Amata Vienna. Personaggi, storie e digressioni fantastiche sulla vita di Franz Schubert [Prima ed.] 8887203369, 9788887203363

Nella Vienna dei primi anni dell’Ottocento, dove l'eco della scomparsa di Mozart ancora non si è spenta, incontriam

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Italian Pages 168 Year 2005

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Table of contents :
Amata Vienna
Il custode
Il sogno
I nostri maestri
Morte di Haydn
Josef K.
A casa
Il poeta
Non appartengo...
Storia d'amore
La taverna
Edward Traweger
Il tamburino
La nona onda
Pantomima
Romanzo epistolare
Viaggio per mare
Girotondo
Orfeo
Musica
L'attrice
Incompiuta
L'uomo albero
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Amata Vienna. Personaggi, storie e digressioni fantastiche sulla vita di Franz Schubert [Prima ed.]
 8887203369, 9788887203363

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ANNA RASTELLI

Amata

Vienna

Personaggi, storie e digressioni fantastiche sulla vita di Franz Schubert

Zecchini Editore

CYANMAGENTAYELLOWBLACK

ANNA RASTELLI

Amata Vienna Personaggi, storie e digressioni fantastiche sulla vita di Franz Schubert

E` vietata la riproduzione sia pure parziale di testi, fotografie, tavole o altro materiale contenuto in questo libro senza autorizzazione scritta dell’Editore. Per eventuali e non volute omissioni di fonti citate e per gli aventi diritto l’editore dichiara la propria completa disponibilita`.

In copertina: Illustrazione di Grete Brzezowsky, Auf der Mo¨lkerbastei da ANTON HERGET, Der Liederfu ¨rst Franz Schubert, Haase, Leipzig, Vienna, Praga, 1915.

# 2005 Zecchini Edtore Zecchini Editore srl - Via Tonale, 60 21100 Varese (Italy) Tel. 0332 331041 - Fax 0332 331013 http://www.zecchini.com - e-mail: [email protected] 1 Tutti i diritti riservati Prima edizione: ottobre 2005

Impaginazione, impianti pre-stampa: Datacompos - Varese

I Racconti della Musica 15

La meta era l’andare, il mio modo di andare.

24 agosto 1818 Caro fratello Ferdinand! Sono le undici e mezza di sera e ho terminato di comporre la tua Messa funebre. Mi ha reso triste, credimi, perche´ l’ho cantata con tutta l’anima. Quello che ancora manca aggiungilo tu. Ossia il testo sotto le note e i segni sopra. Se vuoi provarla fallo pure non c’e` bisogno che tu mi chieda qui a Zeliz. Le cose per te non vanno bene. Vorrei poter prendere il tuo posto, cosı` per una volta saresti felice... Carissimo fratello, questo desiderio e` sincero e nasce dal piu` profondo del cuore. Il mio piede mi rende pesante per cui sono molto infastidito. Se il tasso potesse scrivere di certo non resterebbe a dormire. Buon giorno, fratellino, il piede mi ha lasciato dormire e riprendo questa lettera oggi, giorno 25, alle 8 del mattino. Ora sono io che devo rivolgerti una preghiera. Saluta per me i genitori, i fratelli, le sorelle, i conoscenti, e gli amici e soprattutto ricordati di Karl. Non ha pensato a me nella sua lettera? Scuoti un poco i miei amici o falli scuotere da qualcuno in modo che si facciano vivi e mi scrivano. Mamma mi fa sapere che la mia biancheria e` tenuta con ogni cura, la sua materna attenzione mi conforta. (Ma se potessi avere dell’altra biancheria mi farebbe straordinariamente comodo, vorrei ricevere una riserva di fazzoletti, cravatte e calze. Ho pure bisogno di due paia di pantaloni di cachemire. Hart potrebbe prendere le misure che vuole. Vi spediro` subito il danaro occorrente per tutte queste spese). Nel mese di luglio ho incassato, compreso il prezzo del viaggio, 200 fiorini. – Qui incomincia a fare freddo, ma noi non torneremo a Vienna prima della meta` di novembre. Il mese prossimo, spero di recarmi per qualche settimana a Freystadt, nella proprieta` del 1

conte Erdo¨dy, zio del mio conte Esterhazy. Il paese dev’essere bellissimo. Spero anche di andare alla vendemmia a Pest, che e` vicina a Bosczmedjer. Lı` mi farebbe un enorme piacere incontrare il signor amministratore Taigele. A rallegrarmi pero` e` soprattutto l’idea di partecipare alla vendemmia, specie dopo che mi hanno raccontato quanto sia divertente. Il raccolto e` stato ottimo. Qui pero` non raccolgono le messi nei granai come da noi in Austria, ma innalzano in mezzo ai campi dei grandi cumuli di grano chiamati Triften. Spesso questi cumuli misurano dalle quaranta alle novanta tese di lunghezza e dalle venti alle trenta di altezza. Sono molto abili nel disporle in modo che la pioggia scorrendo non possa danneggiarli. L’avena e le altre sementi le seppelliscono nella terra. Per quanto io qui stia bene e goda di ottima salute, per quanto gentili e cortesi siano le persone di qui, pure io mi rallegro infinitamente se penso al momento in cui diremo: A Vienna, a Vienna! Sı`, amata Vienna, tu nella tua piccola cerchia racchiudi quanto di piu` caro, di piu` amato c’e` al mondo e solo la vista, la celestiale vista di te potra` placare la mia nostalgia. Ti prego ancora una volta, fratello caro, di tener conto di quanto ti ho espresso prima. Porta alla nostra signora madre e alla sorella un saluto affettuoso Rimango con sincero affetto il tuo fedele Franz e mille saluti alla tua gentile sposa e al tuo caro Resi.

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IL CUSTODE

Non ho bisogno di sfogliare l’album dei ricordi, la memoria non manca. Sono sempre stato un tipo prudente nelle scelte e questa e` la ragione per cui ne ho fatte poche, al punto che le ricordo tutte, una per una. La mia esistenza e` rimasta appartata e lo e` ancora: nascosta, senza pieghe, senza risvolti. Ci sono persone che hanno un sogno da realizzare nella vita, altre che non l’hanno. Non e` detto che colui il quale possiede un sogno poi lo realizzi. A volte pero` accade una cosa strana, anche chi si e` tenuto alla larga dai sogni manca ugualmente il suo appuntamento con il destino. Prendete me, ad esempio. Io ero destinato ad essere una persona senza illusioni, poche ambizioni e un nulla di immaginazione. E di certo non mi sarei mai lamentato del ruolo che iddio aveva voluto assegnarmi. Poi anche io mancai al destino. Mandai a monte la mia sorte. Ero un uomo privo di ideali, non conoscevo aspirazioni, ignoravo l’illusione, neppure speranze avevo, tuttavia in modo impercettibile e definitivo la vita si e` impadronita di me. Intendiamoci, un’altra vita. Una vita che non era la mia e` entrata a far parte delle mie ore e dei miei giorni. Forse non tutti sanno quanto puo` essere impegnativa una simile condizione. Credi di aver messo la tua esistenza al riparo da ogni sorpresa e invece ti trovi a dover rispondere di molte, moltissime cose. Di te stesso, innanzitutto. Improvvisamente diventi una persona cui gli altri guardano con interesse. Vogliono 3

sapere chi sei, dove abiti, chi sara` la ragazza che intendi sposare, se i tuoi figli verranno educati nella maniera tradizionale o secondo i dettami della moda corrente. Un filo sottile comincia a legare tutti i tuoi giorni e quell’esistenza che prima scorreva come una semplice successione di istanti uguali o differenti, ora invece e` tenuta insieme, anzi e` diventata una catena di avvenimenti tutti importanti, tutti da ricordare, stretti intimamente ad una memoria che – ormai lo sai – non e` solo tua. Momenti lucidi, lisci, forti, una bella catena insomma, che forse con il tempo potra` essere assalita dalla ruggine, ma che tu difficilmente potrai spezzare. E questo lo sai da subito. Una vita che non era neppure la mia mi avrebbe dato tutto cio` che non avevo. Ovvio che non si trattava di una vita qualsiasi, era una vita grande, piu` grande di quanto una persona normale possa immaginare, anche nel momento in cui fa sogni di gloria. Correro` il rischio di far sorridere qualcuno, ma devo confessare che mi ha concesso anche la fama... in modo un po’ bislacco pero`. Mi chiamavano il suo servo e vi racconteranno che mi maltrattava. A volte la mia sola presenza lo irritava a tal punto che perdeva la calma ed il sorriso. Non so perche´. Allora andavo a sedermi in disparte e aspettavo che mi chiamasse. Non mi chiamava per giorni, percio` ero io che tornavo al mio fedele e silenzioso lavoro. Nessuno mai era stato trattato cosı` da lui, ma io non mi lasciavo scoraggiare. Lui era il tiranno ed io il suo profeta. Raccoglievo e cercavo i suoi manoscritti. Lo facevo con audacia e tenacemente. Nessuna divinita` ha bisogno di profeti, sono i profeti ad aver bisogno del loro dio. Io per esistere avevo bisogno di lui. E cercavo, e raccoglievo. Vienna a quell’epoca era il mondo. A volte penso che quella citta` fosse come un campo di zingari, dove la gente ve4

niva per conoscere il proprio destino. Era paragonabile ad un grande mercato in cui sai di trovare ogni tipo di merce, dall’Oriente o dalla Spagna, o da qualsiasi altra regione conosciuta. Appena messo piede a Vienna ti rendevi subito conto che davanti a te aveva preso a sfilare il piu` lungo particolareggiato campionario delle razze umane. Tedeschi, italiani, polacchi, ungheresi, boemi, slovacchi, sloveni, serbi e croati, e mille sfumature ancora di razze miste e poi ebrei che giungevano da qualsiasi parte del mondo, dal sud come dal nord. Dovunque ormai eri avvezzo a incontrare qualcuno che proveniva da paesi lontani. Per quanto riguarda la musica pero` quel mercato era davvero carico di articoli straordinari. E non ve ne accorgevate andando nei teatri, nelle grandi case dove si faceva musica ogni sera. Dai Lichnowsky, dai Kinsky, dai Lobkowitz o dagli Esterhazy, che avevano un grande palazzo sulla Michaelerplatz. Ve ne accorgevate andando per le strade, nelle sale da ballo, nelle osterie, nelle vie un po’ fuori dal centro. Lı` ad ogni ora del giorno e della notte avreste udito provenire musica da ogni angolo di strada. Il piu` delle volte si trattava di musica suonata malamente, da orchestrine di suonatori piu` o meno bravi, bevitori di birra messi insieme alla bell’e meglio e con quei raccogliticci si facevano quartetti e quintetti. Quella e` gente che non sogna la grande musica, di sicuro non sanno chi e` Salieri, ma adorano le ariette cantabili, per cui tutti conoscono il nome di Mozart e anche io, anch’io suono un pochino insieme a loro, scrivo qualche danza e conosco il nome di Mozart. Era il 1817 quando arrivai e in citta` non avevo ancora incontrato nessuno. Eccetto mio fratello, naturalmente. Trovai casa presso Maria Therese von Oettel, sorella del conte Franz Saurau, Ministro degli interni. Mio fratello mi aveva detto: ‘‘Vieni a conoscere un mio amico, e` un nuovo Mozart’’. Questa e` bella, ti viene da pensare. Mozart per noi, per me e i miei amici, non e` neppure un essere umano, solo un’entita` che significa musica. Musica sublime, musica perfetta, pero` non saprei dire quanto sublime o quanto perfetta. Non si suona 5

mica sempre roba sua, anzi quasi mai, perche´ a volte e` difficile, e le ragazze vogliono solo musica che si possa ballare. Mio fratello pero` insiste su questo Mozart ritornato in vita. E` un ragazzino che frequenta le lezioni di Salieri, si chiama Franz e non parla quasi mai. Ma quando si mette al pianoforte improvvisa come un angelo e canta canzoni come nessuno ha mai saputo fare. Salieri, il grande Salieri o – come dicono a Vienna – il Compositore Imperiale, non ama che i suoi allievi scrivano canzonette, desidererebbe piuttosto arie italiane sui versi di Metastasio, ma Franz non gli da` retta e continua a scrivere le sue canzoni che parlano in tedesco, e spesso i poeti sono i suoi amici. Il grande Salieri, dicevano a Vienna. Dicevano. In fondo non e` lontano quel mondo eppure fu cancellato in un attimo. E` bastato che Franz si sia messo qualche volta al pianoforte. Franz Schubert non e` passato, non apparterra` mai al passato. Allungo una mano e mi pare ancora di poter sfiorare il suo tavolo. Lui si e` appena alzato ed io mi metto al lavoro. Il mio compito fu sempre quello di raccogliere, riscrivere, copiare. Copiai tutte le composizioni di Franz venute alla luce in qualsiasi modo mi fosse conosciuto. Quando lui morı` ricordo che mi misi a vagare alla ricerca di ogni casa, appartamento, stanza, osteria o palazzo di Vienna in cui lui fosse entrato, anche solo per caso. Ovunque cercai i suoi manoscritti, gli accenni, le carte buttate, il nulla del nulla che dentro alle mie mani diventava qualcosa. Sı`, perche´ io presi subito a fare quello che altri ora cercano invano di seguitare, io venerai Schubert dal primo istante. Non solo mi accorsi del suo genio, ma amai il suo talento e prestai attenzione ad ogni suo gesto. Ed era proprio il caso che qualcuno lo facesse, infatti ogni giorno mi meravigliava la noncuranza con cui trattava le sue composizioni. 6

Che sarebbe accaduto se non ci fossi stato io? Le avrebbe gettate, dico, forse non le sonate, i trii, i quartetti, ma le sue canzoni le avrebbe gettate! Regalate a destra e a manca, agli amici. A quelli sinceri e a quelli no, a quelli che profittavano della sua bonta` per sfoggiare in societa` un attimo di celestiale bellezza, magari per guadagnarsi un sorriso, un poco di attenzione, l’occhiata in tralice di una bella donna. Ero un uomo modesto, ma non fui mai distratto. Non cercai di elemosinare un poco di gloria, solamente permisi che ci fosse la sua. ... non sempre, forse. Forse dovrei tentare di dire la verita`: e la verita` e` che con i suoi fogli in mano mi credetti Dio in persona. Ma solo a volte. Accadeva mentre raccoglievo da terra le carte che quasi certamente erano cadute il giorno prima e mi bastava un’occhiata per sentire la musica. Allora come un folle bramoso e curioso copiavo quelle note quasi a memoria. Avevo fatto scorrere gli occhi sui fogli appena due o tre volte e trattavo quella musica come fosse mia. Nessuno potra` provare cio` che io sentivo con quelle sue composizioni scribacchiate su pezzi di carta grossolani, mentre avevo davanti agli occhi i foglietti minuti, pentagrammi accavallati, correzioni. Solo io conoscevo i suoi segreti, il suo modo di riportare una frase diverse volte nella pagina, ogni volta con qualche piccola variante. Ero io che trovavo sempre la via definitiva. Quando tralasciava qualche battuta mi chinavo sotto il tavolo, sotto il letto, alla ricerca del frammento mancante. Tante volte non lo trovavo, ma credetemi, non riuscii mai ad arrendermi. Da quando misi piede nella casa della signora Sanssouci, la stessa dove abitava Schubert, mi sforzai in ogni minuto di non abbandonare gli occhi da quella scrivania dove, ogni giorno, la mattina scriveva. Andavo da lui appena sveglio e spesso mi accadeva di trovarlo ancora a letto, coperto dai fogli di musica che aveva buttato giu` rapidamente durante la notte. 7

La mattina gli faceva bene. Si alzava e si metteva allo scrittoio, deciso a lavorare finche´ ne avesse avuto voglia. Non aveva bisogno di lampada e questo era un bene, perche´ mancava di tutto, dell’olio, di abiti caldi, di cibo e finanche di carta da musica. Pero` la mente era chiara e lo scenario dalla musica sorgeva lentamente. Quando componeva mi guardava fisso in volto, ma non mi vedeva, era come un sonnambulo. Gli occhi splendevano, brillavano come cristallo. Poi all’improvviso sembrava riprendere i sensi, allora sorrideva, faceva schioccare la lingua e mi diceva: ‘‘Preferisco morire di fame che dare lezioni!’’. Difatti era piu` o meno quello che accadeva: non dava lezioni e moriva di fame. Detestava i legami e avrebbe fatto a meno di qualsiasi cosa pur di non averne. C’e` spazio per i mutamenti in piu` di cento anni. Josef, Christopher, Nikolaus, e ancora Joseph, poi il bisnonno Clemens, per un breve periodo bisnonna Jutta, il loro figlio Adalbert, mio padre Ferdinand, ed ora io, Josef Theodor. Tutti anelli della stessa catena, che presero ad allacciarsi molto tempo fa ed ora siamo ancora qui, incatenati a Vienna, un’altra Vienna. Della citta` di Franz resta poco o nulla. Io resto. Il mio bisavolo Joseph fu il primo, non solo custode, ma anche copista, amico, servitore, compagno, confidente, seguace, sostenitore, io sono l’ultimo. Io resto. Negli ultimi trenta anni per me ci sono stati pochi cambiamenti: ho condotto una vita severa, ho lavorato intensamente, incontrato tanta gente. Come per mio padre e tutti gli altri prima di me, il solo compito e` stato sempre quello di aprire le porte la mattina, attendere l’ora delle visite e poi la sera assicurarsi che il silenzio sia sceso in ogni stanza. Le vite dei miei antenati si danno la mano. Noi, palmo nel palmo, stretti uno all’altro dalla catena del tempo, abbracciamo le quiete stanze di questo museo, come un girotondo silenzioso. Attraverso la lunga catena che ci sospinge verso il passato. Mio padre e mio nonno hanno raccontato gli stessi aneddoti che 8

erano stati loro raccontati e mi pare quasi di poter giungere a lui, di sentire la sua penna sulla carta, di percepire distintamente il suono della sua scrittura. Ci sono musei grandi, con infinite stanze, quadri, statue, templi, cimeli di civilta` lontanissime o di mondi ancora a venire. In questo museo ci sono soltanto io, il custode dei manoscritti di Franz Schubert e questa e` casa mia. La verita` e` che anche molti dei manoscritti chiusi qui dentro sono miei, o meglio appartengono alla mia famiglia, perche´ fu Josef, il primo Josef, Josef Hu¨ttenbrenner a copiarli direttamente dalla mano di Schubert. Sostituiscono gli originali perduti, che ancora oggi vengono faticosamente cercati in ogni parte del mondo. Se mai dovessero trovarli, ma non credo che accadra`, la mia famiglia non avrebbe piu` ragione di esistere e neppure io. A dirla tutta non avrebbe neppure una ragione per essere esistita. Fortunatamente per ora tutto e` rimasto invariato, gli originali non si trovano e la stagione straordinaria del leggendario Joseph Hu¨ttenbrenner senior-senior, fratello di Anselm, compositore e copista, non e` ancora finita. La copia e` la nostra buona sorte. Il tepore di questo sole viennese continuera` a ricomporre ogni giorno la storia di Franz. Quanto durera`? Questo e` l’unico argomento su cui non oso pronunciarmi. Un giorno e` entrata una visitatrice. Era da tempo che non vedevo una donna varcare la soglia del museo. Solitamente vengono in poche, osservano un po’ deluse, pare che qualcosa sfugga alle loro analisi. Questa l’ho guardata mentre esaminava attentamente le partiture, china sulle bacheche di vetro, assorta davanti ai fogli appesi alle pareti. Pensavo di leggere nei suoi gesti l’identica delusione. Ma in lei non c’era traccia di contrarieta`, anzi aveva un’aria lieta e gradevole. Ero cosı` intento ad osservarla che non mi sono accorto della sua domanda. Allora si e` rivolta a me un’altra volta, piu` 9

insistentemente, chiedendomi di raccontarle la storia dei Dodici Minuetti. In casi come questi il passato ritorna vivo. Ed e` il mio antenato che torna a parlare. Sono in grado di soddisfare tutte le richieste per quanto riguarda le partiture che conservo. Conosco quelle carte una per una, so raccontare le circostanze in cui sono state ricopiate, ricordo i volti, le cose, i giorni e provo talvolta appena un fremito di quel leggero stordimento che mi invadeva quando vedevo le sue note. I Dodici Minuetti sono pero` l’eccezione. Stanno rintanati bene tra le partiture che non conservo, perche´ non sono mai stato in grado di entrarne in possesso. Non e` una leggerezza, davvero non c’e` nessuno che li abbia, almeno a mia conoscenza. Pero` la storia e` di quelle che qui a Vienna piu` o meno tutti conoscono. Se qualcuno andava da lui – racconto alla donna – a dirgli che gli piaceva la sua musica Franz prendeva il foglio che aveva appena terminato di scrivere e tendeva la mano. Cosı` il foglio spariva per sempre. E lo stesso avvenne con i Dodici Minuetti. Era il 1812 Franz aveva quindici anni e ancora abitava al Convitto. Un amico ando` a fargli visita e lo trovo` nella sala da musica. Franz stava suonando, incurante del gelo e dell’amico che per oltre mezz’ora lo osservo` mentre studiava. E questo significo` per mezz’ora vedere il mondo attraverso i suoi occhi. Franz non era uno spirito fragile e non fu mai un essere dell’altro mondo. Era uno di noi. Rideva, scherzava, era un poco timido, ma neppure tanto. Quando si accorse della presenza dell’amico chiese: ‘‘Credi davvero che ne uscira` qualcosa da me?’’. ‘‘Mi sembra che tu abbia gia` fatto molto’’ disse l’amico. ‘‘Non ancora, non ancora...’’ pensava Franz. Sorrise, poi prese i fogli su cui aveva scritto i Dodici Minuetti composti quel pomeriggio e glieli diede. 10

Doveva esserci un freddo terribile nella stanza, giacche´ nel Convitto quasi tutte le stanze non venivano riscaldate, ma sento perfettamente l’emozione dell’amico mentre tende la mano e avverto il calore delle sue guance in fiamme. A quel tempo a Vienna viveva un certo dottor Anton Schmidt, amico di Mozart e violinista. Si diceva che fosse uno strumentista eccellente e addirittura che avesse suonato in quartetto con lo stesso Mozart. Fu da lui che si precipito` il ragazzo con in mano i Minuetti che gli aveva appena regalato Franz. Arrivo` con le guance rosse per la corsa e non ricordo` neppure lui come gli riuscı` di farsi ricevere. Forse il violinista era di umore buono quel giorno, o forse riceveva altre persone e lascio` entrare anche lui. ‘‘Se e` vero che li ha scritti un bambino, allora e` destinato a diventare qualcuno’’, sentenzio` l’illustre virtuoso dando una veloce occhiata ai fogli e lui corre a perdifiato ancora una volta al Convitto, a restituire i Minuetti con tanto di complimenti del violinista. ‘‘Dicono tutti che sono bellissimi e che tu devi essere un genio’’. ‘‘Ti prego, non dire nulla a mio padre’’, scongiuro` Franz, ‘‘non mi lascerebbe piu` campare’’. Poi diede i Minuetti a tutti quelli che glieli chiedevano finche´ ad un certo momento sparirono e nessuno li trovo` piu`. ‘‘Te li riscrivo’’, promise un giorno a Joseph. Non lo fece e quando lui torno` a chiederlo disse che non poteva piu` farlo: ‘‘Scusa, li ho dimenticati’’. ‘‘Eppure ci sara` da qualche parte quel manoscritto’’ dice la donna. ‘‘No, non sono mai stati ritrovati’’. Ma neppure questa volta lei appare delusa. Probabilmente pensa che quella musica manca semplicemente al mio museo. Che mi sia sfuggita in qualche modo. E forse e` proprio cosı`. 11

Magari non e` neppure lontana, quasi certamente sta nascosta oltre le pareti di qualche stanza, a Vienna o chissa` dove, oppure ha viaggiato nel baule di un soldato e poi e` stata seppellita insieme a lui. Chissa` mai qual e` la fine delle cose di cui si perde la memoria.

12

IL SOGNO 8 settembre 1816 ‘‘Mente leggera, cuore leggero. Una mente leggera cela, sovente, un cuore troppo grande’’.

Stanotte ho fatto un sogno. Niente e` piu` spiacevole che cercare di rammentare cio` che abbiamo vissuto nelle ore notturne, quando ormai queste si sono dileguate al calore del giorno. Per cui voglio scrivere ora prima che altri avvenimenti estranei si infilino di soppiatto nella mia mente e mi impediscano di ricordare. La mattina mi sento davvero strano: vivo sopra un labirinto di immagini. Non sono uno che ama scrivere, la penna mi serve solo per tracciare sui pentagrammi le canzoni che assillano la mia fantasia. Le scrivo, cosı` per un po’ stanno quiete, non tornano a galla, non mi costringono a star sveglio la notte. E soprattutto fanno posto alle altre che arrivano. Per questo amo scrivere, perche´ provo un senso di liberazione. Di lettere ne scrivo poche, di solito qualche riga ai miei familiari e tutto finisce lı`. Gli amici, sı` gli amici ogni tanto ricevono qualche missiva da me. I miei amici mi sono necessari per vivere. Per questa ragione sono sicuro che sembrera` curioso il fatto che un bel momento della mia vita io decida di prender carta e penna per raccontare in poche righe quanto ho sognato stanotte. 13

Neppure io ricordo come sono andate esattamente le cose. A dire il vero tengo questo foglio da un bel po’, e l’averlo conservato mi incoraggia a continuare a conservarlo. Ci dev’essere un legame segreto tra questo foglio e me, perche´ di solito io sono uno che perde tutto. E` il 3 luglio 1822 e Schubert scrive una pagina breve e delicata che si intitola Il Sogno. Forse e` davvero un sogno, forse non lo e`. Potrebbe essere un racconto allegorico, e cosı` viene definito nelle edizioni degli scritti schubertiani. Non e` la prima volta che Schubert si cimenta con le parole. Ha gia` scritto poesie e generalmente sui suoi versi grava un senso di destino. Il ritmo e` consapevolmente lento, ha solo venticinque anni, ma tutto e` gia` memoria. Il racconto esiste in due versioni manoscritte, una di Franz Schubert dove solo il titolo e la firma appartengono al fratello Ferdinand, l’altra e` una copia fatta dall’amico Schober rimasta a lungo in possesso della famiglia Schubert di Dresda. Quindi c’e` un manoscritto praticamente autentico e un’autentica copia. Come tutte le cose di Franz entrambi hanno conosciuto un periodo di oblio, ma il 7 gennaio 1839 il manoscritto autentico venne consegnato da Ferdinand a Robert Schumann e una copia si trova ora alla Societa` degli Amici della Musica di Vienna. Da quel momento e` stato letto in mille forme e altrettante interpretazioni. Strano racconto: inizia con il tono di parabola. Ero fratello di molti fratelli e sorelle. Il padre e la madre erano buoni e io mi sentivo legato a tutti da un grande affetto. La prima parte ci annuncia dunque che ci troviamo in un mondo libero da ogni connotazione reale. Allegorico come un gioco di societa`. Nella casa regna un’atmosfera serena e un sentimento d’amore profondo unisce l’uno all’altro fratelli, sorelle, genitori. Ancora non sappiamo cosa stia per succedere, ma gia` avvertiamo che l’interno di questa casa e` come una grande nicchia sonora. Niente in questo stato d’animo di comune affetto e` de14

stinato a rimanere segreto, anzi ogni parola e` fatale e gia` sappiamo che avra` innumerevoli rifrazioni. Chi sogna sta camminando attraverso i giorni di una vita all’apparenza inalterabile eppure sta per cadere nel buio su un mare inquieto. Tutto e` vago e allo stesso tempo presago di un distacco che ancora non si vede. Forse il protagonista pensa a quale fortuna sarebbe avere in dono dalla sorte un dolore glorioso ed eroico, una ragione qualsiasi capace di indurlo ad una disperazione magari smisurata e ineluttabile. Invece sente solo quel male indistinto. Da dove viene? Dalla testa? Dal cuore? Si, certo, da qualche parte sara`, e` sempre da qualche parte che vengono le cose come l’amore o il dolore. O l’impazienza, o la solitudine. Nel sogno quello era il giorno in cui il padre ci conduceva ad una festa. I miei fratelli erano molto felici. Invece io ero triste. Allora mio padre e` venuto da me e ha detto: ‘‘Vieni a saziarti di questi cibi prelibati!’’ Io non potevo e allora il padre adirato mi scaccio` lontano da lui. Non udı` le mie lacrime ne´ le mie implorazioni. I miei pianti non smossero il suo cuore, e neppure quello dei fratelli. Il racconto continua con la sua parvenza illogica, ma la forma e` assai eloquente. Ci dice che il personaggio che scrive ha rifiutato di condividere la vita del padre e dei fratelli. Non aveva alcun pretesto reale per quella diserzione. Oltretutto sapeva bene che il prezzo da pagare era l’esilio. Sarebbe stato dimenticato, perso di vista, allontanato dal mondo. Ma in quel momento gli mancava qualcosa di vitale: aveva perso la capacita` di raggiungere gli altri. Forse nel sogno i fratelli gli chiesero ancora di raggiungerli. Rimasero lı` come ombre di Ade a chiamarlo finche` i contorni dei loro volti si persero nell’oscurita`, non bastava piu` allungare una mano. Ad un certo punto non sarebbe bastato neppure mettersi a correre. Infatti lui non correva, tremava e stava lı` a dire di no. La sua era una piccola, errata sfumatura. Ma non c’e` bisogno di dire che se solo ne fosse stato capace, anche per un momento, sarebbe stato felice di abbando15

narsi come un bambino a rincorrerli e di sicuro, nel vederlo, sarebbe saltato al collo del padre. Non c’e` rivolta in cio` che scrive Schubert, solo silenzio. Subire le situazioni e` una condizione essenziale per viverle nella loro interezza. Vedere come si svolgono, come si dipanano, senza ostacolarle. Poi, percepita la distanza, non resta nient’altro che l’esilio. Unica forma di vita solitaria che permetta la conoscenza di se´. Decidere di partire, sempre piu` lontano, sempre piu` inaccessibile, questa e` la forza dei prescelti, dei predestinati, dei viandanti. Sradicato da tutto il protagonista del sogno si ritira fuori dal tempo. Il lato comico della vita e` che tutti i luoghi comuni sono veri. Tutte le battaglie nutrite con i nostri slanci terminano nell’amara consapevolezza che la vita sognata, quando diventa reale, non possiede ne´ ardori ne´ colori, e quindi l’unica salvezza sta nel nascondersi sul fondo. Al nostro sognatore dunque la certezza dolce e opaca di stare come un’ostrica chiusa sotto la marea. Forte nel suo piacere un po’ ambiguo di una solitudine inafferrabile. Inerme davanti alle gentilezze, non si aspetta premure o attenzioni. Vagai con tutti i passi che avevo, camminai e camminai nel lontano. E amavo, amavo ancora chi mi aveva cacciato. Per anni il piu` grande dolore e il piu` grande amore si contesero il mio cuore. Schubert non ci fornisce alcuna descrizione di quell’esilio, ma io penso a Keats che scrive: ‘‘Dolci le melodie che possiamo udire, ma ancor piu` dolci quelle che non udiamo’’. Sotto le parole del racconto cerco di leggere cio` che non e` scritto. Ricordo cieli tersi che mi facevano aspirare la gloria, e inverni confortanti. Cercai di tenere al guinzaglio il mio cuore e spesso vi riuscii. Ma in fondo non avevo fatto nulla, piu` paesi attraversavo piu` le mie radici trovavano terreno in cui affondare e la memoria era quasi opprimente. La memoria non e` durevole, si puo` addormentarsi e perderla. Io mi sono addormentato e nel sonno mi accorgo che ho 16

assorbito anche la memoria che non poteva essere mia. Ora possiedo una mappa, vasta e distesa sulle pareti della mia mente. Basta orientarsi e scegliere. Beethoven, Mozart e poi canzoni, canzoni antiche, antiche ballate, melodie che si inseguono, incalzano. Com’e` dolce tendere l’orecchio a quelle melodie. Non sarebbe un peso vivere una vita normale, forse e` eccessivo vivere con tutto questo passato. Con tutto l’amore e il dolore. Com’e` che il dolore si insinua nel corpo? Stanco del suo viaggio aveva tentato di lasciare la memoria lungo la strada, nei boschi, nelle valli. Ma essa non se ne andava e il viaggiatore che era non aveva ali ai piedi per fuggire. Resto` avvinghiato al suo destino ed i passi continuarono a portarlo in mondi diversi. Cosa era mancato in quel giorno della festa? Nulla. C’erano l’amore e il dolore. E adesso, in questa citta` lontana non era forse lo stesso amore e dolore? Non c’e` alternativa tra il dolore e l’amore, essi crescono insieme – scrive Schubert. Fu lı` che mi giunse la notizia della morte di mia madre. Allora percorsi la strada del ritorno per vederla ancora una volta e il padre vedendo il mio dolore non pote´ impedirmi di entrare. Allora vidi il corpo di lei irrigidito. Lacrime scesero copiose dai miei occhi. Torno` alla mente il caro vecchio passato quando ella aveva abitudine di stendersi e fu cosı` che la vidi, in mezzo a noi vivi. Ella viva com’era stata un tempo. Seguimmo la bara lentamente nel cordoglio, e la guardammo finche´ scomparve. – Dopo quel giorno tornai a vivere nella casa. E mio padre mi condusse come un tempo nel suo giardino prediletto. Mi chiese se mi piaceva. A me non piaceva, mi era insopportabile, ma non osai dire nulla. Poi infiammato me lo chiese un’altra volta. A quel punto scossi il capo. Egli mi colpı`. E per la seconda volta io camminai i miei passi, e con un cuore pieno di 17

amore per chi mi aveva scacciato, ripresi il mio vagare in contrade lontane. Ecco che torna il destino del viandante. Ci sono persone che la vita non tiene proprio in considerazione, non le ingaggia neppure alla minima lotta. Le dimentica e basta. Altre invece vengono trascinate nel mare in tempesta, inzuppate, sballottate, portate alle soglie della morte e poi gettate all’inferno. Sono questi gli individui che vivono la solitudine, la paura. Sono queste le persone che conoscono il destino. Vengono rincorse addirittura dal destino, e da qualche parte lasciano un segno. Un loro pezzo di storia. Per lunghi, lunghi anni cantai canzoni. Cantavo l’amore e si trasformava in dolore. Se cantavo il dolore, allora diventava amore. E` questa la porta attraverso cui si entra nella cerchia degli iniziati. L’unica cosa di cui Schubert rivendica il possesso sono amore e dolore. ‘‘Troppo grande e violento mi consuma il dolore, ma solo quella forza mi resta, che´ quest’epoca annienta chi si permette di osare’’, scrive in una sua poesia. Il pubblico non lo interessa, almeno non quello dei grandi teatri. Chi vuole conquistare sono le persone vicine, gli affetti piu` cari, gli amici. Non prova attrazione per l’infida gloria che fa cantare i giornali, se anela a qualcosa e` il saldo potere delle persone che lo amano e che lo spingono a tentare. Esistono storie che vanno chissa` dove. Lui con le sue canzoni torna sempre a casa. Il racconto prosegue. Un giorno ebbi la notizia della morte di una devota ragazzina. Un circolo si formo` intorno alla sua tomba. Qui, come una cerchia di beati, giovani e anziani muovevano intorno. Parlavano sottovoce perche´ non si svegliasse. Pensieri paradisiaci sembravano sorgere dalla tomba della ragazza e leggeri come scintille sfioravano la cerchia dei giovani silenti e avvolgevano le loro mormorate canzoni. Da che punto di vista Schubert assiste alla scena? 18

Dall’esterno. Ora mi resi conto che avrei voluto essere in mezzo a loro. Solo un miracolo, diceva la gente, conduce nel cerchio magico. Dice la gente: il mondo somiglia ad un teatro nel quale ogni uomo recita una parte, ma la parte viene imposta, non e` scelta liberamente dall’attore. Chi mai puo` decidere se abbiamo recitato bene o male? Eppure e` su quella recita che verremo giudicati. Solo un cattivo regista distribuisce ai suoi attori parti che non sono in grado di interpretare. Qui non c’e` possibilita` di errore. La parte e` adatta e dovra` per forza recitarla bene. E il pubblico e` scelto ad approvare o no. La ragazza non si sveglia. Forse e` vicino a me fuori dal cerchio? Allora mi avvicinai a passi lenti verso quella tomba, con intimo raccoglimento e ferma intenzione e lo sguardo abbassato verso il sepolcro. A poco a poco senza quasi accorgermi fui attratto in quel cerchio e udii aleggiare una musica divina. E avvertii l’eterna beatitudine in un momento. E rividi il padre, affabile e conciliante, Mi strinse tra le sue braccia e pianse. E io piu` di lui. Non stiamo godendo dell’amore qui e ora?

