Vivere nella Storia [Vol. 2] 9788842110910


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Italiano Pages [475] Year 2012

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Table of contents :
Modulo 1. L’Europa tra liberalismo e assolutismo
1. Monarchia e Parlamento in Inghilterra
Percorso breve
1.1. Il Parlamento contro il re
1.2. La guerra civile e la prima rivoluzione inglese
1.3. La repubblica di Cromwell. La restaurazione della monarchia
Documenti. I dibattiti di Putney
1.4. La seconda “gloriosa e pacifica rivoluzione” e l’istituzione della monarchia parlamentare
Le vie della cittadinanza. La libertà della persona, dalla Magna Charta alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo
1.5. Il dibattito sulla sovranità e sull’assolutismo
Sintesi
Esercizi
2. La monarchia assoluta in Francia
Percorso breve
2.1. La Francia dei re e dei cardinali: da Richelieu a Luigi XIV
2.2. L’assolutismo di Luigi XIV
I luoghi della storia. La reggia di Versailles
2.3. Il protezionismo economico di Colbert
2.4. Le guerre di Luigi XIV
I modi della storia. Un esercito per il re
Sintesi
Esercizi
3. Due nuove protagoniste della storia europea: Prussia e Russia
Percorso breve
3.1. Un nuovo Stato: la Prussia
Le vie della cittadinanza. Gli uomini sono una risorsa culturale
3.2. La Russia verso l’Europa
3.3. La Russia si trasforma: le riforme di Pietro il Grande
3.4. La guerra tra Russia e Svezia
I luoghi della storia. San Pietroburgo: l’invenzione di una nuova capitale
Sintesi
Esercizi
4. La politica dell’equilibrio e le guerre di successione. La fine del dominio spagnolo in Italia
Percorso breve
4.1. Instabilità politica e ricerca dell’equilibrio nell’Europa del Settecento
4.2. La guerra di successione spagnola (1702-14)
4.3. La guerra di successione polacca (1733-38)
I tempi della storia. Un cambiamento epocale: dalla “guerra giusta” alla “guerra regolare”
4.4. La guerra di successione austriaca (1740-48)
4.5. I nuovi equilibri europei e la fine del dominio spagnolo in Italia
I modi della storia. Innovazioni belliche e nuove tattiche militari
4.6. La disgregazione della Polonia
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
Le radici economiche e sociali della rivoluzione inglese
Una rivoluzione necessaria. Christopher Hill
Una rivoluzione possibile, anzi probabile, anzi certa. Lawrence Stone
Modulo 2. L’egemonia europea sul mondo
5. L’espansione coloniale degli europei
Percorso breve
5.1. Gli olandesi e i missionari cristiani in Asia
5.2. L’impero coloniale britannico e la guerra dei Sette anni (1756-63)
I luoghi della storia. Inghilterra/Gran Bretagna/Regno Unito
5.3. I francesi e gli inglesi in India
5.4. Esplorazioni geografiche e rapporti interculturali
Le vie della cittadinanza. Oriente, Occidente, “globalizzazione”
5.5. Gli spagnoli e i portoghesi in America. Monocoltura e sottosviluppo
5.6. Il commercio degli schiavi
Documenti. Memorie di un mercante di schiavi
5.7. Il commercio triangolare
Sintesi
Esercizi
6. Nuovi commerci, nuovi consumi
Percorso breve
6.1. Il successo del cotone, il trionfo dello zucchero
Documenti. Il business dello zucchero tra economia, politica e prestigio sociale
6.2. Caffè e tè conquistano l’Europa
6.3. La divina bevanda dei nobili: la cioccolata
6.4. La diffusione del tabacco e dell’alcool
I tempi della storia. Nuovi consumi, nuove virtù
Sintesi
Esercizi
17. Economia e società nel Settecento
Percorso breve
7.1. La svolta demografica
7.2. Contro le malattie: i progressi della medicina
I modi della storia. L’invenzione del vaccino
Le vie della cittadinanza. La battaglia contro la fame e le nuove colture
7.3. Contro le carestie: le nuove piante
7.4. La rivoluzione agraria
Documenti. Recinzioni e protesta sociale
7.5. La crisi del sistema alimentare
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
La nuova agricoltura e la trasformazione del paesaggio agrario
I progressi dell’agricoltura limitano i danni climatici. Eric L. Jones
Lentezza delle innovazioni, resistenze sociali e culturali. Marc Bloch
Modulo 3. La rivoluzione delle idee. Re, filosofi, scienziati
8. L’età dei Lumi
Percorso breve
8.1. L’Illuminismo
8.2. Politica, cultura e religione nell’Europa illuminista
8.3. Contro l’intolleranza. Voltaire
8.4. Sete di sapere: l’Enciclopedia
Documenti. Cittadino del mondo
Le vie della cittadinanza. La cultura come arma
I tempi della storia. Le donne sono adatte per lo studio?
8.5. La disputa sulla Natura e la scoperta dell’infanzia
Sintesi
Esercizi
9. Economia e scienza nell’età dei Lumi
Percorso breve
9.1. Libertà economica
Documenti. Adam Smith e la teoria della “mano invisibile”
9.2. Progressi della ricerca scientifica: la scoperta dell’elettricità
9.3. Lo sviluppo delle scienze naturali
9.4. La scoperta degli elementi e la conquista dell’aria
I modi della storia. Macchine volanti
Sintesi
Esercizi
10. Illuminismo e riforme
Percorso breve
10.1. Contro l’assolutismo monarchico
10.2. Il “dispotismo illuminato”. La Prussia di Federico II
10.3. I sovrani “illuminati” di Russia e Svezia
10.4. Il riformismo asburgico
10.5. Illuminismo e riforme nella Lombardia austriaca
I modi della storia. L’invenzione del catasto
10.6. L’attività riformatrice nel Granducato di Toscana
Documenti. Giornali e libertà. Come nasce la “pubblica opinione”
Le vie della cittadinanza. Contro la pena di morte
10.7. Spunti di riforme da Napoli al Piemonte
10.8. I nuovi rapporti tra Stati e Chiesa
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
Il trionfo delle scienze e la rivoluzione della lettura
La scienza come fenomeno “alla moda”. Vincenzo Ferrone
Febbre di lettura. Roger Chartier
Modulo 4. Rivoluzioni dell’età moderna
11. La Rivoluzione americana
Percorso breve
11.1. La colonizzazione dell’America settentrionale
11.2. Tredici colonie in espansione
I modi della storia. Istruzione obbligatoria e università per i coloni americani
11.3. Dalla tassa sul bollo alla guerra
Documenti. L’economia americana a servizio del monopolio inglese
11.4. La conquista dell’indipendenza
I tempi della storia. Una Dichiarazione per il mondo
11.5. La nascita degli Stati Uniti d’America
Le vie della cittadinanza. Un nuovo modello di Stato
Sintesi
Esercizi
12. La Rivoluzione francese
Percorso breve
12.1. Una monarchia distante, un paese inascoltato
Documenti. Rimostranze e richieste
12.2. Nobili, clero, “terzo stato”: la società di ancien régime
I tempi della storia. Dal Medioevo al Settecento, i tre stati della società
12.3. Gli Stati generali e l’inizio della rivoluzione
12.4. La fine del regime feudale
Le vie della cittadinanza. I diritti dell’uomo e del cittadino
12.5. I gruppi d’opinione nell’Assemblea costituente
12.6. I provvedimenti economici dell’Assemblea
12.7. La Costituzione del 1791 e la fine della monarchia assoluta
Sintesi
Esercizi
13. La Francia repubblicana
Percorso breve
13.1. Guerra all’Austria e instaurazione della repubblica
13.2. Contro l’Europa dei re, la condanna a morte di Luigi XVI
Documenti. Si può vivere senza re?
13.3. Caos e disordini. La nuova Costituzione e il Terrore
13.4. Legislazione e laicizzazione
I modi della storia. Due rivoluzioni a base decimale: il metro e il calendario
13.5. Dittatura e morte di Robespierre
13.6. La Costituzione del 1795 e il Direttorio
I luoghi della storia. Le piazze della rivoluzione
13.7. Uguaglianza e libertà: tre Costituzioni a confronto
I tempi della storia. L’invenzione dello Stato laico
Sintesi
Esercizi
14. Napoleone Bonaparte e l’esportazione della libertà
Percorso breve
14.1. La guerra tra Francia e Austria. Napoleone in Italia (1796-97)
Documenti. La bandiera tricolore: dalla Francia rivoluzionaria alla Repubblica cispadana
14.2. Liberatori o conquistatori?
14.3. La spedizione napoleonica in Egitto (1798-99)
I luoghi della storia. Scienza e scienziati francesi in Egitto
14.4. Dalle repubbliche filofrancesi al colpo di Stato di Napoleone
Sintesi
Esercizi
15. Alla conquista dell’Europa: trionfo e crollo di Napoleone
Percorso breve
15.1. La vittoria francese sull’Austria, la pace in Europa
Documenti. Napoleone soffoca la libertà di stampa
15.2. Le riforme di Napoleone
15.3. La fine della repubblica: Napoleone imperatore
15.4. Napoleone padrone dell’Europa
I modi della storia. Nuovi stili e nuove mode per la Francia imperiale
15.5. La resistenza inglese e la guerriglia spagnola
I modi della storia. Il primo zucchero di barbabietola
15.6. La campagna di Russia e il crollo di Napoleone
Documenti. Gli orrori della guerra di Russia nella lettera di un soldato italiano
15.7. La fine dell’impero di Napoleone
I tempi della storia. Napoleone e la storia d’Europa
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
Aspetti economici e sociali della Rivoluzione francese
La “rivoluzione borghese” come mito storiografico. Alfred Cobban
La “rivoluzione borghese” come realtà storica. Albert Soboul
Modulo 5. La rivoluzione industriale
16. L’età delle macchine
Percorso breve
16.1. Uomini e macchine
16.2. La rivoluzione industriale inizia in Inghilterra. Perché?
I luoghi della storia. L’Inghilterra si copre di canali
16.3. Le nuove macchine per l’industria tessile
I modi della storia. Motori per filare la seta
16.4. Le innovazioni nell’industria siderurgica e mineraria
16.5. La macchina a vapore e la crescita produttiva
16.6. La rivoluzione dei trasporti
Documenti. 1825, prima ferrovia: grande novità o satanica invenzione?
Sintesi
Esercizi
17. Capitalismo e classe operaia
Percorso breve
17.1. La rivoluzione industriale si allarga
17.2. Due teorie e un sistema: liberismo, protezionismo e capitalismo
17.3. Il sistema di fabbrica e il nuovo paesaggio industriale
Documenti. Lo spirito del capitalismo e l’etica del lavoro
I luoghi della storia. Le città industriali
17.4. La nascita della classe operaia
I modi della storia. Diciotto operazioni per costruire uno spillo
Sintesi
Esercizi
18. La questione sociale
Percorso breve
18.1. Le condizioni di vita dei lavoratori
18.2. Il luddismo e le associazioni operaie
Le vie della cittadinanza. Lo sfruttamento del lavoro minorile
18.3. Origine del movimento socialista
18.4. Progetti di riforma sociale
I tempi della storia. Si può cambiare la società?
Documenti. Un regolamento di fabbrica nell’Italia del primo Ottocento
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
Le invenzioni/innovazioni della rivoluzione industriale
Creatività tecnologica e microinvenzioni. Joel Mokyr
Come James Watt (con l’aiuto di molti) perfezionò la macchina a vapore. Thomas Southcliffe Ashton
Modulo 6. L’età dei nazionalismi e dei moti liberali
19. L’Europa restaurata
Percorso breve
19.1. Ritorno al passato: il Congresso di Vienna
19.2. La Restaurazione
I tempi della storia. Mercato dei popoli o prima conferenza europea?
Le vie della cittadinanza. Tipi di Stato: forme di governo
19.3. L’Italia nel 1815: un paese frammentato
I modi della storia. Quante lingue parlano gli italiani?
19.4. Le società segrete: progetti di libertà
Documenti. Istruzioni segrete per la polizia austriaca in Italia
Sintesi
Esercizi
20. 1820-31: insurrezioni liberali in Europa
Percorso breve
20.1. I moti del 1820-21
I tempi della storia. L’importanza di una rivoluzione mancata
20.2. Le rivolte nei Balcani, in Grecia e in Russia
20.3. I moti liberali del 1830: Parigi insorge
Documenti. La Libertà guida il popolo
20.4. Le insurrezioni in Belgio, Polonia e Italia centrale
Sintesi
Esercizi
21. La libertà dell’America Latina e l’espansione degli Stati Uniti
Percorso breve
21.1. Tensioni sociali e politiche in America Latina
21.2. La libertà dell’America Latina
21.3. Conseguenze dell’indipendenza latino-americana
I modi della storia. L’unione fa (farebbe) la forza
21.4. L’espansione degli Stati Uniti d’America
21.5. Lo sterminio degli indiani
Documenti. Civiltà a confronto
Sintesi
Esercizi
22. Europa 1848: l’anno delle rivoluzioni
Percorso breve
22.1. Libertà, indipendenza, giustizia
22.2. Parigi insorge di nuovo. La rivoluzione del 1848 in Francia
I luoghi della storia. Le barricate
22.3. Rivoluzioni e repressioni nell’Impero asburgico
22.4. Insurrezioni nella Confederazione germanica
I modi della storia. Come il Romanticismo invocò la libertà
Le vie della cittadinanza. Stato, nazione, nazionalità
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
L’idea di nazione
Il nazionalismo fra democrazia e autoritarismo. René Rémond
L’invenzione delle storie nazionali. Alberto Mario Banti
Modulo 7. L’unità italiana
23. Un’idea nuova: l’unità italiana
Percorso breve
23.1. Unita, indipendente, repubblicana: l’Italia di Giuseppe Mazzini
23.2. Nuovi metodi di lotta
I tempi della storia. Il “Risorgimento” italiano
23.3. I primi moti mazziniani
23.4. L’alternativa federalista di Vincenzo Gioberti
I modi della storia. Stampa clandestina
23.5. Altre proposte federaliste
23.6. Le riforme di papa Pio IX e le Costituzioni del 1848
Le vie della cittadinanza. Dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana
Sintesi
Esercizi
24. Le rivolte del 1848
Percorso breve
24.1. La prima guerra per l’indipendenza italiana
Documenti. Chi combatté sulle barricate?
24.2. La defezione dei potenti d’Italia
24.3. La sconfitta di Carlo Alberto. La sconfitta dei rivoluzionari
I luoghi della storia. «Viva Verdi» nelle piazze, nelle strade, nei teatri
24.4. La Repubblica romana
I modi della storia. Camicie rosse
Sintesi
Esercizi
25. La seconda guerra d’indipendenza
Percorso breve
25.1. Il Piemonte, un’Italia in miniatura
Documenti. I vantaggi della politica liberista secondo Cavour
25.2. Le idee di progresso civile e sociale di Cavour
I luoghi della storia. Un’industria per l’Italia unita: l’Ansaldo
25.3. Alla ricerca di alleati. La guerra di Crimea
25.4. Ultime insurrezioni mazziniane
25.5. La seconda guerra d’indipendenza (1859)
Le vie della cittadinanza. Croce Rossa: un’idea nata a Solferino
25.6. Le ragioni dei francesi
Sintesi
Esercizi
26. Nasce il Regno d’Italia
Percorso breve
26.1. Le annessioni al Piemonte
26.2. La spedizione dei Mille
26.3. La battaglia di Calatafimi e la repressione dei moti popolari
26.4. L’intervento dei piemontesi
Documenti. Vittorio Emanuele a Garibaldi: «Non mi obbedisca»
26.5. Da Teano al Regno d’Italia (17 marzo 1861)
I luoghi della storia. Da tutta Europa per parlare all’“eroe dei due mondi”
Sintesi
Esercizi
27. Italia 1861. La formazione dello Stato
Percorso breve
27.1. Un paese arretrato, frammentato, analfabeta
27.2. Una popolazione con gravi problemi alimentari e sanitari
Documenti. Il pane e la carne
27.3. Il primo Parlamento italiano
I modi della storia. “Piemontizzare”
27.4. La formazione di un mercato nazionale
27.5. Il disavanzo dello Stato
Le vie della cittadinanza. Tributi, tasse, imposte
27.6. Brigantaggio e rivolta sociale
Documenti. Il brigantaggio nell’inchiesta Massari
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
Forze sociali e interessi economici nel Risorgimento italiano
Il capitalismo agrario e la rivoluzione mancata. Antonio Gramsci
Il capitalismo agrario come indispensabile premessa dello sviluppo. Rosario Romeo
Modulo 8. Il trionfo dell’industria e della borghesia
28. La seconda rivoluzione industriale
Percorso breve
28.1. La rivoluzione dei trasporti e dell’industria siderurgica
I modi della storia. Viaggiare per strada
28.2. La svolta nelle telecomunicazioni
28.3. Nuove fonti di energia: l’elettricità
Documenti. La sconfitta del buio: un «attentato all’ordine divino»?
28.4. Nuove fonti d’energia: il petrolio
28.5. Lo sviluppo dell’industria chimica
Le vie della cittadinanza. Ambiente, inquinamento, sviluppo sostenibile
Sintesi
Esercizi
29. La borghesia al potere
Percorso breve
29.1. Liberalismo e borghesia
29.2. La rivoluzione proletaria secondo Marx ed Engels
Le vie della cittadinanza. Una storia di lotte
29.3. Anarchismo e movimento operaio
29.4. La crisi del 1873-96. Dal liberismo al protezionismo
29.5. “Cartelli” e holdings
I modi della storia. Il re del petrolio
Sintesi
Esercizi
30. La rivoluzione dei consumi e dei modi di vita
Percorso breve
30.1. Benessere di massa?
30.2. La rivoluzione alimentare
30.3. La fabbrica del freddo
30.4. L’industria conserviera
I modi della storia. Lotta alle frodi alimentari
30.5. La rivoluzione del vestiario
I tempi della storia. Le donne nella società industriale
30.6. Nasce la medicina moderna
30.7. L’aumento demografico e la trasformazione delle città
I luoghi della storia. L’Europa delle metropoli: la nuova Parigi
Sintesi
Esercizi
31. Macchine per la vita quotidiana
Percorso breve
31.1. Il tram e l’automobile: come muoversi in città (e fuori)
31.2. A terra con la bici, in cielo con l’aereo
I modi della storia. Nuove tendenze artistiche: Modernismo, Impressionismo
31.3. Fotografia e cinema: come catturare le immagini
31.4. Automazione domestica
I tempi della storia. L’epoca bella
I luoghi della storia. L’invenzione delle vacanze al mare
31.5. Un nuovo rapporto con la natura
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
La famiglia borghese e l’invenzione del “privato”
Uomini in società, donne in casa. Mary Jo Maynes
Grandi magazzini e consumi “privati”. Richard Sennett
Modulo 9. Stati, imperi, nazioni
32. L’unificazione della Germania e il completamento dell’unità italiana
Percorso breve
32.1. L’ascesa della Prussia
32.2. La Francia al tempo del Secondo impero
I luoghi della storia. Il canale di Suez
32.3. La guerra austro-prussiana
I modi della storia. La guerra e la povera gente
32.4. La guerra franco-prussiana e la Comune di Parigi
32.5. L’unificazione della Germania: il Secondo Reich
32.6. Il completamento dell’unità d’Italia
Sintesi
Esercizi
33. Le grandi potenze tra assolutismo e liberalismo
Percorso breve
33.1. La fine dell’Impero asburgico, la nascita dell’Impero austro-ungarico
33.2. La crisi dell’Impero ottomano e la “questione d’Oriente”
I modi della storia. L’aquila con due teste nuovo simbolo degli Asburgo
I modi della storia. La guerra di Crimea e il giornalismo di guerra
33.3. L’Impero russo degli zar
33.4. La Gran Bretagna liberale
33.5. Dall’Europa agli Stati Uniti, in cerca di libertà e fortuna
33.6. Le guerre indiane
Le vie della cittadinanza. Melting pot
33.7. L’America tra liberalismo e protezionismo
33.8. La guerra di secessione americana
Documenti. La guerra come lezione di pace: il proclama del presidente Lincoln
Sintesi
Esercizi
34. Il nuovo colonialismo
Percorso breve
34.1. Alla ricerca di mercati e di materie prime
34.2. Berlino 1884: la spartizione dell’Africa
Documenti. Trattati e fucilate
Le vie della cittadinanza. L’abolizione della schiavitù e della tratta degli esseri umani
34.3. Il colonialismo in Asia
Documenti. «L’imperialismo è una necessità»
34.4. La “guerra dell’oppio” e la penetrazione europea in Cina
34.5. Il Giappone da possibile colonia a potenza coloniale
I modi della storia. Feudalesimo industrializzato: alle origini del Giappone moderno
34.6. Le terre oceaniche e artiche
34.7. Imperialismo statunitense in America Latina
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
Industrializzazione, imperialismo, colonialismo
Fra economia e politica. Raymond F. Betts
Agricoltura locale e colture da esportazione. Wolfgang Reinhard
Indice Memo e Parole
Indice dei nomi
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NUOVI PROGRAMMI

Massimo Montanari

STORIA2

dal Seicento all’Ottocento

editori laterza

NUOVI PROGRAMMI

Massimo Montanari

STORIA2

dal Seicento all’Ottocento

© 2012, Gius. Laterza & Figli, Roma-Bari Prima edizione 2012 Prima ristampa 2013 Sintesi ed Esercizi sono a cura di Matteo Ciarlante, dMB Editoria e grafica s.r.l., Firenze. Editing a cura di Silvia Vinci.

L’Editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte, nel caso non si fosse riusciti a reperirli per chiedere debita autorizzazione. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail: [email protected], sito web: www.clearedi.org.

Copertina a cura di Silvia Placidi/Grafica Punto Print s.r.l. Progetto grafico e servizi editoriali a cura di dMB Editoria e grafica s.r.l., Firenze.

ISBN 978-88-421-1091-0 Editori Laterza Piazza Umberto I, 54 70121 Bari e-mail: [email protected] http://www.laterza.ithttp://www.laterza.it

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Indice del volume

Indice del volume

Modulo 1

L’Europa tra liberalismo e assolutismo

1 Monarchia e Parlamento in Inghilterra

Percorso breve

............................................................................................ 4

1.1 Il Parlamento contro il re ......................................................... 5 1.2 La guerra civile e la prima rivoluzione inglese......... 6 1.3 La repubblica di Cromwell. La restaurazione della monarchia .............................................................................. 7 Aa Documenti I dibattiti di Putney....................................................... 7

1.4 La seconda “gloriosa e pacifica rivoluzione” e l’istituzione della monarchia parlamentare ........... 8 Le vie della cittadinanza La libertà della persona, dalla Magna Charta alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo ...................................................................................................... 8 1.5 Il dibattito sulla sovranità e sull’assolutismo ......... 10 Sintesi, p. 11 • Esercizi, p. 11

2 La monarchia assoluta in Francia Percorso breve

......................................................................................... 14

2.1 La Francia dei re e dei cardinali: da Richelieu a Luigi XIV........................................................... 15 2.2 L’assolutismo di Luigi XIV ...................................................... 16 I luoghi della storia La reggia di Versailles ...................... 17 2.3 Il protezionismo economico di Colbert ........................ 18 2.4 Le guerre di Luigi XIV................................................................ 19

Le vie della cittadinanza Gli uomini sono una risorsa culturale ........................................................................ 26 3.2 La Russia verso l’Europa ....................................................... 27 3.3 La Russia si trasforma: le riforme di Pietro il Grande .............................................. 28 3.4 La guerra tra Russia e Svezia ............................................ 28 I luoghi della storia San Pietroburgo: l’invenzione di una nuova capitale ............................... 30 Sintesi, p. 31 • Esercizi, p. 31

4 La politica dell’equilibrio

e le guerre di successione. La fine del dominio spagnolo in Italia

Percorso breve

......................................................................................... 35

4.1 Instabilità politica e ricerca dell’equilibrio nell’Europa del Settecento ................................................... 36 4.2 La guerra di successione spagnola (1702-14)........ 37 4.3 La guerra di successione polacca (1733-38) ........... 38 I tempi della storia Un cambiamento epocale: dalla “guerra giusta” alla “guerra regolare” ..................... 38 4.4 La guerra di successione austriaca (1740-48) ....... 39 4.5 I nuovi equilibri europei e la fine del dominio spagnolo in Italia ........................................................................ 40 I modi della storia Innovazioni belliche e nuove tattiche militari .................................................................. 40 4.6 La disgregazione della Polonia.......................................... 42 Sintesi, p. 43 • Esercizi, p. 43

I modi della storia Un esercito per il re ............................... 20 Sintesi, p. 21 • Esercizi, p. 21

3 Due nuove protagoniste della storia europea: Prussia e Russia

Percorso breve

......................................................................................... 24

3.1 Un nuovo Stato: la Prussia ................................................... 25

La discussione storiografica

Le radici economiche e sociali della rivoluzione inglese Una rivoluzione necessaria di Christopher Hill ...... 48 Una rivoluzione possibile, anzi probabile, anzi certa di Lawrence Stone .................................................... 49

III

IV

Indice del volume

Modulo 2

L’egemonia europea sul mondo

5 L’espansione coloniale degli europei Percorso breve

......................................................................................... 52

5.1 Gli olandesi e i missionari cristiani in Asia............... 53 5.2 L’impero coloniale britannico e la guerra dei Sette anni (1756-63) .............................. 54 I luoghi della storia Inghilterra/Gran Bretagna/ Regno Unito .............................................................................................. 55 5.3 I francesi e gli inglesi in India............................................. 56 5.4 Esplorazioni geografiche e rapporti interculturali .......................................................... 57 Le vie della cittadinanza Oriente, Occidente, “globalizzazione” ................................................................................... 58 5.5 Gli spagnoli e i portoghesi in America. Monocoltura e sottosviluppo ............................................... 60 5.6 Il commercio degli schiavi..................................................... 61 Aa Documenti Memorie di un mercante di schiavi .............. 61

5.7 Il commercio triangolare ....................................................... 62 Sintesi, p. 64 • Esercizi, p. 65

6 Nuovi commerci, nuovi consumi Percorso breve

......................................................................................... 71

6.1 Il successo del cotone, il trionfo dello zucchero .......................................................... 72 Aa Documenti Il business dello zucchero tra economia, politica e prestigio sociale .............................................................. 72 6.2 Caffè e tè conquistano l’Europa ........................................ 73 6.3 La divina bevanda dei nobili: la cioccolata ................ 74 6.4 La diffusione del tabacco e dell’alcool ......................... 75 I tempi della storia Nuovi consumi, nuove virtù ............ 75 Sintesi, p. 77 • Esercizi, p. 77

Aa Documenti Recinzioni e protesta sociale ............................ 86

7.5 La crisi del sistema alimentare......................................... 88 Sintesi, p. 89 • Esercizi, p. 89 La discussione storiografica

La nuova agricoltura e la trasformazione del paesaggio agrario I progressi dell’agricoltura limitano i danni climatici di Eric L. Jones ................................................................ 92 Lentezza delle innovazioni, resistenze sociali e culturali di Marc Bloch ............................................................... 93

Modulo 3

8 L’età dei Lumi Percorso breve

Percorso breve

......................................................................................... 80

7.1 La svolta demografica.............................................................. 81 7.2 Contro le malattie: i progressi della medicina....... 81 I modi della storia L’invenzione del vaccino ..................... 83 Le vie della cittadinanza La battaglia contro la fame e le nuove colture.................................................................................. 84 7.3 Contro le carestie: le nuove piante ................................ 84 7.4 La rivoluzione agraria............................................................... 86

......................................................................................... 96

8.1 L’Illuminismo .................................................................................. 97 8.2 Politica, cultura e religione nell’Europa illuminista ............................................................ 98 8.3 Contro l’intolleranza. Voltaire............................................. 98 8.4 Sete di sapere: l’Enciclopedia........................................... 100 Aa Documenti Cittadino del mondo ............................................ 100

Le vie della cittadinanza La cultura come arma ....... 101 I tempi della storia Le donne sono adatte per lo studio? ........................................................................................ 102 8.5 La disputa sulla Natura e la scoperta dell’infanzia .................................................. 102 Sintesi, p. 104 • Esercizi, p. 104

9 Economia e scienza nell’età dei Lumi

Percorso breve

7 Economia e società nel Settecento

La rivoluzione delle idee. Re, filosofi, scienziati

...................................................................................... 107

9.1 Libertà economica .................................................................. 108 Aa Documenti Adam Smith e la teoria della “mano invisibile” .................................................................. 108 9.2 Progressi della ricerca scientifica: la scoperta dell’elettricità ................................................. 109 9.3 Lo sviluppo delle scienze naturali................................ 110 9.4 La scoperta degli elementi e la conquista dell’aria ........................................................ 111 I modi della storia Macchine volanti .................................. 112 Sintesi, p. 113 • Esercizi, p. 113

Indice del volume

10 Illuminismo e riforme Percorso breve

...................................................................................... 116

10.1 Contro l’assolutismo monarchico .............................. 117 10.2 Il “dispotismo illuminato”. La Prussia di Federico II ................................................... 117 10.3 I sovrani “illuminati” di Russia e Svezia................ 118 10.4 Il riformismo asburgico..................................................... 119 10.5 Illuminismo e riforme nella Lombardia austriaca .............................................. 120 I modi della storia L’invenzione del catasto ................... 120 10.6 L’attività riformatrice nel Granducato di Toscana.............................................. 121 Aa Documenti Giornali e libertà. Come nasce la “pubblica opinione”..................................................................... 121 Le vie della cittadinanza Contro la pena di morte .... 122 10.7 Spunti di riforme da Napoli al Piemonte .............. 123 10.8 I nuovi rapporti tra Stati e Chiesa .............................. 123 Sintesi, p. 124 • Esercizi, p. 124 La discussione storiografica

Il trionfo delle scienze e la rivoluzione della lettura La scienza come fenomeno “alla moda” di Vincenzo Ferrone ........................................................................ 128 Febbre di lettura di Roger Chartier ................................ 129

Modulo 4

Rivoluzioni dell’età moderna

11 La Rivoluzione americana

12 La Rivoluzione francese Percorso breve

...................................................................................... 145

12.1 Una monarchia distante, un paese inascoltato ........................................................... 146 Aa Documenti Rimostranze e richieste .................................... 147

12.2 Nobili, clero, “terzo stato”: la società di ancien régime .............................................. 147 I tempi della storia Dal Medioevo al Settecento, i tre stati della società .................................................................... 148 12.3 Gli Stati generali e l’inizio della rivoluzione ....... 150 12.4 La fine del regime feudale .............................................. 151 Le vie della cittadinanza I diritti dell’uomo e del cittadino ....................................................................................... 152 12.5 I gruppi d’opinione nell’Assemblea costituente............................................. 153 12.6 I provvedimenti economici dell’Assemblea ......... 154 12.7 La Costituzione del 1791 e la fine della monarchia assoluta ............................ 155 Sintesi, p. 156 • Esercizi, p. 156

13 La Francia repubblicana Percorso breve

...................................................................................... 160

13.1 Guerra all’Austria e instaurazione della repubblica ...................................................................... 161 13.2 Contro l’Europa dei re, la condanna a morte di Luigi XVI .............................................................. 162 Aa Documenti Si può vivere senza re? ....................................... 163

13.3 Caos e disordini. La nuova Costituzione e il Terrore .................................................................................. 164 13.4 Legislazione e laicizzazione........................................... 165

...................................................................................... 132

I modi della storia Due rivoluzioni a base decimale: il metro e il calendario ................................................................... 166

11.1 La colonizzazione dell’America settentrionale ..... 133 11.2 Tredici colonie in espansione ........................................ 135

13.5 Dittatura e morte di Robespierre ............................... 166 13.6 La Costituzione del 1795 e il Direttorio.................. 168

I modi della storia Istruzione obbligatoria e università per i coloni americani ........................................ 135

I luoghi della storia Le piazze della rivoluzione ......... 168 13.7 Uguaglianza e libertà: tre Costituzioni a confronto ............................................ 170

Percorso breve

11.3 Dalla tassa sul bollo alla guerra ................................ 136 Aa Documenti L’economia americana a servizio del monopolio inglese .................................................................... 136 11.4 La conquista dell’indipendenza ................................... 138 I tempi della storia Una Dichiarazione per il mondo .......................................................................................... 138 11.5 La nascita degli Stati Uniti d’America ..................... 139 Le vie della cittadinanza Un nuovo modello di Stato ..................................................................................................... 140 Sintesi, p. 141 • Esercizi, p. 141

I tempi della storia L’invenzione dello Stato laico ..... 170 Sintesi, p. 171 • Esercizi, p. 171

14 Napoleone Bonaparte

e l’esportazione della libertà

Percorso breve

...................................................................................... 175

14.1 La guerra tra Francia e Austria. Napoleone in Italia (1796-97) ........................................ 176

V

VI

Indice del volume Aa Documenti La bandiera tricolore: dalla Francia rivoluzionaria alla Repubblica cispadana ......................... 176

14.2 Liberatori o conquistatori? ............................................. 177 14.3 La spedizione napoleonica in Egitto (1798-99) ................................................................. 179 I luoghi della storia Scienza e scienziati francesi in Egitto ................................................................................ 179 14.4 Dalle repubbliche filofrancesi al colpo di Stato di Napoleone ...................................... 180 Sintesi, p. 182 • Esercizi, p. 182

15 Alla conquista dell’Europa:

trionfo e crollo di Napoleone

Percorso breve

...................................................................................... 185

15.1 La vittoria francese sull’Austria, la pace in Europa ................................................................... 186 Aa Documenti Napoleone soffoca la libertà di stampa ................................................................................................. 186

15.2 Le riforme di Napoleone................................................... 187 15.3 La fine della repubblica: Napoleone imperatore ....................................................... 188 15.4 Napoleone padrone dell’Europa ................................ 189 I modi della storia Nuovi stili e nuove mode per la Francia imperiale................................................................ 189 15.5 La resistenza inglese e la guerriglia spagnola .................................................... 190 I modi della storia Il primo zucchero di barbabietola ..................................................................................... 191 15.6 La campagna di Russia e il crollo di Napoleone ...................................................... 192 Aa Documenti Gli orrori della guerra di Russia nella lettera di un soldato italiano ......................................... 193

15.7 La fine dell’impero di Napoleone ............................... 194 I tempi della storia Napoleone e la storia d’Europa .................................................................................................. 195 Sintesi, p. 196 • Esercizi, p. 197

La discussione storiografica

Aspetti economici e sociali della Rivoluzione francese

Modulo 5

La rivoluzione industriale

16 L’età delle macchine Percorso breve

...................................................................................... 206

16.1 Uomini e macchine ............................................................... 207 16.2 La rivoluzione industriale inizia in Inghilterra. Perché? ....................................................... 208 I luoghi della storia L’Inghilterra si copre di canali ................................................................................................. 208 16.3 Le nuove macchine per l’industria tessile ........... 210 I modi della storia Motori per filare la seta ................... 210 16.4 Le innovazioni nell’industria siderurgica e mineraria ................................................................................. 212 16.5 La macchina a vapore e la crescita produttiva ...................................................... 213 16.6 La rivoluzione dei trasporti ............................................ 214 Aa Documenti 1825, prima ferrovia: grande novità o satanica invenzione? ................................................................... 215

Sintesi, p. 216 • Esercizi, p. 216

17 Capitalismo e classe operaia Percorso breve

...................................................................................... 220

17.1 La rivoluzione industriale si allarga......................... 221 17.2 Due teorie e un sistema: liberismo, protezionismo e capitalismo ......................................... 222 17.3 Il sistema di fabbrica e il nuovo paesaggio industriale ................................................................................... 224 Aa Documenti Lo spirito del capitalismo e l’etica del lavoro .............................................................................. 224

I luoghi della storia Le città industriali............................. 225 17.4 La nascita della classe operaia ................................... 226 I modi nella storia Diciotto operazioni per costruire uno spillo ................................................................. 226 Sintesi, p. 227 • Esercizi, p. 227

18 La questione sociale Percorso breve

...................................................................................... 230

La “rivoluzione borghese” come mito storiografico di Alfred Cobban ................................................................................ 202

18.1 Le condizioni di vita dei lavoratori ............................. 231 18.2 Il luddismo e le associazioni operaie ...................... 231

La “rivoluzione borghese” come realtà storica di Albert Soboul .................................................................................. 203

Le vie della cittadinanza Lo sfruttamento del lavoro minorile ........................................................................... 232

Indice del volume 18.3 Origine del movimento socialista .............................. 233 18.4 Progetti di riforma sociale .............................................. 234

20.2 Le rivolte nei Balcani, in Grecia e in Russia ....... 257 20.3 I moti liberali del 1830: Parigi insorge ................... 259

I tempi della storia Si può cambiare la società? ........ 234

Aa Documenti La Libertà guida il popolo................................. 260

Aa Documenti Un regolamento di fabbrica nell’Italia del primo Ottocento .................................................. 235

20.4 Le insurrezioni in Belgio, Polonia e Italia centrale ....................................................................... 261

Sintesi, p. 236 • Esercizi, p. 236 La discussione storiografica

Le invenzioni/innovazioni della rivoluzione industriale Creatività tecnologica e microinvenzioni di Joel Mokyr ......................................................................................... 238 Come James Watt (con l’aiuto di molti) perfezionò la macchina a vapore di Thomas Southcliffe Ashton ............................................... 239

VII

Sintesi, p. 263 • Esercizi, p. 263

21 La libertà dell’America Latina

e l’espansione degli Stati Uniti

Percorso breve

...................................................................................... 268

21.1 Tensioni sociali e politiche in America Latina ....... 269 21.2 La libertà dell’America Latina ..................................... 269 21.3 Conseguenze dell’indipendenza latino-americana ................................................................... 270 I modi della storia L’unione fa (farebbe) la forza ........ 270

Modulo 6

L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

19 L’Europa restaurata Percorso breve

...................................................................................... 242

19.1 Ritorno al passato: il Congresso di Vienna ......... 243 19.2 La Restaurazione .................................................................. 244 I tempi della storia Mercato dei popoli o prima conferenza europea? .................................................. 245 Le vie della cittadinanza Tipi di Stato: forme di governo ................................................................................ 246 19.3 L’Italia nel 1815: un paese frammentato .............. 247 I modi della storia Quante lingue parlano gli italiani? ............................................................................................. 248

21.4 L’espansione degli Stati Uniti d’America .............. 272 21.5 Lo sterminio degli indiani ................................................ 273 Aa Documenti Civiltà a confronto .................................................. 274

Sintesi, p. 275 • Esercizi, p. 275

22 Europa 1848: l’anno delle rivoluzioni Percorso breve

...................................................................................... 278

22.1 Libertà, indipendenza, giustizia .................................. 279 22.2 Parigi insorge di nuovo. La rivoluzione del 1848 in Francia ............................................................... 279 I luoghi della storia Le barricate ........................................... 280 22.3 Rivoluzioni e repressioni nell’Impero asburgico......................................................... 282 22.4 Insurrezioni nella Confederazione germanica ................................................................................... 283

19.4 Le società segrete: progetti di libertà..................... 249

I modi della storia Come il Romanticismo invocò la libertà .................................................................................. 284

Aa Documenti Istruzioni segrete per la polizia austriaca in Italia................................................................................ 249

Le vie della cittadinanza Stato, nazione, nazionalità............................................................................................... 285

Sintesi, p. 251 • Esercizi, p. 251

20 1820-31: insurrezioni liberali in Europa

Percorso breve

...................................................................................... 255

Sintesi, p. 286 • Esercizi, p. 286

La discussione storiografica

L’idea di nazione

20.1 I moti del 1820-21.................................................................. 256

Il nazionalismo fra democrazia e autoritarismo di René Rémond ................................................................................. 290

I tempi della storia L’importanza di una rivoluzione mancata ................................................................................................. 256

L’invenzione delle storie nazionali di Alberto Mario Banti ................................................................. 291

VIII

Indice del volume

Modulo 7

25.4 Ultime insurrezioni mazziniane .................................. 320 25.5 La seconda guerra d’indipendenza (1859) ......... 321

L’unità italiana

23 Un’idea nuova: l’unità italiana Percorso breve

...................................................................................... 294

23.1 Unita, indipendente, repubblicana: l’Italia di Giuseppe Mazzini ............................................. 295 23.2 Nuovi metodi di lotta ........................................................... 295 I tempi della storia Il “Risorgimento” italiano ............. 296 23.3 I primi moti mazziniani ...................................................... 297 23.4 L’alternativa federalista di Vincenzo Gioberti ............................................................. 298 I modi della storia Stampa clandestina

.......................... 298

23.5 Altre proposte federaliste................................................ 299 23.6 Le riforme di papa Pio IX e le Costituzioni del 1848 ................................................. 300 Le vie della cittadinanza Dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana ................................................. 301 Sintesi, p. 302 • Esercizi, p. 302

...................................................................................... 306

24.1 La prima guerra per l’indipendenza italiana ........................................................................................... 307 Aa Documenti Chi combatté sulle barricate?

..................... 308

24.2 La defezione dei potenti d’Italia .................................. 309 24.3 La sconfitta di Carlo Alberto. La sconfitta dei rivoluzionari ......................................... 309 I luoghi della storia «Viva Verdi» nelle piazze, nelle strade, nei teatri .................................................................... 310 24.4 La Repubblica romana ....................................................... 311 I modi della storia Camicie rosse ......................................... 312 Sintesi, p. 313 • Esercizi, p. 313

25

25.6 Le ragioni dei francesi ....................................................... 323 Sintesi, p. 324 • Esercizi, p. 324

26 Nasce il Regno d’Italia Percorso breve

...................................................................................... 327

26.1 Le annessioni al Piemonte ............................................. 328 26.2 La spedizione dei Mille ...................................................... 328 26.3 La battaglia di Calatafimi e la repressione dei moti popolari............................. 329 26.4 L’intervento dei piemontesi ............................................ 330 Aa Documenti Vittorio Emanuele a Garibaldi: «Non mi obbedisca» ........................................................................ 330

26.5 Da Teano al Regno d’Italia (17 marzo 1861)

...... 331

I luoghi della storia Da tutta Europa per parlare all’“eroe dei due mondi” .............................................................. 332 Sintesi, p. 333 • Esercizi, p. 333

24 Le rivolte del 1848 Percorso breve

Le vie della cittadinanza Croce Rossa: un’idea nata a Solferino ................................................................ 322

27 Italia 1861. La formazione dello Stato ...................................................................................... 336 27.1 Un paese arretrato, frammentato, analfabeta ................................................................................... 337 27.2 Una popolazione con gravi problemi alimentari e sanitari ........................................................... 338

Percorso breve

Aa Documenti Il pane e la carne .................................................... 338

27.3 Il primo Parlamento italiano ......................................... 339 I modi della storia “Piemontizzare”

................................... 340

27.4 La formazione di un mercato nazionale ................ 341 27.5 Il disavanzo dello Stato .................................................... 342 Le vie della cittadinanza Tributi, tasse, imposte........ 342 27.6 Brigantaggio e rivolta sociale ...................................... 343 Aa Documenti Il brigantaggio nell’inchiesta Massari ..... 344

La seconda guerra d’indipendenza

Percorso breve

Sintesi, p. 345 • Esercizi, p. 345

...................................................................................... 316

25.1 Il Piemonte, un’Italia in miniatura............................. 317 Aa Documenti I vantaggi della politica liberista secondo Cavour................................................................................... 317

25.2 Le idee di progresso civile e sociale di Cavour .... 318 I luoghi della storia Un’industria per l’Italia unita: l’Ansaldo ................................................................................................. 318 25.3 Alla ricerca di alleati. La guerra di Crimea......... 319

La discussione storiografica

Forze sociali e interessi economici nel Risorgimento italiano Il capitalismo agrario e la rivoluzione mancata di Antonio Gramsci .......................................................................... 350 Il capitalismo agrario come indispensabile premessa dello sviluppo di Rosario Romeo ............. 350

Indice del volume

Modulo 8

Il trionfo dell’industria e della borghesia

30.6 Nasce la medicina moderna .......................................... 385 30.7 L’aumento demografico e la trasformazione delle città ..................................... 386 I luoghi della storia L’Europa delle metropoli: la nuova Parigi ..................................................................................... 388

28 La seconda rivoluzione industriale

Sintesi, p. 390 • Esercizi, p. 390

...................................................................................... 354 28.1 La rivoluzione dei trasporti e dell’industria siderurgica.................................................................................. 355

Percorso breve

I modi della storia Viaggiare per strada ........................... 356 28.2 La svolta nelle telecomunicazioni ............................ 357 28.3 Nuove fonti di energia: l’elettricità .......................... 358 Aa Documenti La sconfitta del buio: un «attentato all’ordine divino»? ............................................. 359

28.4 Nuove fonti d’energia: il petrolio ................................ 360 28.5 Lo sviluppo dell’industria chimica............................. 361 Le vie della cittadinanza Ambiente, inquinamento, sviluppo sostenibile .......................................................................... 362

31 Macchine per la vita quotidiana Percorso breve

...................................................................................... 393

31.1 Il tram e l’automobile: come muoversi in città (e fuori) ....................................................................... 394 31.2 A terra con la bici, in cielo con l’aereo ................... 395 I modi della storia Nuove tendenze artistiche: Modernismo, Impressionismo .................................................. 396 31.3 Fotografia e cinema: come catturare le immagini ................................................................................ 397 31.4 Automazione domestica ................................................... 399 I tempi della storia L’epoca bella .......................................... 399

Sintesi, p. 363 • Esercizi, p. 363

I luoghi della storia L’invenzione delle vacanze al mare ................................................................................................. 400

29 La borghesia al potere

31.5 Un nuovo rapporto con la natura................................ 401

Percorso breve

Sintesi, p. 402 • Esercizi, p. 402

...................................................................................... 366

29.1 Liberalismo e borghesia ................................................... 367 29.2 La rivoluzione proletaria secondo Marx ed Engels .................................................. 368 Le vie della cittadinanza Una storia di lotte

................ 370

29.3 Anarchismo e movimento operaio ............................ 370 29.4 La crisi del 1873-96. Dal liberismo al protezionismo ..................................................................... 372 29.5 “Cartelli” e holdings ............................................................. 373

La discussione storiografica

La famiglia borghese e l’invenzione del “privato” Uomini in società, donne in casa di Mary Jo Maynes ........................................................................... 406 Grandi magazzini e consumi “privati” di Richard Sennett ............................................................................ 407

I modi della storia Il re del petrolio ..................................... 374 Sintesi, p. 375 • Esercizi, p. 375

Modulo 9

30 La rivoluzione dei consumi e dei modi di vita

Percorso breve

...................................................................................... 378

30.1 Benessere di massa? ........................................................ 379 30.2 La rivoluzione alimentare ................................................ 379 30.3 La fabbrica del freddo ........................................................ 380 30.4 L’industria conserviera ...................................................... 381

Stati, imperi, nazioni

32 L’unificazione della Germania e il completamento dell’unità italiana

Percorso breve

...................................................................................... 410

I modi della storia Lotta alle frodi alimentari............... 382

32.1 L’ascesa della Prussia........................................................ 411 32.2 La Francia al tempo del Secondo impero ............ 411

30.5 La rivoluzione del vestiario

........................................... 383

I luoghi della storia Il canale di Suez ................................. 412

I tempi della storia Le donne nella società industriale ............................................................................................... 384

32.3 La guerra austro-prussiana........................................... 413 I modi della storia La guerra e la povera gente.......... 414

IX

X

Indice del volume 32.4 La guerra franco-prussiana e la Comune di Parigi ......................................................... 415 32.5 L’unificazione della Germania: il Secondo Reich ..................................................................... 416 32.6 Il completamento dell’unità d’Italia.......................... 418

34 Il nuovo colonialismo

Sintesi, p. 420 • Esercizi, p. 420

Aa Documenti Trattati e fucilate..................................................... 444

33 Le grandi potenze tra assolutismo e liberalismo

Percorso breve

...................................................................................... 424

33.1 La fine dell’Impero asburgico, la nascita dell’Impero austro-ungarico ................. 425 33.2 La crisi dell’Impero ottomano e la “questione d’Oriente” ............................................... 426 I modi della storia L’aquila con due teste nuovo simbolo degli Asburgo .................................................... 426 I modi della storia La guerra di Crimea e il giornalismo di guerra............................................................. 428 33.3 L’Impero russo degli zar .................................................. 429 33.4 La Gran Bretagna liberale ............................................. 430 33.5 Dall’Europa agli Stati Uniti, in cerca di libertà e fortuna ............................................................... 431 33.6 Guerre indiane ........................................................................ 432 Le vie della cittadinanza Melting pot ................................. 434 33.7 L’America tra liberalismo e protezionismo ......... 434 33.8 La guerra di secessione americana ......................... 435 Aa Documenti La guerra come lezione di pace: il proclama del presidente Lincoln ........................................ 436

Sintesi, p. 438 • Esercizi, p. 438

Percorso breve

...................................................................................... 442

34.1 Alla ricerca di mercati e di materie prime .......... 443 34.2 Berlino 1884: la spartizione dell’Africa .................. 444 Le vie della cittadinanza L’abolizione della schiavitù e della tratta degli esseri umani ............................................. 446 34.3 Il colonialismo in Asia ........................................................ 447 Aa Documenti «L’imperialismo è una necessità».............. 448

34.4 La “guerra dell’oppio” e la penetrazione europea in Cina............................. 449 34.5 Il Giappone da possibile colonia a potenza coloniale ............................................................... 450 I modi della storia Feudalesimo industrializzato: alle origini del Giappone moderno ........................................ 450 34.6 Le terre oceaniche e artiche.......................................... 452 34.7 Imperialismo statunitense in America Latina .................................................................. 453 Sintesi, p. 454 • Esercizi, p. 454

La discussione storiografica

Industrializzazione, imperialismo, colonialismo Fra economia e politica di Raymond F. Betts.......... 459 Agricoltura locale e colture da esportazione di Wolfgang Reinhard ................................................................... 459

Indice Memo e Parole ............................................................................. 460 Indice dei nomi ........................................................................................... 461

Dal Seicento all’Ottocento

Modulo 1

L’Europa tra liberalismotra e L’Europa assolutismo liberalismo

assolutism Capitolo 2

La monarchia assoluta in Francia

Capitolo 1

Monarchia e Parlamento in Inghilterra L’Inghilterra, che a partire dal Cinquecento aveva sviluppato una forte vocazione commerciale e manifatturiera, nel XVII secolo fu interessata da due successive rivoluzioni politiche, causate dai contrasti fra i sovrani della dinastia Stuart, che intendevano instaurare nel paese una monarchia assoluta, e le forze del Parlamento, che ne controllavano e limitavano i poteri. Attraverso questi eventi drammatici nacque in Inghilterra il primo Stato parlamentare moderno, basato sulla divisione dei poteri, modello per le future democrazie.

Mentre l’Inghilterra dava vita al primo Stato parlamentare dell’età moderna, e mentre l’Olanda si affermava come repubblica indipendente, in Francia durante il Seicento si consolidò la monarchia assoluta, cioè un tipo di sistema politico che riunisce tutti i poteri in una sola persona, quella del re. Ciò accadde sotto i sovrani della dinastia Borbone, dapprima Enrico IV e Luigi XIII, poi specialmente Luigi XIV, che fu chiamato “Re Sole”.

ra oe mo

Capitolo 3

Due nuove protagoniste della storia europea: Prussia e Russia Il modello di monarchia assoluta realizzato in Francia da Luigi XIV fu imitato da altri paesi nel resto d’Europa. Su due di essi l’influenza fu particolarmente forte: la Prussia, a poco a poco delineatasi come Stato egemone nella moltitudine di realtà politiche che si erano costituite in Germania dopo la guerra dei Trent’anni, e la Russia che, dalla sua posizione intermedia fra Asia e Europa, si orientò sempre più decisamente verso il mondo occidentale, allargandosi nel Mar Baltico a scapito della potenza svedese, che a quel tempo lo dominava.

Capitolo 4

La politica dell’equilibrio e le guerre di successione La fine del dominio spagnolo in Italia Una serie ininterrotta di guerre caratterizzò la prima metà del XVIII secolo in Europa. Tre di esse, dovute a problemi di successione e per questo dette “guerre di successione”, si inserirono in un quadro di grande instabilità politica, a cui paradossalmente corrispose, da parte di tutti gli Stati, una comune tendenza a garantire l’equilibrio delle forze tra le varie potenze. Ciò avvenne tra continui mutamenti di fronte, attraverso complicati giochi di alleanze e contro-alleanze. Nel corso di tali vicende la monarchia spagnola decadde e perdette tutti i domìni italiani.

Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo

1 Monarchia

Capitolo

4

e Parlamento in Inghilterra

Percorso breve I contrasti fra monarchia e Parlamento furono il tema dominante della politica inglese nel XVII secolo. Essi nacquero dall’incompatibilità fra le mire assolutiste dei sovrani Stuart (succeduti alla dinastia Tudor dopo la morte di Elisabetta nel 1603) e il consolidamento ormai irreversibile del Parlamento e delle sue prerogative in materia legislativa e particolarmente fiscale. A ciò si aggiunsero i contrasti di natura religiosa, con gli Stuart che dapprima centralizzarono la Chiesa anglicana e perseguitarono i calvinisti e le altre minoranze, poi tentarono di riportare l’Inghilterra al cattolicesimo. Con Giacomo I Stuart e suo figlio Carlo I il paese entrò in un periodo di violenti contrasti che sfociarono in aperta guerra civile quando Carlo I tentò un colpo di Stato per esautorare il Parlamento. Un esercito rivoluzionario, capeggiato da Oliver Cromwell in nome del Parlamento, tra il 1642 e il 1645 si oppose alle forze del re, che, sconfitto, venne condannato a morte e giustiziato (1649); nel paese fu proclamata la Repubblica e Cromwell ne fu eletto presidente. Egli guidò il paese con pieni poteri, perseguendo una politica di espansione economica e commerciale, ma a poco a poco perse la fiducia del Parlamento per aver manifestato tendenze personalistiche. Alla sua morte venne restaurata la monarchia (1658) con Carlo II Stuart. Anche il nuovo sovrano mostrò tendenze autoritarie, aggravate dalle sue tendenze filocattoliche; quando nel 1685 gli succedette il fratello Giacomo II, cattolico, il contrasto col Parlamento esplose di nuovo. Ma questa “seconda rivoluzione” non fu cruenta come la prima. Le forze del Parlamento si schierarono compattamente contro il re e nel 1689 offrirono la corona al principe olandese Guglielmo d’Orange, marito di Maria Stuart, figlia del

Ernest Croft, Oliver Cromwell alla testa delle sue truppe, XIX sec. [Art Gallery, Burnley (Regno Unito)]

sovrano. Giacomo II si rifugiò in Francia mentre Guglielmo e Maria salirono al trono d’Inghilterra, firmando una Dichiarazione dei diritti che sanciva un contratto fra i sovrani e il popolo, primo fra tutti quello di eleggere in Parlamento i propri rappresentanti, con facoltà esclusiva di fare le leggi e stabilire le tasse. Nacque in tal modo il primo Stato europeo parlamentare, in cui il governo era effettivamente esercitato dal Parlamento e non dal re. Un intenso dibattito filosofico e politico, concentrato sul tema della sovranità popolare e del carattere contrattuale dello Stato, accompagnò l’evoluzione politica inglese di questi decenni.

