Antologia della Letteratura Italiana. Con lineamenti di storia letteraria. Seconda edizione ampliata. Volume secondo [II, Second ed.]


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Antologia della Letteratura Italiana. Con lineamenti di storia letteraria. Seconda edizione ampliata. Volume secondo [II, Second ed.]

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Mario Pazzaglia

Antologia della Letteratura Italiana Volume secondo

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po em a di tutta una vit a. L’ Ariosto cominciò a la prima edizione in 40 ca nti, in ottave, nel 1516. Ma subito prese a rielaborarlo con attenta cura. Seguì, nel 1521, una secondi edizione, ma neppure questa lasciò soddisfatto il poeta, che riprese a correggere il suo capolavoro, cercando soprattutto di^^m^l^|-c alla lingua ogni elemento dialettale emiliano, tenendo a questo scopo come punto di rife rimento (a d ifierenz a"dì quello"^e aveva fatto il Boiardo) il L* Orlando Furioso fu

ihl^o^ c

scriverlo fra

il

1504 c ne pubblicò

il



toscano letterario,

il

linguaggio, cioè, della nostra migliore tradizione espres-

L’ultima e dehnitiVa eJmone, in 46 cantir uscì nel

siva.

1

532^,

un anno prima



morte del poeta.

della

riallaccia zWOrlando Innamorato del Boiardo; l’Ariosto, modestamente come un’aggiunta e una conclusione di esso, riprendendo il racconto nel punto in cui il suo predecessore l’aveva lasciato interrotto. Se là il p^ladii^^^ristiano era i nnamorato di Angelica, qui diviene furioso, cioè pazzo^^^f amorc;_js^-arolc, è fantasia ancora piò potente. 137. pianamente: a voce bassissima; metta)

col

giorno;

in relazione coi versi

tilo

145-46, col breve

cenno del capo del Silenzio. Le due azioni hanno una comicità vivacissìtna 139. con la gente: con l’esercito, radunato in

Inghilterra 140.

:

il

e

in

Irlanda.

che... sussidi:

che conduce per dare

aiuto, ecc.

143-44.

prima

presto che) di

che

si

che

piu

tosto,

ecc.

cosicché

:

Fama (piu tosto che = piu trovi modo (calle = via, mezzo) la

avvisare

i Saraceni dell’arrivo dell’eserquesto sia già alle loro spalle. 146. che faria: che l’avrebbe fatto.

cito,

147. se gli: 150. e fc’

mente

il

gli si.

lor breve:

loro

153. Discorreva:

155. in

abbreviò miracolosa-

cammino.

volta:

a

correva qua e

forma

di

là.

volta.

L’eser-

Ludovico Ariosto

c

99

non

lasciava questa nebbia folta,

che s’udisse di fuor tromba né corno: poi n’andò tra’ pagani, e

menò

un non so che, ch’ognun Mentre Rinaldo in tal

£e’

seco

sordo e cieco.

fretta venia,

che ben parea da l’angelo condotto, e con silenzio

tal

che non s’udia

campo saracin farsene motto; re Agramante avea la fanteria

nel il

messo ne’ borghi di Parigi, e le

minacciate

mura

sotto

in su la fossa,

per far quel di l’estremo di sua possa.

La

Rodomonte

battaglia di Parìgi:

grande eroe della battaglia di Parigi è Rodomonte, che irrompe da solo come un cataclisma devastatore, e solo tardi e a stento Carlo e i Paladini riescono a farlo battere in ritirata, quando, all’esterno, la sconfìtta dei Saraceni Il

nella città

è compiuta.

Per diversi canti,

sua

la

figura

gigantesca c feroce appare, a

tratti,

ora

in

disteso racconto, ora in scorci potenti, e accentra in sé tutta la guerra.

L’Ariosto lo rappresenta con una vasta gamma di toni, dall’eroico allo spaventoso al grottesco e rende la sua figura indimenticabile. Essere istintivo c impetuoso, primitivo nell’ anima e selvatico, a volte fino al ridicolo, ma dotato

d’un’audacia smisurata, Rodomonte è la personificazione dell’impeto e della violenza guerriera, del coraggio temerario proteso verso le riprese impossibili. La stessa dismisura dell’eroe dà alla vicenda un tono epico-fiabesco; ed è appunto i

sfuma d’un

quest’aspetto di favola che

sorriso

divertito dell’autore

l’«

enorme

»

avventura di Rodomonte.

Come o

le

assalire

o vasi pastorali,

dolci reliquie de’ convivi

soglion con rauco suon di stridule le

impronte mosche

come

li

storni

a’

a’

procede come dentro una cupola di neb-

bia silenziosa. i68. P estremo di sua possa per tentare con uno sforzo estremo e decisivo di conquistare Parigi. Ma nonostante le prodezze :

Rodomonte

di

do

e

dei

suoi

in Parigi,

l’assalto di

metterà in rotta

i

Rinal-

saraceni.

Canto XIV: ottave 109-134; XVII, 9-13;

XVra,

24.

^

rosseggiane pali

vanno de mature uve:

cito

ali

caldi giorni estivi;

cosi quivi.

Come le mosche 1-4, Come assalire, ecc. importune sogliono assalire o i vasi dove i pastori hanno messo il latte o i dolci rimasti da un banchetto nei vassoi, ecc. Osserva Vonomatopeia con rauco suon di stridule ali, che dà 1’ impressione del rumore prodotto dalle caterve di Mori all’atucco. 5-6. a’ rosseggiano... uve: vanno in frot:

ta verso filari

i

dell’

pali rosseggianti

uva matura.

che sostengono

Antologia della letteratura italiana

100

empiendo

il

fiero assalto

mura

e

spade e scure c pietre e fuoco

lancie,

difende

Mori.

i

L’esercito cristian sopra le

con

rumori,

di grida e di

ciel

il

veniano a dare

senza paura,

città

la

barbarico orgoglio estima poco;

il

dove Morte uno et un altro fura, non è chi per viltà ricusi il loco.

e

Tornano

Saracin giù ne

i

fosse

le

furia di ferite e di percosse.

a

Non

ma

ferro solamente vi s’adopra,

grossi massi, e merli integri e saldi,

muri

e

dispiccati

di

tetti

con molt’opra,

gran pezzi di spaldi.

e

torri,

L’acque bollenti che vengon portano

male

e

Mori

a’

di

sopra,

insuppor^tabil caldi;

a questa pioggia

resiste,

si

ch’entra per gli elmi, e fa acciecar le viste.

E

questa più nocea che

or che doveano' far

con olio

calcine.'^

ardenti vasi

li

e zolfo e peci e trementine.?

munizion non son rimasi,

cerchi in

I

ferro quasi:

’l

or che de’ far la nebbia di

che d’ogn’intorno hanno di fiamma

crine:

il

questi, scagliati per diverse bande,

mettono

a’

Intanto

Saracini aspre ghirlande. re di

il

mura

sotto le

la

Sarza avea cacciato

schiera seconda,

da Buraldo, da Ormida accompagnato,

Marmonda.

quel Garamante, e questo di

Clarindo e Soridan

gli

né par ch’el re di Setta

segue

il

Marocco

re di

ciascun perché

Ne

la

I

cerchi,

munizion) non gettati)

di Sarza

il

negli

sono piu

scagliati,

dell’A.

si

accesi,

conosca.

si

leon spiega,

teste

le

ecc.:

arsenali

(tanti

(in

ne hanno

cerchi coperti di stoppa e pece che

venivano fantasia

ci

nasconda;

si

e quel di Cosca,

valor suo

fura; ruba.

29-32.

allato,

bandiera, ch’è tutta vermiglia.

Rodomonte

13.

il

sono

sui

nemici.

La

sofferma soprattutto sul-

dei

saracini

cerchi di fuoco, con

inghirlandate

armonia còn questa prima

io

descrizione fra

il

33.

della

comico il

re

e

il

battaglia,

parte

che

fiabesco.

di Sarza;

da quei

un puro gusto giocoso

Rodomonte,

è

della

sospesa

Ludovico Ariosto

101

che

la £crcx:e

che

gli

bocca ad una briglia

sua donna, aprir non medesimo assimiglia;donna che lo frena e lega,

pon

Al Icon



e per la

Doralice ha figurata,

là bella

Granata:

di Stordilan re di

figlia

come

quella che tolto avea,

Mandricardo,

re

Era

niega.

la

io narrava,

dove e a

cui.

che Rodomonte amava

costei

piu che

e dissi

suo regno e più che gli occhi sui;

’l

e cortesia e valor per lei mostrava,

non

sapendo ch’era

già

forza altrui:

in

saputo l’avesse, allora allora

se

fatto avria quel che fe’ quel

giorno ancora.

Sono appoggiate a un tempo mille scale, che non han men di dua per ogni grado. Spinge che

il

secondo quel ch’inanzi

montar

terzo lui

’l

Chi per

sale;

mal grado.

per paura vale:*

chi

virtù,

fa suo

convien ch’ognun per forza entri nel guado; che qualunque s’adagia,

Rodomonte

Ognun dunque tra

fuoco e

il

Ma

tutti gli

le

le

mura.

guardano,

se

aprire

altri

Dove

la

47.

mentre

era

rapita

stata

dricardo e da strerà

meno

la via

jxxo prima della

recava da Rodomonte,

si

feroce

dal

guerriero

Man-

sposata a forza. Si dimo-

lui

piu tardi, con comico scorno di Ro-

domonte, ben

felice del

cambia»

55-56. allora... ancora: subito avrebbe fat-

corso alla

a

sua

glia,

infatti,

Doralice, ricerca,

né della

dell’ incidente

partirà

oc-

immediatamente

senza curarsi della batta-

difficile

situazione

dei

sara-

ceni sconfitti. Cosa che avrebbero fatto, del resto,

tutti

cristiani.

gli

eroi

è sicura.

ariostcschi.

58. grado: gradino. Continua il tono arioso e divertito, nella descrizione di questo salire

pecoresco.

amorfa

spicca,

selvaggia di

Sul

movimento

nell’ ultirno

Rodomonte. È

lui

massa

della

verso,

figura

la

che

muove

tutta la battaglia.

to ciò che fece poi in quella stessa giornata.

Avendo saputo,

:

venire,

di

fan voti, egli bestemmia Dio.

Doralice:

bella

poca cura

nel caso disperato e rio

altri

gli

battaglia,

sia

Rodomonte sprezza non dove

se

sforza di salire

si

ruine in su

veggiano passo ove sol

re d’Algiere,

il

crudele, uccide o.fere.

pagani

o

62.

nel

67-68.

guado:

se

aprire,

rischiosa

nella ecc.

:

cercano,

impresa. cioè,

di

quel punto delle mura che sia meno guarnito di difensori. 72. egli bestemmia Dio: Comincia a desalire in

lincarsi la figura titanica di

suo

aspetto

barbarico e

Rodomonte,

semi-bestiale;

col

e

si

accamperà sempre piu grandiosa e sinistra al centro del quadro nelle ottave seguenti

Antologia della letteratura italiana

102

Armato era d’un forte e duro usbergo, che fu di drago una scagliosa pelle. Di questo

già

cinse

si

petto e

il

tergo

’l

quello avol suo ch’edificò Babelle, e

pensò cacciar de l’aureo albergo,

si

e torre a

Dio

il

governo de

l’elmo e lo scudo e

le stelle:

fece far perfetto,

brando insieme; e solo a questo

il

Rodomonte non

men

già

effetto.

Nembrotte

di

indomito, superbo e furibondo, d’ire al del non tarderebbe a notte, quando la strada si trovasse al mondo, quivi non sta a mirar s’ intere o rotte sieno le mura, o s’abbia l’acqua fondo:

che

passa la fossa, anzi la corre e vola

ne l’acqua e nel pantan

Di fango brutto, tra

foco e

il

come andar de

i

e

fin alla gola.

molle d’acqua vanne

sassi e gli archi e le balestre,

nostra Mallea porco silvestre,

la

che col petto, col grifo e con

dovunque

fa,

Con

si

volge,

scudo alto

lo

il

ne vien sprezzando

Non 73. usbergo;

del,

si

non che quel muro. Rodomonte,

senti su le bertresche se

ecc.:

Nembrot, che

al

andar

edificò la torre di Babele, per rivolta contro

Ma

zanne

le

finestre.

Saracin sicuro il

corazza.

avol suo,

ampie

tosto aH’asciutto è

SI

che giunto

76. quello

canne

suol tra le palustri

mondo

trovasse

si

una

strada

per

su.

corre

87-88. la

vola,

e

ecc.

« la

:

taglia

Rodomonte, già presente nella sua genealogia, non va presa troppo sul serio: è uno dei tanti elementi, e non il più importante, del quadro fra

un’intenzione che rapportate alla resistenza dell’acqua possono sembrare davvero un che di mezzo tra un orribile volo c un guazzare di rinoceronte »

grandioso

(Binni).

Dio.

r empietà

e

di

grottesco!

Cosi

in

seguito

la

con una foga

sua ferocia non provoca alcun raccapriccio,

perché sfocia in un tono epico-favo’oso, in un raccontare stupito nel quale a tratti brilla

un

sorriso

divertito.

80. c solo... effetto: solo per vincere Dio. 82. alla

però dire

indomito, ecc. figura

un

i

tre

aggettivi

danno

potente, epico rilievo, subito

smorzato pedestre

:

comicamente dal

del

modo

verso seguente {non

di tar-

mondo:

che non aspetterebbe che venisse notte per salire su in cielo a battersi con Dio (modo popolaresco per dire che v’andrebbe immediatamente)

Di fango

89-94.

l’immagine

brutto, ecc.

bestiale

di

Si

:

sviluppa

Rodomonte assomi-

un cinghiale {porco silvestre)-, essa però non è tanto una caricatura deireroe,

gliato a

modo

quanto un barbarico in

una

e

sottolinearne

di

selvaggio,

Mallea

e

dagli

eroica

sfera

dell’ottava.

era

viene

1’

impeto

risollevata

ultimi due versi

una

località

palu-

dosa del Ferrarese.

derebbe a notte). 83-84. che...

e

95. sicuro:

audace, che non

pressionare da

98-100. bertresche: le

bertesche.

impalcature poste sulle

difensori,

si

im-

lascia

nulla.

francesche:

Qui

sono

mura ad uso

francesi.

dei

Ludovico Ariosto

103

che dentro

alla

capace e largo

Or

si

muraglia facean ponte squadre francesche.

alle

vede spezzar piu

far chieriche

una

d’

maggior de

fronte,

le fratesche,

braccia e capi volare; e ne la fossa

cader da’ muri una fiumana rossa.

Getta

pagan

il

la crudel spada, e

Costui venia di



Reno

l’acqua del

duo man prende duca Arnolfo.

lo scudo, e a

giunge

il

dove discende nel salato golfo.

Quel miser contra

lui non si difende meglio che faccia contra il fuoco il zolfo e cade in terra, e dà 1’ ultimo crollo,

dal capo^ fesso

un palmo

sotto

il

collo.

Uccise di rovescio in una volta

Anseimo, Oldrado, Spineloccio e Prando: il luogo stretto e la gran turba folta fecer girar si pienamente il brando. Fu la prima metade a Fiandra tolta, l’altra scemata al populo normando. Divise appresso da la fronte al petto, et indi al ventre, il maganzese Orghetto. Getta da’ merli Andropono e Moschino giu ne la fossa:. il primo è sacerdote; non adora il secondo altro che ’l vino, e le bigonce a un sorso n’ ha già vuote. Come veneno e sangue viperino l’acque fuggia quanto fuggir si puote; or quivi muore; e quel che piu l’annoia, è ’l sentir che ne l’acqua se ne muoia. Or

101-104.

si

vede, ecc,

L’ attacco di

:

una fantasia grandiosa e intimamente spassosa. Sembra di vedere in azione una immane macchina trita-tutto animata. L’eroismo del saracino,

Rodomonte

è

si

tutto in quei gesti cinti di favoloso stu-

quella

pore,

in

senza

cervello

dante,

(si

lasciando

grandiosità rivelerà

morire

di

tutti

i

suoi

quelle dei frati, sono

un

particolare gu-

stoso c divertito, e cosi quel volare di brac-

anonimi, affettati come salsicce, senza alcunché di macabro. La fiumana rossa conclude degnamente il quadro, fa-

cia

e capi

dove

il

Reno

sfo-

nello Zuidersec.

no. meglio... zolfo: meglio di quanto non si difenda dal fuoco lo zolfo, che è infiammabilissimo.

un palmo 116.

«

pieno 117.

quattro

tagliato

collo:

112. fesso...

a

senza

quasi accorgersene). Le « chieriche » tagliate sulle teste dalla sua spada, piu ampie di

cia

ironico.

golfo:

108. l’acqua...

cataclisma

pessimo coman-

piu che

voloso ancor

risolve in

sotto

il

collo.

in

due

fino

Bel colpo!

pienamente: con un risultato cosi

si

». la

prima metade: i primi due. Ma sono visti come una massa comi

patta^ tagliata a

mezzo

120. et indi: e di

127-28. e...

dalla terribile spada.

li.

annoia:

c

quel

che

gli



piu angoscia, ecc. )

Antologia della letteratura italiana

104

Tagliò in due parti e passò

il

petto

provenzal Luigi,

il

tolosano Arnaldo.

al

Ugo

Di Torse Oberto, Claudio,

mandar

Dionigi

e

sangue caldo;

lo spirto fuor col

da Parigi,

e presso a questi, quattro

Odo

Ambaldo, come di tutti nominar la patria e il nome. La turba dietro a Rodomonte presta le scale appoggia, e monta in piu d’ un Quivi non fanno Parigin piu, testa; che la prima difesa lor vai pòco. San ben ch’agli nemici assai piu resta dentro da fare, e non l’avran da gioco; Gualtiero, Satallone,

molti

et altri

non

et io

:

et

saprei

loco.

i

perché tra discende

il

il

muro

secondo

e l’argine

fosso orribile e profondo.

Oltra che

facciano difesa

nostri

i

dal basso all’alto, e mostrino valore;

nuova gente succede

alla

contesa

sopra l’erta pendice interiore,

che fan con lancie e con saette offesa

gran moltitudine di fuore,

alla

che credo ben, che saria stato se

non

v’era

il

meno

fìgliuol del re Ulieno.

Egli questi conforta, e quei riprende,

mal grado inanzi se gli caccia petto, ad altri il capo fende, il

e lor

ad

:

altri

che per fuggir veggia voltar

la faccia.

Molti ne spinge et urta; alcuni prende pei capelli, pel collo e per le braccia; e sozzopra là giu tanti ne getta,

che quella fossa a capir

140. la di

prima

difesa;

la

prima

cerchia

mura.

Sanno bene che per

141-42. San... gioco;

nemici

sarà

assai

piu

fossato che corre fra la

cerchia

delle

mura,

e

diffìcile

superare

i

il

prima e la seconda non sarà certo un

145-52. Oltra che

le il

i

nostri, ecc.

:

Non

sol-

che hanno abbandonato prime mura contrastano valorosamente passo ai Saracini che stanno scendendo, i

ma

nuovi

tra

parte

saette

meno, tutti di

se

rinforzi

del

contro

sopraggi ungono

fossato di

e

che avrebbero loro,

non nuovo all’attacco,

cioè

costretti

il

figlio

di

dall’al-

scagUano

se

lance

sarebbero osato

spingersi

non ve

re Ulieno,

e

stgti

li

ossia

aves-

Ro-

domonte.

giuoco.

tanto

tutti è stretta.

Cristiani

155 56. ad altri... fende; a quelli che vede volgersi indietro per fuggire, taglia il petto

o

il

capo.

160. capir:

contenere.

Ludovico

/ir tosto

105

Mentre

lo stuol de’ barbari

anzi trabocca

al

et indi cerca

per diversa scala

cala,

si

periglioso fondo,

di salir sopra l’argine secondo; il

Sarza (come avesse un’ala

re di

membri)

per ciascun de’ suoi di

e netto

il

pondo

lanciò di là dal fosso.

si

Poco era men

di trenta piedi, o tanto,

come un

et egli passò destro

avesse avuto sotto

i

veltro,

quanto

e fece nel cader strepito,

piedi

il

feltro:

questo et a quello afFrappa

et a

come e

levò

gran corpo e con tant’arme indosso,

SI

il

manto

Sion l’arme di tenero peltro,

non

pur sien di scorza

di ferro, anzi

sua spada, e tanta è

tal la

In questo tempo

son ne

l’insidie

la

nostri,

i

:

sua forza!

la

da chi

tese

cava profonda,

che v’han scope e fascine in copia stese; intorno a quai di molta pece abonda si vede palese, ben che n’è piena l’una e l’altra sponda dal fondo cupo insino all’orlo quasi), e senza fin v’hanno appiattati vasi, qual con salnitro, qual con oglio, quale con zolfo, qual con altra simil esca; nostri in questo tempo, perché male i

(né però alcuna

ai

Saracini

il

folle ardir riesca,

ch’eran nel fosso, e per diverse scale

credean montar su l’ultima bertresca; udito

il

segno da oportuni

lochi,

qua e di là fenno avampare i fochi. Tornò la fiamma sparsa, tutta in una, che tra una ripa e l’altra ha ’l tutto pieno; di

166-67. levò...

un

essere

trasformi to e

corpo:

sembra veramente

gigantesco (pondo

magicamente

in

= peso),

uccello

che

si

smisura-

strano.

172.

feltro:

il

cade,

cioè,

senza rumore,

con un’agilità imprevedibile, 173-74. affrappa...

pe con le

fa

a

la

spada

pezzi)

peltro:

nella

come

se

loro

produce fraparmatura (cioè

questa fosse di pel-

tro,

lega

metallica ^xxro

resistente.

da chi: dai quali. 178. ne la cava: nella fossa. 184, c senza fin, ccc. : c vi hanno nascosto innumerevoli vasi pieni di materia infiammabile. 191. il segno: il segnale stabilito. 193. Tornò... una: Le fiamme accese qua e là si riuniscono in un’unica fiamma. 177.

Antologia della letteratura italiana

io6

c tanto ascende in alto, ch’alia luna

può d appresso asciugar Tumido seno. Sopra si volve oscura nebbia e bruna, che *1 sole adombra, e spegno ognV sereno.

un scoppio un grande Aspro concento,

Sentesi

simile a

un perpetuo suono,

in

e spaventoso tuono.

armonia

orribile

d’alte querele, d’ululi e di strida

de

misera gente che perla

la

fondo per cagion de la sua guida, istranamente concordar s’udia col fiero suon de la fiamma omicida. nel

Non

piu. Signor,

non piu

di questo canto;

ch’io son già rauco, e vo’ posarmi alquanto.

Senza neppure uno sguardo o un pensiero per il suo esercito diRodomonte entra in Parigi, e comincia a distruggere la città, non solo gli uomini. Carlo Magno lo vede fare strage davanti alla

strutto,

sua reggia.

Quivi gran parte era del populazzo, sperandovi trovare aiuto, ascesa;

perché forte di

mura

era

palazzo,

il

con munizion da far lunga

Rodomonte, d’orgoglio

difesa.

e d’ira pazzo,

solo s’avea tutta la piazza presa

c

Tuna man, che prezza

ruota la spada, e l’altra getta

E

de le

e merli e

196.

no,

può d’apprcsso,

tanto

s’è

luna, che

si

spinta

vici-

asciugare

la

credeva allora piena d’umidità.

Le urla disperati che muoiono a causa

201-206. racini

può, da

dei miseri del

sa-

loro capo

quale li ha spinti al macello, armonizzano stranamente (istranamente concordar studia) col rombo assordante del rogo che il

li

uccide.

207-208. Spesso canto,

nel

vivo

l’A.

interrompe cosi un

dell’azione.

209. populazzo : plebe. 212. munizion: fortificazioni.

213-16.

È

la

gran porte.

le eccelse

torri, e si

alto,

le

cime metton per morte.

turbe da

tee.’,

in

poco,

fuoco.

il

regai casa, alta e sublime,

la

percuote e risuonar fa

Gettan

:

mondo

il

rappresentazione piu poten-

Rodomonte. A quanto avviene nella prima parte della battaglia cogliamo qui anche l’animo d'orgoglio e d’ira pazzo che soe titanica della figura di

te

differenza

di

spinge quella scatenata furia

e,

soprattutto

si molquesto terrore che si staglia epicamente la sua figura gigantesca: solo s’avea tutta la piazza presa; non c’c piu solo il mulinello della spa-

nelle ottave seguenti, tiplica

da,

i

ma

ritorno

lui.

terrore che

È

su

anche l’audacia sfrenata dell’animo.

217. regai 220. e...

perdute.

a

il

Il

casa;

morte:

reggia. e. si

considerano morte,

terrore delle turbe,

la

loro di-

Ludovico Ariosto

107

Guastare

i

tetti

e legne e pietre

non è alcun che stime; vanno ad una sorte,

lastre e colonne,

e le dorate travi

che furo in prezzo agli lor padri e agli Sta su la porta di chiaro acciar,

il

che

’l

capo

arma

gli

come

uscito di tenebre serpente,

poi

c’

ha

del

nuovo

225

e

busto.

’l

ogni squalor vetusto,

lasciato

scoglio altiero, e che

ringiovenito e piu che tre

avi.

re d’Algier, lucente

si

sente 330

mai robusto

:

lingue vibra, et ha negli occhi foco;

dovunque

Non

animai dà loco.

passa, ogn’

sasso,

merlo, trave, arco o balestra,

né ciò che sopra

il

Saracin percuote,

ponno

allentar la sanguinosa destra

che

gran porta

la

spezza e scuote:

taglia,

ha tanta che ben vedere e veduto

e dentro fatto v’

finestra,

puote

esser

dai visi impressi di color di morte,

che tutta piena quivi hanno

Suonar per

gli

alti

s’odono gridi e feminil lamenti

donne, percotendo

l’afflitte

corte.

la

e spaziosi tetti :

petti,

i

corron per casa pallide e dolenti; e

abbraccian

gli

usci e

i

geniali

letti

che tosto hanno a lasciare a strane genti. Tratta

la cosa era in periglio tanto,

quando

fesa

senza

figura

re giunse, e suoi

’l

discernimento, ingigantiscono la Osserva ancora come, in

dell’eroe.

questa seconda parte,

i

tetti

che furono

alta-

quella che isola

227-30.

pente

di pallore di morte, questa massa terrorizzata costituiscono una pennellata ra-

come

uscito

avere deposto

uscito,

dal la

ecc.

letargo

:

(di

come un tenebre)

ser-

dopo

sua vecchia pelle rovinata

ma

indimenticabile.

245-46. abbraccian

forse l’ottava piu bella dell’epi-

potentemente la figura di Rodomonte in una solitudine eroica e terribile. La luminosità delle armi d’ acciaio accresce il suo splendore e il terrore che incute. sodio,

sente superbo della

si

ecc.

235. ponno: possono. 237. tanta finestra: un’apertura cosi ampia. 239. dai visi impressi, ecc.: questi visi

pidissima,

pregiate.

È

pelle,

impressi

224. che furo in prezzo:

225-32.

nuova

sen-

za farci caso.

mente

(squalor vetusto), che

del tutto sfumato

sia

Tclcmento comico-grottesco. 221. Guastare... stime: guastano

baroni accanto.

no si

le

porte e

i

peìisano nel

letti

gli usci, ecc.

:

abbraccia-



co-

debbono

la-

nuziali che presto

loro terrore

come preda Sembra che la città sciare

invasori

agli sia



stranieri.

in procinto di cap^i-

tolarc.

248.

il

re: è Carlo

multo con una (baroni).

Magno, accorso

schiera

di

valorosi

al

tu-

paladini

Antologia della letteratura italiana

io8

Carlo rincuora

i

Parigini atterriti e assale, con altri sette paladini,

Rodomonte, che sostiene impavido I assalto e prosegue la strage. Ma ormai è assalito da un intero esercito, e comprende che deve ritirarsi. Si apre sanguinosamente la via fino alla Senna, vi si getta armato ed esce a nuoto dalla città:

Con tutte l’arme andò per mezzo Tacque come s’ intorno avesse tante galle. Africa, in te pare a costui non nacque, ben che d’Anteo ti vanti e d’Annibaìlp. Poi che fu giunto a proda, gli dispiacque, che si vide restar dopo le spalle quella città ch’avea trascorsa tutta, e

La

non Tavea

sortita di

tutta arsa né distrutta.

Cloridano e Medoro

Sullo sfondo corrusco della battaglia, fra le epicHc imprese, si effonde la mesta elegia del giovinetto Medoro, il suo affettuoso lamento sul proprio signore caduto, che egli si propone di cercare sul campo, nella notte, c di seppellire, recandogli cosi un estremo tributo d’ amore. E accanto al suo c’ è l’ amore di Cloridano, più maturo d’anni, persuaso delTassurdità dclTimprcsa, c tuttavia preso anch’egli dalla dolce follia dell’affetto, pronto a rischiare la vita, pur di non lasciar solo nel pericolo l’amato Medoro, grandi e nobili affetti: la fedeltà, l’amicizia, Questo episodio ha come tema la generosità, sempre evocati dall’autore con intima commozione, con accenti inconfondibili. Il Furioso non è un poema di romanzesche avventure, ma il poema dell’uomo. Spesso, anzi, come qui, la favola dà un rilievo più potente ed esemplare ai sentimenti più elevati. i

Carlo non torna piu dentro

ma

si

250. galle: sugheri o zucche o vesciche che adoperavano per tenere a galla le reti dei

pescatori.

251. pare: pari per forza c valore. 252. Anteo, ecc. : Africani furono Anteo, il

alla terra,

contra gli nimici fuor s’accampa.

gigante ucciso dopo durissimo combattie Annibaie, il grande con-

avvenimenti terranno Rodomondalla guerra. Solo quand’essa sarà finita ritornerà a Parigi, durante la celebrazione delle nozze di Bradamante e Ruggiero, e sarà ucciso da quest’ ultimo

ferocia. Gli te

lontano

dopo un

terribile duello.

mento da Ercole,

Canto XVIII: ottave 163-176

dottiero cartaginese.

253-256. Ora finalmente Rodomonte sembra rientrare in se stesso, dopo essere stato a

lungo solo un’ implacabile macchina di morMa il sentimento che lo domina è il te. rimpianto di non avere devastato c distrutto completamente Parigi un sentimento :

proprio

della

sua

primordiale

e

istintiva

I.

alla

terra:

a

Parigi.

e

182-192.

È appena

termi-

nata la battaglia di cui abbiamo seguito le fasi salienti. I Saraceni hanno subito una pesante sconfitta; è morto, fra gli altri, abbattuto da Rinaldo, un giovane re africano, Dardinello d’Almonte. Carlo Magno, non

Ludovico Ariosto

109

et in assedio le lor tende serra,

intorno avampa.

et alti e spessi fuochi

Pagan

Il

si

provede, e cava terra,

f®ssi e ripari e bastioni

va rivedendo, e

tieri le

stampa: guardie deste,

né tutta notte mai l’arme

Tutta

mal

dei si

sveste.

si

notte per gli

la

alloggiamenti

sicuri Saracini oppressi

versan pianti, gemiti e lamenti,

ma

quanto piu

si

può, cheti e soppressi.

Altri, perché gli amici

morti, et

lasciati

che son

ma

feriti,

e

hanno per sé

altri

e

parenti

i

stessi,

con disagio stanno:

più è la tema del futuro danno.

Duo Mori

ivi fra

gli

altri

si

trovaro,

d’oscura stirpe nati in Tolomitta;

esempio raro amore, è degna esser descritta.

de’ quai l’istoria, per di vero

Cloridano e Medor

si

nominaro,

ch’alia fortuna prospera e alla afflitta

aveano sempre amato Dardinello, Francia il mar con quello.

et or passato in

Cloridan, cacciator tutta sua di robusta persona era et isnella

Medoro avea

la

vita, :

guancia colorita

e bianca e grata ne la età novella; piu assediato,

sua volta racc'am-

assedia a

pamento dei Saraceni. 4. avvampa: accende, 5-6.

vedono

fa

avvampare.

Pagan... stampa:

Il

saraceni prov-

I

scavano fossati e costruiscono rapidamente {stampa) fosse, alla

propria difesa,

ripari, bastioni.

L’ottava è pervasa 9. Tutta la notte, ecc. da uha musica mesta che ben rende l’avvi:

limento

dell’esercito

oppressi:

10.

e decimato. peso della di-

sconfitto

gravati

dal

sfatta.

12. soppressi:

16.

de c 18.

ma

pili...

ma

ancor piu gran-

timore dei mali futuri. d’ oscura stirpe: di umili natali. To-

il

lomitta è Tolemaide,

antica città della Ci-

Cloridano e Medor: I due personaggi notturna sortita in campo nemico richiamano, per molti aspetti, la vicenda di Eurialo e Niso nell’ Eneide di Virgilio. Ma 21.

è

una testimonianza 22.

eh’ alla

di

fedeltà e d’amore.

fortuna, ecc.: nella

-

buona

e

nella cattiva sorte.

25-26.

Cloridan, ecc.:

«La

Cloridano è semplice come

renaica.

e la loro

no è assediato da Turno e dai suoi: la loro impresa ha quindi una giustificazione pratica, anche se Eurialo è trascinato soprattutto da un eroico desiderio di gloria e di prodezza. Medoro, invece, mette a rischio la propria vita per seppellire il corpo del suo signore, caduto in battaglia. La sua impresa ha quindi un significato tutto ideale,

soffocati.

danno:

pur tenendo d’occhio il testo latino, l’A. ha creato una storia originalissima. Basti pensare al diverso movente delle due sortite. Eurialo e Niso tentano di andare da Enea per dirgli che l’accampamento troia-

tura

di

cacciatore:

una

la

fisionomia di sua forte na-

virilità

leale

e

di-

ritta » (Binni).

Medoro è una na27 sgg. Medoro, ecc. tura tenera e sensitiva, che si riflette nella :

no

Antologia della letteratura italiana

e fra la gente a quella impresa uscita,

non era

faccia piu

gioconda e bella:

occhi avea neri, e chioma crespa d’oro: angel parca di quei del

sommo

Erano questi duo sopra

i

coro.

ripari

con molti

altri

quando

Notte fra distanze pari cicl con gli occhi sonnolenti.

la

mirava

il

Medoro

a guardar gli alloggiamenti,

quivi in tutti

non può

far che

’l

i

suoi parlari

Signor suo non rammenti,

Dardinello d’Almonte, c che non piagna

che

resti

senza onor ne la campagna.



al compagno, disse: O Cloridano, non ti posso dir quanto m’incresca del mio Signor che sia rimaso al piano, per lupi e corbi, ohimè! troppo degna esca. Pensando come sempre mi fu umano, mi par che quando ancor questa anima esca in onor di sua fama, io non compensi

Volto

io

né sciolga verso

lui

gli

oblighi immensi.

Io voglio andar perché

non

sia

inscpulto

mezzo alla campagna, a ritrovarlo: e forse Dio vorrà ch’io vada occulto là dove tace il campo del Re Carlo. Tu rimarrai: ché quando in Ciel sia sculto in

eh’ io vi

debba morir, potrai narrarlo

grazia gentile della sua persona fisica. È giovanissimo {ne la età novella) e ha un viso dolce come quello di un angelo. 32. di quei... coro:

uno

degli angeli della

un

Fin da questa prima descrizione avvertiamo la tonalità caratteristica deU’cpisodio, che si fonda sul comporsi armonico dei temperamenti dei due amici: alla dedizione tenera ed eroica di Medoro, alla sua giovinezza gentile e sognante si mescola la virilità consapevole, generosa ma non ignara dei concreti limiti che la realtà ci impone, di Clopiù

alta

gerarchia,

cioè

serafino.

a

questa atmosfera torpida, addormentata, sulla quale si leva altissima la vigile ed eroica fedeltà di

Medoro.

40. senza

onor:

senza degna e riverente

sepoltura. 43-44.

campo

che...

piano:

che

di battaglia insepolto,

sia

rimasto sul

esca; cibo.

46-48. mi par, ecc. mi pare che quand’anche io perda questa mia vita (anima) per onorare la sua fama, io non contraccambi degnamente gli obblighi immensi che :

ho verso

di lui.

51-52. eh* io... Carlo: che io riesca ad an-

dare, senza essere scorto, là dove l’accampa-

ridano. 34.

:

guardar, ecc.:

a

guardia dell’ac-

campamento.

quando la 35-36. quando... sonnolenti: (qui personificata, secondo 1 ’ antica

Notte

mitologia), giunta a metà del suo

cammino,

contemplava il cielo con occhi sonnolenti. La prima parte dell’ episodio si svolge in

mento

di re

Carlo è immerso nel silenzio.

53-54. quando... narrario: se in cielo è stabilito (sculto scolpito) che io debba mori-

=

re, tu potrai

Ma non

raccontare questa mia impresa.

da un desiderio di fama, quanto dall’amore per il suo re. Come vedi nei due versi seguenti, vuole, se non è scinto tanto

Ludovico Ariosto

che

III

se

Fortuna

vieta

per fama almeno

si

belFopra,

mio buon cuor

il

scuopra.

si

Stupisce Cloridan, che tanto core,

tanto amor, tanta fede abbia

un

fanciullo:

e cerca assai, perché gli porta amore, di fargli quel pensiero irrito e nullo;

ma non non

perch’un

vai,

gli

si

gran dolore

riceve conforto né trastullo.

Medoro

era disposto o di morire,

o ne la tomba il suo Signor coprire. Veduto che noi piega e che noi muove, Cloridan

gli

risponde

anch’io ,vo’ pormi a

:

si



E

verrò anch’

io,

lodevol pruove,

anch’io famosa morte amo e disio. Qual cosa sarà mai che piu mi giove, s’io resto senza te, Medoro mio? Morir teco con l’arme è meglio molto,

che poi di duol,

avvien che

s’

mi

tolto.

sii



Così disposti, messelo in quel loco successive guardie, e se ne vanno.

le.

Lascian fosse e

steccati,

campo dorme,

Il

e

dopo poco

nostri son, che senza cura stanno.

tra’

e tutto è spento

il

fuoco,

perché dei Saracin poca tema hanno.

degna impresa, che la fama almenò il suo buon cuore, cioè il

nella

riuscirà

illumini

suo sentimento di

affetto

di

e

per

fedeltà

57-58. tanto... fede: tanta altezza d’animo,

amore

60. irrito

e

vano

nullo:

sintesi

Questi

pregnante

fedeltà eroica di

due la

c

senza

effetto.

versi

dolcezza

esprimono e,

con

insieme,

la

Medom

E verrò anch’ io, ecc.: «La risposta Cloridano freme tutta di amore per Medoro... non è eroismo quello che muove il giovane guerriero, ma rassegnazione di fronte alla dolce pazzia del compagno amato » (Binni). La vera ragione che lo spinge alr impresa è espressa con accento profonda66.

mente affettuoso nei vv. 69-72. 68. famosa .morte: una morte 69. mi giove: mi sia cara.

gloriosa.

che poi di duol, ecc.: che di dolore, sarai tolto dalla morte.

mi

messero:

misero.

80.

loro

:

il

cambio.

riversi.

nel vin, nel sonno, ecc.:

Si apre ora di bat-

avvolto anch’ esso dall’ oscurità della notte, immerso nel sonno. Ma non v’ è piu la quiete raccolta e meditativa che accomtaglia

pagnava i pensieri c le parole di Medoro, una nuova tonalità grottesca, un ri-

bensì

di

se tu

decisi,

un nuovo scenario, quello del campo

e tanta fedeltà.

62. trastullo: distrazione.

63-64.

dovevano dar 79. Toversi

Dardinello. 72. tanto

73. disposti:

74. le successive guardie: le sentinelle che

torno brusco

alla realtà brutale della guerra.

Non devo stuol, ecc. nessuno di questo esercito che ha causato la morte del mio Signore.? Cloridano sembra dire che questa è la vera mavendicarlo, niera di onorarne la memoria conta, non seppellirlo. Stanno a fronte la 83-84. Di

questo

:

uccidere

:

pura, generosa idealità del giovinetto e la saggezza piu scettica e disincantata dcll’uomo ormai maturo. ci 85. perché... venisse; affinché nessuno

sorprenda.

II2

Antologia della letteratura italiana

Tra Tarme

roversi,

carriaggi stan

c’

immersi. sonno Fermossi alquanto Cloridano, e disse: insino agli occhi

nel vin, nel



Non son mai da lasciar T occasioni. Di questo stuol che ’l mio Signor trafisse, non debbo far, Medoro, occisioni? Tu, perché sopra alcun non ci venisse, e T orecchi in ogni parte poni;

gli occhi

con

eh* io m’offerisco farti tra

spada

la



inimici spaziosa strada.

gl’

Cosi disse

egli, e tosto

dove

et entrò

parlar tenne,

il

dotto Alfeo dormia,

il

che Tanno inanzi in corte a Carlo venne,

medico e Mago e pien d’Astrologia ma poco a questa volta gli sovvenne; :

anzi gli disse in tutto la bugia.

Predetto egli s’avea che d’anni pieno

dovea morire la

punta de

Quattro

sua moglie in seno:

alla

ha messo

et or gli

la

cauto Saracino

il

spada ne

la gola.

uccide appresso all’indovino

altri

che non han tempo a dire una parola:

menzion e

nomi

dei

lungo andar

’l

dopo

essi

lor

le lor

non

Turpino,

fa

notizie invola

:

Palidon da Moncalieri,

che sicuro dormia fra duo destrieri. Poi se ne vien dove col capo giace

appoggiato

al

barile

il

miser Grillo;

avealo voto, e avea creduto in pace

un sonno placido

godersi

Troncògli

il

capo

esce col sangue

89.

il

parlar tenne:

92. Astrologia:

zione degli influssi

astri c dalla

prevedevano

97.

la

vita

la

mitiga comunque,

e di misura con cui

mutevole

e

Anche

il

gesto,

com-

una sua comicità. 101. Turpino: è l’arcivescovo Turpino, pre-

medio che è proprio poesia ariostesca, quel senso di equi-

librio

:

conoscenza dei loro

e ristabilisce quel tono

della

cauto Saracino

piuto con una sorta di cura meticolosa, ha

Tutta la strage ha questo tono allegro e spassoso; è come un intermezzo comico che, pur senza turbare l’atmosfera dell’episodio,

il

spillo.

dall’osserva-

94. anzi glt disse, ecc.: dei Cristiani addormentati

pietosa

uno

vin per

futuro.

il

e tranquillo.

Saracino audace:

tacque. astroLogi

gli

il

il

varia.

l’A.

contempla

sunto autore di uiia storia carolingia a cui fingono d’ ispirarsi gli autori di poemi cavallereschi.

102. e

scorrere

*1

del

lungo andar, ecc. il lungo tratempo ha gettato nell’oblio i :

loro nomi. 107. voto: vuotato.

per uno spillo: per un foro: la ferita beone c chiamata dall’ Ariosto col nome

Tio.

del

Ludot/ico Ariosto

”3

di che n*

ha in corpo piu d*una bigoncia; Cloridan

c di ber sogna, e

lo sconcia.

due continuano ancora per poco la loro smettono e si dirigono verso

/

essere scoperti,

Vengon

campo ove

nel

fra

ma

strage,

campo

il

poi, per

non

della battaglia.

spade et archi

un vermiglio stagno giaccion poveri e ricchi, e Re e vassalli; e sozzopra con gli uomini cavalli. e scudi e lance, in

i

Quivi dei corpi l’orrida mistura, che piena avea

gran campagna intorno,

la

potea far vaneggiar

la

fedel cura

duo compagni insino al far del giorno, se non traca fuor d’una nube oscura, a’ prieghi di Medor, la Luna il corno. Medoro in del divotamente fìsse

dei

verso

la

—O

Luna

gli

occhi, e cosi disse:

santa Dea, che dagli antiqui nostri

debitamente

detta triforme;

sei

ch’in cielo, in terra e ne l’inferno mostri l’alta

bellezza tua sotto piu forme,

e ne le selve, di fere e di mostri

seguitando Torme;

vai cacciatrice

mostrami ove

mio Re

’l

giaccia fra tanti,

che vivendo imitò tuoi studi santi.

La Luna

a quel

o fosse caso, oppur

foro dal quale esce

stesso del

il

la

vino conte-

nuto nella botte. 113-16.

po

di

La descrizione rapidissima

uno sfondo stagnante

cadaveri su coi cavalli,

matica,

di

cam-

armi e sangue

uomini confusi (sozzopra) ha una rara potenza non dram-

vermiglio, con

118.

del

battaglia, con quell’intrico di

ma

gli

visiva.

piena: riempita.

poteva 119-20. potea far vaneggiar, ecc. render vane le fedeli ricerche dei due compagni fino al nuovo giorno (era difficile ri:

trovare Dardinello fra quel

mucchio immane

di cadaveri). 122.

il

corno;

tanta fede.

125-32. O santa Dea: La preghiera di Medoro porta nell’episodio una nuova atmosfera tenera e rapita. Si direbbe che la voce soave del giovane, la sua bellezza, il suo sentimento di tenero affetto per il suo signore, si intonino al candore purissimo che si spande subito intorno, siano una cosa sola con esso. 126. debitamente... triforme: Secondo la mitologia antica, Diana, dea della caccia, era identificata con Proserpina, dea degl’ Inferi e con Cinzia, dea della luna. 132. imitò...

santi:

imitò

le

tue occupa-

zioni, fu cacciatore. 134.

una delle sue punte.



nube aperse,

parlar la

vuto

o fosse caso, ecc. al

caso,

oppure

:

alla

fosse, questo, do-

fede di

Medoro.

Antologia della letteratura italiana

114

come fu allor quando s’offerse nuda in braccio a Endimion si diede: con Parigi a quel lume si scoperse l’un campo e l’altro, e ’l monte e ’l pian Si videro i duo colli di lontano, Martire a destra e Leri all’altra mano. bella

e

vede.

si

Rifulse lo splendor molto piu chiaro,

ove d’Almonte giacea morto

il

Medoro andò, piangendo,

Signor caro;

che conobbe e tutto

bagnò d’amaro

pianto (che n’avea

un

in

si

SI

dolci atti, in

rio sotto ogni ciglio),

dolci lamenti,

che potea ad ascoltar fermare

ma

figlio.

quartier bianco e vermiglio:

il

viso gli

’l

al

venti;

i

con sommessa voce e a pena udita;

non che riguardi

a

non

far sentire,

si

perch’abbia alcun pensier de

sua vita

la

(piu tosto l’odia, e ne vorrebbe uscire);

ma

per timor che non gli

l’opera pia che quivi

Fu

morto Re

il

il

partendo

affrettando

E

i

soma che

sotto l’amata

a cui del petto

Secondo la mitologia innamorò di un bellissimo pastore, Endimione, condannato a un sonno perpetuo, c tutte le notti andava a bella,

ecc.:

Luna

s’

Ma

visitarlo e a baciarlo.

niscenza

mitologica,

piu che

la

remi-

qui

il

senso

interessa

che si diffonde su tutta la scena, soverchiando ogni orrore del campo di battaglia. Vedi poi, nei

di

luminosità

limpidissima

quattro versi seguenti, dersi

di

spazi

una solinga

vasti,

1’

e

dolce

improvviso schiu-

indefiniti

e

silenziosi:

e raccolta pace ove s’effonde

il

tenero pianto di Medoro. 140.

Martire, ecc.:

e

Mont-

figlio

ecc.

di

:

dove giaceva Almonte.

che conobbe, ecc.: poiché riconobbe scudo diviso in quattro parti {quartieri)

T44.

sonno

stemma bianco e vermiglio. un rio: un ruscello. 149. ma con sommessa voce, ecc.

146.

:

Me-

doro effonde sul morto re il suo affettuoso lamento, ma con voce sommessa, che s’udiva appena (osserva la dolcezza di questo singhiozzare

soffocato

nello

sterminato

si-

non perché abbia paura

lenzio della notte);

i nemici lo scoprono, ma perché teme, in questo caso, di non potere

di essere ucciso, se

portare

a

compimento

la

pietosa

opera

di

sepoltura.

158. gl’

tramendui: di ambedue. ingombra: impaccia i loro mo-

vimenti.

ove d’Almonte,

morto Dardinello, lo

il

dallo

156. di

Mont-Martre

Léry. 142.

donno

ove è bisogno, sgombra.

l’alta virtude,

la

gl’

a tòr del del, di terra l’ombra;

quando Zerbino,

135-36.

peso.

il

quanto ponno, ingombra.

passi

già venia chi de la luce è

le stelle

classica,

impedita

sia

venire.

omeri sospeso

sugli

di tramendui, tra lor

Vanno

fe’

159. chi... donno; chi è signore {donno viene dal latino dominus) della luce, cioè il sole.

161. Zerbino:

È

il

figlio del re di Scozia,

Ludovico Ariosto

115

avendo

cacciato

campo

al

tutta notte

Mori,

i

traea nei primi albori;

si

e seco alquanti cavallieri avea,

che videro da lunge

i

dui compagni.

Ciascuno a quella parte si traea, sperandovi trovar prede e guadagni.



Frate, bisogna (Cloridan dicea)

gittar la

soma, e dare opra

calcagni;

ai

che sarebbe pensier non troppo accorto, perder duo vivi per salvar un morto.

E che

gittò

’l

ma

carco, perché

il

Medoro

suo

quel meschin che

’l

pensava

si

far dovesse

simil

il

— :

suo Signor piu amava,

sopra le.spalle sue tutto lo resse. L’altro con molta fretta se n’andava,

come l’amico

a paro o dietro avesse:

sapea di lasciarlo

se

a

quella sorte,

non ch’una morte. con animo disposto

mille aspettate avria,

Quei

cavallier,

che questi a render s’abbino o a morire,

qua chi

chi



si

spargono^ et han tosto

preso ogni passo onde

Da

loro

piu degli

si

possa uscire.

capitan poco discosto,

il

seguire;

è sollecito a

altri

ch’in tal guisa vedendoli temere, le nemiche schiere. Era a quel tempo ivi una selva antica, d’ombrose piante spessa c di virgulti,

certo è che sian de

come

che, di

venuto

in

stretti

c

sol

Magno, è

aiuto di Carlo

gentile e leale fra

labirinto, calli

cavalieri cristiani.

i

il

entro s’intrica

da bestie

piu

Morrà

difendendo con fedeltà esemplare le armi abbandonate da Orlando impazzito contro il saraceno Mandricardo. 164.

si

traea, ecc.

r accampamento 169-72. gittar

:

ritornava all’alba nel-

soma,

ecc.

:

Il

scorso di Cloridano esprime tutta

rapido dila

sua sag-

gezza concreta e sbrigativa, lontana dalla sognante, ideale fedeltà di Medoro. A lui interessa ben poco quel cadavere: è una soma,

un peso via ai

buon senso perdere due vivi, cioè loro stesper salvare uno che è già morto. Eppure

si,

sono anche in lui una generosità e fedeltà ben meditate e consapevoli nei confronti delTamico. Egli non è venuto fin qui per il morto re, ma per Medoro, e per lui saci

prà eroicamente morire.

cristiano. la

culti.

e per di più inutile, cosa da gettar per fuggire a tutta velocità (dare opra

calcagni), e assurdo appare

al

suo solido

178.

come r amico,

r amico

(cioè

credendo

ecc.:

come

se avesse

di averlo) accanto

o

subito alle spalle. 180.

non

a

mille, ecc.:

una

181-82.

due

ma

sarebbe andato incontro

a mille morti.

disposto,

ecc.:

risoluti

a

far

si

arrendessero o a ucciderli. 191-92. che, come labirinto, ecc.: che ha.

che

i

si

Antologia della letteratura italiana

ii6

Speran d’averla

i

duo Pagan

ch’abbi a tenerli entro

Ma

mio

chi del canto

si

amica

suoi rami occulti.

a’

piglia

diletto,

un’altra volta ad ascoltarlo aspetto.

Morte

Cloridano

di

Angelica e Medoro

-

Alla morte di Cloridano, che conclude con un eroico e patetico olocausto

la

due Mori, segue una nuova, inattesa e mirabile vicenda: Timprovviso innamoramento di Angelica, la fanciulla orgogliosa c insensibile, il cui cuore si apre prima alla pietà, poi-^all’amore dinanzi a Medoro ferito. Mentre però il motivo dell’amicizia trova, nella morte di Cloridano, un’intensa risonanza sentimentale, l’ innamoramento di Angelica è descritto con tratti esteriori e convenzionali. Vale soprattutto come situazione nuova e imprevedibile d’avventura, come favola bella che termina, come tante favole, con le nozze dei

sortita

della

principessa.

L’Ariosto non approfondisce mai la psicologia di Angelica, non ne fa un personaggio spiritualmente originale e inconfondibile. Le sue reazioni, il suo carattere sono generici c comuni: è una donna bella, che sa d’essere bella, capriccriosa e altera quanto piu si sa desiderata e contesa, a volte birichina, dotata del

caratteristico

i

Ma

egoismo dei giovani.

d’avventure, è un’altra:

è

la

nodo

vera Angelica,

passioni

di

creatura bellissima che smonta e s’addormenta

la

e tra

primo canto, immagine pura di bellezza e felicità, vicina e pur sempre sogno luminoso che appare e dispare. Quand’ ella si arresta e con le sue nozze, nella vita di tutti, scompare per sempre dal vivo del-

fiori nel

irraggiungibile, rientra,

l’azione. Il

che

fatto

comuna

la

racchiudere in se pienamente

mono

sia mai approfondita racdove nessun personaggio emerge si da

sua vita spirituale e affettiva non

agli altri protagonisti del FurioìO, il

ma

significato, la sostanza dell’opera,

tutti

espri-

umana. All’Ariosto

attraverso l’azione aspetti generali e tipici della natura

interessa la coerenza del loro atteggiamento, la loro reazione al ritmo del caso e

dell’avventura, vero protagonista del racconto; le

situazioni

che nascono dal

narrative

loro

la

loro relazione e

i

continuo incontrarsi

loro rapporti,

per

le

strade

sterminate del poema.

Alcun non può saper da quando felice in su la ruota però

c’

ha

veri e

i

che mostran dentro di stretti

e

simile a

se,

un

intrico

frequentati

un

di

(culti)

tutti

sentieri

solo

da

i

finti

siede;

amici a lato

una medesma (calli)

quotidiana,

belve,

e

labirinto.

1-28.

in su la ruota:

na; quindi:

fortuna 1-14. I canti del Furioso hanno, quasi sempre, introduzioni di carattere sentenzioso, espressione di una moralità semplice e

fede.

lontana dall’ impeto fantastico avventuroso delle vicende narrate, e tuttavia ad esso intimamente congiunta. 2.

Canto XIX: ottave

chi sia amato,

4.

è

la

ruota della fortu-

«quando gode

il

che...

fede:

veri e falsi amici gli

sembrano essere) ugualmente stanno sempre vicini.

(o

favore della

».

sono

fedeli, e gli

Ludovico Ariosto

117

Se poi

si

cangia in

tristo

volta la turba adulatrice

ama

come

Se,

ne

tal

e

suo Signor dopo

il

forte,

morte.

la

mostrasse

si

grande e

poca grazia

è in

tal

viso,

il

la corte è

stato,

piede;

ama, riman

e quel che di cor et

lieto

il il

core,

il

gli altri

preme,

suo Signore,

al

muteriano insieme. Questo umil diverria tosto il maggiore: staria quel grande in fra le turbe estreme. Ma torniamo a Medor fedele e grato, che

la lor sorte

che ’n vita e in morte ha

Cercando già

giovine infelice di salvarsi;

il

ma

grave peso ch’avea su

il

facea uscir tutti

gli

Non

conosce

c torna fra

Lungi da l’altro

spine a invilupparsi.

lui tratto al sicuro s’era

ch’avea

la

spalla piu

ma quando

da Medor

leggiera.

non

ridutto ove

s’è

di chi segue lo strepito e

il

Deh, come

fui

come

deh,

fui

(dicea)

vede absente,

si

si

me

di

de

e

selva

l’intricata

ma

colui

che

ama

disposto a seguire

il

vera-

ravvia,

su la traccia.

in

in

morte: anche quando questi è

la

morto. 9-14.

come godono

cuore ora

estreme:

Se... si

la

mostra

Se il

si

viso,

mostrasse certuni,

il

suoi

i

progetti

(partiti).

sbaglia.

falle:

24.

eh’ avea...

27.

misconosciuti.

e

leggiera:

absente:

Cloridano

che

peso.

lontano e separato.

senza sapere. 32. né sappia 35-36. si ravvia... traccia:

grazia del loro signore e che

umiliano gli altri, cadrebbero in disgrazia, perché si vedrebbero animati solo dall’ambizionc c dal calcolo; al contrario salirebbero

vani, tutti 21.

non era gravato da!

che

fedeli

andava, calle: sentiero. facea... scarsi: rendeva insufficien-

gi'a:

20. gli ti,

dopo

pregio cortigiani 17.

suo signore anche nella

svcntur.n. 8.

lasciassi!

torta via

cuore, rimane fedele e forte, cioè

di

ritrassi, ti

ricaccia;

si

onde era venuto si torna di sua morte

e quel, ecc.;

7,

mente

la

core.

stesso fuore,

tc,

Cosi dicendo ne

il

negligente,

si

Medor, qui mi né sappia quando o dove io

che senza

sente

rumore;

pare aver lasciato a dietro

gli

spalle,

le

scarsi.

partiti

i

paese, e la. via falle;

il

le

Cloridan

et

suo Signore amato.

il

piu intricato calle

nel

:

nuovo la

e ritorna sulla strada

morte.

si

dove

avvia

di

lo attende

1

18

Antologia della letteratura italiana

Ode

cavalli

i

e

gridi tuttavia,

i

e la nimica voce che minaccia

all’ultimo ode

:

suo Medoro, e vede

il

che tra molti a cavallo è solo a piede.

Cento

a cavallo, e gli son tutti intorno;

Zerbin comanda

quanto può

e

com’un da

tien

si

che

e grida

L’infelice s’aggira

preso.

sia

torno,

lor difeso,

or dietro quercia, or olmo, or faggio, or orno;

né si discosta mai dal caro peso: r ha riposato alfìn su l’erba, quando regger noi puote, e

come

orsa,

ne

la

sta

sopra

pietrosa tana assalita abbia,

freme

e

va intorno errando,

gli

che l’alpestre cacciatore

i

con incerto core, suono di pietà e di rabbia:

figli

in

’nvita e naturai furore

ira la

a spiegar l’ugne e a insanguinar le labbia;

amor

’ntenerisce, e la ritira

la

riguardare

a

in

figli

ai

Cloridan, che non sa

'che via

prima

ch’in morte

non

il

nascoso con quel

senza vita

Volgonsi

il

ond’era uscito

il

Intanto un altro

perché

sella.

a quella banda,

altri

calamo omicida. il

Saracin ne manda,

secondo a lato

’l

acuti,

le cervella,

fa cader di

tutti gli

strali

ben lavora,

si

che fora ad uno Scotto e

viver muti,

d’un ne mora;

trovi ove più

mette su l’arco un de’ suoi e

l’ira.

l’aiuti,

morir seco ancora,

e ch’esser vuole a

ma non

mezzo come

primo uccida;

al

domanda

che mentre in fretta a questo e a quel chi tirato abbia l’arco, c forte grida.

37, tuttavia:

continuo,

di

per

tutta

la

corsa affannosa.

torno:

43.

46-48. né

mai al

55-56.

tornio. si

lotta c la

discosta, ccc.

:

non abbandona

corpo deH’amato signore, che resta

il

scena mossa e colorita, cocento cavalieri e animata dalle

centro della

stituita

dai

quando:

54. a

spiegar

dal 1’

momento ugne

:

coi e

la

morsi

cacciatori.

i

ritira,

spinge

ccc.

le

ritrae

la i

dalla

figli.

58-60. c... mora c che vuole morire anche lui con Medoro, ma non vuole morire (tramutare la sua vita in morte) prima di :

aver

trovato

63. Scotto:

che.

ad assalire con

:

riguardare

a

modo

di

nemico.

grida imperiose di Zerbino. 47.

unghie e

66.

calamo:

scozzese. freccia.

uccidere

più

d’

un

Ludovico Ariosto

119

lo strale arriva, e gli passa la gola,

mezzo

e gli taglia pel

Or

Zerbin, ch’era

la parola.

capitano loro,

il

non potè a questo aver più pazienza. Con ira e con furor venne a Medoro,



dicendo:

Ne

mano

Stese la

farai tu penitenza.

chioma d’oro, con violenza:

in quella

e trascinollo a sé

ma come

giovinetto

Il c.

occhi a quel bel volto mise,

gli

ne venne pietade, e non

gli

disse

non



:

esser



l’uccise.

rivolse a’ prieghi,

si

Cavallier, per lo tuo Dio,

mi

crudel che tu

si

ch’io sfpelisca

non



il

nieghi

corpo del Re mio;

me

vo’ ch’altra pietà per



pieghi,

ti

né pensi che di vita abbia disio:

ho tanta di mia vita, e non più, cura, quanta ch’ai mio Signor dia sepoltura. E se pur pascer vuoi fiere et augelli, che ’n

te

fa lor convito di

miei membri, e quelli

sepelir lascia del figliuol

d’Almonte.

Medor con modi

Cosi dicea



furor sia del teban Creonte,

il

e

con parole

e

SI

atte a voltare

commosso



belli,

un monte;

già Zerbino avea,

che d’amor tutto e di pietade ardea.

mezzo un

In questo

cavallier villano,

avendo al suo Signor poco rispetto, feri con una lancia sopra mano supplicante

al

delicato petto.

il

ma... uccise: Nella commozione Zerbino davanti al bel volto di Medoro esprime quel culto della bellezza che è

79-80. di $1

forse

supremo

il

ideale del Furioso.

come

lezza appare all’A.

il

La

bel-

simbolo dell’in-

monanimo a una pura e

tima, segreta armonia della vita e del do,

come qualcosa che dispone

una contemplazione

estatica,

a

1’

serena gioia. 81 sgg. Anche questa preghiera di Medoro ha una soavità limpida e toccante come il suo bel viso di fanciullo.

87-88. ho... sepoltura: solo quel tanto che '’al

mio

mi

desidero di vivere

basti a

dare sepoltura

dare cadaveri in pasto alle fiere e agli avvoltoi, con quel furore di vendetta che ebbe, un tempo, Creonte. Era costui, secondo la mitologia greca, re di Tebe, e vietò che fosse seppellito il nipote Polinice, reo di avere assalito, con

E

se...

96. che...

E

se

pure vuoi

ardea:

a

smuovere, a

Zerbino arde d’amore

Medoro. L’amore è quell’ incantata, entusiastica contemplazione della bellezza di cui abbiamo parlato nella nota e di pietà per

a:

vv, 79-80. 99.

Creonte:

esercito di re amici,

94. a -voltare un monte: commuovere un monte.

signore.

89-90.

un

la città.

il

sopra

colpo,

mano:

sopra

la

alzandola, spalla.

per

vibrare

Antologia della letteratura italiana

120

Spiacque a Zerbin Tatto crudele e strano; tanto più, che del colpo il giovinetto vide cader

che

E

giudicò che fosse morto.

ne sdegnò in guisa e se ne dolse, Invendicato già non fia!

se



che disse:



mal talento

e pien di al

sbigottito e smorto,

si

*n tutto

rivolse

si

cavallier che fe* l’impresa ria:

ma

quel prese vantaggio, e

se gli tolse

dinanzi in un momento, e fuggi via. Cloridan, che Medor vede per terra, salta

del bosco a discoperta guerra:

e getta l’arco e tutto pien di rabbia tra gli

inimici

il

ferro intorno gira,

più per morir, che per pensier ch’egli abbia di far vendetta che pareggi Tira.

Del proprio sangue rosseggiar

la

fra tante spade, e al fin venir

si

e tolto che si

Seguon per

si

sente ogni potere,

canto

lascia a

gli

al

suo

Scotti

Medor

ove

poi che lasciato

ha l’uno

cadere.

guida loro

la

selva alto disdegno

l’alta

sabbia

mira:

mena, Moro,

e l’altro

l’un morto in tutto, e l’altro vivo a pena. Giacque gran pezzo il giovine Medoro, spicciando il sangue da sf larga vena,

che di sua vita se

venuto,

al fin saria

non sopravenia

chi gli diè aiuto.

Gli sopravenne a caso una donzella, avvolta in pastorale ed umil veste.

sarà. La violenta reazione di io6. fia: Zerbino, crucciato (pien di mal talento) con-

tro

il

cavaliere villano,

mostra cavaliere

lo

veramente cortese, dotato, cioè, delle più genuine qualità proprie della gentilezza cavalleresca. 109. prese vantaggio:

si

avvantaggiò, fug-

gendo prontamente. IT2. a discoperta guerra: lascia l’agguato e

combatte

a

viso aperto.

Quest’impeto pate-

119-20. L’ ultimo, disperato scatto di Closi spegne in un lamento appassionaun supremo olocau.sto al suo Medoro. 121-22. Seguon gli Scotti, ecc.: Gli Scozzesi seguono Zerbino, loro capo, nella selva profonda, dove lo conducono un’ ira c un disdegno propri di un’anima generosa. Nota la fantasiosa dissolvenza dopo la tensione drammatica dell’ episodio. 129. Gli sopravenne a caso: Di nuovo il

ridano to, in

appassionato di Cloridano è uno dei momenti più veramente eroici del poema. IT7-18. Del proprio sangue, ecc.: Vede la

e

sabbia rossa del suo sangue, trafitto com’ è

è

da tante spade, e vede alla morte.

zie,

tico e

se

stesso

giungere

caso prende in all’episodio

mano eroico

uno nuovo pastorale

de

Angelica, dotata invisibili,

che,

deH’avventura, ne succede amoroso. La donzella

le

e e

fila

patetico

sfuggita

dell’anello

ha deciso

a

varie

peripe-

prodigioso che rendi

ritornare da sola

J

Ludovico Ariosto

ma

I2I

di reai presenza e in viso bella,

d’alte

maniere

Tanto

è ch’io

e

accortamente oneste.

non ne

piu novella,

dissi

ch’a pena riconoscer la dovreste:

non

questa, se

Can

gran

del

Poi che

Angelica

sapete,

era,

del Catai la figlia altiera.

suo annello Angelica riebbe,

’l

Brunel l’avea tenuta priva,

di che

in tanto fasto, in tanto orgoglio crebbe,

ch’esser parea di tutto

Se ne va

sola,

compagno si

e

non

mondo

*1

schiva.

degnerebbe

si

aver qual piu famoso viva

:

sdegna a rimembrar che già suo amante

abbia Orlando nomato, o Sacripante.

E

sopra ogn’altro error via piu pentita

era del ben che già a Rinaldo volse,

troppo parendole ch’a riguardar

si

essersi

basso

avvilita,

gli

Tant’arroganzia avendo

occhi volse.

Amor

sentita,

lungamente comportar non volse. Dove giacea Medor, si pose al varco, piu

e

posto lo strale all’arco.

l’aspettò,

Quando Angelica

vide

giovinetto

il

languir ferito, assai vicino a morte,

Re che

che del suo

giacea senza tetto,

più che del proprio mal

nd suo regno del Catai e si è vestita, per meno appariscente, di rozze vesti.

essere

132. nati

e

d’ alte maniere, ecc. cortesi

e

tempo

al

:

di

modi

stesso

raffi-

riservati.

Non

è però la sua riservatezza istintiva, accorta, cioè sapiente e consapevole. 133.

Tanto

è,

ecc.

:

L’A. non parlava

ma

Ma

nel

poema

la

dolea forte;

care l’aiuto e

di

geografia è tutta

sono pressoché si-’ nomini. L’orgoglio di Angelica, donna bellissima che, per questo, ritiene ogni suo

ella

ricordato

è sta

p>oi

a

Melissa, poi a Ruggiero nelle

mani

di Angelica.

Fiduciosa nella virtù di esso, la fanciulla si a ritornare in patria sola, senza cer-

accinge

lei

e lo disde-

senza

140.

schiva: dispregia trice.

143.

amante: innamorato. Allude alla travolgente

145-46.

ragione;

passione

aveva concepito per Rinaldo dopo avere bevuto alla fonte dell’ amore, nella selva Ardenna. A Id sembrava ora di

suoi occhi e

nuovo

a

non

umile fante.

137-38. Brunello, barone africano, aveva rubato ad Angelica il miracoloso anello che rendeva vano ogni magico incanto e rendeva invisibili. E>a Brunello esso era passato a di

ora

per innamorarsi di Medoro,

infatti

che

Bradamante,

orgoglio:

innamorato troppo inferiore

favolosa.

e quindi

scorta di alcuno.

la

fasto...

139.

gna,

Angelica dal c. XII. 136. gran Can del Catai: è 1 ’ imperatore del Catai, corrispondente alla Cina settentrionale.

si

Angelica

essersi

149.

arco

e

avvilita, il

Amor,

rivolgendo cosi ecc.

frecce,

:

basso

i

Cupido si apposta con 1’ immagine tradi-

secondo

zionale. 155. senza

in

suo cuore.

tetto:

senza

tomba.

Antologia della letteratura italiana

122

mezzo

insolita pietadc in

che

le fe’

E

porte,

duro cor tenero

il

quando

e più,

petto

al

senti entrar per disusate

si

rivocando

e molle,

suo caso egli narrolle.

il

memoria

alla

l’arte

India imparò già di chirurgia

ch’in

(che par che questo studio in quella parte nobile e

degno

gran laude

e di

sia;

e senza molto rivoltar di carte,

che

patre

*1

ereditario

ai figli

il

dia),

dispose operar con succo d’erbe,

si

ch’a più matura vita lo riserbe.

E

ricordossi che passando avea

veduta un’erba in una piaggia amena; fosse dittamo, o fosse panacea,

o non so qual di che stagna

tal

effetto piena,

sangue, e de

il

piaga rea

la

spasmo e perigliosa pena. La trovò non lontana, e quella colta, dove lasciato avea Medor, diè volta. Nel ritornar s’incontra in un pastore,

leva ogni

ch’a cavallo pel bosco ne veniva

cercando una giovenca, che già fuore

duo

di di

Seco

Medor

mandra

col

e senza guardia giva.

ove perdea

trasse

lo

il

vigore

sangue che del petto usciva:

e già n’avea di tanto

il

terren tinto,

ch’era ornai presso a rimanere estinto.

Del palafreno Angelica giù c scendere

157. insolita pietade:

Nasce

nel suo cuore

non aveva mai provato dinanzi alle sofferenze di tanti suoi innamorati. L’innamoramento di Angelica conclude le vicende della fanciulla nel poema (el-

quella pietà che

la

vi

soltanto

farà

un’altra

parizione). Angelica interessa

splendido e intatto za,

per

cavalieri

i

affascinati.

Suo

l’apparire e lo

continuo

brevissima la

di

ap-

fantasia del-

appare gioventù e

finché

soltanto

l’Ariosto

un di

fiore

bellez-

che invano l’inseguono

fondamentale è sparire, una sorta, cioè, di

oscillare

carattere

fra

realtà

scese,

pastor seco fece anche.

il

e

sogno.

i6i. rivocando; richiamando.

165-66. e senza... dia: c pare che

trasmetta in eredità

mente, senza che gliare

i

167-68.

libri,

a

ai

figli

con un succo d’erba lunga vita (in modo,

padre

siano costretti a sfo

essi

studiare

dispose, ecc.:

si

il

quest’arte, oral-



per

apprenderla.

decise di curarlo

da riserbarlo a piu da farlo soprav-

cioè,

vivere).

171.

il dittamo è una panacea è un’erba fadiceva guarisse ogni malattia.

dittamo... panacea:

pianta medicinale;

volosa che

si

176. diè volta:

la

ritornò.

Ludovico Ariosto

123

Pestò con sassi

ne

erba, indi

l’

ne cavò fra

e succo

le

prese,

la

man

bianche

Tanche;

e pel petto e pel ventre c fin a

fu di

e

virtù questo liquore,

tal

che stagnò sopra

tornò salire

cavallo che

il

’l

in terra

il

Cloridan col Re

dove

e poi

partire

suo Signor non fusse. sepelire;

fe’

piacque

a lei

vigore:

il

pastor condusse.

Medor

però volse indi

prima eh’

E

gli

che potè

sangue, e

il

e gli diè forza,

Non

;

piaga n’infuse, e ne distese

la

ridusse:

si

ne Tumil case

et ella per pietà

del cortese pastor seco rimase.

Né "fin

che noi tornasse in sanitade,

volea partir:

che n’ebbe,

come

Poi vistone

i

roder

in terra e

vide prima.

il

beltade,

la

cor d’ascosa lima;

core, e a poco a poco infiammato d’amoroso fuoco.

roder

senti

si

tutto

Stava stanza,

con

il

pietade

la

costumi

senti

si

stima:

cosi di lui fe’

tanto se inteneri de

la

il

pastore in

il

moglie e

rutta di

Quivi a

assai

buona

coi figli

avea quella

et

:

nuovo e poco inanzi fatta. Medoro fu per la Donzella

piaga in breve a sanità ritratta

la

ma

in

bella

e

bosco infra duo monti piatta,

nel

minor tempo

si

senti

:

maggiore

piaga di questa avere ella nel core. Assai piu larga piaga e piu profonda

da non veduto

nel cor senti

che da’ begli occhi e da di 188.

fra le

un tono medica. 202.

man

delicato

tanto

c

stima:

cosi...

tanza attribuì 203.

Medoro avventò TArcier bianche:

al

se

particolare dà

il

gentile

all’

operazione

tanto valore e impor-

giovinetto. intenerì,

ecc.

:

a

tal

punto

rimase intenerita dalla pietà che aveva concepito

A le

per

vedendolo

morente. poco a poco dalla pietà nasce l’amore, che rode lentamente e impercettibilmente il

cuore

lui

come una lima

a

terra

nascosta.

strale,

testa

la

c’

210.

bionda

ha Tale. infra...

piatta:

nascosta

nel

bosco

due colline. L’ambiente solitario e colto sembra contribuire allo sbocciare fra

racse-

reno di quell’amore. 213. per la Donzella: dalla fanciulla. 215. ma in minor tempo: prima ancora che Medoro fosse guarito. 218. da non veduto strale: te,

lo strale,

fuor

di

bionda

la

freccia

metafora, di

Medoro.

i

è,

naturalmenCupido;

scagliata da

begli

occhi

e

la

testa

Antologia della letteratura italiana

124

'4'ry ^ p V

Di

non cura;

se

Una

ma

lenta

lei

’l

fuoco abbonda,

il

proprio male.

ad altro intenta,

è

fere e tormenta.

Orlando

di

follia

non

e

ch’a risanar chi

^ La

sempre

sente, e

e più cura Taltrui che

implacabile progressione psicologica segna

amore

dal suo nobile e patetico

alla

follia

trapasso d’Orlando

il

sogno incubo che

il

;

lo

uscire

fa

di

dimentico deH’onore cavalleresco, il lungo, ansioso errare per sterminati cammini, simile al vagare senza fine e senza tempo della sua anima, l’evanescente castello d’Atlante, simbolo del suo chiuso dibattersi nel labirinto della passione, « tradimento » d’Angelica, la disperazione e la e, finalmente, la rivelazione del follia. Ma sempre l’Ariosto racconta, con un’ampia e mobilissima trama fantastica e fiabesca, la storia ddl’uomo e del suo cuore. Si legga questo episodio, e si vedrà quanto reali e veraci siano le reazioni psicologiche d’Orlando. La prima rivelazione, il pietoso tentativo di ingannare se stesso, quindi la disperazione, la furia devastatrice, la follia: ogni momento è graduato con arte sapiente e, al tempo stesso, con una profonda conoscenza del cuore umano, anche se la vicenda è proiettata all’esterno, in vaghi colori di favola. Rappresentando Orlando, ad esempio, che devasta, come un cataclisma naturale, il luogo sacro all’amore di Angelica e Medoro e sradica alberi, l’Ariosto non fa che trascrivere, nei termini d’azione fantasiosa propria del poema, lo sconvolgi mento totale, il crollo, la furia di devastazione e autodistruzione di un’anima. Ma se anche, talvolta, il poeta sembra insistere sulla nota lirica, patetica c introspettiva, in realtà l’episodio si muove tutto su un ritmo narrativo. Orlando pazzo diventa una selvaggia forza di natura, pretesto a nuovi c complessi nodi Parigi,

d’avventura, di movimento, d’azione.

Nei successivi episodi della fiabesco stupore di gesta

in

gamento che

lo

follia, la

smisurate.

ma

personaggio,

pietà,

che

Sempre

questo s’avverte,

in

prevale,

nel

trasforma

si

poema, non

il

ripie-

suo agire e il suo incontro con gli altri, riassorbono nel ritmo complesso e cangiante della vita, vero protagonista del

lirico

il

del Furioso.

Lo

strano corso che tenne

cavallo

il

del Saracin pel bosco senza via,

fece

né 222-24. di

c

cura, ccc.:

pili

Medoro, non

che,

senza

né potè averne

risana

ferisce

la

e

ferita

Mtdoro

risana

propria,

la

saperlo,

La descrizione,

Ch’Orlando andò duo giorni

lo trovò,

tormenta

tutta convenzionale,

lei.

dell’in-

namoramento di Angelica, segue da vicino e modi cari alla lirica d’imitazione

in

fallo,

spia.

intrecciati

della

su

capanna

tutti

alberi,

gli

fé sarà, qiiesta,

sulle

una

pareti

rivelazio-

ne fatale per il povero Orlando^. Poi essi partono per il favoloso regno del Catai, di cui

Medoro diventerà

signore.

immagini

petrarchesca.

tave dei la

a

la

vita

gioiosa

due giovani innamorati, felicità

ot-

Canto

serena

124-125;

L’A. continua per alcune

descrivere

che

li

spinge con

le

e

ottave

100-105:

tio-122;

loro nozze,

una

ingenuità fanciullesca a scrivere

XXIII: 128-136.

i

sorta

loro

di

nomi

I.

Lo

strano corso, ecc.

:

Orlando

si

è bat-

tuto con Mandricardo, figlio di Agricane. vr

Ludovico Ariosto

125

Giunse ad un rivo che parca cristallo. ne le cui sponde un bel pratcl fioria,

dr nativo color vago c

al SI

di

e dipinto,

molti e belli arbori distinto.

Il merigge facea grato l’orezzo duro armento et al pastore ignudo; che né Orlando sentia alcun ribrezzo,

la corazza avea, Telmo c lo scudo. Quivi egli entrò, per riposarvi, in mezzo; e v’ebbe travaglioso albergo e crudo,

che

c piu,

che dir

empio soggiorno,

possa,

si

quelTinfelicc e sfortunato giorno.

Volgendosi

vide

intorno,

ivi

scritti

molti arbuscelli in su l’ombrosa riva.

Tosto che fermi v’ebbe

man

fu certo esser di

gli

de

occhi e

fìtti,

sua Diva.

la

Questo era un di quei lochi già ove sovente con Medor veniva

descritti,

da casa del pastor indi vicina bella

la

donna

del Catai Regina.

Angelica e Medor con cen to nodi l

..

egati insieme, e in cento lochi vede.

Quante

lettere son, tanti

//

nuto in Occidente per vendicare

padre,

il

ucciso dal Paladino, c conquistare la spada

Durindana. Ma durante il duello, il cavallo saracmo, spaventato, è fuggito trasci-

del

nando

il

suo signore nel folto deirintricata

ormai remoto, che ora serve soltanto a isolare Orlando nella solitudine di un’atmosfera

boscaglia. Questo l’antefatto, dell’episodio,

serena e idillica fiori,

il

(il

ruscello limpidissimo,

i

prato), dove, per contrasto, piu vio-

lente esploderanno la sua angoscia

amorosa

son chiodi 15-16.

Con

due

questi

pronunciati

versi,

con tono intensamente patetico e melanconico (l’accento batte con particolare vigore sulla parola empio = disumano), l’A. preannuncia la sciagura dell’ eroe. È questo uno degli episodi nei quali il poeta, pur mantenendo il tono pacato del narratore e la sua saggezza serena, commenta a tratti la vicenda d’Orlando con tono accorato e compartecipe.

Dapprima che fermi, ecc. un semplice sguardo che si posa

19-28. Tosto

:

e la sua follia.

(v.

7-8. di nativo... distinto; grazioso perché dipinto con i semplici, freschi colori della natura e vàriamente ornato di molti e

svagato d’intorno: poi, riconosce la scrittura e su di essa repentinamente lo sguardo si ferma e si figge con ansi.n: sono pa-

begli alberi.

role della

l’ombra e la frescura leggera del venticello, ignudo; quasi svestito

di,

piana

per

che

« rallenta

rità

empia

tale

affermazione della

9-10.

il

orezzo:

caldo.

11-12. si che né Orlando, ecc.: tanto che neppure Orlando avvertiva alcuna sensazio-

ne spiacevole di freddo; avere indosso l’armatura più gradito il fresco. 14.

travaglioso...

dele dimora.

il

gli

crudo:

fatto,

anzi,

di

rendeva ancor

19),

per

sua dea {Diva), Angelica! Quinversi, la voce « afona e

quattro

della

c

cru-

come

dice

nomi

25-26)

e

1’

ghi,

dovunque.

Binni,

angosciosa,

temuta

immediato

strazio

cento nodi, ecc.:

intrecciati

il

trepido formarsi della veinfine, la trionfante e bru-

(27-28)-

25-26. con

dolorosa

il

»; e,

(vv.

verità

storico »,

...due vede 1

cento volte, in cento luo-

.

t/t--'

c+nt>fe.S

Antologia della letteratura italiana

126

Amore

coi quali

Va

col

non creder quel c h’altra

cor

punge

gli

e fìede.

modi

Poi dice

ho

di tal’io n’

tali

suo

il

nome io

sforza,

si

in quell a

scorza.

pur queste note

:

tante vedute e lette.

Medoro

Fi nger questo

me

fo rse ch’a

c reder

sia,

Conosco

:

30

ch’ai suo dispetto crede:

Angelica

ch’abbi a scritto

Con

il

pensier cercando in mille

ss

pu ote :

ella si

me tte

questo cognome

opinion dal ver remote

usando fraude a sé medesmo, stette ne la speranza il mal contento Orlando, che si seppe a sé stesso ir procacciando. Ma sempre piu raccende e piu rinuova, quanto spenger piu ^erca, il rio sospetto

40

:

come

l’incauto .Hngef, che (

si

ritrova

ragna o infvisco^ver dato di petto, quanto piu batt^Tale e piu si prova in

di disbrigar, piu vi

si

lega stretto.

Orlando viene ove s’incurva

Medoro aveva

Sulla soglia, la

erano

stati

sua

28.

fiede;

2^.

Va

cuore scia, ti

della

a

di

ancora,

inoppugnabile.

e

lungo di ingannare se a

il

il

suo

Prigio-

con espedien-

e

della

Eppure, in tal una speranza che

verità.

procacciato

è

per

quanto

precipitare

effimera,

nell’abisso

stretto: come 1’ incauto che è incappato nella rete (ragna)

o nel vischio, quanto piu

L’A.

berarsene

di

un’altra caratteri,

35-36. Altre

Medoro anzi,

piu

e

è

forse

Angelica. pietose

un personaggio immaginac un soprannome (cogno-

me) che Angelica ha messo sgg.

ingannando

usando se

sofisticherie:

fraude

stesso,

a lui. a



Orlando!

medesmo:

ben consapevole, nel

tanto

piu

vi

si

resta

dibatte per

li-

impigliato.

Il

paragone è perfettamente calzante: quello di Orlando è anch’esso un dibattersi sterile e vano; egli è strettamente legato, ormai, al suo destino di dolore, e invano la sua mente

calligrafia.

trattiene

dispera-

43-46. come...

uccello

sfug-

stesso,

lo

della

zione.

di

tratti

38

dal

si

quella certezza insopportabile.

33. note:

no,

intimo,

trovare

questo motivo con grande finezza d) gradazioni psicologiche. 31. Dapprima si sforza di credere che

forse

corrisposto.

modo

sviluppa

si

luoghi che l'avevano ospitato ed

Cerca an-

sua passione e della sua ango-

Orlando cerca

pietosi

gire

pensiero

col

chiara

sa

niero

amore

infirmare quella verità che

di

i

suo

pensier cercando:

un'epigrafe nella quale espri-

scolpito

e ringraziava

testimoni del suo

gosciosamente

modo

felicità

ferisce.

col

monte

il

guisa d’arco in su la chiara fonte.

a

meva

48

si

affanna in

un’ultima,

dispe-

assurda difesa. 47-48. Orlando... fonte:

rata

dove

e

il

Orlando giunge monte s’incurva formando un arco

sopra la fonte chiara: dove c’c, quindi, una grotta, quella dove Angelica e Medoro hanno vissuto ore felici.

Ludovico Ariosto

127

E ra

scrit t o

Arabico

in

come

inten dea cosi ben,

che

,

Conte

’l



lati no.

Fra molte lingue e molte ch’avea pronte, Paladino;

prontissima avea quella

il

e gli schivò più volte e

danni

che

trovò tra

si

et onte,

popol Saracino.

il



Ma

non si vanti, se già n’ebbe frutto; ch’un danno or n’ ha, che può scontargli il Tre volte e quattro e sei lesse lo scritto quello infelice, e pur cercando in vano che non vi fosse quel che v’era scritto; e sempre lo vedea più chiaro e piano

tutto.

®

:

mezzo

ogni volta in

et

stringersi

Rim ase

al

nel

fìssi

Fu

petto afflitto

il

cor sentia con fredda

il

fin

gli

aJ

sa sso

sasso,

m ente

la

\

indifferen te.

per uscir del sentimento:

afiora

tutto in preda del dolor

SI

mano.

occhi e con

con

lassa.

si

Credete a chi n’ ha fatto esperimento, che questo è

Caduto

’l

duol che

era sopra

gli

il

tutti gli

petto

passa.

altri

u

mento,

il

fronte priva di baldanza, e bassa;

la

né potè aver (che

’l

querele voce, o

alle

duol l’occupò tanto)

umore

al

pianto.

^

^

L’impetuosa doglia entro rimase, che^ volea tutta uscir con troppa fretta.

50.

come

latino:

51. ch’avca

come

pronte:

55-56. Ma...

tutto:

la propria lingua. che conosceva bene,

Non

si

vanti

se

al-

tre volte ha tratto giovamento da codesta conoscenza, perché ora ne ha un danno che può fargli ripagare tutto.

57-64.

nezza

È un’ottava con

.

cui

splendida,

sottolinea

la

per

la

fi-

drammatica

È, come è stato detto, il primo lampo, ancora umano, della pazzia. Orlando legge, rilegge lo scritprogressione

to,

spinto

psicologica.

dal

desiderio

assurdo,

dal

bi-

sogno di trovare che non è vero, che lo ha interpretato male. Poi, la rivelazione trionfante e implacabile (e sempre lo vedea più chiaro e piano) c il conseguente,

immediato agghiacciarsi del cuore.

Infine,

quell’abbandono inerte c smemorato, quel crollo totale dclTanima. È li con gli occhi

e

mente

la

(indifferente

quel sasso,

in

fissi



pietrificato

non differente

cioè



dal

sasso).

65. per

uscir

totalmente di

del

sentimento:

per

uscire

sé.

abbandona. Credete a me. che l’ho provato: non c’è dolore piu grande. L’ intervento dell’ A. riconduce nella vicenda tesa e dolente il suo tono caratteDietro la di moralità quotidiana. ristico 66.

si

las.sa:

si

lascia,

67-68. Credete...

favola

spunta

la

si

passa:

nostra

vita,

dominata non dalla ragione, stre

follie,

vitabili

il

spesso

dalle

umane anch’esse, giudicto uman come

peraltro

{ecco

cosi

ma

no-

e ine

spesso

errai).

71-72. né potè... pianto: né potè aver voce per lamentarsi, né lacrime per piangere, a tal punto rimase oppresso dal suo dolore.

Antologia della letteratura italiana

128

75

Cosi veggiàn restar Tacqua nel vase,

che largo

ventre e

il

che nel voltar che

l’umor che vorria

bocca abbia stretta;

la

su la base,

fa in

si

uscir, tanto s’affretta,

e ne l’angusta via tanto s’intrica, •0

ch’a goccia a goccia fuore esce a fatica.

Poi ritorna in

possa esser che non sia

cosa vera:

la

che voglia alcun cosi infamare

de

DonnsTecrede

sua

la

o g ravar ta nto di

molto

che

gelosia,

e spera,

ne pera;

se

sia chi si voglia stato,

man

la

nome

il

brama

e

d'insopportabil so me

lui

abbia quel,

et

come

alquanto, c pensa

se

bene imitato.

di lei

In COSI poca, in cosi deboi speme

indi

suo Brigliadoro

al

dando

Non dei

già

che da

va,

vede

uscir

languido smonta, e a

un

Altri gli

90. troppa con

disarma,

il

leva,

altri

gli

altri

fatica. Il dolore impetuoso, che valeva uscire fretta, rimase compresso nel-

Allo stesso

modo,

se

vaso {vasé) che abbia largo ta

bocca,

la

vediamo

il

capovolgiamo un il

ventre e stret-

liquido

uscire

a

come

81-82.

possa... vera;

speranza;

riprende

91.

me

un’ultima, dela vicenda, o

dorso

monta

e

assiste al

con

inteso

Per tutta faticoso formarsi, parti-

particolare,

della

zogna che Orlando vuol

pree

lascia

gli

spazi

luna

del

il

sole tra-

cielo

alla

erano,

so-

rella,

cioè

do

mitologia, Febo, dio del sole, e Dia-

la

alla

(fratelli

secon-

93-9^. da le vie supreme dei tetti... vapor del fuoco; dai camini... il fumo. 95. sente cani

remoto,

si

ma

abbandonato

cavallo,

anche fisicamente. 92. dando... loco: méntre già

ma, spera che qualcuno abbia quello scritto infamare Angelica. per

del

accasciato

ticolari

:

colare

dosso preme: non cavalca,

il il

meglio, l’intimo, faticoso labirinto d’illusioni. crede, bra83-8^. che voglia alcun, ecc.

l’ottava

100

na, dea della luna).

goccia a goccia e con fatica.

bolissima

sproni d’oro

a forbir va l’armatura.

l’animo, senza poter trovare sfogo aircstcrno.

Brigliadoro

lascia

discreto garzon che n’abbia cura.

73-80. L’ impetuosa...

violentissimo,

96

alloggiamento:

e piglia

villa,

supreme

le vie

vapor del fuoco,

il

muggiare armento:

sente cani abbaiar,

viene alla

dosso preme,

il

Sole alla sorella loco.

il

molto

tetti

90

un poco;

sveglia gli spirti, e gli rinfranca

far

nuova credere

mena

se

gli spirti: gli spiriti vitali,

l’animo suo.

abbaiar, e

ecc.

usuali

:

Questi

hanno un

abbandonato; c macchinalmente dai

languido

soggetti percepiti

ma

par-

tono

sono sensi,

l’anima è assente e lontana. languido smonta: un ultimo gesto senza vita, espressione deH’avvilimento in 97.

timo

stesso.

realistici

il

e totale.

100. a

forbir;

a

lustrare.

Ludovico Ariosto

129

Era qucsU.Ja^ar che quello al luogo suo ne gisse;

Turpin da indi in qua confesse lungo tempo saggio visse;

e che

eh’ Astolfo

ma

ch’uno error che fece

ch’un’altra volta gli levò

poi, fu quello il

cervello.

Ruggiero, Bradamantc, Marfisa di Ruggiero e Bradamantc, caposdpiti della casa Estense, poteva una insipida stòria cortigiana, ed è invece fra le più vive del poema. Soprattutto questo episodio che ne è uno dei più importanti, mostra, per il fatto

La

storia

riuscire

di essere trattato in

gran parte in chiave comica,

vena di narratore scanzonato

la

e giocondo deH’Ariosto.

giunta dall’Oriente, dopo mirabili avventure, Marfìsa, guerriera valorosa e una viva stima

È

bizzarra, impulsiva e irruente, e subito ha concepito per Ruggiero

ii3'20. Altri in

amar

lo

perde, ecc.

:

Ri-

tornano, in un canto spiegato, che sembra volersi prolungare indefinitamente, tutte le vaniti e follie

umane

già

passate in rasse-

gna. L'atteggiamento del poeta è tra il sorridente e il melanconico, proprio di chi sa dominare, dall'alto della rocca della ragione, lo spettacolo della nostra pazzia e pure ne è, al tempo stesso, partecipe. 115. ne le speranze, ecc.: nelle speranze riposte nei signori, è insieme un' accusa e

un mea 116.

culpa.

alle

magiche sciocchezze:

che pratiche di nugia,

assai

in

alle scioc-

uso in quel-

r epoca. 118. et altri, ecc.: e altri in altro che apprezza più d'ogni altra cosa. La ripetizione insistita del pronome, vuol dar 1' idea di un’enumerazione che potrebbe durare chissà

quanto.

Di

119-20.

to,

i

Tra

solisti, ecc.:

hlosolì, gli astrologi.

ma

i

più pazzi,

i

anche, e soprattut

poeti.

121. tolse: prese.

122. lo scrittor, ecc.

tore

deW Apocalisse,

:

S.

Giovanni è

oscura

profezia

l'ausulla

Hne del mondo. 123-24. Basta accostare l'ampolla al naso e

aspirare

con forza,

c

riecco

il

cervello

a

Orlando. Ma non ti sfugga quell'arguto par, che insinua sorridendo un dubbio suH’effettiva riuscita del1' operazione. 124. ne gisse: se ne andasse. posto.

Lo

stesso

125. confesse:

farà

confessi,

ammetta. Astolfo

prende poi l'ampolla col cervello d’Orlandc e, terminato il suo giro sulla luna, ritorna in terra.

Antologia della letteratura italiana

154

una forte simpatia, del tutto ricambiate. La gente, anzi, parla d’amore, c la voce giunge alle orecchie di Brada mante. Un’eroina come lei può piangere, gettata bocconi sul letto, ma poi cerca la battaglia. Bradamantc va al campo pagano, sfida i migliori a duello, ne abbatte piu d’uno con la sua lancia magica. Presto divampa una mischia generale. Ruggiero la raggiunge, si offre di darle ampie spiegazioni e i due s’appartano. Ma sopraggiunge Marfisa, già disarcionata da Bradamantc e offre, senza volerlo, nuova

c

esca ai sospetti e alla gelosia di questa.

Ne

situazione da opera buffa, una vera e

propria

nasce una rissa amena, fra

parodia

mondo

del

i

tre,

una

cavalleresco.

miracolo: una voce, quella d’Atlante, esce da un sepolcro fratelli. La bella famiglinola potrebbe vivere felice e contenta, ma sorgono nuove difficoltà. Ruggiero è stato armato cavaliere da Agramante, ha verso di lui debiti di riconoscenza, non può abbandonarlo ora, nel momento del pericolo, per farsi cristiano e sposare Bradamante. Bisognerà attendere la fine della guerra. Incomincia cosi una nuova serie di ricerche, avventure e peripezie per la coppia travagliata (solo Marfisa segue Bradamante nel campo Poi, sul più bello,

il

c rivela che Ruggiero e Marfisa sono

c

cristiano),

si

concluderanno solo

poema con

del

fine

alla

sospirate

le

nozze.

In poco spazio ne gittò per terra trecento e più con quella lancia d’oro. Ella sola quel di vinse la guerra,

messe ella sola in fuga il popul Moro. Ruggier di qua di là s’aggira et erra



tanto, che se le accosta e dice:

non

s’io

ti'

parlo: ohimè! che t’ho fatto

che mi debbi

Come

ai

e

nievi il

si

meridional tiepidi venti, caldo,

fiato

il

disciolveno e

i

torrenti,

ghiaccio che pur dianzi era

si

COSI a quei prieghi, a quei brevi il

io,



Odi, per Dio!

fuggire.?^

che spirano dal mare le

*

moro,

Io

saldo;

lamenti

cor de la sorella di Rinaldo

subito ritornò pietoso e molle,

che

Canto

XXXVI;

l’ira,

marmo

più che

ottave 39-58.

indurar volle.

4.

messe: mise.

6-8. Io 1.

che

In poco spazio: in breve tempo. Dopo Bradamante ha disarcionato numerosi

cavalieri,

fra

e

Marfisa,

loro

è

sorta

una

mischia sanguinosa fra cristiani e saraceni Bradamante fa per scagliarsi contro Ruggiero,

ma

sua ira

la

2.

lancia

le

manca

:

Il

breve

e patetico di

il

torrenti gelati, ecc. 16.

che...

volle:

il

relativo

va riferito

cuore: quel cuore che l’ira aveva reso dur

su altri. d’ oro;

ccc.

cozzare dell armi un languido tono di baruffa d’ inna morati, per Dio: in nome di Dio. II. si disciolveno: si sciolgono insieme cc

cuore, c allora sfoga

il

moro,

scorso di Ruggiero porta fra

è

la

lancia

d’ oro fata-

più del

marmo. L’ampia

che appartenne già ad Argalia, fratello d’Angclica, e che abbatte magicamente qua-

mata da un

lunque cavaliere tocchi.

commedia dell’amore.

ta,

le

l’A.

similitudine è sfu

lieve, divertito sorriso, col

osserva,

ironico

e

qua

indulgente,

1

Ludovico Ariosto

*55

Non

vuol dargli, o non puotc, altra da traverso sprona Rabicano, quanto può dagli altri si discosta,

risposta;

ma e

Ruggiero accenna con la mano. Fuor de la moltitudine in reposta valle si trasse, ov’era un piccol piano ch’in mezzo avea un boschetto di cipressi che parean d’una stampa tutti impressi. et a

marmi

In quel boschetto era di bianchi fatta di

nuovo

Chi dentro

un’alta sepoltura.

giaccia, era

con brevi carmi

notato a chi saperlo avesse cura.

Ma

quivi giunta Bradamante, parmi

che già non pose mente Ruggiéi- dietro

scrittura.

alla

cavallo affretta e

il

punge

tanto, ch’ai bosco e alla donzella giunge.

Ma

ritorniamo a Marfìsa che s’era

in questo

mezzo

in sul destrier rimessa,

e venia per trovar quella guerriera

che l’avea

al

primo scontro

e la vide partir fuor c

partir

de

in terra messa:

la schiera,

Ruggier vide e seguir

essa;

pensò che per amor seguisse, ma per finir con l’arme ingiuria e risse. Urta il cavallo, e vien dietro alla pésta



si

tanto, ch’a un tempo con lor quasi arriva. Quanto sua giunta ad ambi sia molesta, chi vive amando, il sa, senza ch’io ’l scriva. Ma Bradamante offesa piu ne resta, che colei vede, onde il suo mal deriva. Chi le può tor che non creda esser vero

che l’amor ve

la

sproni di Ruggiero?

o non puotc: Non vuole, dice il poepoi aggiunge maliziosamente; non può; Bradamante, intenerita dal carezzevoXJ-.

ta,

le

ma

accento di Ruggiero, è U H per piangere. 24. che parean... impressi: tutti uguali. I

due giovani

ma

linosa: aveva ben altro da fare, in quel

mento, tombali

mo-

fanciulla, che leggere le epigrafi

la 1

34. in questo 43. molesta:

mezzo: nel frattempo. po era Marfisa, animata

la

è

un

da purissimo furore guerriero, è ridotta

paesaggio magico. La tomba (cfr. ottava guente) è quella del mago Atlante.

se-

rar>go di

27. ta

vi

fanno appena caso,

con brevi carmi: con una breve

scrit-

in versi. 29.

parmi: mi pare. Altra sfumatura ma-

46.

incomodo ». onde... deriva: Il male m

al

terzo

di

Bradaman-

ed è gelosa proprio di Marfisa. Il suo arrivo colà sembra fatto appost.n per confermare i suoi sospetti. te è la gelosia,

Antologie^- della letteratura italiana

156

E

perfido Ruggicr di

— Non

ti

nuovo chiama.

bastava, perfido (disse ella),

che tua perfidia sapessi per fama,

non mi facevi anco veder quella.? Di cacciarmi da te veggo c’hai brama: se

c per sbramar tua voglia iniqua e

fella,

ma

sforzerommi ancora che muora meco chi è cagion ch’io mora. Sdegnosa piu che vipera, si spicca, 10 vo’ morir;



cosi dicendo, e va contra Marfisa;

scudo

et allo

che

l’asta si le appicca,

la fa a dietro riversare in guisa,

che quasi mezzo l’elmo in terra ficca; né si può dir che sia colta improvisa :

anzi fa incontra ciò che far

si

puote;

c pure in terra del capo percuote.

La

figliuola

d’Amon, che vuol morire

o dar morte a Marfisa, è in tanta rabbia, che non ha mente di nuovo a ferire con l’asta, onde a gittar di nuovo l’abbia;

ma

le pensa dal busto dipartire capo mezzo fitto ne la sabbia: getta da sé la lancia d’or, e prende 11

la

spada, e del destrier subito scende.

Ma

tarda è la sua giunta; che

si

trova

Marfisa incontra, c di tanta ira piena (poi che s’ha vista alla seconda prova

cader

si

facilmente su l’arena),

che pregar nulla, e nulla gridar giova a Ruggier che di questo avea gran pena: si

l’odio e l’ira le guerriere abbaglia,

che fan da disperate

la battaglia.

perfido: traditore. 52. quella:

è Marfìsa,

ma

il

pronome

è

pronunciato con iroso disprezzo. 54. fdla: sleale e crudele. 55. io vo* morir, ccc.: Vuole morire (una delle tante esagerazioni degli innamorati) ma vuole che con lei muoia Marfìsa, cagione della sua morte. 57. |nd che vipera: l'appellativo è anch'esso in chiave comica e ci riporta a una sfera tutta quotidiana di rissa fra donne.

Altrettanto comico, subito dopo, il capitombolo di Marfìsa, con l'elmo, e la testa dentro, conficcati per metà in terra. 63. anzi... puote: si difende con. tutte le forze. 73.

tarda...

giunta: arriva tardi. Bastava

molto meno per far saltar la mosca al naso all’ impulsiva e impetuosa Marfisa! è balzata su come un gatto arrabbiato. 79. abbaglia: offuscano loro la mente. 80. Si battono, cioè, all' ultimo sangue

Ludovico Ariosto

157

A

mezza spada vengono

e per

gran superbia che

la

van pur inanzi, e

Le

si

son già

spade,

sotto,

si

non puon che venire

ch’altro

botto;

di

l’ha accese,

alle prese. 85

cui bisogno era interrotto,

il

nuove offese. Priega Ruggiero e supplica amendue, ma poco frutto han le parole sue. Quando pur vede che ’l pregar non

lascian cadere, e cercan

di partirle per forza

mano ad amendua

leva di

d’un cipresso

et al piè

vale, 90

dispone:

si

li

il

pugnale,

ripone.

Poi che ferro non han piu da far male,

con

priéfghi e

ma

tutto è invan: che la battaglia fanno

a

con minaccie s’interpone: 95

pugni e a calci, poi ch’altro non hanno. Ruggier non cessa: or Funa or l’altra prende

per

man, per

le

le braccia, e la ritira;

e tanto fa, che di Màrfìsa accende

contra di

sé,

quanto

Quella, che tutto

si

può

mondò

il

piu, l’ira.

vilipende,

amicizia di Ruggier non mira.

alla

Poi che da Bradamante

si

distacca,

corre alla spada, e con Ruggier s’attacca.

— Tu

fai

da discortese e da

105

villano,

Ruggiero, a disturbar la pugna altrui;

ma

mano

farò pentir con questa

ti

che vo’ che basti a vincervi ambedui.

Cerca Ruggier con parlar molto Marfìsa mitigar; trova in

la

ma

modo



umano no

contra lui

disdegnosa e

fiera,

ch’un perder tempo ogni parlar seco

era.

All’ultimo Ruggier la spada trasse, poi che

81.

A mezza

l’ira

anco

lui fe’

spada; combattono n distan-

za ravvicinatissima, cercando di ferirsi,

non

mica

a corpo vede poi, di pupovero Ruggiero che

venire alle prese: combattere

a corpo a colpi,

come

gnale. Comicissimo

il

si

cerca invano di far da paciere. 90. per forza: 96. a

pugni e

giunge

guerriere se

culmine:

al le

danno

una amena baruffa

di difendersi.

84.

rubicondo.

con a

la

calci:

ira

e

le

santa

co-

cavallerescKc

ragione.

È

fra future cognate.

Marfisa è facile alsuperba della sua forza

vilipende:

altezzosa,

guerriera.

Non 108. che vo* che basti, ecc. uno, vuol vincerli tutti e due. 114. rubicondo: rosso in viso. :

violenza.

La situazione

xoi. che...

r

di

le basta

158

Antologia della letteratura italiana

Non

credo che spettacolo mirasse

Atene o

Roma

che COSI

a’

come

o luogo

giocondo

dilettò questo e fu

quando

gelosa Bradamante,

alla

questo

mondo,

altro del

riguardanti dilettasse,

pose ogni sospetto in bando.

le

La sua spada avea

tolta

di

ella

terra,

e tratta s’era a riguardar da parte;

e le parea veder che fosse

Ruggiero

Una

furia infernal

alla

’l

dio di guerra

possanza e

quando

all’arte.

sferra

si

sembra Marfìsa, se quel sembra Marte. Vero è ch’un pezzo il giovene gagliardo di non far il potere ebbe riguardo. Sapea ben la virtù de la sua spada; che tante esperienze n’ha già

Ove

fatto.

giunge, convien che se ne vada

l’incanto, o nulla giovi, e stia di piatto: SI

che ritien che

’l

di taglio o punta,

Ebbe

ma

colpo suo non cada

ma

sempre

di piatto.

questo Ruggier lunga avvertenza:

a

perde pure a un tratto

pazienza;

la

perché Marfisa una percossa orrenda

mena

gli

Leva

lo

per dividergli

scudo che

Ruggiero, e

’l

’l

la testa.

capo difenda

colpo in su l’aquila pesta.

Vieta lo ’ncanto che lo spezzi o fenda;

ma

di stordir

potea

gli

non però

il

braccio resta:

altr’arme che quelle d’ Ettorre,

s’avea

e

fiero

il

colpo

il

braccio tórre:

e saria sceso indi alla testa,

disegnò di

ferir l’aspra

Non credo che 115-18. Non credo, ccc. alcuno spettacolo, neppure in splendide città come Atene e Roma, ecc.,iosse cosi bello e dilettevole per gli spettatori, come questo :

per Bradamante, gelosa.

lo fu

quando,

ecc.

Può quindi mettersi la

;

in

un angolo

e godersi

scena. 128.

non

di

non

far,

ecc.

:

ebbe riguardo di

fare quello che avrebbe

cioè,

di difendersi

e di

non

male

a

La sua spada

è

far del

Marfisa. 131-32. tale, che,

Ove giunge,

ecc.:

dov’essa giunge, a nulla valgono

incantesimi o se ne stanno nascosti,

poiché le tolse ogni sospetto nei confronti di Ruggiero. Se si batte con Marfisa, è segno che non l’ama. 119.

dove

donzella.

potuto; cercò,

cienti.

Non

valgono contro

il

suo

ineffi-

terribile

armi fatate. sì che ritien, ecc.: trattiene il colpo, in modo da non colpire di taglio o di punta, ma di piatto, si da non ferire Marfisa. 140. pesta: si abbatte sull’aquila che portaglio

133.

tava quale

emblema

nello scudo.

.

Ludovico Ariosto

^59

Ruggiero il braccio manco a pena muove, pena più sostien l’aquila bella. Per questo ogni pietà da sé rimuove; par che negli occhi avampi una facella: e quanto può cacciar, caccia una punta Marfìsa, mal per te, se n’eri giunta! Io non vi so ben dir come si fosse: la spada andò a ferire in un cipresso, a

e in

un palmo

e più

**

ne l’arbore cacciosse:

modo era piantato il luogo momento il monte e il

In quel

un gran tremuoto; e

si

senti

spesso.

piano scosse con esso

da quell’avel ch’in mezzo il bosco siede, gran voce uscir, ch’ogni mortale eccede. Parla lo spirito d* Atlante, morto di dolore per non essere riuscito ad allontanare da Ruggiero quel destino che lo porterà in breve a

morire per tradimento dei Maganzesi, e rivela che questi e Marfisa fratelli, da lui allevati; se non che Marfisa venne un giorno ra-

sono

da predoni Arabi.

pita

di recarsi a Parigi con

Lo

I due fratelli Bradamante

si

abbracciano.

Marfisa decide

scontro di Lipadusa

luna, Astolfo mette a posto ogni cosa. Va dairimpcratore che gli fornisce un grande esercito per combattere i musulmani. Mancano, veramente, i cavalli, ma è un giochetto procurarseli per un protetto ili S. Giovanni. Getta dei sassi a terra, innalza una preghiera, c i sassi diventano cavalli. Con mezzi consimili (fronde gettate nel mare) si procura una flotta, poi devasta il regno d’Agramante, ritrova Orlando, lo risana facendogli annusare rampolla che contiene il suo cervello, e con lui assedia e prende Biserta. Frattanto r esercito di Agra mante è quasi distrutto in Francia, per opera soprattutto di Bradamante e Marfisa. Il re fugge con le truppe scampate, ma viene assalito e disfatto in mare dalla flotta miracolosa di Astolfo condotta da Dudone, e si salva

Ritornato dalla

d’ Etiopia,

a stento.

Però la guerra, nel Furioso, non è una faccenda strategica, bensì cavalleresca: non può concludersi con la rotta di un esercito, ma solo con una singoiar tenzone fra i capi. Manda dunque Agramante la sfida ad Orlando; insieme con Sobrino e Gradasso si batterà a Lipadusa contro tre cavalieri cristiani. Orlando accetta e sceglie come compagni il cognato Oliviero e l’amico Brandimartc.

una facella: una fiaccola, una fiamma. quanto può cacciar, ccc. c vibra, con tutta la sua forza, un colpo di punta. 150.

151. c

:

154. a ferire, ccc.: 160.

a colpire

eh’ ogni mortale eccede:

ogni voce mortale.

un

cipresso.

superiore a

Antologia della letteratura italiana

i6o

conclusione definitiva della guerra. Posto ormai alla fine XLII), segna l’inizio della smobilitazione generale di donac, cavalieri, armi, amori. Restano ancora due storie da concludere, e questo avviene negli ultimi quattro canti: Rinaldo rinsavisce, liberandosi dal suo folle

Questo scontro è

del

poema

(canti

la

XLl

e

amore per Angelica, c Ruggiero, assolto ogni suo dovere cavalleresco verso Agramante, può finalmente battezzarsi c sposare, dopo un ultimo sussulto di avvenBradamante. NelPultimo canto viene anche eliminato l’ultimo strascico della guerra, con una « finalissima » fra Ruggiero e Rodomonte. Questi, che si era rifugiato in una caverna per la vergogna di essere stato disarcionato da Bradamante e aveva fatto voto di non portare armi per un anno, riemerge all’improvviso durante le nozze di Bradamante e Ruggiero e viene ucciso da quest’ultimo dopo un fiero ture,

duello.

Lo scontro di Lipadusa non si svolge nell’atmosfera fantastica, mobile c avventurosa che domina nel poema. È una lotta aspra e mortale, sapientemente orchestrata dal poeta, rattristata dalla morte di Brandimarte, figura nobile e generosa, e dallo strazio di Fiordiligi,

squallida e mesta di quel col dolore d’

campo

sua tenera

di battaglia

Orlando per l’amico morto,

sposa.

Termina con

dove giacciono

col senso diffuso di

i

una

visione

la

morti e

i

feriti,

vittoria senza

È una pagina epica, più che romanzesca, la conclusione austera di quella guerra che è stata fin qui il pretesto c la cornice di tante fantasiose avventure.

gioia.

Pel di della battaglia ogni guerriero

nuovo

studia aver ricco e

Orlando riccamar l’alto

Un

fa

abito indosso.

nel quartiero

Babel dal fulmine percosso.

can d’argento aver vuole Oliviero,

che giaccia, e che

la

lassa abbia

dosso,

sul

con un motto che dica: Fin che vegna: e vuol d’oro la veste, e di sé degna.

Fece disegno Brandimarte, della battaglia,

per

e per suo onor, di se

non

di

giorno

il

amor del padre, non andare adorno

sopravveste oscure et adre.

Fiordiligi le fe’ con fregio intorno,

quanto piu seppe

far,

Canti XLI: ottave 30-34 c 99-102; XLII: 7-16.

Orlando fa 3-4. Orlando riccamar, ccc. ricamare nella fodera dello scudo {quartiero indicherebbe propriamente una delle quattro parti in cui poteva essere divisa la superficie di uno scudo) l’ alta torre di Babele percossa dal fulmine scagliato da Dio, volendo con questo significare che avrebbe :

abbattuto

la

6. la lassa: 7.

tracotante superbia saracena. il

Cioè: sarò pronto a gettarmi, al momento opportuno, sul nemico come il cane, libero dal guinzaglio, sulla preda. L’insistenza dell’A. su questi motti e stemmi s’addice alla solennità epica e cavalleresca propria di questo duello. IO.

la

preda.

amor

per

del padre: era

morto da po-

chi gior'ni. 12. di ste

sopravveste...

adre:

La sopravve-

nera e cupa {adra) sembra già un predi morte che lo atintimamente e misteriosa-

sentimento del destino tende

guinzaglio.

Fin che vegna-: Finche venga

e leggiadre.

belle

mente

c

si

all’

lega

ansia

di

Fiordiligi.

Ludovico Ariosto

l6i

gemme

Di ricche

il

fregio era contesto;

d’un schietto drappo, e tutto nero

Fece

donna

la

vesti a cui

di sua

man

l’arme converrian piu

de’ quai l’oshergo

groppa al Ma da quel di continuando a c dopo ancora, e la

il

cavallier

cavallo e

fine,

cuopra,

si

petto e

*1

resto.

il

sopra-

le

’l

crine.

che cominciò quest’opra, quel che

le

mai segno

die’

fine,

di riso

non potè, né d’allegrezza in viso. Sempre ha timor nel cor, sempre tormento, che Brandi marte suo non le sia tolto. far

Già

veduto in cento lochi e cento

l’ha

in gran^ battaglie e perigliose

avvolto;

né mai, come ora, simile spavento le

agghiacciò

sangue e impallidille

il

volto;

il

c questa novità d’aver timore le

fa

tremar di doppia tema

il

core.

Poi che son d’arme e d’ogni arnese in punto,

alzano

vento

al

cavallier le vele;

i

Astolfo e Sansonetto con l’assunto

riman del grande

esercito fedele:

Fiordiligi, col cor di timor punto,

empiendo

il

quanto con segue

le

cicl

di voti e di querele,

vista seguitar le puote,

vele in alto

mar remote.

i cavalieri saraceni e quelli cristiani giungono a Lipadusa accampano. All alba del giorno seguente comincia la battaglia. Oliviero e Sobrino sono disarcionati; Gradasso stordisce con un gran

Frattanto

e

si

15-16.

Di ricche gemme,

ccc.

:

Il

fregio

da Fiordiligi è composto di un drappo non ricamato (schietto) unito a un ricamo nel quale erano incastrate gemme. r8. a cui 1 ’ arme, ccc.: Brandimarte avrebbe dovuto possedere un’armatura di tempra piu salda; ma aveva perduto le sue armi combattendo con Rodomonte sul ponticello accanto al mausoleo di Issabella e aveva dovuto accontentarsi di un’armatura di minor pregio, per questo duello. 25-32. Il presentimento triste di Fiordili(atto

gi è

come un

taglia,

tutta

avventure,

cruenu.

patetico preludio a questa bat-

non variata da favolose avvolta da una luce triste e

scria,

ma

31-32. e questa novità, ccc.: Quella stessa paura che serpeggia in lei, inspiegabile, ma agghiacciante, le procura una pena c un ti-

more mai

provati.

33. in punto:

forniti

di tutto punto.

34. alzano

vento,

ccc.

al

:

i

cavalieri

si

trovano in Africa, dove stanno devastando regno di Agramantc; per lo scontro è il stata invece scelta 1 isola di Lipadusa. ’

al comando dcl35. con l* assunto, ccc. l’cscrcito fornitogli dal Senàpo, favoloso re :

d* Etiopia. 38. querele: lamenti, pianti. 40. segue le vele: il verso prolunga inde-

finitamente sulla distesa sterminata del mare l’angoscia presaga di Fiordiligi.

Antologia della letteratura italiana

IÓ2

colpo Orlando, che è portato in salvo dal cavallo; ma mentre lo in segue, s*avvede che Brandimarte sta per sopraffare Agramante.

Volta Gradasso, c piu non segue Orlando;

ma, dove vede

Agramante,

re

il

accorre.

L’incauto Brandimarte, non pensando

Orlando costui lasci da sé torre, non gli ha né gli occhi né ’l pensiero, instando il coltel nella gola al Pagan porre. Giunge Gradasso, e a tutto suo potere con la spada a due man l’elmo gli fere. eh’

Padre del del, dà fra gli eletti tuoi luogo al martir tuo fedele,

spiriti

che giunto

al

de’

fin

tempestosi suoi

ormai lega

viaggi, in porto

vele.

le

Ah

Durindana, dunque esser tu puoi al tuo signore Orlando si crudele, che la più grata compagnia e più fida

mondo, innanzi

ch’egli abbia al

Di

ferro

un

tu gli uccida?

duo

cerchio grosso era

dita

intorno all’elmo, e fu tagliato e rotto dal gravissimo colpo, e fu partita la cuffia

dell’acciar ch’era di

sotto.

Brandimarte con faccia sbigottita giù del destrier

fe’

correr di sangue Il

Conte

ed ha

il

si

riversò di botto;

si

e fuor del capo

con larga vena

un fiume

risente,

in su l’arena.

e gli occhi gira,

suo Brandimarte in terra scorto^

e sopra in atto

il

Serican gli mira,

che ben conoscer può che glie l’ha morto.

44. costui lasci, si

ecc.

:

lasd che Gradasso

52. in porto;

tolga dalle sue mani. 45. instando: sforzandosi di. 48. fere; colpisce. Gradasso

c

porto della morte. nei confronti del tuo Proprio essa, infatti, ha

il

54. al tuo signore:

signore,

ha

Orlando.

spada Durindana, che Orlando aveva perduto du-

ucciso l’amico più fedele del paladino.

rante la sua follia.

fu divisa in due parti. con faccia sbigottita: assai di rado l’A. ha espresso cosi realisticamente la fissità dello sguardo di un morente. 65. si risente: Orlando si riscuote, riprende i sensi.

la

Padre del ciel, ecc.: La preghiera mostra la commozione dell’ A. davanti alla morte di Brandimarte, figura nobile di guerriero valoroso e di amico leale e fedele di Orlando. Egli muore, come un autentico cavaliere antico, combattendo eroicamente per la fede, ed c per questo chiamato mar49.

tire.

56. innanzi:

proprio davanti agli occhi.

59. fu partita: 61.

66. il

il

suo:

il

possessivo indica

1’

affetto e

dolore di Orlando. 67-68.

il

Serican. Gradasso, re di Sericana,

Ludovico Ariosto

163

Non so se in lui potè piu ma da piangere il tempo che restò

duolo o Tira;

il

avea

si

corto,

duolo, e Tira usci più in fretta.

il

Qual nomade

pastor, che vedut’ abbia

fuggir strisciando Torrido serpente

che

il

stringe la

tal

che giocava nella sabbia,

figliuol,

ha

ucciso gli

col

spada, d’ogni altra più tagliente,

stringe con ira il

venenoso dente,

baston con collera e con rabbia;

il

primo che

il

cavallier d’Anglante:

trovò, fu

*1

re

Agramante,

che sanguinoso, e della spada privo,

con merzo scudo, e con Telmo e ferito in più parti s’era

di

man

di

ch’io

disciolto,

non

Brandimarte

scrivo,

tolto,

come di piè alTastor sparvier mal vivo, a cui lasciò alla coda invido o stolto. Orlando giunse, e messe il colpo giusto ove il capo si termina col busto. Sciolto era Telmo, e disarmato il collo, SI che lo tagliò netto come un giunco. Cadde, e die’ nel sabbion l’ultimo crollo

del regnator di Libia

grave trunco.

il

Corse lo spirto alTacque, onde

Caron nel legno suo col Orlando sopra lui non

ma

trova

corrispondente, grosso

il

modo,

alla

Cina. mor>

ma da piangere, ecc. ma aveva poco tempo di piangere (non era quello momento) che il dolore restò nel cuora (

70-71.

:

così

r

ira si riversò terribile all’ esterno.

72.

nomade:

della

Nutnidia,

nell* Africa

settentrionale.

venenoso: velenoso. primo che trovò, ecc.; Di solito il il periodo termina con 1’ ultimo verso delr ottava, ma questa si prolunga in quella seguente con un ampio e concitato movimento ritmico che ti dà il senso del pre75.

79.

cipitare te

fino

detta.

violento di al

terribile

si

ritarda,

Serican con Balisarda.

to: ucciso.

il

tirollo

graffio adunco.

Orlando su Agramancompimento della ven-

85. a cui... coda: Difficile è l’ interpretazione di queste parole. 11 significato

più probabile dei due versi è: Come si tosi strappa mezzo morto dagli artigli di un astore uno sparviero (sono ambedue uccelli di rapina, ma il primo è più forte) che per invidia della preda o per stoltezza (non comprendendo di essere più debole) glie,

di hnciarsi anch’esso, prima del rapace più forte, sulla preda stessa. 86. e messe, ecc.: e vibrò un colpo ben

ha cercato

assestato, perfetto.

91. grave: inanimato, trunco: tronco. 92. airacque: al fiume Acheronte, all’in-

gresso dell’Inferno, e Caronte con un adunco uncino lo trasse fuori per gettarlo fra i

dannati.

Antologia della letteratura italiana

164

Come cadere

vide Gradasso d’Agramante

busto dal capo diviso:

il

quel che accaduto mai non

tremò nel

core, e

si

gli

era innante,

smarrì nel viso;

e all’arrivar del cavallier d’Anglante,

presago del suo mal, parve conquiso. Per schermo suo partito alcun non prese,

quando

il

colpo mortai sopra

Orlando

Tultima costa; c

sotto

nel ventre,

gli scese.

nel destro fianco

lo feri

un palmo

ferro,

il

immerso manco,

usci dal lato

sangue sin all’elsa tutto asperso. Mostrò ben che di man fu del più franco di

e del miglior guerricr dell ’uni verso il

colpo ch’un Signor condusse a morte,

di cui

Di

non era

presto di sella

Pagania

in

Paladin

il

più forte.

il

non troppo

tal vittoria

gioioso,

getta;

si

e col viso turbato e lacrimoso a

Brandimartc suo corre a gran

Gli vede intorno

il

che par ch’aperto abbia un’accetta,

l’elmo,

se fosse stato fral

non

più che di scorza,

con minor forza. Orlando l’elmo gli levò dal viso, ritrovò che ’l capo sino al naso

difeso

c

fretta.

campo sanguinoso:

l’avria

fra l’uno e l’altro ciglio era diviso:

ma

pur

anco rimaso,

gli è tanto spirto

che de’ suoi

falli

al

Re

del

può domandar perdono anzi c confortare

il

Conte, che

101. conquiso: paralizzato dal terrore, senza piu volontà di lotta. 102. Per schermo: non prese alcuna de-

cisione

per

la

propria

difesa.

Lo

sbigotti-

suo restare immoto cingono la sua fine di un’aura di cupa fatalità. Anche il gran colpo di Orlando, la spada insanguinata fino all* elsa accrescono

mento

la

di

Gradasso,

il

cupozza della scena. 108. franco: 12^. falli:

dolore,

1’

nome domanda

invocazione, da parte del caduto,

donna amata) e religiosi (la perdono a Dio e quella finale melodia d’angeli che non attenua però la

del

della

di

del trapasso). L’atmosfera patetica perdura anche nelle ottave seguenti. ha ancora la 125. può domandar, ecc. forza di chiedere perdono a Dio prima dclla^ morte (occaso = tr^onto) e confortare Or-

tristezza triste

:

È

il

momento

conclu-

grande scena di battaglia, e ha un tono grave, composto, dolente. La morte dei due re pagani ha l’aspetto di un sivo di questa

l’occaso;

gote

crollo irreparabile e totale; quella di Brandimarte è sollevau in una luce di purissimi affetti umani (l’amicizki di Orlando e il suo

e

prode.

peccati.

le

Paradiso

lando che piange dirottamente, esortandolo alla rassegnazione (pazienza).

Ludovico Ariosto

165

sparge di pianto, a pazienzia puotc; c dirgli:

— Orlando,

me nell’orazion tue men ti raccomando

di



che

fa’

raccordi

ti

grate a Dio:

mia

la



Fiordi...,

Ma dir non potè ligi; e qui finio. E voci e suoni d’angeli concordi tosto in aria s’udir, che l’alma uscio;

qual, disciolta dal corporeo velo,

la

fra dolce

melodia

nel cielo.

sali

Orlando, ancor che di

devoto

SI

fine, e

che Brandimarte salito era,

che

’l

dovea allegrezza

far

sapea certo

alla

suprema altezza

ciel

gli

vide aperto;

pur dalla umana volontade, avvezza coi fragil

ch’un c

tal

sensi,

male era

piu che fratei

non aver

di pianto

sofferto

gli

fosse tolto,

umido

volto.

il

Sobrin, che molto sangue avea perduto,

che

gli

piovea sul fianco e sulle gote,

pezzo era caduto, le vene vote. Ancor giacca Olivier, né riavuto

riverso già gran e aver ne

il

dovea ormai

piede avea, né riaver lo puote

se gli

non ismosso, fece

il

c dallo star che tanto

dcstrier sopra,

128. raccordi; ricordi. 130. la

mia

Fiordi...:

la Il

nome amato

si

spezza come in un singhiozzo sulle labbra del morente. 13 1. finio: fini, mori. 133. tosto...

che:

non appena.

:

dominata dalla

fragilità dei sensi,

non

riusciva a sopportare senza sofferenza e pianto

infranto...

perdita di chi era stato pid che un fratello

per

lui.

130. ismosso,

dal

con

la

squallida i

pressione gioia. ligi,

ecc.:

slogato e quasi rotto

peso del cavallo. La battaglia

giacciono

136-37. ancor che: sebbene dovesse essere contento che l’amico fosse morto cosi santamente, guadagnandosi il Paradiso. pur dalla umana, ecc. Tuttavia la sua debole volontà umana, avvezza ad essere

mezzo

morti e

di

Grande

che

si

scena i

del

feriti,

sofferenza,

termina

campo,

in

cui

con questa im-

di

vittoria

senza

sarà poi lo strazio di Fiordi-

farà costruire

una

cella presso

il

sepolcro del marito e morrà dopo pochi mesi di passione, fra preghiere e penitenze. Oliviero sarà risanato da un eremita, Sobrino, visto il miracolo, si farà cristiano.

Niccolò Machiavelli

La

vita

Niccolò Machiavelli nacque a Firenze

il

3

maggio 1469 da una

nobile e

antica famiglia fiorentina. Sulla sua giovinezza, sui suoi studi e sulle sue

esperienze del

marzo

non sappiamo quasi

nulla fino al 1498; abbiamo una sua lettera, una critica serrata all’azione politica

di questo anno, che contiene

del Savonarola, ed è discutibile in

giudizio c di

sé,

ma

che già preannunciano

stile

condotta con una risolutezza di il

futuro scrittore. Nello stesso

anno fu nominato segretario della seconda cancelleria della Repubblica, un ufficio in sé non molto finportante, ma che gli permise di mettere in luce le

sue capacità c

attiva alla quale

specialmente

il

suo ingegno, di entrare, soprattutto, nella vita politica

il

si

sentiva irresistibilmente attratto.

Ben

presto

i

governanti.,

Soderini, gonfaloniere della Repubblica, che aveva fiducia

nel suo ingegno e nella sua lealtà, cominciarono a inviarlo fuori di Firenze,

come

ma

« osservatore », con impegni, cioè, c qualifica esteriormente limitati,

in realtà di

una

Nell’assolvere

le

certa importanza, ed egli corrispose alla loro aspettativa.

sue missioni

si

trovò nei punti nevralgici della politica

ed europea del tempo. Ricordiamo le due commissarie in Francia, presso la corte di Luigi XII, nel 1500 c nel 1504, quelle al campo deH’csercito fiorentino che assediava Pisa, c quella nel 1502, presso Cesare Borgia, detto il Valentino, figlio del papa Alessandro VI, che si stava costituendo, con azione spregiudicata e senza scrupoli, un vasto dominio nell’Italia centrale c minacciava ormai la stessa Firenze. Piu importanti incarichi esplicò dopo il 1506, quando la relativa tranquillità della situazione italiana c fiorentina degli anni precedenti fu improvvisamente fiorentina, italiana

sconvolta dal pontefice Giulio II c dal re di Francia, Luigi XII. In questi

anni fu inviato presso il papa (1506), poi in Germania, presso l’imperatore Massimiliano (1507), poi presso l’esercito fiorentino che nel 1509 riuscì ad avere finalmente ragione dell’ostinata difesa di Pisa, e ancora in Francia (1510), alla vigilia della

proclamazione della Santa Lega, dell’alleanza,

del papa, dei Veneziani e del re di

Spagna contro

i

cioè,

Francesi.

si limitava a osservare le astute e complesse mosse dava anche consigli al governo di Firenze, che si trovava pressoché disarmata, minata aU’interno dai fautori dei Medici e coin-

Il

Machiavelli non

della diplomazia,

ma

Niccolò Machiavelli

167

non si stancava una politica di dignità energia risoluta, di prudentia e armi, per usare una sua frase. Fu, il uno sforzo vano; ma questa esperienza drammatica della vita poligliela fece sentire come estremo e continuo rischio, da affrontare con

volta nella tragica crisi italiana di quegli anni. Per questo, di proporre, ansioso per la sorte della patria diletta,

c di suo, tica

energia consapevole e implacabile, per salvarsi dalla rovina continuamente

incombente (erano quelli gli anni in cui gli Stati italiani più potenti conoscevano crolli repentini e totali). Fu questa la lezione delle cose moderne che egli um, nella sua meditazione politica, allo studio degli antichi, e che spiega lo sfondo costantemente drammatico del suo pensiero, la sua tensione attiva, il suo incitamento all’azione energica e audace. I primi frutti delle sue speculazioni teoriche sono rappresentati da alcune relazioni rapide e concise di questi anni. Fra il 1502 e il 1503 compose le Parole da dirle sopra la provvisione del danaio (rivolte alla Signoria fiorentina),

il

modo di trattare i popoli della Vcddichiana ribelmodo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare

saggio Del

Descrizione del

la

lati,

Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, ecc. (il Machiavelli vedeva nel Valentino un pericolo incombente su Firenze). Seguirono il Ritratto delle cose della Francia e il Ritratto delle cose della Magna (= Germania) e, prima, il Discorso ddV ordinare lo stato di Firenze alle armi, scritto quando il

Machiavelli era riuscito a fare approvare

milizie mercenarie con alla loro

milizie

cittadine,

il

e

si

suo progetto di sostituire le dedicava entusiasticamente

organizzazione.

Frattanto

la

situazione volgeva al peggio per la Repubblica Fiorentina.

la L^ga Santa decideva dominio mediceo in Firenze. Un esercito spagnuolo marciò sulla città, devastò orrendamente Prato, donde le milizie cittadine fuggirono, e poco dopo i Medici rientravano a Firenze (1512). La carriera politica del Machiavelli fu per sempre spezzata: egli fu privato del suo ufficio e confinato per un anno nella sua villa all’Albcrgaccio, presso S. Casciano. Anzi, quando fu scoperta la congiura del Boscolo e del Capponi contro i I

Francesi, suoi alleati, erano espulsi dall’Italia e

di restaurare

il

Medici, sospettato di complicità, fu arrestato e torturato. vare

la

Durante questo forzato tica attiva,

scrisse,

fra

il

e

non mai rassegnato

’i2 e

il

'25,

quasi tutte

coi grandi storici dell’antichità i

riuscì a pro-

distacco dalla vita polile

sue opere più grandi,

un

frutto delle meditazioni appassionate sul presente e di

luogo

Ma

propria innocenza.

Discorsi sopra la

Prima Deca

è in gran parte affidata la sua gloria.

autonoma,

la politica,

gione, con la quale

i

ideale colloquio

romana, soprattutto con Tito Livio: in primo di Tito Livio c

Con

il

esse fondava

Principe, ai quali

una nuova scienza

distinguendola decisamente dalla morale c dalla relil’avevano inscindibilmente congiunta.

teorici precedenti

Essa partiva dallo studio dell’uomo e della realtà effettuale, cioè dal suo le leggi universali che regolano

concreto agire, cercando di trarre di qui

la vita degli stati e la storia, concepita come creazione puramente umana, senza alcun intervento provvidenzialistico. E poiché l’uomo era, secondo il Machiavelli, sempre uguale a se stesso, nonostante il variare dei tempi e

delle

circostanze, era

possibile,

nella

ricerca

di

queste leggi,

fondarsi

sia

Antologia della letteratura italiana

i68

sullo studio della realtà presente, sia su quello del passato e sul colloquio

che della natura umana avevano saputo cogliere ed esprimere alcuni caratteri universali. Comunque, la meditazione del Machiavelli non approdava a una contemplazione disinteressata, era piutcoi grandi classici antichi

tosto

una norma

a ritrovare

rivolta

comprendere

moto

il

sare e scrivere, per lui, erano pur 10

attuale

d’azione,

che

consentisse

di

alterno degli eventi e di incidere sul suo corso. Pen-

sempre un modo d’agire, che da un

confortavano della sua vita grama, dall’altro

gli

lato

consentivano di sperare

la sua città e per l’Italia. Nascono soprattutifo da tono appassionato e drammatico delle sue pagine, suo stile denso e potente di grande scrittore. Nel 1513, il Machiavelli imprendeva la composizione dei Discorsi, nei

un migliore avvenire per questa febbre d’azione 11

quali la storia

romana diveniva

guidano

leggi che

per scrivere

la

pretesto d’una profonda meditazione sulle

degli Stati.

la vita

sua opera più celebre,

che proponeva

tante,

fondazione, in

il

Italia,

Italiani

agli

un

di

Ma il

nello stesso

anno

li

interrompeva^

Principe, un’opera di politica mili-

una generosa e appassionata utopia: la monar-

forte Stato unitario, simile alle grandi

chie di Francia e di Spagna, che la liberasse dalle invasioni straniere, dallo strazio e daU’avvilimento presente. Il

Machiavelli dedicava l’opera a Giuliano de’ Medici (poi, più tardi, a

Lorenzo), sperando che lo

la

sua potente famiglia assumesse l’iniziativa e che

richiamasse alla vita politica attiva.

Ma

l’una e l’altra speranza riuscirono

vane, ed egli continuò a scrivere e a meditare in solitudine.

Compose

i

Dialoghi delVarte della guerra^ e, nel ’iq, richiesto del suo parere per una progettata riforma della costituzione fiorentina, il Discorso sopra il rifor,

mare

lo

Stato

di Firenze-,

infine,

nel

1520,

per

Giulio de* Medici, ebbe dallo Studio fiorentino storia della città.

iniziativa l’incarico

L’opera fu condotta a termine nel

del di

cardinale

scrivere

la

*25, col titolo di Istorie

i Medici cominciavano a servirsi di lui per incarichi modesta portata. In relazione a uno di essi, che lo portò a Lucca per un breve soggiorno, nacque una delle sue monografie più vivaci, la Vita

fiorentine. Frattanto

di

di Qastruccio Castracani.

In questi anni,

il

Machiavelli svolse anche un’attività più propriamente

letteraria. Scrisse alcuni Capitoli in versi sull’ingratitudine, la fortuna, l’am-

bizione, l’occasione, compose L'Asino d'oro, un poemetto satirico, e le commedie: prima una traduzione deWAndria di Plauto, poi la Clizia e infine un vero capolavoro, la Mandragola (1520) la più bella commedia del Cinquecento e una delle più belle del nostro teatro. La vicenda in essa

proprio di questo genere letterail gusto allora da una moralità sofferta, da uno studio acuto e insieme desolato dell’uomo. A queste opere della maturità ne vanno aggiunte altre giovanili, Decennali, un poemetto di scarso valore, contenente la storia versificata di due decenni della storia contemporanea^ canti carnascialeschi, narrata è oscena, secondo

rio,

ma

riscattata

i

sonetti e rime, e la gustosa novella Belfagor, che racconta le disavventure d’un diavolo che viene sulla terra e prende moglie. Gli ultimi due anni della vita del Machiavelli sono di nuovo occupati da vicende travagliose. Quando, nel *25, l’Italia era minacciata da Carlo V,

Niccolò Machiavelli

169

tentò di costituire un piano di difesa, appoggiandosi alle Giovanni dalle Bande Nere. Ma nd *27 avveniva il sacco di opera dei lanzichenecchi. 1 Medici erano di nuovo cacciati da il Machiavelli cercava invano di porsi al servizio della restaurata perche il suo contegno nel periodo della signoria medicea lo sospetto. Mori nello stesso anno. egli

Per

i

testi

abbiamo seguito: Tutte

cura di G. Mazzoni e

M.

le

truppe di

Roma, ad Firenze e repubblica,

aveva reso

opere storiche e letterarie di N. Machiavelli, a

Casella, Firenze, Barbera,

1929.

Parole da dirle sopra la provvisione del danaio Nel 1503, Tesperienza politica già quinquennale del Machiavelli approda a una prima sistemazione teorica in tre scritti: la Descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, tl Signor Pagalo e il Duca di Gravina Orsini; Del modo di trattare i popoli della Valdichiana

ribellati',

e le Parole, delle quali riportiamo

i

punti salienti.

composto su invito del Soderini, cancelliere della Repubblica Fiorentina, per persuadere i cittadini al pagamento di nuove imposte {provvisione del danaio), onde fronteggiare la grave crisi dello Statò. Il Machiavelli allude appena al problema finanziario; a lui interessa soprattutto tracciare un conciso c drammatico ritratto della situazione densa di pericoli in cui si trovava la sua città, inerme, c incapace quindi di una politica vigorosa, in balia di vicini avidi c potenti (i Veneziani, il papa) o di alleati malfidi (Luigi XII), c insidiata da un conquistatore senza scrupoli, il Valentino. L’urgenza del pericolo, avvertito con amara ma virile chiaroveggenza, c l’amore Il

discorso fu

.

per la patria spiegano

tono lucido c insieme appassionato di queste pagine, la incisiva c drammatica. In esse appaiono temi di pensiero che resteranno fondamentali ncH’ultcriorc meditazione del Machiavelli. C’ è, in primo luogo, la persuasione che il rapporto fra gli Stati c essenzialmente un rapporto di poten2:a, dominato dalla forza e dalla capacità di espanloro eloquenza scarna,

il

ma

sione, non dalla lealtà o, comunque, da una legge morale. Di conseguenza, il Machiavelli vede svolgersi là vita politica, in un mondo denso di pericoli o di minacce, insidioso e senza pietà, che può essere dominato solo da. una chiara consapevolezza e da un’energia spietata: da una sintesi, cioè, di prudentia e armi.

Tutte

le città le quali

principe soluto,

mai per alcun tempo

per ottimati o per popolo,^

si

come

sono governate per si

governa questa,

hanno avuto per defensione loro le forze mescolate con la prudenzia; perché questa non basta sola * e quelle o non conducono le cose o condotte non le mantengano. Sono dunque queste due cose el nervo di 1. ti sono... populo: 4ono state governate o da un principe assoluto, o dagli aristocratici {ottimati), o da un governo di popolo,

come Firenze 2.

a quei

tempi.

questa non basta sola, ecc.

:

la

prudenza,

cioè

il

senno

e

1’

intelligenza

politica,

basta a conservare lo stato se non

sia

non con-

giunta alla forza, e d’altra parte, quest’ultima ha bisogno della prudenza per divenire azione politica valida e consapevole.

Antologia della letteratura italiana

170

tutte le signorie’ che

fumo o

che saranno mai

osservato le mutazioni dei regni,

non

le

mine

mondo:

al

e chi ha

delle provinole e delle città,

ha vedute causare da altro che dal mancamento delle armi o Dato che le Prestanze vostre* mi concedine questo esser®

le

del senno.

come egli è, séguita di necessità che voi vogliate che nella vostra Puna e l’altra di queste due cose, e che voi ricerchiate bene ci sono per mantenerle è se le non ci sono per provederle.

vero,

città sia

se le

E

veramente io da due mesi indrieto sono stato in buona speranza fine, ma veduto poi tanta durezza® vostra

che voi tendiate a questo resto tutto

E

sbigottito.

vedendo che voi potete intendere e vedere,

perche voi non intendete né vedete quello di che non che altro

maravigliano e nimici

vostri,

mi persuado che Iddio non

ci

si

abbia an-

modo e che ci riserbi a maggior fragello.’ nuovo vi replico che sanza forze® le città non si mantenvengono al fine loro. E1 fine è o per desolazione o per

cora gastigati a suo ...E di

ma

gono

servitù

:

*

voi siete

stati

«E’ non mi fu

detto ».

quest’anno, a l’uno e a

presso,

non mutate

ritornerete se

E

sentenzia.^® Io ve lo protesto; se voi rispondessi: «

noi siamo in protezione del

e nimici

re,^^



Che

ci

c vi

l’altro,

non

dite poi:

bisognono forze? Va-

nostri sono spenti, el

lentino “ non ha cagione d’offenderci » vi si risponde tale opinione non potere esser più temeraria, perché ogni città, ogni stato, debbe

reputare inimici tutti coloro che possono sperare di poterle occupare

3. d nervo: il nerbo, il fondamento; signoria qui vale: forma di governo, organizzazione statale. Nota, sin da questi pe-

riodi

iniziali,

varsi

dalla

politica

tendenza del

la

considerazione

M. a

della

titolo onorifico dei

componenti del consiglio supremo. mi concedano 5. mi concedino... esser: ebe sia. 6. ma... durezza: ma avendovi veduti coinerti,

incapaci

di

un’ azione

decisa

e

consapevole.

E

7.

che

i

comprendere fatto

do

che

essi

le

necessità

non

le

del

momento;

comprendano, cosa

il

di

di procedere.

11. in protezione del re:

no

alleati col re di

fra

il

1499 e

il

i

Fiorentini era-

Francia, Luigi XII, che,

1500, aveva conquistato, con

l’aiuto dei Veneziani,

e nimici:

ducato di Milano.

il

nemici; e al posto di i era proprio dell’ uso fiorentino. 13. el Valentino: Cesare Borgia, duca di 12.

Valentinois, si

vedendo... fragello: il M. sa oene governanti fiorentini sono capaci di

opinione e conseguente mo-

10. sentenzia:

Solle-

situazione

immediata, a norme di azione uni-

versalmente valide. 4. le Prestanze vostre:

si

porta la sua distruzione o il suo totale asservimento al vincitore. È una delle frequenti, drammatiche antitesi machiavelliane.

di

figlio

stava costituendo

sonale

r

i

nei

Italia

tica

territori

papa Alessandro VI,

un vasto dominio della

Romagna

e

perdel-

centrale (la zona d’ influenza poli-

fiorentina)

nominalmente,

ma non

fatto, soggetti allo Stato della Chiesa.

di

La sua

cui

gli

fortuna subì un subitaneo e definitivo tra-

gli

fa

collo

stessi nemici loro si meravigliano, pensare che Dio abbia offuscato le loro menti per serbarli a maggior flagello

in questo

morte del padre

anno

1503, in seguito alla

e all’ascesa al trono ponti-

dell’energico Giulio IL

{fragello).

ficio

sanza forze: senza armi, senza una potenza organizzata c pronta alla lotta. 9. o per desolazione o per servitù: la fine di una città o di uno Stato sconfitto com-

inviato in missione presso

8.

l’ottobre del

1502

Firenze, che

si

tente signore.

al

il

II

M.

era stato

Valentino, dal-

gennaio del 1503, da

sentiva

minacciata dal

po-

Niccolò Machiavelli

suo e da chi

el

171

non

lei

si



può difendere.”

fu mai né signoria né

republica savia che volessi tenere lo stato suo a discrezione d’altri o

che tenendolo gliene paressi aver securo.”

Non

inganniamo a partito,” esaminiamo un poco bene e casi cominciamo a guardarci in seno: voi vi troverrete disarmati,

ci

nostri, e

vederete e sudditi vostri sanza fede,” e ne avete, pochi mesi sono, fatto

ed ò ragionevole che

la esperienza:

sia

cosi,

perché

uomini non

gli

possono e non debbono essere fedeli servi di quello signore da el quale e’ non possono essere né difesi né corretti.” Come voi gli avete possuti

o possete correggere lo sa Pistoia, Romagna, Barga: e quali luoghi

sono diventati nidi e ricettacoli d’ogni qualità di latrocinii.”



Come

defendere, lo sanno tutti quegli luoghi che sono

gli avete possuti

voi stati

veggendo ora piu ad ordine che vi siate stati per lo non hanno mutato né opinione né animo.*^ possete chiamare vostri sudditi, ma di coloro che sieno e primi

assaltati.*

vi

addrieto, dovete credere che



gli

ad

assaltarli.

Uscitevi ora di casa e considerate chi voi

mezzo

troverrete in

morte che

la loro

tutta Italia; voi la

e Valentino. Cominciate a considerare el Re.

ed

Costui o

io lo vo’ fare.

14.

difendere:

ogni...

rapporti fra gli

stati,

secondo

il

M.,

i

é da chi: e dai quali,

è riferito, grammaticalmente, z ogni cit-

ma, logicamente, anche

tà,

non arà

e’

è la spietata legge

del più forte, che regge,

lei:

a ogni stato.

o che... securo: o che ritenesse di possicuramente qualora si appoggiasse forza e potenza di un altro stato.

15.

16. a

partito:

una

non

si

solida

organizzazione politica c militare, non possono ne vogliono essale loro «fedeli servi», 22. e già

si

dispongono a divenire sudditi

sicurezza.

Il

M. non comprende

la

quasi

ricettacolo, al

rifugio.

brigantaggio e alle vio-

faccia sentir'e

situazione di tutti gli

di

un

difetto

il

un saldo potere

centrale.

non

cit-

stati italiani, e risa-

liva alla politica espansionistica dei

lenze proprie delle regioni assoggettate nel-

Comuni,

che avevano assoggettato prima il contado e poi le terre vicine. Per questo il pxjpolo rimase inerte davanti alle invasioni straniere nel Cinquecento.

La linea del altro impedimento, ecc. ragionamento è la seguente se il re di Francia troverà in voi soltanto un ostacolo o una :

20. che... assaltati:

i

soldati del Valentino

avevano più volte fatto scorrerie in territorio fiorentino. Tutta la frase è amaramente sarcastica. I Fiorentini non avevano un forte esercito

di

privi

rispetto

tadini di pieno diritto. Del resto, questa era

governati energicamente.

ricettacoli:

quali

(per lo addrieto),

sato

el vero,

che non nutrono senti-

lealtà verso di vói.

Latrocini allude

le

Qui bisogna dire impedimento* o

sere sudditi, e cioè « servi fedeli » e

18. corretti: 19.

altro

per partito preso, volonta-

sanza fede:

menti di

vi

dell’ordinamento politico e sociale del dominio fiorentino: non ci possono essere, infatti, sudditi di fede provata ove' essi debbano es-

riamente. 17.

voi

signore più forte, capace di garantire la lóro

sederlo alla

avete intorno:

dua o di tre città che desiderano più la vostra vita. Andate più là, uscite di Toscana e considerate vedrete girare sotto el re di Francia, Viniziani, Papa di

proprio

:

screzione » degli 21. Né...

:

•agione di timore (rispetto), tro di voi, che

non potrete

preferivano vivere « a di-

sproporzione delle forze.

altri.

ha,

animo:

I

dominatori fiorentini

sudditi,

sono,

nel

ostacoli,

volgerà con-

Ma

se avrà,

come

voi potrete mantenere la

i

vostra indipendenza, purché però vi armiate

pas-

e siate tanto forti che egli sia costretto a ri-

vedendo che

come

altri

si

salvarvi, data la

Antologia^ della letteratura italiana

172

*1 vostro in Italia, c qui non è rimedio, perché tutte le forze, tutti provvedimenti non vi salverieno; o egli ara degli altri impedimenti, come si vede che egli ha, e qui fia rimedio o non rimedio, secondo

che

i

che voi 'vorrete o non vorrete. dine di forze che a voi

gli

Ed

el

rimedio è fare d’esser in

tale or-

abbi in ogni sua deliberazione ad avere rispetto

come agli altri di Italia, e non dare animo, con lo stare disaruno potente di chiedervi ad el Re in preda,® né dare occaad el Re che vi abbia a lasciare fra e perduti, ma fare in modo

mati, ad sione

che

abbi a stimare, né

vi

abbi opinione di subiugarvi.® Consi-

altri

affaticarsi molto: ogni uomo ambizione loro e che debbono avere da voi cento ottantamila ducati, e che gli aspettono tempo,® e che gli è meglio spendergli per fare loro guerra che dargli loro perché vi offendino con essi. Passiamo al Papa e al Duca suo. Questa parte non ha bisogno di comento: ogni

derate ora e Viniziani. sa

Qui non bisogna

la

uomo

sa la natura e Tappeti to loro quale e’ sia, e al procedere loro

come gli è fatto e che fede si può dare o ricevere. Dirò sol questo: che non si è concluso con loro ancora appuntamento' alcuno, e dirò piu là, che non è rimaso per noi.® Ma poniamo che si concludessi domani: io vi ho detto che quelli signori vi fieno amici che non vi potranno offendere, e di le scritte,

nuovo ve

*1

dico: perché fra gli uomini privati le leggi,

e patti fanno osservare la fede, e fra e signori la fanno solo

osservare Tarmi.

E

Noi ricorreremo a el Re », e’ mi el Re non sia in attitudine non sono quelli medesimi tempi, né

se voi dicessi

:

«

pare anche avervi detto questo, che tuttavia

perché

difendervi,

a

tuttavia

può metter mano in su la spada d’altri, e però è bene averla a lato e cignersela quando el nimico è discosto, ché altri non è poi a tempo e non truova rimedio.® E’ si debbe molti di voi ricordare quando Gonstantinopoli ® fu preso suoi dal Turco. Quello imperadore previde la sua ruina. Chiamò cittadini non potendo con le sue armate ordinarie ® provedersi, espose loro e periculi, monstrò loro e rimedii; e se ne feciono® beffe. La ossempre

si

i

sedione venne. Quelli cittadihi, che avéno prima poco stimato e del loro signore,

cordi

come

non possa darvi in preda ad altri, come merce di scambio nelle sue trat-

spettarvi, c

usarvi

non

chiavelli

dare... preda: Probabilmente

pensa

leato col re di

Valentino,

al

Francia, c

il

anch’egli

bramoso

Maal-

d’ insi-

24. subiugarvi:

soggiogarvi.

aspettono tempo:

li

:

non

v’ è rimedio. Gonstantinopoli: Costantinopoli.

28.

Turchi 29..

p>e,

aspergano da

tempo. 26. appuntamento: accordo, non è rimase, ecc.

quando viene una non giunge a

Tallcato

ne impossessarono nel 1453. con... ordinarie: per provvedere

1

se

alla

ha bisogno di assoldare nuove trupe per questo chiede danaro ai cittadini.

difesa

gnorirsi di Firenze.

25. gli

27. ché... rimedio: ché necessità improvvisa

tempo, e allora non

tative politiche. 23.

ri-

sentirno sonare le artiglierie nelle loro

è stato per colpa nostra.

30. fcciono: fecero. 31. c ricordi:

modo

di

incisivo,

gli

ammonimenti. Nota

il

raccontare del M., tutto denso e volto

a

mettere in

luce

la

strin-

Niccolò Machiavelli

mura

*73

lui

Annon avete voluto vivere

essi ».

...Gli altri sogliono diventare savi per

non

allo ’mpera-

cacciò via dicendo: «

date a morire con cotesti danari, poi che voi

sanza

piangendo

c fremer lo esercito de* nimici, corsono

dore con grembi pieni di danari; e quali

li

periculi” de* vicini: voi

né prestate fede a voi medesimi, né conoscete el tempo che voi perdete e che voi avete perduto. E 1 quale voi piangerete ancora e sanza frutto, se non vi mutate di opinione. Perché io vi dico che la fortuna non muta sentenzia dove non si muta ordine, né e cieli vogliono o possono sostenere una cosa che voglia mirinsavite per gli vostri,

nare a ogni modo.® Fiorentini

che io non posso credere che

Il

ed essere nelle mani vostre

liberi,

sia,

vostra

la

veggendovi libertà.

Alla

quale credo che voi arete quelli respetti® che ha auto sempre chi è nato libero e desidera vivere libero.

Il

« Princi()c » c

il

pensiero politico del Machiavelli

Stesura e struttura del « Principe

dicembre del 1513, durante

il

capitoli, e tratta,

ogni forma

di

stano, perché

forme

varie la

come

».

Il

di

l’esilio

Principe^

scritto

San Casciano,

dice l’autore, « che cosa c principato

organizzazione statale], di quali spezie sono, e’

si

perdono

fra

Tagosto c

composto

è

di

26

nome indica come c* s’acqui[il

In realtà, dopo una trattazione succinta delle

».

di costituzione politica, a partire dal cap.

sua attenzione sulla fondazione di un principato

principe nuovo, al quale suggerisce

i

mezzi



VI, l’autore appunta nuovo’, e quindi sul

necessari per

il

conseguimento

prudentia (una visione lucida c chiara delle situazioni c delle leggi della politica) e le armi^ la forza, cioè, dato che la vita degli stati si regge su reciproci rapporti di potenza. Per del proprio

fine.

Essi sono,

in

sintesi,

questo nei capp. XII, XIII, XIV, servirsi di

truppe mercenarie,

ma

il

di

la 34.

Machiavelli esorta

il

principe a non

milizie cittadine di cui possa sempre

XV

pienamente disporre. Dal cap. al XXIII, l’autore consiglia gli accorgimenti necessari per mantenere e difendere lo stato, un fine da perseguire

e

gente concatenazione logica dei fatti, e portato a condensarsi nell’ imnìagine c nella

fermezza nelle proprie azioni; un uomo veramente virtuoso deve saper vincere la for-

massima intensamente drammatica. pericoli 32. per li periculi: vedendo

tuna.

i

quali

incorrono

i

nei

vicini.

fortuna... modo: Anche in questa sono temi fondamentali del pensiero M. Egli reputa assurdo (cfr. Principe,

33.

la

quel riguardo, quella concetto di li^rtà, aggiunge alla vigorosa conclusione attivistiquelli

cura.

frase vi

ca

del

Il

XXl^ attribuire alla fortuùa e alla dura necessità dei tempi una colpa che va invece imputata a chi non ha coraggio e cap.

del

M.

rcspctti:

L'insistenza

discorso

nutriva

sul

una nobile tensione ideale. un attaccamento sincero alle

antiche libertà popolari di Firenze, e lo dimostri» col suo insuncabile prodigarsi per la

Repubblica.

Antologia della letteratura italianU

»74

con energia

mente

neppure davanti ad azioni moral-

ferrea, senza indietreggiare

riprovevoli.

Ma

XXV, XXVI. Nel

il

fulcro vero dell’opera è costituito dai capp.

primo,

il

Machiavelli esamina

hanno perduto i loro stati, problema del rapporto drammatico fra virtù individuale e fortuna,

principi^taliani tuto

il

XXIV,

motivi per i quali i nel secondo, dopo aver dibati

esorta all’azione energica c consapevole, nel terzo, esorta

un

principe

ita-

liano (Lorenzo de’ Medici, al quale l’opera è dedicata) a liberare l’Italia dallo straniero,

fondando in essa un

Machiavelli compose

Il

il

forte stato unitario.

Principe di getto, interrompendo

la

stesura

prima Deca di Tito Livio, nei quali, meditando la storia di Roma, cercava di desumere da essa le norme universali e costanti dell’azione poUtica, inserendole in una visione organica e complessa dell’uomo e della storia. Il Principe è, invece, un libro di politica militante, che intende inserirsi dinamicamente in una situazione poUtica pressoché dei Discorsi sopra la

disperata

(il

presente avvilimento dell’Italia, preda di Francesi e Spagnuoli),

per trasformarla, esortando a un’azione risoluta. Il

Machiavelli afferma di voler andar dietro, nelle sue meditazioni, alla

verità effettuale:

ossia di voler partire dalla realtà e

dall’esperienza,

non

da concezioni morali e religiose, come avevano fatto i trattatisti medioevali. Egli ha una concezione del tutto naturalistica dell’uomo: lo vede, cioè, come un’entità naturale che non muta per variar di tempi e di situazioni, soggetto alle leggi inderogabili della propria natura, capace di razionalità

ma

e di vigore costruttivo,

dine e

viltà.

Di qui

piu spesso preda di passioni, egoismi, inettituun’azione energica e spregiudicata, da

la necessità di

parte di individui eccezionali, che stabiliscono nella società là

dal caos delle contrastanti passioni, vincendo, con

statale,

la

senta cosi

sfrenata violenza degli istinti

una continua

sempre

una

risorgenti.

un

ordine, di

solida

La

struttura

storia

pre-

alternativa di ferinità e civiltà, di sorgere e rovinare

di stati, e si svolge all’insegna del rischio e della violenza, ai quali va opposta una volontà consapevole c fermamente decisa. Si comprende, dunque, come la politica, la nuova scienza machiavelliana, da un lato tenda

ad assorbire in di

norme Il

sé la moralità,

universali,

una

da un

all’azione dell’uomo

si

la

come un

come

la realtà.

costruzione integralmente umana.

contrappone, per

e irrazionale, che egli, sulle

senta

come un complesso

dominare solidamente

Machiavelli prescinde da ogni concezione provvidenzialistica in senso

cristiano e tende a vedere la storia

Ma

lato sia presentata

tecnica che serve a

orme

destino insondabile, ora

come

situazione storica nella quale l’uomo

si

quella di una volontà cieca chiama fortuna. Ora la pre-

lui,

dei classici, il

complesso delle circostanze,

trova ad agire. In genere, essa

un ostacolo al libero svolgimento dell’azione individuale: è l’imponderabile della nostra vita, che coincide, in fondo, col limite stesso della

costituisce

natura umana, incapace di mutare, di aderire con piena efficienza alle situazioni sempre nuove, al complicato e cangiante succedersi degli eventi. Ma contro questa presenza indefinibile e misteriosa, che minaccia di distruggere la nostra stessa libertà,

problema e incapace di

il

Machiavelli, pur consapevole della gravità del

risolverlo filosoficamente, riafferma la sua fede nelle

capacità dell’uomo. Alla fortuna l’individuo

oppone

la

virtù che è lucida

Niccolò Machiavelli

175

intelligenza e capacità costruttiva energica, risoluta, intesa a dare alla realtà

un’impronta ragionale e umana. La virtù si esprime soprattutto nei rapporti della vita collettiva, cioè nella politica, che è l’azione umana per eccellenza, alla quale ogni altro interesse va subordinato, dalla religione alla morale e agli interessi immediati del singolo.

La

difesa della patria è infatti per

il

Machiavelli

la

legge suprema: e la patria coincide con lo stato, col suo ordinamento.

Anche quest’ultima concezione, della teoria machiavelliana.

Lo

tuttavia, rivela

stato, infatti,

non

volontà generale, con la vita e l’intima civiltà di

la

limite individualistico

il

s’identifica,

per

un popolo, ma

lui,

con

è crea-

zione di un individuo eccezionale, di un « principe », appunto, capace di radunare una massa informe e di fame un popolo, dandole un ordinamento statale. Anche quando il Machiavelli vagheggia (come fa nei Discorsi)

uno

stato repubblicano,

si

tratta

pur sempre di una repubblica

aristocratica,

fondata su leggi che sono imposte dai prudenti^ cioè da uomini intelligenti e « virtuosi ». Siamo dunque ben lontani dai concetti moderni di « nazione » e di democrazia.

Principe » e

Il « il

il

problema morale. Nel complesso dei rapporti

politici

Machiavelli ha scoperto e messo in luce, con analisi acuta e spregiudicata,

soprattutto gli

mando

le

momento

il

suggeriva

della forza, dello stato

la storia del

come potenza, secondo che

suo tempo, nel quale, in Europa,

si

stavano for-

grandi monarchie assolute che in sé accentravano ogni potere

politico. Anche nelle relazioni fra i vari stati la forza e non il diritto dominava sovrana. La realtà effettuale mostrava al Machiavelli che anche la violenza e il male potevano essere necessità, e che l’uomo politico doveva, in certi casi, usarli risolutamente; ed egli, con logica coerente e spregiudicata, ne teorizza nel Principe l’impiego, li accetta come mezzi per il con-

solidamento e la difesa dello stato. Per questo, il Principe è stato visto, per secoli, come un libro perverso, e il suo autore è stato accusato di cinismo, iniquità, immoralità (donde i termini spregiativi « machiavellismo » e « machiavellico »). Si è, infine, er-

roneamente sintetizzato il suo pensiero nella massima « il fine giustifica i mezzi », che costituirebbe la giustificazione e la esaltazione d’ogni violenza dittatoriale.

primo luogo il male non è visto dal Maimmutabile e fatale della natura umana, ma come la conseguenza della posizione estremamente rischiosa deH’uomo nella storia, continuamente in lotta contro forze che insidiano la sua sopravvivenza, dalla violenza degli altri alla fortuna cieca e ostile. In secondo luogo, la violenza e il male non devono essere, nell’uomo politico, sfogo di basse passioni, ma una dura e dolorosa necessità che egli assume per la difesa di quello stato che è, come abbiamo visto, indispensabile per una umana e civile convivenza. Comunque, il Machiavelli si rassegna al male con intima, drammatica sofferenza, si che il Croce ha sentito, anche nelle

La

verità è

chiavelli

come

affermazioni l’autore per

ben

diversa. In

caratteristica

apparentemente piu spietate del Principe, di uomini nobili e puri.

la

nostalgia

del-

un mondo

Si tenga poi presente che

il

libro nasce in

uno

dei

momenti più

tragici

Antologia della letteratura italiana

176

della storia d’Italia,

quando

essa era corsa c straziata

da

eserciti

stranieri,

preda della loro cupidigia. Quelle massime gelide e desolate non sono state inventate dal Machiavelli,

ma

dedotte dalla realtà di violenza, di tradimenti,

sangue .che vedeva intorno, in un momento in cui tutta una civiltà e i suoi ideali piu alti apparivano in una crisi spaventosa, e sole realtà inoppugnabili erano la guerra e il diritto del piu forte. Con l’animo straziato dalla rovina della patria, il Machiavelli sente il bisogno di fissare gli occhi nella realtà qual è, spogliandola d’ogni parvenza illusoria, per incitare a compiere un’azione estrema, che salvi Firenze e l’Italia dalla presente desolazione. di

Il

« Principe » e

sventura,

ma

VItalia. NcH’esortazionc

ad agire per

cato profondo e

la

non

lasciarsi abbattere dalla il

signifi-

ragione del Principe, esame critico sofferto e appassionato

della recente storia

al tempo comprende che la

italiana e,

riscossa. Il Machiavelli

ha reso

nel Quattrocento

a

liberare l’Italia dai « barbari », stanno

stesso,

generoso incitamento

alla

politica particolaristica perseguita

debole, disunita, preda delle forti monar-

l’Italia

chie di Francia e di Spagna. L’unico rimedio è quello di fondare anche in Italia un forte stato unitario, capace di opporsi alla violenza straniera.

un individuo forte e risoluto a compiere questo tempo i grandi fondatori e organizzatori di Romolo, Teseo, che stabilirono uno stato c una patria

Egli intende, quindi, incitare

miracolo,

come

fecero al loro

popoli, Mosè, Ciro,

dove prima era un volgo disperso e senza nome. È chiaramente consapevole dell’estrema difficoltà dell’impresa, e la propone come un’azione straordinaria,

una

sfida

lanciata alla

fortuna in

un momento

in cui ogni

minimo, come una speranza che nasce in margine alla disperazione. Era, però, una soluzione chiaramente utopistica. Mancavano inSfatti tutti i fondamenti necessari per la costituzione di possibilità di agire è

un di

ormai

ridotta al

forte stato italiano unitario:

un

nelle

interesse

comune e

dirigenti,

classi

deH’iitilità

questi presupposti l’azione di

non poteva

essere se

soprattutto

non

Lo

stile

si

la

coscienza diffusa

sentimento vivo, almeno

dell’indipendenza

dallo

straniero.

Senza

effìmera.

momento

italiana, resterà nei secoli del servaggio

speranza che

il

un individuo, per quanto capace ed energico,

Tuttavia, l’utopia del Principe, sorta nel

denza

coesione,

la

della dignità nazionale,

prolungherà fino

del Machiavelli.

Il

alle

del crollo deU’indipen-

come una voce

di

magnanima

toglie del Risorgimento.

Machiavelli

non

c soltanto teorico originale c

ma

anche un grande scrittore. Lo vediamo soprattutto nel Principe, proprio perche è opera di passione e di fantasia, nata dall’angoscia e da un’eroica speranza, e non mira, quindi, soltanto a una dimostrazione logica distaccata, ma anche e soprattutto a persuadere all’azione magnanima. Senza contare che l’entusiasmo per la scoperta di una nuova scienza dà anch’esso a tutto il trattato un intimo tono lirico, un sempre presente carattere di affermazione polemica. Un dialogo, sembra il Principe, con gli uomini e con la fortuna, pervaso dall’ansia e dall’ardore drammatico del-

profondo

l’azione. Il periodare rapido e conciso esprime la tensione lucida e implacabilmente consequenziaria di un ragionamento che vuol penetrare con decisione c coraggio nell’intima realtà. Il linguaggio, energico, colorito, sa fon-

dere,

come

il

pensiero, l’adesione piena alla realtà effettuale con l’esempio

Niccolò Machiavelli

*77

^ popolaresco, non rifugge dai modi del puzza questo barbaro dominio»), dalle sue espressioni vivaci e immaginose. Il discorso procede spesso per antitesi («i nemici bisogna o vezzeggiarli o spegnerli »), con una conseguente tensione che è insieme classico

degli antichi:

parlato (ad es.

«a

:

tutti

sembra di per se stessa esprimere quella continua lotta fra virtù e fortuna, quel sentimento drammatico della scelta e dell’azione umana che è caratteristica fondamentale della concezione machiavelliana della politica e della vita.

modo

In che

debbino governare le Città o Principati li quali, si vivevano con le loro leggi

si

innanzi lussino occupati,

Nei primi quattro capitoli del Principe, il Machiavelli, dopo aver definito !e forme di principato (ereditario, nuovo, misto, cioè composto di un dominio

varie

ereditario e di altri conquistati), si sofferma su quest’ultima forma, la piu attuale lui, che intende incitare un signore italiano, Lorenzo de’ Medici, a costruire un

per

forte stato in Italia,

ampliando

i

propri domini.

Anche l’argomento

del presente

Signore mediceo avrebbe dovuto annettere al proprio stato repubbliche come quelle di Venezia, Genova, Lucca, Siena, ecc. L’interesse maggiore del capitolo è però l’implicita esaltazione della repub-

capitolo rientra in questa problematica;

come

blica

la

forma migliore

di

il

gover-no, in

quanto garantisce

quale tutte le forze politiche espressione negli ordinamenti e nelle istituzioni. struttura,

Non

nei la

cioè,

assolutistico.

pensiero politico del Machiavelli,

il

un

stupisca codesta esaltazione della repubblica in

pugnare una forma di governo tutto

e ^sociali

ma

Il

Principe,

una

libertà',

la

trovano adeguata

trattato rivolto a proinfatti,

non esaurisce

considera essenzialmente

il

momento

fondazione dello stato, quello, cioè, in cui è necessaria la conquista violenta del potere da parte di un individuo energico c spregiudicato. I Discorsi, che trattano invece dello stato nella sua vita, nella sua continuità, come complesso cioè di leggi e ordinamenti che si radicano nella coscienza dei cittadini, insistono della

soprattutto sull’

I

Quando

.

sueti

della costituzione

quelli stati che

si

repubblicana.

acquistano,*

come

è ^ctto, sono con-

a vivere con le loro leggi e in libertà,^ a volerli tenere ci sono

modi:

tre

terzo,

el

esame

el

primo, minarle,^

lasciarle vivere

con

l’altro, le

andarvi ad abitare personalmente;

sue leggi, traendone una pensiona

creandovi drento uno stato di pochi che

te le

^

ché, sendo quello stato® creato jda quello principe, sa che

non può

stare

sanza l’amicizia e potenzia sua, c ha a fare tutto per mantenerlo;’

Gap. V.

tiche e civili.

