Agli inizi della Chiesa. Didaché. A Diogneto 9788882277512

Una nuova traduzione della Didaché e della lettera A Diogneto, non perché non ne esistano già di valide, bensì per ritor

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Italian Pages 54 Year 2017

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Agli inizi della Chiesa. Didaché. A Diogneto
 9788882277512

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TESTI DEI PADRI DELLA CHIESA TESTI DEI PADRI DELLA CHIESA

PADRI APOSTOLICI

AGLI INIZI DELLA CHIESA Didaché A Diogneto

40 MONASTERO DI BOSE MONASTERO DI BOSE MONASTERO DI BOSE

Avvicinare gli uomini e le donne del nostro tempo ai padri della chiesa dei primi secoli, colmando un divario di oltre un millennio, può sembrare impresa proibitiva. Situazioni ­storiche, mentalità, linguaggi, generi letterari, modi di vive­ re, di pensare e di esprimersi sono profondamente cambiati eppure – come paradossalmente – l’uomo di oggi sente il bi­ sogno di ritrovare il proprio terreno vitale, le radici, le fonti del suo esistere. L’intento della collana è proprio questo: facilitare l’acco­ stamento e la conoscenza dei primi testimoni cristiani, di coloro che la Chiesa ha considerato Padri perché capaci di ­trasmettere la vita a intere generazioni di credenti. Presentia­ mo qui brevi testi inediti o di difficile reperimento di padri greci, orientali e latini, scegliendoli dall’enorme patrimonio giunto fino a noi a testimonianza del primo, fecondo incontro tra cristianesimo e cultura. La presentazione dei testi – scelta dei brani, stile di traduzione, brevi introduzioni o profili, an­ notazioni – mira all’essenziale: permettere alla più ampia cer­ chia possibile di lettori di trovare cibo e bevanda per la loro fame e sete spirituale.

PADRI APOSTOLICI

AGLI INIZI DELLA CHIESA Didaché a cura di Sabino Chialà, monaco di Bose

A Diogneto a cura di Lisa Cremaschi, monaca di Bose

MONASTERO DI BOSE

SOMMARIO

3

Premessa

5 7 15

DIDACHÉ Introduzione Insegnamento dei dodici apostoli

29 31 35

A DIOGNETO Introduzione A Diogneto

AUTORE: TITOLO: SOTTOTITOLO: COLLANA: FORMATO: PAGINE: CURATORE: TRADUZIONE: IN COPERTINA:

Padri apostolici Agli inizi della chiesa Didaché. A Diogneto Testi dei padri della chiesa 40 20 cm 52 Sabino Chialà e Lisa Cremaschi, monaci di Bose dal greco a cura di Sabino Chialà e Lisa Cremaschi I cinque pani e i due pesci, particolare di mosaico bizantino, Chiesa della moltiplicazione dei pani, Tabgha, Israele

Prima edizione digitale 2017  1999, 2000 EDIZIONI QIQAJON MONASTERO DI BOSE 13887 MAGNANO (BI) Tel. 015.679.264

 978-88-8227-751-2

PREMESSA

Di certo né la Didaché né l’A Diogneto possono essere ancora ritenuti testi poco conosciuti, e tantomeno mai tradotti in italiano, come è il caso degli altri scritti pubblicati nella presente collana; abbiamo tuttavia pensato di offrirne una nuova traduzione, non perché non ve ne siano di valide, bensì per ritornare noi innanzitutto a queste fonti che sono ancora oggi tra le pagine più eloquenti dell’esperienza cristiana. Nella loro semplicità, esse rievocano un clima che può sembrare mitico, e invece è solo evangelico, nel senso più vero del termine. Ritornare a questi testi, come agli altri scritti della tradizione patristica cristiana, non ha infatti altro scopo se non quello di riscoprire l’esperienza e la ricerca di quanti ci hanno preceduto e ci hanno trasmesso la fede; in definitiva, di riascoltare l’unico evangelo. Questa nuova traduzione dunque, che in alcuni punti propone anche nuove possibilità di interpretazione e di comprensione, si prefigge come scopo principale quello di far risuonare ancora una volta parole forse già lette e meditate. I curatori

3

DIDACHÉ

INTRODUZIONE

Nel 1873 il metropolita di Nicomedia Philotheos Bryennios scoprì nella biblioteca del Santo sepolcro di Gerusalemme, allora a Costantinopoli, un codice datato al 1056 (Hierosolymitanus 54) che riportava, insieme ad altri antichi documenti, anche uno scritto dal titolo: Insegnamento (Didaché) dei dodici apostoli, seguito dal titolo più lungo: Insegnamento del Signore, per mezzo dei dodici apostoli, alle genti. La scoperta di Bryennios e l’editio princeps da lui curata 1, che vide la luce nel 1883, suscitarono un vivo interesse tra gli studiosi delle origini cristiane, tanto che Harnack, già l’anno successivo, pubblicò una nuova edizione dell’opera 2; e da allora questo testo non ha cessato di suscitare interesse e porre interrogativi. I numerosi studi ad esso dedicati dimostrano a un tempo la sua complessità e la sua ricchezza e preziosità, per la comprensione del cristianesimo dei primi secoli 3. Benché alcune questioni importanti, come la data e il luogo di composizione e i vari strati di redazione, restino ancora oggetto di dibattito, tuttavia la maggior parte degli studiosi concorda nel vedere in questo testo lo scritto cristiano extracano-

Ph. Bryennios, Didachê tôn dôdeka apostolôn, Costantinopoli 1883. A. Harnack, Die Lehre der zwölf Apostel, TU 2,1-2, Leipzig 1884. 3 Per una bibliografia degli studi si veda: La Doctrine des douze apôtres (Didaché), ed. W. Rordorf-A. Tuilier, SC 248, Paris 1978, pp. 129-135; Didaché. Dottrina dei dodici apostoli, a cura di U. Mattioli, Roma 1980 (terza edizione riveduta), pp. 103-105; Die Didache, ed. K. Niederwimmer, KAV 1, Göttingen 1989, pp. 273-294. 1 2

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nico più antico; e più antico anche di buona parte dei documenti del . Si comprende allora l’interesse suscitato dalla riscoperta di un testo che dal  secolo in avanti, da quando cioè gli fu espressamente negata la canonicità, fu trasmesso esclusivamente in raccolte di testi legislativi come le Costituzioni apostoliche e altre raccolte simili. Nei primi secoli dell’era cristiana la Didaché fu particolarmente apprezzata: Clemente di Alessandria 4 e Origene 5 la citano come Scrittura; Atanasio, che pure non la ritiene canonica, dice che «i nostri padri ne raccomandano la lettura a coloro che entrano» 6, e vari altri autori vi si riferiscono in maniera più o meno esplicita 7; infine, Eusebio di Cesarea colloca la Didaché tra gli apocrifi, senza esprimersi sul suo valore 8. La fissazione e l’affermazione di un canone scritturistico e il fatto che il nostro testo, pur stimato al pari degli altri documenti fondanti del cristianesimo, non vi sia stato accolto, hanno certamente contribuito al suo eclissarsi. Allo stato attuale delle ricerche, il testo della Didaché, oltre che dal manoscritto di Gerusalemme, ci è trasmesso da due frammenti di un papiro proveniente da Ossirinco datato al  secolo (Oxy. 1782), da un frammento del - secolo di una traduzione copta assai libera e da una versione parziale in etiopico 9. Importante per lo studio del testo è anche la tradizione

Cf. Clemente di Alessandria, Stromata I,20,100,4-5; III,4,36,5; Protrettico X,108,5; Pedagogo II,10,89,1; III,12,89,1. 5 Cf. Origene, Sui Principi III,2-7; Omelie sul libro dei Giudici VI,2. 6 Atanasio, Lettere festali 39. 7 Resta ancora dibattuta la questione del rapporto della Didaché con la Lettera di Barnaba e con il Pastore di Erma. Ambedue queste opere, infatti, riportano brani simili a quelli della prima parte della Didaché (il testo delle «Due vie»), ma si discute sulla possibilità che queste dipendano dalla Didaché o direttamente dalla fonte cui anch’essa attinge. 8 Cf. Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica III,25,4. 9 Vi sarebbe anche una versione georgiana integrale, ma gli studi più recenti ne minimizzano l’importanza a motivo dell’incertezza della datazione. 4

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indiretta che ci ha trasmesso testi più o meno simili al manoscritto di Gerusalemme: la Doctrina Apostolorum, giunta fino a noi solo in versione latina, i Canoni ecclesiastici dei santi apostoli e l’Epitome dei canoni dei santi apostoli, datati al  secolo, e la parafrasi inclusa nel libro VII delle Costituzioni apostoliche (1-32), che furono redatte nella forma attuale intorno al 380 10. Circa l’origine del testo e l’epoca di composizione non vi è accordo tra gli studiosi, e la questione rimane ancora assai dibattuta; mi limiterò dunque a indicare almeno l’orientamento più condiviso, senza entrare nelle posizioni particolari 11. Un punto per il quale si può contare su un accordo sostanziale è il carattere composito dell’opera. Il didachista (autore-redattore del testo tràdito dal manoscritto di Gerusalemme) avrebbe raccolto e ampliato materiale più antico. Una prima fonte è costituita dai primi cinque capitoli, ai quali ne sarebbe stato aggiunto un sesto come conclusione, che provengono da un ambiente giudaico o, secondo alcuni, giudeo-cristiano. Il tema dell’opposizione tra due vie, o tra due spiriti o due principi, è un tema già attestato nella tradizione giudaica veterotestamentaria 12, e poi, nel giudaismo più recente, sia a Qumran, sia nel mondo farisaico-rabbinico. Questo testo di origine giudaica sarebbe stato cristianizzato, con l’aggiunta di alcuni riferimenti evangelici, o da una comunità giudeo-cristiana o dallo stesso didachista. Una seconda fonte di cui il nostro autore-redattore ha fatto uso è un testo liturgico (cc. 9-10), che egli propone come preAttestazioni della prima parte della Didaché (le «Due vie») si ritrovano, oltre che, come già detto, nella Lettera di Barnaba e nel Pastore di Erma, anche nel Syntagma doctrinae attribuito ad Atanasio, nella Fede dei 318 Padri di Nicea, nella Vita araba di Chenute, nella Didascalia (siriaca) degli apostoli, nei Fragmenta anastasiana e in un testo attribuito a Isacco il Siro. 11 Per questo rimando alle introduzioni di due testi su citati: l’edizione critica di Rordorf e Tuilier, e la traduzione italiana di Mattioli (cf. supra, n. 3). 12 Solo per citare un caso: Dt 30,15-20. 10

