Alterando il destino dell'umanità 8842080489

I computer quantici, la pervasività del Web, il miglioramento genetico, l'allungamento della vita e, ancora, i dile

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Italian Pages 162 [177] [177] Year 2006

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Alterando il destino dell'umanità
 8842080489

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Percorsi 96

© 2006, Gius. Laterza & Figli Prima edizione 2006

I saggi diJohn D. Barrow, di Aubrey de Grey, di Arthur Ekert, di Sherwin Nuland, di Gregory Stock e di Harold Thimbleby sono stati tradotti da Bruna Tortorella

di Pino Donghi a cura

Alterando il destino dell'umanità Interventi di John D. Barrow Remo Bodei Mauro Ceruti Gilberto Corbellini Pietro Corsi Giulio Cossu Aubrey de Grey Arthur Ekert Paolo Fabbri Giulio Giorello Giuseppe Macino Sherwin Nuland Gregory Stock Harol d Thimbleby

OEdiwri Laterza

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel giugno 2006 Poligrafico Dehoniano Stabilimento di Bari per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 88-420-8048-9

È

vietata la riproduzione, anche

parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è

lecita solo per uso personale purché

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l'autore.

Quindi ogni

fotocopia che eviti l'acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera

ai danni della cultura.

a Maria e Giosafat, iniziali artefici del mio destino

Prefazione

Il tempo delle scelte difficili di Pino Donghi

Le scelte sono difficili per definizione: quelle facili, nel bene e nel male (le prime, per intenderei, quelle filosofiche alla Catalano: « È meglio vivere bene, felici e in salute o campare di stenti, malati e perennemente depressi?»; le seconde quelle alla don Vito Cor­ leone: «Gli ho fatto una proposta che non poteva rifiutare . . . ») , non sono scelte. Scegliere è sinonimo di decidere ed è il contrario di valutare: 1' assortimento e la gamma delle possibilità precedono la scelta che infine seleziona, predilige, elegge. A voler indugiare nel gioco dizionariale ci si avvede poi di una connotazione positi­ va che accompagna il sostantivo «scelto» (i «corpi scelti», le «se­ menti scelte»), il verbo e anche l'avverbio «sceltamente», che può infatti e meglio dirsi elegantemente, finemente e che si contrap­ pone a rozzamente, sciattamente, a ciò che è trascurato. La politica, si dice, è l'arte del possibile, ma fare politica equi­ vale comunque a fare delle scelte: per questo si tratta di un'arte positiva, ancorché difficile, e il connotato d'ambiguità da cui è so­ vente accompagnata proviene dall'indugiare nella non scelta, nell'indecisione compromissoria, quando per non scontentare al­ cuno ci si arrende all'inerzia, alla navigazione a vista, al piccolo ca­ botaggio o allo scarico di responsabilità. È quest'ultimo in parti­ colare, e troppo spesso, il caso dei rapporti che regolano l'impre­ sa scientifica e la decisione di governo. Laddove la scelta fatal­ mente premia un gruppo di pressione a scapito di quello avverso, si tenta di legittimare la decisione appoggiandola a un expertise scientifico, a un parere inappellabile, al di sopra della mischia. Si conferma l'idea, banale invero, secondo cui da ciò che è scientifi­ camente provato discenda un marchio di indiscutibilità: ciò che risulterebbe intuitivo a patto di intendersi sul significato di «pro­ va» e sul valore dei risultati scientifici. VII

Non starò qui a ripetere e a riprendere un argomento sul quale insiste una bibliografia scientifica e filosofica imponente: il caratte­ re storico della verità scientifica, che risponde sempre e comunque alle domande con le quali interroghiamo la realtà che ci circonda, per come la percepiamo esistere. Ribadirò semmai che, con riguar­ do alle così dette emergenze scientifiche del momento - cambia­ menti climatici, nucleare versus energie rinnovabili, organismi ge­ neticamente modificati -, «la contrapposizione che schiera i fautori e gli oppositori è sostenuta, da ambo le parti, da pareri scientifici»1. Paradossale, in apparenza, ma così è. Se il parere scientifico deve risolvere una controversia trasformando in obbligata una scelta che appare altrimenti difficile, ebbene l'esperienza oramai ci insegna quanto sia più facile che la controversia rimanga tale, che i pareri della scienza si contrappongano come succede alle op­ poste perizie in tribunale e che la scelta resti, appunto, incerta, complessa: difficile. Questo, almeno, fino a quando lo scienziato decide di rimanere un «onesto mediatore»2 e non cede alla lusin­ ga dell'advocacy, di trasformarsi in attivista di una causa piuttosto che contribuire alla sua migliore comprensione: il suo compito, quello della scienza in genere, è infatti di allargare il campo della scelta - in ciò confermandone la «difficoltà» -, non di farla appa­ rire come l'unica percorribile. Su questo ragionamento di scuola, sui rapporti che regolano scienza e politica, si proietta oggi la percezione di una fase stori­ ca rivoluzionaria. I contributi che questo volume raccoglie sono stati presentati nel corso della diciassettesima edizione di Spole­ toscienza, la manifestazione di cultura scientifica curata dalla Fondazione Sigma-Tau fin dall'ormai lontano 1989, che ha avuto come tema l'emergere di scenari che fino a non molto tempo fa apparivano fantascientifici: i computer quantici, la pervasività del Web, il miglioramento genetico, l'allungamento della vita; e an­ cora i dilemmi etici, i problemi politici, le risorse economiche. Alterando il destino dell'umanità è un titolo forte, e lo era già nell'autunno 2004, quando abbiamo cominciato a progettarlo. In 1 Pino Donghi, Tra scienza e politica: le regole del governo, in Id. (a cura di ) , Il governo della scienza, Laterza, Roma-Bari 2003 , p . XII. 2 Vedi le tesi di Roger A. Pielke in Scienza e politica. La lotta per il consenso,

Laterza, Roma-Bari 2005 .

VIII

quel momento, peraltro, non sapevamo di doverne inaugurare il programma a sole tre settimane da un referendum, quello sulla legge 40, che tanto ha fatto discutere, ha diviso la società e la po­ litica, ha lasciato strascichi e chissà quali e quanti ne lascerà an­ cora dietro di sé. La nostra opinione - che crediamo di poter esprimere serena­ mente, non riguardando la materia della consultazione - è che, al di là delle ragioni che hanno consigliato l'astensione ovvero la scelta per un «sÌ» o per un «no», un dato appare inequivocabile: tra tali ragioni quelle della scienza si sono perse e il mondo della ricerca scientifica non ha, in Italia, rappresentanza politica. Si può discutere, e anzi sarebbe necessario ricordare come in passato, a volte, la comunità scientifica si sia altezzosamente sot­ tratta al confronto, abbia avvalorato l'immagine di un sapere im­ permeabile, granitico nelle proprie certezze, che liquidava le preoccupazioni di chi voleva invece tenere presente il carattere contingente dell'impresa di ricerca che, in quanto storicamente determinata, non può che essere soggetta a visioni del mondo, a pressioni sociali, a interessi di parte. Si può discutere: tant'è che noi lo facciamo da più di tre lustri, avendo sempre scelto pro­ spettive problematizzanti, dando voce e dignità ai dubbi più che alle certezze. Ma un conto è discutere, un conto è dileggiare il lavoro di mol­ ti - e comunque, specialmente in Italia, sempre troppo pochi - ri­ cercatori e ricercatrici, uomini e donne di scienza che alcuni cam­ pioni della letteratura descrivono invece come insogliolati indivi­ dui dallo sguardo bidimensionale il cui unico scopo - e colpa, va da sé - sarebbe di svelare il mistero che ci circonda condannan­ doci alla banalità della conoscenza (sic ! ) . C'è nel nostro paese una diffusa e trasversale diffidenza verso ciò che sta accadendo nei la­ boratori di ricerca, un sospetto radicato verso, se non contro, chi quella ricerca porta avanti: se non sono nipotini di Frankenstein, le donne e gli uomini con il camice sono comunque dei potenzia­ li pasticcioni che stanno giocando con il Lego della vita; se non si sono già arricchiti per loro conto e sulla nostra pelle, sono co­ munque al soldo delle immancabili multinazionali, prime fra tut­ te quelle farmaceutiche. Ora, nessuno vuole passare per ingenuo: intorno alla ricerca scientifica, intorno a quella biotecnologica e medica in particolaIX

re, girano fenomenali interessi; né va sottovalutata la leggerezza con la quale alcuni potrebbero avventurarsi in territori solo par­ zialmente conosciuti mettendo a rischio, anche solo localmente, settori e aspetti legati alla vita della nostra specie. Bisogna vigila­ re, e molte sono le regole alle quali già da tempo ci si deve atte­ nere; ma non ci si nasconda, come si è fatto e si fa, dietro il de­ magogico argomento del «principio di precauzione»: con tale principio la scienza non sarebbe mai nata essendo, per definizio­ ne, ricerca fuori dal noto, dentro ciò che è ancora misterioso, ol­ tre il limite del previsto. La scienza moderna che si inaugura nel Diciassettesimo secolo punta i cannocchiali fuori del visibile e, così come Cristoforo Co­ lombo e i portoghesi avevano fatto più di un secolo prima, spinge la rotta oltre il limite delle Colonne d'Ercole; è viaggio e avventura per definizione, e se fossero state tutte note e conosciute le conse­ guenze non ci sarebbero stati viaggi, né ricerca, né scoperte. Ma c'è dell'altro: tra quanti paventano lo sviluppo della ricer­ ca scientifica, timorosi delle conseguenze e certi dell'esistenza di poco chiari interessi, pochissimi sono effettivamente entrati in un laboratorio dove - bisogna sapere e quindi vale la pena ricordare - lavorano giovani, a volte giovanissimi, che spendono buona par­ te della loro giornata chini sugli strumenti o sul quaderno dei pro­ pri appunti; vi passano magari anche la notte o il weekend perché alcuni esperimenti vanno seguiti, vigilati. Sono questi i giovani che non affollano il casting di qualche reality alla ricerca di facile e vol­ gare notorietà, che non sfogano la loro creatività imbrattando san­ guinosi e razzisti striscioni per supportare le gesta dei loro calci­ stici beniamini. Sono quei giovani di cui normalmente, quotidia­ namente, la società loda la compostezza, lo studioso applicarsi­ che magari qualcuno invita a tornare in Italia dopo che sono stati costretti a impiegare il loro cervello all'estero: e perché mai, di grazia? -, e che non per questo appaiono tristi e occhialuti, non per ciò non amano, ballano e si divertono. Non sono, questi giovani, al soldo di alcuna nazionale o multi­ nazionale, lavorano spesso gratis, agli inizi senza nemmeno un rim­ borso spese, e nemmeno hanno dietro famelici professori che si ar­ ricchirebbero invece alle spalle dei loro giovanili entusiasmi. Nel­ la stragrande maggioranza dei casi quei professori, i ricercatori professionisti e già affermati, hanno avuto la fortuna di conquistax

re e hanno meritato una posizione accademica e/o di ricerca; oltre a sviluppare ipotesi, a verificare dati, girano incessantemente alla ricerca di finanziamenti, si rivolgono a istituzioni pubbliche, strin­ gono rapporti con aziende private, partecipano dei fondi messi a disposizione da associazioni benefiche e da lotterie televisive. Quando s'incontrano, nei consessi internazionali, scambiano i lo­ ro dati, discutono i rispettivi risultati; non è infrequente, e anzi ac­ cade molto spesso, che un collega suggerisca un'ipotesi, inviti il gruppo concorrente a seguire una pista non battuta (illuminante un recente ricordo in memoria di Francis Crick pubblicato da Oliver Sacks sul numero di giugno 2005 della «Rivista dei Libri») . Con ciò si vuol forse dire che il mondo della ricerca scientifi­ ca non soffre di intrighi, di invidie, di qualche trucco e anche di colpi bassi? Figuriamoci ! La Repubblica della scienza non è una repubblica perfetta ma è una repubblica dove, più presto che tar­ di, i conti tornano. La scienza non è democratica: non vale l'opi­ nione della maggioranza, non vi è rispetto delle minoranze perché ciò che conta è il risultato, il dato. Se questo torna, allora tutto funziona, se è replicabile e confermato a Boston, a Canberra, a Milano e a Seul, allora è quello giusto. È lì che risiede la verità, sia pure quel tipo di verità transitoria, non definitiva, che è tipica di un fare che perennemente rimette in discussione i propri assunti e i risultati più recenti. Di qui la difficoltà delle scelte. Si fa scienza, si ricerca in una certa direzione invece che in un'altra, si investono risorse in un settore piuttosto che altrove in ragione di convenienze economiche, di scelte sociali e più gene­ ralmente politiche: ma quando poi si aprono i laboratori i risulta­ ti non escono per far comodo a qualcuno, i dati sono utili se sono pubblici e se sono pubblici si discutono, e se nella discussione qualcosa non torna si ridiscutono, e se non torna ancora si boc­ ciano, si abbandona un'ipotesi e se ne costruisce un'altra. Nella scienza non vincono comunque tutti e non ha ragione per forza uno solo: non ci sono verità immanenti ma risultati che chiedono infinita verifica. Di tutto ciò non c'è stata consapevolezza nel dibattito referen­ dario, la scienza ne è uscita a pezzi e gli scienziati e chi lavora nei la­ boratori - almeno questa è la nostra convinzione - non riescono ad essere rappresentati da alcuna delle parti politiche in gioco. Vi so­ no stati scienziati, peraltro, che hanno deciso di uscire allo scoperXI

to, che hanno impegnato la loro faccia abbracciando una o l'altra causa. Ma compito dello scienziato, lo ricordavamo poco sopra, non è quello di abbracciare una causa bensì quello di analizzarla: di spiegare, argomentandole, quali politiche siano compatibili dentro la variabilità dei risultati che emergono dalla ricerca. Il dato scientifico, a parte qualche raro esempio, non autorizza una e una sola interpretazione, inducendo a una scelta obbligata: dentro lo spettro delle interpretazioni che il dato autorizza c'è le­ gittimità per un certo numero di scelte e di politiche, anche se non per tutte le scelte, non per tutte le politiche. Alterando il destino dell'umanità risponde a questa esigenza: chiedere alla scienza quali siano gli scenari futuri compatibili con i risultati che stanno emergendo dai laboratori della fisica, della chimica, della biologia. Vogliamo saperlo e vogliamo decidere, sa­ pendo che si tratta di «scelte difficili», perché la società non può accettare una guida politica che si appoggia a un argomento da ro­ bivecchi come la demonizzazione della tecnica, così come sareb­ be inaccettabile un governo in mano agli esperti, una democrazia che prevede la scelta di pochi. Se alcune prospettive di ricerca appaiono promettenti, biso­ gna ora decidere se permetterne e quindi finanziarne l'indagine, e chiedersi, sempre da subito, con quali politiche, garanzie giuridi­ che e risorse economiche si intendono affrontare i problemi dei costi, dell'equa distribuzione, del diritto alla privacy, delle sensi­ bilità personali e dei problemi di accesso. Se i viaggi nel tempo appaiono e forse rimarranno per sempre appannaggio del genere fantascientifico, non bisogna invece di­ menticare un fantasioso narratore morto cento e uno anni or so­ no, Jules Verne (lo scorso anno, quando abbiamo organizzato l'in­ contro di Spoletoscienza, ricorreva il centenario della sua morte) , un autore che bisognerà rileggere seguendo le indicazioni filolo­ giche che ci offre Paolo Fabbri nel suo saggio. Verne si divertiva a scrivere di mirabolanti macchine in viaggio tra i fondali marini, nelle oscurità dello spazio o tra le nascoste viscere degli organismi viventi: meno di cento anni sono bastati a costruire buona parte di quelle macchine e a far impallidire gli avventurosi eroi del ro­ manzo al cospetto dei reali protagonisti dell'impresa scientifica. La politica con la P maiuscola - come si usa dire - è quella che si misura con gli scenari di dopodomani, quelli che oggi appaiono XII

fantascienza, la politica che chiede e si confronta con gli orizzon­ ti futuri. È tempo di scelte difficili e per di più non rimandabili; è tem­ po di confronti, non di referendum: per evitare questi e promuo­ vere quelli bisogna che ognuno si confermi nella sua parte. E non ci sono solo i dilemmi etici con i quali interrogare la marcia pro­ gressiva della ricerca scientifica: ci sono le legittimità normative, il quadro giuridico con riferimento alla necessità di ripensare i di­ ritti individuali; e ci sono le compatibilità di bilancio: con quali ri­ sorse si pensa di rispondere alla richiesta di quei beni e servizi per la salute che la ricerca promette e in breve tempo e per buona par­ te manterrà? La società e per suo conto la politica pongono alla scienza domande sulle capacità di alterare il destino dell'umanità, e sta agli scienziati fornire risposte, magari evitando di passeggia­ re nel corridoio politico più accreditato. Se oltretutto la scienza vuole - e certamente deve - ottenere una rappresentanza politica, sarà questa a dover muovere il proprio interesse entrando nei la­ boratori: non per politicizzarli ma per ascoltare, comprendere e poi, com'è giusto, decidere. Mi è grata l'occasione per ringraziare l'impareggiabile staff della Fondazione Sigma-Tau: Virginia Belli, Fabio Fantoni, Carlo Lauretti, Alessandra Papi, Francesca Polisano, Maria Olimpia Vercellio. Il rin­ graziamento all'azienda che da quasi vent'anni promuove le nostre at­ tività, la Sigma-Tau, va esteso a Silvia Cavazza, Menotti Calvani e Ma­ rio Mochi, rispettivamente presidente, vicepresidente e direttore ge­ nerale della Fondazione. Rispetto all'ordine degli incontri, nel volume abbiamo dato prece­ denza alle relazioni dei ricercatori e poi a quelle degli storici, dei filo­ sofi, degli epistemologi e dei semiologi che con le prospettive di quel­ le relazioni avevano invece interagito alternandosi nel corso delle me­ desime giornate. Così come a Spoleto, anche nel libro abbiamo con­ fermato a John D. Barrow, fresco vincitore del Templeton Prize, l'ono­ re di aprire la riflessione illustrando le percentuali di rischio che un evento esterno, e non la nostra dabbenaggine, possa drammaticamen­ te modificare il corso del nostro destino; a seguire gli interventi di Arthur Ekert e Harold Thimbleby su alcune delle opportunità legate alle tecnologie quantiche e agli sviluppi del Web. Dal mondo fisico a quello della biomedicina si passa per l'inter­ vento, molto provocatorio, di Aubrey de Grey e per quello, altrettan-

XIII

to discusso a Spoleto, di Gregory Stock, fino alle ricerche di due ita­ liani di grande prestigio internazionale come Giuseppe Macino e Giu­ lio Cossu. Con l'intervento di Sherwin Nuland si apre la riflessione più tipicamente bioetica e quindi storico -filosofica dentro la quale vanno compresi i contributi, che abbiamo lasciato in ordine alfabetico, di Re­ mo Bodei , Mauro Ceruti, Gilberto Corbellini, Pietro Corsi, Paolo Fabbri, Giulio Giorello. N eli' indice del volume non compaiono invece le relazioni, non per­ venute in tempo per la pubblicazione, di Claudio Franceschi, Stefano Rodotà e Giulio Tremonti, che pure hanno attivamente partecipato al dibattito: si tratta di mancanze rilevanti. Franceschi, a Spoleto, aveva contrastato la visione utopica di Aubrey de Grey illustrando lo stato delle ricerche sull'invecchiamento; gli interventi di Stefano Rodotà e Giulio Tremonti problematizzavano ulteriormente il quadro indican­ do e discutendo le legittimità giuridiche e le compatibilità economiche per quella «politica degli orizzonti futuri» cui abbiamo fatto cenno. Non sarà magari che le evidenze della «norma» e della «cassa» si im­ porranno, infine, laddove si immaginavano solo i dubbi dell'etica?