1.

che

si

acquistano; che

quista e annette 2.

ai

principe con-

4.

propri domini originari.

5.

a vivere... in libertà:

il

hanno una

costi-

tuzione repubblicana. 3.

città

comunque,

le è

chi

riferito a

un

e

sottinte-

« città ».

pensione: tributo. stato... amiche: un governo di po-

uno

(oligarchia)

che siano fedeli

al

nuovo

principe.

le

loro

strutture

oligarchia.

le

6.

quello sUto:

poli-

7.

per mantenerlo: per mantenere

minarle: distruggere òomplctamente o,

Il

€ repubbliche » o

so

c

conservino amiche.® Per-

quella

il

nuo

178

Antologia della letteratura italiana

piu facilmente

una

il mezzo® de’ modo, volendola preservare.® 2. In exemplis^® ci sono li Spartani e li Romani. Li Spartani tennono Atene e Tebe, creandovi uno stato di pochi, tamen le riperderno.“ Li Romani, per tenere Capua, Cartagine e Numanzia, le disfeciono, e non le perderono.^^ Volsero tenere la Grecia quasi come tennono^® li Spartani, faccendola libera e lasciandoli le sue leggi, c non successe

si

tiene

usa a vivere libera con

città

suoi cittadini, che in alcuno altro

loro;

modo

in

che furono costretti disfare di molte

città

quella

di

provincia, per tenerla. 3. Perché, in verità, la ruina.^®

non

e

E

non

disfaccia, aspetti di

la

ci

è

modo

chi diviene patrone di

securo a possederle, altro che

una

consueta a vivere libera,

città

da quella; perché sempre

essere disfatto

ha per refugio,^® nella rebellione, el nome della libertà e gli ordini antiqui suoi; li quali né per la lunghezza dei tempi né per benefizi mai si dimenticano. E per cosa che si faccia o si provvegga,^® se non disuniscono o dissipano

si

nome né

vo principe gati

abitatori,

gli

al

quale sono intimamente

mina:

15. Perché...

le-

suoi interessi e la sua stessa soprav-

i

non sdimenticano quel come

e’

quegli ordini, e subito, in ogni accidente,* vi ricorrono,

no veramente

vivenza.

mezzo: per mezzo.

In

realtà,

tali;

8.

con

volendola preservare: qualora, cioè, non

rente

voglia ruinare.

consequenzialità logica implacabile

la

si

10. In exemplis: tra potrebbero addurre. 11. Li

tani,

Spartani...

gli

repubblica

esempi che

si

riperdemo:

Gli

Spar-

vinta Atene nella guerra del Pelopon-

trenta tiranni (404 a. C.); ma un andopo gli esuli Ateniesi, guidati da Trasi-

no

bulo,

i

liberarono

la

città.

Anche

a

Tebe,

occupata nel 382, imposero un’ oligarchia, ma questa fu poco dopo rovesciata da Pclopidà ed Epaminonda. Romani I 12. Li Romani... perderono: distrussero Capua nel 21 1, Cartagine nel 146, Numanzia nel 133 a. C. 13. come tennono: come la tennero sog-

avverti la commozione dello amore per la repubblica e

sua

la



nuo-

il

glie

i

della 16.

duri insegnamenti e

furono vinti in battaglia dal console Memmio, che distrusse molte città greche, fra le quali Corinto (146 a. C.). La Grecia divenne allora provincia romana.

il

tono

il

M.

suo Per

acco-

norme

crudeli

con intima sofferenza. ha per refugio Soggetto è « la città

realtà

politica

:

popolo e costituiscono un ideale capace di azioni eroiche e generose.

ispirare

17. per benefizi: per

tivarsene la simpatia.

Greci tentarono, in seguito, di sovranità, ma la loro piena

le

il

libertà.

consueta a vivere libera ». La libertà e gli antichi ordinamenti sono, in una repubblica, saldamente radicati nella coscienza del

18.

I

riconquistare

la

è incisivo e drammatico. Spesso

non successe loro: e non riuscirono. Romani, nel 196, liberarono la Grecia dalla minaccia macedone lasciandole l’autonomia ma tenendola come una specie di pro14. e

scrittore,

questo, fino alla fine del paragrafo,

vo signore può fare

I

l’appa-

ragionamento,

vo metodo scientifico della realta effettuale, esame lucido e spregiudicato dei fatti),

getta.

tettorato.

Sotto

ruinarla.

del

dell’

neso, vi stabilirono un’oligarchia a loro fedele,

occorre

freddezza

era-

per tenere soggetta una

9.

il

alter-

le

non

native poste all’inizio del capitolo

provvegga:

al

Il

cittadini

come

garchia;

il

accat-

dissipano:

dividono...

disuniscono pare qui alludere

fomentare inimicizie

tadini,

nuo-

il

onde

provveda.

19. disuniscono...

disperdono.

benefizi che

i

ai

si

può

dissipano

piu radicale, cioè

al

e contrasti fra

i

cit-

fare stabilendo un’ oli-

allude

ruinare

20. in ogni accidente:

alla la

soluzione

città.

ogni qual volta

presenti un’ occasione propizia.

si

Niccolò Machiavelli

179

Pisa^ dopo cento anni che

fc*

suta posta in servitù da* Fio-

ella era

rentini.

4

.

Ma, quando

o

città

le

non avendo

dall’altro

accordano,

vivere

da uno canto

principe vecchio, farne

el

non sanno;

liberi

armi e con piu

uno

provincie sono use a vivere sotto

le

principe, e quel sangue sia spento,^ sendo

modo

di

uno

usi

ad obedire,

infra loro

che sono piu

non

si

tardi

a

può uno principe guadagnare e assicurarsi di loro. Ma nelle repubbliche è maggiore vita,^ maggiore odio, più desiderio di vendetta, né li lascia né può lasciare riposare^ la memoria della antiqua libertà: tale che la più sicura via è spegnerle pigliare le

facilità

se

li

o abitarvi.^

De’ Principati nuovi che s’acquistano con l’arme proprie e tuosamente Con questo

vir-

la parte più importante del Principe^ quella fondazione del principato ‘nuovo’, mediante la virtù e la forza di un principe nuovo. L’autore esamina soprattutto il momento secondo lui iniziale e costitutivo di una società politica: quando un individuo di virtù eccezionale (come Mosè, Ciro, Romolo, Teseo) dà a un volgo disperso la prima organizzazione statale.

che

sta

1

Non

.

capitolo

ha inizio

più a cuore all’autore:

si

maravigli alcuno

come

camminando

perché,

^

^

se,

nel parlare che io farò de’ prin-

principe e di stato, 10 addurrò grandissimi

cipati al tutto nuovi, e di

esempli;

la

gli

uomini

Pisa, ccc. La Repubblica di dominio dei Visconti di Milano, fu da questi venduta ai Fiorentini nel 21.

fc’

quasi sempre per

^

vie

le

Gap. VI.

:

Pisa, diventata

1405 c soggiogata effettivamente da questi l’anno dopo. Ma nel 1494 trasse profitto dalla crisi provocata dalla spedizione di Carlo

Vili

tini,

i

in

Italia

per

ribellarsi

guerra dispendiosissima fu tra 22.

ai

Fioren-

dopo una anni. Il M.

quali poterono riaverla solo

i

di 15 protagonisti della riconquista.

quel

sangue...

spento:

sia

del

tutto

spenta la famiglia regnante.

maggiore

Per questa più intensa e piena vita della repubblica, cfr., oltre all’introduzione al presente passo, quello preso dai Discorsi c da noi intitolato Repubbii23.

vita

:

ca e libertà (pag. 246). 24. riposare: star queti, rassegnati. 25. abitarvi:

Anche

abitarvi è, sostanzial-

mente, un modo di spegnere l’antica repubblica, in quanto implica un’organizzazione r.idicalmcnte nuova di essa.

Non

1.

si

maravigli alcuno, ccc.: Questo

primo periodo, ampio, solenne stesso,

pervaso di

un’intima

e,

al

energia

tempo c

di

un tono di virile esortazione, sembra quasi un nuovo proemio di tutta l’opera. In realtà, il M. affronta qui l’argomento che più gli sta a cuore: i principati del tutto nuovi e di principe e di stato y quelli, cioè, costituiti per la prima volta come autonoma uni-

statale

ti

c

retti

dal

principe

che

li

ha

fondati.

esempi di grandi grandissimi esempli stati (Mose, Ciro, Romolo, Tericordo dei grandi deH’antichità, Il seo). 2.

:

fondatori di

l’esortazione ad emularne la virtù costitui-

scono un alto c magnanimo incitamento alla diffìcile impresa. perche, camminando gli uomini, ccc.: 3.

M. enuncia qui il principio dell’ imitazione, fondamentale nel suo pensiero c nella

Il

Antologia della letteratura italiana

i8o

battute da

procedendo

e

altri,

potendo

si

le vie di



alla virtù di quelli

uno uomo prudente

aggiugnere,^ debbe

imiti

loro con le imitazioni,

nelle azioni

altri al tutto tenere,

sempre per

intrare

vie

battute da uomini grandi, e quelli che sono stati eccellentissimi

non



che tu imi-

almeno ne renda qualche parendo el loco dove disegnano ferire ® troppo lontano, e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco,"^ pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per tare acciò che, se la sua virtù

odore,® e fare

come

gli arcieri

potere, con lo aiuto di

si

Dico adunque che

2.

principe,

si

meno

più o

trova,

a

vi arriva,

prudenti,

a’ quali,

disegno

alta mira, pervenire al

nuovi, dove

®

ne’ principati tutti

meno

mantenerli, più o

uno nuovo

secondo che

difficultà,

E

è virtuoso colui che gli acquista,

loro.®

sia

perché questo evento,

presuppone o virtù o fortuna,^® pare che l’una o l’altra di queste dua cose mitighi in parte di molte difficultà, “ nondimanco, colui che è stato meno in sulla fortuna, si è di diventare di privato principe,

concezione rinascimentale della vita. Gli uomini del Rinascimento idealizzarono 1 ’ età classica, videro in essa un’ umanità eroica ed esemplare, che essi si sforzavano di emulare. Ma mentre 1 imitazione degli antichi era, ai suoi tempi, attuata quasi esclusivamente nel

la

campo

l’occasione



ferma

della cultura e della poesia, la

il

M.

af-

necessità di attuarla soprattutto nel

campo deH’azionc energica

c

vigorosa, cioè

imitazione si fonda sulla concezione naturalistica del mondo, secondo la quale la natura e l’uomo, che ad essa viene rigorosamente assimilato, sono retti da leggi costanti e immutabili: l’animo della

politica.

Il

concetto di

umano, le sue esigenze, passioni, virtù non mutano per variare di tempi; il passato, quinillumina

di,

il

maestra della

nostro presente,

vita,

i

la

storia

è

suoi esempi rappresen-

tano modelli, forme sempre attuali c normative di

non

si

si

può

del tutto seguire

cedere di colui che al

aggiugnere:

potendo...

si

il

imita,

modo

siccome di pro-

né pervenire

suo stesso grado di virtù. ne renda... odore: si avvicini ad essa

5.

(alla virtù

perfetta), le assomigli

almeno un

magnani-

di

sigillo

al

suo operare.

del tutto.

tutti:

La virtù comprendere

o virtù o fortuna:

10.

uomo

pacità dell’

di

è il

la

ca-

giuoco

vario e complesso delle circostanze (ovvero storica)

e,

tempo

al

stesso,

po-

tenza ed energia costruttiva, capacità di piegarle ai propri fini. Quanto alla fortuna,

rimane, concettualmente, un’idea ambigua e variamente definita dal Machiavelli. Talvolta (più raramente) si avvicina al-

essa

1’

idea del fato e del destino inesplicabile c

superiore alla volontà



come

turale

delle

cose,

nella quale

affermarsi basti le



la

virtù.

o si

la

nella

spesso è

forza na-

propizia

concreta situazione

trova a dover agire e Ritorneremo sull’ argoil

XXV

per ora osservare che

due forze

la

concorrenza

la

degli eventi (Russo) storica

umana; più

in questo capitolo

il

capitolo.

M. vede

Ci

agire

sempre concomi-

storia

concetti ci conducono che ambedue risolutamente lontano dalla concezione cristiana della vita, ma anche da quella di la virtù non ha molti scrittori umanistici tanti e

i

:

più nulla della moralità tradizionale classi-

poco. 6.

grandezza

di

mento commentando

comportamento.



4.

9.

dare un

per

storia,

mità e

disegnano

ferire:

si

propongono

di col-

pire. 7. fino...

arco: qual

sia la

potenza del loro

arco. 8. aggiugnere: giungere, pervenire... loro: giungere all’obiettivo designato. Allo stesso modo, il principe deve proporsi come modello le azioni degli uomini più grandi del-

ca (fondata su

un

grandezza c

ideale di

di

decoro spirituale), né di quella cristiana; la fortuna non è più il Caso degli antichi né la Provvidenza cristiana. 11.

mitighi...

difficultà:

sia

la

virtù

sia

sono un aiuto che consente di superare molte fra le difficoltà che si inconla

fortuna

trano

nel

divenire

principe.

Più

sicuro

è.

Niccolò Machiavelli

i8i

mantenuto piu. Genera ancora facilità essere non avere altri stati, venire personalmente ad

Ma

3.

principe costretto, per

el

abitarvi.

per venire a quelli che, per propria virtù c non per fortuna,

sonò diventati principi, dico che li piu eccellenti sono Moisè, Ciro, Romulo, Teseo e simili. E benché di Moisè non si debba ragionare,

sendo suto uno mero esecutore delle cose che gli erano ordinate da Dio, tamen debbe essere ammirato solum per quella grazia che lo faceva degno di parlare con Dio.** Ma consideriamo Ciro e gli altri che hanno acquistato o fondato regni: se

considerranno

si

da quelli di Moisè, che ebbe si gran precettore. Ed esanon si vede che quelli avessino altro

discrepanti

minando

azioni e vita loro,

le

fortuna che

dalla

occasione;

la

la

introdurvi dentro «quella forma

animo

virtù dello

la

loro

quale dette loro materia a potere

parse loro;

el

populo

d’ Isdrael, in Egitto,

che quelli, per uscire di servitù,

Romulo non

che

sanza quella occasione

e

sarebbe spenta, e sanza quella virtù

si

dunque

casione sarebbe venuta invano.*^ Era vare

mirabili; e

troverrete tutti

li

azioni e ordini loro particolari, parranno non

le

si

sbavo

oc-

la

necessario a Moisè tro-

e oppresso dagli Egizii, acciò

disponessino a seguirlo. Conveniva

capissi in Alba, fussi stato esposto al nascere, a volere

Roma e fondatore di quella patria. Bisognava che Ciro trovassi e Persi mal contenti dello imperio de’ Medi, e li Medi

che diventassi re di

molli ed effeminati per

meno

però, colui che sta cioè colui che

si

in

fortuna,

sulla

affida soprattutto alla pro-

pria virtù. 12.

Genera...

del principe

abitarvi: Altro vantaggio è 'quello di dovere risie-

nuovo

dere nello stato che gli

garantisce

un

si

è

formato, cosa che

migliore

controllo

della

situazione.

Moisè, Ciro, Romulo, Teseo: sono 13. grandi fondatori di regni o di repubbliche, di stati, insomma, che essi sono riusciti a costituire con la loro eccelsa virtù, sfruttan-

do {'occasione offerta loro dalla fortuna, e tramutando volghi dispersi e schiavi in forti

il M. sogna, ora, questo richiamerà ancora loro esempio nella perorazione finale del-

unità statali.

per il

I’

Italia;

l’opera.

ebraico,

È quello che

legislatore

il

è

il

del

popolo

Roma

fondatore di

e

Teseo quello dello stato ateniese. Ciro è il fondatore dell’ impero persiano (VM sec. a. C.). È stato notato che il Machiavelli mescola figure storiche e leggendarie.

che conta, lico esemplare lo

14.

per di

lui,

è

Ma

valore

quel-

simbo

esse.

E benché... Dio: È il

il

evidente, in quetono ironico del Machiavelli,

posseva Teseo dimostrare

che fu sostanzialmente scettico nei confronti della religione e volto a dare una spiega15. zione tutta laica e mondana, psicologica e

non

della

religiosa,

facile

ironia,

storia.

Ma

di

cogliamo chiaramente

zione dell’autore di spiegare

in

dalla

là I’

inten-

termini

ri-

gorosamente umani e politici anche la figura di Mose. Il suo « parlar con Dio » è sentito come un espediente politico, una persuasione che egli ispira nel popolo per assoggettarlo al

suo volere e

sua

alla

virtù,

suto:

stato;

tamen: tuttavia; solum: soltanto. Il M. inserisce frequentemente nel suo discorso locuzioni latine; qui però sembrano un riccheggiamento ironico del latino ecclesiastico. considerranno: considereranno.

p>er

Mose è Romolo

sto periodo,

Non

lunga pace.

la

rè.

non discrepanti

17.

la

:

non dissimili. La fortuna, qui,

quale... invano:

si

dare l'occasione, cioè la situazione storica favorevole al pieno dispiegarsi della virtù del principe. Essa cioè offre la materia (ad es. il popolo Ebreo schiavo e oppresso, limita

a

incapace,

duo

di

senza

I’

intervento

eccezionale virtù,

di

di

un

indivi-

riscattarsi,

ep-

pure anelante alla liberazione c quindi pronto a seguire Mosè) e il principe la riduce in forma, secondo

la

propria volontà c chiaro-

Antologia della letteratura italiana

i82

sua virtù, se non trovava gli Ateniesi dispersi.^® Queste occasioni

la

pertanto feciono questi uomini

e la eccellente virtù loro fece

felici;

quella occasione essere conosciuta;

“ donde

4. Quelli e quali per vie virtuose,

acquistano

cipi,

gono;

ne fu nobi-

la loro patria

diventò felicissima.

litata e

principato con

el

simili a costoro,

difficultà,

ma

con

diventano prinfacilità

lo

ten-

hanno nello acquistare el principato, in parte nascono da’ nuovi ordini e modi “ che sono forzati introdurre per fondare lo stato loro e la loro securtà. E debbasi considerare come non è cosa piu difficile a trattare, né piu dubia a riuscire, né piu periche

diflìcultà

e le

gli

culosa a maneggiare, che farsi capo a introdurre nuovi ordini; perché

ha per nimici

10 introduttore

bene,“ e ha tepidi defensori

che degli ordini vecchi fanno

tutti quelli tutti

quelli che degli ordini nuovi fareb-

bono bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura degli avversari, che hanno le leggi dal canto loro,^ parte dalla incredulità degli uomini, 11 quali non credano in verità le cose nuove, se non ne veggano nata una ferma esperienza; ^ donde nasce che qualunque volta quelli che sono nimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamcnte, e quegli altri

modo

defendano tepidamente; in

che insieme con loro

periclita.^

si

veggenza (dà,

cioè,

al

volgo disperso ordi-

tessero rendersi conto di quello che {'occa-

namento politico e leggi, ne fa uno stato, unica forma possibile di convivenza civile fra gli uomini). Qui fortuna c virtfi non sono fra loro ostili come nel cap. XXV, nel quale jl M. sentirà il loro drammatico contrasto. La fortuna è definita come inti-

cipe,

ma

di

necessità delle cose, che la virtù ricono-

compimento. Solo due ultime proposizioni si avverte il senso drammatico deiroperare umano nel-

sce e dirige al suo logico

nelle

storia e

la

il

suo limite:

M.

il

osserva che

non sempre virtù e fortuna s’ incontrano; rimane dunque nella storia qualcosa di fluido e d’ inesplicabile. 18.

le

degli

Ebrei

(che,

secondo

Mosè non per ubbidire divino, tà);

il

ma

a

per riconquistare

fatto che

M.,

il

seguono

un comandamento

Romolo non

la

loro

liber-

capissi in Al-

ba Longa, cioè non avesse luogo sufficiente alla

sua grandezza in questa

città;

rio dei Persiani di liberarsi dal

Medi;

la

non si tratta qui della fondazione di uno stato, che sia dominio individuale ed egoistico del prin-

ma di una patria, cioè, diremmo noi, una nuova civiltà. Ci sembra che questo sia il supremo ideale politico del M. 22. nuovi ordini e modi nuove forme di governo e mezzi per attuarle. 23. fanno bene: si avvantaggiano, ne ricavano un qualche utile. :

il

deside-

dominio

dei

dispersione degli Ateniesi. nel senso latino di « fortunati ».

19.

felici:

20.

fece... conosciuta:

fece

si

che

essi

po-

leggi...

24. le

(ad

loro:

Sono queste

parte.

scono

la schiavitù

mezzi necessari per

la loro patria:

21.

civile

:

dei

semplice

Vengono rapidamente

virtù dei quattro eroi fondatori

e

piegarla alla loro intenzione.

occasioni che furono materia alla

Era... dispersi:

elencate

sione richiedeva

e penale;

es.

la

gli

struttura

le

le

ordini,

dalla

loro

invece, costitui-

istituzionale

dello

stato

repubblica, monarchia, ecc.).

25. se non... esperienza:

hanno

leggi

disposizioni di diritto

se

prima non ne

fatto sicura e concreta esperienza.

ne consegue che ogni nemici dei nuovi ordini riescono a trovare la forza di ribellarsi, lo fanno con violenza faziosa {partigianamcnte')-, coloro, invece, che se ne potrebbero avvantaggiare, li difendono con scarsa convinzione e quindi jl principe corre pericolo {periclita), aven26. donde... pen'clita:

volta che

i

do dei fautori

cosi

esitanti.

Niccolò Machiavelli

È

5.

necessario

esaminare

dano da

183

volendo discorrere bene questa parte, ^ stanno per loro medesimi o se depenper condurre l’opera loro bisogna che preghino,

pertanto,

se questi innovatori cioè, se

altri

ovvero possono forzare.^ Nel primo caso capitano sempre male e non

conducano cosa alcuna; ma quando dependono da loro propri! e possono forzare, allora è che rare volte periclitano. Di qui nacque che tutti e profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorono.*^ Perché, oltre cose dette, la natura de’ populi è varia;

alle

loro

una

cosa,

ma

ed è

facile a

conviene essere ordinato in

modo

quando

che,

non credono

e’

arebbòno possuto fare osservare loro lungamente

come

più,

Romolo non

possa fare loro credere per forza. Moisè, Ciro, Teseo e

si

persuadere

è diffìcile fermarli^ in quella persuasione; e però

loro costituzioni

le

Gi rolamo Savonerola*; ^ il quale ruinò ne’ sua ordini nuovi, ^ come la moltitudine cominciò a non credergli; e lui non aveva modo a tenere fermi quelli che avevano creduto, né a far credere e discredenti.^ Pere questi tali ^ hanno nel condursi gran difficultà, e tutti e’ loro periculi sono fra via,^ e conviene che con la virtù li superino; ma superati che gli hanno, e che cominciano ad essere in venerazione,^ avendo spenti quelli che di sua qualità li avevano invidia,^ rimangono potenti, se fussino stati disarmati;

ne’ nostri tempi intervenne a fra’

securi, onorati, felici...

discorrere...

27.

parte:

approfondire bene

altri:

se

questo argomento.

come predicatore e moralizzatore dei costumi. Fu ucciso nel '98 in un momento di

innovatori

predominio dei suoi avversari, dei Medici, sostenuti da papa

o

VI

e dai francescani.

di

lui

28.

se

questi...

questi

principi

hanno in se la forza per imporsi, devono appoggiarsi a qualcuno.

se

imporsi con la forza. 30. La frase, divenuta proverbiale, esprime un tema fondamentale del pensiero del 29. forzare:

M.

e,

in particolare,

del Principe:

la

poli-

è spiegamento della forza, sintesi di prudenza e armi; il principe, per essere veramente tale, deve avere i mezzi di imporre la propria volontà al popolo (che qui è visto come elemento passivo, non attivo nella vita tica

dello stato) e agli altri stati. 31. varia: incostante, mutevole.

32. fermarli 33.

:

Girolamo

farli restare

Il

Soderini, fiorentina.

la

costituzione

Venne

Savonarola

in

con Antonio Repubblica

della

fama

di

profeta

pei

venuta di Carlo Vili e dei Francesi in Italia ed ebbe altissimo prestigio

aver predetto

la

critiche,

M. e

piu volte parlò

sempre con

dato che

suoi

i

forti

ideali

erano opposti a quelli etico-religiosi del fraSoprattutto qui lo rimprovera di non aver

te.

saputo usare vale

il

la

forza,

jl

che, per lui, equi-

Savonarola non aveva principio fondamentale deU’azione

dire

a

capito

che

il

politica.

34. ruinò... nuovi: rovinò insieme con suoi nuovi ordinamenti. 35.

(1452-1498), frate domenicano, dopo la cacciata dei Medici nel 1494, acquistò tale ascen-

dente sulle folle che ordinò,

limitazioni

Il

scritti,

partigiani

Alessandro

e discredenti:

quelli che

non

gli

1

cre-

devano.

fermi.

Savonerola:

suoi

nei

i

36. questi tali: i profeti armati. solo 37. c tutti... via: incontrano pericoli durante la conquista del potere. 38. essere

in

venerazione: essere stimati,

obbediti e ammirati. 39. avendo... invidia: tolto ostili

comunque alla

loro

di

mezzo

potenza e

avendo

ucciso

o

coloro che erano alla

loro

ascesa

Antologia della letteratura italiana

184

De’ Principati nuovi che s’acquistano con

le

arme

e fortune degli

altri

È questo un

capitolo importantissimo del Principe, perché attraverso un’acuta

appassionata disamina critica di « esempi » cesco Sforza, ma soprattutto Cesare Borgia),

recenti

e

della

italiana

storia

intende mostrare

(Fran-

possibilità

la

di

mediante l’azione energica e virtuosa di un principe. In tal senso, il capitolo precedente, che considera i grandi fondatori di stati (Mosè, Ciro, Romolo, Teseo), ha il valore di una premessa ideale; questo, invece, è piu legato alla situazione italiana presente. Ricordiamo che nel Principe sono indissolubilmente fuse la coscienza lucidissima e drammatica della gravità della crisi italiana e la volontà di superamento di essa mediante l’azione .di una virtù « estraordinaria »; e vi è, inoltre, come avverte giustamente il De Caprariis, riprendendo l’ interpretazione dello Chabod, uno scatto passionale, fondato sulla speranza utopistica di una resurrezione dell’ Italia, che « è intervenuto a rompere l’ angoscia paralizzante che la tristezza dei tempi insinuava nell’ anima, a rovesciare, per un momento, una conclusione pessimistica sulle possibilità di concreta azione, che era stata dedotta da tutto il processo della più recente stòria fondare un solido stato in





Italia,

italiana ».

.

1

Coloro e quali solamente per fortuna con poca

cipi,

hanno alcuna cultà

diventano,

fatica

difììcultà fra

nascono quando

cesso ad alcuno

uno

via,

sono

e*

stato

ma

con

perché

posti.^

E

diventano di privati prin-



assai

mantengono;

si

volano;

vi

questi

tali

ma

^

tutte

sono quando

o per danari, o per grazia

®

e

le ^

non diffi-

è con-

concede

di chi lo

:

come intervenne®

a molti in Grecia, nelle città di Ionia e di Ellesponto,

dove furono

principi da Dario, acciò

gloria;

e

fatti

come erano

fatti

le

tenessino per sua securtà

ancora quegli imperatori® che, di privati,

per corruzione de’ soldati, pervenivano allo imperio.

Questi stanno semplicemente in sulla voluntà e fortuna di chi

2.

ha concesso

lo

loro,®

che sono dua cose volubilissime e instabili; e non

Gap. Vn.

o per grazia

ai

o per favore. intervenne: accadde. Subito dopo allude satrapi che Dario, re dei Persiani (521-486

a.

C.), pose nelle città della Ionia e deirEl-

5.

:

6. 1.

un complesso di fornon per virtù propria. non... volano: non incontrano difficolper fortuna:

tunate 2.



per

circostanze,

alcuna nel loro

quista

del

cammino

verso

perche, anzi,

potere,

la

con-

procedono

con rapidità prodigiosa. 3. sono posti: si sono insignoriti di uno stato. Il verbo (come il precedente volare) allude chiaramente al carattere agevole e del tutto impersonale della conquista, la vera protagonista della quale non è l’uomo, ma la

quando: E questo caso si dà quando...; oppure: Sono da annoverare fra

£

questi...

gli

uomini giunti

ca

della

fortuna,

al

principato solo per ope-

coloro,

7.

acciò...

ecc.

gloria:

governassero

le

con

affinché le tenessero e

sicurezza

c

gloria

di

Dario; sicurezza, in quanto questi non aveva da temere ribellioni da parte di amici,

da

lui

beneficati, g’oria,

in

quanto mostra-

va di sapere splendidamente compensarli. 8.

Nei tempi di Impero Romano (so-

quegli imperatori, ecc.:

maggiore anarchia prattutto

fortuna capricciosa. 4.

lesponto.

nel

III

dell’ sec.

d.

C.)

gli

imperatori

venivano eletti dai soldati, corrotti con promesse ed elargizioni di danaro. 9. stanno.. loro- si fondano solamente sulla volontà e la fortuna di chi ha concesso

Niccolò Machiavelli

185

sanno e non possono tenere quel grado.^° Non sanno, perché, se non è uomo di grande ingegno e virtù, non è ragionevole che, sendo sempre non possono, perché vissuto in privata fortuna, sappi comandare;

non hanno forze stati che vengano

possino essere amiche e fedeli. Di poi gli come tutte le altre cose della natura che nanon possono avere le barbe e correspondenzie primo tempo avverso le spenge; se già quelli

che

li

subito,’^

scono e crescono presto,

come

tali,

modo

in

loro;

che

el

è detto, che

de repente

si

sono diventati principi, non sono

ha messo loro in grembo,^® e’ fondamenti che gli

di tanta virtù, che quello che la fortuna

sappino subito prepararsi

hanno

altri

conservarlo, e quelli

a

avanti che diventino principi,

fatti

3. Io voglio all’uno e all’altro di

memoria

di della

nostra

Borgia. Francesco, *per

e questi

:

li

debiti

potere.

il

quel grado; la posizione raggiunta. non si può 11. non è ragionevole, ecc. ragionevolmente pensare che sappi coman:

che abbia le virtù proprie del principe, in primo luogo una chiara consapevolezza politica.

dare:

12.

non hanno

forze,

ecc.:

non hanno

sostenere

quando

sia

venuta

meno

li

la

volon-

fortuna del loro protettore. Questo armi è elemento fondamentale per il M. che concepisce lo stato come forza e potenza rigorosamente autonome, piuttosto che

che SI de repente; a meno improvvisamente. ha messo... grembo: ha concesso sengià...

se

15.

16.

alcuna

za

loro:

non possono avemanca-

c le loro ramificazioni;

no cioè di fondamenti, di istituzioni e leggi pienamente consolidate. L’ immagine è tratta dalla vita della natura; vi si vede l’amore per l’espressione incisiva

e

M.,

concreta, che

anche la sua concezione dello stato come organismo naturale, soggetto, come l’uomo, a leggi razionali e immutabili, simili a quelle che si

è propria dello stile del

credeva

allora

di

riscontrare

e

nella

natura.

Partendo da questo « naturalismo », il Machiavelli deduce le regole dell’agire politico indipendentemente da ogni altra concezione religiosa e morale. La crudeltà, la violenza del mondo politico gli appaiono come una legge, ineluttabile come quelle della

tempi

nei

Francesco Sforza: Figlio di un «condeir epoca, Muzio Attendolo, c

18.

condottiero egli stesso

signore della Marca

e

d’Ancona, sposò la figlia Visconti, duca di Milano,

lano col

non possono...

avvenuti

dottiero »

senza essere colpivate. ievole energia e possi-

ossia

una forza d’armi loro propria, che o

sono Francesco Sforza

mezzi “ e con una grande sua

10.



circa el diven-

detti,

principe per virtù o per fortuna, addurre dua esempli

tare

loro

faccino poi.

li

modi

questi

tano generale

dell’esercito

di

Filippo Maria

e

divenne capirepubblica

della

Milanesi alla morte del duca.

dai

Accordatosi, però, coi Veneziani, occupò Misuo esercito e ne divenne signore

(1450).

che

M.

Il

episodi

nell’ Italia

ancora possano

conserv.i

del

genere

1



illusione

verificarsi

suo tempo (ma essa era or-

del

mai preda delle potenti monarchie francese e spagnola e inserita in un complesso giuoco europieo in situazione di netta e irrimediabile inferiorità), e per questo considera ed esalta

quasi

affascinato,

in questo

capitolo,

Cesare Borgia che gli sembra essere stato vicino ad attuare la fondazione la

di

figura

un 19.

di

forte stato italiano. per...

mezzi: con

le

forze e

i

mezzi

M. illustrerà piu avanti nel mezzi richiesti dalcorso deH’opera. Sono necessari, che

il

i

la

logica

ferrea

della

politica,

indipenden-

temente da ogni considerazione morale, atti bene ordinato a costituire uno stato solido c

Antologia della letteratura italiana

i86

privato diventò duca di Milano; e quello che con mille affanni aveva acquistato, con poca fatica mantenne. Dall’ altra parte Cesare Borgia, “ chiamato dal vulgo duca Valentino, acquistò lo stato con la di

fortuna del padre, e con quella lo perdé; nonostante che per lui^^

si

ogni opera e facessi tutte quelle cose che per uno prudente c virtuoso uomo si doveva fare, per mettere le barbe sua in quelli stati che l’arme e fortuna di altri gli aveva concessi.^ Perché, come di sopra usassi

non

disse, chi

si

farli poi,

fa e

ancora che^

adunque

dello edifizio. Se

vedrà lui aversi

fondamenti prima, li potrebbe con una gran virtù si faccino con disagio dello architettore e pericolo

fatti

si

considerrà tutti e progressi

gran fondamenti

non indico superfluo discorrere,^ perché

alla

del duca,

futura potenzia:

non

io

^

si

quali

li

saprei quali precetti

mi

dare migliori a uno principe nuovo, che lo esemplo delle azioni sua; e se gli ordini sua

non

li

non fu sua

profittorono,^

colpa, perché

nacque

da una estraordinaria ed estrema malignità di fortuna.^

Aveva Alessandro

4.

sesto,

grande el duca suo fiPrima, e’ non vedeva via di

nel volere fare

gliuolo, assai difficultà presenti e future.

20. Cesare Borgia: Figlio di papa Alessandro VI, fu dapprima insignito della dignità cardinalizia; depostala, ebbe dal re di Francia Luigi XII la contea di- Valence, innalzata a ducato e il titolo di duca di Valentinois e fu per questo chiamato comunemente il Valentino. Con V aiuto del padre e dei Francesi riuscì a costituire, negli anni fra

1499 e

il

1503 (l’anno in cui Alessannell’Italia cen-

il

dro VI mori), un vasto stato

nominalmente soggetti alla Chiesa, ma dominati, di fatto, da tirannclli locali. Con la morte del padre crollò la sua dominazione; il pontefice Giulio II, con ferrea energia, ristabilì insignorendosi

trale,

di

sa.

l’autorità e il dominio della ChieM., «oratore» della Repubblica Fio-

Il

rentina presso al

il

Borgia dal 5 ottobre 150?

gennaio 1503, studiò con interesse

21

e

acutezza la persona e le azioni di quell’avventuriero geniale e senza scrupoli, come possiamo vedere dalle lettere scritte da lui

certo

stati in

modo

donati dalla fortuna del

padre e dalle armi del re di Francia. 23. ancora che: sebbene. La «virtù » del Valentino consiste, dunque, nell’ avere saputo consolidare il proprio stato, cercando di vincere 1’ iniziale difetto di averlo avuto dalla fortuna. Cosa, aggiunge subito il M., difficilissima e che richiede virtù eccezionale.

territori

dovunque

sue radici in quei domini che gli erano

le

24.

si

considerrà

andrebbe però

:

si

considererà.

plurale; qui,

al

il

Il

verbo

singolare

rispecchia l’uso linguistico del tempo, e progressi:

i

modi

successivi

25. discorrere:

di procedere.

esaminare particolareggiata-

mente. 26.

se...

profittorono:

provvedimenti non

gli

se

i

suoi metodi e

diedero buon risul-

tato.

27. estraordinaria... fortuna: Allude alla coincidenza della morte di Alessandro VI c di una grave malattia del Valentino; am-

Valentino appare qui idealizzata: quell’uo-

casi avvennero quando egli non aveva ancora compiuto il consolidamento del suo dominio. Qui la parola fortuna ha il senso di Caso, di un insieme di circostanze che si svolgono di là da ogni previsione

mo

ti-

e

fi-

M.

quel periodo

in

l’opuscolo Del lentino ecc.

nell’

al

governo fiorentino e daltenuto dal duca Va-

modo

ammazzare

Rispetto a quegli

Vitellozzo

scritti,

la

Vitelli,

figura del

crudele, astuto e frodolento, tipico rannello rinascimentale, appare ora una

gura

di

politico esemplare.

Così piu avanti per uno prudente: da un prudente. 22. per mettere... concessi; per mettere 21. per lui:

da

lui.

bedue questi

volontà umana. Ma alla fine del cap. il cercherà di ridurre questo elemento ca-

suale.

Per ora

ci

interessa

rilevare

la

forte

suo personaggio », proponendolo come esempio ad ogni principe nuovo.

coloritura eroica ed esemplare che dà «

al

Niccolò Machiavelli

187

non

poterlo fare signore di alcuno stato che

stato di Chiesa;

fussi

volgendosi a torre quello della Chiesa, sapeva che e Viniziani

duca

el

non gnene consentirebbano; perché Faenza

di già sotto la protezione de’ Viniziani.^ di Italia, e quelle in spezie di chi

si

Vedeva,

e

Rimino erano

oltre di questo, l’arme

fussi possuto servire, essere in le

mani di coloro che dovevano temere la grandezza del papa; non se ne poteva fidare, scndo tutte negli Orsini e Colonnesi complici.® Era adunque necessario® che si turbassino quegli e disordinare

da

Il

che

altre cagioni, si

però

e

loro

e

ordini,

di coloro, per potersi insignorire securamente di

stati

li

parte di quelli.

e

Milano

di

li

fu facile; perché trovò e Viniziani che, mossi

erano

vólti a fare ripassare e

che non solamente non contradisse,

ma

Franzesi in

lo fe* più facile

Italia;

il

con da resolu-

zione del matrimonio antiquo del re Luigi. 5.

Passò adunque

il

prima fu

per la impresa di

Romagna;

zione ® del e

con lo aiuto de’ Viniziani e consenso Milano,® che il papa ebbe da lui gente

re in Italia

di Alessandro; né

in

la

quale

Acquistata adunque

re.

fu. consentita

gli

duca

el

28. Prima... Viniziani: In primo luogo vedeva che non poteva farlo signore se non di uno stato formato nell’ambito del dominio della Chiesa; ma anche in tal caso le difficoltà erano notevoli, perché nei possedimenti ecclesiastici si erano già formate signorie sostenute da altri stati italiani. Lodovico il Moro, duca di Milano, proteggeva

Caterina Riario Sforza, signora di Porli, e Giovanni Sforza, signore di Pesaro; Venezia

proteggeva Pandolfo Malatesta, signore Rimini, e Astorre Manfredi, signore di

Faenza. 29. Vedeva... complici: I principali capitani, e quindi le principali compagnie di ventura dell’epoca, erano legate alle famiglie degli Orsini e dei Colonna, baroni romani che da secoli erano i nemici naturali dei pontefici, di chi... servire:

di cui

si

sa-

Era adunque necessario, ecc. era dunque necessario che si turbasse l’ordinamento 30.

politico

:

e

militare

esistente

(quegli

ordini)

che venissero conseguentemente turbati anche gli staterelli sui quali Alessandro appuntava le sue mire. 31. trovò... Luigi: i Veneziani, deside-

e

rando

di

occupare parte della Lombardia,

allearono con Luigi XII,

che venne in

Italia

M.

e

re di Francia, conquistò Milano (il

parevano

gli

dice ripassare perché già

reputa-

e sbattuti

i

im-

lo

fedeli.

Francesi era-

no venuti in Italia col re Carlo Vili); Alessandro non solo non si oppose alla venuta del re, ma si alleò con lui, annullando il primo matrimonio di lui con Giovanna, figlia

Luigi XI, e consentendogli cosi di la vedova di Carlo Vili, Anna di

di

sposare

Bretagna, che gli portò in dote quella provincia e gli diede il diritto di vantarsi discendente dei Visconti, precedenti signori di

Milano. Diede inoltre a George d’Amboise, ministro del re, il titolo di cardinale di Roano (Rouen). Non 32. né prima fu in Milano, ecc. :

appena Luigi XII ebbe presa Milano (6 ottobre 1499), mandò al papa uomini d’arme f^ente): quattromila fanti svizzeri e trecento cavalieri,

con

novembre

del '99 e

Imola e Forlì

rebbe potuto servire.

si

la

Colonnesi,^ volendo mantenere quella e procedere più avanti,

pedivano dua cose: l’una, l’arme® sua che non

di

per

Romagna,

la

quali il

il

Valentino,

fra

gennaio del 1500,

il

tolse

a Caterina Sforza. Poi, fra

il

1503, occupò Pesaro, Rimini, FaenPiombino, Urbino, Camerino, "Senigal-

1500 e za,

i

il

Città di Castello e Perugia. 33. reputazione: autorità, prestigio. le 34. sbattuti e Colonnesi: battute

lia,

com-

pagnie di ventura che facevano capo ai Colonna. Il Valentino si era servito di mercenari francesi e di quelli che facevano capo agli Orsini.

35.

1’

arme:

i

soldati.

Antologia della letteratura italiana

i88

l’altra, la

volontà di Francia;

valuto, gli

ma

stare,

mancassino

sotto,

cioè che l’arme Orsine, delle quali s’era

^

e

non solamente che

gli togliessino lo acquistato, e

l’

impedissino

lo acqui-

non li facessi quando, dopo la espu-

re ancora

il

simile. Degli Orsini ne ebbe uno riscontro,^® gnazione di Faenza, assaltò Bologna, che li vidde andare freddi in quello assalto;^ e circa il re, conobbe l’animo suo, quando, preso il ducato di Urbino, assaltò la Toscana dalla quale impresa el re lo fece el

:

Onde

desistere.

fortuna di

E

6.

perché

che

duca deliberò non depcndere piu dalle arme

il

la

prima

tutti

secondo

e onorolli,

Orsine

cosa, indebolì le parti

e

Colonnese in Roma;

aderenti loro che fussino gentili uomini,^ se

gli

dagnò, faccendoli suoi gentili uomini

dando

e

loro qualità, di condotte e di governi,^^ in

le

volse nel duca."*^

si

e capi Orsini,

avendo

bene, e lui

usò

la

Dopo

questa, aspettò la occasione di spegnere

dispersi quelli di casa

e della

Chiesa era

36. la volontà di Francia:

cioè del re di

mancassino sotto:

37. gli

ma

gli venissero

l’espressione allude al timore di

meun

repentino e imprevisto tradimento. 38.

riscontro:

39. assaltò

prova.

Bologna:

Castelbolognese,

Bologna per

ma

occupò dovette

esplicito

divieto

di

sorpresa

rinunciare di

a

XII

Luigi

un accordo con Giovanni

e venire a

Benti-

voglio .signore della città. 40. lotta

andare... assalto:

li

vide condurre

la

senza vera decisione.

E

prima cosa: e per prima cosa, due partiti che facevano capo, a Roma, agli Orsini e ai Colonna. 42. gentili uomini: nobili. 41.

46. la quale... meglio:

quale occasione e il Valentino la seppe sfruttare con energia e astuzia incomparabili. È stato notato che qui nel Principe la rivolta dei capitani sembra quasi una superiore astuzia del Valentino per liberarsi definitivamente dei suoi nemici, mentre nell’opuscolo Del modo tenuto dal duca gli

le

loro

diede agli uni alti gradi militari, governatori civili. È soprat-

fece

da questo momento che comincia

come

l’occasione che la fortuna gli offre e a pie-

garla con la sua virtù sempre vigile e pron-

la

cioè, egli

soggezione sostituisce

al

la

si

riscatta dalia primitiva

favore della fortuna e ad esn sua virtù, fatta di una lucida

considerazione della situazione politica e di tin’ energia inflessibile. affezione... duca:

si

spense nel loro

La

stessa frase rapida e incisiva,

vago sapore proverbioso

e

con un

agghiacciante

di

(agghiacciante se si pensa all’ orrore tradimento freddamente perpetrato dal Valentino) rivela la partecipazione appassionata dell’autore alla vicenda che narra. ironia

del

parte del M., della sua figura esemplare; da

1’

la

presentò favorevolissima,

si

Valentino, tee. il M. aveva rappresentato il duca « pieno di paura » per questa rivolta. Ma come abbiamo già detto, qui il Valen-

ta.

secondo

esaltazione del Valentino, la costruzione, da

45.

al loro

volse tutto al Valentino.

l’eroe dell’azione politica, pronto a cogliere

altri

quando,

rebellione

animo l’amore che portavano prima si

la

una dieta di Urbino

tino è fortemente idealizzato, è visto

capacità,

tutto

la

venne che

i

43. provvisioni; stipendi. 44. c onorolli... governi: e,

gli

li

la

parti;

le

quale

la

loro ruina, feciono

la

partito e

Francia.

no;

Colonna;

Magione,*® nel Perugino: da quella nacque

alla

modo

spense, e

si

meglio.'*® Perché, avvedutisi gli Orsini, tardi,*"^

grandezza del duca

gua-

li

loro grandi provvisioni;

che in pochi mesi negli animi loro l’affezione delle parti tutta

e

altri.

47.

tardi

;

osserva

la

nuda

e

drammatica

eloquenza di questo avverbio. Il suo vero significato è « troppo tardi », con il senso di

qualcosa di irreparabile. 48.

qui,

una il

Giovan

dieta alla

Magione:

Si

riunirono

9 ottobre 1502, Vitellozzo Vitelli, Paolo Baglioni, Pandolfo Pctrucci,

Niccolò Machiavelli

e

tumulti di

li

189

Romagna

e infiniti

pcriculi del duca;

quali tutti su-

li

però con lo aiuto de’ Franzesi. 7.

E

E

reputazione,^ né

ritornatogli la

altre forze esterne, per

non

fidando di Francia né di

si

avere a cimentare,^

le

seppe tanto dissimulare l’animo suo, che

gnor Paulo, “

si

riconciliorono seco; con

volse agli inganni.®’

si

Orsini, mediante

gli

quale

il

el

si-

duca non mancò

el

d’ogni ragione di ofiìzio“ per assicurarlo, dandogli danari, veste e cavalli;

tanto che la simplicità loro

mani.®^ Spenti

aveva

sua,

avendo

il

“ adunque duca

tutta la

gittati

amica

Romagna

pcpuli, per avere cominciato a gustare 8.

E

guadagnatosi

e

bene essere

el

quelli

tutti

loro.®”^

perché questa parte è degna di notizia e da essere imitata da

non

altri,

potenzia sua,

alla

ducato di Urbino, parendogli, mas-

il

la

la

voglio lasciare indrieto. Preso che ebbe

duca

il

gna, e trovandola suta comandata®® da signori impotenti,®®

li

Roma-

la

quali piu

ma-

presto avevano spogliato e loro sudditi che corretti,®® e dato loro

disunione,

teria di

non

di unione, tanto che quella provincia era tutta

Paolo c Franciotto Orsini, Oliverotto da Fermo, c si confederarono contro il Valentino. In seguito a questo accordo, Urbino e Camerino si ribellarono al duca e ritornarono sotto

il

M.

il

governo dei precedenti signori. :

« virtuoso »

^9.

Ma

intelligenti

importa mostrare del suo personaggio.

a

lui

ritornatogli

la

reputazione:



1

agire

ritornato-

cosi il prestigio che per un momento aveva perdutoT. 50. per non... cimentare, per non doverle più sperimentare con proprio rischio. 51. si volse agli inganni: non c’è nella parola inganni alcun senso di riprovazione morale. Anche il tradimento può diventare un’ azione necessaria nel mondo selvaggio della politica, quale il M. lo concepisce. 52. mediante... Paulo: Paolo Orsini credette alle profferte del Valentino c si fece intermediario di pace fra lui c i capitani gli

ribelli.

53. d’ ogni... offìzio: d’

ogni sorta di cor-

tesia.

chiama, la loro, simplicità, un’ ingenuità che rasenta la stoltezza, perche, per lui, in politica non c’ è posto per

tanto che la simplicità loro, ccc.: Il dicembre T502 il Valentino riuscì ad atti-

Vitellozzo Vitelli, Paolo Orsini e Oliverotto da Fermo, con il pretesto di stabi-

con loro un accordo definitivo, a Senigallia [Sinigaglia) ma li fece imprigionare e strangolare. 11 M. non ha alcuna pietà per i traditi, che, del resto, erano meno

Spenti:

55.

Machiavelli pronuncia im-

Il

parola che ha qualche cosa

passibile questa

più

di

per

forte

radicale

e

di

a

« uccisi »

corrisponde.

senso,

il

Scrittore

cui.

intima-

colori intensi, la mente drammatico, ama come la virtù che vai

frase recisa e tagliente

gheggia. 56.

massime: soprattutto.

57.

e

loro:

guadagnatosi...

guadagnato

la

simpatia

Romagna,

genti di

suo governo

le

per

e il

la

ed

essendosi

fedeltà

delle

fatto che sotto

il

loro condizioni di vita erano

effettivamente migliorate. I signori precedenti erano tiranni crudeli e rapaci che stra-

ziavano

i

sudditi.

Il

Valentino ricondusse

in-

vece in quelle terre l’ordine e l’impero della legge, cioè la pace, assolvendo quello che,

per

M.,

il

principe,

la

è

dovere

il

stata

fondamentale del

giustificazione del suo agire.

58. trovandola...

era

rare

lire

lui;

gli sciocchi.

54. 31

non moralmente

Valentino,

del

migliori di

sorvola sugli in finiti periculi corsi dal

Valentino

sue

nelle

partigiani loro amici

li

buoni fondamenti

assai

Romagna con

sime,®® aversi acquistata

condusse a Sinigaglia

li

questi capi, e ridotti

comandata: trovando che

governata (suta

=

stata).

impotenti: violenti e sfrenati (secondo significato che la parola impotens ha in

59. il

latino).

60.

li

quali...

diti.

che avevano piutnon governato loro sud

corretti:

tosto derubato che

i

Antologia della letteratura italiana

190

piena di latrocinii, di brighe c di ogni altra ragione di insolenzia,®^ indicò fussi necessario, a volerla ridurre pacifica e obediente

buon “ governo. Però

regio,®* darli

uomo in

crudele ed espedito,

poco tempo

Di poi indicò non

dubitava

mezzo

braccio

al

prepose messer Remirro de Orco,

quale dette pienissima potestà.^ Costui

al

ridusse pacifica e unita, con grandissima reputazione.®^

la el

vi

duca non essere necessario odiosa;

divenissi

e

eccessiva autorità, perché

si

uno

preposevi

iudicio

nel

civile®®

con uno presidente eccellentissimo, dove ogni città vi aveva lo avvocato suo. E perché conosceva le rigorosità passate averli generato®^ qualche odio, per purgare®® gli animi di quelli populi e guadagnarseli in tutto, volle mostrare che, se crudeltà alcuna era seguirà, non era nata da lui, ma dalla acerba natura del ministro. E della provincia,

presa sopr’a questo occasione,®® lo fece a Cesena,

una mattina, mettere

con uno pezzo di legno e uno

in clua pezzi in sulla piazza,

coltello

sanguinoso a canto. La ferocità del quale spettaculo fece quelli populi in

un tempo rimanere

latrocinii...

61.

satisfatti

e stupidi.”^®

insolcnzia: rapine, risse e

^gai sorta di violenza e malcostume. 62. al

braccio regio:

all’autorità

del

po-

zialmente, nel secondo, il popolo passivamente l’iniziativa del principe

buon:

67. conosceva...

potestà:

Perciò vi inviò

come

suo luogotenente, nel 1501, Ramirro de Lorqua, uomo crudele e risoluto, al quale diede pieni poteri.

Ramirro era venuto

al

della

civile, cioè

civile,

ecc.

Romagna una

:

prepose al magistratura

un tribunale detto Rota,

:

alla

presie-

condotta con

conquista

violenta

dello

spietata

energia,

ma

68. per purgare:

tà,

Ramirro compiva spoliazioni a suo van-

stato,

giustifi-

mici del duca che

si

di lui nella Dieta alla

occasione:

69. presa...

colto

il

momento

favorevole. 70.

stupidi:

fece...

Sono due periodi

ra-

ma

delincano tragicamente la scena. Prima c’ è la determinazione precisa del tempo e del luogo, poi quel cadavere straziato descritto con un’espressione

pidi,

essenziali,

cruda e macabra, come quel coltello e quel pezzo di legno che attestano la feroce esecuzione. Il quadro è completato dal popolo

ma

soddisfatto, pidì)

per

soprattutto

stupefatto

{stu-

rapidità folgorante e l’estrema

la

crudeltà dell’esecuzione del ministro odiato.

dal fatto che riconduce l’ordine dove

Lo

prima erano disordine e anarchia, succede il secondo momento, quello della fondazione di ordinamenti e leggi efficienti che garantiscano allo stato una vita pacifica. Sia, però, nel primo momento, sia, almeno ini-

me

cata

per estirpare dall’animo

dei sudditi ogni sentimento di odio. In real-

erano coalizzati contro Magione. Uccidendolo, il Valentino mascherava la sua vendetta privata con un apparente atto di giustizia per il popolo.

duto da Antonio Del Monte, presso il quale ogni città aveva un proprio rappresentante. L’azione del Valentino segue qui uno schema ideale che il M. teorizzò anche nei Discorsi

gli

mag-

l’anarchia e le violenze precedenti. preposevi...

66.

sapeva che

taggio e pare che fosse d’ accordo coi ne-

giordomo. Fu imprigionato dal duca nel dicembre del 1502 e poco dopo ucciso. 65. con grandissima reputazione: acquistando (Ramirro) grande autorità e rispetto. I mezzi usati furono energici e anche crudeli; ma si trattava, per il M., di una crudeltà bene usata che riuscì a togliere di

governo

generato:

seguito

del Valentino dalla Francia, ed era suo

mezzo

com-

avevano generato.

efficiente.

64. Però...

è

posto di sudditi, non di cittadini.

tere sovrano.

63.

subisce :

stile del

disse,

osserva

il

il

che

De

Sanctis,

« di

marmo

».

Egli

fatto atroce senza alcuna apparente

emozione: diale

Machiavelli è qui veramente, co-

vi

egli

drammatica

vede

riflessa la ferocia

ha avvertito

alla

primor-

base della

e spesso tragica vita politica.

Niccolò Machiavelli

Ma

9.

191

torniamo donde noi partimmo. Dico che, trovandosi

duca

el

assai potente e in parte assicurato de’ presenti periculi, per essersi ar-

mato

buona parte spente quelle

a suo modo"^^ e avere in

potevano offendere,

quisto,

il

gli restava,

quale tardi s’era accorto dello errore suo, non

il

arme,"^ che,

volendo procedere con lo respetto del re di Francia;"” perché conosceva come dal

vicine, lo

acre,

sarebbe sopportato.

li

E

cominciò per questo a cercare di amicizie nuove, e vacillare con venuta che feciono gli Franzesi verso el regno di Napoli contro agli Spagnuoli che assediavono Gaeta. E l’animo suo era assicurarsi di loro: il che gli sarebbe presto riuscito, se Alessandro Francia,"'^ nella

viveva. 1

E

0.

quanto

questi furono e governi

cessore alla Chiesa

sandro

” sua quanto

alle cose presenti.

Qon

amico e

fussi

li

cercassi torli” quello che Ales-

aveva dato. Di che pensò assicurarsi in quattro modi

gli

Ma

aveva a dubitare, in prima, che uno nuovo suc-

alle future, lui

prima,

:

di spegnere tutti e sangui di quelli signori che lui aveva spogliati, per

papa quella occasione; ” secondo, di guadagnarsi tutti e genuomini di Roma, come è detto, per potere con quelli tenere el papa in freno;” terzo, ridurre el Collegio” piu suo che poteva; quarto, acquistare tanto imperio, avanti che il papa morissi, che potessi per se medesimo resistere a uno primo impeto.® Di queste quattro cose, alla morte di Alessandro, ne aveva condotte" tre; la quarta aveva quasi tórre al tili

ammazzò

per condotta: perché de’ signori spogliati ne

aggiugnere, e pochissimi

71. per essersi... modo: milizie fedeli, rendendosi

si

leno.

indipendente dai

del padre.

73. gli restava... Francia:

costituito

dalla

le

gli restava, vo-

sue conquiste, l’ostacolo

volontà del

re

di

Francia,

che non gli avrebbe permesso un’ulteriore espansione, essendosi accorto di aver com-

messo un errore nel consentire un accrescimento di potenza del papa. 74. a vacillare con Francia; Cominciò a non essere più fedele all’alleanza con la Francia. Francesi e Spagnuoli erano in guerra per la spartizione del regno di Napoli. I Francesi furono ripetutamente sconfitti. Alessandro VI,

mandante di

allora,

delle

Cordova,

ispano-pontificia cacciare

l

poco dopo

avviò trattative col cospagnuole, Consalvo

forze

compiere una spedizione

per

nell’Italia

settentrionale

Francesi dalla Penisola.

Ma

l’inizio delle trattative di

stione cerebrale o,

come

si

sospettò,

Il

75. e governi: provvedimenti.

arme: quelle degli Orsini.

lendo continuare

Valentino seguiva

per essersi creato

Francesi. 72. quelle

quanti ne possé

salvorono; e gentili uomini romani

e

mori

congedi

ve-

modo

il

si

aveva

la

stessa

politica

di

procedere e

i

76. cercassi tórli: cercasse di togliergli.

occasione:

spegnere...

77. di tutti

di

uccidere

parenti e discendenti dei signori che

i

aveva

privato

del

loro

dominio,

per

to-

gliere al successore di Alessandro l’occasione di restituire loro lo stato.

guadagnarsi...

78. di

amici

tutti

i

nobili di

freno:

Roma,

di

rendersi

per poter col

loro aiuto limitare ogni possibilità di azione ostile del

79. el

papa. Collegio;

il

collegio

dei

cardinali

che doveva eleggere il nuovo papa. Il Valentino pensava di averlo ligio ai suoi voleri

sia

sfruttando

la

propria

numerosi cardinali spagnuoli,

amicizia sia

coi

incutendo

timore agli altri. 80. per se... impeto; resistere con

le

sue

forze a un primo assalto dei suoi nemici. 81. condotte; condotte a compimento.

Antologia della letteratura italiana

192

guadagnati, c nel Collegio aveva grandissima parte; e quanto al nuovo acquisto, aveva disegnato diventare signore di Toscana, e possedeva di già Perugia e Piombino, e di Pisa aveva presa la protezione. 1

1

.

E come non

avessi avuto

gliene aveva ad avere piu,

Regno

ad avere respetto

Francia (che non

a

per essere di già e Franzesi spogliati del

dagli Spagnoli, di qualità che ciascuno di loro era necessitato

comperare l’amicizia sua), e’ saltava in Pisa.® Dopo questo, Lucca e Siena cedeva subito, parte per invidia® de’ Fiorentini, parte per paura; e Fiorentini non avevano remedio.®* Il che se li fossi riuscito (che gli ®®

riusciva

medesimo che Alessandro

l’anno

forze e tanta reputazione, che per se stesso

mori),

rebbe piu dependuto dalla fortuna e forze di e virtù

Ma

sua.

minciato

a

ma

altri,

solamente assolidato, con eserciti inimici,®® e

con

Ed

malato a morte.®®

bene conosceva come

si

lo

Romagna

stato di

dua potentissimi

tutti gli altri in aria,®^ intra

era nel duca tanta ferocità gli

uomini

hanno

si

aveva

si

fatti,

che,

non

lui

se

avuto quegli

avessi

dosso, o lui fussi stato sano, arebbe retto a ogni difficoltà.

guada

a

gnare o perdere, e tanto erano validi e fondamenti che in

tempo

sa-

dalla potenzia

Alessandro mori dopo cinque anni ch’egli aveva co-

trarre fuora la spada.®® Lasciollo

e tanta virtù, e

acquistava tante

si

sarebbe retto, e non

si

poco



eserciti

E

ad-

ch’e fon-

damenti sua fussino buoni si vidde: che la Romagna lo aspettò piu di uno mese; in Roma, ancora che mezzo vivo, stette sicuro; e benché Baglioni, Vitelli e Orsini venissino in Roma, non ebbono séguito contro di lui; posse fare, se non chi e’ volle, papa, almeno che non fussi chi non voleva.®^ Ma se nella morte di Alessandro lui fussi stato sano, ogni cosa

82.

era facile.®^

gli

E come...

E

lui

E quando non

Pisa;

mi

fosse

ad avere alcun riguardo per i Francesi (e ormai non lo era piu, perche erano stati sconfitti dagli Spagnuoli, si che gli uni e gli altri ora tenevano alla sua amicizia) avrebbe potuto agevolmente diventar tenuto

piu

signore di Pisa.

cedevano, invidia; odio. 84. non avevano rimedio; non avrebbero avuto scampo, sàrebbero stati anch’essi as83.

cedeva:

85.

che

gli

riusciva:

In

Bo'ogna

Firenze,

realtà, e

Siena

si

;

sta-

Chiesa nel 1498. La espressione a trarre fuora la spada lo rappresenta vivacemente nel suo carattere di conquistatore.

con

lo

Romagna

stato...

in

aria;

solo

lo

erano ancora

altri

infidi

c

mal-

gravemente insieme col padre. 90. ferocità; ardimento e forza d’animo. voleva:

possé...

91.

pa

se

non

chi

ritenesse

92.

Ma

volle

non

se...

era già guarito

potè far eleggere palui,

almeno uno che

ostile.

facile:

In realtà

quando Urbino,

il

Valentino

Città di Ca-

Piombino e Perugia gli si ribellarono tornarono in potere degli antichi signori. « La verità è che egli fu travolto non da un’imprevista malattia, ma dal crollo del solo pilastro su cui poggiava tutta la sua potenza », cioè dalla morte di Alessandro VI

stello.

stato

eletto gonfaloniere della

87.

gli

che fu creato lulio

inimici: gli Spagnuoli 88. intra dua... che assediavano Gaeta c i Francesi che si recavano a scxrcorrerc la città. 89. e malato a morte: si era ammalato

invece,

vano coalizzando contro il Valentino. Valentino era il 86. cinque anni

di

tino;

di

ne’

sicuri.

egli

soggettati.

Francia,

disse,

stato

era stato consolidato dal Valen-

c

(De Caprariis). Al tempo ne a

Roma

nel 1503,

il

della sua legazio-

Machiavelli conside-

Niccolò Machiavelli

193

secondo,” che aveva pensato a ciò che potessi nascere morendo

pa-

el

aveva trovato remedio, eccetto che non pensò mai, in sua morte, di stare ancora lui per morire.”

dre, c a tutto

su

la

12.

Raccolte” io adunque tutte

prenderlo;” anzi mi pare, coloro che per fortuna e

Perché

avendo l’animo grande

lui,

della vita di Alessandro e la

necessario

suo

nel

non

saprei re-

principato

non

e la sua intenzione alta,”

poteva governare” altrimenti; e solo vità

azioni del duca,

le

come ho fatto, di preporlo imitabile ” a tutti con Tarme d’altri sono ascesi allo imperio. si

oppose

malattia sua. Chi

nuovo

assicurarsi

si

sua disegni la bre-

alli

de’

adunque

indica

nimici,

guada-

gnarsi degli amici, vincere o per forza o per fraude,^” farsi amare e

temere da’ populi, seguire e reverire ti

da’ soldati, spegnere quelli che

possono o debbono offendere,^” innovare con nuovi modi

antiqui,^” essere severo e grato, lizia

magnanimo

infedele, creare della nuova,

principi, in

modo

con respetto,

Solamente

rava

del

Tagirc

mantenere

amicizie de’ re e de’

le

abbino o a beneficare con grazia o offendere non può trovare e più freschi^” esempli che le azioni che

di costui.

si

ti

può accusarlo

Borgia con sguardo deciqui è invece evidente i’idealizzazione del personaggio. 93. nc’ di... secondo; nei giorni deirasce-

samente

critico;

mico vinto, o anche colui che d trovi sul suo cammino come un ostacolo, deve necessariamente abbatterò. 103. innovare...

andqui; introdurre nuo-

94. non...

95. Raccolte;

bene volontieri e a offenderti, con riguardo e prudenza.

morire: non pensò mai che mentre il padre moriva, sarebbe stato anche lui per morire.

avendo

reprcnderlo;

io ricapitolato.

di

106.

al-

beneficare...

a

posto di quelle che a farti

respetto:

del

se necessitati,

Solamente

si

può accusarlo,

ecc.

:

qui alla fine del cap. un nuovo pensiero

98. avendo... alta:

Questo riconoscimento grandezza d’animo e di scopi {intenzione) del Valentino completa l’idealizzazione del personaggio. Gli aggettivi « grande » e « alto » non hanno però alcuna significazione morale, ma equivalgono a un riconoscidella

mento di virtù nel senso machiavelliano. Il M. vede nel Valentino una capacità politica eccezionale, e l’ammira come uno scienziato ammira un organismo perfetto, prescindendo dalla sua finalità. 99. non... governare: non

al

105. freschi: recenti.

proporlo

l’imitazione.

si

poteva com-

portare. 100. o per forza o per fraude; con qualunque mezzo: ciò che importa è vincere. 101. rcvcrire: rispettare e temere. 102.

104.

biasimarlo.

97. di preporlo imitabile:

pon-

nella creazione di lulio

ve leggi o istituzioni vi erano prima.

ta al pontificato di Giulio II.

96.

gli ordini

e liberale, spegnere la mi-

debbono offendere: secondo

la

inesorabile e feroce della vita politica,

logica il

ne-

vaglia la in

lignità

del di

mente

del

la

et

posto estrema ma-

fortuna », responsabile del crollo

di

Valentino; ora, lui

M. Aveva prima

« l’estraordinaria

rilievo

Da tra-

invece,

fa

ricadere

su

responsabilità della sua rovina, la

vede dipendere soprattutto dall’errore commesso dal Borgia nel lasciare eleggere papi Giulio II. La logica della dottrina si rivela qui piu forte del tentativo di idealizzazione. D’altra parte il M., pur ammettendo nella storia umana l’intervento inesplicabile e ineluttabile della fortuna, non si rassegna di fronte ad esso, soprattutto nel 'Principe,

che intende essere opera di stimolo e di speranza per l’Italia. 107. lulio pontefice; Dopo il brevissimo pontificato

di

un mese dopo

Pio

III.

che

mori

essere stato eletto,

nemmeno il

31

ot-

Antologia della letteratura italiana

194

nella

tefice,

fare

papa;

fussi

lui ebbe mala elezione; perché, come è detto, uno papa a suo modo, e’ poteva tenere che uno non non doveva mai consentire al papato di quelli cardi-

quale

non potendo

e

o che, diventati papi, avessino ad avere paura uomini offendono o per paura o per odio. Quelli che lui aveva offesi, erano infra gli altri. San Piero ad Vincola, Colonna, San Giorgio, Ascanio; tutti gli altri, divenuti papi aveano a che

nali

lui avessi offesi,

di lui. Perché gli

temerlo, eccetto

Roano

e

li

Spagnoli

questi per coniunzione e obligo,

:

quello per potenzia, avendo coniunto seco

regno di Francia. Pertanto

il

duca, innanzi a ogni cosa, doveva creare papa uno spagnolo; c non

el

potendo, doveva consentire che fussi Roano e non San Piero ad Vincula.

E

chi crede che ne’ personaggi grandi e benefìzi nuovi faccino

dimenticare

le

vecchie,

iniurie

s’inganna. Errò adunque

el

duca in

questa elezione; e fu cagione dell’ultima ruina sua.“^

Di

quelli che per scelleratezze sono pervenuti al Principato Questo capitolo

ci

appare come uno dei piu tormentati del Principe, per

il

contrasto in esso evidente, e cliiaramente sofferto dall’autore, fra politica e morale. Il

Machiavelli condanna coloro che sono giunti e infami,

scellerati

perio,

non

figura

del

quali

« e

modi



egli



dice

gloria ». L’affermazione appare strana,

Valentino,

e

le

spiegazioni

date

principato usando mezzi possono fare acquistare imal

dopo

dagli

l’esaltazione della sinistra

soprattutto

interpreti,

quella

quale non sono condannabili quelle crudeltà che arrecano vantaggio effettivo allo stato, e lo sono invece quelle che nascono da un’egoistica brama di potenza, convincono solo in parte.

secondo

la

tobre 1503 fu eletto papa Giulio della RoSan Pietro in Vincoli, che

vere, cardinale di

nome di Giulio II. Questi aveva il grandi promesse, che poi non mantenne, al Valentino, il quale lo aveva aiutato a ottenere il voto degli undici cardinali spagnuoli. Ma molto probabilmente (contrariamente a quello che pensa qui il M.) il Valentino, in questa circostanza, aveva ben

Amboise, arcivescovo di Rouen e i cardi113. nali spagnuoli non avevano ragione di te-

comune

prese

merlo, questi per

fatto

gia erano spagnuoli) e per

poco potere di modificare gli eventi. 108. ebbe mala elezione: compì una tiva

cat-

come

come ho

detto sopra.

no. e’ poteva... papa: egli (il Valentino) poteva almeno impedire che fosse fatto papa uno che gli fosse nemico. 111. San Piero... Ascanio: Giulio II, Giovanni Colonna, Raffaello Riario, Ascanio Sforza, offesi dal Valentino che, durante le sue conquiste, aveva combattuto contro

mem-

112. eccetto...

Spagnoli:

solo Giorgio

di

(i

Bor-

favori ricevuti

Alessandro VI, e quindi per interessi che avevano in comune col Valentino; quello perche poteva appoggiarsi alla potenza francese (in realtà Giorgio d’Amboise avrebbe fatto pagare al Valentino il tradimento che questi si apprestava a perpetrare nei confronti della Francia). ecc.

:

e questo errore

cagione della sua definitiva rovina. Il riconoscimento dell’errore fatale del Valenfu

M. di trovare una giustificazione di natura umana e non fantastica alla sua rovina; cosa questa importante per tino consente al

lui,

che considera

la politica

come una

scien-

za, soggetta quindi al controllo della razionalità,

mi

bri delle loro famiglie.

origine

politici

e fu cagione, è detto:

i

da

scelta.

109.

la

fondata su principi c su leggi confornatura umana e non sul caso, c

alla

dominata,

infine,

dalla

tdrtii.

Niccolò Machiavelli

195

il Machiavelli ha sentito quanto fosse arduo il conciliare le esigenze della con quelle della morale e ha vissuto con una autentica sofferenza questo problema, senza riuscire, però, a risolverlo. Soprattutto nel Principe si è fermato al lato tecnico e utilitaristico della politica, non ha sentito lo stato come effettivo mez2so di progresso e di civiltà dei cittadini. Mentre perseguiva la fondazione di una scienza politica distinta dalla morale, non riusciva a ristabilire un’intima relazione fra questi due momenti fondamentali dell’ agire umano. L’unica soluzione che sapeva proporre era quella delle crudeltà bene usate^ cioè dell’assunzione del male in una costruzione statale intellettualmente consapevole e perseguita con l’energia che era necessaria nel mondo drammatico e violento dei rapporti umani, quale egli lo concepiva.

Certo

politica

Ma, perché si può

1.

di privato

che non

il

mi pare

diventa principe ancora in dua modi,^

si

tutto o alla fortuna

al

o

alla virtù

di lasciarli Jndrieto, ancora che dell’uno

mente ragionare dove

trattassi delle repubbliche.^

si

do, o per qualche via scellerata e nefaria

quando uno privato

si

cittadino con

il

®

delli

principato, o

al

sua cittadini di-

altri

venta principe della sua patria. E, parlando del primo modo,

con dua esempli, uno antiquo,

strerrà

altrimenti ne’

meriti

l’altro

non

Questi sono^ quan-

ascende

si

favore

attribuire,^

possa più diffusa-

si

mo-

moderno, san^a intrare

questa parte, perché io iudico che basti,

di

a

chi fussi necessitato, imitargli.®

Agatocle

2.

non

siciliano,

abietta^ divenne re

et

di

6.

di

infima

nato d’uno figulo, tenne

Costui,

Gap. vili.

ma

fortuna,

privata

solo di

Siracusa.

sanza... imitargli:

Il

M. jfferma

di vo-

semplicemente definire mediante due esempi, uno tratto dalle storie antiche (Agàtocle), l’altro dalle moderne (Oliverotto da Fermo), questo modo di pervenire al principato. Non intende però discuterne approfonditamente o ricavarne una teoria, perche pensa che basti, a chi si trovasse nella nelere

dua modi: cioè per mezzo di scelleed è l’argomento di questo capi-

in

1.



ratezze tolo



o per il favore dei propri concittaargomento del capitolo Sarà questo ’

dini.

1

seguente. 2.

in

che... attribuire: chi diventa principe

il

due modi va considerato a non fonda completamente ne sulla virtù ne

uno

di questi

parte, si

nel

presente trattato, in quanto

sulla fortuna.

ancora... repubbliche: sebbene del prin-

3.

cipato civile (di quello cioè ottenuto per

favore dei concittadini)

diffusamente

più no.

un di

trattato

lunque

sia

di

per indicare la

fonte

cui

in

si

governo repubblica-

M. adopera però

Il

e principato

tratti

in

forma

parlasse della

il

potrebbe parlare

si

del

dominio assoluto

i

termini principe

la

sovranità, qua-

potere, sia

che

sia

che

si

si

tratti di

repubblica.

modi

4.

Questi sono:

5.

per qualche... nefaria: con mezzi scel-

lerati

vine e

e

sottintendi

«

».

nefandi, cioè contrari alle leggi di-

umane.

cessità di seguire questa via, imitare quegli

esempi. Può suonare strana la considerazione che uno possa essere necessitato a giungere al potere con scelleratezza; ma il M., che sente il mondo della politica fondato sulla violenza e sul rischio, pensa che la scelleratezza possa talvolta essere una dura

ma

ineluttabile

necessità.

Ne

ritrovava

esempi nel fratricidio di Romolo, in certe azioni spietate di Mosè, negli assassinii perp>etrati dal Valentino. Era dunque una legge insopprimibile dcH’azione politica, che egli accettava coraggiosamente come un dato scientifico, non senza però un’ intima sofferenza. capitolo,

Questa è evidente nel

soprattutto

Agatocle. 7. Agàtocle

:

nel

presente

giudizio finale su

Fu signore

di

Siracusa

dal

Antologia della letteratura italiana

196

sempre, per

compagnò che,

voltosi

non

gradi della sua età,® vita scellerata:

li

manco,

di

ac-

sua scelleratezze con tanta virtù® d’animo e di corpo,

le

per

milizia,

alla

li

gradi di quella,^® pervenne ad essere

Nel quale grado sendo

pretore di Siracusa.

avendo de-

constituito, et

liberato diventare principe e tenere con violenzia e sanza obligo d’altri

quello che d’accordo

li

era suto concesso,^^ et avuto di questo suo di-

con Amilcare cartaginese,

segno intelligenzia

una mattina

militava in Sicilia, raunò

come

racusa,

se

et

il

eserciti

li

senato di

avuto a deliberare cose pertinente

avessi

elli

quale con

il

populo

el

Si-

alla

re|

pubblica;

uno cenno ordinato^®

a

et

sua

da’

fece

uccidere

soldati

|

tutti

li

senatori e

occupò

più ricchi del populo. Li quali morti,

li

e |

tenne

el

principato di quella città sanza alcuna controversia

demum

E, benché da’ Cartaginesi fussi dua volte rotto e

non solum

posse defendere la sua

ma,

città,

gente alla difesa della obsidione,^ con

assediato,^®

lasciato parte delle sua

altre assaltò

le

civile.^"^

et in

l’Affrica,

breve tempo liberò Siracusa dallo assedio, e conduss’e Cartaginesi in

estrema necessità

|

accordarsi con quello, esser

c furono necessitati

:

i

i

1

1

contenti della possessione di Affrica et ad Agatocle lasciare la Sicilia.

Chi considerassi adunque

3.

cose, o poche,

come

di sopra è detto, che

della milizia,

le

^ non per favore

ma

d’alcuno,

quali con mille disagi e pericoli

li

non vedrà

azioni e virtù di costui,

quali possa attribuire alla fortuna; con ciò sia cosa,

le

si

per

gradi

li

aveva guadagnati,

pervenissi al principato, e quello di poi con tanti partiti animosi pericolosi mantenessi. “

Non

si

può ancora chiamare

322 al 289 a. C., e riuscì ad affermare la egemonia siracusana su tutta 1’ isola, combattendo con successo contro i Cartaginesi. I particolari della sua vita qui raccontati sono

13.

abietta:

come

infatti,

famiglia

di

dice

più

umilissima;

era

di

un

oltre,

figlio

15. a

per

li

gradi...

virtù:

9.

energia », 10.

alla

qui

voltosi...

16.

la

parola

ha

il

senso

quali morti: ed essendo

stati

uccisi

sanza... civile: senza avere alcun con-

17.

18. rotto e

di

demum

19.

assediato:

essendosi

quella:

non solum: non

20. obsidione:

dedicato

avendone percorso

i

senza da essi, era stato spontaneamen-

11. e tenere... concesso: e di tenere,

ad quel potere che

altri

gli

e dipendente

la

sconfitto e,

solo.

assedio.

A

difendere, cioè,

città assediata.

21.

in

estrema necessità:

a

mal

partito,

22. furono

avuto... intelligenzia: essendosi accor-

dato, per portare a

compimento

suo diseCartaginesi tentavano di il

gno. Amilcare e i imporre il proprio dominio diretto o indila

Sicilia.

necessitati:

il

soggetto

è

«

i

Cartaginesi ». 23.

ma

concesso.

tutta

li

vicini alla rovina.

essere legato

retto su

stato.

un segnale

costoro.

« efficienza ».

carriera militare e

12.

di

a

alla fine, assediato in Siracusa.

diversi gradi.

te

affari

convenuto.

nei diversi periodi

età:

della sua età.

«

repubblica:

uno cenno ordinato:

trasto interno.

vasaio (figulo). 8.

raunò: radunò.

14. cose...

desunti dallo storico latino Giustino, fortuna...

e

ammazzare

virtù

con ciò sia cosa... che: poiché. È forcongiunzione che deriva dal latino

di

medioevale. 24.

con

tanti...

animosi:

con tante deci-

sioni coraggiose.

25. mantenessi: qui, e lo stesso dicasi per congiuntivo è richiesto dalla il

pervenissi,

^

Niccolò Machiavelli

197

sua cittadini, tradire gli amici, essere sanza fede, sanza pietà, sanza

li

religione;

modi possono

quali

li

gloria.^ Perché,

se

nello uscire de’

e

fare

acquistare

e la

periculi,

imperio,

ma

non

Agatocle nello intrare grandezza dello animo suo nel sop-

considerassi la virtù

si

di

non si vede perché elli abbia ad qualunque eccellentissimo capitano. Non di

portare e superare le cose avverse, essere indicato inferiore a

manco, la sua efferata crudelità et inumanità, con infinite scelleratezze, non consentono che sia infra li eccellentissimi uomini celebrato. Non si può adunque attribuire alla fortuna o alla virtù quello che sanza l’una e l’altra fu da lui conseguito. 4. Ne’ tempi nostri, regnante Alessandro VI,^ Liverotto firmano,^ sendo più innanzi^ rimaso piccolo senza padre fu da uno suo zio ma26. terno, chiamato Giovanni Fogliani, allevato, e ne’ primi tempi della sua

gioventù dato a militare sotto Paulo Vitelli,^ acciò che, ripieno di quella

congiunzione causale. Sostituisci due passati

Non

può...

si

gloria:

neppure chiamare virtù,

E non

ecc.

può

si

successo di

Il

Agatocle non fu dunque opera della fortuna, ma fu sua personale conquista, né, d’altra parte, fu opera di virtù, perché la virtù non può coincidere con le scelleratezze che il

M. enumera;

queste, anzi, possono, al più,

procurare

il

st’ultimo

ideale

potere,

fu

nel Rinascimento:

cesso c unito

ma non

la gloria.

profondamente

Que-

sentito

in esso, all’ idea del suc-

un superiore

che non ebbe certo lealtà (fede),

tino,

né rispetto per

parte nel cap. il

Machiavelli

XL

del

la III

ribadisce:

religione.



D’altra

libro dei Discorsi, « ;o

non intendo ti fa rom-

virtuosi. Il principe, ‘cioè, può, secondo il M., usare anche mezzi ripugnanti,, purché lo scopo non sia la soddisfazione

della sua

la

questa, volta

mai

parola data ed

ancora

stato

che

la

e regno...

i

ti

la

perché acquisti qualche

patti fatti;

non

ti

Subito dopo, però, aggiunge che è gloriosa « quella fraude che si usa con quel nimico che non si fida di te » e

proclama,

nel

cap.

seguente,

che

è

lecito

mezzo, anche quelli moralmente più ripugnanti, pur di salvare la patria, E sempre nei Discorsi ( I, cap. IX) esalta come supremo ideale l’opera di colui che intenda « giovare non a sé, ma al bene comune, non alla sua propria successione usare qualsiasi

1 .

(al

proprio successo e tornaconto)

comune

patria

».

ma

alla

Per questo, molti dei più

di

ed efficiente, gnino la giustizia

e la pace.

uno

Invece, di recente

studioso,

osserva che, qualunque sia

il

rivolte, le crudeltà restano

sempre

il

Sasso,

fine a cui tali

sono e of-

fendono la coscienza morale; in questa pagina sarebbe quindi evidente il contrasto fra la viva coscienza morale del M, e la sua lucida amara consapevolezza delle leggi ferree e spietate che regolano il mondo della politica.

27. regnante Alessandro VI: sotto il pontidi Alessandro VI, padre del Valen-

ficato

tino.

acquisterà

gloria ».

brama di potere, ma la una comunità statale solida bene ordinata, nella quale re-

egoistica

costituzione

quella fraude essere gloriosa che

pere

Caprariis,

considerati

ideale di civiltà,

che possa rimanere esemplare nei secoli. Qui l’autore sembra in contraddizione con se stesso, se si pensa che nel cap. precedente ha additato cóme esempio il Valenpietà,

dallo Chabod, al Russo, al hanno affermato che dal concetto machiavelliano di virtù non è assente una genuina esigenza morale, la quale non consente che uomini come Agatocle siano acuti interpreti,

De

remoti.

28.

Liverotto firmano:

ducci da Fermo.

Il

Oliverotto Euffre-

avvenne nel dicemmaggiore vivacità dram-

fatto

bre 1501. Osserva la matica con la quale

il

M.

racconta questo

esempio contemporanco. Raccontando le vicende di Agatocle si limitava spesso a paratesto latino: qui, invece, vive la il tragica realtà dell’ Italia del suo tempo.

frasare

29. sendo...

innanzi:

essendo molti anni

prima. 30. dato... Vitelli:

inviato a militare nel-

compagnia di ventura di Paolo Vitelli, uno dei più celebri condottieri del tempo. la

Antologia della letteratura italiana

198

disciplina,”

a qualche

pervenissi

di poi Paulo,

grado di milizia. Morto

eccellente

militò sotto Vitellozzo suo fratello;

brevissimo

in

et

tempo, per essere ingegnoso^ e della persona e dello animo gagliardo,

primo uomo

diventò

el

10 stare

con

a*

della sua milizia.”

con

altri,^ pensò,

Ma, parendoli

cosa servile

Fermo,

lo aiuto di alcuni cittadini di

quali era più cara la servitù che la libertà della loro patria, e con

favore vitellesco,” di occupare Fermo. E scrisse a Giovanni Fogliani come, sendo stato più anni fuora di casa, voleva venire a vedere lui e la sua città, et in qualche parte riconoscere el suo patrimonio: ^ e, 11

perché non s*era affaticato per altro che per acquistare onore, acciò ch’e

come non aveva

sua cittadini vedessino

speso

el

tempo

in vano, voleva

venire onorevole et accompagnato da cento cavalli di sua amici e servitori

:

®

e pregavalo fussi

ricevuto onoratamente:

contento ordinare che da’ Firmiani

che non solamente tornava onore a

il

fussi

ma

lui,

a sé proprio, sendo suo allievo.® 5. el

per tanto, Giovanni di alcuno offìzio debito “ verso

Non mancò,

nipote;

da Firmiani onoratamente,

fattolo ricevere

e,

alloggiò nelle

si

dove, passato alcuno giorno, et atteso ad ordinare secre-

case sua;

tamente^ quello che alla sua futura scelleratezza era necessario, fece uno convito solennissimo, dove invitò Giovanni Fogliani e tutti li

E

primi uomini di Fermo. li

altri

arte,

consumate che furono

intrattenimenti che in simili conviti

mosse

si

le

vivande e

ragionamenti gravi, ^ parlando della grandezza di papa

certi

Alessandro e di Cesare suo figliuolo, e delle imprese ragionamenti respondendo Giovanni e li altri, lui ad un

A’ quali

loro. tratto

ripieno...

disciplina:

fattosi

esperto

Vitellozzo:

Vitellozzo Vitelli fu cat-

turato c fatto strangolare, insieme con Oli33. per essere ingegnoso:

per

il

fatto che

34. della sua milizia:

compagnia

della

di

Vitellozzo.

36.

r

lo stare

con

altri

:

essere alle dipenden-

il

favore vitellesco:

col

favore c

aiuto di Vitellozzo. 37. riconoscere el suo patrimonio: valuta-

re esattamente 38. voleva...

i

suoi beni. servitori:

voleva

entrare

in

Fermo come un personaggio ragguardevole, accompagnato da cento ci

cavalieri armati, ami-

39. ma...

allievo:

poiché

alcuno...

debito:

di

alcuna dove-

41.

si

alloggiò...

ma

sua:

Il

soggetto non è

Oliverotto (sua

invece riferito a Giovanni).

=

sue, è

La cagione

del

brusco c sintatticamente irregolare cambiamento di soggetto è che ormai nella mente

campeggia soltanto la figura con la sua energia violenta e nefanda ma dominatrice. Dal momento in cui entra in casa dello zio il tradimento è compiuto c si svolge con un suo ritmo fatale. 42. atteso... sccretamente: avendo provveduto a preparare in segreto. scrittore

di Oliverotto,

43. mosse... gravi: fece cadere

il

discorso

su argomenti importanti e delicati.

e servitori suoi.

Fogliani,

40. di

dello

altri.

con

del subdolo messaggio.

più Giovanni,

era abile e avveduto.

35.

come un suo figliuolo, essendo stato allevato lui. Il M. rende bene il tono suadente

rosa cortesia.

verotto, dal Valentino (cfr. cap. VII).

ze di

ritirossi

da

deir arte militare. 32.

rizzò,

si

dicendo quelle essere cose da parlarne in loco più secreto;^ e

31.

tutti

usano. Oliverotto, ad

ma

anche

Oliverotto

si

a

Giovanni

considerava

44. dicendo... secreto: dicendo che quelle erano cose delle quali non si doveva parlare

Niccolò Machiavelli

199

una camera, dove Giovanni e tutti li altri cittadini li andorono Né prima furono posti a sedere, che de’ luoghi segreti di quella uscirono soldati, che ammazzorono Giovanni e tutti li altri. in

drieto.

6.

Dopo

terra,*® et

il

quale omicidio, montò Oliverotto a cavallo, e corse

la

supremo magistrato; tanto che per obbedirlo e fermare*^ uno governo, del quale

assediò nel palazzo

paura furono constretti

el

fece principe. E, morti*® tutti quelli che, per essere malcontenti, lo

si

potevono offendere, in

modo

corroborò con -nuovi ordini

si

che, in spazio d’uno

solamente era sicuro nella a tutti

come

li

E

sua vicini.

città

sarebbe suta®^

quella di Agatocle, se

non

:

come

dove, preso ancora

sopra

di

si

disse,

uno anno dopo

in

lui,

diffìcile,

suto lasciare ingannare da

misso parricidio, fu, insieme col Vitellozzo, stro delle virtù

e militari;*®

sua espugnazione

la

fussi

si

Cesare Borgia, quando a Sinigallia, Orsini e Vitelli

civili

anno che tenne el principato, lui non di Fermo, ma era diventato pauroso®®

il

prese

li

comquale aveva avuto maeel

strangolato.®^

e scelleratezze sua,

7. Potrebbe alcuno dubitare donde nascessi®® che Agatocle et alcuno simile, dopo infiniti tradimenti e crudeltà posse vivere lungamente sicuro nella sua patria e defendersi dalli inimici esterni, e da’ sua cittadini non li fu mai conspirato contro: con ciò sia che molti altri, mediante la crudeltà, non abbino, anche ne’ tempi pacifici, possuto mantenere lo stato, non che ne’ tempi dubbiosi di guerra.®* Credo che questo avvenga®® dalle crudeltà male usate o bene usate.®® Bene usate si possono chiamare quelle (se del male è licito dire bene)®^ che

un pubblico banchetto, ma in luogo piu Nota quciratmosfcra di falsa intimità, creata ad rrte dal traditore, in dram-

52. strangolato:

in

appartato.

matico contrasto con quel

si

rizzò, che

ri-

La parola, posta

alla

fi-

ne del periodo e dopo 1’ accenno sdegntJso a Vitellozzo, ha un particolare, macabro rilievo, ed esprime la condanna morale e il

vela volontà energica e decisa, c che viene,

disprezzo del M. verso

per COSI dire, ripreso, dopo

non comprendebene da che cosa derivasse. 54. con ciò... guerra: dal momento, al contrario, che molti altri principi che si sono

e perciò più sinistra,

la

rapidissima,

notazione dell’eccidio,

da quel montò Uverotto a cavallo, e corse

U

terra,

del

cupamente

racconto

è

in

La bellezza immagini dense

trionfale.

queste

e vigorose.

cavalcò a furia per le

strade della città (la terra) in segno di vit-

47. fermare: 48. morti:

costituire.

uccisi.

militari: rafforzò la 49. si corroborò... sua signoria con nuovi ordinamenti civili e militari.

50.

pauroso: temibile.

51. suta:

mantenere

suta.

traditore nefando.

tempo 55.

lo stato

non soltanto nei pema neppure in

tempi della guerra,

ricolosi

di pace.

avvenga:

derivi.

56. dalle crudeltà... usate:

46. el

pubblicano).

il

nascessi:

macchiati di scelleratezze non hanno potu-

dominio.

supremo magistrato: le supreme magistrature (Fermo aveva un governo re-

dubitare...

re

to

45. corse la terra: toria e di

53.

dal

modo buo-

no o cattivo di usare le crudeltà come mento di dominio (De Caprariis). Dopo

stru-

l’ap-

passionato racconto del delitto di Oliverotto condanna di esso, il M. riprende

e la recisa

tono obiettivo e distaccato dello scienzi.iriconoscendo nelle crudeltà una possibile necessità della dura logica della poil

to,

litica.

57.

se

del

male...

bene:

Anche questo

Antologia della letteratura italiana

200

fanno ad un

si

Male

tratto,

ma

insiste dentro,

per necessità dello assicurarsi, “ e di poi non

convertiscono in piu

si

che

vi

si

può.“

si

usate sono quelle le quali, ancora che nel principio sieno poche,

più tosto col tempo crescono che

le si

spenghino.® Coloro che osservano

primo modo, possono con Dio e con

el

utilità de’ sudditi

uomini avere

li

come ebbe Agatocle.

qualche remedio;

Quelli

altri

allo stato loro

è impossibile

si

mantenghino.®

Onde

8.

uno

è da notare che, nel pigliare

un

tutte farle a

non

tere,

per non

Chi

fa altrimenti,

sempre necessitato tenere

el

non

si

sopra

sua sudditi,

li

le

avere a rinnovare ogni di,® e po-

li uomini e guadagnarseli col beo per timidità o per mal consiglio,® è coltello in mano; ® né mai può fondarsi

potendo quelli per

iniurie assicurare di lui.® Perché le iniurie

sieme, si

fare a poco a poco, acciò che

M.,

inciso rivela la perplessità del

il

buona

osserva

acutamente che

potremmo come una tecnica

buona',

dire fra la politica intesa

che si propone un successo tangibile e immediato, e una concezione più ampia della politica che tenga conto di una sfera di interessi spirituali più complessa.

ad un...

58.

momento

assicurarsi: tutte insieme, nel

della conquista del

potere, spiati

dalla necessità di fondarlo stabilmente.

e di poi...

59.

compierle,

ma

maggior bene

si

può: e poi

cerca

si

di

possibile per

i

si

cessa di

convertirle

nel

Le

cru-

sudditi.

sono giustificate quando servono a togliere di mezzo coloro che potrebbero tole.

Il

la saldezza della compagine stapotere cosi rafforzato potrà garan-

ordine, sicurezza e pace ai sudditi senza più necessità di ricorrere al male. 60. che le si spenghino: che cessare. 61. possono... remedio: possono in qualche modo mantenere il potere e giustificarsi tire

di fronte alle leggi

62.

è impossibile

umane si

e divine.

mantenghino: è im-

possibile che riescano a mantenersi al potere.

63. nel pigliare

io cui

s’

uno

stato:

nel

momento

impadronisce del potere.

64. discorrere: passare in rassegna mental-

mente.

meno:

e’

benefizii

E

debbe

per non dovere conti-

di:

ripeterle.

66. assicurare: rassicurare.

67. o per timidità... consiglio: o per mancanza di coraggio e di fermezza (che gli impedisce di compiere tutte le crudeltà necessarie) o per deficienza di acume politico. 68. è sempre...

mano:

sere

sempre in sospetto

comcomunque, a esc pronto a com-

è costretto a

piere continue violenze o,

pierle.

69. né mai... di lui: né può mai avere piena fiducia dei suoi sudditi, perché questi non possono fidarsi di lui per le recenti e

continue offese patite. Perché...

70.

deltà, cioè,

incrinare

continue

fare tutte in-

assaporino meglio.'”*

si

nuamente

il

distinguere pienamente fra

e politica

politica

le fresche e

debbono

65. per non...

contra-

sto fra giudizio politico e giudizio morale. II De Caprariis M. non riesce a

si

assaporandosi meno, offendino

che,

acciò

debbono

è necessario fare, e

li

innovando, assicurare®

le

neficargli.

tratto,

debbe Toccupa-

stato,®

tore di esso discorrere®* tutte quelle offese che

meglio:

Offese e violenze

debbono fare tutte insieme, perché cosi i sudditi non le meditano a lungo {assaporano) ad una ad una e quindi minore è si

il

rancore che concepiscono nei confronti del Il contrario bisogna fare coi be-

principe. nefici.

È una

spietate

passato,

hanno

delle tante

che

hanno

la

coscienza

fatto

massime lucide

offeso,

apparire

soprattutto

morale dei il

e

nel

lettori

e

M. un mostro,

di

cinismo e di perfìdia. In realtà egli si limita a desumere dai fatti le leggi che li governano: non inventa, ma constata. Quanto al suo atteggiamento morale, ricorda quello che siamo venuti dicendo nel commento a questo e al precedente capitolo.

Niccolò Machiavelli

20J

uno principe vivere con li sua sudditi in modo, che veruno accidente o di male o di bene lo abbia a far variare: perché, venendo per li tempi avversi le necessità tu non se’ a tempo al male; et il bene che tu fai non ti giova, perché è indicato forzato, e non te n’è saputo grado alcuno.'^^ sopr’a tutto

Di quante ragioni

sia la milizia c de’ soldati

mercenari

La vera resurrezione dell’ Italia non poteva attuarsi, secondo il Machiavelli, che mediante una estraordinaria virtù^ dato che la situazione della Penisola appariva ormai irrimediabilmente compromessa. In questa prospettiva si giustifica pienamente l’importanza data da lui alle armi, alla forza, necessarie al principe nuovo per condurre a, termine, con energia inflessibile e senza essere condizionato da alcuno, l’impresa. È questo, dunque, un capitolo centrale, del Principe, e proprio per questo mette in luce certi limiti del pensiero machiavelliano, soprattutto quello di considerare la crisi italiana come una crisi di carattere militare, senza valutare adeguatamente i suoi aspetti morali, politici, economici, che erano poi quelli veramente fondamentali.

Quanto sia

alla critica

non si può dire che che combatterono valorosamente c più importanti battaglie del Cinquecento, esse costituirono appassionata alle milizie mercenarie,

storicamente obiettiva.

decisero alcune fra

le

A

parte

il

fatto

mezzo per rafforzare il potere centrale, sottraendo soggezione ai grandi feudatari, che gli fornivano le milizie per la guerra, vincolando, in tal modo, la sua libertà d’azione. Il Machiavelli ha l’intuizione di un esercito che sia espressione genuina della nazione e palestra di educazione civica. È un’intuizione generosa e modernissima, ma praticamente utopistica se la si considera nell’ ambito delle concezioni del anche, in altre nazioni, un re

il

dalla

Principe.

Un

presuppone dei cittadini, non dei sudditi; non un un volgo amorfo, ma un sovrano o un ordinamento repub-

esercito siffatto

principe che plasmi

blicano in cui

popolo trovi pienamente espressi

il

esigenze di vita. Insomma, non

1.

Avendo de’

cipati

modi con 71.

E

li

le

nel

proprie

principio proposi

alcuno:

principe deve seguire

di

ragionare, c considerato in

cagioni del bene e del male essere loro, e mostro e

quali molti

debbe...

le

stato-civiltà.

discorso particularmente tutte le qualità di quelli prin-

quali

qualche parte

propri ideali e

i

uno stato-dominio, ma uno

una

hanno cerco

Soprattutto politica

un

ben de-

terminata e coerente, sì che nessun evento {veruno accidente), buono o cattivo, debba

mutare il suo modo di procedere; perché venendo, nei tempi avversi, la necessità di mutarlo, cioè di modificare i propri

di acquistarli e tenerli,^

mi

resta

forzato dalle circostanze non gli giova politicamente, perche i sudditi non gliene sono grati,

in

spontaneo,

quanto comprendono che non è ma imposto dal bisogno.

far

non si fa più a tempo male (non si riescono, cioè, a compiere tempestivamente e con frutto quelle violenze che andavano compiute prudentemente) e il bene che il principe compie rapporti coi sudditi,

a

volgersi al

Gap. XII. I.

Avendo...

Fino

tenerli:

Machiavelli ha esaminato cui

principati

di

nare

cap.

nel

misto costituito,

I

si

era

(quello cioè,

le

al

cap.

XI

il

varie specie di

proposto di ragioereditario, quello

da una parte eredi-

Antologia della letteratura italiana

202

ora a discorrere generalmente

le offese e difese che in ciascuno de’ prenominati possono accadere.^ Noi abbiamo detto di sopra ^ come a uno principe, è necessario avere e sua fondamenti* buoni; altrimenti, di necessità conviene che mini.® E principali fondamenti che abbino li stati, COSI nuovi come vecchi o misti, sono le buone legge e buone arme ® e perché non può essere buone legge dove non sono buone arme,"^ c dove sono buone arme conviene sieno buone legge, io

tutti

le

:

lascerò indrieto el ragionare delle legge e parlerò delle arme.®

Dico adunque che l’arme con le quali uno principe defende il o le sono proprie o le sono mercenarie, o ausiliarie, o miste.® Le mercenarie e ausiliarie sono inutile e periculose e se uno tiene lo stato suo fondato in sulle arme mercenarie, non starà mai fermo” 2.

suo

stato,

:

da province conquistate dai principe,

tata e

— ottenuto, concittadini — c quello

quello nuovo, quello civile

per

consenso dei ha considerato

ecclesiastico);

le

cagioni della

mo-

loro declino; ha

loro prosperità e del

con quali mezzi alcuni (ad

strato infìne

Mosè, Romolo, di

cioè,

il

es.

Valentino) hanno cercato

conquistarli o di mantenerli.

mi

2.

accadere:

resta...

mi

resta ora

da con-

siderare generalmente, senza, cioè, far più

fonda la critica serrata e aparmi mercenarie e il vagheggiamento delle milizie cittadine. Affinché lo stato sia pienamente autonomo e autosufficiente, deve fondare la propria difesa sul popolo armato. Quest’ idea è sostenuta anche nei Discorsi e, più ampiamente, neWArte della guerra. Ricordiamo inoltre che il M. si adoprò efficacemente per costituire, in difesa della Repubblica Fiorentina, intuizione

si

passionata

delle

distinzione fra

un

fese

prattutto

ci si

la

i vari tipi di stato, a quali ofpossano andare soggetti e in quale modo debba difendere da esse. Siamo giunti al-

parte centrale del trattato.

Il

M.

reclutato

esercito

fra

fra

arme:

lascerò...

8.

M.

primo luogo come forza, potenza, capacità

arme

di sopravvivere e imporsi.

realtà, a suo avviso, se a

c sua fondamenti

5.

di necessità...

i suoi fondamenti. mini: Tutto il pensiero del M. si fonda su antitesi drammatiche. L:- stessa insistenza con cui è usato il verbo

rumare della

ci

rivela

ti

o errori,

ma

le

efficaci,

tutto

il

mondo

richiede un’energia spietata

insomma, prudentia e armi. buone... arme: buone nel senso di idonee. Le leggi sono qui soprat-

ben calcolata 6.

che egli sente

come un mondo di violenza che non ammette tentennamen-

politica

e di rischio,

e

:

gli

:

ordinamenti

costituzionali

dello

stato. 7.

e perché...

arme: La scoperta più im-

portante del Machiavelli, in questo capitolo, è

quella

del

reciproco condizionamento

di

problema militare, cioè, non è da lui sentito come un problema tecnico a sé stante, ma come un problema leggi

di

e

armi.

Il

natura schiettamente politica. Su questa

nei

il

dia

confronti

dell’evoluzione di

no

4.

sofio-

ha qui 1 impresprimato alle buone

sione che

abbiamo... sopra: soprattutto nei capp.

e

contado

strettamerite



Si

ora l’essenza dello stato, da lui sentito in

3.

del

rentino.

considera

VI e VII.

cittadini,

i

abitanti

gli

il

delle

uno

stesse

un

certo

stato le

leggi.

due cose

interdipendenti e

In

momento si

so-

condi-

zionano a vicenda, nel momento della sua fondazione hanno maggiore importanza le armi. Inoltre, senza la forza il principe non potrebbe stabilire le buone leggi, che ser-

vono a

« raffrenare e correggere i sudditi ». o ausiliarie o miste: ausiliarie sono le truppe fornite da un principe alleato, miste quelle formate in parte da soldati propri in parte da mercenari. In 10. Le mercenarie e ausiliarie, ecc. pratica il M. lascia subito da parte le ausiliarie per concentrare la sua critica sulle mercenarie. Ed è critica polemica e appas9.

:

sionata,

do,

dai

come suoi

di emotività

vedi dalla vivacità del perio-

bruschi trapassi,

drammatica che

dalla

carica

lo pervade.

De-

idealmente collegarlo alle parole conclusive del capitolo: queste armi « hanno convi

dotta Italia stiava e vituperata ». 11.

fermo; ben saldo

al

potere.

Niccolò Machiavelli

né sicuro; perché

203

sono disunite,

le

non fede con differisce lo

nimici.^^

da’

e nella pace

assalto;

La cagione

cagione che

altra

tanto

e

uomirii,^^

gli

ambiziose, sanza disciplina, infe-

fra e nimici,

dele; gagliarde fra gli amici;

non timore

vile;

differisce

si

spogliato da loro,

se’

non hanno

di questo è che

di Dio,

mina, quanto

la

si

guerra

nella

amore né

altro

tenga in campo, che uno poco di stipendio;

le

quale non è sufficiente a fare che voglino morire per

bene essere tuoi soldati mentre che tu non

te.

come

guerra; ma,

fai

il

Vogliono la

guerra viene, o fuggirsi o andarsene. 3.

ora

La qual

cosa do verrei durare poca fatica a persuadere; perché

ruina di

Italia

la

non

è causata

di molti anni, riposatasi in su le

venne

el forestiero,^® le

che a Carlo re di francia fu

come

diceva

non erano già ché

erano peccati de’ principi,

elli

pitani

te

ma

hanno

comune

un

ideale.

alcuna

legge

come

il

non hanno

più

alla

rispetto di

umana



divina

Quanto

« lealtà »),

sente

religione,

M.

il

fondamento

sicuro

popolo. per qualcuno: per

il

vale

(fede

la

16.

nella

rimani prigioniero della loro violenza e delloro cupidigia.

17. infra

per molti anni

eserciti

questo giudizio dice

lo

Ma

sul fatto

che

Abbiamo sia

del

già visto co-

tutto

parziale

l’animo del Machiavelli, co-

Chabod,

« ricercava

una causa

ben chiara per riversarvi sopra tutto l’odio e la disperazione di cui era pieno » in seguito alla tragedia italiana, e

la trovò nelle atmi mercenarie, mentre anche queste e i loro difetti derivavano da una crisi politi-

ca

più

generale,

dalla

frattura

che

si

era

mezzo

di qualcJhc

quando combattevano

el forestiero:

fra

lo straniero.

La frasé fu attribuita uno storico francese al papa Alessandro VI. Vuol dire che Carlo Vili, quando invase r Italia, non ebbe bisogno di combatgesso:

de.

tere; bastò le

che

i

suoi furieri segnassero col

prescelte

case

per Talloggiamento

dei soldati.

è totalmente affidata

si

mercenari.

non

loro:

19. onde...

gesso

che... mercenarie: se

c limitato.

me

ca-

condottiero.

della

sua funzionalità politica. 14. e tanto... nimici: La battaglia condotta da milizie mercenarie ti porta sempre rovina, perché anche in caso di vittoria

me

E

prodotta fra un’esigua classe dirigente, avida

18.

mente

ad

ma

patrone, o con lo opprimere

se’

li

dello stato, anche se la considera esclusiva-

essa

chi

di queste arme.

infelicità

la

di loro.

15.

E

vero;

questi che io

moralità, c per questo essenziale nella vita

la

il

e gelosa conservatrice dei propri interessi, e

non... uomini:

13.

erano: onde

sono uomini nelle armi eccellenti o no; se ne puoi fidare, perché sempre aspireranno alla grandezza

non

disunite:

elle

col gesso.^*

e’

propria, o con lo opprimere te che

12.

feciono

ho narrati: e perne hanno patito la pena ancora loro.

dimostrare meglio

mercenarii,^^ o

non

sono,

mostrorono quelle che

licito pigliare la Italia

quelli che credeva,

4. Io voglio

le quali

erano cagione e peccati nostri, “ diceva

n’

e’

che per essere, in spazio

altro,

qualche progresso, e parevano gagliarde infra loro;

già per qualcuno

ma come

da

arme mercenarie; ^

20. te al le

E chi... nostri: Allude polemicamenSavonarola, che aveva denunciato, nel-

sue

Italiani,

prediche e

visionarie,

profetizzato

opera del re di Francia. dice

il

M., era quello

mercenarii, c

i

i

una

Ma

il

peccati

di essersi affidati

21.

E

ai

principi ne erano responsa-

bili, e anche loro ne hanno patito perdendo per questo il loro stato.

l’uso

degli

punizione ad vero peccato,

capitani:

al

solito,

fiorentino dell’epoca.

e per

i,

la

pena,

secondo

Antologia della letteratura italiana

204

fuora della tua intenzione

altri

rovina per l’ordinario.^

“ ma

:

E

se

non

è

il

capitano virtuoso,

responde che qualunque ara le arme in ,mano farà questo, o mercenario o no, replicherei come le arme hanno ad essere operate^ o da uno principe o da una republica. E1

e’

ti

se

si

principe debbe andare in persona, e fare lui Toflìzio del capitano; la

mandare sua cittadini; e quando ne manda uno che uomo, debbe cambiarlo; e quando sia, tenerlo con le leggi che non passi el segno.^ E per esperienzia si vede a’ principi soli e republiche armate fare progressi grandissimi, e alle arme mercenarie “ non fare mai se non danno; e con piu difficultà viene alla obedienza^ di uno suo cittadino una republica armata di arme proprie, che una armata di arme esterne... republica ha a

non

riesca valente

Seguono esempi,

storia antica e

tratti dalla

recente, che attestano

come

gli stati provvisti

da quella italiana più d*armi proprie

si

siano

mantenuti a lungo forti e liberi, e come, invece, dalle armi mercenarie siano sempre nati « i lenti, tardi e deboli acquisti, e le subite e miraculose perdite ». Quindi, il M. enuncia il proposito di esaminare sinteticamente

i

danni che

le milizie

mercenarie hanno provocato in

Italia.

8. Avete dunque ad intendere come, tosto che in questi ultimi tempi lo imperio cominciò ad essere ributtato di Italia, e che il papa nel temporale vi prese più reputazione, si divise la Italia in più stati; perché molte delle città grosse presono l’arme contro a’ loro nobili, li

quali,

prima

favoriti dallo imperatore, le

cittadini

ne diventorono principi.^

mani

quasi che nelle

e la Chiesa

Onde

c cercheranno di grandezza o opprimendo chi li assolda (come fece Francesco Sforza, che, assoldato dalla Repubblica Milanese, se ne impadronì) o opprimendo al-

22.

o con... intenzione:

conseguire

la

propria

senza curarsi dei tuoi piani. 1’ ordinario: naturalmente (per

23. per

la

sua stessa inefficienza). 24. operate:

adoperate.

quando... segno: e quando sia valente deve tenerlo a freno mediante le leggi, 25. c

affinché 26.

a’

non usurpi principi...

il

potere. alle

che, essendo venuta

l’

Italia

della Chiesa e di qualche republica, e essendo

quelli preti e quelli altri cittadini usi a

tri

tennono oppresse;

favorita per darsi reputazione nel temporale; di molte altre e loro

le

arme mercenarie:

da parte dei principi... da parte delle armi, ecc. 27. viene alla obedienza: cade in potere.

non conoscere arme,^ comin-

sotto la tirannia.

principi: Allude rapidamente vicende degli ultimi secoli, soprattutto al Trecento e al Quattrocento, al tramonto definitivo dell’autorità imperiale in Italia, alla maggior potenza {reputazione) acquistata dalla Chiesa nel campo temporale, all’origine dei Comuni, sorti in opposizione ai oppresse) e feudatari {molte delle citta aiutati dalla Chiesa che intendeva acquistare potenza politica, e, infine, al formarsi 28. tosto...

alle

delle Signorie. 29. quelli...

arme: ne

i

preti

ne

la

bor-

mercantile fondatrice del Comune erano usi alle armi, e si valsero quindi di milizie mercenarie. ghesia

Niccolò Machiavelli

205

ciorono a soldare* forestieri. E1 primo che dette reputazione a questa intra

discese,

arbitri di Italia.

Braccio e Sforza,® che ne* loro tempi furono

altri.

li

romagnolo. Dalla disciplina® di costui

da Conio,

milizia, fu Alberigo

Dopo

vennero

questi,

tutti

E

tempi hanno governato queste arme.

altri,

li

che fino

nostri

a*

fine della loro virtù è stato,

il

Italia è suta corsa da Carlo, predata da Luigi, sforzata da Ferrando e vituperata da* Svizzeri.®

che

9. L*

ordine che ellino hanno tenuto è stato, prima, per dare repu-

tazione a loro proprii, avere tolto reputazione alle fanterie.® Feciono questo, perché, sendo sanza stato e in sulla industria,® e pochi fanti li assai non potevono nutrire; e dove con numero sopportabile erono nutriti e onorati.® E erono ridotte le cose in termine che in uno esercito di ventimi!^ soldati non si trovava dumila fanti. Avevano, oltre a questo, usato ogni industria per levare a sé c a* soldati la

non davano

però

fatica

reputazione,® e

loro

ridussono

si

e

prigioni

e

non

paura,

la

cavalli,

a*

ammazzando

si

sanza taglia.®

Non

ma

zuffe,

nelle

traevano la

notte

pigliandosi quelli

terre;

alle

non traevano alle tende;" non facevano intorno al campo né steccato né fossa; non campeggiavano^ al verno. E tutte queste

delle terre

cose

erano permesse ne* loro ordini militari, e trovati da loro per

fuggire,

come

condotta

Italia stiava e vituperata."

30. soldare:

è

detto,

e

la

fatica e

assoldare.

da Conio: Alberigo da Barbiano, conte di Conio, fondò la Compagnia di S. Giorgio, la prima compagnia di ventura italiana. Mori nel 1409. Braccio da Monto-

ne c Muzio Attendolo Sforza. 34. corsa... Svizzeri: percorsa da dominatore da Carlo Vili, depredata da Luigi XII, violentemente assoggettata da Ferdi-

nando il

il

Cattolico, che, oltre a conquistare

Napoletano, estese su tutta

Italia

la

sua

influenza politica, vituperata dagli Svizzeri che mostrarono la loro superiorità schiacciante

sulle

milizie italiane.

carico di sarcasmo

L’ordine...

amaro

Tutto

il

periodo è

e dolente.

La

che hanno seguito è consistita nel togliere ogni importanza alle fanterie per darla alle milizie a cavallo (che richiedevano piu lungo addestramento e quindi soldati di mestiere). Il M. ha presente il fatto che le maggiori battaglie combattute da Francesi e Spagnuoli in Italia furono vinte dalle fanterie. 35.

politico,

fanterie:

tecnica

e

non avendo potere non potendo quindi reclutare e

mantenere vaste masse di fanterie, e vivendo della professione delle armi. 37. reputazione: potenza. 38. c però... onorati: e perciò

scuola.

33. Braccio e Sforza:

hanno

li

36. sendo... industria:

31. Alberigo

32. disciplina:

tanto che

pericoli:

li

si

limita-

rono a tenere solo la cavalleria, poiché in tal modo erano più facilmente nutriti da chi

assoldava e onorati

li

come truppe

spe-

cializzate.

39. e sanza taglia: e senza pretendere riscatto. In realtà le battaglie fra

truppe mer-

sanguinose di quanto non voglia far credere il M. preso dalla sua polemica. durante la 40. Non traevano... tende: cenarie

più

non davano

notte e

furono

coloro che

le

l’assalto

alle

città

{terre)

difendevano non facevano

contro 1’ accampamento degli assaliVi era, cioè, un’omertà reciproca. 41. non campeggiavano: non compivano imprese militari durante l’inverno. 42. tanto... vituperata: tanto che hanno

sortire tori.

reso

l’Italia

famata.

schiava

e

vituperata,

cioè

in-

2o6

Antologia della letteratura italiana

Di quelle cose per

quali

le

li

uomini, e specialmente

i

Principi,

sono laudati o vituperati Dal cap. XV il Machiavelli indica le qualità, le inrtù, gli accorgimenti che sono necessari a un principe perche egli possa svolgere la sua opera in maniera veramente efficiente. È questa la parte più originale del trattato, e anche quella che ha sollevato maggiore scalpore e persino scandalo c riprovazione morale, perche in essa l’autore, con logica tagliente c implacabile, non esita ad esortare il principe « ad entrare nel male, se necessitato », a non tenere conto alcuno della bontà, della lealtà, della giustizia, qualora la sopravvivenza dello stato lo richieda. Per questo il Machiavelli è stato accusato di cinismo, di amoralità, e in tal senso le parole machiavellismo e machiavellico sono state usate per indicare una politica cinica e spregiudicata, sostanzialmente disumana, volta solo aH’affermazione della tirannica volontà di potenza del singolo. La realtà è ben diversa. Per comprendere queste pagine dobbiamo rifarci alla situazione storica e spirituale nella quale furono scritte. Certo il Machiavelli ha una visione amara e dolente dell’uomo; ma questa amarezza, che, a tratti, assume toni decisamente pessimistici, nasce da un’esperienza di guerre, di rovine, di crollo di un sistema politico che sembrava perfetto e che appare ora sconvolto da una tempesta, di là dalla quale s’intrav vedono soltanto ignominia e servitù. È la situazione di Firenze e dell’Italia, che il Machiavelli ha dolorosamente e appassionatamente vissuto.

La realtà dell’uomo nella storia è, conseguentemente, vista dal Machiavelli come qualcosa di assolutamente precario, continuamente esposto al pericolo della rovina. La

vita politica diviene

volti

una

lotta incessante

per sopravvivere, per non essere

tra-

richiede una

co-

dal giuoco mutevole e spesso imprevedibile degli eventi;

scienza sempre vigile e pronta, un’energia spietata; richiede, soprattutto, di lasciar

cadere ogni distinzione di bene e di male, di sapere usare anche quest’ ultimo, appare necessario.

se

Questa lucida e amara coscienza non è affatto cinica, ma rivela, al fondo, un anelito, come ha notato il Croce, verso una diversa società di uomini buoni e puri. Inoltre il male, la scelleratezza non sono giustificati dal Machiavelli, in quanto scoppio di passionalità istintiva, ma come un mezzo scelto con chiara consapevolezza intellettuale, quando tutti gli altri risulun’autentica sofferenza,

tino

inefficienti,

per

garantire

che, sola, rende possibile

la

piena

sicurezza

una convivenza ordinata

di

quella

costruzione

statale

e civile.

Resta ora a vedere quali debbano essere e modi e governi di uno principe con sudditi o con gli amici.^ E perche io so che molti di questo hanno scritto, dubito, scrivendone ancora io, non esser te1.

nuto prosuntuoso, partendomi massime, nel disputare questa materia, dagli ordini degli altri.^ Ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a Cap. XV.

2.

E

I.

e modi... amici:

il

modo

di comportar-

gli uomini governo degli altri stati {amici, in quanto con essi intrattiene relazioni politiche c disi

di

un principe

di

plomatiche).

coi sudditi e

con

perche... altri:

Il

M. ha piena

e po-

consapevolezza della propria originalità in questa parte della trattazione, perche si allontana dai principi e dai metodi (ordini) degli altri trattatisti. Egli qui prende posizione contro la letteratura medioevaIc e umanistica, volte a rappresentare una lemica

E Niccolò Machiavelli

207

mi

è parso piu conveniente

andare drieto alla verità imaginazione di essa.^ E molti si sono imaginati republiche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero;* perché egli è tanto discosto da come si vive a chi la intende,

che

effettuale della cosa,

come

alla

doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si doverrebbe fare, impara piu tosto la ruina che

si

vazione sua

uomo

perché uno

:

uno

è necessario a

non

essere

tanti

quando

parte pro-

le

che non sono buoni.®

buono,*^ e usarlo e

non

l’usare

secondo

la

uno

cose circa

le

discorrendo quelle che sono vere® dico che

e

Onde

necessità.®

imagi-

principe gli

tutti

uomini

ne parla, e massime e principi, per essere posti più

se

per

la preser-

principe, volendosi mantenere,® imparare a potere

Lasciando adunque indrieto

2.

nate,

che voglia fare in tutte

mini infra

fessione di buono, conviene

fa

si

quello che

alti

sono notati di alcune di queste qualità che arrecano loro o biasimo o questo

laude.

uno termine

alcuno è tenuto

4 che

alcuno misero (usando

liberale,

toscano, perché avaro in nostra lingua è ancora colui che per

rapina desidera di avere; misero chiamiamo noi quello che immagine

idealizzata

principe

del

dello

c

fondata su esigenze morali, ma, a suo avviso, lontana dalla realtà politica e, quinstato,

di, illusoria. 3.

Ma

sendo...

Ma

essa:

essendo

il

mio

intento quello di scrivere cose veramente utili

te

nella vita reale,

ispirarmi

alla

fatto esistenti

filosofi

non

effettuale propria del pensatore, dello scienziato, e l’intimo travaglio, la sofferenza che

mondo

accompagnano

alle

alle

a è più di

che in

{veri-

immaginazioni vane Il

vocabolo effettuale

è creazione del Machiavelli, e, ‘

come

dice

il

cioè la ve-

reale

anche nei suoi effetti ». Allude ai filosofi che, come Platone, hanno vagheggiato nei loro scritti stati ideali, non conformi all’effettiva realtà dell’uomo e della storia. 5. perché... buoni: vi è una tale differenrità, oltre 4.

E

molti...

se,

in

vero:

zi fra come effettivamente si vive (il mondo concreto della politica, e, in genere, dell’azione umana rivolta alla conquista dell’utile e



ma anche sopravvivenza nel mondo) e come si dovrebbe vivere (il mondo della morale), che chi fonda la propria vita soltanto su ideali di bontà e giustizia va incontro alla propria della propria affermazione



rovina,

non

alla

blematicità

Infatti

spesso la scoperta della prodel

e

contrasto

natura umana. 6. volendosi mantenere: vare se stesso e il proprio

impliciti

nella

volendo preserstato.

7. imparare... non buono: Nota quell’/mparare e quel potere. Non si tratta di un invito alla malvagità, ma ad assumere con-

con fermezza qualsiasi mezconservazione dello stato. 8. e usarlo... necessità: e deve imparare, principe, a mettere in pratica questa cail pacità di fare il male e a non metterla in pratica, secondo che la necessità dello stato

sapevolmente zo necessario

e

alla

lo costringa. 9. le cose... vere: lasciando da parte le considerazioni su principati immaginari, già criticate all’inizio del capitolo, e attenendo-

mi strettamente

alla verità effettuale.

10. dico... laude: dico

propria salvezza (preserva-

un uomo che voglia essere sempre in tutto buono, di necessità rovina fra tanti che non sono tali. Troveremo in zione).

che nello stile teso c incisivo, sintetico e, insieme, drammatico. C’c in esse l’indubbio vigore morale dell’uomo che ha il coraggio di guardare in faccia la realtà per quanto, dolorosa possa essere e di denunciarla senza mezzi termini, la passione per la realtà

condizioni di

e mora’isti.

Tommaseo,

astiene

è parso più convenien-

realtà,

nella vita e nel

tà e^ettuale) e di

mi

si

ni, e soprattutto

i

che

uomi-

tutti gli

principi, che, per

il

fatto

questo e nei capitoli seguenti altre afferma-

sono maggiormente osservati, sono giudicati, da quelli che parlano di loro, secondo una delle qua-

zioni del genere. Noterai in tutte

lità

e

sofferta

chiaroveggenza che

si

un’amara

esprime an-

essere

dt

posti

più in

alto,

enunciate nel periodo seguente. questo è: cioè, è tenuto: è considerato

11.

2o8

Antologia della letteratura italiana

troppo di usare

suo); alcuno è tenuto donatore, alcuno rapace

il

Tuno

crudele, alcuno pietoso;

e pusillanime,

feroce e

l’altro

alcuno

fedifrago, l’altro fedele; l’uno effeminato

animoso;

l’uno umano,^^ l’altro su-

perbo; l’uno lascivo, l’altro casto; l’uno intero,^ l’altro astuto; l’uno duro, l’altro facile;^* l’uno grave, l’altro leggieri;^"^ l’uno religioso, l’altro incredulo, e simili.

E

io so che ciascuno confesserà che sarebbe lauda-

uno principe

bilissima cosa in

né interamente osservare, per

di tutte le soprascritte qua-

trovarsi,^®

quelle che sono tenute buone;

lità,

le

ma

perché

non

le

si

umane

condizioni

possono avere,

che non lo con-

sentono, gli è necessario essere tanto prudente, che sappia fuggire

l’in-

non gnene tolgano, guardarsi, se egli è possibile; ma non possendo, vi si può con meno respetto lasciare andare. “ Et etiam non si curi di infamia di quelli

vizii

che

li

torrebbano lo

stato,

correre nella infamia di quelli vizii, sanza quali salvare lo stato;

perché, se

cosa che parrà virtù

ne

seguendola,

e,

e’

la

riesce

possa diffìcilmente si

troverrà qualche

mina

sua; e qualcuna

considerrà bene tutto,

seguendola,^ sarebbe

e,

che parrà vizio,

altra

si

e da quelli che

la

securtà

e

il

bene

essere suo.

Della crudeltà e pietà; e

snelli è

meglio esser amato che temuto,

o più tosto temuto che amato I.

Scendendo appresso

alle

altre preallegate qualità,^

dico che cia-

scuno principe debbe desiderare di esser tenuto pietoso e non crudele: non di manco debbe avvertire di non usare male questa pietà.* Era te12. donatore... rapace; tore,

prodigo... rapina-

13. feroce e

umano:

14.

animoso:

fiero e coraggioso.

cortese, gentile.

.15. intero: sincero, franco, leale. 16. duro...

facile:

ostinato

nella

propria

condiscendente e indulgente. 17. grave... leggieri: ponderato e costante nelle sue decisioni... volubile. 18. in uno principe trovarsi: che in un

severità...

principe

si

trovassero.

umane: per il liminatura umana, che è un miscuglio di bene e di male. 20. gli è necessario... andare: bisogna che il principe sia tanto prudente da saper fuggire il biasimo che gli deriverebbe da quei per

19.

le

sibile, si

può abbandonare ad

essi

con minor

riguardo.

deir altrui.

condizioni

21. Et etiam... stato: £ inoltre non si preoccupi se sarà biasimato per quei vizi senza i quali non potrebbe salvare lo stato. 22. seguendola: qualora il principe la se-

gua.

Il

contrasto fra politica e morale

si

ri-

primato della politica e nella subordinazione ad essa della morale. Ai concetti di bene e di male sono sostituiti quelli di efficienza o inefficienza agli effetti della salvezza dello stato. solve

nell’affermazione

del

te stesso della

vizi

che,

se

fossero

conosciuti,

potrebbero

perdere lo stato, c guardarsi, se gli è possibile, da quelli che non lo danneggiano sul piano politico; ma se non gli è posfargli

Gap. XVII. 1.

Scendendo... qualità:

considerare

XV

(nel

le altre

XVI ha

passando poi

a

qualità elencate nel cap. parlato della

liberalità

e

delia parsimonia). 2.

stare

non

di manco... pietà: deve tuttavia bene attento a non usare in maniera

Niccolò Machiavelli

209

nuto Cesare Borgia crudele; non di manco, quella sua crudeltà aveva

Romagna,

racconcia la si

considerrà bene,

il

populo fiorentino,

unitola, ridottola in pace e in fede.® Il che se vedrà quello* essere stato molto più pietoso che

si

quale, per fuggire

il

nome

el

di crudele,

destruggere Pistoia.® Debbe, per tanto, uno principe non

si

lasciò

curare della

infamia di crudele per tenere e sudditi sua uniti e in fede ® perché con pochissimi esempli'^ sarà più pietoso che quelli, e quali, per troppa :

che ne nasca occisioni o rapine

pietà, lasciano seguire e disordini, di

® :

perché queste sogliono offendere una universalità intera, e quelle esecuzioni che vengono dal principe offendono

uno

crudele, per essere

li

stati

nuovi pieni di

E

particolare.®

principe nuovo è impossibile fuggire

principi, al

e

tutti

pericoli.^®

E

infra

nome

el

di

Virgilio nella

bocca di Didone dice: m

Res dura,

me

et regni novitas

cogunt

talia

Moliri, et late fines custode tueri.^^

Non

manco, debbe

di

grave

esser

e umanità, che la troppa confidenzia

diffìdenzia

non

politicamente

controproducente

lo

modo

questa

sua

M. non

sia

La

un

cinico consigliere di

a riordinare (racconcia) la

fronti del essa

il

scelle-

crudeltà del Valentino è serviu

ficarla e pacificarla, a

Romagna,

a uni-

renderla leie nei con-

governo mentre prima regnava in

4.

quello: il

lo facci incauto e la troppa

perché... particulare:

Pistoia:

per essere... pericoli: poiché conquistati sono pieni di nati dal disordine che accompagna

lotta

fra le fa-

Virgilio

Didone,

re a

Africa

1501 gravi tumulti a Pistoia. I Fiorentini intervennero per sedarli, ma non

necessità

nel

avendo avuto fermezza,

come

il

coraggio di procedere con

ammazzando

consigliava

i

capi dei tumulti,

M., non riuscirono

il

ridare la pace alla città,

a

anzi la loro con-

che si compissero nuove violenze con conseguenze deleterie. 6. non... fede: non preoccuparsi di avedotta irresoluta fece

re la cattiva

fama

si

di crudele,

uniti e obbedienti alle leggi

i

lasciano...

pine.

rapine:

dai quali

muta-

il

neW Eneide la

nuovo

(I, 563-64) fa diregina che sta fondando In

stato cartaginese

politiche,

conseguenti

mio regno, mi costringono

«

:

Le dure

alla

novità

prendere questi provvedimenti e a vigilare con cura su tutto il mio territorio ». Ella risponde cosi agli esuli Troiani che si lamentavano del

a

del fatto che il loro approdo fosse stato contrastato violentemente dai Cartaginesi.

Non di manco... intollerabile: Tuttadeve essere prudente e ponderato nel

12.

via

pur di tenere

credere all’esistenza dei pericoli e nell’acre, e

con pochissimi esempli: con pochissimi esempi, o atti, di crudeltà. 8.

il

sudditi.

7.

disordini

stati

pericoli

violento di regime politico.

zioni dei Panciatichi e dei Cancellieri pro-

vocò

gli

10.

appena

11.

La

uccisioni e rapi-

singoli citudini.

Valentino.

il

quale...

si

ne offendono V intera cittadinanza, le esecuzioni ordinate dal principe offendono dei

mento

r anarchia.

5.

muoversi, né

represso con spietata fermezza. 9.

L’ esempio rivela chiaramente come

ratezze.

non

al

temperato con prudenzia

renda intollerabile.^

pietà (umanità e mitezza). 3.

credere e

al

fare paura da se stesso, e procedere in

lasciano

accadere

nascono uccisioni e ra-

Ogni tumulto deve, insomma,

essere

non deve crearsi pericoli immaginari, e deve saper conciliare la prudenza che può imporgli talvolta decisioni crudeli, con la umanità che gli vieta d’usare la crudeltà in modo eccessivo e non ben giustificato. Deve, insomma, far sj che l’eccessiva fidu-

Antologia della letteratura italiana

210

Nasce da questo una disputa:

2.

temuto, o e converso.

ma, perché

l’altro;

è

elli

che

vorrebbe essere l’uno e

si

insieme,

accozzarli

difficile

amato che

è meglio essere

s’elli

Respondesi,

molto piu

è

quando si abbia a mancare dell’uno uomini si può dire questo generalmente: che

sicuro essere temuto che amato, de’ dua.^^ Perché delli

sieno

ingrati,

simulatori

volubili,

cupidi di guadagno;

ricoli,

dissimulatori,

e

mentre

e

el

E

tano.^®

bisogno è discosto; ma, quando quel principe, che

nudo

trovandosi

che

di

altre

si

è

sono

come

òfferonti el sangue, la roba, la vita, e figliuoli,

quando

fuggitori

loro bene,

fai

di

sopra

appressa, e’

si

ti

de’

si

petua,

tutti

dissi,

rivol-

fondato in sulle parole loro,

tutto

perché

rovina;

preparazioni,^®

le

amicizie

acquistono col prezzo e non con grandezza e nobiltà di animo,

si

ma elle non si hanno, e a’ tempi non si possano spenuomini hanno meno respetto ad offendere uno che si facci amare che uno -che si facci temere; perché l’amore è tenuto da uno vincolo di obligo, il quale, per essere li uomini tristi, da ogni occasione di propria utilità è rotto; ma il timore è tenuto da una paura di pena che non abbandona mai.^® 3. Debbe, non di manco, el principe farsi temere in modo che, se non acquista lo amore, che fugga l’odio; perché può molto bene stare meritano,

si

E

dere.^’

non

li

renda incauto e Tccccssiva diflo renda odioso. Ancora una volta osserviamo che, per il M., l’uso del male deve avere un’ intima razionalità. 13. o e converso: o al contrario. 14. che... dua: che sarebbe bene, per un eia

lo

non

fidenza

principe, essere al

tempo

amato

stesso

e te-

15.

Perche...

massime scritto

più

sulla

si

rivoltano:

sconsolate

che

umana. come fanno

natura

esagerato trarne,

È una M.

delle

alcuni

inter-

abbia Sembra però il

una conclusione rigorosamente filosofica, come se il M. vedesse nel male l’immutabile caratteristica dell’ animo umano. Ci sembra piuttosto che questo pensiero napreti,

simula, cioè

finge,

si

una cosa

falsa;

si

nasconde ad arte, la verità, fai loro bene: fai loro del bene, òfferonti: ti offrono. Nota il tono sempre più incalzante, lo stile popolaresco ed energico, l’amarezza sofferta di tutto il periodo. dissimula,

ma

perché è difficile conciliare le due cose, è molto piu giovevole alla sicurezza del suo dominio l’essere temuto che amato, qualora non si possano ottenere ambedue.

muto;

si

morale, simulatori e dissimulatori:

e

civile

cioè

si

trovandosi... preparazioni:

16.

privo, nel fese

e

momento

trovandosi

del pericolo, di altre di-

che avrebbe dovuto prudentemente pre-

disporre. 17. perche... spendere:

perché le amicizie acquistano con doni e benefici materiali (e tali sono le amicizie del sovrano machiavelliano, energico e solitario) e non

che

si

con

grandezza e nobiltà dell’ animo, si ma non sono un possesso effet-

la

comprano tivo,

che

mento

il

principe possa spendere nel

in cui ne

mo-

ha bisogno.

dall’amara esperienza politica dell’ ausi tenga inoltre presente che in un regime assolutistico, qual è quello qui delineato, fra principe c sudditi (non cittadini!) i rapporti hanno un carattere prevalen-

titubanza, riguardo. perché T amore... mai: perché l’amore si fonda su di un vincolo di riconoscenza, su di un obbligo puramente morale che, dal momento che gli uomini sono malvagi,

temente

utilitaristico;

è infranto alla

Principe,

propone di insegnare il portare un rimedio alla disastrosa

sca

tore;

modo

di

il

M.

e

infine,

che,

nel

si

situatone della società italiana senza però illudersi sul suo presente sfacelo politico.

18. respetto:

19.

ir

prima occasione in cui venga

contrasto col calcolo egoistico del proprio

tornaconto;

il

timore, invece, è tenuto ben

saldo dalla paura di incorrere in una pena, e questa

paura non

ti

abbandona mai.

Niccolò Machiavelli

2II

insieme esser temuto c non odiato; “

che farà sempre,*^ quando

il

si

astenga dalla roba de* sua cittadini e de’ sua sudditi, e dalle donne loro:

quando pure

e

cuno, farlo quando vi

li

sangue®

bisognassi procedere contra al

di

al-

conveniente e causa manifesta;

sia iustificazione

ma, sopra a tutto, astenersi dalla roba d’altri; perché li uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio.® Di poi, le cagioni del tórre la roba non mancono mai; e sempre, colui che comincia a vivere con rapina, truova cagione di accupare quello d’altri; e per avverso, contro al sangue sono più rare, e mancono più presto.^

Ma, quando

4.

el

principe è con

di crudele; perché sanza questo

nome non

né disposto ad alcuna fazione.® Intra

connumera ®

si

questa,

di infinite generazioni di

non

vi sorgessi

non

si

curare del

nome

tenne mai esercito unito

mirabili azioni di Armibaie

le

grossissimo,

esercito

misto

uomini, condotto a militare in terre aliene,®

mai alcuna

cipe, COSI nella cattiva

si

avendo uno

che,

ha in governo mul-

eserciti e

li

titudini di soldati, allora al tutto è necessario

dissensione, né infra loro né contro al prin-

come

buona fortuna. inumana crudeltà,

nella sua

nascere da altro che da quella sua

Il

che* non possé

la

quale insieme

con infinite sua virtù lo fece sempre nel conspetto de’ sua soldati venerando e terribile; e sanza quella, a fare quello effetto, le altre sua virtù non li bastavano. E li scrittori poco considerati, dall’ una parte

ammirano questa sua

dannono

azione, dall’altra

la principale

cagione

di essa.®

Machiavelli sostiene

Il

tratto dalla storia

20. perché... conciliarsi

proprie argomentazioni con un esempio

le

romana: quello

odiato:

possono

Tessere temuto e

non

di Scipione, al quale

benissimo

abbia cominciato a vivere di rapina ne tro*

vera sempre delle

il



un frammento

In

del



1512,

l’autore

ma

stato,

e'

qui

uno

può bene

fratello

non può

risuscitare,

riavere el podere *.

Anche

considerazione psicologica e morale è ricondotta con rigore scientifico al ferreo dell’ interesse.

Di

24. i

poi...

presto:

pretesti) di

di

Inoltre

le

cagioni

saziare la

cagioni di uc-

qualcuno sono più rare e vengono non appena, cioè, lo suto sia saldamente costituito. 25. ad alcuna fazione: ad alcuna impresa

meno

più presto,

militale. 26.

si

connumera:

27. misto... di

diversa

si

aliene:

stirpe

annovera.

composto

(Africani,

di

Fenici,

uomini Galli,

Spagnuoli, ecc.) e condotto a combattere in terre straniere. 28. lo

E

li

storico

scrittori... essa:

latino

Tito

Qui

il

M.

pure

Livio,

critica

da

lui

condannano ammiratissimo. dannono, ecc. quella crudeltà che fu invece la causa prima del fatto che egli riuscisse a guidare c tenere unito il suo esercito composito. :

depredare i sudditi non mancano mai, e una volta che un principe

(cioè

le

cidere

la

mondo

nuove pur

propria cupidigia, mentre

dava

questa spiegazione: « La vagone e in pronto; perché ognuno sa che per la mutazione

d'uno

suoi eserciti in

odiato.

che farà sempre: soggetto è il principe. La roòa sono i beni materiali. sangue: uccidere qual22. procedere... cuno. patrimonio: È una delle 23. perché... massime più celebri e atroci del M. 21.

i

212

Antologia della letteratura italiana

Spagna

si ribellarono a

per

la

troppa sua pietà » e che venne per questo

chiamato « corruttore della romana milizia

».

Concludo adunque, tornando allo essere temuto e amato, ^ che, li uomini a posta loro, e temendo a posta del principe, debbe uno principe savio fondarsi in su quello che è suo, non in su quello 6.

amando

che è d*

altri

:

® debbe solamente

come

ingegnarsi di fuggire lo odio,

è detto.

In che

modo

c prìncipi abbino a mantenere la fede

1. Quanto sia laudabile in uno principe mantenere la fede e vivere con integrità e non con astuzia,' ciascuno lo intende:^ nondimanco si vede per esperienzia ne’ nostri tempi quelli principi avere fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco conto, ^ e che hanno saputo

con l’astuzia aggirare e cervelli degli uomini; e alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in sulla lealtà. 2. Dovete adunque sapere come sono dua generazioni di combattere * l’uno con le leggi, l’altro con la forza quel primo è proprio :

:

tornando...

29.

questione

se

sia

amato: ritornando alla meglio essere temuto o

amato. che...

30.

d* altri:

amano seguendo

la

siccome

gli

loro volontà e

uomini temono

volontà del principe, questi deve fondarsi sul timore, che dipende da lui, dalla sua azione consapevole, non su quell’amorc che sfugge del tutto al suo con-

secondo

la

trollo.

suoi tempi, come si vede dal resto di questo periodo: tempi dominati da figure quali Alessandro VI, il Valentino, Luigi XII e

Ferdinando

il

Cattolico.

conto: che le imprese più grandi e fortunate sono state compiute da quei principi che hanno tenuto poco conto della lealtà, ecc. Dice gran cose, perche, come afferma anche nei Discorsi, lo stato è una potenza portata naturalmente ad espano è cosa veramente molto naturale dersi et ordinaria desiderare di acquistare; e sempre quando li uomini lo fanno che possano saranno laudati non biasimati; ma quando non possono e vogliono farlo in ogni modo, qui è l’errore, è il biasimo ». (Discorsi II, 19). Insistiamo su questa parte iniziale del capitolo perché da essa deriva logicamente il resto e anche la visione « centauresca » quelli...

3.

:

Gap.

XVm.

mantenere... astuzia: mantenere

1.

la pa-

data e vivere fondandosi sulla lealtà,

rola

non

sull’ astuzia.

2.

ciascuno lo intende:

È uno

infrequenti riconoscimenti di

dei non una superiore

legge morale, che troviamo nel Principe. È stato detto giustamente che lo stesso accen-

formule amare, ma asciutte e perentorie con le quali è definita la malvagità dell’ uomo « scaturisce proprio dal contrasto fra una nativa volontà di bene e la consapevolezza della naturalità e dunque dell’asprezza dell’azione politica » (De Caprariis). Aggiungiamo che il pessimismo to

del

tragico

M.

delle

sue

nasce dalla durissima esperienza dei

della

politica,

bile di

nalità

vista

umanità e e

come

sintesi

indissolu-

di ferinità, cioè di razio-

istintività,

entrambe proprie

della

natura umana. 4.

Dovete adunque sapere,

ecc.

:

Questo

paragrafo e quello seguente (ma si può dire lo stesso di tutto il capitolo) sono tra le pagine letterariamente più belle del Principe. Vi trovi quello stile conciso e drammatico,

Niccolò Machiavelli

213

uomo, quel secondo non basta, conviene

dello

volte

ma

è delle bestie;

perché

uno prinPuomo.® Questa parte

cipe è necessario sapere bene usare la bestia e è

insegnata

suta

copertamente dagli antichi

principi

a*

come Achille

quali scrivono

Il

che non vuole dire

mezzo uomo,

bestia e

Sendo dunque uno principe

3.

debbe di quelle pigliare

stia,^®

defende da’

si

altro, avere

lacci, la

la

li

si

li

mezzo

principe sapere usare è durabile.

necessitato sapere bene usare la be-

golpe e

golpe non

sua disciplina

la

per precettore uno

non che bisogna a uno Puna sanza l’altra non

se

l’una e Taltra natura; e

scrittori;'^

e molti altri di quelli principi antichi fu-

rono dati a nutrire® a Chirone centauro, che sotto custodissi.®

primo molte

el

ricorrere al secondo.® Pertanto a

lione

il

:

“ perché

non

lione

il

defende da’ lupi. Bisogna adunque

essere golpe a conoscere e lacci, e lione a sbigottire e lupi.^ Coloro

che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano.'® pertanto

uno signore prudente né debbe

osservanzia

li

promettere.'^

stesso,

si

E

se

fervore

mina

gli

uomini fussino'®

e al

tempo

intellettuale:

il

stesso

tono

direbbe, della verità effettuale.

il

quale

la

eventi, fissandone le leggi universali con su-

prema,

anche

se

consapevolezza,

dolente,

combattere:

dua...

due

modi

di

combat-

E

guerra continua e senza quartiere è la vita politica, continua lotta fra virtù o energia consapevole, e fortuna. La parola leggi comprende la moralità e la giustizia. 5. ma perché... secondo; Non è il parlare, come si è a lungo creduto, di un consigliere di iniquità, ma quello proprio di

tere.

chi

accetta

lezione dei

virilmente la fatale e

La

le arti ferine e

della

sua na-

mediante la lucida consapevolezza dei fini e dei mezzi, riscatta la tura.

politica,

contraddizione implicita nella natura umana;

dal

caos

delle

passioni

vità ferina fa sorgere

e

dell’ istinti-

una costruzione

chia-

quedeve tener conto della duplice natura dcH’uomo, sapere opporre alla violenza istintiva una violenza consapevole e calcolata. 7. Questa... scrittori: Questo principio è

ra e ordinata; la legge, lo stato. Per far sto,

sotto...

arrunaestrasse,

li

la

9.

bestia »,

mo

morale c psicologica dei miti era già presente nei classici. 8.

a nutrire:

da allevare. Chirone, secon-

alla

e

li

inderogabile necessità,

precaria situazione dell’uo-

quale non è, per il M., svolgimento e progresso come l’intendiamo oggi, ma il continuo e drammatico ripetersi di una situazione fondamentale; la lotta fra nella storia,

la

l’esigenza costruttiva fissità

11.

dell’ intelligenza

e

la

della natura immutabile.

debbe.., lione;

deve, fra

prendere come modello

la

animali,

gli

volpe e

leone,

il

cioè le loro specifiche qualità, rispettivamenl’astuzia

e

la

forza,

« virtù »

essenziali

dell’ agire politico.

12. Bisogna... lupi: bisogna essere volpe per comprendere e sfuggire gli inganni che vengono tesi, leone per opporre alla violenza una violenza maggiore. 13. Coloro... intendano: Coloro che vogliono usare sempre c soltanto la forza non se

ne intendono 14.

osservare...

di

politica.

promettere:

mantenere

la

parola data e rispettare i patti quando questa sua lealtà sia politicamente controproducente e quando (che) non sono piu valide

L’ interpretazione

una dura

conseguente

mettere.

simbolica.

custodissi:

educasse alla sua scuola. 10. Sendo... bestia: è, quella di « usare

ma

e

questo precetto

leggenda, fu maestro di Achille, Te-

la

stato insegnato dagli antichi scrittori in for-

allusiva

buoni,

tutti

seo, Giasone.

te

l’uomo; usare

umanej ambedue proprie

le

dolorosa

fatti.

sapere...

6.

do

E

mente docomplesso e vorticoso moto degli

senti l’entusiasmo col

vi

tale

torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono

un chiaro

espressione di

appassionato

Non può

quando

osservare la fede,

le

ragioni

che

lo

costrinsero

a

pro-

se gli uomini fussino, ecc.: E se gli fossero, ecc. Riaffiora quella visione pessimistica degli uomini che abbiamo visto 15.

E

uomini

214

Antologia della letteratura italiana

non sarebbe buono; ma perché sono tristi e non la osservarebbono a te,^® tu etiam” non Thai ad osservare a loro. Né mai a uno principe mancorono cagioni legittime di colorire la inosservanzia.^® Di questo se

ne potrebbe dare

principi

:

esempli moderni, e mostrare quante paci,

infiniti

quante promesse sono

state

fàtte

e

irrite

vane per

la

infidelità

de*

e quello che ha saputo meglio usare la golpe, è meglio ca-

pitato. Ma è necessario questa natura saperla bene colorire ed essere gran simulatore e dissimulatore * e sono tanto semplici gli uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna tro:

verrà sempre chi

lascerà ingannare.^^

si

non voglio, degli esempli freschi,^ tacerne uno. Alessandro VI non fece mai altro, non pensò mai ad altro che a ingannare uomini, e sempre trovò subietto da poterlo fare.^ E non fu mai uomo che 4. Io

maggiore

avessi

cederono

gli

mondo.^

A

e con maggiori giuramenti

efficacia in asseverare,^

fermassi una cosa, che la osservassi

meno; nondimeno sempre

li

af-

suc-

inganni ad votum, perché conosceva bene questa parte del

uno

adunque, non è necessario avere in fatto è bene necessario parere di averle.^ Anzi ardirò di dire questo che, avendole e osservandole sempre, sono dannose; e parendo di averle, sono utili; come parere pietoso, fedele, umano, intero, religioso, ed essere; ma stare in modo edificato con l’animo che, bisognando non essere, tu possa e sappi mutare el contrario.^ E bassi ad intendere questo, che uno principe, e massime uno principe nuovo, principe,

tutte le soprascritte qualità,

non può osservare già

nei

porre

Nei Discorsi

il

È

cattivi.

carattere difensivo della po-

quel suo dovere sempre presupporre

litica,

peggio, dati

i

il

deve presupsempre evidente,

chi fa le leggi

uomini

gli

nello scrittore,

tutte quelle cose per le

precedenti.

capitoli

M. afferma che

ma

limiti della

natura

conseguentemente, la condizione deir uomo nella storia. 16. non... a te:

umana

il

e,

rischiosa

non osserverebbero

la

pa-

rola data nei tuoi confronti. 17. tu

edam: anche

cagioni...

18.

malmente

tu.

inosscrvanzia

legittime

per

:

dare

ragioni for-

un

colorito,

un’apparenza di giustizia alla loro inosservanza della parola data. Anche qui, la massima spietata del M. nasce dalla triste esperienza della storia contemporanea. 19. irrite:

20. Ma...

saper

nulle,

dissimulatore:

colorire

una parvenza gere

il

21. cosi

senza alcun effetto. Il

natura

questa

il

con

vera.

e sono... ingannare: gli e

volpina

di sincerità e schiettezza, fin-

falso e celare

creduli

principe deve

cosi

uomini sono

trascinad dalle necessità

quali gli uomini sono

presenti che

si

te-

lasciano facilmente inganna-

credere ciò che intuiscono falso

re,

fino a

ma

che hanno bisogno in quel

momento

di

credere, vero. 22. freschi: recenti.

trovò uomini disposti a ingannare. asseverare; che aveva 24. che avessi... maggior forza e capacità persuasiva neirassicurare, nel promettere. 25. li succederono... mondo: gli inganni orditi riuscirono sempre secondo i suoi desideri (ad votum) perché conosceva bene que23. trovò... fare:

lasciarsi

sto lato della natura 26.

non

umana.

Non

è... averle:

un principe abbia

è necessario che

buone qualità enun-

le

ciate nel cap.

XV, ma

f impressione

di averle.

è necessario che dia

27. come... contrario, ecc. : cosi, è bene che sembri avere quelle qualità, e ie abbia anche, ma sia disposto nclTanimo in modo da saperle mutare, quando convenga, nei vizi

contrari,

fedele:

ed essere: ed esserlo.

leale,

intero:

sincero,

Niccolò Machiavelli

215

nuti buoni, scndo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla religione; c però bisogna che egli abbia uno animo disposto a volgersi

secondo eh’ e venti della fortuna e dano,

come

e,

di sopra dissi,

non

variazioni delle cose

le

coman-

li

ma

potendo,

partirsi dal bene,

sa-

pere in trare nel male, necessitato.® 5. Debbe adunque avere uno principe gran cura che non gli esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità;

e paia, a vederlo e udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità,

tutto umanità, tutto religione.

E non è E gli

avere che questa ultima qualità.®

cosa più necessaria a parere di

uomini, in universali, indicano

più agli occhi che alle mani; perché tocca a vedere a ognuno, a sentire

Ognuno

a pochi.®

vede quello che tu pari, pochi sentono quello che non ardiscano opporsi alla opinione di molti, che

tu se’; e quelli pochi

abbino

la

maestà dello stato che

li

defenda; e nelle azioni di

tutti gli

uomini, e massime de’ principi, dove non è indizio a chi reclamare, Facci dunque uno principe di vincere c mantenere mezzi saranno sempre indicati onorevoli e da ciascuno laudati; ® perché il vulgo ne va sempre preso con quello che pare e con lo evento della cosa; ® e nel mondo non è se non vulgo; e li pochi non ci hanno luogo, quando li assai hanno dove appoggiarsi.^ Alcuno principe de’ presenti tempi,® quale non è bene nominare, non predica

guarda

si

al fine.^^

lo stato: e

che

cedente periodo è stata ricavata, c falsamen-

Tanimo capace

te attribuita al M., la massima (che egli non ha mai pronunciato) « il fine giustifica i mezzi». Ma' qui, in realtà, egli afferma, con evidente amarezza e disdegno (ne/ mondo non è se non vulgo), che gli uomini per viltà sono sempre disposti a dare ragione a chi vince, o a chi appare più forte. Comunque, il fine al quale guarda è la co;

28. e però... necessitato: perciò bisogna

un principe

«

nuovo

mutare secondo

di

abbia

»

le necessità

imposte dal-

fortuna e dalla variazione delle cose (il significato dei due termini è praticamente lo stesso); bisogna, se può, che si mantenga nel bene, che agisca cioè moralmente, la

Tna non deve necessità

la

29.

esitare

lo

a volgersi al

male

se

costringa.

religione è per il M. un essenziale di coesione dello stato, fonda-

La

:

stituzione e

la

32. strumento

precisamente,

mento

cap.

30.

della moralità e del vivere civile.

E

uomini... pochi: Gli uomini, in

gli

genere, giudicano piu secondo T apparenza

che secondo la sostanza, perché a tutti è concesso vedere T aspetto esteriore delle cose, pochi ne sanno comprendere 1* effettiva realtà. '31. e quelli... fine: e

prendono opporsi

la

al

quei pochi che comnon osano

sostanza delle cose

giudizio dei più,

quando

questi

abbiano dalla loro l’autorità dello stato; e nel considerare le azioni di tutti gli ni,

e

tro

i

soprattutto quelle dei

quali

non

quale appellarsi,

uomicon-

tribunale (iudizio)

c’

è

si

bada

Facci... laudati:

principi,

Da

al

al

risultato.

questo e dal pre-

XXVI,

saldezza dello stato, e più

come

la

vedremo

costruzione di

meglio

uno

nel

stato in

che ponga rimedio alle sciagure e ignominia della Penisola. 33. va... cosa: il volgo ignorante c privo di senso critico va trascinato con le appaItalia

all’

renze esteriori e col successo. 34. c... appoggiarsi: i pochi prudenti e avveduti non potranno affermare la verità da loro scoperta, quando i più potranno contrapporre ad essa il successo conseguito, bene o male, dal principe. Ferdinando il Cat35. Alcuno principe: tolico. L’allusione al più potente

tempo, la

oltre

a

concludere

sovrano del

irrefutabilmente

dimostrazione, ci rivela ancora una volta M. l’ha tratta dalla do’orosa espeil

che

Antologia della letteratura italiana

2i6

mai

altro che

l’una c Taltra,

o

la

pace c fede, c

quando

reputazione o lo

Per quale cagione

li

c’

dell’

c dell* altra c inimicissimo;

una

c

Tavessi osservata, gli arebbe piu volte tolto

stato.

hanno perso

principi di Italia

stati

li

loro

Gli ultimi tre capitoli del Principe rivelano chiaramente la genesi ideale delne sono, al tempo stesso, il punto di partenza e la conclusione. Il Ma-

l’opera,

non concepì il suo trattato come una esercitazione accademica o come una disinteressata ricerca filosofica, ma come una meditazione compartecipe e drammatica della crisi italiana, volta a ricercare la possibilità di nn'azione straordinaria che consentisse di superarla mediante la costituzione di uno stato forte

chiavelli

e unitario in Italia.

Nei capitoli precedenti ha accennato agli sconvolgimenti intervenuti nella compagine politica italiana, che avevano mutato il vecchio equilibrio e distrutto un mondo che appariva un tempo perfetto. Ora compie l’ultimo .sforzo per far scaturire da una società di cui vede chiaramente l’attuale disgregazione, una forza eccezionale capace di operare il miracolo della sua resurrezione. Egli è ben consapevole dell’estrema difficoltà dcH’imprcsa; non si illude sulla sua riuscita, ma esorta a compiere un ultimo tentativo per infrangere con una vigorosa virtù una situazione storica ch’egli sa ormai irrimediabilmente compromessa. L’esortazione finale è svolta in tre momenti: nel cap. XXIV il Machiavelli intende sgombrare il campo dal pretesto col quale i principi italiani cercavano una giustificazione alla loro ignavia e inefficienza. Egli afferma che i mali ita liani non nascono da un avverso destino, ma derivano necessariamente dagli errori commessi da loro. Nel XXV affronta il tema del rapporto fra fortuna e virtù, affermando che questa può riuscire a vincere la fortuna, ed esortando

comunque

all’anione decisa e forte.- L’ultimo capitolo c un’appassionata invocazione a un principe italiano affinché voglia liberare l’Italia dai «barbari». Sono tre capitoli strettamente concatenati, pervasi di energia appassionata e virile, di

una speranza magnanima. Alla luce a

quasi

volte

spietata,

brutale

della

realtà

che pervadono tutto

il

di essi

umana

giustificano

si

e

l’

appello

a

il

senso angosciato c

un’ energia

risoluta

e

trattato.

Le cose soprascritte, osservate prudentemente, fanno parere uno nuovo antico, e lo rendono subito piu sicuro e piu fermo nello stato che se vi fussi antiquato dentro.^ Perché uno principe nuovo è molto piu osservato nelle sua azioni che uno ereditario; e, quando le sono conosciute virtuose, pigliono molto più li uomini e molto più li obligano 1

principe

rienza contemporanca. rcsca »

non è

La

politica

a ccntau-

Cap. XXIV.

stata certo insegnata c scoperta

Le

cose... dentro:

con

I.

suo tempo e fissandola con occhio acuto c pene-

dati

trante.

tico, acquisti cioè la

da

lui;

egli

1’

ha riconosciuta

strenua sincerità meditando

c definita

la storia del

finora,

fanno

si

I

se osservati

consigli e

i

precetti

con discernimento,

che un principe nuovo appaia anforza e

la solidità di

un

Niccolò Machiavelli

che

217

sangue antico.* Perché

il

presenti che dalle passate, e

li

uomini sono molto piu

quando

presi dalle cose

truovono

nelle presenti

el

bene, vi

godono e non cercano altro; anzi piglieranno ogni difesa per lui,* quando non manchi nell* altre cose a se medesimo.* E cosi ara duplicata gloria,® di avere dato principio a uno principato nuovo, e ornatolo e corroboratolo di buone legge, di buone arme e di buoni esempli,® come quello ha duplicata vergogna, che, nato principe, lo’ ha per sua si

poca prudenzia perduto. 2. E, se si considerrà® quelli signori che in

Italia hanno perduto come il re di Napoli, duca di Milano® e altri, prima uno comune defetto quanto alle arme, per

lo stato a* nostri tempi, si

troverrà in loro,

le

cagioni che di sopra

non non

si

sono discorse;

o che ara avuto inimici e populi,

loro,

sarà saputo assicurare de’ grandi

si

di poi

o, se ara

vedrà alcuno di

si

avuto

populo amico,

el

perché, sanza questi defetti,

:

perdono li stati che abbino tanto nervo che possino trarre uno campagna.^ Filippo Macedone,^* non il padre di Alessandro, ma quello che fu vinto da Tito Quinto, aveva non molto stato, respetto alla grandezza de’ Romani e di Grecia che lo assaltò: non di manco, per esser uomo militare e che sapeva intrattenere el populo e si

esercito alla

assicurarsi de’ grandi,^* sostenne più anni la guerra contro a quelli; e, se alla fine

perdé

el

dominio

di qualche città,

rimase non di

li

manco

regno.

el

3.

Per tanto, quei nostri principi che erano

sovrano ereditario e quindi saldamente radicato (antiquato) nel proprio stato. 2. pigliono... antico: avvincono molto di piu i sudditi e li legano al principe molto di più di quanto non faccia TafiFetto per una famiglia da lungo tempo regnante (sangue

tanti:

il

deficienza,

comune

esse nel cap. XII).

11. non... grandi:

non

si

sarà saputo ga-

consorterie più potenti del proprio stato. 12. che... campagna: che abbiano tanta

il

E, se ecc.

placabile 9.

ar-

rafforzatolo, buone legbuone arme... buoni esempli: Un soordinamento politico e costituzionale,

7. lo:

no,

nelle forze

rantire la fedeltà dei nobili, delle famiglie e

un’adeguata forza militare, esempi di azioni magnanime, liberali e giuste, che gli procurino onore, stima, ammirazione. 8.

ad

M.

tutti,

arà duplicata gloria: avrà doppia gloria.

6. corroboratolo:

lido

volte

(il

a

si servirono di milizie merallude alle critiche da lui ri-

mate, in quanto cenarie

ge...

ma

re di Napoli Federico d’ Aragona,

per lui: per il principe. 4. quando... medesimo: quando non venga meno a se stesso e alla sua fama. 5.

la fortuna,

detronizzato dai Franco-Spagnuoli nel 1501, e il duca di Milano, Lodovico il Moro, 1etronizzato da Luigi XII re di Francia. 10. uno comune... discorse: una grave

antico). 3.

molti anni nel

stati

non accusino

principato loro, per averlo di poi perso,

il

:

principato. sì

considerrà: Se

comincia ai

la

principi

soltanto

i

considereranserrata e im-

italiani.

duca di Milano, ecc. due signori piu impor-

re di Napoli,

Nomina

si

critica

:

forza da potere armare e tenere un esercito in

campo. 13.

Filippo Macedone: Filippo

V

(non

il

padre di Alessandro Magno) vinto dal console romano Tito Quinzio Flaminino a Cinocefale nel 197 a. C.

era un abile 14. per esser... grandi: poiché condottiero d’ eserciti e sapeva mantenere il

favore

del

dei nobili.

popolo e assicurarsi

la

fedeltà

'

Antologia della letteratura italiana

2i8

ignavia loro

la

**

:

perché,

che possono mutarsi

(il

non avendo mai

comune

che è

ne* tempi quieti

pensato,

non

deferto delli uomini,

fare

conto nella bonaccia della tempesta),^"^ quando poi vennono tempi av-

pensorono^® a fuggirsi^* e non a defendersi; e sperorono eh’ e poli richiamassino* Il quale

versi

poli, infastiditi dalla insolenzia de’ vincitori,

quando mancano

partito, sciati

per credere di trovare chi

altri,

è

buono;

ma

ricolga

ti

Il

è bene male avere

non avviene,

che, o

o,

dependere da te.^ E quelle difese solamente sono buone, sono sono durabili, che dependono da te proprio** e dalla virtù tua.

Quanto possa

la

la-

vorrebbe mai cadere,

si

s’elli

è con tua sicurtà, “ per essere quella difesa suta vile e

non

avviene,

li

remedii per quello; perché non

altri

li

modo

fortuna nelle cose umane, et in che

non

certe,

se

li

abbia a resistere Più volte ricorre, nella meditazione del Machiavelli, ora considerata

come una

sorte

tema

il

della

fortuna,

che governa a suo l’occasione che l’uomo

di divinità imperscrutabile,

uomini e còse, ora come la congiuntura storica, non può determinare, ma che può volgere ai propri fini.

arbitrio

questo concetto a un’ interpretazione logica unitaria, e lo In questo stesso capitolo, nei paragrafi dall’ I. al 4., l’autore afferma che almeno la metà del nostro agire dipende dalla libera scelta della volontà; ma negli altri questa libertà viene affatto limitata. La ragione del sormontare della fortuna è vista nel variare dei tempi, Difficile è ridurre

stesso dicasi

del rapporto fra tàrtu e fortuna.

imporrebbero di cambiare la nostra indole per adeguarci al ritmo degli cosa, questa, che appare al Machiavelli impossibile. Per questo un moderno interprete, il Sasso, afferma che, in pratica, la fortuna machiavelliana coin-

che

ci

eventi;

non

15.

mala

accusino... loro:

sorte,

ma

la

non accusino

propria incapacità e

la

viltà.

tempi quieti: nei tempi di pace. fare... tempesta: Nella vicenda politica la « tempesta » è sempre latente, in agguato; di qui la necessità di una prudenza e di un’energia sempre tese e consapevoli. Evidentemente, il crollo improvviso di stati in apparenza ricchi e potenti aveva disposto l’animo degli Italiani (come sempre avviene nelle grandi catastrofi) a dare la colpa dei 16. nc’

non

17.

rassegna a quella storia di decadenza e corruzione, ma intende compiere, con fermez-

zi e senza

illusioni,

un

tentativo estremo di

riscatto.

pcnsorono: pensarono; cosi, più avansperorono: sperarono.

18. ti,

;

Cosi fecero il re di Napoli e il duca di Milano. Fu la po20. infastiditi... richiamassino 19. a fuggirsi:

'

:

j

litica

seguita da Lodovico

primo tempo

si

Moro,

il

e in

un j

rivelò efficace. j

mutamenti avvenuti bile

al

destino,

volu-

alla

ruota della fortuna; ed era poi questo

anche

il

mezzo più comodo

un rigoroso esame zione

delle

proprie

di

per sfuggire a

coscienza,

all’

responsabilità.

assunIl

invece, anche se dalla lezione dei fatti

M.,

mo-

ha ricavato un senso doloroso della precarietà di ogni azione politica, del suo carattere estremamente rischioso e drammatico, vuole soprattutto comprendere, non si derni

21.

non

non... ricolga:

fare affidamento sul fatto, che qualcuno ti raccolga. 22. sicurtà: 23.

dovrebbe mai qualora tu cada, si

|

|

sicurezza.

per essere...

te:

perché, in

tal

caso,

quella difesa è stata vile e non è dipesa da te.

Il

politico

j

non deve

lasciarsi

andare

i

in j

balia delle circostanze, della « fortuna » e del

caso,

ma

24.

da

cercare di dominarli. te

proprio:

da

te

stesso.

!

!

Niccolò Machiavelli

cidc con

219

limitatezza

della

con

nostra natura,

e * non immutabile che la virtù può secondare, indirizzare, ma non mai modificare completamente. Questo limite impedisce all’individuo di dominare pienamente la realtà, e rende spesso la

deboli

stessa

del nostro

virtuosa

essere,

con

cioè

la

parte oscura

la

psicologica

struttura

sue costruzioni politiche.

le

Ad

ogni modo, pur ammettendo il potere della fortuna^ il Machiavelli è ben lontano dal giungere a un fatalismo rassegnato e inerte. Egli, anzi, pur essendo ben consapevole della problematicità d’ogni azione umana, riafferma appassionatamente, superando le oscillazioni del pensiero, la propria fede nella virtù, la convinzione, cioè, che l’uomo non deve subire passivamente il destino e gli eventi, ma affrontarli con impeto, con audacia, con energia consapevole e inflessibile. Di qui nasce la sua esortazione a liberare l’ Italia dai barbari, quella speranza che brilla invincibile proprio sull’orlo della disperazione, di una tragedia che sembrerebbe ormai ineluttabilmente conclusa.

1

E’ non

.

che

le

mi

cose del

come molti hanno avuto

è incognito

mendo

sieno in

modo

e

hanno opinione

^

governate dalla fortuna e da

non possino

Dio,^ che gli uomini, con la prudenzia loro,

correggerle,

anzi non vi abbino remedio alcuno; e per questo potrebbono iudicare

ma lasciarsi governare alla Questa opinione è suta più creduta ne’ nostri tempi per le varia-

che non fussi da insudare molto nelle 'cose, sorte.^

zione grande delle cose che

umana

ogni

coniettura.

si

A

sono viste e veggonsi ogni

che pensando,

fuora di

di,^

qualche volta, mi sono

io,

in qualche parte inclinato nella opinione loro.®

Nondi manco, perché

2.

il

nostro libero arbitrio

non

sia spento,®

indico

potere essere vero’ che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre,

E

noi.

ma

che

edam

lei

ne

assomiglio quella a

s’adirano, allagano c piani,

Gap.

lasci

governare

l’altra

uno di questi fiumi minano gli alberi e

XXV.

5.

Anche

metà, o presso,® a

rovinosi, che,

M. ha

il

quando

lievono da

gli edilìzi,

inclinato,

talvolta,

questa opinione, sconvolto dalle sciagure

come

1.

prattutto

molti...

mente

in

Il M. ha so< contemporanei,

opinione: i

suoi

rassegnati e inerti.

Dio: siano in tal modo rette da Dio, doè da una forza trascendente, supcriore alla nostra comprensieno...

2.

prowisamente abbattutesi

a

iqo-

sull’ Italia.

6. perché... spento: affinahe

non venga

ne-

gata all’uomo ogni possibilità di volere e di agire liberamente (e sarebbe conseguenza lo-

una

ammessa

la pre-

dalla fortuna e

gica e necessaria,

sione c

senza del destino). 7. indico... vero: penso che possa anche

alla

nostra volontà.

che non ci si debba impegnare a fondo (insudare) per modificare la realtà, ma convenga abbandonarsi al deche...