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ghiera da utilizzare in occasione del «rendimento di grazie»; adunanza che da alcuni è intesa come eucaristia sacramentale vera e propria, da altri, invece, come agape che, secondo una prassi ben attestata durante il primo secolo dell’era cristiana, accompagnava l’eucaristia. Questo testo liturgico, che mostra una forte dipendenza dalla liturgia giudaica da cui deriva e una cristologia con tratti giudeo-cristiani molto chiari, è di particolare interesse non solo per conoscere l’uso liturgico di quella particolare area geografica che produsse la Didaché, ma anche per risalire alle radici stesse della liturgia eucaristica cristiana, essendo questo uno dei testi più antichi di cui abbiamo notizia. I capitoli successivi sarebbero dovuti a uno o più autori, a seconda dei commentatori. La posizione più semplice è quella di chi ritiene unitari i cc. 11-15 e aggiunto posteriormente il c. 16; quest’ultimo, secondo alcuni, potrebbe essere l’antica conclusione della sezione delle due vie che, in seguito alle varie aggiunte, sarebbe passato in chiusura. Un’altra posizione, che forse è la più seguita, distingue all’interno dei cc. 11-15 almeno due stadi successivi; questo perché i cc. 11-13 mostrerebbero una situazione ecclesiale più arcaica rispetto a quella che traspare dal c. 15. Ricapitolando quest’ultima posizione, che è quella seguita da Rordorf e Tuilier, vi sarebbe stato un primo redattore che avrebbe messo insieme l’insegnamento giudaico delle due vie e alcuni testi liturgici, arricchendoli di precisazioni di sua mano, e aggiungendovi la sezione dei cc. 11-13; quindi avrebbe fatto seguito un secondo redattore cui si devono i cc. 14-15, e poco dopo un terzo redattore che avrebbe aggiunto il c. 16. Per fissare dunque un terminus ante quem per la redazione del testo così come è tràdito dal manoscritto di Gerusalemme, è necessario datare gli ultimi capitoli, i quali, secondo Rordorf e Tuilier, sono da collocarsi entro la fine del  secolo d.C. Con questa datazione concorda anche De Halleux, promotore della prima ipotesi cui si è accennato, cioè quella che vorrebbe unitari i cc. 11-15 e aggiunto solo il c. 16; per 10

De Halleux, infatti, non vi sarebbe contraddizione interna che possa giustificare l’ipotesi del secondo redattore 13. Quanto al luogo di composizione, vista la diffusione di questo testo in traduzione copta ed etiopica, è stata avanzata anche l’ipotesi dell’Egitto, ma la posizione più condivisa è quella che colloca la redazione della Didaché in una comunità rurale della zona occidentale della Siria. Scorrendo il nostro testo si nota come non siano pochi i rimandi al , anche se non vi sono quasi mai riferimenti espliciti a un testo. In vari casi il didachista si richiama all’«evangelo» (8,1; 11,3; 15,3.4), ma non è chiaro se con questo intenda attirare l’attenzione su uno scritto ben preciso o sull’annuncio in quanto tale; e, se si accetta la prima soluzione, ci si interroga su quale sia questo testo. L’ipotesi più seguita a riguardo del rapporto tra Didaché e  è quella di quanti ritengono che, essendo il nostro testo contemporaneo di diversi scritti neotestamentari e precedente rispetto ad altri, esso semplicemente attinga a una tradizione, forse già scritta, cui attingono anche gli autori del . La Didaché è un’opera complessa, ma con una struttura ben definita anche a motivo delle varie fonti di cui l’autore-redattore si è servito nel comporla. La prima parte è costituita da una catechesi sulle due vie (cc. 1-6); segue una sezione liturgica, che tratta del battesimo (c. 7), del digiuno e della preghiera (c. 8), e dell’eucaristia (cc. 9-10); la terza parte comprende una serie di questioni disciplinari riguardanti i vari ministeri all’interno delle comunità, l’ospitalità, la sinassi domenicale e la correzione fraterna (cc. 11-15); conclude l’opera una breve sezione sull’attesa escatologica (c. 16).

In alcuni casi egli propone anche una traduzione diversa da quella normalmente seguita, di cui si dirà volta per volta; cf. A. De Halleux, «Les ministères dans la Didaché», in Irénikon 53 (1980), pp. 5-29 (riedito in Patrologie et oecuménisme. Recueil d’études, Leuven 1990, pp. 668-692). 13

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Il nostro testo si apre con l’insegnamento sulle due vie, cioè con l’esigenza della scelta necessaria per intraprendere un cammino di fede. Esso infatti è, molto probabilmente, un’opera catechetica, indirizzata a quanti intendono incamminarsi verso il battesimo e quindi verso una vita cristiana che è contraddistinta da scelta e rinuncia. I primi sei capitoli non sono altro che un lungo elenco di atteggiamenti propri del cristiano: la via della vita (cc. 1-4); e di realtà da evitare: la via della morte (c. 5). Eppure questo non è un semplice codice etico asettico, ma ha un’origine, che è anche un fine, e una misura, che fanno come da cornice all’intera sezione. L’origine e il fine sono la carità: «La via della vita è questa: innanzitutto amerai colui che ti ha plasmato e poi il tuo prossimo, come te stesso» 14. La misura è nella conclusione: «Se puoi portare l’intero giogo del Signore, sarai perfetto; se non puoi, fa’ quello che puoi» 15. Nella sezione liturgica si tratta invece di quei momenti, anche sacramentali, che vogliono significare in altro modo la vita secondo l’evangelo: il battesimo, che è immersione «nel nome» del Padre, del Figlio e dello Spirito santo; il digiuno; la preghiera, che che trova un’immagine nel «Padre nostro» recitato «tre volte al giorno» 16; e infine l’eucaristia, che è rendimento di grazie per la presenza del «santo nome che [Dio] ha fatto abitare nei nostri cuori, e per la conoscenza, la fede e l’immortalità» 17; ma è anche invocazione, tensione verso il tempo della pienezza: «Venga [la] grazia e passi questo mondo ... Maranathà» 18. Della terza sezione merita particolare attenzione soprattutto il tema della profezia e il ruolo dei profeti. Siamo in un’epoca in cui il profeta e il suo ministero sono sentiti come real-

Didaché 1,2. Ibid. 6,2. 16 Ibid. 8,3. 17 Ibid. 10,2. 18 Ibid. 10,6. 14 15

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tà vive ed efficaci all’interno delle comunità cristiane. Il profeta è colui che insegna, che presiede l’eucaristia, che è attento ai poveri; ma innanzitutto egli è colui che discerne lo Spirito e la sua azione. Per questo, dice il didachista: «Non metterete assolutamente alla prova, né giudicherete il profeta che parla nello Spirito; infatti, ogni peccato sarà rimesso, ma questo peccato non sarà rimesso» 19. Vi è un peccato che non è rimesso, il peccato contro lo Spirito santo secondo Mt 12,31, il disprezzo della profezia secondo la Didaché. Perché disprezzare la profezia, significa disprezzare la stessa vita nello Spirito, cioè il germe della vita cristiana; per cui l’irremissibilità del peccato non è frutto di una sentenza, ma è la morte oggettiva di ogni azione che rifiuta lo Spirito. L’evangelicità del profeta sarà misurata guardando se egli «ha i comportamenti del Signore» 20, se egli «fa quello che insegna» 21; anche se poi al profeta «provato e veritiero ... in vista di un ministero di chiesa nel mondo» è lasciata una libertà che va al di là di quello che insegna 22. In tutto questo vi è però il subdolo rischio di nascondere dietro una maschera pseudo-spirituale la propria incapacità a una vita umana seria e leale; è per questo che il didachista nel capitolo successivo insiste molto sulla necessità del lavoro per ogni cristiano, e invita il credente ad essere christianós (cristiano) e non christémporos (mercante-trafficante di Cristo). L’ultimo capitolo riprende il tema dell’attesa escatologica, dimensione particolarmente viva nella comunità del didachista. Il tempo presente è il tempo dell’attesa degli ultimi giorni, il tempo in cui è necessario vigilare per discernere la venuta del Signore.

Ibid. Ibid. 21 Ibid. 22 Ibid. 19 20

11,7. 11,8. 11,10. 11,11.

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La traduzione è stata realizzata sul testo critico stabilito da W. Rordorf e A. Tuilier: La Doctrine des douze apôtres (Didaché), SC 248, Paris 1978.

INSEGNAMENTO DEI DODICI APOSTOLI 1

1.1. Le vie sono due: una della vita e una della morte 2, e grande è la differenza tra le due vie. 2. Dunque, la via della vita è questa: innanzitutto amerai il Dio che ti ha plasmato 3 e poi il tuo prossimo, come te stesso 4; e tutto ciò che non vorresti fosse fatto a te, neppure tu fallo a un altro 5. 3. Ecco dunque l’insegnamento di queste parole: benedite coloro che vi maledicono, pregate per i vostri nemici e digiunate per coloro che vi perseguitano 6. Quale grazia, infatti, se amate coloro che vi amano? Non fanno questo anche le genti 7? Voi, invece, amate coloro che vi odiano 8 e non avrete [alcun] nemico. 4. Allontanati dai desideri della carne 9 e del corpo. Se qualcuno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, rivolgigli anche l’al-

1 Altro titolo attestato anch’esso dal manoscritto di Gerusalemme è: «Insegnamento del Signore, per mezzo dei dodici apostoli, alle genti». 2 Cf. Ger 21,8; Mt 7,13-14. Per i passi del  cui si rimanda nel corso dell’intero testo, va precisato che si intende solo indicare un parallelo, dovuto nella maggior parte dei casi alla dipendenza da una medesima fonte; sappiamo infatti che all’epoca in cui fu scritta la Didaché, molti dei testi ora raccolti nel  non erano stati ancora redatti nella forma giunta fino a noi. 3 Cf. Dt 6,5; Sir 7,30; Mt 22,37. 4 Cf. Lv 19,18; Mt 22,39. 5 Cf. Tb 4,15; Mt 7,12. 6 Cf. Mt 5,44. 7 Cf. Mt 5,47. 8 Cf. Lc 6,27. 9 Cf. 1Pt 2,11.

