Archeologia della morte 8843061003, 9788843061006

Che ruolo avevano i riti funerari nell'organizzazione sociale del mondo antico? Qual era il loro significato simbol

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ARCHEOLOGIA

L'editore è a disposizione per i compensi dovuti agli aventi diritto.

2' ristampa, giugno 2015 l'edizione, settembre 2011 ©copyrig ht 2011 by Carocci editore S.p.A., Roma Editing e impaginazione Fregi e Majuscole, Torino ISBN

978-88-430-6100-6

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anc h e parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. l lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a:

Carocci editore Corso Vittorio Emanuele 11, 229

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Nicola Laneri

Archeologia della morte

Carocci editore

A Mauro

Nota Il riquadro contrassegnato dalla bussola un approfondimento .

(§) contiene

Indice Introd uzione

7

1.

Approcci a l lo stud io dei riti fu nebri

1.1.

Il rito f u n ebre e la col l ettività

1.2.

Rito, mito e a n tenati

1.3.

Elaborazione d e l l utto

1.4.

Da l l ' a rcheologia fu n e ra ri a a l l a new archaeo/ogy

1.5.

L'archeolog i a inte rpretativa e contestuale

2.

I l pote re d e l corpo

2.1.

Il va lore c u l t u ra l e d e l tratta mento del corpo

2.2.

Mod alità di deposizione del cadavere

2.3.

L'i n u mazione

2.4.

La m u m mificazione

2.5.

La cremazione

11

11

13 17

32 32

35

39 40

43

2.6.

Il corpo m uti lato

2.7.

Qu ando m a nca i l corpo

3.

La tom b a , i l corredo e l e offe rte fu n e b ri

3.1.

l resti del rito f u n ebre

3.2.

Le necropol i

3·3·

Luoghi della memoria col l ettiva

46 48

53

Le depos izioni sotterra nee

3.6. Tombe e paesa ggio 3.7.

52

52

3.4. Il tipo d i depos izione funera ria 3.5.

20

26

55 59

6o

65

Le strutt u re funera rie

3.8.

l conte n i tori fu n e ra ri

3.9.

l corre d i f u n e ra ri

72 76

80

3.10. Statistica, informatica e pratiche funera rie

85

5

4.

La morte tra i vivi

4.1.

Gli a spetti ideologici de l ritu a l e funera rio

4.2. Morte e ra n go sociale

89 89

91

4.3. La morte d e i sovra ni e le tombe monu mentali 4.4. G l i e roi e la "be l l a morte" 4.s. Il c u l to deg l i a n tenati

104

109

4.6. L ' u so dei resti u m a n i pe r ricorda re i defunti

5.

5.1.

Eros e Thanatos: la morte com e esperie nza d i rinascita Morte e fe rti l ità

115

s.2. Le ste le funera rie s.3.

s.4. Il sacrificio s.s.

118

Il banchetto f u n e ra rio

121

12 4

L'iconografia fu n e ra ri a

127

s.6. L ' a ldilà, l ' i m morta l ità e i testi

Bi b l i ografia

6

134

97

130

111

115

Introduzione Quando ci siamo noi, non c'è la morte, e quando c'è la morte, non ci siamo noi. Epicuro, Lettera sulla felicità (a Meneceo), 125

La sepoltura del corpo di un defunto e la pratica di cerimonie fune­ bri ad essa associate sono elementi imprescindibili nella distinzione tra esseri umani e animali e caratterizzano l'evoluzione culturale e sociale dell' umanità sin dai primi esempi di deposizione funeraria volontaria, come la famosa " tomba con fiori " neandertaliana ritro­ vata all'interno di una grotta presso il sito di Shanidar, in Iraq setten­ trionale, e databile a circa 6o.ooo anni or sono. Anche se altre scoper­ te fanno ipotizzare che le prime sepolture formali di esseri umani risalgano addirittura al Pleistocene Medio (circa 350.000 anni fa) , è l'esempio di Shanidar che meglio testimonia l'importanza della defi­ nizione della valenza spirituale della morte nella fase fondante del processo di evoluzione dell'essere uman o . La morte è infatti un momento drammatico, che non comporta solo il termine della vita biologica di un individuo e il dolore della comunità dei vivi per la perdita di un suo membro , ma soprattutto definisce le regole di socializzazione tra le persone che fanno parte di un determinato gruppo e modifica i sistemi di organizzazione sociale di un'intera comunità (Thomas, 1976) . La morte, il dolore per l'avvenimento, la perdita di un membro della società devono essere quindi gestiti dai vivi con la trasformazione di un evento naturale in un fenomeno culturale, che deve essere esteriorizzato tramite la creazione di regole sociali, ideologiche ed economiche attuabili attraverso la pratica di riti funebri che si succedono immediatamente dopo il decesso ( Laneri, 2007) . Questa dicotomia tra il biologico e il culturale nella ritualità funeraria fu brillantemente fatta notare da Benedetto Croce in alcuni passaggi dei Frammenti di etica ( 1 9 3 1 ; ed. 19 94, pp. 33-5), in cui il filosofo napoletano esternò, in modo chiaro e conciso, l'importanza delle pratiche funerarie nel superamento del lutto, osservando in panico7

lare che è «con l'esprimere il dolore, nelle varie forme di celebrazione e di culto dei morti» che «si supera lo strazio, rendendolo oggettivo» (ivi, p. 34) . Questa aggettivazione della morte da parte dei vivi rende l'esperienza dei riti funebri un evento sociale che racchiude al suo interno temi e pratiche simboliche, religiose e ideologiche diretta­ mente legati alla vita quotidiana della comunità di riferimento . Il superamento della morte di un individuo da parte del gruppo sociale di appartenenza deve quindi avvenire attraverso un costrut­ to culturale che separi il biologico dal sociale e che perciò imprima continuità alla morte biologica degli esseri umani grazie all' immor­ talità della memoria del defunto tra i vivi. Nel fare ciò, al corpo, essenza biologica dell'individuo, viene associata un'anima, elemen­ to culturale e sociale che ha le potenzialità di risolvere idealmente la fine fisica della vita umana. È attraverso l'attuazione di riti funebri che questa dicotomia viene espressa e superata grazie all'esaltazione dell'aspetto non corporeo del morto . La pratica di un rito funebre da parte del gruppo di riferimento (la famiglia, il clan, i cittadini), che esalti le gesta del defunto e renda pubblico il dolore dei cari riuniti attorno alla sua tomba, è un punto di partenza imprescindi­ bile per il superamento dell'assenza fisica del deceduto e l'esaltazio­ ne dell'immortalità della sua anima tra i membri della comunità dei vivi. In altre parole, la morte viene concepita e superata dalla socie­ tà combinando la dimensione immaginaria ( attraverso la creazione di storie mitico-religiose) con quella pratica (con la performance di riti) (Di Nola, 1966; ed. 1995, pp. 11-9) . Questo elemento emerge chiaramente nelle narrazioni mitologiche delle popolazioni antiche che, sin dalla stesura della saga di Gilga­ mesh in Mesopo tamia circa 5 . 000 anni fa ( una serie di tes ti che raccontano le avventure epiche del primo eroe della storia mondiale; cfr. PAR. 5.6), tentano disperatamente di trovare una chiave mentale per superare la mortalità degli esseri umani (Mander, 2009 ) . Com e stud i a re i riti fune b r i a nt i c h i È d a questo punto di partenza che archeologi, antropologi e storici devono accingersi all'arduo compito di far convergere entro un unico punto analitico 8

la dimensione biologica/naturale (rappresentata dai resti ossei del defunto reperiti dentro la tomba) e quella sociale/ culturale (racchiu­ sa invece nella cultura materiale visibile all 'interno del contesto archeologico oppure nei testi dedicati alla descrizione dei riti fune­ bri) della morte degli individui nelle società antiche. Il tentativo di coniugare questi due aspetti appare ben evidente nella storia degli studi sui riti funebri, sia tra le società antiche che tra quelle contem­ poranee (cfr. CAP. 1). In particolare, l'obiettivo dello studio dei riti funebri antichi deve essere quello di individuare un sottile filo comune che connetta le analisi dedicate alle modalità di trattamento del corpo del defunto (inumazione, cremazione, mummificazione ecc. ; cfr. CAP. 2), gli studi sulla localizzazione e sulla tipologia delle deposizioni funerarie e, infi­ ne, le ricerche dirette all'interpretazione dei corredi funerari e delle offerte poste sia all'interno che all'esterno delle tombe (CAP. 3). Nel far ciò , bisogna prestare molta attenzione all'interpretazione ideologica e simbolica delle cerimonie funebri, con particolare enfa­ si sulla presenza fisica e spirituale della memoria dei defunti nella comunità dei vivi ( C A P. 4). All'interno di questa visione del rito funebre, occorre evidenziare fortemente il rapporto metaforico che si instaura tra morte, fertilità e rinascita e come questo elemento sia rintracciabile tra le evidenze iconografiche e testuali delle comunità antiche (CAP. 5). Questo volume vuole quindi essere una guida basilare per studenti e studiosi interessati ad affrontare i significati sociali e culturali dei costumi funerari delle società antiche. Il suo obiettivo è nel contem­ po quello di evidenziare la dinamicità del dato storico e archeologi­ co, che deve essere sempre osservato e interpretato dallo studioso quale espressione materiale della pratica di riti e cerimonie da parte dei membri della comunità dei vivi.

9

1.

Approcci allo studio dei riti funebri

1.1. I l rito fu ne b re e l a col l ettività Sin dagli albori dell'antro­ pologia moderna, il tentativo di comprendere il significato della morte per i membri delle società antiche e contemporanee ha segna­ to il percorso di numerosi studiosi, che hanno tentato di legare la ritualità funeraria alle forme più remote di religiosità connesse al culto degli antenati e alla comprensione della dimensione sociale della morte tra i vivi ( Robben, 2004) . È in questa direzione che si devono inquadrare, ad esempio, i lavori di J ames Frazer, di Edward Tylor e di Lucien Lévy-B ruhl, che tra la fine del X I X e i primi decenni del x x secolo tentano di affrontare lo studio dei costumi funerari tra le popolazioni " primitive " enfatizzando soprattutto la paura del morto (e del suo fantasma) da parte della comunità dei vivi e il superamento di tale fobia attraverso la pratica di riti fune­ bri. In particolare, la prospettiva di analisi dei rituali funerari di questi studiosi è figlia dell'evoluzionismo sociale e culturale intro­ dotto in quegli anni da Charles Darwin e Herbert Spencer, e consi­ dera il culto dei morti e degli antenati come un prototipo nella scala evoluzionistica che ha portato alla creazione delle prime forme religiose (cfr. Fabietti, 2001, pp. 5-39) . N uova linfa vi tale all'analisi della dimensione sociale del rituale funerario fu apportata dagli antropologi francesi che, a partire dai primi anni del Novecento, compresero la fondamentale importan­ za di questa branca degli studi etnoantropologici. In particolare, furono gli adepti della scuola sociologica francese, fondata e capita­ nata da Emile Durkheim prima e da Marcel Mauss poi, a porre un accento più marcato sugli eventi rituali considerati quali fotti socia­ li, di cui si può capire la logica solo se li si interpreta alla stregua di fenomeni parziali di un più ampio sistema di regole che definisco­ no le modalità di aggregazione di un gruppo. Per Durkheim i fatti sociali rappresentano " maniere di fare " che esercitano una castri11

zione esteriore sugli individui, ne regolano la vita quotidiana e le forme di socializzazione e possono essere analizzati oggettivamente, come se fossero " cose materiali " . Questa prospettiva sociale dell'e­ vento rituale della scuola sociologica francese è estremamente inno­ vativa e segna gli studi delle società antiche, moderne e contempo­ ranee degli anni a venire. In questo ambiente vibrante e stimolante, Robert Hertz nel 1907 e Arnold van Gennep nel 1909 affrontano le tematiche rituali con due ricerche che diverranno pietre miliari nel campo degli studi dedica­ ti alla comprensione delle dinamiche sociali utilizzate dalle comu­ nità dei vivi per superare la perdita di un loro caro . Nell'ambito di questa visione sociale del rito, il giovane Hertz, nella sua pur breve vita, riuscì a scrivere uno degli studi più interessanti sul contesto funerario analizzando il rituale della deposizione secon­ daria (cfr. PAR. 2.2) degli individui appartenenti alle comunità indi­ gene dei Dayak delle isole del B o rneo (moderna Indonesia) per dimostrare che i rituali associati alla morte, come erano stati studia­ ti fino a quel momento, erano ben lungi dall'essere stati compresi nella loro enorme vastità di valori simbolici ed emozionali, in un contesto ampio quale può essere quello della trasformazione della dimensione sociale della collettività. Per Hertz (1907, trad. i t. p. 54) , nello studio delle «pratiche concernenti la morte» occorre compren­ derne il rapporto con tre elementi fondamentali: il corpo dell'indivi­ duo, la sua anima, la comunità dei vivi. Lo studioso francese nota come tra le popolazioni dayak questa complessità delle pratiche funerarie si evidenzi nella duplice sepoltura del corpo (si depone dapprima il corpo in una bara di legno; quindi, una volta decom­ posti i tessuti corporei, se ne pongono le ossa in un ossuario che viene seppellito defini tivamente in un'abitazione sacra apposita­ mente dedicata) , nel trasferimento dell' anima del defunto dal soggiorno temporaneo terreno a quello definitivo nel " mondo delle anime " , infine, nel processo di " liberazione dei vivi " dalla morte dell'individuo attraverso un gran banchetto finale in cui la comu­ nità fes teggia con " danze di gioia" e vestiti n uovi il ritorno alla " normalità " . 12

L'attenta analisi di Hertz dei costumi funerari dei Dayak del Borneo mette in luce due elementi fondamentali che saranno ripresi da Van Gennep, ossia: 1. lo sviluppo temporale dei riti funebri; 2. l'impatto che essi hanno nella trasformazione sociale della comunità dei vivi. Per meglio comprendere questi punti, basta rileggere il paragrafo riassuntivo del breve studio di Hertz (1907, trad. it. p. 104) : Per la coscienza collettiva, la morte è un'esclusione temporanea dell'individuo dal la comunione umana, esclusione c h e gli permette di passare dalla società visibile dei vivi a quella invisibile degli avi. li lutto consiste all'origine nella partecipazione dei familiari allo stato mortuario del loro parente e ne ha la stessa durata. In ultima analisi, la morte in quanto fenomeno sociale è un duplice penoso lavoro di disgrega­ zione e di sintesi mentale; solo quando esso è compiuto la società, ritornata alla sua pace, può trionfare sulla morte.

1.2. Rito, m ito e a nte n ati Nell'ambito dell'innovativo approc­ cio sociale alla ritualità delle popolazioni non ancora sconvolte dall'influenza delle società moderne proposto dalla scuola sociolo­ gica francese, il volume di V an Gennep ( 1 9 0 9 ) rappresenta un modello che farà scuola. S uo obiettivo è classificare quei rituali che l'autore definisce riti di passaggio, i quali segnano la trasformazione dell'identità sociale di un individuo in relazione con la società di appartenenza. Secondo lo studioso francese, questi riti sono legati alla nascita, all'adolescenza, alla pubertà, al matrimonio, alle prati­ che di iniziazione e a quelle connesse alla morte. Egli riconosce, all 'interno della ri tualità utilizzata per il s uperamento di queste fondamentali tappe dell'essere umano, una struttura ricorrente che coinvolge sia il soggetto agente che la comunità di riferimento. In particolare, Van Gennep nota che i riti di passaggio si articolano generalmente nelle tre scansioni temporali seguenti, che demarcano anche la dimensione sociale dell'individuo entro lo spazio sociale del gruppo di appartenenza: una prima fase di distacco dell'indivi­ duo dalla comunità (separazione) ; una seconda di transizione e alie­ nazione della figura sociale (liminalità, intesa come " soglia" ovvero " limite ", dall'etimo latino limes) ; un'ultima fase in cui l'individuo 13

trova una sua nuova dimensione sociale all'interno della comunità di riferimento (riaggregazione) . Ovviamente, questo approccio può essere utilizzato in ognuna delle casistiche rituali prese in esame dallo studioso francese ; tuttavia, come vedremo anche in seguito, sarà nell'analisi e nell'interpretazione dei contesti funerari che questo sistema analitico avrà partico lare fortuna in ambito sia etnoantropologico che archeologico (cfr. FIG. 1). Questo tentativo di classificare le pratiche rituali non fu però preso in considerazione dagli studiosi contemporanei di Van Gennep, anzi molte furono le critiche che ricevette . Il suo approccio classifi­ catorio al complesso sistema della trasformazione dei ruoli che donne e uomini vengono a svolgere nel corso della loro vita era infatti considerato inutile e pretenzioso. In particolare, furono gli antropologi legati alla scuola sociologica francese di Durkheim a contrapporsi fermamente alla visione classificatoria dei rituali di

FIGURA 1 La m o rte com e rito di passaggio

Trattamento

Deposizione Reliquie

del corpo

dei resti umani

Riti

Morte

post mortem

Veglia e corteo funebre

Rito di separazione

Rito di riaggregazione

(limi nalità/transizione)

14

Van Gennep, imputandogli, fra l'altro, di aver ripreso molte delle teorie di Hertz senza mai citarlo . Bisogna comunque riconoscere a entrambi i testi (sia a quello di Hertz che a quello di Van Gennep) il merito di essere stati innova­ rivi e di aver lasciato un segno profondo nella tradizione degli studi sui rituali e, in modo particolare, in quella funeraria. Infatti, il breve saggio di Hertz dedicato all'analisi dei rituali funerari secondari è divenuto, con il passare degli anni, uno dei testi teorici fondamen­ tali sul valore e sulla complessità del ruolo del defunto all'interno della comunità dei vivi. Questo fu inoltre il primo studio a individua­ re, nel rapporto tra i viventi e il defunto, il complesso sistema di elaborazione del distacco, profondamente emozionale, che avviene nel gruppo con la perdita di un singolo soggetto, il cui ricordo va a risiedere nella memoria collettiva della comunità stessa. Il concetto di morte non è qualcosa di finito , ma è un divenire continuo che si protrae nel tempo per rendere meno traumatica la perdita di un membro della comunità. Infatti, in numerose società premoderne e moderne il corpo non viene quasi mai eliminato immediatamente dal contesto sociale della comunità dei vivi, ma diventa invece il luogo in cui far confluire tutte le frustrazioni della società rispetto a questo avvenimento improprio. Alla morte fisica succede «quella seconda morte culturale che vendica lo scandalo della morte naturale» (De Martino, 1958; ed. 2000, p . 214) e tenta di disgregare l'effetto negati­ vo prodo tto dall'evento luttuoso attraverso un lungo processo temporale che è riconoscibile nelle esequie funebri . Nel caso della tradizione cristiana, Philippe Ariès (1978, pp. 89-90), elaborando e ampliando la struttura del rito di passaggio proposto da Van Gennep, individua quattro scansioni temporali: il cordoglio, la ceri­ monia, il corteo funebre e l'inumazione. Con la fase finale (post mortem) , il defunto non è più un'unica enti­ tà, ma è generalmente composto da un contenitore, il corpo, che è segregato all'interno del sepolcro , e da un contenuto, lo spirito o anima del morto, che diviene il perno centrale della venerazione e del culto dei defunti (Di Nola, 1966; ed. 1995, pp. 245-91) . Come dimostrato dai lavori di Hertz e Van Gennep, il trascorrere del 15

tempo permette alla comunità dei vivi di passare dal limbo della disperazione per l'avvenuta morte a uno stadio finale positivo, in cui l'anima del defunto entra a far parte di una nuova realtà ance­ strale della memoria collettiva (in forma di fantasma, di antenato, oppure di vera e propria divinità) , mentre la comunità torna a occu­ pare il proprio ruolo sociale. Accanto all'approccio degli studiosi francesi alle realtà etnografica­ mente note, lo studio partecipante di Bronislaw Malinowski mette in evidenza l'importanza dei rituali funerari quali precursori di un pensiero religioso che si esprime tramite la pratica del culto degli antenati, il quale appare funzionale allo sviluppo organico dell'or­ ganizzazione sociale di una determinata comunità. All'interno di questa visione, la religiosità dei popoli si costruisce attraverso la commistione tra una parte mentale, che viene chiaramente racchiu­ sa all'interno della costruzione di miti, e una corporea e sensoriale, che si esplicita nella pratica dei riti. Ecco quindi che i miti, che stan­ no alla base del rituale della morte, sono in genere legati alla crea­ zione di una necessità esplicativa di un fenomeno basilare nella vita di una comunità, ossia quella di dare un senso sociale alla fine dell'esistenza fisica di un singolo individuo . La visione funzionali­ sta di Malinowski racchiude in sé elementi analitici già emersi, ad esempio, nel brillante studio sul rituale e sul sacrificio compiuto da Robertson Smith alla fine del XIX secolo . La novità nel pensiero di Malinowski è sicuramente rappresentata da una visione olistica e organica del rapporto tra i diversi elementi ( religioso, economico, tecnologico ecc.) che sovrintendono all'organizzazione sociale di una comunità etnograficamente nota, visione che diverrà il cardi­ ne dell'appro ccio epis temologico della tradizione antropologica strutturalfunzionalista di stampo angloamericano (Fabietti, 2001, pp. 99-109) . La funzione sociale del rituale funerario, osservato quale parte inte­ grante di un complesso sistema sociale di adattamento alla natura che consiste nell'organizzazione sociale di una data comunità, conti­ nua a essere posta come premessa da altri eminenti studiosi di questa scuola di pensiero, quali Alfred Radcliffe-Brown ed Edward Evans16

Pritchard (S carduelli, 2007, pp. 7-28) . Secondo questa prospetti­ va, i rituali funerari devono essere intesi in un 'ottica di consolida­ mento dei legami sociali esistenti, di espressione di solidarietà tra i membri del gruppo e di manifestazione dell'autorità politica vigen­ te attraverso riti che superano la paura per la " presenza" del corpo del defunto . È all'interno di questo filone funzionalista che si avverte anche l'esi­ genza di differenziare le cerimoniefonebri, che sono legate al supera­ mento immediato del decesso dell 'individuo, dal culto degli antena­ ti, che invece ha una valenza storico-sociale molto più complessa, direttamente connessa alla costruzione della memoria collettiva e sociale del gruppo e alla creazione di un rituale di commemorazio­ ne che va al di là della semplice cerimonia praticata nelle immedia­ te vicinanze della tomba del defunto ( cfr. PAR. 4.5). Il culto degli antenati ha l'obiettivo di rendere immortale lo spirito di alcuni individui che godono di una certa rilevanza nell'organizzazione sociale, come può essere il caso dei capifamiglia. Questi spiriti degli antenati acquisiranno così una forza sovrannaturale, che permette­ rà la cementificazione delle regole di discendenza tra i membri della comunità dei vivi. 1.3 . Ela borazione d e l l u tto Un altro approccio che ha avuto una grande influenza nell'analisi della ritualità funeraria è legato all'aspetto emozionale e psicologico che la morte e il lutto ad essa associato hanno nel vissuto di un individuo . La sterminata letteratu­ ra psicologica e psicoanalitica dedicata al tema dell'elaborazione del lutto da parte dell'individuo coinvolto nella dipartita di un suo caro (si pensi agli studi compiuti da Sigmund Freud e da Karl Abraham) diventa, per un certo periodo storico, uno stimolo a comprendere la valenza delle pratiche rituali quali strumenti per superare la crisi emozionale del trauma post mortem (che corrisponde alla negazione della morte; cfr. Di Nola, 1 9 6 6 ; ed. 1 9 9 5 , p p . 39-46) . La visione psicoanalitica del lutto si confronta anche con quei simboli e tabù associati alle pratiche ri tuali e al pensiero mitico che lentamente vengono assorbiti dal subconscio umano, e in tal modo creano i 17

presupposti per quelle patologie mediche ( psicosi, manie depressi­ ve, nevrosi) che, ad esempio, caratterizzano sempre di più le socie­ tà moderne . La combinazione di tutti questi elementi (storici, culturali, sociali e psicologici) appare chiara nella definizione dell'importanza catarti­ ca del lutto nella gestione della collettività sociale della comunità, evidenziata nello straordinario volume pubblicato da Ernesto de Martino nel 1 9 5 8 . L'etnoantropologo napoletano, partendo dalla domanda posta da Benedetto Croce ( « Che cosa dobbiamo fare degli estinti?» , Croce, 1 9 3 1 ; ed. 1994, p . 3 3 ) , illustra le complesse dinamiche rituali connesse al lutto attraverso esempi etnografici provenienti dal S ud Italia e casi storicamente e archeologicamente noti di ambito mediterraneo . Nella sua ricerca storico-culturale di chiaro stampo crociano, De Martino comprende l'importanza che le pratiche rituali hanno nel con trollare la crisi del cordoglio in società non ancora modernizzate, tramite la creazione di simbolismi che richiamano alla mente la dicotomia nascita/morte della produ­ zione agricola e dei cicli stagionali e segnano la vittoria culturale degli esseri umani sulla natura, oltre a destoricizzare e regolamenta­ re la morte " culturale " degli individui; soprattutto, De Martino può essere considerato un precursore per il fatto di aver capito che è attraverso la commistione dei mezzi di comunicazione (gesti, paro­ le, musica, balli, cibi, luoghi ecc.) che la performance rituale acqui­ sisce forza, e quindi potere, nel processo di superamento della crisi del cordoglio . I riti funebri sono quindi pratiche simboliche che hanno profonde valenze sociali, economiche e ideologiche tra e per i vivi . Con questa prospettiva, De Martino diviene il primo a sotto­ lineare, nella tradizione antropologica, l'importanza che le dimen­ sioni sensoriali ed emozionali, espresse durante l'attuazione delle pratiche rituali, rivestono per la costruzione del sistema percettivo e cognitivo degli esseri umani . Nel corso degli anni, e specialmente negli ultimi decenni, l'aspetto funzionale e sociale del rituale è stato messo in secondo piano dagli studiosi che si sono occupati di questo specifico argomento, i quali hanno privilegiato maggiormente le valenze culturali, ideologiche e 18

simboliche dei riti funebri. In seno a questa prospettiva innovativa, le espressioni della ritualità funeraria devono essere osservate entro l'ambito in cui vengono praticate, perché esse cambiano a seconda del contesto socioculturale e geografico e in base alle necessità di mistificare il dato oggettivo della realtà degli avvenimenti, come è evidente negli studi presentati da Jack Goody (1962) , concernenti l'analisi dei costumi funerari delle popolazioni Lo Dagaa dell'Africa occidentale , oppure in quelli compiuti da Maurice Bloch (1971) sulle popolazioni Merina del Madagascar. In particolare, l'importanza della dimensione simbolica e ideologi­ ca delle pratiche funerarie nella dialettica tra individui e gruppi emerge in tutta la sua evidenza negli studi antropologici che, a partire dagli anni sessanta e settanta, sottolineano come la dicoto­ mia vita/morte si risolva attraverso la creazione di elementi simbo­ lici che richiamano alla mente dei partecipanti ai riti funebri tema­ tiche connesse alla fertilità, alla rinascita, alla rigenerazione e alla cres cita. Questi aspetti sono evidenti non solo nelle società che hanno una struttura sociale non molto complessa e un sistema reli­ gioso politeista, ma anche nelle comunità contemporanee contrad­ distinte da sistemi religiosi complessi e monoteisti. All'interno di questa dimensione simbolica del rituale funerario, meritano una menzione particolare : l'attenta analisi compiuta da Victor Turner (1969) sull'importanza della fase di liminalità nello svolgimento dei riti di passaggio, osservata come momento di aggregazione diverso e ibrido , durante il quale si attuano performance rituali che non hanno nulla a che fare con le regole della quotidianità del gruppo; l'importante ricerca effettuata da Maurice Bloch e Jonathan Parry (19 82) sulla relazione tra morte, pratiche funerarie e fertilità nella creazione del bagaglio culturale, simbolico e ideologico di una comunità; il diligente studio di Mary Do uglas (1993) sull'impor­ tanza che i rituali hanno nel risolvere la dicotomia di opposti polluzione (morte)/purezza (vita ovvero rinascita) ; infine, per la chiara dimos trazione di come il trattamento , l'esposizione e la ges tione del corpo del defunto da parte della comunità dei vivi acquistino un valore simbolico fondamentale nel processo rigene19

rativo della società dopo la dipartita del proprio caro, lo studio di Peter Metcalf e Richard Huntington ( 1 9 8 5 ) sulla relazione tra la decomposizione del corpo del defunto e la fermentazione del riso per la preparazione del vino tra le popolazioni berewan del Borneo, in Indonesia. 1.4. Da l l 'a rcheologia funera ria a l l a new archaeology Se non in casi sporadici, in ambito archeologico e antichistico la ricerca non segue inizialmente gli approcci che caratterizzano l'antropolo­ gia culturale. Questi rari esempi consistono negli studi di F ustel de Co ulanges ( tra i cui discepoli vi fu anche Durkheim) e Henry Maine, che notano, grazie anche all 'apporto dei testi, come in ambito romano e greco antico vi sia un legame tra i riti funebri, la localizzazione delle tombe, il culto degli antenati e il mantenimen­ to di legami sociali tra gli appartenenti a un gruppo corporativo . Questo tipo di approccio è chiaramente permeato dalle linee teori­ che che in quegli anni solcavano gli ambienti accademici e uropei e americani, ma segna anche un primo interesse per l'interazione tra la localizzazione della tomba, l'organizzazione dei sistemi di discen­ denza/parentela e l'accesso alle risorse naturali, che diverrà tipico della p i ù tarda archeologia neoevoluzionis ta. Tra queste prime analisi dei contesti funerari antichi spicca sicuramente un breve arti­ colo redatto nel 1945 da una delle maggiori figure della tradizione archeologica mondiale, Vere Gordon Childe, che apre una nuova prospettiva nell'analisi delle deposizioni funerarie antiche. All'inter­ no di questo articolo, lo studioso australiano osserva come la complessità del dato funerario riproduca non solo elementi ricon­ ducibili all'evoluzione dell'organizzazione sociale delle società anti­ che, ma anche l'espressione ideologica delle relazioni sociali che intercorrevano tra i membri della comunità dei vivi . In particolare, Childe (1945) nota come, in alcuni contesti, le tombe reali rappre­ sentino una forma ideologica di comunicazione del po tere delle élite alle classi subalterne attraverso la ricchezza dei corredi, la maestosità delle strutture funerarie e, soprattutto, la presenza di sacrifici umani e animali. 20

La tradizione archeologica della prima metà del Novecento sembra essere comunque sempre contraddistinta dal tentativo di descrive­ re, definire e classificare gli elementi comuni nelle deposizioni fune­ rarie delle società del mondo antico (come, ad esempio, il tipo di trattamento del corpo, la tipologia della struttura funeraria e degli oggetti che compongono il corredo funerario ) . In questa prospetti­ va, gli aspetti diacronici e di specificità culturale e ambientale di una determinata società non vengono presi in esame dagli studiosi del mondo antico, così come non viene colta l'importanza rappresenta­ ta dalle differenze tra i resti dei riti funebri antichi. Questa prospettiva interpretativa del dato archeologico funerario sarà però criticata aspramente dall'avvento della posizione teorica neopositivista della new archaeology e dell'archeologia processuale che, a partire dagli anni sessanta, segnerà gli s tudi archeologici dedicando un'attenzione particolare all'analisi dei contesti funera­ ri , considerati uno " s pecchio fedele " del rango sociale raggiunto dagli individui alla loro morte (Giannichedda, 2002) . Il principale fautore della new archaeology, Lewis Binford (1971) , apporta nuova linfa vitale allo studio dei contesti archeologici, rifiutando decisa­ mente l'approccio storico-culturale, idealista e diffusionista dei decenni precedenti, e mettendo invece sul pi atto della bilancia l'importanza di un'analisi scientifica che possa, attraverso l' appli­ cazione di una " teoria del medio raggio " ( middle range theory) , relazion are la staticità del dato archeologico alla dinamicità dei compo rtamenti delle popolazioni antiche che hanno creato e utilizzato quel dato . Attraverso un tale approccio metodologico, l'archeologo potrà individuare generalizzazioni transculturali che permettano di ricostruire l'organizzazione sociale di società antiche ed etnograficamente note tramite l'utilizzo di un processo interpre­ tativo ipotetico-deduttivo (ossia, formulare ipotesi, costruire model­ li interpre tativi, generare conclusioni basate s ulla verifica delle ipotesi attraverso l'uso di casi di studio qualitativamente e quanti­ tativamente attendibili) . Secondo Binford, questo tipo di approc­ cio analitico è di più semplice applicazione all'interno del contesto funerario, l' unico luogo dove si può evidenziare la distinzione tra 21

le classi sociali e si possono facilmente identificare i diversi aspetti della socialpersona del defunto (cfr. riquadro di approfondimento),

(§)

Socio/ persona

S eg u e n d o i d etta m i d i Ward G o o d e n o u g h (19 6 5 ) i n m e rito a l co n cetto di organizzazione sociale e, in pa rtico l a re, a l l a d efi n i z i o n e d i ruolo e rango sociale d e l l ' i n d i v i d u o , B i nford (1971) co n i a i l t e r m i n e social persona p e r i n d i c a re l ' i n s i e m e d e l l e i d e ntità s o c i a l i otte n u te i n vita

d a l l ' i n d ivi d u o e rico n osci ute q u a l i fo n d a nti al m o m ento d e l l a m o rte d e l l o stesso. Con q u esto tipo d i approccio, e g l i compre n d e l ' i mpo rta n ­ z a d e l rico n o s ci m e nto d e l ra n g o soc i a l e d e g l i i n d ivid u i d a pa rte d e l l a c o m u n i tà e c o m e q u esto ve n ga pa rtico l a rm e nte evi d e n z iato d u ra nte l ' att u a z i o n e dei riti fu n e b ri , la c u i ricch ezza è d i retta m e nte p ropo rzi o­ n a l e a l l ' i mpo rta n z a d e l ru o l o s o c i a l e ra g g i u nto d a l d efu nto in vita. I n p ra t i ca, l ' a l t a va ri a b i l it à d e g l i attri b u t i r i c o n o s c i b i l i a l l ' i n t e r n o d e l co ntesto fu n e ra ri o è d a m ettere i n re l a z i o n e d i retta c o n u n compl esso s i ste m a di n o r m e c h e rego l a n o le d i sti n z i o n i di sta t u s tra i m e m b ri d e l l a co m u n ità . L ' i n d ivi d u a zi o n e , a l l ' i ntern o d e l contesto fu n e ra rio, d e g l i e l e m e nti d isti n ­ tivi d e lla rea ltà soci a l e ed eco n o m ica d e l defu nto co n n essi a l l a s u a età , a l s u o r u o l o e a l l a s u a posizi o n e soci a l e a l l ' i nterno d e l l a co m u n ità è d a co n s i d e ra rsi co m e u n fo n d a m enta l e passo i n ava nti n e l l ' a n a l isi a rcheo­ logica, per troppo tempo ri masta s c h i ava d e l l a s u a i d e ntità anti q u a ri a . Qu esta tra i etto ria episte m o l o g i ca h a seg n ato i mp resci n d i b i l m e nte l e ricerc h e a rc h e o l o g i c h e d e d i cate a l l o stu d i o d e i resti fu n erari d e g l i a n n i a ven i re, ma è stata a n c h e fo rtem ente criticata d a u n a serie d i stu d i osi che, a pa rtire d a l l ' i n izio d e g l i a n n i otta nta, m ostra r o n o come, a l l ' i nte r n o d i a l c u n e società ( a d esempio l e co m u n ità d i gita n i b rita n n ici), l ' ostentazio­ n e m a n ifestata d u ra nte i l rito fu n e b re n o n fosse d i rett a m e nte correlata a l l a posizio n e soci a l e ra g g i u nta d a l d efu nto in vita, owero co m e a l c u n i p e rs o n a g g i d i a l to ra n g o n o n v e n i s s e ro n e cess a r i a m e n t e d eposti i n to m b e m o n u m e n ta l i e co n r i cc h i c o r r e d i fu n e b r i , co m e n e l c a s o d e i p res i d enti d e g l i Stati U n iti d ' A m erica sepolti n e l c i m itero d i A rl i n gto n .