3.

sorte:

stino. 4.

per

le variazione...

e inaspettati

mutamenti

di:

per

i

repentini

della situazione po-

che si sono visti c si vedono continuamente. Chi avrebbe potuto prevedere il crollo improvviso di stati apparentemente potentissimi, come, ad esempio, il ducato di Milano 0 il regno di Napoli? litica

volta

darsi, ecc. 8. etiam: anche, o presso: o quasi. La parola metà non va presa in senso letterale, la questa prima parte del capitolo iene

riaffermato rato

il

cioè la

il

concetto che

Principe fiducia

(cfr.

nella

ad

es.

ha finora il

cap.

ispi-

VI),

e

virtù e nella capacità

di questa di contrastare efficacemente la /orLa posizione dell’ uomo nella storia c

tuna. vista

con maggior ottinoismo che non dal pa-

ragrafo 4 in avanti.



Antologia della letteratura italiana

220

questa parte terreno, pongono da queU’altra; ciascuno fugge loro

ognuno cede

nanzi,

E

obstare.®

impeto

allo

benché sieno

quando sono tempi ripari e argini, in

cosi

modo

fatti,

non

quieti,

non sarebbe né

potenzia dove non è ordinata virtù

dove

impeti,^®

E

che non sono

la sa

andrebbano per uno né si dannoso.

licenzioso

si

Similmente interviene della fortuna;

3.

provvedimenti, e con

vi potessino fare

che, crescendo poi,“ o egli

canale, o l’impeto loro

se voi considerrete

l’

a

la

quale dimostra e quivi volta

resisterle;

argini e

fatti gli

che è

Italia,

di-

sanza potervi in alcuna parte non resta però che^° gli uomini,

loro,

li

la

sua

li

sua

ripari a tenerla.

sedia di queste variazioni c

la

moto,” vedrete essere una campagna -sanza argini e sanza alcuno riparo; ” ché, s’ella fussi riparata da conveniente virtù, come la Magna,” la Spagna e la Francia, o questa piena non quella che ha dato loro

arebbe fatte

E

le

il

non

variazioni grandi che ha, o la

sarebbe venuta.

ci

questo voglio basti avere detto quanto allo opporsi

alla fortuna,

in

universali.

Ma

4.

tare natura

9.

E

a* particulari, dico come si vede oggi domani minare, sanza averli veduto mu-

restringendomi piu

questo principe

felicitare,^^

e

o qualità alcuna.

assomiglio...

obstare:

che credo che nasca, prima,' dalle ca-

Il

M. ama

Il

esprimersi in queste forme immaginose, piuttosto poetiche che

r immagine rende bene

la

c selvaggia della fortuna, battersi sull’uomo,

do sono

in piena,

Qui, ad es., violenza sfrenata

filosofiche.

il

suo rovinoso ab-

quando s’adirano: quanpongono: sottintendi: ter-

chiaramente con-

14. ordinata virtù: forza

sapevole di se stessa c dei propri

fini.

sua impeti: rivolge il suo impeto violento. Osserva la personificazione drammatica della fortuna che viene cosi in 15. volta

li

qualche

modo umanizzata

gonista

dell’azione

eroica

e appare l’anta-

deU’uomo.

Qui

reno. in alcuna parte obstare: opporsi in alcun

più che la ragione parla

modo.

lo stesso ideale eroico e attivo del vivere

10.

non

resta però che:

tuttavia nulla im-

16. considerrate

crescendo poi: soggetto è «

12. licenzioso:

sfrenato.

concessione maggiore che virtù. Essa

non

solo

può

i

fiumi

».

Abbiamo qui la M. faccia alla

il

afferrare la favore-

ma anche opporsi ad essa, limitarne, almeno in parte, l’impeto devastatore. Diverse sono, vole occasione offerta dalla fortuna,

abbiamo

visto, le conclusioni che vengono dopo. Ma qui, e lo vedi nel paragrafo seguente, il M. ha in mente l’Italia, l’ignavia e la incapacità e imprevidenza politica dei principi che l’hanno condotta nella presente

miseria.

Nel Principe,

l’atteggiamento

munque

pacato

il

e

M. non ha mai comprensivo, o dello

distaccato, del filosofo

costo-

un politico, impegnato appassionatamente nell’azione. rico; è

13.

modo

Similmente... di

fortuna: identico è procedere della fortuna.

il

sentimento, quel-

che

ispirerà le ultime righe del capitolo.

pedisce che. 11.

il

:

considerate.

che è la sedia... moto: la sede dove si sono svolti e dalla quale hanno avuto inizio queste mutazioni. 18. una campagna... riparo: immagine potente che bene esprime la desolata inerzia 17.

dell’Italia 19. tre

abbandonata

come

la

Magna:

alla la

mercé della sorte. Germania. Queste

nazioni erano l’esempio ideale

guardava

il

M.

nello

scrivere

il

al

quale

trattato,

perche in esse vi era un principato unitario saldamente costituito, mentre la divisione

e

dell’Italia

in vari stati discordi era stata la

causa delle invasioni straniere. 20. in universali: in generale.

Ma

a questo

punto il M. si sente spinto ad approfondire problema del rapporto fortuna-virtù, avil vertendone tutta la complessità. 21. felicitare: riuscire felicemente nelle sue

imprese.

Niccolò Machiavelli

221

sono lungamente per lo adrieto discorse, cioè che quel si appoggia tutto in sulla fortuna, rovina, come quella varia. Credo, ancora, che sia felice quello che riscontra el modo del procedere suo con le qualità de* tempi, e similmente sia infelice quello che con il procedere suo si discordano e tempi.”

gioni che

si

principe, che

Perché

5.

vede

si

gli

uomini, nelle cose che

li

conducono

al

fine

quale ciascuno ha innanzi, cioè glorie e ricchezze, procedervi varia-

mente: l*uno con respetto, l’altro con impeto; l’uno per violenzia, l’altro con arte; l’uno per pazienzia, l’altro con il suo contrario: ” e ciascuno con questi diversi modi vi può pervenire. Vedesi ancora dua respettivi,^ l’uno pervenire al suo disegno, l’altro no; e similmente dua equalmente felicitare con dua diversi studii, sendo l’uno respettivo e l’altro impetuoso: ij che non nasce da altro, se non dalla qualità de’ tempi, che si conformano o no col procedere loro.” Di qui nasce quello che ho detto, che dua, diversamente operando, sortiscono el medesimo effetto; e dua, equalmente operando, l’uno si conduce al suo fine, c l’altro

no.

Da

6.

uno che

questo ancora depende

la



variazione del bene;

perché, se

governa con respetti e pazienzia, e tempi e le cose girono in modo che il governo suo sia buono, e’ viene felicitando;” ma se li tempi e le cose si mutano, e’ rovina, perché non muta modo di proce” dere. Né si truova uomo si prudente che si sappi accomodare a questo; si

SI perché non si può deviare da quello a che la natura lo inclina,” si etiam perché,” avendo sempre uno prosperato camminando per una

22. Credo... tempi:

bia

buona fortuna

portarsi,

Credo

colui

derivante

il

dalla

inoltre che ab-

modo

compropria indole o

cui

di

« natura », vada d’accordo con la natura dei tempi, cioè con la situazione in cur si trova

modo, non abbia modo di operare non

ad operare e che,

allo stesso

successo colui

cui

il

va d’accordo coi tempi. Il successo dell’uomo qui sembra dipendere, più che da una virtù

sempre

e

comunque

valida, in

primo

luogo dal suo adattarsi ai tempi, al giuoco, imponderabile della fortuna.

cioè,

23.

nelle

cose...

conducono

contrario:

nelle

azioni

sono prefìssi, cioè la gloria e le ricchezze, procedono in due opposti modi: o con cautela (respetto), con calcolo ponderato o astuto (arte), con pazienza, oppure con impeto, violenza, auche

li

al fine

che

si

dua

respettivi:

due persone caute

e

circospette nell’agire. 25. e similmente... loro: e allo stesso

do te

mo-

vedono pervenire al successo ugualmendue persone che ispirano la loro azione si

alla

prudenza oculata,

l’altro all’impeto au-

dace. Questo nasce soltanto dal fatto che la situazione nella quale

meno modo di

si

trovano ad operare

temperamento

s’accorda o

col loro

col loro

procedere.

Da

26.

anche 27.

questo...

bene:

Da

c

questo nasce

la

variazione delle fortune umane.

se

uno...

ha successo, e prudenda andar d’ac-

felicitando:

quando procede con indole cauta te,

se la situazione sia tale

cordo con quel modo d’agire. L’espressione e tempi e le cose girono dà l’idea del continuo, inesplicabile e inarrestabile mutarsi delle situazioni

28. che

storiche.

sappi...

si

questo:

che

si

sappia

adattare a questi mutamenti. 29.

si

mo non

dacia irriflessiva. 24.

a principi opposti (dua diversi studii) l’uno

perché... inclina: sia perché un uopuò deviare dalla sua inclinazione

naturale, o indole. 30. si edam perché: ecc.

Ma

sia,

anche, perché,

un erdcH’uomo; nel primo, si tratuna necessità quasi fatale. Con

in questo secondo caso c’è

rore da parte ta invece di

222

Antologia della letteratura italiana

via, non si può persuadere partirsi da quella. E però Tuomo respettivo, quando egli è tempo di venire allo impeto, non lo sa fare; donde rovina; ché, se si mutassi di natura con li tempi e con le cose, non si

muterebbe fortuna.’^ 7. Papa lulio II “ procede in ogni sua cosa impetuosamente; e trovò tanto e tempi e le cose conforme a quello suo modo di procedere, che sempre sorti felice fine. Considerate la prima impresa che fe’, di Bologna,“ vivendo ancora messer Giovanni Bentivogli. E Viniziani non se ne contentavano; ^ el re di Spagna, quel medesimo; con Francia aveva ragionamenti® di tale impresa; e nondimanco, con la sua ferocia e impeto,® si mosse personalmente a quella espedizione. La quale mossa fece stare sospesi e fermi Spagna e Viniziani; quelli per paura, e quell’altro^ per il desiderio aveva di recuperare tutto el regno di Napoli; e dall’altro canto re

si

tirò drieto el re di

Francia; perché, vedutolo quel

mosso, e desiderando farselo amico per abbassare e Viniziani, indicò

non poterli negare le sua gente sanza iniuriarlo manifestamente.® Condusse® adunque lulio, con la sua mossa impetuosa, quello che mai altro pontefice, con tutta la

umana

egli aspettava di partirsi

prudenzia, arebbe condotto; perché, se

Roma

da

maggior rigore c amarezza il M. scriveva in una lettera al Sederini, dopo aver detto che

un uomo conoscesse

con

le

conclusione ferme*® e tutte

successo ad Alessandro VI, con strenua energia e coraggio,

temerario

a volte,

ristabilì

tempi e gli ordini delle cose e si sapesse accomodare ad esse avrebbe sempre buona fortuna e potrebbe

dominio effettivo della Chiesa sui territori ad essa soggetti ormai solo nominal-

comandare

33. l’impresa... di Bologna: Nell’agosto del 1506, Giulio II mosse alla conquista di

se

i

« alle stelle e a’ fati », cioè alla

Perché di questi savi non si truova, avendo gli uomini prima (= in primo luogo) la vista corta, e non potendo poi comandare alla natura loro, ne segue che la fortuna varia e comanda agli uomini, e tiengli sotto il giogo suo. {Lettere familiari, fortuna

:

«

il

mente.

Bologna; lanciò ti voglio

ché se

clusione

si

mutassi... fortuna:

drammatico

del

dibattito

tuale è tale da limitare fortemente della virtù

come

La conintelletil

valore

libera scelta e capacità di

azione autonoma e consapevole dell’ uomo, in quanto il M. viene ad ammettere che la natura o indole è un fatto immodificabile, una sorta di destino. Da questa considerazione, che porterebbe a render vani i precetti dati

finora nel Principe e la sua fondamentale

esortazione ad agire,

il

M.

si

libera nell’ul-

timo paragrafo, col fremente invito all’azione energica e coraggiosa, con un concetto di virtù fondato piu sulla forza impetuosa che sulla prudenza. 32.

1503,

Papa dopo

II: Giulio II, eletto nel brevissimo pontificato di Pio III

lulio il

scomunica contro la

resa

di

trionfalmente nella città. 34. non se ne contentavano:

il

questi,

Benentrò

non approva-

vano l’impresa.

CXVI). 31.

la

dopo

e,

se

35. ragionamenti: trattative lente che forl’avrebbero fatta naufragare. 36.

ferocia

c impeto:

fierezza

e

audacia

impetuosa. 37. quelli.., quell’ altro: rispettivamente il re di Spagna.

i

Veneziani e

38. perché... manifestamente: il re di Franvedutolo avviato a compiere personal-

cia,

mente l’impresa,

e volendoselo fare amico Veneziani e infrangere la loro potenza (come in seguito avvenne), fu costretto a mandargli soldati, altrimenti gli avrebbe fatto un torto che avrebbe compromesso l’alleanza. 39. Condusse: raggiunse un risultato, ottenne un successo. 40. con le conclusioni ferme: con gli accordi perfettamente stabiliti.

per battere

i

Niccolò Machiavelli

cose ordinate,

le

223

come qualunque

riusciva;*^ perché

mai

altro pontefice arebbe fatto,

li

re di Francia arebbe avuto mille scuse, e gli altri

il

messo mille paure. Io voglio lasciare stare le altre sue azioni, che tutte sono state simili, e tutte li sono successe bene; e la brevità della vita non gli ha lasciato sentire il contrario; ^ perché se fussino venuti tempi che fussi bisognato procedere con respetti,^ ne seguiva la sua ruina; né mai arebbe deviato^ da quelli modi, a’ quali la natura lo inclinava. 8. Concludo adunque che, variando la fortuna e stando gli uomini ne’ loro modi ostinati,*® sono felici mentre concordano insieme, e, come discordano, infelici.*® Io indico bene questo: che sia meglio essere impetuoso che respetti vo;*^ perché la fortuna è donna,*® ed è necessario, volendola tenere

sotto,*® batterla

E

e urtarla.

vede che

si

la

si

lascia

piu vincere da questi, che da quelli che freddamente® procedano; e però®^ sempre,

come donna,

è

amica de’ giovani,®® perché sono meno

più feroci,®® e con più audacia la comandano.

respettivi,

Esortazione a pigliare la Italia e liberarla dalle mani dei barbari Questo capitolo, di alta e commossa eloquenza, è tutto un’invocazione appasnella quale cogliamo pienamente queirintima e intensa partecipazione affettiva dello scrittore che prima era stata a lungo contenuta nel rigore dell’argomentazione logica. Vi sentiamo ben viva l’angoscia per l’ Italia schiava e avvilita, la consapevolezza che essa è giunta ormai a un punto cosi estremo di desionata,

mai

41.

riusciva:

li

non sarebbe

affatto

riuscito nel suo intento.

e

42.

la

brevità

. . .

contrario

non

r

il

gli

suo fece

uomo

:

pontificato

durò

provare

contrario,

il

breve

la

politico

(in

anni)

dicci

c

doc

insuccesso c la sconfitta.

con rcspctti: con prudenza c cautela, non con audacia e impeto. La conclusio44. né mai... deviato, ccc. ne assegna gran parte dei meriti di Giulio II :

suo temperamento c le ad esso. Ma il M. ammira anche la virtù con la quale Giulio ha saputo usare le proprie qualità native. 45. variando... ostinati: poiché la fortuna (le circostanze) muta c gli uomini rimangono ostinatamente legati al proprio nariscontro

circostanze

turale 46.

il

temperamento. sono felid... infdid: incontrano suc-

cesso...

47.

fra

favorevoli

insuccesso.

afferma

la

il

Con un moto M. rovescia la

anzi,

questi

propria dignità e grandezza.

fortuna è donna:

Ai concetti subentrano le immagini, conformemente al tono ormai non piu logico, ma emotivo e la

passionale

discorso,

del

lirico,

potremmo

perché il freddo e implacabile ragionatore è divenuto il poeta entusiasta della virtù eroica. L’ immagine ha poi un tono dire,

di

vigore

popolaresco.

49. volendola cioè,

50.

alla

tenere

sotto:

sottomessa,

propria volontà.

freddamente:

doè con

rispetto,

con

mille cautele e con freddo calcolo. 51. e però: 52. è

e perciò.

amica de* giovani:

vecchi, gli

Io iudico... res pcttivo:

impetuoso del sentimento

alla

uomo, ma non vi si rassegna; vede nella virtù il mezzo col quale dell*

48.

43.

al

sfida

finora,

dell’azione

necessità

durata della sua vita di realtà

affermando la audace c forte, della fortuna. Riconosce la limitatezza

impostazione tenuta

disce sono 53. più

audad i

ai

respcttivi

sono

i

quali la fortuna ubbi-

giovani.

fcrod:

più

animosi

e gagliardi.

.

Antologia della letteratura italiana

224

di disgregazione, che le possibilità di una grande azione politica di presentano in una luce di miracolo. A questo miracolo vuol credere il Machiavelli, aggredire d’impeto la « fortuna », gettare ad essa la sua audace sfida. Tutto il capitolo è volto a suscitare una virtù straordinaria, che, come quella di Mose, Ciro, Teseo, possa riscattare l’Italia, dare inizio a una fase radicalmente nuova della sua storia, cancellando il recente, vergognoso passato. E per far questo, lo scrittore assume la voce c l’ impeto del profeta, cerca di convincere il principe nuovo che si è giunti alla pienezza

cadenza c riscatto

si

dei tempi, alla

grande occasione,

all’

invito

supremo

rivolto dalla « fortuna » alla

« virtù ».

Molti

hanno

critici

sentito

una discordanza

fra

i

capitoli

precedenti, fondati

su argomentazioni logiche e rigorose, e quest’ultimo. Si è detto che

dopo aver deriso tutto

i

Principe

il

il

Machiavelli

« profeti disarmati » è divenuto tale anch’egli. Ma, in realtà, è pervaso dall’appassionata meditazione della storia italiana,

sempre però animata da un’inquieta e patetica speranza. E bisogna inoltre ricordare che in tutta l’opera del Nostro c’è l’esortazione ad agire con impeto, energia, audacia; e tale modo di agire presuppone non solo il calcolo, ma anche l’entusiasmo e la speranza. Certo, la decadenza italiana era ormai irrimediabile, né all’orizzonte si mostrava alcun principe degno della fiducia del Machiavelli, ed egli lo sapeva; ma sapeva anche che per rovesciare radicalmente una situazione ormai fatalmente e tragicamente conclusa occorreva far leva sulla stessa disperazione degli Italiani, sulla loro ansia di riscatto, sulla virtù della stirpe (questa è, nuovo principe), su di un’azione coraggiosa la cui energia potesse efficacemente controbattere l’impeto devastatore della « fortuna ». Del resto, nello stesso anno in cui scriveva il Principe, scriveva, in fondo, la pienezza dei tempi che addita al

una

in

lettera

«Io credo, credetti c crederò sempre che sia vero Boccaccio: che egli è meglio fare e pentirsi, che non fare e

Vettori:

al

quello che dice

il

pentirsi ».

1

.

Considerato, adunque, tutte

meco medesimo se in uno nuovo principe,^ e

le

cose di sopra discorse,^ e pensando

al

presente, correvano tempi da onorare

se ci era

materia che dessi occasione a uno pru-

Italia,

dente e virtuoso di introdurvi forma, che facessi onore a lui e bene alla

uomini

università delli

di quella,^

benefizio^ d’uno principe nuovo, che io

E

come io dissi, era necessario, volendo vedere la populo d’ Isdrael fussi stiavo in Egitto, e a conograndezza dello animo di Ciro eh* e Persi fussino oppressati

piu atto a questo.

virtù di Moisè, che scere la

se,

il

Cap. XXVI.

sere preda degli stranieri. 3.

1.

di sopra discorse: esaminate e discusse

nei capitoli precedenti. 2.

no

se...

mi pare corrino tante cose in non so qual mai tempo fussi

principe:

in Italia

tempi

se tali

tiva, al

presente correva-

da onorare un prin-

e se... quella:

espresso.

la

la

la virtù del

principe devono

introdurvi, cioè Io stato nuovo, che arreche-

rebbe a

un principe volta alla fondazioun nuovo e forte stato che liberasse la

nomini

Penisola dalla condizione ignominiosa di es-

favore.

virtuosa di

.

prudenza e

cipe nuovo; se cioè la situazione, l’occasione storica erano tali da favorire 1’ azione

ne di

Insiste sul concetto già

La materia è la situazione oggetforma è il nuovo ordinamento che

lui gloria e pace, e tranquillità e be-

nessere a tutti gli Italiani (aUa università delli

4.

di

qudia, cioè

corrino:

dell’ lulia)

concorrano,

in

benefizio:

in

Niccolò Machiavelli

che

la cccellenzia di Teseo,

Medi, e

da’

225

volendo conoscere

COSI al presente,

necessario che la Italia

Ateniensi fussino dispersi;

li

d’uno

la virtù

spirito italiano, era

riducessi nel termine che ell’è di presente,

si

e che la lussi più stiava che

più serva eh’ e Persi, più

Ebrei,

li

di-

spersa che gli Ateniensi; sanza capo, sanza ordine; battuta, spogliata,

ed avessi sopportato d’ogni sorte ruina.® benché fino a qui si sia mostro qualche spiràculo in qualcuno da potere indicare che fussi ordinato da Dio per sua redenzione, tamen si è visto da poi come, nel più alto corso delle azioni sua, è stato dalla fortuna reprobato.® In modo, che, rimasa come sanza vita, espetta lacera, corsa;

E

2.

qual possa essere quello che sani

Lombardia,

di 5.

taglie

del

le

sue ferite, e

Reame

prega Dio che

mandi qualcuno, che

le

ponga

Toscana, e

di

e

piaghe ^ià per lungo tempo

sue

quelle

alle

infistolite.'^

fine a’ sacchi

guarisca di

la

Vedesi come

la

redima da queste crudeltà

la

ed insolenzie barbare; vedesi ancora tutta pronta e disposta a seguire una bandiera, pur che ci sia uno che la pigli.



3.

vede

ci si

al

presente in quale®

illustre casa vostra,® quale,

E

con

Ricorda il cap. VI, nel ha esaltato i grandi condottieri di popoli e fondatori di stati, Mose, Ciro, Romolo, Teseo, che rimangono r ideale supremo proposto nel Principe, ruina:

se...

quale

Machiavelli

il

coloro al cui esempio il

nuovo principe

si

italiano.

dovrebbe ispirare Ivi, inoltre, ha

detto che ebbero dalla fortuna solo l’occasione e che

animo

sama

quella occasione la virtù

sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione sarebbe venuta indarno. Della virtù ha parlato a lungo nei dello

capitoli

loro

si

precedenti; ora, invece, insiste sul-

l’opportunità,

sulla

occasione

che,

quando

ormai ogni speranza sembrerebbe spenta,

la

fortuna presenta al nuovo principe. In

tal

modo

lo esorta

all’azione impetuosa e

non

respettiva,

ad

fortuna]

mostrarla favorevole deve, a suo

avviso,

il

servire

afferrare

energicamente

come supremo

incentivo.

la

A

questo ne aggiunge un altro, potentissimo sull’animo di un uomo del Rinascimento: la gloria (volendo conoscere la virtù di uno

possa più sperare che nella

lei

fortuna e virtù, favorita da Dio

la sua

te le

pagine del Principe, oppressati

nel termine:

si.

nello stato,

:

oppresdesolata

una

struttura

situazione, sanza ordine: senza

nella

predata da eserciti stranieri. d’ogni... mina: rovine d’ogni sorta. 6. E benché... reprobato: E sebbene fi-

statale, corsa: corsa c

nora

uno

sia

si

mostrato in qualche individuo

spiraglio (spiràculo) di virtuosa energia

da far pensare che fosse staio da Dio a redimere 1 Italia, tutè visto che nel punto culminante o

creatrice, tale

destinato tavia

si



decisivo (nel più alto corso) delle sue azioè

ni

stato

respinto dalla fortuna.

tutti gli interpreti,

il

M.

Secondo

allude qui soprat-

VII). È da il cap. anche come in questo e nel para-

tutto al Valentino (cfr.

notare

grafo seguente ricorra più volte il nome di Dio, cosa che avviene ben di rado negli scritdel M., quasi che egli voglia dare una ti

sanzione più alta alla sua esortazione, convinto come è dcU’cstrcma difficoltà della impresa. 7. e ponga...

infistolite:

ponga

fine ai sac-

Aggiunge

cheggi effettuati da Francesi e Spagnuoli in Lombardia, alle gravose esazioni imposte dai primi alla Toscana, dai secondi al Re-

senti

gno

quale è il riconoscimento di virtù dimostrate in magnanime imprese. spirito italiano) la

infine la rievocazione delle presciagure d’ Italia, vero e appassionato grido di dolore, come si vede nella conclu-

sione

do

e

de

la

drammatica

di questo mirabile perioparagrafo seguente, in cui esplorattenuta passione che ha animato tut-

nel

di Napoli, e guarisca l’Italia dalle sue piaghe che col passare del tempo sono or-

mai incancrenite. 8.

in quale: in chi.

9.

nella...

casa vostra:

la

casa dei Medi-

226

Antologia della letteratura italiana

e dalla Chiesa, della quale è ora principe, possa farsi capo di questa redenzione.^® Il che non fia molto difficile, se vi recherete innanzi le azioni e vita de’ sopranominati.^^ benché quegli uomini sieno rari e

E

nondimanco furono uomini, ed ebbe ciascuno di loro minore occasione che la presente ^ perché la impresa loro non fu pili iusta di questa, né più facile, né fu a loro Dio più amico che a voi. Qui è iustizia grande « iustum enim est bellum quibus necessarium et pia arma ubi nulla nisi in armis spes est Qui è disposizione grandissima; né può essere, dove è grande disposizione, grande difficultà, meravigliosi,

:

:

pur che quella

pigli

degli ordini

mira.'* Oltre di questo, qui

da Dio: ^

dotti

mino;

ho proposti per

coloro che io

di

veggano estraordinarii sanza esemplo conè aperto; una nube vi ha scorto el cam-

si

el mare si ha versato acqua; qui

è piovuto la manna; ogni cosa e concorsa nella vostra grandezza, E1 rimanente dovete fare voi. Dio la pietra

non vuole

non

fare ogni cosa, per

ci tórre cl libero arbitrio

e parte di

quella gloria che tocca a noi.'®

ci,

a

un componente

è dedicato 10.

della quale, Lorenzo,

Principe.

il

redenzione:

quale...

qual altra casa,

se

non

(Non

si

vede)

dotata di

la vostra,

purché

pierla,

la

vostra

casa

(quella)

ai

È

necessario che accompagni a una

1’

impeto

entusiastico

fortuna e virtù e favorita da Dio e dalla Chiesa, della quale ora è a capo (un mem-

calcolata.

bro della famiglia dei Medici, Leone X, era

iniziale, affronta, nei paragrafi seguenti,

allora papa), possa intraprendere l’opera di

argomento più specificamente

redenzione d’ Italia. 11. de* sopranominati: molo, Teseo. 12. minore... presente:

no favorevole

lo

un’occasione me-

dono

15. Oltre..

di quella presente.

Infatti

la

vuole.

un redentore; e Dio stesso M. comprende che un’ azione

Il

impetuosa e rispettiva richiede non solo audacia, ma convinzione profonda, entusiasmo, fede, e sente anche che la religione e la moralità che su essa si fonda, sono due leve potenti sull’animo del popolo. religione difesa

triottico

Machiavelli

del

della



è

Ma

la

vera

l’esaltazione

e

questo sentimento pacapitolo il suo tono ardente

patria; al

e appassionato. 13. iustum... est: è giusta infatti la guerra per coloro a cui è assolutamente neces-

sono le armi quando non v’è alcuna speranza se non nelle armi. La citasaria, e sacre

zione è tratta dallo storico latino Tito Livio. 14. né può... mira: dove gli uomini tutti

sono disposti a un’ impresa non vi può essere per il principe grande difficoltà a com-

politica razionale

M., dopo

il

ordinamenti

compimento

tesi nell’attesa di

la

degli

Cosi

Mose, Ciro, Ro-

redenzione d’ Italia è opera giusta, facile, perche gli Italiani sono ansiosamente pro-

si

modi di operare di coloro che ho proposto come modelli (Mosè, Ciro ecc.). ispiri

dell’

si

ben

perorazione

la

militari

e

un

tecnico, quel-

necessari

al

impresa.

Dio: oltre a questo, qui

si

ve-

mai visti (sanza esemplo), suscitati da Dio stesso. Nei Discorsi (I, 56) il M. osserva come quasi sempre gli eventi più gravi di una città dei miracoli

(estraordinarii)

siano predetti da indovini, rivelazioni, prosimili a quelli che egli ricorda subito dopo, relativi al cammino di Mosè e del popolo Ebreo nel deserto verso la terra promessa, e tenta una spiegazione filosofica

digi,

(peraltro

assai

incerta

e dubitosa) del fat-

Comunque, sempre nei Discorsi, afferma che un uomo politico deve diffondere fra il

to.

popolo

la fede in questi fatti soprannaturali, creda egli o no, servendosene come potentissimo incentivo all’azione. In tutto questo capitolo il M. mostra di non concepire la

d

politica

un

come una pura

umano

tecnica,

ma come

complesso, di sentire il bisogno di una rispondenza fra r opera del principe e quella del popolo, 16. Dio... noi: È il concetto espresso nel cap. XXV, che Dio e la fortuna sono arbitri della metà solunto delle cose umane. fatto

assai

più

Niccolò Machiavelli

E non

4.

227

è maraviglia

possuto fare quello che

alcuno de’ prenominati Italiani non ha

se

può

si

sperare facci la illustre casa vostra; e se

in tante revoluzioni di Italia, e in tanti

sempre che in quella gli

maneggi

di guerra,

la

virtù militare sia

spenta.^®

ordini antiqui di essa

non erano buoni,

e

non

pare

e’

Questo nasce che

ci è

suto alcuno che

veruna cosa fa tanto onore a uno uomo che di nuovo surga,“ quanto fa le nuove legge e li nuovi ordini trovati da lui. Queste cose, quando sono bene fondate e abbino in loro grandezza, lo fanno reverendo e mirabile. E in Italia non manca materia abbi saputo trovare de’ nuovi

da introdurvi ogni forma

non mancassi

la

e

:

qui è virtù grande nelle membra, quando

:

Specchiatevi ne’ duelli e ne’ congressi de’

ne’ capi.

pochi, quanto gli Italiani sieno superiori con le forze, con la destrezza, [

i

j

I

con

ingegno; ma, come

lo

tutto procede

si

viene agli eserciti,

dalla «debolezza de’

capi;

sono obediti, e a ciascuno pare di sapere, non alcuno che

sendo infìno a qui

ci

saputo rilevare, e per virtù e per fortuna, che

sia

si

non compariscono.^ E

perché quelli che sanno non

gli

quando

ne’ passati venti anni,

egli è

uno

stato

esercito tutto italiano,

sempre ha fatto mala pruova. Di che è testimone prima cl Taro, poi Alessandria, Capua, Genova, Vaila, Bologna, Mestri.^

E non è maraviglia: Il M. riprende tono dimostrativo e concettuale. È da ricordare che egli, scrivendo il Principe, vuole esortare a compiere un tentativo estremo, di emergenza, per il quale si presentava fondamentale alla sua mente un’azione di forza, in primo luogo militare (cfr. il cap. XII). La sua coscienza piena della gravità dell’ora fa si che egli dia ora il primato 17.

il

armi

alle

leggi.

sulle

lenza degli stranieri

si

ma

terie

da truppe

veramente a



e

il

tante...

in

non può da fan-

principe sappia legare

guidare

egli

stesso

alla

spenta:

in

tanti

rivolgi-

menti politici e in tante operazioni militari è sempre sembrato che il valore militare deItaliani

fosse spento.

19. Questo... de’

che

nuovi: Questo deriva dal

ordinamenti militari degli stati italiani non erano buoni e non c’ è stato (suto) nessuno che ne abbia saputo escogitare dei nuovi e più efficienti. fatto

20.

21.

gli

antichi

a uno... surga: a un principe nuovo. non manca... forma: non manca la

materia

(il

un’organizzazione mili-

ricevere

22.

qui

c

grande...

virtù

non compariscono:

coraggio e l’eroismo dei solda-

Specchiatevi...

In Italia vi sarebbe gran-

de valore negli individui, ma esso manca nei capi. Considerate infatti gli scontri di pochi armati, i duelli (come la disfida ‘di Barletta, vinta, nel 1503, da tredici mercenari italiani, al servizio della Spagna, contro altrettanti Francesi):

battaglia. 18.

a

lano chiaramente superiori,

soltanto

fedeli e leali, cioè

popolari che

atta

di

tare più efficiente.

può opporre

più essere costituita dalle milizie mercenarie,

ti)

Alla forza, alla vio-

un’altra forza piu grande; questa

gli

al-

cedino.^ Di qui nasce che, in tanto tempo, in tante guerre fatte

tri

gli Italiani

ma

rive-

si

negli

scon-

campali fra eserciti fanno cattiva figura (non compariscono). Tutto il ragionamento è fondato su considerazioni illusorie. Quello che mancava agli Italiani erano la coscienza e dignità nazionali, un sentimento e un interesse effettivo che li tenesse legati

tri

ai

loro

sovrani.

non era tanto da militare, politico.

I

La

responsabilità

capi

quanto, prima di tutto, su quello quadri degli eserciti sono l’espres-

sione della classe dirigente di 23.

dei

ricercare sul piano tecnico

non

ci

c’è stato finora

un popolo.

poiché non nessun condottiero che abbia

sendo...

cedine:

decisamente superato gli altri per virtù e fortuna, si da piegarli alla sua autorità. 24. cl Taro... Mestri: a Fornovo sul Taro, Carlo Vili riuscì ad aprirsi la strada fra le truppe dei collegati Italiani che volevano im-

228

Antologia della letteratura italiana

Volendo dunque la illustre casa vostra seguitare “ quegli ecceluomini che redimerno le provincie loro,^ è necessario, innanzi a tutte le altre cose, come vero fondamento d’ogni impresa, provvedersi d’arme proprie; perché non si può avere né piu fidi né piu 'veri ^né migliori soldati. E benché ciascuno di essi sia buono, tutti insieme diventeranno migliori, quando si vedranno comandare dal loro principe e da quello onorare ed intratenere. È necessario pertanto prepa-' 5.

lenti

queste arme, per potere, con

rarsi a

la

virtù italica, defendersi dagli

esterni.^

E

6.

benché

la fanteria svizzera e

spagnola

sia esistimata terribile»

nondimanco in ambedua è difetto, per il quale uno ordine terzo “ potrebbe non solamente opporsi loro, ma confidare di superarli. Perché li Spagnoli non possono sostenere e cavalli,^ e li Svizzeri hanno ad avere paura de’ fanti, quando li riscontrino nel combattere ostinati come loro. Donde si è veduto, e vedrassi per esperienzia, li Spagnoli non potere sostenere una cavalleria franzese, e li Svizzeri essere rovinati da una fanteria spagnola. E benché di questo ultimo non se ne sia visto intera esperienzia, tamen se ne è veduto uno saggio nella* giornata di Ravenna,* quando le fanterie spagnole si affrontorono con le battaglie tedesche, le quali servono el medesimo ordine che le svizzere

dove

chieri,

erano

Spagnoli, con

li

intrati, tra le

derli* sanza che cavalleria che

pcdirgli

dria

il

li

l’agilità

Tedeschi

vi

ritorno in Francia (1495); Alessanzi Francesi, Capua

consegnò nel 1499

si

fu da questi saccheggiata nel 1501, Genova si arrese ad essi nel 1507, a Vaila fu pro-

potenza veneziana (battaBologna si arrese ai Frannel 1511, Mestre fu incendiata nel 1513

strata, nel 1509, la

glia di Agnadello), cesi

dalle

soldatesche della lega anti-veneziana. seguire l’esempio.

25. seguitare:

redimerno loro operarono la redenzione dei loro connazionali (Mosè, Ciro, 26.

. .

.

:

Teseo). 27.

con

avessino remedio; e se

urtò, gli arebbano

li

la virtù...

esterni;

difendersi da-

gli stranieri col valore italiano.

La

del corpo e aiuti de’ loro broc-

picche loro, sotto, e stavano securi a offen-

virtù ita-

consumati*

29.

non possono...

non

fussi

la

Puossi adunque,

tutti.

cavalli;

non riescono

a

sostenere gli assalti di cavalleria. 30. nella giornata di taglia di

Ravenna

Ravenna:

nella bat-

(ii aprile 1512), vinta dai

Francesi, comandati da Gastone di Foix, col quale militavano mercenari tedeschi, contro le truppe della Lega Santa (papa. Spagnoli, Venezia). 31. con le battaglie... svizzere: con le fanterie tedesche che combattono con lo stesso

ordinamento

tattico

delle

fanterie

svizzere.

Svizzeri e Tedeschi erano armati di lunghe picche, con le quali riuscivano, schierandosi a falange, a sostenere gli assalti della caval-

grandi imprese dei Romani, di cui gli Italiani si sentivano discendenti e continuatori.

ma che li impacciavano nei combattimenti a corpo a corpo, mentre gli Spagnoli erano armati di spade e di scudi rotondi {brocchieri) muniti di punte che servivano

Cfr., alla fine,

come arma

lica era

un luogo comune

c un’illusione

li-

bresca: derivava dall’ammirato ricordo delle

28.

uno ordine

i

versi del Petrarca.

terzo:

militare, fondato su resca.

un

terzo ordinamento

una diversa

tattica

guer-

leria,

32.

di difesa e di offesa.

stavano...

offenderli:

senza essere feriti. 33. consumati: distrutti.

potevano

ferirli

^

Niccolò Machiavelli

conosciuto

229

difetto

cl

deH’una e deH’altra di queste

di nuovo, ^ la quale resista a’ cavalli e

una

generazione delle arme e

fanterie, ordinarne

non abbia paura variazione

de’ fanti

:

il

che farà

E

queste sono di quelle cose che, di nuovo ordinate, danno reputa-

la

la

delli

ordini

uno principe nuovo. debba adunque^ lasciare passare questa occasione, acciò che la Italia, dopo tanto tempo, vegga uno suo redentore. Né posso esprimere con quale amore e’ fussi ricevuto^ in tutte quelle provincie che hanno patito per queste illuvioni esterne; “ con che sete di vendetta, con che ostinata fede,® con che pietà, con che lacrime. Quali porte se gli^ serrerebbano? quali populi gli negherebbano la obedienzia? quale invidia se gli opporrebbe? quale Italiano gli negherebbe zione e grandezza a

Non

7.

si

A

l’ossequio? illustre

la

ognuno puzza questo barbaro dominio.^^ Pigli adunque animo e con quella

casa vostfa questo assunto con quello

speranza che

si

pigliano



le

imprese iuste; acciò che,

segna, e questa patria ne sia nobilitata, rifichi

e,

sotto

sotto la sua in-

sua auspizi,

li

si

ve-

quel detto del Petrarca:

Vir^u contro a furore

Prenderà Parme, e

Ché V antico

3^^.

ordinarne una di nuovo: NcH’/fr/e delil Machiavelli prospetterà in con-

guerra

questo nuovo ordine.

creto 35.

il

un diverso genere armamento e un tipo di-

ordini:

che...

(generazione) di

schieramento (variazione dini), otterranno questo risultato. verso di

36.

ga

Non

si

parentesi

delli

debba adunque: Dopo tecnica,

riprende

la

or-

lun-

l’eloquente

esortazione. 37. e* fussi ricevuto: egli sarebbe accolto. 38. illuvioni esterne: invasioni straniere,

paragonate ad inondazioni che tutto sconvolgono. 39. ostinata alla

fede:

fedeltà

ostinata,

fino

morte.

Virtù... morto:

A

passo è tratto dalla :

rore) degli stranieri, e il combattere sarà breve (rapidamente, cioè, gT Italiani avranno ragione dei nemici), perché il valore antico (quello dimostrato dai Romani) non è

ancor spento nei cuori italici. Che il capitolo si concluda con le parole di un poeta è un fatto che non deve stupire, perché è conforme al calore di sentimenti che tutto lo pervade. Inoltre il Machiavelli e il Petrarca si

trovano concordi nel culto della romagrandi e gloriosi: queItalia ideale, dalle grandi memorie, è patria che essi amano. Non è ancora il

nità, dei propri avi

la

si.

Il

Canzone all' Italia del Petrarca. Intendi La virtù (il valore) italiana prenderà Tarmi contro la barbara violenza guerriera {fu-

st’

40. se gli: gli

corto;

non è ancor morto.

Neiritalici cor

la

43. combatter fia el

valore

ognuno... dominio: Il grido plebeo conferisce alla perorazione forza e vi-

concetto di nazione, sintesi di tutto il popolo, ma c’ è già il sentimento di una co-

vacità singolari.

mune

41.

42.

che

si

pigliano: con cui

si

intraprendono.

origine e di

una comune tradizione.

230

I

Antologia della letteratura italiana

prima deca

« Discorsi sopra la

di Tito Livio »

Il Machiavelli cominciò a scrivere i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio nel 1513; interruppe il primo libro per stendere, di getto, il Principe, poi lo riprese e ne aggiunse altri due fra il *14 e il ’2i. Come dice il titolo

(« discorso» viene dal

una

pido, senza

verbo latino discurrere, che dà

direttiva predeterminata),

si

l’idea di

movimento

ra-

tratta di divagazioni, di consi-

derazioni sparse, nate in margine alla lettura approfondita dei primi dieci di Roma dello storico romano Tito Livio. L’oggetto della meditazione dello scrittore è anche qui,

libri della storia

cipe,

il

problema dello

tuttavia

tono òtì\Discorsi è piu pacato:

il

febbrile d’azione dell’altra opera,

modo, Anche i

nel Prin-

ma un

non avvertiamo

in essi l’ansia

atteggiamento più meditativo

e,

in

più complesso.

certo

Discorsi nascono da

una situazione

zione lucida t appassionata delle zioni,

come

della sua forza c della sua piena efficienza;

stato,

La

debolezze, miserie.

umanisticamente, per

la

vicende

storia

grandiosità

dei

attuale, cioè dalla medita-

italiane,

delle

Romani, che

delle

loro

contraddi-

Machiavelli vede

il

sue conquiste,

come

popolo

il

grande c virtuoso per eccellenza, diviene una specie di storia ideale eterna, modello e insegnamento di solida costruzione politica, davanti alla quale la

italiana e

storia

quella fiorentina

loro intrinseca debolezza e

mediata prevalgono qui

mente

norme c

le

Inoltre, il

il

i

degli

ultimi

rivelano

secoli

Ma

loro irreparabili errori.

tutta

la

sulla passione im-

storico e l’esigenza di stabilire teoricafondamentali dell’azione politica.

l’interesse

le leggi

Principe riguarda immediatamente

la

costituzione dello stato,

momento, per usare un’immagine machiavelliana,

tando con energia disperso;

i

inflessibile l’occasione storica,

di Romolo, che, sfrutplasma in unità un volgo

Discorsi, invece, intendono rappresentare lo stato

come

istituzione,

osservato nella sua durata, nella continuità della sua vita e del suo sviluppo, lo stato, cioè,

in quanto complesso di ordinamenti c leggi, risultanti dal-

l’azione dinamica delle forze politiche che

ha

in sé

(il

momento

effigiato

simbolicamente dal Machiavelli nella figura di Numa Pompilio, il sovrano legislatore) c che si svolge, poi, non più nella forma del governo monarchico, ma in quella repubblicana, alla quale va l’intima simpatia dell’autore. Il tema centrale della meditazione dei Discorsi è la definizione del bene

comune, fine supremo della vita dello stato, inteso essenzialmente come il dinamico concorrere di tutte le forze politiche di esso al suo governo. Gli ordini {ordinamenti) c le leggi, che vengono esaltati come obbiettivazione della sua forza c funzionalità, divengono cosi realtà concrete, trasformate e *

modellate di continuo dalle

lotte dei vari partiti, attraverso le quali tutte le

forze sociali c politiche trovano un’espressione adeguata nella struttura tale.

Questo è

il

sta-

vivere libero, contrapposto dal Machiavelli al vivere servo,

in cui la sola volontà del capo è principio e fine di tutta la vita dello stato. In questa prospettiva complessa, sono considerati nei Discorsi molti pro-

blemi che invano ricercheremmo nel Principe: esempio, c del suo rapporto con legge, per

i

quali

rimandiamo

alle

la

politica,

quello della religione,

ad

quello della libertà e della

introduzioni ai passi della nostra

scelta.

Niccolò Machiavelli

Proemio

al

231

primo

libro dei « Discorsi »

In questo celebre proemio

non

Machiavelli esorta a compiere una lettura delle

il

una ricerca umanisticamente erudita o a un un dialogo effettivo coi grandi del passato, attraverso il quale l’uomo possa conoscere meglio se stesso, le direttive generali e immutabili della sua natura e del suo operare, e trarre da questo l’incentivo a un’azione magnanima, consapevole e virtuosa. L’imitazione degli antichi diviene COSI una libera emulazione della passata grandezza, lo studio dei classici si risolve in un atto di fede nell’uomo e nelle sue capacità creative. storie

antiche che

mero

diletto estetico,

ma

a

limiti

si

costituisca

Ancora che,^ per la invida natura de gli uomini, sia sempre suto non altrimenti periculoso trovare modi ed ordini nuovi, che si fusse cercare acque e terre incognite, per essere quelli ^iu pronti a biasimare che a laudare le azioni d’altri;^ nondimanco, spinto da quel naturale desiderio che fu sempre in me di operare, sanza alcuno respetto, quelle cose che io creda rechino comune benefìzio’ a ciascuno, ho deliberato entrare per una via, la quale, non essendo suta ancora da alcuno trita,* se la

mi

mi potrebbe ancora

arrecherà fastidio e difhcultà,

umanamente

premio, mediante quelli che

E

ingegno povero,

mie

di queste

arrecare

fatiche

il

fine

poca esperienzia delle cose presenti e la debole notizia® delle antique faranno questo mio conato difettivo e di non molta utilità;'^ daranno almeno la via ad alcuno che,*

considerassino.®

se lo

la

mia intenzione sanon mi arrecherà laude, non mi doverebbe partorire

con piu

virtù, più discorso e iudizio,® potrà a questa

tisfare:

il

che, se

biasimo.

Disc.

M.

I.

I.

è

consapevole dell’originalità delle sue

concezioni. 5. 1.

Ancora che: sebbene.

2.

per

invida...

la

via

altri:

Invida è

la

na-

tura degli uomini perché naturalmente por-

più a biasimare che lodare le azioni Per questo, afferma il M., il trovare modi e ordinamenti nuovi, relativi alla vita tata

altrui.

politica, coli,

3.

è

sempre

come

spinto...

ca, per

il

stata cosa piena di

lo scoprire

nuove

La

benefìzio:

M., non ha un

scienza

norma

politi-

all’azione; è

ma

non

di in-

solo

un

ma

anche un operare per il bene comune, sanza alcuno respetto: senza scrupoli o pregiudizi. pensare

4.

trare

ho

ho deciso di ennon essendo stata

deliberato... trita:

per

una via che,

ancora calcata (percorsa) da alcuno, ecc.

11

considerassino

:

Il

battere

una

all’autore fastidio e dif-

le ragioni che abbiamo visto più dovrebbe anche garantirgli onore e gloria, almeno presio coloro che considereranno umanamente, cioè con un senso intimo e profondo di umanità, il fine della sua fatica, che è quello di spingere gli uomini virtuosi ad agire coscientemente ed efficacemente per il bene comune.

ficoltà^

sopra;

carattere di pura

e solitaria speculazione fìiosofìca,

centivo e

peri-

terre.

se la...

nuova porterà

6.

la

per

ma

debole notizia:

la scarsa

conoscenza.

renderanno questo mio tentativo in parte manchevole e di scarsa uti7.

lità.

faranno... utilità

Sono

:

espressioni di modestia, solo in par-

però, rettoriche, poiché nascono anche dall’avvertita difficoltà del battere strade nuove. 8. con più... iudizio: con maggiore gusto

te,

e capacità dcll’agire e critica e speculativa.

con maggiore capacità

Antologia della letteratura italiana

232

Considerando adunque quanto onore si attribuisca all’antiquità,® c volte, lasciando andare infiniti altri esempli, un frammento d’una antiqua statua sia suto comperato gran prezzo, per averlo appresso di se, onorarne la sua casa e poterlo fare imitare a coloro che

come molte

di queU’arte

come

dilettono; e

si

sforzono in tutte

le

quegli di poi con ogni industria

loro opere rappresentarlo;

canto, le virtuosissime operazioni state operate

le storie ci

da regni e repubbliche antique, dai ed

latori di leggi, pili

che

che

altri

si

sono per

si

e veggiendo, da l’altro

mostrono, che sono

re, capitani, cittadini,

la loro patria affaticati, essere

presto ammirate che imitate; anzi, in tanto da ciascuno in ogni mi-

nima cosa “ fuggite, che di quella antiqua virtù non ci è rimasto alcun segno; non posso fare che insieme non me ne maravigli e dolga. E tanto piu, quanto io veggo nelle differenzie che intra cittadini

civil-

mente nascano,^* o nelle malattie nelle quali li uomini incorrono, essersi sempre ricorso a quelli iudizii o a quelli remedii che dagli antiqui sono stati indicati o ordinati perché le leggi civili non sono :

altro che sentenzio date dagli antiqui iureconsulti, le quali, ridutte in

ordine,^® a* presenti nostri iureconsulti indicare insegnano. la

medicina è

le

quali fondano e medici presenti e loro iudizii.

ordinare nello

le

che esperienzie

altro

repubbliche, nel mantenere .

che agli esempli la

debolezza nella quale

mo

Il

M. pensa

alla

ma

all’ umanesi-

puramente speculativo intende contrapporne uno pratico e attivo. Gli antichi non devono essere soltanto un modello estetico e

artistico e letterario,

E

ma

te

ripeterne

la

virtù di

lo

schema c

la

struttura,

di

ricavarne un’ispirazione c una norma. 11. virtuosissime operazioni: le imprese

da grandissima virtù

politica

e ci-

12. in tanto: a taljiunto. in

i^.

Il

ogni

minima

in tutto e per tutto.

che...

segno:

Si

rivela

si

truova principe né republica

che credo che nasca non tanto

qui l’animo

ha condotto

el

mondo,”

Principe) dal senso doloroso della presen-

corruzione e decadenza del 14. nelle differenzie...

troversie civili,

mondo

ita-

15. iudizii...

nascano: nelle con-

nelle azioni giudiziarie.

remedii:

rispettivamente:

sentenze dei giureconsulti... prescrizioni mediche. tive, si

Non, dunque,

ma

anche nel

solo nelle arti figura-

diritto e nella

medicina

ricorreva all’esempio degli antichi. 16. ridutte

in ordine:

organizzate in un

complesso di leggi. 17.

nel

indicare c sudditi:

strare la giustizia fra

i

nell’

ammini-

sudditi e nel gover-

narli.

da la debolezza... mondo: cfr. il pasche abbiamo intitolato « Repubblica e libertà ». II M. pensava che il cristianesimo, interpretato secondo l’ozio e non se18.

vile.

cosa:

nello

liano.

opere, di imitarlo, cioè di ispirarsi ad esso,

ispirate

sopra

polemico dei Discorsi, nati anch’essi (come il

di vita e di azione.

imitare significa qui emulare

quei popoli forti c generosi. 10. c come... rappresentarlo: e come poi quegli artisti si sforzino, in tutte le loro di

Nondimanco,

nel governare e regni,

stati,

li

la presente religione

esaltazione e idealizzazione dei classici che

fu propria del suo tempo;

non

antiqui ricorra.

delli

quanto... antiquità:

9.

ancora

ordinare la milizia ed amministrare la guerra, nel indicare e

sudditi,” nello accrescere l’imperio,

da



dagli antiqui medici,

fatte

so

.

Niccolò Machiavelli

233

o da quel male che ha fatto a molte provincie e città cristiane uno ambizioso ozio,^® quanto dal non avere vera cognizione delle storie, per non trarne, leggendole, quel senso né gustare di loro quel sapore che le

hanno

in

sé.“

Donde

nasce che infiniti che

leggono,

le

piacere di udire quella varietà degli accidenti che in esse

sanza pensare altrimenti di imitark, indicando difficile

ma

come

impossibile;

se

il

cielo,

la

sole,

il

pigliono

contengono, imitazione non solo si

elementi,

li

li

uomini,

fussino variati di moto, di ordine e di potenza, da quello che gli erono

antiquamente.^ Volendo, pertanto, trarre li uomini di questo errore,^ ho giudicato necessario scrivere, sopra tutti, quelli libri di Tito Livio che dalla malignità de’ tempi non

secondo

io,

le

ci

sono

intercetti,^ quello che

stati

cognizione delle antique e moderne cose,^ indicherò

necessario per maggiore intelligenzia di

essere

a

essi,

che coloro

ciò

che leggeranno queste mia declarazioni,^ possino più facilmente trarne quella utilità per la quale

E

benché questa impresa

si

sia

debbe cercare la cognizione delle istorie. difficile, nondimanco, aiutato da coloro

che mi hanno, ad entrare sotto questo peso,^ confortato, credo por-

modo, che ad un

tarlo in

cammino a condurlo

altro resterà breve

a

loco destinato.^

condo

la

virtù,

avesse

distolto

gli

uomini

mondana

per rivolgerli a quella contemplativa. In seguito al disinteresse per la vita pratica era quasi scomdalla

vita

attiva

e

parso dall’animo dei moderni quell’ amore della 19.

libertà

che fu

proprio degli antichi.

uno ambizioso ozio: una

lontana dalla virtù politica

vita ignava,

op-

militare,

e

pure volta a soddisfare cupidigie e brama il M. pensa alla vita fastosa della borghesia arricchita, ormai inoperosa e volta alla ricerca del piacere, che aveva caratterizzato gli ultimi decenni della storia d’onori. Forse

fiorentina. 20.

quanto... in sé:

avere

una conoscenza

quanto dal solo

fatto

esteriore,

reale e approfondita delle storie, perché,

di

non pur

uomini non ne traggono un pratico insegnamento, non ne comprendono, leggendole,

gli

l’ intimo significato. antiquamente Come j 1 ciclo, il sole, gli elementi, l’uomo è immutabile; la sua vita, la sua psicologia sono rette da leggi costanti, come quelle della natura. Si è appunto chiapiati « naturalistica » questa concezione (efre il M. ebbe in comune con molti pensatori del suo tempo), che non tiene conto del modificarsi, del pro-

quindi, 21.

il

come

sapore, se...

:

gredire dell’uomo attraverso viltà.

Essa,

storia a

un monotono

pre uguali.

la

sua stessa

ci-

anzi, rischierebbe di ridurre la

Ma

il

ripetersi di eventi

M. ne

sem-

ricava invece

un

incitamento fiducioso all’azione, affermando che anche oggi è possibile compiere grandi

imprese come nel passato. 22. di questo errore: dalla falsa opinione che non sia più possibile emulare la grandezza antica. 23. sopra libri

tutti...

intercetti:

sopra tutti

i

dello storico latino Tito Livio che sono

pervenuti fino a noi. I libri delle storie di Livio erano centoquarantadue, dei quali ne restano solo trentacinque. Il M. ha tenuto presenti solo

i

primi

24. secondo...

dieci.

cose:

Il

M. intende com-

mentarli, o meglio, metterne in luce pore,

il

sa-

significato attuale, fondandosi sulla conoscenza delle cose antiche e sulla il

sua sua esperienza politica. 25. declarazioni illustrazioni, spiegazioni.. 26. ad entrare... peso: ad assumere questo :

difficile

compito.

27. credo...

assolvere prefisso,

destinato:

pienamente di aprire la

Spera,

se

non

di

compito che si è strada ad altri capaci il

di percorrerla fino in fondo.

234

Antologia della letteratura italiana

dell’organismo politico

Il ciclo vitale

Questo passo rivela il carattere della meditazione dei Discorsi^ meno immediatamente orientata verso l’agire politico e intesa al ritrovamento di leggi generali. Qui la vita dello stato è concepita, in analogia a quella d’un organismo naturale, secondo un processo di sviluppo che passa, per gradi successivi, dal Principato al governo aristocratico a quello popolare; il passaggio dall’uno all’altro è causato dal loro stesso corrompersi, rispettivamente, in tirannide, oligarchia, demagogia; e il processo, una volta compiuto, si ripete indefinitamente. Si è parlato, per questa visione ciclica, dell’influsso d’uno storico greco, Polibio; e certo la teoria delle tre forme di governo è di chiara ascendenza classica. Va però notato che su questa interpretazione naturalistica del mondo storico si fonda il tentativo del Machiavelli di stabilire una scienza politica con leggi rigorose e necessarie; e inoltre che l’organizzazione statale viene, per lui, a coincidere con la vicenda dell’umana civilizzazione. La costituzione dello stato appare, infatti, superamento dell’originaria ferinità dell’uomo, rende possibile la fondazione

stessa

come

il

della giustizia e degli altri valori morali.

Nacquono

queste variazioni de’ governi

perché nel principio del mondo, sendo

tempo

a caso intra gli uomini

^

abitatori

gli

radi,

:

vissono un

dispersi a similitudine delle bestie; dipoi moltiplicando la gene-

razione^

si

ragunarono insieme,

e per potersi

meglio difendere comin-

ciarono a riguardare infra loro quello che fusse piu robusto e di mag-

come capo

giore cuore, e fecionlo

e lo ubedivano.

Da

questo nacque

la

cognizione delle cose oneste e buone, differenti dalle perniziose e ree: perché, veggendo che se

uno noceva al suo benifìcatore ne veniva odio compassione intra gli uomini, biasimando gl’ingrati ed onorando quelli che fussero grati, e pensando ancora che quelle medesime ingiurie potevano essere fatte a loro, per fuggire simile male si riducevano a fare e

leggi, ordinare punizioni a chi contrafacessi

della giustizia.^

La quale

non andavano

principe,

*

e

donde venne

dietro al più gagliardo,

più prudente e più giusto. per successione

:

non per

la

cognizione

cosa faceva che avendo dipoi a eleggere

Ma

come

dipoi

si

ma

uno

a quello che fusse

cominciò a fare

elezione, subito cominciarono

li

il

principe

eredi a dege-

nerare dai loro antichi, e lasciando l’opere virtuose pensavano che principi

non avessero a

i

fare altro che superare gli altri di sontuosità e

di lascivia e d’ogni altra qualità di licenza

:

in

modo

che cominciando

il

principe a essere odiato e per tale odio a temere, e passando dal timore Disc.,

no

le

blica

I,

Titolo:

2.

Di quante spezie

so-

repubbliche e di quale fu la Repub-

Romana.

avuto un forte incremento demografico (che necessarie forme di organizzazione e

rese

di vita associata). 3.

queste...

1.

me

allude alle tre for-

(c alle loro rispettive

abbiamo a caso,

dono 2.

governi:

a

specificato.

come

dice

il

Il

degenerazioni) che

fatto che siano nate

M., mostra che rispon-

leggi costanti della natura

dipoi...

generazione:

poi,

umana. essendosi

donde... giustizia: La giustizia, la no-

zione del bene non hanno dunque, per ,U M., alcuna giustificazione trascendente, ma

derivano

dallo

sviluppo

dell’

esperienza

e

della vita associata. 4.

per successione:

stica, ereditaria.

per successione dina-

Niccolò Machiavelli

ne nasceva presto una tirannide.

alle offese,

presso

235

Da

questo nacquero ap-

principii delle rovine e delle conspirazioni e congiure contro

i

non

a’ principi,

ma

da coloro che fussono timidi o deboli,

fatte

da coloro

che per generosità, grandezza d’animo, ricchezza e nobiltà avanzavano gli altri

quali

i

:

La

cipe.

s’armava contro

E

;

al

principe,

la inonesta vita di quél prin-

seguendo

l’autorità

potenti

come

a suoi

quelli

perché infastidita da’ loro governi, la moltitudine, i

questi

di

quello spento, ubbidiva loro

e,

avendo in odio il nome d’uno solo capo, consti tuivano di loro medesimi uno governo,® e nel principio avendo rispetto® alla passata tirannide si governavono secondo le leggi ordinate da loro, posponendo ogni loro commodo alla comune utilità, e le cose ‘private e le pubbliche con somma diligenzia governavano e conservavano. Venuta dipoi questa amministrazione ai loro figliuoli, i quali non conoscendo la variazione^ della fortuna, non avendo mai provato il male, e non volendo stare contenti alla civile equalità,’' ma rivoltisi alla avarizia, alla ambizione, alla usurpazione delle donne, feciono che d’uno governo d’Ottimati diventassi uno governo di pochi, sanza avere rispetto ad alcuna civiltà; talché in breve tempo intervenne loro come al tiranno, liberatori.

j

non potevano sopportare

moltitudine adunque

qualunque disegnassi cosi

si

alcun

in

modo

si

fe’

ministra dì

offendere quelli governatori,

levò presto alcuno che con l’aiuto della moltitudine

li

e

spense,

j

j

Ed

essendo ancora fresca

la

memoria

del principe e delle ingiurie rice-

non volendo

vute da quello, avendo disfatto lo stato de’ pochi, e

quel del principe,

modo E

in

che né

cuna.

perché

i

si

pochi potenti né uno principe vi avesse autorità stato

al-

hanno qualche riverenzia,® popolare un poco ma non molto, massime

tutti gli stati

mantenne questo

si

rifare

volsero allo stato popolare,® e quello ordinarono

nel principio

spenta che fu quella generazione che l’aveva ordinato, perché subito si

venne

pubblici

alla licenza, :

di qualità

dove non

si

temevano né

che vivendo ciascuno a suo

gli

uomini

modo

si

privati



i

facevano ogni

dì mille ingiurie, talché costretti per necessità o per suggestione d’alcuno buono uomo, o per fuggire tale licenza, si ritornà di nuovo al principato; e da quello di grado in grado si riviene verso la licenza,

ne’

modi

E

e per le cagioni dette.

si sono le repubbliche rade volte ritornano ne’ governi medesimi, perché quasi nessuna repubblica può essere di tanta vita che possa passare molte volte per queste mutazioni e rimanere in piede.

questo è

governate e

5.

di...

si

cerchio nel quale girando tutte

il

governano:

governo: un governo

ma

di Ottimati,

6.

avendo

rispetto:

avendo riguardo,

sfor-

zandosi, cioè, di evitare, ecc. 7.

equalità:

vanti alla legge. 8. stato

scelti fra loro.

eguaglianza dei cittadini da-

no 9.

di

popolare

:

la

democrazia o gover-

popolo.

riverenzia:

prestigio

10. repubbliche:

e

qui vale

autorità. « stati ».

Antologia della letteratura italiana

236

Che

disunione della plebe e del Senato romano fece libera e

la

potente quella repubblica

È uno

Esaminando

dei capitoli più acuti e originali dei Discorsi.

Roma

della

litiche

repubblicana,

Machiavelli non riecheggia

il

nale e vieta condanna moralistica di esse,

ma

ne avverte

le

lotte po-

l’ormai tradizio-

l’effettiva

importanza

non portarono (come avvenne invece nell’ età medioevale a Firenze e nelle altre città italiane) al trionfo assoluto di una fazione e alla cacciata di quella rivale, ma a una partecipazione di tutte le forze sociali c politiche dello stato alla vita di esso. La repubblica ideale, il vivere libero c civile sono concepiti dal Machiavelli come un dinamico e armonico compcnctrarsi di politica. Esse, infatti,

queste forze (cioè di

tutti

i

cittadini),

che trovano negli ordini e nelle leggi

dello stato la loro espressione.

Qui

non considera

momento

della

sua fondazione, quando

è necessaria l’opera d’un principe che lo costituisca in

unità politica, c gli im-

egli

ponga, mediante

quando

nuovi ordini, una struttura,

i

ma

nel

suo ulteriore sviluppo,

esso coincide con la forza delle leggi e delle istituzioni, che regolano la

dei

vita

lo stato nel

cittadini

e,

nello

stesso

tempo,; esprimono

la

loro

coscienza

politica

comune.

non voglio mancare Roma dalla morte

Io

rono in

di discorrere sopra questi

tumulti che fu-

de’ Tarquinii alla creazione de’ Tribuni;

oppinione di molti che dicono

e di poi alcune cose contro la

^

Roma

una repubblica tumultuaria,^ e piena di tanta confusione che, se la buona fortuna e la virtù militare ^ non avesse supplito a’ loro difetti, sarebbe stata inferiore ad ogni altra repubblica. Io non posso negare che la fortuna e la milizia non fossero cagioni dell’imperio romano; ma e’ mi par bene che costoro non si avvegghino che, dove è buona milizia, conviene che sia buono ordine, e rade volte anco oc5. corre che non vi sia buona fortuna.^ Ma vegnamo alli altri particolari di quella città. Io dico che coloro che dannono® i tumulti tra i Nobili e la Plebe, mi pare che biasimino quelle cose che furono prima ca-

essere ^stata

Disc.

I,

ordinamend

4.

Tribuni: sulle lotte politiche 1. sopra... che vi furono in Roma dalla cacciata dei re alla costituzione del Tribunato della plebe, cioè

su quei contrasti

fra

aristocrazia

{pa-

popolo {plebei) che, secondo il M., condussero la Repubblica Romana a una costituzione esemplare, espressione armonie

trizi)

ca di tutte le energie vive dello stato. tumultuaria: che quella 2. Roma...

Roma

all’

interno.

3.

la

virtù

4.

dove...

tica

di

fu una repubblica disordinata e caomilitare:

fortuna:

il

valore

guerriero.

dove esistono buoni

militari

devono necessariamen-

buoni ordinamenti civili, perché quelli si fondano su questi (cfr. il cap. XII del Principe, dove però, coerentemente al tono e agli scopi dell’opera, l’interesse si accentra sul problema tecnico militare); e uno stato bene ordinato politicamente e militarmente è quasi sempre « fortunato », poiché dalla sua efficienza nascono i suoi successi, n M. vagheggiò sempre un esercito che fosse, per dirla con termini moderni, espressione della nazione armata, e comprese l’interdipendenza fra ordinamento civile e

te

esistere

militare.

dannono: condannano.

Niccolò Machiavelli

237

gione di tenere libera Roma,® e che considerino piu grida che di

tumulti nascevano, che a’'bùoni

tali

torivano;’ e che non considerino,

umori

che

fanno in favore della

si

come facilmente

loro,®

si

può vedere

sono in ogni republica due

e’

come

Roma

rade volte partorivano

essere seguito

“ in Roma; perché

piu che otto o dieci

ancora condannò in

le

dove siano

le

buone

buona edu-

la

leggi da quelli tumulti che molti

inconsideratamente dannano;^® perché, chi esaminerà bene

non troverà

E

se

bene,

ma

di

Roma

sitivi effetti politici

8.

due umori

popolo e

che ne derivavano.

diversi:

due

diverse,

con

interessi

e finalità politiche diverse. 9. e

come... loro:

M.

Il

uno

modi erano

I

M. chiama della

intuisce che la vi-

non sono imparda una legge astratta, fissata una volta per sempre, ma da una dinamica c continua conquista. Esse nascono dallo scontrarsi e daH’armonico comporsi dei diversi interessi o umori delle classi sociali. La supcriore saggezza politica dei Romani è qui contrapposta polemicamente alla insipienza dei Fiorentini, che per secoli furono travagliati da lotte politiche faziose, nelle quali ciascun partito mirava alla distruzione totadeiravvcrsario c

stato

prio in

all’ imposizione

dominio incontrastato,

senza

del pro-

pensare

modo al supcriore interesse della a quel concorso politico di tutte le

alcun

patria,

forze di

uno

stato

al

suo governo che

straordinarii, e quasi

bene comune

«

avvenuto. Gracchi:

10. seguito:

rono rono

essenza prima

»,

« libertà ».

11. Tarquinii... gli

ultimi re di

tribuni

della

I

Roma,

plebe

e

i

Tarquini fuGracchi fu-

sostenitori

quando

dei

regime repubblicano volgeva ormai al tramonto. 12. rade... sangue: al contrario di quanto avvenne nella storia di Firenze, a cominciadel popolo, vissuti

diritti

il

differenze né né una republica può considerare) disunita e lacerata irreparabilmente dalle discordie una repubblica come quella dei Romani, che, in tanti 13.

il

.

. .

:

(si

per

secoli,

tite

le

di

re dalla lotta fra Guelfi e Ghibellini.

classi

.aristocrazia, ciascuna

ta e la libertà di

fine

leggi ed ordini in benefizio della pub-

alcuno dicesse:

tenere Ubera Roma: del fatto che rimanesse a lungo libera. Libertà, per il M. è, si potrebbe dire, la virtù di uno stato: coincide con la sua forza e intima solidità, cioè coi suoi buoni ordinamenti, che gli assicurano autonomia c sicurezza, piena efficienza e sovranità politica. 7. che considerino... partorivano: che facciano più attenzione al disordine apparente provocato da quelle contese che ai po6.

il

ch’egli abbiano partorito alcuno esilio o violenza in

comune

disfavore del blica libertà.^®

di-

esempli di virtù,

tanti

buoni esempli nascono dalla buona educazione,

cazione dalle buone leggi; e

essi,

pos-

sue differenze

ragione una republica inordinata, i

si

non mandò in esilio cittadini, e ne ammazzò pochissimi, e non molti danari. Né si può chiamare in alcun modo con

che in tanto tempo per

perché

tumulti

né una republica

sano pertanto giudicare questi tumulti nocivi, visa,

i



radissime sangue.^

esilio, e

tutte

nascano dalla disunione

libertà,

da’ Tarquinii a’ Gracchi, “ che furono piu di trecento anni, di

alle

che quelli par-

quello del popolo e quello de’ grandi:' e

diversi,®

le leggi

come

romori ed

a’

effetti

sue lotte intestine, ecc. disordinata, priva cioè di

le

inordinata:

14.

buone menti

c di

leggi,

savi

ed

efficienti

ordina-

politici.

15. perche... dannano: dalle lotte politiche, cioè dall’ incontro e dallo scontro dei

vari

umori

ficienti, in

sociali, nascono leggi buone, efquanto tengono conto degli inte-

ressi e della Ic

popolo

stesso,

e

il

popolo; dal-

una buona educazione del cioè un suo sano orienta-

morale, da cui derivano la compattezza dello stato e quindi sue imprese virtuose {esempi^. 16. leggi... libertà: leggi e ordinamenti

mento

solidità le

volontà di tutto

deriva

leggi

politicc? e

e

in favore del bene

comune

e della pubblica

E

Antologia della letteratura italiana

238

vedere

efferati,

contro teghe,

partirsi

i

tutta

non che

tano,

popolo, insieme gridare contro

il

popolo, correre tumultuariamente per

il

modi, con

suoi

popolo

lere del

quali,

i

massime quelle

e

chi le legge;

come ogni

dico

popolo possa sfogare l’ambizione

il

Roma

intra le quali la città di

:

o

non voleva dare

e’

il

sua,^*

vogliono

si

va-

aveva questo modo,

che quando quel popolo voleva ottenere una legge, o delle predette cose,“

spaven-

debbe avere

città

che nelle cose importanti

cittadi

Senato

il

serrare le bot-

plebe di Roma,^® le quali cose tutte

la

altro,

Senato,

il

le strade,

nome

e’

faceva alcuna

per andare alla

guerra, tanto che a placarlo bisognava in qualche parte soddisfargli.

E

desideri! dei popoli liberi

i

perché

quando queste opinioni

essere oppressi

medio

rade volte sono perniciosi

alla

libertà,

nascono o da essere oppressi, o da suspizione di avere ad

ei

come

dimostri loro

e’

s’ingannano; “ e

fossero false,

uomo da

che sorga qualche

delle concioni,

li

popoli,

vi è

e’

il

ri-

bene, che orando

come

dice Tullio,^

benché siano ignoranti, sono capaci della verità,^ e facilmente cedono

quando da un uomo degno di fede è detto loro il vero. Debbesi adunque piu parcamente biasimare il governo romano,

e

considerare che tanti buoni effetti,^ quanti uscivano di quella repu-

non erano causati se non da ottime cagioni. rono cagione della creazione dei tribuni, meritano blica,

ché,

oltre

compagine

cioè della saldezza della

modi... vedere:

si

I

modi

(in

cui

si

e costruttiva dialettica

risolvevano in manifestazioni sfre-

nate e quasi contro ogni buona norma del vivere civile (efferati) , in quanto si vedeva, ecc. 18. partirsi... Roma: allude alle secessio-

come quella sul Monte SaMenenio Agrippa. 19. possa... sua: Altra profonda e moderna intuizione: è necessario, a uno stato della plebe,

ni

cro,

al

tempo

di

che intenda essere fondato sulla partecipazione veramente attiva dei cittadini alla sua garantire

vita,

ad

essi

ne della loro volontà e

la

il

sta

desiderii...

i

oppressi:

i

desideri

dei

il

modo

una forza

manifestazioni di

il

nome:

di venire oppressi.

Secondo

il

arruolarsi.

M.

«

i

concioni... ingannano: assemblee, nel-

un uomo probo e savio, arringando popolo con un discorso (orando), gli dimostri che si inganna. quali

24. Tullio:

Marco Tullio Cicerone,

il

piu

grande fra gli oratori romàni. 25. sono capaci della verità: sono capaci di comprendere la verità, quando qualcuno gliela riveli.

protesta o secessioni. 21. dare

23.

il

cieca disgregatrice.

20. delle predette cose:

punto

grandi », invece, sono quasi sempre spinti da egoistiche brame, di' affermazione e di potere. Tieni presente però che liberi significa qui eduead ad una sana vita politica da buone leggi e da buoni ordinamenti e soggetti a questi, non pienamente autonomi, in senso democratico attivo.

di esercita-

diritto

la

perché le loro ribellioni nascono o dalla volontà di scuotersi di dosso una qualche oppressione o da! sospetto di essere sul

libertà,

le

libertà

dursi in

22.

espressio-

libera

di critica. Naturalmente, quedeve avere nella legge la sua garanzia, ma anche il suo limite, non trare

laude; per-

popoli liberi rararnente sono rovinosi per

esprimeva questa libera politica)

tumulti fu-

guardia della libertà romana.

statale.

17. I

i

se

dare la parte sua all’amministrazione popolare, furono

al

constituiti per

libertà,

E

somma

26.

buoni

effetti:

virtuose imprese.

Niccolò Machiavelli 239

Come

egli c necessario essere solo a volere ordinare

una repubblica

di nuovo, o al tutto fuor degli antichi suoi ordini riformarla Questo capitolo mostra l’unità sostanziale che intercorre fra il pensiero del Prinape c quello dei Discorsi. Anche se in questi ultimi il Machiavelli sembra propendere decisamente per una forma di governo repubblicano, fondato sulla partecipazione

di

tutti

i

cittadini

alla

dello

vita

stato,

sulle

buone

leggi,

sui

buoni ordini, sui buoni costumi, il suo stato presuppone sempre un legislatore attento e virtuoso, un individuo che lo plasmi e lo controlli. Ordini e leggi, restano pur sempre imposti dall’ alto dai, « savi », dai « prudenti », pur tenendo conto degli umori dei cittadini sudditi; non sono mai espressione e creazione di un popolo. Per questo, qui come nel Principe, ì\ Machiavelli insiste sul fatto che la creazione di uno stato e dei suoi ordinamenti deve essere opera di un individuo dotato di prudenza e di virfu eccezionali. Egli non riesce, cioè, a superare

il limite individualistico dello stato signorile, quale si era venuto cos'dtuendo, ormai da due secoli, in Italia, né a risalire dalla concezione dello stato come potenza a quella dello stato come civiltà.

E

...

debbesi pigliare questo per una regola generale, che mai o rado

occorre^ che alcuna republica o regno

o

al

nuovo fuora

tutto di

sia

da principio ordinato bene,

dinato da uno;^ anzi è necessario che uno solo

modo

mente dependa qualunque

c dalla cui

non

degli ordini vecchi riformato, se

uno prudente ordinatore d’una non a sé ma

al

il

simile ordinazione. Però^

republica, e che abbia questo

di volere giovare

è or-

quello che dia

sia

bene comune, non

alla

animo

sua propria

6. ingegnarsi di avere l’automa alla comune patria,^ debba né mai uno ingegno savio riprenderà alcuno di alcuna azione straordinaria, che per ordinare un regno o constituire una republica usasse.® Conviene bene che accusandolo il fatto, lo effetto lo scusi;® e

successione

rità solo;

quando

Disc.

I,

buono come quello

sia

di

Romolo, sempre

lo scuserà,

perché

prima parte abbiamo omessa, il M. esamina due azioni di Romolo, l’uccisione del stato costretto a compiere. Nella

9.

del capitolo, che

1.

occorre;

2. che...

avviene.

da uno: che una repubblica o

un regno abbiano, nel momento in cui vengono fondati, un’ efficiente costituzione o vengano completamente e convenientemente riformati, ti,

3.

Però: perciò.

4.

che...

di giovare

doc 5.

«

rigettando

non

se l’ordinatore

vecchi ordinamen-

uno

sé,

abbia

ma

al

l’intenzione

bene di

tutti

e

savio

c

alla patria.

né...

prudente

comune

c

usasse; »

Mai un uomo

biasimerà

un’azione fuor del

magari contraria

moralità, che

il

sere lo

Remo

e

del re sabino Tito Tazio, dalla necessità di es-

vede

giustificate

solo

a

agire

lo

costituire

stesso principio di

necessitato »,

r

solo.

le

la

umano

stessa alla

stato

romano. È male se

« entrare nel

riduzione

politica,

di

tutto

che troviamo

nel Principe.

che

patria:

non a

i

sia

fratello

e

alle

leggi della

fondatore di uno stato

sia

accusandolo... scusi: anche se il fatto appare in sé mostruoso c tale da costituire un’accusa' di immoralità e disumanità, il fine conseguito mediante esso lo scusa c lo giustifica. Ma deve essere un fine buono, cioè il bene comune dei cittadini, la salvezza c il bene della patria.

Antologia della letteratura' italiana

240 colui che è violento per guastare,

debbe

riprendere.*^

Debbe bene®

non quello che è per racconciare, si in tanto essere prudente e virtuoso,

si ha presa non la lasci ereditaria a un altro; uomini piu proni al male che al bene,® potrebbe il suo successore usare ambiziosamente quello che virtuosamente da lui fosse stato usato. Oltre a di questo, se uno è atto a ordinare, non è la cosa ordinata per durare molto quando la rimanga sopra le spalle d’uno, ma si bene quando la rimane alla cura di molti, e che a molti stia il mantenerla. Perché cosi come molti non sono atti a ordinare una cosa, per non conoscere il bene di quella, causato dalle diverse opinioni che sono fra loro, cosi conosciuto che lo hanno non si accordano a lasciarlo.^ E che Romolo fusse di quelli che nella morte del

che quella autorità che perché sendo

gli

del compagno meritasse scusa, e che quello che fece fusse bene comune e non per ambizione propria, lo dimostra lo avere quello subito ordinato uno Senato con il quale si consigliasse e sefratello e

per

il

condo rità

opinione del quale deliberasse.

la

che

Romolo

si

riserbò,

E

chi considerrà bene l’auto-

vedrà non se ne essere riserbata

alcun’al-

quando si era deliberata la guerra, e di ragunare il Senato. Il che si vide poi quando Roma divenne libera per la cacciata de’ Tarquinii, dove da’ Romani non fu innovato alcun ordine dello antico, se non che in luogo d’uno Re perpetuo fossero che comandare agli

tra

due Consoli

annuali.^*^

perché... riprendere:

7.

si

eserciti

che

Il

testifica tutti

deve biasimare

colui che usa la violenza per guastare, ro-

vinare lo stato,

non

chi la usa per salvarlo

riformarlo (racconciare).

e

Debbe bene: soggetto

primi di quella

gli ordini

12. Perché... lasciarlo: ti

non sono

Perche come

adatti a ordinare

uno

i

stato,

mol-

non

riuscendo ad avere una visione chiara e piena del buon fine da conseguire (e questo è cau-

fondatore o

sato dalle loro diverse e discordanti opinio-

riformatore di uno stato. 9. perché... bene: Gli uomini sono per natura più inclini al male che al bene. Questa

una volta che hanno conosciuto, per merito del primo ordinatore, qual sia il vero bene dello suto, non Io lasciano più. Questo è il limite individualistico e rinascimentale del M. secondo il moderno concetto di democrazia sono proprio i « moki » che devono darsi la propria costituzione. 13. nella morte: per la morte. 14. lo dimostra... Senato: lo dimostra il fatto che costituì subito un Senato. La storia romana c interpretata molto liberamente dal M. Se mai, il Senato fu espressione della cast? patrizia che si eleggeva nel proprio am-

8.

è

il

visione sconsolata ricorre spesso nelle opere del

M. Non

si

tratta

però di pessimismo as-

soluto e radicale; questa tendenza

può

infatti

essere vittoriosamente combattuta dalla virtù, che è in primo luogo razionalità, prudenza, consapevolezza. In quest’ ultima soprattutto consiste la moralità per il M., ed è una moralità che si risolve completamente nella politica, cioè nella capacità di ordinare uno stabile e regolato consorzio civile. 10. usare ambiziosamente: usare per sazia-

re la propria cupidigia e 11. to.

non

è...

proprio egoismo. molto: non può durare molil

Gli ordini e lo stato creati dal singolo

devono diventare espressione viva

M. vorrebbe

di

una

far

succedere a

una prima e necessaria forma un regime repubblicano.

assolutistica

collettività.

Il

ni), cosi,

:

bito

un

re e ne controllava l’opera.

che non se ne riserbò. dove: il M. usa spesso questo tipo di congiunzione, disforme all’uso moderno. Puoi mettere un punto e virgola dopo Tarquinii e sostituire a dove: allora infatti. 15. non;., riserbata: 16.

17.

non... annuali:

I

Romani non

proce-

dettero a nessuna innovazione della costitu-

Niccolò Machiavelli

241

più conformi a

città essere stati

uno

uno

vivere civile c libero che ad

assoluto e tirannico.

Della religione de’

Romani

In questo c in altri capitoli dedicati alla religione appare particolarmente chiara Tesigenza del Machiavelli di ritrovare un fondamento alla vita dello stato non tanto nella volontà assoluta e imposta dall’ esterno di un principe, quanto nella

coscienza del popolo.

Per questo,

Numa

Pompilio,

il

sovrano legislatore, è considerato più degno

d’onore di Romolo, il fondatore dello stato romano, perche le buone leggi e i buoni ordini danno allo stato la sua continuità, gli conferiscono la forza più vera e duratura, lo rendono un mezzo di educazione e di civiltà.

Fondamentale elerpento produce

di

coesione

è,

per

il

Machiavelli,

la

che

religione,

rispetto della legge, la fedeltà allo stato e alla patria. Essa viene cosi

il

a coincidere con la vita intima e profonda del popolo, coi suoi buoni costumi,

con

sua educazione morale e politica.

la

come

È,

si

vede, una religione spogliata di ogni trascendenza e vista soltanto

nel suo valore etico politico. Sarebbe errato dire, però, che essa, per

puro strumento

il

Machiavelli,

dominio, di oppressione del volgo ignorante; essa è piuttosto un mezzo di positiva edificazione statale, mediante il quale uomini prudenti e accorti conducono il popolo all’ unità, alla coesione, all’ intuizione delle norme sia

di

essenziali del vivere civile.

Avvenga chc^ Roma avesse il primo suo ordinatore Romolo, e che da quello abbi a riconoscere, come figliuola, il nascimento e la educazione sua; ^ nondimeno, giudicando i cieli che gli ordini di Romolo non

bastassero a tanto imperio, inspirarono® nel petto del Senato ro-

mano

Numa

di eleggere

quelle cose che da lui ordinate.

quale,

Il

trovando uno popolo ferocissimo, e volendolo

durre nelle obedienze

come

cosa

al

Pompilio per successore a Romolo, acciocché fossero state lasciate indietro, fossero da Numa

civili

zionc data da Romolo, eccettuato

un

re

furono

eletti

il

secoli

fatto

che

due consoli an-

nuali. 18.

testifica.., stati:

attesu che tutti gli or-

dinamenti... furono. Disc.

I,

mantenere una civiltà;^ e non fu mai tanto timore

II.

Avvenga

che: sebbene.

educazione sua: Romolo non fu solfondatore materiale della città, ma anche 1’ insuuratore di ordinamenti e di leg2.

unto

la

il

la con-

Dio

di

gi, della sua struttura politica e civile.

3. giudicando... inspirarono:

Il

M.

inten-

de con quesu espressione cingere la figura e l’opera di Numa Pompilio di una supcriore grandezza, di una luce di provvidenzialiu. condurre 4. volendolo... civiltà: volendolo convia una forma armonica ed clevau di

venza 1.

ri-

le arti della pace, si volse alla religione,

tutto necessaria a volere

modo, che per più

stimi in

invece di

con

civile,

si

servi,

per ottenere questo,

necesdella religione, considerandola mezzo del posario per vincere la primitiva ferocia

polo e impartirgli una duratura educazione morale, una spirituale compattezza.

242

Antologia della letteratura italiana

quanto in quella rcpublica; il che facilitò qualunque impresa che il Senato o quelli grandi uomini romani disegnassero fare. E chi discorrerà® infinite azioni, e del popolo di Roma tutto insieme, c di molti

Romani

de’

rompere

la si

i

potenza

la

mente per

come

di per sé,* vedrà

giuramento che

il

gli

temevono più

quelli cittadini

come

leggi;

le

assai

coloro che’ stimavano più

Dio, che quella degli uomini:

come

si

vede manifesta-

esempli di Scipione e di Manlio Torquato. Perché, dopo

rotta che Annibaie aveva dato ai Romani a Canne, molti cittadini erano adunati insieme, e, sbigottiti della patria,® si erano convenuti

abbandonare la Italia, c girsene in Sicilia; il che sentendo Scipione, gli andò a trovare, e col ferro ignudo in mano li costrinse a giurare di non abbandonare la patria. Lucio Manlio, padre di Tito Manlio, che fu di poi chiamato Torquato, era stato accusato da Marco Pomponio, Tribuno della plebe; ed innanzi che venisse il di del giudizio, Tito andò a trovare Marco, e, minacciando di ammazzarlo se non giurava di levare l’accusa al padre, lo costrinse al giuramento; e quello, per timore avendo giurato, gli levò l’accusa. E cosi quelli cittadini i quali

amore

lo

della patria, le leggi di quella,

non ritenevano in

Italia,® vi

furono ritenuti da un giuramento che furono forzati a pigliare; e quel Tribuno pose da parte l’odio che egli aveva col padre, la ingiuria che gli avea fatta il figliuolo, e l’onore suo, per ubbidire al giuramento preso:

il

che non nacque da

aveva introdotta in quella

E

che da quella religione che

vedesi, chi considera bene le istorie

comandare

religione a gli

altro,

uomini buoni, a

gli

Numa

città.

fare vergognare

Roma

romane, quanto serviva la a mantenere

a animire la Plebe,

eserciti,^®

Talché, se

rei.

i

si

avesse a di-

o a Romolo o a Numa, credo più tosto Numa otterrebbe il primo grado “ perché, dove è religione, facilmente si possono introdurre l’armi; e dov^ sono l’armi e non religione, con difficoltà si può introdurre quella.'® E si sputare a quale principe

fusse più obligata,

:

5. discorrerà

:

passerà in rassegna.

6. di molti... se:

di molti grandi

singolarmente presi. 7. come coloro che: dato che 8. sbigottiti

della patria:

Romani

sua vita politica, intesa come fondazione e conservazione di quella convivenza degli uomini che coincide con la civiltà, è, lo ab-

biamo già

essi.

avendo perduto

ristico del

visto,

motivo centrale

ogni speranza nelle sorti della patria. 9. non ritenevano in Italia: non avevano

animare, ispirare. 11. credo... grado:

forza di trattenere in Italia (la Sicilia era considerata territorio a sé stante). 7 quali è

fondatore

complemento oggetto. 10. a comandare gli

legislatore,

la

eserciti, tee.:

questi casi la religione è vista cipio sulla

in tutti

come un

prin-

una persuasione profonda quale è fondata la vita morale di un superiore,

popolo.

Che questa

poi

si

risolva tutta nella

cipe,

dello

la continuità

durre

stato,

A quella dellVeroc contenuta nel Prin-

succede qui l’esaltazione del principe che, con la sua opera, assicura e la durata dello stato stesso,

lo fa diventare 12.

e caratte-

pensiero machiavelliano, animirc:

perché... le

namento

costume c quella:

civiltà.

è più facile intro-

armi, cioè dare allo stato un ordipolitico c militare, che la religione.

Niccolò Machiavelli

243

vede che a Romolo, per ordinare

non

e militari,

Numa,

sario a la

il

Senato, e per fare

ordini

quale simulò di avere domestichezza con una Ninfa,

il

non

e dubitava che la sua autorità

città,

E

civili

fu bene neces-

quale lo consigliava di quello ch’egli avesse a consigliare

nuovi ed

e tutto nasceva perché voleva mettere ordini

popolo:

il

inusitati in quella

bastasse.^®

veramente, mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in

uno popolo che non

ricorresse a

accettate: perché sono molti

non hanno gli uomini

i

Dio; perché altrimenti non sarebbero

medesimo

uno prudente,

beni conosciuti da

i

quali

in sé ragioni evidenti dà poterli persuadere a altrui.^® Però

questa difficultà, ricorrono a Dio.

che vogliono torre

savii

1

Cosi fece Licurgo, così Solone,

la

altri

ma

fu necessario dell’autorità di Dio;

gli

fine

molti

che hanno avuto

altri

Maravigliando,^® adunque,

loro.

di

cosi

il

Popolo romano

il

bontà e prudenza sua, cedeva ad ogni sua diliberazione. Ben è vero

che l’essere quelli tempi pieni di religione e quelli uomini, con

i

quali

aveva a travagliare, grossi, “ gli dettono facilità grande a conseguire i disegni suoi potendo imprimere in loro facilmente qualunque egli

nuova forma.^^

E

senza dubbio chi volesse ne’ presenti tempi fare una dove non

più facilità troverebbe negli uomini montanari,

republica,

è alcuna civiltà, che in quelli che sono usi vivere nella città dove la

corrotta;^ ed uno scultore trarrà più facilmente una bella

civiltà

è

statua

da un

marmo

rozzo,^ che da uno male abbozzato d’altrui.

Considerato adunque

Numa

da

causò buoni ordini;

quella

i

buona fortuna nacquero

dalla

conchiudo che

tutto,

religione

la

fu intra le prime cagioni della felicità di quella

fondamento duraturo

sicuro

c

dell’

introdotta

perché

città,

buoni ordini fanno buona fortuna; i

successi delle imprese.^

felici

educa-

18. Licurgo...

Solone:

e

E come

rispettivamente,

il

legislatore di Atene.

zione dei cittadini e quindi del loro rispetto

legislatore di Sparta e

per

Maravigliando: Ammirando e, al temvenerando. La credenza nell’ispirazione della Ninfa Egeria faceva si che il popolo accettasse senza contrasto quelle leggi di cui poi in seguito compr.endeva la bontà.

le leggi

13.

sario

non

e per lo stato.

gli

imporre

19.

Dio: non gli fu necessuoi ordinamenti con la re-

fu... i

ligione.

con una Ninfa: quale

Numa

la

Ninfa Egeria, dalla

credere

faceva

d’ essere

finzione

bastasse:

era che

la

Numa

ragione di quevoleva immet-

ordinamenti nuovi e inupensava che la sua autorità non fosse sufficiente ad imporli. 16. E veramente... altrui: I grandi legitere nella sua città sitati e

fondatori della civiltà di

ricorsero

sempre

accettare

le

all’autorità di

leggi.

Infatti

essi

un popolo, Dio per far

riuscivano a

comprendere molte cose che il volgo ignorante non avrebbe potuto comprendere. 17. Però... torre:

nare.

stesso,

20.

e quelli...

gh uomini con

15. c tutto...

slatori,

po

ispi-

rato.

sta

il

perciò... togliere, elimi-

grossi:

e

rozzi,

ignoranti

cui aveva a che fare.

forma: davanti alla prudenil popolo appare, originariamente, come una materia da plasmare. 21. potendo...

za c virtù del principe

Il M. ritiene più adatto nuovi ordinamenti un popolo rozzo e semibarbaro, ma di costumi ancora schietti e lontano dallo scetticismo religioso, che un popolo civile ma corrotto, c privo, per questo, d’entusiasmo c di energia mo-

22. E... corrotta:

a

ricevere

rale.

grezzo.

23. da un marmo tozzo: ancora dalla religiosità dei 24. quella... imprese :

Romani nacquero buoni ordinamenti

politici

Antologia delia letteratura italiana

244

osservanza del culto divino è cagione della grandezza delle repu-

la

bliche, COSI

sia

dispregio di quello è cagione della rovina di esse. Perché

il

dove manca

timore di Dio, conviene che o quel regno rovini, o che

il

sostenuto dal timore d’un principe che sopperisca .

religione.®

E

perché

i

della

difetti

a’

principi sono di corta vita, conviene che quel

regno manchi presto, secondo che manca la virtù d’esso. Donde nasce che i regni, i quali dipendono solo dalla virtù d’un uomo, sono poco durabili: perché quella virtù manca con la vita di quello, e rade volte ^ accade che la sia rinfrescata con la successione,® come prudentemente

Dante

dice:

Rade volte discende per li rami l’umana probitate e questo vuole quel che la dà, perché da lui si chiami.®

Non

d’una republica o d’un regno avere uno ma uno che l’ordini in modo, che morendo ancora la si mantenga.® E benché agli uomini rozzi più facilmente si persuada un ordine e una opinione nuova, non è

adunque

la salute

principe che prudentemente governi mentre vive,

uomini civili, e che Al popolo di Firenze non pare essere né ignorante né rozzo; nondimeno da frate Girolamo Savonarola fu persuaso che parlava con Dio.® Io non voglio giudicare s’egli era vero

è per questo impossibile persuaderla ancora agli

presumono non

essere rozzi.

ma se ne debbe parlare con riverenza; credevono sanza avere visto cosa nessuna straordinaria da farlo loro credere; perché la vita sua, la dottrina e

o no, perché d’un tanto

uomo

io dico bene, che infiniti lo

civili, dai quali nascono, a loro volta, buona fortuna c successo nelle imprese. Qui la fortuna non appare per nulla come una di-

c

vinità capricciosa,

con

la virtù di

ma

coincide, praticamente,

un popolo.

25. che sopperisca... religione: che supplimancanza di una religione, che dia egli, col

Il

passo è

Purgatorio (VII,

nel

121-23). 29.

« che sopravviva alla sua

30. che parlava

con Dio:

il

morte

».

soggetto è

il

Savonarola.

sca alla

quindi

ereditario.

timore che incute, un solido

31.

mente

d’un

parlasse

riverenza:

tanto...

M. non credeva che

il

con Dio, e

le

il

EvidenteSavonarola

sue lettere scritte al

fondamento alle leggi. In tal caso, però, abbiamo una tirannide, che non è piu una co-

tempo del trionfo del frate in Firenze rivelano un atteggiamento decisamente scettico

stituzione che esprima camente r insieme dei

nei suoi confronti e ostile alla sua politica. Non gli perdonava, fra 1 altro, di essere

e rappresenti autenti-



cittadini.

e rade... successione: c raramente successore rinnova quella stessa virtù. 27. prudentemente: saggiamente. 26.

28. Rade... chiami:

padri trapassa nei

voluto da Dio,

il

Raramente

figli

(li

il

la virtù dei

rami) e questo è

quale dà quesu virtù,

af-

finché gli uomini riconoscano che essa viene

data loro da

lui,

non è un

fatto

puramente

profeta disarmato. Questo elogio, quindi, ha un tono vagamente ambiguo: par di sentirvi un’ironia corrosiva. D’altra par-

un

te,

però,

vonarola

il

Machiavelli apprezzava nel Sail po-

la capacità di diffondere fra

polo una persuasione religiosa che avrebbe potuto, se egli fosse stato miglior politico, avere senz’altro effetti positivi

Niccolò Machiavelli

245

suggetto** che prese, erano sufficienti a fargli prestare fede.

il

Non

non potere conseguire quel che è stato conseguito da altri; perché gli uomini, come nella prefazione nostra si disse, nacquero, vissero e morirono, sempre, con uno medesimo ordine.^ sia,

pertanto, nessuno che

si

sbigottisca di

Di quanta importanza sia tenere conto della religione, e come r Italia, per esserne mancata mediante la Chiesa Romana, è rovinata

In questo Discorso^ che riportiamo solo in parte, il Machiavelli accusa la Chiesa di avere impedito lo stabilirsi in Italia di uno stato unitario (interrompendo, ad esempio, il tentativo operato, in tal senso, dai Longobardi), e di non essere stata, nello stesso tempo, capace di fondarlo lei stessa. Storicamente la affermazione è imprecisa e non tiene ben conto della realtà effettiva del frftto, in primo luogo, che, proprio per il carattere universale della sua missione, la Chiesa non poteva essere interessata alla costituzione d’ uno stato jjazionale, e che il potere temporale era sorto soltanto per garantire la sua piena autonomia nei confronti del potere politico. D’ altra parte, sarebbe diffìcile negare che vi sia un fondo di verità nella teoria machiavelliana, anche se è giusto dire che la storia non si fa con i se e che una coscienza nazionale unitaria si è formata, da noi, solamente nell 'Ottocento. Tuttavia, ci sembra che l’interesse maggiore del passo consista nel tono polemico c appassionato (che ricorda il Principe) col quale fautore afferma, implicitamente, il suo ideale di una salda compagine statale in Italia, capace di assicurarle l’ indipendenza e la libertà dallo straniero. :

La quale

religione

^

se ne’ principi della republica cristiana

^

si

fusse

mantenuta, secondo che dal datore d’essa ne fu ordinato,^ sarebbero gli stati e le



sono.*

si

republiche cristiane piu unite, più

quanto è vedere come

d’essa,

32. la vita sxia...

incorrotta

della

suo assunto. 33. ordine;

il

sua

suggetto: vita...

la

la

purezza

nobiltà

del

secondo una legge coIl collegamento logico fra i due ultimi periodi è: il fatto che persino in tempi come i nostri il Savonarola è riuscito a infondere in un |x>polo di civiltà raffinata un vivo sentimento religioso, conferma che r uomo non muta col mutare del tempo.

2.

n

I, 12.

Cattolicesimo.

ne’

principi... cristiana;

le

non

La gerarchia

papa, cardinali, vescovi. Repubblica cristiana è l’ insieme della cristianità.

ecclesiastica

3.

;

secondo... ordinato; conforme

ai

prin-

fondatore di essa, cioè Cristo. retta4. sarebbero... sono; La religione mente praticata e sentita diviene infatti, per cipi del

M., potente incentivo a un’autentica moe quindi mezzo di un ordinato vivere civile, che le non sono; di quel che non siano ora. il

ralità,

5.

I.

che

quelli populi che sono più propinqui"^

cioè

stante e immutabile.

Disc.

felici assai,

può fare altra maggiore coniettura® della declinazione®

coniettura; prova.

6. declinazione; 7.

propinqui;

decadenza.

vicini.

Antologia della letteratura italiana

246

E

chi considerasse

è diverso

da

rovina o

la

meno

Chiesa Romana, capo della religione nostra, hanno

alla

E

religione.

suoi, e vedesse l’uso presente

quanto

giudicherebbe essere propinquo, sanza dubbio, o

quelli,®

fragello.®

il

perché

d’ Italia

fondamenti

i

molti

sono d’opinione, che

nasca dalla Chiesa

Romana,

il

bene essere

delle

voglio, contro a essa,

città

discorrere

mi occorrono: “ e ne allegherò due potentissime rasecondo me, non hanno repugnanzia.^ La prima è, ha perduto esempli rei di quella corte,^® questa provincia

quelle ragioni che

gioni

le

quali,

che, per gli

ogni divozione e ogni religione:

il

che

nienti e infiniti disordini; perché, cosi

si

tira

dietro infiniti inconve-

come dove

è religione

si

presup-

pone ogni bene, cosi, dove quella manca, si presuppone il contrario. Abbiamo, adunque, con la Chiesa e con i preti noi Italiani questo primo obligo,^® di essere diventati sanza religione e cattivi; ma ne abbiamo ancora uno maggiore, il quale è la seconda cagione della rovina nostra. Questo è che la Chiesa ha tenuto e tiene questa

E veramente, alcuna provincia non fu mai unita non viene tutta alla ubbidienza d’una republica o d’uno principe,^® come è avvenuto alla Francia ed alla Spagna. E la cagione che la Italia non sia in quel medesimo termine,^"^ né abbia anch’ella o una republica o uno principe che la governi, è solamente provincia

divisa.

o

felice,

la

Chiesa; perché, avendovi quella abitato e tenuto imperio temporale,^®

non

è stata

la

si

potente, né di tanta virtù che l’abbia potuto occupare

tirannide d’ Italia e farsene principe; c

la SI

se

debole che, per paura di non perdere

porali, la

il

non è stata dall’altra parte dominio delle sue cose tem-

non abbia potuto convocare uno potente che

a quello che in Italia fusse diventato troppo potente

8. la

vedesse...

c

vita

quelli:

c

vedesse

presente della Chiesa

si

quanto

discosta dai

principi spirituali del cristianesimo. 9.

fragello:

flagello.

Cioè un castigo di

Dio. 10. il bene essere: la prosperità. Molti riconoscevano nella S. Sede una fonte di prestigio e anche di prosperità economica per 1



Italia.

riti

cristiani del

la

suo tempo

lo stesso Savonarola),

difenda contra

come

:

i

(a

si

è ve-

cominciare dal-

quali tutti avvertiva-

no giustamente

lo scandalo e il disorientacondotta dissoluta degli ecclesiastici indegni provocava nelle coscienze. 14. questa provincia: l’Italia.

mento che

15.

la

questo primo obligo:

è

un sarcasmo

acre c doloroso. 16. se...

uno

principe:

se

non

si

unifìca

in

13. per gli esempli... corte: per gli esempi peccaminosi della Corte Romana, per il malcostume che vi regna. Non è questo del M. banale anticlericalismo, che anzi la sua voce

monarchico o repubblicano. 17. in quel... termine: non abbia un’organizzazione statale unitaria "come la Francia e la Spagna. 18. abitato... temporale: avendo la Chie* sa fondato c mantenuto in Italia un proprio dominio temporale. 19. c non... potente: non è stata, d’altra parte, cosi debole da non aver potuto chiamare in aiuto un signore straniero, che la

unisce a quella dei più seri e pensosi spi-

difendesse contro chi fosse divenuto in Ita-

11.

discorrere... occorrono:

esaminare orragioni contrarie che mi ven-

dinatamente le in mente. 12. ne allegherò... repugnanzia: esporrò due importantissimi argomenti che non possono essere confutati.

gono

si

stato,



Niccolò Machiavelli

247

duto anticamente per assai esperienze, quando, mediante Carlo Magno, ne cacciò i Longobardi, che erano già quasi re di tutta Italia; e

la

quando

ne’ tempi nostri ella tolse la potenza a* Viniziani con l’aiuto

ne cacciò

di Francia; dipoi

i

Franciosi con l’aiuto de’ Svizzeri



Non

essendo adunque stata la Chiesa potente da poterò occupare né avendo permesso che un altro la occupi, è stata cagione che ma è stata sotto più principi la non è potuta venire sotto uno capo; e signori, da’ quali è nata tanta disunione e tanta debolezza, che la si è condotta ad essere stata preda, non solamente de’ barbari potenti,

r

Italia,

ma

di

con

la Chiesa, e

qualunque

Di che

l’assalta.

non con

altri.

E

noi

altri

abbiamo obligo

Italiani

chi ne volesse per esperienza certa

vedere più pronta la verità,^ bisognerebbe che fusse di tanta potenza,

che mandasse ad abitare

la

romana, con

corte

Italia,^ in le terre de’ Svizzeri;^

i

che l’ha in

l’autorità

quali oggi sono, solo, popoli “ che

vivono, c quanto alla religione c quanto agli ordini militari, secondo antichi:

gli

c vedrebbe che in poco

in quella provincia

i

rei

tempo farebbero più disordine

costumi di quella corte che qualunque altro

accidente che in qualunque

tempo

vi potesse

surgere.

20.

troppo potente, ogni qual volta temesse perdere il proprio dominio temporale. quando... Svizzeri: Il M. ricorda i piu importanti interventi di signori stranieri, sollecitati dai Pontefici, nelle vicende italia

di

Dapprima

liane..

la

sconfitta

dei

Longo-

che avevano già unificato gran parte dell’Italia, ad opera di Carlo Magno, chiamato in Italia da papa- Adriano I : poi due atti di papa Giulio II, che nel 1508 promosse la lega di Cambrai per abbattere la potenza veneziana, minacciosa per il suo stato, e nel 1511 la Lega Santa (cui aderirono Venezia, la Spagna, gli Svizbardi,

per cacciare dall’ Italia i Francesi divenuti troppo potenti. Per quello che riguarda l’età longobardizeri

e

altri

stati)

allora del tutto inesistente. Infine la politica

della

Chiesa

doveva

un ambito

gersi in

necessariamente

svol-

internazionale. Essa co-

munque tivo,

rimase per secoli un ostacolo effetanche se non l’unico, all’unificazione

dell* Italia.

non

21. che... capo: che

sotto 22.

il

E

dominio

di

un

chi... verità:

è potuta riunire

si

solo.

E

se

uno

volesse fare

un’esperienza sicura, tale da mettere più chia-

ramente in luce la verità da me asserita. 23. con l’autorità... Italia: lasciandole l’autorità e la potenza che ha in Italia. Grande era l’ ammirazione 24. Svizzeri del M. per gli Svizzeri, considerati da lui :

nazione ben ordinata e militarmente

forte.

ca, gli storici recenti obiettano

Gli eserciti composti di mercenari svizzeri, al soldo del re di Francia, furono tra i prin-

luogo

cipali protagonisti delle guerre d’allora.

che in primo Longobardi si tennero, durante il loro dominio in Italia, ben separati dai Latini e rimasero un popolo dominatore che si fuse con quello assoggettato soltanto dopo la conquista franca; in secondo luogo che l’idea di una nazione unitaria italiana era i

25. sono, solo, popoli 26. farebbero

più

:

sono

disordine,

i

soli popoli.

tee.

:

Que-

st’ùltimo esempio è violentemente amaro e polemico, una battuta sarcastica, piattosto

che un ragionamento teorico.

Antologia della letteratura italiana

24H

Quanto sono

laudabili

i

fondatori d’una repubblica o d’uno

regno, tanto quelli d’una tirannide sono vituperabili Tipicamente rinascimentali sono, qui, l’ideale antitirannico c quello della ambedue avvivati, oltre che dallo studio dei grandi storici latini, il primo,

gloria,

dall’esperienza dell’autore c dalle sue idealità repubblicane,

il secondo, dalla sua concezione laica e immanentistica della vita. Nella polemica antitirannica è, inoltre, evidente l’influsso dei rapporti fra il Machiavelli e i giovani « repubblicani » che si radunavano intorno a Cosimo Rucellai nei suoi Orti Oricellari^ avversi sia al gonfalonierato a vita del Sodcrini sia alla dominazione medicea. La tirannide qui esecrata coincide con la violenta rottura dell’armonico c naturale svolgimento della compagine statale, provocata dal prevalere d’una egoistica brama ‘di potenza sul bene comune. Il potere, infatti, è, per il Machiavelli, cosa assolutamente fun-

zionale, e in questo, e solo in questo,

coincidendo con rintimà

giustifica,

si

può

gica del vivere associato, col suo organico sviluppo. In tal senso,

forma

nella

della repubblica

o in quella

del regno:

ma

del regno di

lo-

articolarsi

Romolo non

nella forma, cioè, di quell’assolutismo individuale che è, a suo avviso, necessario a fondare lo stato o a ricostituirlo quando è decaduto.

di quello di Cesare:

uomini

Intra tutti gli

I.

laudati,

sono laudatissimi quelli che sono

capi e ordinatori delle religioni; appresso dipoi, ^ quelli che

stati

hanno

fondato o repubbliche o regni; dopo costoro sono celebri quelli che, preposti patria.^

A

sono di

questi

si

ragioni,

pili

i

hanno ampliato o il regno loro, o quello della aggiungono gli uomini litterati; e perché questi

eserciti,

alli

sono celebrati ciascuno

d’essi

secondo

I

grado

il

(

suo.^

A

qualunque

uomo,

altro

il

numero

de’ quali è infinito,

si

attri-

!

buisce qualche parte di laude, la quale gli arreca l’arte e l’esercizio suo.

Sono per

lo contrario infami e detestabili gli

uomini

destruttori delle

regni e delle repubbliche, inimici delle virtù,

religioni, dissipatori de’

delle lettere e d’ogni altra arte che arrechi utilità e

onore

alla

^

umana j

come sono

generazione, oziosi e

i

vili.

E

gl’impii,

i

violenti, gl’ignoranti,

nessuno sarà mai,

buono, che, prepostagli

si

pazzo o

si

i

dappochi,^ gli

savio,

si

tristo

elezione delle due qualità d’uomini,®

la

laudi quella che è da laudare e biasmi quella che è da biasmare

dimeno dipoi quasi ria,

si

Disc.,

j.

I,

appresso dipoi:

subito dopo.

patria, se condottieri repubblicani. Si os-

servi

come

delle

religioni,

il

o regni

M.

dia

il

rispetto

primato a

ai

quelli

fondatori di

e ai grandi capitani, in

repub-

quan-

assegna alla religione un valore etico e formativo delle coscienze, e quindi anche to

niente-

falso

politico, nel senso più alto, come vedremo meglio nel passo Della religione dei Romani.

IO.

hanno... patria: hanno ampliato il dominio (regno) loro proprio, se principi, del-

bliche

:

si

non

bene e da una falsa glolasciano andare, o voluntariamente o ignorantemente, nei gradi ingannati da

tutti,

2.

la

un

o

3. gli

poiché

uomini...

suo:

gli

intellettuali,

e

sono di varie specie (ragioni), cioè filosofi, storici, poeti, ecc., ciascuno d’essi è celebrato secondo i propri meriti. 4. i dappochi: gli uomini dappoco (è avessi

verbio sostantivato).

uomini: due qualità d’uomini.

5. l’elezione... ste

la scelta fra

que-

Niccolò Machiavelli

249

meritano piu biasimo che laude; c potendo

di coloro® che

fare, con volgono alla tiranquanta fama, quanta gloria,

perpetuo loro onore, o una repubblica o un regno,

si

nide,"^ né si avveggono, per questo partito, quanto onore, sicurtà, quiete, con satisfazione d’animo, e’ fuggono, c in quanta infamia, vituperio, biasimo, pericolo e inquietudine incorrono. 2. Ed è impossibile che quelli che in stato privato vivono in una repubblica, o per fortuna o virtù ne diventano principi, se leggessero le

memorie

e delle

istorie,

non

delle antiche cose facessero capitale, che

volessero, quelli tali privati, vivere nella loro patria piuttosto Scipioni

che Cesari; e quelli che sono principi, piuttosto Agesilai, Timolconi e Dioni, che Nàbidi, Falari e Dionisi:® perché vedrebbono questi essere

sommamente vituperati, ancora come Timoleone autorità che

e

non ebbono

avessero Dionisio e

si

avervi avuto più sicurtà.

sentendolo,

Cesare,

quelli eccessivamente® laudati.

e gli altri



sia

massime,

ma

Falari;

alcuno che

celebrare

si

dagli

Vedrebbono

nella patria loro

vedrebbono

inganni per scrittori,

meno lunga

di

la gloria di

perché

quelli

che lo laudano sono corrotti dalla fortuna sua e spauriti dalla lunghezza dello imperio, il quale reggendosi sotto quel nome,^° non permetteva che

gli

scrittori

parlassero liberamente di lui.

Ma

chi vuole conoscere

quello che gli scrittori liberi ne direbbono, vegga quello che dicono di Catilina: e tanto è più detestabile Cesare, quanto più è da biasimare quello che ha fatto, che quello che ha voluto fare un male. Vegga

ancora con quante laudi celebrano Bruto: talché, non potendo

mare quello per

coloro:

6. si...

la

sua potenza-,

e’

lasciano andare... nella

si

È qui nettamente

tirannide:

contrap-

posta alla repubblica o al regno, in quanto questi sono visti naturali

e

capace di

come formazioni

politiche

creazione d’uno stato efficiente, attuare

una coesistenza

civile

e

La tirannide è invece espressione d’una egoistica brama di potere del singolo, non .trova la propria giustificazione nell’interesse comune. armonica del

corpo

politico.

Agesilao (m. nel 361 a.C.) fu re di Sparta e contribuì a Tistabilire l’egemonia spartana sulla Grecia. Timoleone uccise il

il

biasi-

nimico suo.”

570 al 550 a.C.; tiranno di Siracusa, cacciato prima da Dione e quindi, definitivamente, da Timoleone. Anche qui, la fonte del M. sono tiranno d’Agrigento dal

Dionisio

categoria di coloro. 7.

celebrano

li,

appassionatamente meIl confronto, infine, fra Scipione Afiicano e Cesare era un luogo comune della pubblicistica pogli

storici

antichi,

ditati soprattutto in quest’epoca.

favorevole,

umanistico-rinascimentale,

litica

in prevalenza, a Scipione. 9.

8.

eccessivamente: in

10. il...

nome:

in

modo

quanto

straordinario. gli

imperatori

tiranno

conservarono il nome di Cesare e si considerarono suoi successori e continuatori. 11. Bruto, ecc.: M. Giunio Bruto, uno dei

della sua patria, Corinto, e liberò Siracusa

capi della congiura anticesariana, idealizzato

fratello

Timof a ne che voleva

dalla tirannide di Dionisio H.

farsi

Mori

nel 336

Dione governò Siracusa dal 459 al 454 a. C. Sono questi i « buoni principi »

a C.

che

il

M. trovava

ni

sono:

dal 205

al

opere di CorSenofonte. I tiran-

esaltati nelle

nelio Nepote, Plutarco,

Nabide, che signoreggiò Sparta 192 a.C.; Falaride, crudelissimo

ed esaltato nel Cinquecento, sulla scorta di Cicerone e, indirettamente, della storiografia romana da Livio a Tacito. Tralasciamo, qui,

pone

il

terzo paragrafo, dove

il

M.

contrap-

agli imperatori piu crudeli e tirannici

Roma, quelli piu « buoni », eletti adozione, da Nerva a Marco Aurelio. di

per

Antologia della letteratura italiana

250

4.

Pongasi adunque innanzi un principe

i tempi da Nerva a Marco, prima c che furono poi; c quali volesse essere nato, o a quali volesse essere pre-

“ con

e conferiscali

dipoi elegga in

quelli che erano stati

j

un

posto. Perché in quelli governati da’ buoni, vedrà

principe sicuro

j

mezzo

in

vedrà dersi

il

de* suoi sicuri cittadini; ripieno di pace e di giustizia

Senato con

sua autorità,

la

magistrati con

i

il

mondo;

suoi onori; go-

i

cittadini ricchi le loro ricchezze; la nobiltà e la virtù esaltata;

i

vedrà ogni quiete ed ogni bene; e dall’altra parte, ogni rancore, ogni licenza, corruzione e

.scuno

può tenere

trionfare

ambizione spenta; vedrà

mondo; pieno

il

e di sicurtà

popoli.

i

tempi aurei, dove

i

cia-

e difendere quella opinione che vuole; vedrà, in fine, di riverenza e di gloria

il

principe, d’amore

Se considererà dipoi tritamente

i

tempi degli |

altri

imperadori, gli vedrà atroci per

nella pace e nella guerra crudeli:

guerre

tante esterne;

civili,

le

guerre, discordi per le sedizioni,

morti col ferro, tante

tanti principi

Italia afflitta

l’

e piena di nuovi infortuni; j

Roma

rovinate e saccheggiate le città di quella; vedrà

arsa,

il

Cam-

|S

pidoglio da’ suoi cittadini disfatto, desolati gli antichi templi, corrotte

cerimonie, ripiene

le

le città

di adultera; vedrà

mare pieno

il

di

f

esili, |

gli scogli pieni di

sangue; vedrà in

Roma

seguire innumerabili crudel|

tadi, e la nobiltà, le ricchezze,

gli onori, e

imputata a peccato capitale; vedrà premiare servi contro al signore,

i

sero mancati

i

liberti

contro

Roma,

E

nato d’uomo,

sanza dubbio,

se e’ sarà

Italia

e

dei tempi cattivi, e accenderassi d’uno

buoni.

E

i

gli calunniatori, essere corrotti

al

padrone; e quelli a chi fus-

nemici, essere oppressi dagli amici.

i

bènissimo quanti obblighi

i

sopra tutto la virtù essere

il

si

mondo

E

i,

conóscerà allora

abbia con Cesare.^®

sbigottirà d’ogni imitazione

immenso

desiderio di seguire

veramente, cercando un principe la gloria del mondo, do-

verrebbe desiderare di possedere una

città corrotta; non per guastarla come Cesare, ma per riordinarla come Romolo. E veramente non possono dare agli uomini maggiore occasione di gloria, né

in tutto cieli

i

15.

uomini la possono maggiore desiderare. E se a volere ordinare bene una città si avesse di necessità a deporre il principato, meriterebbe, quello che non la ordinasse per non cadere di quel grado, qualche scusa;

gli

ma

potendosi tenere

12. conferiscali:

il

principato e ordinarla

paragoni

li



un

lati-

nismo). 13. Perché... popoli: Il lungo periodo è pervaso da un vivido entusiasmo: è un inno commosso allo stato bene ordinato che rende possibile la libertà, la civiltà, l’umanità vera. 14. tritamente:

in

modo

particolareggia-

è. una traduzione di compiuta, però, con partecipazione appassionata. Si sente che il

to.

Il

passo che segue

Tacito, Histor.,

I,

2,

non

si

merita scusa alcuna.

ricordo della rovina di Roma si fonde spontaneamente, nell’animo del M., col sentimento angoscioso dcU’attualc rovina di Firenze c deU’Italia; cosi, alla fine, si sente die vagheggia un nuovo Romolo, che riscatti

la

patria

dall’avvilimento presente

e

renda possibile ùna nuova storia gloriosa. Si ripensi all’ ultimo cap. del Principe. La frase è pronunciata con amaro sarcasmo.

i

Niccolò Machiavelli

E

somma

in

251

considerino quelli a chi

sono loro preposte due vie:

morte

dopo

rende gloriosi;

li

la

morte

li

vivere

fa

nelle città corrotte

libero, essendovi, o,

non

È questo Tultimo di tre un popolo uso

a vivere sotto

difficilmente

si

sicuri,

e

come

dopo

la

continove angustie, e

in

potesse mantenere

vi essendo,

uno

stato

ordinarvelo

(il primo, il XVI, mostra come un principe può, riconquistata la liXVII, come un popolo corrotto riesca difficil-

discorsi consecutivi

bertà,

mantenerla;

mente

a mantenersi libero), incentrati sul

il

tale occasione,

vivere

fa

li

una sempiterna infamia.

lasciare di sé

modo

In che

l’altra

danno

cieli

i

l’una che

secondo,

il

tema

decadenza o « corruzione

della

»

dello stato e dell’estrema problematicità del suo riscatto. Dietro le considerazioni

romana

generali e lo studio della storia

l’animo

dello

certezza,

come pure propendono

si

intravede

dramma

comunque,

del Principe, di cui,

fondo, questo:

dominante presenza,

È

difficile

stabilire

nel-

con

a credere critici autorevoli, se effettivamente

c’è

qui

uno

per riformare

s’impadronisca del potere con

come potrà

la

dell’Italia.

dei Discorsi sia stata qui interrotta, nel

stesura

in

dell’attuale

scrittore,

la

tematica fondamentale.

stato corrotto è necessario

problema

Il

un

è,

principe che

violenza, sia pure usandola a fin di bene.

la

la

1513, per lasciar posto a quella

Ma

un’ulteriore

un popolo che ha perduto ogni senso del viLa crudeltà e violenza usate dal principe non diverranno causa di disgregazione morale e politica, non spingeranno verso la tirannide?

Sarà capace

il

vere

reagire positivamente

civile.?

«male»

principe di usare bene l’autorità che ha

acquistata?

Come

una rispondenza nell’animo

potrà aver successo la sua energia costruttiva senza dei piu?

Il rapporto sempre arduo e complesso fra politica ed etica è qui sentito drammaticamente, e, con esso, quanto sia difficile la rinascita d’un popolo giunto ormai all’estrema decadenza. Il Principe tenta una soluzione radicale della difficoltà col suo nuovo mito d’azione e di sfida alla fortuna, con l’appello a una virtù straordinaria capace di risolvere la situazione, ormai vicina al crollo defi-

nitivo, dell’Italia.

I.

Io credo che

scritto

non

fuora di proposito né disforme dal sopra-

sia

discorso considerare se in

lo stato libero, sendovi,^

o quando

una città non vi

e’

corrotta

si

fusse, se vi

può mantenere può ordinare.

si

Sopra la quale cosa dico come gli è molto diffìcile fare o l’uno o l’altro; benché sia quasi impossibile darne regola, perché sarebbe necessario

e

Disc.,

I,

sapevolmente

18.

Rispetto alla I.

lo...

sendovi:

lo

stato

Stato libero è, per denza di buoni « ordini » vi

sia.

e politici

libero,

il

M.,

(istituti

del corpo statale),

buone

buoni costumi, cioè un’ordinata

qualora

mocrazia,

coinci-

resta, per

la

giuridici leggi

vita

c

civile

dello gli

va il

stato

un fine di utilità comune. moderna concezione della deperò notato che

M., sostanzialmente (tale

città

s’aggrava

per

dominante), la cui efficienza, funzioha più valore dei diritti de-

nalità e potenza

monicamente

gli individui.

governo, perseguendo con-

cittadino

« suddito »

abitanti del contado nei confronti della

in cui tutte le forze politiche partecipino aral

condizione

il

Antologia della letteratura italiana

252

procedere secondo

nondimeno essendo bene

gradi della corruzione,^

i

ragionare di ogni cosa, non voglio lasciare questa indietro.

porrò una cultà

:

perché non

^

donde verrò ad accrescere piu

città corrottissima,

E

presup-

tale diffi-

truovano né leggi né ordini che bastino a frenare così come gli buoni costumi per man-

si

una universale corruzione. Perché

hanno bisogno

tenersi

delle leggi,

cosi

leggi per

le

bisogno de’ buoni costumi.'* Oltre di questo,

hanno

osservarsi

ordini® e

gli

le leggi fatte

una repubblica nel nascimento suo, quando erano gli uomini buoni, non sono di poi piu a proposito, divenuti che ei sono rei.® E se le leggi secondo gli accidenti in una città variano, non variano mai, o rade volte, gli ordini suoi il che fa che le nuove leggi non bastano, perché

in

:

ordini che stanno saldi

gli

le

vero dello stato, e

le

leggi dipoi che con

Tribuni, de’ Consoli,

modo

accidenti.^^

il

modo

Variarono

le

fissare

benché sia quasi imuna regola generale, per-

dovrebbe piuttosto discutere caso per maggiore o minore grado decadenza in cui si trovino i singoli stati.

di

in base al

tale difficultà:

3.

ma

assoluta,

La

prensiva.

presuppone

o,

città

riflette

timamente

sofferto

leggi...

quella di dare

una nor-

corrottissima

il

M.

situazione attuale di

la

di qui

:

che

il

queste

di

carattere in-

pagine.

proni alla corruzione, che consi-

6. rei:

nell’individualismo e nell’egoismo sfrenati, nel dispregio delle leggi, nell’indif-

ferenza per

un

significato politico

È

E... suoi:

7.

secondo vita

la

bene comune e

il

le

prima che

facile

che

concreta dello stato impone,

8.

il

che...

corrompono:

nell’onestà quell’eticità,

e

fedeltà

verso

la

insomma, che non

può andare disgiunta dalla vita politica, perché è fondamento d’ogni convivenza umana.

vengono non viene muesigenze dei tempi, anche

ordini:

forma costituzionale,

secondo

9. come... xittadini: in Roma i cittadini erano tenuti a freno, governati in primo luogo dalla costituzione dello stato, in secondo luogo dalle leggi, fatte applicare dalle varie magistrature (magistrati). 10. e... leggi: le norme che regolavano

proposte di candidature e l’elezione dei alle pubbliche cariche e lo svolgi-

le

singoli

fondamentale organizzazione politica, espressa da certe magistrature o da certi corpi

mento

politici

(ad

es.,

la

nell’antica

Roma, Popolo,

Senato, Consoli, Tribuni) e da certi istituti del diritto pubblico (ad es., l’elettività delle cariche,

i

modi

della

legislazione).

le

costituzione.

la

la

5. gli

è

le leggi

tata,

in

ma

che vengano mutati gli ordini istituzionali, che sono l’espressione della tradizione e della civiltà che esso rappresenta.

buoni costumi. Sono, questi ultimi, il complesso delle persuasioni morali e religiose che ispirano l’azione individuale e si traducono, sul piano politico, nella lealtà, nel rispetto della legge e degli ordinamenti stato,

varino,

esigenze che lo svolgimento del-

rese inefficienti dal fatto, che

patria:

etico.

le leggi

diffìcile

buoni costumi: Essenziale, nel

gi e

vita dello

la

Cosi, la parola buoni (vedi sopra) ha

stato.

pensiero del M., questa correlazione fra leg-

dello

citta-

ste

almeno, largamente com-

Firenze e dell’Italia

4.

i

i magistrati ed poco o nulla variarono negli leggi che frenavano i cittadini, come fu la suntuaria, quella della ambizione e molte

si

caso,

magistrati frenavano

di chiedere e del creare

corruzione:

e...

possibile

ché

i

per dare ad intendere

era l’ordine del governo o

di fare le leggi.^® Questi ordini

legge degli adulteri, la

2.

Roma

L’ordine dello stato era l’autorità del Popolo, del Senato, de’

dini.®

il

E

corrompono.®

meglio questa parte, dico come in

11.

dell’attività

negli

dini dello stato

il

durante

le

vicissitu-

romano.

12. suntuaria...

tro

legislativa.

accidenti:

ambizione:

le

leggi con-

lusso e le spese eccessive c quelle sui

brogli elettorali.

Niccolò Machiavelli

253

secondo che di mano in mano i cittadini diventavano corrotti. tenendo fermo gli ordini dello stato, che nella corruzione non erano piu buoni, quelle leggi che si rinnovavano non bastavano a mantenere gli uomini buoni, ma sarebbono bene giovate, se con la innovazione altre

Ma

delle leggi,

fossero rimutati

si

M.

2. Il

varsi

ordini.

ma

dei potenti, che sapessero subdolamente accatti-

favore popolare; allo stesso

il

le leggi,

«

non per

venisse corrompendo, e, con essa,

si

magistrature divennero appannaggio non più dei

gli antichi ordini: le

cittadini virtuosi,

gli-

come Roma

dimostra

comune

la

modo,

ma

libertà,

solo

i

potenti proponevano

per la potenza loro

».

Era necessario pertanto, a volere che Roma nella corruzione si mantenesse libera, che così come aveva nel processo del vivere suo fatte nuove leggi, l’aves^p fatti nuovi ordini; perché altri ordini e modi di vivere si debbe ordinare in uno soggetto cattivo che in uno buono, né può essere la forma simile in una materia al tutto contraria.^^ Ma perché 3.

questi ordini, o e*

hanno

si

a rinnovare tutti a

un

tratto,

sono non essere piu buoni, o a poco a poco in prima che

si

scoperti che

conoschino

per ciascuno, dico che l’una e l’altra di queste due cose è quasi impossibile. Perché a volergli rinnovare a poco a poco, conviene che ne sia

cagione uno prudente che vegga questo inconveniente assai discosto, e quando e’ nasce.^® Di questi tali è facilissima cosa che in una città non ne surga mai nessuno, e quando pure ve ne surgessi, non potrebbe persuadere mai a altrui quello che egli proprio intendesse; perché gli uomini usi a vivere in un modo non lo vogliono variare, e tanto piu non veggendo il male in viso, ma avendo a essere loro mostro per coniettura.^® Quanto all’innovare questi ordini a un tratto, quando ciascuno conosce che non son buoni, dico che questa inutilità che facilmente

conosce è

si

difficile

non basta usare termini

buoni:

efficienti.

dunque,

richiesto

13.

be,

a ricorreggerla;^"^ perché a fare questo

ordinari, essendo

La corruzione avrebriforme

istituzionali

La forma

la

materia è

plasmare civile.

della

Ma

è la costituzione dello stato,

il

si

che

popolo,

condurre

e

ad

lo

deve

stato

ordinato

vivere

tenga presente che alle origini

costituzione

statale

e

anche

alle

ori-

come abbiamo visto, non la volontà popolare, ma un « prudente », un individuo, cioè, che impone dall’alto un modo di vita al popolo.

gini

15.

della

uomo

legislazione

conviene...

assuma

si

modi

ordinari cattivi,^®

ma

corruzione o decadenza assai prima che quando le sue premesse sono

manifesti,

ancora pressoché impercettibili.

e costituzionali. 14.

la

i

c’è,

nasce:

l’iniziativa

del

necessario

che

rinnovamento

un

è

saggio e prudente, e in qualche

anche preveggente,

modo

che riesca a prevedere

coniettura:

16. tanto...

(come

in questo caso)

tanto piu

non vedono

quando il

male

concretamente presente), ma esso viene loro mostrato come una previ-

in faccia (cioè

sione. 17. che...

ricorreggerla:

che l’inefficienza

è giunta al punto di essere chiaramente evidente a tutti, è diffi-

d’uno cile

stato,

quando

a correggersi.

cattivi: non basta usare mezzi ordinari, perché l’ordinamento attuale dello ormai stato,' il solo che potrebbe fornirli, e 18. non...

inefficiente.

Antologia della letteratura italiana

254

è necessario venire allo straordinario,

come

è alla violenza ed alParmi, c

diventare innanzi a ogni cosa principe di quella città e poterne disporre a

suo modo.

E

perché

una

riordinare

il

uomo buono,

e

uomo

presuppone uno

città

al

vivere politico presuppone

uno

diventare per violenza principe di una repubblica

il

questo

cattivo, per

si

troverrà che radissime volte

che uno buono, per vie cattive, ancora che

accaggia

il fine suo fosse buono, voglia diventare principe; e che uno reo, divenuto principe,

voglia operare bene, e che gli caggia rità

bene che

Da

4.

è

nelle

gli

nello

animo usare

quella auto-

o impossibilità che mantenervi una repubblica o a crearvela di

tutte le soprascritte cose nasce la difficoltà

a

corrotte,

città

E quando

nuovo.

mai

ha male acquistata.

pure

la vi

si

avesse a creare o a mantenere, sarebbe

necessario ridurla piu verso lo stato regio che verso lo stato popolare,^ acciocché’ quegli

uomini

possono essere

corretti,

modo

E

frenati.

i

non

quali dalle leggi per la lor insolenzia

fossero da

una podestà quasi

regia in qualche

a volergli fare per altre vie diventare buoni, sarebbe

come io dissi di sopra Cleomene^ il quale, se per essere solo ammazzò gli Efori, e se Romolo per le medesime cagioni ammazzò il fratello e Tito Tazio Sabino, e dipoi usarono bene quella loro autorità, nondimeno si debbe

o crudelissima impresa o del tutto impossibile, che fece

avvertire che l’uno e l’altro di costoro

non avevano

corruzione macchiato della quale in

però poterono volere, e volendo, colorire

19. accaggia:

biamo cipe:

accada.

È

qui,

come

ab-

visto all’inizio, la dialettica del Prin-

come un

conquistatore violento dello

mutare la sua « natura » e repopolo la « libertà » politica, che

stato possa stituire al

è l’essenza vera del vivere civile.

un una repubblica.

20. ridurla... popolare: fondarvi

cipato piuttosto che 21. insolenzia:

prin-

refrattarietà a piegarsi al-

il

il

disegno loro.^

come cosa da scusare, perché fatta per bene comune e non per ambizione propria. 23. non... ragioniamo: non dovevano tratun popolo macchiato da una tare con corruzione cosi totale e radicata quale è quella di cui parliamo in questo capitolo. L’azione di Clcomene e di Romolo si svolge in una comunità politica ancor sana c capace quindi di reagire positivamente alla

zio, il

l’impero delle leggi e alle esigenze dell’or-

loro sollecitazione; è

dinato vivere

di

22.

civile.

Clcomene:

Il

re

che,

per

ridare

a

Sparta l’antica grandezza, volle restaurare le leggi di Licurgo e fece uccidere gli Efori per potere, rimasto solo al comando, attuare il proposito. Nel cap. IX questa sua azione violenta è ricordata, con quelle di Ro-

molo

nei confronti di

Remo

c di Tito

Ta-

soggetto di quella

questo capitolo ragioniamo,^ e

un momento,

una dolorosa

necessità

consegue la restaurazione piena d’una civile convivenza. In una società radicalmente corrotta (il M. pensa all’Italia attuale) la crudeltà dovrebbe dicui

venire sistema di governo, col facile peridegenerazioni tiranniche.

colo di

24. e...

loro:

e

poterono concepire

tuare con fermezza

il

loro

disegno.

c

at-

Niccolò Machiavelli

255

Repubblica e libertà

Non il bene particolare dell’individuo, ma quello comune di tutta la società, deve proporsi di attuare lo Stato; e questo avviene soltanto nelle repubbliche, perché sono fondate sulla partecipazione dei cittadini alla vita politica, cioè sulla libertà. Questa è la tesi centrale del capitolo (il II del II libro, che è intitolato Con quali popoli i Romani ebbero a combattere, e come ostinatamente quegli difendevano la loro libertà), e -di tutti i Discorsi. Va però osservato che la libertà non è vista dal Machiavelli come un valore spirituale a sé stante, ma come una funzione dello Stato, valida solo in quanto serve ad esso, « al processo mercé il quale questo cresce e si irrobustisce c si alimenta di tutte le linfe che il canale della libertà gli conduce » (De Caprariis). Essa si identifica con la vita, l’esaltazione c la difesa della patria, nella quale il popolo sente espressa la sua autonomia politica e civile, che per il Machiavelli c il valore supremo, al quale tutti gli altri,, anche la religione c la moralità, vanno commisurati, e, se necessario, sacrificati. L’ elogio, comunque, della libertà, come armonica pienezza di vita, che conclude il passo, rivela con quale entusiasmo l’autore vivesse l’ ideale repubblicano.

...

E

donde nasca

facil cosa è conoscere

del vivere libero;

mai ampliato né

perché

^

di

si

ne’ popoli questa affezione le cittadi non avere non mentre sono state

vede per esperienza

dominio né

di ricchezza se

E veramente maravigliosa cosa è considerare a quanta grandezza venne Atene per spazio^ di cento anni, poiché la si liberò dalla in libertà.

Ma

tirannide di Pisistrato. rare a quanta

sopra tutto maravigliosissima è a consideRoma poiché la si liberò da*^ suoi Re.

grandezza venne

La ragione è facile a intendere; perché non il bene particolare ma il bene comune è quello che fa grandi le città.^ E sanza dubbio questo bene comune non è osservato se non nelle republiche, perché tutto quello che fa a proposito suo

danno bene

di questo

fa,

o

si

esequisce

di quello privato, c’

:

sono

che lo possono tirare innanzi contro

e

quantunque

e’

torni in

tanti quegli per chi detto

disperazione di que-

alla

pochi che ne fussono oppressi.* Al contrario interviene® quando vi è uno principe, dove* il piu delle volte quello che fa per lui"^ offende

gli

Disc.

1.

Il,

piuto a vantaggio della repubblica; e anche se (quantunque) una di queste azioni dan-

2.

questa... libero: questo

amore

della

li-

bertà. 2.

per spazio:

nello

spazio.

non il bene... città: una città diventa grande quando si sforza di conseguire il bene comune di tutti i cittadini e non quello di un individua singolo, come avviene dove c’ è una tirannide. 3.

neggia un privato cittadino, sono tanti coloro che ne sono invece avvantaggiati (per chi detto bene fa), che i governanti pos-

sono

giustificare

il

loro

mostrando che è conforme dinanzi a quei

appunto bene comune,

operato, al

pochi che siano

stati

dan-

neggiati (oppressi). ». 5. « Il contrario accade

tutto quello che viene

6.

dove: perché

compiuto da un governo repubblicano, è com-

7.

quello... lui: quello che giova a lui.

4.

tutto... oppressi:

allora.

Antologia della letteratura italiana

256

la città, c

quello che fa per

la città

offende

lui.

uno vivere libero, non andare piu innanzi, né

nasce una tirannide sopra resulti a quelle città è

ma

tenza o in ricchezze;

piu delle volte

il

E

loro che le tornano indietro.^®

tiranno virtuoso,

dominio

ma

il

a lui proprio

crescere piu in po-

sempre interviene

anzi

che

se la sorte facesse

uno

vi surgesse

quale per animo e per virtù d’arme ampliasse

non ne

suo,

Dimodoché subito che " manco male® che nc il

risulterebbe

perché

:

a

utilità

non può onorare

e’

cittadini che siano valenti e

alcuna

buoni che

avere ad avere sospetto di loro.

Non può

nessuno

tiranneggia,

egli

ancora

le

quegli

di

non volendo che esso ac-

città

quista sottometterle o farle tributarie a quella città di che egli è

ranno, perché

farla potente

disgiunto,^^ e che

stato lui.

il

non

ma

fa per lui,

ti-

per lui fa tenere lo

ciascuna terra e ciascuna provincia riconosca

Talché de’ suoi acquisti solo egli ne profitta e non la sua patria. ... Pensando adunque donde possa nascere che in quegli tempi an-

tichi

i

popoli fussero più amatori della libertà che in questi, credo

nasca da quella medesima cagione che fa ora

quale credo

la

il

republica;

quella

sia

la

diversità

uomini manco

gli

educazione

della

nostra

forti,

dall’antica,

fondata nella diversità della religione nostra dalla antica. Perché avendoci la nostra religione mostro la verità e la vera via,

meno

l’onore

8.

subito che:

9.

il

10.

del

mondo

:

onde

non appena. il minor male.

15.

manco male: interviene...

indietro:

del

accade loro di

diversità

la

dunque

regredire, di diminuire la loro potenza e la

moralità,

loro prosperità.

rispetto ai

11.

ma

a lui proprio:

ma

a lui stesso.

perché e’ non può onorare, ecc. il tiranno non può onorare e accrescere in potenza (dando ad es. loro da governare le 12.

nuove

:

terre

conquistate)

i

cittadini

capaci

za

educazione;

dei

moderni per

ideali,

di

concezioni

« forti » popoli

e quella cristiana.

religione

Causa la

li-

differenza di costumi, di

rimandiamo

commento

di

vita,

antichi, differen-

fondata sulla diversità fra

pagana la

di

la

ed

assai,

della

minore amore

bertà è

stimare

fa

ci

stimandolo

Gentili

i

A

religione

la

proposito del-

a ciò che

abbiamo

passo Della religione de’ Romani. Basti qui ricordare che la reli-

detto nel

al

che egli tiranneggia, ma deve tenerli rigorosamente soggetti. In caso contrario dovrebbe stare in continuo sospetto e timore di fronte ad essi, che sono i naturali nemici di ogni tirannide. 13. ma... disgiunto: ma a lui conviene tenere i sudditi divisi e senza coesione fra loro per poterli meglio dominare, lì M. mette bene in luce la logica spietata di un governo urannico e assolutista, di cui le signorie italiane gli offrivano continui esempi. al tempo 14. in quegli tempi antichi: dei Romani, quando più numerose erano le repubbliche; mentre ai suoi tempi il M. vede quasi dovunque monarchie e principati assoluti (abbiamo omesso un passo dove trae esempi d’aniore per la libertà dalle

gione appare al M. 1 elemento costitutivo di un popolo, coincidente con la sua vita profonda, i suoi buoni costumi, la sua educazione politica e morale. È quindi il solido fondamento degli ordini dello stato. Tale

antiche storie).

punto fondamentale che

e valenti



visione tutta laica e

mondana

della religio-

M., nel paragonare paganesimo e cristianesimo, prescinda da ogni considerazione trascendente, non discuta il loro ne, fa

SI

che

il

contenuto fideistico e dogmatico, ma li giudichi secondo i loro effetti nella vita morale c civile dei popoli. 16. avendo...

mondo: La

religione cristiana

ha rivelato agli uomini la verità e la vera via da seguire per giungere alla vita eterna, ma in tal modo li ha indotti a tener in minore considerazione

le

cose terrene. il

È M.

questo l’aprivolge

al

Niccolò Machiavelli

avendo posto ferocid®

quello

in

che

Il

257

il

sommo

bene, erano nelle azioni loro piu

può considerare da molte

si

loro costituzioni,^* comin-

ciandosi dalla magnificenza de’ sacrifizi loro alla umiltà de’

nostri,^

dove è qualche pompa piu delicata che magnifica, ma nessuna azione feroce o gagliarda. Qui^^ non mancava la pompa né la magnificenza delle cerimonie, ma vi si aggiungeva l’azione del sacrificio^ pieno di sangue e di ferocità, ammazzandovisi moltitudine d’animali il quale :

sendo

aspetto,

rendeva

terribile,

non

antica, oltre a di questo,

dana

La tivi,

come erano

gloria,

gli

uomini

beatificava se

simili

a

non uomini

gli

Ha

attivi.

religione

mon-

pieni di

capitani di eserciti e principi di republiche.

nostra religione ha glorificato piu gli uomini

che

La

lui.

dipoi posto

sommo

il

umane

zione, e nel dispregio delle cose

umili e contempla-

bene nella umiltà,

abie-

poneva

nella

quell ’altra lo

grandezza dello animo, nella fortezza del corpo ed in tutte le altre cose atte a fare gli uomini fortissimi. E se la religione nostra richiede che tu abbi in

te

una cosa

fortezza, vuole che tu sia atto a patire

Questo modo

piu che a

adunque pare che abbi renduto il mondo debole, e datolo in preda agli uomini scelerati, quali sicuramente lo possono maneggiare, veggendo come l’università degli uomini per andare in Paradiso pensa piu a sopportare le sue fare

forte.

vivere

di

i

battiture

mondo

che a vendicarle.^^

e disarmato

il

E

benché paia che

uomini, che hanno interpretato

non secondo

Perché

virtù

la

se

nostra

sua concezione

21.

Qui:

22.

l’

base

in

alla

Ma

spunto di pensiero piu originale e profondo si ha piu avanti, quando egli riconosce che una morale sua sostanziale incredulità.

io

ramente gio e 23.

comunque,

vece.

discutibile, di esso.

onde: qui ha ì

Gentili:

il

senso di mentre in-

pagani.

i

il

secondo l’ozio e

come

la

ci

permette

nelle cerimonie pagane.

azione

del

sacrificio,

ecc.

l’ideale machiavelliano di

civile e politica,

non coincide necessa-

17.

effeminato

sia

Questa

:

interpretazione del culto pagano rivela chia-

riamente con la vera essenza del Cristianesimo, ma con una interpretazione superficiale,

ascetica c rinunciataria

o,

religione

considerassono

terrena e attivistica del vivere e alla

Cristianesimo, tutta

la

si

Cielo,^ nasce piu sanza dubbio dalla viltà degli

e del

il

il

virtù

corag-

valore guerriero.

umane: nel disprezzo di sé mondo. Qui il M. polemizza contro

umiltà...

r interpretazione ascetica data Medioevo al Cristianesimo. 24.

una

fondata sull’energia,

e

datolo...

vendicarle,

spesso

ecc.:

nel

sembra

il

che abbia dato il mondo in preda agli uomini scellerati (intendi tali nell’agire politico, come i tiranni) che con piena sicurezza

magnificenza dei loro sacrifici e la umiltà dei nostri. Le cerimonie del culto pagano appaiono al M. piene di grandiosità, atte quindi a eccitare la fantasia del popolo ad azioni vigorose e gagliarde; quelle cristiane sono piuttosto delicate che magnifiche, richiamano cioè al culto dell’in-

possono compiere le loro azioni crudeli e nefande, e maneggiare a proprio arbitrio il mondo, contando sull’umiltà e la rassegnazione delle loro vittime. 25. e disarmato il Cielo: sembra, cioè, che il Cielo non punisca più in modo esemplare e terribile l’empietà dei malvagi.

18.

piu feroci: più animosi e gagliardi.

19. costituzioni:

istituzioni del loro culto.

20. cominciandosi...

confronto fra

teriorità,

a

nostri:

basta fare

la

una

spiritualità

meditativa,

al-

non

al-

l’eroismo silenzioso della rinuncia, l’azione nel

mondo

e

al

culto della gloria.

26.

nasce... virtù: questo fatto non nasce vera essenza del Cristianesimo,

tanto dalia

che anch’esso

ci

impone

di

amare, onorare.

Antologia della letteratura italiana

258

la difesa della patria, vedrebbono come la vuole che ramiamo ed onoriamo, e prepariamoci a essere tali che noi la possiamo difendere. Fanno adunque queste educazioni e si false interpretazioni che nel mondo non si vede tante republiche quante si ve-

la esaltazione e

noi

deva anticamente, né per consequente^ alla libertà quanto allora. ...E facil cosa è considerare

vede ne* popoli tanto amore

si

donde nasceva quell’ordine

donde

e

proceda questo disordine; “ perché tutto viene dal vivere libero

ed ora dal vivere servo. Perché tutte

lora,

le

al-

terre e le provincie che

vivono libere in ogni parte, come di sopra

dissi, fanno profitti^ vede maggiori popoli,** per essere e connubi! piu liberi, piu desiderabili dagli uomini; perché ciascuno procrea volontieri quegli figliuoli che crede potere nutrire, non dubitando che

dissimi. Perché quiyi

il

patrimonio

scono

liberi

e

gli

si

sia tolto,

non

schiavi,

e ch’ei

ma

diventare principi.^^ Veggonvisi le

numero, c quelle che vengono

conosce non solamente che napossono mediante la virtù loro ricchezze multiplicare in maggiore si

ch’ei

cultura e

dalla

quelle

che vengono

dalle arti.” Perché ciascuno volentieri moltiplica in quella cosa e cerca

di acquistare quei beni che crede acquistati potersi godere.”

nasce che gli uomini a gara pensono

privati e publici

a’

l’uno e l’altro^ viene maravigliosamente a crescere. tutte queste cose

scemono

segue”

religione secondo la loro ignavia,

Avverti

il

non secondo

tono passionale del perio-

do, queirihcitamento costante all’azione generpsa e magnanima che è motivo centrale delle pagine del M. Certo, avvertiamo che la

sua vera religione è la patria: tuttavia anche la considerazione della problematica ardua, spesso, e dolorosa dell’anima cristiana, della difficoltà di conciliare le contrastanti esigen*

zc della rinuncia e dell’impegno nel mondo c intuita qui con grande finezza. 27. per conscqu^ntc: di conseguenza. i8 quello... disordine: la superiore civiltà

sfatti

politica degli antichi, fondata' sul culto della

i

bisogni essenziali della vita pratica,

possibilità lità, le

di

affermare

piu volontieri

figliuoli,

31. alle

diventare principi: qui significa adire

impadronirsi del potere assoluto. 32. cultura... arti: agricoltura... arti, stieri,

me-

professioni.

33. multiplica... godere: ciascuno è porta-

corruzione presente, .fondata sul-

ad aumentare

acquistare beni

comprende, per lui, gli attributi spestato bene ordinato: sicurezza, ordine, pace, garanzia che vengano soddi

perche sa di po-

supreme magistrature repubblicane, non

guadagni, in prospefità e in potenza. Quello che segue è uno dei piu caldi elogi che il M. abbia formulato della libertà e dei suoi effetti sulla vita economica, politica e civile degli uomini. La parola dello

sia

quanto non c’ è un tiranno che possa togliergli da un momento all’altro il patrimònio con rapace violenza, sia perche sa che saranno liberi cittadini e non schiavi.

to

cifici

propria persona-

terli allevare, in

l’accettazione rassegnata del uivere servo. profitti:

la

proprie capacità.

30. maggiori popoli, ecc.: popolazioni piu numerose, perche i matrimoni sono piu liberi e desiderabili in quanto ciascuno procrea

.

libertà

e di

in quegli paesi che vivono servi: e tanto più

difendere c fare grande 'la patria^ ma gialla uomini ghe hanno interpretato la

libertà, e la

contrario

dal consueto bene,” quanto più è dura la servitù.

viltà degli

la virtù. 29.

Il

Onde ne

commodi,

il

proprio patrimonio e ad

quando

c

sicuro di

poterli

godere c che nessun tiranno glieli carpisca. pubblico e il bene 34. l’ uno e 1* altro quello privato, che in una libera repubblica sono interdipendenti. :

35. segue; accade.

36. scemono... bene: sono privi, dei beni cui erano avvezzi

mancano

quand’erano

liberi.

Niccolò Machiavelli

Come

259

conviene variare coi tempi volendo sempre aver buona

fortuna Questo discorso è forse lo sforzo maggiore di pensiero che il Machiavelli abcompiuto per definire razionalmente l’oscura e inesplicabile presenza della « fortuna » nella vicenda storica, assumendola nell’ambito dell’esperienza umana e psicologica. La fortuna, infatti, tende qui a coincidere col limite, invalicabile, bia

natura, dell’indole individuale, e di qui nasce la constatazione della

della

gior durata e solidità del regime repubblicano, rispetto

mag-

principato, in quanto

al

può contare, nel variare continuo delle circostanze, sulla varietà delle indoli dei Si potrebbe dire, ma sempre tendenzialmente, che la fortuna coincide in qualche modo con le volontà avverse, che il politico si trova di fronte non pili nella dinamica di libera scelta umana, ma come un dato di fatto, un complesso oggettivo di circostanze che ha assunto un carattere di ferrea necessità. Ma in fondo il Machiavelli non giunse ad una definizione filosoficamente chiara

cittadini.

del problema; la parola « fortuna » indica per lui

il senso dell’imponderabile che elemento essenziale d’ogni calcolo e d’ogni azione politica: un limite non tanto da chiarire concettualmente, quanto da superare con azione energica e coraggiosa.

è

I. Io ho considerato piu volte come la cagione buona fortuna degli uomini è riscontrare il modo

con

tempi.^ Perché

i

dono

e’

si

vede che

della trista e della

del

procedere suo

uomini, nell’opere

gli

lorp,

proce-

E

perché

alcuni con impeto, alcuni con rispetto e con cauzione.^

nell’uno e nell’altro di questi

modi

passano

si

termini convenienti,

i

potendo osservare la vera via, nell’uno e nell’altro si erra.^ Ma quello viene ad errar meno, e avere la fortuna prospera, che riscontra, come io ho detto, con il suo modo il tempo, e sempre mai si procede secondo ti sforza la natura.'* Ciascuno sa come Fabio Massimo procedeva con l’esercito suo respettivamente e cautamente, discosto da ogni impeto e da ogni audacia romana; e la buona fortuna fece che questo suo modo riscontrò bene coi tempi: perché, sendo venuto Annibaie in

non

si

Italia,

giovane e con una fortuna fresca, e avendo già rotto

romano due

il

popolo

ed essendo quella repubblica priva quasi della sua buona milizia, e sbigottita, non potette sortir miglior fortuna che avere un capitano il quale, con la sua tardità e cauzione, tenesse a bada il nimico.

modi

Disc.,



suoi

:

Ili,

9.

volte,®

ancora Fabio potette riscontrare tempi piu convenienti ai nacque che fu glorioso. E che Fabio facesse questo

di che

questi

bi

essendo

tempi: è il ritrovare una piena 1. è... corrispondenza fra il loro modo di procedere e i tempi, le circostanze. riguardo e pon2. rispetto... cauzione: deratezza... prudente cautela. 3. E... erra: E perché, seguendo entram-

4.

modi,

si

cade

facile osservare

e...

il

nell’eccesso,

non

giusto mezzo, ecc.

natura: e sempre procede secondo

l’impulso naturale. 5. fitto

qui

e... i

il

volte:

e

avendo due

volte

scon-

Romani (al Ticino e alla Trebbia, che M. sembra considerare come un’unica

battaglia,

e

al

Trasimeno).

Antologia della letteratura italiana

2Ó0

non per

per natura c

elezione,

volendo Scipione passare in

®

vede, che

si

Africa con quegli eserciti per ultimare la guerra, Fabio la contradisse

come

assai,

quello che

non

consuetudine sua: talché, in Italia;

come

quello che

non

mutare modo

e che bisognava

poteva spiccare dai suoi modi e dalla

si

Annibaie sarebbe ancora erano mutati i tempi,

se fusse stato a lui,® si

avvedeva che

E

di guerra.

Roma, poteva facilmente perdere

gli

se

Fabio fusse

stato re di

perché non arebbe

quella guerra:

saputo variare col procedere suo, secondo che variavano

i

ma

tempi;

sendo nato in una repubblica, dove erano diversi cittadini e diversi ebbe Fabio, che fu ottimo ne’ tempi debiti a sostenere umori,® come la la

guerra, cosi ebbe poi Scipione ne’ tempi 2.

a vincerla.

atti

Quinci nasce che una repubblica ha maggiore

mente buona fortuna che un principato: perché darsi

alla

diversità

de’

temporali,^^ per

vita, e

diversità

la

de’

sono in quella, che non può un principe. Perché un consueto a procedere in un modo, non

conviene di necessità, quando

modo, che 3.

si

i

che

cittadini

uomo

muta mai, come

si

mutano

ha piu lunga-

può meglio accomo-

la

che

sia

è detto; e

tempi disformi a quel suo

rovini.

Piero Soderini, altre volte preallegato,^^ procedeva in tutte

le

cose

sue con umanità e pazienza. Prosperò egli e la sua patria mentre che

tempi furono conformi al modo del proceder suo; ma come vennero tempi dove bisognava rompere la pazienza e l’umanità, non lo seppe fare: talché insieme con la sua patria rovinò. Papa Giulio II procedette, in tutto il tempo del suo pontificato, con impeto e con i

dipoi

furia; e perché

imprese

tempi l’accompagnarono bene,

i

Ma

tutte.

se fussero venuti altri tempi,

riuscirono le sue

gli

che avessero ricerco altro

perché non arebbe mutato né modo né ordine nel maneggiarsi. E che noi non ci possiamo mutare, ne sono cagione due cose: l’una, che noi non ci possiamo opporre a quello a che c’inclina la natura; l’altra, che avendo uno con un modo di procedere prosperato assai, non è possibile persuadergli che possa far bene consiglio,^® di necessità rovinava:

a procedere altrimenti:

perché

ella varia

i

donde ne nasce che

un uomo

in

tempi, ed egli non varia

i

non si variar gli ordini tempi, come lungamente di sopra discorremmo:

rovina della

6. si

città,

per

si vede da questo, che. avversò assai quell’ impresa. se fosse dipeso da lui.

vede, che:

7. la... assai: 8. se...

lui:

12.

Piero...

luoghi.

capacità.

sto

10. la:

essa,

la

11. temporali:

Repubbica romana. circostanze.

fortuna varia; la

delle repubbliche co’

ma

sono piu tarde.

preallegato:

Pier Soderini

(il

gonfaloniere della Repubblica fiorentina), di cui il M. ha precedentemente parlato in piu

umori: diversi temperamenti; uomini, cioè, dotati di diverso carattere c 9. diversi

la

modi. Nàscene ancora

13. che...

un

14.

consiglio:

diverso

gli

modo

ordini:

che determinano

gli i

che avessero richiedi deliberare e agire.

ordinamenti

modi

dell’azione.

politici

Niccolò Machiavelli

perché

le

261

penano più

a variare, perché bisogna che vengano tempi a che un solo col variare il modo

commuovino tutta la repubblica procedere non basta... d®

che del

n

Che

:

debba difendere o con ignominia o con modo è ben difesa

la patria si

gloria,

ed in qualunque

L’interesse di questo passo è in quella sorta di « religione » della patria che

La

configura.

patria coincide con lo stato, e questo, a sua volta, e l’espressione

concreta e totale della civiltà d’un popolo,

meramente

in

e,

tal

senso,

un valore

etico,

non

Notevole inoltre è il realismo col quale il Machiavelli supera il. concetto cavalleresco e medievale dell’onore, in nome di un’azione spregiudicata ed efficace. I^a non si tratta del « fine che giustifica i mezzi », come gli si è spesso erroneamente fatto dire; il fine qui esaltato non è il soddisfacimento d’una volontà egoistica, ma la conservazione di quello stato che è bene comune, costruzione di valori e di humanitas. solo

politico.

Era il Console e l’esercito romano assediato dai Sanniti: ^ i quali avendo proposto ai Romani condizioni ignominiosissime (come era, volerli mettere sotto il giogo, e disarmati rimandarli a Roma), e per questo stando i Consoli come attoniti, e tutto l’esercito disperato, Lucio Lentolo, legato romano, disse che non gli pareva che fusse da fuggire qualunque partito per salvare la patria’; ^ perché, consistendo la vita di Roma nella vita di quello esercito, gli pareva da salvarlo in ogni modo; e che la patria è ben difesa in qualunque modo la si difende, o con ignominia o con gloria perché, salvandosi quello esercito, Roma 1.

:

era a

tempo

a cancellare l’ignominia;

riosamente morisse, era perduta tato

il

si

salvando, ancora che

e la libertà sua.

E

^

glo-

cosi fu segui-

suo consiglio.

La qual

2.

non

Roma

cittadino

si

cosa merita d’esser notata ed osservata da qualunque

trova a consigliare la patria sua:

non

perché dove

si

dilibera

debbe cadere alcuna considerazione né di giusto né di ingiusto, né di pietoso né di crudele, né di laudabile né di ignominioso; anzi, posposto ogni altro rispetto, seguire al tutto quel partito che le salvi la vita, e mantengale la libertà. [...] al tutto ^ della salute della patria,

15. le...

piu:

ic

repubbliche

impiegano

più tempo. 16. perche... basta:

perché devono venire

della

repubblica,

e

in

tal

caso

modo

un

anche variando il p>roprio di procedere e adeguandolo ai tempi,

individuo,

solo

non basta a salvare Disc.,

Ili,

1.

dai

Sanniti:

Allude all’episodio delle

Forche Caudine.

circostanze che sconvolgano tutto l’ordina-

mento

vi

41.

la

repubblica stessa.

2. che... patria: che gli sembrava che si dovesse accettare qualunque partito pur di salvare la patria (anche quindi il disonore

di

essere

mandati sotto

3.

ancora che: anche

4.

al tutto:

il

giogo).

se.

assolutamente. Quando, cioè, radicali dinanz:

occorre prendere decisioni a un pericolo estremo.

2Ó2

Antologia della letteratura italiana

L’« Arte della guerra

UArte

della guerra^

»

composta

fra

*19 c

il

il

c pubblicata con vivo

*20,

il Maimmagina tenuto nel ’i6, negli Orti Oricellari (il luogo dove si radunava, intorno a Cosimino Rucellai, un gruppo di giovani aristocratici fiorentini, esprimendo una silenziosa protesta contro la restaurata domina-

un

successo nel *21, è

trattato in sette libri in

forma

di dialogo, che

chiavelli

zione medicea), in occasione del passaggio da Firenze d’un celebre capitano, Fabrizio Colonna (che diviene qui

il

portavoce delle idee machiavelliane),

reduce dalle guerre di Lombardia.

Tema

armata veramente sicura ed

forza

perché «

del dialogo è la perniciosità delle milizie mercenarie e la neces-

dell’educazione militare del popolo,

sità

mina

domina

la

forza

».

L’opera, dunque,



che

efficiente;

lo stato

cosa,

nei rapporti fra gli stati e ci

possa contare su una

questa, il

fondamentale,

debole, di necessità,

riconduce a un motivo centrale dell’appassio-

nata meditazione del Principe e dei Discorsi: l’angoscia e l’onta per

repentino degli cui

unisce

si

stati

italiani, e

per

il

sentirsi

il

crollo

preda inerme dello straniero,

speranza, sempre ricorrente, d’una resurrezione dell’antica

la

« virtù » italica.

Delle

.altre

opere, VArte della guerra riflette anche

i

limiti

ideologici,

a cominciare dalla visione delle cause della decadenza italiana troppo pre-

valentemente vista sotto

il

profilo militare,

con un’indagine inadeguata dei

suoi complessi motivi politici, economici e sociali.

Anche

qui sviluppatissimo, deU’ordinamento militare, della

sul

tattica,

piano tecnico, dello

schiera-

mento, della strategia, è facile muovere appunti al Machiavelli, pur avvertendo che egli ha giustamente riconosciuta l’importanza delle fanterie e della logoratrice ma annientatrice. È anacronistico il suo ordinamenti militari dei Romani (senza contare che egli ignora le successive modificazioni di essi nel tempo), e, in fondo, anche il mancato riconoscimento del fatto che le milizie mercenarie rap-

nuova

strategia

non più

prendere a modello

gli

presentarono, nel Cinquecento,

un mezzo

di rafforzamento del potere sta-

monarchie dalla soggezione militare ai grandi feudatari. Ma è anche vero che il Machiavelli ha davanti agli occhi l’esempio delle Compagnie di ventura italiane, ben diverse dagli eserciti professionistici tale,

liberando

le

d’oltralpe, pagati dallo stato, legati alla sua vita e inquadrati e spesso co-

mandati

dall’aristocrazia

guerriera fedele al re.

suo ideale di una milizia popolare è limitato dalla sua stessa concezione politica generale, d’uno stato, cioè, di cui i cittadini restano pur sempre sudditi, senza mai identificarsi totalmente con esso; donde D’altra parte,

il

soluzioni discutibili del reclutamento delle fanterie nel contado, fra le persone più timorate, e per questo incapaci di disubbidire all’ordine del governo, ma, per temperamento, poco portate alla vita militare, e di quello le

della cavalleria fra

cupa del

fatto

che

fazioni, e quindi

i

Il Machiavelli, insomma, si preocpossa diventare specchio delle attuali lotte di di perturbazione dell’ordine esistente, e per questo

cittadini, e così via. l’esercito

mezzo

Niccolò Machiavelli

vorrebbe far



che

263

le

singole classi che lo

compongono

esercitassero

un

re-

ciproco controllo.

Tutto questo è ovviamente

la

negazione del vero cittadino soldato

e del-

Tideale della nazione armata, e rende utopistica la soluzione del Machiavelli. Resta tuttavia al Nostro il merito di avere intuito la rigorosa interdipendenza fra il problema politico e quello militare, di avere compreso che una milizia efficiente può nascere soltanto dai « buoni ordini », da un regolato vivere civile. Questo è evidente nelle pagine che presentiamo, tratte

dalla conclusione dell’opera.

Esortazione ai Principi d’Italia

Ma

agli Italiani, i quali per non avere avuti i loro prinnon hanno preso alcuno ordine buono, e per non avere avuto quella necessità che hanno avuta gli Spagnuoli, non gli hanno per loro medesimi presi; tale che rimangono il vituperio del mondo.^ Ma i popoli non ne hanno colpa, ma si bene i principi^ loro; i quali ne sono. stati gastigati, e della ignoranza loro ne hanno portate giuste pene, perdendo

torniamo

cipi savi,

ignominiosamente lo

stato, e

vedere se questo che io dico è

sanza alcuno esemplo virtuoso.^ Volete voi vero.'^

Considerate quante guerre sono

state

Carlo ^ ad oggi; e solendo le guerre fare uomini bellicosi e reputati, queste quanto più sono state grandi e fiere, tanto più hanno fatto perdere di reputazione alle membra ed a’ capi suoi.® Questo conviene che nasca che gli ordini® consueti non erano e non in Italia dalla passata del re

sono buoni, e degli ordini nuovi non



pigliarne. se

crediate

non per quella

1.

torniamo:

Il

mai che

via che io

M. ha

ho

finora parlato del-

istituzioni militari di altri popoli antichi

e

moderni, fra

quali gli

Spagnoli e

non

avendo avuto

la necessità che hanno avuto Spagnuoli (la lotta nazionale contro i Musulmani, che sviluppò uno spirito militare spontaneo nelle popolazioni), non hanno sviluppato in se, anche indipendentemente dal-

gli

l’opera dei Principi, 2.

Ma...

i

dei Prìncipi, in teria » alla

il

principi:

valore militare.

La

responsabilità

«

italiane,

le

virtuoso:

3. sanza...

accora

M.

il

» dell’ordinato vivere concezioni generali del

forma

secondo è

ci-

M.

Ciò che soprattutto

crollo totale e ignominioso,

il

avvenuto quasi senza combattere, degli

stati

italiani.

4. dalla...

lo

Carlo:

dalla

Vili (1494). 5. c solendo: e meli tre

ecc.

suoi: 6.

reputazione: popoli

ai

che

tuzioni

:

le

autorità,

c- ai

venuta di Carguerre sogliono, prestigio,

alle...

Principi d’Italia.

dal fatto che. gli ordini : le istidel combatle tecniche

militari,

c la strategia. dimostra: nel modo che ho dimostrato, colla fondazione, cioè, di un

tere

è

quanto il popolo è la « maessi dovrebbero saper im-

quale

porre la vile,

gli

buono; non hanno assunto un buon ordinamento militare, c quindi una tecnica di combattimento efficiente, per virtù dei lóro Principi, che non hanno voSvizzeri, non...

luto istituire milizie cittadine, e... presi:

arme

alle

dimostra,’ c mediante coloro che tengono

le

i

è alcuno che abbia saputo

ci

renda reputazione

si

7. per...

esercito nazionale.

Antologia della letteratura italiana

264

forma si può imprimere negli uomini non ne’ maligni, male custoditi e forestieri.* mai alcuno buono scultore, che creda fare una bella

grossi in Italia, perché questa

stati

semplici, rozzi e propri,



troverrà

si

marmo male

statua d’uno pezzo di

Credevano

ma

abbozzato,

prima

nostri principi italiani,

i

bene d’uno rozzo.^

si

ch’egli assaggiassero

pensare una acuta risposta,

scrittoi

una

scrivere

bella

strare ne’ detti e nelle parole arguzia e prontezza,

fraude, ornarsi di

gemme

splendore che

altri,

gli

della milizia per grazia,^^ disprezzare,

alcuna lodevole si

via, volere

accorgevano

qualunque

novantaquattro

i

grandi spaventi,

dare

si

preparavano ad essere preda di

le

poi nel mille quattrocento

subite fughe, e

che erano in

miracolose per-

le

sono

Italia,

stati

medesimo non considerano che quelli che^ anticamente volevano tenere

me

facevano e facevano fare tutte quelle cose che da loro studio era preparare

il

Onde

temere

i

uomini

e principi eccellenti,

pericoli.

armati a

piè, e se

pur

il

corpo

erano

i

primi intra

si

8.

perche...

rito e la

forestieri:

si

volevano perdere

lo stato, e’

e

rozzi,

{propri

spi-

nuova tecnica militare possono

sere ispirati soprattutto agli ci

=

ma

del

proprio

a gente malvagia,

es-

uomini, sempli-

campagne

delle

incorrotti,

stato),

che

piuttosto

indisciplinata

e

forestie-

alle capacità,

questa

stanze

segreterìe,

dissolutezza,

fremente

il

apostrofe,

M.

o in

governare, in primo luogo delle

a

contado fra i quali arruolare le fanterie. 9. ma... rozzo: ma piuttosto ne uscirà uno ancor greggio. alla

la vita;

in loro,

e di cultura), a scapito delle qualità più ne-

cessarie

capacità militari.

