetti immateriali che non sono le forme intelligibili astratte a partire da quelle sensibili : si riferisce a oggetti ‘divini’ come quelli della matema 











92 gabriele de anna tica, o come i principi della fisica e della metafisica. Perché, allora, Telesio non ha accettato quell’argomento ? Perché non ha considerato che anche per Aristotele ci sono oggetti divini universali non astratti dai sensi ? Se ammetteva l’esistenza di oggetti di conoscenza immateriali, come sembra fare parlando dell’anima creata da Dio, avrebbe dovuto accettare anche l’argomento aristotelico, che fa leva sulla conoscibilità degli oggetti immateriali, non sulla possibilità di astrarre (alcuni di) questi dagli oggetti empirici. C’è un altro problema : a più riprese Telesio critica i peripatetici perché distinguono varie facoltà conoscitive, che lui spesso intende come sostanze distinte esistenti all’interno dell’uomo, 1 e rivendica, giustamente, la necessità di mantenere l’unità del soggetto che conosce. 2 Ma perché allora rompe tale unità introducendo una seconda anima ? Non sarebbe più corretto affermare, come fa Aristotele, l’esistenza di un’unica anima che sente le cose sensibili (magari anche in forma universale) e comprende quelle divine ? Per rispondere a queste domande possiamo porre l’attenzione sugli oggetti divini che l’anima, secondo Telesio, avrebbe il compito di conoscere. Forse la loro natura è tale che non possono essere utilizzati all’interno dell’argomento aristotelico criticato da Telesio. Se consideriamo questa possibilità, ci rendiamo conto che l’apertura al trascendente ammessa da Telesio per giustificare l’esistenza dell’anima creata riguarda più la volontà, che effettivi oggetti di conoscenza :  











dunque l’uomo è fornito di una duplice facoltà intellettiva, per cui intende non solo il bene sensibile ed apparente ma anche quello vero ed eterno, [anche se] uno dei due beni talvolta appare contrario all’altro. 3

È il nostro desiderio di conservazione, 4 non appagabile nel mondo naturale, che ci induce, secondo lui, a pensare ad una realtà soprannaturale. 5 Non si tratterebbe quindi tanto di un intelletto immateriale, quanto di un desiderio di immortalità. Ma a questo punto sorge spontaneo un collegamento con la discussione di Telesio riguardo all’azione umana : secondo lui siamo completamente mossi dai desideri naturali, che spiegano tutto il nostro fare, 6 e il desiderio di cose soprannaturali, in quelle pagine, si inserisce in modo del tutto estrinseco rispetto alla spiegazione naturalistica del comportamento umano.  

1   Si veda per esempio il libro viii, cap. viii : « per Aristotele e per i suoi seguaci non è, come per noi, un’unica e medesima anima, oppure, anche se è la stessa, non è certamente con un’unica e medesima facoltà che questa sente le azioni presenti delle cose e richiama le assenti », De rer. nat. 1976, p. 191. 2   Si veda per esempio il libro viii, cap. x, intitolato : « La sostanza che sente è identica a quella che immagina, e le ragioni dei Peripatetici che sostengono il contrario sono vane ». 3   Ivi, libro viii, cap. xv, p. 239. 4   Ivi, libro ix, cap. ii : « il supremo bene […] è la conservazione dello spirito », p. 339 ; Ivi, cap. iii : « Lo spirito umano, qualunque esso sia, come tutti gli altri enti ed animali, desidera al massimo conservare se stesso ed operare la propria operazione, cioè produrre i moti e goderne, insomma conservare se stesso », 5 p. 341.   Ivi, libro viii, cap. xv, p. 237. 6   Ivi, libro ix, cap. iii, p. 347. Si noi che « opera le sue operazioni » in dipendenza dalle affezioni che generano in lui odi e desideri, attrazione e repulsione, secondo la dinamica naturale del rapporto tra spirito e realtà discusso nel libro vii. Che la spiegazione naturalistica esaurisca il comportamento umano e che quindi l’anima creata sia filosoficamente superflua e ingiustificata è anche la conclusione a cui giunge l’articolata analisi di G. Soleri, Le dottrine antropologiche di Bernardino Telesio, « Rivista di filosofia neoscolastica », lxi, 1949, pp. 320-341.  

































93 telesio e il naturalismo Si potrebbe obiettare che Telesio si richiama esplicitamente al Creatore quando vuole argomentare a favore della sua tesi secondo la quale l’uomo può raggiungere il suo vero bene. 1 Non è forse un segno che il suo argomentare è aperto alla necessità di una causa soprannaturale ? A me pare di no : in questo passo intende solo mostrare che tutti gli esseri naturali hanno una finalizzazione teleologica, garantita dall’ordine posto nella natura da Dio. Questo è certamente un segno che il suo naturalismo non è pienamente coerente, o è ancora incompleto : sicuramente manca una riduzione del finalismo ravvisabile nella natura simile a quella che si è potuto avere solo dopo Darwin. Il punto che ci interessa, però, è se nella sua concezione dell’uomo ammetta facoltà non riducibili naturalisticamente e il passo citato induce a ritenere che non sia così. Anzi, subito dopo Telesio chiarisce che il fine dell’uomo, garantito dalla provvidenza ordinatrice divina, è totalmente naturale :  







noi andiamo alla ricerca di quel bene che lo spirito può conseguire seguendo la natura e con le proprie forze ; dato che coloro che studiano la natura devono andare alla ricerca soprattutto di questo bene dello spirito, di quello cioè che esso può avere dalla sua propria natura e dalle sue proprie forze. 2  

A me pare che non ci siano dubbi sul senso ‘naturalistico’ di questa caratterizzazione del bene dell’uomo. Qui il riferimento alla natura non è alla forma pienamente realizzata di Aristotele. Lo spirito per lui non è realtà immateriale, ma una sostanza materiale estremamente rarefatta, 3 che agisce in relazione alle sollecitazioni ricevute dai corpi materiali :  

poiché dunque è necessario che lo spirito da parte di tutte quelle cose che sente venga dilatato o costretto, in quanto patisce da parte di tutte, e poiché, né mentre che patisce una di queste due cose, è necessario insomma che venga mosso un poco (come potrebbe infatti essere ampliato o ristretto senza che fosse mosso ?) ; insomma si vede che lo spirito da parte delle cose che sente patisce e contemporaneamente viene spinto al moto, cioè alla propria operazione. 4  



Mi pare chiaro quindi che la natura e le forze dello spirito in questione siano forze materiali e che la natura sia da intendersi non come forma (nel senso aristotelico) dello spirito, ma come regno della materia mossa da forze. Ma allora quando sostiene che l’uomo può raggiungere il suo fine perché è stato organizzato teleologicamente da Dio, non parla di facoltà umane immateriali o di una volontà umana diretta ad un ordine soprannaturale, ma solo delle normali facoltà ‘naturali’. Il suo riferimento al Creatore, quindi, non contraddice la mia tesi secondo la quale le sue affermazioni relative a una finalità soprannaturale dell’uomo e a un desiderio umano trascendente la natura non trovano alcuna motivazione intrinseca nella sua psicologia o nella sua antropologia. Il principio di carità dell’interpretazione, che ho menzionato all’inizio, ci suggerisce di massimizzare le credenze vere che si devono attribuire all’autore che si sta 1

2   Ivi, libro ix, cap. ii, p. 339.   Ibidem.   Ivi, libro vii, cap. v : « lo spirito [è] una sostanza […] di gran lunga molto tenue e fornita di un caldo, che è ben grande, se si guarda alla sua forza, ma che è molto esile e languido, in quanto inerisce ad un 4 sostrato molto tenue », p. 17.   Ivi, p. 19. 3







94 gabriele de anna interpretando. Ma mi pare difficile massimizzare le credenze vere di Telesio, senza attribuirgli la credenza che ci fosse una tensione interna al suo sistema, nel senso che l’introduzione dell’anima creata non nasceva da esigenze filosofiche interne ad esso. Mi sembra pertanto che si debba condividere il giudizio di Bondì, secondo il quale l’anima creata non avrebbe in realtà un ruolo sistematico all’interno della filosofia di Telesio. Mi pare, però, che da questo non si possa immediatamente concludere che l’assenza di una giustificazione filosofica « non indica incoerenza o equivocità dottrinale, ma l’accettazione, con il trascorrere degli anni, di un gravoso compromesso ». L’introduzione dell’anima creata, pur non avendo esplicita giustificazione filosofica, potrebbe rispondere, comunque, ad esigenze filosofiche, psicologiche, o, potremmo dire in un senso molto generale, ‘spirituali’. I segni di queste esigenze, infatti, si possono ritrovare nell’opera di Telesio. Nell’interessante saggio Elementi aristotelici e polemica anti-peripatetica nella dottrina dell’anima divina di Telesio, 1 Leen Spruit ha identificato alcuni dei referenti della polemica antiperipatetica di Telesio, mettendo in luce che egli sviluppò la propria concezione del processo cognitivo sulla base di elementi aristotelici, intervenendo in una disputa interna all’aristotelismo. 2 Spruit individua, in particolare, in Marco Antonio dei Passeri, detto Genua, il principale referente della polemica telesiana. Il Genua era noto per una discussione intrattenuta contro il Nifo, nel contesto dell’averroismo cinquecentesco. Secondo il Nifo, l’intelletto unico separato costituirebbe una molteplicità di cose individuali, le anime razionali degli uomini, unendosi con le cogitative dei singoli individui, ma il Genua ribatte che l’intelletto si unisce solo come forma assistens, non come forma informans. Per lui, quindi, l’intelletto separato non dà l’esse, ma solo l’operari al corpo vivo, cosicché non costituirebbe con esso un’unità sostanziale, ma solo operazionale. 3 Spruit ha individuato convincentemente un passo del De rerum natura in cui Telesio critica con un « giudizio sprezzante di rara durezza » 4 la tesi del Genua, 5 pur senza argomentare contro di essa. La ragione per cui non argomenta contro quella tesi è che essa rappresenta una posizione estrema dell’averroismo, e lui rifiuta tutte le versioni di quella tradizione, ritenendola estranea al suo pensiero e incompatibile con i suoi principi, perché incapace di dar conto dell’individualità nella conoscenza umana : tutti gli uomini percepirebbero tutte le forme alla stessa maniera, il che è assurdo. 6 Telesio risolve la questione posta dall’averroismo, ossia spiega l’individualità dell’intelletto umano, facendo ricorso ad alcuni principi dello stesso Aristotele, indicando, cioè, la materia quale principio di individuazione. L’intelletto è dell’individuo perché è una facoltà dello spirito e lo spirito non è che materia sottile che agisce e opera in quanto viene mossa dalle forze che agiscono su di essa. Ogni spirito si distingue quindi da ogni altro perché è materiale. 7 Va osservato l’uso peculiare del principio aristotelico di individuazione : qui la materia, diversamente da quanto avveniva in Aristotele, non individua da sé, ma  











1   L. Spruit, Elementi aristotelici e polemica anti-peripatetica nella dottrina dell’anima divina di Telesio, « Ve2 rifiche », xxi, 1992, pp. 351-370.   Ivi, p. 369. 3 4   Ivi, p. 367.   Ibidem. 5 6   De rer. nat. 1976, l. viii, cap. xxvi, pp. 288-90.   Ivi, libro viii, cap. xxvii, p. 291-295. 7   Ivi, libro viii, cap. xxviii, pp. 295-297.  



95 telesio e il naturalismo solo in quanto dispone individui diversi alla ricezione differenziata delle forme. Quindi si tratta in realtà di un’individuazione attraverso la forma, e la materia è solo occasione di differenziazione delle forme percepite. Non si tratta di questione da poco : è indicativa di quanto Telesio fosse lontano dal comprendere le argomentazioni con cui i medievali risolvevano i problemi aperti dall’averroismo ed è questa l’origine della critica ad Aristotele, che abbiamo considerato nel secondo paragrafo. 1 In Telesio, non c’è più traccia della distinzione tra l’esistenza intenzionale della forma e quella naturale, che sarebbe parsa scontata a ogni medievale : egli non sembra conoscerla per niente. Ma non c’è nemmeno traccia dell’idea che l’atto di essere possa individuare una forma sussistente, come riteneva san Tommaso, anche quando questa non struttura la materia. Per questo Telesio non può dar conto dell’individualità della forma nel processo astrattivo che porta la forma, esistente naturalmente nella materia dell’oggetto, ad esistere intenzionalmente nella materia del senso e poi intenzionalmente e, senza le limitazioni individuanti della materia, nell’intelletto, il quale rimane pur individuale per l’atto di essere suo, che ha in quanto facoltà di una forma sussistente. Tutto questo è vero per Telesio non più di quanto lo sia per tutto l’aristotelismo rinascimentale. Come ha notato un autorevole studioso, l’aristotelismo padovano  



di Aristotele ha colto solo un aspetto preliminare e parziale, con l’oblio del suo insegnamento più tipico per un impegno radicale dei poteri della nostra ragione. L’influsso preponderante del fiscalismo di Averroè, non sufficientemente bilanciato dal magistero avicennianoscolastico, isteriliva nei naturales patavini il bisogno e lo stesso ricordo di una fondazione metafisica della realtà. 2

Ma se i contatti di Telesio con la scuola padovana sono ben noti e si sa della sua opposizione all’aristotelismo, 3 l’analisi di Spruit ci aiuta a comprendere meglio la sua collocazione nei dibattiti del suo tempo. 4 L’ultimo passo che ho citato di Te1

  L’Aristotele che ha presente Telesio è un Aristotele tutto naturalista ed è questo che lui critica, senza però conoscere e comprendere la metafisica di Aristotele. Sulla questione si veda G. Soleri, La metafisica di Bernardino Telesio, « Rivista di filosofia neoscolastica », xxxiv, 1942, pp. 338-356. 2   A. Poppi, Causalità e infinità nella scuola padovana dal 1480 al 1513, Padova, Antenore, 1966, p. 221. 3   È noto che Telesio nella sua opera critica costantemente e ripetutamente Aristotele e i ‘Peripatetici’, anche se talvolta le sue stesse affermazioni paiono in sintonia con principi aristotelici e certe critiche sono in realtà difese di talune posizioni del filosofo greco da sviluppi incoerenti che lui stesso avrebbe proposto o da interpretazioni fuorvianti date dai suoi (sedicenti) seguaci rinascimentali. Sull’anti-aristotelismo di Telesio si veda G. Soleri, Telesio contro Aristotele. Un capitolo dell’antiaristotelismo del Rinascimento, « Rinascimento », iii, 1952, pp. 143-151. Su Telesio continuatore di un preteso aristotelismo autentico, si veda M.-P. Lerner, Aristote « oublieux de lui-même » selon B.Telesio, « Les Ètudes Philosophiques », iii, 1986, pp. 371-389. Il rapporto dialettico di Telesio con l’aristotelismo rinascimentale è estesamente discusso, prima che nel saggio di Spruit in discussione, da G. Di Napoli, Studi sul Rinascimento, Napoli, Giannini, 1973, pp. 311-366 (Capitolo 7 : Fisica e metafisica in Bernardino Telesio), in particolare pp. 330 sgg. 4   In questo senso mi pare che i risultati di Spruit confermino certe tesi, sul piano storiografico meno determinanti, ma assai meditate, di Di Napoli (cfr. nota precedente). Le conclusioni che traggo dalla considerazione dei nuovi elementi messi in luce da Spruit, però, mi paiono sensibilmente diverse da quelle di Di Napoli : questi mi sembra molto più propenso a ritenere che il naturalismo telesiano sia filosoficamente conciliabile con le sue affermazioni sull’esistenza di Dio, le quali costituirebbero una vera e propria metafisica, anche se non perfettamente esplicitata, a causa del contesto naturalistico del tempo (anche se precedentemente aveva tenuto una posizione diversa, riconoscendo solo una ‘filosofia naturale’ in Telesio : cfr. G. Di Napoli, L’immortalità dell’anima nel Rinascimento, Torino, sei, 1963, pp. 389-403).  





















96 gabriele de anna lesio, mostra che egli cerca di argomentare contro la tesi dell’unità dell’intelletto, tipica dell’averroismo rinascimentale. Ma la fortuna di quella tesi dipendeva probabilmente dal fatto che l’assenza di « una fondazione metafisica della realtà », come si esprime Poppi, rendeva difficile agli aristotelici rinascimentali fondare in modo coerente l’individualità dell’intelletto : non potevano certamente ammettere forme sussistenti come aveva fatto san Tommaso. D’altra parte, Telesio rimane sotto « l’influsso preponderante del fiscalismo di Averroè », e non riceve certamente le lezioni del « magistero avicenniano-scolastico », come si è rilevato. Questo lo induce a rispondere all’averroismo rinascimentale con una virata in senso naturalistico : per far salva l’intelligenza individuale, riconduce interamente la facoltà intellettiva all’attività dello spirito, che come si è detto è secondo lui costituito da materia sottile. Ma allora tutto l’uomo, il suo conoscere e il suo agire, sono riconducibili all’interazione causale (di forze, direbbe lui) tra lo spirito e l’ambiente circostante. Il riferimento a Dio e alla conoscenza di realtà eterne diviene, in questo modo, interamente superflua. Se consideriamo questo contesto storico, credo che dal fatto che i riferimenti di Telesio all’anima creata da Dio manchino di giustificazione filosofica non possiamo dedurre immediatamente che allora dipendono certamente da motivazioni estrinseche, pratiche o ‘politiche’. Infatti la destinazione ultraterrena dell’anima umana, la coincidenza dell’intelletto con la parte migliore dell’anima, l’identificazione delle facoltà intellettive umane con il ‘divino’ sono elementi caratteristici di tutta la tradizione filosofica, che fanno da sfondo anche ai dibattiti in cui interviene Telesio. Cercando di risolvere materialisticamente la problematica averroista, però, gli vengono meno tutte le principali motivazioni che tradizionalmente permettevano di parlare di immaterialità dell’intelletto e quindi di immortalità dell’anima. Eppure sente ancora l’esigenza di riconoscere una parte immateriale nell’uomo, perché questo è scontato nel contesto storico, ma anche perché altrimenti non sa come dar conto della sostanziale differenza tra gli uomini e gli animali, che riconosce ripetutamente, 1 e, legato a questo, del desiderio di eternità che caratterizza l’uomo. Se non esistono motivazioni filosofiche per riconoscere una parte immateriale dell’uomo, però, c’è da parte sua il riconoscimento dell’esistenza nell’uomo di un desiderio di eternità e di « cose divine » di cui non sa dare conto altrimenti. 2 Gli mancano, infatti, le risposte che il naturalismo avrebbe saputo dare a questi problemi nei secoli successivi. Letta in questa prospettiva, la discussione telesiana acquista un nuovo senso : Telesio nel suo tentativo di sviluppare una filosofia naturale autonoma da questioni metafisiche, avrebbe finito per acuire lo iato tra le facoltà naturali e quelle « divine », rendendo l’anima creta sempre più un elemento estrinseco e inutile nell’argomentare filosofico. Per questo, sostenevo sopra, il suo sensismo dai toni empiristi lo  























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  De rer. nat. 1976, l. viii, cap. xv, p. 233 : « non porremmo mai lo spirito degli animali […] razionale anch’esso alla pari di quello umano ». 2   Ivi, libro ix, cap. ii : « [con le] operazioni, prodotte secondo natura, si consegue un bene momentaneo e sommamente incerto, insomma non puro e in cui non è lecito riposarsi del tutto », p. 341. Afferma poi che sapienza è quell’intelligenza umana che stabilisce che ci si deve procacciare « non un bene momentaneo […], ma una beatitudine eterna, certa, pura e somma » (ivi, libro ix, cap. vi, p. 363).  















97 telesio e il naturalismo chiude alla trascendenza. Ma ciò non toglie che sia il tentativo, magari non riuscito, di rispondere ad un’esigenza filosofica e forse ‘spirituale’. 4. Conclusione Ci eravamo chiesti all’inizio : come può Telesio affermare l’esistenza nell’uomo di un’anima immateriale dotata di un intelletto suo proprio, subito dopo aver negato che l’intelletto umano sia immateriale ? Perché le argomentazioni che propone contro Aristotele non dovrebbero dirigersi anche contro la sua tesi riguardante l’anima creata da Dio ? Posso ora rispondere alla prima domanda che le affermazioni di Telesio non sono pienamente coerenti : il suo tentativo di confutazione degli argomenti aristotelici atti a sostenere l’immaterialità dell’intelletto, e quindi dell’anima, dell’uomo, dipende da una prospettiva strettamente naturalistica, rispetto alla quale le affermazioni relative ad un’anima immateriale sono filosoficamente infondate. Alla seconda domanda risponderei, inoltre, che è vero che la posizione di Telesio non è pienamente coerente, ma lui non se ne avvede : gli pare che gli argomenti contrari ad Aristotele non inficino le sue affermazioni sull’anima creata, perché quegli argomenti sono elaborati all’interno del suo studio delle facoltà conoscitive umane, studio svolto sotto un profilo rigorosamente naturalistico, mentre le affermazioni sull’anima creata dipendono da considerazioni esterne rispetto a quella ricerca. Torniamo dunque al dibattito tra De Franco e Bondì. A me pare che la verità stia in mezzo, non per sintesi hegeliana, ma perché le due posizioni non sono contraddittorie, ma solo contrarie. Mi sembra di poter dire che abbia ragione Bondì quando afferma che le cose divine non hanno alcun reale ruolo giustificativo nel sistema telesiano, contrariamente a quanto aveva affermato De Franco. Il sistema telesiano pare cercare di svolgersi in senso interamente naturalistico e le ‘aperture’ alla trascendenza sembrano dipendere più che da una coerente esigenza filosofica, dall’incapacità di risolvere in modo completamente naturalistico talune questioni (per esempio quelle poste dal desiderio d’eternità dell’uomo, e dalla differenza tra gli uomini e gli animali). Il riconoscimento di questo limite filosofico strutturale, interno all’opera di Telesio, però, a mio parere, non deve necessariamente indurci all’interpretazione di Bondì, ossia a sospettare un compromesso indotto dal timore del potere della Chiesa Cattolica. La ricostruzione del contesto filosofico, offertaci da Spruit, ci restituisce un Telesio impegnato ad argomentare contro l’averroismo, tradizionale nemico della dottrina cattolica, e questo sarebbe già sufficiente a rendere meno sorprendente il favore trovato dalla sua opera presso la curia romana. 1 Ma ci fa capire, soprattutto, che Telesio intraprende una via, per rispondere all’averroismo, che lo induce, in quel contesto culturale anti-metafisico, ad estremizzare il naturalismo averrosita, generando una tensione, irrisolvibile in modo coerente, con alcuni luoghi comuni della filosofia : la ‘divinità’ (anche solo nel senso di vicinanza o similitudine a Dio) dell’intelletto  











1   È noto che Telesio e la sua famiglia godevano dei favori di esponenti influenti della curia romana e che la sua opera almeno inizialmente trovò consenso presso le autorità religiose che ne approvarono la pubblicazione. Si veda a proposito De Franco 1995, p. 22 sgg.

98 gabriele de anna umano, l’esistenza di un ordine teleologico voluto da Dio nella natura, la diversità qualitativa radicale tra uomini e animali. Non erano queste solo verità affermate dalla Chiesa, ma punti fermi della tradizione filosofica, a cui erano legati anche i filosofi suoi coevi. La tensione tra questi luoghi comuni e il suo naturalismo sarà lentamente risolta nei secoli successivi, quando si troveranno modi per dar conto delle questioni che per lui costituivano un problema, in un contesto naturalistico più stringente. Naturalmente, la mia conclusione è solo probabile, non è certa. Mi pare, però, che sulla base delle evidenze proposte da Bondì, la mia spiegazione sia più plausibile di quella che attribuisce a Telesio un’intenzione nascosta, se non altro perché assume meno cose. Le due interpretazioni sono, infatti, compatibili : Telesio potrebbe avere avuto anche timore della Chiesa, oltre alle preoccupazioni indicate da me. Ma poiché quelle preoccupazioni sono sufficienti da sole a spiegare le tensioni interne alla sua opera, non è necessario ipotizzare altre motivazioni occulte, almeno che non emergano altre evidenze incompatibili con la mia spiegazione. Vorrei proporre, infine, tre riflessioni suggerite dalla mia conclusione e dalle considerazioni che la hanno motivata. Primo, la lettura da me proposta non svilisce l’uomo Telesio ; semmai ne riscatta il profilo morale, rivendicando la rettitudine delle sue intenzioni. Secondo, quanto siamo andati dicendo mette in luce il particolare rilievo storico di Telesio. Si può vedere nelle argomentazioni di Telesio una possibile linea di sviluppo dell’aristotelismo rinascimentale, che, cercando di risolvere il problema, cruciale per il tempo, dell’unità dell’intelletto, finisce per svolgere il naturalismo su linee prima non battute. I successori di Telesio, richiamandosi a lui, potranno quindi aprire la strada di un naturalismo sempre più emendato dalle problematiche aristoteliche e sempre più coerente, che si sviluppa e si ramifica fino ai nostri giorni. 1 Terzo e ultimo, rimane aperta la questione teoretica della fondatezza di un naturalismo che assume che la natura possa essere spiegata interamente attraverso principi ad essa interni, ignorando le considerazioni metafisiche, che avevano animato la filosofia classica e quella medievale. Avvicinandosi in questo modo all’esperienza, si assume senza giustificazione che ciò di cui si ha esperienza possa essere interamente spiegato attraverso ciò che si manifesta nell’esperienza stessa, generando, da una parte, la concezione di una natura svincolata nei suoi meccanismi da qualsiasi causa ad essa esterna e, dall’altra, un’idea di ragione come possibilità di fondazione ultima e certa della conoscenza. Questo atteggiamento di fronte all’esperienza non mi pare trovi giustificazione in Telesio : rimane per lui un’eredità del suo tempo e per noi un’indicazione su dove trovare l’origine e i limiti teorici del naturalismo, anche di quello a lui successivo. 2  





1   Non è ancora chiaro quanto Telesio influì direttamente sul naturalismo successivo, anche se sono noti l’ammirazione per lui da parte di Campanella e di Bacone. Sul complesso rapporto di Tommaso Campanella con Telesio e su come il primo abbia superato il secondo, si veda S. Femiano, Studi sul pensiero di Tommaso Campanella, Bari, Editoriale Universitaria, 1973, pp. 5-17. Sul rapporto di Bacone con Telesio, si veda V. Giachetti Assenza, Bernardino Telesio : il migliore dei moderni. I riferimenti a Telesio negli scritti di Francesco Bacone, « Rivista critica di storia della filosofia », xxxv, 1980, pp. 41-78. 2   Ho compiuto la ricerca per questo lavoro mentre tenevo la prima cattedra di filosofia all’Università di Bamberga, in Germania. Ringrazio quell’Università per aver promosso i miei studi. Ringrazio anche, per il loro aiuto materiale e per il confronto offerto, i ricercatori afferenti a quella cattedra, in particolar modo il dott. Matteo Raffaelli. Ringrazio infine mia moglie Maria Elena per il suo aiuto nella revisione del testo, oltre che per il suo supporto e il suo incoraggiamento.  





Elisabetta Scapparone, Telesio in volgare : fisionomia di una traduzione coeva del De rerum natura  

TELESIO IN VOLGARE: FISIONOMIA DI UNA TRADUZIONE COEVA DEL DE RERUM NATURA Elisabetta Scapparone

N

ella sua densa Postilla telesiana, Eugenio Garin rivolgeva ai futuri studiosi ed editori di Telesio alcune notevoli raccomandazioni di ordine metodologico. Recuperando e svolgendo alcune osservazioni di Vincenzo Spampanato, ma soprattutto richiamandosi alle decisive scoperte e acquisizioni testuali di Giovanni Gentile, Garin scriveva :  

Un serio lavoro, oggi, sul Telesio, dovrebbe cominciare col preciso confronto delle varie redazioni, sorprendendo l’autore nella elaborazione del suo pensiero. Telesio fu uomo di un sol libro, a cui dedicò decenni : e per quello che un esame anche rapido può indicare, le correzioni e revisioni successive sono di non piccolo significato, e possono forse svelare, dietro posizioni di compromesso, un compromesso faticosamente accettato, più ancora che un pensiero equivoco. 1  

E così continuava : « Né converrebbe dimenticare gli anni in cui Telesio venne fissando le sue idee […] ». 2 Si tratta di anni che coincidono con l’applicazione dei decreti tridentini ; con il rinnovamento e il potenziamento delle strutture inquisitoriali ; con il pontificato di papi tanto intransigenti quanto saldamente collegati al Sant’Uffizio, e anzi espressione puntuale proprio di questo organismo ; con la promulgazione del primo e poi dei successivi Indici dei libri proibiti ; con il delinearsi di nuove prospettive e soprattutto di nuovi dubbi, più articolati e consapevoli, nei confronti della riflessione e dell’editoria di carattere filosofico. « Che anche preoccupazioni del genere debbano aver pesato sulle revisioni del Telesio – sottolineava Garin –, appar probabile. […] Quanto […] debba essere stato sensibile a esigenze di questo tipo si vede bene già da certe caratteristiche aggiunte dell’edizione del ’70 », e poi da quelle « devote precisazioni » che risaltano nel passaggio da questa alla definitiva edizione del 1586. 3 Nei decenni che ci separano da quelle osservazioni e puntualizzazioni di Garin, su Telesio si è continuato a lavorare, in maniera discontinua, ma anche nelle direzioni indicate e auspicate dal grande storico fiorentino. 4 Per citare soltanto gli esempi più recenti : sul piano testuale, l’Edizione Nazionale delle Opere del filosofo calabrese ha cominciato a produrre i suoi primi frutti, a partire dalla pubblicazione del testo-archetipo del 1565, il De natura, a cura di Alessandro Ottaviani. 5 Un  























1   E. Garin, Postilla telesiana, « Giornale critico della filosofia italiana », xxxvi, 1957, pp. 56-62, poi in Idem, La cultura filosofica del Rinascimento italiano. Ricerche e documenti, Firenze, Sansoni, 19792 (prima ed. 2 3 1961), pp. 442-450 : 444.   Ibidem.   Ivi, pp. 445-447. 4   Cfr. per questo O. Trabucco, Per i cinquecento anni di Bernardino Telesio, « Giornale critico della filo5 sofia italiana », lxxxviii, 2009, 1, pp. 158-165 : 158-159.   De natura 2006.  











100 elisabetta scapparone lavoro nel quale, com’è naturale, assume un rilievo del tutto significativo l’analisi dell’esemplare 71 3 D 29 della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, già segnalato da Gentile, le cui caratteristiche – presenza di varianti, postille autografe, interventi a margine e fogli aggiunti, comprese sei carte a stampa con una seconda redazione dei capitoli 1-4 e 19-23 del primo libro e una terza redazione manoscritta dei capitoli 1-3 – lo qualificano come un vero e proprio « codice di lavoro », prima spia e testimonianza dell’infinita opera di revisione di Telesio sul suo testo ; della sua perenne insoddisfazione per le soluzioni – concettuali, ma anche lessicali e sintattiche – via via individuate e fermate nelle edizioni a stampa ; ma anche del suo desiderio di ridurre, anticipare o contenere eventuali attacchi e censure, limando e rielaborando soprattutto passaggi particolarmente delicati del suo pensiero, che investono di necessità le tradizionali aree di sovrapposizione e frizione tra filosofia e teologia, tra aristotelismo e dottrina ufficiale della Chiesa. E va notato, positivamente, come la specificità della situazione testuale illustrata dall’esemplare romano sia stata indagata in questa edizione non solo dal punto di vista del « numero e della estensione delle tessere […] che Telesio intarsia nell’ordito » 1 del testo del ’70, con particolare attenzione per i processi di compressione e revisione stilistica che questo comporta, ma abbia avuto una immediata ricaduta anche sull’apparato critico allestito per l’edizione. Qui, infatti, alla classica componente sincronica se ne accompagna una diacronica, riservata alla registrazione della variegata serie di annotazioni presenti nell’esemplare romano. E per quanto riguarda il rapporti del filosofo con l’Inquisizione, Saverio Ricci ha ormai proposto una dettagliata e documentata disamina degli « affanni » 2 vissuti da Telesio « in un angolo » di quell’Italia della Controriforma, nella quale « l’eversione del sapere aristotelico (e del suo rapporto con la teologia cristiana) lievita in personalità garantite inizialmente da protezioni ecclesiastiche e da legami curiali di rango elevato, per poi incontrare, nel Santo Uffizio e nella censura centrale romana, drastiche battute d’arresto ». 3 Cosa che in effetti accadrà puntualmente per il filosofo calabrese, secondo una parabola che ha inizio nel 1565, quando la prima edizione appare a Roma « nel migliore dei modi », 4 « presso lo stampatore camerale Antonio Blado, tipografo ufficiale del papa », 5 e si conclude con i divieti degli anni Novanta – frutto di una attenzione, a questa data, assai più forte, consapevole e selettiva delle strutture inquisitoriali per le forme e gli esiti della pretesa concordanza e saldatura tra le ‘nuove filosofie’, da un lato, e le Scritture e la tradizione, dall’altro. Divieti in parte attenuati da una prospettiva di expurgatio tuttavia ardua, se non impossibile, 6 e comunque destinati a recidere bruscamente, come nel caso della condanna di Francesco Patrizi e del suo tentativo di ‘restaurazione’ platonica, dibattiti assai vivaci e sentiti nella filosofia italiana di fine secolo.  