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che è in pratica un prodotto delle identità sociali acquisite in vita dall'individuo e riconosciute dal resto della comunità al momento della sua morte. In particolare, lo studioso statunitense pone in diretta relazione la variabilità del contesto funerario e delle moda­ lità di inumazione degli individui con la complessità sociale, tecno­ logica ed economica raggiunta dalla società stessa in una determi­ nata fase storica. Nel suo attento studio , Binford riconosce nell'età, nel sesso, nella posizione sociale, nel tipo di morte, nella localizzazione della tomba e nelle affiliazioni sociali le dimensioni dell'identità sociale del defun­ to; in particolare , egli individua nella modalità di trattamento e disposizione del corpo del defunto, nella tomba utilizzata, nel suo orientamento e nella sua localizzazione, nella quantità e nella quali­ tà del corredo funerario gli elementi che possono permettere all'ar­ cheologo di ricostruire il ruolo sociale svolto dal defunto nella socie­ tà di riferimento. All'interno di questa prospettiva socioeconomica, Binford nota come la variabilità funeraria abbia forti corrisponden­ ze anche con il tipo di economia di sussistenza adottato da una determinata comunità: le società che hanno un'economia basata sull'agricoltura mostrano pratiche funerarie di maggiore complessi­ tà rispetto a quelle riscontrabili all'interno di gruppi di cacciatori­ raccoglitori oppure dediti a un'economia di tipo prevalentemente pastorale. Come accennato in precedenza, è proprio a cavallo tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta che l'interesse per un'a­ nalisi scientifica e socioeconomica del record archeologico associa­ to ai riti funebri antichi prende piede in ambito statunitense e britannico . In un breve lasso di tempo, escono numerose pubblica­ zioni che si occupano di questo argomento, analizzando scientifica­ mente e con modelli matematici e tassonomici la tipologia di trat­ tamento del corpo del defunto ( deposizione primaria, deposizione secondaria, cremazione ecc. ) , il suo orientamento, il sesso e l'età dell'inumato , la tipologia di struttura architettonica utilizzata e, infine, la tipologia dei manufatti che compongono il corredo fune­ rario, con l'obiettivo di mettere in luce la dimensione sociale delle 23

pratiche funerarie (cfr. C A P P. 2-3 ) . Secondo i dettami della new archaeology, un'analisi scientifica e coerente di questi elementi può fo rnire un quadro chiaro delle tipologie di relazione so ci ale e , conseguentemente, del tipo di organizzazione della società presa in considerazione . È in questa direzione che va la tesi di dottorato di Arthur S axe (1970) , il quale, seguendo i paradigmi binfordiani e attraverso un'a­ nalisi prettamente scientifico-matematica di contesti funerari etna­ graficamente noti, introduce, per primo , l' idea di una griglia preconfezionata in cui poter inserire e disciplinare i comportamenti funerari delle società; Saxe utilizza otto ipotesi interpretative (che potremmo anche definire assiomi) che servono per relazionare le pratiche funerarie alle dimensioni sociali e possono essere breve­ mente riassunte nei seguenti punti : 1. mettendo insieme diversi aspetti delle pratiche ( ad esempio presenza/assenza di determinati oggetti tra il corredo funerario e tipo di inumazione) si possono creare combinazioni di elementi che facciano luce sulla socialperso­ na del defunto (ad esempio alta presenza di armi e tomba monu­ mentale =figura socialmente preminente all'interno di una società di stampo militare) ; 2. le società più complesse presentano un maggior numero di dimensioni sociali; 3· gli individui con un basso livello sociale avranno un numero di oggetti limitato nel proprio corredo funerario (e viceversa) ; 4· le dimensioni sociali più impor­ tanti del defunto saranno quelle più rappresentate nel contesto funerario (ad esempio il capo di un gruppo sociale riceverà un trat­ tamento adeguato al suo rango elevato) ; 5· attraverso l'utilizzo di formule matematiche, Saxe ipotizza che un più alto livello di ridon­ danza tra gli attributi funerari sia imp utabile a una maggiore complessità sociale (e viceversa) ; 6. sulla base di calcoli statistici si cerca di dimostrare che a una minore complessità sociale corrispon­ de una maggiore coerenza nel rapporto tra valori simbolici e signi­ ficati sociali degli stessi (e viceversa) ; 7· le società meno complesse mostrano un minore livello di variabilità funeraria; 8. le aree desti­ nate alla deposizione funeraria dei defunti (necropoli) servono a legittimare l' accesso privilegiato di un determinato gruppo alle 24

risorse economiche del territorio attraverso la creazione di una linea di discendenza tra i membri dello stesso e gli antenati . Nell'ambito di questa nuova visione altamente scientifica dell'ar­ cheologia, l'uso di elaboratori elettronici permette di classificare e creare statistiche coerenti per testare le ipotesi teoriche di partenza. Ecco così che l'analisi dei gruppi (cluster analysis; cfr. PA R . 3.9) e molte altre tecniche analitiche mutuate dal campo delle metodolo­ gie statistiche vengono messe alla base di una ricerca che si pone come obiettivo primario l'individuazione di risultati certi, in grado di fugare i dubbi delle ipotesi di partenza nell'analisi interpretativa dei contesti funerari. In quest'ottica, sono stati effettuati numerosi tentativi di individua­ re nella variabilità delle pratiche funerarie elementi utili per rico­ struire dinamiche sociali di popolazioni antiche ed etnograficamen­ te note. Tra questi, meritano una menzione particolare : lo sforzo di Joseph Tainter (1978) di correlare il livello di energy expenditure ('' spesa energetica") dei riti funerari con il grado di gerarchizzazio­ ne sociale di una determinata società (vale a dire, più complesse e diversificate sono le strutture funerarie, maggiore è la stratificazio­ ne sociale verticale della società presa in esame) ; quello di Chris Pebbles e S us an Kus ( 1 9 77) di identificare una differenziazione verticale ( distinzione di rango sociale) e orizzontale (appartenenza a uno stesso sodalizio) distinguendo gli elementi comuni (o "subor­ dinati " , ossia l'età, il sesso e la posizione raggiunta in vita) , quelli cioè che si possono trovare all'interno di tutte le tombe e indicano un'appartenenza a uno stesso gruppo, dagli elementi straordinari ( ovvero " superordinanti " , come ad esempio oggetti unici trovati all'interno del corredo funerario) , che segnalano una differenziazio­ ne di status tra i membri di quel determinato gruppo. Con la pubblicazione della raccolta di s aggi The Archaeology of Death ( Chapman, Kinnes, Randsborg, 1981) , l'approccio teorico degli archeologi neoevoluzionisti e processuali, interessati allo studio dei costumi funerari antichi, raggi unse il suo apice; nel contempo, però, si iniziavano a intravedere le prime incongruenze di carattere metodologico di questo sistema interpretativo altamen25

te scientifico. In precedenza, tali limiti dell'approccio empirico e matematico-statistico ai costumi funerari delle popolazioni antiche erano stati messi in luce da un breve e molto pacato articolo di Peter Ucko (1969), in cui si evidenziava ancora una volta come l'analisi archeologica del rituale funerario avesse bisogno della comprensio­ ne del suo contesto culturale e dei valori simbolici associati a queste pratiche . Di conseguenza, le generalizzazioni poste in essere dagli studiosi della new archaeology e dell'archeologia processuale potevano creare modelli che non avevano coerenza con la realtà dei dati e delle società prese in considerazione. 1 .5. l ' a rc h eologi a i nterpretativa e contest u a l e Tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta, comincia a farsi sentire una critica veemente all'approccio scientifico e positivista e al metodo oggettivo e generalizzante che in quegli anni caratterizza­ vano sia la ricerca archeologica che quella antropologica. Queste voci dissonanti esprimevano l'esigenza di restituire importanza alla dimensione culturale e simbolica che il dato archeologico possiede e che non può essere negata dalla spasmodica ricerca di verificare ipotesi di lavoro precostituite. La diffidenza nei confronti dell' as­ sioma della ricerca archeologica positivista - dato archeologico ricostruzione sociale - si palesa chiaramente nell'antropologo britan­ nico Edmund Leach ( 1977) che, in una famosa postfazione a un volume dedicato al rapporto tra archeologia e antropologia, mette alla berlina la correlazione diretta tra variabilità funeraria e status sociale raggiunto in vita dal defunto, evidenziando invece l'impor­ tanza degli aspetti simbolici, ideologici, storici e culturali del dato archeologico, giacché gli oggetti non sono solo cose, ma «rappre­ sentazioni di idee di esseri umani)) (ivi, p. 167) . Nell'Europa conti­ nentale, questa critica all'eccessiva aggettivazione del dato archeo­ logico è fatta propria dal filone francese e italiano dell'antropologia del mondo antico (ben rappresentato dal volume curato da Gherar­ do Gnoli e Jean- Pierre Vernant nel 1 9 8 2 e dagli studi di Bruno D'Ago s tino, Angela Pon trandolfo , Luca Cerchiai, Anna M aria Bietti Sestieri e Maria Assunta Cuozzo) , mentre in Gran Bretagna =

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e nel Nord Europa questa tendenza a cercare di comprendere gli aspetti ideologici e simbolici del dato archeologico confluirà nella cosiddetta archeologia postprocessuale (Cuozzo, 1996) . Per quanto riguarda l'ambito funerario, esso non viene più trattato separata­ mente, bensì incorporato all'interno di una visione focalizzata prin­ cipalmente sul contesto geografico e culturale dei resti archeologici . In particolare, l'interesse degli studiosi nei riguardi dei fenomeni legati alla ritualità funeraria si concentra sull'interpretazione degli elementi simbolici che danno significato alle pratiche funerarie in quanto superamento dell'evento biologico, sulla concezione della ritualità funeraria come espressione culturale e ideologica del rapporto tra il mondo dei vivi e quello dei morti e, infine, sulla comprensione dell'azione rituale (performance) come espressione multimediale che ha un forte impatto sul sistema percettivo e cognitivo dei partecipanti al rito funebre. Nel corso degli anni, la critica all'approccio metodologico prece­ dente si fa sempre più radicale : si comincia a utilizzare la semiotica per individuare il valore reale dei significati ( cultura materiale testo) del rituale funerario fermato dal tempo e sepolto sotto strati di terra; ci si sforza di determinare i rapporti di potere che costitui­ scono le funzioni del rituale, attraverso l'individuazione del valore ideologico attribuibile ai simboli rintracciabili sia nella cultura materiale che nella gestione del corpo del defunto ; si inizia a mos trare maggiore interesse per la comprensione, attraverso un approccio che segue i dettami di Antonio Gramsci, della funzione del rituale funerario quale espressione della dialettica di potere tra le classi egemoni e i gruppi subalterni; si tenta di definire l'impatto che l'azione pratica del rituale ha sull'appartenenza sociale dell'in­ dividuo partecipan te al gruppo; e, infine, si cerca di capire che importanza ha il posizionamento della tomba nella costruzione della topografia mentale degli individui attraverso un'analisi feno­ menologica e cognitiva del rapporto tra contesto funerario e ambi­ to insediamentale. L'introduzione di un'etnoarcheologia dei simboli, considerata non come ricerca di paragoni transculturali per la normalizzazione dei =

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contesti funerari antichi ( come avveniva con gli approcci neopositi­ visti) , ma quale sforzo di comprensione dei valori attrib uiti dalle popolazioni anti che all 'azione rituale, trasforma radicalmente il senso delle ricerche in ambito funerario. Ian Hodder (1992) , con il suo studio delle società contemporanee di Baringo in Kenya, è stato sicuramente uno dei primi a comprendere i limiti di una ricerca sulle rirualità funerarie fondata su una pedissequa analisi scientifica e ogge ttivizzante del dato arche ologico , in quanto questa non permette di capire la complessità della totalità del rituale e dei valo­ ri simbolici che risiedono sia all'esterno che all'interno della strut­ tura funeraria stessa. In questo senso, egli non risparmia critiche agli archeologi processuali che nell'analizzare le tombe megalitiche del Neolitico nordeuropeo avevano attribuito a queste strutture il rico­ noscimento di uno status sociale conquistato dalle élite nella gestio­ ne delle risorse agricole . Hodder (1984) , invece, scorge una notevo­ le similitudine fra le strutture megalitiche funerarie e le abitazioni, e ipotizza pertanto che la comunità dei vivi si avvalesse di tale verosi­ miglianza per creare una dialettica positiva di superamento della morte biologica degli individui attraverso la costruzione di un'ideo­ logia non necessariamente tesa a evidenziare e rappresentare relazio­ ni sociali asimmetriche fra i componenti di una determinata comu­ nità, ma concepita bensì in un'ottica di superamento della morte tramite la creazione di un contesto che simbolicamente richiamasse alla mente la dimensione domestica e ancestrale della comunità di riferimento . Fra i temi centrali di questa nuova prospe ttiva interpretativa vi è anche l'analisi del trattamento del corpo del defunto, inteso come mezzo di comunicazione culturale e so ciale ; tale manipolazione sottolinea inoltre l'importanza dei diversi sistemi di controllo della putrefazione dell'individuo (cfr. PAR. 2.1) quali mezzi per definire regole di identificazione etnica ovvero per gestire dialettiche ideolo­ giche tra i diversi gruppi sociali (Parker Pearson, 1999, pp. 45-71) . Questo tipo di approccio è sicuramente figlio dell'interesse per i riti funebri di deposizione secondaria e per la rappresentazione colletti­ va della morte espresso inizialmente da Hertz, ma pone anche un 28

forte accento s ulle «trasformazioni culturalmente controllate e significative di ciò che resta dei corpi» (vale a dire, interventi di tanato-metamorfosi; cfr. Favole, 2003, p. 114) , e sull'equivalenza tra corpo e oggetto . Le fasi di decomposizione del corpo del defunto hanno infatti un ruolo centrale nella pratica attiva dei riti funebri; s uccess ivamente, i suoi resti ossei possono acquisire una forte valenza ideologica, riconoscibile anche dal loro riposizionamento al di fuori della tomba e in contesti politicamente vali danti (cfr. PAR. 4 . 6 ; Remotti, 2006) . Questo tipo di approccio è chiaramente riscontrabile anche nei più recenti studi di tafonomia culturale compi uti da archeologi e antropologi fisici britannici e francesi ( Duday, 2006) . La straordinaria importanza dell'approccio postprocessuale deriva anche dal fatto che apre a una molteplicità di interpretazioni e visio­ ni il dato archeologico preso in considerazione dallo studioso del mondo antico . Infatti, un'archeologia dei simboli, visti nel loro significato in divenire durante la performance di un'azione rituale, non garantisce una soluzione unica, ma individua processi di intera­ zio ne tra i membri della comunità che s uperano le tradizionali prospettive socioeconomiche verticali (élite contro sudditi) e oriz­ zontali (appartenenza a un determinato gruppo sociale) . All'inter­ no di questa prospe ttiva, il fattore ideologico acquista un rilievo fondamen tale, divenendo cosl il fulcro della gestione dei gesti colle­ gati al rituale funerario. La forza dell'ideologia è anche legata alla possibilità di variare le logiche sociali mascherando, ad esempio, le differenze sociali attraverso un sistema funerario che, a prima vista, potrebbe sembrare tipico di società egualitarie prive di differenzia­ zioni sociali verticali, come è il caso dei cimiteri pro testanti del Nord Europa o degli Stati Uniti d'America. Il fulcro della ricerca archeologica deve essere quindi la comprensio­ ne delle pratiche rituali nella loro complessità, che include le moda­ lità di trattamento del corpo del defunto, il valore simbolico degli oggetti che fanno parte del corredo funerario, l'importanza ideolo­ gica delle pratiche rituali post mortem, il rapporto tra il contesto funerario e quello abitativo/produttivo e, infine, il cambiamento 29

delle pratiche funerarie nel corso del tempo come indicatore di trasformazioni sociali, culturali e ideologiche, e non solo degli aspetti economici di una comunità. Ecco allora risorgere come fenici dalle ceneri le teorie di Van Gennep, Hertz e Childe sul rito di passaggio, il valore collettivo della morte e l'aspetto ideologico e culturale delle pratiche funerarie nel mondo antico . L'interpretazione dei contesti funerari non appa­ re p i ù legata a un'osservazione del dato archeologico concepito come mero deposito di società antiche, ma come espressione della dinamicità di un'azione rituale avvenuta in tempi antichi e che, grazie a un attento studio e all'analisi dei contesti funerari, può esse­ re ricostruita. Quest'opera di revisione è stata resa possibile anche da una nuova visione del dato etnoarcheologico, che ha permesso di osservare direttamente le dinamiche legate alla pratica sociale della costruzione dei differenti rituali che caratterizzano la struttura ideo­ logica e culturale di una comunità. In questo modo, l'archeologo non attua più una comparazione generalista tra realtà antiche e comunità etnograficamente note nello sforzo di trovare risposte oggettivamente valide ai muti contesti archeologici, bensì speri­ menta una visione multiprospettica delle società viventi nel tentati­ vo di osservare le variazioni dinamiche dei simboli atti alla costru­ zione del rituale analizzato. La ricerca archeologica si focalizza così sull'analisi di nuovi elemen­ ti, con la consapevolezza che, ad esempio, un rituale funerario non termina mai con la semplice deposizione del corpo del defunto e la chi usura della tomba. Il rituale resta nella memoria della società attraverso le commemorazioni, le libagioni e le feste dedicate al morto, il culto ancestrale delle anime dei defunti. Il defunto diven­ ta quindi una sorta di simulacro in cui bisogna credere per poter basare su di esso le proprie speranze di vita. La morte, com'è ovvio, spaventa tutti ed è da sempre ritenuta una delle cose più illogiche nella natura dell'uomo. La costruzione di credenze, fondate sul funzionamento delle basi ideologiche dei singoli individui nella logica comportamentale dell'intera comunità, diventa per l'umani­ tà una delle poche, se non addirittura l' unica via di scampo alla 30

paura della morte. L'impossibilità di raggiungere l'immortalità fa pertanto sorgere nei componenti della collettività l 'esigenza di fondare dei miti esplicativi del corso naturale della vita, attraverso la creazione di una tradizione orale e/o scritta quale ad esempio il viag­ gio intrapreso dall'eroe sumerico Gilgamesh negli inferi per riuscire a conquistare il bene prezioso della vita eterna (Pettinato, 2004) . Ed è in questo viaggio, alla ricerca dei significati e delle valenze simboliche attribuiti dalle comunità antiche a quei riti funebri che consentivano il superamento della morte biologica dell'individuo, che lo studioso del mondo antico si deve avventurare. Nel far ciò, dovrà poter disporre di una serie di strumenti che gli consentano di assolvere alle necessità scientifiche di analisi del dato archeologico e al contempo di tentare di interpretare gli aspetti culturali, sociali, economici e ideologici dei costumi funerari delle società antiche .

31

2.

I l potere del corpo

2.1. I l va l ore c u ltu ra l e d e l tratta m e nto del corpo Il punto di partenza per una ricerca dedicata ai rituali funerari antichi è sicura­ mente rappresentato dall'analisi e dall'interpretazione della relazione tra il corpo del defunto, dagli oggetti del suo corredo funerario e dalla struttura funeraria in cui esso è stato deposto , ma è soprattutto il corpo del defunto l'elemento centrale da cui occorre partire per uno studio coerente sull'argomento . In particolare, la " gestione del cada­ vere" deve essere tenuta in forte considerazione, perché può racchiu­ dere in sé elementi importanti per la comprensione degli orientamen­ ti religiosi di una determinata società. Il mantenimento del corpo in un b uono stato di conservazione prima dell'attuazione delle cerimonie funebri attraverso la sua puri­ fìcazione, che consiste generalmente in un bagno rituale (abluzione rituale) e nell'unzione con oli profumati, è un passaggio cruciale per moltissime società. Nella tradizione greca, ad esempio, l'importan­ za del trattamento del corpo prima della sua deposizione finale all'interno del sepolcro si deduce sia dalle evidenze testuali (Mirto, 2007, p p . 5 8 - 6 5 ) sia da un'attenta analisi dei residui organici in contesti funerari che, sin dall'epoca micenea, evidenziano tracce dell'uso di particolari oli e resine ( Cultraro, 2006, pp. 138-43 ) . L a decomposizione del cadavere a causa d i agenti atmosferici o animali ovvero la sua mutilazione o profanazione da parte dei nemi­ ci sono infatti eventi da evitare in ogni modo. La possibilità che ciò avvenga è da considerarsi alla stregua di una maledizione per gli eroi morti in battaglia. Un accadimento che neanche le divinità voglio­ no, come si può ben dedurre nell'Iliade dall'attenzione dedicata da Afrodite, Apollo e Ermes alla preservazione del corpo di Ettore dopo la sua uccisione per mano di Achille, dalla preoccupazione dello stesso Achille nei riguardi della possibile decomposizione del corpo dell'amico Patroclo, oppure dalla cura mostrata da Apollo per il trattamento del cadavere di Sarpedone, figlio mortale di Zeus (Mirto, 2007, pp. 56-8, 103-9; Vernant, 2000, pp. 71-2) . 32

Terminata la purificazione del cadavere, questo può entrare nella fase finale del trattamento del corpo che, come giustamente osserva Thomas ( 2006, p . 27) , ha l'obiettivo primario « di so ttrarre allo sguardo la decomposizione della carne» attraverso la mummificazio­ ne, che blocca la putrefazione dei tessuti, la cremazione, che la elimi­ na, oppure la sepoltura, che la nasconde. In un' attenta indagine archeologica sui resti umani che tenda a comprendere le valenze socioculturali delle pratiche funerarie, oltre alle modalità di trattamento del cadavere bisognerà tener conto anche di altri elementi legati alla gestione del corpo del defunto e, in particolare, al suo posizionamento e orientamento all'interno del sepolcro . Infatti, la morte è spesso immaginata come un viaggio nel mondo dell'oltretomba, e quindi il cadavere deve essere pronto a effettuare tale viaggio con una postura corretta e con lo sguardo rivolto nella direzione in cui è ubicato l'aldilà oppure un importan­ te centro religioso . La ricerca sui resti ossei umani è di estrema importanza anche per la comprensione di altri aspetti fondamentali della " biografia" dell'in­ dividuo, come la determinazione del sesso, dell'età e delle cause di decesso (paleopatologie) . A questo campo di studi, che prende il nome di antropologia fisica, sono ormai dedicati numerosi manuali ( Canci, Minozzi, 2005; Duday, 2006). Le indagini antropologiche sui resti umani possono anche avvalersi di analisi chimiche (studio degli oligoelementi e degli isotopi stabili presenti nei resti ossei) e genetiche (analisi di campioni di D NA antico) tese ad accertare le tipologie di alimentazione e di sussistenza economica adottate, a supportare indagini popolazionistiche, a individuare legami di parentela e a comprendere le relazioni genetiche e genealogiche tra diversi gruppi (Martini, 2006) . Come abbiamo visto in p recedenza, lo studio dei resti ossei ha anche un obiettivo sociale e culturale, perché il diverso trattamento del corpo umano del defunto durante i rituali post mortem può dimostrarsi un chiaro indicatore sia di culti religiosi e di pratiche cultuali (si pensi alla distinzione tra l'uso della cremazione, diffuso tra i gruppi induisti, e quello dell'inumazione, praticato dai gruppi 33

di credo islamico nel s ubcontinente indiano; cfr. Capone, 2004, pp. 53-8) sia di una distinzione di status (la mummificazione del corpo nella tradizione egizia) . Ed è proprio sui rapporti tra le moda­ lità di trattamento del corpo del defunto e le loro possibili implica­ zioni culturali che verte l'interesse dello studioso dedito alla rico­ struzione delle pratiche funerarie antiche. Il controllo e la gestione del corpo del defunto attraverso i vari metodi di trattamento dei resti umani (e cioè gli interventi di tanato-metamorfosi; cfr. Favole, 2003) non hanno esclusivamente una funzione medico-igienica (cioè evitare la decomposizione dei tessuti e il rischio di trasmissio­ ne di epidemie tra i viventi) , bensì servono a garantire che la parte immateriale del morto (l'anima) non divenga uno spirito antagoni­ sta e, di conseguenza, non influenzi negativamente le attività della comunità dei vivi (Remotti, 2006) . Il potere rappresentato dal corpo del defunto è quindi principalmente basato su un timore mentale, quello cioè che la mancata attuazione di un processo di trattamento rituale del corpo rappresenti un rischio per la possibile creazione di spiriti maligni (Thomas, 2006) . Questo punto emerge chiaramente nella tradizione letteraria di molte culture antiche, come ci ricorda il caso di Patroclo che, dopo la morte, appare in sogno ad Achille chiedendogli insistentemente l'attuazione del rito funebre e l'annes­ sa cremazione del suo corpo, condizione indispensabile per poter accedere al mondo degli inferi (Mirto, 2007, pp. 18-9) . L'importan­ za della ges tione culturale e rituale del corpo è particolarmente evidente in quelle società preistoriche egee e vicino orientali che utilizzano la deformazione artificiale oppure la decorazione del cranio umano (Laneri, 2004, pp. 87-9) . In tali contesti, una corretta gestio­ ne del corpo umano può avere un alto valore simbolico ed essere indicativa di una differenziazione sociale orizzontale (basata cioè su distinzioni di genere ed età) all'interno di società apparentemente egualitarie, qual è il caso delle tombe con deposizioni femminili che presen tano il cranio deformato artificialmente rinven ute nella necropoli cipriota di Khirokitia ( 6000-5300 a.C. ) , dove le deposi­ zioni maschili si distinguono invece per la presenza di pietre sul corpo del defunto (Guidi, 2009, p. 9 9 ) . 34

È di estrema importanza garantire al defunto il trattamento del suo corpo, e qualora esso venga a mancare per circostanze estranee alla volontà dei vivi, come nel caso dei morti in battaglia, il rito funebre deve avere un impatto emotivo ancora più forte per evitare il vagare errante della sua anima. I vincitori devono inoltre rendere omaggio al corpo senza vita dei vinti con l'attuazione di brevi riti che possono risolversi nella cremazione dei corpi oppure nel loro seppellimento all'interno di grandi tumuli. Le ossa dei defunti hanno un potere politico anche dopo l' attuazio­ ne del rito funebre, perché rappresentano per la comunità di appar­ tenenza un forte segno di identità con il passato e con i propri ante­ nati . Ad esempio, a partire dagli inizi degli anni novanta i nativi di moltissime nazioni del Nuovo Mondo hanno chiesto la restituzione dei resti ossei dei propri antenati (negli S tati Uniti d'America attra­ verso il programma denominato NAG P RA, Native American Graves Protection and Repatriation Act) che , nel corso del tempo, erano stati esposti nei musei etnografici delle principali città; invece, in Israele gli ebrei ortodossi si oppongono fortemente allo scavo dei resti ossei umani perché convinti che ogni defunto sepolto nella Terra Promessa, anche se in epoca prebiblica, debba riposare in pace all'interno del suo sepolcreto essendo un " cittadino " d'Israele (Ffor­ de, Hubert, Turnbull, 2002) . L'archeologo dovrà quindi fare molta attenzione nella ricostruzione del processo del trattamento del corpo del defunto, perché questo potrà evidenziare elementi ideologici, religiosi ed economici di fondamentale importanza per la ricostruzione delle società antiche. 2.2. M o d a l ità d i de posizione del cadavere Dopo l'avvenuto decesso e la purifìcazione del corpo, i resti umani del defunto posso­ no essere deposti all'interno del sepolcreto e ricevere così una sepol­ turaformale, che contrassegna anche il momento della riaggregazio­ ne sociale della comunità nell'ambito del drammatico processo associato al rito di passaggio della morte di un individuo . Il corpo può essere sepolto in tempi rapidi rispetto al decesso e quindi presentare le articolazioni scheletriche perfettamente riconoscibili 35

(deposizione primaria) , oppure in una fase successiva e presentare pertanto uno scheletro completamente disarticolato ovvero con le ossa non in connessione anatomica naturale (deposizione seconda­ ria) . Per meglio chiarire la differenza tra le due tipologie di sepoltu­ ra, si può riprendere la descrizione offerta dagli antropologi fisici Canci e Minozzi ( 2005, pp. 72-3) nel loro brillante manuale sullo studio dei resti scheletrici umani antichi: • deposizione primaria: «Quando la sepoltura del cadavere è avve­ nuta nel luogo di deposizione definitiva, ossia quello in cui avverrà la decomposizione . [ . . . ] Il riconoscimento di una sepoltura prima­ ria si basa esclusivamente sull'identificazione delle connessioni arti­ colari e sul mantenimento delle posizioni anatomiche originarie»; • deposizione secondaria: «Una sepoltura avvenuta in due o più momenti. Il ritrovamento dello scheletro, e quindi la deposizione definitiva, avviene in un luogo diverso da quello in cui è avvenuta la decomposizione» . In questa tipologia di inumazione, i resti sche­ letrici non presentano alcun segno di connessioni articolari. All'interno di questa distinzione bisogna comunque ricordare che la tafonomia (il processo di trasformazione postdeposizionale dei resti umani dovuto ad agenti esterni) può modificare sensibilmente lo stato delle connessioni articolari e, di conseguenza, le capacità professionali di un antropologo fisico devono sempre essere tenute in considerazione quando ci si confronta con lo studio delle deposi­ zioni funerarie (Duday, 2006) . Occorre anche tenere a mente che nelle società che adottano costumi funerari associati a deposizioni secondarie il corpo del defunto può essere lasciato esposto in un luogo esterno alla mercé degli animali e delle intemperie, che lo scarnifìcano, rendendo ancora più complicata l'individuazione delle manipolazioni predeposizionali. Il seppellimento del cadavere può avvenire sia in forma singola, per cui si parla di sepoltura individuale, che multipla (sepoltura collettiva) . I n quest'ultimo caso, i resti scheletrici degli inumati possono appari­ re disarticolati, inducendo a interpretare il tipo di deposizione quale secondaria, oppure presentarsi in un perfetto stato di articolazione ossea (deposizione primaria) . La sepoltura collettiva può anche avve-

nire in fasi successive, cosa che complica il lavoro dell'antropologo, perché, per incrementare lo spazio necessario per ospitare più cada­ veri, si può optare per una rimozione o uno spostamento dei resti ossei dei defunti più antichi per far posto ai nuovi inumati. Pertan­ to , se in una tomba collettiva le connessioni articolari del corpo deposto per ultimo fossero chiaramente identificabili e, per contro, i resti ossei degli altri corpi apparissero disarticolati, si potrebbe ipotiz­ zare una deposizione primaria e addurre la presenza dei resti disarti­ colati a motivi legati alla creazione di spazio aggiuntivo. Il passaggio da una pratica funeraria contraddistinta dalla deposizio­ ne collettiva dei corpi dei defunti a una invece caratterizzata dall'uti­ lizzo della sepoltura individuale è indicativo di un cambiamento nelle modalità di aggregazione sociale della comunità presa in esame. La sepoltura collettiva rappresenta con forza la comunità e il lignag­ gio familiare, mentre la sepoltura individuale segnala una differen­ ziazione di rango tra i membri della società. Questa trasformazione sociale è chiaramente riscontrabile nei cambiamenti intercorsi nei costumi funerari del mondo greco ed egeo tra il I I millennio a.C. (con sepolture multiple all'interno di ampie camere funerarie) e il 1 millennio a.C. (dove predominano la cremazione e l'inumazione singola all'interno di tombe a cista - cfr. PAR. 3 - 5 - o in fosse; cfr. D'Agostino, 1996, pp. 444-5). In ambito greco, questo cambiamen­ to nella tradizione funeraria corrisponde al lento processo di forma­ zione della città (la polis) , che sfocia, tra l'vm e il VI secolo a. C . , nell'emergere d i gruppi aristo cratici guidati da guerrieri, nella costruzione di tombe monumentali e, infine, nel fiorire di culti eroi­ ci (Greco, 1999) . Nell'ambito dei processi di deposizione secondaria, alcune ossa (principalmente i crani, le ossa lunghe e quelle del bacino) vengo­ no tolte volon tariamente dalla loro giacitura primaria per essere riposte in luoghi do tati di maggiore visibilità, in modo tale che possano divenire reliquie ed essere venerate nel culto di santi, ante­ nati sacri e divinità (cfr. PAR. 4.6; Remotti, 2006) . Un tale utilizzo delle ossa dei defunti è ravvisabile nei crani delle " anime del purga­ torio " , venerati a Napoli e in altre città del Centro e S ud Italia 37