10. scrittoi:

se

natezza eccessiva dei Principi italiani, l’importanza data da loro agli aspetti esteriori della civiltà rinascimentale (un tenor di vita eletto ed elegante, la finezza di spirito

come le truppe mercenarie. Per questo il M. pensa che il nuovo esercito potrebbe essere formato da un prìncipe che abbia uno stato grande, con molti abitanti nel

ra,

Oltre

E

quegli

andavano

danni alcuna mollizie, o alcuna cosa che faccia

rinnovato

Il

tutti

troppa ambizione di regnare, mai non

poteva dannare

troverà che in loro

si

animo a non

combattitori,

i

lo stato,

sono ragionate,

disagi e lo

a’

talmente che vivevano e morivano virtuosamente. parte di loro

si

nasceva che Cesare, Alessandro e

perdevano

e’

piu

quello che è peggio, è che quelli che ci errore, e vivono nel medesimo disordine,

restano stanno nel

e che

gradi

i

Ma

volte saccheggiati e guasti.

e

nell’ozio,

parole loro fossero responsi di oracoli;

le

e COSI tre potentissimi stati

dite;

governarsi co’

intorno,^^

alcuno avesse loro dimostro

se

Di qui nacquero

assaltava.

gli

che

meschini che

i

mouna

lettera,

sapere tessere

dormire e mangiare con maggiore

e d’oro,

tenere assai lascivie

avaramente e superbamente, marcirsi

sudditi



colpi

i

oltremontane guerre, che ad uno principe bastasse sapere negli

delle

studio.

di

colpisce,

anche

la

in

raffi-

intorno:

11. tenere...

sorta 12.

di

per grazia: non in relazione

13. tre... 14. e...

d’ogni

circondarsi

raffinatezze.

ma

ai

meriti e

usando favoritismi.

Milano, Venezia, Napoli. Erano, cioè, disposti a non

stati:

vita:

sopravvivere alla rovina del loro stato. 15. si... dannare: si poteva riprovare

condannare

(allude

soprattutto

a

e

Cesare).

Niccolò Machiavelli

uomini

gli

265

ed imbelli. Le quali cose, se da questi principi

delicati

non mutassero forma

fussero lette e credute, sarebbe impossibile che loro

non mutassero

di vivere, e le provincie loro

E

fortuna...

io vi affermo,

che qualunque di quelli, che tengono oggi stati in Italia, prima entrerà per questa via, fia, prima che alcuno altro, signore di questa provincia; e interverrà allo stato suo

come

al

regno de’ Macedoni,

imparato

sotto a Filippo, che aveva

modo

il

venendo

quale,

il

dell’ordinare gli eserciti

da Epaminonda tebano, diventò, con questo ordine e con questi esermentre che l’altra Grecia stava in ozio ed attendeva a recitare commedie,^" tanto potente, che potette in pochi anni tutta occuparla, ed al figliuolo lasciare tale fondamento, che potèo farsi principe di tutto il

cizi,

mondo. Colui adunque che dispregia dispregia

il

della natura. La quale o ella

dolgo

questi pensieri, s’egli è principe,

principato suo; s’egli è cittadino, la sua

mi doveva dare

questo, o ella

non mi dovea

Ed

città.

mi

io

fare conoscitore di



facoltà a poterlo eseguire.

penso oggi-

mai, essendo vecchio, potere averne alcuna occasione; e per questo io ne

sono stato con voi

quando

liberale,^® che,

le cose dette

da

me

essendo giovani e qualificati, potrete,

vi piacciano, ai debiti

Di che non

vostri principi, aiutarle e consigliarle.

perché questa provincia pare nata per risuscitare

diffidiate,

come

morte,

Ma, quanto

E

si

a

visto

è

me

veramente, se

stato

tempi, in favore dei

voglio vi sbigottiate o

poesia,

della

pittura e

me

le

cose

scultura.^

della

aspetta, per essere in là cogli anni,

si

la

della

ne

diffido.^^

fortuna mi avesse conceduto per lo addietro tanto

quanto basta a una simile impresa, io crederei in brevissimo tempo al mondo, quanto gli antichi vagliano; e senza dubbio

avere dimostro

io Farei accresciuto

con gloria o perduto senza vergogna.

16. fia... provincia: diventerà signore, pri-

ma

d’ogni altro, di tutta

17. a...

commedie: C’è ancora

zo per una e a

stica,

il

disprez-

civiltà volta allo sfarzo esteriore

una cultura

letteraria

puramente edoni-

incapace di trarre dagli antichi l’incie « virtuoso ».

tamento ail’operare energico Il

Filippo di cui parla è Filippo

II,

padre

Alessandro Magno. 18. E... dolgo: Qui, secondo la finzione del dialogo, parla Fabrizio Colonna; in di

rraltà,

parla

il

M-

stesso.

dato liberalgiovani che l’ascoltano: Battista della Palla, Luigi Alaha,

liberale:

19. io...

cioè,

mente questi insegnamenti

l’Italia.

ai

manni, Zanobi Buondelmonti

e

Cosimo Ru-

cellai.

20. Cfr.

dove

me

il

nelle arti la pia

proemio

al I libro dei Discorsi,

c’è la stessa speranza: che l’Italia, coha saputo far rifiorire nelle lettere e

emulare

21. me...

grande la

diffido:

cuna speranza.

civiltà classica, cosi sap-

Romani. non posso nutrire

gloria dei

al-

266

Antologia della letteratura italiana

Le

« Istorie

La

fiorentine »

continuamente presente nelle pagine del Principe e dei Disuoi quadri e le sue figure, presentati dall’autore con intenso vigore drammatico, Tesempio e il fondamento d’ogni teoria politica. storia è

scorsi e offre

coi

Alla storia in se e per il

lui

Machiavelli

ogni

si

speranza

Nacquero

cosi

come organico racconto di vicende passate, quando ormai del tutto inaridita era in

se,

rivolse piu tardi,

d’azione

e

di

una breve operetta,

trasformazione

della

realtà

esistente.

Vita di Castruccio Castracani (1520) e le Istorie fiorentine^ scritte, a partire dal 1520, per incarico ufficiale assegnatogli dai Medici, e completate e presentate solennemente al papa Clemente la

VII nel 1525. L’opera comprende otto libri: il primo è una sorta d’introduzione generale, che tratta non solo gli avvenimenti fiorentini, ma anche quelli italiani, dal Medioevo al 1434, successivi l’interesse si sposta decisamente sulla storia di Firenze fino alla morte di Lorenzo de’ Medici (1492). Le Istorie nacquero con un vizio d’origlpc: quello di essere una storia ufficiale, commissionata dalla famiglia che deteneva saldamente il potere, mentre, per il Machiavelli, i tempi peggiori per Firenze erano stati proprio quelli

del

lento

instaurarsi

della

signoria

medicea, che aveva fiaccato lo ‘

sostanzialmente sano e vigoroso della primitiva libertà fiorentina. Tuttavia neppure qui egli rinunciò ad esprimere il suo pensiero, sia pure spirito

con limitazioni e cautele, mettendolo in bocca

agli oppositori dei Medici,

dato

che, secondo l’uso dei classici latini, inseriva nella narrazione degli eventi gli

immaginari

La

discorsi pronunciati dai protagonisti.

storiografia del Machiavelli

confronti di quella passata.

È

ha un carattere decisamente originale nei

lontana sia dall’andamento cronachistico di

quella medioevalc e dalla sua concezione provvidenzialistica, sia dalla funzione celebrativa, esornativa e squisitamente letteraria di quella umanistica.

Anche se il Nostro non approfondisce l’esame critico delle fonti c delle tes^ monianze e limita il suo interesse solo ai grandi fatti politici e militari, ha tuttavia le qualità fondamentali dello storico, « lo sguardo ampio e il dono di riconoscere i grandi nessi storici, e di inquadrare fatti singoli in uno sviluppo generale » (Fueter). A lui interessa penetrare e comprendere la

logica concatenazione

degli eventi,

scrutare

nel cuore dell’uomo,

protagonista della storia, anche se spesso soccombente

nell’urto

vero

dramma-

tico contro la fortuna.

Soprattutto, però, ritrova nelle vicende della storia la continua conferma

e testimonianza di quelle leggi universali su cui ha fondato la sua scienza

È questo un limite, matismo ncU’intcrpretazione

politica.

se

di

vogliamo, perché fatti

lo

e personaggi,

porta a

un

certo sche-

a ridurre certe figure,

come, ad esempio, quella di Teodorico, nelle linee del principe da lui vaghegE tuttavia qui è anche la forza dell’opera, il suo calore, il suo intimo potere di persuasione. Nei momenti di maggior passione ideologica ritroviamo, in questo libro scritto in uno stile più classicheggiante e compassato, il grande scrittore del Principe, il poeta che sa raffigurare drammaticamente giato.

uomini e

fatti.

,

Niccolò Machiavelli

Ne

267

un chiaro esempio il passo che riportiamo. Siamo al tempo del un popolano pronuncia un discorso vigoroso, spietato, compagni a continuare fino in fondo la loro rivolta. Questo perincitando sonaggio non è mai esistito, questo discorso non è mai stato pronunciato: è

tumulto dei Ciompi

:

i

eppure tutto è qui vero, vivo, l’angoscia e la disperata

dramma

Il

attuale. Il Machiavelli interpreta

brama

eterno della violenza che presiede

i

mirabilmente

una plebe oppressa,

di rivolta di

rivive

il

rapporti fra gli uomini.

tumulto dei Ciompi: discorso d’un rivoltoso Gli uomini plebei adunque, cosi quegli sottoposti

come

aggiugnendosi nero

per

alle altre,^ la

le

cagioni dette

paura per

trovavano.®

si

maggiore esperienza, per inanimire

e di

tenza

« Se

:

al

quale

ruberie fatte da loro,^ conven-

le arsioni e

di notte piu volte insieme discorrendo

*

l’uno all’altro ne’ pericoli

all’arte della lana

erano pieni di sdegno;

^

i

casi seguiti, e

Dove alcuno

mostrando

de’ piu arditi

parlò in questa sen-

gli altri

noi avessimo a deliberare ora se

®

avessero a pigliare

si

l’armi, ardere e rubare le case de’ cittadini, spogliare le chiese, io sarei

uno

di quelli che lo giudicherei partito

e forse approverei

Ciompi temevano, quietate e compomaggiori differenze (discordie), di essere puniti dei falli commessi da loro, e, come gli accade sempre, di essere abbandonati da coloro che al mal fare gli avevano Ora

Fior., Ili, 13.

Ist.

da pensarlo,®

i

ste le

1.

Gli uomini... altre: Erano la plebe co-

stituita dai lavoratori

manuali piu umili, che

non avevano avuto

il

istituire un:,

privilegio

o Arte,

ma

erano

sottoposti, a

una

delle Arti

tiva

sindacali, strato

dai

stati

Quando nascevano,

nori.

di

potere

propria organizzazione corporaassegnati,

anzi

maggiori o mivertenze

quindi,

venivano rappresentati dal Magia cui erano soggetti, cioè

dell’Arte

loro

stessi

padroni,

dai

quali,

dice

il

istigati (osserva,

impietosa il

ma

in queste parole,

la

logica

rigorosa e realistica del M.,

suo costante bisogno di cogliere il sapore, il significato attuale e perenne della

cioè

storia).

A

questa esigenza di difesa

si

ag-

giungeva l’odio contro i cittadini ricchi che li opprimevano. Di qui nacque il tentativo

M., non pareva loro fusse fatta quella giustizia che giudicavano si convenisse come è fin troppo naturale. Fra costoro, il maggior numero era costituito dai ciompi o cardatori, sottoposti all’Arte della lana, la maggiore industria fiorentina del tempo. I Ciompi capeggiarono il tumulto del 1378 che da loro

cui

prese il nome, tentando di risollevare le loro misere condizioni di vita, ma furono sconfitti dalla borghesia coalizzata. per le cagioni 2. per le cagioni dette:

quale se^c l’uso degli storici latini, tornato in onore nella storiografia umanistica e rinascimentale, di inframezzare alla nar-

esposte nel capitolo precedente (cfr. nota 3.

la

i).

paura... loro: vi erano stati in Firen-

dei

Ciompi

di fare la loro rivoluzione.

convennero: si radunarono. 5. mostrando... trovavano: ragionando sieme in quale pericolo si trovavano. uno. 6. alcuno 4.

in-

:

7.

parlò... sentenza:

senso

scorso

era

non

razione dei cità,

questo.

è del

fatti,

tenne un discorso

Naturalmente

popolano,

ma

del

il

M.

il

diil

per darle maggiore viva-

discorsi che lo storico

immaginava

te-

ze dei

nuti dai protagonisti.

usata dalla borghesia

8. che... pensarlo: che la giudicherebbero decisione da soppesare (pensare), meditare a lungo.

moti, capeggiati dalle Arti, contro le famiglie nobiliari coalizzate nel partito Guelfo, durante i quali la plebe era stata

come truppa

d’assalto.

268

Antologia della letteratura italiana

che fosse da preporre® una quieta povertà a uno pericoloso guadagno.'® perché Tarmi sono prese, e molti mali sono fatti, e* mi pare che

Ma

come quelle non si abbiano a lasciare, e come de* possiamo assicurare." Io credo certamente, che quando non c’insegnasse, che la 'necessità c’insegni. Voi vedete tutta que-

abbia a ragionare

si

mali commessi altri

sta

ci

piena di rammarichi e di odio contro di noi;

città

i

cittadini

si

sempre con i magistrati.'^ Crediate che si ordiscono lacci per noi,'® e nuove forze contra le teste nostre si apparecchiano. Noi dobbiamo pertanto cercare due cose, e avere nelle diliberazioni nostre due fini: l’uno di non potere essere delle cose, fatte da noi ne’ prossimi giorni, gastigati; l’altro di potere con piu liristringono,'^ la Signoria è

bertà e piu sodisfazione nostra, che per

me

pertanto, secondo che a

passato, vivere. Convienci

il

pare, a voler che

errori vecchi, farne de’ nuovi,

raddoppiando

i

siano perdonati gli

ci

mali, e Tarsioni e ru-

ed ingegnarsi a questo avere dimoiti compagni. Perché dove molti errano,'® niuno si gastiga: ed i falli piccoli si puniscono, i grandi e i gravi si premiano; e quando molti patiscono,

berie moltiplicando,

pochi cercano di vendicarsi; perché Tingiurie universali con piu pazienza che mali

ci

particolari

le

si

sopportano.

adunque

moltiplicare

Il

farà piu facilmente trovar perdono, e

ci

quelle cose, che per la libertà nostra d’avere desideriamo.

noi

andiamo

un

a

pedire sono

disuniti



proverano;



e

ricchi;

la

disunione loro pertanto

quando

tutti gli

13. la Signoria... magistrati:

per

le

violenze

commes-

mi

provvedimenti gue un periodo composto ma tutte calate nel vivo pensiero che si fa azione,

al

caratterizzato dall’impeto

tempo

stesso

passiona-

da un lucido rigore

12. si ristringono:

e

si

coalizzano.

ne’ prossinli... gastigati: in questi ul-

15.

timi giorni, puniti. '

Perché dove molti errano,

energica fatti

e

si

radunano

e

drammatica

dei

ecc.

:

Alla

presentazione

dei

da prendersi, sedi sole massime, della

situazione:

con una sorta

di

violenza lùcida e tragica. 17. a un certo acquisto: a una conquista sicura,

logico.

capi supre-

con gli altri magistrati per stabilire i provvedimenti da prendersi contro di noi. 14. Crediate... noi: siate pure convinti che si ordiscono inganni per avere ragione di

pagine più intense del Principe. Nel discorso del popolano sono molte massime che starebbero bene in quell’opera; c’è soprattutto, di essa, lo stile acuminato, tadelle

i

riuniti

noi.

e

la

man-

del potere esecutivo sono continuamente

Fin dalle prime, vibranti battute, il discorso delinca un’atmosfera drammatica, uno stato di necessità che costringe l’uomo a una disperata energia per sopravvivere t z entrare, necessitato, nel male. È l’ atmosfera se

le

darà

del sangue ch’ei ci rim16. uomini avendo avuto un medesimo prin-

da preporre: da preferire. pericoloso guadagno: la riuscita delrimprcsa è assai incerta e piena di pericoli. 11. come... assicurare: suU’opportunità di non deporre le armi e sul modo di assicu-

gliente,

ci

sbigottisca quella antichità

vi

perché

10.

l’impunità

parmi che

sieno diventate nostre, ce la

9.

rarci

E

certo acquisto,'^ perché quelli che ci potrebbero im-

vittoria, e le loro ricchezze,

terranno.

ne’

darà la via ad aver

a un’indubbia vittoria.

rimproverano: quella nobilrimproverano a noi la mancanza;

18. quella...

a consiglio tà

di cui

Niccolò Machiavelli

269

sono ugualmente antichi, e dalla natura sono

cipio

modo.

un

a

fatti

ed eglino delle nostre, noi senza dubbio nobili, ed eglino ignola povertà e le ricchezze ci disagguagliano.^*

vesti loro

parranno; perché solo

bili

Duoimi bene* che conscienza è

egli

se

stati

Spogliateci tutti ignudi, voi ci vederete simili; rivestite noi delle

come molti

sento

io

pentono, e dalle nuove

si

non

voi

vero,

siete

quelli

voi delle cose fatte

di

vogliono astenere.

si

uomini che

E

per

certamente,

credeva che voi

io

perché né conscienza né infamia vi debbe sbigottire; * perché co-

foste,

qualunque modo vincano, mai non ne riportano non dobbiamo tener conto; perché noi, la paura della fame e delle carceri, non può

loro che vincono,, in

vergogna.*

E

della conscienza noi

dove è, come è in né debbe quella dell’inferno capere.^ Ma se voi noterete il modo del procedere degli uomini, vedrete tutti quelli, che a ricchezze grandi ed a gran potenza pervengono, o con frode o con forze esservi pervenuti :

e quelle cose dipoi, che eglino

hanno o con inganno o con violenza

usurpate, per celare la bruttezza dell’acquisto, quello sotto falso titolo

guadagno adonestano.*

di

E

quelli

quali o per poca prudenza o per

i

troppa sciocchezza fuggono questi modi, nella servitù sempre e nella povertà affogano; perché i fedeli servi sempre sono servi, e gli uomini buoni sempre sono poveri; * né mai escono di servitù se non gl’infe-

ed audaci c di povertà se non

deli

fatto,

il

noi

cioè,

stessi

che

considerare perché siamo

facciano

ci

inferiori

loro

a

plebe. 19. perche...

disagguagliano: L’affermazio-

ha una potente carica rivoluzionaria; sembra di udire un agitatore politico di tempi ben piu recenti. Del resto, in altre pagine del M. si avverte questa sua posizione estremamente polemica contro la nobiltà feudale, che è naturalmente nemica, a suo avviso, di ogni ordinato vivere civile, in quanto fonda la ne,

recisa e perentoria,

sua

esistenza

sul

privilegio

e

sull’oppres-

rendono diversi. Di questo veramente

sione. ci disagguagliano: ci

20.

Duoimi bene:

mi dolgo

per conscienza:

21.

tere

ecc.

per rimorso di carat-

puramente moralistico. sbigottire;

sbigottire

tente, di intenso colorito tragico.

ve questo discorso,

penetra

psicologia di sofferenza,

disperazione

a

Il

M.

vi-

fondo nella

miseria, ribelliont.

ma

tico,

popolo:

quel

di

perché Dio

:

dclLanimo umano

fondono

indissolubilmente.

quelle

secoli,

e

A

hanno

parole

rivoluzionaria

carica

qui

l’indagatore

soprattutto

realistico

sociale,

poli-

il

acuto

l’artista,

distanza

e si

di

un’immutata che però non

trova riscontro nella linea del pensiero politico

ma

del

M.

resta

:

una

non

capere:

si

svolge in una teoria,

potente

gica, di moralista,

non

intuizione

psicolo-

non può...

di politico,

non può né deve aver luogo. quando

25. c quelle... adonestano:

si

so-

no impadroniti della ricchezza o del potere mediante la violenza o la frode chiamano la

loro conquista violenu,

c

abbellirla

essa «

non dovete lada scrupoli di carattere morale, né dal timore di attirare su di voi un giudizio infamante. 23. perché... vergogna; la massima sembra tratta delle pagine del Principe. Altra affermazione po24. E... capere; 22. perche...

sciarvi

rapaci e fraudolenti

i

ogni

guadagno

{adonestano),

infamia,

per legittimarla

per

togliere

da

nome

di

coll’indebito

».

i servi che si mantenrimangono sempre servi, gli uomini buoni sono sempre poveri. Affermazioni come queste non erano rigorosamente ne-

26.

gono

i

fedeli... poveri:

fedeli

cessarie per chiarire la vicenda.

Vi sentiamo

la qualcosa di intimamente autobiografico sofferenza morale del M. di fronte alla dura ;

e implacabile legge del vivere, un sentimento tragico della realtà effettuale, che discorda dalle aspirazioni intime del suo animo, an

Antologia della letteratura italiana

270

ha poste

c la natura

tutte le fortune degli

uomini loro

in

mezzo, ^ le buone

quali piu alle rapine che all’industria, “ ed alle cattive che alle arti

e

sono esposte. Di qui nasce che

vanne sempre

quando

forza offerta

gli

uomini mangiano l’uno la

i

cittadini

magistrati sbigottiti; talmente che

i

disuniti,

la

possono, avanti

si

uniscano, e fermino l’animo,^^ facilmente opprimere.

si

rimarremo al tutto che non solamente gli noi

la

quale non può a noi essere

fortuna maggiore,^ sendo ancora

dalla

l’altro,

peggio chi può rneno.^ Debbesi adunque usare

n’è data occasione;

ce

Signoria dubbia,

che

col

Donde o

avremo tanta parte,^ perdonati, ma avremo

principi della città, o ne errori

passati

ci

sieno

nuove ingiurie minacciare. Io confesso questo partito essere audace e pericoloso; ma dove la necessità strigne, è l’audacia giudicata prudenza, e del pericolo nelle cose grandi gli uomini animosi non tennono mai conto. Perché sempre quelle imprese, che con pericolo si cominciano, si finiscono con premio e di un pericolo mai si uscì senza pericolo ancora che io creda, dove si vegga apparecchiare le carceri, i tormenti e le morti, che sia da temere piu lo starsi che’ cercare d’assicurarsene; ^ perché nel primo i mali sono certi, e nell’altro dubbi. Quante volte ho io udito dolervi dell’avarizia de’ vostri superiori e della ingiustizia de’ vostri magistrati ^ Ora è tempo non autorità di potergli di

:

solamente di liberarsi da

loro,

ma

da diventare in tanto loro superiori,

che eglino abbiano piu a dolersi ed a temere di L’opportunità che dall’occasione ella è fuggita,

si

ci

cerca poi di ripigliarla.

che se egli l’accetta virilmente, con energia e dolente chiaroveggenza, come una necessità implacabile. 27. loro in

loro sta

r

mezzo:

in

mezzo

a loro; e a

afferrarle.

28. che

all’

industria

:

che

all’

operosità

onesta. 29. e vanne...

sempre

la

e chi è piu

debole ha

peggio.

30. la quale...

ne non potrebbe dalla fortuna di

È

meno:

maggiore:

la

quale occasio-

esserci offerta piu propizia

quanto non ce

la offra ora.

richiamo, cosi evidente nel Principe, a sapere cogliere l’occasione che la fortuna il

(che qui è

è pòrta, vola;

che voi di loro.

voi,

ed invano, quando

Voi vedete

le

preparazioni

che a prescindere dalle considerazioni esposte. 34. che... assicurarsene: che sia fonte di piu gravi pericoli lo starsene inerti che il cercare di difendersi, di salvarsi con ogni mezzo; nel primo caso, infatti, i mali che si temono sono certi, nel secondo dubbi (si può, cioè, sperare di evitarli). 35. Quante... magistrati: Quante volte vi ho sentito lamentarvi per 1’ avidità dei vostri datori di lavoro e per l’ingiustizia di quei magistrati che avrebbero dovuto proteggervi e non lo facevano! (cfr. nota i). È r unico, e rapidissimo, accenno ai motivi

concreti della rivolta.

tende cogliere

Ma

il

M.

storico in-

trama ideale dei

insieme delle circostanze) offre, a piegarla con la virtù alle proprie esigenze. Per il M., è meglio fare *e pentirsi che non fare e pentirsi. 31. e fermino l’animo: si rincuorino e

che abbiamo messi prima in rilievo, si può dire che in questo passo l’interesse dell’auto-

prendano provvedimenti decisi. 32. ne avremo... parte: acquisteremo una

re

forza politica cosi grande. 33. ancora che: sebbene; nel senso di: an-

ne contro

l’

la

fatti,

loro significato universale e perenne.

il

Nono-

stante certi acuti spunti psicologici e sociali,

re sia rivolto soprattutto al

umano,

al

dramma

dell’agi-

contrasto fra necessità e virtù.

36. le preparazioni di voi.

:

i

preparativi che fan-

Niccolò Machiavelli

271

vostri avversari. Preoccupiamo i pensieri loro,” e qual di noi ” prima ripiglierà Tarmi, sanza dubbio sarà vincitore con rovina del nemico e con esaltazione sua: donde a molti di noi ne risulterà onore, e sicurtà a tutti ». Queste persuasioni accesero forte i già per loro medesimi riscaldati animi al male;” tanto che diliberarono prendere le armi poiché eglino avessero tirati più compagni alla voglia loro.^ E con giuramento si obbligarono di soccorrersi, quando accadesse che alcuno

de’

di loro fusse dai magistrati oppresso.^^

Le

« Lettere »

L’epistolario del Machiavelli è forse

umano

più vario, colorito,

il

Cinquecento, e artisticamente uno dei più belli. Comprende 74 miliariy dirette agli amici (soprattutto numerose e interessanti

del

lettere fa-

quelle

a

Francesco Vettori e a Francesco Guicciardini), che, unite a quelle dei corrispondenti, costituiscono un dialogo fresco e vivacissimo, illuminato da una limpida intelligenza. Gli argomenti sono svariati: politica, teorica e pratica, sioni.

racconti

scherzi,

Cosi

li

di

all’amico Vettori

:

«

Chi vedesse

desse la diversità di quelle,

ora che noi fossimo petti, nostri

avventure

indica l’autore, in

non

si

uomini

amorose,

una pagina

sfoghi

confes-

crucciosi,

una

briosa, nel corso di

lettera

nostre lettere, onorando compare, e ve-

le

maraviglierebbe

gravi,

volti

tutti

assai,

perché

a cose

potesse cascare alcun pensiero che

gli

parrebbe

grandi, e che

non avesse

nei

in sé onestà

e grandezza. Però di poi, voltando carta, gli parrebbe quelli noi medesimi essere leggieri, lascivi, volti a cose vane.

qualcuno pare

sia

vituperoso, a

me

Questo

modo

di

procedere, se a

par laudabile, perché noi imitiamo

natura che è varia, e chi imita quella non può essere ripreso

la

».

Soprattutto l’ultima proposizione ci dà il tono d’intimità cordiale, di serena accettazione della realtà della vita che è proprio di molte lettere machiavelliane, nelle quali, poi, sentiamo spesso la vis comica e Tumorismo 41.

che ritroviamo nell’autore della novella Belfagor o della Mandragola (sebbene, nella commedia, la comicità sfumi in una lucida, desolata amarezza). Ma anche in questi scherzi avvertiamo la grandezza dello scrittore, il suo gusto per l’espressione pregnante, pittoresca, incisiva, il suo bisogno di concretezza, la sua intelligenza alacre e desta.

37.

Preoccupiamo... loro:

preveniamo

le

loro deliberazioni. 38. qual di noi: chi, fra noi e loro.

male: pronti a ripren-

39. riscaldati... al

dere le violenze e 40. poiché...

i

saccheggi.

loro:

per avere,

tumulto, pid compagni e alleati mostra veramente deciso e si riesce a trarre maggior moltitudine

iniziato

il

(perché

chi

forte,

dalla sua parte). fusse...

una volta

dalla Signoria.

oppresso:

fosse

imprigionato

Antologia della letteratura italiana

2?2

La

lettera al Vettori del

io dicembre 1513

C’è tutto Machiavelli in questa lettera: 1’ uomo, il politico, l’artista, si che può ben costituire la migliore introduzione non solo alla lettura del Principe

essa

composizione del quale dà l’annuncio)

(della

ma

di tutta la sua opera. Eviden-

tissima è qui quell’alacrità di spirito che contraddistingue ogni scritto del Nostro, l’acutezza agile dello sguardo e della parola, la capacità di cogliere se stesso,

uno

immagini pregnanti, limpida di un intelletto aristocratico. Vi sentiamo soprattutto un’energia sempre mobile e pronta dell’anima, un impegno rotale davanti a ogni aspetto, dal più umile al più alto, della vita: quell’osservazione realistica di uomini e cose, che, insieme con la gli

le

altri,

cose

in

in rappresentazioni

scorcio

rapido e vivacissimo, in

in cui al vigore popolaresco è unita la forza

continua meditazione degli antichi, costituisce la linfa vitale del pensiero e della poesia del Machiavelli.

A

preme soffermarci soprattutto su di un’ immagine quella dell’ autore immerso nel suo colloquio con gli antichi, dimentico della povertà, degli affanni, della morte. Nel tessuto conversevole e arguto della lettera, queste parole si stagliano nette, altissime, pervase di una tonalità quasi religiosa, che le rende uno dei documenti più grandi dello spirito e della civiltà rinascinoi

:

nel suo studio,

mentali.

Il

Machiavelli esprime qui

come dialogo cora

ci

la

vera essenza degli studia humanitatis^ intesi

vivo, attuale con gli antichi, con quegli spiriti nobilissimi che an-

parlano dai loro

libri;

un dialogo

nel quale

l’

uomo

acquista consapevo-

lezza piena della sua umanità più autentica.

Magnifico ambasciadorc.^ Tarde non furon mai grazie divine.^ Dico mi pareva aver perduta no, ma smarrita la grazia vostra,^ sendo stato voi assai tempo senza scrivermi; ed ero dubbio donde

questo, perché

potessi

nascere la cagione.

E

di

di quella

mi venivono

che

quelle

tutte

mente tenevo poco conto, salvo che

quando

nella

io dubitavo

non

da scrivermi, perché vi fussi suto scritto che io non buono massaio delle vostre lettere; ^ et io sapevo che, da Filippo e

vi avessi ritirato

fussi

1.

tori

Magnifico ambasciadorc Francesco Vetera ambasciatore fiorentino a Roma, :

presso dici in

il

pontefice.

Dopo

Firenze (1512),

il

ritorno dei

Me-

aveva conserapparentemente re-

la città

qual

portante dorè ».

è

il

«

3. perduta... vostra:

magnifico

temevo

perduto irrevocabilmente,

ambascia-

di avere

ma almeno

non tem-

poraneamente

vato una costituzione pubblicana, ma, nel 1513, era in realtà sotto il dominio di Giuliano de’ Medici, fra-

smarrito il vostro favore e benevolenza. Continua anche in questo periodo il tono di solennità scher-

papa Leone X. Un ambasciatore Roma era quindi superfluo, ma veniva mantenuto per salvare le apparenze.

zosa.

tello

del

la

4. salvo... lettere:

fiorentino a

2.

Tarde... divine:

ricevuto

Il

M.

è lieto di avere

finalmente una lettera dall’amico,

dopo un lungo silenzio; e glielo dice con un tono di solennità scherzosa, adattando liberamente un verso dei Trionfi del Petrarca {Ma tarde non fur mai grazie divine). Il senso è: le grazie divine, in qualunque momento giungano, non giungono mai troppo tardi; come la lettera di una persona im-

vostra

una

sola, fra le cagioni

venivano in mente, gli sembrava di un certo peso: che il Vettori, cioè, possibili

si

fosse

che

gli

trattenuto (ritirato) dallo

scrivergli

perché gli fosse stato (suto = essuto è antico participio del verbo essere) riferito che il M. non era vigile custode e amministratore

(massaio) delle

sue

lettere.

In

esse

il

formulava giudizi sui Medici e sulla situazione politica con una certa libertà; perciò non dovevano capitare in mani indiV’ettori

Niccolò Macchiavelìi

Pagolo in fuora,

273

mio conto non

per

altri

Honne

l’aveva viste.®

riauto

per l’ultima vostra de’ 23 del passato,® dove"^ io resto contentissimo vedere quanto ordinatamente e quietamente voi esercitate cotesto o£fizio publico;

commodi

e io vi conforto a seguire cosi,

*

per

li

è saputo grado.®

pili fatica,

poiché

la

fortuna

sia

mia;

e se voi giudicate

uccellato

ad accozzarli

data

venti di a Firenze.

Ho

infino a qui

di mia mano.^® Levàvomi innanzi di, impaniavo, con un fascio di gabbie addosso, che parevo el Geta ”

oltre

1’

tutti,

tordi

a’

andàvone

non

e poi che seguirno quelli miei ultimi casi,^^

sto in villa;

stato,

scrcte,

sia la vita

a barattarla con la vostra, io sarò contento mutarla.

mi

Io

sono

perché chi lascia e sua

perde e sua, e di quelli non li vuol fare ogni cosa, ella si vuol

posso per tanto, volendovi rendere pari grazie, dirvi in

questa mia lettera altro che qual

che

sol

non le dare briga, e aspettar tempo che qualche cosa agli uomini; e allora starà bene a voi durare vegghiare più le cose, e a me partirmi di villa e dire: ec-

Non

comi.

E

d’altri,

stare quieto e

lasciarla fare, la lasci fare

commodi

atmosfera di sospetto e

11. ella...

diffi-

denza che circondava il nuovo governo. 5. da Filippo... viste; eccettuati Filippo Casavecchia, comune amico, e Paolo Vettori, fratello di Francesco, nessun altro le aveva viste, almeno per opera del M. Honne... passato: Ne ho finalmente 6. ricevuto una quella che mi avete scritto il 23 novembre. 7. dove; leggendo la quale. 8. resto... publico: sono contentissimo di :

e

essa t

eccomi:

si

aspettare che giunga

voi esercitare

starà a

fare,

lasciarla

momento

fare qualcosa anche agli

lasci

allora

deve il

in

cui

uomini

:

vostro uf-

il

ambasciatore con impegno maggiore, meglio sugli eventi, e starà a me

ficio di

e vegliare

venirmene via dalla campagna e dire: - eccomi - cioè offrire di nuovo la mia opera a Firenze. 12.

Il

Vettori ha raccontato al

fosse la sua vita a

Roma;

M. qual

questi, per ricam-

biarlo in modo adeguato, si appresta a raccontargli quella che lui trascorre nel ritiro -

vedere come voi esercitiate la vostra carica di ambasciatore senza darvi troppo da fare. L’allusione è scherzosa: il Vettori, nella sua lettera, aveva descritto il suo ufficio come un vero ozio (cfr. la nota i). 9. e io... grado: io vi esorto a seguitare ad agire cosi, perché chi rinuncia ai propri comodi per far quelli degli altri, perde i propri, e non riscuote alcuna riconoscenza per i servizi resi. Lo scherzo cede decisamente il posto all’amarezza, che erompe, subito dopo, in quell’accusa appassionata alla

connivente con la congiura di Agostino Capponi e Pier Paolo Boscolo contro i Medici, seguirne: accaddero. 15. ad accozzarli tutti; a unirli tutti in-

fortuna.

sieme.

10.

la

La fortuna

fortuna:

stantemente,

negli

come

l’antagonista

agire

dell’

cap.

XXV

del

significato di

del

identifica

con

con

la

il

a

16.

ciato

e

costruttivo

commento

al

ben guardare

stessa sconfitta del

M.

c

condizioni politiche dei tempi, nei quali trionfa chi non dovrebbe. le

tristi

14. quelli... casi: la prigionia e la tortura dal M. perché sospettato di essere

subita

Machiavelli,

Qui ha piuttosto

ma

13.

all’Albergaccio.

presenta co-

sorte contro la quale per

ora è vano combattere; s’

libero

(cfr.

Principe).

mala

del

scritti

individuo

si

San Casciano. Una vita, aggiunge ben più squallida e deprimente. in villa: in campagna, nella sua villa di

esilio

subito,

Ho i

uccellato...

mano: Finora ho

tordi senza aiuto di alcuno.

gnava intridere

le

mazze con

la

cac-

« Biso-

pania, una

sostanza appiccicaticela formata in gran parte di vischio;

bisognava accomodare

le

maz-

ze in modo tale che esse formassero una sorta di gabbie. Poi, col gran carico appiccicoso delle gabbie, portarsi sul luogo della caccia »

(Gianni). 17.

che parevo

cl

Geta: Allude a una no-

E

274

Antologia della letteratura italiana

quando

meno

tornava dal porto con e

c*

dua,

piu

el

E

sei tordi.

Anfitrione;

di

libri

cosi stetti tutto settembre.

pigliavo cl

Di

mia

e quale la vita

cere:

mi

Io

poi questo

mio

badalucco, ancora che dispettoso e strano, è mancato con

dispia-

vi dirò.^®

lievo la mattina con

vommene

sole, e

el

in

un mio bosco ®

che io fo tagliare, dove sto dua ore a rivedere l’opera del giorno pas-

tempo con quegli

sato e a passar

mane o

sciagura alle

fra loro

VI arei a dire mille belle cose

da Panzano spezie

con

e

mandò

o

che hanno sempre qualche

tagliatori,

cq’

circa questo bosco io

vicini.

che mi sono intervenute, e con Prosino

E

Prosino in

e al

pagamento,

che voleano di queste legne.

altri

per certe cataste senza dirmi nulla;



rattenere ^ dieci lire, che dice aveva avere da me quattro anni sono, che mi vinse a cricca in casa Antonio Guicciardini.^ Io co-

mi voleva

minciai a fare

diavolo: volevo accusare

el

per esse,^ per ladro. e

Tandem ^ Giovanni

vetturale, che vi era ito

il

Machiavelli v’entrò di mezzo,

Tommaso

pose d’accordo. Batista Guicciardini, Pilippo Ginori,

ci

Bene e

del

certi

altri

cittadini,

quando

quella

tramontana

soffiava,

ognuno me ne prese una catasta. Io promessi a tutti; e manda’ne una a Tommaso, la quale tornò in Pirenze per metà, perché a rizzarla vi era lui, la moglie, la fante, e figliuoli, che parèno el Gabburra quando el giovedì con quelli suoi garzoni bastona un bue.^ Di modo che, veduto in chi era guadagno,^ ho detto agli altri che io non ho più le-

vella in ottave, Geta e Birria, popolare ai suoi tempi; in una scena di questa, Anfitrione, reduce degli studi compiuti ad Atene, manda lo schiavo Geta, carico di un gran numero di libri, ad annunciare alla moglie il suo arriva imminente. Noterai, proseguendo nella

lettura di toni

mono vita virile

della lettera, un continuo alternarsi comici e autocaricaturali che esprilo sforzo del M. di guardare alla sua



grama,

con saggezza

superiore



con

altri

e serenamente amari e grotte-

schi e altri seri e appassionati.

da cui ricava legna da ardere. 21. qualche... vicini: qualche corso fra loro o coi vicini.

Di poi... dispiacere: Poi, questo passatempo mi è venuto meno, e con mio di-

Prosino...

mandò

il

26.

vetturale che era andato a prenderle.

Tandem:

finalmente.

bue:

27. tornò...

ché tutta

e

ve

lo

nervosa,

squallida,

segue

e qual sia ora la

All’espressione il

intessuta

racconto di

di

mia

scattante

una

occupazioni

vita

banali,

di vuoto e d’angustia, svolto in pagine ener-

giche e incisive. 20. in

un mio bosco:

tasta

in

a

Pirenze,

ri-

catasta per-

famiglia spilorcia rizzò la cache fosse stretta e pigiata e

modo

metà di quel che era. È la batda ogni parte, come il macellaio Gabburra quando uccide i buoi a bastonate, apparisse la

coll’aiuto dei garzoni, ogni giovedì.

un bosco ceduo

Osser-

va anche qu’ l’agile gusto comico-caricaturale del

M.

28. veduto...

tivamente in

la

giunta

una mezza

tevano

simili banalità.

dirò.

numero

25. volevo... esse: volevo accusare di fur-

tano dalle mie abitudini di occupazioni ben piu serie. Lo chiama dispettoso, perché congiunto al rovello di dovere trascor19. e quale... dirò:

particolare.

certo

Guicciardini.

sultò essere soltanto

vita,

un

legna senza avvertirmi. 23. al pagamento... rattcncrc: al momento di pagare mi voleva trattenere. 24. in casa... Guicciardini: in casa di A.

spiacere benché esso fosse strano, cioè lon-

rere la sua vita in

In

nulla:

a prendere

in

d» cataste di

to

18.

E

22.

Prosino

litigio

clienti!).

ci

guadagno: veduto chi guadagnava (non io,

effet-

ma

i

Niccolò Macchiaveìli

gnc; e

275

ne hanno fatto capo grosso, et in spezie Batista, che contra l’altre sciagure di Prato.^

tutti

numera questa

me ne vo a una fonte, e di quivi in un mio un libro sotto,^^ o Dante o Petrarca, o un di questi poeti minori,^ come Tibullo, Ovidio e simili leggo quelle loro amorose passioni, e quelli loro amori; ricordomi de’ mia; godomi un pezzo Partitomi del bosco, io

Ho

uccellare.^

:

in questo pensiero.^^ Transferiscomi poi

dimando

parlo con quelli che passono,

tendo varie cose, e noto

mangio

la

strada,

nuove

nell’osteria

Viene

mia brigata^ mi paululo patrimonio com-

dove con

di quelli cibi che questa povera villa e

porta.^ Mangiato che ho, ritorno nell’osteria

;

de’ paesi loro, in-

varii gusti e diverse fantasie d’uomini.^^

questo mentre l’ora del desinare,

in

in su

delle

:

la

quivi è

per

l’oste,

l’or-

un beccaio, un mugnaio, dua fornaciai. Con questi io m’ingaglioffo ^ per tuttf) di, giuocando a cricca, trecchetrac, e poi dove “ dinario,

nascono mille contese e infiniti dispetti di parole iniuriose; e il piu delle si combatte un quattrino, e siamo sentiti non di manco gri-

volte

dare da San Casciano. Cosi, il

cervello

rinvolto in

tra

traggo

pidocchi,

questi

muffa, e sfogo questa malignità di questa mia

di

sendo contento mi calpesti per questa

per vedere se

via,

la

sorta,

ne ver-

se

gognassi.^®

c tutti... Prato: tutti se ne sono avuti male, soprattutto Battista Guicciardini, che annovera questa fra le altre sciagure di Prato. Era costui podestà di questa città quand’essa, nel 1512, fu saccheggiata con ferocia inaudita delle truppe spagnuole, incaricate di stroncare la resistenza della Repubblica Fiorentina e di ricondurre i Me29.

a

in cui è condensata

boschetto

uccelliera,

da

caccia.

con

la

mia

fa-

mi mangio... comporta: mangio quei che questa mia povera campagna e il mio patrimonio assai modesto mi permettono. 36.

cibi

gica

m’ e

ingaglioffo;

vigorosa,

L’espressione è ener-

una

di

quelle

in

cui

più

amarezza del M. potentemente esplode Vuol dire che diventa un gaglioffo come loro, immergendosi del tutto nella banalità di quei giuochi {cricca è un giuoco di carte, tric-trac, uno di pedine o di dadi), come ’

1

31. sotto:

sotto

il

braccio.

minori: li considera tali ridue nominati prima. Sono poeti

32. un...

spetto

ai

latini.

pensiero: Finalmente la poedona un momento di dolce oblio: la lettura delle amorose passioni descritte da quei poeti gli fa ritornare alla mente le sue, lo immerge in un sereno fantasticare. 34. e noto... uomini: e noto le varie inleggo...

33.

sia gli

doli,

anche quella ap-

miglia.

37.

uccellare:

secolare saggezza,

parentemente piu umile. 35. con la mia brigata:

dici in Firenze.

30.

una

e la realtà viva e presente,

le

diverse

passioni

e

bizzarrie

degli

più degne. dove: e da quei giuochi poi. 39. Cosi... pidocchi, ecc.; Cosi, completamente immerso in queste volgarità e fra questi uomini volgari, impedisco al mio cervello d’ammuffire e lascio che si sfoghi del tutto questo mio destino malvagio, so-

non

se

esistessero occupazioni

38. e poi

mi calpesti cosi, per almeno vergognarAll’amarezza desolata si accompagna

uomini. In queste conversazioni casuali si rivela quel gusto dell’ indagine psicologica proprio del M., intimamente connesso col suo studio delle leggi che regolano l’agire politico. Osserva che egli, come ogni au-

za

tentico

studia. con-

Le ultime parole sono uno

piu

sta,

scienziato

temporaneamente

e

scopritore,

i

libri

(vedi

avanti)

no, anzi, contento che vedere se infine possa sene.

un senso violento di

di ribellione, testimonian-

una energia mai

avvilita

e

scatto di

di sfida contro la fortuna.

spenta. prote-

276

Antologia della letteratura italiana

Venula

sera,^ mi ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio; e mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto,

la

in su l’uscio

c mi metto panni

e curiali;

reali

nelle antique corti delli antiqui



e rivestito

condccentemente, entro

dove, da loro ricevuto amo-

uomini,

revolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio, c che io nacqui

^

non mi vergogno parlare con loro e domandargli E quelli per loro umanità^ mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro.^”^ E, perché Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo avere inteso,^ io ho notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale,^® e composto uno opuscolo De principatibus', “ dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitazioni di questo subietto,®^ disputando che cosa è principato, di quale spezie sono, come e' si acquistono, come e* si mantengono perché e* si perdono. E se vi piacque mai alcuno mio ghiribizzo,^ questo non vi doverrebbe dispiacere; e a un principe, e massime a un principe nuovo,^ doverrebbe per lui,^ dove

io

della ragione delle loro azioni.

,

40. Venuta la sera, ecc.: È il passo piu meritamente famoso della lettera: di là dall’avvilente vita quotidiana, dall’ impeto im-

placabile

nobiltà

fortuna,

della e

attraverso

dignità il

dello

il

M,

riafferma la

spirito.

La

ritrova

colloquio coi classici, con quei

grandi che nelle loro opere hanno espresso l’essenza vera dell’ uomo. Questa pagina è la celebrazione piu elevata degli studi umanistici, che il nostro Rinascimento abbia saputo esprimere. Ed è tanto più bella, in quanto erompe, improvvisa e altissima, con un tono quasi religioso, dopo la descrizione dell’ umiliazione, dell’ ingaglioffarsi. Anche lo stile muta: alla vivacità rapida e incisiva del periodo precedente, succede un periodare dalle volute ampie e solenni, innalzato dai frequenti latinismi, e tuttavia anch’esso appassionato, vivido, intenso. 41.

nel

mio

42.

mi

spoglio...

ste

scrittoio:

nel

cariali:

mio si

forma più eletta indossa vesti degne di una corte. Libera, cioè,

neggiante) e indossate in spirito

vare

la

e lati-

essere il

suo

miserie quotidiane, per ritropropria integra e nobile essenza di

dalle

uomo. 43. entro...

tura della e

uomini: S’immerge nella

stori.!

commentava

Livio),

la

amorevolmente cono parole di

let-

gloriosa del passato (leggeva soprattutto la storia di Tito

E gli antichi lo ricevono nd senso che ancora gli di-

rivive.

vita.

il

tenso.

Il

cibo

è

lo

studio della

politica

e

delle sue leggi.

dove: nelle quali corti. loro umanità: per loro cortesia. 47. tutto... in loro: mi immergo completamente in loro. In quest’ ultima frase culmina il crescendo appassionato delle quattro precedenti: ogni angoscia dell’ esistenza è 45.

46. per

superata dal senso di una vita spirituale tissima, che vince la

non

48.

fa...

morte

inteso:

e

Non

il

al-

destino.

basta compren-

ma

bisogna assimilare, ritenere ciò che si è appreso, se si vuol giungere a una conoscenza vera. Il verso è nel Paradiso

dere,

(V, 42).

studio.

toglie la ve-

quotidiana, piena di fango {loto signifi-

ca la stessa cosa, in

che solum... per lui: che solo è mio quale io nacqui. La frase, nella quale all’espressione latina si mescola un’ improvvisa inversione sintattica di schietto sapore popolaresco, ha un tono energico e in44.

e per

49. io...

quello

che

capitale:

ho

ho annotato, ho

imparato

scritto

conversando

con

loro.

una 50. un opuscolo De principatibus breve opera, il Principe. Il titolo originario era quello latino (= Dei principati). 51. mi profondo... subietto: mi addentro quanto posso nella riflessione su questo argomento, cioè sui problemi dello stato. 52. ghiribizzo: fantasia, invenzione bizzarra. È espressione di modestia. 53. c massime... nuovo: e soprattutto a uno che abbia appena fondato il proprio dominio politico (è il contrario di sovrano :

Niccolò Macchiatjcìli

accetto;

essere

277

però io lo indirizzo

Magnificenzia di Giuliano.®^

alla

Filippo Casavecchia l’ha visto; vi potrà ragguagliare in parte e della cosa in sé e de’ ragionamenti ho auto seco, ancora che tutta volta io l’ingrasso e ripulisco.^

Voi

magnifico ambasciadore, che io

vorresti,

con voi

e venissi a godere®®

quello che

mi

quali

e

Dubiterei che

loro.

mie faccende, che

Quello che mi fa stare dubbio®®

l’arò fatte.

Soderini,®®

tenta ora®^ è certe

questa vita

modo; ma

è,

fra sei settimane

che sono

costi

quelli

venendo costi, visitarli e parlar tornata mia io non credessi scavalcare a casa, forzato,

sarei

io

lasciassi

Io lo farò in ogni

la vostra.

alla

e scavalcassi nel Bargiello;®® perché, ancora che questo stato abbia gran-

dissimi fondamenti e gran securtà, sospettoso;®^ né vi

manca

metterebbono

Bertini,

tamen

è nuovo, e per questo

che, per parere

saccenti,

de’

a scotto, e lascierebbono

altri

el

Pregovi mi solviaté questa paura, e poi verrò infra

come Bagolo

pensiero a me.®^

el

tempo

detto a

trovarvi a ogni modo.®®

mio

Io ho ragionato con Filippo di questo

darlo o non lo dare tassi

o che

io

da Giuliano

ve

e’

sendo ben darlo,

c,

lo mandassi.®*

non

non

fussi,

54.

uno

Medici,

perciò.

figlio

nel

di

Lorenzo

il

abbattuto

la

nuovo. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1516, il Principe fu dedicato a Lorenzo de’ Medici, duca d’ Urbino e nipote di Giuliano. ancora che... ripulisco; sebbene di 55. continuo io lo arricchisca e lo corregga. 56. e venissi voi,

a

a godere,

ecc.

:

cioè venissi

Roma.

polizia.

Non

vorrebbe,

ancora

61.

che...

sospettoso:

sebbene

il

dominio mediceo abbia gran fondamenti e sia ben saldo, è tuttavia (tamen) dominio nuovo e per questo pieno di sospetti. 62. né vi manca... me: La frase ha un tono volutamente oscuro e allusivo. Il significato più probabile è: Non mancano qui degli zelanti, come Paolo Bertini, che per farsi belli agli occhi dei nuovi padroni (per parere) metterebbero qualcuno a pensione

mi

,

trat-

a

me

pensiero di tirarmi fuori dai guai. modo: Liberatemi, vi prego,

il

63. Pregovi...

tiene.

che...

dubbio: che mi fa essere dub-

bioso ed esitante. 59. quelli

Sodcrini:

e io, entro il tempo che ho detto, cioè sci settimane, verrò sicuramente a trovarvi. 64. se... mandassi; se era bene offrirlo o non offrirlo a Giuliano, e, nel primo caso,

da questo timore,

vi

A Roma

Soderini, già gonfaloniere (noi

erano Pier

diremmo

pre-

sidente) della Repubblica Fiorentina e la sua

Erano naturalmente sorvegliatisMedici, i quali non vedevano di buon occhio i contatti fra loro e altri Fiorentini. Il M., che del Sodcrini era stato amico famiglia.

se era

simi

o

c

della

(mi farebbero incarcerare) e lascercbbero poi

57. quello... ora: quello che ora

58.

sba-

essere imprigionato.

cioè,

Magnifico, era

sere considerato principe

con

no a Firenze non vorrei smontare, per

glio, invece che a casa mia, nel palazzo del

comandante

Giuliano: Giuliano de’

1512 in Firenze dopo avere Repubblica, c poteva quindi es-

rientrato

io lo por-

ch’altro, letto, e che questo Ardinghelli

stato solido c forte.

però;

bene che

El non lo dare mi faceva dubitare che

ereditario). L’operrtta è infatti volta a incoraggiore un principe nuovo a costituire in Italia

opuscolo, se gli era bene

se gli era

dai

collaboratore fedele,

non avrebbe potuto

esimersi dall’andarli a visitare, c questo atto avrebbe certo causato molti sospetti.

60. alla tornata... Bargicllo: al

mio

ritor-

bene che

lo

portassi io direttamente

lo inviassi per interposta persona.

può

Suscita

interpretazione di quel ve che significare a voi o costi, a Roma. Forse

difficoltà

la

M. pensava di affidarlo al Vettori, che lo desse a Filippo Ardinghelli, segretario del papa, il quale avrebbe poi deciso se darlo il

o

meno

a Giuliano.

Antologia della letteratura italiana

278

onore di questa ultima mia fatica.®® E1 darlo mi faceva la mi caccia, perché io mi logoro, e lungo tempo non posso

facessi

si

necessità che star COSI

che io non diventi per povertà contennendo,®® appresso

de-

al

Medici mi cominciassino adoperare,

siderio arei che questi signori

dovessino cominciare a farmi voltolare un sasso;

se

perché, se poi io

®^

non me gli guadagnassi, io mi dorrei di me; ®® e per questa cosa,®® quando la fussi letta, si vedrebbe che quindici anni"^® che io sono stato a studio all’arte dello stato,*^^ non gli ho né dormiti né giuncati; e doverrebbe ciascheduno aver caro servirsi di uno che alle spese d’altri fussi pieno di esperienza."^ E della fede mia"” non si doverrebbe dubitare, perché, avendo sempre osservato la fede, io non debbo imparare ora a romperla; e chi è stato fedele e buono quarantatré anni, che io ho, non debbe potere mutare natura; e della fede e bontà mia ne è testimonio

povertà

la

mia."^^

adunque che questa materia"^® vi paia. Et Die IO decembris

mi scrivessi quello che sopra mi raccomando. Sis jelix?^

voi ancora

Desidererei

a voi

/ 5 /J.

Niccolò Machiavelli in Firenze.

65. E 1 non dare... fatica: Mi induceva a non presentarlo il timore che da Giuliano non fosse neppure letto c che l’Ardinghelli si

appropriasse poi del frutto dei miei studi. 66. E 1 darlo... contennendo: mi spingeva

invece

mi

a

presentarlo

costringe, perché io

mi

logoro, consumo,

come sono senza

rimasto

cioè,

bisogno che ormai

il

1’

impiego,

68.

me:

perché...

dagnarmi

cità, la considererei

sione

se

non

significa:

mia

gua-

riuscissi a

loro fiducia con le

la

colpa.

mie capa-

Ma

l’espres-

sono certo che mi guada-

gnerei la loro fiducia. 69. per questa cosa:

allude

Principe.

al

70. quindici anni: Dal 1498 al 1512 il M. fu segretario della seconda cancelleria che

mie povere sostanze e non posso vivere ancora a lungo cosi senza diventare oggetto di spregio' (contennendo) per la mia

trattava le cose della guerra e la politica in-

povertà.

alla politica

le

Oltre

sasso:

appresso...

67.

al

(voltolare

l’espressione

un

sasso).

pittoresca

il

autentica vocazione,

e

Ne

ravigliare

ora

desideri

premeva

fatto

del

egli,

collaborare

servire

nuovi signori, tanto

che

come una

il

lo

cui

stato,

coi la

ci si

deve me-

repubblicano,

Medici; patria,

a

lui

non

dominio accettava

E

73.

fedeltà.

cruccio di dover-

il

sene restare cosi inattivo.

i

sol-

necessità storica ineluttabile.

si

trovava

servizio di altri.

nel-

derio vivissimo di poter ritornare alla vita politica attiva, che il M. sentiva come la sua

e

un’esperienza acquistata mentre a!

desi-

Si sente,

incisiva,

e

mi sono dedicato con zelo ne ho fatto vasta esperienza. 72. che... esperienza: che fosse pieno di

71. sono... stato:

desiderio

che avrei che questi signori Medici cominciassero a darmi un qualche incarico, anche

modesto

terna della Repubblica.

deltà

mia: della mia lealtà e Russo osserva che si tratta di fe-

della fede Il

non

persone,

alle

rispetto per

1’

ma

all’ ufficio,

impegno assunto

e per

i

di

do-

veri che esso comporta. 74. la povertà e disinteresse.

mia:

essa è

prova di onestà

75. sopra questa materia; sul modo migliore di far pervenire a Giuliano il manoscritto del Principe.

76.

Sis felix:

sii

fortunato, felice.

Niccolò Macchiavelli

La

279

17 maggio 1521

lettera al Guicciardini del

Nel 1521 i Medici si erano finalmente decisi a « far voltolare un sasso » al Machiavelli: lo avevano inviato al Capitolo generale dei frati Minori, che si teneva a Carpi, per ottenere che i conventi situati in territorio fiorentino fossero indipendenti dagli prossima quarjesima.

resi

altri della

la

Un

amara per

beffa

come

chi,

Toscana

e per trovare

un bravo predicatore per

incarico ben misero e che aveva quasi « segretario fiorentino »

il

sapore di una

il

era stato a contatto, nelle

sue legazioni, con personalità di ben altra importanza e ben piu delicate mansioni aveva svolto.

va a Carpi, e nota diverse indoli d'uomini e, come continua a sottoporre uomini e cose, anche le piu vaglio acuto della sua intelligenza, al suo vivace e inesauribile spirito

Eppure

il

Machiavelli

mostra in un’ umili, al

altra

lettera,

di osservazione.

Ma della

qui,

crisi

scrivendo all’amico Francesco Guicciardini,

italiana,

abbandona con gusto

sT

d’artista

futuro grande storico

il

rappresentazione della

alla

comicità della sua ambasceria nella repubblica de' Zoccoli, a uno spiritoso capriccio burlesco.

Riportiamo

parte finale della lettera.

la

non posso eseguire

Io sto qui ozioso perché io

...

mia insino che non

mando

fanno

si

modo

in che

generale et

il

commessione

la

dififinitori,^

i

l’aiuto

mi habbia

a riuscire;

Vostra Signoria gioverebbe

di

qua

insin

nome

sotto

vo rigru-

et

potessi mettere infra loro tanto scandolo che

io

non perdo

facessino o qui o in altri luoghi alle zoccolate;^ et se io cervello credo che

*

et

assa-i.

credo che Pertanto

se

il

consiglio et

il

voi

venisse^

andarvi a spasso,® non sarebbe male, o almeno

di

mi dessi qualche colpo da maestro; ® perché se voi ogni di mi manderete un fante apposta per questo conto,’' come voi havete fatto oggi, voi farete piu beni,® l’uno che voi mi alluminerete di qualche cosa a proposito,® l’altro che voi mi farete piu stimare da scrivendo

una

volta

commessione:

la

1.

commissione,

la

1’

in-

insino...

2.

pitolo

fino a che

:

i

il

e

Cadel-

me ruminando a zoccolate.

anticlericalismo,

ma

il

tico abile e sottile

Non al

come

un’allegra

beffa

venisse: veniste.

qualche... maestro: qualche bel colqualche astuzia, meglio qualche burla

si

M.,

gli faceva recapitare le sue allegre let-

tere

da dei

fatto il

6.

po,

che

fra

essi

burlesca.

Cosi

che un poli-

Guicciardini serrivolta

all’

i

amico

bravo e importante, governatore di Reggio e Modena per conto di Leone X. COSI

4.

una

è espressione di



vado

virebbe assai bene a seminar scandalo tra è

col pretesto di fare

migliore di

modo

fantasia

più sotto, Tàllusione

frati,

sotto... spasso:

per spassarsela alle spalle dei frati. per questi consigli 7. per questo conto: che vi chiedo. Il Guicciardini, d’accordo col

suoi assistenti.

seminare fra loro discordia,

prendano

il

Gerterale

vo rignimando... zoccolate:

3.

me

diffinitori

non avrà nominato

l’ordine e

5.

passeggiata.

carico affidatomi.

balestrieri,

come

se

si

trattasse

comunicazioni ufficiali o di istruzioni segrete. Questo accresceva indedi importantissime

finitamente

buoni

frati,

il

prestigio del

con

i

comici

M.

effetti

agli occhi dei

che vengono

descritti più avanti. 8.

più beni: più cose buone in una volta.

9.

mi

alluminerete... proposito:

nerete sul da farsi,

dandomi

mi

illumi-

spassosi consigli.

28o

Antologia della letteratura italiana

veggendo spesseggiare gli avvisi. Et sovvi dire che* venuta di questo balestriere con la lettera et con un inchino infino in terra, et con il dire che era stato mandato apposta et in fretta, ognuquesti di casa,^°

alla

no

rizzò con tante riverenze et tanti romori, che gli andò sottosopra

si

ogni cosa,

et fui

domandato da parecchi

delle

riputazione crescesse, dissi che l’imperadore

che

li

Svizzeri avevano indette nuove diete,

voleva andare ad abboccarsi con quel glieri,

con

et

ne

la

che

Francia

re di

il

che questi suoi consi-

in modo che tutti stavano a bocca aperta mano,^® et mentre che io scrivo ne ho un cerchio

veggendomi

et

donmi per

ispiritato;

penna,

sulla

et

ma

re,^*

perché

et io,

aspettava a Trento, et

sconsigliano;

lo

la berretta in

d’intorno,

fermo

nuove; si

scrivere

a lungo

si

maravigliano, et guar-

et io, per fargli maravigliare piu, sto alle volte

che se

et gonfio,^"^ et allora egli sba vigliano;

sa-

pessino quel che io vi scrivo, se ne maraviglierebbono piu.

Vostra Signoria sa che questi

fermato in

grafia,^®

il

non ho paura, che

dicono, che

frati

quando uno

è con-

diavolo non ha piu potentia di tentarlo. Cosi io

questi frati

mi appicchino “

la

ippocrisia,

perché

ben confermato. Quanto alle bugie de’ Carpigiani 10 ne vorrò misura con tutti loro,^^ perché è un pezzo che io mi dottorai di qualità, che io non vorrei Francesco Martelli per ragazzo,^ perché da un tempo in qua io non dico mai quello che io credo, né credo mai quel che io dico, et se pure e’ mi vien detto ^ qualche volta 11 vero, io lo nascondo fra tante bugie, che è difficile a ritrovarlo. Aspetto domani da voi qualche consiglio sopra questi mia casi, et che voi mandiate uno di codesti balestrieri, ma che corra et arrivi qua io credo essere assai

tutto sudato,

10.

acciò che la brigata strabilii; et cosi facendo

dà questi di casa: dai carpigiani e dai

mi

farete

confermato in grada: gode piena-

19. è

frati.

mente

11. spesseggiare gli avvisi: giungere di frequente i messaggi. 12. domandato... nuove: interrogato qual

ciardini gli aveva scritto di stare bene attento,

perché, frequentando

nuove

contrarre

vi fossero.

13. diete:

20.

della grazia divina.

mi

appicchiiN):

Ma

gramente ben fornito malanno.

basciatore.

con

15.

per ispiritato:

come uno Tutti,

spiritato. sbigottiti,

La si

chiedono che cosa mai scriverà quell’ambasciatore cosi importante. 17. et

gonfio:

trattiene

il

respiro,

dando

a vedere di essere intensamente concentrato. 18. sbavigliano: sbadigliano; restano cioè sospesi, a bocca aperta.

frati,

i

un brutto male,

con quel re: con 1 Imperatore. con la berretta in mano: pieni di riverenza, non sai bene se di fronte a quei grandi nomi o a quell’ importantissimo am’

14.

16.

attacchino.

1’

pigiani: la bugia.

21. io...

loro:

il

M.

dell’

si

Guic-

Il

avrebbe potuto e

ipocrisia,

altro gliene avrebbero potuto attaccare

assemblee.

scenetta è comicissima.

mi

i

proclama

uno

un car-

alle-

e dell’ altro

sono pronto a gareggiare

tutti loro.

22. perche... ragazzo: perché è un pezzo che mi sono addottorato nell’arte di mentire, tanto che non vorrei Francesco Martelli (evidentemente il principe dei bugiardi fiorentini del tempo) neppure come garzone. 23. e’ mi vien detto: mi vien fatto di dire.

Avverti, sotto lo scherzo, un’allusione e amara,

non meglio

precisabile.

Ma

si

triste

può.

Niccolò Macchiavelli

281

honorc, et anche parte cizio,

che per

i

scriverrei ancora

ma



codesti balestrieri faranno

cavalli in questi

qualche altra cosa,

io la voglio riserbare a

domi

alla

mezzi tempi “

Signoria Vostra,

se io volessi

domani piu

è

un poco di: esermolto sano. Io vi

affaticare la fantasia,

fresca ch’io posso. Raccomaii-

quac setnper ut vult valeatP^ In Carpi,

addi 17 di Maggio 1521. Vester obser. Niccolò Machiavelli

Oratore

a’

Fra Minori^

25.

in generale, dire che dici a

dopo

il

ritorno dei

Firenze cominciarono per

il

M.

ni tristi.

anche parte; e inoltre. mezzi tempi: mezze stagioni.

2^. et

gli

Mean-

26. quae...

come

valeat;

che

stia

sempre bene

desidera.

27. Oratore a’ Fra Minori: Oratore vale ambasciatore »; ed è detto con amara ironia su se stesso e sul misero incarico. «

Francesco Guicciardini

La

vita e

Vita e 1483, latino,

il

pensiero

nacque da nobile famiglia dopo avere appreso gli elementi

Francesco Guicciardini

opere.

Firenze.

a

A

quindici

anni,

nel del

del greco, delle matematiche, intraprese lo studio del diritto cano-

nico e civile presso l’università di Firenze e in seguito in quelle di Ferrara

e di Padova, con tale profitto che nel 1505 era già lettore di istituzioni di diritto civile a Firenze, alcuni mesi prima di conseguire la laurea. Nel 1506 iniziò, con brillantissimo successo, la carriera forense e due anni dopo,

vincendo

del

l’ostilità

padre,

sposò

Maria

famiglia di antica nobiltà, ma, in quel

Salviati,

momento,

discendente

in disgrazia

da

una

presso

la

Repubblica Fiorentina; questo matrimonio coincideva con l’ormai decisa affermazione di una vocazione politica, che doveva ben presto concretarsi in

una rapida e fortunata

dini per

un reggimento

anno cominciò

a scrivere

critica politica militante,

carriera; e indicava la predilezione del Guicciar-

di tipo aristocratico nella le

sua

che non venne però da

Nello stesso

città.

Storie fiorentine, un’opera storica,

ma

lui pubblicata,

anche di

come

nes-

numerose opere. Nel 1511, Pier Soderini lo nominava ambasciatore della repubblica presso Ferdinando il Cattolico, in Spagna. Vi rimase tre anni, dato che i Medici, ritornati, nel frattempo, al potere a Firenze, lo confermarono in quelsun’altea delle sue

l’ufficio,

sapendolo loro amico.

mentale:

egli

Quest’ambasceria fu un’esperienza fonda-

potè studiare da vicino la personalità notevole di quel re

abilissimo, assistere allo sviluppo irresistibile di

una potenza che tanta im-

portanza doveva acquistare nella storia d’Italia e d’Europa, e soprattutto osservarne la politica formalmente corretta, ma intimamente spregiudicata, fondata su una diplomazia il

sottile

e astuta, di cui egli sarà nelle sue opere

teorizzatore.

Ritornato a Firenze, passò, poco dopo,

al servizio di

papa Leone X, che

nominò governatore di Modena e, successivamente, di Reggio e Parma. Nel 15121 fu commissario dell’esercito papale in Lombardia, e mostrò notevoli doti di coraggio e di fermezza, difendendo vittoriosamente Parma asselo

diata dai Francesi.

Il

Leone X, Clemente VII (anch’egli della della Romagna, una regione che dominio della Chiesa, ma in realtà era dominata

successore di

famiglia dei Medici), lo

nominò presidente

nominalmente era

il

sotto

dalle fazioni locali.

Anche

qui,

il

Guicciardini

pace, ispirando la sua azione a

si

rivelò

uomo

una concezione

di

governo energico e ca-

dello stato

come

entità effet-

Francesco Guicciardini

283

tivamentc sovrana cvristabilendo l’ordine sebbene dovesse combattere non solo contro signorotti violenti e senza scrupoli, ma contro la stessa curia

romana, nella quale essi riuscivano a trovare altolocate protezioni. Contemporaneamente continuava l’attività di pensatore e di scrittore, come per chiarire a se stesso le ragioni del proprio agire e condensare nelle sue pagine la lezione dei fatti. Già a Logrogno, in Spagna, aveva scritto un Discorso (1512), nel quale delineava quella che, a suo avviso, era la costituzione più adatta per Firenze; ora compone, sullo stesso argomento, il Dialogo del reggimento di Firenze, nel quale tenta di conciliare le tradizioni repubblicane della sua città, interpretate in senso aristocratico, con la preminenza dei Medici. Nel 1526 fu tra i principali fautori della lega di Cognac, cioè di un’alleanza degli stati italiani, timorosi dell’eccessiva potenza acquistata dalla Spagna, coi Francesi; fu anzi nominato dal papa luogotenente generale dell’esercito pontifìcio. Ma gli eventi precipitarono: il Guicciardini, anche perché impedito nella sua azione dal carattere irresoluto del pontefice, non riuscì ad attuare una politica decisa, né a impedire l’orrendo saccheggio di Roma, perpetrato nel ’zy dalle truppe tedesche e spagnuole. Questo fatto segnò il crollo della sua fortuna politica: fu sin troppo facile ai suoi avversari scaricare su di lui pesanti responsabilità. Frattanto i Medici erano di nuovo cacciati da Firenze, dove veniva restaurata la Repubblica, e il Guicciardini, inviso al nuovo governo, si ritirò nella sua villa di Finocchieto, ove rimase per circa tre anni. Fu questo un periodo di meditazioni intense, di acuto ripensamento della propria esperienza politica, mediante il quale s’allentò la tensione angosciosa della sconfitta e cominciò quel cammino dalla vita attiva alla contemplazione storica, che caratterizzerà gli ultimi anni della sua vita. In questi anni rielaborò in forma definitiva i suoi Ricordi e scrisse una

una Accusatoria, in cui formulava le acpotevano venir rivolte, e una Defensoria, in cui le confutava. Frattanto Clemente VII si stava riconciliando con Carlo V, pur di riavere Firenze per la propria famiglia. Il Guicciardini, timoroso per le sorti della sua città, si adoperò per ottenere dal papa miti condizioni di pace; ma la Repubblica respinse violentemente il suo tentativo, gli confiscò i beni Consolatoria, rivolta a se stesso,

cuse che

gli

si apprestò alla difesa eroica e disperata contro il pontefice e la Spagna che terminò con la disfatta del 1530. Il Guicciardini, rientrato a Firenze, ebbe nuovi incarichi dal papa, fu anche a fianco di Alessandro de’ Medici, proclamato duca di Firenze e si recò con lui, nel 1536, a Napoli, per difenderlo, davanti a Carlo V, dalle accuse dei fuorusciti fiorentini. Poco dopo, quando Alessandro fu ucciso, caldeggiò la elezione di Cosimo, del quale però non riuscì ad ottenere la fiducia. Si ritirò allora in una sua villa ad Arcetri, dove si dedicò completamente alla stesura della sua opera più grande,

e

la Storia d’Italia. Il

pensiero.

Il

Mori

nel 1540.

pensiero del Guicciardini

con

le

sue azioni e passioni, è

dei rapporti

umani va

il

si

fonda, inizialmente, su pre-

anche per lui l’uomo singolo, motore della storia, anche per lui lo studio

supposti analoghi a quelii del Machiavelli

:

rivolto esclusivamente al

campo

delle

vicende poli-

Antologia della letteratura italiana

284

tichc

c

rimangono decisamente

morali e religiosi

gl’interessi

secondo

in

piano. Anch’egli, infine, parte dall’amara constatazione che gli uomini

si

lasciano per lo piu traviare dalle passioni, e proprio questo sfrenarsi con-

tinuo di cupidigie e meschini egoismi nella trama complessa e spesso caodella

tica

associata,

vita

sulla

quale

si

per giunta, l’ombra greve

stende,

impone la ricerca spregiudicata e lucida di una norma d’azione, che sia tale da garantire all’individuo la sopravvivenza e l’affermazione nel mondo. Qui però si arrestano le somiglianze fra i due pensatori. Il Machiavelli, infaìiti, pur partendo da codesta visione amara dell’uomo e del limite invadella

Fortuna^

licabile

opposto

al

come

suo agire dalla Fortuna, crede tuttavia nello stato

costruzione razionale c umana, trova in esso una superiore moralità, si sforza, su cui fondare i progetti costruttivi degli eventi a norme generali e costanti, che

possano costituire

La meditazione

il

fondamento

del Guicciardini

parte,

una

di

invece,

virtù attiva

ed energica.

dal riconoscimento

amaro

da parte del singolo, di riuscire a modificare il corso degli eventi c di ridurli in schemi razionali. C’è in lui la coscienza di un’estrema complessità del reale, che non si lascia esaurire da nessuna formula. Vano è dunque pretendere di stabilire norme c leggi generali d’azione, dato che una realtà sempre imprevedibile sconvolge gli schemi in cui vorremmo dell’incapacità,

costringerla.

Alla virtù del Machiavelli, egli sostituisce pertanto la discrezione, che

comprendere e sviscerare i fatti singoli nelle loro infinite sfumature, per poter inserire la propria azione nel loro corso tumultuoso, senza venirne travolti, salvando il proprio particulare, cioè il proprio inè la capacità di

teresse, inteso nel senso piu ampio di decoro, di dignità, di realizzazione piena della propria intelligenza e capacità di agire in favore di se stessi

Manca comunque

e dello stato.

l’immediata

superi

della vita scettica e,

vago rimpianto per

sfera

al

Guicciardini la fede in

individualistica,

e questo

rende

a volte, amara e gelida, anche se gli

ideali

un la

ideale che

sua

visione

non priva

di

un

umanistici e cristiani, e tristemente consa-

pevole della vanità finale di ogni soddisfazione umana. Si può in certo

modo ciosa

affermare che, nel suo pensiero, la Fortuna vinca la virtù, e la fiduaffermazione rinascimentale della capacità costruttiva dell’uomo nel

mondo

appaia ormai in netto declino. Questo atteggiamento deriva dalla sua concreta esperienza. Egli rimase

l’ambasciatore,

il

diplomatico

fine, abituato a

svolgere e a tentar di inter-

con lucida intelligenza e un costante ritegno dei propri impulsi e sentimenti, la trama complessa della politica. La sua carriera di governo gli insegnò il realismo, ma anche il senso del compromesso c della forza inoppugnabile dei fatti, ai quali le teorie andavano applicate con una caupretare,

tela estrema, Il

non ignara

di rinunce.

Guicciardini, insomma,

non

è l’ideologo,

spirito lucido c intelligente, volto all’azione in era, cipi

l’uomo

di principi,

un momento

ma uno

in cui essa

non

né poteva essere, in Italia o nello stato pontificio, guidata da alti prinideali o da entusiasmi. Si tenga presente, infine, che egli scrive la

Francesco Guicciardini

285

Storia d'Italia, cioè la sua opera piu grande, italiana e

libertà

nisola:

quando

l’affermazione

decisa del

dopo il tramonto definitivo della predominio spagnolo sulla Pe-

cioè le sorti dell’Italia apparivano definitivamente concluse

e senza speranza di evoluzione.

Di questa situazione

Guicciardini fu lo storico lucido e accorato,

il

testimone consapevole della

crisi

di

una

civiltà.

il

Sulla tragedia della libertà

italiana innalzò

il funebre lamento della sua Storia, espressione altissima di intelligenza, di capacità critica e di giudizio realistico e spregiudicato, se-

ma anche ultimo monumento, piu maturo e profondo, di una storiografia umanisticamente concepita, scritta mentre ormai veniva meno la fiducia nell’uomo.

condo

migliore insegnamento rinascimentale;

il

e senz’altro

il

Per i testi, abbiamo seguito: Francesco Guicciardini, / Ricordi, a cura di R. Spongano, Firenze, Sansoni, 1951. F. Guicciardini, Storia d’ Italia, a cura di C. Panigada, Bari, La terza, 1929.

I

« Ricordi »

I

quasi

Ricordi sono pensieri nati in margine

un

alla carriera politica dell’autore,

decantarsi della sua esperienza in lucide

massime

di cauta e faticata

Guicciardini cominciò a scriverli nel 1512, ma poi li rivide e li rielaborò in due redazioni successive, nel 1528 e poi nel 1530, quando ne compì un’accurata scelta, riducendoli a 221. Il titolo, mentre allude alla

saggezza.

Il

radice autobiografica di queste meditazioni,

.

le

colloca

come

in

una

luce

esemplare di cose da ricordare, di ammonimenti o quintessenza di una vicenda politica e umana, senza pretendere però di caratterizzarli come norme assolute e universalmente valide.

Empirista come cludersi ogni

il

Machiavelli,

magoanima speranza

superiore razionalità della storia,

un sentimento pensoso

ben piu radicalmente, portato a

pre-

e non sorretto dalla concezione di una

Guicciardini esprime in questi pensieri

amaro della realtà, e soprattutto la convin fondare una scienza politica rigorosa che vada di

e spesso

zione dell’impossibilità di là

il

ma

dairesperienza quotidiarfa. Alla discrezione, cioè all’arte diffìcilissima di Ricordi portano l’aiuto di una considerazione i

sapersi adattare agli eventi,

minuta

di

vari

e

imponderabili casi della

estraendo norme d’azione,

vita,

dai

quali

l’autore

viene

ma

con la coscienza della loro relatività; perché se è vero che nell’agire degli uomini ricorrono certi temi naturali e costanti, è vero anche che essi si presentano in un contesto sempre nuovo di fatti concomitanti. Occorre dunque « fermare il punto », considerare sempre tutte le componenti anche minime di una situazione, servendosi, per comprenderla, dell’esperienza passata, pronti però ad affrontare con la discre-

zione quel tanto di nuovo e imprevedibile che' la realtà presenta. Per questa ragione, i Ricordi non intendono presentarsi come un codice di comportamento, e neppure come un libro organico che esprima una teoria dell’agire politico. In essi la realtà

si

rifrange in

una molteplicità

di

286

Antologia della letteratura italiana

casi, a volte contraddittori, ’e

contraddittori sono fra loro alcuni ricordi, per

sforzo dell’autore di seguire in tutti

lo

i

suoi aspetti

mutevole

la

vita.

migliori fra questi pensieri sono certe massime psicologiche e morali,

I

volte

a

definire

mondo,

posizione instabile e limitata dell’uomo nel

la

umana,

carattere precario di ogni soddisfazione

la

sua finale vanità,

il

l’ine-

splicabilità della legge che regola la nostra esistenza, sia essa chiamata Fortuna o Dio. Piuttosto che un politico, potremmo dire che qui il Guicciardini è un moralista, un uomo che guarda con sguardo lucido e fermo se stesso e gli altri, per comprendere la vita, per raggiungere una faticosa e rassegnata

saggezza. D’altra parte, per questa tendenza a comprendere

i

i

fatti nella loro

ma

con un pacato e lucido impegno Ricordi sono un’ideale premessa alla Storia d’Italia.

complessità, senza passione,

Lo

stile

tuale e

dei Ricordi è originalissimo.

minuta

tezza verbale,

La

disposizione aH’osservazione pun-

una estrema

della realtà, spinge l’autore alla ricerca di al

intellettuale,

esat-

gusto della parola precisa e pregnante, onde rendere

le

sfumature complesse della realtà. I periodi fluiscono calmi, limpidi, circostanziati, appena velati, a volte, da un senso di amarezza contenuta. Si tratta, insomma, di uno stile fondato su di una nitida trama razionale, composto, ma lontano dalle forme classicamente compiaciute come dalla pittoresca vivacità popolare, sempre pacato e incisivo, logico e serrato: lucido specchio di

un

lucido intelletto.

Dai « Ricordi » 1

Io

.

ho

come fanno

desiderato,

tutti

gli

uomini, onore

e n’ho conseguito molte volte sopra quello^ che rato; e

che io

nondimeno non v’ho mi ero immaginato;

poi

ho

^

e utile

:

desiderato o spe-

mai trovato drento quella

satisf azione

ragione, chi bene la considerassi,^ poten-

tissima a tagliare assai delle vane cupidità degli uomini.'* (15)

Le grandezze

2.

e gli ónori sono

tutto quello che vi è di bello e di

ma

pito nella superficie:

sono nascosti e non

si

le

communemente

buono apparisce

desiderati, perché

di fuora

^

e è scol-

molestie, le fatiche, e^ fastidi e e pericoli

veggono; c quali

se apparissino

lungo prodigarsi

I.

amara onore: c l’ideale più alto del G., come egli in più punti confessa. 2. sopra quello: più di quello.

gli

come

apparisce

apparivano nella luce

dell’ insuccesso e della

vanità.

1.

3. chi...

considerassi:

se

la

considerasse

bene. 4.

per

vane... uomini: la

maggior

prio fallimento e

parte,

quando,

il

I

Ricordi sono dal G.

dopo

scritti, il

pro-

ritiro dalla vita politica,

cioè, la sua esistenza e tutto

il

suo

2.

apparisce di fuora, ecc. 1 delle grandezze e degli onori si vede soltanto l’apparenza .

:

esterna, la luce trionfale del successo, sacrifìci 2.

e:

non

i

che questo è costato. i.

È

l’antica

forma toscana

dell’arti-

colo che ritrovi anche nei ricordi seguenti.

I

Francesco Guicctardint

non

bene,

el

una

sarebbe ragione nessuna da dovergli desiderare, eccetto

ci

che quanto piu

sola:

tanto più pare che

Non

gli

uomini sono onorati,

reveriti e adorati,

accostino e diventino quasi simili a Dio,^ al quale

si

non

chi è quello che 3.

287

volessi assomigliarsi?

(16)

crediate a coloro che fanno professione d’avere lasciato le

faccende e

grandezze

le

^

volontariamente e per amore della quiete,

perché quasi sempre ne è stata cagione o leggerezza o necessità

vede per esperienza che quasi

si

raglio

potere tornare alla

di

quiete, vi

si

come

tutti,

vita

se gli offerisce^

prima, lasciata

di

gettano con quella furia* che fa

el

la

fuoco

:

però

*

uno

spi-

tanto lodata

alle cose

bene

unte e secche. (17) I

Lo ingegno

4.

più che mediocre è dato agli uomini per loro in-

non serve loro a altro che a tenergli con molte più fatiche e ansietà che non hanno quegli che sono più poe tormento, q^erché

felicità

sitivi.^

(60)

Sono

5.

varie le nature degli

uomini:

tono per certo quello che non hanno,

rano a’

se

non hanno

primi; e chi è di

certi

altri

sperano tanto che met-

temono tanto che mai

spe-

mano. Io mi accosto più a questi secondi che questa natura si inganna manco, ma vive con più

in

tormento.^ (61)

Non

« Dio ha aiutato el tale perché era buono, el tale è dire male perché era cattivo » ; perché spesso si vede el contrario. per questo dobbiamo dire che manchi la giustizia di Dio, es-

6.

:

capitato



3. quasi...

siero

il

Dio: Alla fine di questo pentono pessimistico passa

prevalente

in secondo piano:

il

desiderio dell’onore e

una necessità imprescindell’animo umano. Anche questo è

sere stato destituito, lodò la quiete,

nò a pena

gettarsi s’

apri

ma

tor-

con ansia nell’azione non ap-

uno

spiraglio.

della gloria appare dibile

un pensiero intimamente

me

il

primo

e gli altri tre

autobiografico, co-

che seguono.

3* 1. fanno... grandezze: che dichiarano pubblicamente di aver lasciato la vita politica e le onorevoli cariche pubbliche. 2. o leggerezza o necessità o i loro errori o una necessità che li ha costretti. 3. come... offerisce: non appena si offre :

4

-

Sembra una massima leopardiana. Il I. G. sente il travaglio e l’ansia propri di un ingegno elevato, che, piu di uno positivo (mediocre, cioè, e completamente calato nella ricerca immediata dell’utile), avverte l’estrema complessità del reale e l’impossi-

per l’uomo di dominarlo pienamente, imprimervi il suggello della propria ra-

bilità

di

zionalità; e avverte inoltre l’estrema precarietà del nostro vivere.

loro.

Nota la vivacon quella furia, ecc. delle immagini, le parole pregnanti: ]uria, cose bene unte e secche. Anche qui J 1 G., mentre enuncia una regola generale, pensa soprattutto a se stesso, che, dopo es4.

:

5-

cità

ma... tormento: è il tormento di chi preclude la gioia della speranza e una fiducia serena nella vita. I.

si

288

Antologia della letteratura italiana

sendo e consigli suoi

si

profondi che meritamente sono detti abyssus

multai (92) 7 E filosofi, e e teologi, e tutti gli altri che scrutano le cose sopra natura o che non si veggono, dicono mille pazzie; ^ perché in effetto .

gli

uomini sono

buio delle cose, e questa indagazione^ ha servito e

al

serve più a esercitare gli ingegni che a trovare la verità.^ (^25)

8

.



detta

non possono finalmente resistere a quello lessi mai cosa che mi paressi meglio « Ducunt volentes fata, nolentes colui

e pazzi né e savi

però io non

che ha a essere: che

che

quella

disse

:

trahunt».^ (^38)

9.

È

certo gran

viviamo come sia

la

se

sappiamo avere a morire,^ tutti sempre a vivere. Non credo

cosa^ che tutti

fussimo

avere

certi

ragione di questo perche

ci

muova

piu quello che e innanzi

non si vegpuò dire che per la esperienza Credo proceda^ perché la natura

agli occhi e apparisce al senso che le cose lontane e che

gono perché quotidiana

la

ci

morte

è propinqua^ e

apparisca a ogni ora.

si

ha voluto che noi viviamo secondo che ricerca el corso overo ordine di questa machina mondana ® la quale® non volendo resti come :

6

8.

.

abyssus multa: abisso profondo, e quindi insondabile. Questo e il ricordo seguente svolgono il tema dell’ impossibilità, per l’in-

I.

I.

telletto

umano,

di

una spiegazione Più che da una fede relitrovare

razionale alle cose. giosa serenatrice, queste parole nascono dal

senso sgomento del frequente trionfo dell’inmondo, da un’ intuizione scon-

Ducunt... trahunt:

l’uomo, se questi

lo

lo vuole, lo trascina

Il

destino guida

vuole seguire, se non

con

la

violenza.

L’ama-

rezza dei ricordi precedenti sfocia nel fatalismo di questo. La virtù umana appare qui sommersa dalla fortuna: è questo uno dei pensieri più desolatamente pessimistici.

giustizia nel

solata della precarietà del vivere.

9* 1.

2.

7-

gran cosa: cosa che stupisce. morire: sappiamo di do-

sappiamo...

ver morire. 1.

dicono... pazzie:

La

nettezza e



impe-

delusione profonda e la tristezza dello scritCfr. quello che abbiamo detto com-

propìnqua: perché la morte C’ è in questo pensiero una tristezza virilmente rassegnata e contenuta, ma profonda. Il fato, di cui il G. parlava nel pen-

mentando

siero precedente, diviene qui la morte, l’in-

1

to popolaresco dell’affermazione rivelano la tore.

Il Dio del comunque, infinitamente lontano dall’uomo, dalla sua capacità di comil

Guicciardini

ricordo precedente.

è,

prendere; gli uomini sono « al buio ». 2. indagazione: indagine.

completamente

3. più... verità: più a dar modo agli ingegni di esercitarsi in disquisizioni sottili (ma, in realtà sterili) che a trovare quella verità ultima che ci è negata.

3.

è

perché...

vicina.

sormontabile limite umano. Vedi

il

ricordo

seguente. 4.

Credo proceda: credo che questo av-

venga. 5.

che...

chiedono

il

mondana: secondo quel che

ri-

corso e l’essenza della vita del-

machìna mondana per la sua armonica e razionale complessità). 6. la quale: è complemento oggetto (ril’universo (detto

Francesco Guicciardini

morta

289

e sanza senso, ci

ha dato propietà

quale se pensassimo,

alla

torpore.®

10

(

el

mondo

alla

morte,

ignavia e

di

di

160 )

Quando

.

non pensare

di

pieno

sarebbe

io considero^ a

quanti accidenti e periculi di infermità,

modi

infiniti, è sottoposta la vita dell’uomo, quante cose bisogna concorrino® nello anno a volere che la ricolta sia buona, non è cosa di che io mi maravigli piu, che vedere uno uomo

di caso, di violenza,^ e in

uno anno

vecchio,

11

non so a

Io

.

fertile. (

avarizia^ e sé è odioso,

chi

mollizie

le SI

®

161

)

perché ciascuno e

me

che a

più

dispiaccia

de’ preti;

ambizione,

la

la

perché ognuno di questi vizi in

si

insieme

tutti

chi fa professione di vita dependente da Dio,

convengono poco a

si

e ancóra perché sono

®

SI contrari che non possono stare insieme se non in uno subietto molto strano.* Nondimeno el grado® che ho avuto con più pontefici, m’ha necessitato a amare per el particolare mio® la grandezza loro; e se non fussi questo rispetto,"^ arei amato Martino Luther quanto

vizi

me medesimo: non nel

cristiana

modo

per liberarmi dalle legge indótte® dalla religione

che è interpretata e intesa communemente,

per vedere ridurre questa caterva di scelerati a restare o sanza vizi o sanza autorità. ferito a

machina mondana)-,

il

soggetto è la

(

28 )

II.

natura. 1.

la avarizia:

2.

le

proprietà, consuetudine e di-

propietà:

7.

ma

termini debiti,® cioè

a’

cupidigia di danaro.

la

mollizie:

mollezza,

la

il

desiderio

sposizione naturale. 8. di ignavia c di torpore: nel senso che ogni nostra azione sarebbe considerata effimera e vana.

sfrenato di lusso. 3.

a chi...

in

1.

Il

umana

un’espressione

però anche

prende

la

la

trova

in

questo

pensiero

profonda e definitiva. Vi è pacatezza del saggio che com-

professa di avere

chi

strano:

cosi

contrastanti

loro che possono stare insieme soltanto

una persona

smo

si

5.

el

senso sconsolato della morte e della

fragilità

a

propria vita.

la

contrari...

4. si

fra

IO.

Dio:

dedicato a Dio

fuori del

comune.

Il

sarca-

fa tagliente.

grado:

la

dignità, gli onori, le ca-

riche. 6.

per

el

particulare mio: per la

mia per-

sonale dignità e grandezza. 7. e se... rispetto:

fragile sostanza del nostro vivere

e se

non

fosse stato per

senza ribellione, ma con la tristezza di chi sa che non può né deve abbandonarsi alla gioia e al conforto della speranza. malattie, debo2. infermità... violenza:

questa ragione.

lezza, violenza del destino e degli uomini.

appunta

concorrine: concorrano. Il mondo deldiviene 1’ emblema del mondo umano: ambedue sono dominati dall’ insicurezza e dal caso, sentito come una forza

tempi, da cui prese le mosse la protesta di Martin Lutero. L’autorità della Chiesa che quella poil G. vorrebbe vedere sminuita è

e

l’accetta

3.

la

natura

ostile e

non

riducibile alla razionalità, alla

libera volontà

umana.

8.

indótte:

prescritte,

insegnate.

termini debiti: ai giusti limiti. La critica del G. non riguarda in alcun modo 9.

a’

contenuto della religione cattolica, ma si sulla corruzione morale delle gerarchie ecclesiastiche, assai evidente in quei il

litica,

con

gli

che egli avverte in ideali

veri

del

netto

contrasto

Cristianesimo.

Antologia della letteratura italiana

290

Non

12.

biasimo c digiuni,

le

orazione e simile opere pie che

sono ordinate dalla Chiesa o ricordate^ da*



è

e a

comparazione

Ma

frati.



sono leggieri

di questo tutti gli altri

ci

bene de* beni

el

non

nuocere a alcuno, giovare in quanto tu puoi a ciascuno.^

Non

13.

spaventi^

vi

beneficare

dal

uomini la ingratitudine medesimo, sanza altro

gli

di molti; perché, oltre che el beneficare per se obietto, è cosa generosa e quasi divina,^ 14.

degli

qualcuno

in

talvolta

altri.

Gli uomini

tutti

alcuno

non

el

tano

E

al

per natura sono inclinati piu

altro

®

savii legislatori

che con

la

si

mondo

spesse nel

ma

ingratitudine

le

bene che

al

lo

al

in con-

tiri

è tanto fragile^

occasione che invi-

le

lasciano facilmente deviare dal bene.

si

trovorono e premii e

pene: che non fu

le

speranza e col timore volere tenere fermi

nella inclinazione loro naturale.®

12.

gli

uomini

(134)

14.

1.

ricordate: e quindi raccomandate.

2.

non nuocere... ciascuno: C’

1.

né è: né

vi è.

qualora altre coninducano ad agire diver-

2. dove... in contrario:

G.

è nel

tesrimoniano altre sue opere giovanili

lo

(e

non

bene che male;

facessi piu volentieri

male, che gli uomini

però* e

riscontra^ pure beneficando

quale, dove altro rispetto

natura degli uomini e

la

si

grato che ricompensa tutte

(11)

male, né trario,^

si

siderazioni

non

lo

samente.

anche i suoi diligenti spogli delle prediche del Savonarola) un’ansia religiosa che nasce dal senso della precarietà del nostro

centrale di questo pensiero, nel quale ritro-

vivere e dal largo margine di imprevedibilità

viamo non

e

degli eventi;

ma

la

sua professione religiosa

tende a risolversi in termini

tutti

umani

di

razionalità e moralità.

Non

vi spaventi:

non

vi atterrisca,

non

bene

agli

vi distolga. 2. sanza... altri

ma

è tanto fragile,

ma

la

ecc.

;

È

il

punto

tensione eroica del Machia-

quotidiana saggezza dell’uomo che non sa più illudersi, la sofferta rinuncia a ideali che diano un significato alla triste e grave fatica del vivere. velli,

la

dolente,

E

13 * 1.

3.

in

divina:

il

far

del

forma del tutto pura e

disinteres-

questo senso della fragilità umana preannuncia ormai la crisi della civiltà rinascimentale. 4. E però: e perciò. 5. che non fu altro: e con questo non fecero altro che, ecc.

sata è cosa nobile e quasi divina.

6.

In

un

altro pensiero

qui non riportato

una nostalgìa vera e profonda per un mondo di uomini nobili e puri, limitata, però, dal ferreo senso della verità effettuale. Vedi

se un uomo è natura inclinato a fare più volentieri non è uomo, ma beil male che il bene, stia o monstro, ossia un essere contro na-

anche

tura.

3.

riscontra: ci

si

il

s’

imbatte. C’ è nel G.

pensiero seguente.

(il

135),

per

il

G. afferma che

Francesco Guicciardini

1

Non

5.

291

può tenere

si





secondo conscienza, ^ perché

stati

chi con-

da quelli delle republiche nella patria propria in fuora, e non altrove * e da questa regola non eccettuo lo imperadore e manco® e preti, la violenza de’ quali è doppia, perché ci sforzano® con le arme temporale e con le spirituale. (48) sidera^ la origine loro

sono

tutti

violenti,^ :

Dissemi

16.

marchese di Pescara, quando fu

el

mente, che forse non mai piu vedde universalmente.

non

La ragione

può essere che e pochi moto alle cose del mondo,

el

e fini di questi sono quasi sempre diversi da’ fini de’

partoriscono diversi

Chi

17.

disse

effetti

papa Cle-

fatto

riuscire cosa che fussi desiderata

di questo detto

danno communemente

^

e molti

^

e e

molti, e però

da quello che molti desiderano. (97)

uno popolo^

veramente- uno animale pazzo,

disse

pieno di mille errow, di mille confusione, sanza gusto, sanza deletto,

sanza

stabilità.^

(^40) vellava

15-17.

Dallé precedenti, amare considerazioni sulla natura e il destino dell’uomo, derivano anche questi gelidi aforismi, riguardanti la

che il G. non vede, come il Machiadominata da un nobile ideale di convivenza civile veramente e pienamente umapolitica, velli,

na,

ma come

prodotto di violenza e degli

tutti

dominio,

suo

del

territori

i

mentre i cittadini di una repubblica intendevano mantenere una posizione di assoluto privilegio nei confronti dei sudditi. 5.

c

manco:

neppure.

e

ecc. ci usano materialmente e spiritualmente. 6.

sforzano,

ci

:

violenza

16.

sfrenati egoismi degli uomini. 1.

che

forse...

vedde: che forse non vide

mai. 151.

2.

tenere... conscienza:

seguendo 2.

i

governare

gli stati

se

si

considera.

violenti: Anche per il Machiafondazione di uno stato è sempre violenta; ma nel G. manca il senso machia3. tutti...

velli

la

velliano di

un superiore valore

come affermazione piena

il

pochi e non

i

G. ha

i

molti.

della politica e

della storia è rigidamente aristocratica: grandi azioni storiche sono opera di un

precetti della moralità.

chi considera:

e pochi... molti:

La concezione che

dello stato,

uma-

della nostra

stretto

gruppo

telligenti

le ri-

di individualità superiori, in-

ed energiche. Per questo, nelle sue

opere storiche

la

sua maggiore attenzione è

volta alla definizione dei caratteri e della psi-

cologia di queste individualità.

nità contro la forza bruta della « fortuna ». 4.

da

altrove:

quelli...

eccettuate

re-

le

pubbliche (anche nel Machiavelli c’è questa ideale propensione per lo stato repubblicano, comune al popolo fiorentino che

appunto

in questi anni, dal 1529 al 1530, difenderà strenuamente contro le forze congiunte del Papa e degli Spagnuoli la libertà

repubblicana);

ma

considerate in patria, cioè

nel loro nucleo politico essenziale,

loro rapporti con

dominio

di

conquistate

come

dice

principe.

i

territori

non

Firenze sul contado e sulle era il

infatti

dispotico,

Machiavelli,

Questi,

infatti,

di

nei

assoggettati.

Il

città

peggiore,

quello di

uniformava e

un li-

171. Chi disse uno popolo: Chi disse popolo. Cioè dire « popolo » significa dire animale pazzo, ecc. Cfr. il pensiero precedente. 2. sanza... stabilità: senza capacità di giu-

dizio, di scelta (deletto),

di

coerenza.

Non

stupisca questo pensiero dopo l’affermazione repubblicana del precedente. La repubdel

blica

G. dovrebbe

un numero denti,

ristl-etto

potenti

essere governata

di

cittadini

savi,

da

pru-

politicamente ed economica-

mente: tende, insomma, a quella che

si

ma

privile-

oligarchia

giati).

(governo

di

j)ochi

chia-

292

Antologia della letteratura italiana

È

18.

grande errore parlare

assolutamente

e

mondo

delle cose del

indistintamente^

per dire così, per regola;^ perché quasi tutte

e,

distinzione ed eccezione per la varietà delle circunstanze,

possono fermare con una medesima misura

si

e eccezione non

truovano

si

scritte in su’

:

e queste

^

ma

libri,

hanno non

quali

le

distinzione

bisogna

le

insegni

la discrezione.* (6)

19. Quanto si ingannono coloro che a ogni parola allegano e Romani!^ Bisognerebbe avere una città condizionata^ come era la loro, e poi governarsi secondo quello essemplo: el quale a chi ha le qualità

disproporzionate ^ è tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che

uno asino

facessi

il

uno

corso* di

cavallo. (1 10)

pena considerabili

^ sono spesso cagione grandissima prudenza avvertire è e pesare bene ogni cosa benché minima.* (82)

20. Piccoli

di grandi

principi

mine o

e

a

di felicità

però

^

:

venirne schiacciati, salvando

i8*22. questi

In

pensieri

si

manifesta un tema

fondamentale del pensiero del G.

:

un do-

riconosciuta impossibilità di

la vita, la

minio deH’uomo sugli eventi. Di conseguenza impossibile

norme d’azione univer-

dare

salmente valide, dettare principi generali e assoluti. Non resta che prender le cose per loro verso, giudicandole caso per caso, il nelle loro infinite sfumature. È evidente il contrasto

G.

la

ne, rica,

sto

radicale

meditazione è volta

non non i

Machiavelli,

col

all’azione; alla

Ricordi

alla

alla

ma

i8.

senza

indistintamente:

procedere

alle

opportune distinzioni, caso per caso. 2. per regola: cercando forzosamente di farle rientrare in 3.

sere fissa 4.

una regola

universale.

misura: che non possono esridotte a una misura, a una norma e immutabile.

le quali...

la

discrezione:

del « sistema » del

G.

È una :

parola-chiave

chiavelli

furono dal G. confutati nelle sue Considerazioni sopra i Discorsi del Machiavelli.

condizionata: ordinata come la loro. a chi... disproporzionate: per coloro

che sono in una situazione diversa e con qualità ben diverse.

emulasse un cavallo nelimitazione delle grandi gesta degli antichi, proprio del Machiavelli, è qui negato, sia per l’impossibilità più volte ribadita dal G., di stabilire una norma perfetta e assoluta d’azione, sia anche per il senso scorato della meschina umanità presente. Altrove il G. attaccherà ancor più decisamente il mito stesso della 4. il corso, ecc. Il

mito

:

dell’

eccellenza degli antichi.

20. 1.

Ma-

bili,

a

pena considerabili:

2.

felicità:

domi-

3.

però: perciò.

4.

La prudenza,

a

narla, egli sostituisce la discrezione, la pru-

denza, cioè, e r intelligenza che consentono di comprendere le cose, di inserirsi nel loro flusso alterno e complesso senza

quasi

trascura-

in apparenza.

che è capacità di conoscenza razio-

nale della realtà ed energia volta

i

prima deca di Tito

la

Livio

significa capacità di

discernere caso per caso. Alla tnrtù del



sopra

Discorsi

la corsa.

alla Storia d’ Italia.

1.

cui

3.

sto-

Romani: coloro che tutti i esempio dei Romani. È 1

citano

chiara l’allusione polemica al Machiavelli,

2.

ricostruzione

coloro...

1.

momenti

comprensio-

Per queun’introduzione ideale

sono

proprio par-

19.

nel

militante.

politica

il

ticulare, ossia se stessi e la propria dignità.

senso

il

dell’estrema e imprevedibile complessità del-

è

^

eventi fortunati.

no appunto, per pesare

minimi

gli

la

discrezione, consisto-

G., nella capacità di sopclementi anche, in apparenza,

della

il

trama dei

fatti.

Francesco Guicciardini

2

1

Sarebbe da desiderare

.

punto, ^ cioè in

Ma

polo.^

293

modo

el

potere fare o condurre

è difficile el fare questo:

ti

è in

che è errore

a punto;

non

accorgi spesso

mondo

natura delle cose del

modo

varne alcuna che in ogni parte non vi

cose sue a

lo occuparsi

e

anche quando credi

essere niente,® perché la

che è quasi impossibile troqualche disordine e incon-

sia’'

come sono® manco male. {126)

veniente. Bisogna resolversi a tórle

quello che ha in sé

le

disordine o scru-

occasione fuggono mentre che

le

tempo a condurre quello^

perdi

averlo trovato e fermo,®

modo

in

troppo in limbiccarle,^ perché spesso tu

minimo

che fussino sanza uno

e pigliare per

buono

^ fanno maggiore cose che e dove non è necessitato, ^ si rimette fortuna, el pazzo assai alla fortuna e

22. Accade che qualche volta e pazzi

Procede

savi.

poco

alla

ragione

E

dibili.®

savio,

el

ragione e poco alla

alla

assai

perché

:

e ie cose portate dalla fortuna

arebbono ceduto

savi di Firenze

alla

hanno

talvolta fini incre-

tempesta presente; e pazzi,

avendo contro ogni ragione voluto opporsi, hanno fatto insino a ora non si sarebbe creduto che la città nostra potessi in modo alcuno fare :* e questo è che diceel proverbio Audaces fortuna \uvat? (136) quello che

Non

23.

vi maravigliate

non quelle che

sate,

si

che non

21. 1.

lo

troppa punto. 4.

occuparsi...

cura

prendersi

limbiccarle:

elaborarle,

di

di

condurle

a

ciò

che

stai

facendo,

la"^

tua

come

trovato e fermo: trovata e fissata quel-

non

I.

che...

sia:

si

conseguenze che nes-

aspetterebbe.

e pazzi... fare: dell’

sa

incredibili:

fini

3.

suno

ultima

Allude

repubblica

all’eroica dife-

fiorentina,

che

1529 all’agosto del 1530, alle forze congiunte di Carlo V e di Clemente VII. Nessuno avrebbe potuto pre-

vedere una resistenza cosi strenua e dispe-

che non abbia almeno in

rata a potenze di gran lunga superiori. gli 5. Audaces... iuvat: la fortuna aiuta

:

audaci.

come sono:

a tórle

a prendere

cose

le

23 ' 24

sono.

e pazzi:

i

pazzi (cosi e savi

pensiero appare in contrasto con

sembra

in-

che quella perfezione

essere niente

22.

Il

quando non è

resistette, dall’ottobre del

qualche parte. 8.

spesso, contro l’im-

dove... necessitato:

4.

quello:

è irraggiungibile. 7.

cose delle età pas-

peto cicco della fortuna. 2.

l’assoluta precisione che ricerchi. 6.

le

calzato dalla necessità.

azione. 5.

'

savio a nulla valgono,

appuntino, con estrema con-

a punto:

sapevolezza e precisione. 2. scnipulo: scoglio, intoppo. 3.

sappino

si

fanno nelle provincie o luoghi lontani: perché,

=

i

savi).

altri;

ma,

G., in questo contrasto, in questa apparente contraddizione è appunto la vita, varia e indefinibile. D’altra parte, l’eccessivo indugio a valutare tutte le possibili conseguenze di un’azione rischia di impedire l’azione stessa, queU’efficacia che spesdirci

il

so è legata alla rapidità e alla decisione. to piu che

i

Tan-

più accorti provvedimenti del

-

Ci piace concludere questa nostra antologia dei Ricordi con due pensieri che ci mostrano la meditazione e la ricerca da parte dell’autore,

passaggio,

di cioè,

un canone

più vasta e sua opera di storico,

alla

inteso

un momento dell’umana

23 sappine: sappiano.

a

civiltà,

sua complessità e pienezza.

I.

storiografico,

il

da queste massime sparse organica concezione della far

rivivere

colto nella

Antologia della letteratura italiana

294

se considerate bene,

non

che giornalmente

fanno

non

s’ha vera notizia delle presenti,

una medesima

in

città; e

di quelle

spesso tra

pa-

’l

piazza^ è una nebbia si folta o uno muro sì grosso che, penetrando l’occhio degli uomini, tanto sa el populo di quello

lazzo e

non

si

la

vi

che fa chi governa o della ragione perché

E

fanno in India.

però

quanto

lo fa,

empie facilmente

si

delle cose che

mondo

el

di

opinione

erronee e vane.^ (^^1)

24 Farmi che

tutti gli istorici

.

rato in questo

che hanno lasciato

:

loro erano note, presupponendole

Romani,

de’

istorie

tutti

gli

modi

degli ordini del governo, de’

gistrati,

note.

altri

si

delle città

scrisse

erano notissime e però pretermesse® da loro.

perdono

le

molte

di

considerato che con

la

memorie

a scriverle, in

delle

cose,

e

modo

si

come

una

fine della istoria."^ (^

el

età lontana

a’

tempi di chi

Ma

spengono

se

avessino e

città

le

che non per altro sono

che cosi avessi® tutte

chi nasce in

«

che

simili,

lunghezza del tempo

è proprio

Le

cose

altre

che per conservarle in perpetuo, sarebbono

istorie

la

della milizia,^ della gran-

dezza

e

desidera oggi

verbigrazia^ delle autorità e diversità de’ ma-

^

:

molte cose che a tempo Donde nasce che nelle

di scrivere

come

Greci e di

de’

notizia in molti capi

abbino, non eccettuando alcuno, er^

scritte

si

le

più diligenti

stati

cose innanzi agli occhi

le

coloro che sono

stati

presenti: che

43 )

Considerazioni sui Discorsi del Machiavelli »

Le Considerazioni^

scritte

probabilmente nel 1528, durante

Finocchieto, costituiscono, insieme con

i

il

ritiro

di

più impor-

Ricordi^ l’espressione

tante delle teorie politiche del Guicciardini. In esse l’autore discute puntual-

mente i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio del Machiavelli, criticandone non solo le conclusioni e le soluzioni ma anche il fondamento generale, la visione, cioè, della storia romana come storia esemplare e ancora idealmente attuale.

Anche qui la meditazione del Guicciardini non si sviluppa in forma sistecome ha detto con felice immagine il Sapegno, « per mezzo di

matica, ma,

2.

cipi 3.

tra

e

La

vece,

la

palazzo c

’l

la

piazza:

fra

i

prin-

popolo.

il

3. verbigrazia:

ricerca della verità dei fatti è,

in-

fondamentale vocazione dello

sto-

rico.

24.

ordinamenti militari. 5.

pretermesse: tralasciate.

6.

avessi:

7.

Il

avesse.

hanno

2.

si

lasciato:

desidera...

mancanza

hanno capi:

si

tralasciato.

sente

oggi

to, la

di notizie precise su molti punti.

non

chi

nasce.

dunque, quelun esempio, un insegnamen-

come pensava

costruzione fatti

Soggetto è

fine della storia

lo di costituire 1.

cioè.

magistrati: magistrature, ordini del governo: forme di governo, modi della milizia: 4.

il

è,

Machiavelli,

circostanziata

e

ma

la

oggettiva

in tutte le loro sfumature.

ri-

dei

Francesco Guicciardini

295

osservazioni critiche spicciole in margine alle pagine di

un

libro

ovvero

ai

casi della vita ».

Dall’ideale dialogo col Machiavelli balzano evidenti le differenze di pen-

d’animo dei due grandi fiorentini. Le possiamo cogliere immediatamente confrontando il loro stile. Quanto il Machiavelli è reciso, appassionato, SI che sembra porsi davanti ai problemi con un tono agonistico, di drammatica alternativa, altrettanto il Guicciardini è pacato, calmo, circostanziato. Alla tensione dinamica del primo, si contrappone qui un periodare ampio, inteso al ragionamento e alle distinzioni sottili, tutto concretezza, che sembra ricavare con riluttanza una conclusione generale dal fatto consiero e

creto. Il Machiavelli è l’ideologo

un

sione attuale e vi cerca

che intende ricostruire lucida intelligenza

La Chiesa

A

il

i

che proietta

la storia

incentivo all’azione,

passata nella sua pas-

Guicciardini è lo storico

il

tutte le loro sfumature,

fatti in

comprendere con

passato.

e l’Italia

proposito della

discussione

presente sul

problema dell’unità

italiana,

ab-

biamo a suo luogo indicato quanto di utopistico fosse nell’ideale machiavelliano, c quanto fosse arbitrario ascrivere soltanto al potere temporale della Chiesa la causa della mancata unificazione dell’Italia. Tuttavia anche il Guicciardini riconosce la responsabilità della Chiesa; quel che non è disposto a riconoscere è che la disunione dell’ Italia sia un male; egli anzi vede il particolarismo come una tendenza naturale e sostanzialmente positiva dello spirito e della civiltà italiana. Il

Guicciardini ha ragione, se

si

considera la concreta situazione storica del

suo tempo, ma non comprende che il Machiavelli afferma l’ideale esigenza di trasformare radicalmente proprio quel sempre precario equilibrio particolaristico (tanto caro al Nostro) il cui sbocco fatale era stato il tramonto della libertà italiana.

Non si può dire tanto male della corte romana che non meriti se ne dica piu, perché è una infamia,^ uno scempio di tutti e vituperii e obbrobrii del mondo. E anche credo sia vero che la grandezza della Chiesa, cioè l’autorità che gli ha data la religione, sia stata la causa che Italia non sia caduta in una monarchia,^ perché da uno canto ha avuto tanto credito che ha potuto

farsi capo,

e convocare,

bisognato, principi esterni contro a chi era per opprimere

Il

Guicciardini

del libro

I

discute

qui

il

cap.

dei Discorsi del Machiavelli.

XII

Lo

riportiamo a pag. 243. I. perché... infamia; all’ inizio, il G. dà pienamente ragione al Machiavelli, partecipa alla sua indignazione morale contro la corruzione della corte Romana, si potrebbe anzi dire che rincari la dose, gonfio di amarezza e di sdegno.

2.

non

unificata

sia...

sotto

quando è Italia;

monarchia: non un unico dominio.

^

sia

Ma

da stata

già

caduta preannuncia l’argomentazione successiva, che è in netto contrasto col pensiero del Machiavelli. potuto diventare, 3. perche... Italia: ha almeno moralmente e politicamente, il piu la

parola

importante stato italiano e quindi chiamare principi stranieri in aiuto contro quegli

Antologia della letteratura italiana

296

essendosi spogliata di armi proprie,^ non ha avuto tante forze che abbia potuto stabilire dominio temporale altro che quello che volontariamente gli è stato dato da altri. Ma non so già se il non venire altro,

una monarchia® sia stata felicità o infelicità® di questa provincia,’ se sotto una repubblica questo poteva essere glorioso al nome

in

perché

d’ Italia e felicità a quella città che dominassi,® era all’altre tutte cala-

mità, perché, oppresse da quella

ombra

non avevano facultà® costume delle repubbliche non partecipare e frutti della sua libertà e imperio ad altri che a’ suoi cittadini proprii.^® E se bene la Italia divisa in molti dominii abbia in vari tempi patito molte calamità, che forse in uno dominio solo non arebbe patito (benché le inondazioni de’ Barbari furono piu a tempo dello imperio romano che altrimenti), “ nondimeno in tutti questi tempi ha avuto

il

che non arebbe avuto sotto una

rincontro tante città floride

al

di quella,

grandezza alcuna, essendo

di pervenire a

repubblica, che io reputo che una monarchia gli sarebbe stata piu infelice

che

Questa ragione non milita in uno regno il quale è veggiamo la Francia e molte

felice.

commune

piu

a tutti e sudditi; e però

un

altre provincie vivere felici sotto d’ Italia

o per

hanno ingegno della

stati

porre

la

che

tentassero

di

è

mai questa provincia

im-

non avendo un

eser-

una monarchia: sotto un unico dominio. La parola monarchia ha qui il senso etimologico di governo di un solo; sia che si tratti di un « principe » sia di una repubblica, come quella di Venezia, che imponga il proprio dominio sulle altre rein

gioni

italiane.

Come

vedrai

più

avanti,

il

G. considera soprattutto questo secondo caso,

quello cioè che sarebbe stato più possi-

bile,

gli

storicamente, nella politica italiana deultimi

secoli,

dalla

civiltà

comunale a

quella delle Signorie.

o

6.

felicità

7.

di questa provincia;

infelicità:

fortuna o sventura. dell’ Italia.

dominassi: perché se questa unificazione, qualora fosse avvenuta sotto il dominio di una repubblica, poteva rappresentare per questa una fortuna, ecc. 8.

9.

perché...

facultà:

modo

propri cittadini,

j

che

stata facile a riche tiene in

di assoluto privilegio,

e

gli

abitanti dei territori assoggettati. il G. non pensa, né suo tempo, pensare a una unità nazionale quale fu perseguita nel nostro Risorgimento, ma a una unificazione fondata sulla forza e il diritto di conquista.

Tieni presente che

cito proprio. 5.

fra

licabile

una situazione

propria egemonia.

essendo... proprie;

4.

non

e forze,^®

penisola

pure, o sia per qualche fato

re:

complessione degli uomini temperata in

la

possibilità,

modo.

10. essendo... proprii: Il G. è su questo punto d’ accordo col Machiavelli: è più gravoso essere soggetti a una repubblica

che a un principe, perché questi tende a un generale livellamento dei sudditi, ma anche a pareggiarne i diritti e le possibilità, quella, invece, mantiene

una barriera inva-

potrebbe,

nel

La storia d’ Italia, come egli osserva acutamente più avanti, era stata una storia di città,

di

piccoli

chiusi

stati

colarismo; mancava

nel

loro parti-

senso dell’ unità.

il

anche se le invaavvennero piuttosto al tempo dell’ impero romano che dopo. 12. Allude ai Comuni e alla loro storia 11. benché... altrimenti;

barbari

dei

sioni

gloriosa.

Questa...

13.

zioni cioè,

Queste

regno:

considera-

non valgono per un regno (in esso, non avviene che la potenza di una

città offuschi

anzi non

il

libero progresso delle altre;

è neppure

c’

una

città

che domini

politicamente sulle altre). 14.

è

più

commune:

garantisce

V ugua-

glianza politica dei sudditi, in quanto

dipendono

essi

direttamente dal re e sono sottoposti a un’ unica legge. 15. per la complessione... forze: a causa

dell’ indole

vivo

e

di

tutti

degli Italiani, dotati di ingegno

capacità

individuali

notevoli.

Il

Francesco Guicciardini

297

un imperio,

dursi sotto

quando non

eziandio^*

sempre naturalmente ha appetito” di

ria

altro

imperio che

ci

era la Chiesa; anzi

né credo

libertà;

la

sia

ci

memo-

abbia posseduta tutta che de’ Romani, e

l’

quali la soggiogorono con grande virtù e grande violenza;” e si

spense

cilmente lo imperio di

monarchie,

alle

mancò

repubblica e

la

la virtù degli

Però

Italia.

se la

Chiesa romana

non concordo facilmente

io

come

imperatori, perderono fa-

essere

questa provincia,” poiché l’ha conservata in quello

si

stata

modo

è opposta

infelicità

di

di vivere che

è più secondo** la antiquissima consuetudine e inclinazione sua.

La

»

« Storia d’ Italia

L’attività letteraria* del Guicciardini la Storia fiorentina

Ciompi

dei

si

apre, nel 1508, con un’opera storica,

(che raccontava gli eventi della sua patria dal tumulto

alla battaglia della

Ghiaradadda) e

conclude, nel 1540, con

si

un’altra opera storica, la Storia d’Italia.

Un non

rapido confronto fra

due opere può essere

le

soltanto lo sviluppo stilistico dello scrittore,

l’approfondirsi del suo orizzonte

cui

storiografico,

sufficiente per mostrarci

ma

anche, e soprattutto,

certo giovarono

esperienze politiche e l’assidua meditazione dei fatti. Possiamo quindi affermare che la Storia d’Italia costituisce

la

le

sue

sintesi,

l’espressione conclusiva del pensiero dell’autore.

Al 1535

risale l’inizio della stesura dell’opera,

XVI

libro

(venti sono

i

libri

che

la

incentrati sulla battaglia di Pavia (1525), che

mente

il

predominio spagnolo in

che cominciava con l’attuale cioè con gli avvenimenti

compongono),

aveva sancito inequivocabil-

Ma, come avverte giustamente il della Storia dovette ricevere un fon-

Italia.

De

Caprariis, la concezione definitiva damentale impulso quando il Guicciardini, nel 1536, si recò a Napoli col duca Alessandro per difenderlo di fronte a Carlo V dalle accuse dei fuorusciti fiorentini

:

« quel giudice straniero delle vicende interne della sua città

dovè ben apparirgli come la personificazione di un nuovo secolo che si ergeva sulle rovine d’un crollo totale, che abbracciava non solo Firenze, ma l’Italia intera ».

La Storia d'Italia è la storia di questo crollo: dalla morte di Lorenzo il Magnifico, cioè dalla fine della politica italiana d’equilibrio e dalle conse-

G.

ammira

lo

splendore

delle

libere

libertà.

16. eziandio: 17.

anche. naturalmente appetito: spontaneamen-

te desiderato.

18.

città

vede nel particolarismo politico un effetto deir ingegno c delle capacità degli Italiani, che non si rassegnano ad assoggettarsi a un re, gelosi come sono della loro

italiane,

con grande... violenza: cioè con

la vio-

lenza e la virtù guerriera. Roma riuscì ad affermare la propria egemonia sull’ Italia dopo guerre durissime e sanguinose. affatto 19. io non... provincia: non sono d’accordo che questo sia stato un male per

r

Italia.

20. che è piu secondo:

me

alla,

ecc.

che è piu confor-

Antologia della letteratura italiana

298

il loro dominio sulla Clemente VII, l’ultimo principe italiano che avesse tentato una grande politica, compromettendo, però, per secoli, a

gucnti contese tra Francesi c Spagnuoli per affermare Penisola, fino alla morte di papa

causa dei suoi errori e delle sue irresolutézze, italiano indipendente

la possibilità di

Ma

da potenze straniere.

la

un

equilibrio

italiana è vista dal

crisi

Guicciardini con acuto c originalissimo senso storico, nell’ambito della cerca di

un nuovo

assetto europeo,

i

ri-

cui fondamenti sono gettati proprio sulla

tragedia della libertà dell’Italia.

Per quel che riguarda la concezione storiografica dell’autore, è significail fatto che l’opera si apra e si concluda con la presentazione di due

tivo

individui,

Lorenzo e Clemente VII.

come opera

Guicciardini, infatti, vede

la

storia

delle loro capacità e delle loro

ambi-

Il

di singole individualità:

zioni, delle loro passioni, dei loro istinti, delle loro debolezze. la

Di qui nasce il primo

sua ricerca delle intime ragioni psicologiche da cui hanno ricevuto

impulso

i

eventi

fatti; la logica degli

singoli personaggi.

Ma

la

tata dalla fortuna, o, meglio, dalla

mitanti;

le

azioni singole

cioè, ricondotta alla psicologia dei

è,

libertà d’azione del singolo è, per l’autore, limi-

complessa rete di

vengono quindi

verità

osservazione

Guicciardini,

del

e concreta, ben

effettiva

e personalità conco-

Di qui nasce

plicazioni e nel loro reciproco condizionamento.

attentissima

fatti

studiate nelle loro reciproche im-

la

scrupolosa,

la

sua complessa ricerca

lontana dalle sintesi

ma

generose,

della

spesso

approssimative, del Machiavelli, che cercava nella storia una conferma di teorie esemplari.

Per tutta acutissima,

la Storia d* Italia avverti la

tensione di un’intelligenza vigile e

una visione minuziosamente

riflette nelle

articolata

ampi, pieni di

incisi e di

eppure unitaria, che

proposizioni secondarie, volti a rappresentare

fatto in tutte le sue sfumature,

eppure organici, limpidi,

chiaro e agevole ordine razionale.

gnante non risponde a un vezzo

Anche

letterario,

la ricerca della

ma

a

si

hai in esso, infatti, periodi

qualità corrispondenti dello stile:

un

costruiti

un

secondo un

parola eletta e pre-

costante bisogno di razio-

nalità e di chiarezza.

Tuttavia anche sue pagine pacate e

la

Storia

è

marmoree

opera intimamente autobiografica. avverti

una vena

di contenuta

ma

Sotto

intensa

le tri-

la desolazione che nasce dallo spettacolo della rovina d’Italia si fonde con quella piu immediatamente personale dell’autore, che rivive la sua vicenda, legata a quegli eventi e risultasi in uno scacco definitivo. A questo si aggiunge un piu universale sentimento della malvagità e incapacità generale degli uomini, dell’instabilità e malignità della Fortuna, della pre-

stezza:

carietà d’ogni

umano

operare.

E non

mancano,

infine,

momenti

di auten-

o per lo meno di triste perplessità davanti al costante trionfo della forza bruta su ogni moralità; è un’antitesi che il Guicciardini non affronta con la risolutezza spietata del Machiavelli, ma che soffre senza

tica sofferenza morale,

speranza.

Comunque, l’intelligenza predomina sul sentimento: una passione intelun bisogno soprattutto di comprendere animano la Storia. La discrezione non è piu, qui, la qualità, discutibile, del politico, ma coincide con la lettuale,

mentalità oggettiva e precisa dello storico che vuol far rivivere

nel

suo

Francesco Guicciardini

299

‘i fatti come effettivamente furono, mento per momento, imparzialmente, per

racconto

mo-

caso per caso,

sviscerarli,

nella

ricostruirli

loro

verità

e

nella loro organica completezza.

proemio

Il

La

alla

Storia d’ Italia

apre con una sorta di vasta e mesta sinfonia. L’ autore il passato splendore dell’ Italia e indica le ragioni del suo tragico crollo. Ma la desolazione dell’animo, che giunge a un senso sconStoria d’ Italia

si

rievoca con nostalgia accorata

umano,

solato dei limiti dell’operare

è continuamente combattuta dall’intelligenza

lucida del Guicciardini, dalla sua ferma volontà di comprendere, di chiarire a

Ne consegue uno stile severo e sostenuto, nel quale sentimento è represso e dominato dall’acutezza della visione intellettuale.

se stesso le cause della rovina. il

ho deliberato

Io

di scrivere le cose accadute alla

memoria

nostra

^

da poi che Tarmi de’ Franzesi, chiamate da’ nostri principi medesimi,^ cominciarono con grandissimo movimento a perturbarla: materia, per la varietà e grandezza loro,^ molto memorabile, e piena in Italia,

di atrocissimi accidenti

avendo

lamità, con le quali sogliono

patito tanti anni Italia tutte quelle ca-

miseri mortali, ora per Tira giusta d’iddio,

i

ora dalla empietà e sceleratezze degli

cognizione de’ quali

uomini, essere

altri

Dalla

vessati.^

tanto varii e tanto gravi, potrà ciascuno, e

casi,

per sé proprio e per bene pubblico, prendere molti salutiferi documenti ;

onde per innumerabili esempi evidentemente apparirà bilità

(né altrimenti che

umane; quanto siano

cose

le

uno mare concitato®

sempre

a’

popoli,

consigli

i

memoria nostra: r armi medesimi

nei nostri tempi.

quanta

di

occhi

agli

insta-

da’ vènti) siano sottoposte

quasi sempre a sé

perniciosi,

male misurati

quando (avendo solamente innanzi

a

®

ma

stessi

coloro che dominano;

o

errori

vani o

le

cu-

responsabilità dei principi) e, più

scopre

le

narrazione

avanti,

nel

umane

1494 di Carlo Vili re di Francia, incitato a compiere questa spedizione da fuorusciti

tuna».

senso dell’ instabilità delle cose soggette all’impeto cieco della « forvessati: travagliati, tormentati.

dei vari stati italiani, dai Baroni napoletani

concezione rinascimentale della storia come maestra di vita. Essa, però, per il G., non costituisce tanto, come per il Machiavelli, un incitamento all’azione magnanima e forte, ma un mezzo per affi-

alla

1.

2.

. . .

prende

ostili

mosse dalla calata

le

Moro, signore del Ducato

il

no,

che

intendeva

del potere

4.

llalia

il

privare

di

Mila-

definitivamente

nipote Gian Galeazzo,

legitti-

ora...

di

degli avvenimenti.

delle cose,

La

vessati:

uomini,

nel

storia del

senso

l’origine e la ragione dei fatti

logia degli individui;

ma

G. è

sto-

che egli ricerca nella psico-

l’atrocità dei casi

salutiferi

5.

la

rottura

d’ Italia

suscita

nel

salutari

ammae-

prudenza,

la

discrezione,

il

senso,

cieca e selvaggia della fortuna. Il G. individua con chiarezza le cause della crisi: la

italiani

sciagure

documenti: la

dell’estrema complessità dei fatti. 6. concitato: sconvolto. L’immagine esprime drammaticamente il senso della violenza

suo

delle

È

cioè,

animo accorato anche il senso di un flagello divino (pur mentre la sua lucida intelligenza

e

il

stramenti.

nare

erede del trono.

3. loro:

ria

in

Aragonesi e soprattutto da Lodo-

agli

vico

mo

La

:

ma

dell’equilibrio

politico

fra

gli

stati

conseguente vuoto di potenza; sente che una volta perduto il controllo e

il

Antologia della letteratura italiana

300

pidità presenti, non si ricordando delle spesse variazioni della fortuna, e convertendo in detrimento*^ altrui la potestà conceduta loro per la salute comune) si fanno, o per poca prudenza o per troppa ambizione, -autori di

Ma

nuove turbazioni. calamità d’ Italia (acciocché io faccia noto quale fusse allora

le

insieme le cagioni dalle quali ebbeno l’origine tanti mali) cominciorono con tanto maggiore dispiacere e spavento negli animi degli uomini, quanto le cose universali® erano allora piu liete e piu felici. Perché manifesto è che (dappoi che® lo Imperio Romano, indebolito prinlo stato suo, e

cipalmente per

mutazione degli antichi costumi, cominciò, già sono

la

più di mille anni, di quella grandezza a declinare, maravigliosa Italia tanta

virtù

fortuna era

e

riposava

si

sentito

quanto era

prosperità, né provato stato tanto desiderabile,

quello nel quale sicuramente

quale con

alla

non aveva giammai

salito)

l’anno della Salute cristiana

mille quattrocento novanta, e gli anni che a quello e

prima

e poi fu-

rono congiunti. Perché, ridotta tutta in somma pace e tranquillità, tivata non meno ne’ luoghi più montuosi e più sterili che nelle nure

né sottoposta ad altro imperio che de’

e regioni sue più fertili,

non

suoi medesimi, zie e

solo era abbondantissima d’abitatori, di mercatan-

ma

di ricchezze;

summamente

illustrata

dalla magnificenza di

molti principi, dallo splendore di molte nobilissime e bellissime dalla Sedia e maestà della Religione,

fioriva

amministrazione delle cose pubbliche, e

nella

in

tutte

le

dottrine

qualunque

in

e

priva, secondo l’uso di quella età,

arte

città,

d’uomini prestantissimi di ingegni molto nobili

preclara

e

industriosa;



di gloria militare; e ornatissima

meritamente appresso a

di tante doti,

col-

pia-

tutte

nome

nazioni

le

fama

e

chiarissima riteneva.

Nella quale

laude non piccola

della

situazione

7.

in detrimento:

8.

le

9.

trall’altre,

di

consentimento comune,

alla industria e virtù di

fatti

i

un ordine non più

rali

acquistata con varie occasioni, la conservavano

felicità,

ma

molte cagioni,

si

sono

svolti

con

prevedibile.

danno

a

cose universali:

le

dei popoli.

deir Italia, dappoi che: da quando.

10.

di quella...

declinare:

12. dalla il

centro

Sedia...

della

riposava:

godeva una

Religione:

a

Roma

cattolica,

la

era

sede

del Pontefice. 13. secondo...

l’autore che

età:

Le compagnie

di ven-

tura italiane, cioè le armi mercenarie, go-

ma

li

riteneva:

notevole

La

pre-

ricostru-

confronta con la decadenza non vede che proprio al-

egli

cominciava maggiori

lora

tica dei

religione

di

zione storica assume un colore quasi mitico. Indubbiamente furono anni di splendore per 1 Italia, e tanto più belli appaiono alpresente;

si

attribuiva



a decadere da

quella grandezza. 11. sicuramente pace serena,

meritamente...

si

de’ Medici,^® citta-

devano nel Quattrocento stigio anche all’ estero. 14,

condizioni gene-

Lorenzo

la

crisi

economica e

poli-

stati italiani.

15. Lorenzo de’ Medici: Il G. critica duramente il Magnifico nelle Storie fiorentine per aver stabilito un governo assoluto e di-

Qui, invece, gli riconomerito di essere stato il principale so-

spotico in Firenze. sce

il

Francesco Guicciardini

dino tanto eminente sopra

*1

grado privato^® nella

città

di

Firenze,

che per consiglio suo si reggevano le cose di quella Repubblica, potente piu per l’opportunità del sito, per gii ingegni degli uomini e per la

prontezza de’ danari, che per grandezza di dominio.

E

avendosi

con parentado nuovo,” e ridotto a prestare fede non consigli suoi, Innocenzo Vili pontefice romano, era per

egli congiunto,

mediocre

a’

suo nome, grande nelle deliberazioni delle cose conoscendo che alla Repubblica fiorentina e a sé proprio sarebbe molto pericoloso se alcuno de’ maggiori potentati ampliasse pili la sua potenza, procurava con ogni studio che le cose d’Italia in modo bilanciate si mantenessino, che piu in una che in un’altra senza la conservazione della pace, e il che, parte non pendessino; senza vegghiare ” con somma diligenza ogni accidente benché minimo, tutta Italia

comuni

grande

l’autorità.

il

E

non poteva. Concorreva nella medesima inclinazione comune Ferdinando di Aragona re di Napoli, principe

succedere quiete

mente prudentissimo, e

di

grandissima estimazione;

con

della certa-

tutto

che

molte volte per l’addietro avesse dimostrato pensieri ambiziosi e alieni da’ consigli della pace, e in questo tempo fusse molto stimolato da

Alfonso duca di Calabria, suo primogenito; il quale mal volentieri tollerava che Giovan Galeazzo Sforza, duca di Milano, suo genero, maggiore già di venti anni,® benché d’intelletto incapacissimo, ritenendo solamente il nome ducale,^ fusse depresso e soffocato da LodoIl quale, avendo piu di dieci anni prima, per la imprudenza e impudichi costumi della madre Madonna Bona, presa la tutela di lui, e con questa occasione ridotte a poco a poco in potestà proprie le fortezze, le genti d’arme, il tesoro, e tutti i fondamenti dello Stato, perseverava nel governo; né come tutore o governatore, ma, dal titolo di duca di Milano in fuora,® con tutte le dimostrazioni e azioni da principe. E nondimeno Ferdinando (avendo piu innanzi agli occhi l’utilità presente che l’antica inclinazione, o la indegnazione del figliuolo, benché giusta) desiderava che Italia non si alterasse; o p>erché.

vico Sforza, suo zio.

stegno della politica d’equilibrio fra

le for-

ze dei maggiori stati italiani, che garanti per alcuni decenni la pace. 16. tanto... privato; tanto al di sopra del-

condizione di privato cittadino. 17. congiunto... nuovo: Una figlia di Lorenzo aveva sposato un figlio di Innocenla

della piccola diplomazia, su un dosaggio sapiente delle forze; non aveva intime e ma il G. non se ne avvede

minuto



profonde ragioni



vitali.

genero di Ferdinando d’Aragona, di cui aveva sposato la figlia 20.

suo...

anni:

18. pili... pendessino: Lorenzo si studiava che non venisse minimamente alterato il fra-

e in età già di poter esercitare il potere al posto di Lodovico il Moro. 21. ritenendo... ducale: conservando solo il titolo di Duca di Milano, senza esercitare

gile equilibrio politico italiano.

alcun potere effettivo.

zo Vili.

19.

vegghiare;

mente.

vegliare,

L’equilibrio

si

studiare attenta-

fondava

sul

giuoco

Isabella,

22. dal

mente

il

titolo...

in

titolo ducale.

fnora:

escluso

sola-

Antologia della letteratura italiana

302

avendo provato pochi anni prima, con gravissimo pericolo, l’odio contro a sé de’ Baroni e de’ popoli suoi,^ e sapendo l’affezione che per la memoria delle cose passate molti de’ sudditi avevano al nome della Casa di Francia, dubitasse che le discordie italiane non dessino occasione a’ Franzesi di assaltare il reame di Napoli; o perché, per fare contrapeso alla potenza de’ Viniziani, formidabile “ allora a tutta conoscesse essere necessaria l’unione sua con gli

Italia,

mente con benché

di

Milano e

di

Stati

gli

che agli

altri,

e special-

altri,

a Lodovico Sforza,

inquieto e ambizioso, poteva piacere altra delibera-

spirito

soprastando non

zione;



Firenze.

di

manco

a

quegli che dominavano a Milano,

pericolo del Senato Viniziano,^ e perché gli era più

il

conservare nella tranquillità della pace che nelle molestie della

facile

guerra l’autorità

usurpata.

E

se

bene

gli

fussino

sempre

sospetti

i

Alfonso d’Aragona; nondimeno, essendogli nota la disposizione di Lorenzo de’ Medici alla pace e insieme il timore che egli medesimamente avea della grandezza loro, e persuadendosi che, per la diversità degli animi e antichi odii tra Ferdinando e i Viniziani, fusse vano il temere che tra loro si facesse fondata pensieri di

Ferdinando e

congiunzione,^

si

di

riputava assai sicuro che gli Aragonesi non sareb-

bono accompagnati da

altri

a tentare contro a lui quello, che soli

non

erano bastanti a ottenere.

Guicciardini parla poi della Lega

Il

Milano, Firenze,

Italica, conclusa nel I4S5 Roma, Napoli, Venezia, per mantenere V equilibrio

in Italia, intesa, però, in realtà, a frenare la

brama

di espansione dei

Veneziani nella Penisola. Raffrenava facilmente questa confederazione Viniziano,

ma non

congiugneva già

i

fedele. Conciossiacosaché,^ pieni tra sé

non cessavano

losia,

l’altro,

sconciandosi ^ scambievolmente

casa regnante di Francia. 25.

formidabile:

temibile.

diffidenza e l’ostilità degli

Forti erano la stati

italiani

nei

confronti di Venezia, sospettata di voler esten-

dere

la

medesimi

di osservare assiduamente gli

23. pochi... suoi: Vi era stata nel 1485 la Congiura dei Baroni contro Ferdinando. 24. per la memoria... passate: prima degli Aragonesi, avevano regnato nell’ Italia meridionale gli Angioini, imparentati con la

la

propria egemonia su tutta

la penisola.

cupidità del Senato

Collegati in amicizia sincera e

tutti

i

di emulazione e geandamenti l’uno del-

disegni,

per

i

quali a

26. Senato Viniziano: la Repubblica di Venezia retta dal Senato. fondata congiunzione: un’ alleanza 27.

sincera

e

sicura.

Come

si

vede,

1



equili-

fondato soltanto sul reciproco timore e sulla reciproca diffidenza, e portava quindi a una fondamentale debolezza delbrio

1



era

Italia.

28. Conciossiacosaché

29.

:

poiché.

sconciandosi: guastandosi.

Francesco Guicciardini

303

qualunque di essi accrescere non rendeva manco stabile

potesse o imperio

si

o riputazione: il che tutti maggior

pace,^ anzi destava in

la

prontezza a procurare di spegnere sollecitamente tutte quelle che origine di nuovo incendio essere potessino.

Tale era lo stato delle cose, lità d’Italia,

presente

tali

erano

disposti e contrapesati in

non

temeva,

si

ma

né^^

si

i

faville,

fondamenti della tranquil-

modo, che non

solo di alterazione

poteva facilmente congetturare da

quali consigli o per quali casi, e con quali armi

si avesse a muovere mese di aprile dell’anno mille quattrocento novantadue, sopravenne la morte di Lorenzo de’ Medici; morte acerba a lui per l’età (perché mori non finiti ancora quarantaquattro anni), acerba alla patria, la quale, per la reputazione e prudenza sua e per

Quando,

tanta quiete.

nel

l’ingegno attissimo a tutte

cose onorate e eccellenti, fioriva maravi-

le

gliosamente di ricchezze, e di suole essere nelle cose

incomodissima ancora

umane al

tutti

quegli beni e ornamenti da’ quali

lunga pace accompagnata.

la

resto d’Italia,^ cosi per

l’

Ma

fu morte

altre operazioni

le

comune, continuamente si facevano, come perché era mezzo a moderare e quasi uno freno ne’ dispareri e ne’ sospetti, i quali, per diverse cagioni, tra Ferdinando e Lodovico Sforza, quali da

per

lui,

la sicurtà

principi d’ambizione e di potenza quasi pari, spesse volte nascevano.

La

scoperta dell’America

Questa rapida digressione sulle scoperte geografiche compiute a partire dalla XV da Spagnuoli e Portoghesi, è introdotta dal Guicciardini per spiegare il declino del piti forte stato italiano, Venezia, che si vide soppiantata dal 30. commercio delle spezie, il più importante e redditizio del tempo, esercitato prima da essa quasi in condizione di monopolio. Lo spostamento del commercio dal Mediterraneo all’Atlantico colpi gravemente l’economia non solo di Venezia, ma dell’Italia intera e fu una delle ragioni fondamentali della sua decadenza nel fine del sec.

sec.

XVI. Ma, sia pur sinteticamente,

il Guicciardini accenna qui a un’ altra, importanconseguenza di quelle scoperte. L’improvviso dilatarsi dei confini del mondo poneva in crisi tutto un complesso di forme e strutture di pensiero. Ne risultava, fra l’altro, sminuita l’ autorità di quei classici che avevano costituito

tissima

supremo

l’ideale

modello

con

e,

di vita e di perfezione esso,

alle

il che... pace: Il G. ha riconosciuto acutamente limiti di quella politica, piena di diffidenze e malcelati rancori, eppure i

la

Permane in come arte

considera valida.

fallace

sapiente sulla

della

politica

di

dosatura

prudenza,

tarismo,

non

la

delle

umana.

grandi aspirazioni,

lui



1

idea

difficile

forze,

« discrezione »,

e

fondata 1’

utili-

su profonde ragioni ideali.

31. rivela litica

re,

Il

alla

ma lo

Guicciardini rinuncia a questo fiducia nel

trionfo della virtù

né: ma neppure. Tutto sgomento die prese la

il

periodo po-

classe

davanti alle invasioni straniecrollò quel sistema che sembra-

italiana

quando

va perfetto. 32. Ma...

Italia:

Ma

fu, questa morte,

danno irreparabile anche (ancora) per r Italia.

un

tutta

Antologia della letteratura italiana

304

la fortuna. Uno storico contemporaneo, lo Chabod, pagine Pimminente crepuscolo del Rinascimento.

contro

Ma

piu maravigliosa

cominciata

l’anno

^

mille

ancora è stata

la

quattrocento

ha visto in queste

navigazione degli Spagnuoli,

novanta,^

invenzione^

per

di

Colombo genovese. Il quale, avendo molte volte navigato mare Oceano, e congetturando per l’osservazione di certi venti

Cristoforo

per

il

quel che poi veramente certi legni,^ e

gli succedette, impetrati da i re navigando verso l’occidente, scoperse, in capo

di

Spagna

di trentatré

di nell’ ultime estremità del nostro emisperio,® alcune isole,® delle quali

prima niuna notizia s’aveva; felici per il sito del cielo,"^ per la fertilità della terra e perché, da certe popolazioni fierissime in fuora® che si cibano de’ corpi umani, quasi tutti gli abitatori, semplicissimi di costumi e contenti di quel che produce la benignità della natura, non sono tormentati né da avarizia,® né da ambizione; ma infelicissime perché non avendo gli uomini né certa religione né notizia di lettere, non perizia di

artificii,^®

non armi, non

non

arte di guerra,

non

scienza,

esperienza alcuna delle cose, sono, quasi non altrimenti che animali

mansueti, facilissima preda di chiunque

Spagnuoli dalla

facilità

dell'occuparle

gli

e

Onde

assalta.

dalla

allettati

gii

ricchezza della preda,

perché in esse sono state trovate vene abbondantissime d’oro, comin-

come in Colombo più

ciorno molti di loro,

fiorentino, e

domicilio proprio, ad abitarvi.

pene-

e

oltre,

grandissimi paesi di terra ferma; tutti

E

doppo lui Amerigo Vespucci successivamente molti altri, hanno scoperte altre isole,

trato Cristoforo

e in alcuni di essi

e

(benché in quasi

contrario e nell’edificare pubblicamente e privatamente, e nel

il

vestire

conversare) costumi

nel

e

imbelli e facili a essere predate

:

pulitezza civile,

e

ma

ma

tutte

genti

tanto spazio di paesi nuovi che

sono senza comparazione maggiore spazio che l’abitato che prima era a notizia nostra. Ne’ quali distendendosi con nuove genti e con nuove navigazioni gli Spagnuoli, e ora cavando oro e argento delle vene che

1.

pili

maravigliosa: dei viaggi di Vasco

de Gama e dei Portoghesi di cui ha parlato precedentemente. 2. mille quattrocento novanta: La data esatta è 3. ta, 4.

il

per invenzione: in seguito alla scoperalla giusta congettura. legni: navi;

mondo. alcune isole:

in

il

sito

certe...

per

del cielo:

fuora:

il

clima.

eccettuate certe po-

9.

avarizia:

avidità, di

cupidigia.

artificii:

conoscenza di

te-

cniche e di mestieri. 11. Amerigo Vespucci:

Il Vespucci si reconto che quelle terre non erano una parte dell’ India (Colombo pensava, circumnavigando il globo, di giungere in India), ma un nuovo e sconosciuto continente, che poi dal suo nome fu chiamato Ame-

se

emisperio: emisfero. Dice ultime estresi pensava che procedendo sempre a occidente si giungesse ai limiti estremi

contrò fu da

da

10. perizia

5.

6.

per

8.

polazioni selvagge.

1492.

mità, perché del

7.

le

Antille; la

prima che

in-

Colombo chiamata San Salvador

onore di Cristo.

rica.

12. paesi

nente.

di terra

ferma:

cioè

un

conti-

Francesco Guicciardini

305

sono in molti luoghi, c dcH’arenc de’ fiumi, ora comperandone per

prezzo di cose vilissime dagli

n’hanno condotto

rubando

abitatori, ora

Spagna

nella

già accumulato,

il

quantità; navigandovi priva-

infinita

tamente, benché con licenza del Re e a spese proprie, molti, ma c|andone ciascuno al Re la quinta parte di tutto quello che o cavava o altrimenti gli perveniva nelle mani. Anzi è proceduto tanto oltre l’ardire degli Spagnuoli che alcune navi,^^ essendosi distese verso il mezzodì cinquantatré gradi sempre lungo la costa di terra ferma, e dipoi entrati in uno stretto mare e da quello per amplissimo pelago navigando neHo oriente, e dipoi ritornando per la navigazione che fanno i Portogallesi, hanno (come apparisce manifestissimamente) circuito tutta la terra. Degni, e i Portogallesi e gli Spagnuoli e precipuamente Colombo, inventore di questa sua maravigliosa e piu pericolosa navigazione, che con eterne laudi sia celebrata la perizia, la industria, l’ardire,

vigilanza e

la

le

fatiche loro,

per

quali è venuta

le

nostro notizia di cose tanto grandi e tanto inopinate. essere

di

Ma

secolo

al

piu degno

celebrato

il

proposito loro, se a tanti pericoli e fatiche

non

la

sete

avesse indotti la cupidità

o di dare a

immoderata

dell’oro e

gli

ma

ricchezze,

delle

questa notizia, o di propa-

sé stessi e agli altri

gare la fede cristiana; benché questo sia in qualche parte proceduto per conseguenza, perché in molti luoghi sono

stati

convertiti alla no-

stra religione gli abitatori.

Per queste navigazioni

si

è manifestato essersi nella cognizione della

ingannati in molte cose

terra

equinoziale; abitarsi

gli

Passarsi

antichi.^®

sotto la torrida

zona

oltre

alla

come medesimamente

:

linea

con-

si è per navigazione di altri compreso, abitarsi zone propinque a’ poli, sotto le quali affermavano non potersi

Popinione loro,

tro

sotto le

abitare per

i

freddi immoderati rispetto al sito^® del cielo tanto remoto

dal corso del sole. Èssi manifestato^® quel che alcuni degli antichi credevano, altri

che alcune navi, ecc. Allude al viagportoghese Fernando Magellano, che raggiunse, risalendo dalla Terra del Fuoco nell’Oceano Pacifico, 1 India. L’ unica fra le tre navi della sua spedizione che sopravvisse a tutte le peripezie (nelle quali trovò 13.

gio

:

del



morte il Magellano stesso), ritornò in Spagna nel 1522, tre anni dopo esserne partita, circumnavigando cosi il globo. La spedizione fu fatta p>er conto del re di Spagna. 14. Ma pili degno: sottintendi « sarebbe ». Il G. ignora che Colombo aveva le intenzioni che egli loda. Tuttavia le nuove terre furono immediatamente preda della rapala

cità e

crudeltà dei conquistadores spagnuoli.

15. essersi... antichi

:

che

gli antichi si so-

ri-

no ingannati su molte cose, nella loro conoscenza del nostro emisfero. Il mito degli antichi, della loro sapienza armonica e caratteristico dell’

perfetta,

Umanesimo,

co-

mincia qui a vacillare. Del resto, anche nel

campo il

G.

della politica, essi

non hanno

piu, per

valore esemplare che avevano per

il

,

il

Machiavelli. 16. si

Passarsi... abitarsi: Si è

può

passare...

compreso che

ecc.

abitare,

17. per navigazione: per

mezzo

della navi-

gazione. 18.

rispetto

al

sito:

causa

a

della

posi-

zione. 19. Èssi festo.

manifestato:

è

divenuto

mani-

3o6

Antologia della letteratura italiana

prendevano,” che sotto i nostri piedi sono altri abitatori detti da loro antipodi. Nc solo ha questa navigazione confuso molte cose affermate dagli scrittori delle cose terrene, ma dato, oltre a ciò, qualche

gli

ansietà agli interpreti della Scrittura Sacra, soliti a interpretare che quel versicolo del salmo che contiene

mondo

loro e ne’ confini del

le



« che in tutta la terra usci

parole loro

», significasse

che

Cristo fusse per la bocca degli apostoli penetrata per tutto Interpretazione aliena dalla verità, perché,

cuna

non apparendo

suono

il

la il

fede di

mondo.

notizia al-

né trovandosi segno o reliquia alcuna della noindegno di essere creduto,” o che la fede di Cristo vi sia stata innanzi a questi tempi, o che questa parte si vasta del mondo sia mai piu stata scoperta o trovata da uomini del nostro emisperio. di queste terre,

stra fede, è

La

disfida di 'Barletta

La al

avvenne nel 1503,

disfida di Barletta

fra tredici Francesi e tredici Italiani

i Francesi dal regno di Napoli, congiunti agli Aragonesi. Oltre ad essere un episodio di militare, rappresentò, dunque, anche un momento deH’in-

soldo degli Spagnuoli che riuscirono a cacciare

due

dai

tolto

limitata

eserciti

importanza

Ma grande fu il suo ascendente sulla fansentimento dei contemporanei, a cominciare dal Machiavelli: agli Italiani avviliti e preda inerme degli eserciti stranieri, sembrò, fra l’universale vergogna, una riaffermazione àéiV antica virtù italica^ un richiamo alla tradizione gloriosa. Nelle pagine del Guicciardini sentiamo questa ispirazione patriottica, quest’orgoglio nazionale contraddetto però dall’amara constatazione della schiavitù presente dell’ Italia. Ne risulta un tono commosso ma non entusiastico, una narrazione fatta spesso con accento solenne, con uno stile oratorio, con periodi dalle ampie volute latineggianti, ma poveri di vigore. La parte migliore è il discorso di Consalvo, espressione, in realtà, del sentimento del Guicciardini e rievocazione nostalgica di un recente passato di dignità e grandezza, per sempre perduto. glorioso tramonto della libertà italiana.

tasia e

il

^ un non potendo

Seguitò appresso a questi l’ardire de’ Franzesi,

20. riprendevano: confutavano. 21. confuso: confutato. 22. versicolo:

che contiene: che

versetto,

dice.

23. è indegno... creduto: è assolutamente

impossibile

credere.

e con problema

l’America, sorse

il

Con

altre

scoperte

di conciliare

te espressioni della Bibbia,

tempo, erano scritte.

cardini

del-

posteriori,

con esse

dell’epoca

La Bibbia

e

i

in cui classici,

del pensiero umanistico,

non

erano i

diminuì

assai

messi in discussione, o si avvertiva, comunque, l’esigenza di una nuova e diversa lettura e interpretazione di essi. Ma questo significava anche porre in crisi certe strut-

forme del pensiero, ricercare faticosamente una nuova interpretazione della

ture e

realtà.

cer-

che, fino a quel

state credute alla lettera e

legate alla cultura state

scoperta

la

accidente che

altro

attribuire alla malignità della For-

due

erano cos:

dopo questiG. ha narrato come le truppe spagnole, comandate da Consalvo de Cordova, riuscissero ad effetI.

Seguitò...

Nelle

righe

tuar-i

alcuni

questi:

precedenti,

felici

colpi

Segui il

di

mano

contro

i

Francesco Guicciardini

307

tuna quello che era stato opera propria della sopra la recuperazione

^

campo

furono

riscuotergli,® italiani certe

parole

franzese, e da quegli fatto

sposta agl’ Italiani, acceseno tanto ciascuno di loro l’onore della propria nazione,®

Rubos,^

stati presi in

andato un trombetto® a Barletta per trattare di dette contro a’ Franzesi da alcuni uomini d’arme che, riportate dal trombetto nel

Perché essendo,

virtu.^

che erano

di certi soldati

ri-

che, per sostenere

convenneno che in campo sicuro, a uomini d’arme franzesi

si

battaglia finita,® combattessino insieme tredici

uomini d’arme italiani; e il luogo del combattere fu statuito^® una campagna tra Barletta, Andria e Quadrato,^^ dove si conducessino accompagnati da determinato numero di gente: nondimeno, per assicurarsi dalle insidie, ciascuno de’ capitani con la maggiore parte dell'esercito accompagnò i suoi insino a mezzo il cammino confor-

e tredici in

:

tandogli che,^^ essendo

con l’animo e

l’opere

cofi

.

corrispondessino

tutto l’esercito,

di

scelti

stati

espettazione conceputa,^® che era tale

alla

con comune consenti-

che nelle loro mani e nel loro valore

si

mento

nobili nazioni. Ricordava

di tutti collocato l’oiiore di

si

fusse

medesimi

ceré franzese a’ suoi, questi essere quegli

avendo ardire

di sostenere

il

nome

il

che,

de’ Franzesi, avevano, senza fare

dato loro sempre

esperienza della sua virtù,

Italiani

la via,

quante volte

vi-

non mai dal-

l’Alpi avevano corso insino aU’ultima. punta d’ Italia; né ora accender-

nuova generosità d’animo o nuovo vigore; ma; trovandosi agli stia’ loro comandamenti, non avere potuto contradire alla volontà d’essi, i quali, assueti a combattere non

gli

pendii degli Spagnuoli e sottoposti

con virtù

ma

con insidie e con fraudi,

riguardatori degli altrui pericoli

Franccsi, comandati da Luigi

duca di Nemours,

che

in

9. all’

non potendo... virtù: La sconfitta duello prostrò Tanimo dei Francesi piu 2.

piccoli scacchi militari subiti, perché di

nel

il

sopra

la

il

riscatto.

Rubos: è Ruvo, dove Consalvo aveva compiuto un fortunato colpo di mano, prendendo prigioniero anche il comandante del 4.

francese,

il

5.

un trombetto: un

6.

riscuotergli:

7.

ciascuno di loro:

mercenari

r

De La

signor

sia

che

sua virtù:

si

da

tutti.

era.

del

proprio

comandante francese allude

alle

valore. recenti

incontrastate spedizioni francesi in Italia, a cominciare da quella di Carlo Vili. 16.

e anche ora non erano da una nuova generosità e da

né... pericoli:

infiammati

soldo degli Spagnuoli, avevano dovuto ubbidire a un preciso ordine di questi, i quali, avvezzi a combattere facendo affidaal

i

Francesi

nazione: qui

sia

i

Spagna.

parola nazione va intesa non nel senso moderno, ma in quello di « razza » o a stirpe ». 8.

Il

fusse:

un nuovo vigore dell’animo, ma, essendo

trombettiere.

riscattarli.

italiani al soldo della

onore...

Palisse.

esortandoli dicen-

13. conceputa: concepita 14. che... 15. della

per

:

stabilito.

Quadrato: Corato.

do che.

la mala sorte, quella maggior valore degli av-

rccupcrazione

con-

Italiani lussino

12. confortandogli che:

dei

que-

versari rispetto a loro.

presidio

gli

in campo... finita: in campo chiuso e ultimo sangue.

11.

potevano accusare

invece dimostrò 3.

facevano volentieri oziosi

10. statuito:

Barletta,

sti

si

ma come

d’Armagnac,

assediavano

le

^® :

la

mento non

sul valore,

ma

sull’ insidia

e la

frode, ben volentieri facevano gli spettatori dei pericoli altrui standosene al sicuro.

Antologia della letteratura italiana

3o8

dotti in sul

campo, e

si

vcdcssino a fronte l’armi e la ferocia di coloro

sempre

da’ quali erano stati

battuti,

ritornati

consueto timore, o

al

non ardirebbono combattere, o combattendo timidamente, sarebbono facile preda loro, non essendo sufficiente scudo contro al ferro de’ vincitori il fondamento fatto in su le parole e braverie vane^"^ degli Spagnuoli.

Da moli

Consalvo

altra parte

zione e

deU’armi

la gloria

mato avevano;^®

infiammava con non meno pungenti

riducendo in memoria

gli Italiani,

loro,

con

le

sti-

onori di quella na-

gli antichi

quali già tutto

essere ora in potestà di questi pochi,

mondo

il

non

do-

inferiori alla

virtù de’ loro maggiori, fare manifesto a ciascuno che se Italia, vin-

da pochi anni in qua stata corsa da esernon altro che la imprudenza de’ per ambizione discordanti fra loro medesimi, per

citrice di tutti gli altri, era citi forestieri,

esserne stata” cagione

suoi Principi,

i

quali,

non avere

battere l’un l’altro, l’armi straniere chiamate avevano; zesi ottenuto in Italia vittoria alcuna per vera virtù,

consiglio e dall’armi degl’ Italiani

i

Fran-

ma

o aiutati dal o per essere stato ceduto alle loro

artigherie;^ con lo spavento delle quali (per essere stata cosa nuova in

Italia),

non per

il

timore delle loro armi, essergli stata data

la strada

:

avere ora occasione di combattere col ferro e con la virtù delle proprie persone, trovandosi presenti

a^ si

glorioso spettacolo le principali

nazioni de’ Cristiani, e tanta nobiltà de’ suoi medesimi,

d^l’una parte come loroV J^icordassinsi

d’ Italia,

nutriti



essere

stati

allievi

tutti

continuamente sotto

i

quali, cosi

estremo desiderio della vittoria

dall altra,” avere

l’

de’

piu famosi capitani

armi, e avere ciascuno d’ essi

fatto in varii luoghi onorevoli esperienze della sua virtù:

e però, o

palma ^ di rimettere il nome italiano in quella gloria nella quale era stato non solo a tempo de’ loro maggiori ma ve l’avevano veduto essi medesimi” o, non si conseguendo per essere destinata a questi la

17. braverìe vane: 18.

Da

altra parte

vuote smargiassate. Consalvo: Il discorso di

Consalvo rispecchia persuasioni proprie del G., soprattutto in quel richiamo alla antica pirtù italiana. Questo sentimento d’orgoglio questo culto di una tradizione gloriosa erano ancor vivi nel Cinquecento nonostante 1* angoscia e l’ umiliazione delle continue disfatte. Lo si ritrova nel Machiavelli, nell’ Ariosto, nel Tasso. 19. già... avevano: allude alle gesta dei padri antichi, i Romani. 20. esserne stata: che ne era stata. nazionale,

21. ceduto...

Francesi in Italia

— —

artiglierie:

le

artiglierie dei

un’arma pressoché sconosciuta avevano aperto loro la strada

nella penisola. In realtà alla fine del Quat-

trocento vi fu in Italia una crisi militare che ebbe un peso non indifEerente nei crollo del

sistema politico italiano. 22. e tanta... altra: e tanti nobili e valorosi

italiani,

nell’uno e nell’altro campo.

23. Ricordassinsi

:

Ricordassero.

palma: a loro la gloria. 25. ma... medesimi: ma anche in tempi recenti, che loro stessi potevano ricordare. Prima delle invasioni francesi, le milizie e i condottieri italiani godevano fama europea e non immeritata; la loro decadenza si ebbe con l’affermarsi di una nuova tattica, fondata sul massiccio impiego delle fanterie Z4. a questi

la

e delle artiglierie.

Francesco Guicciardini

309

mani tanto onore, ^

queste

aversi a disperare” che Italia potesse rima-

nere in altro grado, che di ignominiosa e perpetua servitù.



erano minori

particolari

stimoli che dagli altri capitani e da’

gli

“ dell’uno

soldati

e dell’altro esercito erano dati a ciascuno di loro,

accendendogli a essere simili di

medesimi,” a

se

esaltare

con

la

propria

virtù lo splendore e la gloria della sua nazione.

Co’ quali conforti condotti

al

campo, pieni ciascuno d’animo e di una banda dello steccato

ardore, essendo l’una delle parti fermatasi da

opposita

luogo dove

al

s’

era fermata

l’

altra

parte,

come

fu dato

il

lande: nel quale scontro non essendo apparito vantaggio alcuno,” messo con grandissima segno, corsero ferocemente a scontrarsi con

animosità e impeto

egregiamente tatori

la

che di

mano

sua virtù

all’altre

le

armi, dimostrava ciascuno di loro

confessandosi tacitamente per tutti

:

tutti gli eserciti

non potevano

gli spet-

essere eletti soldati più va-

né più degni a fare si glorioso paragone.^^ Ma essendosi già combattuto per non piccolo spazio e coperta la terra di molti pezzi di armadure e di molto sangue di feriti da ogni parte, e ambiguo ancora l’evento” della battaglia, risguardati con grandissimo silenzio,” ma quasi con non minore ansietà e travaglio d’animo che avessino loro, lorosi,

Guglielmo Albimonte, uno degli Italiani, uno franzese; il quale mentre che ferocemente

da’ circostanti, accadde che

fu gittato da cavallo da

il

ammazzarlo, Francesco Salamene

corre col cavallo addosso per

gli

rendo

al

pericolo del

compagno ammazzò con un grandissimo

franzese, che, intento a opprimere l’Albimonte, da lui

dava; e di poi, insieme con

che era in terra tati

l’

ferito, presi in

ammazzorono

avevano,

Albimonte che

mano

I

si

guai-

s’era sollevato, e col Miale,

spiedi che a questo effetto^ por-

più cavalli degl’inimici

cominciati a restare inferiori, furono chi da Italiani fatti tutti prigioni.

non

cor-

colpo

uno

:

donde

chi da

un

i

Franzesi,

altro degli

quali, raccolti con grandissima letizia da’

suoi, e rincontrando poi Consalvo, che gli aspettava a mezzo il cammino, ricevuti con incredibile festa e onore, ringraziandogli ciascuno come restitutori della gloria italiana, entrorono come trionfanti, con-

ducendosi

26.

non...

i

prigionieri

onore:

conseguire con cosi grande. a

il

se

innanzi,

non fossero riusciti valore un onore

loro

si

doveva abban-

28. da’ soldati particolari:

dai singoli sol-

aversi

27.

donare

la

a disperare:

speranza.

dati.

Barletta;

31. fare...

30. non...

alcuno:

mangono bravamente

Tutti

i

guerrieri

in arcione.

ri-

rimbombando

l’aria

di

paragone: dar prova, far mo-

proprio valore. 1’ esito. 32. ambiguo... evento: incerto il 33. con grandissimo silenzio: è forse particolare più vivo della descrizione (ed è un particolare psicologico), condotta, per il stra del

resto,

medesimi: a mostrarsi vacome erano sempre stati.

29. a essere... lorosi

in

con una certa lentezza.

Il

vero centro

discorso di Consalvo, che prisi riflette anche nel tono solenne della ma parte della descrizione della battaglia. scopo. 34. a questo effetto: per questo dell’episodio è

il

.

Antologia della letteratura italiana

310

suono

trombe

di

grida militari

nomi

i

e

tamburi, di tuoni ^ d’artiglierie e di plauso e

di

trapassino

loro

sé,

“ che

mediante lo instrumento

delle

degni che ogni italiano procuri, quanto è in

:

alla

posterità

Furono adunque Ettore Fieramosca capuano, Giovanni Capoccio, Giovanni Bracalone e Ettore Giovenale romani. Marco Corellario da Napoli, Mariano da Sarni, Romanello da Furli, Lodovico Aminale da Terni, Francesco Salomone e Guglielmo Albimonte siciliani, lettere.^

Miale da Troia, e

Riccio e Fanfulla parmigiani; nutriti tutti nel-

il

Aragona o sotto i Colonnesi.^ Ed è cosa increquanto animo togliesse questo abbattimento^ all’esercito franzese, e quanto n’accrescesse allo esercito spagnuolo, facendo ciascheduno presagio, da questa esperienza di pochi, del fine universale di

l’armi’ o sotto

re di

i

dibile

tutta la guerra.'*®

La morte

di Alessandro

Una profonda

fremente indignazione morale unita al sentimento sconsolato dell’ingiustizia nel mondo pervadono queste pagine, fra

male e

del prevalere del

commosse

più intense e

le

e

VI

della Storia d’ Italia

L’ ansia di giustizia del Guicciardini sembra placarsi nell’ affermazione finale

un imperscrutabile giudizio divino, che distingue nell’altro mondo i giusti Ma è una fede che non redime e non consola quello che domina

di

dagli ingiusti.

:

desolazione che nasce dall’avvertita limitatezza dell’uomo,

è la

fallacia dei

dal

suoi giudizi, della sua incapacità di vincere la violenza e

senso della il

male

di

cui s’intesse continuamente la storia.

Ma

ecco che nel colmo piu alto delle maggiori speranze^ (come sono

vani e fallaci

i

pensieri degli uomini!)^

il

una vigna

Pontefice, da

ap-

presso a Vaticano, dove era andato a cenare per ricrearsi da’ caldi, è

repentinamente^ portato per morto ^ nel palazzo pontificale e incon35. di tuoni:

quanto

36.

di salve.

è in sé:

37. mediante... scritti,

delle

per quanto può.

lettere:

opere

mezzo

per

letterarie.

degli

La prodezza

da molti scrittempo. 38. i Colonnesi: Fabrizio e Prospero Colonna furono celebri capitani. 39. abbattimento: combattimento. 40. facendo... guerra: ciascuno traeva da quel combattimento l’auspicio dell’esito della guerra (la vittoria degli Spagnuoli). dei tredici italiani fu esaltata

tori

I.

del

nel colmo... speranze: Era

in cui Alessandro

maggior no, suo

utile

VI sperava

per sé e per

il

figlio, dalla lotta tra

il

momento

di ottenere

il

Duca ValendFrancesi e Spa-

gnuoli che si disputavano il regno di Napoli. 2. come... uomini: L’ inciso ha una scarna nudità drammatica, che è propria di tutta questa narrazione, tesa, concentrata, percorsa da un’austera meditazione morale che

s’ammanta, spesso, di una cupa desolazione, di un senso sgomento della precarietà della

vita

umana

e

della

imperscrutabilità

delle leggi che la governano.

Anche

1



uso

del presente, nei primi periodi, contribuisce alla tensione del

racconto e rivela la passione con cui lo scrittore lo rivive. 3. repentinamente: Nota la forza espressiva di questo avverbio e dell’altro che se-

gue

subito

sottolineano

dopo (incontanente):

ambedue

improvviso

l’abbattersi

prevedibile della sciagura. 4.

portato per morto

:

moribondo.

c

im-

Francesco Guicciardini

311

tancnte dietro è portato per morto decimo ottavo di d’agosto, il

fu

de’ pontefici,

segni

nella

chiesa di

manifestissimi

San

figliuolo,

portato

è

e

seguente, che secondo l’uso

di

il

morto,

nero enfiato e bruttissimo,® Valentino, col vigore del-

Piero,

ma

veleno;

di

il

il

r età e per avere usato subito medicine potenti e appropriate al veleno, salvò la vita, rimanendo oppresso da lunga e grave infermità.