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tra 10, e sarai perfetto. Se qualcuno ti costringe a [fare] un miglio, fanne insieme a lui due 11. Se qualcuno prende il tuo mantello, dagli anche la tunica 12. Se qualcuno ti prende ciò che è tuo, non ridomandar[lo] 13, perché non puoi. 5. A chiunque ti chiede, dà e non ridomandare 14, perché il Padre vuole che i suoi doni siano dati a tutti. Beato colui che dà, secondo il comandamento, perché è senza colpa. Guai a colui che riceve: se infatti qualcuno riceve essendo nel bisogno, sarà senza colpa; ma chi [riceve] non essendo nel bisogno, darà conto del motivo per cui ha ricevuto e del fine; messo in prigione, sarà esaminato circa quello che ha fatto e non sarà liberato di là, finché non abbia restituito l’ultimo quadrante 15. 6. Ma ancora su questo è stato detto: «Sudi la tua elemosina nelle tue mani, finché [tu] non sappia a chi dai» 16. 2.1. Secondo comandamento dell’insegnamento: 2. non ucciderai 17, non sarai adultero 18, non corromperai i ragazzi, non fornicherai, non ruberai 19, non praticherai la magia, non praticherai la stregoneria 20, non ucciderai il bambino con l’aborto né lo farai morire una volta nato, non desidererai le cose del prossimo 21. 3. Non spergiurerai 22, non dirai falsa testimonianza 23, non

Cf. Mt 5,39. Cf. Mt 5,41. 12 Cf. Mt 5,40. 13 Cf. Lc 6,30. 14 Cf. Mt 5,42. 15 Cf. Mt 5,26. 16 Si tratta di un detto che si ispira a Sir 12,1, e che si ritrova in una forma simile anche in Agostino (Esposizioni sui salmi 102,12 e 146,17) e in vari autori cristiani come Gregorio Magno, Cassiodoro e Bernardo. 17 Cf. Es 20,13; Dt 5,17. 18 Cf. Es 20,14; Dt 5,18. 19 Cf. Es 20,15; Dt 5,19. 20 Cf. Dt 18,10. 21 Cf. Es 20,17; Dt 5,21. 22 Cf. Mt 5,33. 23 Cf. Es 20,16; Dt 5,20. 10 11

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sarai maldicente, non serberai rancore. 4. Non sarai doppio di pensiero né doppio di lingua, perché la doppiezza di lingua è una trappola di morte. 5. La tua parola non sarà menzognera, né vuota, ma colma dell’esperienza. 6. Non sarai ambizioso, né rapace, né ipocrita, né maligno, né orgoglioso; non ordirai un cattivo disegno contro il tuo prossimo. 7. Non odierai nessuno; ma alcuni li riprenderai, per altri pregherai, altri ancora li amerai più della tua stessa anima. 3.1. Figlio mio, fuggi ogni male e tutto ciò che gli è simile. 2. Non essere collerico, perché l’ira conduce all’omicidio; né fanatico 24, né litigioso, né irascibile, perché da tutto ciò nascono gli omicidi. 3. Figlio mio, non abbandonarti ai desideri, perché il desiderio conduce alla fornicazione; e non [essere] osceno nel parlare e indiscreto nello sguardo, perché da tutto ciò nascono gli adulteri. 4. Figlio mio, non darti alla divinazione, perché conduce all’idolatria, né agli incantesimi, né all’astrologia, né alle purificazioni 25; e non cercare di vedere o di sentir parlare di queste cose, perché da tutto ciò nasce l’idolatria. 5. Figlio mio, non essere menzognero, perché la menzogna conduce al furto, né amante del denaro, né vanaglorioso, perché da tutto ciò nascono i furti. 6. Figlio mio, non essere mormoratore, perché [questo] conduce alla diffamazione 26, né arrogante, né di pensiero cattivo 27, perché da tutto ciò nascono le diffamazioni 28. 7. Sii invece mite, perché i miti erediteranno la terra 29. 8. Sii magnanimo, misericordioso, senza malizia, tranquillo, buono e temi sempre le parole che hai udito 30. 9. Non ti innalzerai, né

Letteralmente: «pieno di zelo», oppure «geloso». Cf. Dt 18,10-12. 26 Oppure: «bestemmia». 27 In greco: poneróphron. 28 Oppure: «bestemmie». 29 Sal 36 (37),11; Mt 5,5. 30 Cf. Is 66,2. 24 25

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consegnerai la tua anima all’insolenza. La tua anima non si unirà agli alteri, ma frequenterai i giusti e gli umili. 10. Accoglierai come beni gli eventi che ti accadono, sapendo che senza Dio non avviene nulla. 4.1. Figlio mio, ti ricorderai notte e giorno di colui che ti annuncia la parola di Dio, lo onorerai come [il] Signore, perché [il] Signore è nel luogo da dove è annunciata la [sua] signoria. 2. Ricercherai ogni giorno i volti dei santi, per appoggiarti alle loro parole 31. 3. Non provocherai divisione, ma metterai pace tra i contendenti; giudicherai secondo giustizia, non farai eccezione di persona nel correggere le cadute. 4. Non dubiterai se [qualcosa] avverrà oppure no 32. 5. Non avvenga che stendi le mani nel ricevere, e le stringi nel dare 33. 6. Se, grazie alle tue mani, possiedi [qualcosa], [lo] darai in riscatto per i tuoi peccati. 7. Non esiterai nel dare, né mormorerai dando; conoscerai infatti chi è il bel datore del salario 34. 8. Non respingerai il bisognoso 35, avrai tutto in comune con tuo fratello e non dirai che è tuo proprio; se infatti avete in comune ciò che è immortale, quanto più le cose mortali? 9. Non ritirerai la tua mano da tuo figlio e da tua figlia, ma fin dalla giovinezza insegnerai [loro] il timore di Dio. 10. Al tuo servo e alla tua ancella che sperano nel [tuo] stesso Dio, non darai ordini con amarezza, perché non smettano di temere quel Dio che sta al di sopra degli uni e degli altri; [egli], infatti, non viene a chiamare a seconda della persona 36, ma Oppure: «per trovare riposo nelle loro parole». Si tratta di un passo dal significato incerto, del quale sono state fornite varie interpretazioni. La più probabile, visti alcuni paralleli rinvenuti nell’ambito della letteratura patristica, è quella che riferisce il dubbio al compimento delle profezie, compreso il ritorno del Cristo, o all’esaudimento delle preghiere (cf. La Doctrine des douze apôtres, p. 159). 33 Cf. Sir 4,31. 34 Cf. Pr 19,17. 35 Cf. Sir 4,5. 36 In greco: prósopon. 31 32

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[chiama] coloro di cui ha preparato lo spirito 37. 11. E voi servi, siate sottomessi ai vostri padroni 38, come all’immagine 39 di Dio, con rispetto e timore. 12. Odierai ogni ipocrisia e tutto ciò che non è gradito al Signore. 13. Non abbandonerai mai i comandamenti del Signore, ma custodirai ciò che hai ricevuto, senza aggiungere né togliere 40. 14. Nell’assemblea confesserai le tue cadute e non ti accosterai alla tua preghiera con cattiva coscienza. Questa è la via della vita. 5.1. La via della morte, invece, è questa: innanzitutto essa è malvagia e colma di maledizione. [Consiste in] omicidi, adulteri, desideri, fornicazioni, furti, idolatrie, magie, stregonerie, rapine, false testimonianze, ipocrisie, doppiezza di cuore, dolo, orgoglio, cattiveria, arroganza, ambizione, oscenità, fare fanatico 41, insolenza, alterigia, ostentazione, spavalderia. 2. [Quanti la seguono sono] persecutori dei buoni, nemici della verità, amanti della menzogna, ignari del salario della giustizia, non aderiscono al bene né al giusto giudizio, vegliano non per il bene ma per il male, sono estranei alla mitezza e alla pazienza, sono amanti delle vanità, sono cercatori di ricompensa, non hanno compassione del povero, non soffrono per l’afflitto, non conoscono colui che li ha plasmati, uccidono i bambini, fanno perire con l’aborto una creatura di Dio, respingono il bisognoso, angustiano l’oppresso, sono difensori dei ricchi e giudici ingiusti dei poveri, sono peccatori in tutto 42. Allontanatevi, o figli, da tutto ciò! 6.1. Bada che nessuno ti faccia deviare da questa via dell’insegnamento, perché [chi lo facesse] ti insegnerebbe [qualcosa

Altra traduzione possibile: «coloro che lo Spirito ha preparato». Cf. Ef 6,5; Tt 2,9. 39 In greco: ty ´ pos. 40 Cf. Dt 4,2; 13,1. 41 Letteralmente: «fare pieno di zelo», oppure «gelosia». 42 In greco: panthamárteroi. 37 38

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che è] al di fuori di Dio. 2. Se, infatti, puoi portare l’intero giogo del Signore 43, sarai perfetto; se non puoi, fa’ quello che puoi. 3. Circa i cibi, porta quello che puoi; ma guardati assolutamente dagli idolotiti 44, perché è un culto di dèi morti. 7.1. Riguardo al battesimo, battezzate così: dopo aver detto tutte queste cose, battezzate in acqua viva 45, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo 46. 2. Se non hai a disposizione acqua viva, battezza in un’altra acqua; se non puoi [farlo] in [acqua] fredda, [fallo] in quella calda. 3. Se non hai né l’una né l’altra, versa dell’acqua sulla testa per tre volte, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo 47. 4. Prima del battesimo, digiunino colui che battezza, colui che è battezzato e gli altri che possono [farlo]; chiederai però a colui che deve essere battezzato di digiunare da uno o due giorni prima. 8.1. I vostri digiuni non siano insieme [a quelli] degli ipocriti, che digiunano il secondo giorno della settimana e il quinto 48; voi invece digiunate il quarto giorno e il giorno di parasceve. 2. E neppure pregate come gli ipocriti; ma come il Signore ha chiesto nel suo evangelo, così pregate: Padre nostro che sei nel cielo sia santificato il tuo nome venga il tuo regno sia fatta la tua volontà come in cielo anche su terra.

Cf. Mt 11,29-30. Cf. At 15,29. 45 In greco: zôn; da intendersi come «acqua corrente, di fonte». 46 Cf. Mt 28,19. 47 Cf. ibid. 48 Secondo Rordorf e Tuilier gli «ipocriti» cui qui si allude non sono gli ebrei, come è stato suggerito; un tale atteggiamento di ostilità, infatti, si concilia male con la Didaché, che deve tanto alla tradizione giudaica. Si tratterebbe piuttosto di un gruppo di dissidenti che tendono a giudaizzare (cf. La Doctrine des douze apôtres, p. 37). 43 44

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Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi il nostro debito come anche noi rimettiamo ai nostri debitori e non indurci in tentazione ma liberaci dal male. Perché tua è la potenza e la gloria nei secoli 49.

3. Pregate così tre volte al giorno. 9.1. Per l’eucaristia, rendete grazie in questo modo. 2. Dapprima sulla coppa: Ti rendiamo grazie, Padre nostro per la santa vite 50 di David tuo servo 51 che ci hai fatto conoscere attraverso Gesù tuo servo; a te la gloria nei secoli.

3. Poi sul [pane] spezzato: Ti rendiamo grazie, Padre nostro per la vita e la conoscenza che ci hai fatto conoscere attraverso Gesù tuo servo; a te la gloria nei secoli. 4. Come questo [pane] spezzato era sparso sui monti e, radunato, è diventato uno, così sia radunata la tua chiesa dalle estremità della terra, nel tuo regno, perché tua è la gloria e la potenza, attraverso Gesù Cristo, nei secoli.