Alterando il destino dell'umanità

John D. Barrow

Appunti sul destino astrale delPumanità (si può fare P avvocato senza conoscere il teorema della probabilità di Bayes?)

Viviamo in un'epoca significativa rispetto ai 13,7 miliardi di anni della storia dell'universo. Ma è l'unica epoca in cui potremmo vi­ vere. Siamo confinati in un intervallo della storia cosmica che si colloca tra il momento in cui si sono formate le stelle e quello in cui esauriranno il loro carburante nucleare e si estingueranno. Se la vita non si fosse evoluta spontaneamente entro questo periodo vitale, sicuramente non si sarebbe mai più evoluta. Quegli am­ bienti che hanno consentito la nascita della vita - ambienti che hanno bisogno di pianeti solidi in orbita intorno a stelle che bru­ ciano idrogeno - non esisteranno più, e la possibilità che si svi­ luppino forme di vita complesse sparirà per sempre. Una forma di vita che ha già raggiunto un livello avanzato riuscirà a soprav­ vivere se sarà ingegnosa e mobile, ma dovrà affrontare una gran­ de sfida. Paradossalmente, più sarà intellettualmente sofisticata, democratica e preoccupata per i diritti individuali e meno proba­ bilità avrà di vincere gli attacchi contro la sua civiltà. Alla fine, nel nostro universo tutte le forme di vita dovranno estinguersi. L'espansione cosmica sta accelerando a un livello ta­ le che prima o poi eliminerà tutte le variazioni di temperatura e di energia necessarie affinché l'instabilità, l'elaborazione delle infor­ mazioni e la vita continuino a esistere. L'universo sembra desti­ nato a espandersi all'infinito ma, in base alle conoscenze cosmo­ logiche che abbiamo oggi, l'esistenza fisica della vita nell'univer­ so sembra un fenomeno transitorio che si sviluppa e permane fin­ ché l'ambiente astronomico si mantiene adatto e stabile. Non do­ vremmo quindi sorprenderei di star vivendo in un periodo in cui l'universo è già piuttosto vecchio e appare molto buio e freddo. Queste caratteristiche sono una conseguenza delle condizioni ne3

cessarie affinché la vita possa esistere in un universo governato dalla forza di gravità. Le stelle hanno bisogno di miliardi di anni per poter produrre e disperdere i componenti fondamentali della biocomplessità - elementi come il carbonio, l'azoto, l'ossigeno e il silicio, fabbricati dalle stelle - ed è per questo motivo che l'uni­ verso è così grande: i miliardi di anni di alchimia cosmica neces­ sari per fabbricare gli atomi della vita richiedono che gli universi che li contengono si estendano per miliardi di anni luce. E questa enorme espansione produce a sua volta la bassa temperatura e l'oscurità del cielo notturno che circonda l'universo. Naturalmente, sebbene sia necessario perché esista una qual­ che forma di vita, fabbricare atomi di carbonio non è sufficiente. Esiste un lungo e complicato processo di formazione delle stelle e dei pianeti che deve essere completato con successo prima che possano cominciare a verificarsi i fenomeni biochimici fondamen­ tali. Nell'ambito del sistema solare, la Terra sembra presentare un ambiente particolarmente vantaggioso a questo scopo a causa del­ le sue dimensioni (è abbastanza grande da avere un' atmosfera ma abbastanza piccola per essere solida) e della sua orbita quasi cir­ colare (che le permette di non subire eccessivi cambiamenti cli­ matici nell'arco dell'anno) . La Terra sembra essere quindi un pia­ neta speciale, ma che cosa succede intorno alle altre stelle? Negli ultimi anni siamo riusciti a cogliere la natura precaria della nostra esistenza sul pianeta sotto nuovi aspetti. La scoperta di più di centosessanta pianeti che orbitano intorno ad altre stel­ le ci ha fatto capire che la formazione di un pianeta è un evento comune nell'universo. Abbiamo scoperto che alcune di queste stelle hanno diversi pianeti che orbitano intorno a loro e quindi ci siamo convinti che neanche i sistemi solari sono così poco comu­ ni. Il più piccolo che abbiamo trovato finora è sette volte più gran­ de della Terra. Tuttavia, man mano che imparavamo qualcosa di più su questi nuovi pianeti, ci siamo resi conto che il nostro siste­ ma solare ha qualcosa di molto speciale. Tutti i nostri pianeti or­ bitano intorno al Sole seguendo percorsi quasi circolari mentre le orbite dei pianeti che abbiamo osservato intorno ad altre stelle, quasi senza eccezione, sono molto ellittiche. La nostra orbita qua­ si circolare intorno al Sole potrebbe essere strettamente collegata con l'esistenza della vita sulla Terra. La nostra distanza dal Sole in media produce una temperatura non troppo alta né troppo bassa 4

che consente all'acqua non solo di esistere in forma liquida sulla superficie della Terra, ma anche di rimanere in quella forma per tutto l'anno. Se invece un pianeta segue un'orbita molto ellittica, come quella di una cometa, passerà una parte del tempo troppo vicino al Sole, che lo «cuocerà», e una parte troppo lontano dal Sole, e quindi sarà gelato. Probabilmente per le forme di vita più semplici è impossibile adattarsi a queste variazioni «annuali». So­ spettiamo che un'orbita circolare offra alle forme di vita più sem­ plici la migliore opportunità di evolvere un sistema di adattamen­ to che permette loro di sopportare il ritmo e la varietà delle mo­ dificazioni ambientali. Tuttavia è pericoloso dire che delle sempli­ ci molecole replicanti non sono in grado di affrontare le difficoltà create dalle orbite planetarie non circolari. Perfino sulla Terra tro­ viamo delle forme insolite di adattamento ad ambienti sottomari­ ni molto caldi, a temperature bassissime, a eccessi di pioggia e di siccità. Condizioni così estreme potrebbero in realtà costituire uno stimolo al processo evolutivo. La vita sui pianeti che seguono orbite ellittiche potrebbe semplicemente essere molto diversa. Il gran numero di nuovi pianeti scoperti ci fa pensare che la vi­ ta dovrebbe essere in grado di evolversi in molte parti della nostra galassia. Eppure siamo ancora di fronte a un imbarazzante silen­ zio astronomico. Cominciamo a sospettare che la risposta alla fa­ mosa domanda che l'assenza di prove dell'esistenza di intelligen­ ze extraterrestri fece formulare a Enrico Fermi - «Dove sono tut­ ti gli altri» - possa essere deprimente. Forse le civiltà tecnologiche non vivono a lungo. Forse si distruggono dall'interno sfruttando in modo incontrollato l'ambiente o facendosi guerra tra loro. For­ se esauriscono le loro risorse naturali, inquinano il loro ambiente in modo irreversibile, o soccombono a malattie e a inattesi cam­ biamenti genetici. Possiamo facilmente immaginare come potreb­ be verificarsi una catastrofe. Mondi che diventano troppo affolla­ ti o che hanno poche materie prime essenziali potrebbero essere minacciati da stagnazioni o violenti conflitti che farebbero appa­ rire irrisorio tutto quello che abbiamo visto finora sulla Terra. Mantenere stabili per un lungo periodo sistemi organizzati com­ plessi, come le società, potrebbe essere molto difficile. In alternativa, può darsi che le civiltà di lunga durata alla fine vengano distrutte o decimate dall'impatto con altri oggetti che si muovono nello spazio. Abbiamo cominciato a rilevare che questi 5

impatti tra pianeti e asteroidi o comete sono relativamente fre­ quenti. Riuscire a sopravvivere a lungo può essere un'impresa dif­ ficile. Solo nel Ventesimo secolo si sono verificati due incidenti si­ gnificativi sulla Terra e nel 1 994 abbiamo visto la cometa Schu­ macher-Levy 9 colpire il pianeta Giove. Sembra che 65 milioni di anni fa un oggetto proveniente dallo spazio abbia provocato una catastrofe che ha modificato il clima della Terra così radicalmen­ te da provocare l'estinzione dei dinosauri, la forma di vita più dif­ fusa sulla sua superficie. L'impatto con asteroidi che passano vi­ cino alla Terra (Near-Earth Asteroids o Nea) non è affatto infre­ quente e alcuni governi hanno cominciato a pensare al modo in cui ci dovremmo comportare, se dovremmo controllare con mag­ giore attenzione i movimenti di questi oggetti e trovare dei siste­ mi per intercettare e allontanare gli asteroidi e le comete che do­ vessero avvicinarsi troppo. Questo implicherebbe una conoscen­ za più approfondita della struttura di tali oggetti. Non sarebbe una buona idea colpire un asteroide costituito da migliaia di pie­ tre più piccole. Si frantumerebbe e dovremmo tenere a bada mi­ gliaia di proiettili piuttosto che uno solo. Gli asteroidi e le come­ te sono massicci più o meno come una grande montagna, ma l'energia sprigionata da un eventuale impatto potrebbe corri­ spondere a quella di un'esplosione da un milione di megaton. Impatti del genere potrebbero vanificare o bloccare lo svilup­ po di forme di vita avanzate anche in altre parti dell'universo. Per evitare che il suo orologio evolutivo tomi indietro ogni pochi mi­ lioni di anni, la vita deve aver raggiunto una sofisticazione tecnica sufficiente a permetterle di difendersi da un impatto devastante. Forse un'evoluzione avanzata ha bisogno di un ambiente fortu­ nato e favorevole nella sua casualità per poter disporre di abba­ stanza tempo. Adesso siamo in grado di renderei conto di quanto siamo stati fortunati a non fare la fine dei dinosauri. Giove è un pianeta gigantesco che fa da guardiano alle porte del sistema so­ lare, e spesso impedisce che qualche intruso raggiunga la sua par­ te più interna, dove noi viviamo - proprio come ha fatto ultima­ mente con quella cometa. Giove è talmente grande che avrebbe quasi potuto diventare una stella; la sua massa è mille volte quel­ la della Terra e la sua forza di attrazione è eccezionale. Come se­ conda linea di difesa, se qualche oggetto riuscisse a sfuggire all' at­ trazione di Giove, dovrebbe ancora evitare l'impatto con la nostra 6

Luna. La Luna è un satellite insolito per molti aspetti, ma soprat­ tutto perché rispetto al suo pianeta è più grande di tutte le altre lune del sistema solare. Funziona come un doppio pianeta, con­ trollando le nostre maree e stabilizzando la rotazione e il clima a lungo termine della Terra. Ma funziona anche da scudo. Basta ve­ dere i crateri che coprono la sua superficie per capire quanti og­ getti ha intercettato nel lontano passato. Da quanto abbiamo detto finora, sarebbe facile trarre la con­ clusione che l'universo è pieno di oggetti pericolosi che si muo­ vono a grande velocità e che se arrivano a colpire un pianeta pos­ sono spazzare via qualsiasi forma di vita. Per sopravvivere a lun­ go è necessario essere fortunati o aver sviluppato tecnologie di­ fensive e aver capito che gli asteroidi e le comete sono nemici del­ la vita. Ma la situazione è un po' più complicata di così perché in realtà le comete e gli asteroidi hanno svolto un ruolo cruciale nel favorire l'evoluzione di forme di vita avanzate sulla Terra e po­ trebbero svolgere un ruolo simile altrove. Abbiamo cominciato a capire che tutta l'acqua dei nostri oceani è arrivata qui su l a Ter­ ra in seguito all'impatto con le comete e con oggetti simili agli asteroidi. La caratteristica fondamentale che garantisce la vita sul nostro pianeta - la presenza abbondante di acqua in forma liquida - è stata determinata da un'alta frequenza di impatti all'inizio della sua storia. Comete e altri oggetti simili hanno portato tutta l' ac­ qua che c'è nei nostri oceani. Per motivi che non abbiamo ancora completamente compreso, le comete e gli asteroidi contengono importanti sostanze chimiche create in altri ambienti naturali dell'universo e, molto probabilmente, le depositano sui pianeti. Perfino un grosso impatto può svolgere un ruolo importante per stimolare l'evoluzione di forme di vita superiori. Uno degli ef­ fetti del catastrofico impatto verificatosi molto tempo fa nello Yu­ catan è stato quello di far estinguere i dinosauri per «fare spazio» all'evoluzione dei mammiferi. L'evoluzione ha dovuto accelerare notevolmente il suo ritmo per andare a riempire le nicchie evolu­ tive lasciate libere da quell'estinzione di massa e questo ha deter­ minato un grande aumento della diversità. Questa scoperta ci ha portato a ipotizzare che gli impatti svolgano un ruolo importante nell'accelerare il processo evolutivo. Se non si verifica nessun im­ patto, l'evoluzione procede a un ritmo rilassato perché non è co7

stretta ad adattarsi a un ambiente in rapido cambiamento. Forse la vita ha bisogno di trovarsi in pericolo per evolversi con suffi­ ciente rapidità da raggiungere i livelli di complessità necessari all'emergere della coscienza prima che le stelle comincino a spe­ gnersi. I pericoli provenienti dallo spazio sono armi a doppio ta­ glio. Se sono troppo numerosi quando hanno ormai raggiunto una fase avanzata, le forme di vita complesse possono essere distrutte o ritornare all'infinito a uno stadio primitivo. Se sono troppo po­ chi nelle prime fasi, la vita può stagnare e fermarsi a forme sem­ plici che si moltiplicano ma non si dividono né si diversificano ma L Nelle scienze mediche e umane conosciamo molti modi per in­ tervenire e determinare, in una certa misura, il nostro destino evo­ lutivo. Questo ci libera dalle pastoie dell'evoluzione per selezione naturale. Non siamo alla mercè dei cambiamenti ambientali, dei difetti genetici e delle malattie. Possiamo intervenire per modifi­ care queste cose. È per questo che la vecchia filosofia dell'etica evolutiva si rivela totalmente inadeguata: quello che è non costi­ tuisce una guida affidabile per quello che dovrebbe essere. Man mano che le nostre tecniche scientifiche migliorano e allargano il proprio raggio di in flu enza, dobbiamo ri flettere meglio, come cit­ tadini e come scienziati, su quali direzioni dovrebbe prendere la ricerca. Gli scienziati hanno la responsabilità di educare il pub­ blico nel modo più ampio e completo possibile sulle scienze e im­ pegnarsi nei processi che determinano le scelte politiche. E anche i politici e i legislatori hanno la responsabilità di comprendere la scienza e di fare nuove riflessioni e valutazioni - non si può fare l'avvocato senza conoscere il teorema della probabilità di Bayes ! Ma i temi di cui ho trattato in questo saggio, i pericoli che ven­ gono dallo spazio e i problemi come quello del riscaldamento glo­ bale, sono leggermente diversi. Sono cose che determineranno in modo negativo il nostro destino se non ci decidiamo ad agire. E questo agire ha una nuova, inquietante caratteristica. Impone che gli esseri umani pianifichino con venti, cinquanta o cento anni di anticipo. Le persone che prendono le decisioni nella nostra so­ cietà non sono abituate a esercitare questa lungimiranza che va ol­ tre l'orizzonte delle elezioni, degli avanzamenti di carriera e della soddisfazione di veder giungere a una felice conclusione le nostre iniziative. Questa è la nuova sfida del Ventunesimo secolo, che 8

viene resa esponenzialmente più difficile dal ritmo crescente del­ la nostra vita, dalla sempre maggiore velocità delle comunicazio­ ni, dalla crescente rapidità con cui dobbiamo prendere le deci­ sioni e dalle dimensioni degli effetti che le nostre azioni possono esercitare non soltanto sulla scala umana. Il modo in cui reagire­ mo a questa sfida determinerà il nostro destino e quello della vita sulla Terra.