Credettesi

da veleno;

e

si

costantemente che questo accidente fusse proceduto racconta, secondo la fama piu comune, l’ordine

modo:® che avendo

della cosa in questo

medesima

cena, deliberato di avvelenare

Valentino, destinato"^

il

Adriano cardinale

alla

di Corneto,

doveano cenare (perché è cosa manifesta essere consuetudine frequente del padre e sua non solo di usare il ve-

nella vigna del quale stata

leno per vendicarsi contro agl’inimici o per assicurarsi de’

ma

eziandio, per seelerata cupidità

persone ricche, in cardinali

le

che^ da

essi

non avessino mai

molto

dinale,

e altri cortigiani,

non avendo rispetto come fu il car-

ricevuta offesa alcuna,

ma

ne anche che come furono

amicissimi e congiuntissimi, e alcuni di loro,

Capua e di Modona, adunque che avendo

di

rasi

vino

utilissimi

stati

avendogli

infetti di veleno, e

e

fatti

gli

fussino

cardinali

i

fidatissimi ministri),

Valentino mandati innanzi

il

sospetti,®

di spogliare delle proprie facoltà

Santo Angelo,^®

di

ricco,

®

nar-

certi fiaschi di

consegnare a un ministro^® non gli desse ad alcuno,

consapevole della cosa, con commissione che non

sopravenne per sorte dalla sete e da’ bere,

ma

Pontefice innanzi a l’ora della cena,

il

caldi

smisurati ch’erano,

dimandò

perché non erano arrivate ancora di palazzo



vinto

provisioni

le

per la cena, gli fu da quel ministro, che credeva riservarsi

come vino

dato da bere del vino che aveva mandato innanzi il padre beeva, si messe

piu prezioso,

Valentino;

e,

fusse dato da

gli

il

quale, sopragiungendo mentre

il

similmente a bere del medesimo vino. d’Alessandro in San Piero con incrediConcorse al corpo morto

5.

bruttissimo:

nero...

tre

aggettivi

sot-

cupo orrore di quel cadavere. Che Alessandro fosse morto di veleno sembra da escludere. Ma a quei tempi fu cotolineano

il

munemente

creduto.

6. l’ordine..,

dettero in questo 7.

modo: che modo.

le

cose proce-

8. de’ sospetti: delle persone che sospettavano fossero loro nemiche. anche cupi9. eziandio . . cupidità :

.

.

.

digia. 10. facoltà: 11. in

de da 12.

«

ricchezze.

contro cardinali. Dipenveleno ».

cardinali:

usare

il

non avendo

rispetto

che:

senza aver

al fatto che.

Santo Angelo: della chiesa di Sant’Angelo a Venezia. Fra i numerosi venefici attribuiti ai due Borgia, questo appare certo; gli altri sono messi in dubbio dagli 13. di

storici odierni.

14.

destinato: che doveva prender parte.

.

riguardo

Modona: Modena.,

stati

:

che fossero

stati.

15. a

un ministro:

a

un

servo.

palazzo: del palazzo. che 17. che... prezioso: il quale riteneva quel vino fosse riservato ai convitati più ragguardevoji. 18. si messe: si mise. a vedere 19. Concorse... morto: accorse 16. di

il

cadavere.

Antologia della letteratura italiana

312

bile allegrezza tutta

Roma, non potendo

vedere spento un serpente che con pestifera perfìdia, e

con

tutti

esempli di orribile crudeltà, di mo-

gli

struosa libidine e di inaudita avarizia,

cose sacre e

le

saziarsi gli occhi d’alcuno di

sua immoderata ambizione e

la

vendendo senza distinzione le il mondo; e nondimeno

profane, aveva attossicato” tutto

era stato esaltato, con rarissima e quasi perpetua prosperità, dalla

ma

gioventù insino

all’

Esempio potente

cose grandissime e ottenendo piu di quello desiderava. a la

pri-

ultimo di della vita sua, desiderando sempre

confondere l’arroganza di coloro debolezza degli occhi umani

la

i

presumendosi

quali,

con

di scorgere

profondità de* giudici divini, affer-

mano

ciò che di prospero o di avverso avviene agli uomini procedere o da’ meriti o da’ demeriti loro: come se tutto di^^ non apparisse

molti buoni essere vessati ingiustamente e molti di pravo” sere

esaltati

derogasse alla quale,

non

altro luogo,

conosce

i

distretta



a’

termini brevi e presenti, in altro tempo e in

con larga mano, con premii e con supplici sempiterni,

ri-

giusti dagli ingiusti.

20. attossicato: avvelenato. Si avverte nel-

venisse

narrazione la veemenza del disprezzo e deir indignazione morale dello scrittore. 21. tutto di: continuamente. 22. pravo: malvagio. 23. come se... Dio: come se, giudicando il contrario (che non vi sia relazione fra i

di Dio.

degli

es-

:

la

meriti

animo

o come se, altrimenti interpretando, si giustizia e alla potenza di Dio; ” la amplitudine della

indebitamente

uomini e

la

loro fortuna),

si

24. stizia

a

non di

limiti del

giusti

sminuire

la

distretta, ecc.

giustizia

:

non sono tempo presente,

Dio,

dagli

nell’ eternità,

ingiusti e

in

in altro

r Inferno e nel Paradiso,

e

potenza

La potenza ristrette

ma altro

brevi

distinguono

tempo,

luogo, ecc.

e giu-

ai

cioè

i

cioè nel-

La

trattatistica

Fiorentissima fu-ncl Cinquecento, la trattatistica. Essa esprimeva l’ideale

norme universalmente valide di comportamento, fondate sulla razionalità e su di un’elegante e aristocratica compostezza, sullo sviluppo armonico dell’individuo, inteso a conseguire un limpido equilibrio di natura c spirito e ad inserirsi in una società di spiriti eletti. Al perfetto principe machiavelliano fanno cosi riscontro il perfetto cortigiano (teorizzato da Baldesar Castiglione), il perfetto amore, o amor platonico (teorizzato da Pietro Bembo, dal Castiglione e da altri), la perfetta poesia e la perfetta bellezza, sintesi di natura e spirito ed espressione di quell’armonia umana e vitale che fu l’aspirazione più alta del secolo. Le pagine di questi moralisti (ché cosi possono essere chiamati i trattaclassico-rinascimentale di fissare

cinquecenteschi, per il loro costante e spesso acuto studio dell’uomo) sono tuttavia ben diverse da quelle d’un Machiavelli o d’un Guicciardini.

tisti

Non

c’ c,

in

loro,

studio

lo

della

verità

effettuale,

ma

un’idealizzazione

della realtà,

un bisogno

un

umana. Sono, se mai, più vicini all’ Ariosto, armonia vagheggiato nel Furioso. loro stile è lontano da quello incisivo e drammatico del Ma-

di evadere

da ciò che

è contingente, per affermare

ideale di decoro e di nobiltà

all’ideale di

Anche

il

ampio e pacato, modellato su cadenze classiche e tuttavia capace di rappresentazioni vivaci e concrete. Avverti in esso la chiavelli. Il loro periodare è

ricerca di

un

ricerca, cioè,

equilibrio che sappia contemperare dignità e grazia, la stessa

che questi

scrittori

perseguivano nella

vita.

Bembo, autore degli Asolani (esaltazione dell’amor platonico) e delle Prose della volgar lingua (uno dei più importanti scritti di poetica del secolo), su Baldesar Castiglione, autore del Corte giano, un libro di risonanza europea, e su due figure minori

Abbiamo

ma

insistito, nella scelta antologica,

significative,

Aggiungiamo qui

Giovanni Della Casa il

(il

su Pietro

Galateo) e Agnolo Firenzuola. che alternò

fiorentino Giambattista Gelli (1498-1563),

suo umile lavoro artigianale (fu un calzaiuolo) la lettura dei filosofi antichi le sue opere i Ragionamenti di Giusto bottaio e la Circe, nelle quali il culto della sapienza antica si mescola a un al

e dei poeti italiani. Ricordiamo fra

senso vivo e concreto della realtà quotidiana e a divulgativo.

un prevalente

interesse

Antologia della letteratura italiana

3M

Bembo

Pietro

La

vita. Pietro

Bembo

è

il

piu significativo rappresentante

dtW umanesimo

propugnatore di una letteratura italiana che, fiorita sul tronco di quelle classiche, ne continuasse, emulandoli, lo spirito e le forme. Nacque a Venezia nel 1470. Fin dalla fanciullezza il padre lo educò alle lettere; lo condusse con sé a Firenze, dove fu ambasciatore dal *78 all’So, poi, ritornato a Venezia, lo affidò ai miglicci maestri, infine, nel 1492, lo mandò a Messina a studiare il greco sotto la guida del dottissimo Costantino Lascaris. Decisivo, però, agli effetti della formazione del Bembo, fu il pevolgare^

il

riodo trascorso a Ferrara (1497-1505): alla corte estense egli affinò le sue native doti di gentilezza, la sua vocazione di letterato e di artista, visse la brillante vita di

corte e conobbe

numerosi

letterati,

fra

i

quali l’Ariosto.

Scriveva frattanto eleganti versi latini e cominciò anche a comporre in volgare, rinnovando l’imitazione petrarchesca:

occasione di questa fioritura

poetica fu l’amore per Lucrezia Borgia, che conobbe nel 1502.

Nel 1506, dopo una breve permanenza a Roma, si recò alla corte di Urbino, altra splendida corte rinascimentale, e vi rimase sino al 1511. Qui entrò in relazione col Castiglione e con Giovanni de’ Medici che nel 1512, divenuto papa (Leone X), lo chiamò a Roma, a far parte della Segreteria pontificia. Vi rimase fino al ’iq e compose in questi anni epistole e «brevi » in

nome Nel

del papa, in

un elegantissimo

latino ciceroniano.

1519, le tristi condizioni fisiche e di spirito c le ristrettezze finanziarie

gli fecero sentire

stanchezza della vita cortigiana e un desiderio vivissimo di

solitudine e di pace. Si ritirò quindi a Padova, dove soggiornò stabilmente

dal ’2i al ’30 in una sua villa, attendendo alla rielaborazione del suo libro più

importante,

le

Prose della volgar lingua,

alla

revisione dei suoi scritti in

latino e in volgare e allo studio del diletto Petrarca.

fama:

i

d’Italia

i

più importanti loro

letterati

del

componimenti perché

li

tempo

vedesse e

Grande era ormai

la

sua

inviavano da ogni parte

gli

correggesse. Per incarico

li

{Rerum venetarum histotradusse poi in volgare. Nel 1539, si trasferì di nuovo a Roma, dove

del governo veneziano scrisse la storia di Venezia riae libri

XII) nel suo elegante latino e

la

fu nominato cardinale da papa Paolo III e

mori nel

Le

1547. opere. Il

Bembo non ebbe

fantasia originale,

e critico. Per queste sue doti, divenne

una guida

ma un

vivo senso artistico

del gusto contemporaneo,

fissando alcuni principi fondamentali della poetica del Rinascimento maturo.

Cominciò

la

sua carriera letteraria

come poeta

e prosatore latino,

imponendo,

anche in questo campo, una norma che ebbe vastissima fortuna: l’imitazione di Cicerone nella prosa e di Virgilio nella poesia. Era un ideale rigorosamente classicistico, volto, secondo la tendenza del secolo, alla ricerca di una poesia « perfetta », che nell’armonia e compostezza dello stile esprimesse un’intima aristocrazia spirituale. Questo stesso ideale fu da lui applicato alla letteratura in volgare. La prima sua opera importante è il dialogo Gli Asolani (1505), in tre libri,

sul

tema particolarmente appassionante, per

i

cinquecentisti,

deWamor

La

trattatistica

315

immagina che

platonico. L’autore

Cornaro, ex-regina di Cipro,

nella villa di Asolo,

dell’amore, dei suoi pregi e dei suoi

lare

Lavinello, conclude

dimora

di Caterina

ritrovino tre giovani e tre gentildonne a par-

si

disputa riferendo

Uno

difetti.

degli

discorso d’un

interlocutori,

Romito,

il quale afferma che l’amore vero è quello che, superando i desideri dei sensi, diventa contemplazione, di là dalle cose terrene, della suprema bellezza, ed c

la

il

ascesa dell’anima a Dio. Concettualmente,

il

dialogo è un’esaltazione della

ragione, in virtù della quale l’uomo giunge alla perfezione morale, che consiste nel

dominio

delle passioni, e nella piena attuazione della propria natura

In questo senso

divina.

Vamor

platonico.,

uno

piu importanti temi di

dei

pensiero del Cinquecento, espressione della ricerca di una superiore armonia

con

spirituale, tenta di conciliarsi

L’opera piu importante del scritta i

gli ideali cristiani.

Bembo

è le Prose della volgar lingua (1525),

anch’essa in forma dialogica in tre

diritti e la

ed eccellenza espressiva. Passando poi volgari italiani sia

deve essere usato

ma

degno il

Nel primo vengono affermati

al

come

il

latino, di regolarità

problema di quale dei numerosi

di essere usato dagli scrittori,

toscano,

il

Bembo

sostiene che

mutevole favella comunemente parlata, dai grandi scrittori. Dante, Petrarca e Boc-

non

lingua letteraria fissata

la

libri.

dignità del volgare, capace anch’esso,

la

Veri modelli sono però gli ultimi due, il primo per la poesia, il secondo per la prosa. Il secondo libro illustra le ragioni della loro eccellenza, che consiste, per il Bembo, non tanto nel contenuto, quanto nei pregi dello caccio.

stile,

cioè ne\V elezione o scelta di parole e costrutti dotati di varietà, gravita,

piacevolezza^ nella sapiente disposizione delle parole, nella concordanza fra

argomento minuziosa

trattato e stile. Nella

seconda parte del

libro, l’autore svolge

precettistica intorno all’eccellenza dello stile,

una

parlando del suono

forme metriche, degli accenti, dell’arNel terzo libro è delineata una gramma-

delle vocali e delle consonanti, delle

monia

della parola e della frase.

tica della nostra lingua.

Le Prose furono per decenni

il

codice degli scrittori italiani. Ritroviamo

come

in esse, riferito allo stile letterario, quel culto della bellezza intesa

monia

ar-

e grazia, sintesi di sensibilità e di intelligenza, che fu aspirazione intima

come negli ideali civili e morali. Il come perfezione morale, che abbiamo visto

amore

del secolo, nell’arte

culto del « fino

sentito

negli Asolaniy e quello

della « perfetta poesia »,

Bembo,

scritte

contenuto nelle prose,

si

ritrovano nelle

a imitazione di quelle del Petrarca.

nella sezione dedicata ai

lirici

Ne

Rime

»,

del

trattiamo a parte,

del Cinquecento.

Per il testo abbiamo seguito: P. Bembo, Le Prose della volgar lingua, a cura di C. DioCasalone, Torino, UTET, 1931.

nisotti

n

linguaggio letterario La

fra linguaggio parlato c lingua volgar lingua (da cui prendiamo il classicismo dell’ autore, col suo ideale di una letteratura

nettissima distinzione fissata qui dal

letteraria

è fondamentale nelle Prose della

passo) e

coincide col

Bembo

Antologia della letteratura italiana

3i6

detta c aristocratica. Secondo tale concezione,

il

diviene un ideale modello di spiritualità e di

ma

secolo,

a tutta la storia.

Tacevasi, dette queste parole,

mente tro,

Magnifico,^ e gli

mio

le

favelle

si

alle vostre

mutano,

— Debole e arenoso^

si

altri

dee sempre a quel parlare che è in

si

mette a scrivere, appressare e

componimenti/ con ciò sia cosa che® d’esser letto uomini che vivono si debba cercare e procacciare per nare

medesima-

ragioni dato. Giuliano, dicendo che, per-

egli

bocca delle genti, quando

altri

fratello recasse allo ’ncon-

quale incontanente^ in questa guisa rispose:

il

fondamento avete ché

il

tacevano, aspettando quello che

si

grande scrittore, cioè il classico, che non appartiene al suo

stile,

i

avici-

e inteso dagli

ciascuno.® Per

ciò che se questo fosse vero, ne seguirebbe che a coloro che popolare-

scamente scrivono, maggior loda le scritture loro

Virgilio

meno

dettano e

si

convenisse dare che a quegli che

compongono più

figurate e più gentili;’' e

sarebbe stato pregiato, che molti dicitori di piazza e di

volgo per aventura non furono, con ciò

sia

cosa

che egli assai

so-

modi del dire in tutto lontani dall’ usanze del popolo, e costoro® non vi si discostano giamai. La lingua delle scritture,® Giuliano, non dee a quella del popolo accostarsi, se non in quanto, accostandovisi, non perde gravità, non perde grandezza; che altramente ella discostare se ne dee e dilungare, quanto le basta a manvente ne’ suoi poemi usa

tenersi in

vago e in gentile stato. Il che aviene per ciò, che appunto gli scrittori por cura^® di piacere alle genti solamente

non debbono

che sono in vita quando cora, e per aventura

1.

dei altri

il

essi scrivono,

Magnifico; Giuliano de’ Medici, uno

quattro

interlocutori

del

dialogo.

Gli

sono: Carlo Bembo, fratello dell’auto-

Ercole Strozzi e Federigo Fregoso. Giuliano ha appena finito di sostenere che lo re,

deve scrivere nella lingua usata dagli uomini del suo tempo, e non prendere a modello quella di autori dei secoli passati. È concezione del tutto opposta a quella del B., che egli esprime ora per bocca del scrittore

fratello Carlo.

incontanente: subito. 3. arenoso: sabbioso; cioè: avete fondato vostro ragionamento sulla sabbia. 4.

egli...

figure,

uno

componimenti:

costruisci;

si

de-

ve sempre avvicinare, quando ci si mette a scrivere, il proprio componimento alla lingua attualmente parlata dal popolo. 5. con ciò sia cosa che: poiché. da parte di ciascuno. 6. per ciascuno 7. dettano e compongono: sono praticamente sinonimi, figurate e gentili: ricche di :

ma

voi dite,

a quelle an-

di

stile

accorgimenti eletto

ed

retorici,

elaborato.

con

:

scritte

È

1’

in

ideale

cinquecentesco di una scrittura classicamente armonica, elegante e piena di grazia, sorvegliata da un’arte sapiente che par natura per la sua stessa limpida perfezione. 8. costoro: i poeti popolareschi. 9.

La lingua

delle scritture, ecc.

;

Comin-

cia a delinearsi la tesi centrale delle Prose: la

lingua letteraria è

la trascrizione artistica

B. parte da il concetto della lingua non grammaticale, della

2.

il

come

molto più, che sono a vivere dopo loro

lingua

dell’uso:

un

ma

artistico. A questo fondamentale interesse alludono le espressioni gravita, grandezza, vago e gentile stato, che intendono caratterizzare un linguaggio puramente letterario, gravità e piacefondato sul decoro, sulla volezza, su una classica e armonica eleganza, secondo il gusto rinascimentale. 10. por cura; curarsi. 11. che sono a vivere, ecc.: che vivranno. Il grande scrittore, il classico, è un modello

La

trattatistica

317

ciò sia cosa che ciascuno la eternità alle sue fatiche piu

ama, che un può per noi compiutamente sapere quale abbia ad essere l’usanza delle favelle di quegli uomini che nel secolo nasceranno che appresso il nostro verrà, e molto meno di quegli altri, i quali appresso noi alquanti secoli nasceranno, è da vedere che alle nostre composizioni tale forma e tale stato si dia, che elle piacer

E

brieve tempo.

per ciò che non

possano in ciascuna

come diedero

si

ad ogni secolo, ad ogni stagione

età, e

esser care;

componimenti Virgilio, Cicerone e degli altri, e nella greca Omero, Demostene e di molt’altri agli loro; i quali tutti, non mica secondo il parlare che era in uso SI

nella latina lingua a’ loro

ma

e in bocca *del volgo della loro età scriveano,

secondo che parea loro

che bene lor mettesse a poter piacer piu lungamente. se

Petrarca

il

avesse

popolani, che

elle

Male

COSI gentili?

mamente con

le

al

secondo

traponendo,

quali

il

Né alle

Che come che

verso.

nelle novelle,

ragionare

a

come

cosi vaghe, cosi belle fossero credete, se ciò credete.

bocca del popolo ragionò; quantunque disconvenga, che

Credete voi che

sue canzoni con la favella composte de’ suoi

le

le

sono, cosi care,

Boccaccio

il

con

la

meno

si

altresì

prose ella molto

alcuna volta, massi-

egli

proposte materie,^® persone di volgo

s’ingegnasse

di

volgo parlava, nondimeno

parlare

farle

egli

con

le

voci

vede che in tutto

si

’l

corpo delle composizioni sue esso è cosi di belle figure, di vaghi modi e dal popolo non usati, ripieno, che maraviglia non è se egli ancora vive, e lunghissimi secoli viverà.

lingue quegli

scrittori,

Il

somigliante hanno fatto nelle altre

quali è stato bisogno, per conto delle

a’

terie delle quali essi scriveano, le voci del

campo

popolo

alle volte

ma-

porre nel

delle loro scritture si come sono stati oratori e compositori se comedie o pure di cose che al popolo dirittamente si ragionano, essi tuttavia buoni maestri delle loro opere sono stati. Perché se volete dire. Giuliano, che agli scrittori stia bene ragionare in maniera che essi dal popolo siano intesi, io il vi potrò concedere non in tutti, ma ;

di

di umanità condo il B.

in lui

si

c di stile per tutti

attua

1’

i

tempi,

se-

uomini del Rinascimento;

e gli

ideale del bello artistico in

forma esemplare per tutti gli scrittori. 12. che... lungamente: che giovasse al loro fine di piacere non solo agli uomini del loro tempo, ma a tutta l’ umanità futura. 13. Petrarca:

Dante, Petrarca e Boccaccio

hanno, secondo il B., creato una nuova tradizione e una nuova lingua letteraria, sanzionando cosi il primato della parlata fiorentina

su tutti

i

dialetti

italiani

e

facen-

dola assurgere alla dignità di lingua d’arte. Ma soprattutto Boccaccio nella prosa e Petrarca nella poesia sono, a suo parere, i

modelli piu alti di stile. Nel Petrarca, poi, B. vedeva raccolte « tutte le grazie della volgar poesia », una perfezione ancora in-

il

superata. Era

il

classico p>er eccellenza della

letteratura italiana. 14.

quantunque... verso: Secondo l’ideale

rinascimentale,

guaggio piu 15. Che...

la

poesia

richiede

un

lin-

eletto e aristocratico della prosa. egli:

Sebbene il Boccaccio. secondo l’argomen-

16. secondo... materie:

to e

r ambientazione

17. trapofiendo

:

della novella.

introducendo a parlare.

scritti. 18. porre... scritture: porre nei loro

19. dirittamente

si

ragionano: si trattano al popolo.

rivolgendosi direttamente

_

,

^

^

K? rerv\ ewvl«*v^



della letteratura italiana

0>OC*A^f^'^^ WVt€,>-V^^

V

.

.

cA-a*^-zx«^ in alquanti scrittori^ tuttavia; ma che essi ragionar debbano come ragiona il popolo, questo in niuno vi si concederà giamai. -=r



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Baldcsar Castignonc

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sima, la qual

mi par

egli riflette su di

queU’ambiente

il

suo

ideale

zandolo con quello

sali:

stile:

oltre

che di argutissimi

31.

motteggiando e ridendo:

quand’

ella

scherzava e rideva. pareva che la 32. parea . . . temperasse modestia congiunta alla grandezza, propria questa il

nobile

di

e

gentile

signora,

ispi-

comportamento d’ognuno, armoniz-

si

si

pò.

lei.

spirituale

armonia,

la

grazia

della virtuosa signora, che diviene qui l’eml’eletta so-

cietà aspira.

I.

:

rasse

la

che

quanto piu

blema ideale della perfezione cui

motti di spirito.

di

e ciò è fuggir

:

signorile equilibrio. 30. oltre...

umane

valer circa questo in tutte le cose

facciano o dicano, piu che alcuna altra

te

nativo, astri.

hanno: lasciando da parpossiedono come un dono per influsso favorevole degli

lassando...'!*

coloro che cioè

la

tnacMa/«iiaw oe€KaArenzino de’ Medici (1514-48), per giustificare l’assassinio del duca Alessandro da lui compiuto. La lettera continuò ad essere, come già nell’età umanistica, un genere coltivato con notevoli ambizioni letterarie, anche 'se gli autori cercavano di nascondere la propria arte sotto un’apparenza di semplicità e immediatezza.

è

anche {'Apologià,

scritta

Significativo, in tal senso, e assai celebre ai suoi tempi, fu l’epistolario di

Annibai iono oggi

Caro, le

di

Civitanova

racconta con vivacità

La

(1507-66);

ma

piu

interessanti

lettere del fiorentino Filippo Sassetti (1540-88), i

Su

suoi viaggi dalla

Spagna

ci

appa-

in cui l’autore

all’India.

produzione di novelle del Cinquecento grava l’imitazione del Boccaccio, ispirata dal Bembo. C’è tuttavia nei migliori narratori del tempo, soprattutto in Matteo Bandello, la ricerca di una nuova forma narrativa, più realistica e meno letteraria, più vicina al novellistica.

tutta la vastissima

romanzo moderno, che si svilupperà nel Seicento. Degli altri novellieri ricordiamo: Antonfrancesco Grazzini, fiorentino (1503-84), autore delle Cene, Agnolo Firenzuola, che già abbiamo ricordato fra i trattatisti, Gianfrancesco Straparola da Caravaggio autore delle Piacevoli notti. Poligrafi e avventurieri delle lettere. Viene cosi indicato, generalmente, un gruppo di scrittori per i quali le lettere furono essenzialmente un mezzo di guadagno, spesso ottenuto con sistemi ricattatori o mediante la ricerca di una facile popolarità. Per questo la loro cultura è fra giornalistica ed enciclopedica e il loro stile vivace, dinamico, polemicamente efficace. Il più dotato di costoro fu Pietro Aretino, di cui proponiamo alcuni passi. Meno abile, letterariamente, ma più colto fu il fiorentino Antonfrancesco Doni (1513-74), che visse vita errabonda e avventurosa. Ricordiamo, fra le sue opere, i Marmi, la Zucca e il Terremoto, violento attacco contro l’Aretino.

La prosa minore

del Cinquecento

349

Giorgio Vasari Giorgio Vasari nacque ad Arezzo nel 15 ii e mori a Firenze nel 1574. pittore e architetto apprezzato e svolse tali attività in numerose città italiane, venendo a contatto con importanti artisti e letterati del tempo. In

Fu

quest’epoca, infatti, pittori, scultori e architetti, che nel Trecento e nel Quattrocento erano ancora rimasti legati a un’attività artigianale, considerata inferiore a quella del filosofo e del poeta, tendono sempre piu a costi-

insieme con

tuire,

umanisti e su

gii

crazia dell’ingegno.

Fu

legato da amicizia che

il

un piano

di parità,

una

anzi durante una riunione di

sorta di aristo-

letterati

a cui

era

Vasari ebbe l’incitamento a comporre un’opera che

raccogliesse le biografie e l’elogio dei maggiori artisti italiani.

Nacquero

cosi le Vite dei

più eccellenti

pittori, scultori e architetti^ di cui

Vasari pubblicò una prima edizione nel 1550, e una seconda, rielaborata e notevolmente ampliata, nel 1568, e comprendono oltre 200 biografie d’aril

dal

tisti,

Cimabue alHautore

con grande abbondanza di notizie sulla vengono spesso descritte particolareggiata-

stesso,

loro vita e sulle loro opere, che

mente, con adesione cordiale e talvolta entusiastica. Le singole biografie sono collegate fra loro come momenti di una storia. Il Vasari era infatti convinto che l’arte moderna, per opera soprattutto di Michelangelo, avesse raggiunto un livello altissimo e invalicabile di perfezione, e intendeva ripercorrere quello che, secondo lui, era stato un cammino progressivo e ascendente, dalla rinascita^ com’egli la chiama, delle arti, dopo l’oscura parentesi medioevale, per opera di Cimabue e di Giotto, fino, appunto, a Michelangelo, figura eccelsa e conclusiva di tutto il processo. Quest’idea di un progresso e di un perfezionamento dell’arte che il Vaintendeva

sari

anche

soprattutto,

non

se

e un’opera alla concreta situazione storica nel

loro

significato

individuale

e

soltanto,

in

senso

tecnico,

è

pur legando un artista in cui sono nati, li consideriamo

lontana dalle nostre concezioni. Noi,

assai

infatti,

irripetibile,

nel

loro

autonomo

valore

Conviene però avvertire che esso corrispondeva, nel nostro autore, sia pure in forma imperfetta, a un’intuizione giusta, che, cioè, con Michelangelo si stesse concludendo un ciclo spirituale e artistico che aveva avuto nel Trecento i suoi grandi iniziatori. Inoltre è evidente nelle pagine vasa-

estetico.

riane

il

senso vivo dell’arte

come opera individuale e, come personaggio

ricostruzione della figura dell’artista

per

la

sua virtù, in

nome

della quale

Vasari considera

il

i

»,

l’esaltazione dell’arte e e della storiografia rinascimentali culto della bellezza, l’elogio dell’ingegno e della cultura, la contempla-

dell’estetica il

la

ammirato maggiori « non

paragonandoli alla natura per loro capacità creatrice. In questo senso la sua opera esprime gli ideali

uomini semplicemente ...ma dèi mortali la

di conseguenza,

singolare,

:

zione ammirata delle meravigliose opere dcH’uomo.

Letterariamente

uno

stile

le

Vite sono

un

libro scritto in

a volte impacciato, soprattutto

quando

maniera diseguale, con

l’autore vuol essere solenne incisivo, lontano dai grevi

ed eloquente. Ma piu spesso esso è rapido e canoni accademici e improntato a un calore umano affettuoso. Questo av-

Antologia della letteratura italiana

550

quando

viene sempre descrive

Vasari o ritrae

il

personalità

la

un maestro o

di

opere che maggiormente ammira.

le

Soprattutto in questo ultimo caso egli riesce a riprodurre dell’opera che esamina e ad esprimere con

dinanzi Per

abbiamo seguito: G. Vasari,

testi

a cura di C.

Vite,

Ragghiami, Milano,

L.

1948.

Ritratto di Piero di

...

l’atmosfera

suo entusiasmo

il

miracolo perenne dell’arte.

al

i

Rizzoli,

schiettezza

Cosimo

Aveva questo giovane

^

da natura uno

molto elevato, ed

spirito

era molto stratto e vario di fantasia dagli altri giovani^ che stavono

con Cosimo per imparare

la

medesima

Costui era qualche volta

arte.

tanto intento a quello che faceva, che ragionando di qualche cosa,

come

suole avvenire, nel fine del ragionamento bisognava rifarsi da capo a

raccontargniene, essendo ito col cervello ad un’altra sua fantasia.^ era similmente tanto amico della solitudine, che

non quando pensoso da

Ed

non aveva piacere

se

poteva andarsene fantasticando e fare

se solo

suoi castelli in aria.

E

bene

lo

dimostrò meglio dopo

continuo stava rinchiuso, e non

una

vita

stanze

si

da

uomo si

morte

la

Cosimo, che

di

lasciava veder lavorare,

piuttosto bestiale^ che

spazzassino:

non voleva che

si

egli del

e teneva

umano. Non voleva che la fame veniva;

voleva mangiare allora che

zappasse o potasse

frutti

i

le

e

anzi lasciava

dell’orto,

i tralci per terra; ed i fichi non si potavono mai né gli altri alberi, anzi si contentava veder salvatico ogni cosa, come la sua natura; ® allegando che le cose d’essa natura bisogna las-

crescere le viti e andare

sarle custodire a lei,

senza farvi

altro.

mali o erbe o qualche cosa che caso dimolte volte, e ne aveva

la

Recavasi spesso a vedere o ani-

natura fa per

un contento

furava tutto a se stesso,® c replicavalo ne’

1.

questo giovane: Piero di Cosimo (1462-

1521) è uno dei pittori minori del Quattrocento toscano; fu discepolo di Cosimo Ros-

2.

molto... giovani:

astratto c diverso di

compagni. Le denotano uno spirito tutto assorto nei propri sogni, si da appa-

fantasia

dagli

espressioni qui

rire 3.

altri

giovani

usate,

bizzarro e strano nella vita quotidiana. nel

fine...

fantasia:

giunti

alla

fine,

bisognava rifargli il ragionamento da capo, essendo egli rimasto del tutto assorto in una sua improvvisa « fantasia ».

ed a

ragionamenti tante

suoi

da uomo.,

4.

istranezza

satisfazione che lo

bestiale:

da

domo

rozzo e

incivile.

natura: Voleva che intorno a lui, come la sua natura e la sua vita. Eppure intravvedi, dietro la stranezza, queU’animo che si travaglia nella ricerca di qualcosa si

5.

tutto

selli.

una

e

contentava...

fosse

grande

di

selvatico,

e

d’inafferrabile.

La

vita,

e

quest’uomo sono dominate dall’ansia di una ricerca che non giunge mai a compimento. soprattutto

6.

piva

che...

fuor

la

morte

stesso:

di

se

di

che stesso.

lo

rubava,

lo

ra-

La prosa minore

del Cinquecento

che veniva talvolta, ancor che

volte,

E, nel vero,

se n’avesse piacere, a fastidio.^

si

vede di suo

e con certa

altri,

uno

®

spirito

molto

nello investigare certe

sottilità

natura che penetrano,® senza guardare a tempo o il piacere dell’arte. E non poteva

della

sottigliezze

e*

conosce in quel che

si

vario ed astratto dagli

solo per suo diletto e per

fatiche,

innamorato di

già essere altrimenti perché,

comodi, e sparmiare

non curava

lei,

quando faceva

fuoco, le coceva

il

ma una

consumava a poco piagner de’ putti,

sci

cinquantina; e tenendole in una sporta,

a poco:

il

ri-

non

bollir la colla; e

le

nella quale vita cosi strattamente godeva,

Aveva a noia“

appetto alla sua, gli parevano servitù.^®

l’altre,

suoi

de’

riduceva a mangiar continuamente ove sode, che, per

si

o otto per volta, che

351

tossir degli

uomini,

suono

il

campane,

delle

il

il

can-

quando diluviava il cielo d’acqua, aveva piacere di vepiombo da’ tetti e stritolarsi per terra. Aveva paura grandissima delle saette, e quando e’ tonava straordinariamente si intar de’ frati:

e

der rovinarla a

viluppava nel mantello, e serrato

le finestre e

l’uscio della

camera,

si

recava in un cantone fin che passasse la furia. Nel suo ragionamento era tanto diverso e vario,^® che qualche volta diceva

Ma

faceva crepar dalle risa altrui. !

I

ottanta, era fatto

Non

voleva che

la

garzoni

non

si

poteva più

seco.^®

di maniera, che ogni

stessino intorno,

gli

belle cose, che



vecchiezza, vicino già ad anni

strano e fantastico,^* che

si i

per

meno. Venivagli voglia di lavonon poteva, ed entrava in tanta collera, che mani che stessino ferme; e mentre che e’ borbot-

aiuto per la sua bestialità gli era venuto rare, e per

parietico

il

voleva sgarare

o

tava,

replicavaio...

7. c

volte

tante

le

cadeva

gli

queste

la

mazza da

fastidio:

sue

poggiare, o veramente

ripeteva

e

impressioni

e

que-

sua gioia, nei suoi discorsi, che, sebprovasse un certo piacere si ad

sta

bene

ascoltarlo,

ingenerava

alla

fine

sazietà

nelle

sue

opere

e

11.

suo:

quel...

La

moderna

critica

col giudizio del

dine

certi

cogliere

a

E

Piero

questa

crificata gli

sua

altri

rispetto

vita

in

dal V.,

si

La pioggia è

vista

direbbe, con gli occhi di Piero,

1’ impressione che suscita l’animo e nella fantasia di questo.

attraverso

13. diverso

e

vario:

originale

e

nel-

strano.

ma

dovuta in parte

non

e

usuali

il

le

affron-

piacere che

14.

il

gusto della

riche.

e

godeva tanto

« astratta »

(potremmo

quanto ogni cosa è saall’unico, dominante pensiero) che modi di vivere gli sembravano, al suo, forme di schiavitù.

artistica,

insof-

tativa.

l’attitusottili

si

delle fatiche che gnare in questa sua ricerca, tava per proprio diletto, per la sua arte gli procurava. 10. nella quale... servitù:

Sembrano

:

un

curava del doveva impe-

non

tempo e

dire

di

ad anni ottanta: Piero mori, in realtà, a cinquantanove anni. Simili inesattezze sono assai frequenti nell’opera del V. e rivelano una sua insufficiente documentazione,

particolari

penetranti, certi aspetti strani e

natura.

V.

con

penetrano:

ri-

sostanzial-

è

mente d’accordo 9. con certa...

di

proprie

12. vtler... stritolarsi:

8. in

della

a noia, ecc.

maniaco; eppure appaiono del tutto coerenti con quel bisogno di solitudine e di concentrazione mediferenze

fastidio.

maste.

Aveva

pennelli, che

i

al fatto

che mancava allora

critica accurata delle fonti sto-

strambo e biz-

strano e fantastico:

zarro. seco:

15. non...

non

poteva più fre-

si

quentarlo. 16. per

il

parietico: per

il

tremolare delle

membra. 17. sgarare:

tenerle ferme a forza.

Antologia della letteratura italiana

352

una compassione.^* Adiravasi con le mosche, e gli dava noia infino E cosi ammalatosi di vecchiaia, e visitato pure da qualche amico, era pregato che dovesse acconciarsi con Dio: ma non li pareva avere a morire, e tratteneva altrui d’oggi in domane ” non che e’ non fussi buono e non avessi fede che era zelantissimo, ancora che nella vita fusse bestiale. Ragionava qualche volta de’ tormenti che per i mali fanno distruggere i corpi, “ e quanto stento patisce chi consumando gli spiriti a poco a poco si muore: il che è una gran miseria. Diceva male de’ medici, degli speziali e di coloro che guardano gli ammalati e che gli fanno morire di fame;^ oltra i tormenti degli sciloppi, medicine, cristieri, e altri martori,^"* come il non essere lasciato dormire quando tu hai sonno, il fare testamento, il veder piagnere i parenti, e lo stare in camera al buio: e lodava la giustizia, che“ era era

a l’ombra.^®

:

:

cosa l’andare alla morte, e che

COSI bella

popolo, che tu eri confortato con

i

vedeva tant’aria e tanto e con le buone parole:

si

confetti

avevi il prete ed il popolo che pregava per te, e che andavi con gli Angeli in paradiso; che aveva una gran sorte chi n’usciva a un tratto.^ E faceva discorsi e tirava le cose a’ più strani sensi che si potesse udire.^ Laonde per sì strane sue fantasie vivendo stranamente, si condusse a tale, che una mattina fu trovato morto “ appiè d’una scala, l’anno 1521; ed in San Pier Maggiore gli fu dato sepoltura.

Il

raggio. Siamo nel momento piu importante rie risolutivo dell’operazione, e il C. lo 22. riducesi in

fondo della fomacic: dire nel fondo della fossa. calata

fossa,

terracotta.

15. nel

gli

le

il

21. sollevati:

una

accanto alla fornace, in cui sotterrerà

ma

e

23.

vive

drammaticamente.

Antologia della letteratura italiana

374

E

detta fornace.

alla

mettendo

di

quella untuosità della ragia che fa la

mia

quelle legne di pino,

^ tanto bene, che

fornacietta, ella lavorava

io

fui

una parte ed ora da un’altra con tanta

soccorrere ora da

le

quali per

pino, e per essere tanto ben fatta

’l

necessitato a fatica,

che

la

mi sforzavo.^ E di piu mi sopraggiunse ch’e’ s’appiccò fuoco nella bottega, ed avevamo paura che tetto non ci cadessi addosso; dall’altra parte di verso l’orto il cielo mi spingeva ^ tant’acqua e vento, che e’ mi freddava la fornace. Cosi m’era insopportabile

pure

e

:

io

’l

combattendo con questi perversi accidenti parecchie ore, sforzandomi la fatica tanto di piu che la mia forte valitudine di complessione ^ non potette resistere, di sorte che e’ mi saltò una febbre efimera addosso, la maggiore che immaginar si possa al mondo. Per la qual cosa io fui sforzato andarmi a gittare nel letto: e cosi molto mal contento, biso-

gnandomi per forza andare, mi

che mi aiutavano;

volsi a tutti quegli

^

bronzo e manovali e contadini e mia lavoranti particolari di bottega, infra e quali si era un Bernardino Mannellini di Mugello, che io m’avevo allevato parecchi anni; ed al detto dissi, dappoi che io mi ero raccomanVedi, Bernardino mio caro,^ osserva l’ordine che io dato a tutti ti ho mostro,^® e fa presto quanto tu puoi, perché il metallo sarà presto i

quali erano in circa a dieci o piu, infra maestri



:

in ordine sto

:

tu

non puoi

errare, e questi altri

uomdni dabbene faranno

pre-

sicuramente potrete con questi dua mandriani dare nelle

canali,^^ e

i

di fonder

due spine,^ ed io son certo che la mia forma si empirà benissimo; io mi sento ’l maggior male che io mi sentissi mai da poi che io venni al mondo, e credo certo che in poche ore questo gran male m’arà Cosi molto mal contento mi parti’ da loro, e me n’andai morto.



a letto.

Messo che

mi

io

sino in bottega da

24. le quali... lavorava:

nasce

tattica

discorso.

fui nel letto, comandai alle mie serve che portasio mangiare e da bere a tutti, e dicevo loro:



La spezzatura

dall’ animazione

L’ una e

1

altra



sin-

faranno sem-

si

pre più frequenti col procedere del racconto.

Dopo

« fornacietta » puoi aggiungere: « bruciavano benissimo ». 25. e... sforzavo: rivive in questa breve frase la tensione di allora (nota la forza di

quell’ io

sintatticamente

non

necessario),

26. di verso... spingeva: si

spingeva contro.

menti virtù

Il

il

cielo

mi

fuoco, l’acqua, gli ele-

sembrano accanirsi contro la del C., che impegna una lotta eroica

contro

tutti

la

fortuna.

27. valitudine

di

maestri fonditori,

Bernardino mio caro: Commovente il tono affettuoso col quale il C. si rivolge al discepolo e gli affida quell’opera che teme di non poter vedere compiuta. Crede di star per morire, eppure al Perseo vanno i 29.

suoi

pensieri,

non

la

mia

se

stesso.

ti

le

regole c

i

ho insegnato.

31. i canali: condotti per introdurre il metallo fuso nella forma. 32. potrete... spine: Le spine sono coni

di

ferro che chiudono

i

fori

delle

fornaci;

spingendoli nella fornace coi mandriani (ferri

complessione:

a

30. l’ordine... mostro: segui

procedimenti che

dalla parte della

apriva sull’orto,

28. maestri:

lo

sforzo violento e appassionato.

bottega che

robustezza.

del

concitata

torti

con lungo manico)

metallo fuso.

si

fa

uscire

il

La prosa minore

del Cinquecento

375



non sarò mai” vivo domattina. Loro mi davano pure animo, dicendomi che ’l mio gran male si passerebbe, e che e’ mi era venuto per la troppa fatica. Cosi soprastato ^ due ore con questo gran combattimento

di febbre (e di

cendo:



mi

io

che aveva

casa,

continuo io



sento morire,

nome mona

me la

la

sentivo crescere), e sempre di-

mia

serva, che

governava

tutta la

Fiore da Castel del Rio (questa donna

era la più valente che nascessi mai, ed aitanto” la più amorevole), e

mi

mi ero

sbigottito,” e dall’altra mi faceva ” che mai far si possa al mondo. cosi smisurato male e tanto sbigottito, con tutto il suo bravo cuore lei non si poteva tenere, che qualche quantità di lacrime non gli cadessi dagli occhi; e pure lei, quanto poteva, si riguardava che io non le vedessi. Stando in queste smisurate tribulazioni, 10 mi veggo entrare* in camera un certo uomo, il quale nella sua persona ei mostrava d’essere storto come una esse maiuscola; “ e cominciò di continuo

sgridava, che io

maggiore amorevolezze Imperò,” vedendomi con

le

un

a dire con

di servitù



O

un rimedio

al

come

certo suon di voce mesto, afflitto,

comandamento dell’anima

11

a

coloro che

quei che hanno andare

a

danno

giustizia,*^

Benvenuto! la vostra opera si è guasta, e non ci è più mondo. Subito che io senti’ le parole di quello sciagurato,^ messi un grido tanto smisurato, che si sarebbe sentito dal sollevatomi dal letto presi li mia panni e mi comincielo del fuoco, ciai a vestire; e le serve, e ’l mio ragazzo, ed ognuno che mi si accostava per aiutarmi, a tutti io davo o calci o pugna, e mi lamentavo dicendo: Ahi traditori, invidiosi! questo si è un tradimento fatto ad e disse:





arte

;

ma

io

giuro per Dio, che benissimo

che io muoia lascerò di

me un

resterà maravigliato.

Essendomi

33.

mai

34. Cosi

:



tal

al

finito di

delirio di

più.

soprastato:

i’

saggio

rimasto

grottesco

cosi.

lo conoscerò,^

ed innanzi

mondo, che più d’uno ne vestire, mi avviai con catBenvenuto: ha in e,

insieme,

qualcosa



acquista,

davanti

di al-

35. ed altanto: c al tempo stesso. L’inciso, riguardante l’affetto della serva, rimane sintatticamente slegato. Il C. evoca fatti e persone di quel giorno come se fossero presenti,

un che di tragico. maiuscola: Cosi il C. vede questo profeta di sventura deforme e grot-

con un forte colorito sentimentale. Ne naun racconto drammatico e vissuto, con

come... giustizia; come coloro che a pensare alla propria anima condannati a morte che stanno per affron-

sce

moti di entusiasmo, angoscia, tenerezza che provò allora. 36. che... sbigottito: che mi ero lasciato abbattere troppo. 37. amorevolezze di servitù: atti che la rivelavano serva affezionata e fedele. gli

stessi

38.

Imperò: tuttavia. mi veggo entrare, ecc.: È

39. io

il

culmine

drammatico della pagina. L’apparizione dell’uomo, uno dei lavoranti del C., ha qualcosa di fantomatico e misterioso. reale,

ma

È persona

sconvolta daU’allucinazione e dal

l’anima 40.

dell’artista,

storto...

:

tesco.

41.

esortano

i

tare l’esecuzione. 42. sciagurato: anche questa parola sembra la traduzione del grido disperato che il C. senti allora nell’anima. urlo cosi 43. messi... fuoco: cacciai un

smisurato che si sarebbe sentito nella sfera del fuoco, posta dagli antichi fra 1 atmosfera terrestre c

il

ciclo della luna.

conoscerò: senza dubbio lo scodelirio, prirò. Benvenuto appare in preda al a una violenza primordiale. 44. lo

Antologia della letteratura italiana

376

animo inverso

bottega, dove io viddi tutte quelle gente, che con baldanza avevo lasciate, tutti stavano attoniti e sbigottiti. CoOrsù, intendetemi, e dappoi che voi non avete o minciai e dissi

tivo

tanta

:



saputo o voluto ubbidire

che io sono con voi

mi si e non

,

modo

al

che io v’insegnai, ubbiditemi ora

presenza dell’opera mia, e non

alla

contraponga,^® perché questi cotai casi



consiglio."*®

A

queste mie parole



e’

nessuno che

sia

hanno bisogno di aiuto mi rispose un certo mae-

i

|

Alessandro Lastricati e disse: Vedete, Benvenuto, voi vi volete mettere a fare una impresa, la quale mai nollo promette l’arte,*"^ né si stro

può

modo

fare in

furore e resoluto



sono:



nissuno.

A

mi

queste parole io

volsi

con tanto ,

una voce disaiuteremo tanto quanto voi ci

male,** che ei e tutti gli altri tutti a

al

Su, comandate, che tutti vi



E quequanto si potrà resistere con la vita. amorevol parole io mi penso che ei le dicessino pensando che io dovessi poco soprastare a cascar morto.** Subito andai a vedere la forpotrete comandare, in ste

nace, e viddi tutto rappreso

un

sersi fatto

il

metallo, la qual cosa

domanda

si

il

anno

quercioli giovani, che erano secchi di piu d’un

quali legne

(le

madonna Ginevra, moglie del detto Capretta, me Taveva venuto che fumo le prime bracciate, cominciai a empiere iuola.*^

E

Tes-

dua manovali, che andassino al Capretta beccaio, per una catasta di legne di

migliaccio.*® Io dissi a

dirimpetto, in casa

perché

la

quercia di quella sorte fa

tutte Taltre sorte di legne

(avenga che

e’

si

e

offerte);

bracia-

la

piu vigoroso fuoco che adopera legne di ontano

’l

o di pino per fondere, per Tartiglierie,*^ perché è fuoco dolce), oh

quando quel migliaccio cominciò cominciò a nali,**

ed

quel

sentire

a

avevo mandato

altri

maggior forza verso Torto avevo

la

fuoco,

terribil

banda

schiarire, e lampeggiava.** Dall’altra

si

ei

sollecitavo

sul tetto a riparare al fuoco,

di quel fuoco

il

si

ca-

i

quale per

maggiormente appiccato;

era

e

di

fatto rizzare certe tavole e altri tappeti e pannacci,**

che mi riparavano all’acqua.

Di

che io ebbi dato

poi

45. mi si contra ponga: discuta i miei ordini. 46. questi...

non

sto gli

:

c*

si

rimedio a

opponga,

come quemi consiubbidirmi. Nota l’elo-

consiglio: in casi

è bisogno che alcuno

dovete aiutarmi e

quenza vibrata 47.

mi

il

mai...

è del

del metallo

si

fosse

mata

ai

me rica

una furia scatenata. La violenza barbae primitiva di Benvenuto s’afferma piu

grandiosa dinanzi al coro dei lavoranti pallidi e sgomenti, del tutto dominati da lui. 49. poco...

cader morto.

morto:

non tardar molto a

un

la

mas-

diceva che

migliaccio (cosi era chia-

il

focolare della fornace.

avenga che: sebbene, per si

si

torta di farina di castagne).

1’

artiglierie

:

cannoni. cominciò... lampeggiava: cominciò

per fondere 53.

male: pronto a tutto, co-

fatto

furori,**

quando

rapprendeva

si

51. braciaiuola:

principi dell’arte. 48. rcsoluto al

la

52.

tutto contraria

gran

50. la qual... migliaccio: sa

e incisiva.

arte:

questi

tutti

i

ad acquistare lucentezza

a

e

mandar

ba-

gliori.

54.

sollecitavo

canali: facevo tener pron-

i

il metallo fuso nella forma. 55. pannacci: vecchi panni. avversità ma sembrava 56. gran furori

ti

i

tubi

per versare

:

|

:

La prosa minore

del Cinquecento

111



con vocie grandissima dicevo ora a questo ed ora a quello: qua, leva là di modo che veduto che il detto migliaccio



:

ciava a liquefare,

tutta

che ognuno faceva per stagno,

dentro

il

il

mi ubbidiva, un mezzo pane di

quella brigata con tanta voglia

Allora io feci pigliare

tre.

quale pesava in circa 6o libbre, e lo

alla fornace,

quale con

gittai in sul migliaccio

gli altri aiuti e di

legne e di stuzzicare

or con ferri ed or con stanghe, in poco spazio di

Or veduto

liquido.

Porta

comin-

si

di aver risuscitato

un

tempo

divenne

e’

morto,®”^ contro al credere di

e’ mi tornò tanto vigore, che io non mi avvedevo avevo più febbre o più paura di morte. In un tratto®® e’ si sente un romore con un lampo di fuoco grandissimo che parve propio che

quegli ignoranti,

tutti

se io

una

saetta

si

presenza nostra; per

fussi creata quivi alla

spaventosa paura

ognuno

s’era sbigottito,

che fu quel grande jomore e splendore, noi

veduto che

in viso l’un l’altro,®® e piato, e

modo

era sollevato di

si

E

veduto che

ci

quale insolita altri.

cominciammo

coperchio della fornace

che

mia forma,

aprire le bocche della

due spine.

il

la

ed io più degli

’l

e nel

bronzo

si

medesimo tempo

feci

che

la

e scodelle é tondi di stagno, io gli

mettevo dinanzi

modo

era scop-

dare

alle

causa forse era per essersi consumata

lega per virtù di quel terribil fuoco,®^ io feci pigliare tutti

uno

si

versava,®® subito feci

metallo non correva con quella prestezza

il

ch’ei soleva fare, conosciuto la

Passato

a rivedere

i

mia

quali erano in circa a dugento, e a

i

ai

mia

ne

canali, e parte

feci gittate

piatti

uno

a

drento

ognuno che ’l mio bronzo s’era bemia forma si empieva, tutti animosamente e lieti mi aiutavano ed ubbidivano, ed io or qua ed or là comandavo, aiutavo, e dicevo: O Dio, che con le tue immense virtù risuscitasti ®^ Di modo che in un tratto dai morti, e glorioso te ne salisti al cielo! ®® e con tutto e’ s’empié la mia forma; per la qual cosa io m’inginocchiai che il cuore ne ringraziai Iddio; di poi mi volsi a un piatto d’insalata e mangiai era quivi in su ’n un banchettaccio,®^ e con grande appetito nella fornace; in

che, veduto

nissimo fatto liquido e che

la





la sorte infuriasse spietata

che

57. di

tato » è

morto:

aver... il

il

«

contro di

morto

suo Perseo, che è per

il

lui.

resusci-

C. come

60.

che...

si

traboccava dall’or-

versava:

lo della fornace. si 61. conosciuto... fuoco La lega metallica era alterata per l’eccesso del calore e la colata :

una persona viva, una parte di se stesso. 58. In un tratto: ad un tratto. È l’ultimo momento drammatico (scoppia il coperchio

era troppo densa. Benvenuto rimedia con

fatto

che il C. descrive come un vagamente soprannaturale, tanto piu che dopo di esso si corhpleta il miracolo

ha un tono schietto e commosso,

della resurrezione del Perseo.

di istintivamente, ricordando la resurrezione Perseo. Cristo, a quella or ora avvenuta del

della fornace),

59. fatti

la

ci

cominciammo...

rimasti

per

descrizione

tirsi

suggerisce

di 1’

erano

in-

abbag'iati;

ma

altro:

un attimo

questo improvviso risenidea del tornare in se do-

po un evento portentoso.

62.

O

il

vasellame che ha in casa. Dio... cielo: La preghiera del C.

sacrifìcio di tutto

il

e

allude

un tratto di fer63. io m’inginocchiai: È arte è la vore religioso, ma si sente che 1 vera, intima religione dell’autore. mi volsi... banchettacelo: Nel banchet64.

to rusticano

si

placa la tensione drammatica.

.

Antologia della letteratura italiana

37 »

me

bevvi insieme con tutta quella brigata; dipoi e lieto, perché gli era avessi auto

buona

un male

al

serva, senza che io le dicessi nulla,

modo

capponcello; di

n\.r.dai nel letto sano

due ore innanzi giorno, c come se mai io non mondo, cosi dolcemente mi riposavo. Quella mia

mi aveva

provvisto di

che quando io mi levai dal

mi

all’ora del desinare, la

si

un

grasso

che era vicino

letto,



fece incontro lietamente dicendo:

Oh,

è questo uomo quello che si sentiva morire? io credo che® quelle pugna e calci che voi davi a noi stanotte passata, quando voi eri cosi infuriato,

che con quel diabolico furore che voi mostravi d’avere, quella vostra tanto smisurata febbre, forse spaventata che voi non dessi ancora a ciò a fuggire.

—E

cosi tutta la

spavento e da tante smisurate fatiche, in un tratto in

rare,

cambio

terra, e tutti

di

mia

Dopo tato,

vita

’l

i

di quei piatti e

lietamente desinammo, che

mi vennono

desinare

si

mandò

si

scodelle di stagno,

né desinare con maggior

quali lietamente

lei, si

cac-

mia povera famigliuola ® rimossa da tanto a ricompe-

tante stoviglie di

mai non mi ricordo

in

tempo

né con migliore appetito.

letizia

a trovare tutti quegli che

mi avevano

aiu-

rallegravano, ringraziando Iddio di tutto quel

che era occorso, e dicevano che avevano imparato e veduto fare cose quali eran dagli altri maestri tenute impossibili.®^

danzoso, parendomi d’essere

somi

mano

alla borsa, tutti

un poco

saccente,®

Ancora

me

le

io alquanto bal-

ne gloriavo; e mes-

pagai e contentai.

Matteo Bandelle Nato a Castelnuovo Scrivia, nel 1485, Matteo Randello raggiunse, appena dodicenne, uno zio priore nel convento domenicano delle Grazie a Milano, compì presso di lui i propri studi e lo segui in varie parti d’Italia, dopo

essere entrato anch’egli nell’Ordine.

Fu

al

servizio

Gonzaga

di

vari

signori:

Mantova e di Giovanni Fregoso, un capitano di ventura. Acquistò cosi una vasta esperienza di uomini e cose e visse una vita nel complesso varia e movimentata, di cui troviamo una traccia nella sua opera di narratore. Quando, di Alessandro Bentivoglio a Milano, di Isabella

in

un

realistico

quadro di

vitalità felice e se-

rena, che pervade, con toni sempre più pacati e sorridenti, le

65. io credo che

:

ultime

fasi del

sottintendi

:

«

racconto.

vedendo

»

L’arguta osservazione della fantesca segue il ritorno al semplice mondo di tutti i giorni. 66.

tutta...

famigliuola:

La

felicità

del

C. diventa tenerezza che si espande su tutti coloro che gli sono stati vicini nella terribile prova. Nota la costruzione liberissima essendosi rimessa la del jjeriodo. Intendi :

a

mia famigliuola... subito comperare,

si

mandarono a

ecc.

67. e dicevano... impossibili: È il solito coro osannante che il C. crea intorno alla sua figura di uomo che si ritiene eccezionale. eran... tenute: erano considerate. 68. un poco saccente: alquanto bravo, sapiente. Ma qui, nella consueta esaltazione,

balenano un allegria

lieve

tono autocaricaturale e una

schietta che

pagare e contentare

culmina nella gioia di tutti da gran signore.

La prosa minore nel 1541,' figli in

il

del Cinquecento

379

Frcgoso fu ucciso da

sicari

spagnuoli, ne segui

Francia, dove fu nominato dal re Enrico

Mori nel

1561.

La sua cultura umanistica appare

greco e nelle sue composizioni in latino. Egli

secondo

la

moda

nata letteratura

II,

pctrarcheggiantc del secolo. stacca

si

la

la vedova c Vescovo di Agen (1550).

nelle sue traduzioni

scrisse,

Ma

i

inoltre,

delle

da questo gusto

sua opera piu originale,

le

dal

Rime

di

raffi-

214 Novelle^ che

ebbero larga diffusione c vennero presto tradotte in francese e in inglese, e offrirono spunti e schemi a piu di un dramma di Shakespeare, a due com-

medie del drammaturgo spagnuolo Lope de Vega, a vari racconti del Cervantes. Tre libri ne pubblicò a Lucca nel 1554, il quarto usci postumo a Lione nel 1577.

La

novella

era

costume

stata,

fin

dalle

origini,

come

concepita

specchio della

avvenimenti e casi quotidiani ritenuti degni, per il loro carattere singolare, di passare, in qualche modo, alla storia, o tali, comunque, da dilettare il lettore e da mostrargli, al tempo stesso, un

vita e del

attuale, di

quadro vario e commesso della vita. A questo schema rimane fedele il Bandello, che intende appunto presentarsi come un cronista e un memorialista, anzi, proprio per questo, adotta uno stile prosastico non raffinatamente artistico,

ma

semplice e conversevole.

quecento, non accoglie

A

differenza di molti novellieri del Cin-

uso, divenuto ormai di prammatica,

dopo il grande modello del Boccaccio, di racchiudere le sue novelle in una cornice unitaria, ma premette ad ognuna una lettera di presentazione e di dedica a questo o quel personaggio da lui conosciuto, nella quale ricorda il luogo e l’occasione in cui ha sentito raccontare la vicenda che ne costituisce l’argomento. Si tratta, in realtà, per lo piu di una finzione letteraria, in quanto il Bandello è narratore di fatti contemporanei molto meno di quanto voglia far credere, e trae la sua materia da fonti svariatissime, antiche e moderne, italiane, francesi, latine mcdioevali. Le dediche servono quindi più che altro a dare

ai

1’

suoi racconti un’ illusione di realtà e di contemporaneità, e soprat-

ad essi un’ atmosfera di vita cortigiana, un pubblico che è poi quello al quale il Bandello si rivolge, non soltanto di letterati, ma anche di principi, cavalieri, dame, capitani, artisti, diplomatici. tutto a creare attorno ide'^le,

Ispirazione prima delle novelle è l’osservazione delle cose,

della

vita,

nel

suo complesso groviglio di passioni e peripezie. Il Bandello si presenta come un narratore puro, che ha come fine la realtà e coerenza delle vicende e intende soprattutto divertire il lettore, senza cercare di nobilitare la tradizione letteraria narrativa, con l’ambizione umanistica di un alto 5tile prosastico, come aveva fatto il Boccaccio. I suoi personaggi hanno spesso scarso rilievo psicologico e il suo stile è a volte piatto, uniforme, quasi sempre povero di vigore espressivo. Ma il suo pregio è là dove si

abbandona

al

suo gusto della peripezia romanzesca,

cato e avvincente dei

dell’ intreccio

compli-

fatti.

Evidente nelle novelle è l’ intenzione dello scrittore di essere quasi lo del suo tempo, di rappresentare la vita vissuta del Cinquecento,

storico

coi suoi le

problemi e

corti signorili, gli

i

suoi interessi culturali,

ambienti

politici,

le

religiosi,

(sia gli interni di case, sia le città e

notizie di paesi lontani udite attraverso le narrazioni di viaggi),

il

guerre,

magari

le

costume.

380

Antologia della letteratura italiana

le vesti, le grandi passioni e i delitti, le vendette e le beffe. L’attenzione e Tintima partecipazione dell’autore vanno soprattutto alle avventure in cui il costume si esprime in forme energiche e decise, cioè ai drammi passionali,

non infrequenti

nelle sue novelle. Questa prospettiva vasta e mossa di una d’un’epoca, anche se svolta in toni dimessi c a volte cronachistici, sembra disporre una nuova materia per il romanzo, che sarà una scoperta del secolo seguente.

società e

Per

i

abbiamo seguito: M. Bandello, Tutte

testi,

le opere,

a cura di F.

Flora, Mi-

lano, Mondadori,' 1934.

Tomasone È

e

San Bernardino

questa una delle non molte novelle del Bandello fondata sullo studio d’un quello dell’usuraio Tomasone. La caratterizzazione del personaggio è

carattere,

soprattutto ai suoi due discorsi col frate; ma essi bastano a definirlo, primo per quel suo aspetto untuoso c ipocrita, per la sua fermezza recisa c

affidata il

irrevocabile il secondo, dal quale la scelta della appare una vocazione meditata e irresistibile.

Quando

noi,

miei, _avcremo

signori

forza dire che questa cieca cupidigia,

modo,

è cagione di molti mali; e

l’uomo infame,

e fa che

caccia a casa di

da

tutti

nobile

detto

e

voler

di

professione

detto,

d’ usuraio

converrà

non solamente rende bene

ma

è mostrato a dito,

trenta para di diavoli in

per

aver danari fuor di

anima

spesso

sovente anco lo

e in corpo.^

ora io vo’ mostrarvi in una mia novelletta, che è vera

istoria,

Onde

come

gli

uomini oltra modo cupidi del guadagno diventano sfrontati, e quanto poco stimano Dio. Fu nella città nostra di Milano,^ non è gran tempo, uno, chiamato Tomasone Grasso, il quale a’ suoi tempi avanzò in prestar denari ad usura quanti usurai mai furono innanzi a lui.^ Onde ne divenne oltra misura ricchissimo. Nondimeno, per nascondere il suo vizio, egli ogni di era il primo ad entrare in chiesa, e di sua mano a quanti poveri ci erano dava un imperiale^ per elemosina: udiva due

modo

e tre messe, ed altre simili dimostrazioni faceva; di

non

nosciuto

tolico e santo

l’avesse,

uomo

si

di Milano.

perdeva nessun sermone, tendosi,

il

tutto con

ma

Quando

poi

novella rata da

caccia...

in balia del

narratore senza pretese. 2.

nella

nostra

città;

predicava, egli

sempre dirimpetto

coqio: lo mette del tutto

lo

si

al

il

piu ca-

mai non

predicatore

met-

sommissima attenzione® udiva.

demonio. Il 6. affida compiaciuto la « morale » a questa frase di uso quotidiano e popolaresco, con un tono di

1.

che chi co-

sarebbe creduto che egli fosse stato

3.

avanzò... lui:

fu

il

maggiore usuraio

che mai fosse stato in Milano. 4.

Nella dedica della

B. immagina che essa venga narun giovane milanese, Dionisio Elio.

il

5.

un imperiale: una moneta di valore. con sommissima attenzione: Quest’ul-

La prosa minore

Venne

del Cinquecento

381

Milano Fra Bernardino da

a predicar in

predicatore famosissimo, che poi fu dalla santa

mero

nel nu-

dei santi collocato; e perché era d’età già vecchio, ed appo"^ tutti

come

in opinione d’esser,

reva

Siena,® in quei tempi

Madre Chiesa

suoi sermoni; di

ai

santissimo, tutta

la

città

concor-

che in breve acquistò appo grandi e

Tomasone non

grandissimo.

piccioli credito

uomo

era,

modo

lasciava giorno, che

l’andasse a udire; ed avendolo sentito dodici

o piu sermoni,

non

deliberò,

veggendo che non predicava contra gli usurai, andarlo a visitare, e v’andò. Era Tomasone un uomo di venerabile presenza ed autorità e vestiva molto civilmente.^ Fra Bernardino, visitato da costui, lo raccolse® amorevolmente, e con lui entrò in onesti e santi ragionamenti, essendosi posti a sedere. Tomasone faceva da ser Ciappelletto,^® e si mostrava tutto religioso e zelante dell’onor di Dio e della salute dell’anime. Onde, dopo molti ragionamenti, egli al santo frate in questo

modo

parlò

obbligo

al

:

— Padrt riverendo,

noi milanesi abbiamo un infinito Gesù Cristo, che abbia ispirato la vomandarvi in questa nostra città a predicare; tutti

nostro Redentore messer

stra santissima religione

perciò che mediante

la

a

grazia del Salvatore io spero che

cazioni faranno buonissimo frutto,

mala

vita di molti,

ma

più che vizio alcuno che

maledetto peccato dell’abominevole usura, e molti

il

vostre predila

che vivono discorrettamente. Regnano in questa no-

stra città dei vizi e peccati assai;

è

le

saranno cagione d’emendare

e

ci

ci sia, vi

sono che

altro

mestiero non fanno. Io mosso da carità ve l’ho voluto dire, a ciò che nei vostri fruttuosi sermoni possiate talora riprendere questo scelerato vizio, e diradicarlo^® Il

da questa



città.

santo uomo, che altrimenti non conosceva chi fosse Tomasone, c

buono

lo giudicava, lo ringraziò assai,

gentiluomo

e leale

ed esorto

a

perseverare in buon proposito. Poi cominciò ferventissimamente a predicare contra il vizio dell'usura, di maniera che in tutte le prediche altro mai non faceva che biasimare e riprendere chi prestava ad usura; alcuni il che agli uditori non poco fastidio generava. Onde essendo da

uomini da bene gli

usurai,

ma

visitato, fu avvertito

seguitasse

il

suo

meravigliate di questo, disse

timo particolare completa pittura

di

quell’

uomo

il

efficacemente

ipocrita

e

solito

la

untuoso.

Fra Bernardino da Siena: Fu un predicatore di grandissima rinomanza nel Quat-

abbiamo riportato alcuni

passi delle

sue prediche nel primo volume. 7. 8.

coro.

modo

di predicare.



Non

vi

santo frate, perciò che io sono stato

6.

trocento;

s’affaticasse tanto contra

che non

appo: presso. molto civilmente: con eleganza e de-

9. raccolse:

10. faceva

accolse.

da Ser Ciappelletto:

si

compor-

Ciappelletto delia celebre novelewere la del Boccaccio, faceva cioè credere di

tava

come

uomo

il

integerrimo e profondamente religioso.

la... religione: il vostro santissimo ordine, che era quello francescano. 12. a ciò che: affinché^ 11.

13. diradicarlo:

sradicarlo.

Antologia della letteratura italiana

382

mi

spinto da quel gentiluomo vestito di pavonazzo, che ogni di

quando

a sedere per iscontro trassegni, fu

da

uno

:

di quelli

dite, è

il

tutti

conosciuto che egli era

— Oimè,

E

sta

dati alcuni altri con-

Tomasone

Grasso.

Onde

maggior usuraio che

non

in tutta Italia sia; ed in questa città

non

egli;

ed

io

per

me

più volte, astretto



da bisogni, ho preso con grandissimi interessi danari da lui. Udendo Fra Bernardino questa cosa, restò fuor di modo pieno di meraviglia; e volendo certificarsi, mandò per lui,^® il quale subito venne. Il santo frate entrò seco in ragionamento, e venne a dirgli che egli era un grande usuraio, e che essendo cosi, molto si meravigliava che egli l’avesse stimolato con tanta istanza Per a predicar contra l’usura. questo,^"^ rispose allora Tomasone, venni io a pregarvi ed esortarvi che



voi predicaste contra l’usura, perché vorrei esser solo

E

per guadagnare più danari. io,

mi

la

metà

a questo mestiero,

chi v’ha detto che altri

che presti a usura, s’inganna; ed io lo

qua non guadagno

so,

non

ci

che

sia

che da qualche giorno in

di quello che io soleva

come

fa conoscere che altri ci siano così savi

guadagnare; il che che anche essi

io,^®

attendono al denaro. E dicovi, padre mio, che chi non ha danari e pur assai,“ è una bestia. Voi sete, perdonatemi, poco pratico delle cose del mondo; ed il viver vostro è a un modo, ed il nostro a un altro.^^ E la somma del tutto è questa, che convien a chi vuol esser riputato e fra gli altri onorato, aver danari. Sia pur l’uomo nasciuto nobilissi-

mamente,^

e della casa dei Vesconti, che è la casa del nostro signor

duca, se non avrà danari,^ non sarà di lui tenuto conto alcuno. Io ho

qualche pochi danari, che non pensate eh’ io

14.

per iscontro: dirimpetto.

15. certificarsi:

dò per

lui:

16. istanza:

17.

mandò

lo

un

a chiamare.

ecc.

:

Il

discorso di

Toma-

piccolo capolavoro, condotto con

logica stringente. Vedi, fin dall’ inizio^ prontezza della risposta: davanti ai rim-

una la

proveri del frate

non

batte ciglio,

ma

elogia

suo peccato con un cinismo che rasenta 1 innocenza. Non solo, ma si sente e si proclama con fierezza un onesto trionfalmente

il



professionista « sociale »

dell’ usura,

mostra

il

valore

della sua attività, e termina alla

con un elogio veramente tenero della che dà il danaro. La comicità nasce soprattutto dalla perfetta e spontanea naturalezza con la quale enuncia e difende la sua morale alla rovescia; c anche da quel senso di benevola superiorità con cui osserva quel frate santo, ma cosi poco pratico delle fine

gioia

cose di

mondo.

frate

per

solo:

sbarazzarsi

Si

^

se

dunque

serve

concorrenti;

dei

e

del e

si

comprende che sarebbe pronto a pagare

il

disturbo.

insistenza.

Per questo,

sone è

man-

tutto oro;

fossi

perché...

18.

sincerarsi della cosa,

:

che è ciò che io sento! costui, padre, che

disse,

troverà chi presti a usura se

si



io predico.

19. COSI savi come io: V attendere al danaro è dunque la suprema saggezza. Non senti neppure il sogghigno di Ser Ciappelletto, il suo artistico gusto della beffa, ma una convinzione autentica, inoppugnabile. 20. e pur assai: e anche molti. 21. ed il viver... altro: Distinzione netta e categorica: a ciascuno il suo mestiere. Ma nota, sempre, quel tono pacato {voi sete, perdonatemi , poco pratico delle cose del mondo'), quell’ ipocrisia ormai divenuta natura, quel gusto della rispettabilità. di nobilis22. nasciuto nobilissimamente :

simi natali.

non avrà danari

23. se

:

implacabile, la saggezza di 24.

Io ho...

mulare

la

oro:

è

il

ritornello

Tomasone.

Anche quella

di

dissi-

propria ricchezza è divenuta abi-

'

,

|

La prosa minore vado in

del Cinquecento

castello per

3«3

parlar al duca, subito son fatto entrare,

ben

se

perché quando ha avuto bisogno di ducento e cento migliaia di ducati, io 1’ ho servito con quel profitto “ che tra egli fosse in letto,“

me

e

s’

o povero a

Non

è accordato.

questa

.in

mo

Direte

tutti.

onori, perché io faccio servigio

che io deverei prestar

i

miei danari tornino a casa con guadagno. Basta a

me

costuma, “ e

si

e voglio che

non

eh* io

avere danari è una cosa che senza fine allegra

quanto piu

se n’ ha, tanto piu cresce l’allegrezza; io

mi

il

i

sforzo

me:

nessuno, né astringo^ a venire a tórre danari in prestito da 1’

^

miei danari senza pre-

mio alcuno. Padre mio, cotesto modo di prestare non non sarebbe il fatto mio: io voglio il pegno in mano,

perché

lui

gentiluomo o cittadino o mercante

mi

che non

città,

voi,

è anco

ci

tre-

e

cuore,” c

mossi,

quando

a pregarvi che voi predicaste con tra gli usurai, a ciò eh’ io

vi parlai,

solo tutto

il

Si sforzò

guadagno



avessi.

santo frate con verissime e sante ragioni di voler levare

il

questa fantasia di capo a Tomasone, ed assai gli predicò, mostrandogli negli Evangeli che Cristo nostro Salvatore di bocca sua comanda, che

debba prestar danari

si

spilletto.

prossimo senza speranza di cavarne uno il Te-

al

Egli puoté allegare la ragione civile e la canonica,^ ed

stamento vecchio col nuovo;

Tomasone

niente profittò, perciò che Strinsesi

il

santo frate

nelle

Tomasone; e da pregò nostro Signore Iddio che gli occhi della mente E poiché di Tomasone tanto ve ne ho detto, vi dirò

spalle” di compassione, sé

ma

suo proposito.

perseverava ostinato nel

licenziatolo,

gli illuminasse.

udendo

cosi fatte risposte di

ancora un fioretto,” che poco innanzi a questo ragionamento che fece

come avete già inteso, Tomasone predicazione; ed avendo Fra Bernardino gagliardamente predicato contra gli usurai, un povero calzolaio, che era ito per pigliar santo frate, avvenne. Andava,

col

ogni di

tudinc,

alla

natura

pure di

(fa

parte

delle

attitudini

non s’accorge nepsmentire subito dopo la sue parole,

professionali),

tanto che

quando afferma

di

sensibili allo stesso

duca di Milano.

Ma

c’ è





27.

io

faccio

interesse.

servigio:

Non

usura,

servigio, e a tutti indistintamente.

quindi che

sia

:

delle cose.

aver fatto prestiti assai

anche, in fondo, della sincerità in ciò che dice: per quanto danaro possa avere, non sarà mai abbastanza per la sua insaziabile sete. 25. se... letto: anche se fosse a letto; questa sembra dire Torhasone è la vera intimità coi grandi. 26. profitto:

ma tanto inesperto. Non vale far polemiche bisogna fargli capire pacatamente la realtà

È

ma

29.

28. Padre... costuma: Gli parla dolcemente, come a un giovane pieno di ideali

Sono

« serviti »

!

gli

che chiedono

altri

astringo

:

di

costringo.

30. che... cuore: È la frase lirica, dopo tanto serrato ragionare, pronunciata con ario-

so e beato entusiasmo, ed quella seguente. 31. la ragione... canonica:

è

ribadita

da

le leggi civili e

quelle ecclesiastiche.

giusto

onorato.

il

a nessuno. essere

nessuno: Basta alla mia copensiero che non faccio violenza

Basta...

scienza

è

32.

Strinsesi... nelle spalle:

un

tratto di fine comicità.

un fioretto: un episodio, degno di messo in una raccolta antologica.

33. ser

Anche questo es-

Antologia della letteratura italiana

384

danari in prestito da

acerbamente gridar

sone a casa, non ardiva ricercarlo,

Veggendolo Tomasone

gli disse:

10 vorrei bene qualcosa, rispose

avendo

dervi,

sentito

dubito che voi non Disse allora

mone,

frate

il

Tomasone:



ma



sermone, sentendo cosi

il

si

smarrì; e tornando

vuoi nulla da

ma non

calzolaio,

e piu

gli usurai;

non vogliate

Dimmi, che mestiero

Sta bene, disse

è

prestare.

tuo?

il

Tomasone,

me?



ardisco a chie-

fieramente garrire contra



Toma-

dietro passo passo lo seguitava.^

— Compagno, il

convertito;

siate

calzolaio, rispose egli.



e



Io sono

tu sei stato al ser-



che mestiero sarà ora il tuo ? Sarò calzolaio, pover uomo, perché non so far altro mestiero. Ed io, sog-

e vai a bottega

rispose

che fosse

finito

lui,

frate contra l’usura,

il

il

:



giunse Tomasone, sarò prestatore,^ perché altro essercizio non ho per le

mani.



E

sone, che poi

gli

si

diede quei danari che volle. Questo è quel

convertì, e restituì tutto

il

mal

e lasciò tante elemosine e cose pie, che tutto 11

Toma-

ed incerto,^ dì in Milano si fanno;

tolto, certo

il

quale, se visse male, almeno, per quello che

si

può

giudicare,

morì

bene e da cristiano.

Uno Il

scanno per San Francesco racconto è tutto fondato su un bel motto, secondo

la

piu antica tradizione

Randello caratterizza felicemente un certo tipo di predicazione rettorica, fondata su un lirismo falso e compiaciuto. La battuta dello studente è spiritosa (non è però invenzione del Randello, che ricava la novella da un originale latino), ma la parodia del goffo predicatore è artisticamente più interessante. novellistica.

Devete,

Il

miei,^

signori

sapere,

che essendo io ancora

secolare,^

e

leggi civili. Frate Bernardino

da Feltro, uomo nella religione ^ nostra di grandissima stima, predicò tutto un anno nella chiesa maggiore di Pavia, con tanto concorso,® che maggiore non fu mai in quella città veduto. Egli aveva l’anno innanzi predicato in Bre-

stando in Pavia ad udir^

le

34. lo seguitava: lo seguiva. 35. Ed io... prestatore: Il colloquio col calzolaio è più rapido e alla buona (Tomasone non ha ora a che fare con un santo e

con una persona

logica

colta):

ma

c’

è la stessa

stringente e trionfante che ha usato

con San Bernardino,

la

stessa

aria

di

pro-

fessionista coscienzioso e imperturbabile. 36. Il

certo ed incerto:

finale

non

è in

rimane aggiunta

capitale e interessi.

armonia con

la

novella,

estrinseca.

zano di mantenere un tono conversevole. Tutte sono, per questo, precedute da una dedica nella quale l’autore ricorda da chi esse furono raccontate e in quale compagnia. Qui il narratore è Filippo da San Colombano, frate minore, che si rivolge a una compagnia di gentiluomini. 2. essendo...

secolare:

quando ero ancora

laico. 3.

ad udir: a studiare

4.

nella

religione:

il

nell’

diritto civile.

ordine

dei frati minori francescani). I.

signori miei:

Le novelle

del B.

si

sfor-

5.

concorso: concorso di fedeli.



quello

Lm prosa minore scia,

del Cinquecento

3»5

e fatto publicamente sulla piazza ardere quei capelli morti,® che

tutte le

donne avevano

in diverse fogge in capo, che per accrescer la

nativa loro beltà solevano portare, ed arso anco simili altre vanità don-

anco arder quanti libri degli epigrammi di Marziale"^ città, e molte altre cose degne di memoria fece. Ora essendo egli, il giorno del nostro serafico padre san Francesco in pergamo in Pavia, ove tutto il popolo era concorso, entrò a dire delle molte vertuti di san Francesco, ed avendone dette pur assai, e narrati molti miracoli che in vita e dopo la morte fatti aveva, gli diede tutte nesche. Fece

erano in quella

quelle lodi, eccellenze e dignità, che a tanta santità di così glorioso

Ed avendo

padre convenivano.

con efficacissime ragioni, autorità* ed

essempi provato, che egli era pieno di tutte

ed ardente di

le

grazie, e tutto serafico*

un grandissimo fervore, e cielo,^* padre mio santissimo

carità, entrò in

daremo oggi

disse:



Che

ove ti metteremo, o vaso pieno d^ogni grazia? che luogo troveremo noi conveniente seggio

ti

a tanta santità?

nel

— E cominciando

dalle vergini, ascese ai confessori, ai

a san Giovanni Battista ed

martiri,

agli

triarchi,

dimostrando tuttavia che piu onorato luogo san Francesco

E

meritava.

apostoli,

profeti

altri

in questo cominciò, la voce innalzando,^^ a dire

:

e

pa-

— O santo

veramente gloriosissimo, le cui santissime doti e singolarissimi meriti,^^ e la conformità della tua vita a Cristo, sovra tutti gli altri santi t’essaltano, qual luogo troveremo a tanta eccellenza convenevole? dimmi popolo mio, ove lo metteremo? ditemi voi, signori scolari,^* che d’eleIn questo,^^ vato ingegno sete, dove porremo questo santissimo santo? messer Paolo Taegio, allora scolaro nelle leggi, ed oggi dottore in Mi-



lano famosissimo, che sedeva suso

uno scanno dirimpetto

essendo fastidito dalle inutili ed indiscrete ciance del

al

pergamo,

frate, e forse

du-

bitando che non lo volesse mettere sopra, od almeno a paro della santissima Trinità, levandosi in piedi, preso lo scanno con due mani, ed

6.

«

quei capelli morti;

le

bruciamento delle vanità lusso e d’eleganza

di

ti

libri e

parrucche. »,

È un

cioè di ogget-

(talvolta

anche

di

di opere d’arte). Tali manifestazioni

pubbliche erano frequenti nel Quattrocento e venivano ispirate dalla parola ardente dei predicatori.

Marziale: è un poeta latino del

7.

I

se-

ripetono stucchevolmente la « trovata ». Quel che soprattutto disturba nel sermone del frate è la rcttorica compiaciuta. 11. la voce innalzando: avverti l’urlare importuno, il fingersi in preda a una commo-

zione travolgente. È un tipo d’oratoria sacra che trionferà soprattutto nel secolo se-

guente

e oltre. 12. gloriosissimo... santissime... singolaris-

colo d. C., molto apprezzato neU’età rina-

scimentale,

ma

simi

a volte licenzioso.

autorità: attestazioni, testimonianze au-

8.

torevoli.

serafico:

9.

me

i

ardente di amore per Dio cosomma gerarchia angelica.

Quale luogo del paradiso

diremo, in questa nostra predica {oggi), che è

degno

della tua santità?

Le

altre

due

frasi

Siamo

nel

momento culminante

della

:

mente.

Serafini, la

10. Che... cielo;

:

superlativi e domande rettoriperorazione che si accavallano sempre piu fastidiosa-

ti,

studen13. signori scolari; Si rivolge agli pensando ormai di avere conquistato an-

che loro. 14. In questo:

a questo punto.

Antologia della letteratura italiana

386



in alto levandolo, disse si forte, che fu da tutto il popolo udito: Padre mio, di grazia non vi affaticate piu in cercar seggio “ a san Francesco. Eccovi il mio scanno: mettetelo qui su; e potrà sedere, che io me ne vo. E partendosi, fu cagione che ciascuno si levò, ed il popolo di chiesa si parti. Onde fu mestieri che il Feltrino, senza trovar luogo al suo santo, se ne dismontasse dal pergamo, e tutto confuso



ne

a san Giacomo'"^ se

Onde

ritornasse.

che in pergamo l’uomo dice, a ciò che facciano venir in deriso

il

vuol ben considerare ciò

si

indiscrete predicazioni

le

non

verbo di Dio.

Pietro Aretino suo casato) nacque ad Arezzo nel 1492. Roma, dove divenne celebre per le sue pasquinate (brevi componimenti satirici e scandalistici, scritti in persona di « Pasquino », cioè di una statua mutila, situata in una piazza di Roma, alla quale essi venivano appesi). Dal 1527 all’anno Pietro Aretino

Si dedicò,

ignoto

(c* è

il

giovanissimo, alla pittura a Perugia, poi passò a

morte (1556) visse a Venezia, dove, allora, si poteva godere una maggiore libertà di parola. Prima ancora che la storia della letteratura, la sua figura interessa

della sua

costume. Egli fu

storia del

fece

della

Sovrani

sua penna

ed egli

I,

Carlo

una lode per

lui

V

come

ammirate

(l’

disgrazia d’

Questa di

altri

Ariosto

gli

’37 e

il

diede

un uomo. non fu propria

attività

letterati

libellisti

francesco Doni, per

ma mezzo

i

quali lo

Il

loro avversari,

i

il

titolo, di cui egli si

com’

egli

Le sue

Lettere,

pubblicamente e da

lette

vantava, di «

fla-

a fare spesso la fortuna

dice,

soltanto dell’Aretino, in quel tempo,

ma

Niccolò Franco e Antonscrivere non fu intima vocazione spirituale, quali

loro successo attesta l’onore in

ma

cui erano tenuti

allora

nello stesso tempo, in quell’età di inci-

svolgevano un’ opera di propaganda politica, alla stampa consentiva uno sviluppo ben più vasto e rapido di un

assolutismo, essi la

tempo, cosa questa che spiega

15. in cercar seggio; nel cercare

un

l’

interesse

posto.

senza trovar luogo: Il povero S. Francesco, o meglio, il Santo del predicatore importuno, commenta argutamente il B., è rimasto senza posto. 16.

infamanti per

erano

’56,

il

professione,

di

lo scrittore e la parola scritta;

quale

offerente.

di personale affermazione e sostegno principale della loro vita

di avventurieri.

piente

maggior

al

re d’Inghilterra, principi e cardinali

sé e biasimi

gello dei principi »), e bastavano, la

il

difesa della pubblica moralità e giustizia.

che egli stesso pubblicò fra

o

e

la

che

serviva con spregiudicato cinismo, che a volte giungeva persino

li

a presentare

tutti

scrittore libellista e ricattatore,

un’arma temuta, vendendola

come Francesco

compravano da

uno

infatti

di

dei

17. a

sovrani

nei

san Giacomo:

al

loro

confronti.

convento di San

Giacomo. 18.

venir in deriso:

derisione.

nale

(=

A

« affinché

diventare oggetto di

non è congiunzione non »).

ciò che

fi-

La prosa minore

La

del Cinquecento

professione di libellista

3»7 per cosi dire, di giornalista politico, in

e,

senso deteriore e di avventuriero della penna, ci spiega dell’opera dell’Aretino.

di cultura vasta,

anche

vivida e di sensibilità acuta, dotato di

d’ intelligenza scrittore,

Fu uomo

modo

capace di esprimersi in

i

pregi e

i

limiti

non profonda,

se

una vena nativa

concentrato e incisivo.

Il

di

carattere

stesso della sua produzione gl’ imponeva la ricerca non di classica e aulica compostezza, ma di uno stile « parlato », rapido, fondato sulla frase acuminata e intelligente, sulla violenza polemica, sul sarcasmo sottile. Continui, per questo, e quasi sempre sapidi ed efficaci sono i suoi attacchi contro i letterati verbosi e magniloquenti, contro i pedanti, di cui egli

schizza briose caricature.

Mancano, d’ altra parte, all’Aretino, la concentrazione spirituale e l’impegno artistico e umano che sono propri del grande scrittore. La sua opera resta così episodica e frammentaria, anche se comprende alcune fra le pagine piu vivaci del secolo. Oltre alle Lettere, • l’Aretino scrisse anche una tragedia, l’ Grazia e

commedie

delle

Marescalco,

(il

Cortigiana,

la

l’

Ipocrita,

la

Talanta,

il

Filosofo), che sono fra le più gustose e briose del tempo. Interessanti sono

anche

Ragionamenti, immaginari dialoghi di meretrici, nei quali, a parte compiaciuta insistenza sull’ osceno, si trovano pagine che

i

soverchia e

la

rivelano nell’ autore

autentiche capacità d’ artista.

Per i testi, abbiamo seguito; Scritti G. G. Ferrerò, Torino, UTET, 1951.

Lettera a Niccolò Franco La

^

Aretino e di A. F. Doni, a cura di

scelti di P.

(Arte e imitazione)

esprime compiutamente la concezione che l’Aretino ebbe dell’arte che egli vide in primo luogo come opera di natura, cioè, diremmo noi, nata da ispirazione viva e personale. In tal senso, egli accetta il

e

lettera

della

letteratura,

principio rinascimentale dell’ imitazione, in quanto serve a suscitare e a rafforzare nello

scrittore

le

è

dunque qui

vedere

la

la

vita

se

satira

non

Andate pur per che

lete

gli

scritti

1.

dei

pedanti

attraverso le pagine dei libri.

vostro studio mostra la natura,^ se vo-

le vie

che

vostri

faccino stupire le carte

ridetevi di coloro che

rubano

al

le

penna

»,

dapprima amico

dell’ A.,

^

dove son

poi

lui

soprattutto esprimere liberamente se

3.

faccino...

carte;

a queste immagini di

damentale precetto dell’A. è tipicamente

co, o

cui lo

ma

tutta sua è

1’

proclama (vedi anche

1’

della lettera).

Seguir

la

intensità

ri-

con

ultima parte natura significa per

Il

gusto

e

dif-

stessi.

dell’ espres-

sione energica e pittoresca porta a volte l’A. un vago gusto baroc-

a lui fieramente avverso. 2. Andate... natura: Questo primo e fonnascimentale,

notati,

paroline affamate,^ perché è gran

Niccolò Franco: Fu un « avventuriero

della

creative, non in quanto lo spinge alla Vivacissima e perfettamente conseguente e degli imitatori servili, che non sanno

sue originali capacità

copia pedissequa e alla contraffazione.

4.

comunque le

sforzate.

paroline affamate;

Anche questa

è

un’ immagine inconsueta, strana, non priva però di forza espressiva e di un’ intima

Antologia della letteratura italiana

388

ferenzia dagli imitatori ai rubatori, che io soglio dannare.® Gli ortolani

sgridano quegli che calpestano l’erbicine da far

che bellamente

le

colgono, e fanno

il

e non coloro

salsa^

la

viso arcigno a chi per volontà

dei frutti rompe i rami de l’arbore, e non a colui che ne spicca due o tre susine, a pena movendogli. Certo, io affermo, da pochi infuora, che tutti gli altri vanno dietro al furare ® e non a lo imitare. Dicamisi non ha piu ingegno il ladro che trasforma l’abito che ruba, in foggia :

che, portandolo,

non

padron conosciuto, che quello che, per non ne viene impiccato? Voi udiste l’altrieri, Grazia il dialogo grande del divino Sperone,"^ cader

saper pur ascondere

è dal

il

furto,

che ci ebbe il da la eloquente bocca del mio Fortunio, come pareva Platone,® in qualunque luogo l’avesse imitato; e ciò disse, perché egli fa suoi i passi, dei quali si è servito. Ecco: la balia imbocca il bambino che ella nutrica, gli piglia i piedi e, insegnandoli a trarre il passo, gli pone dei suoi risi negli occhi,® de le sue parole ne la lingua, de le sue mapiere letto

nei gesti; perfìn che la natura, nel moltiplicargli

Ed

giorni, l’empie de

i

poco a poco imparato a mangiare, a camidi nuovi costumi; e lasciando il nutrice, mette in opra i suoi con la nativa abitudine

l’attitudini sue.^°

egli, a

nare e a favellare, forma

un modo

vezzo de la di onde si fa tale quale è chi ci vive,^ ritenendo tanto de lo studio colei che l’ha alevato, quanto ritengono de la conoscenza de la madre e del padre gli uccelli che volano. Cosi doveria fare chi si vale di quel :

poeta e di questo,

e,

col tòrgli solamente

i

fiati

degli spiriti, uscir fuora

con una armonia formata da le voci degli organi propri. orecchie altrui sono oggimai sazie degli « uopi » e degli «

vena comico-caricaturale. Le parole saccheggiate dai poetastri, appaiono tolte dal ricco

contesto in cui erano, boccheggianti, come poveri affamati, prive dello spirito originale

che dava loro

vita.

condannare. Gli imitatori sono coloro che dall’esempio dei grandi scrittori traggono un incentivo ad apprendere l’arte e la capacità di esprimere se stessi; i rubatori sono i pedanti che saccheggiano parole, 5.

modi 6.

dannare

e

:

forme dei

tutti,

tranne pochi,

Niccolò Grazia aveva letto, in casa dell’A. il dialogo Dell’Amore di Sperone Speroni, letterato e filosofo rinomato. Erano presenti altri due dotti, Domenico Gritti e Gian Francesco Fortunio. 8. cader... Platone: udiste dire (cader da la bocca) dal Fortunio che lo Speroni semil

Grazia...

stessi e

Sperone:

brava veramente Platone (non un suo pedissequo imitatore).

gli

pone negli occhi

ad emularli.

10. perfin... sue:

plicando

plasma,

i

gli

suoi

finché la natura, molti-

giorni,

completa,

lo

lo

dà attitudini e indole sue pro-

prie. i

di fare

suoi:

i

suoi costumi,

un suo modo

conforme all’indole nativa.

12. si fa...

furare; rubare. 7.

dei suoi... occhi:

le

l’impronta del suo stesso sorriso. La balia simboleggia qui i classici, che c’insegnano fino a che, il senso e il gusto della poesia, da loro nutriti, riusciamo a divenire noi

11.

classici.

da pochi infuora:

9.

Perché

altresì »,^® e

vive:

acquista la propria per-

sonalità.

de

lo studio:

« zelo »,

operosità

gnificato

simile.

13.

14.

e col tórgli...

studium, in latino, vale Qui ha un si-

intensa.

propri:

Il

poeta nuovo

dovrebbe prendere dall’antico solo fiato, respiro, per modulare poi un proprio, originale canto. 15. uopi, altresì:

Prende in giro forme

di

^

La

prosa minore del Cinquecento

vedergli per

il

libri

i

comparendo

valiere,

d’oro e con

movono

3«9

a riso

Borso e di Bartolomeo

Colleoni.^’^

E, per dirvelo,

caccio sono imitati da chi esprime

esprimendo

il

loro, e

i

non da

sia

che

il

diavolo

ma

« snelli »,

Ma

perdonato.

moreggia “ de

dei « quinci »

dei versi interi.

aciechi a trafugarne qualcuno, sforzia-

ci

somigliarci a Vergilio,

di

Boc-

il

andarono

essi

non pur

chi gli saccheggia,

che svaligiò Omero, e

che l’accoccò a Vergilio, onde hanno avanzato de

belli,

Petrarca e

concetti suoi con la dolcezza e

quindi » e dei « soventi » e degli

((

E quando moci

i

leggiadra con cui dolcemente e leggiadramente

la

ca-

onde si crederebbe che egli fosse impure in altro tempo erano abito del duca

E

e dei

maniera che moveria un

la

la berretta a tagliere,

pazzito o mascarato.^®

con

ne

in piazza in giornea tutta tempestata di tremolanti

Sanazaro,

al

l’usura,^®

e

saracci

cacar sangue dei pedanti,^® che vogliono poetare,

il

ri-

mentre ne schiamazzano negli scartatrasfigurano *in locuzione, ricamandola con parole tisiche in

la

O

regola.^^

imitazione,

e,

turba errante, io

ti

l’

dico e ridico che la poesia è

un

ghiri-

bizzo de

la

prio,^

mancandone, il cantar poetico diventa un cimbalo^ senza un campanil senza campane. E chi noi crede, chiariscasi

e,

sonagli e

con questo

natura ne

le

sue allegrezze,

qual

il

si

sta

nel furor pro-

gli alchimisti, che, con quanta industria si puote immaginare l’arte de la lor paziente avarizia, non fecer mai oro, il fanno ben parere; ma la natura, non ci durando una fatica al mondo, il par:

linguaggio antiquate e pur continuate dagli pedanteschi. 16. comparendo... mascarato: se comparis-

21. e, mentre... regola: mentre i pedanti fanno risuonare schiamazzando nei loro libercoli (scartabelli) le frasi pedissequamen-

in piazza con abiti di un secolo fa. La giornea era una veste usata nel '400, e cosi

te

a tagliere, chiamata in perché rotonda e schiacciata, simile a un tagliere di cucina, mascarato: ma-

si

imitatori

se

pure

berretta

la

modo

tal

Borso d’ Este, duca Ferrara, e Bartolomeo Colleoni, celebre

17. Borso... Collconi:

condottiero, 18. il

E

vissuti

secolo

nel

quando... usura:

diavolo

ci

offuschi

la

precedente.

E quando

mente

e ci

anche spinga

a trafugare qualche verso dei grandi,

fac-

ciamo come Virgilio che saccheggiò Omero, e il Sannazaro che saccheggiò Virgilio, ma aggiungendo tante cose originali e belle. Ma... pedanti: L’ espressione volgare, e pittoresca, secondo il gusto proprio deir A. indica lo stento, la stitichezza con cui scrivono i pedanti, privi 19.

ma

incisiva

eppure ostinati nel poetare. 20. rimoreggia: rumoreggia; rende il suono

d’ ispirazione,

dell’

cercano di far apparire questa stile, eloquenza; laddove

imitazione

tratta in realtà di

posto

un

faticoso

inespressive

parolette

di

quanto nell’imitazione

la

ricamo com(tisiche,

imitazione,

la fa

apparire evidente.

in

vera vita della pa-

mec-

rola è spenta), disposte secondo regole

scherato.

di

imitate,

piatta

caniche. 22. la

poesia...

proprio:

La

nascere

da intima ispirazione.

cetto

arricchisce

si

gioioso della

poesia

poesia

deve

Ma

con-

il

un senso energico e come pienezza di vita

di

parola ghiribizzo, ti dà il senso di vivacità e, insieme, di qualcosa di imprevedibile e originale. Le allegrezze della natura, ti fanno pensare al gioioso espanspirituale.

La

dersi dell’animo del poeta.

è

la

personale

ispirazione,

Il

furor proprio

sottolineata

nel

suo carattere di trasporto emotivo, irrazionale e fantastico. 23. cimbalo:

tamburello a sonagli.

24. chiariscasi... questo: esempio che gli servirà a

consideri chiarire

questo le

idee.

Antologia della letteratura italiana

390 torisce e bello e puro. Si

dipintore tava,

una brigata d’uomini

vero toglieva

natura

raggroppa ne tevi

pure

cssempi

gli

de

istessa,

compongo,

io

che imparate ciò ch’io favello da quel savio

quale, nel mostrare, a colui che

il

patria

e la

come

gli

cui semplicità

la

mi

tolgo

le

io,

parlando e scrivendo. La

son secretario,^ mi detta ciò che

scioglie

superstizione de

la

dimandò chi egli imi“ che dal vivo e dal

il

col dito, vòlse inferire

nodi de

i

nervi e lasciate le pelli ai pelacani,^

ai

quando

lingua,

la

si

chiacchere forestiere.^ Voi attenequali

i

stanno

si



mendicando un soldo di fama con ingegno di malandrino, e non di dotto, come séte voi. Ed è certo ch’io imito me stesso, perché la natura è una compagnona badiale che ci si sbraca, e l’arte una piattola che bisogna che si apicchi.^® Si che attendete a esser scultor di sensi e non miniator di vocaboli.^”

Di Venezia,

A

di

25

il

Sebastiano del

giugno /5J7.

Piombo

(La nascita

^

della figlia)

C’è qui un Aretino più intimo e raccolto, che sa esprimere con calore discreto pur sempre intenso la gioia della paternità, fatta di tenerezza nativa e della non meno nativa felicità che nasce dal sentire perpetuarsi nel figlio la propria vita.

ma

Ancora, padre, che a la fratellanza nostra non bisognasse altre catene,^ ho voluto cingerla con quelle del comparatico,^ acioché la sua benigna e santa consuetudine ^ sia ornamento dell’amicizia che la virtù istessa ha stabilita fra noi eternamente. Piacque a Dio che fusse femmina la

25. volse inferire:

26. semplicità:

come

volle

affermare.

È

dire che scrive sotto la sua dettatura.

27. e la patria... forestiere;

gua dell’A.

si

raggroppa,

si

quando

che egli

si

imbroglia per

rifà alla schiettezza

fatto naturale e spontaneo.

a

un vuo-

formalismo, lasciate... pelacani: lasciate gli ornamenti esteriori ai mestieranti. 29. perché... apicchi: perché la natura è una buona, allegra compagnona, che sa doto

nare con generosità la

tecnica è

una

(ci

si

sbraca),

piattola che

si

può

mentre attac-

gno

paziente

un miniatu-

fraterno che

creare poesia intima e originale,

non

ci

lega

sebbene

non avesse

l’af-

biso-

d’esser ribadito con nuovi e più tenaci

vincoli.

comparatico:

3.

L’A.

aveva

voluto

che

Sebastiano fosse suo compare, padrino, cioè, di battesimo della sua figlioletta. Si scusa

qui di averla fatta battezzare senza aspettarlo, 4.

30. Si che... vocaboli: Preoccupatevi quindi

a la fratellanza., catene:

2.

care solo con fatica.

di

arte

1. Sebastiano... Piombo: È frate Sebastiano Luciani, detto del Piombo perché aveva l’incarico di impiombare le bolle pontificie.

fetto

non

28. ai nervi: alla sostanza,

l’

di

rista.

come

della parlata nativa, sentita anch’essa

un

ma

la lin-

l’uso di voci forestiere, la patria gliela scioglie, nel senso

combinare vocaboli con unicamente decorativa

di

secretano:

schiettezza,

la

gione in

temendo sua...

ch’ella

d’ intimità,

occasione

morisse.

consuetudine: del

detta

una nuova

santa

battesimo.

ra-

perché nata

|

La prosa minore

del Cinquecento

creatura ch’io, per

come non

maschio,

non

391

traviare dalla natura dei padri,® aspettava pur

le femmine, dal sospetto dell’oneguarda chi è ben buono,"^ ci siano di piu maschio nei dodici e nei tredici anni comincia

fusse

vero® che

il

in fuora, la quale ben

stà

consolazione. Ecco a rompere

il

freno paterno, e toltosi alla scuola ed all’obbedienza, è cagione che chi l’ha generato e partorito ne languisca,® e quel che piu il

importa® sono salgono

minacele con

le villanie, le

padri e

i

le

quali

le

madri, onde ne seguita

stighi della giustizia e di

Dio.

Ma

la

femmina

di e la notte as-

il

maledizioni e

le

è la sede ove

ca-

i

ada-

si

anni canuti di chi la creò; né passa mai ora che i suoi non godano dell’amorevolezza sua, la quale è una sollecita cura e una frequente sollecitudine inverso l’uso dei lor bisogni.^^ Tal che non vidi si tosto il mio seme con la mia somiglianza,^® che, sgom-

giano

gli

genitori

brato dal cuore

modo

il

dispiacere che altri

dolcezze del sangue.^®

Ma

piglia per ciò,^^ fui vinto in

si

natura, che in quel punto sentii tutte

dalla tenerezza della il

dei giorni della vita, fu cagione che le feci dare

per

costume

il

il

battesimo in casa,

qual cosa un gentiluomo, in cambio vostro,

la

ma

cristiano;

non ve ne ho

io

le

dubitare ch’ella morisse senza assaggiare

tenne secondo

la

fatto più tosto motto,^® per-

ché d’ora in ora abbiam creduto ch’ella volasse

Paradiso

al

:

ma

me

Cristo

mia vecchiezza, per testimonio lei ho dato,^^ onde Lo ringrazio

l’ha riserbata per trastullo dell’ultima

dell’essere, che altri a me, ed io a pregandolo che mi conceda il vivere fino al celebrar delle nozze sue. In questo mezzo ^® bisogna che io diventi il suo gioco, perché noi

buffoni dei nostri figliuoli; la lor semplicità tuttavia^®

siamo

i

pesta,

ci

tira

vendono

ci

i

barba,

la

5.

percuote

per non... padri: per non allontanarmi natura dei padri, che, generalmente,

la

loro

buono:

tranne le cure timore (sospetto) che onestà, che sta molto a

sospetto...

per custodirle, per

perdano

gli

svelle

ci

onde

abbracciamenti con che

13. Tal... somiglianza: ia

mia

per ciò

:

li

un

è diletto che agguagliasse

pena vidi 14.

cal-

ci

capegli,

Cosicché non ap-

me. una fem-

creatura, somigliante a

per

la

nascita

di

mina.

smgue: le dolcezze della pache gli fa sentire quella creaturina come sangue del suo sangue. parlato 16. non... motto: non ve ne ho 15. tutte...

ternità,

invece.

dal

volto,

li

desiderano un figlio maschio, come continuatore del nome e del casato. 6. come... vero: come se non fosse vero, 7.

il

suggiamo e moneta; “ ma non

leghiamo, per cotale

dalla

ci

baci con cui

i

il

cuore a chi è veramente buono. 8. ne languisca: si accori per codeste

ri-

9. ouel che più importa: quel che fa piu male. IO nc seguita: ne conseguono. 11, è la sede... canuti: è il riposo della

vecchiàia. 12. inverso...

monianza

della

continuità della

vita

miei genitori hanno tramandato in

bellioni.

loro bisogni.

prima. ho dato: come 17. per testimonio...

bisogni:

per provvedere

ai

in

testi-

che

me

i

e io

lei.

18. In questo

19. tuttavia:

20. onde...

mezzo:

frattanto.

continuamente.

moneta: tanto

ci

costano

i

baci

abche imprimiamo sul loro visino^ c gli Ma sugbracci con cui li stringiamo a noi. vergiamo e leghiamo, soprattutto il primo

Antologia della letteratura italiana

392

loro non ci tenesse ogni ora gli animi inquieti. Ogni lacrimuccia che essi versano, ogni voce, ogni sospiro che gli esce di bocca o del petto, ci scuotono l’anima. Non cade fronda, né si aggira pelo per l’aria che non paia piombo che gli caschi sopra il capo uccidendoli, né mai la natura gli rompe il

tanto piacere, se la paura de’ sinistri

temiamo per la loro salute, sicché ^ mescolato con l’amaro, e quanto piu vaghi sono, più acuta è ia gelosia di perderli. Iddio mi guardi la mia figliuola, ché certo, sendo ella di un’indole graziosissima, mancherei “ s’ella sonno, il

gli sazia

gusto,^ che non

il

dolce è stranamente

non pur morisse. Adria è

patisse,

nome ché ben doveva cosi onde^ per volontà divina è

suo

il

nominarla, poiché in grembo delle sue nata,

e

me

ne glorio perché questo

onde

io

che

ci

ho provato

vivo

è

sito

il

giardino della natura;

nei dieci anni che ci son visso^ più

Roma disperazioni.^ E quando ^ insieme con voi, mi terrei felice tengo un gran dono Tesservi amico,

contentezze che chi è stato costi in

mi

la sorte

avesse concesso lo starci

benché ancor stiamo

compare

assenti,

io

:

e fratello.

Di Venezia,

75 di giugno ISS 7

il

-

cortigiani innamorati

I

Il

passo è tratto dai Ragionamenti.

comicità popolaresca e

satireggia

suoi

i

le

sue avventure.

che

corteggiatori,

Una

Qui s’

la Nanna, racconta con suo primo soggiorno romano

meretrice,

rievoca

ispirano

il

al

goffo

galateo cortigiano del

tempo.

E

veduta una passera su

se tu hai

beccatone dieci granelli

con due

bo,

altre,

esprimono

e

bene

vola

via,

di

affettuosa,

l’intensità

un’ immediatezza

21. sinistri: 22. gli

sazia

disgrazie il

gusto:

e

popolaresca.

malanni. li rende svogliati

mangiare. 23. stranamente: straordinariamente.

nel

24. gelosia:

le

finestre

timore, ansietà;

ma

la

parola

rende più intensamente quell’amore appassionato ed esclusivo. 25. mancherei: morrei.

ad un granaio, che

alquanto ritorna a

stata

rivolata riviene con quattro,

quasi violenta delle espansioni paterne. Non sono infrequenti nell’A. queste espressioni incisive,

e

26. in grembo... tico, cioè a

27. visse:

onde

:

in

l’esca

^

poi con

poi con dieci,

grembo

all’Adria-

Venezia. vissuto.

28. che... disperazioni:

no dell’A. era

il

soggiorno roma-

stato tempestoso (fra l’altro era

stato pugnalato da un sicario). A Venezia aveva trovato la possibilità di vivere libero da legami e amarezze della vita cortigiana. 29. lo starci: intendi, a Venezia.

I.

ritorna

beccare

i

a

l’esca:

granelli.

ritorna

al

cibo,

a

La prosa minore

del Cinquecento

nuvolo^ tutto insieme, vedi

e poi col

trenta,

non mi potendo

casa mia; e io

gli occhi per gli fori

de

la gelosia,®

quei

sai di velluto e di raso,

tena

al collo,

con

la

co’ loro famigli a la staffa,

soavi

i

vagheggiando medaglia ne la

come

e in alcuni cavalli lucenti

ne

la

amanti intorno a perdeva

gli

^

saziare di vedere

cortigiani,^

la

politezza loro® in

con

berretta, e

la ca-

andando

gli specchi,

soavi

quale tenevano solamente

la

punta del piede, col Petrarchino in mano,® cantando con vezzi:

Se amor non

E

è,

che dunque è quel ch’io sento?

fermatosi questo e quello dinanzi a la finestra dove io faceva

baco baco,^® dicevano

:

« Signora,

morire tanti vostri servidori?

con un

».

sarete voi

Ed

un Bascio

le

nuvolo: con un nugolo, cioè, facevano i corteggiatori con la Nanna; prima uno vedeva la bella fanciulla, comunicava la sua scoperta a un amico, questo ad altri, finché uno stormo di aspiranti innamorati cominciava a passar su sotto le finestre. :

Mettilo in relazione con « se hai

veduta», all’inizio, passeri...

cosi

i

e

miei

intendi:

innamorati

«Come

i

giravano

attorno a casa mia ». 4. non... cortigiani:

Ma

subito dopo,

suo racconto, il ricordo della sua ingenua meraviglia d’allora è sostituito da una finissima e gustosa nel

descrizione caricaturale. 5.

per... gelosia:

traverso

i

quali

li

i

e

e incisive notazioni. Quel-

con rapidissime

spassosissima caricatura di quei raffinati bel-

completata poi

limbusti,

lare del piedino 8.

Petrarchino

col

dall’ altro

partico-

appena posato nella in

mano: È

la

staffa.

nota

culminante della caricatura, che investe, oltre ai cortigiani, il petrarchismo del secolo, considerato qui r soprattutto come costume stereotipato le

e

ridevole.

Il

recitare,

anzi,

poesie petrarchesche, e per giunta

con vezzi, è per

i

cortigiani

il

colmo

della

galanteria.

Se amor... sento:' È il primo verso del CXXXII del canzoniere petrarchesco. 10. dove... baco: dove la Nanna li guar-

9.

sonetto

dava di soppiatto, come il baco che, quando appare e non appare.

s’incrisalida,

fori delle persiane, at-

sogguardava affascinata.

vagheggiando... loro: La Nanna è ammaliata soprattutto dalla loro raffinatezza e pulizia nel vestire, dalla grazia del loro portamento. 7. andando soavi soavi: È propria dell’Aretino questa capacità di cogliere le sfumature comiche con un linguaggio sapido 6.

e

l’avverbio ripetuto costituisce di per sé una

cantare

Alla Nanna, appena giunta in città, quei giovani distinti, ben vestiti e adorni, appaiono veramente mirabili.

la gelosia,

partivano.

si

2. e poi col

vedi

che lasciate

un pocolino

rimandatola giuso, mi fuggivi dentro; et eglino con mano a la vostra signoria, e con un Giuro a Dio che

di passeri. Cosi

3.

micidiale

si

io alzato

risetto

sete crudele,^^

e giu,

®

11. micidiale:

in

prosa, ora,

loro

vieti

crudele,

formulari

12. Bascio...

assassina.

eppur seguitano

a

Parlano cantare

i

« cortesi ».

crudele:

Un

ultimo coretto

goffamente convenzionali, tanto pid ridicole quanto piu raffinate, e la spassosa caricatura è compiuta. Veramente i cortigiani si muovono come coristi c comparse di frasi

in

un’opera buffa.

minore del Cinquecento.

Poesia

Teatro

Il

Caratteri generali

I generi letterari.

r ideale

La

poesia minore del Cinquecento è dominata dal-

una

letteratura armonica e perfetta, specchio, piutche delle individualità singole, di un modulo tipico di umanità e civiltà letteraria. Questo ideale, originariamente inteso come spontanea adesione alle forme e allo spirito dei classici e libera rielaborazione di essi in forme personali e moderne, si svolse sempre più, nel corso del secolo, nella ricerca di forme auliche e decorose, accompagnata da una regolamenclassicistico di

tosto

tazione rigorosa dei singoli generi letterari (lirica, epica, tragedia, commedia, novella, ecc,), per ciascuno dei quali venne fissato un complesso di norme. In tal modo, il Cinquecento volle attuare nell’arte il senso dell’armonia, come ordine e unità, come eleganza, misura e grazia. Tuttavia dopo la riscoperta della Poetica d’ Aristotele, che diede luogo a impegnatissime discussioni e commenti, si giunge, nella seconda metà del secolo,

a

una

ispirazione.

precettistica

sempre più minuta e

Essa accompagna

il

progressivo

soflocatrice

inaridirsi

dello

della

libera

spirito

rina-

letterari

sono

scimentale.

La ancorati

lirica. all’

Il

« petrarchismo ».

imitazione

dei

classici

Mentre latini

gli

e

altri

greci,

generi la

lirica

ritrova,

per

merito del Bembo, il suo modello nel Petrarca. È questo il fenomeno del petrarchismo che investe tutta la produzione lirica, e in genere, tutta la poesia del secolo, almeno fino al Tasso. II Petrarca diventa non solo un modello di stile, ma anche un modello umano. Il suo canzoniere è infatti considerato come un diario, una vicenda d’ amore esemplare, che va dal fascino ingannevole dei sensi, alla crisi

derivante dallo sfiorire delle speranze terrene, al finale rivolgimento a Dio.

E

le i petrarchisti ripercorrono questo itinerario riecheggiandone i modi e forme, sforzandosi di accordare con esso la loro personale storia. Sugli schemi e sulle situazioni psicologiche del modello, in cui vedevano espressi tutti i possibili momenti della vicenda amorosa, innestano i temi della

meditazione neoplatonica sulla bellezza e sull’amore, inteso come infinito slancio spirituale oltre

i

confini del

mondo

dei sensi. L’ incontro dei

due

,

Poesia minore del Cinquecento.

Teatro

Il

395

motivi rispondeva all’esigenza, chiaramente avvertita dal Bembo Asolani, di orientare in senso cristiano l’esperienza umanistica.

petrarchismo esprime un concetto di

Il

Noi ricerchiamo originale di una

lirica

negli

ben lontano dal nostro.

questa forma di poesia l’espressione piena, intima e

in

Cinquecento vi scorgeva un genere letteil umanità esemplari e sempre valide, risolvendo r esperienza individuale in un’ espressione universale ed emblematica del perfetto amore. Anche la lingua e lo stile, rigorosamente modellati su personalità;

forme

rario volto a creare

quelli petrarcheschi,

forma concreta

di

dovevano, secondo questa poetica, distaccarsi da ogni una composta e ideale armonia.

e realistica, per conseguire

Oltre ai poeti accolti

nella

Della Casa, Gaspara Stampa,

nostra antologia (Pietro Bembo, Giovanni Michelangelo Buonarroti, Giovanni Guidic-

Isabella di Morra, Galeazzo di Tarsia, Luigi Tansillo) ricordiamo Veronica Gambara, Vittoria Colonna, Veronica Franco, Celio Magno, Angelo di Costanzo, avvertendo che in tutti il comune ideale petrarchesco si compone variamente con la loro personale sensibilità.

cioni.

Poesia

burlesca

(mettendola,

anzi,

e

Accanto

satirica.

spesso

in

tradizione

alla

della

lirica

aulica

continua nel Cinquecento anche

caricatura),

quella comico-realistica, che, da Cecco Angiolieri al Burchiello, aveva

fis-

temi e formule stereotipati. Ora questa maniera, che si esprime in sonetti, canzoni, capitoli, acquista forme piu definite e regolari, ma anche

sato

pili

corrive, e in

genere banali, senza l’impegno

e

stilistico

culturale

del

petrarchismo.

Accanto a Francesco Berni, il piu ammirato e imitato fra questi poeti, Antonfrancesco Grazzini, Pietro Nelli e Pietro Aretino. Le forme bernesche verranno imitate anche nei secoli seguenti, dando però origine a una « rimeria » sempre piu vuota e futile. ricordiamo

Poemetti sono ricordiamo

latini

epico-lirici i

la

1544) e quelli

diamo

le

Api.,

poemetti

e

didascalici.

epico-lirici

Ninfa Tiberina didascalici,

un genere,

un poemetto

tino (1475-1525), Della

del

sull’

Legati

ai

modelli

Coltivazione

del

di

eroici e

romanzeschi.

e

coltivato.

Ricorfioren-

Una

delle

cemente perseguite del secolo fu quella

assai

fiorentino Luigi

il

Poemi

greci

Giovanni Rucellai,

quest’ ultimo,

apicultura

Podere e la Balia di Luigi Tansillo (1510-68), Bernardino Baldi (1553-1617). 1556),

classici

argomento mitologico, fra i quali modenese Francesco Maria Molza (1489di

la

Alamanni

ambizioni maggiori

di ricreare

il

(1495-

Nautica dell’urbinate

poema

e

piu tena-

epico, secondo

modi

dei poemi omerici e virgiliano e seguendo rigorosamente le regole credeva di poter desumere dalla Poetica di Aristotele. Famoso per l’eccezionale serietà e rigore con cui fu elaborato e anche per essere riuscito i

che

un

si

grosso e pedantesco fallimento fu L’Italia liberata dai Goti,

un poema

in ventisette canti, in endecasillabi sciolti, del letterato vicentino Giangiorgio

Trissino (1478-1550). Non molto migliori furono

il

Girone

il

cortese e V Avarchide di Luigi

39^

Antologia della letteratura italiana

Alamanni, c VAmadigi, del bergamasco Bernardo Tasso, padre di Torquato che tentò di animare il suo poema mediando la tradizione epica antica con quella del moderno poema cavalleresco, rinnovato, nello

(1492-1569),

spirito e nella struttura, dall’Ariosto.

Una

considerazione a parte merita

la

traduzione òtWEneide di

bella

compiuta da Annibai Caro, in endecasillabi sciolti fluidi e musiche fanno pensare all’ottava ariostesca. Del poema latino, il Caro non

Virgilio, cali,

seppe rendere il

toni epici, drammatici, malinconici,

i

senso del meraviglioso,

ma

il

moto, l’armonia,

temi amorosi e quelli che potessero adeguarsi

i

alla

celebrazione rinascimentale della bellezza.

teatro

Il

r esigenza

tempo

:

La

a)

stesso,

strutture

di

Cinquecento

nel teatro del

ordinate

decorose,

e

riscontra

si

complesse,

e

al

solidamente unitarie, letterariamente raffinatissime. Le forme

del teatro popolaresco,

bandonate e ad

esse

modelli

sulla

classici,

Aristotele.

Anche

tragedia.

classicistica

Un

forte

come

la

degli

scorta

impegno

sono del tutto ab-

sacra rappresentazione.,

la

subentrano

tragedia e

commedia,

la

ricalcate

insegnamenti desunti dalla Poetica

sui

di

letterario è evidente soprattutto nella tragedia,

anche perché essa fu considerata il piu nobile e perfetto genere di poesia, quanto raccontava azioni grandi, compiute da illustri e magnanimi eroi, ed esprimeva, quindi, il tipo di un’ umanità ideale e perfetta, cui in

si

addiceva un linguaggio

grande fallimento

e

il

e

idealizzante,

mente giunse

conforme a

un

eletto.

La tragedia

letterario del secolo per al

reale

è, il

in fondo,

grande ideale

il

suo stesso carattere aulico

gusto del pubblico delle

sporadica-

solo

corti,

approfondimento drammatico.

Fra gli autori di tragedie ricordiamo il vicentino Giangiorgio Trissino, con la sua Sofonisba, Giovanni Rucellai, autore della Rosmunda e delr Oreste., Sperone Speroni, autore della Canace. Piu vivace, perché meno gravata da schemi letterari, è

metà

del secolo trionfa

un

\'

Grazia di Pietro Aretino.

tipo di tragedia che ricerca

immediati e violenti, seguendo non piu cupo e fortemente patetico del latino Seneca.

effetti

i

Nella

seconda

maggior potenza

modelli greci,

ma

di

lo stile

b) La commedia. Piu agili delle tragedie appaiono le commedie, perché meno rigorosamente delimitate da regole e perché scritte prevalentemente in prosa e in stile dimesso.

Prevalse,

lanza del vecchio col nuovo:

a imitazione dell’ Ariosto,

di strutture, cioè, di temi e

di

mesco-

la

tipi

desunti

dai classici, con ambienti e figure moderne, riprese a volte dal Boccaccio,

ma

della realtà quotidiana. Oltre al grande Mandragola, ricordiamo, fra le più belle commedie cinquecentesche, la Calandria del cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, le commedie dell’Aretino, e quelle di Antonfrancesco Grazzini, Vecchio Amoroso di Donato Giannotti, il Ragazzo di Ludovico Dolce, il gli Straccioni di Annibai Caro, le commedie di Gianmaria Cecchi e, ormai

più spesso dall’ osservazione

capolavoro

del

Machiavelli,

la

vicine allo spirito del Seicento, quelle di Giambattista Della Porta (/ fratelli rivali, la Fantesca) e il Candelaio di Giordano Bruno. Fuori dagli schemi letterari

consueti e particolarmente belle sono due

commedie

di

cui

igno-

Poesia minore del Cinquecento.

riamo

l’

autore,

gli

Teatro

Il

Ingannati c

397

Veneziana.,

la

scritta

parte

in

italiano

e

parte in dialetto veneto, che racconta un’appassionata storia d’amore.

A

parte va considerato

teatro di intonazione popolareggiante,

il

il

cui

padovano Angelo Beolco, detto il Ruzzante (1502-42), autore e attore dei suoi drammi, vero poeta, di cui parliamo a parte. Piu sbiadite sono le commedie, simili come ispirazione, di Andrea maggior

Calmo

esponente

fu

il

(1510-71), veneziano, fra le quali ricordiamo la Saltuzza e la Rodiana.

Lm commedia dell’arte. Verso la metà del Cinquecento sorse la commedia dell’ arte, che doveva avere per circa due secoli grande fortuna e c)

diffusione in Italia e

In essa

l’attore

all’

estero.

decisamente all’autore, fondando

sostituiva

si

mentre

pria recitazione sulFimprovvisazione, plice canovaccio che conteneva

un sunto

il

della

testo era ridotto a

commedia,

la

pro-

un sem-

diviso in scene.

Questa recitazione improvvisata o a soggetto richiedeva attori professionisti e rigorosamente specializzati. In pratica, essi si ridussero a interpretare figure e tipi Brighella,

fissi,

cioè

ricercando

ecc.)

scenografia e da

una regia

varie maschere (Arlecchino,

le

facili

effetti

di

comicità,

Tirsi

il

ma

poiché

il

loro sviluppo

accenneremo ad

secolo,

La

una

si

essi

il

dramma

pastorale (celebre

1506) e il melodramma', svolse soprattutto negli ultimi decenni del

Baldessar Castiglione,

di

da

di notevole livello spettacolare.

Importanti nel Cinquecento furono anche fu

Pantalone,

sottolineati

scritto

nel

più avanti.

Notevole successo ebbe nel Cinquecento la Questo linguaggio comico, nel quale le norme morfologiche, sintattiche e metriche del latino vengono applicate al lessico italiano o al dialetto, con spassoso effetto caricaturale, rappremaccheronica.

poesia

poesia

in

maccheronico.

latino

una parodia dell’educazione umanistico-classicheggiante, risolta però bonariamente ironici. Il più insigne rappresentante di questa poesia fu il frate mantovano Teofilo Folengo (1491-1544), autore, sotto lo pseudonimo di Merlin Cocai, del Baldus, un poema in esametri che è tutto una parodia gustosa del poema cavalleresco. Cavalieri ed eroi senta

in termini allegri e

sono in esso riportati a un ambiente contadinesco, tracciato a volte con realismo notevole, e rappresentati nella loro vita bassamente istintiva. Questa ispirazione comica estrosa e realistica è presente anche nella

Moschaea amori

(la

delle mosche e delle formiche) due contadini, Zanino e Tonella).

guerra

(gli

di

Lirici del

Cinquecento

Per di L.

i

testi,

salvo indicazione contraria,

d

e

nella

Zanitonella

atteniamo a: Lirici del Cinquecento, a cura

Baldacci, Firenze, Salani, 1957.

Pietro

Bembo

Gli Asolani^

le

(cfr. a pag. 298) costituirono il cui vi furono tre edizioni, le prime

Prose della volgar lingua

codice del petrarchismo,

le

Rime

(di

39 »

Antologia della letteratura italiana

due curate dal Bembo

1530 e nel

nel

terza

la

1535,

uscita

postuma

nel

1548) l’esemplificazione pratica di esso, ed hanno, per questo, un notevole significato storico e culturale. Del tutto episodiche, in esse, e rare le voci di autentica poesia;

tuttavia

non

neppure

è

caso di parlare di fredda

il

il Bembo, modello di anche specchio di vero amore e di un perfetto itinerario di vita: rappresentò, cioè, l’ideale di elevatezza spirituale e di nobile poesia che il Bembo persegui con sincerità. La consonanza spirituale col modello circonfonde le imitazioni bem-

imitazione, stile,

perché

Petrarca

il

veramente,

fu

per

ma

biane di un alone di grazia affettuosa,

con cui rincantava a

Per

il

testo,

Casalone, Torino,

seguiamo:

UTET,

Giaceami stanco,

intravedere l’intima gioia

lascia

ci

se stesso, l’altissima poesia petrarchesca.

Bembo, Gli

P.

Asolarli

e

Rime, a cura

di

C. Dionisotti-

1932.

e

fin

’l

de

la

mia

vita

Fa parte d’ un gruppo di sonetti dedicati a un sogno in cui la sua donna era apparsa al poeta dolce e pietosa. C’è, dietro, una suggestione del Petrarca: le apparizioni di Laura morta al suo poeta in sogno. Ma la situazione petrarchesca si stempera in quella tonalità di un fantasticare gentile, vago e indefinito che è la nota più costante della poesia bembiana.

Giaceami stanco, e molto

venia, né potea

quando

pietosa,

fu

SI

de

fin

mia

la

vita

esser lontano,

in atto onesto e piano.

Madonna apparve

Non

’l

a l’alma, e diemmi

cara voce

né tocca, dicev’io,

si

unquanco

bella

aita.

udita,

mano umano

quant’or da me, Jié per sostegno tanta dolcezza in cor grave sentita.

Metro: sonetto (schema:

ABBA, ABBA,

CD£, DCE).

dentissima 3.

poeta si vede, nel sogno, giacere stanco, abbattuto dalla sua ferita d’amore e ormai giunto vicino alla morte. Avvertiamo che nel commento a questo e al seguente sonetto non sottolineeremo le numerose imitazioni petrarche1-2.

sche

:

fatto,

Giaceami... lontano:

avvertire,

basti

che

la

nel

tono,

nel

lessico,

nelle

si-

tuazioni.

Il

abbiamo modello è evi-

come

presenza del

già

in atto... piano:

gnità e ad

« pieno di

un tempo umile

soave di-

» (Baldacci).

apparve a l’alma: apparve all’anima. il fatto che fu apparizione di sogno. aita: aiuto; lo risollevò, infatti, da 4.

Sottolinea

quella prostrazione. 5.

unquanco: mai.

7-8.

né...

sentita:

né mai un cuore op-

presso (grave) provò tanta dolcezza in se-

Poesia minore del CÀnquecento.

E

Teatro

Il

399

già negli occhi miei feriva

nemico degli amanti,

giorno

il

mia speme

e la

parea qual sol velarsi, che s’adombre.

Giasene appresso miei diletti e con

co*

il

quasi nebbia spari che

Quando,

sonno, ed

inscme

ella,

la notte intorno,

vento sgombre.

*1

forse per dar loco a le stelle

Questo sonetto fu inserito dal Bembo fra le rime in morte della Morosina, che fu compagna della sua vita, sebbene scritto prima del doloroso evento. La sua maggior suggestione, del resto, più che dal tema della morte e del rimpianto (una delle situazioni tipiche del petrarchismo) deriva dal dolcissimo paesaggio lunare della prima quartina, nella quale « un incanto tenero e musicale di fronte alle meraviglie della natura si contempera a un senso della tecnica ormai raffinato » (Bal^cci).

Quando, sol

il

dar loco a

forse per

parte, e

si

spargendosi di

le

stelle,

nostro cielo imbruna,

*1

ad una ad una,

eh’

lor,

a diece, a cento escon fuor chiare e belle,

penso

i’

meco: in qual

e parlo

di quelle

ora splende colei, cui par alcuna

non fu mai

sotto

benché di Laura un conforto il mio ora.

guito a

gentile qual

’l

il

è quella

feriva:

batteva.

Sono

che lo ridestano. 10. nemico... amanti:

raggi del sole

i

perché

dissipa

come in questo donna amata.

dolci sogni della notte,

mia speme: s’adombre:

so. la

ij.

la si

i

ca-

oscuri.

12. Giasene appresso:

se

14. quasi...

sgombre:

vento

disperda.

spari

come nebbia

È immagine

felice

(riprende quella del v. ii), che ben s’addisogno e di quella

ce al labile fuggire del delicata

fantasia

trasognato

valore evocativo dell’avver-

d’amore.

sonetto (schema:

.

errare

della

ABBA, ABBA,

CDE, DCE).

il

la

forse per dar loco, ecc.

:

forse per la-

il posto alle stelle. Non è ben chiara ragione di quel /orre; evidentemente il

sciare

su

quello

tevole

una... belle; Il B. riesce a senso di quell’ improvviso e incandi stelle luminose (chiare) spargono nell’ ampia distesa Le immagini di queste quartine

sbocciare

e belle che

del cielo.

si

sfumano in una dolcezza effusa cui cresce vaghezza il fatto che il periodo sia concluso da un interrogativo. in qual...

colei;

in

quale

stella

ri-

splende ora l’anima di madonna.? alcuna 8. cui... favelle; che non ebbe donna pari a sé per bellezza e virtù in quedelo mondo (il cerchio de la luna^ ìS.

sto

I.

fantasia

eh’ ad

3-4.

6.

Metro:

il

sfondo d’ombra e di stelle. 3. spargendosi di lor: cospargendosi di

dare

il

sentito

che porta un senso vago, indefinito, intimamente connesso sia al tremolare fra luce e sogno di quel paesaggio, sia al dolce,

stelle.

ne andava poco

dopo.

che

ha

B.

favelle?

assai

bio,

che prova 9.

cerchio de la luna, 5-

mondo 6-

nove cieli sferici che s’ incontrano, secondo la concezione terra). che fu anche di Dante, salendo dalla

della

luna,

il

primo

dei

4C0

Antologia della letteratura

mio

In questa piango, c poi ch’ai

italiani

riposi/

torno, piu largo fiume gli occhi mici,

c l’imagine sua l’alma riempie,

qual mirando

trista; la

fisa in lei

non oso:

le dice quel, ch’io poi ridir

o notti amare,; o Parche ingiuste

Crin d’oro crespo e d’ambra

empie.

et

pura

tersa e

Accanto ai sonetti di più personale assimilazione petrarchesca, ci è parso conveniente riportare questo, ispirato a un petrarchismo di maniera, che fece scuola, tanto è vero che il componimento è ricordato come esemplare da molti trattatisti del Cinquecento. In esso puoi vedere chiaramente i limiti del petrar chismo deteriore: la figura femminile stilizzata e irreale, l’abuso di giuochi di parole e di immagini consunte. Si giunge cosi a una letteratura raffinata, ma

povera di calore espressivo.

A

strali degli

ma

maniera reagirono

questa

molti, troppi furono

i

lirici migliori del i nostro Cinquecento, canzonieri ispirati ad essa. Contro di essi sono diretti

antipetrarchisti,

primo

fra tutti Francesco Berni, del

gli

quale puoi leg-

gere una gustosa parodia di questo sonetto a pag. 405.

Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura, ch’a l’aura su la neve ondeggi e volc,

occhi soavi e più chiari che

da far giorno seren

la

’l

sole,

notte oscura,

ch’acqueta ogni aspra pena e dura,

riso,

rubini e perle, ond’escono parole anche se celebradssima Laura petrarchesca. In questa:

9.

mio

sul

è

la

fama

della

frattanto,

al

mio

riposo:

letto.

10-12. più largo...

magine di addolorata.

lei

Un fiume più miei occhi e l’im-

trista:

largo di pianto riempie

riempie

La parola

i

la

mia anima

trista,

cosi

assume un più profondo carattere

di

triste,

l’ingiustizia e crudeltà del destino.

Parche:

le

Metro: sonetto (schema:

convenzionali.

ABBA, ABBA,

CDE, DEC).

cie

di

2.

inventario

a l’aura:

teristici

sperazioni

c ric-

felici

una

di

spe-

lessicale.

uno

bisticci

dei carat-

petrarcheschi

della

sua raffinata

perizia

stili-

neve: è, ovviamente, il candido viso. 4-6. da far: tali da fare, rubini c perle: i denti candidi come perle e le labbra rosse come rubini. Ce n’ è, purtroppo, una vera inflastica. la

zione nella

come oro

tematico e

Ripete anche

meno

e

Il

Q’aura - Laura). Il « petrarchismo » è del resto già presente nel Petrarca, in certe esa-

delle

Crìn..^ crespo; biondo

un centone

sonetto è

sparse testimonianze petrarchesche,

lei:

raffi-

nato ed esemplare), ambra: resina fossile c gialla. Sta a denotare la lucente morbidezza dei capelli. Avvertiamo subito che tutti gli elementi di questa rappresentazione (parole, immagini, aggettivi) sono assolutamente

dee che presiedevano alla durata delvita dell’uomo; in pratica, il destino.

I.

è parola più eletta, la sola,

melan-

l’immagine di madonna. 13-14. le dice... empie: dice a quell’immagine col pensiero, quello che poi il suo labbro non osa ridire: il lamento, cioè, sul-

la

(ma crespo

isolata,

conica suggestione, la qual: l’anima, in

erano

ciuto

quindi, accolta in questo vocabolario

man

lirica

italiana.

d* avorio del v. 8.

Lo

stesso

dicasi

I

'I

I

Poesia minore del Cinquecento.

dolci ch’altro

SI

man

Teatro

Il

ben l’alma non

d’avorio che

cantar, che

senno maturo a leggiadria I

sembra d’armonia divina, la

più verde etade,

non veduta unqua

giunta a fur l’esca del

vòle,

cor distringe e fura,

i

somma mio

grazie ch’a poche

beltà

fra noi,

somma

onestade,

foco, e sono in voi il

del largo destina.

Giovanni Della Casa Nelle

Rime

del

3 ella Casa (vedi, su questo autore,

l

altre

notizie

a

I

pag. 318) si avverte una ricerca di originalità, nell’ambito di un petrarchismo unito a una più evidente presenza dei classici latini. Viene quasi del tutto

abbandonato

tono elegiaco petrarchesco che fu proprio del Bembo, per

il

conseguire una gravità solenne e un’eloquenza che sembra ritrovare, nelle

un

frequenti spezzature del verso e nelle sue pause fortemente scandite,

poggio per I

toni meditativi e patetici prevalgono nelle ultime rime, dove

sforza

si

di

ap-

declamazione.

la

sostituire

« allo

spirituale

romanzo

dei

petrarchisti

il

poeta

il

senso

una propria vita reale, il frutto delle proprie meditazioni » (Baldacci), nate in margine alle delusioni della sua vita e a un accorato ripensamento

di i;

I

'

di essa.

Della Casa piacque molto

al Tasso e, più con cui compose il verso, usando frequentemente quelle spezzature o enjambements, per le quali la frase non conclude alla fine dell’ endecasillabo, ma a metà di quello seguente, si dando al verso una maggiore estensione e una musica nuova. Tale artificio è intimamente legato a quell’anelito al grande, al vigoroso, al robusto, II

ai

del Cinquecento,

lirici

tardi, al Foscolo, soprattutto per la tecnica

che

il

Croce

riconosce e che

gli

si

congiunge a una tendenza meditativa

e,

a volte, patetica.

Per

i

testi

ci

atteniamo a G. Della Casa, Rime, a cura di A. Sereni, Firenze, Le

Monnier, 1944.

8.

fura: ruba, rapisce

dopo

averli avvinti

(distringe). 9.

cantar; la fa anche cantare, estrema e

seducente raffinatezza.

madonna, sebbene giosaggezza d’ una persona

10. senno... etade:

vanissima,

ha

la

matura. 11-12.

13.

finalmente arriva

il

verbo.

Nei

donna amata. 14.

unqua: mai. giunta: congiunta.

fur;

primi dodici versi abbiamo solo dei sogget1’ esca del mio ti, con le loro sp>ecificazioni. foco: le cose che alimentarono la fiamm.T della sua passione amorosa, in voi: nella

donne

ch’a poche... destina: il

che a poche

cielo destina cosi largamente.

402

O

Antologia della letteratura italiana

Sonno, o de

la queta,

umida, ombrosa

Un’ansia, un presentimento di poesia elevata,

si

avverte nella musica grave,

nelle pause intense di questo sonetto, in quel verseggiare « sentire l’angoscia

Ma

dell’uomo... travagliato da’

dopo

è un’ansia che sfuma,

il

nuta, piuttosto che in un’originale invenzione

O

Sonno, o de

la

veglia »

ti

fa

(Foscolo).

un’eloquenza

attacco iniziale, in

felice

rotto » che «

si

pensieri e dalla

soste-

lirica.

queta, umida, ombrosa

notte placido figlio; o de’ mortali egri conforto, obblio dolce de’ mali SI

gravi, ond’è la vita aspra e noiosa; ®

soccorri al core ornai, che langue, e posa

non ave;

e queste

solleva: a

me

tue brune sovra

Ov’è e

i

’l

membra

me

silenzio,

lievi sogni,

stanche e

ten vola, o Sonno, e

frali

l’ali

distendi e posa.

che

il

fugge e

di

lume.»^

’l

che con non secure

vestigia di seguirti

han per costume.?

Lasso! che ’nvan te chiamo, e queste oscure e gelide

ombre invan

O

lusingo.

piume

d’asprezza colme! o notti acerbe e dure!

Metro: sonetto (schema:

ABBA, ABBA,

CDC, DCD).

mortali

2-3.

linea

la

/ egri:

la

spezzatura

sotto-

dei mortali tormentati

tristezza

e

sofferenti {egri). 1-4. si

Osserva

diceva

nel

enjambements, o, come Cinquecento, marcature di

gli

le frasi non coincidono, come uso piu corrente, con la fine di ogni endecasillabo, ma si prolungano in quello seguente cosi: O Sonno... figlio - o de’ mortali... conforto - oblio... noiosa. Accade lo stesso anche in quasi tutti i versi seguenti. I. O Sonno: Il sonno è qui personificato, come, più avanti, il Silenzio, i Sogni, la Notte. Ma 1 immagine mitologica si risolve in un intimo desiderio di quiete, nel vagheggiamento nostalgico di pace che la notte sembra promettere di là dagli affannosi e ancor non sopiti travagli del giorno, queta, umida, ombrosa: Fra i tre aggettivi avverti le pause che li scandiscono fortemente e ne prolungano la suggestione. Dei tre, il primo è quello che meglio esprime il desiderio di pace del poeta, gli altri due danno il senso della notte che si distende morbida e arcana {ombrosa) sul mondo, come a pro-

questi versi: era



teggere r

uomo

stanco.

4. ond’ è... noiosa: per i quali la vita è dura a sopportare e dolorosa {noiosa). 5-6. e posa / non ave: e non ha pace. Ma non ne dice la cagione; e l’ invocazione ap-

passionata al sonno,

la ricerca di

pace e di

rimangono sospee indeterminate, proprio per la mancanza correlazione con un sentimento definito,

oblio che essa suggerisce, se

di

frali:

fragili.

è un verso pieno d’arcana e suggestiva dolcezza. Brune sono le 7-8. Tali... posa:

ali

del sonno

9.

che .

. .

come ombrosa è la notte. lume che fugge la luce :

del

giorno.

costume: i sogni leggeri che sogliono seguirti con passi (vestigia) incerti (appunto perché fuggevoli lo-ii.

i

lievi...

(alati e labili)

e inconsistenti). 13.

invan lusingo:

Invano cerca di renil sonno non giunge

dersele propizie, perché a lui.

13-14.

poeta

si

O

piume... colme:

il

letto,

ove

il

agita insonne, è pieno d’asprezza.

Poesia minore dei Cinquecento.

O

Teatro

Il

40^

dolce selva solitaria, amica Dal

di

ritiro

Nervesa, dove

rifugiato

era

si

in

un momento

di

suprema

poeta volge lo sguardo alle vicine selve del Monrello, chiuse nella morsa del gelo e istituisce un paragone fra il paesaggio invernale e la desolazione che gli regna nell’anima. C’è qui il senso di una vita spenta, il presentimento di una vecchiaia sconsolata, scanditi in un ritmo

delusione della sua vita,

il

aspro e dolente.

O

dolce selva solitaria, amica

de’ miei pensieri sbigottiti e stanchi;

mentre Borea, ne’

manchi

di torbidi e

d’orrido giel l’aere e la terra implica; e la tua verde

come

chioma, ombrosa, antica

mia, par d’ognintorno imbianchi,

la

or che ’n vece di fior vermigli e bianchi,

ha neve e ghiaccio ogni tua piaggia aprica; a questa breve nubilosa luce

vo ripensando che m’avanza; e ghiaccio gli spirti

Ma

anch’io sento e

le

membra

farsi.

piu di te dentro e d’intorno agghiaccio;

ché più crudo Euro a

me mio

verno adduce,

più lunga notte, e di più freddi e scarsi.

Metro:

sonetto (schema:

ABBA, ABBA,

esposte, nelle altre stagioni, al sole.

CDE, DCE). 1.

9.

dolce: perché solitaria e quindi a ami-

ca » ai suoi pensieri. L’evocazione della sel-

va crea sin dall’ inizio

1’

tudine meditativa e di di tutto 2. e,

il

atmosfera di solipropria

interiorità,

sonetto.

sbigottiti e stanchi:

sgomenti e delusi,

mai

torbidi

e

manchi: tempestosi e brevi,

perché invernali. 4. d’ orrido giel

:

orrido perché rende ogni

cosa irta e dura (tale è

ha in

latino).

Ma

il

senso che la parol.n

come

nota

suoni costituisca essa stessa

la 1’

durezza dei

immagine

un mondo quasi impietrato, implica:

di

av-

volge. 5-6.

antica

invernale

si

/

come un

lega

chiezza del poeta. 8. piaggia aprica;

inaridita.

12. dentro e d’intorno:

insieme, affranti. 3.

brevi e torbidi gli anni

breve... luce:

che ancora gli restano, senza più luce di speranza o di gioia. E il pensiero s’ in^-upisce nei due versi seguenti. Osserva come in ogni quartina e in ogni terzina vi sia r immagine del ghiaccio, vero motivo conduttore del sonetto, simbolo di una vita or-

la

mia;

senso di

al

paesaggio

precoce vec-

13-14. ché... scarsi; perché il mia vecchiezza) porta a me

(la

radure della selva.

mio inverno un vento più

crudele, una notte più lunga (la morte) e giorni ancor più freddi e poveri di luce. I giorni freddi e scarsi riprendono il v. 3 e il v. 9. Per tutto il sonetto è un martellato, ossessionante ripetersi di temi: buio, ghiaccio,

za,

rara le

nell’animo c nel-

membra.

le

luce

torbida,

inverno dei perizia

sbigottimento, sensi

tecnica

si

stanchez-

anima. Una fonde qui con un

c

dell’

intimo sentimento di desolazione.

Antologia della letteratura italiana

404

Questa È

conclusivo del canzoniere dellacasiano. La sua originalità, consuetudine del petrarchismo, sta già nel fatto che non intende conclusione di un esemplare romanzo d’amore. Il tema amoroso è qui sonetto

il

rispetto

che ’n una o ’n due

vita mortai,

alla

essere la

v’è solo una pura meditazione spirituale e religiosa. Dal tono cupo con cui è rappresentata la vita mortale, il poeta si solleva innalzando un inno a Dio, alla luminosa e pura bellezza della creazione.

del tutto assente:

Questa

vita mortai,

che ’n una o ’n due

brevi e notturne ore trapassa, oscura

pura

e fredda, involto avea fin qui la

parte di

Or

me

ne

l’atre

SI

®

a mirar le grazie tante tue

prendo, che frutti e e

nubi sue. gielo ed arsura,

fior,

dolce del del legge e misura,

eterno Dio, tuo magisterio8. fue.

Anzi

’l

chiara, che traesti

dolce aer puro e questa luce ’l

mondo

a gli occhi nostri scopre,

tu d’abissi oscuri e misti:

e tutto quel che ’n terra o ’n del riluce, di tenebre era chiuso, e tu l’apristi;

c

’l

giorno e

Metro: sonetto (schema:

’l

sol

de

ABBA, ABBA,

CDE, CED). 1-3.

ma

la

che ’n una... fredda: Osserva dapprilentezza, intensificata dall’ enjambe-

ment, con cui sono rappresentate quelle ore,

fugad

e, al

tempo

so di gravezza, di

stesso, pervase di

un

sen-

monotonia grigia e sem-

pre uguale, È il tedio che nasce dalla vita oscura e fredda, priva, in sé, di luce e di calore per l’anima, pervasa dall’ombra cupa

morte

della

(v.

i

:

vita mortai).

me: l’anima, l’atre nunubi cupe e tempestose delle passioni, che impediscono all’ uomo la vista della verità, della luce vera. Tutta la quartina è pervasa da im senso cupo c dolente del 3-4, la pura... di

bi:

le

vivere terreno. tante: le meraviglie della che solo ora 1’ anima purificata può contemplare e godere. 6. frutti... arsura: autunno e primavera, inverno ed estate. 7. e SI dolce... misura: è Tarmonica vi5.

le

creazione

grazie

la

tua

man

son opre.

cenda dei tempi e delle stagioni. tuo... fue: fu opera della tua divina

mente creatrice. Libera dalla caligine del peccato, l’anima riscopre la divina innocenza,

la

bellezza e la bontà delle cose.

È

il

tema dominante di questa quartina, e anche delle due terzine, dove però le immagini belle del mondo si sublimano nel senso delluce, che le illumina e rivela, ed è il simbolo della grazia. 9-10. questa luce /chiara: l’aggettivo acquista, per via dtWenjambement, un’intensità nuova, un senso gioioso di luce diffusa la

e splendente. II. d’ abissi... misti: dagli abissi del caos;

e con spontaneo simbolo allude qui alla luce spirituale

dal

che

risplende,

cupo gorgo

13.

di

uscita

tenebre era chiuso:

dalle tenebre, e

vittoriosa

delle passioni.

da

imprigionato

esse offuscato e nascosto,

e tu l’apristi: l’espressione balza con

dopo

mag-

pausa a metà del verso. Avverti, nelle due terzine, una

gior evidenza

religiosità intima.

la forte

Poesia minore del Cinquecento.

Il

Teatro

405

Gaspara Stampa Gaspara Stampa nacque intorno al 1523 da famiglia nobile, d’origine Dopo la morte del padre si trasferì con la madre e i fratelli a Venezia, dove prese parte alla vita colta e mondana, come ricercata musica e cantatrice. Visse vita assai libera, ed ebbe più d’ una relazione amorosa. La più intensa fu quella che la legò al conte (dilatino di Collalto e terminò, dopo tre anni, con 1 abbandono da parte dell’ amato. Gaspara morì a Vemilanese.



nezia, giovane ancora, nel 1554. Le sue Rime (pubblicate nel 1554) narrano

insieme,

e,

appassionato,

le

con un tono fervido, dolce

vicende intime ed esterne del suo amore,

la

sua alternativa di speranze e delusioni, struggimenti, abbandoni, vagheggiamenti, e la tristezza, soprattutto, di una passione profonda, non adegua-

tamente corrisposta, e, alla fine, infelice. Colpisce soprattutto l’abbandono con cui la Stampa si confessa, l’erompere, fra i modi stilizzati del petrarchismo, dei suoi sentimenti, con una sincerità e immediatezza del tutto infrequenti nei

modi

di

lirici

del secolo, intesi a trasfigurare la loro esperienza nei

un comune

e idealizzato itinerario spirituale.

Le Rime^

amore, tanto che

invece,

Croce ha parlato, a proposito di esse, di « effusioni epistolari e note di diario », indicando, però, nel contempo, anche il loro carattere di sfogo sentimentale, che solo episodicamente giunge alla poesia.

raccontano un’ autentica e personale

storia

d’

il

Quasi vago e purpureo giacinto

Tema del sonetto è l’alternativa di speranza e disinganno, di amorosa dolcezza e gelosia e timore di essere abbandonata dall’amato (come poi avvenne) su cui si svolge il labile tessuto delle Rime della Stampa. Ma esso vive soprattutto per la gentile immagine del fiore, nella quale la poetessa vede e vagheggia, con la consueta grazia, l’ anima sua innamorata. Quasi vago

e

purpureo giacinto

che ’n verde prato, in piaggia aprica e

lieta,

crescendo ai raggi del più bel pianeta,

che lo mantien degli onor suoi dipinto, ®

subito torna languidetto e vinto, sì

Metro;

sonetto

che mai non

(schema:

si

vide tanta pièta.

ABBA, ABBA,

CDC, DCD) I.

Quasi... giacinto:

al fiore

un

3,

L’aggettivo vago dà

carattere di bellezza delicata e di

purpureo, cosi lentamente sillabato, aggiunge un tono di tenera dolcezza, ribadita poi dall’ immagine vaga di grazia;

e

quel

primavera che palpita

nel

secondo verso.

del più bel pianeta; del sole.

« onori » del fiore 4. gli onor: i colori, perché ragione prima della sua vaga bel-

lezza. 5-6. subito... pièta; subito diviene languido, avvizzisce, si che mai non si vide spettacolo cosi doloroso. Originale è questa tc-

^o6

Antologia della letteratura italiana

se di veder gli usati rai gli vieta

nube, che

dinanzi

a’

rai

de

onde ogni sua

Ma

abbia coperto e cinto,

sol

’l

mia speme, ch’ognor

la

tal

la beltà

virtute e vigor esce.

poi fiacca e smarrita

la ritorna

oscura tema, che con

che

sua luce

la

s’erge e cresce,

infinita,

fia

lei

si

mesce,

tosto sparita.

cor verrebbe teco

Il

Tradizionale c in sé manierato il contenuto della breve poesia: il cuore di Gaspara andrebbe col suo signore, che va lontano, se ancora fosse in potere di lei; ma è già, per sempre, con lui, ed ella non può quindi donargli, ora, altro che i suoi sospiri. Ma la grazia del madrigale è in quella musicalità melanconica e dolce, in quel tenero sospiro che lo conclude.

cor verrebbe teco

Il

nel tuo partir, signore, s’egli

meco,

fosse più

poi che con gli occhi tuoi

Dunque verranno che sol mi son restati fidi

compagni

e

teco

mi i

prese

Amore.

sospir

®

miei,

grati,

e le voci e gli omei;

e se vedi mancarti la lor scorta,

pensa ch’io sarò morta. nera (come vedi dal diminutivo) e struggente pietà per il fiore in cui la S. simboleggia la speranza d’amore che si riscalda ai raggi del sole (simbolo dell’amato), ma tosto avvizzisce. 8.

è

sol:

9. tal la

10.

complemento oggetto. mia speme: sottintendi

beltà

infinita:

è

quella

è.

dell’

amato.

inconsueto, è come un grido dell’anima e attesta la passionalità tenera e forte della poetessa. Spesso in lei l’ involucro petrarchesco si apre a queste confes-

L’ aggettivo,

sioni

immediate. ritorna:

12. la 13.

con

lei:

con

fa ritornare. la

speranza,

mesce:

si

mescola. Oscura chiama la tema (il timore) perché è un doloroso presentimento si

di

essere

abbandonata che rende

1’

anima

priva d’ ogni luce di gioia. 14. la

sua luce: l’amato.

Come

vedi, fino

Il

c’

Metro: madrigale (schema: a b a B,

d c, E e) di settenari ed endecasillabi ramente alternati. 2.

alla

C

d

libe-

nel tuo partir: allude probabilmente partenza di Collalto per la Francia.

3-4. la

non

è punto fermo, e questo anche essere tolto. Il sonetto è praticamente costituito da un solo, lungo periodo, con una capacità di ampia modulazione musicale che è uno dei caratteri salienti della poesia della Stampa. V.

al

stesso potrebbe

s’egli...

Amore:

s’egli fosse ancora

con me; ma non lo è piu da quando Amore mi ha avvinto con la bellezza dei tuoi occhi. 7-8. fidi... grati: compagni fedeli, perché mai l’abbandonano, e graditi, perché le parlano continuamente dell’amato, gli omei: gli amorosi lamenti. 9. scorta: compagnia.

Poesia minore del Cinquecento.

Teatro

Il

Mesta e pentita de’ miei gravi

t

407

errori

È un sonetto di chiara intonazione petrarchesca; ricorda Padre del del, dopo perduti giorni, ma anche una situazione esemplare che i petrarchisti ripren-

devano dal loro modello: l’ansia di redenzione, culminante nella trepida preil peccaminoso e dolente cammino della passione. E tuttavia avvertiamo il tono inconfondibile della Stampa, quella genuinità e sincerità di

ghiera a Dio, dopo

sentimento che senti qui soprattutto nel verso

finale, cosi dolce e struggente, cosi

espressivo della sua tenera e affettuosa femminilità.

Mesta e pentita

tanto e

te.

lieve,

fugace in vani amori,

la vita

a

si

tempo breve

e d’aver speso questo

de

miei gravi errori

de’

mio vaneggiar

e del

Signor, ch’intenerisci

i

®

cori,

e reridi calda la gelata neve,

e fai soave ogn’aspro peso e greve

a chiunque accendi di tuoi santi ardori,

tentassi

s’io

Tu

mi porghi mano onde uscire,

e prego che

ricorro;

a trarmi fuor del

pelago,

da me, sarebbe vano.

volesti

6.

per noi. Signor, morire,

tu ricomprasti tutto

seme umano;

il

9-

non mi

dolce Signor,

lasciar perire!

Morra

Isabella di

10-

Delle numerose rimatrici che fiorirono nel Cinquecento, dare, oltre a

Metro:

sonetto (schema:

ABBA, ABBA,

CDC, DCD).

modi il

del frasario petrarchesco di cui tutto

sonetto è intessuto. e rendi... neve:

1.

vaneggiamenti amorosi, l’errare anima dietro le vane seduzioni dei

errori:

dell’

sensi. 2.

lieve:

e...

dermi fra re »,

presa

« le

come 1’

e

del

mio

cosi

vane speranze e

dice

il

’l

lungo pervan dolo-

Petrarca, dal quale è

immagine, che spesso

4. in

lido

come neve

Ripete

Dio

concetto del

il

scioglie

e vi ridesta

il

cuore ge-

fiamma

la

vero amore. 10. porghi: porgi, pelago:

il

mare

del

delle

passioni.

ri-

ii.

liberarsi

onde... vano: passioni

dalle

Si sente incapace di

senza

l’

aiuto

della

grazia divina.

vani amori: l’unico amore non vano

intenerisci

i

cori

intenerisci

:

i

cuori

induriti nel peccato e sordi alla grazia,

l’amore divino. Intenerire

fugace

vita,

13.

tu...

umano:

i

al-

cuori, vano, va-

tempo breve,

sono

in

latino,

tu hai riscattato col tuo

genere umano. {Redimere, significa appunto « ricomperare,

sangue tutto

quello rivolto a Dio. 5.

verso precedente:

ricorre nella

sua lirica.

è

piace ricor-

ci

Gaspara Stampa, Isabella di Morra. Nacque a Favole, in Basi-

il

riscattare »). 14.

perire:

dannata.

perire di

morte eterna,

essere

40S

Antologia della letteratura italiana 1520, da nobile famiglia e visse nel solitario castello,

nel

licata,

26 anni, fu ferocemente uccisa dai

fratelli,

finché,

a

che avevano scoperto una sua

corrispondenza col castellano e poeta spagnuolo Diego Sandoval de Castro.

un isolamento

senso di una giovinezza chiusa e infelice, di

Il

tetro è evi

dente nel suo breve canzoniere (io sonetti e 3 canzoni), nel quale spesso lamenta la lontananza del padre, esule in Francia, ed esprime il desiderio

con

d’ essere

lui.

La

poesia di Isabella è

una

delle piu risentite e forti della

nostra lirica cinquecentesca; vi s’avvertono un’intonazione altamente accorata,

una meditazione intima ed eloquente che già fanno presentire Tasso, quali la Canzone al Metauro.

certe

liriche del

Per

testo

il

seguiamo B. Croce, Isabella di Morra e Diego Sandoval De Castro, con della Morra c una scelta di quelle del Sandoval, Bari, 1929.

edizione delle

Rime

D’un

monte onde

alto

Belle

in

quel

in

si

scorge

ampia

e

mare

il

questo sonetto soprattutto

paesaggio di

la

desolata

la

prima quartina e la prima terzina: marina si staglia, intima e

solitudine

raccolta, la figura della protagonista, chiusa nell’agonia triste della sua giovinezza

senza sole e senza speranza.

D’un

alto

miro sovente

monte onde io,

si

scorge

il

mare

tua figlia Isabella,

s’alcun legno spalmato in quello appare,

me

che di

te,

padre, a

Ma

la

mia adversa

doni novella. e dispietata stella

®

non vuol ch’alcun conforto possa entrare nel tristo cor, ma, di pietà rubella, la salda speme in pianto fa mutare. Ch’io non veggio nel mar remo né vela deserto è l’infelice lito)

(cosi

che Fonde fenda o che

Metro:

sonetto (schema:

AB AB, AB AB,

D’un

aitò

monte:

il

monte^ con ogni

probabilità, sul quale sorgeva 2.

io,

tua figlia:

Il

il

castello.

sonetto è rivolto al

padre, esule in terra di Francia. L’espressione, io, tua figlia ha un valore tutto affettivo; è

un

invito affettuoso al padre per-

ché venga a liberarla dalla triste prigionia. 3. legno spalmato: nave. Spalmato è inopportuna reminiscenza letteraria petrarchesca.

gonfi

il

vento.

doni: Cosi dice, c non porti, esprimensua ansia di aver notizie del padre amato, unico conforto alla sua vita grama. 5. stella: destino. Meno felice questa seconda quartina, e tuttavia osserva la nettezza d’ accenti, 1’ energia dell’ espressione. 7. di pietà rubella: nemica d’ogni pietà. 4.

do

CDE, CDE). 1.

la

la

9-JI.

È

momento veramente

bello

la solitudine desolata del

mare

l’altro

del sonetto:

con quella dell’anima. che l’onda... vento: che l’onda fenda è riferito a remo, il resto a vela (cfr. v. 9). div^enta tutt’uno II.

Poesia minore del Cinquecento,

il

Teatro

Contra Fortuna ed ilo in odio

come

con

Scrissi

il

409

spargo querela,

allor

denigrato

sito,

mio tormento.

sola cagion del

amaro, aspro e dolente

stile

Questo rivolgersi a meditare l’esperienza passata, con pacata tristezza unita una sincera ansia religiosa, era situazione caratteristicamente petrarchesca, piu volte ripresa dai lirici del Cinquecento, Ma vedi come in Isabella essa assuma carattere e rilievo personali, divenga veramente una sua storia. Osserva giustamente il Trombature che in questo rivolgersi a Dio non v’è nessun senso di sconfitta né di debolezza, che non si tratta di rinunzia, ma di conquista. E vedi

a

nello stile quel

tono energico e saldo, quella capacità di

abbiamo notato anche

sintesi

meditativa che

sonetto precedente.

/lei

amaro, aspro e dolente, contro Fortuna, che niun’altro mai sotto la luna Scrissi

con

stile

un tempo, come SI

di lei

si

Or che in

sai,

dolse con voler piu ardente.

del suo cieco error l’alma tai

doti

non

si

®

pente,

scorge gloria alcuna,

e se dei beni suoi vive digiuna,

spera arricchirsi in Dio, chiara e lucente.

Né tempo o morte il bel tesoro eterno, né predatrice e violenta mano ce lo torrà davanti

al

Re

del

cielo.

non nuoce già state né verno, ché non si sente mai 14. caldo né gielo. Dunque, ogni altro sperar, fratello, è vano. Ivi

luogo mesto e abbordove è costretta a vivere. Osserva come denigrato sito;

13.

rito

sione è reminiscenza dantesca (anche Dante

querela; lamenti.

12.

il

è presente, anche se meno frequentemente del Petrarca, ai lirici cinquecenteschi).

per tutto

non

ma

si

il sonetto il dolore della fanciulla effonda mai violento e incontrollato,

condensi in espressioni intense, eppur segno indubbio, questo, di notevole maturità di stile.

Metro:

sonetto (schema:

con

dolente:

È

un’ottima definizione dello stile del suo breve canzoniere, validissima anche per questo sonetto. 3.

sotto

dal cielo

la

9. licità

stile...

luna;

primo o

nel

della

mondo, racchiuso

Luna. Questa espres-

in

tai

doti:

nei

doni che essa può

dare, suoi; della Fortuna. 8. spera... lucente: spera, cioè, di restare luminosa e chiara in eterno accanto a Dio.

ABBA, ABBA,

ODE, CED).

cieco error: quello di essersi lamentata

6-7.

si

sempre misurate:

I.

5.

della Fortuna.

bel tesoro eterno;

il

il

paradiso, la fe-

eterna.

Dunque... vano: L’ultima come tutto il sonetto, ha

spaglia

terzina, tuttavia

potere di suggestione, soprattutto in quest’ultima affermazione, ferma e recisa.

un suo Il

sonetto è dedicato probabilmente al fra-

tello Scipione.

Antologia della letteratura italiana

410

Giovanni Guidiccioni Nacque

a

Lucca nel

1500, da nobile famiglia e fu al servizio dei ponte-

fici,

dai quali ebbe onori e incarichi importanti. Mori a Macerata nel 1541.

Fra

le

sue

È

politico.

Rime abbiamo

un

scelto

sonetto,

suo piu famoso, di carattere

il

un’esortazione, solenne ed elegante,

all’ Italia

affinché scuota le

catene della servitù, legata a spunti petrarcheschi (ricorda la canzone Italia

mia) ma non priva di un sentimento di sincera afflizione. Risale molto probabi(mente agli anni fra il 1526 e il 1530, conclusivi della triste crisi italiana.

Per

testo

il

seguiamo: G. Guidiccioni, Rime, a cura

di

E. Chiorboli, Bari, Laterza,

1912.

Dal pigro

e grave sonno, ove sepolta

Dal pigro e grave sonno, ove sepolta già

sei

e

tanti

disdegnosa

Italia

passi erranti

se

respira;

e

serva che stolta. t’ha

ch’altri

tolta

oprar, cerca e sospira,

al

cammin dove

sentier,

risguardi

vedrai che quei che t’han posto

sorgi

piaghe mira,

men

non sano

da quel torto

Che

ornai

tue

bella libertà,

per tuo i

le

mia, non

La e

anni,

le

volta.

memorie tuoi

i

dritto gira sei

antiche,

trionfi ornaro,

giogo e di catene avvinta.

il

L’empie tue

voglie,

a te stessa

nemiche

con gloria d’altri e con tuo duolo amaro, misera! t’hanno a sì vii fine spinta. Metro;

sonetto

(schema:

ABBA, ABBA,

nità)

vedrai che

sei

Il

I.

è

primo verso rende con una il

neghittoso torpore in cui

certa

l’Italia

sommersa.

mira: guarda. Nel verso seguente apre con una suggestione petrarchesca {Italia mia), il G. afferma che le sventure d’ Italia derivano da stoltezza, un tema questo che si svolge nella quartina seguente, ma resta del tutto indeterminato. Al posto di una 3-4.

che

si

considerazione politica attuale abbiamo cosi un moralismo generico. 9-11. Che... avvinta: Se riconsideri le antiche

memorie

gloriose (quelle della

Roma-

un tempo

furono ornamento dei tuoi trionfi. Hai qui l’espressione di quel patriottismo sostanzialmente libresco, che fu per secoli quasi la sola espressione di un sentimento di dignità nazionale. Giustamente il Manzoni, agli albori del nostro Risorgimento parlava, pensando ad esso, di misero orgoglio d’un tempo che fu. 12. L’ empie tue voglie: Allude alle discordie, nate da cupidigia di dominio, degli stati italiani, che aprirono la via all’occupazione straniera. dei conquistatori 13. con gloria d’altri: vincesti e

efficacia

ora soggiogata e inca-

tenata proprio da quei popoli che

CDE, CDE).

francesi

e

spagnoli.

Poesia minore del Cinquecento.

Teatro

Il

411

Luigi Tansillo Luigi Tansillo nacque a Venosa nel 1510, e ancor bambino, rimasto orfano del padre, fu mandato a Napoli, dove compì gli studi. Nel 1535 entrò al servizio del viceré don Pietro di Toledo, e con lui e col figlio Garzia fu costretto a compiere lunghi e perigliosi viaggi per terra e per

mare

e a partecipare a varie imprese militari. Alla morte del Viceré,

fu riconfermato nel suo ufficio e

s’

impiegò presso

la

non

dogana. Morì a Teano

nel 1568.

Fu

autore di egloghe drammatiche, quali I due pellegrini (1528) e di

poemetti che ebbero un successo vivissimo:

Il vendemmiatore (1534), di due poemetti didascalici della maturità. Le sue cose piu belle sono le Stanze a Bern-^rdino Martirano e soprattutto la Clorida (1547), in cui descrive le bellezze di una villa di

argomento

Don

erotico,

La

balia

e

II

podere,

Garzia.

Nei suoi ultimi anni, seguendo il nuovo indirizzo del tempo (siamo nell’ età controriformistica) compose un poemetto religioso. Le lacrime di S. Pietro.

Nelle Rime, piuttosto che gli accenti petrarcheschi e la rappresentazione una vicenda spirituale, sono interessanti le rappresentazioni di paesaggi naturali, pervasi d’un’arcana suggestione musicale e sensuale. Nei sonetti migliori le emozioni del poeta sfumano in questa nuova sensibilità paesistica, preannunciando modi e temi che saranno propri della poesia secentesca. di

E

freddo è Il

il

sonetto è

fonte, e chiare e crespe

il

ha l’onde

un epigramma latino del poeta Andrea i due testi ci permette di considerarlo campagna assolata, colma dell’ardente pie-

libero rifacimento di

Un

Navagero (1483-1529)

confronto fra

come opera

originale. Il tema della nezza dell’estate, è uno dei più sentiti dal Tansillo. Scorre per tutto il sonetto il sentimento di un espandersi gioioso dei sensi, di un abbandono totale alla vita della natura. Questa comunione fra l’uomo e il passaggio si esprime nell’immagine mitica e favolosa delle ninfe, magicamente emerse da quello scenario voluttuoso.

E

freddo è

il

fonte, e chiare e crespe

ha Fonde,

c molli erbe verdeggian d’ogni intorno.

Metro; sonetto (schema:

ABBA, ABBA,

CDE, DCE).

E

il fonte: La congiunzione dà l’impressione che il primo verso si stacchi come da una precedente lunga e obliosa contemplazione senza parole. Poi, nella quartina, si disegnano nitidi i parti-

I.

iniziale

freddo è

colari

del

morbido recesso ombroso, tanto

più dolce quanto più d’intorno

si

avverte

implacabile l’arsura estiva, chiare e crespe: limpide e appena increspate dalla brezza. 2. molli: tenere e fresche, perché irrigate dall’acqua della fonte. Ma l’aggettivo condensa in sé la nota fondamentale di questo

paesaggio,

la

sua tenera e vaga sensualità.