1

  Ivi, p. xxxii.   Per il lemma ‘affanni’ cfr. la lettera al cardinal Sirleto del 23 dicembre 1569, cit. in De Franco 1995, p. 45. 3   S. Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, Roma, Salerno, 2008, pp. 221-258, 363-389, citazione a p. 221. Ma sul tema si veda anche il classico L. Firpo, Filosofia italiana e Controriforma, « Rivista di filosofia », xli, 1950, pp. 150-173, 390-401 ; xlii (1951), pp. 30-47. 4 5 6   Ivi, p. 223.   Ivi, p. 226.   Ivi, pp. 223, 377-389. 2







101 telesio in volgare Nella lunga vicenda ripercorsa da ultimo nel libro di Ricci, la seconda edizione del De rerum natura rappresenta uno snodo decisivo, oltre a collocarsi in un contesto ormai mutato, rispetto al clima nel complesso favorevole di pochi anni prima. Intorno al 1570, infatti, non mancano attacchi violenti alla dottrina telesiana, e alle discussioni provocate nei circoli filosofici romani già testimoniate da una lettera del 1563 di Sertorio Quattromani, 1 si aggiungono critiche e tensioni, « occhi tanto acuti » e voci bene informate che provengono dall’ambiente cosentino e sembrano prospettare addirittura una denuncia, con conseguente procedimento di fronte all’autorità ecclesiastica. Seppure « estraneo […] ad ogni esplicita vocazione eterodossa » e « sempre schivo di gesti clamorosi », 2 Telesio è dunque accompagnato da serie preoccupazioni negli anni in cui lavora alla seconda edizione del De rerum natura. Da questo punto di vista, la lettera inviata da Napoli il 28 aprile 1570, alla vigilia della ristampa dell’opera, « repolita alquanto, et ampliatola assai », al cardinale Flavio Orsini, arcivescovo di Cosenza, risulta per più versi interessante : 3 sia per la luce che getta sul complicato laboratorio dell’opera telesiana, sugli interlocutori, anche di rilievo, del suo eversivo naturalismo, sulla lunga teoria di inappuntabili revisori pronti ad approvare entrambe le edizioni di un’opera nella quale « mai niuno seppe vederci cosa contro la religione » ; 4 sia per chiarire quali fossero, appunto, le « altre propositioni contra la religione » che urtarono la sensibilità dei suoi concittadini (« ch’io metto l’anima mortale, et, che negho che ’l Cielo sia mosso dall’intelligentie ») ; sia per comprendere le motivazioni profonde della cautela che ispirerà i passi successivi del filosofo. Dunque, in quella primavera del 1570, a suo dire, si trova già in tipografia un’opera da tutti « approbata senza difficultà ». 5 E tuttavia alla richiesta preventiva al cardinale di evitare o attenuare ulteriori censure della sua opera, si accompagnano, da un lato, la pronta disponibilità, « s’ho errato », perfino ad « abbruggiar tutte le mie opre, quando mi fusse mostro, che non siano piene di pietà christiana » ; dall’altro, la fiducia ostentata nella protezione del cardinale, dicendosi certo che non lo « lassarà devorare da niuno lupo, et ributtarà chiunque […] procura di farmi male, et d’opprimermi », e vorrà piuttosto riconoscerne i meriti speculativi, offrendogli protezione e la « quiete » indispensabi 























































1

  Il 22 settembre 1563 Quattromani, scrivendo da Roma a Telesio, riferisce delle reazioni suscitate negli ambienti filosofici della città dall’esito positivo del suo incontro a Brescia con l’aristotelico Vincenzo Maggi : cfr. S. Quattromani, Scritti, a cura di F. W. Lupi, Cosenza, Centro editoriale e librario, 1999, pp. 20-21 ; un resoconto dettagliato del colloquio con Maggi, e delle conclusioni incoraggianti del suo esame preliminare della nuova filosofia naturale telesiana, è affidato dallo stesso Telesio al proemio all’edizione 1565 : si veda per questo De natura 2006, pp. 7-8. 2   C. Vasoli, Ragioni di un convegno, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, a cura di R. Sirri e M. Torrini, Napoli, Guida, 1992, p. 495. 3   La lettera è stata rinvenuta nell’Archivio Capitolino di Roma, Fondo Orsini, serie i, Corrispondenza del cardinale Flavio Orsini, fascio 194 (1566-1575), vol. ii, lett. 130 e pubblicata da G. De Miranda, Una lettera inedita di Telesio al cardinale Flavio Orsini, « Giornale critico della filosofia italiana », lxxii, 1993, pp. 361-375. Sul documento si vedano le osservazioni di Bondì 1997, pp. 39-42 e Ricci, Inquisitori, censori, filosofi, cit., pp. 232-251. 4   De Miranda, Una lettera inedita di Telesio al cardinale Flavio Orsini, cit., p. 373. 5   Ivi, p. 374.  









102 elisabetta scapparone le per dedicarsi a nuovi studi. 1 Allo stato delle evidenze documentali, sembra che l’episodio si sia chiuso senza denunce, senza ulteriori revisioni dell’opera in corso di stampa a Napoli, ed anche senza repliche scritte da parte del cardinale. 2 In ogni caso, il De rerum natura uscirà a Napoli in quell’anno 1570, con notevoli mutamenti, soprattutto di carattere espositivo e argomentativo, rispetto all’edizione del 1565 e accompagnato da tre opuscoli: De his quae in aëre fiunt et de terraemotibus, De colorum generatione, De mari. Si tratta, come è noto, di una versione che lascia ancora una volta insoddisfatto l’autore e che genera ben presto un caso di revisione analogo a quanto era già accaduto per l’edizione 1565, con l’esemplare romano. 3 E i tratti di questa rinnovata insoddisfazione sono consegnati all’esemplare appartenuto a Domenico Cotugno e conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli con la segnatura xiv e 68, testimone eloquente di un ripetuto flusso correttorio, destinato infine a sfociare nella terza edizione del 1586. Rimandando ovviamente, per una descrizione e analisi dettagliata degli interventi telesiani, alla nuova edizione del testo del 1570, 4 mi limito qui ad alcune indicazioni di carattere molto generale, meramente funzionali alla caratterizzazione del volgarizzamento che, come vedremo subito, a questa revisione telesiana così strettamente si connette. Il primo strato di annotazioni, contraddistinto da una scrittura più posata, da un taglio della penna sottile e dall’uso di un inchiostro piuttosto scuro, concerne interventi in massima parte di ordine stilistico. In questa fase vengono infatti : 1) corretti i refusi ; 2) modificate alcune forme pronominali (ad esempio, « illis » viene mutato in « iis », « se » in « sese », « sibi » in « sibiipsi »), verbali (« videri » viene sostituito da « poni », « reddere » da « invenire », « componit » da « compingit »), sostantivali (« natura » corretto in « ingenio », « naturae » in « rei ») o avverbiali ; 3) proposti aggiustamenti nella coniugazione verbale ; 4) modificate le clausole, ad esempio attraverso la sostituzione dell’espressione « videri debet » con altre più assertive, quali « ponenda omnino est », « statuendum est », « existimare licet ». Da segnalare anche la sostituzione pressoché sistematica dell’aggettivo « solidus » con il più adeguato « densus » e del « -ve » enclitico con « -que ». E la fisionomia dell’opera non sembra risultarne sostanzialmente alterata. Il discorso si fa diverso e più complesso per la seconda serie di correzioni, contraddistinta dall’uso di un inchiostro più chiaro e con ogni evidenza « meno formale, più lontana nel tempo, diversa anche nel tratto » : 5 ora, se Telesio continua ad allineare varianti stilistiche analoghe a quelle proposte nel corso della prima fase, opera tuttavia modifiche di consistenza e impatto sul testo assai più radicali : « ulteriori sollecitazioni […] si riflettono in una  

















































































































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  Ivi, pp. 374-375. E cfr. Ricci, Inquisitori, censori, filosofi, cit., p. 250.   Ricci, Inquisitori, censori, filosofi, cit., p. 251. 3  Cfr. G. Gentile, Bernardino Telesio, con appendice bibliografica, Bari, Laterza, 1911, ora in Idem, Opere complete, Firenze, Sansoni 1968, xiv : Il pensiero italiano del Rinascimento, pp. 507-508 ; Garin, Postilla telesiana, cit., pp. 442-450 ; A. Ottaviani, Introduzione a De natura 2006, pp. xiv-xxii. 4  Cfr. Ottaviani, Introduzione a De rer. nat. 2010. Sulla dinamica delle annotazioni compiute da Telesio sull’esemplare napoletano si veda inoltre L. Pierozzi, E. Scapparone, Il volgarizzamento del De rerum natura di Bernardino Telesio a opera di Francesco Martelli, « Giornale critico della filosofia italiana », lxix, 1990, 2, pp. 160-181 (una versione abbreviata di questo saggio compare anche in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, cit., pp. 315-329). 5  B. Telesio, De rerum natura, ristampa anastatica dell’ed. 1570, prefazione di M. Torrini, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa, 1989, p. xiii. 2











103 telesio in volgare strategia di rimodellamento del testo assai più incisiva, che va dalla correzione di modeste stringhe di testo fino alla biffatura e sostituzione di porzioni assai estese ». 1 L’entità dell’intervento sul testo è ormai tale da rinviare non più a una stampa emendata, ma a una nuova edizione corretta. Si tratta di una tendenza confermata e radicalizzata dalla terza e ultima fase, caratterizzata da una mera prassi di elisione e cancellazione di importanti porzioni di testo o addirittura di interi capitoli, anche precedentemente emendati o rielaborati. La copia napoletana si trasforma così in una sorta di incunabolo dell’edizione successiva, come testimonia il fatto che proprio i capitoli cancellati, depennati, elisi saranno destinati a subire i più incisivi rimaneggiamenti, in vista della stampa del 1586. 2 All’interno di questo perenne processo di rilettura e autocorrezione, un ruolo singolare viene giocato dal volgarizzamento del testo dell’edizione del 1570 e di due degli opuscoli ad essa connessi (il De mari e il De his quae in aëre fiunt), compiuto a Firenze nel 1573 da Francesco Martelli, e da lui offerto al cardinale Ferdinando de’ Medici, facendo esplicito riferimento, nella lettera di dedica, a contatti non episodici ed anzi significativi del filosofo calabrese con l’ambiente culturale fiorentino e con gli stessi Medici. Contatti che risultano poi ulteriormente chiariti − e forse databili alla fine degli anni ’60 − dalla minuta di una lettera di Telesio proprio al cardinale Ferdinando, in cui si manifesta l’intenzione di inviare a Firenze copia di « queste nostre cose », affinché, una volta che l’opera sia stata rivista, corretta e giudicata non « indegna » del porporato, possa essere pubblicata proprio in Toscana, forte di un appoggio granducale incurante delle polemiche e delle « malignità delli huomini », così che « questa dottrina esca da Firenze et da quella casa ». 3 Certo, come è stato osservato, « se questo documento risale davvero al 1569, testimonia di un disegno evidentemente di lì a breve abbandonato, e non è noto per quali ragioni, ma tale da non poter essere citato o esibito neppure nella lettera all’Orsini, di sviluppare una strategia larga e complessa : coinvolgere accanto […] ad esponenti dell’aristocrazia napoletana legati alla Compagnia di Gesù una delle più importanti dinastie principesche e cardinalizie dell’Italia del tempo », 4 forte peraltro di un’immagine di attivo e generoso mecenatismo. Questa fase della ricerca telesiana di appoggi vistosi e autorevoli, dunque, non può essere seguita ulteriormente e sembra arrestarsi alla vicenda, peraltro assai contigua nel tempo, della versione italiana di Martelli, rimasta inedita e poi pubblicata soltanto nel 1868 (e con alcune omissioni : non gli opuscoli, non la dedica e la fondamentale ‘avvertenza’ nel corpo della prefazione) da Francesco Palermo nei Manoscritti Palatini di Firenze ordinati ed esposti. 5 L’attività di volgarizzatore di Francesco Martelli, testimoniata sia dalle versioni  

























1

  De rer. nat. 2010, p. xvii.  Cfr. Pierozzi-Scapparone, Il volgarizzamento del De rerum natura di Bernardino Telesio, cit., pp. 168-170. 3  Cfr. S. G. Mercati, Autografi sconosciuti di B. Telesio, « Archivio storico per la Calabria e la Lucania », xxv, 1956, pp. 11-12. 4   Ricci, Inquisitori, censori, filosofi, cit., p. 252. 5   F. Palermo, I manoscritti Palatini di Firenze ordinati ed esposti, iii, Firenze, Tip. Galileiana, 1868, pp. 1-232. La versione Martelli, oltre che nel Pal. 844, che è l’originale di dedica, è conservata in un altro manoscritto della bncf, il ii ii 151. Quest’ultimo risulta acquistato nel 1811 per la Biblioteca Magliabechiana, mentre il primo faceva parte già in origine dell’antica Biblioteca Palatina. 2





104 elisabetta scapparone telesiane che da quelle della Vita di Scipione l’Africano minore di Antonio Bandinelli, oggi conservata nel Ms. Palatino 893 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, va certo ricondotta all’orientamento culturale dell’Accademia Fiorentina, di cui egli risulta membro almeno a partire dal 1567 e della quale verrà nominato console nell’aprile 1581. 1 Il periodo che lo annovera fra i membri dell’Accademia è quello immediatamente successivo alla crisi attraversata da questa istituzione negli anni ’60. Rimaneva tuttavia certamente valido l’orientamento sancito dalle costituzioni del 23 febbraio 1542, al momento del passaggio ufficiale dell’Accademia sotto il patrocinio del Granduca :  

Il primo e principal pensiero di questa accademia fu la cultura della lingua toscana […] Fu deliberato si potesse leggere ancora ogni autore latino, ma leggerlo in toscano e chi leggeva fosse tenuto a dare il testo tradotto, pensando che da questo avesse a nascere occasione, che le scienze tutte si potessero crescere in lingua nostra. 2

Integrando il suo impegno letterario e poetico con gli stimoli suggeriti dall’ambiente accademico, attraverso gli anni Martelli pare maturare un interesse per problemi di natura filosofico-scientifica, come dimostra l’intenzione – espressa nella dedica – di tradurre, in un secondo momento, anche gli inediti opuscoli telesiani intorno alla costituzione delle piante e degli animali. 3 Non siamo tuttavia in grado di dire se Martelli nutrisse una predilezione particolare per l’opera telesiana, né se egli abbia intrecciato rapporti personali con il pensatore cosentino. Quel che è certo è che egli conosce e utilizza un nucleo preciso delle varianti che il filosofo viene apportando in quegli anni alla sua opera. Di questo reca precisa testimonianza la significativa ‘avvertenza’ che segue la dedica. 4 E le varianti effettivamente presenti in questa versione non smentiscono le affermazioni del traduttore. Si tratta infatti di lezioni significativamente connesse a quelle testimoniate dal già citato esemplare napoletano, e in modo particolare, come a suo tempo si è cercato di mostrare, 5 al primo gruppo di esse. Questi elementi lasciano ipotizzare una conoscenza da parte di Martelli almeno di un primo stadio delle correzioni telesiane all’edizione 1570, e allo stesso tempo permettono di datare questa prima revisione agli anni compresi fra il 1570 e il 1573. Il contatto di Martelli o, più in generale, degli ambienti fiorentini con Telesio può quindi essere ricondotto a una fase intermedia del lavoro di revisione condotto dall’autore sul suo testo. E tuttavia queste considerazioni non bastano a delineare la facies complessiva dell’archetipo latino inviato a Firenze : perché il volgarizzamento Martelli presenta caratteristiche peculiari, e cioè capitoli  

1  Cfr. Pierozzi-Scapparone, Il volgarizzamento del De rerum natura di Bernardino Telesio, cit., pp. 162163. Sull’Accademia come efficiente apparato di costruzione del consenso, di giustificazione dell’espansione territoriale e di controllo ideologico, si veda M. Plaisance, Une première affirmation de la politique culturelle de Côme ier : la transformation de l’Académie des ‘Humidi’ en Académie Florentine (1540-1542), in Les écrivains et le pouvoir en Italie à l’epoque de la Renaissance, a cura di A. Rochon, Université de la Sorbonne 2 Nouvelle, Paris 1973, pp. 361-433.   bncf, Ms. Magl. ix 38, c. 2r. 3   Antonio Persio, nella sua Apologia pro B. Telesio adversus Franciscum Patritium, rispondendo all’obiezione fatta da questi al cap. 12 del primo libro del De rerum natura, fa in effetti riferimento ad un commentario de animalium generatione che Telesio aveva in mente di scrivere, e che fornirà probabilmente il materiale per la stesura del v e vi libro dell’edizione 1586: in Libelli 1981, pp. 474-492 : 487. 4   Delle cose naturali libri due, cit., c. 1v. 5   Pierozzi-Scapparone, Il volgarizzamento del De rerum natura di Bernardino Telesio, cit., pp. 164-165.  



105 telesio in volgare assai rimaneggiati, aggiunte o eliminazione di interi passi, in taluni casi tali da poter parlare di un rapporto duplice che lo connette, da un lato, alle varianti – ma anche alle suggestioni di correzione – apportate all’edizione del ’70 ; 1 dall’altro, ad alcune forme di rielaborazione che preludono già alla redazione dell’86. È questo il caso, anch’esso già preso in esame nel lavoro sopra ricordato, 2 del cap. 23 del secondo libro (Che nessuna acqua sia fredda, ma calda omninamente), che affronta peraltro un problema centrale nell’economia della filosofia telesiana, quello dell’acqua, non privo di risvolti anche sul piano delle polemiche di carattere teologico-religioso. Si tratta di un capitolo particolarmente rimaneggiato e che ci appare oggi come una sorta di puzzle : a inizio e fine capitolo Martelli traduce infatti il testo del ’70 ; la parte centrale del capitolo traduce un testo molto simile a quello dell’edizione ’86 (libro III, cap. 25) ; mentre il passo alla c. 130r-v non ha corrispondenza con il testo latino di entrambe le edizioni, ma ne rielabora originalmente le argomentazioni. 3 Ma non basta : perché le modifiche al testo riscontrabili nella versione Martelli denunciano un ulteriore rapporto di connessione. E stavolta occorre guardare a Francesco Patrizi e alle sue Obiectiones al De rerum natura, costruite attraverso una serie di osservazioni rivolte essenzialmente a temi trattati nel primo libro (il secondo viene invece considerato dal filosofo chersino « prorsus admirabilis »). 4 L’impostazione dei dubbi di Patrizi è nota : considerando, al fondo, la filosofia telesiana come una sorta di riproposizione del parmenidismo, egli sottolinea come Telesio entri di fatto in contraddizione con questo grande archetipo, da un lato, rifiutando il ruolo centrale che Parmenide aveva affidato alla ragione, in favore di una palese sopravvalutazione del senso, le cui testimonianze appaiono invece spesso insufficienti ed equivoche ; dall’altro, non rendendosi conto che alcuni principi posti nel De rerum natura (e in primo luogo la materia) non possono essere colti se non per mezzo della ragione. Ne recano testimonianza, secondo Patrizi, espressioni che percorrono con costanza il testo telesiano, e che sono tali da mostrare un puntuale rinvio all’esercizio della ragione : « Et “Intelligere licet”, et “Rationi congruum est”, et “Existimare oportet”. 5 È forse possibile far risalire a osservazioni di questo genere la sostituzione, già nell’esemplare napoletano, di espressioni quali « videri debet », « videri potest », con « manifestum est », « statuendum est », « omnino est ». Ma quel che merita considerazione è che non solo, su questo punto, la versione Martelli recupera tali correzioni, disseminate, e non per caso, soltanto nel primo libro, 6 ma presenta passi modificati originalmente. Va detto, tuttavia, che le modi 









































1   Si veda, ad esempio, il caso del libro i, cap. 4, intitolato Coelum modo et Terram prima esse Mundi corpora. 2   Pierozzi-Scapparone, Il volgarizzamento del De rerum natura di Bernardino Telesio, cit., pp. 177-181. 3   Ma per i rapporti con l’ultima versione dell’opera telesiana si veda anche il brano del libro I, cap. 33, cancellato nell’esemplare napoletano e tradotto da Martelli in una forma analoga al corrispondente dell’edizione ’86 (libro i, cap. 10). Stessa sorte per libro i, cap. 49 (corrispondente, nell’ed. ’86, a libro ii, cap. 18), con tre brani cancellati nell’esemplare napoletano, e per libro ii, cap. 5 (corrispondente, nell’edizione ’86, a libro iii, cap. 6). 4  Le Obiectiones di Patrizi, già pubblicate da Fiorentino, vol. ii, pp. 375-398, si leggono in Libelli 1981, 5 pp. 463-474, insieme alle Solutiones Thylesii, ivi, pp. 453-463.   Libelli 1981, p. 463. 6   Per alcuni esempi : 1) De rerum natura, ed. 1570, libro I, cap. 10, f. 10v : « videri debet », Copia bnn, xiv e 68 : « statuendum est », trad. Martelli, c. 27r : « statuire si debbe » ; 2) De rerum natura, ed. 1570, libro I, cap. 10, f. 10v : « albedo a calore constitui videri debet », Copia bnn, xiv e 68 : « albedine a calore constitui manife 































106 elisabetta scapparone fiche apportate non appaiono adeguate alle critiche sostanziali mosse da Patrizi : l’operazione di revisione si esaurisce di fatto nella soppressione dei singoli periodi criticati o nell’aggiunta di argomentazioni ed esempi tesi a chiarire e consolidare la posizione telesiana nei punti deboli individuati dal filosofo chersino. Un capitolo esemplare da questo punto di vista è il secondo del primo libro. Patrizi fa notare a Telesio come egli stesso per primo denunci l’insufficienza del senso, dovendo far ricorso alla ragione fin dai capitoli iniziali della sua opera per dimostrare che le stelle sono incluse in un corpo loro omogeneo per sostanza – secondo un argomentare che, a suo parere, risulta di fatto confermato dall’uso frequente di espressioni quali, appunto, « intelligere licet », « rationi congruum est ». Nelle risposte alle obiezioni del filosofo chersino Telesio ribadisce il suo atteggiamento nei confronti del rapporto senso-ragione. Tuttavia, vediamo le ricadute dell’obiezione nella traduzione Martelli. Il passo incriminato suona così. Dopo aver affermato che « Mundus universus, quantum intuenti primo aspectu videri potest, e coelo terraque et mari, tum ex aere qui quod in coeli terraeque et maris medio spatio est occupat universum constare videtur », Telesio aggiunge :  















Licet enim sensu nullo nec qui coelo subest aer nec ipsum etiam coelum, at stellae modo in eo contentae percipiantur ; ex iis tamen quae sensu percepta sunt in corpore illas et nequaquam a propria substantia dissimili contineri, et quod coelo subest spatium corpore itidem repletum esse coelo simili cognatoque ratiocinari licet. 1  

Nella versione Martelli il testo appare modificato, attraverso l’inserzione di un inciso che sembra fornire un’apertura alle possibilità di conoscenza del senso, pur tenendo fermo il punto teorico dei suoi limiti :  

Per quanto nel primo aspetto si rappresenta a chiunque risguarda, apparisce che l’universo mondo sia composto di cielo e Terra, e mare et aere, il quale aere è quello che occupa tutto lo spatio che si ritrova nel mezo fra la Terra et il mare e ’l cielo. E ben che con il senso tutto l’aere non si comprenda, ma questo solamente che è vicino e contiguo alla terra e che, essendo un poco sospinto, in un certo modo ci percuote ; e che entra ne’ mantici e nelli otri ; e per il quale ci sentiamo manifestamente enfiare, e che medesimamente sieno incogniti et occulti al senso la parte superiore di quello e quella portione particularmente che da noi è grandemente lontana et esso cielo anchora, si può dire, niente di meno, per quelle cose le quali per il senso si son comprese, che tutto lo spatio che è nel mezo fra l’aere vicino alla terra e le stelle, e quello anchora che è fra le dette stelle, sia ripieno di alcun corpo, il quale sia simile e conforme a quelli a’ quali egli si ritrova vicino e contiguo. 2  



E alle ulteriori obiezioni di Patrizi, volte ad inficiare il procedimento utilizzato da Telesio per dimostrare l’identità di natura fra cielo e stelle, è forse dovuta, in fase di rielaborazione dello stesso capitolo, anche l’eliminazione della frase « siquidem quae proxima sunt, similia ea cognataque esse oportet », che Patrizi aveva definito « non satis verum esse ». 3 Anche nella versione rimaneggiata non viene tuttavia meno la sostanza dell’argomentazione telesiana, volta a dedurre l’identità di so 







stum sit », trad. Martelli, c. 27r : « è manifesto che la bianchezza è fatta dal caldo » ; 3) De rerum natura, ed. 1570, libro i, cap. 25, f. 18v : « videri possunt »: xiv e 68: «existimare licet»; Martelli, c. 48v: «stimar si possono». 1   De rer. nat. 2010, p. 4. 2 3   Delle cose naturali libri due, cit., c. 13r.   Libelli 1981, p. 464.  















107 telesio in volgare stanza fra cielo e stelle partendo dal presupposto della loro inclusione nel proprio orbe. E lo stesso atteggiamento si riscontra nelle modifiche al capitolo 22, che nella versione Martelli presenta l’aggiunta di un passo teso ad ampliare l’argomentazione telesiana intorno alla densità e rarità dei corpi, piuttosto che ad aggiungere quegli esempi chiarificatori espressamente richiesti da Patrizi. 1 Il confronto con le Obiectiones di Patrizi fornisce dunque un ulteriore tassello alla fisionomia complessiva di questo volgarizzamento, così interessante e peculiare. Ma vorrei ora dedicare la parte conclusiva di questo intervento a un ulteriore, diverso ordine di considerazioni. E per farlo, tornerò a rileggere la parte finale dell’avvertenza al lettore, là dove Martelli scrive :  

Et havendo io voluto, per quanto mi è stato possibile, esprimere i concetti e li termini della sua dottrina con voci proprie e significanti, sono stato in un certo modo forzato non solamente usarne alcune sue proprie, ma delle nuove anchora : del che prego che mi scusin coloro che della candidezza della lingua fanno professione. 2  

Martelli sembra qui recuperare e modulare, in nome della precisione, della pregnanza della parola in filosofia, e della libertà di innovare, i motivi della contrapposizione, così dibattuta in età umanistica, fra « intelletto delle dottrine » e « suono delle parole »; 3 della necessaria interazione fra elaborazione concettuale e ‘invenzione’ linguistica; della costruzione di un vocabolario filosofico in volgare; del rifiuto di un purismo fine a se stesso. È in parte quanto, con termini analoghi, aveva scritto Alessandro Piccolomini – nel quadro di un progetto organico di « ordinata filosofia nella lingua nostra » – nel 1540, introducendo il suo fortunatissimo – e, rispetto alla tradizione del genere, assai innovativo –, trattato De la sfera del mondo. 4 Se però dalla dichiarazione di intenti ci spostiamo sul terreno della effettiva prassi traduttoria messa in atto da Martelli, avremo modo di accorgerci immediatamente che in realtà quell’operazione di mediazione e interpretazione, di « immutatione et innovatione » di vocaboli che l’avvertenza sembra suggerire, si traduce nei fatti in  















1   Ivi, p. 470 ; Delle cose naturali libri due, cit., c. 45v. E cfr. Pierozzi-Scapparone, Il volgarizzamento del De rerum natura di Bernardino Telesio, cit., pp. 166-167. 2   Delle cose naturali libri due, cit., c.1v. 3  Cfr. S. Speroni, Dialogo delle lingue, in Trattatisti del Cinquecento, a cura di M. Pozzi, i, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978, pp. 628-629. 4   A. Piccolomini, De la sfera del mondo libri quattro in lingua toscana…, In Venetia, al Segno del Pozzo, 1540, c. 4v : « E per render questa opera men confusa e più chiara, ho preso ardir qualche volta intorno ad alcun concetto, a cui manchi nome appropriato ne la lingua nostra, di usare alcun vocabolo, che forse appresso o del Boccaccio o del Petrarca non si trovarà, per non esser ad essi accaduti tai concetti al proposito loro. E questo ho fatto arditamente, perciò che molto meglio ho giudicato io, che sia l’esser inteso con alcun vocabolo non in tutto nostro, che o circunscrivendo, o con qualche sforzata riduttion dipingendo […] le mie parole […] ». Sui volgarizzamenti di Piccolomini cfr. M. Celse-Blanc, Alessandro Piccolomini disciple d’Aristote ou les détours de la réécriture, in Scritture di scritture. Testi, generi, modelli nel Rinascimento, a cura di G. Mazzacurati e M. Plaisance, Roma, Bulzoni, 1987, pp. 109-145 ; S. Caroti, L’‘Aristotele italiano’ di Alessandro Piccolomini : un progetto sistematico di filosofia naturale in volgare a metà ’500, in Il volgare come lingua di cultura dal Trecento al Cinquecento, Atti del Convegno internazionale (Mantova, 18-20 ottobre 2001), a cura di A. Calzona, F. P. Fiore, A. Tenenti, C. Vasoli, Firenze, Olschki, 2003, pp. 361-401 ; M. P. Ellero, I volgarizzamenti e la felicità mentale : l’‘umana perfezione’ nella Filosofia naturale di Alessandro Piccolomini, in Lo scaffale della biblioteca scientifica in volgare (secoli xiii-xvi), Atti del Convegno (Matera, 14-15 ottobre 2004), a cura di R. Librandi e R. Piro, Firenze, sismel-Edizioni del Galluzzo, 2006, pp. 453-467.  















108 elisabetta scapparone una operazione assai vicina al mero calco linguistico. A indicare le linee fondamentali di un’analisi che dovrà necessariamente essere approfondita, accanto e oltre il lavoro di edizione del volgarizzamento, mi limito a fornire semplicemente un paio di esempi, ricavati da due passaggi chiave del testo : l’incipit e il capitolo conclusivo. Prendiamo dunque in primo luogo in considerazione il primo breve capitolo dell’edizione 1570 che, sostituendo il lunghissimo proemio del 1565, ha il compito di introdurre il nucleo teorico centrale del sistema telesiano : la rivendicazione del criterio di conoscenza e di giudizio al senso, e quindi all’esperienza diretta, denunciando il ricorso dell’intera tradizione filosofica classica (e non più, dunque, del solo Aristotele, come nell’originario proemio) a schemi astrattamente razionali sovrapposti alla concretezza dei processi fisici, con il risultato di generare mondi del tutto immaginari, frutto dell’attività di una ragione completamente svincolata dal senso.  



1) De rerum natura iuxta propria principia, ed. 1570, libro i, cap. 1, f. 2r :  

Qui ante nos Mundi huius constructionem rerumque natura perscrutati sunt, diuturnis quidem vigiliis magnisque indagasse illam laboribus, at nequaquam inspexisse videntur […].

Delle cose naturali libri due, c. 12r :  

Può veramente parere che coloro i quali hanno innanzi a noi considerato la fabrica di questo mondo e la natura delle cose se l’habbino con diuturne vigilie e con molte fatiche imaginate, ma non mai vedute 1 perfettamente.

2) De rerum natura iuxta propria principia, ed. 1570, libro i, cap. 1, f. 2r :  

Id vero propterea iis evenisse videtur, quod, nimis forte sibiipsis confisi, nequaquam, quod oportebat, res ipsas earumque vires intuiti id rebus ingenium easque facultates, quibus donatae videntur, indidere.

Delle cose naturali libri due, c. 12r :  

Il che non per altra cagione si può credere essere loro avvenuto se non per che, confidatisi forse troppo di se stessi, considerando esse cose e la natura di quelle non hanno loro attribuito, sì come era necessario di fare, né quella natura, né quelle facultà delle quali si veggono adornate […].

Per altri calchi nello stesso capitolo :  

3) De rerum natura iuxta propria principia, ed. 1570, libro i, cap. 1, f. 2r :  

Nos non adeo nobis confisi et tardiore ingenio et animo donati remissiore, et humanae omnino sapientiae amatores cultoresque […]. Delle cose naturali libri due, c. 12v : Noi dunque, che di noi stessi tanto non confidiamo, e che siamo dotati di più tardo ingegno e di animo più rimesso, amatori et osservatori al tutto dell’humana sapientia […].  

1   Se qui Martelli traduce inspicere con ‘vedere’, una analoga attitudine alla banalizzazione lessicale si può riscontrare all’interno dello stesso capitolo, laddove, poche righe più sotto, intuere viene reso con ‘considerare’, con una caduta complessiva, nella traduzione, del motivo classico dell’‘occhio della mente’, prolungamento dell’orizzonte dei sensi e in grado di rendere visibile l’invisibile.

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telesio in volgare

E passiamo ora all’analisi dell’ultimo capitolo, il 60, e in particolare al passo – richiamato anche da Garin, che giudicava il suo slittamento in chiusura d’opera « molto indicativo » delle preoccupazioni e degli scrupoli di ortodossia del filosofo 1 – in cui Telesio rinvia la comprensione dei misteri più profondi della natura e di Dio al momento in cui l’« animus noster », ormai liberato dal corpo, potrà tornare al Padre che lo ha creato :  









4) De rerum natura iuxta propria principia, ed. 1570, libro ii, cap. 60, f. 95v :  

Deum porro esse et rerum omnium conditorem, non Coeli motus appetitusque, sed is eius motus eaque eiusdem a Terra manifestet distantia, quibus, ut dictum est, provisum videtur, ut longe etiam exuperans Terram Sol, nullam tamen eius partem exuperat, et nullam non illustret vivificetque, nulli demum sua non largiatur bona, et admirabilis Coeli ipsius constructio, tum et reliquorum entium, animalium praesertim paulo minus.

Delle cose naturali libri due, c. 203v :  

Che Iddio sia e che egli sia creatore di tutte le cose non lo manifestono il moto e l’appetito del cielo, ma il suo moto e quella sua distanzia dalla Terra, alli quali (come si è detto) par che sia provvisto che il Sole, anchor che grandemente superi la Terra, niente di meno non abruci alcuna parte di quella, e tutte le illustri e vivifichi, e che a tutte finalmente doni i suoi beni ; et oltre a ciò, la mirabil compositione di esso cielo. E poco manco anchora fanno il medesimo, la compositione di tutti li altri animali […].  

5) De rerum natura iuxta propria principia, ed. 1570, libro ii, cap. 60, f. 95v :  

Hanc intuitus qui fuerit, quantumvis ferus impiusve ac stupidus etiam, nequaquam fortuito, aut casu factam esse suspicari aut queat, aut velit, sed vere Dei ipsius consilio. Haec, inquam, et Deum esse et rerum omnium conditorem manifestare possint. Eius substantiam aut alias inquirere operationes, non arrogans magis quam stultum videri potest, ut quae homini innotescere modo nullo possint. Quae de se sciri voluit, ea ipse nobis manifestavit Deus. Iis contenti, nequaquam nostris alia viribus aut humanis inquirere audeamus rationibus, quae scilicet longe animi nostri aciem exuperent, longeque sint lucidiora, quam quae humanus intueri queat oculus. Ibi spero inspicienda omnia, ubi, corpore exolutus, animus ad ipsum, unde profectus est, evolarit Deum.

Delle cose naturali libri due, cc. 203v-204r :  

[…] per che chiunche risguardi queste cose e sia quanto si voglia però et impio et stupido, non potrà o vorrà dubitar già mai, che queste cose sien fatte senza ordine, o a caso, ma veramente per consiglio di esso Dio, Queste cose, dico io, che manifestar potranno che Iddio sia e che egli sia creatore di tutte le cose ; et il ricercare qual sia la sua sostanza o le altre sue operazioni non può dimostrar l’huomo manco arrogante che stolto, come quello che in alcun modo non le può conoscere, per che quelle cose che Egli volse che di sé si sapessero, Esso stesso le ci manifestò. E di quelle essendo contenti, non ardiremo mai con le nostre forze, o con le ragioni humane, ricercare altro : le quali superono grandemente lo acume del nostro animo e le quali son più lucide di quello che l’occhio humano può risguardare. Quivi spero io dover vedere tutte le cose, quando l’animo, sciolto dal corpo, ad esso Iddio, dal quale egli venne, ascenderà.  



1

  Garin, Postilla telesiana, cit., p. 446.