5. Nessuno mangi o beva della vostra eucaristia, eccetto i battezzati nel nome del Signore, perché è anche in riferimen-

Cf. Mt 6,9-13. Oppure: «vigna». 51 Qui e nelle altre occorrenze nel corso della preghiera il termine greco tradotto con «servo» è paîs. 49 50

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to a questo che il Signore ha detto: «Non date ciò che è santo ai cani» 52. 10.1. Dopo esservi saziati, rendete grazie in questo modo: 2. Ti rendiamo grazie, Padre santo per il tuo santo nome che hai fatto abitare nei nostri cuori, e per la conoscenza, la fede e l’immortalità che ci hai fatto conoscere attraverso Gesù tuo servo; a te la gloria nei secoli. 3. Tu, Signore onnipotente 53 hai creato tutte le cose 54 a motivo del tuo nome, cibo e bevanda hai dato agli uomini in godimento, affinché ti rendano grazie, a noi invece hai fatto grazia di un cibo spirituale e di una bevanda e di una vita eterna, attraverso Gesù tuo servo. 4. Per tutto questo ti rendiamo grazie, perché sei potente; a te la gloria nei secoli. 5. Ricordati, Signore, della tua chiesa, di liberarla da ogni male e di renderla perfetta nel tuo amore 55; e raduna dai quattro venti 56 lei, la santificata, nel tuo regno che hai preparato per lei; perché tua è la potenza e la gloria nei secoli. 6. Venga [la] grazia e passi questo mondo. Osanna al Dio di David 57. Se qualcuno è santo, venga! Se qualcuno non lo è, si converta! Maranathà 58. Amen.

Cf. Mt 7,6. In greco: déspota pantokrátor. 54 Cf. Sap 1,14; Sir 18,1; 24,8; Ap 4,11. 55 Cf. 1Gv 4,18. 56 Cf. Mt 24,31. 57 Cf. Mt 21,9.15. 58 Cf. 1Cor 16,22. 52 53

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7. Ai profeti, invece, lasciate rendere grazie 59 quanto vogliono. 11.1. Colui che, venendo, vi insegna tutte queste cose dette innanzi, accoglietelo. 2. Ma se colui che insegna 60, essendo distorto, trasmettesse un altro insegnamento, al fine di demolire, non ascoltatelo; se invece [agisce] per stabilire la giustizia e la conoscenza del Signore, accoglietelo come [il] Signore. 3. Riguardo poi agli apostoli e profeti 61, secondo il comando dell’evangelo, agite così: 4. ogni apostolo che viene a voi, accoglietelo come [il] Signore 62. 5. Tuttavia non rimarrà che un solo giorno; se ve ne fosse necessità, anche il [giorno] seguente; ma se resta tre [giorni], è un falso profeta. 6. Andandosene, l’apostolo non accetti nulla se non il pane [necessario] fino al luogo in cui alloggerà [di nuovo]; ma se chiedesse denaro, è un falso profeta. 7. E non metterete assolutamente alla prova né giudicherete 63 il profeta che parla nello spirito 64, perché ogni peccato sarà

Cioè: «fare eucaristia». Il riferimento qui sembra essere generico a chiunque svolga un ministero di insegnamento all’interno della comunità, e non indica in maniera specifica i didascali (cf. A. De Halleux, Patrologie et oecuménisme, p. 673). 61 La maggior parte dei commentatori ritiene che qui il didachista si riferisca a due categorie distinte: apostoli e profeti. De Halleux, invece, ha giustamente notato che, vista l’assenza di articolo davanti a «profeti», l’espressione deve essere intesa come un’endiadi; il riferimento sarebbe qui agli «apostoli che sono profeti». Tale lettura sarebbe confermata anche dal fatto che nei vv. 6-7 il falso apostolo è detto pseudoprophétes. L’ipotesi di De Halleux è che il didachista qui si riferisca agli apostoli che sono anche profeti, cioè ai «profeti di genere apostolico» o profeti itineranti (cf. A. De Halleux, Patrologie et oecuménisme, p. 676). 62 Cf. Gv 13,20; Gal 4,14. 63 I verbi impiegati sono: peirázo e diakríno. 64 Da questo punto fino alla fine del capitolo si parla dei profeti in senso stretto e non più degli apostoli-profeti. Secondo De Halleux dalle funzioni di questi profeti, cui accennano i vv. 7-12, si desume che non si stia parlando di itineranti, come era il caso degli apostoli di cui sopra (cf. A. De Hal59 60

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rimesso, ma un tale peccato non sarà rimesso 65. 8. Tuttavia, non è profeta chiunque parli nello spirito, ma [lo è] se ha i comportamenti del Signore. Dunque è dai comportamenti che conoscerete il falso profeta e il [vero] profeta. 9. Ogni profeta che nello spirito fa imbandire una mensa, non ne mangerà, altrimenti è un falso profeta. 10. Ogni profeta che insegna la verità, se non fa quello che insegna, è un falso profeta. 11. Ma ogni profeta provato, veritiero, che, agendo in vista di un mistero di chiesa nel mondo 66, non insegna tuttavia a fare le cose che lui stesso fa, non sarà giudicato presso di voi, perché ha il [suo] giudizio da Dio. Così infatti agirono anche gli antichi profeti. 12. Colui che dicesse nello spirito: «Dammi del denaro o qualcosa d’altro», non ascoltatelo; ma se dicesse di dare ad altri che sono nel bisogno, nessuno lo giudichi.

leux, Patrologie et oecuménisme, p. 680). – L’espressione en pneúmati («nello spirito») ha dato adito a varie interpretazioni; c’è chi vi ha visto un riferimento a situazioni estatiche e chi invece l’ha interpretata in relazione a un’ispirazione dello Spirito santo. De Halleux, considerando che un comportamento estatico si concilierebbe difficilmente con alcune azioni compiute dal profeta en pneúmati e che in 11,8 e 11,12 l’espressione è riferita anche ai falsi profeti che quindi non sono ispirati dallo Spirito, ritiene che l’agire en pneúmati alluda ad «una autorità particolare ... rivendicata in nome dello spirito o semplicemente segnata dal tono ispirato del discorso» (cf. A. De Halleux, Patrologie et oecuménisme, p. 679). A tale interpretazione, che condivido, mi sembra si possa solo aggiungere che un riferimento allo Spirito santo è evidente, almeno nel presente contesto, a motivo del testo parallelo tràdito da Mt 12,31 circa il peccato contro lo Spirito. L’espressione dunque allude a una particolare autorità all’interno della comunità, ma discendente da un’azione dello Spirito santo che, beninteso, può anche essere simulata, come nel caso dei falsi profeti. 65 Cf. Mt 12,31. 66 In greco: eis mystérion kosmikòn ekklesías; espressione di non facile comprensione che ha suscitato le interpretazioni più varie; tra tutte, la più convincente resta quella che riferisce l’affermazione al comportamento di alcuni profeti che, alla maniera degli antichi profeti di Israele, facevano gesti simbolici che potevano arrivare anche a scioccare gli spettatori (cf. La Doctrine des douze apôtres, pp. 186-188).

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12.1. Chiunque viene nel nome del Signore 67, sia accolto; e [solo] dopo lo conoscerete, mettendolo alla prova, perché sarete capaci di discernere la destra e la sinistra 68. 2. Se colui che viene è di passaggio, aiutatelo per quello che potete; però non resterà presso di voi che due o tre giorni, se ve ne fosse bisogno. 3. Se invece vuole stabilirsi presso di voi, avendo un mestiere, lavori e mangi. 4. Ma se non ha un mestiere provvedete, secondo il vostro discernimento, perché non si trovi presso di voi un cristiano ozioso. 5. Se però non vuole fare questo, è un mercante di Cristo 69: guardatevi da tali individui! 13.1. Ogni vero profeta, che voglia stabilirsi presso di voi, è degno del suo cibo 70; 2. così, [in quanto] vero didascalo 71, è anch’esso degno, come l’operaio, del suo cibo 72. 3. Prendendo dunque ogni primizia dei prodotti del frantoio e dell’aia, dei buoi e delle pecore, la darai ai profeti; questi, infatti, sono i vostri sommi sacerdoti 73. 4. Se però non avete un profeta, date ai Sal 117 (118),26; Mt 21,9. C ’è chi ha individuato in questa affermazione la reminiscenza di un testo simile a Mt 25,33 che ne chiarirebbe quindi il senso (La Doctrine des douze apôtres, p. 189). 69 In greco: christémporos, che si oppone al christianós del versetto precedente. 70 Cf. Mt 10,10. 71 La maggior parte dei traduttori interpreta questo passo in maniera diversa: «Allo stesso modo il vero didascalo è anch’esso degno, come l’operaio, del suo cibo». Secondo questa interpretazione vi sarebbe qui il riferimento alla categoria dei didascali, di cui non si è fatto cenno fino a questo punto. È ancora De Halleux a proporre la traduzione alternativa su accolta, che è confermata, oltre che dalla mancanza di qualsiasi altro riferimento ai didascali nel seguito del capitolo, anche dalla mancanza dell’articolo davanti al sostantivo «didascalo» (cf. A. De Halleux, Patrologie et oecuménisme, p. 681). 72 Cf. Mt 10,10. 73 Il riferimento è al testo di Es 18,12 secondo il quale le primizie offerte al Signore sono date ai sacerdoti. Per la comunità cui si indirizza la Didaché, i profeti sono equiparati ai sacerdoti; ma questo non ha nulla a che fare con una loro funzione o dignità «sacerdotale». 67 68

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poveri! 5. Se fai il pane, prendi la primizia e dalla, secondo il comandamento 74. 6. Allo stesso modo quando apri un’anfora di vino o di olio, prendi la primizia e dalla ai profeti. 7. Del denaro, dei vestiti e di ogni possedimento, prendi la primizia, come ti sembrerà opportuno, e dalla secondo il comandamento 75. 14.1. La domenica del Signore, essendovi riuniti, spezzate il pane e rendete grazie, confessando le vostre cadute affinché il vostro sacrificio sia puro. 2. Chiunque sia in discordia con il suo compagno, non si unisca a voi, finché non si sia riconciliato, perché il vostro sacrificio non sia profanato. 3. Questo infatti è ciò che è stato detto dal Signore: «In ogni luogo e tempo mi si offre un sacrificio puro, perché sono un re grande – dice il Signore – e il mio nome è mirabile tra le genti» 76. 15.1. Eleggetevi 77 vescovi e diaconi degni del Signore, miti, non amanti del denaro 78, veritieri e provati, perché anch’essi svolgono per voi l’ufficio dei profeti e didascali. 2. Non disprezzateli, dunque, perché tra di voi essi sono onorati insieme ai profeti e didascali 79. 3. Correggetevi gli uni gli altri, non nell’ira, ma nella pace, come avete nell’evangelo 80; e a chiunque manchi verso il suo