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I NOSTRI MAESTRI

Il 30 settembre 1808 era una giornata insolitamente calda per Vienna. Quattro mesi prima la Wiener Zeitung aveva pubblicato in bella evidenza l’annuncio di un concorso per tre nuovi cantori nel coro della Cappella di Corte. ‘‘I candidati devono avere dieci anni, recitava il comunicato, conoscere un po’ la musica ed essere in grado di frequentare la prima classe di grammatica dove saranno avviati anche alla conoscenza del latino. Se il rendimento sara` giudicato soddisfacente verra` loro concesso di proseguire gli studi al Convitto anche dopo la muta della voce’’. In quella mattina quasi estiva, padre e figlio attraversarono tutta la citta`, dai sobborghi al centro, al Convitto, nella Piazza dell’Universita`. Si sa che Franz portava un abito chiaro che lo faceva assomigliare al figlio di un mugnaio. Pochi istanti piu` tardi gli altri ragazzi venuti per la prova l’avrebbero preso in giro per questo. Il ragazzo ebbe appena il tempo di un sorriso poi lo chiamarono alla prova di canto. Sono gli altri adesso ad essere senza parole. Franz ha studiato. Si e` preparato tutta l’estate. Ha cantato senza incertezze le partiture che gli hanno messo dinnanzi agli occhi. Adesso tace e con lui tacciono tutti. Ragazzi e professori. Salieri, Eybler e il maestro di canto Korner non gli hanno messo soggezione. La sua voce veniva alta e sicura, le note fluivano con facilita` dalla sua gola. Nessuno l’ha 20

ancora mai sentito cosı`. Neppure il padre che dietro la porta non sa se meravigliarsi o preoccuparsi. La voce tra pochi anni andra` perduta, pensa. Non concede alternative la muta e lascia dietro di se´ una disperazione tutta maschile. Nell’esame di ammissione per tre posti nel coro di voci bianche della corte vengono giudicati nella maniera piu` favorevole i due soprani Franz Schubert e Franz Mu¨llner e il contralto Maximilan Weisse. Questi tre cantori vengono accettati nel Convitto imperiale. Questo e` quello che tutti conoscono. Ora io non so se e` per puro diletto oppure per il piacere della memoria che io vi conduco all’interno di queste alte mura, dei cortili troppo ampi, delle aule fredde per farvi conoscere i nostri maestri. Sicuramente il mio e` il piacere un po’ perverso di onorarli e dileggiarli allo stesso tempo. Succede sempre cosı` quando si trascorrono troppe ore in compagnia di compagni e professori. Si vorrebbe solo ricordarli, ma poi inevitabilmente i volti si trasformano in caricature grottesche, i tratti si fanno marcati, le luci si accendono forti e le ombre diventano piu` scure. Innocenz Lang, dell’ordine delle Pie Scuole, uomo assai colto, e` il direttore del Convitto. Da ragazzo si dice che abbia studiato teologia con un trasporto che pochi ragazzi alla sua eta` erano in grado di mostrare. Ha anche letto moltissimo, conosce la filosofia e la matematica. Sa far ottimo uso della ragione e ama la musica. E` stato lui ad avere la felice intuizione di costituire un’orchestra interamente formata da allievi del Convitto. Riteneva che sarebbe stato deprimente per lui continuare a svolgere la sua funzione di direttore senza colmare quella grave lacuna. Non era ammissibile che nella scuola in cui studiano i ragazzi del coro piu` celebre della citta` non ci fosse un’orchestra. E` vero che l’istituto non dispone dei mezzi necessari a pagare dei buoni maestri. Anzi a dire il vero nessun musicista di qualche notorieta` accetterebbe mai un incarico di cosı` scarsa 21

soddisfazione. Stanno tutti a corte o si fanno assumere dalle famiglie aristocratiche dove sono ben pagati, altrettanto ben nutriti e spesso hanno anche allieve assai graziose, che li tengono in educata considerazione. E tutto questo e` molto in confronto all’eventualita` di lavorare con una cinquantina di maschi tra i dieci e i quindici anni e addestrarli alla disciplina che un’orchestra esige. Innocenz Lang pero` non e` persona da farsi scoraggiare facilmente. Deve aver pensato che c’erano pur sempre alcuni allievi grandi che non se la cavavano poi tanto male e tra i giovani, tra i giovani... (e in questo Lang non si lascio` sopraffare dall’immaginazione) gli era sembrato che ce ne fosse almeno uno che aveva un talento particolare. Lang non sapeva di chi si trattasse visto che non aveva l’abitudine di trascorrere i suoi momenti liberi insieme ai ragazzi, ma aveva sentito, passando accanto alla sala del pianoforte, che qualcuno dei cantori afferrava al volo l’alfabeto delle note e sicuramente era gia` in grado di comporre. La musica a quello studente sembrava parlasse con confidenza maggiore che a quelli che la praticavano da anni. Collezionava melodie ed era in grado di scriverne a suo piacere e poi sapeva combinarle con una tale chiarezza ed una tale facilita` da renderle difficili da dimenticare. Naturalmente quella di Lang era solo una supposizione, un pensiero che aveva raccolto camminando velocemente tra le aule. Dal canto suo non cerco` altra conferma, pero` siamo sicuri che la cosa ebbe un certo peso nella decisione di creare la nostra orchestra. Noi allievi di eta` differenti e in molti casi privi di un’educazione musicale, ben presto fummo in grado di eseguire ogni sera una sinfonia diversa. Negli ultimi anni abbiamo eseguito nei nostri concerti giornalieri tutte le sinfonie di Haydn, Mozart, le prime due di Beethoven e poi tante ouvertures quante siamo stati capaci di eseguire, addirittura il Coriolano e la Leonore. Dovete sapere che le nostre esibizioni si concludono sempre con una ouverture: ci piace lanciare gli strumenti in brani chiassosi e soprattutto – se 22

possibile – non troppo complessi. Tutto questo in maniera piuttosto rozza e lacunosa e per di piu` su cattivi strumenti, ma sarebbe un sommo piacere poter far arrivare fino alle vostre orecchie l’effetto stupefacente che si libera dalla nostra orchestra mentre raschiamo le fughe dei quartetti di Albrechtsberger, di Haydn, di Mozart alla meta` del tempo. A riprova dei suoi innumerevoli meriti va anche detto che il direttore ha sempre pagato di tasca sua le corde, gli strumenti, e gli altri accessori e alla fine e` riuscito perfino a trovarci un insegnante per gli strumenti a fiato. Visto l’entusiasmo con cui abbiamo accolto l’impresa e considerato anche il poco tempo e i discreti risultati, il vice direttore, che non ho bisogno di nominare data la sua fama come editore dell’edizione viennese del dizionario dei titoli nobiliari, ha regalato all’orchestra i timpani. Cosı` la nostra comunita` strumentale si e` arricchita di un’altra voce. Lang ha realizzato tutta la sua impresa senza essere un grande intenditore di musica. Infatti non si azzarda mai a dirigere l’orchestra e cosı` ogni volta chiama uno degli allievi grandi e lo incarica di dirigere l’orchestra. Il posto che comunemente viene detto di ‘‘direttore assistente’’ e` stato occupato ultimamente da uno dei piu` giovani e fidati cantori della cappella imperiale. Debbo reputarmi fortunato che non sia stato assegnato a me, l’incarico e` ingrato perche´ bisogna preoccuparsi della sostituzione delle corde, di accendere le candele sopra i leggii, di riporre le parti e tenere in ordine gli strumenti e le parti. Per un lungo periodo e` toccato a Schubert, che ogni giorno suonava anche il violino in orchestra. Le nostre esercitazioni orchestrali si sono interrotte, purtroppo quando i francesi sono tornati a Vienna. Il 9 maggio 1809 la citta` e` stata di nuovo messa sotto assedio, ma la cosa si e` risolta quasi subito. Il 13 maggio i soldati di Napoleone si erano gia` trasferiti in citta` e ci sono rimasti fino al 20 ottobre. Durante i bombardamenti che hanno colpito la citta` vecchia abbiamo visto una granata cadere davanti ai nostri occhi, nel cortile proprio vicino al pozzo. E cosı` anche l’edificio 23

del Convitto ha riportato il suo dignitoso oltraggio, era la sera dell’11 maggio. Fu quella volta che il nostro direttore ci impose di non suonare piu`. Il 31 maggio moriva Haydn e Napoleone gia` risiedeva a Scho¨nbrunn. Il generale imperatore si e` preoccupato che la salma del maestro fosse scortata da un drappello d’onore. Cosı` il Kapellmeister degli Esterha´zy se n’e` andato tra le divise sgargianti dei nostri invasori. Ora stiamo per congedarci da Innocenz Lang e non lo incontreremo piu`. Non mi sembra inutile quindi riportare questa sua piccola nota riguardo al comportamento, alla disciplina scolastica e al rendimento di quell’allievo Schubert che l’aveva cosı` impressionato: comportamento buono, studio buono, canto molto buono, violino molto buono, pianoforte molto buono, note: un talento musicale straordinario. [29 ottobre 1809] Lang, Direttore dell’imperial regio Convitto Nella gerarchia scolastica Wenzel Ruzicka viene subito dopo il direttore, ma in realta` tutta la musica strumentale insegnata all’istituto dipende da lui. E` la viola solista al Burgtheater, oltre a questo ha il posto di organista di corte. Al Convitto insegna pianoforte, organo, viola, violino, violoncello e teoria. Originario della Moravia, Ruzicka e` un musicista universale ed e` su di lui che e` sempre andata a pesare l’intera organizzazione dell’orchestra e degli orchestrali, che dirige dal suo seggio di primo violino. Quell’uomo e` l’anima e il corpo della vita musicale nel Convitto: tiene anche lezioni supplementari per le quali non riceve alcun compenso. Durante l’occupazione francese, quando nulla piu` a Vienna si muoveva a causa delle continue requisizioni, acquartieramenti, movimenti di truppe, quando nulla piu` prosperava, egli riuscı` ad animare la vita del Convitto. Fu quella l’epoca in cui si formarono tra noi dei gruppi da camera per l’e24

secuzione di quartetti d’archi e vocali. Poi venne di moda anche da noi il canto con l’accompagnamento del pianoforte, specialmente le canzoni di Zumsteeg (oggi piu` nessuno ne parla, ma non c’e` bisogno che vi dica il perche´, immagino). Ruzicka era stato chiamato personalmente da Salieri a dare lezioni di basso continuo al nostro compagno Schubert. Non mi pare che la cosa abbia avuto lunga durata. Il vecchio e degno maestro pero` e` stato incredibilmente sorpreso dai risultati di quelle poche ore di lezione e da quel momento dimostra un grande interesse per le composizioni del suo allievo. Lo approva quasi sempre anche se spesso le cose che ascolta sono assai lontane dalle forme che il venerabile musicista ha fino a questo momento onorato come le uniche legittime. A chi all’epoca gli domandava come andasse con Schubert rispondeva sempre la stessa cosa: ‘‘Conosce gia` tutto: compone opere, Lieder, quartetti, sinfonie, e qualsiasi cosa vogliate’’. E` sempre a causa di Schubert che ancora di recente ho incontrato Ruzicka. Un pomeriggio sono andato a trovare Franz insieme con un amico. Schubert abita ora con il padre in un sobborgo fangoso e umido che si chiama Himmelpfortgrund. L’abbiamo trovato accalorato, intento a leggere ad alta voce la ballata di Goethe Il re degli elfi, Erlko¨nig. Continuava ad andare avanti e indietro per la stanza con il libro in mano, non ci guardava neppure in faccia. Poi ho visto sul tavolo davanti a lui i fogli con la sua ballata. Andammo di corsa al Convitto, perche´ a casa di Schubert non c’era un pianoforte e lı` la sera stessa cantammo il suo Re degli elfi. Ecco, ancora vedo il vecchio generoso Ruzicka seduto al pianoforte mentre suona il pezzo da cima a fondo con gli occhi sulle pagine. Ed e` cosı` che mi congedo da questo vecchio e rispettabile signore, rammentando una frase che mi disse dopo la seconda lezione di Schubert con lui: « Non posso insegnargli nulla, ha imparato tutto dal buon Dio’’. E lo fece alla presenza dell’allievo. 25

Mentre scrivo affiora alla mia mente anche una figura grottesca, quella del maestro del coro di voci bianche della cappella imperiale, tenore, amanuense di Salieri, un uomo chiamato Josef Korner. A dire il vero preferirei dimenticare la sua magra figura rinsecchita. Porta i capelli raccolti in una lunga treccia sottile, e spesso la usa per picchiarci sulle orecchie durante le prove. E` una delle figure piu` note nel mondo musicale viennese. Josef Tranz e` il maestro di religione ed e` davvero la mia croce, perche´ lo sento un assente. La sua altezzosita` lo rende in qualche modo invisibile ai nostri occhi. D’altronde anche lui si cura ben poco di noi. Ci guarda come perfetti estranei e la cosa ci rende inquieti. Una sorta di brivido mi coglie solo a pensare a lui. Ritiene nostro dovere essere giustamente compiaciuti anche solo di passare accanto a lui, il diretto custode delle Tavole con i Dieci Comandamenti. Dentro la sua testa stanno le regole e la sua fronte e` stata suggellata con l’impronta dell’Onnipotente. Con il tempo pero` il tremore si e` trasformato in indifferenza. Sentiamo la forza del fuoco che brucia perenne intorno al solco dei dannati, per cui gli stiamo alla larga. A volte Tranz sembra voler condannare con il silenzio la nostra astratta indolenza. L’ora fluisce per lo piu` nel gelo, perche´ Tranz non ammette di sentir volare neppure una mosca. E` una punizione sufficientemente severa per chi non ha riconosciuto l’eletto? In classe la sua presenza rigida e solenne precede l’ora della passeggiata pomeridiana, cosı` appoggiati alle scrivanie resistiamo con gli occhi attenti e le menti altrove. Tranz entra bruscamente nell’aula, poggia alla cattedra le mani ossute e in quel preciso momento i tratti del suo profilo asciutto si tendono in attesa del rigido cerimoniale della lezione. Ma lui non sa che perfino il cielo in questi giorni e` al di la` della nostra vita. Non e` necessario che vi racconti quanto per tutti noi sia stato impossibile rimanere insensibili agli avvenimenti che 26

hanno sconcertato Vienna. Anche nel Convitto giungeva l’eco delle grida patriottiche di Andreas Hofer, il liberatore del Tirolo. Cosı`, nelle fredde mattine di primavera ci siamo resi conto che tutto ci era stato tolto. E` la stessa cosa anche oggi. Attraverso le finestre del corridoio guardo il cielo blu, le bianche nuvole si incrociano e penso a voi, cari genitori, anche sopra di voi c’e` lo stesso cielo, anche voi lo vedete allegro e gioioso, ma come e` diverso per me! Le cose cambieranno pero`, potremo respirare di nuovo liberamente, ce ne andremo da questa prigione. Ecco che cosa si sogna durante le ore di religione. In queste ore ci si sente chiamati a grandi cose! I nostri destini nella matematica e nelle scienze sono affidati alle cure del prefetto Josef Walch. Non ha certamente l’aspetto del matematico. Il volto pacifico e gioviale, la voce grossa, i capelli chiari e ondulati fanno pensare piuttosto ad un tranquillo oste delle campagne o ad un musicista di provincia, ne´ troppo bravo, ne´ troppo attento. Ma con noi il prefetto Walch si comporta bene. Non va mai in collera e si merita la nostra attenzione non per la severita`, ma per l’intelligenza. Restiamo ad ascoltarlo per ore, perche´ tutto nelle sue parole sembra facile e logico. Dopo le sue lezioni ci sentiamo tutti piu` rapidi e meno impacciati nei ragionamenti. Le nostre menti ricevono una ventata di chiarezza e si presentano linde e ordinate come tranquille biblioteche nei cui corridoi si cammina senza inciampi. Anche nel guazzabuglio provocato dagli eventi nazionali Walch e` rimasto sempre uguale a se stesso. Quando i francesi si avvicinarono a Vienna gli studenti avevano formato un comitato. Ai convittori era vietato iscriversi, ma quando vedemmo e sentimmo, nella sala dell’Universita` situata di fronte al nostro edificio, l’esortazione patriottica del feldmaresciallo tenente Koller e l’entusiasmo con il quale gli altri ragazzi si iscrivevano, anche noi decidemmo di farlo e tornammo verso il Convitto con le fasce biancorosse, segno dell’av27

venuto reclutamento. Il direttore ci rimprovero` aspramente, ma non importava. I giorni successivi iniziammo le marce. Al terzo giorno, l’arciduca Reiner ci obbligo`, con un ordine supremo, all’immediata ritirata. Restammo per alcuni giorni chiusi nel Convitto e questa fu la fine del nostro gioco. Cosı` – impotenti – sopportammo il bombardamento di Vienna. Poco ci manco` che il prefetto Walch e Pius Strauch e Benedikt Lamb insegnanti di grammatica e di greco ed eloquenza non morissero per colpa di quella granata che aveva colpito l’edificio del Convitto ed era esplosa nella loro camera proprio mentre Walch stava infilando la chiave nella serratura. Anzi le granate furono due, perche´ un’altra granata di obice era caduta proprio davanti ai nostri occhi nella piazza dell’Universita` distruggendo una delle fontane. L’assistente del direttore, Benedikt Rittmannsberger, e` anche il nostro professore di geografia e storia. Giovane e irascibile Rittmannsberger e` capace di pretendere da noi solo competenze fredde e generiche. Lui stesso non ama la materia. Si e` creato una certa posizione nel Convitto unicamene grazie alla assiduita` con cui cura i desideri dei superiori. Nonostante sia giovane non possiede nessuna delle qualita` che piacciono ai giovani: e` astuto, corrotto, e convinto di saper affascinare con le parole, perche´ si mostra affabile e mondano. Quasi sempre da` risposte senza che gli sia posta la domanda. Comunque noi studenti non siamo mai teneri con lui, facciamo a gara nel metterlo in difficolta`, ponendogli richieste assurde o comportandoci in modo da provocare la sua collera. Ma e` cosı` infatuato di se´ e della propria immagine che solo raramente si lascia trascinare dall’impulso. In quei casi pero` e` totalmente alla nostra merce´, la collera gli da alla testa, allora sbraita e urla, e gesticola e quasi gli manca il respiro. Una volta pero`, quando il nostro compagno Johann si alzo` dal suo posto e oso` dirgli che delle sue belle maniere non sapevamo che farcene e che avrebbe fatto meglio a fare il diplomatico piuttosto che l’insegnante, lo guardo` senza rispondere, ne´ adirarsi. Questo non era il genere 28

di cose che potevano offenderlo. Pero` parlo` di Johann al direttore e dopo qualche tempo la questione venne risolta in un altro modo che ora racconto. Johann Senn e` stato uno dei ragazzi piu` indomabili e ribelli della nostra classe. Bello, modi amichevoli, parecchio sensibile, forte e riservato, nonche´ un ostinato filosofo. Con gli amici era sempre gentile, riservato con gli altri. Aveva e credo abbia ancora un animo incline ad infiammarsi e non sopporta alcun genere di costrizione. Come altri nostri compagni era figlio di uno dei capi della rivolta tirolese. Il suo destino ha suscitato nel mio cuore una profonda e malinconica benevolenza. Un giorno accadde che un nostro compagno abbia osato presentarsi alla comunione con gli stivali anziche´ con le scarpe. Per castigo venne chiuso nella cella di rigore. Johann insieme con altri tento` di liberarlo. La repressione fu durissima: a lui e agli altri fu pubblicamente inflitta l’umiliazione di abiurare ai propri ideali di liberta` e riconoscere giusta quella punizione. Molti lo fecero, alcuni se ne sono andati poi volontariamente dal Convitto. Lui invece scrisse una lettera. Al Direttore: ‘‘Lei non dovrebbe pretendere che io dica ‘‘sı`’’ ad una cosa che non condivido, ma chiamarmi eroico se protesto in eterno. Lei non dovrebbe lavare le mani che mi percuotono, ma dire ‘‘sı`’’ al mio odio, perche´ le odio con tutto il cuore. Lei non dovrebbe confrontare me con se stesso, perche´ Lei e` figlio della grazia e io del tormento’’. Fu cacciato. La sua coerenza era stata giudicata impudente e le sue idee libertarie un esempio pericoloso. Il Convitto imperiale non puo` tollerare questi ardori e l’imperatore in persona firmo` la lettera di congedo.

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MORTE DI HAYDN

Il primo giorno della Creazione Joseph Haydn guardo` l’orizzonte e vide un futuro diverso. Non era il mare della Manica, neppure l’orgoglio delle vele piene di quel vento che l’avrebbe riportato in patria. Era vecchio, forse, ma ancora pronto alle sorprese e questa era certamente una. La Creazione. L’idea gli era balenata a Londra, ma c’era troppa confusione intorno (e si sa che la confusione non aiuta la creazione) per accingersi ad un’opera cosı` altamente simbolica come quella che aveva in mente. E cosı` si era rinchiuso il pensiero nel petto, con esso aveva passeggiato, parlato, mangiato e finanche dormito, come con uno sconosciuto dall’umore un po’ incerto. Gia`, lui non conosceva ancora nulla di quello che sarebbe stato. Solo la certezza che l’opera doveva venire alla luce. Giusto: La Creazione. Aveva chiuso il pensiero di quel grande oratorio dentro di se´, subito non ne aveva fatto nulla, l’aveva solo portato nel petto per tornare a pensarci la` dove era piu` calmo. A Vienna, nella casa con il giardino. ‘‘La comprai dopo il mio primo viaggio a Londra perche´ mi era piaciuta la sua posizione calma e tranquilla e feci costruire un secondo piano’’, disse. Era nuovamente in procinto di partire per l’Inghilterra e credo che sentisse il bisogno di un posto nuovo verso cui fare ritorno. Fu proprio durante i momenti in cui vide la sua Creazione gia` plasmata nella mente che ebbe la chiara sensazione di quella 30

che sarebbe stata la sua ultima tappa. No, non l’arrivo davanti al Signore, ma un pensiero differente: ‘‘Signore, fate che la Creazione viva, viva per almeno cento anni’’. Uomini e donne diversi, gente che non ha messo piede in questo secolo. Quelli, Signore, vorrei sapere che ascolteranno la mia Creazione. Semplicemente non puo` essere questa, questa guasta cosa che e` la morte, la mia ultima tappa. L’aveva avuto chiaro il primo giorno della creazione. Joseph Haydn era nato in un villaggio nella Bassa Austria, nel distretto di Unter-Wienerwald nelle vicinanze della frontiera ungherese, non lontano dalla piccola citta` di Bruch-an- der Leitha. Dei venti figli concepiti da suo padre, di professione carraio, in due matrimoni, Joseph era il piu` vecchio. C’erano state tante tappe nella sua vita, ora lo vedeva chiaramente, ora che si trovava davanti all’ultima, o almeno con tutta certezza alla penultima. Si attende sempre la morte, da una certa eta` in poi, ma non e` mai lı` dove te l’aspetti. Quando aveva salutato Mozart prima di partire per Londra, aveva pensato di non rivederlo mai piu`. Lui era un vecchio vicino ai sessanta, Wolfgang non ne aveva neppure trenta. Gli aveva detto: ‘‘Padre, non partite, vi stancherete troppo. E poi non avete bisogno dell’Inghilterra, siete gia` famoso’’. Proverete nostalgia. Quando vedrete la nave staccarsi dalla riva sara` un momento terribile. Io l’ho provato e stavo per credere che non avrei mai piu` rimesso piede sulla terraferma. Soffrirete il mal di mare. Sapete come accade? Si viene presi da un terribile malessere a causa del continuo rollio e la nausea non finisce neppure quando si tocca terra, per giorni si continua a sentire quel rollio in continuazione. Non e` abbastanza, aveva pensato lui, ed era partito lasciandolo lı` con le lacrime agli occhi. A Londra ricevette la notizia. Scrisse sul suo diario: Mozart e` morto il 5 dicembre 1791. 31

A partire dal 1802 la sua salute era andata degenerando. Dovette procurarsi un pianoforte facile da suonare, perche´ il vecchio fortepiano di cui si era servito per tanti anni lo affaticava troppo. Il Quartetto 82 pubblicato da Breitkopf & Ha¨rtel e dedicato al conte Fries di Vienna rappresenta la conclusione della sua attivita` di compositore. ‘‘E` il mio ultimo figlio’’, penso` Haydn guardando la partitura, ‘‘ma mi somiglia ancora’’. Il quartetto comprende solo un Andante ed un Minuetto, scritti l’uno e l’altro nel 1803. Haydn attese fino al 1806, pensava di riprendere le forze e cercava uno stato d’animo favorevole per riuscire a scrivere ancora un Allegro, ma inutilmente. Fu allora che fece incidere l’inizio del suo quartetto vocale intitolato ‘‘Il vecchio’’ su un biglietto da visita con il suo nome. Molto Adagio

Tutte le mie forze sono svanite ed io sono debole... La morte bussa alla mia porta, le apro senza timore. Cielo! Ti siano rese grazie! Un canto armonioso e` stata la mia vita. Poi lo distribuı` agli amici che chiedevano sue notizie. A questo biglietto da visita musicale Maximilian Stadler di Vienna rispose in maniera assai appropriata con un piccolo duetto. Durante l’estate del 1806 dal salotto di Haydn fu tolto anche il pianoforte, poiche´ il medico gli aveva proibito ogni sforzo e voleva sottrargli tutto cio` che potesse indurlo in tentazione. Haydn stesso sentiva quanto questo provvedimento fosse necessario alla sua salute, perche´ quando di tanto in tanto si sedeva al pianoforte per improvvisare, subito si sentiva male e dopo qualche minuto veniva preso dalle vertigini. 32

‘‘Non avrei mai creduto, disse il 3 novembre 1807, che un uomo potesse andare in pezzi come adesso accade a me, la mia memoria non esiste piu`, quando sono al pianoforte ho ancora di tanto in tanto delle buone idee, ma non sono in grado ne´ di ripeterle ne´ di annotarle e mi metterei a piangere per questo’’. La sua vita era diventata una prigione. E` vero che alla porta continuavano a bussare stranieri in viaggio, illustri viennesi, nobili e principi che venivano a rendergli omaggio. Era famoso, ma non avrebbe esitato, se gliel’avessero proposto, a tornare ad Eisenstadt o ad Esterha´za, quand’era un semplice musico al servizio del principe, con la voglia di scrivere che sentiva in corpo a quel tempo, le idee che prendevano forma e la creazione tutta ancora da venire. Solo la calma, le cure continue e le giornate scandite dall’alternarsi regolare delle minime attivita` quotidiane, gli permetteva di conservare le poche forze che gli rimanevano. Non poteva piu` camminare perche´ le gambe gli si gonfiavano e accadeva che per mesi non fosse in grado di andare da una stanza all’altra. Allora, racconto` il biografo, trascorreva il suo tempo pregando e ricordando il passato (in particolare i suoi soggiorni in Inghilterra), leggeva i giornali e verificava i conti di casa. Durante i mesi del suo ultimo inverno gli piaceva intrattenersi sulle notizie della giornata con i suoi vicini ed i domestici, talvolta giocava a carte con loro e si divertiva nel vederli felici di vincere qualche kreutzer. Se fossi sicuro di non urtare la sua pazienza, visto che si parla della casa di Haydn, vi condurrei il lettore e gliela farei visitare, camera per camera, mostrerei i mobili, la biblioteca musicale l’eccellente pianoforte inglese cosı` come quello francese. Aprirei i numerosi cassetti e ne trarrei orologi, tabacchiere e anelli e mostrerei tutti gli oggetti preziosi con orgoglio e racconterei in dettaglio l’origine di quei regali. Condurrei il lettore verso il pianoforte di Haydn. E se la sensibilita` fosse ancora di moda, la vista di questo strumento richiamerebbe alla mente la musa di Haydn e forse il lettore, uomo o donna che sia, vorrebbe acquistare questo tesoro senza prezzo per una somma considerevole. 33

Anche la corte dietro la casa potrebbe interessare il lettore. Un pappagallo che nella sua gabbia di ferro e` il guardiano del piccolo giardino durante la bella stagione, anche lui potrebbe interessarlo. Caro piccolo giardino! Qui si riscaldava il grande compositore al sole di Dio e pensava alla Creazione! Se doveste avere la fortuna di poter guardare attraverso le finestre la stanza da letto del Maestro, non dimenticate di osservare i quarantasei canoni che, adeguatamente incorniciati, stanno sulle pareti. ‘‘Non ero abbastanza ricco per comprarmi dei bei quadri e mi sono fatto una tappezzeria che nessun altro puo` avere’’, disse. E io penso che se vendesse ora uno di quei quadri diventerebbe piu` ricco di un pittore. Quando comparve l’ultima volta in pubblico era il 27 marzo 1808 nella sala dove la Societa` dei Concerti aveva organizzato una imponente esecuzione della Creazione. Arrivo` scortato dai suoi amici e accompagnato al suono delle trombe e dei timpani, come un idolo, e fu trasportato in poltrona fino al centro della sala, davanti all’orchestra. Seduto in mezzo ad alcune signore musiciste tra cui la sua adorata principessa Esterha´zy, circondato da artisti e da allievi, Haydn ricevette onori e complimenti da tutti coloro che poterono avvicinarlo. Che gioia vedere che il destino gli aveva concesso di vivere ancora una giornata come quella! Un’esecuzione meravigliosa e due poesie in omaggio al Maestro, versi tedeschi di Collin ed un sonetto italiano di Carpani, che furono distribuiti al pubblico, Salieri dirigeva l’orchestra e la serata si annunciava incantevole. E lo spirito di Dio Aleggiava sulla faccia delle acque, E Dio disse: Sia la luce! E la luce fu. L’uditorio scoppio` in un applauso scrosciante. Con un gesto della mano Haydn indico` il cielo e disse: Viene da lassu`! Immagino che fosse per timore di queste emozioni, pericolose per la salute dell’anziano musicista, che alla fine della prima parte gli amici decisero di portarlo fuori dalla sala con la sua pol34

trona. Si congedo` con le lacrime agli occhi e con un gesto della mano sembro` benedire l’orchestra. Non torno` piu` tra il pubblico. Ogni giorno sentiva sempre di piu` l’eta` come una malattia. Eppure non era malato come qualcuno che sia attaccato nel suo intimo da un oscuro se stesso, si trattava solo della natura che lentamente indeboliva il suo corpo, anche se non il suo spirito. E` in questo stato che Haydn si trovava il 3 maggio 1809, quando il biografo lo vide per l’ultima volta. Avrebbe raggiunto un’eta` ancora superiore se la guerra, l’entrata delle truppe francesi nei dintorni di Vienna e gli avvenimenti che ne seguirono non avessero deciso del destino di quest’uomo indimenticabile. Avvenimenti che lo portarono alla morte. ‘‘Questa sfortunata guerra mi abbatte completamente’’, ripeteva con le lacrime agli occhi e solo con molta fatica si riusciva a rasserenarlo un po’. Vienna e` adesso il confine del mondo, o meglio, quel confine e` diventato un centro di gravita`. Napoleone ha dato ordine di ripulire le sue stanze a Scho¨nbrunn e tornera` ad attraversare la citta` a cavallo, correndo come un diavolo, accompagnato dai suoi generali. L’Austria e` l’unico popolo che non abbia sognato Napoleone. In citta` c’e` solo Beethoven a riscaldarsi ancora a quel destino capace di valere mille vite. Ha scritto la sinfonia Eroica, anche se poi ha cancellato il nome dell’eroe, che nel frattempo era diventato imperatore. La musica esprime il proprio tempo, esattamente come i bollettini di guerra, i feriti in battaglia, i piedi congelati e le memorie diplomatiche. Haydn ama la sua patria e l’Imperatore con profonda lealta`. Negli ultimi due anni, non appena il tempo era abbastanza clemente e le forze glielo permettevano, si faceva condurre nella camera piu` solitaria per suonare il suo inno, Gott erhalte Franz den Kaiser! 35

Quando il 10 maggio, verso le sette del mattino, un colpo di cannone cadde vicino alla casa di Haydn, sulla fortificazione esterna della citta` e anche nella notte terribile dall’11 al 12 maggio quando la citta` fu bombardata dalle granate, Haydn rimase calmo e rincuorava la servitu`. ‘‘Figlioli, non abbiate paura: dove c’e` Haydn non puo` accadervi nulla’’. Ineguagliabile serenita`. Solo chi lo conosceva bene pote´ avvertire in lui una malinconia che da quel momento non lo abbandono` piu`. Pareva volesse dimenticare le sue sofferenze al pianoforte. Verso mezzogiorno si sedette al pianoforte e suono` il suo Gott erhalte. Ancora il 26 maggio lo suono` tre volte di seguito con un’espressione di cui egli stesso fu il primo a meravigliarsi. La sera di quel giorno avvertı` male al capo e brividi. I suoi domestici, che la mattina aveva protetto con la sua spontanea sicurezza, lo misero a letto immediatamente e chiamarono i medici. Inutilmente: il malato cadde in uno stato di spossatezza totale e di incoscienza, da cui soltanto uscı` per dare qualche lieve accenno di conoscenza e di percettivita` alcuni minuti prima della fine, che venne il 31 maggio al mattino presto, intorno all’una. Le autorita` francesi annunciarono la morte di Haydn nella Wiener Zeitung con grande rispetto e il 13 giugno nella Schottenkirche fu eseguito il Requiem di Mozart in memoria di Haydn. La messa funebre che il suo giovane amico stava progettando pochi mesi prima di morire e che non era neppure arrivato a concludere. Erano trascorsi quasi diciotto anni da quel giorno in cui Mozart era morto, mentre Haydn si trovava a Londra. Chi assiste´ al funerale racconto` che l’intera chiesa era coperta da drappi neri e ornata dalle iniziali di Haydn intrecciate; tutte le autorita` cittadine stavano intorno alla bara e ai piedi di questa erano esposte su un cuscino di raso nero le medaglie. Lo stato maggiore francese era al completo cosı` come gli abitanti e gli artisti piu` illustri di Vienna, tutti erano nella chiesa.