110

elisabetta scapparone

E un capitolo a parte meriterebbe certo l’illustrazione di come la strategia del calco sia estesa puntualmente da Martelli anche al lessico di carattere più specificamente ‘tecnico’, con la puntuale mera riproduzione di voci quali crassities, luciditas (= « lucidità »), splendidus (= « splendido »). Di fronte a un’operazione del genere, un paragone si impone immediatamente : ed è quello con l’altra celebre e importante presentazione in volgare dell’opera telesiana, La philosophia di Berardino Telesio ristretta in brevità et scritta in lingua toscana pubblicata da Sertorio Quattromani nel 1589, e anch’essa frutto di una elaborazione progressiva e « mutata in molte forme » – condotta con tutta probabilità in parallelo con le metamorfosi dell’opera di riferimento, e iniziata forse già nei mesi immediatamente successivi all’edizione 1565. Nell’avvertenza Ai lettori, Quattromani presenta le motivazioni che lo hanno indotto a intraprendere la traduzione in stretta connessione con la ‘durezza’ connaturata allo stile del suo maestro. 1 Ma la scelta di proporre in volgare l’opera di Telesio rimanda di fatto a un nucleo più articolato di motivi e di umori : l’interesse accentuato per la letteratura volgare e gli esercizi di traduzione che è dato riscontrare nell’Accademia cosentina proprio negli anni in cui Quattromani ne prende in mano le sorti, sulla scia di altre esperienze – e ovviamente, in primo luogo di quelle padovane e poi fiorentine – che avevano rivendicato la possibilità e l’opportunità di usare il volgare in tutti gli ambiti del sapere, e dunque anche in quello delle scienze ; la scelta di una via agevole, semplificata ed efficace alla conoscenza, rivolta in primo luogo alle nuove generazioni. E c’è anche la spinta a spezzare l’intreccio secolare fra l’uso del latino e l’adozione – specie per la filosofia – di un lessico tanto peculiare e preciso quanto artificiale, e l’intuizione che una filosofia ‘nuova’ come quella telesiana abbia bisogno anche di un nuovo linguaggio – un problema questo, presentissimo allo stesso Giordano Bruno e poi affrontato con grande consapevolezza programmatica e teorica e con risultati per più versi esemplari da Galileo e dalla sua scuola. Quattromani ha evidentemente molto chiaro che in un progetto di divulgazione scientifico-filosofica i problemi da affrontare in via prioritaria riguardano, da un lato, il lessico ; dall’altro, l’aspetto sistematico, vale a dire la presentazione e l’illustrazione dei princìpi più generali della filosofia della natura (e della metafisica) aristotelica. Questa convinzione, unita a quello che è stato definito il suo « razionalismo di fondo », 2 sembra essere alla base di quel glossario posto in apertura di testo e intitolato Alcune voci che usa il Telesio che sono necessarie alla intelligenza della sua filosofia. 3 E al glossario si intreccia l’impianto definitorio, con il breve testo introduttivo significativamente dedicato a illustrare e compendiare Come prende Aristotele la forma e la privazione et in quante maniere.  























1   S. Quattromani, La filosofia di Berardino Telesio ristretta in brevità, a cura di A. Borrelli, FirenzeTorino, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento-N. Aragno, 2011, p. 5. Per un’analisi del Ristretto si veda l’Introduzione, ivi, pp. xi-xxxvi ; ma cfr. anche A. Borrelli, ‘Scienza’ e ‘scienza della letteratura’ in Sertorio Quattromani, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, cit., pp. 271-296. 2   L. Bolzoni, Conoscenza e piacere. L’influenza di Telesio su teorie e pratiche letterarie fra Cinque e Seicento, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, cit., p. 210. 3   S. Quattromani, La filosofia di Berardino Telesio, cit., pp. 9-10.  

111 telesio in volgare 1 Ma forse – come è stato sottolineato – dietro al lavoro sapiente di riscrittura e di presentazione in una logica espositiva rinnovata del Ristretto, è possibile individuare un’opzione teorica ancor più precisa (e radicale), che oltrepassa l’orizzonte delle consuete ‘sposizioni’ e traduzioni, esercizi così tipici della società letteraria cinquecentesca. Riassumere e chiarire la dottrina telesiana è ovviamente l’obiettivo prioritario : in più, Quattromani sembra avere intenzione di liberare un’opera filosofico-scientifica, considerata talmente innovativa da implicare ricadute significative su tutti gli uomini, da quei tratti specifici (non solo di linguaggio, « ma anche di regole procedurali, di sistemi concettuali, di strutture logiche e retoriche ») 2 che la indirizzano e la vincolano al solo mondo dei sapienti, e di fornire di quelle dottrine un’esposizione meno aderente al testo, più libera e più adeguata e conforme al nuovo uditorio, convertendola e traducendola, per quanto possibile, nei termini della logica e della semantica proprie del pubblico che si intende intercettare e coinvolgere – e dunque ordinarie, o della « quotidianità esperibile ». 3 Una sorta di pedagogia del concreto, dunque, che pone il lettore di fronte a una strategia di riduzione al lessico quotidiano e a un repertorio di immagini e situazioni consuete o praticabili, piuttosto che a una esposizione o a una terminologia eccessivamente astratte. Fino ad arrivare perfino a omettere alcune parti delle teorie telesiane proprio perché impossibili da convertire entro il nuovo sistema logico-semantico. 4 Quella compiuta nel Ristretto risulta in effetti un’operazione talmente radicale da destare, secondo quanto afferma lo stesso Quattromani nella lettera a Giovanni Maria Bernaudo del 10 maggio 1589, un moto di « maraviglia » nello stesso Telesio. 5 Se scegliamo di muoverci sulla falsariga dei due concetti che attraversano, con accezione e peso diversi, l’estetica rinascimentale e barocca, la lettura della versione Martelli, diversamente, non sembra produrre nel lettore né ‘meraviglia’, né, tantomeno, ‘diletto’. Optando per la strategia del calco linguistico, Martelli sembra muoversi, per usare le parole di Bruno nella Cena de le Ceneri, come « quelli interpreti che traducono da un idioma a l’altro le paroli : ma sono gli altri poi che profondano ne’ sentimenti, e non essi medesimi ». 6 Ma cosa c’è alla radice di una traduzione così conservativa, letterale, aderente al complesso e accidentato periodare telesiano tanto da creare dubbi non solo sulla sua effettiva fruibilità, ma perfino sul livello di comprensione del traduttore ? Cosa fonda quella che ci appare come una rinuncia a toccare e dunque a riproporre l’effettivo nucleo del pensiero telesiano ? Un traduttore non all’altezza di una sfida così impegnativa ? Un mero lavoro di accademia, che si esaurisce in una diligente esposizione di tesi passate in rassegna senza alcuna adesione ? Tutto questo, probabilmente. E tuttavia, quell’esplicito, esibito richiamo al nesso nuovi argomenti/nuova lingua, al movimento dialettico fra i nodi concettuali e l’invenzione di parole per esprimerli, al primato dell’intelligibilità sull’eleganza e delle ‘cose’ sulle ‘parole’, sembrano rimandare anche all’esperienza specifica dell’Ac 



























1   A. Fratta, Il ‘Ristretto’ di Sertorio Quattromani nell’ambito della tradizione scientifico-filosofica nel secon2 do’500, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, cit., pp. 303-314.   Ivi, p. 303. 3 4   Ibidem.   Cfr. ivi, pp. 306-313. 5   S. Quattromani, Lettere diverse, Napoli, nella stamperia di Felice Mosca, 1714, p. 136. 6   G. Bruno, Dialoghi filosofici italiani, a cura di M. Ciliberto, Milano, Mondadori, 2000, p. 23.

112 elisabetta scapparone cademia Fiorentina e alle riflessioni teoriche – alimentate dal ben noto rapporto di emulazione-opposizione con l’esperienza padovana degli Infiammati – circa la possibilità e il dovere della lingua toscana di cimentarsi anche con soggetti di natura scientifico-filosofica. Ora, in fatto di divulgazione del sapere e versatilità del volgare, nell’ambito della cultura fiorentina per più versi memore della lezione pomponazziana 1 le posizioni più aperte e dichiaratamente fondate sul principio che ogni lingua vale non per la sua eleganza intrinseca, ma in quanto mezzo di comunicazione del pensiero sono senz’altro quelle fatte proprie da Giovan Battista Gelli. 2 E tuttavia, se noi proviamo a considerare le sue traduzioni di scritti filosofici certo non entrate nel canone ‘classico’, ed anzi edite solo di recente – le quattro (forse cinque) versioni di altrettante opere di Simone Porzio condotte fra 1550 e 1552 –,vedremo che, se il programma democraticamente ambizioso di « tradurle nella nostra lingua Fiorentina, acciò che ei ne tragga frutto maggior numero di persone », 3 « cosa oggi forse più utile et più necessaria che di molte altre », 4 viene ribadito fin dalle dediche, le traduzioni risultano in realtà aderenti ai testi porziani al punto che, come Gelli stesso riconosce nella dedica preposta a Se l’huomo diventa buono o cattivo volontariamente, non importano « altro che la mutatione della lingua ». 5 Convinto che « nelle traduzioni si debbe attendere più al senso che alle parole », 6 nella pratica Gelli non sembra distanziarsi di fatto di molto dai volgarizzamenti tanto più organici (ed arricchiti da chiarimenti, osservazioni e considerazioni personali), ma anche tanto più ‘aristocratici’ compiuti, in quegli stessi anni, proprio da Alessandro Piccolomini sul corpus aristotelico, con l’intento dichiarato di « portare altrui la ordinata filosofia nella lingua nostra », 7 infondendo ad un tempo al volgare nuove capacità espressive che lo adeguino all’altezza del compito – intendendo, con l’espressione ‘aristocratici’, sia l’attenzione prioritaria per l’utilità che potrebbe derivare dalle traduzioni al piano della speculazione, alla filosofia, più che sulla effettiva acquisizione di nuovi strati di pubblico ; sia la visione di una scala gerarchica di ricezione del sapere ; 8 sia la programmatica decisione di non escludere in linea di principio un pubblico di cultura di livello uni 























1   Sulle concezioni linguistiche di Pomponazzi si veda E. Bonora, Dallo Sperone al Gelli, in Idem, Retorica e invenzione. Studi sulla letteratura italiana del Rinascimento, Milano, Rizzoli, 1970, pp. 37-43. 2   Sul nucleo « politico – nei moventi, negli obiettivi e negli strumenti – […] del programma di educazione in volgare » concepito da Gelli cfr. V. Perrone Compagni, Cose di filosofia si possono dire in volgare. Il programma culturale di Giambattista Gelli, in Il volgare come lingua di cultura dal Trecento al Cinquecento, cit., pp. 301-337. 3   Modo di orare christianamente con la esposizione del Pater noster, fatta da m. Simone Portio Napoletano. Tradotto in lingua Fiorentina, da Giouam Batista Gelli Firenze, 1551, pp. 7-8. E cfr. anche S. Porzio, An homo bonus vel malus volens fiat, a cura di E. Del Soldato, Roma, Storia e Letteratura, 2005, p. 7. 4   Porzio, An homo bonus, cit., p. 9. 5   Ibidem. E cfr., anche per la suggestione del parallelo Gelli-Piccolomini, A. Fratta, Il Ristretto di Sertorio Quattromani, cit., pp. 304-305. 6   G. B. Gelli, I capricci del bottaio, in Id., Dialoghi, a cura di R. Tissoni, Bari, Laterza, 1967, p. 66. 7   Dalla dedica a Giulio III della prima parte della Filosofia naturale, cit. in Caroti, L’‘Aristotele italiano’ di Alessandro Piccolomini, un progetto sistematico di Filosofia naturale in volgare a metà ’500, in Il volgare come lingua di cultura, cit., pp. 361-401 : 375. 8   Per il carattere ‘aristocratico’ dei volgarizzamenti di Piccolomini cfr. F. Bruni, Sistemi critici e strutture narrative, Napoli, Liguori, 1969, pp. 29-34 ; Caroti, L’‘Aristotele italiano’ di Alessandro Piccolomini, cit., pp. 375-376, 378-379 ; Ellero, I volgarizzamenti e la felicità mentale, cit., pp. 466-467.  









113 telesio in volgare 1 versitario da quelle parafrasi, riduzioni o adattamenti degli elementi principali del corpus aristotelico. Su questo sfondo di questioni, a una data molto tarda, quando la cultura fiorentina perde interesse per azioni culturali innovatrici e si viene esaurendo anche la « spinta ai volgarizzamenti », 2 il faticoso approccio di Martelli al testo di Telesio può forse essere interpretato anche come una scelta di continuità e di fedeltà : consapevole degli ‘ideali’ linguistici a lungo discussi proprio in quegli ambienti, Martelli non manca di saggiarne o addirittura di testimoniarne la perdurante validità e vitalità, cimentandosi ancora – o forse sarebbe meglio dire, ormai – a « ristringere per gli Accademici nostri almeno, se non per altri, le cose della lingua Toscana ».3  









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  Per la novità della concezione piccolominiana (uso del toscano, originalità, sintesi, completezza) cfr. il titolo completo della sua versione della Sfera : De la sfera del mondo libri quattro in lingua toscana, i quali non per via di traduttione, né a qual si voglia particolare scrittore obligati, ma parte da i migliori raccogliendo e parte di nuovo producendo, contengono in sé tutto quel ch’intorno a tal materia si possa desiderare. Ridotti a tanta agevolezza et a così facil modo di dimostrare che qual si voglia poco essercitato negli studij di matemmatica potrà agevolissimamente et con prestezza intenderne il tutto […]. 2  Cfr. Bruni, Sistemi critici e strutture narrative, cit., pp. 93-95. 3   Porzio, An homo bonus vel malus fiat, cit., p. 8.  

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Jean-Paul De Lucca, Giano Pelusio : ammiratore di Telesio e poeta dell’«età aurea»  

GIANO PELUSIO : AMMIRATORE DI TELESIO E POETA DELL’« ETÀ AUREA »  





Jean-Paul De Lucca 1. Sentieri poetici

B

ernardino Telesio, che nella sua canzone Agl’Italiani Campanella chiamava « il Consentin, splendor della natura », 1 ha lasciato un segno indelebile non solo nella storia e nella cultura intellettuale della Calabria ma più ampiamente nella transizione fra il naturalismo rinascimentale e la scienza moderna. A lui fanno riferimento e da lui traggono ispirazione tanti autori, filosofi e scienzati ma – come spesso accade – pochi fra questi erano suoi conterranei. Nella canzone appena citata, infatti, Campanella denunciava l’Italia come « sepoltura / de’ lumi suoi, d’esterni candeliere ; / ond’ancor oggi non chiere / il Consentin [...] ». 2 Campanella, che di questo atteggiamento ne sapeva qualcosa, era fra quei pochi che difesero i princìpi della filosofia naturalistica di Telesio contro quelli che si ostinavano ad attaccarlo e a proibire i suoi scritti. Basti ricordare con quale forza si adoperò a difendere colui che « riempì il [suo] animo di gioia, sia per la libertà del filosofare, sia perché derivava le sue dottrine dal mondo naturale, e non dalle parole degli uomini » 3 nella sua prima opera significativa, la celebre Philosophia sensibus demonstrata del 1591. 4 Il filosofo di Stilo tuttavia non era il solo a voler rivendicare la filosofia telesiana contro l’assalto da parte dei seguaci di Aristotele, come non erano solo i filosofi a volerla sostenere. Si diffuse presto in uno spazio culturale più ampio un movimento che apprezzava le dottrine del naturalista cosentino e che vedeva in questa figura un rifondatore delle scienze. Fra coloro che composero versi in lode di Bernardino Telesio troviamo il poeta e oratore crotonese Giano Pelusio, un’altra figura calabrese poco nota ma che compose molte bellissime opere in latino, al punto che Francesco Crisario – che risulta essere stato, come Pelusio, membro dell’Accademia degli Eubolei e dell’Accademia dei Sireni di Napoli – avrebbe detto che i suoi versi « erano più scorrevoli delle acque dell’Esaro : come quelli di Catullo ». 5  



















Desidero ringraziare Germana Ernst per il suo aiuto e per i suoi consigli. 1  T. Campanella, Agl’Italiani, in Tutte le opere di Tommaso Campanella, i : Scritti letterari, a cura di L. 2 Firpo, Milano, Mondadori, 1954, p. 102.   Ibidem. 3  T. Campanella, Sintagma dei miei libri e sul corretto metodo di apprendere / De libris propriis et recta ratione studendi syntagma, a cura di G. Ernst, Pisa-Roma, Fabrizio Serra, 2007, pp. 32-33 : « sed Telesius me delectavit ... ». 4  T. Campanella, Philosophia sensibus demonstrata, a cura di L. De Franco, Napoli,Vivarium, 1992. 5   G. Argentieri-Piuma, Giano Pelusio Crotonese del xvi secolo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1984, p. 58. Da quello che mi risulta, questo piccolo volume di una sessantina di pagine è la più recente introduzione al pensiero e alle opere di Pelusio dopo quella di A. Aceti, Giano Pelusio nella vita e nell’arte, Cosenza, Tip. R. Riccio, 1920. L’Argentieri-Piuma ricorda il Crisario (o Crysario) senza citare la sua fonte, ma da una ricerca effettuata nel Database of Italian Academies della British Library (comprendente le accademie attive a Padova, Siena, Bologna e Napoli fra il 1530 e il 1700) risulta sia stato membro delle  







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jean-paul de lucca

Giano, o Giovanni, Pelusio nacque nella città di Crotone – alla quale rimase sempre profondamente legato – nel 1520. Morì a Roma il 10 febbraio 1600 e fu sepolto nel vestibolo laterale dell’antica basilica romana di Sant’Eustachio. 1 Una lapide posta sotto un suo mezzo busto in marmo raffigurava lo stemma gentilizio e l’epigrafe funebre. 2 Giovane precoce, Pelusio ricevette una formazione umanistica sotto la guida di Giano Cesareo e Francesco Vitale. Dopo « aver preso l’abito chiesiastico da giovanetto » – secondo ciò che riferisce il biografo Giovanni De Tommaso di Gallipoli – proseguì per Roma dove fu in seguito assunto dal potente Governatore dei Paesi Bassi e Duca di Parma e Piacenza, Alessandro Farnese, come precettore dei figli Ranuccio (1569-1622) e Odoardo (1573-1626), più tardi cardinale. Si ricorda qui che fu proprio Odoardo Farnese uno dei cardinali ai quali, nel 1606, Campanella si rivolse con una lunga lettera trattando delle sue funeste vicende giuridiche ed elencando gli scritti compiuti fino ad allora, supplicandolo affinché « faccia il suo di favorire la ragione », « ch’al re non giova uccider un fraticello che può esser tanto utile ». 3 Gran parte delle opere di Pelusio consistono in antologie di poesie, odi, carmi e inni, fra i quali vengono segnalati i Lusuum libri quattuor (Napoli, 1567), l’Odarum libri duo (dedicato al cardinale Farnese), l’Hymnorum libri duo ad Clementem VIII ed i Poematum libri duo (tutti stampati a Parma, 1592), nonché gli inediti Carmina in obelisci vaticani traslationem e i Carmina quibus fere omnia commemorat quae Sixtus V ab initio sui pontificatus ad hanc usque diem fecit (entrambi scritti a Roma nel 1586). Nella sua prima collezione di versi, i Lusuum libri quattuor, 4 incontriamo due poesie che sicuramente ci interessano in questa occasione : una indirizzata a Bernardino Telesio e un’altra al fratello vescovo Tommaso, a cui Bernardino cedette la sede cosentina offertagli da Pio IV nel 1565. Il volume venne dedicato al cavaliere Pietro Portocarrero (« Petro Portucarerio »), che di lì a sette anni, in qualità di Castellano della fortezza della Goletta, dovette difendere il litorale calabro dall’incursione di  

















suddette accademie napoletane, un dato interessante che verrà rilevato più avanti. Il Crisario compose una breve poesia inclusa in uno degli scritti di Pelusio discussi più avanti; vedi G. Pelusio, Ad proceres Christianos cohortatio, Neapoli, apud Io. de Boy, 1567, f. 2v. 1   Si tratta evidentemente di una svista ciò che riferisce A. Zavarroni, Bibliotecha Calabra, sive illustrium virorum Calabriae [...] elenchus, Neapoli, ex typographia J. de Simone, 1753, p. 317 : « Obiit Romæ An. MDC. sepultusque est in Ecclesia S. Eusebii [sic], ut ibi Tumuli docet inscriptio ». Altri biografi concordano sulla tumulazione avvenuta a Sant’Eustachio, che fra l’altro fu luogo di sepoltura di molti artisti e letterati nel ’500 e ’600. 2   Ci sarebbe da pensare che il monumento funebre andasse distrutto durante la ricostruzione quasi ex novo della basilica nei secoli xvii e xviii. Ringrazio il rettore della basilica, mons. Riccardo Antonio Menegaldo, per le utili informazioni. L’iscrizione è riprodotta in L. Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, Cosenza, Tip. Municipale, 1869-1877, vol. ii, p. 2. Un secolo prima, Giovanni Cristoforo Amaduzzi (Iohannes Christophorus Amadutius), aveva incluso l’iscrizione assieme ad alcune informazioni sulle opere di Pelusio in una lettera « ad praeclarissimum adolescentem » marchese Ippolito Pindemonte, cavaliere gerosolimitano (Roma, 13 giugno 1782). Questa lettera all’amico di Ugo Foscolo venne riprodotta un anno dopo in G.C. Amaduzzi, Anecdota litteraria ex mss. codicibus eruta, Romae, apud Gregorium Settarium, 1783, vol. iv, p. 431. 3   T. Campanella, Lettere, a cura di G. Ernst, Firenze, Olsckhi, 2010, p. 53. La lettera è del 30 agosto 1606. 4   G. Pelusio, Lusuum libri quattuor, Neapoli, apud Io. de Boy, 1567.  









giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 117 Occialì Pascia e Scipione Cicalà (ovvero Sinan Pascia). La poesia Ad Thomam Thylesium, Archiepiscopum Consentinum si trova nel terzo libro e in essa il poeta esalta la virtù, la maniera candida e la perizia del prelato, augurandosi ch’egli possa accedere al titolo cardinalizio. 1 Questo in un momento in cui, scrive metaforicamente il poeta, la sede di Pietro viene assalita dal furore dei forti venti e dalla rabbia del mare. Il Telesio, uomo integro e di notevole cultura, viene rappresentato come un porto sicuro che tutti può nutrire, stimare e proteggere. Seguono subito dopo la poesia al vescovo Tommaso, i versi dedicati al fratello Bernardino, Ad Bernardinum Thylesium Philosophum : 2  

Quot legunt iuvenes, senesque docti Quae scribis varia, et referta sensa Attica, et Latia eruditione, Nihil candidius, politiusque, Nihil doctius, elegantiusque Uno ore esse fatentur : hoc Thylesi Sic tuum est proprium, ut natare thynni, Et volare aquilae, boumque arare. Quid mirum est igitur repertus unus Si e tanto es numero virum Italorum Qui veris rationibus refellas Scripta Aristotelis : tibique cedat Sophus, qui fugiens Sami tyrannum, Civeis perdocuit meos Crotone.  



Leggendo questi versi, appare ironico che in un casuale riferimento a Pelusio nel suo volume su Telesio, il Fiorentino scrivesse : « A casa Farnese viveva [...] Giano Pelusio di Crotone, il quale poi nelle sue poesie non celebrò altro che duchi, duchini e cardinali di quella famiglia. [...] Non mancava neppure quest’altro di coltura classica, ma è senza affetto ». 3 Viene da pensare che il Fiorentino non conoscesse questa elegante poesia in lode di Telesio. « Niente è più candido e più raffinato / Niente è più dotto e più elegante » di ciò che si riconosce da « dotti giovani e vecchi » negli scritti di Telesio. Questi versi, che risalgono a pochi anni dopo la stampa della prima stesura del De rerum natura, vogliono esaltare non tanto la raffinatezza dello stile telesiano quanto l’unicità dello spessore intellettuale con cui egli si proponeva come critico del sistema metafisico ed epistemologico aristotelico. Pelusio percepisce la tensione che stava diventando sempre più profonda fra la teleologia dell’immanenza di Aristotele e le posizioni critiche di Telesio, che dalla cosmologia si estendevano alle teorie della percezione e della conoscenza. Erano proprio alcune di queste idee che nei decenni seguenti vennero esplorate ed elaborate da Bacon, Cartesio, Hobbes e altri grandi fondatori del pensiero moderno. « Tu sei l’unico fra molti uomini italiani », scrive il poeta, « che con veri ragionamenti smentisci / gli scritti di Aristotele ; davanti a te cede / il Sapiente [cioè Pitagora], che fuggendo dal tiranno di Samo [cioè Policrate] / ammaestrò i miei concittadini di Crotone » : è proprio in questi versi conclusivi che  























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 G. Pelusio, Lusuum libri quattuor ..., ff. 52v e 53r. Vedi appendice i, p. 127. 4   Ivi, f. 53r.   Fiorentino, vol. i, pp. 49-50.

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118 jean-paul de lucca l’ammirazione di Pelusio verso il filosofo cosentino raggiunge il suo apice. Il poeta, anche quando più tardi si trasferì a Parma e a Roma, rimase strettamente legato alla sua terra e alla sua città che, come qui ci ricorda, riconosceva la sua fondazione intellettuale negli insegnamenti di Pitagora e della sua scuola. Ed ecco quindi che si aggiunge un significato ancora più profondo a queste parole, poiché vedono nel Telesio non solo un ‘nuovo Pitagora’ per il proprio ingegno ma addirittura un fondatore della cultura intellettuale e scientifica moderna che prende il posto delle antiche dottrine. Pelusio esprime questo profondo senso di ammirazione per colui che considerava come l’iniziatore di una nuova età aurea sotto il profilo intellettuale. Anche se Pelusio era soprattutto un poeta e un letterato, era comunque sensibile agli sviluppi in ambito filosofico. Questa poesia dedicata a Telesio è infatti una delle pochissime occasioni in cui il poeta prende una chiara posizione filosofica che si rivela decisamente antiaristotelica. Ma se si considera che all’Accademia dei Sireni apparteneva anche Ferrante Carafa, meglio noto come il marchese di San Lucido, grande sostenitore del Telesio, allora un legame intellettuale fra Telesio e Pelusio non è difficile da stabilire. Alla stessa Accademia dei Sireni, come anche a quella degli Eubolei, 1 apparteneva anche Bernardino Rota, con il quale pare che il Pelusio abbia avuto in un primo momento un aspro litigio a Napoli. 2 Nelle sue poesie Rota invoca una pacificazione dopo questo scontro 3 e in seguito i due si scambiarono affettuosi versi poetici. In altre pagine, lo stesso Rota dedica un elogio a una figura che entrambi ammiravano, il letterato e scienzato napoletano Giovanni Battista Della Porta. 4 Al Della Porta, allora ancora un « iuvenem omnibus bonis artibus eruditum » di poco più di trent’anni, il Pelusio dedica una poesia stampata nello stesso Lusuum liber tertius, 5 pochi anni dopo la stampa della prima edizione giovanile della sua opera più nota sulla magia naturale, la Magia naturalis del 1558. 6 I suoi libri – scrive il Pelusio del Della Porta – sono sempre tenuti in mano da « dotti giovani e vecchi », la stessa frase usata poco prima nella poesia al Telesio, legato al Della Porta per il suo interesse per la filosofia naturale e soprattutto per il condiviso disagio nei confronti della filosofia scolastica aristotelica. Se si parla di Telesio, Della Porta e del loro antiaristotelismo, non può mancare un ritorno a Campanella, che proprio nel palazzo dei Della Porta a Napoli, mentre completava la Philosophia sensibus demonstrata in difesa di Telesio, ebbe l’occasione di frequentare un ambiente di grande stimolo intellettuale che si contrapponeva all’aridità che lo aveva afflitto nello studium domenicano della sua terra nativa. Le conversazioni intercorse fra il giovane frate e Giovanni Battista Della Porta riguardo alla realtà naturale e alla magia diedero l’impulso a Campanella per comporre il suo trattato Del senso delle cose e della magia, più tardi stampato in latino a Francofor 







1   Vedi p. 115, nota 5. L’Accademia viene menzionata in G. Pelusio, Oratio habita in nuptijs illustrissimi Comitis Renati Borromaei, & illustrissimae Hersiliae Farnesiae, Parma, apud Seth Viothum, 1579, p. 26. 2  F. Elías de Tejada, Napoli Spagnola, vol. i, a cura di Silvio Vitale, Napoli, Controcorrente, 2005 (originale in spagnolo, Napoles ispanico, Madrid, Ediciones Montejurra, 1959), p. 125. 3  B. Rota, Delle poesie, vol. ii, Napoli, stamp. di Gennaro Muzio, 1726, p. 232. 4   Ivi, p. 199. 5  G. Pelusio, Lusuum libri quattuor ..., ff. 59v e 60r. Anche in questa poesia appare la frase « quod iuvenes, senesque docti ». Vedi appendice ii, p. 127. 6   G.B. Della Porta, Magia naturalis, Neapoli, apud Matthiam Cancer, 1558.  



giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 119 te (1620) e a Parigi (1636, 1637) col titolo De sensu rerum et magia e con la riedizione parigina dedicata al Cardinale Richelieu. 1 Nei Medicinalium libri, poi, Campanella ricorda anche il rimedio efficace che Della Porta gli somministrò per una infiammazione degli occhi. 2 La Medicina venne dedicata da Jacques Gaffarel al principe Odoardo Farnese, figlio di Ranuccio e nipote del Cardinale Odoardo, che per conto del giovane Odoardo fu per alcuni anni reggente del principato. Ritornando alla grande stima nutrita dal giovane Campanella per la dottrina di Telesio, è opportuno ricordare il sonetto in italiano intitolato Al Telesio Cosentino che gli dedica nella sua Scelta di alcune poesie filosofiche : 3  

Telesio, il telo della tua faretra uccide de’ sofisti in mezzo al campo degli ingegni il tiranno senza scampo ; libertà, dolce alla verità, impetra. Cantan le tue glorie con nobil cetra il Bombino e ’l Montan nel brettio campo : e ’l Cavalcante tuo, possente lampo, le ròcche del nemico ancora spetra. Il buon Gaieta la gran donna adorna con dïafane vesti risplendenti, onde a bellezza natural ritorna ; della mia squilla per li nuovi accenti, nel tempio universal ella soggiorna : profetizza il principio e ’l fin degli enti.  







Non si può sapere fino a che punto questi versi giovanili ecchegiavano l’elegia (purtroppo andata perduta) che Campanella affisse al feretro di Telesio nel Duomo di Cosenza, rammaricandosi di non averlo potuto incontrare mentre era ancora vivo. 4 Certo è che nel suo commento a questa poesia l’autore si autopropone come diffusore del pensiero telesiano in altri campi filosofici. Leggendo a confronto le due poesie di Pelusio e Campanella possiamo forse notare una specie di cambiamento o un rovesciamento dei ruoli : i sofisti ricordati da Campanella nulla hanno a che fare con il Sophus ricordato da Pelusio, ma colui che, come altrove ricorda di se stesso, nacque « a debellar i tre mali estremi » fra cui i sofismi, si riferisce a coloro che corrompono e sviliscono le verità delle scienze e della vera filosofia, in primis Aristotele. Il vecchio Pitagora, che nella poesia pelusiana fuggiva dal tiranno, cedette il suo primato al Telesio, il ‘nuovo Pitagora’, che nella poesia di Campanella « uccide Aristotele, tiranno degli ingegni umani » 5 e lo lascia « senza scampo ». Possiamo usare questa inversione dal tiranno persecutore al tiranno efficacemente perseguitato  













1   Campanella stesso ci fa sapere che fu sollecitato a scrivere il Del senso delle cose « quando esaminavamo insieme [cioè con Della Porta] l’edizione del suo libro sulla Fitognomonia ». Vedi T. Campanella, Sintagma, p. 35. 2   T. Campanella, Medicinalium libri vii, Lugduni, ex officina I. Pillehotte, Sumptus I. Coffin et F. Plaignard, 1635. L’episodio è ricordato in G. Ernst, Tommaso Campanella. Il libro e il corpo della natura, Bari, Laterza, 2002, p. 191. 3  T. Campanella, Al Telesio Cosentino, in Tutte le opere, p. 137. 4   Vedi T. Campanella, Sintagma, p. 33 : « Dopo aver affisso un’elegia al feretro di Telesio, che non avevo avuto modo di conoscere mentre era vivo ... ». 5   Dal commento di Campanella al sonetto.  









120 jean-paul de lucca per mettere in evidenza il legame antiaristotelico del poeta crotonese e del filosofo stilese, congiunti dalla loro comune ammirazione per il « gran Telesio ». 1 Sebbene in Telesio Pelusio vide una stella nascente del nuovo ingegno scientifico, Campanella, in un’altra poesia scritta pochi decenni più tardi, successivamente alle sue condanne, ebbe modo di esprimere il suo più profondo rammarico in alcuni versi di stampo decisamente più critico. Nella già citata canzone Agl’Italiani, infatti, egli si scaglia contro l’ostinazione dell’Italia che « oggi ancor chiere [i.e. rimpiange] / il Consentin, splendor della natura, / per amor d’un Schiavone [i.e. Aristotele] ».  