Si tratta di un loghion sconosciuto, oppure abbiamo qui un generico riferimento al comandamento dell’offerta delle primizie secondo l’ (cf. Dt 26,1-11). 75 Si veda la nota precedente. 76 Ml 1,11.14. 77 Il verbo qui impiegato è cheirotonéo, ma in quest’epoca non ha ancora il significato che assumerà in seguito di «imporre le mani» e quindi «ordinare». 78 Cf. 1Tm 3,2-3. 79 Sia in questo caso sia in quello appena precedente, il termine «didascali» non è preceduto dall’articolo; particolarità che rende incerto il riferimento a due categorie distinte di ministri. 80 L’espressione «come avete nell’evangelo» è sembrata ad alcuni un chiaro riferimento a un scritto evangelico ben preciso. Tuttavia nel  non c’è un testo che ricordi con esattezza questa sentenza; forse essa si riferisce alla prassi di correzione fraterna descritta da Mt 18,15-18; o più probabilmente a qualche raccolta di loghia del Signore. 74

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compagno, nessuno rivolga la parola, né [questi] oda alcunché da parte vostra, finché non si sia convertito. 4. Tutte le vostre preghiere, le elemosine e tutte le azioni, fatele così come avete nell’evangelo del Signore nostro 81. 16.1. Vigilate sulla vostra vita. Non si spengano le vostre lampade, e i vostri fianchi non siano sciolti 82; ma siate pronti, perché non conoscete l’ora in cui il Signore nostro viene 83. 2. Vi radunerete spesso per cercare ciò che conviene alle vostre anime; tutto il tempo della vostra fede, infatti, non vi sarà di utilità, se non sarete perfetti nel tempo ultimo. 3. Negli ultimi giorni, infatti, si moltiplicheranno i falsi profeti e i corruttori; le pecore si muteranno in lupi e l’amore si muterà in odio. 4. Con l’aumentare, infatti, dell’iniquità, si odieranno gli uni gli altri, si perseguiteranno e si consegneranno 84; allora colui che trae il mondo in errore si rivelerà come figlio di Dio e farà segni e prodigi 85; la terra sarà consegnata nelle sue mani, ed [egli] farà empietà mai avvenute dai secoli 86. 5. Allora ogni creatura umana 87 perverrà al fuoco della prova 88, e molti saranno scandalizzati 89 e periranno; ma coloro che persevereranno nella loro fede, saranno salvati 90 da quella maledizione 91. Anche qui vale quanto detto nella nota precedente. Un testo parallelo che si può citare è Mt 6,2-18. 82 Cf. Lc 12,35. 83 Cf. Mt 24,42.44. 84 Cf. Mt 24,9-12. 85 Cf. Mt 24,24. 86 Cf. Gl 2,2. 87 Letteralmente: «la creazione degli uomini» (he ktísis tôn anthrópon). 88 Cf. Zc 13,8-9. 89 Cf. Mt 24,10. 90 Cf. Mt 10,22; 24,13. 91 Altra traduzione proposta: «Saranno salvati da colui che è maledizione»; questa interpretazione vedrebbe qui un’allusione cristologica secondo la terminologia di Paolo in Gal 3,13 e 1Cor 12,3 (cf. La Doctrine des douze apôtres, pp. 197-198). 81

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6. Allora si riveleranno i segni della verità: prima il segno del dispiegamento in cielo 92, poi il segno della voce di tromba, e in terzo luogo la resurrezione dei morti 93; 7. non di tutti però, ma, come è detto: «Verrà il Signore e tutti i santi con lui» 94. 8. Allora il mondo vedrà venire il Signore sulle nubi del cielo 95 96.

92 A proposito di questo primo segno, descritto come il «dispiegamento in cielo», alcuni commentatori hanno pensato alla croce; in ogni caso, a giudicare dalla triade dei segni proposta dal testo, è chiaro il riferimento a una tradizione simile a quella soggiacente a Mt 24,30, dove si parla di un non meglio specificato «segno del Figlio dell’uomo in cielo». 93 Cf. Mt 24,30-31. 94 Zc 14,5. 95 Cf. Mt 24,30. 96 Il testo termina in lacuna. È possibile tuttavia avere un’idea del contenuto delle poche righe mancanti grazie alla parafrasi della Didaché inclusa nelle Costituzioni apostoliche.

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A DIOGNETO

INTRODUZIONE

«“Frammento” dell’esperienza del primo cristianesimo» 1, l’A Diogneto ci è pervenuto in modo frammentario e per di più avvolto da molteplici oscurità. Il nostro testo giunge sotto gli occhi degli studiosi per un evento fortuito; verso il 1436, un giovane chierico latino che si trovava a Costantinopoli a studiare greco, acquistò da un pescivendolo della carta che serviva per avvolgere il pesce. Tale carta apparteneva in realtà a un manoscritto greco di duecentosessanta pagine, scritto probabilmente nel secolo precedente, che conteneva una raccolta di ventidue opere diverse. Le prime cinque erano attribuite a Giustino, poi seguivano i due trattati di Atenagora, e infine una serie di scritti di ogni età e provenienza fino almeno al secolo . Si trattava di una raccolta di testi apologetici destinata a difendere l’ortodossia contro gli eretici, i pagani, gli ebrei, i musulmani. Il manoscritto, passando di acquirente in acquirente, finì verso la fine del  secolo nella Biblioteca municipale di Strasburgo. Andò distrutto durante l’incendio della biblioteca nel corso della guerra franco-prussiana del 1870, ma, fortunatamente, ne era stata fatta una puntuale descrizione ed erano state approntate tre copie che hanno consentito di conservare questo testo altrimenti ignoto. L’A Diogneto, redatto in un greco colto, con un’argomentazione brillante, ha entusiasmato gli

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M. Rizzi, La questione dell’unità dell’«Ad Diognetum», Milano 1989, p. 3.

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studiosi. Definito «gioiello dell’antichità cristiana» 2, «quanto di più sfolgorante i cristiani abbiano scritto in greco» 3, viene ricordato particolarmente per i capitoli centrali, considerati da Henri Marrou «particelle di oro puro, che, da sole, giustificherebbero il lavoro minuzioso speso nello studio del nostro testo» 4. L’entusiasmo, il sincero apprezzamento, il vivissimo interesse destato da quest’opera non hanno tuttavia consentito di dissipare il mistero che l’avvolge per quanto riguarda la sua origine, l’autore, l’ambiente di provenienza. Le fonti antiche non ci dicono nulla su questo testo. Non ne conosciamo l’autore, non ci sono elementi che consentano di proporre una datazione, non siamo in grado di ambientarlo. Gli studiosi hanno suggerito le ipotesi più disparate 5: chi sostiene che sia opera di un falsario, chi l’attribuisce a Marcione, chi a Quadrato, vescovo di Atene nel 126 e autore di un’apologia indirizzata all’imperatore Adriano. Per altri sarebbe opera di Panteno, maestro di Clemente di Alessandria, del quale non sappiamo pressoché nulla. Altri ancora sostengono che lo scritto proviene dall’Asia minore e forse è opera di Policarpo, morto martire nel 156 d.C. Recentemente si è proposto di attribuirgli un’origine romana. La comunità romana intorno al  secolo è sede di accesi dibattiti tra un paolinismo radicale dei membri colti e il cristianesimo legalistico della comunità di tendenza conservatrice. L’autore dell’A Diogneto potrebbe essere un intellettuale cristiano vivente a Roma e toccato da questo dibattito 6. Quale il messaggio dell’A Diogneto? All’intento apologetico volto a chiarire ciò che i cristiani non sono, si affianca l’affer-

2 H. Semisch, s.v. «Diognet, Brief an», in Theologische Realencyclopädie für protestantische Theologie und Kirche III, Berlin 18552, p. 407. 3 E. Norden, Die antike Kunstprosa II, Berlin 1923, p. 513. 4 H.-I. Marrou, A Diognète, SC 33 bis, Paris 1965, p. 90. 5 Rinviamo all’introduzione all’A Diogneto di E. Norelli, Milano 1991. 6 Cf. ibid., pp. 42 ss.

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mazione positiva: chi sono i cristiani, qual è la loro vocazione nel mondo. Una breve esposizione della teologia cristiana è conclusa dall’appello a una scelta. Qual è lo specifico del cristiano, del discepolo del Signore? I cc. 5 e 6 descrivono il carattere paradossale della vita cristiana, una vita che ha le sue radici nell’alto, poiché non è «un’invenzione terrena quella che è stata loro trasmessa» 7, ma Gesù Cristo fu mandato «come [uomo] agli uomini» 8. Vivendo alla sua sequela, distinguendosi non per territorio, lingua, abiti 9, istituzioni politiche, ma solo per il modo di vivere mirabile, per l’amore che informa e plasma la loro vita, i cristiani «sono nel mondo ciò che l’anima è nel corpo» 10. O come più umilmente scrive la Lumen gentium al c. 38 «i cristiani siano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo».

A Diogneto 7,1. Ibid. 7,4. 9 Cf. ibid. 5. 10 Ibid. 6,1. 7 8

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La traduzione è stata realizzata sull’edizione di H.-I. Marrou, A Diognète, SC 33 bis, Paris 1965, tenendo conto però di alcune correzioni proposte da vari studiosi.

A DIOGNETO

1.1. Vedo, nobilissimo Diogneto 1, che sei animato da un vivissimo desiderio di conoscere la religione 2 dei cristiani e che con estrema chiarezza e diligenza ti informi 3 a loro riguardo: chi sia il Dio in cui credono, quale il culto che gli rivolgono in modo da essere tutti spinti a disprezzare il mondo 4 e la morte 5; come mai non tengano conto di divinità ritenute tali dai greci, e neppure accettino le osservanze dei giudei 6; qual genere di amore abbiano gli uni per gli altri; perché mai questo genere [di uomini] o questa condotta di vita siano venuti al-

1 Il nome «Diogneto», diffuso nei primi secoli dell’era cristiana, significa «generato da Dio». Troviamo un Diogneto tra i maestri di Marco Aurelio (Ricordi 1,6); un certo Claudio Diogneto fu procuratore equestre ad Alessandria tra il 197 e il 202 d.C. Ma è anche possibile che qui si tratti di un nome simbolico che individua un destinatario ideale al quale è indirizzato questo scritto. 2 Cf. 1Tm 2,10. Il termine theosébeia ricorre con frequenza in Clemente Alessandrino per indicare il cristianesimo. 3 Cf. At 17,18 e la richiesta che Teofilo pone in bocca ad Autolico: «Mostrami il tuo Dio» (Ad Autolico 1,2). 4 Sull’accusa rivolta ai cristiani di disprezzare il mondo e di odiare il genere umano cf. Tacito, Annali 15,44. 5 I non cristiani si interrogavano su questa insolita reazione dei cristiani dinanzi alla morte; cf. Marco Aurelio, A se stesso 11,3 e Luciano di Samosata, La morte di Peregrino 13. 6 Il termine deisidaimonía, impiegato in At 25,19 a proposito della religione giudaica, viene qui colorato di un’accezione negativa come già in Origene, Contro Celso 7,41.