Capitolo 1 Monarchia e Parlamento in Inghilterra

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1.1 Il Parlamento contro il re La dinastia Stuart Nel 1603, alla morte di Elisabetta ultima dei Tudor, la Corona d’Inghilterra passò al nipote Giacomo I Stuart (1603-25), re di Scozia, figlio di quella Maria Stuart, cattolica, che la stessa Elisabetta aveva fatto giustiziare nel 1587 accusandola di trame per impadronirsi del trono [ vol. 1, 32.3]. In quel periodo, pertanto, con Giacomo I e con suo figlio Carlo, l’Inghilterra e la Scozia, pur restando due regni distinti, si trovarono politicamente unite sotto il medesimo sovrano. Con la nuova dinastia il paese entrò in un periodo di violenti contrasti, sfociati in una vera guerra civile, che videro opporsi da un lato la monarchia sostenuta dalla grande nobiltà, dall’altro il Parlamento sostenuto dalla nobiltà minore (la cosiddetta gentry) e dai ceti borghesi. Il conflitto fu causato da motivi di natura politica, economica e religiosa. Un duro scontro politico (e la questione delle tasse) Sul piano politico era forte la tensione fra i sovrani Stuart, che miravano a instaurare nel paese un forte potere monarchico (riprendendo idee di ascendenza medievale, Giacomo I aveva teorizzato in un suo scritto l’origine divina del potere dei re), e il Parlamento, che per antica tradizione (risalente anche in questo caso al Medioevo, in particolare alla Magna Charta del 1215, vol. 1, 4.2) esercitava un controllo sull’operato del re, soprattutto in materia fiscale. Gli Stuart tentarono più volte di sciogliere ed esautorare il Parlamento, affidando la realizzazione della loro politica accentratrice a personaggi di corte direttamente legati al re, in particolare al duca di Buckingham (1592-1629). Lo strapotere di quest’ultimo e la pretesa di imporre nuove tasse senza consultare il Parlamento provocarono un moto di ribellione e l’assassinio dello stesso duca di Buckingham. Un duro scontro religioso A tutto ciò si aggiungevano i contrasti religiosi: gli Stuart, per accentrare il controllo del paese anche sul piano ecclesiastico, tentarono un rilancio della Chiesa di Stato, quella anglicana [ vol. 1, 28.7], accusata da molti di eccessiva vicinanza al cattolicesimo, e perseguitarono i calvinisti o “puritani”, molto numerosi in Inghilterra, che furono in gran parte costretti ad abbandonare il paese. Un gruppo di questi puritani partì nell’anno 1620 a bordo della nave Mayflower (‘Fior di maggio’), diretto oltre Oceano, in America, per potere in quelle terre praticare liberamente la propria fede e organizzarsi in autonome forme politiche. Questi esuli sono considerati dalla nazione statunitense i “padri fondatori”, cioè il primo nucleo che gettò le basi della futura democrazia americana [ 11.1].

Adam Willaerts, I padri pellegrini s’imbarcano sulla Mayflower, XVII sec. [Sotheby Parke Bernet, New York]

Il dipinto rappresenta la partenza dei “padri pellegrini” (padri fondatori) per l’America. Nel settembre del 1620 la Mayflower lasciò le coste inglesi per giungere, l’11 novembre dello stesso anno, nel porto di Cape Cod.

Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo SCOZIA

1.2 La guerra civile e la prima rivoluzione inglese Edimburgo

Il colpo di Stato di Carlo I I contrasti fra monarchia e Parlamento si fecero particolarmente duri al tempo del re Carlo I (1629-49), che, dopo essere stato costretto ad accettare Carlisle la “Petizione dei diritti”, che ribadiva il divieto per il sovrano di imporre tasse senza l’apMarston Moor 1644 provazione del Parlamento e la necessità di una sentenza legale per incarcerare qualcuno, di fatto ignorò eHull addirittura sciolse il Parlamento, reprimendo sistematicamente l’opLiverpoolpolitica e religiosa. La situazione precipitò nel 1639, quando in Scozia (dove posizione Nottinghamscoppiò una rivolta contro i tentativi del re di imporvi la Chiesa prevalevano i calvinisti) anglicana. Per ottenere fondi necessari a domare la rivolta il re fu costretto a riconvocare Nasebyi 1645 il Parlamento, dove però prevalse l’opposizione al sovrano e alle sue mire assolutiste. Cambridge Worcester Oxford un colpo di Stato, occupando militarmente il Parlamento, e Nel 1642 il re tentò la lotta immediatamente sfociò in una guerra civile fra i sostenitori del re e quelli del Bristol Londra Parlamento.

IRLA N DA

G

AL LES

Dublino

Dover

Portsmouth L’esercito di Oliver Cromwell Contro il re, le forze parlamentari armarono un proprio Plymouth esercito affidandone la guida a Oliver Cromwell (1599-1658). La maggioranza della nobiltà rimase fedele a Carlo I, mentre i ceti artigiani e professionali si schierarono dalla parte del Parlamento. L’esercito di Cromwell diventò ben presto una terza forza tra il Parlamento e il re, e in esso prevalsero le tendenze calviniste più radicali e democratiche, come quelle dei levellers o ‘livellatori’, che sostenevano l’uguaglianza fra tutti gli uomini, dei diggers o ‘zappatori’, che sostenevano l’abolizione della proprietà privata, dei quaccheri che propugnavano il ritorno alla purezza originaria del paradiso terrestre, di tanti altri gruppi che si crearono in quegli anni. I soldati si arruolavano volontariamente ed eleggevano loro stessi i loro capi. Anche grazie a questo entusiasmo, oltre che per la perfetta organizzazione militare che caratterizzò questo nuovo tipo di esercito (chiamato appunto New Model Army), le truppe di Cromwell sconfissero ripetutamente l’esercito del re, nel 1644 a Marston Moor e nel 1645 a Naseby.

L’Inghilterra agli inizi della guerra civile, 1642

Territori tenuti dal re Territori tenuti dal Parlamento Naseby 1645 battaglie

La decapitazione del re Carlo I cercò rifugio in Scozia ma venne catturato, processato sotto l’accusa di aver mancato ai suoi doveri, condannato a morte e decapitato (1649). Per la prima volta nella storia d’Europa un re veniva giustiziato

SCOZIA

Edimburgo

Carlisle Marston Moor 1644

IRLA N DA

Nottingham AL LES

Dublino

Hull Liverpool

Naseby 1645 Worcester

G

6

Bristol

Oxford

Cambridge

Portsmouth Plymouth

L’esecuzione di Carlo I d’Inghilterra, 1651

Londra Dover

[Scottish National Portrait Gallery, Edimburgo]

Il dipinto, di poco posteriore agli eventi narrati, mostra il momento dell’esecuzione di Carlo I (al centro) avvenuta il 30 gennaio 1649. A destra vi è il ritratto del boia che mostra la testa decapitata del re (in alto) e alcuni cittadini che bagnano i loro fazzoletti nel sangue di Carlo I (in basso). L’esecuzione del re fu un evento senza precedenti che sconvolse lo stato naturale delle cose.

Capitolo 1 Monarchia e Parlamento in Inghilterra dai rappresentanti dei suoi sudditi (il solo precedente, riguardante però non un sovrano in carica ma un pretendente al trono, si era verificato nella stessa Inghilterra, dove, nel 1587, la regina Elisabetta aveva fatto giustiziare Maria Stuart). Nel maggio 1649 fu abolita la Camera dei Lord e fu proclamata la repubblica o Commonwealth (‘Bene comune’).

1.3 La repubblica di Cromwell. La restaurazione della monarchia Successi in politica estera Il nuovo governo repubblicano fu capeggiato da Cromwell, il quale guidò il paese con pieni poteri, emarginando i gruppi più estremisti per ricompattare l’unità del paese e perseguendo una politica di espansione mercantile e marittima in gara con l’Olanda. Nel 1651, la Navigation Act (‘Legge di navigazione’) diede alle navi inglesi il monopolio dei traffici in Inghilterra e nelle colonie, scatenando un conflitto con gli olandesi (1652-54) che Cromwell affrontò vittoriosamente, affermando il primato inglese sui mari. Repressioni interne al Regno Una rivolta dell’Irlanda cattolica, assoggettata qualche decennio prima dalla regina Elisabetta e ridotta a una sorta di dominio coloniale, fu duramente soffocata da Cromwell: molti irlandesi furono deportati o fuggirono in America, i loro terreni furono confiscati e su di essi furono insediati nuovi proprietari inglesi. Questi metodi ferocemente repressivi scavarono fra i due popoli un solco di inimicizia che non si è tuttora completamente ricomposto.

Aa Documenti I dibattiti di Putney Tra l’ottobre e il novembre 1647, dopo la vittoria dell’esercito parlamentare su quello del re, un’accesa discussione si svolse fra le truppe rivoluzionarie, accampate a Putney nei pressi di Londra. Il punto principale era quello della rappresentanza: a chi spettava il diritto di partecipare all’elezione dei rappresentanti

nel futuro Parlamento? A tutti gli inglesi o a una parte ristretta della società? La prima posizione era sostenuta dalle componenti più radicali dell’esercito di Cromwell (levellers, diggers, ecc.); la seconda, più moderata e conservatrice, era sostenuta dallo stesso Cromwell e dai vertici militari.

I

o penso che l’essere più povero che vi sia in Inghilterra ha una vita da vivere quanto il più grande, e credo che ogni uomo il quale ha da vivere sotto un governo debba prima col suo consenso accettare quel governo, e che invece non sia tenuto a obbedire a un governo che egli non abbia avuto alcuna voce a costituire. […] Nulla di quanto ho sentito [in questo dibattito] può convincermi del perché un uomo nato in Inghil-

L’altra posizione (che alla fine risultò vincente) fu sostenuta principalmente da Henry Ireton (1611-1651), cognato di

P

terra non dovrebbe avere il voto nell’elezione dei deputati. […] Non trovo alcun passo della Legge di Dio che affermi che un Lord debba scegliere venti deputati e un gentiluomo due, e un povero nessuno; non trovo nulla di simile nella Legge di Natura né nella Legge delle Nazioni. Ma trovo che tutti gli inglesi devono essere soggetti alle leggi inglesi e credo sinceramente che il fondamento di ogni legge risieda nel popolo.

Cromwell, il quale non intervenne direttamente nella discussione. La sua tesi era che la rappresentanza doveva spetta-

enso che nessuna persona abbia diritto a una partecipazione nell’ordinamento degli affari del paese, a determinare o a scegliere coloro che determineranno da quali leggi dobbiamo essere governati in questo paese, se non ha un interesse permanente e fisso in questo paese. Solo le persone che comprendono gli interessi reali e permanenti del regno sono propriamente i rappresentanti di questo paese e, per conseguenza, anche co-

Esponente di spicco dei “livellatori”, Thomas Rainborough (1610-1648) propose, a nome dei soldati e degli ufficiali, di estendere la rappresentanza a tutto il popolo inglese, giustificando tale richiesta con il richiamo alle leggi di Dio, della Natura, delle Nazioni:

re solamente ai ceti proprietari e a quanti avevano interessi “permanenti” nel paese. Leggiamone l’argomentazione.

loro che devono creare i rappresentanti del paese. […] E queste persone sono quelle nelle cui mani è tutta la terra, e i membri delle corporazioni, che hanno nelle loro mani tutto il commercio. Questa è la più fondamentale costituzione di questo regno, non riconoscendo la quale, non ne rendete possibile alcuna. da V. Gabrieli, Puritanesimo e libertà. Dibattiti e libelli, Torino 1956

Il dibattito fra Rainborough e Ireton, a prescindere dai suoi contenuti e dalla sua conclusione, è significativo del clima di aperta discussione che si sviluppò nel XVII secolo nell’Inghilterra liberale.

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Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo Ritorna la monarchia Nel 1653 Cromwell si proclamò “Lord protettore d’Inghilterra, Scozia e Irlanda”, assumendo atteggiamenti più personalistici e autoritari. Alla sua morte (1658) seguì una fase intricata di conflitti, durante i quali il figlio stesso di Cromwell, Richard, tentò di assumere il potere. Infine fu restaurata la monarchia nella persona di Carlo II Stuart (1660-85), che emanò un “editto di indennità e perdono” per amnistiare i delitti compiuti contro la monarchia nel decennio precedente. Tentativi di assolutismo inglese Le tendenze assolutistiche che il nuovo sovrano mutuò dal re di Francia Luigi XIV [ 2.2], divenuto il suo modello politico, incrinarono presto i suoi rapporti col Parlamento, aggravati dalle tendenze filocattoliche del re (e dal fatto che al cattolicesimo si fosse convertito il fratello Giacomo). Il Parlamento adottò nel 1673 un provvedimento, il Test Act, che escludeva i cattolici dalle cariche pubbliche, ma nel 1685, alla morte del re, il fratello salì al trono con il nome di Giacomo II (1685-88). Whitehall, 29 maggio 1660: la restaurazione della monarchia, XVII sec. [Coll. J.Y. Sangster Esq., Londra]

Il dipinto rappresenta l’ingresso a Westminster di Carlo II che restaurò la monarchia inglese. Il 29 maggio 1660 attraversando l’intera strada chiamata Whitehall, il nuovo re, circondato dai soldati e dagli uomini a lui fedeli, pose nuovamente sul trono la famiglia Stuart.

1.4 La seconda “gloriosa e pacifica rivoluzione” e l’istituzione della monarchia parlamentare L’opposizione alla monarchia assoluta Il breve regno di Giacomo II fu caratterizzato dal tentativo, fallito, di restaurare il cattolicesimo e, con esso, il modello politico dell’assolutismo regio. Ma la società inglese non era più disposta a rinunciare a princìpi come quelli della sovranità popolare e della rappresentanza parlamentare, della libertà di culto, di stampa, di pensiero, che una tradizione fortemente “liberista”, legata all’affermarsi dei ceti borghesi e della piccola nobiltà imprenditrice, aveva ormai incorporato nella cultura nazionale. Pertanto le forze del Parlamento – tra cui in quegli

Le vie della cittadinanza

Q

La libertà della persona, dalla Magna Charta alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo

uando il 15 giugno 1215 fu promulgata in Inghilterra la Magna Charta, tra gli altri princìpi fu introdotto anche quello dell’Habeas corpus (in latino, ‘sii padrone del tuo corpo’) così formulato: «Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua proprietà, della sua libertà, messo fuori legge, esiliato, molestato in nessuna maniera, e noi [il re] non metteremo né faremo mettere la mano su lui, se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari e secondo la legge del paese». Dopo quattro secoli la situazione del paese era del tutto cambiata, sul piano politico, economico, religioso; ma anche i punti di continuità erano molti e ciò spiega perché proprio in Inghilterra, e non altrove, si sviluppò una intensa discussione filosofica e politica sul principio di sovranità e sulla partecipazione del “popolo” al governo della cosa pubblica. Nel 1679 il Parlamento inglese riprese

infatti l’idea dell’inviolabilità della persona umana e promulgò l’Habeas Corpus Act, una legge in base alla quale chiunque fosse stato arrestato aveva il diritto di essere portato davanti a un giudice o a un tribunale entro tre giorni, oppure di ottenere (purché non si trattasse di reato di tradimento) la libertà provvisoria dietro pagamento di una cauzione. Chiunque (sceriffi, carcerieri o altri funzionari) fosse venuto meno a questo dovere, trattenendo in carcere un cittadino senza sottoporlo a regolare processo, era tenuto a versargli la somma di 100 sterline ed era sospeso dal proprio ufficio. Questa disposizione, volta a impedire che una persona fosse imprigionata o sequestrata ad arbitrio del re, è considerata la pietra angolare delle libertà del cittadino, base dello Stato liberale moderno. In quest’ultimo, infatti, le leggi pongono limitazioni all’attività individuale ma non

sopprimono la libertà; al contrario, la proteggono e la difendono, in quanto riconoscono in essa un diritto fondamentale dell’uomo: ogni individuo è libero e il solo limite della sua libertà è dato dalla possibilità di nuocere alla libertà degli altri. Ma in che cosa consiste questa libertà? Secondo il pensiero liberale che si sviluppò in Inghilterra nel XVII secolo, e poi in Francia e in altri paesi a cominciare dal XVIII secolo, il primo diritto dell’uomo è l’inviolabilità della sua persona, e il primo dovere dello Stato è di rimuovere gli ostacoli che impediscono ai cittadini di fare qualcosa (sempre che, naturalmente, si tratti di azioni legittime): risiedere in un luogo, spostarsi, metter su famiglia, possedere dei beni, esercitare un’attività, riunirsi assieme ad altri, esprimere un’opinione, professare una religione, e così via. Sono le cosiddette libertà “di” fare.

Capitolo 1 Monarchia e Parlamento in Inghilterra anni si erano delineati due opposti schieramenti politici: i tories conservatori, i whigs progressisti – furono concordi nello schierarsi compattamente contro il re, rivolgendosi a un principe olandese, Guglielmo d’Orange, marito di Maria Stuart (figlia di Giacomo II, ma allevata nella fede protestante), perché intervenisse in Inghilterra a difesa dei diritti civili e del protestantesimo.

Guglielmo d’Orange e Maria Stuart Lo sbarco delle truppe olandesi costrinse Giacomo II a lasciare il paese e a rifugiarsi in Francia. Nel 1689 la Corona fu offerta allo stesso Guglielmo d’Orange (1689-1702) e alla moglie Maria Stuart (1689-94), che salirono al trono d’Inghilterra firmando un patto, il Bill of Rights o ‘Dichiarazione dei diritti’, un documento concepito come contratto tra il sovrano e il popolo, volto a sancire i diritti dei sudditi, primo fra tutti quello di eleggere come propri rappresentanti i membri del Parlamento. A quest’ultimo era riconosciuta la piena potestà legislativa e la facoltà esclusiva di imporre tasse al paese. Il re si impegnava inoltre a rispettare l’autonomia delle amministrazioni locali e la libertà di voto e di parola dei cittadini.

James Thornhill, Il trionfo di Guglielmo e Maria d’Orange, XVII sec. [National Maritime Museum, Greenwich]

Nel dipinto sono rappresentati i due coniugi d’Orange autori di una rinascita politica grazie all’accordo firmato con il popolo che, di fatto, limitava fortemente i poteri del re a favore della nascita di una monarchia parlamentare unica in Europa.

Nasce la monarchia parlamentare Da questa “gloriosa e pacifica rivoluzione”, come fu in seguito chiamata dalla storiografia inglese, per distinguerla dagli eventi drammatici di quarant’anni prima, nacque in Europa il primo Stato parlamentare, in cui il governo era effettivamente esercitato dal Parlamento, mentre il sovrano si configurava come «un re che regna ma non governa». Nei decenni successivi il governo diventò un’istituzione realmente distinta dalla corona, il cui “Primo ministro” non era più un confidente e fiduciario del sovrano, ma un politico indipendente, tenuto a rispondere del suo operato di fronte al re (che lo nominava) e al Parlamento (che gli votava la fiducia). L’alternanza al potere di diversi gruppi parlamentari istituì quella dialettica politica che è poi diventata caratteristica delle democrazie moderne.

Nel corso del XIX secolo, lo sviluppo del pensiero democratico e socialista ha spostato l’attenzione sul dovere, da parte dello Stato, non solo di non ostacolare, ma di promuovere le condizioni che consentono ai cittadini di esercitare effettivamente i propri diritti. Si è messo perciò l’accento su libertà di tipo diverso, le cosiddette libertà “da”: dalla povertà, dalla malattia, dalla disoccupazione, dall’ignoranza, ecc. Le due concezioni naturalmente non si escludono, ma sono fra loro complementari, e sono entrambe presenti nei testi costituzionali degli Stati democratici, per esempio nella nostra Costituzione e nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata nel 1948 dalle Nazioni Unite (all’articolo 3 essa afferma che «Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della sua persona»). Magna Charta Libertatum Quella raffigurata è la versione promulgata da Enrico III nel 1225.

Human Rights Now!, 1988 Nel 1988, per i quarant’anni della costituzione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, Amnesty International ha organizzato in tutto il mondo venti concerti per un tour durato circa sei settimane e finalizzato alla raccolta di fondi. Il tour ha coinvolto personaggi di spicco della musica (tra gli altri, Bruce Springsteen, Peter Gabriel, Sting e, in Italia, Claudio Baglioni). Spesso il mondo della musica si mobilita per i diritti civili e gravi problemi sociali che ancora oggi mettono in ginocchio intere popolazioni, per dare voce a minoranze indifese e per sensibilizzare soprattutto i giovani.

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Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo

1.5 Il dibattito sulla sovranità e sull’assolutismo

John Michael Wright, Thomas Hobbes, XVII sec. [National Gallery, Londra]

Le posizioni di Thomas Hobbes Nell’Inghilterra del Seicento, che, pur conservando il sistema monarchico, si avviava a realizzare un nuovo modello di Stato in cui il Parlamento limitava e controllava il potere del re, si sviluppò un acceso dibattito filosofico e politico sull’assolutismo regio, il sistema che in quei decenni trovava in Francia la sua massima espressione [ 2.2]. Il filosofo Thomas Hobbes (1588-1679) sostenne che l’assolutismo regio è necessario per garantire il buon funzionamento dello Stato. Gli uomini – scriveva Hobbes – sono per natura egoisti e aggressivi: ciascuno persegue i suoi diritti naturali calpestando quelli degli altri («l’uomo è lupo agli altri uomini»). Ma poiché ciò impedisce qualsiasi forma di convivenza, gli uomini decidono di rinunciare ai propri diritti e li consegnano allo Stato, entità assoluta che riassume e supera i diritti di ciascuno, e che Hobbes assimila al mostro marino descritto nella Bibbia, il Leviatano (Leviathan si intitola la sua opera più importante, pubblicata nel 1651). Lo Stato a sua volta si identifica con il sovrano, detentore di ogni potere civile e religioso, che non deve rendere conto a nessuno del suo operato in quanto è ‘sciolto dalle leggi’ (in latino legibus solutus), ossia non soggetto alle leggi, che lui stesso istituisce e applica. Hobbes dunque giustifica l’assolutismo regio non riferendosi all’idea dell’investitura divina del potere – come si faceva nel Medioevo – ma semplicemente chiamando in causa l’idea di un “contratto sociale” che consegna completamente al re l’esercizio della sovranità. Le posizioni di John Locke Un altro filosofo inglese, John Locke (1632-1704), fu invece fra i primi sostenitori della sovranità popolare. Secondo Locke, il passaggio dallo stato di natura allo stato civile avviene quando gli uomini si organizzano politicamente e, per difendere i loro diritti naturali (la vita, la libertà, i beni), rinunciano a difendersi da soli, cedendo il proprio potere individuale alla comunità, «che con più rigore e giustizia esercita tale diritto». In tal modo la collettività «ottiene il potere di stabilire quali punizioni si adattino alle trasgressioni degne di condanna», e quello di «punire ogni torto fatto a qualcuno dei suoi membri». Con queste parole Locke per la prima volta avanza l’idea della divisione dei poteri (quello legislativo, che definisce i princìpi da rispettare, e quello giudiziario, che sanziona le trasgressioni), teoria che fu ripresa e perfezionata nel XVIII secolo dal francese Montesquieu [ 10.1]. In questa sorta di patto sta l’origine del potere nelle società civili. «È dunque evidente – conclude Locke – che la monarchia assoluta, ritenuta da alcuni come l’unico governo possibile al mondo, in realtà è incompatibile con la società civile». Filosofie “contrattualiste” L’originalità delle riflessioni di Hobbes e di Locke sta nel fatto che, pur proponendo soluzioni radicalmente opposte, nascono entrambe dall’idea di un patto, di un contratto sociale fra i sudditi (nella prospettiva di Hobbes) o cittadini (nella prospettiva di Locke) e i loro governanti. Da queste idee germogliarono, nel XVIII secolo, gli importanti sviluppi filosofici e politici da cui presero vita la Rivoluzione americana [ 11] e la Rivoluzione francese [ 12].

John Greenhill, John Locke, 1676 ca. [National Gallery, Londra]

Capitolo 1 Monarchia e Parlamento in Inghilterra

Sintesi

Monarchia e Parlamento in Inghilterra

Il Parlamento contro il re Alla morte di Elisabetta, nel 1603 il regno passò al nipote Giacomo I Stuart, re di Scozia: Inghiliterra e Scozia, pur rimanendo due regni distinti, furono guidate dallo stesso sovrano. Sotto la nuova dinastia una guerra civile vide contrapposti la monarchia, sostenuta dalla grande nobiltà, e il Parlamento, sostenuto dalla nobiltà minore e dai ceti borghesi. Le cause del conflitto furono molteplici: il tentativo del re di instaurare un potere monarchico forte contrastava con la volontà del Parlamento di controllare l’operato del sovrano; il tentativo di rilanciare la religione di Stato anglicana portò alla persecuzione dei calvinisti. Costretti anche a emigrare, alcuni di loro approdarono in America. La guerra civile e la prima rivoluzione inglese I contrasti crebbero sotto il regno di Carlo I che operò una repressione politica e religiosa. Nel 1639 scoppiò una rivolta religiosa in Scozia; il re convocò il Parlamento per ottenere i fondi necessari a intervenire, ma prevalse l’opposizione al sovrano che tentò un colpo di Stato, occupando il Parlamento. La conseguenza fu la guerra civile. All’esercito regio, sostenuto dalla nobiltà, si contrappose un esercito parlamentare, sostenuto da artigiani e professionisti e guidato da Oliver Cromwell. Quest’ultimo ottenne diverse vittorie e Carlo I, dopo un tentativo di fuga, fu condannato a morte. Nel 1649 fu proclamata la Repubblica (Commonwealth).

La repubblica di Cromwell. La restaurazione della monarchia Assunti i pieni poteri, Cromwell emarginò i gruppi estremisti emersi nel corso del conflitto e promosse una politica di espansione mercantile (Navigation Act). In Irlanda fu soffocata con estrema durezza una rivolta, mediante confische di beni e deportazioni. Alla morte di Cromwell si riaccese il conflitto, che portò alla restaurazione della monarchia. Il nuovo re, Carlo II Stuart, dalle tendenze assolutistiche e filocattoliche, entrò presto in contrasto col Parlamento. Ottenuta la corona, proclamò un’amnistia per i delitti commessi contro la monarchia ed escluse i cattolici dalle cariche pubbliche (Test Act). A lui successe nel 1685 il fratello Giacomo II, che si era precedentemente convertito al cattolicesimo. La seconda “gloriosa e pacifica rivoluzione” e l’istituzione della monarchia parlamentare Durante il regno di Giacomo II, le forze parlamentari, divise nei due schieramenti dei tories (conservatori) e dei whigs (progressisti), si unirono per contrastare il tentativo del re di restaurare il cattolicesimo e il modello politico dell’assolutismo regio. A tale fine, chiesero un intervento diretto al principe olandese Guglielmo d’Orange, in difesa dei diritti civili e del protestantesimo. Gli olandesi sbarcarono, il re fuggì. La corona fu offerta a Guglielmo e alla moglie Maria Stuart, che accettarono di firmare un contratto con il popolo, il Bill of Rights. I sud-

diti eleggevano i propri rappresentanti nel Parlamento, che aveva la facoltà di imporre tasse e il potere legislativo. Il re ne rispettava l’autonomia garantendo le libertà di voto e di parola. Negli anni seguenti il sistema si perfezionò: emerse la figura del Primo ministro, responsabile di fronte al Parlamento e l’alternanza al potere di diversi gruppi parlamentari. Nasceva così il primo Stato parlamentare europeo. Il dibattito sulla sovranità e sull’assolutismo Nell’Inghilterra del Seicento si sviluppò un dibattito filosofico e politico sull’assolutismo regio. Thomas Hobbes teorizzò l’assolutismo come necessario per garantire il funzionamento dello Stato: dal momento che la natura umana è portata all’egoismo, gli uomini decidono di rinunciare ai loro diritti per consegnarli allo Stato, entità assoluta che si identifica col sovrano, non sottoposto alle leggi. L’assolutismo è giustificato tramite l’idea di un contratto sociale, in base al quale la sovranità è consegnata al re, non gli appartiene per diritto divino. John Locke teorizzò invece la sovranità popolare. Passando dallo stato di natura a quello civile, gli uomini creano l’organizzazione politica, finalizzata a difendere i diritti naturali. Il potere è ceduto alla comunità, che punisce le trasgressioni. Entrambe le teorie, pur opposte tra loro, nascono dall’idea che un patto sociale fra sudditi e governanti sia alla base del potere.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1587

1603

1620

1642

1645

1. esecuzione di Carlo I 2. Bill of Rights 3. Oliver Cromwell proclamato Lord protettore d’Inghilterra, Scozia e Irlanda 4. Maria Stuart è giustiziata da Elisabetta I 5. Test Act

1649

6. 7. 8. 9. 10.

1653

1673

1685

1689

partenza dei padri pellegrini a bordo della nave Mayflower inizio del regno di Giacomo I Stuart tentativo di colpo di Stato di Carlo I battaglia di Naseby Giacomo II sale al trono

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12

Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto.

3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

amnistia • assolutismo • Commonwealth • gentry • levellers • lord protettore • parlamentarismo • puritani • quaccheri

a. Con la morte di Elisabetta (1603) ha inizio la dinastia Tudor. b. Con la dinastia Stuart si consolidò definitivamente la monarchia parlamentare.

Calvinisti democratici che sostenevano l’eguaglianza tra gli uomini Calvinisti che propugnavano il ritorno alla purezza del paradiso terrestre Organizzazione del potere che riconosce al re un potere illimitato Carica di governatore della repubblica con caratteri personalistici Regime politico in cui il potere effettivo è esercitato dal Parlamento La nobiltà minore inglese Provvedimento di legge in base al quale si estingue un reato commesso ‘Bene comune’, termine che indicava la repubblica appena proclamata

V

F

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c. La “Petizione dei diritti” sanciva la possibilità di imporre tasse senza approvazione del Parlamento.

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d. All’interno dell’esercito parlamentare emersero le tendenze calviniste più radicali.

V

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e. Il Navigation Act attribuiva alle navi inglesi il monopolio dei traffici tra l’Inghilterra e le colonie. V

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f. Il Test Act stabiliva un’amnistia per i delitti compiuti contro la monarchia nel corso del decennio precedente.

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g. I tories erano i rappresentanti conservatori del Parlamento.

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h. Il Bill of Rights fu concepito come contratto tra il sovrano e il popolo.

V

F

i. Thomas Hobbes asserì nel suo Leviatano la necessità di consegnare al popolo la sovranità.

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F

Protestanti inglesi di tendenza calvinista

4. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. assolutismo • cittadini • civili • difesa • diritti • divisione • egoismo • giudiziario • governanti • individuali • ingovernabilità • legge • natura • poteri • re • religiosi • sovranità • stato • sudditi

HOBBES E LOCKE: TEORIE POLITICHE A CONFRONTO FORMA DI GOVERNO

HOBBES

LOCKE

....................................

regio

.................................

popolare

POTERI DELLO STATO

PERCHÉ NASCE

COME NASCE

•.........................................................: contiene in sé i ............................ di tutti. Il ............. esercita tutti i .............................., ........................... e ........................................ • Non è sottoposto alla ............................................................, che approva e applica

• Stato di ......................................: ................................. degli uomini produce .......................................... • Rinuncia ai ..................................................., che sono consegnati allo

• Contratto sociale tra ............................... e ........................ • ......................................... ceduta al ........................................

• ........................................................: esercita i ........................ a esso delegati. • ................................. tra ................ ............................ legislativo e

• Stato di ......................: .......................... naturali degli uomini (vita, beni, libertà). • Potere ceduto allo

.............................................................

per la ........................................ dei ........................................... naturali

............................................................

.............................................................

• Contratto sociale tra ................................. e ........................ • ........................................ consegnata allo ......................................

Capitolo 1 Monarchia e Parlamento in Inghilterra

Analizzare e produrre 5. Completa la seguente tabella. LA RIVOLUZIONE INGLESE: I PROTAGONISTI

QUANDO

PROGETTO POLITICO

EVENTI SALIENTI

CONSEGUENZE

GIACOMO I STUART

CARLO I STUART

OLIVER CROMWELL

CARLO II STUART

GIACOMO II STUART

GUGLIELMO D’ORANGE

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6. Leggi il documento “La libertà della persona, dalla Magna Charta alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo riportato alle pp. 8-9 e rispondi alle seguenti domande. 1. In che cosa consiste il principio dell’Habeas corpus? Quando fu introdotto per la prima volta? 2. Che cosa prevedeva l’Habeas Corpus Act? A quali esigenze rispondeva? 3. Che cosa caratterizza lo Stato liberale moderno? Come è tutelata in esso la libertà dell’uomo? 4. Che cosa sono le “libertà di fare”? A quali esigenze rispondono? 5. Che cosa sono le “libertà da”? A quali esigenze rispondono? Quando sono introdotte?

Rispondi alle seguenti domande. 1. Quali furono le cause politiche, economiche e religiose dello scontro che si ebbe in Inghilterra nel XVII secolo tra Parlamento e corona? 2. Quali sono i princìpi e le libertà che avevano accompagnato in Inghilterra lo sviluppo dei ceti borghesi e imprenditoriali? 3. Da chi furono messe in discussione? In che modo? Con quale esito? 4. Che cosa indica l’espressione “Gloriosa rivoluzione”? 5. Che cosa fu sancito nel Bill of Rights? Con quali conseguenze? 6. Che cosa caratterizza lo Stato parlamentare inglese? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve testo di almeno 12 righe dal titolo “Lo Stato liberale: perché, dove, quando si afferma”.

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Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo

2 La monarchia

Capitolo

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assoluta in Francia

Percorso breve L’evoluzione della monarchia francese seguì nel XVII secolo un percorso diametralmente opposto a quello inglese. Con la dinastia Borbone, iniziata da Enrico IV nel 1595, in Francia si affermò la monarchia assoluta, che trovò la sua realizzazione con Luigi XIII (1610-43) e Luigi XIV (1643-1715) e diventò un modello per altri Stati europei. L’opera di centralizzazione del potere monarchico, a scapito dei tradizionali poteri nobiliari, si svolse con la collaborazione del cardinale Richelieu, Primo ministro di Luigi XIII, e del cardinale Mazzarino, Primo ministro di Luigi XIV. Con Luigi XIV, detto “Re Sole”, la monarchia assoluta raggiunse il suo apice. Le cariche pubbliche furono affidate non più solo a nobili, ma a funzionari di origine borghese; i privilegi sociali ed economici dell’aristocrazia furono confermati, ma gran parte dei nobili fu chiamata a vivere presso la corte del sovrano nella nuova reggia di Versailles, dove il sovrano poteva controllarli direttamente. L’assolutismo del re si manifestò anche in campo religioso, dove nessuna dissidenza fu più consentita: il rigorismo cattolico dei “giansenisti”, seguaci del vescovo Giansenio, fu duramente combattuto; i calvinisti (detti in Francia “ugonotti”) furono obbligati a convertirsi al cattolicesimo oppure a emigrare, e l’editto di Fontainebleau (1685) revocò la libertà religiosa che Enrico IV aveva concesso con l’editto di Nantes (1598). Centinaia di migliaia di persone lasciarono la Francia e andarono ad arricchire il patrimonio culturale, economico e umano di altri paesi. Mentre Luigi XIV consolidava il carattere sacrale della monarchia, il ministro delle Finanze Jean-Baptiste Colbert avviò una politica di sviluppo delle attività mercantili e manifatturiere, aprendo laboratori statali di tessuti e di artigianato e proteggendo con apposite tariffe doganali il commercio e l’esportazione dei prodotti francesi. A tale politica economica, detta “protezionismo” o “colbertismo”, si aggiunse la costituzione di due compagnie coloniali per il commercio oltremare, in concorrenza con l’Inghilterra e con l’Olanda. Le ambizioni egemoniche di Luigi XIV si tradussero anche nel rafforzamento

dell’esercito e in una politica espansionistica che generò numerose guerre in Europa, con l’obiettivo di sostituire l’egemonia francese a quella spagnola ormai in declino. Nonostante il prestigio conquistato dal sovrano con queste lunghe imprese militari, i risultati sul piano pratico furono piuttosto limitati, giacché un complesso gioco di coalizioni si metteva regolarmente in moto per mantenere un sostanziale equilibrio fra le potenze. Pierre Mignard, La vittoria corona d’alloro Luigi XIV, seconda metà XVII sec. [Galleria Sabauda, Torino]

Capitolo 2 La monarchia assoluta in Francia

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2.1 La Francia dei re e dei cardinali: da Richelieu a Luigi XIV La dinastia Borbone Il potere del re in Francia era sempre stato limitato dalla nobiltà, che conservava poteri, privilegi e autonomie. Contro queste resistenze operarono i sovrani della dinastia Borbone, il nuovo casato (subentrato ai Valois) che aveva avuto inizio con Enrico IV (1595-1610), salito al trono dopo sanguinose lotte a sfondo religioso fra cattolici e ugonotti [ vol. 1, 31.1]. L’affermazione del potere monarchico si realizzò con i due successori di Enrico IV, rispettivamente il figlio Luigi XIII e il nipote Luigi XIV. Luigi XIII e Richelieu Luigi XIII (1610-43) salì al trono minorenne, dopo l’uccisione del padre da parte di un fanatico cattolico. La reggenza fu tenuta fino al 1617 dalla madre Maria de’ Medici (che attuò una politica di sostegno alla Spagna cattolica), poi il potere fu assunto direttamente dal giovane sovrano, coadiuvato dal Primo ministro cardinale Richelieu (1585-1642), che sostenne il suo progetto di rafforzamento delle prerogative monarchiche e di ridimensionamento dei privilegi nobiliari: alcuni nobili ostili al re furono giustiziati, e la stessa Maria de’ Medici, che li appoggiava, fu mandata in esilio. Politica estera e interna L’azione di consolidamento del potere monarchico pensata e portata avanti da Richelieu passò anche attraverso la partecipazione alla guerra dei Trent’anni [ vol. 1, 33.2], che consentì alla Francia di imporsi pienamente come potenza internazionale nello scacchiere politico europeo. Sul fronte della politica interna, invece, gli interventi di Richelieu si concentrarono nella lotta contro gli ugonotti (i protestanti francesi di tendenza calvinista), dotati di una loro autonoma organizzazione politico-militare. Le loro piazzeforti furono attaccate (l’ultima a cadere fu La Rochelle nel 1628) e il loro potere fu annientato, anche se il cosiddetto “editto di grazia” ribadì la libertà di culto sancita nel 1598 dall’editto di Nantes di Enrico IV [ vol. 1, 31.1]. Nel 1642 il cardinale Richelieu morì e nel 1643 scomparve Luigi XIII. Gli succedette il figlio, Luigi XIV, che allora aveva appena cinque anni. Mazzarino e Luigi XIV Durante la minore età di Luigi XIV (1643-1715) il governo di Francia fu tenuto dal cardinale Mazzarino (1641-61), già consigliere personale di Richelieu e suo successore a capo del Consiglio del re. La sua politica di accentramento, che proseguiva la linea avviata da Richelieu, provocò forti proteste tra la nobiltà e portò a un periodo di scontri che scossero la Francia e Parigi tra il 1648 e il 1652: a queste rivolte fu dato il nome di Fronda (da “fionda”, lo strumento usato per scagliare le pietre). Nel 1650 le forze aristocratiche, guidate dal principe di Condé (il vincitore della battaglia di Rocroi contro le truppe spagnole durante la guerra dei Trent’anni), riuscirono anche a provocare una ribellione popolare a Parigi, sedata due anni dopo dalle truppe regie. Alla morte di Mazzarino (1661) il sovrano assunse personalmente il potere, regnando sulla Francia per oltre mezzo secolo e dominando l’intera scena europea.

Memo

Guerra dei Trent’anni (1618-48) Il conflitto scaturì nel 1618 in Boemia, dove i calvinisti si erano opposti alla penetrazione degli Asburgo cattolici, e poco a poco si estese a tutto il mondo germanico, fino ad assumere dimensioni europee. Vi parteciparono, infatti, oltre ai sovrani tedeschi schierati in due gruppi contrapposti – i protestanti e i cattolici –, anche la Danimarca, la Svezia, la Francia, gli Asburgo d’Austria e di Spagna. Il conflitto terminò nel 1648 con la pace di Westfalia che sancì la vittoria della Francia e dei suoi alleati danesi e svedesi, e la sconfitta dell’imperatore e della Spagna.

Philippe de Champaigne, Il cardinale Giulio Mazzarino, seconda metà XVII sec. [Private Collection Philip Mould]

Giulio Mazzarino, nonostante le umili origini, grazie alle sue eccellenti doti riuscì a farsi eleggere cardinale senza essere stato ordinato sacerdote. Divenuto consigliere e reggente di Luigi XIV, a causa della sua politica accentratrice attirò su di sé la gelosia e il rancore dell’aristocrazia francese, che sfociò in aspre rivolte.

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Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo

2.2 L’assolutismo di Luigi XIV Il “Re Sole” Nel corso del suo lunghissimo regno, Luigi XIV riuscì ad attuare pienamente la monarchia assoluta, tanto da essere definito Re Sole, vale a dire il centro del sistema politico, così come il Sole (insegnava la nuova scienza dell’epoca) è il centro del sistema solare. Egli limitò la presenza dei nobili nelle cariche pubbliche, affidandole spesso a funzionari di origine borghese. Dosando abilmente la concessione di uffici, posti e privilegi, che distribuiva personalmente a personaggi di provata fedeltà alla Corona, il sovrano da un lato controllava la nobiltà, dall’altro nobilitava i borghesi, dirigendo e controllando l’intera amministrazione dello Stato. La nobiltà di toga e la nobiltà di spada L’amministrazione locale fu affidata a “intendenti” di origine borghese e di recente nobilitazione (la cosiddetta nobiltà di toga), mentre i governatori provinciali continuarono a essere scelti tra le fila della nobiltà tradizionale (la cosiddetta nobiltà di spada). Alla nobiltà, che non aveva più il monopolio degli incarichi pubblici, il re volle tuttavia lasciare il prestigio e la superiorità di classe, per averla alleata al suo servizio. Perciò vennero riconfermati i tradizionali privilegi economici dell’aristocrazia, come l’esenzione dalle imposte e il diritto di esigere tributi nei territori degli antichi feudi. Inoltre il re chiamò una gran parte dei nobili a vivere presso di sé, nella reggia di Versailles, e in questo modo riuscì a controllarli più da vicino e vigilare quotidianamente sul loro operato. L’accentramento culturale e l’assolutismo religioso La Francia diventò in quei decenni il centro della vita culturale europea. Luigi XIV si circondò di letterati, poeti, pittori, musicisti; promosse la fondazione della “Regia accademia delle scienze” e chiamò presso di sé artisti e studiosi di ogni parte d’Europa. La lingua francese diventò una sorta di lingua comune della diplomazia e della cultura europea. L’assolutismo di Luigi XIV si manifestò anche sul piano religioso. Concentrando nella propria persona anche il controllo della Chiesa, egli recuperò una tradizione che in Francia risaliva al Medioevo [ vol. 1, 13.4] ed entrò in contrasto con la curia pontificia, soprattutto per questioni fiscali ed economiche (la gestione dei beni e delle rendite ecclesiastiche). Henri Testlin, Commemorazione della fondazione dell’Accademia delle Scienze nel 1666 e dell’Osservatorio nel 1667, seconda metà XVII sec. [Musée National du Château, Versailles]

Al centro del dipinto siede Luigi XIV e alla sua destra, in piedi e vestito di nero, vi è Jean-Baptiste Colbert ministro delle Finanze. I due sono circondati da scienziati, intellettuali e artisti fulcro della “Regia accademia delle scienze”. Da notare il mantello nero di Colbert sulla cui spalla sinistra è rappresentata la croce bianca a otto punte propria dei cavalieri dell’ordine di Malta.

Capitolo 2 La monarchia assoluta in Francia Contro gli ugonotti e i giansenisti Luigi XIV non tollerò autonomie, diversità, dissidenze. Gli ugonotti, che avevano ottenuto la libertà di culto nel 1598 con l’editto di Nantes, dapprima furono esclusi dagli uffici pubblici, poi obbligati a convertirsi al cattolicesimo, oppure a emigrare. L’editto di Fontainebleau, nel 1685, vietò tutti i culti protestanti, sia pubblici, sia privati; i princìpi di libertà religiosa sanciti a Nantes furono soppressi. Gli edifici di culto ugonotti furono demoliti. Su un milione circa di protestanti francesi, 200.000 lasciarono il paese e si rifugiarono in Olanda, Svizzera, Inghilterra, Germania, Svezia. Fu combattuta anche una corrente religiosa nata in seno alla Chiesa cattolica, detta giansenismo perché sostenuta dal vescovo Jansen o Giansenio (1585-1638), che predicava il ritorno alla spiritualità austera del cristianesimo primitivo e rifiutava le gerarchie ecclesiastiche (più tardi, nel 1713, il movimento sarà condannato come eretico anche dal papa). Questa azione in campo religioso consolidò il carattere sacrale della monarchia, che irrobustì ulteriormente il ruolo assoluto del sovrano.

I luoghi della storia

La reggia di Versailles

Secondo alcune testimonianze ci volle il lavoro di oltre 30.000 uomini per costruire vicino a Parigi la reggia di Versailles, simbolo del potere assoluto di Luigi XIV, vero «luogo del culto monarchico» (secondo l’efficace espressione dello storico Georges Duby), atto a comunicare in maniera diretta, materialmente percepibile, la grandezza illimitata del Re Sole. Il terreno su cui la reggia fu costruita era in origine incolto e paludoso, senza dubbio una buona area di caccia, e come tale fu scelta da Luigi XIII, ma dai più considerato un pessimo luogo dove stabilire una residenza regale. Luigi XIV non indietreggiò davanti alle critiche e iniziò i lavori. Furono prosciugati 15.000 ettari di palude, il ter-

reno venne livellato e reso piano, fu realizzato un acquedotto con 1600 arcate per garantire il flusso continuo di acqua dalla Senna a Versailles. Tutta l’area fu trasformata in un parco rigoglioso. Nulla poteva rappresentare in maniera più evidente la capacità del sovrano di dominare anche la natura, di trasformare il mondo secondo i suoi voleri. Al centro del grande parco sorse la reggia, la più ampia e lussuosa che mai si fosse vista in Europa. Marmi, pietre, dorature, statue e raffinate soluzioni architettoniche impreziosivano l’impianto generale della reggia, costruita su modello dei sontuosi palazzi italiani. Molière, il più grande commediografo francese del Seicento vissuto tra il 1622 e il 1673, così descrisse gli splendori della nuova reggia:

modello da molti sovrani europei del SeiSettecento, che costruirono le loro residenze imitando quella del re di Francia. Grandi o piccole Versailles (secondo le possibilità e le risorse di ciascun sovrano) sorsero un po’ ovunque in Europa,

Niente può essere più bello nel mondo, più magnifico, più sorprendente. Il vestibolo, la sala, le camere, le gallerie, lo studio sono di una lunghezza infinita: figuratevi il chiarore di centomila candele in questa grande serie di appartamenti. I mobili d’oro e d’argento hanno anche loro una luminosità particolare, come le dorature e i marmi. Tutte le decorazioni sono ricche e sontuose: si vedono arazzi, statue, quadri, argenteria, vasi, fiori, bracieri, lampadari, candelieri, tende, tappeti, tutti diversi e rari.

Jean-Baptiste Martin, Luigi XIV circondato dai suoi cortigiani a Versailles, 1688 [Musée National du Château, Versailles]

Qui, insigniti di titoli onorifici, dotati di rendite vitalizie e partecipi di una vita brillante e fastosa, i nobili furono vincolati al servizio del re, a dar lustro alla corona e al suo potere, occupandosi quasi esclusivamente di compiacere il sovrano e godere della vita di corte. Per il suo fasto e la sua magnificenza, l’edificio fu preso a

Una veduta aerea della reggia di Versailles Il piccolo castello di Versailles fu acquistato da Luigi XIII nel 1624 e trasformato in una residenza di caccia. Tra il 1661 e il 1682 Luigi XIV ampliò e trasformò radicalmente il palazzo rendendolo la più grande e sontuosa residenza del XVII secolo.

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Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo Luigi XIV visita le Manifatture reali dei Gobelins, 1667 ca. [Musée National du Château, Versailles]

L’arazzo rappresenta la visita di Luigi XIV e del suo seguito (a sinistra) alle neonate manifatture regie che furono chiamate “Manifacture Royale des Meubles de la Couronne”. Inizialmente alla produzione degli arazzi furono affiancate la produzione dei mobili, dell’oro e dei tessuti in genere, ma pochi anni più tardi l’azienda fu ristrutturata radicalmente mantenendo esclusivamente la produzione degli arazzi.

2.3 Il protezionismo economico di Colbert Lo sviluppo manifatturiero Fra i collaboratori di Luigi XIV, l’uomo di maggior prestigio fu Jean-Baptiste Colbert (1619-1683), figlio di un fabbricante di tessuti. Nominato ministro delle finanze, egli avviò la trasformazione dell’economia francese, fino ad allora prevalentemente agricola, verso le attività mercantili e manifatturiere, assumendo come modello la ricca e industriosa Olanda, che in quell’epoca aveva raggiunto posizioni di primato economico e finanziario [ vol. 1, 33.4]. Furono create manifatture di Stato, fra cui quella dei Gobelins a Parigi, specializzata in arazzi, e quella di SaintGobain, che produceva vetri artistici e di lusso. Furono costruiti canali per rendere più facili e meno costosi i trasporti: il Canal du Midi (‘Canale del Mezzogiorno’), tuttora in uso, mise in comunicazione la Garonna e il Rodano congiungendo il Mediterraneo con l’Atlantico. Inoltre furono sostenute con sovvenzioni statali le manifatture impiantate nel paese, e per proteggere le industrie nascenti furono imposte alte tariffe doganali sulle merci d’importazione. La Parola

bilancia commerciale Per “bilancia commerciale” si intende il conto complessivo delle importazioni e delle esportazioni di merci in un paese. Il saldo di tale conto si definisce positivo quando il valore delle importazioni supera quello delle esportazioni (e perciò fa crescere il capitale monetario dello Stato); negativo nel caso contrario.

Una nuova politica economica Tale genere di politica economica fu chiamata mercantilismo (perché si dava un’importanza prioritaria alle attività commerciali) o anche colbertismo, dal nome stesso di Colbert. Essa muoveva dall’idea che la potenza di un paese dipendesse dalla sua ricchezza monetaria e che questa, a sua volta, dipendesse da una bilancia commerciale attiva: a tal fine il governo avrebbe dovuto scoraggiare le importazioni e incentivare le esportazioni, mediante un’accorta politica doganale. «È necessario aver sempre presente – affermava Colbert – che bisogna comprare in Francia e non all’estero, anche se le mercanzie fossero un po’ meno buone e un po’ più care. Infatti, se il denaro non esce dal regno, il vantaggio è duplice: lo Stato non si impoverisce e i sudditi di Sua Maestà arricchiscono per l’impulso dato alle loro attività». Appositi privilegi incoraggiarono lo stanziamento in Francia di imprenditori stranieri, ai quali furono offerte facilitazioni fiscali e protezioni commerciali. Per promuovere il ruolo della Francia negli scambi internazionali, Colbert promosse nel 1664 la creazione di due compagnie coloniali, “delle Indie orientali” e “delle Indie occidentali”, controllate entrambe dalla Corona, che cominciarono a operare in concorrenza con le analoghe compagnie inglese e olandese.

Capitolo 2 La monarchia assoluta in Francia REGNO

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D’INGHILTERRA

2.4 Le guerre di Luigi XIV Un espansionismo aggressivo Luigi XIV perseguì per circa tre quarti di secolo un grande disegno politico: sostituire l’egemonia francese a quella asburgica – profondamente decaduta dopo la guerra dei Trent’anni – assumendo il ruolo di difensore della fede cattolica, che per lungo tempo era stato proprio dell’imperatore, e facendo della Francia il nuovo perno della politica europea. Presupposto di questo progetto fu la creazione di una grande forza militare fondata sulla riorganizzazione completa dell’esercito, sul rafforzamento della marina militare e sulla creazione di sistemi fortificati lungo in confini. Con queste forze il re prese parte a numerose guerre, con l’obiettivo di espandersi nelle regioni confinanti, soprattutto in direzione est (per allargare il regno fino al fiume Reno) e nord (verso i Paesi Bassi spagnoli e le Province Unite).

