Angeli. Sogni, presenze, apparizioni nella pittura italiana 9788883479694

Dagli ardenti e potenti Serafini ai più intimi e familiari Angeli custodi, l'arte li ha raffigurati in molteplici f

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Italian Pages 126/127 [127] Year 2020

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Angeli. Sogni, presenze, apparizioni nella pittura italiana
 9788883479694

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Lucia Toso

SOGNI PRESENZE APPARIZIONI nella pittura italiana

sillabe

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ANGELI

A mia madre, angelo tornato al cielo

2

Archivio Opera della Metropolitana di Siena, pp. 52, 96-97 Basilica di San Domenico, Bologna, pp. 120-121 Foto © Musei Vaticani, pp. 19-21, 26, 32, 39, 45-47, 53, 59, 65-67, 69-71, 74-75, 78-79, 84-85, 88-89, 100-103, 113 Fototeca Ufficio Beni Culturali Diocesi di Prato, p. 108 Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Gabinetto Fotografico delle Gallerie degli Uffizi, Firenze, pp. 12-13, 22, 27, 29-30, 36-37, 40-41, 44, 48-51, 54, 56-58, 60-61, 83, 90-95, 98-99, 104, 115, 117 Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Galleria dell’Accademia, Firenze, pp. 23, 76 Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Polo Museale della Toscana, Museo di San Marco, pp. 33, 64, 80-81 © Galleria Nazionale dell’Umbria, p. 114 Gemäldegalerie Alte Meister, Staatliche Kunstsammlungen Dresden, Photo: Elke Estel / Hans-Peter Klut, pp. 86-87 Musei Civici Vicenza - Pinacoteca di Palazzo Chiericati, p. 118 Museo e Real Bosco di Capodimonte, per gentile concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, p. 106 © Museo Nacional del Prado, pp. 28, 31 Pieux Établissements de la France à Rome et à Lorette, p. 112 Pinacoteca di Brera di Milano, pp. 62-63 Polo Museale dell’Emilia Romagna, Pinacoteca Nazionale di Bologna, per gentile concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, pp. 43, 119 © Szépmúvészeti Múzeum / Museum of Fine Arts Budapest, p. 107 ´ Udine, Civici Musei e Gallerie di Storia e Arte, p. 109

L’Editore si dichiara pienamente disponibile a regolare eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile identificare e reperire la fonte. In copertina: Francesco Botticini, Tobiolo e i tra arcangeli, 1470 ca, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

Prima edizione digitale marzo 2020 ISBN 9788833401782 © 2017 s i l l a b e s.r.l. Livorno www.sillabe.it - [email protected] Questa pubblicazione è protetta dalla Legge sul diritto d’autore e pertanto è vietata ogni duplicazione, commercializzazione e diffusione, anche parziale, non autorizzata. Sillabe declina ogni responsabilità per ogni utilizzo dell’ebook non previsto dalla Legge. direzione editoriale: Maddalena Paola Winspeare redazione e ricerca iconografica: Giulia Perni progetto grafico: Susanna Coseschi layout e coding dell’ebook: Saimon Toncelli, Susanna Coseschi

Lucia Toso

ANGELI SOGNI PRESENZE APPARIZIONI nella pittura italiana

sillabe

sommario

6

Premessa

9

Introduzione alla figura angelica

15

Gli ordini angelici

25

Antico Testamento

35

Nuovo Testamento

73

Serventi, adoranti, musici e custodi

111

Angeli e Santi

126

Bibliografia

6

Parlando ai suoi primi discepoli, Gesù disse: “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo” (Giovanni 1,51). Gli angeli, cioè – oggi spesso considerati esseri immaginari, folkloristici –, fanno parte dell’essenziale orizzonte di fede dei cristiani, e la loro ‘visione’, promessa dal Salvatore in persona, rientra nelle aspettative dei credenti di tutte le epoche. Ecco il senso del presente volume, che illustra come l’arte ha visualizzato questi esseri incorporei dal Medioevo al Barocco. L’autore, Lucia Toso, organizzando il suo testo in sei brevi capitoli, aiuta il lettore a riscoprire sia la figura dell’angelo nella Bibbia e nella tradizione, sia la struttura gerarchica che distingue questi spiriti puri in ‘ordini’. In un linguaggio al contempo teologicamente esatto e perfettamente intelligibile, Toso analizza poi i modi in cui angeli di diversi ranghi appaiono nei racconti dell’Antico e del Nuovo Testamento, i ruoli che essi ricoprono – di “serventi, adoranti, musici e custodi” – e la loro vicinanza alle donne e agli uomini che la Chiesa reputa santi. Quelli che chiamiamo ‘angeli’ sono infatti messaggeri. Fanno parte dell’immensa schiera descritta dal profeta Daniele, che contemplando Dio disse: “Mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano” (Daniele 7,10). Ma vengono a contatto con gli esseri umani quando Dio li manda come latori di qualche suo messaggio; così, come precisa papa san Gregorio Magno, “quei santi spiriti della patria celeste sono sempre spiriti ma non si possono chiamare sempre angeli, poiché solo allora sono angeli, quando per mezzo loro viene dato un annunzio. Quelli che

Direttore, Museo dell’Opera del Duomo, Firenze

7

recano annunzi ordinari sono detti angeli, quelli invece che annunziano i grandi eventi sono chiamati arcangeli” (Omelie sui Vangeli 34,8). Pertanto a Tobia fu mandato l’arcangelo Raffaele, per guarire la sua cecità; a Maria fu inviato l’arcangelo Gabriele per annunciare il concepimento di Cristo; e al mondo intero alla fine dei tempi verrà inviato l’arcangelo Michele per condurre la battaglia conclusiva contro il Male. Già ora però a ognuno di noi Dio manda un angelo più umile, senza nome ma assolutamente efficiente, secondo la promessa biblica: “Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi” (Salmo 91[90],11). Commentando queste parole, San Bernardo di Chiaravalle si rivolge a ogni credente e esclama: “Quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti!”, e conclude con l’esortazione: “Amiamo affettuosamente gli angeli di Dio, come quelli che saranno un giorno nostri coeredi, mentre nel frattempo sono nostre guide e tutori, costituiti e preposti a noi dal Padre” (Discorso 12 sul Salmo 90, 3,6-8). È questo forse il maggiore contributo del bel libro di Lucia Toso, edito con professionalità ed eleganza da Sillabe: farci amare gli angeli e, attraverso loro, il Dio che, come un padre, accompagna i nostri passi.

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Allora Menoach chiese all’angelo del Signore quale fosse il suo nome, perché, quando le sue parole si fossero avverate, voleva rendergli onore. Ma quegli rispose: “Perché vuoi sapere il mio nome? Esso è misterioso”. Giudici 13,17-18

Introduzione alla figura angelica

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Nel Credo, la professione di fede che è summa dei principali dogmi cattolici a partire dal principio dell’unicità di Dio, l’incipit recita: “Credo in un solo Dio, Padre Onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili”. Cose visibili e invisibili. Se non è troppo difficile rispondere alla domanda di quali siano le cose visibili, quali sono però quelle invisibili agli uomini e che Dio ha comunque creato? Nel corso della nostra storia queste ultime sono evidentemente cambiate e il loro numero, almeno in apparenza, si è fatto un po’ più esiguo. Per gli abitanti di un villaggio della preistoria il mondo poteva essere tutto entro i confini delimitati da una catena montuosa invalicabile o da una foresta impenetrabile. Prima dei viaggi oceanici, terre come le Americhe o l’Australia erano non-visibili e inconoscibili agli europei e prima dei viaggi spaziali l’altra faccia della luna era un mistero, come lo sono ancora miriadi di galassie del nostro sterminato universo. Non le vediamo ma diamo ormai per certo che esistono, sono lì, e ci auguriamo di costruire in futuro mezzi abbastanza potenti da poter ridurre la distanza che ce ne separa. Allo stesso modo di quanto avviene con l’infinitamente grande, accade anche con l’infinitamente piccolo. Fin dal V secolo a.C. con il filosofo greco Leucippo, si è supposta l’esistenza degli atomi che si è andata via via affermando e concretando, anche se in realtà, così come sono, non possiamo ancora dire di vederli davvero1. Macrocosmi e microcosmi che attendono di svelarsi ai nostri occhi e alle nostre menti, tanto bramose di sapere. Ci sono mondi sconosciuti nel grande spazio interstellare, così come creature ancora mai riportate alla luce dal fondo degli abissi. “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne conti la tua filosofia”2, diceva lo shakespeariano principe di Danimarca al suo fraterno amico dopo aver visto il fantasma del padre. Tutti vorremmo dare una risposta a ogni quesito dell’esistenza, ma ci sono cose che ancora sfuggono alla nostra comprensione. Cose visibili e invisibili. Risaliamo dunque alla fonte di queste parole, racchiuse nella Lettera ai Colossesi, un testo in greco della metà del I secolo attribuito a San Paolo3. Al capitolo 1 versetto 16, glorificando Gesù Cristo, scrive: “Poiché in lui sono stati creati tutti gli esseri nei cieli e sulla terra, i visibili e gli invisibili: Troni, Signorie, Principi, Potenze”. E più avanti,

ai versetti 19 e 20: “Poiché piacque a tutta la pienezza di risiedere in lui e di riconciliarsi, per suo mezzo, tutti gli esseri della terra e del cielo, facendo la pace mediante il sangue della sua croce”. Ecco dunque che pare lecito individuare tra le cose invisibili e “tutti gli esseri nei cieli” il tema centrale di queste pagine, ovvero gli angeli, i puri spiriti che Dio ha creato per inviarci i suoi messaggi e accompagnarci nel difficile percorso della nostra vita.

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Ogni religione passata o presente ha raffigurato entità incaricate di trasmettere il volere degli dei, condurre l’anima nell’oltretomba, o stare accanto all’uomo dal primo all’ultimo giorno. Dalle religioni animiste della preistoria a quella sumera, dalla dea Iside degli egizi ai daimones dei greci, dalla dea Vanth psicopompa etrusca fino agli angeli delle Religioni del Libro, figure alate sono comparse nelle opere letterarie e figurative dell’umanità tutta. Il nome angelo deriva dal greco angelos (ἄγγελος) adottato quando, traducendo la Bibbia, ci fu bisogno di trovare una parola che avesse lo stesso significato dell’ebraico mal’akh, “messaggero”, a sua volta desunto dall’ugaritico4 lak, ovvero “mandare”. Il significato generico del termine che comprendeva in sé uomini e spiriti, confondeva però la natura del suo essere. Per questo gli fu talvolta aggiunta la specifica “di Dio”, rendendo più palese quando la sua provenienza non era terrena ma sovrannaturale. Nel corso dei secoli si è molto dibattuto sulla natura e la funzione degli angeli, discutendo a lungo riguardo al loro possedere un libero arbitrio capace persino di spingerli verso il Male come avvenne agli angeli ribelli capitanati da Lucifero, o, viceversa, la loro totale acquiescenza al Volere Divino. Si è passati dall’accusa d’idolatria del IV secolo d.C. alla riabilitazione dell’VIII, fino alla negazione della loro esistenza già dall’Illuminismo, quando il culto sopravvisse unicamente in virtù della devozione popolare. Nel XIX secolo poi, le teorie darwiniane e l’incalzante materialismo tentarono di cancellare il trascendente in favore di una visione più scientifica e per certi versi più “antropocentrica” dell’esistenza, ma allo scadere del millennio le nuove tendenze new age aiutate da una diversa sensibilità spirituale, hanno ridato vigore alla figura angelica, anche se talvolta in termini un po’ discutibili, tesi più che altro a uno sfruttamento commerciale del fenomeno. Nel corso dei suoi duemila anni la Chiesa ha inizialmente tenuto un atteggiamento che potremmo definire “prudente” nei confronti dei puri spiriti, nel timore che si sconfinasse nella superstizione, pur non potendo ignorare la persistenza del loro culto tra le fasce più umili dei credenti. Anche quando non era ufficialmente permesso rivolgersi agli angeli quali intercessori presso Dio, le persone continuavano ad affidare a loro e alle sacre immagini che li raffiguravano, angosce e tribolazioni nella preghiera. Il Papa che ha infine davvero elevato l’angelo a figura di spicco tra quelle da invocare come guida sicura e forte protettore, è stato Giovanni XXIII che ha apertamente fatto del suo Angelo Custode un vero e proprio compagno di vita, fedele alleato e consigliere

in ogni causa. È del 1992, invece, l’edizione del Catechismo della chiesa cattolica che dichiara l’esistenza degli angeli come una verità di fede, dedicando loro nove articoli5 del V paragrafo: Il cielo e la terra.

INTRODUZIONE ALLA FIGURA ANGELICA

Per fugare subito il dubbio riguardo alle ali più o meno realistiche che spesso li adornano, ricordiamo che nell’VIII secolo d.C. il vescovo Isidoro di Siviglia scriveva “L’arbitrio dei pittori li raffigura con ali proprio per simboleggiare il loro veloce correre in ogni luogo […]”6, ma era già da tempo che venivano usate non solo d’arbitrio, quanto piuttosto per alcune citazioni nei passi biblici e come rimando alle figure alate dei messaggeri del passato mentre nei primi secoli – almeno fino al IV – gli angeli erano effettivamente apteri, più simili a uomini che a spiriti, tanto da venir raffigurati persino barbuti. Non stupiamoci dunque se qualche artista – primo fra tutti quello che portava questo pezzetto di cielo anche nel nome, Michelangelo – sceglierà di mostrarceli senza queste scenografiche appendici. Un puro spirito, come la fantasia di un artista, non ha certo bisogno di ali per volare lontano. Entriamo perciò senza paura in questo universo fitto di benevoli presenze, facendoci forza del saluto che da sempre esse rivolgono nel sorprendente incontro con gli uomini: “Non temere”.

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Con queste premesse è naturale che gli artisti, ai quali le principali commissioni di immagini sacre sono giunte per secoli dalla Chiesa, dagli istituti religiosi e dai fedeli, abbiano avuto modo di rappresentare gli angeli che si sono realmente manifestati nei vari episodi raccontati nei testi sacri, o di inserirli lì dove sarebbero stati il giusto coronamento di visioni ultraterrene, dove la loro presenza avrebbe arricchito, riempito o bilanciato una sacra composizione, o dove avrebbero fatto da grazioso elemento decorativo. Di questo parleremo. Degli angeli nelle opere di artisti attivi dal XIII al XVIII secolo, sia che abbiano riprodotto fedelmente i passi biblici o altri testi della tradizione come gli scritti apocrifi o la Legenda aurea, sia che abbiano “arbitrariamente” inserito questi messi celesti là dove ne sentivano la necessità, o che ce li abbiano resi visibili nelle loro intime apparizioni ai Santi. Ben lungi dall’essere esaustivo per l’impressionante numero di opere popolate di angeli, questo volume intende compiere solo un volo radente su alcune di queste raffigurazioni tra le più belle, espressive e in alcuni casi, magari, meno conosciute.