Arthur Ekert

La sfida della crittografia quantistica: il destino della sicurezza dell�informazione

Sono poche le persone alle quali è possibile far credere che non è affatto facile inventare un sistema di scrittura segreta in grado di sfuggire a qualsiasi analisi. Eppure potremmo asserire senza possibilità di smentita che l'intelligenza umana non è in grado di concepire un codice che l'intelligenza umana non possa decifrare . . . Edgar Allan Poe, A Few Words on Secret Writing, 1 84 1

Il desiderio umano di comunicare segretamente è antico almeno quanto la stessa scrittura e risale agli albori della nostra civiltà. I sistemi di comunicazione segreta venivano già utilizzati da molte antiche società in paesi come la Mesopotamia, l'Egitto, l'India, la Cina e il Giappone, ma i dettagli sulle origini della crittologia, va­ le a dire della scienza e dell'arte della comunicazione segreta, re­ stano ancora ignoti. La crittografia classica: semplici permutazioni e sostituzioni Sappiamo che in Europa i pionieri della crittografia furono gli Spartani, il popolo più guerriero dell'antica Grecia. Intorno al 400 a.C. usavano uno strumento noto come scytale. Veniva utilizzato dai comandanti militari per comunicare tra loro ed era costituito da un bastone affusolato intorno al quale veniva avvolta a spirale una striscia di pergamena o di cuoio. Le parole venivano poi scrit­ te in verticale lungo il bastone, una lettera per ogni voluta della 10

spirale. Quando la pergamena veniva svolta, le lettere del mes­ saggio apparivano mescolate e quindi il messaggio diventava in­ comprensibile. Chi la riceveva avvolgeva la pergamena su un ba­ stone della stessa forma del primo e il messaggio originario appa­ riva di nuovo. Si dice che nella sua corrispondenza Giulio Cesare usasse un semplice metodo di sostituzione delle lettere. Ogni lettera di un messaggio veniva sostituita da quella che la seguiva a distanza di tre posizioni nell'alfabeto. La lettera A era sostituita dalla D, la B dalla E, e così via. Per esempio, la parola inglese COLD (freddo) , applicando la sostituzione, diventerebbe FROG (rana) . Questo me­ todo viene ancora chiamato codice di Cesare, indipendentemen­ te dal numero di posizioni saltate. I codici basati sulla semplice sostituzione sono facili da decifra­ re. Per esempio, il codice di Cesare a 25 lettere consente qualsiasi salto tra l e 25 , quindi le sostituzioni possibili sono 25 (o 26 se si considera anche l'opzione zero ) . È facile provarle tutte, una dopo l'altra. Il metodo di sostituzione uno a uno, non limitato ai soli sal­ ti, può generare 26 oppure 403 .29 1 .46 1 . 126.605 .635 .584 .000.000 possibilità. Ma i codici basati sulle sostituzioni uno a uno, noti an­ che come codici monoalfabetici, possono essere facilmente deci­ frati utilizzando l'analisi delle frequenze. Questo sistema fu pro­ posto nel Nono secolo a Baghdad da al-Kindi (800-873 circa d.C . ) , uno dei più famosi filosofi arabi. Al-Kindi notò che se una lettera di un messaggio viene sosti­ tuita con un'altra lettera o con un simbolo diverso, la nuova lette­ ra assumerà tutte le caratteristiche di quella originaria. Un sem11

La prima pagina del manoscritto di Baghdad da al-Kindi, Decifrando il mes­ saggio crittografato.

plice codice basato sulla sostituzione non è in grado di maschera­ re certe caratteristiche del messaggio, come la frequenza relativa delle diverse lettere. Per esempio, nella lingua inglese la lettera E è la più comune di tutte, ricorre nel l2,7 per cento dei casi, seguita dalla T (9 per cento) , poi dalla A (8 per cento), e così via. Q uesto significa che se la E viene sostituita con il simbolo X, quella X co­ stituirà circa il 13 per cento dei simboli contenuti nel messaggio cifrato, e quindi sarà facile calcolare che in realtà rappresenta la E. Poi si andrà a cercare la seconda lettera più frequente nel mes­ saggio cifrato e si scoprirà che è la lettera T, e così via. Se il mes­ saggio cifrato è sufficientemente lungo, sarà possibile scoprime il contenuto semplicemente analizzando la freq uenza delle lettere. La crittografia rinascimentale: i codici polialfabetici N el Quindicesimo e nel Sedicesimo secolo, i codici monoalfabe­ tici furono gradualmente sostituiti da sistemi più sofisticati. Al­ l'epoca, l'Europa, e l'Italia in particolare, erano luoghi in cui fer­ vevano t umulti, intrighi e lotte per il potere politico ed economi­ co. Quest'atmosfera da cappa e spada era ideale per consentire il fiorire della crittografia. 12

n disco di Alberti.

Negli anni Sessanta del 1400 Leon Battista Alberti ( 1404 1472 ) , il noto architetto del Rinascimento, inventò un sistema ba­ sato su due dischi concentrici che semplificava l'utilizzo del codi­ ce di Cesare. La sostituzione - vale a dire lo spostamento dei due alfabeti - è determinata dalla rotazione dei due dischi. Si dice che A lb erti avesse preso anche in considerazione l'idea di modificare la sostituzione all'interno dello stesso messaggio facendo girare il disco interno del suo congegno. Si ritiene che fu così che scopr ì i cosiddetti codici polialfabetici, che si basano sulla sovrapposizio­ ne di vari codici di Cesare con salti diversi. Per esempio, la prima lettera del messaggio può saltare 7 posizioni, la seconda 14, la se­ sta 1 9, la quarta di nuovo 7, la quinta 14 e la sesta 19, e poi lo stes­ so schema si ripete in tutto il messaggio. La sequenza dei numeri - in questo caso 7 , 14, 1 9 - viene solitamente chiamata chiave crit­ tografica. Usando questa particolare chiave, in inglese possiamo trasformare la parola SELL (vendere) nella sua versione crittogra­ fata ZSES. In termini tecnici, il messaggio da cifrare viene spesso chiama­ to testo in chiaro e l'operazione che viene eseguita per camuffarlo è nota come codifica. Il testo codificato diventa un testo czfrato o crittogramma. Il nostro esempio illustra perfettamente quanto ci 13

si è allontanati dalla semplice sostituzione: la lettera L, che nel te­ sto SELL si ripete due volte, viene codificata in due modi diversi. Allo stesso modo la s, che si ripete nel testo cifrato, rappresenta due lettere diverse dell'originale: la prima s corrisponde alla let­ tera E, la seconda alla lettera L. Questo rende inapplicabile la sem­ plice analisi delle frequenze ai testi cifrati. In realtà, i codici po­ lialfabetici inventati da alcuni personaggi che all'epoca diedero un contributo importante a questo settore, come Johannes Trithe­ mius ( 1462 - 15 16) , Blaise de Vigenère ( 1523 - 15 96) e Giovanni Battista Della Porta ( 1535- 1 6 1 5 ) , furono considerati indecifrabili per almeno duecento anni. Crittoanalisi La prima descrizione di un metodo sistematico per decifrare un codice polialfabetico fu pubblicata nel 1 863 dal colonnello prus­ siano Friedrich Wilhelm Kasiski ( 1 805- 1 88 1 ) , ma oggi si ritiene che, in privato, Charles Babbage ( 17 9 1 - 1 87 1 ) avesse elaborato lo stesso metodo negli anni Cinquanta di quello stesso secolo. La decifrazione dei codici polialfabetici si basa sull'osserva­ zione che, se applichiamo periodicamente n diverse sostituzioni, ogni ennesima lettera del crittogramma sarà cifrata con lo stesso codice monoalfabetico. In questo caso ci basterà trovare n, cioè la lunghezza della chiave, e applicare l'analisi di frequenza ai sotto­ crittogrammi composti dalle n lettere del crittogramma. Ma come si fa a trovare n? Si cercano le sequenze ripetute nel testo cifrato. Se una sequenza di lettere del testo cifrato si ripete a una distanza multipla di n, allora significa che anche la sequen­ za corrispondente del testo in chiaro si ripete. Per esempio, se n 3 , con la chiave 7, 14 , 1 9 =

TOBEORNOTTOBE

diventa ACULCVUCMACUL

14

La ripetizione della sequenza ACUL è rivelatrice. Appare a una distanza di 9 lettere, quindi possiamo dedurre che i possibili va­ lori di n sono 9, 3 oppure l. A questo punto possiamo applicare l'analisi di frequenza all'intero crittogramma: ogni 3 lettere e ogni 9 lettere, una delle due rivelerà il testo in chiaro. Questo metodo per tentativi ed errori diventa più difficile se il valore di n è più al­ to, vale a dire se la chiave è molto lunga. Negli anni Venti del Novecento, la tecnologia elettromeccani­ ca trasformò i dischi di Alberti in macchine in grado di generare una sequenza cifrata con una c hiave di sostituzione estremamen­ te lunga, facendo girare una serie di rotori. Probabilmente la più famosa di queste macchine è l'Enigma, brevettata da Arthur Scherbius nel 1 9 1 8 . (Vedi l'articolo di Claire Ellis sull'Enigma e il ruolo che svolse nella seconda guerra mondiale. ) Uno dei più importanti successi della crittoanalisi fu la deci­ frazione di Enigma avvenuta nel 1933 . Nell'inverno del 1 932, Ma­ rian Rejewski, una crittoanalista di ventisette anni che lavorava all'Ufficio crittografico dei servizi segreti polacchi a V arsa via, sco­ p rì la chiave matematica del primo rotore dell'Enigma. Da quel momento in poi, la Polonia fu in grado di leggere migliaia di mes­ saggi tedeschi cifrati dalla macchina Enigma. N el luglio del 1 93 9, i polacchi svelarono i segreti di Enigma ai crittoanalisti inglesi e francesi. Dopo che Hitler ebbe invaso la Polonia e la Francia, i tentativi di decifrare i codici Enigma proseguirono a Bletchley Park, in Inghilterra. La grande residenza vittoriana che si trova al centro del parco (e che oggi è un museo) ospitava la Code and Cypher School del governo britannico, e fu teatro di spettacolari scoperte nel campo della crittoanalisi moderna. Veramente indeczfrabili? Nonostante la sua lunga storia, la crittografia entrò a far parte del­ la matematica e della teoria delle informazioni alla fine degli anni Quaranta, soprattutto a seguito del lavoro svolto da Claude Shan­ non ( 1 9 16-200 1 ) presso i Be li Laboratories del New Jersey. Shan­ non dimostrò che i codici indecifrabili esistono veramente e che, in realtà, erano ormai noti da più di trent'anni. Erano stati inven­ tati intorno al 1 9 1 8 da un ingegnere dell'American Telephone and 15

01011100

testo in chiaro

11001010

CHIAVE

10010110

crittogramma

BOB

testo in chiaro CHIAVE crittogramma

10010110

Telegraph, Gilbert Vernam, e dal maggiore Josep h Mauborgne dell'US Army Signal Corps, e oggi sono c hiamati one-time pads (chiavi non riutilizzabili) o et/rari di Vernam. Sia la versione originaria sia quella moderna delle chiavi non riutilizzabili si basa sull'alfabeto binario. Il messaggio, o testo in c hiaro, viene convertito in una sequenza di O e l, usando una re­ gola nota a tutti. La chiave è un'altra sequenza di O e l della stes­ sa lung hezza. Ogni parte del messaggio, o testo in c hiaro, viene poi combinata con la parte corrispondente della chiave, in base al­ le regole della somma su base 2 : 0 +0 =0, 0 +1 =1 +0 =1 , 1 +1 =0. La chiave è una sequenza casuale di O e l, e perciò anc he il crit­ togramma che ne risulta - il testo in chiaro pi ù la c hiave - è ca­ suale e totalmente indeci frabile a meno che si conosca la chiave. Il testo in chiaro può essere recuperato sommando il crittogram­ ma e la chiave (sempre su base 2 ) . Nell'esempio precedente, il mittente, tradizionalmente chia­ mato Alice, aggiunge a ogni parte del testo in chiaro (0 1 0 1 1 1 00) la parte corrispondente della chiave ( 1 10010 10), ottiene così il crit­ togramma che viene poi trasmesso al destinatario, tradizionalmen­ te chiamato Bob. Sia Alice che Bob devono avere una copia esatta della chiave; Alice ne ha bisogno per ci frare il testo in c hiaro, e Bob per ricostruire il testo in c hiaro dal crittogramma. Se una terza per16

sona, di solito chiamata Eve, intercetta il crittogramma e conosce il metodo generale di codifica, ma non la chiave, non sarà in grado di capire nulla del messaggio originario. Shannon dimostrò addi­ rittura che se la chiave è segreta, della stessa lunghezza del mes­ saggio, veramente casuale, e non viene mai riutilizzata, il codice è realmente indecifrabile. Quindi i codici indeci frabili esistono l Ma c'è un problema. Tutte le chiavi non riutilizzabili hanno un punto debole, noto come problema di distribuzione della chiave. I potenziali utenti devono concordare in segreto e in anticipo la chiave - una lunga sequenza casuale di O e l. Una volta fatto que­ sto, potranno usare quella chiave per ci fr are e decifrare i messag­ gi, e i crittogrammi che ne risulteranno potranno essere resi pub­ blici, per esempio trasmessi alla radio, inseriti in Internet o stam­ pati su un giornale, senza compromettere la sicurezza del mes­ saggio. Ma la chiave in sé deve essere concordata tra mittente e destinatario attraverso un canale sicuro - per esempio una linea telefonica molto sicura, un incontro segreto o un corriere assolu­ tamente affidabile. Di solito un canale così sicuro è disponibile soltanto in certi momenti e in certe circostanze. Quindi, per garantire la perfetta sicurezza della crittocomunicazione successiva, due utenti lonta­ ni tra loro dovrebbero portare con sé un'enorme quantità di infor­ mazioni segrete e prive di significato (chiavi crittografiche) , il cui volume corrisponde a tutti i messaggi che potrebbero voler invia­ re in seguito. E questo è a dir poco piuttosto scomodo ! Inoltre, anche se dispongono di un canale «sicuro», questa si­ curezza non può mai essere veramente garantita. Rimane comun­ que un problema fondamentale perché, in linea di principio, qual­ siasi canale privato tradizionale può essere monitorato passiva­ mente, senza che il mittente e il destinatario sappiamo di essere stati intercettati. Questo perché la fisica classica - la teoria dei cor­ pi e dei fenomeni fisici su scala ordinaria, come i documenti di carta, i nastri magnetici e i segnali radio - consente di misurare tutte le proprietà fisiche di un oggetto senza perturbarle. Poiché tutte le informazioni, comprese le chiavi crittografiche, sono co­ dificate nelle proprietà fisiche misurabili di qualche oggetto o se­ gnale, la teoria classica lascia aperta la possibilità di un'intercetta­ zione passiva, perché in linea di principio consente all'intercetta­ tore di misurare le proprietà fisiche senza perturbarle. Questo di17

scorso non vale per la teoria quantistica, che costituisce la base della crittografia quantistica. Non esiste informazione senza rappresentazione fisica Supponete di lanciare in aria una moneta diverse volte e di regi­ strare i vari risultati scrivendo O per testa e l per croce. Il risulta­ to finale sarà una stringa casuale di O e di l - una «stringa binaria casuale» (binario significa che ci sono due possibilità in ogni pun­ to della stringa) . Una stringa del genere può essere usata come chiave crittografica, purché sia possibile crearne due copie iden­ tiche in due località distanti tra loro. È inutile dire che, se Alice e Bob compiono questa operazione in due posti diversi, le stringhe binarie che ne risulteranno saran­ no completamente di fferenti l'una dall'altra. Perciò, Alice e Bob devono ricevere i loro dati da una fonte comune di cifre binarie casuali, o bit. Il problema è che quando una cifra binaria è stata generata dalla fonte, deve essere comunicata ad Alice e Bob in modo sicuro. Dal punto di vista dei fisici, un bit è un bit fisico . Un valore bi­ nario è rappresentato da una quantità fisica misurabile come l'in­ tensità di una corrente elettrica, un segnale radio o un raggio di luce. Di conseguenza, dal punto di vista della fisica, l'intercetta­ zione è una misurazione passiva della quantità fisica che rappre­ senta il bit. La fisica classica - la teoria dei corpi e dei fenomeni macroscopici come i documenti di carta, i nastri magnetici e i se­ gnali radio - permette di misurare tutte le proprietà fisiche di un oggetto senza perturbarle. Quindi la fisica classica consente in­ tercettazioni perfette - i bit fisici possono essere intercettati e mi­ surati senza che i legittimi destinatari si accorgano dell'intrusione. Questo significa che una comunicazione sicura non è possibile. Fine della storia. Be', non proprio. Il mondo degli atomi e dei fotoni non segue le regole della fisica classica. È descritto dalla migliore teoria fisi­ ca di cui oggi possiamo disporre: la teoria dei quanti. L'atto di mi­ surare è parte integrante della meccanica quantistica, non è solo un processo esterno e passivo come quello della fisica classica, e di solito perturba il sistema misurato in modo percepibile. I foto18

ni, ad esempio, i quanti di luce elementari hanno delle proprietà misurabili, come i diversi tipi di polarizzazione, lineare, circolare, e così via, e misurandone uno si perturbano gli altri. La polariz­ zazione di un raggio di luce costituito da molti fotoni è collegata alla direzione delle oscillazioni dell'onda elettromagnetica. Que­ sto si traduce in un momento angolare intrinseco dei singoli foto­ ni. Se decidiamo di misurare una particolare polarizzazione di un singolo fotone, registreremo solo uno dei suoi due possibili valo­ ri, che può essere etichettato come O o l, e randomizzeremo i va­ lori delle altre polarizzazioni. Questo sistema può essere usato per accorgersi di eventuali intercettazioni ! Per fortuna, non siamo te­ nuti a conoscere tutta la fisica che c'è dietro ai fotoni polarizzati per avere un'idea di come funzionano le misurazioni quantistiche. Permettetemi di spiegarvele usando una semplice analogia. Quel­ la con i trucchi fatti con le carte dovrebbe funzionare. Trucchi con le carte Immaginiamo di prendere un cartoncino azzurro con la scritta O oppure l . Inseriamo il cartoncino in una busta e sigilliamola. Per conoscere la cifra binaria scritta sul cartoncino dobbiamo inseri­ re la busta in uno speciale congegno, una «macchina azzurra» che legge la cifra binaria attraverso la busta. Adesso immaginiamo un cartoncino rosso con la scritta O op­ pure l . Mettiamo anche quello in una busta e la sigilliamo. Per co­ noscere la cifra binaria scritta sul cartoncino, inseriamo la busta in una «macchina rossa» che la legge attraverso la busta. La macchina azzurra è in grado di leggere correttamente i car­ toncini azzurri (che portino la scritta O oppure 1 ) , ma è «cieca» a qualsiasi altro colore e legge i cartoncini rossi a caso. Se inseriamo un cartoncino rosso nella macchina azzurra, il risultato è un car­ toncino azzurro con uno O oppure un l scelto a caso. Lo stesso discorso vale per la macchina rossa: è in grado di leg­ gere correttamente i cartoncini rossi, ma legge a caso quelli azzur­ ri. Se inseriamo un cartoncino azzurro nella macchina rossa, il ri­ sultato è un cartoncino rosso con uno O oppure un l scelto a caso. Una delle caratteristiche di questo processo è che non siamo in grado di attribuire un valore preciso ai due colori contempora19