412

Antologia della letteratura italiana

e

platano coi rami e

’l

scaccian Febo, che

E

scuote,

ed è

rapido

fiamme

al bel

le

soggiorno:

mezzogiorno,

sul

sol

*

piu lievi fronde

le

dolce spira

SI

il

versan

e

appena

l’aura

Torno

salce e

’l

crin talor v’asconde.

’l

campagne bionde.

Fermate sovra Tumido smeraldo, vaghe ninfe, i bei piè, ch’oltra ir non ponno; SI

stanche ed arse

al

corso ed

e le vive

nemiche

Valli

al sol,

acque spegneran

probabilità

a

sete!.

il

sonno;

al

caldo;

la sete.

superbe rupi

Nel 1538, una violenta eruzione vulcanica dei zuoli e fece sorgere, in una notte, il Monte Nuovo. ogni

sol

al

Darà ristoro a la stanchezza verde ombra ed aura, refrigerio

questo cataclisma immane.

Campi Il

Flegrei devastò Poz-

sonetto è da riferirsi con

Nella natura sconvolta,

il

poeta

trova un’intima corrispondenza col suo cuore sconvolto dalTamore, con un’enfasi,

poco convincente. Meglio

peraltro,

descrizione del paesaggio, dove intravedi

la

quei gusto di quadri di natura selvaggia che preannuncia

Valli

nemiche

che minacciate

al

4.

scacciali...

dalla fonte

nasconde

il

Sole (Febo), che pure talvolta

fra quei

rami

suoi raggi (crini),

i

cerca cioè di penetrare fra 5-8.

I

essi.

primi due versi esprimono

dol-

la

cezza delicata di quel fresco recesso ombroso, gli altri la rendono per contrasto ancor piu gradita prospettandole attorno la campagna infuocata nel mezzogiorno estivo. Questa calda

tonalità

poeti deir e

di

colori

è

7.

rapido:

=

8.

caratteristica

giallo

dei

ardente, impetuoso (dal latino

camun

riarse, abbruciate dal sole (vi vedi

stoppie

o

di

spighe

mature)

e

sembrano riversarne intorno il calore. È il nuovo del componimento: dà il senso del dilagare di una luce

verso più originale e

che è segno di vitalità trionfante.

notte;

l’umido smeraldo: l’erba umida per la della fonte è verde come uno smeraldo. possono. La grazia gentile 10. ponno; delle ninfe dà alla scena una nuova nota voluttuosa e sognante. 11. si stanche, ecc.

tanto siete stanche e

:

arse per la corsa e per

verde... caldo:

13.

refrigerio,

a

daranno

«

14. vive;

il

sole.

sottintendi, accanto a ».

scorrenti, fresche.

un dolce

abbandono

un oblioso

L’ultima

ter-

invito al ristoro e al riposo, in

grembo

alla

natura.

trascino via con violenza).

di

e

9.

zina è

c versan... bionde: Bionde sono le

pagne

silenzio

vicinanza

umanesimo meridionale (Fontano

anche Sannazaro).

rapio

superbe rupi

sol,

pozzi orrendi e cupi;

aperti,

tengono lontano

v’asconde;

gusto secentesco.

del; profonde grotte,

il

onde non parton mai sepolcri

il

Metro;

sonetto (schema:

ABBA, ABBA,

CDE, DCE). I.

nemiche

al sol;

suoi

raggi,

superbe

3.

notte:

le

perché mai accolgono rupi:

tenebre.

i

vulcani.

i

Poesia minore del Cinquecento.

precipitati

Teatro

Il

sassi,

ossa insepolte,

413 dirupi,

alti

mura

erbose

e

rotte,

d’uomini albergo, ed ora a tal condotte che temen d’ir tra voi serpenti e lupi, erme campagne, abbandonati lidi, ove mai voce d’uom

ombra son

non

l’aria

fiede

:

dannata a pianto eterno, ch’a pianger vengo la mia morta fede, e spero, al suon de’ disperati stridi,

non

se

io,

piega

si

del,

il

mover

l’inferno!

Michelangelo Buonarroti La

figura

Michelangelo

di

staglia

si

quelle

fra

solitaria

del Cinquecento, per la presenza, nella sua poesia, di

lirici

anzi d’un

dramma

chiarsi

contrasto

il

fra

suo genio

profondo e sofferto, in cui sembra rispecdue età del Rinascimento e della Contro-

le il

sebbene spesso abbiano in solto. Il

nostri

travaglio,

spirituale

Questo spiega

riforma.

dei

un

esercitato sui lettori dalle sue liriche, qualcosa di grezzo, di poeticamente non ri-

fascino sé

espresse, infatti,

si

pienamente in un

altro

campo, quello

delle arti figurative.

Michelangelo nacque nel 1475 a Caprese e mori a Roma nel 1564. la sua vita tra Firenze e Roma, e fu un’ esistenza solitaria e concentrata in un’ intensa e spesso travagliata meditazione spirituale. ParTrascorse

durante l’assedio di Firenze,

tecipò,

nel

Ma

sua vera storia è scritta nei suoi sublimi capolavori

la

1530,

Cappella Sistina,

alle

Tombe

Medicee,

al

alla

Davide

difesa

al

sua

città.

artistici,

dalla

della

Mose,

alla

cupola di

San Pietro in Roma. Le Rime, che appartengono quasi tutte al periodo della maturità e della vecchiaia, esprimono l’ intimo e travagliato colloquio del poeta con

6. erbose...

case

delle

rotte:

distrutte,

sulle

mura

cresce

ormai

crollate

l’erba,

denotando l’abbandono desolato della

città

morta.

d’uomini

7.

albergo;

un tempo dimora

erme:

9-1 1.

donna non

degli uomini.

solitarie,

deserte,

fiede:

col-

ombra... eterno: non più uomo, ma ombra spettrale, condannata a un pianto eterno per la crudeltà di madonna. 12. la mia morta fede; la fede che mapisce.

gli

ha serbato.

lupi temerebbero di aggirarsi fra quelle ro-

13-14. Evidentissima la forzatura di questi ultimi due versi. Il tono del sonetto è

È evidente nelle due quartine questo gusto dell’orrido, l’accumularsi di partico-

ormai lontano da quello petrarchesco. tende a uno stile aspro e tragico, con

che...

8.

lupi:

che persino

i

serpenti e

i

vine.

lari

cupi, di scenari desolati, sottolineati da

uno

stile

aspro, da suoni lugubri. Si avverte

però troppo scopertamente il compiacimento del letterato che prova una nuova tastiera. diminuisce drammaticità della rappresentazione. L’eccessiva ricerca di effetto,

la

Il

la

T. po-

vertà di risultati, sul piano poetico, che già

abbiamo che non

avvertito.

Ma

inaugura una

sarà senza seguito nei secoli

moda dopo

quale fonderà su sensibilità e concezioni più profonde questo sentimento angoscioso del vivere. di lui,

fino al

Romanticismo,

il

Antologia della letteratura italiana

414

la

sua anima,

una visione tutta rinascimentale dell’arte, amore e una profonda esigenza ascetica e religiosa che

contrasto fra

il

della bellezza, dell’

diverrà dominante nei suoi ultimi anni.

Numerose

orme

ma non

quelle dedicate

poesie,

Vittoria Colonna, costituiscono un’esaltazione dell’

a

amor

platonico,

sulle

un motivo estetizzante, come in molti scrittori del Cinquecento, bensì di un momento intensamente vissuto del sofferto itinerario spirituale dall’autore. Le rime degli del Ficino e della sua scuola;

ultimi anni cristiana

l’arte

stessa

tratta

di

svolgono sempre piu nel senso di un’accorata meditazione del peccato, della morte, della rinuncia al mondo e

si

temi

sui

dell’ anelito

si

Eterno,

all’

fino

quella

di

:

pieno

al

Bellezza

sacrificio

che era

ad esso

stata

l’

ideale

dell’

più

amore, grande

del-

del-

l'artista.

La lirica di Michelangelo è, tuttavia, intimamente frammentaria. Versi, immagini, concetti, si presentano spesso come lampi potenti, intuizioni profonde, ma stentano, spesso, a comporsi in un’architettura organica. Per questo le sue liriche appaiono un documento genuino di una sofferenza spirituale, non sempre, tuttavia, adeguatamente espressa. Per

il

testo

atteniamo

ci

all’

edizione critica a cura di E.

Noè

Girardi

(Bari,

La-

terza, i960).

O

tempo, benché nero

notte, o dolce

L’immagine

della

Michelangelo, simmeditazione appassionata sul tema morte sono sentite soprattutto come promessa di

notte è spesso presente nella lirica di

bolicamente legata a quella della morte, dell’eternità.

Qui

la

notte e la

alla

pace, a cui tende l'anima travagliata e stanca.

O

notte, o dolce tempo, benché nero, con pace ogn’opra sempr’al fin assalta. Ben ved’e ben intende chi t’esalta, e chi

t’

onor’ ha

Tu mozzi

l’

intellett’ intero. ®

e tronchi ogni stanco pensiero,

che l’umid’ombra et ogni quiet’appalta, e dall’infima parte alla più alta

in sogno spesso porti ov’ ire spero.

Metro; sonetto (schema;

ABBA, ABBA

CDE, CDE).

vagliato itinerario terreno. 6.

che... appalta; che l’umida

ombra

della

notte e la sua quiete profonda e totale pren2.

con pace...

assalta; L’espressione è oscu-

ogni probabilmente opera tende a conseguire, insieme con la propria conclusione, la propria pace. Cosi il giorno tende alla quiete notturna, la vita Mia morte, suo compimento e fine del trara.

Il

significato

è

;

dono

su di sé (appalta),

togliendo cosi

al-

l’uomo ogni affanno. 7-8. e... spero; e porti in

basso l’alto

mondo, infima cielo,

in

giorno di andare.

sogno da questo

parte dell’universo, nel-

paradiso,

dove

spero

un

Poesia minore del Cinquecento.

O

ombra

Il

Teatro

del morir, per cui

ogni miseria, a l’alma,

ultimo

delli

4'5

e

afflitti

ferma

si

cor nemica,

al

buon rimedio,

tu rendi sana nostra carn’inferma, rasciugh’i pianti e posi ogni fatica

ben vive ogn’ir’e

e furi a chi

La Notte che

tu vedi in

si

tedio.

dolci atti

La prima quartina è attribuita a Giovanni di Carlo Strozzi, ed è una esaltazione dalla mirabile statua della Notte, scolpita da Michelangelo nelle Cappelle Medicee a Firenze. Nella seconda Michelangelo, rispondendo in persona sua statua, esprime con versi potenti

il

della

proprio oscuro e dolente travaglio

spi-

Nelle parole dellci Notte palpita quel desiderio della morte, sentita come redenzione e liberazione dall’angoscia del vivere, che è uno dei temi piu intensi delle Rime michelangiolesche. rituale.

La Notte che

tu vedi in

si

dolci atti

dormir, fu da un Angelo scolpita in questo sasso, e perché dorme ha

vita.

Destala, se noi credi, e parler atti.

Caro m’è il sonno, e piu Tesser di sasso, mentre che ’l danno e la vergogna dura. Non veder, non sentir, m’è gran ventura; però non mi destar, deh! parla basso.

9.

O

ombra

del morir; parvenza,

imma-

gine della morte. Dopo lo stento delle due quartine l’ inno alla notte e alla morte si

qui

svolge

con

piu

stile

fluido

e

2.

un Angelo:

chelangelo

e

perché... vita:

3.

per questo suo dormire

è veramente viva. In esso sta la bellezza al-

r2. tu...

inferma: tu

liberi

il

nostro cor-

po, debole e affaticato, dalla stanchezza.

ogni fatica:

13. posi

fai si

che abbia posa,

Caro m’è

5.

porti via, cancelli, per i buoni, ogni tedio, in quanto essi possono trovar pace in un sonno tranquillo. Ma gli ultimi due versi possono essere anche riferiti simbolicamente alla morte, sentita come liberazione dalla infermità del peccato e porto di autentica pace per chi ha ben vissuto.

ca del poeta.

furi:

ira e

in

dolce.

si

La

dolci atti: con atteggiamento cosi

statua della Notte rappresenta

figura femminile addormentata.

una

vita della

sonno: Risponde

la statua,

statua.

ma

14.

immortale

tissima, che è la vera e

pace ogni travaglio.

I.

nome di Miammirazione grandissima

allusione al

dalla quale fu circondato.

armo-

nico.

ogni

all’

il

in realtà parla l’anima travagliata e stan-

elegante,

L’epigramma

quello di M.,

dello Strozzi era

profondo

e

dram-

matico. Vedi l’intensità scabra e potente dei suoni della seconda metà del verso, la loro

contenuta e pur forte passione. 6.

mentre che, tee.: Gli

interpreti

pen-

sano generalmente a un’allusione alla tirannia dei Medici in Firenze. Ma, come abbiamo premesso, il significato della quartina ci

sembra piu vasto. 7.

ventura

;

fortuna.

4i6

Antologia della letteratura italiana

Per qual mordace lima come, in genere, la miglior lirica michelanDalla scontentezza di sé, dal senso angosciato della propria miseria e impurità terrena il poeta innalza a Dio una preghiera stanca e accorata, pervasa

È

poesia, c, insieme, preghiera,

giolesca.

un supremo

di

anelito

di

purificazione,

di

mondo

fuga dal

fallace

nella

pace

della morte.

Per qual mordace lima

manca ognor tuo stanca spoglia, anima inferma? or quando fie ti scioglia discresce e

da quella

il

tempo, e

torni, ov’eri, in cielo,

prima

candida e

lieta,

deposto

periglioso e mortai velo?

il

Ch’ancor ch’io cangi

pelo

il

per gli ultim’anni e corti,

cangiar non posso

’l

Amór,

mio

vecchio

che, con più giorni, più

mi

antico uso,

sforza e preme.

a te noi celo,

ch’io port(j invidia a’ morti; sbigottito e confuso, SI

di sé

meco

l’alma trema e teme.

Signor, nell’ore streme, stendi ver

tom’ a

me

me

le

tuo pietose braccia,

stesso, e

Metro: madrigale di settenari e endeca(schema aBBCaCcdEFcGLFflI).

sillabi

:

fammi un che

piaccia!

ti

9. uso: la disposizione peccaminosa, divenuta ormai abitudine dell’anima. 10. con piu giorni col crescere degli anni. 11. Amor: si rivolge alla più intensa e dolce fra le suggestioni peccaminose. 12. ch’io... morti: C’è qui una suggestione petrarchesca (cfr. il son. Amor, Fortuna e la mia mente schioà) ma non è che un punto di partenza, intimamente e radicalmente rinnovato-. Michelangiolesca è 1 in:

1-3.

Il

poeta avverte l’inesorabile decadere

del corpo, stanca spoglia che racchiude l’ani-

ma bile

debole e malata. La lima che inesoralo rode (mordace) è il tempo, ma an-

che l’insieme delle ansie e delle impure passioni. ognor: continuamente. 3-4. or... tempo: or quando avverrà finalmente che il tempo ti sciolga da quella stanca spoglia. 4. 5.

tomi faccia ritornare. prima: congiungilo con ov’eri, del :

v. 4.



nuda

tensità

scabra

e

dell’espressione,

candida e lieta: pura, ancora, e gioiosa era l’anima accanto a Dio creatore prima di

cieco carcere terreno e dal peccato.

scendere nel corpo.

gottito e confuso.

dopo aver deposto, con corpo, involucro mortale dell’anima, periglioso, perché ne offusca con la miseria delle sue passioni, la nativa purezza. 6.

la

7.

il

ancor... pelo:

dei miei capelli,

sebbene cambi

il

corti:

colore

14. si...

e confuso:

teme:

a

essendo io

sbi-

punto l’anima mia sua sorte, paurosa di

tal

la

peccare e di dannarsi. 15. nell’ore streme: in queste estreme ore della 17.

ormai

sbigottito

teme e trema per

incanutisca.

perché sono un’ ultima, breve e fugace parentesi di vita. 8.

13.

deposto... velo:

morte,

e

anche questa patetica e drammatica meditazione della morte. L’invidia ai morti nasce dal fatto che essi sono ormai liberi dal

mia

vita.

tom’

a... piaccia:

umana si

strappami dalla mia

miseria peccaminosa e rendimi puro,

ch’io possa piacere a te.

.

Poesia minore del Cinquecento.

Non

non veder

posso or

Uno

Il

Teatro

4*7

dentr’a chi

muore

dei numerosi, sparsi frammenti della lirica michelangiolesca,

uno dei piu poeta ha visto, insieme col venir meno della luce terrena, il dischiudersi di una luce più vasta, eterna e infinita: quella di Dio. E ad essa l’anima sua anela. Nota Tintensità di quel semplice aggettivo gran, che esprime tutta la forza d’un desiderio supremo, incoerintensi,

essenziali.

Nello sguardo d’un

frammento, per Il una piena vita poetica.

di

Non Tua

Giunto è già È uno

’l

il

sua concentrazione

la

cibile.

morente

spirituale

posso or non veder dentr’ a chi

e

drammatica, vive

muore

luce eterna, senza gran desio.

cor^o della vita

mia

dei più intensi sonetti religiosi di Michelangelo, espressione conclusiva

del suo travaglio spirituale cristiano. ideale più alto,

dominatore di

Il

poeta comprende che

l’arte

stessa,

il

suo

tutta la sua vita, è insufficiente a saziare la sete d’infi-

il bisogno di Dio, ch’egli avverte sempre più profondo e travolgente nell’anima. Rinuncia quindi all’arte, per immergersi soltanto nella preghiera, in una mistica contemplazione dell’amor divino. Il sonetto, scritto forse nel 1552, nell’estrema vecchiezza, ha il tono di un nudo, solitario colloquio del poeta con se stesso, pervaso di religiosità profonda.

nito,

Giunto è già

’l

corso della vita mia,

con tempestoso mar, per al

comun

fragil barca,

porto, ov’a render

conto e ragion d’ogni opra

Onde che

l’affettuosa

l’arte

mi

si

varca,

trista e pia. ®

fantasia,

fece idolo e

monarca,

conosco or ben com’era: d’error carca, e quel ch’a

Metro:

sonetto (schema:

mal suo grado ogni

ABBA, ABBA,

CDE, CDE). 2. con... barca: Evidente è la suggestione petrarchesca (del sonetto Passa la nave mia,

colma

d'oblio),

ma

risolta

qui

in

accenti

personali e drammatici.

comun

porto: la morte, meta d’ogni conseguente giudizio di Dio. 3-4. ov’a... pia: dal quale porto si passa (si varca) a render conto, davanti al tribunale divino, d’ogni opera propria, buona e cattiva. 5-7. Onde... carca: per questo conosco ora 3. al

esistenza, c

il

uom

desia.

bene come era nell’errore

la

mia

fantasia,

piena d’affettuosi e seducenti pensieri, che tn’indusse a considerare l’arte come l’unica mia vera divinità e dominatrice assoluta

mia anima.

della 8.

e quel...

desia;

L’amore, che l’uomo

desidera anche se esso gli procurerà del male. Amore e arte, le due esperienze fondamentali e appassionate della sua vita, sono qui sentite da M,. come suprema idolatria terrena ed errore mondano, seduzione altissima dei sensi e del cuore che toglie la vista della

verità

4i8

Antologia della letteratura italiana

Gli amorosi pcnsier, già vani e

che fieno or,

D’una



so

’l

lieti,

due morti m’avvicino?

s’a

certo, e l’altra

pinger né scolpir

fia

mi

minaccia.

più che quieti

l’anima, volta a quell’amor divino, ch’aperse, a prender noi, ’n croce le braccia.

Galeazzo di Tarsia Nacque a Napoli, intorno al 1520, dalla nobile famiglia dei baroni di Belmonte, feudo della terra di Cosenza, e mori assassinato nel 1553 dopo aver partecipato con gli Spagnoli all’assedio di Siena. Scarse e contrastanti sono le notizie sulla sua biografia. La maggior parte delle sue rime amorose,

dedicate a

petrarchesca.

Vittoria Colonna, si distaccano dalla consueta tematica C’è nel suo breve canzoniere l’ impronta di una personalità

forte e appassionata, che tende a

uno

robusto e a un’originalità viva come avviene in questo moglie morta. Per questa tendenza a una espressione stile

di pensiero, ed accenti meditativi intimi e vissuti,

sonetto scritto per la diretta, cioè chisti, dei

senza schemi letterari precostituiti quali erano quelli dei petrar-

propri sentimenti, quella del Tarsia è una delle voci più intense

della nostra lirica cinquecentesca.

Per

testi

i

seguiamo: Galeazzo di Tarsia, Rime, a cura di D. Ponchiroli, Tallone,

Parigi, 1951.

Camilla, che ne’ lucidi e sereni 12.

È

moglie morta. Coltono intimo e appassionato, per la tendenza a un’idealizzazione altissima della persona amata, nella quale però palpita il ricordo deU’amore ardente d’un tempo. L’immagine di lei riappare al poeta nel luminoso incanto d’un cielo stellato, dolcissima, eppur inafferrabile. Al suo splendore etereo fa doloroso riscontro il sentimento desolato della separazione e della morte, l’amarezza del poeta che si sente ormai solo in un mondo dal quale sembra sparita per sempre il

primo di

tre sonetti, tutti assai notevoli, dedicati alla

pisce soprattutto per

il

ogni immagine di bellezza.

9.

vani c Ikti: L’amore appare gioia,

ma

10. che...

quella dell’anima, è un’oscura, tremenda minaccia.

gioia vana.

m’awicino:

quieti

che saranno per

me, ora che m’avvicino a due morti, quella

:

appaghi.

14. ch’aperse...

braccia:

È un

verso epi-

del corpo e quella eterna dell’anima, conseguenza del peccato e del mio smarrimento

graficamente intenso e profondo. Nelle braccia aperte di Cristo in croce, M. vede un’of-

dietro terrene seduzioni?

ferta

11.

morti,

D’ una... minaccia: l’una quella

del

delle

due

corpo, c sicura; l’altra.

d’

amore

e,

al

tempo

stesso,

quella

sofferenza e quella passione che l’uomo deve imitare nella sua ascesa spirituale.

Poesia minore del Cinquecento.

Teatro

Il

419

Camilla, che ne’ lucidi e sereni

campi

a

sia,

pietosa vieni,

splendor t’involvi e

SI

che a pena

il

cor di foco e gli occhi

scorgo e poi

ti

felice

in

fasci,

rilasci

d’umor

men

Era, s’ambi feriva, assai

morte, io

lasci

rassereni,

le

sommo

di

nasci,

stella

membrando,

vivo, te

mie notti me, quando che

ove piu

ma

nuova

del cielo

me mal

e

pieni. fella ^

questa nostra avvezza

etade a non serbar cosa più bella.

Ma

tu

il

Signor,

s’ella

mi sdegna

e sprezza,

prega, o santa, che ornai se di bellezza colsi fior, ch’io

ti

ti

vagheggi

stella.

Poesia burlesca

Francesco Ber ni Francesco Berni nacque a Lamporecchio, nel 1497, da famiglia nobile disagiata. Nel 1517 si recò a Roma, presso il Cardinal Bibbiena, suo

ma

parente, sperando di trovare

Fu prima

una sistemazione come segretario o cortigiano. poi, morto questi, del nipote di lui,

servizio del cardinale,

al

Angelo Dovizi, protonotario apostolico. Il suo brio, i suoi versi giocosi, cominciarono presto a creargli consensi e simpatie; ma quando fu eletto pontefice il severo Adriano VI, il poeta dovette lasciare Roma, sia, come pare, per certi suoi trascorsi

licenziosi, sia per essersi reso

prudentemeni t, del malumore dei cardinali Metro:

ABBA, ABBA,

sonetto (schema:

CDC, DDC).

di

1-2. che... nasci.

Vagheggia un’immagine

spiritualizzata

più alta bellezza della

moglie

morta,

e

e

in

sognare cerca

questo

conforto alla pena del cuore, pidi e luminosi, 3-4. e...

di

vita

a

lucidi:

lim-

campi: plaghe.

mi

rassereni:

e

pascermi

solo

lasci

del

tuo

ricordo,

quando tu più serena risplendi sulle mie notti. La trasfigurata bellezza di lei è, al tempo stesso, gioia e struggente pena, come il poeta spiega nella quartina seguente.

quando che

6. involvi:

sia:

talvolta.

avvolgi. Quel

supremo splen-

per

l’

interprete, im-

elezione di quel

dore la mostra a lui più bella e, insieme, ormai per sempre ultraterrena, irrevocabilmente lontana. È situazione poetica originale e

profonda.

8. il cor... pieni: il cuore pieno di amoroso desiderio, gli occhi pieni di pianto. 9. feriva: uccideva, fella: crudele.

lo-ii.

quasi privo

proprio

5.

italiani

felice

di

in

questa...

bella:

abbandonare questa

che lascia morire 12. s’ella:

se la

le

io

sarei

vita

stato

terrena

cose più belle.

morte.

13-14. che ornai... stella: che ormai,

come

in vita colsi il fiore della tua bellezza, possa ora contemplarti stella, cioè nella tua pura bellezza spirituale, senza più il tormento

appassionato a cui ha alluso nei versi precedenti.

,

Antologia della letteratura italiana

420

papa straniero, e rimase per alcuni anni negli Abruzzi in una sorta d’esilio. Tornato a Roma dopo l’elezione di Clemente VII, divenne segretario di Giovan Maria Giberti vescovo di Verona, col quale rimase fino al ’32, godendo di una decorosa sistemazione. Passò poi al servizio del cardinale Ippolito de' Medici, ma anziché seguirlo nei suoi viaggi, restò a Firenze, frequentando la corte di Alessandro de’ Medici, nuovo signore della città. Qui mori assassinato, vittima di loschi intrighi di corte, nel 1535. Il Berni fu poeta esclusivamente burlesco e giocoso, celebrato nel suo secolo,

ammirato

e imitato eccessivamente nei

due

successivi. Si rifece alla

tradizione giocosa, rappresentata, nei secoli precedenti, d^ Cecco Angiolieri, dal Burchiello, dal Pistoia, cioè a un genere letterario ché aveva ormai un contenuto rigidamente stilizzato, un proprio tono e un proprio stile, e la fuse con le forme e i modi della letteratura carnascialesca della Fi^eivze, Medicea. Fu, per questo, decisamente avverso al petrarchismo e soprattutto di cui parodiò la parte deteriore e astratta. Ma questo non che fosse veramente un realista. La vita di ogni giorno, con le sue banalità e le sue cure meschine, diventa per lui pretesto di mera letteratura, al

bembismo,

significa

bembismo, ma impegno morale, di ogni atteggiamento pensoso e meditativo. Il Berni vede la realtà come pretesto di parodia e di deformazione caricaturale, condotta con un tono brioso e divertito, con una lingua fami-

dissimulata priva di

ma

un

elaboratissima, opposta, nelle sue forme, al

serio

liare, viva, pittoresca,

La produzione

giuoco della primiera, le

anguille,

i

ma

senza vera profondità.

comprende numerosi capitoli in terzine (sul i debiti, una sua brutta avventura di viaggio, parecchi sonetti. Suo è anche il rifacimento del-

del Berni

la peste,

cardi, ecc.) e

r Orlando Innamorato del Boiardo, che egli pensò di migliorare, dandogli una veste linguistica toscana. Di quest’opera sono interessanti alcune ottave, nelle quali il poeta ha lasciato un suo gustoso e sorridente autoritratto. Per

il

testo,

abbiamo seguito:

Berni,

F.

Prose e poesie

a

cura

di

E.

Chiorboli,

Olschki, Firenze, 1934.

Chiome

d’argento fine,

irte

ed attorte

È

un’arguta caricatura del sonetto Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura e del petrarchismo in genere. Esprime l’insofferenza del Berni contro le astrazioni, e la monotonia di un linguaggio letterario eletto ma ormai convenzionale e risaputo, la sua polemica, insomma, contro un manierismo vuoto. Il Berni rifà qui il verso al Bembo; mantiene un ritmo ammirativo e apparentemente gentile, ma giucca sui doppi sensi, sulle immagini Grassamente materiali, anche se del

Bembo,

apparentemente « zioni del

Bembo.

serie »

e

stilizzate,

rovesciando, con un’allegra risata,

le

posi-

Poesia minore del Cinquecento.

Chiome senz’arte,

Il

Teatro

421

d’argento fine,

ed

irte

attorte

un bel viso d’oro; mirando io mi scoloro,

intorno ad

fronte crespa, u’

dove spunta

suoi strali

i

Amore

e Slorte;

occhi di perle vaghi, luci tòrte

da ogni obbietto disuguale a loro; ciglia di neve, e quelle, ond’ io m’accoro,

man

dita e

dolcemente grosse e corte;

labbra di

latte,

bocca ampia

celeste,

denti d’ebano, rari e pellegrini,

inaudita ineffabile armonia;

costumi son

alteri

d’Amor,

servi

bellezze della

le

a voi, divini

e gravi:

palese fo che queste

donna mia.

Dal capitolo a messer Jèronimo Fracastoro veronese È questo forse il più felice fra i capitoli burleschi del Berni. L’autore racconta a Gerolamo Fracastoro (1483-1533), veronese, medico famoso e celebratissimo poeta latino, una sgradevolissima avventura di viaggio. Mentre si trovava nel veronese,

il

Berni dovette subire l’importuna ospitalità di un prete, invadente, dopo lunghi e tediosi

sbruffone ed evidentemente amante della sporcizia, che, discorsi, volle portare

poeta e un amico di lui a casa sua ad ogni costo.

il

che riportiamo racconta capitolo rivela

Il

fonda

ma

il

il

momento culminante

della

gusto caricatura le del Berni, la sua ispirazione non proil suo amore per la trovata comica e bizzarra.

Metro: sonetto (schema;

ABBA, ABBA,

occhi che distolgono lo sguardo da

ogni oggetto

Chiome... d’oro: La fanciulla gentile e giovane dei petrarchisti è tramutata in una vecchia arruffata; le chiome sono d’argento fine, cioè canute, non più crespe ma irte ed

La comicità

7.

di neve:

soffro, 8.

immagini preziose possono dar r illusione di costituire un sonetto di lode. 3. crespa; non più crespi i crini, ma la

celeste:

mi

è pallore d’amore, ma spavento di fronte a quel « laido » volto, u’ sta per ubi dove. :

dove... Morte:

Non

è solo tale da rin-

le frecce d’Amore, ma anche quelle Morte, quella brutta vecchia immor-

tale. 5.

di perle vaghi:

crimosi.

luccicanti di perle, la-

mano

la

ma

10. denti...

tozza e sgraziata.

secondo

il

v.

Raro

fa

il

neri,

cioè guasti,

nel vocabolario petrare cosi pellegrini.

gran pregio»,

nobili e severi, secondo

12. alteri e gravi:

vocabolario del Bembo; ma per superbi e gravosi da sopportare. 12-13.

divini servi i

bocca

paio con

o tentennan-

il

mavano

la

8.

pellegrini:

significava,

chistico, «di

ampia

sbiancate,

e

radi, perché molti sono caduti ti.

disgusto.

primo aggettivo mostra

quel dolcemente del

tuzzare della

il

si

comica l’unione di quel

pallide

larga e sgraziata,

scoloro:

non

corte:

latte:

non

se stessi, cioè,

anch’esse canute, m’accoro:

dolcemente con 9. di

fronte; e cioè, piena di rughe,

strabici. Essi infatti

non pene amorose,

dita...

nasce soprattutto dal fatto che a una lettura distratta, le

ma

vile,

guardano altro oggetto che guardano l’un l’altro.

attorte senz’arte, cioè spettinate, disordinate, bel viso è d’oro, cioè giallo.

come potrebbe sem-

5-6. luci... loro: non,

brare,

1-2.

4.

passo

allegra e ridanciana,

CDE, DCE).

il

Il

comica avventura.

platonici

d’Amor:

cosi

il

Berni

si

amanti petrarchisti.

chia-

Antologia della letteratura italiana

422

Era discosto piu d’un grosso miglio Tabitazion contra

pazzo,

questo prete

di

qual non

il

Io credetti

valse

ci

o consiglio.

arte

qualche palazzo

trovar

murato di diamanti e di turchine, avendo udito far tanto schiamazzo quando Dio volse, vi giungemmo entrammo in una porta da soccorso, :

sepolta

nell’ortiche

Convenne e

una

su per

salir

ove aria rotto

nelle

spine.

scala,

ogni destr’orso.

trovammo

ci

che non era, Dio grazia,

in

sala,

amattonata,

fumo

di

stava

come l’uom che pensa

ond’il

Io

corso,

l’usato

certa

collo

il

quella,

Salita

e

lasciar

ivi

sotto

fine:

al

in essa

essala.

guata

e

quel ch’egli ha fatto, e quel che far conviene, poi che gli è stata data una incanata.



Noi non l’abbiam, Adamo,

questa è la casa



pazzi che noi siam

Mentre

mi

io

mi

diceva io

stati

gratto

di

certi

dottor

dir

non

15.

Ma

il

prete sbruf*

fone aveva affermato d’aver una magnifica

due

onde...

fumo

il

cosicché penetrava in

essala:

della

cucina,

posta al

piano

di sotto.

stava, ecc.

16-17.

:

altra

comica imita-

turchine: turchesi.

6.

schiamazzo:

prete aveva

consiglio:

contra...

echi della

là,

Si

Commedia

passi.

avvertono, qua dantesca,

natu-

ralmente con effetto comico parodistico. Dopo tutto, si tratta anche qui di una specie

ti

fusse

5.

3.

di

a fresco;

zione del linguaggio dantesco. 18. una incanata: un violento rabbuffo. Se ne sta, cioè, avvilito e come fuor di sé. 19. Noi... bene: Non abbiamo capito bene, Adamo. Adamo è un letterato veronese, il Fumani, compagno di sventura del B. Dice che non hanno capito bene perché il

casa, vicinissima, anzi a

e

un desco

ch’ella

essa

grosso: abbondante.

:

lana di porco:

Metro: terzine di endecasillabi. I.



capo e mi scontorco,

il

era dipinta ad olio, e

voglion

Orco

dell’

da catene!

vien veduto a traverso ad

una carpita

intesa bene:



discesa

all’

Inferno.

le

inopportune e insisten-

vanterie del prete per attrarre le vittime

dentro 8.

la

sua sudicia tana.

in una... soccorso:

quelle

che,

nei

castelli,

24.

una porta simile servono a

a

portar

soccorso agli assediati; piccola, quindi, e ta-

una

carpita:

tavola da pranzo,

ospitarli

signoril-

un tappeto

ma

steso

sulla

ruvido e irsuto, come

se fosse fatto di setole di porco.

25.

da poter rimanere facilmente nascosta. IO. l’usato corso: la normale andatura. 12. ove aria... orso: si sarebbe rotto il collo anche l’ orso piu bravo nell’ arram-

La

picarsi.

com’

le

promesso di

mente.

ma

fresco: È un giuoco non è come un quadro

era...

carpita

di parole.

affrescato,

dipinto ad olio, piena, cioè, di macchie

d’ unto.

Vecchia e sporca avrà certamente una storia; e il B.

26. voglion certi dottor: è,

.

Poesia minore del Cinquecento.

coperta

423

d’un qualche barbaresco;

già

fu mantello

fu

schiavina e

che tappeto

fin

Teatro

Il

poi poi

.

al

almanco di tre usse, anche spalliera, fin pur si ridusse... forse

— Dove abbiam noi, messer — — a dormire? — Venite meco signoria vostra — rispose sere — io vel farò sentire — dissi

la

il

Io gli vo drieto, e

’l

buon

i topi facevano una Vi sarebbe sudato un

dove

quivi e

mi

prete

tnostra

stanza ch’egli usava per granaio,

la

era

la

gennaio: semenza,

e la

ricolta,

grano e l’orzo e

’l

giostra.

di

la paglia e

pagliaio.

’l

Eravi un destro senza riverenza,

un camerotto da dove

cesso ordinario,

messer

il

faceva

credenza;

la

credenza facea nel necessario, intendetemi bene; e le scodelle la

teneva in ordinanza in su l’armario.

Stavano intorno pignatte e padelle, correggiati,

mazzi

tre

Quivi e

disse:

starete

rastrelli

e

pale,

pelle.

don

cotale,

duo da un capezzale Voi non mi ci

io a lui

piano

risposi

una

In questo letto dormirete;

tutti

Et

e

volea por quel

ci



forche

e

cipolle

di

:







còrrete

messere:

albanese





mi moio di sete. Ecco apparir di subito un bicchiere

datemi ber, eh’

io

che s’era cresimato allora allora

sudava immagina che portune c

i

tutto,

e

abbiano compiuto op-

dotti

solerti ricerche.

schiavina:

spalliera:

servi,

mantello cioè,

e tutto (è sottinteso

da

a ricoprire

ma

poltrone;

evidente) senza es-

mai lavata. Seguono altre « visioni » che mettono bene in luce la « cortesia sporca e ser

villana » del prete.

33. sentire:

era anche

vedere, dovrebbe dire,

ma

il

B. gli mette in bocca un altro verbo che preannuncia la dolorosa esperienza che il prete sta per far compiere agli ospiti. 37. di gennaio: la triste avventura ebbe luogo in agosto.

me

A

riverenza:

un

dirla

schietta,

cesso.

dove... credenza: credenza o dispensa.

42.

pellegrino,

:

40. Eravi... vi

27-28. barbaresco: turco, usse: streghe. 29.

:

non potea sedere

il

prete l’usava co-

43. necessario: cesso. Lo ripete, tanto la cosa appare mostruosamente lurida. 47. correggiati: arnesi per la battitura del

grano. - dispensa, promosso, 49. Quivi: nel cesso per l’occasione, a camera per gli ospiti. 52-53. Voi... messere: Evidentemente è un modo di dire, di cui ignoriamo però il si-

gnificato preciso. Dal contesto, si comprende che corrisponde a un reciso rifiuto. 56-57. che... sedere: vuol dire che era

Antologia della letteratura italiana

424

pareva

capo l’anno non vel trova ancora. deste voi bevanda mai molesta

in

s’

vino una minestra mora;

il

morir, chi lo mette in una cesta,

vo’

Non

ad un che avesse il morbo o le petecchie, quanto quell’era ladra e disonesta. In questo, adosso a due pancacce vecchie

un

vidi posto



e dissi: Il

le

lettuccio, anzi

Quivi appoggerò

prete grazioso,

almo

un

canile,

l’orecchie.



e gentile,

lenzuola fé tór dell’altro letto:

come fortuna va cangiando Era corto

il

stile!

misero e

canil,

stretto;

duo i famigli camiscie et un farsetto,

pure, a coprirlo, tutti

sudarno e le

tre

zanne

vi

posero e

gli artigli;

tanto tirar quei poveri lenzuoli

che pure a

mezzo

al fin

Egli eran bianchi

fecion venigli.

come duo

paiuoli;

marzocchi alla divisa; parevan cotti in broda di fagiuoli:

dipinti di

la lor

resta indicisa;

sottilità

tra loro e la descritta già carpita

cosa nessuna

Qual

non

era divisa.

è colui che a perder va la vita,

che s’intertiene e mette tempo in mezzo, e pensa e guarda pur s’altri l’aita, unto

e bisunto.

L’ immagine è pittoresca c

spassosa, forse la migliore del capitolo e ri-

vela

il

brio inventivo del B., la cui comi-

cità vive soprattutto di queste trovate.

una minestra mora: una minestra di razza negra (Cappuccio), Era un vino nerastro c pastoso, una pozione nauseante. 58.

59-60. Allude alla densità di quella sozza bevanda: non è vino, ma fondiglio di botte, quindi non può scorrere attraverso i fori di

una

cesta.

62. petecchie: pustole del vaiolo.

che

si

da

quello

trovava nel destro.

come

stile Il verso è preso dal . . . Trionfo della Morte del Petrarca. Allude al

69.

mutamento

:

di sorte dei

due

cosiddetti

let-

canile ora è provvisto di lenzuola e innalzato a dignità di letto, il letto del

tucci:

il

e spregiato.

mezzo: a metà

del letto. 76-77. Egli... divisa: I lenzuoli erano bianchi come paiuoli (nerissimi e sozzi, cioè), cosparsi

stemma

macchie multicolori che il B. marzocchi, cioè ai leoni dello

di

paragona

ai

(divisa) del

Comune

fiorentino.

79-81. la... divisa: la loro sottigliezza

può non

non

loro e la carpita

essere

precisata;

vi era

alcuna differenza. Sono dunque

fra

Ritorna di nuovo la parodia del dantesco. Si sta compiendo la discesa nella città di Dite abitata dalle cimici e dagli altri parassiti. viene condotto al 82. a perder... vita: 82-87.

dell’altro:

togliere,

nudo

71-75. famigli: servitori, a

grossi e ruvidi.

64. In questo: frattanto.

68. tór:

destro rimane

solenne

stile

supplizio. 83.

s’intertiene, ecc.:

quanto piu può.

cerca di indugiare

^

Poesia minore del Cinquecento.

425



io schifando queirorrendo lezzo:

tal

pur fu forza

mi

e cosi

O

Teatro

Il

gran

il

calice inghiottirsi,

trovai nel letto al rezzo.

Muse, o Febo, o Bacco, o Agatirsi,

correte qua, che cosa

si

crudele

senza l’aiuto vostro non può narrate voi

le

*

dirsi;

dure mie querele,

raccontate l’abisso che s’aperse

fumo

poi che

levate le candele.

Non menò

tanta gente in Grecia Serse né tanto il popol fu de’ Mirmidoni, quanta sopra di me se ne scoperse:

una turba crudel

di cimicioni,

dalla qual, poveretto, io

alternando a

Il

me

^

stesso

i

mi

schermia,

mostaccioni...

teatro

Angelo Beolco, detto Scarsissime

il

Ruzzante

abbiamo

notizie

sulla

del

vita

padovano Angelo Beolco

maggiori commediografi del nostro Cinquecento. Fu autore e attore delle sue opere, e venne chiamato Ruzzante dal nome del iuo personaggio piu celebre. Ebbe, a quanto sembra, una certa cultura let-

uno

(i502-’42),

teraria,

ma

dei

essa gli servi a ritrovare se stesso, la propria ispirazione originale

e genuina, lontano dai

modi

consueti del letteratissimo e raffinatissimo Cin-

quecento. Scrittore dotato di gusto spontaneo e nativo per

donò

la

minuziosa regolamentazione

il

abban-

teatro,

dei generi letteraria essa

classicistica

appare soltanto in alcune sue opere di minor valore, non nelle sue combelle, la Moschetta e la Fiorina e neppure nelle sue creazioni

medie piu

86.

il

gran calice: Tamaro

scesa sotto 87.

al

i

rezzo: forse «

vale propriamente 88.

O

calice è la di-

sudici Icnzuoli.

:

al

buio »

{al

rezzo

Invoca

le

Muse,

Apollo e Bacco come ispiratori del suo canto, e vi aggiunge gli Agatirsi, antica popolazione sarmadca che usava tatuarsi. Il tatuaggio gli sarà praticato, come dice nel resto del capitolo,

91. querele: 92. r abisso 94. Serse:

« al fresco »).

Mose... Agatirsi:

dell’ampio periodo.

lennità

dai vari parassiti.

I

vv.

88-93 hanno notevole efficacia comica, per quel loro richiamarsi alle invocazioni alla Musa proprie dei poemi epici e per la so-

lamenti. :

il

baratro doloroso.

re dei Persiani, invase con

uno

Grecia, nel 480 a. C. le genti sulle quali regna95. Mirmidoni va Achille. Il paragone è molto calzante,

smisurato esercito

la

:

perché,

secondo

la

mitologia,

dalle formiche, insetti,

erano

come sono

cimici che assaltano crudelmente

il

nati

insetti le

poeta.

mostaccioni: Dandomi gran colpi su tutta la persona ora con una mano ora con l’altra, mostaccioni: schiaffi. 99.

alternando...

Antologia della letteratura italiana

^^26

più originali,

i

Dialoghi^ composizioni drammatiche scritte in pavano, cioè

i quali sono i suoi capolavori, il Bilora e il Reduce {Parlamento de Ruzante che jera vegnù da campo). La scelta del dialetto rispondeva pienamente all’ispirazione del Ruzzante, intesa a rappresentare la figura del contadino, il suo mondo immediato,

padovano

in

istintivo,

la

rustico, fra

sua miseria squallida che lo riduce a una vita fatta di espe-

rienze psicologiche e di passioni elementari.

appare veramente modulata sulla segue

pause,

le

che è

siero, e

gli la

sbandamenti,

segreta

sintassi

i

mimica

La prosa dialettale dei Dialoghi un discorso intcriore, « che

di

grovigli di cervelli cauti

o

lenti al pen-

dei personaggi stessi, gente grossa c im-

o diffidente astuta e guardinga » (Grabher). Pur mettendo a nudo la miseria delle classi contadine, il Ruzzante non ha intenti di critica sociale, e neppure un sentimento doloroso della realtà. pacciata,

È

il

suo istinto d’artista che lo porta a evadere dalla letteratura accademica, un contatto più fresco e immediato, ma non problematico, con la La sua poetica accetta il canone rinascimentale dell’arte come imita-

a cercare vita.

zione della natura; però egli ricerca questa natura, a differenza di molti scrittori del

stocratica

contadini.

Cinquecento, non in una raffigurazione individualistica e

dell’uomo, Il

ma

suo realismo

diane, gli oscuri

drammi

nella si

limita a lasciar parlare

le

cose umili e quoti-

non più

degli umili, che appaiono, nei Dialoghi,

soltanto materia di caricatura e di riso per la loro grossolanità

genere, nella

commedia cinquecentesca

ari-

elementare e incoercibile dei suoi

vitalità

— ma



come, in

nella realtà grottesca e spesso

dolorosa della loro esistenza. Riportiamo il testo e la traduzione dal volume cura di G. A. Cibotto, Milano, Longanesi, 1958.

Dal

«

Parlamento de Ruzante che

jera

delle

Commedie

del

Ruzzante a

vegnù da campo »

Questo dialogo {Discorso di Ruzzante che era ritornato dalla guerra) racconta storia tristemente attuale nell’Italia sconvolta dalla guerra nel primo Cinquecento, c non solo in quell’età: quella del contadino, che la miseria ha spinto

una

a diventare soldato, a combattere e che lo interessa soltanto

una guerra di cui ignora

come un mezzo

le

cause e le ragioni, grama e

per evadere dalla sua vita

povero di prima, atterrito dagli spaventi passati, e sua donna, vivere in pace con lei. Ma ella, vedendo che non ha fatto fortuna, gli rinfaccia la sua miseria, rifiuta di ricongiungersi a lui, e lo fa bastonare da un suo innamorato, che non è amato da lei più di Ruzzante, ma è, a differenza di lui, in grado di nutrirla. Come nel Bilora, la miseria e far fortuna. Ritorna ora, più

vorrebbe ritrovare

la

fame dominano

e dura,

che non

si

la

le

reazioni psicologiche dei personaggi:

sono una realtà nuda

discute.

C’è, nel dialogo, l’elemento farsesco: le comiche smargiassate di Ruzzante, che presenta all’amico come una sorta d’eroismo la sua solenne vigliaccheria nella guerra, e più tardi, dopo la bastonatura subita pavidamente, il suo sognare, appena il rivale s’è allontanato, impossibili rivincite. Ma è lontano dall’autore ogni

Poesia minore del Cincjuecento

intento di facile comicità.

La

.

Il

Teatro

questo

di

storia

427

schernito e di miseria, è piena di umanità tristemente grottesca.

fallilo,

amara

di

fatta

e dolente,

amore

paura, di

comica

insieme,

e,

Dalla Scena prima: Ruzzante e Menato.



Menato. Ruzante.

nenguna scalmaruza, caro compare^ an.? Poh, mo CUSSI no ghe fossio sto. No perché gh’abi habu paura, ne male, intendivu compare Mo perché i nuostri se laghé rompere; quigi che giera denanzo, ché mi giera de drio de cao de squara, de caporale; e igi muzé, e sconvigni muzare an mi da valent’omo. Un solo c^tra tanti, intendivu com a dighe, compare, chi ghe durerae.»^ A coursi d’un bel cèrere, e si, haea quela mia bela storta che a sai,

Menato.

Mo

Ruzante.

Oh

Sìu

e

SI

no

a la

^

in

sto

trié vie,

che

la scoerae per tri tron.^

perché, cancaro, la trièssivu via?

compare, esser

se foessé sto

menciuni, ve

on son

sé dire.

stato io mi;

A

trié

el

besogna

via la storta perché

no puossi pi muzare, a me smissié con igi; e no ha de quell’arme, azò che i no me cognosesse, a la trié via mi. E perché no se tira a dar cussi a uno che no ha arme... intendivu com a dighe, compare Gli uomini senza arme fa pecò e piaté, intendivu?

quando

perché

a

igi

.f-

A intendo per ^erto, ma de la erose, com fiéssivu? Mo compare, la mia erose giera, da un lò rossa, e da

Menato. Ruzante.

^

l’al-

Babao, no besogna esser menciuni, ve sé dire, a son fato scaltrio. Da quela volta indrio, co i nostri giera a le man, a stasea, ve sé tro bianca;

e

mi de

fato a la voltié.

dire in su l’ale, cussi... intendivu?

Menato. Ruzante.

Mo,

s’a

intendo, a pensavi da che lò muzare. tanto, com a fasea per salvarme,

no per muzare tendivu? Perché un

Si:

com a sai. Quando a

Menato.

no pò

solo

caro compare, disivu

«

:

Oh,

posta, pian? Disi pur caro

Oh

Ruzante.

I.

compare,

Menato vuol sapere

se

a

poi

l’amico s’è mai

la

sua partecipazione, fatta

spavento,

alla

battaglia

di

della

fòssio a cà ?

»

compare: agnò

dire

se a foessé stò

trovato in qualche battaglia. Ruzzante rie-

voca allora fuga e di

gnentc contra

qualche scalmaruza, disime a

gieri in

tendivu compare?

far

com

on son

la

in-

tanti,

reale,

Cussi a vuostra

muò

co mi;

m-

a voli. stato io mi, haesse fato

Ghiaradadda. tron: troni, moneta veneta. La croce era il segno impresso divisa dell’esercito veneziano. 2.

3.

sulla

428

Antologia della letteratura italiana

an

de quatro de g’invò. Cre cnu che supia a essere in

pi

quel paese? che no

cognossi negun, te no sé onde anare,

te

amaza, amaza, daghe!

e te vi tanta zente che dise «

»

Tre-

qualche to compagno muorto amazò, e quel’altro amazarte ape. E con te vuò muzare, ferze,

sciopiti,

lari,

te vé in

e

vi

te

uno che muza darghe un

gi anemisi, e

ti

A

ve dighe che

sciopeto

mete muzare. Quante fié criu che a m’ he fato da muorto, e si me he lago passare per adosso i cavagi? A no me sarae in la schina.

moesto, ch’i ve dighe dere

le

Mo Lè a

metu

haesse

verité mi, e

si

el

me

in gran cuore chi se

monte Venda

Gnua

A

e detti.

compare, che

vila

A

eia per ^erto.

ven.

la

La

veeri se la

è eia, a la fé.

me

farà careze. Olà, olà,

dighe mi... Oh, compagnessa...

chi

adosso.

pare che chi se sa defen-

so vita, quelli sea valcnt’omo.

la

Dalla Scena seconda:

Menato. Ruzante.

me

l’è

Tu no me

vi?

A

son pur vegnu.

Gnua.

Gnua.

Ruzante? situ ti? ti è vivo ampò? Ti è sbrendoloso, ti he SI mala giera. Te n’he guagnò gniente, n’è vero? Mo n’hegi guagnò cssé per ti sa t’he portò il corbame vivo? Poh, corbame, te m’he ben passu. A vorae che te i m’haissi

Ruzante.

Mo

Ruzante.

pigio qualche gonela per mi. n’è miegio ch’a supia tornò san de tutti

com Gnua.

A

i

miè Umbri

a son?

vorae che te

me

qualche consa.

haissi pigiò

Mo

a vuogio

anare, ch’a son spità.

Ruzante.

Gnua.

Mo Mo

aspita

Lagame Ruzante.

Oh

un può.

che vuotu che faghe chi,

cancaro a quanto amore

sto anare a

Gnua.

Mo te

Ruzante.

te

el

fa

t’he zà fato

ben com a

Gnua.

n’he gnente de far de mi?

mé. Te te vuò vegnu de campo per

te portié

a son

si

si

pre-

véerte.

A

no vorae, a dirte el vero, che deruinessi: ch’a he uno che me fa del bon ben mi. cata miga agno di de ste venture.

se

Poh,

no

imbusare, e

no m’hetu vezua?

me

No

s’te

anare.

te

de bel ben.



Mo

Gnua.

Che me

SI,

che a no fa

a

te

l’è

te sé.

pur fato an El no

te

mi...

A

vuol zà tanto

vuogio mi.

Ruzante, setu chi

Ruzante.

A

com

male,

me

vuòl ben, chi m’el mostra.

te l’he

mi che

te

mostrò?

me

l’habi

mostrò, e che

te

no

Poesia minore del Cinquecento.

m’el

Il

Teatro

429

mostrare adesso,

puossi

No

che adesso a he anche de

magna? S’el me bastasse un pasto a l’ano, te porissi dire; mo al besogna ch’a magne agno di, e perzò besognerae che te me’l poissi mobesogno.

strare

Ruzante.

Poh,

Mo

anche adesso, che adesso a he de besogno. dé pur fare deferinzia da omo a omo. Mi, com a son omo da ben e omo compio...

al

gh’è an deferinzia da star ben a star male. Aldi,

Ruzante: che

me

ch’a te ch’a te

Gnua.

che

cognoscesse

s’a

A

mi?

fa a

te

me

mantegnire,

poissi

vorrae ben mi, intiénditu?

te

Mo

com

pover’omo, a no te puosso veere. No, vuogia male, mo a vuogio male a la to sagura, vorae veere rico mi, azò che a stassàm ben mi e ti.

a penso che

Ruzante.

di se

el se

te sé,

Gnua

agno

seta che

ti

è

Mo se a son pover’omo, a son almanco leale. Mo che mf fa mi sta to lealté, s’te no me la può

mostrare?

che vuotu darme? qualche piogio an?

Ruzante.

Mo

te sè

pure che

Vuòtu che vaghe gieristu

Gnua.

come

se haesse a te darae,

robare e farme

a

te

he za dò.

me

apicare?

conse-

mo?

Mo vuòtu ch’a viva de àgiere? e che a staghe a to speranza? e che a muora de fame? Te n’iè tropo bon compagno, a la fé, Ruzante.

Dalla Scena prima: Ruzzante e Menato.

Menato.

Siete

Ruzzante.

compare ? Oh non ci

mai entrato

forse

fossi

mai

in

stato.

tendetemi, compare,

ma

tere in rotta, e quelli

qualche combattimento,

Non

per la paura o

perché

i

nostri

si

che stavano davanti

il

caro

male, in

lasciarono met(io ero indietro

come caposquadra, caporale) fuggirono, sicché dovetti scappare anch’ io, nonostante il mio coraggio. Uno solo contro che dico, compare, come potrebbe regambe levate, e buttai via quella belconoscete. Ora la ricomprerei per tre troni.

tanti, intendete quello

sistere? Perciò corsi a la

Menato. Ruzzante.

spada che voi

Ma Oh

perché canchero la buttaste via? compare, se foste capitato dove sono finito io! Bisogna non essere minchioni, ve l’assicuro. Gettai via la spada perché vedendo di non poter più scappare, mi mescolai fra i nemici. Siccome non portano armi di quel tipo, per non

farmi riconoscere è disarmato,

mi

la

buttai

capite,

fanno solamente pena e

via.

Non

si

può

colpire

chi

compare? Gli uomini senza armi pietà,

capite?

Antologia della letteratura italiana

430

Menato. Ruzzante.

Comprendo

Oh

Ma

bene.

compare, siccome

della la

croce che ne avete fatto?

mia croce era

e bianca dall’altra, l’ho subito girata.

essere

Da

minchioni,

non

figuratevi se

Meìiato.

Ruzzante.

Perbacco,

Ruzzante.

ed

quando

sono diventato furbo. venivano alle mani,

io

nostri

i

mi

tagliavo la corda. Cosi...

capite...

Pensavate

da quale parte fuggire. Sicuro: ma non tanto per fuggire, quanto per mettermi in salvo, capite? Perché uno solo non può fare nulla contro

Menato.

ripeto,

vi

quella volta in poi,

rossa da una parte Babao, non bisogna

Ma

intendo.

se

come

tanti,

quando

sapete bene.

eravate

qualche

in

compare, non esclamavate mai

mia

»,

cosi,

via,

che in ogni

sottovoce?

voi

di

tra

modo con me

ditemi

scaramuccia,

verità,

:

«

Oh

fossi

Confessatelo,

la

casa

a

compare,

potete parlare liberamente.

Oh

compare, se foste stato dove sono stato io, avreste fatto che i voti... Cosa credete che sia il trovarsi in un luogo dove non conosci nessuno, non sai dove andare, e senti dappertutto la massa che urla « ammazza, ammazza, dagli addosso » ? E artiglierie, schioppi, frecce, mentre da una parte vedi un tuo compagno ucciso, e dall’altra uno altro

lo

ai piedi. E poi quando vuoi fuggire, cadi in nemici che sparano nella schiena ai fuggitivi. Te dico io, ci vuole un gran coraggio a decidersi a fuggire.

E

quante volte credete che non abbia finto di essere morto,

cadérti

morto

mezzo

ai

lasciandomi passare sul corpo persino

nemmeno

spostato

Venda. Vi dico

gamba

Cnua

proprio

parlo con

Gnua.

la verità

Ora

a

me

lei.

te...

Oh

sta

venendo.

pare che

sia

il

sarei

monte

un uomo

in

per

te

È

lei,

per davvero.

non mi abbraccerà. Olà, olà, compagnona, non mi vedi, non mi vedi?

Sono tornato finalmente. Ruzzante? Sei tu? Ma sei vivo

Ma

Non mi

cavalli?

vedrete se

ciato e di brutta cera.

Ruzzante.

:

i

messo sopra

avessero

e detti.

Guarda, compare,

È

mi

chi sa difendere la sua vita.

Dalla Scena seconda:

Menato. Ruzzante.

se

Non

allora?

Ma

come

sei

strac-

hai guadagnato niente, vero?

non ho guadagnato abbastanza

riportandoti

a

casa la pellaccia?

Mi

hai ben ingrassata. Vorrei che tu

Gnua.

Perdiana,

Ruzzante.

avessi portato qualche vestito. Ma non è forse meglio che io

membra

la

pelle...

a posto?

sia

tornato con tutte

le

mie

Poesia minore del Cinquecento.

Gnua.

mi

'Vorrei che tu

Teatro

Il

43

Ma

ora voglio

nulla

da darmi.

portato qualcosa.

avessi

andare, perché sono attesa.

Ruzzante.

Aspetta almeno

Gnua.

Ma

un momento. rimanga

cosa vuoi che

non hai

se

Lasciami andare.

Ruzzante.

Oh

canchero a tutto l’amore che

subito ad imbucarti, e

campo proprio

dal

Gnua.

Non mi

ho

ti

non pensi

portato.

affatto che

per vederti.

hai ancora

Non

vista.?

vorrei, a dirti

Non

fa del bene.

il

vero, che

ho trovato uno che

venissi a rovinarmi, giusto adesso che

mi

Vuoi andare

sono ritornato

s’incontrano tutti

i

giorni fortune del

genere...

Ruzzante.

Oh,

un gr^n

fa

ti

Te Tho

bene...

credere che

Gnua.

Ruzzante,

Ruzzante.

Ma

Gnua.

ti

ami come

sai chi

come, e non

Che

interessa a

pur fatto

come

credo d’averti mai fatto del male,

ho amata

ti

sai.

me

Non

io.

mi vuole bene? Chi me te l’ho

anch’io...

Anzi non posso

lo

dimostra.

dimostrato?

che tu l’abbia mostrato e non possa più

mostrarmelo adesso? Anche adesso ne ho bisogno. Non sai che bisogna mangiare ogni giorno? Se bastasse un pasto all’anno, potresti parlare, ma invece devo mettere qualcosa sotto

denti tutti

i

i

giorni. Perciò

tuo affetto dovresti

il

di-

mostrarmelo adesso, perché proprio in questo momento mi è necessario.

ma

Ruzzante. Perdiana,

come Gnua.

Ma

sai

c’è

si

deve fare differenza da uom.o a uomo. uomo dabbene e compito.

pure una bella differenza fra

male. Ascoltami, Ruzzante tenere, che

ti

lo star

se vedessi

:

m’importerebbe? Ti vorrei

quando vedo che che

Io,

bene, sono

voglia male

sei

ma

povero, non

odio

la

ti

bene e

lo star

che tu mi puoi manbene, mi capisci. Ma

posso sopportare.

Non

tua miseria, la tua condizione

disgraziata. Desidererei vederti ricco, in

modo da

vivere bene

entrambi.

Ruzzante.

Gnua.

Ma

se

E

che

sono povero, sono almeno

me

ne faccio della tua

leale.

lealtà, se

non puoi dimostrar-

mela? Che cosa vuoi darmi, qualche pidocchio forse? Ruzzante. Ma sai bene che se possedessi ti darei come in passato. Vuoi forse che vada a rubare per farmi impiccare? Mi consiglieresti in

Gnua.

E E

questo

modo?

tu vuoi che io viva d’aria?

che intanto muoia di gno generoso. Ruzzante.

E

che

stia

a sperare su di ter

fame? Davvero non

sei

un compa-

declino del Rinascimento:

Il

l’

età della

Controriforma

Caratteri generali

Rinascimento e Controriforma. La grande fioritura letteraria rinascimentale si svolge soprattutto nei primi decenni del Cinquecento c si può considerare sostanzialmente conclusa ai primordi del pontificato di Paolo IV (1555). Gli ultimi decenni del secolo sono caratterizzati da un processa di esaurimento delle forme rinascimentali, da una lenta trasformazione che conduce alle soglie della nuova civiltà barocca del secolo XVII. Questi decenni sono dominati dalla Controriforma cattolica, che^ informa di sé le attività pratiche e anche la cultura. Rappresentò essa innanzitutto r esigenza di un rinnovamento della Chiesa nello spirito e nella struttura, onde farla sopravvivere al poderoso assalto della Riforma protestante. Ma dopo il concilio di Trento, che portò a una sistemazione del suo contenuto dogmatico e della disciplina della sua gerarchia, la Chiesa passò al contrattacco, sia rivolgendosi con ardore missionario alla conquista spirituale dei territori extraeuropei, sia tolica

un rinnovato ardore morale

cercando di ridestare

nell’

Eùropa

cat-

e religioso.

Quest’opera di difesa e restaurazione ebbe carattere essenzialmente conservatore, di

fu soprattutto l’imposizione di una pratica disciplina di vita e

costume. Timorosa del pericolo sempre incombente della Riforma,

la

Chiesa cercò di frenare ogni manifestazione di libero pensiero, o per lo

meno

di ricondurlo entro

i

temiini di un’ortodossia rigorosa, ricorrendo

al

tribunale dell’ Inquisizione e all’aiuto del braccio secolare, cioè del potere politico,

come

testanti.

Un

del resto avveniva, in questo tempo, anche nei paesi prodoppio autoritarismo, religioso e politico, gravò per molti decenni sull’ Europa, segnando il temporaneo declino dello spirito di tolleranza, di libera e spregiudicata ricerca che era stata la manifestazione piu significativa della civiltà rinascimentale.

In del

uomini di cultura

Italia gli

nuovo clima

per convenienza,

si

piegarono, generalmente, alle esigenze

di austerità controriformistica,

ma non

molto spesso per calcolo e

soltanto per questo. Infatti in un’ Italia umiliata

e preda del predominio spagnuolo, la Chiesa rappresentava in qualche

una ragione d’orgoglio ciliarsi

con

la

cultura

visione religiosa,

modo

e dignità nazionale, e d’altra parte, essa cercò di con-

umanistica,

come aveva

sia

pure inquadrandola in una solida

cercato di fare anche nel passato.

Rinascimento: Veta della Controriforma

de^clino del



In realtà,

rinascimentale italiana aveva ormai perduto ogni si stava adagiando in uno stanco ideale di

civiltà

la

433

virtù creatrice ed espansiva e

decoro formale, in una concezione della vita volta soprattutto

Ogni

piacere e dell’utile individuale.

alla ricerca del

autentico interesse ed entusiasmo

mo-

erano ormai tramontati, insieme col crollo della libertà italiana e delle idealità ad essa legate. Anche l’arte si distaccava sempre più dalla sorgente viva della coscienza, raggelandosi in un classicismo formale, fondato su una minuta e pedante precettistica. Era l’estrema parabola discendente del sogno di una vita perfetta e di un’arte perfetta, che avevano cercato di realizzarsi nell’aristocratico ambiente della corte, staccandosi, però, nel contempo, da ogni serio impegno con la realtà. La letteratura era ormai legata all’accademia, cioè a una ristretta minoranza intellettuale, che non era riuscita né lo aveva voluto a diffondere gli ideali rinascimentali fra il popolo, a far si che essi trovassero una concreta attuazione nella sostanza della vita collettiva. Si veniva cosi a sancire il trionfo della forma sul contenuto, rale





dell’eleganza raffinata sull’intima verità.

Su

di

anche

società

ormai scettica e stanca, la Chiesa potè esercitare quanto si sforzava di restaurare un senso di mo-

di religioso entusiasmo,

ralità e

Vero

di responsabilità nei confronti della vita.

però, che questo risveglio religioso

è,

attuò solo parzialmente,

si

e,

impedivano realizzasse un intimo rinnovamento, magari attraverso una crisi pro-

d’altra

che

una

influssi positivi, in

parte,

si

limitazioni

le

imposte

alla

libertà

di

pensiero

fonda e sconvolgente della coscienza. Anche qui l’azione della Controriforma fu troppo limitata a esigenze immediatamente pratico-organizzative. Peraltro,

la

rinnovata religiosità riportava nelle coscienze

peccato, del limite

umano, tanto più

sentito in

concreto di una disfatta e della conseguente

incrinavano gravemente

litica,

di insicurezza, di fragilità

soggetto

la fiducia

domina

la

un momento

si

il

senso

economica, po-

Un

rinascimentale nella vita.

nuova visione dell’uomo, che

flusso alterno e cieco della fortuna.

al

già apparso nel Guicciardini,

spirituale,

crisi

senso del

il

in cui

È un motivo

senso

è sentito

questo che,

approfondisce drammaticamente nel Tasso,

per trapassare nella civiltà barocca del Seicento.

La

letteratura

è caratterizzata in

dell’età

della

Controriforma. La letteratura di quest’età raffinata elaborazione for-

primo luogo da un’estrema e

male, che spesso diventa fine a se giustificare

stessa.

A

ciò s’aggiunge la tendenza a

propria opera mediante trattati di

arte

poetica,

nei

quali,

cerca di dimostrare la piena regolarità dell’opera stessa, secondo precetti arbitrariamente desunti dalla Poetica di Aristotele, si esprime an-

mentre i

la

si

che un senso di fastidio verso al dilettoso,

le

un bisogno, per quanto

regole,

l’irrequieta

nuovo, elemento proposito moraleg-

tendenza

al

esteriore, di originalità. Altro

(anch’esso intimamente contraddittorio) è il giante, in ossequio alla Controriforma, unito alla preoccupazione del parlare

essenziale

norme morali. Si tratta però quasi sempre di prevale, in realtà, un’ispirazione sensuale e lasciva, religioso, che esprime una civiltà decadente, frutto di

ortodosso e del rispetto delle

un ossequio sotto

il

esteriore:

conformismo

spiriti oziosi

e stanchi, generalmente inclini all’ipocrisia e al

compromesso.

Antologia della letteratura italiana

434

Autore rappresentativo dell’epoca

è

il

al

comporre de

poema scrisse

Giambattista

ferrarese

Cinzio, teorico di poetica e scrittore. Celebri furono

Giraldi

suo Discorso intorno

il

romanzi (1554) dove cercava

classico e

di conciliare le regole del tradizione cavalleresca (e in appoggio alla sua teoria

la

un poema, VErcole\

e

il

Discorso sulle Comedie e sulle Tragedie

(1543), dove sostenne che la tragedia deve ottenere sugli spettatori. Ispirate a questi principi, a un

un

effetto tragico intenso

gusto dell’orrido e dell’atroce sono le sue tragedie, fra le quali ricordiamo 1 Orbecche (1541), che ebbero peraltro notevole influenza sul teatro europeo. Il Giraldi fu anche scrittore di novelle, che raccolse negli Ecatommiti (1565) e che propendono, sull’esempio del Randello, a una narrazione ricca di elementi drammatici ’

e romanzeschi.

Meno estesa ma artisticamente piu viva è l’opera del Guarini, di cui parliamo a parte, che esprime la vena idillico-sensuale allora dominante. In Torquato Tasso il dissidio culturale e letterario di quest’età assumerà un più profondo e drammatico carattere interiore, e assurgerà a una nuova, altissima e personale poesia.

un

A

parte considereremo Giordano Bruno,

filosofo e poeta nel quale la crisi del pensiero rinascimentale

nell’esigenza di

una nuova sistemazione

filosofica e

umana,

a ogni conformismo, nello slancio eroico dell’animo verso

quale seppe sacrificare

La

trattatistica

in

si

risolse

una

rivolta

una

verità alla

la vita.

politica.

Continuò per tutto

il

secolo l’appassionata di-

sputa sulla nuova scienza scoperta dal Machiavelli, assolutismo rivelava l’esattezza e

la

la politica.

Il

trionfante

validità delle spietate diagnosi machia-

come potenza autonoma e accentratrice; ma d’altra parte Controriforma faceva sentire in tutta la sua gravità e urgenza il problema del necessario rapporto fra politica e morale. I politici dell’ultimo velliane sullo stato

la

Cinquecento e del Seicento ricercarono la possibilità di una conciliazione, partendo però da un’analisi spregiudicata dell’assolutismo. Non potendo rifarsi alle pagine del Machiavelli, esecrato e scomunicato, ricorsero all’espediente del tachismo ripeterono, cioè, le più ardite e spregiudicate analisi del fiorentino, affermando di desumerle dal testo di un grande storico latino. Tacito. Tacitismo ed esigenze controriformistiche ispirano le pagine dei migliori storici del tempo; ricordiamo fra essi i fiorentini Benedetto Varchi (1503-65) e Bernardo Segni (1504-58) e il veneziano Paolo Paruta (1540-98). Il più importante teorico della politica fu il piemontese Giovanni Boterò :

(1544-1617).

La sua opera più

celebre,

nella

quale è notevole

di conciliazione fra la sfera politica e quella etico-religiosa, fu

di stato (1589). In essa è implicito

il

il

il

tentativo

Della Ragion

concetto che lo stato, per

la

sua alta

funzione, ha una sua superiore « ragione », una legge e diritti superiori a quelli della moralità individuale. Su questa via, i teorici del tardo Cinquecento e del primo Seicento oscillarono fra una sofferta esigenza morale e

una spregiudicata

giustificazione dell’assolutismo.

Il

declino del Rinascimento: Vetà della Controriforma

435

Battista Guarini Battista Guarini nacque a Ferrara nel 1538, fu professore d’eloquenza Padova e poi cortigiano al servizio^ di Alfonso II d’ Este, del granduca di Toscana e di Francesco Maria della Rovere; morì a Venezia nel 1612. Fu apprezzato scrittore e letterato colto e raffinatissimo, compose trattati politici e letterari, una commedia, numerose rime. Il suo capolavoro è il Pastor fidoy un dramma pastorale pubblicato nel 1590 dopo un decennio

a

di intenso lavoro. Il

dramma

un genere

pastorale è

anche

se riprende

colica

e,

letterario tipicamente cinquecentesco,

forme e motivi dalla tradizione secolare della poesia bupiu direttamente, dall’ Orfeo del Poliziano. Esprime un mondo

di elegante e aggraziata fantasia, caro agli ambienti aristocratici della corte:

una vita semplice e serena e dominata dal-come sentimento elementare, tenero e struggente.

quello dei pastori, immersi in l’amore,

rappresentato

È un mondo comunque,

Ma

licati.

di

che ignora

in si

A

di

favola,

travagli veri della vita, o

i

vagheggiamento

nel

non

di società,

li

dissolve,

sentimenti de-

di un’effettiva nostalgia spirituale.

differenza dcìV Aminta del Tasso, nel quale sentiremo palpitare l’auten-

commozione

del poeta,

il

Pastor fido è del tutto immerso in questa

raffinata atmosfera cortigiana, e la riflette

in

di

troppo agghindati e compiaciuti,

tratta di favole e sentimenti

un divertimento

tica

contrasti e

i

un alone

una costante

anche nell’elaboratissima

struttura,

ricerca di eleganza e di grazia decorativa, nella sua stessa

complicata trama, che si distende in un prologo e in cinque atti. Mirtillo, il pastor fìdoj ama, riamato, Amarilli, che, però, è destinata come sposa al figlio del sacerdote

r amore.

Montano,

È un matrimonio

Silvio, dedito alla caccia e spregiatore del-

richiesto dalla « ragion di stato »

l’unione di due giovani di stirpe divina placare

l’ira

concepita da Diana contro

il

(tali

loro popolo.

cinica e sensuale, innamorata di Silvio, ordisce in

modo

le

infatti soltanto

Ma

Corisca,

un inganno contro

che essa viene accusata falsamente d’ infedeltà

condannata, secondo

:

sono Amarilli e Silvio) potrà

al

una ninfa Amarilli,

promesso sposo e

dure leggi d’ Arcadia, a morte. Mirtillo si offre allora quando giunge Carino,

di morire in sua vece, e sta per essere sacrificato

momento suo padre, e rivela che egli è figlio, in realtà, quindi, di stirpe divina. Mirtillo e Amarilli possono cosi

creduto fino a quel di

Montano,

sposarsi.

e,

Corisca

si

pente,

e,

perché nulla manchi

Silvio cede finalmente alla dolcezza d’

alla

festa

finale,

anche

amore e sposa Dorinda.

Il Pastor fido, nelle intenzioni e nella struttura esprime chiaramente preoccupazioni letterarie del tardo Rinascimento e gli scrupoli morali dell’ età della Controriforma. Da un lato è infatti evidente l’ intendimento

le

dell’ la

autore di fare opera letterariamente perfetta, mescolando la gravità e

serietà della

tragedia alla piacevolezza,

all’

allegria e al lieto fine della

commedia. Egli anzi scrisse il ponderoso Compendio della poesia tragicomica (1601) per difendere in ogni parte la sua opera e dimostrarne la perfetta regolarità secondo le poetiche. Nello stesso tempo si sforzò, anche se non molto felicemente, di dare alla vicenda un significato moraleggiante.

^

Antologia della letteratura italiana

^36 esaltando,

sì,

1’

amore,

ma

quello che

conclude nel matrimonio legittimo.

si

un coro òcWAmintay aveva

Tasso, in

Il

cantato

dell’oro

l’età

come

un’età

dominata dall’immediato c pieno soddisfacimento della gioia dei sensi, non turbato dai divieti della morale; il Guarini gli contrappone polemicamente un altro coro, in cui afferma come ideale un’ armonica e spontanea concordia di moralità c piacere sensibile.

In realtà

modo

assai

il

moralismo del Guarini

maldestro

la

volta a vagheggiare

un beato c

dai

coscienza,

contrasti

della

è del tutto convenzionale e vela in

sua vera ispirazione, che è sensuale e voluttuosa,

mondo

raffinato

da ogni

di sogno, del tutto lontano

impegno

serio

confronti della

nei

realtà. Il

Pastor fido preannuncia temi e forme della nostra poesia secentesca, la sensualità diffusa che lo pervade, sia per l’estrema raffinatezza

per

sia

e

critica

colori e

dello

artificiosità la

pompa

stile,

sia

immagini,

delle

molte sue parti, nelle quali

la

per

compiaciuta magnificenza dei

la

per

sia

gusto cantabile e canoro di

il

parola tende a risolversi in una carezzevole

e studiatissima sonorità.

Per

UTET,

il

testo,

Dimmi: Il

abbiamo seguito:

B.

Guarini,

Opere

cura

a

di

L.

Passò,

Torino,

1950.

se ’n questa

si

ridente e vaga

vecchio servo Lineo cerca di persuadere Silvio, cacciatore giovinetto che ad abbandonarsi anch’ egli alla dolcezza soave di questo l’ amore,

dispregia

sentimento. effusione

Il

discorso del servo comincia lento e grave,

lirica,

gente. Essa

si

ma

.

diviene ben presto

carica di sentimentale languore, di una sensualità tenera e strugdiffonde su tutta la natura, che appare intimamente pervasa da

un’ansia intensa di voluttà, da una suggestione erotica, appena velata dal poeta

con una grazia il

Puoi vedere nel passo anche

artificiosa.

valore logico e affettivo della parola in

una

fluidità

la tendenza a dissolvere canora che accarezzi gra-

devolmente l’orecchio.

Dimmi:

se *n questa si ridente e

stagion che ’nfìora e rinnovella

il

vaga

mondo,

vedessi, in vece di fiorite piagge,

1

di verdi prati e di vestite selve, starsi

il

pino e l’abete e

’l

faggio e Torno

senza l’usata lor frondosa chioma, senz’erbe

non

2.

i

prati e senza fiori

diresti tu, Silvio:

stagioni è la primavera, la cui evocar

zione, in questi primi versi, è forse la parte

—^

Il

i

poggi,

mondo

langue,

migliore del soliloquio di Lineo. Poi, idillico sfuma in uno sfatto languore.

il

tono

Il

declino del Rinascimento: l’età della Controriforma

la



meno

natura vien

437

Or, queU’orrore

?

e quella maraviglia che dovresti di novità

mostruosa avere,

SI

abbila di te stesso.

Il

del n’ha dato

anni conforme, ed a

vita agli

somiglianti costumi: e in canuti pensier

disconvene,

si

d’Amor nemica

gioventù

COSI la

l’etate

come amore

contrasta aL cielo e la natura offende.

Mira d’intorno, Silvio! quanto il mondo ha di vago opra è d’Amore. Amante è il la terra, amante il mare.

e di gentile, cielo,

amante

Quella" che là su miri innanzi a l’alba COSI leggiadra stella,

arde d’amore anch’ella e del suo

figlio

sente le fiamme, ed essa, che ’nnamora,

innamorata splende.

E

questa è forse l’ora

che

le furtive

sue dolcezze e

amante Vedila pur come del caro

Amano le i

per

’l

seno

lassa.

sfavilla e ride.

le selve

aman

mostruose fère;

per Tonde

veloci delfini e Torche gravi.

Quell’ augellin che canta SI

dolcemente e lascivetto vola

or dall’abate

faggio

al

ed or dal faggio s’avesse

direbbe:

umano

— Ardo d’amore, ardo d’amore. —

Mira d’intorno: Comincia di qui

i8.

mirto,

al

spirto

la

piu cantabile del discorso lo vedi dal prevalere dei settenari sugli endecasillabi, da quella grazia stilizzata e languida di madrigale che pervade i versi seguenti. parte

:

20-21.

Amante... mare:

queste ripetizioni più

intensa

di

Il

G. cerca con

parole di creare una

suggestione,

un’ansia

erotica

effusa.

23. stella: è l’astro di Venere. 24. del

cui

strali

suo

non

figlio:

Cupido o Amore,

risparmiavano

neppure

la

un erotismo accentuato dalla musica tenera e lan-

furtive dolcezze, pervase di

sottile,

guida del verso. L’ amante di Venere è Marte. 30. come... ride: per la gioia nata dal piacere soddisfatto. La luminosità chiara, aurorale della stella del mattino, non desta nel poeta un senso di purezza, ma s’ immerge, come ogni altro aspetto della natura, in

i

madre. 28-29.

le

un sensuale abbandono. 33.

r orche

gravi

35. lascivetto: lassa:

Nota soprattutto quel-

:

sono favolosi mostri

marini. Il

G. ha

il

gusto secentesco

di questi diminutivi teneri e svenevoli.

Antologia della letteratura italiana

438

Ma

ben arde nel core

c parla in sua favella SI

che l’intende

Ed il

suo dolce desio.

il

odi appunto, Silvio,

suo dolce desio

che

gli

Mugge

risponde: in

son amorosi

Rugge

il

— Ardo d’amore

mandra

anch’io.



l’armento, e que’ muggiti

inviti.

leone al bosco

né quel ruggito è d’ira; cosi'd’amor sospira. Alfine, se

non

ama

ogni cosa

tu, Silvio: e sarà Silvio solo

in ciclo, in terra, c in

anima senza amore.? Deh! lascia ornai le garzon;

folle

mare

selve,

lascia le fèrc,

ed ama.

Giordano Bruno L’ appassionata meditazione di Giordano Bruno

mento ed

si

svolge fra Rinasci-

un duello mortale con l’età controriformistica. C’ è in lui r esaltazione dell’ uomo, della sua capacità spirituale e creativa, di derivazione rinascimentale, e l’ intuizione di un universo infinito, non piu armonicamente concluso e accentrato intorno alla terra, età barocca, attraverso

com’ era

stato considerato dall’ antichità, al Medioevo, al Rinascimento; ed è, quest’ ultima, un’ intuizione che riceverà la propria verifica rigorosa da parte della scienza moderna che nasce, si può dire, proprio nel Seicento. Ma di là dal valore delle sue idee, la figura del Bruno acquista anche un alto significato umano, soprattutto in quella età di moralismo cauteloso, di facile gusto per il compromesso, di scarso slancio creativo del pensiero, per il fervore appassionato col quale egli ricercò la verità, da lui sentita

come

lo scopo

supremo

della vita

umana.

E

per questa verità seppe affron-

con incrollabile decisione le persecuzioni c la morte. Nacque a Nola, nel 1548 ed entrò ancor giovinetto nell’ordine domenicano, ma ben presto rivelò tendenze ribelli ed ereticali. Fuggi dal convento c cominciò un irrequieto pellegrinaggio, a Parigi, a Londra, in tare

42.

il

suo dolce desio

:

1*

amata.

45. Ardo... anch’io: Nuovo compiaciuto particolare di grazia leziosa. La sensualità

prende i colori di un idillio aggraziato, di un morbido sognare, cerca invano di imitare una freschezza vergine di impressioni.

50. cosi... sospira: Il ruggito diventa un sospiro d’anK)rc. È già presente quella ricerca d’ingegnosità, di piccole astuzie letterarie e

d’immagini

strane, inaspettate,

sarà in molti poeti del Seicento.

che

V.

declino del Rinascimento: l’età della Controriforma

439

Germania, venendo a contatto con gli ambienti protestanti luterani e calcombattendo continuamente, e osteggiato da tutti, per difendere

vinistici, le

Rientrato in

proprie originali concezioni filosofiche.

fu arrestato

Italia,

Venezia e consegnato al tribunale della Inquisizione di Roma. Dopo un lungo processo, accompagnato da una prigionia di otto anni, avendo rifiutato di sconfessare le proprie idee, fu condannato come eretico e mori

a :

anno 1600. Bruno fu in primo luogo un

sul rogo r

filosofo, e non è qui il luogo di delineare suo complesso, sistema di pensiero. A noi interessa come scrittore, in quanto espresse le sue concezioni in pagine immaginose e potenti, avvivate Il

il

un’eloquenza

da

appassionata,

fondata

su

di

un linguaggio

colorito

e

immagini e pervaso da un intimo calore poetico. È, la sua, una prosa contraria all’ armonia composta del periodare classicheggiante del Cinquecento, scossa da bagliori improvvisi, da impeti sentimentali e fantastici, da una costante tensione inquieta che sembra preannunciare i modi espressivi di certi scrittori del Seicento. Nel i 58-A

-ì-©mpo

Tasso e

il

suo tempo

La vita del Tasso, dolorosa e raminga, svoltasi quasi tutta sotto il triste segno della sventura e dominata dal fantasma ossessionante della follia, di-



venne ben presto arbitrario pretesto

fili;

gio,

di analisi patologiche.

genio incompreso,

il

Nel

di trasfigurazioni

secolo scorso,

poeta « maledetto

», cioè

i

romanzesche

o,

romantici videro in

peglui

il

incapace di conipfendeirne la grandezza; i positivisti, invece, cercarono di interpretarne la personalità attraverso lo studio clinico della sua follia. Ora è chiaro che uno studio del genere non può certo cogliere quello

grande poesia, espressione anche la trasfigurazione romantica viene a falsare la perwnaKtà del Tasso che, come ogni poeta, va interpretato nel suo tempo, del quale egli visse, con drammatica proche veramente

ci interessa

fondità, gli ideali e Il

del Tasso, cioè la sua

superiore altezza spirituale.

il

Ma

travaglio spirituale.

Tasso partecipa intimamente

alla

ormai

la

propria deH’ctà della Contro-

piena sconfitta sul piano militare, economico e politico, del-

l’Italia, ineluttabile

il

tramonto della sua

(ICJ2

(y.:

C

|Sq

liODC

crisi

riforma. In quest’epoca la civiltà rinascimcntafe, libera, energica, espansiva, appariva irreparabilmente avviata lungo una parabola discendente. Scontata era

ÀKl!

perseguitato dalla società me-

schina,

di un’ autentica,

no

libertà; di

conseguenza

si

spegneva

Torquato Tasso la

447

fiducia rinascimentale nella virtù creatrice dell’uomo e ad essa subentrava

sentimento della precarietà di una vita dominata dalla potenza cieca Dinanzi a questo generale rilassamento degli spiriti, la Controriforma proponeva un rinnovato anelito religioso, come ricerca di una pili profonda giustificazione della vita; ma il tema cristiano della fragilità umana e del peccato si traduceva, almeno inizialmente, in un accorato e il

della fortuna.

in un nuovo motivo di disinganno. Tasso soffre questa crisi con profonda sincerità, ma al tempo stesso cerca' ansiosamente e con fermezza, almeno per un certo tempo, di superarla. Giustamente un critico, il Garetti, afferma che non bisogna conside-

problematico ripiegamento interiore, Il

soltanto l’atto ultimo della resa del poeta quando la sua voce « si confonde e veramente si annulla nei colori grigi del tempo, ma il lungo e generoso periodo della resistenza attiva al disgregarsi di un mondo che pur era sembrato tanto saldo e sicuro di sé ». In questo periodo, che giunge rare

almeno

compimento della Liberata^ moderna ansia religiosa, l’ideale

fino al

sicismo e

dei classici

con

poeta cerca di conciliare

di perfezione e

Questo

la spiritualità cristiana.

è,

dignità

storicamente,

il

clas-

umana

profondo

poema.

significato del suo Il

il

tentativo tassiano di sintesi cerca di attuarsi sullo sfondo delle due

tempo

istituzioni del suo

loro effettivo valore:

Ij^

nelle quali

il

poeta credette fino a illudersi sul

La prima

corte e l’accademia.

cratica accolta di spiriti eletti, di cui

si

era per lui un’aristo-

sentiva chiamato a celebrare le virtù

magnanime,

sollecitandola ad alti ideali e a nobili imprese; l’accademia gli l’insegnamento di un’arte eletta e rara, adatta ad esprimere quel

offriva

nobile ideale di vita. Nell’una e nell’altra bile e sicura,

il

poeta cercava una

norma

sta-

di vita e di arte, atta a rintuzzare le suggestioni dispersive

della sua sensibilità tormentata e a volgerla a

una

solida costruzione

umana

e poetica.

La

prigionia di Sant’Anna e

suo pc>cma segnano

il

malsicura, caratterizzata da italiana,

non era

sioni e

di eroiche

demia

si

Il

polemiche meschine accesesi intorno

una

La

virtù che

irrigidiva in

decisa involuzione,

il

Tasso

le

un complesso

tentativo del Tasso

si

come

tutta

mondo

di

la

soffocava

il

di regole esteriori, in

libero

uno

società

nobili pas-

proponeva. Parallelamente

un formalismo che

al

corte ferrarese, incerta e

certo disposta a fare proprio quel

creazione poetica in

mismo.

le

crollo di questi ideali.

l’acca-

slancio della sterile

confor-

infranse nell’urto contro una società spoglia per lui una sconfitta sul piano poetico (la

dignità e grandezza; e fu Conquistata) c su quello umano.

di

Giungiamo

gli il

cosi all’atmosfera greve e stremata della poesia tassiana deultimi anni. Rinunciando al vagheggiamento di un’ideale corte terrena, Tasso si volge ora a vagheggiare la corte celeste, si rifugia nella devo-

zione cattolica, mortificando l’animo e l’ingegno, dato che rappresentò per lui una interiore e serenatrice conquista,

la religione

ma uno

approdo dell’anima affranta. Dell’ideale eroico resta soltanto r« aspra tragedia dello stato umano», dell’estrema precarietà

il

non

stanco

senso del-

della vita:

il

sentimento che ispira i momenti più alti della poesia religiosa del Tasso. La sua vicenda umana si conclude in una nota di rassegnazione dolente.

Antologia della letteratura italiana

44^

5V in

' ;

un protendersi verso

tutto,

il

cielo

come

verso

un porto

di

pace ma, soprat-

d’oblio.

Per i testi, abbiamo seguito: T. Tasso, Aminta, a cura di B. T. Sozzi, Padova, 1957. T. Tasso, Poesie, a cura di F, Flora, Milano-Napoli, Ricciardi, 1952. T. Tasso, Prose, a cura di F. Flora e E. Mazzali, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959. T. Tasso, Opere, a cura di B. T. Sozzi, Torino, UTET, 1956. T. Tasso, Dialoghi, a cura di E. Raimondi, Firenze, 1958. T. Tasso, La Gerusalemme liberata, a cura di L. Garetti, Milano, Mondadori, 1957.

L’Aminta primo

Il

maturo

frutto

della poesia tassiana,

dopo

il

Rinaldo, che serba

ancora un carattere di presentimento e di vigilia poetica, è V Aminta, un

dramma

pastorale, composto nel 1573 e rappresentato quello stesso anno, durante una festa di corte, nell’isoletta di Belvedere sul Po. Il dramma pastorale aveva il suo lontano antecedente nella poesia bucolica dei classici, costantemente rinverdita da una secolare fortuna e svolta poi in forma di rappresentazione drammatica dal Poliziano col suo Orfeo. Nel Cinquecento,

era stato

dare

il

un genere particolarmente apprezzato e

Tirsi del Castiglione e la

Canace

coltivato: basti qui ricor-

dello Speroni, che

avevano avuto

un lusinghiero successo. Aminta è diviso in cinque atti, inframmezzati da cori e intermezzi, preceduti da un prologo e conclusi da un epilogo; è scritto in versi ende-

U

casillabi e settenari liberamente alternati,

con

la

prevalenza dei primi nelle

Nel prologo. madre Venere, manifesta il proposito per ferire il cuore di una Ninfa, ancora

parti narrative, dei secondi in quelle piu propriamente liriche.

Amore, sfuggito

alla

vigilanza della

di rifugiarsi fra gli ingenui pastori, ribelle alla

sua legge, Silvia, sorda dinanzi all’amore appassionato del pa-

store Arhinta.

primo

Il

atto ci presenta separatamente

due giovani, a

i

col-

loquio coi loro maturi confidenti, Dafne e Tirsi. Dafne esorta Silvia, invano, a cedere alle dolci gioie dell’amore.

Aminta

rivela

a Tirsi

il

ma suo

tormento, nato dall’amore non corrisposto per Silvia e

gli

racconta

come

esso sia germogliato nel suo animo. L’atto è concluso da

un coro che

esalta

l’amore e rimpiange al

l’età dell’oro,

quando nessun freno morale si opponeva Ne! secondo atto, assistiamo dap-

libero e gioioso espandersi dei sensi.

prima al monologo di un Satiro, anch’egli innamorato di Silvia, che si propone di soddisfare con la violenza la propria passione. Segue poi una maliziosa schermaglia fra Dafne e Tirsi, che, per favorire l’unione fra i loro giovani amici,

stabiliscono

bagnerà, sola, a una fonte.

che Aminta Il

raggiunga Silvia quando

ella

si

terzo atto è incentrato sulla disperazione di

A minta.

Si apre col racconto di Tirsi, il quale narra al coro come Aminta, giunto alla fonte, abbia trovato Silvia ignuda, legata a un albero dal Satiro. Egli l’ha liberata dal pericolo, ma la fanciulla è fuggita, senza degnarlo

di

una

parola, di

uno sguardo. Sopraggiunge Aminta

disperato,

ormai de-

suo proposito diviene irrevocabile quando la ninfa Nerina racconta che, durante la caccia. Silvia è stata sbranata dai lupi: ella stessa ha trovato il suo velo insanguinato. Nell’atto quarto Silvia ritorna

ciso di morire, e

il

Torquato Tasso

sfuggire al pericolo, perdendo, mentre fuggiva dai lupi,

;

dal pensiero che a quest’ora

è tormentata

rivela questa sua dolente certezza.

Aminta

1 1

poi

pietà,

alla

giunge

il

Aminta

si

riuscita

Ma

a

Dafne

forse ucciso c le apre allora prima disperata quando soprag-

che diventa angoscia

all’amore,

pastore Ergasto c narra che

sia

velo.

il

è

si

cuore di Silvia

Il

;

:

come

scena e racconta a Dafne

invece miracolosamente in

!

i

449

si

è ucciso gettandosi

da una

j

I

I

rupe. Nell’atto quinto

il

dramma

si

placa in

un epilogo

sereno:

pastore

il

Elpino racconta al coro che Aminta è salvo. Una folta siepe ha attutito violenza della caduta e il giovane è ora felice fra le braccia di Silvia.

la Il

f

un inno all’amore sereno

coro conclude la favola con

e senza turbamento.

I

Segue l’epilogo: Venere scende dal

'

I

I

II i|

Il

La

cielo a cercare

Amore

fuggitivo, chiede

Arcadia alla gaudente e maliziosa. Aminta ha una tonalità prevalentemente lirica, piuttosto che drammatica: i sapienti, dosatissimi parallelismi sui quali sono costruiti gli atti, l’abbondanza dei racconti che costituiscono i rnomenti decisivi della vicenda. rallentano lo svolgimento dell’azione. I dialoghi si riducono spesso a soliloqui sentimentali e patetici (tale è il racconto, bellissimo, che Aminta fa a Tirsi, nell’atto primo, delle sue pene d’amore), i personaggi sono piu se si trovi fra

'

il

pubblico.

bella fiaba ritorna dalla mitica

corte, alla sua vita raffinata,

che rappresentati nel vivo dell’azione. Fa eccezione Silvia, l’unico personaggio che abbia uno svolgimento psicologico e drammatico, in quanto passa gradualmente dalla sua sensibilità pudica e ritrosa all’abbandono al-

descritti

i

!

l’amore, inconsapevolmente sbocciato nella sua certo rilievo

ha anche Dafne,

la

anima

di adolescente.

E

un

ninfa non piu giovane, tutta immersa nella

;

nostalgia struggente della giovinezza perduta.

mondo l’oro,

pastorale,

vagheggiato come un

Del

mondo

resto,

mitico,

e cioè a una vita naturale, semplice, schietta e

da una secolare tradizione

e colori convenzionali

la

scelta stessa del

vicino all’età del-

felice,

letteraria,

fissato in lince

portava

il

poeta

j

I

non verso i

il

dramma, che

suoi problemi,

U A minta

(

ji

ma

seconda perché

mento

di

una

j

fantastica di

una

la

realtà e

può dire continuamente, alla civiltà dell’acprima si riallaccia per lo stile elaboratissimo, classici, la ricerca di forme composte e perfette;

il

si

mondo

vita semplice

I

contatto immediato con

alla

continui riferimenti ai

alla

un

verso una nostalgica favola.

richiama,

cademia e della corte: i

i

ci

richiede

idillico

ma

pastorale rappresentava

società raffinata, rivolta alla

il

vagheggia-

sogno di evasione ricerca suprema del piacere,

aggraziata e composta,

il

all’avventura amorosa permeata di sensualità delicatamente voluttuosa, If

!•

ma-

poeta, sereno c compartecipe interprete, in quel tempo, della gaia vita di corte, fa penetrare il mondo di essa in quello dei pastori,

liziosa e dolce.

E

il

con apertissimi riferimenti nel dialogo e mascherando, sotto quasi tutti i personaggi, persone reali della corte ferrarese, anche se stesso, che e facil1

^

mente

riconoscibile nella figura di Tirsi.

in queste forme composite e convenzionali ha anche calato una delle piu intense e autentiche della sua ispirazione, una vena di effettiva poesia. Entro quell’artefatta età dell’oro ne ha scoperto un’altra, espressa

Ma

voci

'

da Silvia e da Aminta: quella del sentimento d’amore, colto quando è ancora fremito e palpito indefinito dell’anima adolescente. Inoltre nella figura

Antologia della letteratura italiana corrisposto che si nutre espresso ramore-iormento, l’amore non dolorosamente su ripiegata di lacrime c di sospiri, nel chiuso dell’anima nelle grandi Liberata, Gerusalemme nella ritroveremo

di

Aminta ha

I

^

È

stessa.

tema che Erminia e di Tancredi.

il

figure di

Soprattutto,

delncìV Aminta una fondamentale aspirazione l’abbandono al piacere, a una voluttà obliosa,

vive

però,

l’anima e della poesia tassiana il

di

:

meglio vagheggiamento di un libero espandersi dell’anima e dei sensi, o vitale, gioia immediata pura, in dolcezza, in una sensualità trasfigurata

coscienza del limite c del peccato. È questa 1 aspirazione che anche dal grande coro dell’atto primo si riflette su tutta 1 opera. Eppure

senza più

la

questo sfrenato invito linconia

mentre

:

piacere

al

si

abbandona

si

al

L’amore

diventa

il

ma-

intensa, profonda

di

poeta l’avverte remoto, irrag-

giungibile; nell’illusione che affiora,

disinganno.

una

ammanta sogno,

s’intravvede

già

fiore

il

presentimento del

il

ma

splendido

fugace

del

destino

doloroso dell’uomo.

Silvia ritrosa

Dajne.

Vorrai dunque pur.

da

piaceri di

i

menarne



il

tu questa tua giovanezza?

dolce

né intorno scherzare cangia,

i

nome ti

me

figli

Metro te

:

-

i

si

questa vita giova; e

Scena prima.

come in tutto il dramma. In può notare una prevalenza delnelle

parti

narrative

e

dei

settenari in quelle liriche.

Dafne: È la confidente di Silvia, come Aminta. Le due prime scene dell’opera, con studiato parallelismo, presentano i due protagonisti, ciascuno col proprio confidente e il loro diverso stato d’animo, I.

Tirsi lo è di

la

loro opposta posizione nei confronti del-

Ma anche i due confidenti hanno importanza fondamentale nella vicenda. Essi

l’amore.

cangia,

sei.

Endecasillabi e settenari liberamen-

r endecasillabo

Ah

diletti

alternati,

gènere

udirai,

pargoletti?

è la cura de l’arco e

Atto primo

madre

de l’amore, pur v’è ne l’amore alcun diletto:

Altri segua se

di

vedrai vezzosamente

prego, consiglio,

pazzerella che Silvia.

Silvia,

Venere lontana

mio

’l

de

gli

trastullo

strali,

guardano i due giovani col loro sguardo di gente ormai uscita dalla giovinezza, fin troppo esperta dell’amore, delle sue dolcissime, ma fugaci illusioni, commentandole con maliziosa chiaroveggenza, e al tempo con vaga nostalgia.

stesso 4-6.



il

dolce...

pargoletti?

:

Anche

la

rappresentazione delle gioie materne si ammanta, nelle parole di Dafne, di una tenerezza voluttuosa. Si tratta, comunque, di un

accenno fugace: l’amore cantato ta è

immediato abbandono

natura e dei sensi,

al

neWAmin-

fascino della

un sentimento che

vive

nell’attimo e per l’attimo. Il sgg. me questa vita giova, ecc. : me piace questa vita, ecc. L’assorbente passione

A

]

Torquato Tasso 45

seguir le fere fugaci, e le forti atterrar

combattendo;

o

saette a la faretra,

Dafne.

me manchino

non tem’io ghe

a

Insipidi

veramente

diporti

ed insipida vita: è sol perché

non mancano

se

e,

e,

non

w

fere al bosco, diporti.

s’a te piace,

hai provata

l’altra.

Cosi la gente prima, che già visse nel mondo ancora semplice ed infante,

20

stimò dolce bevanda e dolce cibo l’acqua e le ghiande; ed or l’acqua e

le ghiande sono cibo e bevanda d’animali, poi che s’è posto in uso il grano e l’uva. Forse, se tu gustassi anco una volta la millesima parte de le gioie che gusta un core amato riamando,

diresti,

sospirando:

ripentita,

perduto è tutto

quanti

di'



tempo

il

che in amar non

o mia fuggita quante vedove



si

spende:

etate, notti,

solitari

^

ho consumati indarno, che impiegar

si

potevano in quest’uso

qual più replicato è più soave! Cangia, cangia consiglio, il

pazzerella che sei:

ché

’l

la caccia simboleggia una vita chiusa ancora in se stessa, in una primitiva innocenza, completamente estranea alle cure del-

per

d’

quella avvivata dalle dolcezze

amore.

i primi uomini che vissero nella mitica età dell’ oro, nella tenera infanzia del mondo. L’accenno a questa età sembra qui alludere all’ anima ancora ingenua e infantile di Silvia; altrove

20-31. la gente... infante:

recherà in sé la nostalgia di una spontaneità nativa di vita. Que23. ed or 1 ’ acqua c le ghiande, ecc. :

ste ripetizioni stile

tutto, stori

semplicità del linguaggio dei pa-

la

(a questo

del

analitico

immagini

Tamore. 19. Taltra:

"

da sezzo nulla giova.

pentirsi

o riprese sono frequenti nello che intenderebbe riprodur-

dell’opera,

re cosi la schiettezza del parlato e, soprat-

e

il procedimento suo risolversi in evidenti, quasi senza

mira anche

discorso,

quadri

il

peso di pensiero, accostati con sintassi elementare). In realtà è un linguaggio ricco di echi e

immagini

una tradizione

di tutta

let-

teraria secolare.

32. o

mia fuggita

Dafne:

di

il

dell’amore, riconosciuti

ma

dolcissima, e

36-37.

ecc.

etate,

:

È

il

tema

rimpianto della giovinezza e

come

come un

in quest’ uso...

d’amore che quanto piu

bel

illusione,

soave: si

si,

sogno perduto. nelle

gioie

provano tanto

piu appaiono soavi. quando è 40. da sezzo: alla fine; quindi troppo tardi per rimediare.

Antologia della letteratura italiana

452

Quando

Silvia.

pentita,

dirò,

io

sospirando,

queste parole ch’or tu fingi ed orni come a te piace, torneranno i fiumi a le lor fonti, e

da

agni e

gli

lupi fuggiranno

i

veltri

i

amerà l’orso il mare e ’l delfin Conosco la ritrosa fanciullezza

Dajne.

^

lepri,

da timide

alpe.

1

:

qual tu

sei,

vita e

la

’l

io fui; cosi

tal

volto, cosi

portava

biondo

crine,

il

e COSI vermigliuzza avea la bocca, e COSI mista col candor la rosa

ne

guance pienotte

le

Era

il

mio sommo

e delicate.

me

gusto (or

n’avveggio,

gusto di sciocca) sol tender le reti,

ed invescar le panie, ed aguzzare il dardo ad una cote, e spiar Torme e ’l covil de le fere; e se talora vedea guatarmi da cupido amante, gli occhi rustica e selvaggia,

chinava

piena di sdegno e di vergogna; e m’era

mal grata la mia grazia, e dispiacente quanto di me piaceva altrui: pur come fosse mia colpa e mia onta e mio scorno Tesser guardata, amata e desiata. Ma che non puote il tempo? e che non puote, servendo, meritando,

i

;

® j

supplicando, j

fare

un

fedele ed

Fui vinta, del

io te

’l

importuno amante? confesso; e furon Tarmi

vincitore umiltà, sospiri

pianti,

,

sofferenza,

dimandar mercede.

e

Mostrommi l’ombra d’una

breve notte 1

allora quel che

’l

lungo corso e

’l

lume j

41.

Quando

io dirò,

ecc.

:

Osserva

la

ri-

51. la rosa:

il

colorito roseo. j

presa delle parole di Dafne (v. 29). Le parlate di Silvia contrastano per la loro rigi-

dezza con la dolcezza abbandonata di quelle di Dafne, che però rimane la vera protagonista di questa prima scena. 46.

l’

alpe

:

nel

significato

generico

di

monte.

nella

qual... fui:

bellezza

tender... cote:

disporre le reti per j

catturare uccelli, e, sempre per lo stesso sco-

po, mettere

aguzzare

il

vischio nelle panie e, infine,

le frecce

sulla cote, pietra per af-

filare.

59. rustica e selvaggia; ritrosa.

sidera ora ritrosia e selvatichezza

Ha

qui inizio una dolce e abbandonata rievocazione, da parte di Dafne, dell’adolescenza; e sembra che essa, piu che rimpiangerla, la vagheggi presente 48.

54-56.

appena sbocciata di

Silvia.

Dafne conil

suo an-

pudore di fanciulla. 67. importuno; pressante, insistente. 71. Mostrommi l’ombra, ecc.: La voce di Dafne trema nel ricordo delle prime gioie d’ amore. tico

j

j

Torquato Tasso 453

non m’avea mostrato. stessa e la mia cieca

di mille giorni

me

Ripresi allor

simplicitate, e dissi sospirando:

Cinzia,

eccoti,

corno, eccoti l’arco,

il

eh’ io rinunzio

tuoi strali e la tua vita.

i

Cosi sperò veder ch’anco

tuo Aminta

il

pur un giorno dimestichi la tua rozza salvatichezza, ed ammollisca questo tuo cor di ferro e di macigno. Forse ch’ei non è bello? o ch’ei non t’ama? « O ch’altri lui non ama? o ch’ei si cambia per l’amor

ovver per l’odio tuo?

d’altri,

Forse eh’ in gentilezza egli Se tu

sei

fu padre

ed

il

Dio

cede?

ti

Cidippe, a cui

figlia di

di questo nobil fiume,

egli è figlio di Silvano, a cui

Pane fu padre,

Non

è

men

il

gran Dio de’

di te bella, se

ti

pastori.

guardi

dentro lo specchio mai d’alcuna fonte, la

candida Amarilli; e pur

le

sue dolci lusinghe, e segue

dispettosi fastidi.

Or

fingi (e

pur Dio che questo fingere ch’egli teco

sprezza

ei

79.

i

tuoi

voglia

sia

vano)

sdegnato, alfin procuri

ch’a lui piaccia colei cui tanto ei piace;

qual animo

fia

il

tuo? o con quali occhi

73. il lungo... lume: in contrasto con l’ombra c la brevità di quella notte. Anche qui un artificio di stile, un calcolato giuoco di rispondenze, ma, nello stesso tempo, la

lentezza

del

giorni ») ricordo.

riflette

discorso

(bastava

l’intenerito

dire

« mille

abbandono

al

75. simplicitate: ingenuità. 76. Cinzia: è Diana, la vergine dea della caccia; e le ninfe sue seguaci

rosamente osservare corno da caccia.

la

dovevano rigo-

castità,

il

corno:

il

dimestichi

:

addomestichi,

amman-

sisca.

83-84.

O

eh’ altri...

ama?

:

L’astuta Dafne

vorrebbe insinuare nel cuore di Silvia la gelosia, come se questo sentimento potesse rendere esplicito un amore serpeggiante, ancora ignoto e inconsapevole, nell’ anima

pudica di lei. o eh’ ei... tuo? cessa egli di amarti per il fatto di essere lusingato dall’amore di altre fanciulle o avvilito dal tuo odio che gli toglie ogni speranza? :

85-86.

gentilezza:

nobiltà

di

stirpe.

madre di Silvia. Pane: il Dio dei pastori, secondo

Ci-

77. ch’io... vita: rinuncio alle frecce (alla caccia) e alla vita che tu imponi (alla ca-

dippe: è

stità).

mitologia classica. Questi accenni mitici contribuiscono ad avvolgere tutta la vicenda in

tuo Aminta: dice tuo perché Aminper COSI dire, schiavo d’amore di Silvia. Ma il possessivo porta nel discorso una nota di carezzevole pietà verso il giovane, quella che Dafne, sacerdotessa d’ Amore, vorrebbe ispirare nell’animo di Silvia. 78.

ta è,

il

89.

la

la

un’atmosfera favolosa.

contegno su94. dispettosi fastidi: il tuo perbo e sprezzante verso di lui. alle lusin97. eh’ a lui... piace: che ceda

ghe

di Amarilli.

Antologia deUa letteratura italiana

454

il

vedrai fatto altrui? fatto felice

ne Taltrui braccia, e

Aminta

Faccia

Silvia.

me

pur che non

ma

Onde

nasce

il

nulla ne cale,

sia di chi

non può mio s’ s’anco egli mio fosse, esser

né,

Dafne.

mio,

sia

amori

suoi

di sé e de*

quel ch’a lui piace: a e,

100

schernir ridendo?

te

io lui

vuole:

non

voglio, 105

sua.

io sarei

tuo odio?

Dal suo amore.

Silvia.

Piacevol padre di figlio crudele.

Dafne.

Ma

quando mai da

nacquer

O me

tigri?

le

inganni, o

o

i

mansueti agnelli bei cigni da’ corvi?

i

te stessa.

Odio

Silvia.

mia

ch’odia la

onestate; ed

mentr’ei volse di

Tu

Dafne.

volevi

il

me

il

amai

110

suo amore, lui,

quel eh’ io voleva.

tuo peggio: egli a

te

brama

quel ch’a sé brama.

Dafne, o

Silvia.

d’altro, se

taci,

o parla

vuoi risposta. 115

Or guata modi! guata che dispettosa giovanctta! Or, rispondimi almen: s’altri t’amasse,

Dafne.

gradiresti

il

suo amore in questa guisa?

In questa guisa gradirei ciascuno

Silvia.

120

mia virginitate, che tu dimandi amante, ed io nimico. Stimi dunque nimico insidiator di

Dafne.

innamorato di un’ altra. 99. fatto altrui 102. nulla ne cale: non me ne importa :

nulla.

dunque il tuo odio è un padre così piacevole come l’amore! La cosa a Dafne appare im107. Piacevol padre:

il

figlio

crudele di

per se lo dell

brama anche per

amore. Già

r

atto

I.

^^5- guata

possibile.

O

te, cioè le gioie

annuncia l’ inno voluttuoso al piacere che eromperà fra poco dalle labbra di Dafne e che preannuncia, come tutto il suo discorso, il grande coro delsi

modi: guarda che modi!

me... stessa: Si nota in questa e nelle seguenti battute di Dafne la malizia della donna esperta, che ben conosce la psi-

questa guisa: in tal modo: come, cioè, apprezzi l’amore di Aminta? Prima di cominciare la sua perorazione in di-

cologia amorosa nelle sue pieghe più inti-

fesa

me,

esser

no.

c sa quindi che l’odio, la ritrosia pos-

sono celare un amore incipiente. 111. la

mia

onestate: la

mia

castità, la

mia

innocenza. 112. mentr’ ci... voleva: finché volle quel che io volevo: una semplice c onesta amicizia.

113-14. egli... brama: quel che egli

brama

118. in

ed esaltazione dcH’amore, Dafne vuol certa che il disdegno di Silvia per

Aminta non nasca dal fatto ch’ella è innadi un altro. 121. dimandi: chia mi 122. Stimi dunque nimico, ecc. Si espande ora r inno all’amore di Dafne, che è come una sorta di corona di madrigali che morata

,

:

si

snodano

agili

nel ritmo veloce dei sette-

Torquato Tasso 455 il

monton de

de

la

l’agnella?

giovenca

il

toro?

Stimi dunque nimico il

125

tortore a la fida tortorella?

Stimi dunque stagione di inimicizia e d’ ira

primavera,

la dolce

130

ch’or allegra e ridente

ad amare

riconsiglia il

mondo

e gli animali

uomini e

e gli

come

le

E non

donne?

t’accorgi

tutte le cose 135

or sono innamorate

d’un amor pien di gioia e Mira Jà quel colombo

di

salute?

che con dolce susurro lusingando

compagna;

bacia la sua

odi quel lusignuolo

che va di ramo in

ramo

cantando: Io amo,

io

la biscia

or lascia

cupida a

van

il

amo;

e,

se

no

sai,

’l

suo veleno e corre

suo amatore;

’l

le tigri

ama

il

in amore,

leon superbo; e tu

più che tutte

sol,

fera

le fere,

albergo gli denieghi ne

tuo petto.

’l

Ma

che dico leoni e tigri e serpi, che pur han sentimento? amano ancora gli

arbori.

Veder puoi con quanto

affetto

e con quanti iterati abbracciamenti la

vite

s’avviticchia a

un puro ritmo di canto dopo il precedente recitativo di endecasillabi. Concetto fondamentale è che l’amore è « anima » del mondo: domina tutta la natura, le imprime moto e pienezza di ritmo vitale. Si intravvedono, dietro a questi versi, temi propri del neoplatonismo e di altre forme della filosofia rinascimentale, portata a vedere un universo vivo, fatto di nascoste corrispondenze, di occulte simpatie simili a quelle che attraggono fra loro gli uomini. Ma le ragioni filosofiche sono dissolte in un tono nari,

di

persuasioni

sentimentali immediate.

’l

suo marito:

136. d’

un amor,

ecc.

:

1’

amore dà ad ogni

cosa gioia e salute cioè armonica pienezza; coincide, col fiorire ed espandersi del ritmo della vita universa.

140. lusignuolo: usignuolo. 148. denieghi: neghi. Rifiuti di accogliertuo petto, più selvaggia, in questo,

lo nel

delle fiere selvagge.

non solo 150. han sentimento: hanno vita vegetativa, come le piante, ma anche sensitiva.

ancora: anche.

152. iterati: ripetuti. 153. a

’l

suo marito: l’olmo.

Antologia della letteratura italiana

^56

l’abete

ama

l’abete,

pino

il

pino,

il

l’orno per l’orno c per la salce

il

salce

e l’un per l’altro faggio arde e sospira.

Quella quercia, che pare SI

ruvida e selvaggia, il potere

sente anch’ella

de l’amoroso foco; e se tu avessi spirto e senso d’amore, intenderesti i suoi muti sospiri. Or tu da meno

de

esser vuoi

non

per

le

essere

piante,

amante?

Cangia, cangia consiglio, pazzerella che

Aminta confida a Aminta.

Ho

Tirsi

sei...

suo amore

il

visto a

’l

pianto mio

risponder per pietate

ho

visto a

ma non ho

i

sassi e

Tonde,

fronde

e sospirar le ’l

pianto mio;

visto

mai

né spero di vedere compassion ne la crudele e bella, che non so s’io mi chiami o donna o fera; ma niega d’esser donna, poi che niega pietate a chi non la negare le cose

inanimate.

156. arde e sospira: La poesia tassiana pervade spesso la natura di un’onda di sen-

4.

La

ripetizione conclude la

del lamento con

prima parte

un melodioso accordo; ma

musica sembra proseguire di là dal verL’amoroso struggimento trabocca spesso wtW Aminta oltre le parole che lo esprila

sualità intensa.

so.

Atto primo

-

Scena seconda.

mono. Metro:

Come

nel precedente episodio.

7. la

crudele c bella: Silvia.

nega pietà a quale neppure le cose inanimate (l’onde, le fronde, le rupi) la negarono. Può sembrare (ed è, in sé e per sé) una rettorica I0-J2. poi che... inanimate:

1-12. Ho visto a ’l pianto mio, ecc.: Il lamento di Aminta si svolge secondo il ritmo melodioso di un madrigale. È interessante qui il motivo di una corrispondenza affettuosa della natura con la malinconia languida deH’amantc deluso e chiuso in una solitudine trasognata: alberi e acque sem-

brano

rifletterla

come un’eco

del suo cuore.

me,

al

un lambiccato «concetto», come chiamerà nel secolo seguente, ma lo stile AcW Aminta è un impasto di candore e di estrema elaborazione letteraria, cosi come nell’adesione del poeta a quel mondo di

arguzia, si

Torquato Tasso

457

Aminta. Quindi

Tirsi tenta, invano, di consolare sia rivolto il

Aminta.

suo doloroso amore e come

gli chiede a

chi

sia sorto.

Essendo io fanciulletto, si che a pena giunger potea con la man pargoletta a córre i frutti da i piegati rami de

gli arboscelli, intrinseco

de

la

che mai spiegasse

La

Montan, ricchissimo d’armenti,

Silvia,

onor de

Di questa

le selve,

tempo, che fra due

tortorei le più fida

non s^à mai né Congiunti eran

conforme era

compagnia

^

fue. gli alberghi,

più congiunti

’l

ardor de l’alme?

parlo, ahi lasso! Vissi a questa

COSI unito alcun

ma

vento chioma d’oro. Cidippe

al

figliuola conosci di

e di

ma

divenni

più vaga e cara verginella

i

cori:

l’età te,

pensier più conforme:



seco tendeva insidie con le reti a i

e

pesci

i

ed a

gli augelli, e seguitava

cervi seco e le veloci ’l

diletto e la

damme;

preda era comune.

Ma, mentre io fea rapina d’animali, fui, non so come, a me stesso rapito. libere, naturali effusioni, alla nostalgia strug-

consapevolezza disincantata di chi contempla un impossibile sogno. Que13-52. Essendo io fanciulletto, ecc. sto c il successivo racconto di Aminta sono i

gente

si

unisce

la

:

momenti Il

T.

vi

liricamente piu puri della favola. « dolce e nuova seducente realtà psico-

descrive l’amore

illusione dell’anima,

primo, inconsapevole sbocciare, nel suo nascosto radicarsi e ingenuo svilupparsi, nel suo fare timido e schivo» logica... colto nel

(Getto). 13. si sti

che a pena, ecc.: La fonte di que-

versi è Virgilio (Bucolica Vili):

presen-

tiamo il testo del poeta latino, tradotto da « Fra le nostre siepi ti vidi C. Marchesi giovinetta. V* insegnavo la strada e tu coglievi con la mamma le mele bagnate di rugiada. Ero un fanciullo di dodici anni allora, e arrivavo appena da terra a toccare i :

fragili

15.

rami.

Che amore come

córre: cogliere,

piegati:

ti

vidil ».

perché colmi

^

di frutti e gravati dal loro peso.

Dopo

17-18.

vezzeggiativi (t^aga e cara

i

verginella), quella luminosa

chioma d’oro che

si

immagine

spande,

della

sciolta,

nel-

sensuaè guardata con una rarefatta lità che sfuma in tenerezza. 21. ardor de l’alme: perché ispira nelle

l’aria

di chi la contempla un ardente anaore. 26. Congiunti... alberghi: stavano insieme

anime

(congiunti erano

i

luoghi dove passavamo

la

giornata).

vale 32. damme: daine. seguitava (v. 31), « inseguivo ». sulla beata in35. fui, non so come, ecc.:

nocenza

dell’ infanzia

mento ignoto

e

r*

accampa un

senti-

pur possente, dolcissimo, che

riempie l’anima ignara di un nuovo stupore. 1 amore Bello il paragone del v. 38, che vede germogli allora nato in lui come un’erba che e da se stessa. Il T. c poeta di queste ^ure zone dell’animo, di questo improvindistinte

/iso e ineffabile

germogliare del sentimem».

Antologia della letteratura italiana

458

A

poco a poco nacque ne so da qual radice,

’l

mio

petto,

non

com’erba suol che per

sé stessa

germini,

un incognito affetto che mi fea desiare d 'esser sempre presente

mia

a la

bella Silvia;

e bevea da’ suoi lumi

un’estranea dolcezza,

che lasciava nel fine

un non

so che d’amaro:

sospirava sovente, e la

non sapeva

cagion de’ sospiri.

Cosi fui prima amante ch’intendessi che cosa fosse amore.

Ben me

modo

n’accorsi al fine; ed in qual

ora m’ascolta, e nota.

È

Tirsi.

Aminta.

A

da notare.

l’ombra d’un bel faggio Silvia e

Filli

sedean un giorno, ed io con loro insieme,

quando un’ape ingegnosa, che cogliendo sen’ giva il mel per que’ prati fioriti, a le guance di Fillide volando,

a le

guance vermiglie come rosa, morse e le rimorse avidafhente;

le

ch’a la similitudine ingannata

un

forse

fior le credette.

Allora Filli

cominciò lamentarsi, impaziente de l’acuto dolor de

ma taci,

la

con parole d’ incanti il

43-46. c bevea...

occhi

una dolcezza

puntura:



mia bella Silvia disse: Taci, non ti lagnar. Filli; perch’ io

la

leverotti

dolor de la picciola ferita.

amaro:

e

bevevo dai suoi che nu

sogno.

insolita e strana,

lasciava alla fine nell’ animo qualcosa di

56. sen’ giva: se

ama-

ro (l’inappagato desiderio), di struggente. 53-152. È la « favola » più bella delV Aminta, avvolta ancora in uno stupore ingenuo di infanzia, in un primitivo can-

ne andava.

Nota la sensuamorso dell’ape e ancora quella sentita fra la bella donna e i fiori;

59-61. le morse... credette: lità

di quel

identità

dore colto nel

sentimento rinascimentale della natura asnel T. un’ intima carica voluttuosa, a la similitudine ingannata dalla somiglianza fra

non

quelle guance e

momento in cui s’incrina e più se stesso e non è ancora sensualità consapevole e prorompente. È ancora un desiderio sospeso fra realtà e è

il

sume

:

i

62. impaziente: 66. con...

fiori.

non sopportando.

incanti:

con formule magiche.

Torquato Tasso

459

A me

insegnò già questo secreto n’ebbe per mercede

la saggia Aresia, e

mio corno

quel

d’avolio ornato d’oro.

Cosi dicendo, avvicinò

de

la



labbra

le

sua bella e dolcissima bocca

a la guancia rimorsa, e con soave

mormorò non

sussurro

Oh

mirabil

effetti!

so che versi.

senti tosto

cessar la doglia: o fosse la virtute di que’ magici detti, o, com’io credo,

de

la virtù

la

bocca

che sana ciò che tocca. Io,

che

che sino a quel punto altro non volsi ’l

soave splendor de gli occhi

belli,

e le dolci parole, assai piu dolci

che

’l

mormorar d’un

che rompa

o che

lento fìumicello

corso fra minuti sassi

’l

garrir de l’aura in fra le frondi,

’l

allor sentii

ne

’l

cor

novo

desire

d’appressare a la sua questa mia bocca; e fatto,

non

so come, astuto e scaltro

piu che l’usato (guarda quanto

Amore

'aguzza r intelletto!), mi sovvenne d’un inganno gentile, co ’l qual io recar potessi a fine

il

mio

talento;

che, fingendo ch’un’ape avesse il

mio labbro

a

lamentarmi di

cotal maniera,

che quella medicina che

non richiedeva il volto La semplicetta Silvia, pietosa del mio male, s’offri di

morso

di sotto, incominciai

la

lingua

richiedeva.

dar aita

a la finta ferita, ahi lasso! e fece

piu cupa e piu mortale

mia piaga verace, quando le labbra sue la

giunse a

Né 70. avolio: 76.

b

le

labbra mie.

Tapi d’alcun fiore

avorio.

virtute:

la

potenza,

92. talento: desiderio.

l’efficacia.

98. semplicetta: ingenua. mia piaga verace: la ferita vera, 103.

b

quella d’ amore.

do

Antologia della letteratura italiana

460

coglion

come

dolce

SI

fu dolce

il il

succo

mel eh 'allora

io colsi

da quelle fresche rose;

ben

se

ardenti baci,

gli

che spingeva

desire a inumidirsi,

il

temenza

raffrenò la

e la vergogna, e fèlli pili lenti e

meno

Ma

al

mentre

audaci.

cor scendeva

quella dolcezza, mista

d’un secreto veleno, n’avea,

tal diletto

non mi passasse

che, fingendo ch’ancor il

dolor di quel morso,

fei SI ch’ella

più volte

vi replicò l’incanto.

Da il

indi in

qua andò crescendo

in guisa

desire e l’affanno impaziente,

che,

non potendo più

capir ne

petto,

’l

una

fu forza che n’uscisse: ed

volta

che in cerchio sedevam ninfe e pastori e facevamo alcuni nostri giuochi,

che ciascun ne l’orecchio del vicino

mormorando



diceva

un suo

secreto,

Silvia, le dissi, io per te ardo, e certo

morrò, chinò

se

ella

non il

m’aiti.

—A

quel parlare

bel volto, e fuor le

un improvviso

venne

insolito rossore

che diede segno di vergogna e d’ira:

né ebbi

un

altra risposta

un

che

silenzio,

silenzio turbato e pien di dure

minaccie. Indi

si

tolse, e

più non volle

né vedermi né udirmi. E già tre volte ha il nudo mietitor tronche le spighe,

108-9.

mcl: miele, rose:

le

cavaliere diceva

labbra.

110-14. se ben... audaci: sebbene il timore e il pudore raffrenassero l’ardore dei bad

che il mio desiderio mi spingeva a cogliere da quelle dold labbra, e li rendessero meno audad e più lievi. 121. fei: fed. 125. capir: restar chiuso nel mio petto. 129-30. Allude al giuoco del « segreto », proprio della sodetà di corte dell’epoca

:

un

una

frase all’orecchio di

una

rispondeva ad alta voce. Uno dei presenti veniva allora invitato a indovi-

dama, che nare,

gli

dalla risposta,

le

parole dette in

se-

greto. 132. aiti: aiuti. 138. Indi

E

si

tolse:

se

ne andò.

: In queste immagini di natura, in questi quadri immoti si esprime la lunga e sempre ricorrente pe-

139.

giò tre volte, ecc.

Torquato Tasso

461

ed altrettante il verno ha scosso i boschi de le lor verdi chiome: ed ogni cosa tentata ho per placarla, fuor che morte. Mi resta sol che per placarla io muoia:

morrò

e

ch’ella

o

né so di

Ben

fora

a la

mia mia

a la

pur ch’io sia certo ne compiaccia o se ne doglia; tai due cose qual piu brami. la pietà premio maggiore fede, e maggior ricompensa morte; ma bramar non deggio volentier, se

cosa che turbi

il

bel

lume sereno

e gli occhi cari e affanni quel bel petto.

Coro dell’Atto primo Coro deH’atto primo potrebbe esser chiamato il fondamento lirico delIl VAmitjta; in esso erompe sfrenato l’incitamento ad abbandonarsi all’amore, alla voluttà, alla gioia piena dei sensi. L’età dell’oro è qui vista e cantata come l’età dell’amore e del piacere senza confini, anteriore a ogni problematica morale, a ogni conflitto fra natura e spirito.

Eppure

in questo coro s’insinua

prattutto negli ultimi versi

pena

la

(ma che

superficie gioiosa del canto

una nota greve s’avverte

anche nei

di malinconia, evidente so-

come un tremito che increspa apprimi) quando la seducente, anar-

chica esaltazione del p’iicerc trascolora nell’immagine del sonno eterno della morte, della

vita

che rapida dilegua. Si coglie qui, come dice il Getto, il germe della lirica del Tasso: «quella poesia che si attua nel ritmo delche sboccia e subito sfiorisce in delusione, su uno sfondo di solitudine ».

maggiore intuizione l’illusione,

O

bella età

de Toro,

non

già perché di latte

sen

corse

fiume

il

non perché

i

e stillò

mèle

bosco;

il

frutti loro

na di Aminta. nudo: scarsamente vestito, a torso nudo, tronche > troncate, falciate, ha... chiome: ha fatto cadere dagli alberi

settenari e endecasillabi (schema: fronte-,

edee

DfF

-

abCabC

-

sirma) e congedo di tre

versi.

loro verdi fronde.

le

146.

non

L’importante

148. fora:

da no te,

non

è,

per Aminta, ch’ella

lato,

sarebbe.

che

perché in le

ella

tal

si

Aminta desidererebbe, dolesse della sua mor-

caso mostrerebbe che egli

è indifferente; d’altra parte

rebbe essere per

lei

non già perche, ecc. l’età dell’oro fu non per le ragioni tradizionalmente cantate dai poeti (che ponevano questa età all’inizio del mondo) e che il T. ripete nei vv. 2-13, ma perché (v. 14) non esisteva, 2.

:

bella

resti indifferente.

non vor-

cagione di turbamento.

Metro: canzone di cinque stanze miste di

falso idolo dell’ Onore. poeti antichi, ncU’cta delquerl’oro scorreva latte nei fìumi, c dalle

quel

a

2-3.

ele

tempo, Secondo

trasudava

il

il

i

miele.

Antologia della letteratura italiana

^Ó2

6

dier da l’aratro intatte le terre, e gli angui errar senz’ira

o

tòsco;

non perché nuvòl fosco non spiegò allor suo velo,

ma

in

primavera eterna, 10

ch’ora s’accende e verna, rise di luce e di

sereno

né portò peregrino, o merce o guerra a

ma nome

sol

il

cielo;

gli altrui lidi

il

pino;

perché quel vano 15

senza soggetto,

quell’idolo d’errori, idol d’inganno,

quel che dal volgo insano

Gnor

poscia fu detto,

che di nostra natura

non mischiava

il

feo tiranno,

il

20

suo affanno

fra le liete dolcezze

de l’amoroso gregge; né fu sua dura legge nota a quell’alme in iibertate avvezze;

ma

25

legge aurea e felice

che Natura scolpi: S'ei piace Allor tra

ei lice.

fiori e linfe

traean dolci caròle gli

Amoretti senz’archi e senza

faci;

sedean pastori e ninfe

5.

frutti 6.

intatte: le terre diedero i loro senza essere toccate dall’aratro (intatte). e gli angui... tòsco: e i serpi errarono dier...

senza ira c senza veleno. 7-8. Non v’crano allora nuvole fosche che spiegassero un velo di tenebre sulla terra. IO. ch’ora... verna: che ora (invece di essere continua come allora) si accende nell’ardore dell’estate e trapassa poi nel gelo invernale. 12-13. ne portò...

il pino: pini, cioè le i recavano presso lidi stranieri a portarvi merci o guerra. Non vi era ancora la brama di guadagno o di preda. 14-22. ma... gregge: felice, dunque, l’età dell’oro, soprattutto perché quel nome vano, cui non corrisponde nulla di concreto e di

navi,

reale,

non

si

quell’ idolo

apportatore

di

errori

e

di inganni che fu poi chiamato dal volgo insano degli uomini, i quali lo fecero (feo)

tiranno della nostra natura, «

Onore

»,

non

mescolava affanni alle liete dolcezze degli innamorati (l’amoroso gregge). 23-26. ne fu... lice: ne furono conosciute le sue dure leggi da quegli uomini, avvezzi a un libero espandersi della propria natura e dei propri affetti; essi conoscevano soltanto una legge aurea, cagione solo di felicità: Se una cosa piace è anche lecita. L’onore contro il quale polemizza il T. coincide con ogni legge che intenda limitare il libero espandersi della natura istintiva, e, in particolare, contro il moralismo convenzionale, fondato su estrinseche leggi di decoro, proprio degli ambienti cortigiani del tardo Cinquecento. 27-29. Allor...

senza l’arco e

la

faci:

Allora

gli

Amorini

fiaccola intrecciavano dolci

danze (carole) tra i fiori e i freschi ruscelli. L’amore, cioè, sorgeva spontaneo c libero.

Torquato Tasso 463

meschiando a

le

parole

vezzi e sussurri, ed a

i

sussurri

i

baci

strettamente tenaci;

ignude

la verginella

scopria le fresche rose ch’or tien ne

’l

velo ascose...

fiume o in lago scherzar si vide con l’amata Tu prima, Gnor, velasti la fonte de i diletti,

e spesso in

il

vago. 40

negando Tonde a l’amorosa

sete:

tu a’ begli occhi insegnasti di starne in sé ristretti, e tener lor bellezze altrui secrete: 45

tu raccogliesti in rete

chicane a l’aura sparte:

le

tu

dolci atti lascivi

i

a

detti

i

fren ponesti, a

il

opra è tua che furto

E le

sola,

sia

tu,

che

passi l’arte;

fatti

egregi

pianti nostri.

i

d’Amore

domator

tu

i

o Onore,

quel che fu don d’Amore.

son tuoi

pene e

Ma

schivi,

ritrosi e

festi

e di

Natura donno,

de’ regi,

questi chiostri

fai tra

grandezza tua capir non ponno? Vattene e turba il sonno che

la

a gl’illustri e potenti:

noi qui, negletta e bassa turba, senza te lassa

che ora nasconde col velo. 38. il vago: rinnamorato. 39-41. Tu... sete: Tu per primo, Onore, impedisti la visione della bellezza femminile,

un tempo Amore liberamente concedeva è divenuta per noi un furto, qualcosa che dobbiamo carpire quasi di frodo alle rigide convenzioni sociali. egre52. E son... egregi: sono tue opere

negando

gie (è detto con

35-36. le fresche...

velo:

il

viso dal

fre-

sco, roseo colore

cosi

soddisfazione

la

della

sete

d’amore.

54.

43. ristretti: raccolti e pudicamente schivi. 44. altrui secrete; nascoste agli altri. 47.

i

dolci

lascivi:

atti

menti mediante la

i

quali

i

la

dolci

donna

atteggiaesercita

propria seduzione.

49. a i detti... arte; ponesti un freno alle parole, insegnasti a incedere secondo un’arte.

50-51.

gioia che

È

colpa solo dell’ Onore se quella

amaro sarcasmo). donno: padrone; continua il sarcasmo.

È come

se dicesse

gnoreggiare

:

«

TAmorc

Tu

che pretendi di

e la

Natura

si-

».

viene dal la56. chiostri : le selve {chiostro « luogo chiuso » e quindi tino claustrum le selve solitario, lontano dal mondo, come

=

questo coro). abitate dai pastori che cantano 57. capir 61. lassa:

:

contenere. lascia.

Antologia della letteratura italiana

464

viver nc l’uso de Tantiche genti.

Amiam, con

gli

che non ha tregua

umana

anni

amiam; che

’l

dilegua:

vita, e si

Sol

muore

si

e poi rinasce;

a noi sua breve luce

s’asconde, e

’l

sonno eterna notte adduce.

innamorata

Silvia

Aminta

Diffusasi la falsa notizia della morte di Silvia,

tanato disperato, manifestando ritorna sana e salva a

Ohimè! non

forse ch’io viva

Mi

tu vivi;

già.

Silvia.

Dafne.

e allon-

e le racconta la sua avventura a lieto fine.

Dafne

Dafne. altri

si

proposito d'uccidersi. Silvia, frattanto,

il

Che

dici.?^

sia.»^

m’odii tu tanto?,

piace di tua vita,

Ti rincresce

ma mi

duole

de l’altrui morte.

E

Silvia.

Dafne.

De

la

morte d’Aminta. Ahi! com’è morto?

Silvia.

Dafne.

come non

Il

Ch’è

Silvia.

ciò che tu

ma

mi

per certo

dici?

62. ne V uso, ccc. secondo I’ uso degli uomini primitivi. 63-64. Amiam... si dilegua: Amiamo, perché la vita combatte senza aver mai tregua con gli anni (che la incalzano, come irri-

2.

:

dilegua rapida.

Amiam... adduce: Amiamo, perché sole muore, ma per rinascere, noi invece, quando sarà per noi nascosta la sua luce {breve, perché per troppo breve tempo l’avremo goduta) saremo in preda a un sonno che durerà per tutta l’eterna notte della morte. Gli ultimi cinque versi giungono improvvisi, con un’inattesa nota sgomenta e danno al canto, che prima aveva oscillato fra

il

sincera

nostalgia

credo.

a chi rechi

altri

non

e

4-5.

Mi

tu

sia

sia

morto.

6.

viva,

allude ad Aminta. morte: Sono contenta che mi dispiace che un altro

già:

piace...

ma

Ahi! com’ è morto?

arguzia raffinata

un

desolato

ganno. Atto quarto

-

scena prima.

di

È un primo

e

disin-

si

grido sforza

a se stessa, e che suo animo come qualcosa di oscuro e inconsapevole. Esso emergerà lentamente durante il dialogo fino a giungere, gradualmente, a uno scoppio didi

tener

quindi

si

celato

agita

persino

nel

sperato e irrefrenabile. 8.

se...

certezza

credo: se

sia

Non ti so dire con assoluta veramente morto, ma ne

sono tuttavia convinta.

C’è in quel chi un’im9. Ed a chi rechi provvisa illuminazione. Silvia non chiede come Aminta sia morto, ma chi sia stato la causa della sua morte. Istintivamente il suo :

madrigalesca,

senso

:

rivelatore del sentimento che Silvia

65-67.

mentre

il

Ed

cagion di sua morte?

la

avversari) e

anco

so dir, né so dir

se è ver l’effetto;

ducibili

®

morte intendi?

di qual

Torquato Tasso

465

A

Dafne. Io

Silvia.

non

La dura

Dafne.

de

avrà pòrto a

meschino

’l

laccio

il

o

ferro

’l

che l’avrà ucciso.

altra cosa tal

Vano

Silvia.

novella

tua morte, ch’egli udì e credette,

la

od

tua morte.

la

t’intendo.

sospetto in te de la sua morte

il

come

fu van de la mia morte; ch’ognuno a suo poter salva la vita. Oh Silvia, Silvia, tu non sai né credi quanto ’l foco d’amor possa in un petto, sarà,

Dafne.

che petto

sia di

®

carne e non di pietra,

com’è cotesto tuo: che se creduto avresti amato chi t’amava più che le care pupille de gli occhi, più che lo spirto de la vita sua.

l’avessi,

Il

credo io bene, anzi l’ho visto e sòllo:

il

vidi,

quando



tu fuggisti, o fèra

più che tigre crudel, ed in quel punto ch’abbracciar lo dovevi,

un dardo

vidi

il

rivolgere in se stesso, e quello a

’l

petto

^

premersi disperato, né pentirsi poscia ne la

pelle

10 tinse:

e

’l

fatto,

e

’l

ed anco

le vesti

ne

e

suo sangue

’l

ferro saria giunto a dentro,

passato quel cor che tu passasti

più duramente, se 11

ché

trapassossi,

non

braccio e gl’impedh ch’altro

Ahi

lassa!

solo

una proya fu de

^

ch’io gli tenni

non

fésse.

e forse quella breve piaga ’l

suo furore

de la disperata sua costanza; e mostrò quella stràda a ’l ferro audace, e

cuore comprende che re di 15.

egli è

morto per amo-

lei.

Vano

sospetto.

il

È un ultimo

scatto

pudore e della ritrosia di Silvia. Ella avverte il duro rimprovero nelle parole di Dafne, e tenta di sottrarsi al rimorso e alla conseguente pietà, in quanto essi sarebbero del

un

indizio

vuole 17.

di

quell’

amore che

non

accogliere.

ch’ognuno... vita:

ogni mezzo di sfuggire 25. sòllo: 26.

ella

lo

quando

ognuno alla

cerca con

morte.

so.

tu fuggisti:

dopo

essere stata



liberata da Aminta dal satiro che voleva usarle violenza. Silvia era fuggita senza rin-

graziarlo,

per

la

vergogna

essere ignuda, fèra:

e

il

pudore

di

feroce.

31. ne ’l fatto: nel tradurre in atto posito suicida.

il

pro-

stato trafitto. 34. passato: sarebbe 36. fésse: facesse. l’ostinazione di39. disperata... costanza:

sperata

con cui Aminta cercava

40-41. c

mostrò, ecc.

:

Allora

la

morte.

Aminta

si

strada (nel limitò a mostrare al dardo quella liberamente suo petto) eh’ esso doveva poi

Antologia della letteratura italiana

4(i(ì

che correr poi dovea liberamente.

Oh, che mi

Silvia.

narri?

Dafne.

vidi poscia, allora

Il

ch’intese l’amarissima novella

de

tua morte, tramortir d’afTanno,

la

c poi partirsi furioso in fretta

per uccider se stesso; e s’avrà ucciso

veracemente.

E

Silvia.

fermo

ciò per

tieni?

non v’ho dubbio.

Dafne.

Io

Silvia.

Ohimè! tu non ’l seguisti Ohimè, cerchiamlo, andiamo: che, poi ch’egli moria per la mia morte, de’ per la vita mia restar in vita. per impedirlo?

Dafne.

Io

*1

ma

seguii ben,

correa

si

veloce

che mi spari tosto dinanzi, e ’ndarno

mi

poi

girai per le sue

orme.

Or dove

vuoi tu cercar, se non n’hai traccia alcuna? Egli morrà, se no

Silvia.

E

’l

troviamo, ahi lassa!

sarà l’omicida ei di se stesso.

Crudel, forse t’incresce che a

Dafne.

la gloria di quest’atto?

l’omicida vorresti?

che

la

d’altri

E non

ti

dunque

pare

sua cruda morte esser de’ob’opra

che di tua

ché,

comunque

e tu

sei

mano? Or

egli

ti

muoia, per

consola, te

muore,

che l’uccidi.

Ohimè, che

Silvia.

te tolga

Esser tu

tu m’accòril e quel cordoglio,

percorrere, senza piu esserne impedito. 42. Oh, che mi narri Un’altra battuta che

Violenta esplode 1 * acre58 sgg. Crudel dine di Dafne, la consigliera non ascoltata,

mostra l’inquietudine sempre piu angosciosa

anzi, ascoltata solo ora che è troppo tardi.

di Silvia.

Ella

:

d’affanno:

44. tramortir

venir

meno

per

mostra di non credere alla pietà di di ritenere i suoi slanci una prova

Silvia,

dt più raffinata crudeltà. I suoi discorsi val-

l’angoscia. 45. furioso:

:

fuori di

sé.

andiamo: Le battute angosciate di Silvia sono già una rivelazione del suo sentimento, di un amore che, appena sorto, conosce il dolore, la dispera48-49. Ohimè...

gono però soprattutto a spingere Silvia a una confessione insieme pudica e appassionata,

che è

la

parte più

poetica

di

tutta

la scena.

58-60. forse...

vorresti:

ti

rincresce forse

50-51. Il bisticcio di questi due versi ralil calore dell’espressione del sentimento. Essi comunque costituiscono una confessione

che egli ti abbia tolto la gloria (è detto con sarcasmo crudele) di ucciderlo tu? Vorresti dunque ucciderlo tu in persona? La violenza delle parole di Dafne si giustifica, al-

piena di Silvia.

meno

zione. lenta

53-54. c ’ndamo... orme: aggirai sulle sue tracce.

c invano

mi

in parte, col fatto che Silvia

cato contro l’amore, per Dafne.

ha pec-

unica ragione di vita

Torquato Tasso

467

ch’io sento de

’l suo caso, inacerbisci con l’acerba memoria de la mia crudeltate, ch’io chiamava onestate: e ben fu tale,

ma

fu troppo severa e rigorosa.

Or me ne

accorgo e pento.

Oh

Dafne.

tu sei pietosa, tu? tu senti a

quel ch’io odo! core

’l

Oh, che vegg’io? oh maraviglia! Che pianto è questo tuo? pianto d’amore? Pianto d’amor non già, ma di pietate. spirto alcun di pietate?

tu piangi, tu superba?

Silvia.

La pietà messaggera è de l’amore, come ’l lampo de ’l tuono. Anzi sovente, * quando egli vuol ne’ petti virginelli

Dafne. Coro.

occulto entrare, onde fu prima escluso

da severa onestà, l’abito prende, prende l’aspetto de la sua ministra e sua nuncia, pietate; e con tai larve le semplici ingannando, è dentro accolto. Questo è pianto d’amor, che troppo abonda.

Dafne.

Tu Oh

taci?

Ami

tu. Silvia?

Ami, ma

in vano.

potenza d’Amor, giusto castigo

mandi sovra costei. Misero Aminta! Tu, in guisa d’ape che ferendo muore e ne le piaghe altrui lascia la vita,

67-70. con l’acerba... rigorosa:

cordo, che ora diviene per

mia crudeltà verso

me

di lui, che io

onestà e che tale fu veramente,

po rigorosa e

me

me

e severa, c ora

il

ri-

chiamavo

ma

fu trop-

ne accorgo

Pianto

sentimento. .

pietate

.

.

:

È

forse la battuta

piò bella di Silvia, cosi falsa e così vera, intima, ad

un tempo.

Ella cerca ancora di

suo sentimento, ma questo è solil pudore che accompagna i sentimenti piu profondi. 77-84. La battuta sentenziosa di Dafne e il discorso del Coro sono fuori dell’atmosfera celare

la forma. maschere. Così mascherato sotto

81. l’abito: 83. larve:

l’aspetto della pietà. 84. le semplici:

Ami, ma

86.

le

anime ancora ingenue. È un tema partico-

in vano:

larmente caro alla fantasia del T., questo dell’amore infelice, della dolce illusione su-

ne pento.

73. spirto: 76.

con

acerbo, della

il

tanto, ora,

drammatica: costituiscono piuttosto un commento lirico allo schiudersi del nuovo sentimento nel cuore di Silvia. 80. occulto: nascostamente.

bito seguita dalla delusione.

che ferendo muore: Com’c noto, l’ape pungiglione nella ferita e subito il dopo muore. Ma tutto questo discorso di Dafne è troppo melodrammaticamente compiaciuto; il T. è poeta degli intimi moti 89.

lascia

istintivi c ancora indefiniti del cuore, delle rivelazioni improvvise e tremanti; cade invece spesso nell’enfasi, viziato dal virtuosi-

smo

letterario

sonaggi fusióne.

si

quando

i

sentimenti dei per-

traducono in confessione ed

ef-

Antologia della letteratura italiana

^68

con

tua morte hai pur trafitto a

la

1

fine

quel duro cor, che non potesti mai punger vivendo. Or, se tu, spirto errante, ignudo, SI come io credo, e de le membra qui intorno

Amante

sei,

in vita,

mira

il

suo pianto, e godi!

amato

pur tuo destin che

morte: e sera in morte amato,

in

fossi

e se questa crudel volea l’amore

venderti sol con prezzo cosi caro, desti quel

prezzo tu

e l’amor suo co

Caro prezzo a

Coro,

’l

ch’ella richiese,

tuo morir comprasti.

chi

’l

diede; a chi

’l

riceve

prezzo inutile e infame.

Oh

Silvia.

potess’io

con l’amor mio comprar la vita sua, anzi pur con la mia la vita sua, s’egli è pur morto!

Le Rime Le Rime

Tasso comprendono oltre duemila liriche, fra canzoni, soIl poeta cominciò a comporne alla corte d’Urbino, al tempo della sua prima giovinezza, e per tutta la vita ne venne aggiungendo di nuove o correggendo instancabilmente quelle già composte, con incontentabile cura d’artista. Nel 1567 ne pubblicò un esiguo gruppo a Padova, fra le Rime degli Accademici Eterei; ma solo dopo il 1580 si diede a riordinarle per procedere alla loro completa pubblicazione. Ne affidò alle stampe una Prima parte a Mantova nel 1591, una Seconda parte a Brescia nel 1593; a queste raccolte pensava di, farne seguire una terza e una quarta, ma ridel

madrigali.

netti, stanze,

mase

soltanto un’intenzione.

vastissimo canzoniere tassiano

Il

non

ha,

come

altri,

a cominciare da

quello petrarchesco, alcuna pretesa, sia pure esteriore, di organicità.

hanno

il

Le Rime

componimenti d’occasione, nati sullo sfondo della vita fu sempre vista dal poeta come il convegno di un’uma-

carattere di

cortigiana (la corte

nità superiore e privilegiata, la sede vera e unica delle lettere c della poesia),

seguendo

La

lirica

un costume raffinato e come ornamento di una società aristocratica. presenta dunque al Tasso come un agile e sorridente giuoco, sollecitazioni

le

sfarzoso, di

una cultura

si

pressoché quotidiane di

sentita

fatto d’ingegno e di grazia.

99.

103. Silvia

con... caro: a prcz2:o della tua vita.

Oh, è

lamento di una piena e abbandonata

potess* io,

ormai

ecc.

:

Il

confessione d’amore. 105. anzi... sua:

per

la

potessi dare la

sua salvezza.

mia

vita

Torquato Tasso

469

contenuto possiamo dividere le Rime in tre rime d’amore, encomiacioè d’argomento religioso. Le prime sono tenere c per-

Per quel che riguarda

il

gruppi, secondo un’indicazione del poeta stesso: stiche c

sacre



una

corse da

’,

sottile sensualità;- le

cenza, che scade però spesso in

un

un

seconde, ispirate a

turgore rettorico;

le

ideale di magnifiultime sono pervase

da una greve e magniloquente gravità, e quasi sempre il sentimento religioso che dovrebbe ispirarle si risolve in un esteriore sfarzo liturgico, in

una devozione scarsamente approfondita. Per quel che riguarda lo stile, si può tutta

la

dire che nelle

nostra tradizione della lirica aulica,

poeti del Quattrocento.

Su

tutti

Rime

confluisca

dagli stilnovisti a Dante, ai

però è evidente l’influsso del Petrarca,

ac-

forme del petrarchismo del Cinquecento, dai Bembo al Della Casa. Da quest’ultimo il Tasso riprese il gusto di una nuova modulazione del verso e di quegli enjambements o rompimenti, che consentono un parlare eloquente, con forti accentuazioni sentimentali. Ma il Tasso, mentre accoglie echi e suggestioni dei poeti precedenti, li rielabora con nuova, sensibilità e li trasforma, diventando, a sua volta, un modello per i poeti dei secoli seguenti, fino al Foscolo e al Leopardi che delle sue Rime furono convinti estimatori. Le Rime interessano i critici soprattutto come un lungo tirocinio stilistico, attraverso il quale il poeta venne affinando le sue capacità espressive e costituendo quel suo linguaggio elevato e classicamente composto e, al colto sia direttamente sia attraverso le

tempo

stesso,

capace di esprimere

il

fremito indefinito della sua sensibilità

Gravità e magnificenza si alternano, in esse, alla grazia delicata, al sottile languore, in un linguaggio che il Foscolo definiva « nuovo eppur corretto, pieno di dolcezza c maestà, di sublimità e d’evisottile

e

denza

».

7

melanconica.

madrigali del Tasso. L’originalità metrica e stilistica della lirica tassiana è evidentissima nei

madrigali.

Il

madrigale era anticamente un componimento di tono poponuova fortuna presso i poeti colti (rari comunque sono

lare; assurse poi a gli

esempi petrarcheschi) come poesia per musica; e a

sicali il

era

particolarmente adatto per

la

sua brevità,

rivestirsi di la

note

mu-

struttura semplice,

suo carattere di complimento galante, lontano da ogni approfondimento

meditativo. Il Tasso immette in questa forma ormai consunta una nuova vita. La sua sensibilità sottile e raffinata, portata ad effondersi in atmosfere obliose

e sognanti, in presentimenti suggestivi e teneri

nella

modulazione

di

abbandoni, si esprime libera fuori da ogni complessa

questo brevissimo canto,

Molti madrigali del Tasso furono musicati, ma già sono pervasi di una musicalità intensa. L’alternarsi di endecasillabi e settenari, le sapienti, dosatissime spezzature dei versi, il libero giuoco di rime e assonanze creano vaghissime atmosfere melodiche che già di per sé esprimono l’indefinito della voluttà c del sogno. Questo è sopratstruttura i

intellettuale.

versi del poeta

tutto evidente nei primi tre madrigali che riportiamo.

italiana Antologia della letteratura

470

malizioso c gaprestava al tenue scherzo a concctigenza, sensualità e iute lame, a un giuoco raffinato di corte, di nel Seicento trionferà che maniera tino elegante e spiritoso. Sarà questa la e sesto diamo un esempio nel quarto, quinto D’altra partc.il madrigale

si

.

e che

il

m

Ne

Tasso anticipa.

driealc della nostra scelta.

A

parte rimane

estrinseche di metro c

non

mostra come

ispirazione. Anch’esso

di

1

lirica



ispira-

fuggevole, risolta in vaghe

del Tasso, breve e intensa, ma meditative, mosfere d’animo piu che in complesse architetture

zione



.

agli a tri per ragioni

abbiamo accostato

settimo, che

il

at-

esprimesse

si

felicemente nel brevissimo carme.

Qual rugiada o qual piamo Qual rugiada o qual pianto, quai lagrime eran quelle che sparger vidi dal notturno manto c dal candido volto de le

E

perché seminò

la

di cristalline stelle

a l’erba fresca in

perché ne s’udian,

stelle.?

bianca luna

un puro nembo grembo?

bruna

l’aria

quasi dolendo, intorno intorno

gir l’aure insino al giorno?

fùr segni forse de la tua partita, vita

de

la

mia

vita?

Metro; madrigale, con settenari ed endecaliberamente (Schema; abAB,

pianto

del

cielo,

della

riflesso

malinconia

sillabi alternati

del poeta.

CDd,

5-7. La luna, candida, semina un nembo puro di stelle in grembo all’ erba verde. Sono le stille della rugiada, ogni goccia della quale, investita dal raggio bianco della luna, lo riflette si da suscitare l’impressione di un vago brillare di « stelle palpitanti e commosse di un ciclo arditamente capo-

cEc, Ff).

Rugiada I. Qual rugiada o qual pianto: o pianto vide il poeta nella notte? Che fu queir impressione vaga di pianti c sospiri dovunque diffusi, intorno, nella natura? Furono forse arcani presentimenti della partenza della donna amata? Questo il vaghissimo ordito intorno al quale si svolge il madrigale.

Ma

l’atmosfera

il

suo fascino vero è in quel-

trasognata,

estatica,

increspata

da un trasalir di sospiri, da un brivido sommesso c struggente. Poesia d’amore, forse cosi almeno ci dicono gli ultimi versi





ma in realtà ci pare la poesia di uno struggimento tenero dell’anima nel respiro profondo della notte dolcissima. 2-4. quai... stelle: lacrime, dunque, non rugiada, che si sparge dalla volta {manto) notturna del delo e dal candido volto delle stelle.

Meglio,

è

la

rugiada

e

insieme

il

volto » (Garetti). 8-10. perché...

giorno? Perché nell’aria bruna s’udiva la brezza scorrere quasi come una sommessa voce dolente, tutt’intorno, fino al sorgere

11-12. fur: partita:

un

:

dell’alba?

furono, segni:

partenza.

presentimenti,

madrigale termina con

Il

sospiro struggente.

Vita della

mia

vita,

chiama il poeta la donna amata, non bene se presrvid kc or^ss, (^Mnr^Lxcsa^ 5*3

TorquJto Tasso ycuCCOlC^^ OÌCcO-' ^?\^vC*‘'perSoO ^ìàrtto =

~ -h= wj. („.,^

0£X4^il*»c.^^pv-cUi‘

^O'jgcr'C.

HO :

scorg^^ toglie.

il

riman qual cacciator ch’a

i^^ire

il

sera

perda al fin l’orma di seguita fèra. Queste fur l’arti onde mill’alme e mille prender furtivamente ella poteo; anzi pur furon l’arme onde ed a forza d’Amor serve le ~v trvc-'WiS

Qual meraviglia or

^C?vAr6^c>-t/-

d’Amor

Lovì»

VHSVo/^ Canto

^

V

Contmua

il

motivo

cipe norvegese, che

delle

brama

indirette

insidie

di succedere a

diaboliche.

Dudone

per istigazione demoniaca offende timoroso che questi intralci le sue mire. Rinaldo

pubblicamente

Avventurieri,

poi costretto ad andarsene dal di Goffredo.

molti

Il

campo per

Gernando, prin-

nelTufficio di capo degli

Rinaldo,

lo sfida e Tuccide,

sottrarsi

alla

ma

è

giustizia punitrice

campo

altri cavalieri

cristiano resta cosi privo del suo più forte eroe e di che fuggono di nascosto sulle tracce di Armida di cui

sono follemente invaghiti.

Canto VI il mondo cavalleresco, romanzesco e avventuArgante, impaziente, vorrebbe risolvere la guerra con una singoiar tenzone, battendosi con un campione delTesercito cristiano. Aladino gli consente di lanciare la sfida, ma solo a titolo personale. Segue il gran duello, fra Argante e Tancredi, complicato dalTimprovviso smarrimento dell’eroe

Irrompe in questo canto

roso.

140-41. a ritoglie: glielo toglie, cosi... scorge: cosi per tutu la giornata lo guida c lo avvolge in un vano errore. 144-45. seguita: inseguita, onde: con le quali.

Teseo: 149-52. fia: sarà, s’ il fero Achille... dato che il fiero Achille, Ercole e Teseo, furono cioè i piu forti eroi dell’ antichità, vinti

da Amore.

1



empio

:

Amore.

^

516

Antologia della letteratura italiana

cristiano dinanzi all’apparizione di Clorinda c

interrotto

dall’oscurità:

i

da altri «pisodi. Il duello è due campioni promettono di ritrovarsi fra sei

giorni.

Nella seconda parte del canto domina

tema amoroso, incentrato

il

nella

figura di Erminia, che esce di Gerusalemme, per curare l’amato Tancredi,

dopo aver indossato

armi di Clorinda, ma, sorpresa dai guerrieri

le

cristiani,

fuggc.

Il

duello d’ Argante e Tancredi

Ed

a quel largo pian fatto vicino,

ove Argante l’attende, anco non era,

quando

in leggiadro aspetto e pellegrino

s’offerse a gli occhi suoi l’alta guerriera.

Bianche vie più che neve in giogo alpino avea

le sovravveste,

alta tenea

®

e la visiera

dal vólto, e sovra un’erta,

quant’ella è grande, era scoperta. il Circasso

tutta,

Già non mira Tancredi ove la

spaventosa fronte

ma move volgendo

il

cielo estolle;

al

suo destrier con lento passo,

gli occhi ov’è colei su

Poscia immobil

si

gelido tutto fuor,

’l

colle.

ferma, e pare un sasso;

ma

dentro bolle:

mirar s’appaga, e di battaglia sembiante fa che poco or più gli caglia.

sol di

Argante, che non vede alcun che in atto dia segno ancor d’apparecchiarsi in giostra:

— Da

desir di contesa io qui fui tratto,

grida; or chi viene innanzi, e

Ottave 26-49.

ta affidata

da 2.

anco non era:

Il

soggetto è Tancredi,

campo per ordine

Goffredo a rintuzzare l’audace sfida di Argante. uscito

dal

3-4. pellegrino;

singolare, di

di

una

leggia-

dria e grazia rare, l’alta guerriera: Clorinda. 5-8. Si

danza

d’accenti,

Clorinda nei

ma

canti

e I

Tancredi, quale già e apparso e IV. Simile è infatti lo sche-

narrativo

mota,

con consapevole concortema dell’incontro di il

ripete,

r

inaccessibile,

Clorinda, da

pimento

lirico:

e

un

lato,

estatico e

la

solitudine

re-

luminosa bellezza di e,

giostra

non all’ondeggiante chioma bion-

al virgineo,

abbagliante candore della

che accentua

il motivo della purezza inattingibile dell’eroina, vie più: più. 8. era scoperta: interamente visibile. La parola richiama il particolare dell’elmo ca-

veste,

duto nell’episodio del canto IV. Clorinda appare sempre a Tancredi come un’improvvisa visione.

9-10.

Argante

il

Circasso: Argante, estolle: innalza.

sempre rappresentato in pose imponenti e ^gantesefie, simbolo di una smisurata e selvaggia potenza guerriera. è

ra-

16-18. gli caglia: gli importi, in atto: nel-

di Tancredi.

l’atteggiamento. d’apparecchiarsi in giostra:

dall’ altro,

smemorato

ma

meco

il

L’impressione luminosa è però questa vol-

di disporsi al duello.

.

Torquato Tasso

5»7

L’altro,

quasi e stupefatto,

attonitx)

ben mostra. Ottone innanzi allor spinse il destriero, e ne l’arringo voto entrò primiero. pur

e nulla udir

là s’affisa,

un fu

Questi

di gir contra

di color, cui dianzi accese

Pagano

il

alto desio:

pur cedette a Tancredi, e in sella ascese fra gli altri che seguirlo, e seco uscio. Or veggendo sue voglie altrove intese, e starne lui quasi al pugnar restio, prende, giovane audace e impaziente, l’occasione offerta avidamente; e veloce cosi, che tigre o pardo va men ratto talor per la foresta, corre a ferire

il

Saracin gagliardo,

che d’altra parte la gran lancia arresta. Si scote allor Tancredi, e dal suo tardo

da un sonno, alfin si desta; ben La pugna è mia; rimanti troppo Ottone è già trascorso innanti.

pensier, quasi e grida ei

Ma

Onde avvampa

:

si

Ma

sia

si



ferma; c d’ira e di dispetto

dentro, c fuor qual

perché ad onta ch’altri



intanto a

si

fiamma

è rosso;

reca ed a difetto,

primiero in giostra mosso.

mezzo

dal giovin forte è

il

il

corso in su l’elmetto

Saracin percosso:

egli a l’incontro a lui co ’l ferro nudo fende l’usbergo, e pria rompe lo scudo.

22.

pur

continua a guardare

s’afHsa:



fissamente Clorinda. 23. Ottone:

per

È

Ottone Visconti.

gio del tutto secondario,

episodio

il

ma

personag-

è vivo in questo

magnanimo

suo eroismo

c

cavalleresco. 24. arringo:

strando,

il

lo spazio

campo

fissato

dove per

si

il

corre gio-

duello, pri-

miero: per primo, precedendo Tancredi. 25-26. cui: che; è oggetto di accese, il cui soggetto è alto desio, nel v. seguente, gir: andare. 29. altrove intese:

rinda, cioè,

e

rivolte altrove, a Clo-

non ad Argante.

31. prende: uniscilo

con avidamente. L’av-

verbio, distaccato con forte rilievo, e Tini-

zio dell’ottava seguente mettono felicemente in evidenza

Ottone.

il

36-37. arresta: pone in resta, disponendosi tardo: che paralizza, che rende

all’assalto,

giovanile impeto guerriero di

tardi e lenti. 39. La pugna... rimanti: La battaglia è mia, fermati In tutto il duello, che è condotto con varietà e vivacità di narrazione, le battute del dialogo rivelano con evidenza l’animo eroico dei personaggi, senza le intrusioni rettoriche e magniloquenti che cosi 1

spesso appesantiscono i dialoghi tassiani. Questo episoidio rappresenta una delle migliori

pagine epiche e cavalleresche del poema. 43.

ad onta...

difetto:

gogna e colpa Taver

considera sua ver-

lasciato subentrare

altro al suo posto; e tale

veramente

condo l’onore cavalleresco. 47. egli... nudo: Argante, con la spada sguainata spezza lo scudo di Ottone.

a la

è,

un se-

sua volta, corazza e

5i8

Ajitologia della letteratura italiana

Cade

il

Cristiano; e ben è

colpo acerbo,

il

poscia ch’avvien che da l’arcion lo svella.

Ma

il Pagan di più forza e di più nerbo non cade già, né pur si torce in sella :

indi con dispettoso atto superbo

sovra



caduto cavalier favella:

il

Renditi vinto, e per tua gloria basti

che dir potrai che contra

— No,

depor l’arme

COSI tosto

del

altri

me

pugnasti.



risponde Otton, fra noi non s’usa

gli

mio cader

e l'ardire;

farà la scusa;

io vo* far la vendetta,



o qui morire.

In sembianza d’Aletto e di Medusa freme il Circasso, e par che fiamma spire: Conosci or, dice, il mio valore a prova,



poi che la cortesia sprezzar

Spinge

il



giova.

ti

destrier in questo, e tutto oblia

quanto virtù cavalleresca chiede. il Franco l’incontro, e si desvia,

Fugge e

destro fianco nel passar gli fiede;

’l

ed è che

49. acerbo

grave

SI ’l

la percossa e ria,

ferro sanguinoso indi ne riede;

esprimono il tema di Argante, quello della forza indomita unita alla

Solimano, questo aspetto feroce c demoniaco, rappresentando anche nelle figure, per cosi dire « negative », un’ umanità d’ eccezione.

violenza superba e all’odio selvaggio, dispetsprezzante.

conoscere

51-53.

I

:

violento.

versi

toso;

55. Renditi vinto:

Argante

riflettono

arrenditi. Le parole di un orgoglio smisurato,

57-60. Nobilissime

parole di Ottone, e

le

cosi immediate, senza alcuna

non

Nota

la

forma conven-

schiettezza di quel fra noi

proposito fermo di vendetta o di morte. L’animo cavalleresco e gentile del T. aveva veramente il sentimens’usa,

to della

tee.

dignità

e quel

eroica,

e

sempre

rappresentare con poetica intensità alla

morte da parte

riesce la

dei suoi guerrieri.

a

sfida

Quan-

to incerti spesso e indecisi sono i suoi personaggi davanti all’ azione, altrettanto impavidi e decisi sono davanti alla morte. Nel’ dolore e nella sofferenza si misura la loro grandezza. 61. Alette... Medusa: Aletto era una delle Furie infernali, Medusa una delle Gorgoni mostruose, secondo la mitologia classica. Il T.



spesso

agli

croi

«

pagani

»,

Argante c

mio

valore, la

esperienza diretta,

la

cortesia:

rappre-

era

sentata dall’offerta di resa, che avrebbe con-

Ottone d’aver salva

sentito ad

epico.

zionale.

il

Impara ora a mia potenza per

a prova:

Conosci...

63-64.

65-66. L’ oblio

virtù

della

la

vita.

cavalleresca

è

che Argante combatte a cavallo contro Ottone appiedato. I cavalieri pagani appaiono come forze di natura scatenate c selvagge, di una primitiva rappresentato

ferocia:

dal

quelli

fatto

cristiani

(c

il

prototipo

è

Tancredi, qui però degnamente sostituito da Ottone) uniscono alla forza la magnanimità e la cortesia cavalleresca, uno dei piu alti c

ideali

tassiani

suto,

nell’opera

mentre

cosi

67-68. fiede:

e

lui

nella

effettivamente vita,

in

vis-

questo:

parla.

desvia:

si

si

nel passar:

lo scontro, sa.

da

fa da parte, schiva mentre Argante pas-

colpisce.

70-72. nc riede;

ritorna di



(dal

fianco

che prò: che giova, al vincitore: ad Argante, giunge: aggiunge. d’ Argante),

Torquato Tasso

5>9

ma

che prò, se la piaga

non

forza

Argante e indietro

che

ira a furore?

corridor dal corso affrena,

il

volge; e cosi tosto è vólto

il

n’accorge

se

vincitore

al

giunge

toglie, e

suo nemico a pena,

il

e d’un grand’urto a Timprovviso è còlto.

Tremar

gambe, indebolir

le

gli

duro terren battere il fianco. Argante infellonisce, e strada

il

Ne sovra

l’ira

petto del vinto al destrier face;

il



Cosi, grida, ogni superbo vada,

come

Ma

vólto

il

l’aspra percossa, e frale e stanco

fe’

sovra

e:

lena,

la

sbigottir l’alma, e impallidire

costui che sotto

Tancredi

l*ln vitto

piè

i

allor

che l’atto crudelissimo e vuol che

copra

il

mi

giace.



non bada, spiace;

gli

suo valor con chiara emenda

’l

suo

fallo,

come

e,

Passi innanzi gridando:

che ancor ne

suol, risplenda.



Anima

infame

le vittorie

vile,

sei,

qual titolo di laude alto e gentile

da modi attendi sì scortesi e rei? Fra i ladroni d’Arabia, e fra simile barbara turba avvezzo esser tu dei.

Fuggi

Tacque;

morde

le

ne’ e

’l

73-74. dal corso affrena; frena la

corsa,

ma

cosi

tosto:

il

le

cavallo,

con

tale

79. frale: fiaccato. 81. infellonisce: incrudelisce barbaramente.

La

cavalcata sul petto del vinto e la fero-

cia

trionfante

quelle parole rivelano

la

violenza primordiale di Argante.

non bada: non indugia più. Nota il cavalleresco scatto dell’eroe magnanimo, che 85.

si

strappa del tutto daH’obliosa contemplaE il T. ora lo chiama invitto-, la pa-

zione. rola è

come uno

che preannuncia

squillo di il

al



poco uso,

sofferir si

strugge:

nuovo

tromba guerriera, duello.