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L’ultima persona a fargli visita, il 17 maggio, era stato un capitano dell’armata francese, nativo dell’Italia, che desiderava parlargli. Quando il domestico gli disse che il suo padrone era a letto ammalato, il capitano chiese il favore di guardare quell’uomo che tanto ammirava almeno dalla porta socchiusa. Ma Haydn volle riceverlo e il soldato gli disse tutta la sua ammirazione e l’entusiasmo di essere accanto a lui, nella sua stanza. Aveva studiato le sue opere e le amava tutte. Haydn allora gli chiese di fargli sentire qualcosa e lui canto` perfettamente, accompagnandosi al pianoforte, un’aria dalla Creazione. Haydn rimase commosso e anche il soldato. Allora si abbracciarono e piansero entrambi. Al momento di congedarsi il Capitano scrisse il suo nome, la mano pero` tremava ancora. In una calligrafia quasi illeggibile sembra di vedere Cle´ment Sulemy. Quando lascio` la casa di Haydn era diretto a Lobau e di qui alla battaglia di Aspern, nessuno sa se sia mai tornato. Forse, sopravvissuto, avra` tenuto in cuore quegli istanti con Haydn. Era stato l’ultima persona a renderlo felice. Ora e` venuto il momento di lasciar cadere il velo davanti a questa scena funebre. Haydn non c’era piu`! Aveva raggiunto l’eta` di settantasette anni e due mesi.

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JOSEF K.

‘‘Quanto alla vostra ammirata richiesta mi affretto signore a rispondere che lo Josef K. in questione e` in effetti il mio stimato padre nato a Vienna nel 1794. Ma debbo deludervi, non e` un poeta. Nessuno della nostra famiglia l’ha mai conosciuto come tale ne´ egli ha mai fatto nulla per renderci nota questa sua inclinazione. Immaginerete dunque la mia sorpresa nel vedermi recapitare una missiva da consegnare a ‘Josef K. il poeta’. In casa si e` mosso sempre con il tono adeguato ad un uomo nella sua posizione. Nel 1819 divenne magistrato a Linz e lo fu per molti anni. Finalmente lo scorso ottobre, dopo quarant’anni di servizio come consigliere del governo regionale, ha chiesto di potersi ritirare’’. La piu` importante esperienza della loro vita, e l’avevano dimenticata. L’avevano oscurata, coperta di immondizie, di quell’insieme disordinato di avvenimenti di cui e` fatta la storia di ognuno di noi. Eppure e` solo perche´ hanno conosciuto Franz che ora si trovano nel corridoio lungo e lucente dell’eternita`. I loro nomi vengono stampati sui libri, non li scherniscono ne´ il freddo ne´ l’oblio. Non sono coperti di gloria, ma non sono neppure dimenticati. Se la loro esistenza si fosse svolta nel nostro secolo le televisioni ne avrebbero fatto zuccherini per ogni trasmissione. Invece a loro capito` qualcosa di diverso, forse unico. Ricevettero delle lettere. Da un tale che si chiamava Ferdinand 38

Luib e che voleva notizie, su di loro, ma principalmente su Franz. Era curioso, insistente, fastidioso. Gli anni erano scesi uno dopo l’altro e avevano coperto la memoria, qualcuno di loro era gia` immerso nella demenza senile, altri semplicemente non trovavano che ci fosse nulla da ricordare. Erano vite modeste, nessuna eccellente, esistenze tranquille, alcuni di loro erano molto ricchi, altri meno. Ma nessuno sembrava essere ricco di ricordi. Nelle risposte raccontano piu` o meno tutti le stesse cose, gli stessi aneddoti. Sono rigidi di fronte al passato come se si trattasse di qualcosa di cui vergognarsi. Che cos’e` che fa loro paura? Cosa li frena? Negligenza, giudizi altrui, voglia di vivere esaurita. Sembrano piombati ad una vita comprata a caro prezzo alla catena di montaggio, un’esistenza in serie, come si conviene agli appartenenti alla buona societa`. Troppo poveri per sospettare che esista qualcos’altro o troppo ricchi per rischiare di andare a vedere. La creativita` non esiste in quei tempi pericolosamente simili al nostro, dove la sola arte riconosciuta e` quella di un abito firmato. Ad aspettare pero` , una dopo l’altra, le cose escono, tornano in vita anni di giovinezza come braci che ardono ancora. La collina dei fuochi non e` lontana e anche oggi c’e` qualcuno che balla e invoca la liberta`. Fuoco misericordioso che bruci i resti di una vita mai del tutto appartenuta, bruci il tempo sprecato nella paura, bruci la linea e il punto, l’ordine e le solide certezze che abbiamo subito perduto. E` questo che succede mentre i figli si vergognano per i padri. ‘‘Credetemi signore, io sono giovane e conosco le tentazioni della poesia e dei suoi orpelli. L’idea di essere un artista e di far parte di quel magico mondo di gaudenti squattrinati sempre pronti a prendersi gioco di se´ e degli altri, e` inebriante come e piu` del vino frizzante dei colli viennesi. Temo lo sconforto, pero`. Ci sono momenti in cui l’artista guarda a se stesso, non nell’intimo di se stesso ma cosı` come gli altri lo vedono. Tenta diremmo di osservarsi oggettivamente. Deve essere stato in un momento simile che mio padre si e` sbarazzato delle sue illusioni. L’artista esamina allora la propria 39

giacca, i bottoni, il panciotto, i pantaloni, le scarpe e non riesce a individuare proprio nulla che abbia un benche´ minimo rapporto con quell’artista grande e sublime che egli vede dentro di se´. Le scarpe sono logore, i bottoni non ci sono tutti e sul resto... beh, anche sul resto, il viso, i capelli scomposti, lo sguardo sfinito, il sorriso ormai mesto, anche su tutto questo ci sarebbe molto da ridire! Sono queste le cose che ogni mattina gli offre il guardaroba della sua vita. Un armadio sgangherato dove abiti logori e trascurati sono gettati alla rinfusa. Allora l’artista viene preso dallo sconforto e comincia ad accorgersi che gli ornamenti dell’arte sono ben miseri orpelli e nulla possono nella miseria. Egli stesso non e` che un manichino da poco prezzo abbandonato nel sottoscala di un magazzino. Non pensate dunque che io mi rammarichi nel dirvi che mio padre non e` un poeta. Sono felice che la sua vita sia stata quella retta e dignitosa di un funzionario del governo imperiale. Ha avuto abiti dalle maniche impeccabili, camicie inamidate e scarpe per ogni occasione. Se ora volete fare di lui un poeta posso dirvi che vi ingannate. L’armadio che contiene i suoi abiti e` in stile Rococo` e quanto vi troverete e` adeguato al tono della nostra vita. Mio padre si e` liberato dai sogni dell’adolescenza. Ormai sono trascorsi piu` di trent’anni, non perdete il vostro tempo a cercare un abito senza bottoni, che sicuramente appartiene oramai a qualcuno abituato a dormire di giorno mentre di notte vagabonda per locali e donne da poco prezzo. Regalare a mio padre il diritto all’immortalita` solo perche´ un giorno ha condiviso qualche ora con quella banda di visionari viennesi e` patetico, lo metterete a disagio. Non so perche´ ora soddisfo quest’ultima vostra curiosita` . Per quanto posso evincere dalla date delle sue poesie, il suo precoce e breve talento deve aver avuto la maggior fioritura intorno agli anni 1814-1822’’. 40

A CASA

Sono circa le otto del mattino quando il consigliere del governo, perfettamente vestito, scende nella sala della colazione. E` un giorno come gli altri, si trova a casa sua, in un bel quartiere di Linz. A casa sua, pensa, ma non gli viene da crederlo. La moglie deve trovarsi al di la` della porta che conduce in cucina, questo e` certo. Il lieve mormorio delle voci arriva insieme al profumo del caffe`. Ma stamane il consigliere non prova il desiderio di socchiudere l’uscio e dare un’occhiata all’interno. Un pensiero inquietante lo ghermisce, la percezione che al di la` di quella porta ci sia un mondo di estranei. L’autorevole affaccendarsi della moglie, che di solito lo affascina tanto, gli pare del tutto inadeguato allo stato d’animo di questo momento. Si sente come uno che voglia custodire un segreto. Ha bisogno di nascondersi. E` chiaro che ha preso la strada piu` lunga per risvegliarsi, forse per colpa dei sogni che si sono comportati diversamente, anzi e` da un po’ di tempo che si comportano in maniera piuttosto bizzarra con lui. Ci sono state alcune volte (e il consigliere non manca di ricordarlo con un brivido di orrore) in cui i sogni si sono presentati vivi e irrequieti, in sala da pranzo all’ora di colazione, dopo almeno un’ora che s’era destato Di solito scivolando fuori dal suo letto riusciva a metterli in fuga alle prime luci del giorno. Ma ora non ci riesce piu`. E` solo un piccolo segno, ma con riluttanza Josef e` costretto ad ammet41

tere che non sa spiegarsene la ragione. Gli e` tornata una vivacita` di cui non ha memoria, e questo lo imbarazza. Alzandosi dal letto Joseph Kenner in quegli ultimi giorni si accorgeva sempre che qualcosa non andava per il verso giusto. Allora si dedicava con la maggior cura possibile alla sua igiene mattutina, quella serie di operazioni, invariate nel tempo, grazie alle quali lentamente dal viso e dal corpo faceva scivolar via i tratti dell’uomo e assumeva quelli del consigliere del governo. Il viso era il primo a subire l’assalto, pero` in questi ultimi malaugurati giorni era anche l’ultimo ad abbandonare i fremiti di vita che aveva acceso in lui il sogno. Con l’operazione della barba cercava di lavar via, di raschiare dal viso tremori e dolori. Non era semplice, perche´ negli occhi restava qualcosa di acceso, di troppo vivo, che finiva per trascinare in qua e in la` la sua mente. Ma il consigliere era forte e costante. Abbandonava il viso agli affari suoi e si dedicava al resto della toeletta. Pensava di farlo con la serena regolarita` con cui l’aveva fatto, 365 giorni all’anno, per circa vent’anni, ma anche lı` qualcosa si ribellava. Nella notte la vicinanza della moglie, cui da lungo tempo era legato da un sopito affetto, aveva risvegliato in lui una felicita` giovanile. In quei momenti era come uscire da una solitudine di anni. Amami Anna, amami nel mio nascere un’altra volta, sollevati con me dalle onde del mare. Infrangiti su di me come su uno scoglio. Penetrami, cercami nei labirinti del mio essere, negli anfratti del mio corpo. Il vento modella le mie forme di roccia, il mare si avvicina ingannevole per trarmi allo scoperto, cancella ogni segno, ogni traccia. Ascolta il corpo, perche´ non ha memoria. Non conserva gli attimi dedicati al nulla, non si ottunde alle canzonette dementi, non cerca riparo. E` perennemente in fuga. Il corpo non e` sposato, non ha radici, non sa ragioni. Non conosce che il sole, il vento, e la marea che lo avvolge e si allontana. 42

E sempre lo stesso struggente desiderio di far parte di un tutto. Nulla della vita di Josef Kenner era scomparso, nulla dimenticato. Visi che fino a qualche tempo prima non erano altro che svigorite abitudini ora ridestavano in lui affetti che non ricordava. Spente antipatie si riaccendevano improvvisamente e dimenticate inclinazioni diventavano ad un tratto slanci di affetto che non ricordava di aver avuto. Il lago calmo della vita si trasformava in un mare improvvisamente sollevato dal vento. Fandonie che l’esistenza sia un fiume amorevolmente scorrevole che tra sassi e radure porta i tuoi giorni al mare. Niente affatto. La vita e` un oceano, tranquillo magari per anni, ma capace di sollevarsi all’improvviso con un impeto sconosciuto. Allora non riconosci piu` quel mare che fino ad un attimo fa circondava la tua isoletta soleggiata. Il tuo cielo e` sconquassato dai fulmini e la tua radura prediletta e` presa d’assalto dall’uragano. Dove, mio Dio, dove rifugiarsi? Inutile pregare, inginocchiarsi a mani giunte come ci hanno insegnato da bambini. Dio non ha bisogno di noi, dovrebbe scendere lui quaggiu`, qui a pregare e non lasciarci soli. Con gli abiti quell’ardore risvegliato dall’aver troppo efficacemente ricordato la moglie quando era poco piu` che una bambina e si era fatta allacciare gli stivaletti, proprio la` sotto quell’olmo dove ora sosta la carrozza che deve portarlo in citta`, con gli abiti, dicevo, quel tumulto un po’ si placa. E` come indossare una corazza, anzi e` una armatura, un guscio, una difesa, ferrea, che separa l’uomo dagli altri uomini. Ognuno isolato dentro se stesso, nella propria educazione, nelle perfette pieghe dei vestiti, assente anche un briciolo di polvere viva. Colli inamidati, bianco smagliante. Coscienza a posto. Alla fine eccolo pronto a scendere ma prima bisogna guardarsi in viso e provare se tutto e` sotto controllo. Josef K. e Josef Kenner sono due persone diverse. Uno, il poeta, si dice sia morto da anni. L’altro il consigliere aulico e` il 43

gelido assassino che ha cancellato la parte di se´ vissuta per i primi vent’anni per lasciar spazio solo al famoso resto della vita, coniugato diligentemente secondo le regole della nostra civilta`, alla sua non brillante commedia. Quella mattina quando Josef K. entro` insieme al consigliere aulico nella sala della colazione la moglie non c’era. Forse – si chiede Josef – i sogni notturni hanno recato qualche tremore anche a lei? Qualche pensiero di cui doversi vergognare? O forse le carezze di lui non sono state cosı` pacate come quelle di due ormai quasi vecchi compagni di vita che hanno oltrepassato la soglia della quarantina? Chissa`. Si sente a suo agio ora il consigliere in casa sua. Qui nella solitudine della stanza vuota non pare neppure turbato dall’eventualita` apparente che una folla di sogni si stia avventurando con lui nella vita di tutti i giorni. Riprende forze, sa di essere a casa. Ha perso ogni incertezza. Certo quella e` la casa che prima fu di suo padre. Gli oggetti stanno come sempre al loro posto, uno accanto all’altro, privi di vita e del tutto indifferenti alla vita di lui. Che finalmente, senza badare al caffe` che qualcuno ha posato sul tavolo, esce di casa impaziente di entrare nel sole mattutino, in quell’aria frizzante e pulita, cosı` pura di fronte agli inquietanti furori del sogno, a volte perfino, pensa il consigliere, torbidi e sudici.

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IL POETA

Prendere la carrozza e trasformarsi in un rispettabile uomo di governo e` sempre facile, la mattina. I passanti salutano e tutti sembrano cordiali. E` incredibile come sia commovente la vita, a volte. Solo pochi istanti fa annaspavo nel buio con la sensazione di non riuscire piu` a riconoscere me stesso. Ed ora rispondo ai saluti dei passanti rispettosi, dei loro cagnolini, impartisco ordini ai domestici, accordo la mia anima al flemmatico trotto dei cavalli. Man mano che si avvicina la citta` i passanti si fanno piu` numerosi, i loro sorrisi si sovrappongono al mio sguardo e la mia risposta altro non e` che un indistinto e vago muover di labbra in direzione della strada. Il percorso e` ancora breve. Stamani al mio risveglio non ero solo nella stanza. Al fondo del letto stava seduta una ragazza. Sembrava giovane. Non ho pensato ad uno sbaglio, no. Da troppi giorni vengo assalito dal passato. Non con i toni tiepidi della memoria, ma con quelli nitidi e tersi del presente. Contorni netti e sensazioni precise di un periodo di molti anni fa, quando, da ragazzo ero un poeta. Quasi mi spaventa questa percezione cosı` ordinata, quasi meticolosa, con cui tutto mi torna vicino. Sono trascorsi anni ormai da quando mi sono allontanato da quel mondo, e se l’ho fatto fu per una decisione consapevole, l’ho fatto per il bene di me stesso e di coloro che mi stavano accanto. 45

A meno che tu non sia l’apollineo Goethe, la poesia non e` attivita` che faccia bene alla salute. Notti insonni, delusioni, fallimenti, risultati mediocri, e quindi, inevitabilmente, alcool. In quantita` crescente, eccessiva, come una dolce e lusinghevole profondita`. Ogni giorno ti svegli persuaso di avere a portata d’occhio, proprio sulla linea dell’orizzonte, l’intuizione che cerchi. Dunque decidi che andrai. Parti, ti metti al lavoro e – dici – non ti concederai nulla finche´ non sarai arrivato. Poi inizi a sentire la stanchezza, quel luogo non arriva mai, ti si avvicinano invece una moltitudine di incertezze, e racconti a te stesso che una passeggiata potra` farti bene. Cosı` finisce che torni a casa la mattina successiva senza neppure ricordare dove hai trascorso la notte. E poi gli idealisti non piacciono alla gente, perche´ sono difficili da comprendere e di solito guardano la vita dall’alto in basso. Ma al di la` di quanto si crede possono sempre cambiare rotta e mettersi ad inseguire ideali del tutto materiali, danaro, fama, e poi rivalita` e angoscia. E` lı` che l’idealista abbandona se stesso, dimentica cio` che era e si accontenta di quel poco che e` diventato. Il mondo delle cose concrete ha vinto la sua battaglia. E` stato cosı` che ho deciso di fuggire dal vuoto del mio talento. Accadde all’improvviso. Fui colto da un’intima indignazione, dalla piu` feroce insofferenza, non sopportai piu` di vivere disorientato e non avevo piu` pazienza per aspettare e vedere come andava a finire. Non ero fatto per quella vita. Ho scelto la ragione, un lavoro nel governo e un trasferimento a Linz incoraggiato da uno stipendio consono alle aspirazioni di un nuovo impiegato. Inizia la corsa verso il soddisfacimento di ogni capriccio della mia Esistenza Rispettabile. Arrivero` a nutrirmi di pietre preziose, a coprirmi con panni dorati che nascondano le mie paure. Si danno sempre motivazioni economiche alla mancanza di audacia. L’audacia ha in se´ del genio. Cosı` sosteniamo che a mancarci fu il denaro, il denaro la ragione della scelta. 46

Debbo confessare che in questi vent’anni non mi ha mai sfiorato il dubbio che la rispettabilita` costi un po’ cara, in termini di sacrificio personale. Pretende che uno riponga se stesso in un cassetto, e suddetto cassetto sia chiuso poi a chiave. Se il dubbio non mi e` venuto dev’essere perche´ io ho commesso un errore, non ho buttato la chiave. Mi sono permesso di seguire il consiglio di Platone, ho saputo ricordare. Dal cassetto ormai aperto esce il profumo dell’aria di Vienna, quel misto di colori e odori insieme, la massa di gente che ogni giorno si trovava sulle strade, volti ognuno unico in se stesso, la bambina, il mentecatto, il signore, il domestico, l’ufficiale dai baffi all’insu` e la divisa non troppo impeccabile, la gran signora e la cameriera dal corpetto stringato. Tutti accomunati da una sorta di euforia collettiva, dal desiderio di perdersi nella citta` che odorava di fumo, di zolfo, di legno, di salsicce e di cavoli. Salotti eleganti e perfide locande si aprivano agli artisti quasi con la stessa facilita`. Dopo una sera a teatro potevi trovarti catapultato dagli Scho¨nstein oppure al ‘‘Lupo che predica alle oche’’. Dovunque si ballava, si faceva tardi e gli artisti sembravano rispettati dovunque. La sera. Di mattina, nell’andirivieni di carrozze, tra il puzzo di letame e il frastuono della strada, la questione era un po’ diversa. Ma e` inutile che io continui a rimuginare sull’argomento. La poesia in senso generale puo` essere definita come espressione dell’immaginazione. Eccola lı` l’espressione della mia immaginazione. La ragazza non si muove, non parla, non interroga, non alza neppure lo sguardo su di me. Vorrei chiederle la cortesia di andarsene e di non stare lı` a respirare nella mia camera. Mi toglie l’ossigeno. ‘‘Secondo un certo modo di vedere, delle due classi del processo mentale, chiamate ragione e immaginazione, la prima puo` essere considerata come la mente che contempla le relazioni che intercorrono tra un pensiero e l’altro... e la seconda come la mente che agisce su tali pensieri e li illumina e che fa scaturire da 47

essi, come da elementi, altri pensieri... Una e` so poieim, l’altra so kocifeim. Sono state le fattezze femminili a trarmi in inganno, era Shelley a parlare, ha sempre avuto lineamenti da ragazza. Lui il poeta che nel marzo del 1821 nella sua Difesa della poesia scriveva che l’immaginazione e` l’unico baluardo contro la corruzione del mondo. Solo l’immaginazione ha il potere di combattere un’umanita` che ha scambiato il piacere con l’autocompiacimento, l’umorismo con l’arguzia, l’allegria col sarcasmo e la bellezza con l’osceno. Dedicarsi alla poesia significa rinnovare il linguaggio della bellezza, rinnovarlo indefinitamente, prolungarlo fino all’eternita`. La poesia ha un’anima trascendentale che va difesa con l’audacia del soldato che difende la patria. Siamo tutti in battaglia e la terra da difendere e` il nostro spirito, che io chiamo anima. Morı` un anno dopo, durante una sciagurata gita nel golfo di La Spezia. Aveva deciso di sfidare le pessime condizioni del mare convinto, come disse alla moglie, che: ‘‘Le forze della natura non possono dimostrarsi crudeli con chi le ama’’. La sua barca si chiamava Ariel, il nome del folletto nella Tempesta di Shakespeare. Si avventuro` nel vento convinto di essere puro spirito. La mente che crea e` un fuoco che si spegne, che una qualche invisibile influenza, come un vento incostante, risveglia a transitorio splendore. *** Il mondo e` un altro posto, ho diciassette anni e piu` che altro sono un vagabondo che fa compagnia con una banda di gente come me. L’essenza della poesia sfugge all’uomo che sei come a quello che fosti. Pero` nutrivo delle ambizioni, eccome! Ci fu un periodo della mia vita in cui fui persuaso veramente di essere un poeta, vagheggiavo la solitudine, alcuni dei miei componimenti erano apparsi sugli almanacchi mensili, altri perfino in raccolte pubblicate da editori di una certa rinomanza. 48

Scrivevo drammi e avevo in progetto la traduzione delle tragedie di Sofocle. ‘‘Lasciatemi solo con i miei libri’’, avrei detto a chiunque si fosse avventurato nella mia stanza di studente. ‘‘Sono un poeta!’’ avrei gridato. Sı`, io, Joseph Kenner, l’avrei gridato, perche´ all’epoca ero sicuro. Mi perdevo dentro me stesso, non c’era realta` capace di contenermi. Sentivo freddo (e allora ne sentivo di freddo in quella grande stanza della Wipplingerstrasse) e nei miei versi vagheggiavo il sole. Se ad assalirmi era la nostalgia di un volto di fanciulla ecco che una brunetta si affacciava alla finestra di una torre, sorrideva e parlava con me della sua malinconica esistenza solitaria. Fu cosı` che nacque quella fortunata poesia Ein Fra¨ulein schaut vom hohen Turm, Una ragazza guarda dall’alta torre. Fu cosı`, anzi non so neppure come accadde, che un giorno quella giovinetta sia scesa dalla torre e sia andata a passeggio in un mondo tutto nuovo, che lei non aveva mai conosciuto, la musica. Franz Schubert aveva chiesto di leggere la mie poesie e decise di mettere in musica proprio questa. Schubert aveva frequentato il Convitto nello stesso periodo in cui c’ero anche io, poi continuo` a venire alle nostre serate anche dopo aver lasciato la scuola. Non ricordo l’occasione in cui prese i miei versi. So che rimasi sorpreso dalla dedica di quelle canzoni, quando me le regalo`. Potete immaginare anche quale fu il mio imbarazzo. Tutti conoscono la mia considerazione per la sublimita` di Schubert e la mia opinione sulla pochezza dei miei meriti. Sapevo che Schubert dava la preferenza a versi che si potevano facilmente musicare, ma non avevo nessuna certezza che potesse prediligere proprio i miei. Piu` tardi qualcuno mi chiese il manoscritto e non e` mai piu` tornato indietro. I suoi amici non gli danno mai abbastanza poesie su cui scrivere musica. Il pallido Franz si nutre di poesia. Non sceglie, saccheggia. Non si cura che la maggior parte delle poesie che 49

legge siano di scarso valore. Ad un attento esame critico nessuna supererebbe la soglia di un giudizio positivo. A lui questo non interessa. Quello che lo attrae e` la forma stessa della poesia, il fatto che qualsiasi avvenimento della vita e della fantasia sia raccontato in versi. E, a meno che questi non siano veramente brutti, li mette in musica. Allora, a distanza di anni ti capita come a me stamattina di rileggere i tuoi versi e trovi solo la musica. Le tue parole non ci sono piu`, ti sono state rapite per sempre, non saranno mai piu` solo tue. O meglio. Ci sono, sono ancora le tue, le stesse, ma stanno lassu` in un iperuranio che tu non avresti mai pensato di riuscire neppure a sfiorare. Se ne stava lı` rinchiusa nella torre, la fanciulla, e non avrebbe mai immaginato che scendere quelle grosse scale di pietra volesse dire anche avventurarsi in un mondo totalmente ignoto. Alberi enormi, con foglie gigantesche, rami contorti che sembravano abbassarsi fino a terra, erbe dalle foglie grasse e succose lanciarono le loro braccia per avvolgerla e lei si lascio` prendere. Com’era invitante quel sentiero sul lago! Farvi scivolare sopra gli occhi non era come osservarlo dall’alto, quando sembrava una superficie gelida e immobile, circondata da un anello di verde piu` chiaro. Per quanto si fosse sforzata di dipingere a se stessa la vita fuori della torre, non aveva pensato a cose come queste. A quella terrena concretezza delle cose. Il mondo finora lei l’aveva solo sognato. E i sogni sono diversi, non hanno consistenza, almeno non tutti i sogni. E` noto a tutti che chi e` prigioniero di un incantesimo si risveglia solo ai baci dell’innamorato. E una fanciulla che sta affacciata ad una finestra di una torre solo per il capriccio di un poeta e` piu` che prigioniera. Quasi non nutre speranze di vedere il mondo. Ma un giorno questa ragazza venne restituita alla terra da un musicista che possedeva il calore della vita. 50

Nella notte in quella torre le sembrava di non avere peso. Non aveva circostanze in cui sentirsi viva. Ora i suoi piedi mettevano radici nel terreno, le sue scarpe si bagnavano nel fango, il suo petto era inondato dai profumi dell’aria. Ad ogni passo ce n’era uno differente e comincio` a riconoscerli. Dopo un po’ avrebbe potuto descrivere il paesaggio anche standosene ad occhi chiusi. Ad ogni passo un profumo colorava in lei un aspetto diverso, anche i burroni, anche gli inciampi avevano un profumo. La musica possiede un aroma di cui nessun’altra cosa dispone e anche le interruzioni del paesaggio stanno lı` a descrivere l’insieme. E dove una prospettiva muore ecco che se ne apre un’altra. Dove pare di soffocare ecco che si apre la vita, alcune cose respirano, altre stanno immobili. Lei era una di quelle che aveva preso a respirare. Dal sentiero sentı` passi venire. ‘‘Chi siete?’’, chiese la ragazza della torre. Uno strano personaggio, un ragazzetto, le rispose. ‘‘Ci sono solo io, qui, non c’e` nessun altro con me’’. ‘‘E tu che ci fai qui?’’. ‘‘Perche´ non dovrei starci, visto che ci abito?’’. Lei credeva di essere la principessa destinata a scioglierlo dall’incantesimo, ma fu lei a rimanere vittima della sua canzone. Il bosco e le foglie erano le note di una ballata, la fanciulla della torre si trovo` bene e non uscı` piu`, ne´ dal bosco, ne´ dalla torre, ne´ dalla musica. In discesa il cavallo correra` veloce. Ho chiesto al cocchiere di portarmi su da ‘‘Ja¨germayr’’. Gli abitanti di Linz vengono spesso in questo ristorante della collina ad est di Linz. Basta sollevare di poco lo sguardo oltre la siepe perche´ la prosperita` della nostra provincia vi balzi agli occhi. Il giardino del ristorante offre un piacevole panorama della citta`, che sembra come nascosta tra i giardini, l’opulenza delle montagne la protegge a nord e ad est. Di la` da queste, in mezzo alla pianura, il fiume, che pare di poter seguire nella sua interezza, vasto nelle sue 51

curve. E verso la Bassa Austria le catene di montagne della Stiria e del Salzkammergut. Si facevano delle feste allegre la sera, quando Schubert veniva a Linz, il proprietario ancora le rammenta e potrebbe ancora raccontare ai nuovi clienti di quelle serate e di chi vi prendeva parte. E anch’io racconto, ma solo di tanto in tanto, quando capita. Se ho conosciuto Schubert in verita` lo devo al mio amico von Spaun e all’impiegato dell’archivio di corte Ignaz Spenn, che era entrato in Convitto da alcuni anni. Furono loro i primi a raccontarmi di quel bambino del coro di corte che prendeva lezioni da Salieri. Cosı` mi accorsi di lui e poi lo conobbi. Le circostanze erano pressappoco queste. Albert Stadler e Anton Holzapfel avevano la consuetudine di andare a suonare le loro composizioni nella sala del pianoforte del Convitto durante il tempo libero, dopo il pranzo. Lı` ero ammesso anch’io a patto di recitare il ruolo del pubblico profano. La maggior parte delle volte ero anche l’unico rappresentante di questa categoria, visto che nella sala non c’era il riscaldamento e faceva un freddo da morire. Di tanto in tanto anche Spaun e Schubert venivano. Stadler suonava, Holzapfel cantava e qualche volta anche Schubert si metteva al pianoforte. Ogni volta erano nuove canzoni. La poesia e` stata dunque seduta accanto a me, nella mia stanza, per tanto tempo. Ed io che credevo di essere il poeta! Avevo semplicemente lasciato sedere una fanciulla ai piedi del mio letto. Forse per questo non parlo` mai. Poi se ne ando`. Purtroppo non so quale sia stato da allora in poi il corso del suo destino, ma suppongo che le nostre vite siano state assai distanti.

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NON APPARTENGO...

...a nessuna generazione, nessuna scuola, nessun esercito, nessun potere. Poche cose riescono a soddisfarmi: la poesia, la liberta` e il piacere. Negli ultimi anni ho fatto molti mestieri, ma la fatica e` indegna del mio genio, e quindi lascio sempre le cose cosı`, senza concluderle. A volte mi conquista il pensiero di essere un poeta, pero` forse sono piu` un filosofo che un poeta. Perche´ non ho cuore. Fin da ragazzo ho pensato che non avere cuore fosse una bella dote per conquistarmi il favore della gente e cosı` mi sono dedicato al teatro. Per anni ho girovagato con una compagnia di dilettanti, leggevamo avidamente e vivevamo di sogni. Eravamo capaci di immergerci nelle nostre visioni, di viverle cosı` intensamente da far sembrare quelle allucinazioni una nuova realta` e cosı` la gente ci applaudiva. Ogni sera in un luogo diverso. Attraversando luoghi diversi mi sono accorto che il mondo e` un campo d’azione assai piccolo per chi ha desideri smisurati come i miei, le citta` sono la mia casa ormai, e posso partire senza prepararmi il bagaglio. Quando arrivai dalla Svezia, Vienna era una citta` popolata e festante. Era il 1815 e io mi innamorai di un ragazzo. Nella citta` di un Congresso pieno di scandali, dove ogni livrea, ogni calesse celava una spia io condussi la mia caccia con l’astuzia di un agente e la calma di un diplomatico. 53

Ogni mattina per le vie della citta` si rastrellava la spazzatura con la convinzione che si sarebbe potuto trovare qualche documento di vitale importanza. I netturbini erano diventati individui della massima importanza. I documenti, si diceva, possono trovarsi ovunque. Una lettera privata, un’annotazione, un fazzoletto, il cenno di una presenza, nelle loro mani ogni informazione era ritenuta vero oro colante. Anche i postini facevano parte di una nuova aristocrazia, tutte le lettere venivano aperte e qualsiasi messaggio decifrato. Le piu` insignificanti missive erano oggetto di curiosita`, biglietti, carte, fogli, contromarche, autorizzazioni, comunicazioni, tagliandi, annotazioni. Affiorando alla luce di quel nuovo sole, che illuminava una citta` di delatori, tutto acquistava un’apparenza nuova. Se spuntava una ricetta, pure quella poteva nascondere un reato. Per certo doveva provenire dalla cucina di un diplomatico e c’era da decifrarne la trama oscura. Io mi innamorai di un ragazzo l’anno in cui mezza citta` si abbandonava ai piaceri mentre l’altra meta` sospirava e sospettava a quei piaceri. Non era bello, ma era giovane, intelligente, inesauribile. Vienna ora si e` trasformata in un folla di informatori, perche´ la necessita` aumenta di giorno in giorno. Abbiamo spie dovunque, tutto si deve sapere, i servitori d’albergo sono pagati per riferire cosa si dice nelle stanze, ai tavoli dei ristoranti, nelle taverne. Non c’e` respiro per quest’immensa putrida curiosita`. Non sei al sicuro in nessun posto, nelle biblioteche controllano cosa leggi, nelle librerie ti tengono d’occhio i confidenti del governo. Vienna e` un deserto in cui ognuno e` solo, circondato da amarezze. Beethoven e` sordo, ma non per questo motivo e` solo, la solitudine e` questo deserto, dove le armi sono le parole, la penna, la matita blu e quella rossa, le tabelle e i regolamenti. 54