Lettura attendibile dei cartoncini rossi, altrimenti random

Lettura attendibile dei cartocini azzurri, altrimenti random

neamente. Il cartoncino è rosso oppure azzurro, non può essere tutte e due le cose. Se inseriamo un cartoncino rosso nella mac­ china azzurra, quando lo tiriamo fu ori avrà acquisito tutte le ca­ ratteristiche di un cartoncino azzurro (e viceversa) . Supponiamo di mettere nella macchina azzurra un cartoncino rosso che porta il valore O. La macchina ci può dire c he porta il valore O oppure che porta il valore l . Supponiamo c he ci dica c he è l . Se tiriamo fuori il cartoncino e poi lo inseriamo di nuovo nella stessa mac­ china ci darà sempre il valore l. Questo signi fica che adesso il car­ toncino sigillato nella busta è veramente azzurro, porta il valore l , e non ricorda più d i essere stato rosso e d i aver portato il valore O. A questo punto, se lo inseriamo nella macchina rossa, questa po­ trà dirci che porta il valore O oppure l, senza rivelarci nulla del va­ lore originario del cartoncino rosso. È così che si misurano i valori circolari (azzurro) e quelli lineari (rosso) delle polarizzazioni. Sono proprietà complementari: se co­ nosciamo il valore della polarizzazione lineare, che sia O oppure l , non sappiamo nulla dei valori della polarizzazione circolare, e vi­ ceversa. Le due proprietà fi siche non coesistono. Entra in gioco l' «entanglement» Vorrei ora introdurre il concetto delle coppie di cartoncini cosid­ detti entangled. Immaginate c he Alice e Bob ricevano ognuno di­ versi cartoncini dalla stessa fonte esterna. La fonte spedisce due bu­ ste che contengono dei cartoncini che non è possibile vedere, una ad Alice e una a Bob. Appena arrivano le buste, Alice e Bob deci­ dono a caso e indipendentemente l'una dall'altro di leggerle nella macchina azzurra o in quella rossa. 20

.

.. distanza

Si accorgono che i singoli risultati binari sono casuali qualun­ que macchina usino. Tuttavia, dopo essersi parlati, scoprono che se usano la stessa macchina, quella rossa o quella azzurra, i loro ri­ sultati coincidono sempre, vale a dire registrano (0,0) oppure ( 1 , 1 ) con la stessa probabilità. (In questo caso - a,b - significa che Alice ha registrato a O o l e Bob b O o l . ) Se usano macchine di colo­ ri diversi, invece, i risultati possono coincidere oppure no, vale a di­ re registrare (0,0), (0, 1 ) , ( 1 ,0) e ( l , l ) con la stessa probabilità. Co­ me è possibile? =

=

La misteriosa azione a distanza Qual è il colore dei cartoncini entangled prima della misurazione? Non possono essere entrambi azzurri e avere la stessa cifra binaria scritta sopra, perché se Alice e Bob decidono di inserire entrambe le loro buste nelle macchine rosse, le due letture potrebbero non coincidere. Per lo stesso motivo non possono essere neanche en­ trambi rossi. Né possono presentare alcuna precisa configurazio­ ne di colori e valori. Basta un momento di riflessione per capire che nessuna fonte è in grado di riprodurre le correlazioni desiderate. Eppure una fonte del genere esiste ! I fisici osservano questo tipo di correlazione nei loro esperimenti. Per esempio, in un processo de­ nominato «down-conversion parametrica», un fotone proveniente da un raggio laser entra in un cristallo di beta-borato di bario, vie­ ne assorbito ed eccita un atomo del cristallo. In seguito l'atomo de­ cade emettendo due fotoni entangled. Questi fotoni sono rappre21

Un'istantanea di Albert Einstein.

sentati dalle nostre buste sigillate, il loro tipo di polarizzazione è rappresentato dal colore dei cartoncini, e il valore di polarizzazio­ ne è rappresentato dalle cifre binarie scritte sui cartoncini. A questo punto forse vi ricorderete del grande detective Sher­ lock Holmes, il quale una volta osservò che quando tutte le spie­ gazioni probabili sono state escluse, qualsiasi altra possibilità, per quanto improbabile, deve essere presa in considerazione. Quindi forse i cartoncini entangled non sono di nessun colore prima di es­ sere misurati. Forse acquisiscono il loro colore, e il valore viene stampato su di essi mentre sono all'interno della macchina. Ma le macchine sono a chilometri di distanza l'una dall'altra e indipen­ denti l'una dall'altra, perciò come fanno a sapere che devono co­ lorare entrambi i cartoncini, diciamo, di azzurro? In fondo, una macchina potrebbe colorarne uno di azzurro e stamparci sopra O e l'altra colorare il secondo di azzurro e stamparci sopra l . S e questa storia vi lascia perplessi, permettetemi di assicurarvi che siete in buona compagnia. Nel maggio del 1 935, Albert Ein­ stein e due suoi colleghi, Boris Podolsky e Nathan Rosen (EPR) , pubblicarono un saggio in cui affermavano che una teoria fisica, co22

me la meccanica quantistica, che consente il tipo di correlazioni di cui abbiamo parlato, denominato da Einstein «la misteriosa azio­ ne a distanza», non fornisce una descrizione completa della realtà. Einstein e i suoi colleghi volevano credere che ognuno dei carton­ cini sigillati avesse un colore preciso, e che uno strumento di misu­ razione non fosse in grado di comunicare a distanza con un altro: «lo ho colorato il mio cartoncino di azzurro e ci ho scritto sopra O, quindi sarebbe bene che tu facessi la stessa cosa». La visione del mondo nella quale gli oggetti fisici hanno delle proprietà indipen­ dentemente dal fatto che noi le misuriamo o meno, e non possono «comunicare» tra loro a distanza si chiama «realismo locale». È una visione del mondo molto sensata; tuttavia negli anni Ottanta è sta­ ta confutata da una serie di bellissimi esperimenti di fisica. La chiave quantistica I fisici e i filosofi dibattono ancora sul significato di località e realtà nella teoria quantistica. È un argomento affascinante. In questa sede assumeremo un punto di vista più pragmatico e fare­ mo funzionare la confutazione del realismo locale per Alice e Bob nel loro impossibile compito di distribuire le chiavi crittografiche. Il nostro schema prevede un canale quantistico, attraverso il quale Alice e Bob ricevono cartoncini entangled da una fonte ester­ na, che potrebbe essere controllata da una spia, e un canale pub­ blico classico, attraverso il quale si scambiano i loro messaggi ordi­ nari. La spia, Eve, è in grado di intercettare la fonte. Questo è pro­ babilmente il protocollo meno intuitivo per la distribuzione di chia­ ve perché prevede anche la possibilità che sia la stessa Eve a distri­ buire i cartoncini ad Alice e Bob . I cartoncini entangled vengono spediti separatamente da una fonte ai due legittimi destinatari i quali decidono a caso e indi­ pendentemente l'uno dall'altra se leggerli con la macchina azzur­ ra o con la macchina rossa. Una tornata dell'esperimento potreb­ be dare il risultato che segue:

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ALICE

BOB

Quando hanno ricevuto la prima coppia di cartoncini, Alice e Bob hanno deciso indipendentemente di leggerli con la macchina azzurra e i loro risultati sono identici. Nel secondo caso, hanno deciso di leggerli con la macchina rossa e i loro risultati sono di nuovo identici. Nel terzo caso, Alice ha deciso di leggere il suo cartoncino con la macchina rossa mentre Bob ha letto il suo con quella azzurra. In questo caso i loro risultati non sono affatto cor­ relati. La quarta volta entrambi hanno inserito i cartoncini nella macchina azzurra e ottenuto risultati identici, e così via. Dopo aver fatto tutte le misurazioni, Alice e Bob discutono i loro dati sul canale pubblico in modo tale che chiunque, anche la loro awersaria Eve, possa sentirli, ma nessuno può alterare o eli­ minare questi messaggi pubblici. Alice e Bob si dicono quale mac­ china hanno usato per leggere ogni cartoncino ma non rivelano i risultati. Per esempio, riguardo alla prima coppia Alice potrebbe dire: « È uscito azzurro», e Bob potrebbe rispondere: «Anche a me». A questo punto sanno che i risultati - i valori - della prima lettura sono identici. Alice sa che Bob ha ottenuto un l perché lei ha ottenuto un l, e viceversa. Tuttavia, sebbene sappia che i ri­ sultati sono identici, Eve non sa se entrambi hanno ottenuto uno O oppure un l . I due risultati sono altrettanto probabili, quindi i valori effettivi rimangono segreti. In seguito Alice e Bob scarte­ ranno tutti i risultati ottenuti nei casi in cui hanno usato macchi­ ne diverse, e otterranno stringhe più brevi che ormai saranno for­ mate da dati perfettamente correlati. 24

Controlleranno poi se le due stringhe sono perfettamente cor­ relate confrontando, sul canale pubblico, alcuni dati scelti a caso (che appaiono in grigio nella tavola sottostante) :

Un accordo perfetto indica l' entanglement tra i cartoncini. I dati rivelati attraverso il canale pubblico vengono scartati e i ri­ manenti vengono mantenuti come chiave.

Eve è esclusa Sappiamo già che, se sono entangled, i cartoncini non hanno al­ cun colore prima della lettura effettuata da Alice e Bob. Questo significa che Eve non ha nulla da intercettare ! Cerchiamo di essere più specifici e di immaginare la situazio­ ne più favorevole per la spia: supponiamo che sia la stessa Eve a preparare i cartoncini e a spedirli ad Alice e Bob . L'obiettivo di Eve è quello di preparare le coppie di cartoncini in modo tale che a) sarà in grado di prevedere i risultati di Alice e Bob e b) potrà produrre risultati identici ogni volta che Alice e Bob decidono di leggere i cartoncini con macchine dello stesso colore. Se otterrà a) conoscerà la chiave e se otterrà b) non potrà essere scoperta. Ma questo è impossibile. Supponiamo che Eve prepari una coppia di cartoncini scegliendo a caso una delle quattro configu­ razioni possibili: (azzurro O, azzurro O ) , (azzurro l , azzurro 1 ) , (rosso O , rosso 0 ) , (rosso l , rosso 1 ) . Immaginiamo che sia (azzur­ ro O, azzurro O ) . Eve spedisce un cartoncino ad Alice e uno a Bob. Limitiamoci a prendere in considerazione i casi in cui Alice e Bob decidono di misurare lo stesso colore, poiché sono gli unici che 25

contribuiscono a formare la chiave finale. Se Alice e Bob scelgo­ no di misurare l'azzurro sui loro rispettivi cartoncini, ottengono lo stesso risultato ed Eve lo conosce; se decidono di misurare il rosso, sebbene i risultati siano casuali, nel 5 0 per cento dei casi possono comunque ottenere lo stesso risultato. Quindi Eve riesce a conoscere una cifra sì e una no della chiave; e comunque sarà scoperta perché con questo sistema, quando Alice e Bob control­ leranno l'entanglement confrontando sul canale pubblico un nu­ mero sufficiente di cifre della loro stringa binaria scelte a caso, ci sarà il 25 per cento di errori. Un'analisi più tecnica dimostrerà che qualsiasi sistema per spiarli, per quanto sofisticato, sarà destinato al fallimento, anche ammettendo che Eve abbia accesso a una tecnologia superiore, compreso un computer quantistico. Più informazioni Eve ha sul­ la chiave, più disturbi crea, se sa troppo verrà scoperta ! In questo caso Alice e Bob cercheranno di distribuire di nuovo la chiave. Ri­ cordate che lo scopo di chi li spia non è quello di impedire a Bob e Alice di comunicare in segreto tra loro, ma di ingannarli con­ vincendoli che sono in possesso di una chiave segreta mentre in realtà anche Eve la conosce. Ma con la distribuzione quantistica della chiave Alice e Bob non potranno mai essere ingannati . Una volta che saranno convinti di avere una chiave segreta potranno usarla per comunicare in modo perfettamente sicuro. Quindi i co­ dici indecifrabili esistono veramente, e non sono soltanto il frutto dell'immaginazione astratta. La crittografia quantistica oggi La distribuzione quantistica della chiave che ho appena descritto è il prodotto della mia infatuazione per la teoria quantistica ai tempi dell'università. È successo tutto a Oxford tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta. Non ricordo esattamente che cosa mi spinse in un giorno di pioggia a entrare nella biblioteca del Clarendon Laboratory, a curiosare tra i suoi scaffali polverosi e a scegliere di leggere l'originale del saggio di Einstein, Podolsky e Rosen. Ricordo tuttavia una frase di quel saggio che attirò la mia attenzione: «Se, senza perturbare in alcun modo il sistema, siamo in grado di prevedere con certezza il valore di una quantità fisica, allora significa che nella realtà fisica esiste un elemento che corri26

sponde a quella quantità». Questa è la definizione dell'intercetta­ zione perfetta ! Suppongo di essere stato fortunato a leggerla in questo particolare modo. Poi si è trattato solo di riformulare il concetto in termini crittografici. Sono stato fortunato di nuovo qualche mese dopo quando ho incontrato John Rarity e Paul Tapster, due fisici sperimentali del­ la Defence Agency di Malvem (oggi QinetiQ Malvem) . Non mi ci volle molto a convincerli a tentare di far trasportare ai primi fo­ toni entangled bit di informazioni segrete. Nel 1 99 1 , la crittogra­ fia quantistica sperimentale basata sull' entanglement quantistico divenne realtà. La «misteriosa azione a distanza» di Einstein trovò la sua prima applicazione pratica. Dovrei anche aggiungere che il mio lavoro è stato preceduto da un approccio diverso alla crittografia quantistica. All 'inizio de­ gli anni Settanta, Stephen Wiesner, che allora era alla Columbia University di New York, introdusse il concetto di codificazione quantistica coniugata. Dimostrò che si poteva immagazzinare o trasmettere due messaggi codificandoli in due «osservabili coniu­ gate» come la polarizzazione lineare e quella circolare della luce, in modo tale che uno dei due possa essere ricevuto e decodifica­ to, ma non entrambi. Esemplificò la sua idea progettando le ban­ conote non falsificabili. Il suo lavoro non fu pubblicato per anni e solo pochissimi dei suoi colleghi lo conoscevano. Dieci anni più tardi, sulla base del lavoro di Wiesner, Charles H. Bennett, del T.J. Watson Research Center dell'Ibm, e Gilles Brassard, del­ l'Université de Montréal, proposero un metodo di comunicazio­ ne sicura basato sulle «osservabili coniugate», ma anche questo ri­ mase poco conosciuto fino all'inizio degli anni Novanta. Oggi quello della crittografia è un settore in grande espansione. I primi tentativi fatti al T.J. Watson Research Laboratory dell'Ibm a Yorktown Heights, negli Stati Uniti, e alla Defence Research Agency di Malvem in Gran Bretagna hanno prodotto bellissimi esperimenti che hanno dimostrato in pieno la possibilità di distri­ buire la c hiave quantistica sia nelle fibre ottiche sia nello spazio li­ bero. La crittografia quantistica è anche un'alternativa commer­ ciale alla più convenzionale crittografia classica. La storia di que­ sto settore dimostra che anche dalle ricerche più astratte sui fon­ damenti della meccanica quantistica possono nascere applicazioni inaspettate. 27

Harold Thimbleby

Il destino dell'informatica onnipresente: il computer come agente del cambiamento sociale