2. Sentieri politici Se in Pelusio l’ammirazione verso Telesio, nonostante sia chiarissima, è ristretta ai pochi versi ricordati sopra, una molto più ampia ed entusiastica adesione al filosofo della natura è rilevata in Campanella – come molti scritti suoi e su di lui dimostrano ampiamente. Lasciamo qui questi sentieri d’incontro fra Telesio e Pelusio da una parte, e fra Telesio e Campanella dall’altra, per soffermarci invece sul terzo sentiero che si propone di mettere a fuoco altri punti d’incontro fra Pelusio e Campanella, primariamente sotto un profilo politico. Si spera che questa momentanea deviazione dalla figura centrale che questo volume vuole celebrare – dovuta anche al fatto che il pensiero di Telesio non si occupa in modo esplicito della riflessione politica – ci aiuti comunque a capire meglio il suo tempo. Poi non si deve dimenticare che nella citata poesia di Campanella a Telesio, il frate-filosofo conclude dicendo che lui stesso doveva dare un nuovo accento alla filosofia telesiana aggiungendo « la metafisica e la politica ». È proprio su questo versante politico che possiamo esplorare delle affinità fra Campanella e Pelusio. Durante la sua travagliata vita era maturata in Campanella la convinzione che i mutamenti celesti e i fenomeni naturali di cui era stato testimone, designassero l’inaugurazione di un nuovo periodo nel quale si sarebbero verificati grandi cambiamenti in ambito politico e sociale. Come spiega in tante delle sue lettere e in molti scritti di ogni genere – qui ricordo solamente i famosi Articuli prophetales e la Monarchia Messiae – la profezia divina e naturale annunciava l’inzio di quel « secolo aureo » che doveva anticipare la seconda venuta del Messia e durante il quale si doveva in ogni maniera accostarsi alla natura, tramite una riorganizzazione e una riconfigurazione dell’intera realtà politica e religiosa, giungendo in fine alla felicità nell’unità tra i popoli come « un solo ovile sotto un solo pastore ». 2 Fra i tanti riferimenti di questo genere troviamo una menzione della « renovazion del secolo » nella già citata lettera del 1606 che Campanella scrisse dal carcere di Napoli al Cardinale Farnese. Sul piano politico, il messianesimo campanelliano vedeva la sua realizzazione nella rifondazione delle leggi e degli stati secondo la giustizia naturale, proponendo la conformità della legge civile con quella naturale. Ciò avrebbe dovuto eliminare tutti i mali sociali che avevano le loro radici  















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Una frase usata anche dal già ricordato Ferrante Carafa.   Vedi per esempio il titolo del cap. iii di T. Campanella, La Monarchia del Messia, a cura di V. Frajese, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1995, p. 61 : « Che la felicità del secolo aureo consiste in haver tutto il mondo un solo prencipe sacerdotale senza superiore, et una fede vera come fu da principio et sotto Messia deve esere, contro gli opinanti ». 2







giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 121 nelle discordie fra gli uomini, i loro stati, i poteri politici e le religioni per ricondurre il corpo politico alla più precisa corrispondenza con il corpo vivo della natura. Tutto questo ebbe in Campanella la sua più alta espressione poetica ne La Città del Sole. Dell’« età aurea » parla anche con solerte aspettativa il Pelusio. Il liber primus dei suoi Lusuum libri quattuor veniva infatti inaugurato da una lunga e bellissima poesia, quasi un poema, di dieci pagine, con il titolo « Aetas aurea ». 1 Il poeta auspica la fine di tante « liti, rapine, risse, discordie, molestie, ingiurie, insulti ... » 2 sotto l’influenza di Saturno, « re di tutti gli dèi e padre dei mortali » che « coltiva la terra » e insegna gli « aureos mores ». 3 È interessante notare che Campanella esordiva la sua ultima opera significativa, l’Ecloga composta in occasione della nascita del futuro Luigi XIV di Francia, citando i versi di Virgilio che richiamavano il ritorno dei regni di Saturno, annunciando così l’inaugurazione di quel « secolo aureo ». 4 Riferendosi sempre alle stagioni e alla natura che in esse vive e muore, Pelusio sollecita gli uomini a preparare le lucerne e le lampade per vegliare nelle tenebre della notte. L’età aurea viene assimilata alla « vita felice » 5 della natura nella pienezza della sua fecondità, ai suoi suoni e ai suoi profumi, agli alberi e agli animali di terra e di mare. Tale età è in forte contrasto con la situazione reale in cui è diffuso tanto male, dove gli uomini e le donne sono morti, « sepolti nel corpo vivo ». 6 Ma è di fronte a tutto questo che il poeta conclude esortando : « Viviamo, dunque, bene e gradevolmente ». 7 Anche in Pelusio, come in Campanella, le speranze espresse poeticamente vengono riflesse, e in un certo senso contraddistinte, in termini decisamente più politici. Cenni politici si percepiscono in varie odi e canzoni del Pelusio. Ma il suo scritto più manifestamente politico, che si esprime in uno stile retorico e non in versi poetici, rimane il volume intitolato Ad proceres Christianos cohortatio, cioè un’esortazione ai principi cristiani affinché mettano da parte le loro discordie e divergenze e si uniscano nella difesa di Malta, che nel 1565 fu sottoposta al terribile assedio da parte ottomana. 8 Questa opera venne dedicata dal Pelusio al Cardinale Guglielmo Sirleto,  









































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  G. Pelusio, Lusuum libri quattuor, ff. 5v-10r.  « Lites, rapinae, iurgia, / Discordiae, molestiae, / Iniuriae, convicia .... » (f. 5v). 3   « Saturnus omnium deum / Rex, et pater mortalium / Terras colebat, aureos / Mores docens ... » (f. 6r). 4  T. Campanella, Ecloga in principis Galliarum Delphini nativitatem, in Tutte le opere, p. 282 : « Redeunt Saturnia regna / et nova progenies coelo demittitur alto ». Vedi G. Ernst, Redeunt Saturnia regna. Profezia e poesia in Tommaso Campanella, « Bruniana & Campanelliana », xi, 2005, pp. 429-449. 5  « Haec vita felix » (f. 9r). 6  « Non esse vivos iudico / Aetatis huius tam malae / Nec masculos, nec foeminas, / Sed mortuos, in 7 corpore / vivo sepultos ... » (f. 9r).   « Vivamus ergo, et suaviter » (f. 10r). 8   Mentre redigevo la relazione presentata al convegno telesiano all’Università degli Studi della Calabria per l’inclusione in questo volume, ho avuto il piacere di leggere in un recente studio sulle isole maltesi nella letteratura mondiale un paio di pagine che l’autore dedica a quest’opera di Pelusio nel contesto di un’interessante analisi di scritti contra Turcos. Questa breve ma densa discussione ci aiuta a capire meglio lo sfondo entro il quale l’opera fu scritta nonché quella che chiamo la ‘percezione calabrese’ dell’isola di Malta e dei Cavalieri Gerosolimitani nella seconda metà del secolo xvi. Vedi T. Freller, Verses and Visions : The Maltese Islands in World Literature, Valletta, Fondazzjoni Patrimonju Malti, 2008, pp. 148-158. Freller anticipava inoltre la pubblicazione di una edizione del Ad proceres per opera dello studioso Gerard Bugeja (p. 189, nota 38). Questa edizione (con traduzione in inglese) è stata pubblicata nel 2

































122 jean-paul de lucca nativo di Stilo, che proprio nel 1565 veniva elevato al cardinalato per volontà di Pio IV e su proposta di Carlo Borromeo suo nipote. 1 Il Sirleto fu vescovo di Squillace, la diocesi di Campanella, dal 1568 al 1572, quando divenne Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, e per decenni di seguito si succedettero in quella sede vescovile alcuni dei suoi familiari. 2 Noemi Scipioni Crostarosa ci ricorda in una nota che nel carteggio del Sirleto si trova una corrispondenza sia col Pelusio che con i Telesio. 3 Pare che di entrambi il Sirleto fu, se non protettore, sicuramente sostenitore. Varie volte si accingeva a sostenere delle cause riguardanti il filosofo cosentino e i suoi fratelli, e pare che sia stato proprio il porporato stilese a raccomandare Giano Pelusio come precettore dei piccoli Ranuccio e Odoardo Farnese. L’Ad proceres Christianos cohortatio fu dedicata al Sirleto quando egli era ancora vescovo in Calabria. Poche settimane dopo, il porporato scriveva al Pelusio ringraziandolo e congratulandosi con lui per la « buona inclinatione de studii co’ quali fa honore al paese ». Proprio il bene della sua patria e l’amore che per essa nutrì spinsero il poeta crotonese a scrivere l’esortazione ai principi cristiani. La riluttanza delle potenze europee nel soccorrere l’Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani nell’assedio dell’isola di Malta, che durò per quattro lunghi mesi da maggio a settembre del 1565, metteva in evidenza il pericolo che la mancanza di unione fra gli stati europei rappresentava non solo per l’isola che stentava a difendersi da quella incursione bensì per l’intero continente. La Calabria, che da tempo subiva attacchi ottomani, sarebbe stata esposta a più gravi minacce se la fortezza di Malta fosse stata abbattuta dal « tiranno », « il Gran Turco ». È questa la considerazione più immediata del Pelusio quando esorta i principi cristiani a mettere da parte i loro dissensi per unirsi nella difesa di Malta, il baluardo meridionale nella difesa contro gli ottomani. L’opera pelusiana rivolge un’esortazione a tutti i regnanti e le potenze d’Europa, ma particolarmente a Filippo II di Spagna, poiché è chiara in Pelusio la visione di un primato iberico che poteva accomunare tutti gli interessi europei, se non altro per la vastità del territorio che apparteneva all’impero del Re Cattolico. All’imperatore Filippo vengono inoltre dedicate tre poesie che seguono il testo dell’esortazione, nei quali il poeta richiama il « tutore della santa fede » (« sanctae fidei tutor »), il « re dei re » (« rex regum »), a prendere un ruolo decisivo nella difesa di Malta contro i Turchi. Ed è allo stesso Filippo II che il testo del Ad proceres fa appello affinché continui l’opera iniziata dal padre Carlo V, che nel 1530 aveva donato in feudo perpetuo e libero l’isola di Malta ai Cavalieri Gerosolimitani, che vengono più volte esaltati per la loro virtù e l’abilità militare. Nonostante tutti i loro sforzi, comunque, protesta lo scrittore calabrese, non potevano da soli respingere efficacemente e permanentemente la minaccia che veniva dalla parte più meridionale del mediterraneo. In mancanza di uno sforzo maggiore e più coordinato da parte dei principi cristiani, le conseguenze  



























volume curato da G. Cassar, From the Great Siege to the Battle of Lepanto : The Life and Times of the Order of St. John, Malta, Sacra Militia Foundation, 2011, pp. 1-44. 1   Alla dedica (datata Napoli, 6 luglio 1567) seguivano, ai ff. 5v-6r, due poesie indirizzate al porporato. 2   Marcello Sirleto (vescovo dal 1573 al 1594), Tommaso Sirleto (dal 1594 al 1603) e Fabrizio Sirleto (dal 1603 al 1635). 3   N. Scipioni Crostarosa, Lettere inedite di Bernardino Telesio e Giano Pelusio nel Carteggio del Cardinale Guglielmo Sirleto, « Archivio Storico per la Calabria e la Lucania », vii, 1937, 2, pp. 105-120.  





giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 123 di questa minaccia si sarebbero presto fatte sentire in Sicilia, nella sua Crotone, in tutto il regno di Napoli e addirittura a Roma e poi in altri luoghi del continente. Nella composizione del volume seguono il testo principale alcune poesie dedicate a uomini illustri, come le due poesie che lodano il Gran Maestro dell’Ordine di Malta che guidò i cavalieri durante l’assedio, Jean de Valette, 1 e uno al « Tiranno » Solimano, morto nel 1566, al quale il poeta ricorda che il nome di de Valette vivrà per l’eternità : « Semper erit nomen magne Valetta tuum ». 2 Poi nei Lusuum libri, troviamo una poesia sul comandante degli ottomani Dragut, che venne ucciso durante l’assedio, e il Pelusio loda chiunque lo abbia ucciso. 3 E ancora nel Ad proceres troviamo una poesia dedicata a don Garcia de Toledo, il Viceré che – tardivamente (come ben ricorda il Pelusio) – mandò il ‘Gran Soccorso’ verso Malta e che quindi sbilanciò l’assedio a favore dei difensori. La fuga dei Turchi da Malta alla fine dell’assedio viene esaltata dal Pelusio in un’altra poesia, sempre nello stesso volume, col titolo De Turcis a Melita fugatis. 4 Ancora a distanza di venticinque anni, in una raccolta di poesie che lodavano i fratelli Farnese, Pelusio ricordava la liberazione di Malta dall’assedio dei Turchi. 5 Ma la poesia più bella, a mio avviso, è quella intitolata Melitae obsessae apud Proceres Christianos conquestio, nella quale Malta, messa in pericolo dalle discordie fra i principi cristiani, parla in prima persona : « Sum Melite infelix terraque obsessa marique ... ». 6 Si lamenta che Francesi e Tedeschi nulla fecero per soccorrerla, mentre l’aiuto da parte spagnola tardava ad arrivare. Né Venezia, né Roma e neanche i nordici popoli « teutoni » fecero nulla. La richiesta di Malta è chiara e rispecchia poeticamente l’intero scopo dell’opera : « Correte in un animo concorde re cristiani / fate rapide guerre con mano feroce ». 7 Tutte queste opere del Pelusio evidenziano ed esprimono ciò che potrebbe veramente essere descritta come una ‘percezione calabrese’ di Malta, quell’isola che, nei versi del Tasso, « giace [...] fra l’onde occulta e bassa », 8 e dell’Ordine che ivi soggiornava. In Pelusio, quindi, vediamo il riflesso di una preoccupazione che da tempo si manifestava nell’Italia meridionale, dove la presenza dei Cavalieri di Malta si era da secoli stabilita per difendere i porti dalle incursioni. 9 L’Ordine annoverava fra i suoi membri molti cavalieri appartenenti alle più note casate calabresi, fra i quali mi piace ricordare in questa occasione il nipote di Bernardino Telesio, Maurizio, figlio del fratello Valerio e di Giulia Ruffo. Nei volumi dei Processi delle prove dei cavalieri italiani dell’Archivio dell’Ordine di Malta, custodito nella Biblioteca Nazionale di Malta, troviamo il verbale della consueta procedura del processo per prove di nobiltà del  





























1  G. Pelusio, Ad Ioannem Valetam nobilium, sacrorumque equitum magnum magistrum, in Ad proceres, f. 46v, e Ad eundem, ff. 46v-47r. Vedi appendice iii, p. 128. 2   G. Pelusio, In Solymanum Byzantiorum Tyrannum, in Ad proceres, f. 47r. Vedi appendice iv, p. 128. 3   G. Pelusio, De Dragute Archipirata, in Lusuum libri quattuor, f. 87r. 4   G. Pelusio, De Turcis a Melita fugatis, in Ad proceres, ff. 44r-45v. 5   G. Pelusio, De Melita Turcarum obsidione liberata, in Odarum libri duo, pp. 15-16. 6   G. Pelusio, Melitae obsessae apud Proceres Christianos conquestio, in Ad proceres, ff. 43r-43v. Vedi appendice v, p. 129. 7  « Currite Christicolae concordi pectore reges, / Saevaque fulminea bella movete manu » 8   T. Tasso, Gerusalemme Liberata, canto xv, 18. 9   Per un panorama sulla presenza dei Cavalieri Gerosolimitani in Calabria vedi G. Valente, Il Sovrano Militare Ordine di Malta e la Calabria, Reggio Calabria, Laruffa, 1996. Per l’espressione poetica di questa preoccupazione vedi il già citato T. Freller, Verses and Visions, p. 145 sgg.  



124 jean-paul de lucca candidato « Sig[nore] Maurizio Telesio de la Cità di Cosenza », che ebbe luogo fra il 12 e il 24 novembre 1587. 1 Maurizio fu più tardi accusato almeno tre volte di vari crimini, inclusi l’aggressione e la rissa. 2 Un secondo Valerio Telesio, nipote di questo cav. Maurizio, vestì l’abito degli Ospedalieri nel 1633. 3 Della presenza dei cavalieri Gerosolimitani in Calabria era ben consapevole anche Tommaso Campanella, che ha scelto proprio la figura dell’Ospedaliere (o più precisamente Ospitalario) come uno dei due interlocutori ne La Città del Sole. Ho provato altrove a tracciare alcuni sfondi culturali e storici che ci possono aiutare a capire quali motivazioni avrebbero potuto spingere il filosofo stilese a fare questa scelta, che certo non era accidentale. 4 Sono molti i punti nei quali il pensiero e lo sfondo del filosofo incontrano quelli di Pelusio. Entrambi, come ci ricorda l’Argentieri-Piuma, « odiava[no] gli autoritarismi e i sofismi e ... lottava[no] contro chi fingeva di possedere conoscenze e virtù ». 5 Entrambi avevano un profondo senso di identità calabrese ed erano indignati per l’oppressione tirannica del loro popolo. Entrambi erano perlopiù filoispanici, anche se nel caso di Campanella l’adesione giovanile alla monarchia di Spagna si mutò gradualmente in una presa di posizione filofrancese. Entrambi vedono l’espansione politica ottomana come tirannica, ed entrambi ammirano figure come quella di Scanderbeg, il generale che aveva sconfitto le truppe ottomane in Albania. 6 Entrambi lodano la nobilità e l’abilità militare dei cavalieri di Malta. Gli eventi del 1565, sui quali Pelusio rifletteva nell’ambito della preparazione per la formazione della ‘Santa Lega’ del 1571 – che di lì a pochi anni avrebbe vinto la battaglia di Lepanto – avevano mostrato una realtà alla quale sia Pelusio stesso che Campanella erano molto sensibili : la frammentazione nociva tra le potenze europee. L’opera politica di Pelusio, anche se è ristretta alle circostanze immediate alle quali si riferisce, preannuncia in un certo modo la soluzione che più tardi Campanella offrirà per fronteggiare questa situazione generale di disaccordo : la realizzazione della monarchia universale che doveva adoperare l’arte militare sul piano politico ma la forza della persuasione e la predicazione sul piano intellettuale e religioso, appellandosi alla ragione naturale. Era proprio in questa maniera che Campanella voleva trasporre i princìpi del naturalismo telesiano nella propria teoria politica, secondo ciò che annunciava nel sonetto Al Telesio Cosentino. Non sappiamo se Campanella avesse mai letto le opere del Pelusio o se addirittura lo avesse conosciuto personalmente tramite gli amici e le circostanze che li accomunavano a Napoli e a Roma. Di certo li accomunava, nel contesto della letteratura e del pensiero politico calabrese, la figura del politico e scrittore Ferran 











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 Vedi appendice vii, p. 131.   Vedi A. Campolongo, Catalogue of records of the Order of St. John of Jerusalem in the National Library of Malta, « Historica », lxii, 1989, 3, p. 118. 3  M. Pellicano Castagna, Processi di Cavalieri Gerosolomitani Calabresi, Chiaravalle Centrale, Frama Sud, 1978, p. 95. 4   Vedi J. P. De Lucca, Prophetic Representation and Political Allegorisation : The Hospitaller in Campanella’s The City of the Sun, « Bruniana & Campanelliana », xv, 2009, 2, pp. 387-405. 5   G. Argentieri-Piuma, Giano Pelusio, p. 35. 6   Vedi per esempio, T. Campanella, Discorsi universali del governo ecclesiastico, in Opere di Giordano Bruno e Tommaso Campanella, a cura di A. Guzzo e R. Amerio, Milano-Napoli, Ricciardi, 1956, p. 1149. 2











giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 125 te Carafa marchese di san Lucido (1509-1587). 1 Il nobile napoletano fu un fervido sostenitore della sovranità spagnola e fu vicinissimo a Carlo V e Filippo II. Fu fra i primi a Napoli a sentire la gravità della minaccia del pericolo ottomano e nei suoi scritti troviamo l’invocazione di una crociata contro il Turco e l’auspicio, condiviso da Pelusio e Campanella (almeno dal giovane Campanella), di una monarchia universale per opera della Spagna per fare « un sol Pastore, un solo ovile » 2 e una « gregge eterna ». 3 Sottolineava con forza anche lui l’importanza dell’unione fra i principi cristiani per contrastare il potente nemico comune. Come già si è visto, il nome di Ferrante Carafa, marchese di san Lucido, si collega a quello di Bernardino Telesio. Di quel « gran Telesio » il marchese – membro come Pelusio dell’Accademia dei Sireni – apprezzava moltissimo gli studi, in particolare quelli sul calore e il freddo, 4 e ci sono poi varie lettere scambiate fra i due. 5 Fu proprio mentre soggiornava nel palazzo napoletano dell’illustre omonimo Ferrante Carafa II, duca di Nocera (figlio di Alfonso e Giovanna Castriota Scanderbeg), che Telesio mise a punto l’edizione definitiva del De rerum natura (Neapoli, apud Horatium Salvianum, 1587), dedicandola al suo amico e benefattore. È con un riferimento a questa dedica che questi sentieri politici che abbiamo brevemente tracciato si possono completare proprio con Telesio. Benché si sia detto prima che il Telesio apparirebbe distaccato da considerazioni politiche – e questo in linea generale è vero – i fatti storici e le prospettive politiche e culturali nei quali sviluppò le sue dottrine naturalistiche gli fecero da inevitabile sfondo. Nella dedica del De rerum natura, il filosofo paragona il Carafa ad Alessandro Magno, ringraziandolo per averlo preso sotto la sua protezione allo stesso modo in cui il re macedone aveva accolto Aristotele, 6 proprio il filosofo che lui stesso ora si accingeva ad abbattere, chiedendo al suo benefattore di proteggerlo contro i seguaci dello Stagirita. Non vi erano grandezze e virtù nell’imperatore – dice il naturalista cosentino – che non si manifestassero anche nel suo protettore. In questo prolungato paragone, Telesio si compiace in particolar modo con il duca per il fatto che egli aveva represso e respinto « il grande incomodo » dell’irruzione dei Turchi. 7 Questo breve ma significativo riferimento agli scarni cenni politici che troviamo in Telesio completa la mappa di questi sentieri che volevo tracciare. Nei tre personaggi di spicco che abbiamo qui discusso, su vari livelli e in diversi modi, appaiono chiari due comuni nemici su due versanti distinti : su quello intelletuale Aristotele e la filosofia peripatetica, e su quel 

















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  Vedi G. de Caro, Ferrante Carafa, in Dizionario Biografico degli Italiani, xix, Roma, 1976, pp. 543-545.   F. Carafa, Della vera gloria humana, cit. in F. Elías de Tejada, Napoli Spagnola, p. 177. Il verso tratto dal Vangelo di Giovanni (10,16) fu spesso usato da Campanella come ispirazione e fine ultimo del suo pensiero politico, come illustra per esempio il frontespizio della sua Monarchia Messiae (Iesi, 1633). 3   F. Carafa, Della vittoria della santissima Lega, cit. in F. Elías de Tejada, Napoli Spagnola, p. 177. 4   F. Carafa, I sei libri di Carafè, cit. in F. Elías de Tejada, Napoli Spagnola, p. 93. 5  Vedi De Franco 1989, pp. 186-187. 6  B. Telesio, De rerum natura iuxta propria principia, Neapoli, apud Horatium Salvianum, 1587, [ii] : « Nihil omnino, quam Aristoteles Alexandro fuit, me tibi minus carum, neque in minore, quam ab illo habitus fuit, nos a te in honore haberi homines intelligat ». 7   Ibidem « Animi porro magnitudine, fortitudineque, nihil Alexandrum te praestantiorem fuisse, res a te in Peloponeso gestae manifestant : ubi innumerabilibus Turcarum equitibus in Christianorum exercitum turbatum iam, trepidantemque irruentibus (qui omnino nisi a te repressi, reiectique fuissent, magnum nostris incomodum illaturi errant) non magno, veteranoque cum exercitu, ut Alexander ». 2













126 jean-paul de lucca lo politico l’impero ottomano. Due tiranni quindi, che proprio su questi due versanti dovevano essere combattuti. Abbiamo visto come, per Pelusio e Campanella, Bernardino Telesio fosse il cavallo di battaglia per sconfiggere il primo, mentre il secondo doveva essere sconfitto grazie all’unità dei principi cristiani, capeggiati dalla Spagna, con l’intento di restaurare la stabilità politica. Campanella presto si accorse che la tirannia più vicina a casa doveva essere combattuta con uguale impegno : ma questo è tutto un altro discorso. Il felice esito di queste battaglie avrebbe dato inizio all’auspicata età aurea sia nel mondo politico che in quello intellettuale. Di questo movimento intellettuale, sicuramente, Bernardino Telesio fu tra i maggiori esponenti e ispiratori.  

giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 127 APPENDICE i 1

Ad Thomam Thylesium Archiepiscopum Consentinum Thoma gloria magna Brutiorum, Et Graecae columen, decusque terrae, Nunc virtus tua, candidique mores, Et peritia grandis virtusque Sermonis viridi caput galero Ornarunt : tibi vera certus augur Cano, ne dubita, brevi favente Nostro maximo, et optimo Tonante, Faedem perficient, patres ut inter Possis ipse sedere purpuratos Nam qui hoc tempore Pontifex carinam Petri sic regit, ut furore spreto Ventorum, et rabie maris, minisque, Portum iam teneat, viros politos Bonis artibus, integraque vita, Fovet, diligit, et tuetur omnes.  

ii Ad Io. Baptistam Portam Iuuenem omnib[us] bonis artib[us] eruditum Iucundissime Porta, Porta secli Nostri gloria, quam tui labores Acris ingenii, viris politis Sint grati, hinc facile ipse iudicare Potes : quod iuvenes, senesque docti Semper in manibus gerunt, leguntque, Seu domi libeat sedere ad ignem, Cum frigus Boreae perurit agros, Et Vesuvius albicat pruinis, Seu magis libeat iacere ad umbram, Cum mollis Zephyri tepentis aura Flore gramina discolore vestit. Nec mirum Hercule, ita apte, et eleganter Condisti salibus, facetiisque, Ut quo plus relegunt, magis, magisque Hoc crescat studium legendi, amorque.  

Nella trascrizione di questi versi si sciolgono i dittonghi e le abbreviazioni; si distingue la u da v rispetto alla stampa antica e si apportano lievi ritocchi alla punteggiatura; si correggono inoltre alcuni errori tipografici.

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jean-paul de lucca Dum canent elegos Tibullianos, Odas molliculas Horatianas, Et culti hendecasyllabos Catulli Boni, docti, et amabiles poetae : Tuarum monumenta litterarum Vivent atque hominum venustorum Ibunt cuncta per ora continenter.  

iii Ad Ioannem Valetam nobilium sacrorumque equitum magnum magistrum Ut libet Heroas alii quos Roma creavit, Ilion, et Thebae, Spartaque, ad astra ferant ; Dummodo non numerent te hos inter magne magister. Facta horum superant si tua facta ducum, Illi se iactent vicisse urbesque hominesque, Plus est victores te domuisse Scythas.  

Ad Eundem Dii te beent Valetta magne caelites, Vehatque fama ad aetera. Dormire per te vtranque in aurem possumus, Turca fugato in Thraciam, Auso minari extrema nobili insulae, Christique Sancto nomini. Tibi Philippus Caroli Quinti genus Dat nomen invicti ducis. Tibique se fatetur esse obnoxium, Quantum parenti filius. Dii te beent Valetta, et alto ab aethere Ad te volet felicitas.

iv In Solymanum Byzantiorvm Tyrannum Ut libet Euboicos iacta Rhodiosque triumphos, Dum Melitae vires torve tyranne tremas. Omni te magnus fraudavit honore magister, Cum pugnans vidit vertere terga tuos. Unus homo nobis pugnando fortiter armis Hic pene amissum reddidit imperium. Sperasti Hesperium regnum tibi iungere Eoo, Vah quam Turca ferox spes tua vana fuit. Dum pelagus pisces, dum sidera pascet olympus, Semper erit nomen magne Valetta tuum.

giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 129 v Melitae obsessae apud Proceres Christianos conquestio Sum Melite infelix terraque obsessa marique, Sum Melite Othomano praeda relicta truci. Hei mihi quem regum nostra infortunia tangunt ? Hei mihi quis procerum vulnera nostra dolet ? Gallus opem non fert, non fert Germanus, Iberos Auxilia aspicio lenta parare mihi, Non mihi succurrunt Veneti, non Martia Roma, Nec pro me fortis Theutonus arma capit. Quis letho eripiet, si divus vota Ioannes Negligit? et surda respuit aure preces ? Excidium iam cerno meum, iam cerno ruinam, Aut igne, aut ferro moenia nostra ruent. Turca ferox arcem fundo deiecit ab imo, Tormentisque urbem nocte dieque quatit. Si capiet, Venetus frustra me flebit ademptam, Sentiet et cladem Roma superba suam : Gallus, et Hispanus, rex bello insignis uterque Non poterunt populis imperitare suis, Parthenope pendet victori victa tributum, Servitio discet Trinacris ora premi. Omnia turbabunt quae pulsant aere triremes Aequora ; qui posthac nauiget ullus erit ? Currite Christicolae concordi pectore reges, Saevaque fulminea bella movete manu. Et dum fata sinunt, nostris e finibus hosteis Pellite, et in medio mergite transtra mari. Si mihi non vultis succurrere ad ima ruenti, Nec vos haec factis tam miseranda mouet. Vestra precor moveant vos damna, et cernite quaeso, Ne quoque vos secum nostra ruina trahat. Nanque suo arbitrio toto quae regnat in orbe Fortuna, hic certum nescit habere modum.  











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jean-paul de lucca vi

Frontespizio del Ad proceres Christianos cohortatio di Giano Pelusio (Roma, Biblioteca Nazionale Centrale)

giano pelusio: ammiratore di telesio e poeta dell ’ «età aurea» 131 vii

Primo e ultimo foglio delle prove nobiliari di Maurizio Telesio, che venne accolto nell’Ordine di Malta nel 1588 (National Library of Malta, Archives of the Order of Malta AOM 4838).

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jean-paul de lucca

Informazione de la Nobiltà del Sig[nore] Maurizio Telesio de la Città di Cosenza fatto alle 12 di novembre 1587 A di 24 di Novembro 1587 nella cità di Rigio Noi f[ra] Attilio Mastrogiudice et fra Scipione Sifola commissarij diputati dal r[everen]do Cap[ito]lo provinciale a far’ le prove di Nobiltà del sig. Mauritio Telesio facemo tale haver esaminati li [retro ?]scritti testimonij tutti ex offitio nella città di Cosenza, di Terranova, et di Regio le depositioni deli quali sono state scritte tutte di n[ost]re mani, et [per]che trovamo detto S[ignor] Mauritio esser nobile di tutti quattro quarti, et in ogni cosa conforme a stabilime[n]ti di n[ost]ra sacra religione, semo di opinione il presente processo esser accettato [per] valido, et buono cosi come noi lo accettamo et approbamo, et in fede de la verità firmamo il presente voto di n[ost]re proprie mani, et segillamo di n[ost]ri soliti sugelli datum ut supra.  

Io f[ra] Attilio M[astr]ogiudice affirmo ut supra Io fra Scipione Sifola affirmo ut supra

Sandra Plastina, Bernardino Telesio nell’Inghilterra del Seicento

BERNARDINO TELESIO NELL’INGHILTERRA DEL SEICENTO Sandra Plastina 1. « Parmenidis vero placita instauravit saeculo nostro »  



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edottrine di Bernardino Telesio non entrarono immediatamente nel dibattito filosofico del Seicento. Se la sua statura di studioso e la critica antiaristotelica che condusse nella sua opera lo caratterizzano come uno degli esponenti principali del naturalismo rinascimentale italiano, la sua presenza nella cultura europea continentale fu certamente limitata. Estraneo alla nuova dottrina copernicana, se è pur vero che il suo sensismo influenzò il pensiero di Campanella, le sue teorie, non fosse che per motivi cronologici, non si diffusero con la stessa rapidità. Senza dubbio nel ventennio che va dagli anni ’60 agli anni ’80 del Cinquecento, Telesio e i filosofi novatores che a lui si ispirarono, contribuirono a sviluppare una comprensione inedita della realtà sub specie hominis, un punto di vista nuovo da cui guardare la natura. Non a caso il filosofo si annovera tra coloro che : « amanti e cultori di una sapienza del tutto umana », 1 hanno seguito il senso e la natura, e nient’altro. L’opera di Bernardino Telesio si caratterizza, infatti, per la sua forte carica innovativa, che non tarda a scontrarsi con vecchi metodi di pensiero e schemi filosofici accreditati. La novità, che rappresenta per i detrattori la pietra dello scandalo, diventa per seguaci e simpatizzanti « l’insegna di un diverso modo di pensare, il contrassegno di una realtà nuova che si presenta propria di un gruppo : la “nostra filosofia” è espressione ricorrente negli scritti che apertamente si rifanno all’autore del De rerum natura ». 2 Ma se si vuole ritrovare un’immediata eco alle teorie telesiane nell’Europa tra la fine del Cinquecento e il secolo successivo ci si deve muovere in un ambito geografico più allargato. Come è noto fu Francesco Bacone ad operare una valutazione attenta e articolata del filosofo italiano e se anche manca una ricostruzione completa della fortuna di Telesio in Inghilterra, è indubbio che i giudizi di Bacone hanno inciso nella ricezione secentesca europea del pensatore cosentino. Così ad esempio l’accostamento operato da Bacone tra Telesio e Parmenide in relazione ai due principi del caldo e del freddo – ma un’identica obiezione era stata avanzata da Patrizi a Telesio nel 1572 – rimarrà un topos costante nella storiografia filosofica che giungerà almeno fino alla Historia critica philosophiae (1742-1744) di Johann Jakob Brucker.  











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 Cfr. B. Telesio, Solutiones Obiectionum Francisci Patritii (Solutiones Thylesii), In primo capite, in Libelli 1981, p. 454 : « affirmo ubi maxime humanae philosophiae amatorem cultoremque esse profiteor ; quae vel ad summum ». 2  Cfr. L. Bolzoni, Conoscenza e piacere. L’influenza di Telesio su teorie e pratiche letterarie fra ’500 e ’600, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, a cura di R. Sirri e M. Torrini, Napoli, Guida, 1992, pp. 203-239 : 203.  









134 sandra plastina Bacone, che pure è interessato all’antiaristotelismo di Telesio e alla sua dottrina che riporta ad un movimento fisico le facoltà dell’anima sensibile, critica il filosofo cosentino in quanto autore di una filosofia pastorale, ovvero di una filosofia contemplativa che non considera la presenza attiva dell’uomo nel mondo e l’apporto fornito dalle arti meccaniche. Le varie filosofie naturali che, come quella telesiana, considerano il mondo « come per svago », sono poemi metafisici della natura. 1 Ma nel contempo presenta Telesio come colui che fa rivivere in età moderna le opinioni di Parmenide e lo considera un pensatore amante della verità, critico nei confronti della tradizione filosofica, attento osservatore della natura e degno quindi di essere definito come il primo dei moderni. Un Telesio iniziatore della nuova filosofia e insieme capace di tornare a Parmenide, allora, quello che Bacone ci presenta, e tale valutazione verrà a esercitare una sua diretta influenza fino in pieno Settecento, come testimonia Brucker stesso. E se tale avvicinamento tra Telesio e Parmenide appare in Bacone per accenni già nel Thema coeli (1612) e nel De augmentis scientiarum (1623), esso viene svolto ampiamente nel De principiis atque originibus secundum fabulas Cupidinis et Coeli, sive Parmenidis, et Telesii et precipue Democriti philosophia tractata in fabula de Cupidine, 2 opera redatta con ogni probabilità intorno al 1623-1624, che consiste in una serie di appunti per la revisione del De sapientia veterum (1609). Il De principiis, pubblicato postumo nel 1653, prende avvio dall’analisi dei principia rerum e dall’esposizione del mito di Cupido, rappresentazione allegorica dei principia, per passare in rassegna sull’argomento i placita di quattro sectae di filosofi (i - Talete, Anassimene, Eraclito ; ii - Democrito ; iii - Parmenide e Telesio ; iv - Forse Platone e Aristotele). Lo spazio assegnato alla filosofia telesiana, l’attenta esposizione e l’ancor più accurata critica delle dottrine del cosentino, consentono di definire l’incompiuto scritto una ‘monografia’ su Telesio. Ne è un esempio l’attenzione prestata da Bacone nei confronti della riflessione telesiana, contenuta nel cap. 17 del i libro, a proposito dello studio dei corpi naturali, che per il filosofo cosentino, non consente di effettuare esatte misurazioni, ma che non esclude in modo assoluto che si possa raggiungere una conoscenza di tipo quantitativo. Bacone riportò questo brano quasi per intero nel De principiis : Telesio viene così contrapposto a coloro che ritengono inconoscibile tutto ciò che non è noto alle arti che essi costruiscono. 3 Il filosofo inglese aveva letto il De rerum natura, ne conosceva le tesi, che spesso ordina e riassume, occupandosi, comunque, nel De principiis esclusivamente delle teorie fisico-cosmologiche di Telesio, presenti in ciascuna delle tre edizioni. Alla domanda con quale edizione il Lord Cancelliere si sia confrontato per la redazione dell’operetta ha risposto Giachetti Assenza 4 nel 1980, che, sulla base  











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 Cfr. P. Rossi, Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza, Torino, Einaudi, 1974, p. 91.   F. Bacon, De principiis atque originibus… (1623-1624), in Idem, The Works of Francis Bacon, eds. R. L. Ellis, J. Spedding, D. D. Heath, London, Longmans, 1858, vol. v, pp. 461-500. La traduzione italiana è stata pubblicata per la prima volta a cura e con introd. di E. De Mas, con il titolo Dai naturalisti greci a Telesio, Cosenza, Laboratorio Edizione, 1988. Si veda ora F. Bacon, Dei principi e delle origini, a cura di R. Bondì, 3 Milano, Bompiani, 2005.  Cfr. La natura 2009, pp. 458-459. 4  Cfr. V. Giachetti Assenza, Bernardino Telesio : il migliore dei moderni. I riferimenti a Telesio negli scritti di Francesco Bacone, « Rivista critica di storia della filosofia », xxxv, 1980, 1, pp. 41-78. 2







135 bernardino telesio nell ’ inghilterra del seicento dell’unica citazione quasi letterale del testo telesiano del 1586, riconosceva senz’altro in questa l’edizione di riferimento (lo attestano anche la riepilogazione degli esperimenti addotti da Telesio a favore della possibilità del vuoto etc.). Tra le critiche mosse a Telesio ve ne sono tre simili ad alcuni degli argomenti impiegati da Francesco Patrizi nelle Obiectiones, redatte su richiesta del telesiano Antonio Persio nel 1572, e che ebbero solo circolazione manoscritta e limitata all’ambiente dei telesiani italiani. Le Obiectiones spedite al filosofo cosentino sotto forma di scambio epistolare, contengono oltre all’accusa di ‘parmenidismo’ : « Parmenidis vero placita instauravit saeculo nostro », 1 la critica alla concezione telesiana della materia considerata da Patrizi come un « figmentum omnium figmentum maximum » e il celebre rilievo di natura cosmologico mosso dal Chersino all’idea telesiana degli astri fissati in cielo ai loro orbes, « ut nodos in tabula ». 2 Probabilmente sulla scorta di queste obiezioni rivoltegli dal professore chersino, Telesio mette a nudo, nella versione definitiva del De rerum, i fondamenti del suo sistema filosofico, già adombrate nelle precedenti versioni. Il pensiero di Telesio appare sollecitato dalle obiezioni del filosofo platonico e si chiarisce sia nelle risposte date direttamente, sia negli argomenti a difesa prodotti da Antonio Persio. I testi, frutto dell’amichevole e franco scambio tra i tre filosofi, hanno come obiettivo l’approfondimento dei principi del naturalismo telesiano, ritenuto da Patrizi più vicino alla filosofia presocratica di quanto lo stesso autore del De rerum fosse disposto a riconoscere, e ricco anche per questo motivo, di interessanti implicazioni filosofiche. Tra le varie questioni affrontate, quella che riguarda la natura e la funzione conoscitiva del senso, in rapporto alla ragione, acquista senza dubbio una sua centralità. Le circostanze che permisero a Bacone di conoscere il De rerum natura e il dibattito suscitato in Italia dalle teorie del Cosentino sono state chiarite : il viaggio sul continente di Henry Savile, 3 matematico e intimo amico di Francis Bacon, il suo incontro con i telesiani italiani, e un esemplare del De rerum del 1570, oggetto di un dono di Savile ad un amico ungherese, l’umanista Andreas Dudith, 4 e conservato  















1   Su questo tema cfr. M. P. Lerner, Le « parménidisme » de Telesio. Origine et limites d’une hypothèse, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, cit., pp. 79-105. 2   Il motivo sarà ripreso e sviluppato da Patrizi : a tale proposito si legga quanto scrive P. Rossi, La negazione delle sfere e l’astrobiologia di Francesco Patrizi, in Il Rinascimento nelle corti padane. Società e cultura. Atti del convegno ‘Società e cultura al tempo di Ludovico Ariosto’, Bari, De Donato, 1977, pp. 401-437. 3   Henry Savile (1549-1622) matematico, astronomo bibliofilo e letterato, Warden del Merton College e Provost del Collegio di Eton dal 1596, tradusse le Historiae di Tacito, più volte edite e nel 1620 pubblicò alcune lezioni introduttive allo studio della geometria tenute ad Oxford (Praelectiones in principium elementorum Euclidis, in cui si fa anche riferimento al suo tour europeo), dove nel 1619 aveva fondato, dotandola di libri e strumenti, la cattedra che da lui prese il nome, la Savilian Professorship, per l’insegnamento della matematica e dell’astronomia. Cfr. dnb (Dictionary of national biography) vol. xvii. 4   Sull’interessante figura di Andrea Dudith Sbardellati (Buda 1533 - Breslavia 1589) nominato nel 1561 rappresentante ungherese al Concilio di Trento e vescovo di Tina (Knin) in Dalmazia, che abbandonò clamorosamente la Chiesa romana nel 1567, cfr. il saggio di P. Costil, André Dudith hongrois 1533-1589, Paris, Les Belles Lettres, 1935 ; inoltre L. Szczucki, Dudith, in Theologische Realenzyklopadie, Berlin-NewYork, De Gruyter, 1982, vol. ix, pp. 204-206 ; Idem, L’epistolario di Andreas Dudith, « Rinascimento », ii s. xxv, 1985, pp. 289-308 ; si veda inoltre il vasto carteggio, A. Dudith, Andreas Dudithius Epistulae. Editae curantibus L. Szczucki et Tiburtio Szapessy, Budapest, Akadémiai Kiadò, 1992-1998.  