Lil Calais FIANDR REGNO PAESI BASSI Cambrai Canale della Manica D’INGHILTERRA Colonia Rocroi Rouen Lilla Aquisgrana Reims ILE DE Calais FIANDRE Liegi Caen FRANCE Parig Cambrai Worms Canale della Manica ORLEANESE Versail Lussemburgo Rouen Rocroi Rennes Vendôme Orléans Spira Sedan CHA ILE DE Reims Nantes Metz Tours Strasburgo Blois Caen FRANCE Parigi LORENA Rosheim ORLEANESE Versailles BERRY REGNO Vitry ALSAZIA Rennes B Orléans DI Vendôme La Rochelle SUNDGAU FRANCIA CHAMPAGNE Poitiers Nantes Tours Blois OCEANO Digione FRANCA Angoulême ANGOUMOIS BERRY REGNO ATLANTICO BesançonTurenne BORGOGNA Bordeaux CONTEA DI La Rochelle ALVERNIA Poitiers FRANCIA Ginevra GUIENNA Rodez Ora Angoulême OCEANO Lione Auch SAVOIA Tolosa ANGOUMOIS ATLANTICO Mon Turenne Bordeaux ALVERNIA DELFINATO LINGUADOCA GUIENNA Rodez Narbona Orange Auch Avignone (terre eccl.) Tolosa Montpellier REGNO DI SPAGNA LINGUADOCA Arles PROVENZA Narbona MAR MEDITERRANEO REGNO DI SPAGNA

Contro i Paesi Bassi spagnoli Quando nel 1665 morì il re di Spagna Filippo IV d’Asburgo (1621-65), Luigi XIV approfittò dei contrasti interni alla monarchia spagnola per rivendicare lui stesso la successione al trono spagnolo – in quanto nipote del defunto sovrano, di cui aveva sposato la figlia – e poter così estendere i propri domìni. L’aggressiva politica di espansione territoriale francese ai danni Conquiste della monarchia del 1668 iberica iniziò con l’occupazione dei Paesi Bassi spagnoli (le Fiandre) Conquiste e la conquista del 1678di Territori occupati del alcune città; a quel punto, però, il governo olandese, preoccupato dall’invadenza tra il 1679 e il 1697 potente vicino, si alleò con l’Inghilterra e la Svezia convincendo Luigi XIV a rinunziare Tentativi di espansione alle sue pretese e ad accontentarsi di piccole concessioni territoriali. L’accordo nel 1688 tra Francia e Spagna fu stipulato ad Aquisgrana nel 1668.

Conquiste del 1668 Conquiste del 1678 Territori occupati tra il 1679 e il 1697 Tentativi di espansione nel 1688

Le conquiste territoriali del Re Sole

Contro l’Olanda e la Spagna Quattro anni più tardi Luigi XIV attaccò le Province Unite, a difesa delle quali si schierarono la Spagna e l’Impero. La guerra si trascinò a lungo e gli Adam Frans Van der Meulen, Il matrimonio di Luigi XIV con Maria Teresa d’Austria il 9 giugno 1660 [Musée de Tessé, Le Mans]

Il ritratto rappresenta il matrimonio tra Luigi XIV, re di Francia, e Maria Teresa d’Asburgo (anche detta d’Austria), figlia di Filippo IV d’Asburgo. Questo matrimonio, come da consuetudine, doveva servire a Luigi per un fine politico: suggellare un patto di collaborazione con la Spagna e, soprattutto, ampliare il suo potere in Europa. Di fatto portò l’annessione alla Corona francese solo di piccoli territori.

20

Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo olandesi non esitarono a rompere le dighe per allagare il territorio e impedire ai francesi di avanzare; a guidarli c’era il futuro re d’Inghilterra, Guglielmo III d’Orange. Nel 1678 con la pace di Nimega l’indipendenza delle Province Unite fu riconfermata, mentre al re di Francia erano concesse varie città nei Paesi Bassi spagnoli e nella Franca Contea. Altre annessioni il Re Sole riuscì a fare in Alsazia e in Lorena; nel 1684 bombardò Genova, sottraendola al controllo spagnolo.

La Lega di Augusta Nonostante i numerosi successi militari, Luigi XIV ottenne risultati assai modesti, più di prestigio che di sostanza: qualche lembo di territorio che non compensava certo l’enorme dispendio di uomini e di risorse che le guerre comportavano. Nel 1686, inoltre, la Spagna, l’Impero e la Svezia si unirono in una alleanza antifrancese, la Lega di Augusta, alla quale tra il 1688 e il 1690 parteciparono anche il Brandeburgo, l’Olanda e l’Inghilterra. Luigi XIV si trovò costretto poco alla volta a rinunciare alla maggior parte delle conquiste faticosamente effettuate. Espandersi in Europa era ormai difficile, per le coalizioni che sempre si formavano fra gli Stati quando sembrava che una potenza diventasse troppo forte, così da mettere in pericolo l’equilibrio generale. Da quel periodo in poi, il mantenimento dell’equilibrio fra le potenze diventò il principale criterio della politica europea.

I modi della storia

Un esercito per il re

Sotto il regno di Luigi XIV l’esercito francese, concepito come uno strumento a servizio esclusivo della monarchia, fu trasformato sulla base di diverse innovazioni tecniche e organizzative e diventò uno dei migliori d’Europa. Sotto la direzione dell’abile ministro della guerra, il marchese di Louvois (1641-1691), fu rinnovato il sistema di reclutamento, sottraendolo al tradizionale controllo dei nobili, inquadrando in modo stabile le truppe, dotandole di uniformi comuni (che segnalavano anche esteriormente il loro ruolo “unitario” di combattenti a servizio del re) e sistemandole, per la prima volta, in apposite caserme. Il numero dei soldati passò da 70.000 a 270.000. In sostituzione delle picche e degli archibugi si introdusse il fucile, più maneggevole e più rapido nel tiro; si adottò inoltre la baionetta (il cui nome deriva dalla città di Bayonne, dove si fabbricavano queste armi) che permise ai fucilieri di battersi anche all’arma bianca (cioè l’arma da taglio, ferendo l’avversario anche con la punta affilata posta sulla canna del fucile). Fu dato ampio sviluppo all’artiglieria e si creò un nuovo corpo, il “genio”, formato di soldati specializzati nella costruzione di ponti, strade, fortificazioni. Importante collaboratore del re fu, in queste imprese, l’ingegnere Sebastien Vauban (1633-1707), specializzato nella costruzione di fortificazioni a bastioni, che da un lato consentivano di resistere agli assedi, dall’altro costituivano un punto di partenza per operazioni offensive.

Su proposta di Colbert fu potenziata anche la marina militare, nel Mediterraneo con flotte leggere e veloci di “galere” (navi dotate di remi lunghi e sottili, manovrati spesso da criminali e prigionieri che

lì venivano legati), nell’Atlantico con più grandi vascelli a vela, forniti di tre ordini di cannoni. Nel 1683 il loro numero era salito a 283, rispetto ai 18 del 1661.

Poppa della Soleil Royal, fine XVII sec. Il disegno mostra la poppa della Soleil Royal, l’orgoglio della flotta di Luigi XIV. Oltre a essere di potenza uguale o superiore alle più grandi navi da guerra del mondo, era anche magnificamente decorata in ogni suo dettaglio. Il 31 maggio 1692 ebbe tragica fine nella battaglia di Barfleur vinta dagli inglesi.

Capitolo 2 La monarchia assoluta in Francia

Sintesi

La monarchia assoluta in Francia

La Francia dei re e dei cardinali: da Richelieu a Luigi XIV Dopo i conflitti religiosi tra cattolici e ugonotti, si affermò in Francia la nuova dinastia Borbone, i cui sovrani mirarono a limitare poteri e privilegi della nobiltà. Luigi XIII salì al trono nel 1617, dopo un periodo di reggenza esercitato dalla madre Maria de’ Medici, coadiuvato dal Primo ministro, il cardinale Richelieu, che portò avanti una politica di rafforzamento del re a scapito dei nobili e di lotta religiosa contro gli ugonotti. Il successore, Luigi XIV (1643-1715), regnò per mezzo secolo a partire dal 1661; fino a quel momento il governo fu tenuto dal cardinale Mazzarino, che proseguì la politica di accentramento del potere nelle mani del re, causando la ribellione dei nobili. L’assolutismo di Luigi XIV Con il regno di Luigi XIV, il “Re Sole”, si affermò pienamente la monarchia assoluta. Le cariche pubbliche furono ripartite tra personale fedele alla Corona: l’amministrazione locale fu affidata agli intendenti, borghesi di recente nobilitazione (nobiltà di toga);

i governatori delle province appartenevano invece alla nobiltà di antica tradizione (nobiltà di spada). La politica assolutistica si manifestò anche sul piano religioso: gli ugonotti furono obbligati a convertirsi al cattolicesimo; furono vietati i culti protestanti (editto di Fontainebleau); i giansenisti, che contestavano le gerarchie ecclesiastiche, furono contrastati. Il protezionismo economico di Colbert Jean-Baptiste Colbert, ministro delle Finanze di Luigi XIV, trasformò l’economia del regno, sostenendo lo sviluppo delle attività mercantili e manifatturiere. La sua politica economica si ispirò ai princìpi del mercantilismo, secondo cui la forza di un paese era direttamente legata alla ricchezza monetaria e alla bilancia commerciale in attivo. Il governo doveva incentivare le esportazioni e scoraggiare le importazioni, tramite tariffe doganali sulle merci importate. Furono create e sostenute imprese manifatturiere, opere pubbliche, compagnie coloniali controllate dalla Corona.

Le guerre di Luigi XIV Luigi XIV intendeva portare la Francia al centro della politica europea, facendone il paese difensore della religione cattolica. Per questo impegnò grandi risorse nel rafforzamento dell’esercito, della marina e dei confini, con lo scopo di espandersi territorialmente. Nel 1665 Luigi XIV rivendicò la successione al trono di Spagna, ma le pretese francesi furono bloccate dall’alleanza tra Olanda e Inghilterra. Nel 1672 attaccò le Province Unite, in difesa di cui intervennero Spagna e Impero; dopo una lunga guerra, la loro indipendenza fu riconfermata. Nel 1686 Spagna, Impero e Svezia si allearono contro la Francia (Lega di Augusta). Dopo numerose guerre, nonostante le enormi cifre spese, le acquisizioni territoriali della Francia erano limitate e le potenze europee si trovavano tra loro in una posizione di equilibrio; mantenere questo equilibrio divenne da allora il criterio essenziale della politica estera degli Stati europei.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto accentramento • bilancia commerciale • dogana • editto • giansenismo • intendenti • mercantilismo • nobiltà di spada • nobiltà di toga • reggenza • ugonotti Nobiltà di antica tradizione Protestanti francesi di tendenza calvinista Ordinanza dal valore di legge emanata da un’autorità Ufficio che controlla le merci in entrata e in uscita da uno Stato Amministratori del governo locale Assunzione delle funzioni proprie del capo di uno Stato Nobiltà recente Dottrina economica che scoraggia importazioni e incentiva esportazioni Conto complessivo delle merci importate ed esportate in un paese Corrente religiosa cattolica caratterizzata da una rigida spiritualità Tendenza a unire i poteri periferici verso il potere centrale

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22

Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo

2. Indica sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1598

1. 2. 3. 4. 5. 6.

1617

1628

1643

1650

1661

1665

1668

7. 8. 9. 10. 11. 12.

caduta della piazzaforte ugonotta di La Rochelle editto di Nantes inizio di una ribellione popolare a Parigi sobillata dall’aristocrazia morte di Mazzarino condanna del movimento giansenista come eresia creazione delle compagnie coloniali francesi

3. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento. a. Luigi XIII fu coadiuvato nelle funzioni di governo: dal cardinale Mazzarino. da Jean-Baptiste Colbert.

da Maria de’ Medici. dal cardinale Richelieu.

b. L’editto di Fontainebleau: ribadiva la libertà di culto. concedeva la grazia per i crimini commessi contro la persona del re. vietava il culto ai protestanti. vietava il culto ai protestanti e ai giansenisti.

1686

1713

pace di Nimega fine della reggenza di Maria de’ Medici morte di Luigi XIII editto di Fontainebleau accordo di Aquisgrana tra Francia e Spagna Lega di Augusta

e. L’“editto di grazia”: ribadiva la libertà di culto. concedeva la grazia per i crimini commessi contro la persona del re. vietava il culto ai protestanti. vietava il culto ai protestanti e ai giansenisti. dottrinarie. politiche.

etiche. economiche.

g. La definizione di “Re Sole” fu attribuita alla figura di: Luigi XIV. Luigi XIII.

protestantesimo. cattolicesimo.

Enrico IV. Luigi XV.

h. La pace di Nimega ribadiva:

d. Secondo la dottrina economica del mercantilismo la ricchezza di un paese dipendeva: dai possedimenti coloniali. dalla ricchezza monetaria.

1685

f. Luigi XIV entrò in contrasto con la Chiesa romana per ragioni:

c. Il giansenismo era una corrente interna al: calvinismo. luteranesimo.

1678

dai beni immobili. dalle attività commerciali.

l’indipendenza delle Province Unite. l’alleanza tra la Spagna e l’Impero. il dominio francese su Alsazia e Lorena. il dominio francese sulle Province Unite.

4. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. Alsazia • Augusta • Aquisgrana • avanzata • bombardamento • Contea • conquista • dighe • equilibrio • francesi • Genova • Impero • indipendenza • Inghilterra • Lorena • Nimega • occupazione • Olanda • Paesi Bassi • rinuncia • Spagna • spagnoli • successione • Svezia

LA POLITICA ESPANSIONISTICA E LE GUERRE DI LUIGI XIV QUANDO

1665-68

1672-78

1678-86

DOVE

Domìni .......................................................

.......................................................................

Italia, ...................................., ..................................

SCOPO

• ............................ al trono spagnolo • ............................ di territori

• ............................................ di territori

• .......................................................... di territori

• ................... (Guglielmo III Orange) • ...................................................................

......................................., ...........................................

CONTRO CHI

• .................................................................... • In seguito: ..........................................., ................................., ................................... • ............................ dei .............................. • Conquista di città

• Lunga durata del conflitto • Rottura delle ............................ per impedire l’............................ francese

• ........................... di .................................. (1684)

• Pace di ................................... (1668): alle pretese .................................................. e piccole acquisizioni territoriali

• Pace di .................................. (1678): ....................................... delle Province Unite e città concesse ai francesi (Franca ........................., ........................)

• Annessione alla Francia di ........................

EPISODI SALIENTI

ESITO FINALE

............................................

...................................., ..............................................

• Controllo su ...................................................... • Lega di ..................... (1686) antifrancese • Politica dell’......................................................

Capitolo 2 La monarchia assoluta in Francia

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Quale era il progetto politico di Luigi XIV? Chi lo coadiuvò nelle attività di governo? Come fu organizzata l’amministrazione dello Stato? Che cosa caratterizzava la sua politica economica? Che cosa caratterizzava la sua politica culturale? Che cosa caratterizzava la sua politica religiosa? Che cosa caratterizzava la sua politica estera?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

L’ASSOLUTISMO DEL “RE SOLE” GOVERNO ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... .....................................................................................

POLITICA ESTERA

POLITICA RELIGIOSA

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

..................................................................................... .....................................................................................

LUIGI XIV Progetto di una monarchia

..................................................................................... .....................................................................................

................................................................

Primo ministro: ............................. ................................................................

POLITICA ECONOMICA

POLITICA CULTURALE

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

Sulla base delle informazioni ottenute e confrontando il modello francese con quello inglese, scrivi un testo di almeno 15 righe dal titolo: “Assolutismo e parlamentarismo: due modelli politici nell’Europa del Seicento”.

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Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo

3 Due nuove

Capitolo

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protagoniste della storia europea: Prussia e Russia

Percorso breve Al modello di monarchia assoluta realizzato in Francia da Luigi XIV si ispirarono due Stati che nel XVIII secolo si affacciarono da nuovi protagonisti nella storia europea. Il primo fu la Prussia, costituitasi come Stato nel 1648 al termine della guerra dei Trent’anni, sotto la guida della dinastia Hohenzollern. Con Federico I (1688-1713) questo agglomerato di territori discontinui si ingrandì e diventò un vero regno. Il suo successore Federico Guglielmo I (1713-40) lo trasformò in monarchia assoluta, concentrando le proprie energie soprattutto nella costruzione di un’efficiente burocrazia e di un esercito particolarmente numeroso e ben organizzato, che conferì alla Prussia un carattere fortemente militarista e valse al sovrano l’appellativo di “re sergente”. Il sovrano curò molto l’istruzione popolare e la crescita culturale del paese, anche aprendo le porte a numerosi ugonotti cacciati dalla Francia cattolica. Altra novità nel panorama politico europeo del Settecento fu la scelta “occidentale” operata dallo zar di Russia Pietro il Grande (1689-1725), della dinastia Romanov, un sovrano di grande energia che, affascinato dai modelli economici e dallo sviluppo tecnologico dell’Europa, operò per spostare a Ovest il baricentro del suo paese, tradizionalmente orientato verso l’Asia. Dopo un viaggio in Olanda, in Inghilterra e in altri paesi, tornò col programma di modernizzare la Russia, di aprire scuole di tipo occidentale, di riformare l’economia aprendo officine di Stato e avviando ricerche per lo sfruttamento di giacimenti minerari; contemporaneamente aprì il paese agli stranieri, soprattutto tecnici, scienziati, uomini di cultura. Pietro il Grande perseguì tali scopi anche attraverso una politica espansionistica verso Occidente, che lo portò a scontrarsi con la Svezia, che all’epoca dominava l’inte-

Jean-Marc Nattier, Pietro il Grande, 1717 [Ermitage, San Pietroburgo]

ra area del Baltico. Sconfitto Carlo XII re di Svezia, che era penetrato in Russia col suo esercito, Pietro il Grande occupò ampi territori sul golfo di Finlandia, dove, alla foce del fiume Neva, fece costruire una nuova città, San Pietroburgo, destinata a diventare la nuova capitale del regno, “ponte” verso l’Europa e segno della magnificenza del sovrano.

Capitolo 3 Due nuove protagoniste della storia europea: Prussia e Russia

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3.1 Un nuovo Stato: la Prussia La formazione del Regno di Prussia Dalla pace di Westfalia, che nel 1648 concluse la guerra dei Trent’anni [ vol. 1, 33.3], nacque un nuovo Stato tedesco sotto la guida di Federico Guglielmo di Hohenzollern (1640-88): la Prussia. Inizialmente, più che di uno Stato si trattava di un agglomerato di diversi domìni (Brandeburgo, Pomerania, Prussia, ecc.) nei pressi della frontiera olandese, in parte privi di continuità geografica. Ben presto, tuttavia, la Prussia si distinse dagli altri principati tedeschi per la solida organizzazione amministrativa e per l’efficienza dell’esercito; ciò le permise di ingrandirsi e di trasformarsi in regno con Federico I (1688-1713), figlio di Federico Guglielmo e re di Prussia dal 1700. Durante il regno di Federico I fu dato un grande impulso anche alla vita culturale del paese, con l’istituzione dell’Accademia delle Scienze, presieduta dal matematico e filosofo Gottfried Leibniz (1646-1716), e con la formazione di numerose università. La capitale, Berlino, in origine una cittadina di poche migliaia di abitanti, si avviò a diventare una grande capitale e un importante centro di studi e ricerche scientifiche, meritandosi l’appellativo di “Atene del nord”. L’assolutismo della Prussia Il successore di Federico I, Federico Guglielmo I (1713-40), trasformò la Prussia in una monarchia assoluta, dotata di una burocrazia efficiente e scrupolosa e di una forza militare di notevole peso: 83.000 uomini, in gran parte mercenari assoldati in Svezia, Irlanda e Ungheria. Per valutare la portata di questa cifra si pensi che la Prussia aveva allora una popolazione di appena 2 milioni di abitanti, mentre la Francia, con una popolazione di quasi 25 milioni, disponeva di un esercito – il più numeroso d’Europa – di 160.000 uomini. L’esercito diventò dunque in Prussia il perno della vita dello Stato, facendo assumere alla monarchia e al paese un carattere fortemente militarista. Per questo Federico Guglielmo I fu soprannominato “il re sergente”.

SVEZIA

L’immagine rappresenta le fasi di addestramento all’uso del fucile con baionetta. Tra gli eserciti europei, trasformati radicalmente grazie all’introduzione di nuove armi da fuoco con baionetta, quello prussiano fu il più moderno e il meglio organizzato. Lo stesso uso della divisa, divenuto consueto nella seconda metà del Seicento, contribuì alla creazione di un nuovo modello di esercito.

DANIMARCA MARE DEL NORD

POMER OCCIDEN 1720 Amburgo Emden UCK Brema PROVINCE PRIGNITZ HANNOVER UNITE Fe PRINC. DI ALTMARK BRANDEB Lingen MINDEN 1702-07 Minden Potsda VES. DI HALBERSTADT Magdebur DUC. DI 1648 1680 CLEVE VESTFALIA DUC. DI . DELLA Halle GHELDRIA CONT Brandeburgo-Prussia, MARCA Niemen 1713 XVII-XVIII sec. S Lubecca

Eccellenze prussiane: economia, alfabetizzazione, accoglienza Gli Hohenzollern favorirono con premi e facilitazioni lo sviluppo dell’agricoltura e dell’industria e diedero anche un notevole impulso all’istruzione popolare, facendo aprire apposite scuole, attraverso le quali si DANIMARCA

Esercitazione con la baionetta presso un reggimento dell’esercito prussiano, 1711

MAR BALTICO

Re

Tilsit

MARE

no

DEL NORD Lubecca Emden

Amburgo

POMERANIA OCCIDENTALE 1720

POMERANIA ORIENTALE 1648

Oliva

Danzica Elbing

DUCATO DI PRUSSIA Marienwerden

PALATINATO RUSSIA

Bayreuth PRINCIPATO D’ANSBACH Ansbach 1791

Varsavia POLONIA

Bug

no

Re

UCKERMARK Brema PROVINCE PRIGNITZ Stettino HANNOVER Thorn UNITE Fehrbellin PRINC. DI ALTMARK BRANDEBURGO NEUMARK Vis tola Lingen MINDEN Berlino 1702-07 Minden Francoforte Posen Potsdam VES. DI Schwiebus HALBERSTADT Magdeburgo DUC. DI 1648 1680 CLEVE VESTFALIA Cottbus DUC. DI Halle GHELDRIA CONT. DELLA LUSAZIA MARCA Breslavia 1713 Varta Od SASSONIA er SLESIA PRINCIPATO Elba DI BAYREUTH Bayreuth PALATINATO PRINCIPATO D’ANSBACH BOEMIA Ansbach 1791

PRINCIP DI BAYR

Königsberg

Ducato di Prussia nel 1525 Possedimenti degli Hohenzollern nel 1618 Acquisti del Grande Elettore Federico Guglielmo (1640-88) Acquisti territoriali fino al 1740 1742 Data d’acquisto Confini del Sacro romano impero nel XVII sec.

B

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Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo diffuse fra i ceti più umili un livello di istruzione che a quei tempi non trovava riscontro in nessun altro paese europeo. Per lo sviluppo della Prussia ebbe grande importanza anche l’immigrazione di numerosi ugonotti francesi, cacciati in massa dalle persecuzioni di Luigi XIV [ 2.2]. Essi diedero un apporto considerevole di energie intellettuali e di esperienze tecniche al nuovo paese in formazione.

Le vie della cittadinanza

G

Gli uomini sono una risorsa culturale

li uomini, le loro culture, le loro tradizioni costituiscono sempre un’importante risorsa e, quando il prevalere dei pregiudizi e delle ostilità porta ad allontanarli da un paese, i risultati sono deprimenti. Per esempio, la cacciata degli ebrei e dei musulmani dalla Spagna, nel 1492, depauperò il paese di un importante patrimonio

Arrivo di emigranti italiani a New York, 1920 [© Bettmann-Corbis/Grazia Neri]

di esperienze e di saperi, che andò ad arricchire altri Stati europei, come l’Olanda, la Polonia, il Granducato di Toscana. Allo stesso modo i calvinisti francesi (i cosiddetti “ugonotti”), una volta cacciati dalla Francia durante le guerre di religione del XVI secolo, si rifugiarono in gran numero in Prussia, favorendo lo sviluppo cultu-

rale ed economico del paese. Un esempio più vicino a noi – motivato però non da intolleranze di tipo religioso, ma da problemi di povertà – è quello degli europei che a fine Ottocento emigrarono in gran numero oltre Oceano, contribuendo in modo determinante alla crescita della nazione americana. Anche ai giorni nostri si verificano nel mondo fenomeni del genere, con grandi spostamenti di popolazioni da un paese all’altro, da un continente all’altro e i numeri sono talmente importanti che la nostra è stata definita “l’era delle migrazioni”. I motivi sono sempre quelli: o persecuzioni religiose e politiche, o condizioni economiche di grande povertà. Soprattutto di quest’ultimo tipo sono le migrazioni che dall’Est europeo e dall’Africa si rivolgono verso l’Europa occidentale, Italia compresa. Peraltro, gli stessi paesi “ricchi” non riescono talvolta a impedire che le loro energie intellettuali si disperdano all’estero, per la difficoltà di garantire adeguati finanziamenti e investimenti nel campo della ricerca. La cosiddetta “fuga dei cervelli” (cioè l’abbandono del proprio paese da parte di laureati, ricercatori e, più in generale, persone con particolari talenti o professionalità) è un triste fenomeno nell’Italia contemporanea, che, pur ponendosi tra i più ricchi e avanzati paesi del mondo, a volte non riesce a far tesoro di tante potenzialità che esso stesso ha formato nella scuola e nell’università. Capita così che scienziati e letterati italiani, che faticano a trovare spazio e appoggio nel nostro paese, cerchino lavoro altrove, andando a incrementare il patrimonio scientifico, tecnologico, culturale e anche economico di quei paesi che, avendoli considerati una preziosa risorsa, li hanno accolti. Un po’ come accadeva nell’Olanda del Seicento, o nella Prussia del Settecento.

Operai indiani alle macchine per la mungitura, Novellara (Reggio Emilia), 2003 [© Stefano G. Pavesi/Contrasto]

Capitolo 3 Due nuove protagoniste della storia europea: Prussia e Russia

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Abraham Stork, Parata navale per la visita di Pietro il Grande, inizio XVIII sec. [Coll. Clement Ingleby, Esq.]

Il dipinto rappresenta la parata navale ad Amsterdam per la visita dello zar Pietro il Grande. Lo zar prende posto sulla piccola nave (in basso a destra) che batte bandiera russa.

3.2 La Russia verso l’Europa Un regno ancora poco europeo Formatosi fra il Quattro e il Cinquecento per opera dei principi di Mosca Ivan III e Ivan IV, il Regno di Mosca [ vol. 1, 21.4] aveva un’identità asiatica più che europea, derivata dalle secolari relazioni con i tartari e gli altri popoli dell’Oriente. La gravitazione della Russia verso il mondo asiatico trovò conferma ancora nel Seicento, quando la monarchia moscovita avviò un vasto movimento di espansione e di colonizzazione nelle terre siberiane, spingendosi sempre più a est, verso i confini della Cina. Economia arretrata e società gerarchizzata A quel tempo il paese si trovava in una condizione assai arretrata, con un’economia quasi esclusivamente agricola e una società formata pressoché totalmente di contadini (mugiki), sottoposti a una minoranza di nobili (bojari) che rappresentavano meno dell’1% della popolazione (poche decine di migliaia su un totale di circa 13 milioni). Su tutti dominava lo zar, il re-imperatore dai poteri illimitati, temuto come un dio in Terra. Quasi inesistente la borghesia commerciale e industriale, formata da un ridotto numero di ebrei (che esercitavano il commercio al minuto) e da gruppi di tedeschi, olandesi e inglesi che vivevano in un quartiere separato di Mosca. La trasformazione della Russia in senso occidentale e il suo inserimento nel gioco politico europeo ebbero inizio per volontà dello zar Pietro il Grande (1689-1725), appartenente alla dinastia Romanov che aveva ottenuto il trono nel 1613, con lo zar Michele, e regnò sul paese fino all’anno 1917, quando fu estromessa dalla rivoluzione bolscevica. Tiranno spietato o geniale riformatore? Pietro il Grande Personaggio singolare e variamente giudicato, riformatore geniale secondo alcuni, despota e tiranno secondo altri, lo zar Pietro fu dotato di una curiosità inesauribile e di una straordinaria capacità di apprendimento; fin da ragazzo aveva frequentato gli stranieri che risiedevano a Mosca, entusiasmandosi ai loro racconti e alle descrizioni riguardanti la vita dei loro paesi. Salito al trono, Pietro decise di recarsi a conoscere di persona i luoghi e le cose di cui aveva sentito parlare. Fra il 1697 e il 1698 visitò l’Olanda, l’Inghilterra, la Germania, l’Austria, la Francia, interessandosi minuziosamente a ogni cosa, ispezionando segherie, mulini, officine e sempre prendendo appunti su un taccuino. A Zaandam, un piccolo porto olandese, si fermò a lungo lavorando come operaio in un cantiere, per apprendere la tecnica delle costruzioni navali. Dopo diciotto mesi ritornò in Russia, portando con sé un fitto gruppo di tecnici, artigiani e specialisti di ogni genere, per dare inizio a un vasto programma di riforme.

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Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo

3.3 La Russia si trasforma: le riforme di Pietro il Grande

Pietro il Grande taglia la barba a un bojaro, XVIII sec. Per attuare il suo progetto di europeizzazione lo zar modifica radicalmente usi e costumi delle sue genti. In questo disegno è intento a tagliare la lunga barba di un bojaro, caratteristica peculiare della nobiltà russa.

Un taglio netto col passato Pietro il Grande diede inizio alle riforme con un gesto apparentemente bizzarro, ma che aveva un alto valore simbolico. La mattina del 26 agosto 1698, il giorno successivo a quello del suo ritorno a Mosca, i bojari andarono da lui a salutarlo e riverirlo. Egli li accolse cordialmente, li intrattenne a conversazione e poi, afferrato un paio di grosse forbici, incominciò a tagliare le loro lunghe barbe. «In Occidente non si porta la barba – disse. – Dunque, niente barbe neppure in Russia». Dopo le barbe fu la volta degli abiti. Con uno speciale decreto dell’anno 1700 lo zar vietò ai nobili l’uso del “caffettano”, l’abito tradizionale lungo fino ai piedi, tipico degli orientali, e ordinò che si adottassero abiti corti, di foggia europea. Questi interventi significavano la volontà di imitare e introdurre in Russia i modelli di vita occidentali e, con essi, la cultura europea. Scuola, istruzione e diffusione del sapere Negli anni successivi Pietro il Grande procedette nella sua attività riformatrice. Fece aprire scuole di tipo occidentale per i giovani dai 10 ai 15 anni; ordinò che l’alfabeto fosse semplificato e reso più facile; abolì il calendario russo, che contava gli anni dalla presunta creazione del mondo (il 5508 a.C.), e introdusse il calendario in uso presso gli europei. Nel 1703 uscirono in Russia i primi giornali, mentre procedeva a ritmo crescente la pubblicazione di libri occidentali tradotti in lingua russa. Dalla Germania furono invitati diciassette professori, che costituirono il primo nucleo dell’Accademia delle Scienze. Gli stranieri: una risorsa Una speciale politica di accoglienza nei confronti degli stranieri tendeva a moltiplicare e intensificare gli scambi con l’esterno: «Abbiamo stabilito – diceva un manifesto fatto diffondere dallo zar in vari paesi europei – che gli stranieri abbiano ingresso libero in Russia, siano assistiti durante il viaggio e abbiano ogni forma di sicurezza; essi potranno seguire la fede religiosa che preferiscono, in piena libertà, e non saranno soggetti alle leggi russe né ai tribunali russi, ma potranno godere di speciali privilegi». L’origine della potenza economica russa Per dare impulso all’economia lo zar fece aprire diverse officine di Stato, prime basi del futuro apparato industriale, e promosse le prime ricerche di giacimenti di carbone e di ferro. Anche l’agricoltura fu resa più produttiva; inoltre si importarono nuove razze pregiate di bovini e si incoraggiò con premi l’allevamento delle pecore.

3.4 La guerra tra Russia e Svezia La ricerca di uno sbocco sul Baltico Fare della Russia un paese moderno ed europeo significava, per lo zar Pietro, non solo sollecitare le riforme interne, ma anche «aprire finestre sul mondo», cioè rompere il cerchio di isolamento che da secoli chiudeva il paese in sé stesso e dotare la Russia di uno sbocco al mare, che permettesse regolari rapporti con l’Europa. Egli pertanto mise in atto una politica di espansione per guadagnare i territori verso il Baltico, il mare su cui da tempo dominava la potente monarchia svedese: a tal fine lo zar organizzò una coalizione contro la Svezia, capeggiando una lega di danesi, polacchi e prussiani, tutti in qualche modo legati da interessi su quel mare.

Capitolo 3 Due nuove protagoniste della storia europea: Prussia e Russia

Rivolte Confini dell’Impero romano germanico

SVEZIA San Pietroburgo Narva

ma

Regno di Prussia Territori austriaci

Novgorod REGNO DI Pskov NORVEGIA

Simbirsk

R E Mosca GNO DI SVEZIA

Kristiania

San Pietroburgo

Uppsala

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29

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Scoppia il conflitto Ne nacque una lunga guerra, durata dal 1700 al 1721, fra il re di Svezia Carlo XII (1697-1718) e Pietro il Grande, che nel 1703 riuscì a penetrare nei territori paludosi lungo il fiume Neva, stabilendosi saldamente sulla costa del Baltico alla foce del fiume. Qui, nel breve spazio di cinque mesi, lo zar attuò il progetto che tanto gli stava a cuore: costruire un porto verso l’Occidente e fondare una nuova città, destinata a diventare la capitale della Russia moderna, contrapposta a Mosca che rappresentava la vecchia Russia: San Pietroburgo. L’invasione della Polonia e la sconfitta di Carlo XII Il sovrano svedese a sua volta, ottenuto il sostegno di Inghilterra e Olanda, invase la Polonia dove al posto del re Augusto II di Sassonia (1697-1733) i nobili elessero Stanislao Leszczyn’ski (1733-39), gradito al re di Svezia [ 4.3] e, dopo avere battuto più volte gli avversari nell’area del Baltico (così da meritarsi l’appellativo di “invincibile”), penetrò in Russia. Lo zar, che non si sentiva pronto a combattere il re svedese, adottò quella tattica chiamata “terra bruciata” che i russi avrebbero impiegato anche in seguito, con successo, contro Napoleone nei primi anni dell’Ottocento e contro le truppe di Hitler nel XX secolo. La tattica consisteva nel far ritirare l’esercito verso l’interno del paese, distruggendo ogni cosa dietro di sé, in modo da costringere l’avversario ad allontanarsi sempre più dalle proprie basi, fino a restare senza rifornimenti. Quando gli svedesi, stremati dalla fatica e dalla fame, si trovarono costretti alla ritirata, furono attaccati dall’esercito russo e sbaragliati nei pressi di Poltava (1709), una città dell’Ucraina. La Russia vittoriosa Dopo altre vicende belliche si arrivò alla pace di Nystädt (1721), con la quale la Svezia rinunciò al suo impero, cedendo alla Danimarca e alla Prussia i suoi possessi sulla sponda sud del Baltico, mentre la Russia si espandeva verso il mare assicurandosi il dominio dei territori costieri dalla Finlandia al golfo di Riga. In tal modo la Russia si configurò come nuova potenza europea. Da quel momento la sua storia si intrecciò strettamente con quella dell’Occidente. In Polonia tornò a regnare Augusto II.

L’Europa settentrionale e orientale alla morte di Pietro il Grande

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Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo

I luoghi della storia

San Pietroburgo: l’invenzione di una nuova capitale

Nel 1703 Pietro il Grande fondò sul Golfo di Finlandia, alla foce del fiume Neva, una nuova città destinata a diventare la capitale del suo impero. La chiamò San Pietroburgo, ossia “città di san Pietro”, giocando visibilmente sulle parole giacché Pietro era l’apostolo alla cui protezione la città veniva raccomandata, ma era anche il nome stesso dello zar: la nuova capitale era la città di san Pietro e la città di Pietro. Tanto più che, per abbreviare, i suoi abitanti cominciarono a chiamarla, e ancora la chiamano, semplicemente “Pietroburgo”. Il territorio su cui sorse San Pietroburgo era stato strappato alla Svezia e costitu-

Fëdor Alekseev, San Pietroburgo, XIX sec.

Il Palazzo d’Inverno, metà XVIII sec. [Ermitage, San Pietroburgo]

iva, dunque, il segno materiale dell’imperialismo e dell’espansionismo russo. Rispetto all’antica capitale, Mosca, quella ubicazione consentiva collegamenti più rapidi con il resto d’Europa e rappresentava, funzionalmente e simbolicamente, la volontà dello zar di inserire la Russia nel contesto culturale e nel gioco politico europeo. La costruzione della nuova città fu un’impresa colossale, una lotta contro il tempo, contro il clima, contro la natura ostile, combattuta da un esercito di contadini e di operai mobilitati sotto una disciplina da lavori forzati, senza riguardo per le loro vite e per le loro terribili sofferenze

(decine di migliaia di uomini trovarono la morte durante l’impresa). Edificata in prevalenza con case di legno, con qualche palazzo in muratura e una zona fortificata, Pietroburgo fu rapidamente popolata per ordine dello zar, che costrinse intere famiglie di ogni ceto sociale a trasferirsi nella nuova capitale. Per suo ordine, ogni famiglia nobiliare che possedeva più di 40 famiglie di servi aveva l’obbligo di costruirsi una residenza in città. A poco a poco la nuova capitale prese forma, secondo modelli tipicamente europei e con uno schema urbanistico disegnato a tavolino direttamente dallo zar con l’aiuto dei suoi tecnici: grandi edifici pubblici e residenze signorili furono innalzati lungo le rive del fiume, sotto la guida di architetti e di artisti italiani, francesi, olandesi. La pianificazione fu rigorosissima: Pietro il Grande volle che l’altezza degli edifici che si affacciavano sul fiume fosse costante, quasi a costruire una spettacolare quinta teatrale; una sapiente alternanza di colori pastello li rendeva ben distinguibili l’uno dall’altro ma al tempo stesso partecipi di un unico scenario. Enormi piazze e lunghi viali davano (e danno tuttora) alla città grande eleganza e armonia. Una serie di canali, ricavati dal fiume Neva e dalle sue ramificazioni, furono sistemati a imitazione dei canali di Amsterdam, una delle città europee in cui lo zar risiedette più a lungo. Fra le grandi città europee, San Pietroburgo è forse quella che maggiormente dà al visitatore l’idea di un luogo letteralmente “inventato”. In mezzo al nulla.

Capitolo 3 Due nuove protagoniste della storia europea: Prussia e Russia

Sintesi

Due nuove protagoniste della storia europea: Russia e Prussia

Un nuovo Stato: la Prussia Dopo la pace di Westfalia (1648) nacque in Europa una nuova entità statale, la Prussia, sotto la guida della dinastia degli Hohenzollern. Inizialmente era un agglomerato di domìni caratterizzato da efficienza amministrativa e militare. Fu trasformata in regno sotto Federico I (1688-1713), che favorì lo sviluppo culturale specie della capitale, Berlino. Con il regno di Federico Guglielmo I (1713-1740) la Prussia si trasformò in monarchia assoluta dal carattere militarista, in cui l’esercito, numeroso e ben organizzato, era al centro della vita statale, accanto a una burocrazia efficiente. Furono concesse facilitazioni per l’agricoltura, l’industria, la vita popolare, anche grazie all’emigrazione di numerosi ugonotti dalla Francia, che contribuirono allo sviluppo intellettuale e tecnico del paese. La Russia verso l’Europa Nel corso del XVII secolo, la Russia era caratterizzata da un’identità prevalentemente asiatica. I suoi domìni si estendevano verso la Siberia fino ai confini con la Cina. La società russa era basata su un’economia agricola; la maggior parte della popolazione era costituita da contadini (mugi-

ki) sottoposti a una minoranza di nobili (bojari). Lo Stato era guidato dallo zar, imperatore dal potere assoluto e illimitato. La borghesia era quasi inesistente, limitata a ebrei, olandesi, tedeschi e inglesi. Con Pietro il Grande (1689-1725), della dinastia Romanov, si ebbe la trasformazione della Russia e il suo inserimento nella politica occidentale ed europea. Attratto dalla cultura e dalla civiltà occidentale, Pietro, appena salito al trono, intraprese un viaggio in Europa (1697-98). Al suo ritorno portò con sé tecnici, artigiani, specialisti per iniziare un vasto e radicale programma di riforme della società russa. La Russia si trasforma: le riforme di Pietro il Grande Le riforme iniziarono con un gesto dal forte significato simbolico che indicava la volontà di introdurre in Russia il modello culturale europeo e occidentale: il taglio delle barbe dei bojari, seguito dall’obbligo di usare abiti corti di foggia europea. Le riforme portarono all’introduzione di scuole di stampo occidentale, del calendario in uso in Europa, di un alfabeto semplificato. Fu promossa la cultura favorendo la pubblicazione di libri e giornali e la fondazio-

ne dell’Accademia delle scienze. Furono aperte officine di Stato, fu favorita la ricerca di giacimenti di carbone e di ferro, fu migliorata la produttività agricola. Il volto della Russia mutò. La guerra tra Russia e Svezia La modernizzazione della Russia riguardò anche la ricerca di uno sbocco verso il mare, per rompere l’isolamento del paese e avviare rapporti regolari con l’Europa. A questo scopo Pietro il Grande organizzò un’alleanza contro la Svezia per espandere i territori russi verso il Baltico. Iniziò una lunga guerra (1700-21). I russi inizialmente avanzarono fino alla foce del fiume Neva dove fondarono una nuova città, San Pietroburgo, futura capitale della nuova Russia. Gli svedesi, alleati con Inghilterra e Olanda, penetrarono a loro volta in territorio russo. Lo zar rispose arretrando l’esercito nell’interno, fino a costringere gli invasori alla ritirata per la mancanza dei rifornimenti, ottenendo la vittoria nella battaglia di Poltava (1709). Con la pace di Nystädt (1721) la Russia ottenne i territori sul Baltico dalla Finlandia al Golfo di Riga, aprendosi lo sbocco verso il mare e affermandosi come nuova potenza europea.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. accademia • bojari • burocrazia • caffettano • mercenari • militarismo • mugiki • officine • zar Truppe di professione stipendiate da uno Stato Nobili russi Abito lungo fino ai piedi tradizionalmente indossato dai nobili russi Imperatore e re di Russia dal potere illimitato e assoluto Contadini russi Centralità dell’esercito rispetto agli altri poteri all’interno di uno Stato Istituzione culturale che promuove studi altamente specializzati Impianto industriale o artigianale in cui si realizza un prodotto finito Complesso dei funzionari e degli amministratori pubblici

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32

Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo

2. Indica sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1613

1. 2. 3. 4.

1648

1698

1700

1703

1709

1721

1917

5. decreto dello zar che ordina ai nobili l’uso di abiti di foggia occidentale 6. pace di Nystädt 7. fondazione della città di San Pietroburgo 8. pace di Westfalia

battaglia di Poltava inizio della dinastia Romanov con lo zar Michele fine del viaggio in Europa di Pietro il Grande fine della dinastia Romanov

3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. In Prussia fu favorita l’istruzione all’interno delle classi sociali più umili.

V

F

g. I caratteri fondamentali della Prussia erano l’adozione dell’assolutismo monarchico, un esercito organizzato e una burocrazia efficiente. V

b. La politica di Pietro il Grande favoriva l’accoglienza nei confronti degli stranieri.

V

F

h. San Pietroburgo rappresentava la capitale della Russia moderna contrapposta a Mosca.

V

F

c. Nel Seicento la Russia iniziò la sua trasformazione in senso occidentale ed europeo.

V

F

i. La Prussia disponeva dell’esercito più numeroso d’Europa, formato da 160.000 uomini.

V

F

d. Durante il suo viaggio in Europa, lo zar Pietro il Grande lavorò come operaio in un cantiere.

V

F

l. Come Luigi XIV, anche Pietro il Grande optò per una politica di persecuzione a danno degli ugonotti.

V

F

e. La Prussia si trasformò in regno con Guglielmo di Hohenzollern.

V

F

m. Nel corso della guerra contro la Svezia, la Russia fece uso della tattica della “terra bruciata”.

V

F

f. La guerra tra Russia e Svezia fu conclusa dalla pace di Poltava.

V

F

n. Allo sviluppo della Russia contribuì l’immigrazione di numerosi protestanti.

V

F

o. Pietro il Grande impose ai nobili russi abiti e abitudini di foggia europea.

V

F

F

4. Completa la seguente tabella inserendo date e le informazioni mancanti. Date: 1688 • 1648 • 1713 • 1740 • 1700 • 1688 Termini: amministrativa • assoluta • Berlino • burocrazia • continuità • culturale • domìni • efficienza • esercito • Federico I • Federico Guglielmo • Federico Guglielmo I • militarismo • monarchia • Regno • scienze • sergente • territoriale • università • Westfalia

LA PRUSSIA DEGLI HOHENZOLLERN ....................................... HOHENZOLLERN

........................................ HOHENZOLLERN

........................................ HOHENZOLLERN

(.............-.............)

(.............-.............)

(.............-.............)

• Nascita dello Stato di Prussia dopo la pace di ....................................... (...........................) • In origine: insieme di .................................... privi di .......................................... territoriale • Organizzazione ................................................. • ................................................................ militare • Espansione ........................................................

• Nascita del .................................. di Prussia (...........................................................) • Sviluppo della vita ........................................... • Accademia delle .............................................. • Nascita di nuove .............................................. • Affermazione di ............................................... come centro di studi e ricerche

• Trasformazione del regno in una ........................................... ...........................................

• Efficienza della ................................................. • Rafforzamento dell’......................................... • “Re ...............................”: ......................................

Capitolo 3 Due nuove protagoniste della storia europea: Prussia e Russia

Analizzare e produrre 5. Completa la seguente tabella inserendo date e informazioni mancanti. Date: 1721 • 1703 • 1700 • 1709 Termini: Augusto II • Baltico • capitale • coalizione • Danimarca • destituzione • Finlandia • Inghilterra • svedese • penetrazione • Neva • Nystädt • Olanda • russa • Polonia • Poltava • porto • Prussia • rifornimenti • Riga • ritirata • Russia • San Pietroburgo • sbocco • svedesi • Svezia • terra • russi

IL CONFLITTO TRA RUSSIA E SVEZIA PER L’EGEMONIA SUL BALTICO PERCHÉ

La ....................................... ricerca uno ........................................................ verso il mare

QUANDO

...............-...................

CHI

• ........................: alla guida di una ............................. sostenuta da .................................., ...................................., ................................ • ......................................: sostenuta da .......................................... e ...........................................

EPISODI SALIENTI

• .................................: penetrazione ..................................... fino alle foci del fiume ......................... sul ............................................ • Costruzione della nuova città di ..............................: ................. verso occidente e .......................... della nuova .................... • Invasione ............................................... della ....................................................................... • .............................................................. del re ............................................................................ • ............................. in territorio russo; i ....................... attuano la tattica della “...................................... bruciata” e privano gli ................................ dei ............................. costringendoli alla ...................................... • ...................... vittoria russa a ................................................................................................. • Ulteriori vicende belliche fino al trattato di pace

ESITO FINALE

• ............................: pace di ........................................................ che sancisce la fine dell’impero svedese • ......................................... e ...............................................: acquistano territori a sud del ....................................................................... • ........................................: acquista un’ampia fascia costiera dalla ............................................ a ...................................................... • .........................................................: Augusto II torna sul trono

Indica sulla cartina le direttrici del conflitto e le acquisizioni territoriali ottenute dalla Russia.

San Pietroburgo

. Poltava

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Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo

6. Rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

In che periodo Pietro il Grande fu zar di Russia? A quale dinastia apparteneva? Quali furono gli aspetti che caratterizzarono la sua politica? Per quale motivo e in quale periodo intraprese un viaggio in Europa? Quali riforme interne introdusse? A quale scopo? Che cosa caratterizzò la sua politica culturale? Che cosa caratterizzò la sua politica economica? Che cosa caratterizzò la sua politica estera? Come è stata giudicata la figura di Pietro il Grande?

Utilizza le informazioni ottenute per completare la seguente tabella.

L’ASSOLUTISMO DEL “RE SOLE” VIAGGIO IN EUROPA data: ................. - .................. paesi: .............................................................. ............................................................................

POLITICA ESTERA .....................................................................................

cosa fa: ........................................................... .............................................................................

RIFORME SOCIETÀ E COSTUME .....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

PIETRO IL GRANDE (1689-..................) Progetto politico: ................................................................. ................................................................. .................................................................

POLITICA CULTURALE

POLITICA ECONOMICA

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

7. Leggi il documento “San Pietroburgo: l’invenzione di una nuova capitale” a p. 30 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Quando fu fondata San Pietroburgo? Che significato ha il nome che fu scelto per la nuova città? Per quale motivo la nuova città fu scelta come capitale? In che modo fu edificata? Chi furono i suoi abitanti? Quali elementi caratterizzano il paesaggio di San Pietroburgo? A quale città europea la nuova capitale era ispirata?

Utilizzando le informazioni ottenute e quelle ricavabili dalla tabella del precedente esercizio, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo: “La nuova Russia di Pietro il Grande”.

Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo

4 La politica

Capitolo

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dell’equilibrio e le guerre di successione La fine del dominio spagnolo in Italia

Percorso breve Incessanti conflitti attraversarono l’Europa del Settecento, in un clima di grande instabilità che ridefinì continuamente i confini e i possessi territoriali delle maggiori potenze, fra alleanze e contro-alleanze che si fecero e si disfecero di continuo. All’origine di tali conflitti non vi erano più giustificazioni di natura religiosa, come nei due secoli precedenti, ma solo cause di ordine politico e dinastico: il principio di legittimità, che definiva le regole di successione al trono in base alla discendenza famigliare, teoricamente era condiviso da tutti ma in realtà era soggetto a molteplici interpretazioni e fu applicato in modo diverso nei vari paesi. Da problemi di questo tipo ebbero origine nella prima metà del Settecento le cosiddette “guerre di successione”, spagnola (1702-14), polacca (1733-38) e austriaca (1740-48). Nel corso di tali guerre i potenti d’Europa giocarono con i territori e con i popoli come si trattasse delle caselle di una grande scacchiera, su cui spostare questo o quel sovrano a seconda delle circostanze e degli interessi del momento. Dalle “guerre di successione”, il cui ultimo atto fu la pace di Aquisgrana del 1748, e dalle guerre che ne seguirono nei Louis Michel Van Loo, Filippo V di Spagna con la sua famiglia, XVII sec. [Museo Nacional El Prado, Madrid]

decenni successivi derivarono alcune importanti conseguenze: il riconoscimento della Corona spagnola alla dinastia Borbone, già al potere in Francia; la fine dell’egemonia spagnola in Italia, dove invece iniziò la dominazione austriaca; la concessione ai Savoia del titolo di re di Sardegna; il rafforzamento della Francia ma anche dell’Austria, che con la dinastia Asburgo-Lorena riuscì a impedire i progetti francesi di egemonizzare l’Europa; il consolidamento della potenza militare della Prussia e della Russia; la disgregazione della Polonia, che, spartita fra Prussia, Russia e Austria, fu letteralmente cancellata dalla carta geopolitica dell’Europa; a margine di tutto ciò, l’ulteriore sviluppo della potenza marittima e coloniale inglese, sia nel Mediterraneo sia nell’America settentrionale.

Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo

4.1 Instabilità politica e ricerca dell’equilibrio nell’Europa del Settecento Il panorama politico europeo L’Europa del Settecento fu teatro di incessanti conflitti, in un clima di grande instabilità che vide continuamente ridefiniti confini e possessi territoriali. All’origine delle guerre non vi erano più giustificazioni religiose, come un paio di secoli prima e ancora nel corso del Seicento, ma solo motivazioni di natura politica: la paura, soprattutto, che una potenza prevalesse sulle altre, che affermasse il proprio predominio mettendo in crisi l’equilibrio generale. Ma questo equilibrio fu sempre in bilico, messo a dura prova dalle aspirazioni egemoniche del re di Francia, dal progressivo consolidarsi di Inghilterra e Olanda, dall’ascesa di nuove potenze quali la Svezia, la Russia, la Prussia, mentre la Spagna appariva avviata a un inesorabile declino.

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REG NO D I DA N IM A E N RCA O RV EG I A

Fragili equilibri di potere Paradossalmente, proprio da questa diffusa instabilità prese vita nella prima metà del XVIII secolo una politica che mirava soprattutto al mantenimento degli equilibri, a frenare, con mutevoli alleanze e contro-alleanze, lo sbilanciamento di forze che si prospettava ogniqualvolta una potenza cercava di modificare a proprio favore la situazione esistente. Ciò accadde più volte in quel peNystad il principio di legittimità dinastica, cioè riodo, ogni volta prendendo aREGNO occasione San Pietroburgo le regole (teoricamente condivise, DI SVEZIin A realtà soggette a molteplici interpretazioni) applicate nelle varie monarchie per la Stoccolma successione al trono in base alla discendenza faMARE migliare. A DEL partire da problemi di questa natura ebbero origine le cosiddette “guerre Mosca NORD diREGNO successione” che scossero l’Europa tra il 1701 e il 1748. Esse furono causate dalla DI Copenaghen mancanza GRAN BRETAGNA di discendenti diretti e furono, nell’ordine, la guerra di successione spagnola (1702-14), Ula di successione polacca (1733-38) e la guerra di successione E NITguerra E REGNO NC austriaca Londra (1740-48). DI P

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L’Europa nel 1700 OCEANO ATLANTICO

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36

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Capitolo 4 La politica dell’equilibrio e le guerre di successione

37

4.2 La guerra di successione spagnola (1702-14) L’ingerenza francese nella scelta del re Alla morte di Filippo IV il trono di Spagna passò a Carlo II d’Asburgo (1665-1700), ma complesse manovre politiche accompagnarono i suoi pochi anni di regno, dal momento che il re era malato e non aveva eredi diretti. Il re di Francia Luigi XIV (che aveva già provato a inserirsi nelle questioni dinastiche spagnole al tempo della guerra contro le Fiandre, 2.4) avanzò la candidatura di un suo nipote, Filippo di Borbone (1683-1746), che era anche nipote di una delle sorelle di Carlo II, e con grande abilità convinse il re spagnolo a designarlo quale suo successore; nel 1700 questi salì al trono di Spagna col nome di Filippo V.