Gli esseri umani non sono molto bravi a ragionare insieme. Pen­ sate ai dibattiti alle Nazioni Unite: vi partecipano tutte persone in­ telligenti, che discutono argomenti importanti, eppure non fanno che litigare ed essere in disaccordo tra loro ! Siamo spesso pole­ mici e tendiamo ad avere secondi fini. Ci arrabbiamo e diventia­ mo emotivi e pessimisti con estrema facilità, soprattutto quando stiamo cercando di risolvere problemi importanti. In alcuni settori, però, siamo abbastanza bravi a fare le cose in­ sieme. Considerate le città moderne: sono incredibilmente com­ plesse, eppure le case hanno acqua, gas, elettricità, i rifiuti vengo­ no raccolti e c'è un sistema di trasporti. Alcune cose sono organiz­ zate a livello centrale, altre a livello locale. Il solo fatto che le città funzionino è sbalorditivo. Oppure pensate ai Giochi olimpici che, nella loro forma moderna, esistono dal 1 896 e riuniscono persone provenienti da tutte le parti del mondo. Quando facciamo sport sappiamo nuotare, saltare e correre insieme. Questi esempi molto diversi tra loro dimostrano che gli esseri umani sono capaci di la­ vorare insieme in modo assai costruttivo. Sarebbe possibile usare i computer per imbrigliare la grande ca­ pacità di collaborazione che questi esempi dimostrano ma che vie­ ne meno quando ci mettiamo a pensare normalmente? Quando ci uniamo, siamo capaci di portare a termine imprese considerevoli; quello che ci serve quindi è vedere come possiamo usare la tecnolo­ gia per espandere la gamma di cose che siamo in grado di fare insie­ me. Se riusciremo a estendere questa collaborazione anche al pen­ siero potremo sicuramente risolvere molti problemi importanti. I computer stanno già completamente trasformando il modo in cui lavoriamo e ragioniamo su tutto - e le possibilità che ci of­ frono sono infinite. Possiamo perciò essere ottimisti riguardo al 28

futuro. Abbiamo dei problemi molto pressanti, come il terrori­ smo, e siamo tutti d'accordo sulla necessità di risolverli. Lo stes­ so discorso vale per i terroristi, anche i problemi che causano il lo­ ro scontento vanno risolti. Se riusciremo a pensare con maggior chiarezza ci riusciremo. Fino al 1 993 nessuno aveva sentito parlare del World Wide Web, e solo pochissimi esperti usavano l'e-mail, ma oggi la Rete e la posta elettronica influiscono su quasi tutte le attività della no­ stra vita* . La Rete è diventata veramente mondiale, e quasi tutti gli abitanti del pianeta sono in qualche modo collegati a essa. Esi­ ste un modo di usare i computer che può aiutarci a ragionare me­ glio insieme, e quindi permetterei di collaborare per la soluzione dei problemi più pressanti dell'umanità? In queste pagine vorrei provare a vedere come è possibile incanalare le enormi potenzia­ lità dei computer a fini positivi. Che cosa sono i computer? I computer non sono soltanto quegli oggetti che teniamo sulla scri­ vania in casa o in ufficio. Se viviamo in un paese sviluppato, nella nostra automobile ce ne sono più di cinquanta; e ce ne sono anche nel nostro televisore, nei nostri giochi, nella nostra banca, nella no­ stra lavatrice. Un tempo i computer erano oggetti «esterni» che usavamo, adesso fanno parte in modo imprescindibile della nostra vita, come un'estensione del nostro corpo. Non possiamo nascere, andare a scuola, pagare le tasse o andare in ospedale senza che i no­ stri dati passino attraverso un computer. Alcuni computer sono mi­ nuscoli, altri sono addirittura impiantati all'interno del corpo uma­ no; dal canto suo, la Rete è il sistema più vasto e complesso che l'uo­ mo abbia mai costruito. Solo negli ultimi dieci anni ha rivoluzio­ nato il commercio e il modo in cui le persone comunicano tra loro, pubblicando sul Web, scambiandosi messaggi istantanei oppure diffondendo idee politiche o addirittura sovversive. * Per il resto di questo articolo non farò più nessuna distinzione tecnica tra Internet e Web. Mi interessano soprattutto le conseguenze che vediamo, non i dettagli tecnici che le rendono possibili. In realtà, Internet è l'infrastruttura sul­ la quale poggia il Web, come anche la posta elettronica, la musica e molte altre forme di comunicazione.

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I rapporti di potere sono cambiati: adesso le società commer­ ciali e i governi sanno molte più cose di prima sui cittadini, ma an­ che gli individui sono molto più informati e collegati tra loro, se vogliono esserlo, molto più indipendenti, o addirittura in grado di scambiarsi informazioni segrete come fanno le cellule dei gruppi terroristici. A volte i computer funzionano meravigliosamente: pensate al­ la stupefacente grafica computerizzata dei film moderni, o alle ap­ parecchiature mediche (come i pacemaker) che ci mantengono in vita. Altre volte funzionano molto male: come nel caso di una bu­ rocrazia già complessa appesantita da programmi ancora più complessi, in cui molti disguidi sono causati dal cosiddetto «fat­ tore umano», che spesso è un eufemismo per indicare l'incapacità delle persone di lavorare con i sistemi complessi, soprattutto in condizioni di stress. Quindi i computer offrono due tipi di opportunità contrap­ poste. Da una parte, possono essere usati dal potere centrale per imporci regole sempre più complesse e cercare di controllare tut­ to, dalle tasse ai divertimenti (in quest'ultimo caso, per esempio limitandoli con la censura) , dall'altra, ci permettono di comuni­ care più liberamente e di lavorare insieme per risolvere i proble­ mi più pressanti del mondo. In realtà, spesso possiamo fare anche di più che «risolvere i problemi»: possiamo «dissolverli», perché a volte i computer possono trasformare le regole che creano pro­ blemi in nuove opportunità. I computer hanno sicuramente cambiato la vita moderna più di qualsiasi altra invenzione umana; stanno cambiando le arti, le scienze e la comunicazione. Diversamente dai mezzi di trasporto e dall'elettricità, non stanno solo rendendo le cose più facili e più veloci, ma stanno trasformando il modo in cui ci comportiamo e ci vediamo come esseri umani. Forse la medicina e l'igiene sono state più importanti per prolungare la nostra vita, ma non hanno cambiato il nostro modo di vivere quando siamo in buona salute. I computer invece riscrivono le regole; consentono a burocrazie incredibilmente sofisticate (e confuse) di funzionare. Alcuni so­ stengono che abbiamo inventato i computer in anticipo di alme­ no dieci anni: invece di lasciare che la burocrazia moderna crol­ lasse sotto il suo stesso peso, cosa che sarebbe probabilmente suc­ cessa se non fossero arrivati i computer a salvarla, adesso le mac30

chine le consentono di aggiungere regole all'infinito e strati su strati di complessità. Eppure i sistemi burocratici, come ad esem­ pio quello del fisco, hanno ancora bisogno di esseri umani che li facciano funzionare e che paghino le tasse, e non stiamo affatto di­ ventando più bravi nel gestire la complessità - né in quanto per­ sone che pagano le tasse, né in quanto operatori dei sistemi com­ puterizzati ! I computer ridefiniscono i confini: in pochi secondi, Internet fa comparire sui nostri monitor informazioni prodotte in tutti i paesi. Adesso possiamo commerciare indipendentemente dalle leggi del nostro paese; possiamo raccogliere informazioni proibi­ te; possiamo distribuire qualsiasi cosa (e così facendo guadagnar­ ci da vivere) : dalle informazioni umanitarie alla pornografia. In­ ternet può riportare una notizia da varie angolature, o può di­ storcere la verità e alimentare il terrorismo. Mentre molte persone, soprattutto le grandi organizzazioni e gli anziani, stanno ancora cercando di adattarsi alla tecnologia dell'informazione e della comunicazione (lct), il Terzo Mondo sta approfittando delle comunicazioni di massa economiche, e la tec­ nologia stessa sta avanzando in campi finora inesplorati. In Suda­ Erica sono più le persone che possiedono un cellulare di quelle che pagano le tasse, e in Europa stiamo sperimentando i trapianti umani, i sistemi biometrici, quelli di sorveglianza, e quella che vie­ ne detta «interazione casuale» - l'interazione con i computer di cui non sappiamo nulla né ci importa nulla ma che comunque de­ terminano nel caso di cattivo funzionamento una evidente diffe­ renza. (Per esempio, quella tra la nostra auto e la chiave che ci per­ mette di metterla in moto, quando non funziona. ) L 'interazione casuale si sta rivelando molto interessante. Re­ centemente c'è stata un'esplosione di strumenti per giocare con il computer, che dal punto di vista informatico sono assolutamente irrilevanti, ma a livello sociale stanno riscuotendo un grande suc­ cesso (e realizzando enormi vendite) . Che cosa succederà quando questi giochi, o le idee da cui sono nati, entreranno a far parte del­ la vita di tutti i giorni e non saranno più solo un modo per diver­ tirsi? Possiamo già notare che negli uffici gli impiegati che hanno sulla scrivania un personal computer in realtà dispongono di un costoso sistema di intrattenimento - che consente loro di ascolta­ re Cd e vedere Dvd - fornito d al loro stesso datore di lavoro ! P re31

sto queste macchine da ufficio avranno ancora altre caratteristi­ che che le renderanno sempre più divertenti e seducenti. Perfino dei gadget semplicissimi possono influire positiva­ mente sulla vita delle persone. La telemedicina, per esempio, con l'aiuto di sensori può misurare la pressione sanguigna o il livello di zuccheri presenti nel sangue senza che le persone escano di ca­ sa. Le persone che hanno bisogno di questi controlli sono proprio quelle che hanno più difficoltà ad andare da un dottore o in ospe­ dale, e meno soldi per pagare le visite. Inoltre, la telemedicina for­ nisce un semplice meccanismo di filtro, che consente ai medici di concentrarsi sui pazienti che hanno veramente bisogno di loro, ri­ sparmiando a tutti la seccatura di visite inutili. Ma, naturalmente, non ci sono solo gli aspetti positivi. Il «baco del millennio» è stato il problema più serio e costoso che gli esseri umani abbiano mai dovuto affrontare. Ma è stato un problema creato dagli uomini. Conosciamo tutti la frustrazione di non sapere come usare i sistemi informatici complessi, che oltre­ tutto vanno troppo spesso in tilt ! Il Web, però, ha ormai supera­ to molti di questi problemi: non solo è la cosa più grande mai co­ struita dall'uomo, ma è in progresso costante ed esponenziale dall'inizio degli anni Novanta; e le macchine e i programmi da cui dipende si sono evoluti e sono stati aggiornati continuamente. Dal punto di vista tecnico, la sua resistenza è piuttosto notevole, co­ me anche la sua capacità di penetrare nella vita di tutti è incre­ dibilmente facile da usare, e chiaramente ci offre qualcosa di cui abbiamo profondamente bisogno. Nei paesi più avanzati, molte persone pensano che la vita stia diventando sempre più complessa e difficile, e non dia alcun se­ gno di voler rallentare la sua corsa. Come ha detto qualcuno: «Vo­ levo che il mio computer fosse facile da usare come il mio telefo­ no, ma adesso il mio telefono è diventato complicato quanto un computer». Questo genere di frustrazione sembra meno proble­ matica del «baco del millennio» (e sicuramente meno costosa) , ma in realtà, se consideriamo tutti i minuti e le ore che ognuno di noi spreca per usare tecnologie troppo complesse e a volte incom­ prensibili, la cosa non è poi tanto insignificante. Se metà delle per­ sone che vivono sulla T erra usassero un computer, e metà di loro sprecassero anche un solo minuto al giorno (una stima piuttosto modesta) , ogni anno andrebbero sprecate mille vite lavorative ! -

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E molti di quelli che oggi sono affascinati dai computer e dai vari gadget elettronici domani soffriranno a causa dello stress da ripetizione provocato dal premere continuamente bottoni. Chiaramente, oltre a sfruttare i computer in modo creativo per risolvere i problemi, dovremmo fare tutto il possibile per proget­ tare i sistemi in modo tale che siano anche facili, comodi e piace­ voli da usare. «Pigeon thinking» Un tempo le persone sognavano che in futuro avrebbero potuto volare. Gli uccelli volano, e anche noi volevamo farlo. Forse, pen­ savano, per volare ci vogliono piume e ali? Forse è necessario ave­ re il becco? Il primo volo a motore fu realizzato nel 1 903 , e la macchina vo­ lante non assomigliava affatto a un uccello. Oggi siamo in grado di volare a un'altezza di decine di chilometri stando distesi su una poltrona, guardando un film e consumando un pasto. A volte per le nostre vacanze migriamo verso il Sole come gli uccelli, eppure nient'altro di quello che facciamo ha qualcosa a che vedere con i volatili, è «molto di più». Pigeon thinking è un'espressione inglese usata per descrivere l'idea che per progredire ci basta solo fare di più la stessa cosa, mi­ gliorare in quantità e prestazione oppure copiare qualcosa che è stato già fatto. Spesso sembra che i computer possano essere ap­ plicati a qualsiasi lavoro per farlo meglio, perché sono più veloci, più economici o utilizzabili su più vasta scala. Il pericolo è quello di ricadere nelpigeon thinking, di usare semplicemente i computer per rafforzare lo status quo. In realtà, per fare meglio dobbiamo co­ minciare a pensare in modo diverso e a cercare nuove strade. Spes­ so questo modo di pensare diverso è stimolato dalle innovazioni tecniche (come, nel caso del volo, dalla scoperta di tecnologie che consentivano di far volare oggetti più pesanti dell'aria) . Lo scopo di questo saggio è quello di esaminare come le inno­ vazioni tecniche, e in particolar modo i computer, si intrecciano con i cambiamenti sociali, e di affermare che il pt;geon thinking de­ ve lasciare il posto a visioni più ambiziose del nostro futuro. Il pigeon thinking sembra essere molto conveniente. Per esem­ pio, parecchie organizzazioni usano i computer per ridurre il co33

sto della carta. Questo costituisce un risparmio basato sulla sma­ terializzazione, sulla sostituzione di oggetti fisici (in questo caso la carta) con immagini computerizzate. Ma purtroppo, quando i di­ pendenti di un'organizzazione stampano le copie del lavoro che hanno ricevuto, quest'operazione risulta più costosa che se tutto fosse stampato a livello centrale con macchine più efficienti. E non solo, l'apparente risparmio della comunicazione elettronica rispetto a quella su carta spinge le persone a spedire più messaggi (spesso apportando piccole modifiche a quelli precedenti) , crean­ do così una proliferazione delle informazioni. Il problema reale non è più quindi lo spreco di carta, ma piuttosto l'eccesso di cose da dire - e l'essersi liberati della carta ha peggiorato la situazione ! Con un corretto uso dei computer si potrebbe non solo rendere più facile la creazione di informazioni, ma modificare l'intero ap­ proccio degli innumerevoli utenti nello scambio comunicativo. Tendenze tecniche L'informatica moderna è nata intorno al 1 947, quando una società di catering inglese, la Lyons, ha scoperto che poteva utilizzare i computer per rendere più efficiente il suo lavoro. Gradualmente, con la riduzione del loro costo e delle loro di­ mensioni, e grazie ai programmi di scrittura (i quali in origine ri­ siedevano anch'essi in computer centralizzati che sostituivano le dattilografe), i computer si sono spostati nei singoli uffici. Origi­ nariamente, una società informatica poteva vendere un unico com­ puter a una grande organizzazione, ma in seguito con l'aggiunta delle applicazioni poteva venderne uno per ogni impiegato. Que­ sto aumento di proporzioni ha prodotto ulteriori innovazioni tec­ niche, che a loro volta hanno creato nuove opportunità di merca­ to, e hanno spinto un numero sempre maggiore di persone a usa­ re i computer sia al lavoro che in casa, allargando ulteriormente il mercato. Questa è, in sintesi, la forza motrice che è alla base della Legge di Moore: i computer stanno diventando sempre più piccoli, velo­ ci ed economici, e la velocità di questi cambiamenti raddoppia all'incirca ogni diciotto mesi. La Legge di Moore è una legge di mercato, non una legge tecnologica. La crescita esponenziale del34

la tecnologia informatica è dovuta in realtà al fatto che il mercato è stato capace di crescere esponenzialmente e, a sua volta, l'allarga­ mento del mercato ha stimolato un'innovazione proporzionale al­ le sue dimensioni. Attualmente il settore in maggiore sviluppo è quello dell' «informatica onnipresente», che mira a inserire i com­ puter ovunque - non solo uno o due a persona, ma migliaia. Ci sa­ ranno computer (quale che sia la loro tipologia) in tutto quello che usiamo, dalle scarpe ai cartoni del latte, dalle case ai nostri corpi. I computer conservano tutta la loro sofisticazione, ma stanno diven­ tando economici e piccoli come non avremmo mai potuto imma­ ginare. Questa espansione non solo creerà la possibilità di nuove applicazioni, ma farà di gran lunga aumentare il numero di menti creative che penseranno a come poterle utilizzare. Il vantaggio di inserire i computer in tutto sta già superando il loro costo. Per esempio, inserire microchip negli articoli di abbi­ gliamento riduce i furti nei negozi, facilita la distribuzione e il con­ trollo di qualità, e permette agli industriali di seguire le tendenze della moda. Un tempo ci preoccupavamo dell'analfabetismo. Adesso do­ vremmo cominciare a preoccuparci dell'analfabetismo informati­ co. Chi non sa usare un computer ha difficoltà a trovare lavoro, e non può godere di certi vantaggi sociali - dall'istruzione al con­ trollo degli strumenti finanziari. Le persone anziane sono più con­ fuse e più dipendenti e il rapido sviluppo dei sistemi informatici sembra rendere la loro vita molto più complessa invece che più semplice. I giovani sono meno emancipati e meno attivi dal punto di vista economico. Tutto questo è dovuto allo spartiacque digitale. Per continuare a stare al passo con tutte queste innovazioni tecniche è necessario liberarsi dei sistemi obsoleti. Ma abbiamo un problema ambientale da risolvere: ogni anno gettiamo via mi­ lioni di tonnellate di materiale elettronico, e l'inquinamento chi­ mico causato dai prodotti ad alta tecnologia sta diventando sem­ pre più preoccupante. I computer verranno sempre più usati come strumenti di «in­ trattenimento». A noi tutti piace divertirci, e siamo disposti a pa­ gare per questo, quindi è un buon affare - tra le forme di intrat­ tenimento potremmo includere il gioco d' azzardo, la pornografia, o i mondi artificiali, tutti esempi di «attività economiche» che stanno fiorendo proprio grazie a Internet. D'altro canto, i bambi35

ni hanno bisogno di istruzione, e gli adulti di lavoro. Purtroppo, l'intrattenimento usato ai livelli verso i quali tende la nostra so­ cietà (forse potremmo chiamare questo tipo di intrattenimento che fa perdere tanto tempo diseducazione) è una forma di distra­ zione che ci impedisce di essere efficienti; anzi, che si tratti di at­ tività economica o meno, non è produttivo (nel senso in cui lo è l'agricoltura o l'industria) e quindi prima o poi ridurrà la compe­ titività dei paesi che vi si abbandonano senza riserve. I computer saranno sempre più usati per creare nuove oppor­ tunità commerciali che prima non esistevano. Dal punto di vista commerciale, questa è una cosa positiva, naturalmente. Ma dal punto di vista individuale, improvvisamente quella che era una pratica comune è diventata un'attività costosa. Per esempio, fino a poco tempo fa non esisteva un'«industria della musica», ma, in particolare nell'ultima parte del Ventesimo secolo, le tecnologie che consentono di copiare e distribuire musica l'hanno creata. Poi i computer hanno permesso alle persone di copiare la musica con facilità, e per un breve periodo hanno potuto farlo anche gratui­ tamente, con grande indignazione dell'industria. A questo punto è stato necessario cambiare le regole, e copiare la musica è diven­ tato ill egale. Adesso esiste un'industria ancora più vasta, che non avrebbe mai potuto esistere senza la tecnologia e la legislazione che permette alle società di mantenere il loro vantaggio sugli in­ dividui. Un altro esempio è quello della codifica dei Dvd affinché possano funzionare solo su lettori acquistati in certi paesi. Anche in questo caso, la tecnologia è stata usata per creare mercati e pro­ fitto che non sarebbero esistiti senza di essa; e l'altra faccia del mercato è che i consumatori devono pagare i prodotti. Che que­ sto pagamento sia o meno giusto è un problema etico che il mer­ cato in quanto tale non è in grado di affrontare. I computer vengono spesso usati anche come strumenti di con­ trollo. Gestire il personale è difficile, e la cosa più semplice da fa­ re è usare i computer per «automatizzare» un'impresa, così che tutti i dipendenti rispettino le regole imposte dal computer (che potrebbe essere, e spesso è, un modello impreciso di come fun­ ziona effettivamente l'impresa) . Questo rende le organizzazioni più efficienti nel senso della quantità, ma limita notevolmente quello che possono fare in termini di innovazione, perché riduce il contributo che gli individui possono dare al sistema. 36