(Pardo, 1989 ) . Un altro esempio di riutilizzo del cranio umano per motivi rituali è indubbiamente quello della tomba rinvenuta sotto il pavimento di un'abitazione neolitica presso il sito turco di çatal Hoyi.ik (Hodder, 2006, pp. 146-51) . Lo straordinario ritrovamento consiste in una donna sepolta abbracciata a un cranio intonacato con gesso e dipinto di ross o . Le ricerche archeologiche hanno evidenziato come questo particolare seppellimento sia verosimil­ mente funzionale alla costruzione di una memoria sociale del nucleo familiare all'interno dell'abitazione (domus) in un momento di transizione in cui la produzione agricola e le singole famiglie conquistano maggiore visibilità e potere nella costruzione delle società vicino orientali. L'importanza della distinzione tra deposizione primaria e seconda­ ria risiede anche nella determinazione del tempo che passa tra la morte di un individuo e la deposizione finale del suo cadavere . Questo lasso di tempo ha una profonda valenza socioeconomica e culturale, legata al tipo di cerimonia funebre utilizzata dalla comu­ nità dei vivi oppure al rango che il defunto aveva nella struttura sociale del suddetto gruppo (ad esempio la morte di un leader può richiedere tempi più lunghi nella gestione delle cerimonie funebri) . Infatti, come abbiamo visto nel capitolo precedente, le ricerche etnografiche hanno dimostrato che il processo di separazione tra la comunità dei vivi e il defunto può richiedere tempi brevissimi (entro le 24 ore nella tradizione islamica) oppure anche mesi e anni, perché è proprio durante questa fase di transizione e di gestione del cadavere che si determinano le dinamiche di trasformazione sociale ed economica della comunità. La deposizione secondaria esprime anche la volontà della comunità di dare maggiore importanza al ruolo della collettività nel lungo rito di passaggio che porterà il defunto a impersonare un nuovo ruolo e una nuova funzione ( come può essere il caso della creazione della figura dell'antenato sacro) . Ecco dunque che il processo di decom­ posizione del corpo del defunto diviene un procedimento attivo nel rinforzare la memoria collettiva della comunità, come hanno dimo­ strato, sin dai tempi delle ricerche compiute da Hertz (1907) sulle

popolazioni dayak del Borneo, le indagini etnografiche che si sono occupate delle deposizioni funerarie secondarie (cfr. PAR. 1.2). 2.3. L 'inu mazione Il metodo più comune di deposizione fune­ raria è rappresentato dall'inumazione (o sepoltura) del cadavere (nella deposizione primaria) o dei suoi resti disarticolati (nella deposizione secondaria) . Questa pratica consiste nel deporre i resti umani all'in­ terno di una fossa, un tumulo o una camera funeraria. Il seppelli­ mento del cadavere ha una funzione duplice, e cioè di togliere dalla vista dei viventi la struggente decomposizione del corpo e nel contempo di dirigere l'anima del defunto verso il mondo ultraterre­ no che, nella maggior parte dei casi, è localizzato in un luogo sotter­ raneo. Nel processo di sepoltura, il corpo del defunto riceve un'ablu­ zione rituale prima di essere rivestito con abiti dedicati all'evento, che in moltissimi casi rappresentano la divisa utilizzata in vita, e che sono riconoscibili archeologicamente grazie ad analisi microscopiche effettuate sulle tracce residuali di fibre di tessuto visibili sullo schele­ tro oppure sul terreno a diretto contatto con i resti ossei. I resti di tessuti trovati accanto allo scheletro dell'individuo sepolto all'inter­ no della tomba reale di Arslantepe, nella Turchia orientale, databile all'inizio del I I I millennio a . C . ( F rangipane, 2004) o quelli che ancora mostravano pigmenti di colore viola della tomba reale del Bronzo Tardo di Qatna, in Siria ( Lange, 200 5 ) , costituiscono dei casi unici ; altrimenti, è grazie al ritrovamento di spilloni, fibule e altri oggetti associati all'utilizzo di abiti nelle dirette vicinanze del corpo del defunto che si può risalire all'uso di tessuti per coprirlo. In alcuni casi, il vestito può essere riccamente decorato, come negli esempi ornati con elementi in oro portati alla luce nelle tombe micenee del Circolo A ( C ultraro, 2006, p . 142) . Nella Cina del I millennio a. C., l'abito dei defunti di alto rango era composto da tessere di giada, una pietra di grande valenza magica e simbolica, e da filamenti d'oro (Lippiello, in Remotti, 2006, pp. 48-9) . Il cada­ vere può anche essere semplicemente avvolto in una coperta o in un lenzuolo (il sudario) . Nelle modalità di posizionamento del cadavere e delle sue parti 39

all'interno della tomba si tende a individuare un'altra importante variabile culturale, che ci può far meglio comprendere il credo reli­ gioso associato al mondo degli inferi da parte di una determinata società. Il corpo può essere deposto in posizione flessa, semiflessa, supina, sdraiato su un lato , con le braccia poste lungo i fi anchi , incrociate e raccolte sul petto o con le mani giunte sul pube. Il suo orientamento può essere legato a quello della struttura funeraria e la parte frontale del cranio e, di conseguenza, lo sguardo del morto può essere rivolto in una direzione precisa (a est dove sorge il sole, oppure a ovest dove esso tramonta) , segnalando così una forte connotazione cosmologica asso ciata al mondo mitologico degli inferi. Il cadavere può essere sepolto direttamente all'interno della tomba (quindi a diretto contatto con la terra) oppure riposto in un contenitore (sia esso una bara lignea, un sarcofago di pietra oppure un ampio vaso di ceramica; cfr. PAR. 3.7) prima della sepoltura defi­ nitiva nel sepolcro . 2.4. la m u m m ifi cazione All'estremo opposto della sepoltura del cadavere vi è la volontà di rendere il defunto visibile e indistrut­ tibile per l'eternità. Questo è ad esempio il caso della mummifìca­ zione (o imbalsamazione) del corpo, che permette una sua conser­ vazione duratura e una visibilità del defunto da parte della comunità, oltre, ovviamente, a un ideale mantenimento del suo aspetto fisico nel tragitto verso l'aldilà. Il ricordo delle cerimonie funebri di papa Giovanni Paolo II è si curamente centrato s ulla presenza e sulla vista del morto, che può continuare a essere venera­ to dalla folla degli astanti intervenuti al rito funebre . L a mummificazione è u n processo che p u ò essere s i a naturale che artificiale e ha come obiettivo il mantenimento dei tessuti esterni attraverso la loro disidratazione e il fissaggio sulla struttura ossea. Questo procedimento può essere agevolato da condizioni atmosferi­ che che permettono una naturale conservazione dei tessuti, evitando così la putrefazione del corpo. Ambienti secchi e aridi o caratteriz­ zati da freddi intensi ovvero luoghi umidi con particolari muffe aiutano la naturale preservazione del corpo del defunto . Tra gli 40

(§)

Le m u m m ie egizie

L' i m b a l s a m a z i o n e del corpo e ra il fu l c ro dei riti fu n e b ri d e l l ' a nt i co E g it­ to. Essa e ra compiuta da i m ba lsa m atori che co n i u gava n o conoscenze d i a n ato m ia u m a n a a l l ' app l i c a z i o n e d e i riti n e cess a r i p e r u n c o r retto p ro ced i m e nto sotto la s u pervi s i o n e d e l " S i g n o re dei Seg reti " , che rep l i ­ cava s i m b o l i ca m ente l a m u m m ifica z i o n e d e l d i o O s i r i , d ivi n ità d e l l ' O l ­ t reto m b a c h e m u o re e r i n a s ce, effett u ata d a An u b i , g u a rd i a n o d e g l i i nfe ri e fi d o servitore d i O s i r i ( P i cc h i , 2009, pp. 17- 9 ) . Dopo u n lava g g i o ritu a l e, i l corpo ven iva t ra sfe rito n e l l a st ruttu ra p reposta a l l a m u m m ifi ­ cazi o n e, d ove si p roced eva a l l ' estra zi o n e d e g l i o rga n i i ntern i , p o i ripo­ sti a l l ' i n t e r n o di u r n e a d essi d e d i cate, i vasi canopi, c h e a v re b b e ro q u i n d i fatto pa rte d e l corredo fu n e b re d e l d efu nto. I n u n a seco n d a fase, si ri m u o veva il cerve l l o , m e n t re il c u o re ( l u o go p ri n cipe d e l l ' es s e re u m a n o , n e l q u a l e ri s i e d eva l ' a n i m a ) ven iva t o l to p ri m a d e l l ' i n g resso del co rpo del defu nto n e l l a "Sa l a del G i u d izio" e pesato s u u n a b i l a n cia, alla p res e n z a s i m b o l ica d i Osi ri e A n u b i , per ve rifi ca re se il c u o re-a n i m a fosse l e g g e ro co m e u n a p i u m a , e q u i n d i potesse rag g i u n g e re l o stato di sp i rito, opp u re p i ù pesante ed essere s b ra n ato d a l m o stro A m m ut. I l c o rpo v e n iva q u i n d i fatto d i s i d rata re in un b a g n o d i s a l e p e r ci rca q u a ra nta g i o r n i , l avato co n v i n o di pa l m a per e l i m i n a re t u tti i batte ri, r i e m p i t o c o n b e n d e di l i n o , re s i n a , s e m i di g ra n o , sp e z i e e , i n fi n e , u nto co n o l i b a l s a m i c i . l i p rocesso d i i m b a l s a m a z i o n e e ra p ratica m e n ­ t e t e r m i n a t o ; l a l a c e r a z i o n e d e l l ' a d d o m e ve n iva s i g i l l a ta c o n u n a b a n d a d i m eta l l o e i l corpo a vvo lto a l l ' i nt e r n o d i b e n d e d i l i n o i m b e ­ v u t e d i res i n a , fra i c u i strati ve n iva n o co l l ocati o g g etti d a l va l o re m a g i ­ co- rit u a l e ( i l s i m b o l o d e l l a vita , I ' Ankh, g l i s c a r a b e i e g l i a m u l eti ) . A co n c l u s i o n e d i q u esto p ro cesso d i m u m m i fi ca z i o n e , i l c o rp o e ra p ro nto a ess ere sottoposto a l rituale dell'apertura della bocca, tra m ite i l q u a l e s i sare b b e " ri a n i m ato" e avre b b e potuto co m i n c i a re i l s u o vi a g ­ g i o verso l ' a l d i l à . I l d efu nto poteva a d esso ess e re riposto n e l sa rcofa ­ go e, a cco mp a g n ato d a l corredo fu n e ra ri o , d a l l e pittu re, d a l l e i n ci s i o ­ n i m u ra l i e d a i testi d e d i cati a l m o n d o d e i i n fe ri ( i l co s i d d etto Libro dei mortt) , co l l ocato n e l l a ca m era sep o l c ra l e.

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esempi più emblematici di mummificazione naturale vi è sicura­ mente il caso delle " mummie delle paludi " (bog bodies) , scoperte nelle torbiere del Nord Europa, di Gran Bretagna e d'Irlanda e data­ bili a partire dall'Età del Ferro sino all'epoca romana (circa 840 a.C.9 5 d.C.) . La diversificazione di età e sesso, i tatuaggi riconoscibili sui corpi di molti dei defunti e le tracce di violenze rinvenibili sui resti umani fanno ipotizzare che tali individui appartenessero a gruppi antagonisti al potere centrale (sciamani, streghe, prigionieri ecc. ) , uccisi i n massa e quindi riversati all'interno di paludi e aree lacustri (Parker Pearson, 1999, pp. 67-71) . La mummificazione può anche essere effettuata i n maniera artificia­ le attraverso un complesso processo che richiede la rimozione degli organi interni, la disidratazione e la purificazione del corpo. L'esem­ pio più conosciuto di mummificazione nel mondo antico è sicura-

FIGURA 2 U o m o tatuato d a l Tu m u l o 2 d i Pazyryk

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t Fonte: Parker Pea rson (1999 ) .

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mente quello delle fantomatiche "mummie egizie ", che da sempre catalizzano l'interesse di chi si confronta, sia pur marginalmente, con l'archeologia (cfr. riquadro di approfondimento a p. 41) . Il comples­ so procedimento di imbalsamazione del corpo del defunto aveva anche un valore di prestigio sociale e contraddistingueva gli individui di rango superiore che, per intraprendere il loro viaggio verso l'aldi­ là, venivano mummificati. L'esempio più noto, anche a un pubblico non interessato agli studi archeologici, è sicuramente quello del corpo mummificato di Tutankhamon, sovrano della XVI I I dinastia (1341-1323 a.C.), che ci è giunto in uno stato di preservazione ottima­ le grazie alle condizioni climatiche di caldo secco che caratterizzano l'Egitto e accompagnato da un ricchissimo corredo funerario e che, sin dalla sua scoperta nel 1922 per opera di Howard Carter e Lord Carnarvon , ha stimolato l'immaginazione di milioni di persone attraverso mostre e film (Renfrew, Bahn, 2009, pp. 48-9 ) . T r a gli altri esempi d i mummificazione v i s o n o i corpi ri trovati all'interno dei tumuli (kurgan) portati alla luce tra le montagne dell'Altai ( al confine tra Russia, Kazakistan , Cina e Mongolia) , databili tra il v e il I I I secolo a.C. Le tombe sono di una popolazio­ ne nomade connessa alla cosiddetta " cultura di Pazyryk" e con forti legami con i gruppi di sciti localizzati più a occidente ( cfr. CAP. 3). Grazie anche alle condizioni atmosferiche e alle temperature gelide, i corpi si presentano in uno stato di conservazione tale che su di essi sono ancora riconoscibili tatuaggi con rappresentazioni animali (reali e immaginarie; cfr. FIG. 2), che richiamano alla mente i motivi decorativi tipici dei corredi funerari di queste popolazioni nomadi delle steppe (Parker Pearson, 1999, pp. 61-7) . Tracce di tatuaggi sono ravvisabili anche sul corpo congelato dell'Uomo del Similaun (circa 3300-3200 a.C.; cfr. Renfrew, Bahn, 2009, pp. 52-3) , a riprova del fatto che la decorazione del corpo era un elemento fondante nella costru­ zione della dimensione magico-religiosa delle comunità antiche. 2.5. La c re m a z i o n e Il corpo del defunto poteva anche essere volontariamente distrutto con l'ausilio del fuoco, attraverso l'uso di fosse o pire dedicate all'incinerazione rituale ( com'è evidente nella 43

tradizione greca; cfr. D'Agostino, 1 9 9 6 ) , che permetteva la totale eliminazione dei tessuti molli del cadavere e una riduzione dello sche­ letro in piccoli frammenti e cenere, che venivano poi raccolti all'in­ terno di appositi contenitori (urne cinerarie e ossuari) oppure disper­ si nell'aria o in acqua. Questo tipo di pratica funeraria che garantiva la purifìcazione del defunto, denominata cremazione (o incinerazione) , è rinvenibile in contesti archeologici sin dall'epoca preistorica, quando si assiste a una parziale combustione del corpo (Capone, 2004) . Essa è fortemente simbolica, come ci ricorda Omero nell'Iliade nel racconto di Achille del funerale di Patroclo, e coinvolge il gruppo di apparte­ nenza, che si riunisce davanti alla pira su cui viene posto il corpo del defunto durante la fase di incendio (Mirto, 2007) . L'utilizzo di questo costume funerario complica alquanto la ricerca archeologica dato che, se le ceneri non vengono riposte all'interno di un'urna cineraria o seppellite in apposite fosse e tombe dopo la fase di incinerazione, i resti della pratica scompaiono con la distruzione del corpo e non rimane alcuna traccia del rito funebre. Ciò accade ad esempio nella tradizio­ ne induista, che richiede lo spargimento delle ceneri lungo le rive del Gange o dei suoi affluenti (Capone, 2004, pp. 53-8) . Anche nel caso dell'incinerazione dei resti umani, bisogna distingue­ re tra cremazione primaria o diretta, che avviene cioè nel luogo in cui i resti del defunto rimarranno per l'eternità, e cremazione secondaria o indiretta, in cui i resti carbonizzati del defunto vengono raccolti e successivamente deposti in un luogo diverso all'interno dell'urna cineraria. Esempi di cremazione primaria sono le apposite fosse da cremazione scavate in alcune stanze di palazzi della Mesopotamia settentrionale databili all'epoca neoassira (circa 900-610 a.C. ) . In questi luoghi, il corpo del defunto era posto su una sedia di legno, vestito del proprio corredo funerario e, una volta bruciato, i suoi resti venivano lasciati intatti all'interno della fossa nell'abitazione del grup­ po familiare. L'uso di un sistema di cremazione primario è ravvisabi­ le con relativa frequenza anche in ambito greco dove, seguendo un rituale ben noto anche dalla narrazione omerica del funerale di Patro­ clo, il corpo del defunto è posto su un letto funebre che viene brucia­ to direttamente nella fossa ( Pontrandolfo, in Greco, 1999, p . 64) . 44

Numerosi sono i casi archeologici in cui sono riscontrabili tracce di questo rito , come ad esempio nel sito di Halos, dove, durante il IX secolo a.C. , un gruppo di sedici pire, ciascuna ricolma dei resti carbo­ nizzati dei corpi dei defunti e ricoperta da lastre o pietre, faceva parte di un sepolcreto funerario consistente in un unico grande tumulo di terra (D'Agostino, 1996, pp. 446-8, fig. 3) . Tra gli esempi più emblematici dell'utilizzo della tecnica di crema­ zione secondaria del corpo del defunto vi è sicuramente la tradizio­ ne funeraria delle popolazioni italiche ed europee di epoca preclassi­ ca. In contesti archeologici italiani, questa pratica trova una forte diffusione alla fine dell'Età del Bronzo (circa x r r - x secolo a.C., il cosiddetto periodo protovillanoviano) e agli inizi dell'Età del Ferro (circa IX-VI I I secolo a.C . , durante il periodo villanoviano) , quando essa è pressoché l'unico sistema di trattamento del cadavere utilizza­ to (Bietti S estieri, 2010, pp. 193-8; Cristofani, 1999, pp. 141-2; Iaia, 1999) . Durante questa fase, i resti cremati venivano deposti all'inter­ no di urne cinerarie di ceramica dal profilo consistente in due coni attaccati per il lato con il diametro maggiore (le cosiddette " urne biconiche " ) che, a loro volta, erano riposte in fosse accompagnate da corredo funerari o . Questo consta in genere di oggetti di uso comune (vasellame ceramico) , ma anche di prestigio (armi, gioielli, fibule) e dall'elevato valore simbolico (vasi in forma di animali ) , primo indizio d i un incremento della variabilità funeraria e , conse­ guentemente, di una differenziazione di rango tra i membri delle comunità italiche di queste fasi protostoriche (Torelli, 1997) . La cremazione caratterizza anche il trattamento del corpo dei defunti tra le comunità fenicio-puniche che, dopo aver incinerito il cadavere, ne conservano i resti all'interno di urne . Questo sistema è chiaramente riconoscibile nei tofet (luoghi sacri dedicati alla deposi­ zione dei resti cremati di giovani, infami e animali, spesso vittime sacrificali) che segnano il paesaggio urbano dei centri fenicio-puni­ ci sia orientali che occidentali (Bonnet, 2004) . È tuttavia nella tradizione funeraria del mondo greco ed egeo di epoca classica che si incontrano gli esempi più noti di utilizzo della tecnica dell'incinerazione del corpo del defunto. L'uso della crema45

zione comincia a diffondersi in ambito egeo-greco a partire dal secolo a.C. attraverso verosimili influenze anatoliche ; in tale area questo tipo di trattamento appare infatti già nella seconda metà del I I I millennio a. C . , per diventare uso comune durante il I I millennio a.C . ( Cultraro, 2006, pp. 149-50) . Ma è a cavallo tra il II e il I millennio a . C . che la cremazione del corpo del defunto segna una drammatica cesura culturale, e verosimilmente religiosa, con la precedente epoca micenea che è invece contraddistinta da sepolture collettive all'interno di tombe a tholos (a pseudocupola) e di tombe a fossa ( Pontrandolfo, in Greco, 1999, pp. 55-81) . In ambi­ to greco, l'uso della cremazione nel trattamento del corpo serve a distinguere nettamente i ruoli sociali in base alla differenza di età (cremazione per gli adulti e inumazione per gli infanti; cfr. D'Ago­ stino, 1996, p. 449 ) , ma anche di status economico, politico e mili­ tare dell'individuo cremato le cui ceneri potevano «essere raccolte dopo lo spegnimento della pira e collocate all'interno di un reci­ piente metallico di particolare prestigio», successivamente riposto in fosse e accompagnato da un ricco corredo funebre che serviva ad affermare il ruolo avuto in vita dal defunto (ad esempio presenza di armi nel caso di un capo militare), ma che fungeva anche da richia­ mo me taforico alla sfera del b an che tto ( cfr . PAR. 5 . 3 ; Elia, in Remotti, 2006, p. 62) . L'importanza dell'uso di questa tecnica nella Grecia classica è soprattutto desumibile dalle fonti storiche. Sono infatti i testi epici e storici che ne testimoniano l'utilizzo nelle ceri­ monie funebri di eroi e guerrieri (Mirto, 2007) . L'uso della crema­ zione continua durante il periodo romano, per interrompersi drasti­ camente con l'introduzione dei costumi funerari cristiani, che lo impediscono attraverso regolamentazioni che permettono solo il seppellimento del corpo (Capone, 2004, pp. 88-92) .

XIV

2.6. I l corpo m ut i l ato La tradizione classica vuole che non vi sia maledizione peggiore per la comunità dei viventi di un corpo marto­ riato oppure in avanzato stato di decomposizione in attesa di riceve­ re un appropriato rito funebre e le onoranze che gli spettano. Ciò appare molto chiaramente nell'Iliade, là dove Achille si mostra 46

inquieto perché teme che i vermi possano divorare il corpo del suo caro amico Patroclo, ucciso da Ettore, prima che questo possa essere riposto sulla pira per la cremazione e ricevere quelle onoranze funebri che spettano a ogni valoroso soldato al termine della sua vita glorio­ sa. Non vi è infatti nulla di più orribile di un cadavere profanato per i membri della comunità dei vivi, che fanno tutto il possibile affin­ ché il corpo del defunto riceva un rito funebre appropriato prima che inizi il processo di decomposizione (Vernant, 2000, pp. 67-73) . Nonostante la volontà dei vivi, lo smembramento del cadavere si verifica molto spesso, e casi di profanazione da parte dei nemici in battaglia attraverso la m utilazione di sue parti si riscontrano in numerosi contesti geografici e cronologici ( Remotti, 2006, pp. 23-8) . Uno straordinario esempio è sicuramente ravvisabile nel Vicino Oriente durante l'epoca neoassira, quando la rappresentazione dei corpi mutilati e delle teste mozzate dei nemici diviene parte inte­ grante del sistema ideologico di potere dei sovrani assiri ( Liverani, 1988, pp. 830-4, fig. 153) , com'è ben evidente nella raffigurazione di un banchetto reale in un ortostato ( lastra in pietra con funzione decorativa posta lungo il muro) del sovrano assiro Assurbanipal ( 668-631 a.C.) rinvenuto a Ninive, in cui si intravede la testa decapi­ tata di un re elamita (Tuemman) sconfitto in battaglia. L'appropriazione dei crani dei nemici quale segno di grande valore militare ha una diffusione molto trasversale e si riscontra, ad esem­ pio, tra i principi delle steppe euroasiatiche, che usano custodirli nelle proprie camere funerarie . A conferma di ciò vi sono inoltre la testimonianza di Erodoto e dati archeologici che mostrano sia i resti di alcuni crani portati alla luce all'interno dei tumuli funerari di Pazyryk, nella regione dell'Altai, sia la rappresentazione visiva di un soldato che tiene in mano la testa di un uomo su di una piccola campanella d'oro, parte del corredo funerario di un guerriero scita del Caucaso (Schiltz, 1994, pp. 333-4) . I resti mutilati dei cadaveri associati all'attuazione di un sacrificio umano sono anch'essi esclusi da una sepoltura formale all'interno di un sepolcreto tradizionale . Dopo essere stati uccisi, i corpi di tali individui possono essere riposti secondo un orientamento appropria47

to, legato alle regole cosmologiche della comunità dei viventi, come accade nel caso dei cento scheletri umani rinvenuti all'interno di grandi spazi aperti (p laza) nel sito moche di H uaca de la Luna, in Perù, databile fra il 2oo e il 6oo d.C. I resti ossei dei cadaveri (bambi­ ni e uomini adulti di età media) mostrano chiari segni di violenza, che appaiono tipici della tradizione moche, come si può ben osserva­ re nelle pitture parietali e nel vasellame ceramico di questa straordi­ naria cultura antica del Sud America (Pillsbury, 2001, pp. 111-25 ) . D a u n punto d i vista archeologico, occorre quindi fare maggiore attenzione all'individuazione di tracce di armi sui resti ossei dei defunti, per meglio identificare i segni di una morte violenta. Ad esempio questi sono chiaramente ravvisabili nelle ossa degli indivi­ dui di età adulta scoperti all'interno di un bacino rituale portato alla luce in un'abitazione della fine del I I I millennio a . C . nel centro mesopotamico di Titri� Hoyi.ik, nella Turchia sud-orientale. I resti umani di diciannove individui furono trovati in pieno stato di disarticolazione scheletrica e, dopo un'attenta analisi, gli antropolo­ gi fisici turchi dedussero che essi erano morti in battaglia a causa delle ferite provocate da armi ( Laneri, 2004, pp. 145-6, fig. 14) . La mutilazione (o smembramento) del cadavere può anche avere una funzione rituale e positiva (si pensi alle reliquie cristiane; cfr. PAR. 4.6) e alcune sue parti possono essere tagliate e ripulite nella fase di purifi­ cazione e abluzione, prima della sua deposizione all'interno del sepol­ cro (Remotti, 2006, pp. q-23) . La cosiddetta " toeletta del corpo" può richiedere anche il taglio dei capelli, delle unghie e di altri peli, che possono poi essere deposti in un contenitore collocato accanto al corpo (come accade in contesti funerari britannici del m e II millen­ nio a. C . ) ; la tradizione testuale america fa menzione nell'Iliade del taglio dei capelli di Patroclo da parte dei compagni (incluso Achille), capelli che sono poi riposti sul cadavere prima che questo venga bruciato sulla pira di cremazione (Vernant, 2000, p. 61) . 2 .7. Qua n d o m a nca i l corpo I n ultima analisi, bisogna anche considerare la possibile assenza del corpo, dovuta ad esempio al fatto che la persona è deceduta lontano dai propri cari . Infatti, le tombe 48

portate alla luce dagli scavi archeologici indicano che i resti umani non rappresentano quasi mai l'intero n umero di defunti di una comunità; occorre dunque tenere conto della mancanza di tutti quegli individui che non possono ricevere una deposizione formale all'interno dei sepolcreti (si pensi ai fuori casta, ai bog bodies prece­ dentemente presi in esame, oppure agli schiavi in alcune società anti­ che) o delle persone che muoiono lontano da casa a causa di attività belliche o perché impegnate in attività economiche che le costringo­ no a viaggiare per lunghi tragitti (come ad esempio i mercanti e i pastori) . L'incompletezza del dato archeologico emerge chiaramente dall'an alisi effettuata da lan Morris (19 87) sulle necropoli attiche (xii-VI secolo a.C.), da cui si evince che solo per un breve periodo (la seconda metà dell'vii i secolo a.C.) l'intera popolazione ricevette una deposizione funeraria formale all'interno di sepolcreti segnalando una maggiore variabilità sociale indicativa dell'inizio della formazio­ ne dellapo/is ( Pontrandolfo, in Greco, 1999, p. 63) . Diverso è i l caso dei morti in guerra oppure lontano da casa. I n tali circostanze, la comunità può decidere di costruire una struttura fu­ neraria vuota (cenotafio) , al cui interno non verrà deposto alcun cor­ po, ma solo (ed esclusivamente se necessario) il corredo funerario che avrebbe dovuto accompagnare il defunto . Questo è, ad esempio, il caso delle necropoli del tardo Neolitico di Varna, in Bulgaria, dove nel 25% circa delle tombe manca il corpo del defunto, oppure dei ce­ notafi che, sin dai primordi, caratterizzano l'architettura funeraria rea­ le egizia (si pensi alla necropoli della I dinastia ad Abido databile agli inizi del I I I millennio a.C.) e vengono concepiti come veri e propri luoghi di culto . La scomparsa dei resti umani degli individui mor­ ti in battaglia porta anche alla creazione di monumenti dedicati alla commemorazione di queste persone importanti nella memoria col­ lettiva di società antiche e moderne. Anche in ambito classico, l'e­ rezione di un monumento pubblico dedicato alla memoria dei mi­ litari defunti consentiva di onorare tale memoria malgrado l'assen­ za effettiva dei loro corpi (D'Agostino, 1996, p. 443) . È questa anche la funzione svolta dall'heroon, una tomba-monumento (con o sen­ za resti umani) dedicata a figure eroiche che diviene successivamen49

te edificio religioso, posizionato in luoghi catalizzatori della vita quo­ tidiana della città ( come poteva essere l'agorà) e che, sia in madre­ patria che nelle colonie greche d'Occidente, custodiva la memoria storica del fondatore della città (l'ecista) ( Lo Sardo, in Greco, 1999, p. 87) . Il famoso cenotafio commemorativo dei guerrieri ateniesi pe­ riti durante la battaglia combattuta contro i persiani a Maratona di­ viene anche un monumento di emblematico valore nella costituzio­ ne della nascente democrazia ateniese a cavallo tra il VI e il v seco­ lo a.C. (Arrington, 2010) . In altri casi, quando non possono essere riportati in patria, i corpi vengono tumulati sul campo di battaglia. L'esempio più antico è sicuramente rappresentato dalla fossa di T alheim (Germania) datata al 5000 a.C. circa, al cui interno furono rinvenuti i resti di diciotto adulti e sedici bambini i cui crani mostravano segni di violenza attri­ buibili ad almeno sei tipi diversi di asce ( Renfrew, Bahn, 2009, pp. 206-7) . Anche nel Vicino Oriente, testimonianze di attività belli­ che sono evidenti nei resti archeologici, come ad esempio nel tumu­ lo di cadaveri (circa 70 individui) portato alla luce da un gruppo di archeologi britannici nelle vicinanze dell'importante centro urbano di Tell B rak (Siria nord-orientale ) , databile alla prima metà del IV millennio a.C.; all'interno del tumulo (Tell Majnuna) oltre ai resti umani sono stati trovati una serie di oggetti (principalmente vasella­ me) e animali, che fanno ipotizzare la pratica di una cerimonia fune­ bre associata alla memoria dei soldati morti in battaglia. Nella tradizione vicino orien tale del I I I e I I millennio a . C . , la costruzione di tumuli funerari dedicati al seppellimento dei resti umani dei nemici ( birutum in accadico ) è chiaramente attestata nella tradizione letteraria mesopotamica ( Richardson, in Laneri, 2007, p p . 1 9 3 -204) . L'accumulo dei corpi dei defunti è anche riscontrabile nell'iconografia della famosa S tele degli Avvoltoi di Lagash del sovrano Eannatum ( metà del I I I millennio a . C . ; ivi, pp. 193-5, fig. 10.3), così come compaiono con una certa frequenza negli ortostati della tradizione reale neoassira del I millennio a.C. corpi di nemici denudati, ammonticchiati gli uni sugli altri. Diverso è il caso dei defunti che subiscono un seppellimento senza so

la pratica di alcun rito funebre in luoghi diversi dal sepolcro tradi­ zionale. Ciò può accadere, ad esempio, per individui appartenenti a classi sociali subalterne, come quelli, morti a causa di un'epidemia, ritrovati sepolti all'interno di pozzi della Grecia micenea (come nel caso di Micene e Argo; cfr. Cultraro, 2006, p. 150) . Ancora più complessa è la questione riguardante la deposizione rituale di animali all'interno di strutture funerarie. Quando gli animali sono deposti accanto al cadavere del defunto possono esse­ re testimonianza di un sacrificio o rappresentare la volontà di accompagnare il deceduto con l'animale che l'ha seguito nel corso della sua vita, come appare evidente per i resti ossei di cavalli che si ritrovano costantemente nei tumuli funerari degli sciti delle steppe euroasiatiche (Schiltz, 1994, pp. 329-34) ; ma quando questi sono gli unici resti ossei all'interno del sepolcro, come nel caso delle deposi­ zioni di cani che rappresentano più del 1 5 % delle tombe del perio­ do Mesolitico rinvenute nella Svezia meridionale oppure alla miria­ de di animali ( principalmente cani e s ciacalli) mummificati in onore del dio Anubi e riportati alla luce in un lungo cunicolo a Saqqara, in Egitto, databile al 747-30 a.C., bisogna immaginare una loro funzione magico-rituale nella costruzione della dimensione cosmologica della società di riferimento . Questo capitolo dimostra come l'analisi del trattamento del corpo del defunto non sia un argomento di pertinenza esclusiva dell'an­ tropologo fisico , ma un elemento fondante per la comprensione delle modalità di gestione delle pratiche funerarie delle comunità coinvolte; di conseguenza, l'archeologo interessato alla comprensio­ ne e all'interpretazione dei riti funebri antichi deve prestare molta attenzione alle condizioni e al modo in cui i resti umani venivano manipolati prima della loro deposizione finale.