La guerra, Carlo VI, i trattati di pace Le ostilità iniziarono nel 1702. Gli austriaci ebbero la meglio contro gli spagnoli e ne occuparono i domìni italiani (Ducato di Milano e Regno di Napoli). Intanto in Catalogna scoppiò una ribellione separatista contro la monarchia di Madrid. La situazione mutò improvvisamente nel 1711, quando Carlo d’Asburgo, già candidato al trono spagnolo, diventò egli stesso imperatore col nome di Carlo VI (1711-40). La prospettiva di un sovrano asburgico che dominasse l’Europa, così come due secoli prima aveva fatto Carlo V, fece fare marcia indietro agli alleati, che abbandonarono l’imperatore e conclusero rapidamente la pace con i Borbone, siglando il trattato di

MARE DEL NORD

REGNO DI GRAN BRETAGNA

R PO EGN RT O D OG EL AL LO

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REGNO DI GRAN BRETAGNA

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MARE DEL NORD

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Londra L’Europa nel 1714

REGNO DI D ANIM ARC A E NOR

La reazione degli Asburgo d’Austria La dinastia Borbone ora regnava in entrambi i paesi e l’inedito asse franco-spagnolo rischiava di egemonizzare l’Europa. Ciò mise in allarme gli altri Stati. L’imperatore Leopoldo I d’Asburgo (1658-1705) organizzò pertanto una coalizione antiborbonica, a cui parteciparono l’Inghilterra, l’Olanda, la Prussia, il Portogallo, il duca di Savoia (desideroso di sottrarsi all’influenza francese) e vari principi tedeschi. In alternativa a Filippo si indicò come sovrano l’arciduca Carlo d’Asburgo, figlio dell’imperatore.

Stat dell Chie

Roma REGNO Napo DI SARDEGNA REG D SIC

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Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo Utrecht (1713). Solo l’imperatore continuò a combattere le truppe franco-spagnole, ma anch’egli si decise ben presto a cessare le ostilità firmando nel 1714 la pace di Rastadt.

Nuovi assetti politici I due trattati modificarono la geografia politica dell’Europa. Filippo V di Borbone fu riconosciuto re di Spagna, con una clausola che vietava il ricongiungimento della Corona spagnola a quella di Francia. L’Inghilterra, interessata soprattutto allo sviluppo della sua potenza marittima e commerciale, si vide riconosciuto il possesso di Gibilterra e Minorca, aprendosi per la prima volta una via nel Mediterraneo, e di alcuni territori francesi nell’America settentrionale (Terranova e Nuova Scozia), strategici per la penetrazione coloniale nel nuovo continente. Inoltre ottenne la concessione del cosiddetto asiento, l’appalto esclusivo del commercio degli schiavi nelle colonie spagnole d’America (che veniva periodicamente assegnato in una sorta di asta internazionale). L’impero ottenne i Paesi Bassi già spagnoli, il Regno di Napoli, il Regno di Sardegna e lo Stato di Milano. Il Ducato di Mantova fu annesso a Milano in cambio di alcuni territori (Alessandria, Lomellina, Valenza) che passarono al duca di Savoia, il quale ottenne anche il Regno di Sicilia e con esso il titolo di re. Tutti questi movimenti segnarono la fine dell’egemonia spagnola in Italia e l’inizio della dominazione austriaca. Il re di Spagna non si arrese a questa esautorazione dai domìni italiani e tentò di rioccupare la Sardegna e la Sicilia. Invano: la pace dell’Aja (1720) riconfermò i patti precedenti, con la sola variante che ai Savoia fu concessa la Sardegna anziché la Sicilia (che passò all’imperatore).

4.3 La guerra di successione polacca (1733-38) Due pretendenti al trono, due blocchi internazionali contrapposti Nel 1733 il re di Polonia Augusto II morì e Stanislao Leszczyn’ski, subentratogli per volere del re di Svezia durante la guerra contro la Russia [ 3.4] e in seguito destituito, di nuovo avanzò pretese di successione al trono, appoggiato questa volta dai nobili polacchi e dal re di Francia Luigi XV (succeduto nel 1715 al Re Sole), che ne aveva sposato la figlia. La Russia e gli Asburgo d’Austria sostennero invece Augusto III, figlio del defunto sovrano.

I tempi della storia Un cambiamento epocale: dalla “guerra giusta” alla “guerra regolare” Nel 1758 il filosofo e giurista svizzero Emmerich de Vattel (1714-1767) nel suo Les droits des gents (‘I diritti delle genti’) scrisse: «L’Europa moderna è una sorta di repubblica, i cui membri, indipendenti l’uno dall’altro ma legati tutti da un comune interesse, si uniscono per il mantenimento dell’ordine e la conservazione della libertà. È questo che ha dato origine al ben noto principio della bilancia del potere, espressione che designa un assetto degli affari tale che nessuno Stato possa avere un’assoluta supremazia e dominare sugli altri». La politica dell’equilibrio che caratterizzò le azioni diplomatiche degli Stati europei nel Settecento fu il segno evidente che i tempi erano cambiati. La nascita del diritto internazionale, di cui l’olandese Grozio [ vol. 1, 33.4] e lo stesso Vattel furono due illustri esponenti, segnò il superamento dell’antico concetto di “guerra giusta”, cioè giustificata sul piano etico e

teologico dalla “giustezza” dei motivi che spingevano a combattere contro qualcuno il quale a sua volta si rappresentava come portatore di valori “ingiusti”. Così era stato nel Medioevo, quando, per esempio, i papi avevano benedetto le spedizioni crociate contro gli “infedeli” (essi stessi convinti di combattere una “guerra giusta” contro altri “infedeli”). Così era stato nel Cinquecento, quando le “guerre di religione” all’interno della cristianità furono combattute, da ogni parte, nel nome di una “giustizia” da far trionfare. Tra XVII e XVIII secolo, le vicende della guerra dei Trent’anni e poi quelle delle guerre di successione si svolsero totalmente al di fuori di simili giustificazioni. Ormai si dava per scontata l’uguaglianza sul piano giuridico degli Stati sovrani, senza alcuna connotazione etica o morale. La possibilità di dichiarare guerra fu legata solo alla valutazione delle cause oggettive

che potevano giustificarla, e solo agli Stati fu riconosciuto il diritto di combattere una «guerra legittima e nella forma», la guerre en forme ossia ‘regolare’, secondo la definizione di Vattel. La legittimità dell’azione militare era assicurata dalla forma giuridicamente riconosciuta dei soggetti coinvolti, cioè gli Stati con i loro eserciti organizzati, che dovevano rispettare procedure e comportamenti prestabiliti e comuni. Secondo il pensiero di Vattel, condiviso da altri filosofi settecenteschi, le ragioni che consentivano a uno Stato di muovere guerra erano sostanzialmente due: o per difendersi o per preservare i diritti nazionali. All’interno di queste limitazioni stavano gli sforzi del diritto internazionale e delle diplomazie europee per arginare il ricorso alla guerra e, soprattutto, evitare l’annientamento dei nemici di turno, sfruttando ogni possibile margine di alleanza e di intesa anche con gli avversari.

Capitolo 4 La politica dell’equilibrio e le guerre di successione

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Anche in questo caso, dal conflitto dinastico scaturì una guerra. Lo zar di Russia invase la Polonia. I Borbone di Francia e di Spagna (alleati in quello che fu definito “un patto di famiglia”) attaccarono gli Asburgo e spostarono il conflitto sul territorio italiano.

La pace di Vienna Nel 1738, la pace di Vienna assegnò la Polonia ad Augusto III, mettendo il paese sotto il controllo della Russia; per risarcimento, a Stanislao Leszczyn’ski fu concesso il Ducato di Lorena (con il patto che alla sua morte sarebbe passato alla Francia). A sua volta, lo spodestato duca di Lorena e genero di Carlo VI d’Asburgo, Francesco (1708-63), ottenne il Granducato di Toscana, dove nel 1737 si era estinta la dinastia dei Medici. Gli Asburgo d’Austria cedettero Napoli e la Sicilia a Carlo di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna (1700-46) e di Elisabetta Farnese. Il Ducato di Parma e Piacenza (dove si erano estinti i Farnese) passò all’imperatore e fu annesso al Ducato di Milano. Rapporti di forza La vera vincitrice della guerra fu la Francia, che riuscì a ridimensionare in maniera notevole i possedimenti degli Asburgo d’Austria (che però videro rafforzata la loro presenza in Toscana) e a rinsaldare le alleanze con i Savoia nel Nord Italia e con i Borbone nel Regno di Napoli. I potenti d’Europa giocavano con i territori e con i popoli come fossero le caselle di una grande scacchiera, su cui spostare questo o quel sovrano, a seconda delle circostanze e degli interessi del momento.

4.4 La guerra di successione austriaca (1740-48) Una contestata successione femminile La morte senza eredi maschi dell’imperatore Carlo VI (1740) scatenò un nuovo conflitto internazionale. L’imperatore aveva indicato come suo successore Francesco di Lorena, marito della figlia Maria Teresa, alla quale destinò i beni di famiglia degli Asburgo (Austria, Boemia, Ungheria, Paesi Bassi). La successione per linea femminile fu però contestata da altri pretendenti, in particolare dal duca Carlo Alberto di Baviera, sostenuto dai re di Francia, Spagna e Prussia.

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REGNO DI GRAN BRETAGNA

OCEANO Aquisgrana L’Europa dopo ATLANTICO la pace di Aquisgrana, 1748 Parigi

REGNO REGNO DI DI SVEZIA NORVEGIA MARE DEL NORD

MARE DEL NORD

Prussia Asburgo Borbone in Spagna Borbone a Napoli Regno di Sardegna Confine dell’Impero

REGNO DI SARDEGN

40

Modulo 1 L’espansione prussiana e l’intervento inglese Anche in questo caso si passò rapidamente alle armi: il re di Prussia Federico II (1740-86) occupò la regione austriaca della Slesia, i francesi invasero i territori asburgici in Boemia e nei Paesi Bassi. Maria Teresa, per uscire dalla difficile situazione, mirò a dividere gli avversari: trattò separatamente la pace con Federico II, cedendogli la Slesia. Indi ottenne l’alleanza dell’Inghilterra, dell’Olanda e del re di Sardegna, conducendo vittoriose campagne nei Paesi Bassi e in Germania. Martin van Meytens il Giovane, La famiglia di Maria Teresa d’Austria,1750 In questa tela è rappresentata l’intera famiglia imperiale con l’imperatrice Maria Teresa (a destra) e l’imperatore, suo consorte, Francesco I di Lorena (a sinistra).

La pace di Aquisgrana Nel 1748, la pace di Aquisgrana operò un nuovo riassestamento degli equilibri politici e territoriali: la Prussia ebbe confermato il possesso della Slesia; la Francia abbandonò i territori occupati ma ottenne che il Ducato di Parma e Piacenza, da poco entrato tra i possessi imperiali, passasse a un ramo collaterale dei Borbone di Spagna. Maria Teresa fu riconosciuta imperatrice d’Austria, secondo le disposizioni di Carlo VI in merito alla successione femminile al trono: gli Asburgo-Lorena divennero così i legittimi sovrani dell’impero (nella figura di Francesco di Lorena, a cui andò il titolo di imperatore) e dei possessi della casa d’Austria (nella figura di Maria Teresa).

4.5 I nuovi equilibri europei e la fine del dominio spagnolo in Italia Spagna, Francia e Austria La pace di Aquisgrana fu l’ultimo atto delle “guerre di successione” e dei continui aggiustamenti politici e territoriali che le accompagnarono. Numerosi e importanti cambiamenti erano avvenuti, con un generale riassestamento degli equilibri europei.

I modi della storia

Innovazioni belliche e nuove tattiche militari

«La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi»: mai come nel Settecento questa celebre affermazione di Karl von Clausewitz (1780-1831) trovò riscontro nella realtà dei fatti. Il farsi e il disfarsi delle alleanze, la preparazione e l’allestimento delle campagne militari non si proponevano di annientare l’avversario ma solo di intimidirlo, di riportarlo al rispetto degli accordi internazionali. Per questo si preferivano le tattiche difensive rispetto a quelle offensive; erano rare le battaglie campali, frequenti invece gli assedi, destinati a scoraggiare il nemico. Soprattutto in funzione di difesa e di resistenza agli assalti erano pensate le nuove architetture militari, dotate di potenti bastioni e contrafforti. Tali erano,

per esempio, quelle disseminate da Vauban nella Francia di Luigi XIV [ 2]. Intanto, nell’Europa del Settecento, il numero dei soldati in armi era assai cresciuto. L’esercito francese contava, in tempo di pace, 150.000 uomini; quello della Prussia, con una popolazione dieci volte inferiore, 80.000; solo l’Inghilterra armava uomini esclusivamente in tempo di guerra. L’epoca dei condottieri e degli eserciti privati era ormai finita. Sempre più regolarmente si ricorreva all’arruolamento di milizie “nazionali”. Inquadrati in maniera più rigida e organizzati in modo più efficiente, i soldati del Settecento non erano più le bande di avventurieri che nei secoli precedenti terrorizzavano le campagne alla ricerca di viveri e di alloggi. Punti di vettovagliamento erano dislocati nei luoghi strategici del percorso, per limitare le rapine e le ruberie; l’uso di requisire ai privati gli edifici in cui alloggiare i soldati fu abbandonato e si cominciarono a costruire Fucilieri prussiani disposti su tre file, XVIII sec.

apposite caserme. Inoltre, i “nuovi” soldati avevano uniformi ben riconoscibili. Un’altra innovazione fu rappresentata dalla creazione delle divisioni (ciascuna con la sua fanteria, l’artiglieria e la cavalleria), ossia frazioni dell’esercito che, data la minore consistenza numerica, erano in grado di spostarsi con maggiore agilità facilitando le manovre di spostamento, di accerchiamento, di assalto. Anche le armi erano state perfezionate. Pressoché scomparso l’uso delle picche, ogni fante disponeva di un fucile munito di baionetta. La miccia a combustione lenta era stata sostituita dalla pietra focaia e la capacità di sparare era diventata più rapida. In tal modo la fanteria diventò una sorta di muro impenetrabile, protetto dal fuoco continuo dei fucili. Soprattutto l’esercito prussiano trasse profitto da tale possibilità, sfruttando anche una tattica particolare, quella di disporre i soldati in tre righe, i primi in ginocchio, i secondi curvati, i terzi diritti. Sparando in successione essi raggiungevano una compattezza e una capacità d’urto prima impensabile: tecnica assai efficace nel risultato complessivo, ma, evidentemente, rischiosa per la vita dei soldati.

Capitolo 4 La politica dell’equilibrio e le guerre di successione La monarchia spagnola dovette abbandonare i suoi possessi italiani e cederli ad altri sovrani: lo Stato di Milano agli Asburgo d’Austria, il Regno di Napoli e la Sicilia ai Borbone, la Sardegna ai Savoia. La Spagna inoltre perdette vari territori coloniali. La monarchia di Francia non riuscì a realizzare il progetto di affermare la sua egemonia in Europa e perdette anch’essa diverse colonie oltremare. L’Austria invece si rafforzò, ottenendo Milano e i Paesi Bassi spagnoli; si consolidò la potenza militare della Prussia e della Russia.

L’Inghilterra Un notevole successo fu quello dell’Inghilterra, che, pur non esponendosi mai come principale protagonista delle guerre, riuscì costantemente a imporre la sua presenza militare e diplomatica, per impedire che altre potenze affermassero la loro egemonia in Europa. Intanto il regno inglese (che assunse nel 1707 il nome di Gran Bretagna, dopo l’unificazione della Scozia e dell’Inghilterra operata dalla regina Anna Stuart, sul trono dal 1702 al 1714) approfittava degli accordi di pace per estendere i suoi domìni coloniali, a danno della Francia e della Spagna. I Savoia Anche i Savoia, con Vittorio Amedeo II (1720-30) e Carlo Emanuele III (1730-73), presero parte alle guerre di successione, alleati ora della Francia ora dell’Austria, a seconda delle circostanze e delle convenienze. Il loro Stato risultò ingrandito con l’annessione della Sardegna e di alcuni territori nella Pianura Padana, che portarono il confine orientale al fiume Ticino. Nel 1713 Vittorio Amedeo II ottenne il titolo di re di Sardegna e DUCATO DI MILANO riorganizzò la vita dello Stato prendendo a modello l’assolutismo francese. IMPERO D’AUSTRIA 1714 : all’Austria

SAVOIAebbero ripercussioni importanti per l’Italia: con esse L’Italia Le guerre di successione finì l’epoca del dominio spagnolo e la Lombardia passò all’Austria, mentre in REPUBBLIC A DI VENEZIA PIEMONTE Trieste Milano anche altri Stati si affermarono dinastie autonome, se legate a famiglie straniere. Mantova Venezia La situazione politica nella penisola risultò la seguente: Torino REGNO DI sotto i FRANCIA

Genova

Modena

Parma IMPERO ■ Regno di Sardegna Savoia REPUBBLICA SAN MARINO OTTOMANO DI GENO VA DUCATO DI MILANO (comprendente il Piemonte, la SavoIMPERO D’AUSTRIA 1714 : all’Austria Lucca Firenze ia, Nizza, la Sardegna); DUCATO DI PARMA GRANDUCATO SAVOIA all’Austria DI TOSCANA STATO DELLA ■ Ducato di Milano, governato1738: dagli 1748: ai Borbone di Spagna 1738 : a Francesco REPUBBLIC PIEMONTE Trieste Asburgo d’Austria; M A A DI VENEZIA Stefano di Lorena CHIESA Milano R Mantova AD Venezia ■ Repubblica di Venezia; RIA CORSICA Torino TIC REGNODEI PRESIDI ■ Principato di Trento; STATO O Genova Parma Modena Roma 1714:DIall’Austria IMPERO ■ Repubblica di Genova (nel 1768 ceFRANCIA 1738: ai Borbone REPUBBLICA SAN MARINO OTTOMANO di Spagna DI GENO VA dette la Corsica alla Francia); Lucca Firenze ■ Ducato di Parma, Piacenza e GuaDUCATO DI PARMA GRANDUCATO Napoli 1738: all’Austria REGNO DI DI TOSCANA STATO DELLA stalla, sotto la dinastia dei Borbone; 1748: ai Borbone di Spagna REGNO DI NAPOLI SARDEGNA 1738 : a Francesco 1714di : all’Austria ■ Ducato di Modena e Reggio, sotto la MA Stefano Lorena 1714 : all’Austria 1738 : ai BorboneCHIESA R AD 1720 : ai Savoia dinastia degli Este; MAR RIA CORSICA TIC TIRRENO STATO DEI PRESIDI ■ Granducato di Toscana, dal 1738 O Roma 1714: all’Austria governato dalla dinastia dei Lorena 1738: ai Borbone di Spagna (imparentati agli Asburgo) in seguiMAR to all’estinzione dei Medici; IONI O Napoli REGNO DI ■ Repubblica di Lucca; REGNO DI NAPOLI SARDEGNA REGNO DI SICILIA 1714 : all’Austria ■ Regno pontificio; 1714 : all’Austria 1714 : ai Savoia 1738 : ai Borbone 1720 : ai Savoia 1720 : all’Austria ■ Regno di Napoli e Sicilia, sotto la diMAR 1738 : ai Borbone di Napoli TIRRENO nastia dei Borbone.

MAR IONI O

L’Italia fra il 1714 e il 1748

1714: Pace di Rastadt 1738: Pace di Vienna 1748: Pace di Aquisgrana

REGNO DI SICILIA 1714 : ai Savoia 1720 : all’Austria 1738 : ai Borbone di Napoli

41

Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo Il dominio austriaco in Italia Questo stato di cose rimase pressoché immutato per circa cinquant’anni, fino alla Rivoluzione francese e alle guerre napoleoniche. Nel complesso poteva dirsi migliorato nei confronti del secolo precedente. Infatti l’amministrazione austriaca, subentrata a quella spagnola nello Stato di Milano, si dimostrò assai più efficiente e moderna; inoltre le nuove dinastie instauratesi in Toscana, a Napoli, a Parma e Piacenza, pur essendo di origine straniera (Lorena e Borbone) erano autonome dagli Stati di origine, quindi finirono ben presto per italianizzarsi, assimilando i caratteri e le tradizioni del paese in cui governavano.

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Königsberg Il declino del regno polacco Dopo essere stata per tre secoli, dal Quattrocento al Seicento, uno Stato grande e potente, esteso fino al Baltico, la Polonia appariva nel Seta c i PRU nz tecento un paese Da debole e povero. Dal punto di vista sociale era costituito quasi interamente di contadini, Varsavia legati ai nobili – la classe dei proprietari terrieri – da vincoli di servitù personale. Forti differenze di nazionalità e di religione (accanto a polacchi Kiev Kiev e lituani, cattolici, vi erano ucraini ortodossi e tedeschi protestanti, oltre a numerose Cracovia BOEMIA tensioni e le rivalità, ostacolando il formarsi di una Barcomunità ebraiche) accentuavano leBar coscienza nazionale. UNGHERIA IMPERO IMPERO RU

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4.6 La disgregazione della Polonia

OTTOMANO

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Una monarchia elettiva Il governo era affidato a un re che, a differenza di quanto accadeva nelle altre monarchie europee, non otteneva la corona per diritto ereditario ma era eletto dalla “Dieta” o assemblea dei nobili, che ne condizionavano pesantemente l’autorità. Tale stato di cose era sancito da un accordo, i cosiddetti Pacta conventa (in latino, ‘patti convenuti’) sottoscritti nel 1573 da re Enrico (re di Polonia dal 1573 al 1574 e re di Francia dal 1574 al 1589, ultimo re della dinastia dei Valois), che esplicitamente proibivano al re di fondare una dinastia ereditaria, e richiedevano per ogni atto politico del sovrano il consenso della Dieta. Non meno limitata era, peraltro, l’autorità della stessa assemblea, dato che quel consenso doveva essere unanime: ciascuno dei suoi membri aveva, Kiev di fatto, un diritto di veto e poteva opporsi alle deliberazioni della maggioranza. Da ciò derivava uno stato permanente di disordine e di inconcludenza. PE

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La spartizione della Polonia Di questa fragilità istituzionale approfittarono altri Königsberg in particolare la Prussia, la Russia e l’Austria, per intromettersi sempre più pesantemente, nel corso del Settecento, nelle vicende interne della Polonia. Forti PRU della loro superiorità militare, gli eserciti dei tre paesi penetrarono in Polonia e in tre Varsavia territorio, cancellando momenti successivi (1772, 1793, 1795) si spartirono l’intero Kiev il Regno di Polonia dalla carta geopolitica dell’Europa. Cracovia Soltanto nel XX secolo, dopo la prima guerra mondiale (1914-18), la Polonia fu ricoBOEMIA Bar stituita e riapparve come Stato indipendente fra le altre nazioni.

IMPERO OTTOMANOStati,

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La disgregazione della Polonia

Confini al 1771 Annessioni russe Annessioni prussiane Annessioni austriache

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Capitolo 4 La politica dell’equilibrio e le guerre di successione

Sintesi

La politica dell’equilibrio e le guerre di successione. La fine del dominio spagnolo in Italia

Instabilità politica e ricerca dell’equilibrio nell’Europa del Settecento Nel XVIII secolo una serie di conflitti portò a continue ridefinizioni degli assetti territoriali degli Stati. Le cause di questa situazione risiedevano nella preoccupazione di mantenere gli equilibri vigenti: non appena una potenza cercava di emergere sulle altre, si innescava un sistema di alleanze e di contro-alleanze. L’occasione che faceva scattare queste guerre, dette “guerre di successione” (1701-48), era per tutte l’applicazione del principio di legittimità dinastica, in base al quale la successione al trono avviene per discendenza familiare. In mancanza di discendenti diretti, l’interpretazione non univoca del principio portava alla soluzione militare del problema. La guerra di successione spagnola (1702-14) Il trono di Spagna, alla morte di Filippo IV, passò a Carlo II d’Asburgo, malato e senza eredi diretti, che aveva designato come successore Filippo d’Angiò (nipote di Luigi XIV re di Francia), che divenne re col nome di Filippo V (1700): la posizione egemonica della dinastia dei Borbone, che regnava così su Francia e Spagna, mise in allarme gli altri Stati europei. L’imperatore Leopoldo I formò una coalizione antiborbonica e nel 1702 iniziò il conflitto armato. Gli austriaci occuparono i domìni spagnoli in Italia. Ma nel 1711 Carlo VI divenne imperatore, col rischio di una posizione prevalente della dinastia asburgica: il quadro cambiò. Gli alleati intrapresero trattative di pace separate. I trattati di Utrecht e Rastadt definirono un nuovo assetto geopolitico europeo: Filippo

V divenne re di Spagna; l’Inghilterra ottenne territori nel Mediterraneo e in America settentrionale; l’Impero ottenne i domìni italiani prima appartenuti alla Spagna e i Paesi Bassi. La guerra di successione polacca (173338) Con la morte del re Augusto II (1733) si pose il problema della successione sul trono di Polonia. I due candidati erano Stanislao Leszczyski (appoggiato dai nobili e dalla Francia) e Augusto III, figlio del re defunto (appoggiato da Russia e Asburgo d’Austria). La questione fu risolta attraverso la guerra, che si concluse con la pace di Vienna (1738), da cui uscì vincitrice la Francia, mentre i possedimenti asburgici furono in parte ridimensionati: Augusto III divenne re di Polonia; Stanislao duca di Lorena; Francesco di Lorena granduca di Toscana; Napoli e Sicilia furono assegnati a Carlo Borbone, figlio del re di Spagna. La guerra di successione austriaca (174048) La morte senza eredi maschi dell’imperatore Carlo VI (1740) scatenò un ulteriore conflitto internazionale. L’imperatore indicò come successore Francesco di Lorena, marito della figlia Maria Teresa. Tale successione fu contestata dal duca Carlo Alberto di Baviera, col sostegno di Francia, Spagna e Prussia. Maria Teresa tentò di dividere il fronte avversario, stipulando una pace separata con la Prussia, e stipulò un’alleanza con Inghilterra, Olanda e Regno di Sardegna. La guerra si concluse con la pace di Aquisgrana (1748), che ridisegnò gli equilibri territoriali e politici europei: Maria Teresa fu riconosciu-

ta imperatrice d’Austria e la dinastia Asburgo-Lorena unì i possedimenti della casa asburgica al titolo imperiale. I nuovi equilibri europei e la fine del dominio spagnolo in Italia La pace di Aquisgrana segnò la conclusione delle guerre di successione e portò a un sensibile cambiamento dell’assetto geopolitico europeo: la Spagna perse i possedimenti italiani e alcune colonie; la Francia perse alcune colonie e fallì nel suo progetto di egemonia sull’Europa; l’Austria ottenne Milano e i Paesi Bassi spagnoli; Prussia e Russia consolidarono la loro forza militare; l’Inghilterra estese i domìni coloniali; i Savoia ottennero la Sardegna e alcuni territori nella Pianura Padana e con Vittorio Amedeo II riorganizzarono lo Stato secondo il modello assolutista. In Italia terminò il dominio spagnolo: la Lombardia fu assegnata all’Austria e si formarono altri Stati retti da dinastie autonome, legate a potenze straniere. La disgregazione della Polonia Nel Settecento la Polonia era una società povera, costituita prevalentemente da contadini in rapporti di servitù personale con i nobili. Vi erano differenze di nazionalità e di religione, che portarono a frequenti tensioni e ostacolarono la nascita di una coscienza nazionale. Il re era una figura debole: non poteva instaurare una dinastia ereditaria, ma era eletto da un’assemblea di nobili all’umanimità, per cui ogni membro poteva esercitare di fatto un diritto di veto. Questa fragilità favorì l’invasione di Prussia, Russia e Austria, che si spartirono il territorio del regno, cancellandolo.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Dopo il 1748 la dinastia Asburgo-Lorena unì il titolo imperiale ai possedimenti austriaci.

V

b. In Polonia le differenze di religione e nazionalità ostacolarono il processo di formazione di una coscienza nazionale.

V

F

F

c. Le guerre europee del XVIII secolo furono causate da motivazioni religiose.

V

F

d. Al termine della guerra di successione polacca la Francia rafforzò le alleanze con Savoia e Borbone.

V

F

e. La pace di Vienna sancì la fine della guerra di successione austriaca.

V

F

43

44

Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo

f. La successione di Maria Teresa al trono d’Austria fu contestata da Francia, Spagna e Prussia.

V

F

g. Dopo il 1748 si consolidò la potenza militare di Francia e Russia.

V

F

h. I Pacta conventa permettevano al re di Polonia di nominare gli eredi al trono.

V

F

i. Il mantenimento dell’equilibrio internazionale portò a una serie di alleanze intercambiabili.

V

l. Le nuove dinastie affermatisi in Italia dopo il 1748 si resero progressivamente autonome dagli Stati cui in origine esse erano legate.

V

m. La coalizione antiborbonica guidata da Leopoldo I Asburgo comprendeva Impero, Inghilterra, Russia, Olanda, Portogallo e Prussia.

V

F

n. Al termine della guerra di successione spagnola iniziò la dominazione spagnola in Italia.

V

F

F

o. Il governo della Polonia era affidato a un re che accentrava in sé tutti i poteri ed era appoggiato dalla Dieta V di nobili, che aveva un mero ruolo di prestigio.

F

F

p. Nella seconda metà del XVIII secolo, Austria, Prussia e Russia si spartirono i territori della Polonia.

F

V

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. annessione • asiento • asta • coalizione • Dieta • diritto di veto • efficienza • geopolitica • legittimità dinastica • linea femminile • ramo collaterale Potere che permette di bloccare la validità di una decisione Unione di uno Stato al territorio di un altro Stato Accordo tra partiti o Stati per il conseguimento di un fine comune Studio di come la geografia di uno Stato incide sulla sua politica Possibilità di successione al trono da parte delle figlie di un sovrano Assemblea dei rappresentanti degli Stati appartenenti a una nazione Principio per cui il discendente diretto di un sovrano ne eredita la carica Appalto esclusivo per il commercio di schiavi nelle colonie spagnole americane Linea di parentela legata a un capostipite comune senza discendenza diretta Capacità di compiere le mansioni raggiungendo i fini richiesti Vendita con aggiudicazione del bene al maggior offerente

3. Indica sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1700

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13.

1702

1707

1711

1713

1714

1720

Carlo d’Asburgo diventa imperatore col nome di Carlo VI trattato di Rastadt pace di Vienna pace dell’Aja la Corsica è ceduta da Genova alla Francia inizio della guerra di successione austriaca Filippo d’Angiò diventa re di Spagna col nome di Filippo V morte del re di Polonia Augusto II inizio della guerra di successione spagnola trattato di Utrecht il regno inglese assume il nome di Gran Bretagna pace di Aquisgrana estinzione della dinastia dei Medici

1733

1737

1738

1740

1748

1768

Capitolo 4 La politica dell’equilibrio e le guerre di successione

4. Completa la seguente tabella inserendo le date e le informazioni mancanti. Date: 1793 • 1702 • 1748 • 1711 • 1733 • 1740 • 1795 • 1714 • 1738 • 1772 Termini: Aja • antiborbonica • Austria • Aquisgrana • asburgici • Augusto II • Augusto III • Boemia • Carlo Alberto di Baviera • Carlo d’Asburgo • Carlo II • Catalogna • elettiva • Filippo V Borbone • Francesco di Lorena • Francia • Inghilterra • Milano • nobili • Olanda • Polonia • Prussia • Rastadt • Spagna • Stanislao Leszczyski • Utrecht • Vienna • Carlo VI

LE GUERRE EUROPEE DEL SETTECENTO

QUANDO DOVE

GUERRA DI SUCCESSIONE SPAGNOLA

GUERRA DI SUCCESSIONE POLACCA

GUERRA DI SUCCESSIONE AUSTRIACA

GUERRE PER SPARTIZIONE POLONIA

.....................................................

.....................................................

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.....................................................

................................

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spagnoli e ......................... contro la coalizione ......................... (.........................., Impero, .................................., ..........................., Portogallo, Savoia) ........................

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.....................................................

.....................................................

• Due coalizioni:

• .................................................. • Coalizione tra .................................................... , .................................................... ,

e nobili polacchi; Russia e

....................................

.....................................................

• Morte senza eredi di

• Morte senza eredi di

.....................................................

.....................................................

.................................................... .

• Lotta per la successione tra ...................... e ..........................

• Due candidati alla successione: ...................... e ......................

• Successore designato ......................................................

marito di Maria Teresa, contrapposto a .....................................................

EPISODI SALIENTI

• ...................... e...................... attaccano possedimenti .................................... in Italia • Russia: invade la .....................................................

......................................................

• ..........................: ritiro degli alleati dopo la nomina di ......................... a imperatore ESITO FINALE

• Trattato di ............................ • Trattato di ............................ • Pace ......................................

• Regno di ............................. • ..............................., Russia, .....................................................

.....................................................

• Morte senza eredi di

• ....................................: inizio guerra • .................................: occupa ................................... e Napoli • Ribellione in

......................................................

• Pace di ...............................

• ................................................ : invade la Slesia • ..................................: invade ...................... e Paesi Bassi • ................................................ : alleanza con ........................, ......................, ............................ • Serie di vittorie • Pace di ..................................

• Debolezza interna del regno polacco: monarchia ............................. e controllo dei ...................... sulle decisioni del re • Mire espansionistiche delle potenze straniere • Penetrazione degli eserciti stranieri: ....................................................; ....................................................; .....................................................

• ...................... dei territori del regno di ..........................

45

46

Modulo 1 L’Europa tra liberalismo e assolutismo

Analizzare e produrre 5. Completa la seguente cartina indicando con un colore diverso ogni Stato e con lo stesso colore

i territori posti sotto il dominio diretto di uno Stato estero e quelli posti sotto l’influenza indiretta della stessa dinastia e indicandone le dinastie regnanti. Sotto la carta, costruisci la legenda.

L’Italia dopo la pace di Aquisgrana, 1748

Capitolo 4 La politica dell’equilibrio e le guerre di successione

6. Rispondi alle seguenti domande e utilizza le informazioni ottenute per completare la tabella. Non vanno riempiti tutti gli spazi. 1. 2. 3. 4.

Che cosa stabilivano i trattati di Utrecht e Rastadt? Da chi e quando furono stipulati? Che cosa stabiliva il trattato dell’Aja? Da chi e quando fu stipulato? Che cosa stabiliva il trattato di Vienna? Da chi e quando fu stipulato? Che cosa stabiliva il trattato di Aquisgrana? Da chi e quando fu stipulato?

I TRATTATI: MODIFICHE TERRITORIALI E POLITICHE NELL’EUROPA DEL XVIII SECOLO TRATTATO DI

UTRECHT (1713) RASTADT (................)

L’AJA (................)

VIENNA (................)

AQUISGRANA (................)

SPAGNA

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POLONIA

FRANCIA

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PRUSSIA

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NAPOLI E SICILIA

7. Verso il saggio breve Leggi il documento «Un cambiamento epocale: dalla “guerra giusta” alla “guerra regolare”» a p. 38 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa è la “bilancia del potere” secondo Emmerich de Vattel? Da che cosa nasce tale principio? 2. Che cosa caratterizza il concetto di “guerra giusta”? 3. Quando e come tale concetto entra in crisi? 4. Quali guerre del passato furono considerate “guerre giuste”? 5. Che cosa caratterizzava il concetto di “guerra regolare”? 6. Per quali motivi secondo Emmerich de Vattel gli Stati potevano dichiarare una guerra?

Leggi il documento “Innovazioni belliche e nuove tattiche militari” a p. 40 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa caratterizzava il modo in cui furono condotte le guerre europee del Settecento? 2. Che tipo di eserciti furono reclutati e utilizzati? Esistevano delle differenze tra gli Stati? 3. Quali innovazioni furono introdotte nell’organizzazione e nel modo di operare degli eserciti? 4. Quali armi e tecniche militari nuove si diffusero nel XVIII secolo? Sulla base delle informazioni raccolte, scrivi un testo di almeno 12 righe dal titolo “Come e perché si combatteva nel XVIII secolo in Europa”.

47

La discussione storiografica

Le radici economiche e sociali della rivoluzione inglese L

a rivoluzione inglese del Seicento, o per essere più precisi, le due rivoluzioni inglesi del Seicento ebbero, come tutti i fenomeni storici di grande rilievo, cause molteplici, di ordine economico, sociale, religioso, culturale, politico, filosofico. Sulla rispettiva importanza di queste cause, sulla priorità dell’una sull’altra gli storici hanno molto discusso, enfatizzando ora i motivi di ordine economico-sociale (lo sviluppo in Inghilterra, già a partire dal Cinquecento, di una forte tradizione industriale e mercantile; la crescita, parallelamente

a tale sviluppo, di una nuova classe borghese in cui confluivano anche gli strati inferiori della nobiltà, quelli che gli inglesi chiamavano gentry), ora i motivi di ordine culturale e religioso (la diffusione del puritanesimo, che si opponeva in maniera fortemente critica sia all’assolutismo religioso, sia a quello politico), ora i motivi di ordine politico e filosofico (la vivace discussione sulla rappresentanza parlamentare, sui limiti da porre al potere monarchico, sul carattere contrattuale del rapporto tra sovrano e sudditi).

Per spiegare il fenomeno lo storico britannico Christopher Hill ha insistito sul tema degli interessi economici e del cambiamento sociale che, a suo avviso, costituirono il necessario presupposto di ciò che accadde in Inghilterra nella prima metà del XVII secolo, rendendolo in qualche modo inevitabile. Un altro storico britannico, Lawrence Stone, ha invece sottolineato la complessità e molteplicità delle motivazioni alla base della rivoluzione, non tralasciando quelle di ordine politico e sociale.

del puritanesimo e delle filosofie “contrattualiste” ebbero senz’altro un ruolo di primo piano nello scoppio della rivoluzione inglese. Ciò non toglie che gli interessi economici e l’evoluzione sociale costituiscano un punto di partenza fondamentale per comprendere ciò che accadde in Inghilterra nella prima metà del XVII secolo. Il secondo brano è di Lawrence Stone che, pur sottolineando anch’egli che solo i cambiamenti economici e

sociali permettono di inquadrare e spiegare il fenomeno, ha affermato che numerosi fattori confluirono nella vicenda, entrando in gioco in modi e momenti diversi, con ritmi diversi. Alcuni «prerequisiti» di lunga durata (fra cui quelli di natura economica) resero possibile la rivoluzione; altri fattori «precipitanti» la resero probabile; altri ancora furono i «detonatori» che la scatenarono, trasformando la possibilità in certezza.

I testi Il testo che presentiamo in apertura è uno dei primi studi di Christopher Hill che alla rivoluzione inglese ha dedicato gran parte del suo lavoro tra gli anni Quaranta e Novanta del XX secolo. La sua posizione ha subìto una certa evoluzione nel corso del tempo, dando progressivamente risalto anche agli aspetti culturali e religiosi della vicenda, al fatto, cioè, che un’azione prima di essere messa in atto deve essere pensabile: in questo senso la diffusione

Una rivoluzione necessaria Christopher Hill

La rivoluzione inglese del 1640-60 fu un grande movimento sociale simile alla rivoluzione francese del 1789. Il potere dello Stato, che proteggeva un vecchio ordinamento essenzialmente feudale, fu violentemente rovesciato, il potere passò nelle mani di una nuova classe e fu così reso possibile il più libero sviluppo del capitalismo. La guerra civile fu una

guerra di classe, durante la quale il dispotismo di Carlo I fu difeso dalle forze reazionarie della Chiesa ufficiale e dai proprietari terrieri conservatori. Il parlamento sconfisse il re perché poté fare appello all’entusiastico appoggio delle classi mercantili e industriali della città e delle campagne, ai piccoli proprietari coltivatori diretti, alla borghesia agrico-

La discussione storiografica Le radici economiche e sociali della rivoluzione inglese

la progressiva e alle più larghe masse popolari, ogni volta che queste riuscivano a comprendere, attraverso la libera discussione, gli obbiettivi reali della lotta. […] Ora è vero che la rivoluzione inglese del 1640, come la rivoluzione francese del 1789, fu una lotta per il potere politico, economico e religioso, intrapresa dalla classe media, la borghesia, che cresceva in ricchezza e in forza con lo sviluppo del capitalismo, ma non è vero che il governo del re, contrapponendosi a essa, si battesse per gli interessi del popolo: al contrario, i partiti popolari si dimostrarono i più combattivi avversari del re, molto più decisi e pronti ad andare fino in fondo della stessa borghesia. Gli interessi per cui si batteva la monarchia di Carlo I non erano affatto quelli della gente del popolo. La monarchia rappresentava i nobili proprietari terrieri, e la sua politica fu influenzata da una cricca di corte formata da speculatori commerciali aristocratici e dai loro parassiti […]. La lotta condotta dal-

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la borghesia per sradicare questa cricca dal potere non fu ispirata solo da gretto egoismo: adempì a una funzione storica progressiva. I più scaltri e svegli tra i proprietari terrieri si inserirono da parassiti nel nuovo sviluppo del capitalismo, perché altrimenti le loro possibilità economiche non sarebbero più state sufficienti a mantenerli. Era dunque necessario, perché tale sviluppo potesse ulteriormente procedere, eliminare questo ingombrante e soffocante parassitismo con il rovesciamento dello Stato. […] Il fatto che gli uomini, nel parlare e nello scrivere, adoperassero un linguaggio religioso, non deve impedirci di comprendere che c’è un contenuto sociale al di sotto di idee che paiono puramente teologiche. Ogni classe creò e cercò di imporre l’opinione religiosa che più conveniva alle sue esigenze e ai suoi interessi. Ma il conflitto reale rimane fra questi interessi di classe. Ch. Hill, Saggi sulla rivoluzione inglese del 1640, Milano 1957

Una rivoluzione possibile, anzi probabile, anzi certa Lawrence Stone

Perché scoppiasse la guerra civile era necessario prima che le principali istituzioni del governo centrale perdessero in credibilità e crollassero. Sebbene la crisi sia comprensibile soltanto alla luce dei cambiamenti sociali ed economici, occorre in primo luogo spiegare non tanto la crisi della società, quanto quella del regime, l’alienazione cioè di vastissimi settori delle élites dagli istituti politici e religiosi costituiti. […] Il primo [prerequisito] fu la mancata acquisizione da parte della Corona di due strumenti chiave del potere, un esercito permanente e una burocrazia salariata e affidabile. Al secondo posto viene il declino dell’aristocrazia, e la corrispondente ascesa della gentry1. […] Terzo, la comparsa in vasti settori delle classi abbienti e medio-basse di un puritanesimo diffuso, che ebbe come principale riflesso politico una bruciante esigenza di cambiamento, nella Chiesa prima, poi nello Stato. Per ultima, ma non meno importante, la crisi di fiducia sempre più grave nell’integrità e nel valore morale di chi deteneva le massime cariche nell’amministrazione, si trattasse di cortigiani, di nobili, di vescovi, di giudici o persino di re. I fattori secondari più importanti furono: la diffusione dell’istruzione a ogni livello; il potere autonomo dei giuristi di diritto consuetudinario, con la loro

ideologia da “Magna Charta”; la progressiva trasformazione dell’economia, con la commercializzazione dell’agricoltura e dei rapporti sociali nelle campagne, lo sviluppo del commercio oltremare e dell’industria, e il raddoppiamento della popolazione. […] [Questi prerequisiti rendevano possibile la rivoluzione, ma] nel corso del decennio precedente il crollo del 1640, si verificò una serie di sviluppi che possono essere considerati i fattori precipitanti della crisi, in quanto trasferirono il collasso delle istituzioni governative dal campo della possibilità a quello della probabilità. L’enfasi principale va attribuita alla follia e all’intransigenza del governo, al cieco rifiuto di rispondere in modo costruttivo alle critiche, e all’ostinazione con cui esso si attenne a una rotta di collisione. […] Ma fu una serie di eventi a breve termine, fortuiti persino, che trasformò la probabilità in certezza. L. Stone, Le cause della rivoluzione inglese, 1529-1642, Torino 1982

1 La nobiltà minore arricchita dai commerci e dall’acquisto di terre espropriate ai monasteri.

Modulo 2

L’egemonia europea L’egemonia sul mondo europea

sul mondo Capitolo 5

L’espansione coloniale degli europei Fra il XVII e il XVIII secolo le potenze marittime europee consolidarono il proprio dominio sull’economia mondiale. Alla Spagna e al Portogallo, incontrastati padroni dei mari fino a tutto il Cinquecento, si affiancarono nel corso dei due secoli successivi l’Olanda, l’Inghilterra e la Francia. Durante il Settecento soprattutto questi due ultimi Stati affermarono la propria potenza economica; alla fine del secolo, il predominio inglese sui mari era ormai incontrastato.

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Capitolo 6

Nuovi commerci, nuovi consumi Il dominio coloniale delle potenze europee trasformò radicalmente l’economia dei territori assoggettati: tutte le risorse furono concentrate nel produrre alcuni generi di merci (soprattutto derrate alimentari e cotone) che servivano a soddisfare i mercati europei e le colonie, mentre i bisogni delle popolazioni locali erano sostanzialmente trascurati. Lo strepitoso successo dei prodotti coloniali – principalmente tè, caffè, zucchero, tabacco – portò notevoli cambiamenti nelle abitudini alimentari e nei comportamenti quotidiani della società europea.

Capitolo 7

Economia e società nel Settecento «Liberaci, o Signore, dalla peste, dalla fame e dalla guerra»: questa preghiera, di origine medievale, per molti secoli continuò a essere pronunciata con particolare intensità. Essa esprimeva la condizione di quotidiana insicurezza che le frequenti epidemie, la scarsità del cibo, le devastazioni della guerra contribuivano ad alimentare. Nel Settecento, però, grazie ai progressi della scienza medica diminuì il tasso di mortalità e la popolazione iniziò a crescere vertiginosamente; l’agricoltura registrò sostanziali miglioramenti che produssero più cibo in grado di sostenere la crescita demografica (anche se, sul piano qualitativo, la dieta dei contadini complessivamente peggiorò).

Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

5 L’espansione

Capitolo

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coloniale degli europei

Percorso breve Basi commerciali, colonie di popolamento, controllo politico: furono queste le tre fasi del dominio coloniale europeo in Asia. I primi a stabilirvi una diretta sovranità coloniale furono gli olandesi, che, oltre a gestire gran parte del commercio delle spezie, nel XVII secolo crearono piantagioni nelle regioni più estreme del continente asiatico. Difficile fu invece la penetrazione europea in Cina e in Giappone, sia sul piano commerciale e politico, sia sul piano religioso (nonostante una certa accoglienza riservata inizialmente ai gesuiti, vi fu poi una chiusura pressoché totale nei confronti degli europei). Nel XVIII secolo la maggiore potenza coloniale diventò la Gran Bretagna, soprattutto al termine della guerra dei Sette anni (1756-63) che coinvolse le maggiori potenze europee in un conflitto di dimensioni mondiali, allargato ai domìni coloniali asiatici, africani e americani. Gli inglesi, alleati dei prussiani, ne uscirono vincitori affermandosi (principalmente a spese della Francia) in India, in Senegal, in Canada e in numerosi altri territori del Nord e del Centro America. In America, i conquistatori spagnoli e portoghesi svilupparono un’economia basata sui latifondi coltivati da schiavi e specializzati in monocolture (canna da zucchero, caffè, cotone) destinate al commercio europeo. L’economia delle colonie fu totalmente subordinata agli interessi dei mercati internazionali, mentre i bisogni locali erano ignorati; l’Africa, intanto, veniva brutalmente spogliata delle sue migliori risorse umane dai mercanti di schiavi.

Schiavi neri lavorano in una miniera di metalli preziosi ad Haiti, 1594 [da Storia dell’America o del Mondo Nuovo di Théodore de Bry]

Il cosiddetto “commercio triangolare” consentiva ai mercanti europei di acquistare schiavi e metalli preziosi in Africa scambiandoli con merci prodotte in Europa; gli schiavi erano trasportati in America a lavorare nelle piantagioni, i metalli preziosi finivano in Asia per acquistare spezie e tessuti, che, venduti in Europa, chiudevano e facevano di nuovo ripartire il ciclo. Di questo meccanismo si avvantaggiò soprattutto la Gran Bretagna, che controllava la maggior parte di questo ciclo di scambi. Nel corso del XVIII secolo, peraltro, il governo inglese emanò un decreto che proibiva la fabbricazione di tessuti in India, così da favorire lo sviluppo dell’industria tessile inglese.

Capitolo 5 L’espansione coloniale degli europei

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5.1 Gli olandesi e i missionari cristiani in Asia

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In Cina L’Impero cinese era stato governato per tre secoli dalla dinastia Ming (1368-1644) e nel XVII secolo passò sotto il dominio dei Qing, durato fino al 1911. Nonostante la forza della tradizione confuciana, base dell’organizzazione sociale e politica del paese [ vol. 1, 15.4], i sovrani mostrarono un certo interesse per la cul-

GRAN BRETAGNAPROVINCE UNITE ti ano FRANCIA manufvat r g io -na ac PORTOGALLO name ind co-leg fèf SPAGNA tabac a -c ero h c zuc

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Resistenze alla penetrazione europea Estremamente difficile fu invece la penetrazione commerciale e politica in Cina e in Giappone. Questi paesi restarono per secoli impermeabili alla colonizzazione europea, anche sul piano religioso. Gli sforzi compiuti dai missionari cristiani per portare in Estremo Oriente il movimento di evangelizzazione promosso dalla Chiesa di Roma all’indomani del concilio di Trento risultarono, infatti, sostanzialmente vani.

I M P E R O

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Empori e colonie asiatiche Per molto tempo la presenza europea in Asia si limitò allo stanziamento di basi commerciali; poi si cominciarono a creare delle colonie di popolamento; infine si giunse, in tanti casi, a forme di vero e proprio controllo politico. Gli olandesi, nel Seicento, furono i primi a stabilire una diretta sovranità coloniale su vasti territori asiatici, impadronendosi delle isole di Ceylon (a sud-est dell’India), Giava e Sumatra (nell’arcipelago indonesiano) e Formosa (a est della Cina) e sottomettendo i governanti locali alla propria autorità. La Compagnia olandese delle Indie orientali, la società commerciale nata nel 1602 [ vol. 1, 33.5], controllava gran parte dei traffici fra Oriente e Occidente e prosperava soprattutto sul commercio del pepe e delle altre spezie, ma tentò anche di creare nell’isola di Giava sue proprie piantagioni di canna da zucchero e di caffè. Il maggior punto di forza della Compagnia olandese era costituito dai rapporti privilegiati che essa intratteneva con le regioni più estreme dell’Asia, non ancora raggiunte da altre potenze europee.

NUOVO GALLES DEL SUD

OCEANO PACIFICO

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Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo tura occidentale, tanto da accogliere favorevolmente a corte i gesuiti, soprattutto durante il regno di Kangxi (1661-1722). Ciò anche perché i gesuiti, a differenza dei missionari francescani e domenicani, si mostravano estremamente tolleranti delle consuetudini e delle tradizioni locali, accettando che i cinesi convertiti mantenessero le loro abitudini, il loro calendario, i loro riti, perfino la venerazione per Confucio. Ma questo sincretismo religioso fu condannato nel 1704 dal legato papale e ancora nel 1744 da papa Benedetto XIV (1740-58), con la conseguenza che i sovrani Qing proibirono ai missionari cristiani di entrare in Cina a predicare. Sul piano commerciale i rapporti non si interruppero, ma, poiché la Cina era un paese autosufficiente, gli scambi con l’Europa si svolgevano quasi esclusivamente in uscita: l’Impero esportava sete, porcellane, tè, carta, mentre le imposizioni doganali sulle merci straniere scoraggiavano le importazioni.

Il missionario gesuita Johann Adam Schall, XVII sec. [Biblioteca Marciana, Venezia]

L’incisione mostra Johann Adam Schall (1591-1666), missionario gesuita tedesco, presidente dell’Accademia astronomica cinese. I cinesi furono particolarmente interessati alle conoscenze astronomiche degli europei, che i gesuiti diffusero anche importando strumenti scientifici.

In Giappone Anche il Giappone, dopo l’iniziale accoglienza riservata ai missionari portoghesi (soprattutto ai gesuiti) intorno alla metà del Cinquecento, adottò una politica di assoluta intransigenza nei confronti degli stranieri, arrivando a vietare (nel 1641) l’ingresso nel paese a chiunque non avesse un permesso scritto. L’obiettivo di queste decisioni era quello di sottrarsi all’egemonia commerciale europea, opponendosi alla sua penetrazione per evitare anche possibili e pericolose alleanze tra potenze straniere e forze dissidenti, sempre presenti all’interno del paese. Per lungo tempo, infatti, il Giappone era stato suddiviso in una miriade di potentati locali, governati da signori detti daimyo con il sostegno di vassalli armati detti samurai, solo teoricamente soggetti a un imperatore, il mikado, e a un governatore generale nominato dallo stesso imperatore, lo shogun. Solo nel XVII secolo lo shogun Ieyasu Togukawa (1603-16) riuscì a imporsi sugli altri signori e ad avviare un processo di accentramento politico che portò all’unificazione del paese. La carica di shogun divenne ereditaria e Togukawa la trasmise ai suoi figli dando vita a una dinastia che governò il Giappone per oltre due secoli e mezzo, fino alla seconda metà dell’Ottocento. Fu sotto i suoi discendenti che il Giappone si chiuse in un rigido isolazionismo nei confronti dei paesi europei, con l’unica eccezione dell’Olanda, a cui fu riconosciuta una base commerciale vicino a Nagasaki.