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l’esistenza ora e non prima 7. 2. Approvo questo tuo fervente desiderio e supplico Dio, che ci dona sia il parlare sia l’udire, di concedere a me di parlare nella maniera più adatta perché chi ascolta diventi migliore, e a te di ascoltare in maniera tale che chi ha parlato non debba rattristarsi. 2.1. Tu, dunque, purìficati 8 da tutti i pregiudizi che tengono prigioniera la tua mente e spògliati dell’abitudine ingannevole, ridivieni come in principio uomo nuovo 9 facendoti uditore di una parola anch’essa nuova, come tu stesso hai riconosciuto, e osserva – non solo con gli occhi, ma anche con l’intelligenza –, quale sia la sostanza e quale la forma di quelli che chiamate e considerate dèi 10. 2. Uno di essi non è forse fatto di una pietra simile a quella che si calpesta? E l’altro, di bronzo, non è certo migliore dei recipienti fusi a nostro uso; l’altro è di legno, e per giunta anche marcio; quell’altro di argento deve essere sorvegliato perché non lo rubino; l’altro è di ferro corroso dalla ruggine, l’altro di coccio, per nulla più rispettabile di quello che si adopera per gli usi più spregevoli 11. 3. Tutte queste cose non sono fatte di materia corruttibile 12? Non sono state forgiate con il ferro e con il fuoco? Non le hanno preparate uno scalpellino, un fonditore, un argentiere, un ceramista 13?

Nel mondo antico greco-romano il criterio dell’antichità veniva impiegato quale prova di autenticità. L’apologetica giudaica si preoccupava di dimostrare la maggiore antichità del popolo ebraico e delle Scritture rispetto alla tradizione filosofica greca; il cristianesimo antico preferì sottolineare la novità apportata dall’evangelo più che la continuità che lo legava all’ebraismo. L’A Diogneto risponde a tale problematica in 9,1-2. 8 Cf. Clemente Alessandrino, Protrettico I,10,2. 9 Cf. Ef 4,22-24. 10 La critica del paganesimo, che comprende la critica degli idoli e quella dei sacrifici, si rivela assai superficiale. Ignora la critica alla mitologia, non conosce il tema dei demoni nascosti dietro agli idoli pagani. 11 Cf. Sap 15,7-8. 12 Cf. Bar 6,7-56 passim; Sap 13,10-19. 13 Cf. Is 44,12-20. 7

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E ciascuna di esse non era e non è tuttora pronta a ricevere qualsiasi altra forma, anche dopo che la mano dell’artista le ha plasmate in quel determinato modo 14? E quelli che adesso sono utensili fatti della stessa materia, non potrebbero diventare simili a tali divinità, se venissero in mano agli stessi artigiani 15? 4. E viceversa gli oggetti da voi adorati non potrebbero diventare, per mano di uomini, oggetti simili agli altri? Non sono tutte cose sorde, cieche, inanimate, insensibili, immobili? Non sono tutte soggette a marcire e a corrompersi? 5. Queste cose chiamate dèi, queste cose servite e adorate, e finite per diventare come loro. 6. Per questo odiate i cristiani perché essi non le considerano dèi. 7. Ma voi, che oggi tali li credete e li considerate non li disprezzate molto più di loro? Non li deridete e insultate molto più di loro, voi che adorate dèi di pietra e di coccio senza custodirli, mentre quelli d’argento e d’oro di notte li mettete al sicuro e di giorno ponete vicino a loro le guardie perché non vengano rubati? 8. E con gli onori che credete di tributare loro 16, se pure sono dotati di sensibilità, li castigate, se poi non sono dotati di sensibilità li svergognate onorandoli con il sangue e l’odore del grasso delle vittime. 9. Chi di voi potrebbe tollerare questo, chi potrebbe sopportarlo? Nessuno sopporterà di propria volontà tale tormento, perché possiede sensibilità e intelligenza. La pietra, invece, sopporta, perché è insensibile. In questo modo dunque negate la sensibilità degli idoli. 10. Riguardo al fatto che i cristiani non adorino tali dèi, avrei ancora molte cose da dire, ma se a qualcuno non sembrano convincenti questi argomenti, non ritengo di dover dire di più.

Cf. Bar 6,45; Sap 13,11; 15,7-9. Cf. Is 44,9-20; Sap 15,7-8; Bar 6,45. 16 La critica del sacrificio cruento era già attestata all’interno del paganesimo; l’autore trova semplicemente un argomento con il quale il suo interlocutore non poteva non trovarsi consenziente. 14 15

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3.1. Penso che tu desideri soprattutto sapere perché i cristiani non rendono culto allo stesso modo dei giudei 17. 2. I giudei, dunque, fanno bene 18 a tenersi lontani dal culto di cui abbiamo parlato prima, e adorare un solo Dio e riconoscerlo come Signore di tutte le cose; ma, dall’altra, sbagliano se gli rendono un culto simile a quello dei pagani di cui si è detto sopra. 3. Come, infatti, i greci, dando prova di stoltezza, presentano offerte agli idoli insensibili e sordi, così essi, pensando di offrire le stesse cose a Dio, come se ne avesse bisogno, danno piuttosto prova di follia e non di culto. 4. Colui che ha fatto il cielo e la terra e tutto ciò che è in essi 19 e che ha cura di tutti noi provvedendoci ciò di cui abbiamo bisogno, non ha necessità di nessuna di quelle cose che egli stesso elargisce a coloro che credono di farne dono a lui. 5. Perciò quelli che credono di offrirgli dei sacrifici di sangue e il profumo delle vittime degli olocausti, e onorarlo con tali segni di considerazione, non mi sembrano differire in niente 20 da quelli che manifestano la stessa venerazione nei confronti delle cose sorde. Questi infatti ritengono di rendere onore a chi non può riceverlo, quelli di offrire doni a chi non ha bisogno di niente. 4.1. Ma non credo che tu abbia bisogno di essere informato da me intorno alla loro paura relativamente a certi cibi, alla loro osservanza del sabato, al vanto della circoncisione, all’ipocrisia del digiuno e del novilunio, pratiche ridicole e inde-

17 La critica del giudaismo, come già nella Predicazione di Pietro (frammenti 3 e 4) e nell’Apologia di Aristide (cc. 3-13), segue quella del paganesimo. 18 Il testo è corrotto. Marrou propone la seguente correzione: «giustamente credono a un Dio unico e lo venerano come padrone dell’universo» (A Diognéte, pp. 56-58). 19 Cf. At 4,24; 14,15; Es 20,11; Sal 145 (146),6. 20 Si noti come l’autore neppure nomini la rivelazione di Dio attraverso la creazione e le Scritture.

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gne di alcuna menzione 21. 2. Ti pare giusto accettare alcune tra le cose create da Dio a utilità degli uomini come convenientemente create e rifiutarne altre come inutili e superflue? 3. E non è forse empietà mentire riguardo a Dio come se egli proibisse di fare del bene in giorno di sabato 22? 4. E vantare la mutilazione della carne come segno di elezione, come se per questo si fosse amati da Dio in modo particolare, non è cosa degna di derisione? 5. E scrutare le stelle e la luna, disporre l’osservanza dei mesi e dei giorni, distinguere a proprio arbitrio i disegni di Dio e il susseguirsi dei tempi, destinandone alcuni per le feste, altri per la penitenza, chi potrebbe ritenere questo come segno di religiosità e non invece di stoltezza? 6. Credo dunque che tu abbia imparato che a ragione i cristiani si tengono lontani sia dalla vanità e dall’errore generale, sia dall’eccessivo formalismo e dall’orgoglio dei giudei. Ma non credere di poter apprendere da un uomo il mistero 23 della particolare religione dei cristiani. 5.1. I cristiani, infatti, non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per abiti 24. 2. Non abitano neppure città proprie, né usano un linguaggio particolare, né conducono un genere speciale di vita 25. 3. La loro dottrina non è frutto di considerazioni e di indagini di uomini affaccendati in cose che non li riguardano, né professano, come alcuni, una qualche teoria umana. 4. Abitando città greche o barbare, come a ciascuno è toccato in sorte, e seguendo le abitudini locali quanto agli abiti, al cibo e al modo di vivere, mostrano la meraviglia e il paradosso, da tutti riconosciuto, del

Cf. Is 1,13; Col 2,16. Cf. Mt 12,12 e par. 23 Cf. 1Tm 3,16. 24 Diversi autori correggono ésthesi («abiti», ma è termine poetico) in éthesi («costumi», «usanze»). 25 Forse si fa allusione agli ebrei e alle loro pratiche che li distinguevano anche nella diaspora dagli altri popoli. 21 22

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loro comportamento 26. 5. Abitano una loro patria, ma come stranieri 27; a tutto partecipano come cittadini e a tutto sottostanno 28 come stranieri. Ogni terra straniera è patria per loro, ogni patria è terra straniera. 6. Si sposano come tutti e generano figli, ma non espongono i loro nati. 7. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. 8. Si trovano nella carne, ma non vivono secondo la carne 29. 9. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo 30. 10. Obbediscono alle leggi stabilite ma con il loro modo di vivere superano le leggi 31. 11. Amano tutti e da tutti sono perseguitati. 12. Non sono conosciuti 32, eppure sono giudicati; vengono messi a morte e ne ricevono vita. 13. Sono poveri, e arricchiscono molti; mancano di tutto, eppure abbondano in tutto 33. 14. Sono disprezzati, eppure nel disprezzo trovano gloria 34; vengono calunniati eppure riconosciuti innocenti. 15. Insultati, benedicono 35; offesi, rispondono con rispetto. 16. Fanno il bene e sono puniti come malfattori 36; castigati, si rallegrano come se ricevessero la vita. 17. Dai giudei sono combattuti come gente straniera, dai greci perseguitati, e quelli che li odiano non sanno spiegare il motivo della loro avversione.