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3 . La tomba , il corredo e le offerte funebri 3.1. l resti d e l rito fu n e b re Dopo il trattamento, il corpo del defunto è pronto per entrare nella fase più importante delle ceri­ monie funebri e per essere riposto nel luogo dove rimarrà per l'eter­ nità: il sepolcro. Infatti, come ha giustamente fatto notare D'Agosti­ no (1996, p. 442) , «è necessario provvedere il morto di quanto gli occorre perché egli possa conservarsi: a questo gli servono la tomba, che gli assicurerà la permanenza nel tempo, le offerte e il corredo funebre». Eccoci quindi nella sezione che coinvolge maggiormente lo studio­ so dei riti funebri antichi, il cui primario interesse è incentrato sull 'individuazione e sull'interpretazione del luogo in cui sono sepolti i resti umani (la tomba) e degli oggetti (le offerte e il corre­ do funebre) che accompagnano il defunto nel lungo viaggio verso l'aldilà. La definizione e l'interpretazione di questi elementi hanno un'importanza strategica per lo studioso interessato all'archeologia funeraria. Essi sono difatti determinati dalle regole che sovrinten­ dono all'organizzazione sociale della comunità, per la quale il sepol­ cro diviene il principale ricettacolo della memoria collettiva. Si può rendere il sepolcro volontariamente invisibile, senza quindi segnalarlo in alcun modo, oppure parlo in risalto erigendo un tumu­ lo in terra o creando un riempimento con cumuli di ciottoli o pietre di piccole dimensioni, posizionando sopra una o più pietre di gran­ di dimensioni in modo da unire l'artificiosità della tomba con la naturalezza del paesaggio, apponendo all'ingresso una pietra tomba­ le e una stele decorata con iscrizioni e scene raffiguranti il morto, una statua, un vaso oppure un semplice simbolo che richiami alla mente la sua appartenenza ernica e religiosa a un determinato gruppo, come nel caso della croce per le tombe cristiane . Il defunto può essere volontariamente deposto all'esterno del centro abitato in una posizione che segrega i morti dalla comunità dei vivi 52

(e cioè nelle necropoli, " città dei morti " , dal greco nekros, " morte " , e polis, " città") o p u ò essere incorporato dalla memoria collettiva della società e, quindi, riposto all'interno del centro abitato (deposi­ zione foneraria intra muros) o in tombe inserite in strutture religio­ se (si pensi ai sepolcri nelle chiese cristiane) o in cripte familiari, tombe e fosse poste in abitazioni private o edifici palatini (deposizio­

ne funeraria residenziale) . La localizzazione del sepolcreto rispetto al centro abitato (interna o esterna) è molto importante perché permette di comprendere se la " gestione " dei defunti avesse una valenza connessa con l'accesso dei vivi alle risorse primarie ( cfr. PAR. 1.4) o servisse a consolidare l'ap­ partenenza a un lignaggio e, quindi, a rinforzare la linea ereditaria di un determinato gruppo familiare attraverso la costruzione di una cripta familiare dedicata agli antenati sacri ( Laneri, 2004) . Gli aspetti socioeconomici che sovrintendono alla decisione presa dai leader della comunità su dove disporre il sepolcreto sono sovente legati a regole di carattere religioso o a norme igieniche segnate dalla volontà di separare i resti umani dei defunti dai luoghi di vita quoti­ diana della comunità, relegandoli lontano dal centro abitato (Ariès, 1978) . 3.2. Le n e c ro p o l i La deposizione dei resti umani dei defunti all'interno di aree formali dedicate al seppellimento dei morti è un chiaro segno dell'avvenuta distinzione delle attività produttive da quelle dedicate alla memoria dei defunti . La costruzione di una " città dei morti " appare come un elemento imprescindibile nella gestione della società da parte delle organizzazioni di potere. In moltissimi casi, la necropoli ripropone in una versione " sotter­ ranea" la distribuzione degli spazi della città dei vivi : le tombe possono essere suddivise in base alle diverse radi ci etniche dei defunti (Cuozzo, 2003 ) , o raccolte attorno a strutture funerarie di dimensioni maggiori a testimoniare un'appartenenza al gruppo familiare esteso incen trato su una figura principale che assume il ruolo dell'antenato sacro ( Laneri, 2004) , o distribuite a ventaglio intorno a una tomba principale ( N as o , 2000, p p . 9 5- 1 69 ) . La 53

necropoli è generalmente ubicata a una certa distanza dal centro abitato , in asse con gli orientamenti cardinali associati alle regole cosmologiche e religiose fondanti per quella specifica società. Ad esempio essa può essere posizionata su un promontorio lungo il versante occidentale della città in corrispondenza del tramontare del sole . La necropoli può essere separata dall'insediamento o dallo spazio esterno naturale da palizzate lignee o muri di recinzione e articolarsi lungo sistemi viari, come nei celebri casi dei sepolcri di epoca tardorepubblicana e di prima età imperiale distribuiti lungo le vie consolari romane (Zanker, Ewald, 2008 ) , del demosion sema (cimitero pubblico) costruito attorno a un ampio spazio pubblico nella parte nord-occidentale di Atene a partire dal 500 a.C. (Arring­ ton, 2010) , delle tombe a tumulo della prima Età del Ferro disposte lungo una "via funeraria" a Campovalano (Teramo) o delle inuma­ zioni e delle tombe a incinerazione della necropoli della media Età del Bronzo di Olmo di Nogara, nel veronese ( Bietti Sestieri, 2010, pp. 53 e 291) . La definizione delle regole che sovrintendono alla distribuzione delle tombe all'interno dell'ampio spazio dedicato ad accoglierle è un elemento fondamentale per poter comprendere il significato sociale che queste differenziazioni hanno per il sistema di organiz­ zazione della comunità dei viventi (Bietti Sestieri, 1992, pp. 9-20) . La variabilità nella distribuzione spaziale delle tombe all'interno di una necropoli può infatti essere un prezioso indicatore di distinzio­ ni basate sul rango sociale ( una tomba più grande separata da un agglomerato di tombe di dimensioni minori) e sul genere e sull'età dei defunti ( tombe a cista per gli adulti e deposizioni in vasellame ceramico per gli infami) , o di similitudini connesse a un'enfatizza­ zione dei vincoli di parentela e di discendenza familiare ( gruppi di tombe con identica struttura architettonica e corredi familiari) . Per rendere questo fattore coerente, bisogna incrociare i dati legati alla variabilità spaziale con quelli relativi ai resti umani (sesso, dieta, gruppo etnico ) , ai diversi modi di trattare il corpo del defunto, al tipo di struttura funeraria, alla tipologia di corredo funerario e, infi­ ne, alle offerte funebri post mortem . Per far ciò, occorre avvalersi di 54

indagini s tatistiche multivariate , diven ute ormai uno strumento imprescindibile per gli studiosi interessati a ricostruire gli antichi riti funebri (cfr. PAR. 3 .9). T ornando alla localizzazione delle deposizioni funerarie, un'area dedicata al seppellimento dei defunti può anche non essere associata a insediamenti veri e propri, ma costituire il luogo sacro deputato all'inumazione dei corpi di individui appartenenti a società nomadi e transumanti, che trascorrono parte dell'anno nei suoi pressi . In questo caso, i resti delle deposizioni funerarie possono essere assai numerosi e legati a luoghi sacri naturali, come ad esempio le rive di una fonte d'acqua (mare, lago, fiume), promontori utilizzati per le attività di pastorizia (altipiani, steppe), oppure oasi all'interno di aree desertiche . Tra questi luoghi dedicati al culto dei morti bisogna sicuramente menzionare i famosi kurgan, che contraddistinguono il paesaggio delle regioni euroasiatiche per un lungo arco cronologico (dal m al 1 millennio a. C . ; cfr. Gimbutas, 2010; Schiltz, 1994), le ampie necropoli contrassegnate da distese di tombe a tumulo circo­ lare e a dolmen ( camere funerarie ricoperte da cumuli di lastre di pietra) che si trovano nelle alture del Golan e nel deserto del Negev in territorio israeliano e che sono databili al m millennio a.C., e le tombe a torretta (nawimis) che sin da epoche preistoriche segnano il paesaggio desertico del Sinai e che sono state riutilizzate nel corso del tempo da altre comunità nomadi, comprese le moderne tribù di beduini (Ben-Tor, 1992, pp. 141-2) . 3.3. Luoghi d e l l a m e m o ria co l l ettiva La volontà di includere alcuni defunti all'interno del centro abitato può essere espressione della necessità di riorganizzare socialmente ed economicamente sia la società nella sua globalità che le singole famiglie. Queste trasforma­ zioni avvengono generalmente in fasi storiche caratterizzate da una diminuzione della forza del potere centrale e da un forte cambiamen­ to delle forme di sussistenza economica. In tali momenti di cambia­ mento, alcune comunità hanno la necessità di creare luoghi della memoria associabili ad antenati sacri, siano essi eroi o semplicemen­ te capostipiti di una famiglia, che possano facilitare la fondazione di 55

un nuovo potere generazionale. È questo il caso del complesso fune­ rario costruito sull'acropoli della città di Ur, in Mesopotamia meri­ dionale, dedicato alla memoria dei sovrani divinizzati della I I I dina­ stia (fine del I I I millennio a. C . ) , degli heroon deputati alla memorializzazione degli eroi mitici nelle città greche, o dei mausolei degli imperatori romani, i cui sepolcreti funerari spiccavano (e spic­ cano tuttora) nel paesaggio urbano di Roma (cfr. PAR. 4.4). La costruzione di sepolcri monumentali all'interno del centro abitato ha un grande impatto sull'immaginario della comunità e svolge, a beneficio dei gruppi di potere, una funzione ideologica sul resto della popolazione (cfr. PAR. 4.3). Un simile approccio non è tipico solo delle popolazioni antiche, ma è rinvenibile anche tra le popolazioni contemporanee: ad esempio i resti del fondatore della Turchia moderna (Mustafa Kemal Ataturk) sono custoditi in un grande mausoleo (anztkabir in turco) posizionato al centro della nuova capi­ tale Ankara (Mattalucci-Yilmaz, in Remotti, 2006, pp. 197 e 207) . Accanto a queste deposizioni elitarie poste all'interno del centro abitato, vi sono le deposizioni funerarie residenziali che vengono edificate in abitazioni private o in edifici palatini e non sono pertan­ to visibili dall'esterno ( B artoloni, Benedettini, 2009 ) . Questa loro collocazione nella topografia cittadina le rende fondamentali solo per quegli individui che partecipano attivamente alla vita quotidiana del nucleo familiare di appartenenza e, di conseguenza, esse hanno una funzione di catalizzatore della memoria collettiva del gruppo associato all'abitazione, com'è evidente dalla tradizione tipica delle società neolitiche del Vicino Oriente di inumare i corpi dei defunti al di sotto dei pavimenti delle case (Hodder, 2006, pp. 123-5) . In genere, gli individui sepolti all'interno della tomba residenziale non rappresentano la globalità degli abitanti della casa, cosa che induce a ipotizzare che essi fossero gli antenati sacri seppelliti nella cripta familiare e avessero la funzione di rafforzare le linee di discen­ denza interne al gruppo familiare. È questo il caso delle tombe resi­ denziali della fine del m millennio a.C. di Titri� Hoyiik (Turchia sud-orientale) , ricavate in una stanza o in un angolo della corte cen trale della casa. La camera funeraria è posta al di sotto del piano 56

di calpestio ed è quindi raggiungibile dall'abitazione attraverso un ingresso scalinata, mentre il tetto è costituito da ampie lastre !api­ dee (cfr. FIG. 3 ) . A Titri� Hoylik, questa tipologia di deposizione funeraria appare come un elemento fortemente innovativo nel tessu­ to urbano della città-stato della Mesopo tamia settentrionale, in particolare se paragonato alla fase precedente (metà del I I I millennio a.C. ) , nella quale il centro era caratterizzato da monumentali edifici pubblici e da una necropoli posta circa 400 metri a ovest del nucleo abitato . La trasformazione della modalità di inumazione di alcuni defunti (verosimilmente gli antenati sacri) è un effetto diretto di un drastico cambiamento intervenuto nei sistemi di produzione delle comunità che abitavano questo centro mesopo tamico ; infatti, è durante la fase di utilizzo delle tombe residenziali e di abbandono dell'uso della necropoli che si assiste a un notevole incremento della

FIGURA 3 To m b a a ca m e ra res i d e n z i a l e a litri� H oyi.i k

Fonte: La n e ri (2004).

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produzione del vino all'interno delle abitazioni private e dello scam­ bio commerciale su lunga distanza (Laneri, 2004) . Le tombe residenziali divengono caratteristiche delle abitazioni private delle élite emergenti dei mercanti e dei ricchi mesopotarnici a partire dall'inizio del II millennio a.C . , testimoniando così l'esisten­ za di un forte collegamento tra " inclusione " degli antenati sacri all'interno dell'abitazione e incremento del potere di ricche famiglie di mercanti. In Mesopotarnia, le tombe residenziali non erano prero­ gativa esclusiva delle abitazioni private, in quanto potevano essere poste anche all'interno di palazzi. La tradizione delle tombe reali resi­ denziali inizia nel corso del m millennio a.C., ma è alla fine del II e nei primi secoli del I millennio a.C. che questo costume funerario diviene precipuo dei sovrani d'Assiria. Ne sono chiara evidenza archeologica le strutture ipogee (cfr. PAR. 3.5) con volte di mattoni crudi costruiti al di sotto dell'area sud-orientale del Palazzo Antico di Assur, che contenevano i sarcofagi con iscrizioni cuneiformi di tre importanti re assiri (Assurbelkala, XI secolo a. C., Assurnasirpal I I e Sharnshi-Adad v, IX secolo a. C.), ma soprattutto le quattro straordi­ narie camere funerarie delle regine neoassire scoperte al di sotto del Palazzo Nord-Ovest, edificato da Assurnasirpal II nell'antica capita­ le di Nimrud, contraddistinte da un ricchissimo corredo funerario, tra cui gioielli d'oro, argento e pietre semi preziose, riportati alla luce dagli archeologi iracheni (Matthiae, 2005, pp. 137-43 ) . L a costruzione d i tombe residenziali sembra essere u n elemento caratteristico delle élite emergenti anche in altri contesti, come appare, ad esempio, dalle deposizioni funerarie domestiche rinve­ nute dagli archeologi durante gli scavi degli abitati delle comuni­ tà argariche della regione sud-orien tale della penisola iberi ca, databili alla prima metà del n millennio a.C. ( Chapman, 1990) . Il costume funerario della deposizione selettiva di individui all'inter­ no di abitazioni private è tipico anche delle popolazioni mesoame­ ricane. È il caso dei gruppi maya, che danno maggiore risalto alla costruzione delle tombe residenziali attraverso una diversa pianifi­ cazione dello spazio abitativo, che è conseguente alla trasforma­ zione dell'organizzazione sociale della comunità (come dimostra58

to dall'esempio del sito di K'axob, nel Belize settentrion ale; cfr. McAnany, 199 5 ) . Di diverso genere sono le deposizioni infantili poste sotto i l pavi­ mento della casa. Questo costume funerario è abbastanza diffuso e testimonia generalmente della volontà di mantenere all'interno del n ucleo abi tativo familiare i neonati nati morti o i bambini deceduti quando non avevano ancora raggi unto l'età adulta. Inol­ tre, è importante ricordare che, nella maggior parte dei casi, i resti umani degli infami vengono deposti all'interno di contenitori ceramici (primariamente ceramica da cucina o anfore da immagaz­ zinamento; cfr. PA R. 3.7) e con l'assenza, quasi totale, di corredo funerario, segno della mancata acquisizione di un rango soci ale ( cfr. PAR. 4.2). 3.4. I l ti po d i deposizione fu n e ra ria Almeno una volta nella vita è capitato a tutti gli archeologi di rinvenire i resti di una depo­ sizione funeraria, che po teva essere una fossa, una camera o un tumulo con all'interno ossa umane e un ricco corredo funebre . La tradizione degli studi antichistici ha generalmente focalizzato il proprio interesse sui corredi, più che sulla struttura funeraria in sé. In anni più recenti, però, si è compresa l'importanza di un attento studio del " contenitore " in cui vengono deposti i resti della ceri­ monia funebre . Joseph Tainter (1978) e altri studiosi hanno così giustamente pres tato molta attenzione alla classificazione delle deposizioni funerarie, per comprendere meglio il livello di " spesa energetica" della comunità dei vivi nella preparazione del luogo deputato ad accogliere il defunto . Come si è visto in precedenza (cfr. PA R. 1.4), queste ipotesi classificatorie del contesto funerario sono state contestate, ma è indubbio che il tipo di deposizione fune­ raria utilizzata sia direttamente collegato alla struttura sociale, economica e culturale della società presa in esame . Nello specifico, bisogna cercare di individuare non solo il tipo di sepolcro con cui ci si confronta, ma anche come questo si ponga in relazione con il paesaggio e le concezioni religiose di quella determinata società, e soprattutto se vi sia la volontà di enfatizzare, con la costruzione di 59

strutture funerarie altamente visibili, o di elidere, sotterrando il cadavere senza segnalarne la presenza, la visibilità del defunto nella percezione della comunità. Ecco che ci si deve confrontare quindi con le variabili dell'architettu­ ra funeraria e con il rapporto che essa ha con la pianificazione delle strutture urbane. Infatti, i vivi cercano di definire l'oltretomba come un luogo diametralmente opposto a quello in cui vivono la propria quotidianità; questo è evidente nella creazione delle storie mitologi­ che associate agli inferi e, nella maggior parte dei casi, si riflette nella gestione topografica dei defunti. S ulla base di queste premesse, elaborare una tipologia delle deposi­ zioni funerarie risulta un compito molto arduo, perché queste sono molto varie e difficilmente possono essere racchiuse in categorie ferree e ristrette. Nonostante ciò, è possibile cercare di ricondurle all'interno di tre grandi gruppi : 1 . deposizioni sotterranee; 2. sepolcri ricavati nel paesaggio naturale o che hanno una forte simbiosi con esso e un durevole impatto visivo sul terreno; 3· tombe con struttura architettonica. All'interno di ciascuna di queste categorie si incontrano numerose varianti rispetto al tema generale, e in alcuni tipi di strutture fune­ rarie si intersecano elementi riconducibili a una o più delle suddivi­ sioni succitate, come ad esempio in quello della tomba a tumulo con camera funeraria o della tomba a tholos. 3.5. Le d e p osiz i o n i sotterra n e e La prima categoria è rappre­ sentata principalmente dalle tombe più semplici, quelle contraddi­ stinte da un taglio nel terreno o in un banco di roccia ( tombe a fossa) , al cui interno vi possono essere sia deposizioni singole che m ultiple. Queste tombe possono anche essere costituite da un semplice pozzetto scavato nella terra ( tombe a pozzetto semplice oppure doppio) , dentro il quale venivano deposte le urne cinerarie contenenti i resti del defunto, come si osserva nella tradizione fune­ raria del periodo protovillanoviano e villanoviano in Italia ( x u - r x secolo a.C.; cfr. Cristofani, 1999, pp. 298-9) . In alcuni casi, la tomba 60

può essere fornita di vestibolo al cui interno viene deposto il corredo funebre associato al morto (la cosiddetta tomba a ricettacolo) . Il taglio della fossa può anche essere regolarizzato attraverso l'uso di lastre lapidee, muretti in laterizi o mattoni crudi posti a delimitarne il taglio e a formare un vano al cui interno verrà deposto il defunto e il relativo corredo (la cosiddetta tomba a cista o tomba a cassa) . La copertura della fossa può consistere in semplice terriccio, materiale lapideo, mattoni crudi o laterizi (come nel caso della copertura in tegole della tomba a cappuccina di ambito romano e medievale) . Lo scavo nel terreno e nella roccia madre può essere realizzato con lo scopo di creare strutture funerarie complesse, caratterizzate da una o più camere sotterranee (tombe ipogee) . La variante più semplice, che ha verosimilmente la sua origine in ambito levantino e si è poi diffu­ sa capillarmente nel resto del Mediterraneo, è costituita da un pozzetto verticale d'ingresso che porta all'interno di una celletta singola, dove vengono deposti i resti umani del defunto (la cosiddet­ ta tomba a forno; cfr. Lilliu, 2000 ) . Nella versione più complessa (come, ad esempio, nel caso delle tombe a camere ipogee della tradi­ zione funeraria etrusca) , le camere sepolcrali sono generalmente contraddis tinte da nicchie e incavi scavati nella roccia sia lungo il piano di calpestio (in modo da poter ospitare i resti umani dei defun­ ti, i sarcofagi e i corredi funerari) sia sulle pareti verticali (per simula­ re finestre e per potervi alloggiare lucerne e altri addobbi mobili) ; la presenza di colonne e di decorazioni sul soffitto può aumentare ulte­ riormente la somiglianza della tomba a ipogeo con una struttura abitativa. L'ingresso avveniva generalmente attraverso un dromos (lungo corridoio o vano d'ingresso alla camera sepolcrale) o un pozzetto che potevano essere riempiti con pietrame e oggetti votivi al momento della chiusura definitiva della struttura funeraria. Tombe ipogee interamente scavate nella roccia con ingresso a pozzetto e camere multiple sono facilmente riconoscibili in ambito siropalestinese già a partire dalla metà del IV millennio a.C., ma è durante la fine del I I I millennio a.C. che questa tipologia di tomba acquista particolare rilevanza in ambito levantino ( Ben-T or, 1992, pp. 139-40; cfr. FIG. 4). Sono tuttavia gli straordinari esempi della 61

tradizione funeraria dell'Egitto antico - a partire dai più remoti risalenti al III millennio a.C. - a evidenziare l'abilità umana di rica­ vare nella roccia complesse strutture architettoniche. Il caso più eclatante è senza dubbio rappresentato dai sepolcri del N uovo Regno della Valle dei Re, caratterizzati da una porta tagliata nella roccia, da un ingresso e da una serie di scale e corridoi generalmen­ te decorati con pi tture parietali policrome che conducono in profondità verso la camera in cui è custodito il sarcofago del F arao­ ne (la s ala del sarcofago o " casa d'oro " ) . Tra le tombe, quella di Sety 1 ( 1 290-1279 a. C . , fondatore della XIX dinastia e padre di Ramesse 1 1 ) è sicuramente uno degli esempi più complessi sia per le architetture, che combinano lunghi corridoi, scale e grandi vani sorretti da pilastri di pietra, sia per le pitture che adornano tutti gli

FIGURA 4 To m b a i p ogea d a M e g i d d o

Fonte: B e n -To r (1992).

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ambienti dell'ipogeo funerario (Picchi, 2009 , pp. 75-86) . Essa fu portata alla luce da un archeologo ante litteram qual è stato per l'egittologia l'i taliano G i ovanni B attista Belzoni, personaggio alquanto s travagante , che nell'autunno del 1 8 1 7 aprì le porte di questa e altre tombe egizie localizzate nella suggestiva vallata di B iban el-Moluk (il nome arabo dell'area s acra in cui si trovano questi splendidi sepolcri che si traduce in " Porte dei Re " ) . Sono proprio le sue parole quelle che meglio testimoniano la grandiosità della scoperta ( ivi, p. 8o) : «Appena potei vedere questo corridoio riconobbi, dalle pitture della soffitta e dai geroglifici che vedevansi attraverso ai rottami, che andavamo a essere padroni dell'entrata di una magnifica catacomba)) . Il costume funerario degli ipogei monumentali si riscontra anche in ambito siriano occidentale, come appare chiaramente dagli esempi del Bronzo Medio (prima metà del I I millennio a.C.) scavati da una missione italiana presso il sito di Tell Mardikh/Ebla. Gli straordina­ ri ipogei della Necropoli Reale di Ebla, ubicati al di sotto del Palaz­ zo Occidentale, del Tempio di Raship e del Santuario degli antena­ ti reali divinizzati erano ricolmi di oggetti che mostrano evidenti legami con la tradizione egizia (Matthiae, 2010, pp. 452-7 ) . L'acces­ so ad alcuni di questi ipogei avveniva tramite una scala scavata nella roccia oppure composta da las tre lapidee. L'ingresso alla struttura funeraria era ben visibile dagli edifici sovrastanti, come nel caso della Tomba delle Cisterna, cui si accedeva attraverso un vano del succita­ to Palazzo Occidentale, cosa che evidenziava l'aspetto residenziale di queste deposizioni funerarie. Un altro straordinario esempio di ipogeo monumentale associato a un edificio palatino è quello recen­ temente portato alla luce da una missione congiunta siro-itala-tede­ sca presso il sito di Teli Mishrife/Qatna e localizzato al di sotto del palazzo reale del Bronzo Tardo (metà del II millennio a.C. ) . Come vedremo nei paragrafi successivi, queste tombe principesche presen­ tano di norma l'uso di sarcofagi (di pietra o legno) , al cui interno veniva deposto il defunto prima del suo interramento definitivo nella camera sepolcrale (Lange, 2005) . Tra le tombe a fossa vi sono anche quelle che presentano una più

complessa gestione del sistema di copertura e di visibilità sul terri­ torio. È il caso delle deposizioni funerarie principesche di Micene del cosiddetto " periodo delle tombe a fossa" (Circolo A, circa 16501 5 5 0 a. C . e Circolo B, circa 1 7 5 0 - 1 6 5 0 a . C . ; cfr . C ulrraro , 2006, pp. 49-54) che mostrano un incremento di complessità rispetto alle precedenti tombe a cista, anche grazie agli straordinari corredi fune­ bri deposti accanto ai defunti, e sono contraddistinte da una serie di gruppi di tombe a fossa segregati all'esterno della cinta m urar i a della città e connessi tra loro da una sorta di muro perimetrale che serviva a contenere il tumulo in terra utilizzato per ricoprirle . Infat­ ti, le tombe sono ricoperte da terreno e pietrame e la loro presenza sul territorio è segnalata da stele . Tracce di cerimonie funebri post mortem sono inoltre ravvisabili nel vasellame per liquidi e nelle ossa di animali posti a chiusura delle strutture funerarie (Cultraro, 2006, pp. 137-53 ) . Nel loro complesso, queste tombe segnano l'inizio di una nuova era nella tradizione micenea, con l'ascesa di gruppi di potere che comanderanno per alcuni secoli sul versante centrale e orientale del Mediterraneo meritandosi un posto privilegiato nello scacchiere geopolitico che caratterizza le società vicino orientali del Bronzo Tardo . Tra le deposizioni sotterranee non si possono dimenticare le cata­ combe che, nonos tante si incontrino già in epoche p i ù remote , contraddistinguono i costumi funerari delle p i ù antiche comunità cristiane a partire dal m secolo d.C. ( Pergola, 2009 ) . Queste erano composte da un ingresso e da un lungo corridoio che conduceva in profondità verso le varie camere funerarie, al cui interno si trovavano i loculi in cui veniva deposto il defunto . Le camere erano decorate con affreschi pittorici di varie tematiche ( dal mito di Orfeo a sogget­ ti più propriamente legati alla nascente tradizione cristiana) e iscri­ zioni (epitaffi) con il nome e gli anni di vita del defunto, che ripren­ dono un costume già caro alla tradizione romana (cfr. PAR. 5. 2). Le formule epigrafiche sono per lo più connesse al tema del mondo degli inferi, ma includono anche acclam azioni, auguri di pace, invocazioni, orazioni funebri, preghiere in onore del defunto e da parte dello stesso per i vivi e a Dio. 64

3.6. To m be e paesaggio Lo sfruttamento del paesaggio natu­ rale nella gestione delle deposizioni funerarie appare prerogativa di numerose popolazioni antiche delle aree geografiche più disparate, che utilizzano grotte naturali o scavano artificialmente ampi anfrat­ ti utili a ospitare camere funerarie singole e multiple, al cui interno vengono deposti i resti umani e i corredi funebri . In questi casi, la volontà è quella di inglobare i defunti all'interno delle risorse natu­ rali e, nel contempo, di renderne visibile e riconoscibile la memoria sul territorio. La creazione di necropoli inserite in paesaggi rocciosi grazie all' uti­ lizzo di anfratti naturali cammina di pari passo con l'evoluzione dell'uomo (Martini, 200 6 ) . Sono infatti in grotta le prime testimo­ nianze di deposizione formale del lungo periodo preistorico che va dal Paleolitico Medio al Mesolitico . Ovvi amente , la tradizione dell'inumazione dei corpi o dei resti disarti colati o cremati dei defunti all'interno di gro tte è legata alla possibilità di accesso a risorse naturali di carattere roccioso. L' uso di anfratti naturali per deposizioni funerarie m ultiple, tra le quali si possono anche notare esempi di rituali funerari connessi alla cremazione ( G uidi, 2009, p. 99), è parte integrante del costu­ me funerario delle popolazioni dell'I talia cen trale (soprattutto lungo l'area tirrenica) tra il Neolitico e l'Età del B ronzo , come appare evidente dagli esempi portati alla luce nelle grotte della provincia di Viterbo ( B ietti Sestieri, 2010, pp. 92-4) . In alcuni casi, gli anfratti naturali possono essere scavati artificialmente in modo da creare pseudos trutture che richiamano alla mente possibili forme abitative, ossia ipogei utilizzati generalmente per sepolture collettive. Tra le tombe intagliate nella roccia bisogna sicuramente menzio­ nare le deposizioni funerarie del Calcolitico levantino (circa 37003300 a. C . ) nella zona di Tel Aviv ( Israele) . Queste tombe erano raccolte all'interno di ampie necropoli contraddistinte dalla vici­ nanza al mare e da un loro possibile utilizzo da parte di popolazio­ ni nomadi e transumanti che, verosimilmente, avevano assegnato una valenza rituale e religiosa a questo straordinario luogo . Inoltre,

le tombe di questa fase sono caratterizzate da deposizioni seconda­ rie : le ossa dei defunti erano riposte in oss uari di ceramica, che venivano successivamente deposti nella camera funeraria ricavata dentro la grotta ( Ben-T or, 1992, pp. 74-80) . La costruzione di ipogei funerari intagliati nella roccia, m a con un ingresso riconoscibile lungo il prospetto roccioso adibito a necropo­ li rupestre, ha uno sviluppo molto variegato nel bacino mediterra­ neo. Nella gestione degli spazi interni vi sono forti similitudini tra questo tipo di sepolcro e quello della tomba a ipogeo sotterraneo precedentemente trattato, in particolare per quanto attiene alla loro funzione di connettere la romba alla struttura abitativa. La volontà di differenziare quest'ultima tipologia di struttura funeraria da quel­ la precedente è desumibile dal desiderio di rendere fortemente visi­ bile l'ingresso del sepolcro alla comunità dei viventi. Una variante degli ipogei rupestri che ha incontrato molto successo nella tradizione funeraria delle società preistoriche italiche ed euro­ pee meridionali è rappresentata dalle tombe a grotticella artificiale a camera singola o multipla. Quelle con le architetture più comples­ se e, in particolare, le facciate più rilevanti sono rinvenibili in quat­ tro aree principali del Mediterraneo : l'isola di Malta, la S icilia, la Sardegna e la Marna (Francia) . Tra gli esempi meglio conosciuti, spiccano sicuramente gli ipogei della cultura di Ozieri in Sardegna (le domus de janas, fine del I V e parte del I I I millennio a . C . ) e le tombe della cultura di Castelluccio (circa 1800-1400 a.C.) nella Sici­ lia sud-orientale (Tusa, 19 94, pp. 123-3 5 ) . La tradizione continua anche durante la fase finale del n e fino a buona parte del I millen­ nio a. C . , come testimoniano le oltre 5 . 000 tombe a grotticella di Pantalica ( Siracusa) (ivi, pp. 171-81) . In tutti questi contesti bisogna notare le straordinarie facciate, che presentavano decorazioni a bassorilievo, e la complessità decorativa degli interni di alcune camere che potevano essere precedute da un ingresso a pilastri interamente ricavato nella roccia. Altri esempi di tombe rupestri dell'Età del Bronzo sono ravvisabili tra i sepolcreti a camera tholoide messi in luce in Sicilia e in altre parti d'Italia. Gli ipogei del Bronzo recente scavati nella roccia della Sicilia centro66

meridionale riprendono chiaramente il modello miceneo, anche se raramente la camera funeraria presenta un connubio fra struttura architettonica e roccia, essendo di norma completamente ricavata all'interno della pietra calcarea (ivi, pp. 153- 60) . In ambito levantino, le tombe rupestri delle necropoli del Ferro finale ( circa 8 50-500 a.C.) che circondano la città di Gerusalemme meritano una menzione particolare perché, oltre a essere contrasse­ gnate da un ingresso pseudomonumentale che richiama il tema dell'abitazione o del tempio e da una serie di camere funerarie scavate nella roccia, presentano iscrizioni in ebraico che rivelano la complessità dei credi religiosi (l'inizio del monoteismo ebraico, il politeismo cananeo e quello egizio) che caratterizzano il regno di Israele e s i riflettono nella prima stesura della Bibbia ( Ben-T or, 1992, pp. 302- ? 6, figg. 9 - 48-9 - 49) . D urante il VI e il v secolo a.C . , i sepolcri rupestri divengono di gran moda in Asia Minore, come dimostrano le straordinarie tombe dei re achemenidi di Naqsh-i Rustam in Iran e quelle delle antiche regioni della Licia, della Frigia e della Caria (Turchia sud-occiden­ tale), tra i più straordinari esempi di simbiosi tra paesaggio natura­ le e prati che di riti funebri del mondo antico (De F rancovich, 1990) . Tra i sepolcri di N aqsh-i Rustam, spicca quello di Dario I ( 5 22-486 a.C. ) . La facciata di questa tomba è caratterizzata da un ampio recesso a croce sulla cui parte superiore si intravede una scena religiosa nella quale il sovrano prega davanti all 'altare del fuoco sacro sovrastato dall'icona del dio Ahura Mazda, mentre in basso due file di esseri umani in rappresentanza dei " trenta popoli dell'impero " sorreggono sulle loro braccia il re in preghiera. La fascia centrale è decorata con un architrave sorretto da una serie di colonne; al centro di essa vi è l'ingresso principale alla camera funeraria dove era custodito il sarcofago, mentre nella parte infe­ riore della croce è inciso un altro rilievo con scene di battaglia ( ivi, fig. 408) . Nel caso dei sepolcri della Frigia, le tombe hanno un'a­ pertura m olto semplice o richiamano alla mente l ' ingresso di abi tazioni o strutture cerimoniali . La loro vicin anza ai santuari rupestri dedicati alla dea Cibele, inoltre, rappresenta un perfetto 67

connubio tra morte e culto della fertilità (cfr. PAR . 5.1). È tuttavia nelle aree cimiteriali della Licia che si segnalano gli esempi più straordinari di tombe rupestri ( F IG. 5). Queste sono ricavate all'in­ terno di rocce a picco (falesie) e risaltano per la facciata che presen­ ta prospetti simili a templi , con tanto di colonne e timpani trian­ golari sull'ingresso . Altre tombe rupestri caratterizzate d a una facciata monumentale con elementi che richiamano alla mente strutture templari sono le straordinarie camere funerarie intagliate nella roccia di epoca elle­ nistica (rv-r secolo a.C.) che si ritrovano in numerosi contesti spar­ si lungo il bacino del Mediterraneo. L'importanza della monumen­ talità nell'architettura funeraria di epoca ellenistica appare chiara sia dalle deposizioni funerarie portate alla luce nella madrepatria mace­ done sia in contesti periferici. Il richiamo ad architetture religiose

FIGURA 5 Feth iye, n e c ro p o l i rup estri

Fonte: De Fra n covich (19 9 0 ) .

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attraverso la costruzione di strutture funerarie intagliate nella roccia tufica si incontra anche nella tradizione etrusca, dove le tombe a edicola del periodo che va dalla metà del VI alla metà del IV secolo a.C. sono caratterizzate da un'unica camera, ma soprattutto da un tetto frontale esterno a spiovente , che richiama alla mente i tempietti contemporanei (cfr. gli esempi di Populonia, Cristofani, 1999> p. 303) . Come si è visto in precedenza, tra le popolazioni preistoriche euro­ pee e mediterranee il paes aggio era un elemento fondante nella costruzione dei costumi funerari. Per ottenere questo connubio tra morte e paesaggio si potevano utilizzare due sistemi: il primo era rappresentato dai già citati ipogei rupestri, mentre il secondo ( che sembra contrassegnare maggiormente i costumi funerari delle popolazioni europee settentrionali; Midgley, 2005) era costituito dalla creazione di tumuli funerari megalitici atti a contenere i resti umani dei defunti e il loro corredo e, nel contempo, fortemente visibili all'interno del paesaggio. Il fatto che la segnalazione della presenza umana sul territorio attraverso la costruzione di enormi tumuli funerari acquisti importanza è sicuramente correlato alle trasfo rmazioni socioeconomiche che si verificano tra il v e il I I millennio a.C. nelle comunità europee, soprattutto settentrionali, con l'avvento della produzione agricola e delle attività pastorali e la nascita di gruppi di po tere (aristocrazie) desiderosi di legittima­ re lo sfruttamento delle risorse naturali e, di conseguenza, di lega­ re la memoria collettiva dei vivi ai luoghi in cui si produce il loro fabbisogno ( G uidi, 2009 ) . Inoltre, il tumulo racchiude in sé un forte simbolismo, rappresentato dall'aggiunta di un elemento arti­ fi ci ale che, visto a distanza, app are come parte in tegrante del paesaggio naturale . La creazione delle strutture megalitiche ha anche una notevole valenza cosmologica ed esse sono pianificate con profonda accuratezza, come nel caso della tomba a corridoio di Newgrange in Irlanda ( circa 3300 a . C . ) , il cui ingresso a corri­ doio era costruito in modo tale che la camera sepolcrale si illumi­ nasse esattamente al levare del sole nel giorno del solstizio d'inver­ no (Renfrew, Bahn, 2009 , pp. 401-3) . 6g

La tradizione dei tumuli funerari è sempre stata fatta derivare dalla tradizione dei kurgan delle steppe pontiche ( Gimbutas, 2010; cfr. anche F I G. 6 e il riquadro di approfondimento) . Questo costume funerario non sembra però essere riconducibile a un unico centro d'origine, ma appare frutto di un fenomeno poligenetico . In gene­ rale, i tumuli sono composti da una tomba a fossa, a pozzetto, o da una struttura architettonica (camera o corridoio) successivamente cinta da pietre e terra o ricoperta di enormi lastroni di pietra (come nelle tombe a dolmen) . In alcuni casi, la tomba può essere ulterior­ mente segnalata dalla presenza di un enorme monolito (menhir) o di petroglifì (pietre decorate con incisioni) . In contesti mediterra­ nei del I I I e della prima metà del n millennio a.C. si può anche assi­ stere a un intreccio fra la tradizione funeraria del megalitismo e quella degli ipogei intagliati nella roccia (cioè tombe scavate nella roccia ricoperte o rivestite da enormi lastre di pietra) . Ciò è eviden­ te nei casi di megalitismo dolmenico (incontro tra dolmen e tomba sotterranea) o nelle straordinarie tombe di giganti che si incontrano in n umerosi contesti archeologici s ardi della cultura di Ozieri (Lilliu, 2000, pp. 17-20 ) . Una commistione tra uso dei paesaggi naturali e architetture funera-

FIGURA 6 Kurgan d e l l a c u l t u ra d i Pazyryk

o

Fonte: S c h i ltz (19 9 4 ) .