5.2 L’impero coloniale britannico e la guerra dei Sette anni (1756-63) L’affermazione della Gran Bretagna Nel XVIII secolo la Gran Bretagna (così aveva cominciato a chiamarsi il regno nel 1707, in seguito all’unione tra la Corona inglese e la scozzese) diventò la prima potenza commerciale del globo, assicurandosi il monopolio dei traffici marittimi e, con il trattato di Utrecht del 1713 [ 4.2], il commercio degli schiavi nelle colonie d’oltremare. Nel ventennio 1721-42 il governo inglese fu guidato da Robert Walpole (16761745), esponente del partito whig [ 1.4], sostenitore di una politica di pace che tutelasse gli interessi delle classi mercantili tenendo il paese fuori dai conflitti politici europei. William Pitt lo sostituì nel 1742 e restò al governo fino al 1778, imprimendo un carattere più aggressivo alla politica inglese, e puntando sull’espansione coloniale. Una guerra planetaria Per l’affermazione della Gran Bretagna su scala mondiale fu decisiva la guerra dei Sette anni (1756-63), che fu definita da Winston Churchill «la prima guerra mondiale» e che in effetti fu, nella storia, il primo conflitto

Capitolo 5 L’espansione coloniale degli europei bellico di dimensioni planetarie. Esso fu combattuto in Europa, in Asia, in America, in Africa, da due schieramenti inediti, che misero in luce il mutamento dei rapporti di forza tra le potenze europee (al punto che si parlò di un “rovesciamento delle alleanze”): da un lato Gran Bretagna e Prussia, ovvero le due potenze emergenti; dall’altro la Francia borbonica e l’Impero asburgico, tradizionali nemici, ora alleati, con la Russia, per difendere i propri interessi in evidente difficoltà. I dissidi tra Impero e Prussia riguardavano il possesso della Slesia, occupata dai prussiani durante la guerra di successione austriaca [ 4.4]. Le rivalità franco-inglesi avevano invece come teatro i possedimenti coloniali nell’America settentrionale e centrale, in Africa e in India.

Le vittorie anglo-prussiane Gli scontri si svolsero su tutti i fronti e dopo alcuni insuccessi dell’asse anglo-prussiano (dovuti anche all’ingresso in guerra della Spagna a fianco della Francia) il conflitto volse decisamente a suo favore. Sul fronte europeo, Federico II di Prussia (1740-86) riuscì a respingere gli attacchi austriaci. Nel Nord America, dove i francesi inizialmente avevano avuto la meglio, il rafforzamento delle truppe inglesi voluto da William Pitt riuscì a ribaltare la situazione, fino alla conquista di Montréal e di tutto il Québec (la regione dei laghi canadesi, già possesso francese). Scontri vittoriosi per gli inglesi avvennero anche nella regione delle Antille, in Africa (Senegal) e in India, contro le truppe francesi, e in Asia (Filippine) contro gli spagnoli.

I luoghi della storia

Inghilterra/Gran Bretagna/Regno Unito

Quando nel 1701 morì la regina Maria Stuart, e l’anno dopo suo marito il re Guglielmo III, il trono d’Inghilterra rimase vacante poiché la coppia non aveva avuto figli. Il Parlamento inglese decise allora di affidare la reggenza dello Stato alla sorella di Maria, Anna Stuart (170214), già regina di Danimarca. Fu durante la sua monarchia che fu istituito, il primo maggio 1707 con la promulgazione dell’“Atto di unione”, il Regno di Gran Bretagna, con cui le Corone d’Inghilterra (comprendente dal 1282 il Galles) e di Scozia venivano per la prima volta unificate. C’erano già stati diversi tentativi del genere ma solo nel 1706 il Parlamento inglese e quello scozzese riuscirono a stabilire articoli e accordi condivisi da entrambi (anche se per lungo tempo, e soprattutto in Scozia, si sollevarono contestazioni e proteste contro l’unificazione). Dal punto di vista politico l’Atto di unione decretò formalmente la nascita di un nuovo Stato, creato per accorpamento (e non per sottomissione di uno dei due paesi) con un Parlamento unico con sede a Londra; dal punto di vista religioso il trattato sancì il riconoscimento della Chiesa protestante presbiteriana di Scozia, mentre, sul piano finanziario, ben 15 articoli su un totale di 25 furono stesi per disci-

plinare gli aspetti economici dei rapporti tra i due paesi. Simbolo dell’avvenuta unione tra le due Corone fu la Union Jack, la bandiera ufficiale del nuovo regno che riproduceva in un unico vessillo la bandiera inglese con la croce di san Giorgio, rossa su fondo bianco, e quella scozzese con la croce decussata (cioè a forma di X) di sant’Andrea, bianca su fondo blu. Così formalizzata, la Union Jack fu usata fino al 1801, anno in cui, con un altro “Atto di Unione”, fu incorporata al Regno di Gran Bretagna anche l’Irlanda, che gli inglesi avevano sottomesso fin dal XVI secolo. Da quel momento il nome cambiò in Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda (o più brevemente Regno Unito) e alla bandiera ufficiale fu aggiunta la croce rossa decussata di san Patrizio (il protettore dell’Irlanda), che fu inserita in quella bianca scozzese e posizionata sotto quella rossa inglese. L’Irlanda si è poi resa indipendente nel 1922 ma la sua parte settentrionale è tuttora legata alla Corona inglese e per questo la Union Jack è rimasta la stessa adottata nel 1801.

La Union Jack

55

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Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo La pace di Parigi Nel 1763, la pace di Parigi sancì il trionfo della Gran Bretagna su tutti i fronti in cui si era combattuta la guerra. La Francia fu estromessa da tutto il Nord America: l’intero Canada e tutti i territori a est del fiume Mississippi furono attribuiti agli inglesi, che inoltre ottennero la Florida dalla Spagna (in cambio, questa ricevette dalla Francia la Louisiana, cioè il territorio fra le Montagne Rocciose e il Mississippi). La Francia dovette cedere anche alcune isole dei Caraibi e il Senegal, ma per il progetto imperiale britannico furono particolarmente importanti le acquisizioni in India, dove la concorrenza coloniale francese fu definitivamente annientata [ 5.3]. Sul versante europeo, la Prussia mantenne il possesso della Slesia.

5.3 I francesi e gli inglesi in India L’Impero dei Moghul Nel XVIII secolo l’India era sotto il governo dei Moghul, una dinastia musulmana di origine turco-mongola che nel 1526, al seguito di Babur detto “il Conquistatore”, si era insediata nel paese e a poco a poco aveva creato un vasto dominio imperiale. L’unificazione dell’India era tuttavia resa difficile dalla molteplicità di poteri locali e soprattutto dalla resistenza dei prìncipi di religione induista delle regioni meridionali, nemici dell’islamismo professato dai sovrani. Approfittando di questa situazione, le compagnie commerciali europee (portoghese, olandese, francese, inglese) intensificarono la loro presenza sulle coste e un po’ alla volta penetrarono all’interno del continente, lottando per il controllo di quei mercati, da cui provenivano soprattutto tessuti di cotone.

Josef Kreutzinger, Il conte Wenzei Anton von Kaunitz, XVIII sec. [Collezione privata]

Il conte Wenzei Anton von Kaunitz, diplomatico e consigliere di Maria Teresa d’Austria, fu il principale artefice dell’alleanza franco-austriaca contro la Prussia, che portò alla guerra dei Sette anni.

Lo scontro franco-inglese Già nel 1673 i francesi avevano stanziato una loro base commerciale a Pondichéry nel Golfo del Bengala, poi avevano continuato con l’assoggettamento di vari territori, fra cui gran parte del Deccan. Nella prima metà del Settecento i conflitti tra francesi e inglesi per il dominio del traffico commerciale erano già numerosi ma allo scoppio della guerra dei Sette anni le forze britanniche, guidate

L’impero coloniale inglese

GRAN BRETAGNA

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Capitolo 5 L’espansione coloniale degli europei KATIAWAR 57

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[British Library, Londra]

Lord Robert Clive, protagonista della vittoria inglese sull’esercito francese nel Bengala, discute con il nabab (governatore) della regione.

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Espansione britannica in India

da Robert Clive (1725-1774), conquistarono la base di Pondichéry (che fu ribattezzata Pondicherry) e costrinsero gli avversari ad abbandonare il Bengala e gli altri possedimenti indiani. Dopo i successi conseguiti con la guerra dei Sette anni e ratificati dalla pace di Parigi, gli inglesi affermarono pienamente la propria egemonia in India trasformando i Prima del 1767 loro insediamenti coloniali in una vera occupazione territoriale. 1767-91 1792-1805

L’India britannica La soggezione dell’India agli inglesi fu sancita dalla concessione 1806-19 che la Compagnia inglese delle Indie orientali ottenne nel 1765: l’appalto delle imposte nelle province del Bengala e del Bihar. Collegata al governo di Londra ma sostanzialmente autonoma nelle proprie attività, la Compagnia allargò progressivamente il proprio raggio d’azione e nel 1803 giunse a occupare la capitale Delhi. In questo modo, circa 35 milioni di indiani diventarono sudditi della Compagnia delle Indie.

5.4 Esplorazioni geografiche e rapporti interculturali Alla scoperta del mondo Lo sviluppo dei commerci e delle relazioni tra l’Europa e gli altri continenti andò di pari passo con l’intensificarsi degli studi scientifici e delle ricerche geografiche. Rispetto ai viaggi e alle esplorazioni del Quattro-Cinquecento, che avevano portato alla scoperta e alla conquista del continente americano [ vol. 1, 25], le nuove spedizioni ebbero – oltre alle motivazioni politiche e commerciali – un carattere più marcatamente scientifico: spesso furono promosse congiuntamente da governi e da istituzioni accademiche (come la Royal Society di Londra e l’Académie des Sciences di Parigi) per saperne di più sulla conformazione delle coste, la natura dei continenti, i passaggi marittimi. Geografi, astronomi, medici, naturalisti partecipavano ai viaggi per compiere studi e stendere resoconti.

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Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

Le vie della cittadinanza

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Oriente, Occidente, “globalizzazione”

ggi si parla molto di “globalizzazione”, per indicare il fenomeno (economico, politico, sociale, culturale) in seguito al quale il mondo sembra diventare ogni giorno più piccolo e gli uomini far parte di una sola comunità, dove ogni scambio è possibile a livello planetario, dove ogni avvenimento, in qualsiasi luogo accada, ha immediate ripercussioni in ogni angolo della Terra. In questo fenomeno, la novità consiste soprattutto nella velocità con cui le idee e le informazioni si propagano, gli uomini e le cose si spostano. Ma di per sé si tratta di un fenomeno antico: con maggiore lentezza, ma altrettanta certezza, uomini, merci e idee si spostavano in passato, soprattutto (prima della scoperta dell’America) in direzione est-ovest. La quantità di piante giunte dall’Oriente nel Mediterraneo

in età antica e medievale; la quantità di invenzioni e scoperte trasmesse dai viaggiatori, dai mercanti, dai pellegrini; la quantità di idee filosofiche o religiose passate nei secoli da una civiltà all’altra, sono solo alcuni esempi del flusso di scambi che incessantemente si verificava da un capo all’altro del mondo. Certo, i percorsi oggi sono più rapidi e, soprattutto, più facili e “normali”. Proviamo a costruire una mappa dei contatti col mondo che tutti noi, indirettamente, sperimentiamo nella nostra vita quotidiana: mangiare un pane fatto con farina russa o carne proveniente dall’Argentina, calzare un paio di scarpe costruite in Vietnam o indossare una maglietta tessuta in Egitto, viaggiare su un’automobile fabbricata in Giappone, guardare alla televisione programmi prodotti negli Stati Uniti o in

Brasile. Se prestiamo attenzione a tutto questo ci accorgiamo facilmente che la nostra casa e la nostra persona sono il punto d’arrivo di tante storie diverse, che in modo diverso si incrociano sulle strade del mondo. Ma, appunto, sarebbe sbagliato pensare che tutto ciò sia assolutamente nuovo. Se nel Medioevo apparivano sulla tavola le spezie indiane, nei primi secoli dell’età moderna comparvero il cacao messicano, il tè cinese, il caffè africano, il cotone indiano (per non parlare delle porcellane orientali o dei tappeti persiani). La differenza principale, fra allora e oggi, non stava tanto nella lunghezza dei percorsi seguiti da uomini e merci, quanto nel numero e nella tipologia degli acquirenti e dei consumatori: una piccola élite sociale, un tempo; la massa della popolazione, oggi.

Le peripezie di un mercante, XIII sec. [dalle Cantigas de Santa Maria, Biblioteca de El Escorial, Madrid]

Prima della scoperta dell’America, i traffici e i commerci europei erano indirizzati verso l’Oriente. Nei loro lunghi viaggi, i mercanti non solo portavano con sé merci e ne compravano di nuove, ma contribuivano in modo determinante alla reciproca scoperta di Oriente e Occidente. La lunghezza e la difficoltà degli spostamenti non hanno frenato la voglia di conoscenza e incontro tra culture diverse. La miniatura illustra le avventure di alcuni mercanti catalani: la tempesta in mare, l’arrivo sulla costa calabrese, la negoziazione con i mercanti musulmani, al mercato di Acri, per l’acquisto di oggetti orientali, che venderanno al ritorno in Spagna. Un chiosco della Coca-Cola in una strada di Mosca La Coca-Cola, come gli hamburger o i jeans, può essere considerata il simbolo dell’invasione dei prodotti statunitensi sui mercati mondiali e della cosiddetta globalizzazione. Oggi i prodotti sono commercializzati su scala mondiale con estrema facilità e così, come la Coca-Cola, tanti prodotti sono ormai di uso comune in tutto il mondo.

59 Ancora luoghi inesplorati Fra le scoperte di maggior rilievo va ricordata quella di Vitus Johansen Bering (1681-1741), uno scienziato danese che tra il 1724 e il 1728 guidò una spedizione per conto dello zar di Russia Pietro il Grande. Incaricato di verificare se la Siberia e l’America settentrionale fossero unite, scoprì che non lo erano, e diede il proprio nome allo stretto che in quel punto separa l’America dall’Asia. L’esplorazione dell’emisfero australe fu invece opera soprattutto di navigatori francesi, come Louis-Antoine de Bougainville (1729-1811), e inglesi, come il celebre James Cook (1728-1779). Numerose spedizioni portarono Cook a esplorare i ghiacci del Polo sud, l’Australia, la Nuova Zelanda. Le sue scoperte dimostrarono quanto fossero estese le acque rispetto alle terre emerse del globo (circa i tre quarti dell’intera superficie) e consentirono di realizzare carte geografiche di estrema precisione. I rapporti con le altre culture Tutto ciò ebbe importanti ripercussioni sul piano culturale. Imprese commerciali e viaggi di scoperte furono spesso seguiti dalla pubblicazione di libri, come il Viaggio attorno al mondo di Bougainville, edito nel 1771. Gli europei conobbero più da vicino i popoli del mondo e ne studiarono le diverse civiltà, confrontandole con la propria. Accanto ai tradizionali atteggiamenti di superiorità, all’idea – abbastanza diffusa – che gli europei avessero non solo il diritto, ma il dovere di conquistare il mondo, per imporre e insegnare la propria cultura, furono forti anche le voci che proclamavano la necessità di rispettare e tollerare le diversità: basta pensare a Voltaire (1694-1778), il filosofo francese che con i suoi scritti contribuì a diffondere i principi del rispetto, della tolleranza e dell’uguaglianza fra gli uomini [ 8.3]. Addirittura si giunse a coltivare il mito del “buon selvaggio”: diversi pensatori, come Jean-Jacques Rousseau (1712-1778, 8.5), sostennero la naturale bontà dei popoli “primitivi” contrapposta alla corruzione della “civiltà”. Intere opere furono dedicate allo studio delle altre civiltà, come quella, per esempio dell’economista François Quesnay (1694-1774) sulla società cinese.

Le navi di Cook alla fonda nella baia di Huahine, XVIII sec. [National Maritime Museum, Greenwich]

Il dipinto mostra alcune navi del comandante James Cook ancorate nella baia dell’isola Huahine (Polinesia). Cook fu incaricato, nel 1769, dal governo britannico di esplorare il continente australe e di raggiungere le coste orientali della Nuova Zelanda. Le esplorazioni del capitano inglese si conclusero tragicamente sulle isole Sandwich, nel 1779, quando fu ucciso da alcuni indigeni del posto.

Saliera in avorio proveniente dal Benin, XVI-XVII sec. [Museum of Mankind, Londra]

Questa saliera raffigura dei soldati con croce e spada tipicamente europei ma con un abbigliamento di foggia sicuramente non europea. Le figure maschili sono sormontate dalla riproduzione di una imbarcazione utilizzata dai conquistatori europei per costeggiare l’Africa. Il Benin divenne un importante centro di smistamento degli schiavi africani.

60

Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

Una raffineria di zucchero in Brasile, 1667 [da Joan Blaeu, Geographia; Österreichische Nationalbibliothek, Vienna]

L’immagine rappresenta, all’interno di una carta geografica del Brasile, una engenhos do assucar (azienda dello zucchero). In primo piano, al centro dell’area produttiva, si può notare il grande mulino di spremitura della canna da zucchero; in secondo piano, sulla sinistra, vi è la casa del colono (un europeo), in muratura e su due piani; infine, ancora più a sinistra, vi sono le baracche, di paglia e legno, degli schiavi neri.

5.5 Gli spagnoli e i portoghesi in America. Monocoltura e sottosviluppo Il latifondo americano Fin dal XVI secolo i conquistatori europei si erano insediati nel continente americano in veste di proprietari terrieri, dopo avere eliminato o assoggettato le popolazioni indigene [ vol. 1, 26.1]. Lo sfruttamento di queste terre, di norma assai estese e concentrate nelle mani di pochi, diventò col tempo l’attività principale dei conquistatori; l’estrazione di metalli preziosi (oro e argento), che inizialmente era stata al centro dei loro interessi, passò in secondo piano. Gran parte dei latifondi fu riservata all’allevamento brado del bestiame, soprattutto bovini, una specie prima sconosciuta in America, che gli spagnoli avevano massicciamente introdotto nel continente. Altre parti dei latifondi, inizialmente limitate rispetto a quelle tenute a pascolo, erano coltivate da schiavi: dapprima soprattutto indios indigeni, poi, sempre più numerosi, neri importati dall’Africa occidentale. L’America magazzino d’Europa Fin dall’inizio l’agricoltura dei possedimenti coloniali ebbe un carattere di specializzazione monocolturale (coltivazione di un solo tipo di prodotto) e fu orientata non a produrre cibo per le popolazioni del luogo, ma generi da esportare in Europa. Poiché la terra era straordinariamente fertile e la manodopera sovrabbondante e a basso costo, intere regioni del continente americano furono trasformate in piantagioni specializzate nella produzione di zucchero, caffè, tabacco, i cosiddetti generi coloniali che tra il XVII e il XVIII secolo entrarono nella vita e nelle abitudini degli europei [ 6]. Alle piantagioni spagnole e portoghesi dell’America del Sud si aggiunsero nel corso del tempo quelle olandesi, francesi e inglesi del Nord. Le monocolture Le piantagioni specializzate o “monocolture” furono una delle cause fondamentali del sottosviluppo nelle terre colonizzate dagli europei, in America e altrove nel mondo. In quei paesi, l’intera vita economica fu concentrata su un solo prodotto, o su un limitatissimo numero di prodotti (agricoli o minerari). Per esempio, nell’America Centrale e Meridionale (Antille, Brasile) sorsero vaste piantagioni esclusivamente dedicate alla produzione di zucchero; altrove si coltivò solo il caffè (Indonesia, Brasile) o solo il cotone (India, America Centro-settentrionale). In altri paesi si puntò sulle attività minerarie: nel Perù, l’economia ruotava quasi esclusivamente sullo sfruttamento dei giacimenti d’argento.

Capitolo 5 L’espansione coloniale degli europei

61

Lo sfruttamento delle risorse, naturali e umane Attraverso questo sistema, l’Europa – un mondo che, nel suo complesso, era tecnicamente e scientificamente più sviluppato degli altri continenti – si riforniva di prodotti e di materie prime a basso costo, per potenziare le proprie industrie e i commerci. Ma per le colonie il sistema della monoproduzione rappresentò un grave danno, che si sarebbe rivelato in tutta la sua ampiezza più tardi, nel XIX e nel XX secolo). Infatti, concentrando l’economia in pochi settori o anche in uno solo, si soffocarono le attività produttive tradizionali, legate ai bisogni reali di quei paesi e di quelle popolazioni, che si impoverirono sempre più di risorse. Ancora più direttamente e brutalmente, i territori africani furono spogliati della loro principale risorsa: gli uomini. Per tre-quattro secoli le forze più sane e robuste del continente furono requisite ed esportate altrove in condizioni di schiavitù. Identità sociali, etniche e culturali furono cancellate o sconvolte.

5.6 Il commercio degli schiavi Gli europei a caccia di schiavi Già agli inizi del Cinquecento, i proprietari delle piantagioni americane ricorsero all’importazione di schiavi dall’Africa per colmare i vuoti di manodopera creati dall’alta mortalità degli indigeni, sottoposti a ritmi di lavoro massacranti e sterminati dalle nuove malattie importate dagli europei [ vol. 1, 26.2]. Per lungo tempo il commercio degli schiavi fu praticato soprattutto dai portoghesi, che dalle loro basi in Guinea, nel Congo e in Angola controllavano la vendita e l’imbarco degli africani, catturati nelle regioni interne da compagnie di mercenari reclutati sul posto: gente armata faceva irruzione nei villaggi, rastrellava gli uomini più giovani e forti e li consegnava sulle coste ai trafficanti europei. Nel Seicento anche gli olandesi si dedicarono a questo traffico; nel Settecento lo praticarono anche inglesi e francesi, che cominciarono a rifornire di schiavi direttamente le proprie colonie americane.

Mercanti di schiavi a Gorea, 1796 [da Grasset de Saint-Sauveur, Les Costumes des Peuples, Bibliothèque des Arts décoratifs, Parigi]

In questa incisione due mercanti di schiavi, uno bianco e uno di colore, discutono tra loro contrattando il prezzo di due schiavi. Raramente i mercanti bianchi razziavano schiavi nelle zone interne dell’Africa. Ricorrevano a mediatori neri o arabi, che assembravano prigionieri in carovane e li portavano sulla costa per venderli: in questo caso l’isola di Corea, a 4 km da Dakar (Senegal).

Aa Documenti Memorie di un mercante di schiavi Un viaggiatore italiano, il fiorentino Francesco Carletti (1573-1636), descrive in modo minuzioso le modalità con cui avvenivano la vendita e l’acquisto degli schiavi africani. Egli non nasconde un certo disagio nel vedere quegli uomini trattati e marchiati come bestie, ma non mette in dubbio che quel commercio sia legittimo e “normale”: lui stesso lo pra-

S

ticava, assieme al padre Antonio. I due Carletti, esploratori e mercanti, furono i primi viaggiatori privati a compiere la circumnavigazione del globo, fra il 1594 e il 1602. Francesco raccolse poi le sue esperienze di viaggio in dodici Ragionamenti dedicati al granduca di Toscana Ferdinando I. Nel brano seguente Carletti si lamenta

barcati che fummo alle Isole di Capo Verde, pigliammo una casa e cominciammo a dar voce di voler comperar schiavi; onde quei portoghesi, che li tengono alla campagna nelle lor ville a branchi come il bestiame, ordinarono che fossero condotti alla città per farceli vedere. Vistone alcuni e domandando de’ prezzi, trovammo che non riuscivamo ad avere tanto guadagno, quanto con la penna stando in Spagna avevamo calcolato, e ciò avveniva perché ne chiedevano molto di più del solito, per causa della quantità delle navi che erano venute quivi; e tutti volevano caricare schiavi per le Indie il che causò tanta alterazione ne’ prezzi, che dove si soleva vendere uno schiavo per cinquanta scudi, al più sessanta, fu forza com-

del prezzo eccessivo degli schiavi, dovuto a una domanda di mercato estremamente alta, e di aver dovuto comprarne un blocco intero, senza poter scegliere fra maschi e femmine, adulti e bambini. La vicenda si svolge nelle isole di Capo Verde, dove i due mercanti si recano ad acquistare schiavi da rivendere in America.

prarli per cento scudi l’uno, al qual prezzo ne comprammo settantacinque, due terzi maschi e un terzo femmine, mescolatamente vecchi e giovani, grandi e piccoli tutti insieme, secondo l’uso di quel paese, in un branco come tra noi si compra un armento di pecore. Poi ciascun padrone li fa segnare, o per dir più propriamente marcare della sua marca che si fa d’argento, e poi infocata al lume della candela di sego. Cosa veramente che a ricordarmi di averla fatta, mi causa una certa tristezza e confusione, perché mi parve sempre un traffico inumano e indegno della professione e pietà cristiana. F. Carletti, Ragionamenti del mio viaggio intorno al mondo, ed. P. Collo, Torino, pp. 15-16

62

Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo L’asiento Per far fronte alla domanda di schiavi, la Spagna ricorse fin dal XVI secolo al metodo dell’appalto o asiento de negros, una gara internazionale che garantiva al vincitore il monopolio del commercio. Nel 1700 se lo aggiudicò la Francia; nel 1713, il trattato di Utrecht [ 4.2] lo attribuì all’Inghilterra, che nei decenni successivi si assicurò il primato coloniale e commerciale mondiale. La deportazione africana A poco a poco la presenza degli schiavi di origine africana nel Nuovo Mondo raggiunse dimensioni impressionanti: alla fine del Settecento essi costituivano il 60% della popolazione del Brasile, il 50% di quella di Cuba, addirittura il 90% della popolazione delle Antille francesi e inglesi. Complessivamente si è stimato che tra la fine del XV secolo e la metà del XIX almeno 10 milioni di persone furono deportate dall’Africa nel continente americano. «Non so se caffè e zucchero siano essenziali alla felicità dell’Europa», scrisse lo scrittore Bernardin de Saint-Pierre nel 1773. «So però bene che questi due prodotti hanno avuto molta importanza per l’infelicità di due grandi regioni del mondo: l’America fu spopolata in modo da avere terra libera per piantarli; l’Africa fu spopolata per avere le braccia necessarie alla loro coltivazione».

Deportazione di alcuni africani condotti in schiavitù, seconda metà del XVIII sec. [da Guillaume Thomas Raynal, Storia filosofica e politica delle colonie e del commercio degli europei nelle Due Indie]

L’illustrazione raffigura il dramma della deportazione di un gruppo di africani condotti in schiavitù. Le menti più illuminate del periodo non furono insensibili al dramma dello sfruttamento degli indigeni venduti come schiavi.

Lo schiavismo arabo Al mercato degli schiavi praticato dagli europei nell’Africa occidentale faceva riscontro e si aggiungeva, sulle coste orientali, un analogo commercio di esseri umani controllato dagli arabi e attivo fin dal VII secolo. Anche questo traffico – che aveva come centro l’isola di Zanzibar – serviva a rifornire di manodopera le piantagioni di canna da zucchero, lavorate, nel mondo arabo così come nelle colonie europee, soprattutto da schiavi. Inoltre gli schiavi erano impiegati nell’esercito, nei servizi di corte e in quelli domestici.

5.7 Il commercio triangolare L’economia-mondo Il Seicento e il Settecento furono i secoli del cosiddetto commercio triangolare, sostenuto dalle potenze coloniali europee e in particolare dall’Inghilterra. Il meccanismo era semplice: pagare merci con altre merci. Dall’Inghilterra (o dalla Francia, o dall’Olanda, fino a che questi paesi riuscirono a mantenersi concorrenziali rispetto all’Inghilterra) partivano navi cariche di armi, alcolici, manufatti (soprattutto tessuti di cotone fabbricati in India). Giunte in Africa, queste merci erano scambiate con schiavi, avorio, oro. A questo punto l’itinerario si biforcava: gli schiavi erano trasportati in America per lavorare nelle piantagioni. Oro e avorio finivano in Estremo Oriente per acquistare tessuti di seta (in Cina) e di cotone (in India) e inoltre tè, caffè e spezie, che, una volta smerciate in Inghilterra, ripartivano alla volta degli altri paesi europei. Si delineava in questo modo una economia-mondo, totalmente funzionale agli interessi delle potenze coloniali. Il predominio britannico Il traffico triangolare fornì un triplice incentivo all’industria inglese. Gli schiavi venivano acquistati con manufatti inglesi; trasportati nelle piantagioni, essi producevano zucchero, cotone, indaco, melassa e altri prodotti tropicali, la cui trasformazione creava nuove attività industriali in Inghilterra, mentre il mantenimento degli schiavi e quello dei loro padroni nelle piantagioni offriva un ulteriore mercato all’industria inglese. Nel 1750 era difficile trovare una città commerciale o manifatturiera in Inghilterra che non fosse in qualche modo collegata con il traffico triangolare. I profitti ricavati, ha scritto lo storico Eric Williams, «costituirono uno dei principali elementi di quell’accumulazione di capitale che più tardi finanziò in Inghilterra la rivoluzione industriale» [ 16].

Capitolo 5 L’espansione coloniale degli europei Meno spezie, più seta e cotone Rispetto alle importazioni dall’Asia, col passare del tempo si ridusse l’importanza delle spezie, mentre aumentavano i manufatti di seta e cotone. Basti dire che nel 1621 le spezie rappresentavano il 74% delle merci importate dalla Compagnia inglese delle Indie orientali, e i tessuti il 16%. Nel 1700 le proporzioni si erano invertite: 23% le spezie, 55% i tessuti. Le vesti di cotone, pratiche ed economiche, cominciarono a essere vendute anche nelle piantagioni americane, per vestire gli schiavi. Nel corso del XVIII secolo il governo inglese cambiò strategia: anziché importare tessuti dall’India ne stimolò la produzione in Inghilterra, limitandosi a importare cotone greggio. Questa politica, sostenuta da apposite leggi del Parlamento emanate nel 1701 e nel 1721, in breve tempo portò alla crisi dell’artigianato locale indiano e allo sviluppo dell’industria tessile inglese.

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Le Americhe e il commercio triangolare atlantico, a metà del XVIII sec.

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Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

Sintesi

L’espansione coloniale degli europei

Gli olandesi e i missionari cristiani in Asia In Asia, gli europei da iniziali stanziamenti di basi commerciali progressivamente arrivarono ad avere colonie di popolamento, fino a forme di controllo politico. Per primi gli olandesi, nel XVII secolo, stabilirono un dominio diretto su alcuni territori, tramite la Compagnia olandese delle Indie orientali che gestiva il commercio delle spezie. La penetrazione commerciale, economica e religiosa trovò delle difficoltà in Cina e in Giappone. In Cina, retta dal XVII secolo dalla dinastia Qing, dopo un iniziale atteggiamento di accoglienza nei confronti dei missionari gesuiti, i quali a loro volta tolleravano nei convertiti la permanenza di abitudini e riti tradizionali, vi fu un raffreddamento dei rapporti sul piano religioso. Persistettero però i rapporti commerciali e soprattutto la Cina esportava verso l’Europa i suoi prodotti (seta, porcellana, tè, carta). Il Giappone nel XVII secolo assunse un atteggiamento di rigida chiusura verso gli europei, a eccezione degli olandesi. La società nipponica era costituita da potentati locali teoricamente soggetti all’imperatore (mikado), che nominava il governatore generale (shogun). Lo shogun Ieyasu Togukawa iniziò l’accentramento e l’unificazione del paese, e istituì una dinastia.

resistenze di poteri locali e dei principi di religione induista rendevano il paese non unito e fragile. Nel XVII secolo, questa debolezza agevolò la penetrazione delle potenze europee, in primo luogo della Francia, che instaurò una propria base commerciale a Pondichéry arrivando a controllare la regione del Deccan. Dopo la guerra dei Sette anni all’egemonia francese si sostituì l’occupazione territoriale inglese, condotta attraverso la Compagnia delle Indie orientali, che prima ottenne l’appalto per la riscossione delle imposte in Bengala e nel Bihar, poi giunse a occupare la capitale Delhi, assoggettando così l’India.

L’impero coloniale britannico e la guerra dei Sette anni Nel XVIII secolo la Gran Bretagna si affermò come la prima potenza coloniale mondiale, grazie alla vittoria nella guerra dei Sette anni (175663). Gli schieramenti contrapposti vedevano da un lato Gran Bretagna e Prussia, dall’altro Francia, Impero asburgico, Russia e successivamente Spagna. In Europa i prussiani respinsero gli austriaci; in America Settentrionale gli inglesi, dopo iniziali insuccessi, ribaltarono l’esito ottenendo la vittoria, così come avvenne anche in Africa, India, Antille e Filippine. Con la pace di Parigi (1763) la Gran Bretagna otteneva il Canada, i territori nordamericani a est del Mississipi, la Florida, il Senegal, alcune isole caraibiche, gran parte dell’India, mentre la Prussia confermava il proprio dominio sulla Slesia.

Gli spagnoli e i portoghesi in America. Monocoltura e sottosviluppo I conquistatori europei insediatisi nel continente americano fin dal XVI secolo indirizzarono sempre più la loro attività verso lo sfruttamento delle terre. Su di esse si praticava l’allevamento brado, specialmente dei bovini, e la coltivazione, per la quale furono sfruttati prima gli indios, poi gli schiavi neri importati dall’Africa. L’agricoltura era improntata al sistema della monocoltura: era coltivato un solo prodotto. I beni e i generi (zucchero, caffè, tabacco) erano esportati in Europa. Questo tipo di regime economico fu una delle cause del sottosviluppo nelle terre colonizzate dagli europei. Furono distrutte le attività produttive funzionali ai bisogni delle popolazioni; in Africa poi il commercio degli schiavi si reggeva sulla requisizione fisica degli uomini, il che determinò la cancellazione di identità sociali, etniche e culturali.

I francesi e gli inglesi in India Dal 1526, la dinastia Moghul aveva creato un proprio dominio imperiale sull’India, ma le

Esplorazioni geografiche e rapporti interculturali Nel XVIII secolo si intensificarono anche gli studi scientifici e le ricerche geografiche. I viaggi erano promossi da governi o istituzioni culturali e vi partecipavano scienziati. Attraverso questi viaggi, gli europei poterono conoscere meglio le altre popolazioni del mondo e, accanto a coloro che ritenevano che la cultura europea fosse superiore alle altre e avesse il diritto di dominarle, iniziarono a svilupparsi atteggiamenti di apertura, tolleranza (Voltaire) o di idealizzazione positiva delle civiltà primitive (Rousseau).

Il commercio degli schiavi L’alta mortalità diffusa tra gli indigeni causò un vuoto di manodopera che, dall’inizio del XVI secolo, spinse i proprietari delle piantagioni americane all’importazione di schiavi dall’Africa. Inizialmente il commercio degli schiavi fu praticato dai portoghesi, che ne controllavano vendita e imbarco dalle loro basi africane (Guinea, Angola, Congo). A essi si affiancarono gli olandesi (XVII sec.) e inglesi e francesi (XVIII sec.). Dal XVI secolo la Spagna introdusse l’asiento de negros che consisteva nel dare in appalto il monopolio del commercio di schiavi; dopo il 1713 esso fu attribuito all’Inghilterra. Il numero di schiavi africani deportati e venduti nel Nuovo Mondo fu enorme: almeno 10 milioni di persone tra la fine del XV e la metà del XIX secolo. Lungo le coste africane orientali erano invece gli arabi a gestire il mercato di schiavi: essi erano usati come manodopera nelle piantagioni di zucchero o impiegati nell’esercito o nei servizi domestici e di corte. Il commercio triangolare Tra XVII e XVIII secolo si sviluppò il meccanismo economico del commercio triangolare, principalmente in Inghilterra ma anche nelle altre potenze coloniali. Dall’Inghilterra le navi trasportavano armi, alcolici e manufatti in Africa. Qui tali merci erano scambiate con schiavi destinati alle piantagioni americane o con avorio e oro destinati all’Estremo Oriente, dove erano acquistati tessuti di seta e cotone, tè, caffè, spezie. I beni ottenuti erano poi ricondotti e smerciati in Inghilterra e negli altri paesi europei. Si innescava un ciclo di economia-mondo che aveva al centro gli interessi delle potenze coloniali. L’industria inglese si avvantaggiò di questo sistema: i manufatti inglesi erano usati per comprare gli schiavi, che realizzavano prodotti che venivano poi trasformati creando nuove attività industriali. Con il tempo aumentò l’importanza dei manufatti di seta e cotone a scapito delle spezie e nel XVIII secolo fu incentivata la loro produzione in Inghilterra, importando solo il cotone. In questo modo entrò in crisi l’artigianato indiano, a vantaggio dell’industria tessile inglese.

Capitolo 5 L’espansione coloniale degli europei

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1526

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.

1602

1641

1673

1700

1713

1724

1744

1763

1771

1803

divieto di ingresso in Giappone senza un permesso scritto concessione all’Inghilterra del monopolio del commercio degli schiavi insediamento della dinastia Moghul in India base commerciale francese a Pondichéry in India inizio della spedizione di Vitus Jonassen Bering nascita della Compagnia olandese delle Indie orientali la Compagnia inglese delle Indie orientali occupa la capitale indiana Delhi pace di Parigi pubblicazione del Viaggio attorno al mondo di Louis-Antoine de Bougainville assegnazione alla Francia del monopolio del commercio degli schiavi condanna papale del sincretismo religioso utilizzato dai gesuiti in Cina

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto.

3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

asiento • australe • brado • evangelizzazione • isolazionismo • monocoltura • monopolio • resoconto • samurai • shogun • sincretismo • sottosviluppo

a. I viaggi e le esplorazioni del XVIII secolo avevano anche un carattere scientifico.

V

F

b. William Pitt, esponente del partito whig, governò l’Inghilterra dal 1742 al 1778.

V

F

c. Il sistema della monocoltura rappresentò un vantaggio per le colonie americane.

V

F

Di animale che vive all’aperto in uno stato semi selvaggio

d. La guerra dei Sette anni fu il primo conflitto di dimensioni mondiali.

V

F

Politica caratterizzata dal disinteresse di uno Stato verso i rapporti con altri Stati

e. Nel XVIII secolo il governo inglese stimolò la produzione di tessuti in Inghilterra.

V

F

Condizione di crescita scarsa o nulla in rapporto alle potenzialità

f. Alla fine del XVIII secolo, il 90% della popolazione di Cuba era costituito da schiavi neri.

V

F

g. Quesnay sostenne la bontà naturale dei popoli primitivi contrapposta alla corruzione della civiltà.

V

F

h. Nel corso del XVIII secolo Giappone, India e Cina furono colonizzati dagli europei.

V

F

i. La pace di Parigi sancì l’affermazione della Francia come potenza emergente.

V

F

Coltivazione di un solo tipo di prodotto

l. L’allevamento dei bovini, già presente in America, fu perfezionato dai conquistatori europei.

V

F

Governatore generale nominato dall’imperatore giapponese

m. L’isola di Zanzibar era il centro del commercio degli schiavi gestito dagli arabi.

V

F

Appalto esclusivo per il commercio di schiavi nelle colonie spagnole americane

n. L’Olanda aveva una base commerciale in Giappone vicino a Nagasaki.

V

F

Controllo dell’offerta di un prodotto da parte di un unico soggetto

o. La Compagnia inglese delle Indie orientali ottenne nel 1765 l’appalto delle imposte in Bengala.

V

F

Vassalli armati a sostegno dei signori locali giapponesi

Relazione informativa dettagliata relativa a un avvenimento Situato nella zona meridionale Conversione al cristianesimo mediante la predicazione Fusione di dottrine o di teorie diverse o inconciliabili

65

66

Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

4. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. America • Antille • Asia • Canada • Europa • Florida • Francia • Gran Bretagna • Impero • India • Louisiana • Montréal • Parigi • Prussia • Québec • Russia • Senegal • Slesia • Spagna LA GUERRA DEI SETTE ANNI QUANDO

1756-63

DOVE

............................................ ; ............................................ ; ............................................ ;

CHI

Due schieramenti contrapposti: • ............................................................ e ............................................ (potenze emergenti) • .................................................... , .................................................... , .................................................... (difendono interessi affermati) e .................................................... (successivamente)

PERCHÉ

• .................................................... : contende la .................................................... all’.................................................... • .................................................... : interessi verso le colonie francesi .................................................... , Africa, ............................)

EPISODI SALIENTI

• Dimensioni mondiali del conflitto • .................................................... : .................................................... respinge attacchi Austria • .................................................... : iniziali successi della ....................................................... , rafforzamento esercito inglese, ribaltamento esito, conquista: .................................................... , .................................................... • ....................................................... , ....................................................... , ....................................................... , Filippine: vittorie inglesi

ESITO FINALE

• 1763: pace di .................................................... • Inghilterra ottiene: ...................................................... , territori a est del Mississipi, ...................................................... , isole dei Caraibi, .................................................... , .................................................... • .................................................... ottiene: Slesia • .................................................... ottiene: .................................................... (dalla Francia)

Africa

Indica sulla cartina le direttrici del conflitto e le acquisizioni territoriali ottenute da Inghilterra, Prussia e Spagna, contrassegnandole con colori diversi.

Capitolo 5 L’espansione coloniale degli europei

5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. accentramento • base • carta • consuetudini • cotone • daymo • divieto • doganali • dominio • francese • gesuiti • impero • induisti • inglese • insediamento • isolazionismo • mercati • mikado • Ming • missionari • Moghul • Nagasaki • occupazione • Olanda • permesso • potentati • principi • Qing • samurai • seta • shogun • Togukawa IN ASIA: CINA, INDIA, GIAPPONE CINA

INDIA

GIAPPONE

FORMA DI STATO

.....................................................................

• ................................................................. • .................................................... locali • Resistenza dei ................................ meridionali (........................................) • XVIII sec.: ........................................... territoriale ............................................ • Dal 1803: ........................................... della Compagnia Indie orientali

• ................................................................. • ................................................... locali: .................................... (governatori) e ................................. (vassalli armati) • ................................... (imperatore): nominava lo ......................................... (governatore generale)

CHI GOVERNAVA

• 1368-1644: dinastia ..................... • Dal XVII: dinastia ...........................

• Dal XVIII secolo: dinastia

• Dal XVII secolo: dinastia

.....................................................................

.....................................................................

• carica ............................ ereditaria • ................................................ politico RAPPORTI CON GLI EUROPEI

• XVII secolo: interesse verso cultura occidentale e apertura ai ..............................................................: rispettavano tradizioni e .....................................................................

• XVIII secolo: chiusura: ................................... di predicazione ai .............................................. europei

SCAMBI ECONOMICI

STATUS POLITICO

• Esportazioni: ................................. , porcellana, tè, ..................................... • Importazioni: scarse • Tasse ........................................ sulle merci straniere Impero sovrano

• ................................................................. di compagnie commerciali europee sulle coste • Penetrazione interna per controllo dei ............................................... • 1673: ...................... commerciale ....................................... a Pondichéry • Dopo 1763: ....................................... inglese; ................................................... territoriale

• XVI secolo: accoglienza ............................................ portoghesi • Dal XVII secolo: chiusura; ............................................ di ingresso senza ........................................ scritto

• Esportazione di tessuti di

• ................................................................. commerciale • ....................................: .......................... commerciale presso ........................

...................................

• Affermazione europea nel controllo dei ......................................... interni • Fino al 1763: impero sovrano dai poteri effettivi problematici • XVIII secolo: colonia inglese

Impero sovrano

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Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quali aspetti caratterizzarono la crescita economica inglese nel XVIII secolo? 2. Attraverso quali tappe tale crescita si sviluppò? 3. Quale acquisizione territoriale ebbe conseguenze rilevanti sull’economia inglese? 4. Che caratteri aveva l’impero coloniale francese all’inizio del XVIIII secolo? 5. Quali eventi ebbero un peso decisivo sul suo sviluppo? Con quali conseguenze? 6. Quali caratteri aveva l’espansione coloniale olandese nel XVII secolo? E nel XVIII?

7. Quali aspetti peculiari la contraddistinsero? Quali territori controllava? 8. Quali caratteristiche avevano le colonie spagnole nel XVIII secolo? Che cosa producevano? A che scopo? 9. Quali modifiche territoriali avvennero nelle colonie spagnole nel corso del XVIII secolo? 10. Quali caratteristiche avevano le colonie portoghesi nel XVIII secolo? Che cosa producevano? A che scopo? 11. Quale attività fu svolta inizialmente dai portoghesi? Come era organizzata?

Con le informazioni ottenute, scrivi un testo di 10-15 righe dal titolo “Le potenze europee tra Seicento e Settecento”.

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. In quali colonie si svilupparono i latifondi? Quali Stati fecero ricorso a essi? 2. Su che cosa era basata l’economia del latifondo? 3. Che cosa si produceva?

4. Per chi si produceva? 5. Chi vi lavorava? 6. In che modo questo sistema teneva conto delle esigenze economiche europee? 7. In che modo questo sistema teneva conto delle esigenze economiche locali delle colonie?

Con le informazioni ottenute, completa la seguente tabella. L’ECONOMIA DEL LATIFONDO NELLE COLONIE QUANDO

.............................................................................................................................................................................................................................

DOVE

............................................................................................................................................................................................................................. .............................................................................................................................................................................................................................

A OPERA DI

............................................................................................................................................................................................................................. .............................................................................................................................................................................................................................

ECONOMIA BASATA SU

............................................................................................................................................................................................................................. .............................................................................................................................................................................................................................

COSA SI PRODUCEVA

............................................................................................................................................................................................................................. ............................................................................................................................................................................................................................. .............................................................................................................................................................................................................................

CHI LAVORAVA

............................................................................................................................................................................................................................. ............................................................................................................................................................................................................................. .............................................................................................................................................................................................................................

PER CHI SI PRODUCEVA

............................................................................................................................................................................................................................. ............................................................................................................................................................................................................................. .............................................................................................................................................................................................................................

8. Il commercio triangolare. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa si intende per “commercio triangolare”? 2. Su quale principio si basava questo sistema? 3. Quali Stati fecero ricorso a tale sistema?

4. Quali merci erano scambiate? Con che cosa? 5. Quali conseguenze comportò questo sistema per le economie europee?

Capitolo 5 L’espansione coloniale degli europei

Con le informazioni ottenute, completa lo schema seguente. L’ECONOMIA DEGLI SCAMBI E IL COMMERCIO TRIANGOLARE

........................................................................ ........................................................................ ........................................................................ ........................................................................

........................................................................

........................................................................

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........................................................................ ........................................................................ ........................................................................

........................................................................ ........................................................................ ........................................................................ ........................................................................ ........................................................................

Adesso, indica sulla cartina le direttrici dei commerci.

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Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

9. Leggi il documento “Oriente, Occidente, globalizzazione” a p. 58 e rispondi alle seguenti domande.

1. Che cosa si intende oggi per “globalizzazione”? Quale è l’elemento di novità che la caratterizza? 2. Quali elementi che caratterizzano il fenomeno sono esistiti già in epoche precedenti? 3. Quali prodotti di uso quotidiano al giorno d’oggi risentono dell’economia globale? 4. Quali prodotti di uso quotidiano in passato erano legati agli scambi commerciali su scala mondiale? 5. Che differenze esistono tra presente e passato? Sulla base delle informazioni ottenute e integrando con quelle presenti nelle tabelle degli esercizi precedenti, scrivi un testo di almeno 15 righe dal titolo “L’economia-mondo tra ieri e oggi”.

10. Verso il saggio breve Leggi il documento “Memorie di un mercante di schiavi” a p. 67 e rispondi alle seguenti domande. 1. Chi è l’autore del documento? Che cosa racconta? 2. Dove avviene l’esperienza narrata? 3. Come avveniva l’acquisto degli schiavi?

4. Quale inconveniente si verifica? Per quale motivo? 5. Come erano venduti gli schiavi? Come erano trattati? 6. Che cosa è sottolineato dall’autore? Come è commentato? Leggi la citazione di Bernardin de Saint-Pierre riportata a p. 62 e rispondi alle seguenti domande. 1. A quali commerci è messa in relazione la vendita degli schiavi? 2. Quali conseguenze sono evidenziate? Rispondi alle seguenti domande. 1. Per quale motivo si fece ricorso al commercio degli schiavi? 2. Da chi era organizzato e gestito? In che modo? 3. Quali erano i centri principali in cui avveniva il commercio degli schiavi? 4. Che cosa era l’asiento? A chi fu attribuito in via definitiva? Con quali conseguenze? 5. Quali cifre raggiunse la presenza di schiavi africani nel continente americano? 6. Chi praticava il commercio degli schiavi in Africa orientale? A che scopo? Con le informazioni così raccolte, scrivi un testo di almeno 15 righe dal titolo: “La tratta degli schiavi: quando, come, perché”.

Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

6 Nuovi commerci,

Capitolo

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nuovi consumi

Percorso breve L’economia coloniale, oltre a stravolgere gli equilibri sociali, produttivi e politici di intere regioni del mondo, sollecitò consumi di tipo nuovo in Europa, particolarmente nel settore alimentare e in quello dell’abbigliamento. In quest’ultimo campo si affermarono i tessuti di cotone al posto di quelli tradizionali di lino e di lana. In campo alimentare trionfò lo zucchero, ottenuto dalla raffinazione della canna, che gli europei importarono nelle colonie d’America e d’Asia. Il successo dello zucchero – che in parte sostituì le spezie come simbolo gastronomico del prestigio sociale – fu sostenuto anche da molti medici, che celebrarono le virtù del nuovo prodotto. Il sostegno dei medici, pur fra molte polemiche e discussioni, servì anche a promuovere il consumo di caffè, di tè e di cioccolata, le tre nuove bevande che caratterizzarono l’Europa sei-settecentesca: le prime due di origine asiatica (anche se il caffè fu ben presto introdotto dagli europei in America), l’altra di origine americana. Caffè e tè diventarono tipici consumi della società borghese (e in prospettiva anche delle classi popolari) mentre la cioccolata rimase maggiormente confinata tra le élite aristocratiche e le gerarchie ecclesiastiche. Tutte le nuove bevande furono, nell’uso europeo, arricchite di zucchero, cambiando notevolmente di gusto rispetto ai tradizionali usi asiatici (per il caffè e il tè) o americani (per la cioccolata). Fra i nuovi consumi dell’epoca sono da annoverare anche il tabacco (annusato, masticato o fumato) e i distillati alcolici, che per la prima volta uscirono dall’ambito farmaceutico, in cui erano stati confinati per secoli, diventando bevande di uso comune, in qualche caso con risultati devastanti: soprattutto fra le classi popolari, l’alcolismo diventò una vera piaga sociale.

Giovanni Grevembroch, Nobili al caffè, 1754 [dal Codice Gradenigo, Abiti de’ veneziani di quasi ogni età con diligenza raccolti e dipinti nel secolo XVIII; Biblioteca Museo Correr, Venezia]

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Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

6.1 Il successo del cotone, il trionfo dello zucchero Un’antica fibra per nuovi vestiti L’intensificarsi dei rapporti economici e commerciali dell’Europa con il vasto mondo coloniale dell’Asia e delle Americhe sollecitò nuovi tipi di consumi e incise in modo particolare nel campo alimentare, come pure in quello dell’abbigliamento, che nel corso del Settecento vide affermarsi un nuovo grande protagonista: il cotone. L’utilizzo delle fibre di cotone per fabbricare tessuti era, in India, antichissimo; in Europa invece, per lungo tempo, i tessuti di uso più comune restarono quelli che si potevano produrre localmente: il lino o la canapa per l’estate, la lana per l’inverno. Solo fra il Seicento e il Settecento le Compagnie commerciali inglese e olandese cominciarono a importare dall’India in Europa crescenti quantità di tessuti di cotone, che a poco a poco si diffusero fra la popolazione per farne camicie, lenzuola, biancheria. Parallelamente declinò la coltivazione del lino, che da quel momento in poi assunse la caratteristica di prodotto di lusso che ancora oggi lo contraddistingue. La diffusione dello zucchero Nell’antichità, lo zucchero di canna era utilizzato solo nelle aree tropicali dell’Asia (India, Arabia) e in Africa (Egitto). In Occidente, fino a tutto il

Aa Documenti Il business dello zucchero tra economia, politica e prestigio sociale Thomas Dalby (1650-1711), governatore inglese della Giamaica e proprietario di numerose piantagioni di canna da zucchero, fu, verso la fine del XVII secolo, uno dei principali promotori della produzione di zucchero nelle colonie americane. Egli

F

intuì con grande chiarezza quale grande fortuna avrebbe rappresentato per l’Europa lo sviluppo di quel mercato. L’espansione del consumo di zucchero significava fondazione di nuove colonie, mercato di schiavi, traffici marittimi, accumulo di

ino a cinquecento anni fa gli europei conoscevano a malapena il nome dello zucchero ed erano del tutto ignari del suo uso. Ben presto però i medici scoprirono che poteva essere utilizzato allo stesso modo del miele e per gli stessi fini, ma con meno effetti nocivi. Così esso diventò una mercanzia di grande valore: sebbene avesse un prezzo dieci volte superiore a quello di adesso, lo zucchero si impose velocemente e il suo consumo divenne molto grande. Le virtù della melassa, venduta inizialmente soltanto nelle botteghe dei farmacisti sotto forma di sciroppo, sono ora ben Solo un passaggio dell’argomentazione di Dalby è discutibile: là dove egli sostiene che il consumo di zucchero si impose, fra XV e XVI secolo, «sebbene avesse un prezzo dieci volte superiore» a quello che si chiedeva alla fine del Seicento. In realtà fu proprio per quel motivo che lo zucchero si impose: il suo altissimo costo, che lo rendeva accessibile a pochi, ne fece rapidamente uno status-symbol, un simbolo di differenza sociale. Un consumo di prestigio, insomma, che distingueva la tavola dei ricchi da quella dei poveri. Un cuoco italiano del Cinquecento, Cristoforo Messisbugo (fine XV sec.-1548), che lavorava alla corte degli Este a Ferrara, scrisse nel suo trattato di cucina (pubblicato nel 1549) che il principe “deve” mettere molto zucchero nelle vivande che offre agli ospiti,

capitali: realtà di grande rilievo politico oltre che economico. Perciò Dalby sottolineava la necessità di un intervento dello Stato per sollecitare l’iniziativa, progettarla e mantenerla sotto controllo. Ecco alcune delle sue argomentazioni.

conosciute e non è possibile immaginare quanti modi vengano scoperti ogni giorno per utilizzare i prodotti delle piantagioni di zucchero, nelle più svariate circostanze: battesimi, banchetti, ornamenti sulle tavole dei ricchi. Sarebbe dunque opportuno controllarne l’arte della manifattura, per evitare che essa possa trasferirsi in Olanda o in Francia, così come nel passato si trasferì dal Portogallo all’Inghilterra. Se così avvenisse, accadrebbe a noi quello che a suo tempo accadde al Portogallo, e cioè che perderemmo gran parte dei traffici commerciali e degli introiti.

nelle salse che accompagnano la carne, nel condimento della pasta e delle verdure, nella farcitura delle torte e così via, oltre che, ovviamente, nei dolci. Solamente i nobili di medio e basso rango – aggiunge – possono permettersi di usarne meno. All’inizio, dunque, il successo dello zucchero, che letteralmente inondò le cucine di mezza Europa, fu dovuto proprio al suo alto costo. Col passare dei decenni, poi, la quantità di zucchero offerta sul mercato aumentò, e il prezzo diminuì, rendendolo accessibile a strati più ampi della popolazione. Bisognerà però attendere il XIX secolo perché lo zucchero diventi veramente un consumo “popolare”. Nel testo di Dalby è da notare il riferimento all’opinione dei medici, che sostenevano la natura “benefica” e salutare

dello zucchero. Il sapore dolce, infatti, fin dal Medioevo era ritenuto il sapore perfetto, quello più “giusto” per l’equilibrio dietetico: il sapore che, in qualche modo, equilibrava e temperava tutti gli altri. Tali teorie ovviamente vanno interpretate non alla luce dell’esperienza contemporanea (quando, nei paesi ricchi, il consumo di zucchero tende a raggiungere livelli eccessivi) bensì in un contesto, come quello dei secoli XV-XVIII, in cui il sapore dolce rimaneva per molti un miraggio, e proprio per questo poteva essere assunto come un segno di diversità sociale. A prescindere da questo, è comunque interessante che l’evoluzione dei consumi alimentari si ricolleghi sempre, in tutte le società, alla riflessione sulle qualità nutrizionali e dietetiche dei cibi.