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capitolo primo

Gli ordini angelici

Primo coro Serafini, Cherubini, Troni. Secondo coro Dominazioni, Virtù, Potestà. Terzo coro Principati, Arcangeli, Angeli.

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La fede nella figura angelica definita durante il Concilio di Laodicea del 363 d.C. persino idolatria a causa soprattutto di testi apocrifi che citavano angeli non contemplati in quelli canonici7, riceve una prima approvazione nel 787 d.C. al II Concilio di Nicea che, legittimando il culto delle immagini sacre, vi comprende anche quelle degli angeli. Perché divenga vero e proprio “articolo di fede” si deve aspettare il IV Concilio del Laterano nel 1215. Già dalla fine del V secolo, però, nel trattato di angelologia De coelesti hierarchia dello pseudo-Dionigi l’Areopagita, un teologo bizantino la cui identità rimane tuttora sconosciuta8, si determinava una gerarchia, quasi a voler far ordine nella moltitudine degli angeli che anche la Bibbia indica in numero elevatissimo9. Questa suddivisione, accettata e sostenuta anche da San Tommaso d’Aquino, è di nove ordini, scanditi da tre cori di tre ordini ciascuno, un modello di triarchia che riprende con evidenza il concetto della Trinità. Questa sorta di catalogazione angelica si perde in realtà già sul finire del Medioevo, ma vale la pena di essere ricordata perché in numerose raffigurazioni anche di opere più recenti, è possibile riconoscere le caratteristiche di alcuni degli ordini più noti. Il teologo scriveva nel suo testo in greco di aver desunto questa catalogazione angelica dalle visioni dei profeti, dei santi e da quelle avute lui stesso. In sintesi possiamo dire che i nomi degli ordini derivano direttamente dall’Antico Testamento, la loro gerarchia dallo pseudo-Dionigi. Questo stesso ordinamento è ripreso e mantenuto anche da Dante nel Paradiso della Divina Commedia.

PRIMO CORO Serafini Sono gli angeli più vicini a Dio e il loro nome deriva da un vocabolo ebraico che significa “ardente” (śārāf, plurale śərāfîm). Hanno tre paia di ali rosse come il fuoco della passione per Dio e si trovano solo nell’Antico Testamento. Nella visione del profeta Isaia con due ali si coprono il volto, con due i piedi e con due volano10. Il potente Lucifero, che diventerà signore degli inferi col nome di Satana, era un serafino. 16

Cherubini La loro prima raffigurazione è molto lontana da quella che ci è stata tramandata dall’arte rinascimentale e barocca. Cherubini (dall’ebraico kərūv, plurale kərūvîm) sono gli angeli che, con la fiamma della spada folgorante, sono posti da Dio a est dell’Eden per sorvegliare la via che conduce all’albero della vita, dopo la cacciata di Adamo ed Eva. Sebbene le Scritture dicano che fu Dio in persona a scacciare Adamo11, la maggior parte degli artisti, da Masaccio a Michelangelo, da Raffaello a Francesco Guardi, da Gustave Doré a Marc Chagall (solo per citarne qualcuno), ha scelto di illustrare questo preciso momento, dando a un angelo il terribile compito di mandare i nostri progenitori raminghi per il mondo. I cherubini possono essere mostrati con quattro o sei ali cosparse di occhi come le penne del pavone e con quattro teste: uomo, toro, aquila, leone; simboli che ritroveremo in seguito come attributi degli Evangelisti, quali sintesi di cherubini e dei quattro “viventi” presenti intorno al trono nel libro dell’Apocalisse di Giovanni. Sono gli angeli fusi nell’oro, per ricavarne statue da porre sulla cassa contenente l’Arca della Testimonianza e sono a guardia della luce e delle stelle, oltre il trono di Dio. Scavalcando questa loro prima immagine forse un po’ inquietante ma di certo molto potente, l’iconografia dell’arte ce li ha tramandati dal tardo Quattrocento in poi come bimbi paffuti e rubicondi, dotati di alucce bianche, multicolori o addirittura con ali di farfalla rubate a Psiche12: deliziosi pargoli in forma squisitamente umana, più simili a teneri cupidi che alle antiche creature fiere e temibili. Nella Bibbia i cherubini sono anche coloro che trasportano Dio, come troviamo scritto nel Salmo di Davide13. Troni Gli ōphanīm abitano la regione in cui cielo e terra entrano in contatto, trasportano il trono di Dio e ne manifestano la giustizia sulla terra. Per questi loro privilegi, sono esseri purissimi di forma e colori cangianti e non conoscono tentazione alcuna. Nell’Antico Testamento il profeta Ezechiele descrive il loro aspetto come di un turbine di vento, di ruote incrociate e infuocate costellate di occhi. Lì i troni non si discostano mai dai cherubini e si muovono insieme ad essi, mai indipendentemente, mentre questi ultimi agiscono solo al comando di Dio stesso.

SECONDO CORO Dominazioni Gli hashmallim sovraintendono e regolano i compiti degli altri angeli e presiedono l’ordine universale rivolto al governo del genere umano, manifestando la gloria del Signore. Possono essere rappresentati con uno scettro e una sfera, a indicare il potere divino. Sono tra gli angeli che formano l’esercito dell’Apocalisse.

TERZO CORO Principati Quelli che in greco sono chiamati archai, sono i protettori della religione ma governano anche le nazioni. La loro forma “corporea” è simile a un raggio di luce e sovrintendono al Tempo e alla Storia. Arcangeli Sono forse i più conosciuti tra i nove ordini e ciò è probabilmente dovuto al fatto che sappiamo i loro nomi, anche se il novero di Gabriele e Raffaele, in quest’ordine, è dovuto più alla devozione popolare che alle Scritture. Pur non essendo troppo vicini a Dio come posizione gerarchica, la nostra affezione nei loro riguardi va imputata agli importanti compiti che hanno svolto sulla terra per il Signore. Angeli L’ordine più basso ha, per estensione, inglobato nel proprio nome tutti i messaggeri divini. Data la sua posizione gerarchica, è il più vicino agli uomini e perciò è qui che sono stati identificati gli Angeli custodi: il nostro tramite più diretto con Dio.

A questo punto si potrebbe dire che se gli artisti si fossero attenuti alle descrizioni contenute in questa gerarchia, avremmo avuto dipinti pervasi di lampi, turbini di vento, ruote occhieggianti, fulmini, raggi accecanti e vapori colorati ma, fortunatamente, come sappiamo, non è andata proprio così.

GLI ORDINI ANGELICI

Potestà Gli elohim sono creature incaricate di combattere il Male, sia esso manifestato dai diavoli o dagli uomini. Sono descritti come nebbie colorate che governano le coscienze e custodiscono la Storia.

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Virtù Chiamati anche Fortezze (in greco dúnamis, che significa appunto “forza”) sono angeli che portano grazia e valori e per questo sono talvolta raffigurati mentre soccorrono i bisognosi, compito che svolgono anche infondendo il coraggio per affrontare le difficoltà, sebbene la loro descrizione biblica li tramandi solo come dei lampi di luce.

I TRE ARCANGELI

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Gabriele, Michele e Raffaele Come detto, i più conosciuti tra i puri spiriti sono gli arcangeli poiché alcuni di loro si sono resi protagonisti di azioni decisive che ne hanno rivelato il nome e perché queste azioni sono state poi raffigurate in innumerevoli opere d’arte. Alcuni testi ne elencano sette se non addirittura dodici però, quelli tramandati dalla tradizione sebbene il Nuovo Testamento ci indichi soltanto Michele come tale, sono sostanzialmente tre, venerati anche con il titolo di Santi: Gabriele “l’annunziatore”, Michele14 “il tassiarca”, perché comandante della milizia celeste, e Raffaele “il guaritore”. Un quarto, che ancora possiamo riconoscere in mosaici e vetrate di epoca medievale ma la cui raffigurazione è stata poi abbandonata, è Uriele, che nei testi apocrifi è riconosciuto come quello che combatté con Giacobbe a Peniel, che comunicò a Noè la notizia del diluvio e che condusse nel deserto Giovanni il Battista bambino perché fosse istruito. Gabriele Il suo nome (in ebraico Gavri’el) significa “forza di El, uomo forte di El” dove El indica il più alto, cioè Dio, e sarebbe appunto “solo” un angelo ma ha avuto parte in eventi così importanti da elevarlo di rango, non nei testi sacri ma nella devozione popolare. Nel Vangelo di Luca, infatti, quello che è chiamato “l’angelo Gabriele”15 annuncia a Zaccaria che sua moglie Elisabetta partorirà un figlio (Giovanni il Battista) e, sei mesi dopo, appare a Maria, cugina di Elisabetta, per annunciarle la nascita del Cristo Salvatore. Per la sua salutatio angelica “Rallegrati o piena di grazia, il Signore è con te”, Gabriele è stato immortalato in migliaia di opere e in cento fogge diverse. A volte è raffigurato con la bacchetta degli ostiari, gli antichi custodi delle porte delle chiese e dei luoghi sacri, ma lo troviamo soprattutto con il suo attributo più famoso, ovvero con il giglio, simbolo della purezza della Madonna. Michele Dei tre è l’unico che nella Bibbia sia esplicitamente definito arcangelo. Il suo nome deriva dall’ebraico Mikha’el (chi è come Dio). È colui che ha guidato gli eserciti celesti contro gli angeli ribelli capitanati da Lucifero e per questo è spesso raffigurato con l’armatura e la spada del guerriero. Possiamo vederlo reggere una sfera d’oro, ovvero il progetto che il Creatore ha per ognuno di noi, e una delle sue più famose rappresentazioni è la possente statua del 1753 di Pierre van Verschaffelt che troneggia su Castel Sant’Angelo a Roma e che lo coglie nell’atto di rinfoderare la spada. Narra la leggenda che, nel 590, papa Gregorio Magno alla testa di una processione che invocava l’intercessione di Dio per una terribile pestilenza, vide l’arcangelo nell’atto di compiere proprio quel gesto in segno della cessazione del morbo, come testimonia il dipinto di Agnolo Gaddi (fig. 1) L’apparizione di San Michele sulla Mole Adriana a Roma.

Nella tradizione ebraica Michele è l’arcangelo che conduce in cielo le anime dei defunti e, andando oltre questo compito di semplice psicopompo, nella tradizione cristiana si occupa invece della psicostasia, ovvero della pesatura delle anime e per questo può essere rappresentato con una bilancia. Nella Lettera di Giuda16 si disputa il corpo di Mosè con Satana, come nell’affresco di Matteo da Lecce sulla parete d’ingresso della Cappella Sistina (fig. 2), dipinto in sostituzione di quello di Luca Signorelli col medesimo soggetto e distrutto dal crollo di un architrave nel 1522.

GLI ORDINI ANGELICI

Fig. 1 - Agnolo Gaddi, L’apparizione di San Michele sulla Mole Adriana a Roma, 1380-90 ca, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

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Raffaele Rafa’el significa “Dio che guarisce” ed è il compagno di viaggio di Tobia che va a riscuotere un credito del padre, che poi egli stesso guarisce dalla cecità con le interiora di un pesce che Raffaele gli ha detto di conservare. Durante il cammino, l’angelo, presentatosi con il nome di Azaria, aiuta anche la giovane Sara che poi va in sposa a Tobia. Per questo è il protettore di viandanti, farmacisti e sposi. Suoi attributi sono il pesce e il vaso dei medicamenti. Anche lui è stato elevato al rango di arcangelo dalla devozione perché, in realtà, quando infine si rivela a Tobia dice: “Io sono Raffaele uno dei sette angeli che sono al servizio di Dio e hanno accesso alla maestà del Signore”17. Con Tobia e Raffaele troviamo in quasi tutte le raffigurazioni anche il cane del ragazzo, che nelle Scritture è indicato come un altro fedele compagno di viaggio.

Raffaele è da taluni individuato anche nell’angelo che di tanto in tanto scendeva ad agitare l’acqua della piscina di Betesda, permettendo al primo che vi si immergeva di guarire miracolosamente da ogni malattia, come testimoniato nel Vangelo di Giovanni.

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I tre arcangeli sono festeggiati tutti insieme il 29 settembre, come tutti insieme li troviamo nella tempera su tavola Tobiolo e i tre arcangeli di Francesco Botticini (fig. 3), che ce li mostra in compagnia del giovane Tobia e muniti degli attributi che li caratterizzano. Michele vestito di una magnifica armatura, regge la spada e la sfera d’oro, Raffaele ha il vasetto degli unguenti medicinali e tiene per mano Tobia con il pesce miracoloso e Gabriele porta il giglio dell’annuncio a Maria. Le loro ali sono tutte diverse e se il generale delle milizie celesti le ha di penne e piume mentre Gabriele le ha rosse, più per accordarlo ai colori degli altri personaggi che per un reale motivo di fedeltà iconografica, Raffaele porta sulle spalle un magnifico paio di ali composte di penne di pavone, animale sacro che rappresentava l’immortalità, e dunque per i cristiani la vita eterna e la resurrezione, perché le sue carni erano credute immarcescibili. Insieme ce li presenta anche Domenico di Michelino (fig. 4) in una tavola precedente, forse solo di qualche anno ma ancora su fondo oro, con ulteriori dettagli

Fig. 2 - Matteo da Lecce, Contesa sul corpo di Mosè, 1574, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina

soprattutto nella figura di San Michele, che qui indossa oltre all’armatura anche l’elmo, ha ucciso il drago simbolo del Maligno e regge la bilancia con i piatti gravati da due figure in miniatura che rappresentano le anime alla pesa.