136 sandra plastina alla British Library, hanno fornito abbastanza elementi per ricostruire questo passaggio dell’opera oltremanica. 1 Lo stesso Andrea Dudith qualche anno dopo ospiterà Agostino Doni, medico cosentino e naturalista telesiano, esule a Breslavia per qualche tempo, prima di riprendere le sue inquiete peregrinazioni per l’Europa Orientale. 2 Con accenti di interesse per il De natura hominis, l’opera pubblicata da Doni, Dudith si esprimerà scrivendo all’aristotelico Niccolò Taurello, due giorni dopo la partenza dell’esule calabrese da casa sua, avvenuta nel 1581 : « è modesto, acuto, dotto ; il libro però è pieno di una certa filosofia nuova per questa età, ma non inusitata per quegli antichi famosi filosofi della sua gente, come un Pitagora, un Archita, un Parmenide ». 3 Non è un caso che una via per penetrare nel nuovo edificio della filosofia telesiana fu quella del raffronto con il naturalismo presocratico, 4 la stessa via che tenterà pochi anni dopo Andrea Dudith per intendere un così inconsueto modo di costruire un sistema naturale quale quello di Agostino Doni. Tramite Patrizi e Persio l’opera telesiana venne inserita nel dibattito rinascimentale sull’eleatismo. Il collegamento tra materialismo telesiano e monismo parmenideo innescò un’articolata riflessione sulla natura della materia e della realtà corporea, da cui Bruno e Campanella avrebbero tratto tutte le conseguenze. 5 In Italia Savile visitò Ferrara, Padova, Roma e Venezia ; 6 a Ferrara incontrò proprio Francesco Patrizi, presso il quale si trattenne dieci giorni, e a Padova, su consiglio dello stesso Dudith, si recò da Gian Vincenzo Pinelli umanista e bibliofilo, per visitare la sua ricca e fornita biblioteca. In alcune lettere a Dudith datate 1581-1582 (conservate nel fondo Pinelli dell’Ambrosiana), Savile prende le distanze dal giudizio sulla filosofia telesiana di Patrizi e si dichiara sincero ammiratore di Telesio, rammaricandosi di non aver tempo per incontrarlo : « in magna infelicitatis meae  













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  M. F. Iovine, Henry Savile lettore di Bernardino Telesio. L’esemplare 537. C. 6 del De rerum natura 1570, « Nouvelles de la République des Lettres », xvii, 1998, 2, pp. 51-84. 2  Cfr. S. Plastina, « Un moderno eretico in filosofia » : Agostino Doni, in « Bruniana & Campanelliana » xvi, 2010, 1, pp. 149-160. 3   Alla lettera, riportata da D. Caccamo, Eretici italiani in Moravia, Polonia, Transilvania (1558-1611), Firenze-Chicago, Sansoni-Newberry Library, 1970, p. 238, fa riferimento E. Garin, Nota telesiana, in La cultura filosofica del Rinascimento italiano. Ricerche e documenti, Firenze, Sansoni, 1961, p. 199 ; scrive Dudith : « Venit ad me ante hoc biduum Augustinus Donius, Cosentinus, Calabre, Basilea, et librum excussum De natura hominis attulit. In Poloniam, nescio qua spe infatuatus, avolare cogitat ; ubi profeto omnia spe et expectatione sua reperite minora. Modestus, acutus, doctus est ; liber autem nova quidam huic aetati philosophia refertus est, sed veteribus illis suae gentis philosophis Pythagorae, Archytae, Parmenidi, non inusitata ». 4  Cfr. F. Patrizi, Obiectiones, ed. cit., p. 453. Uno dei motivi telesiani più attaccati nelle confutazioni da parte dei critici aristotelici è proprio la « quaestio de uno Parmenidis ente adversus Bernardinum Tilesium pro Aristotele », come leggiamo in E. Garin, Telesiani minori, « Rivista critica di storia della filosofia », xxvi, 1971, pp. 199-204 : 203. 5   Su questo tema cfr. M. P. Lerner, Le « parménidisme » de Telesio. Origine et limites d’une hypothèse, cit. pp. 79-105. 6   Henry Savile visitò Venezia nel 1580, nel corso del suo grand tour iniziato nel 1578 e conclusosi nel 1582. Nel 1581 soggiornò per sei mesi da Dudith a Breslavia. « Strinse amicizia con Gian Vincenzo Pinelli, vivendo per alcuni mesi tra Padova e Venezia, e infine a Roma stette familiariter con Giovanni Battista Raimondi », che era stato professore di matematica alla Sapienza nel 1575-1576 : cfr. C. Maccagni e G. Derenzini, Libri Apollonii qui…desiderantur, in Scienza e filosofia. Saggi in onore di L. Geymonat, a cura di C. Mangione, Milano, Garzanti, 1985, pp. 678-696, in part. p. 681.  













































137 bernardino telesio nell ’ inghilterra del seicento parte puto quod tantum philosophum non viderim, non salutaverim ». Per questo prega il matematico Giovan Battista Raimondi di essere messo in contatto a Venezia con Persio, « qui sectam istam fovet » ; incontro che effettivamente avvenne. In questo contesto di cultura scientifica, la physiologia telesiana entra in contatto grazie a Persio con il dibattito europeo, ed è da qui che si dirama l’interesse del matematico inglese Henry Savile per la philosophia naturalis di Telesio, attenzione che in quegli stessi anni condivide con Francis Bacon. All’incontro fortunato con l’ambiente dei telesiani italiani risale il dono a Dudith del De rerum natura del 1570, ora presso la British Library. Il volume in 4°, ricco di note marginali, è accompagnato dagli unici trattatelli di filosofia naturale pubblicati da Telesio nello stesso anno : De his quae in aere fiunt et de terremotibus ; De colorum generatione ; De mari. Le note a margine del testo che si estendono complessivamente per 51 pagine – per lo più in latino, ma con inserzioni in greco – sembrano potersi ricondurre ad almeno due grafie diverse, di cui una si ipotizza di Henry Savile. 1 Nei marginalia particolare attenzione viene riservata alla descrizione dei due primi corpi celesti telesiani, Terra e Sole (o Cielo), rispettivamente sedi del freddo e del caldo e delle relative facultates. Ancora ci si sofferma sui capitoli in cui Telesio discute dei principali stati (gradus) che può assumere la materia all’interno dei due opposti poli crassities – tenuitas, grazie all’intervento del calore. Oltre il fluor il filosofo menziona un quinto grado, la tenuitas vera e propria ; l’annotatore sembra più interessato ad una sorta di grado intermedio tra tenuitas e fluor, i vapores, di cui Bacone discute nella più complessa architettura strutturale e terminologica con cui espone lo stesso argomento telesiano nel De principiis. Il sole è costituito dal caldo, la terra dal freddo ; e le facoltà di agire e di operare, l’aspetto e la disposizione, che si trovano nel sole, gli sono stati dati tutti dal caldo, mentre quelli che sono nella terra dal freddo ; e tutti gli enti sono costituiti dal cielo, che combatte la terra e la trasforma (i, 1, 2). Il caldo precede il moto in tempo, natura e dignità : nessuno dei nostri enti di certo è stato costituito dal freddo, ma tutti dal caldo, e persino la porzione più alta della terra è stata ridotta in un ente caldo, per cui giammai l’aspetto del freddo sarà per noi visibile. La materia, la « corporea moles », il terzo principio delle cose naturali, è incapace di ogni azione e di ogni operazione. Questa massa corporea, sulla quale agiscono le due forze agenti con il dilatarla o restringerla, a seconda che prevalga l’una oppure l’altra, mai diminuisce o aumenta, per cui se al caldo e al freddo è stata data la forza di foggiare la materia e di disporla come loro piace, non è stata data però quella di produrla e di crearla di nuovo.  

























Con questa sua teoria Telesio rovesciava davvero l’antica e plurisecolare concezione della natura speciale del cielo rispetto alla terra, affermando che la stessa materia corporea è costitutiva sia del cielo che della terra […] la nuova posizione telesiana non solo sosteneva l’essenziale unità ed identità dell’intero universo, ma ne ribadiva anche l’indistuttibilità. 2

Mentre in Aristotele i luoghi della perfezione e dell’imperfezione sono distinti, in 1

  M. F. Iovine, Henry Savile lettore di Bernardino Telesio, cit., p. 64.   De Franco 1995, p. 236.

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138 sandra plastina Telesio tutto è raccordato in uno schema unitario che ha come proprio presupposto la capacità conservativa e autoregolativa compresa nelle cose stesse e in particolare negli esseri viventi. La struttura del corpo celeste (spiritus) è l’automovimento, quello della fredda materia è l’immobilità. La vita è appunto l’incontro-scontro di queste forze che si compenetrano e si oppongono. Abbattendo la teoria dei moti naturali aristotelici, e sostenendo che la vera insuperabile opposizione riguardava moto e immobilità, Telesio giungeva a negare che vi fossero luoghi privilegiati e assiologicamente determinati nell’universo, in fondo costituito da una stessa materia (ora più exporrecta ora più conspissata). La comune natura di fuoco terrestre e fuoco sidereo (gli astri) è tesi che Bacone, condividendo il progetto di un’unica fisica del cosmo sulla base della comune materia, ritenne di poter provare sperimentalmente. 1 L’annotatore invece non può non tradire un certo stupore in alcuni passaggi (ad esempio quando Telesio discute della priorità del calore sul moto, e la tesi telesiana che l’unica vera opposizione nella dinamica degli enti è quella tra moto e immobilità) e chiama in causa il ‘Calabrum caelum’, cielo davvero curioso e straordinario se permette a Telesio di profondersi in tali e tante stranezze !  

2. Lo spiritus - sensus telesiano e le teorie psicologiche inglesi Sul rapporto tra Telesio e i pensatori d’oltre Manica e all’interno di una ricognizione volta a ricostruire, restituendone le disparate influenze, quella complessità culturale che presiede alla filosofia inglese del Seicento, ha posto l’accento Karl Schuhmann, con uno studio che riavvicina tra di loro il pensatore cosentino e Thomas Hobbes : 2 « Piuttosto essi condivisero un clima culturale comune e si accostarono alla filosofia in un modo che può essere messo a confronto ». Indubbiamente forti suggestioni derivarono ad Hobbes dalla conoscenza ravvicinata di alcuni momenti della riflessione antropologica rinascimentale, in cui l’accentuazione della prospettiva naturalistica comporta la piena assunzione dell’importanza fondamentale della tendenza all’auto-conservazione individuale e del valore biologico delle passioni, aspetti cardine di concezioni dell’emotività caratterizzate da una sostanziale indipendenza rispetto all’impianto e alle analisi di origine tomista. Idee ricorrenti, certamente, ma che acquistano nuovi significati alla luce dell’originale impostazione telesiana di queste indagini. L’accentuazione in senso utilitaristico di tale tematica rappresenta il fulcro della spregiudicata concezione antropologica di Telesio, per il quale piacere e dolore, proprio come in Hobbes, implicano un vantaggio o un ostacolo nei confronti della propria conservazione, bene supremo per conseguire il quale l’uomo è stato dotato di passioni (sulla concezione telesiana del piacere cfr. drn. vii, 3° ; sull’auto-conservazione come supremo bene e sul valore delle passioni ix, 2°). Il rapporto tra le pagine di Telesio e quelle di Hobbes non si riduce alla presenza di una generica quanto astratta ‘consonanza’ di vedute e viene confermato dalla segnalazione di circostanziate convergenze, alcune assai significative, tali da  







1   Cfr. F. Bacon, Sylva Sylvarum or a Naturall Historie, London, Willian Rawley, 1626, p. 10 : Experiment solitary touching the secret nature of flame. 2   K. Schuhmann, Hobbes and Telesio, « Hobbes Studies », i, 1988, pp. 109-133 : 129.  







139 bernardino telesio nell ’ inghilterra del seicento indurre a ritenere che il filosofo inglese avesse senz’altro conosciuto e meditato a fondo l’analisi dell’emotività effettuata da Telesio. Lo studio delle possibili fonti d’ispirazione della concezione hobbesiana relativa alla natura delle passsioni ha ricevuto negli ultimi anni un forte impulso e un’ importante direzione di ricerca è stata individuata nell’esame dei manoscritti inediti del matematico Walter Warner, 1 che con ogni probabilità Hobbes ebbe modo di frequentare assiduamente, e i cui interessi per il fenomeno emotivo non è escluso abbiano costituito lo stimolo originario per le relative indagini hobbesiane. Proprio a Warner e agli scienziati del Northumberland circle, riuniti intorno a Henry Percy, visconte di Northumberland, le ricerche più recenti hanno attribuito un importante ruolo nella diffusione delle idee elaborate dal naturalismo italiano del Cinquecento. La ricostruzione di questo vivace e non omogeneo circolo intellettuale dell’età di Giacomo I, che rappresenta la saldatura tra la tradizione rinascimentale e la nuova scienza, a cui aderirono il matematico Thomas Harriot, il geografo Robert Hues, il filosofo Nicholas Hill, ha documentato la significativa circolazione dell’opera di Telesio negli ambienti filosofici e scientifici inglesi alla fine del Cinquecento. 2 Il De rerum natura era presente nella biblioteca di Sir Walter Ralegh l’avventuroso cortigiano di Elisabetta e sodale di Percy, nonchè in quella di John Rainolds, preside del Corpus Christi College di Oxford dal 1598 al 1607. 3 Non sappiamo quanto approfonditamente Thomas Harriot avesse letto Telesio ma in uno dei suoi manoscritti in cui troviamo un elenco di letture annotate in margine ad una serie di calcoli compare l’annotazione ‘Telesius 9 lib. Et De cometis de iride’, con riferimento agli opuscoli pubblicati nel 1590 da Antonio Persio. Il fatto che il matematico mostrasse interesse per gli opuscoli telesiani è particolarmente rilevante in vista dell’importanza del suo lavoro sulle comete da una parte e sui fenomeni ottici dall’altra, in particolare sulla rifrazione, che discusse con Keplero nel 1608. La physiologia telesiana entra in contatto, soprattutto dunque grazie a Persio, con questo contesto di cultura scientifica ed è da qui che si dirama l’interesse di Henry Savile – e successivamente di Francesco Bacone per la philosophia naturalis del De rerum natura. Il matematico e filosofo Warner, che come dicevamo costituisce il diretto collegamento tra il Northumberland e il circolo Cavendish, fa esplicito riferimento a Telesio in una nota manoscritta. Lo menziona insieme a Galeno, significativamente in riferimento allo spirito, considerato non solo la sorgente della vita e della sensazione, ma anche la causa dell’intendere e della vita morale :  

all those alterations of the pulse or motion of the hart which are comonly observed to follow or accompany the passion and and pertubations of the mynde which are in great variety (for which examine Galen & Telesius) do manifestly argue a continuation of these 1

  Su W. Warner cfr. J. Prins, Walter Warner (ca. 1557-1643) and his notes on animal organism, Utrecht, Universiteit Utrecht, 1992. 2   Sull’ambiente intellettuale in cui Hill visse cfr. l’introduzione di S. Plastina, Nicholas Hill. Un medico-filosofo ‘epicureo’ della tarda età elisabettiana, in N. Hill, Philosophia Epicurea Democritiana Theophrastica, ed. S. Plastina, Pisa-Roma, Serra, 2007, pp. 11-75. 3   Cfr. W. Oakeshott, Sir Walter Raleigh’s library, « The library », xxiii, 1968, pp. 285-327.  



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sandra plastina

pulsatory spirits with those of the intellect or ratiocination or a dependence of the one on the other.

Il filosofo cosentino espone, infatti, nei capitoli 1-5 del libro ix della sua opera, 1 l’inedita tesi che la sensibilità di cui gode l’intera natura trovi il proprio fondamento nella ‘omniscienza’ dello spirito, spiritus omniscius omnino. Il che significa che lo spirito corporeo ha la capacità di reagire a tutte le cose e di rispondere nel modo che risulta essere il migliore nel suo costante sforzo di autoconservazione e adattamento ad un universo in continuo cambiamento. Nel mondo sublunare, la sostanza dotata del livello più acuto di sensibilità è lo spiritus, materia rarefatta ed estremamente mobile che pervade e in un certo senso costruisce ogni struttura organica della natura. Già nelle redazioni del De rerum natura precedenti all’edizione definitiva dell’opera, Telesio aveva dedicato un’ampia trattazione al tema del senso universale delle cose. In tre capitoli diversamente disposti 2 viene affrontata la questione della facoltà di sentire attribuita alle due nature agenti, il caldo e il freddo. L’universo, pervaso dalle forze perennemente in conflitto, si caratterizza per la primordiale capacità di essere affetto dagli enti, di percepire la loro azione, e di reagire ad essi. Negli animali, ma soprattutto nell’uomo, questa forza di patire, sentire e reagire si riflette in se stessa e diventa funzione conoscitiva, sensazione. La sensazione è un’operazione dello spirito, e consiste in una reazione dello spirito alle sue stesse alterazioni. Lo spirito sebbene presente in tutto il corpo, ha la sua sede principale nel cervello e la parte centrale dello spirito coordina quelle parti che si trovano nelle aree periferiche del corpo e che comunicano con il mondo circostante. L’esistenza di una porzione centrale di spirito forma la base per la percezione delle differenze e per l’esistenza della memoria e dell’intellezione. Le osservazioni di Warner sugli organismi animali e la sua teoria dello spiritus suggeriscono che le teorie psicologiche di Telesio esercitarono con molta probabilità una forte influenza nei primi anni del xvii secolo in Inghilterra : quella telesiana costituisce la prima moderna indagine psicologica materialistica e i filosofi del Northumberland accolgono il sistema biomedico del De rerum natura. Telesio, infatti, attribuisce le tradizionali funzioni psicologiche allo spirito racchiuso nel sistema nervoso. Una volta modificato dagli stimoli esterni a cui rispondono le sensazioni, lo spirito immagazzina le affezioni che hanno causato le sensazioni sotto forma di tracce psicologiche, che sono alla base della memoria e dell’elaborazione concettuale. Lo spirito costituisce un sistema relativamente chiuso che venendo in contatto con stimoli improvvisi sviluppa attività modulari, incluse emozioni, percezioni e pensieri. Anche Nicholas Hill, atomista e copernicano, convinto sostenitore delle tesi cosmologiche di Giordano Bruno che espone negli aforismi della sua Philosophia Epicurea, accoglie i presupposti della teoria di Telesio riguardo allo spiritus, elemento corporeo capace di conoscenza, anzi il solo reale principio conoscitivo. Il filosofo inglese inchioda il concetto di spiritus alla sua natura corporea, quella natura corpo 

1

  Cfr. De rer. nat. 1976, pp. 330-359.   Nell’edizione del De natura rerum del 1565 : i, 7,8, 9 ; e in quella del 1570 : i, 34, 35, 36.

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141 bernardino telesio nell ’ inghilterra del seicento rea per cui esso si presenta dotato per definizione di una propensione al movimento – mobilitas e agilitas ne sono gli attributi fondamentali – ne individua le funzioni organiche che gli sono proprie riconducendo al primo, elementare livello della sensibilità le funzioni più complesse dell’immaginazione e della memoria, e della stessa intellezione, riconoscendo una base comune che identifica la loro origine e la loro natura. Come leggiamo nell’aforisma 68 della Philosophia Epicurea : « Spiritus est corpus subtilissimum sensum subterfugiens acutissimum ». 1 Il filosofo inglese condivide con Telesio l’enfasi nel sottolineare i confini corporei della conoscenza, che non implicano atteggiamenti scettici nei confronti del mondo esterno. Telesio assegna ai sensi, infatti, una funzione di straordinario potere conoscitivo, letteralmente capace di ‘indagare la natura delle cose’. Per quanto possa essere complicato il rapporto tra l’oggetto e chi lo percepisce, ciò di cui facciamo esperienza sono oggetti del mondo fisico che ci circonda, e non surrogati o immagini o elementi intermedi (De rerum natura vii.10). Telesio fu chiaramente un realista. I nostri poteri cognitivi possono percorrere tutte le strade per arrivare agli oggetti stessi e Hill conferma che se si ignora l’esatta anatomia degli organi di senso, non c’è possibilità alcuna che si possa verificare la conoscenza del mondo esterno. 2 L’autore della Philosophia Epicurea accoglie nella sua opera la base empiristica della conoscenza propria del naturalismo telesiano : i sensi ci danno sempre la verità ; e sembra nutrire una fiducia nei sensi certamente maggiore di quella nutrita ad esempio da Giordano Bruno, 3 che costituisce senza dubbio una delle maggiori fonti di ispirazione dell’ opera del medico inglese. L’aforisma 50 della Philosophia Epicurea, 4 ad esempio, può essere utilmente messo a confronto con quanto affermato da Telesio nel cap. xxv del libro vii del De rerum, in cui il filosofo cosentino discute di come lo spirito coglie lo spazio, che si trova tra noi e le cose viste. 5 Le cose che sono prominenti e più vicine lo spirito le vede più vicine, mentre quelle che sono più profonde e più in dentro, poiché da esse proviene una luce più lunga, lo spirito le vede più lontane, così come sono, perché, appunto, sono più distanti. L’elogio del sapere immediato e la correlativa svalutazione di quello discorsivo ha alle spalle una lunga tradizione dottrinale. Una componente importante è costituita dallo stoicismo. È sicuramente in base ad idee stoiche, testimoniate da autori  









1

 Cfr. N. Hill, Philosophia Epicurea Democritiana Theophrastica, ed. cit., p. 93.   Ivi, p. 96, aph. 85 : « Animae quidditate, specierum abstractarum qualitate, facultatis sensitivae temperatura, sensitorii anatomia ignorata, desperanda caeterorum explorata cognitio ». 3   Nel dialogo iii de la Cena de le Ceneri, Smitho e Teofilo discutono dei presupposti della gnoseologia epicurea : i principi della sensazione e dell’evidenza- espressi nell’Epistola a Pitocle, 91 e nel lucreziano De rerum natura, V, 564-9 ; 575-9 ; 585-9, portano ad affermare ad esempio che le dimensioni effettive del Sole e delle altre stelle non differiscono di molto da quelle che l’occhio umano può percepire. 4  Cfr. N. Hill, Philosophia Epicurea, ed. cit., p. 89, aph. 50 : « Propria sensuum obiecta sensuum compositionem, valetudinem, distantiam certam, medium taliter dispositum exigunt, et praesupponunt, nec longius sunt quam sentiuntur ». 5   Cfr. De rer. nat. 1976, Liber septimus, cap. xxv p. 105 : « In qual modo lo spirito coglie lo spazio, che si trova tra noie le cose viste e quello che c’è tra le stesse cose, e la loro ineguaglianza : Le cose che sono prominenti e più vicine lo spirito le vede più vicine, mentre quelle che sono più profonde e più in dentro, poiché da esse proviene una luce più lunga, lo spirito le vede più lontane, così come sono, perché sono più distanti ». 2



























142 sandra plastina come Cicerone, Plutarco e Diogene Laerzio, 1 che Hill assume il sentire come orizzonte di ogni autentica conoscenza. Le teorie psicologiche esposte da Telesio nel De rerum sono collegate da Hill ad una ripresa delle idee stoiche ed epicuree, che il filosofo inglese valorizza nella sua opera. Il richiamo del filosofo cosentino al movimento nello spiegare percezione e conoscenza richiamano da vicino gli aspetti cinetici della psicologia ellenistica. Tra le varie questioni affrontate, quella che riguarda la natura e la funzione conoscitiva del senso, in rapporto alla ragione, acquista nell’elaborazione filosofica del De rerum natura una sua centralità :  

E così il principio di qualsiasi intellezione è la similitudine percepita con il senso ; la stessa intellezione invero..è un certo senso, che è sicuramente imperfetto e che avviene per similitudine.. e pertanto una siffatta intellezione è di gran lunga più imperfetta del senso […] e poiché le cose che percepiamo o possono essere percepite con il senso, non ci curiamo né ci degniamo affatto di intenderle di più con quella ragione, in quanto sono state percepite molto meglio e molto più da vicino di quanto potrebbero intese con quella ragione. 2  

Hill nell’aforisma 186 chiarisce come il senso sarà esso stesso intelletto, un’unica e semplice potenza che si divide e si distingue, prendendo diverse denominazioni a seconda delle diverse attuazioni : « Sensatio, imaginatio, intellectio unus est, et indiscontinuatus actus, cuius exordium sensatio, progressus imaginatio, complementum intellectio appellatur, primo, et levi speciei insultu sensum, repetitio incursu imaginationem, et intellectum pariente ». 3 La sensazione, l’immaginazione, l’intelletto sono una cosa sola e un atto non discontinuo, il cui esordio è la sensazione, lo sviluppo l’immaginazione, il complemento si chiama intelletto, un primo e lieve colpo all’idea lo causa il senso, un assalto ripetuto l’immaginazione e l’intelletto. Questo aforisma, che si collega direttamente agli aforismi 193 e 208, considera l’intero processo della conoscenza, paragonandolo ad un discorso retorico : il senso è l’exordium, l’immaginazione il progressus, l’intellezione il complementum. L’intelletto non è nient’altro che senso corifeo 4 e la conoscenza intellettuale presuppone sempre la sensazione, infatti : « Multa sunt sensibilia multis intellegibilibus simpliciora, intellectu sensum praesupponente et implicante sensationem, nisi et cum profundius Philosophantibus intellectum sensum teneamus ». 5  













1   Cicerone, Acad. Post., i, 41-42 = H. von Arnim, Stoicorum Veterum Fragmenta, Leipzig, 1903-1905 vol. i, p. 60 ; Plutarco, De Stoic .rep., 19, 1042e-f = svf, iii, 85 ; Diogene Laerzio, Vitae philosophorum, vii, 52-54= svf, ii, 71. 2   Cfr. De rer. nat. 1976, Liber octavus, cap. iii , p. 173. 3 4   Cfr. N. Hill, Philosophia Epicurea, ed. cit., p. 115, aph. 186.   Ivi, aph. 191. 5  Cfr. De rer, nat., 1976, p. 173 : « E così il principio di qualsiasi intellezione è la similitudine percepita con il senso ; la stessa intellezione invero è un certo senso, che è sicuramente imperfetto e che avviene per similitudine [...] e pertanto una siffatta intellezione è di gran lunga più imperfetta del senso..e poiché le cose che percepiamo o possono essere percepite con il senso, non ci curiamo né ci degniamo affatto di intenderle di più con quella ragione, in quanto sono state percepite molto meglio e molto più da vicino di quanto potrebbero intese con quella ragione ».  











143 bernardino telesio nell ’ inghilterra del seicento La species emanata immediatamente dall’oggetto genera il senso, il senso ripetuto genera l’immaginazione, l’immaginazione assidua genera l’intelletto, l’intelletto causa la volontà, la volontà funge da ostetrica per le membra che lavorano e dà alla luce l’azione, figlia del senso, dell’immaginazione, dell’intelletto, dell’istinto e della struttura materiale. 1 Con Telesio assistiamo alla valorizzazione della ragione estimativa come unica possibile forma della ragione e come saldo sostegno della conservazione della specie. La ragione è in tal senso una capacità di discernere le forme e i mezzi più utili alla conservazione degli esseri viventi, e la sua funzione giudicante, tutta interna alla forza conservativa, viene direttamente testimoniata dai sensi. Negli aforismi di Hill, che risentono delle tesi espresse nel De rerum natura, il principio dell’autoconservazione che governa tutte le attività dello spirito si lega alla teoria stoica della conservatio sui ; la materia, infatti, secondo la legge naturale, vuole sempre essere e continuare ad essere ciò che è : « Secundum dictatem naturae volumus esse, secundum dictamen praesentis status et conditionis volumus esse semper id quod sumus ». 2 Anche Telesio esprime nel De rerum natura il principio della conservazione del sé con accenti simili : « In verità non solo lo spirito, ma qualsiasi altro ente non può conseguire o desiderare un bene diverso da quello di conservarsi nella propria natura, per poter continuare ad essere sempre quello che è ». 3 Lo spirito corporeo – senziente, immaginante e raziocinante – è a fondamento della conservazione, che governa le attività dell’unico principio vitale, operante all’interno delle cose : « All activities of the spirit are governed by self-preservation ; the spirit must for its own benefit be aware of pleasing or displecesing things in its environment ». 4 Lo spirito vitale, artefice della grande varietà della natura, ne costituisce anche il principio unificatore, assicurando l’omogeneità primigenia di tutti i fatti naturali di cui l’uomo è parte integrante.  





















1

  N. Hill, Philosophia Epicurea, ed. cit., p. 118, aph. 208. 3   Ivi, p. 95, aph. 84.   De rer. nat. 1976, p. 339. 4   Sul principio di autoconservazione si legga quanto scrive L. Spruit, Telesio’s psychology and the Northumberland circle, The Durham Thomas Harriot Seminar Occasional Paper 25, Durham, University of Durham, 1998, pp. 2-34, in part. p. 5, ed inoltre cfr. L. Spruit, Telesio’s Reform of the Philosophy of Mind, « Bruniana & Campanelliana », iii, 1997, 1, pp. 124-143. 2





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taltina degli Inculti

ELIA D’AMATO E L’EREDITÀ TELESIANA NELL’ACCADEMIA MONTALTINA DEGLI INCULTI Giuditta Bosco

N

ato e vissuto nella Calabria Citra (come nel xvii e xviii sec. veniva chiamata la provincia di Cosenza) a Montalto Uffugo, Elia D’Amato (1657-1748) 1 è uno degli esponenti più importanti dell’Accademia Montaltina degli Inculti che, fondata da Francesco Foscarini, padre del ben più noto Paolo Antonio tra il 1601 e il 1617 e modellata sull’esempio dell’Arcadia di Roma, 2 rinasce un secolo dopo, nel 1701, proprio grazie all’attività filosofico-letteraria di Elia D’Amato e si colloca all’interno del più vasto progetto delle accademie di farsi promotrici della cultura nel Meridione d’Italia e di divenire elemento di diffusione di idee che sono al varco tra l’antico e il moderno e riconoscono anche nel naturalismo di Telesio un non secondario elemento di modernità. L’Accademia degli Inculti, divenuta poi, Accademia Montaltina degli Inculti, insieme con altre accademie, quale quella cosentina, è indice della grande vitalità culturale in cui si trovava la Calabria Citra tra ’600 e ’700 nella quale si tentano continui tentativi di agganci a quella tradizione filosoficoscientifica che ha il suo maggiore sviluppo nell’Italia meridionale e in particolare a Napoli e che richiama, in vari modi, la filosofia cartesiana, l’atomismo, la medicina, gli studi sperimentali sulla natura, nonché gli studi giuridici. Questo dato si evince dalla storia dell’Accademia Montaltina che, negli anni del suo maggiore sviluppo si diffonde, con colonie, oltre i confini della Calabria, non solo nel Meridione, ma anche all’estero e nel centro Italia. La ricostruzione di Pantaleo Minervini 3 a riguardo offre spunti di riflessione su questo aspetto intorno al quale, in questa sede, non è opportuno dilungarsi. Basti ricordare che tali colonie si diffusero a Roma, Venezia, Londra, Düsseldorf, in alcune zone della Sassonia e della Polonia, e diedero all’Accademia un respiro internazionale. I membri dell’Accademia Montaltina sono di diversa estrazione sociale e di diversa formazione e si riuniscono periodicamente per discutere le questioni più disparate i cui risultati vengono raccolti da Elia D’Amato (che è principe Arciagricoltore dell’Accademia e si fa chiamare Tirinarco) in quella che si può considerare la sua opera più interes1   Per una breve ricostruzione bio-bibliografica di Elia D’Amato si vedano F. Russo, Elia D’Amato, « Almanacco Calabrese », 1969, pp. 107-116 e anche G. Bosco, Prospettive di modernità in Calabria. Uno sguardo su Elia D’Amato, Roma, Aracne, 2009, pp.11-16. Per un approfondimento sulla biografia di D’Amato cfr. L. Saggi, Una lettera anonima sui carmelitani di Montalto Uffugo in Calabria, « Archivio storico per la Calabria e la Lucania », xxix, 1960 2, pp. 137-148 in cui l’autore sposta la data di nascita di Elia D’Amato al 1668 (p. 139). Cfr. anche, C. Nardi, Per un chiarimento a proposito della lettera anonima d’accusa a P. Elia D’Amato, « Archivio storico per la Calabria e la Lucania », xxix, 1960, 3-4, pp. 289-292. 2   L. Romeo, Accademie e accademici nel Mezzogiorno d’Italia. Il caso di Montalto Uffugo di Calabria, Cosenza, Editoriale Progetto, 2000, 1998, pp. 107-116. 3   P. Minervini, Lingua e cultura nel Settecento meridionale, Napoli, Loffredo, 1974, pp. 173-176.  