70

10 m

(§)

l tu m u l i fu n e ra ri d e l l 'Asia

La costr u zi o n e di t u m u l i fu n e ra ri è un e l e m e nto che contra d d i st i n g u e l a tra d izi o n e fu n e ra ria d e l l e p o p o l a z i o n i n o m a d i d e l l e ste p p e e u ro a ­ s i a t i c h e t r a i l v e i l 1 m i l l e n n i o a . C . ( G i m b u t a s , 2 0 1 0 ) . Qu esti t u m u l i , d e n o m i n a t i i n r u ss o kurgan, s o n o g e n e ra l m e nte c o m p o sti d a u n a o p i ù t o m b e a c i st a , a ca m e ra o a fo ssa s o r m o n t a t e d a u n c u m u l o d i p i et r e e t e r r a . O l t r e a i co r p i d e i d efu n t i s e p p e l l i t i i n d e p o s i z i o n e p ri m a ri a , a l l ' i n t e r n o d e l s e p o l c r o s i t rova n o c o r re d i fu n e ra ri e , i n a l c u n i c a s i , cava l l i co l l o c a t i i n fosse s e p a rate. l c o r p i d e i d efu nti s o n o g e n e ra l m ente i n u n p e rfetto stato d i co n s e rva z i o n e , s i a p e r l ' avve n u ­ t a m u m m ific a z i o n e s i a p e r l e g e l i d e t e m p e ra t u re t i p i c h e d i q u este t e r re . La co m p l e s s i t à d e i r i t u a l i fu n e ra ri d i q u este p o p o l a z i o n i h a sti m o l ato a n c h e l ' i nteresse d i E r o d oto, c h e n e i s u o i racco nti d es c rive con d ov i z i a di pa rti co l a ri i riti fu n e b ri di perso n a g g i di a lto ra n g o d i u n a d e l l e p o p o l a z i o n i p r i n c i p a l i d i q u est' a m p i a reg i o n e , e c i o è g l i s c i t i , i q u a l i « l avo rava n o p e r e r i g e re u n g ra n d e t u m u l o , riva l e g g i a n ­ d o p e rc h é esso s i a i l p i ù e l evato possi b i l e » (Storie, I V , 71. 1- 5 ) . A s u d ­ ovest d e l l e m o n t a g n e d e l C a u caso, l ' u s o d e l tu m u l o fu n e ra ri o e n t ra p re p o te n t e m e nte n e l l a t ra d i z i o n e a n a t o l i c a a p a rt i re d a l 1 1 1 m i l l e n n i o a . C . , m a g l i ese m p i p i ù s i g n ifi ca t i v i , e c i o è i t u m u l i fu n era ri d e l l ' a nt i ­ c o c e n t ro fri g i o d i G o rd i o n , n e l l a Tu rch i a centra l e , s o n o p i ù ta rd i

(IX

s e co l o -fi n e VI l i seco l o a . C . ) . Questi stra o rd i n a ri ese m p i d i a rc h itett u ­ r a fu n e ra r i a s o n o c a r a tt e r i z z a t i d a u n ' a m p i a c a m e ra fu n e ra r i a costru ita c o n u n a co m m isti o n e d i travi l i g n ee , c o n c i d i p i et ra e ri e m ­ p i m e n to d i g h i a i a . L a to m b a p ri n ci pa l e ( i l " G ra n d e Tu m u l o " ) , vero s i ­ m i l m e nte a p p a rt e n uta a l p a d re d e l fa m o s o r e fri g i o M i d a , c o n s i steva di u n a c a m e ra s i n g o l a c o n i n g resso e u n a c o p e rt u ra c o n t u m u l o a rt i ­ fi ci a l e d e l l ' a ltezza d i 53 m etri e d e l d i a m etro d i 3 0 0 m et r i . A l l ' a p e rtu ­ ra d e l tu m u l o . g l i a rc h e o l o g i h a n n o potuto c o n stata re i l perfetto stato di c o n s e rvazi o n e d e l l e travi l i g n e e, d e l c o r red o fu n e ra r i o , c o n s iste n ­ t e i n n u m erosi co nte n i tori d i b ro n z o e i n n ove tavo l i n i d i l e g n o , e d e l c o r p o d i u n a d u lto d i età s u p e r i o re a i 6 0 a n n i d e p o st o s u u n l etto l i g n eo.

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rie è chiaramente ravvisabile nei tumuli allungati (long barrows) con camera funeraria in legno o pietra, o nelle tombe a corridoio che caratterizzano la tradizione funeraria delle popolazioni neolitiche dell'Europa nord-occidentale (circa 4000-3000 a.C.; cfr. Renfrew, Bahn, 2009, pp. 190-1 ) . Le tombe a corridoio sono generalmente costituite da una portella lirica d'ingresso, segnalata da stele decora­ te con un tema geometrico inciso, che conduce in un lungo corri­ doio che costituisce il nucleo del sepolcreto e al cui interno sono deposti i resti umani inumati o parzialmente cremati di una deposi­ zione multipla (ivi, p. 403) ; la tomba è quindi ricoperta da un tumu­ lo fatto di terra e pietrame. L'edificazione di tumuli funerari visibili dall'esterno è un costume molto diffuso in contesti culturali diversi sia geograficamente che culturalmente. In ambito etrusco, a partire dal VII secolo a.C. e in corrispondenza con il fenomeno crescente dell' urbanizzazione, le strutture funerarie diventano più complesse : si cominciano a costruire tombe a camera, a camera semisotterranea o ipogei gene­ ralmente ricoperti da «un tumulo di terra leggermente conico circo­ scritto da pietre» (Cristofani, 1999, p. 300) , cambiano le modalità di deposizione funeraria (inumazione multipla) e i corredi si arricchi­ scono con beni di lusso importati dall'Oriente e dalla Grecia, tutte testimonianze dell 'emergere di una n uova classe aristo cratica in ambiente italico. In questi casi, la tomba sembra ricostruire ideal­ mente un'abitazione so tterranea sovrastata da un ampio tumulo funerario con una serie di camere, nicchie laterali a richiamare le finestre, soffitti con travi, pilastri, lesene, colonne, banchine inta­ gliate nella roccia, letti , scale e porte . La tomba a capanna nel Tumulo I I della Banditaccia a Cerveteri (prima metà del VII secolo a. C . ) , la cui camera centrale ha il tetto spiovente e un pilastro tipi­ co delle capanne di questo periodo, è uno degli esempi più straor­ dinari di questa tipologia di architettura funeraria. 3 .7. Le struttu re fu n e ra rie Il passaggio dall'uso dell'ambiente naturale alla creazione di architetture deputate a ospitare i resti del defunto avviene in un arco di tempo alquanto lungo ed è associato 72

all'aumento della complessità sociale, che nel Vicino Oriente, ad esempio, si registra a partire dall'inizio dell'Età del Bronzo (Laneri, 2004) . In questa fase, nasce l'esigenza di separare il defunto dal terre­ no naturale e di dedicargli una struttura che richiami il più possibile alla mente l'abitazione, attraverso la costruzione di camere funerarie dedicate all'inumazione di uno o più individui. La tipologia più semplice di architettura funeraria è composta da un vano d'ingresso (dromos) e da una camera costruita con muri in pietrame, laterizi o mattoni crudi al cui interno vengono deposti i corpi dei defunti e il corredo funebre. Le tombe a camera possono essere interrate o essere costruite con un alzato soprelevato rispet­ to al piano di camminamento . Le tombe a camera con struttura aggiunta sono molto diffuse e possono essere ritrovate sia in conte­ sti urbani ( tomba residenziale) sia in necropoli extraurbane. Quan­ to alle modalità di inumazione, si possono rinvenire deposizioni singole o , nella maggior parte dei casi, m ultiple, essendo queste ampie camere utilizzate da un'intera famiglia; infatti, come osser­ vato da D'Agostino (1996, p. 463) in contesti classici, le deposizio­ ni m ultiple delle tombe a camera fanno risaltare la componente familiare e rendono più riconoscibile la centralità dei gruppi di parentela. I resti umani sono accompagnati da corredi e offerte funerarie sia all'interno che all'esterno della camera (nel dromos) , segno di una prosecuzione del rito funebre anche dopo la chiusura finale del loculo funerario. Come accennato in precedenza, le tombe a camera caratterizzano i costumi funerari dell'élite mesopotamica per tutto il corso del III millennio a.C. Tra queste risaltano ovviamente le tombe princi­ pesche della Necropoli Reale di Ur, ma i loro esempi migliori sono le tombe residenziali della fine del I I I e dell'inizio del II millennio a.C., in genere costruite sotto il pavimento di una camera e chiuse con mastodontiche lastre di pietra oppure con volte a botta di pietra o mattoni crudi. La tomba a camera può richiamare alla mente strutture abitative. È il caso delle tombe a casa che caratterizzano le necropoli di tarda epoca imperiale romana (a partire dal II secolo d.C. ) , come gli edifì73

ci sepolcrali di Isola Sacra ( Ostia) , composti da una o più camere al cui interno veniva sepolta l'intera familia: i resti umani dei capi (domini) in sarcofagi decorati a rilievo , quelli dei liberti e degli schiavi in colombari (cellette costruite all'interno delle camere fune­ rarie deputate a contenere i resti umani, che diverranno tipiche del costume funerario cristiano) o in urne cinerarie (Zanker, Ewald, 2008 ) . Anche l a tradizione funeraria etrusca è contraddistinta dalla presen­ za di camere funerarie. In particolare , le tombe a camera dipinte segneranno, a partire dal vn e fino a quasi tutto il v secolo a.C., il costume funerario delle aristocrazie dell'Italia centrale e meridiona­ le ( D 'Agostino, Cerchiai, 1999 ) . Ed è proprio durante il periodo arcaico che le necropoli etrusche sono segnate dall'edificazione di strutture funerarie a corpo quadrangolare (tombe a dado) general­ mente posizionate lungo vie di comunicazione o nelle piazze (Cristofani, 1999, pp. 300-2) . Il mausoleo rappresenta l'esempio più e clatante di architettura funebre . Il termine deriva dalla tomba fatta costruire ad Alicarnas­ so (la moderna città di Bodrum, nella Turchia occidentale) per il re Mausolo di Caria, satrapo persiano, dalla moglie Artemisia nel 353-350 a.C. (D'Agostino, 1996, p. 470) . La tradizione di erigere un edificio deputato a custodire i resti umani di sovrani o individui di alto rango deposti all'interno di sarcofagi altamente decorati avrà molto successo in epoca ellenistica e sarà ripresa in ambiente roma­ n o , divenendo l'emblema degli imperatori e degli aristo cratici romani durante il periodo gi ulio-claudio ( r secolo a . C . - r secolo d . C. ) . Leggenda vuole che l'imperatore Augusto sia stato ispirato a edificare il suo straordinario mausoleo romano proprio dalla vista della tomba mon umentale di Alessandro Magno ad Alessandria d'Egitto . In alcuni casi le strutture funerarie tendono a essere inglobate dal paesaggio, come i tumuli funerari esaminati in precedenza, cosa che rende p i ù complessa la definizione di una chiara tipologia delle deposizioni funerarie . Tra gli esempi più straordinari di architettu­ ra funeraria mescolata al paesaggio vi è sicuramente la tomba a tholos 74

che caratterizza la tradizione funeraria nel mondo egeo e quella dell'area costiera levantina durante il Bronzo Tardo (circa xv-xi i i secolo a. C . ) . Tombe a tholos si riscontrano anche in altri ambiti geografici e cronologici, ma sono ovviamente quelle della tradizione egea a meglio esemplificare questa specifica tipologia funeraria. Esse erano composte da un lungo corridoio d'accesso (dromos) che conduceva all'ingresso (stomion), costituito da una porta che poteva essere sormontata da un architrave monolitico o (nelle strutture monumentali) supportato da un triangolo di scarico, che introdu­ ceva all'interno di un'ampia camera funeraria (thalamos) a pianta circolare con diametro variabile (camera piccola, diametro inferio­ re a 6 metri; intermedia, tra 6 e 10 metri, monumentale, oltre 10 metri; cfr. Cultraro, 2006, pp. 145-6) . La camera era costruita con l' ausilio di conci di pietrame stipati contro l'incavo ricavato nel

FIGURA 7 M i cene, t o m b a a tholos di Atreo

Fonte: Cu ltra ro (2006).

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terreno o nella roccia e innalzati in modo da creare ogive che pote­ vano anche superare i 10 metri. Tra gli esempi che meglio chiarisco­ no la grandiosità di queste strutture funerarie vi è sicuramente la tomba di Atreo (cfr. FIG. 7), che presenta un lungo ingresso a cielo aperto , inclinato e con muri rivestiti di conci di pietra della lunghezza di 35 metri, un portale monumentale decorato e, infine, una camera funeraria con un diametro di 14, 50 e un' altezza di 13 metri e una serie di conci di pietra disposti in modo da costruire una delle ogive più antiche e imponenti della storia umana. Anche la monumentale tomba di Filippo n di Macedonia a Vergina può rientrare all'interno di questa categoria, dal momento che le sue due camere funerarie furono intagliate nel suolo naturale e successi­ vamente ricoperte con volte a botte in conci di pietra e munite di una facciata monumentale (D'Agostino, 1996, pp. 468-70 ) . Inoltre, la parte esterna delle volte a botte fu decorata con uno spesso (circa 10 centimetri) strato di stucco, rendendo ancor più straordinaria la commistione tra ambiente naturale e struttura artificiale. 3.8. l conte n i tori fu n e ra r i Le deposizioni funerarie possono anche constare di un doppio contenitore, in cui l'involucro esterno è costituito dall'architettura tombale, men tre quello " intern o " , dove vengono materialmente deposti i resti scheletrici o cinerari del defunto, si compone di un sarcofago ( un cassone rettangolare di pietra o terracotta, generalmente decorato con pitture, rilievi e inci­ sioni, e sigillato da un coperchio che, nei casi più prestigiosi, presen­ tava a rilievo la figura del defunto; cfr. F IG. 8 ) , di una semplice bara (lirica, lignea o metallica) , di un 'urna cineraria, di un recipiente metallico, di un ossuario di ceramica (cfr. F IG. g), o di un grande contenitore di ceramica (la cosiddetta sepoltura a enchytrismòs) , sia esso una giara per l'immagazzinamento (pithos) , un'anfora, una grande vasca, una cassa di ceramica (larnax) o, per gli infami, vasel­ lame da cucina. La tradizione del sarcofago ha origine in ambiente egizio (a partire dall'An tico Regno, I I I millennio a . C . ) per poi diffondersi sia in ambito culturale levantino che minoico e, in epoche molto più 76

tarde, in ambiente etrusco, greco e romano . Il sarcofago egizio aveva profonde valenze simboliche perché conteneva sia il corpo imbalsa­ mato del defunto sia la s ua anima ( i l ka) , e le s ue varie sezioni fungevano da richiamo alle profonde e complesse nozioni della cosmologia egizia (il coperchio rappresentava il cielo, la base la terra, i quattro lati erano connessi ai punti cardinali) ; di conseguen­ za, il corpo del defunto veniva deposto lungo un asse sud-nord, mentre il s uo volto era orientato a est. L'esame degli aspetti icono­ grafici del coperchio dei sarcofagi egizi è il modo migliore per comprendere la trasformazione del gusto artistico egiziano dalle epoche più antiche a quelle più recenti, riconoscibile nei ritratti funebri su tavole lignee che ricoprivano i volti delle mummie di epoca ellenis tica e romana rinvenuti, ad esempio, nell 'oasi del Fayyum. Il tipo di sarcofago più comune e che ha maggiore diffu-

FIGURA 8 Sa rcofa g o d i H a g h i a Tri a d a

Fonte: Lo n g (1974 ) .

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si o ne ad esempio in ambito levantino è sicuramente quello in forma umana (sarcofago antropoide) . È durante il II millennio a . C . che questo costume funerario valica i confini dell'Egitto e accresce la sua diffusione sia in ambito minoico, dove spicca il famoso esem­ pio proveniente dal sito di Haghia Triada, con una splendida deco­ razione a stucco e pittura, sia in ambito levantino, dove risalta il più tardo sarcofago del sovrano Ahiram da B iblo (circa XI I I - X I I secolo a. C . ) , anch'esso altamente decorato con scene di processio­ ne scolpite a bassorilievo (cfr. PAR. 5.4; Long, 1974) . La tradizione del sarcofago diviene poi molto forte in ambiente fenicio e, succes­ sivamente, in ambito punico , a partire dal quale verosimilmente avviene il passaggio di questo costume funerario dall ' O riente all'Occidente . Tra gli esempi di sarcofagi di periodi più tardi, spiccano quelli di

FIGURA 9 Oss u a ri o d e l Ca l c o l itico i n Isra e l e

Fonte: B e n -Tor {1992).

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epoca etrusca, con statua del singolo o della coppia di defunti, raffi­ gurati distesi sulla kline, il letto dedicato a presentare il corpo del morto o utilizzato durante il simposio (Cristofani, 1999, pp. 257-60) ; gli straordinari sarcofagi del periodo ellenistico; e, infine, quelli di tarda epoca imperiale romana (a partire dal II secolo d. C . ) , adorni di rilievi rappresentanti storie mitologiche, lamentazioni funebri, raffi­ gurazioni del defunto e temi floreali, che ne decorano splendidamen­ te i lati (Zanker, Ewald, 2008 ) . L' utilizzo del sarcofago altamente decorato segna anche una profonda trasformazione nella tradizione funeraria romana: nella fase più antica ( repubblicana e prima età imperiale) , le decorazioni sono usate per abbellire l'esterno degli edifici sepolcrali degli individui di rango superiore (membri della classe politica e liberti ricchi) , mentre in quella più tarda la ricchezza decorativa si concentra all'interno dell'edificio sepolcrale e, partico­ larmente, nella decorazione a rilievo dei sarcofagi, che però non esprimono più una chiara differenziazione di ceto sociale. La deposi­ zione dei defunti di alto rango in contenitori in pietra non è in ogni caso esclusiva dei popoli del Mediterraneo e del Vicino Oriente anti­ co , giacché questo costume funerario pare essere utilizzato con frequenza anche dalle antiche élite cinesi, come risulta evidente dai sarcofagi in lacca e giada delle dinastie Qin e Han e dagli straordina­ ri esempi in pietra della dinastia Tang ( 618-907 d.C. ) . Sarcofagi monumentali venivano anche posti su di un pilastro per segnalarne la presenza lungo un sistema viario . Si trovano alcuni esempi di sarcofagi di questo tipo nella regione della Licia (Turchia sud-occidentale) , verosimilmente attribuibili a sepolcreti di princi­ pi-guerrieri che venivano venerati nell'ambito del culto degli ante­ nati , che segna fo rtemente il mondo classico ( cfr. PA R. 4.3). La tradizione delle edicole funerarie rialzate e poste su un basamento quadrangolare edificato con conci di pietra con tinua anche in epoche più tarde , come testimoniano il mon umento di Terone ( r secolo a.C.) ad Agrigento e altri esempi di epoca romana. Per quanto riguarda i contenitori di ceramica, le tipologie più rappresentative sono le urne cinerarie e gli ossuari le cui forme data la loro valenza simbolica di contenitori di resti umani connes79

si a un complesso processo di gestione del cadavere, e cioè crema­ zione per le urne e deposizione secondaria per gli ossuari - richia­ mano alla mente dei viventi temi di estrema importanza come la ricostruzione di un 'abitazione, generalmente a tetto spiovente, figu­ re antropomorfe o zoomorfe, legate ad animali sacri . Gli esempi più straordinari di urne cinerarie decorate sono sicuramente quelli dei canopi cinerari antropomorfi di Chiusi, in Toscana, databili dal VII al VI secolo a. C. ( chiamati così per una lontana somiglianza con i famosi canopi egizi utilizzati come contenitori degli organi del defunto ) , che sono generalmente in ceramica (impasto di bucche­ ro, vasellame tipico della tradizione etrusca) e, in rari casi, in bron­ zo (Cristofani, 1 9 9 9 , p p . 54- 5 ) . Il contenitore è composto da un corpo decorato con incisioni e applicazioni in modo tale da rappre­ sentare la parte inferiore e le braccia di un essere umano, mentre il coperchio richiama alla mente il capo. Nel caso delle urne cinerarie delle popolazioni mesoamericane, il tema iconografico può essere estremamente complesso e riprendere tematiche connesse alla morte o simboleggiare il mondo della ferti­ lità con scene sessuali ( Holsbeke, Arnaut, 1998) . 3 .9 . l corre d i fu n e ra ri In uno studio dei contesti funerari, non si può prescindere da un'attenta analisi e dalla corretta interpretazio­ ne del corredo funerario, che è generalmente composto dagli oggetti lasciati accanto al corpo del defunto, dagli ornamenti che lo copriva­ no (gioielli, fibule e vestiti) e dalle offerte funebri deposte all'interno del luogo di sepoltura o nelle sue immediate vicinanze. Anche nelle deposizioni più povere, il defunto era sempre accompagnato da una semplice coppa di ceramica con cui si sarebbe po tuto dissetare nel mondo ultraterreno o, come vuole la tradizione classica, da un unguentario e da una lucerna con cui mantenere accesa la luce eterna. La presenza del corredo funerario è inoltre chiara testimonianza di una sepoltura intenzionale e formale del defunto . Uno dei corredi più antichi è quello datato al Paleolitico superiore (circa 23.000 fa; Renfrew, Bahn, 2009, p . 389) , rinvenuto a S ungir ( Russia) , dove all'interno di una fossa sono stati ritrovati i corpi di un uomo adulBo

to e di due bambini, accompagnati da zanne di mammut, oggetti di pietra, p ugnali d'avorio, figurine animali e n umerose perline d'avorio. Lo studio degli oggetti che compongono il corredo funerario è inol­ tre decisivo per la comprensione delle differenze sociali tra i defun­ ti e il tentativo di ricostruire l'organizzazione di una determinata società. Alcuni degli oggetti possono infatti indicare il rango raggiunto dal defunto nel corso della sua vita (cfr. PAR. 3.2). Altri possono segnalare la sua appartenenza a un gruppo specifico (ad esempio la sua etnia) , o rappresentare offerte utili come viatico per il viaggio dell'anima del morto verso l'aldilà, o ancora essere un chiaro indicatore dei culti religiosi professati dai membri di una particolare comunità, e quindi di grande utilità per la ricostruzione delle credenze religiose delle società antiche. Anche qualora l'approccio sia di carattere tipologico, i manufatti devono essere sempre considerati in base al valore che assumevano all'interno dello specifico contesto funerario, perché è solo attraver­ so un'attenta analisi della rete di associazioni tra oggetti, architettu­ re tombali e pratiche funerarie che si può decifrare il processo cognitivo e percettivo degli esseri umani antichi. Quando si intra­ prende l'analisi di una sola categoria di oggetti (ad esempio il vasel­ lame ceramico) o si utilizza un unico metro di giudizio interpretati­ va (come nel caso dell 'appro ccio sto rico-artistico ) , si rischia di perdere di vista quegli attrib uti di significato che solo il contesto sociale e culturale del dato archeologico può consentire di cogliere ( Hodder, 1992) . Il corredo che accompagna il defunto può essere suddiviso in varie categorie : oggetti di proprietà che l'individuo ha acquisito nel corso della vita e che hanno determinato il suo status all'interno della comunità (beni di lusso, armi, utensili, simboli araldici, copricapi) ; manufatti che evidenziano il genere (le tombe di adulti di sesso femminile sono generalmente caratterizzate dalla presenza di monili e di gioielli, mentre quelle di individui adulti di sesso maschile dalla presenza di armi) e l'età del defunto (nelle tombe di infami e bambini gli oggetti di valore sono totalmente assenti o 81

presenti in basso numero) ; suppellettili dall'alto valore simbolico ( ad esempio, nella tradizione classica, la placca di bronzo - l'obolo che veniva posta in bocca al defunto per permettergli di pagare al traghettato re Caronte il passaggio all'aldilà e le laminette d'oro recanti iscrizioni su come affrontare il mondo ultraterreno; cfr. Mirto, 2007, pp. 3 0 e 40) ; offerte di cibo e liquidi, legate al potere magico -rituale che la comunità attribuisce a questi oggetti e al credo religioso della stessa, che immagina una vita oltre la morte e, di conseguenza, vuole garantire al defunto una serena permanenza nell'aldilà. Lo studioso attento a riconoscere gli indicatori di una possibile differenziazione sociale focalizzerà la propria attenzione sugli aspet­ ti quantitativi e qualitativi degli oggetti che compongono il corredo funerario; in particolare, cercherà di individuare la differenza quan­ titativa degli oggetti trovati all'interno di ogni singola deposizione funeraria, la rarità di un determinato manufatto, la complessità della tecnica utilizzata per la sua produzione e, infine, la difficoltà di repe­ rimento della materia prima (Guidi, 2009, p. 45) . Molto più complesso è il lavoro mirato all'individuazione del signi­ ficato simbolico di alcuni degli oggetti che si trovano accanto al corpo del defunto (manufatti con scene figurate, figurine animali o umane, contenitori di foggia particolare, oggetti unici ed esotici ) . In questo caso, bisognerà tentare di asso ciare gli oggetti al contesto ideologico e culturale della deposizione funeraria attraverso un confronto con le evidenze archeologiche riferibili ai contesti urbani contemporanei. Ad esempio la presenza di figure umane può essere segno di una forma di culto religioso organizzato in maniera centra­ lizzata e verosimilmente gestito da élite sacerdotali, come appare evidente per le sculture antropomorfe rinvenute in alcuni contesti funerari europei a partire dall 'vi ii secolo a . C . ( ivi , pp. 229-41 ) , oppure indicare individui di rango superiore, come s i inizia a intra­ vedere a partire dal rx secolo a.C. nelle tombe laziali, dove vengono deposte figurine umane d'argilla accanto all'urna cineraria a capanna (Torelli, 1997, pp. 13-51 ) . Oggetti che richiamano figure umane e animali s i ri trovano nei 82

corredi funerari di numerose culture e sono un segno della volontà dei vivi di accompagnare il viaggio del defunto nel mondo dell'aldi­ là o di ingraziarsi le divinità attraverso l'uso di ex voto. La deposi­ zione di statue di grandi dimensioni all'interno del sepolcro (come nel caso delle tombe dei faraoni egizi) , al suo ingresso ( come in quello della tomba reale di Qatna, in Siria occidentale) o al di sopra di esso, per segnalarlo (come nel caso della statua del " G uerriero di Capestran o " , testimonianza della tradizione funeraria dei popoli piceni, o di altri contesti europei del V I secolo a.C.) indica la volon­ tà di rappresentare il potere ideologico detenuto dai sovrani (Guidi, 2009 , pp. 194-223) . Nel caso del famoso esercito di terracotta trova­ to nella città di Xi' an accanto alla tomba del primo imperatore della dinastia Han (230-221 a.C. ) , tale desiderio è espresso con straordi­ naria forza (Man, 2009) . La presenza di maschere antropomorfiche (come la cosiddetta " maschera di Agamennone ") consolida il senso di trasformazione dello stato del defunto durante il rito di passag­ gio della cerimonia funebre. Nelle tombe della Necropoli Reale di Ur, questo passaggio acquista toni ricolmi di drammaticità in virtù del sacrificio di esseri umani e animali. Statue maschili (kouroi) e femminili (korai) poste come segnacolo del tumulo funerario divengono uso comune dei gruppi gentilizi nella G recia arcaica ( vi secolo a. C . ) ; queste potevano svolgere sia la funzione di stele funeraria che di statua votiva deposta all 'interno dei santuari a segnare un legame mnemonico tra la collettività e gli antenati (Greco, 1999) . Tra gli oggetti del corredo funerario che racchiudono in sé sia un preciso significato simbolico sia una funzione legata al consumo di liquidi, vi sono i contenitori di ceramica dalle sembianze umane che caratterizzano la tradizione funeraria delle popolazioni mesoameri­ cane. Molti di questi oggetti non provengono da contesti archeolo­ gici sicuri bensì dal mercato antiquario, ma il ritrovamento di esem­ plari di questo tipo accanto a corpi di defunti ha immediatamente chiarito la loro funzione. Alcune di queste forme vascolari rappre­ sentano guardiani delle tombe, mentre fra le popolazioni moche del Perù degli ultimi secoli del I millennio d . C . esse riportano alla

mente il tema della fertilità attraverso rappresentazioni dall'alto contenuto sessuale ( Pillsbury, 2001 ) . Anche l e pitture parietali sono elementi importanti d a analizzare per farsi un' idea di come ricostruire gli antichi riti funebri. Ad esempio la violenza legata alla morte è ravvisabile in n umerosi dipinti della cultura moche del Perù, dove la divinità del mondo degli inferi e della guerra infligge punizioni corporali a uomini ignudi ( ivi, pp. 111-25 ) ; tematiche legate al mondo mitologico asso­ ciato agli inferi e alle cerimonie connesse ai riti funebri (e di rinasci­ ta) caratterizzano invece le tombe principesche degli etruschi (D'Agostino, Cerchiai, 1999) . Come si vedrà in seguito, gli oggetti che compongono il corredo funerario del defunto possono essere deposti nella camera funeraria dopo avere svolto una precisa funzione nella performance dei riti compiuti nel corso della cerimonia funebre, o successivamente nel caso di feste legate alla commemorazione dei defunti. I testi e le rappresentazioni iconografiche antiche dedicati a tematiche funera­ rie testimoniano chiaramente che i riti funebri e le conseguenti commemorazioni sono delle feste, in cui giochi, musica, balli e il consumo di pasti rituali sono nella norma. Questo è il caso, ad esempio, degli strumenti musicali o di altri manufatti associabili a feste che capita di recuperare durante lo scavo della tomba o del suo vano d'ingresso. Gli strumenti musicali scoperti nelle fosse e nelle rampe di accesso alle tombe della Necropoli Reale di Ur sono una straordinaria testimonianza in tal senso e permettono la ricostruzio­ ne delle feste associate alla cerimonia funebre. Nell'analisi della cultura materiale associata alle deposizioni fune­ rarie non bisogna tralasciare le offerte post mortem, che venivano collo cate all'esterno della camera funeraria. Questa evidenza archeologica è esplicitata dai resti frammentati di vasellame per liquidi trovati negli ingressi - dromoi - delle tombe a tholos di Micene, che segnalano l' uso di libagioni associate al consumo di vino nella fase di chiusura della camera funeraria (Cultraro, 2006, pp. 147-50) . Tali evidenze di libagioni consistono generalmente in resti di cibi, bevande, fiori ed ex voto, che po tevano essere riposti 84

all'interno di vasellame ceramico a contrassegnare la fase liminale del rito funebre (cfr. PAR. 1. 2). Mentre per la categoria dei manu­ fatti il compito dell' archeologo è più semplice, di maggiore complessità appare individuare i resti di cibi e liquidi all'interno del loculo ; è quindi di fondamentale importanza analizzare la terra rimasta dentro i vasi con l'ausilio di analisi chimico-residuali sulle pareti degli stessi e identificare even tuali elementi che possano condurre all'interpretazione di un'azione rituale associata al depo­ sito archeologico . Il tema del sacrificio nella ritualità funeraria verrà affrontato in seguito (cfr. PAR. 5.4), ma è importante considerare sin d'ora anche i resti sacrificali di esseri umani e animali alla stessa stregua degli oggetti sepolti con il defunto, ossia quali elementi che devono esse­ re connessi alla pratica attiva e dinamica di riti e cerimonie dedica­ te alla celebrazione dei defunti e, successivamente, alla commemo­ razione della loro memoria. 3.10. Statistica , i nfo rmatica e p rat i c h e fu n e ra ri e L'intro­ duzione del computer in ambito archeologico ha sicuramente semplificato alcuni aspetti analitici importanti, agevo lando il compito degli archeologi nel tentativo di normalizzare i dati rileva­ ti nel modo più scientifico possibile (Gabucci, 2005) . In particolare, l'informatica applicata all'archeologia garantisce la possibilità di implementare metodi statistici multivariati per analisi quantitative e qualitative sul record archeologico che permettono di isolare gli attributi dei manufatti archeologici e successivamente di effettuare associazioni tra le diverse tipologie di attributi ( Renfrew, B ahn, 2009 , pp. 187-90) . Tra i metodi statistici più utilizzati vi sono sicuramente le analisi fattoriali, che tendono a raggruppare il numero di variabili di un campione funerario , e l'analisi dei gruppi ( cluster analysis) , che permette di definire possibili logiche associate alla distribuzione dei manufatti appartenenti al corredo funerario scoperto all'interno di un ampio campione di tombe di una data necropoli. In particolare, l'analisi fattoriale permette di ridurre gli elementi associati ad uno

specifico fenomeno ( ad esempio la presenza di stessi tipi di vasella­ me ceramico ) ; mentre la cluster analysis consente l'identificazione e il raggruppamento di elementi simili tra un insieme di dati ( ad esempio attraverso la verifica della presenza o assenza di singoli attributi tra i corredi funerari delle tombe di una necropoli) . All'in­ terno dell'ombrello delle an alisi statistiche fattoriali si possono prendere in considerazione anche l'analisi delle corrispondenze prin­ cipali, usata per analisi statistiche di dati quantitativi, l'analisi delle corrispondenze, utilizzata per dati qualitativi e le analisi delle corri­ spondenze multiple, per svolgere statistiche su associazioni tra varia­ bili di categorie. L'analisi informatica nella ricerca archeologica dei costumi funerari antichi è particolarmente utile per definire con maggiore coerenza il rapporto tra variabilità del contesto funerario (distribuzione spaziale della tomba, tipologia della struttura funeraria, orientamento e trat­ tamento del corpo, oggetti del corredo funerario) e variabilità socia­ le ( distinzione tra i membri di un gruppo basata su genere, età e ruolo) . In particolare, la cluster analysis è molto utilizzata nell'ambi­ to dell'archeologia funeraria perché permette di evidenziare gli elementi di tipo qualitativo del corredo funerario, un'eventuale correlazione tra la variabilità dei corredi funerari degli individui deposti nelle tombe di una determinata necropoli e una divisione sociale basata sul rango (differenziazione verticale) , o sul genere e sull'età (differenziazione orizzontale) e, nello stesso tempo, di osser­ vare visivamente distinzioni sociali ed economiche che si possono evincere dall'analisi statistica degli attributi delle deposizioni funera­ rie grazie alla realizzazione di una " curva di ricchezza" (Guidi, 2009, pp. 52-4, fig. 4) . L'utilizzo di queste tecniche di analisi quantitativa sui dati prove­ nienti da una necropoli permette così allo studioso di creare grafici e diagrammi che visualizzano le similitudini e le differenze tra le varie deposizioni funerarie, elementi fondamentali per poter distin­ guere le società che si basano su un'organizzazione sociale egualita­ ria, che possono evidenziare solo differenziazioni di genere ed età (bassa variabilità nel trattamento del corpo, nella tipologia tombale 86

e nel corredo funerario) da quelle che sono invece contraddistinte da un sistema verticistico e dalla presenza di élite di potere ( alta vari abilità nel trattamento del corpo e della tipologia tombale , presenza nel corredo funerario di oggetti rari, estranei alla tradizio­ ne locale, che simboleggiano il prestigio e la ricchezza dei capi e del lignaggio ad essi associato) . Per ottenere un buon risultato nell'analisi quantitativa dei dati è ovvi amen te necessario avere un ' adeguata strategia di ricerca; è perciò utile definire, sin dall'inizio, i parametri analitici che si inten­ dono utilizzare, in modo da semplificare la normalizzazione del record archeologico. Ecco quindi che per ottenere risultati soddisfa­ centi con una ricerca di questo genere si può, ad esempio, usare un sistema binario semplice, che consenta di associare i dati relativi al corredo funerario (presenza/ assenza di oggetti d'importazione) a quelli concernenti il tipo di deposizione funeraria (presenza/assenza di struttura architettonica) o di trattamento del corpo del defunto (articolato/ disarticolato) . Come in ogni analisi statistica, per ottenere risultati che abbiano un buon livello qualitativo bisogna poter disporre di un campione di dati molto ampio; in genere, un'analisi statistica può esser effettua­ ta solo in presenza di vaste necropoli con centinaia di deposizioni funerarie e grazie alla creazio ne di un database in tegrato che permetta allo studioso di gestire la mole di informazioni raccolta (come nel caso del progetto Nekropolis sviluppato per le aree sepol­ crali di M agna Grecia e Sicilia; Elia e collabo ratori, in Remo tti, 2006, pp. 102-10) . Tendenzialmente, lo studioso non deve utilizza­ re questo tipo di analisi per ottenere risposte, ma per raggruppare con chiarezza elementi simili e diversi, utili per la fase interpretati­ va del dato archeologico . Si può usare l'informatica anche per definire il rapporto tra il posi­ zionamento delle strutture funerarie sul territorio e la loro funzione nella creazione della mappa cognitiva dei membri di una società. A tale scopo, si possono utilizzare i moderni sistemi di mappatura informatizzata dei dati provenienti dalla ricerca archeologica (come il G I S , Geographic Information System) per ricostruire la visibilità dei 87

mon umenti funerari . Questo sistema analitico sta incon trando molto successo tra gli studiosi interessati alla definizione dei proces­ si di cognizione delle popolazioni antiche ( archeologia cognitiva) , poiché consente di creare viewshed maps (mappe di visibilità) che testimoniano l'effetto importante che ha la visione continua di un determinato monumento sulla percezione degli esseri umani e la costruzione di paesaggi dotati di una forte valenza ideologica e spiri­ tuale ( Renfrew, Bahn, 2009 , pp. 190-1) . La mappatura di più di 10.000 tumuli funerari delle Età del Bronzo e del Ferro effettuata in Svezia tramite un complesso sistema stati­ stico, basato sull'applicazione del G I S e filtrato attraverso le variabi­ li topografiche e visuali di ogni sepolcro, ha permesso di accertare l'esistenza di più di 1 . 000 necropoli distribuite in un ampio arco cronologico, e di catalogarle senza dover ricorrere a costosi sondag­ gi archeologici (Lowenborg, 2009 ) . L a comprensione del rapporto fra struttura funeraria e paesaggio nella costruzione della mappatura cognitiva e percettiva delle popo­ lazioni antiche è sicuramente un argomento di grande interesse, considerata anche l'evidenza offerta dagli esempi cronologicamen­ te a noi più vicini. La tomba del fondatore della patria (ad esempio M ustafa Kemal Atatiirk in Turchia) o di un leader carismatico ( ad esempio Lenin o S talin nell'ex Unione Sovietica) è quasi sempre ubicata in un luogo centrale, quindi altamente visibile, della topo­ grafia urbana e, conseguentemente, stimola fortemente il ricordo del personaggio e del suo potere ideologico sui cittadini della comu­ nità nel corso delle loro attività quotidiane.