Da quando Bonaparte se n’e` andato la citta` si abbandona ai piaceri e alla polizia. Mia madre era contenta quando le dissi che lasciavo la Svezia. Non riusciva ad immaginare un futuro per me lassu`. Ero troppo entusiasta dell’arte e dovevo venire al sud, a Vienna. Di me non ha saputo piu` nulla, ha letto le notizie del Congresso sui giornali e ora si trastulla con le memorie che vengono pubblicate ogni giorno, da quelle dei grandi personaggi alle avventure senza dubbio piu` stuzzicanti di nobili e principesse senza domani. Tutti si sentono protagonisti di qualche avvenimento. La cosa davvero sorprendente e` consultare i verbali della polizia. Qualcuno ha provato ad introdursi negli uffici della Hofpolizei e racconta che le stanze traboccano di sacchi, di rapporti, di notizie. Le porte si aprono a stento e i molti impiegati sono stati raggruppati in stanze comuni per far posto alla corrispondenza. Il direttore della polizia di stato ha perso il controllo dei suoi funzionari eppure continua a mandare missive allarmate. ‘‘Ho l’onore di pregarla non soltanto di impegnarsi con tutte le sue cure a trarre maggior profitto possibile dalle sue conoscenze e dai suoi mezzi di informazione, onde fornirmi tutti i giorni un’ampia messe di notizie, per le quali non manchero` di ricompensarla, ma anche di segnalarmi i nomi delle persone che a parer suo sembrano adatte a essere impiegate nelle presenti circostanze..’’. Tra poco bisognera` sfamare questo esercito di spioni e le loro famiglie. In questa confusione una persona di buon senso vede gia` che la notizia insignificante, la macchia di rossetto lasciata da qualche puttanella, rischia di prendere il posto del segreto diplomatico. Pero` qualche giorno fa ho sentito dire che in un cestino della carta straccia e` stata trovata una lettera in cui Karl Theodor duca di Dalberg offriva al ministro francese di Livorno l’opportunita` di rapire Napoleone, con la complicita` di alcuni 55

marinai di cui egli era ospite frequente. Questa e` davvero una notizia degna della polizia viennese. Una burrasca ha sospinto lontano la nostra nave, prima che entrassimo in porto. Avremmo voluto vivere la giovinezza su un mare tranquillo, senza dover rincorrere sogno ed emozioni. Ora io so che verranno a raccontarvi dello spirito sciocco, assurdo e insignificante di quegli anni, ma io so che si facevano calcoli esatti e questa e` una brutta cosa, come mettere abiti troppo stirati, o troppo stretti, perche´ non tengono conto dell’intermittenza della vita, della sua incostanza. Io mi innamorai di un ragazzo e l’amore cambia tutto, anche all’eta` della pietra. Ho recitato, ho esagerato, ho lusingato, ho alzato i miei sensi ad una temperatura solare perche´ la sua amicizia mi sembrava una benedizione da non perdere. ‘‘So che non sei felice’’, mi scriveva quando ero lontano. Tu sei la mia regina, gioiosa e profumata di primavera. Fino a ieri eravamo sdraiati nel prato, i capelli tra l’erba. Eravamo tutti insieme, i miei amici ed i tuoi. Le ferite non facevano tanto male. Chi mi riportera` quei giorni d’amore? Il tuo corpo e` la terra fertile su cui voglio seminare, le tue spalle sono la forza degli aratri per scavare acqua dentro la mia arsura, stammi lontano e alza gli occhi su di me, voglio sentire il tuo sguardo. Poi fu lui ad allontanarsi, mentre io mi aggrappavo alla gelosia. ‘‘Ancora una volta mi sono lasciato attrarre in un luogo in cui non c’e` nessuno con cui scambiare due parole’’, scrivesti. Noi viviamo di parole, per te ho inventato un vocabolario nuovo, perche´ ad un amico amante non si adattano parole al femminile. Ti ho amato e il mio aspetto non e` piu` quello di prima. Ho rappresentato per te tutti i ruoli, ho recitato il re e il guerriero, il soldato e il poeta. Ma non sono un poeta, il poeta eri tu. Io con te sono stato figlio di un mondo che non conoscevo. Ho intinto i pennelli nel colore e ho iniziato a scrivere un’o56

pera. Potevo finalmente ammirare il tuo modo di plasmare le note. La tua arte veniva prima di tutto. Mi raccontarono che facevi cosı` anche da ragazzino, non ti importava nulla di cio` che accadeva all’esterno, tu scrivevi. Non sentivi l’odore dei delatori che ti passavano accanto, l’insolenza dei benpensanti, l’indulgente bonta` delle principesse, quello che sentivi era dentro di te, e tu seguivi la tua strada con una costanza piu` ostinata del mio amore. Cercavo di resistere, ma ogni tanto venivo a guardarti, te, chiuso nel ripostiglio della tua mente. Con in mano la penna e il foglio rigato sul tavolo. A volte riuscivo ad intuire le tue soste, la frase che si fermava mentre alzavi gli occhi per pensare. Mi chiedevo se piu` tardi mi avresti detto qualcosa, ma gia` sapevo che non l’avresti fatto. Quel mondo era solo tuo e non avevi bisogno di descriverlo. Poi riprendevi a scrivere e avvertivo la tua musica premere come un fiume in piena contro le sponde. La penna non si fermava per molto tempo. Sarebbe stato un fiume capace di affogare il mondo, tanta era la sua forza. Mura di fortezze, argini di pietra rabbrividivano al suo passaggio, finche´ tornava la calma. A volte ridevi come un bambino, cancellavi e riscrivevi con pazienza, ma non eri un bambino, eri il mio amante separato da me da muri di vetro. Cercai le parole per ringraziare iddio per avermi condotto fino a te. ‘‘Ho dovuto conquistarmi il tempo’’, mi dicesti una volta. Io sapevo tutto di te, ma non afferravo che la tua dimensione era il presente. Il presente e` il mare, e tu non facesti neppure tempo a vederlo. Conoscevi solo laghi di montagna e il Danubio. Il presente e` la nostra patria. Che sciocco fui a pensare a te come a un musicista del futuro. Quando ti ferivi, il sangue che scorreva era vero. E tu non eri solo un ragazzo. Quel giorno tornasti al tuo studio e io rimasi lı` con un foglio stracciato in mano. L’avevi gettato tu. ‘‘E` un’idea, non buttarlo’’, dicesti. Lo conservai frenando l’istinto di mangiarmelo. Avrei assorbito la tua arte. 57

STORIA D’AMORE

Avete mai sentito una musica allegra? No, non l’avete mai sentita. Semplicemente perche´ non esiste musica allegra. Non conosco il mio cuore, e neppure bene la mia mente. Non so nulla dunque neppure della tristezza. Dicono che sia nostalgia per l’armonia perduta. Armonia del mondo. Forse anche armonia del canto? A volte la tristezza e` un dolore che conquista terreno lentamente e fa paura, perche´ non sai quando si fermera`. Altre volte e` il piacere indefinibile di avviarsi per un cammino che non sai dove ti porta. Difficilmente nella vita si puo` immaginare dove siamo diretti. Nella musica invece ogni cosa assume contorni differenti. Un’amarezza trascurabile puo` diventare struggimento vasto come un oceano, un’esplosione di gioia sta benissimo racchiusa in poche note. Comunque non c’e` spazio per le prospettive umane. La stessa cosa accade nell’amore. Dodici principesse non sarebbero troppe per raccontare la mia tristezza. Il mio dolore e` eterno. Sta dentro al mio codice genetico. Provo ad entrare nella leggenda. Racconta di una ragazza che sa cantare. Ha una bellissima voce di soprano, dicono, e quella e` la sua unica dote, perche´ non e` bella, non sa muoversi 58

con ricercatezza, conosce a malapena la grammatica. La dolcezza della sua voce pero` supera ogni barriera. Vive in un sobborgo e ogni giorno festivo canta per i fratelli. In paese lo sanno tutti e piano piano la gente prende l’abitudine di affollarsi intorno alla sua casa per ascoltarla da vicino. Questo – ho gia` detto – accade la domenica. La fama della ragazza e della sua voce corre e si diffonde oltre i semplici confini del suo paese e anche la gente di citta`, nei giorni di festa, fa lunghe camminate per venire ad ascoltarla. Qualsiasi cosa ella canti, la gente resta estasiata. Non c’e` nessuno, per rozzo che sia, che non resti ammaliato da quelle note. Forse che quella musica e` piu` bella di altre? La voce piu` vellutata? Se cosı` fosse pero` la gente dovrebbe avere la sensazione di qualcosa di straordinario, invece non e` cosı`. Accade proprio il contrario: quando lei canta quella grazia scende nelle orecchie come qualcosa che conoscono da sempre. Un giorno arriva un grande musicista che vuole provare a conoscerla. Dieci, cento volte bussa alla porta, ma la cantante non lo riceve ed egli e` costretto a ritornare a casa. La stessa cosa accade anche ad altri musicisti. Nessuno riesce a sentirla cantare da vicino. Tutti costretti a rubare pochi momenti di delizia di nascosto. Trascorrono i mesi e gli anni e la fanciulla continua a cantare. Ormai deve essere una donna matura, visto che molti tra i primi che erano venuti ad ascoltarla non hanno piu` le forze per raggiungere il giardino, ne´ la capacita` di restare immobili ad ascoltare per ore come facevano in gioventu`. Eppure la voce sembra non diminuire di bellezza, ne´ di potenza, ne´ di espressione. Alcuni iniziano a pensare che non sia piu` lei a cantare ogni giorno di festa, potrebbe essere magari la figlia. Ma tutti sanno che la bellezza del canto e` inimitabile, e nessuno puo` sostituire facilmente chi ha stregato due generazioni di ammiratori. Durante i giorni della settimana nessuno sa cosa ella faccia, dalla casa entrano ed escono persone, ma nessuno all’infuori dei 59

suoi famigliari l’ha mai vista in volto, quindi nessuno la puo` riconoscere. E` la donna dai capelli raccolti? La piccolina con gli occhi scuri? O la signora con il mantello che ogni giorno scende in citta` con il calesse? Negli anni nascono dei bambini in quella casa, bambini che poi sono ragazzi grandi. Ma anche loro non rivelano a nessuno di chi sia quella voce sublime che ogni domenica canta nella loro casa. Vanno a giocare con gli amici, frequentano la scuola, prendono con discreto profitto lezioni di musica, ma in nessun modo si lasciano indurre a rivelare quello che per loro non e` certo un segreto. Poi viene il tempo in cui nessuno osa piu` chiedere, perche´ ormai il miracolo pare piu` che altro una stregoneria. Infine giunge anche il giorno in cui il paese non sente piu` la voce. E` un giorno di festa. Sembra un leggero ritardo, invece e` il silenzio per sempre. La musica e` sempre un pezzo di eternita` sfuggito all’inafferrabile. Questa la leggenda, ora la storia. La ragazza si chiama Therese. Ha sedici anni ed ha una bella voce di soprano. Accanto a lei, nello stesso quartiere vive un giovane figlio di un maestro di scuola. Dicono che voglia fare il musicista. Per ora ci limitiamo a descriverlo come un ragazzino un po’ troppo timido. E` miope come una talpa e non compone mai al pianoforte. Sta sempre coricato sul tavolo, col naso sopra il foglio da musica, sembra che veda a malapena la sua penna. A volte giocherella con le dita sul tavolo, pensa e poi scrive. Raramente ha dei ripensamenti. Spesso crea senza fermarsi. Ha gia` scritto molto ma a scuola le cose non vanno per il meglio. Per lui si e` scomodato perfino l’imperatore, che due giorni dopo la vittoria delle truppe tedesche, russe e austriache contro l’armata napoleonica il 21 ottobre 1813 scrive: 60

‘‘Per quanto riguarda gli alunni Franz Schubert, ecc. ecc. io accetto le loro offerte, tuttavia se dopo le vacanze il profitto della classe seconda non sara` migliorato e gli esami del prossimo semestre non verranno superati, essi dovranno essere allontanati senza ulteriore indugio giacche´ la musica e` solo una materia secondaria, essendo cosa principale il buon comportamento e la buona volonta` nello studio e l’applicazione costante in queste discipline e` fondamentale per coloro che vogliono godere dei benefici del Convitto...’’. Mi servono solo bravi sudditi, ingiunge l’imperatore, non geni. E` chiaro che lui del compositore ragazzino non sa cosa farsene. Da parte sua il ragazzo risponde scrivendo un canone a tre voci: ‘‘La vittoria dei Tedeschi’’. Lascia la scuola e compone la sua prima sinfonia. Il giorno in cui dirige la sua prima Messa nella parrocchia di Lichtental, Therese canta. E` una giornata di meta` ottobre, fa freddo. Non c’e` altro che questo. L’amore e` una cosa crudele, ci porta alle soglie del paradiso e poi una volta lassu` vediamo le porte sbarrate. Sbarrate per sempre. Orfeo inseguı` la sua amata sino all’inferno, la ragazza che sapeva cantare era semplicemente su questa terra. Aspetto` tre anni, poi si marito` ad un fornaio. Non c’era stato altro. La mia voce non ha peso. Non conosce vanita`, non esige consolazione. Soltanto in quella fresca domenica di ottobre la prestai alla sua musica. Ma da quel giorno e` accaduto qualcosa di singolare. Non sono piu` riuscita a liberarmi da quel canto. Amavo la mia voce? Certo che l’amavo. Era la mia prigione, perche´ giorno dopo giorno rappresentava passato e anche presente. 61

Al passato fissavo lo sguardo a volte con estasi a volte con tormento. Quando mi piombo` addosso la vita, con i giorni tutti simili gli uni agli altri, io mi comportai come una prediletta dal destino. Ogni giorno affondai il viso nell’acqua fredda, fredda come la domenica di ottobre, e questo mi ricordava che dentro di noi c’e` sempre qualcosa di bello e vivo. Da molto tempo non mi giungono piu` notizie di lui. ‘‘Forse sto per morire’’, dico a me stessa. La mia voce finalmente ha perso anche lei la sua battaglia sul tempo e si e` arresa. Per lunghi anni e` stata il mio solo punto di incontro con il mio sogno vuoto.

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LA TAVERNA

L’insegna all’esterno dice ‘‘Al lupo che predica alle oche’’. All’interno proprio davanti alla porta un altro pannello esorta chi sta per entrare: ‘‘Guardati! Non battono forse ora le campane del destino? Entra, fatti avanti, ascolta Bacco o Dioniso, uscirai con il sorriso’’. L’incoraggiamento pero` non raggiunge i clienti della sera quando e` difficile leggere attraverso il pesante mantello del fumo. Di solito non hai bisogno neppure di scendere i tre gradini per trovarti dentro una densa nebbia che non si dissipa neppure da un giorno all’altro. Al pomeriggio la gente viene qui per fumare, bere birra e leggere i giornali, quando la scarsa luce ancora permette di farlo. La sera c’e` solo un enorme entra ed esci di artisti e altro genere di gente di teatro. Si viene qui per commentare, per festeggiare, per osannare e per denigrare. Sono tutte attivita` molto comuni. V’e` un uomo che viene ogni sera. Ha poco piu` di trent’anni ma l’aspetto e` quello di un vecchio. Si muove come un vecchio. Di giorno lavora e la sera viene a rifugiarsi qui. Accanto a lui c’e` gente che ride, persone che giocano, fanno chiasso. Lui non se ne cura. Tace davanti al suo bicchiere di punch, quando puo` permetterselo, altrimenti si conforta lentamente con una birra. Non provoca mai obiezioni, non protesta. 63

Le poche volte in cui parla di se´, racconta di essere stato giovane, ma a ben guardare ti accorgi che la cosa non e` avvenuta in un tempo tanto lontano. La ragazza che aveva sposato era dolce e graziosa, quando l’aveva sposata. Tutto il quartiere diceva bene di lei, racconta. In poco tempo pero` la ragazza si e` trasformata in una donna diversa. Un altro essere, dice la gente, e` venuto ad abitare dentro di lei e l’ha ridotta in schiavitu`. Ma non ci sono esseri che vanno ad abitare dentro le persone senza il loro permesso, quindi lui non ci crede, dice. E cresce ogni giorno e ogni sera il disgusto che prova per quell’essere che abita in casa sua. Questa e` solo una delle storie che la taverna ripara alla vista, con la sua cortina di fumi e le voci che assorbono i cattivi pensieri. Le divinita` del mondo qui si accontentano di sedere le une accanto alle altre. A volte si scambiano opinioni. Sotto questo aspetto la taverna e` un luogo democratico. Il dio del danaro si accosta volentieri al dio del gioco, e non sempre i due restano da soli, in loro compagnia qualche volta si puo` vedere la sottile e diafana dea della solitudine che solo di tanto in tanto scambia qualche parola. E` una delle dee piu` belle che l’olimpica clandestinita` della taverna abbia mai visto. La sua magrezza non toglie nulla ad una bellezza che quasi sempre e` intollerabile. E` impossibile nella taverna e fuori, restare soli con lei. Ma quasi tutti quando sono soli e` a lei che si sentono vicini, ai suoi lunghi capelli del colore della notte, le mani bianchissime e un sorriso impercettibile, come quello di una madonna rinascimentale. Persino il cielo potrebbe arrossire se la guardasse un poco piu` a lungo. Ma pochi sono quelli che la guardano in viso. La dea della solitudine e` troppo bella, troppo attraente, perche´ qualsiasi uomo o donna possa guardarla senza sentire il proprio cuore in pericolo. Nella taverna gli dei del mondo si consolano con il piu` materiale dei beni, la sazieta`. La sazieta` dei desideri. 64

Il dio del tempo e quello dello spazio qui non tracciano confini sulle loro mappe, non dichiarano guerre. Qui il tempo ti restituisce cio` che fuori ti prende, e lo spazio, sempre pronto a farsi sezionare, qui lascia vivere le persone nei suoi palazzi. Ampie stanze si aprono allo sguardo dell’avventore, che all’ombra dell’alcool non ha bisogno di porte per nascondere il suo cuore. Anche l’infelicita` e` accolta con affetto. Non c’e` dubbio che questo sia l’unico luogo in citta` in cui viene apprezzata la sua presenza. Che sarebbe la taverna senza l’infelicita` dell’uomo? Anzi, si potrebbe dire che tutta l’infelicita` umana converga qui dentro per approfittare del calore con cui viene accolta. L’infelicita` del peccatore, il prete avvolto nel sudario dei suoi licenziosi traviamenti, l’infelicita` del malato che approfitta della semioscurita` per illudersi di una salute che non tornera`. Questo mondo e` tutto il mondo, aggregato secondo altre valenze, descritto da altre definizioni. Il prete non consola, ma si sazia di piaceri con calici dorati di birra, le prostitute giocano alle attrici e l’uomo piu` famoso del mondo siede all’ombra della dea solitudine. Il dio del possesso se la ride, lontano da tutti, stasera ha gettato il guanto della sfida ad un banchiere, domani il banchiere siedera` alla taverna insieme a tutti gli altri, come tutti i giorni. La sola differenza sara` il mendicante che tutti, con i loro occhi, vedranno sorridere. Ci sono uomini che vengono la sera per allentare le maglie di una vita troppo stretta. Come Herr Levi, l’elegante editore. Non ha piacere che si sappia di lui qui dentro, vuole solo sedere davanti ad un buon bicchiere di Borgogna, meditare qualche minuto sugli avvenimenti del giorno leggendo la Presse, e poi andarsene a riprendere l’esattezza con cui e` scandita la sua esistenza. C’e` Schubert che viene di tanto in tanto e proprio qui una sera si e` arrabbiato in modo imprevedibile. Era arrivato con tutti i suoi amici, dicevano di essere di ritorno da Grinzing 65

dove forse avevano gia` festeggiato qualcosa. Alla taverna ci sono sempre anche i musicisti dell’Opera e quella sera si precipitarono addosso a Schubert, lo chiamavano Maestro e chissa` quante altre cose tentarono di dirgli. Una piu` di tutte, volevano un concerto per orchestra e tutti gli chiedevano un assolo. Ero lontano ma lo vidi davvero infuriato, in piedi. Si era alzato all’improvviso e forse neppure lui era in grado di capacitarsi di quanto accadeva: ‘‘Mai scriverei per voi, virtuosi da strapazzo. Dite di essere artisti! Ti definisci davvero artista tu che sai usare il clarinetto a malapena come un randello, o forse tu che soffi in quel legno con i buchi e ci sputi dentro pure i polmoni?’’. Era paonazzo e quasi non respirava piu`. Nessuno si aspettava una cosa del genere. Qualcuno si offese, ma poi tutti uscirono a braccetto ridendo. Ah, i bei giorni di Aranjuez! Eravamo giovani, allegri e nella nostra amata Vienna ci permettevamo qualsiasi liberta`. C’e` un prete del duomo, che viene quasi ogni sera. Viene perche´ e` stanco della curiosita` dei confessori. La sua mente trova riparo nella confusa semioscurita` della taverna. Gli hanno insegnato che la dignita` dell’uomo consiste nel non cedere ai piaceri della carne, ma gli uomini che vengono in chiesa, soprattutto quelli che non cedono alla carne, la dignita` l’hanno persa in mille modi diversi. Un giorno e` stato da lui anche il ragazzo che sembra un vecchio, gli ha chiesto se il Signore Iddio permette che lui abbia ancora una vita accanto ad una donna, un’altra donna, una creatura normale e non una posseduta dal demonio. Il prete ha risposto: ‘‘L’hai sposata per la buona e la cattiva sorte, in salute e in malattia. A te e` toccata la cattiva sorte, la malattia. No caro, non ci sono vie di scampo per te’’. L’ha detto perche´ gli hanno insegnato che e` questo che si deve dire, ma la sua coscienza potrebbe pur suggerirgli che non si puo` persuadere un uomo a perdersi giorno per giorno, con66

vincerlo magari a lasciarsi intrappolare nella cucina dalle urla di un matrimonio che non c’e` mai stato. Eppure sembra un vecchio adagio, quando sei sposato non ci sono vie di scampo. Neppure per l’editore, che ha una moglie bellissima, elegante, profumata. Suona il pianoforte e canta nelle accademie. E` di nobili natali e si comporta come vuole il suo stato. Lui sa che il cuore di questa donna non batte per lui. Lei gli sorride, ma il cuore e` stretto tra mille lacci e se potesse uscirne fuggirebbe leggero lontano da Vienna, forse andrebbe a Parigi o a Pietroburgo, a rincorrere un violinista che una volta, solo una volta, ha suonato con lei. Ad un violinista non e` necessaria la Sonata a Kreutzer, che pure circola nei salotti di Vienna, per portarsi via il cuore di tua moglie. Lo fa benissimo anche senza.

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EDWARD TRAWEGER

Se mi conosceste sapreste che ci sono almeno due cose che non manco mai di fare appena apro gli occhi la mattina. La prima e` ascoltare se c’e` gia` qualcuno sveglio in casa, cosı` posso alzarmi, la seconda e` trovare il mio pupazzo di tela, perche´ non mi alzo mai senza di lui. Quasi mai. Sono un bambino insonne. Del tipo assai comune tre caffe` a mezzanotte e altrettanti la mattina alle sei. Tradotto: mi corico per ultimo e mi sveglio per primo. Mi rimproverano spesso, dicono che sono un ‘‘bambino cattivo’’, ma io non ci trovo niente di cattivo nel non avere sonno. E` che quando mi sveglio che non e` ancora chiaro non so proprio come metterla. Un’altra oretta, mi dico, e mi tocca stare a letto con le gambe che vorrebbero mettersi a saltare. Poi quando sei adulto non salti piu` e allora ti chiedi perche´ non te lo fanno fare da bambino, quando hai voglia di farlo. Ma svegli tutti, dice la mamma e non sta bene che tu scorrazzi per casa con la camicia da notte ancora indosso. Allora tento di raggiungere la cucina, che rappresenta una sorta di localita` transitoria tra la camera da letto e il mondo. Ci sono mille motivi per andare in cucina, anche di notte. E` un po’ come il bagno. Hai sempre una scusa pronta. Volevo un bicchiere di latte, avevo fame e non riuscivo a dormire, faceva freddo e cercavo di riscaldarmi un po’. Non c’e` poi tanto di strano se uno si sveglia e vuol sapere se quel mondo che ha dovuto lasciare la sera e` ancora lı` tutto al 68

suo posto. Non solo se ci sono la mamma e il papa`, ma proprio se c’e` il mondo. Se non c’e` stata per caso una pozione magica che ha fatto sparire tutto, o se invece magari un drago cattivo mi ha portato via mentre dormivo e adesso mi trovo chissa` dove, letto camera e tutto. A casa ho tutti i divertimenti che voglio. Non sono uno di quelli a cui piace andarsene con i genitori a fare una passeggiata in carrozza. Odio quella cosa che i grandi definiscono passeggiata. Avete mai fatto qualcosa di piu` insopportabile? Preferisco di gran lunga stare con mia sorella a giocare in giardino o tormentare mia nonna mentre cerca di ricamare quelle sue tovaglie che poi non si adoperano mai. Non sporcarla perche´ l’ha ricamata la nonna, dice mia madre. Una o due volte e poi ripone il tutto nel baule di cio` che non verra` mai piu` tirato fuori. Ci sono bambini che si sentono svenire solo all’idea di fare qualcosa che non va, io invece appena so che una cosa non va fatta devo farla immediatamente. Sono sicuro che se andassi a scuola come mia sorella cercherei subito di far vedere di cosa sono capace. Un giorno ci andro` a scuola, ma non adesso. A cinque anni i bambini non vanno ancora a scuola. Pero` non mi dispiace. Anzi trovo bellissimo sapere che ogni mattina la casa e` tutta per me. Ho sentito mio padre dire che il nonno e` morto poco dopo essere andato in congedo dall’esercito. Non era piu` lui. Dicono che l’ha ucciso quel deserto di mattine tutte uguali, senza ordini da impartire o da seguire, senza persone che ti rispettano e altre che devi rispettare. Il vuoto della sua vita l’aveva portato a sparire dall’universo. Dubito che saro` mai un adulto, per come vedo adesso le cose non lo saro` mai, ma se cio` dovesse accadere non mi distruggero` solo perche´ ho delle mattine vuote. Comunque da noi non c’e` proprio mai il tempo per annoiarsi. Tanto per incominciare la nostra casa e` a due passi dal 69

lago e se proprio non sai cosa fare puoi andare sul piccolo porto a vedere le barche dei pescatori che vanno e vengono. Ma anche lı` dicono che il nonno non ci andasse volentieri per via di un suo lontano parente che si era imbarcato e non aveva fatto fortuna. Ora deve essere da qualche parte del mondo a chiedere l’elemosina, sento che sussurrano, forse e` diventato il re di una tribu` di indiani, dico io. Comunque nessuno mi da` retta e se ne parla il meno possibile. Vado pazzo per le mattine vuote. Mio padre non c’e` e allora posso cercare di toccare il suo pianoforte. Spesso si suona a casa nostra, la sera, ma a me non e` permesso restare alzato. Mia sorella invece puo`, perche´ e` piu` grande e poi sa suonare. Liza suona il pianoforte. C’e` un maestro che viene una volta la settimana a darle lezioni, un certo Albrecht. Anche lui viene spesso invitato la sera. E` un tipo tutto serio che parla molto poco, ma ha una bella voce di tenore, dice mio padre, e vuole sempre cantare con lui. A mio padre piace cantare. Anche a me piacerebbe cantare qualche volta. Anzi debbo dire che qualche volta l’ho fatto e ho ricevuto anch’io gli appalusi. Tra le cose che non debbo fare e che cerco di fare in ogni modo c’e` quella di andarmene in barca sul lago con un mio amico di sette anni che e` capace di pescare. Io lo aiuto e il mio compito in genere e` quello di uccidere il pesce per non lasciarlo lı` a morire lentamente a soffocarsi. Lui fa parte di una banda di ragazzi grandi, che scorrazzano tutto il giorno al porto. Io sono ancora troppo piccolo, non mi vogliono con loro. Questo e` un buon motivo per voler essere grande. Ma grande non vuol ancora dire adulto. Poi mia madre non vuole che salga sugli alberi del giardino, ma anche quello lo faccio sempre, tanto appena mi chiama sono capace di scendere veloce come uno scoiattolo. Ed e` proprio da un albero nel nostro viale che vedo arrivare le carrozze degli amici di mio padre che vengono in visita da noi. La nostra casa e` grande e di solito si fermano qualche giorno. Io sono sempre contento perche´... beh per tanti motivi. Prima di tutto perche´ 70

c’e` un bel po’ di confusione e posso andare dove mi pare senza che nessuno mi rincorra immediatamente. Secondo perche´ la sera ci sono delle cene interminabili e nessuno si accorge se io giocherello fino a tardi. Solo una volta non mi e` piaciuto niente quando sono venuti degli ospiti. Era quando c’e` stata la sorella piu` piccola di mia madre, la zia Ernestine, che si e` portata il suo bambino piu` piccolo, mio cugino Georg. Strillava sempre e tutta la casa era sottosopra per lui. Quando poi sua madre e` partita per andare a fare i suoi concerti a Vienna e` stata la settimana piu` tremenda della mia vita. Essere bambini e` bello quando ti lasciano stare, purtroppo fin da piccolo i grandi non ti lasciano mai stare. Dicono che e` perche´ piangi, ma io so perfettamente che ci sono delle volte in cui voglio piangere e non voglio essere consolato. Va bene, lo ammetto, a volte mi piace piangere. Sono mie le lacrime e mi piace sentirle scendere. Mi rinfrescano la faccia. Il periodo piu` bello invece e` stato quando sono venuti degli amici di mio padre da Vienna. Era da tanto che ne sentivo parlare. Tra loro doveva esserci un vecchio cantante d’opera, molto famoso e con lui un giovane musicista. In effetti arrivarono e non solo casa mia ma tutto il paese era sottosopra. Sentivo tutti che parlavano di questi viennesi e i bambini delle altre famiglie mi guardavano con una curiosita` che mi faceva sentire bene. Come se sapessi dei segreti che nessuno conosceva. Per di piu` ero sempre informato sui loro movimenti e su quello che preferivano fare. E queste sono cose che hanno una certa importanza quando si tratta di gente tanto famosa in un paese cosı` piccolo. Ma io i segreti non li tenevo certo per me, alcuni li raccontavo a bella posta. Proprio perche´ ero sicuro che era una cosa che non andava fatta. Il cantante, ad esempio, era totalmente odioso. Non parlatemene per favore. Se solo gli andavo davanti mi mandava via chiamandomi cattivo. Era un tipo tutto ossuto e alto. Sembrava 71

una maschera da teatro. Camminava con il passo pesante e ogni volta che me lo sentivo dietro le spalle mi spaventavo a morte. L’altro invece, quello che suonava il piano, non sembrava un tipo difficile. Anzi in poco tempo e` diventato un mio caro amico. Subito dopo i primi giorni che erano arrivati io mi sono ammalato di angina. Cosı` mia madre aveva il triplo da fare perche´ io stavo malissimo e la facevo chiamare in continuazione. Quella era una di quelle volte in cui volevo essere consolato. Il dottore mi aveva prescritto le sanguisughe e adesso mi raccontano che fu quell’amico mio a mettermele, perche´ io non volevo assolutamente che lo facesse qualcun altro. Io non ricordo bene perche´ ero davvero ammalato, ma mi hanno giurato che e` cosı` e deve essere vero perche´ questo mio amico mi ha regalato anche una penna E la penna ce l’ho ancora. Da quel giorno, non so perche´, la tengono sotto una campana di vetro. La chiamano la penna di Schubert. A me piaceva perche´ anche la mattina presto potevo andare da lui in camera sua e non mi diceva mai niente. Mi prendeva in braccio, mi sedeva sulle sue ginocchia e mi faceva giocare. A volte fumava una lunga pipa e mi soffiava il fumo in faccia. O mi faceva provare i suoi occhiali. Erano grandi per me, e sul mio naso scivolavano subito. Allora si metteva a ridere e me li toglieva. Aveva dei bei capelli ricci e se li lasciava tirare. Non so se e` perche´ andavo da lui sempre la mattina, ma un giorno si mise d’impegno a insegnarmi una delle sue canzoni che si intitola Saluto del mattino: Buon giorno mia bella molinara, dove nascondi il tuo bel visetto? Non vuoi che ti saluti? Allora me ne debbo andare. L’avevo imparata cosı` bene che ne era orgogliosissimo e ogni volta che veniva qualcuno a trovarci mi mandava a chiamare per farmela cantare. Io la cantavo volentieri a lui, ma non a tutta quella gente troppo festosa e curiosa che invadeva a certe ore del giorno la nostra casa. 72

Anche a me non piace farmi ascoltare da tutti questi signori, ma siediti qui in braccio a me e cantiamo insieme, mi diceva Schubert. Penso che per lui fosse un divertimento avermi lı`. Accucciato sulle sue ginocchia, con il naso che quasi toccava il pianoforte mi sentivo grande e piccolo. Quel suo pianoforte mi veniva incontro e alla fine mi lasciavo portare. Poi tutti quei signori mi riempivano di complimenti, ma io non vedevo l’ora che mio padre, che era un grande organizzatore di passatempi, se li portasse tutti via, magari a fare una bella gita sul lago. Non avevo ancora imparato l’arte di nascondermi, che invece sembra il mio amico conoscesse bene. A volte quando tutti erano usciti e io credevo fosse uscito anche lui andavo di soppiatto in camera sua e lo trovavo lı`, piegato sul tavolo che scriveva. Cercavo di andarmene senza far rumore, ma ho la sensazione che se anche mi fossi lanciato correndo in quella stanza non mi avrebbe neppure visto. Non mi facevo domande sulla vita, ma in qualche modo intuivo di muovermi dentro qualcosa di assolutamente diverso. Una mattina lo sorpresi ancora addormentato. Allora mi sedetti al suo tavolo e piano piano inziai a scarabocchiare qualcosa. Quando si sveglio` aveva un’aria tutta sorridente e penso che gli piacesse avermi lı`. Prese quei fogli su cui stavo scrivendo e anche se ci aveva gia` scritto una sua composizione lui me li regalo` e mi diede anche una monetina d’oro. Questo e` perche´ hai cantato bene, mi disse. Altre volte lo trovavo immerso nella lettura di un libro. Anche quella sembrava un’attivita` che lo assorbiva molto, perche´ anche in quel caso non mi rivolgeva la parola, come se non potesse neppure concepire la presenza di qualcuno vicino a lui. Era molto piu` lontano di me dal mondo di quanto lo fossi io quando montavo sopra un albero. E non scendeva neppure tanto velocemente. La sua visita mi diede da riflettere molto a lungo. Mi chiedo perche´ quell’uomo mi sembrasse diverso dagli altri. 73

Quello che so per certo e` che fu il primo degli adulti a non darmi quella sensazione di malessere nel pensare che un giorno anch’io avrei potuto essere come tutti quei signori che popolavano il salotto di mio padre. O come quel cantante cosı` antipatico. (E` vero che tutti continuavano a dire che era bravo, ma io ero certo che si sbagliavano, non puo` essere bravo un uomo tanto antipatico.) Il pensiero di diventare grande e essere come loro e` uno di quelli che piu` a lungo mi e` pesato sul cuore. Soprattutto perche´ ad un certo momento cominciai a non vedere una via di uscita. E non era molto allegro. Diventare come quei monotoni esseri pieni di piccole manie non era una bella prospettiva. E` difficile crederci quando si e` bambini che sara` cosı`. Tutti presi dalla convinzione di essere meglio degli altri mentre si comportano esattamente tutti nella stessa maniera. Ridono tutti insieme, si lamentano tutti delle stesse cose, e non sono in grado di cominciare una giornata un po’ decentemente. C’e` chi appena sveglio vuole il suo caffe`, chi invece non beve mai caffe`, pero` vuole la pipa. Chi legge il giornale, chi deve avere subito in mano la sua posta. Chi vuole giornale, posta, caffe` e pipa. Altre varianti sono possibili, ma anche le varianti poi alla fine sono sempre le stesse. Datemi la colazione che poi vado a giocare, penso mentre si mettono a tavola la mattina. Ma la verita` che fa male e` che presto o tardi saremo cosı` tutti quanti. Da bambini non sappiamo ancora se sara` il caffe` o la pipa o tutti e due. O forse c’e` ancora uno spazio per la liberta`. E` possibile ancora scegliere e non sapere gia` come andra` a finire? E quel mio amico dalla lunga pipa che sapeva suonare cosı` bene? Lui non sembrava come gli altri. Gli piaceva sentirmi giocare, e credo che se avessimo avuto un po’ di tempo sarei anche riuscito a farlo giocare con me.