’l

nubi, ond’egli è chiuso.

rapidità.

di

belve

tra le selve.

suono esce confuso, come strido d’animal che rugge;

o come apre

arrestandone

l’altre

labra, e di furor

risponder vuol; si

con monti e Pagano,

la luce, e va’

a incrudelir

87.

con chiara emenda: con una pubblica a tutti. È il tema eroi-

ammenda, manifesta co di Tancredi, quello patetico.

indissolubilmente

unito

a

il primo impeto del discorche però si prolunga troppo e perde il suo mordente, ancor: anche, infame: inde-

89-91. Bello è

so,

gno

di gloria,

97. al

laude:

sofferir:

a

gloria.

tollerare

insulti.

da 98-100. Cosi grande è l’ira di Argante mozzargli la parola, da fargli rispondere

con grida confuse. quali è rin^ loi. ond’egli è chiuso: fra le serrato.

Antologia della letteratura italiana

520

impetuoso il fulmine, e se ’n fugge, COSI pareva a forza ogni suo detto tonando uscir da rinfiammato petto. Ma, poi che in ambo il minacciar feroce a vicenda irritò Torgoglio e l’ira,

l’un

come

spazio

Òr

rapido e veloce,

l’altro

corso prendendo,

al

destrier gira.

il

me

Musa, rinforza in

qui.

la voce,

e furor pari a quel furor m’inspira

che non sian de l’opre indegni

SI

ed esprima

il

mio canto

carmi,

i

suon de l’armi.

il

Posero in resta e dirizzaro in alto

duo

guerrier le noderose antenne; né fu di corso mai, né fu di salto, né fu mai tal velocità di penne, né furia eguale a quella, ond’a l’assalto quinci Tancredi e quindi Argante venne. i

Rupper Paste su

gli

elmi e volar mille

tronconi e schegge e lucide faville. Sol dei colpi

rimbombo intorno mosse

il

monti:

l’immobil terra; e risonarne

i

ma

percosse

l’impeto e

furor de

’l

le

nulla piegò de le superbe fronti.

L’uno e l’altro cavallo in guisa urtosse, che non fur poi cadendo a sorger pronti Tratte

spade,

le

i

lasciar le staffe e

io8. spazio...

^’ra:

fa

prendere

vallo la rincorsa per l’assalto.

I

al

i

gran mastri di guerra piè fermaro in terra.

ca-

vv. 109-113

sono un’inopportuna formula rettorica. 113 sgg. È questo forse il migliore dei celebri duelli della Liberata, cosi diversi da quelli

tumultuosi,

contati con

un

fantasiosi

e

spesso

rac-

be preferito dire rapido e combattenti. dio

1

sta

il

calcio della

costruite stissime.

T. sono

costruiti

calcolata e sapiente, proprio della civiltà cor-

tigiana alla quale

mente.

Ma

intenditore

mento

il

l’abilità si

poeta aderisce intimadescrittiva,

accompagnano

al

gusto di vagheggia-

il

un’umanità energica e forte, sia fisicamente sia moralmente, o, come avrebdi

della

psicologia

dei

mettono in

re-

lancia e la punta in di-

rezione dell’elmo dell’avversario, noderose:

con « aperto ossequio alle leggi della scherma », esprimendo quello che il Getto definisce il « gusto della regola », dell’ azione ben dosata, duelli del

T., eroica, e a uno stu-

13-14. Posero... antenne:

fare sorridente dall’ Ariosto.

I

il

intenso

di

legno

nodoso e quindi robu-

né fu di corso: sottintendi « tal di penne; di ali. 120. lucide faville: frammenti di lancia 115-16.

velocità ».

accesi per l’attrito.

121. Sol...

rimbombo:

il

solo

rimbombo

tono è sforzato nei primi due versi, ma nel 123 e nel 124 avverti una ben piu consistente forza e grandezza eroica. dei colpi.

Il

126. a sorger:

a rialzarsi.

Torquato Tasso

521

Cautamente ciascuno a a

la destra,

reca in

si

move

colpi

i

guardi l’occhio, a

i

passi

i

piede;

il

in guardie nove;

atti vari,

or gira intorno, or cresce innanzi, or cede;

or qui ferire accenna, e poscia altrove,

dove non minacciò,

vede:

ferir si

or di sé discoprire alcuna parte,

con l’arte. spada Tancredi e de lo scudo mal guardato al Pagan dimostra il fianco. Corre egli per ferirlo, in tanto nudo a, tentar di schernir l’arte

De

la

di riparo si lascia il lato manco. Tancredi con un colpo il ferro crudo del nemico ribatte, e lui fère anco: né pof, ciò fatto, in ritirarsi tarda,

ma

raccoglie, e

si

Il

si

ristringe in guarda.

fero Argante, che se stesso mira

del proprio sangue suo macchiato e molle, con insolito orror freme e sospira, di cruccio e di dolor turbato e folle:

portato da l’impeto e da

e,

con

la

l’ira,

voce la spada insieme

estolle,

e torna per ferire: ed è di punta

piagato, ov’è la spalla al braccio giunta.

Qual ne le alpestri selve orsa, che senta duro spiedo nel fianco, in rabbia monta

129-36. in

re

È

«

l’ottava più abile nel tradur-

poesia

di

l’arte

ritmarne la cautela e (Momigliano). 129-30.

mano

per

questo

duello,

proditoria »

la rapidità

1’

colpire,

Grande è questa rappresentazione

145-52.

Argante, del suo orrore (non è timore,

di

ma uno

stupore incredulo

so, istintivamente

Cautamente ciascuno muove

«

nel

occhio

per

spiare

r

(nota

insistenza

la

rite

le

chiato e molle) che

con

co c di difesa, or cresce... cede: ora si allunga in avanti in un a fondo, ora si ritrae.

vaggia violenza.

136. e tentar... arte: deludere l’abiliti del-

l’avversario con

sempre e,

alla

potremmo

nell’ottava

una maggiore descritta

finta,

con gusto d’intenditore,

dire,

seguente.

138-42. dimostra: il

fianco sinistro,

143-144. « tira

Allude concretamente

abilità.

rapido e

E si

mostra,

fère:

lato

il

manco:

il

colpo

si

ri-

stringe nella sua guardia ».

stes-

alle fe-

mac-

proprio-suo,

:

non aveva mai

un

urlo

150-52. :

e,

un balzo

insieme, in

subito

leva

estolle:

in

alto

di

per

sel-

ferire,

congiunta.

153. Qual ne gante imprime

le al

Ora Arecc. un andamento di

alpestri,

duello

:

barbarica violenza, alla quale si piega, alla tre fine, anche Tancredi. Questa e le altre ottave rappresentano con un potente cre-

scendo

la

ferocia

154. spiedo: ciatori.

della

sempre più sfrenata

lotta.

ferisce.

appena inferto

tempo

tale

l’ira

giunta

133-34. Descrive la finta.

al

abbondanza. Al dolore si aggiunge che lo rende quasi folle, lo fa erompere

mosse deU’awersario, il piede per assumere una posizione vantaggiosa ». 131-32. atti... guardie: movimenti d’attac-

in

e,

sgomento) davanti

.

corta

lancia

usata

dai

cac-

5 ^^

Antologia della letteratura italiana

medesma

e centra l’arme sé

avventa,

morte audace affronta; tale il Circasso indomito diventa, giunta or piaga a la piaga, ed onta a e

i

perigli e la

l’onta;

e la vendetta far tanto desia,

che sprezza

160

rischi, e le difese oblia.

i

E congiungendo a temerario ardire estrema forza e infaticabil lena, vien che

impetuoso

si

ferro gire

il

che ne trema

la terra, e

né tempo ha

l’altro,

balena

ciel

il

onde un

sol

:

colpo

tire.

165

onde si copra, onde respiri a pena; né schermo v’è ch’assecurare il possa da la fretta d’ Argante e da la possa. Tancredi, in sé raccolto, attende in vano che de’ gran colpi la tempesta passi: or v’oppon le difese, ed or lontano se ’n

va co’ giri e con veloci passi;

ma, poi che non

s’allenta

fier

il

è forza alfin che trasportar

Pagano,

lassi,

si

e cruccioso egli ancor con quanta puote

violenza maggior la spada rote.

Vinta da e le forze

l’ira

è la ragione e l’arte,

furor ministra e cresce.

il

Sempre che scenda

il

ferro,

o fora o parte

o piastra o maglia; e colpo in van non esce. Sparsa è d’armi

la terra, e

l’armi sparte

sangue co ’l sudor si mesce. Lampo nel fiammeggiar, nel romor tuono, fulmini nel ferir le spade sono. Questo popolo e quello incerto pende da SI novo spettacolo ed atroce; e fra tema e speranza il fin n’attende, mirando or ciò che giova, or ciò che nuoce di sangue, e

la

il

158. giunta... onta: essendosi aggiunta alprima una seconda ferita; e l’essere col-

pito,

battuto, è un’onta per

guerra

il

«

mastro

di

una capacità

di

re-

sistenza illimitata. 163. vien:

non

176-79. l’arte

avviene,

s’allenta:

rote:

rotei,

gire:

non la

rotei.

rallenta l’assalto.

ragione e l’arte:

del combattere ordinato e razionale.

è

complemento oggetto,

parte:

spezza. 185-92. Attorno al selvaggio duello l’am-

pagani e dei che crea un’atmosfera d’ammirazione intorno ai due croi. 188. ciò che giova, ecc. ciò che giova al proprio campione e ciò che gli nuoce; seguono con partecipazione viva le fasi alterne pia

».

162. infaticabil lena:

173.

forze:

le

:

prospettiva

scenica

dei

cristiani, stupefatti e attoniti,

:

del

duello.

Torquato Tasso

523

‘I

li

non

vede pur, né pur s’intende cenno fra tanti, o bassa voce; ma se ne sta ciascun tacito e immoto, se non se in quanto ha il cuor tremante in moto. e

I

si

picciol I

j

I

Erminia esce da Gerusalemme j

Nel palagio regai sublime sorge mura, da la cui sommità tutta si scorge l’oste cristiana, e ’l monte e la pianura. Quivi, da che il suo lume il sol ne porge, antica torre assai presso a le

'

I

in sin .che poi la notte

mondo

il

s’asside, e gli occhi verso

oscura,

campo

il

gira,

e co’ pensieri suoi parla e sospira.

Quinci vide

la

pugna: e ’l cor nel petto punto si forte,

senti tremarsi in quel

che parea che dicesse:



Il

de

è quegli là ch’in rischio è

^

tuo diletto la

morte.



Gdsi d’angoscia piena e di sospetto

mirò i successi de la dubbia sorte, e, sempre che la spada il pagan mosse, j

ne l’alma

senti

!

Ma,

ferro e le percosse.

il

poi ch’il vero intese, e intese ancora

che dèe l’aspra tenzon rinovellarsi. non moto che

se:

I92. se

tro

il

eccetto che.

Non

v’c al-

palpito del loro cuore.

la

Ottave 62-65 e 102-1 ji.

sublime

1.

sorge:

sorge,

più

delle

alta

altre.

antico:

2.

getti,

come

solitaria

di

è

assai

epiteto

serve a sfumare di

gli

qui,

suggerisce

caro

al

lontananza

dove quella torre il

Tancredi, se non che si avverte in lei maggiore insistenza di questo smarrirsi nel sogno, anche perché, orfana, sola e privata del suo regno, non ha più altra vita se non sto, a

T., e gli

og-

alta

quella del proprio amore. Ma questo verso, bellissimo, non vale solo per lei; esprime quel senso deir interiorità colta nelle sue pieghe

più

9. la

e

senso della solitudine

4-5. l’oste;

amore struggente. l’esercito,

da che:

da quandetermina-

ma

zione temporale sfuma in

un senso di pena un tempo indefi-

continua,

incessante,

in

nito. 8.

la

grande novità

della

pugna

:

il

duello fra Argante e Tan-

14.

i

successi... sorte:

i

vari eventi del duel-

lo incerto.

do. Dall’alba alla notte,

la

che è

credi.

Erminia, tutta chiusa nel proprio sogno

e nel proprio

segrete

poesia tassiana.

e co’ pensieri... sospira: Erminia è

com-

pletamente isolata con le immagini della sua fantasia e del suo cuore. Assomiglia, in que-

15-16. Tutta l’ottava svolge

il

motivo della

Erminia, del sensibilità tenera e ansiosa di consuo dolce palpitare e smarrirsi, quel suo del cuore tinuo abbandono alle sollecitazioni e della fantasia innamorata. per rinovellarsi: Il duello, interrotto, 18.

il

sopraggiungere della notte, doveva essere

ripreso di

li

a sei giorni.

524

Antologia della letteratura italiana

timor cosi Taccora

insolito

che sente

il sangue suo di ghiaccio Tal or secrete lagrime, e talora sono occulti da lei gemiti sparsi:

essangue, e sbigottita in atto,

pallida,

spavento e

lo

farsi.

Con

dolor v’avea ritratto.

’l

imago il suo pensiero ad or ad or la turba e la sgomenta; e, via pili che la morte, il sonno è fero, SI strane larve il sogno le appresenta. orribile

Parie veder l’amato cavaliero lacero e sanguinoso, e par che senta ch’egli aita le chieda; e desta in tanto, si

trova gli occhi e

sen molle di pianto.

’l

Per molte ottave il T. esprime questo raccogliersi di tutta V anima Erminia intorno alle suggestioni della fantasia innamorata. Finalmente ella decide di recarsi da Tancredi per curarlo con le sue e la vita di

mani

esperte e stare poi per sempre con lui.

Fugge

dalla città,

dopo

avere indossato le armi di Clorinda, onde non essere impedita nel suo

cammino, con un

fedele scudiero. Giunta in prossimità del

frattanto

campo

cri-

Tancredi a dirgli che una donna lo attende. Ella

stiano, lo invia a

rimane ad aspettare

Ma

il

ritorno del messo.

tanto impaziente, a cui

ella in

troppo ogni indugio par noioso e greve,

numera e pensa:

E

fra sé stessa

i



passi altrui,

or giunge, or entra, or tornar deve.

già le sembra, e se ne duol, colui

men

del

Spingesi

solito assai al

spedito e leve.

fine manti, e ’n parte ascende

"

onde comincia a discoprir le tende. Era la notte, e ’l suo stellato velo 23. in atto:

di questa silenziosa notte lunare; fra

nell’ aspetto.

La malinconia

il

per-

nella pace del paesaggio notturno di quella

natura si determina una corrispondenza arcana, il sentimento di Erminia assume una vastità cosmica. Nell’ indefinito, sterminato orizzonte si placano l’ansia, il tumulto dei suoi contrastanti affetti, e le tende latine che affiorano candide nell’ombra im-

seguente.

mota assumono

25-32. si

e

i

timori del giorno

prolungano nella notte, nelle

visioni

del

sogno, fero: crudele. 35.

i

passi altrui: quelli dello scudiero.

trepidazione di questa ottava sfocia e

41-48.

È una

si

La

placa

delle ottave più belle del poe-

ma, la più alta della storia d’amore di Erminia. L’anima sognante della fanciulla si espande nell’ infinita dolcezza e nella pace

sonaggio c

la

l’aspetto di

una promessa

di

pace, di oblio degli affanni, di felicità senza confini. 41. stellato velo: la volta del cielo appare

come un

velo variegato di

stelle.

Torquato Tasso

525

chiaro spiegava e senza nube alcuna; e già spargea rai luminosi e gelo di vive perle la sorgente luna.

L’innamorata donna iva co *1 cielo le sue fiamme sfogando ad una ad una,

^

amore antico muti campi e quel silenzio amico. Poi, rimirando il campo, ella dicea:

e secretar! del suo fea



i

O

belle a gli occhi miei tende latine!

aura spira da voi che e

mi

mi



ricrea,

conforta pur che m’avicine:

mia

COSI a

combattuta e rea il del destine,

vita

qualche onesto riposo

come

'

in voi solo

che trovar pace Raccogliete

cerco, e solo

mezzo

io possa in

me dunque:

quella pietà che e

il

parmi a Tarmi.

e in voi

si

trove

mi promise Amore,

ch’io già vidi, prigioniera altrove,

nel

mansueto mio dolce signore:

'

né già desio di racquistar mi move co ’l favor vostro il mio regale onore:

quando ciò non avenga, assai felice io mi terrò, se ’n voi servir mi lice. Cosi parla costei; che non prevede



qual dolente fortuna 43-44. e già... luna: la luna sorgendo spani suoi raggi e illumina le gocce

de nel cielo

della rugiada, le avviva della sua luce,

apparire suscitano

come perle un senso di

le fa

che tremolano e

vive,

frescura. Senti nei versi

un’ onda musicale tenera e morbida, un’ impressione vaga dei sensi tutta trasfigurata in

impalpabile dolcezza. Qui è

la

piu grande e

nuova poesia tassiana. Anche 45-46. L’ innamorata donna, ecc. in questi versi avverti una musica tenera e :

carezzevole c la corrispondenza arcana fra l’anima di Erminia e la natura. 47. sccretari: confidenti dell’ intimo segreto del cuore. E antico chiama quel suo amore che avvince la sua anima da un tempo immemorabile, sconfinato. In esso tutta la sua vita si è risolta, fuori di esso non ha altre

memorie.

48. c quel silenzio, ecc.

ultimi versi, che prolungano,

atmosfera

:

Il

silenzio è ora

di gravità nei

due

lirica

come

qui, la

proiettandola nell’ottava se-

guente, in quel monologo familiare e insieme favoloso, sognante, carico di tutto il desiderio d’amore, di tutta la nostalgia di pa-

ce d’ Erminia.

pur che m’ avicine

52.

:

non appena mi

avvicino a voi. 53-55. cosi... cerco: cosi possa

il

cielo do-

nare alla mia vita travagliata e dolente quella pace onesta che io ricerco solo fra voi. si

57.

trove:

si

trovi,

possa

io

trovare.

prigioniera altrove: al campo cristiano, dopo la presa di Antiochia. La mansuetudine e la dolcezza rispettosa con cui Tan59’

l’aveva

credi ella

trattata

innamorasse

si

avevano fatto

si

che

di lui.

regale onore: il mio regno. Se anche ciò non avverrà mi servire terrò abbastanza felice se potrò 62.

il

63-64.

divenuto amico, perché secretarlo del suo amore. Osserva il Raimondi che l’ottava del

T. ha uno dei suoi centri

a-

^

s’appreste.

lei

mio «

mio signore 66. te le

il

».

qual... s’appreste: si

ri-

appresti.

qual dolente sor-

526

Antologia della letteratura italiana

Ella era in parte ove per dritto fìede

Tarmi sue terse SI che da lunge co

’l

il

bel raggio celeste;

il

lampo

lor

vede

si

bel candor che le circonda e veste,

e la gran tigre ne l’argento impressa

fiammeggia

Come

—È

ch’ognun direbbe:

si,



dessa.

sua sorte, assai vicini

volle

molti guerrier disposti avean gli aguati; e n’eran duci

Alcandro

duo

fratei latini,

mandati

e Poliferno, e fur

per impedir che dentro a

i

saracini

gregge non siano, e non sian buoi menati; ’l servo passò, fu perché torse piu lunge il passo, e rapido trascorse.

e se

Al giovin Poliferno,

a cui fu

il

padre

su gli occhi suoi già da Clorinda ucciso, viste le spoglie

fu di veder

candide e leggiadre, guerriera aviso:

l’alta

e contra le irritò le occulte squadre;

né frenando del cor moto improviso (come era in suo furor subito e folle), gridò Sei morta, e Tasta in van :

S{



come



cerva, ch’assetata

lanciolle.

passo

il

mova a cercar d’acque lucenti e vive, ove un bel fonte distillar d’un sasso, o vide un fiume se

incontra

i

tra frondose rive,

cani allor che

’l

corpo lasso

Tonde, a Tombre estive, volge in dietro fuggendo, e la paura

ristorar crede a

la

stanchezza obliar face e l’arsura; COSI costei, che

de Tamor

onde l’infermo core

67. fiedc: colpisce; soggetto è il bel raggio celeste, cioè la luce lunare. 71. la gran tigre: Clorinda, di cui Ermi-

ha indossato le armi, portava come miero una tigre scolpita neU’argento.

nia

ci-

72. È dessa: c proprio lei. 74-75. aguati : posti segreti di guardia che dovevano impedire, come spiega dopo, che alla città assediata

latini:

79.

giungessero rifornimenti,

servo:

lo

scudiero inviato da Er-

minia col messaggio per Tancredi.

la sete,

sempre ardente,

82. su gli

occhi suoi:

84. fu... aviso:

sotto

i

suoi occhi.

credette, l’alta guerriera:

Clorinda. 85. occulte:

nascoste in agguato.

87-88. subito e folle: impulsivo e folle in

quanto osava attaccare una guerriera cosi forte, in van: senza colpirla. 95-96. c la paura, ecc.: la paura le fa dimenticare {obliar face) la stanchezza e l’arL’ottava seguente cerca con minuzia le rispondenze fra la metafora e la situazione di Erminia.

sura.

italiani. ’l

è

Torquato Tasso 527

spegner ne l’accoglienze oneste e

liete

credeva, e riposar la stanca mente;

or che contra le vien chi e

suon del ferro e

’l

sé stessa e

e

gliel

100

diviete,

minacele sente,

le

suo desir prima abbandona,

’l

veloce destrier timida sprona.

’l

Fugge Erminia infelice; e ’l suo destriero can prontissimo piede il suol calpesta. Fugge ancor l’altra donna; e lor quel fèro con molti armati di seguir non resta. Ecco che da le tende il buon scudiero con

la tarda novella arriva in questa,

e l’altrui fuga ancor e gli sparge

Credendo che pone sulle tracce

il

di

si

tratti

d’

Erminia,

dubbio accompagna, la campagna.

timor per

Clorinda, Tancredi balza dal letto e

ma

senza raggiungerla; anzi cadrà

tima degli incanti di Armida e solo dopo molto tempo ritornerà, rato da Rinaldo, al

campo

si

vit-

libe-

cristiano.

Canto VII Anche questo canto ha una complessa struttura narrativa e si articola in Abbiamo dapprima il tema idillico, la fuga cioè di Erminia e il suo arrivo in un luogo sereno, fra i pastori, presso i tre episodi di diversa tonalità.

quali essa trova rifugio e riprende, dopo

la

parentesi avventurosa, a sognare

d’amore nella dolce pace della natura. Subentra il tema avventuroso e magico: Tancredi, uscito dal campo sulle tracce di Erminia (egli crede che si tratti di Clorinda), incappa nel magico castello di Armida e vi resta imprigionato. Ritorna infine l’austero tono epico. Argante, secondo si

riprescnta per continuare ih duello e nessuno fra

i

i

patti,

Crociati osa battersi

lui. Scende allora in campo per difendere l’onore dell’esercito il magnanimo conte Raimondo; ma è avanzato negli anni e certo soccomberebbe se il suo angelo custode non lo difendesse con uno scudo di diamante. I diavoli

con

allora insorgono in aiuto di

99. accoglienze oneste e liete:

Argante e spingono che atten-

deva da Tancredi. loj. di viete:

impedisce.

non pen-

sa piu a se stessa e al suo desiderio, timida: timorosa.

106.

con prontissimo piede: velocemente.

107.

1’

altra

donna Il

:

la

Saraceni a interrompere

109. da le tende: dalla tenda di Tancredi, che aveva detto al servo di esser pronto ad accogliere 1 ignota donzella (Erminia non aveva voluto che il servo dicesse a Tancredi ’

103-104. se stessa... abbandona;

l’aveva seguita.

i

fedele ancella che

fèro (feroce) è Poliferno.

il

suo nome). 111.

r

altrui...

accompagna: accompagna

fuga delle donne scMa rendersi pienamente conto della situazione. e a i servi. 112. gli: è riferito a Erminia

anche

lui

la

528

a

Antologia della letteratura italiana

tradimento

il

Ne

duello.

nasce una zuffa, nella quale

un’orribile tempesta che sferza in viso

Crociati e

i

e in disordine nell’accampamento. Solo la la sconfìtta

Erminia

non divenga una

fra

i

li

i

demoni scatenano

fa rientrare sconfìtti

prodezza di Goffredo fa

si

che

rotta.

pastori Intanto Erminia infra Tombrose piante d’antica selva dal cavallo è scòrta,

né piu governa e

mezza

man

fren la

il

tremante,

quasi par tra viva e morta.

Per tante strade

raggira e tante

si

corridor eh’ in sua balia la porta,

il

ch’ai fin da gli occhi altrui pur si dilegua, ed è soverchio ornai ch’altri la segua. Qual dopo lunga e faticosa caccia

tornansi mesti ed anelanti

che

la fèra

i

cani,

perduta abbian di traccia,

nascosa in selva da gli aperti piani, pieni d’ira e di vergogna in faccia"*

tal

riedono stanchi

cavalier cristiani.

i

Ella pur fugge, e timida e smarrita

non si volge a mirar s’anco è seguita. Fuggi tutta la notte, e tutto il giorno errò senza consiglio e senza guida,

non udendo o vedendo che

le

Ma

ne

altro d’intorno,

lagrime sue, che l’ora

scioglie

i

che

sol

’l

corsieri,

sue strida.

le

dal carro adorno

grembo

e in

giunse del bel Giordano a

e scese in riva al fiume, e qui

Ottave 1-22.

15.

da 2.

d’ antica

selva:

anche qui l’aggettivo

T., dà alla selva un aspetto di 'indistinta grandiosità e di indistinto orrore, è scòrta: è guidata, perché, come dice nel v. seguente, la sua mano treantico,

cosi

caro al

mante non regge piu 6.

il

corjidor:

3. soverchio: 10 nati

il

il

freno

(le

briglie).

cavallo.

superfluo,

per la vana e lunga corsa. che...

piani:

abbiano perdute

una fiera che dai luoghi piani ed aperti dove l’avevano scovata s’è andata a rifugiare in una selva. tracce di

si

s’annida,

acque,

giacque.

pur fugge: continua a fuggire, timi-

Sono i versi più belli di questa fuL’attenzione del poeta è tutta rivolta all’anima di Erminia, al suo dolore che nasce dalla desolazione del suo sogno infranto. 21-24. Nella seconda parte dell’ottava il ritmo affannoso si placa lentamente e il T. comincia a preparare il nuovo incontro fra 17-20.

ga.

e la natura.

21-22. dal carro adorno: secondo la mitologia classica

le

mar

spaventata.

Erminia

inutile.

mesti ed anelanti: mortificati e affan-

II-I2.

:

al

le chiare

il

sole percorreva la sua strada

un cocchio

da cavalli. acque limpide del fiume sembrano già suggerire un’atmosfera dolcemente serenatrice. nel cielo su di ^3.

a

le

chiare acque:

tirato

le

Torquato Tasso

529

Cibo non prende già; che solo

ma

sete;

sonno, che de’ miseri mortali

’l

è co

de’ suoi mali

ha

pasce, e sol di pianto

si

suo dolce oblio posa e quiete,

’l

sopì co* sensi

i

dispiegò sovra

né però cessa

suoi dolori, e lei

l’ali

placide e chete;

Amor

con varie forme ella dorme. che garrir gli augelli

sua pace turbar mentre

la

Non

destò sin

si

non senti lieti e salutar e mormorar il fiume e

gli albori,

gli

arboscelli,

con l’onda scherzar l’aura e co i fiori. Apre i languidi lumi, e guarda quelli e

alberghi solitari de’ pastori; e

park voce udir

ch’a

i

Ma rotti

tra l’acqua e

rami,

i

ed al pianto la richiami. son, mentr’eUa piange, i suoi lamenti

sospiri

da un chiaro suon ch’a

che sembra, ed

è,

lei

ne viene,

di pastorali accenti

misto e di boscareccie inculte avene. Risorge, e là s’indrizza a passi lenti.

27-28.

sonno è sempre visto dal T. come

Il

un oblio

della

vita

affannosa,

un

suo ritmo caotico e dolente.

dal

distacco

Qui

esso

dispiega le sue ali placide e chete su Erminia e

sembra una tenera carezza. 29. sopì... dolori:

il dolore di Erminia. con varie forme: con immagini di sogno. Ma oramai l’angoscia è placata. Essa si è espressa nel ritmo tumultuoso di quella

31.

non

drammatiche risonanze sentimentali. Erminia non è personaggio drammatico, ma trepido e sognante, e del attraverso

sogno conosce

È

33-40.

un’ altra

quale ritorna

biamo

gli slanci e la

il

malinconia.

grande ottava,

nella

tema del notturno che ab-

visto nel canto precedente:

un’arca-

na e dolce consonanza fra l’uomo e la naun tenero stemperarsi della tensione deH’anima in un limpido paesaggio di pace. tura,

e...

34.

albori:

c salutare la prima luce

Nota quel

lieti che preannuncia pace e la serenità alla quale lentamente ritorna Erminia. La stessa voce consolatrice

dell’alba. la

è nei

37

-

due

versi seguenti.

Apre...

lumi:

sono ancora lungo piangere e si su questo mondo di pace che i

stanchi, languidi per

aprono

lenti

gli occhi

il

di

prima-

vera.

37-38. c guarda quelli alberghi, ecc. V enjambement o rompimento rende bene la :

lentezza

sopì, insieme coi sensi,

anche

fuga,

giunge fresco come un mattino

trasognata

sguardo,

dello

il

suo

lento scorrere su quel paesaggio assorto in

una pace immota. 39-40. Il suono dell’acqua

rami mos-

e dei

dalla lieve brezza del mattino la richia-

si

ma

pianto e

al

ai sospiri;

ma

un

è

pianto,

sfuma lentamente in quel canto di pastori che su-

ora, piu dolce, che

bito

s’

dona conforto,

e

ode.

43. che lo ascolti

E

sicura.

sembra, ed è: pare che Erminia prima stupita e sorpresa, poi piu in realtà, dopo le scene cruente

della battaglia e della strage, che infuriano in quella terra desolata, il canto pastorale

sembra venir come da un altro mondo. Esso crea un’oasi dolce e serena fra il fragor di battaglia della Gerusalemme e i travagli spirituali dei suoi eroi.

43-44.

suono

»

di

pastorali...

è costituito

mescolati al suono (inculte avene). 45.

verso

Risorge, ecc.: il

avene:

delle

Si

schiaro

il

pastori

canto dei

dal

zampogne

rozze

alza e

si

luogo dal quale proviene

indirizza il

canto

Antologia della letteratura italiana

530

e vede

un uom canuto

amene

a l’ombre

tesser fiscelle a la sua greggia a canto,

ed ascoltar di

Vedendo

tre fanciulli

il

canto.

quivi comparir repente

Tinsolite arme, sbigottir costoro;

ma

gli

saluta Erminia, e

gli affida, e gli occhi

— al

dolcemente

scopre e

bei crin d’oro:

i

Seguite, dice, aventurosa gente

Ciel diletta,

bel vostro lavoro;

il

ché non portano già guerra quest’armi a l’opre vostre, a

vostri dolci carmi.

i

Soggiunse poscia:

—O

d’alto incendio di guerra arde

come qui

la



le militari offese?

d’ogni oltraggio e scorno

ei rispose,

mia famiglia

paese,

il

placido soggiorno

state in

senza temer

— Figlio,



padre, or che d’intorno

e la

sempre qui fur; né

mia greggia illese Marte

strepito di

ancor turbò questa remota parte.

O

sia

grazia del Ciel, che l’umiltadc

d’innocente pastor salvi e sublime;

o che,

SI

come

in basso pian COSI

il

il

de’

gran re



gli

avidi

l’altere

soldati

46-48.

c

un sogno. Il

T. presenta

se essa era spesso soverchiata

da un’al-

immagine ideale; quella della corte, vista da lui come dimora di un’umanità aritra

stocratica ed eletta.

Meglio e più coerente-

mente che non vitW Aminta vagheggia

in

questo episodio il mito della vita semplice, di una primitiva schiettezza e innocenza. Tali sono i motivi svolti, più avanti, nel discorso del pastore, che è, però, un po’ troppo compiaciuto e appesantito da remi-

nescenze libresche, mentre 1’ immagine dei versi presenti è assai più limpida, fiscelle; ceste

repente;

preda

opprime; alletta

che non erano mai apparse colà. gli

affida;

rassicura,

li

che

all’

improvviso,

insolite;

e gli occhi,

indovinavano dolci e sorridenti, i capelli d’oro disegnano una immagine soave di fanciulla. È per sempre finita l’avventura guerriera di Erminia. ecc.

:

gli occhi,

53. aventurosa;

s’

fortunata.

carmi; canti (v. 48). 57. O padre; Parla al pastore come se già fosse entrata nella sua famiglia, in quel56.

la vita serena.

60. le militari offese: le violenze dei soldati.

61. Figlio:

Non sembra

corto che parla con 66. sublime:

una

essersi

onori.

69. peregrine:

ricchezza.

ancora ac-

fanciulla.

straniere; di chi

viene per assalire e privare

di vimini.

49-50.

teste

52.

vede... canuto;

qui un’ immagine di pace, di vita semplice e patriarcale, a cui anelava il suo cuore,

anche

a

nostra povertà vile e negletta.

con un passo lento, come assorta c ancora in preda a

non cade

su l’eccelse cime,

furor di peregrine spade

sol

la

folgore

ma

i

da lungi

re della loro

Torquato Tasso

531

Altrui vile e negletta, a

me

cara,

si

che non bramo tesor né regai verga; né cura o voglia ambiziosa o avara

mai nel tranquillo del mio petto alberga. Spengo la sete mia ne l’acqua chiara, che non tem’io che di venen s’asperga; questa greggia e

e

non compri

cibi

Ché poco

è

l’orticel

il

Son

de

men

saltar

ed

la

mandra, e non ho

veggendo

i

capri snelli e

i

Tempo

già

fu,

piume.

di

pasturar

e fuggii dal paese a

la

me

greggia,

natio;

Menfi un tempo, e ne

e vissi in i

quando piu l’uom vaneggia

prima, ch’ebbi altro desio,

l’età

e disdegnai

fra

cervi,

guizzar di questo fiume,

e spiegar gli augelletti al del le

ne

servi.

vivo in solitario chiostro,

-pesci

i

nostro

il

conservi.

si

miei questi ch’addito e mostro,

figli

Cosi

poco è

desiderio, e

bisogno, onde la vita custodi

dispensa

mia parca mensa.

a la

reggia

la

ministri del re fui posto anch’io;

ben che fossi guardian de gli orti, conobbi pur l’inique corti. Pur lusingato da speranza ardita soffrii lunga stagion ciò che piu spiace; ma poi ch’insieme con l’età fiorita mancò la speme e la baldanza audace.

e,

vidi e

74.

rcgal verga:

scettro regale.

Povertà è

qui intesa come mancanza di fasto e di ricchezza, non come privazione di quanto serve a soddisfare gli elementari bisogni della esistenza; significa, insomma, vita semplice, non turbata da cupidigia o ambizione, È l’antico ideale classico,

nel

mito della

vita

espresso soprattutto

pastorale.

75. cura... avara: ambizione c cupidigia. 78. che... s’asperga: che venga avvele-

nata dai nemici, tenti,

80.

soggetti cibi

frutto

del

vertito,

il

come

all’

capita ai re e ai po-

invidia

e

tradimento.

al

non compri: non comperati, ma suo lavoro. Come abbiamo avT. canta qui

il

suo

idillio,

me una

espri-

sua personale nostalgia. e... conservi: e di poco abbiamo bisogno per vivere. 81-82.

85. chiostro:

luogo appartato.

esprime la nostalsemplice e schietta della natura, senza alcuna preoc-

86-88. In questi versi

gia

di

bellezza

un

cupazione

si

ritorno alla

moralistica.

Domina

in

essi

un

senso di vita fresca e gioiosa. giovinezza, 89. quando... vaneggia: nella quando ci si lascia piu facilmente attrarre da vane lusinghe e illusioni. In questo e nei seguenti il T. sembra ripercorrere la vicenda della sua vita, con la nostalgia che nasce dal ricordo di una felicità e purezza

versi

perdute. orti: giar93-95. Menfi: città dell’Egitto,

dini,

96.

.

r inique

corti

:

è

un lamento

sincero del

attirato dallo

T., che pur fu costantemente splendore del mondo della corte. perdita, soprattut98. ciò che pili spiace: la to, della libertà.

532

Antologia della letteratura italiana

piansi

e dissi

di qucst’umil vita

riposi

i

mia perduta pace;

e sospirai la «

:

O

corte, a

ho

boschi tornando,

Dio.» Cosi, a tratto

amici



Erminia pende

Mentr’ei cosi ragiona,

da

gli

di felici.

i

soave bocca intenta e cheta;

la

e quel saggio parlar, ch’ai cor le scende, de’

sensi in parte le procelle

Dopo molto

pensar,

acqueta.

prende

consiglio

in quella solitudine secreta

almen farne soggiorno,

in sino a tanto

ch’agevoli fortuna

Onde

al

il

suo ritorno.

buon vecchio

ch’un tempo conoscesti se

non

de

le

e

me

t’invidii

il

Ciel

O

fortunato,

male a prova, dolce stato,

ti

mova;

teco raccogli in cosi grato

albergo ch’abitar teco

Forse

si

miserie mie pietà



dice:

il

che

fia

mio

’l

mi

giova.

core in fra quest’ombre

del suo peso mortai parte disgombre.

SI

Che come

se di

gemme

e d’or, che

’l

vulgo adora

idoli suoi, tu fossi vago,

tante n’ho

potresti ben,

renderne

meco

ancora,

tuo desio contento e pago.

il



Quinci, versando da’ begli occhi fora

umor

di doglia cristallino e vago,

parte narrò di sue fortune; e in tanto il

pietoso

pastor

pianse

come 104.

ho

tratto:

ho

ha bisogno soprattutto

privarti del tuo felice stato. È formula d’augurio e accompagna la richiesta di ospitalità.

120.

la

tempesta

dei suoi sentimenti. L’espressione, applicata

ad Erminia, appare un po’ forte. In realtà ella ha bisogno di quella pace per immergersi nel soave fantasticare d’amore che è la vera vita della sua anima. 114. a prova: per esperienza diretta.

non

t’invidii, ecc.:

possa

il

ciclo

mi

giova:

118-19. avverrà.

« Si liberi,

mortale affanno

umor,

piace, desidero, fia:

almeno

in parte, dal suo

».

ecc. lacrime versa Erminia, perché escono dai suoi occhi limpidi e lucenti e vaghe, cioè dolci e gentili. Il suo dolore si stempera in una luce

126-27.

de’ sensi... le procelle:

115. se

l’accoglie,

non

vissuto.

di pace.

108.

si

tutt’arda di paterno zelo;

105 sgg. Erminia pende, ecc.: il fascino dolce della natura, la serenità della vita agreste, espressa in forma pacata e persuasiva dalle parole del pastore, rasserenano Erminia c le ispirano un desiderio vivissimo di restare; anch’ ella

suo pianto.

al

Poi dolce la consola, e

ma

:

cristalline

fortune: vicende. Proprio di questo ha bisogno la tenera Erminia, di una compassione paterna, di qualcuno che condivida teneramente la sua malinconia solitaria. di bellezza c di grazia,

128.

Torquato Tasso 533

e la conduce ov’è l’antica moglie,

che di conforme cor

La

ha dato

gli

s’ammanta, e cinge

al

ma

occhi e de

moto de

nel

non

Cielo.

gli

crin ruvido velo; le

membra

già di boschi abitatrice sembra.

Non e

il

fanciulla regai di rozze spoglie

copre abito

quanto

è in

nobil luce,

la

maestà regia traluce ancor de l’essercizio umfle.

e fuor la

per gli

vii

d’altero e di gentile:

lei

atti

Guida

greggia a

la

paschi e la riduce

i

con la povera verga al chiuso ovile; e da l’irsute mamme il latte preme, e ’n giro accolto poi lo stringe insieme.

Sovente,

giacean

ne

le

allor

che su

gli

estivi

ardori

pecorelle a l’ombra assise,

de

la scorza de’ faggi e

nome

segnò l’amato

gli allori

in mille guise:

e de’ suoi strani ed infelici amori aspri successi in mille piante incise;

gli

e in rileggendo poi le proprie note

rigò di belle lagrime

gote.

le

Indi dicea piangendo

questa dolente



:

In voi serbate

amiche piante;

istoria,

perché, se fìa ch’a le vostr’ombre grate giamai soggiorni alcun fedele amante, senta svegliarsi

de

131. c’

«

ma

una sfumatura

di

vecchia;

antica:

è anche

al

cor dolce pietate

sventure mie

le

neH’aggettivo venerazione »

137. la nobil luce; dalla sua purezza non

rozze

d’amore (citiamo

nobiltà che

la

può

spira

essere celata dal-

te nobile »

di

pastorella,

gesti

richiesti

comprime

148.

in

1*

l’amato nome: quello

150. gli aspri successi:

dalle

irsute, ecc.

mammelle

:

spreme

delle

forme rotonde

il

latte

formaggio. 145 sgg. Rinasce ora 1 idillio di Erminia, che riprende il suo lungo, tenero sognare ’

di

tristi

Tancredi. casi.

Anche questo commuoversi su se stesproprio della sua natura di fanciulla tenera e sentimentale. 152.

sa

pecore e lo per farne il

i

151. le proprie note: quel che aveva scritto.

anche attraver-

:

umili occupazioni

riduce: riconduce.

143-44. e da

pelose

altri espri-

146. assise: adagiate.

«aristocraticamen-

gentile:

140-41. per gli atti, ecc. i

verso che meglio degli

il

cezza di quel fantasticare.

(Garetti).

so

e coi pensieri suoi parla e sospira il

tema di Erminia). La natura bella e serena sembra disporla ancor più alla dol-

vesti.

138. altero...

dalle

varie e tante;

me

(Russo).

le

si

è

la sospi153. Indi dicea, ecc.: Comincia idillicarosa e sognante elegia di Erminia, mente legata alla natura, nella quale cerca

comprensione 155. se fia:

e conforto

l’anima

se avverrà.

solitària.

Antologia della letteratura italiana

5.M

Ah

c dica:

troppo ingiusta empia mercede

diè fortuna ed

amore

Forse avverrà, se

a ’l

si

gran fede!

Ciel benigno ascolta

affettuoso alcun prego mortale,

che venga in queste selve anco tal volta quegli a cui di me forse or nulla cale; e,

rivolgendo

ove sepolta

gli occhi

giacerà questa spoglia inferma c frale,

tardo premio conceda

miei martiri

a’

di poche lagrimette e di sospiri:

onde,

se in vita

il

cor misero fue,

morte almen felice, e ’l cener freddo de le fiamme sue goda quel ch’or godere a me non lice. Cosi ragiona a i sordi tronchi; e due sia lo spirito in



fonti di pianto da’ begli occhi elice.

Tancredi in tanto, ove fortuna il tira lunge da lei, per lei seguir, s’aggira.

Canto Vili Continuano, per celesti e infernali.

come un giovane

i

Un

Crociati, le sventure, e

ad esse

guerriero danese giunge al

eroe.

si

campo

mescolano interventi cristiano, c racconta

Sveno, che doveva raggiungere col suo valoroso

un agguato notturno, da Solimano, re di Nicea, vinto e spodestato dai Crociati. Il guerriero, unico superstite della gente di Sveno, descrive l’eroica morte del principe, assetato esercito Goffredo, sia stato assalito e disfatto, in

di gloria c di martirio; poi afferma di essere stato risanato per intervento

divino, e di portare ora la spada di Sveno all’eroe destinato a vendicarlo,

Rinaldo.

campo e vi semina discordia. rimpianto di Rinaldo, che podella guerra. Proprio allora si crede di averne trovato

Frattanto la Furia Aletto è penetrata nel

racconto del danese fa nascere in

Il

trebbe ristorare le sorti

cadavere e

il

159-60.

si

diffonde

163. tal volta:

:

ingiusta

c

174-75.

un giorno.

sono

165-66. Riecheggia la situazione della can-

vedi al v. j68. ’l cener freddo...

171-72. c

lice:

caduto vittima dell’invidia di

quale ora non mi è lecito trarre alcuna gioia.

fedeltà.

zone petrarchesca Chiare, fresche e dolci acque, ma con tono più tenero e morbido, co-

me

il

la diceria ch’egli sia

troppo ingiusta, ecc.

crudele ricompensa, fede:

tutti

e

il

mio

freddo cenere, cioè io morta, pxDssa godere, aver gioia da quella fiamma d’amore dalla

elice:

belli-,

fa

scaturire.

Ma

gli

occhi

assistiamo nell’ultima parte del-

un pieno rifiorire della bellezza Erminia, fortuna: la sorte. 176. per lei seguir: ma in realtà credendo di seguire Clorinda. Giungerà, come abbiamo accennato, al castello d’Armida e vi resterà prigioniero finché non sarà liberato da Rinaldo. l’episodio a di

Torquato Tasso

535

Goffredo e dei Francesi. L’impetuoso Argillano desta per questo una sedi zionc, che però il Buglione riesce a sedare, imprigionandolo.

Canto IX

È

questo

il

grande canto di Solimano,

lo

spodestato re di Nicea che

vive ora soltanto in funzione del suo odio contro sauribile

brama

i

Crociati e di

una

ine-

di vendetta. Spinto dalla Furia Aletto, assale improvviso coi

il campo cristiano, di notte, mentre, con azione combinata, Gerusalemme compiono una sortita in suo appoggio. La bat-

suoi predoni arabi i

difensori di

taglia si svolge in un paesaggio reso spaventoso e spettrale per opera dei demoni^ fino a che Dio manda l’arcangelo Michele a ricacciare i diavoli

La

un drappello

di

cinquanta cavalieri che sgominano lo schieramento nemico e consentono

ai

neU’inferno.

battaglia è risolta dall’improvviso assalto di

Crociati di riorganizzarsi e passare a

Solimano campeggia ancora pronto a riprendere però

di

un

solitaria

vinto,

la lotta

contrattacco vittorioso. alla

fine del canto; è

all' ultimo

La figura un grande

sangue.

Solimano



Grida

il

O

che furor tanto

(ned

tu,

uom

già, se

sei

mostrasti), ecco io

Verrò; farò

mano:

guerrier, levando al del la

ti

al cor m’irriti

ben sembiante umano seguo ove m’inviti.

monti, ov’ora è piano,



monti d’uomini

estinti e di feriti;

farò fiumi di sangue.

Or

mie per

e reggi l’armi

tu sia meco,

l’aer cieco.

Tace: e senza indugiar e rincora parlando il vile e

le ’l



turbe accoglie, lento;

e ne l’ardor de le sue stesse voglie

Ottave 12-16; 20-26; 62-66; 98-99.

;

1-2.

!

i

i

ì

Fuha preso sembianze umane e a Solimano T invito di assalire

guerrier: Solimano. Aletto, la

ha rivolto d’ improvviso nato

;

il

infernale,

ria

f

il

il

campo

discorso, gli

dei Crociati; termi-

ha ispirato nell’animo

un furore demoniaco di violenza e di distruzione. m’irriti: mi ecciti. 3. ned: ne. Solimano comprende di aver parlato con un essere sovrumano; tuttavia r invito della Furia coincide con

1



odio e

I

il

desiderio di vendetta che egli nutre con-

tro

i

Crociati, e quindi l’asseconda di

,

grado. I

buon

smisurata 5-7. Solimano è tutto in questa un e crudele violenza. Qui le parole hanno tono enfatico; altrove, espressioni simili a queste daranno vivo rilievo alla grandiosità cupa e sinistra del personaggio. Al verso 7 sia sta 8.

per

sii.

reggi...

cieco:

guida

il

mio

esercito

La notte per le tenebre cupe della notte. della figura tenebrosa è lo scenario naturale di Solimano. raduna; il T. dice turbe per9 accoglie: il crollo del ché l’esercito di Solimano, dopo un’accozzaglia di suo regno, è costituito da predoni arabi mercenari. i ne l’ardor... intento: e accende 11-12. e

Antologia della letteratura italiana

accende



campo

il

a seguitarlo intento.

segno Aletto de

il

man

di sua

Marcia che de

Va

il

la

propria

il

la tromba, e gran vessillo

scioglie al

vento.

campo veloce, anzi si corre, fama il volo anco precorre.

seco Aletto; e poscia

d’uom che

lascia, e veste

il

rechi novelle, abito e viso;

ne l’ora che par che il mondo reste la notte e fra ’l di dubbio e diviso, entra in Gierusalemme; e, tra le meste e

fra

al re dà l’alto aviso gran campo che giunge, e del disegno,

turbe passando, del

e del notturno assalto e l’ora e

Ma

segno.

’l

già distendon l’ombre orrido velo,

che di rossi vapor la terra in

si

sparge e tigne;

vece del notturno gelo

bagnan rugiade tepide e sanguigne; s’empie di mostri e di prodigi

cielo;

il

s’odon fremendo errar larve maligne;

votò Pluton gli

abissi, e la

sua notte

da le tartaree grotte. Per SI pròfondo orror verso le tende de gli inimici il fèr Soldan cammina; tutta versò

ma quando

suoi

(il

taglia

campo) e

mezzo

del suo stesso ardore di bat-

strage,

di

a

rendendolo

desideroso

che giunge prima che

i6. che... precorre:

sparsa la

18. 19.

fama

del suo avvicinarsi.

d’uom... novelle: di messaggero. nel crepuscolo, reste: e ne l’ora, ecc. :

resti.

21-22. meste turbe: la popolazione di Ge-

rusalemme

è mesta per

:

Crociati su

parte e dei

combinato,

due

fronti, di

difensori

pericolo che in-

il

combe su di lei. 23-24. campo esercito. deir attacco

su tutta la battaglia notturna. la

27.

terra:

è

complemento oggetto;

il

soggetto è rugiade, ecc.

(inter^to) di seguirlo.

sia

del suo corso ascende

disegno è quello che impegnerà i

Il

Solimano da una

della

città

dall’altra,

segno: segnale. 25-32. L’ottava descrive il paesaggio divenuto d’un tratto infernale, per la presen-

za effettiva dei demoni. Il colore cupo della notte si mescola al rosso sanguigno dei vapori e di una rugiada mostruosa, come a preannunciare la prossima strage. Questa tonalità spaventosa e demoniaca si espanderà

29.

s’

empie,

ecc.

:

Il

T. accettava

visione, fatta dai teologi, dei

demoni

la di-

in

due

schiere, delle quali l’una sta nell’inferno a

tormentare i dannati, l’altra nell’aria, dove provoca prodigi e tempeste, o, comunque, nel nostro mondo a tentare gli uomini. L’atmosfera di questa battaglia non è dunque puramente fantasiosa, ma ha in sé qualche cosa di pauroso e raccapricciante. lugubri c sinistri spettri. 30. larve maligne 31-32. votò Pluton, ecc.: Plutone (cioè Satana) votò gli abissi, riversò dall’ inferno (tartaree grotte) sulla terra, insieme all’orrido buio del suo regno, tutti i demoni. 33-34. il fcr Soldan: il fiero Solimano. La sua figura audace ed eroica è come ingi:

gantita

dalle

tenebre

paurose,

demoniache

e, d’altra parte, dall’impassibile, sinistro co-

raggio col quale passa per rendo.

il

paesaggio or-

Torquato Tasso

537

onde poi rapida dechina,

la notte,

a

men

il

d’un miglio ove riposo prende

securo Francese, ei s’avvicina.

Qui

cibar le genti; e poscia, d’alto

fe*

parlando, conformile

Dopo

avere acceso

di preda,

avanza

assalto.

suoi alla lotta, infiammandoli con la speranza

i

alla loro testa verso

Ecco

crudo

al

campo

il

crociato.

tra via le sentinelle ei vede,

per l’ombra mista d’una incerta luce;

né ritrovar, come secura fede avea, puote improviso

Volgbn

saggio duce.

il

quelle gridando in dietro

il

^

piede,

si gran turba egli conduce; prima guardia è da lor desta, che, com’ può meglio, a guerreggiar s’appresta.

scòrto che

SI

che

la

Dan Van co

fiato allora

a

barbari metalli

i

Arabi, certi ornai d’esser

gli

suon del calpestio misti i monti muggir,^ muggir

’l

Gli

sentiti.

gridi orrendi al cielo, e de’ cavalli

alti

e risposer gli abissi a

i

nitriti.

le valli,

lor muggiti;



e la face inalzò di Flegetonte ’l segno diede a quei del monte. Corre innanzi il Soldano, e giunge a quella confusa ancora e inordinata guarda

Aletto, e

rapido

si,

che torbida procella

da’ cavernosi

Fiume

monti esce piu

^

tarda.

ch’arbori insieme a case svella,

folgore che le torri abbatta ed arda.

onde: da dove. È dunque mezzanotte. men d’ un miglio, ecc. giunge a meno d’un miglio dal luogo in cui (ove), ecc. il securo Francese: i Crociati (in maggioran36.

37-39. a

:

za Francesi) riposavano senza alcun sospetto (securo) dell’

imminente

attacco,

d’alto:

da

il

saggio comandante, com’ era convinto di

poter fare. 45-47. quelle

:

le sentinelle, la

prima guar-

dia: gli avamposti. 49. metalli: trombe. Flegetonte: 55. la face... di

la

sua

fiac-

è rischiarato dai vapori rossastri suscitati dai

cola infernale, accesa sulle acque ardenti del Flegetonte, uno dei fiumi dell’ inferno. guerrieri asserra56. a quei del monte: ai

demoni.

gliati in

un luogo 42. per

elevato. 1’

ombra... luce:

il

buio della notte

43-44. né... duce: non riesce però a cogliere di sorpresa (ritrovar improviso) Goffredo,

58.

mente.

Gerusalemme. non

inordinata:

schierata

ordinata-

Antologia della letteratura italiana

538

terremoto che

mondo empia

il

son piccole sembianze

al

d’orrore,

suo furore.

Non cala il ferro mai, ch’a pien non colga, né coglie a pien, che piaga anco non faccia, né piaga fa, che l’alma altrui non tolga:

ma

e più direi;

E

ver di falso ha faccia.

il

par ch’egli o s’infìnga, o non se ’n dolga,

o non senta

il ferir de l’altrui braccia; ben l’elmo percosso in suon di squilla rimbomba, e orribilmente arde ,e sfavilla. Or, quando ei solo ha quasi in fuga volto quel primo stuol de le francesche genti, giungono in guisa d’un diluvio accolto di mille rivi gli Arabi correnti.

se

Fuggono e misto

Franchi allora a freno

i

sciolto;

vincitor va tra’ fuggenti;

il

e con loro entra ne’ ripari, e

’l

tutto

di ruine e d’orror s’empie e di lutto.

Porta

il

serpe che su le

si

Soldan su l’elmo orrido e grande dilunga e il collo snoda;

zampe

s’inalza, e l’ali spande,

e piega in arco la forcuta coda;

mande

par che tre lingue vibri, e che fuor

spuma, e che il suo fischio s’oda. Ed or ch’arde la pugna, anch’ci s’infiamma nel moto, e fumo versa insieme e fiamma. E si mostra in quel lume a i riguardanti livida

64. son... furore:

no

solo

una

sono paragoni che dan-

pallida idea della sua furia de-

vastatrice.

66-67. trui:

68.

anche.

aiico*

Palma:

la

vita,

al-

a chi colpisce. il

ver,

ccc.

:

la

ha, in questo

verità

apparenza di menzogna. 69. o s’infìnga: finga di non sentire

miero e che esprime tutto l’orrore della strage selvaggia. 81. orrido c grande: va con serpe, non con elmo. Uenjambement o rompimento, prolunga la figurazione in un senso di agghiacciante c indefinito orrore. .

in realtà,

caso,

i

(v.

un drago, con zampe

Il

serpe è,

e con

ali.

83).

87-88. « Forse intuiamo che è soltanto

colpi.

un

74-76. francesche: francesi, d’un diluvio... rivi: di un’inondazione provocata da mille

giuoco

ruscelli.

momen-

confonde coi nugoli di polvere intorno a chi combatte: ma

P

è impossibile insieme

81-88. Porta

il

Soldan, ccc.:

to più grandioso,

in

della notturna battaglia e la

È

il

cui culmina si

orrore

fa tutt’uno

con

figura di Solimano. Egli diventa la per-

sonificazione di

un furore cosmico,

di

una

potenza annientatrice oscura e informe, riassunta e condensata nella raffigurazione dell’elmo, di quel serpente che gli fa da ci-

di

prospettive illusorie c che quella

fiamma non è tallo COSI come

l’essere sinistro

limano c con (Raimondi).

la

89-92. Questi

un baglior

altro che il

fumo

con

di

me-

si

non

identificare quel-

volto nascosto di So-

il

sua energia annientatrice » versi

riprendono

d’orrore dei versi precedenti:

Solimano come oscura

c

la

il

motivo

visione di

travolgente forza

Torquato Tasso

539

formidabil cosi Tempio Soldano,

come veggion ne l’ombra lampi

fra mille

danno danno altri

al ferro

e la notte

tumulti ognor piu mesce,

Altri

i

a la fuga

ed occultando

Continua

naviganti

i

torbido oceano.

il

rischi,

i

piè tremanti,

i

mano;

intrepida la

rischi accresce.

i

Solimano compie prodigi di valore non si opponesse la prodezza di Goffredo. Dio, frattanto, invia l'arcangelo Michele a cacciare i demoni la selvaggia battaglia:

e irromperebbe nel

campo

cristiano se

dalla battaglia.

Venia sentendo con Teterne piume densa e

la caligine

i

s’indorava la notte

cupi orrori: divin lume,

al

che spargea scintillando

Tale

ne

sol

il

vólto fuori.

il

nubi ha per costume

le

dopo la pioggia i bei colori; fendendo il liquido sereno, stella cader de la gran madre in seno. Ma giunto ove la schiera empia infernale spiegar tal

suol,

furor de’ Pagani accende e sprona,

il

ferma in

si

aria in su

’l

vigor de Tale,

e vibra Tasta, e lor cosi ragiona:



Pur

voi dovreste ornai saper con quale

folgore orrendo o, nel

il

Re

mondo

del

tuona,

disprezzo e ne’ tormenti acerbi

de l’estrema miseria, anco superbi.

della natura di

si

dilata c nella visione confusa

una tempesta

sul

mare, che incombe

tenebre della notte sull’ angoscia impietrita degli uomini » (Raimondi).

le

90. formidabil

:

spaventoso.

95-96. I versi, con i quali parte praticamente piu viva

riprendono

il

dell’ orrore;

momenti

è

tema

della

si

conclude

la

dell’ episodio,

notte,

del

caos,

T atmosfera che riassume

i

L’ apparizione dell’ arcangelo Michele riconduce un senso di luce e di umanità in quella cupa e demoniaca battaglia, e palpita di una chiarità insieme dolce e forte. È forse la più bella fra le varie rappresentazioni d’angeli del poema.

agitando,

piume:

ali.

100. che... fuori: (lume) che

scintillando

l’angelo

rifletteva

il

volto del-

tutt’intorno.

103-104. liquido: limpido, la gran madre: la

progressivi della cupa vicenda.

97. Venia:

scotendo:

fra,

terra.

schiera,

105. la

segna

passaggio

il

tee.:

i

dalla

demoni. radiosa

Il

ma

dolcezza

della del volto dell’angelo aU’affermazione sua forza superiore e invitta.

107. in

su

’l

vigor,

tee.:

sulle

ali

vi-

gorose. voi 111-12. o nel disprezzo... superbi: o anche ora che siete, rimanete superbi affondati nel dispregio e nei

che

Dio

vi

ha

estrematormenti acerbi di una condizione

mente miserevole.

Antologia della letteratura italiana

540

Fisso è nel Ciel, ch’ai venerabil segno chini

A

le

mura, apra Sion

che pugnar co

dunque

de

irritar

le porte.

fato? a che lo sdegno

’l

celeste corte?

la

Itene, maledetti, al vostro regno,

regno di pene e di perpetua morte; e siano in quegli a voi dovuti chiostri le

vostre guerre ed



pur

tutte adoprate

fra

i

trionfi vostri.

incrudelite, là sovra

i

nocenti

le vostre posse

gridi eterni, e lo stridor de* denti,

i



suon del ferro, e le catene scosse. Disse, e quei ch’egli vide al partir lenti, con la lancia fatai pinse e percosse: e

il

gemendo abbandonàr

essi

region de la luce e l’auree

le belle

stelle;

e dispiegàr verso gli abissi

ad inasprir ne’

Non

passa

quando

il

rei l’usate

mar d’augei

il

volo

doglie. si

grande

stuolo,

piu tepidi s’accoglie;

ai soli

né tante vede mai l’autunno al suolo cader co’ primi freddi aride foglie. Liberato da lor, quella si negra faccia depone il mondo, e si rallegra.

A lungo incerto è V esito della lotta, ma V assalto improvviso di cinquanta cavalieri crociati (sono, come si saprà, quelli imprigionati da Armida e

liberati

resta solo nel

campo, davanti

da Rinaldo) mette in fuga i Saraceni. Solimano al suo esercito distrutto.

Come

sentissi

d’uom che

fra

due

tal,

sia

113-15. Fisso; stabilito dalla volontà onni-

potente

di

Dio.

al

venerabil

segno

:

alla

Croce, emblema dei Crociati. Sion: Gerusalemme. fato: la volontà di Dio. 119-21. c... vostri: le vostre guerre e i vostri trionfi

si

compiano

soltanto in quelle

prigioni {chiostro è luogo chiuso) che avete meritato {a voi dovuti), i nocenti: i peccatori.

127-28. Viva è in questi versi

l’angoscia

demoni, espressa in quel gemendo e poi nella figurazione mesta e desolata delle foglie aride nell’ autunno. Al tono cupo e dei

ristette

in

atto

dubbio; e in sé discorre

spesso

reboante

con cui

T. dipinge le un tono di prodotta dalla vana nostalil

scene infernali è sostituito qui

densa tristezza,

gia per l’auree stelle.

ad inasprire i tor130. ad inasprir, tee. menti consueti dei dannati. 132. « quando si raccoglie al giungere della primavera ». 137-38. tal: tutto sangue e sudore, con la spada che piu non taglia, affranto dallo sforzo immane e ormai privo delle sue truppe, che sono state sbaragliate, fra due: incerto fra due decisioni. :

M

7

Torquato Tasso 543 se morir debba, e di si illustre fatto con le sue mani altrui la gloria tórre; o pur, sopravanzando al suo disfatto campo, la vita in securezza porre. Vinca (alfìn disse) il fato; e questa mia fuga il trofeo di sua vittoria sia. Veggia il nemico le mie spalle e schema di novo ancóra il nostro essilio indegno; purché di novo armato indi mi scerna



turbar sua pace e

Non

’l

non mai

regno.

stabil

con memoria eterna de le mie offese eterno anco il mio sdegno. Risorgerò nemico ognor più cmdo, cenere anco sepolto e spirto ignudo. cedo

io,

no:

145

fia

150



Canto

X

La prima parte del canto insiste ancora sulla figura di Solimano, indomito anche se abbattuto, che decide di riparare in Egitto per continuare di là la sua guerra. Ma gli si presenta improvviso il mago Ismeno che con arti magiche lo porta a Gerusalemme, dove è calorosamente accolto dal re. Frattanto, nel campo cristiano i cinquanta cavalieri che hanno deciso lo scontro precedente (fra di loro è anche Tancredi) raccontano come Rinaldo li abbia liberati dalla prigione di Armida. Grande è la gioia dell’esercito nel sapere Rinaldo vivo, e questi, d’altra parte, si è guadagnata la riconoscenza di Goffredo, liberando quei cavalieri.

È

suo ritorno, tanto più che Pier l’Eremita predice

cosi le

spianata la strada al

future glorie dell’eroe c

dei suoi discendenti, gli Estensi.

Canto XI

È un

canto tutto guerriero, che

si

apre con l’esaltazione delle « armi

Gerusalemme, ma prima compiere una pia processione di tutto l’esercito sul monte Oliveto. Poi lancia le truppe all’attacco, e s’accende una battaglia sanguinosa e furibonda, nella quale Goffredo combatte a piedi, come semplice soldato. A un certo pietose ». Goffredo, infatti, decide di dar l’assalto a

fa

139-42. se morir... togliere

ad

altri

porre:

la gloria di

se

ucxidersi

e

averlo vinto c

ucciso o mettere al sicuro la propria vita,

sopravvivendo 147. scerna:

148-50.

suo esercito distrutto. veda.

al

non mai

stabil

:

perché sempre mes-

so a rischio di rovina dall’indomita volontà di lotta di Solimano, fìa:

sarà.

suo odio durerà anche oltre la morte. Non son belle queste ottave, ma definiscono quella carica d’odio irridudbilc che 151-52.

Il

è in Solimano.

y

^

54^

^

A£L

Antologia della letteratura italiana

Só^\^ac^

à.^d-^tejOSo)c{

punto, ferito da una freccia, scagliata, forse, da Clorinda, deve abbandonare il campo, e l’esercito cristiano si sgomenta e vacilla. Risanato per intervento riesce a rinfrancare i suoi, ma deve sopraggiungere della notte. Ritira dunque le schiere e anche una gran torre mobile d’assalto, necessaria per espugnare la munitissima città.

divino,

il

comandante torna in campo e

interrompere l’azione per

il

Canto XII Clorinda decide audacemente di uscire dalla città e di andare a bruciare mobile che rappresenta per i difensori di Gerusalemme il pericolo più grande. Argante l’accompagna, e i due eroi riescono pienamente nella torre

ma

sono scoperti e inseguiti dai Crociati. Mentre Argante riesce a mura, Clorinda, per un fatale errore, ne resta esclusa ed è raggiunta da Tancredi che, non avendola riconosciuta, la sfida a battaglia. l’impresa,

rientrare entro le

Il

duello

si

conclude con

la sconfitta,

il

battesimo e

la

morte della fanciulla

"^et che riguarda il battesimo, prima della sortita ella aveva saputo da un vecchio servo fedele, che l’aveva allevata, di essere nata da genitori (per

'

cristiani Il

lamento disperato di Tancredi, alti pensieri, degni di un Frattanto Argante giura solennemente di vendicare la

resto del canto è quasi tutto occupato dal

che invano Pier l’Eremita tenta di rivolgere a più cavaliere cristiano.

morte

dell’eroina. 6-

La morte

di Clorinda

,

7-

Vuol ne Tarmi provarla: un uom degno a cui sua virtù si paragone. Va girando edd l’ab«tre.cima

la

stima

^

verso altra porrà, c)vc d entrar dispone.

Segue

egli

®

impetu^so|Tonde,. assai prima

che giunga, in guisa aVvien^che d’armi suone, ch’ella

si

che corri

— O che porte, — Risponde: — E guerra e morte. —

volge, e grida: si.'^

Ottave 52-70.

paragone: Tancredi vuole batcon Cloriada, stimando che sia un guerriero col quale egli possa degnamente misurare il suo valore (non la può riconoscere perche ella, durante la notturna sortita, ha indossato armi « rugginose e nere », senza le usate insegne); la segue dunque da solo. 3. l’alpestre cima: Clorinda, che non si crede seguita, gira attorno alla cima di uno 1-2. Vuol...

tersi

tu,

colli su cui è posta rientrare nella città.

dei

7. in

suonano

guisa... le

volge:

O

in

tal

modo

armi di Tancredi, che

volge per affrontare 8.

Gerusalemme per

il

ella

risi

pericolo.

tu che porte, ecc.

:

Che

1

'

cosa porti,

che cosa arrechi? Già questa ottava prepara l’atmosfera drammatica e cupa del duello mortale: spiccano, fra gli altri particolari, quel sin istro rumore di armi nel buio fondo della notte, la corsa impetuosa di Tancredi,

j

|

|

"p-»

vi2.'Z^'

grande,

^o

memoria.

l’alta

non

parar,

ritirarsi

ha

voglion costor, né qui

parte.

colpi or finti, or pieni, or scarsi;

toglie l’ombra e le

P aa

£ ’n bel sereno spieghi e%iande.

Non schi^^^ndn i

4.

,^3

loro; e tra lor gloria

splenda del fosco

Non danno

^

tragga,

’l

a le future età lo

Viva la fama

T

oscuro seno

chiudesti e ne Toblio fatto eh’ io

^

degne d’un pieno

memorande. m
A

^

E impugna Tuna

\U

rifiuto

—e

furor l’uso de

’l

l’arte.

spade orribilmente urtarsi

^

mezzo il ferro; il piè d’orma non parte: sempre è il piè fermo, e la man sempre in moto; né scende taglio in van, né punta a voto. L’onta irrita lo sdegno a la vendetta,

a

—^

vendetta poi l’onta rinova;

la

onde sempre al ferir, sempre a la fretta stimol novo s’aggiunge e cagion nova. D’or in or piu si mesce, e piu ristretta

28. toglie... l’arte: l’ombra della notte e

che appare spinto al duello da un fato ineluttabile, e il dialogo incalzante, spietato, incentrato su due parole tragiche guerra e morte. ;

9-10. eroica

I

di

due

scherma.

esprimono Ja fermezza Clorinda. I due guerrieri non si versi

30. a

15. vansi

a ritrovar: ’l

si

po a corpo, il piè d’orma non parte: il piede non si allontana dalla propria orma, due si battono con furore ostinato. subito, 33-34. L’onta... rinova: ogni colpo è sentito da loro come un’onta che suscita venlo sdegno e incita alla vendetta, e la i

assaltano.

tragga: consenti che io

la quale ravgrande impresa, e ’n bel... mande: e in piena luce b esponga e la tramandi.. resti la fa-A 23-24. Viva... ma dei due eroi, e insieme alla loro gloria risplenda anche l’alta memoria delle tue tenebre. /

tragga fuori dall’ombra con volgesti

SI

CaWiV-^;

^

compiuta dall’ uno rinnova nell alr onta e il desiderio di vendicarsi a sua

detta tro

volta.

Di momento in 37-38. D’or... non giova: battaglia si fa sempre piu la

)

ÌP

mezzo il ferro: nella parte mediana come avviene nei duelli a cor-

della lama,

avviene in tanti duelli cavallereschi, con vanti c minacce: ma si avverte nelle loro parole una tensione estrema. II. pedon: appiedato. Jisivujun'KM pròVóciflfl,'t:oilie

21-22. ch’io ne

il

furore dei due contendenti impediscono che essi usino gli accorgimenti dell’arte della

momento

VOydcji À

Antologia della letteratura italiana

544

puma: gomL

fa la

si

cozzan con

non giova;

e spada oprar

dansi co’

infelloniti

e,

e crudi,

elmi insieme e con

gli

gli scudi.

Tre volte il cavalier la donna stringe Xe on le robuste_j3raceia; ed altrettante da que’ nodi tenaci nodi di

Tornano

scinge,

ella si

nemico, e non d’amante.

fier

ferro,

al

e l’uno e l’altro

tinge

il

con molte piaghe; e stanco ed anelante e questi e quegli al fin pur si ritira, e dopo lungo faticar respira.

L’un

guarda, e del suo corpo essangue

l’altro

pomo

spadaXppoggia il peso. Già de Tultima stella il raggio langue al primo albor eh’ è in oriente acceso. Vede Tancredi in maggior copia il sangue del suo nemico, e sé non tanto offeso. Ne gode e superbisce. Oh nostra su.

’l

de

la

^

^



mente, ch’ogn’aura di fortuna estolle! isero, di che godi? oh quanto mesti

^M

fiano

1

ed

trionfi,

infelice

vanto!

il

Gli occhi tuoi pagheran (se in vita

tumultuosa e serrata,

neppure

e

la

spada

deH’elsa.

infel-

serve piu. 39. co’ loniti

e

pomi: crudi:

col

barbarica e crudele. del cioè

pomo

da una violenza

trascinati

È

il

duello piu rapido

poema, il

descritto con pochi cenni, senza consueto indugio sulle tecniche guer-

Un’onda

riere dei contendenti.

fatale travolge inesorabile

i

passionale e

due

eroi:

un

fu-

rore cicco e selvaggio, una tempesta arcana di odio e di violenza.

È

questa

grande invenzione tassiana dio,

r

altra

41-44.

Tre

è

1’

elegia

volte

il

prima c

la

in questo episo-

finale

cavalier,

della

morte.

ecc.

Il

:

Mo-

migliano avverte qui un « vano, mordente soffio di sensualità appassionata » in quanto dietro le figure dei

due guerrieri avvinghiati

queir abbraccio mortale vede come un tragico capovolgimento dei sognati abbracci di Tancredi alia donna invano amata. L’ansia del suo lungo, inappagato amore si tramuta inconsapevolmente in un’ansia di ucin

abbiamo detto che personaggi appaiono travolti da una supcrior'^, impassibile fatalità; anzi che proprio Tancredi debba battersi a morte con Clorinda appare una beffa sinistra del destino, incidere. Per questo

i

resti)

timamente connessa a quel senso della vita pervasa da un’arcana legge di dolore e al senso dcll’« aspra tragedia dello stato uma-

no

»,

soggetto

della

c

ai

«gran giuochi

che

sorte »

è

della sensibilità c della poesia del 43.

si

scinge:

si

del

caso

tema fondamentale T.

discioglie.

45-47. Tornano al ferro: tornano a combattere con le spade, si ritira: si distacca dall’altro.

Finalmente una pausa, ed è poeticaaltissima i due guerrieri si guardano, appoggiando il corpo ormai sfinito sul pomo deU’elsa. Già si spegne l’ultima stella e sorge nel cielo il primo chiarore dell’alba. Ma sembra un’alba livida: quel languore riferito allo spegnersi lento dell.i 49.

mente

:

luce dell’ultima stella reca

come una

voce,

un

presentimento di morte. Per tutto il duello il paesaggio naturale, colto con accenni rapidi ma intensissimi, è inscindibil-

mente legato

alla

53-54. copia: altrettanto. 56. estolle:

vicenda.

abbondanza, non tanto: non

innalza,

57-60. Questi

r esclamazione

fa

insuperbire.

sono lo sviluppo delcontenuta nei vv. 55-56 e versi

Torquato Tasso

545

ogni stilli un mar di pianto. G3si tacendo e rimirandn, guf^ ^t-i di qucl_saflguc

gucrncr ccssaro ^quanto.

safiguinosi

Ruppe

li

silenzio al

perché

il

suo



hn

nome

^[ocAy wa+^-^bcrVTvix/X

\Oi,cÀ\t^

,

V)YTXVvOCU€

-\itcxX

animata,

stella

txj

come

\àp0^iy\

Soc(t Gian

Battista

Marino

NV**-

^ir€^ OE vien col dolce

^^

t

uo

tranquillo oblio

e col bel volto, in ch’io mirar a consolar

vedovo

il

Che se *n non m’è dato de

Invita la sua ninfa

mi appago,^

desio.

V,eie>r

sembianza, onde son vago.

te la

^

goder, godrò pur ioi

|

che bramo, almen l’imago.

la morte,]

699

.

w

airombra

a« Ct

iicA.a

uoerc.

)

-

ss

.

,, ,, Questo sonetto è felice soprattutto elle quartine, nelle quali e resa meridiana di ’invito alla ninja nasce da una paesaggio estivo urgenza di colloquio che permetta al poeta di riversare aU’esterno, e

prolungare, quella voluttuosa gioia contemplativa.

da quella

evocata

stessa «serena

e

Si

direbbe che

sorta di cosi

donna

la

ebbrezza di sensi che

delicata

immo-

I

bilità

di sia

paesaggio

il

suggerisce.

"

r

Or

che

l’aria e

s’ode euro che

la

fiammeggia,

terra arde e

soffi,

aura che

spiri,

/ed emulo del del, dovunque io miri, saettato dal sole,

il

mar lampeggia ;^spoL^MeO

qui dove alta in sul le

lido

elee

verdeggia,

braccia aprendo in spaziosi giri,

^

e del suo crin ne’ liquidi zaffiri

gh smeraldi vaghissimi vagheggia; qui,

qui.

Lilla,

ricovra,^ve

I

verdi rami

ombrosa

C{,

uU -Vu.

arena

fresca in ogni stagion copre e circonda folta di

y^W^fo

vda.H-T .

1

^

scena.

19CSÌformi all’animo del poeta,

d’amore

circonfuso

,

il

volto

d’ intima

d ella donna da anche dalla

tenerezza

^el

semplice aggettivo bel, e cullante dolcezza del v. 9. lo-ii. in ch’io... desio: che sono pago di contemplare in sogno, per trovar conforto al

mio

anche

desiderio inappagato. l’

Ma

vedovo dà

idea di u na mesta solitudine.

12-14. Che... imago: Se anche non potrò contemplare, abbandonandomi a te, la sembianza della mia donna (se,, cioè, non potrò vederla in sogno), godrò alnieno in te l’ immagine della morte che desidero (il sonno, col suo totale oblio, assomig lia alla morte).

Metro: sonetto (schema:

ABBA, ABBA,

Or che

esprime estivo,

la

non

mare.

sottolineata

da quei lampi che la immota calma del

del sole trae dall’ I

sensi e, insieme, l’anima del poeta

sembrano

gioiosamente

cullarsi

vita intensa della natura, fondersi sta 3.

sua colma pienezza. emulo del ciel: perché

1’

aria, ecc:

La prima quartina

distesa immobilità rotta

da alcun

del meriggio

alito

di

vento,

il

in

questa

con que-

bagliore del-

l’onda sembra emulare la diffusa luce solare che s’espande nel cielo. L’albero che apre le sue 5. qui... elee: spaziose braccia anima il paesaggio immoto

con un senso di verde vitalità gioiosa, e 1’ absembra riflettere, umanizzato com’ è, braccio del poeta alla natura. 7-8. e...

vagheggia: vagheggia nello spec-

chio limpidissimo e azzurro (liquidi zaffiri) sua dell’ acqua il verde smeraldino della

chioma. 9. ricovra: rifugiati. 9-1 1. ove... scena: dove

CDC, DCD). I.

ma come vampa

e col bel volto:

IO.

ìmata

suo tormento

al

infelice.

una scena

folta di

il verdi rami e ombrosa copre e cirronda delsuolo, rendendolo fresco in ogni stagione si risoll’anno. Le immagini delle terzine

»

_

p\Rsdt

cAÌ-ff^

i, 701



^Donna che

ir’o^ aVori compressi nel grembo della terra. Il terremoto devastatore

è

È

« argutezza » l’immagine vuol dare il senso sgomento dell’abisso in cui crollano vertiginosamente le cose umane, precipitantra

1.

provocando un crollo

alato:

tale {precipizio) e rapidissimo {alato).

crediamo

L’ espressione

:

quelle conquiste che, a durare tremoto con-

destinate

breve

tfapposta a nostre eternità rivela tutta la tragica inconsistenza di queste.

Lirici Marinisti

709

Ciro di Pers

Orologio da rote Quella dell’orologio meccanico è un’immagine spesso ricorrente nei canzoDa un lato essa viene incontro al gusto descrittivo della poesia secentesca, illustrando una macchina complessa e ingegnosa, dall’altro offre lo spunto alla meditazione sulla miseria umana, sul fatale scorrere della nostra vita verso nieri barocchi.

un tema, questo, caro all’accorata e tetra religiosità barocca. uno dei migliori del genere, è costruito su questo

nulla:

il

Il

sonetto di Ciro di Pers,

tema, sentito logio diventa

come incalzante, ossessivo: il battito uguale e meccanico dell’oroun funebre rintocco che scandisce il nostro irrevocabile morire ora

per ora.

Mobile ordigno di dentate rote lacera-il giorno e lo divide in ore,

ed ha

scritto di

a chi legger

Mentre

le sa il

Sempre

:

risuona

®

non

core,

al

né del fato spiegar meglio che con voce di bronzo il Perch’io

more.

si

metallo concavo percuote,

mi

voce funesta

fuor con fosche note

puote

si

rio tenore.

mai riposo o

speri

pace,

questo che sembra in un timpano e tromba,

mi

ognor contro l’età vorace; con que’ colpi onde ’l metal rimbomba,

sfida

e

affretta

il

corso

al

secolo fugace,

e perché s’apra, ognor picchia alla tomba.

Metro:

ABBA, ABBA,

sonetto (schema:

CDC, DCD).

timpano e tromba un monotono rullo tamburo, che dà il senso del lento e ine-

10.

di

:

sorabile I.

di dentate rote:

precisione

di

Non

descrittiva:

tratta soltanto

si il

lacera

del

v.

seguente ti fa sentire nel moto di quelle ruote dentate l’implacabile fuggire del tempo che ci strappa di continuo qualcosa della nostra vita. 3. fosche note; lettere nere, cupe.

compiersi del destino,

uno

squillo

tromba, perché evoca Timmagine della

di

tromba angelica 11.

mente

ma

mi

sfida...

contro,

cioè

a

il

una

nel giudizio universale.

vorace: mi sfida continuatempo divoratore mi chia:

battaglia

già

in

partenza

perduta.

more: La morte è di continuo presente: quella che chiamiamo vita non è che un lento, ineluttabile morire. la campana, bat5. il metallo concavo:

12. onde: a causa dei quali, il metal: il bronzo della campana, rimbomba: La suggestione maggiore del sonetto è in questo ritmico, inesorabile, cupo battere del tempo e fae del destino, in questa voce monotona

tuta dal martello dell’orologio.

tale

4.

Sempre

tocchi sono

si

una voce funesta

Questi rin-

(v. 6) di

cuore del poeta. 7-8. né... tenore: né il tono, il carattere doloroso del nostro destino può essere meglio espresso che da questa voce di bronzo, dura e metallica. per

il

espressa dal rintocco dell’orologio.

13. affretta... fugace:

morte

sembra rendere an-

cor piu fugace lo scorrere della vita. Ogni rintocco è 14. e perché... tomba: bussare alla pietra tombale perché

come un si

L’ immagine, tetramente bauna sua grandiosità sgomenta.

spalanchi.

rocca, ha

Antologia della letteratura italiana

710

Federico Meninni

Condizione della Meno

umana

vita

di sfrenate e cupe fantasie barocche del sonetto del tetramente ossessivo di quello di Ciro di Pers, questo sonetto tema della morte con un’intimità nuova, misurata e forse più pro-

lussureggiante

Lubrano, ripropone

meno

fonda.

poeta legge le parole del nostro destino, fra gli oggetti consueti della

Il

il

vita d’ogni giorno:

il

letto, i

nostro svanire,

casa; le cose che continueranno

libri, la

quand’egli sarà morto. Di secentesco

anche l’attenzione

c’è

agli

nel sonetto, oltre

il

ad

essere

senso desolato del

quotidiani, cosi lontana da ogni

oggetti

stilizzazione petrarchistica.

Questi

libri,

da cui piu cose imparo,

e che divoro anco di Lete a scorno, altri,

per innalzar forte riparo

un

contra Toblio, divoreranno

giorno.

In questo albergo, in cui ricovro

mentre se

’l

altri

non

ciel

In questo

altri

fia di

letto, a’

sue vicende avaro,

ove fra l’ombre assonno

miei sensi alcun ristoro,

ancor chiuderà

Quindi rodemi

il

le

luci al sonno.

cor più d’un martoro,

solo in pensar che qui durar

non han

cose che

Metro:

(ABBA,

sonetto

vita,

ABBA, CDC,

6.

stica 2. c...

scorno:

che divoro per sottrarre, di scrittore, la

mia per-

sona airoblio (il Lete era il fiume infernale che dava l’oblio). 3-4. altri... divoreranno: Anche gli altri faranno ciò che fa il poeta: ma nella ripetizione del gesto avverti un sottinteso senso della vanità di esso. Quella gloria tro che

un breve prolungarsi

mera, unica realtà che dura è albergo:

grato rifugio.

la

sua casa,

non

è al-

della vita effìla

morte.

ricovro...

caro:

ben ponno

ed io mi moro. cure: gli affanni.

le

mente

DCD).

guadagnando gloria

®

caro,

faranno in altra età soggiorno.

perché rechi 5,

ho

le cure a riposar qui torno,

casa è sobria-

dome-

e cara intimità.

7. se...

gersi

La

nel suo carattere di

descritta

avaro:

Se continueranno a svolle vicende volute dal

sempre uguali

destino. 9-1 1. assonno:

mi addormento,

le

luci:

gli occhi.

12-13. Quindi... di

un martirio

(di

pensar:

per questo più

un pensiero doloroso) mi

rode il cuore, solo al pensare, ecc. ponno: possono. 14. ed io mi moro: Le ultime parole appaiono come una scoperta improvvisa e sgo-

menta.

Altri poeti del Seicento

i

La

Gli antimarinisti.



Marino e dei

quella del

piu originale e interessante del secolo è

poesia

Marinisti.

Ad

essa

zionalmente antibaroccai; che fece capo mantenersi fedele i

i

si

al

oppose però una corrente intenChiabrera e al Testi, e volle

alla tradizione classicistica cinquecentesca.

Marinisti mostravano disdegno per

i

poeti del passato e

Mentre, il

infatti,

classicismo in

genere, costoro cercarono di riprodurre l’ode pindarica e oraziana, o, sulle

orme

Ronsard

del

Plèiade,

e dei poeti francesi appartenenti al

Anacreonte, che cantò In realtà,

movimento

detto della

canzonetta anacreontica, cosi chiamata dall’antico poeta, greco

la

vino e l’amore in odi

il

gli antimarinisti

lineari

esili,

e aggraziate.

risentono anch’essi del gusto del secolo; se mai,

I

sono l’espressione di un barocco piu estenuato, rivolto, invece che alle metafore grandiose e sfavillanti, a una poesia cantabile e leziosa, a una semplicità artificiosa, oppure, nelle odi pindariche, a un’enfatica magniloquenza. !

Tuttavia col loro gusto classicheggiante di uno

stile

piu semplice e sobrio

piu deciso movimento antimarinistico, {'Arcadia^ che si svolgerà a partire dagli ultimi anni del secolo; ad essa aderirono alcuni di

preannunciano

Vincenzo da

questi poeti,

I ambedue

poema

dal

punto di

vista poetico. Basti

‘1(1566-1645), autore della ij

qui citare

'

del

letteraria

i

migliori,

dato fra

La del 1

X

XVII, con

risultati miseri,

pistoiese Francesco Bracciolini

il poema eroicomico, nato poema «serio», e dal gusto

dal desiderio di bizzarra parodia di rappresentare in forma bur-

lesca la vita provinciale e pettegola delle città italiane del tempo. Oltre alla Secchia rapita di Alessandro Tassoni, di cui parliamo a parte, ricordiamo fra lo

racquistato di :

sec.

Croce racquistata^ e Girolamo Graziani (1604-1675),

Piu vivace fu '

il

autore del Conquisto di Granata.

I

I

Menzini (1646-1704),

il

continuato stancamente anche nel

letterati, è
9

Delitto e purga Conte di Culagna s’è follemente invaghito di Renoppia, l’eroina guerriera i Modenesi. Ella, per burlarsi del goffo corteggiatore, fìnge di stare al giuoco, e questi decide di avvelenare la moglie per sposare l’amata. Ma un savio medico gli darà, al posto del veleno, un robusto purgante, che la moglie, resa edotta delle sue losche trame da Titta, un suo spasimante, gli farà ingoiare di nascosto con un abile scambio dei rispettivi piatti. Si ha cosi tutto un concatenarsi di situazioni burlesche che culminano nell’ improvviso e sconvolgente effetto della purga sul Conte, assalito da un tremendo flusso di ventre mentre si sta pavoneggiando tra la folla. Il racconto si snoda con un amplissimo e brioso ritmo novellistico, e ruota intorno a due scene indimenticabili: il Conte che medita l’uxoricidio col rosario in mano, l’affollarsi vivacissimo della folla Il

che combatte per

intorno

al

putido Conte.

Ma

conte di Culagna avendo intanto

il

Renoppia

vista

rassettato

uscir del padiglione,

barba e ’l manto un pennacchione, a incontrar da un altro canto, il

collar,

la

c tiratosi in fronte l’era gita

®

salutandola quasi in ginocchione. Ond’ella, istrutta di sue degne imprese, l’avea chiamato a sé tutta cortese.

E, avendo

suo valor molto

il

dispostezza e

la

giurato avea di

’l

fior

de

esaltato,

l’intelletto,

non aver trovato lei degno soggetto quand’ei non fosse stato

chi piu paresse a

de l’amor suo,

modo

in

onde posto

il

maritai congiunto e stretto:

burlar della donzella avia

il

meschino in strana

frenesia.

Trovollo Titta in un solingo piano, ch’ei passeggiava a l’ombra d’una noce.

Metro:

ottave-.

Canto

X

- st.

39-42 e 50-57.

sua prestanza,

la

il

suo intelletto eccezionale.

13-14. quand’ei... 2.

del padiglione:

3-4. rassettato...

dalla tenda.

pennacchione:

Il

pennac-

chio smisurato, calato sugli occhi alla brava,

completa 5.

la

comica

la

l’era... canto:

toeletta.

6.

li

È

l’ultimo e piu spas-

soso atto dei comici approcci del Conte. 7.

istrutta:

informata.

IO. dispostezza...

fosse

se

stato

il

burlar:

il

discorso

fanciulla

della

egli

se

ne accór-

gesse. 16. Il

straordinaria. strana frenesia: frenesia tutto fuori di sé e pienamente

Conte è del

accalappiato.

per caso.

in ginocchione:

15.

che lo burlava senM che

era andato a incontrar-

facendo un ampio giro, per farle credere

di trovarsi

stretto:

scapolo.

Per burlarsi di quel tronfio pavone, loda il suo valore. intelletto:

Titta di Cola, an17. Titta: il romano comicissimo sara ch’egli vanesio e vigliacco: il

suo duello col Conte, quando

questi,

da

lui.

dopo

il

la

tentato veneficio,

moglie di nfugera

si

Antologia della letteratura italiana

720

c già fra

con

sé,

la

corona in mano,

®

parlando, a passo or lento ora veloce.

Come gli

egli vide

il

cavalier

fece a l’orecchia, e

si

— Frate,

gli disse,

ma

mia moglie. mia

stella.

ha Renoppia Mostra di rimaner Titta stupito, e lo chiama felice in sua favella: Conte, tu

che no

Ma, ahimè!,

c’ è



narra quanto era seguito

gli

e quel che detto gli



®

certo ne spiace in infinito;

COSI porta la crudel

Quindi

voce,

per uscir di doglie,

io son forzato avvelenar

A me

romano a mezza

se’

chi te

nu papa, pozza

bella.

*

e t’aio detto



stare a petto.

innamorato della moglie dd Conte, le rivela medico Sigonio, al quale il Conte si rivolge per avere un potente veleno, gli dà, invece, una buona purga. TraspiTitta,

il

ogni cosa; per giunta

il

rante uxoricida torna a casa e febbrilmente riesce a mettere la polve-

ma non

rina nel piatto della moglie, le

mani,

ella

scambia

i

Conte

Il

s’accorge che, mentre egli

si

lava

piatti.

in fretta

che non vorria veder

mangia

e

si

diparte,

moglie morta.

la

Vassene in piazza ov’eran genti sparte chi qua, chi là, come ventura porta. Tutti,

come

fu visto, in quella parte

trassero per udir ciò ch’egli

17-20. in un... veloce:

È un

quadretto in-

Conte pensoso, che cammina a passi or lenti or agitati nel luogo solitario, meditando l’uxoricidio con in mano, da buon bacchettone ipocrita, la corona del rosario, è una delle più belle invenzioni comiche del T. dimenticabile:

il

22-26. e a mezza...

poema anche quel che esprime patetico al

(ma

stella:

È un

discorso appena sussurrato,

la decisione incrollabile,

con un

in realtà comicissimo) richiamo

suo destino ineluttabile e crudele.

rattere

piccolo

grottesco

della

scena

dal fatto che l’ignaro conte

si

è

Il

ca-

appesantito

confessa pro-

prio a un vigliacco della sua risma che, per giunta, sta insidiando sua moglie, di doglie: dai miei dolori, in infinito: infinitamente.

apporta.

27. seguito:

accaduto.

30. in sua favella: parlandogli nel proprio

dialetto romanesco.

31.

nu papa: un papa, un uomo veramente

fortunato, t’aio d^tto: io ti dico. 32. chi te pozza... petto: chi possa uguagliare la tua fortuna. 34. che

non

vorria...

morta: Vedi

la squi-

gentilezza dell’aspirante uxoricida. 35-36. sparte: sparse, come... porta: a caso.

sita*

38. trassero; folla

s’accalca

si

diressero verso di lui.

per

udir

novella

La

dal Conte

che è reduce dal campo. Proprio quel che ci vuole per il fanfarone borioso, che subito si mette a raccontare le sue mirabolanti imprese. La moglie, il veleno, ogni rimorso sono ormai lontani, inesistenti.

Altri poeti del Seicento

721

Egli cinto d’un largo e folto cerchio,

narra fandonie fuor d’ogni superchio: e tanto s’infervora e

dibatte

si

in quelle ciance sue piene di vento, ch’eccoti l’antimonio lo combatte, e gli rivolta

il

Rimangono

le

cibo in

un momento.

genti stupefatte;

ed egli vomitando, e mezzo spento

chiamando il confessore, ognun ch’avvelenato more. Coltra e ’l Galiano, ambi speziali,

di paura, e

dice ad Il

correan con mitridate e bollarmeno; e

medici correan con

i

gli orinali,

per ^^eder di che sorte era

Cento barbieri e '

erano intorno e

gli

esortandolo

Chi

o

messali

gli scioglieano

seno,

il

Miserere.

il

gli ficcava olio

e chi biturro

veleno.

i

non temere

tutti a

divotamente

e a dir

il

preti co

i

o triaca in gola,

liquefatto grasso.

Avea quasi perduta

la parola,

e per tanti rimedi era già lasso;

quand’ecco un’improvvisa cacarola che con tanto furor proruppe a basso, che l’ambra scoppiò fuor per e scorse per le



disse

40.

Oh

gambe

fuor d’ogni superchio: fuori d’ogni im-

41.

s’infervora e

si

sbraccia beato, elevando inni alla propria

ma

questo agitarsi favorisce il rapido deU’antimonio, il fortissimo purgante. 43. lo combatte: lo assale, e vince la sua disperata resistenza, provocandogli il vomito. 48. ch’avvelenato more: La consueta viltà e la cattiva coscienza gli fanno sorgere nell’anima il terribile sospetto. 49. Coltra e Galiano: due speziali, cioè

gloria;

e travolgente effetto

farmacisti, amici del Tassoni, 50. mitridate e

leno e

bollarmeno

:

un contravve-

un calmante.

53. Cento...

Questo

messali:

affollarsi

di

barbieri (che allora effettuavano interventi di

bassa chirurgia,

come

i

calzoni

taloni.

salassi)

e

di

preti

senti l’odore:

con voluminosi messali,

il

tumulto,

il

chias-

salmodiare ti danno l’impressione di una scena di opera buffa. il seno: gli aprivano le 54. gli scioglieano con vesti, sul petto; e facevano bene, perché, so,

s’infervora e

dibatte:

gli

i

possanza del del! che cosa è questa?

un barbier quando

maginazione per quanto sfrenata. si

in su

lento

il

tutta

quella ressa, gli

mancava certamente

l’aria.

triaca...

biturro:

La

triaca

e

un

contravveleno; l’olio, il biturro (un grasso devono servire simile al burro) e il grasso a provocare il vomito. lo quand’ecco... cacarola: finalmente 61.

scoppio

liberatore.

scurrile,

ma

è grassa e in questo sce-

La comicità

ha un suo vigore

nario di ressa scomposta. 63. l’ambra: V. 81) è

(cfr.

l’ambra grigia o ambracane una sostanza profumatissima

d’oriente. Evidente che galleggia sui mari qui la crassa allusione.'

Antologia della letteratura italiana

722

questo è un velen mortifero ch’appesta; 10

non

giammai puzza maggiore.

senti’

Portatei via; che, s’egli in piazza resta,

appesterà questa città in poche ore.

Cosi dicea:

ma

ch’ebbe a perirvi

Come



tanta era la calca, il

medico Cavalca.

a Montecavallo

Cardinali

i

vanno per la lumaca a concistoro, stretti da innumerabili mortali per forza d’urti e con poco decoro; così

i

medici quivi e

non trovando da urtati e spinti,

gli

speziali

uscir strada né foro,

senza legge e metro

facean due passi innanzi e quattro indietro.

Ma e

’l

poiché l’ambracane usci del vaso,

suo

tristo

cominciò in

vapor diffuse e sparse, ognun co’ guanti

fretta

al

naso

a scostarsi dal cerchio e a ritirarse: e se

abbandonato

non che un

il

Conte era rimaso:

prete allor quivi comparse,

ch’avea perduto il naso in un incendio, né sentia odore; e ’l confessò in compendio. Confessato che fu, sopra una scala

da pinoli

assai lunga’ egli fu posto;

e facendo a quel 11

puzzo

il

popol

ala,

portàr due facchini a casa tosto.

Quivi il posaro in mezzo de la sala; chiamaro i servi: e ognun s’era nascosto, fuor ch’una vecchia che v’accorse in fretta con un zoccolo in piede e una scarpetta.

Gabriello Chiabrera

Nato

a

Savona nel

educato a Roma, presso contatto col

mondo

1552, il

il

Chiabrera ebbe vita lunga e fortunata.

Fu

collegio dei Gesuiti, entrando presto in intimo

letterario di quella città.

Da

essa fu però cacciato nel

72, il medico Cavalca: Anche costui fu amico del Tassoni. 73-74. Come... concistoro: Papa Paolo V

goffa scena rappresentata.

teneva il concistoro sul Quirinale (detto anche Montecavallo). Alla sala delle riunioni si accedeva per una stretta scala a chiocciola detta lumaca. L’apertura dantesca dell’ottava rende, per contrasto, più comica la

se fosse

81. del vaso: 88. in

del corpo del Conte.

compendio: sommariamente come morente.

90. assai lunga

i

per salvare dal « vapore conducenti (Gianni). :

91. facendo... ala:

verente.

È

vedi la folla aprirsi questa l’epopea del Culagna!

»

ri-

Altri poeti del Seicento

un

1576 in seguito a

IH

duello, e per la stessa ragione fu bandito ncH’Si dalla

I

città

natale, ove

si

era rifugiato, per quattro anni.

Ebbe

però,

nella

sua

I

lunga

!

fama e ambiti riconoscimenti. Fu

a Firenze, dove

gran-

i

duchi di Toscana lo ebbero caro, a Mantova, presso i Gonzaga, a Torino, dove Carlo Emanuele I lo ricompensò generosamente per VAme àcide, un poema scritto in onore di casa Savoia, e ancora a Roma, dove il papa Urbano Vili, suo amico d’infanzia, lo colmò d’onori. Visse gli ultimi anni a Savona, serenamente, e ivi mori nel 1638.

Chiabrera volle essere un « antimarinista

II

i

,

vita, diffusa

contrapporre,

»,

cioè,

allo

pieno di « arguzie », di « concetti », di scoppiettanti e grandiose metaforc del Marino, una poesia piu semplice e piu legata ai modelli classici, fra stile

I

i

quali predilesse

il

latino Orazio e

greci Pindaro e Anacreonte. In realtà,

i

però, fu anch’egli affascinato dalla poetica della meraviglia, e proclamò I

|i

Famose furono,

Ì

j

(;

ai suoi

tempi,

e grandiose, lo spirito eroico,

architetture del suo modello.

i!

j |;

j

|l

I

d’intima confessione,

lirico,

Ne

usci

le

una poverissima

di le

audaci e complesse cosa, per la

modesta

godere

ma

poesia senza

pretese

di

profondità,

oggetti piacevoli dell’esistenza.

gli

Le

tutta

strofette

immediata c aggraziata, che fonde nel suo giro giocoso e allegro le singole immagini appena abbozzate e stempera le parole in una cantabile melodia, il sentimento della poesia non come esprese

I

», nelle

vena poetica del Chiabrera e soprattutto per la totale mancanza in lui di ispirazione eroica. Piu consone alla sua ispirazione leggera, al suo sentimento superficiale e gaudente della vita sono le odicine e canzonette amorose. Esse ci appaiono manierate e svenevoli, ma non dobbiamo dimenticare che si tratta di poesia per musica, rivolta allo scherzo galante, a un piacevole divertimento di società. Non è, questa, né vuole essere, poesia di ripiegamento rivolta all’esterno, a

I

sue odi cosiddette « pindariche

le

imitando Pindaro, cantava eroiche imprese (come la Vittoria Emanuele Filiberto a San Quintino) o gare sportive, cercando di emulare quali,

immagini arditissime

(

come

suo ideale quello di « cercar nuovo pelago o affogare ». In sostanza^ gli esemplari classici gli servirono soltanto per giustificare procedimenti rettorici e metrici che rispondessero all’esigenza secentesca di « novità » e « argutezza ».

i

versi brevi, la loro musicalità

sione di vita

ma come ornamento

trapasseranno dal Chiabrera

Per

il

testo,

ai

lirici

della vita,

come

seguiamo: G. Chiabrera, Canzonette, Rime

L. Negri, Torino,

UTET,

arte e perizia tecnica,

òe\V Arcadia. varie e Dialoghi, a cura di

1952.

Belle rose porporine Il

aspetti

suoi della natura, cioè ai il riso della sua donna a quello superiore a ques piu leggiadri e gentili e lo riconosce di gran lunga

poeta paragona

Antologia della letteratura italiana

724

Se bel

Belle rose porporine,

che tra spine sull’aurora

ma

non

Amori ®

Quando

preziose,

amorose, dite,

fa bello,

si

noi diciam:

denti custodite; rose

bagni

guardo vivo ardente,

sicché

un

bel

l’acqua

tutte liete,

move

me mirando

chiare,

sull’arena

^

o

far la cagion sia,

dire in nuovi lodi ;

modi

tuttavia.

Metro: canzonetta: Rispetto alla canzone, canzonetta è caratterizzata da strofi e versi brevissimi, da una ricerca di ritmi e

la

musicalità immediatamente orecchiabili.

Lo

composte

di ciascuna delle 8 strofe,

un aureo

velo,

^

in giro,

Ben

^

vostre

mare.

fior vermigli,

noi diciam che ride

feritate,

io vo’

il

e su rote di zaffiro

o pietate

schema

^

se tra gigli

in sul morire?

Belle rose,

ridete

onde

in

Se giammai tra

ciò forse per aita

veste l’alba

ma



avvien che un zefiretto

pie nell’

il

mia vita, che non regge alle vostr’ire? o pur è perché voi siete

SI

la terra.

noi diciam che ride

sorriso?

di

del

— Ride

scherzi appena,

voi repente disciogliete

È

praticello

per diletto

ond’è, che s’io m’affiso

nel bel

un

se di fiori

bei tesori

dite,



se bell’auretta

mattin mormorando erra;

sul

aprite,

ministre degli

di bei

rio,

tra l’erbetta

è ver:

il

quando

cielo.

è

giocondo

mondo, ride il del quando è gioioso; ben è ver; ma non san poi come voi fare un riso grazioso. ride

il

18.

me...

« morire »

vedendomi struggere,

morire: d’amore.

19-23. Belle...

Belle labbra, sia ca-

lodi:

gione del vostro riso crudeltà o pietà, voglio

comunque

cantare

le

vostre

lodi

in

modo

di sei versi ottonari e quaternari (che indi-

nuovo

chiamo, rispettivamente, con la maiuscola e la minuscola) è: A a B C c B.

31-35. Quando... appena: Se uno zeffiretto (nota l’uso costante, come nella strofa pre-

e peregrino.

cedente, di vezzeggiativi, che contribuiscono 1-6. Belle... custodite: Belle rose colore di

porpora, che non sbocciate, all’aurora, fra le spine, ma, ancelle d’ Amore, racchiudete tri voi

il

tesoro costituito dai bei denti.

Le

belle

le labbra della donna. ond’è: qual è la ragione per la quale. 10. nel bel guardo: della donna.

rose sono 9.

12. disciogliete:

è

la

parola-chiave

della

alla grazia

appena si

il

carezzevole della melodia) bagna

piede nell’onda limpida del mare,

che essa appena

si

U

aureo velo dell’alba è prima, ancor tenue luce solare che l’indora, fra il vivo colore candido e rosso {gi39. veste... velo:

gli e fior vermigli) del cielo.

40. su... zaffiro:

d’immagini in ritmi vagamente voluttuosi.

cielo color di zaffiro.

« tradurlo »

:

vi

schiudete

a

un

bel

15. che...

per

46-48. ma... grazioso:

le

curve distese del

non hanno

la gra-

zia del vostro sorriso. Gli ultimi versi con-

sorriso.

al

avanti e in-

la

canzonetta, che è una continua dissolvenza

Puoi

muova

dietro sulla riva.

ire:

che non potrebbe resistere

vostro disdegno.

cludono

mento

il

componimento con un compli-

galante.

Altri poeti del Seicento

La

725

violetta

Il tema è quello tradizionale della fugacità della bellezza, ma è lontano da questa poesia ogni sia pur lieve malinconia. « Uomo pensoso diceva il poeta stimo che sia acconcio a poetare; il melanconico non stimo acconcio né a ciò,



». La canzonetta si conclude con un malizioso e galante invito alsuo vero significato è però in quella ricerca musicale che abbiamo sottolineato parlando di quella precedente.

né ad altro l’amore;

La

il

Ahi, che in brev’ora,

violetta,

come

che in suH’erbetta s’apre

mattin novella

al

non è cosa

di’,

ecco languire,

odorosa,

tutta

l’aurora,

lunge da noi sen vola, ecco perire

tutta leggiadra e bella

la

misera

Tu,

Si certamente,

viola.

cui bellezza

che dolcemente

e giovinezza

ne spira odori; e n’empie il petto

oggi fan

di bel

dolce catena

ella

diletto

col bel

suoi

de’

Vaga

superba;

SI

soave pena,

di

colori.

mia prigione

vaga biancheggia

consiglia

il

tua fresca etate;

sulla

pregio d’aprile

ché tanto dura

più gentile;

ma

che diviene

l’alta

al fine?

di

fiore,

core

tra l’aure mattutine,

via

acerba;

deh, con quel

rosseggia,

ventura

questa tua beltate.

Fulvio Testi Nacque

a

Ferrara nel

1593,

e

condusse un’agitata e raminga esistenza di in cui lo aveva gettato il durosi.

freno e, in genere,

si

Allude a Cindnagresti quale fu annunciato che era stato arando il suo letto dittatore mentre stava piu forse questa la rievocazione 32.

n popolo

indurire, render forti.

immemori

1’

generosa.

irile e



dicavi con zelo e passione. 22. durar:

quartine, nelle quali e ai quali

ato,

guente.

i

tre

dei lussuosi piaceri

soggetto

40: la tirannide egli Spagnuoli. el

V.

è

il

barbaro

straniera,

e

rigo

quella

Antologia della letteratura italiana

728

te

barbaro rigor preme e calpesta.

Ronchi, se dal letargo in cui

non (cosi

si

scuote

l’Italia,

aspetti

menta mia lingua!)

accampato veder

il

42-44. aspetti... Trace: Non può aspettarsi che di vedere un giorno (possa la mia lingua non dire il vero!) accampati accanto al

al

Perso o

si

giace

un giorno Tebro intorno

’l

Trace.

Tevere Persi e Traci. Allude, probabilmente, ai Turchi, o, comunque, a popoli ancor più barbari degli oppressori presenti.

La prosa barocca

;

I

La

prosa d’arte. Per

prosa barocca valgono, in genere,

la

che abbiamo fatto a proposito della poesia marinistica. in essa la ricerca della xneravigìia,

:

metaforico e fastoso,

arguzie,

un’estrema raffinatezza

ingegnosità,

ma

volta all’effetto fu

i|

prosa del Bartoli, più elegante e misurata.

||

discorso

lignano

preferiamo rimandare

generico,

la

osservazioni

Assai

tecnica,

lo

stile

appariscente e

accanto ad essa troviamo anche

.!

l’oratoria sacra,

sonorità.

le

Ritroviamo anche

Ma alle

piuttosto che insistere in

considerazioni che

la

un

accompa-

nostra scelta antologica,

La novella e il romanzo. La tradizione novellistica continua, nel secolo XVII, fiaccamente, legata ai modelli cinquecenteschi. Più interessante è il ij romanzo, un «genere» tipicamente secentesco, caratterizzato dal gusto I

I

!

degli intrecci avventurosi e complicati, che ebbe larga fortuna e diffusione. Ricordiamo VEromena, e il Coralbo del dalmata Giovan Francesco Biondi, il

Il

,

Calloandro Fedele di Giovanni Ambrogio Marini; La gondola a tre remi, Carrozzino alla moda, La peota smarrita., di Girolamo Brusoni. I romanzi

sono soprattutto notevoli per le ricostruzioni ambientali e l’immagine concreta e realistica che ci danno della vita e dei costumi del

di quest’ultimo

I

jlper

secolo. I

Vivace e pittoresco è il racconto delle vicende di Bertoldo e Bertoldino, bolognese Giulio Cesare Croce, scrittore popolare e autodidatta in prosa e in versi, che riprendendo un antico testo medioevale, racconta le vicende di Bertoldo, il villano savio, astuto e arguto alla corte di re Alboino, con un

idei I

andamento

fra

il

comico e

il

riflessivo,

temperato da un gusto proverbioso

di popolare saggezza.

La

letteratura dialettale.

Notevole sviluppo ebbe nel corso del secolo la da letterati dotti con gusto parodistico e scher-

letteratura dialettale, coltivata

zoso.

Ma

nelle

opere

del

j

scherzo tante è

si

trasfigura in

Lo canto de

li

napoletano Giambattista

modi

di autentica poesia.

canti, ovvero

Lo

Basile

(i575'^^^3^)

La sua opera

piu inipor-

trattenimiento de peccerille (La fiaba

delle fiabe ovvero il trattenimento dei fanciulli), chiamata anche Pentamerone. perché è una raccolta di fiabe popolari in prosa, che l’autore immagina nar-

rate in

cinque giorni da dieci vecchiette. Le favole del Basile, ricche di al comprensiva saggezza, di un’adesione nativa

urna

nità, di sorridente e

viglioso del racconto fiabesco, attuano

rocca a cui pensava anche

il

come

apoetica per prodigio quella lano quoti fatto il convertire

Tesauro, intesa a

^

Antologia della letteratura italiana:

730

in

una perenne

sorpresa, mescolano al prodigio di

un mondo di favola la: un nativo stu-

l

j

variopinta vita del tempo, ritrovano nelle metafore barocche pore. Esse sono per questo considerate

uno

p

dei testi poetici più intensi di

tutta la letteratura secentesca. u

Per

testi,

i

salvo indicazione contraria, seguiamo:

E. Raimondi, Milano-Napoli, Ricciardi

a cura di

Trattatisti e narratori del Seicento

^

i960.

(]

C

Emanuele Tesauro

ì

c

Strettamente connessa alla poetica della meraviglia



è,

nel 6oo, quella del-

s

V argutezza o acutezza (o concettismo)^ che consiste nell’uso di metafore:

nuove c

inusitate,

un

colta in

in

modi

fra cose

Per

è,

dice

detto breve »

:

il

una

intellettualmente rigorose:

una « osservazione mirabile raccompiuta dall’intelletto ed espressa

Pallavicino, scoperta,

1 3

somiglianze e di intime relazioni

sensibili e fantasiosi, di occulte

:

apparentemente lontane. il

critico torinese

una pagina tezza

ma

apparentemente fantastiche,

e consapevoli. Essa

V

« gran

è

Emanuele Tesauro

del suo libro più importante,

il

madre d’ogni ingegnoso

l’oratoria e poetica

(1591-1675), di cui riportiamo

Cannocchiale concetto,

aristotelico,

chiarissimo

:

Yargu-

lume

ii

del-

elocuzione»; coincide col linguaggio della poesia, che è:

essenzialmente metaforico e simbolico. Nel ritmo dell’universale metamorfosi

d

j

delle apparenze sensibili, l’intelletto scopre una relazione, e un’intima verità: V argutezza « è una metafora significante un concetto per mezzo di alcuna figura apparente ». In questo, il poeta non fa che seguire la natura, che nelle varie sue forme, dai fiori alle costellazioni, manifesta in forme sensibili, « che solo chi sia dotato di acuto ingegno sa leggere, l’intelligenza divina che dà un significato alla creazione. Il Tesauro vedeva cosi l’universo sotto specie d' argutezza, come appare nel passo che segue. Da queste idee deriva una poesia nella quale l’impegno sentimentale è del tutto soverchiato dal gusto intellettualistico volto a combinare le immagini sensibili in rapporti inusitati e strani, ma ingegnosi, cosi da procurare ;

’tl

\ Si

:

ai

ti



d:

)

cl

D

S(

:

insieme diletto e meraviglia. fK

Fra

i

teorici del

concettismo ricordiamo

il

bolognese Matteo Peregrini P

(1595-1652) autore del trattato Delle acutezze e Sforza Pallavicino (1607-1667)

autore del trattato Del Bene.

Argutezze della natura

Vengo

alle

simboliche arguzie,^ della Natura, oltre oeni credenza a* filosofi. E certamente,

ingegnosissime, e degne di ammirazione anco

I.

simboliche arguzie:

ga più avanti l’autore, è

La Natura, l’intelletto

spie-

divino

in quanto si adatta alla materia creata. Ne consegue che essa è come un vasto reperto-

loi

La

prosa barocca

731

se la vivezza deU’umano ingegno ne’ motti arguti è dono della Natura più che dell’arte, com’esser può che cosi dotta insegnatrice^ non sappia ciò ch’ella insegna? Anzi, com’ella si mostra sapientissima nelle cose

necessariamente ordinate alla publica studia per

mera pompa d’ingegno

questa varietà de’

fiori, altri

Venere?^

E

si

che è

spinosi e irsuti, altri morbidi e dilicati; quasi

quegli sian nati per adornare di

utilità, cosi nelle cose piacevoli

di mostrarsi arguta e faceta.

cimier di Bellona, e questi

il

la treccierà

Altri neri e funebri, altri candidi e puri; quegli dedicati

sepolcri e questi agli altari. Altri infocati e fiammanti, altri cangianti

a’

e biscolori

:

*

Amor

trovando in quegli

le

sue facelle e Iride in questi

sua ghirlanda. Altri finalmente in varie vezzosissime guise volti, sparti, acuti, globosi,

scanalati,® piani, stellati;

nascente, per far della terra

un

la

raccolti,

parendo che

ri-

sol

il

cielo, scuota le stelle di cielo in terra.®

Tutte queste, oltra mill’altre, son pur figure eleganti e vivaci arguzie dell’ingegnosa Natura. Però che, si come le arguzie de’ poeti si chiaman i fiori della Natura si chiamano domandare perché l’Aurora sia tanto amica

fiori, COSI

delle

Muse, poiché

la

il

Natura

scherza e fraseggia con mille arguti e ingegnosi concetti.’

istessa allora

Ma

arguzie. Talch’è soperchio

principalmente parliamo ora qua delle argutezze simboliche,®

se

dove più campeggia

il

fior

dell’intelletto,

quelle notturne imagini di

fuoco che talora in cielo risplendono e spaventano, chiamate da’ meteoristi®

comete

barbate e codate, capre,

crinite,

travi,

scudi,

faci

e

non metafore naturali, concetti figurati, simboli arguti, ingegnose imprese ed emblemi di sdegnata o di benigna Natura, la quale di quelle imagini si serve e come d’armi a ferire e come saette,

che sono

se

ad accennare quai popoli ella voglia ferire? Anzi, affinché l’acume del suo ingegno in que’ simboli metaforici più mirabildi ieroglifici

mente

osservano

riluca,

sta spiritosa poetessa fa

rio di

immagini simboliche:

naturalisti che con misterioso artifizio quei corrispondere quelle imagini ignite alle stellate

dietro, cioè, le

parvenze delle cose lascia intravvedere profonde verità morali e spirituali. 2.

cosi...

insegnatricc

:

la

Bellona... Venere:

5.

globosi,

6.

parendo...

scanalati:

«arguta», una fiori

sono come

terra: tipica le

7.

la

rotondi, rigati.

ecco

un’immagine

metafora barocca:

i

Non

è

stelle della terra.

immagine puramente

fantastica,

ma

ha un

suo contenuto intellettuale (o acutezza o concetto), cioè è scoperta d’un intimo rapporto fra cose apparentemente lontane: nell’ im-

magine è implicito

il

del cielo in terra.

natura.

prima è divinità guerriera, la seconda, dea deU’amorc. biscolori: di due colori. 3.

zione terrena, si che veramente i fiori sono generazioni del sole e delle stelle, riflesso

riconoscimento

del-

l’infiusso del sole e degli astri sulla vegeta-

la

la

Natura... concetti: poeta è dunque

preNatura, grande vivente metafora, che

deve

Tale verità in luce di bellezza. umana. essere lo scopo della poesia in fondo, argu8. argutezze simboliche: senta

U

il T. fenomeni

tezza e simbolp coincidono per studiosi

9. metcoristi:

icroglifici:

Le comete

scritture

dei

ce-

sacre simboliche.

dello Zoe le altre costellazioni allude, erano interpretate

diaco, a cui

il

T.

preannuncio dagli astrologi come sugli che stessero per abbattersi sulla vita della natura.

di calamita

uomini o

Antologia della letteratura italiana

732

imagini del Zodiaco acciò che

subordinatamente congiunte abbiano

maggior forza al nuocere c maggiore argutezza al significare con geminata metafora'^ il suo segreto. Quinci, si come la saetta fra gli eruditi è ieroglifico di strage, di morte e di battaglia, cosi, se quelle meteoriche impressioni^ della Natura prendono figura di una infiammata saetta, e se questa dirittamente soggiace alla Testa del Toro,'^ drizzando la ignita punta ver l’occidente, significa mortalità di armenti agli occidentali agricoltori. Talché tu vedi che il cielo è un vasto ceruleo scudo, ove l’ingegnosa Natura disegna ciò che medita, formando eroiche imprese e simboli misteriosi e arguti de’ suoi segreti.

Emanuele Orchi

V eloquenza

Piu

sacra.

di altri generi letterari, la letteratura

devota (pre-

diche o trattati morali e religiosi) fu soggetta alla rettorica concettistica. Le prediche, soprattutto, in

mano

quenza

teatrale c caratterizzata

afferma

il

da una pirotecnica ricerca di effetto. Come immagini bizzarre, e insieme goffe ed assurde ... lo

Sapegno, «

le

ai « virtuosi » del pulpito, si ispirano

|

1

a un’elo-

sfoggio delie antitesi, delle esclamazioni e delle interrogazioni, l’artificiosa

manipolazione dei « concetti predicabili

»,

sono rimaste famose e passate in

proverbio accanto ai versi piu ridicoli e strambi di qualche

lirico

marinista

».

Cercò di reagire a questo andazzo il romano Paolo Segneri (1624-94), gesuita, uomo di nobile e austera vita religiosa. Ricordiamo di lui le due opere piu celebri, il Quaresimale (1679), raccolta di prediche, e il Cristiano istruito (1686), trattato morale e religioso. Anche se non è del tutto immune, nelle prediche, da un certo gusto teatrale ed enfatico, il Segneri tende a uno stile caratterizzato da una solida ossatura logica, avvivato spesso da un calore sincero e da rappresentazioni psicologiche fini e discrete. Ci è parso tuttavia pili opportuno riportare qui una pagina di un altro gesuita, Emanuele Orchi (1600-1649), autore anch’egli di un Quaresimale, proprio perché esprime in forma pili tipica i caratteri dell’oratoria sacra del secolo. Il

passo delinea

Tcsauro (deriva

un

infatti

« concetto predicabile

».

Secondo

la

definizione del

direttamente dal suo concetto di « argutezza

»), esso

un argomento ingegnosamente provante una proposizione materia sacra e persuasibile al popolo, il cui mezzo termine sia fondato

consiste in «

11.

con geminata metafora:

con doppia

metafora. 12.

meteoriche impressioni: fenomeni ce-

lesti.

13. soggiace... Toro: si trova in congiunzione col Toro, costellazione dello Zodiaco.

14. ignita: 15. scudo...

infuocata.

imprese:

Negli scudi erano

di

in

disegnati il motto e l’impresa araldica, cioè l’emblema assunto dal cavaliere, denotante il suo ideale eroico. Sono questi per il T. « il più nobile, il più generoso e il più arguto di tutti i simboli », superiori quindi anche all’arte. In tutta la teoria è implicito un eccessivo intellettualismo che rischia di soffocare

l’

ispirazione

poetica.

.

La prosa barocca

733

Non è dunque un concetto in senso filosofico, ma una metafora un paragone sviluppato nel corso dell’intera predica con dovizia minuziosa di particolari e un costante, ma solo implicito, riferimento al tema morale. Qui il concetto è: la confessione purifica l’anima come l’opera metafora

».

continuata,

della lavandaia purifica Per

il

seguiamo

testo,

una l’

sporca dal sudiciume.

tela

edizione

Quaresimale di E.

del

Orchi,

a

uscita

Venezia

nel 1650.

L’anima

e la lavandaia

Contemplate meco, o toglie

qualora dal

signori,

telaio

panno

il

lino

si

l’avrete visto, l’avrete tocco rozzo, oscuro di sostanza e colore;

:

indi fra poco, a forza* d’acqua e a vigor di sole, divenuto all’occhio e alla

mano candido

quando

e delicato:

mai sempre

nostra esalando

camiscia, che prima alle pelli

non

cedere !

voleva,^

si

che,^ dalle corrottele della carne

sozzi e vischiosi

i

fuliginosi vapori, quella

deH’armellino di delicatezza e candore

brutte macchie contrae di giorno in giorno, che

bigia pria, affumicata poi, caliginosa in fine, succida, lorda, schifosa

tanto ella appare, che di nausea ticcia alle carni, alle pelli del

gliare.^

Et ecco nudata

prende, e ginocchione

il

piu

all’

occhio, di puzza

immondo

gomito, succinta

pugni, con

le

alle nari, attacca-

potrebbe aggua-

si

fianco la lavandaia^ lo

il

mette presso d’ una fiumara; curva

si

su d’una pietra pendente, insciuppa® co’

animale

palme

lo batte,

lo

il

piega

si

nell’acqua, lo stropiccia

panno

sciacqua, l’aggira, l’avvolge, lo

scuote, l’aggroppa, lo torce; indi, postolo entro

un secchione

vore® del fuoco in un caldaio fatto nell’acqua con

le

fer-

al

e,

ceneri forti

un

mordente liscio,"^ bollente gli lo cola di sopra giuoca di nuovo di scherma, rinforza le braccia, rincalza la mano, liberale ® di sudore non meno :

che di sapone, e finalmente,

1.

quando

che, ecc.

:

stropicfattasi all’acqua chiara,® in quattro

Osservate quello

stes-

panno, quando, diventato camicia, contrae macchie sozze per la corruttela che esala di continuo dal nostro corpo. I vapori sozzi. Vischiosi e fuliginosi del corpo richiamano, per analogia, le sozzure c i peccati, nati dalla debolezza della carne, che sporcano l’aniso

ma, 2.

alle pelli...

voleva: non voleva cedere

per candore alla pelle dell’ ermellino. divenuta oggetto 3. che... agguagliare: di

nausea all’occhio,

ecc.

si

potrebbe ugua-

gliare alla pelle dell’animale più 4.

la

sione.

lavandaia:

La dovizia

dell’

)

:

anima,

la

e

torce

la

risciacqua

strofino a che, in quattro prima. Ma lascia più bianca di

un panno,

ate, la

d’immagini rende lo svolgimentobanale e go tema non arguto, bensì ia

:nte ridicolo,

coscienza.

la

intende mostrare come la confessioseruga instancabile ogni più rijwsto li,

La lavandaia

è

immondo. la

confes-

di verbi che ne indicano le

insciuppa: inzuppa, fervore: calore.

un mordente

Uscio:

S

a e cenere, per

:qua pulita.

il

il

ranno, fatto con

bucato.

risciacquando

il

panno

Antologia della letteratura italiana

734

date, tre scosse, due sciacquature, una torta, e delicato ne cava

il

panno

candido più che prima

lino.

Francesco Fulvio Frugoni Predicatore famoso fu anche Francesco Fulvio Frugoni, genovese (16201688 circa), frate dell’ordine dei Minimi di San Francesco da Paola, autore delle Sacre ringhiere. Ma fu anche autore fecondissimo di molte altre e disparate opere, quali la Guardinfanteide^ un poema giocoso, V Eroina intrepiday una storia romanzata, un romanzo. La vergine parigina^ drammi mu-

La sua opera più importante

sicali, ecc.

è

il

Cane

di Diogene^ pubblicato alla

fine della sua vita, che in sette latrati^ cioè in sette tomi, contiene dodici

umore bizzarro e grottesco, intesi a satireggiare non ultimi quelli letterari. Nel Cane di Diogene il Frugoni esprime pienamente

racconti di

i

vizi e le colpe

del secolo,

la

sua sbrigliata

inventiva fantastica, compiaciuta e quasi inebriata del proprio estro, della propria ingegnosità, continuamente pervasa da un trascolorante gusto di alla rappresentazione di scenari grotteschi. Lo stile è un complicato e ininterrotto di immagini, di bisticci di parole, di « argutezze », sostenuto continuamente da un’inesauribile dovizia linguistica, da un’inventiva verbale vertiginosa. Le immagini deformate del mondo si susseguono incalzanti, s’intrecciano in invenzioni sempre nuove e para-

parodia o rivolta tessuto

che rendono l’intento satirico un puro giuoco di virtuoso. Non c’ è Frugoni un senso di moralità sofferta: la sua parodia è tutta intellettualistica, frutto dell’ingegno, non del cuore, si che, a lungo andare, -il lettore dossali,

nel

avverte, nella sua galleria di ritratti comici, l’assenza del soffio della vita, e

osserva

mente

le

sue figure

come manichini

dalle vesti sgargianti

ma

fondamental-

inerti.

Ritratto di Parigi

Anche in questa descrizione di Parigi avvertiamo l’intento del Frugoni di comporre una grande allegoria satirica del proprio secolo. Come dice il Raimondi, « la sua lente deformatrice di moralista... esplora l’universo per scoprire un teatro grottesco, di fantasie e di scene assurde ». Ma la partecipazione dello scrittore resta qui limitata al compiacimento della metafora ingegnosa, della dovizia lessicale, del virtuosismo stilistico. Per questo non hai un’immagine sintetica che colga la vita intima della città, ma un brulichio disordinato di forme che

si

prestano

manzo

al

giuoco della rappresentazione arguta.

IO. torta:

torcitura.

Le ultime righe

in-

tendono suscitare nell’animo degli ascoltatori un senso e un desiderio di quella pulizia,

di

Il

passo è tratto dal ro-

L’eroina intrepida.

quella

freschezza,

che,

alla

fine.

sembra dire il Padre, è poi cosa tanto agevole. È una forma di « propaganda » che cerca di captare i sensi, non la ragione, simile alla moderna propaganda pubblicitaria.

La prosa barocca Quivi

735

Francia, com’al suo capo,

la

come

sostenerlo; e

subalterna,^ sviscerandosi per

si

suo cuore da tutte

al

come da

province,

le

tante

Mondo com-

vene, concorre a portargli alimento col proprio sangue.^

pendiato,^ contien l’Europa nella civiltà, l’Asia nella profusione,'* l’Afstravaganza e l’America nella ricchezza. Ha un popolo cosi

frica nella

come variabile, un territorio un commercio cosi dovizioso come frequente, ammirabile come sfoggiata.® La novità v’ha la sfera, la

misto come volubile, un clima cosi bello

ameno come

cosi

una Corte

cosi

culto,®

simulazione v’ha v’ha

la reggia,

lusso v’ha

il

centro,

il

bellezza v’ha l’epiciclo,® la pietà v’ha

steccato,'^ la

borsa v’ha

la culla, e la

la

tomba.® Egli è

porio delle pompe, l’aringo^® delle cortesie,

il

il

coraggio v’ha lo pascolo, la

il

campo

il

delle avventure,

giardino delle soddisfazioni, l’Euripo^^ delle traversie,

il

meandro

moda

paese delle sirene, l’em-

il

fonte delle

Nilo dei cortigiani e l’Oceano delle confusioni. Il divide la Senna, che con piena d’argento gli porta alle rive un tributo d’oro, con cui arricchito s’infastosisce.^® Anzi lo nutre con COSI provida scaturigine, che l’impingua opportuna di tal maniera risse,

che

il

mancasse

se

degli intrighi,

il

di quella l’alimentaria affluenza, egli misverrebbe fa-

uno scheletro agonizzante. Mangia perciò vorace un giorno piu che non inghiotte la Gallia tutta in un mese, ed avendo nel ventre l’isole divora nelle selvaggine le selve, nei montoni le monmelico

diverria

e

in

tagne,

maree, nelle biade

le

La Francia

subalterna;

Quivi...

1.

vaccine gli armenti, nelle volaglie^®

nelle

pescagioni

soggetta a Parigi, considerandola

la

si

concorre...

2.

ti

Vuol

sangue;

dire

che al portano

loro contributo tutte le provincie.

compendiato;

del

sintesi

di

tutti

pria orgia

coltivato.

stosa, elegante e superba.

gli

studiati

pa-

sfoggiata

Allude

;

al

suo lusso opulento.

campo di gara. È un termine astronomico,

7.

steccato;

8.

l’epiciclo;

qui usato metaforicamente nel senso di « centro d’attrazione ».

tomba; L’ arguta battuta acquista una maggiore comicità dalle

9. e la

borsa...

metafore elogiative precedenti.

(Parigi) piu fa-

Argento

è proba-

bilmente un’allusione alla parola francese argent (danaro) e, comunque, alle ricche merci che vengono portate a Parigi per via fluviale. 14.

Nota

del periodo, i vari « cosi... coche gli danno un ritmo di spinte e

finale

Di qui

Egitto, cosi Parigi con-

all’

13. s’ infastosisce; diviene

lusso.

controspinte. 6.

di gara.

«stretto».

qui vale

sente ai cortigiani di arricchire.

metaforica.

culto;

»

nelle

periodo hai metafore marine, di vastità progressivamente maggiore. 12. il Nilo dei cortigiani; Come il Nilo

misverrebbe

famelico;

morrebbe

di

fame.

rallelismi

me

Euripo;

assicura fertilità

gli aspet-

Vedi, in queste righe, un primo sfavillare di « argutezze » e di metafore ingegnose. Ma siamo appena all’ inizio; lentamente, con calcolata progressione, il F. giungerà a una vera e pro5.

11.

mondo.

profusione;

3.

campo

10. aringo; arena,

as-

incostanze,

le

nei vini le sconvol-

e

alla fine del

fasto e alla ricchezza della capitale

3.

campagne,

propria

testa.

il

le

15.

selvaggine

nelle

le

selve;

verbale diventa fine a se stesso. che Parigi, per nutrirsi, spoglia

ogni

il

le

giuoco senso è selve di

Frugoni interessa concetto, quanto l’arguta com-

selvaggina;

non tanto

ma

Il

Il

al

binazione delle parole. Lo stesso vale per

immagini immediatamente 16. il

volaglie;

doppio

« frasca,

to

le

seguenti.

dal francese volaille che ha

di « pollame » e di leggerezza »; donde l’accostamen-

significato

con incostanze.

Antologia della letteratura italiana

736

Mostro immenso, ha tante teste quanti borghi, e quanti borghi tante cittadi che ’l rendono portentoso per un’aggregazione sempre crescente. Cosi, non potendo più capire in se stesso,^® esce di se medesimo, e dilatandosi coll’ innondazione degli edifici, forma un mare, che ture.”

certe le rive, d’abitatori fluttuanti. Detto paradiso,

non ha

ma

terrestre,



quali) vi cinguettano volontier col serpente; * purgatorio dei litiganti, che vi son tormentati dalle fiamme cicane qual’ultimo abbiano ognor rinascenti; e non mai n’escono sin a che

per

le

dame, che

(tali e

drante*^ sborsato; inferno dei cavalli, che vi son dannati ad un faticoso strascico ** senza aver mai riposo, martorizzati dai diavoli dei cocchieri,**

che abborriscono

la

compassione; limbo degl’innocenti,** per-

giunga nei puri naturali *® e vi cammini colle tenebre interiori, vien, qual fanciullo che parlar non sappia, deriso, e dagli astuti filoni con rodimenti strani sfilato *® benché oggidì la giustizia ché chiunque

vi

:

di Luigi l’Invitto*^ abbia lor quasi colla sua spada rotante*® troncato filo.

il

Daniello Bartoli

Nacque a Ferrara nel 1608 ed entrò a 15 anni nella Compagnia di Gesù. Fu sino al 1650 predicatore acclamato in molte città italiane, poi venne chiamato a Roma, come storico dell’Ordine c resse, dal 1671 al Collegio Romano. Mori nel 1685. La sua opera di maggior impegno 1673, è la Storia della Compagnia di Gesù^ scritta, per ordine dei superiori, dal '50 al ’73, che comprende la Vita di S, Ignazio^ la biografia di altri santi gesuiti e

il

racconto delle loro missioni in tutto

quale è unita e

la

Missione al Gran Mogor,

il

il

mondo,

Giappone^

cioè VAsia, alla

Cina^ V Inghilterra

la

r Italia.

17.

sconvolture

:

nel duplice significato di

22. faticoso

strascico:

sconvolgimento e disordine (Raimondi), con « arguto » accostamento ai vini e al loro

samente e senza posa.

effetto.

voli dei cocchieri.

rimanere fermo entro i propri confini. Allude al continuo, dilagante estendersi della città; la metafora 18.

capire

culmina

in

se

stesso:

nell’ immagine degli « abitatori flut-

tuanti ». 19.

nel

vi cinguettano... serpente:

paradiso terrestre,

si

20.

cicane: Si

dal francese chicane,

21.

a cavil-

tratta dei processi celebrati nei tri-

bunali parigini.

quadrante: spicciolo.

Il

da quei dia-

F. vuol dare un’

imma-

gine del ritmo convulso della vita cittadina. 24. innocenti: persone semplici e ingenue. 25. nei puri naturali: ancora avvezzo a

ingenua schiettezza e semplicità e non minato dall’ ingegno e dall’ astuzia. 26. filoni:

beffe

furbi

dell’altrui

e

ladri,

pronti

dabbenaggine,

a

sfilato:

illu-

farsi

de-

rubato.

dalle suggestioni del diavolo.

lo ».

23. dai diavoli dei cocchieri:

Come Èva

lasciano incantare

a trascinarsi peno-

r Invitto Luigi XIV. spada rotante: è la spada della giustizia, cosi ben affilata che ha tolto il filo 27. Luigi

:

28.

ai

« filoni » (ha reso ottusa la loro spada).

La prosa barocca

111

Piu che una vera e propria storia, è questa un’opera apologetica, concepita con l’intento di celebrare l’ardore missionario dei Gesuiti e il nuovo martirologio cristiano. Le pagine migliori sono quelle dedicate alle missioni asiatiche; in esse la nuova epopea sacra dei combattenti per la fede di Cristo è come avvivata dallo sfondo grandioso di paesaggi sterminati e ignoti, ricchi di fascino e di meraviglia. delle relazioni inviategli

aperta alla bellezza della natura,

bilità

una

Bartoli

Il

vita

ricavava dalle linee schematiche

li

dai suoi confratelli, rivivendoli con

non senza una

che anch’egli avrebbe voluto vivere,

moderna

se

la

sua sensi-

segreta nostalgia per

superiori glielo avessero

i

maggiore interesse argomento scientifico, quali il Del suono, dei tremori armonici e dell'udito e Del ghiaccio e della coagulazione, sia a quelle d’argomento morale, quali La geografia trasportata al morale e / simboli trasportati al morale, sia a quelle d’argomento grammaticale e linguistico, quali 11 torto e il dritto del non si può e L’ortografia italiana. Più importanti sono L’uomo al punto^ un discorso ai peccatori per consentito. Tuttavia la critica

sue opere di minor mole,

alle

invitarli

a

meditare

sul

sia

momento

si

a quelle di

morte,

della

trattato intorno all’arte del dire, nel quale

a finalità morali

e,

di ringraziamento a

soprattutto,

Dio per

la

la

è rivolta con

il

VUomo

Bartoli

ampia dei

cieli

alla

acuto

lettere,

volta

Ricreazione del Savio, inno di lode

e

mirabile e armoniosa bellezza della natura,

vagheggiata dall’autore nell’infinita molteplicità dei suoi sione

di

propugna un’arte

perfezione

ch’essa

rivela

in

dalla

aspetti,

ogni più

vi-

piccola

forma.

La prosa

del Bartoli è fra le più vive e interessanti del secolo.

miratissima dal Monti, dal Giordani, dal Leopardi, che della prosa italiana »,

mettendo

stile,

che « non

intaglia e scolpisce dinanzi agli occhi del lettore

cetti,

immagini, sentimenti

».

Poi,

per

tipico prodotto dell’ingegnosità barocca,

gida.

La

raffinato

critica recente,

e

chiamò

il

Fu am«

Dante

in rilievo la sua prodigiosa conoscenza della

nostra lingua, la ricchezza espressiva del suo

ma

lo

un

le

solo, dipinge...

proprie idee, con-

certo tempo, fu svalutata

appariscente,

invece, vede nel Bartoli

non

ma

come

intimamente

soltanto

uno

fri-

stilista

ma uno scrittore vero, il quale visse intimamente commossa dinanzi alla bellezza grandiosa dell’universo,

ingegnoso,

quella meraviglia

che riuscì a esprimere con vivida sensibilità pittorica in molte sue pagine. Il cielo, l’universo che egli contempla affascinato, corrispondono, ha detto

giustamente il Raimondi, « allo spazio che le nuove scoperte hanno prodigiosamente dilatato, immenso e luminoso come può rivelarsi attraverso il telescopio di Galileo ». Ma mentre nello scienziato pisano prevalgono la

predomina la pura gioia conquale egli guarda rapito lo spettacolo infinito di meranatura presenta al suo sguardo, avvertendo nelle cose la pre-

logica e l’entusiasmo scientifico, nel Bartoli

templativa con viglie

che

la

la

senza della suprema Mente creatrice di Dio.

La

ricreazione del Savio

La ricreazione del savio consiste, per il Bartoli, neH’ammirazione della divina bellezza dell’universo "creato da Dio, nella gioia con cui egli contempla, con me-

Antologia della letteratura italiana

738

la vita armoniosa e complessa della natura. Il Bartoli non ritmo misterioso c intimo di essa, ma la ricchezza inesauribile delle sue forme sensibili, lo spettacolo che continuamente si rinnovella sulla scena grandiosa del mondo. Nel primo periodo, lunghissimo e tuttavia agevole, avverti ancora il senso di una solida struttura classica, nello stile; ma ad essa si congiunge il motivo, tipi-

sempre nuova,

raviglia coglie,

perù,

il

camente barocco, della sentimento moderno,

11

nuovo

complessa e dinamica delle forme, della descrizione di esprimere la varietà cangiante degli oggetti. potremmo dire, galileiano dello spazio crea uno stondo

vita

e pittoresca, che cerca

colorita

alla fantasia,

non

del Bartoli

il

e,

è scritto in linee geometriche,

egli dice, tconietriche

immensa e infinita- Ma l’universo come quello di Galileo, bensì, come

senso di una vita cosmica

l’interesse scientifico è in lui sostituito dalla esaltazione

:

mossa della poesia della Creazione.

j

com|

’ ^

Or

chi

anco

bili

ficio del

ha in capo occhi da non veder solamente le superficie visiil senso/ ma da intendere l’arti-

agli animali per dilettarsene

lavoro

^

così di tutto insieme

avvegnaché minima locazion delle parti,

il

mondo ^ come

vaghezza né con più aggiustata situazione per

la

monia

d’ogni particolare,

poco in apparenza pregevole sua fattura,^ e la col® non possibili a disporsi né con più bell’ordine per

e

delle superiori con le

mezzane

pre mobili e sempre quiete e

le

e di queste

l’utile

:

e in esse

con l’infime, e

®

le

l’ar-

sem-

or mobili or quiete, quelle per l’intrin-

seca proprietà delle lor forme, queste per l’estrinseca impression degli

agenti;

e le smisurate e le piccolissime, quelle più riguardevoli per la

gran mole, queste per cedersi le

une cose

lo

più

alle altre,

perpetue vicende del suc-

fin lavoro;® e le

dando luogo

cominciar

finir di quelle ai

il

continuando sempre il medesimo, ma il medesimo sempre nuovo; ^ e l’insolubile legamento e concordia fra rtature non solamente dissimili ma nemiche; e la concatenazione de’ fini, a eiascuna specie il suo proprio, ma tutti a un sol comune termine rispondi queste, e in tal guisa

denti;^^ e

1.

gli

’l

ripartimento de’ beni



Or... senso: Chi non guarda solo con occhi del corpo le cose per trarne im-

mediato e superficiale diletto sensibile (cosa che possono fare ugualmente anche gli animali) ma le scruta anche con gli occhi della mente. 2.

r

artificio

del

lavoro

:

la

razionale

e

armonica costruzione. Il mondo è visto dal B. come una macchina meravigliosa, opera d’arte di

una mente sublime, quella

mondo:

di tutto l’universo.

3.

di tutto...

4.

avvegnaché... fattura:

nima

e

di Dio.

per quanto miapparentemente poco pregevole ope-

della natura (o del mondo stesso, visto però non staticamente, ma nel suo continuo e dinamico farsi, secondo una legge e un ra

movimento impressogli da

Dio).

ben inteso che



5.

per:

6.

in esse:

il

bisogno non è punto

per quel che riguarda. in queste parti.

per 1’ impulso di agenti causano il movimento. 8. per... lavoro: Piu che dal mondo rivelato dal telescopio si direbbe che il B. sia per...

7.

agenti:

esterni che ne

attratto

Nelle fin

da quello rivelato dal microscopio. creature ammira appunto il

piccole

lavoro,

l’artificio

mirabile

delle

loro

complesse strutture, unito alla grazia raffinata di un’opera sottile come di cesello. 9. il medesimo... nuovo: La loro vita sempre uguale e che pure si ricrea, sempre vergine e nuova, ad ogni istante. 10. insolubile legamento: indissolubile legame.

11.

a

ciascuna

. . .

rispondenti

:

ogni cosa

'

La

prosa barocca 739

men

che Tabbondanza,^^ facendosi necessaria

utile

la

communicazion

lontani per dar gli uni quel che loro soverchia e cercar dagli

che lor manca; e finalmente in tutto

consonanza, l’ordine,

l’efficacia,

la varietà, l’unione, la grazia, la

decoro, la maestà,

il

l’utile, la

mondo, chi cosi ne intende l’armonia del ah!, non può altrimenti che come in mezzo

chi COSI vede

de’

quel

altri

bellezza

:

tutto e l’ufficio

il

delle parti, a innumerabili maraviglie, anzi a dir meglio a tanti miracoli quanti individui,^^ non che nature, dovunque si volge, non senta rapirsi coll’animo in giubilo per diletto e in estasi per istupored®

mente

la

non

tente volere che

mamelo vedute

fuori



un

delle quali

il

E non può

essere che tutto insieme con

a riconoscervi

mondo

gran



£e’ uscir

dominio

il

men

elle

di queU’onnipo-

dal nulla con solamente chia-

conservandolo, quasi di continuo

e,

opere di Dio,

le

Dio

salga in

riproduce... Cosi

il

son linee e figure, per cosi

dir, teometriche,^®

che abbiano di bello è quel che mostrano

agli occhi:

l’incomparabile è per la mente, cioè la forza del dimostrar ch’elle fanno Iddio e quell’infinito ammirabile ch’è in lui. Non ch’elle cel diano a

comprendere... neanco cel danno a vedere in lui

stesso,

ma come

chi di

punta d’uno scoglio mira l’oceano, ancorché non ne vegga né il termine né il fondo, ma solo una superficie di quanto è l’orizzonte della sua corta veduta, nondimeno e assai ne vede, e vede, in certo modo, sulla

anco quel che non vede, in quanto

il

conosce incomparabilmente mag-

la veduta. Per un simil modo anche noi in questa superficie delle creature, che sono cosa di Dio, veg giamo ancor l’invisibile di lui, e ne arriviamo al profondo non con l’intelligenza ma collo stupore, ch’è la sola giusta misura delle cose ch’ec-

può abbracciare con

giore di quel ch’egli

cedono ogni misura.^® tende a un proprio fine distinto,

ma

dispongono armonicamente nella

vita

tutte

si

comu-

ne deir universo. 12. essi,

il

bisogno... l’abbondanza:

come

spiega poi,

rapporto reciproco fra

cose.

le

13. a tanti... individui:

zo

a’

miracoli, ché

mondo avanti. È

il

ottimistico

»,

dice

evidente

non

Dio

senta:

«

Stiamo in mez-

un mondo B.

fin

di miracoli è

piu sentimento della natura, miranel minimo fram-

qui

cristiano

e

opera di mento. bile

14.

il

Mediante

viene a stabilire un

si

alcuni

capitoli

suo

il

uniscilo a

menti che (non può fare a

non può

meno

di

altri-

non

sentire). 15.

diletto...

esprimono templa la

il

istupore:

I

due

sentimento col quale

sostantivi il

B. con-

vita della natura.

16. tutto... mente: col cuore e con la mente, fusi in un unico sentimento di riconoscenza e di lode verso Dio.

chiamamelo fuori: Il verbo creatore Dio chiamò le cose dal nulla all’ essere, nel grande miracolo della creazione. 18. linee... teometriche: come a dire « mi17.

di

sure dell’essere divino » (Raimondi). Il vocabolo è ricalcato su « geometriche », con intenzione critica nei confronti della nuovj scienza galileiana. Galileo aveva detto che il libro dell’universo era stato scritto da Dio in caratteri matematici o geometrici, che lo scienziato

può

interpretare, ricavandone leg-

gi scientifiche universali;

il

B. propende qui

per una visione della natura fondata piuttosto sulla sensibilità e sul cuore, nella quale le cose sensibili siano un veicolo che porti immediatamente l’anima alla religiosa con-

templazione

dell’ Invisibile.

19. stupore... misura:

Lo

« meraviglia » secenteschi

un intimo

si

« stupore » e la

rivestono qui di

significato religioso:

sentimento sereno bellezza di Dio.

e

gioioso

sono

dell

il

pre-

ineffabile

e



Antologia della letteratura italiana

740

tulipano

Il

Nello stile del passo precedente, avvertivi soprattutto il gusto del periodare complesso e spazioso, avvivato dal calore discreto dell affetto. In questo e in quello seguente senti invece la gioia sensibile, visiva c descrittiva, che si esprime nella ricerca della parola eletta, pregnante e aggraziata. « Poeta del dizionario » è stato chiamato il Bartoli, e veramente egli gode la parola, sembra accarezzarla come una realtà viva e palpitante, avvertendo anche in essa un oggetto della mirabile Creazione, il mezzo datogli da Dio per testimoniarne la bellezza.

Quel gambo senonché nel

liscio, erto, sottile.^

salire assottiglia

Le

^

trafile

noi tirerebbon piu eguale,

con garbo, fin dove gli

annoda

si

1

in capo

:

come campato in aria, che gli dà un bellissimo un bel cesto di foglie, e alcuna su per lo stelo, e l’adorna. Io mi perdo e mi diletto nel cercar che

fiore, ritto, svelto, e

il

comparire.^ Al pie’ poi

che pur

gli

dà grazia^

i

come di quelle invisibili giunture, colà dove il fiore si commette ® col gambo, e aggroppa ® le sue ordinariamente sei foglie nategli in giro l’una da presso all’altra; né so come vi s’innestino, né so come da un verde si vivo, com’è quello del gambo, si passi immediatamente a un SI diverso altro colore delle foglie; ed è il medesimo dal passar d’una in altra si differente figura.^ Io per me godo® di non comprendere quel che per ciò mi diletta, come un sempre nuovo miracolo, e mi par di vedere le invisibili mani di Dio in opera di lavorarlo: perché dirmi Natura è come dirmi (se fosse tanto, ma veramente non l’è) un uni£o

il

,

!

j

|

i

ji

!!

forme pezzo d’acciaio, il quale se, fatto punzone, o conio che vogliam dire, stampa in qualunque sia metallo una immagine di bellissimo volto, tutta è mercé ® dell’ artefice che vi incavò quel che egli sol battuto, o premuto, impronta. Ma proseguiamo a cercarvi piu dentro. Quei nerche tutto

bolini, quelle venette,

il

corrono; altre

al disteso,

I

|

^

,

altre a traj

verso reticolate,^® e succiano l’umor dalla madre,

1.

Quel gambo...

mosso; esprime B.

l’

esultante e

« stupore »

lo

col

com-

il

quale

trafile;

con

fori attra-

j

è... figura;

e

ugualmente ignoro co-

dalla figura dello stelo

cosi

;

allo stelo.

ed

7.

me

piastre d’acciaio

alla

curvarsi dei petali del fiore che spunta in

cima

il

accosta alle cose.

s’

2.

brevissimo pe-

sottile; Il

riodo ha un tono fra

portano fino

’l

diversa,

della

si

passi a quella,

,

corolla. |

verso

quali

i

ridurlo in

come

nell’aria

passare

metallo

il

per

8.

godo,

Io...

impossibilità

comparire;

campato...

3.

fa

si

fili.

sul

fiore

Il

fondo di un

risalta

dipinto o di

il

di

ecc.

;

Gode perché questa

comprendere

fa

gli

sentire

costante, meraviglioso miracolo della crea-

,

|

zione. I

un

bassorilievo (tale è

pare);

comparire è

il

il

il

significato di

cam-

suo. apparire, la sua

bellezza. 4.

fiore

è

10.

dà grazia;

gli

9.

la

grazia

gentile

del

tema piu vivo della descrizione. commette; si unisce. il

5.

si

6.

aggroppa;

mercé; ciò avviene per merito

è

e per

grazia. al

tudinali

disteso... e

isolate,

con le venature dei nuta reticella.

reticolate; altre

petali

che

alcune longisi

come

intrecciano in

>

:

una mij

j

Il

verbo dà

il

senso dell’in-

11.

rumor dalla madre;

l’

umore

del bulbo.

La

prosa barocca 74

cima, e lo spartono, per digerirsi, e formarsene

rito, e

tramezzo un

dirmi a che

sa

come

eguali.'^

come dà ove

quelle

ha a formare

si

altezza,

spartite

colo-

di

lanugginoso, che in certi

misurate

medesima non so che

alla

tenenti in capo quel

e

in tutte

levano su dal gruppo,^’

si

dritte,

sottili,

a spazi uguali,

conveniente lor luogo.?

il

bel garbo, e quell’andare

si

che dentro

fila,

seme,

il

misura, che tutte riescano

le

che tutte abbiano

loro quel torcimento

E

E come

stende.

si

sparte,^^

simile e diverso.?

membra. Poi

sottilissimo velo bianco, che fra l’uno e l’altro (chi

fare.^^)

le

tutte le

d’un doppio drappo in molti variamente

la tessitura delle foglie,^^

fiori è spenzolato; ed è segreto della pur serve, ché nulla v’ha di soverchio.^® Cosi dicendo, raccòrdovi^ che considero un sol fiore: che se il diverso e sempre maraviglioso lavoro di tutti gli altri s’avesse a considerare in ogni lor parte, chi, che sia men d’un angiolo, basta a intenderne

natura l’uso a che serve

l’artificio,

a divisarne

altri

:

le

e

parti, a definire

perché delle figure, e

il

origine de’ colori e degli odori, l’invenzion delle forme, attitudini, convenienti a ciascuno la sua, e la natura

che

sia

il

lor bello e

mirabile in

Le

essi,

buono, a che vagliono,^ e

il

cioè tutto

^ quel

ch’è in

il

la

disegno delle

deH’anime,“ e in

ciò che altro è d’am-

essi.?

chiocciole

questa la parte finale di un lungo « elogio » delle chiocciole, volto a dimomassimo anche nelle minime sue fatture ». Ciò che soprattutto colpisce nel brano è la prodigiosa e quasi magica dovizia e inventività linguistica, ammiratissima dal Leopardi, che nella prosa del Bartoli vedeva fulgidamente esem-

È

strare « Iddio

plata « la forza e la infinita varietà delle

liana

può assumere

»,

eppure italianissime e

e

una

forme

« molteplicità

di

e

stili

sembianze che

la

lingua

12. per...

formarsene: perché venga dige-

da esso

si

formino

18. spenzolato

la

tessitura delle foglie;

ogni petalo,

formato da due

il

strati

d’uguale grandezza... li distribuisce. il fiore, o, secondo altri, l’arte-

Soggetto è fice

23. a che vagliono: a che servono. d’un fio24. cioè tutto: ogni minima parte

re desta meraviglia, ticella

come ogni minima

par-

del creato.

divino.

15.

16.

t’

spenzola fuori della corolla.

anime: semi.

22.

sottili,

i

petali

in

20. raccòrdovi: vi ricordo. 21. divisarne: distinguerne ed esaminarne

tessuto di

quali è posto un sottilissimo velo bianco. 14. le misura... sparte: come rende tutti i

fra

:

va-

19. di soverchio: di superfluo.

tutte le parti del

fiore.

13.

»,

belle.

Or finiamo con solamente accennare la varietà de’ colori^ e la ghezza degli ornamenti, onde le chiocciole son si belle. Eccovene

rito e

ita-

quasi di lingue diverse

e

torcimento: piegatura ricurva. andare: forma e orientamento.

17. fila... gruppo: gli stami che come fili innalzano dalia comune base dei petali.

I.

Or... colori:

con dovizia di

chiocciole

clude

la

Il

B. ha a lungo parlato

di particolari delle varie specie

e

del

loro

guscio.

Ora con-

vasua descrizione parlando della

742

Antologia della letteratura italiana

prima

le vestite

gie, nericanti,

d’uno schietto drappo;^ argentine, bianche,

morate, purpuree,

gialle,

miglie. Poi, le addogate con lunghe strisce e visa

:

^

lattate, gri-

bronzine, dorate, scarlattine, verliste

di piu colori a di-

e quali se ne vergano per lo lungo, quali per lo traverso; alcune

Ma

piu vagamente a onda.

diritto, altre

vorate a

modo

vero maravigliose,

certe, in

la-

d'intarsiatura con minuzzoli di più colori bizzarramente

ordinati; o d’un musaico di scacchi,^ l’un bianco e l’altro nero, quanto alla figura

formatissimi e

una division

tagliente,

giunture® non isfumati punto,

alle

come appunto

ma

con

fossero alabastro e paragone stret-

tamente commessi.® Le più sono dipinte a capriccio, o granite, gocciomoscate; altre qua e là tocche con certe leggerissime leccature

late,

di minio, di cinabro,® d’oro, di verdazzurro, di lacca; altre pezzate con

macchie più risentite® e grandi; altre o grandinate di piastrelli^® o o minutissimo punteggiate; altre corse di vene come i marmi, con un artificio senz’arte; o spruzzate di sangue in mezzo ad altri colori, che le fan parere diaspri. Ma la varietà e la bellezza sparse di rotelle

non si può divisar^® tutta in non abbiam tanti vocaboli quanti

degli ornamenti e le mirabili lor partiture brieve, né dirsene a lungo, perché noi

hanno abbigliamenti per

esse

arredarsi e

ben

parere.^^ Lascio le

Che direm

a scavature e risalti, scanalate, grinzute, rugose.

una cornice

a cui su le giunture delle volute spiana

intaglio?

Di

creste che alzano

un

una che sembra

po’ poco,

o a luogo a luogo

entusiastica

sinfonia di

Ne

ornamenti.

risulta

colori,

di

espressa

estrema raffinatezza

in pit-

torica.

un

schietto drappo: di

2.

la fascia

come una

addogate:

solo colore, che

con

di

colori

bande,

come 4.

dipinte

liste

in uno stemma. musaico di scacchi: mosaico con figura

quanto... formatissimi:

Vuol

dire che

sono esattamente uguali, disegnati con geometrica esattezza, alle giunture: nel punto d’incontro e di confine fra quadro bianco e quello nero. il gl;

6.

scacchi

una

di colore

division...

commessi:

riquadri

I

opposto sono fra loro nettarnente

uno con progressive sfumature; come distinti,

ma

quelle

l’una presso all’altra e in loro

di alabastro (marmo bianco) o pietra paragone (una pietra nera che serviva

tasse

di

per saggiare l’oro), incastrati insieme. 7. a capriccio... moscate: con liberi arabeschi, a grani, a gocce, a puntini. 8.

leccature:

striature

sfumate,

cinabro:

9. risentite:

intense.

grandinate di piastrelli: con piccole macchie rotonde, come se fossero state colpite da una grandinata di minuscoli sasso10.

lini.

di scacchiera. 5.

.si,

Di

terra di colore rosso chiaro.

veste.

diyersi. a divisa: distribuiti in fasce e

3.

fregio di strane

tempestate a gocciole di cotali smalti

un’abbandonata ed

vasto arazzo,

un

intrecciatura di più catene?

gemme,

filze di perle e di

stesse rivolte,

rietà dei loro colori e

distende

si

che tutte son

un linguaggio

di maraviglioso

quelle a cui fra due corsi di spine dilicatissime o fra due

graziose figure, o

come un

messe

di quelle

non trascolorano

l’

nell’ altro

se

si

trat-

minutissimo: minutissimamente.

11.

12. diaspri:

colori,

il

13. partiture:

buiti

diaspro, pietra dura di vari

spesso rosso e fiorito.

gli

i

modi

in

cui sono distri-

ornamenti, divisar:

spiegare par-

titamente. 14. per...

ben parere: per apparire

messe: quelle lavorate. 16. a luogo a luogo: qua e là. 15. le

belle.

La prosa barocca

743

che sembrano gioielletti? Di quelle che per tutto

il

corpo sono seminate

con in mezzo, a

di scudetti, rosette, borchie, bisantini,^"^

un botton-

chi

che sopravanza, a chi un pennacchietto che ne spunta con grazia? ve ne ha, indiana, tutta intessuta di sottilissimi cordoncini, non

cello

Una

solamente di più colori

schietti,

a ogni

di

insieme

gliate

questi,

tanti di

l’uno immediato

due

e miracolo che

:

diverse,

fila

mai una

ma

di certi

violato e bianco,

attorci-

all’altro,

volta fallisse

il

tornar sopra

quel che dà volta sotto,^^ alternandosi fedelmente l’un colore e l’altro, come lavoro di mani che aveano^ sopra una mente direttrice al muo-

con disegno e con

versi

Il

cammino

arte.

del Santo

La vastissima

Compagnia

Storia della

sionario che spinse

i

Gesù

di

celebra l’ardente slancio mis-

Gesuiti alla conquista di nuove terre alla fede cristiana.

Il

Battoli rivive la tensione eroica che palpitava nelle relazioni dei suoi confratelli

deirOriente: più che una storia,

la

sua è un’esaltazione della nuova epopea mis-

sionaria.

passo che riportiamo è particolarmente significativo. Il cammino di S. FranSaverio fra solitudini sterminate e selvagge, l’eroica tensione dell’anima

Il

cesco

che trionfa sui limiti e sulla debolezza della carne, quel viaggio vissuto in un’atmosfera d’estasi e di desiderato martirio fanno rivivire al Battoli l’entusiasmo di una rinnovata vita cristiana, simile a quella dei primi tempi della Chiesa, quando Tertulliano, di fronte alle persecuzioni, proclamava che il sangue dei cristiani è

seme

di

una messe

Era il

se

paese

la il

rigogliosa e santa (cfr. la chiusa del passo).

stagione la più incomportabile e disacconcia a viaggiare, e più aspro e pericoloso a passarsi che sia nel Giappone. Egli^

cammino

ne pose in

mezzo dicembre, quando

a

è orridissimo, incomincia a incessanti,

romper con piogge

con freddi stemperatissimi,

il

verno, che colà

a settimane^ continue

insofferibili

fino a’

paesani av-

paese poi, tutto selve, montagne, valli attraversate da torrenti che v’ingrossano a dismisura, e sfondate per restagni^ d’acque palustri e gran pantani; e certe pendici boscose, per vezzi

i

al

rigore del clima.

Il

venti da tramontana che 17. bisantini:

come ornamento 18.

molto

piccole rotelle d’oro,

usate

a Bisanzio.

ma... insieme: Ogni tante

file

di cor-

doncini monocolori si trova un cordoncino di due, uno viola e uno bianco,

insieme intrecciati. l’intreccio

il

bianco e

il

viola

dire che nelsi

alternano

con perfetta regolarità. 20. che aveano: che avessero. La mente direttrice, 1’ artefice supremo che plasma le meraviglie della natura, è Dio.

San Francesco Saverio, nato

Egli:

1.

di

Xavier

in

Navarra.

Fu

nel

tra

i

Loiola e Indie per venne chiamato {'Apostolo delle missionaria compiula sua grande attività (1506India e nell’ Estremo Oriente

primi

ta

Vuol

miracolo... sotto:

possono, smaltate di cosi duro

castello

formato 19.

vi

seguaci

di

S.

Ignazio

di

in

1552).

Il

compiuto viaggio qui descritto fu

nel 1550. poi settunane 2. a settimane: che durano e settimane. 3.

sfondate per rcstagni: guaste, stagni (Raimondi).

late dagli

ammol-

Antologia della letteratura italiana

744

%

ghiaccio, che sono piu le cadute che

i

passi che vi

fanno; oltre

si

al pe-

rimanere oppresso da alcune come travi di gelo (così ne scrive ha vedute)^ lunghe e grosse quanto un gran tronco d’antenna,

ricolo di

chi le

acque rapprese dal freddo e compigliate,^ il capo de’ passaggeri. Il santo apostolo, male in arnese di panni, sempre a piè e scalzo,"^ con su le spalle il suo fardello de’ paramenti da celebrare® e senza altro onde vivere che un sacchetto di riso abbrustiato e secco che Bernardo® porper

che,

piogge e

le

altre

crescono e pendon dagli arbori® sopra

tava, e per bere, la fredda

Or

acqua

quali e quanti fossero

delle surgenti.

disagi che in questa peregrinazione sof-

i

può almeno per conghiettura comprendere dal lungo tempo convenne spendervi intorno ché, andando pur a giornate intere

ferse, si

che

gli

con

e

:

la gagliardia di

quel passo che più

il

fervore della sua carità che

un viaggio d’un qualche due settimane, “ per la cruda stagione e per le orribili vie, due mesi vi consumò. Salire e scendere su e giù per montagne, aggrappandosi a mani e piedi su per greppi inaccessibili, non tanto perché sempre il richiedesse la via, quanto perché, non avendo altro condottiero che se medesimo, e non sapendola egli né alcun de’ compagni (oltre che le nevi si tenevan sotto nascosi i sentieri battuti), smarrito il cammino, forze della natura gli sumministravano, in

le

conveniva dalle punte de’ monti fare scoperta da lungi

gli

se v’era

come

o

rimettersi in istrada o città

castello

ove

e spiare

farsi

a pren-

derne lingua.^® Intanto, passar torrenti e stagni d’acque gelate e boschi e vie fangose

:

finché dove

il

sorprendeva

dore e spesse volte di pioggia,

la

notte, quivi, molle di su-

restava a gelare più che a dormire

si

un pugno

sereno, con solo quel ristoro che dissi, di cenare

al

stendersi sopra

e

Vero

un nudo

è ch’egli sentiva più

il

mettersi in

travi

4.

di

cammino

gelo:

stalattiti

di

e

tutto

ghiaccio.

compigliate: rimaste, ghiacciandosi, at-

5.

compagni che sappiamo che

patir de’

simo; perché per racconto di loro nel

di riso

sasso per letto.

taccate alle fronde.

stessi

arbori: alberi.

7.

sempre... scalzo: Quel paesaggio ghiac-

suo medesant’uomo,

insieme in orazione,^^ s’infiammava

dal re del Portogallo, mostrando cosi

suo

il

unito

6.

il il

zelo al

apostolico

francescano

10. conghiettura:

amore

come

intimamente

fosse

povertà.

della

congettura.

peggia l’eroismo apostolico del Santo, ingi-

in un... settimane: in un viaggio che migliore stagione avrebbe richiesto circa due settimane. Ma nota che il B. 1 ha chia-

gantito dalla dura lotta contro gli ostacoli

mato peregrinazione, sottolineandone

della natura.

gnificato religioso.

ciato

e

da

selvaggio è lo sfondo su cui cam-

da

la messa. Bernardo: Un suo accompagnatore. In un periodo che abbiamo omesso, il B. spiega come il Santo distribuisse ai piu bisognosi fra i giapponesi da 8.

celebrare:

9. abbrustiato:

lui

convertiti

celebrare

tostato.

una cospicua somma ricevuta

11.

in



il

si-

lungi: Guardava dalle cime monti per scoprire il cammino da te-

12. fare...

dei

nere. 13.

prenderne lingua: riprender

14. e

tutto...

orazione:

gando costantemente.

fiato.

camminava

pre-

La prosa barocca 745

volto di quel fuoco della divina carità,

nel

onde anche tutto ardeva con ciò, uscito di mentfc a se medesimo, con gli occhi in e l’anima in Dio andava senza avvedersene e senza punto sen-

nel cuore, e cielo

tirne dolore, co’ piè già gonfi dal freddo, attraverso delle spine e de’

bronchi e su per

le

acute schegge de’ sassi fuor di sentiero, dovunque

l’impeto dello spirito

che glie

il

stracciavari

la

portava, lasciando brani di vesta agli sterpi,

di dosso,

stampando ogni orma

e

che dalle garnbe e da’ piè ignudi e laceri

sangue

col

grondava. Cosi

gli

E

essi.

il-

luminassemi Iddio a veder quello ch’egli allora scorgeva e a sapere dalla contemplazione di qual obbiettivo venissero ad inondargli il cuore consolazioni tarlo colla

si

ciò fare veduta alcuna

me non

di

dove andava

veggio quat altra

ne’’

medesimo

col corpo.

e a por-

Ma

se

potea

cosa valevole a beatificargli lo spirito, per

di

ella

si

fosse

abissi delle cose future intromessolo, gli

condotti dal

medesimo

possenti a torlo di senso a se

anima tanto lungi

spirito

e dal

non

se

Iddio, dentro agli

se

mostrò quanti

medesimo

de’ suoi fratelli,

zelo che lui, doveano

tempi avvenire ricalcar quell’orme ch’egli imprimeva col sangue, sangue anch’essi ravvivarle ad imitazione sua e ad esempio degli

e col

avvenire.^® Io dico di quegli che fino a questo di, gittata a stento di 15. molti

anni

la

sementa

dell’

quella incolta e dura gentilità

predicazione

evangelica

“ giapponese,

nel

campo

di

per renderla piu

poscia

largamente feconda l’hanno innaffiata, e quinci, in avvenire l’innaffieranno col sangue: uccisi a strazio di non men tormentosi che strani martirii di croci, di catene, di lance, di fuoco lento, di veleno, d’acque gelate e di boglienti, e del crudelissimo supplicio della fossa, di che

abbiamo

l’impeto dello spirito; è di

carità,

quel regno.^^

scritto nella particolare istoria di

illuminato

dalla

il

luce

suo ardore divina.

Il

Santo si completa in questo periodo, nel quale il B. descrive l’estasi, la concentrazione spirituale, come condizione consueta della vita di lui. Gli sterpi che lacerano le vesti, il sangue che segue il cammino ti riconducono alla tipica sensibilità barocca, al gusto dell’ immagine drammatica e tormentata, volta a un effetto emotivo, che ritrovi nelle rappresentazioni di santi ritratto del

della pittura e della scultura del secolo.

16.

17.

si

possenti...

degli

potessi

eh’ io

la

in estasi.

avvenire;

avrebbero continuato 19. a stento...

vedere.

medesimo: che avevano

potenza di rapirlo 18.

veder: Volesse Iddio

illuminassemi...

illuminarmi,

la

dei

missionari

che

loro opera.

anni: per molti anni, con

grandi patimenti. chiamati, anti20. gentilità: gentili erano

camente,

i

pagani.

Storta 21. nella... regno: nella parte della

dedicata

al

Giappone.