Uno sviluppo preoccupante (a mio avviso) è il fatto che sono state create delle opportunità commerciali nel cuore stesso della macchina della democrazia. Possiamo sostenere che la democra­ zia è la base della nostra società moderna, ma i computer hanno consentito allo stesso sistema di voto di essere mercificato. Oggi è possibile sostituire le urne con i computer. L'aspetto positivo di questa innovazione è che rende più difficile le frodi elettorali e più veloce e affidabile il conteggio dei voti. Quello negativo è che il funzionamento dei macchinari per le votazioni deve essere segre­ to per consentire un profitto a chi li produce. E in questo caso, chi garantisce agli elettori che le macchine dicono la verità? La rispo­ sta è: assolutamente nessuno, anzi, finora nei paesi che hanno spe­ rimentato queste nuove tecnologie, come gli Stati Uniti, abbiamo visto che esse lasciano molto a desiderare in termini di precisione e di affidabilità. Tuttavia, se riusciremo a capire come far funzionare adegua­ tamente il voto elettronico - piuttosto che automatizzare i vecchi procedimenti (che non sono sicuro abbiano bisogno di essere au­ tomatizzati) - potremmo estenderlo a tutti i temi che ci interessa­ no. Piuttosto che votare per un candidato, non potremmo votare sui problemi? Molti governi sono riluttanti a indire referendum, a causa del loro costo e del disonore di veder bocciate le loro tesi dalla popolazione. Ma potremmo cambiare le convenzioni. In teo­ ria, facendo questo potremmo togliere un po' di potere ai gover­ ni e alle organizzazioni per restituirlo agli individui, cioè a coloro che secondo la democrazia dovrebbero averlo. L'impatto sociale Internet ha già cominciato a infrangere le barriere nazionali, e le regole internazionali dell'informazione (vendita, diritti d'autore, qualificazioni) stanno diventando più importanti per gli individui di quanto non lo siano quelle della cittadinanza. Tutti nascono con il diritto inalienabile alla cittadinanza; ma il permesso di la­ vorare deve essere acquisito (tramite anni di istruzione e qualifi­ cazione) e una volta trovato un lavoro lo si può perdere con estre­ ma facilità. È sconcertante che la maggior parte delle cento mag­ giori organizzazioni economiche del mondo siano società private e non governi. 37

Tutto quello che entra in un computer può essere mercificato. La gente non usa i computer per risparmiare lavoro, bensì per creare ricchezza - ma non necessariamente per noi. Finché le informazioni personali costituiranno una componente importan­ te dell'utilità dei computer, saranno mercificate (un esempio tra tanti possono essere le informazioni sul credito) e le dovremo pa­ gare. Ma così rinunceremo alla nostra privacy in favore delle bu­ rocrazie, non di persone che conosciamo e con le quali possiamo rag1onare. Ai «vecchi tempi» avevamo dei vicini e dovevamo trovare un modo per andare d'accordo con loro - mescolando muri divisori, tolleranza e amicizia. Nei momenti di bisogno, ci davamo una ma­ no perché eravamo vicini. Quando camminavamo per la strada o andavamo al pub, alla partita, o in qualsiasi altro posto, incontra­ vamo degli sconosciuti, con i quali potevamo o meno trovarci d'accordo. Dovevamo accettare la diversità, e imparare a tollera­ re chi aveva convinzioni differenti dalle nostre. Ma oggi sta di­ ventando sempre più possibile vivere in comunità selezionate di persone scelte da noi: in Rete ci sono più persone appassionate al­ le nostre «passioni» (per esempio, la costruzione di modellini di treni) di quanto possiamo immaginare. Possiamo decidere di en­ trare a far parte di un gruppo di persone che si interessano solo di treni a vapore a un certo scartamento - e ce ne saranno ancora molte che non conosceremo mai. Entriamo così a far parte di una tribù. Le tribù sono gruppi sociali che definiscono autonoma­ mente le proprie norme. Se la tribù della quale siamo entrati a far parte si raccoglie intorno a certe convinzioni politiche, è facile di­ menticare che l'abbiamo scelta proprio per quel motivo; ci con­ vinciamo che tutte le persone sane di mente - o comunque tutte quelle che conosciamo - condividono le stesse idee. Se la tribù prescelta è qualcosa come il Ku Klux Klan o al-Qaeda o un cir­ colo di pedofili, la sua «morale» può creare dei problemi perché entra in conflitto con le preferenze dei vicini reali. (E oggi che si può viaggiare in tutto il mondo, i nostri vicini reali non sono più soltanto quelli che abitano accanto a noi, ma i cittadini di tutto il pianeta.) In breve, il concetto di interesse pubblico - e l'idea che i singoli componenti della comunità possano difenderlo - sta di­ ventando obsoleto. Anzi, alcuni dei primi commentatori di Inter­ net hanno osservato che il ciberspazio non era solo un «nuovo 38

paese senza frontiere», ma anche senza tasse - e quindi senza i mezzi per sostenere i più deboli e i meno istruiti. Infine, le persone che non sono collegate alla Rete diventano invisibili per quelle che lo sono. Nei paesi moderni esiste un nu­ mero sempre maggiore di persone - come gli immigrati e i pove­ ri - che non possono accedere a Internet e quindi non hanno al­ cun potere. Fortunatamente esistono molte iniziative comunitarie per favorire l'accesso alle tecnologie (come il programma sudafri­ cano Learn t o Earn) , ma quante iniziative esistono per allargare le conoscenze e le possibilità di incidere sul mondo reale di quelli che sono già in Rete? I nuovi usi del computer I blog, i wiki, i messaggi istantanei, i virai, l'Rss (Really Simple Syndication, un sistema per pubblicare aggiornamenti su Inter­ net), il podcasting per la musica sono usi completamente nuovi dei computer. Si può scoprire tutto su queste novità usando un motore di ricerca come Google, che è anch'esso una nuova tec­ nologia . E nasceranno altre idee. Il Web ha cambiato il nostro modo di pensare all'informazione, e alla democrazia dell'informazione. Consente a tutti di diffondere idee, indipendentemente dalla loro qualità. Ai «vecchi tempi» per far circolare del materiale al di fuo­ ri di un piccolo gruppo era necessario disporre delle risorse per pagarne la stampa e la distribuzione; o almeno avere una storia da raccontare che secondo un editore avrebbe riscosso l'interesse di un numero sufficiente di persone. Il termine che si usava era broadcast, letteralmente «ampia diffusione», adesso si parla di nar­ rowcast, trasmissione ristretta di materiale molto specifico a pic­ cole comunità specializzate, in parole povere, alle tribù. Questo genere di informazione presenta due problemi sociali: si rivolge a una comunità di persone che condividono i suoi contenuti, ed è trasmessa da persone che non ricevono commenti critici su que­ gli stessi contenuti da parte della comunità. Non c'è nessuno che la verifichi e nulla che le permetta di essere utile a chiunque non appartenga alla specifica tribù alla quale si rivolge. Inoltre, dato che la gestione di queste narrowcasts è di solito molto ristretta, è 39

facile che vi si infiltri qualcuno che non è solo interessato al pro­ blema, ma persegue disonestamente i propri fini. Meno noti sono i giochi multiutente (che secondo alcuni «su­ perano la realtà») , le biblioteche digitali e i machinima - i filmati realizzati a partire dai videogiochi. Sono tutte tecnologie infor­ matiche che avranno lo stesso impatto sul modo di pensare e di comunicare che hanno avuto la posta elettronica e il Web negli anni Novanta. Alcune persone sono già dotate di configurazioni che presto saranno integrate in modo innovativo con i sistemi informatici. Gli impianti presto diventeranno molto più piccoli di quanto non lo siano oggi, non saranno più ingombranti pacemaker che ri­ chiedono un'anestesia generale per essere inseriti (o asportati quando non funzionano più), ma prodotti della nanotecnologia che nuotano nelle nostre vene, e che forse non saremo più in gra­ do di eliminare dal nostro sistema. Sebbene tutte queste innovazioni tecnologiche siano ancora agli inizi, manifestano tutte notevoli potenzialità. I wiki sono do­ cumenti alla stesura dei quali possono partecipare molte persone. Il più ampio di tutti è la Wzkipedia, un'enciclopedia con circa no­ vecentomila articoli in inglese, e migliaia di altri articoli non solo nelle lingue più comuni, ma perfino in magiaro, in lingua i do (una sorta di esperanto) , in shqip (lingua minoritaria albanese) e in molte altre lingue poco conosciute. Le dimensioni della Wikipe­ dia superano quelle di qualsiasi altra enciclopedia cartacea. Le en­ ciclopedie convenzionali sostengono di essere più autorevoli e contrappongono la loro politica editoriale all'approccio «senza regole» dei wiki. Eppure i wiki hanno un successo sorprendente; se il Web è la cosa più grande mai creata dall'uomo, i wiki sono il più grande prodotto della collaborazione umana. Se qualcuno commette un errore (o inserisce informazioni fuorvianti) , questo errore viene rapidamente corretto. Non è necessario neanche un grande intervento di moderazione. E viene da chiedersi se un'idea come quella dei wiki non possa essere adottate per far funzionare meglio organizzazioni come le Nazioni Unite quando devono scri­ vere lunghi documenti, o i governi quando devono creare nuove leggi. Le biblioteche digitali sono come quelle reali solo che si tro­ vano su Internet. Diversamente da quanto accade nei wiki, il loro 40

materiale viene spesso creato in modo convenzionale, e quindi ag­ giunge autorevolezza e coerenza stilistica alla Rete. Molte biblio­ teche digitali possono essere copiate su Cd e poi utilizzate senza dover accedere a Internet. La biblioteca digitale della Nuova Ze­ landa, per esempio, è uno dei progetti più vasti di questo tipo, e contiene materiale di alta qualità che in situazioni di emergenza può essere utilizzato con maggiore facilità rispetto alle tonnellate di carta che sostituisce, anche nelle zone più sperdute del piane­ ta. La cosa più interessante è che la biblioteca digitale della Nuo­ va Zelanda è gratuita, e quindi consente a chiunque abbia un com­ puter di costruirsi una propria biblioteca. La comunità scientifica si preoccupa della verità, e nel corso di secoli ha sviluppato procedure per garantire che le informazioni siano corrette e costruttive. In realtà, lo stesso Web è nato da un laboratorio di fisica proprio per la diffusione di materiale scienti­ fico. Gli scienziati, come tutte le altre persone, vogliono che le lo­ ro idee circolino, ma vogliono anche che siano corrette. Quindi di solito esiste una distinzione tra la prima stesura, che pochi posso­ no leggere, la prestampa, che è la versione più o meno completa ma potrebbe contenere degli errori, e la versione definitiva, la cui qualità è la migliore possibile poiché è stata sottoposta alla verifi­ ca di esperti di livello pari a quello dell'autore. Sarebbe interes­ sante poter applicare alle biblioteche digitali e ai wiki questo tipo di controlli di qualità per ottenere i migliori prodotti possibili. Nasceranno ancora nuove proposte, e trasformeranno lo spar­ tiacque digitale in un mondo di opportunità digitali. Nessuna del­ le idee che ho menzionato è tecnicamente difficile da realizzare, la maggior parte di esse richiede solo un po' di creatività e la ca­ pacità di mettere insieme nuovi strumenti. E, fortunatamente, esi­ stono molte persone disposte a farlo. Di che tipo di tecnologia abbiamo bisogno? Una volta ho visto una vignetta che rappresentava un cane che na­ vigava su Internet, e la battuta diceva: «In Rete nessuno sa che sei un cane». All'inizio chiunque poteva partecipare alle discussioni on line senza che nessuno sapesse chi era. C'era una visione quasi utopistica della condivisione del ciberspazio da parte di tutti, indi41

pendentemente da chi fossero nella vita reale - che fossero ricchi o poveri, atletici o disabili, senza distinzioni di razza, di religione o di qualsiasi altro genere. La speranza era che questo potesse portare a una nuova democrazia senza confini e senza pregiudizi. L 'idea originaria della Rete era quella di permettere ai singoli individui di creare contenuti, ma i primi browser lo rendevano molto difficile (in realtà, non lo permettevano affatto ed era ne­ cessario usare altri strumenti) . Purtroppo, però, nel corso del tempo il Web è diventato un mezzo di consumo prevalentemente passivo, e le forze di merca­ to attirate dal commercio elettronico hanno creato norme e rego­ lamenti che rinforzavano il concetto dell'individuo come consu­ matore. Perciò, iniziative democratiche come Napster, che viola­ vano le regole di mercato del mondo reale sono state bloccate dal­ le leggi del mondo reale. In buona parte, la Rete prescinde dal luogo in cui ci troviamo. Potremmo usare vari motori di ricerca per scovare problemi da ri­ solvere e comunità di persone che vogliono risolverli. Molti pro­ blemi hanno una localizzazione geografica precisa. Non sarebbe difficile usare meta-dati per trovare persone che vivono nella stes­ sa regione e condividono gli stessi problemi. Imparando ad aiuta­ re le persone a risolvere i problemi che vogliono veramente risol­ vere, e che di solito riguardano il loro ambiente reale, imparere­ mo anche ad aiutare le persone a risolvere problemi più difficili e sui quali, spesso, non esiste un consenso. La consapevolezza del luogo e dell'identità è anche più im­ portante di quanto si potrebbe pensare: la collaborazione sociale nasce perché le persone sanno che si incontreranno di nuovo. (Le persone che non si incontreranno mai più tendono a sfruttarsi a vicenda. L'esempio estremo di questa situazione è il vandalismo anonimo, il suo contrario sono i rapporti familiari. ) In altre paro­ le, l'identità riconosciuta e la contemporanea presenza in un me­ desimo spazio favorirà un approccio costruttivo alla collaborazio­ ne. Questa è una cosa che la Rete non garantisce ancora. È comunque incoraggiante che sviluppi recenti come i blog e i wiki tornino nella direzione originaria del Web, rendendo più fa­ cile la creazione di contenuti da parte dei singoli. Nessuna delle due tecnologie, tuttavia, prevede uno spazio per la conversazione o il dialogo. Nessuna delle due fa incontrare le persone. L'unico 42

strumento che fa questo è la realtà virtuale che consente di vivere in mondi immaginari. I mondi artificiali, con i loro milioni di uten­ ti, hanno un grande successo. Sarebbe possibile sfruttare queste facoltà di accesso al mondo virtuale per risolvere i problemi del mondo reale? Dopotutto, i mondi artificiali sono nati dai giochi di guerra che i militari creavano per risolvere i loro problemi. Possiamo prevedere di usare tecnologie solo leggermente più avanzate dei wiki e dei blog nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, nell'Organizzazione mondiale del commercio, per le conferenze scientifiche (come quelle sui cambiamenti climatici e sulle attività di pesca sostenibili, che sono soltanto due dei molti esempi di pro­ blemi politico-scientifici più delicati) o nell'ambito dell'ammini­ strazione nazionale e locale? Sarebbe possibile integrare queste tecnologie con il sistema del voto elettronico per avere una demo­ crazia pienamente partecipativa? La risposta, ovviamente, è sì. Forse voler cambiare il mondo a questo livello è un progetto troppo ambizioso, e, anzi, se fallisse e peggiorasse le cose, diven­ terebbe addirittura pericoloso. Un obiettivo più realistico potrebbe essere quello di sviluppa­ re le stesse tecnologie per usarle nelle scuole per far collaborare tra loro i bambini. In questo modo i bambini potrebbero venire a conoscenza di una varietà di problemi, rendersi conto della loro diversità e imparare ad ascoltare e a dare il loro contributo. In se­ guito quei bambini cresceranno, e proietteranno quello che han­ no imparato nel futuro, che vadano a occuparsi di politica, di af­ fari, di sanità, di intrattenimento o di istruzione. Alcuni potreb­ bero entrare a far parte di progetti internazionali, trasferendosi in altri paesi o sfruttando la tecnologia per rimanere dove sono, ma contribuirebbero comunque allo sviluppo internazionale. In questo modo ci vorrebbe una generazione in più - anche se, considerato che circa il 60 per cento della popolazione mondiale è costituita da bambini o da giovani, non sarebbe comunque un grosso problema. Quali sono le opportunità ? Una retorica per il futuro Le opportunità sono numerose, e molte di esse sono evidenti: da­ ti i limiti di spazio, ho deciso quindi di suggerirne soltanto alcu43