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Lucifero Lucifero, il portatore di luce (da latino lux = luce e ferre = portare), era un serafino ovvero uno degli spiriti celesti dell’ordine più vicino a Dio. La storia della superbia che lo condusse a voler essere uguale all’Onnipotente e, di conseguenza, del suo precipitare agli inferi con le schiere di angeli ribelli per mano dell’arcangelo Michele e delle sue milizie celesti, non è narrata nella Bibbia in modo puntuale. Gli studiosi della mate-

Fig. 3 - Francesco Botticini, Tobiolo e i tra arcangeli, 1470 ca, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

ria però tendono a ravvisarla nella descrizione della caduta del re di Babilonia e del principe di Tiro così come raccontate nei libri di Isaia ed Ezechiele18. Nel IV Concilio lateranense (1215) si decretò come verità di fede che molti angeli caddero nel peccato e per questo furono puniti, così come scritto da San Pietro: “Dio infatti non perdonò agli angeli che avevano peccato, ma, condannandoli al tartaro, li confinò nelle fosse tenebrose perché vi fossero trattenuti fino al giudizio”19. La tradizione giudaico-cristiana ha tramandato il nome di Lucifero come quello del diavolo prima che fosse precipitato dai cieli fin dentro l’abisso dove assunse il nome di Satana, ergendosi poi a sinonimo del Male e delle sue molteplici forme. Per questo nelle Sacre Scritture lo incontriamo con il secondo nome che in ebraico significa “l’avversario”. 23 GLI ORDINI ANGELICI

Fig. 4 - Domenico di Michelino, I tre arcangeli e Tobiolo, 1460 ca-1470 ca, Firenze, Galleria dell’Accademia

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capitolo secondo

Antico Testamento

Nel Vecchio Testamento non sono pochi quelli che incontrano gli angeli. Tra gli altri: Abramo, sua moglie Sara e la loro schiava Agar, Giacobbe, Mosè, Balaam, Gedeone, Menoach e sua moglie alla quale è annunciata la nascita del figlio Sansone, Davide che vede l’angelo del Signore mandato a distruggere Gerusalemme, e ancora i Maccabei, Zaccaria, Lot, Daniele salvato dalla fossa dei leoni e il profeta Elia nel deserto. Come abbiamo visto, Adamo ed Eva in realtà non hanno contatti con gli angeli, perché

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Nella Bibbia gli angeli sono citati 221 volte al singolare e 96 volte al plurale e hanno funzione di messaggeri che comunicano il volere di Dio, lo sostituiscono nelle punizioni da infliggere agli uomini o sono puri spiriti intenti a lodarlo con tutte le sue opere. Gli angeli guidano i popoli, combattono con o contro di loro, proteggono i prediletti del Signore e aiutano, consigliano, indicano la via. Talvolta è difficile distinguere Dio stesso – ovvero la sua manifestazione in forma “umana” – da un suo angelo, perché all’interno di uno stesso brano possono essere usati i due appellativi per la medesima apparizione. Così accade ad esempio per l’episodio di Mosè e il roveto ardente sul monte Oreb, dove il profeta era andato a pascolare le pecore. Nella Bibbia è scritto prima: “L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in un roveto” (Esodo 3,2) e poi, quando Dio si accorge che Mosè si è mosso per vedere come mai il rovo arde ma non si consuma: “Il Signore vide che Mosè si era spostato per osservare e lo chiamò dal mezzo del roveto: «Mosè! Mosè!». Rispose: «Eccomi!»”. (Esodo 3,4). Si può forse dire che gran parte dei pittori, dovendo scegliere, ha preferito dipingere Dio stesso dentro il roveto. Così, ad esempio, fanno la Scuola di Raffaello (forse Giulio Romano) nelle Logge Vaticane (fig. 5) mentre Mosè si copre la faccia nel timore di vedere il volto di Dio come indicato nel libro dell’Esodo, o Sandro Botticelli in un angolo del grande affresco Episodi della vita di Mosè sulla parete della Cappella Sistina (fig. 6). In un quadro attribuito a Veronese della villa medicea di Poggio a Caiano (Prato), l’artista per non sbagliare li ha dipinti entrambi: il Signore e il suo messaggero. Un angelo di rosso vestito, infatti, plana dal cielo e indica a Mosè l’Onnipotente che in quel momento sbuca dalle nubi sopra il rovo infuocato.

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Fig. 5 - Scuola di Raffaello, Storie di Mosè: il roveto ardente, 1517-19 ca, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Logge Vaticane

Fig. 6 - Sandro Botticelli (Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi), Episodi della vita di Mosè, 1481-82, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina

è Dio stesso a scacciarli dall’Eden e a mettere poi i cherubini a guardia delle porte. Delle loro svariate visite e apparizioni, alcune più di altre hanno comunque sollecitato l’estro e la fantasia degli artisti oltre che i desideri o le necessità dei committenti che traevano dalle storie bibliche insegnamenti per la vita contemporanea.

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Seconda forse solo alle storie del Nuovo Testamento e alle vicende di Mosè, è la presenza del patriarca Abramo in opere d’arte che hanno attraversato i secoli. Se la sua “famiglia allargata” ha a che fare con le presenze celesti per ben quattro volte, quella che troviamo più raffigurata è con tutta probabilità l’ultima, poiché illustra un episodio fondamentale per tutte e tre le maggiori religioni monoteiste20. Anche se nel tempo gli artisti hanno riprodotto tutti gli episodi che lo riguardano (quando lui stesso ospita tre visitatori angelici e poi Agar, la schiava dalla quale ha il figlio illegittimo Ismaele, che fugge per due volte nel deserto ed è indotta a tornare indietro dall’intervento di un angelo), è il mancato sacrificio del figlio Isacco che li ha ispirati davvero, quale esempio di suprema osservanza delle leggi divine. Per i cristiani, inoltre, il gesto di Abramo ha il più profondo significato di prefigurazione del sacrificio di Cristo per redimere i peccati dell’intera umanità ed è dunque un tema molto caro alla raffigurazione sacra. Questo stesso episodio dimostra anche come l’intervento di un angelo sia squisitamente esecutivo della volontà di Dio. Nel libro della Genesi, Abramo riceve dal Signore l’ordine di sacrificargli, quale segno di cieca ubbidienza, il suo unico figlio maschio, che conduce quindi su un monte ma, mentre è nell’atto di ucciderlo sull’altare che ha preparato, la voce di un angelo interviene a impedirlo. Il Signore è soddisfatto dalla risposta di Abramo al suo volere e, al posto del figlio, fa che gli offra in olocausto un ariete che è rimasto impigliato per le corna a un cespuglio poco lontano. Molti pittori hanno scelto di presentare una scena nella quale il messaggero si limita a fermare Abramo solamente richiamandone l’attenzione, seguendo le parole del testo: “Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo…”21. Così fanno ad esempio Andrea Mantegna nel Sacrificio di Isacco, dipinto monocromo visibile nella tavola della Circoncisione del Trittico degli Uffizi (1460 ca.) (fig. 7), o Andrea del Sarto nelle tre versioni della stessa tavola oggi ubicate a Fig. 7 - Andrea Mantegna, Sacrificio di Isacco, Madrid (fig. 8), Dresda e Cleveland. Trittico degli Uffizi (part.), 1460 ca, Firenze, Gallerie L’angelo chiama e Abramo si ferma. degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

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Fig. 8 - Andrea del Sarto (Andrea d’Agnolo), Sacrificio di Isacco, 1528, Madrid, Museo Nacional del Prado

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Fig. 9 - Caravaggio (Michelangelo Merisi), Sacrificio di Isacco, 1603, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

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Ma con un pittore teatralmente drammatico come Caravaggio, le cose cambiano. Nella versione del Sacrificio di Isacco del 1603 conservata agli Uffizi22 (fig. 9), il pittore permea la tela di un pathos profondo, creando una “catena” le cui maglie si inseguono strettamente: dalla mano dell’angelo chiusa sulla destra armata di Abramo, fino alla sua sinistra che strozza il collo del figlio terrorizzato. L’angelo entra nel dipinto solo parzialmente dal lato sinistro, ma è lui l’artefice dell’improvvisa interruzione dell’intera violenta azione e anche quello che suggerisce al patriarca come donare comunque la sua offerta, indicando l’ariete prigioniero accanto alla testa immobilizzata di Isacco. La dolcezza della campagna romana alle spalle delle figure, non smorza l’intensa drammaticità della scena, che non segue le Scritture nemmeno quando sottintendono una volontaria e ubbidiente sottomissione di Isacco al sacrificio.

Qui il giovane è tutto in quell’urlo muto che rimanda inevitabilmente ad altre teste già mozzate, o in procinto di esserlo, dipinte da Caravaggio: Medusa (1598) (fig. 10), Giuditta e Oloferne (1599), Davide e Golia (1597-98 e 1607) (fig. 11) e Davide con la testa di Golia (1605-06)23. Se l’incontro di Isacco con gli angeli si limita a questo spaventoso ma salvifico episodio, quelli di suo figlio Giacobbe sono invece due: il sogno e la lotta. Per sfuggire all’ira del fratello Esaù al quale ha carpito il diritto alla primogenitura e la benedizione che gli era riservata, Giacobbe si mette in viaggio verso suo zio Labano e, una notte, sogna una scala che va dalla terra fin nell’alto dei cieli, percorsa nei due sensi da molti angeli, 30

Fig. 10 - Caravaggio, Scudo con testa di Medusa, 1598, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

come vediamo nel Sogno di Giacobbe affrescata nel 1511 da Raffaello nella Stanza di Eliodoro (fig. 12). Nel sogno e nel dipinto appare anche Dio che gli promette la terra dove sta riposando, insieme a una numerosa discendenza. Prima di questo momento però, Giacobbe aveva dovuto sostenere una terribile lotta corpo a corpo con uno sconosciuto, che allo spuntare dell’aurora si era rivelato come un messaggero divino che l’aveva benedetto cambiandogli il nome, così come raccontato nel libro della Genesi24:

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Fig. 11 - Caravaggio, Davide e Golia, 1597-98, Madrid, Museo Nacional del Prado

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Fig. 12 - Raffaello (Raffaello Sanzio), Sogno di Giacobbe, 1511, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Stanza di Eliodoro

“Non ti chiamerai più Giacobbe ma Israele, perché hai combattuto con Dio25 e con gli uomini e hai vinto”. Parlando degli arcangeli, abbiamo già fatto cenno alla vicenda che ha per protagonisti Raffaele e Tobia e al loro viaggio per riscuotere il credito del padre del ragazzo. Mischiando il commercio alla devozione, questo tema fu particolarmente caro all’ambiente quattrocentesco fiorentino che favorì la produzione di numerose opere a tema. Il motivo per il quale proprio qui si sviluppò un particolare culto di san Raffaele, è da ricercare tra i molti giovani che all’epoca si recavano a compiere il loro apprendistato fuori città, presso una delle tante filiali delle banche fiorentine o nelle imprese commerciali di famiglia. La destinazione poteva essere Parigi, se non addirittura Londra o le Fiandre. Quale miglior dipinto devozionale da tenere con sé durante il lungo insidioso percorso attraverso le Alpi o da lasciare a casa alle preghiere dei genitori, se non quello di chi proteggeva a un tempo i giovani e i viaggiatori? Ecco perché dalle botteghe fiorentine uscirono tanti Tobia e l’angelo abbigliati come benestanti giovanotti del Quattrocento: prima fra tutte la bottega del Pollaiolo, ma anche quelle di Verrocchio e di Botticelli. L’olio su tela conservato al Museo di San Marco a Firenze e dipinto da Giovanni Sogliani tra il 1530 e il 1540 (fig. 13), non si può di certo annoverare tra quelle “trasportabili” con i suoi 174×163 cm. Essa ci mostra comunque l’arcangelo a figura intera, in primo piano a sinistra con Tobiolo, la Madonna col Bambino in trono al centro e Sant’Agostino a destra, immerso nella lettura e con la mitria posata ai piedi di Maria in segno di rispetto e devozione. In realtà i pittori si sono dedicati a più episodi della storia di Tobia come la cattura del pesce, l’applicazione degli unguenti sugli occhi del vecchio padre Tobi, l’angelo

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Fig. 13 - Giovanni Antonio Sogliani, Madonna col Bambino, Tobiolo e l’angelo e sant’Agostino, 1530-40, Firenze, Museo di San Marco

che rifiuta i doni offerti dal ragazzo in ringraziamento per l’aiuto ricevuto o che favorisce il matrimonio di Sara e Tobia. Possiamo dire che se l’immagine di Raffaele è stata replicata così tante volte, lo si deve innanzitutto al suo essere protettore di diverse categorie che, come già accennato, sono viandanti, farmacisti e sposi e che mettendosi al riparo sotto la sua ala ne hanno perpetuato la devozione. Anche per questo Raffaele è assurto a prototipo dell’angelo custode, accompagna durante il viaggio che metaforicamente è la nostra vita, può far guarire dalle malattie e favorire i buoni matrimoni.

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capitolo terzo

Nuovo Testamento

La prima apparizione di un angelo nei Vangeli potrebbe sembrare ovvio appartenere all’annuncio della nascita di Gesù fatto dall’arcangelo Gabriele a Maria. Le cose però non stanno precisamente così. Se seguiamo la tradizionale sequenza dei Vangeli, ovvero: Matteo, Marco, Luca e Giovanni, il primo a presentarsi è in realtà l’angelo che nella testimonianza dell’evangelista Matteo appare in sogno a Giuseppe quando, sapendo la promessa sposa Maria incinta, vorrebbe licenziarla in segreto per non attirare su di lei la vergogna dovuta all’evento. L’angelo lo visita durante il sonno e lo ammonisce a non farlo, a sposare Maria e a chiamare il figlio Gesù26, perché tutto è già stato preordinato. Quello stesso angelo tornerà in sogno da Giuseppe altre due volte: per dirgli di prendere la sua nuova famiglia e trovare rifugio in Egitto perché Erode cerca il Bambino e poi, ancora, quando sarà finalmente tempo di tornare in Galilea. Per Marco e Giovanni il racconto inizia invece con la predicazione di Giovanni il Battista e il battesimo di Gesù nelle acque del Giordano. Solo in Luca vi è narrato oltre all’annuncio della nascita di Gesù a Maria, anche quella del Battista a suo padre Zaccaria, sacerdote del Tempio, incredulo che la moglie Elisabetta ormai anziana possa dare alla luce un figlio, che poi le esulterà nel petto quando incontrerà sua cugina Maria incinta del Salvatore. L’arcangelo appare dunque prima a Zaccaria e a lui si presenta con: “Io sono Gabriele e sto al cospetto di Dio”27 e solo in seguito alla Madonna ma, com’è giusto, è quest’ultimo incontro che ha – è il caso di dirlo – spiegato le ali della fantasia degli artisti, che lo hanno immaginato in maniera multiforme e dissimile, collocandolo in diversi scenari. Se pochi hanno tenuto in conto la certa umiltà e le semplici origini di Maria, un’anonima giovinetta di una cittadina di provincia, per seguire perlopiù i dettami religiosi e gli stili dell’epoca, i luoghi nei quali sarebbero state collocate le opere e le indicazioni dei committenti, gli artisti hanno spesso scelto di aprire all’“Ave piena di grazia, il Signore è con te” sontuosi palazzi e rigogliosi giardini. Databile tra il 1472 e il 1475, l’Annunciazione di Leonardo da Vinci degli Uffizi (fig. 14), ambienta il mistico incontro all’esterno di una ricca dimora, immersa in una luce mattutina che sfuma le forme, con un giardino fiorito oltre il cui basso muro

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VANGELI

si apre un paesaggio con alberi resi perfettamente scenografici dall’arte topiaria e un golfo racchiuso tra i monti. Anche il giardino cintato (hortus conclusus) rimanda, come il giglio, alla purezza di Maria, al suo grembo e, nello stesso tempo, all’Eden perduto che gli artisti dei secoli precedenti avevano rappresentato appunto come un giardino cinto da mura. Maria, novella Eva, sarà la madre del redentore dal peccato originale commesso dai nostri progenitori nel Paradiso terrestre.