146 giuditta bosco sante : le Lettere erudite chiesastico-civili, Accademico-critiche (edite a Genova nel 1714) e di cui danno notizia molti studiosi di storia della cultura e delle idee nel Settecento meridionale apprezzandone sia la varietà dei contenuti sia l’obiettivo che D’Amato si propone che è quello di divulgare, quanto più possibile, la cultura filosoficoletteraria e religiosa del suo tempo e lo fa usando, tra gli altri, anche Telesio che rappresenta una voce di novità delle teorie sulla natura. A partire da questo dato, vorrei provare a mettere a fuoco il continuo rimando che D’Amato fa a Telesio nel tentativo di sganciarsi dalla tradizione aristotelica. Infatti, per D’Amato e per altri scrittori che, come lui, hanno quasi bisogno di suffragare le loro ipotesi, quasi a cercare un modo per convalidare le loro teorie, Telesio diventa un punto di riferimento, un’autorità che non viene usata soltanto in funzione antiaristotelica, ma anche per ribadire i risultati cui i moderni studi sulla natura stavano pervenendo. Coloro che, come Tafuri (1744-1760), 1 L. Accattatis (1869), 2 Zavarroni (1753), 3 Galati (1928) 4 o più di recente Nardi (1954) 5 e Crupi (1994) 6 in un modo o nell’altro hanno scritto su D’Amato, si sono soffermati, soprattutto, sul ruolo di quest’ultimo nell’Accademia degli Inculti e sulla sua capacità di farsi promotore e divulgatore di cultura, descrivendolo come un erudito, filosofo e letterato, ma senza mettere a fuoco la sua formazione filosofica e l’uso che egli fa di alcune fonti in particolare. Aspetto, questo, che può risultare di un certo interesse se pur riconoscendo poca originalità alle teorie filosofiche di D’Amato, tuttavia presenti nelle sue opere, lo si colloca in un contesto, quale quello delle Accademie del Meridione che mirano a uscire fuori dai limiti del loro tempo e dalle anguste strettoie della religione. È evidente che D’Amato, da un certo punto di vista più che filosofo, è un erudito storico della filosofia e della religione e i suoi interessi filosofici si collocano nel più ampio progetto di ridisegnare l’apparato della natura usando parti della propria tradizione locale, non ultima quella telesiana. Tra l’altro, l’obiettivo di D’Amato, come si evince dallo stesso schema delle Lettere – ognuna indirizzata a un membro dell’Accademia – è quello di divulgare il sapere filosofico-scientifico e letterario-religioso in modo quanto più ampio possibile, pur senza riuscire a dare risposte moderne alle questioni della scienza ; d’altronde, è scontato ribadire che molte delle affermazioni di D’Amato, come già Nowicki ha dimostrato per le teorie di Telesio nel campo della fisica, sono per noi totalmente superate. 7 La fortuna di Telesio all’interno delle Accademie e, nel caso specifico dell’Accademia degli Inculti, è indice di un interesse per la filosofia della natura che diventa trampolino di lancio per la conoscenza delle leggi del funzionamento del cosmo  



1   G. B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel regno di Napoli, Sala Bolognese, Forni, 1974 [Napoli, 17441760]¹, pp. 10, 433, 469. 2   L. Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, Cosenza, Tip. Municipale, 1869, vol. i, pp. 305-308. 3   A. Zavarroni, Biblioteca calabra, Napoli, Tip. Johannis de Simone, 1753, p. 194-195. 4   V. G. Galati, Gli scrittori delle Calabrie, Firenze, Vallecchi, 1928, pp. 112-117. 5  C. Nardi, Notizie di Montalto in Calabria, Roma, Collezione Meridionale, 1954, pp. 318-322. 6   P. Crupi, Storia della letteratura calabrese. Autori e testi, Cosenza, Periferia, 1994, vol. ii, pp. 193-194. 7   A. Nowicki, La presenza del pensiero di Bernardino Telesio nella cultura moderna, « Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche di Napoli », lxxix, 1969, p. 343.  



147 elia d ’ amato e l ’ eredità telesiana e l’apertura al metodo induttivo sperimentale attraverso il superamento del senso comune. Le opere di D’Amato e, in particolare alcune delle Lettere, sono indice di come le posizioni di Telesio vengano lette nell’ottica dell’originalità e della novità. E d’altra parte, le idee di Telesio, (come tra gli altri De Franco dimostra), si diffusero abbastanza velocemente in Italia e a Napoli, segnando un continuo tentativo di rifacimento e rielaborazione di quanto Telesio aveva scritto. In molti luoghi delle Lettere, D’Amato si sofferma su alcuni dei temi presenti in Telesio che poi sono i temi di molti pensatori del Seicento e Settecento i quali, come più volte la storiografia ha sottolineato (si pensi a De Franco 1 e a Bondì 2), spesso rimandano a Telesio e alle sue teorie, citandole, ma senza precisi riferimenti ai suoi testi, secondo un atteggiamento che è indice della diffusione, all’interno delle Accademie, delle teorie telesiane. Il ‘naturalismo’ telesiano (così come ne parla De Franco) inteso come uno studio della natura e della realtà percepibile con i sensi, senza volere indagare « tutto ciò che oltrepassa questo nostro mondo » 3 si affianca a quello di D’Amato che trova sicurezza in un nuovo metodo e che, al contempo, rimane ancorato all’idea biblica di creazione e alla pretesa di volere comprendere la mente di Dio e la logica della creazione. Per questo, il caso di D’Amato – che si interessa di scienza della natura, di giurisprudenza, di esegesi biblica, scrive che la superstizione e la religione popolare allontanano l’animo umano dalla verità divina e si interroga sulla presenza dell’anima nell’embrione umano e sulla possibilità o meno di riconoscere come valido il sistema copernicano, anche se preferisce rimanere legato alla dottrina tyconica – è emblematico sia per suffragare l’idea per cui anche in ambienti ai margini della cultura ufficiale europea si palesasse con forza il tentativo di sganciarsi dal peso della tradizione aristotelica sia per dimostrare che anche gli esponenti degli ambienti ecclesiastici – D’Amato fu provinciale dei carmelitani in Calabria nel 1702 e nel 1722 4 – sentissero quanto mai viva l’esigenza di separare il piano della fede da quello della scienza. Telesio rappresenta, dunque, per D’Amato, come per gli altri accademici, l’innovazione rispetto al passato, un filosofo da prendere come modello, per giunta conterraneo. E i modi in cui D’Amato utilizza Telesio e le puntualizzazioni che fa, sono emblematici di questo.  



Nell’opera di D’Amato, ricordata poc’anzi, le Lettere erudite chiesastico-civili, Accademico-critiche (Napoli, 1714) certo, Telesio è citato sempre per suffragare quelle teorie in cui è evidente il tentativo di superare Aristotele e sganciarsi dalla tradizione scolastica; tuttavia, non si deve pensare che di Telesio venga preso in considerazione solo questo aspetto che, tra l’altro, per gli Accademici non è affatto irrilevante se si considera che buona parte della cultura delle Accademie prova a rivedere e correggere quanto Aristotele aveva affermato sulla scienza e sulla fisica. E d’altra parte, esempi di un simile tentativo, avallati anche dalla lettura e dall’uso di filosofi eminenti del ’600 e ’700 quali, per es., Cartesio, si rinvengono in genere, in tutti quegli autori che, proprio in questo periodo, sono un esempio di grande fervore intellettuale. 1

  De Franco 1988 ; De Franco 1989 ; De Franco 1995.   De Franco 1989, pp. 218-219.

3





2

  Bondì.   L. Romeo, op. cit., pp. 125-126.

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148 giuditta bosco Proprio nell’incipit della Lettera ix intitolata Pensieri diversi sull’apparimento delle comete, che contiene chiari rimandi alla ben più nota opera di Bayle e che è quella in cui si dibatte la questione della natura delle comete, della loro formazione e del loro manifestarsi, D’Amato segnala che gli accademici non sono « mai sazi di indagar quei fenomeni della natura che spesso col loro apparimento stimolano chi è vero filosofante di penetrar in essi, per così dire, il midollo ». 1 E il pensiero va a Telesio il cui intento è quello di cogliere l’essenza prima che costituisce gli enti a partire da un’idea di natura che agisce usando leggi sue proprie e opera sempre le stesse cose, secondo gli stessi principi ; la filosofia di Telesio consente, dunque, di accostarsi ad un approccio allo studio della natura considerato vero, perché verificabile. In questo senso, ciò che conta sottolineare è il cambiamento di mentalità e di approccio metodologico allo studio dei fenomeni che accomuna gli ambienti attraverso cui i saperi, nell’Illuminismo e nell’Italia meridionale, si diffondevano. D’altronde, si tenga presente che D’Amato apporta alle tesi di Telesio utilizzate nei suoi scritti, variazioni e trasformazioni che sottintendono una certa cautela nell’esprimere alcune posizioni che avrebbero potuto creare fraintendimenti religiosi. E questo un ortodosso come D’Amato non avrebbe potuto permetterselo. Tale aspetto si chiarisce, per es., quando egli per spiegare la formazione del mondo dalla materia sottilissima e dall’unione di caldo e di freddo ricorre a un viaggio immaginario che Pirologo 2 compie nelle regioni meteorologiche e lì, mentre sta per partecipare alla visione della formazione del mondo, incontra un discepolo di Paracelso al quale spiega che le credenze del maestro sono puri vaneggiamenti e mentre dice questo entrambi vedono come si forma il cielo : sono alla presenza di un drago che vomita esalazioni calde, mentre di fronte si intravede una nuvola fredda e « perché dalla parte dinnanzi sottilissima è la materia, più scintille quasi dalla bocca egli vomita, la dove dappresso, per l’appunto in quella parte dove vien sorpresa dalla fredda nuvola, come compressa, ristretta alquanto la coda a’nostri occhi s’oggetta ». 3 Poi Pirologo continua a vedere come avviene la formazione degli astri e richiama la varietà delle figure e il movimento. 4 E che le proprietà della materia sottilissima siano ben più elevate di quello che comunemente si pensa ed essa sia « valorosa e penetrante perché si caccia nei pori più angusti di qual si sia cosa che fosse, traendone, ed assorbendosi locche di spiritoso, oppur di denzo attrovar si potesse » 5 si ricava dall’osservazione di alcuni fenomeni, come il fodero che liquefa il ferro o come le particelle del vino che, sottoposte al caldo, consumano la botte intatta. Tra l’altro, nel viaggio, Pirologo incontra anche Tommaso Cornelio, davanti al quale anche Aristotele e Seneca si tolgono il cappello e lo riconoscono come uomo ‘d’alta letteratura’. 6 La posizione di Telesio sulla formazione del mondo non discorda. Per lui, il calo 















1   E. D’Amato, Lettere erudite, Chiesastico-civili, Accademico-Critiche, Genova, Eredi di Celle, 1715, ii, p. 97 sg. 2   Il nome di ‘Pirologo’ rimanda immediatamente a Kircher che, tra l’altro, D’Amato utilizza spesso come fonte per le sue elaborazioni sulla storia della natura e su alcuni fenomeni fisici ; cfr. A. Kircher, Mundus subterraneus, Amstelodami, apud J. Janssonium et E. Weyerstraten, 1668, libro iv, p. 168 sgg. 3 4   E. D’Amato, op. cit., vol. ii, p. 268.   Ivi, p. 269. 5 6   Ivi, pp. 270-271.   Ivi, p. 289.  

149 elia d ’ amato e l ’ eredità telesiana re è opifex del sole e del cielo : « Pertanto, da un calore molto grande e non svigorito e da una materia dispiegata moltissimo e resa quasi incorporea è stato costituito il cielo, un ente cioè caldissimo, tenuissimo, in sommo grado bianco e mobile » 1 e questo calore dipende da Dio, posizione questa, che come alcuni studiosi di Telesio, tra i quali Garin, hanno notato, ha il tono di una « devota precisazione » 2 teologica che tuttavia non servì a fargli evitare la censura. La massa inerte telesiana (materia passiva e inattiva) è stata posta da Dio insieme a due forze contrarie agenti che hanno la capacità l’una, il caldo, di assottigliare e rendere mobile la materia ; l’altra, il freddo, di condensarla e immobilizzarla. Gli esseri viventi e non, con gli enti naturali, si collocano in una posizione intermedia (tra cielo e terra) e in essi si modifica solo la quantità di calore presente in essi. Il sentire, come caratteristica intrinseca alle due forze, si manifesta, perciò, in tutti gli enti naturali e ne diventa un aspetto fondante. 3 Ritornando alla Lettera sulle Comete, secondo D’Amato è probabile che le comete si siano generate, fin dalla creazione del mondo, dalle particelle luminose e impercettibili che sono rimaste vaganti nell’emisfero, dopo che si è originato il Sole. 4 D’Amato individua una sostanza unica, calda e luminosa, della quale sono costituiti i corpi celesti e terrestri, compreso il sole. 5 Tra l’altro, egli si può collocare in quella tradizione filosofico-scientifica che riconosce l’utilità e la necessità di un metodo scientifico che fosse in grado di utilizzare quelli che Paolo Rossi chiama « aiuti per i sensi » 6 e questo per dimostrare anche l’esistenza di esseri invisibili ad occhio nudo e osservabili solo con il microscopio. Infatti, afferma D’Amato, non meraviglia che gli atomi di materia non siano visibili a occhio nudo, come succede, per es., con gli acari, che noi non vediamo, ma che esistono, e anche con gli atomi di polvere, o con le particelle di terra presenti nell’acqua e che vengono eliminate grazie alla distillazione. 7 D’Amato si chiede quale sia la sede del fuoco e attraverso un elenco di naturalisti che si sono occupati di tale problema e hanno posto il fuoco sottoterra, vuole dimostrare l’errore dei peripatetici che ponevano la sede del fuoco nella regione sublunare. Ricordando, poi, quei filosofi della natura che hanno cercato nel sole la fonte principale del calore e del fuoco 8 pare volere dimostrare proprio la bontà delle teorie di Telesio. Il discorso sul fuoco che per sua natura si accompagna sempre al calore e alla luce, 9 si trasforma in una divagazione sulla struttura dei vulcani e sulla loro natura e si conclude con una serie di osservazioni filosofiche dalle quali è possibile ricostruire la teoria del mondo e della materia. Similmente a Telesio, per D’Amato, il calore che si rende manifesto innanzitutto nel sole e nel fuoco,  















1

  Bondì, p. 66.   E. Garin, Postilla telesiana, in La cultura filosofica del Rinascimento italiano. Ricerche e documenti, Firenze, Sansoni, 1961, p. 447, citato in Bondì, p. 66 e De Franco 1988, p. 91. 3 4   Ivi, p. 105.   Ivi, p. 106. 5   Bondì, pp. 32-35 ; Libelli 1981, pp. 1-44 ; in particolare, Telesio enuncia la teoria della sostanza unica da cui si formano sia il sole sia le comete al cap. 2, Cometem Solis lucem esse a vaporibus relucentem, ivi, pp. 2-4. 6   P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa [1997]¹, Bari, Laterza, 2000, p. 285. 7   E. D’Amato, op. cit., vol. ii, p. 106. Questa parte è stata sviluppata anche in G. Bosco, op. cit., pp. 17-22. 8 9   E. D’Amato, op. cit., vol. ii, p. 274.   Ivi, p. 271. 2





150 giuditta bosco investe ogni piccola parte della materia ; dunque è elemento fondante, che è diffuso dappertutto, riempie di sé tutti i composti esistenti in natura e ne è l’anima. Come per Telesio, nel calore e nella materia si rinvengono le cause che hanno portato alla generazione della Terra, del sole e dei corpi celesti 1 e tra fuoco e cielo non c’è differenza reale. 2 E D’Amato accosta Telesio agli antichi Democrito, Anassimandro, Senofane, Anassagora, Empedocle e ai moderni Ficino, Cardano, Bessarione per ribadire la teoria secondo la quale nel Sole è la ‘consistenza’ del fuoco. Così, scrive D’Amato, non si può negare che tutte le proprietà e le virtù del fuoco si rinvengano, 3 oltre che nel Sole, negli astri, nei Vulcani e « in ogni parte, anzi’n ogni menoma particella […]. Balena nell’aere, vola ne gl’astri, arde nell’acque, splende sotterra, e tutt’i misti dallo stesso impregnati per iscovrirsi, la sola Chimica, lasciato ogni altro sperimento, l’insegna e lo persuade ». 4 Ancor più che l’esperienza ci insegna che neppure il corpo umano è esente dal calore ; anzi, utilizzando la metafora rinascimentale del rapporto macrocosmo-microcosmo, D’Amato assimila il corpo umano al corpo del mondo e suffraga ulteriormente la teoria del calore che pervade ogni cosa, non ultimo proprio il corpo umano. In virtù del calore, il corpo umano riceve vita, ristoro, animazione e movimento, secondo lo stesso processo per il quale Dio ha introdotto nel corpo della natura il fuoco perché riempisse ogni minima particella con il suo calore e le desse attività e vita. 5 L’attività, dunque, deriva e dipende dal calore, così come ne discende il movimento. L’osservazione di quanto accade in natura ai corpi viventi che sono dotati di calore e movimento rafforza questa ipotesi. Anzi, un corpo morto e inerte è freddo. Richiamando non solo Telesio, ma anche la dottrina eraclitea, D’Amato afferma che il fuoco è qualcosa in più di uno dei quattro elementi ; è paragonabile all’anima del mondo che vivifica, ristora e si mescola con ogni cosa. 6 Da queste pagine trapela anche un evidente interesse di D’Amato per argomenti della tradizione neoplatonica, ribadito in molte parti delle Lettere laddove, per es., a proposito della centralità del sole rispetto alla terra, si richiama la centralità del cuore nel corpo dell’uomo e con una metafora che era già stata harveyana D’Amato definisce il cuore ‘il sole per l’uomo’. A sua volta, il sole è il cuore per il cosmo e l’uno e l’altro consentono il perpetuarsi e il rigenerarsi della vita. 7 I rimandi al neoplatonismo si affiancano alla tradizione telesiana di uno studio della fisica che si propone di rinvenire gli elementi costitutivi degli enti all’interno della natura. In D’Amato è radicata l’idea che la scienza si basi sull’esperienza e sull’osservazione grazie alle quali è possibile migliorare le congetture del passato e, in alcuni casi, superarle. Egli è cosciente del fatto che si può partire da ipotesi che in apparenza sembrano plausibili e pervenire a conclusioni errate che, invece, costringono ad abbandonare le strade intraprese e a seguirne di nuove. Elementi che rimandano alla tradizione rinascimentale, poco sopra ricordata, del rapporto microcosmo-macrocosmo si rintracciano anche in altre parti laddove, per  









1   Per un approfondimento della teoria della ‘produzione e conservazione del mondo’ in Telesio si veda, tra gli altri Bondi 1997, pp. 32-35 e 65 sgg., dove si rinvengono anche i rimandi al De rerum natura. 2  Ivi, p. 33. 3 4   E. D’Amato, op. cit., vol. ii, p. 274.   Ivi, p. 279. 5 6 7   Ivi, p. 278.   Ivi, p. 280.   Ivi, p. 230.

151 elia d ’ amato e l ’ eredità telesiana es., si trova scritto che l’uomo è specchio e riflesso della perfetta armonia che regna nell’universo. A tal riguardo, in una delle molte parti dove D’Amato richiama il neoplatonismo, si trova scritto :  

Piacemi poi sommamente la somiglianza del mondo grande col mondo piccolo, ch’è l’Uomo, detto perciò Microcosmo : ma qual nottomia fu questa unquemai, che collocò il cuore con eguaglianza nel mezzo dell’Uomo, al par del Sole in mezzo, ò diciamo meglio nel centro del mondo ? Se tanto conceduto avessero allo billico, l’ugualità, ò somiglianza, non sarebbe stata cotanto zoppa : ma via su diamo pur cotal compiacimento à contrarj, che il cuore sia il Sole del mondo piccolo : e il Sole il cuore del mondo grande. Che ne siegue ? Ne siegue, che siccome il cuore del Microcosmo perpetuamente si muove à benefizio dell’uomo ; così l’Sole nel Macrocosmo debba muoversi à benefizio del mondo. 1  











O ancora, quando, a proposito delle influenze astrali, D’Amato, secondo un topos del medioevo, afferma che esse sono state volute da Dio per favorire il buon governo dell’uomo, l’alternarsi delle stagioni, la fecondità della terra e, dunque, altro non sono che un fenomeno tra i molteplici fenomeni fisici e astrologici, anzi, per meglio dire, una ulteriore chiave di lettura e di interpretazione della natura di cui l’uomo dispone. 2 Un’altra lettera che rimanda alle teorie telesiane è la xxxiii intitolata Che cosa sia la luce ? 3 dove la questione da risolvere è se la luce vada considerata sostanza corporea oppure no. Senza volersi addentrare in una questione alquanto controversa e dibattuta quale quella della luce, basti ricordare che D’Amato riporta l’opinione di coloro che descrivono la luce come un’immagine dei corpi splendenti « che diffusa nell’aria, nell’acqua e nell’etere come in uno specchio rappresenta istantaneamente la varietà dei colori » 4 e osserva che contrariamente a quanto succede per i corpi che sono percepibili con tutti i cinque sensi, il tatto, per es., non ci consente di capire se la luce sia materiale oppure no. Chi afferma che la luce è sostanza corporea derivata dal sole, lo fa a partire dall’osservazione per cui essa è « trasfusa per tutto il diafano dell’aere » ; 5 se riconosciamo che la luce è corporea, dobbiamo riconoscere che essa sia un movimento successivo che appare ai nostri sguardi istantaneo, « isvegliando la luce in tutti quei luminosi corpicciuoli » che vagano per l’aria mentre la loro luminosità « è assopita e soggiogata » e ciò non sarebbe corretto. Di contro a coloro che ritengono la luce corporea, D’Amato ne ribadisce l’incorporeità e ne colloca la sede nel cielo, senza tuttavia approfondire la teoria telesiana della propagazione e rifrazione della luce che pur progredendo in linea retta si effonde in innumerevoli piramidi. 6 Ponendosi dallo stesso punto di vista di Telesio, D’Amato afferma che il cielo è il mondo della luce che, a sua volta, è la manifestazione più elevata del calore 7 e per sottolineare la presenza costante della luce, che si riflette sempre da se stessa 8 nel cielo, D’amato osserva che come i mari non restano mai vuoti perché ricevono continue acque dai fiumi, così la luce non finisce mai, ma si presenta ora in modo flebile ora con più forza senza modificarsi di quantità.  



















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  Ibidem.   E. D’Amato, op. cit., vol. ii, pp. 122-126. 4   Ivi, pp. 362-363. 6 7   De Franco 1989, p. 133.   Ivi, p. 127.

2

  Ibidem.

3

5

  Ivi, p.360.   Ivi, p. 131.

8

152 giuditta bosco L’ultimo aspetto su cui ci sembra opportuno soffermarci brevemente, per ricostruire l’influenza più o meno palese che Telesio ebbe su uno dei membri più rinomati dell’Accademia Montaltina degli Inculti è legato alla questione della libertas philosophandi che, come è noto, nasce ufficialmente in Francia e si diffonde grazie a filosofi quali, per es., Naudè, poco conosciuti ad accademici di periferia quale D’Amato che, invece anche da questo punto di vista, rinvengono in Telesio un riscontro per suffragare le loro posizioni e creare una cesura quanto mai netta tra una filosofia protesa a indagare e interpretare in piena libertà la natura – quale quella più volte invocata dagli accademici – e una filosofia che vuole rimanere ancorata alla teologia e che dunque si arresta laddove la fede detta il dogma. Da come D’Amato parla del pensiero di Telesio, sembra che la preoccupazione per l’Inquisizione che pure aveva messo all’Indice nel 1596 (dopo 8 anni dalla morte di Telesio) il De rerum natura e altri opuscoli 1 sia divenuta marginale in un ambiente, quale quello delle Accademie in cui domina il divertissement letterario, grazie al quale si può parlare anche di questioni ancora pericolose per la fede ed è in questo modo che Telesio diviene il cavallo di battaglia « dell’autonomia dell’indagine naturalistica dalla religione » 2 e dalla superstizione, aspetto che si può ricavare dall’analisi che D’Amato fa dei cosiddetti ‘segni naturali’, a partire dalla rottura con il contesto della tradizione magica in nome dell’osservazione e dell’analisi dei fenomeni come D’Amato argomenta nella Lettera ix : Si detesta l’astrologia giudiziaria 3 e nella Lettera xxxiii : Il Mercurio filosofale sotto la lucerna di Cleante, divenuto sofistico. 4 A suo dire, i segni che provengono dalle stelle e che gli uomini erroneamente attribuiscono ad eventi soprannaturali sono impressi da sempre nel gran ‘Libro della Natura’ e, in particolare nei cieli, come manifestazione dei caratteri della sapienza divina e l’astrologia, tra le arti di cui l’uomo si serve, è solo una delle tante chiavi di accesso per leggere e interpretare gli eventi della storia e del mondo. Essa non ha nulla di sovrannaturale e non ha nulla a che vedere con un’arte magica, ma è uno dei tanti metodi di cui l’uomo dispone per penetrare, comprendere e decodificare i segni della grandezza divina e del perfetto funzionamento della macchina dell’universo ; 5 infatti, il mondo altro non è che un “proscenio” che presenta agli occhi degli uomini fenomeni e segnali a cui attribuire un significato che è negli enti e ad uso degli enti. E a tal riguardo D’Amato accusa la tradizione religiosa popolare di confondere sacro e profano e di inficiare la fede e la scienza in gabbie che non le appartengono. Proclamare la purezza della fede trova il suo corrispettivo nel rivendicare la necessità di liberare anche la scienza dalle superstizioni e dagli schemi di un metodo che non considera le fasi che ogni forma di sapere umano attraversa, passando da uno stadio infantile ad uno adulto « Ogni scienza e ogni tecnica vaggì bambina » 6 prima di realizzarsi compiutamente. Ammettere la divinità sembra non volere precludere la possibilità di riconoscere che la natura vada studiata e interpretata secondo le sue leggi. Scrive D’Amato :  















Quella macchina così sublime ornata con tal decoro, è un proscenio, che presentando su 1

2

3

4

  Ivi, p. 182. Gli opuscoli saranno pubblicati nel 1590, ivi, p. 187.   E. D’amato, op. cit., vol. i, pp. 71-87. 5   Ivi, pp. 74-75.

  Ivi, p. 115.   Ivi, pp. 272-290. 6   Ivi, p. 75.

elia d ’ amato e l ’ eredità telesiana

153

gli occhi delle Creature più maraviglie, e col moto, e colla luce, e colla bellezza vengono, eziandio non volendo, a commendarne la Divina Magnificenza e noi indagatori della natura possiamo interpretarlo e capirlo. 1

E anche questo aspetto sembra richiamare, a grandi linee, la modernità di Telesio e il suo tentativo di indagare la natura iuxta propria principia. 1

  Ibidem.

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Luca Parisoli, Dalla cristianizzazione di Aristotele al naturalismo telesiano : una lettura alla luce di Pierre Legendre  

DALLA CRISTIANIZZAZIONE DI ARISTOTELE AL NATURALISMO TELESIANO : UNA LETTURA ALLA LUCE DI PIERRE LEGENDRE  

Luca Parisoli

I

l problema del posto occupato da Telesio nella genealogia del naturalismo si può affrontare sia al microlivello della ricognizione puntuale di questa o quella citazione implicita nel corpo dell’argomentazione telesiana – e si tratta di una ricognizione della congruenza della metafisica della natura telesiana con la tradizione aristotelica tardo antica e medievale –, sia al macrolivello degli approcci di lunga durata – e si tratta di interrogarsi sulle continuità e sulle discontinuità nelle strategie complessive. È in questa seconda ottica che mi propongo di interrogare il testo telesiano, alla ricerca del suo posto nella tradizione aristotelica medievale, 1 battendo quindi una strada parallela rispetto a quella che conduce Hiro Hirai, il cui contributo appare in questa stessa raccolta telesiana : quello che mi è parso significativo è il libro ix del De rerum natura, come rivelatore della rottura di continuità delle tesi telesiane rispetto all’elenco delle virtù tipicamente svolto nella scolastica medievale e al personalismo del pensiero filosofico cristiano. Questo in presenza di altre continuità rispetto a molti punti specifici della filosofia della natura svolta da suoi antecessori medievali : 2 mentre i restanti otto libri sollevano problemi intricati  



1   Telesio pare consapevole dei dibattiti all’interno della tradizione aristotelica rinascimentale, come attesta la sua ripresa del lessico impiegato nella loro disputa sull’intelletto agente dal Genua e dal Nifo (la filosofia della mente rinascimentale si chiedeva se l’intelletto fosse una sostanza oppure una facoltà, e Telesio vi apporta una concezione non-duplicativa dell’intelletto). Più problematica è la sua collocazione nella tradizione aristotelica medievale, di cui abbandona almeno il carattere di interpretazione di un testo filosofico autorevole : dal Commentatore Averroé, che percorre e ripercorre il testo aristotelico nei suoi commentari (da cui esce un Aristotele nominalista che molti altri non videro), a san Tommaso passando per Duns Scoto l’approccio scolastico considera Aristotele come una autorità, non come un pacchetto di tesi ben determinate : né più meno che sant’Anselmo o sant’Agostino, se c’è un dissidio su una tesi aristotelica il problema non è tanto che Aristotele possa avere sbagliato (anche se può darsi il caso, mentre per sant’Agostino non si dà il caso, quanto che sia stato interpretato male da un altro filosofo). Per il dissidio tra Duns Scoto e san Tommaso, in cui l’aristotelismo scotiano vede in Aristotele un volontarista travisato dall’intellettualismo tommasiano, rinvio a L. Parisoli, Intelletto, volontà, azione umana tra scienza naturale e etica : una lettura scotiana e non-tommasiana di Aristotele, in Aristotle and the Aristotelian Tradition. Innovative Contexts for Cultural Tourism. Proceedings of the International Conference. Lecce - June 12, 13, 14, 2008. Aristotele e la Tradizione Aristotelica. Nuove tematiche per il turismo culturale. Atti del Convegno Internazionale di Studi. Lecce - 12, 13, 14 giugno 2008, a cura di E. De Bellis, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008, pp. 269-281. 2   Alcune di queste continuità sono originali. Per esempio, in De rerum natura i, 29, Telesio afferma che il movimento si accompagna al tempo, ma non può dirsi che ne sia la causa : il passo può essere rapportato ad un testo della fine del xiii secolo, il Quodlibet xi, in cui Duns Scoto dice che il tempo sarebbe un ordine anche nell’assenza di ogni moto. È curioso osservare che il sostenitore di una ontologia lussureggiante e un convinto riduzionista si trovano concordi su una tesi intorno ad un tema delicato come quello del tempo ; c’è forse quindi una propensione telesiana per lo spazio-tempo come un assoluto, come sarà poi anche nella metafisica newtoniana. Altre discontinuità sono marchiane. Per esempio, nel  









156 luca parisoli di continuità e discontinuità, dato che il testo stesso di Telesio presenta un’organizzazione lessicale intricata, il libro ix colpisce per la sua dissimilitudine prima facie con i secoli di filosofia cristiana medievale. In particolare, al fine di cercare di comprendere le ragioni intellettuali di questa imperiosa dissimilitudine, mi pare che il naturalismo telesiano possa essere interrogato alla luce di una tesi di Pierre Legendre, seppure problematica e controversa : 1 il naturalismo telesiano è lo sviluppo di tesi naturalistiche che a partire dal naturalismo tommasiano conducono lentamente verso la scristianizzazione della filosofia occidentale, a dispetto delle intenzioni tommasiane. La continuità del naturalismo telesiano su singole procedure esplicative con gli approcci medievali farebbe in questo senso il paio senza paradossi con un libro ix che ricorda l’averroismo latino e non già la scolastica : continuità nelle procedure biologiche e fisicaliste, rottura nella metafisica personalistica e nella teoria delle virtù. La lunga via del naturalismo ontologico al naturalismo riduzionista è un’ipotesi storiografica di lunga durata che si esprime nell’approccio lacaniano alla storia delle idee così come lo intende Legendre nella sua idea di antropologia dogmatica : 2 questo percorso è la storia di una foresta lentamente disboscata, e una riformulazione dell’elenco delle virtù sulla falsariga degli averroisti latini, 3 ma con un nuovo cipiglio empirista (per esempio, le ricchezze sono « sempre buone, comode e onorifiche », in ix, 8, con un capovolgimento del pauperismo medievale, che era anche una povertà per i ricchi). Infatti, se la prende anche con l’etica della virtù aristotelica, che può essere accettata solo e soltanto se si è coscienti che il termine virtù può essere eliminato dal vocabolario filosofico in favore di un esclusivo riferimento alle procedure  









De rerum natura vii, 3 : l’intellezione è ridotta al sensoriale, e non si tratta di un’osservazione marginale, oppure riconducibile alla vecchia idea scolastica per cui tutto quello che si trova nell’intelletto è prima passato attraverso i sensi – nello stesso luogo, il naturalismo si impone rispetto al piacere e al dolore, ossia la materia è il luogo dei processi intellettuali, un poco come un cervello di formaggio nella filosofia della mente novecentesca. Anzi, mentre la tradizione volontaristica cristiana esprime uno scetticismo verso la veridicità dei sensi, portando a prossimità solo apparentemente paradossali (Duns Scoto e David Hume, ma si potrebbe dire in ambito mussulmano Al Ghazali e David Hume, senza citare gli atteggiamenti virulenti alla san Pier Damiani), il naturalismo telesiano si nutre di una fiducia assiomatica verso la veridicità dei sensi : a difetto, il De rerum natura sarebbe una macchina argomentativa che gira a vuoto, mentre il carburante di cui si nutre è una metafisica della natura che un san Tommaso credo neppure sospettasse. 1   La tesi percorre tutta la riflessione legendriana, ma il luogo più vivido è nella sua opera La 901e conclusion. Etude sur le théâtre de la Raison, Fayard, Paris, 1998, che ruota intorno a Pico della Mirandola, alle sue 900 tesi, cui Legendre aggiunge la novecentounesima : sin dalla prefazione (Note marginale) Legendre enuncia chiaramente la sua tesi, « la fonction institutionnelle est une fonction de la Raison », insieme alla diagnosi della deriva implicita nel naturalismo, « l’ignorance d’un indice essentiel - le fait que la normativité soit inhérente à la structure du langage, par conséquent au phénomène du discours - nous coûte cher » (p. 8). 2   Per una sintetica ed efficace introduzione al pensiero di Pierre Legendre in lingua italiana rinvio a S. Berni, Pierre Legendre. L’antropologia dogmatica di un giurista eterodosso, Collana ‘Studi e ricerche’, Dipartimento di Scienze Storiche, Giuridiche, Politiche e Sociali, Università di Siena, 2007. 3   Penso in particolare a Boezio di Dacia, per cui rinvio ai volumi curati da F. Bottin, Ricerca della felicità e piaceri dell’intelletto, Nardini, Firenze, 1989, e all’altro in cui insieme alla traduzione de Il Sommo bene ha curato anche di Giacomo da Pistoia La felicità suprema, Firenze, Nardini, 1989. Per il testo critico del De summo bono rinvio alla Boethii Daci Opera, 3.2, Corpus Philosophorum Danicorum Medii Aevi, Hauniae, 1976.  