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4 . La morte tra i vivi 4.1. G l i aspetti ideol ogici d e l ritu a l e fu n e ra r i o La morte di un individuo colpisce principalmente la comunità cui era legato, sia essa la famiglia, la tribù, la città o lo stato . Il rito funebre ha quindi la funzione di lenire il dolore dei vivi e, nel contempo, riorganizza­ re le relazioni tra gli individui e i gruppi in modo tale da non creare vuoti politici, sociali ed economici . Ecco quindi che la pratica del rito funebre acquisisce quella straordinaria funzione di collante ideologico che permette ai vivi di superare l'evento luttuoso con l'ausilio di credi religiosi o di ideali politici. Di conseguenza, l' aspet­ to ideologico nella costruzione dei costumi funerari diviene un tema centrale e necessario per comprendere i motivi dell'utilizzo di un determinato rito funebre da parte della società analizzata. In questi ultimi decenni, anche l'archeologia, grazie all'influenza dell'approccio postprocessuale, ha affrontato il tema del rapporto tra ideologia e cultura materiale per meglio interpretare i resti delle pratiche sociali !asciatici dalle comunità antiche. Per Karl Marx, l'ideologia è un fenomeno che agevola i detentori del potere economico nei confronti delle masse subalterne in virtù di una regolamentazione dell'accesso e della gestione dei mezzi di produzione. L'ideologia è quindi connessa al modo di vedere la real­ tà delle cose dei gruppi dominanti (siano essi legati ad apparati reli­ giosi, politici o a una combinazione dei due sistemi di potere) . Questo approccio ha sicuramente fatto numerosi proseliti, ma nel corso degli anni è stato messo in discussione perché visto come univoco, poiché non attribuisce alcun ruolo alle popolazioni subal­ terne. L'ideologia produce l'azione sociale degli individui che si forma all'interno della volontà collettiva del gruppo di appartenenza (la chiesa, la scuola, il luogo di lavoro ) , ma questo fenomeno è frut­ to di una dialettica tra dominanti e dominati. Ad esempio Antonio Gramsci rilegge le ipotesi marxiste considerando come l'egemonia culturale di un gruppo dominante si costruisca sia attraverso un dialogo positivo fra rutti i gruppi appartenenti a una determinata Bg

società, sia tramite forme di coercizione violenta da parte dei domi­ nanti s ull'agito sociale degli individui dominati ( Laneri, 2004, pp. 35-60) . L'ideologia può quindi avere aspetti positivi nella creazio­ ne delle regole sociali della comunità, se non è utilizzata per domi­ nare bensì per spiegare i complessi accadimenti storici e naturali. La comprensione del ruolo centrale giocato dall'aspetto ideologico in ogni manifestazione della cultura di una società antica è uno dei punti cruciali da cui un archeologo deve partire per poter indivi­ duare le trasformazioni dei valori simbolici, di cui è intrisa la cultu­ ra materiale antica, come un effetto combinato dell'ideologia e del potere . Queste espressioni ideologiche possono essere individuate sia in aspetti palesi della tradizione produttiva di un gruppo sociale (testi scritti), sia in elementi più ambigui (oggetti dal valore simbo­ lico), ed è quindi compito dell'archeologo definire quanto l'ideolo­ gia abbia influito nella creazione della cultura materiale e come si possano evincere tali informazioni dal contesto archeologico preso in esame. A complicare il lavoro dello studioso si aggiunge il fatto che la cultura materiale non ha un significato univoco, ma variabile a seconda del contesto culturale e geografico con cui ci si confronta. Ad esempio uno stesso contenitore di ceramica può servire a rifocil­ lare degli individui in ambito urbano o a contenere offerte funebri in un contesto funerario . Bisogna quindi raccordare il contesto e la rete di associazioni degli elementi (i testi, le offerte, i corredi funera­ ri, la costruzione di architetture funerarie) che costruiscono il messaggio comunicato attraverso la pratica di uno specifico atto rituale. Il rito funebre è in questo senso uno dei contesti etnografici, antro­ pologici e archeologici più intrisi dei valori simbolici connessi all'e­ spressione ideologica che caratterizza la struttura culturale e sociale di una comunità di individui (Hodder, 1992; Parker Pearson, 1999) . Il rituale funerario accentua le differenziazioni sociali, etniche e reli­ giose, ad esempio attraverso la pomposità della cerimonia funebre degli individui di rango superiore, che è caratterizzata da ricchi corredi funerari, sacrifici umani e animali, maestose strutture archi­ tettoniche o statue di sovrani ed eroi poste nelle vicinanze dell'ingo

gresso della tomba. Il costume funerario di una determinata società può anche divenire un chiaro indicatore di un cambiamento nell'or­ ganizzazione sociale, com'è il caso della costruzione del demosion sema (il " cimitero pubblico ") ad Atene, che nel 500 a.C. circa segnò il passaggio da una società governata da gruppi aristo cratici alla democrazia (Arrington, 2010) . I resti dei rituali funebri diventano quindi uno splendido strumento per comprendere le differenti visioni ideologiche di individui e grup­ pi di una società antica, ma anche per evidenziare quel tentativo di omogeneizzazione dei costumi funerari che avviene nei momenti di forte centralizzazione del potere da parte di élite politiche e religiose, come nel periodo romano, durante il quale si vieta la deposizione dei defunti all'interno delle abitazioni relegando così i resti dei morti in necropoli extraurbane, o come quando, nel regno d'Israele, si cerca di imporre un unico costume funerario di stampo monoteistico per con trastare le comunità che professavano una fede politeistica e avevano una visione frammentata del mondo degli inferi. 4.2. Morte e ra ngo soci a l e Come accennato nel primo capito­ lo, l'avvento della scuola di pensiero della new archaeology ha radi­ calmente trasformato l'approccio al dato archeologico, individuan­ do in esso uno strumento prezioso per ricostruire l'organizzazione sociale delle comunità antiche. Nel far ciò, ha enfatizzato in parti­ colare la dimensione sociale delle pratiche funerarie, e in special modo il rapporto tra i ruoli impersonati in vita dal defunto (capofa­ miglia, capotribù, soldato valoroso) e gli attributi materiali riscon­ trabili attraverso un 'attenta analisi dei resti dei riti funebri (tomba residenziale, oggetti unici ed esotici, armi; cfr. Parker Pearson, 1999, pp. 72-94) . L'obiettivo di questo tipo di ricerca è ovviamente quel­ lo di individuare differenziazioni verticali all'interno della comuni­ tà, e cioè distinguere coloro che appartengono al rango sociale più elevato. In questo processo, l'uso di un sistema analitico di tipo diacronico (che si avvale cioè di esempi provenienti da diversi periodi cronolo­ gici sequenziali) può agevolare il compito dello studioso nella 91

comprensione dei diversi passaggi che hanno contrassegnato l'evo­ luzione dell'organizzazione sociale delle società antiche di una determinata regione (da semplice ed egualitaria a complessa e stra­ tificata) . Nel far ciò , bisogna individuare quegli elementi che ci possano far comprendere chiaramente le distinzioni tra le classi sociali : ad esem­ pio la presenza di oggetti di valore e rari (come manufatti d'oro o pietre preziose) in poche sporadiche tombe potrebbe far propendere per un alto rango sociale dei defunti, mentre la presenza diffusa di un medesimo oggetto (ad esempio un contenitore ceramico) in un elevato numero di sepolcri potrebbe far supporre che queste deposi­ zioni funerarie fossero di individui appartenenti a una classe sociale inferiore. Lo stesso discorso può valere per la struttura adoperata per la deposizione funeraria: tombe a camera o una a tumulo presup­ pongono l' utilizzo di una forza lavoro no tevolmente superiore rispetto alle semplici tombe a fossa, e indicano quindi chiaramente che gli individui deposti al loro interno godono di un più alto rango sociale rispetto a quelli inumati nelle seconde (Tainter, 1978) . Nell'ambito di questo processo di identificazione del rango sociale degli i n umati, è di fondamentale importanza comprendere se questo sia stato determinato da un'acquisizione ereditaria oppure conquistato personalmente (Renfrew, Bahn, 2009, pp. 18 6-92) . Nel primo caso, si tratta di uno status ereditato per discendenza fami­ liare , nel secondo raggi unto grazie a un'operazione di forza ( ad esempio l'usurpazione al trono) o per merito (è il caso degli eroi di guerra) . Ovviamente, è difficile distinguere tra le due tipologie di status sociale quando ci si confronta solo ed esclusivamente con il dato archeologico; un elemento che può però agevolare il compito dello studioso nel dirimere questa matassa è rappresentato dalla presenza o meno di corpi di subadulti (infami e bambini) all'inter­ no di deposizioni funerarie tipiche degli individui di rango sociale superiore; in questo caso si potrebbe presupporre uno status acqui­ sito, che viene tramandato all'interno della linea di discendenza familiare. Dello studio delle differenziazioni sociali tramite l'analisi dei resti 92

funerari si sono occupati negli anni un gran numero di ricercatori, che hanno sicuramente contribuito a una migliore comprensione del valore sociale delle deposizioni funerarie attraverso una misura­ zione del rapporto tra complessità sociale e grado di variazione degli attrib uti associabili alle deposizioni funerarie ( cioè la variabilità funeraria) . Tra gli s tudi più rigorosi e rappresentativi di questa tradizione positivista, bisogna sicuramente citare la ricerca svolta da John O'Shea (1984) su un ampio campione di deposizioni funerarie delle comunità native americane delle North American Great Plains databili al 1675-186o d.C. L'archeologo statunitense nota come la posizione sociale degli individui inumati si possa desumere dal livel­ lo di elaborazione del tipo di deposizione funeraria e dalla tipologia e dalla quantità di oggetti che fanno parte del corredo funerario. Lo stesso approccio viene seguito anche da Robert Chapman nel suo studio sulle comunità preistoriche di Los Millares (penisola iberica, circa 3 0 0 0 - 2 2 0 0 a. C . ) , in cui il ricercatore britannico evidenzia l'emergere della complessità sociale nelle comunità iberiche e del Mediterraneo occidentale nel corso del m millennio a.C., testimo­ niata dalla differente ricchezza dei corredi funerari delle tombe, e mette in luce anche come questa nuova complessità sia accompa­ gnata da un sistema di ereditarietà nella gestione del potere ideolo­ gico, politico ed economico (status sociale acquisito ) , desumibile dalla presenza di resti umani di subadulti all'interno delle tombe più ricche ( Chapman, 1990) . L'evidenza migliore dell'asso ciazione tra corredo funerario e di­ stinzione sociale viene sicuramente dal caso delle deposizioni fune­ rarie di Varna, in Bulgaria, databili al tardo Neolitico (circa 40003500 a.C.) e brillantemente analizzate da Colin Renfrew (Renfrew, Bahn, 2009, pp. 404-5) . In questo caso, lo straordinario ritrovamen­ to dei più antichi oggetti d'oro mai scoperti in un corredo funerario ha stimolato il dibattito sul valore simbolico che tali man ufatti possono avere avuto nel determinare chi dovesse gestire il potere all'interno di una comunità. L'impatto ideologico che questi ogget­ ti avevano nel riservare l'accesso al potere ad alcuni individui sele­ zionati di alto rango sociale non è solamente imputabile al valore 93

economico dell'oro, ma anche al valore simbolico rappresentato dall' unicità dei man ufatti , che molto verosimilmente non erano stati utilizzati e quindi erano stati creati appositamente per essere seppelliti all'interno della tomba accanto al defunto . L' utilizzo di oggetti speciali (e dall'alto valore ideologico e simbolico) , costruiti solo ed esclusivamente per rappresentare l'elevato rango so ciale raggiunto in vita dal defunto, è un elemento fondante nel processo di costruzione dell'identità dell'individuo e della comunità intera. La possibilità di accedere a oggetti dall 'alto valore simbolico , preclusa alle classi sociali inferiori, è una conditio sine q ua non per poter detenere il potere ideologico all'interno di una società, ed è attraverso la pratica di rituali che tale differenza viene esplicitata dai membri delle élite attraverso l'ostentazione di simboli di potere (Renfrew, 201 1 ) . L a differenziazione tra classi sociali s uperiori e inferiori emerge chiaramente anche dall'attenta analisi della variabilità funeraria e dalla comprensione dello spettro demografico di un contesto fune­ rari o , cioè del numero di individui sepolti in una necropoli in rapporto ai potenziali abitanti del centro abitato collegato . Infatti, tale distinzione può essere evidenziata attraverso l'attuazione (o la mancata attuazione) della sepoltura formale all'interno di una necro­ poli. Lo studioso britannico Ian Morris (1987) ha infatti dimostra­ to che, in alcune fasi cronologiche della tradizione funeraria attica, e per la precisione durante i primi secoli del I millennio a.C., solo un quarto della popolazione della Grecia antica otteneva la sepol­ tura, a dimostrazione che solamente le classi più elevate avevano diritto a una deposizione funeraria vera e propria. Ed è proprio nella Grecia antica che l'incremento della variabilità funeraria tra l'inizio del periodo protogeome trico ( 1 0 50-975 a. C . ) e il periodo geometrico medio I ( 8 5 0-800 a . C . ) contrassegna un processo di marcata differenziazione sociale : via via, aumentano le differenze tra i corredi degli uomini (caratterizzati dalla presenza di armi) e delle donne ( caratterizzati dalla presenza di spilloni, fibule e gioielli) di rango superiore e quelli degli appartenenti a classi subalrerne, così come si differenziano le tecniche di trattamento del corpo, secondo 94

regole basate sulla differenza di età (cremazione per gli adulti e inumazione o assenza di deposizione per gli infami) (D'Agostino, 1996, pp. 449-52). L'importanza della variabilità del corredo funerario per una distin­ zione di genere ed età è stata evidenziata da un recente studio compiuto da Nick Stoodley (2000) sulle tombe anglo-sassoni dal 400 al 6 o o d . C . Con un'attenta analisi dei corredi funerari, lo studioso britannico è riuscito a identificare gli oggetti che indicano i passaggi di stato sociale degli individui all'interno del loro gruppo familiare: le punte di lancia e i coltelli si iniziano a ravvisare nelle tombe dei bambini di sesso maschile di età superiore ai 3-4 anni, per essere poi una costante nei corredi degli individui di età compresa tra 10 e 14 anni, mentre a partire dai 20-25 anni di età ogni indivi­ duo di sesso maschile riceve tutto l'armamentario necessario al guerriero; per quanto riguarda gli individui di sesso femminile, il primo livello è il raggiungimento dei 5 anni, contraddistinto dalla presenza di una brocca, che a partire dall'età di 10-12 anni diventa­ no due o più e sono accompagnate da perle, mentre il corredo dell'età adulta (16-18 anni) presenta un alto numero di gioielli . Elementi di distinzione sociale sono riconoscibili anche nelle depo­ sizioni funerarie della fase di creazione delle élite principesche in Europa occidentale ( inizio del 1 millennio a . C . ) , quando sia la variabilità del corredo funerario, che presenta un maggior numero di oggetti di pregio e di armi nelle tombe maschili, sia la variabilità delle dimensioni e delle modalità di distribuzione sul territorio delle tombe appaiono sempre più evidenti. L'esempio della necropoli di Osteria dell'Osa, nel Lazio, illustra chiaramente questi indicatori, in particolare una chiara differenziazione spaziale delle tombe all'inter­ no dell' area deputata all'inumazione dei defunti ( E ietti Sestieri, 1992) . Nella costruzione del rituale funerario l'ideologia non serve solo a determinare distinzioni sociali, di genere e di età all'interno di una comunità, ma ha il compito di costruire una dialettica (anche anta­ gonista) tra i diversi gruppi sociali, etnici e religiosi che convivono in uno specifico contesto abitativo ( D 'Agostin o , 198 5 ) . Questi 95

aspetti appaiono ben delineati nelle ricerche compiute da studiosi italiani nello straordinario contesto delle necropoli dell'Orientaliz­ zante ( vi i i - VI I secolo a.C.) di Pontecagnano, in Campania ( Cuoz­ zo, 2003), dove si evidenzia una nuova visione del mondo ultrater­ reno rispetto ai contesti più antichi dell'Età del Ferro . In questo ambito, la tradizione locale e le innovazioni culturali ed economi­ che provenienti da ambiti esterni (il mondo greco e quello etrusco) portano alla creazione di nuovi metodi di gestione dei costumi funerari e, in particolare, a un uso di sistemi di simboli differenti da parte delle diverse realtà elitarie (" ideologie principesche " ) , all' ela­ borazione di una nuova topografia dell'aldilà con la costruzione di molteplici necropoli distribuite sul territorio e di veri e propri siti deputati al culto dell'aldilà, ad accogliere concetti esterni alla tradi­ zione locale ( come il simposio di tradizione greca) , a un incremen­ to della presenza di donne, individui di età adulta e bambini tra i corpi sepolti, ma soprattutto a una dialettica tra i vari gruppi di quest'area che è sintomo della «compresenza di più ideologie nello stesso contesto» (ivi, p. 19) . Questo tipo di analisi mette in risalto una nuova visione del concet­ to di status sociale, che non è più semplicemente un risultato di differenziazioni economiche tra gruppi e individui, ma racchiude in sé tutti quegli elementi politici, familiari, economici e religiosi che sono inestricabili nelle società antiche . La stratificazione sociale dipende più da una miscela di azioni ideologiche legate all'acquisi­ zione e alla gestione del potere da parte di specifiche élite che da ruoli predeterminati e statici ( Parker Pearson, 1999, pp. 83-6) . Seguendo questa prospettiva, si deve immaginare il sovrano di una società antica non come un semplice automa che controlla il potere economico, bensì come un in dividuo che detiene l'accesso alle dimensioni politiche, religiose ed economiche della comunità e che gestisce questo potere attraverso una serie di azioni (creazione di un sistema di tassazione, partecipazione a cerimonie politiche e religio­ se, in contri con altri digni tari di pari rango ) e l'esposizione dei simboli di potere (creazione di statue e rappresentazioni iconografi­ che incentrate sulla sua persona, sfoggio dei simboli araldici all'in96

terno e all'esterno del palazzo, sepoltura con oggetti dall'alto valore simbolico, apparizioni in pubblico in abiti ufficiali) che rendono anche visibile al resto della comunità il suo alto rango. La ricerca di indicatori di differenziazioni sociali nei dati provenien­ ti dai contesti funerari può tuttavia essere falsata da regolamentazio­ ni che impedivano alle aristocrazie delle società antiche di esprimere l'elevato stato raggiunto in vita attraverso una particolare ricchezza dei corredi . È il caso delle leggi suntuarie ( regole che limitano le ostentazioni di simboli di ricchezza) , che riducono notevolmente i segni della variabilità funeraria, determinando corredi funerari più poveri e una maggiore omogeneizzazione delle strutture tombali, come appare evidente dai corredi del Lazio arcaico (vi secolo a.C . ; cfr. Guidi, 2 0 0 9 , p . 4 5 ) o del mondo greco a partire dall'avvento delle poleis (Mirto, 2007, pp. 109-22) . 4.3. La m o rte dei sovra n i e l e tom be m o n u m enta l i Il deces­ so di un sovrano o di un leader religioso può aprire scenari dram­ matici, che devono essere ben controllati e risolti attraverso un'ac­ curata gestione del momento di transizione che porterà una nuova figura al potere. È in questi momenti di vuoto politico che molte congiure e tentativi di usurpare il trono vengono messi in atto; per evitare simili rischi, il leader prepara anticipatamente il cambio al vertice e rende esplicito il suo desiderio di continuità attraverso la costruzione di una tomba imponente e la pianificazione di cerimo­ nie funebri che leniscano il dolore dei sudditi. La tomba e le cerimonie funebri associate al leader defunto devono quindi avere un forte impatto sulla dimensione cognitiva e percetti­ va dei membri della comunità; la struttura architettonica deve necessariamente essere posta in risalto all 'interno del paesaggio e divenire un punto fermo nella costruzione della memoria sociale della società. Il ricordo del capo deve essere quo tidianamente presente nelle azioni degli individui anche dopo la sua morte. La locazione della tomba deve inoltre rispettare le regole cosmologiche della religione professata (ad esempio essere situata nelle vicinanze dell'ingresso topografico al mondo degli inferi), perché il leader è 97

generalmente anche il detentore del rapporto con il mondo divino ( Renfrew, 2011, pp. 189-209 ) . Sono tuttavia l e cerimonie funebri e i l lutto associato alla perdita del leader a esercitare l'impatto maggiore sulla società. Il lutto può durare anche per un ampio lasso di tempo, mentre le cerimonie funebri sono caratterizzate da un'estrema pomposità, che ha un grande effetto emotivo sul pubblico . Per avere successo, il rituale funerario deve essere presentato come uno spe ttacolo teatrale e coinvolgere appieno la percezione sensoriale degli as tanti, con musica e canti eseguiti da figure professionali (tradizione di molte società del mondo mediterraneo che è sopravvissuta fino a tempi recenti nelle comunità dell'I talia meridionale; cfr . De M artino, 1 9 5 8 ) , la preparazione di cibi rituali ( con il s acrificio di animali sacri), l'uso di bevande e sostanze dall'effetto narcotizzante (si pensi al vino nella tradizione classica e al consumo di canapa, di cui sono state trovate tracce in alcuni tumuli funerari gelati della cultura di Pazyryk) , e, in casi estremi, il sacrificio di sudditi per lo più di giovane età. Il compito dello studioso è quindi quello di indagare e mettere insieme le evidenze di questi eventi in una sorta di puzzle al cui interno i dati archeologici, le analisi archeobo taniche e archeozoologiche e le testimonianze scritte creeranno i presuppo­ sti per la ricostruzione dell'impatto del rito funebre del leader sulla comunità dei viventi . Nell'immaginario collettivo , le tombe monumentali sono comunemente associ ate alle straordinarie sepolture egizie, siano esse le piramidi dell'Antico Regno ( m -vr di­ nastia, circa 2705-2225 a. C . ) - quella a gradini di Gioser a Saqqara e quelle di Cheope, Chefren e Micerino a Giza (cfr. FIG. 10) - o le tombe faraoniche della Valle dei Re ( xvm - xx dinastia, circa 15391075 a.C . ) (Assmann, 2002) . Ovviamente, queste costruzioni non solo risalgono a tempi diversi, ma si distinguono anche per la modalità di costruzione (le prime hanno camere sepolcrali sormon­ tate da piramidi e quindi sono altamente visibili, mentre nelle seconde le camere sono scavate nella roccia e nascoste alla vista) . In ambito egizio, l'impatto sulla dimensione cognitiva dei partecipan­ ti al rito funebre è però messo in risalto non solo dalla struttura 98

architettonica, ma anche dalla presenza di mon umentali templi funerari dediti alla venerazione del Faraone e che, durante il N uovo Regno, vengono edificati lontano dalle tombe e lungo il corso del fi ume Nilo (si pensi ad esempio allo straordinario edificio della regina H atshepsut a Deir el B ahri, xvi i i dinastia, circa 1479-1457 a.C.) . Ed è proprio l'aspetto percettivo e cognitivo ciò che contrad­ distingue le tombe monumentali dal resto del repertorio funerario conosciuto . Le architetture funerarie monumentali hanno l'obiettivo di generare un forte impatto sugli spettatori, in modo tale da investi­ re gli ideatori della struttura, che sono anche i detentori dei poteri politico e religioso, di quella supremazia ideologica che li trasforma in tramite ideale tra la vita e la morte e, conseguentemente, tra il mondo terreno e quello divino. La tomba diviene quindi nello stesso tempo rappresentazione e rappresentanza del loro potere terreno attraverso

FIGURA 10 Le p i ra m i d i d i G iza

99

l'avallo divino. Nel mondo egizio, ciò è agevolato dal fatto che il Faraone incarna la divinità principale del pantheon egizio, il dio del sole Ra, e ne è il rappresentante sulla terra. Le tombe dei sovrani associano in ogni caso a una struttura impo­ nente un ricchissimo corredo funerario, come si evince dallo straor­ dinario esempio della tomba a tumulo del re macedone Filippo I I , verosimilmente fatta costruire dal figlio Alessandro Magno nel 336 a.C., anno della morte del padre. La tomba consiste in un ingresso monumentale con un fregio dorico sormon tato da una cornice decorata a rilievo con scene di caccia, e in due stanze, una più picco­ la a pianta rettangolare al cui interno era deposta un'urna cineraria con i resti della giovane regina Euridice ( assassinata poco dopo la morte del sovrano macedone) e una più grande a pianta quadrata al cui interno erano deposti i resti di Filippo 1 1 . Questa è la più ampia di tutte le tombe macedoni, ma deve la sua fama soprattutto all'in­ credibile quantità e qualità di manifattura degli oggetti d'oro (tra cui spicca la corona a tema floreale) che vi sono stati rinvenuti (D'Agostino, 1996, pp. 468-9) . Per conferire grandiosità al viaggio nell'aldilà delle famiglie reali è necessario un rituale funerario complesso e pomposo, cui partecipi­ no numerosi individui, una rappresentazione molto più simile a uno spettacolo teatrale che a un funerale . Ecco così riaffermarsi l'importanza della performance del rito funebre, che serve ad attiva­ re i sensi dei partecipanti. Questo elemento è chiaramente percepi­ bile negli straordinari resti delle tombe della Necropoli Reale di Ur, in Mesopotamia meridionale ( Protodinastico m, circa 2500 a . C . ; cfr. riquadro d i approfondimento e FIG. 11), così come nelle tombe della dinastia Han dell'antica Cina (Man, 2009 ) . In alcune culture, l a tomba monumentale dei leader s i imprime nella quotidianità della comunità dei viventi grazie alla sua estrema visibilità, com'è il caso delle tombe a tumulo della tradizione etru­ sca o di quelle dell'Età del Ferro dell'Europa settentrionale o dei kurgan delle popolazioni euroasiatiche. Ancora più eclatante è però il caso del già citato mausoleo ( cfr. PAR. 3.7). L'uso di questa impo­ nente struttura architettonica comincia a intravedersi in Mesopota100

(§)

La Necro p o l i Rea l e di U r

Qu e l l a d e l l a N e c ro p o l i Rea l e d i U r è s i c u ra m ente u n a d e l l e p i ù i m p o r­ ta nti s c o p e rte a rc h e o l o g i c h e effettu ate n e l m o n d o m es o p ota m i co, n o n s o l o per g l i stra o rd i n a ri o gg etti d e l corredo fu n e ra ri o po rtati a l l a l u ce d a l l a m i ss i o n e ca p ita n ata d a Leo n a rd Woo l l ey (1934) tra i l 19 2 2 e 1934 , m a s o p rattutto per i l ri nve n i m e nto d i seg n i d i s a c rifi c i u m a n i ( Zett l e r, H o r n e , 19 9 8 ) . Le s e d i c i to m b e e ra n o u b i ca t e a c c a nto a l l ' a re a s a c ra d e l l a città d i U r. Esse co n sta n o d i ca m e re fu n e ra ri e s i n g o l e e m u l t i p l e costru ite c o n co n ci d i p i etra , i l c u i soffitto e ra costitu ito d a u n ' og iva o da u n a p se u d ovo lta a botte d i m atto n i cru d i . I n a l c u n i c a s i , l ' i n g resso era m u n i to di u n a ra m p a d ' a ccesso al c u i i nt e r n o e ra n o d e posti i resti di u n a c e ri m o n i a s a c ri fi c a l e c o n t ra s s e g n a t a p r i m a r i a m e n te d a l l a p re s e n z a d i esseri u m a n i . La p i ù i m p o n ente e fa m o s a d i q u este fosse è s e n z a d u b b i o la cos i d d etta " g ra n d e fossa d e l l a m o rte" ( Great Death Pit, PG 1237, Woo l l ey 1934) . A l l ' i nt e r n o di essa fu ro n o ri n ve n uti 73 c o r p i

( 6 8 fe m m i n i l i e 5 m a s c h i l i , t u tti d i i n d ivi d u i d i età a d u l t a ) a l l i n eati i n 4 - 5 fi l e , cosa c h e fece p e n s a re i m m e d iata m e nte a l l a possi b i l ità d i u n s a crifi cio d i massa d i d i g n ita ri o rd i n ato d a l l e é l ite d i potere d e l centro m eso pota m i co . Rece nti st u d i h a n n o i potizzato che la ceri m o n i a fu n e ­ b re fo s s e s t a t a p i a n ifi ca t a p e r r i s p o n d e re a es i g e n z e d i vi s i b i l i t à e s pettaco l a rità . La teatra l ità d e l l ' evento è es p l i citata d a l l a p re s e n z a d i n u m e rosi stru m e n t i m u s i c a l i ( l i ra , ta m b u ro ecc . ) e d i u n a p a rata d i a n i m a l i e c a r r i , s e p o l t i a l l ' i n te r n o d e l l a ra m p a d ' a ccess o , co m e n e l caso d e l l a to m b a PG 8 0 0 d e l l a re g i n a P u -a b i . O ltre c h e d a g l i stru m e n ­ ti m u s i ca l i , i l c o r re d o fu n e ra r i o è c o n t ra d d isti nto d a g i o i e l l i d ' o ro e p i etre s e m i p reziose, s i g i l l i ci l i n d ri c i , a rm i m eta l l i c h e , oggetti d a l l ' a l to va l o re s i m b o l i co ( c o m e il m o n to n e ra m p a nte co n il ve l l o d ecorato co n s c a g l i e d i l a p i s l a z z u l i s u u n a l b e ro l e c u i fo g l i e s o n o d e c o ra t e c o n l a m i n e d ' o ro ) , v a s i d i p i etra e m eta l l o p rezioso e ca n n u cce c h e servi­ va n o per b e re d u ra n t e il b a n c h etto , raffi g u rato in n u m e ro s i s i g i l l i ci l i n d ri c i e s u u n l a to d e l fa m o s o Ste n d a rd o d i U r, fa cente p a rte d e l corredo d e l l a to m b a P G 779 ( s u l l ' a ltro l ato s o n o i n vece ra p p resen tate sce n e b e l l ich e; cfr. Zett l e r, H o r n e , 19 9 8 , fi g . 3 6 ) .

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mia meridionale nel sepolcro atto a ospitare i corpi dei sovrani divi­ nizzati della I I I dinastia di Ur (fine I I I millennio a.C. ) , edificato sulla terrazza sacra della città di Ur a breve distanza dalla ziqqurat del dio della Luna della tradizione religiosa s umera, N anna (Mander, 2009 ) . Questo costume funerario ha alterne fortune e ampia diffusione in ambito classico , in special modo nella tradizio-

FIGURA 11 Ca m e ra fu n e ra ri a d e l l a reg i n a Pu-a b i

Fonte: Wool l ey (1934) .

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ne imperiale romana (si pensi ai mausolei di Augusto, Adriano e Cecilia Metella a Roma) e in quella bizantina (con il mausoleo di Teodorico a Ravenna, databile al 520 d.C. ) . Nel 1987, l a straordinaria scoperta della prima tomba del comples­ so funerario di Sipan, in Perù, ha dimostrato la grandezza raggiun­ ta dalla società moche nei primi secoli del 1 millennio d.C. Il monu­ mento funerario è composto da una serie di piattaforme (per un totale di sei livelli) di mattoni crudi che formano enormi piramidi, al cui interno gli inumati erano deposti in posizione distesa, rannic­ chiata o seduta assieme a ricchissimi corredi, composti da oggetti costruiti con materiali preziosi (emblemi, stendardi, scettri, plac­ che, collane, ornamenti per il viso ecc.) e da 1. 137 vasi di ceramica ( Pillsbury, 2001, pp. 223-45 ) . In tutto, durante gli scavi archeologi­ ci sono state portate alla luce dodici tombe di epoche diverse, appar-

FIGU RA 12 L a tom ba 1 d e l co m p l esso fu n e ra ri o d i S i pa n

Fonte: P i l l s b u ry (2001) .