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Fig. 14 - Leonardo da Vinci, Annunciazione, 1472-1475 ca, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

L’arcangelo Gabriele è inginocchiato di profilo, con quella bellezza femminea che l’arte del tempo attribuiva ai suoi pari e con la quale Leonardo, più di altri, sapeva giocare confondendo le carte28. In una mano regge il candido fiore e con l’altra benedice Maria che lo accoglie con un moto di compostissima sorpresa: una mano alzata e l’altra posata sopra un libro aperto. È dunque una Madonna “leggente”, tema davvero molto caro alla pittura delle Madonne anche non annunciate fin dal XIV secolo e tendente

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a suggerire la presenza di Dio sotto forma delle Sacre Scritture con un rimando alle parole del profeta Isaia: “Ecco, la Vergine concepirà e partorirà un figlio”29. Anche la Madonna dell’Annunciazione di Raffaello (fig. 15) nella predella dell’Incoronazione della Vergine (detta Pala Oddi) databile tra il 1502 e il 1504 è leggente, e accoglie a occhi bassi un arcangelo Gabriele di rosso vestito, con le ali scure e recante l’usuale giglio, all’interno di un palazzo spoglio ma dalle alte colonne corinzie che si apre a un dolce paesaggio dove appaiono Dio Padre benedicente e lo Spirito Santo in discesa su Maria. Nonostante il fondo oro com’era in uso nelle pale del Trecento, quella che appare in un certo senso più “realistica” nella reazione della Vergine, è l’Annunciazione tra i santi Ansano e Margherita (fig. 16), di Simone Martini e il cognato Lippo Memmi. L’angelo è proprio appena giunto col mantello svolazzante e le ali ancora alte sul capo e sta al cospetto di Maria che si ritrae quasi spaventata, com’è filologico30 e naturale aspettarsi da una ragazza che si trovi all’improvviso con un inaspettato visitatore alato dentro casa. E le parole del saluto sono iscritte nello spazio che va dalla bocca di Gabriele all’orecchio della Madonna, in una sorta di fumetto ante-litteram. C’è da notare che in questo quadro l’angelo non reca il solito giglio, sostituito da un ramo d’ulivo. Se tradizionalmente interpretiamo quest’arbusto come simbolo di pace ed è quindi facile comprendere che possa rappresentare la salvezza perduta col peccato originale che Dio offre nuovamente agli uomini incarnandosi, è altresì vero che la tavola era destinata al Duomo di Siena, storica nemica di Firenze, che fin dall’XI secolo ha avuto come simbolo cittadino proprio un giglio. Per questo motivo le annunciazioni prodotte per l’area senese hanno spesso tolto di mano a Gabriele il fiore, per sostituirlo con la pianta. I gigli sono al massimo relegati in un vaso e, citando Curzio Malaparte, verrebbe simpaticamente da esclamare “maledetti toscani!”31 se riescono persino a utilizzare l’emblema della pace non proprio in nome di quella, quanto piuttosto per una loro antica e pugnace rivalità. Un incontro tra Gabriele e Maria pervaso di mistico incanto è l’Annunciazione di Cestello di Sandro Botticelli (fig. 17), che vede anche qui l’angelo nell’istante dell’arrivo, come testimonia il suo impalpabile velo ancora sospeso nell’aria. È di profilo, vestito di oro e di porpora, molto chinato e sbilanciato in avanti verso la Madonna che guarda di sotto in su in una sorta di improvvisa soggezione. Lei è in piedi, solo appoggiata a un gradino dal quale si alza un leggio e compie una dinamica torsione del corpo e delle vesti per distogliere l’attenzione dal volume che ha davanti. Ma così facendo non posa gli occhi su Gabriele. Li abbassa umilmente a terra e, nel farlo, lo accoglie e si schermisce nello stesso tempo. Maria è timorosa, racchiusa in un terzo del dipinto pur occupandolo quasi per l’intera altezza e allunga la mano destra verso Gabriele che alza la sua per poterla toccare, prono e soggiogato dalla maestà della Madonna che di lì a breve sarà la Madre di Dio. Sia fatta la volontà del Signore. È un istante d’irreale sospensione che accompagna la rivelazione: il destino dell’umanità fino ad allora condannata, sta per mutare. Dio si farà carne per la redenzione dei suoi figli, tenendo fede

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Fig. 15 - Raffaello, Annunciazione, predella dell’Incoronazione della Vergine (Pala Oddi), 1502-04, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

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Fig. 16 - Simone Martini e Lippo Memmi, Annunciazione tra i santi Ansano e Margherita, 1333, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

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Fig. 17 - Sandro Botticelli, Annunciazione di Cestello, 1489-90, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

alla profetica promessa della venuta del Messia. Le dita di Maria e Gabriele sono sul punto d’incontrarsi e così il divino raggiungerà e sfiorerà l’umano per infondere ‘grazia’ e ‘vita’, come un paio di decenni più tardi Michelangelo dispiegherà per il Creatore e Adamo al centro della volta della Cappella Sistina a Roma. In seguito torneremo inevitabilmente e più volte sul tema delle Madonna con gli angeli, soprattutto in virtù di almeno due dei suoi molti titoli: quei Regina coeli e Regina angelorum che si trovano nelle litanie lauretane, le suppliche abitualmente recitate al termine del Santo Rosario. 42

Come dicevamo, all’episodio dell’Annunciazione segue cronologicamente, in Matteo, quello dell’angelo che rassicura Giuseppe per non fargli ripudiare Maria incinta. “Un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua moglie; perché ciò che in lei è generato, viene dallo Spirito Santo.»” (Matteo 1,20). Le apparizioni divine durante il sonno erano già state frequenti nell’Antico Testamento, quasi che l’umano stato di riposo fosse una sorta di porta verso la trascendenza. Diversi autori si sono prodigati anche nella rappresentazione di questo episodio, limitando in genere la composizione alla sola intima presenza di Giuseppe e dell’angelo, come l’evocativo George de la Tour del Musée des Beaux Arts di Nantes. Giuseppe Maria Crespi detto lo Spagnoletto, in una pala della Pinacoteca Nazionale di Bologna, opera invece una mirabile sintesi dei due episodi visti sin qui: l’annunciazione e il sogno (fig. 18). Sotto dei putti con la colomba dello Spirito Santo posti in alto, dipinge un atletico angelo in volo sopra un nimbo, che si contorce ad allungare il giglio verso Maria inginocchiata a destra nel registro inferiore del quadro, mentre contemporaneamente sussurra e indica il cielo a Giuseppe addormentato sotto di lui. Il Santo ha con sé il bastone fiorito che nei testi apocrifi lo designò come sposo di Maria e anche lei ha qui un attributo che troviamo spesso nelle annunciate ma che non appartiene ai Vangeli, ovvero il cestino da lavoro. È un elemento che si trova sovente (si veda anche il citato Leonardo da Vinci) e indica la sua supposta mansione di vergine addetta alla tessitura dei paramenti sacerdotali del Tempio di Gerusalemme, dove sarebbe stata allevata. Nel Vangelo di Luca, saltato il momento del sogno, un angelo si manifesta ai pastori di Betlemme per annunciare la lieta novella: “«Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore. E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia». E a un tratto vi fu con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio […]”32. Per il tema della Natività si sommano le due principali funzioni degli angeli riportate nel Nuovo Testamento: trasmettere i messaggi divini e lodare l’Altissimo. Per questo motivo, e per quanto tramandato dal testo evangelico, nei dipinti a tema possiamo trovare da un singolo angelo, come nella predella dell’Adorazione dei Magi di Gentile

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Fig. 18 - Giuseppe Maria Crespi (detto lo Spagnoletto), Sogno di san Giuseppe, 1727 ca-1732 ca, Bologna, Pinacoteca Nazionale

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Fig. 19 - Gentile da Fabriano, Natività, predella dell’Adorazione dei Magi, 1423, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

da Fabriano (fig. 19), dove una creatura irradiante la luce divina illumina i pastori33, a un intero nutrito coro di creature celesti come nella Santa Brigida di Svezia e la visione della Natività di Niccolò di Tommaso della seconda metà del XIV secolo (fig. 20). La Santa è nell’angolo in basso a destra con il rosario tra le mani e davanti a lei si dispiega la visione della grotta con la Sacra Famiglia, mentre nell’alto dei cieli decine di angeli dorati, cherubini e serafini riempiono la volta. Anche qui, nel registro superiore, proprio sopra la Santa, un angelo da solo sveglia i pastori per la lieta novella. Tra i due estremi si passa anche per un numero più contenuto, come i cinque angeli che reggono il cartiglio con lo spartito del Gloria in excelsis Deo e coronano la Natività di Cristo (e san Giuseppe pensieroso) di Domenico Bigordi detto Il Ghirlandaio (fig. 21), o gli undici angeli danzanti e tutti azzurri, che si tengono per mano in festoso girotondo nella Natività dello Pseudo Domenico di Michelino (fig. 22). Natività, Adorazione dei pastori e Adorazione dei Magi possono essere rappresentate dai pittori come scene variamente “affollate”, ma scevre di figure alate. Alcuni esempi li troviamo alla Galleria degli Uffizi a Firenze: l’Adorazione dei Magi di Botticelli

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Fig. 20 - Niccolò di Tommaso, Santa Brigida di Svezia e la visione della Natività, seconda metà del XIV secolo, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

(fig. 23), quella di Filippino Lippi (fig. 24) o la versione di Leonardo da Vinci (fig. 25), nelle quali la folla di personaggi richiama tutta la ricchezza dei committenti e, anche solo marginalmente, il corteo rituale che si svolgeva annualmente in città in occasione dell’Epifania. Queste composizioni sono sontuose, popolate dai più diversi personaggi dell’epoca riccamente vestiti e dagli autoritratti dei pittori, come nel primo, dove Botticelli è la figura in piedi a destra che guarda diritto verso di noi, ma non raffigurano alcun angelo. Altre invece, come la sua famosissima Natività mistica del 1501, ne sono pieni. Qui, in primo piano, ce ne sono tre abbracciati ad altrettanti personaggi, con dei brutti diavoli che fuggono dalle fenditure del terreno, perché la Nascita di Cristo rinnova l’alleanza tra Dio e gli uomini decretando la fine del regno di Satana; più su, accanto alla grotta/capanna, un altro paio indica Gesù ai pastori e ai Magi; sul tetto tre cantano le lodi del Signore e, nel fulgore dorato del cielo, molti altri danzano a un passo dall’Empireo e ricordano quelli che lui stesso aveva già posto a esaltare l’Incoronazione della Madonna e San Giovanni Evangelista, Sant’Agostino, San Girolamo e Sant’Eligio (fig. 26).

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Fig. 21 - Ghirlandaio (Domenico di Tommaso Bigordi), Natività di Cristo (e san Giuseppe pensieroso), seconda metà del XV secolo, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

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Fig. 22 - Pseudo Domenico di Michelino, Natività, 1430-50 ca, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

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Fig. 23 - Sandro Botticelli, Adorazione dei Magi, 1476 ca, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

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Fig. 24 - Filippino Lippi, Adorazione dei Magi, 1496, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

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Fig. 25 - Leonardo da Vinci, Adorazione dei Magi, 1480-82 ca, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

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Fig. 26 - Sandro Botticelli, Incoronazione della Madonna e San Giovanni Evangelista, Sant’Agostino, San Girolamo e Sant’Eligio, 1480 ca, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

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Si diceva che Giuseppe è visitato da un messaggero divino in tre occasioni diverse. La prima perché non ripudi la giovane fidanzata, la seconda perché la sua nuova famiglia scappi in Egitto per sfuggire alle ire di Erode e poi perché, due o tre anni più tardi, passato il pericolo con l’avvenuta morte del re, faccia ritorno in Galilea. Iconograficamente possiamo distinguere dal primo almeno il secondo di questi momenti solo perché talvolta, sullo sfondo, appare Maria non più incinta ma già col Bambino tra le braccia. Nei vangeli apocrifi però un angelo guida la fuga, così è possibile trovarlo che tira l’asinello con in groppa la Madonna e il Bambino, come nella predella della Maestà di Duccio da Buoninsegna (fig. 27), ma anche vederne altri che intrattengono la Sacra Famiglia come nel tenero Riposo durante la fuga in Egitto di Francesco Mancini (fig. 28), o in quello altrettanto intimo di Antoon van Dyck (fig. 29). Nel primo due angeli cantano e suonano; nel secondo dei puttini danzano allegramente per divertire il Bambino.