157 una lettura alla luce di pierre legendre di conservazione dello spirito che si propone come una versione riduzionista del termine medievale anima. 1 Basta pensare a sant’Agostino, autorità per eccellenza della filosofia scolastica, il quale propone un trattamento del concetto di anima che non autorizza in nessun senso la costruzione di un’etica naturalistica in riferimento al solo spirito (soffio, detto in termini biblici) materiale. 2 Invece, per una definizione telesiana di virtù, si deve vedere ix, 4, con un approccio che presenta delle analogie interessanti con la procedura di ridefinizione delle virtù intrapresa da David Hume ; l’idea stessa però che la virtù sia una facoltà è uno slittamento semantico decisivo rispetto all’habitus con cui gli intellettualisti aristotelizzanti medievali si riferivano alla connessione delle virtù. Pare non fare problema la comprensione telesiana della virtù come una facoltà nel senso di una naturalizzazione etica che fa saltare l’equilibrio della riflessione tommasiana, andando jusqu’au bout delle sue premesse lette in chiave averroisticamente riduzionista. 3 Un riduzionismo che è del tutto esplicito e sintetizzato emblematicamente quando Telesio afferma che tutte le virtù sono una solo virtù, e che tutti i vizi sono un solo vizio (ix, 5) : la conservazione dello spirito è virtuosa, la sua non-conservazione è viziosa, ed è tutto quello che c’è da dire, a patto che si abbia buona memoria, dato che solo la memoria permette di ricordarci cosa ci ha conservati e che cosa invece ci ha non-conservati. Questo capitolo procede con una enumerazione delle virtù che assicurano la conservazione di questa affezione o di quella operazione dello spirito : la Sapienza è la principale virtù poiché « per comune consenso, sapiente è colui che ha indagato la natura e le forze di tutte le cose », e senza queste conoscenze non si può neppure dire di cercare di conservare lo spirito, quanto di procedere per casualità pura. In questo schema il piacere è sottoposto alla conservazione dello spirito, ma nella tradizione medievale la conservazione dello spirito non era mai stata considerata un bene in sé : mentre Telesio vede nel perseguimento del piacere un vizio nella misura in cui attenta alla conservazione dello spirito (oltre un certo livello, pratiche sessuali oppure alimentari minano la conservazione dello spirito – l’esperienza è il metro di questo giudizio), nella tradizione precedente – latina, giudaica, mussulmana – il piacere mondano è una categoria unitaria, in cui l’eccesso è un vizio, ancora di più che le conseguenze dell’eccesso. Se assumiamo nel suo senso emblematico l’opposizione tra Aristotele e Platone come un’opposizione tra uno sguardo rivolto alle cose terrene e uno sguardo rivolto alle cose non-terrene, come innumerevoli filosofi prima di lui, Telesio ha  











1   Questa idea ha certo dei precedenti nella riflessione stoica, ma se anche Telesio non si fosse ispirato ad una simile fonte avrebbe potuto evocarla attraverso una negazione dell’approccio cristiano medievale in cui ci deve essere un posto per una spiegazione razionale del martirio, ma non del suicidio o dell’uso strumentale delle virtù e dei vizi. 2   Si veda per esempio La Genesi, ii La Genesi alla lettera, l. vii, Roma, Città Nuova,1989. 3   Cito un passo emblematico da Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, i a-ii ae, p. 56, a. 3 : « respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, virtus est habitus quo quis bene operatur. Dupliciter autem habitus aliquis ordinatur ad bonum actum. Uno modo, inquantum per huiusmodi habitum acquiritur homini facultas ad bonum actum, sicut per habitum grammaticae habet homo facultatem recte loquendi. Non tamen grammatica facit ut homo semper recte loquatur, potest enim grammaticus barbarizare aut soloecismum facere. Et eadem ratio est in aliis scientiis et artibus. Alio modo, aliquis habitus non solum facit facultatem agendi, sed etiam facit quod aliquis recte facultate utatur, sicut iustitia non solum facit quod homo sit promptae voluntatis ad iusta operandum, sed etiam facit ut iuste operetur ».  





158 luca parisoli dovuto prendere partito con una decisione sul primato del percorso dall’invisibile al visibile, oppure viceversa. Si tratta di una scelta filosofica che Telesio non estende a classici problemi come quello degli universali, e che si riflette comunque in una diversa antropologia di sfondo ; quella telesiana è senza sfumature rivolta alle sole cose terrene, e nelle cose terrene deve trovare la sua ragione e il suo fondamento. In questo senso, pur nella polemica contro i peripatetici a lui contemporanei, lo sfondo emblematico non può che essere quello aristotelico, e la scelta di ridurre il non-visibile ad un orizzonte di cui non si dà analisi filosofica (un poco come il mistico per il Wittgenstein del Tractatus) testimonia l’anti-platonismo di Telesio, al di là dell’uso strumentale di questa o quella tesi platonizzante nel dominio naturale. La cristianizzazione patristica di Platone – operata per primo da san Giustino - ed il successivo neo-platonismo che si carica di umori cristiani convivono nei primi secoli dell’era cristiana con la cristianizzazione del paganesimo – Proclo e Dionigi Aeropagita, tanto che quest’ultimo autore neoplatonico diventa un riferimento per la tradizione mistica medievale : in questo orizzonte l’invisibile gode di un primato filosofico sul visibile. Il cristianesimo platonizzante trova un esito formale importante nella teoria modale non-aristotelica della linea anselmiano-scotiana, la sola linea in cui l’argomento ontologico anselmiano possa ritenersi persuasivo, mentre nella linea che associa la possibilità al mutamento esso gira fatalmente a vuoto. A questo si oppone la cristianizzazione di Aristotele nella linea tommasiana ; si concretizza così una prevalenza del naturalismo che approda al dogmatismo (teologia dogmatica) con un interscambio tra medicina e cattolicesimo controriformista. 1  





1   Sebbene la stessa dottrina cattolica autorizzi a parlare di dogma nel corso di tutta la storia che segue la morte di Gesù Cristo, lo storico delle idee dovrebbe evitare il termine prima del periodo della Controriforma cattolica, nel quale prende forma una disciplina chiamata teologia dogmatica. Nell’idea di dogma c’è almeno l’idea di promulgazione : sebbene la verità proclamata nel dogma sia sempre stata tale (il Pontefice, proclamando un dogma, compie un atto dichiarativo), prima della proclamazione era lecito professare contenuti difformi da quelli proclamati nel dogma, sebbene essi fossero in quel momento falsi. Tuttavia, la mancanza della proclamazione del dogma fa sì che san Tommaso potesse negare l’Immacolata concezione senza potere essere accusato successivamente alla proclamazione del dogma dell’Immacolata concezione di eresia. Il dogma, quindi, non è che una forma tipicamente cattolica delle verità di fede, ma storicamente e concettualmente le verità di fede non sono tutti dogmi (sia nella storia del cattolicesimo, sia nella storia del cristianesimo orientale o protestante). I filosofi scolastici non parlano di ‘dogmi’ per indicare le verità di fede : Guglielmo di Ockham, nella sua strategia fideista, parla di ‘autorità dei santi’. Quando Guglielmo di Conches – autore della prima metà del xii secolo ampiamente studiato da Tullio Gregory – scrive un Dogmaticon (l’edizione critica è apparsa nel 1997 nel Corpus christianorum. Continuatio medievalis), egli lo usa nel senso di ‘opinione’, in particolare dei filosofi : quando sant’Anselmo invoca una verità di fede, dice semplicemente ‘è noto’. Pierre Legendre ha avanzato l’idea che sia stata la scienza medica quattrocentesca a coagulare la nozione di dogma, attraverso una nuova importanza riconosciuta all’esperienza naturale codificata (irruzione del discorso della normatività, assente nella filosofia naturale medievale) – ossia l’esperimento, incontro tra la scienza giurisprudenziale e il naturalismo. La nozione di dogma è poi passata nel pensiero cattolico contro-riformista in un clima di legiferazione intorno alle verità di fede (il Concilio di Trento), dando nascita alla teologia dogmatica (si veda la sintesi in P. Legendre, Communication dogmatique (Hermès et la structure), raccolto in Sur la question dogmatique en Occident, Paris, Fayard, 1999 – il riferimento è a M. Herberger, Dogmatik. Zur Geschichte von Begriff und Methode in Medizin und Jurisprudenz, (=Ius Commune Sonderhefte 12), Frankkfurt am Main, Klostermann Verlag, 1981, già citato in P. Legendre, L’Empire de la vérité. Introduction aux espaces dogmatiques industriels, Paris, Fayard, 1983). Ma ci vorranno ancora secoli per arrivare alla promulgazione del dogma, stato della questione oramai ottocentesco : non è un caso, osserva Legendre, che l’istituzionalizzazione del dogma nell’ambito della fede cattolica va di pari passo con una progressiva  







159 una lettura alla luce di pierre legendre Questo si associa al lento declino della dimensione dell’interpretazione del Testo nella cultura diffusa (non già nella dottrina del Magistero), nella lenta decadenza di quella civiltà dell’interpretazione romano-canonica di cui parla Legendre, e che condurrà la Chiesa cattolica a fare eclissare dalla sua Tradizione la Glossa ordinaria alla Vulgata, un monumento interpretativo che faceva il paio con le glosse al diritto canonico oppure a quello al diritto romano medievale. In un senso che richiederebbe ulteriori verifiche e precisazioni, san Tommaso sarebbe paradossalmente all’origine della modernità scristianizzata : l’affermazione si presterebbe a due ordini di considerazioni. La prima, quella stessa verosimilmente perseguita da Legendre, tiene come punto fermo il fatto che il mondo non ci parla, siamo noi che lo facciamo rispondere alle nostre interrogazioni : non è in nessun senso un approccio nominalista, perché l’inconscio assume un valore di inter-oggettività, ma una tradizione interrogante non è definibile migliore di un’altra (la testualità dogmatica giapponese vale come un’altra, 1 il punto è come una testualità dogmatica è assunta, non su cosa si basa) ; la seconda, con una valenza di storia delle idee, esaspererebbe la divergenza tra la tradizione giudaico-cristiana e il cristianesimo ellenizzato, riprendendo in pieno la complementarietà da discorso colto e discorso selvatico del religioso, messa invece in ombra dal naturalismo cristiano. 2 Il discorso colto in questa prospettiva del cristianesimo dovrebbe somigliare più ad un volontarismo metafisico che ad un intellettualismo metafisico che sfocia, a differenza del primo, su un naturalismo che colloca in qualche punto del mondo la razionalità del reale. 3 E come notava Lévi-Strauss, il cristianesimo è per sua essenza anti-totemico, 4 e forse è proprio per  





scristianizzazione in cui il naturalismo tommasiano, concepito per essere il vertice del pensiero cattolico, apparirebbe invece il migliore strumento per scavare la fossa della fede cristiana. 1   P. Legendre, Ce que l’Occident ne voit pas de l’Occident, Paris, Les Mille et une Nuits, 2006. 2   Rinvio a C. Lévi-Strauss, La pensée sauvage, Paris, Plon, 1962 ; si può anche vedere F. Keck, LéviStrauss et la pensée suavage, Paris, puf, 2004. 3   Così Telesio, in un passaggio del De rerum natura, v, 2, parla di una mens superaddita non-naturale (che evoca più Ockham che Scoto). Il termine superaddere può ricordare la supervenience, o la survenance, anche se tutto il dibattito semantico intorno a questo strumento metafisico, a partire dal termine coniato dal filosofo morale Richard M. Hare, è esclusivamente novecentesco. Resta il fatto che della survenance si hanno sia una concezione anti-riduzionistica, in cui agisce come epifenomeno e in cui assicura la popolosità ontologica, sia una concezione riduzionista, tipica del fisicalismo. In Telesio si potrebbe dire che il termine gli permette di evitare il lessico della causalità, e che tutto il suo sistema ricorda ben più il fisicalismo che non il realismo modale. 4   C. Lévi-Strauss, Le totémisme aujourd’hui, Paris, puf, 1962. In altri termini, René Girard sottolinea il carattere anti-mimetico (rifiuto del capro espiatorio) del cristianesimo, con la differenza rispetto a Lévi-Strauss di assumere un’esplicita posizione apologetica, che lo differenzia dai fondatori della scuola simbolista o meglio emblematista, Durkheim e Mauss (insensibili al personalismo cristiano – E. Durkheim, Les formes élémentaires de la vie religieuse, Paris, puf, 2005, p. 386 : « la notion de personne est le produit de deux sortes de facteurs. L’un est essentiellement impersonnel : c’est le principe spirituel qui sert d’âme à la collectivité. C’est lui, en effet qui constitue la substance même des âmes individuelles. Or il n’est la chose de personne en particulier : il fait partie du patrimoine collectif ; en lui et par lui, toutes les consciences communient. Mais d’un autre côté, pour qu’il y ait des personnalités séparées, il faut qu’un autre facteur intervienne qui fragmente ce principe et qui le différencie. C’est le corps qui joue ce rôle. (...) Il en résulte que, si toutes les consciences engagées dans ces corps ont vue sur le même monde, (...) elles ne le voient pas toutes sous le même angle ; chacune l’exprime à sa façon ».), per i quali la religione è una costruzione endogena della società nel suo sforzo di razionalizzazione attraverso il sacro che supera le instabilità totemiche (che coincidono con l’aggressività spontanea stigmatizzata da Girard, ma in assenza di un’analisi del meccanismo del capro espiatorio).  















160 luca parisoli questo che insistere troppo sulla continuità tra natura e uomo ha potuto fare del naturalismo cristiano nella visione di Legendre una china scivolosa verso la scristianizzazione. Si tratta comunque di una linea interpretativa interessante, poiché sposta l’attenzione nell’analisi dei conflitti storici tra partiti di idee dal livello meramente dottrinale a quello dell’antropologia culturale, ad un livello quindi in cui si comprende meglio rispetto all’applicazione di regole logiche classiche come il naturalismo telesiano, che non contiene alcuna negazione esplicita della fede cattolica, potesse essere percepito da alcuni suoi contemporanei come pericoloso, non tanto per la loro natura retrograda e vessatoria, quanto perché espressioni viventi anche di un discorso selvatico (non meramente colto) del religioso. Troviamo forse in Telesio un anello della catena che secondo Legendre porta ad una scristianizzazione della società europea a partire dal binomio tra cultura giuridica romanistica medievale e naturalismo cattolico ? Possiamo dire che in Telesio l’assenza di elaborazioni di tipo normativista 1 non debba nascondere che di fatto recupera l’idea dei giuristi medievali ‘Deus, sive natura’ che non è panteismo ma non è neppure un elemento della tradizione giudaico-cristiana ? 2 La conservazione dello spirito come motore essenziale della vita comunitaria ricorda una assunzione metafisica del brocardo ex facto ius oritur : si vive in comunità solo per la propria comodità, l’uomo non è né un animale politico, né un eremita in attesa del mondo ultra-terreno. Anzi, l’uomo sarebbe un predatore assetato se solo avesse la supremazia sugli altri in modo certo e stabile, mentre la paura lo mena alla congregazione : quando parla della giustizia, in ix, 12, egli scrive « mai gli uomini si riunirebbero tra loro, che anzi si fuggirebbero e si eviterebbero al massimo, se ognuno non fosse sicuro e difeso dalle offese altrui », secondo uno schema dell’inclinazione alla prevaricazione da parte dell’uomo che altri autori me 











1

 In ix, 17 usa il termine aequabilitate, equivocamente tradotto da De Franco con ‘equità’, per designare una virtù fondamentale nella cultura medievale, l’umiltà (nel seguito mi riferirò alla traduzione italiana di De Franco, De rer. nat. 1976). Il termine è largamente usato da Cicerone, per esempio nel De natura deorum (v, 13 e passim), De oratore (vi, 20 e passim) (ma rinvio a F. Pagnotta, Cicerone e l’ideale dell’aequabilitas. L’eredità di un antico concetto filosofico, Cesena, Stilgraf, Cesena, 2007), e mi pare significativo che Telesio preferisca saltare al lessico classico piuttosto che incorporare un lessico fondamentale – humilitas – della tradizione monastica latina. Inoltre si deve sottolineare che in Cicerone non significa equità, anzi : si veda per esempio De re publica, i, 43 : « sed et in regnis nimis expertes sunt ceteri communis iuris et consilii, et in optimatium dominatu vix particeps libertatis potest esse multitudo, cum omni consilio communi ac potestate careat, et cum omnia per populum geruntur quamvis iustum atque moderatum, tamen ipsa aequabilitas est iniqua, cum habet nullos gradus dignitatis » (ripreso poi a 53). Il termine avrà poi una sua fortuna nel dibattito costituzionalista sulla costituzione mista – tra firmitudo, gubernaculum, iurisdictio –, per cui rinvio a M. Fioravanti, Costituzionalismo. Percorsi della storia e tendenze attuali, Bari, Laterza, 2009, pp. 6-7, 12 ; si veda anche la relativa voce nel Lessico filosofico dei secoli xvii e xviii, i.1 a-aetherius, Sezione latina I.2, Roma, iliesi, 1992, a cura di M. Fattori e M. L. Bianchi. Un altro caso di slittamenti lessicali e semantici in Telesio è quello dell’ilarità (ix, 18) : chi la possiede « pur oppresso da qualsiasi male, non dispera di conservarsi ». Questo corrisponde alla speranza, ma quest’ultima non trova posto nella tassografia telesiana, forse perché troppo teologale, forse perché non vuole usare quella parola. 2   B. Tierney è intervenuto sul tema, e di lui si può vedere la traduzione italiana L’idea dei diritti naturali. Diritti naturali, legge naturale e diritto canonico, Bologna, Il Mulino, 2002 ; ma il riferimento essenziale mi pare quello ad A. Padovani, Perché chiedi il mio nome ? Dio, natura e diritto nel secolo xii, Torino, Giappichelli, 1997, che tra le altre cose chiarisce magistralmente il ruolo del pensiero di Giovanni Scoto Eriugena nella riflessione dei primi glossatori giuridici medievali.  



















161 una lettura alla luce di pierre legendre dievali avrebbero usato per giustificare la tendenza umana ad associarsi in strutture di mutuo soccorso (penso ad esempio a Duns Scoto, che vede questa tendenza alla prevaricazione come un frutto del peccato originale), mentre Hobbes vi vedrà semplicemente l’origine del contratto sociale. Tuttavia, Telesio esce consapevolmente dal monumento romano-canonico, dalla civiltà dell’interpretazione : l’antropologia dogmatica medievale si sta quindi disgregando (non nella direzione protestante, il tema è infatti assente in Telesio) verso un nuovo Testo dogmatico, quello della Natura, che non è però dato agli uomini, i quali se lo danno a partire dal mondo secondo una metafisica dell’adattamento dell’uomo all’ambiente, in cui il più forte (più adatto) si preserva meglio del più debole (meno adatto) e la giustizia deve tendere a non alterare questo stato di cose. Di fatto, non è più né la giustizia della tradizione romanistica, né quella della tradizione giudaico-cristiana. Anche una rapida allusione alla necessità di eliminare spazi segreti nella società anche rispetto alla sfera intima si colloca nel filone delle utopie rinascimentali, anche se non lo sviluppa, ma certo è altro dal segreto di Domingo de Soto : ma mantenere deonticamente la verità è detto Superstizione, dato che per evitare un male è ragionevole mentire – senza esitazioni, senza tentennamenti. 1 Più in generale, la natura materiale è razionale, e la volontà è assente dal discorso telesiano, anzi vi appare per essere detta altrove, come l’anima immortale cui è resa equivalente, che c’è ma di cui non vale la pena di fare alcuna analisi, all’interno di una strategia retorica in cui i riferimenti succinti alla sfera divina appaiono semplicemente giustapposti alle riflessioni ampiamente argomentate sul mondo empirico non-divino (viii, 15) : è tra le trame del discorso il calcolo razionale, anche se non si può parlare di utilitarismo, 2 il libero arbitrio appare nella contrapposizione tra il vero bene soprannaturale e il bene apparente naturale, ma quando si passa all’elenco delle virtù il libero arbitrio scompare. Ammettiamo che il dominio naturale sia necessitato, quello sovrannaturale no : perché Telesio chiama virtù quelle del dominio naturale, con una scelta evidentemente anticristiana ? Il punto è che Telesio disegna una specie di armonia pre-stabilita tra i fini sovrannaturali e i fini naturali, 3 tanto che Dio sembra quasi costretto a porla (altrimenti sarebbe « iniquo ed odiatore »). 4 Persegui 













1   Per la teoria del segreto in Soto, rinvio al mio L. Parisoli, Les mythologies de la connaissance absolue et le discours génétiste, « Camillianum », iv, 2004, pp. 67-94. 2   Si veda però ix, 11. In ogni caso, si veda De rerum natura ix, 2, dove il piacere conserva, il dolore distrugge, e lo spirito non persegue che la propria conservazione. Al successivo 3, la congregazione umana ricorda più Bentham che non Scoto (ma l’utilitarismo nasce come teoria politica con un cristiano, Hutcheson) : manca il peccato originale e la modificazione nella struttura antropologica dell’uomo, e questo sottolinea una certa indifferenza di Telesio sia alla discussione cattolica, sia a quella protestante. Non si trova traccia di un calcolo utilitaristico probabilmente solo perché Telesio non si colloca nella grande diffusione culturale dell’analisi matematica come superamento del metodo geometrico. 3   La tesi ritorna in ix, 2, sotto la forma « non è lecito dubitare del fatto che ». 4   Il Dio telesiano, che Gabriele De Anna ci mostra, nel suo saggio contenuto in questo volume, essere un Dio cristiano estraneo sia allo spirito cattolico, sia a quello protestante, ed anche a quello ortodosso orientale, è in ultima analisi coerente con il suo sistema, quindi anche se la sua funzione euristica pare minimalissima, non è tuttavia un elemento posticcio o artificioso del suo sistema filosofico. Nei termini prediletti dallo storico del pensiero Voegelin, quello di Telesio è un Dio gnostico, anche se la categoria prediletta di Voegelin, lo gnosticismo politico, è difficilmente applicabile al discorso di Telesio, che è carente di una seppur minima trama di filosofia normativa (i discorsi del libro ix mi pare autorizzino solo illazioni su un approccio di gnosticismo politico).  









162 luca parisoli 1 re la conservazione dello spirito, quindi, è compiere l’armonia divina e meritare la beatitudine, in una composizione un poco funambolesca tra il bene momentaneo e quello non-momentaneo : 2 come giudicherebbe mai Telesio il martirio, un disprezzo di Dio verso se stesso nell’eventualità che lo lodasse ? Purtroppo non ne parla, e il suo silenzio fa fremere chi ha in mente il modello della carità e dell’amore gratuito medievali. 3 Senza essere suggestionato dal contenuto di una lettera che il fratello di Bernardino indirizzò ad un potente cardinale in favore del fratello, 4 per adottare una lettura lacaniana della storia delle idee in linea con il paradigma legendriano, direi che il nostro Telesio mostra una apologia del narcisismo dello spirito, che fa tutto per conservarsi, con uno scollegamento del perseguimento dei beni non-materiali dalla razionalità (l’unica di cui si parli) della sfera empirica, che arriva sino al controllo dei nostri desideri, una tesi che fa a pugni con tutta la fenomenologia della Patristica greca e latina (ix, 2) : i rimandi alla sfera divina sono quindi più che una variazione della tradizione cattolica uno strumento convenzionale per evitare lo scontro su quella che è una vera e propria metafisica della materia, quasi un gene egoista ante-litteram. Non si tratta tanto di stabilire, assumendo un ruolo giurisprudenziale che non appartiene affatto allo storico delle idee, se le tesi a tenore cattolico da Telesio siano o meno conformi al deposito della fede, ovvero – più esplicitamente – se possano avere conseguenze deleterie nelle conclusioni che se ne possono trarre : si tratta invece di constatare che si tratta sempre appunto di tesi enunciate, e praticamente mai di argomentazioni a tenore cattolico. In questo senso prosaico, Telesio non è un filosofo cristiano, dato che non vi è in lui traccia consistente del nuovo spirito protestante : né vale l’argomento della delimitazione del suo oggetto di interesse, dato che il capitolo ix, con la sua teoria delle virtù radicalmente anti-medievale, non poteva uscire dalla penna di un filosofo cristianeggiante. Nel capitolo ix, della conformità o della difformità del bene naturale con il bene sovrannaturale, non si dà analisi di sorta : anzi, sin dal primo capitolo, lo spirito è capace di auto-regolazione nelle sue pulsioni. 5 E sulla filosofia naturale, lo stesso Galileo  











1   De rer. nat. 1976, vii, 8 : salvo che per il suono, lo spirito (l’anima materiale, per cui si veda anche nell’viii libro il successivo cap. 12) si modifica solo per contatto. Siamo di fronte ad un materialismo consapevole, che ricorda il riduzionismo rappresentato agli esordi del xviii secolo dall’associazionismo psicologico di David Hartley. Per quanto in Hartley domini uno sperimentalismo (sebbene di applicazione tutt’altro che lineare), mentre in Telesio lo sperimentalismo non sia ancora all’appuntamento, certo è che i due pensatori condividono la stessa metafisica materialista, a dispetto della telesiana presenza (lessicale)-assenza (argomentativa) dell’anima immateriale (per esempio, sempre nel libro viii, cap. 25) 2   Quando parla della sapienza, in ix, 6, Telesio ha uno sprazzo di intellettualismo etico in cui il bene momentaneo pare da evitarsi grazie alla sapienza in favore della beatitudine eterna ; tuttavia, l’assenza di analisi ulteriori sui modi di procacciarsi la beatitudine eterna, e le lunghe analisi sui beni invece più immediati fanno pensare che l’armonia tra egoismo dello spirito e preservazione del fine della beatitudine non sia mai oggetto di bilanciamenti e di dilemmi, per risolversi in una armonia in cui il bene nonmomentaneo è semplicemente enunciato. 3   La retorica di Telesio sembra anticipare quella di Hobbes nel Leviathan : il discorso ecclesiastico si associa a quello civile nelle due parti dell’opera, ma la religione è un discorso che bisogna inghiottire come certe pillole medicinali, senza masticarle, perché altrimenti si dissolve la sua utilità. 4   Essa è riassunta in T. Russo, Storia dell’arcidiocesi di Cosenza, Napoli, Rinascita Artistica, 1958, il quale offre un efficace ritratto telesiano in quattro pagine dotate dei necessari riferimenti bibliografici. 5   Il peccato originale, tesi a larghissimo uso filosofico nel medioevo, dalla gnoseologia alla filosofia  





163 una lettura alla luce di pierre legendre Galilei, certo ben più attento alla sperimentazione che alla metafisica naturale, si preoccuperà di proporre un’ermeneutica del Testo dogmatico cristiano, cosa che nella concezione empirista della sua analisi potrebbe apparire non-necessaria. Telesio, invece, empirista senza sperimentazione, non se ne cura minimamente. L’assenza del concetto di persona è flagrante – tutta la filosofia politica, sociale, economica medievale si connota con un senso proprio in quanto profondamente permeata dal personalismo, al di là delle più varie opzioni metafisiche (san Tommaso oppure Scoto, san Bonaventura oppure Enrico di Gand) – Telesio annulla la persona senza glorificare l’individuo, forse perché c’è una traccia di averroismo latino, 1 non tanto nelle tematiche, dato che Telesio rifiuta la strategia riduzionista di Averroé 2 che è comunque ermeneutica che assume il lessico aristotelico, quanto nel progetto riduzionistico rispetto alla popolosa ontologia cristiana e alla sua tassonomia delle virtù ; assenza di una tematizzazione metafisica della contingenza, 3 accompagnata ad una tematizzazione della razionalità come proprietà intrinseca della materia e dello spirito che tutto fa ; conseguente fuoriuscita dal dibattito tra primato della volontà e primato dell’intelletto, dato che non dico san Tommaso, di cui dopo l’euforia neotomista circolano oggi letture ben più attente all’importanza del ruolo giocato dalla volontà, 4 ma anche degli intellettualisti radicali come Goffredo di Fontaines non hanno mai eliminato il problema stesso della volontà. Goffredo poteva dire che la tesi francescana del primato della volontà era una bambinata, ma non si peritava neppure di relegare la volontà nella sfera dell’indicibile – come fa invece Telesio. Il nesso che si instaura tra un problema cosmologico e la metafisica della natura telesiana può essere affrontata a partire da De rerum natura iv, 29 : assunta l’affermazione per cui il mondo è creato da Dio nel tempo, vuol dire che il tempo è una realtà ontologica assoluta, oppure che Dio è un demiurgo ? Purtroppo per chi voglia vedere un Telesio ancorato ad una tradizione pre-rinascimentale, in favore della prima tesi non c’è nulla nel testo telesiano. Anzi, trattando delle virtù, in ix, 2, l’onnipotenza divina è purgata da ogni elemento volontaristico e Dio è un vero e proprio super-uomo : 5 « il creatore delle cose non è certamente inetto né impo 











normativa, mi pare incompatibile con la tesi telesiana dell’autonomia gnoseologica e fenomenologica dello spirito. 1   Lo spirito che si conserva, e che non dà luogo ad un calcolo delle utilità, non potrebbe essere uno solo – a dispetto delle apparenze – riproponendo la tesi dell’unità dell’intelletto agente ? L’individualità dei differenti spiriti è chiaramente detta da Telesio in viii, 29, ma la pluralità dei fasci di sensazioni (per evocare Hume) non si associa ad una tesi dell’identità stabile dello spirito nello spazio-tempo : l’unità dell’intelletto agente, deprecata nei peripatetici, sarebbe derivabile dal sistema telesiano dicendo che l’anima infusa da Dio è una. 2   V. Sorge, Averroismo, Napoli, Guida, 2007. 3   De rer. nat. 1974, iv, 25 : la contingenza è nel mondo, per esperienza e per la testimonianza delle Scritture – ma delle due fonti di attestazione, Telesio tace ogni dettaglio – eppure ancora Suarez aveva memoria tangibile dell’impresa fenomenologica di Pietro di Giovanni Olivi sulla libertà della volontà, e la disputa sull’interpretazione delle Scritture ha infuocato il xvi secolo. Il Testo dogmatico per Telesio è veramente la natura, non necessariamente sperimentale – anzi, ma l’ermeneutica non si applica più alle Scritture, bensì alla metafisica della natura. 4   Penso per esempio all’Introduzione di U. Galeazzi al volume : T. d’Aquino, Il male e la libertà, Milano, Rizzoli, 2002. 5   Si veda anche ix, 7, dove la capacità di previsione del futuro è una virtù massima, contro ogni tra 







164 luca parisoli tente e per nulla cattivo » – tutte affermazioni ‘cristiane’, ma secoli di scolastica hanno mostrato che ciò che conta è la semantica associata – « e non è tale che avrebbe potuto dimenticarsi di conservare gli enti da lui costituiti » – la tesi della conservazione dell’essere è un classico della tradizione giudaico-cristiana, 1 ma qui Telesio non parla dell’alternativa per essere-reale e il nulla, bensì della sussistenza individuale – « o che non avrebbe potuto o voluto elargire loro il modo o la facoltà con cui conservarsi » - Dio ha anche concesso a Lucifero la possibilità di peccare, ma non lo ha permesso in senso normativo 2 – « ma poiché è di gran lunga il più sapiente ed il più potente ed il migliore, egli ha dato ad ognuno tutte quelle facoltà che dovevano essere date loro perché si conservassero finché è possibile ». L’armonia pre-stabilita dovrebbe persuadere coloro che hanno un qualche ricordo della teoria morale scolastica ad accettare il naturalismo morale di Telesio, il quale si preoccupa di mostrare che un Dio ingannatore sarebbe inverosimile, proprio perché i sensi sono oramai il solo veicolo di ragionevolezza. Solo degli uomini « stupidi e stolti » preferirebbero la natura a Dio, e gli altri invece opereranno « continuamente secondo i suoi precetti » : precetti dei quali nulla si dice nel capitolo ix, se non rievocarli come al paragrafo 6, con un’allusione al modo con cui scoprirli su cui nulla è detto – questo ardore retorico è stato evocato da chi ha voluto fare letture malevole di Telesio nella direzione di un approccio che non può non fare pensare ad una qualche forma di furberia da parte di un chierico che traeva dalle prebende ecclesiastiche le ingenti risorse per uno stile di vita che si indovina né parco, né parsimonioso. Bisogna invece ricordare che la virtù della sublimità (ix, 22) è quella che modera il desiderio di magnificenza, di onore sociale a dispetto della propria vita, e che Telesio la collega alle proprietà divine, quasi che una tendenza naturale alla vanagloria non potesse essere moderata all’interno della naturalezza umana. C’è un passaggio chiarificatore nello stesso capitolo : « se è lecito paragonare alle nostre cose quelle che riceviamo da Dio, può apparire vera sublimità quella mansuetudine ed umiltà dello spirito che il nostro Salvatore ci comanda di abbracciare ». Vediamo che Telesio si mostra titubante a collegare la morale umana con quella divina, riaffermando l’autonomia radicale della morale umana, ma al tempo stesso l’umiltà qui appare come una virtù che non appare (con questo nome) nell’elenco telesiano.  





























dizione giudaico-cristiana, in cui la previsione è distinta a chiare lettere dalla profezia (se in maniera persuasiva, questo è un altro livello di discorso – non nego che la Kabbalah sia stata letta come metodo della previsione, anche se i kabbalisti sono impregnati di quella tradizione giudaica per cui il prototipo dell’idolatria si trova nei popoli che si ispirano alle stelle e ai loro movimenti ; per di più, questo va comparato con la tesi kabbalistica per cui la lettura non-avvertita della Kabbalah conduce a disastri). Telesio vi giunge a prospettare l’obbedienza, la madre di tutte le virtù per sant’Anselmo e per la cultura scolastica, come un disvalore. 1  La conservatio sui è tematica già presente in Aristotele, poi sviluppata dagli Stoici, e nella tradizione giudaico-cristiana essa può essere compresa non solo in ambito metafisico, ma pure nella filosofia pratica. Così, Ugo di Digne nel suo commento alla Regola francescana (metà xiii secolo) giustifica la pretesa francescana a non possedere nulla con un richiamo all’esse naturae, che lo conduce ad una lista delle virtù in cui la povertà è prima facie un bene e le ricchezze prima facie un male, ossia l’esatto contrario dello schema telesiano. 2   L’assenza di discorso normativo in Telesio è profondamente dissonante dalla tradizione post-anselmiana : nel De casu diaboli di sant’Anselmo, Lucifero con il suo peccato che lo ha fatto cadere ha voluto una cosa buona nel momento in cui Dio non voleva che Lucifero volesse quella cosa.  