In greco: politeía, il cui senso può oscillare tra «istituzione politica» e «genere di vita». 27 In greco: pároikoi. Cf. 1Pt 2,11. 28 «Sopportare» da intendersi forse più nel senso di un distacco interiore, spirituale nei confronti del mondo circostante. 29 Cf. 2Cor 10,3. 30 Cf. Fil 3,20. 31 Gli apologisti cristiani dichiarano regolarmente la propria sottomissione alle leggi e alle autorità dello stato in obbedienza alle disposizioni di Paolo in Rm 13,1 e Tt 3,1. 32 Cf. 2Cor 6,9. 33 Cf. 2Cor 6,10; Fil 4,12. 34 Cf. 1Cor 4,10; 2Cor 6,8. 35 Cf. 1Cor 4,12; Rm 12,14; 1Pt 2,23; Lc 6,28. 36 Cf. At 4,21. 26

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6.1. Insomma, per dirla in breve, i cristiani sono nel mondo ciò che l’anima 37 è nel corpo. 2. Come l’anima è disseminata in tutte le membra del corpo, così i cristiani sono disseminati in tutte le città del mondo. 3. L’anima abita nel corpo, ma non deriva dal corpo; e i cristiani abitano nel mondo, ma non provengono dal mondo 38. 4. L’anima invisibile è tenuta prigioniera nel corpo visibile; e così dei cristiani si sa che sono 39 nel mondo, ma il loro culto rimane invisibile. 5. La carne odia l’anima e le muove guerra pur senza aver subito offese perché le viene impedito di godere dei piaceri 40; così pure, il mondo odia i cristiani pur senza averne ricevuto offese, solo perché essi si oppongono ai piaceri. 6. L’anima ama la carne che la odia e le membra; e i cristiani amano chi li odia. 7. L’anima è rinchiusa nel corpo, ma è lei che tiene insieme il corpo; e i cristiani sono trattenuti nel mondo come in un carcere, ma sono loro a tenere insieme il mondo. 8. L’anima immortale abita in una tenda mortale; e i cristiani abitano tra le realtà corruttibili attendendo l’incorruttibilità che è nei cieli. 9. L’anima, provata dalla fame e dalla sete, diventa migliore; anche i cristiani, perseguitati, si moltiplicano di giorno in giorno. 10. Dio li ha collocati in un posto talmente importante che non è loro consentito abbandonarlo 41.

Cf. Platone: «Quanto poi all’anima, il dio l’ha posta al centro del corpo del mondo e l’ha distesa attraverso il tutto e anche all’esterno ha avvolto con essa il corpo» (Timeo 34b). 38 Cf. Gv 15,19; 17,11.14.16. 39 Adottando la correzione mèn óntes in luogo di ménontes. 40 Cf. Gal 5,17. 41 Non è più accettabile l’interpretazione sostenuta da Henri Marrou, secondo la quale ci si riferirebbe qui al divieto del suicidio (cf. A Diognète, pp. 137 e 144). Si veda a questo proposito l’articolo di G. Lazzati, «Ad Diognetum 6,10», in Studia Patristica 3, TU 79, Berlin 1961, pp. 291-297. Non si tratta neppure del divieto di abbandonare l’ortodossia della fede cedendo a dottrine eretiche (cf. C. Tibiletti, «Osservazioni lessicali sull’Ad Diognetum», in Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino II: Classe di scienze morali, storiche e 37

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7.1. Come ho già detto, non è un’invenzione terrena quella che è stata loro trasmessa 42 e non è un’idea mortale quella che essi ritengono di dover custodire con tanta cura, e neppure è stata affidata loro l’amministrazione di misteri umani 43. 2. Ma colui che è veramente signore e creatore di ogni cosa, l’invisibile Dio, egli stesso mandò dai cieli la verità e la parola santa e incomprensibile agli uomini e la stabilì saldamente nei loro cuori; e non mandò, come alcuni potrebbero immaginare, un servitore, un angelo, un arconte 44, uno di coloro che reggono le realtà terrestri o di coloro ai quali è affidato il governo delle realtà celesti, ma lo stesso autore e creatore dell’universo 45, per mezzo del quale creò i cieli e racchiuse il mare entro i suoi confini 46, i cui misteri tutti gli elementi custodiscono fedelmente e dal quale il sole 47 ha ricevuto le misure da rispettare nel suo corso giornaliero; lui al quale obbedisce la luna quando egli le comanda di risplendere di notte, e al quale obbediscono le stelle che seguono il corso della luna; da lui tutte le cose hanno ricevuto ordine, limite e disposizione 48: i cieli e tutto quanto è in essi, la terra e tutto quanto è in essa, il mare e tutto quanto è in esso, il fuoco, l’aria, l’abisso, quanto è nelle altezze, nelle profondità 49 e nel mezzo; è lui che Dio ha inviato agli uomini 50. 3. Forse, come qualcuno potreb-

filologiche 97 [1962/1963], pp. 240-242). Qui si invita piuttosto a non disertare la lotta della fede come nella lettera A Policarpo 6,2 di Ignazio di Antiochia. 42 Cf. Gal 1,12. 43 Cf. 1Cor 4,1; Ef 3,9. 44 Cf. Is 63,9. 45 Cf. Sap 13,1; Eb 11,10. 46 Cf. Sal 103 (104),9; Gb 26,10; 38,8-11; Pr 8,27-28. 47 «Il sole» assente nel manoscritto è inserito dalla maggioranza degli editori. 48 Cf. Sal 8,7; 1Cor 15,27; Ef 1,22; Fil 2,10; 3,21; Eb 2,8. 49 Cf. Rm 8,39. 50 Cf. Gv 3,17.34.

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be pensare, [fece questo] per imporre tirannia, paura, spavento? 4. No di certo! L’ha inviato, invece, nella bontà e nella mitezza 51, come un re che invia suo figlio re; lo ha inviato come Dio; lo ha inviato come uomo agli uomini; lo ha inviato per salvare, per convincere e non per costringere; la costrizione non si addice a Dio. 5. Lo ha inviato per chiamare, non per accusare; lo ha inviato per amare, non per giudicare 52. 6. A giudicare lo manderà, infatti, in avvenire; e chi potrà resistere alla sua presenza 53? 54 7. Non vedi che i cristiani vengono gettati alle fiere perché rinneghino il Signore 55, e non sono vinti? 8. Non vedi che quanto più numerosi sono coloro che vengono sottoposti ai supplizi, tanto più grande è il numero di quelli che si aggiungono? 9. Queste non sembrano opere di un uomo, questa è potenza di Dio; questi sono segni della sua presenza. 8.1. Chi, infatti, tra gli uomini sapeva per certo che cosa fosse Dio, prima che egli stesso venisse? 2. O vorresti forse accettare quelle teorie vuote e frivole di quei filosofi ritenuti degni di fede, dei quali gli uni dissero che Dio è fuoco 56 – quello in cui essi stessi sono destinati a finire lo chiamano dio! – altri acqua 57, altri ancora qualcun altro degli elementi creati da Dio 58. 3. E se pure una di queste teorie fosse accettabile, si potrebbe dichiarare allo stesso modo che anche ciascuna delle altre creature è dio. 4. Ma queste sono frottole e inganni di

Cf. 2Cor 10,1. Cf. Gv 3,16-17. 53 Cf. Ml 3,2. 54 Il copista ha lasciato intonsa una riga e mezzo del manoscritto e in margine annota: «Così anche nel modello ho trovato un’interruzione, dato che era molto antico». 55 Cf. Mt 10,33 e par. 56 Si tratta di Eraclito di Efeso (550 ca.-480 ca. a.C.). Cf. anche Sap 13,2. 57 Allusione a Talete di Mileto (- secolo a.C.). Cf. anche Sap 13,2. 58 Cf. Aristide, Apologia 4-6. 51 52

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ciarlatani 59. 5. Nessun uomo vide o conobbe [Dio] 60, ma egli stesso si è manifestato. 6. E si è manifestato attraverso la fede, alla quale soltanto è consentito vedere Dio. 7. Dio, infatti, il padrone e il creatore di tutte le cose, colui che le ha fatte tutte e le ha disposte secondo un ordine, non solo si è mostrato pieno di amore per gli uomini, ma anche longanime 61. 8. Sempre fu, è e sarà tale: benevolo 62, buono, senza ira e veritiero, il solo buono 63. 9. Avendo concepito un progetto grande e inesprimibile, lo comunicò soltanto al Figlio 64. 10. Finché dunque conservava e custodiva nel mistero il suo sapiente proposito, sembrava non interessarsi di noi e non preoccuparsene. 11. Ma quando lo ebbe rivelato attraverso il suo Figlio amato 65 ed ebbe manifestato ciò che fin da principio era stato preparato 66, ci offrì a un tempo ogni cosa 67: l’essere partecipi dei suoi doni, il vedere e il comprendere; chi mai di noi se lo sarebbe aspettato? 9.1. Benché avesse preordinata ogni cosa tra sé e il Figlio, tuttavia, fino a questi tempi ultimi 68, lasciò che noi, trasportati dai piaceri e dalle passioni, fossimo trascinati a nostro piacimento da impulsi disordinati 69; di certo non perché si compiacesse dei nostri peccati, ma perché li sopportava 70; non perché approvasse quel tempo di iniquità 71, ma perché anda-

Cf. Cf. 61 Cf. 62 Cf. 63 Cf. 64 Cf. 65 Cf. 66 Cf. 67 Cf. 68 Cf. 69 Cf. 70 Cf. 71 Cf. 59 60

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2Tm 3,13. Gv 1,18; 1Gv 4,12. Rm 2,4; 9,22; 1Pt 3,20. Lc 6,35; Rm 2,4; 1Pt 2,3. Mc 10,18; Mt 19,17; Lc 18,19. Is 42,1; Mt 12,18. Mt 3,17 e par.; Mt 17,5 e par.; Mc 12,6; Lc 20,13. Rm 16,25-26; Ef 3,4-11. Rm 8,32. Rm 3,21-26; Ef 2,1-10. Tt 3,3. Rm 3,25-26. At 17,30.

va disponendo il tempo presente della giustizia 72; perché noi, rimproverati dalle nostre stesse opere di essere indegni di vivere, fossimo ora fatti degni per la bontà di Dio 73; e dopo aver dato chiara prova della nostra incapacità, per quanto dipendeva dalle nostre forze, di entrare nel regno di Dio 74, ne fossimo resi capaci dalla potenza di Dio stesso. 2. Quando la nostra ingiustizia raggiunse il colmo e fu chiaro che le spettava quale compensa il castigo e la morte, giunse il tempo che Dio aveva predestinato per manifestare la sua bontà e la sua potenza 75. Questa è la sovrabbondante amicizia, questo è l’amore di Dio per l’uomo! Egli non ci ha odiato, non ci ha respinto, non [ci] ha serbato rancore ma ha avuto pazienza, ci ha sopportato; avendo misericordia, ha preso lui stesso i nostri peccati 76; ha dato il suo proprio Figlio in riscatto per noi 77, il santo per gli empi 78, l’innocente per i cattivi, il giusto per gli ingiusti 79, l’incorruttibile per i corruttibili, l’immortale per i mortali. 3. Che altro avrebbe potuto ricoprire i nostri peccati 80 se non la sua giustizia? 4. In chi era possibile che trovassimo giustificazione 81 noi, iniqui ed empi, se non unicamente nel Figlio di Dio? 5. Dolce scambio! Imperscrutabile opera 82! Inattesi benefici, per i quali l’ingiustizia di molti è nascosta in un solo giusto e la giustizia di uno rende giusti molti ingiusti 83! 6. Avendo dunque dimostrato nel tempo passato l’inca-

Cf. Cf. 74 Cf. 75 Cf. 76 Cf. 77 Cf. 78 Cf. 79 Cf. 80 Cf. 81 Cf. 82 Cf. 83 Cf. 72 73

Rm 3,26. 2Ts 1,11. Gv 3,5. Gal 4,4; Tt 3,4. Is 53,11; 1Pt 2,24. Mt 20,28; Rm 8,32; 1Tm 2,6; Tt 2,14. Rm 5,6. 1Pt 3,18. Pr 10,12; 1Pt 4,8; Gc 5,20. Rm 3,25-26; 4,5; 5,6-9; Gal 2,17. Rm 11,33; Ef 3,8. Rm 5,18-19.