Fig. 27 - Duccio da Buoninsegna, Fuga in Egitto, predella della Maestà, 1308-11 Siena, Museo dell’Opera del Duomo

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Fig. 28 - Francesco Mancini, Riposo durante la fuga in Egitto, XVIII secolo, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

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Nel Vangelo di Luca non è narrata alcuna fuga in Egitto e si parla invece della presentazione di Gesù al Tempio per la circoncisione, otto giorni dopo la sua nascita, come raffigurato nel pannello destro del Trittico degli Uffizi di Andrea Mantegna (fig. 30). Nel pannello centrale troviamo un’Adorazione dei Magi, popolata di un ricco corteo al seguito dei tre Re e di angeli, tra i quali alcuni sono dipinti di quel rosso fuoco che è spesso attributo dei serafini, per il loro nome che in ebraico significa ardente, ma che è adattato a volte anche ai cherubini, forse per via della spada folgorante che con loro custodisce la porta del Paradiso terrestre e la via che conduce all’albero della vita. Il pannello di sinistra presenta invece un’Ascensione che è uno degli episodi narrati al termine dei Vangeli e negli Atti degli Apostoli nei quali non compaiono gli angeli, ma che gli artisti hanno spesso raffigurato arricchendoli di queste figure.

Fig. 29 - Antoon van Dyck, Riposo nella fuga in Egitto, 1630 ca, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria Palatina

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Gli episodi della vita di Gesù adulto in cui compaiono gli angeli sono soltanto due, nonostante li nomini diverse volte. La prima apparizione, avviene quando ha già iniziato la sua predicazione e si è ritirato a digiunare nel deserto dove è tentato inutilmente dal diavolo: “Allora il diavolo lo lasciò ed ecco che gli angeli si avvicinarono a lui per servirlo”34. Il dipinto di Giovanni Mannozzi Cristo servito dagli angeli (fig. 31), è un olio su rame con Gesù attorniato da ben sette angeli, visti come giovani premurosi e affaccendati, intenti a lavargli le mani e a preparare un ristoro. Nel registro mediano della Cappella Sistina a Roma, si trova invece un affresco di Botticelli e aiuti (fig. 32) con le Tentazioni di Cristo (148082), contrapposto alle Prove di Mosè dipinte sulla parete opposta. In queste tentazioni Gesù caccia il demonio giù da una rupe, mentre tre angeli gli preparano un banchetto, vestiti con i colori delle tre virtù teologali, così come il pittore farà ancora vent’anni dopo quando li porrà sul tetto della capanna della Natività mistica che abbiamo già incontrato: bianco per la Fede, verde per la Speranza e rosso per la Carità. La seconda volta che Cristo incontra gli angeli è nell’orto degli ulivi all’inizio della Passione. Sul Getsemani, nel momento di maggior sconforto, conscio del suo destino e con gli apostoli vinti dal sonno, Cristo chiede al Signore di risparmiargli il futuro che lo attende. “«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta». Allora gli apparve un angelo dal cielo per confortarlo”35. Anche qui gli artisti hanno interpretato in diverse maniere questo intervento divino. Alcuni hanno scelto di mostrare angeli che si limitano a scendere dal cielo chi reggendo la croce come prefigurazione della Passione, chi portando il calice che Gesù vorrebbe allontanare da sé come nell’Orazione nell’orto di Pietro Perugino agli Uffizi (fig. 33) o in quelle omonime di Andrea Mantegna e Giovanni Bellini entrambe alla National Gallery di Londra. Altri hanno invece preso alla lettera il conforto che l’angelo era sceso a portare a Cristo e l’hanno ritratto nell’atto di tenerlo tra le braccia quasi a trasmettergli fisicamente la forza mandata dal Cielo, così come hanno fatto Paolo Veronese in Cristo al Getsemani (fig. 34) o Carl Heinrich Bloch in Gesù viene consolato dall’angelo nel giardino del Getsemani. L’immagine di Bloch può apparire oleografica36 ma, come quella di Veronese anche più toccante nel totale abbandono della figura di Cristo tra le braccia dell’angelo, ben riassume il significato della presenza angelica accanto all’uomo: conforto, sostegno e aiuto che giunge nel momento del bisogno, quando maggiormente diffidiamo delle nostre forze. E l’intervento è corporeo, tangibile, sicuro, come se per l’occasione anche gli angeli assumessero una fisicità che altrove è loro negata dall’essenza di puri spiriti. E mentre nelle Orazioni quattrocentesche citate vi è la costante della presenza degli apostoli in primo piano (solitamente Pietro, Giacomo e Giovanni addormentati), negli incontri più toccanti tra l’angelo e Cristo, essi sono soli – o con i tre apostoli relegati sullo sfondo – così come teme di essere solo chi si trova in difficoltà, ma sa di non esserlo davvero se illuminato dalla luce della Fede.

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Fig. 30 - Andrea Mantegna, Trittico degli Uffizi, 1460 ca, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

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Fig. 31 - Giovanni Mannozzi, Cristo servito dagli angeli, 1630 ca, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria Palatina

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Fig. 32 - Sandro Botticelli, Tentazioni di Cristo, 1480-82, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina

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Fig. 33 - Perugino (Pietro Vannucci), Orazione nell’orto, 1492 ca, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

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Fig. 34 - Veronese (Paolo Caliari), Cristo nell’orto del Getsemani, 1570, Milano, Pinacoteca di Brera

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Fig. 35 - Beato Angelico (Guidolino di Pietro, poi Fra Giovanni da Fiesole), Cristo risorto e le Marie al sepolcro, 1438-43, Firenze, Museo di San Marco

Cristo è morto e appena risorto quando altri angeli appaiono nei Vangeli. Discordanti sul numero, ne citano uno, due, o anche uomini “in vesti risplendenti”37, che appaiono alle pie donne in visita al Santo Sepolcro e dai quali vengono gentilmente rimproverate perché cercano tra i morti colui che invece è vivo. Così il Beato Angelico nell’affresco de Cristo risorto e le Marie al sepolcro del Museo di San Marco a Firenze (fig. 35), ci presenta un angelo vestito di bianco, seduto sul bordo del sepolcro, che con la destra indica alle mirofore il sarcofago vuoto – dentro il quale guarda afflitta

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Fig. 36 - Guercino (Giovanni Francesco Barbieri), Santa Maria Maddalena penitente, 1622, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

Maria Maddalena – e con la sinistra punta il cielo dove ormai risiede il Cristo che appare con uno stendardo e un ramo di palma, simboli rispettivamente della gloria e del martirio. La sola Maddalena è invece in compagnia di due angeli giovinetti nella tela del Guercino intitolata appunto Santa Maria Maddalena penitente, che le mostrano i simboli della passione di Cristo: i chiodi e la corona di spine posata sul sudario (fig. 36). La donna è inginocchiata in meditazione e, come già in Beato Angelico, uno degli angeli indica il cielo dove si stagliano le teste di due putti.

ATTI DEGLI APOSTOLI

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Di tutti gli episodi degli Atti degli Apostoli in cui compaiono gli angeli (liberazione degli apostoli, il sogno di Filippo, il centurione Cornelio, liberazione di Pietro, Erode ucciso e il sogno di Pietro) quella che trova maggior risalto nella pittura è forse la miracolosa evasione di Pietro dalla prigione in cui l’aveva fatto rinchiudere il re Erode Agrippa38, come vediamo nel famoso affresco di Raffaello nella Stanza di Eliodoro (fig. 37). Negli Atti si racconta che, fatto gettare in prigione da Erode per compiacere i Giudei che già parevano aver apprezzato l’uccisione di Giacomo fratello di Giovanni, Pietro dorme in catene piantonato da due soldati. La notte prima che Erode lo presenti al popolo subito dopo la Pasqua, una luce sfolgora nella cella e un angelo sveglia Pietro mentre le catene gli cadono dai polsi. L’apparizione lo esorta a indossare cintura, sandali e mantello e a seguirlo, quando ancora il Santo non è certo se si tratti solo di una visione. I due oltrepassano indenni le guardie e la porta che conduce alla città si apre da sola. Poi s’incamminano lungo una strada e l’angelo svanisce, cosicché Pietro capisce che è tutto vero: è libero e salvo.

Fig. 37 - Raffaello, La liberazione di San Pietro, intero e part. con L’angelo che guida Pietro fuori dal carcere e i soldati addormentati, 1512, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Stanza di Eliodoro

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Raffaello mette in scena contemporaneamente tre momenti salienti di questa fuga e per sfruttare al meglio lo spazio della lunetta accorciata nella parte di mezzo dalla porta sottostante, è costretto a non mostrarceli nel loro corretto ordine cronologico da sinistra a destra. Pone così, al centro, l’istante fatidico dell’apparizione dell’angelo nella cella. Questi, un bellissimo giovane biondo circonfuso di luce mistica, si china a svegliare colui sul quale si costruirà la Chiesa di Cristo. È lui a rischiarare il buio della prigione, accendendo di riflessi metallici le armature dei soldati dormienti e il volto dell’apostolo steso a terra. “Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Alzati, in fretta!»”39. Nella scena di destra l’angelo accompagna già l’apostolo verso la salvezza passando davanti alle guardie che sono evidentemente immerse in un sonno profondo e a sinistra, alla luce delle torce e della luna, più armigeri si accorgono di quanto è accaduto ma è troppo tardi per disperarsi: saranno condotti al supplizio com’era usanza dell’epoca. LETTERE E APOCALISSE

Se nelle Lettere degli Apostoli gli angeli sono nominati diffusamente senza però che vi compaiano “fisicamente”, nell’Apocalisse di Giovanni – ispirata proprio da un angelo – gli spiriti celesti frutto di una visione sono invece numerosissimi e, per la maggior parte, terribilmente spaventosi. In quello che fino al Gerarchia celeste dello pseudoDionigi sarà il vero trattato di angelologia del primo cristianesimo, rovesciano sulla terra cataclismi, piogge di fuoco, tramutano il mare in sangue, distruggono gli astri, bruciano la vegetazione, liberano cavallette simili a scorpioni, minacciano gli adoratori della bestia e compiono altre atrocità contro tutti coloro che non sono stati segnati da Dio. Sette angeli che suonano sette trombe posti non a caso da Michelangelo proprio al centro del Giudizio Universale nella Cappella Sistina (fig. 38), portano morte e distruzione agli empi, decretando la fine dei tempi in preparazione del compimento della nuova Gerusalemme, la città santa “che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio”40. Tutto questo però è “solo” una visione, una prefigurazione della fine dei tempi che ci auguriamo molto in là da venire.

Fig. 38 - Michelangelo (Michelangelo Buonarroti), Giudizio universale, 1536-41, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina

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capitolo quarto

Serventi, adoranti, musici e custodi

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Come visto sin qui, gli angeli sono figure eclettiche, scenografiche, mistiche, evocative e principalmente benefiche che profumano di Paradiso. Il loro apparire è sinonimo della presenza di Dio in quel luogo e, adolescenti dal sesso incerto o bambini, giovani adulti dall’ampia apertura alare o puttini con ali di farfalla, se guardati da un punto di vista meramente figurativo gli angeli si prestano a essere elemento sostanziale all’interno di una sacra raffigurazione. Tolti quindi i casi in cui gli angeli sono realmente apparsi nelle Sacre Scritture, gli artisti, come abbiamo già avuto modo di vedere, li hanno inseriti nelle loro opere per motivi di devozione e tradizione, come nelle fastose immagini di un dorato Aldilà, oppure per bilanciare, enfatizzare o rendere più dinamica ed espressiva una composizione, per darle maggiore forza e impatto visivo. Un quadro di soggetto sacro è, di fatto, un canale spirituale tra l’umano e il divino, una sorta di passaggio tra il fugace e l’eterno e chi meglio degli angeli è in grado di aprire la porta tra questi due mondi, abitandoli entrambi a pieno diritto? Che cosa sarebbe il Compianto sul Cristo morto di Giotto senza tutti quegli angeli distrutti dal dolore in volo sopra la scena straziante della deposizione di Cristo? Gli amici e i seguaci di Gesù sono quasi più composti di quelli che in cielo si tengono il viso, si nascondono gli occhi e si torcono le mani alla vista del corpo inerte tolto dalla croce. Partecipando il dolore di quelli sulla terra, diventano a loro volta umanissimi e quindi più che mai vicini al nostro sentire e al nostro mutare di sentimenti. Così è uno degli angeli della Crocifissione tra i Santi Venanzio, Pietro, Giovanni il Battista e Porfirio di Niccolò di Liberatore detto l’Alunno che, al di sopra della croce, mentre sotto due suoi compagni raccolgono il sangue che cola dalle mani del Cristo, ha le braccia sollevate in aria e i capelli ritti sul capo per l’orrore di quanto sta avvenendo (fig. 39). Se non avesse un nimbo sotto le ginocchia, parrebbe davvero in caduta libera dall’alto dei cieli. In gran numero li troviamo nelle opere che esulano completamente dalle Scritture e possono esaltare il culto mariano, quello dei santi o avvicinarsi alla rappresentazione di un ipotetico, ideale Paradiso come troviamo riassunto nell’Assunzione della Vergine di Pietro Perugino (fig. 40) con quattro santi nel registro inferiore, la Madonna in mandorla in quello superiore e Dio Padre nella lunetta. Da sopra la testa dei santi fino alla Gloria nell’alto dei cieli del Signore benedicente ci sono una trentina di angeli divisi tra teste di cherubini, angeli musicanti, angeli adoranti e angeli in volo, con il curioso particolare che questi ultimi due, sospesi all’altezza delle ginocchia della Madonna, sembrano essere gravidi, quasi a suggerire la sacra maternità di Maria.