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tenute probabilmente a sovrani, guerrieri, sacerdoti e ad alcuni loro subordinati . La tomba principale (tomba 1; cfr. FIG. 12) consiste nella deposizione del " Signore di Sipan " , riposto all'interno di un sarcofago ligneo avvolto in un abito di metallo e tessuto e accompa­ gnato dalle deposizioni di altri otto dignitari . Il complesso funerario di Sipan, le tombe della Necropoli Reale di Ur, le piramidi dell'Antico Regno, le tombe dei sovrani H an in Cina e dei principi macedoni nella Grecia settentrionale, così come i mausolei di tradizione classica, sono tutti esempi di come le élite di potere utilizzassero le cerimonie funebri per indicare ai propri sudditi di possedere le chiavi del potere ideologico . In alcuni casi, questo significava una commistione tra potere religioso e politico, ma il messaggio fondamentale era la percezione che questi individui davano di avere il controllo sulla morte e sulla vita nell'aldilà, che solo a loro era concesso. La morte dei sovrani poteva anche legitti­ mare il loro desiderio di accedere direttamente al mondo divino attraverso una forma di divinizzazione. L'obiettivo finale era in ogni caso quello di ottenere una " bella morte " e, attraverso la costruzio­ ne di complessi funerari visibili a tutti, di controllare le attività dei propri sudditi anche da defunti. 4.4. G l i e roi e la " b e l l a m o rte " Come si è osservato nel para­ grafo precedente, per alcuni individui la morte non è un semplice momento di passaggio dalla vita terrena a quella ultraterrena, ma un capitolo conclusivo che deve servire a mettere in risalto le qualità espresse in vita dando un forte segnale alla comunità dei viventi. Questo è evidente in particolare nel caso di alcuni personaggi deci­ samente carismatici, che preferiscono andare incontro a una morte eroica in battaglia. La tradizione letteraria è ricca di personaggi che agognano una " bella morte " (il kalos thanatos delle orazioni funebri ateniesi) . Le parole di Vernant (2000, p. 36) esplicano perfettamen­ te il significato della " bella morte ", che «assicura una fama imperi­ tura a colui che ha pagato con la propria vita il rifiuto del disonore in battaglia e dell'onta della vigliaccheria», e «fa entrare il guerriero caduto in uno stato di gloria che durerà per tutto il tempo a veni104

re » . I racconti omerici spiegano con chiarezza come per alcuni personaggi (si pensi ad Achille nell'Iliade) non vi sia altra scelta che quella di una vita che, seppur breve, si distingue per gli onori e la glo ria derivati dagli atti estremi da loro compi uti (Mirto, 2007, pp. 98-109 ) . Sin dalle prime forme di scrittura, la figura dell'eroe che affronta senza timore avventure estreme è un punto fermo dei racconti epici. Gilgamesh, Enmerkar, Lugalbanda, Achille, Ettore, Enea sono solo alcuni degli eroi che hanno contrassegnato le narra­ zioni di vicende leggendarie sia nel mondo mesopotamico che in quello greco-romano. La loro presenza nell'immaginario collettivo rassicura e dà forza a tutti i membri della comunità, che attraverso le loro gesta eroiche possono trovare un punto di riferimento ideale nel fronteggiare le proprie vicende quotidiane. È tuttavia il modo valoroso di affrontare la morte in battaglia a renderli unici e raffor­ zare la loro figura, ed è la " gloria imperitura" che consegue dalle loro imprese a fiss arsi nella memoria colle ttiva della comunità (Vernant, 2000, p . 4 7) . Inoltre, le glorie degli eroi devono essere cantate e rimembrate attraverso canti epici, come i racconti poetici dedi cati all 'eroe guerriero che Achille canta nella sua tenda in compagnia di Patroclo in un passo dell'Iliade, che esaltino la loro vita e mostrino a tutti come, nonostante nessun essere umano possa agognare all'immortalità, la vita possa essere vissuta con orgoglio e la paura della morte possa essere superata grazie al confronto con le gesta degli eroi deceduti in battaglia. In molti casi, il sovrano coincide con la figura dell'eroe valoroso, come ad esempio nelle leggende dei primi re della città di Uruk ( Gilgamesh, Enmerkar e Lugalbanda) . La figura del sovrano combattente ed eroico è tipica di tutta la tradizione vicino orienta­ le antica a partire almeno dalla fine del rv millennio a.C. Il sovra­ no-guerriero-leader politico è un emblema dell 'organizzazione socioeconomica delle popolazioni antiche di quest'ampia regione . Egli viene rappresentato in battaglia a capo dell'esercito sotto gli auspici di una divinità protettiva o in mezzo agli altri componenti dell'esercito. L'immagine del sovrano-guerriero viene anche riposta all'interno della camera funeraria, come nel caso dello splendido 10 5

S tendardo di Ur, a ricordo visivo delle vittorie in battaglia ( cfr. FIG. 13). Il sovrano-eroe-guerriero appare anche nella tradizione ittita dell'Anatolia centrale durante il Bronzo Tardo, quando il re Tudha­ liya IV (1237-1209 a. C.) trasmette attraverso iscrizioni e rappresenta­ zioni iconografiche la sua volontà di essere allo stesso tempo " grande re" ed " eroe " . In altri casi, l'eroe è invece in aperto contrasto con il potere politico dei sovrani, che cercano di !imitarne la libertà e gli eccessi di competizione, come emerge dal travagliato rapporto tra l'eroe Achille e i sovrani Nestore e Agamennone. Vi è comunque un elemento che accomuna tutti gli eroi guerrieri ed è rappresentato dalle armi, che lo rendono forte e imbattibile; è lo scintillare delle armature che palesa Achille ai troiani sul campo di battaglia facendo impaurire Ettore, che scappa proprio a causa della vi sione di quest'armatura bronzea «simile alla fi amma del

FIGURA 13 Ste n d a rd o d i U r

Fonte: Wool l ey (1934).

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fuoco o al raggio del sole che sorge» (Il. XXI I , 134-1 3 5 ) . E sono proprio le armi l'elemento principe che accompagnerà il defunto nel suo lungo viaggio verso gli inferi. Le armi, assieme a un eccezionale corredo funebre, contraddistin­ guono gli straordinari sepolcri che componevano i tumuli funerari dei Circoli A e B a Micene. L'esempio più emblematico è rappre­ sentato dalla tomba v del Circolo A, nel cui corredo figuravano, oltre a svariati oggetti d'oro del peso complessivo di 2,4 kilogrammi ( tra cui la splendida " maschera di Agamennone " ) , sessanta armi, a contrassegnare l ' alto rango raggi unto dal guerriero deposto in questo Iaculo . All'interno della società micenea, il ruolo dei capi guerrieri appare centrale nella creazione di un'aristocrazia militare che conferirà solidità di potere a una delle più notevoli realtà politi­ che del Mediterraneo per buona parte del II millennio a.C. (Cultra­ ro, 2006, pp. 138-43 ) . La tomba dell'eroe è , ad esempio, i l fulcro della società greca che, a partire dalla seconda metà de ll ' v i i i secolo a.C., avrà in questi sepol­ creti un luogo di venerazione fondamentale per il lento processo che porterà alla costituzione delle poleis della Grecia classica. Inol­ tre, il rituale funerario dell'eroe guerriero richiama alla mente le figu­ re mitiche tipiche della tradizione epica america e «viene rispecchia­ to nel rituale funerario attraverso la deposizione delle armi nella tomba» ( D 'Agostino, 1996, p. 454) . Un alto n umero di armi nel corredo funerario indica, in molte culture, la tendenza a onorare i soldati e gli eroi morti in battaglia e, talvolta, una società caratterizzata da una nutrita presenza di élite guerriere. Questo è il caso del Vicino Oriente tra la fine del I I I e la prima metà del II millennio a.C., dove la presenza di armi nel corre­ do funerario di individui maschili fa presupporre l'esistenza di élite guerriere legate a regni locali, per lo meno nella prima metà del I I millennio a . C . ( Philip, 19 9 5 ) . L'aspetto interessante del dato archeologico vicino orientale è che le armi scompaiono dal corredo funerario esattamente in corrispondenza con l'avvento dei grandi regni del B ronzo Tardo ( xvi -XI I I secolo a. C . ) , che invece, come riferiscono i testi, furono contrassegnati da notevoli attività belli107

che, quale ad esempio lo scontro tra egizi ( capitanati da Ramesse I I ) e ittiri ( il cui capo era il sovrano Muwatalli) nei pressi dell'antica città di Qadesh ( i n S iria o ccidentale) . Ciò è probabilmente da imputare a un maggiore controllo dei sovrani sulle milizie e sulla gestione delle armi, che non erano di proprietà dei singoli soldati. Armi (spade, lance, frecce ecc.) - alcune delle quali d'oro e quindi con una funzione p rettamente simbolica -, carri e cavalli sono inve­ ce presenti in numerosi kurgan sciti del I millennio a.C. In questo caso, il ruolo fondamentale svolto dalle élite militari nell'organizza­ zione sociale di questi popoli nomadi è chiarito dalle narrazioni storiche di Erodoto nel libro IV delle Storie. La presenza di armi nelle tombe delle comunità europee dell'Età del Bronzo, accertata nelle numerose sepolture che contraddistinguono quest'ampia regione, è segno di una forte differenziazione sociale di tali comunità ( B ietti Sestieri, 2010; Guidi, 2009) . Le tombe di prin­ cipi-guerrieri caratterizzano anche la tradizione funeraria delle popolazioni dell'Italia centrale all'inizio del 1 millennio a.C., com'è evidenziato dal caso dei tumuli a circolo dei popoli piceni, al cui interno sono state rinvenute numerose armi, elmi e armature, cosa che ha indotto gli studiosi a ipotizzare che in questa particolare fase si siano costituite delle aristocrazie guerriere (Naso, 2000 ) . I l culto di eroi guerrieri è i n ogni caso un fenomeno che caratterizza fortemente il mondo classico , come testimonia chiaramente la costruzione di strutture che esaltano la visibilità delle tombe degli eroi mitici. La creazione di heroon (luoghi di culto dedicati alla memoria degli eroi mitici) all'interno delle agorai di epoca classica è segno di una forma di religiosità contraddistinta dalla volontà di includere figure eroiche nella memoria storica della collettività (Mirto, 2007) . L'esempio più antico è verosimilmente quello del monumento fune­ rario di Lefkandi, in Eubea, databile al x secolo a.C., dove è stata portata alla luce un'ampia struttura absidata al cui interno sono stati rinvenuti i resti di un uomo e di una donna e, al di sotto del pavimen­ to, una serie di buche di palo e ampie tracce di bruciature, che testi­ moniano come questo luogo fosse stato probabilmente utilizzato per l'incinerazione di pire funerarie (D'Agostino, 1996) . 108

Questo processo di memorializzazione delle figure fondanti della società ha un carattere fortemente ideologico e serve a far radicare il senso di appartenenza al gruppo, che non coincide più soltanto con la famiglia, ma con una comunità che la travalica e che necessita quindi di figure che possano svolgere il ruolo di antenati mitici ed essere venerate da più gruppi familiari. 4.5. Il c u lto d egl i a ntenati Uno dei maggiori problemi dell'ar­ cheologia funeraria è l'evidenza di una distinzione tra culto dei defunti, consuetudine comune a quasi tutte le espressioni culturali delle comunità antiche e contemporanee, in cui la doppiezza tra anima e corpo si risolve al momento della morte con la dipartita della prima, che va a risiedere nell'aldilà o a re in carnarsi in un nuovo essere (Durkheim, 1912, trad. it. pp. 247-7 5 ) , e culto degli antenati, che divengono fondamentali per il credo religioso delle comunità viventi (ivi, pp. 279-301) . La differenza tra le due forme di culto è generalmente legata a una selezione dei defunti da venerare e quindi, ad esempio, a una diver­ sa localizzazione dei resti umani, che possono essere riposti in spazi contigui alla comunità degli esseri viventi (come accade nella depo­ sizione funeraria residenziale) o in luoghi altamente visibili e rico­ noscibili nel paesaggio urbano o naturale (come è il caso delle pira­ midi, degli heroon e di alcuni mausolei) . Per raggiungere lo stato di antenato sacro, il defunto deve avere avuto un ruolo fondamentale nel gruppo di appartenenza (ad esempio esserne stato il capofami­ glia) ; il conferimento di tale status dipende pertanto dalle regole di discendenza operanti all'interno di ciascuna società. A tale riguardo, possono essere determinanti fattori quali l'età, il sesso, il rango socia­ le, la moralità della condotta in vita e l'appartenenza etnica. Da un pun to di vista archeologico, le prime forme di culto degli antenati sono riscontrabili a partire dal Protoneoli tico ( 1 20008500 a.C.) nel Vicino Oriente, dove il distacco volontario dal corpo dei crani e la loro sepoltura sotto i pavimenti delle case deve essere interpretato quale forma primordiale di venerazione degli antenati defunti ( Kuij t, 2008 ) . 109

L'antenato sacro è venerato anche al di fuori del contesto funerario, come dimostrano gli altari e le cappelle utilizzati per professarne il culto nel nucleo familiare rinvenuti all'interno degli ambienti abita­ tivi . Questo è ovviamente il caso della tradizione romana, dove la venerazione degli spiriti dei defunti, degli antenati, ma soprattutto delle divinità associate alla famiglia e ai guardiani degli spiriti degli antenati (i lari e i penati) è centrale nella costruzione della memoria collettiva della famiglia. La memoria dei defunti e degli antenati era costantemente rivisitata sia nel sepolcro sia soprattutto nella cappel­ la domestica (lararium) , dove le raffigurazioni dei defunti venivano messe in mostra; straordinario, sotto tale riguardo, l'esempio della Casa del Menandro a Pompei ( Pollini, in Laneri, 2007, pp. 243-5, fig. 13.3) . Gli edifici sepolcrali di tarda età imperiale servivano anche come luoghi di riunione per celebrazioni conviviali della memoria dei defunti attraverso il consumo di pasti rituali e l'introduzione di liquidi in condotti collegati ai sarcofagi posti all'interno delle came­ re funerarie (Zanker, Ewald, 2008 ) . L a costruzione di strutture dedicate al culto degli antenati s i riscon­ tra anche in contesti archeologici della Mesopotamia meridionale già in epoche molto più antiche, come le " cappelle domestiche " dell'inizio del I I millennio a . C . portate alla luce dalla missione britannica capitanata da Woolley in alcuni quartieri di abitazioni private presso il sito di Ur. La straordinarietà di tale scoperta è raffor­ zata dal rinvenimento di cunicoli di collegamento tra l'altare e la tomba, che servivano per introdurre in quest'ultima offerte dedicate alla memoria dei defunti (Woolley, Mallowan, Mitchell, 1976) . Gli antenati sono importanti anche per i maya, tra i quali la costru­ zione di tombe residenziali e lo sviluppo di una ritualità associata alla deposizione di resti umani in spazi socialmente riconosci uti appaiono elementi fondamentali nella creazione di una dimensione sociale della memoria collettiva e nella gestione di società contras­ segnate da un'elevata complessità sociale da parte di élite di potere (McAnany, 1995) . Per poter individuare con certezza un culto degli antenati attraver­ so l' utilizzo del dato archeologico o testuale, bisogna ricercare 110

quegli elementi che permettono di ricostruire pratiche religiose che prevedono un culto costante dei defunti all'interno di gruppi fami­ liari o clan . Infatti , il culto degli antenati serve a dare forza ai membri della comunità dei vivi che, attraverso offerte e preghiere, cercano di veicolare l'influenza positiva del loro spirito . C'è infatti il rischio molto forte che gli antenati possano adirarsi con i membri viventi della famiglia, cosa che potrebbe avere un'influenza negati­ va sulla comunità. Ecco dunque che una pratica ciclica dei riti, ad esempio in o ccasione delle feste commemo rative dedi cate alla memoria degli antenati, serve ad assicurare una loro buona predi­ sposizione nei riguardi della discendenza familiare . Forme di religiosità associate al culto degli antenati si riscontrano anche in società africane, in cui gli spiriti degli antenati, a causa di un sistema religioso fortemente legato alla s uperstizione e alla magia, hanno una funzione primaria nel determinare i successi o gli insuccessi degli esseri viventi. Possono infatti tramutarsi in esse­ ri malevoli qualora la comunità dei viventi manchi loro di rispetto . Il ruolo degli antenati è fondamentale anche nelle comunità cine­ si, dove solitamente le imprese nobili dei defunti sono venerate tramite l ' uso di altari , strutture che ritornano con frequenza nel tessuto urbano di città e villaggi. L'importanza del culto degli ante­ nati e della sua gestione in ambito cinese ha radici antichissime, come evidenzia il caso dei sovrani della dinastia Shang (seconda metà del n millennio a.C. ) , che detenevano anche il ruolo di sacer­ doti supremi del culto degli spiriti e degli antenati ( Scarpari, in Remotti, 2006, pp. 37-43) . 4.6. L ' u s o d e i resti u m a n i p e r ri co rd a re i d efu nti La co­ struzione della memoria sociale del defunto da parte della comuni­ tà dei viventi non può avvenire solo attraverso un suo ricordo idea­ le, ma deve essere incen trata su elementi materiali, che possano richiamare alla mente i momenti di vissuto comune. Tra le società moderne, le fotografie e i video sono sicuramente i mezzi più imme­ diati per stimolare la sfera del ricordo, mentre le società antiche utilizzavano i resti umani dei defunti per attivare quel processo di 111

rimembranza e commemorazione dei defunti che appare centrale sin dalle epoche preistoriche. Ciò è evidente tra le società protoneo­ litiche e neolitiche del Vi cino Oriente, in cui vi era una vera e propria venerazione del cranio del defunto il quale, talvolta, poteva essere decorato e abbellito . Il culto del cranio tra le società neolitiche appare chiaramente un'esigenza dei nascenti gruppi familiari, che hanno assoluto bisogno di costruirsi una propria identità nell'am­ bito di una società in trasformazione, più basata su una sussistenza economica di stampo agropastorale e contrassegnata da un incre­ mento della competitività interna ( Kuij t, 2008 ) . Durante questa lunga fase preistorica (circa 85oo-6ooo a. C . ) , alcuni crani vengono decorati con un intonaco di gesso, colorati con pigmenti e, in certi casi, come negli straordinari esempi provenienti da Gerico, le loro cavità orbitali vengono ricoperte con conchiglie. Il dato proveniente dal sito neolitico di çatal Hoyiik ( H o dder, 2006, pp. 109-40) mostra inoltre come la deposizione formale dei defunti e dei crani all'interno dell'abitazione servisse a segnalare la centralità della casa, che era lentamente divenuta il fulcro di ogni attività umana (dalla produzione economica al culto religioso, alla deposizione dei defun ti ) , segno dell' avvento di una profonda trasformazione rispetto al periodo precedente (il Neolitico acera­ mico, circa 8 500-7000 a. C . ) , contraddistinto invece dalla presenza di numerosi luoghi di sepoltura riservati all'intera comunità che, talvolta, erano destinati alla deposizione cumulativa di decine di crani e centinaia di resti ossei umani, come nel caso dello Skull Building portato alla luce presso il sito di çayonii, nella Turchia sud-orientale (Frangipane, 1996, pp. 29-51) . La funzio nalità del cranio degli anten ati nella costruzione della memoria collettiva della comunità si riscontra anche in periodi più tardi, come testimoniano le vere e proprie biblioteche della memoria messe in luce in siti levantini del Bronzo Antico I I e I I I (circa 29502300 a.C.) e, in modo particolare, a Bab edh-Dhra', in Giordania, dove sono state trovate strutture architettoniche al cui interno veni­ vano posizionate mensole atte a ospitare i crani dei defunti (Chesson, in Laneri, 2007) . 112

I resti umani venivano anche inglobati in strutture che combinava­ no la dimensione funeraria con quella di mon umento religioso, segno di una società in trasformazione. È il caso dello straordinario cono di terra della metà del I I I millennio a.C. rinven uto nel sito siriano di T eli B anat (il White Monument, circa 2750-2500 a. C . ) , tipico di gruppi nomadi che iniziano lentamente a sedentarizzarsi e a costituire centri urbani ( Laneri, 2004, pp. 119-45) . I resti umani avevano un'alta funzione rituale nella costruzione delle abitazioni private delle comunità maya, dove venivano inseri­ ti nei depositi di fondazione o nei riempimenti dei pavimenti (McAnany, 1995) . La creazione di questo collegamento cosmologi­ co tra casa, antenati sacri e mondo divino è quindi prioritaria in numerose comunità antiche e simboleggia una forma di rirualità in cui i resti selezionati del corpo umano hanno un'importanza fonda­ mentale nel garantire il " b uon vivere " dei membri della comunità dei viventi. Il corpo può rappresentare un ideale simbolico della cosmologia divina e pertanto il suo smembramento assume una funzione prima­ ria nella costruzione della dimensione religiosa di una società. Ad esempio lo smembramento del corpo di Osiri e la devozione rivolta ai suoi frammenti, che la tradizione vuole siano distribuiti in varie parti dell'antico Egitto, sono un elemento fondante della tradizio­ ne religiosa egizia; così pure i resti cremati del corpo di B uddha (v secolo a. C . ) che, secondo la tradizione mitica, furono divisi per essere venerati in otto luoghi diversi dell 'India ( Capone, 2004, p. 54) . Come già visto in precedenza ( cfr. PAR. 2.6), la mutilazione del co rpo del defunto può anche avere un aspetto negativo se è dovuta ad avvenimenti violenti (scontri in battaglia) ; in tal caso, i vivi chiamano in aiuto le divinità per salvaguardare il cadavere dall'onta delle sevizie (Vernant, 2000, pp. 67-73) . La frammentarietà dello scheletro umano consente facilmente di suddividere i resti scheletrici tra gli individui di una comunità, in modo tale da creare una rete di connessione che garan tisca un cos tante collegamento della comunità dei vivi con la memoria del defunto. L'importanza del legame tra resti umani e memoria collet113

tiva è evidente nella venerazione delle reliquie dei santi cristiani. Il termine " reliquia" viene dal latino reliquiae, che significa " resti " ed è associato generalmente al corpo umano o a frammenti di esso appartenuti a individui beatificati e santificati dalla Chiesa cristiana. Queste reliquie sono generalmente custodite all'interno di appositi contenitori e urne di uso liturgico (i reliq uiari) e, in alcuni casi, possono consistere anche in oggetti e abiti usati dai santi. La tradi­ zione delle reliquie dei santi è alquanto più tarda rispetto alla nasci­ ta e all'affermazione del cristianesimo, ma leggenda n arra che questo culto nacque con Costantino, il quale portò nella capitale imperiale Costantinopoli n umerosi resti associabili alla storia di Cristo ( dai frammenti della sacra croce fino al vaso d'unguento con cui furono unti i piedi di Cristo) e alla tradizione biblica (l'ascia con cui Noè fabbricò la mitica arca) e, alcuni di questi, li depose all'in­ terno del basamento della colonna che fece costruire in seguito alla sua conversione ( cfr. Di Gangi e collaboratori, in Remotti, 2006, pp. 115-36) .

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s . Eros e Thanatos: la morte come esperienza di rina scita 5.1. Mo rte e fe rti l ità Quasi tutte le società hanno un sistema di credenze religiose che si basa sull'idea di una continuità della vita umana, sia in forma di vita ultraterrena che di reincarnazione. Si deve infatti dare speranza ai viventi attraverso la costruzione di un sistema che veda una sequenza ininterrotta lungo l'asse «vita-morte­ rinascita» ( Kerényi, 1971) . Questo emerge chiaramente, ad esempio, nelle comunità africane dove, come scrive Thomas ( 1976, p. 2 5 ) , «l'uomo vive e rivive al ritmo incessante della natura: nascita, matri­ monio, procreazione, morte, ingresso nella collettività dei defunti, eventuale reincarnazione». L'idea di una ciclicità della vita è ancora più evidente nelle società antiche, dove il forte legame tra la vita umana e la natura genera un meccanismo di credenze in cui il fenomeno della rinascita umana è associato a quello riscontrabile nei cicli agricoli o nelle fasi lunari, dove il passaggio da luna crescente a calante è, nell'immaginario collettivo, pregiudiziale di fasi di crescita e di declino (Bloch, Parry, 1982) . L'associazione tra vita umana e luna è evidente, ad esempio, tra i nativi americani, nella cui tradizione mitologica il parallelismo tra morte e rinascite lunari e umane è una costante . Ancora più chiara è la relazione tra ritmi stagionali e vita umana, con particola­ re enfasi sul rapporto tra l'aspetto escatologico e quello del ciclo agricolo, nelle mitologie antiche, come il Mito di !nanna e Dumuzi della tradizione religiosa mesopotamica (Mander, 2009, pp. 82-6) o l'omerico Inno a Demetra (Mirto, 2007, pp. 25-32) . In quest'ottica, la primavera è generalmente percepita come un periodo di resurre­ zione, e non è quindi un caso se le principali cerimonie liturgiche sono associate all'inizio della stagione primaverile (si pensi ad esem­ pio alla Pasqua nella tradizione giudeo-cristiana, o alla festa del Nuovo Anno assiro-babilonese, l'Akitu; cfr. Mander, 2009) . Ed è proprio sulla gestione dei simbolismi religiosi associati a una 11 5

relazione diretta tra morte e rinascita che si fondano molte culture religiose antiche e moderne. Tale relazione è evidente nell'uso che si fa del vino e del pane come simboli del sangue e del corpo di Cristo nella comunione della tradizione cristiana. L'inscindibile rapporto tra morte e vita è anche chiaramente riconoscibile nella figura di Plutone nella mitologia romana. Plutone è la divinità prin­ cipale del mondo degli inferi ma, diversamente dalla sua versione greca, Ade, è una figura positiva di rinascita agricola, dalla cui terra nascono i preziosi frutti prodotti dagli agricoltori dell'antica Roma. L'importanza dell'elemento legato alla rinascita emerge in tutta evidenza quando ci si confronta con un simbolismo sessuale, come la rappresentazione di una figura a gambe aperte penetrata da un vistoso fallo riconoscibile in alcune portelle liriche decorate delle tombe a grotticella di Castelluccio, nella Sicilia sud-orientale ( anti­ ca Età del Bronzo, Tusa, 1994, fig. 74) . Il rapporto tra fertilità, morte e rinascita è fortemente presente anche nella tradizione delle comunità Merina del Madagascar contempo­ raneo (Bloch, 1971 ) , dove la tomba della famiglia (la tanindrazana), che sorge all'interno del villaggio ed è facilmente visibile dall'abita­ zione, diventa il punto di riferimento per ogni individuo, in partico­ lare quando ci si appresta a celebrare un matrimonio che unirà due famiglie. Tra queste comunità, la cerimonia funebre (la fomadihana) in cui si seppelliscono i resti disarticolati del defunto (deposizione secondaria) è l'avvenimento principe e la festa più sentita, che viene celebrata con un enorme sforzo economico e di partecipazione. Le feste commemorative degli antenati familiari divengono così un grande evento, che stimola la rinascita della famiglia attraverso nuovi matrimoni e la nascita delle nuove generazioni. Questo accostamento tra rigenerazioni naturale e umana è ancora più accentuato in comportamenti dall'alto valore simbolico , come le pratiche rituali. In questo caso, atti, parole, oggetti, bevande e animali s acri vanno a rappresentare simbolicamente il connubio tra questi due mondi. Il carattere festoso di alcune cerimonie ha come obie ttivo la reinvenzione dei rapporti umani attraverso la rimembranza dei defunti per mezzo di banchetti rituali . Il sacrifi116

cio di animali, e in alcuni casi di esseri umani, ha senza dubbio una funzione rigeneratrice che, nel tentativo di ricreare all'interno del sepolcreto la realtà terrena accompagnando il defunto con quello che gli era più caro, permette alla comunità dei viventi di man te­ nerne viva la memoria per l'eternità. Nel far ciò, la pietra tombale o la stele funeraria assume un ruolo fondamentale nel connettere

(§)

Le l a m e ntazi o n i fu n e b ri

N e l l a s u a stra o rd i n a ri a ricerca s u l l a t ra d i z i o n e fu n e b re d e l l e co m u n i ­ t à l u c a n e , D e M a rti n o ( 1 9 5 8 ) fa ceva n ot a re co m e i l l a m e n to fu n e b re fosse u n ' es p ress i o n e ti p i ca d e i costu m i d e l l e cl assi p i ù povere, c h e p a ­ gava n o d e l l e " p rofess i o n iste d e l l a m ento" ( l e p refi c h e ) p e r p i a n g e re e c a n t a re i p ro p ri c a r i . L a trad izi o n e d e i l a m e n tatori fu n e b ri p rofess i o n a l i h a trascorsi a nt i ­ ch i s s i m i e , a l c o n t ra ri o d i q u a n to s i p u ò o s s e rva re n e l l e c o m u n i t à l u c a n e d i ci rca ci n q u a nt' a n n i fa , ven iva n o asso l d ati d a l l e fa m i g l i e rea l i e a ristocra t i c h e d u ra nte i fu n e ra l i d e i p r o p r i c a r i . Per q u a n to ri g u a rd a l a M eso pota m i a d e l 1 1 1 m i l l e n n i o a . C . , i testi c i n a rra n o d i m u s i c i (gala i n s u m e r i c o ) c h e ve n iva n o p a gati p e r l e l a m entazi o n i fu n e b ri e i resti di stru m e n t i m u s i c a l i trovati tra g l i o g g etti c h e a cco m p a g n ava n o l e vitti m e s a c rifica l i n e l l a " g ra n d e fo ssa d e l l a m o rt e " d e l l a N e c ro p o l i Rea l e d i U r c o n fe r m a n o t a l i attest a z i o n i testu a l i . L' i m p o rt a n z a d e l p i a nto ritu a l e e l ' u s o d i p rofess i o n i sti n e l l o svo l g i m ento d e l l e ceri m o ­ n i e fu n e b ri s o n o risco ntra b i l i a n c h e n e i testi e n e l l ' i co n o g rafia d e l l a t ra d i z i o n e c l a s s i c a ( s i a ro m a n a c h e g reca ) , d ove s i n ota n o g r u p p i d i d o n n e c h e s i batto n o i l petto e l a testa o s i g raffi a n o a s a n g u e l e g u a n ­ ce ( M i rto, 2 0 07, p p . 6 5-72 ) . Tu tti q u esti e l e m enti raffo rza n o l ' i m p o rt a n z a d i u n a p p roccio d i n a m i ­ co e n o n statico a l l o stu d i o e a l l ' i n te r p reta zi o n e d e i contesti fu n era r i , c h e tenti i n o g n i m o d o d i evi d e n z i a re t u tte l e fas i d e l rito d i passa g g i o , c h e va n n o d a l tra tta m e n to d e l c o r p o a l l a s u a d e po s i zi o n e n e l s e p o l ­ c r o , a l l a c h i u s u ra d e l l a to m b a e, i nfi n e , a l posizi o n a m e nto d e l l e offe r­ te d e d i ca t o r i e post mortem.

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visivamente la memoria collettiva della comunità alla storia e alla vita del defunto ; ma è in ogni caso l'effettiva performance della cerimonia funebre a mettere in moto un processo di comunanza tra i vivi e i morti. Si pensi ad esempio alla tradizione funeraria degli antichi romani: in essa, è il paterfomilias, la figura primaria e il membro più anziano della struttura familiare romana, che cele­ bra i riti funebri dopo aver raccolto l'ultimo respiro del defunto e avergli inserito in bocca, come nella tradizione greca, una moneta (il naulum) destinata al traghettatore Caronte, che lo porterà nel mondo degli inferi. Il rituale funebre delle famiglie patrizie roma­ ne prevede un lungo corteo cui partecipano attori con il volto coperto da maschere di cera, mimi, danzatori e musici e lamenta­ triei professioniste che intonano le lamen tazioni funebri ( cfr. riquadro di approfondimento alla pagina precede n te) . Dopo il seppellimento o la cremazione del defunto, il corteo raggiungeva il Foro, dove veniva recitata l'orazione funebre (laudatio funebris) dedicata al defunto, secondo una tradizione già nota in ambito greco . I l lutto sarebbe continuato per nove giorni, al termine dei quali veniva celebrata l' ultima fase del rito di passaggio, consisten­ te in una festa che prevedeva un banchetto con vino e cibi di vario genere, il cui obiettivo era rendere l'anima del defunto parte della sua nuova dimensione sociale (Zanker, Ewald, 2008 ) . Numerose feste dedicate alla commemorazione dei defunti e degli antenati (i parentalia, i feralia, i lemuria) mantenevano viva e forte la loro memoria, ma il simbolo principale della loro rimembranza nella quotidianità della comunità dei vivi era sicuramente la stele funera­ ria ( S toroni Mazzolani, 1991) . 5.2. Le ste l e fu n e ra ri e La tradizione greca ci narra come il de­ funto non potesse trovare nuova vita nell'aldilà senza «1' erezione della sema (stele) , che ricorderà agli uomini futuri, come fa il canto epico, una gloria che così ha sicurezza di restare sempre imperitura» (Vernant, 2000, p. 6 5 ) . La stele o pietra tombale posta sopra o nei pressi della tomba è un segnale per rigenerare la memoria dei defun­ ti tra i membri della comunità dei viventi. Pietre tombali anche di 118

grandi dimensioni (menhir o dolmen) decorate con petroglifi raffi­ guranti esseri umani o animali vengono già utilizzate dalle popola­ zioni preistoriche di ambito europeo sin dal IV millennio a.C., ma è con le prime dinastie egizie (inizio del I I I millennio a.C. ) , e in modo particolare con le deposizioni funerarie faraoniche nel centro di Abido, che la stele comincia a essere decorata con pittogrammi gero­ glifici indicanti il nome del sovrano. Nel tempo, le stele funerarie egizie cambiano dimensione, decorazione e materiale (ne compaio­ no alcune in legno) ma, a partire dalla I I I dinastia (2686 a.C . ) , è il sistema decorativo a false porte a divenire il fulcro del culto dei defunti. Questa struttura posta all'ingresso del sepolcro, orientata verso ovest, era composta da lesene e nicchie e decorata con iscrizio­ ni geroglifiche. Essa diveniva il punto di transito nel complesso sistema di accesso al mondo degli inferi del ka del defunto, il quale poteva così prendere parte alle celebrazioni che i viventi facevano in suo onore di fronte alla nicchia principale della falsa porta, dove venivano poste le offerte funebri . Uno dei migliori esemplari di stele funeraria trovata in contesti archeologici del Vicino Oriente antico è quello portato alla luce dalla missione archeologica dell'Istituto Orientale di Chicago in una stanza di un'abitazione privata della parte bassa dell'antica città di Sam'al (la moderna Zincirli, nella Turchia sud-orientale) , data­ bile all'vm secolo a.C. (Struble, Herrman, 2009 ) . La stele, che rien­ tra nella tradizione funeraria delle élite siro-ittite della prima metà del 1 millennio a . C . , è di basalto, ha la sommità arro tondata e la base fornita di un lungo tassello utile per fissarla al terreno; è carat­ terizzata dalla raffigurazione di un uomo ves tito con una lunga tunica, copricapo a cono appuntito e nappa, presentato seduto con in mano una coppa e una pigna e di fronte a lui si trova un basso tavo lo ricolmo di offerte . La p arte superiore destra della stele presenta invece un'iscrizione in fenicio -aramaico dedicata alla commemorazione dell'ufficiale reale Kuttamuwa (sottoposto del re Panamuwa) e all'estremo limite superiore un sole alato in pessimo stato di conservazione. La straordinarietà del rinvenimento consiste nel fatto che la stele è stata trovata in una stanza di un 'abitazione 119

privata senza alcun legame con una struttura funeraria, a ulteriore testimonianza dell'importanza che la commemorazione degli ante­ nati aveva nell'ambito delle attività quotidiane delle famiglie, raffor­ zando la memoria collettiva dei vivi attraverso la rimembranza posi­ tiva e attiva dei defunti. La tradizione della stele funeraria nel Vicino Oriente sembra esse­ re una derivazione del costume egizio, come evidenziano gli esem­ pi fenici ( circa IX-VI secolo a.C.) che, in molti casi (ad esempio la stele di Amrit, quella di Yehaumilk da B iblo o quella di Tir Dibba) , mescolano temi iconografici lo cali con altri tipici della figurazione egizia (Moscati, 1988, pp. 304-28) . L'esplosione dell'u­ so della stele funeraria avviene però con la diffusione in Occidente dei costumi funerari fenici: si pensi alle migliaia di stele che caratte­ rizzano i tofet punici, come gli eccezionali esempi provenienti da Cartagine in Tunisia, da Mozia in S icilia e da Tharros, Nora e S ulcis in Sardegna. La produzione che va dal VI I al VI secolo a.C. vede la presenza sia di stele che di cippifunerari ( una semplice pietra a sezione quadrangolare) . Le stele funerarie rinvenute a Cartagine, come in altri centri fenici e punici occidentali, sono blo cchi in pietra decorati con una nicchia al cui interno vengono raffigurati da uno a cinque betili (pilastri) , losanghe, " idoli a bottigli a " , o figure umane e rappresentazioni simboliche di figure femminili (Bonnet, 2004) . Come accennato all'inizio del paragrafo, la stele assume un'impor­ tanza fondamentale nella pratica dei riti funebri in ambito classico . Riferimenti topografici posti a segnalare la presenza di un sepolcro cominciano a intravedersi sin dall'epoca micenea ( come nel caso della stele della tomba a fossa v di Micene con bassorilievo raffigu­ rante un guerriero su carro, XVI secolo a. C . ; cfr. Cultraro , 2006, pp. 137-50), ma è a partire dal V I I secolo a.C. che le pietre tombali iniziano a segnalare il nome del defunto e a rendere permanente la sua presenza tra la comunità dei vivi ( D 'Agostino, 1 9 9 6 ) . Nel mondo classico, la stele rappresenta il defunto sia attraverso l'inci­ sione del suo nome che con la sua raffigurazione in statue o bassori­ lievi; inoltre, questi monumenti funerari (che in alcuni casi possono 120

consistere in statue o vasi) ricevono «offerte e attenzioni rituali» simili a quelle riservate al defunto durante la cerimonia funebre (Mirto, 2007, p . 84) . Per quanto riguarda il mondo romano, la stele con iscrizione annes­ sa diviene il punto di riferimento per i viventi, che se la ritrovano lungo le vie consolari perché, come osserva S toroni M azzolani (1991, p. X I I ) , l'iscrizione rappresenta l'appello postumo del defunto ai vivi, passanti o viaggiatori. In essa, chi non è più vuole attirare ancora l'attenzione e fermare per un mom ento quel flusso incessante di umanità c h e scorre davanti a lu i, e, nel riassumere la propr ia esistenza, esprime nella forma più genuina e più breve (appunto, lapi daria) la scala dei valori del suo tempo, la sua concezione della vita e del destino u m ano.