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IL TAMBURINO

Il tamburo! Il tamburo! E` ora che io suoni il tamburo! Fra le tre e le quattro del mattino noi soldati dobbiamo metterci in marcia. Io sono il tamburino e debbo marciare e suonare, suonare e marciare. Piu` di tutti. Chi marcerebbe nella notte se non ci fosse il tamburo a tenerlo sveglio? Il mio imperatore mi chiama. Il generale mi ha dato l’incarico. Chi mai poteva immaginare che un giorno avrei ricevuto ordini direttamente da un generale? Dobbiamo andare tutti, oggi e` il giorno della battaglia. Suonare e marciare. Trallala`, trallala`. Tocca a me portare i fanti oltre le tende dell’accampamento. A me, tocca a me. L’imperatore. Ho fatto ridere l’Imperatore, quand’ero ancora un ragazzo, ossia otto mesi fa. Per questo sono qui. Dicono che l’Imperatore non rida spesso, pero` quel giorno ha riso, perdiana se lo ha fatto, ve lo assicuro. Ero appena giunto al campo, volevo diventare tamburino. Mi dissero che avrei dovuto avere forza e coraggio, perche´ un 75

tamburino e` sempre lı`, in testa alla colonna per dare coraggio e soprattutto forza a tutti i soldati. Che mai sara`, mi domandavo. Ci vuole abilita` , piuttosto. Quella sı`. E ritmo. Distruzione, morte, questa e` la guerra. Ma prima c’e` la marcia, il ritmo, i passi, il tamburo, io. Vi figurate me, il tamburino, mentre vado in battaglia? No, non ho armi, e anche se le avessi non le saprei usare, io so soltanto infondere il ritmo. E probabilmente il ritmo e` anche coraggio, ma non lo so per certo, perche´ non ho mai misurato il mio coraggio. Trallala`, trallala`. Per un luminoso istante pero`, quel mattino, vagheggiai me stesso alla battaglia, in sella ad un cavallo. All’improvviso gettai lontano il tamburo e impugnai le bacchette come fossero spade. ‘‘Sı`! – gridai – forza e coraggio, signore, certo!’’ Eretto come una torre inespugnabile, davanti all’ufficiale di reclutamento e ad un altro che non avevo mai visto. A tutta prima rimasero impassibili, come se non avessi fatto proprio nulla, poi l’uomo che non conoscevo si mise a ridere forte e mi chiesi perche´ ad un certo punto stessero tutti ridendo. Divenni tamburino e la sera accendemmo un falo` e tutti danzarono al ritmo del mio tamburo, che crepitava come una fiamma viva. Il mattino dopo guardai i prati accanto all’accampamento e la nostalgia di casa si fece cosı` forte che pensavo di non poterla sopportare. Mi venne voglia di mettermi a correre. Poi un soldato mi racconto` la storia del disertore che aveva lasciato i compagni per correre nella valle dove aveva sentito l’eco del corno alpino. Voleva solo tornare a casa, spiego` quando lo presero, era tanto semplice. E poi non era neppure colpa sua se 76

l’aveva fatto, aveva sentito quella musica e le era corso incontro. Ci sono musiche che non puoi ascoltare se non vuoi essere fucilato. Ma il mio tamburo sı` che hai l’obbligo di ascoltarlo. Sveglia! Sveglia, soldati, in marcia. Trallala`, Trallala`. Oggi e` il giorno della battaglia. Trallala` , trallala`. Nessuno avra` pieta` dei vostri anni. Dall’altra parte c’e` anche chi e` giovane come voi. Marciate, marciate con me. Trallala`, trallala`. Otto mesi fa eravamo tutti ragazzi allegri e intrepidi, da molto tempo ormai le nostre vite erano in attesa di quest’avvenimento, l’esercito, e forse un giorno chissa`, la guerra! Avevamo alle spalle poco meno di diciott’anni di euforia, ottimismo e granai dal tetto rosso e vitelli e latte dei pascoli. Sapevamo a mala pena scrivere i nostri nomi e non leggevamo abbastanza per sapere cosa ci poteva accadere. Non vedevamo l’ora di arruolarci. Io volevo fare il tamburino. Trallala`, trallala`. A casa lasciammo le madri in lacrime, i padri orgogliosi e sguardi tristi di fanciulle conosciute la sera prima di partire. La vita del soldato, ci dicevano, e` meravigliosa. La mia lo sara` ancora di piu`, pensavo, udendo gia` i passi di marcia della colonna che seguiva il suo tamburino. Io. Uomini saranno uccisi, diceva qualcuno. Certo, pensavamo tutti: il nemico. Se il nemico ci passera` accanto me ne accorgero` dal tempo del mio tamburo. Il rullo irrompera` nei cuori, e tutti i cuori voleranno a lui.

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Eravamo andati a raggiungere l’esercito, accampato non lontano dalla nostra vallata, in un tiepido mattino di fine settembre. Sui campi c’era ancora la nebbia, nebbia attorno ai nostri passi. Piu` silenzio del previsto, e un poco di malinconia passata presto, quando la giornata si e` schiarita. Il sole rideva di noi, noi credemmo che stesse ridendo con noi. Di notte andremo in citta`, dice qualcuno. Qualcun altro tira fuori la fiaschetta del liquore. In tasca ho la Bibbia che mi ha regalato mio padre. Non dimenticarti di leggerla ogni sera, mi ha detto. La mia famiglia e la Bibbia, ecco tutto qui dentro, ricordo di aver pensato, guardando la mia tracolla. Fuori, oltre i prati, le case e le mura e le colline ecco i miei pensieri, liberi come il suono del mio tamburo, audaci. Nessuno puo` rinchiudere i miei pensieri, nessuno fara` tacere il mio tamburo. Trallala`, trallala`. Crepita il mio tamburo, crepita come un fuoco acceso dentro il mio cuore. Suonerai, suonerai, dice il cuore mentre cammino verso il mio avvenire. Mio padre ha studiato il violino, mia madre a volte canta con lui. Io ho imparato solo a suonare il tamburo. Trallala`, trallala`. Non aver paura, mi dice un compagno, il primo giorno. Non ha paura un tamburino. Non ha paura. Mi lavero` tutti i giorni con il sapone, e` l’unica cosa che riesco a pensare. Stavano facendo addestramento, quando arrivammo. Sembravano uomini liberi. In marcia, soldati, oggi e` il giorno della battaglia. In marcia. Il villaggio e` lontano, la casa dista molto piu` degli otto mesi di assenza. Dista una vita. Trallala`, trallala`. 78

Non riesco a rendermi conto che oggi e` il giorno che abbiamo tanto atteso e che non tornera` piu`. Circola voce che nessuno di noi tornera` piu`. Ma non ci siamo arruolati per dare ascolto alle voci. Il suono del mio tamburo mi eccita e il pensiero della battaglia e` leggero e spavaldo. Danza sulla punta delle spade, corre oltre la collina, rotola giu` per le valli con il suono del mio tamburo. Trallala`, trallala`. Questa esaltazione e` una pura follia, ma se anche qualcuno venisse a dircelo non gli daremmo retta. Questa guerra e` il regalo che la nostra patria ci ha preparato. La battaglia dara` un senso alla nostra vita. Andiamo, marciamo accompagnati dal rullo del tamburo. Del mio tamburo. Trallala`, trallala`. Non e` ancora apparsa la luce del sole, ma non e` piu` notte. L’alba si avvicina. C’e` inquietudine tra le fronde, soffia un po’ di vento. Non e` strano per un mattino di maggio, ma il freddo e` ancora penetrante. Il compagno accanto a me dice che si sente solo. Nessuno deve sentirsi solo prima di una battaglia. Da lontano giungono voci che non distinguo, e` il vento che le disperde attraverso la valle. Non riesco a udire distintamente. Sembrano grida. Oppure ordini dati in fretta. Troppo in fretta perche´ si riesca a capire. Quando preparava il pane mia madre lasciava l’impasto vicino al fuoco tutta la notte. La mattina presto si alzava e coceva le larghe forme finche´ si facevano croccanti e scure. Ogni giorno, a casa, ho mangiato il pane caldo prima di andare nei campi. Questa mattina, mentre cammino, sento il profumo del pane. E della pietra calda del pavimento vicino al forno. Gli adulti si dileguano quando cerco di immaginare la mia casa. Perche´ questa mattina non riesco a mettere in luce i loro volti? 79

Dicevano che la vita del soldato e` meravigliosa, ma non riesco a vedere le loro facce. Dio, e` lunga questa marcia. Chissa` se il mondo e` davvero tondo. Non c’e` forse un baratro alla fine di tutto? Trallala`, trallala`. Suona tamburo, suona. Era calda la cucina. A volte mia madre mi mandava in cantina a prendere la marmellata. Ci andavo volentieri perche´ risalendo le scale sentivo quel profumo di calore croccante e carezzevole insieme. Un odore di cose vive, straordinariamente simile a quello di mia madre. Ma non sono piu` un bambino e quel mondo mi e` sfuggito, anche il Regno dei Cieli sembra lontano adesso. Mi si infilano in testa pensieri che non so sbrogliare. I miei cari, la mia famiglia, la mia casa, ecco tutte queste cose le penso, le vedo, ma non riesco ad affondarmi in esse come fossero cose vere. Penso alla vita e all’amore come se non facessero parte di me. Eppure lo so che laggiu` la vita esiste. Suonare, devo. Quando suono vedo solo me stesso e sento, sento che sono parte di un tutto. La mia vita ora e` quella del soldato. Armi, battaglie e passi pesanti al ritmo del tamburo. Nel mio villaggio continua la vita, qualsiasi cosa accada qui oggi. Sento la voce di mia madre che prima di partire mi ricorda di recitare le preghiere ogni sera prima di addormentarmi. Non sempre i nostri sonni sono sereni. A volte e` il troppo bere, a volte la stanchezza, altre volte le donne. Le donne che si incontrano quando sei al campo non sono le ragazze che si trovano da noi. Queste sono troppo gentili e non hanno un buon profumo. Le nostre ragazze hanno mani callose come quelle degli uomini e modi sgraziati. Ma i loro cuori sono ridenti e fuggevoli come aquiloni, e c’e` spasso a maneggiarli. 80

Qui i ragazzi diventano uomini e non giocano con gli aquiloni. All’inizio, quando ancora vorresti tornare a casa, e` difficile non pensare alla famiglia, ma a diciott’anni e` facile provare passione per la vita, soprattutto per quella meravigliosa del soldato. Penso a quando tornero` indietro, a quanto trovera` cambiata la mia casa, la mia gente, tutti. Mia madre stentera` a riconoscermi, le mie sorelle pure. Viaggero` sui carri di fieno e nessuno seguira` il suono del mio tamburo. Udite il canto dell’allodola? Tra poco il sole sorgera` oltre la collina. Canta, mio tamburo, canta. Trallala`, trallala`. Non date ascolto al richiamo del pastore che suona il corno alpino. Lui e` la patria, noi oggi andiamo in battaglia per essa. Non seguite il suo segnale, andreste a morte certa, lo sapete che i disertori sono puniti con la morte. Animo, marciate. Trallala`, trallala`. Ancora viene voglia di fuggire. Si avvicina, si avvicina, la battaglia. Trallala`. E` bella quest’ora del mattino, quando ancora il buio non si e` sciolto del tutto e nel cielo resta quel tanto di grigio che ancora appartiene alla notte. Nei miei sogni vedo sempre il futuro. Non mi accade mai di sognare qualcosa che non c’e` e non potra` mai essere, come i mostri o le fate delle leggende. Io sogno il presente e la vita. Sogno sempre qualcosa che potrebbe essere e appena sveglio cerco l’emozione per realizzarlo. Ho sognato che stamane il nemico sarebbe fuggito davanti a noi, sgominato e sopraffatto dal terrore. Debbo dirlo ai fratelli che camminano con me. Debbono saperlo che si va alla guerra. Debbono sapere che e` il terrore a sconfiggere. Fratello, mi hanno colpito, portami all’accampamento. 81

Fratello, non senti che ti sto parlando? Avvicino le mani alla bocca per urlare piu` forte, tutti suonano il tamburo adesso. Ferma, voglio tornare all’accampamento. Una pallottola deve avermi ferito. Non posso, fratello. Ci hanno battuto, non vedi? Non dire cio` che non e` vero. Tutti continuano a marciare, anche sopra il mio corpo, perche´ mi lasciate solo? Che iddio ti aiuti! I miei occhi sono pieni di lacrime, ma so che possiamo farcela, se solo potessi tornare a mettermi in piedi. Per me non e` finita, ancora, posso suonare il tamburo. Suonero` piu` forte e la battaglia sara` vinta. Tralla-la`. Tralla-la`. Voi pensate che io sia morto. Perche´ non sentite il tamburo rullare dentro il mio cuore. Devo alzarmi e continuare a camminare avanti agli altri. Il tamburo, il tamburo. Debbo suonare. E` ora che io suoni per ricondurli a casa. Che ci fanno tutti questi uomini a terra vicino a me? La falciatrice dal lungo mantello nero ha mietuto le sue messi? Devo raccogliere questi soldati e portarli a casa. Tornare tutti indietro, non si puo` rimanere cosı`. Forza, in marcia, a casa! Ecco dov’eravamo diretti, dove ci portava la marcia di oggi: a casa. Il nemico sconfitto, sgominato dal suono del mio tamburo. Sveglia, fratelli, perche´ ve ne state lı` muti, non sentite il mio tamburo rullare forte? Non comportatevi come se fosse finita. Non e` finita per noi. Stiamo tornando a casa, non riconoscete i campi, le case? Non sentite avvicinarsi il respiro dell’amata che vi aspetta? 82

Stiamo correndo su carri di fieno. E` morbido come un letto di piume questo giaciglio. Mi riposero` solo un poco... un poco. Ma terro` bene in vista il mio tamburo, accanto a me. Perche´ lei lo possa vedere.

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‘‘Durante il viaggio a Linz aveva conosciuto i Pilotenschla¨ger, coloro che piantano tronchi d’albero sulle rive dei laghi e dei fiumi, millenaria tradizione nelle zone delle miniere di sale’’.

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LA NONA ONDA

La nona onda e` il confine della terra, oltre quel limite c’e` solo l’infinito mare ed i paesi che nessuno ha mai visitato, i popoli ostili, gli invincibili. Le frontiere di ogni uomo. Essere gettati oltre la nona onda significa essere esiliati. E l’esilio non e` terra che si conquisti poco a poco. L’esilio e` una guerra feroce, ma solo chi va in esilio compie nuove conquiste. Chi si trova solo davanti al mare, al deserto, chi ha bisogno di nuove vite, di terre da assoggettare, da occupare, espugnare, chi vuole vittorie, risultati, ecco chi e` un esiliato. Essere esiliati per le popolazioni celtiche era una punizione estrema. Solo i trasgressori la ricevevano e la trasgressione doveva essere stata gravissima. Come tentare di rapire il potere. L’esiliato veniva abbandonato alla deriva su una barca senza remi, ne´ vele, ne´ timone. A fargli compagnia solo un coltello e un po’ di acqua dolce. Naufrago. In potere del mare. Solo pochi sopravvivevano, ma quelli che riuscivano nell’impresa avevano nel loro destino azioni eroiche e con loro la civilta` varcava un altro limite. La nona onda si allontanava di qualche miglio. Oltre la nona onda il popolo di quegli uomini coraggiosi avrebbe fondato nuove citta`, altri regni e i poeti avrebbero cantato nuove odissee. E questa e` storia. 85

Il lago e` scuro. La nebbia non e` ancora salita quando da un’ombra incerta emergono lentamente i contorni sfocati di una barca. Un uomo sta remando e viene incontro. L’uomo della barca si accosta alla riva e taglia la nebbia del mattino con il suo unico remo. Una gondola, una zattera, una canoa. Un grande poeta un giorno decise di compiere una gita in mezzo al lago, accompagnato dai suoi studenti. Era un mattino di fine estate e la nebbia si alzava molto tardi. Sul lago non c’era colore, ne´ era possibile vedere anche solo a pochi passi di distanza. Partiremo ugualmente, disse il grande poeta, la nebbia si dissolvera` e fece cenno al barcaiolo di salpare. Nessuno si accorse che sulla barca era salito anche un giovane dall’aspetto ripugnante, che nessuno aveva mai visto in citta`. In barca il giovane rimase nascosto in un angolo tra le gomene finche´ uno degli studenti, passandogli accanto non si accorse della sua presenza. Ecco chi ci portera` alla rovina, strillo`, e` un mostro e ci fara` morire tutti quanti. Invece non accadde nulla e la barca approdo` alla riva opposta del lago. La nebbia non c’era piu` e i colori si erano accesi. Quando il poeta sbarco` con i suoi studenti, videro una vecchia che raccoglieva qualcosa dall’acqua. Aveva abiti logori, ma nessuno l’avrebbe detta una miserabile perche´ sui piedi e sulle mani portava i segni della nobilta`. Vide i giovani e domando` chi fossero. Nobili poeti, risposero. La donna era la figlia di Ua Dalsaine, eminente poeta del Munster occidentale. Ella stessa cantava dei versi e sfido` il grande poeta ad una gara. ‘‘Il mondo diviene, All’apparenza, infinito’’. E lascio` a lui la mezza quartina seguente. Il grande poeta non seppe rispondere e cosı` i suoi studenti. Solo il giovane repellente prese la parola. ‘‘Ma trae la vita dalla terra Come sale dalla roccia di Hall’’. 86

700 avanti Cristo. Hallstadt nel Salzkammergut. Nel 700 avanti Cristo ebbe inizio quella che tutti ora chiamano l’era di Hallstadt. E` strano che i nostri antenati, i celti, siano venuti proprio qui a trovare riparo. Sono sepolti sulle rive del lago. Peccato che la storia non possa confidare gli aspetti umani delle vicende, per cui a noi non resta che scavare e sottrarre le tombe dall’oblio. Cerchiamo la verita` dagli scheletri. La storia in verita` inizio` molto prima. Piu` di quattromila anni fa questa zona era abitata, non per la sua bellezza, le curve delicate ed il clima favorevole, ma per il minerale bianco che si nascondeva tra le sue rocce. Lo chiamano sale, ma per tutti era oro. Cosı` gli uomini si immergevano nelle profondita` della terra, misurando i loro passi su lunghi tronchi d’albero dove erano segnate le distanze. Piu` tardi scavarono gallerie come scivoli ed entrarono nella terra con la stessa facilita` con cui si affonda nell’acqua. Ne riemergevano ogni sera piu` ricchi di argilla, gesso e sale. Il sale era la vita, il sale era la loro miniera. Durante l’eta` del ferro la popolazione di origine celtica si installo` sulle rive di questo lago nel cuore dell’Europa. Il nome dato alla terra e` una questione importante. Il primo nome di questa citta` fu Hall, che per i celti vuol dire sale. Hallstadt dunque e` la citta` del sale. Era un popolo di condottieri con spade di ferro e un re cui obbedire. Il sale era tutto e valeva una vita di sacrifici. Ho sempre avuto desiderio di braccia forti e di esperienza. Inginocchiata davanti all’altare ringrazio il signore che mia madre sia lontana e prego la Vergine di farmi sposare Joseph. Lei capira` il perche´. Anche mia madre e` inginocchiata, ma si e` allontanata da me per chiedere una grazia, e in cuor mio spero che i suoi pensieri siano lontani da me. Sicuramente lo sono. Le chiese non sono fatte per l’amore. 87

E` curioso che non si possa parlar d’amore in chiesa, si puo` parlare solo di matrimonio. Io oggi voglio chiedere alla Vergine di aiutarmi a sposare Joseph. Lo voglio sposare perche´ lo amo, e perche´ ha le braccia forti. Ma sono entrambe cose che non posso far valere per la mia richiesta. In chiesa una ragazza non puo` parlare di braccia forti. Perdono Signore per l’uomo che ha le braccia forti e desidera stringere a se´ la sua donna. Joseph non e` un ragazzo di oggi. Joseph appartiene ai millenni, e io per questo lo amo. Alle sue spalle generazioni di piantatori di tronchi, come lui, hanno lavorato sulle rive dei fiumi e dei laghi. La nostra terra e` bella e sana, ci sono prati e boschi. E c’e` Joseph che viene incontro a me dalla riva del lago. Piantare i tronchi d’albero nel terreno e` un lavoro faticoso, richiede prontezza, forza, e quando i fiumi sono in piena anche coraggio. Bisogna che queste vie d’acqua siano sempre navigabili per i battelli che trasportano il sale. Chi vuole commerciare deve disporre di buoni collegamenti. L’arcivescovo di Salisburgo dipende dal commercio del sale. Mentre lavorano gli uomini cantano, vecchie canzoni. Viene da chiedersi come erano fatti quegli uomini che per primi a Hallstadt intonarono le melodie fatte di fatica e riposo. Ma la storia non da` risposte, dobbiamo interrogare gli scheletri per questo. Anni fa hanno trovato un uomo immerso nel sale. L’hanno trovato perfettamente vestito e calzato. A raccogliere il suo corpo sono stati i minatori mandati a sistemare alcune gallerie franate. Tra le pietre hanno scoperto l’uomo il quale era rimasto intatto dall’era piu` antica della nostra terra. Poi l’hanno riportato alla luce, e il suo corpo si e` disciolto, lasciando pallide ombre di se´. Tra qualche anno chiuderanno in un museo i suoi monili, i suoi portafortuna, la cesta che reggeva sulle spalle e quel poco d’altro che non si e` disciolto. Anche lui e` un esule che voleva diventare il primo di una nuova stirpe. 88

Senza quel corpo che aveva sfidato le regole del tempo il suo compito era finito. La gravita` che l’aveva tenuto inchiodato in vita, in quel bianco mondo di ghiaia e di sale, ora l’aveva liberato per lasciarlo svaporare alla luce del sole. Finalmente la sua anima era libera di conquistare l’orizzonte, il suo canto di salire, cio` che per anni era rimasto compresso e schiacciato nel terreno non aveva piu` resistito ed era esploso al di fuori. La miniera era troppo fragile per custodirlo in eterno. Altri corpi restano celati, intatti dentro le viscere della terra, imbalsamati dal sale che li protegge dall’eternita`, ma non osiamo piu` scavare. Finche´ loro stanno racchiusi nel cuore della miniera laggiu` si sente ancora pulsare la vita e il nostro passato non sono solo gli scheletri. Conservando il corpo noi conserviamo l’amore, il lavoro, la vita. Il mio poeta e` l’erede di un esiliato, di un naufrago che ha oltrepassato la nona onda senza essere sopraffatto. Il mio poeta e` sopravvissuto al mare in tempesta, ha tenuto la barca tra le onde, l’ha svuotata dell’acqua che voleva sommergerla, ha bevuto acqua piovana, cacciato i pesci e gli uccelli, si e` nutrito del mare e il mare gli ha fatto dono di una nuova vita. A volte penso che Joseph sia fatto di due nature, il marinaio e l’uomo delle valli alpine, che contrasta la furia dell’acqua per mantenere levigato lo scorrere del fiume. Perche´ sia solcato dalle imbarcazioni che portano il sale dalle miniere. Mentre lavora Joseph canta una canzone che non parla d’amore. Canta i colpi di bastone. La sera sullo stesso ritmo Joseph canta canzoni d’amore. Quando si alza la bianca luna Il mio amore mi viene dinnanzi Il suo viso e` bianco, piu` del sale Che oggi alla terra aspra ho sottratto.

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Ho sentito dire che c’e` un musicista di Vienna che intende scrivere un’opera sui minatori. Non penso che accadra`. Si dicono tante cose. Il 21 settembre 1825 Schubert scriveva al fratello Ferdinand: ‘‘Qualche ora dopo siamo arrivati ad Hallein, citta` notevole ma incredibilmente sporca e ripugnante. Gli abitanti hanno l’aspetto di pallidi fantasmi scavati e magri che paiono fiammiferi da accendere. Il terribile contrasto tra questa citta` di topi e la vallata ridente mi ha lasciato una penosa impressione. Mi sentivo come chi, dal cielo, sia caduto su un mucchio di rifiuti o come uno che ascolti dopo una musica di Mozart un pezzo di A. Vogl non ha voluto accompagnarmi alle montagne di sale, ha preferito correre a Gastein come un viandante che in una notte oscura si affretti verso la luce di una casa’’.

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PANTOMIMA

IL POETA

Permettete signori che vi presenti la nostra compagnia: Arlecchino, Pantalone, Pierrot, Colombina e il suo promesso sposo. Sono maschere sotto le quali si nasconde il volto di quattro artisti noti non solo a Vienna, ma in tutti i paesi di lingua tedesca. Non diro` il loro nome ma vi sia concesso sapere che sotto le spoglie di costoro si dissimulano eccelse menti artistiche: un poeta, un pittore, un musicista, un drammaturgo, una cantante. Le muse, servitrici fedeli di ogni umana mente seppur poco dotata di immaginazione, hanno trovato in essi quanto di meglio potesse riservar loro la sorte. ‘‘Dipingete, cantate, poetate per me’’, cosı` li ho persuasi ad entrare nella mia compagnia. Liberi da ogni preoccupazione finanziaria non avevano che da rappresentare se stessi, ogni giorno dell’anno. Nessuno avrebbe chiesto loro altro che la piu` autentica natura. ‘‘Potrete bere e mangiare a mie spese, e vi sara` consentito ogni altro genere di passatempo’’. Mi parvero soddisfatti e decidemmo che questi onoratissimi artisti avrebbero dato vita ad una compagnia di maschere che ogni sera in un teatro diverso doveva rappresentare una pantomima. ‘‘A quale prezzo?’’ chiederete voi, poiche´ vi e` sempre un prezzo, e solitamente alto. 91

A questo, signori miei, ho gia` risposto: nient’altro che rappresentare se´ stessi, ogni sera, in una pantomima a loro libera scelta. Gli inizi furono un successo. Non c’era teatro che non volesse i miei attori, il pubblico apprezzava gli artisti di professione nell’atto di rappresentare se stessi. Sapevano mostrare la vita nelle sue innumerevoli facce. La loro immaginazione era grande quanto l’universo ed ogni sera davano vita a storie fantastiche, avventure mai udite e personaggi dai volti straordinari. Questa e` la vera essenza della verita`, saper rappresentare la menzogna. Ed e` proprio grazie alla loro natura, signori, che gli artisti posseggono la geniale capacita` di impersonare il vero come se fosse una finzione. Perche´ non c’e` nessuno che meglio di un artista sappia mentire, anzi sappia eccellere nell’arte della menzogna, nella capacita` dell’artificio. E` questa la sola maniera in cui egli sa manifestare se stesso. La maschera che egli va a riempire di se´ si colora dei suoi difetti, delle sue esitazioni, delle innumerevoli considerazioni e incidenti della vita e grazie a tutto cio` essa vive. Meschine e grette le convinzioni di quei filosofi che, sazi dell’apparenza delle cose, non ricercano quanto si cela dietro di esse. Anche io potrei contentarmi di contemplare questi quattro personaggi e ridere alle loro storie. Ma quello che io vi invito ad osservare – signori – e` la vita che li anima. Grazie al fatto che la vita si e` trasfigurata in artificio noi vediamo il vero. IL DIRETTORE DEL TEATRO

Tipo in gamba, siete senz’altro un tipo in gamba, non c’e` che dire (accidenti a me) e ci sapete fare con le parole, anche tra gente di teatro. Ma voi se non sbaglio non siete neppure uomo di teatro. Com’e` che la sapete tanto lunga sulla natura umana? Intuisco che dovete essere un filosofo, sı`, ecco, un filosofo. E` sempre stata la passione di costoro conoscere le ragioni delle azioni 92

umane, quando non si occupano addirittura delle intenzioni di queste. Allora, siete un filosofo, non e` vero? IL POETA

Vi sbagliate, un semplice osservatore della natura umana. IL DIRETTORE DEL TEATRO

Allora dovete essere un poeta. IL POETA

All’occasione. (voltandosi verso il pubblico) Ecco, lo dicevo. E cosa vi porta qui? Avete forse composto un poema in cui si narrino vicende che possono interessare il pubblico?

IL DIRETTORE DEL TEATRO

IL POETA

Non sono venuto per il pubblico, sono venuto per voi, innanzitutto voi, illustre direttore di teatro. IL DIRETTORE DEL TEATRO

C’era una volta un direttore di teatro, era un maestro nel suo lavoro. Incassi vertiginosi e mai un giorno che il teatro non fosse pieno fino al soffitto. Lo incontrai un giorno in cui, per la prima volta nella vita, aveva creduto in un artista privo di seguito. E per la prima volta il suo teatro era semideserto. Allora mi disse... ‘‘Amico mio, come vedi senza il pubblico non sono nessuno. Ho commesso un errore nel prendere questo artista solitario. Il pubblico vuole cio` che vuole e non sono io a decidere. Ascolta il loro cuore, essi vogliono amori, orrori, terrori, e tutto quanto puo` cancellare la vita quotidiana che essi conducono dall’alba al tramonto’’. 93

Per cui ascoltate bene anche voi, signore il mio poeta, non crediate di menar vanto di voi perche´ siete una manica di nobilucci sfaccendati, dediti alle umane – se cosı` si puo` dire – vicende. Ascoltate bene, poggiate pure l’orecchio a terra se credete di udire meglio, ascoltate... ascoltate. Udite la campana? Certo che l’udite, credete che sia mezzogiorno? No, caro il mio signore, sono le cinque del mattino e questa e` la campana della sveglia! Credete, non c’e` nessuno che piu` di me sia disposto a credere alle illusioni del teatro, alle meste fantasticherie di certi spettacoli, ma questa e` cio` che chiamano realta`. Il pane di oggi, di domani e dei giorni a venire. Allora, ditemi, ce l’avete un poema in cui si narrino le vicende di una signorina Chenonsidica, innamorata del Marchese del Tuttosonio? O avete forse descritto gli sbigottimenti del Capitan Oltraggio? O ci svelerete i Sette Segreti dell’Uomo che era stato interamente consumato dal vino di una bottiglia? Niente di tutto cio`, immagino. Eccovi lı` senza parole. Che dite? IL POETA

Dico – dico – signore – e dico che se togliete – poesia al mondo – togliete illusioni – togliete ornamenti – e tutte le cose – per cui vale la pena di vivere. Ve la racconto io una storia, adesso. Vi raccontero` la storia di un uomo che era nato per fare il medico. Il padre era medico anche lui e appena vide il bimbo in fasce nella culla e colse un breve guizzo di intelligenza nei 94

suoi occhi, gli regalo` una dettagliata dissertazione sulle piu` frequenti malattie nei bambini neonati. Il bimbo non si mosse dalla culla e continuo` a fare il neonato. Prese anche diverse malattie descritte nel trattato paterno, che venne arricchito da quest’ultimo con alcune pertinenti osservazioni sul comportamento dei bambini ammalati. All’eta` dovuta si laureo` in medicina, ma il destino si comporto` in modo da non fargli godere a lungo di quella professione di medico. Una notte, mentre si recava a far visita ad un ammalato, la sua carrozza fu colta da una tempesta di neve e dovette fermarsi. Immobilizzato nel cuore dell’inverno, con pochi panni per difendersi dal freddo, il medico, alla luce di una candela infilata in una bottiglia, scrisse un racconto. Breve, perche´ sapeva di non avere a disposizione molta luce. Il giorno seguente, sulla strada del suo ultimo ammalato, spedı` il racconto ad un giornale. Glielo pubblicarono. Ando` a vivere in quella citta` e smise di fare il medico. Riuscı` a mantenersi scrivendo sul giornale che aveva pubblicato il suo primo racconto. Il giornale pubblico` tutti i suoi articoli e anche il teatro locale rappresento` le sue commedie. Dopo che furono rappresentate pero` il medico – che era diventato scrittore – le distrusse e non se ne ebbe piu` notizia. Non ne lascio` neppure un esemplare. In quei lunghi anni in cui pubblicava i suoi racconti sul giornale locale lo scrittore lavoro` ad un romanzo. Promemoria, si intitolava, e lo scrisse su un quaderno che gli aveva regalato la moglie. Spedı` il romanzo ad un editore di Vienna che gli promise di pubblicarlo. E non lo fece. La cosa turbo` molto il medicoscrittore per qualche anno, poi non vi fece piu` caso. Divenne indifferente, ai romanzi come al teatro. Era gia` molto vecchio quando scrisse ancora un romanzo, questa volta non cerco` di pubblicarlo, ma, da cio` che si racconta, non lo distrusse. Anzi rimase convinto che fosse la cosa migliore che aveva fatto nella vita. 95

(Ora solleva una tenda e si vedono seduti Arlecchino, Pantalone, Pierrot. In disparte Colombina e il suo promesso parlano tra loro sottovoce). ARLECCHINO

Nessuno quanto voi ha tanto stimolato i miei pensieri, molte delle vostre convinzioni le ho impresse nella mente come appartenessero a me. Eppure nessuno piu` di me e` ancora rozzo e incerto, sono ancora un ragazzaccio e nient’altro. PANTALONE

Non credere al mondo delle parole enormi, mio caro, tu possiedi qualcosa che molti non hanno, una ingenua e tollerante giovinezza. ARLECCHINO

Girate al largo da tutto cio` che e` ingenuo, caro mio, perche´ non esiste. Fandonie quelle dei filosofi tedeschi, sempre pronti ad affermare che cio` che e` ingenuo puo` essere anche sublime. Sanno bene loro che tutto e` razionale. E a tutto si prestano con politica e raziocinio. PANTALONE

Ma che dite, non siete un romantico forse? ARLECCHINO

Romantico... bella parola! Sottile, malinconico, visionario e ... eccellente diplomatico! No, mio caro, non c’e` artista autentico che possa dirsi davvero romantico. PANTALONE

Che perdita irreparabile! Un giovane cosı` ardimentoso, perduto alla piu` bella, squisita, nobile delle cause! E voi, Pierrot, che fate laggiu`? 96

Venite qui con noi a bere. Suvvia, sedete accanto ad Arlecchino, che oggi e` in vena di malinconia. PIERROT

Detto, fatto! Davvero c’e` qualcosa di faticoso nel non saper cosa fare. ARLECCHINO

Ma invero noi lavoriamo. PANTALONE

Tu forse sei il solo tra di noi che lavora davvero! Chi potrebbe se non al prezzo di molti sforzi, imparare tutti i tuoi salti e i tuoi voli, i giochi di prestigio, le ardite mosse sulla corda. Gia`, perche´ tu sei anche equilibrista! Ci vuole esercizio per questo, molto esercizio. Per noi diletti e tormenti sono cose ben piu` leggere. Ma e` ` cosı che si esige da noi, questo e` il nostro avvenire. Guarda Pierrot, con il suo viso infarinato, non e` forse candido come il sogno di un bambino? PIERROT

L’innocenza e anche il nostro disordine sono le cose che piu` affascinano. Il volto gradevole della vita che ci viene incontro con allegria e benevolenza. E siamo qui ogni giorno a rappresentare la frivolezza che accompagna i nostri giorni. Canti, versi leggeri e spensierati, chiome fluenti e lunghi strascichi. E` cosı` che vive il mondo e cosı` noi viviamo. ARLECCHINO

Non dimenticate il pianto. Ha detto bene Pantalone, delizie e tormenti, la nostra vita e` fatta di queste cose. Il salto termina in una caduta e non c’e` successo che non porti solitudine. Noi maschere siamo sole dentro noi stesse. Che altro e` la nostra esi97

stenza se non un abito un po’ logoro e vuoto, che chiede di essere indossato? IL POETA

(chiude la tenda) IL DIRETTORE DEL TEATRO

Abiti logori e maschere filosofeggianti. Ma cosa intendete farmi credere con cio`? Non e` con queste cose che potrete indurmi a farvi lavorare per me. Poeti e musicisti, artisti e filosofi, per me non siete nient’altro che saltimbanchi. E` meglio che andiate a recitare nelle pubbliche piazze. Chissa`, quattro soldi ve li daranno. (rivolto al pubblico) Sarebbe un miracolo... IL POETA

Io vi dico – signore – che fate benissimo a non venire incontro all’arte, perche´ essa non ne ha bisogno. Anzi ne avrebbe orrore. Siete voi – caro il mio signor direttore di teatro – l’orrore dell’arte. L’arte vi punirebbe crudelmente se voleste intenderla o giudicarla. Non ha bisogno di voi, perche´ e` pura e voi l’offendete. E` vero – signore – che il profondo della nostra natura – della natura umana intendo, e` il saltimbanco, ma ricordate, il saltimbanco e il poeta sono la stessa persona.