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Fig. 39 - Niccolò di Liberatore (detto l’Alunno), Crocifissione con i Santi Venanzio, Pietro, Giovanni il Battista e Porfirio, 1480, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

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Fig. 40 - Perugino, Assunzione della Vergine, 1500, Firenze, Galleria dell’Accademia

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Si avvisava in precedenza che nei dipinti si possono trovare angeli senz’ali, poiché in fondo il raffigurarli con queste appendici è una convenzione per distinguerli dagli esseri umani. Un magnifico esempio di angeli assenti dalle Scritture e in più apteri è nella Creazione di Adamo, sulla volta della Cappella Sistina (fig. 41). Si può dire che la nostra attenzione si sia sempre concentrata sul punto focale dell’affresco di Michelangelo: gli indici di Dio e di Adamo che si sfiorano, colti nell’istante che precede l’infusione della vita nell’uomo. Quel gesto ha una tale carica di potenza da una parte e di languida attesa dall’altra, di meraviglia dettata dalla perfezione del disegno in grado di tradurre visivamente l’inizio della storia del genere umano, essenziale e staccato contro uno sfondo di colore neutro e tramandato in mille immagini, dalle pubblicità televisive ai segnalibri di cartoncino, che solo poi passiamo alla bellissima figura di Adamo mollemente steso sull’erba. Perfetto e immortale come poteva e doveva essere una creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio per vivere in un Eden scevro da dolori e sacrifici, protende il braccio aiutandosi con l’appoggiare il gomito al ginocchio perché ancora “non è” e non ha forze. Non ha l’afflato vitale che sta per giungere da quel Dio Pantocrator che negli altri affreschi dedicati alla Creazione ha lavorato nella solitudine della sua onnipotenza. Infatti, per separare la luce dalle tenebre, creare le piante e gli animali, dividere acque e terre e poi, più avanti, far nascere Eva da una costola dell’uomo, Michelangelo raffigura Dio da solo o accompagnato da tre o quattro figure in tutto, che sembrano essere lì per fargli spazio e permettere il suo gesto creatore. Qui però, per portare a termine la sua opera più straordinaria, per dare la vita al primo uomo, Dio si fa letteralmente portare e trasportare dagli angeli che non sono affatto menzionati dal libro della Genesi. Oltre al dover pittoricamente riempire un vasto spazio con un volume consistente per controbilanciare la massa della solida terra di Adamo, è come se Michelangelo mostrasse che per un’opera tanto straordinaria, nel sesto giorno del suo immane lavoro, Dio avesse avuto così bisogno di ogni sua forza da dover essere sostenuto, per potersi impegnare completamente su quanto stava rendendo vivo a sua immagine. Per raggiungere Adamo, Egli grava sugli angeli: lo si nota nell’evidente sforzo di quelli sotto di lui e dal braccio che tiene attorno al collo di uno di quelli sopra e che termina col dito piegato, nell’appoggio sulla spalla di un altro che ci guarda dritti in faccia. Quelli che vediamo meglio in volto, dentro la cappa purpurea della sua veste, sono concentrati nella stessa direzione del Creatore, come se davvero si sforzassero tutti assieme a far collimare i due indici, nell’estrema prova dell’ultimo giorno della Creazione. E nessuno di loro vola perché munito di ali. Sono tutti angeli apteri, allo stesso modo di quelli numerosissimi del sottostante Giudizio Universale, che recano gli strumenti della Passione di Cristo, suonano le trombe del Giudizio o si contendono le anime e i corpi con i diavoli. Questi, come quelli più “composti” e recanti ali e aureole del Giudizio universale del Beato Angelico (fig. 42), sono però “appropriati” perché citati da Gesù nel Vangelo di Matteo41.

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Fig. 41 - Michelangelo, Creazione di Adamo, 1510-11, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina

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Fig. 42 - Beato Angelico, Giudizio universale, 1425 ca, Firenze, Museo di San Marco

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Così come l’Apocalisse di Giovanni è una visione e non una reale apparizione delle creature celesti tra le pagine delle Sacre Scritture, allo stesso modo lo è quella elaboratissima del profeta Ezechiele, da dove prende spunto Raffaello per La visione di Ezechiele (fig. 43), la piccola tavola42 della Galleria Palatina di Palazzo Pitti. Raffaello elabora separatamente la figura del Tetramorfo43 dalla quale derivano i simboli dei quattro Evangelisti e pone al centro della composizione Dio, interpretando in termini propriamente figurativi le parole del profeta che mai avrebbe osato dire di aver visto il volto dell’Onnipotente, tanto che al termine del resoconto della visione dirà: “Così appariva la forma della Gloria del Signore”44. Il suo inizio recita invece: “Io guardai ed ecco vidi giungere dal settentrione un vento impetuoso, una grande nube con lampi e splendore all’intorno e nel centro come il luccicare dell’elettro, in mezzo al fuoco”45. La grossa nuvola è, per il pittore di Urbino, tutto un brulicare di volti angelici sfumati nell’oro del cielo con in più due putti figurativamente meglio definiti, che sorreggono Iddio senza sforzo, a differenza di quelli michelangioleschi che abbiamo appena incontrato sul soffitto della Sistina. Il Signore è assiso sull’aquila e vola sopra il paesaggio, dove una figurina minuscola viene investita dal un potente raggio di luce che sbuca dalle nubi, mentre un’altra le si sta avvicinando. L’impalpabile raffigurazione dei puri spiriti tipica di Raffaello, la ritroviamo nella nuvola di volti angelici che circondano la Vergine nella Madonna di Foligno (fig. 44). Come nella Visione, c’è un angioletto ritratto “naturalisticamente”. Qui è in piedi tra i santi in primo piano contro il dolce paesaggio, reca un cartiglio privo d’iscrizione e alza il visetto alla sovrastante figura di Maria, ma tutt’intorno si affacciano volti evanescenti come vapori colorati. Prendendo spunto da Raffaello, possiamo affrontare due temi iconografici legati alla trasformazione della figura angelica, leggendo da una parte la parziale perdita della loro incorporeità avvenuta con l’avanzare del tempo e dall’altra la loro mutazione in bimbetti paffuti, databile intorno alla seconda metà del Quattrocento. L’identificazione raffaellesca degli angeli con le nubi può essere letta come una diretta derivazione dei passi biblici, quali quello già citato di Ezechiele e già vista – almeno in parte – nella pittura più antica. Passando dal Compianto sul Cristo morto di Giotto, dove le figure degli angeli dolenti in volo sopra il Salvatore appena deposto paiono sfaldarsi come nebbia nel blu del cielo, all’Annuncio ai pastori di Sano di Pietro con l’angelo che sembra sbucare da una nuvola in un cielo altrimenti perfettamente terso ed è quindi grossa nube egli stesso, e infine al frammento dell’affresco di Melozzo da Forlì con il Gruppo di angioletti dalle ali variopinte e contornati da un grosso nembo (fig. 45), si giunge alla loro raffigurazione del tutto aerea e immateriale in Raffaello. Nell’Antico Testamento la nuvola poteva essere la Shekhinah, ovvero una teofania che testimoniava e contemporaneamente celava dietro un velo la presenza di Dio tra gli uomini46. Dio parla da una nuvola durante il battesimo di Gesù nel Giordano o sul monte della sua Trasfigurazione e una delle cariche che possiamo attribuire agli angeli è proprio quella di testimoniare che il Signore è sulla terra, in mezzo agli uomini, ricordando ancora una volta che in alcuni casi nelle Scritture è difficile interpretare se la manifestazione è proprio quella di Dio in forma umana o quella di un suo messaggero.

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Fig. 43 - Raffaello, La visione di Ezechiele, 1518, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria Palatina

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Fig. 44 - Raffaello, Madonna di Foligno, 1511-12, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

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Fig. 45 - Melozzo da Forlì (Melozzo di Giuliano degli Ambrosi), Gruppo di angioletti, 1480 ca, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

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Gli angeli di Giotto e Sano di Pietro sono adulti. Sono già cambiati dai primi che potevano essere rappresentati apteri e addirittura con la barba, ma sono comunque giovinetti mentre, già in Melozzo e poi in Raffaello, li troviamo bambini. Putti rosei e grassottelli, teneri come i due che sono forse i più famosi dell’intera storia dell’arte e che stanno ai piedi della Madonna Sistina di Raffaello, proprio davanti a un’altra nuvola che si fa poi moltitudine di vaporosi angeli sullo sfondo (fig. 46). I putti sono una diretta derivazione degli amorini, gli eroti della mitologia greca e sono andati a sostituire iconograficamente soprattutto i cherubini che, come abbiamo visto, avevano originariamente un aspetto piuttosto inquietante. Si fanno piccoli, nudi, spesso giocosi, con piccole alucce, variopinte o di farfalla. In molti casi le nuvole di cui prima erano fatti, sono diventate come morbidi cuscini sui quali posarli, come in due quadri della Pinacoteca Vaticana: la Santa Margherita da Cortona del Guercino (fig. 47) e la Madonna dei Frari di Tiziano (fig. 48). In quest’ultima, i due piccoli sembrano danzare intorno alla Madonna col Bambino, assisa tra loro sopra un gruppo di santi. Di fatto, le nuvole divengono coronamento degli spiriti celesti andando oltre il loro “corpo” e fanno da sostegno, da quinta e da fondale a molte delle loro apparizioni.

Fig. 46 - Raffaello, Madonna Sistina, 1513 ca, Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister

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Fig. 47 - Guercino, Santa Margherita da Cortona, 1648, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

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Fig. 48 - Tiziano (Tiziano Vecellio), Madonna col Bambino e santi (Madonna dei Frari), 1533-35, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

Nella tavola sinistra del Trittico degli Uffizi di Mantegna (fig. 49) del quale abbiamo già visto l’Adorazione dei Magi e La Circoncione, la figura di Cristo nell’Ascensione poggia su una piccola nube che, sviluppandosi in altezza intorno a lui in forma di mandorla, lascia intravedere le teste e le spalle di undici serafini, ardenti del caratteristico rosso vivo. Teste e ali di cherubini e serafini fanno da cornice anche a Maria e Dio Padre nella già citata Incoronazione della Vergine di Botticelli (fig. 26 a pag. 51). Bellissimi angeli a figura intera, ma in scala più ridotta rispetto ai protagonisti e ai Santi posti nel registro inferiore della pala, circondano la Vergine e il Signore assisi nel registro superiore, danzando e spargendo rose bianche e rosse (simboli mariani di purezza e sacrificio), mentre le testoline dei putti esaltano la Gloria divina.

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Fig. 49 - Andrea Mantegna, Ascensione, pannello del Trittico degli Uffizi, 1460 ca, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

La perfezione delle madonne fiorentine non sarebbero pietra di paragone per descrivere giovani di rara e raffinatissima avvenenza se pittori, come Lippi e Botticelli, non le avessero ritratte come la quintessenza della bellezza terrena e ultraterrena, circondate dai loro sudditi celesti. Filippo Lippi, maestro fiorentino di Sandro Botticelli, dipinse una delle più famose e riprodotte madonne della storia

dell’arte nella Madonna col Bambino e due angeli, detta la Lippina (fig. 50), raffigurando forse la sua amante Lucrezia Buti nei panni della dolcissima Vergine in preghiera con due angioletti che sorreggono il Bimbo (forse ritratto del figlio Filippino), proteso verso di lei davanti a una finestra aperta su un ameno paesaggio. Uno dei putti ci guarda con espressione buffa e complice, attenuando un poco la mestizia del volto di Maria assorta, come pare, sul terribile destino di quel Figlio che sembra volerla consolare. Nei due tondi di Sandro Botticelli agli Uffizi, la Madonna del Magnificat (fig. 51) e la Madonna della melagrana (fig. 52), la Vergine e il Bambino sono circondati da angeli sia 91 SERVENTI, ADORANTI, MUSICI E CUSTODI

Fig. 50 - Filippo Lippi (Filippo di Tommaso Lippi), Madonna col Bambino e due angeli, 1465 ca, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

apteri sia alati. Sono giovani dal volto sereno e imperturbabile che sostengono la corona alta sopra il capo della Madre, le tengono il libro e il calamaio dov’ella ha vergato le parole con le quali rispose al saluto di Elisabetta47, o reggono il giglio e il libro dei Salmi per cantare le lodi di Dio. Sebbene solo nel titolo di una delle due tavole si citi la melagrana, il frutto è presente in entrambe come simbolo del sangue che Cristo, qui ancora Bambino, spargerà per la redenzione dell’umanità. Come i semi però, il suo sacrificio sarà fecondo della nuova vita cristiana e della Chiesa che riunirà intorno a sé tutti i suoi fedeli.

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Fig. 51 - Sandro Botticelli, Madonna del Magnificat, 1483, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

Il tema delle Madonne con angeli è vastissimo. Per il suo ruolo nella Chiesa, il diffondersi del culto mariano e anche in virtù del verso della supplica nelle litanie lauretane che la definisce Regina angelorum l’arte è ricchissima di quest’accostamento. Come sovrana dei cieli e della terra, Maria è spesso ritratta assisa su di un trono che ne sottolinea tutta la sempiterna regalità, resa più grande dalla presenza dei suoi sudditi, come in due tavole degli Uffizi: la Maestà di Santa Trinita di Cimabue (fig. 53) e la Madonna di Ognissanti di Giotto (fig. 54), entrambe su sfondo oro com’era in uso all’epoca.

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Fig. 52 - Sandro Botticelli, Madonna della melagrana, 1487, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

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Fig. 53 - Cimabue (Cenni di Pepo o Benvenuto di Giuseppe), Maestà di Santa Trinita, 1280-90, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

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Fig. 54 - Giotto (Giotto da Bondone), Madonna di Ognissanti, 1310 ca, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

Decisamente più sontuosa è la Maestà di Duccio da Buoninsegna che, dipinta sui due lati, porta sul recto una Madonna in trono circondata oltre che da numerosi santi, anche da venti angeli in pose diverse che guardano verso di noi o verso Maria col Bambino, alcuni poggiandosi addirittura al trono in posa umanissima,

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Fig. 55 - Duccio di Buoninsegna, Madonna in trono, recto della Maestà, 1308-11, Siena, Museo dell’Opera del Duomo

per meglio contemplare la magnificenza della Madre di Dio (fig. 55). Tutte queste figure angeliche sembrano reggere uno scettro o forse il bastone degli ostiari, gli incaricati di custodire i luoghi sacri, come in questo caso sarebbero la Madonna e il dorato Paradiso dove si è riunito il santo consesso.

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Fig. 56 - Filippo Lippi, Incoronazione della Vergine, 1439-47, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

SERVENTI, ADORANTI, MUSICI E CUSTODI

Osservando insieme due pale omonime, coeve e con lo stesso impianto, l’Incoronazione della Vergine una di Raffaello49 (fig. 57) e una di Pinturicchio (fig. 58) portata a termine da Giovanni Battista Caporali, entrambe tempera su tavola trasportate su tela e oggi ai Musei Vaticani e ottimi esempi della scuola pittorica umbra del secondo Quattrocento, incontriamo figure già intraviste in altri dipinti: gli angeli musicanti. In queste pale, infatti, divise in due registri sovrapposti che ci mostrano in quello inferiore gli Apostoli (Raffaello) o gli Apostoli e i Santi50 (Pinturicchio) e in quello superiore il

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La devozione alla Vergine (Refugium Peccatorum, Consolatrix Afflictorum, Auxilium Christianorum48) ha condotto naturalmente alla produzione di innumerevoli opere devozionali legate alla sua vita, mortale prima ed eterna poi, tratte anche dai testi apocrifi e dalla Legenda Aurea; presentazioni al tempio, dormizioni, sepolture, assunzioni, incoronazioni, trionfi e glorie che ne hanno esaltato la santa immagine, ovunque accompagnata dai suoi sudditi. Nell’Incoronazione della Vergine di Filippo Lippi, detta Incoronazione Maringhi (fig. 56), questi sono davvero fitti come dignitari di corte presenti assieme a santi e profeti, e recano gigli indossando sul capo ghirlande di rose bianche e rosse.