ne perché sono più insolite, meno familiari - e anche un po' pro­ vocatorie. Abraham Lincoln diceva: «Datemi sei ore per abbattere un al­ bero, e passerò le prime quattro ad affilare l'accetta». Questo di solito viene considerato un «meta-principio» morale su come agi­ re nel modo più efficace; il principio inverso è: «Sono così occu­ pato ad abbattere quest'albero che non ho tempo per affilare l'ac­ cetta». Il problema principale non è quello di affilare l'accetta («Datemi quattro ore per affilare l' accetta, e passerò la prima a trovare lo strumento migliore per affilarla») ma quello di pensare. Se ci fermiamo a pensare, possiamo risolvere i problemi reali più rapidamente che non se ci gettiamo a capofitto ad affrontarli. I veri problemi, come quello con cui ho aperto questo saggio, non stanno lì ad aspettare passivamente come gli alberi. Non ab­ biamo sei ore per eliminare la povertà, anche se è una tentazione cercare di risolvere il problema immediatamente, con una prepa­ razione e una riflessione inadeguate per trovare la strategia giusta. O peggio ancora, ci sono persone che non vogliono aspettare per­ ché pensano di avere già in tasca la soluzione e si gettano a capo­ fitto dove neanche gli angeli osano metter piede. Quindi, per risolvere un problema, dobbiamo trovare il modo di sospendere ogni azione fino a quando non avremo finito di pen­ sare. E, per i grandi problemi, dobbiamo trovare il modo di so­ spendere ogni azione fino a quando non avremo pensato in modo collaborativo. Purtroppo, la riflessione di gruppo è un'azione in sé - come affilare un'ascia - e anch'essa ha bisogno di essere so­ spesa. Le persone che lavorano in gruppo spesso si interrompono a vicenda per proporre idee che avevano già in mente, non ascol­ tano gli altri, hanno interessi privati che mascherano da principi, e così via. O peggio ancora, le ultime tecnologie della comunica­ zione, come la posta elettronica, esasperano la velocità dell' azio­ ne rispetto alla sua sospensione. Ilflamz'ng è un chiaro sintomo del fatto che qualcuno sta agendo senza pensare. È straordinaria­ mente dannoso per il pensiero collaborativo. Una buona opportunità sarebbe quindi quella di sfruttare le nuove tecnologie per trovare un modo di sospendere, ritardare, rallentare l'azione, per riflettere di più in vista della collaborazio­ ne di gruppo. Suggerisco quest'idea per prima perché sembra pa­ radossale, quasi illogica: la tecnologia di solito accelera i processi. 44

Ma se accelerassimo le cose giuste, forse avremmo più tempo per riflettere. In secondo luogo, dovremmo chiederci perché le tecnologie informatiche hanno tanto successo e sono così popolari. Perché il Web ha decollato tanto rapidamente, mentre alcuni altri pro­ getti futuribili, come le monorotaie e i viaggi spaziali, sembrano ancora così lontani? Qual è la differenza? La differenza è che il Web ci permette di raccontare storie e di ascoltarle; di comunicare tra noi. Ci raccontiamo storie a vicenda da migliaia di anni, e ci piace farlo. (Prima del Web, la stampa è sta­ ta probabilmente l'invenzione che si è diffusa più rapidamente per lo stesso motivo. ) Strumenti come i wiki funzionano bene quando trattano di fatti (come le enciclopedie) , ma non funzionano tanto bene per raccontare storie in cui possono esserci opinioni contra­ stanti. I mondi artificiali funzionano bene perché sono luoghi nei quali le persone possono entrare e diventare protagoniste. Una seconda opportunità, dunque, è quella di trovare un mo­ do per creare e raccontare storie che aiutino a risolvere i proble­ mi reali in modo costruttivo. I mondi artificiali sono spesso inse­ riti in contesti storici o mitici (vale a dire sottoposti alle regole re­ strittive della realtà o a quelle illimitate della magia) . Potrebbero essere utilizzati per risolvere i problemi reali di oggi pur rimanen­ do seducenti? Alcuni sistemi, come SimCity, fanno pensare che questa possibilità esiste, e molti di essi sono al tempo stesso di­ vertenti e istruttivi. Una terza opportunità è quella di distinguere tra diversi tipi di pensiero. L 'esempio e l'esperienza dei wiki fanno supporre che il pensiero creativo e quello fattuale siano molto diversi tra loro, e che questa differenza sia importante per i risultati che si possono ottenere usando gli strumenti informatici per raggiungere certi obiettivi. Le tecnologie di cui disponiamo oggi, come la posta elet­ tronica e Internet, non fanno alcuna distinzione tra i diversi tipi di pensiero. Le emoticon sono state introdotte nelle e-mail per consentire a testi altrimenti asettici di scivolare esplicitamente nell'umorismo o di esprimere altri tipi di emozioni. Senza emo­ zioni, i messaggi elettronici venivano spesso equivocati. Normalmente pensiamo in modo diverso gli uni dagli altri, ma non ce ne rendiamo conto. Alcuni di noi pensano in modo fanta­ sioso, altri in modo razionale, qualcuno pensa all'oggi, altri a «un 45

tempo imprecisato». Così non ci rendiamo mai conto dei nostri cambiamenti di stile. Non potremmo allora convogliare i nostri pensieri, usando strumenti appropriati e perfezionati, per espri­ mere particolari stili di pensiero, o per separare meglio le nostre modalità di ragionamento? Possiamo sicuramente farlo se riu­ sciamo a riflettere sul meta-livello dello stile di pensiero che ab­ biamo scelto, e in questo modo sarà più facile capirsi. Senza dub­ bio siamo in grado di inventare qualcosa di meglio delle emoticon . Uno degli stili di pensiero diversi che è fondamentale per il fu­ turo del mondo è quello religioso. È chiaro che buona parte del bene e del male del mondo derivano dai principi religiosi. A par­ te l'uso delle tecnologie che abbiamo già menzionato, soprattutto per la trasmissione, non sono a conoscenza di alcuno strumento specifico per favorire un dibattito religioso costruttivo. È chiara­ mente urgente trovare uno strumento del genere, una qualche va­ riante dei wiki o dei mondi artificiali, che attragga i «fondamen­ talisti» e contribuisca a un dialogo più aperto. Infine, non dimentichiamo che molte tecnologie sono popola­ ri perché ci aiutano a risparmiare fatica. Le automobili ci rispar­ miano la fatica di camminare. La scrittura quella di ricordare. Pos­ siamo temere che le tecnologie ci facciano perdere alcuni aspetti essenziali della nostra umanità, come la capacità di usare la me­ moria, ma, in realtà, siamo in grado di viaggiare in modo più si­ curo e di ricordare in modo più affidabile di prima. Il pericolo che corriamo è quello di diventare passivi. Piuttosto che coinvolgerci nelle storie, possiamo starcene in poltrona a guardare la Tv senza fare nulla. È più facile lasciarsi intrattenere passivamente che im­ pegnarsi in un'attività. L'intrattenimento è «l'oppio dei popoli». Quindi la quarta opportunità potrebbe essere quella di trovare un modo per separare o equilibrare tra loro intrattenimento e impe­ gno. Esiste una linea che separa il gioco dall'istruzione; esiste una distinzione tra sprecare tempo e sviluppare abilità? Qual è la dif­ ferenza tra educazione e diseducazione? Trovare la risposta a que­ ste domande ci permetterà di sviluppare nuove tecnologie che non solo avranno maggior successo in termini di numero e di ti­ po di persone che attireranno, ma anche di efficienza futura del­ la razza umana.

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Quali sono le priorità? Per noi esseri umani la priorità è quella di trovare un modo per usa­ re i computer che ci aiuti a pensare pi ù chiaramente e quindi a ri­ solvere i problemi che ci a ffliggono. Stiamo già vedendo alcuni se­ gnali positivi, come il successo dei wiki, e pi ù in generale la creativi­ tà e la diversità delle tecnologie che stanno nascendo. Senza dub­ bio alcune di queste nuove idee modi ficheranno il modo in cui pen­ siamo, in particolare il modo in cui i gruppi di persone pensano in­ sieme, e di conseguenza anche il nostro modo di affrontare - e tro­ varci d'accordo nell'affrontare - i principali problemi del mondo. Ci auguriamo che i governi, le Nazioni Unite e organizzazioni non go­ vernative importanti come la Croce Rossa adottino queste tecno­ logie. Forse saranno adottate anche da individui che vogliono combattere per una causa, come di fendere il loro ambiente. n mon­ do del futuro può essere migliore, e noi possiamo renderlo tale se useremo i computer per pensare pi ù chiaramente insieme. Si spera anche che i computer ci aiuteranno a tras formare i no­ stri pensieri in un nuovo tipo di azioni. In questo senso, le tecno­ logie possono essere utili non solo per le loro potenzialità intrin­ seche (come quella dei wiki) , ma anche per far uscire nel mondo reale i pensieri che albergano nel nostro mondo interiore e nel no­ stro cervello. Forse potremmo s fruttare l'esperienza delle Olim­ piadi per pensare piuttosto che per organizzare una competizio­ ne atletica. Abbiamo risolto problemi tecnici incredibili per mandare l'uo­ mo sulla Luna quando non era possibile passare da una zona di Berlino all'altra . Adesso abbiamo abbattuto il muro di Berlino e ci siamo lasciati alle spalle quel periodo di divisione - ma siamo at­ terrati sulla Luna nel luglio del 1969 e abbiamo abbattuto il muro nel novembre del 1 989, cioè vent'anni dopo. Il muro di Berlino è crollato perché un numero sufficiente di persone voleva che crollasse e perché un numero su fficiente di persone si è organizzato per ottenere quello che voleva. Esatta­ mente come aveva fatto per risolvere gli immensi problemi che comportava l'atterraggio sulla Luna. Per risolvere problemi schiaccianti come la crisi energetica e la povertà, abbiamo biso­ gno di s fuggire al pigeon thinking e alle trappole dell'in fo rmatiz­ zazione pi ù rigida. 47

Uno degli usi migliori che potremmo fare dei computer sareb­ be quello di utilizzarli per riorganizzare il modo in cui ci con­ frontiamo e per affrontare insieme, dialogando, i problemi più im­ portanti dell'umanità, a livello sia globale che locale. La tecnologia svolge un ruolo fondamentale nella società. Per trovare esempi recenti di questo basta ricordare il ruolo svolto dai fax nella vicenda di Piazza Tienanmen, quello di Usenet nella ca­ duta del comunismo, l'uso che hanno fatto di Internet gli zapati­ sti messicani, o quello del telefono cellulare nel caso delle bombe di Madrid e di altri salvataggi. Molti secoli fa, l'uso di quella che all'epoca era una nuova tecnologia come la stampa contribuì a diffondere la Riforma in Europa. Avevo cominciato con l'inten­ zione di scrivere un saggio sul futuro dei computer, e invece mi sono trovato a riflettere sui problemi sociali e sul rapporto tra computer e problemi sociali. D'altro canto non è una cosa troppo insolita: quando nel 1 997 la Acm (Association for Computing Ma­ chinery, la più grande società informatica del mondo) festeggiò il cinquantesimo anniversario della sua fondazione, il tema princi­ pale della sua conferenza fu l'impatto sociale delle nuove tecno­ logie, non i loro progressi tecnici. I computer sono un agente di cambiamento sociale per il futuro.

Aubrey de Grey

Strategie per un invecchiamento trascurabile ingegnerizzato

Introduzione Da qualche anno è possibile enumerare una complessa serie di in­ terventi tecnicamente praticabili che, se effettuati congiuntamen­ te, potrebbero ridurre l'attuale rischio di morte per invecchia­ mento a un livello simile al rischio di morte per infezione batteri­ ca. Con i finanziamenti adeguati, il tempo necessario per mettere a punto questi interventi sulle cavie da laboratorio potrebbe esse­ re una decina di anni. Dopo di che, non sappiamo quanto tempo ci vorrà per trasferirli sugli esseri umani, ma è probabile che sia suf­ ficiente un'altra ventina di anni. Nella prima parte di questo sag­ gio, descriverò gli interventi più importanti e i motivi per cui un numero sempre maggiore di biogerontologi ha la sensazione che si dimostreranno molto più efficaci di qualsiasi altro strumento del quale possiamo disporre oggi. Nella seconda parte, esaminerò le conseguenze dello sviluppo di queste terapie, conseguenze che so­ no molto più sensazionali di quanto potrebbero apparire a prima vista. Queste terapie saranno decisamente imperfette, quindi, rea­ listicamente, potranno forse garantire altri trent'anni di vita sana un prolungamento modesto. Se questo fosse tutto ciò che ci dob­ biamo aspettare, qualcuno potrebbe giustamente obiettare che po­ tremmo impegnare quei fondi per prolungare la vita di tutte quel­ le persone che nel mondo in via di sviluppo muoiono di malattie già curabili. Ma c'è un aspetto che modifica la situazione: si tratta di vere terapie di ringiovanimento, dalle quali possono trarre be­ neficio soprattutto le persone di età media. In tutti i settori che so­ no al centro dell'interesse pubblico - e siamo sicuri che il nostro sarà uno di questi - nell'arco di trent'anni la tecnologia compirà enormi passi avanti rispetto alle scoperte iniziali. Perciò è pratica49

mente certo che i beneficiari di mezza età della prima generazione terapie di ringiovanimento, che trent'anni dopo avranno anco­ ra la stessa età biologica, saranno in grado di approfittare del per­ fezionamento di quelle terapie e «ringiovanire di nuovo», in modo tale da rimanere di mezza età per almeno qualche altra decina di anni. A quanto sembra questo ciclo si può ripetere all'infinito: sta­ remo sempre un passo avanti rispetto ai nuovi problemi dell'in­ vecchiamento, e le imperfezioni delle nostre terapie di ringiovani­ mento verranno eliminate prima di poter influire su di noi. Ho chiamato questo fenomeno «velocità di fuga del prolungamento della vita». Questo comporta che c hiunque viva abbastanza a lun­ go, e sia abbastanza in buona salute da beneficiare a pieno della prima generazione di terapie di ringiovanimento (quelle che gli da­ ranno altri trent'anni di vita sana) , in realtà non dovrebbe morire di vecchiaia a nessuna età. La durata media della vita di queste per­ sone potrebbe superare i mille anni. Questo enorme prolunga­ mento della potenziale longevità degli esseri umani dovrebbe far­ ci superare qualsiasi remora morale a rendere prioritario questo ti­ po di ricerche e ad accelerarne la realizzazione. di

Possibilità di rimandare l'invecchiamento Fin dai tempi di Gilgamesh, e probabilmente da molto prima, l'umanità ha sempre cercato il modo per mantenere giovani il cor­ po e la mente. I successi in questo campo sono stati, a dir poco, modesti. Il principio generale che il corpo può essere tecnicamen­ te mantenuto in uno stato giovanile - per un periodo più lungo di quello in cui lo conserva naturalmente, e forse molto più lungo è comunque indiscutibile: dopotutto, il corpo è una macchina, an­ che se molto complicata, e con la manutenzione adeguata tutte le macchine possono essere conservate in una condizione di pieno funzionamento. Il problema, quindi, è che non abbiamo ancora trovato il modo di eseguire la manutenzione adeguata su questa particolare macchina. Alcuni teorici, tuttavia, hanno interpretato questa che io defi­ nirei momentanea incapacità di combattere l'invecchiamento co­ me un'indicazione del fatto che non ci riusciremo mai. Il demo­ grafo J ay Olshansky, per esempio, ha affermato che l'unica cosa 50

che hanno in comune tutti quelli che hanno cercato di combattere l'invecchiamento è che sono morti (Olshansky, 2005 ) . Questo mi sembra un modo piuttosto miope di vedere la questione, perché la storia di tutte le grandi imprese della tecnologia consiste in una se­ quenza ininterrotta di fallimenti seguita da un primo successo. L'unica cosa che conta, quindi, è quanto siamo vicini al primo suc­ cesso. È impossibile calcolarlo con precisione facendo riferimento alla storia passata perché, per quanto riguarda le tecnologie esi­ stenti, l'anticipo con cui le persone che ci stavano lavorando han­ no capito che stavano per raggiungere il loro traguardo varia note­ volmente di caso in caso. Tuttavia, considerata l'importanza di questo successo, e soprattutto visto il radicato fatalismo sull'argo­ mento che predomina nella società, la precisione di tali stime non dovrebbe esser considerata un prerequisito: ci si aspetta che siano coloro che hanno maggiore esperienza in questo campo a fare tali previsioni (pur sempre esprimendo chiaramente il loro grado di in­ certezza) , per quanto ipotetiche possano essere (de Grey, 2004a) . Quali sono allora le più importanti proposte che vengono fat­ te oggi per rimandare l'invecchiamento? Possiamo dire che rien­ trano in tre categorie generali: l ) la lotta a un unico fattore biochimico dell'invecchiamento, in quanto causa principale delle altre; 2) la sollecitazione della capacità metabolica che il corpo già possiede di ritardare l'invecchiamento; 3 ) la riparazione diretta di molti tipi di danni molecolari e cel­ lulari che si accumulano con l'invecchiamento.