165 una lettura alla luce di pierre legendre Un omaggio al discorso cristiano, forse, oppure la consapevolezza che la pulsione di morte che si agita nella naturalezza umana non trova un argine certo e infallibile in una costruzione di etica naturalistica : in ogni caso, il fatto « di non desiderare alcun onore, e meno ancora di procurarselo, e non perché li disprezza, ma perché non ne vede la bellezza, anzi perché non capisce che essi sono dovuti o convengono alla sua natura, è un vizio ». Questo spiega perché Telesio preferisca evitare di parlare dell’umiltà come di una virtù, dato che appare qui come l’umiltà monastica sia per lui un vizio : del resto, nel momento in cui la sfera mondana è radicalmente sottoposta gerarchicamente alla sfera non-mondana si propone un’assiologia incompatibile con ogni naturalismo etico. L’umiltà monastica si dice per Telesio abiezione.  







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Abbreviazioni

ABBREVIAZIONI Opere di Bernardino Telesio De rer. nat. 1965 De rer. nat. 1974 De rer. nat. 1976 Libelli 1981 De rer. nat. 1989 La natura 1999 De natura 2006 De rer. nat. 2010

De rerum natura iuxta propria principia libri i - ii - iii, testo, prefazione, traduzione e note di Luigi De Franco, Cosenza, Casa del Libro, 1965. De rerum natura iuxta propria principia libri iv - v - vi, testo, presentazione, traduzione e note a cura di Luigi De Franco, Cosenza, Casa del Libro, 1974. De rerum natura. Libri vii - viii - ix , a cura di L. De Franco, Firenze, La Nuova Italia, 1976. Varii de naturalibus rebus libelli, a cura di L. De Franco, Firenze, La Nuova Italia, 1981. De rerum natura iuxta propria principia. Prefazione di Maurizio Torrini, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa, 1989 (ristampa anastatica dell’ed. del 1570). B. Telesio, La natura secondo i suoi principi, a cura di R. Bondì, Firenze, La Nuova Italia, 1999. B. Telesio, De natura iuxta propria principia, Liber primus et secundus (Roma 1565), a cura di A. Ottaviani, Torino-Firenze, Aragno-Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, 2006. B. Telesio, De rerum natura iuxta propria principia (Napoli 1570), a cura di A. Ottaviani, Torino, Aragno, 2010.

Studi Fiorentino

F. Fiorentino, Bernardino Telesio, ossia studi storici sull’idea della natura nel risorgimento italiano, 2 voll., Firenze, Le Monnier, 1872-1874. De Franco 1988 L. De Franco, Filosofia e scienza in Calabria nei sec. xvi e xvii , Cosenza, Periferia, 1988. De Franco 1989 L. De Franco, Bernardino Telesio: la vita e le opere, Cosenza, Periferia, 1989. De Franco 1995 L. De Franco, Introduzione a Bernardino Telesio, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 1995. R. Bondì, Introduzione a Telesio, Bari, Laterza, 1997. Bondì

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Indice dei nomi

INDICE DEI NOMI

A

bbate, F., 26n Accattatis, L., 116n, 146 e n Aceti, A., 115n Aconcio, I., 61 e n Agostino di Ippona, 155n, 157 Agrimi, M., 41 Akakia, M., 51n Alberigo, G., 32n, 33 e n Alberto Magno, 72 Alcaro, M., 9, 13 Alepo, S., 32 Alessandro di Afrodisia, 45 e n, 46, 48-49, 60, 71, 76 e n, 77 e n, 81 Alessandro Magno, 51n, 125 e n Alfonso Carafa, duca di Nocera, 125 Al-Ghazālī (Algazel), 156n Alhazen (Ibn al-Haytham), 55, 59 e n, 60 Allen, M. J. B., 73n Alois, G. F., 26 Althoff, J.,78n Amaduzzi, G. C., 116n Amaltea, G., 61 Amerio, R., 47n, 124n Ammonio di Ermia (Ammonius Hermiae), 76 e n, 77 Anassagora, 150 Anassimandro, 150 Anassimene, 134 Anisio, C., 27 Anisio, G. F. (detto Giano), 24, 25 e n, 27 Anselmo d’Aosta, 155n, 158n, 164n Apollonio di Perge, 55 Apollonio Rodio, 34 Archita, 136 Argentieri-Piuma, G., 115n, 124 e n Ariosto, L., 36, 135n Aristofane, 34 Aristotele (lo Stagirita), 16, 19, 35, 36n, 37 e n, 38 e n, 39 e n, 42, 45 e n, 46, 47 e n, 48, 51 e n, 59-61, 63, 65-67, 69, 71 e n, 72 e n, 73 e n, 74n, 75, 76 e n, 77 e n, 78 e n, 79, 80 e n, 81 e n, 82 e n, 83e n, 85, 87 e n, 88-91, 92 e n, 93-94, 95 e n, 97, 107n, 108, 110, 112n, 115 e n, 117, 119-120, 125 e n, 134, 136n, 137, 147148, 155 e n, 157-158, 164n,

Arnim, H. von, 142n Artese, L., 38 e n, 39 e n, 40 e n, Asor Rosa, A., 36n Augenii, S. (detto Paparella), 38 Avancius, H., 19n Averroè, 60, 72, 76n, 78n, 79, 88, 95-96, 155n, 163 Avicenna, 60, 72, 88,

B

ackus, I., 26n Bacon, F., 40-41, 49, 98n, 117, 133, 134 e n, 135, 137, 138 e n, 139 Bacon, R., 55 Badaloni, N., 78n Baffetti, G., 46n Baldi, M., 74n Balme, D. M., 71n Bandinelli, A., 104 Bandini Piccolomini, F., 32 Barbaro, D., 55 Barbaro, E., 48n Barozzi, F., 61 Bayle, P., 148 Beccadelli, A. (detto il Panormita), 16 Bembo, P., 30n Bentham, J., 161n Bernaudo, G. M., 111 Berni, S., 156n Bessarione, B., cardinale, 39, 150 Bianchi, M. L., 74n, 78n, 160n Bisicchia, A., 35n Blado, A., tipografo, 100 Boccaccio, G., 107n Boehmer, E., 25 e n Boezio di Dacia, 156n Boezio, S., 19 Bolzoni, L., 110n, 133n Bonaventura da Bagnoregio, 163 Bondì, R., 11, 17 e n, 45, 71n, 78n, 86 e n, 87n, 91, 94, 97-98, 101n, 134n, 147 e n, 149n, 150n Bonfadio, J., 26 Boni, J. A., 44 Bonora, E., 112n Bornemisza, P., 34

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indice dei nomi

Borrelli, A., 110n Borromeo, C., 122 Borromeo, F., 38 Bosco, G., 145 e n, 149n Bottin, F., 90n, 156n Boyle, R., 79 e n Bozzetti, C., 29 e n Breseña, I., 26 Brucker, J. J., 133-134 Bruni, F., 112n, 113n Bruno, G., 16, 41 e n, 46, 47n, 61, 110, 111 e n, 124n, 136, 140, 141 e n Bruns, I., 77n Bugeja, G., 121n Busse, A., 76n

C

accamo, D., 136n Caietano, vd. De Vio, T. Calcondila, D., 24n Calcondila, T., 24n Caldora, V., 86n Calvo, M. F., 74 e n Calzona, A., 107n, 112n Campanella, T., 20, 42 e n, 47n, 61, 98n, 115 e n, 116 e n, 118, 119 e n, 120 e n, 121 e n, 122, 124 e n, 125 e n, 126, 133, 136 Campeggi, G. B, 32 Campeggi, T., 32 Campolongo, A., 124n Canziani, G., 74n Caparello, A., 47n Caracciolo, G., 26 e n Carafa, R., 26 Cardano, G., 20, 61, 62 e n, 73 e n, 74 e n, 75 e n, 77, 78 e n, 79 e n, 150 Carlo V, imperatore, 23, 24 e n, 25, 31, 122, 125 Carnesecchi, P., 26 Caro, A., 36 e n Caroti, S., 107n, 112n Carrai, S., 44n Carrara, M., 90n Carrer, L., 44n Caserta, N., 26n Cassar, G., 122n Castellani, G., 44 e n Castelvetro, L., 36, 44 Cato, E., 41 Cato, R., 41

Catullo, G. V., 115, 128 Celse-Blanc, M., 107n Cerbo, A., 34 e n, 35n Cervini, M., 32 Cesareo, G., 116 Chalon, F., 24n Cicala, A. P., 25 Cicalà, S., vd. Pascia, S. Cicerone, 16, 19, 21 e n, 22n, 25, 27n, 142 e n, 160n Ciliberto, M., 111n Cione, E., 25n, 26n Cirba, C., 26 Cirino, R., 65 Clemente VII, papa, 23, 25, 116 Colonna, V., 18n Commandino, F., 55 Cornacchioli, T., 31 Cornarius, J., 74 e n, 75n Cornelio, T., 43, 148 Corner, G., 39 Costil, P., 135n Cotugno, D., 102 Cremonini, C., 42 e n Crisario (o Crysario), F., 115 e n, 116n Croce, B., 23 e n, 25 e n, 26 e n, 29n Crupi, G., 23n, 146 e n Crupi, P., 36n Cudworth, R., 79 e n

D’Amato, E., 145 e n, 146-147, 148 e n, 149 e

n, 150 e n, 151 e n, 152 e n d’Avalos, C., 26 d’Este, I., cardinale, 44 Darwin, C., 93 Davanzati, F., 44 Davis, E. B., 79n de Amato, L., 23 De Anna, G., 85, 90n, 161n De Bellis, E., 155n De Caro, G., 125n De Franco, L., 31n, 39, 41n, 42n, 58, 61n, 65 e n, 66, 71n, 75n, 78n, 86 e n, 91, 97 e n, 100n, 115n, 125n, 137n, 147 e n, 149n, 151n, 160n De Frede, C., 18n, 25n, 26 e n, 27n, 30 e n, 35n De Lacy, P., 76n De Lucca, J. P., 115, 124n De Mas, E., 134n

indice dei nomi De Miranda, G., 101n de Moerbeke, G., 45n De Nobili, B., 32 De Ragazonibus T., 19n de Toledo, G., 123 De Tommaso di Gallipoli, G., 116 De Valdés, J., 25 e n, 26 e n de Valette, J., 123 e n, 128 De Vio, T. (detto il Caietano), 18n Del Soldato, E., 112n Delfino, F., 61 Della Casa, G., 44 e n Della Porta, G. B., 118 e n, 119 e n, 127 Della Rocca, A., 35n Della Torre, G., 25 Democrito, 134, 150 Derenzini, G., 41n, 136n Descartes, R., 63, 117, 147 Di Capua, P., 26 Di Napoli, G., 95n Di Tarsia G., 18n, 29n Di Tarsia V., barone di Belmonte, 18n Diogene Laerzio, 19, 142 e n Dionigi Aeropagita, 158 Dionisotti, C., 36 e n Distaso, G., 34n, 35n Doglio, F., 36n Doni, A., 136 e n Doninelli, A., 45n Dragut, 123 e n Dudith-Sbardellati, A., 41, 135 e n, 136 e n, 137 Duns Scoto, 155n, 156n, 159n, 161 e n, 163 Durkheim, E., 159n

E

lías de Tejada, F., 118n, 125n Elisabetta I, regina d’Inghilterra, 139 Ellero, M. P., 107n Empedocle, 150 Enrico di Gand, 163 Epicuro, 49, 141n Eraclito, 134 Erasmo da Rotterdam, 25 e n, 26, 28, 36 Ernst, G., 71n, 115n, 116n, 119n, 121n Eschilo, 34-35 Euclide, 19, 53, 135n Euripide, 24n, 34-36 Eustazio (o Eumazio) Macrembolita, 31

Fallani, G., 35n

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Fanelli, C., 23 e n, 30n Farnese, A., duca di Parma e Piacenza, 116117 Farnese, O., cardinale, 116, 119-120, 122-123 Farnese, O., duca di Parma e Piacenza, 119 Farnese, R., 116, 119, 122-123 Fascitelli, O., 28 Fattori, M., 160n Federici Vescovini, G., 72n Femiano, S., 98n Ferdinando II (o Ferrante II) Carafa, duca di Nocera, 51n, 66 e n, 125 Fernel, J., 73 e n, 74 e n, 75 e n, 77, 79n Ferrante Carafa, marchese di San Lucido, 118, 120n, 124, 125 e n Ficino, M., 20, 49 e n, 73 e n, 150 Filiberto di Châlons, principe d’Orange, 24 Filippo II, re di Spagna, 122, 125 Filocalo, G., 35 Filopono, G., 77 e n, 81 Fioravanti, M., 160n Fiore, F. P., 107n Fiorentino, F., 17 e n, 19-20, 24n, 31n, 33n, 37 e n, 38, 45n, 86n, 105n, 117 e n Firpo, L., 86n, 100n, 115n Flaminio, M., 26 Fonseca, G., vescovo di Castellammare di Stabia, 32 Forrester, J. M., 74n Foscarini, F., 145 Foscarini, P. A., 145 Foscolo, U., 116n Fracastoro, G., 47 e n, 48, 49 e n Frajese, V., 120n Franchini, F., 25 Fratta, A., 43n, 111n, 112n Frega, G., 66n Freller, T., 121n, 123n Freudenthal, G., 71n, 74n, 78n, 79n

Gadaldini P., tipografo, 44

Gaffarel, J., 119 Galasso, G., 25n Galati, V. G., 146 e n Galeazzi, U., 163n Galeno, 47n, 49 e n, 51, 76 e n, 139 Galilei, G., 67, 110, 162-163

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indice dei nomi

Garin, E., 40, 86 e n, 99 e n, 102n, 149n Gassendi, P., 73n Gaurico, P., 76n Gelli, G. B., 112 e n Gemma, C., 73n, 75 e n, 77, 79n Gentile, G., 86 e n, 99-100, 102 Genua, vd. Passeri, M. A. dei Gerstinger, H., 28n Gesù Cristo, 33-34, 158n Geymonat, L., 41n, 136n Ghisalberti, A., 86n, 88n Giachetti Assenza, V., 98n, 134 e n Giacomelli, G., vescovo di Belcastro, 32 e n Giacomo da Pistoia, 156n Giacomo I, re d’Inghilterra, 139 Giberti, M, 18n Giglioni, G.,74n Gilson, E., 88n Giovanna d’Aragona, duchessa di Paliano, 26 Giovanni di Jandun, 60 Giovanni, apostolo, 125n Giovio, P., 18 e n Girard, R., 159n Giulio III, papa, 33, 112n Giustino, santo, 158 Goffredo di Fontaines, 163 Gonzaga, D., 26 Gonzaga, G., 25n, 26 e n Gradi, P., 38 Gregory, T., 158n Gualdo, R., 74n Guglielmo di Conches, 158n Guglielmo di Ockham, 158n, 159n Guzzo, A., 47n, 124n

H

ankins, J., 77n Hare, R. M., 159n Harriot, T., 139, 143n Hartley, D., 162n Hayduck, M., 76n Heinze, R. H., 72n Henry, J., 74n Herberger, M., 158n Hill, N., 139 e n, 140, 141 e n, 142 e n, 143 e n Hirai, H., 71, 72n, 73n, 74n, 75n, 79n, 155 Hobbes, T., 117, 138 e n, 139, 161, 162n Hues, R., 139 Hume, D., 156n, 157, 163n

Hunter, M., 79n Hutcheson, F., 161n

I

mperiale, G., 60n Ingegno, A., 78n, 79 e n Iovine, M. F., 136n, 137n Ippocrate, 51, 71, 73 e n, 74 e n, 75 e n, 76n, 77 e n, 79 e n, 81 e n

J

acquart, D., 72n, 74n, 75n Jedin, H., 32n

K

eck, F., 159n Kepler, J., 55, 139 Kessler, E., 74n Kircher, A., 148n Kraye, J., 77n Kühn, C. G., 76n

L

anza, D., 71n Lascaris, C., 35n Lasserre, F., 74n Lattanzio, maestro di grammatica, precettore di Coriolano Martirano, 24, 31 e n Legendre, P., 155, 156 e n, 158n, 159 e n, 160 Leibniz, G. W., 79 e n, 90 Lennox, J. G., 71n Leomker, L. E., 79n Leone X, papa, 18 e n Leoniceno (o da Lonigo), N., 72n Leonico Tomeo, N., 60 Lerner, M. P., 76n, 95n, 135n, 136n, Lévi-Strauss, C., 159 e n Librandi, R., 107n Lindberg, D. C., 59n Lipsio, G. (Lipsius, J.), 79 e n Littré, É., 74n, 77n, 81n Lo Parco, F., 24n Lohr, C. H., 38n, 77n Lombardi, B., 36 Lucrezio, 16, 19 e n, 141n Luigi XIV, re di Francia, 121 Lupi, F. W., 28n, 37n, 101n

Maccagni, C., 41n, 136n

Maggi, V., 15, 36, 37 e n, 38, , 41-43, 44 e n, 45, 101n Magno, M., 25 Magrin, S., 90n

indice dei nomi Maierù, L., 51, 67-68 Malaguzzi, O., 44 Maloney, G., 74n Mangione, C., 41n, 136n Manilio, M., 16, 19 Manrique Bresegna, I., 31 Manrique, G., 31 Mansion, A., 72n, Manuzio, A., 35-36, 39n Manuzio, P., 38 e n Manzuoli (o Manzoli), B., 44-45 Maranta, A., 39n Maria d’Aragona, marchesa del Vasto, 26 Marino, G., 46 e n Martelli, F., 65 e n, 102n, 103 e n, 104, 105 e n, 106 e n, 107, 108n, 110-111, 113 Martin, A., 76n Martirano, B., 16n, 17n, 18, 19 e n, 20, 23n, 24 e n, 25 e n, 26, 27 e n, 28, 29n, 30n, 31n, 32n, 33n Martirano, C., 16n, 17n, 18, 20, 23 e n, 24 e n, 25 e n, 26-28, 29 e n, 30 e n, 31 e n, 32 e n, 33 e n, 34 e n, 35 e n Martirano, G., 24n Martirano, M. (detto Marcio o Marzio), 2526, 30, 33 Martirano, O., 28 e n Martorelli Vico, R., 72n Mastrogiudice, A., 132 Mattei, S., 18n Maurolico, F., 55 Mauss, M., 159n Mazzacurati, G., 107n Medici, F. dei, cardinale, 103 Melisso di Samo, 39 Menegaldo, R. A., 116n Mercati, G., 27n Mercati, S. G., 103n Merenda, A., 26n Merkle, S., 32n Michele di Efeso, 71 Minadois, G., 27 Minervini, P., 145 e n Minonzio, F., 18n Mizauld, A., 74n Mocchi, G., 13 Mondrain, B., 74n Monfort, M. L., 75n Montecatini, A., 41

173

Montesinos, J. F., 25n Moraux, P., 72n Movia, G., 76n, 87n Mudry, P., 74n Mulsow, M., 71n, 79n Mund-Dopchie, M., 34-35 Musa Brasavola, A., 41 Musso, C., 32 Muti, F., 41

N

ardi, B., 72n Nardi, C., 145n, 146 e n Nardi, G. M., 72n Naudé, G., 62, 152 Nenci, E., 74n Nifo, A., 18 e n, 25, 27, 61, 94, 155n Nobili, F., 41 Nowicki, A., 146 e n Nussbaum, M. C., 87n

O

akeshott, W., 139n Ochino, B., 26 Oksenberg Rorty, A., 87n Olimpiodoro (Olympiodorus Alexandrinus), 77, 81 Orazio, 18n, 19 e n, 35 Orsini, F., 32, 101 e n, 103 Ottaviani, A., 37n, 99, 102n Ovidio, 19, 28

Padovani, A., 160n

Pagallo, G. F., 42n Pagano, A., 20 Pagnotta, F., 160n Paladini, M. A., 19n Palermo, F., 103 e n Palmer, A., 71n Palmerino, C. R., 77n Panormita, Il, vd. Beccadelli, A. Paolo di Tarso, 25 Paparella, S., vd. Augenii, S. Parisio, G. P., vd. Parrasio, A. G. Parisoli, L., 155 e n, 161n Parmenide, 39 e n, 40, 105, 133-134, 136 e n Parrasio, A. G., 15, 17, 18 e n, 19 e n, 20, 22, 24 e n, 27-28, 29 e n, 35 e n, 43 Paschetto, E., 72n Pascia, O., 117 Pascia, S. (o Cicalà, S.), 117

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indice dei nomi

Passeri, M. A. dei (detto il Genua), 38, 94, 155n Patrizi da Cherso, F., 39 e n, 40 e n, 41, 43 e n, 100, 104n, 105 e n, 106-107, 133 e n, 135 e n, 136 e n Pausania il Periegeta, 19 Pazzi de’ Medici, A., 36 Pellicano Castagna, M., 124n Pelusio, G., 115 e n, 116 e n, 117 e n, 118 e n, 119-120, 121 e n, 122 e n, 123 e n, 124 e n, 125-126, 130 Pennuto, C., 49n Percauti, A., 26n Pèrcopo, E., 24n Percy, H., 139 Perrone Compagni, V., 112n Persio, A., 38 e n, 39 e n, 40 e n, 41-42, 45, 104n, 135-137, 139 Petrarca, F., 30 e n, 107n Piccolomini, A., 36, 44 e n, 61, 107 e n, 112 en Pico della Mirandola, G. F., 39 Pico della Mirandola, G., 156n Pier Damiani, 156n Pieri, M., 36n Pierozzi, L., 102n, 103n, 104n, 105n, 107n Pietro d’Abano, 72 e n Pietro di Giovanni Olivi, 163n Pietro, apostolo, 117 Pigeaud, J., 79n Pindemonte, I., 116n Pinelli, G. V., 38, 41, 136 e n Pio IV, papa, 116, 122 Pio, G. B., 19n Piro, R., 107n Piromalli, A., 23n Pisanelli, G. A., 27 Pitagora, 117-119, 136 Plaisance, M., 104n, 107n Plastina, S., 13, 16n, 133, 136n, 139n Platone, 19, 73, 134, 157-158 Policrate, tiranno di Samo, 117 Pometti, F., 23 e n, 24n, 25n, 30 e n, 31 e n, 32n, 33n Pomponazzi, P., 42, 45 e n, 112n Pontano, G., 16, 19 e n, 27, 43 Pontieri, E., 26n, 86n, Poppi, A., 42n, 95n, 96 Porfirio, 76n

Portocarrero, P., 116 Porzio, S., 38, 42, 44, 112 e n, 113n Pozzi, M., 44n, 107n Prandi, S., 41n Preus, A., 71n Prins, J., 139n Proclo, 19, 158 Pseudo-Alessandro, 76n

Quattromani, S., 28 e n, 29 e n, 30, 37 e n,

42, 43 e n, 101 e n, 110 e n, 111 e n, 112n Quintiliano, M. F., 25

Raffaelli, M., 98n

Raimondi, E., 36n Raimondi, G. B., 136n, 137 Rainolds, J., 139 Ralegh, W., 139 Ramée, P. de la (Ramo, P.), 61, 63 e n Rees, V., 73n Ribémont, B., 72n Ricci, S., 100 e n, 101 e n, 102n, 103n Riccoboni, A., 36 Richelieu, A. J. du Plessis de, cardinale, 119 Riondato, E., 42n Risner, F., 55, 59n, 60 Robinet, A., 63 e n Robortello, F., 35n, 36 Rochon, A., 104n, Romei, A., 41 e n Romeo, L., 145n, 147n Rossi, P., 134n, 135n, 149 e n Rota, B., 25, 118 e n Rott, J., 26 Roverella, F., vescovo di Ascoli Piceno, 32 Ruffo, G., 123 Russo, F., 23n, 145n Russo, T., 162n

S

aggi, L., 145n Saitta, G., 85n Sakamoto, K., 71n, 74n Sambuco, G., 28 e n, 29 Sanfelice, G. T., 26 Sannazaro, J., 27 e n, 28 e n, 30n, 35 Sardi, A., 44-45 Sárközy, J., 34 e n Sarpi, P., 31n, 32 e n, 33n Savile, H., 41 e n, 135 e n, 136 e n, 137 e n, 139

indice dei nomi Savoie, R., 74n Sbaragli, L., 30n Scaligero G. C., 16, 74n Scanderbeg Castriota, G., generale albanese, 124 Scanderbeg Castriota, G., marchesa di Città Sant’Angelo, 125 Scapparone, E., 99, 102n, 103n, 104n, 105n, 107n Schegk, J., 73n Schönberg N. von, 27 Schöner, E., 74n Schuhmann, K., 75n, 138 e n Schütze, I., 74n Scipioni Crostarosa, N., 122 e n Scoto Eriugena, G., 160n Segni, B., 36 Séguenny, A., 26n Selmi, E., 37 Seneca, 19, 34 e n, 148 Senofane, 150 Senofonte, 19 Sereno di Antinoe (o di Antissa), 55 Sergio, E., 15, 16n, 18n, 24n, 71n Seripando, A., 27 e n, 29 e n Seripando, G., 29, 32n, 35 Severino, M. A., 43 Sifola, S., 132 Sigieri di Brabante, 60, 88 Simonetta, G. M., tipografo, 25n, 33-34 Simplicio, 39, 60, 71 Siraisi, N. G., 79n Sirigatto, F., 27 Sirleto, F., 122n Sirleto, G., cardinale, 100n, 121, 122 e n Sirleto, M., 122n Sirleto, T., 122n Sirri, R., 41n, 101n, 133n Smet, A. J., 45n Sofocle, 24n, 34-35 Soleri, G., 92n, 95n Solimano I (Sulaimān), 123 e n, 128 Solmsen, F., 71n Sorge, V., 163n Soto, D. de, 161 e n Spampanato, V., 99 Speroni, S., 44 e n, 107n, 112n Spini, G., 86n Spoerri, W., 74n

175

Spruit, L., 79n, 94 e n, 95 e n, 97, 143n Stone, M. W. F., 77n Strabone, 19 Suarez, F., 163n Szapessy, T., 135n Szczucki, L., 135n

Tacito, 135n

Tafuri, G. B., 146 e n Tagliavia, P. di Castelvetrano, arcivescovo di Palermo, 32, 33n Talete, 65, 134 Tansillo, L., 24 e n Tasso, T., 41, 43-44, 46 e n, 47, 123 e n Taurello, N., 136 Telesio, A., zio di Bernardino, 15, 16 e n, 17 e n, 18 e n, 19, 20 e n, 21 e n, 22 e n, 50, 59 Telesio, M., nipote di Bernardino, cav. di Malta, 123-124, 131-132 Telesio, T, arcivescovo di Cosenza, 116-117, 127 Telesio, V., fratello di Bernardino, 123 Telesio, V., nipote del cav. Maurizio Telesio, 124 Temistio, 46, 48 e n, 60, 72 e n Tenenti, A., 107n Tertulliano, 19 Theiner, A., 30n Tierney, B., 160n Tiraboschi, G., 37n, 38n Tissoni, R., 112 Todd, R. B., 72n Toledo, F. da, 31 Tolomei, C., 29, 30 e n Tolomei, G. B., 16n Tolomeo, C., 16, 19, 51, 60, 62 Tommaso d’Aquino, 47 e n, 72, 88, 90n, 9596, 155n, 156n, 157n, 158n, 159, 163 Topius, V., 24n Torrini, M., 41n, 101n, 133n Trabucco, O., 99n Travi, E., 30n Tristano, C., 29n Troilo, E., 43n Turchi, F., 30n Turrisano, F., 60n

U

ghelli, F., 23n Ugo di Digne, 164n Ursina, C., 26

176

Valente, G., 123n

Valla, G., 36, 60 Van der Lugt, M., 73n Vasoli, C., 39 e n, 101n, 107n Vecce, C., 27 e n, 28 e n, 30 e n, 31n Vecchietti, G. B., 28 e n, Vegetti, M., 71n Vermigli, P. M., 26 Vettori, P., 36, 38, 44 e n Virgilio, 36n, 121 Vitale, F., 116 Vitale, S., 118n Vitelli, H., 77n

indice dei nomi Vivanti, C., 31n, 32n Voegelin, E., 161n

Warner, W., 139 e n, 140

Widmanstetter, J. A., 26 e n, 27 e n, 29, 30n, 31n, 35 Williams, C. J. F., 77n Witelo, E. C. (Vitellius), 55, 59 e n, 60 Wittgenstein, L., 158

Zabarella, J., 42 e n, 61

Zangari, D., 24n Zavarroni, A., 116n, 146 e n Zenone, 22



co mp osto, in car atter e dan t e m on oty pe, da l la fabrizio serr a editore, p i s a · rom a . imp r ess o e r ilegato in i ta l i a n e l la t ip o g r afia di ag nan o, ag na n o p i s a n o ( p i s a ) . * Ottobre 2012 (cz2/fg13)

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B RU N I A NA & C A MPA NELLI A NA Ricerche filosofiche e materiali storico-testuali supplementi Collana diretta da Eugenio Canone e Germana Ernst i. Brunus redivivus. Momenti della fortuna di Giordano Bruno nel xix secolo, a cura di Eugenio Canone, pp. xlv-338, 1998 [studi, 1]. ii. Ortensio Lando, Paradossi. Ristampa dell’edizione Lione 1543, presentazione di Eugenio Canone, Germana Ernst, pp. xviii-232, 1999 [testi, 1]. iii. Antonio Persio, Trattato dell’ingegno dell’Huomo, in appendice Del bever caldo, a cura di Luciano Artese, pp. xii-312, 1999 [testi, 2]. iv. Enzo A. Baldini, Luigi Firpo e Campanella: cinquant’anni di studi e ricerche, in appendice Luigi Firpo, Tommaso Campanella e la sua Calabria, pp. 68, 2000 [bibliotheca stylensis, 1]. v. Tommaso Campanella, Lettere (1595-1638), a cura di Germana Ernst, pp. 176, 2000 [bibliotheca stylensis, 2]. vi. Germana Ernst, Il carcere, il politico, il profeta. Saggi su Tommaso Campanella, pp. 192, 2002 [studi, 2]. vii. Letture bruniane (1996-1997), a cura di Eugenio Canone, pp. x-322, 2002 [studi, 3]. viii. Eugenio Canone, Il dorso e il grembo dell’eterno. Percorsi della filosofia di Giordano Bruno, pp. xii-256, 2003 [studi, 4]. ix. Mario Equicola, De mulieribus. Delle donne, a cura di Giuseppe Lucchesini, Pina Totaro, pp. 8o, 2004 [materiali, 1] x. Luigi Guerrini, Ricerche su Galileo e il primo Seicento, pp. 200, 2004 [studi, 5]. xi. Giordano Bruno in Wittenberg (1586-1588). Aristoteles, Raimundus Lullus, Astronomie, hrsg. von Thomas Leinkauf, pp. viii-152, 2004 [studi, 6]. xii. Margherita Palumbo, La Città del Sole. Bibliografia delle edizioni (1623-2002), con una appendice di testi critici, pp. 116, 2004 [bibliotheca stylensis, 3]. xiii. Francesco Paolo Raimondi, Giulio Cesare Vanini nell’Europa del Seicento, con una appendice documentaria, pp. 580, con figure b/n, 2005 [studi, 7]. xiv. Girolamo Cardano, Come si interpretano gli oroscopi, introduzione e note di Ornella Pompeo Faracovi, traduzione del De Iudiciis geniturarum di Teresa Delia, traduzione del De exemplis centum geniturarum e dell’Encomium astrologiae di Ornella Pompeo Faracovi, pp. 108, con figure b/n, 2005 [testi, 3]. xv. Enciclopedia bruniana e campanelliana, diretta da Eugenio Canone, Germana Ernst, vol. i, cura redazionale di Dagmar von Wille, pp. xiv, coll. 368, con figure b/n, 2006 [enciclopedie e lessici, 1]. xvi. The Alchemy of Extremes. The Laboratory of the Eroici furori of Giordano Bruno, a cura di Eugenio Canone, Ingrid D. Rowland, pp. 176, 2006 [studi, 8]. xvii. Nicholas Hill, Philosophia Epicuraea Democritiana Theophrastica, a cura di Sandra Plastina, pp. 192, 2007 [testi, 4].

xviii. Francesco La Nave, Logica e metodo scientifico nelle Contradictiones logicae di Girolamo Cardano, con l’aggiunta del testo dell’edizione lionese del 1663, pp. 100, 2006 [materiali, 2]. xix. Giordano Bruno, Centoventi articoli sulla natura e sull’universo contro i Peripatetici. Centum et viginti articuli de natura et mundo adversus Peripateticos, a cura di Eugenio Canone, pp. xxii-54, 2007 [testi, 5]. xx. Dario Tessicini, I dintorni dell’infinito. Giordano Bruno e l’astronomia del Cinquecento, pp. 205, 2007 [studi, 9]. xxi. Tommaso Campanella, Sintagma dei miei libri e sul corretto metodo di apprendere. De libris propriis et recta ratione studendi syntagma, a cura di Germana Ernst, pp. 136, 2007 [bibliotheca stylensis, 4]. xxii. Gian Mario Cao, Scepticism and orthodoxy. Gianfrancesco Pico as a reader of Sextus Empiricus, with a facing text of Pico’s quotations from Sextus, pp. xviii-104, 2007 [materiali, 3]. xxiii. Luis Vives, L’aiuto ai poveri (De subventione pauperum), a cura di Valerio Del Nero, pp. viii-116, 2008 [materiali, 4]. xxiv. Cornelius Gemma. Cosmology, Medicine and Natural Philosophy in Renaissance Louvain, a cura di Hiro Hirai, pp. 160, 2008 [studi, 10]. xxv. Gabriel Naudé, Epigrammi per i ritratti della biblioteca di Cassiano dal Pozzo, a cura di Eugenio Canone, Germana Ernst, traduzione di Giuseppe Lucchesini, pp. 64, 2009 [testi, 6]. xxvi. Sylvie Taussig, L’Examen de la philosophie de Fludd de Pierre Gassendi par ses hors-texte, pp. viii-100, 2009 [materiali, 5]. xxvii. Giordano Bruno, Acrotismo Cameracense. Le spiegazioni degli articoli di fisica contro i Peripatetici, a cura di Barbara Amato, pp. 144, 2009 [testi, 7]. xxviii. Enciclopedia bruniana e campanelliana, diretta da Eugenio Canone, Germana Ernst, vol. ii, cura redazionale di Giuseppe Landolfi Petrone, pp. xvi, coll. 402, 2010 [enciclopedie e lessici, 2]. xxix. Tommaso Campanella, Selected Philosophical Poems, edited, annotated, and translated by Sherry Roush, pp. 172, 2011 [testi, 8]. xxx. Bertrando Spaventa, Scritti sul Rinascimento (1852-1872), con appendice e materiali testuali, a cura di Giuseppe Landolfi Petrone, pp. 390, 2011 [testi, 9]. xxxi. Eugenio Canone, L’Argomento degli Eroici furori di Bruno, pp. 128, 2011 [materiali, 6]. xxxii. Ornella Pompeo Faracovi, Lo specchio alto. Astrologia e filosofia fra Medioevo e prima età moderna, pp. 212, 2012 [studi, 11]. xxxiii. Emblematics in the Early Modern Age. Case studies on the interaction between philosophy, art and literature, edited by Eugenio Canone, Leen Spruit, pp. 120, 2012 [studi, 12]. xxxiv. Christophe Poncet, La scelta di Lorenzo. La Primavera di Botticelli tra poesia e filosofia, testo francese con traduzione italiana di Germana Ernst, pp. 120, 2012 [ studi, 13]. xxxv. Bernardino Telesio tra filosofia naturale e scienza moderna, a cura di Giuliana Mocchi, Sandra Plastina, Emilio Sergio, pp. 184, 2012 [studi, 14].