Capitolo 6 Nuovi commerci, nuovi consumi

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Medioevo, il dolcificante per eccellenza fu il miele: lo zucchero, che pure era conosciuto (gli arabi avevano diffuso la coltivazione della canna in Andalusia e in Sicilia), rimase per lungo tempo un prodotto esotico, un genere di lusso analogo alle spezie. A cominciare dal Cinquecento gli europei diffusero la coltivazione della canna nelle zone climaticamente più adatte del continente americano: i portoghesi la impiantarono in Brasile, dove in breve tempo fiorirono le piantagioni lavorate da schiavi; gli spagnoli la impiantarono nelle Antille, presto affiancati dai francesi e dagli inglesi. Fra il XVII e il XVIII secolo, mentre la coltivazione della canna da zucchero declinava in Europa, la produzione proveniente da oltre Oceano crebbe vertiginosamente: attorno alla metà del Settecento i consumi europei erano saliti a 135.000 tonnellate annue, circa 1 kg a testa.

I gusti cambiano Questo gigantesco affare commerciale fu collegato a una profonda modificazione dei gusti alimentari. La predilezione medievale per i sapori acidi, forti e speziati [ vol. 1, 9.3] lasciò il posto a gusti più morbidi, dolci e delicati. Il trionfo dello zucchero segnò il declino del consumo di spezie, un tempo ricercatissime. Si sviluppò allora per la prima volta l’arte della pasticceria, basata sul burro e sullo zucchero (i dolci medievali invece erano secchi e a base di miele). Inoltre, lo zucchero fu un importante complemento delle nuove bevande coloniali (tè, caffè, cioccolato) che sempre più si affermavano in Europa.

6.2 Caffè e tè conquistano l’Europa Il caffè e la nuova società borghese Originario dell’Etiopia e di altre regioni dell’Africa orientale, il caffè fu importato nell’Arabia sud-occidentale fra il XIII e il XIV secolo; di qui raggiunse l’Egitto e l’Impero turco. Dalla seconda metà del Cinquecento cominciò a essere importato in Europa, soprattutto per iniziativa dei mercanti veneziani. Nonostante lo scetticismo o l’ostilità di molti – accanto a medici che presentarono il caffè come rimedio a ogni sorta di mali, altri ne sconsigliarono l’impiego e lo giudicarono poco meno che velenoso – il successo della nuova bevanda fu grande e stimolò la nascita di apposite piantagioni nei possedimenti coloniali, dapprima a opera degli olandesi (Giava) e dei francesi (Antille), poi nelle colonie spagnole e portoghesi dell’America Centro-meridionale. Tra il 1670 e il 1700, nelle principali città europee (anzitutto Parigi e Vienna) apparvero i primi locali espressamente destinati alla vendita e alla degustazione del caffè, da cui i locali stessi presero il nome. Tenere sveglia la mente Bevanda eccitante, che aiuta a tenere sveglia la mente, il caffè diventò quasi un simbolo della cultura razionalistica del tempo, dell’acutezza, della lucidità, della libertà di pensiero. I caffè pubblici, o i salotti dell’alta borghesia in cui si svolgevano brillanti conversazioni davanti a una tazza di caffè, furono luoghi privilegiati della cultura illuminista [ 8], e non a caso fu intitolata «Il Caffè» la rivista degli intellettuali lombardi riuniti intorno a Pietro Verri [ 10.5]. Inizialmente si trattò di un consumo riservato a pochi, ma già alla fine del Settecento il caffè aveva conquistato – soprattutto in Francia – i ceti popolari. Uno scrittore del tempo segnala che «gli operai hanno trovato questo alimento più economico, nutriente e saporito di ogni altro; di conseguenza ne bevono una quantità enorme e dicono che li sostiene spesso fino a sera».

Donna turca mentre prende caffè e dolci, 1707 Questa stampa riproduce una ricca signora turca alla quale viene servito il caffè con dolcetti. Già nel XIV-XV secolo il caffè era consumato in Egitto e Turchia.

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Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo La promozione del tè In alcuni paesi europei, particolarmente l’Olanda e l’Inghilterra, la fortuna del caffè fu contrastata dal successo di una bevanda concorrente: il tè. Ciò accadde non tanto per questioni di gusto, quanto per la forza con cui le compagnie commerciali delle due nazioni seppero garantire e proteggere i propri interessi: inglesi e olandesi erano, in effetti, i principali importatori di tè dai paesi dell’Estremo Oriente (India e Cina) e con ogni mezzo si adoperarono per sollecitarne il consumo nei rispettivi paesi, offrendo il prodotto a prezzi estremamente vantaggiosi anche per i ceti popolari. Il primo carico di tè giunse verso il 1610 ad Amsterdam, proveniente dall’India, dove gli europei avevano conosciuto questa bevanda di antica origine cinese. Alla fine del secolo esso era diventato la bevanda nazionale degli olandesi: attorno al 1700 pare che ad Amsterdam si consumasse l’incredibile media di 100 tazze di tè al giorno per persona.

6.3 La divina bevanda dei nobili: la cioccolata

Pietro Longhi, La cioccolata del mattino, 1775-80 ca. [Musei Civici Veneziani, Venezia]

La cioccolata, consumata esclusivamente dai nobili, venne alterata nel suo gusto originale con l’aggiunta di zucchero e spezie dolci.

La bevanda degli dèi Un prodotto coloniale originario del continente americano che ebbe grande successo in Europa fu il cacao, dai cui semi macinati e ridotti in polvere si otteneva una particolare bevanda: la cioccolata. Nell’America precolombiana la cioccolata aveva un sapore aspro e pungente, che le popolazioni indigene (Maya e Aztechi) consumavano durante i riti religiosi: era questa, secondo loro, la “bevanda preferita dagli dèi”, che si otteneva macinando i semi di cacao e facendoli bollire in acqua caldissima con l’aggiunta di peperoncino e zenzero, talvolta miele e farina di mais. Poi la bevanda veniva frullata in modo da provocare la formazione di una schiuma, ed era consumata fredda. Lo zucchero nella cioccolata Al gusto degli europei, che proprio in quel periodo si erano invaghiti del sapore dolce dello zucchero, questa bevanda piccante, aspra e tendenzialmente amara non poteva piacere. Perciò essi pensarono di ammorbidirla sostituendo le spezie forti con aromi più delicati (vaniglia, muschio) e la addolcirono aggiungendovi dello zucchero. Insomma la “europeizzarono”, cercarono di ricondurla alla propria esperienza e al proprio gusto, come spesso accade quando si accolgono novità appartenenti a culture diverse. Ma il nuovo uso si affermò a poco a poco, dopo molti esperimenti. Ancora nel XVII secolo l’abitudine “americana” di mescolare il cacao con il pepe e altre spezie piccanti era praticata in Europa (in seguito fu abbandonata e solo oggi sta tornando di moda). Cioccolata d’élite Soprattutto nei paesi meridionali dell’Europa, Spagna e Italia, si affermò fra il Seicento e il Settecento il consumo della cioccolata, preparata mescolando ad acqua (in Spagna) o al latte (in Italia) la polvere di cacao. A differenza del caffè e del tè, la cioccolata non arrivò mai a diventare un fenomeno di massa, rimanendo un consumo di lusso tipico dei ceti nobiliari. Per questo essa diventò quasi un simbolo della mollezza e dell’ozio aristocratico, polemicamente contrapposti alla laboriosa produttività del ceto borghese. Al successo della cioccolata concorsero anche le gerarchie ecclesiastiche, in particolare i gesuiti, che ne consentirono l’uso come bevanda “di magro”, altamente nutritiva ma concessa come sostitutiva di altri cibi nei periodi di digiuno e di astinenza quaresimale, dato che – sosteneva il diritto ecclesiastico – «le bevande non rompono il digiuno», cioè sono sempre permesse.

Capitolo 6 Nuovi commerci, nuovi consumi

6.4 La diffusione del tabacco e dell’alcool La fortuna del tabacco L’uso del tabacco da parte degli indiani delle Antille era stato osservato già da Cristoforo Colombo, ma per oltre un secolo esso rimase in Europa – al pari di molte altre piante americane – una curiosità per orti botanici. Solo nel corso del Seicento, con l’intensificarsi delle relazioni commerciali fra l’Europa e l’America, il consumo di tabacco (annusato, masticato o fumato) cominciò a diffondersi nelle città

I tempi della storia Nuovi consumi, nuove virtù L’affermarsi dei consumi coloniali – il caffè, il tè, la cioccolata – fu accompagnato, fra XVII e XVIII secolo, da un’intensa campagna di promozione e di propaganda, sostenuta da un lato dai produttori e dai commercianti, dall’altro da una fitta schiera di intellettuali e di medici, che vantavano le “virtù” delle nuove bevande e il giovamento che la salute degli uomini ne avrebbe potuto ricavare. In effetti si è spesso verificato nella storia – ai nostri giorni come in passato – che l’introduzione di nuovi prodotti e di nuovi consumi alimentari venga sostenuto e, in qualche modo, giustificato da considerazioni di ordine igienico e sanitario: considerazioni talora puramente teoriche e scientifiche, altre volte, forse, interessate. Cornelius Bontekoe (1587-1657), un medico olandese che introdusse il tè nella terapia dei

suoi pazienti (consigliandone dieci tazze al giorno e aumentando progressivamente la dose fino a cinquanta tazze), fu accusato da alcuni suoi contemporanei di essere pagato dalla Compagnia delle Indie. Nel caso specifico si trattava probabilmente di una calunnia, ma resta il fatto che la trasmissione di queste idee, elaborate dai medici e diffuse dai mercanti, ebbe un ruolo importante nel diffondere l’abitudine ai nuovi consumi fra gli europei del tempo. Per esempio, il medico olandese Nicolaes Tulp (1593-1674) scriveva nel 1642: «Nulla è comparabile alla pianta del tè. Coloro che la usano sono esenti da ogni malattia e riescono a raggiungere età avanzatissime. Il tè procura al corpo grande vigore e lo preserva dalle emicranie, dai reumi, dal mal d’occhi, dai catarri, dall’asma, dai mali di stomaco e di intestino». Il naturalista

francese Jean de Thevenot (1633-1667), invece, nel 1664 decantava le virtù del caffè, che «impedisce ai vapori della sazietà di salire al capo, rinforza lo stomaco e aiuta la digestione». Inoltre «impedisce di addormentarsi» e perciò, «se i nostri negozianti francesi hanno molte lettere da scrivere e vogliono lavorare tutta la notte, faranno bene a prendere dopo le dieci una o due tazze di caffè». Anche alla cioccolata si attribuiscono capacità digestive: il missionario e botanico Jean-Baptiste Labat (1664-1738) scrive, nel 1722, che «nel caso fosse rimasto nello stomaco un po’ del cibo della sera, bevendo della cioccolata al mattino presto lo si libera di ogni peso. La cioccolata è anche un ottimo rimedio per il male ai lombi; ne è sufficiente una piccola quantità per purificare i reni dalla sabbia e da altre impurità».

Coffee-House, XVIII sec. [British Museum, Londra]

Il consumo di caffè si diffonde e diviene parte della vita quotidiana delle popolazioni europee nel corso del Settecento. I locali pubblici, dove la bevanda era servita, diventano luoghi di ritrovo in cui ci si incontra e ci si trattiene per leggere, conversare, discutere, fare affari.

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Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

David Teniers il Giovane, I fumatori, 1644 [Wallace Collection, Londra]

In questa scena di taverna ben s’intuisce come già nella metà del Seicento il tabacco si fosse largamente diffuso in Europa. Mentre uno dei personaggi raffigurati prepara la pipa, altri due fumano e bevono con gusto. William Hogarth, Vicolo del gin, XVIII sec. [Bibliothèque Nationale, Parigi]

In questa incisione sono evidenti le conseguenze drammatiche della diffusione dei distillati. L’alcolismo, che si sviluppò soprattutto tra i ceti più poveri, divenne una vera e propia piaga sociale.

mercantili inglesi e olandesi. Nonostante le accuse dei moralisti, il “nuovo vizio” degli europei fece la fortuna dei mercanti e dei produttori di oltre Oceano: grandi piantagioni di tabacco furono realizzate soprattutto in Brasile dai portoghesi e, più tardi, in Virginia dagli inglesi.

I distillati, da farmaci a bevande L’alcool distillato non era una novità: già nel Medioevo, perfezionando la tecnica romana dell’alambicco, gli alchimisti arabi ed europei avevano ottenuto la distillazione del vino e la fabbricazione dell’acquavite, così chiamata perché le si attribuivano miracolose virtù medicinali e antisettiche (in latino aqua vitae significa ‘acqua della vita’). A poco a poco il prodotto cominciò a uscire dall’ambito farmaceutico per entrare nelle case e nelle taverne; nel Seicento è ormai diventato una bevanda di uso comune, in concorrenza più o meno diretta con le tradizionali bevande fermentate (vino, birra, sidro). La tecnica della distillazione a poco a poco si diffuse e fu applicata a ogni sorta di prodotti: all’acquavite di vino (la cui qualità più pregiata era il cognac) si affiancarono distillati di cereali (vodka, whisky, gin), di frutta (calvados, kirsch, maraschino), di vinaccia (grappa); nelle Antille si affermò l’uso di distillare la melassa dello zucchero di canna, ottenendone il rum. L’alcolismo, una piaga sociale A cominciare dal secolo XVIII l’uso e l’abuso dei distillati alcolici provocò gravi danni fisici e psichici, specialmente tra i ceti popolari che compensavano le difficili, talora penose condizioni di vita quotidiana con la fuga nell’ubriachezza. L’alcolismo diventò una vera piaga e i disordini sociali e morali che tali comportamenti provocavano furono oggetto di riflessioni letterarie e di raffigurazioni da parte degli artisti del Sette-Ottocento. Una celebre incisione dell’inglese William Hogarth ha come titolo La strada del gin e mostra, in maniera drammatica, il degrado del popolo di Londra abbrutito dall’alcool.

Capitolo 6 Nuovi commerci, nuovi consumi

Sintesi

Nuovi commerci, nuovi consumi

Il successo del cotone, il trionfo dello zucchero L’intensificazione dei rapporti tra Europa e colonie fu alla base della diffusione di nuovi prodotti e di nuovi consumi: il cotone nel campo dell’abbigliamento, lo zucchero nel campo alimentare. Precedentemente in Europa si producevano tessuti di lino, canapa e lana. Dal XVII secolo iniziò, a opera di inglesi e olandesi, l’importazione di quantità crescenti di tessuti di cotone dall’India, usati per produrre camicie, lenzuola, biancheria. Il lino divenne un prodotto di lusso. Mentre nel Medioevo lo zucchero era poco usato e il principale dolcificante restava il miele, a partire dal XVI secolo gli europei produssero la canna da zucchero nelle colonie, produzione che crebbe enormemente tra Seicento e Settecento. I gusti alimentari si modificarono: si diffusero i sapori dolci, l’arte della pasticceria, l’uso dello zucchero nelle bevande coloniali (tè e caffè). Caffè e tè conquistano l’Europa Il caffè iniziò a essere importato in Europa nel XVI secolo dai mercanti veneziani, ottenendo un rapido successo. A partire dal Seicen-

to si diffusero le piantagioni nelle colone olandesi (Giava) e francesi (Antille), poi in quelle spagnole e portoghesi (America centro-meridionale). Il caffè si affermò con successo nelle città europee (Parigi e Vienna), tanto da dare il nome ai locali in cui era venduto e degustato, e da divenire un simbolo del pensiero razionalista e illuminista. Inizialmente era un bene per pochi, ma alla fine del XVIII era diffuso anche presso i ceti popolari. A esso si accompagnò in Inghilterra e Olanda una bevanda concorrente, il tè, di origine cinese, importato dalle compagnie commerciali nazionali che lo acquistavano in Estremo Oriente e ne agevolavano il consumo tramite prezzi vantaggiosi. La divina bevanda dei nobili: la cioccolata Un altro prodotto coloniale che ebbe notevole diffusione in Europa fu la cioccolata, ricavata dai semi di cacao macinati e ridotti in polvere. Originaria dell’America precolombiana, era bevuta fredda da Maya e Aztechi nei riti religiosi e aveva un sapore aspro, arricchito con peperoncino e zenzero. Nella diffusione in Europa essa

fu adattata al gusto dominante, guarnita con aromi delicati e zuccherata. Tra Seicento e Settecento si ebbe la sua massima diffusione, specie in Spagna e Italia. Fu un bene di lusso, consumata dalle classi nobiliari e dal clero, che ne permetteva l’uso durante i periodi di digiuno e di astinenza. La diffusione del tabacco e dell’alcool L’uso del tabacco presso gli indiani delle Antille era stato già osservato da Colombo; la diffusione in Europa avvenne a partire dal XVII secolo: furono create piantagioni dai portoghesi (Brasile) e dagli inglesi (Virginia). Anche l’uso dell’alcool distillato, già noto nel Medioevo ad alchimisti europei e arabi che distillarono il vino ottenendone l’acquavite, si diffuse enormemente nel Seicento: la tecnica di distillazione fu applicata a diversi prodotti ottenendo una varietà di bevande alcoliche che si consumavano nelle case e nelle taverne. Nel XVIII secolo furono notati anche i danni provocati dall’abuso di alcool, specie presso i ceti popolari, che divennero una piaga sociale descritta anche in riflessioni letterarie e raffigurazioni artistiche.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto.

2. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

alambicco • antisettico • caffè • distillazione • europeizzazione • fibra • pasticceria • piantagione

a. Il primo carico di tè giunse ad Amsterdam nel 1710.

V

F

b. Il consumo di cioccolata era ammesso dal clero nel periodo di astinenza quaresimale.

V

F

c. Il caffè era consumato nei salotti borghesi nel corso di conversazioni brillanti.

V

F

d. Nel XVII secolo l’abitudine di consumare il cacao con pepe e spezie era diffusa in Europa.

V

F

e. Il consumo di alcool in Europa si diffuse soprattutto tra i ceti popolari.

V

F

f. La diffusione dello zucchero in Europa determinò la crisi del consumo di spezie.

V

F

g. Nel Medioevo, lo zucchero era il dolcificante maggiormente usato in Europa.

V

F

h. All’acquavite erano attribuite miracolose virtù medicinali.

V

F

Adeguamento alle abitudini e ai modi di vita europei

i. Alla fine del XVII secolo in Francia e in Olanda sorsero i primi caffè.

V

F

Apparecchio per la distillazione

l. A partire dal XVIII secolo, il lino in Europa divenne un prodotto di larga diffusione a basso costo.

V

F

Arte e tecnica della fabbricazione dei dolci Sostanza in grado di distruggere germi infettivi o patogeni Struttura filamentosa presente in organismi animali o vegetali Separazione di un liquido volatile dalle sostanze non volatili in esso presenti Locale in cui si vendeva o degustava il caffè Area estesa coltivata con piante dello stesso tipo

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78

Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

3. Nuovi prodotti e nuovi consumi. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. America • Andalusia • Antille • Arabi • bevanda • biancheria • borghesia • Brasile • camicie • Cina • città • clero • compagnie • crescita • dolcificante • Egitto • acqua • Giava • India • Inghilterra • latte • lenzuola • libertà • locali • lusso • Medioevo • mercanti • nobiltà • Olanda • ozio • peperoncino • popolo • prezzi • riti • Sicilia • tessuti • Virginia • zucchero • zenzero I PRODOTTI COLONIALI COTONE

ZUCCHERO

CAFFÈ



CIOCCOLATA

TABACCO

DOVE GLI EUROPEI LO CONOBBERO

.................................

............................... ,

............................... ,

.................................

.................................

.................................

.................................

Impero turco

QUANDO FU INTRODOTTO IN EUROPA

XVII-XVIII sec.

.................................

XVI sec.

XVII sec.

XVI sec.

XVII sec.

COME SI USAVA IN ORIGINE

Fabbricazione di ............................

.................................

.................................

.................................

.................................

Annusato, fumato, masticato

precolombiana

religiosi; era una bevanda fredda amara addizionata con ................................. .................................

e ............................. .................................

COME SI USÒ IN EUROPA

Fabbricazione di .......................... : ............................... , ............................... ,

• ............................ pasticceria • prima: bene di ............................

...............................

.................................

• Dal XVII sec.: ..............................., produzione e diffusione

• .......................... : simbolo della borghesia e di ...............................

• Aromi delicati addizionata con ........................

pensiero • ............................ in cui si beveva

• Mescolata con ........................

.................................

.................................

• Annusato, fumato e masticato • ............................. mercantili

.................................

o ............................. • Simbolo di .................................

aristocratico DA CHI FU INTRODOTTO IN EUROPA

DOVE ERA PRODOTTO

.................................

...............................

commerciali di

.................................

.................................

veneziani

commerciali di

.................................

.................................

e .............................

e .............................

............................... ,

............................... ,

............................... ,

............................... ,

Europa

.................................

............................... ,

.................................

Spagnoli

.................................

e produttori

.................................

............................... , .................................

America Centromeridionale QUALI CLASSI SOCIALI LO USAVANO

Diffusione progressiva tra tutta la popolazione

• Prima: classi ricche • Dal XVIII sec.: tutte le classi

• Prima: .................................

Tutte le classi grazie ai .............

.................................

.................................

• Dal XVIII sec.:

vantaggiosi

................................. .................................

............................... , .................................

Tutte le classi

Capitolo 6 Nuovi commerci, nuovi consumi

Adesso indica sulla cartina i luoghi di produzione e consumo, contrassegnando ciascun genere coloniale con un colore diverso.

Analizzare e produrre 4. Leggi il documento “Nuovi consumi, nuove virtù” a p. 75 e rispondi alle seguenti domande. 1. Da che cosa fu accompagnata la diffusione dei consumi coloniali? A opera di chi? 2. Chi era Cornelius Bontekoe? Che cosa sosteneva riguardo le proprietà del tè? Di che cosa fu accusato? 3. Chi era Nicolaes Tulp? Che cosa sosteneva riguardo le proprietà del tè? 4. Chi era Jean de Thevenot? Che cosa sosteneva riguardo le proprietà del caffè? 5. Chi era Jean-Baptiste Labat? Che cosa sosteneva riguardo le proprietà della cioccolata? Sulla base delle informazioni raccolte, integrandole con quelle contenute nella precedente tabella, scrivi un testo di almeno 12 righe dal titolo “La diffusione dei generi coloniali: modalità e caratteristiche”.

5.

Leggi il documento “Il business dello zucchero tra economia, politica e prestigio sociale” a p. 72.

1. Chi era Thomas Dalby? Che cosa intuì relativamente allo sviluppo del mercato dello zucchero? 2. Prima del XVIII secolo, quale conoscenza dello zucchero avevano gli europei? 3. In che modo si impose lo zucchero? Quali vantaggi comportava? 4. Al posto di quale prodotto si sviluppò? 5. In che modo si consumava inizialmente la melassa? 6. Quali occasioni sociali esistevano per consumare i prodotti delle piantagioni di zucchero? 7. Quale rischio connesso all’arte della manifattura dello zucchero è evidenziato? Per quale motivo? 8. In che modo il prezzo dello zucchero incise sul suo consumo? Che variazioni ebbe nel tempo? 9. Chi era Cristoforo Messisbugo? Che cosa sosteneva sul consumo di zucchero alla corte del principe? 10. Che cosa sostenevano i medici relativamente alle proprietà dello zucchero? Sulla base delle informazioni raccolte, integrandole con quelle contenute nella precedente tabella, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “Come, perché e quando lo zucchero si diffuse in Europa”.

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Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

7 Economia e società

Capitolo

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nel Settecento

Percorso breve Nel Settecento la popolazione europea aumentò vistosamente, passando da 125 a 290 milioni di abitanti nel corso del secolo. Diversamente da altri periodi di crescita demografica, che erano stati seguiti da fasi di declino causate dalla fame e dalle malattie, questa volta il fenomeno fu continuativo e durò nei secoli successivi. Due cause principali spiegano questa inversione di tendenza: i progressi nel campo medico e sanitario, che fecero diminuire la mortalità limitando i danni tradizionalmente provocati dalla peste e da altre malattie infettive, e le trasformazioni nel sistema agricolo e alimentare, che incrementarono la disponibilità di cibo permettendo di sostenere l’aumento di popolazione. Nuove conoscenze scientifiche (in particolare la scoperta che la peste era determinata non dalla “corruzione dell’aria”, come prima si pensava, ma da un bacillo che la trasmetteva da individuo a individuo) permisero di attivare misure preventive come l’isolamento degli ammalati. Contro il vaiolo Edward Jenner mise a punto la pratica della vaccinazione. Anche le condizioni igieniche migliorarono, con la diffusione dei tessuti di cotone che, data la loro economicità, consentivano un cambio più frequente della camicia (la pratica di lavarsi, invece, continuava a essere vista con diffidenza).

In campo agricolo, oltre a espandere le terre coltivate come sempre si era fatto nei momenti di bisogno, si introdussero nuove piante di alta resa (in particolare il mais e la patata) e si attuarono, dapprima in Inghilterra e poi in altri paesi, innovazioni tecniche consistenti nell’abolizione del maggese (il periodico riposo del terreno) e nell’introduzione della rotazione continua, con l’inserimento nel ciclo agrario delle colture foraggere, che consentivano sia di aumentare la fertilità del terreno grazie alla loro particolare composizione chimica, sia di allevare un maggior numero di animali il cui concime a sua volta aumentava la produttività dei campi. A queste innovazioni tecniche si accompagnarono drammatici cambiamenti di natura economica e sociale, in particolare la pratica delle “recinzioni”, che trasformava in redditizie proprietà private i terreni comuni tradizionalmente adibiti al pascolo e agli altri usi della comunità. Nel XVIII secolo l’aumento della produzione agricola garantì una maggiore disponibilità di cibo ma la dieta dei contadini europei complessivamente peggiorò, perdendo in qualità ciò che guadagnava in quantità. Da allora in poi (salvo casi eccezionali) in Europa non si morì più di fame, ma una diffusa malnutrizione colpì i ceti rurali, costringendoli a un’alimentazione sempre più monotona e priva di proteine animali. La raccolta del fieno nelle terre di Dixton, 1715 ca. [Art Gallery & Museum, Cheltenham (Regno Unito)]

Capitolo 7 Economia e società nel Settecento

81

7.1 La svolta demografica Una crescita ininterrotta Tre secoli fa, agli inizi del XVIII secolo, l’Europa contava circa 125 milioni di abitanti. Dopo qualche decennio essi erano saliti a 195 milioni, per balzare a 290 milioni alla fine del secolo. Non era la prima volta che l’Europa attraversava un periodo di sviluppo demografico, ma nei secoli precedenti ogni fase di crescita era stata seguita da un periodo di calo, determinato soprattutto da gravi carestie ed epidemie, cioè dalla fame e dalle malattie. Ciò era accaduto in tutta Europa nel XIV secolo e, nei paesi mediterranei, ancora nel XVII secolo [ vol. 1, 19.1 e 33.1]. La novità sostanziale della crescita che si avviò nel Settecento fu la sua continuità, il suo procedere ininterrotto, protrattosi – in modo discontinuo ma abbastanza lineare – fino al XIX e al XX secolo. Come poté innescarsi questa inversione di tendenza? Perché nel Settecento il consueto meccanismo altalenante si modificò e la crescita della popolazione non si arrestò? Soprattutto due ordini di motivi concorrono a spiegarlo: ■ i progressi nel campo medico e sanitario, che consentirono di limitare i gravissimi danni tradizionalmente provocati dalle malattie infettive; ■ le trasformazioni nel sistema agrario e alimentare, che, procurando un sensibile aumento del cibo a disposizione, permisero di allontanare lo spettro della carestia e di sostenere l’aumento della popolazione.

La diminuzione delle malattie infettive e la scomparsa della peste Propagate dalle precarie condizioni di vita, dalla mancanza di igiene, dalle carenze nutritive, le malattie infettive costituivano da sempre la principale causa di mortalità degli uomini. Uno stillicidio quotidiano di malattie – malaria, polmonite, tifo, tubercolosi, tetano, vaiolo, difterite, dissenteria e vari tipi di “febbri”, come le chiamavano i medici del tempo – minacciava la sopravvivenza degli individui, soprattutto dei bambini piccoli, più deboli e indifesi dagli attacchi delle infezioni. Tra le malattie infettive, la peste aveva sempre avuto una gravità particolare. Nel XIV secolo un’estesa epidemia aveva sterminato un terzo della popolazione europea [ vol. 1, 19.2]; nel 1575-76 e ancora nel 1630-31, intere regioni dell’Italia furono devastate dalla peste. Il contagio colpì ancora l’Europa nel 1665-66, poi progressivamente calò fino a sparire del tutto dall’Occidente. Ne derivò un’importante diminuzione del tasso di mortalità, primo motivo per cui la popolazione europea del Settecento cominciò ad aumentare.

7.2 Contro le malattie: i progressi della medicina

Le percentuali del grafico mostrano sia l’aumento demografico relativo a ciascun Stato sia l’entità dei rispettivi livelli di crescita nella seconda metà del Settecento. 49,2 (da A. Bellettini, La popolazione italiana. Un profilo storico, Torino 1987, p. 100)

49,2 43,7 36,8 35,7 35,4 45 42,9 50 47,4 49,2 43,7 29,2 33,3 28,6 36,8 35,733,3 40 28,1 45 35,4 42,9 28 27,8 26,1 50 28 47,4 28 49,2 35 33,3 28,6 36,8 35,733,3 40 28,1 23,1 43,7 29,2 35,4 45 28 27,8 26,1 20,2 15,9 2842,9 28 30 20 35 33,3 33,3 28,6 40 36,8 35,7 16,7 16,4 16,1 28,1 29,2 23,1 16,2 35,4 25 28 27,8 26,1 28 30 20,2 28 15,9 20 35 33,3 20 16,4 16,7 16,1 25 28,1 23,1 29,2 16,2 33,3 28,6 11,5 28 27,8 26,1 20,2 28 30 15,9 28 15 5,2 20 9,5 5 16,7 16,1 23,1 20 16,4 11,5 16,2 25 20,2 15,9 10 20 15 5,2 9,5 5 20 16,4 16,7 16,1 16,2 5 10 Italia Portogallo Spagna Russia Germania Belgio Scandinavia Francia Scozia Inghilterra 15 9,5 5 0 11,5 e Austria e Olanda e Galles 5 europea 10 Italia Portogallo Spagna Russia Germania Belgio Scandinavia Francia 9,5 Scozia Inghilterra 5,2 5 0 europea e Austria e Olanda e Galles 5 Italia Portogallo Stati Spagna Russia Germania Belgio Scandinavia Francia Scozia Ing 0 europea e Austria e Olanda eG Italia Portogallo Spagna Russia Germania Belgio Scandinavia Francia Scozia Inghilterra Stati 1750-1800 europea e Austria e Olanda e Galles Stati 1700-50 1750-1800 Milioni di abitanti

Milioni di abitanti

40 35 30 25 20 15 10 5 0

Milioni di abitanti

Milioni di abitanti

La scoperta dei bacilli La scomparsa della peste dall’Europa è variamente spiegata dagli studiosi. Alcuni insistono su cause di carattere ambientale, che ne avrebbero ral50lentato la diffusione: in particolare il47,4 clima freddo che fu caratteristico dell’Europa dalla 43,7 45fine del Seicento 42,9 Ma i più sostengono che ad allontanare la pe50 alla metà dell’Ottocento. 47,4

Andamento demografico nella seconda metà del Settecento

1650-1700

1700-50

1750-1800

1750-1800 1650-1700

1700-50

1700-50

1650-1700

1650-1700

Stati

82 ste furono i progressi compiuti dagli uomini, che a iniziare dal Settecento, per vari motivi, ebbero la possibilità di difendersi più efficacemente dal flagello. Progressi scientifici, anzitutto: per la prima volta apparve chiaro che la peste non era provocata da “aria cattiva” o “corrotta”, come si era pensato per secoli, bensì era una malattia contagiosa, un’infezione causata da un bacillo, diffuso – sappiamo oggi – da una pulce parassita del topo nero. Ciò fu confermato dagli studi di un olandese, Anton Leeuwenhoek (16321723), che, avvalendosi di un apparecchio di recente invenzione, il microscopio, poté osservare e studiare i microrganismi.

Controllo e prevenzione Sulla base delle nuove conoscenze fu possibile attuare opportune misure preventive: il controllo dei porti, degli uomini e delle merci provenienti da paesi che si sapevano afflitti dal morbo; l’intensificazione dei controlli sanitari durante i periodi di epidemia. Questi provvedimenti ostacolarono la diffusione della peste: così accadde, per esempio, nel 1720, quando la malattia si manifestò nel porto di Marsiglia, ma non si estese ad altre città grazie al fatto che la città fu immediatamente chiusa ai contatti con l’esterno. A diminuire i rischi di morte contribuirono altri studi e scoperte, come quella del medico inglese Edward Jenner (1749-1823) che, basandosi su un sistema empirico usato dalle donne turche, mise a punto il siero contro il vaiolo e nel 1796 praticò, per la prima volta in Europa, la tecnica preventiva della vaccinazione, consistente nell’inoculare il virus, in piccolissima dose, nell’organismo sano: in questo modo l’organismo produce anticorpi ed è in grado di difendersi da solo dall’eventuale attacco della malattia. Microscopio, 1695 ca. [Collezione privata]

Già inventati agli inizi del Seicento, i microscopi erano formati da lenti montate su “occhialini” tubolari (detti “semplici”). Alla fine del secolo le strutture divennero più complesse e con un numero maggiore di lenti. I tubolari di cartone erano incastrati e potevano scorrere l’uno nell’altro per poter assicurare la messa a fuoco. L’esempio qui riportato è realizzato in legno e cartone rivestito di pergamena.

L’origine del vaccino, XIX sec. Le osservazioni che diedero origine alla tecnica preventiva del vaccino risalgono, in Occidente, al XVIII secolo. Questa ceramica francese ottocentesca le descrive visivamente.

La pulizia del corpo A tenere lontane le malattie concorse anche la maggiore accuratezza delle pratiche igieniche. La diffusione dei tessuti di cotone, più facilmente lavabili e di costo più accessibile, favorì i cambi di biancheria, a vantaggio della pulizia e del benessere personale. Fino a un paio di secoli fa, in effetti, gli uomini si lavavano poco. Non lo facevano per dimenticanza o per scarsa igiene, ma per una scelta ben precisa: erano infatti convinti – come spiegavano i trattati di medicina – che l’acqua fosse nociva alla pelle del corpo. In particolare si pensava che i lavaggi potessero “aprire” il corpo alle impurità dell’aria, favorendo l’ingresso, attraverso i pori, di ogni sorta di umori malsani, veleni e malattie. «Lavarsi con l’acqua –, si legge in un testo di medicina, – genera mal di denti e catarro, rende pallido il viso e fa maggiormente patire il freddo e il caldo». Ecco perché si faceva il bagno raramente e solo in casi di necessità: era una scelta, a suo modo, “igienica”, in linea con la scienza del tempo.

Capitolo 7 Economia e società nel Settecento L’igiene “secca” e il cambio della camicia La pratica fondamentale della cosiddetta igiene secca era, invece, il cambio della camicia, sempre rigorosamente bianca, perché quel colore, simbolo di purezza, si riteneva che potesse ripulire gli umori del corpo: un vero e proprio sostituto dell’acqua. «Per mantenere pulita la pelle –, scrive un medico inglese del XVII secolo, – è assai più conveniente cambiare spesso la camicia che fare il bagno tutti i giorni, come gli antichi romani». Tuttavia, non tutti si potevano permettere di cambiare la camicia spesso, come i medici raccomandavano. I ricchi ne avevano molte, di lino; i poveri poche o una sola, di canapa. Fino al Settecento l’igiene “secca” rimase un privilegio sociale. Solo allora, la progressiva diffusione dell’industria tessile e dei tessuti di cotone, più a buon mercato e facilmente lavabili, consentì a un numero crescente di persone di introdurre il cambio della camicia fra le pratiche consuete della vita d’ogni giorno.

I modi della storia

L’invenzione del vaccino

La pratica del vaccino, oggi diffusa a livello di massa come forma di prevenzione da molte malattie infettive, è storicamente legata a una malattia particolare, il vaiolo, generata da un virus che penetra nell’individuo attraverso le vie respiratorie e poi si moltiplica in tutti gli organi interni, provocando poi un’intensa e devastante eruzione cutanea. Nel corso dei secoli, la più terribile epidemia di vaiolo fu quella portata oltre Oceano dai soldati spagnoli durante la conquista dell’America, causando la morte di quasi tre milioni di indigeni. In Europa il vaiolo si diffuse soprattutto nelle grandi città, dove la concentrazione più alta di persone favorì il contagio. I più colpiti furono gli adolescenti e il tasso di mortalità oscillava tra il 20 e il 40% . Per evitare che la malattia assumesse una forma letale, i medici cominciarono già nella prima metà del Settecento a praticare la cosiddetta tecnica della vaio-

lizzazione: per immunizzare dalla malattia si inoculavano negli individui sani delle sostanze prelevate da persone malate in modo lieve (come la polvere delle croste essiccate o il pus vaioloso). Gli europei vennero a conoscenza di questa tecnica, nota da secoli in Cina, durante l’epidemia di vaiolo scoppiata nel 1718 a Istanbul, dove la moglie dell’ambasciatore inglese la vide praticata da numerose guaritrici e la fece conoscere ai propri connazionali. In Europa il primo ospedale per la cura degli ammalati di vaiolo e per la prevenzione della malattia fu aperto a Londra nel 1746; ma ben presto si dovette riconoscere che la tecnica della vaiolizzazione era abbastanza rischiosa, poiché causava la morte di non pochi pazienti. Si cominciarono pertanto a studiare altre forme di vaiolo, contratte non dall’uomo ma dagli animali, e si notò che si poteva “vaiolizzare” un uomo – con meno rischi di am-

malarsi – anche utilizzando il vaiolo contratto dalle vacche: da ciò derivò il termine “vaccinazione”, che successivamente si estese a tutte le pratiche di questo tipo che prevedevano l’inoculazione del virus stesso della malattia per rendere immune l’organismo. Fu il medico Edward Jenner che per primo, nel 1796, scoprì che le persone che vivevano a stretto contatto con le mucche colpite da vaiolo (mungitori, stallieri, allevatori) rimanevano immuni al vaiolo umano. Nel 1801 Jenner commentò i suoi esperimenti in un saggio intitolato The origin of the vaccine inoculation (‘Origini dell’inoculazione vaccina’). La pratica a poco a poco si diffuse e in soli dieci anni i casi di vaiolo si ridussero in Inghilterra da 18.596 a 182. In Francia, Napoleone rese obbligatorio il vaccino per il suo esercito. Nel 1820 la nuova pratica si era diffusa nel resto del mondo. Da allora, e grazie alla campagna di vaccinazione promossa dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), il vaiolo è stato l’unica malattia infettiva dell’uomo a essere stata completamente debellata dal pianeta e a esser dichiarata tale dall’OMS nel 1979.

Luigi Sacco, Tavola che raffigura prove di vaccinazione contro il vaiolo, 1809 [Biblioteca Nazionale Braidense, Milano]

La Tavola è ripresa dal Trattato di vaccinazione con osservazioni sul giavardo e vajuolo pecorino (1809) di Luigi Sacco. Il patrimonio settecentesco di conoscenze ed esperienze mediche fruttificò, in Italia, nelle campagne di vaccinazione all’inizio dell’Ottocento, che ebbero in Luigi Sacco il loro “apostolo”. Il medico ebbe il merito di aver capito per primo l’importanza della scoperta di Jenner e di averla diffusa; nel 1800, nei pressi di Giussano e Sesto (a nord di Milano) furono vaccinate centinaia di persone, superando ogni sorta di pregiudizi.

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Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

Le vie della cittadinanza

U

La battaglia contro la fame e le nuove colture

no dei motivi per cui la patata si affermò in Europa nel XVIII secolo fu che, sviluppandosi sotto terra, essa non era «esposta alle rovine della guerra», come si legge nei documenti del tempo, cioè ai saccheggi e alle devastazioni che i pas-

saggi degli eserciti provocavano nelle campagne. Non a caso, fu durante le crisi alimentari provocate dagli scontri bellici (oltre che dai magri raccolti degli anni di carestia) che la patata cominciò a diffondersi in Europa. Tuttavia, l’accoglienza che inizialmente la popolazione riservò alla nuova pianta non fu favorevole, anzi vi fu una generale difficoltà ad accettare il nuovo “intruso” nei campi e sulla tavola. Questo atteggiamento sospettoso non deve stupirci, perché i sistemi agricoli e alimentari sono delle strutture complesse, consolidate dall’uso e dal tempo, che vengono sovvertite quando un nuovo protagonista (una pianta, un animale) entra in gioco, spesso prendendo il posto di altri. Ciò accade perché i sistemi agricoli e alimentari sono, appunto, dei “sistemi”, dove ogni cosa ha un ruolo, una funzione precisa. Le novità non possono semplicemen-

te “aggiungersi” a ciò che già esiste, ma devono trovare un posto nell’insieme, magari a scapito di altre piante o animali. La patata, per esempio, quando si diffuse in Europa, finì per sostituire la rapa, che dal Medioevo costituiva una risorsa essenziale della dieta contadina. Allo stesso modo il mais eliminò dai campi il miglio, il panìco e altri cereali da polenta. Questi meccanismi non sono solamente economici, ma anche culturali, perché nascono dall’abitudine a fare certe cose, a coltivare certi prodotti, a consumare certi cibi. Essi spiegano la difficoltà con cui i nuovi prodotti entrarono nell’agricoltura e negli usi alimentari. Una analoga diffidenza, motivata però da spiegazioni diverse, suscita oggi nella popolazione mondiale l’introduzione di un altro tipo di nuove colture: quelle ricreate e modificate geneticamente nei laboratori di ricerca. Si afferma spesso, infatti,

Pietro Longhi, La polenta, 1740 [Ca’ Rezzonico, Venezia]

Introdotto in Europa e in Italia settentrionale, la farina di mais, da cui si ottiene la polenta, divenne immediatamente alimento principale nella dieta dei ceti più poveri.

7.3 Contro le carestie: le nuove piante Gli sforzi dell’agricoltura estensiva Per rispondere alle aumentate esigenze alimentari della popolazione in crescita, inizialmente si seguì il sistema più semplice e tradizionale, già sperimentato nel Medioevo e ancora nel Cinquecento: l’espansione delle terre coltivate. In Francia, verso la metà del Settecento, esse passarono da 19 a 24 milioni di ettari nel giro di trent’anni. In Inghilterra, nella seconda metà del secolo, furono messi a coltura centinaia di migliaia di ettari di terreni incolti e boschivi. In Irlanda, in Germania, in Italia si prosciugarono paludi e acquitrini. Nuove piante da coltivare Inoltre si diede grande sviluppo alla coltivazione di nuovi tipi di piante, particolarmente robuste, sicure e redditizie: il riso, il mais, la patata. Queste piante, conosciute fin dal Quattro-Cinquecento ma ancora scarsamente diffuse, furono “riscoperte” nel Settecento appunto per risolvere il problema delle pressanti esigenze alimentari. Soprattutto il mais (o granoturco) e la patata si affermarono come coltivazioni di primaria importanza. Piante di origine americana, conosciute dagli europei fin dai primi viaggi oltre Oceano di Cristoforo Colombo, esse rimasero per due secoli poco più che una rarità da orto botanico. Solo nel Settecento si diffusero ampiamente ed entrarono nelle comuni abitudini dell’alimentazione popolare, raggiungendo una prevalenza quasi assoluta nei confronti dei cibi tradizionali, i cereali inferiori – orzo, segale, avena, miglio, sorgo, panìco, spelta – che da secoli costituivano la base alimentare dei contadini, sotto forma di zuppe, polente, pane scuro. I vantaggi del mais e della patata La spiegazione dell’eccezionale diffusione delle nuove piante è semplice: esse erano particolarmente resistenti alle avversità del clima,

Capitolo 7 Economia e società nel Settecento

che le biotecnologie – in particolare le ricerche sui cosiddetti OGM, “Organismi Geneticamente Modificati” – possono assicurare un cibo più abbondante e sicuro, in grado di sfamare più persone. Ma il ricorso a prodotti geneticamente modificati pone diversi problemi, legati non tanto agli interrogativi sulla salute dei consumatori (su cui finora non sono emerse particolari controindicazioni) quanto ad aspetti di natura economica e giuridica. I semi delle piante modificate si possono mangiare ma non seminare, perché l’industria agroalimentare li ha resi sterili: dunque, essi non consentono che il ciclo agricolo si riproduca su se stesso, con il millenario meccanismo di alternanza fra semine e raccolti; gli agricoltori in tal modo sono costretti ad acquistare sempre i semi da chi li produce, ossia da alcune grandi multinazionali che possiedono il brevetto esclusivo di queste piante e che, senza opportuni controlli anche di natura giuridica, potrebbero assumere il controllo dell’agricoltura del pianeta. Inoltre, l’uso di questi prodotti tende a

cancellare la varietà delle piante locali, quella “biodiversità” – come si è soliti chiamarla – che per millenni ha sostenu-

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to gli equilibri ambientali ed economici, e che costituisce un importante patrimonio ambientale e alimentare.

Attivisti di Greenpeace coprono un campo di mais nelle vicinanze di Friburgo (Germania), XX sec. Il telone, che copre 400 metri quadrati di coltivazione di mais transgenico, riporta la scritta: «Attenzione! Geneticamente manipolato».

crescevano ovunque, anche nei terreni più poveri, e avevano una resa straordinariamente alta. I sovrani europei, per combattere o evitare le carestie, favorirono in molti modi la diffusione dei nuovi prodotti, spesso guardati con diffidenza dai contadini, per la strana forma e l’insolito sapore. Federico Guglielmo I di Prussia [ 3.1] e suo figlio Federico II [ 4.4] fecero distribuire gratuitamente le patate, per incoraggiarne la coltivazione. Anche agronomi e scienziati si impegnarono a illustrare le modalità di coltivazione e d’impiego alimentare delle nuove piante: in Francia, Antoine-Augustin Parmentier (1737-1813) scrisse un celebre Trattato sulla coltivazione e gli usi della patata, dove tra l’altro si sosteneva che con la loro farina si poteva fare il pane. Anche in questo modo si cercava di tranquillizzare i contadini, suggerendo che i nuovi prodotti fossero “adattabili” a usi e consumi tradizionali.

Cambiamenti alimentari A poco a poco, le carestie e il bisogno di cibo finirono col vincere le diffidenze dei contadini, che si decisero a coltivare la patata e il mais nei loro campi e a introdurli nella loro dieta quotidiana. La patata si affermò soprattutto nei paesi dell’Europa centro-settentrionale, mentre il mais diventò il cibo tipico dei contadini nelle regioni centro-meridionali (Spagna, Francia del sud, Italia padana, Balcani), dove fu usato soprattutto per farne farina da polenta, secondo l’uso più tradizionale che i contadini facevano dei cereali inferiori, fin dal Medioevo e, prima ancora, dall’età romana. Grazie anche all’apporto del mais e della patata, le carestie incominciarono ad allontanarsi dalla storia europea.

La raccolta delle patate, XVII sec. [da Nueva Corónica y Buen Gobierno, di Huamán Poma de Ayala; Det Kongelige Bibliotek, Copenaghen]

Quella della patata era una delle coltivazioni più diffuse del Nuovo Mondo. Fino al XVIII secolo, però, non fu introdotta in Europa se non in orti botanici come specie esotica.

Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

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7.4 La rivoluzione agraria L’Inghilterra, culla della rivoluzione Oltre alle nuove colture, altre innovazioni trasformarono profondamente nel Settecento l’agricoltura europea e ne aumentarono la produzione, con un cambiamento così importante e radicale da essersi meritato, da parte degli storici, il nome di rivoluzione agraria. Queste trasformazioni si verificarono dapprima in Inghilterra, poi si estesero alla Francia, ai Paesi Bassi, alla Germania, all’Italia. In Inghilterra, agli inizi del Settecento, circa metà della superficie coltivata apparteneva a piccoli proprietari, che lavoravano in comune gran parte del territorio, secondo l’antica consuetudine dei campi aperti o openfield, praticata fin dal Medioevo, che consisteva nell’aprire i campi, dopo il raccolto, al pascolo del bestiame di tutti i contadini della comunità. Inoltre essi disponevano, per il pascolo, di molti terreni d’uso collettivo, boschi, brughiere, prati naturali, di proprietà privata ma aperti allo sfruttamento comune, secondo norme fissate dalla consuetudine. Su di essi vantavano diritti anche i contadini più poveri, che possedevano qualche animale ma nessun terreno. La recinzione dei campi aperti Nel Settecento questo sistema fu duramente combattuto dai maggiori proprietari, mediante la tecnica delle recinzioni (enclosures). Sostenuti da apposite leggi dello Stato, i grandi proprietari terrieri incominciarono a recintare con siepi e steccati i terreni soggetti all’uso collettivo, fino ad arrivare all’abolizione dei diritti comuni nei boschi e, infine, della pratica dei campi aperti. Cessati gli usi collettivi, ogni campo rimase a esclusiva disposizione del proprietario. In questo modo molti piccoli proprietari e contadini poveri, privati dei pochi vantaggi che traevano dall’uso delle terre comuni, furono rovinati e preferirono disfarsi dei loro campi vendendoli ai grandi proprietari. Imprenditori e aziende agricole Le proprietà ricavate col meccanismo delle recinzioni furono organizzate in fattorie di grandi dimensioni, gestite con nuovi metodi imprenditoriali: la terra, che in precedenza serviva a procurare gli alimenti per la comunità di

Aa Documenti Recinzioni e protesta sociale Nel 1797 una comunità inglese presentò al governo una petizione denunciando che la privatizzazione dei terreni non avrebbe apportato, come affermavano i suoi sostenitori, alcun beneficio né aumentato la ricchezza e le occasioni di

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lavoro per la popolazione. Anzi, nella petizione fu sostenuta la tesi che il fenomeno delle recinzioni avrebbe provocato la decadenza economica e sociale di tanti contadini, che sarebbero stati costretti ad abbandonare le campagne e a trasferirsi

postulanti chiedono di poter fare esposto alla Corte di giustizia in seguito ai seguenti fatti: che col pretesto di apportare migliorie alle terre di proprietà della suddetta parrocchia si priveranno i contadini senza terra, e tutte le persone che godono di diritti sulle terre comuni che si intendono recintare, dell’indispensabile privilegio di cui attualmente godono, e cioè di poter far pascolare un certo numero dei loro buoi, vitelli e pecore in lungo e in largo per dette terre. Tale privilegio consente loro non solo di mantenere se stessi e le proprie famiglie nel cuore dell’inverno […] ma li mette ora in grado di fornire agli allevatori partite di animali giovani e magari, a un prezzo ragionevole, da ingrassare e da portare al mercato dove possono essere venduti a un prezzo più moderato. […] I postulanti ritengono che il risultato più disastroso di questa recinzione sarà il quasi totale spopolamento della

nelle città manifatturiere in cerca di nuovi lavori. Quest’ultimo fenomeno effettivamente si verificò e fu un’importante precondizione per il primo sviluppo dell’industria inglese [ 16].

loro città, ora ricca di lavoratori fieri e forti dai quali la nazione ha finora tratto il suo vigore e la sua gloria, il sostegno della sua flotta e del suo esercito. Ciò li porterà, sotto la spinta del bisogno e della mancanza di lavoro, a emigrare in massa verso le città manifatturiere, dove la natura stessa del lavoro ai telai o nelle fucine potrebbe presto logorare il loro vigore indebolendone la discendenza e a poco a poco potrebbe far loro dimenticare quel fondamentale principio di obbedienza alle leggi di Dio e del loro paese che costituisce il carattere peculiare dei semplici e schietti contadini che è così facile incontrare nelle zone dei campi aperti e dai quali in così larga parte dipende il buon ordine e la tranquillità dello Stato. Petizione di una comunità al governo inglese, 1797

Capitolo 7 Economia e società nel Settecento villaggio, diventò soprattutto un mezzo per produrre ricchezza. Il proprietario la cedeva ad abili affittuari, che la facevano coltivare da braccianti del posto; l’affittuario aveva il compito di sorvegliare e dirigere ogni attività, selezionare le sementi, curare la concimazione, l’allevamento degli animali e quanto era necessario per ottenere il massimo profitto possibile dall’azienda.