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Cristo che tiene sopra il capo della Madre la corona, le figure sono circondate da testine di putti e affiancate da giovani angeli con strumenti musicali. Se fin dall’epoca medievale la musica era stata inserita nel quadrivium delle leggi liberali “scientifiche” invece che nel trivium “umanistico” era perché essa è governata dai numeri che ne determinano metrica e ritmo. Una scienza esatta della natura, dunque, proprio come aritmetica, geometria e astronomia e non invece un’arte umana come grammatica, retorica e dialettica. La musica è scienza delle proporzioni e già Pitagora l’aveva messa in relazione con l’astronomia parlando della “musica delle sfere celesti”. Dopo di lui anche Platone e Cicerone avevano pensato che i corpi celesti ruotando producessero una musica e la teoria delle nove sfere concentriche con al centro la terra (e al di fuori Dio), rimase la concezione dell’universo fino al Medioevo51. E se

Fig. 57 - Raffaello, Incoronazione della Vergine (Pala Oddi) (particolari), 1502-04, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

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Fig. 58 - Pinturicchio (Bernardino di Betto Betti), Incoronazione della Vergine, 1503-05, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

Dio è “l’Amor che muove il sole e l’altre stelle”52, la musica è per forza di cose divina e ha perfetta collocazione nei cieli. Ecco dunque che troviamo molti angeli che si destreggiano con più strumenti, come nei frammenti di affresco di Melozzo da Forlì datati 1472 originariamente nella chiesa dei Santi Apostoli di Roma e ora ai Musei Vaticani (figg. 59-60). Questi Angeli musicanti imbracciano o stringono tra le mani

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Figg. 59-60 - Melozzo da Forlì, Angeli musicanti, frammenti di affresco, 1480 ca, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

liuto, viola, ribeca, flauto, tamburello e triangolo mentre, nelle due Incoronazione di Raffaello e Pinturicchio, come pure nella pala del Perugino, suonano anche l’arpa. Sono strumenti che potremmo definire “autorizzati” dal Salmo 15053 che è stato preso a modello per gli strumenti adatti alla musica sacra, andando a generare però anche un antico equivoco. Il verso che tradotto in latino recitava “Laudant Eum

103 SERVENTI, ADORANTI, MUSICI E CUSTODI

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in cordis et organo”, rese l’organo il primo strumento ufficiale per la musica sacra e quello permanentemente presente nella maggior parte delle chiese a causa del termine scorretto col quale fu tradotto l’ebraico ugab del testo originale e che indicava non un organo ma uno strumento a fiato. Quel che è certo è che difficilmente un altro strumento musicale potrebbe avere una potenza e una pienezza tali da riempire con tanti molteplici timbri immense basiliche e altissime cattedrali alla pari dell’organo. Di sicuro non il liuto, che in una posa simpaticamente goffa, suona quello che è forse l’Angelo musicante più famoso dell’arte italiana e che Rosso Fiorentino ha ritratto nel frammento giunto fino a noi (fig. 61). Un putto che a malapena riesce a trattenere uno strumento troppo grande per lui e che lo stringe contro la guancia nel tentativo di non farselo scivolare dalle mani.

Fig. 61 - Rosso Fiorentino (Giovanni Battista di Iacopo de’ Rossi), Angelo musicante, frammento di pala d’altare, 1521, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

Si direbbe dunque che in Paradiso, il luogo dove il Tempo non esiste, l’unica arte possibile sia proprio quella generata dal tempo e che a sua volta muove alla danza. D’altronde nella Bibbia troviamo numerosi passi in cui il canto e la musica sono indicati come i modi migliori per glorificare il Signore (“Cantate inni a Dio, cantate inni, cantate inni al nostro re, cantate inni; cantate a Dio con arte!”54) e, sia nelle Sacre Scritture sia nei testi di antichi autori cristiani, essere privati della musica era esempio di terribile castigo divino. “Se continueremo a commettere ingiustizia, Dio ci lascerà senza musica”, scriveva infatti nel VI secolo Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, nelle sue Institutiones divinarum et saecularium litterarum. 105 SERVENTI, ADORANTI, MUSICI E CUSTODI

Se gli angeli vivono nel luogo che non conosce il Tempo, quelli che sono mandati sulla terra con mansioni meno brevi di un annuncio o di una guida per indicare la strada maestra e vengono calati invece pienamente nel tempo degli uomini rimanendo loro accanto dal primo vagito all’ultimo respiro, sono gli angeli custodi. Quello di uno spirito protettore dedicato a ogni essere umano è un concetto antichissimo, che risale già all’epoca della civiltà sumera, sviluppatasi in Mesopotamia (l’odierno Iraq) cinquemila anni fa. Per i cristiani valgono comunque le parole di Gesù stesso, che nel Vangelo di Matteo, ammonendo a non essere esempio di peccato per i bambini, dice: “Guardatevi dal disprezzare uno di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nei cieli contemplano continuamente il volto del Padre mio che è nei cieli”55. Ognuno di noi ha perciò accanto sin dalla nascita una guida, un consigliere, un amico mandato dal Signore, che segue o anticipa i nostri passi per portare a compimento il piano che l’Onnipotente ha in serbo per ognuno di noi. Da un punto di vista iconografico l’angelo custode della tradizione cristiana è stato spesso associato all’arcangelo Raffaele perché, come visto e come raccontato nel Libro di Tobia, accompagna, protegge, consiglia e aiuta, svelando peraltro la propria identità solo alla fine del viaggio del ragazzo. Troviamo quindi nella maggior parte delle opere dedicate all’angelo custode, un bambino o un fanciullo affiancato da un angelo che lo tiene saldamente per impedirgli di mettere il piede in fallo, come ci mostra lo Spadarino nella chiesa di San Rufo a Rieti; lo protegge dal demonio anche con l’ausilio di uno scudo indicando il cielo quale sola via per la salvezza nel Domenichino del Museo di Capodimonte (fig. 62) o nel Filippo Tarchiani della chiesa dei SS. Vito e Modesto a Firenze, oppure lo tiene saldo e contemporaneamente indica il cielo nel Pietro da Cortona di Palazzo Barberini a Roma: diverse varianti tutte secentesche della stessa storia di Tobia e Raffaele, senza però i consueti attributi di unguenti, pesce e cagnolino. Si distaccano da questo tipo di composizione con le due figure in piedi e affiancate, due tele di Carlo Dolci pittore fiorentino operante sempre nel Seicento, che in un ovale del Szépművészeti Múzeum di Budapest (fig. 63), ritrae l’angelo custode che legge insieme a un giovinetto e nel dipinto del Museo dell’Opera del Duomo di Prato (fig. 64), mentre si libra alto sopra il suo protetto che si trova in orazione tra due iscrizioni in latino che citano il Vangelo di Matteo56.

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Fig. 62 - Domenichino (Domenico Zampieri), Angelo custode, 1615, Napoli, Museo di Capodimonte

107 SERVENTI, ADORANTI, MUSICI E CUSTODI

Fig. 63 - Carlo Dolci, Angelo custode, 1640-45, Budapest, Szépművészeti Múzeum

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Fig. 64 - Carlo Dolci, Angelo custode 1670-75, Prato, Museo dell’Opera del Duomo

Fig. 65 - Giambattista Tiepolo, Angelo custode, 1737, Udine, Musei Civici, Pinacoteca d’Arte Antica

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Allo stesso modo è in volo il famoso Angelo custode di Giambattista Tiepolo (fig. 65), dei Musei Civici di Udine, ma con tutta l’eleganza e la raffinatezza tipiche dell’ariosa pittura settecentesca dell’autore. La grande figura alata occupa la maggior parte della tela verticale, quasi schiacciando sotto di sé l’ameno paesaggio e il bimbo che riposa, ma è pervasa di una tale grazia eterea, sospinta com’è nel cielo vibrante di luce radiosa che, con le ali dispiegate verso l’alto, ci appare senza peso nel vento che gli agita le vesti. A dispetto della mancanza di tutti gli usuali attributi dell’arcangelo, la presenza del bordone da viandante57 che tiene con entrambe le mani, non può non far pensare ancora e sempre a Raffaele. Questo stesso bastone lo troviamo, infatti, in opere come Tobia e l’angelo di Salvator Rosa al Musée du Louvre di Parigi o in Paesaggio con Tobia e l’angelo del Domenichino (National Gallery, Londra) ed è lo stesso attributo di San Rocco, il santo taumaturgo che girava l’Europa assistendo gli appestati o san Giacomo apostolo, il cui bastone è quello che portano ancora oggi i suoi seguaci sul Camino de Compostela.

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capitolo quinto

Angeli e Santi

SAN MATTEO

Per quanto strano possa sembrare, il santo più importante tra quelli che hanno come attributo un angelo non ha avuto alcun contatto con questa entità, ma la tradizione vuole che abbia scritto il Vangelo sotto la sua dettatura. Così, mentre un altro apostolo che abbiamo già incontrato, è stato miracolosamente liberato dalle catene e dalla prigione da un messaggero celeste, san Matteo lo ha accanto come parte del Tetramorfo, secondo l’interpretazione che della visione di Giovanni descritta nell’Apocalisse diede Sant’Ireneo nel II secolo. Le sue raffigurazioni più famose sono senz’altro quelle dipinte da Caravaggio nel 1602 nelle due versioni del suo San Matteo e l’angelo (fig. 66), la prima delle quali distrutta in un incendio e salvata solo in una riproduzione fotografica in bianco e nero, e l’altra ancora custodita nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, luogo per il quale Caravaggio l’aveva prodotta58. Da principio l’Evangelista è un uomo calvo, dimesso, con i polpacci nudi e i piedoni sporchi in primo piano, che si fa letteralmente guidare la mano dall’angelo nella stesura della sua testimonianza. È un povero vecchio analfabeta che di certo non poteva soddisfare i committenti che, infatti, rifiutarono l’opera costringendo Caravaggio a trovare un’altra soluzione che vede Matteo in vesti più consone a un evangelista, con l’angelo che gli vola alto sopra il capo, costringendolo a una torsione del collo per poterlo guardare durante l’autonoma scrittura del suo testo. Più sereno e familiare l’intimo colloquio tra i due nell’opera di Guido Reni conservata nella Pinacoteca Vaticana (fig. 67). In questo lavoro che li ritrae a mezza figura, l’Evangelista è occhi negli occhi con il suo celeste ispiratore che con le dita compie lo stesso gesto del compagno ritratto nel secondo Caravaggio, tenendosi l’indice della mano sinistra tra pollice e indice della destra, come se stesse contando59.

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Per molti dei santi e dei martiri della tradizione cristiana, l’incontro con gli angeli è un episodio tutt’altro che sporadico. Anime elette e predilette da Dio per condotta e testimonianza di fede, molti hanno potuto godere la visione degli angeli scesi in loro soccorso, oppure sopraggiunti come latori di messaggi divini o “semplici” custodi. Vediamone alcuni tra quelli che troviamo immortalati nelle opere d’arte.

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Fig. 66 - Caravaggio, San Matteo e l’angelo, 1602, Roma, chiesa di San Luigi dei Francesi

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Fig. 67 - Guido Reni, San Matteo e l’angelo, 1635-40, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana

SANTA CECILIA

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Tra i santi di epoca più remota che hanno intrattenuto un rapporto privilegiato con gli angeli vi è Santa Cecilia, vissuta tra il II e il III secolo. Se non è facile distinguere la storia dalla leggenda soprattutto per personaggi vissuti in tempi così lontani dai nostri e che hanno suscitato tanta emotiva devozione, a maggior ragione accade con Cecilia che reca con sé il forte clamore suscitato nel 1599 dal ritrovamento del suo corpo ancora perfettamente conservato, cui fece seguito la grande proliferazione di opere secentesche a lei dedicate. Tra le storie che la riguardano, due si riferiscono ai suoi incontri con i messi del Signore. In una c’è l’angelo che Cecilia vede spesso e che, come da lei promesso, appare anche al marito Valeriano e al cognato Tiburzio dopo la loro conversione, e un’altra che racconta della presenza del suo compagno divino a farle compagnia nella fornace ardente dove è stata gettata e dalla quale esce illesa dopo un giorno e una notte trascorsi tra le fiamme. Nella maggior parte delle opere pittoriche, Cecilia è impegnata a suonare uno strumento musicale, anche se non è chiaro il motivo per il quale è divenuta patrona della musica, dei musicisti, dei cantanti e dei costruttori di strumenti musicali60, ed è accompagnata da uno o più angeli. Così in due opere molto simili di Orazio Gentileschi, una datata 1615-20 e custodita a Washington e l’altra di un paio d’anni successiva della Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, Cecilia è all’organo o alla spinetta e l’angelo le regge lo spartito (fig. 68). Il suo allievo Orazio Riminaldi dipinge in toni caravaggeschi il Martirio di Santa Cecilia, ricordando la sua decollazione, con il boia che la tiene per i capelli e un angelo che scende dal cielo recando un ramo di palma e una ghirlanda di fiori. Gli stessi attributi, simbolo del martirio e della verginità nuziale, che un altro angelo le porge nella tela di Sebastiano Conca con la Santa di nuovo alla spinetta (fig. 69). Sempre il Conca darà esempio di ciò che spetta a chi sacrifica la vita per la fede, in Gloria di Santa Cecilia sul soffitto della chiesa romana a lei dedicata, dove angeli festanti portano le insegne papali, suonano l’organo e offrono fiori, volando nel luminoso empireo con la Fig. 68 - Orazio Gentileschi, Santa Cecilia e un angelo,1615-20 Trinità, la Madonna e i santi. Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria

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Fig. 69 - Sebastiano Conca, Santa Cecilia, 1733, Firenze, Museo di Casa Martelli

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SAN FRANCESCO

Compiendo un salto di quasi mille anni ci avviciniamo all’incontro tra il Patrono d’Italia e un serafino prima, e a quello con una schiera di angeli musicanti poi. Il primo appare a San Francesco il giorno in cui gli sono imposte le stimmate e i secondi giungono a lui quando, indebolito dalle privazioni e dalla sofferenza, desidera ascoltare della musica e per questo motivo in molti scendono dal Paradiso per esaudirlo61. Se da Giotto a Tiepolo gli artisti ci hanno proposto l’episodio delle stimmate con il serafino con le sei ali rosse e un crocefisso al centro secondo la visione del Santo (ad esempio: il Cigoli, San Francesco riceve le stigmate, fig. 70), altri hanno preferito raffigurarlo sorretto dagli angeli nell’atto di aiutarlo a sopportare il dolore, come possiamo vedere in Giovanni Battista Piazzetta Estasi di San Francesco d’Assisi (fig. 71). Meno frequenti forse sono le opere che hanno raccolto alla lettera il suggerimento del cronista, riguardo alla musica come sollievo divino. Tra questi: Guido Reni nel suo San Francesco confortato da un angelo musicante (fig. 72), dove un bell’angelo allieta il santo col suono di un violino, o Carlo Saraceni nella Visione di San Francesco della Chiesa del Santissimo Redentore a Venezia, sempre con un angelo violinista e il poverello di Assisi che, in una semplice cella che divide con un confratello, sembra davvero trarre giovamento dalle sublimi note dello strumento. E, a dispetto della presunta incorporeità degli spiriti celesti, quello di Saraceni proietta un’ombra certa e scura sulla parete, rendendolo una presenza viva e concreta.