5.3. I l b a n chetto fu nera rio La morte di una persona può anche essere motivo per una festa, cui invitare familiari e amici per ricor­ dare la memoria del defunto attraverso banchetti, giochi e altre attività che diano una forma vitale alla dipartita dell'individuo . L' uso del banchetto (o simposio) commemorativo del defunto, sia durante la cerimonia funebre che durante i momenti di co m­ memorazione, è attestato dai testi, dall'iconografi a funeraria e anche dai resti di feste rituali rinvenuti nei pressi del sepolcro o di camere associate ad esso. Nella tradizione antica, il simposio rap­ presenta un momento di celebrazione in cui al bere e al mangiare si ass ociano fo rme di giocosità che , in molti casi, sfoci an o i n atti erotici . Il banchetto/simposio ha dunque importanza nella cele­ brazione dei defunti in quanto atto simbolico che racchiude una fo rte volontà di rinascita. I simbolismi associati a questo evento sono chi aramente legati a doppio filo a un sistema binario di contrapposizioni che tende a evidenziare la vittoria della fertilità sulla morte. Ad esempio, nella tradizione classica si associa al simpo­ sio il consumo del pane e del vino, il cui valore simbolico richiama alla me n te il culto di Demetra (de a della terra e del grano) e di Dioniso (dio del vino) . Come giustamente fatto notare da Musti (2001, pp. 15-16), 121

l'una e l' altra divinità sono insie me vita e m orte, e questa combinazione è anc h e mitol ogica mente ben rappresentata: Demetra è i l grano, l a vita, e anc h e però la terra c h e ospita i m orti; Dioniso è dio di vitalità prorompente e orgiastica, e però anc h e m orte e resurrezione. Ne risu lta un simbolo della vita nella s ua interezza, dell'am ore e della m orte.

Il rapporto simbolico tra pane-vino-vita e corpo-sangue-morte è riscontrabile in numerose culture antiche anche se, ovviamente, è nella celebrazione dell'Eucaristia cristiana che esso diviene partico­ larmente eviden te . Anche in ambito classico il vino versato da Achille per spegnere le fiamme che ardevano la pira funebre su cui era posto il corpo di Patroclo ha una forte valenza simbolica nel processo di rinascita del corpo del defunto in nuova forma. Per trovare i primi esempi di consumo rituale di cibi e bevande dobbiamo rivolgere il nostro sguardo al Vicino Oriente, dove recen­ ti ricerche archeologiche effettuate nella grotta di Hilazon Tachit, in Israele, hanno evidenziato i resti di numerosi animali ( tra cui 50 gusci di tartaruga) databili al Natufiano (circa 12.000 anni fa) , parte di una festa rituale associata alla deposizione funeraria di una donna anziana che doveva avere un ruolo centrale nella comunità (forse quello di sciamano) . In Mesopotamia, la testimonianza principale di questa festa dedicata ai defunti sono i resti portati alla luce duran­ te lo scavo della Necropoli Reale di Ur. Questa tradizione di festivi­ tà funeraria emerge anche dalle evidenze testuali del I I I e I I millennio a.C . , i n cui s i fa menzione di offerte e libagioni di cibi e di bevande duran te le cerimonie funebri e di feste dedicate alla rimembranza degli anten ati reali. Questo tipo di festa ha una denominazione particolare (kianag oppure kisìga in sumerico e kispum in accadi co) ed è centrale nella gestione dell'organizzazione del potere da parte delle élite di molte città-stato vicino orientali, come risulta chiaro nella tradizione di Ebla/Tell Mardikh alla metà del m millennio a.C. (Laneri, 2004) . Lo stretto legame tra vino e morte emerge con particolare evidenza nel sito di Titri§ H oyiik, nella Turchia sud-orientale (fine del I I I millennio a. C . ) , dove è stato rinvenuto un bacino lustrale, in 122

altri contesti abitativi dedicato alla produzione del vino, che in un caso conteneva resti umani disarticolati (i vi, pp. 145-5 5 ) . Il rapporto tra morte e fermentazione di bevande alcoliche è anche riscontrabi­ le in alcune comunità etnografiche, ad esempio tra le popolazioni del Borneo, dove i contenitori ceramici generalmente utilizzati per produrre vino di riso vengono poi riutilizzati come contenitori delle ossa scarnificate dei defunti (Metcalf, Huntington, 198 5 ) . L a cerimonia funebre come momento di festa è attestata sia nell'e­ pica america (le feste dedicate a Patroclo) che in quella virgiliana. In alcuni passi dell'Eneide, ad esempio, Virgilio illustra con enfasi e dovizia di particolari le feste legate alla cerimonia funebre del padre di Enea, Anchise (En. v, 759-778 ) . Evidenze archeologiche di offer­ te di cibo e bevande all'ingresso della camera sepolcrale, come i resti trovati nei dromoi delle monumentali tombe a tholos di Micene,

FIGURA 14 La To m b a del Tuffatore

Fonte: D'Agosti no, Cerch iai (1999).

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fanno ipotizzare una celebrazione dei defunti tramite il consumo di un pasto comune e rituale ( Cultraro, 2006) . La presenza di vasella­ me da banchetto, associato a spiedi e alari , in corredi funebri di tombe gentilizie in ambito greco ed etrusco afferma un chiaro richiamo alla dimensione simposiaca e conviviale del rituale funera­ rio tra queste società (D'Agostino, 1996) . Sono in ogni caso le straordinarie pitture delle tombe etrusche e italiche a offrirei le migliori informazioni sul legame tra riti funebri e l'attuazione di feste celebrative . In particolare, la Tomba del Tuffatore di Poseidonia/Paestum (cfr. FIG. 14) descrive con dovizia di dettagli visivi il simposio mitologico del defunto nell'oltretomba (l'Ade classico) ( D 'Agostino, Cerchiai, 1 9 9 9 ) . L'importanza del convivio nella celebrazione degli defunti è desumibile anche dalla presenza di giacigli all'esterno degli edifici sepolcrali di età tardo­ imperiale romana di Isola Sacra, a Ostia, che servivano a ospitare i membri di una familia durante i banchetti dedicati alla commemo­ razione dei defunti (Zanker, Ewald, 2008, fig. 23) . 5-4 · I l sacrifi c i o L'offerta di esseri umani e animali a una sfera superiore (che sia divina o ultraterrena) rappresenta la quintessenza del significato del termine "sacrificio" ( Grottanelli, 1999) . Resti di sacrifici animali atti a commemorare la memoria dei defunti sono facilmente rinvenibili in numerosi contesti funerari, ma è al sacrifi­ cio umano associato allo svolgimento di riti funebri che bisogna prestare particolare attenzione. L'atto di sacrificare la vita dei propri sudditi durante la performan­ ce di pompose pratiche funerarie dedicate a individui di alto rango è un costume funerario che accomuna le élite di potere emergenti nelle s o cietà statali arcaiche di numerosi contesti geografici del mondo antico , dalla I dinastia di Ur in Mesopotamia alle prime dinastie dell'Egitto, dalla dinastia Shang in Cina alla cultura yoruba in Mrica, dagli imperi degli inca, dei maya e degli aztechi in ambi­ to meso americano alla " cultura del Mississippi " di Cahokia in America settentrionale (Trigger, 2003, pp. 88-9 ) . U n o degli esempi più anti chi d i questa usanza è si curamente 1 24

rappresentato dai resti di quattro adolescenti, due dei quali con le braccia legate dietro la schiena, trovati riversi sulla lastra di chi u­ sura della tomba reale di Arslantepe (inizio del m millennio a . C . ; cfr. Frangipane, 2004) ; ma il caso p i ù straordinario d i sacrificio umano sono ovviamente i numerosi corpi delle vittime sacrificali associate alle tombe della Necropoli Reale di Ur. Gli studiosi stan­ no ancora dibattendo sulle modalità di tale s acri fi cio ( secondo Woolley, gli individui deposti all'interno delle grandi fosse sareb­ bero stati avvelenati prima dell'inizio della cerimonia funebre; cfr. Wo o lley, 1 9 3 4) , ma appare evidente che ques to gesto aveva lo scopo di mostrare ai sudditi il potere ideologico dell'élite reale in una fase di trasformazione politica al termine della quale tale élite riuscirà ad avere il sopravvento sui tradizionali gruppi di potere sacerdotali. Come accennato in precedenza, l'uso del sacrificio umano sembra essere associato all'emergere di nuove élite di potere, che devono necessariamente operare una cesura profonda e drammatica con la tradizione; questo è evidente sia in Cina, dove centinaia di sudditi (probabilmente schiavi) vennero sepolti vivi all'interno delle tombe dei primi sovrani della dinastia Shang ( circa 1 600-1050 a.C.) nelle tombe reali di Anyang, sia in Egitto, dove numerosi dignitari furono seppelliti insieme ai sovrani della 1 dinastia (3100-2815 a.C.) intorno ai sepolcri reali di Abido ( M o rris, in Laneri, 2007, p p . 1 5 - 3 7 ) . Spostandoci sia geograficamente che cronologicamente, il mound ( tumulo) 72 del complesso monumentale della " cultura del Missis­ sippi" di Cahokia ( circa 1050-1250 d . C . ) , in cui alla deposizione funeraria di un alto dignitario sono associate circa 300 sepolture, principalmente di donne, corredate di n umerosi oggetti (circa 2 0 . 0 0 0 vaghi di collana di co nchiglia e 400 p un te di freccia di pietra) , che rappresentano un sacrificio di massa presumibilmente connesso all'emergere dello straordinario centro urbano/ religioso di Cahokia nell'America precolombiana. Il sito, ubicato lungo il fiume Mississippi a non molta distanza dal moderno centro di St. Louis negli S tati Uniti d'America, era immenso ( un'estensione totale di circa 13 kmq) e caratterizzato da un susseguirsi ininterrot12 5

to di alti terrapieni (il più alto , il Monk 's Mound, raggi ungeva un'altezza di 30 metri) e ampie piazze che servivano come luogo d'incontro durante la pratica di cerimonie organizzate da leader religiosi ( Fowler, 1997) . Per la costruzione di una delle piramidi della famosa Via dei Morti creata dagli aztechi a Teotihuacan, nella valle del Messico, furono sacrificati più di 200 esseri umani (circa 200-700 d.C. ) . Infatti, gli scavi archeologici condotti al di sotto della Piramide del Serpente Piumato hanno evidenziato la presenza di masse di soldati-sacerdo­ ti accompagnati da ricchi corredi funerari . L'inumazione di questi individui doveva avere una forte valenza simbolica associata alla costruzione di un complesso, qual è quello della Via dei Morti, che doveva rendere visibile la cosmogonia degli aztechi, com'è confer­ mato dal rinvenimento di un complesso funerario al di sotto della Piramide della Luna, al cui interno era deposta una vittima umana sacrifìcale allineata lungo l'asse della Via dei Morti (sud-nord) , accompagnata da animali e oggetti di giada, ossidiana, pirite e conchiglie ( Renfrew, 2011, pp. 19 6-200) . Nella maggior parte degli esempi conosciuti, il sacrificio presup­ pone l ' utilizzo di infan ti, bambini o adolescenti che non hanno ancora raggiunto la maturazione sociale . Il caso di Arslantepe è sicuramente emblematico, ma gli esempi di sacrifici infantili sono numerosi, a partire dai resti umani scarnificati di bambini trovati all 'interno dei sepolcri del I I millennio a . C . a Cnosso ( Creta) ( Cultraro, 2006, pp. 174-5) . Più complessa è la questione riguar­ dante i famosi tofet fenici, che tradizione vuole rappresentino trac­ cia di un culto divino legato al sacrificio di infami . Recenti studi effettuati su numerosi resti umani carbonizzati trovati all'interno delle urne cinerarie del tofet di Cartagine hanno evidenziato come la maggior parte dei defunti siano morti per cause naturali . Gli studi paleoantro polo gici divengono quindi di fo ndamentale importanza per capire se i resti umani siano frutto di scarnificazio­ ni o di violenze . Possono venire in aiuto anche i tes ti scritti, che ci informano sul costume del sacrificio associato alle cerimonie fune­ bri, oppure gli scritti di testimoni oculari, come nel caso dell'emis126

sario del califfo di B aghdad, che racconta del sacrifi cio di una vergine cui aveva assistito durante le cerimonie funebri di un capo vichingo ( 9 21-922 d . C . ; cfr. Parker Pearson, 1999, pp. 1-3 ) . I l concetto di sacrificio contiene i n sé anche l a possibilità della sosti­ tuzione della vittima sacrifìcale con altre offerte - animali, cibi, bevande oppure oggetti - che siano legate a filo doppio al sacrifi­ cante. In questo modo, si possono accontentare le divinità senza dover necessariamente offrire loro un essere umano come vittima sacrificale (Grottanelli, 1999, pp. 55-66) . Ecco così che gli animali diventano la principale offerta sacrificale sia nei templi che duran­ te i riti funebri (come nel caso del " capro espiatorio " di tradizione biblica) . I resti faunistici rinvenuti nei corridoi d' accesso ai sepolcri sono infatti indicativi di sacrifici e offerte compiuti alla chiusura della tomba o durante le cerimonie di commemorazione dei defunti . Se ne trovano esempi in numerosissimi contesti archeologici e, forse, possono essere presi a emblema di questa sostituzione dell' uomo con un animale nel sacrificio dedicatorio al mondo dell'oltretomba i crani e le zampe di bovini deposti nelle tombe reali di Alaca Hoyuk, in Turchia centrale (prima metà del m millennio a.C.) o i resti carbonizzati di ossa di animali portati alla luce nei corridoi d'ingresso alle monumentali tombe a tholos di Micene (Cultraro, 2006, p . 148 ) . 5.5. L'icon ografia fu nera ria I l mondo dell'aldilà necessita anche di una narrazione orale, effettuata attraverso le lamentazioni fune­ bri, scritta, ma soprattutto visuale . Già parlando delle stele si è affrontato brevemente l'argomento, ma è nello sviluppo di un'ico­ nografia dedicata a queste tematiche che la ricerca sul mondo fune­ rario diviene più coerente . Le decorazioni con simboli verosimil­ mente associati a credenze religiose si intravedono in ambito italiano ed europeo sin dall'epoca preistorica, come evidenziato dai petrogli­ fi incisi nei portelli d'ingresso alle tombe o dai resti di pitture parie­ tali e di elementi scolpiti che si incontrano in numerosi contesti funerari (Tusa, 1994) . 127

Il rapporto fra rappresentazione iconografica e cerimonie funebri si fa più complesso con l'affermarsi di forme decorative in cui le figure umane e quelle animali mostrano chiari riferimenti al mondo degli inferi, alle cerimonie funebri (rappresentazioni di processioni o giochi funebri) o a momenti della vita che possano collegare il mondo dei vivi a quello dei morti (immagini di simposio o di banchetti rituali) . Le prime testimonianze di iconografia funebre sono sicuramente i sepolcri di ambito egizio e gli arredi che compongono il corredo funerario delle tombe della Necropoli Reale di Ur, in Mesopota­ mia. In questo caso, la scena del banchetto rituale appare come il comune denominatore delle rappresentazioni figurative riconosci­ bili sia s ui sigilli cilindrici che accompagnavano primariamente i defunti di sesso femminile, sia su uno dei due lati dello S tendardo di Ur. Il banchetto rituale ( ovvero il simposio) è un tema molto utilizzato in ambito funerario , com'è evidente dagli esempi di periodo greco-romano, dove il defunto viene rappresentato sdraiato sul rriclinio con una co ppa in mano ( cfr . il cosiddetto " monumento a kline", Zanker, Ewald, 2008, fig. 26) per far risalta­ re l'aspetto spirituale del convivio nell'oltretomba, o dalle pitture parietali che si trovano all'interno delle camere funerarie etrusche del VI e v secolo a.C. La scena di simposio più esplicativa è sicura­ mente quella della famosa Tomba del Tuffatore di Poseido­ nia/Paestum (circa 475-450 a.C. ) . Nonostante tale sepolcro si trovi in un ambito lontano dalla cultura etrusca tradizionale, l'influenza di quest'ultima appare evidente nella sua straordinaria rappresenta­ zione pittorica, che combina scene di giochi funebri con altre che mostrano il defunto partecipare al simposio nell'Ade (Torelli, 1997, pp. 122- 5 1 ) , a conferma dell'importanza che il banchetto con gli antenati ha nella cultura greco-romana ed etrusca (cfr. PAR. 5.3). Il banchetto funerario è centrale anche nella rappresentazione della statuaria funeraria e delle stele funerarie vicino orien tali del I millennio a.C. Le scene mitologiche, di processioni e lamentazioni funebri sono in ogni caso le più diffuse nella tradizione visiva del mondo degli infe128

ri, ad esempio in ambito egeo e greco sin dal I I millennio a.C. In questo caso, le scene di processioni e lamentazioni funebri possono essere rappresentate lungo i lati di sarcofagi o larnax fittili, come negli esempi di Tanagra e Haghia Triada, o nell'iconografia vasco­ lare greca. Lo straordinario bassorilievo del sarcofago di Ahiram da Biblo ( Libano) conferma la forza visiva della processione rituale nella gestione dell'immaginario funerario delle comunità del Medi­ terraneo orientale del II millennio a. C. La rappresentazione di scene mitologi che è invece di uso comune nell'iconografia dei rilievi decorativi dei sarcofagi della tarda età imperiale romana, tra le quali è bene ricordare la straordinaria ricostruzione del " Palazzo di Ade " sul famoso sarcofago di Velletri (Zanker, Ewald, 2008, fig. 21) . L'iconografia funeraria di ambito greco ed etrusco dedica ampio spazio a scene inerenti il trattamento del corpo del defunto attraver­ so rappresentazioni dell'esposizione del cadavere sul letto funebre (prothesis; cfr. D'Agostino, Cerchiai, 1999, pp. 31-9, figg. 14-20) o sulla pira funeraria, come nel caso della decorazione pittorica del larnax di Tanagra ( Cultraro , 2006, p. 1 5 3 ) o in pitture vascolari , come nell'iconografia dei grandi crateri attici della seconda metà dell'vi ii secolo a.C. rinvenuti nella necropoli del Dipylon (Mirto, 2007, fig. 1 ) . Altri temi che s i incontrano nell'iconografia funeraria sono le scene di caccia ( come nel caso del famoso fregio posto sopra il portale d'ingresso della tomba del sovrano macedone Filippo II a Vergina in G recia - cfr . D'Agostino, 1 9 9 6 , p p . 468-9) o di guerra, come quelle scene ravvisabili lungo uno dei due lati dello Stendardo di U r. L'importanza dei giochifunebri nella tradizione greca ed etrusca emerge sia dai testi omerici che dalla rappresentazione prevalente tra i costumi funerari delle aristocrazie etrusche tra il VI e il v seco­ lo a.C. (Torelli, 1997) . Il tema predominante è in ogni caso la raffigurazione del defunto, che sin da epoca egizia viene rappresentato sul coperchio del sarco­ fago (sarcofago antropoide) . Il sarcofago di pietra con scene a basso­ rilievo lungo i lati, generalmente legate alle tematiche funerarie esaminate in precedenza, è l'elemento principe della tradizione 129

funeraria ellenistica e romana, come evidenziano i numerosi esem­ pi che riempiono le sale dei m usei di tutto il mondo {Zanker, Ewald, 2008) . La tradizione funeraria romana voleva anche che, durante la ceri­ monia funebre di un aristocratico, gli attori chiamati a partecipare indossassero maschere di cera che richiamassero alla mente gli ante­ nati defunti; l'uso di queste maschere influenzerà anche la tradizio­ ne dello stile veristico nella statuaria romana { Pollini, in Laneri, 2007, pp. 237-85 ) . Con l'avvento del cristianesimo, vengono privile­ giate le raffigurazioni pittoriche di temi che richiamano la vita di Cristo, mentre le scene dell'oltretomba o delle processioni funebri che avevano caratterizzato la tradizione romana cominciano lenta­ mente a scomparire dall'immaginario figurativo delle catacombe (Pergola, 2009 ) . 5.6. l' a l d i l à , l ' i m m o rta l ità e i testi L a morte non si riflette solo nei resti dei riti funebri o nell'iconografia dedicata alla narrazio­ ne di eventi associabili a costumi funerari , ma viene incorporata nell'immaginario umano anche, anzi forse principalmente, tramite la redazione di testi che si prefiggono di descrivere le pratiche funerarie, illustrare l'organizzazione mitologica dell'aldilà e, soprattutto, cerca­ re di comprendere attraverso quale via gli eroi mitici possano perve­ nire all'immortalità. I testi ci danno l'opportunità di investigare il rapporto tra la morte e la dimensione religiosa delle popolazioni antiche, che sfocia in quell' idea religiosa della morte {ovvero del " non-essere " , come ben osserva Kerényi, 1971, trad. it. pp. 171-91) che appare fondamentale nel tentativo di descrivere l'esperienza dell'anima umana in rapporto alla morte e alla sopravvivenza tipica del mondo greco e romano, ma che è riconoscibile anche nei testi mesopotamici, egizi, hindu e nel Libro dei morti tibetano. Infatti, questa associazione tra testo scritto e narrazione mitica della morte si riscontra in quasi tutte le società antiche, prima fra tutte quella sumerica la quale, a partire dal I I I millennio a. C . , dedica ampio spazio a questa tematica nei racconti epici dedicati ai suoi eroi leggendari { Lugalbanda, Gilgamesh, Enkidu) , o ai viaggi mitici di 130

divinità che decidono di intraprendere un lungo e periglioso tragitto verso gli inferi (il kur sumerico) , o al tentativo dei sovrani delle città­ stato mesopotamiche di conquistare l'immortalità (Chiodi, 1994) . Il tentativo di ottenere l'immortalità degli eroi mitici e dei sovrani antichi e la descrizione del mondo dell'aldilà sono quindi le temati­ che prevalenti dei testi antichi . Nella tradizione egizia, ad esempio, si dedica ampio spazio a definire il mondo ultraterreno, che appare chiaramente come l'opposto del mondo dei vivi (Picchi, 2009) . Nonostante tale contrapposizione, la struttura cosmologica del mondo ultraterreno ha forti analogie con quella terrena ed è abba­ stanza simile nelle diverse culture antiche : vi è una divinità che sovrintende ad esso (una sorta di re/ regina degli inferi, come Eresh­ kigal nel mondo sumerico , Osiri in quello egizio, Ade in quello greco, Plutone nella tradizione romana) che ha accanto a sé la sua sposa (Persefone nella mitologia greca) o il suo sposo (Nergal nella tradizione sumerica) ; un confine che separa l'aldilà dal mondo dei viventi; una porta d'ingresso da cui si passa, ma che si richi ude immediatamente alle spalle delle anime dei defunti per non permet­ terne il ritorno nel mondo terreno se non attraverso la pratica di riti necromantici (dedicati all'evocazione degli spiriti dei defunti) . Inol­ tre, l'aldilà è generalmente descritto come un luogo desertico in cui vagano le anime dei defunti (usualmente definite " ombre " ) , circon­ dato da un fiume (ad esempio lo S tige) che funge da separatore tra esso e il mondo dei viventi e può sfociare in un ampio mare d'acqua solitamente dolce (come nel caso del lago Averno della tradizione classica) ; infine, vi è un traghettatore che trasporta i defunti in questo luogo maledetto con l'ausilio di una barca ( Caronte nella tradizione classica e Utnapishtim in quella mesopotamica) , talvolta associato a una guida delle anime (lo psychopomp6s greco, che coinci­ de con la figura di Ermes; cfr. Mirto, 2007, pp. 25-32) o a un guar­ diano feroce delle porte degli inferi (Neti nel mondo mesopotami­ co) che può avere le sembianze di un cane/sciacallo (come Anubi nella tradizione egizia e Cerbero in quella classica) . L' ubicazione topografìca degli inferi può variare ( a occidente dove tramonta il sole, come nella tradizione egizia, in cielo o, nella maggior parte dei 131

casi, sottoterra) , ma l'assenza di cibo e di acqua da bere nell'aldilà appare un tema comune che caratterizza numerosissime società anti­ che (ne sono un esempio alcuni passi dell'Odissea di Omero in cui Odisseo, durante il suo viaggio negli inferi, descrive le sofferenze di Tantalo , che quando «voleva piegarsi avido a bere, tutte le volte l'ac­ qua spariva» ; cfr. Od. XI , 5 8 5 - 5 8 6 ) . Ed è forse per questa mitica mancanza d'acqua e di cibo nel mondo ultraterreno che contenitori per liquidi e ciotole per il cibo sono la norma nei corredi funerari (cfr. PAR. 3.9). Un altro tema che accomuna molti dei testi dedicati a tematiche funerarie è sicuramente quello del viaggio negli infèri (la catàbasi di epoca classica; cfr. Mirto, 2007, p . 29 ), che coinvolge figure divine (come ad esempio Inanna/Ishtar nella tradizione mesopotamica) , mitiche (Gilgamesh, Lugalbanda, Eracle, Teseo e Orfeo) ed eroi della tradizione classica (Enea e Odisseo) . Gilgamesh fu indubbia­ mente il primo a intraprendere il viaggio nell'aldilà con l'intento di salvare la vita del suo caro amico Enkidu (come si narra nel testo intitolato Gilgamesh, Enkidu e gli Injèri; cfr. Pettinato, 2004) , ma anche le divinità celesti decidono spesso di visitare quel mondo oscu­ ro e sconosciuto che tanto attira la loro attenzione. Il desiderio di descrivere un mondo che non appartiene alla dimensione reale delle cose, ma che segna la vita degli esseri umani sembra essere una neces­ sità imprescindibile per gli scribi del mondo antico. Chiarire nell'im­ maginario collettivo la visione di un mondo sconosciuto e così drammatico attraverso la sua descrizione fisica appare un elemento pregiudiziale e necessario per superare il lutto e indicare la "via" alle anime dei defunti (si pensi al Libro dei morti nel mondo egizio o ai culti orfici nel mondo classico; cfr. Mirto, 2007, pp. 40-9) . È in ogni caso il tentativo di ottenere il dono dell'immortalità da parte delle divinità che rende il viaggio di figure mitiche, eroi epici o sovrani il soggetto preponderante nella tradizione mitologica associata al mondo degli inferi; tentativo che è sempre segnato dal fallimento e dall'impossibilità di ricevere quel dono che potrebbe sovvertire il naturale corso degli eventi (ivi, pp. 21-2 ) . Il testo scritto serve anche a definire una relazione diretta tra prati132

che funerarie e identità etnica, come appare evidente in numerosi esempi a noi pervenuti; in particolare, la denigrazione delle pratiche funerarie fuori della norma di popolazioni antagoniste viene effet­ tuata in momenti di transizione sociale ed economica. Questo è ad esempio il caso dei testi sumerici della fine del I I I millennio a.C. che, riferendosi alla popolazione semitica e nomade dei martu (gli amorrei) , li definisce «gente che scava tartufi sui monti, che non piega mai le ginocchia, mangia carne cruda, per tutta la vita non ha casa e quando muore non ha tomba» (Liverani, 1988, p. 306) . Anche nella Bibbia ( n Re, 23) , Giosia, re di Giuda, nella sua riforma reli­ giosa prese di mira fra l'altro i culti funebri pagani e come conse­ guenza «mandò a prendere le ossa dei sepolcri, le bruciò sull'altare e lo profanÒ».

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Bibliografia Lett u re consigliate

Per un'introduzione all'archeologia della morte occorre necessariamen­ te combinare testi di carattere antropologico con una man ual istica special izzata di stampo archeologico. È tutto ra difficile trovare una lette­ ratura che unisca questi due aspetti . Sotto tale punto di vista, l'opera più brillante e che racchiude tutte le informazioni necessarie per una detta­ gliata analisi archeologica e antropologica dei riti funerari antichi è il vol ume in lingua inglese P A R K E R P EA R S O N ( 1 9 9 9 ) . I s aggi pubbl icati all' interno del volume LAN E R I ( 20 0 7 ) sono di estrema utilità per gli studiosi interessati ai contesti vicino orientali e mediterranei. I riti funera­ ri nel mondo egizio sono ottimamente investigati dal volume A S S MA N N (2002) e dallo studio P I C C H I ( 2009 ) . I contesti funerari di ambito preisto­ rico italiano ed europeo sono invece analizzati nei manuali G U I D I ( 2009) e B I ETT I S E S T I E R I (2010) . Per quanto riguarda il mondo etrusco, s i consi­ glia la lettura D ' A G O S T I N O , C E R C H I A I ( 1 9 9 9 ) e per il mondo greco il breve testo D ' A G O S T I N O ( 1 9 9 6) . Il volume ZAN K E R , E WA L D ( 2008) è invece ricco di utili spunti di riflessione sulla ritualità funeraria di epoca romana. Capitolo t

Per i primi tre paragrafi, dedicati allo studio antropologico ed etnografico dei riti funerari, si consiglia la lettura degli studi di D I N O LA (1966), A R I È S (1978) e D E MART I N O ( 1 9 58) . Per una specifica analisi del rito funerario analizzato nella sua qualità di " rito di p assaggio " resta fondamentale la lettura di VAN G E N N E P (1909), mentre per il suo aspetto sociale e di riag­ gregazione della comunità si rimanda al breve saggio di Robert Hertz

Contributo a uno studio sulla rappresentazione collettiva della morte ( H E RTZ, 1907, trad. it. pp. 53-136) . Per quanto riguarda il paragrafo 1 .4, si suggeri­ sce la lettura del volume C H A P M A N , K I N N E S , RA N D S B O R G ( 1 9 81 ) , che rappresenta anche un punto di partenza fondamentale per chi fosse inte­ ressato agli aspetti metodologici e teorici dello studio dei contesti funera­ ri, mentre per il paragrafo 1 . 5 l'articolo di c u o z z o (1996) è utile per una chiara introduzione alla scuola di pensiero post-processuale.

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Capito l o 2

Per le analisi dei resti umani si suggeriscono CAN C I , M I N O Z Z I (2005) e D U DAY (2006) . Sul tema della cremazione è molto utile il testo C A P O N E ( 2004), mentre per la mummificazione e l a tradizione funeraria in Egitto si segnala lo studio di P I C C H I ( 2009) . Sugli aspetti simbolici, politici e ideologici del corpo umano si leggano i saggi in R E M O T T I (2oo6) . Capito l o 3

Lo studio sulle deposizioni funerarie antiche è trasversale e non è pertan­ to facile reperire un unico volume che analizzi i diversi approcci adottati per classificare strutture architettoniche e corredi funerari . Il testo a cura di C H A P M A N , K I N N E S , RAN D S B O R G ( 1 9 8 1 ) , nonostante sia datato, puÒ ancora essere un utile strumento per il ricercatore interessato alla disami­ na dei diversi argomenti investigati in questo capitolo . Per quanto riguar­ da lo studio delle necropoli e dei corredi funerari, il volume c u o z z o ( 2003) ha i l pregio d i combinare u n a rigorosa metodologia analitica con l'esame di uno splendido contesto archeologico . Sulle tombe residenzia­ l i si consiglia la lettura dei s aggi contenuti nel volume B A RT O L O N I , B E N E D ETT I N I ( 2009 ) . Capito l o 4

L' aspetto ideologico nell' analisi dei contesti funerari antichi è ben evidenziato all 'interno del testo LAN E R I ( 2004) e dai contributi della prima sezione (pp. 1 5- 1 66) del volume curato dal medes imo autore

Performing Death: Social Analyses ofFunerary Traditions in the Ancient Near East and Mediterranean ( LANE R I , 2007 ) . Il tema della " bella morte " è centrale e straordinariamente analizzato nel saggio

VERNANT

( 2o o o ) .

Capito l o 5

Un approccio rigenerativo alla ritualità funeraria è ampiamente seguito dal testo di B L O C H , P A R RY (1 982) . Un vol ume che affronta con grande chiarezza il rapporto fra testi, mitologia e costumi funerari in ambito greco antico è sicuramente M I RT O ( 2007) . Per quanto riguarda le tematiche legate al sacrificio, un ottimo compendio è il breve studio G ROTTAN E L LI (1999). Il rapporto fra simposio, iconografia e aldilà è brillantemente inve­ stigato nell'analisi dei contesti etruschi sia di T O R E L L I ( 1 9 9 7 ) che di D 'A G O S T I N O , C E R C H IA I (1999 ) .

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Altri vo l u m i p u b b l icati n e l l e B u sso l e E n rico G ian nic h edda Archeol ogia teorica F ra n co Cambi Archeol ogia dei paesaggi antich i : fonti e d i a g n ostica Mario Dal l e Carbonare

l Celti Massimo Vidale Che cos ' è l'etn o a rcheol ogia Van n a B i ga

l B a b i l o n esi Corin n e Bon n et

l Fenici Maria Vittoria Mari ni C l are l l i Che cos ' è u n museo Gabriele Mazzitel l i C h e cos ' è u n a bibl ioteca I sabel la Baldi n i Lip polis L'a rchitettura residenziale n e l l e case tardo-antiche Cyn t h ia Mascio n e I l ril ievo stru m e nta l e in a rcheologia G ian L u i gi B ravo, Roberta Tucci

l beni cultura l i d e m oetn oantropol ogici Daniele Manacorda Il sito a rcheol ogico: tra ricerca e va l o rizzazione Mass imo Vidale Cera m ica e archeol ogia

Pietro Man der l Sumeri Patriz ia Basso Strade rom a n e : sto ria e archeologia Sil via Pa l l ecc h i Archeologia d e l l e tracce Mario Capasso Che cos 'è l a papirologia Maria Barbara B ertini Che cos'è u n archivio Sil via Beltramo Stratigrafia d e l l ' a rch itettu ra e ricerca storica Myriam Trevisan G l i a rchivi l etterari Federica Piran i Che cos'è u n a m o stra d ' a rte G aetano Di Pasq uale Che cos'è l ' a rcheobotanica