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ROMANZO EPISTOLARE Lettere da un’allieva

Vienna, 28 gennaio 797 Al Signor Illustrissimo Kapellmeister di Corte Onoratissimo Maestro! La signora Franziska von C. mi incarica di presentarle i suoi rispetti. Al momento la signora si trova ancora nella sua residenza di campagna, ma mi annuncia che tra qualche settimana fara` ritorno a Vienna e sara` indicibilmente felice di incontrare nuovamente lei, onoratissimo nobile Maestro, e spera ardentemente di ricevere lezioni di pianoforte, strumento che ella – mi incarica di riferire – ha praticato diligentemente ogni giorno in questi ultimi mesi. Come incaricato della contessa Franziska von C. Il vostro servitore barone von Steinhald *** Vienna, 16 febbraio 797 Giovedı` Eccellente Maestro! Avete la capacita` di sorprendermi! Non potevo immaginare che sareste arrivato con una poesia del divino Metastasio e per di piu` dedicata a me! Avrei cantato con tutto il 99

cuore quella parte che – ora lo vedo – e` meravigliosa! La piu` sublime melodia italiana, delicate parole e raffinata poesia. Purtroppo siete arrivato in un momento in cui non ero in casa. Non abbiatevene a male, ne´ sia turbata la vostra tanto preziosa serenita`. Sono addolorata di aver perso un’occasione per vedervi, ma spero vorrete tornare domani. Nulla mi sta piu` a cuore che intrattenermi a fare un po’ di musica con voi. Ho cosı` tanto da imparare! Abbiate cura di voi stesso e non mettete troppo alla prova la vostra salute. I miei pensieri sono sempre con voi Franziska von C. *** Vienna, 7 marzo 797 martedı` Eccellente Maestro! La mia stupidita` di ieri sera deve avervi causato dolore e mi provoca amarezza ammettere che non ci siamo intesi. Sono veramente afflitta tanto piu` che la nostra esecuzione dell’aria di Metastasio era stata, a detta di tutti sublime, ma il merito appartiene esclusivamente a voi. E` solo ascoltando la vostra musica che la mia voce acquista quel timbro che tutti i nostri comuni amici tanto dicono di amare. Quindi dovreste essere felice e non amareggiato come invece mi siete parso nel momento di congedarvi. Non abbiatevene, vi prego, ho la coscienza a posto e non perdo la speranza di dimostrarvelo. Sapete che il mio affetto per voi cresce ogni giorno che passa? Vi assicuro che se ci fosse qualcosa che turba il mio cuore non esiterei a confidarvelo. Purtroppo si e` trattato solo di un malinteso passeggero che mi ha reso piu` irritabile del solito. Spero che vogliate venire da me domattina... Franziska contessa von C. 100

Vienna 19 marzo 797 domenica Mio eccellente e onorato Maestro, sono ancora una volta terribilmente afflitta che non mi abbiate trovato in casa. In due mesi ho gia` mancato a tre delle vostre preziose lezioni. Ma l’affetto che mi lega a voi so che vi indurra` a perdonarmi ed a venire da me nella serata di sabato. Ci sara` anche il conte von C., ma questa volta tutto e` stato chiarito. *** Vienna, 28 marzo 797 Maestro eccellente e degno di onori, avete ricevuto il vino? Avrei voluto farvelo recapitare direttamente dalla Francia, ma laggiu` abbiamo avuto tante e tali distrazioni che quando e` stata ora di tornare avevo ancora le casse nella mia stanza. Ero partita con la piu` ferma intenzione di trovare un attimo di silenzio. Voi sapete quanto io abbia bisogno della mia solitudine. Purtroppo per me, sembra che questa mi sia negata. Volevo starmene in convento e sono finita invece a corte, pensate! Sono certa che comprenderete il mio stato d’animo e mi perdonerete. Sono tornata ieri l’altro a Vienna e vi sarei molto obbligata se voleste farmi il favore di mandarmi dieci inviti per la vostra Accademia. Come vedete ho intenzione di portare con me molti amici! A Parigi non si fa altro che parlare di voi. Invariabilmente affezionata Franziska *** Vienna, 1 aprile 797 Mio nobile Maestro, sono in ansia per voi. Il mio stato di agitazione spero non sia giustificato dalla gravita` del vostro stato di salute. E` stato da noi 101

un valletto della Camera Imperiale ed ha comunicato alla Mamsel Linda che il vostro concerto alla Corte e` stato annullato. Il pensiero della vostra salute ora occupa la mia mente e spero che cio` vi dia da pensare. Mi trovo costretta a scrivervi per chiedervi come state, visto che alla mia domestica non avete voluto comunicare nulla. Sono stata desolatissima di non vedervi ieri sera da me. I miei pensieri sono costantemente con voi, lo ripeto affinche´ non abbiate modo di dimenticarlo. Ieri mattina mi siete parso malinconico, non vi avevo mai visto cosı` silenzioso. Vi assicuro, mio caro, che se foste qui sarei in grado di cancellare ogni segno di turbamento dalla vostra fronte. Quando vi sarete rimesso in salute canteremo il Figaro o se preferite la vostra diletta aria del Metastasio che avete voluto dedicare a me. Ah quanto amo la poesia italiana! Avete ragione, non v’e` nulla che possa eguagliare la musicalita` di quella lingua meravigliosa, che e` anche la vostra. Italia! Italia! Ma ora ricordate che siete nostro, un autentico viennese e non abbandonerete la nostra citta` dove la Corte vi ama, il pubblico vi ama e vi amo anche io, la vostra sincera e devota allieva Franziska ***

il 5 aprile 797 Siete ammalato? Mio Dio, che sventura non avere nessuno a cui chiedere se non i domestici! Se mi aveste fatta chiamare sarei venuta di corsa. Avrei lasciato i miei impegni e la mia casa per correre da voi. Ma non l’avete fatto! L’unica consolazione e` sapere che siete ben accudito. Ho sentito dire che la vostra malattia e` causata dal troppo lavoro. Sappiate che questa la considero davvero un’imprudenza. Come, voi rimanere a scrivere per tante ore di seguito (dicono otto), ma e` possibile?. Mi odierete senz’altro con quello che sto per dirvi, ma voglio dirvelo ugualmente. Tutto il mondo vi conosce, qui a Vienna siete considerato il migliore dei maestri, avete scritto opere che circolano in tutti i palazzi imperiali e le sale da 102

concerto non solo dell’impero, ma della Francia, dell’Inghilterra e della Russia. Non dovete assolutamente piu` sottoporre il vostro fisico a simili fatiche. Le composizioni che avete scritto sono meravigliose e questo nessuno potra` mai togliervelo. Dunque perche´ scrivere ancora? Temo per la vostra salute e se voi aveste un poco a cuore il mio affetto non costringereste il mio animo a tanti affanni. Vi prego di farmi avere notizie il piu` presto possibile: mandate uno dei vostri domestici qui da me con una risposta che attendo di minuto in minuto con ansia. Mi auguro di vedervi domani sera al concerto e sarei ancora piu` felice se dopo voleste venire qui a cenare insieme con i nostri amici, che lo considererebbero un vero onore. Io mi prendero` la liberta` di ritenerlo un gesto di affetto nei miei confronti. I migliori auguri e abbiate la costante certezza del mio affetto e della mia assoluta fedelta` alla vostra arte Franziska *** Vienna, 9 aprile 797 Mio Eccellente e Diletto Maestro, Vi scrivo qualche riga in fretta affinche´ l’abbiate prima che io parta e mi allontani ancora una volta da Vienna: vorrei assicurarvi che il mio piu` sincero affetto sara` inseparabile da voi. Fino all’ultimo mi sono cullata nella speranza di non essere costretta a partire, ma ormai la cosa non e` piu` possibile. La carrozza sta per arrivare e con mio marito andro` in Spagna. Mi accingo a fare questo viaggio con la piu` assoluta indifferenza e mi auguro di essere tanto brava da non dare a vedere tutto il mio dispiacere dato che i miei pensieri sono solo con voi. Tra qualche giorno il mio domestico vi portera` di ritorno la canzone che mi avete prestata. L’intenzione era quella di copiarla per me sola, ma la principessa W. dopo averla sentita e` impazzita di ammirazione e me l’ha chiesta e questa e` la ragione per cui restituisco il manoscritto in ritardo. Spero che vorrete perdonare la piccola liberta` che mi sono presa. 103

Se voleste darmi piu` spesso musica vostra potrei studiarla con pazienza e sono sicura che mi perfezionerei in fretta. So che voi apprezzate il mio impegno nella musica e io sono sempre deliziata quando studio qualche vostra sonata, a patto che non sia troppo difficile per me. Ora fatemi partire con la certezza che vi rivedro` al mio ritorno. Non vedo l’ora di avervi a cena. Ma non andate ad isolarvi come l’ultima volta lontano da me e da tutti! Sinceramente vostra Franziska ***

20 aprile

Maestro e Signore, immagino vi faccia piacere sapere che tempo fa qui in Spagna. Allora vi diro` che qui la primavera e` ormai avanzata. Durante i primi giorni del nostro soggiorno pioveva sempre, ma la Spagna non e` Vienna, dove la pioggia porta solo pioggia, qui e` stata solo una parentesi nella corsa verso l’estate. Gli alberi sono germogliati da un pezzo e si e` solo ai primi di aprile, quando da noi ancora non si vede il sole. Mi invidierete, e spero almeno un pochino desideriate in cuor vostro essere con me. Da quando sono arrivata non aspettavo altro che di trovare il momento adatto per scrivervi, non ci siete che voi nel mio cuore, vedete? Sono molto ansiosa di sapere come state e mi auguro che abbiate ritrovato il vostro umore cosı` scherzoso, cosı` italiano. Ma vi debbo dire che anche qui in Spagna le persone sono assai divertenti. E sono tutti dei vostri grandi ammiratori. Ogni giorno di piu` si sente parlare dei vostri successi e sono rimasta sorpresa da quanto siate conosciuto anche qui. Immagino che sarete soddisfatto di voi stesso e del lavoro della vostra vita. Nel frattempo vi giunga dalla vostra sincera e affezionatissima allieva il pensiero piu` riguardoso e sensibile Franziska *** 104

Vienna, 2 maggio 797 martedı` Mio nobile e venerato Maestro, sono desolata. Credevo giungendo a Vienna di incontrarvi immediatamente invece non ho avuto il piacere di vedervi oggi, ma mi cullo nella speranza di vedervi domani. Se vi fosse possibile pranzare con me sarei la persona piu` felice di questa citta`. Vorrei avervi con me anche il giorno successivo la sera, quando ci sara` un po’ di gente a casa nostra, ma immagino siate impegnato a dirigere la vostra Opera che i bene informati dicono sara` meravigliosa. Prima saro` al concerto mentre il conte mio marito ricevera` gli ospiti a casa. Sabato andro` in campagna. Ragione questa per desiderare di avervi a pranzo domani, sarebbe un regalo prezioso e dal momento che intendo chiedere a voi alcuni consigli su come suonare quelle contraddanze che mi avete regalato vi pregherei di arrivare un paio d’ore prima degli altri invitati. Sarebbe anche un modo per godere della vostra compagnia un poco piu` a lungo e senza la presenza di altre persone. Per cui resto la vostra sincera e affezionata allieva di pianoforte Franziska mpra ***

17 maggio mercoledı`

Mio prezioso Maestro, il tempo e` triste e questa pioggia mi sfinisce, sarebbe meglio che non veniste affatto ad inabissarvi anche voi in questa solitudine. Ci saranno ancora giorni felici? La vostra musica mi e` necessaria e vi confesso che vivrei meglio se vorrete farmi il favore di pranzare con me il prossimo sabato. Specialmente se verrete qui prima che arrivino gli altri. Spero di sentirvi dire che verrete. Sappiate che io stimo la vostra dedizione e la vostra amicizia nei miei riguardi come uno di doni piu` grandi che la vita mi abbia concesso. E faro` di tutto per preservare questa amicizia dai mali che ora affliggono la mia anima. Il mio affetto per voi rimane sincero e costante Franziska 105

1 giugno giovedı` Mio caro Maestro, Posso chiedervi come state? Mi hanno detto che avete avuto un brutto raffreddore. Ora spero sia tutto a posto, fate in modo che io possa vedervi prima di martedı` prossimo. Tutto e` pronto a ricevervi come si conviene. E` la prima volta che ospito un concerto a casa mia e ancora piu` mi emoziona il fatto che siate voi l’ospite d’onore. Chiedete, disponete, esigete qualsiasi cosa meglio vi convenga, non c’e` altro che io desideri di piu` che assecondare la vostra volonta`. Vorrei invitare anche il conte e la contessina B. Gradite la loro compagnia? Sarebbe un’occasione per allontanarli un poco dalla tristezza in cui e` piombata la loro casa dopo la morte della contessa. Non vedo l’ora di rivedervi Sinceramente la vostra Franziska ***

Vienna 6 giugno 797

Mon tre`s cher, non c’e` nulla che possa eguagliare il piacere di avervi avuto qui stasera. Consentite che io vi esprima la mia gratitudine ancor piu` di mille volte. Le vostre composizioni erano meravigliose e voi avete suonato splendidamente. Il vostro tocco e` semplicemente sorprendente e credo che – se anche mi esercitassi cento anni (molte ore al giorno, cosa che ahime´ non faccio) – non riuscirei ad eguagliarvi neppure in una minuscola frase. C’e` sempre qualcosa di legato in me o di troppo rigido. ‘‘Abolite ogni rigidezza’’, voi mi dite. Gia` ma come fare? Lo so come mi rispondereste: ‘‘Esercizio, esercizio, esercizio’’. Lasciatemi dire che siete magico! Vedervi ieri mi ha procurato una soddisfazione immensa! 106

Siete un uomo di valore impareggiabile. Ed e` mio grande onore assicurarvi che rimango sinceramente la vostra Franziska *** Le due di notte 5 giugno Maestro eccellente e degno di ogni rispetto, non posso spegnere questa candela senza avervi ancora 1000 altre volte espresso riconoscenza per le vostre composizioni e le vostre interpretazioni. Tutto il pubblico vi ha ascoltato nel piu` perfetto silenzio e anche i domestici nelle stanze adiacenti non sapevano muovere un passo, questo mi e` stato raccontato dalla mia ancella assai tardi, poche ore fa. Ma sappiate che di tutti nessuno vi venera piu` di me. Nessuno e` in grado di provare un piacere altrettanto grande nel sentire la vostra musica. Non c’e` una nota della vostra musica che non scenda dentro di me come il suggello di una comprensione che io sento unica e totale. La vostra musica mi parla come credo non parli a nessun altro. La vostra musica e` il nutrimento della mia anima: e` piu` della sua salute, ma non sara` mai una malattia. La vostra musica parla di quiete, di serenita`, di ordine. Vi ringrazio mille volte per quest’ordine e questa pace, che e` la pace delle nostre esistenze, la vita tranquilla che sentiamo appartenere anche alla nostra citta` purtroppo sempre minacciata dall’incostanza dell’uomo e la sua irragionevole sete di novita`. Considero la vostra amicizia un saldo sostegno e uno dei favori che la vita mi ha concesso e il piu` grande desiderio del mio cuore e` preservare questo affetto La vostra ora impaziente di addormentarsi Franziska *** 107

Mio eccellente Kapellmeister, Qui accluse troverete le contraddanze e le tedesche che avete scritto per il ballo, vi ringrazio di avermi permesso di copiarle. A quando il nostro Metastasio? Fatemi sapere come state e lasciatemi sapere, mio caro Maestro e Kapellmeister, quando pranzerete con me, se martedı` o mercoledı`. Sono ansiosa e impaziente di vedervi e spero di avere la vostra compagnia il piu` a lungo possibile. Provo per voi il piu` profondo e tenero affetto di cui il cuore umano sia capace e sono ogni giorno piu` affezionata a voi, mio carissimo e amatissimo Maestro. ***

14 giugno

Mio carissimo, La gita e` stata di vostro gradimento? Io mi sono divertita moltissimo. Quella gente della locanda era davvero spassosa. E quanto abbiamo riso! Vi vedro` domani? affezionata Franziska *** avete dormito? Sarei molto felice di vedervi stamane. Permettetemi di ricordarvi che ci sara` anche il signor F. I miei pensieri sono costantemente con voi Vostra F. ***

2 di notte

Mio caro, sono disperata! Non ho potuto ricevervi quando avete chiesto di me stamane! Potrete mai scusarmi? Spero tanto di sı`. Non potete immaginare quanto miserabile mi senta. Venite oggi, vi prego, mi faro` perdonare Sinceramente vostra Franziska 108

VIAGGIO PER MARE

‘‘E` stato un errore, un terribile errore, ragazzi, avventurarci in questa direzione’’. Aveva ragione. Qualche volta accade che si commettano degli errori e allora bisogna riconoscerli. E` molto piu` semplice che continuare a tormentarsi chiedendosi se valga o no la pena di continuare. Perche´ continuare potrebbe significare anche la morte. Tutte le specie umane temono la morte, ma noi ci sentivamo di una specie particolare: eravamo esseri inclini a prendere la vita cosı` come viene e tentammo di convincere nostro padre ad andare avanti ancora un po’. Ci dispiaceva sempre tornare a casa, soprattutto quando questo avveniva prima del previsto. Allora ci avvolgemmo nelle sciarpe e le mani nelle tasche erano dure come vetro. Il freddo era terribile, oltretutto riusciva ancora a prendere slancio un vento acuminato come una spada. Non so se venisse dal nord oppure dal cielo. Gli occhi non ce la facevano quasi ad aprirsi e quella lama infida tagliava a fette le pelli di animale con cui eravamo coperti. La temperatura, scesa di molti gradi sotto lo zero nonostante si fosse in estate, non accennava a migliorare. Il sole era scomparso da giorni e marciavamo immersi in un opaco chiarore grigio, che diffondeva i suoi vapori sulle nostre facce, sulle mani, sull’orizzonte e la terra. A parte questo non c’era molto di piu`. Il paesaggio era tutto orizzonte e oriz109

zonte e terra e minuscoli come noccioli noi dentro quello sconfinato mondo senza colori. ‘‘E` stato un errore’’, ripeteva il babbo. ‘‘Ma l’avete scelta voi la direzione, vi mostravate sicuro’’. ‘‘Sicuro un accidente! Le prospettive non erano affatto sicure’’. ‘‘Proviamo a vedere cosa accade’’. ‘‘Niente affatto dobbiamo fare ritorno...’’. A casa. Buttandosi all’indietro sulla poltrona mio padre scoppio` a ridere. Eravamo tornati a casa. Cinquant’anni, alto, robusto e spesso allegro il signor Adalbert Bandol Hu¨ttemann, mio padre, ogni sera ci prendeva sulle spalle e ci trascinava con se´ in giro per il mondo. Non solo citta`, ma continenti interi ci faceva vedere. Dalla Cina all’Australia, e poi isole e altopiani nascosti nel cuore delle terre conosciute. Era un viaggiatore nato, di quelli che ripartono sempre, incuranti delle burrasche, delle avversita`, delle tempeste, del freddo e della fame. In verita` non si era mai allontanato molto. Quand’era ancora un ragazzo c’era stata la Rivoluzione e la sua famiglia aveva dovuto lasciare la Francia. Si trasferirono in terra tedesca, dove avevano dei parenti. Laggiu` i suoi genitori, che erano nobili, possedevano un castello. Fuggendo lasciarono tutto ai rivoluzionari e mio padre crebbe in una casa dove tutti erano diventati poveri, ormai costretti, e non del tutto capaci, a guadagnarsi il pane ogni giorno. Data la mancanza di denaro non si sognavano neppure di viaggiare. L’inizio dev’essere stato questo. Era ancora un ragazzo mio padre quando prese a sognare con gli occhi aperti. Sognare. Dai sogni dipende la nostra vita di uomini. Io dal canto mio tra i sogni ho imparato a preferire quelli che si fanno ad occhi aperti. Anzi con gli occhi ben aperti, sapendo di farli. 110

Completamente solo, senza muoversi da casa, mio padre aveva iniziato ad assistere allo spettacolo del mondo come se questo si svolgesse fuori della sua finestra. Partendo da un punto di vista invariabile, ogni sera la scena si rinnova e il viaggiatore, tra arrivi e partenze, alimenta la sua esistenza immobile. A noi il mondo lo fece vedere cosı`. C’erano un’infinita` di libri a casa nostra, e molti di questi erano illustrati. Esploratori, viaggiatori, marinai, poeti e musicisti, tutti avevano qualcosa da raccontare. E` vero, i nostri viaggi erano nel nulla, tutto accadeva mentre stavamo solo un po’ scomodi sul tappeto del salotto di casa. Ma poi andava a finire che quando visitavamo un paese, ne riportavamo emozioni vere, mia madre a volte aveva perfino il tempo di acquistare delle stoffe per farsene abiti nuovi. Io portavo indietro immagini. I miei bulbi oculari sono pieni di immagini. Quando chiudo gli occhi contemplo il mare in tutte le sue forme oppure vedo i deserti. O case bianche in mezzo alla campagna, alti muri e finestre strette per proteggersi dal vento. Mio padre aveva un amico che gli prestava le carte geografiche di ogni paese e libri e libri di viaggio. Ogni sera prima di scegliere la destinazione si chinava su quelle carte e vedevo le spalle oscillare al ritmo irrequieto dei suoi pensieri. Chino su quelle mappe solcate da una rete fittissima di rotte, c’erano percorsi da seguire, nuove vie da scoprire, continenti da attraversare. Io lo guardavo. Credo che seguisse le rotte della sua mente e le confrontasse in segreto con quelle tracciate sulle carte geografiche. Spesso mi chiedevo se quella tela di ragno che stava cosı` dispiegata sul pavimento non fosse la sua mente tutta intera. E lui lı` a sorvegliarne i segreti come se non gli appartenesse e lui fosse in grado di studiarla come una scacchiera. A me piaceva viaggiare, a lui piaceva viaggiare. E – anche se in maniera un po’ piu` contenuta – piaceva anche a mia madre. I fratelli si limitavano a farsi trascinare ridendo. 111

Dato che il mondo e` rotondo, diceva la piccolina, non andiamo tanto lontano, altrimenti cadremo giu`. Il lontano di mio padre era lontanissimo, ma lei montava in spalla con la certezza che non si sarebbe andati oltre l’orizzonte. Un giorno mio padre ci chiese se poteva portare con noi un amico. Voleva vedere il capo Horn e venne a casa nostra la sera in cui dovevamo affrontare quella grande avventura. Partimmo con l’immensa carta geografica spiegata sotto le nostre ginocchia e iniziammo a raccontare. L’amico di mio padre era venuto vestito con una camicia di cotone rossa e per tutto il tempo indosso` quella camicia. Dopo appena due giorni di viaggio invece noi eravamo gia` a petto nudo e io mi scottai tutta la schiena. Poi divenni resistente al sole e fu davvero una fortuna perche´ in barca non si possono lavare le camicie tutti i giorni. E` incredibile come a due soli giorni di viaggio dalla nostra cara ed inquieta Europa si possano incontrare venti tanto gradevoli e costanti. Poi scendemmo oltre il Tropico del cancro. Fu una lunga avventura che duro` giorni e giorni. Ascoltavamo il rumore del mare e le storie di mia madre durante le lunghe notti nere. Di giorno guardavamo gli uccelli in visita alla nostra nave, quelli che ci osservavano dall’alto e gli altri che si spingevano fino a noi a volo radente. E poi il rumore del vento nelle vele, l’ostinato rumore dei bilancieri nell’incavatura del bastimento, e il ruggito crescente del mare, instancabile e profondo. Il Capo Horn si comporto` da par suo. Raffiche di vento, burrasca, neve e solo a tratti un sole glaciale, indifferente sia a noi sia alle isole di ghiaccio che si muovevano sulle onde. Come ogni altra sera in cui si faceva ritorno, anche quella volta, quando fu l’ora di alzarsi dal tappeto per andare a dormire pensammo al mondo dei sogni che ci aspettava. Un po’ 112

piu` scialbo, un po’ piu` triste delle nostre orgogliose avventure intorno al mondo. Di solito non ci sono storie nei sogni, solo immagini scompigliate. Dicono che e` l’io in cerca della sua espressione. Forse, ma io dico che a me l’io interessa assai poco. Odio la contemplazione costante di se´. Bisognerebbe dimenticarsi. A volte sono talmente stanco del mondo, che indosso altri nomi. Disse il pagano: ‘‘E` un uomo tristo Orlando, che vuole tutte le genti assoggettare ed ogni terra vuole signoreggiare! Con quale gente pensa compier tanto? Gano risponde: ‘‘Con gli uomini di Francia, essi l’amano tanto...’’. Eravamo collezionisti di umanita`. Poco a nord dell’equatore un giorno incontrammo un paese in cui gli uomini vivevano soltanto di notte. Troppo arso il giorno per mettervi piede. La citta` li ripara dal sole spietato del deserto. Ci sono vie come cammini angusti, buie e spesso coperte da volte di pietra. Le abitazioni appaiono senza finestre, e non c’e` nessuno che voglia rimanere in contatto con il mondo esterno. Sono comode e immerse nell’ombra. I tappeti hanno colori vivaci. Non ci sono giardini, ne´ orti, a malapena qualche vitigno abbarbicato ad un muro di pietra. Un fico imputridisce all’incrocio di una strada, i cammelli aspettano la notte, perche´ la gente si muove solo con il buio. Persino i pochi magazzini sembra che vogliano nascondere la merce in vendita, che sta abbandonata alla rinfusa in terra. Moschee che non si vedono, e per entrare nei bagni c’e` un percorso vasto e intricato come un labirinto. L’ombra e` salvezza, la luna un astro vitale. Mentre il sole fuori arroventa il mondo, la gente racconta storie di ombre, storie di notti, di venti freddi che giungono da nord. Le uniche informazioni che la popolazione di questa citta` e` disposta a ricevere debbono aver a che fare con il buio, la notte. La mente di questi individui rifiuta di regolarsi con l’andare dei giorni. Odiano il sole. 113

La citta` e` un sepolcro in cui la vita si sottrae alla vista, dove la gioia e` protetta da un velo nero che scende sopra il sorriso delle donne e degli uomini. La vita non e` grande, mi diceva mio padre, e` immensa. Non immaginavo che potesse voler dire anche questa vita, che si propaga nelle viscere della terra. Qualcuno dei progenitori della razza, si racconta, ha veduto il sole, ma in epoca remotissima, e della violenza di quella stagione ancora si parla con terrore. Agli abitanti dell’ombra e` ignota la consistenza degli oggetti alla luce, e il mondo deve apparire loro null’altro che un guscio rozzo e deperibile di forze che invece nascoste nell’ombra vivono appetitose eppure immateriali. Fu lı` che feci un’esperienza a me del tutto ignota. Vivendo in quel mondo cieco imparai a vedere le forze che guidano la vita nella loro originaria purezza. Alla luce del giorno percepisci solo la superficie delle cose, il loro astratto colore. Manca totalmente il senso delle dimensioni, la prospettiva. Vivendo nel buio invece mi accorsi che spariva completamente la forma piatta. Mi resi conto che l’intero universo e` popolato da entita` le quali emanano forza con una tensione sovrana. Ecco che ti trovi davanti ad una vita interiore che non ha modo di lasciarsi indurre alla vertigine della velocita`. Lo sforzo per percepire queste essenze e` immenso, equivale ad una concentrazione assoluta, all’estasi cui si dedicano gli eremiti, ma viene ripagato dalla sensazione di governare le energie della vita. Allora vidi gli abitanti della citta` pensare come esseri celesti, consapevoli di portare in se´ un intero universo di incorporee grandezze. Quegli uomini vivevano una beatitudine costante e poco fu cio` che noi, viaggiatori incostanti, fummo in grado di percepire. Vaghe ombre che per me somigliavano ad un colpo di fulmine. 114

Per noi assaliti dal mutamento e` inconcepibile incontrare esseri che concepiscono la pura durata. Una notte mi smarrii nella citta` oscura e non c’era neppure la luce della luna a guidare i miei passi. Le case sembravano deserte, chiuse com’erano nel loro cieco mutismo. Vidi un filo di luce provenire da una porta socchiusa. Una donna anziana ricamava nella pallida luce di un cero. Fili d’oro sull’orlo di una veste. Mi fa capire che posso entrare e sedermi. Tra non molto questa donna passera` dalla breve corsa della vita all’eterna durata della morte. Ma la leggerezza del suo esistere sembra gia` appartenere alla morte. Morire senza cessare di vivere, oppure vivere senza morire sono cose che quaggiu` nel cuore del deserto si assomigliano. Mi chiede da dove vengo. Dall’Europa, rispondo. Ti piace viaggiare? Molto. Anche a me, risponde. Anche a me piace viaggiare. Vivere serve a conoscere, dico io. Certo. Ma viaggiare e` la cosa migliore. Forse fu in conseguenza di tutti quei viaggi che, adulto, della vita conobbi solo l’avventura. Ci sono burrasche nella mia memoria e il ruggito continuo del mare. Fui uno dei primi europei a vedere le statue dell’isola di Pasqua e percorsi i deserti, e scoprii le orme dei condottieri antichi. Viaggiare e` una sete sensuale per me e so bene che questa e` una arsura capace di farti svaporare velocemente. Ma e` il sottile confine tra la sete e la morte che mi fa bruciare di desiderio ogni minuto della mia incostante esistenza. E` una sete che non assomiglia a nessun’altra. E` una sete che non si appaga, anche se la soddisfi in continuazione. Ma e` anche fame. Ad ogni nuovo viaggio parto tenendo gli occhi ben spalancati per ingoiare tutto cio` che vedo. Mi sfamero` di colori. Gli oggetti, le persone, le cose entreranno dentro di me e io ne sentiro` il gu115

sto, il profumo, ne saggero` la consistenza, come si fa con i frutti o con la carne.

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GIROTONDO

Alcune persone dicono che nei sogni non ci sono altro che favole e inganni. Ma non dobbiamo lasciarci trarre in errore. Io vi raccontero` un mio sogno e poi sarete voi a dirmi se si tratta di frottole o se invece non e` la verita`. Quanto a me io sono convinto che quel sogno abbia descritto esattamente cio` che accadde poi nella mia vita. Bastava aspettare, e neppure molto... Avevo vent’anni, l’eta` in cui l’amore si presenta ai sensi all’improvviso come una raffica di vento e altrettanto all’improvviso se ne va. Io non me ne curavo affatto, andavo canticchiando per la strada della mia vita senza pensare che un giorno o l’altro avrei potuto restarne ferito. La notte dormivo profondamente e il sonno era la sola cosa capace di tenere a bada la mia irruente giovinezza. In una di quelle notti in cui cosı` profondamente ero immerso nel sonno mi accadde di sognare questa singolare avventura. Se volete sapere come ho intitolato il mio sogno rispondero` che l’ho chiamato Girotondo e la ragione per cui sto qui a raccontarvelo e` che sono convinto che esso racchiuda il segreto della vita e mi piace raccontarlo a voi che ora state leggendo. Afferrate la mano e venite con me. Il tempo. Era delizioso, i boschi erano verdi, l’aria frusciante tra le foglie sapeva di primavera. Nel mio sogno era mattino, un bel 117

mattino di maggio, quando il calore non si fa aspettare. Avevo preso con me il mio violino e volevo andare per i boschi a cantare insieme con gli uccelli. Accanto a me scorreva un ruscelletto e mi misi a seguirlo. L’acqua. Non c’e` niente di piu` bello dell’acqua quando scorre giu` dai monti. Il suo mormorio e` piu` bello di quello delle fontane e rinfresca il viso con una carezza che sa di neve. Chi e` piu` felice dell’acqua, mi chiedo. Libera, instancabile, vivace. Se ne va per i prati, costeggia i villaggi, fa girare le ruote dei mulini, ascolta il canto delle lavandaie. E` azzurra come il cielo, ma puo` diventare scura come un manto notturno, punteggiato di stelle. Le nubi non la spaventano, anzi la fanno sorridere, perche´ essa stessa e` la pioggia che scende e non c’e` confine tra la terra e il cielo. Dall’acqua noi instancabili abbiamo preso la gioia del movimento. E da chi ha preso l’acqua la gioia del mutamento? L’acqua non ha forma e le ha tutte. Dove? Dove va il ruscello che precipita a valle? Lo seguo e mi metto a correre nel prato verde, fresco come un tappeto di rugiada. E` l’eccitazione che mi prende e mi impedisce di avere sosta. Tentazione. Quest’acqua mi sta tentando, mi rende indifferente a tutto. Non sento piu` le voci di chi mi chiama, non odo ne´ la madre, ne´ il padrone, non vado piu` a lavorare, ne´ seguo i miei studi. Non guardo piu` gli amici. Solo ascolto il mormorio dell’acqua e corro, corro, corro. Non conosco invidia, ne´ avarizia, ne´ lussuria, ne´ vecchiaia. Il tempo e` quello che scorre accanto a me e io gli sto al passo. Abbiamo la stessa andatura io e il tempo, io e il ruscello, non invecchiero` per molto ancora. Scorre giorno e notte l’acqua e io 118

con lei, non torna indietro e io neppure, guardo sempre avanti e l’orizzonte e` sempre nuovo di altre radure, altri boschi, altre valli. Il tempo che ha invecchiato i nostri padri, e re e imperatori, non riesce a costringermi ancora alla resa. Mi manifesto nel mio essere in movimento. Sappiate che non sono stanco. Il mio respiro e` ardito perche´ grande e` il mio destino. Sento il mormorio dell’acqua, o forse sono le sirene a chiamarmi dal mare? La loro felicita` e` chiamare a se´ il viandante, giocano e si divertono. Ma gli uccelli accanto a me intonano canzoni e io non so piu` se inseguo un miraggio o una melodia, una canzone cortese o un motivo d’amore. Il ruscello si appiana nella valle assolata e nel cuore di una radura si allarga a comporre un piccolo specchio d’acqua. Fermo. Mi fermo. E` lo specchio di Narciso? Narciso, per causa d’amore, fu preso nei suoi stessi lacci. Eco l’aveva amato fino alla disperazione, sarebbe morta per lui, gli aveva detto, ma Narciso non sentiva, e morı` d’amore per se´. Non e` quello che mi accadra`, sostero` solo un istante, mentre sosta l’acqua. E` mio questo volto radioso di giovinezza? Non guardare, devi solo bere qualche sorso. Ma che vedo mentre mi chino sull’acqua? Un mulino e la sua bella molinara. Il dio d’amore ha teso il suo arco e ha scagliato su di me le sue frecce. Accanto a me vedo un cespuglio di rose, le piu` belle che io mai abbia visto. Alt! Io non voglio altro che questo angolo di terra, se anche dovessi morire, ed e` cosı` che mi sento, voglio che sia qui. Il profumo di queste rose e` penetrante e non voglio piu` andare via. Se solo osassi ne raccoglierei qualcuna e la porgerei alla fanciulla dai riccioli rossi. La freccia d’amore fa male ma il suo veleno e` un sollievo e mi sembra di non aver mai conosciuto una tale beatitudine in tutta la mia esistenza. Impallidisco e arrossisco nello stesso tempo. 119

Mi avvicino alla casa. Come tutto e` accogliente e pulito. Trovero` un lavoro e rimarro` qui. Forse era questo cio` che cercava di dirmi il ruscello. Che dovevo fermarmi qui. Omaggio al dio d’amore. Ora mi attendono solo gioie e felicita`, e perche´ mai dovrei preoccuparmi del tempo che intanto scorre innanzi? Diedi al dio la chiave del mio cuore e promisi che avrei amato solo lei. Per amare bisogna soffrire, disse lui. Non c’e` sofferenza che io tema, vi seguiro` all’infinito. Amore e` una malattia crudele. Gioia e tormento sono inflitte agli amanti. Nulla di piu` mutevole del mal d’amore e chi ama ora canta e ora piange. Mi sento veloce e leggero. Non voglio piu` sentire i tuoi consigli, lasciami seguire la bella che mi causo` tutto questo. E lavorai al mulino. E` lei che ti ha mandato, ruscelletto? E` stata sua l’idea di blandirmi con il tuo mormorio suadente. E` stata lei a dirti di venirmi a cercare? Non puoi rispondere? Comunque sia mi va benissimo. Ho trovato cio` che appaga le mie braccia e il mio cuore. Nulla mi manca. Hai visto il padre com’era contento di aver trovato un garzone come aiutante? Cominciava ad essere stanco e i figli maschi sono ancora bambini. La ragazza presto andra` in sposa, ha detto. Ancora non sa quanto presto accadra`, ho pensato. Ma non ho detto nulla. Lei, la bella molinara mi ha guardato appena. I suoi occhi verdi splendono con il sole, e il verde dei prati invidia loro il colore splendente. Se accadra` che mi rivolga la parola non so come potro` non arrossire, non balbettare davanti a lei. La sua bocca ha il colore delle rose accanto allo specchio di Narciso. Mi mancheranno le parole. Sono gli amanti bugiardi quelli che riescono a parlare all’amata senza timore, sono le menzogne quelle facili da raccontare. 120