La

letteratura fiorentina del tardo Seicento

L’insegnamento scientifico c metodologico di Galileo continua attraverso l’opera dei suoi discepoli, Vincenzo Viviani, Evangelista Torricelli, Benedetto

Castelli,

«cientiiìche

quali

Federico Cesi,

Marcello Malpighi c

raggruppati

altri,

accademie

in

^Accademia dn Uncciy fondata a Roma nel 1603 da Y Accademia del Cimento^ fondata a Firenze dal Viviani nel

1657 ^ l’Accademia napoletana degli Investiganti, fondata nel 1663. Esso, un significato culturale più vasto, che interessa anche la storia

però, ha

un gruppo

In

della letteratura.

di

letterati

e scienziati toscani del tardo

Seicento, a cui s’aggiungono aiKhe letterati puri e poeti, avvertiamo

marsi, sulle orme di quella che leiana, di

mento

un gusto nuovo e

letterario

e prenderà

il

La nuova

che

nome

si

vorremmo chiamare

la

for-

il

spiritualità

gali-

di nuovi ideali di cultura già vicini al movi-

svilupperà a partire dall’ ultimo decennio del secolo

di Arcadia.

cultura

sperimentale

induceva questi

cesco Redi e Lorenzo Magalotti sui quali

una maggiore attenzione

alla

ci

scrittori,

quali

Fran-

soffermeremo in particolare, a

realtà concreta, a

un nuovo senso

della cul-

tura e della vita, fondato su esigenze di chiarezza razionale e di fedeltà verità scientifica,

alla

scoperta e

il

anche se mancava in

sentimento di una

lotta

essi

intesa a

l’entusiasmo,

l’ardore

un rirmovamento

di

integrale

della cultura che costituiscono la grandezza dell’opera galileiana.

L’atteggiamento spirituale di questi riguarda lo

stile,

in

una

scrittori

si

esprime, per quel che

ricerca di semplicità nitida e concreta, di

un

in-

contro effettivo fra cose e parole, di organica razionalità. Essi giungono così

a un

distacco dal barocco inteso

come

enfasi e concettismo, bizzarra ricerca

Giovò a questo scopo anche il rinnovato studio incitamento a una decorosa schiettezza e misura.

di effetti e di meraviglia.

dei classici,

Francesco Redi Redi riuil componenti migliori della cultura fiorentina del suo tempo. Nacque ad Arezzo nel 1626 e fu, come il padre, protomedico dei granduchi di Toscana, Ferdinando II e Cosimo III. Mori a Pisa nel 1698. Ebbe uno spirito fine e garbato, dotato di un nativo buon senso, di una cordialità Naturalista, scienziato, medico, filosofo, letterato e poeta,

nisce in se

le

La

letteratura fiorentina del tardo Seicento

747

misurata e schietta, e visse per questo apprezzato dai granduchi e dalla da una stima affettuosa. Anche come medico godette di

corte, circondato

rinomanza europea; lo attestano a numerosi principi d’Europa.

i

Consulti medici, cioè

i

pareri che scrisse

Il Redi ebbe conoscenza notevole del greco c del latino, oltre che di molte lingue moderne, e della letteratura italiana dei primi secoli. Fu per questo chiamato a partecipare alla compilazione dd Vocabolario della

Crusca e nominato lettore di lingua toscana nello Studio fiorentino. Nello tempo, fu tra i promotori deW Accademia del Cimento^ che continuò la grande tradizione scientifica galileiana. È impossibile tracciare in stesso

una netta distinzione

lui

fra lo scienziato e

di naturalista appare in lui predominante.

scoperte riguardanti le

quali pose

i

lo

studio dei

il

anche

letterato,

se l’attività

Fondamentali furono alcune sue e della parassitologia, mediante

rettili

fondamenti della biologia sperimentale

e contribuì a con-

futare la teoria della generazione spontanea. Ricordiamo, fra

le

sue opere

scientifiche, le Osservazioni intorno alle vipere (1664), le Esperienze intorno

generazione degli insetti (1668) e numerosissime lettere nelle quali esponeva le proprie esperienze ad amici e protettori. Tutti questi scritti hanno una schiettezza limpida ed efficace e notevolissimi pregi letterari e di stile: la dimostrazione scientifica si esprime in essi in un linguaggio brio-

alla

so di conversazione semplice e al

tempo

stesso elegante.

Redi fu anche poeta: scrisse numerosi sonetti d’intonazione petrarchesca e stilnovistica, mostrandosi, anche qui, ormai distaccato, se pur non completamente, dal gusto barocco. La sua fama è, però, legata soprattutto al Bacco in Toscana, un ditirambo in onore del vino, al quale lavorò per Il

molti anni, scher2K)sa Per

il

aggiungendo ad esso anche eruditissime citazioni: un’opera ma lavorata con una tecnica raffinatissima.

nell’intonazione, testo,

seguiamo: Antologia della prosa

di L. Falqui, Firenze,

scientifica italiana del Seicento,

a cura

1943.

L’esperienza delle tartarughe questa una delle pagine più limpide della prosa scientifica del tardo espressioni nitide vi avverti un’attenzione lucida della mente tradotta in pur pacato e precise. Senti qui come la prosa rediana sia dominata da un vivo e e ne a perpetuo farsi suo nel realtà amore « dell’evidenza nell’esperienza, della

È

cento:

sua rivelazione all’intelligenza curiosa e attenta

».

(Binni).

cognizioni andava rintracciando per mio passatempo^ alcune ® fine questo ed a animali; intorno al cervello ed al moto degli quadi e più volte cavato il cervello a molte generazioni^ di volatili

Io

;

;

j

i

I. I

• I

per

mio passatempo: L’espressione

al

R.

dice la gioia pacata

:

ti

si

carattere equilibrato e sereno del

addice

ma

schietta che

accompagna

la

sua

osservazione

ziato. 2.

generazioni, generi.

di

scien

Antologia della letteratura italiana

748

drupcdi, ed osservatone

novembre,

di il

terrestri; e

un largo forame

fatto

cervello, rinettando

bene

mi venne pensiero di veder quel ad una di quelle, nel principio

eventi,^

gli

che succedesse nelle tartarughe

nel cranio, cavai pulitamente tutto

la cavità a

segno

tale

che non ve ne rimase

forame del cràavesse male veaggirava brancolando

né pure un minuzzolo.** Lasciando poscia scoperto nio, misi la tartaruga in libertà,

runo,

movea

si

ovunque

e

ed

come

essa,

camminava francamente,

e

se si

il

non

ho detto brancolando, perché dopo la perdita del cervello serrò subito gli occhi e non gli apri piu mai. La natura intanto, vera e sola medica dei mali, in capo a tre giorni con una nuova tela di carne copri e ben serrò il sopradetto largo forame del cranio, là dove mancava l’osso, e la tartaruga, non perdendo mai k forza del le

piacea;

camminar liberamente fino a mezzo maggio; morta, osservai

la

far ogni

a sua voglia e del sicché ella

campò

dove soleva

cavità

star

sei il

mesi

altro interi.

moto,

visse

Quando

fu

cervello, e la trovai netta

che di un piccolo e secco e nero grumetto di sangue. Son vissute ancora® altre molte tartarughe terrestri alle quali nella stessa maniera, ne’ mesi di novembre, di gennaio, di

e pulita e totalmente vota eccetto

marzo

cavai tutto quanto

cervello; con questa diffeil luogo e si aggiravano a lor piacimento; ed altre, ancorché vivessero lungo tempo senza cervello, nulla di meno non si mossero mai di luogo, ancorché facessero altri movimenti. E ho detto che vivessero lungo tempo; imperocché quelle che

febbraio e di

renza però, che alcune

camparono meno l’altre

si

moveano

dell’altre,

di

arrivarono a cinquanta giorni di vita, e

passarono molti e molti mesi senza morire.

tarughe

terrestri le sole

muoversi

di

Non

son sole

le tar-

ad aver questa virtù di viver lungamente e

luogo prive totalmente del cervello:

ma

di

ciò avviene an-

ho fatto la prova in molte non sieno cosi resistenti né di si lunga durata come sono le terrestri. Credo che ancora le tartarughe di mare possan lugamente vivere senza cervello, perché ad una di esse, che recatami da Portoferraio era stata lungamente fuor del mare e perciò molto acquacchiata e fievole,® feci cavar il cervello e campò più di sei

cora delle tartarughe di acqua dolce, e ne e molte di esse, ancorché elle

intere giornate.

Quando

cominciai a far queste osservazioni,

la

corte

di

Toscana

trattenevasi alle deliziose cacce deirAmbrogiana,”^ ed io del muoversi e d’ un COSI lungo vivere delle tartarughe senza cervello favellandone un giorno per ischerzo coU’illustrissimo signor marchese Cammillo Cop-

3.

gli

4.

un

purezza

eventi: della

litamente,

ma

conseguenze. minuzzolo: Osserva la lingua (forame, cavai pule

largo...

rinettando')

precisione

e

descrittiva

quella

che

pulitissi-

toglie

al-

r operazione 5.

6.

brutale. aspetto ogni ancora: anche. acquacchiata e fievole: fiacca e inde-

bolita. 7.

Ambrogiana: una

villa

dei Medici.

La

letteratura fiorentina del tardo Seicento

749

gentiluomo della camera del serenissimo Granduca, e con altri mi replicò esso signor marchese di ricordarsi d’ aver veduto molti anni addietro che le tartarughe sogliono lungamente vivere senza la testa, e che lo aveva osservato quando certi medici misteriosi ® (e forse poli,

signori,

della stessa scuola di certuni introdotti scherzosamente nelle

franzesi del famosissimo Molière),® per guarire

commedie una gran dama di una

certa sua infermità, tagliarono di netto la testa alle tartarughe, e face-

vano con gran misterio^® sulle reni della

stillar

subito tutto quel loro fréddo sangue

medesima dama,

e le testuggini poi senza testa conti-

nuarono a viver molti giorni. Volli chiarirmene; “ onde nello stesso mese di novembre fatto recidere il capo ad una grossa testuggine, lasciai che dalle tagliate vene del collo ne sgorgasse tutto quel freddo

potè sgorgarne, e

la

ma

si

coloritissimo sangue che

testuggine continuò a vivere per ventitré giornate;

veramente fosse viva, riconosceasi non già perché ella si muocome potean far quelle alle quali era stato cavato il

e che ella

vesse di luogo, cervello,

ma

steriori,

ella

bensì perché punta e stuzzicata ne’ piedi anteriori o po-

con gran forza

gli

tirava

indietro e

diversi

altri

moti

E

perché da qualcuno potea forse dubitarsi che quei moti fossero, per COSI dire, una forza o di intirizzamento o di molla “ e non

facea.

moti di un vivente, quindi è che per chiarir bene capo a quattro

altre

tartarughe e scolatone tutto

il

il

fatto,

tagliato

il

sangue, ne apersi

due dodici giorni dopo, e vidi chiaramente il cuore palpitante e vivo, moti del residuo del sangue che entrava ed usciva dal cuore; il qual sangue si rassomigliava nel colore ad una scolorita lavatura di carne o ad una linfa che avesse presa un poco di dilavata tininsieme co’

tura di rosso.

Sulla generazione di certi insetti tratto dairopera Esperienze intorno alla generazione Carlo Dati, nella quale il Redi descrive le sue minute esperienze volte a combattere l’idea della generazione spontanea degli insetti dalle carni in decomposizione, e a dimostrare che essi provengono da uova o da germi deposti in esse. Pasteur e Tyndall dimostreranno definitivamente, nel sec. XIX, quanto fosse erronea la dottrina combattuta qui dal Redi. Per lo stile, valgono le considerazioni premesse all’altro passo. Tuttavia qui la maggiore complessità dell’osservazione rende piu vivida la pagina.

Riportiamo un

degli insetti:

passo

Lettera a

medici misteriosi; Impostori e ciarlasecondo il R.; ma nota la misura c il garbo della sua ironia. li grande commediografo fran9. Molière cese (1622-1673) aveva satireggiato i medici « misteriosi » nella sua commedia 11 malato immaginario. 8.

tani,

:

10.

con gran misterio: Vedi

l’aria

sena e

irresistimisteriosa di questi ciarlatani, resa bilmente comica dall’assurdo medicamento.

11.

chiarirmene: sincerarmene. molla; movimenti, cioè, mec-

12. una...

canici

dei

vivente.

nervi,

non propri

di

un

essere

Antologia della letteratura italiana

750

Secondo

ch’io vi

comune opinione

c che gli

dissi,

antichi e

novelli

i

scrittori

del volgo voglion dire, ogni fracidume

^

corrotto e ogni sozzura di qualsisia altra cosa putrefatta ingenera

mini e

gli

produce; sicché volendo io rintracciarne

principio del

angui

d’

mese

di

giugno

ammazzare

feci

Esculapio s’appellano; e tosto che morte furono,

le vidi tutte

gamba

i

fin

vèr-

nel

quelle serpi che

tre di

le

misi in una

molto andò di tempo,

scatola aperta, acciocché quivi infracidassero;^ né

che

verità,

la

e la

di cadavere

vermi che avean figura di cono, e senza i quali vermi, attendendo andavano a momenti^ crescendo di grandezza;

ricoperte di

veruna, per quanto all’occhio appariva;

a divorar quelle carni,

da un giorno all’altro, secondo che potei osservare, crebbero ancora numero: onde, ancorché fossero tutti della stessa figura d’un cono, non erano però della stessa grandezza, essendo nati in piu e diversi

e

di

giorni.

Ma

i

minori, d’accordo co’

la carne, e lasciate intatte le sole e

scatola,

che

che io avea serrata,

pwDtessi

ritrovar

se

giammai

il

piu grandi, dopo d’aver consumati

^

nude

ossa, per

un

ne scapparon via

piccolo fóro della

quanti,

tutti

luogo dove nascosti

fossero:

si

senza per lo

si potessero aver avuto, di nuovo giugno misi in opra® tre altre delle medesime serpi; su le quali, passati che furono tre giorni, vidi vermicciuoli, che d’ora in ora andarono crescendo di numero e di grandezza, ma però tutti della stessa figura, ancorché non tutti dello stesso colore; il quale ne’ mag giori per di fuora era bianco, e ne’ minori pendeva® al carnicino. Finito che ebbero di mangiar quelle carni, cercavano ansiosamente ogni strada per potersene fuggire; ma avendo io benissimo serrate tutte le fessure, osservai che il giorno diciannove dello stesso mese alcuni de’

che, fatto piu curioso di vedere qual fine

il

di undici di

grandi e de’ piccoli cominciarono, quasi addormentatisi,"^ a farsi immobili; quindi raggrinzandosi in se medesimi, insensibilmente piglia-

rono una figura simile all’uovo, e il giorno ventuno si erano trasformati tutti in quella figura d’uovo, di color bianco da principio, poscia dorato, che a poco a poco diventò rossigno, e tale si conservò in alcune uova; ma in altre andando sempre oscurandosi, alla fine diventò come nero: e l’uova, tanto nere quanto rosse, arrivate a questo segno,® di molli e tènere che erano, diventarono di guscio duro e frangibile; onde si potrebbe dire che abbiano qualche somiglianza con quelle crisalidi,®

1.

2.

fracidume: putrefazione. si decomponessero.

infracidassero:

3. a

momenti:

di

momento

momento.

in

modo

4.

d’accordo co’:

5.

misi in opra: usai, per farne

allo

stesso

dei.

un nuovo

esperimento. 6.

pendeva: tendeva.

7.

quasi addormentatisi, ecc.

mi, espressa con precisione nitidissima, dietro la quale avverti l’acutezza dello sguardo del R., la sua passione scientifica e intellettuale. Veramente qui la natura diventa storia viva e avvincente. 8.

a

questo segno:

a

questo

punto del

loro sviluppo. :

Ha

qui

ini-

zio la descrizione della metamorfosi di ver-

9. crisàiidi:

do

è,

È

il

nome

dell’insetto

quan-

nello stadio intermedio della trasfor-

La

letteratura fiorentina del fardo Seicento

751

o aurèlie o ninfe che si

trasformano

chiamino,^® nelle quali per qualche tempo seta, ed altri simili insetti. Per lo

se le

bruchi,

i

bachi da

i

fattomi piu curioso osservatore, vidi che tra quell’uova rosse e

che,

queste nere v’era qualche differenza di figura; imperciocché, se ben pareva. che tutte, indifferentemente, composte fossero quasi di tanti anel-

congiunti insieme, nulla di

letti

meno

questi anelli erano piu scolpiti

e pili apparenti^ nelle nere che nelle rosse;

revano quasi

una o

lisce,

una

e in

delle estremità

piccola concavità,

certa

d’altri frutti,

quando sono

quali a prima vista pa-

le

non avevano, come

le nere,

non molto

dissimile a quella de’ limoni

staccati dal

gambo. Riposi quest’uova

se-

parate e distinte in alcuni vasi di vetro ben serrati con carta, e in capo

da ogni uovo di color rossigno, rompendo

agli otto giorni

guscio,

il

scappava fuora una mosca di color cenerógnola, torbida, sbalordita e, per COSI dire, abbozzata e non ben finita di farsi, con l’ale non ancor spiegate,

che poi nelfo spazio d’un

a spiegarsi,

si

mezzo quarto

d’ora cominciando

dilatavano alla giusta proporzione di quel corpicello, che

anch’esso in quel

tempo

s’era ridotto alla conveniente e naturale sim-

metria delle parti; e quasi tutto raffazzonatosi,^^ avendo lasciato quello

smorto colore

di cenere,

che impossibile parea

era vestito d’un verde vivissimo

si

vigliosamente brillante; e

corpo tutto èrasi

il

poter credere

il

Ma

e

mara-

cosi dilatato e cresciuto,

come

quel piccolo guscio

in

nacquero queste verdi mosche dopo gli otto giorni da quell’uova rossigne, da quell’altre uova poi di color nero penarono quattordici giornate a nascere certi grossi e neri mofosse

mai potuto

sconi

listati

razza

istessa la

capire.^”^

se

di bianco, e col ventre peloso e rosso nel fondo, di quella

quale vediamo giornalmente ronzare ne’ macelli e per

mal fatti non ispiegate, come avvenuto era a sopra ho mentovate.

le

case intorno alle carni morte; e allora che nacquero, erano

e

pigrissimi

al

moto,

e

coll’ali

quelle prime, verdi, che di

mazione, chiuso in un tegumento di colore dorato (donde il nome: chrusós, in greco significa « oro »). 10. che... chiamino: comunque si vogliano chiamare. 11. scolpiti: rilevati. 12.

la

bellezza

degli aggettivi, soprattutto dei primi due che rendono con grande efficacia quel lento e come torpido destarsi della nuova crea-

tura alla vita. trato

Lo

scienziato è tutto concen-

in quel suo sguardo,



da vivere

il

miracolo nuovo della natura nella sua poetica

raffazzonatosi:

nanzi

al

dispiegatosi

in

armo-

il

cenere e

di

come un’

contrasto il

implicita

parea:

impossibile

contenuta,

lo

esultanza di-

improvviso della

fiorire

fra

verde colore vita.

L’ espressione è eppure, proprio

perché non necessaria alla descrizione accuratamente sciendfica, ti rivela l’entusiasmo con cui lo scrittore ha seguito il compimento della metamorfosi. 17. capire:

18.

stare.

penarono:

travaglio

nuova

suggestione.

14.

gioioso; è

estremamente

abbozzata: Nota

Vedi

15. vivissimo:

smorto colore

16.

apparenti: appariscenti.

13. torbida...

niosa figura.

Il

faticoso

nascita;

ma

verbo da

il

senso

del

accompagnò questa vedi come s’addice alla

che

mosconi. figura greve e torpida dei

Antologia della letteratura italiana

752

Lorenzo Magalotti Magalotti è una delle figure piu interessanti della sensibilità irree trascolorante nel presentimento di nuove forme, che è propria della fine del Seicento. Nacque a Roma nel 1637 da famiglia fiorentina, ma compì la sua formazione a Pisa, dove ebbe come maestri Marcello MalIl

quieta,

pighi e Vincenzo Viviani, discepoli di Galileo. Passato poi a Firenze, fu segretario dell’Accademia del Cimento, delle cui esperienze diede una

chiara e succinta relazione nei Saggi di naturali esperienze.

pur seriamente

coltivata,

non fu mai per

passione

lui

Ma

la scienza,

dominante, bensì

un mezzo per affinare le sue già squisite doti di sensibilità. « Filosofo morbido », fu detto, e cioè spirito aristocratico e sensitivo, dall’umore fantastico, « dilettante di sensazioni », come lo chiama il Sapegno. Eppure la sua pagina è piacevole, proprio per questa combinazione di lucidità intellettuale e di morbida e signorile eleganza. Divenuto gentiluomo del granduca, fu adoperato come diplomatico e viaggiò per gran parte dell’Eiuopa, evadendo cosi dall’atmosfera alquanto e, in genere, dell’Italia. Comoderne, tradusse opere di scrittori inglesi e francesi, e soprattutto osservò col suo sguardo lucido e intelligente e con tolleranza spregiudicata la vita europea che si andava, nell’ultimo trentennio del secolo, radicalmente rinnovando. Per questo ci fa già pensare

conformistica e provinciale della corte toscana

nobbe molte lingue, antiche

e

a quella vasta schiera di viaggiatori curiosi che, fra la fine del Seicento e

primo cinquantennio del Settecento, percorsero altri

continenti, studiando gli uomini,

i

le

il

strade d’Europa e degli

loro costumi e le loro istituzioni, e

contribuendo a fondare un nuovo spirito di tolleranza e comprensione fra i popoli, lontano dal fanatismo politico e ideologico che aveva caratterizzato l’età

del

dell’assolutismo.

Nel Magalotti noi avvertiamo piu che altro ansie e vaghi precorrimenti nuovo. Egli resta un uomo di fine secolo, legato da una parte alla fa-

scinazione sensoria e sensuale del marinismo, dall’altra alla lucida lezione galileiana di concretezza e chiarezza, con in più

che

ci

tere,

fa pensare alla sensibilità arcadica.

un genere particolarmente adatto

sintesi

o a complesse architetture,

ma

al

Le suo

una delicatezza

spirito,

non portato le

Lettere

odorose d’Europa e d’America dette volgarmente buccheri^

Lettere scientifiche ed erudite^

le

il

testo,

Bompiani, 1943.

le

Lettere familiari contro l’ateismo. Scrisse

anche poesie: un canzoniere amoroso, La donna immaginaria, e un rambo, la Madreselva, assai meno interessanti, comunque, delle prose. Per

let-

a vaste

a esprimere fuggevoli moti sensitivi

e a « lavorarli », con la sua prosa limpida e aggraziata. Ricordiamo sulle terre

di sentire

sue opere più vive sono

diti-

seguiamo: L. Magalotti, Lettere odorose, a cura di E. Falqui, MilanO;

La

letteratura fiorentina del tardo Seicento

753

L’odore dei « Buccheri » rafiìnatezze del Seicento vi fu una vera e propria frenesia per i proche ogni persona elegante cercava di fabbricare personalmente nuove essenze. Il M., filosofo alla moda, fu uno degli arbitri di questo gusto; fra l’al-

Fra

fumi,

le

SI

moda

tro, diffuse in Italia la

riempiti d’acqua, emettevano

Égli ebbe

un gusto

dei buccheri, vasi fatti di speciali terre odorose che,

un grato profumo.

raffinato e voluttuoso

degli odori:

l’esperienza olfattiva

diveniva per lui quasi una sublimazione dei sensi, dalla quale nascevano certe pagine di rarefatta purezza, anche se di una grazia un po’ morbida e sfatta. Qui

dà luogo bucchero che,

essa

alla al

profumi. La tenuità frivola dell’argomento

esalazioni e di

magia

della

vaghissima fantasia della terra primitiva, vista come un enorme primo contatto con l’acqua, effonde una sinfonia dolcissima di

dello

ma

lissima ironia,

una favola

in

stile,

stupita,

in certi punti dotata di

qua

un vero

e



in

virtù

temperata da una

sotti-

riscatta,

si

fascino poetico.

L’odore de’ Buccheri è il piu antico di tutti gli altri odori, non solamente degli artifiziali, ma de’ naturali ancora, non esclusone quelli

come la terra, secondo un gran Bucchero essa ancora, per tale forse raffigurata anche da Omero quando considerò il cielo adattatole intorno cosi perfettamente come una custodia di questo gioiello;^ e senza dubbio se Omero avesse scritto al tempo d’oggi si sarebbe avvisato di chiamare il cielo lo scarabbatolo di questo Bucchero.^ Come Bucchero dunque essendo la terra stata creata gemella col

dell’erbe e de’ fiori stessi, essendo cosi antico

che

la terra

^

medesima

è

non

cielo in quella perfettissima siccità elementare.'* nella quale ella

mai più

né sarà insino a che

stata,

non

ella

0.

è

riduca a quella calcina-

zione universale, ch’ella è per ricé/ere dall’ultimo fuoco desolatore;^ consideriamo quelle vergini zolle tutte piene di vita, tutte pretto seme"* quelle innumerabili spezie di cose che ne avevano a uscire, tutte

di

turgide

di

spirito

primo umore

fuori in erbe, in

fiori,

1.

secondo che: poiché.

2.

custodia... gioiello:

me una al

formatore,

la risoluzione di

il

in

che sòpito aspettava dall’effusione del quel prezioso magistero per dar subito

pomi, in gemme, in balsami, in aromi.® Conla

cielo è visto co-

custodia che aderisce perfettamente

gioiello che contiene; in questo caso, la

terra.

Bucchero: un elegante stipo che contiene la terra, enorme bucchero. È evidente, in questo primo periodo, il gusto elegante e divertito, e finemente ironico, col quale il M. lavora le sue immagini. 4. siccità elementare: primigenia aridità. 3.

lo scarabbatolo...

5.

calcinazione... desolatore:

Secondo una

antichissima credenza, la terra dovrebbe, alla

fine dei secoli, ardere tutta e restare

mota

e calcificata.

Anche qui opera

sul

im-

M.

suggestione dei poeti

classici,

pieno abbandono fantastico. 6. tutte pretto seme, ecc. terra primitiva,

ma

:

vissuta con

Arida era

la

recava in se ogni germe

sopito e di vita, anelante a uscire alla luce, pur proteso nell’attesa dell’acqua, dell umore

fecondatore. 7. la

risoluzione...

magistero:

L

acqua,

rigida disciogliendo quei germi chiusi in una di lievitare la terra e le consente fissità,

fa

la sua cail suo magistero, di innumerevoli pacità di artefice e creatrice

mettere in atto

forme. 8.

,

,

emettere dal dar... in aromi: dar fuori,

suo grembo

le cose.

Nota che

le

parole bai-

Antologia della letteratura italiana

754

sidcriamo adesso questa medesima terra, tutta irrorata da quei primi sudori deU’aria,® e successivamente bagnata da quell ’acque virginali de’ fonti e de’ fiumi: e dica a noi l’esperienza di quello che diviene l’aria

d’una camera per un bucchero nero inzuppato di acqua, e agli altri quello che potè mai divenire l’atmosfera terrestre ingombrata da que’ nuvoli d'esalazioni e d’aliti invisibili ma fortissimi, che, appastati “ da quelle glebe, se ne sciolsero in quel primo universale la ragione,^®

spegnimento

di questa calce ricchissima e misteriosa.

che gloria, che paradiso in terra e in

come per gradi

è sollevarci

-su

per

aria. Il

Che

fragranza,

piu che noi possiamo fare

poche spezie che abbiamo in

le

testa

d’odori di quest’andare,^* ascendendo, per cosi dire, di soavità in soavità

da quel primo regalo che ci fa la terra riarsa dal sollione come per allegrezza di vedersi promossa a fango dalle prime acque d’agosto, infine a quelle mirabili evaporazioni, che l’aria ambiente

spreme dalla

so-

stanza di quel bucchero nero imbevuto dall’acqua che ho detto di sopra.

Ma come

siamo qui abbiamo

per tutto

finito:

il

convenendoci

di più

lavorare con la fantasia; perché quello che fu allora siccome niuno lo senti,

niuno potè

cosi

lasciarcelo

nobbe in quella mattina fabile,

non che ignoto

E mi

della nascita

per verità era giusto che

con cui la terra ricosuo Creatore,^® rimanesse inefincenso,^"^

il

alle creature.

pare anche troppo, che in questo stato di corruttela universale

mondo,

del

E

scritto.

9. quel primo vergine e non più reparabile

rimanga remoto Occidente prima felicissima terra

in qualche ripostiglio del più

tuttavia intatta qualche piccola vena di quella

primigenia (che altro non dobbiamo credere che

sami e aromi concludono con un ritmo ascendente l’enumerazione: il profumo diviene la sintesi e la sublimazione della generazione infinita operata dalla terra.

sudori dell’aria:

le

piogge.

Ma

l’espres-

sione è conforme al tono mitico e primigenio di

questa

fantasia.

acque vergmali, più

Lo

stesso

dicasi

delle

inzuppare un bucchero nell’acqua, agli ragione può dire quello che avvenne quando la terra fu fecondata dall’acqua. 11. appastati: mescolati, ancora come pata di

altri la

sta densa.

spegnimento...

La

misteriosa:

calce

ricca e misteriosa è la terra, gravida di infiniti

e imprevedibili

germi

vitali.

L’imma-

gine è tratta da quella della calce viva che, spenta dall’acqua, esala un fumo, paragonato qui dal M. agli aromi che si effusero dalle 13.

che...

fare:

sottintendi:

per

avere

pasta dei no-

sensi dall’odore della terra bagnata prime piogge d’agosto a quello di un bucchero in una stanza. E ancora resteremo

e

coi

dalle

avere

allora

la

terra,

profumo che dovette e dovremo vagheg-

giarlo soltanto con la fantasia. 15.

promossa a fango: promossa, perché,

dopo l’arsura, questo fango un nuovo ciclo vitale. 16.

1’

17.

non

bile

aria

ambiente:

1’

più... incenso:

profumo. con cui... Creatore:

18.

è

aria

il

preludio di

della stanza.

non più rinnovaAltra grandiosa

immagine cosmica. Il profumo che la terra esala in quel suo primo mattino è come un riconoscimento, un inno di lode a Dio. remoto Occidente: le Ameri* donde venivano importati i buccheri.

19. del più

cose appena nate.

la

un’idea della primigenia fragranza. 14. di quest’andare: di questo genere. Per immaginare la fragranza d’allora non possiamo far altro che riandare con la memoria

lontani dall’ idea del

sotto.

10. dica... ragione: a noi l’esperienza fat-

12.

sia

che,

La

letteratura fiorentina del tardo Seicento

755 stri buccheri, più o meno ricca o soave, secondo che più o meno dilavata o spremuta) nella quale, più tosto la mente con l’immaginare, che l’odore col sentire, arrivi a libare qualche reliquia degli aliti che regna-

rono

nell’aria in quel

primo brevissimo

stato dell’innocenza degli ele-

menti.“ 20.

innocenza degli elementi:

vergine e nuovo, che è

la

vera,

Il

mondo

intima e

poetica nostalgia di questa pagina. Reliquia, vale« resto ».

La cultura

italiana nella

prima metà

del Settecento

Caratteri generali

Decadenza del Seicento,

o

ci

dia

il

dell’uomo. c

della

Per

civiltà

nuovo

loro

libro che

trovare italiana,

nella

una reazione a questa decadenza dobbiamo leggere le opere non di

letteratura civiltà,

della

cultura

letterati,

ma

(Campanella, Sarpi, Galileo), che vivono e soffrono

pensiero, ribellandosi all’assolutismo politico e ideologico. Si

tratta, però, di figure solitarie,

non

Manca

esprima l’anima complessa di una

senso di una libera avventura spirituale, di una nuova scoperta

di scienziati e filosofi il

nel Seicento.

della cultura italiana

un grande

il

cui pensiero, fatta eccezione per Galileo,

prestava a una diffusione vasta e immediata, e che, comunque, la

si

Controriforma fece immediatamente tacere. Molte delle loro opere, quelle che contenevano i germi più fecondi del pensiero moderno, furono pubblicate e diffuse fuori d’Italia, dove era possibile un libero dibattito d’idee: da noi, furono messe rigorosamente all’Indice. L’Italia perdeva il primato culturale che aveva avuto nei secoli precedenti, perdeva, anzi, il senso della vera cultura, che è libertà di pensiero e di critica e libero dialogo fra gli uomini. Questo fatto si riflette negativamente anche nella storia più propriamente letteraria: la grande poesia, infatti, presuppone intorno a sé una storia viva, una cultura che non sia statica e rinunciataria, ed è, anzi, intimamente legata alle grandi correnti del pensiero e della civiltà. Il limite della letteratura italiana del Seicento e ancora, in parte, del stato proprio quello di

essere nata

dalle

officine

primo Settecento,

dei retori,

è

tenendosi più

o meno lontana dalla realtà della vita morale e civile. Per un rinnovamento delle nostre lettere era quindi necessario un rinnovamento spirituale. Il Settecento rappresentò appunto questo per l’ Italia, in forma più limitata e aristocratica nella prima metà del secolo, in forma più impegnata e concreta nella seconda, l’età dell’ Illuminismo. Il

nuovo pensiero europeo.

la fine

Il

primo impulso rinnovatore

del Seicento, dalla Francia,

salutare fu, in questo periodo, la gliori, di

un decadimento italiano, che li dispose a un « primato » ormai del

rigettando l’illusione di

ci

venne, verso

più tardi, dall’Inghilterra. Soprattutto coscienza diffusa fra i nostri uomini mie,

raccogliere tutto

con umiltà,

inesistente.

Tinse-

La cultura

nella

italiana

gnamento

delle nazioni

loro frutti

i

prima metà del Settecento

757

europee piu progredite. Fra di esse avevano dato i fecondi del Rinascimento italiano, che di là ritorna vano a noi arricchiti e piu facili ad essere assorbiti proprio perché vicini alla nostra migliore tradizione, offuscata ma non spenta. Così, il metodo gali-

germi

pili

leiano, razionale e sperimentale, ritornava, in certo

limitato alle sole scienze esatte,

ma

modo, a noi, non piu esteso a ogni forma di conoscenza, nelle

e complesse sintesi filosofiche del francese Renato Descartes, detto, Cartesio (1596-1650), degli inglesi Francesco Bacone (1561-1626) e

vaste

fra noi,

Giovanni Locke- (1632-1704), e di altri fondatori della filosofia moderna. Come la nuova metodologia scientifica di Galileo, cosi la nuova filosofia non intende limitarsi alla conferma di verità precostituite, ma è libera ricerca, fondata sull’intelletto e sull’esperienza, creti

giunge via via

alla

che dall’esame dei

ogni principio d’autorità, e

la

continuo progresso e verifica di se filosofo

tal

il

che maggiormente ispirò

il

rinnovamento

della cultura italiana il

suo pensiero

potè godere di maggiore diffusione. Egli parte dal dubbio metodico

ogi)i

conoscenza

—e

trova la

— que-

che l’uomo deve avere dinanzi al reale e ad norma unica di certezza non più nell’autorità

ma

di maestri antichi e recenti,

sapere è

stesso.

fu Cartesio, anche perché, essendo egli sinceramente cattolico, sto è per lui l’atteggiamento

con-

modo

verità diviene libera conquista della ragione

individuale, discussione senza carceri né roghi, cpnsapevole che

Il

fatti

formulazione di leggi generali. Crolla in

nelle libere conclusioni della ragione.

rinnovamento italiano. Il significato e la portata rivoluzionaria della nuova filosofia appariranno nel corso della seconda metà del secolo, quando l’esaltazione della ragione, bene comune a tutti gli uomini, rivelerà la loro sostanziale uguaglianza e quindi il dovere e il diritto di tutti alla libertà, risolvendosi in una concreta esigenza di rinnovamento civile, politico e sociale. Ma nell’Italia del primo Settecento il cartesianesimo rimase un movimento Il

limitato al

campo

speculativo e culturale.

Il

rinnovamento

italiano fu inizial-

mente soprattutto letterario e si svolse in un ambito accademico, come vedremo parlando àeW Arcadia fu il ripudio del più tronfio marinismo, in nome di una poesia più ragionevole, espressione di più schietti sentimenti. Culturalmente, l’Arcadia fu intesa alla formulazione di una nuova estetica mode:

ratamente razionalista e a sistematici studi eruditi condotti con consapevole signiserietà d’intenti, ispirati a un senso più concreto dell’importanza e del ficato della cultura.

subordinaEstetica e poetica del primo Settecento. I razionalisti francesi « a vano rigorosamente la poesia alla ragione, chiamavano, anzi, la fantasia da italiana letteratura pazza di casa » e polemizzavano aspramente, con la gusto del corruzione della Tasso al Marino, ritenendola responsabile faux rt sentata dal barocco. « Evitons ces excès: laissons'à V Italie De tous ces un poeta cantava cosi sensy)\ lants Véclatante jolie: Tout doit tendre au bon Bou ours francese, il Boileau, e lo assecondavano altri teorici, quali il padre

Ne nella sua Manière de hien penser dans les ouvrages de l esprit. mo ti ita una polemica, fra gusto vecchio e nuovo, alla quale parteciparono n gc Manfredi, liani, fra i quali i bolognesi Giuseppe Orsi ed Eustachio

nacque

nere

i

creazione poetica nostri teorici accettano l’esigenza di sottoporre la

Antologia della letteratura italiana

758 a

norme

ma

razionali c universali,

cercano di contempcrarle con

i

diritti

intemperanze barocche, ma, accettando il miglior pensiero estetico secentesco, avvertono che la poesia non si esaurisce nella razionalità astratta e in una riproduzione del vero secondo fini morali o pedagogici. In genere, riescono a conciliare questa duplice esigenza mediante della fantasia: rigettano le

un

ritorno ai classici. Importanti, a questo proposito, furono gli scritti di

Tommaso

Ceva, di Ludovico Antonio Muratori, di Antonio Conti, e del cosentino Gian Vincenzo Gravina, uno dei fondatori òeW Arcadia^ autore di un importante trattato, la Ragion poetica (1708) in cui definiva la poesia

come

« scienza delle

umane

e divine cose, convertita in

immagine fantastica come maestro

e armoniosa », riprendendo la concezione classica del poeta di civiltà.

storici. Anche le numerose e accurate ricerche erudite primo Settecento rivelano l’esigenza fortemente sentita di un rinnovamento della cultura italiana, compiuto mediante l’esame delle nostre tradi-

Gli studi eruditi e

del

zioni e della civiltà europea. rosa,

Con

questi eruditi preparano

la

loro opera di ricerca scientifica rigo-

materiali per

i

una nuova

storiografia, fon-

data sull’esame della civiltà in tutti i suoi aspetti. Il maggiore di essi fu il Muratori, che studiamo a parte. Qui basti ricordare fra quelli che ebbero

prevalentemente

bergamasco Girolamo Tiraboschi (1731Quadrio {Della storia e della ragione d’ogni poesia 1739 Giovanni Maria Mazzucchelli, Scipione Maffei, che fu anche letterato, poeta, storico e ar-

interessi

1794), autore di

letterari,

una Storia

il

della letteratura italiana^ Francesco Saverio

cheologo.

A

parte va considerato Pietro Giannone, nato a Ischitella nel

1676 e scomunicato e perseguitato dalla Chiesa, nel 1748. Nelle sue opere storiche, la Istoria civile del regno di Napoli e il Triregno^ l’erudizione è messa al servizio di una polemica appassionata andecclesiastica, sostenitrice dei diritti dello Stato contro ogni ingerenza della Chiesa, aperta al sogno di un’umanità spiritualmente rinnovata e ritornata a un ideale stato di natura. L’ideologia del Giannone, e la sua stessa veemenza polemica sono già un chiaro presentimento della cultura dell’età

morto

a Torino,

in carcere,

illuministica.

Ludovico Antonio Muratori Nacque a Vignola, nel Modenese, l’anno 1672; nel 1695 fu ordinato sacerdote e fu chiamato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano come bibliotecario. Venne poi richiamato, nel 1700, a Modena, dagli Estensi, sempre come bibliotecario, e qui alternò gli studi assidui a un’esemplare vita sacerdotale,

nobili opere caritative e assistenziali. A Modena mori nel iJ$o. Persuaso della universalità del sapere, ebbe una erudizione vastissima e spa-

rivolta a

ziarne nei campi più disparati,

un rinnovamento

ma non mai

sterile

compiuta con chiarezza, ordine, scrupolo metodologia di Cartesio e di Galileo, all’esigenza,

ricerca,

e oziosa, bensì intesa a

culturale e a scopi di pubblica utilità*

Il

suo metodo di

scientifico,

cioè,

si

ispirò alla

di sottoporre ogni

.

cultura italiana nella prima metà del Settecento

La

conoscenza

al

759

vaglio della ragione, senza preconcetti, e a quella di un’ana-

fatti. Di qui gli venne anche la concezione e continuo progresso, che lo spinse a ripudiare il supino ossequio all’autorità degli « antichi » e a contrapporre ai pregiudizi lisi

concreta e sperimentale dei

del sapere

come sviluppo

acquisiti la scienza dei «

moderni

modo

libera e sperimentale. In tal

»,

sua copiosa opera di erudito preparò

i

la

materiali delle nuove sintesi di pen-

rilluminismo avrebbe operato nella seconda metà del secolo. Muratori scrisse opere notevoli di poetica e di critica letteraria quali primi disegni della Repubblica letteraria d’Italia (1704), Della perfetta

siero che Il

I

poesia italiana (1706), la Riflessione sopra il buon gusto (1708), le Osservazioni al Petrarca (1711). In esse si dichiara ostile al marinismo, alla sua rettorica reboante e ai giuochi oziosi dell’ingegnosità barocca, le

del razionalismo francese che

rigide conclusioni

del tutto la poesia alle

norme

della ragione.

afferma che

ma

sofiche,

nosceva

i

nismo,

la

il

della

fanfilo-

deW Arcadia,

sua mente guardava

affetti.

il

Tuttavia, mentre rico-

soprattutto quello di aver debellato pili

lontano:

puramente accademica, che non

fosse

valore

vero poetico va ricercato non in astratte norme

nell’animo dell’uomo e nei suoi

meriti

accoglie

Pur accogliendo una temperata

esigenza moralistica e^ razionalistica nell’arte, difende tasia e

ma non

intendeva subordinare

mari-

il

a una cultura, cioè, che non

ma

esaurisse nella lirica amorosa,

si

che, accanto alla poesia, coltivasse altri studi seri e profondi, e portasse a

un rinnovamento L’opera però

con

rico,

la

della società. pili

importante del Muratori fu quella di argomento

quale intese anche far

si

che

gli

sto-

Italiani prendessero coscienza

delia loro civiltà. Per questo concentrò le sue ricerche sull’età medioevale, un periodo malnoto e misconosciuto ai suoi tempi, avvertendo, e giustaesso, non nell’età romana, era l’origine della moderna nazione Cominciò nel 1708, quando, essendo sorta una contesa per il possesso di Comacchio fra la Santa Sede e gli Estensi, difese i diritti di questi, fondandosi sulla autorità dei documenti antichi, e prosegui poi con le An-

mente, che in italiana.

tichità estensi.

res

Ancor piu importante fu la pubblicazione dei Rerum italicarum scriptoopere lette(1723-1751), una grande raccolta di fonti storiche (cronache,

coigiuridiche, epigrafi, ecc.) dall’anno 500 al 1500, compiuta con la pubblici laborazione dei più valenti studiosi del tempo, traendo da archivi

rarie,

cui i e privati le più antiche testimonianze della nostra storia. L’opera, di annotata, Carducci promosse, nel 1900, la ristampa, riveduta, aumentata e Medioevo. Sfrutè ancora un sussidio fondamentale per gli storici del nostro

tando

materiale in essa raccolto,

il

il

Muratori compose 75 dissertazioni,

e

aspetti della vita

gl:

Antiquitates italicae medii aevi^ che illustravano tutti dell’Italia medioevale. L’ultima sua grande opera storica furono d’Italia

(1749),

narrazione anno per anno della

storia

italiana

dell’èra volgare al

1749. v età storiografia muratoriana anticipa già lo spirito dell ,

La non II

è più storia di guerre e

Muratori

osservato

maneggi

politici,

ripudia la « ragion di stato »

uno

storico

moderno,

il

:

ma

della civiltà







ummistica di un popo o. 11

i

quel che conta per ui, non è piu la natura e

Salvatorelli,

inizio

da

a

>

ru

Antologia della letteratura italiana

760

ma

tura del potere sovrano,

condizioni di vita, sotto questo potere e in

le

relazione con l’opera sua, della società c degli individui. In tutta

opera, continua è la

condanna

pubblica

utilità, la

sfoggio d’eloquenza,

remo

verità

la



ha

e nelle parole nostre

calma

Lo

Queste parole

Per

i

ma

stile

lui l’ideale a cui

lo Stato,

non

fa

con umiltà e fede il vero. « Se ameil Muratori comparirà negli scritti



lasciato scritto

una

deve tendere

è semplice e spoglio, proprio di chi

di chi serve

la

un disinteresse e una anche allora che ci perseguita l’errore e il danno l’immagine piena dell’uomo e dello scrittore. libertà sincera e prudente,

pensieri e di affetti,

di

falso ».

sono per

felicità

sua giustificazione.

sua

La pubblica

simpatia, umanitaria e cristiana, per gli umili e per gli oppressi.

e la

la

profonda

delle guerre e delle conquiste,

testi

ci

muratoriani occorre

Opere

all’edizione delle

risalire

varie,

in 36 volumi,

pubblicata ad Arezzo dal 1767 al 1780.

Esortazione a jun rinnovamento culturale C’è tutto

il

Muratori in queste pagine, con

sua fede nella progressività

la

e universalità del sapere, nella cultura strettamente legata alla vita e forza neces-

per

saria

il

rinnovamento

della società. Per questo,

mentre

rigetta

il

secentismo,

di cui denuncia l’ozio spirituale e morale, cagione di un’involuzione della civiltà

pone

anche nei confronti dell’Arcadia, di cui denuncia anche il limite e il pericolo: quello cioè di esaurirsi in una riforma puramente formale, in un vuoto accademismo letterario. La « repubblica letteraria italiana » che egli vagheggia, dovrebbe unire italiana, egli

avverte

al

il

si

in posizione critica

valore positivo,

culto del bello

il

e della vita italiana.

ma

culto del vero, e fare cosi risorgere la dignità della cultura Il

passo è tratto da 7 primi disegni della Repubblica

lette^

raria italiana.

Non

parrà forse buon consiglio

zione vostra a quanto

preparar con una satira^

il

ma

dee proporre;

si

1‘

atten-

pur bisogna cominciar con

qualche puntura a svegliar chi dorme. Perdonarete al desiderio di chi cerca il meglio e l’ottimo, se mi metterò a dir male di ciò che sola-

non

rnente è buono.^ In Italia

demia, anzi due, anzi

tre,^

c’è

oramai

e talvolta

città,

che non abbia un’acca-

ancora piu secondo

il

numero

grande o scarso degli studiosi. È assai glorioso cotesto nome d’accademia, e con esso intendiamo un’adunanza di letterati, che in certi giorni dell’anno, con uno o due ragionamenti sopra qualche materia, e con vari sonetti ed altri versi recitati esercitano il lor sapere e la lor vena.^ Ma si fatte accademie sapreste voi dirmi, a qual fine sieno insti1.

con una

satira:

cinge a svolgere, da

È

la critica

un punto

di

che

si

ac-

vista so-

letterario,

prattutto morale e di costume, contro ogni

timo

forma

turale.

di

cultura

letterario-accademica,

quindi anche contro

le

e

forme più oziose e

vacue del costume arcadico. 2. di ciò... buono: È l’Arcadia, che il M. apprezza in quanto ha migliorato il costume

liberandolo da certa vuota gon-

fiezza secentesca.

3.

», e cioè

anzi

tre:

Ma

egli

vagheggia un

una più radicale riforma Oltre

che

alle

antiche

« ot-

cul-

ac-

cademie che ancora sopravvivevano, allude alle numerose colonie dell’Arcadia. 4. vena: vena poetica.

La cultura

italiana

tuite,

qual profitto

tino?

Il

può

fine

può

che

dirsi

il

prima metà del Settecento

nella

alle

qual miglioramento

città,

alle lettere apporora in buona conscienza non

essere stato nobile;

ma

frutto corrisponda

all’intenzione.

Argomenti per

lo

piu assai leggieri, perché quasi sempre destinati a trattar de’ grandi affari d’amore.® Versi e poi versi; e, in una parola, solamente certe

I

S

la

sono

canore

bagattelle tutta

fatica

il

massiccio®

accademici

degli

si

delle nostre accademie. Sicché riduce ad andare a caccia di un

I

breve applauso e ad incantar per un’ora tatori.

Adunque non

pazienti orecchie degli ascol-

le

sarebbe gran temerità

il

dire che queste

adunanze

non possono sperare che questa di recare un transitorio diletto, e questo diletto medesimo, ove gli accademici sieno in disgrazia delle Muse,"^ vi si cerca bensì non rade volte, ma non vi si truova. Ora mi si dica, è egli da commendarsi ® cotanto la straordinaria cura d’innalzar riguardevoli imprese, di prendere nomi nuovi e di stabilir altra gloria

'

leggi

®

e far altre simili cose per dover poi solamente spacciare in pub-

j

blico alcuni versi forse dilettevoli e certamente poco utili al pubblico?

Questo è un voler usurpare ne’ quali è lodevole impresa

;

trattar

il

I

che

giurisdizione de’ giovanetti

la il

solamente quegli studi che

letterati

scolari,^®

gareggiar pubblicamente con poemi e

convengono

si

maturi facciano per professione

loro età.

alla

Ma

vadano

lo stesso mestiere e

I

accattando plausi con la sola poesia e con quattro versetti intonati da

'

loro all’ascoltatrice brigata, satirico,^^

'

ho gran paura che non

che non vogliano soffrirlo senza ridere

Ragion dunque vorrebbe: che

I

adunanze

coteste

lo possa digerire

uomini

gli

fossero piu utili e

riputazion degli accademici e

sode; e richiederebbe la

il

gravi.

bisogno delle

il

I

lettere

j

si

trattassero materie piu luminose e vi

ancor delle scienze e

fico

I

che quivi

ma

amore: Comincia qui la contro l’Arcadia più esteriore, cioè contro le pastorellerie e la svenevole poesia amorosa. Il M. vorrebbe una cultura più seria, e, diremmo oggi, più impegnata,

itto si riferisce

l’accenno

dagli

e



non

le

r

evasione fantastica,

5.

;

:

;

^

f

1

!

de' grandi...

critica serrata

soltanto

rivolta

a forme

ma

di

raffinata

intesa a sviscerare e

approfondire i problemi che la realtà propone. 6. il massiccio; la produzione più importante.

!

7. 8. ‘

9.

in... Muse: poeti, cioè, mancati. commendarsi: lodarsi. innalzar... leggi: Allude agli stemmi

simbolici ,

I

i

mia

e

{imprese) propri

anche dell’Arcadia,

di alla

facesse traf-

Noi vorremmo pertanto le migliorate, noi le brameremmo non

dell’ arti erudite.

accademie non già sbandite,

I

si

ogni accadequale soprat-

inti

iscritti

ai

alle

nomi nuovi asnorme

leggi (le

in laatutarie del sodalizio furono dettate

no arcaico dal Gravina). ^

10. la

ria

11.

giurisdizione...

scolari:

1

^

attività

prodovrebbe essere più giustamente

degli studenti giovinera. satirico: il moralista, il

che osserva

costumi degli uomini. vorrebbe il M. che 12. materie... erudite: materie piu accademie trattassero anche metafora illuminare le menti (la

giudica acutamente

i

rie, atte a

metà del Setverrà consueta nella seconda stesso il secolo dei cento, che chiamerà se diffusione cioè, e della mi, della scoperta, uomini). Queste materie dia verità fra gli

Antologia della letteratura italiana

762

ma non

a pascer

in questi tempi,

che non

virtù che quella de’ fiori, bastanti a ricrear la vista

fame

la

de’

son poetici

letterati

massimamente

veri e

pari del secolo prossimo passato.^^ Farebbesi perciò mi-

al

glior uso delle nostre accademie,

seriamente e e per

e le scienze,

l’arti

quando in esse noi volessimo trattar non già per mendicar plausi leggieri

piacere al volgo degl’ignoranti,

E

benefizio delle lettere.

dano agl’ingegni avanzamento di

qùeste^^

d’Italia

felici

e

nel

ma

per profitto proprio e per

vero tacitamente

si

raccoman-

da loro cercano e in loro sperano

gloria. Già in alcune di queste celebri adunanze con piacere noi rimiriamo coltivati gli studi della poetica e trattate le regole della lingua italiana con vantaggio certamente dell’una e dell’altra. Più gloriosa fatica hanno impreso altre accademie trattando

dell’erudizione ecclesiastica, la filosofia sperimentale e morale, la geografia ed altri importantissimi argomenti.

Ma

questo lodevole studio di pochi dovrebbe ornai abbracciarsi da

una nobilissima gara

e svegliarsi

tutti

fra l’accademie italiane,

cui

il

fine fosse l’accrescimento delle scienze e dell’arti e la gloria della na-

Possiamo francamente affermare

zione.^®

col

consentimento ancora degli

reame delle lettere, allorché la fortuna della Grecia passò alla repubblica romana. Tornò ella stessa a divenirne la patria, quando la Grecia medesima nel secolo quindicesimo rimase preda alla crudeltà e all’ignoranza de’ Turchi.^"^ Allora fu che dalla nostra Italia di nuovo succiarono l’altre province dell’Europa dilatatosi oltre ai monti il vero sapor delle scienze; e il nostro lume formò poscia un giorno continuo alle lettere, che per più di due secoli dura con tanto credito degli ultimi tempi, non inferiori punto, anzi supeoltramontani, che

sono le

scienze e quelle che

le

arti

l’Italia

erudite,

l’economia; concrete e

le

quali alla

13. che... passato:

it

diritto,

come

società. I

nuovi tempi non sono

Seicento, a

il

un

culto ac« belle

cademico e ozioso delle cosiddette lettere »,

ma

seggio e

M. chiama

il

storia,

la

il

discipline fondate su ricerche

utili

piu rivolti,

fu

piu

alla

vasta

problematica

culturale a cui ha piu sopra alluso. le lettere, intese nella 14. queste:

acce-

zione più vasta di cultura. 15. Già in alcune, ecc.

Il M. riconosce obiettivamente che vi sono accademie più serie, che coltivano seri studi sull’ essenza della poesia, e sulla lingua italiana (in questo campo l’Arcadia raggiunse, invero, ri:

sultati

importanti

e

apprezzabili);

e

altre

che coltivano le discipline storiche, economiche, scientifiche. In realtà i migliori rappresentanti

dell’Arcadia

sentirono,

come d

il

M., l’esigenza rale profondo,

di un rinnovamento cultuponendo così le premesse del-

r Illuminismo. 16. la gloria della nazione: C’è già nel M. (anche le sue opere storiche lo attestano) un sentimento vivo della nazione italiana c della sua dignità, che costituisce un sicuro preannuncio del Risorgimento. 17. rimase... Turchi: Con la conquista, da parte dei Turchi, di Costantinopoli, ebbe fine r Impero Bizantino; i maggiori dotti e letterati greci

zarono 18. viltà.

la

il

Il

vennero in

Italia

dove

raffor-

corrente umanistica.

nostro lume: la nostra cultura e ciM. pensa con orgoglio al Rinasci-

mento, che

egli considera la stagione

più

ri-

gogliosa delle lettere italiane, e al magistero che allora l’Italia esercitò sull’Europa. 19. formò...

terrottamente.

continuo:

risplendette

inin-

La

cultura italiana nella prima metà del Settecento

riori in

molte cose agli antichi “

Ma

nel secolo antecedente

non

so come, lasciò rapirsi da altri popoli,

già

le lettere,

non

l’Italia

ma

il

bel pregio

della preminenza in alcuna parte delle lettere, e trascuratamente permise che altre nazioni piu fortunate, certo non piu ingegnose, le andassero avanti nel sentiero della gloria, ch’ella avea dianzi insegnato ad altrui. Non è già maraviglia che le scienze a guisa degl’imperi vadano gi-

rando e si trapiantino per varie province con varia fortuna. Questa trasmigrazion delle lettere è nota per mille esempi; e forse un giorno avverrà che l’Europa tutta ritorni al buio dell’ignoranza e che nel tempo stesso, o la sola Cina, o altre parti dell’Asia, o l’America stessa fioriscano per la coltura dell’arti e delle scienze. Ciò che può sembrare alquanto strano, si è il sapere che non guerre civili, non invasioni di barbari, non

mancanza di scuole o d’ingegni, non tirannia di regnanti, non altre pesti furono cagione che neh secolo precedente giacesse l’Italia alquanto dimenticata “ del suo valor negli studi. L’ozio ^ solo per avventura fu quel mostro che a poco a poco avvelenò le menti e le distolse dal faticoso cam-

mino

della virtù,

non lasciando luogo a quel

nobile rossore, a quella ge-

nerosa invidia, che dovea nascere nei nostri maggiori

al

le pro-

rimirar

campagne ^ vinte in fecondità dalle nostre vicine. Dobbiamo nulla di meno rallegrarci con esso noi, che da trenta anni in qua ^ una si perniziosa influenza sia in parte cessata, essendosi riscossi dal sonno primiero non pochi ingegni d’Italia e crescendo di giorno in prie

giorno l’ottimo gusto e l’amor della fatica in crescerà, ove s’impadronisca del nostro cuore

ove

davanti agli occhi

ci stia

il

o

profitto

un

essi.

Ma

questo vieppiù

virtuoso desio di gloria;

della Chiesa,^ o proprio, o de’

posteri; la riputazion dell’Italia, la beatitudine di chi

si

consacra allo

studio, non intesa se non da chi v’è dentro immerso; ^ la speranza di crescere in fortuna, che presto o tardi, o per una via o per altra, suole accadere ai veri e prudenti letterati, e molti altri somiglianti motivi ognun

può

de’ quali

essere agli

20. non... antichi:

ha un vero riorità

dei

rispetto,

Verso

ma

gli antichi

il

M.

riconosce la supe-

moderni, perché vede

come sviluppo

la

storia

22. dimenticata: 23. L’ozio, ecc.

nel

Seicento.

La decadenza

della vita

c della cultura italiana nel Seicento è ricon-

dotta dal

che

si

M.

al

vuoto morale delle coscienze,

rifletteva

lettuale, nella

nella scioperataggine

mancanza

creti, nella scarsa

intel-

di studi seri e con-

cura della riputazion del-

l’Italia.

24. le...

campagne:

la

da

il

trenta... in

im-

qua: Allude in pratica

trentennio del Seicento, che vide

nascita rapido declino del Marinismo e la dice la quale cooperò, come coM. in altra opera, a far si che molti

il

minciassero « a gustar...

dimentica, obliosa. :

25.

all’ ultimo

le belle

dell’Arcadia,

e progresso.

secolo antecedente:

21. nel

animi nostri bastevole incentivo per

cultura italiana.

sieri

la

bellezza dei pen-

». naturali e a lavorar sul vero

26. della Chiesa:

Si ricordi

che

il

M.

tu

acerdote esemplare.

immerso: È confessione 27. non intesa... ragione priitimamente autobiografica. La è

di questa beatitudine verità di cui il ttraverso lo studio, della profondamente la forza liberatnce.

la

enti

M.

.

Antologia della letteratura italiana

74

prese.

Ora

noi, che

appunto bramiamo

restituire in Italia

splendore, anzi illustrare maggiormente

le lettere,

il

loro

vorremmo

“ primo

potere de-

stare negl’ingegni tuttavia dormigliosi e accrescere coraggio e stimolo a

preghiamo tutti ad unir le forze loro in una gloriosissima gara, col proporre brevemente ciò che noi andiamo rivolgendo nella mente nostra per benefìzio comune.^ chi già veglia e corre; e però

Il

Barbarossa distrugge Milano

Ritroviamo, in questo passo degli Annali d’Italia, i nuovi criteri che inforla storiografìa del Muratori. Innanzitutto la documentazione scrupolosa, intesa alla spassionata ricerca del vero; ma essa non esclude l’acuto giudizio dei fatti. Protagonista della storia non è più il « principe », ma il popolo, supremo ideale politico non è la potenza, ma la « pubblica felicità ». Nella critica al Barbarossa sentiamo quella alla ragion di stato, « fiera turbatrice del riposo de’

mano

popoli », e la condanna recisa delle guerre di conquista, in nome di uno spirito umanitaristico e cristiano, che considera gloria vera la « pubblica felicità », garantita dalla pace e dalla ricerca dell’utile

comune

del popolo. Saranno

i

temi

centrali della storiografìa illuministica.

(1162) Famosissimo divenne quest’anno, perché in esso finalmente venne fatto all’imperador Federigo^ di vedere a’ suoi piedi il popolo di Milano e di potere sfogare contra della loro città il suo barbarico sdegno.^ Il guasto dato a tutti i contorni ^ di Milano avea privato di viveri quel valoroso popolo, né restava speranza né maniera di cavarne dai vicini,

perché

tutti all’incontro

l’illustre città.

rere;

ma

La

erano lor nemici e collegati per rovina di quel Piacenza avrebbe potuto o voluto soccor-

sola città di

v’era impedita dall’armi di Federigo, acquartierato apposta a

le strade e tagliar crudelmente la mano destra a chiunque era colto portante vettovaglia a Milano. Però si cominciò stranamente a penuriare ^ in essa città, e alla penuria tenne dietro una grave discordia tra i cittadini, cioè tra i padri e i figliuoli, i mariti e le mogli e i fratelli, gridando alcuni ché s’aveva a rendere la città ® ed altri sostenendo che no: laonde accadevano continue risse fra loro. Si aggiunse che

Lodi, che facea battere

28. loro: 29. per

È

riferito a lettere.

benefìzio

dei

lati

più moderni del pensiero del M. è la sua fede neirimportanza della cultura come strumento di sviluppo e progresso sociale, morale, civile. Il progetto di cui parla in

que-

righe è la proposta di una sola accademia e repubblica letteraria, rivolta a perfe-

ste

un

Federigo: il Barbarossa. barbarico sdegno: Barbaro, dunque, Federigo, mentre « valoroso » (come dice su1.

comune: Uno

2.

bito

dopo) è

l’antipatia

il

del

popolo milanese. Evidente

M. per

i

condottieri potenti

e prepotenti e la sua simpatia per

3. 4.

contorni Però...

: •

i

popoli.

dintorni

penuriare:

Perciò

si

cominciò

cercò concretamente, seppur senza riuscire,

ad avere estrema penuria di viveri. 5. a rendere la città: ad arrendersi e con-

di attuare.

segnare la

zionar le arti e le scienze-,

ideale che

città all’imperatore.

La

i

cultura italiana nella prima metà del Settecento

principali

®

765

formarono una segreta congiura di dar fine a tanti il sentimento accompagnato da minaccie di

guisa che prevalse

poneva

la resa e

fu preso

il

partito d’inviare a trattar di pace.

guai, in chi pro-

Iti gli

am-

basciatori a Lodi, proposero di spianare per onor dell’imperadore in sci luoghi le mura e le fosse della città. Federigo col parere de’ suoi principi

Comaschi ed altri popoli nemici di Milano, stette sua discrezione senza patto alcuno. Durissima parve tal il timore di peggio indusse i Milanesi ad accomodarsi al

e de’ Pavesi, Cremonesi, fisso in volerli a

condizione,

ma

fierissimo rovescio della lor fortuna. Pertanto nei

vennero a Lodi

i

primo giorno di marzo Amizone da

consoli di Milano, cioè Ottone Visconte,

Anseimo da Mandello, Anseimo dall’Orto, con altri; e spade nude in mano, siccome nobili, giurarono di fare quello che piacesse all’imperadore e che lo stesso giuramento si presterebbe da tutto Porta Romana, colle

il

loro popolo. Nella seguente mattina

vallo milanesi, che rassegnarono

comparvero trecento

a Federigo

le lor

soldati a ca-

bandiere e insieme

le

Nel martedì vennero circa mille fanti da Milano col che giurarono come i precedenti. Volle Federigo quattrocento spedì sei Tedeschi e sei Lombardi, fra i quali fu Acerbo Mo-

chiavi della città. carroccio,

ostaggi e

continuatore della storia cominciata da

rena,® allora podestà di Lodi,

Ottone suo padre, acciocché esigessero il giuramento di totale ubbidienza da tutto il popolo milanese. Andò Pimperadore a Pavia con tutta la corte e nel dì 19 d’esso

mese

di

marzo mandò ordine

in termine di otto giorni tutti

i

cittadini

la città

con quel che poteano portar

mevole

®

nar

la

ai consoli

milanesi che

maschi e femmine evacuassero

seco. Spettacolo

sommamente

lagri-

vedere lo sfortunato popolo piangente abbando-

fu nel dì 25 il cara patria co’ piccoli lor figliuoli, cogl’infermi e co’ lor fardelli,

portando quel poco che poterono e lasciando il resto in preda agli straAlcuni giorni prima, cioè nel dì 18, se n’era già partito l’arcivescovo Oberto coll’arciprete Milone, Caldino arcidiacono ed Alchisio cimeliarca,^® ed ito per trovar papa Alessandro, che tuttavia dimorava in nieri.

Genova. Chi potè se ne andò a Pavia, a Lodi, a Bergamo, a Como e ad altre città; ma l’infelice plebe “ si fermò fuori della citta ne moniVittore, steri di san Vincenzo, di san Celso, di san Dionisio e di san sperando pure che non fosse estinta affatto nel cuore dell’imperadore la clemenza e ch’egli, soddisfatto dell’ubbidienza, permetterebbe il ritorno

6.

i

principali:

i

cittadini

piu

ragguar-

devoli. 7.

rassegnarono: consegnarono.

Acerbo Morena: Ottone e Acerbo narrarono le vicende della Lombardia dal 1154 8.

al

1164. 9.

:

Spettacolo...

palpitare la

umanitaria tivo dei fatti. La sua moralità alle ingiustizie, c cristiana si ribella dinanzi agli umili in nome alle sofferenze inflitte un assurdo ideale di quello che gli appare il Manzoni. di potenza. Presenti, qui, delle sacre re10. cimcliarca conservatore

lagrimevole,

commozione

del

ecc.

:

Senti

M., nonostante

lo stile asciutto e pacato, di narratore ogget-

liquie.

di essa si appunta 11. l’infelice plebe: Su vita. M. che svolse, per tutta la

la pietà del

766

Antologia della letteratura italiana

Non

alle lor case.

poteva essere piu vana una

nel di seguente Federigo

accompagnato da

fatta lusinga.

si

tutti

Comparve

suoi principi e soldati,

i

e da’ Cremonesi, Pavesi, Novaresi, Lodigiani e Cremaschi, e da quei del ed, entrato in Milano, l’abbandonò all’avi-

Seprio e della Martesaha;

Nel sacco neppure alcun riguardo s’ebbe alle chiese. ...^^ Furono deputati i Cremonesi ad atterrare il sestiere di Porta Romana, dità militare.

i

Lodigiani a quel di porta Renza,

Novaresi a quel cina, e

Pavesi a quel di porta Ticinese,

i

di porta Vercellina,

Comaschi

i

a quel di porta

i

Coma-

popolo del Seprio e della Martesana a quello di Porta Nuova.

il

animò

L’odio e lo spirito della vendetta

si

forte questi popoli, che

si

Gran somma

di

diedero un’incredibil fretta alla rovina dell’infelice

città.

danaro aveano anche sborsato a Federigo per ottenerne la permissione. Il fuoco attaccato alle case ne distrusse buona parte; il resto fu diroccato a forza di martelli e picconi, ed anche in pochi giorni si vide smantellata la maggior parte delle mura... Nella domenica delle Palme assiste Federigo Augusto ai divini uffizii nella basilica di santo Ambrosio fuori della desolata città milanese e prese l’ulivo benedetto; e nello stesso giorno

Pavia. Celebrò

s’inviò a

egli in essa città la santa

Pasqua, col con-

corso della maggior parte dei vescovi, marchesi, conti ed d’Italia.

sero

i

Alla messa, e dopo

suddetti principi, e

i

la

messa, ad

un

altri

baroni

lauto convito, a cui

vescovi colla mitra, e

i

s’assi-

consoli delle città,

si

fece vedere colla corona in capo, insieme coll’Augusta Beatrice, giacché

due anni innanzi avea fatto proponimento di non portar più corona, se prima non soggiogava il popolo di Milano. Grande fu allora il giubilo e il

plauso del popolo di Pavia per

le

fortune dell’imperadore; e gli del suo

tori tedeschi si sciolgono in sonori elogi

costanza per aver sottomessa una

vedere

se gloria

si

riguardevol

tante belle fabbriche e

Ausonio quivi

un’intensa nella 12. 13.

memorie

conservavano.

nobilissima

e

Ricorda che

si

azione

caritativa.

precedente.

storiografia

Sono i Comuni alleatisi col Barbarossa. Omettiamo un passo nel quale il M.

racconta

come

il

Barbarossa ordinasse di di-

struggere Milano. 14. deputati:

16. s’inviò

vendetta:

i

a:

parti per.

La messa, la santa pasqua celebrata indegnamente, il lauto con17. Celebrò, ecc.

vito,

:

scrit-

della sua

resterebbe da

che fino

cristiano

a’

pena della ribellione

il

seppellir

tempi

di

dirocchino

si

r ostentazione della corona:

tutto

è

detto con apparente oggettività e pacatezza

eppure ogni parola è una condanna, dettata da uno spirito cristiano ben più autentico di quello di cui fa mostra di cronista,

Federico. 18.

incaricati.

Contro le rovinose comuni italiani il M., negli Annali, esprime una recisa condanna. 15. odio...

discordie fra

in

Ma

con distruggere e

città,

dell’ antichità,

Che

plebe era la grande assente

la

città.

un monarca

vera s’abbia a riputare per

portare l’eccidio ad un’intera insigne

gran valore e

si

sciolgono...

elogi:

tono diventa

Il

sarcastico. 19.

Ma

resterebbe, ecc.

:

Il

giudizio nega-

conclude in quell’affermazione bellissima e profonda, veramente eloquente proprio per la sua spoglia

tivo diventa ora esplicito, e

A mio

schiettezza:

fabbricano le

credere,

si

i

buoni principi

città e i cattivi le

distruggono.

nt

ve

La

cultura italiana

prima metà del Settecento

nella

767 tutte le mura ed ogni fortificazione, ciò cammina; “ ma poi tutto, chi può mai lodarlo e non attribuirlo piuttosto ad un genio barbarico? “ A mio credere, i buoni principi fabbricano le città e i cattivi le di-

struggono.

Giambattista Vico

tempo per

Isolato nel suo

la

grandezza

solitaria e originalissima del

suo

pensiero, che precorre molti sviluppi della

moderna filosofia, fu Giambattista condusse una vita oscura, resa difficile dalle

Nato a Napoli nel 1668, malferme condizioni di salute, da economica costantemente precaria, Vico.

agli studi e alla ricerca wdel vero. rica,

afflizioni

ma

Fu

domestiche, da una situazione

consacrata con fermezza incrollabile

Napoli della cattedra

titolare a

di reto-

poi regio storiografo. Pubblicò a sue spese la sua opera piu grande,

i

una Scienza Nuova d’intorno alla comune natura delle Nazioni, che passò quasi inosservata; una seconda edizione, completamente rifatta, vide la luce nel *30, una terza nel '44, pochi mesi dopo la sua morte. Fra le altre sue opere ricordiamo V Autobiografia e il De antiquissima Itaìorum sapientia. Il Vico fu contrario alla filosofia cartesiana e all’ interesse scientifico dominante allora nel pensiero filosofico. Oggetto delle sue meditazioni fu Principi di

l’uomo, colto zitutto

concretezza

nella

l’origine

del

diritto,

solvere questo problema,

chiamiamo

noi

antichissime:

si

Bibbia,

del

suo divenire

quindi

i

Nuova

Ricercò

umana,

innanper

e

ri-

volse allo studio dell’età remota e favolosa che

poemi omerici,

scienza » era, per

delle

tradizioni

mitologia greca e latina,

la

studio del linguaggio, nel quale egli avvertiva civiltà dei popoli. «

storico.

società

della

fondandolo sull’interpretazione

preistoria,

la

e

le

lo

tracce della storia e della

questo studio della tradizione,

lui,

ad esempio dei miti, visti non come forme fantasticamente arbitrarie, e neppure come espressione di una sapienza razionale e morale (cosi erano interpretati ai suoi tempi), ma come testimonianza di una primitiva intuizione del mondo elaborata dall’uomo, e nata dalla sua esperienza. Quella del Vico era

dunque

la

scoperta dell’intima unità di filologia (studio della parola, delle

testimonianze del passato, della storia umana) e Lx> studio

comparato

filosofia.

delle tradizioni dei vari popoli, gli

tezza che esistevano leggi comuni, sulle quali

si

dava

sviluppavano

la

la

cer-

loro sto-

Egli volle definire queste leggi, ritrovandone i principi modificazioni della nostra medesima mente umana », li senti,

ria e la loro civiltà.

« dentro

le

cioè, corrispondenti all’esperienza psicologica individuale.

rituale del singolo

no.

ciò

21.

ma

tutto

il

cammina: poi

resto,

tutto:

tutta

si

svolge su tre momenti,

è giustificabile.

ma la

che

città.

si

distrugga

il

Come

la vita

senso, la fantasia,

il

spi-

razio-

Non solo 22. genio barbarico: c è in tutto bara distruzione Io chiama cosi: sentimento patriottico. il passo un vivo

Antologia della letteratura italiana

y68

rispettivamente, Vinfanzia, nella quale predomina

cinto (caratterizzanti, vita

istintiva,

cinante),

o del senso, l’età

nella

cosi

storia

e

fantastica,

!

(

Vetà degli eroi, o della fantasia, che è prima forma di conoscenza umana, tutta sencioè poetica, del mondo) e Vetà degli uomini, o della

istintiva

dei miti (intesi

sitiva

la

immaginosa e fantastica, la maturità^ raziodeH’umanità, il Vico distingue Vetà degli dei^

fanciullezza^

la

e

barbarica,

come

la

quale trionfa la razionalità. Alle tre età corrispondono tre organizzazione politica (teocrazia, aristocrazia, repubblica popolare o monarchia) e tre modi diversi di concepire e vivere -la vita. Compiuto questo ciclo, ogni popolo ritorna alla primitiva barbarie e rivive progressivamente i tre momenti, con forze rinnovate e accresciute. La storia ragione,

forme

si

nella

di

configura cosi agli occhi del Vico

come una

serie

di

periodi ricorrenti,

di corsi e di ricorsi.

Questa concezione della storia, presa letteralmente, aveva in sé molti fantastici, ma conteneva anche alcune intuizioni fondamentali del pensiero moderno. In primo luogo lo storicismo, la concezione, cioè, della vita umana come divenire, nel quale ciascuna età ha un carattere necessario ed essenziale. Il Vico, poi, pensava che, mentre un’idea piena del mondo fisico e metafisico poteva averla solo Dio che l’aveva creato, l’uomo poteva avere una conoscenza certa solo del mondo storico, in quanto fatto da lui ed espressione della sua vita spirituale. La storia era dunque continua creazione di valori e di civiltà, alla quale tutti indistintamente cooperano (non soltanto pochi eletti, secondo la concezione rinascimentale); lo studio di essa coincideva con lo studio dell’uomo, dei caratteri della sua spiritualità, cioè senso, fantasia, ragione, dotato ciascuno di una propria autonomia e dignità. Importantissime le conseguenze di questa dottrina nel campo dell’estetica. Il Vico considerò la poesia non come espressione della realtà imperfetta dei sensi, da sottomettere, per questo, al rigoroso controllo della ragione, aspetti

ma come libera creazione della fantasia, concepita, a sua volta, non piu come la « pazza di casa » (secondo il razionalismo francese), ma come manifestazione essenziale della vita dello spirito, dominante in certi momenti della civiltà (l’età degli eroi) e, comunque, come forma spirituale autonoma, capace di dare all’uomo una conoscenza della realtà diversa da quella logica e razionale, ma non meno importante nella sua vita. Il Romanticismo e l’estetica

appassionata e immaginosa delle età eroiche

Per questo apprezzò particolarmente

un

l’espressione

non

Omero non

era persona reale,

greci, in

tastiosa

'

I

i

contemporanea svilupperanno questo principio, liberandolo dalla

caduca teoria dei corsi e dei ricorsi. Il Vico non considera piu la poesia puro diletto o esercitazione ingegnosa. Nella sua età, che vagheggiava una poesia discorsiva, capace di presentare con eleganza e garbo qualche utile verità, e disconobbe spesso i grandi poeti del passato, in nome di un ideale di misurato e razionale buon senso, « affermò la debolezza d’una poesia raziocinante e additò nella poesia bini).

'

quanto

di

essi

ma

singolo poeta,

ma

simbolo,

narravano cantando

ed «eroica». Allo stesso

modo

i

la

i

^

!

I

j

poesia per eccellenza » (Fu-

poemi omerici, di

]

un

«un

nei quali vide

intero popolo (per

lui.

carattere eroico d’uomini

h

e della sua età fan-

'

la loro storia »)

celebrò Dante,

il

«toscano Omero»,

cultura italiana nella prima metà del Settecento

La

769

poeta della « ritornata barbarie d’ Italia » (anche il Medioevo era, per il un’età « eroica », secondo la teoria dei corsi e dei ricorsi), apprezzando in lui non la dottrina e la teologia, come era stato fatto fino ai suoi il

Vico,

tempi,

ma

gante,

primitiva degli

l’intensità

non

antiarcadico,

ma

affetti

e delle passioni.

una poesia letterariamente

era quello di

quello di una poesia che esprimesse

umano. Anche

intuizioni dell’animo

suo ideale,

Il

elaborata ed

ele-

più profonde e universali questi principi saranno ripresi dal Role

manticismo, che esalterà il poeta come genio creatore, unico e irripetibile. Nonostante l’oscurità di molte sue pagine, che nasce anche dalla stessa originalità del suo pensiero, il Vico è scrittore potente. La sua prosa concisa e lapidaria, assume, nella rievocazione dell’umanità primitiva, un tono

un

epico,

solenne e sublime, « come quello

carattere, è stato detto, eroico,

che scaturisce da un’anima tutta presa dalla grandezza dei suoi pensieri e dei suoi sogni » (Sapegno). Per

il

testo,

Laterza,

Bari,

Alcune

((

seguiamo: Q. B. Vico, La scienza nuova seconda,

a cura di F. Nicolini,

1942.

degnila »

Degnità chiamò

11

Vico

gli

assiomi o principi

filosofici

della

ispiratori

sua

scienza nuova, perche degni di fede, indubitabili. In realtà questi principi, posti all’inizio del libro, ne rappresentano piuttosto le conclusioni. Ne presentiamo un

igruppo interessante storia, sia

Ideila

sia

perché

perché mette in luce i principi della concezione vichiana presenta le premesse e le intuizioni fondamentali della

ci

sua estetica.

I

(VII).

1

ijusi

jche

La

legislazione considera

l’uomo qual

è,

per farne buoni

nell’umana società; come della ferocia, dell’avarizia, dell’ambizione, sono gli tre vizi che portano a travverso ^ tutto il gener umano, ne mercatanzia e

^

la fortezza, l’opulenza e

Ì |fa

la milizia, la

l'ia

sapienza delle repubbliche; e di questi tre grandi

la corte,^ e si

«mente distruggerebbero l’umana generazione sopra

vizi,

quali certa-

i

terra,

la

ne fa

la

civile felicità.

ì

Questa degnità pruova esservi Provvedenza divina

)

luna divina mente

I.

che... travverso: che travolgono,

rivolgere 2.

al

fanno

male.

milizia... corte:

ferocia),

gono

la

classe dei guerrieri

a usare, per fini di bene, la nativa

quella dei commercianti (che vol-

comune), quella dei politici (che volgono 1’ ambizione ai fini propri della fondazione di un governo l’avidità a fini di utilità

civile).

I.

3, e si: 4.

j

ii(portati

^

e

che

ella

sia

tutti legislatrice, la quale delle passioni degli uomini

e in tal

modo

Provvedenza divina:

si

conseguono. Il

V.,

cattolico

e la consincero, crede nella Provvidenza, umane, garansidera immanente alle cose

storia; ma la zia di razionalità nella nostra a considerar a sua nuova scienza non è volta quella capacita di in sé, bensi attraverso

progresso e di nell’

evoluzione che ha

animo umano.

is’prrato

Antologìa della letteratura italiana

770 attenuti

®

vano

le solitudini,®

umana

in

per

alle loro private utilità,

dentro

stie

2 (XVII).

ne ha fatto

formaron

ordini

gli

per

civili

quali

gli

vi-

società.

parlari

I

volgari"^

debbon

degli antichi costumi de’ popoli, che si

quali viverebbono da fiere be-

le

esser

testimoni piu gravi®

i

celebrarono

si

®

tempo

nel

ch’essi

lingue.

le

3 (XXXII). Gli uomini ignoranti delle naturali cagioni che producon le cose,^° ove non le possono spiegare nemmeno per cose simili,^^ essi dànno alle cose la loro propia natura,^® come il volgo, per esemplo, dice la calamita esser innamorata del ferro.

Questa degnità è una

(XXXV). La

4



che

la

mente uma-

rovesci nell’ignoranza,^ essa

si

deH’universo d’intorno a tutto quello che ignora.^®

fa sé regola

l’efTetto

prima:

particella della

na, per la sua indififinita natura,^* ove

maraviglia è figliuola

dell’

ammirato è più grande, tanto più

ignoranza;

quanto

e

a proporzione cresce la

ma-

raviglia.

(XXXVI). La

5 il

6 (XXXVII).

5.

tutti attenuti

6. solitudini; 7.

Il

più sublime lavoro della poesia è alle cose insensate

non

tutti intesi.

:

selve e deserti.

parlari

I

volgari:

Il

dal popolo. Tutto ciò che

polo,

linguaggio

usato

riferisce al

po-

più vicino all’umanità primitiva,

ha

si

duce

natura umana. testimonianze più linguaggio, per il V., conser-

alla originaria

gravi:

testimoni...

8.

autorevoli.

Il

successive

le tracce delle

forme della

ci-

Soprattutto interessante, in

tal

senso, gli ap-

il

sensi e dalla fantasia.

celebrarono:

10. le cose:

i

ove: quando.

12.

per... simili; le

praticarono.

La

17.

maraviglia...

ziocinio. Allo stesso

loro

zano, cioè,

umani.

Da

li

esperienza

interpretano alla luce psicologica,

umaniz-

la natura, dandole voci e sensi questa disposizione sono nati gli

antichi miti. 14. indiffinita

natura:

per

la

sua natura

nella

emozione non dal ra-

modo,

la

poesia è, per

V., prodotto della fantasia, e quindi prodelle età primitive,

che il

La

ancora

dell’

guardava

umanità fancon ingenuo

mondo. raziocinio;

fantasia...

trappone decisamente

la

poetica, al raziocinio,

o facoltà

pria del filosofo.

13. essi... natura:

crolli

ignoranza: La me-

nasce dall’ ignoranza,

poetica,

18.

trovando una somigliancause dei fenomeni cono-

ignoranza: quando

dalla quale deriva ogni

raviglia,

stupore

sciuti.

della

ove...

ciulla,

fenomeni.

ij.

za fra esse e

si

por-

comprendere

immediata esperienza.

pria

si

animali,

ma

16. fa... ignora: riguardo a tutte le cose che ignora, fa di sé regola dell’ universo; le commisura, cioè, alla sua vita e alla sua

dominata dai 9.

degli

ignoranza.

il

il

quella

fissità dell’ istinto,

mondo. 15.

linguaggio metaforico, espressione della « sapienza poetica » dei primi uomini, della loro primitiva concezione del mondo, pariva

come

immutabile

tata a uscir di sé, a cercare di

quindi della storia di un popolo.

e

viltà,

costretta,

nell’

carattere di più viva spontaneità e ci ricon-

va

quanto è più debole

fantasia tanto è più robusta

raziocinio.^®

ma

La

Il

fantasia,

logica, pro-

prima

for-

umano,

alla

fantasia è la

di conoscenza dello spirito

V. cono facoltà

segue poi, da essa distinta, quella razionale. In tal modo il V. riconosceva che la poesia è l’espressione di una facoltà spirituale propria ed autonoma, scoperta, questa, fondamentale per l’estetica moderna. quale

La cultura

italiana

nella

prima •.meta del Settecento

Uh

dare senso e passione/® ed è propietà \tra loro lontane, divisamente fon nimate tra mani e, trastullandosi, favellai i i che tutte hanno qualche persone vive. ^enni,^^ tutte seppelliscono

m

:

i

Questa degnità

ne app^ge e crude, si celebrano fanciullo, per natura, furono sublimi p consagrate solennità

mondo

del

7 (L).

Ne’

filologico-filosofica

fanciulli

vigorosissima

è

la

memoriS?^^^^

non è che memoria o

all’eccesso la fantasia, eh’ altro

'

posta.^

Questa degnità è

*1

che dovette formare

il

principio

che da que-

dell’evidenza “ dell’immagini’

primo mondo

’risca c

fanciullo.

‘erni

8 (LUI). Gli uomini prima sentono senz’avvertire, dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con j

mente pura.“ Questa degnità è ’l principio delle sentenze poetiche,^ che sono formate con sensi di passioni e d’affetti, a differenza delle sentenze filosofiche, che si formano dalla riflessione con raziocini: onde queste piu s’appressano al vero quanto piu s’innalzano agli universali, e quelle sono piu certe quanto piu s’appropiano ^ a’ particolari. 9 (LIX). Gli uomini sfogano le grandi passioni dando ixome si sperimenta ne’ sommamente addolorati o allegri.

S

19. dare... passione: attribuire sensibilità e

sentimenti. 20. favellarvi: parlare

21. filologico-filosofìca

un dato

con esse. fondata sulla

sto-

:

tempo, sulla ragione. È il metodo del V., che sulla conoscenza storica fonda i principi ria, su

di fatto, e, nello stesso

della scienza dell’

uomo.

fantasia, furono, per natura, poeti.

limite

Il

V. consiste nell’avere localizzato in un solo momento della storia quello che è invece un momento ideale ed eterno dello spirito umano. Si può dire che ogni grande del

I

26. Gli uomini... pura: È una delle degnità più importanti, perché in essa il V. esprime il procedere della nostra mente nel suo svi-

luppo, simile

vamente

mondo, quando animo nuovo la realtà.

alle fasi

che egli vede successi-

svolgersi nella storia.

mento

dell’umano, nella forma del

sentenze poetiche: noi diremmo «indituizioni fantastiche » o poetiche. Ma il 27.

scorso vale per la poesia in generale. si ade28. s’ appropiano: si avvicinano,

guano. La

filosofia,

di

astratti,

concetti

dunque, è scienza valore

tasia

estende ad

ricevute

compone sioni

25.

dai

altri

sensi

la

fan-

oggetti le impressioni

{memoria

dilatata)

o

le

in varie maniere, creando impres-

nuove {memoria composta). è

’l

principio dell’evidenza:

serve a

immagini poetiche

dei primitivi.

è

di

nel

un sentimento

si

fonda

sul parti-

espresso in quella

anche la definita e concreta. Ma anch’essa un è certezza, sua una ha poesia

immagine

momento 29.

spiegare l’evidenza, l’intima e potente vita delle

colare,

si

universale,

applicano a ogni situazione con-

senso che

creta; la poesia, invece,

V,

senti-

spiegata.

zionalità

poeta riviva l’infanzia del

il

c’è

e dell’emozione poetica, infine la ra-

scopre con occhi e

24. ch’altro... composta: Per

Dapprima

sensazione priva di coscienza, poi la consapevolezza di ciò che si sente, e quindi

la

la nascita

ne aporuova: ci dimostra. 23. che gli uomini... poeti: Gli uomini primitivi, dotati di maggiore sensibilità e 22.

nel canto,^

conoscitivo.

dando

poesia nel canto: cantando. La come espressione di senti-

è sentita dal V.

menti profondi dell’ animo.

gno

e

appassionati e

come

biso-

Antologia della letteratura italiana

772

I principi del vivere civile

Troviamo in questo passo due principi fondamentali della Scienza Nuova’. p rimo è che conosce una cosa solo chi la fa e da ciò co nsegue che il vero oggetto del la filo sofia dev^ssere non il mondo della natura, ma quello della storia, fatto dalFuomo e quindi rltlesso della sua Micologia; il secondo è che il passaggio dalla ferinità primitiva airumanità o civiltà avvenne mediante la religioni, matrimoni, amministrazione fondazione di tre principali istituzioni della giustizia. La civiltà, dunque, per il Vico, coincide con la nascita della società. il

.

:

In

tal

prima da noi lonnon tramonta, può a patto alcuno chiamar in dub-

densa notte di tenebre ond’è coverta

tanissima antichità, apparisce questo di questa verità la quale

onde l

mondo

che questo

bio,^

se

non

ne possono, perché

si

vi rifletta,

certamente è stato fatto dagli uomini., i principi! dentro

quale, perché Iddio egli

il

um ana? Lo

medesima mente

dee recar meraviglia come

studiarono di conseguire

la

eterno, che

ne debbono, ritruovare

se

e modificazioni della nostra

que

si

civile’^ egli

lume

*

tutti

fece,

esso solo ne

seriosamente

mondo

scienza di questo

la

che, a chiun-

filosofi

i

ha

la

naturale, del

scienza; e trascu-

o sia mondo civile, del quale, perché l’avevano fatto gli uomini; ne potevano conseguire la scienza gli uomini.® Il quale stravagante effetto è provenuto da rarono di meditare su questo

mondo

delle nazioni,

quella miseria, la qual avvertimmo nelle Degnità, la quale,

restata

nata a sentire

le

immersa

®

mente umana;

della

e seppellita nel corpo, è naturalmente incli-

cose del corpo, e dee usare troppo sforzo e fatiga per

medesima, come l’occhio corporale che vede obbietti fuori di sé ed ha dello specchio bisogno per vedere intendere

se

Or, poiché questo

mondo

tutti

gli

se stesso..

di nazioni egli è stato fatto dagli uomini,

hanno con perpetuità convenuto

e tuttavia vi vediamo in quali cose convengono tutti gli uomini;’ perché tali cose ne potranno dare i principii universali ed eterni, quali devon essere d’ogni scienza,® sopra i

quali tutte sursero e tutte vi

Osserviamo 1. si

la quale... in

mondo

conservano in nazioni.®

dubbio: della quale non

può assolutamente 2.

si

tutte le nazioni cosi barbare

civile;

il

dubitare.

mondo

della storia, la

3. ritruovare...

uomo,

il

umana: Essendo

mondo

stato fat-

della storia reca in

dell’animo umano, è fatto a sua immagine e somiglianza. 4. Lo che... come: Se uno riflette su questo fatto, deve provare senz’altro meraviglia, considerando che i filosofi, ecc. sé

il

5.

mente umana, immersa com’

sigillo

del quale... uomini;

Secondo

il

V.

conosce veramente solo ciò che si fa. 6. Allude a una degnità che dice che

si

ze comuni a pi, cioè

i

uomini: quali siano

tutti gli

principi secondo

i

quali

si

usan-

le

uom^ini di tutti

i

tem-

svo'ge

la

le istituzioni

fonda-

mentali e necessarie allo sviluppo della

civiltà.

civiltà di tutti

8.

quali

. .

.

i

popoli e scienza

:

come devono

esser

quelli d’ogni scienza. 9.

quali

sopra le

i

quali... nazioni: fondandosi sui

singole nazioni sono sorte e

servano civilmente ordinate. la

è nella strut-

tura corporea, è portata a considerare le cose esterne piuttosto che quelle spirituali. 7. in quali...

civiltà.

to dall’

come umane,^® quantunque.

10.

umane:

civili.

si

con-

La

cultura italiana

prima metà del Settecento

nella

77 .^

per immensi spazi di luoghi e tempi tra loro lontane, divisamente fon questi tre umani costumi: che tutte hanno qualche

date/^ custodire religione, ro

tutte

contraggono matrimoni

loro morti', né tra nazioni,

Jla

umane con

azioni

jnc



e crude,

si

i

celebrano

più ricercate cerimonie e più consagrate solennità

:ht

la

solenni,^^ tutte seppelliscono

quantunque selvagge

Che per la degnità che « idee uniformi, nate tra popoli sconosciuti tra loro, debbon avere un prin-

che religioni, matrimoni e seppoltured^

comune

cipio

tre

ste

di vero », dee essere stato dettato a tutte:

appo

cose incominciò

tutte

che da que-

Tumanità,^’^ e per ciò

si

debbano

)n*

santissimamente custodire da

tutte,

perché

’l

mondo non

s’infierisca c

ta,

si

nuovo.^® Perciò

rinselvi di

abbiamo

presi questi tre costumi eterni

jI>

ed universali per

tre

primi principii di questa Scienza.

ni,

/

Irò

JH-

Della metafisica poetica

r,tc

del

di'

Questa pagina resta viva nella memoria come un grande mito poetico. Gli uomini primitivi corrono, giganteschi e selvaggi, per la grande selva della terra. Poi, duecento anni dopo il Diluvio, ecco un crosciare improvviso e spaventoso di

sgomenti alzano gli occhi, vedono per la prima come un corpo gigantesco, che « volesse dir loro qualcosa », come loro « urlando e brontolando ». Cosi, dall’oscurità della barbarie primigenia, il Vico, con animo perturbato e commosso » vede emergere l’uomo, distinguersi dalle cose, fra le quali prima viveva indifferenziato, acquistare una miti. aurorale coscienza di sé e figurarsi il mondo a propria immagine, creando Nasce la prima conoscenza, tutta senso, fantasia e passione, che è, per il Vico, « sublime poesia », non quella scritta nei libri, ma quella eterna deH'anima, che rivivrà nei grandi cantori delle età eroiche (Omero e Dante), ma che ritorna anche nel fanciullo quando s’accende in lui la luce della coscienza. tuoni;

volta

ire

di

e

allora

i

« bestioni »

e lo configurano

cielo,

il

(

la;

di.

per

50

.

i

mi,

vi

in-

a

La sapienza poetica, che fu la prima sapienza della gentilità, ^ dovette incominciare da una metafisica,^ non ragionata ed astratta qual è questa

i

ue,

11. divisamente fondate; sorte separatamente, senza reciproche interferenze. va con osserviamo: «os12. custodire: serviamo che mantengono ». 13. solenni: come dirà poi, stretti con sacre

e solenni cerimonie. 14.

matrimoni

religioni,

no, per vivere

il

V.,

civile.

i

tre istituti

Il

concetto

e seppolture:

so-

fondamentali del sarà

riecheggiato

dal Foscolo nei Sepolcri. 15. degnità:

assioma; principio.

deve essere stato ispirato quanto segue; deve cioè essere un principio valido per tutti gli uomini quello che subito dopo enuncia. 17. appo... umanità: presso tutte le na16. dee... tutte;

a

co>

tutte

zioni la civiltà (contrapposta allo stato ani-

malesco degli uomini primitivi).

non...

18.

di

uomini a vivere

nuovo: allo

non ritornino

stato

selvaggio

gli

nelle

selve. 1. La sapienza... gentilità: La sapienza, cioè la cultura e la conoscenza del mondo degli uomini primitivi, non può essere, per

V., se non poetica, dato che allora l’umaquenità era tutta senso e fantasia, facoltà, essenzialmente poetiche. Quanto a. la ste, ebbe, gentilità (cioè ai popoli pagani) essa quella secondo il V., una storia diversa da diluvio, il del popolo ebraico; cadde, dopo il

in

uno

stato ferino,

avendo abbandonato

la

mantenerla, vera religione che sola poteva

dando un carattere sacro una forma di convivenza 2.

metafisica:

È

quella

al

matnmomo,

in

civile.

parte della

fi.o-

Antologia della letteratura italiana

774

ma

or degli addottrinati,*

ed immaginata quale dovett’essere di

sentita

primi uomini, siccome quelli ch’erano di niuno raziocinio e

tai

tutti

robusti sensi e vigorosissime fantasie, com’è stato nelle Degnità^ sta-

Questa fu

bilito.

propia poesia,® la qual in

la loro

loro connaturale (perch’erano di

di

tali sensi e

si

essi

fu una facultà

fatte fantasie natural-

da ignoranza di cagioni, la qual fu loro madre di che quelli, ignoranti di tutte le cose, fortemente ammiravano. Tal poesia incominciò in essi divina, perché nello

mente

forniti), nata

maraviglia di tutte

tempo

stesso

le cose,

immaginavano

ch’essi

le

cagioni delle cose che sentivano

ed ammiravano, essere dèi® (ed ora il confermiamo con gli americani,*^ i quali tutte lè cose che superano la loro picciola capacità dicono esser dèi; a’ quali aggiugniamo i germani antichi, abitatori presso il Mar Agghiacciato,® de' quali Tacito narra che dicevano d’udire la notte il Sole, che dall’occidente passava per mare nell’oriente, ed affermavano di vedere gli dèi : le quali rozzissime e semplicissime nazioni ci

danno

ad intendere molto piu di questi autori della gentilità,® de’ quali ora qui si ragiona); nello stesso tempo, diciamo, alle cose ammirate davano l’essere di sostanze dalla propia lor idea,^® ch’è appunto la natura de’ fanciulli, che osserviamo prendere tra mani cose inanimate e trastullarsi e favellarvi

come

fusser, quelle, persone vive.

In cotal guisa

primi uomini delle nazioni

i

del nascente gener

umano,

gentili,

come

dalla lor idea criavan essi le cose,^'

fanciulli

ma

con

però dal criare che fa Iddio: perocché Iddio, nel suo purissimo intendimento,^'^ conosce e, conoscendole, cria le cose; essi, per infinita differenza

che studia

sofia

cause e

le

le

ragioni ultime

delle cose; qui, praticamente, la teologia

o

scienza del divino. 3. addottrinati:

tini;

filosofi delle età colte.

Degnila: nei principi posti all’inizio àtWdL^ Scienza Nuova. Qui allude a quella che abbiamo riportato contrassegnandola col 4! nelle

n. 6. 5.

8.

Questa... poesia, ecc.

:

La

poesia è con-

naturata alle menti degli uomini primitivi, coincide con la loro psicologia, col loro

mo-

Mar

il

Agghiacciato: l’Oceano glaciale

uno dei maggiori storici laGermania parla delle popolazio-

artico. Tacito è

ni

nella

germaniche ancora semiselvagge

tempi. 9. molto...

gentilità:

comprendere molti

Ci permettono

pagani. 10. nello stesso... idea: mentre consideravano divinità le cose ignote e da loro ammirate, attribuivano a loro un’ essenza

religione

infatti

alle forze della

spinge a trasfigurare in termini fantastici e

Giove, ad

simile alla propria, cioè le

poetici ogni cosa.

ma

di

mito,

rappresentazione di mentalità primitive,

Non quella

si

tratta

che vive nel

fantastica, e,

della

propria

insieme, religiosa

della realtà.

riche,

americani le popolazioni delle Ameche vivevano ancofa allo stato pri-

mitivo

al

7. gli

:

tempo

La forma umana es., era il

umanizzavano e pagana dava natura:

fulmine.

Immaginavano le coimmagine e somiglianza È questa una sorta di creazione (che dopo il V. distingue dal creare che è

11. dalla lor... cose:

Tal poesia... dei: scritta,

di

uomini primitivi, progenit^i dei popoli gentili o

personificavano.

poesia

suoi

aspetti di questi

do di concepire e vedere il mondo. L’ignoranza delle cause che determinano i fenomeni fa si che questi uomini provino davanti a ciascuno di essi uno stupore che li

6.

ai

del V.

se

fatte

(idea).

subito

a

loro

proprio di Dio), in quanto solo ora le cose emergono dall’ indistinto e acquistano una vita e un significato per 1’ uomo. 12. purissimo intendimento: nella sua infinita

e assoluta capacità intellettuale.

,

e

La cultura

la

italiana

prima metà del Settecento

nella

loro robusta ignoranza,

fantasia,

facevano in forza

il

perch’era corpolentissima,

e,

una corpolentissima

facevano con una maravie tanta che perturbava all’eccesso essi medesimi

gliosa sublimità, tal

che fingendo

d’

775

il

creavano, onde furon detti « poeti», che lo stesso in

le si

Che sono gli tre lavori che deve fare la poegrande, cioè di ritruovàre favole sublimi confacenti all’intendimento

greco suona che « criatori sia

popolaresco,^® e che perturbi all’eccesso, per conseguir

il fine, ch’élla si ha volgo a virtuosamente operare,^^ com’essi l’insegnarono a se medesimi; lo che or ora si mostrerà. E di questa natura di cose umane restò eterna proprietà,^"^ spiegata con nobil espressione da Tacito: che vanamente gli uomini spaventati afingunt simtd cre-

proposto, d’insegnar

duntque

Con

».^® tali

nature

quando

gentilesca

mondo

il

dovettero ritruovar

si

— -dugento

primi autori^® dell’umanità

i

anni dopo

diluvio per lo resto del

il

Mesopotamia (perché tanto

e cento nella

tempo v’abbisognò

di

per ridursi la terra nello stato che, disseccata dall’umidore deH’univer-

innondazione, mandasse esalazioni secche, o sieno materie

sale

neH’aria ad ingenerarvisi

fulmini)

i





cielo

il

ignite,

finalmente folgorò,

tuonò con folgori e tuoni spaventosissimi, come dovett’avvenire per introdursi nell’aria la prima volta un’impressione si violenta. Quivi pochi giganti che dovetter esser gli più robusti, ch’erano dispersi per gli boschi posti sull’alture de’ monti, siccome le fiere più robuste ivi hanno i loro covili, eglino,^ spaventati ed attoniti dal grand’effetto di che non sapevano

la

cagione, alzarono gli occhi ed avvertirono

corpolentissima fantasia; tale è perché rifugge dall’ astrazione

13.

tasia

propria dell’ intelletto, e dà

apparenza corporea e 14.

il

che è

concetti

ai

una

sensibile.

di

La sublimità va senso poetico. Le immagini fantaquesti uomini non rappresentano

immaginazione, ma una viva, che produce forti emozioni sul-

un capriccio realtà

l’animo;

è,

effettiva

di

dell’

potremmo

storia,

presa

mondo da

parte

dire,

poeta da vole verità

lui

E

per-

vagheggiato non costruisce

allegoriche

entro

quali

le

fa-

una

celare

razionale e morale scoperta dal suo

intelletto,

facevano... criatori:

intesa in stiche

fan-

la

cielo.^

il

ma

nuova, divina

crea e

una

spirituale

realtà

insieme umana, nella quale

egli stesso crede.

17.

E

di...

Questa esperienza

proprietà:

originaria è rimasta elemento fondamenta. della psicologia dell’uomo. 18. fingunt... creduntque;

immaginano

c,

dello spirito

insieme, credono. Credono, cioè, come i porti primitivi, ai fantasmi creati dalla loro stessa

sto

fantasia.

possesso

del

umano. Indirettamente, in quemito degli uomini primitivi, il V. definisce l’essenza profonda della grande poesia. La parola poeta viene dal verbo greco poièin che significa fare, creare e anche comporre poesia. 15.

intendimento popolaresco:

la

capacità

d’ intendere del p>op>olo. 16. d’insegnar...

progenitori. 19. primi autori: esalazioni ca20. o sieno... fulmini: ossia di propaci di provocare bagliori nel cielo e

durre cosi i fulmini. 21. per introdursi: per

il

fatto che

operare:

Il

V.

sembra

22. eglino:

Come

dascalica della poesia, secondo la quale essa

dovrebbe essere rivolta

come

alla

virtù.

la

In

tradizionale concezione di-

realtà,

intro-

spesso avviene nel

questo pronome è pleonastico; c primitivi a giganti », gli uomini

qui accettare

si

dusse.

a istruire e a

però,

la

educare

supera.

Il

esseri giganteschi. il cielo:

23. ed avvertirono

V..

riferito

ai

concepiti

Prima senttvann

Antologia della letteratura italiana

776

che in

caso

tal

umana

natura della mente

la

come

Teffetto la sua natura,^ era, in tale stato,

d’uomini

brontolando, spiegavano

le

porta ch’ella attribuisca

al-

è detto nelle Degnila^ e la natura loro

si

robuste forze di corpo, che, urlando,

tutti

loro violentissime passioni;

un gran corpo animato, che per tal primo dio delle genti dette « maggiori

esser

si

finsero

il

cielo

aspetto chiamarono Giove,

il

che col fischio de’ fulmini

e col fragore de’ tuoni volesse loro dir qualche cosa.

In

[...]

divina,^ re e

tal

guisa

i

primi poeti teologi

si

finsero la

prima favola

piu grande di quante mai se ne finsero appresso, cioè Giove,

la

padre degli uomini e degli

dèi,

ed in atto di fulminante;

si

po-

polare, perturbante e insegnativa,^ ch’essi stessi, che sei finsero, sei cre-

con ispaventose religioni

dettero, e

il

temettero,

il

riverirono e l’osser-

varono.

L’Arcadia Al cauto rinnovamento della cultura e primo Settecento, è intimamente legata V Arcadia, la nuova accademia letteraria anelante a ristabilire il « buon gusto » nella poesia. Fu fondata il 5 ottobre 1690 da un gruppo di letterati e uomini Carattere e scopi dell' Arcadia. nel

della letteratura italiana

di cultura che si riunivano nella casa della regina Cristina di Svezia e avevano continuato a incontrarsi anche dopo la morte di lei (1689); vi erano, fra costoro, quegli scrittori toscani del tardo Seicento dei quali già ci siamo occupati, il Redi, il Menzini, il Filicaia, il Magalotti, e inoltre il Guidi, il Lemene, il Maggi. Più importanti, fra i fondatori, furono Gian Vincenzo Gravina, giurista, filosofo e letterato che dettò le leggi del nuovo sodalizio nel latino antico delle Dodici Tavole (ma ben presto se ne staccò insoddisfatto, in quanto propugnava un classicismo più austero e radicale) e l’abate maceratese Giovan Mario Crescimbeni, che fu il primo custode generale, o presidente, dell’Accademia. L’Arcadia ebbe il suo centro in Roma, ma si diffuse in tutta l’ Italia, dando vita a numerose sezioni o colonie, e anno-

verò fra

i

non

suoi scrittori

principi e sovrani, uniti in nel

comune amore per

la

solo letterati,

una

ma

scienziati,

giuristi e persino

ideale uguaglianza davanti alla cultura e

poesia, che della cultura a loro appariva

il

vertice

supremo. senz’ avvertire; ora

«

avvertono con animo come dice il V.

perturbato e commosso », in una degnità. 24.

attribuisca...

natura:

attribuisca

alle

cose esterne la sua stessa natura. 25.

maggiori

26.

la

:

antichissime.

prima favola divina: È

intuizione

della

divinità,

di

la

prima

un superiore

ordine del mondo in relazione al quale sforzeranno di dare un ordine sociale e

si

ci-

celebreranno nozze lefonderanno la moralità, il diritto, l’ amministrazione della giustizia, le cerimonie del culto. Per questo i poeti sono detti teologi. rj. popolare... insegnativa: comune o vile

alla

gittime,

loro vita:

seppelliranno i loro mord,

universale,

atta

a turbarli,

loro timore e riverenza divinità,

nei

a imprimere in

confronti della

e a insegnare loro le

vita civile.

norme

della

La

cultura italiana nella prima metà del Settecento

111

L’Arcadia ebbe anche un complicato e un po’ ridevole cerimoniale.

nome deU’accademia

fu quello della mitica regione della Grecia antica si dissero i soci, che adottarono pseudonimi della poesia pastorale, loro emblema fu la zampogna di Pan coronata d’alIl

abitata dai poeti-pastori, pastori

Gesù bambino, nato

protettore

loro,

fra

e ormai consunta finzione bucolica,

tica

di un’evasione dalla realtà, proprio di

pastori.

i

Si perpetuava cosi

sogno di un ritorno

il

una

l’an-

alla natura,

società colta e raffinata, ormai

decrepita e artificiosa anche nel suo desiderio di schiettezza e di semplicità. I primi arcadi ripresero Tantimarinismo del Chiabrera, del Testi e di altri Seicento. Alle stravaganze,

letterati del

al

turgore,

immagi-

bizzarrie

alle

nose e verbali dei poeti barocchi contrapposero un ideale di poesia semplice, fondata su una ragionata naturalezza di sentimenti e d’espressione, ritrovata attraverso l’adesione ai modelli classici e a quello petrarchesco. fu,

dapprima,

il

poeta più imitato,

ma

modi

prattutto alle situazioni e ai

in seguito gli Arcadi

dell’antica poesia

si

idillica.

Il

Petrarca

volsero so-

Il

paesaggio

tipico della poesia arcadica, ripetuto fino alla monotonia, è quello cosi bene

sintetizzato

dal

Momigliano

dove una campagna

irreale...

languori e gorgheggi,

dramma, riempiono

come

«

:

e il

un mondo

musicale,

una coppia umana tenore e

idillico

e svenevole,

tutta sospiri e

moine

c

soprano di un duetto di melo-

il

tutta la scena della vita ».

limite più appariscente della poesia arcadica è proprio qui, nella sua ricerca di un rinnovamento non spirituale, ma soltanto formale e letterario. Il

Alla rettorica

meraviglia,

della

Arcadi opposero

la

grandioso

tronfio

e

compiaciuto,

un manierismo

gli le-

È

stato detto, per questo, che qualcosa dell’ingegnosità nell’Arcadia, non foss’altro quell’estenuazione della parola

zioso e sdolcinato.

barocca perdura

del

rettorica del tenue, del delicato, di

non certo ignota all’ancor ammirato Marino, e la ricerca di una poesia « spiritosa » e « arguta », non umanamente impegnata. Valore positivo dell Arcadia. Tuttavia, pur entro questi limiti, l’Arcadia ebbe una sua funzióne positiva non trascurabile, anche a prescindere dalla nuova e più seria cultura che intorno ad essa si sviluppò e che abbiamo già esaminato. Nei confronti del barocco deteriore essa rappresentò 1 esigenza indi una poesia che esprimesse sentimenti più intimi, che fosse di nuovo in sonorità orecchiabile c cantabile,

centrata

sull’

il

avevano umanità schietta, di espressione limpida e non

nisti

di

ritorno ai classici, che i Marilezione ostentatamente e superficialmente rinnegato, alla loro

uomo. Fondamentale fu poi

artefatta,

che, alla fine,

i. primi tempi, finirà per prevalere sulle smancerie pseudo-pastora C con poetica tradizione L’Arcadia intese contemperare la nostra

passati

i

c nuove tendenze razionalistiche del pensiero europeo, col suo idea ragione, della presenza una poesia che fosse un sogno, come si disse, fatto in cr ma pur sempre un sogno, col suo fascino di gentilezza e di grazia, c c melodrammi questo le canzonette per musica dei nostri Arcadi e i Il vagheggiamento l’Europa. tutia per tastasio compirono un giro trionfale i

artefatte e ritorno alla natura, spogliato delle sue grazie seconda meta nella esprimerà, zate, proprio di una società aristocratica,

stesso di

un

dimensione secolo, r ideale di una società nuova e di una nuova

uma

e

Antologia della letteratura italiana

77 »

AU’Arcadia sono legati quasi tutti i nostri poeti del Settecento, anche che pur fu tanto lontano dalle svenevoli pastorellerie, anche quelli che furono intimamente partecipi dei nuovi ideali illuministici. Noi ora presenteremo però quelli piu vicini agli ideali e al gusto propriamente arcadico, da Giambattista Zappi a Paolo Rolli a Ludovico Savioli a Giovanni Meli l’Alfieri,

e Pietro Metastasio.

Giambattista Felice Zappi

Nacque *ad Imola nel 1667 e fu celebre avvocato e letterato famoso, poeta c declamatore. Sposò nel 1705 Faustina Maratti, che aveva conosciuto nelle tornate accademiche àtW Arcadia^ di cui era stato, nel 1690, uno dei quattordici fondatori. Scrisse

primo tomo

delle

Rime

numerosi componimenti che furono pubblicati nel degli Arcadi.

Inzuccheratissimo »

Mori nel

1719.

e, mettendolo in caricatura indubbiamente, la sua poesia abbonda di vézzi e leziosaggini, si da essere come il prototipo delle smancerose « pastorellerie » arcadiche. Vi avverti i modelli letterari della prima Arcadia: la poesia madrigalesca e per musica del Seicento (Chiabrera, Lemene, i classici latini e greci, Ovidio, soprattutto, e i poeti bucolici) e un vago, estenuato petrarchismo. Il migliore Zappi rappresenta con grazia tenue e maliziosa, anche se manierata, la commedia

«

lo

definì

il

Baretti,

:

dell’amore, vista nei suoi aspetti quotidiani, risolta in forme cantabili e in

melodrammatiche.

scenette

Per

seguiamo: Urici del Seicento e dell'Arcadia, a cura di C. Calcaterra,

testi,

i

cit.

In quell’età ch’io misurar solea

È uno

dei sonetti, pili aggraziali e misurati dello Zappi, uno, anche, dei

La prima quartina

svenevoli.

ma

pastorale;

poi

il

è chiaramente derivata dai

sonetto s’avviva, coglie la

modi

meno

dell’antica poesia

commedia quotidiana deH’amore,

melodrammatica. Di questa commedia la conclusione ripropone una delle situazioni antiche e sempre nuove, sorridente e, al tempo stesso, vagamente malinconica. tende

ai

modi

della rappresentazione

teatrale

In quell’età eh’ io misurar solea

me i’

col mio capro e amavo Glori, che

il

capro era maggiore,

’nsin

maraviglia e non donna a

Metro: sonetto (schema:

ABBA, ABBA,

CDC, DCD). 1-2. In quell’età...

ciullo era

il

poeta,

maggiore: Ancora fan-

quando

sorse in lui quel

da quell’ore

me

parea.

tenero sentimento d’amore. Il particolare del capro col quale si misurava spesso, nel suo infantile desiderio di crescere, ci riconduce alla tipica atmosfera arcadica e pastorale. 3. da queir ore: da quel tempo.

La cultura

italiana

nella

Un

di le dissi:

poiché tanto

ed



prima metà del Settecento

un

ella





Io t’amo,

e

779

disse

’l

il

®

core,

lingua non sapea;

la

mi

bacio diemmi, e

Pargoletto, ah

non

Ella d’altri s’accese, altri di io poi giunsi all’età

dicea:

che cosa è amore!

sai



lei;

ch’uom s’innamora,

l’età degl’infelici affanni miei.

Glori or

non io

mi

mi

sprezza, io l’amo insin d’allora:

questo

il

«Oh,

parca miglior

TI

commento

è

cari quei suoi smascolinati sonettini, pargoletti piccinini,

La

pieni d’Amorini! »

sfocia

mi

peggiore Zappi, lezioso e smanceroso.

quello del Baretti: tutti

costei,

ricordo di quel bacio ancora.

Sognai sul far delPalba, e

È

mio amor

ricorda del

si

ricerca

di

sentimenti

spontanei,

qui in un deteriore sentimentalismo, svenevole e

Sognai sul far

mi

dell’alba, e

semplici,

primitivi,

falso.

parea

ch’io era trasformato in cagnoletto.

Sognai ch’ai collo un vago laccio avea, e una striscia di neve in 8.

Era

un

in

Glori, di



petto.

al

Ninfe in un bel coro eletto: me prendea diletto;

io d’ella, ella di

dicea:

mezzo

ove sedea

praticello,

Seguia:



Gorri, Lesbino



Dove

ed

io correa.

ove sen gio

lasciasti,



Tirsi mio, Tirsi tuo? che fa, che fai?

— Son

Io già latrando e volea dir:



io.

M’accolse in grembo, in due pi^di m'alzai, inchinò

il

quando

volea baciarmi, io

suo bel labbro

5'6. e M disse... sapea: Il cuore disse « io t’amo », perché la lingua non avrebbe saputo formulare questa confessione. Pargoletto... amore: C’ è qui un sor-

al

labbro mio:

mi

svegliai.

CDC, DCD). 6.

coro eletto:

9.

Seguia:

scelta

schiera. ^

diceva

poi.

gio;

sen

n è

se

un sospiro. Anche le parole dori hanno una grazia esile e suggestiva.

andato.

anora: Quel bacio avuto da fanciullo non è un ricordo d’amore, ma è il ricordo dclPamore, di una prima esperienza

assunto

fai), stanca quei parallelismi {mio, tuo. fa. « arguzie » secentee svenevole ripresa di

incancellabile.

sche,

riso,

di

e insieme

14. io...

In

10. Tirsi: il

Arcadia,

nome

ricerca

di

di

Tirsi

lo

Zappi

Leucasio.

una semplicità

falsa

nale.

Metro: sonetto (schema:

AB AB, ABBA,

12. in

due

piedi

:

su due zampe.

avevn

Nota

e

ba-

,

Antologia della letteratura italiana

780

Paolo Rolli Insieme col Metastasio, fu

Nato

Roma

a

il

piu dotato fra

i

della

lirici

prima Arcadia.

nel 1687, fu scolaro del Gravina. Visse molti anni (1715-1744)

a Londra, dove fu maestro d’italiano presso la famiglia reale; tornato poi in Italia,

visse gli

ultimi anni a Todi, dove mori nel

traduttore, oltre che poeta originale:

Dante e

diffusero in tutta elegie e

nel

e

ad

altri

le

Fu

critico e

fu celebre, ai suoi

sue canzonette^ che musicate, cantate, imitate,

si

Europa; egli le raccolse, insieme agli endecasillabi alle componimenti, nelle Ritney pubblicate nel 1717 e ancora

*27.

Le

il

ma

Tasso dalle aspre censure del Voltaire,

il

tempi, soprattutto per

1765.

tradusse Milton, Shakespeare, e difese

danno un’imrrkagine viva del suo tempo, che, dice compiacque di vedersi specchiato nel suo vivere quotidiano insieme raggentilito e abbellito quasi in un nitido vetro entro una cornice poesie del Rolli ci

Fubini, «

dorata

».

Si

damine

le

si

muovono

in esse,

come

in

un

agile ritmo festoso di minuetto,

settecentesche, nelle loro acconciature preziose, nella loro grazia

civettuola e delicata, circondate

daU’ammirazione sospirosa dei

cavalieri

con

parrucca e spadino. Intorno a loro gravita tutta una vita gaia ed elegante: i vagheggiamenti, il passeggio lungo il corso e i cocchi doamori e le gioie del convito; oppure il praticello, il giardinetto ben pettinato e i duetti canori della finzione pastorale, anch’essa pervasa

gli

incontri,

rati,

i

teneri

galanteria. Non troviamo, in questa poesia, prosentimento o ardore di passioni: essa è lo specchio di una società raffinata e gaudente, dotata di una sensibilità acuta, ma composta nei gesti e nell’animo, rivolta a un piacere aristocratico, a vagheggiare, di sorridente e maliziosa

fondità di

nelle feste galanti

come

nella finzione pastorale,

un mondo gentile di sogno, di buon gusto.

sempre però moderato da una luce di razionalità e Per

i

testi,

seguiamo: Urici del Seicento e dell’Arcadia, a cura

Solitario bosco

Fu

di C. Calcaterra,

cit.

ombroso

Goethe fanmadre. L’argomento ricalca situazioni petrarchesche (solitudine e fantasie struggenti d’amore, il poeta che morrà di passione, la donna sulla sua tomba: pensa a Chiare, fresche e dolci acque), ma senza quella profondità di introspezione: qui il sentimento si stempera e trova conforto nel tenero, aggraziato languore, come sempre nella poesia àe\V Arcadia. Si direbbe che il motivo centrale sia il vagheggiamento del proprio morbido e sospiroso sentire. forse questa (ed è tuttora) la più celebre canzonetta del Rolli:

ciullo la sentiva cantare dalla

Solitario bosco

ombroso,

a te viene afflitto cor, Metro: canzonetta composta di otto quarLo schema della quartina

tine di ottonari.

è abab\ ni,

il

il

primo

secondo

e

il

il terzo verso sono piaquarto sdruccioli. Ne de-

e

La cultura

nella

italiana

prima metà del Settecento

7H1

per trovar qualche riposo fra

i

silenzi in quest’orror:

ogni oggetto ch’altrui piace,

me

per

più non è:

lieto

ho perduta

mia

la

pace,

son io stesso in odio a me.

La mia dite,

Ahi!

Fille,

il

mio

bel foco,

o piante, è forse qui? la

cerco in ogni loco;

e pur so ch’ella parti.

Quante

volte,

o fronde

grate,

vostr’ombra ne copri!

la

Corso d’ore si beate quantp rapido fuggi! Dite almeno, amiche fronde, se

il

mio ben più rivedrò: mi risponde,

ah! che l’eco

mi par che dica no. Sento un dolce mormorio: un sospir forse sarà; un sospir dell’ idol mio, che mi dice: tornerà. e

Aii!

eh’ è

il

tra quei sassi

il

suon del rio, che frange fresco umor,

non mormora ma piange mio dolor. Ma, se torna, vano e tardo ritorno, oh Dei! sarà;

e

per pietà del

il

ché pietoso su

un ritmo

riva

di

’l

il

dolce sguardo

mio cener

piangerà.

canto tenero e abbando-

vocare l’amata su quello sfondo 12. e

nato.

L’orrore è qui

quest’orror:

in

4.

bosco,

del

Tergersi

delle

immote o mosse dal vento, l’ombra

la

so-

fronde deser-

il

9.

mio

arcadica,

rivano

.

. .

foco

:

È

consueta metafora

donna defiamme amorose che ardono il

per indicare che dalla

le

o piante, ecc.

:

La cosa migliore

poesia è questo lucido vaneggiamento del poeta, il suo colloquio con le cose

della

mute, re,

di

il

trasalire

ruscello

:

All’oblioso

solitario.

illudersi

cuore,

perché lezzo per effondere la,

la

piena dolce c deli-

sentimento. difendevano dai ne- ci. Le fronde li loro coni cocenti del sole, durante

o

14 aggi

del di

cuore ad ogni rumofronda,

che

sembra

.

egni d’amore. 2atia

carezzevole

risoluto?

38. pugnasti: combattesti, gareggiasti. 46-47. vivo... appieno: vivo nel suo cuore e se egli

di lasciarmi...

risoluto.

ella

la

del do-

l’onore de-

concezione

ad accogliere con sim-

decisa a

le voci del

sottometterle

sentimento,

ma

impero della raNon cercano, dun-

all’

gione e della « dignità ». que, i p>ersonaggi una soluzione romantic.a ed eroica, ma stemperano il dramma in elegia, in teneri e dolci sospiri.

Una sola 54-56. Un solo... distrugge: espressione di teneri affetti da parte di Aristea distrugge gli sforzi

per seguire

la

che Mègacle compie

legge dell’ onore.

Antologia della letteratura italiana

7p8

Megacle.

Questo (morir mi

sento),

questo è l’ultimo addio. Aristea.

L’ultimo!

Numi!

Soccorretemi, o

freddo sudor mi bagna

60

parmi

volto; e

il

man m’opprima

ch’una gelida

Ingrato...

pie vacilla:

Il

core!

il

{S’appoggia ad un

Megacle.

Sento che

mancando

meno ne

mio

il

tronco').

valore

Piu che a partir dimoro,

va.

65

son capace.

Ardir. Vado, Aristea: rimanti in pace. Aristea.

Come!

m’abbandoni?

già

È

Megacle. separarsi

una

o cara.

forza,

volta.

E

Aristea.

parti...

E

Megacle.

parto

per non tornar piu mai. (/« atto di partire).

Aristea.

Senti.

Ah,

Dove

no...

vai?

A

Megacle.

spirar,

mio

70

tesoro,

lungi dagli occhi tuoi.

{Megacle parte moro.

Aristea.

Soccorso...

Megacle.

Misero me, che veggo!

io...

risoluto, poi si ferma).

{Sviene sopra un sasso).

Ah,

l’oppresse

bella Aristea,

Megacle

il

dolor!

non

è qui.

Che

parlo? Ella

Che

risolvo?

{Rivolgendosi indietro)

Cara mia speme,

avvilirti;

Non

ascolta

{tornando)

:

partirò. Sarai...

non m’ode. Avete, o stelle, piu sventure per me? No, questa sola mi restava a provar. Chi mi consiglia?

Che

fo? Partir? Sarebbe

Che giova?

crudeltà, tirannia. Restar?

Forse ad esserle sposo?

E

e l’amico tradito, e la

mia

mio

e l’onor

’l

lo soffrirebbe?

re

ingannato,

fede,

Almeno

Ah, che sarem di nuovo a quest’orrido passo! Ora è pietade Tesser crudele. Addio, mia vita; addio. partiam piu

66,

Ardir: Coraggio!

volta a se stesso,

tardi.

L’ esortazione è rimanti: rimani(ti).

77. Avete, o stelle, ecc.

:

ri-

Tipicamente me-

lodrammatico questo ti

culminanti,

ai

l’avverso destino.

rivolgersi, nei

Numi

o

momen-

alle stelle, cioè al-

La cultura

nella

italiana

prima metà del Settecento

prende

{le

la

799

mano

e la bacia)

mia perduta speranza. Il ctel ti renda piu felice di me. Deh! conservate questa bell’opra vostra, eterni Dei; e

di, ch’io

i

Licidal...

perderò, donate a

Dov’è

lei.

Licida! {Verso la scena).

mai.^^

SCENA X Licida e detti Intese

Licida. tutto Aristea?

Megacle.

Tutto. T’affretta, o prence; soccorri

h

tua sposa. {In atto di partire).

Ahimè! che miro!

Licida.

Che

fu?

Megacle. le

{A Megacle) Doglia improvvisa sensi. {Partendo come sopra) i

oppresse

E

Licida.

tu

mi

lasci?

Megacle.

Io vado...

{Tornando indietro) Deh, pensa ad Aristea. {Partendo) (Che dirà mai quando in sé tornerà! {Si ferma) Tutte ho presenti, tutte le smanie sue). Licida, ah! senti.

— —

Se cerca,

se dice:

— — —

L’amico dov’è? L’amico infelice,

rispondi,



mori.

Ah! no, SI gran duolo non darle per me :

rispondi,

ma

— Piangendo Che lasciare

loo-iii.

due scene,

parti.

il

suo bene, sempre,

cosi!

{Parte).

In questa arietta, culminano le

stempera in un canto tenero e abbandonato, caratterizzato da quel dolce fluttuare di sentimenti che è proprio del M. migliore. È una situae la loro tensione

si



abisso di pene

lasciarlo per

lasciarlo

solo:

zione psicologica che sembra ricercare 1 indefinito della musica come suo naturale compimento. Le ariette venivano cantate, ma questa ha una sua musica intima e auto-

noma anche

se

non viene

rivestita di note.

Antologia della letteratura italiana

8oo

deirArcadia del secondo Settecento

Lirici

Nella seconda metà del Settecento

vando

il

suo carattere

poesia dcH’Arcadia,

la

stilizzato, accoglie

nuove forme

pur conser-

di cultura e di sen-

Mettendo sempre più da parte la finzione pastorale, il gusto dei rivolge soprattutto in due direzioni, quella neoclassica e quella preromantica, a volte più o meno consapevolmente fuse nella stessa persona. L’Arcadia neoclassica prese l’avvio dagli scavi di Ercolano (1738-1765), che avevano messo in luce antiche pitture greco-romane raffinate e leggiadre, non lontane dal gusto settecentesco. Fu questo l’incentivo a concepire l’immagine di un classicismo ornamentale, in cui la mitologia diveniva puro sibilità.

poeti

si

pretesto a figurazioni

soffuse

di

una

limpida grazia, come un pannello deco-

compostezza la vita quomaniera furono le poesie di Ludovico Savioli, nelle quali all’elemento musicale della prima Arcadia si aggiunge il gusto di nitide immagini pittoriche. Questo poeta eserciterà una certa suggestione su un gruppo di lirici emiliani e sullo

rativo inteso a nobilitare in

tidiana delle classi aristocratiche.

luce di elegante

Esempio

tipico di questa

stesso Parini.

Verso un’Arcadia preromantica, più intimamente sentimentale e sognanorienteranno, con modi e sensibilità diverse, Jacopo Vittorelli, Aurelio de’ Giorgi Bertola, Giovanni Meli ed altri. Essi sentirono l’ideale arcadico fuori del cerimoniale raffinato e vagamente malizioso dei primi arcadi, come nostalgia di un vero ritorno alla natura e vagheggiarono la campagna come un rifugio, uno sfondo di natura bella e, insieme, primitiva, dove meglio te,

si

effondere

un

loro

mondo

di sentimenti schietti.

Ludovico Savioli Il

libro più celebre del Savioli, bolognese (1729-1804) fu gli

Amori

(pub-

1758 e, di nuovo, ampliato, nel 1765), un canzoniere amoroso composto di ventiquattro canzonette. In esso il rituale raffinato e mondano della vita elegante del secolo (avventure galanti, i salotti, il teatro, le danze,

blicato nel

il

passeggio, la villeggiatura), messa da parte la finzione pastorale, « prefeun tenue velo di grazie classicheggianti e riflettersi trasfi-

risce avvolgersi in

gurato nella serena gentilezza delle rievocazioni mitologiche » (Sapegno). Anche dove la mitologia manca ne rimane come il sentore: quell’eleganza armoniosa che allontana la scena quotidiana dalla realtà, le dà la forma di

un mito

aristocratico

Un mondo

ed elegante, un senso

di classica compostezza.

poetico tenue, gracile, quello del Savioli,

come puoi vedere

dove la mitologia è, come ha detto il Momigliano, una mitologia per le dame, leggiadra e ridotta a un complimento galante. Ma vedi anche come, nelle fluide quartine, la realtà di un incontro durante il passeggio sfumi in una tenera grazia. dalla poesia che riportiamo,

La cultura

italiana

nella

prima metà del Settecento

passeggio

Il

orma profonda

Già già sentendo all’aurec mano,

correan d’ Apollo

Me

®

passi incerti trassero

i

conduce

Pili

Romolo

alla città di

Dall’una parte

gli arbori

Tal

La

guardi e l’animo,

i

i

l’avvicinar d’un cocchio,

mi

a



cupid’occhio.

il

Sui pie’ m’arresto immobile; il

Metro; quartine

non rimati mati

secondo

il

e

il

sdruccioli c

settenari,

di

primo

il

e

piani e

terzo'

il

che s’adornò d’un facile

ri-

dotta

La poesia

si

una nitida immagine mitologica dio che guida glie

suoi

ai

il

:

apre con Apollo, il

carro solare, allenta

cavalli,

i

le bri-

quali corrono

verso

l'oceano. Siamo, cioè, al tramonto. 6.

altrui

donna

cammino:

la

Firenze

Romolo,

e,

È

via

la

che conduce da Bologna verso quindi, verso Roma {la citta di

V. 7).

9-12. Dall’una...

ingombra;

1’

la

le

diffìcile

cupid’ occhio

:

dei

ispiratrice

italiani,

pagine del

suoi libro,

arte.

bramoso

di

vedere

amata. 25-28. Sola... dea: I drappi serici sono i all’ interno del cocchio. Ma

cuscini di seta,

soprattutto osserva come, prima ancora che

poeta rievochi immagini d’ antichi miti, quella figura di donna, con la luminosa bel-

il

strada che altri (la

nel suo cocchio) percorrerà.

Saragozza

versi

che insegnano

quarto {abcb).

Già... oceano:

in

Amori. Maestre chiama 20.

1-4.

e inchi nomi

quel leggiadro viso,

Amor, di tua vittoria come vorrei lagnarmi

densa polvere

la

^

docili cavalli.

conquistator sorriso.

cocchio aureo trapassa,

che per

lucidi

i

cristalli:

Tosto m’appresso

addietro volgere

fece

ampi

l’auriga intende; e posano

quando improvviso scossemi e ratto

^

tolsero

le

bella intanto

percote

maestre carte;

sulle

Adon

denti d’ingorda fera.

scorrea difficil arte,

pascendo

^

Venere

sul suo carro

da poi che

gran padre Ovidio,

tua,

volto amabile,

forse scorrea Citerà,

per lungo tratto ingombra.

La

il

sen parere

l’opposte vesti nere.

devoto portico

l’altra

il

fean pel color contrario

piano suol fann’ombra,

al

bello

piu bello

pellegrino.

il

^

con maestà sedea tal che in quel punto apparvemi men donna assai, che dea.

cammino,

pel noto altrui

che

fervidi

i

all’oceano.

cavalli

lassa.

Sola sui drappi serici

briglie allentar la

e

8oi

Da una

par-

lezza del suo sorriso, assuma spontaneamente l’aspetto

d’una gioiosa divinità,

sia,

cioè,

innalzata oltre la sfera del quotidiano. che con32. 1’ opposte... nere; le vesti nere, trastando col candore del seno e del viso, lo

te della strada

rendevano piu luminoso

chiama devoto).

Venere go33-36. Venere... Citerà, ecc. il deva di speciale culto a Citerà. Adone è cingiovinetto da lei amato e ucciso da un

v’erano alti alberi; dall’altra il lungo porticato che conduce al santuario della Madonna di San Luca (per questo lo 13-14.

La tua...

arte:

Passeggiando,

il

poeta leggeva VArte d’amare {Ars amandi) di Ovidio,

poeta erotico latino, da

lui

tra-

e bello. :

geiosia. ghiale aizzatogli contro da Marte per di ventaglio. 3&. ocrcote; con un colpo

h' auriga è

il

cocchiere.

8o2

Antologia della letteratura italiana

Chi mai dovea

per lor bianchezza

resistere,

potendo, a tue bell’armi?

man

destra

Giove

baci miei

SI

fatte in

dt

®

Caria

Endimion stringea quando dal carro argenteo Diana a lui scendea.

stese.

si

cure pieno,

di

forse

cortese,

che mossa dalle Grazie a’

seno,

il

ove fissando allegrasi

In noi t’accrebbe imperio la

l

Risvegliator di zefiri

ventaglio avea la manca,

e

di

zìi

Quei

vaghi’ occhi

cerulei fi

onde

movea

solea percotere

lenti or rapidi

le

dolci note al core.

Come

arte apparia maestra;

quel ch’a

dell’Anglia

potrei ripetere

me

udir fu dato?

Dal novo foco

COSI le belle addestra.

O

f

scendevano

sei

Ne’ moti or lo Spettator

Amore;

frattanto

rette per lui

lieve la gota bianca.

man, che d’Ebe uguagliano

troppo era

il

insolito

cor turbato. Dai

N(

Giovanni Meli d'i

medico palermitano Giovanni Meli (1740-1815) l’Arcadia non fu elegante, ma intima vocazione. Nelle forme deU’idillio pastorale egli espresse un’autentica nostalgia per una vita semplice, vissuta in serena comunione con la natura. Il Meli accoglieva cosi il nuovo mito del ritorno alla natura e alla schiettezza del sentire che Gian Giacomo Rousseau andava allora diffondendo in Europa, invitando gli uomini a ritrovare una sponPer

il

un giuoco

,sti

ri

F:

taneità e innocenza primordiali.

L’Arcadia diventa dunque nel Meli il rimpianto di una radiosa nezza del mondo, di una. felicità perduta e pur sempre desiderata. Nel

giovidì

silen-

zio e nella pace della campagna l’anima si ritrova, la vita riprende a fluire limpida e armoniosa. Un nuovo empito sentimentale, una tenerezza strug-

un

gente,

libero espandersi d’affetti ravviva^ nella sua poesia, gli stilizzati

paesaggi d’Arcadia:

l’idillio

classico

rifiorisce,

si

anima

di

Quest’abbandono a una natura ritrovata pienamente, nel Meli, con la sua opera di illuminista, di piena e convinta. cultura che, negli

novamento

e nella vita,

scritti

società

della

potendo: anche

se

La

ne fosse stato ca-

che

si

di lui

mano

di

lei,

offerse al bacio del poeta, accrebbe su il

61-68.

dominio

d’ Amore.

O

ecc.

man,

sono paragonate, per di

bella

Ebe (dea

della

:

il

Le mani

della

donna

loro candore, al seno

giovinezza),

fissando

si

armonizza

uomo

cioè

di

e

mediante l’attuazione di una

e sociale.

pace. 49-52. In noi, ecc.:

una adesione

il

lu'

l’ìi

tui

partecipò al diffuso desiderio di rin-

mediante riforme

campo economico

vera giustizia nel

48.

tui

dii

ac(

quale Giove stesso dimentica ogni affanno e a quelle di Diana (dea della luna) quando discendeva dal cocchio lunare, di colore argenteo e le porgeva, nella Caria, al pastore Endimione di cui era innamorata. 71-72. rette... core: per merito d’Amore, le parole della donna scendevano dritte al cuore del poeta.

.

La

cultura italiana nella prima metà del Settecento

Ricordiamo, a questo proposito, fra

suoi

i

803

scritti, le Riflessioni sullo stato

Regno

di Sicilia intorno all agricoltura e alla pastorizia, in cui descrive, con accenti fieramente polemici, la misera vita dei contadini e dei

presente del

pastori siciliani,

®

poemetto incompiuto, in

il

c quello, in dialetto siciliano.

La

Don

italiano. Il trionfo della ragione,

Chisciotti e Sanciu Panza.

Meli è tutta scritta in dialetto siciliano {Buccolica, AnacreonQuesto però non significa che sia popolare neirintonazione e nel linguaggio. È, il suo,-un dialetto assurto a lingua letteraria, nobile e illustre, che unisce in un impasto personale e originalissimo le raffinate suglirica del

tiche e canzunetti).

n

gestioni della poesia e dello stile arcadico

con vivide

e

fresche espressioni

sentimentali.

Dameta

^

canta (Sti silenzi, sta virdura)

schietta e abbandonata alla bellezza della Su questo sfondo l’amore diventa sentimento primitivo e innocente.

Senti in quest'idillio un’adesione

natura.

Non

quella

è,

d’Arcadia,

ma

Meli,

del

l’evasione

nel

gracile

e

mondo

stilizzato

ritrovamento di un’intima comunione con

il

le

letterario

cose.

[u

le

Sti silenzi,

la

muntagni,

10

sti

'a

rha

a-

pri

e

sta virdura,

criatu la natura

li

arrobba

li

suspiri. li

porti

soi

apri tutti a lu dilettu

:

sulu è indigno di sta sorti

cori innamurati.

li

Li susurru di

ci

Ccà l’armuzza

vallati

sti

frunni,

cui

non chiudi amuri

in pettu;

^

I

lamentu,

sulu, è reu cui

l’ecu chi rispunni,

duru e immobili

di lu sciumi lu '

^

l’aria,

ma

tuttu spira sentimentu.

Dda lu

farfalla accussi

muggitu

di

li

lu stissu

pò guardari sta scena;

nun amari

è delittu insemi e pena.

vaga,

Donna

tori,

amuri

bella senza

^

l’innocenza chi vi appaga,

è

na rosa

fatta in eira,

^

tutti

parranu a lu

senza vezzi, senza uduri,

cori.

jj

nun vegeta né spira... Dimmi, forsi fa paura

Stu frischettu insinuanti chiudi

un gruppo

chi

di piaciri,

12

accarizza l’alma amanti

Metro: Quartine di ottonari a rima e

lo

nata {ahab). Riportiamo solo in parte to

di

dopo

alteril

can-

Dameta: omettiamo alcune quartine il

V.

28 e tutta

1



ultima parte.

c

li

II.

1-8. I primi 8 versi evocano il paesaggio pervaso d’ un’ intima vita, di una voce, si direbbe, che parla immediatamente al cuore

l’innocenza:

È

la

parola-chiave

componimento: innocenza

è

questa

del

imme-

tura, alle loro gioie semplici e native, quali

r incanto d’

del poeta.

**

a lu cori to severu

della

campagna

e

la

dolcezza

amore. 29.

Dimmi,

ancora ritrosa d’ amore.

ecc.: Si rivolge alla fanciulla, ad abbandonarsi alla gioia

H04

Antologia della letteratura italiana

un afTettu di natura, un amori finu e veru? Ah, mia cara pasturedda,

la

dei giusti ed immortali

11

si

chi

fattu

li

Mugghia

lu celu fa scappar!

strinci a

e

creati la natura



il

mormorio

sponde

— tutto

— per

flebile

ispira

i

si

— queste

Questi silenzi, questo verde



so dispettu

l’aria, e a li

^

capanni

l’amatu oggettu

scorda di l’affanni...

montagne, queste

cuori innamorati.



Il



cime degli alberi

delle

piaciri

di

miseri di la vita.

lu pasturi a

e ch’avviva pri viaggiu

ha

Iddu dona a li suspiri ducizza chiù esquisita,

ed aspergi

bedda l’amuri fussi un mali? È l’amuri un puru raggiu

t’avvirrianu

^

luna, terra e mari.

sull,

vallate



li:

l’eco

l’aria,

sentimento (di commozione, d’incanto).

che

ri-

— Quella

— l’innocenza che dà un cuore. — Questa frescura carezzevole — racchiude un insieme piaceri — accarezza l’anima innamorata — — Qua l’anima ruba emettere dolci — solo è (animuccia) suo intimo — apre completamente indegno di questa sorte — chi non chiude nel suo petto amore; — solo è reo chi può guardare — duro e senza commozione questa scena; — ma lo non amare — è insieme delitto pena. — Una donna bella senza amore — una rosa cera — non ha bellezza né protuo fumo — non vegeta né respira. — Dimmi, forse paura — cuore severo — un conforme a natura — un amore profondo vero? — Ah, mia cara pastorella, — dei giusti e immor— t’avrebbero fatto bella — l’amore fosse un male? — È l’amore — e avviva nel loro cammuovere un puro raggio — che — dolcezza mino — luna, terra mare. — Esso dona — Mugghia piu squisita — asperge di piacere — miserie della pastore nella sua capanna — stringe a a suo dispetto — scorda d’ogni affanno. persona amata — e farfalla cosi



vaga

senso di pace



il

tutti

muggito dei parlano

vi

tori

al

di

e le

i

sospiri (le fa

1

al diletto:

stesso

e

e

è

fatta di

fa

al

affetto cosi

e

gli

se

tali

fa

il

cielo

ai sospiri

e

sole,

e

le

l’aria, e

la

vita.



il

la

si

33-36. Ah... mali:

seguenti,

[

;

sospiri).

il

quartine

I

sussurro delle fronde

Anche

qui,

come

nelle

l’amore è rappresentato

come sentimento naturale e innocente.

e

quindi schietto

'

i

\

L’ Illuminismo

L’Illuminismo europeo

Caratteri

deW Illuminismo. Verso

piena maturazione e

che permeò di

si

la

metà del

diffuse in tutta l’Europa

Settecento, giunse alla sua

un nuovo movimento

spi-

ogni aspetto della vita e della cultura, rilluminismo. La nuova ideologia i cui centri d’irradiazione furono prima Tlnghilterra e i Paesi Bassi, poi la Francia, si sviluppò, a partire dal sec. XVII, dal razionalismo cartesiano e dal nuovo pensiero scientifico, e non rimase limitata alla meditazione di un numero ristretto di filosofi, ma anelò a diffondersi rituale,

se

fra vasti strati della popolazione, a ispirare e dirigere

ad

essere, cioè,

una forza

tare la luce della verità

un moto

reale di trasformazione e di progresso

(donde

la

:

di riforme, volle ripor-

parola Illuminismo) dove prima erano

le

tenebre dell’ignoranza e dell’errore.

Carattere fondamentale deirilluminismo fu la fede assoluta nella ragioncy concepita i

come sempre uguale

tempi, in tutti

i

e immutabile in tutti gli uomini, in tutti

popoli, unico elemento stabile di certezza di là dal variare

epoche e delle opinioni. Essa divenne l’unico criterio di verità, supcogni autorità c a ogni rivelazione. Gli illuministi rinunciarono, infatti, energicamente a ogni problema teologico c metafisico. Tutto ciò che è fuori della nostra esperienza sensibile era, secondo loro, precluso alla nostra conoscenza. Non volevano, quindi, ricercare le ragioni ultime della realtà, ma i modi del suo svolgimento, le leggi che presiedono alla vita del mondo fisico c del mondo morale, della natura delle

riore a

c della storia dell’uomo.

Con

questo loro atteggiamento,

sulla loro mentalità

aveva esercitato

essi il

rivelavano l’influsso profondo che scientifico, da Galileo

nuovo pensiero

soprattutto, formulando la legge della gravitazione unisembrava aver squarciato le tenebre da cui l’uomo era stato fino a quel momento avvolto « per rivelare la norma universale e immutabile, da cui sono rette tutte le cose, senza eccezione, nella terra c nei cicli » (Chabod). Il grande ideale illuministico era ora quello di trasportare il metodo matematico c scientifico in tutti i campi dello scibile, compreso lo studio dell’uomo c della sua vita. al

Newton. Questi

versale,

Antologia della letteratura italiana

So6

È

evidente, neiriUuminismo,

trabile,

ad

es.,

la letteratura),

una

tendenza materialistica, risconcome vedremo, anche

forte

nel Sensismo (una filosofìa che interessa,

che riduceva a un vario aggregarsi di sensazioni tutta

È

spirituale dell’uomo.

chiaro,

comunque, che

il

la vita

rifiuto della metafisica e di

ogni rivelazione, Tesaltazione assoluta della ragione individuale e della filosofia dovevano necessariamente condurre gli illuministi a una lotta a fondo contro

la

Chiesa, che essi affrontarono con violenza, accusando la religione di

fanatismo, irrazionalismo, superstizione. Al piu, essi accettavano una religione naturale,

conforme a ragione, che prese il nome Dio con l’ordine supremo della natura.

di

Deismo^ e tendeva a

identificare

Allo stesso

modo

vollero fondare criticamente

un

« diritto naturale »,

una

« morale naturale », conformi, cioè, alla vera natura dell’uomo e capaci di assicurargli l’utile e la felicità, stabilendo su nuove basi le forme di convi-

venza umana.

È

proprio qui che Tllluminismo assunse

e rivoluzionario. Esso

accorse che

si

le

il

suo tipico carattere riformistico

leggi e le istituzioni tradizionali, che

pure erano opera dell’uomo, non gli assicuravano la felicità, ma garantivano i privilegi ingiusti di pochi (re, nobili, clero) e la schiavitù, la miseria, l’ignoranza del popolo. Nacque allora un serrato processo al passato, alla storia, vista come un susseguirsi di errori, di violenze, di oppressione. Alcuni

uomini o

classi,

superstizione,

il

lasciando

il

popolo nell’ignoranza, diffondendo in esso avevano fondato

terrore dell’inferno e della loro potenza,

presente, tirannica disuguaglianza sociale.

dunque, di portare

Compito

la luce, criticando principi

la

la

della ragione era quello,

e istituzioni, diffondendo la

cultura e la verità, si che tutti gli uomini comprendessero che, per natura, erano uguali (in quanto partecipi tutti della ragione) e quindi liberi. « Libertà, uguaglianza, fraternità » è appunto il motto della Rivoluzione Francese che si apre con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Aspetto essenziale della cultura illuministica fu il suo carattere pratico e divulgativo, intimamente connesso alla fede che la diffusione dei lumi, cioè della verità fra masse il più possibile vaste, potesse avere una funzione

Tramontano

liberatrice nella società.

cosi la figura del filosofo e dello scien-

rigorosamente chiusi nella loro specializzazione e nel loro difficile linguaggio tecnico, ma anche quella del letterato umbratile e cortigiano,

ziato

volto a coltivare

una poesia che rappresentasse un’elegante evasione

fanta-

passatempo raffinato di una società aristocratica. La nuova letteratura è chiamata a combattere la comune battaglia per la diffusione del vero, per il suo trionfo fra gli uomini. stica,

lontana dai problemi vivi della realtà e fosse

Di

là,

infatti, dalla

presente battaglia contro

il

il

fanatismo,

il

pregiudizio

e l’errore, gli illuministi intravedevano una nuova aurora radiosa: della libertà e dell’uguaglianza avrebbe ricondotto

gli

secondo natura, cioè secondo ragione, e quindi alla vera fraternità che avrebbe accomunato i popoli, cosi come ora del vero già affratellava gli scrittori,

Ogni uomo sarebbe

cosi

i

filosofi,

i

felicità il

trionfo

le

vita

e a una

comune

pensatori di tutte

divenuto cittadino del mondo.

il

uomini a una

culto

nazioni.

L' Illuminismo

807

Illuministi inglesi e francesi I

primi fautori della nuova ideologia sorsero in Inghilterra. Giovanni col suo Saggio sull'intelletto untano^ diede inizio alla

Locke (1632-1704), empirica

visione

e

decisamente

concreta,

antiteologica

dell’animo umano, che verrà poi sviluppata dai Inoltre, nel il

Saggio del governo

civile

affermò

e

antimetafìsica,

Sensismo.

filosofi francesi del

il

diritto dei sudditi a limitare

potere sovrano. L’ideale di

una vasta diffusione

diede vita a numerosi giornali

della cultura c di

una

libera discussione

giornale comincia ora ad

assumere la grande importanza che ha nei nostri tempi), come lo Spectator di Addison, e il Rambler di Johnson. Un altro grande mito illuministico ispira il Robinson Crusoe di Daniele Defoe (1660-1731): quello di una primitiva felicità e innocenza dell’uomo, quando viveva in uno stato di natura, non corrotto dalle (il

false sovrastrutture sociali.

La Francia riprende un piu vivace Europa.

Fra

spunti e temi di pensiero dall’Inghilterra, dà loro

spirito* polemico e divulgativo,

illuministi

gli

francesi

una piu ampia

diffusione in

ricordiamo innanzitutto

il

Voltaire

(1694-1778), filosofo, storico, critico, poeta, la cui vita e la cui opera furono

una continua

battaglia contro ogni

nuovi principi. Fra sofico,

il

i

forma d’intolleranza per

suoi numerosissimi scritti ricordiamo

Trattato della tolleranza, Candido,

Il

il

il

trionfo dei

Dizionario

Secolo di Luigi

filo-

XIV. Im-

portantissima fu pure l’opera del Montesquieu, autore delle Lettere persiane satira delle istituzioni europee contenuta nelle immaginarie lettere di due immaginari persiani) e dello Spirito delle leggi, dove pone i fondamenti di un diritto naturale e conforme a ragione. Molti altri sarebbero da citare:

(una

basti però qui accennare a\V Enciclopedia,

pubblicata fra

il

1751 e

il

1772,

matematico Giovanni D’Alembert. Essa fu un grande repertorio ragionato, scritto in form^ di dizionario enciclopedico, di tutto lo scibile, riveduto criticamente secondo i nuovi principi. sotto la direzione dello scrittore Dionigi Diderot e del



Illuminismo Tendenze

e

preromanticismo

antilluministiche.

ma non

LTlluminismo è

l’aspetto piu

importante e

Quasi subito, al razionalismo e al materialismo trionfanti, si contrappongono correnti di sensibilità malinconica, che rivelano un senso di insofferenza, di sfiducia e di inappagamento nei conpiu vivo,

il

solo del Settecento.

fronti del « paradiso » della ragione.

Vi

indubbiamente, qualcosa di astratto e di limitato nelle teorie La natura, concepita come un meccanismo che segue leggi inesorabili, assorbiva in sé anche lo spirito umano, non veduto nella sua era,

illuministiche.

spontanea creatività, ma assoggettato anch’esso a un meccanismo di sensazioni, che avevano lo stesso carattere di necessità delle leggi di natura. libera e

La rinuncia

a

ogni metafisica non consentiva,

inoltre,

all’uomo di dare unn

Antologia della letteratura italiana

8o8

risposta a certi suoi essenziali interrogativi sul perché della sua vita c del

suo destino. Infine, riducendo l’anima

alla

sola

razionalità, gli

illuministi

mostravano un’eccessiva incomprensione di altre forme della vita spirituale (il sentimento, la fantasia, ccc.) che non minore importanza hanno nella nostra esistenza. Razionalizzando astrattamente ogni cosa, si perdeva di vista la complessità dell’uomo, della sua vita intima e della sua

storia,

si

giungeva a un livellamento negatore della personalità individuale. Colui che più potentemente espresse nella vita e nell’opera questa crisi dei valori illuministici fu il ginevrino Gian Giacomo Rousseau (1712-1778) che fu, contemporaneamente, uno dei più importanti collaboratori della Enciclopedia e autore del Contratto sociale^ nel quale, illuministicamente, sosteneva l’origine contrattualistica dello stato.

Anch’egli esalta

natura e pone Vio

la

umano

al

centro dell’universo.

Ma

per lui natura significa non più ragione^ bensì sentimento', in quest’ultimo

vede

egli

il

ma

carattere distintivo della personalità.

Non



considera



la

scienza

peggior male (« l’uomo che medita scrive è un animale depravato »); e ritiene che l’uomo possa conseguire la felicità non potenziando la ragione, ma abbandonandosi ai propri impulsi primitivi e istintivi. Tor-

un bene,

nare

il

alla natura, cioè a

uno

bontà e innocenza, alla sponsuo sogno: una mitica età nell’abbandono alle forze irrazionali,

stato primitivo di

taneità sorgiva del proprio sentire, questo è dell’oro ritrovata nella libertà

non

in Arcadia,

da ogni costrizione

Rousseau diveniva in sue Confessioni esaltava

tal

ma

il

sociale.

modo uno

dei padri del Romanticismo. Nelle

propria individualità eccezionale e irripetibile,

la

con un abbandono senza pudori; neWEmilio^ nella Nuova Eloisa esaltava sentimento, la passione, la libera creatività individuale. Nelle Fantasie d’un

il

un senso nuovo della natura, vergine e primipuò effondere liberamente il proprio sentimento d’intima comunione con lei.

viandante solitario esprimeva tiva,

in

nel cui seno l’uomo

una

sorta

Illuminismo e preromanticismo, Voltaire e Rousseau, sono due aspetti opposti e tuttavia concomitanti della seconda metà del Settecento, compresenti, spesso, nello stesso scrittore. Ad essi corrispondono, neH’ambito letterario, due modi diversi di concezione e di stile. In Voltaire abbiamo la frase breve, secca, nervosa,

ma

precisa, incisiva, carica di

un appassionato

e

pur chiaro fervore intellettuale; in Rousseau un periodare ampio, effusivo, musicalmente cadenzato, rivolto non tanto a provocare l’assenso dell’intelletto, quanto « ad affascinare la sensibilità, trasportando lo spirito in un’atmosfera indefinita di malinconia e di sogno » (Puppo).

L’Illuminismo italiano Caratteri generali. la

letteratura italiane

idee illuministiche.

gno dire

I

A

partire dalla seconda metà del Settecento, la cultura c furono intimamente rinnovate dalla diffusione delle

nostri scrittori più importanti sentirono infatti

il

il

biso-

con la cultura europea, di continuare e approfonmovimento iniziato timidamente dall’Arcadia; compresero che solo

di riprendere contatto

Ullluminismo

809

inserendosi nel circolo della nuova storia europea levarsi e partecipare al progresso

e

l’Italia

avrebbe potuto

risol-

alla civiltà.

Illuminismo significò da noi, in letteratura, soprattutto reazione al vuoto accademismo, al culto retorico di una tradizione un tempo gloriosa ma ormai isterilita; significò ricerca di cose, non pid soltanto di parole ornate, di una letteratura piu seriamente legata alla realtà. Non ci si deve stupire se, nel fervore polemico, i nuovi scrittori polemizzarono aspramente con la Arcadia, che pure aveva espresso l’esigenza di un rinnovamento. Combattendo contro di essa, gli Illuministi intendevano opporsi soprattutto alle pastorellerie, a una poesia d’evasione che si risolveva in forme frivole, lon-

nuovo

tane dal

ideale di

una

letteratura fondata su

un

serio

impegno

spiri-

tuale, morale, civile.

L’Illuminismo, da noi, non assunse, comunque, il tono accesamente polemico e rivoluzionario che ebbe in Francia. Senz’altro meno aspra fu la

polemica contro

la

Chiesa, attaccata solamente sul piano politico e giuridico,

dei suoi rapjporti, cioè, con lo stato, scrittori

a le

le

e

non su quello

religioso.

collaborarono prevalentemente coi sovrani « illuminati

un programma moderato giuridiche e

strutture

di riforme riguardanti l’agricoltura, sociali.

Anche

nel

il

I

nostri

aderendo commercio,

»,

campo puramente

letterario

correnti piu spinte di pensiero e di sensibilità vennero moderate e conci-

liate col scntimóito religioso e col culto della tradizione classica. Il classicismo continuò ad operare potentemente nella nostra letteratura, anche perché le esigenze da esso affermate di ordine, equilibrio e chiarezza espressiva

non discordavano 7

nuovi

dalla

nuova cultura razionalistica. Non è sempre facile, distinguere,

scrittori italiani.

nella nostra

letteratura illuministica, gli intellettuali piu seri dai mestieranti, dato che,

come sempre anche

la

avviene, accanto a

moda

nei caffè,

delle

sulle

il

un

autentico travaglio di pensiero, ci fu

idee, dibattute spesso, per snobismo, nei salotti,

gazzette. Giornalisti e poligrafi contribuirono,

una rinnovata atmosfera

comunque,

Fra questi ultimi veneziano Francesco Algarotti (1712-1764), dapprima letterato

anch’essi a costituire

ricordiamo

nuove

culturale.

di stretta osservanza arcadica, poi viaggiatore in Francia, Inghilterra, Russia,

Germania, infine divulgatore, brillante ma poco profondo, delle idee nuove. Fra le sue numerosissime scritture di vario argomento (lettere, poemi, saggi, dialoghi) ricordiamo il Newtonianismo per le dame, garbata opera di divulgazione scientifica, i Viaggi di Russia, descrizione arguta e spregiudicata di costume, le Lettere scientifiche ed erudite.

Anche la poesia collaborò alla divulgazione scientifica; numerosissimi furono i poemetti didascalici, scritti in gran parte in endecasillabi sciolti: basti qui ricordare Vlnvito a Lesbia Cidonia, nel quale Lorenzo Mascheroni (1750-1800) fingeva di guidare un’aristocratica signora a visitare l’orto botanico e i musei dell’università di Pavia. Spirito acuto e profondo e scrittore vivace fu

Ferdinando Galiani (1728-87)

di Chieti, che discusse criticamente l’ideologia illuministica, richiamandosi agli aspetti più importanti del pensiero della nostra tradizione.

nanza in Europa ebbero due suoi Dialo gues sur

le

commerce des

trattati di

hlés.

economia,

il

Vasta

riso-

Della moneta e

i

Antologia della letteratura italiana

Hio

Le nuove

idee s*afTermarono soprattutto a Napoli e a Milano, dove piu

decisa fu anche la politica di riforme seguita dai rispettivi governi. Impor-

tanza minore ebbero Torino e Firenze, che pure furono anch’essi centri cospicui di discussioni culturali, mentre Venezia, se pure continuò la sua

non partecipò

tradizione liberale nei confronti della diffusione delle idee, in

modo veramente

attivo al

illuministi napoletani ebbero

movimento. Gli

speculativo, un entusiasmo fervido ma un po’ anche con maggior impegno di collegarc le nuove tradizione italiana del pensiero. Quelli lombardi ebbero atteggia-

un atteggiamento nobilmente utopistico, e tentarono

idee alla

menti più

liberi

soprattutto

uno

mente

alle

e

spregiudicati nei confronti

della

nostra tradizione,

ma

più concreto, pratico e fattivo c collaborarono attivaesperienze di governo « illuminato », cioè alle riforme promosse spirito

dagli Austriaci.

Fra grilluministi napoletani esercitò una sorta di ideale e pratico magisugli altri l’abate Antonio Genovesi (1713-1769), autore di opere filosofiche ed economiche {Meditazioni sulla Religione e sulla Morale; Diceosina; Lezioni di commercio). Ricordiamo inoltre Gaetano Filangieri, autore dt\\2i Scienza dèlia legislazione^ Mario Pagano (1748-1799), autore, fra l’altro, stero

Del civile corso delle naPagano e il Russo furono fra ’9p, creata quando le armate

di un’opera in cui è evidente l’influsso vichiano. zioni,

Vincenzo Russo, Melchiorre

Delfico.

Il

animatori della Repubblica Partenopea del

gli

della Francia rivoluzionaria scesero in Italia, e

morirono da

eroi, giustiziati

dai Borboni.

Animatore del gruppo milanese fu il conte Pietro Verri, fondatore della Pugni » (1761), un’accademia dove si commentavano e discutevano le opere degli Illuministi inglesi e francesi, e del giornale II Caffè (1764-66), che affrontava argomenti letterari, economici, scientifici, con spi« Società dei

polemico e spregiudicato. Attorno a questo giornale gravitano

rito

i

Illuministi lombardi, Alessandro Verri, Cesare Beccaria, autore del

volumetto Dei

delitti e delle

pene, Giuseppe Colpani, l’istriano

migliori

famoso

Gian Rinaldo

Carli.

L’Illuminismo porta con sé anche una nuova dall’empirismo inglese e soprattutto dalla filosensistica del Condillac, che a lungo soggiornò in Italia, in qualità di

L’estetica

concezione sofia

del sensismo.

dell’arte, derivata

ministro alla corte di Parma. L’estetica del sensismo vide anche nell’arte e nella poesia un fatto strettamente legato all’esperienza sensibile, un mezzo per produrre sensazioni piacevoli. In sé e per sé, questa dottrina rischiava di abbassare l’arte al livello di

un

qualsiasi piacere materiale;

ma

i

Verri a Cesare Beccaria a Mario Pagano,

migliori teorici italiani, da Pietro si

sforzarono di definire

tere specifico del piacere estetico, distinguendolo dalle sensibilità,

affermando, ad

quali la noia,

il

es.,

che esso

ci libera

forme

il

inferiori

carat-

della

dai dolori confusi e indistinti,

tedio, la malinconia, e serve a

della nostra esistenza. Tuttavia, per questi teorici, sisteva tanto nell’indagare l’essenza della poesia,

darci il

un senso più pieno

vero problema non con-

quanto nel definirne

l’uti-

conseguentemente, propugnarono una poesia che rigettasse l’immaginazione astratta, le regole aride, gli schemi letterari con-

lità

e

il

significato. Essi,

L’Illuminismo rinnovasse

e

sunti

mondo

8ii

il

proprio

ritornando

contenuto,

all’osservazione

del

delle cose, dcirespcrienza, a un’analisi psicologica più ricca e varia.

avvennero in due direzioni, eppure spesso concomitanti. Da un lato essa rianimò l’ormai esangue classicismo arcadico, immettendovi l’esigenza di un contenuto più attuale, e, al tempo stesso, riconfermandone le leggi di ordine, armonia, evidenza e I

successivi sviluppi dell’estetica sensistica

diverse,

concretezza di rappresentazione, proprio per consentire alla poesia

un

influsso

più deciso sulla sensibilità del lettore. D’altro lato, col richiamo al senso interno, al senso esaltare a il

un

gusto in

della

all’interiorità

vita,

trasporto, l’entusiasmo,

il

e

attualità

del

sentire,

ad

fino

furore », la nuova estetica orientava

il

senso ormai chiaramente preromantico. Classicismo e razio-

nalismo, sensismo e preromanticismo s’intrecciano in maniera complessa in

quasi tutta

Cesare Beccaria

Il

seconda metà del Settecento.

la letteratura della

marchese

m

C esare

nomista, autore, fra

Beccaria, milanese

l’altro,

fu soprattutto

degli Elementi di

lezioni tenute alla Scuola Palatina di Milano,

come

rari,

economia

ma

un

eco-

politica, frutto delle

ebbe anche interessi

lette-

attestano le Ricerche sulla natura dello Stile, ispirate all’estetica

sensistica.

La sua opera più importante,

liano, è

saggio Dei delitti e delle pene^ che ebbe immediata diffusione e

il

rinomanza

il

in tutta Europa, e, soprattutto,

capolavoro deU’Illuminismo

grande

ita-

efficacia pratica.

L’opera affronta il problema della legislazione criminale con una modernità COSI risoluta, che apparve subito, com’era in effetti, violentemente rivoluzionaria. tortura,

Il

Beccaria afferma che

ancora usata,

ai

suoi

pena di morte è inuti le, assurda

la

tempi^

negli

la

come procedura

interrogatori

pene debbono essere miti, non intese a straziare il reo, con la minor crudeltà possibile, gli altri dal compiere gli stessi delitti. Egli rigetta il concetto della pena come vendetta (residuo della barbarie germanica medioevale) o come espiazione e purgazione del reo (secondo la sensibilità cristiana propria della teocrazia medioevale), ponennormale, e che

ma

le

a distogliere,

dosi COSI risolutamente contro tutta la giurisprudenza tradizionale. Pone, poi,

una netta distinzione lasciata

a Dio, e che,

delitto, c he

l

fra

il

cioè

da

la

punizione del quale deve essere

la morale e da un puntò di

interessa

a società deve cohSlderafé

giuri dico, applicando le leggi I

peccato,

comunque,

lei stabilite

e uguali

la

Di qui

libera associazione di individui, rivolta a

un

e

il

strettamente

pei^ tutti.

principi del Beccaria sono ispirati all’idea dello stato

come

religione,

vista

come

contratto,

fine di utilità

comune.

pena di morte e la sua illegalità, dato ch e nessuno, nelroriginario contratto sociale, può a^re affidati alla so cietà il diritt o di ucciderlo rMa di là da questo rigoroso utilitarismo, che si esprime attraverso deduzioni rigide e quasi matematiche, l’intima ispirazione dell’opera è morale e umanitaria. «Non vi è libertà afferma il Beccaria ogni qual volta le leggi permettono che, in alcuni eventi, r uomo ce ssi di egli

de duce

l’inutilità della





Antologia della letteratura italiana

8i2

es sere persona e diventi cosa »; in queste parole che afiFermano rinviolabilità, la sa ntità della

persona

uman a,

va ricercata l’ispirazione profonda dell’autore.

In questa nobilissima concezione, un giurislà moderno, Pietro Calamandrei, vede, giustamente, il più autentico titolo di gloria del Beccaria. « Solo

coirilluminismo



egli

afferma



lismo irreligioso, doveva affermarsi ..

nonostante

come una

uguaglianza umana e di solidarietà Cristianesimo alla civiltà Per

il

sociale,

la

sua apparenza di raziona-

religione laica questo senso di

che è l’immenso dono

fatto dal

».

seguiamo: Riformatori lombardi, piemontesi e toscani, a cura di F. VenMilano-Napoli, 1956.

testo,

turi, Ricciardi,

Errori nella misura delle pene

Li-unica

«-fa. oriie

^

yì-

*' ' v>

cKchi d’un indifferente* esa minatore dei

veri

rapporti fra

uomini

c

U

primi sono rapporti d’ugnaglip ny^^TT •Jl sola necessi tà ha fatto nascere dall urto delle passioni e dalle opposi-

uomini, e tra uomini e Dio.

zioni degli interessi l'idea della

uman a;

giusti zia

l«//7//à

co

04t

m unej^

è la base dell^^

j

secondi sono rapporti di dif^nden za da

i

perfetto c creatore, che

è nserbato a sé solo

si

un Essere

diritto di essere Ic-

il

,^^slatore e giudice nel medesimo tempo, perché egli solo può esserlo ha stabUto pene eterne a chi disobbedisc e alla senza inconveniente.

^

sarà /l^m^toj che

qual

onnipotenza,

sua

oserà

che vorrà vendicare ì’esséfeche basta a

giustizia,

supplire se stesso

alla

divina

fT^a gravez za

de l pecca t o dipende dalla imperscrutabile malizia del cuorèTTOuesta da non può senza rivelazione sapersi. Come dunque da questa

esseri finiti

si prenderà norma per punire i delitti.'* Potrebbono in questo caso gli uomini punire quando Iddio perdona, e perdonare quando Iddio punisce. Se gli uomini jX)ssono essere in contraddizione coll’Onnipossente

nell’offenderlo, possono

y*imvmà ^/ («f

anche esserlo col punire mìa. 1viepk»t«