L’agricoltura intensiva e la rotazione continua Dal nuovo sistema di proprietà e di lavoro derivò un considerevole aumento della produttività. Particolare importanza ebbe l’introduzione delle colture foraggere nei sistemi di rotazione, ossia un modo nuovo di alternanza delle colture che per la prima volta consentì di abolire una tecnica antichissima, il maggese, in favore della rotazione continua. “Maggese” era detta quella parte dei campi (la metà, un terzo, un quarto, secondo i tipi di rotazione) che ogni anno era lasciata incolta, cioè a prato naturale, per consentire al suolo di recuperare la fertilità esaurita (essa forniva solo un po’ di erba a primavera, perciò era detta “maggese”, da “maggio”). Vantaggi delle colture foraggere L’abolizione del maggese significò lo sviluppo di nuove colture, soprattutto leguminose da foraggio come il trifoglio e l’erba medica. Il vantaggio che ne derivò fu duplice: le foraggere, che, grazie ad alcuni batteri presenti nelle radici, hanno la capacità di fissare nel terreno i sali presenti nell’azoto atmosferico, gli restituivano fertilità; al tempo stesso assicuravano più abbondante foraggio agli animali, che potevano essere allevati in maggior numero, a beneficio degli stessi campi, fertilizzati con una maggior quantità di letame.

La Parola

erba medica Importante protagonista dei nuovi sistemi agrari del XVIII secolo, che introdussero le piante foraggere in rotazione continua nei campi, fu la cosiddetta “erba medica”, una specie di origine orientale. Il suo nome, che spesso si pensa legato a presunte proprietà medicinali della pianta, in realtà deriva da Media, l’antica regione su cui si era sviluppata la civiltà persiana (oggi Iran). Curiosamente, quindi, “medica” è di fatto sinonimo di “persica”, altro termine botanico che indica (in latino) la pesca.

Le prime macchine agricole Ad aumentare la produzione concorse anche l’introduzione di nuovi strumenti di lavoro, le prime macchine agricole, come la trebbiatrice e la vagliatrice, che apparvero in Inghilterra verso la fine del Settecento: sarchiatrici, seminatrici e zappatrici meccaniche, mietitrici, aratri più pesanti e robusti.

Le aree delle enclosures stabilite dal Parlamento britannico, 1700-1845

45% e oltre 35-44% 25-34% 15-24% meno del 15%

Azienda agricola della pianura bolognese, XVIII sec. [Collezioni d’arte della Cassa di Risparmio, Bologna]

In questo dipinto di scuola fiamminga si distingue molto bene l’applicazione delle nuove tecniche di coltivazione introdotte nella seconda metà del Settecento. I campi di foraggio sono ben delimitati da filari di alberi da frutto.

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Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

7.5 La crisi del sistema alimentare Abbondanza e povertà alimentare L’aumento della produzione agricola e la maggiore disponibilità di cibo ebbero importanti conseguenze sociali e demografiche: a cominciare dal Settecento la fame si allontanò dalla storia d’Europa; dopo il 1816-17 non vi furono più carestie di portata generale. Possiamo concluderne che nel Settecento si cominciò a mangiare meglio che in passato? La risposta è negativa. Il cibo divenne più abbondante, ma nel complesso la sua qualità peggiorò. Mais e patate assicurarono la pancia piena alla massa dei contadini e dei ceti umili, ma questo comportò un’estrema semplificazione della loro dieta, basata su questi e su altri pochi prodotti in modo sempre più uniforme e monotono. La differenza fra alimentazione “povera” e alimentazione “ricca” si acuì ulteriormente: ai contadini toccavano le patate, la polenta di mais e poche verdure, mentre i generi pregiati (il pane bianco di frumento, le carni, i latticini, la frutta) erano riservati ai proprietari o convogliati sui mercati urbani, per i consumi dei cittadini benestanti.

Parassiti della patata, 1847 [da Francesco Gera, Sulla epidemia della patata]

Fra il 1845 e il 1848 si diffuse nelle campagne irlandesi la peronospora, una grave malattia della patata causata da un fungo infestante, la Phytophthora infestans, che provocò la distruzione sistematica del raccolto delle patate e una conseguente gravissima carestia.

Malnutrizione e carestie Da tale situazione ebbero origine nei decenni successivi gravi problemi anche sanitari. La monotonia di una dieta basata unicamente sulla polenta di mais provocò (già dalla metà del Settecento e, in misura più grave, nell’Ottocento) epidemie di pellagra, una malattia da carenza vitaminica che si sviluppò in Spagna, in Francia, in Italia, nei Balcani. In Irlanda, l’uso quasi esclusivo delle patate nell’alimentazione dei contadini (mentre i prodotti di pregio finivano tutti sul mercato inglese) provocò, nel 1846-47, una vera catastrofe alimentare, quando due successivi raccolti di patate intaccate dagli insetti andarono distrutti, lasciando la popolazione disperata e senza rimedi: migliaia di persone morirono di stenti e di malattie, molte altre furono costrette ad abbandonare la propria terra ed emigrarono in America. Effetti della malnutrizione L’alimentazione popolare attraversò dunque fra il Settecento e l’Ottocento un periodo particolarmente critico. È vero che vi furono, complessivamente, meno morti per fame o per infezioni epidemiche favorite dalla fame (a parte il drammatico caso irlandese): e questo spiega il generale aumento demografico. Ma il tenore di vita nel suo insieme si impoverì, e un indice significativo di questa realtà sono le statistiche sulla statura delle popolazioni, un dato strettamente legato alle condizioni di vita e alla qualità del cibo. Nel corso del XVIII secolo l’altezza media dei soldati austriaci declinò sensibilmente; lo stesso avvenne per le reclute svedesi; allo stesso modo declinò, sullo scorcio del Settecento e agli inizi dell’Ottocento, la statura media degli adolescenti inglesi. Né si allungò la durata media della vita, che ancora per tutto il Settecento non superò i 35-40 anni.

Capitolo 7 Economia e società nel Settecento

Sintesi

Economia e società nel Settecento

La svolta demografica In Europa, a partire dal XVIII secolo si innescò un crescente incremento demografico (da 125 milioni di abitanti si arrivò a 290 a fine secolo), che è durato fino al XX secolo. Le ragioni furono principalmente due: i progressi della medicina, che limitarono i danni provocati dalle malattie infettive; le trasformazioni di agricoltura e alimentazione, che portarono all’aumento della disponibilità di cibo e quindi alla diminuzione delle carestie. Le malattie infettive causate da malnutrizione e scarsa igiene avevano sempre causato mortalità, in particolare la peste, che a partire dal XVIII secolo sparì dall’Occidente. Conseguenza di ciò fu una diminuzione del tasso di mortalità, alla base dell’aumento demografico. Contro le malattie: i progressi della medicina La maggior parte degli storici considera la scomparsa della peste dall’Europa il risultato dei progressi umani. Grazie alle osservazioni compiute tramite un nuovo strumento, il microscopio, si scoprì che la peste era un’infezione causata da un bacillo, un parassita dei topi. In questo modo fu possibile prevenirne la diffusione, tramite controlli sanitari. Un’altra scoperta rilevante fu quella del vaccino contro il vaiolo. Oltre alle scoperte mediche, migliori condizioni di vita determinarono il miglioramento della salute: si diffuse una igiene migliore, grazie ai tessuti di cotone, lavabili ed economici, per cui crebbe il numero di persone che potevano ricorrere a più camicie: questo limitò l’incidenza delle malattie. Fino al XVIII secolo, infatti,

si faceva ricorso raramente all’acqua per lavarsi (si credeva che essa rendesse il corpo attaccabile da umori e veleni presenti nell’aria) ed era invece diffuso il cambio frequente della camicia (igiene secca), soprattutto tra le classi elevate. Contro le carestie: le nuove piante Per rispondere all’aumentata domanda di cibo provocata dall’aumento demografico, in un primo momento si fece ricorso all’aumento delle terre messe a coltura. Fu poi introdotta su larga scala la coltivazione di nuove piante, il riso e soprattutto il mais e la patata. Queste ultime, di origine americana e già conosciute, nel XVIII secolo si diffusero enormemente entrando a far parte delle abitudini alimentari del popolo, grazie soprattutto alla loro capacità di resistere ai climi avversi e alla loro ottima resa. Le diffidenze iniziali dei contadini europei furono superate dal bisogno di cibo: la patata si diffuse soprattutto nell’Europa settentrionale, il mais nell’ Europa centro-meridionale. La rivoluzione agraria Nel XVIII secolo l’agricoltura europea fu profondamente trasformata tramite innovazioni che ne migliorarono la produttività (rivoluzione agraria), a partire dall’Inghilterra. All’inizio del secolo circa la metà della superficie coltivata in Inghilterra apparteneva a piccoli proprietari, che aprivano i campi dopo il raccolto destinandoli al pascolo del bestiame di tutti i contadini di una comunità (campi aperti); inoltre disponevano, per il pascolo, di terreni di proprietà privata ma usati in comune per

antica consuetudine (terreni d’uso collettivo). Nel Settecento, questo sistema fu superato per il diffondersi delle recinzioni: i grandi proprietari chiusero i loro terreni, arrivando così all’abolizione degli usi comuni a vantaggio del singolo proprietario. I piccoli contadini, messi in crisi da questo nuovo sistema, vendettero ai grandi proprietari, attorno ai quali si svilupparono grandi fattorie gestite con metodi imprenditoriali. L’aumento della produttività fu favorito anche dall’introduzione del foraggio nel sistema di rotazione delle coltivazioni: il foraggio rendeva più fertile il terreno e permetteva di allevare un numero maggiore di animali. Infine si introdussero nuove macchine agricole come la trebbiatrice e la vagliatrice. La crisi del sistema alimentare Nel Settecento, anche se la quantità di cibo disponibile era cresciuta, la sua qualità era andata invece peggiorando: la dieta dei contadini e dei ceti più umili era semplificata e basata su pochi alimenti, in genere patata e mais, mentre pane, carne, latticini, frutta erano consumati in città dalle classi sociali più agiate. Questa situazione determinò delle conseguenze: si diffusero epidemie di pellagra (malattia causata dalla carenza di vitamine) e vi furono catastrofi alimentari in Irlanda per la distruzione di raccolti interi di patate, con vittime e persone costrette a emigrare. Anche se la mortalità dovuta a fame o epidemie era minore rispetto al passato, il tenore di vita si era impoverito: l’altezza e la vita media delle popolazioni restavano molto basse.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Nel XVIII aumentò sia la disponibilità sia la qualità del cibo mediamente consumato. b. In Inghilterra fino al Settecento esistevano terreni di proprietà privata sfruttati in comune dai contadini. c. Alla fine del XVIII secolo l’Europa contava 195 milioni di abitanti. d. Le statistiche sulla statura delle popolazioni sono un indice del loro tenore di vita. e. Le malattie infettive erano causate dalle condizioni precarie di vita e dalla scarsa igiene.

f. La patata e il mais si affermarono soprattutto nell’Europa centro-meridionale.

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g. Secondo alcuni storici, tra le cause della scomparsa della peste vi è il clima freddo del XVIII secolo.

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h. La scoperta delle cause della peste fu dovuta agli studi di Edward Jenner.

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i. Tra le novità introdotte in agricoltura vi fu l’abolizione del maggese.

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l. La diffusione della pellagra fu causata da una dieta basata soltanto sulla polenta di mais.

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Modulo 2 L’egemonia europea sul mondo

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. anticorpo • carestia • enclosures • foraggio • dissenteria • peste • maggese • microrganismo • microscopio • openfield • resa • vaccinazione Malattia contagiosa trasmessa all’uomo da parassiti dei topi Sostanza prodotta dal sistema immunitario come reazione difensiva Alimenti utilizzati per il nutrimento del bestiame Recinzioni con cui i proprietari chiudevano i terreni Mancanza o grave insufficienza di risorse alimentari Apparecchio che permette di osservare i microrganismi Rapporto tra la produttività di un prodotto e la sua resistenza all’ambiente Terreno agricolo tenuto a riposo Infezione intestinale dovuta a bacilli Inoculazione del virus di una malattia per rendere immune l’organismo Apertura dei campi per il pascolo a beneficio di tutti i contadini della comunità Essere animale o vegetale dalle dimensioni non visibili a occhio nudo

3. Completa la seguente mappa concettuale inserendo le informazioni mancanti. abiti • agricoltura • alimentazione • bacillo • carne • contadini • cotone • crescita • espansione • farina • frutta • igiene • Irlanda • Italia • mais • medicina • patata • età • pellagra • peste • preventive • qualità • quantità • resa • rivoluzione • statura • vaccinazione • vaiolo L’AUMENTO DEMOGRAFICO: CAUSE ED EFFETTI • Progressi della ..................................................... : scoperta vera causa della ..................................................... : .................................................... dei topi: attivazione di misure .................................................................... ; .................................................................... contro il ..................................................................... ; • Progressi nella cura dell’ ....................................................... : diffusione ........................................................ ; cambio di ....................................................... più diffuso • Trasformazioni nell’ ............................................................ : ............................................................. terre coltivate; ....................................................... agraria • Trasformazioni nell’ ................................................... : diffusione di nuove piante (riso, ................................................... , ....................................................) con grande resistenza e .......................................................... : consumata soprattutto dai .................................................... (.................................................... da polenta) mentre i ceti benestanti usavano soprattutto: latticini, ............................................................. , pane, .............................................................

....................................................................

demografica: Europa: da 195 milioni a 290 milioni di abitanti

• Aumento della ............................................................................... dei cibi e diminuzione della ................................................................................ dei cibi; • Ceti umili: malnutrizione: dieta basata su pochi alimenti e diffusione della ............................................................................................................... (................................................................................................................ , Spagna, Balcani); • Crisi dei raccolti: vittime, emigrazione (................................................................................................................); • Declino: ................................................................................................... media; stabilità: ................................................................................................... media.

Capitolo 7 Economia e società nel Settecento

4. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. abolizione • affittuari • apertura • aumento • bestiame • braccianti • chiusura • comune • consuetudini • contadini • enclosures • fattorie • fertilizzazione • foraggio • Francia • Inghilterra • Italia • macchine • maggese • openfield • opposizione • privata • proprietari • recinti • rotazione • terreni • uso LA RIVOLUZIONE AGRARIA DOVE

Prima ......................................... , poi: ......................................... , Paesi Bassi, ......................................... , Germania

QUANDO

XVIII secolo

SITUAZIONE PRECEDENTE

• ......................................... : ......................................... dei campi al pascolo per tutti i contadini • ............................................ risalenti al Medioevo: ............................................. di ............................................. collettivo (boschi, prati, brughiere) e sfruttamento ......................................... terreni di proprietà ......................................... (diritti di ......................................... dei ......................................... poveri)

QUALI INNOVAZIONI

• ........................................... grandi ........................................... terrieri: ........................................... (........................................... con ........................................... dei terreni di ........................................... collettivo) e ......................................... dei diritti comuni e ............................................................................................................................................................................................. • Formazione di grandi ........................................... gestite con metodi imprenditoriali: ........................................... (sorveglianza e gestione) e ......................................... (lavoro nei campi) • Nuove .........................................: trebbiatrici e vagliatrici • Introduzione del ........................................... nella ........................................... delle colture: ........................................... continua e abolizione del .........................................

QUALI CONSEGUENZE

• Crisi: piccoli ......................................... e ......................................... poveri • Sviluppo: imprenditoria agricola • ......................................... produzione agricola e dei capi di ......................................... allevati • Miglioramento fertilità e ......................................... campi

Analizzare e produrre 5. Leggi il documento “Recinzioni e protesta sociale” a p. 86 e rispondi alle seguenti domande.

1. Quando è presentata la petizione? Da chi? A quale autorità è rivolta? 2. Che cosa era sostenuto nella petizione? 3. Quali affermazioni presenti nella petizione si verificarono realmente? Con quali conseguenze? Rispondi alle seguenti domande. 1. Come funzionava l’agricoltura inglese fino al XVIII secolo? 2. Quali innovazioni furono introdotte nel Settecento? Quali conseguenze comportarono? 3. Quale era il punto di vista dei proprietari terrieri? Quale era il punto di vista dei contadini? Con le informazioni ottenute, scrivi un testo di almeno 12 righe dal titolo “Le recinzioni e i diritti collettivi: due punti di vista a confronto nell’Inghilterra del Settecento”.

6. Leggi il documento “L’invenzione del vaccino” a p. 83 e rispondi alle seguenti domande.

1. Che cosa era il vaiolo? Da che cosa era causato? Quando e dove si diffuse in Europa? 2. In che cosa consisteva la vaiolizzazione? Quando fu conosciuta? Come e dove fu applicata? 3. A quali risultati condusse la vaiolizzazione? 4. Quando e dove fu aperto in Europa il primo ospedale riservato agli ammalati di vaiolo? 5. In che cosa consisteva la vaccinazione? Come fu perfezionata? Da chi e in che modo? 6. Quando e dove si diffuse la pratica della vaccinazione? Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa era la peste? Quando e come ne furono comprese le cause? 2. Chi perfezionò gli studi sulle cause della peste? Quale apparecchio ebbe un ruolo essenziale? 3. Come si tentò di arginare il diffondersi del morbo? Con quali conseguenze? Che cosa accadde a Marsiglia nel 1720? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve testo di almeno 12 righe dal titolo “Malattie e rimedi: due esempi settecenteschi”.

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La discussione storiografica

La nuova agricoltura e la trasformazione del paesaggio agrario L

a “rivoluzione agraria” del Settecento è un tema molto dibattuto dalla storiografia, perché chiama in causa una molteplicità di fattori e di prospettive che interagiscono in maniera complessa. Strettamente parlando, i cambiamenti riguardarono le pratiche agronomiche e furono dunque di ordine tecnico; ma questi cambiamenti non si sarebbero potuti realizzare senza che mutassero i modi di pensare e i rapporti sociali, introducendo negli equilibri produttivi delle variazioni che da un lato sostennero la crescita economica, dall’altro provocarono la crisi di interi settori del mondo contadino. La “rivoluzione” coinvolse anche le forme del paesaggio agrario, con la scomparsa dei terreni comuni su cui, per antica tradizione, le comunità rurali esercitavano diritti d’uso collettivi, e la delimitazione delle proprietà individuali su cui avrebbe d’ora in poi poggiato l’economia agraria.

Sui mutamenti tecnologici che sostennero la “rivoluzione agraria” proponiamo il brano di uno storico britannico, Eric L. Jones (1936), che ha particolarmente studiato i rapporti fra sviluppo agrario e crescita industriale in Inghilterra. Egli mostra come le innovazioni in campo agricolo (a cominciare dall’introduzione delle foraggere, applicata in Inghilterra a imitazione di una pratica già sperimentata nei Paesi Bassi) permisero di ottenere per la prima volta una quantità di cibo superiore alla domanda, e perciò di far fronte con successo alle avversità climatiche del decennio 1760-70: se in quegli anni non scoppiarono carestie e non tornò la fame, fu grazie alla crescita della produzione che la “rivoluzione agraria” aveva innescato. Sugli aspetti sociali e culturali che accompagnarono la trasformazione dell’economia e del paesaggio proponiamo un brano di Marc Bloch (1886-1944),

tratto da un classico lavoro del 1930, dedicato all’evoluzione delle campagne francesi in età moderna. Bloch sottolinea che ogni innovazione tecnica è frutto di contatti intellettuali, di un “sapere” che si allarga e si diffonde, e mostra come, nella Francia settecentesca, la “rivoluzione agraria” si affermò con grande lentezza, sia per la difficoltà di attivare questi contatti e queste conoscenze, sia per le resistenze che, in tanti casi, i contadini opposero alla trasformazione. Non accadde quasi mai che della “rivoluzione” essi fossero protagonisti; a guidarla furono gruppi di intellettuali che diffusero le nuove idee, proprietari che intravidero nuove possibilità di arricchimento, e i politici che, abolendo antiche tradizioni d’uso del territorio e promulgando (come già era accaduto in Inghilterra) leggi che favorivano la recinzione dei terreni e la proprietà privata, accelerarono il fenomeno e gli diedero la spinta decisiva.

Il primo modo guarda soprattutto alle strutture, ai sistemi generali entro i quali si calano le vicende quotidiane degli uomini. Il secondo, viceversa, guarda diretta-

mente agli uomini, a come il loro agire quotidiano determina cambiamenti nelle strutture generali dell’economia e della società. La storia è la stessa, i due punti di vista sono opposti e complementari.

I testi I due testi che seguono, rispettivamente di Eric L. Jones e di Marc Bloch, mostrano – al di là della diversità dei temi affrontati – due modi diversi di avvicinarsi alla storia.

I progressi dell’agricoltura limitano i danni climatici Eric L. Jones

I mutamenti che provocarono un incremento della produzione agricola furono fondamentalmente di un unico tipo: l’impiego delle coltivazioni foraggere che erano andate diffondendosi nell’agricoltura inglese fin dal tempo della loro

introduzione dai Paesi Bassi, avvenuta durante il XVII secolo. Queste coltivazioni comprendevano il trifoglio, la lupinella, l’erba medica e la rapa. Esse innescarono l’espansione di un “circolo virtuoso” di questo tipo: si potevano seminare

La discussione storiografica La nuova agricoltura e la trasformazione del paesaggio agrario

in rotazione con i cereali, il che voleva dire poter destinare ad altre colture i terreni a maggese; inoltre le leguminacee, dal momento che fissano da sole l’azoto loro necessario, contribuivano anche alla fertilità del terreno. Questo tipo di colture forniva l’alimentazione per il bestiame da allevamento durante l’inverno. Un maggior numero di animali da allevamento poteva quindi sopravvivere alla stagione fredda e man mano che aumentava la quantità del bestiame, parallelamente era necessario ampliare le coltivazioni foraggere. A sua volta il concime naturale fornito dal bestiame aumentava la resa delle coltivazioni cerealicole. [...] Già a partire dal periodo tra il 1750 e il 1775, la resa unitaria per acro era andata aumentando, ed in misura anche notevole, in alcune regioni caratterizzate da terreni leggeri. Questo fatto viene di solito interpretato come un primo stadio della classica rivoluzione agraria. Sembra che a partire dalla fine degli anni 1770 la produzione abbia superato per un breve periodo la domanda [...]. L’adozione diffusa di migliori sistemi di rotazione costituì un rimedio naturale contro le precipitazioni meteorologiche estive, gli scarsi raccolti del terzo venticinquennio del secolo e le guerre contro la Francia, e permise così di evitare il depauperamento che si verificò ovunque in quel periodo.

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Uno dei più attendibili osservatori del XVIII secolo, Gilbert White di Selborne, commentando lo sfortunato ripetersi di dieci o undici estati piovose tra l’inizio degli anni 1760 e il 1773, sottolineava i progressi ottenuti: «non si era mai vista una così grande scarsità di tutti i tipi di cereali, considerati i grossi miglioramenti avvenuti nell’agricoltura moderna. Un secolo o due prima, un simile susseguirsi di stagioni piovose avrebbe provocato, ne sono certo, una carestia [...]». Il solo fatto che la popolazione aumentava rapidamente e aveva di che vivere – dal momento che, nonostante i tumulti per il pane in alcuni anni di cattivo raccolto, non si verificò una carestia a livello generale – conferma che l’offerta di prodotti agricoli era aumentata e divenuta più flessibile. Le condizioni meteorologiche non potevano più produrre difficoltà di carattere sociale; non potevano più provocare periodi di depressione della produzione agricola tali da ridurre alla fame gli strati più poveri della popolazione. Anche le responsabilità delle agitazioni che si verificarono nei periodi in cui il prezzo dei cereali fu particolarmente elevato, si potrebbero attribuire a speculazioni o all’inefficienza dei sistemi di comunicazione interna piuttosto che ad una reale scarsità della produzione. E. Jones, Agricoltura e rivoluzione industriale, Roma 1982, pp. 111-112

Lentezza delle innovazioni, resistenze sociali e culturali Marc Bloch

Da un certo angolo di visuale, la rivoluzione avvenuta nelle colture può esser considerata come una vittoria dell’orto sul campo: del primo vennero adottati prodotti, tecniche (la sarchiatura e la concimazione intensiva), norme di coltivazione, come l’abolizione di ogni forma di vaine pâture1 e, se necessario, la recinzione. […] Dire storia di un’innovazione tecnica è come dire storia di contatti intellettuali; e le trasformazioni agrarie non fecero eccezione alla regola. I primi centri di irradiazione furono uffici di ministeri o uffici di intendenze, ben presto popolati di partigiani dell’agricoltura riformata, società d’agricoltura, anch’esse di carattere quasi ufficiale, e, soprattutto, centri di diffusione più modesti, ma più efficaci, costituiti nelle campagne stesse da qualche proprietà condotta con intelligenza. Ben di rado l’iniziativa partì dai contadini. Dove essi aderirono spontaneamente ai nuovi metodi, ciò era dovuto generalmente a rapporti, individuali o di massa, con regioni più progredite: così i piccoli produttori del Perche, che facevano inoltre i venditori ambulanti di tela, i guidatori di buoi o i venditori di cerchi per botti, impararono le nuove tecniche dalla Normandia e dall’Ile-de-France2, dove portavano le loro mercanzie. Più spesso si trattava di un gentiluomo istruitosi sui libri o nel corso dei propri viaggi, di un curato lettore appassionato di opere nuove, di un proprietario di fucine o di un maestro di posta in cerca di un’invenzione che li aiutasse a sostentare i loro cavalli da tiro (sul finire del secolo molti maestri di posta furono assunti come affittuari dai proprietari desiderosi di migliorie), che introducevano

nelle proprie terre i prati artificiali; e a poco a poco i vicini ne seguivano l’esempio. Talvolta non erano solo le idee a circolare, ma gli uomini: soprattutto fiamminghi, provenienti dalla stessa patria del progresso tecnico, che venivano chiamati nel Hainaut, nella Normandia, nel Gâtinais, nella Lorena come operai o fittavoli, o anche abitanti del Pays de Caux, che si cercava di attirare nella Brie, regione più arretrata. A poco a poco la coltura dei foraggi si diffuse, insieme a molte altre migliorie, attuate o soltanto tentate, riguardanti l’attrezzatura, la selezione del bestiame, la lotta contro le malattie delle piante o degli animali. Il maggese cominciò a scomparire, soprattutto nelle regioni di grande proprietà e preferibilmente ai confini dei villaggi, dove il letame era più abbondante. D’altronde, tutto ciò avvenne con grande lentezza. La rivoluzione tecnica non doveva soltanto vincere abitudini ormai radicate o difficoltà di carattere economico: nella maggior parte del paese essa si trovava di fronte ad un sistema giuridico dai contorni rigidi, cosicché era necessaria, perché essa si potesse affermare definitivamente, una revisione del diritto [che favorisse l’abolizione dei diritti comunitari e la pratica delle recinzioni]. A tale riforma si accinsero gli uomini di governo, nella seconda metà del secolo. M. Bloch, I caratteri originali della storia rurale francese, Torino 1973, pp. 250-255

1 Il libero pascolo degli animali sui terreni lasciati a maggese, cioè a riposo. 2 La regione di Parigi.

Modulo 3

La rivoluzione La delle idee rivoluzione

delle idee Re, filosofi, scienziati

Re, filosofi, scienziati Capitolo 8

L’età dei Lumi

Perché esiste lo Stato? A che cosa servono le leggi? È possibile rendere migliori le condizioni di vita degli uomini? Questi e altri problemi furono argomento di molti scritti e dibattiti, nei paesi europei, durante il Settecento, un’epoca in cui tutto fu messo in discussione: ordinamenti statali, forme di governo, princìpi morali e religiosi. Fu una vera rivoluzione delle idee, a cui fu dato il nome di “Illuminismo” perché assumeva come primo valore del pensiero e dell’azione umana la “luce” dell’intelligenza e della ragione.

e

Capitolo 9

Economia e scienza nell’età dei Lumi Nel Settecento il clima diffuso dall’Illuminismo in tutta Europa contribuì in maniera decisiva allo sviluppo della scienza. Le scoperte scientifiche, accompagnate da numerose innovazioni tecnologiche, suscitarono l’entusiasmo dei contemporanei, che con grande fiducia nell’uomo e nella ragione pensarono di aver dato origine a un progresso senza limiti, a un’epoca felice per il genere umano. Per la prima volta l’uomo riuscì a volare, grazie all’invenzione dei palloni aerostatici e alla scoperta dei gas leggeri; quasi negli stessi anni si scoprì l’energia elettrica e fu costruita la prima pila.

Capitolo 10

Illuminismo e riforme Il rinnovamento delle idee portato dall’Illuminismo suscitò particolare interesse in alcuni sovrani europei, i quali, abbandonata la tradizionale figura del monarca di origine divina, si attribuirono un nuovo ruolo di re “illuminati”, capi assoluti, sì, ma attenti a garantire il bene dei sudditi. Promotori di questo cambiamento furono i sovrani di Prussia, Russia, Svezia e dell’Impero asburgico. Le riforme da loro attuate, ispirate ai nuovi scenari della scienza e del pensiero politico, aprirono la strada alle riforme più radicali che si sarebbero verificate in seguito.

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Capitolo

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Percorso breve L’Europa del Settecento fu attraversata da un profondo rinnovamento culturale che fu detto “Illuminismo” perché assumeva come valore fondamentale la “luce della ragione”. Ciò comportava un nuovo atteggiamento critico nei confronti delle idee acquisite, delle istituzioni tradizionali, delle autorità del passato: con l’Illuminismo nacque l’idea di “progresso”, cioè l’idea (del tutto nuova) della storia come evoluzione e miglioramento del genere umano, legato all’uso sempre più consapevole del pensiero razionale. La libertà di pensiero fu teorizzata e praticata soprattutto nei paesi in cui si erano diffuse le idee di tolleranza civile e religiosa, di partecipazione politica, di lotta all’assolutismo: in primo luogo l’Olanda e l’Inghilterra, da dove l’Illuminismo si diffuse in Francia, incontrando ampio successo non solo negli scritti di filosofi come Voltaire, o in movimenti come la Massoneria, ma anche nei salotti dei ceti borghesi e aristocratici. In questo modo le nuove idee diventarono di moda e si allargarono a tutta l’Europa, nonostante le censure e le persecuzioni che Voltaire e altri pensatori dovettero subire nel loro paese. Gli illuministi lanciarono una vera battaglia contro l’ignoranza, pensata come prima origine delle ingiustizie e dei mali del mondo: alla sistemazione razionale del sapere (con una nuova particolarissima attenzione agli aspetti tecnici e scientifici della conoscenza) fu dedicata una monumentale opera diretta dal matematico D’Alembert e dal filosofo Diderot, l’Enciclopedia, pubblicata a Parigi tra il 1751 e il 1774. Nonostante i tentativi di censura operati a livello politico e religioso per bloccare la stampa e la diffusione dell’opera, che trattava ogni argomento con assoluta indipendenza e senza alcun riguardo dei pregiudizi esistenti, essa incontrò un grande successo mostrando come ormai fosse profondamente cambiato l’atteggiamento della società europea nei confronti della cultura. Nel quadro del pensiero illuminista si svolsero, nel Settecento, anche fondamentali dibattiti sull’educazione infantile (che segnarono la nascita della pedagogia e, a livello medico, della pediatria) nonché sul ruolo delle donne (tradizionalmente confinate al lavoro domestico) nell’esercizio delle professioni e delle attività intellettuali.

Statua di Voltaire [Musée du Louvre, Parigi]

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8.1 L’Illuminismo L’idea di progresso Un profondo rinnovamento intellettuale attraversò l’Europa nel XVIII secolo. Esso fu chiamato Illuminismo, per indicare che la “luce” dell’intelligenza e della ragione era assunta come valore primario, come base su cui costruire una nuova e più moderna organizzazione della società e della vita. Ciò comportava un’analisi critica e anche un rifiuto del passato, delle idee e delle istituzioni tradizionali, giudicate un freno al progresso. La stessa idea di “progresso” fu in qualche modo un’invenzione illuminista. La cultura antica aveva immaginato la storia come una continua decadenza, dopo un periodo originario di felicità denominato “età dell’oro”. Un analogo significato aveva il racconto biblico della cacciata dell’uomo dal Paradiso terrestre, e la cultura cristiana rappresentava la vita dell’uomo come un doloroso passaggio a un futuro felice, ma collocato nell’aldilà. Per questo fu profondamente nuova l’idea illuminista della storia come evoluzione, del “progresso” come possibile miglioramento dell’esistenza umana dovuto all’uso della ragione e alla pratica dell’intelligenza. Questa idea, pur con varie accezioni, è poi entrata a far parte del patrimonio culturale degli europei. La libertà del pensiero Allo stesso modo, fu rivoluzionaria l’idea che i “moderni” sono superiori agli “antichi”. Il pensiero umanistico e rinascimentale [ vol. 1, 24] aveva rappresentato la cultura classica come fonte indiscussa di autorità; il pensiero cristiano si rifaceva inevitabilmente alla Bibbia. Agli inizi del Settecento tale atteggiamento cambiò: il “nuovo” cominciò ad apparire più importante, il principio di autorità cominciò a cedere di fronte a valori quali l’indipendenza del pensiero, la libera ricerca della verità, l’autonomia della morale dalla religione. L’aspetto innovativo della cultura illuminista fu così sintetizzato dal filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804), autore di una celebre opera intitolata Critica della ragion pura (1781): «L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità, cioè dalla incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Se ho un libro che pensa per me, se un altro uomo si sostituisce a me nel guidare la mia coscienza, io cesso di usare il mio pensiero, affido ad altri le decisioni che dovrei prendere io. A questo Illuminismo non occorre altro che la libertà». Uno studioso francese, Paul Hazard, ha definito questa inversione di tendenza come una sorta di «crisi della coscienza europea».

Francisco Goya, Il sonno della ragione genera mostri, 1797 ca. [dai Capricci; El Prado, Madrid]

In questa incisione allegorica, il sonno della ragione o il suo offuscamento genera mostri quali superstizione, paura, pregiudizio. Il principio fondamentale dell’Illuminismo risiede nel risveglio della ragione.

Christophe Preisel, Ritratto di Immanuel Kant, 1884 Questa incisione di fine Ottocento si trova sul frontespizio della sua celebre opera Critica della ragion pura.

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8.2 Politica, cultura e religione nell’Europa illuminista I paesi liberali e le nuove filosofie Lo sviluppo della cultura illuminista trovò le sue premesse e i suoi fondamenti in alcuni filoni di pensiero nati, non casualmente, in Inghilterra e in Olanda (Province Unite), i due paesi europei in cui maggiormente si erano diffuse idee e pratiche liberali: tolleranza religiosa, ricerca scientifica, circolazione di libri e giornali, dibattito politico, istituzioni parlamentari, avversione all’assolutismo autoritario. Il giusnaturalismo In Olanda si era sviluppato, grazie a pensatori come Ugo Grozio (1583-1645) e Baruch Spinoza (1632-1677), il cosiddetto giusnaturalismo, ossia l’idea che il diritto (in latino ius) non deriva da basi teologiche o metafisiche, ma ha un carattere naturale e razionale: libertà e giustizia, su cui si fondano i sistemi sociali, nascono da una legge naturale indipendente dalla volontà (e dalla stessa esistenza) di Dio. Da ciò derivava l’idea della politica come contratto sociale, sviluppata soprattutto in Inghilterra da pensatori come John Locke (1632-1704) [ 1.5]: se, infatti, i diritti appartengono “naturalmente” alla comunità, solo un contratto può trasferirli a chi governa, che riceve la sua autorità non da Dio, ma da coloro che decidono di essere governati da lui. Il deismo Anche la religione fu ricondotta a un’esigenza di tipo naturale e razionale: il cosiddetto deismo, teorizzato da personaggi come l’inglese John Toland (1670-1722), rifiutava il concetto di religione rivelata (quindi imposta dall’alto) sostenendo l’idea di una religione naturale, spiegabile razionalmente: tutto ciò che di essenziale si trova nella religione si spiega con la morale naturale, e ciò che non si spiega va rifiutato. Il sensismo I medesimi princìpi razionalistici guidarono l’analisi del mondo umano: è tipica della stagione illuminista la diffusione di nuove concezioni filosofiche come il sensismo, cioè la tendenza a ricondurre la conoscenza umana ai dati dei sensi e dell’esperienza, ritenuta, per esempio, dal filosofo scozzese David Hume (1711-1776) la base di ogni conoscenza. Baruch Spinoza, XVII sec. [Herzogliche Bibliothek, Wolfenbüttel]

La diffusione dell’Illuminismo Furono questi i presupposti e, per così dire, l’atmosfera in cui si sviluppò l’Illuminismo europeo. Amsterdam e Londra ne furono i luoghi di incubazione, poi il movimento trovò particolare sviluppo a Parigi, dove, scomparso Luigi XIV, i rapporti culturali con l’Inghilterra si intensificarono: le nuove idee d’oltre Manica diventarono quasi una moda, diffondendo un nuovo stile intellettuale che testimoniava il disagio per le condizioni del regno e le sue tradizioni assolutiste. Dalla Francia, a cominciare dalla metà del Settecento, il pensiero illuminista si diffuse nel continente, incontrando particolare adesione nei settori più evoluti della nobiltà e tra i ceti borghesi, che aspiravano a creare una società più libera in cui poter sviluppare i loro interessi economici, legati all’industria e al commercio.

8.3 Contro l’intolleranza. Voltaire L’idea di libertà Secondo gli illuministi, la società per diventare prospera e felice deve essere fondata sulla più ampia libertà individuale: a ogni persona deve essere garantita la libertà di pensare, di parlare e di agire. Soprattutto François-Marie Arouet, detto Voltaire (1694-1778), una delle personalità di maggior rilievo tra gli illuministi francesi, fu un convinto sostenitore delle idee di libertà e di tolleranza. Nel 1734 egli pubblicò le Lettere inglesi (o Lettere filosofiche), ispirate a un viaggio in Inghilterra che fece anche per sottrarsi agli attacchi e alle censure a cui era soggetto in patria. Nelle Lettere, Voltaire elogiò l’Inghilterra per tutto ciò che in Francia mancava: libertà, tolleranza, apertura alle nuove idee filosofiche e scientifiche. L’opera fu condannata e bruciata pubblicamente, ma gli diede grande notorietà in tutta Europa: negli anni successivi, Voltaire diventò un punto di riferimento per molti intellettuali europei, dando vita a una rete di relazioni che diffuse nel continente le nuove idee.

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Anicet-Charles Gabriel Lemonnier, La prima lettura de L’orfanello cinese nel 1755, 1814 [Musée des Beaux-Arts, Rouen]

In questo quadro ottocentesco è rappresentata la prima volta in cui l’opera di Voltaire – intitolata L’orfanello cinese – viene letta in pubblico, nel salotto di Madame Geoffrin nel 1755. Nel Settecento si moltiplicarono i luoghi di incontro e di scambio culturale, non più solo le corti dei monarchi ma anche i salotti borghesi divennero luoghi deputati a condividere e divulgare il pensiero illuminista.

L’accettazione della diversità Il pensiero di Voltaire spaziò dall’ambito politico a quello morale e religioso, sempre nel nome della comprensione e della tolleranza. «Io penso – scrisse – che perseguitare qualcuno per le sue idee sia una cosa vergognosa, un’azione spregevole come il delitto e il tradimento. In una nuova preghiera da innalzare a Dio dovremmo dire: Fa’ che le diversità tra i vestiti che ricoprono i nostri corpi, tra le nostre lingue, tra i nostri usi, tra le nostre leggi e le nostre opinioni, fa’ che tutte le differenze che ci distinguono non siano segnali di odio e di persecuzione». L’idea della storia Anche nelle opere di carattere storico, come il Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni, Voltaire aprì il genere storiografico alle vicende dei popoli extraeuropei, a religioni diverse dal cristianesimo, ad avvenimenti che non erano solamente militari e politici ma includevano i modi di vivere e di pensare delle diverse società. «Qualcuno – scrisse Voltaire nel Dizionario filosofico – si crede uno storico perché trascrive delle date e delle descrizioni di battaglie in cui non ci si capisce nulla. Egli dovrebbe invece insegnarmi le condizioni della nazione, i diritti di cui godono le principali classi di questa nazione, le sue usanze, i suoi costumi, e come essi sono cambiati». Il sostegno della Massoneria Alla diffusione delle idee di tolleranza religiosa e di fratellanza universale contribuì anche la Massoneria, un’associazione segreta sorta in Inghilterra agli inizi del Settecento e poi diffusasi in Francia e in ogni parte d’Europa. Il suo nome, derivato dal francese maçon ossia “muratore”, stava a significare l’obiettivo di costruire una nuova società. Ignaz Unterberger, Una cerimonia di iniziazione in una loggia massonica viennese, 1786 [Museum der Stadt Karlsplatz, Vienna]

Alla Massoneria aderirono, da subito, aristocratici illuminati che credevano nella costruzione di un nuovo modo di pensare e di rapportarsi al bene comune.

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8.4 Sete di sapere: l’Enciclopedia La prima edizione dell’Encyclopédie, 1751 [Musée du Louvre, Parigi]

Per venti anni vi lavorarono più di 1000 operai e 2500 studiosi e furono distribuite più di 4000 copie.

Un’opera monumentale contro l’ignoranza Gli illuministi erano convinti che l’origine prima delle ingiustizie, degli errori, dei mali del mondo fosse l’ignoranza. Pertanto, scrisse il filosofo francese Denis Diderot (1713-1784), «moltiplicare i libri e le scuole, diffondere l’istruzione fra il più gran numero possibile di persone è uno degli scopi principali che si devono porre gli uomini di governo». A questa battaglia contro l’ignoranza e per la diffusione della cultura e del sapere gli illuministi francesi dettero un contributo fondamentale con la pubblicazione dell’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, un’opera in 28 volumi, 17 di testo e 11 di tavole, pubblicata a Parigi tra il 1751 e il 1774, sotto la direzione del matematico Jean-Baptiste D’Alembert (1717-1783) e dello stesso Diderot. Non solo classici: la scienza si nobilita Scopo dichiarato di questo monumentale lavoro era di offrire «un quadro generale degli sforzi compiuti dall’uomo in tutti i campi e in tutti i secoli», con un linguaggio chiaro e semplice, accessibile ai più larghi strati della popolazione: un’opera di divulgazione di tutto ciò che si sapeva alla luce delle ultime ricerche e scoperte, nel campo umanistico (arti, letteratura) e scientifico. Un’attenzione particolare fu dedicata alla scienza e alle tecniche, alle macchine e agli aspetti pratici del lavoro, una novità, questa, che bastava a segnare il netto distacco della cultura illuminista da quella tradizionale.

Aa Documenti Cittadino del mondo Oliver Goldsmith (1730-1774), uno scrittore inglese del Settecento, raccolse sotto il titolo The Citizen of the World, ‘Il cittadino del mondo’ (1762) una serie di lettere in cui criticava con pesante ironia i pregiudizi della società inglese. Per dare

T

alle sue considerazioni il carattere di uno “sguardo esterno” egli finge che a scrivere sia un viaggiatore cinese in Inghilterra, di nome Lien Chi. Nel passo che presentiamo, Goldsmith immagina che lo straniero sia coinvolto in un’occasionale

ra i moltissimi altri argomenti, avevamo colto l’occasione per parlare dei diversi caratteri dei vari popoli europei, allorché uno dei signori, tirandosi su il cappello e dandosi grandissime arie, quasi raccogliesse nella sua persona tutti i meriti del popolo inglese, dichiarò che gli olandesi erano un branco di avari disgraziati; i francesi una squadra di adulatori parassiti; i tedeschi volgari ghiottoni e ubriaconi; gli spagnoli tiranni boriosi, altezzosi e arroganti; mentre invece gli inglesi superavano il mondo intero per coraggio, generosità, clemenza e ogni altra specie di virtù. Questa osservazione, che pareva molto profonda e assennata, fu accolta da tutti quanti con un sorriso generale di approvazione – da tutti, voglio dire, tranne che dal vostro umile servo. […] Io dissi che, per parte mia, non avrei osato pronunciarmi in modo così perentorio a meno che non avessi fatto il giro di tutta l’Europa e non avessi studiato i costumi dei vari popoli con grande attenzione e cura; che un giudice più imparziale forse non si sarebbe fatto scrupolo di affermare che gli olandesi erano più frugali e più attivi degli inglesi, i francesi più temperati e più cortesi, i tedeschi più forti e più resistenti alla fatica e gli spagnoli più tranquilli e più posati; che gli inglesi, sebbene indubbiamente coraggiosi e generosi, erano nello stesso tempo impulsivi, testardi e avventati, troppo inclini a esaltarsi nella prosperità e ad avvilirsi nell’avversità.

conversazione al caffè con dei personaggi poco rispettosi delle identità altrui e troppo legati a un nazionalismo egocentrico e preconcetto. È lo spunto per esprimere idee aperte e tolleranti, tipiche della cultura illuminista.

Mi resi conto facilmente che tutti quanti cominciavano a guardarmi con occhi sospetti prima ancora che avessi portato a termine la mia risposta: non appena ebbi finito di parlare, il patriottico signore osservò con un sorriso di scherno che era molto sorpreso che certe persone avessero la sfacciataggine di vivere in un paese che non amavano e di godersi la protezione di un governo di cui, in cuor loro, erano inveterati nemici. Scoprendo che con questa semplice manifestazione dei miei sentimenti avevo perduto la stima dei miei compagni e offerto loro l’opportunità di tirare in ballo le mie idee politiche, e ben sapendo che era inutile discutere con uomini così presuntuosi, sistemai il conto e me ne tornai al mio alloggio, riflettendo sulla natura ridicola e assurda dei pregiudizi nazionali. Tra i detti celebri dell’antichità, non ce n’è uno che renda maggior onore all’autore o più piacere al lettore (per lo meno se questi è una persona di cuore aperto e generoso) di quello del filosofo che, essendogli stato chiesto di che paese fosse, rispose che era «un cittadino del mondo». Non posso io amare il mio paese senza odiare gli abitanti degli altri? Non posso mostrare l’eroismo più vero, la più intrepida fermezza nel diffondere le sue leggi e la sua libertà senza disprezzare gli abitanti di tutti gli altri paesi come vili e codardi? O. Goldsmith, The Citizen of The World (Il cittadino del mondo)

Capitolo 8 L’età dei Lumi Censura e soppressione L’uscita dell’Enciclopedia fu ostacolata dal governo francese e condannata dalla Chiesa cattolica, che per due volte ne fece sequestrare i volumi. Le motivazioni del decreto di censura, emanato nel 1752 all’uscita del secondo volume, illustrano molto bene la portata rivoluzionaria dell’opera, vero manifesto della cultura illuminista. «Sua Maestà ha constatato che in questi volumi sono state inserite parecchie massime tendenti a distruggere l’autorità reale, a instaurare uno spirito d’indipendenza e di rivolta, e, sotto termini oscuri ed equivoci, a elevare le fondamenta dell’errore». Di conseguenza «Sua Maestà, sempre attenta a ciò che concerne l’ordine pubblico e l’onore della religione, ha giudicato opportuno interporre la propria autorità per prevenire le possibili conseguenze di massime così perniciose, sparse in quest’opera. Volendo a ciò provvedere, ha ordinato e ordina che i due primi volumi dell’opera siano e restino soppressi, e fa esplicita proibizione e divieto a tutti gli stampatori, librai o altri, di stampare o far ristampare i suddetti due volumi».

Le vie della cittadinanza

La cultura come arma

L

e forme di censura politica e religiosa che scattarono nel XVIII secolo contro l’Enciclopedia di D’Alembert e Diderot – che il re di Francia proibì di stampare e di vendere – e la Chiesa cattolica condannò, non erano solo il segno di un’avversione alle idee illuministe, di cui l’opera era permeata, ma, più in generale, di una profonda diffidenza verso la cultura e il sapere in quanto tali. Infatti la lettura, lo studio, la conoscenza inevitabilmente portano a costruire uno spirito critico, arma pericolosissima che può mettere in discussione gli equilibri politici, i sistemi di potere e di governo. Come si legge nella stessa Enciclopedia alla voce Cultura: «Alcuni dotti vorrebbero che i libri servissero solo a loro e si sottraesse al popolo anche il più piccolo lume, persino nelle materie più importanti: lume, che invece non gli si deve nascondere, poiché ne ha molto bisogno». Non casualmente, le forze politiche di stampo reazionario hanno spesso preferito una popolazione ignorante e illetterata. Nel Regno di Napoli, per esempio, ancora in pieno XIX secolo si teorizzava

Una biblioteca moderna

che i contadini e le donne non devono studiare, «altrimenti si mettono dei grilli per la testa». La stessa cosa fu teorizzata, più tardi, nella Germania nazista: la gioventù, sosteneva Hitler, deve impegnarsi nella ginnastica e nella cura del corpo, non “rovinarsi” leggendo libri. Gli stessi “roghi di libri” organizzati dal nazismo nel corso di macabri rituali notturni non servivano solo a distruggere pubblicazioni ritenute aberranti in quanto non allineate al regime, ma anche a diffondere un clima di diffidenza verso lo scritto in quanto tale. I regimi socialisti, invece, hanno sempre incoraggiato l’istruzione, la cultura, la lettura come forme di emancipazione delle classi popolari dall’ignoranza. Salvo, poi, ricredersi quando tutto ciò signifiVolumi dell’Encyclopédie, XVIII sec.

cava libertà di pensiero, di conoscenza, di critica: nell’Unione Sovietica di Stalin, così come negli altri paesi comunisti europei, è stata esercitata una ferrea censura su libri e giornali. Una mente non istruita e priva di un allenato senso critico può essere infatti facilmente circuita da chi detiene il potere (qualsiasi tipo di potere: politico, religioso, economico, sociale, culturale) e lo usa secondo i propri interessi. Al fine di evitare questo tipo di sottomissione, che sempre scaturisce da una condizione di ignoranza, l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha fissato tra gli obiettivi mondiali da raggiungere in questo nuovo millennio quello dell’istruzione primaria universale per tutti quei bambini che ancora non hanno garantito questo diritto fondamentale, primo vero passo verso la libertà della persona e del suo pensiero.

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Modulo 3 La rivoluzione delle idee

I tempi della storia Le donne sono adatte per lo studio? Il problema dell’educazione femminile fu all’ordine del giorno nei dibattiti culturali del Settecento. Il fatto che una donna studiasse, imparasse a pensare e a riflettere “come gli uomini” era ancora visto da molti come un’assurdità. Da molti secoli le donne erano relegate in un ruolo strettamente domestico, rinchiuse in un ambito di vita privato. La donna “colta” suscitava diffidenza e ostilità. Già a iniziare dal Seicento alcune voci si erano levate contro questa situazione. Nel 1673, per esempio, il filosofo francese Poullain de la Barre (1647-1726) scrisse un’opera intitolata L’uguaglianza dei due sessi in cui sosteneva la necessità di estendere anche alle donne il diritto allo studio e l’esercizio delle professioni. A queste idee si riallacciò un filosofo del Settecento, il marchese di Condorcet (1743-1794), che affermò l’assurdità di tenere esclusa una metà del genere umano dalla vita civile e dalla partecipazione alla vita politica. Un significativo Saggio sopra la necessità di istruire le fanciulle fu pubblicato nel 1744 dal piemontese Domenico Soresi (1711-1778): «Desidero

raccomandare alle donne – egli scriveva nell’introduzione – di interessarsi alla letteratura, di leggere buoni libri, che arricchiscano il proprio intelletto»; e ciò non solo per un loro personale vantaggio, ma «per la pubblica utilità e nell’interesse dell’umana società». In effetti, nell’alta società del Settecento le cose stavano già cambiando: molte dame tenevano nelle loro case dei salotti letterari in cui si riunivano uomini e donne di cultura a discutere di politica, di filosofia, di letteratura, di scienza. Soprattutto in questi salotti femminili, oltre che nei pubblici caffè, la cultura illuminista ebbe modo di diffondersi e di fare proseliti. Molte donne parteciparono ai movimenti di idee che nella seconda metà del secolo portarono alla Rivoluzione americana prima [ 11], a quella francese poi [ 12]. Nel 1791, la scrittrice francese Marie Olympe De Gouges (1748-1793) pubblicò una Dichiarazione dei diritti delle donne che si affiancò alle rivoluzionarie proposte politiche di quegli anni. Ma una vera emancipazione femminile era ancora di là da venire: la stessa De Gouges fu

Alessandro Longhi, La pittura e il merito, 1761 ca. [Gallerie dell’Accademia, Venezia]

condannata a morte nel 1793 dal tribunale rivoluzionario, con l’accusa «di aver voluto aspirare a diventare uomo di Stato, dimenticando di essere donna».

Libri clandestini Ma i tempi erano cambiati e l’opera conobbe un successo strepitoso: nonostante le censure del re, nonostante la condanna ecclesiastica, tutte le copie della prima edizione (4000, una tiratura elevatissima per l’epoca) furono vendute nel giro di due anni e continuarono a circolare in forma semi-clandestina. La tenacia di Diderot (che rimase direttore unico dell’Enciclopedia dopo l’abbandono di D’Alembert) giunse a concludere nel 1766 i volumi di testo, seguiti nei sei anni successivi dalle tavole. Nel 1770 ne furono stampate due edizioni italiane, una a Livorno e l’altra a Lucca.