Non riusciro` piu` a dormire la notte e il mio letto sara` usurpato dalla fantasia. Ella tra le mie braccia, senza riserve, parole dolci sussurrate e abbracci senza fine. Dio mio, quando tornera` l’alba a porre fine ai miei tormenti? Il lavoro e` il mio sollievo. Mille braccia. Se potessi avere la forza di mille braccia, il coraggio di mille guerrieri, l’ardore di mille corsari, farei per il mio amore cose che nessuno ha fatto. Ma eccomi qui, a fare il lavoro di un semplice garzone ed ella neppure mi vede. Il padrone ci incoraggia e sembra contento. La speranza e` cio` che mi sostiene. Ardo e spero. E questo fa svanire la mia tristezza. Vedo i suoi occhi sorridenti e il sorriso ne´ troppo grande ne´ troppo piccolo. Aspetto un sospiro, un cenno, un piccolo segno di amicizia. Se non dovesse accadere potrei morirne. E` sera. La settimana di lavoro e` stata lieve con quel Dolce Sguardo nel cuore, e il Dolce Pensiero nel petto. Ora che tutti stanno rincasando io mi avvio verso il mio riparo e aspettero` una nuova settimana. Il padrone viene verso di noi e dice: ‘‘Avete fatto un buon lavoro’’, la bella molinara dice a tutti: ‘‘Buona notte’’. Dolci Parole. Le labbra sono cosı` delicate messaggere. Mi ama? Questo mi strugge. Sono impaziente e vorrei sapere. Sapere dai fiori, sapere dalle stelle, ma degli uni non conosco che i colori, delle altre non vedo che la luce. Nessuno mi e` vicino come il mio ruscello, l’acqua limpida che mi ha condotto fino a qui. Puoi dirmi ruscelletto se ella mi ama? Mentre mi avvicino sento il profumo delle rose. Pensavo fosse scritto nei miei occhi, pensavo fosse dipinto sul mio viso l’ardore che mi coglie quando la guardo, quando la sospiro. Questo amore e` la mia morte e la mia vita. Non guariro` mai piu` da tale danno. Voglio l’impossibile, voglio la morte 121

e voglio la vita. E` la gioia che mi fa desiderare la morte. La sua compagnia e` pericolosa. Non devo ascoltare i cattivi consigli. Fuggire l’amore non si deve, eccomi qui a desiderare piu` di ogni altra cosa che l’amore venga e venga presto da me. Gli ho consegnato le chiavi del mio cuore ed ora non posso piu` tornare sui miei passi. Non tornero` sui miei passi. Il mio cuore e` tuo e lo rimarra` in eterno. Ma lei non se ne accorge. Non vede i nomi incisi nelle cortecce degli alberi, non ascolta le canzoni che sussurro, non legge nei miei occhi ne´ comprende le mie tacite parole. Che fare se non accorre in mio soccorso? Ah giovinezza, che pessima consigliera! Queste sono le follie della giovinezza, questi gli eccessi, questi i capricci. Eppure Giovinezza e Bellezza sono compagne e non c’e` nulla di migliore nella vita di un uomo. Ella abita qui e qui sono anch’esse. Le mie volubili dee, giovinezza, bellezza e la mia bella molinara che entrambe le possiede. Buon giorno mia dolcezza! Che sia per te il piu` bello dei giorni. Perche´ ti nascondi e non rispondi al mio saluto? Ti disturba il mio sguardo impertinente. Se desideri il frutto non rinunciare al piacere di morderlo, se vuoi sentire il profumo della rosa avvicina il viso al bocciolo. L’amante coglie la rosa e la porge alla sua bella. La bella si volta verso di lui e lo guarda. E allora lui capisce che la cosa e` seria. Fiori azzurri, lasciatevi cogliere da me che li portero` sulla sua finestra! Nulla ostacola la nostra felicita`. Sara` come un miracolo, che ormai non tardera` a rivelarsi. Amica mia, non sono ne´ un demone ne´ un fantasma, sono il vostro garzone, che vi ama e vi amera` per sempre. Poggiate una mano sul cuore, sentite come corre. Corre incontro alla felicita`, che e` arrivata proprio oggi. Pioggia di lacrime scende sul prato notturno, mentre gli amanti mille volte si baciano con ardore. Lacrime come pioggia 122

bagnano il giardino di Venere dove ora senza tempo sostano il garzone e la bella molinara. Mia! Trasportato dalla gioia il ragazzo sente la fortuna avvicinarsi sempre di piu`. Ella mi appartiene, nulla sara` piu` come prima. Niente piu` tristezze, niente piu` ansie, tutti i giorni un solo presente. La natura mi ha fatto grande, ora. Ho appeso il mio liuto alla parete, e anche il violino tace. Chi conosce la musica della felicita` sa di non poterla confessare ad altri che a se stesso. La felicita` ha una sua musica, e` una melodia senza nome nota solo a chi la conosce. Nell’istante in cui perdi la felicita`, perdi anche la nozione di quella melodia, allora quello che torni a cantare intonando il liuto e` di nuovo la nostalgia. Mi sono fermato per raccogliere una rosa ed ora l’ho raccolta. Assaporo il suo profumo, posso tendere la mano al roseto e nuovi boccioli mi si offriranno ogni giorno. Dovro` prestare attenzione a non pungermi. Carezzero` delicatamente i rami, non si puo` aver fretta in amore. Ora mio bel signore prestatemi il nastro verde che cinge il vostro liuto perche´ mi raccolga i capelli. Sono rossi i tuoi capelli e il verde e` un bel colore per raccoglierli. Rossi come il fuoco, rossi come la rosa, rossi come un campo di grano al tramonto. Nastro verde come le foglie, i prati, i campi in primavera, i tuoi occhi. Ecco la mia speranza. Ora avvolge i tuoi capelli. Taci, non ci sono parole in amore. Manterro` la promessa. Possibile che tutto il cielo possa sprofondare nel ruscello? Che ci fa un cacciatore qui al mulino? Forse che i cacciatori trovano riparo nei mulini? Non c’e` riparo per te, qui, non e` un luogo dove sostare. La bella molinara e` mia, e tu non la puoi guardare. La bella molinara e` mia... Ed e` la bella molinara che sorride al cacciatore. 123

Ti nascondi ora, ruscello? Io sono stato leale, ti ho seguito, sei stato tu a portarmi fin qui. Che fai ora, fuggi, fuggi senza dirmi nulla? Tu sai come parlare, allora prova tu a dire a lei, la mia bella molinara che io l’amo, ma non dirle che soffro nel vederla cosı` sorridente. Non cercare a terra fiori da portarle, sono tutti appassiti. I prati non hanno piu` fiori celesti, li ho portati tutti alla sua finestra. Non ci sono piu` boccioli di rose, li ho colti tutti negli attimi di felicita`. Ora intorno a me ci sono solo fiori morti. Verde. Il mio colore amato. Il mio colore odiato. Voglio vestirmi di verde e sciogliermi in lacrime verdi, perche´ il mio amore ama il verde e forse si chinera` a raccogliermi, se potessi trasformarmi in fiore. Corro nel prato, vado a caccia di morte, la mia pena e` troppo grande. Se solo non fosse tutto cosı` verde mi metterei a correre e me ne andrei per il mondo, ma quel verde mi addolora, e non sono capace di dirle addio. Conosci ruscello tu le parole per dire addio? Un cuore fedele per amore si strugge e gigli non nascono piu` nel suo giardino. E le mani adulte gli coprono il viso perche´ non si vedano le lacrime. Ma le lacrime scorrono e scorrono sul viso, copiose come acqua di ruscello e la ruota del mulino gira e la bella molinara scompare dietro l’ombra della sua finestra. Questo e` dire addio, lasciar scorrere le lacrime come pioggia nel ruscello. L’acqua. Non c’e` niente di piu` bello dell’acqua quando scorre giu` dai monti. Il suo mormorio e` piu` bello di quello delle fontane e rinfresca il viso con una carezza che sa di neve. Chi e` piu` felice dell’acqua, mi chiedo. Libera, instancabile, vivace. Se ne va per i prati, costeggia i villaggi, fa girare le ruote dei mulini, ascolta il canto delle lavandaie. E` azzurra come il cielo, ma puo` diven124

tare scura come un manto notturno, punteggiato di stelle. Le nubi non la spaventano, anzi la fanno sorridere, perche´ essa stessa e` la pioggia che scende e non c’e` confine tra la terra e il cielo. Dall’acqua noi instancabili abbiamo preso la gioia del movimento. E da chi ha preso l’acqua la gioia del suo mutamento? L’acqua che non ha una forma e le ha tutte.

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ORFEO

Messaggero di un potere inestinguibile. Luna abbagliante tra ombre notturne. Brezza estiva che striscia di fiore in fiore. Cosı` di tanto in tanto arriva sulla terra Orfeo, araldo del nostro piu` antico possesso. Per lunghi periodi la sua musica risuona sommersa come il suono delle campane di Ys, della cattedrale. Poi lo spirito della terra lo rigenera e gli rinnova la sua forma umana. Allora egli torna tra noi. Nuova memoria. Nuova vita. E zolle di terra che si sollevano sotto i suoi piedi. Invisibile e incostante abita tra noi la bellezza, ma Orfeo conosce le astuzie per farla parlare. Orfeo abita con la bellezza, Orfeo vive e muore per la bellezza, che non e` sempre e solo amore, il piu` delle volte e` nel dolore che ti trascina davanti allo specchio argentato. Egli difende la bellezza come chi ama difende il proprio amante infedele. Non accelera il passo per sfuggirle, la segue ovunque essa lo conduce. Non se ne libera: e` il solo nutrimento di cui egli si sazia. Con lei egli risplende, senza non ci sarebbe che vuoto e desolazione. Gli irrequieti sogni della vita hanno ignoti poteri, con calma e senza timore Orfeo si adegua al suo ruolo di schiavo non perche´ ama il genere umano, ma perche´ vuole riportare gli aromi alla terra. 126

Gli aromi sono il cuore della terra, contengono la sua anima e il nostro destino. Non possono germogliare ovunque, sono creature del sole e riguardano le regioni piu` esposte all’ardore del suo fuoco. Erodoto descrive cosı` la raccolta della cannella presso gli arabi: « Essi vanno a cercarla dopo essersi avviluppati tutto il corpo e il viso, a eccezione degli occhi, di pelli di bue e di altri animali; essa cresce in un lago poco profondo. Su questo lago e nei dintorni si dice che abitino degli animali alati molto simili a pipistrelli, che lanciano grida terribili e oppongono una resistenza feroce: bisogna tenerli lontani dagli occhi e cogliere la cannella in queste condizioni ». Difficile, ma non impossibile quanto la raccolta del cinnamono. Non si sa dove nasca, quale sia la terra che lo nutre e gli arabi sono costretti ad aspettare che cada dai nidi degli uccelli. Sono questi infatti a raccoglierlo e l’uomo rompe i nidi per rubare il prezioso aroma. Si racconta addirittura che nasca nel paese dove fu allevato Dioniso. E` fatto di terra, Orfeo e di sangue. Che ci crediate o no, non si dedica alla fantasia. E` un legionario della sua arte e combatte ogni giorno. Distante dal mondo che non possiede ne´ regole ne´ slanci. Riporta il suo corpo trafitto e sanguinante alla tenda, medica le ferite e appena puo` torna a combattere. Non conosce soste la sua chiamata. Prigioniero egli continuera` a cantare, libero scrivera` cio` che ha cantato nel suo cuore quando nessuno doveva sentire. Canta e racconta, Orfeo, finche´ gli orecchi hanno vita. Con la sua amante, la bellezza, non e` tenero: la cerca, la raggiunge, la assale, non le da` tregua. Se ci potesse stare una descrizione sarebbe quella dell’amore assetato e crudele, che affonda le mani nelle carni per sentire da vicino il battito del cuore. 127

Orfeo si riempie, si nutre, si esalta di bellezza. Potrebbe ingrassare di lei, ma non accade. Ogni giorno egli compone. Sapete che cosa significa comporre? Grazie al cielo pochi uomini sanno cosa significa comporre. Sentire gli inizi delle nostre idee e` facile, seguirle fino alla fine del loro cammino, questo no che non e` facile. Richiede coraggio, audacia, fisico eccellente. C’e` un orologio a pendolo che batte tutte le ore e vuole trovarti ad ogni tappa. Quando arrivano i carri del Luna Park Orfeo e` lı` ad aspettarli. Non appena la gente comincia ad affollarsi all’ingresso e i bambini saltellano intorno alle loro mamme invocando dolci e zucchero filato, Orfeo compra un biglietto per tutte le giostre. I ciarlatani sono la sua passione: ‘‘Venite signori a vedere il mondo a testa in giu`’’. Entra negli scrigni d’acciaio che sfidano lo spazio: atterraggio su Marte. Virtuale atmosfera e panorama virtuale al color di tramonto, indelebile esplosione di rosso. Le orme invece sono reali. Orfeo lascia le sue orme ovunque e zolle di terra che si sollevano sotto i suoi piedi. Qualsiasi terreno conserva la memoria del suo passaggio, incendia laddove cammina. Il suo passo e` leggero, ma lascia tracce di fuoco. Bisogna fare attenzione ad avvicinarsi, le lascia anche dentro di te. Sulle barchette dei bambini lo coglie il timore di affondare un’altra volta, ma non teme l’altezza della ruota. Di lassu` non si vede il mercanteggiare degli uomini, ne´ si avverte il fruscio degli alberi, tutto e` fermo. Anche il gridare, trafficare, brulicare degli uomini non si sente. Oltre le colline si vede il mare e Orfeo pensa alle onde della ragione che a riva diventano puro impulso di schiuma bianca. Si sente incantatore di serpenti, anche se non sempre sa fermare le sue idee quando balzano fuori dalla testa. A volte Orfeo e` la signora con l’abito rosso attillato che incanta gli sguardi 128

degli uomini, altre volte rotola in terra come la palla di un clown e provate a seguirlo. « Come aquila puo` costruire il suo nido su rocce inaccessibili, nessuno puo` raggiungere il suo rifugio, ne´ scoprire i suoi piccoli », dice Aristotele e allude alla fenice. Orfeo non appartiene alla razza coltivata degli umani, egli e` un dono della natura selvaggia. Per appropriarsene gli uomini devono mediare il vicino e il lontano, congiungere cielo e terra. Salire al cielo nonostante tutto, dice l’uomo. Allora il corpo riempie la terra del suo profumo e attraverso le zolle, dove i suoi piedi hanno fatto radici, sale lo stelo di una pianta odorosa. Le parole sono la cosa migliore che abbiamo, ma non mi lascio trarre in inganno. Io so che Orfeo e` un demone che sorseggia veleno e lo istilla nel mio sangue. Cerca le anime ferite e le loro angosce, cosı` prende parte all’armonia universale. E` un mentitore Orfeo, perche´ a volte l’esistenza lo costringe a vivere strane avventure. Guardatelo ora, ad esempio. Si trova in una situazione curiosa. Vive in una citta` , Vienna, che e` la sua, egli appartiene alla citta`, ma essa stessa non sarebbe nulla senza di lui. Dove rintracciare la festosa leggerezza, l’ebbrezza innocente, il sorriso generoso? Dove trovare il verde dei prati e la nobile e antica volutta` dei boschi, se non nella musica di Franz? Le persone amano andare nel bosco, il bosco e` frusciante e insieme ai laghi e ai monti e ai fiumi sa di patria. E quando cercheranno il bosco troveranno lui. Ma se osservate bene, Orfeo non c’e`. Fa parte della scena senza esservi dentro. Se ne sta, in questo momento, nascosto dietro ad una porta, escluso dalla festa aristocratica che si disseta alle sue canzoni. 129

Orfeo il mendace, Orfeo il coraggioso, ora sta rannicchiato dietro un vecchio paravento e osserva la scena dall’esterno. Le signore passeggiano in pittoreschi gruppi, gli uomini parlano tra loro e cercano seduzione per i prossimi balli. Quando si tornera` alle danze un rispettabile servitore verra` a chiamare Orfeo per invitarlo a suonare di nuovo. Allora lui passera` tra la gente senza guardare nessuno, e nessuno volgera` lo sguardo a lui. Cio` che ancora non esiste sta per essere svelato.

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MUSICA

Lettore, in queste pagine non ascolterai liete melodie, o canzoni o danze, ne´ verrai introdotto nella difficile ricerca sulla natura del bello. E` altra la musica di cui vado a parlare. Abbandoni il campo anche il mistico che brama i responsorii sacri o il nobile intenzionato a violare con lo sguardo turbe di angeli suonatori di lira o di cetra. E` altra la musica di cui vado a parlare. La scienza e` quello che cerco, l’inflessibile, attento studio di una scienza della misura. Contemplare le idee, rintracciare la vera natura del cosmo e trovare le regole numeriche su cui e` costruito tutto il sistema di consonanze dell’armonia universale, questo si propone Agostino. Il santo filosofo vuole entrare nel regno della musica, ma ha bisogno di certezze e queste sembrano nascondersi nella matematica e nelle leggi che regnano sui numeri. La musica e` lo specchio dell’armonia cosmica delle sfere, pensa, ma i suoni prodotti dal moto dei pianeti, non sono percepibili dall’udito dell’uomo. Anche l’anima e` lo specchio dell’armonia delle sfere ma cio` che noi sentiamo e` Orfeo, che con furore e malinconia, canta la sua musica umana. Agostino e` il primo ad accorgersi che non c’e` conoscenza aritmetica o geometrica che sia abbastanza forte da svelarci le 131

vere, eterne leggi dei numeri, quando questi si manifestano nella purezza della poesia, nelle inaudite combinazioni della musica. Per questo c’e` bisogno dell’appoggio dei sensi, di quella materia che si chiama ricordo, memoria. Corpo e anima sono le facce di una stessa arte e un solo dio, Apollo, possiede i segreti di medicina e musica, e il profeta Davide si racconta che abbia curato con la sua lira il corpo e l’anima di Saul. 386, nato a Tagaste in Numidia da famiglia latina, Agostino ha trentadue anni. La donna che gli ha dato il figlio Adeodato, un ragazzo che ormai ha quattordici anni, non e` in grado di allontanare i suoi tormenti. E` il mese di agosto quando a Milano inizia ad ascoltare le prediche di Ambrogio. Un passo di una lettera di S. Paolo, Romani 13,13, mette fine ad anni di ricerca e tormento. Agostino decide di abbracciare la fede cristiana. Si ritira a pochi chilometri dalla citta` e scrive i suoi primi dialoghi filosofici: De beata vita, De ordine, De musica... ‘‘Nel periodo in cui a Milano mi preparavo al battesimo ho cominciato anche a scrivere alcuni libri sulle discipline liberali. Mi ripromettevo cosı`, seguendo un ben articolato e graduale percorso, di giungere io stesso e di condurre gli altri alla conoscenza delle realta` incorporee passando attraverso quelle corporee’’. La fede non basta da sola, come non bastano i numeri, a farci salire ‘‘per cieli piu` liberi’’, ci vuole la conoscenza profana, la letteratura, la grammatica, la memoria, la sensazione. Il corpo non e` una punizione ne´ una prigione. ‘‘Se non avessimo nessuna passione, qualcosa nella vita sarebbe sbagliato’’ (De civitate dei), ricorda Matteo che in 6.21 dice: ‘‘ dove il piacere, lı` il tesoro; dove il cuore, lı` la felicita` o la miseria’’. La musica e` scienza laddove appartiene alla ragione, nel ritmo, nel numero, ma il canto degli uccelli e` natura. Cosa si puo` dire allora dell’imitazione o di quel puro talento di esseri musicali privi di cultura? Chi e` privo di scienza teorica non possiede l’arte? 132

E il numero? Il numero passando attraverso il ritmo della parola detta, diventa forma. E la forma e` il verbo, il pensiero stesso di Dio. Non c’e` che una contraddizione apparente in questo cammino ascensionale che attraverso tracce sensibili, porta il musico ‘‘alle sue stesse dimore, dove la musica e` spoglia di tutto cio` che e` corporeo’’. L’orecchio e` misura e liberta`. Il numero, ancora. Il numero e` misura, e la misura e` l’ordine delle cose, e` la forma, la correlatio, e perche´ non la bellezza? Eccolo il sogno di Agostino, creare, creare semplicemente possedendo i numeri, la formula matematica che governi cio` a cui intendiamo dare vita. ‘‘Non invano infatti si dice che l’abitudine e` quasi una seconda natura, come una natura artificiale. D’altra parte vediamo come i sensi per cosı` dire nuovi, resi idonei da un’abitudine a giudicare oggetti corporei di vario genere, muoiono per un’abitudine diversa’’. ‘‘Dateci una descrizione di qualsiasi comportamento umano e saremo capaci di simularlo con una macchina’’. In fondo e` solo una questione di numeri. E non di diritti? Una volta creato l’essere o la natura artificiale in grado di comportarsi come abbiamo stabilito, le offriremo gli stessi diritti di cittadinanza che concediamo a noi stessi? La questione a volte e` opposta. A quanti esseri umani concediamo gli stessi diritti che vengono offerti ad un automa? Un essere virtuale non e` piu` libero di agire di quanto lo sia un essere umano? Il replicante dispone di regole inaccessibili. Colui che possiede se stesso come misura dell’universo e` un pericolo che va tenuto sotto controllo.

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Interi schieramenti di forze tengono sotto osservazione le nostre citta`-prigione da cui i sogni sono fuggiti, dove non esistono tormenti, dove non cresce nessuna rosa da offrire ad un amico. La vita delle persone solitamente e` fatta di molte cose a volte, altre volte di nulla. Solo di rado c’e` chi abbia una vita fatta di poche cose. Si tratta di un tipo di essere umano che non si incontra quasi mai. Il molto appaga, il nulla appaga. Entrambe le condizioni soddisfano alle necessita` sociali. Il poco non appaga nessuno, non ti rende accetto in societa`, non accresce le tue quotazioni nel lavoro. Insomma, se hai una vita fatta di poche cose vieni guardato con sospetto. Il mondo non ama chi attende. O sei in perpetuo movimento o ti devi accontentare dell’immobilita` piu` assoluta. Rimpinzati da ore di spettacoli televisivi e da un interminabile elenco di necessita`, di solito veniamo considerati per il nostro incontrollabile bisogno di appartenere a tutto questo spettacolo idiota. Di tanto in tanto a qualcuno sorge il dubbio che la vita sia oltre il limite, ma gli viene chiaramente fatto intendere che dietro il confine non c’e` nulla, tentate di fare il giro del mondo e arriverete sull’abisso oltre il quale c’e` il vuoto. L’orizzonte e` un telo da circo, il mare e` quello di un set cinematografico. Chi ha il coraggio di tagliare la tela del dipinto e guardare il nulla? La questione vera e` il contrasto tra il virtuale e l’umano. Tra l’incorporeo e cio` che invece al mondo appartiene con pensieri, abitudini, sensi. Possedere il segreto di una vera e autentica natura artificiale e` il sogno dell’umanita`. E` un sogno grande, e` il sogno di Sant’Agostino. E la coscienza che l’incorporeo o il virtuale appartengono alla terra piu` dell’uomo stesso. ‘‘Da dove, ti prego, vengono queste cose, se non dal sommo ed eterno principio dei numeri, della similitudine, dell’uguaglianza, dell’ordine? Ma se toglierai queste cose dalla terra, non esistera` piu` nulla... I numeri razionali e intellettuali delle anime beate e sante trasmettono senza riceverla da una na134

tura intermedia, fino ai limiti della terra e degli inferi, la stessa legge di Dio, senza la quale non cade una foglia da un albero e per la quale i nostri capelli sono numerati’’.

*** Aprı` la porta di casa e fu accolto dalla sua musica preferita. Un sapore vago di antico con quel tanto di statico che esige il gusto del momento. Finalmente dopo una giornata spesa ad attraversare citta` e continenti la sensazione ferma e tranquillizzante della sua abitazione, stava entrando nell’ingresso. Da quando la moglie l’aveva abbandonato, il giorno di Natale dell’anno precedente, Joy viveva da solo. Non se n’era fatto un tormento, aveva sapientemente ripreso a frequentare il suo psicologo ed era riapparso nel firmamento dei singoli. Cene, tennis, piscina e qualche ragazza ogni tanto. La Nuova Esistenza offre ormai molti modi per sopravvivere ad un disastro. Soprattutto se si tratta di un disastro emozionale, i Sogni sono disponibili a poco prezzo e si puo` proiettarli sul video di casa propria senza neppure la fatica di premere un bottone. Si attivano automaticamente appena entri in casa. Hai sognato un’estate lunga e assolata nelle regioni del sud? Eccolo lı` il tuo sogno, realizzato in una serie di foto-ricordo di una vacanza che non c’e` stata. Sognavi ascensioni in montagna? Ecco le cime dove ti sei avventurato. Non c’e` quasi piu` nessuno che si azzardi a vivere la vita reale, e` pericoloso, affollato e ormai non ci vivono che gli esseri virtuali nella vita reale. Domestici virtuali. Sono loro che escono a fare la spesa, vanno per le strade dove nei negozi sono serviti da commessi ancora piu` virtuali. Nessuno spreco di energie lavorative umane. Esseri virtuali vanno al cinema, esseri virtuali fanno il cinema. Poco importa che oltre i confini ci sia un universo intero che non ha cinema, ne´ negozi, ma solo fame e guerre. 135

Non ci sono piu` musicisti. La musica che e` stata fatta e` tutta quella che era da fare. Ora i computer organizzano sinfonie personalizzate secondo i gusti di ognuno. Quindi non ci sono piu` sale da concerto, ne´ concerti. Nel giardino della sua casa Joy puo` ascoltare la sua musica preferita, sia che si tratti di un quartetto, sia di una canzone d’amore. ‘‘Non e` stupefacente?’’ chiede alla compagna della sua serata. La ragazza sorride senza rispondere. Non sempre si hanno gli stessi gusti in fatto di arte. Si sta sforzando di amare quell’uomo, ma l’amore calza ancora i sandali umani, ha bisogno di lacci, ha bisogno di terra su cui camminare. Anche Joy, sembra paradossale, non puo` far altro che pensare al passato per vedere un futuro al suo amore. Deve abbandonare questo senso di immateriale, queste forme modellate sui canoni del virtuale e tornare ai corpi di Fidia e Prassitele, ai profili di Picasso, ai colori di Gauguin. Ma lei non conosce l’arte greca e deve credere Picasso e Gauguin dei discreti illustratori di tazzine da caffe`. Joy si sta sforzando di amare la ragazza. Nulla avviene per caso. I circuiti dei computer sono ormai il modello a cui fa riferimento ogni essere umano, che non osa avventurarsi piu` dentro se stesso, ma solo nell’assolutamente oggettivo del cervello elettronico. Il grado di sensibilita` e` di molto attenuato rispetto al passato, siamo tutti dei super giocattoli di carne artificiale. Joy pensa alla moglie che se n’e` andata il giorno di Natale. Non sa ancora il perche´. Aveva vestito i panni della fuggitiva e si era allontanata. Lui l’aveva seguita per un pezzo. Alla fine, rientrando in casa si era accorto che prima di andarsene lei aveva cancellato dai circuiti automatici le proprie fotografie e ogni accenno alla sua presenza in casa. Cosı` ora a lui non restava piu` nulla. Un mondo senza possibilita` di memoria. Lui si era accanito sui ricordi, per un po’ aveva cercato di tenerli in vita. Ma non c’era nessuno che gli potesse venire in aiuto. Per il futuro, pensava, dovranno studiare modelli di vita in cui si possano trattenere i ricordi. 136

Neppure la musica e` in grado. Viene sempre composta nel presente, e non porta memorie. Joy ricordava il tempo in cui le canzoni erano intricate mappe di desideri e illusioni: Imagine of the people... Chi parlava piu` di pace adesso? C’era un mondo organizzato per non soffrire, e un mondo che era il ricettacolo di tutte le sofferenze. Quello organizzato per non soffrire aveva messo guardiani alle porte delle terre, custodi della sofferenza del mondo, perche´ non uscisse neppure un suono, ne´ un lamento. Le immagini televisive che di tanto in tanto si affacciavano ai terminali venivano opportunamente commentate da musiche adeguate, lacrimevoli o malinconiche, come se imperativo fosse il commento, non l’immagine. Lei se n’era andata. Il giorno di Natale. Eppure dovevano esserci dei guardiani in giro, ma quando Joy era tornato ad uscire tutti dissero di non averla veduta. Chi non sa vivere puo` solo morire, penso` Joy, e fu preso dal panico di averla perduta per sempre. Poi un giorno lei gli mando` una cartolina, la vide arrivare che era sera tardi, sullo schermo, insieme ad altri messaggi. Non sapeva da dove lei l’avesse spedita, il paesaggio ritratto avrebbe potuto essere dovunque, era un paesaggio invernale. Joy sentı` freddo. Da qualche parte del mondo doveva essere viva. Chissa` se era viva. Aveva incontrato Monica in un centro specializzato in matrimoni virtuali. La moglie che desideri, i gusti, i capelli, il portamento che desideri. L’eta` piu` o meno e` sempre la stessa, sui venticinque anni. Tu la descrivi e poi te la fanno incontrare. Inutile spendere tempo in altre piccolezze, fiori o scarpe che siano. Non e` una domestica virtuale, e` una perfetta moglie, coniugata sul tuo codice genetico. In Monica doveva esserci un errore. Allora il giorno di Natale Joy era andato al computer per controllare quali fossero i dati che aveva immesso prima che gli facessero incontrare Mo137

nica. Non la conosceva ancora, l’aveva solo descritta. Non troppo alta, bionda, capelli alle spalle, incline alla malinconia, e tutta una lunga serie di qualita` e difetti accuratamente selezionati. L’aveva sposata e per l’occasione si erano incontrati anche i genitori. Poi non si era piu` fatto domande. Era felice. Una discreta colonna sonora aveva accompagnato il loro breve e non intenso matrimonio. Joy non riusciva a trovare un errore. Eppure tra di loro qualcosa c’era che non andava. Monica non era capace di parlare. Taceva quasi sempre. Era gentile, dolce, ma taceva. Il gusto della parola era sparito da lei quasi subito. Quando Joy rientrava a casa non gli raccontava mai nulla, si limitava a stargli vicino, ad ascoltare con lui le notizie. Qualche volta uscivano a cena, altre rimanevano a casa a vedere qualche film, o ad ascoltare della musica. Ho sposato un automa, diceva Joy a se stesso. E pensava che affinita` di gusti, eleganza e bellezza erano assai poca cosa nel vuoto delle persone. Cioe` quando non c’era una persona a tenerle insieme. Ho sposato un automa, pensava Monica che per un discreto periodo di tempo aveva cercato l’uomo della sua vita sommando una serie infinita di qualita` e assenza di difetti. Poi digito` sul computer della sua stanza la parola Sogni. E sogno` di andarsene il giorno di Natale, in un bianco inverno, lasciando le proprie orme sul terreno.