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Fig. 70 - Cigoli (Ludovico Cardi), San Francesco riceve le stigmate, 1586, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

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Fig. 71 - Giovanni Battista Piazzetta, Estasi di San Francesco d’Assisi, 1729, Vicenza, Pinacoteca di Palazzo Chiericati

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Fig. 72 - Guido Reni, San Francesco confortato da un angelo musicante, 1606-07, Bologna, Pinacoteca Nazionale

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SAN TOMMASO D’AQUINO

Nato un anno prima della morte di San Francesco, San Tommaso d’Aquino è uno dei principali teologi e filosofi della Chiesa di Roma e uno dei più importanti tra quelli che hanno lungamente argomentato riguardo agli angeli, alla loro gerarchia, funzione e realtà. La sua biografia narra che un giorno, dopo aver lottato e vinto contro le sue tentazioni carnali, ha la visione di due angeli scesi dal cielo per cingergli i fianchi con una cintura che lo preserverà da ogni tentazione futura62. Proprio così lo vediamo nel dipinto San Tommaso confortato dagli angeli (1631-32) di Diego Velásquez del Museo Diocesano di Orihuela in Spagna, mentre nel 1662 il Guercino lo tramanda intento a stendere uno dei suoi numerosissimi scritti teologici in San Tommaso d’Aquino scrive assistito dagli angeli (fig. 73).

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Fig. 73 - Guercino, San Tommaso d’Aquino scrive assistito dagli angeli, 1662-63, Bologna, Basilica di San Domenico

SANTA GIOVANNA D’ARCO E SANTA TERESA D’AVILA

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Se per la giovanissima eroina francese Giovanna d’Arco e il suo incontro con il potente arcangelo Michele accompagnato dalle milizie celesti abbiamo soprattutto opere di artisti suoi conterranei come la Jeanne d’Arc écoutant les voix di Eugène Thirion (fig. 74) dove una ragazza stralunata riceve la tumultuosa visita di San Michele che reca con sé gli echi delle future battaglie, per la spagnola Santa Teresa d’Avila, Dottore della Chiesa, il culto è decisamente più diffuso. Per lei un cherubino è il portatore del dardo infuocato che la pervade dell’Amore Divino durante le sue estasi ed è difficile trovare esempio migliore di quello della famosissima statua di Gian Lorenzo Bernini nella chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma. In questa Transverberazione di Santa Teresa d’Avila (1647-52) un giovane angelo armato di freccia, sta per colpire la santa completamente vinta dalla passione per l’Altissimo nell’agitato panneggio delle vesti. L’episodio è narrato da lei stessa nel Cammino della perfezione e trova una corrispondenza pittorica nella tela del 1727 di Sebastiano Ricci, custodita a Vicenza nella chiesa di San Girolamo degli Scalzi (oggi San Marco in San Girolamo) che con tutta probabilità riprende il rapporto formale cherubino/Teresa proprio dalla statua di Bernini. SAN DOMENICO

Chiudiamo con un episodio che ha una connotazione molto umana e che ancora una volta avvicina gli angeli e gli uomini in una dimensione familiare perché si tratta di un servizio “domestico” e ha per protagonista il santo spagnolo che cronologicamente si porrebbe soltanto una decina d’anni prima di San Francesco, essendo nato intorno al 1270. San Domenico di Guzmán, fondatore dell’Ordine dei Frati Predicatori comunemente detti domenicani, è nel convento di San Sisto vicino a Roma e ha fatto uscire due confratelli per la questua. Questi tornano purtroppo senza nemmeno un pezzo di pane, avendo regalato l’unico avuto in elemosina a un insistente mendicante. Allora San Domenico fa comunque entrare tutti i fratelli nel refettorio e, mentre prega, due bellissimi giovani appaiono in mezzo a loro e si mettono a servire i frati di una pagnotta ciascuno mentre, una volta scomparsi, si scopre che anche gli otri prima tristemente vuoti, sono ora pieni di ottimo vino. Il bisogno fisico di cibo materiale si sposa così con quello spirituale di cibo eucaristico, tenuti insieme dall’esercizio della carità. Nell’affresco del 1536 di Giovanni Antonio Sogliani del Museo di San Marco a Firenze, il registro inferiore presenta la tavola con i frati in attesa, San Domenico in preghiera e i due angeli serventi in primo piano, pronti a distribuire il pane del miracolo.

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Fig. 74 - Eugène Thirion, Jeanne d’Arc écoutant les voix, 1876, Chatou, Église Notre-Dame

NOTE

“Oggi, grazie a tecniche di osservazione raffinate come il microscopio elettronico a effetto tunnel, i singoli atomi si possono manipolare uno a uno e praticamente ‘vedere’”. (Carlo Rovelli, Chi l’ha detto che gli atomi non si vedono? Domenica, «Il Sole 24 ore», 2 ottobre 2011). 2 William Shakespeare, Amleto: Atto I, scena V. 3 Ancora oggi se ne discute l’attribuzione a causa dello stile non consono agli altri scritti del Santo. 4 Antica lingua semitica della città perduta di Ugarit in Siria, in uso tra il XIV e il XII secolo a.C. 5 Dall’articolo 228 al 236. 6 Isidoro di Siviglia, Etimologie o origini, De Agostini, Novara, 2013. 7 E forse anche per seguire le parole di San Paolo: “Nessuno si compiaccia in pratiche di poco conto e nella venerazione degli angeli”, Lettera ai Colossesi 2,18. 8 L’autorevolezza gli veniva dal suo pretendere di essere stato discepolo di Paolo, convertitosi dopo il suo discorso sull’Areopago, di aver conosciuto Pietro e Giacomo e di aver persino assistito alla morte della Madonna. 9 “Durante la visione poi intesi voci di molti angeli […]. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia”, Apocalisse 5,11. 10 “Al di sopra di lui stavano dei serafini, con sei ali ciascuno: con due si coprivano la faccia, con due si coprivano i piedi, e con due volavano”, Isaia 6,2. 11 “Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden […]”, Genesi 3,23. 12 Il termine psychè in greco significava sia anima sia farfalla e nella statuaria classica era raffigurata, proprio in qualità di personificazione dell’anima, come una ragazzina con ali di farfalla. 13 “Cavalcò un cherubino e volò, si librò sulle ali del vento”, 2 Samuele 22,11. 14 I due arcangeli sono presenti anche nella religione islamica. Gabriele è l’angelo che ha 1

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rivelato il Corano al profeta Maometto. 15 Luca 1,26. 16 “L’arcangelo Michele quando, in contesa con il diavolo, disputava per il corpo di Mosè, non osò accusarlo con parole offensive, ma disse: Ti condanni il Signore!”, Lettera di Giuda, 9. 17 Tobia 12,15. 18 Isaia 14,11-15 ed Ezechiele 28,14-17. 19 Seconda lettera di Pietro 2,4. 20 Abramo è il primo patriarca per ebrei, cristiani e musulmani. 21 Genesi 22,11. 22 Una diversa composizione con lo stesso titolo e precedente di cinque anni, è nella collezione privata Piasecka-Johnson di Princeton, Usa. 23 Una sorta di premonizione, potremmo dire, visto che nel 1606 lo stesso Caravaggio fu condannato alla decapitazione per aver ucciso un uomo durante una rissa. 24 Genesi 32,29. 25 Secondo la tesi più comune, il nome ebraico Yisra’el deriverebbe dal verbo sara = lottare e da El = Dio. 26 Dall’ebraico Yĕhošūa “Dio è salvezza”. 27 Luca 1,19. 28 Vedi la fortuna de Il codice da Vinci di Dan Brown (Mondadori Editore, Milano, 2003), dove l’autore del romanzo ipotizza che l’apostolo Giovanni dell’Ultima cena dipinta da Leonardo tra il 1495 e il 1498 sulla parete del refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano, sia in realtà Maria Maddalena per la grazia muliebre delle sue fattezze. 29 Isaia 7,14 e riportato poi nel Vangelo di Matteo 1,23. 30 Dopo il saluto di Gabriele “Per tali parole ella rimase turbata e si domandava che cosa significasse un tale saluto”, Luca 1,29. 31 Curzio Malaparte, Maledetti toscani, 1956, Vallecchi, Firenze. 32 Luca 2,11-13. 33 “La gloria del Signore li avvolse di luce”, Luca 2,9.

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potenza. / Lodatelo per le sue gesta, lodatelo secondo la sua somma grandezza. / Lodatelo con il suono della tromba, lodatelo con l’arpa e la cetra. / Lodatelo con il timpano e le danze, lodatelo con gli strumenti a corda e con il flauto. / Lodatelo con cembali risonanti, lodatelo con cembali squillanti. / Ogni creatura che respira, lodi il Signore. / Alleluia. 54 Salmo 47,7-8. 55 Matteo 18,10 56 Matteo 7,13-14. 57 Il bordone era un lungo bastone con la punta di ferro che serviva da sostegno e difesa al pellegrino. 58 Le altre tele del ciclo, ancora tutte in situ, sono: Vocazione di San Matteo e Martirio di San Matteo. 59 Non è certo il significato del gesto, ma si è portati a pensare che l’angelo stia enumerando la genealogia di Gesù, argomento con il quale inizia il Vangelo di Matteo. 60 L’attribuzione è confusa perché le fonti sono discordanti. Si dice che nel giorno delle nozze, cantasse la sua richiesta a Dio di rimanere pura e, confidato il voto al marito Valeriano, questo contribuisse a farlo convertire; oppure che, condannata a morte per soffocamento, cantasse le lodi al Signore senza soccombere, così da farsi condannare prima al fuoco e poi alla decapitazione. Uscita indenne dalle fiamme, il boia dopo tre colpi non riuscì a staccarle la testa lasciandola a morire lentamente nel suo sangue. Prima di lei, anche Valeriano e Tiburzio erano stati martirizzati per la loro fede in Cristo. 61 Secondo quanto narrato da San Bonaventura da Bagnoregio (1217-1257), padre francescano tra i maggiori biografi di San Francesco, ai cui scritti si è ispirato Giotto per il ciclo di affreschi sul Santo nella basilica di Assisi. 62 Il cingolo di San Tommaso è tuttora custodito nella chiesa di San Domenico a Chieri, Torino.

125 NOTE

Matteo 4,11. Luca 22,42-43. 36 I dipinti di Bloch con le scene della vita di Gesù fatti per la cappella del castello di Frederiksborg in Danimarca sono diventati famose illustrazioni usate soprattutto nei testi del Mormoni. 37 Luca 24,4. 38 Atti 12,1-10. 39 Atti 12,7. 40 Apocalisse 21,10. 41 “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua maestà, accompagnato da tutti i suoi angeli, allora si siederà sul suo trono di gloria”, Matteo 25,31. 42 La tavola misura cm 29,5×40,7. 43 Essere alato poliforme che, nella visione di Ezechiele, ha quattro facce: uomo, leone, aquila e toro ed è una derivazione della morfologia dei cherubini. 44 Ezechiele 1,28. 45 Ezechiele 1,4. 46 “Il Signore andava davanti a loro di giorno con una colonna di nube per condurli nella strada […]”, Esodo 13,21. 47 “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha considerato l’umiltà della sua serva”, Luca 1,46-48. 48 La terzina che precede il Regina Angelorum nelle Litanie lauretane. 49 Detta Pala Oddi e della quale abbiamo già visto una parte della predella. 50 Al centro, in evidenza, San Francesco perché la tavola era destinata al convento francescano di Santa Maria della Pietà a Umbertide (Perugia). 50 Nel 2003, la rivista «Nature» ha pubblicato un articolo online in cui si dà notizie che un immenso buco nero, 250 milioni di anni luce lontano da noi, emette il si più basso che si sia mai udito. 52 Divina Commedia, Paradiso, XXXIII, 145. 53 Alleluia. / Lodate Dio nel suo santuario, lodatelo nella distesa dove risplende la sua 34

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Bibliografia Aa. Vv., La Bibbia, Edizioni San Paolo, Milano, 2010 Aa. Vv., L’Enciclopedia tematica. Arte, 3 voll., Gruppo Editoriale l’Espresso, Roma, 2005 Aeropagita D. (pseudo), Gerarchie celesti, Edizioni Tilopa, Roma, 1994 Agamben G., Coccia E. (a cura di), Angeli. Ebraismo Cristianesimo Islam, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2009 Brasey E., Trattato di angelologia. Rappresentazione, dominazione, storia e tradizione degli angeli, Cairo publishing, Milano, 2012 Giorgi R., Angeli e demoni, Mondadori Electa, Milano, 2003 Gregori M., Uffizi e Pitti. I dipinti delle gallerie fiorentine, Magnus Edizioni, Udine, 1994 Malossini A., Dizionario dei santi patroni, Garzanti Editore, Milano, 1995 Olivier P., Penna A., Guastalla S.E., Il grande libro degli angeli, Edizioni De Vecchi, Firenze, 2009 Pietrangeli C., I dipinti del Vaticano, Magnus Edizioni, Udine, 1996 Tavolari B., Siena. Museo dell’Opera, Sillabe, Livorno, 2007 Zaczec I., Angeli. Artisti e ispirazione, Logos, Modena, 2009

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