Un esempio del primo tipo potrebbe essere l'uso di antiossi­ danti per ridurre i radicali liberi, o la stimolazione della telome­ rasi per conservare la capacità replicativa delle cellule. Gli antios­ sidanti, in particolare, vengono considerati potenziali strumenti di terapia da circa mezzo secolo, da quando cioè è stato appurato che i radicali liberi sono la causa di buona parte dei danni mole­ colari collegati all'invecchiamento, come le mutazioni e gli aggre­ gati non assimilabili (Barman, 1 956) . Recentemente sono appar­ si i confortanti risultati di alcuni studi sul prolungamento della vi­ ta effettuati su cavie da laboratorio tramite il potenziamento del­ le proteine antiossidanti (Mitsui et al. , 2002; Schriner et al. , 2005 ) , 51

che hanno dato nuova popolarità all'idea che questa potrebbe es­ sere la strada su cui procedere; ma non bisogna dimenticare che nessuno di questi studi ha ancora prolungato la durata della vita degli animali trattati oltre il periodo che alcune razze di cavie da laboratorio riescono già a raggiungere naturalmente, quindi rima­ ne il dubbio che il trattamento abbia semplicemente risolto un problema specifico che minacciava la vita degli animali trattati, ma non eserciti alcun effetto significativo su tutti gli altri aspetti dell'invecchiamento di cui abbiamo parlato. A mio avviso, nei prossimi decenni questo approccio non otterrà molti più succes­ si di quanto non abbia fatto finora, semplicemente perché non è dimostrato che esiste un unico meccanismo dominante che deter­ mina l'invecchiamento ritardando il quale si potrebbe ottenere un risultato significativo, mentre è stata ampiamente dimostrata (an­ che dalla teoria dell'evoluzione) l'ipotesi opposta, vale a dire che l'invecchiamento ha molte cause diverse. Tenendo conto delle li­ mitate prospettive di questo approccio, la maggior parte dei ri­ cercatori che non sono interessati esclusivamente a comprendere l'invecchiamento ma anche a combatterlo ha scelto la seconda strada. Le possibilità di sollecitare una reazione anti-invecchia­ mento latente sono prese in considerazione da molti, perché una reazione del genere è estremamente facile da stimolare in tutte le specie più studiate in laboratorio - lieviti, nematodi, drosofile e roditori. In particolare, una riduzione della quantità di cibo as­ sunto fa notevolmente aumentare la durata della vita di tutte que­ ste specie (e di molte altre) - e lo fa rimandando il declino colle­ gato all'invecchiamento, piuttosto che aumentando la capacità dell'organismo di sopravvivere allo stato di decrepitezza. Questo protocollo (generalmente denominato «restrizione calorica» o «restrizione dietetica») è stato scoperto per la prima volta negli anni Trenta studiando i roditori (McCay et al. , 1 935 ) e, soprat­ tutto a partire dagli anni Settanta, è diventato una delle pietre mi­ liari della ricerca biogerontologica. Per ottenere il massimo effet­ to, il grado di privazione calorica e i tempi della sua introduzione devono essere adattati al singolo organismo, ma la generalità dei risultati ha inevitabilmente portato a pensare che la tecnica po­ trebbe essere estesa anche agli esseri umani. Molti riconoscono che, in termini di qualità della vita, la restrizione calorica potreb­ be avere dei lati negativi (anche se conosco diverse persone che la 52

applicano e fanno eccezione a questa ipotesi) , ma si prevede an­ che la possibilità di studiare farmaci che ingannano il corpo in­ ducendolo a pensare che l'apporto calorico sia più basso quando in realtà non lo è affatto ( Sinclair, 2005 ) . Purtroppo, tuttavia, sem­ bra che esista veramente una correlazione inversa tra la durata na­ turale della vita di una specie e la possibilità di prolungarla con il più efficace protocollo di privazione calorica per quella specie: in realtà, questo prolungamento sembra non poter superare un pe­ riodo assoluto (da sei mesi a un anno) per tutte le specie studiate finora, piuttosto che essere proporzionato alla durata naturale della vita delle specie. Recentemente sono stati pubblicati vari saggi che spiegano questo aspetto, tra cui uno del sottoscritto (de Grey, 2005a; Demetrius, 2004 ; Phelan e Rose, 2005 ) . Quindi, sia la restrizione calorica sia i farmaci che la imitano potrebbero non prolungare la vita degli esseri umani quanto ci aspetteremmo. Tutte queste considerazioni mi hanno portato a scegliere la terza delle strade elencate all'inizio di questa sezione, che ho chia­ mato approccio ingegneristico al prolungamento della vita. La lo­ gica di questo approccio è che, sebbene l'invecchiamento sia un effetto collaterale di processi metabolici intrinseci, le sue conse­ guenze funzionali non diventano apprezzabili (almeno non in quelli di noi che prestano attenzione alla propria salute, né nei mammiferi in generale) più o meno fino a metà dell'arco della no­ stra vita naturale. Questo ci fa presupporre che per la sequenza di eventi che portano dal metabolismo alle disfunzioni legate all'in­ vecchiamento deve esistere una soglia: le conseguenze dirette in­ termedie del metabolismo si accumulano per tutta la vita, ma non provocano alcun declino funzionale e alcuna malattia fino a quan­ do non raggiungono un certo livello di accumulo, al di sotto del quale il metabolismo riesce ad aggirarle. (Da ora in poi chiamerò questi stadi intermedi «danni».) Quindi, se riuscissimo a trovare un modo per riparare questi danni, potremmo rimandare le loro conseguenze funzionali a un'età più avanzata. Sto studiando que­ sto approccio al rinvio dell'invecchiamento dal 2000 e sono giun­ to alla conclusione - sempre più salda - che non solo, se sarà suf­ ficientemente perfezionato, abbia buone probabilità di successo, ma che probabilmente sarà sufficientemente perfezionato nel giro di qualche decennio (de Grey et a!. , 2002 ; de Grey, 2003 a, 2003b) . Ho denominato questo approccio «strategie per un invecchia53

mento trascurabile ingegnerizzato» ( Strategies for Engineered Negligible Senescence) , o Sens, per motivi che appariranno chiari da quanto dirò in seguito. Una panoramica sulla Sens La Sens parte dall'elencazione del tipo di modificazioni successive dell'organismo dei mammiferi che possiamo definire danni, e poi specifica i metodi per riparare (e talvolta ovviare a) quei danni. T avola l. I sette tipi di modificazioni che la Sens cerca di combattere Tipo di danno

Perdita o atrofia delle cellule Cellule senescenti o tossiche Mutazioni o epimutazioni nucleari oncogene Mutazioni mitocondriali Aggregati intracellulari Aggregati extracellulari Crosslink extracellulari

Vale la pena di ribadire che queste non sono le uniche modi­ ficazioni che si verificano nell'organismo dei mammiferi nel cor­ so della loro vita. Ma sono ritenute le uniche che, in base alle pro­ ve di cui disponiamo al momento, probabilmente (a) sono effetti collaterali intrinseci del metabolismo e (b) quando diventano suf­ ficientemente abbondanti pregiudicano il funzionamento dei no­ stri tessuti e dell'organismo nel suo complesso. Alcune altre mo­ dificazioni non soddisfano il criterio (b) e quindi non è necessa­ rio occuparsene per prolungare la giovinezza. Un esempio di que­ ste ultime è la racemizzazione (/lipping) dei residui di acido aspar­ tico nelle proteine a lunga vita. Un esempio più controverso è quello dell'accumulo di mutazioni e di epimutazioni nei nostri cromosomi che non sono rilevanti per il cancro. In questo caso è molto probabile che esista un livello di accumulo che sarebbe pa­ togeno, ma per quanto è stato osservato, il loro tasso di accumu­ lo è così lento, in tutti i tessuti, che non costituirebbero un vero 54

problema fino a quando non fossimo svariate volte più vecchi di quanto non possiamo diventare ora (de Grey, 2006a) . Inizialmente, la classificazione che appare nella T avola l può sembrare per qualche verso arbitraria. Per esempio, perché le mu­ tazioni nucleari e quelle mitocondriali sono elencate separata­ mente mentre le mutazioni e le epimutazioni nucleari sono messe insieme? Il motivo per cui ho adottato questa particolare classifi­ cazione è spiegato nella T avola 2, in cui sono elencate le tecniche che ritengo più opportune per combattere ciascun problema: a ogni categoria può essere applicata un'unica linea di attacco. Tavola 2 . Le sette soluzioni Sens Tipo di danno

Azione riparatrice proposta

Perdita o atrofia delle cellule

Cellule staminali, fattori di crescita, esercizio fisico

Cellule senescenti o tossiche

Asportazione delle cellule indesiderate

Mutazioni o epimutazioni nucleari oncogene

Wilt (Whole-body lnterdiction of Lengthening of T elomeres) Interdizione totale dell'allungamento dei telomeri

Mutazioni mitocon driali

Espressione allotopica di 13 proteine

Aggregati intracellulari

Idrolasi microbiche

Aggregati extracellulari

Fagocitosi immunomediata

Crosslink extracellulari

Molecole Age-breaking

Ho pubblicato diversi studi su tutte queste tecnologie, fatta eccezione per quelle che prevedono la sostituzione delle cellule perdute perché è un argomento già sufficientemente studiato e le pubblicazioni di altri mi sembrano ampiamente soddisfacenti (de Grey, 2000, 2003 b, 2006b; de Grey et al. , 2004 , 2005 ) . Ho anche pubblicato periodicamente panoramiche dettagliate della stra­ tegia Sens ( de Grey et al. , 2002 ; de Grey 2003 a; 2005b) . Perciò, piuttosto che ripetere le stesse cose, rimando i lettori a quelle pubblicazioni, nonché al mio sito web (http:!/www .gen.cam.ac. uklsens/) . L'unica cosa di cui intendo parlare qui sono le mie sti­ me sul tempo necessario per sviluppare queste terapie nella loro forma iniziale: sono convinto che, se i necessari studi preclinici sa­ ranno adeguatamente finanziati al più presto, avremo il 50 per 55

cento di probabilità di vedere la nascita delle prime terapie Sens nel giro di venticinque anni. La velocità difuga della longevità Una caratteristica fondamentale della Sens, che nasce dal fatto che i trattamenti proposti sono effettivamente in grado di ovviare alla rispettiva categoria di danni o di avviarli piuttosto che semplice­ mente rallentare il loro ulteriore accumulo, è che i benefici che possiamo aspettarci di ottenere da questi trattamenti non si limi­ tano a quello che essi possono fare. Vi spiego perché. Quando avremo una terapia che può approssimativamente di­ mezzare la quantità di danni prodotti da ciascuna categoria (e in ciascun tessuto del quale pregiudicano il funzionamento) , saremo in grado di aggiungere circa trent'anni alla vita sana delle persone che saranno di mezza età quando la terapia verrà introdotta*. Ciò significa che queste persone passeranno i trent'anni successivi in uno stato che può essere correttamente definito «biologicamente più giovanile»: appena le terapie verranno introdotte ringiovani­ ranno di quindici-vent'anni, e in seguito invecchieranno a un rit­ mo che è più o meno la metà del precedente, e dunque raggiunge­ ranno la loro età biologica precedente al trattamento trent'anni dopo averlo iniziato. Se tutto il resto rimarrà uguale, da allora con­ tinueranno a invecchiare e, in media, moriranno all'incirca qua­ rant'anni più tardi rispetto a quando sarebbero morti in mancan­ za di quelle terapie. Ma tutto il resto non rimarrà uguale. Trent'anni sono un perio­ do lunghissimo per la scienza e la tecnologia: in quel periodo, è probabile che vengano introdotte delle terapie pi ù avanzate ri­ spetto a quelle della «prima generazione». Inoltre, poiché queste terapie pi ù avanzate tenderanno a portare a miglioramenti graduali * A questo fine la mia definizione di «mezza età» è piuttosto insolita, mi ri­ ferisco a persone che avrebbero ancora circa venticinque anni da vivere se non si sottoponessero a queste terapie. Una definizione che si b asa su quanti anni ri­ mangono ancora da vivere, piuttosto che su quanti se ne sono già vissuti, mi sem ­ bra appropriata perché coloro che vivono a lungo tendono anche a rimanere gio­ vanili fino a un'età molto avanzata. Perls ha concisamente parafrasato questa correlazione dicendo: «Più si invecchia, più si è stati sani» (Hitt et al. , 1999) .

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rispetto alle precedenti, i tempi del loro sviluppo sono molto me­ no incerti di quelli della prima scoperta: come possiamo vedere studiando la storia delle tecnologie più importanti (come il volo a motore, i computer o la lotta alle malattie infettive) , quando si rag­ giunge un diffuso livello di fiducia e di entusiasmo per una forma di progresso che può essere portata avanti a piccoli passi, quel pro­ gresso diventa inesorabile. Quindi, la maggior parte dei beneficia­ ri di mezza età della prima generazione di terapie Sens trent'anni dopo sarà ancora in circolazione e sufficientemente in salute per trarre vantaggio dalle terapie più avanzate che saranno state intro­ dotte nel frattempo. Tali terapie permetteranno di nuovo a questi individui di ringiovanire, probabilmente più ancora delle prece­ denti - i danni da riparare potrebbero essere più gravi (e forse pro­ prio per questo hanno resistito alle prime terapie) , ma quella dif­ ferenza sarà compensata dal miglioramento delle terapie. Non c'è motivo per cui questo ciclo non possa continuare a tempo indeterminato, eliminando progressivamente una parte sempre maggiore dei danni subiti dalle molecole e dalle cellule a causa dell'invecchiamento (anche se probabilmente non saranno mai tutti) , prima che ulteriori danni, ancora irreparabili, si possa­ no accumulare. Perciò i beneficiari della prima generazione di te­ rapie Sens dovrebbero essere in grado di evitare la fragilità e le malattie collegate all'invecchiamento, e la morte, a qualsiasi età. Questa è la base di quella che chiamo «strategie per una sene­ scenza trascurabile ingegnerizzata»: - senescenza è il termine tecnico usato dai gerontologi per l'in­ vecchiamento; - senescenza trascurabile significa assenza di invecchiamento a un ritmo percepibile (chiaramente un ritmo estremamente lento non è percepibile) ; - senescenza trascurabile ingegnerizzata significa la trasforma­ zione di un organismo che fino a quel momento denunciava segni di invecchiamento in uno che non li denuncia, con l'aiuto della tecnologia. Quanto abbiamo detto finora rivela che esiste una «velocità» critica alla quale la tecnologia medica per la lotta all'invecchia­ mento deve progredire affinché le persone possano rimanere un 57

Tempo

Possibili traiettorie dell'età biologica di individui che avranno una specifica età

al momento dell'arrivo dell'Rhr (Robust Human Rejuvenation ) , a condizione che abbiano accesso in ogni momento alle migliori terapie esistenti .

passo avanti nel loro tentativo di «fuga» dal problema. Ritengo per­ ciò utile definire questo ritmo «velocità di fuga della longevità» (de Grey 2004b) . A rischio di forzare leggermente questa analogia, il grafico rappresenta la probabile traiettoria dell'età biologica delle persone che si troveranno in diverse fasi della loro vita nel mo­ mento in cui arriverà la prima generazione di terapie Sens . Considerazioni etiche e sociologiche Sebbene io sia essenzialmente un biologo, ritengo che discutere le conseguenze sociali del prolungamento della vita faccia parte co­ munque del mio lavoro. Devo confessare, però, che non è per mia scelta. È piuttosto a causa di quella che francamente considero l'in­ credibile incapacità di molte persone - compresa la maggior par­ te dei biologi, anche se per fortuna non dei biogerontologi - di comprendere l'imperativo morale di questa ricerca. L 'irraziona­ lità che emerge quando si cerca di indurre le persone comuni a pensare a un prolungamento estremo della vita mi sbalordisce a tal punto che l'ho denominata «trance pro-invecchiamento» per via delle somiglianze che riscontro con le reazioni che di solito hanno i soggetti ipnotizzati su un palcoscenico quando sono in58

dotti a credere a qualcosa che non esiste o messi in una situazio­ ne impossibile dal punto di vista logico. Vi sembra che il mio atteggiamento sia troppo rigido? Spero che leggiate il resto di questo paragrafo prima di decidere. Probabilmente, l'esempio più antico del fenomeno di cui sto parlando è noto come «l'errore di Titono». Titono è un guerriero della mitologia greca al quale Zeus aveva concesso l'immortalità quando la dea Eos (che era già immortale) si era innamorata di lui, ma che continuò a diventare sempre più decrepito perché Eos si era dimenticata di chiedere a Zeus di mantenerlo giovane. L 'er­ rore di Titono, quindi, consiste nel credere che le terapie per pro­ lungare la nostra esistenza ci manterranno solo in vita più a lungo piuttosto che giovani più a lungo. Se un individuo razionale si tro­ va a parlare con uno specialista (come me, per esempio) e pensa che queste terapie possano solo prolungare la parte più fragile del­ la nostra vita (cosa che ritengo anch'io poco desiderabile, almeno agli scopi attuali) , potrebbe porgli qualche domanda su questo punto per essere rassicurato. Alcune persone lo fanno. Molti, tut­ tavia, dichiarano che non vorrebbero essere «vecchi» (e cioè fra­ gili) per un periodo di tempo più lungo di quello previsto dalla natura, come se dessero per scontato che la giovinezza non ver­ rebbe prolungata. Ma non finisce qui, c'è anche di peggio. Come ho detto prima, l'errore di Titono è antichissimo: è molto prece­ dente alla mia decisione di occuparmi di gerontologia, e anche al­ la mia nascita. Da sessant'anni i biogerontologi dichiarano chia­ ramente che il loro lavoro mira a prolungare la giovinezza: sulla copertina del primo numero del > 4 (3 ) : pp. 3 15-3 8 .

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