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pacità della nostra natura ad ottenere la vita e avendoci manifestato ora il Salvatore, in grado di salvare anche ciò che non poteva esserlo, egli volle in questi due modi spingerci a credere alla sua bontà perché lo ritenessimo nostro sostentatore 84, padre 85, maestro, consigliere, medico, mente, luce, onore, gloria, forza, vita, e non ci preoccupassimo del vestito e del nutrimento 86. 10.1. Se anche tu hai desiderio di questa fede e l’accogli, innanzitutto conoscerai il Padre. 2. Dio infatti ha amato gli uomini 87, per essi ha creato il mondo, ad essi ha sottomesso tutto ciò che è sulla terra 88, ad essi ha donato ragione e intelligenza, ad essi soltanto ha permesso di elevare lo sguardo verso il cielo, li ha plasmati a sua propria immagine 89, ad essi ha inviato il suo unico Figlio 90, ad essi ha promesso il regno dei cieli e lo darà a quanti lo avranno amato 91. 3. E quando l’avrai conosciuto, ci pensi alla gioia di cui sarai ricolmo? Quanto amerai colui che per primo ti ha tanto amato 92? 4. Amandolo, sarai imitatore della sua bontà 93. E non stupirti che un uomo possa diventare imitatore di Dio: può, se [Egli] lo vuole. 5. La felicità infatti non sta nel volere dominare sul prossimo, né nel voler esser più forte dei deboli, né nell’essere ricco, né nell’essere prepotente con gli inferiori. Nessuno può imitare Dio in

Cf. Bar 4,8. In alcuni testi antichi il titolo di padre è applicato sia a Dio che a Cristo. Cf. V. Grossi, «Il titolo cristologico “Padre” nell’antichità cristiana», in Augustinianum 16 (1976), pp. 237-269. 86 Cf. Mt 6,25-34. 87 Cf. Gv 3,16. 88 Cf. Sal 8,7. 89 Cf. Gen 1,26-27. 90 Cf. 1Gv 4,9; Gv 3,16. 91 Cf. Gc 2,5; Mt 5,3; 25,34. 92 Cf. 1Gv 4,19. 93 Cf. Ef 5,1-2; 1Cor 11,1. 84 85

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questi modi, che sono estranei alla sua grandezza 94. 6. Ma colui che prende su di sé il peso del prossimo 95 e che, con ciò in cui è superiore, spontaneamente vuol far del bene a un altro meno fortunato, chi usa le cose ricevute da Dio a favore di chi ne ha bisogno, diviene un dio 96 per coloro che le ricevono: questi è imitatore di Dio! 7. Allora, pur trovandoti sulla terra, potrai vedere Dio che governa nei cieli; allora comincerai a parlare dei misteri di Dio, allora amerai e ammirerai coloro che vengono perseguitati perché non vogliono rinnegare Dio, allora condannerai l’impostura del mondo e il suo errore, quando conoscerai la vera vita in cielo, quando disprezzerai quella che qui è ritenuta morte e temerai la vera morte, quella che è riservata ai condannati al fuoco eterno 97 che punirà fino alla fine quanti gli sono stati consegnati. 8. Allora ammirerai e dichiarerai beati quelli che per la giustizia sopportano fuoco di qui, quando conoscerai quell’altro fuoco ... 11.1. Non sto parlando di cose strane 98, né cerco cose contrarie alla ragione, ma essendo discepolo degli apostoli, divento maestro delle genti 99: ciò che mi è stato insegnato lo metto fedelmente a servizio di quanti si fanno discepoli della verità. 2. Chi, infatti, rettamente istruito e generato da un Verbo benevolo, non cerca di imparare in modo chiaro la verità che per mezzo del Verbo fu apertamente mostrata ai discepoli 100? Ad essi il Verbo la manifestò quando apparve, parlò apertamente, senza essere compreso dagli increduli e spieCf. Lc 9,43; 2Pt 1,16. Cf. Gal 6,2. 96 Scrive Enrico Norelli: «La prospettiva fatta balenare a Diogneto, dunque, è forse poco evangelica, ma è significativa delle attese che l’autore ha in vista» (A Diogneto, intr., tr. e note a cura di E. Norelli, Milano 1991, p. 121, n. 14). Però, forse, il testo va compreso nell’ottica di 1Gv 4,20-21. 97 Cf. Mt 18,8; 25,41; Gd 7. 98 Cf. Eb 13,9. 99 Cf. 1Tm 2,7; 2Tm 1,11. 100 Cf. Mc 8,32; Gv 7,26; 16,29; 18,20. 94 95

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gandola invece ai discepoli da lui ritenuti fedeli, e da lui istruiti sui misteri del Padre 101. 3. Per questa ragione [Dio Padre] inviò il Verbo perché si manifestasse al mondo; lui che, disprezzato dal popolo 102, fu annunciato dagli apostoli e creduto dalle genti. 4. Questi è colui che era fin da principio 103, colui che apparve nuovo e fu trovato antico 104 e che, sempre giovane, rinasce nei cuori dei santi. 5. Questi è colui che è l’eterno, che oggi è proclamato Figlio 105, per mezzo del quale la chiesa diventa ricca, mentre la grazia dispiegandosi cresce nei santi, donando intelligenza, svelando i misteri, preannunciando i tempi, rallegrandosi per i credenti, donandosi a coloro che la cercano, i quali non infrangono i giuramenti della fede e non oltrepassano i confini posti dai padri. 6. E allora viene celebrato il rispetto della legge e riconosciuta la grazia dei profeti, la fede negli evangeli è consolidata, la tradizione degli apostoli è custodita e la grazia della chiesa esulta. 7. E se non rattristerai questa grazia 106, comprenderai ciò che il Verbo dice 107 per mezzo di coloro che vuole e quando vuole. 8. Tutto quello che la volontà del Verbo ci ha spinto a esporre con fatica, lo condividiamo con voi, spinti dall’amore per quello che ci è stato rivelato. 12.1. E se voi, avendo incontrato questi insegnamenti, li ascolterete con attenzione, saprete che cosa Dio dà a quanti lo amano con rettamente 108; voi che sarete divenuti un giardino di delizia 109. Fate crescere in voi stessi un albero carico di frutti e rigoglioso, ornato di frutti multicolori. 2. In questo luogo, Cf. Cf. 103 Cf. 104 Cf. 105 Cf. 106 Cf. 107 Cf. 108 Cf. 109 Cf. 101 102

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Col 2,2; Ef 6,19. Gv 8,49. Gv 1,1; 1Gv 1,1; 2,13-14. Ef 4,22-24; 1Gv 2,7. Sal 2,7; Eb 1,5. Ef 4,30. Gv 3,8. Sir 1,10; 1Cor 2,9; Rm 9,27-28; Gc 1,12; 2,5. Gen 3,24; Gl 2,3.

infatti, furono piantati l’albero della conoscenza e l’albero della vita 110, ma non è l’albero della conoscenza che dà la morte, ma la disobbedienza. 3. Non è senza ragione quello che fu scritto, che Dio da principio piantò in mezzo al giardino l’albero della conoscenza e l’albero della vita, indicando la vita per mezzo della conoscenza. Ma non avendone fatto buon uso, a motivo dell’inganno del serpente 111, i progenitori furono spogliati. 4. Poiché non c’è vita senza conoscenza, né conoscenza sicura senza vita vera 112; per questo i due alberi sono piantati l’uno vicino all’altro. 5. L’apostolo, vedendo tale senso e biasimando la conoscenza che tende alla vita senza la verità dei precetti, dice: «La scienza gonfia, la carità edifica» 113. 6. Perché chi ritiene di sapere qualche cosa senza conoscenza vera, testimoniata dalla vita, non sa ed è ingannato dal serpente, perché non ama la vita; mentre, chi ha conquistato con timore la conoscenza e cerca la vita, pianta nella speranza 114 aspettando il frutto. 7. La conoscenza sia per te cuore 115, [tua] vita la parola vera che hai accolta. 8. Portando il suo albero e amandone il frutto, raccoglierai continuamente quelle cose che si desiderano da Dio, che il serpente non può toccare né l’impostura contaminare. Eva non è corrotta, ma essendo ver-

Cf. Gen 2,9. Cf. Gen 3,7. 112 Cf. Gv 17,3. 113 Cf. 1Cor 8,1. 114 Cf. 1Cor 9,10. 115 Marco Rizzi traduce: «La gnosi sia il tuo cuore, il vero Logos, accolto, la vita» (La questione dell’unità dell’«Ad Diognetum», p. 148). Secondo Enrico Norelli il senso potrebbe essere: «poiché si tratta di fornire un referente per gli alberi della conoscenza e della vita menzionati nel racconto della Genesi, si dovrà vedere qui un chiasmo, con “cuore” e “Parola” in posizione di oggetto, “conoscenza” e “vita” in quella di predicato. Il senso sarà dunque: in te, la conoscenza (di Genesi) dev’essere rappresentata dal cuore, la vita (di Genesi) dal Logos. L’identificazione Logos-vita è rinforzata dall’applicazione ad entrambi dello stesso aggettivo alethés» (A Diogneto, p. 133, n. 15). 110 111

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gine crede 116. 9. E appare la salvezza, gli apostoli sono resi sapienti, giunge la Pasqua del Signore 117, si avvicinano i tempi 118; e il Verbo, entrando in armonia con il mondo 119, gioisce ammaestrando i santi, lui per mezzo del quale è glorificato il Padre, al quale è gloria nei secoli dei secoli. Amen.

In greco parthénos pisteúetai che può essere variamente intepretato (è creduta vergine; una vergine crede; una vergine è degna di fiducia; restando vergine, crede). Scegliamo l’ultima, in sintonia con Norelli (A Diogneto, p. 131). 117 Cioè il Cristo Salvatore. Alcuni studiosi, invece, propongono di considerare i cc. 11 e 12 uno scritto composto per il tempo di Pasqua. 118 Il manoscritto riporta keroí, corretto in klêroi (nel senso di «cristiani ordinati») da C. C. J. Bunsen e P. Nautin. M. Rizzi: «Gli eventi salvifici si concentrano» (La questione dell’unità, p. 152). 119 P. Nautin intende: «si adatta al mondo, prende le dimensioni del mondo» (Lettres et écrivains chrètiens des  e et  e siècles, Paris 1961, p. 171). M. Rizzi cita Clemente Alessandrino e Atenagora nei quali il Verbo si accorda al mondo per intonare un salmo a Dio (La questione dell’unità, pp. 154-155). 116

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