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L’ATTRICE

L’attrice aveva detto all’uomo: Venite da me dopo lo spettacolo. L’uomo ando`. C’era molta gente che affollava il camerino della donna. Lo spettacolo aveva avuto successo e tutti erano venuti lı` a festeggiarla. L’uomo non osava avvicinarsi perche´ temeva di essere inopportuno, dentro di se´ era sicuro che lei si fosse dimenticata di averlo invitato. Pero` lei lo sorprese. Ad un tratto uscı` sorridente, lancio` uno sguardo sopra le teste e riuscı` a scovare l’uomo nel suo angolo. Pronuncio` il suo nome e lui si avvio` lentamente tra la folla che gli fece largo. Lei l’aveva smascherato. Possedeva quello che lui non aveva, l’audacia nei sentimenti. Cosı` com’era, senza sollevare gli occhi, l’uomo entro` attraverso la porta ancora affollata e la richiuse dietro di se´. Era stata una promessa a portarlo lı` dentro e lui se l’era gia` dimenticato. Sono stata una bambina povera. In casa non c’era da mangiare allora io scappavo e andavo a giocare da un mio amichetto. La sua famiglia non era povera come la nostra e dalle mani di sua madre spesso scivolava qualche panino che io raccoglievo e mangiavo. Si divertivano a vedermi mangiare con quella fame e credo che ad un certo punto la madre abbia cominciato a farlo apposta. A me non importava un granche´. 139

Anzi, un giorno ebbi il coraggio di chiedere al mio amico se non ci fosse per caso anche una mela. La mela arrivo` e io la tenni tra le mani, ne assaporai il profumo aspro e leggero. Poi la infilai in tasca e di tanto in tanto la sfioravo convinta che non fosse reale. Prima che svanisse corsi a casa a mangiarla. Anni dopo a riportarmi il profumo di mela fu la lettera di un amante. Tenevo in tasca anche quella, per leggerla ogni volta che mi fosse venuto in mente. Venne il momento in cui misi la mano in tasca e non la trovai piu`. Fino ad un istante prima la lettera era lı` e poi se n’era andata. Impossibile averla buttata via, assolutamente improbabile averla perduta. A forza di circostanze improbabili divenne probabile che non l’avessi mai ricevuta. Allora per liberarmi da quell’ipotesi mi misi a tavolino e la riscrissi parola per parola. Torno` ad essere vera, ma ero io ad averla scritta. L’avevo copiata, cosı` com’era nella mia mente, e non faticai a ricordare ogni dettaglio. Avrei dovuto fare come per la mela. Mangiarla. Almeno l’avrei tenuta dentro e avrei saputo che c’era. Invece le parole sono ancora lı`, impresse sul foglio con la mia scrittura. L’eventualita` che lui le abbia tracciate davvero quelle parole si fa sempre piu` remota ed io vivo con il fantasma di un amante inventato. E` il mestiere di attrice, dite voi. E` vero, da attrice copio, riproduco, ritraggo, vite inventate, vite di altri. E` come se una mattina d’inverno vedeste che nel vostro giardino si e` deposta una soffice coperta di neve. Ci sono delle impronte, ma non sono vostre. Appartengono ad un altro piede, hanno un’altra storia. Provo a seguirle. Sulla neve del giorno di Natale io trovo le impronte di una donna. Non la conosco. La donna non vuole farsi conoscere, ma qualcosa mi dice che fugge perche´ lı` dove abita nessuno la conosce. Seguendo i 140

suoi passi cammino come un automa. Il mondo ama gli automi, gli uomini amano gli automi. Costruirsi una bambola docile e sorridente e` il sogno di ogni uomo. Stavo per dire di ogni uomo romantico, ma poi e` vero che anche negli altri secoli gli uomini sognano che donne e automi si somiglino in maniera perfetta. La donna cammina. La donna e` un automa. Pensa? Ha memoria di qualcosa? Ama? C’e` qualcuno a cui voi siete unita in questo momento? Ci siete voi, vi sto parlando. Andiamo avanti. La fame e` una bella cosa e non bisognerebbe mai perderla. Pero` chi e` affamato e` prigioniero e anche io lo sono, lo sono della mia fame, della mia sete, della mia ragione e del mio istinto. Per questo e` gradevole la vita di teatro, si trova sempre una nuova parte, un nuovo piatto di minestra con cui saziare la tua fame. Credo, dite voi. Ma c’e` qualcosa oltre questo? Certo, c’e` il momento in cui il mondo si compone. E` l’attimo che sta tra noi e le parole. Dovete sapere che esiste un istante, un istante solo, che pero` e` anche assolutamente unico e diverso in tutto l’intero mare di istanti in cui nuota la nostra vita. E` l’istante in cui lanci la lenza per agganciare l’espressione. Quello e`. La realta` non esiste che quando, vista da te, ha bisogno delle tue parole per durare. E` il momento in cui il pittore lascia cadere il pennello per scegliere il colore. Il momento in cui il musicista riconosce la strada che conduce ad una modulazione. Il momento in cui lo scultore sceglie la sua pietra. Questo quello che faccio. Inseguo. Dentro di me ancora non ho trovato i colori per dipingere il mio quadro. Cio` che non e` pronunciato pesa, mentre la parola e` leggera. 141

Gli uomini sono stanchi perche´ i fatti non dicono nulla se non ci sono parole a raccontarli e a descriverli. I fatti da soli sono pesanti come pietre e scagliati addosso agli altri fanno male. I fatti occupano la nostra mente e la saziano. Sono duri. Le parole invece sono leggere, volano via, Sotto la loro nitida superficie i duri fatti nascondono una tenebra che piglia alla gola. La parola non raggiunge piu` la cosa, dite voi, perche´ e` stanca. La parola e` lieve e raggiunge velocemente gli oggetti e il cuore, dico io. La parola non abusa, la parola non e` stanca. La parola e` leggera e fugge, valica i confini e il tempo. La parola plasma il tempo e i nostri corpi, restituisce sogni e giovinezza, porta i profumi dell’aria e la calma dentro lo spirito inquieto. Non conosco spirito per travagliato che sia che non venga domato dalla parola. Non dite che la parola non significa, la parola significa piu` di qualsiasi cosa al mondo. Cio` che viene innalzato oltre la parola non esiste. La parola somiglia alla musica. Anche chi parla compone, ed e` lı` il suo segreto. Lasciate stare il fatto che la maggior parte della gente preferisce musica e parole dozzinali, io vi dico: e` con la tela del vostro discorso che catturate il vostro avversario o la vostra amante. Le parole dell’uomo sono come orme, orme del suo essere, orme del suo divenire. Chissa` se vi piace quello che sto dicendo? Si creano mondi con le parole come si creano mondi con il ricordo, ma la parola non scivola a valle imprudente e irragio142

nevole come i ricordi, la parola costruisce una tela, una storia, sta distante da chi la racconta. Ecco, sı`. La parola nasce distante. La parola non sta appiccicata all’oggetto, ne´ questo se ne va in giro portandosi il cartellino al collo come uno schiavo romano. Voi domandate: Prima c’era l’oggetto e poi la parola, o viceversa? Non so, so che essa e` il fascio di luce che illumina la cosa. E` cosı` che i frammenti del mondo si ricompongono. Non sono stanca delle parole. La gente che ogni sera entra in teatro conosce mille modi di intendere e di vedere, seduta nella poltrona raggiunge universi che piu` tardi sembreranno irragiungibili. Nella parola chi non ha mai vissuto vive. Chi non ha mai amato ama, chi non ha mai viaggiato viaggia. Piccoli uomini nella parola diventano eroi, provano sentimenti grandi, vedono abissi e terrori dai quali la loro tiepida vita li tiene rispettosamente lontani. Poi, con gli applausi tutto svanisce. La tensione scema, l’ardore si raffredda e tutto torna come prima. Nel buio della sala, la parola leggera porta tutti quanti a casa, a dormire su soffici cuscini. Per una volta al di sopra di se stessi. Perche´ avete detto la distanza? Esiste davvero la parola che sa colmare una distanza? Nell’antico Egitto si sa che esistevano parole che possedevano un doppio significato. Non solo un doppio senso, ma un senso di segno opposto. La stessa parola poteva significare caldo e freddo, luce e buio, coraggio e paura. Eppure l’Egitto fu uno dei primi luoghi della terra ove si mostro` luminosa e felice la ragione umana. 143

Che cos’e`, dite voi, che puo` incatenare il mutevole se la lingua stessa si pone come definizione della distanza, di cio` che contrasta, di cio` che non esiste se non come opposizione? La cosa in fondo, e non ve lo dico per rassicurarvi, non e` tanto distante da cio` che avviene oggi: kalt e caldo, nella lingua tedesca e in quella italiana, significano i due opposti concetti di freddo e caldo. Cio` che per noi oggi si compie in due lingue diverse per gli egizi avveniva in un solo ideogramma. Semplicemente la lingua egizia si prendeva un lusso che noi oggi considereremmo un pericolo, accettiamo il doppio significato, ma in mezzo abbiamo bisogno di un confine. Al di qua e al di la` della sottile linea tracciata da qualche sussiegoso diplomatico, chiuso nella sua stanza con caminetto o aria condizionata, caldo vuol dire caldo e kalt vuol dire freddo. Sulla linea di quel confine, dove di solito non si conosce che il freddo, anche il caldo diventa gelato. Quell’ideogramma allora si trova in mezzo, tra noi e la cosa, come la sensazione, come le onde di calore o i brividi di freddo che percorrono la pelle. Cio` che io sto dicendo e` che sento qualcosa, c’e` qualcosa che come un brivido corre dentro il mio sangue e porta una sensazione al cervello, io te lo voglio comunicare per cui uso quelle parole e ti dico. Ma tu sei il mio linguaggio allo stesso modo in cui lo sono io. Sono io a dire qualcosa, ma sta a te sentire, decifrare, se dico caldo o se dico freddo. Sei tu che devi captare il senso in cui va la mia parola. Quando incontrai le orme della donna il giorno di Natale mi chiesi se avesse un corpo, se era giovane oppure vecchia. Mi chinai su quelle orme come se avessero potuto comunicarmi una vita che in esse non vedevo. Se avessi incontrato quella persona mentre camminava sulla neve certo l’avrei vista venirmi incontro, non avrei fatto caso alle sue orme, cio` che doveva comunicarmi l’avrei appreso dal suo passo, dall’andatura, dalla fretta. Che, a proposito, in inglese si dice hurry, mentre ruhe in 144

tedesco significa calma. Un giochetto da bambini, semplice inversione fonetica, le sillabe pronunciate al contrario. Quella donna ora esiste solo nella nostra mente, nell’idea che noi ci siamo fatti di lei. Non abbiamo fotografie che la ritraggano, non abbiamo nulla di lei se non i segni di un suo passaggio. Che di sicuro rimarranno piu` a lungo nella nostra memoria che sul terreno. Il sentire e` dunque cio` in cui si concatenano tutte le cose. E` una sintassi diversa, dobbiamo ragionare su altro, ma so che se continuo a parlare lei continua ad esistere, anche se nessuno di noi l’ha mai veduta. Come la lettera del mio amante. Scritta per me. Scritta da chi? Un’ultima cosa, dite. Ci sono due concetti fondamentali nel vostro racconto: la distanza e la scrittura per altra mano. Di chi e` il possesso?

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INCOMPIUTA

Non so se io sia da ritenere un uomo fortunato oppure no, per alcuni sicuramente lo sono, se la fama e` anche la fortuna. La notorieta` a me non significa nulla, avrei preferito veder dimenticato il mio nome, dimenticato da tutti. Allora sı` che sarei stato felice. Chi ha mai detto che un uomo se e` dimenticato da tutti non puo` essere felice. Felicissimo puo` essere, lo dico io, e non lo dico cosı` a casaccio, lo dico perche´ lo so, sono stato felice, solo, potente, immenso. Solo, solo per trent’anni. Quindi a questi signori che mi ritengono privilegiato perche´ il mio nome ha sfondato le porte della storia io dico che si sbagliano. La fortuna e` il possesso. Il possesso e` la fortuna. E l’astuzia fu il mio capolavoro, anche se involontario, devo ammetterlo. Ormai piu` nessuno viene da me a chiedere che cosa e` successo e come e` andata. Anzi devo dire che nessuno mi ha mai chiesto niente. Proprio niente. Mai. La verita` e` semplice, come tutte le verita`. E anche assurda, come e` normale immaginarsi. Mi hanno definito un uomo ridicolo, altri hanno detto che sono un pazzo, altri ancora che sono un ladro. Ora vedo che 146

avete preso tutti posto dinnanzi a me. Quelli che hanno detto ridicolo... ecco, siete voi, lı` alla mia destra. Di fronte ci siete voi che mi avete dato del ladro, a sinistra chi ha riconosciuto in me un pazzo. Proprio bella questa compagnia! La verita`, gia`. Ho detto che avrei raccontato la storia. Ma sono passati tanti anni e io non sono piu` quello di una volta. Nessuno di noi amici e` piu` quello di una volta, anche a guardarci in faccia non siamo piu` gli stessi. Pero` questa e` una cosa che accade raramente, di vederci intendo, tra di noi non ci si incontra quasi piu`. Se ripenso a quei giorni, quelli appena dopo il funerale di Franz, mi pare di poter tornare con facilita`. Il passato e` appena un passo indietro. Ti fermi, lasci che gli ansiosi ti passino davanti e tu impercettibilmente indietreggi. Di un solco appena, un piccolo solco e la storia viene avanti da se´. Che triste giorno quello del funerale. Pioveva, pioveva, e in quel silenzio sentivo solo la pioggia. Era insistente, continuava a picchiare sul carro. Vicino a me non c’era altro che questa pioggia, vicino a me non c’era nulla, ero solo. Solo con quel rumore assordante che mi faceva impazzire. Cercavo di voltare la testa da un lato, cosı` mi sembrava di sentire di meno quel rumore. Non so perche´ voltando la testa da un lato lo sentivo di meno. A volte ancora oggi cammino cosı`, con il capo inclinato e davanti agli occhi un orizzonte preso a sghimbescio. Mi fermo e aspetto che il passato mi torni dinnanzi, ma quelli che arrivano sono personaggi di cui non ricordo piu` nulla, il volto mi suggerisce qualcosa, so che ho avuto a che fare con loro, ma non trovo il modo di richiamarlo alla mente. Eppure poco tempo fa in citta` e` arrivato qualcuno che voleva assolutamente farmi ricordare, raccontare. Ha cominciato in sordina, con delle lettere. Alle prime non ho risposto. Poi, non so con quale ardire, ha cominciato a farsi insistente. Tutti i giorni veniva a casa mia un postino con una nuova richiesta. Alla fine gli ho risposto di non farsi piu` sentire, perche´ mi metteva in confusione e piu` confusione faceva meno 147

riuscivo a ricordare. Cosı` gli ho risposto e gli ho anche detto che se mi avesse lasciato in pace gli avrei scritto io non appena mi fosse venuto in mente qualcosa. In verita` non avevo nessuna intenzione di scrivergli e non lo feci. Deve essere questo ad avergli messo il sospetto che io nascondessi qualcosa... Gia`, la storia... Vedo fin da ora le vostre facce assetate. Ma non pensate che io abbia qualcosa di succoso da rivelare. Strano, la gente si aspetta sempre di trovare chissa` che nel cuore del prossimo. Fate pure, nel mio non c’e` un bel niente che possa interessarvi. Niente che possa attizzare la vostra fantasia. Fate pure, venite dentro. Il mio cuore e` un posto tacito, dove nulla appare diverso da quello che e`. Ci sono poche cose, tutte poggiate lı` da sempre, non e` mai entrata una folata di vento. Nessuna passione a portare scompiglio, nessun ordine a creare dimensioni nuove. Il mio cuore non e` uno spazio che si allarga a volonta`. Cosı` e` e cosı` resta. Non e` neppure una prigione e io confesso che dentro ci sto ben poco. Non che non trovi nel mio cuore la calma necessaria al riposo, ma non mi piace star dentro a quel silenzio. Il mio cuore e` come una tomba, nessuno parla, e io non riconosco neppure me stesso. Non posseggo specchi perche´ non mi piace guardarmi, lo so da me come sono. E adesso lo saprete anche voi. Vi siete sbagliati se siete venuti qui come ad un teatro. Infatti sembrate proprio a teatro, cosı` seduti davanti a me con gli occhi sbarrati. Volete carpirmi qualcosa a tradimento, sperate che io mostri segni di un qualche cedimento? Confessate che sarebbe un sollievo se io finalmente dessi segni di squilibrio, facessi mostra di cadere sconsideratamente in eccessi. Cosı` la smettereste di chiedere, di ansimare per una risposta alla questione dei secoli. Brucia talmente nei vostri occhi la domanda che non mi sento neppure di pronunciare le parole. Temo di rendervi ciechi per sempre. A pensarci bene non sarebbe un male. Non c’e` proprio un bel niente da vedere. 148

Non saprei raccontarvi neppure com’e` sceso l’inverno, quest’anno. Pero` invecchiando il freddo si sente, non come a quel tempo, quando c’eravamo ancora tutti. L’inverno c’era eccome, ma non lo sentivo, ne´ io ne´ gli altri. Ora fa talmente freddo... C’erano altri modi di risolvere la questione, forse? Ce ne sono sempre infiniti, dipende dalle persone. Ma per me ce n’erano? Questa macchia nera che ora si proietta sul mio spirito non era nulla al principio, era solo un manoscritto. Un semplice manoscritto come ne avevo visti tanti, come ne vedevo tutti i giorni. Ero un copista, l’avevate dimenticato? E non c’era nessuna stranezza nel ricevere un manoscritto. Come sempre, come tutte le volte, ero entrato in possesso di un manoscritto di Franz. Cosa avrei dovuto farne? Mi stavo accingendo a copiarlo, quando lui mi ha detto di lasciar perdere. Lo dovevo solo tenere, e poi lui ci avrebbe ripensato. Cosı` mi ha detto. Si trattava di una sinfonia, un principio di sinfonia. Doveva ancora aggiungere uno scherzo ed un finale. Me l’ha detto lui, queste sono le sue parole, tienila da parte. E voi al posto mio? Vi sareste comportati come me oppure no? Quindi io – come potrei credere che avreste fatto anche voi – la misi lı`, insieme agli altri manoscritti. La differenza e` che quella non la ricopiai. Non l’aveva terminata, era normale. La dovevo semplicemente conservare. Un gesto come quelli che tutti compiamo ogni giorno: l’ho messa da parte. Poi morı`, e le cose rimasero al punto in cui erano. La misi in un baule e non mi sembra di averne fatto altro, visto che l’avete trovata ancora la` dove l’avevo messa il primo giorno. O meglio l’ultimo, quando quella pioggia insistente mi aveva fatto quasi perdere la ragione. No, voi non vi sareste comportati come me. Ve lo vedo dipinto in viso. Io riconosco le persone e distinguo benissimo che tra voi c’e`... ce n’e` almeno uno che l’avrebbe tenuta nascosta, ma non come ho fatto io. L’avrebbe nascosta bene. Si sarebbe 149

fatto costruire una stanza apposta e poi ne avrebbe fatto un suo museo personale. Tutta la vita l’avrebbe trascorsa all’ombra di questo manoscritto. E` vero, anche nel mio cuore c’e` ombra, ma io non sono un uomo per l’ombra. Io sto nell’ombra. Altri avrebbero pianto, sgobbato e sofferto come se quel manoscritto fosse un maleficio, capace di stregare l’esistenza delle persone cui cadeva in mano. Qualcuno se ne sarebbe sbarazzato senza pensarci su troppo, altri l’avrebbero sfogliato e ne avrebbero venduto una pagina alla volta, a decine di ricchi collezionisti venuti da chissa` dove. No. Non vedo proprio perche´ avrei dovuto dare a qualcuno il manoscritto dato che ero io il custode dei suoi lavori. Quindi perche´ tanto putiferio quando dopo trent’anni quello sfacciato venuto in casa mia annuncio` al mondo con la grancassa che aveva trovato una sinfonia di cui nessuno sapeva nulla. Una vera, autentica sinfonia di Schubert. Di cui nessuno sapeva nulla. Questo lo credeva lui. Io di quella sinfonia sapevo tutto. Mi pulsava nel cuore dal momento in cui Franz me l’aveva data. E quel tale, dopo averle affibbiato l’appellativo di Incompiuta, mi accuso`, mi accuso` di averla tenuta nascosta. Di averla rubata. Io quella sinfonia non la dovevo dare proprio a nessuno. Non ero io ad aver sempre difeso e diffuso ogni nota che Franz mi aveva consegnato? Ma a questo punto nessuno gia` mi ascolta piu`. Hanno chiamato studiosi e interpreti a indagare quel manoscritto. Se ne sono dette di follie... Qualcuno ha avuto la sfrontatezza di pensare che avrei lasciato passare il tempo per poi dare in pasto alle folle quella musica. Dissero che volevo spacciarla per mia. Ma questa e` un’accusa che si sfalda da sola. E non ho neppure bisogno di spiegare il perche´. Innanzitutto per spacciarsi come l’autore di una cosa simile, bisogna essere o un puro folle 150

o semplicemente si dovrebbe essere lui, Franz. E io non sono nessuna delle due cose. Doveva ancora aggiungere uno scherzo ed un finale, l’aveva detto a me. Che cosa avrei dovuto fare? Non l’aveva finita. Si era messo a scrivere come un pazzo, per giorni, senza mangiare, senza dormire, senza alzare gli occhi dal foglio e poi aveva scoperto che a parlare era qualcuno che stava dentro di lui, ma non era lui. Una voce sgradevole, che diceva cose che Franz non avrebbe voluto sentire. Quindi fu per quel motivo che la lascio` da parte. Il possesso a volte somiglia ad una tazza di caffe´, quando lo prendi per sorseggiarlo ti si scaldano le mani. Non potete credere quante volte io mi sono scaldato le mani sfogliando quel manoscritto. Sentivo la mia vita scorrere in quella musica, sentivo il passare dei giorni. Era quasi un incantesimo. Come se io avessi posseduto uno specchio dove ogni mattina mi guardavo e non rifletteva altro che la mia immagine di ragazzo. Uno specchio su cui i segni del tempo non avevano alcun potere. La mia pelle era rosea e tesa, gli occhi di un bel colore azzurro. Mi tornava persino la vista a guardarmi in quello specchio. Io che la vista l’avevo persa notte dopo notte mentre copiavo la musica di Franz. I giorni scorrevano come un fiume dopo la pioggia, ma scorrevano verso la fonte. Ogni mattina assaporavo il gusto fresco dell’acqua di montagna. Tutti avvertiamo i giorni passare, e ogni alba e` un passo oltre, verso l’abisso. Giu`, giu`, nell’indistinto, crediamo di andare. Accade anche a me, adesso, ma non mi e` mai successo finche´ tenevo in mano il manoscritto di quella sinfonia che Franz non aveva portato a termine. Io salivo, salivo verso la fonte... A tutti aveva regalato musica, a me aveva regalato giovinezza. Ero convinto che un giorno o l’altro sarebbe tornato per finirla, e la tenevo lı` per questo. Aprivo il manoscritto, lo mettevo sul tavolo, mi mettevo a canticchiare. 151

Nessuno sa che cosa avrei fatto io per far tornare il mio amico. Tutto avrei fatto, io che avevo ricucito i pezzi della sua vita uno ad uno per anni. Franz – tutti lo sanno – amava la compagnia, ma non si lasciava mai andare a confidenze, se non con i suoi compagni piu` stretti. A me non aveva mai detto nulla, perche´ con me non si confidava volentieri. Pero` avevo capito che negli ultimi tempi aveva cominciato a sentire dentro di se´ un fantasma, che gli diceva cose di cui lui non voleva sapere. Quel fantasma dovette apparirgli anche sul letto di morte. E non gli toglieva gli occhi di dosso. L’ho visto io stesso quando ha cercato di spingerlo via con la mano, il fantasma che si chinava sul suo letto. Io non vedevo nessuno, solo il muro, e mi parve per un attimo che egli ci si poggiasse esausto. Non credo che mi disprezzasse, ma non sono neppure sicuro che cio` che provava per me fosse della stima. Eppure io sono stato capace, ed e` questo il mio gesto, quello che voi non potete capire, io sono stato capace di scegliere la via migliore per quella sua sinfonia che amava tanto e che non finı` mai. Conservandola io trattenni intatta la sostanza della sua immaginazione, cio` che si sarebbe potuto dissolvere subito all’istante, rimase da me preservato in tutta la luce che possiede una creazione artistica. Con me era viva, Schubert avrebbe potuto – se mai fossero possibili queste cose – tornare e metterci mano. Sedersi e come aveva fatto allora scrivere, scrivere, e scrivere, senza mai dover rispondere al mondo della propria morte. Conoscevo bene la sua coscienza e a tratti avevo anche avuto la fortuna di osservare la sua anima, per cui io so che per lui il mio comportamento e` stato assolutamente naturale. Non fui ne´ sconcertato, ne´ turbato, ne´ ossessionato, queste sono cose che accadono solo alle persone prive di fantasia. Coloro che non hanno ‘‘porte sul retro’’, nessuna capacita` di scivolare oltre il muro.

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L’UOMO ALBERO Da qualche tempo si dice a Vienna che un uomo sia sfuggito alla citta` e sia andato a vivere nel bosco. E nel bosco – si dice ancora – quell’uomo e` diventato un albero. Allora mi sono messo in cammino e ho seguito le sue tracce. Ho dovuto faticare parecchio perche´ di questi tempi la gente non ama quelli che vogliono mettere radici, quindi non amano neppure parlarne. Alla fine ce l’ho fatta. Nella foresta in cui gli uomini sono alberi regna un silenzio irreale. Si sa che gli alberi non parlano, hanno dimenticato il linguaggio degli uomini, si limitano a respirare e a vivere. Il privilegio della parola e` rimasto alle ombre che talvolta con voce sommessa si lasciano sfuggire brandelli di storia passata. Cosı` camminando lentamente nel bosco degli uomini albero ho sentito venire a galla le loro storie, pezzetti di storie. Com’e` che siete diventati alberi? Una volta chiuso dietro di se´ il recinto dell’esistenza di tutti i giorni si va avanti con facilita` , curiosi dei passi di chi ci ha preceduto, racconta qualcuno. Perche´ molti sono passati di qui, ma per loro il tempo e` tornato indietro e la citta` ha riaperto loro le porte. Se pero` il tempo continua a scorrerti in avanti allora procedi finche´ ti lasci tutto alle spalle. Per me e` stata una fuga, una fuga a perdifiato. Non ho visto ne´ sentito nulla finche´ non mi sono trovato qui, con le nuvole che mi scorrono tra i rami e chilometri di azzurro piu` vasti 153

di oceani. Lontano da quella casa dove eravamo in troppi e dove marcivo ogni giorno di piu` (non fu un matrimonio fallito, me ne andai molto prima). Presi a marcire in un giorno d’estate, non perche´ facesse caldo, ma perche´ mio padre si era ammalato. Fuggii nel luglio dell’anno dopo. Da un anno intero non lasciavo piu` la casa: il mio compito era sorvegliare la malattia di mio padre, un uomo che detestavo. I miei fratelli sorvegliavano il mio sorvegliare, mia madre sorvegliava il mio sorvegliare. Fuggi per togliermi dalla pelle quell’odore di morte che sentivo da un anno, la morte di un essere che odiavo. Incanto, gusto, interesse, piacere, avevo perso tutto. Ero una donna arrendevole, dicevano, infatti non mi sono arresa finche´ non fui qui. Qui sento le radici affondare nella terra, le mie radici sono piene di terra. La terra e` piena di radici mie e io respiro dal fango che mi da` la vita. So che non me ne andro` mai piu`, conservo la memoria per questo. Com’e` che si cambia la forma? A bordo eravamo quattro amici. Improvvisamente sentimmo che era cambiato qualcosa, ma per molto tempo non dicemmo nulla. Non e` facile prendere una persona, fosse anche il tuo piu` caro amico e dirgli che ti senti crescere dentro un albero. Tanto piu` se sei un marinaio. Noi marinai siamo l’orgoglio e l’esempio di questa societa` che impone a chiunque di non avere radici. Noi non abbiamo casa, non abbiamo moglie, non possiamo mettere radici nell’acqua. Siamo in un luogo e dappertutto. Facciamo il giro del mondo ogni tre mesi, solitamente. Quindi decisi di andarmene da solo, senza spiegare nulla ai miei amici, neppure al piu` caro tra loro: il capitano. Dissi semplicemente che ero stanco di quella vita. Il giorno dopo, guardandomi scendere dalla nave, il mio amico mi parve eretto piu` del solito, assunse un’aria di congedo, ma non pronuncio` le solite frasi. Mi chiese soltanto: 154

‘‘E` lontano?’’. ‘‘Cosa?’’. ‘‘La foresta dove stai andando’’. Il tronco era gia` forte dentro di lui. ‘‘Molto, e` il cuore del mondo’’. Le ombre degli alberi mi affidano una storia. Un uomo si sentı` crescere le radici mentre camminava. Un passo dopo l’altro i suoi piedi faticavano sempre di piu` a muoversi dal terreno. Il figlio lo chiamava, perche´ la madre li stava aspettando. Lui stentava a raggiungerlo, anzi ad ogni passo sempre piu` terreno si sollevava insieme ai suoi piedi, sotto crescevano le radici e subito si infilavano nella terra. Il selciato non era un ostacolo, si infilavano tra le pietre ed era sempre piu` difficile alzare i piedi. Allora per prendere fiato si fermo` nel cortile di casa e di lı` non si mosse piu`. Era un albero ormai ed era al centro del cortile di casa sua. Il giorno dopo tutti si chiesero cosa ci facesse lı` quell’albero che il giorno prima non c’era. Chi l’aveva portato? Perche´ l’avevano piantato? Non sapevano forse che era vietato dalla Polizia Urbana tenere alberi in cortile. Gli alberi chiedono troppa manutenzione e in un mondo che non vuole radici sono un pessimo esempio. Era un commesso viaggiatore. Aveva sempre il telefonino in mano, treni e aerei erano la sua pista quotidiana, si svegliava sempre in un albergo diverso e mai accanto alla moglie. Ora finalmente aveva trovato cio` che desiderava da anni. Vedeva suo figlio tutte le mattine andare a scuola e il pomeriggio giocare al pallone con gli amici. Quando si sedeva sotto le sue foglie per riposarsi poteva sentirne il respiro come quando era neonato, nei pochi minuti in cui l’aveva tenuto in braccio. Piu` grande il ragazzo prese ad appoggiare la bici al tronco ogni volta che rincasava finche´ un giorno porto` una ragazza e si sedette all’ombra di suo padre insieme con lei. 155

Gli alberi non muoiono tanto in fretta, forse potro` vedere i suoi figli, penso` l’uomo albero. I giorni immediatamente seguenti alla trasformazione la moglie aveva pianto e l’aveva cercato per un po’. Poi aveva smesso di cercarlo e non ne parlava mai con nessuno. Mi sono goduto l’amore di mia moglie senza il surrogato del possesso, penso` l’uomo che ora si sentiva unito a lei pur ad una siderale distanza, come una stella all’occhio che la osserva. ‘‘Sei stato egoista’’, dico. ‘‘Forse, ma la verita` e` che mi hanno amato piu` come albero che come padre e marito’’. Tutto questo prima che venissero informati quelli della Polizia Urbana, che arrivarono in compagnia di alti funzionari dell’Arredo Civile e lo sradicarono da terra e ristrutturarono il cortile secondo le Nuove Indicazioni per la citta`. Ora anche quest’albero appartiene alla foresta. Per far carriera nel mondo non bisogna regolarsi con le stagioni. Non si puo` desiderare riposo, a meno che non sia quello approvato, che ti prepara a nuove e piu` grandi aspirazioni. Il mondo corre e non puo` aspettare che tu perda il tuo tempo nella lentezza, magari a riposare. Un uomo che va in pezzi e` un pessimo esempio per la societa` delle comunicazioni interplanetarie. Potrebbe gettare discredito su tutto il pianeta e la nostra terra verrebbe abbandonata dagli investimenti galattici per un periodo indeterminato. Eppure sempre piu` uomini vanno in pezzi. A volte la mattina si trovano mucchi di uomini agli angoli delle strade. La Polizia li ha presi su durante la notte chissa` dove e li raccoglie lı` prima di portarli via. Ora e` una stagione propizia e niente deve essere lasciato al caso. Nella mia passeggiata tra gli uomini albero comincio a temere di essere visto e raccolto dai funzionari dell’Arredo Urbano che non tollerano si vada a spasso nelle ore mattutine. Ogni ora del giorno e` destinata al lavoro. Chi non produce puo` anche farsi trovare a pezzi all’angolo della strada durante la notte, ma non andarsene a spasso come se niente fosse. 156

Scoperto e immediatamente bandito come individuo pericoloso, ho stivali sporchi di fango e questo e` proibito in ogni ora del giorno. ‘‘Hai i soldi per la multa?’’. ‘‘No’’. Gia`, chi va a spasso la mattina non ha soldi per le multe, di solito non ha soldi per nulla e se ha una moglie da mantenere forse e` lı` per scordarsela. Seduto all’ombra dell’albero-capitano ho sognato che mi crescevano le radici. ‘‘Questo, caro mio, e` impossibile’’, si affretta a dirmi un amico. Seduto al capezzale di quell’uomo che quasi non sono piu` si affretta a trasformarmi in quello che avrei dovuto essere. ‘‘Perfetto’’, dice infilandomi un cappello in testa. ‘‘Dove sono i miei rami, le mie foglie?’’ chiedo. ‘‘Ti sta che e` una meraviglia, un uomo come si deve non va in giro senza cappello’’. Ieri hanno trovato un uomo per strada senza cappello. Quelli della Prevenzione Desideri hanno pensato che volesse anche lui trasformarsi in ricettacolo di nidi d’uccello e l’hanno rinchiuso in prigione. ‘‘Per quanto?’’. ‘‘Anche tutta la vita. Lo sanno tutti che non e` consentito. E` come andarsene in giro ascoltando musica. E` vietato, anche se si tratta solo di uccelli. Nessuno presta attenzione al canto degli uccelli, o almeno non dovrebbe farlo’’. Questo dovro` tenerlo a mente. L’opera di riconversione e` appena iniziata. L’amico mi presenta un paio di pantaloni perfettamente intonati a giacca e camicia da Lavoratore Anonimo. Tutti perfettamente uguali, e` questo che rende felici noi uomini. ‘‘Lascia che ti cambi la biancheria’’. Ecco ora che sono vestito ho un aspetto piu` che accettabile. Qualsiasi persona potrebbe darmi fiducia. Anche un datore di lavoro. 157

‘‘E lo fara`, caro, nessuno intuisce nulla, fuorche´ la domestica, ma lei non sa neppure scrivere, quindi non e` un pericolo’’. ‘‘Ma con quali denari hai comprato questi vestiti’’, chiedo. Con quelli che hai lasciato sul tuo tavolo, non ricordi? Ieri sera mi avevi inviato un messaggio’’. Nel videotelefono ho lasciato un messaggio, ora vedo la mia faccia. Non sono altri che io, quello di sempre, quello di ieri. Io, insomma. Ho dato ordini precisi per quel giorno in cui verro` sopraffatto dal desiderio di trasformarmi in albero. La sola cosa che mi chiedo, adesso, e` come mai avro` fatto a saperlo. E quando ho cominciato a saperlo. E` quasi mattina quando faccio ritorno in citta`. So bene che tra poco non ricordero` piu` nulla della mia scappatella e questo pensiero mi rinfresca la mente. Sdraiato sotto la coltre di stelle ho saputo vegliare su me stesso mentre sognavo. Ho gettato una zattera in mezzo all’oceano con nome, cognome e numero di telefono. ‘‘Sono venuto da te due volte, dice l’amico, la prima volta mi avevi quasi convinto a lasciarti stare’’. ‘‘Perche´ mai?’’. ‘‘Per quella tua faccia al telefono’’. ‘‘Che?’’. ‘‘Mi diceva che questa era la vita che volevi’’. ‘‘L’albero?’’. ‘‘Si’’. Per osservare l’acqua di un torrente da bambino per poco non ci finivo dentro. ‘‘La chiamano volonta` e chi non ce l’ha e` destinato a perdersi’’, dico. ‘‘Pero` poco fa mentre ti infilavo le maniche della camicia, stavi per metterti a piangere’’. ‘‘Sciocchezze, ora mi sou`no ripreso’’. Senza ali, come una creatura del cielo che non puo` piu` volare, Franz dorme nel prato. 158

Sono gia` venuti due volte gli amici, per portarlo via, ma non si e` lasciato convincere. E` lı` dalle prime ore del mattino. Da un po’ di tempo e` senza casa e dorme qua e la` da un conoscente o dall’altro. Questa notte si e` rifiutato di fermarsi da chiunque. Aveva bevuto piu` del solito e deve aver camminato piu` del solito perche´ le sue scarpe sono piene di fango. Forse e` stato nei boschi. Dorme ancora, con gli occhiali indosso, come fa sempre. Tra poco si alzera` e cerchera` un posto dove mettersi a scrivere. Le notti sono brevi in questo periodo dell’anno. Si alzera` e si avviera` verso il centro abitato. Ama la citta` chi trascorre la notte nei campi con i vestiti indosso e gli occhiali sul naso. La citta` offre angoli bui, cantine, sotterranei avvolti nell’oscurita`. Come, non ve l’ho raccontato? E` nelle viscere della terra che va a nascondersi l’artista quando lavora, in un labirinto di corridoi dove solo lui sa orientarsi. Vienna sorge su una rete di fitti cunicoli sotterranei. ‘‘La mia musa si nasconde la` sotto’’, dice. I corridoi sono talmente stretti che solo spiriti sottili riescono ad entrare, e un estraneo potrebbe non tornare mai piu` a vedere la luce. Laggiu` non esistono il caldo e il freddo, ne´ la notte ne´ il giorno. E` spesso inospitale, ad alcuni potrebbe parere perfino ripugnante, ma e` lı` che l’artista misura la miccia prima di farla esplodere. Un edificio sotterraneo abitato solo da artigiani, sarti, falegnami, cuochi. Alcuni si conoscono, si salutano, altri si evitano. Di tanto in tanto la gente di citta` ama osservare lo spettacolo sotterraneo. In quei momenti l’interno della nostra citta` risuona di voci, richiami, commenti, sospetti. Espressi a bassa voce, perche´ gli 159

uomini dalla mente spenta, quelli che della vita hanno mancato il problema, loro hanno paura dell’eco della loro voce. Vienna e` benevola, tace i suoi segreti. Stanca del vano risplendere agogna ad estinguersi. Solo laggiu` continua a vivere, come il mondo oscuro di Poseidon. Immortali i Titani sono stati condotti nel caos impenetrabile, dove nulla si giunge a distinguere, dove nulla indica la via, ‘‘voragine spalancata nella profondita` della terra’’. Ma nel mondo ricco di ombre affondano le radici dell’uomo, tenebre per ancorarsi, tenebre per nutrirsi. Il vincitore e` il luogo delle ombre, dove viene fuso il ferro per le armi, dove i sarti modellano abiti di squisita fattura, dove si controlla la lunga durata del vino nelle botti. E si creano sempre nuove canzoni.

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INDICE SOMMARIO

Amata Vienna . . . . Il custode . . . . . . . Il sogno . . . . . . . . . I nostri maestri. . . . Morte di Haydn . . . Josef K. . . . . . . . . . A casa . . . . . . . . . . Il poeta . . . . . . . . . Non appartengo.... . Storia d’amore . . . . La taverna . . . . . . . Edward Traweger . . Il tamburino. . . . . . La nona onda. . . . . Pantomima . . . . . . Romanzo epistolare. Viaggio per mare . . Girotondo . . . . . . . Orfeo . . . . . . . . . . Musica . . . . . . . . . L’attrice. . . . . . . . . Incompiuta . . . . . . L’uomo albero . . . .

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