8.5 La disputa sulla Natura e la scoperta dell’infanzia La Natura è buona o cattiva? La cultura europea del Settecento nutrì atteggiamenti contraddittori nei confronti della Natura. Da un lato c’era l’idea ereditata dai secoli precedenti, che la Natura fosse una realtà imperfetta, una “madre matrigna” che la Civiltà doveva correggere. Dall’altro c’era l’idea contraria, anch’essa non totalmente nuova, ma che il pensiero illuminista sviluppò e rilanciò con forza: che la Natura fosse “buona” e che la Civiltà la corrompesse. Furono questi i presupposti culturali che sostennero la rivalutazione della Natura in tutti gli aspetti del pensiero politico, filosofico, giuridico. Adulti imperfetti da civilizzare Queste idee si riflettevano anche nel modo di educare i figli. In genere, ai fanciulli (e anche ai ragazzi) non si riservava troppa attenzione: l’età dell’infanzia non era sentita come un’età “diversa” da quella adulta, dotata di caratteristiche sue proprie e, quindi, da trattare in modo specifico e particolare. I fanciulli erano visti piuttosto come degli adulti imperfetti, non ancora formati e perciò da “educare” in funzione dell’età adulta e delle “maniere” che si ritenevano proprie dell’età adulta.

Capitolo 8 L’età dei Lumi

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Cattivi “per natura” Negli ambienti aristocratici o dell’alta borghesia, essi erano vestiti come gli adulti, truccati e incipriati come gli adulti; imparavano prestissimo a parlare correttamente il francese (che nell’Europa del XVIII secolo era la lingua internazionale dell’alta società), a danzare, a comportarsi bene a tavola, a partecipare correttamente ai concerti e alle cerimonie. Peraltro, nella maggior parte delle famiglie nobili e alto borghesi l’insegnamento delle “buone maniere” era affidato a degli educatori di professione o alle governanti; i rapporti con i genitori erano abbastanza rari e addirittura poteva capitare che una sola volta al giorno si potesse far visita alla madre, a orari prestabiliti e quasi su appuntamento. Non c’erano fra genitori e figli quei rapporti di intimità e di affettuosità che a noi sembrano così normali. Dietro comportamenti come questi c’era l’idea, appunto, che il bambino fosse “per natura” cattivo e che il grande fine dell’educazione fosse quello di “correggere” questa innata malvagità, di ricondurla nell’ambito della “civiltà”. A tal fine si ricorreva spesso a punizioni corporali, che servivano a “domare” il fanciullo. Un nuovo mito: la Natura “buona” e l’infanzia innocente Nel Settecento, però, si affermarono anche idee diametralmente opposte. Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), uno dei massimi esponenti del pensiero illuminista, avanzò un’idea della Natura totalmente positiva, e quindi un’immagine dell’infanzia come età buona e innocente, che la Civiltà, poi, finiva per corrompere. A questo mito della “natura innocente” si ispirano molti libri del tempo, come l’Emilio dello stesso Rousseau o il romanzo Paolo e Virginia di Bernardin de Saint-Pierre (1737-1814), dedicato alla vita di due bambini che crescono incontaminati – e perciò “buoni” – al di fuori del cosiddetto mondo civile. La nascita della pedagogia e della pediatria Fra questi due estremi – “Natura cattiva” e “Natura buona” – oscilla il dibattito settecentesco sull’infanzia e sull’educazione. Ma la cosa significativa è l’esistenza stessa di questo dibattito, è la nuova attenzione che si comincia a prestare al mondo dell’infanzia, considerato, sempre più chiaramente con il passare del tempo, come una realtà a sé stante, su cui vale la pena di riflettere. Ecco dunque nascere, nel Settecento, due nuove scienze: la pedagogia, cioè la scienza che studia i problemi dell’educazione infantile, i problemi specifici di questa età; la pediatria, cioè il ramo della medicina che specificamente si occupa della salute e delle malattie particolari del bambino. Illustrazioni tratte dall’Emilio, 1762 ca. [Bibliothèque Nationale, Parigi]

Jean-Jacques Rousseau fu uno dei primi intellettuali a teorizzare che la Natura fosse completamente positiva e quindi fornì un’immagine buona e innocente dell’età infantile; in netto contrasto con quello che si era pensato fino a quel momento.

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Modulo 3 La rivoluzione delle idee

Sintesi

L’età dei Lumi

L’Illuminismo Nel XVIII secolo l’Europa fu attraversata da un vasto rinnovamento culturale che prese il nome di “Illuminismo”. Il nome ha origine dalla visione della ragione e dell’intelligenza umana come “Lumi”, luce per una nuova fase di progresso. Questa nuova idea di progresso generò altre forme di pensiero che entreranno a far parte del bagaglio culturale europeo: la storia come evoluzione, come progresso rispetto al passato; il conseguente distacco dell’uomo illuminista dalla cultura antica, che non ha più un primato di indiscussa superiorità; il concetto di libertà di pensiero che soppianta il principio di autorità. Politica, cultura e religione nell’Europa illuminata L’Illuminismo prese avvio da filosofie maturate in Inghilterra e Olanda, paesi liberali in cui erano vivi nuovi dibattiti politici, culturali e religiosi. In Olanda maturò il giusnaturalismo, secondo cui il diritto non deriva da basi teologiche o metafisiche, ma ha carattere naturale e razionale. Da questo principio John Locke maturò il concetto di politica come contratto sociale, fatto dagli uomini e non per volere divino. Il razionalismo era alla base anche del deismo (John Toland) e del sensismo (David Hume). Da Amsterdam e Londra, l’Illuminismo trovò terreno fertile a Parigi, e da lì si irradiò per tutto il con-

tinente mutando profondamente le coscienze europee. Contro l’intolleranza. Voltaire Il principio di libertà individuale fu alla base del pensiero di Voltaire (1694-1778). Ispirato da un viaggio in Inghilterra, nella sua opera Lettere inglesi egli elogiò i princìpi di libertà, tolleranza e apertura alle nuove idee filosofiche che stavano prendendo piede in Europa. I princìpi ispiratori di Voltaire permeano tutto il suo pensiero, che spaziava dalla politica alla morale, alla religione; in ambito storico dette importanza ai popoli extraeuropei e a religioni diverse dal cristianesimo, ed ebbe un occhio di riguardo per le dinamiche che muovevano le società. Alla diffusione dei princìpi di tolleranza e fratellanza contribuì anche la Massoneria, una società segreta che aveva l’obiettivo di costruire una nuova società. Sete di sapere: l’Enciclopedia Secondo gli illuministi − e Denis Diderot in particolare − per combattere le storture della società era necessario ingaggiare una battaglia contro l’ignoranza, male primo della società. A tale fine gli illuministi, sotto la direzione di Jean-Baptiste D’Alembert, si cimentarono nella stesura dell’Enciclopedia (Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri): un’opera in 28 volumi che aveva

lo scopo di offrire a tutti, in modalità e linguaggio accessibili, un quadro quanto più completo dei risultati dell’uomo nell’ambito del sapere. La portata rivoluzionaria dell’opera spinse il governo francese e la Chiesa a osteggiarne l’uscita: nel 1752 si arrivò alla censura. L’opera fu però diffusa in clandestinità con enorme successo. La disputa sulla Natura e la scoperta dell’infanzia Nel Settecento il dibattito sull’infanzia si basava su posizioni contrastanti. In generale, all’interno di ogni ceto sociale, non veniva data particolare attenzione all’infanzia e all’educazione dei fanciulli: essi erano considerati adulti incompleti, non ancora formati e perciò venivano preparati alle maniere utili nell’età adulta. Non era quindi data nessuna attenzione all’infanzia, di cui non si riconoscevano le peculiarità. Dietro questo modello educativo c’era la convinzione che il fanciullo fosse cattivo per natura e il fine dell’educazione era correggere questa innata malvagità e ricondurla nell’ambito della civiltà, caratteristica dell’età adulta. Con l’Illuminismo si affermò anche una filosofia diametralmente opposta, a opera di Jean-Jacques Rousseau, secondo cui la Natura è di matrice buona e l’infanzia è un’età buona e innocente. In seno a questo aperto dibattito, nacquero due nuove discipline: la pedagogia e la pediatria.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. giusnaturalismo • deismo • sensismo • Massoneria • pedagogia • pediatria Ramo della medicina che si occupa dello studio, della prevenzione e della cura delle malattie del bambino Dottrina del diritto naturale Ordine iniziatico con lo scopo del perfezionamento dell’individuo Disciplina che studia l’educazione dell’uomo, in particolare dei fanciulli e dei giovani Dottrina filosofica e religiosa di matrice razionalista Dottrina che fa derivare ogni facoltà e conoscenza dalla sensazione

Capitolo 8 L’età dei Lumi

2. Collega il nome del filosofo alla definizione e alla frase corrispondenti. Definizione: enciclopedismo • giusnaturalismo • deismo • natura innocente • contratto sociale • sensismo Frase: Libertà e giustizia nascono da una legge naturale indipendente dalla volontà divina • L’ignoranza è la prima causa degli errori e dei mali del mondo • La morale naturale spiega tutto ciò che di essenziale si trova in una religione • Chi governa riceve la sua autorità da coloro che decidono di essere da lui governati • Ogni conoscenza umana deriva dai dati ricavabili dai sensi e dall’esperienza • L’infanzia è un’età buona e innocente che viene poi corrotta dalla civiltà David Hume

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John Toland

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Baruch Spinoza

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................................................................................................................................................................

Denis Diderot

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................................................................................................................................................................

Jean-Jacques Rousseau

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................................................................................................................................................................

John Locke

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3. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento. a. Secondo Immanuel Kant, l’Illuminismo è: l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità. la conferma della superiorità dell’epoca classica. una fase di transizione tra due epoche di progresso. un’epoca di rinnovata fiducia sugli antichi. b. Secondo il giusnaturalismo, il diritto ha carattere: esclusivamente metafisico. metafisico e teologico. naturale e razionale. teologico e naturale.

d. Voltaire divenne famoso in tutta Europa per il testo intitolato: Lettere francesi. Lettere inglesi.

Lettere olandesi. Lettere europee.

e. Per gli illuministi, alla base delle storture della società vi era: l’ignoranza.

il deismo.

la scienza.

il denaro.

f. La divulgazione dell’Enciclopedia fu osteggiata: dalla Massoneria. dalla Massoneria e dalla Chiesa. dalla Massoneria e dal governo francese. dal governo francese e dalla Chiesa. g. Per Jean-Jacques Rousseau l’infanzia:

Analizzare e produrre

c. John Toland teorizzò:

è un’età già corrotta dalla Natura. il giusnaturalismo. il sensismo. è un’età già corrotta dalla società. deismo. la tabella riportando all’interno, il liberismo.nella posizione corretta, 4. ilCompleta i termini indicati. è un’età innocente. non ha differenze con l’età adulta. cavalieri • secolare • autonomia • corvées • decima • dipendenza • mestiere • taglia • canone • regolare • caccia • doni • tornei

4. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. Funzione sociale Vita quotidiana

Condizione sociale adulti • aldilà • autorità • Bibbia • civiltà • classica • decadenza • educazione • età • felicità • intelligenza • miglioramento I …...................….. educati al ……..................….. delle armi. Pratica……................................….. • NOBILI moderni • morale • natura • pedagogia • pediatria •erano pensiero • progresso • ragione • religione • rivalutazione • storia guerrieri vano la …….........................….. e i ……........................….. economica

PRIMA E DOPO LA DIFFUSIONE DELL’ILLUMINISMO

Avevano soprattutto obblighi. Tra questi, i più diffusi erano ……................................….. …….....................….. e il …….....................….. . Altri tributi erano la produttori di beni CONTADINILA STORIA UMANA LA le VITA DELL’UOMO I VALORI DELL’UOMO LA NATURA I FIGLI economica ……........................….. e i ……........................….. Principio di ................. : Realtà imperfetta ....................... imperfetti Continua ....................... Passaggio doloroso Erano divisi infelice clero …….........................….. (monaci) e in clero dopo un periodo di da correggere perché verso un futuro valore assoluto della che la ............................. …….................................….. preghiera ……........................….. (preti). Sapevano leggere e scrivere. Godevano SACERDOTI PRIMA economica cattivi per ..................... nell’................................... ............................ iniziale ............................. e della deve correggere di una entrata specifica, la…….........................….. ( ........................ dell’oro) cultura ........................... Evoluzione e ................ nella ................................ DOPO

Uso di

e ....................... : possibile .................... vita umana ..........................

• Superiorità dei ...................................................

• indipendenza di .............................................

• .................. autonoma dalla ................................

• Concezione positiva • ................... buona poi corrotta dalla ............... • .........................................

Dibattito su infanzia e .. ..................................... : nascita di ...................... e ........................................

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Modulo 3 La rivoluzione delle idee

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa si intende per Illuminismo? 2. Dove e quando si sviluppò la cultura illuminista? 3. Quali furono le principali idee nuove espresse dagli illuministi?

4. Chi furono i principali protagonisti dell’illuminismo? Che posizioni espressero? 5. Da chi fu sostenuta la diffusione delle nuove idee? 6. Da chi fu osteggiata la diffusione delle nuove idee?

Con le informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

L’ILLUMINISMO ......................................................................................................................................................................................................................

LA DEFINIZIONE

...................................................................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................

DOVE SI SVILUPPA

...................................................................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................

QUALI IDEE PROMUOVE

...................................................................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................................................................... .........................................: .......................................................................................................................................................................... .........................................: ..........................................................................................................................................................................

I PROTAGONISTI E LA LORO FILOSOFIA

.........................................: .......................................................................................................................................................................... .........................................: .......................................................................................................................................................................... .........................................: .......................................................................................................................................................................... .........................................: .......................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................

CHI LO SOSTIENE

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6. Verso il saggio breve Leggi la citazione di Kant riportata a p. 97 e rispondi alla seguente domanda. Che cosa si intende per stato di minorità? Che cosa comporta la libertà dell’uomo? Da che cosa permette di liberarlo? Leggi la citazione di Voltaire riportata a p. 99 e rispondi alla seguente domanda. Come è giudicata la persecuzione delle idee di qualcuno? Che cosa auspica l’autore? Leggi la citazione di Voltaire riportata a p. 99 e rispondi alla seguente domanda. Che cosa deve caratterizzare l’attività dello storico? Quali aspetti di essa sono criticati? Leggi la citazione tratta dal decreto di censura del 1752 riportata a p. 101 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quali aspetti del documento cui ci si riferisce sono criticati dal potere regio? Per quale motivo?

2. Quali decisioni sono conseguentemente prese dal potere regio? Leggi il documento “Cittadino del mondo” riportato a p. 100 e rispondi alle seguenti domande. 1. Chi è il protagonista del brano? Con chi si trova a dialogare? 2. Quale posizione porta avanti il protagonista? Come reagiscono a essa gli interlocutori? Perché? 3. Quale posizione si contrappone a quella portata avanti dal protagonista? Utilizza le informazioni così ottenute per scrivere un breve saggio di almeno 15 righe dal titolo: “La cultura illuminista: novità, prospettive, resistenze”.

Modulo 3 La rivoluzione delle idee

9 Economia e scienza

Capitolo

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nell’età dei Lumi

Percorso breve Il pensiero illuminista, basato sul principio di libertà, ebbe ripercussioni anche sul piano economico, favorendo, nel XVIII secolo, lo sviluppo delle teorie “fisiocratiche” di François Quesnay (che sostenne la priorità delle attività agricole e la necessità che i governanti le lasciassero sviluppare liberamente, senza impacci fiscali e legislativi) e del cosiddetto “liberismo”, teorizzato principalmente da Adam Smith, che invece sosteneva la priorità delle attività industriali e commerciali come base della ricchezza delle nazioni, ribadendo però l’idea che i governi non dovessero ostacolarle, affinché il meccanismo “naturale” della domanda e dell’offerta potesse liberamente svilupparsi. L’impulso dato dal pensiero illuminista alla ricerca scientifica produsse significativi risultati in molti campi: di particolare importanza furono gli studi sull’elettricità compiuti dall’inglese Gray, dall’americano Franklin (inventore del parafulmine), dagli italiani Galvani e Volta (a cui si deve l’invenzione della pila); anche gli studi naturalistici e biologici fecero importanti progressi, mentre Lavoisier dava origine alla moderna scienza chimica e alla teoria degli elementi. Arditi esperimenti fisici consenti-

Joseph Wright of Derby, Esperimento su un volatile con la pompa d’aria, 1768 [National Gallery, Londra]

rono, frattanto, ai fratelli Montgolfier di realizzare per la prima volta, con l’aiuto di un pallone aerostatico, l’antico sogno dell’uomo di volare nello spazio aereo. Nel corso del Settecento queste e altre novità scientifiche e tecnologiche mutarono il clima culturale europeo, contribuendo a diffondere un atteggiamento di generale entusiasmo per le “novità”, che nel secolo successivo si sarebbe precisato come carattere tipico della cultura europea.

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Modulo 3 La rivoluzione delle idee

9.1 Libertà economica Due nuove teorie economiche Secondo la maggior parte degli illuministi, anche la vita economica doveva essere fondata sulla libertà, cioè sulla possibilità da parte di tutti di svolgere liberamente le proprie attività, senza impedimenti da parte dello Stato. Questa concezione fu comune alle principali teorie economiche del XVIII secolo: la fisiocrazia e il liberismo.

Johann Georg Wille, François Quesnay, XVIII sec. [Bibliothèque Nationale, Parigi]

La fisiocrazia di Quesnay La fisiocrazia (parola derivata dalla fusione di due termini greci, che significa ‘potere della natura’) ebbe come suo principale esponente il francese François Quesnay (1694-1774), autore di un trattato intitolato Tableau économique (‘Tavola economica’) che per la prima volta si propose di analizzare e di descrivere le leggi dell’economia, studiata (secondo le tendenze dell’epoca) come una sorta di realtà “naturale”. L’idea fondamentale di Quesnay era che la base principale della ricchezza di un paese fosse data dall’agricoltura, unica attività economica in grado di produrre beni sempre nuovi, mentre il commercio e l’industria si limitavano a “trasformare”. I governi avevano quindi il dovere di promuovere l’attività agricola, lasciando libere le forze produttive: i fisiocratici ritenevano che le derrate agricole e in particolare il grano dovessero circolare liberamente, senza impacci doganali e senza impedimenti legislativi (esattamente il contrario di ciò che accadeva con le politiche “mercantiliste” messe in atto da molti governi dell’epoca).

Aa Documenti Adam Smith e la teoria della “mano invisibile” Adam Smith ebbe un’importanza fondamentale nel definire sul piano teorico quei princìpi di libertà o “liberismo” che tra XVIII e XX secolo avrebbero orientato le scelte economiche dei regimi liberali, in favore della libertà d’impresa, del libero commercio, della libera iniziativa: princìpi che contraddicevano le politiche “mercantiliste” sperimentate nella Francia di Luigi XIV [ 2.3], che Smith contesta proponendo una teoria generale del comportamento economico in cui il principio di libertà si rivela comunque utile per la

O

società. L’idea di Smith, infatti, è che gli egoistici interessi dei singoli finiscono comunque per fare l’interesse della collettività, e che i meccanismi del mercato sono in grado di auto-regolarsi attraverso la legge della domanda e dell’offerta: quest’ultimo concetto fu da lui espresso con una metafora, quella della “mano invisibile”, destinata a grandissimo successo nella teoria e nella pratica economica, fino ai giorni nostri. Di fatto, le teorie di Adam Smith sarebbero state contraddette – soprattutto

gni individuo cerca continuamente di trovare l’impiego più vantaggioso per il capitale di cui dispone. È vero che è il vantaggio proprio, e non quello della società, a cui egli mira. Ma lo studio del vantaggio proprio lo porta naturalmente, o meglio necessariamente, a preferire quell’impiego che è il più vantaggioso alla società. […] Veramente in generale egli non intende perseguire il pubblico bene, né conosce quanto egli lo persegua. Quando preferisce sostenere l’industria domestica anziché l’industria estera, egli mira soltanto alla sicurezza propria; e quando dirige quella industria in modo tale che il suo prodotto possa avere il massimo valore, egli mira soltanto al guadagno proprio; ed in questo, come in molti altri casi, egli è guidato da una mano invisibile a promuovere un fine, che non rappresentava alcuna parte nelle sue intenzioni. Né è sempre un danno per la società che quel fine non rientri nelle sue intenzioni. Nel perseguire l’interesse proprio, egli spesso promuove quello della società più efficacemente di quando realmente intenda promuoverlo. Non ho mai saputo che sia stato fatto mol-

nei periodi di crisi e di difficoltà – dalle politiche protezioniste e interventiste dei governi. Tuttavia, fu solo nel XX secolo che esse furono messe in discussione sul piano teorico, dalle nuove teorie economiche avanzate da Maynard Keynes (1883-1946), che sostenne la necessità del controllo statale sui meccanismi economici. Leggiamo un passo tratto dalle Indagine sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776) in cui Smith espone la teoria della “mano invisibile”.

to bene da coloro i quali pretendono di commerciare per il bene pubblico. […] È evidente che ciascun individuo, nella sua situazione locale, potrà giudicare molto meglio di quanto possa fare per lui uno statista o un legislatore, su quale sia la specie d’industria nazionale nella quale potrà essere impiegato il suo capitale, e il cui prodotto avrà probabilmente il massimo valore. Lo statista, il quale tentasse di dare direttive ai privati circa il modo in cui essi debbono impiegare i loro capitali, non soltanto si addosserebbe l’onere di una inutilissima attenzione, ma assumerebbe un’autorità che non si potrebbe senza pericolo affidare non soltanto a una persona singola, ma neanche a qualsiasi consiglio o senato. […] Conferire il monopolio del mercato interno al prodotto dell’industria nazionale in qualsiasi arte o manifattura particolare […] sarà quasi sempre una disposizione inutile o dannosa. da P. Barucci, Adam Smith e la nascita della scienza economica, Firenze 1973, pp. 116-117

Capitolo 9 Economia e scienza nell’età dei Lumi Il liberismo di Smith Il liberismo fu diffuso soprattutto dal filosofo ed economista scozzese Adam Smith (1723-1790). In un libro intitolato Indagine sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776) anch’egli sostenne che la base del benessere e della ricchezza, sia individuale sia collettiva, fosse la libertà d’iniziativa, cioè l’azione economica che si svolge nel libero scambio e nella libera contrattazione. Smith però pensava, al contrario dei fisiocratici, che l’industria e il commercio fossero le attività produttive principali, e che il primo compito dello Stato fosse di non ostacolarle: ciò perché i comportamenti individuali, dettati dall’egoismo e dal desiderio di successo, secondo Smith erano la base del benessere collettivo; e ciò che li rendeva socialmente utili era la «mano invisibile» del mercato, che, attraverso la legge “naturale” della domanda e dell’offerta, regola i meccanismi dello scambio e la distribuzione della ricchezza. La miglior politica, pertanto, secondo Smith era quella di non imporre dazi né dogane, che avrebbero rallentato e comunque danneggiato le attività di scambio. Destinata a grande fortuna, la dottrina liberista diventò un punto fermo nel periodo della rivoluzione industriale [ 16], fra il XVIII e il XIX secolo.

9.2 Progressi della ricerca scientifica: la scoperta dell’elettricità

William Holl il Giovane, Adam Smith, XIX sec. [Bibliothèque Nationale, Parigi]

Cariche e scariche elettriche Una nuova scoperta suscitò particolare scalpore nell’Europa del Settecento: l’elettricità, misteriosa energia individuata allora per la prima volta e sperimentata in alcune delle sue manifestazioni più semplici e immediate: per esempio, l’inglese Stephen Gray (1666-1736) mostrò che il corpo umano si può elettrizzare mediante sfregamento e che la testa e i piedi di una persona elettrizzata attirano i corpi leggeri, come i frammenti di carta. Questo e altri esperimenti suscitarono curiosità e stupore. Tutti volevano provare e si fecero dimostrazioni scientifiche perfino nelle pubbliche piazze, specialmente dopo che il ricercatore olandese Pieter Musschenbroek (1692-1761) riuscì ad accumulare una piccola carica elettrica in una bottiglia (nota come “bottiglia di Leida”, la città in cui fu fatto l’esperimento); con questo tipo di apparecchio divenne possibile provare gli effetti della scarica elettrica sul corpo umano. Fulmini e parafulmini Di particolare interesse furono gli esperimenti del ricercatore americano Benjamin Franklin (1706-1790), che attribuì un’origine elettrica ai fulmini e pensò di scaricare la loro elettricità mediante conduttori metallici muniti, in cima, di una punta: idea a cui diede attuazione pratica costruendo il primo parafulmine (1725). Dalle rane... In Italia furono fatte ricerche sperimentali sull’energia elettrica da Luigi Galvani (1737-1798), professore di anatomia all’Università di Bologna: osservando che una rana senza vita mandava dei guizzi se toccata in certe posizioni con delle punte metalliche, egli ne concluse che gli animali sono dotati di elettricità propria. Alessandro Volta (1745-1827), professore di fisica all’Università di Pavia, ripeté l’esperimento, servendosi di un arco formato da due metalli diversi, e notò che in questo modo le contrazioni dell’animale si facevano più violente; ciò gli fece concludere che l’energia elettrica aveva origine non dalla rana ma dai metalli in mezzo ai quali era collocato l’animale, che in tal modo funzionava da conduttore dell’elettricità.

Benjamin West, Benjamin Franklin attira l’elettricità del fulmine, 1816 [Museum of Art, Filadelfia]

Benjamin Franklin, qui ritratto in un dipinto ottocentesco mentre sperimenta il parafulmine, credeva nel progresso scientifico e nella libertà di pensiero e si impegnò per diffondere la cultura fra il popolo attraverso la creazione della prima biblioteca circolante americana. Fu tra gli estensori della Dichiarazione d’indipendenza (1776) e della Costituzione americana (1787).

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Modulo 3 La rivoluzione delle idee Nicola Cianfanelli, Alessandro Volta mostra l’esperimento della pila a Napoleone, 1841 [Museo di Fisica e Storia Naturale, Firenze]

In questo affresco, di poco successivo all’invenzione della pila, Alessandro Volta la mostra a Napoleone.

La Parola

volt, voltaggio Il termine “volt”, con cui siamo soliti indicare l’unità di misura della tensione elettrica, fu stabilito nel XIX secolo in onore di Alessandro Volta.

... alla pila Tra i sostenitori delle due teorie nacque una lunga disputa, che dimostrò come in entrambe vi fosse una parte di verità: negli animali esiste veramente energia elettrica, sia pure in quantità minima, ma è altrettanto vero che un arco di metalli diversi può produrre elettricità. Proprio sviluppando questa idea, Volta giunse a costruire un apparecchio costituito da una colonna di dischi alternati di rame e zinco, separati da un feltro imbevuto di liquido acido: la pila, il primo apparecchio capace di produrre energia elettrica con continuità. Gli esperimenti, gli studi, le ricerche sull’elettricità continuarono e si approfondirono in molti paesi. Tuttavia dovette passare ancora un secolo prima che tali scoperte e invenzioni avessero delle applicazioni pratiche e mostrassero la loro straordinaria utilità per la vita dell’uomo.

9.3 Lo sviluppo delle scienze naturali Curiosità per la natura Anche nel campo delle scienze naturali il Settecento segnò una rapida crescita degli studi: con la cultura illuminista si affermò un generale desiderio di comprensione razionale, di ordinamento e di classificazione del mondo animale e vegetale. A questi studi si dedicarono personaggi poliedrici, curiosi indagatori di molteplici branche del sapere. Gli studi naturalistici di Buffon e Lamarck Importanti ricerche furono compiute dal botanico e zoologo francese Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon (1704-1788) che, dopo alcuni studi matematici e fisici, dedicò l’intera vita a studiare le forme viventi, raccogliendo le sue riflessioni in una monumentale Storia naturale (pubblicata a iniziare dal 1749) che incontrò uno straordinario successo negli ambienti intellettuali e scientifici. Egli intuì che le specie vegetali e animali hanno forme e funzioni differenziate, che si modificano e si migliorano nel tempo: in questo modo Buffon fu il primo a proporre un’idea “dinamica” (e non fissa) delle forme viventi, che fu poi approfondita da JeanBaptiste Lamarck (1744-1829), il quale verso la fine del secolo coniò il termine “biologia” ed elaborò una teoria sulla ereditarietà dei caratteri acquisiti, prodotti sulle varie specie dalle modificazioni ambientali. A partire da questi studi sarebbe nata, un secolo più tardi, la teoria evoluzionista di Charles Darwin [ I tempi della storia, 31.4]. La classificazione delle piante e degli animali secondo Linneo Buffon propose anche una classificazione delle piante e degli animali, introducendo i concetti di “classe”, “ordine” e “famiglia”. Tali prospettive furono riprese e sviluppate dallo svedese Carl von Linné, noto come Linneo (1707-1778), considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi. A lui si deve l’introduzione, nel 1735, della nomenclatura “binomiale” (cioè basata su due nomi) che tuttora si usa nel linguaggio scientifico per indicare l’identità di piante e animali: tale sistema, basato sul modello aristotelico, definisce gli esseri secondo il “genere di appartenenza” e secondo la “specie

Capitolo 9 Economia e scienza nell’età dei Lumi

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Un laboratorio chimico, metà XVIII sec. [da una tavola dell’Encyclopédie]

In questa tavola dell’Enciclopedia è rappresentato un laboratorio di chimica con tutti gli strumenti e gli operai necessari per poterlo mandare avanti. Al di sotto è riportata anche una delle prime tabelle di elementi chimici. Il Settecento diede un enorme impulso allo studio e all’applicazione della chimica nell’uso quotidiano.

particolare” (per esempio nel nome Homo sapiens il primo termine indica il genere cui apparteniamo, il secondo la specie). La lettera “L.”, che normalmente segue le indicazioni di questo tipo, è la sigla del cognome dello scienziato svedese (il nome scientifico del pero è, per esempio, Pyrus communis L.).

Lazzaro Spallanzani e la “generazione spontanea” Tra gli studiosi settecenteschi di cose naturali è da ricordare anche il biologo italiano Lazzaro Spallanzani (1729-1799), divenuto celebre per i suoi studi su quella che sin dall’antichità, e ancora nel Settecento, era chiamata “generazione spontanea”: si credeva infatti che la vita potesse nascere in modo spontaneo da elementi inanimati. Dopo anni di studi e di esperimenti eseguiti al microscopio lo studioso italiano riuscì a dimostrare l’infondatezza di tale teoria. Spallanzani è anche ritenuto un precursore degli studi sulla fecondazione artificiale, che egli sperimentò per la prima volta utilizzando uova di rana introdotte negli organi genitali di un rospo.

9.4 La scoperta degli elementi e la conquista dell’aria Nasce la chimica moderna Anche i primi sviluppi della chimica moderna, erede dell’alchimia medievale, risalgono al XVIII secolo, quando Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794) iniziò i suoi studi sull’aria, ritenuta fin dall’antichità, assieme all’acqua, alla terra e al fuoco, uno dei quattro elementi di cui sono costituite tutte le cose esistenti in natura. Lavoisier dimostrò invece che l’aria è composta di vari gas, come l’ossigeno e l’azoto, e mise in luce l’importanza dell’ossigeno nei processi di combustione e nella respirazione umana; allo stesso modo dimostrò che l’acqua è un composto di ossigeno e idrogeno. Propose pertanto una distinzione fra elementi semplici e composti, giungendo a individuare oltre 30 elementi naturali (gli studi successivi, fra Sette e Ottocento, li portarono a 92 e nel corso del XX secolo tale numero è aumentato a 96). Il Trattato elementare di chimica, pubblicato da Lavoisier nel 1789, è considerato uno dei testi fondamentali della nuova scienza. L’uomo vola Un evento che colpì particolarmente l’immaginazione collettiva, e apparve come il simbolo della nuova epoca che stava sorgendo, ebbe luogo in Francia nel 1783: quell’anno, un pallone ideato e costruito dai fratelli Etienne e Joseph Montgolfier

112

Modulo 3 La rivoluzione delle idee (rispettivamente 1745-1799 e 1740-1810) si innalzò a 500 metri di altezza. Per la prima volta nella storia l’uomo era riuscito a vincere lo spazio aereo, realizzando un sogno che anche Leonardo da Vinci (1452-1519) aveva accarezzato. L’esperimento fu seguito da altre prove, finché il 19 novembre del medesimo anno, a Parigi, davanti a una folla di 300.000 persone entusiaste, un pallone gonfiato a idrogeno, inventato e costruito dall’abate Jacques Charles (1746-1823), si librò al di sopra della città portando una navicella con due ardimentosi a bordo, Pilâtre De Rozier (1754-1785) e il marchese di Arlandes (1742-1809). Dieci giorni dopo, il 1° dicembre 1783, fu conquistato il primo record: un aerostato condotto da due uomini si innalzò a 4000 metri e atterrò a 36 km da Parigi, stabilendo un primato di distanza e di altezza. La prima vittima della nuova invenzione fu lo stesso Pilâtre de Rozier, che il 15 giugno 1785, durante un tentativo di traversata della Manica, precipitò a causa di una lacerazione dell’involucro e perdette la vita. Fu il primo incidente aereo della storia.

I modi della storia

Macchine volanti

I primi studi sulla possibilità per l’uomo di imitare il volo degli uccelli risalgono, pare, al VI secolo a.C. Duemila anni più tardi, a questo antico sogno dedicò particolare attenzione Leonardo da Vinci, che si applicò a studiare il volo degli uccelli e a progettare “macchine volanti” di vario genere, che avrebbero dovuto utilizzare delle ali mosse dalle braccia dell’uomo. La vera svolta nella storia del volo venne dagli studi sui gas e sui loro diversi pesi: osservando che il fumo del focolare sale lungo il camino, i fratelli Montgolfier con-

clusero che ciò accadeva perché il fumo era più leggero dell’aria. Riempiendo, perciò, un involucro con del fumo, esso si sarebbe potuto sollevare. Nacque in tal modo il primo “aerostato” (la parola, di origine greca, indica un oggetto capace di ‘stare nell’aria’), detto “mongolfiera” dal nome degli inventori: un sacco in materiale leggero (dapprima carta, poi seta) che si alzava grazie al calore prodotto da un fornello acceso; appesa sotto di esso, una cesta di vimini accoglieva gli spericolati uomini volanti.

«Ieri, 4 giugno 1783, ad Annoney – si legge in un giornale dell’epoca – i fratelli JosephMichel e Jacques-Etienne Montgolfier, figli di un fabbricante di carta, si sono levati nel cielo con un pallone di 41 piedi di diametro, gonfiato ad aria calda. In poco più di venti minuti hanno raggiunto un’altezza di circa 6200 piedi1 andando infine a posarsi su un campo non distante dal punto di partenza. Il grande entusiasmo degli spettatori presenti ha decretato la gloria del valorosi fratelli, che furono festeggiatissimi».

L’esperimento, celebrato anche da poeti come Vincenzo Monti (1754-1828), che scrisse un’ode Al signor di Montgolfier, fu replicato più volte nei mesi successivi, dagli stessi Montgolfier e da altri. Miglioramenti tecnici vennero via via portati ai palloni aerostatici, fino a che non si cominciò a utilizzare un gas più leggero dell’aria, l’idrogeno, che era stato scoperto nel 1766 dallo scienziato inglese Henry Cavendish (1731-1810) e che consentì di eliminare la più macchinosa – e pericolosa – alimentazione a fornello. Nel febbraio 1784 il fisico Jacques Charles e i fratelli Robert (entrambi morti nel 1820) si lanciarono nell’aria in pieno centro di Parigi, dal giardino reale delle Tuileries. Nel settembre dello stesso anno i Montgolfier replicarono l’impresa alla reggia di Versailles. 1 2000 metri.

Ascensione umana in pallone aerostatico, XVIII sec. [Coll. priv. C.C. Gillispie, Princeton, N. J.]

Dopo il primo lancio con pallone aerostatico gli esperimenti si intensificarono e susseguirono. I palloni aerostatici furono usati anche in guerra per dirigere, dall’alto, il fuoco delle artiglierie, o per rompere un assedio comunicando con l’esterno.

Capitolo 9 Economia e scienza nell’età dei Lumi

Sintesi

Economia e scienza nell’età dei Lumi

Libertà economica Durante l’Illuminismo, anche l’economia fu teorizzata secondo il principio della libertà, cioè di produrre senza impedimenti da parte dello Stato. In base a questa nuova ottica, si svilupparono in ambito economico due nuove dottrine: la fisiocrazia e il liberismo. Secondo la fisiocrazia di François Quesnay solo l’agricoltura era alla base della ricchezza di un paese, perché era l’unica attività che produceva beni (a differenza di commercio e industria che si limitavano a trasformare). Per questo lo Stato doveva incentivare l’agricoltura lasciando libere le forze produttive. Secondo il liberismo di Adam Smith erano invece l’industria e il commercio le attività produttive principali. Lo Stato non doveva ostacolare l’iniziativa individuale perché essa era alla base del benessere collettivo. Questo perché l’iniziativa individuale, egoista per natura, era comunque guidata dalla «mano invisibile» del mercato, attraverso la legge “naturale” della domanda e dell’offerta, che lo Stato non doveva alterare con dazi e dogane. Progressi della ricerca scientifica: la scoperta dell’elettricità Il Settecento fu un secolo ricco di scoperte ed esperimenti, molti dedicati all’elettricità: quelli sul corpo umano di Stephen Gray, la “bot-

tiglia di Leida” di Pieter Musschenbroek, ma soprattutto quelli sulla natura elettrica dei fulmini di Benjamin Franklin. In Italia, importanti ricerche sull’energia elettrica negli animali senza vita (nello specifico dell’esperimento, una rana) furono fatte da Luigi Galvani. Dai suoi studi presero avvio quelli di Alessandro Volta, che li approfondì fino a concludere che un determinato animale senza vita, se toccato da metalli, non sprigionava energia propria ma fungeva da conduttore dell’elettricità. L’evoluzione degli esperimenti di Volta lo portarono alla costruzione della pila, il primo apparecchio capace di produrre energia elettrica con continuità. Lo sviluppo delle scienze naturali L’approccio razionale al sapere che si andava sviluppando durante l’Illuminismo toccò anche le scienze naturali e si tradusse nell’ordinamento e nella classificazione del mondo animale e vegetale. Tra i vari protagonisti del settore si ricordano: Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon, che per primo propose un’idea “dinamica” dei viventi che si modificano e si migliorano nel tempo. La sua teoria fu approfondita da Jean-Baptiste Lamarck che coniò il termine “biologia” ed elaborò una teoria sulla ereditarietà dei caratteri acquisiti. A partire da questi studi

sarebbe nata, un secolo più tardi, la teoria evoluzionista di Charles Darwin. Carl von Linné, noto come Linneo, approfondì la classificazione scientifica degli organismi viventi, ideando la nomenclatura “binomiale”, tuttora in uso. Al biologo italiano Lazzaro Spallanzani si deve invece la scoperta dell’infondatezza della “generazione spontanea” (la credenza, fino ad allora reputata valida, che la vita potesse nascere in modo spontaneo da elementi inanimati). La scoperta degli elementi e la conquista dell’aria In ambito chimico, AntoineLaurent Lavoisier studiò la composizione dell’aria, dimostrando che è composta da più gas, come l’ossigeno e l’azoto, e dell’acqua, che scoprì essere composta da idrogeno e ossigeno. Propose la distinzione tra elementi semplici e composti e arrivò a individuare oltre 30 elementi naturali. In Francia nel 1783, partendo dagli studi chimici sui gas, i fratelli Etienne e Joseph Montgolfier furono in grado di innalzare un pallone, vincendo per la prima volta lo spazio aereo. A questo primo tentativo altri ne seguirono, finché a dicembre dello stesso anno un aerostato condotto da due uomini si innalzò a 4000 metri e atterrò a 36 km da Parigi, stabilendo un primato di distanza e di altezza.

Esercizi Comprendere e ordinare 1.

Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1725

1735

1749

1783

1785

1789

1. il primo incidente aereo della storia 2. inizio della pubblicazione della Storia naturale di Buffon 3. il primo innalzamento di un aerostato a opera dei fratelli Montgolfier 4. il primo parafulmine 5. pubblicazione del Trattato elementare di chimica di Lavoisier 6. la nomenclatura binominale

2. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Lazzaro Spallanzani

pila

Adam Smith

parafulmine

Alessandro Volta

elementi semplici e composti

François Quesnay

generazione spontanea

Carl von Linné

liberismo

Benjamin Franklin

fisiocrazia

Antoine-Laurent Lavoisier

nomenclatura binominale

113

114

Modulo 3 La rivoluzione delle idee

3. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. fisiocrazia • elemento • liberismo • aerostato • voltaggio • biologia • nomenclatura binominale • carica elettrica Sostanza semplice composta da atomi con uguale numero e disposizione degli elettroni Aeromobile che vola per sostentazione statica Tensione elettrica Proprietà fondamentale delle particelle elementari Convenzione standard utilizzata in biologia per conferire il nome a una specie La scienza che studia tutto ciò che riguarda la vita Dottrina economica opposta al mercantilismo Teoria economica che prevede la libera iniziativa e il libero mercato

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

d. In seguito ai suoi esperimenti, Luigi Galvani arrivò alla conclusione che l’animale funzionava da conduttore dell’elettricità.

V

F

a. Il modello di classificazione ideato da Linneo definisce gli esseri tramite il genere di appartenenza e la specie particolare.

V

F

V

F

b. Secondo Smith la base principale della ricchezza di un paese sono l’industria e il commercio.

e. Jean-Baptiste Lamarck dimostrò che l’acqua è un composto di idrogeno e ossigeno.

V

F

V

F

c. Leonardo Spallanzani riuscì a dimostrare la fondatezza della teoria della generazione spontanea.

f. Benjamin Franklin pensò di scaricare l’elettricità presente nei fulmini tramite conduttori metallici.

V

F

g. L’idea per cui le forme viventi hanno un carattere dinamico e non fisso fu proposta per la prima volta dal conte di Buffon.

V

F

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande. 1. Chi sosteneva la teoria economica della fisiocrazia? In quale opera? 2. Quali princìpi caratterizzavano la fisiocrazia? Quali compiti erano attribuiti allo Stato? 3. Chi sosteneva la teoria economica del liberismo? In quale opera?

4. Quali princìpi caratterizzavano il liberismo? Quali compiti erano attribuiti allo Stato? 5. Esistevano dei punti in comune tra le due teorie? 6. Quale delle due teorie si diffuse enormemente nel periodo tra XVIII e XIX secolo? Con le informazioni ottenute, completa la tabella.

DUE TEORIE ECONOMICHE A CONFRONTO FISIOCRAZIA

LIBERISMO

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I TESTI

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LE ATTIVITÀ ECONOMICHE PRINCIPALI

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I PRINCÌPI DELLA TEORIA ECONOMICA

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I SOSTENITORI

I COMPITI DELLO STATO

Capitolo 9 Economia e scienza nell’età dei Lumi

6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quale energia fu scoperta nel XVIII secolo? In quali forme? 2. Che cosa caratterizzò gli esperimenti di Stephen Gray? 3. Che cosa caratterizzò gli esperimenti di Pieter Musschenbroek? Quale apparecchio fu realizzato? 4. Che cosa caratterizzò gli esperimenti di Benjamin Franklin? Alla costruzione di cosa portarono?

5. Che cosa caratterizzò gli esperimenti di Galvani? A quale ipotesi portarono? 6. Che cosa caratterizzò gli esperimenti di Volta? A quale ipotesi portarono? Alla costruzione di che cosa portarono? 7. Che cosa fu studiato da Lavoisier? Con quali esiti? 8. A quale invenzione portarono gli studi sul gas? A opera di chi? Con quali esiti? 9. Alla costruzione di che cosa portarono gli esperimenti dei fratelli Montgolfier?

Con le informazioni ottenute, completa la mappa concettuale.

SCOPERTE E INVENZIONI NEL SETTECENTO SCOPERTE E INVENZIONI NEL SETTECENTO

COMPOSIZIONE E CARATTERI DELL’ARIA

ENERGIA ELETTRICA

Gray

Musschenbroek

Franklin

Galvani

Volta

Lavoisier

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7. Leggi il documento «Adam Smith e la teoria della “mano invisibile”» a p. 108 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa caratterizzava la dottrina economica del mercantilismo? 2. Nel XVIII secolo, in quale Stato europeo erano applicati i princìpi del mercantilismo? 3. Per quale motivo Smith contesta i princìpi del mercantilismo? 4. Quale è l’idea alla base del pensiero economico di Smith? 5. Quale attuazione effettiva ebbero le teorie di Smith nelle politiche economiche successive degli Stati? 6. Come agisce ogni individuo nell’impiegare i suoi capitali? Con quali conseguenze per lo Stato?

7. Quali intenzioni caratterizzano l’azione economica degli individui? 8. Che cosa si intende con il concetto di «mano invisibile»? 9. Per quale motivo le scelte economiche dei singoli giovano alla collettività? 10. Che cosa è detto circa le direttive date dallo Stato all’azione economica dei privati? 11. Che cosa è detto riguardo le politiche monopolistiche degli Stati? Con le informazioni ottenute scrivi un breve testo di 10 righe dal titolo “Dal mercantilismo al liberismo”.

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Modulo 3 La rivoluzione delle idee

10 Illuminismo

Capitolo

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e riforme

Percorso breve Sul piano politico, il pensiero illuminista combatté l’assolutismo monarchico sostenendo la necessità di instaurare monarchie costituzionali, sul modello inglese, o forme ancora più avanzate di Stato democratico. La divisione dei tre poteri fondamentali dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario) fu teorizzata per la prima volta dal francese Montesquieu in un libro intitolato Lo spirito delle leggi (1748). Alle idee illuministe si ispirarono diversi sovrani europei del Settecento che, in maniera più o meno coerente, promossero delle “riforme” (un’idea nuova, legata alla nozione illuminista di “progresso”) fatte “per il bene del popolo”, anche se non dal popolo direttamente, bensì dal sovrano per sua libera scelta. Il sistema del “dispotismo illuminato”, come fu chiamato, ebbe alcune linee d’azione principali: introduzione di nuovi sistemi fiscali, che cancellavano o limitavano i privilegi della nobiltà e del clero; affermazione della tolleranza religiosa; concessione di una certa libertà di stampa; cura dell’istruzione pubblica, non più delegata agli istituti religiosi ma direttamente assunta come dovere dello Stato; sostegno alle attività produttive e alla ricerca scientifica; limitazione delle interferenze ecclesiastiche nella vita politica (in diversi paesi ciò portò all’espulsione dei gesuiti, principale strumento di intromissione della Chiesa negli affari di Stato). I sovrani che si distinsero in queste politiche riformatrici furono Federico II di Prussia (che, nonostante l’immagine di sovrano “illuminato” che seppe costruirsi, continuò la politica di potenza e di espansione militare del suo Stato), Caterina II di Russia (che, dopo avere intrapreso con decisione la via delle riforme, dovette fare marcia indietro in seguito alle dure resistenze della nobiltà, ribadendo il carattere assolutista del suo governo); Gustavo III di Svezia. Punta avanzata del riformismo illuminato furono i sovrani della monarchia asburgica, Maria Teresa e poi il figlio Giuseppe II. La realizzazione di un catasto, che descriveva tutte le proprietà per assoggettarle al fisco, fu la principale impresa di quest’ultimo, sperimentata dapprima in Lombardia, poi in tutto l’impero fra il 1781 e il 1789. Grande significato ebbero anche l’editto di tolleranza religiosa e l’abolizione delle residue servitù

Charles-Louis de Montesquieu, 1728 [Musée National du Château, Versailles]

feudali nelle campagne. Nella Lombardia asburgica, Cesare Beccaria per primo teorizzò la necessità di abolire la tortura e la pena di morte. In Italia, anche il granduca Pietro Leopoldo (fratello di Giuseppe II) introdusse numerose riforme politiche ed economiche, come la libertà di commercio, ispirate alle idee degli intellettuali “illuminati”; egli fu il primo, tra i sovrani europei, a dare applicazione alle idee di Beccaria e ad abolire, nel 1786, la pena di morte dal codice penale.

Capitolo 10 Illuminismo e riforme

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10.1 Contro l’assolutismo monarchico La monarchia costituzionale di Montesquieu Sul piano politico gli illuministi combatterono l’assolutismo monarchico, sostenendo la necessità di instaurare monarchie costituzionali (sul modello inglese) o forme ancora più avanzate di Stato democratico. La prima soluzione fu prospettata da Charles de Secondat, barone di Montesquieu (1689-1755), un nobile francese che in un libro intitolato Lo spirito delle leggi (1748) teorizzò per la Francia una monarchia “temperata”, cioè moderata, in cui i tre poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) non fossero accentrati nella persona del re, bensì separati, secondo il modello inglese. Al Parlamento si sarebbe conferita l’esclusiva competenza di fare le leggi; al re e ai ministri il compito di dar loro esecuzione e di svolgere gli incarichi di alta politica; alla magistratura la funzione di far rispettare le leggi e di punire i trasgressori. I poteri, così frazionati e affidati a diverse persone, si sarebbero bilanciati e controllati tra di loro, ponendo dei limiti al sovrano e garantendo la libertà dei sudditi. Lo Stato democratico di Rousseau Più radicali furono le idee del ginevrino Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), che descrisse una forma di Stato a governo democratico in cui il popolo partecipa alla vita politica ed esercita la sovranità direttamente, senza intermediari né rappresentanti. In tal modo Rousseau contrappose alla monarchia assoluta, in cui tutto si concentrava nelle mani del re, l’idea della sovranità popolare. Il modello di questo Stato ideale (descritto in un libro del 1762 intitolato Il contratto sociale) era per Rousseau quello dei piccoli cantoni svizzeri, in cui, per antica tradizione, il popolo si riuniva in piazza a discutere e deliberare in merito ai problemi più importanti. Il sistema della rappresentanza Rousseau riconobbe tuttavia che negli Stati di maggiori dimensioni tale forma di governo, direttamente esercitata dal popolo, era pressoché impossibile da realizzare; appariva pertanto necessario, in questo caso, ricorrere al sistema rappresentativo, secondo cui il popolo, per mezzo di libere elezioni, sceglie un certo numero di persone di fiducia e affida a loro l’incarico di governare, sempre in nome del popolo e sotto il suo controllo, e con possibilità di revoca. A queste idee si ispirarono la costituzione degli Stati Uniti d’America, nel 1787 [ 11.5], e quella della Francia rivoluzionaria, nel 1791 [ 12].

10.2 Il “dispotismo illuminato”. La Prussia di Federico II Il dispotismo illuminato “Dispotismo illuminato”, così fu chiamata la particolare forma di sovranità che si diffuse in Europa nel Settecento e che trovò la sua espressione sintetica nella formula: «Tutto per il popolo, nulla per opera del popolo». Promuovere riforme dell’ordinamento statale e dell’organizzazione sociale fu l’obiettivo dichiarato di questi sovrani, un obiettivo nuovo, una parola nuova, direttamente ispirata all’idea illuminista del “progresso” [ 8.1]. In realtà, la maggior parte dei sovrani “illuminati” perseguiva anzitutto lo scopo di migliorare la macchina statale, razionalizzare il sistema amministrativo e fiscale, aumentare le risorse a propria disposizione anche a fini di potenza politica e militare. Si attuava dunque una singolare coincidenza fra volontà di modernizzazione e proseguimento delle tendenze assolutistiche. La Prussia di Federico II Modello esemplare di sovrano illuminato fu Federico II di Prussia (1740-86), monarca colto e studioso, attento al pensiero illuminista. Successore del “re sergente” Federico Guglielmo I [ 3.1], Federico II si propose di governare il paese secondo criteri scientifici e razionali, introducendo un rapporto di tipo nuovo con i sudditi: al concetto tradizionale della fedeltà al sovrano egli intese sostituire un nuovo tipo di devozione allo Stato, entità impersonale di cui egli stesso si dichiarava servitore. Duro e autoritario nell’imporre le sue riforme al paese, Federico II si impegnò nello sviluppo dell’agricoltura, applicando misure protezionistiche (tecnicamente contra-

Frontespizio della prima edizione de Il contratto sociale, 1762 Il frontespizio della prima edizione de Il contratto sociale di JeanJacques Rousseau (edita da Marc Michel Rey ad Amsterdam) contiene l’immagine di una figura femminile vestita con una lunga tunica e un mantello, col capo coperto da un cimiero che ricorda quello di Minerva. La donna ha un gatto ai suoi piedi, mentre un uccello si libra nel cielo alle sue spalle. Con la mano destra tiene una bilancia e con la sinistra una lancia rivolta verso il basso, sulla quale è posto un cappello a larghe tese. Questi simboli alludono alla libertà, all’indipendenza e alla giustizia, come qualità proprie di una futura democrazia.

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Modulo 3 La rivoluzione delle idee Adolph Menzel, Intellettuali illuministi alla tavola di Federico II, 1850 [Nationalgalerie, Berlino]

Alla tavola del re di Prussia siedono alcuni degli intellettuali più rinomati del secolo dei Lumi; fra questi, Voltaire, alla destra del sovrano (al centro della composizione) e lo scrittore italiano Francesco Algarotti, il secondo a sinistra.

Pugacëv in prigione, XVIII sec. [Bibliothèque des Arts Décoratifs, Parigi]

In questa incisione è rappresentato il ribelle Pugacëv che, dopo aver guidato con successo la rivolta dei contadini russi (che, affiancati dai cosacchi, chiedevano l’abolizione della servitù della gleba, dei reclutamenti e delle imposte), fu tradito dai suoi stessi compagni e consegnato all’esercito in cambio di denaro. Rinchiuso in una gabbia di ferro, fu trasportato a Mosca e poi decapitato.

rie al liberismo illuminista, 9.1) e sollecitando l’introduzione di nuove piante tra cui la patata, futuro alimento-base dei tedeschi [ 7.3]. In campo religioso Federico II volle che fosse liberamente professata ogni fede; promosse inoltre la diffusione dell’istruzione pubblica, fondando molte scuole, specialmente nelle campagne. Tutto ciò fu accompagnato da un’abile operazione di propaganda e di auto-promozione, con cui il sovrano costruì, e consegnò alla storia, un’immagine di sovrano illuminato sicuramente sovradimensionata rispetto alle effettive “riforme” introdotte in campo economico e sociale. Continuò invece, senza indecisioni, la politica di potenza dello Stato prussiano, che ebbe un posto di rilievo negli eventi che portarono al dissolvimento e alla spartizione della Polonia [ 4.6].

10.3 I sovrani “illuminati” di Russia e Svezia La Russia di Caterina II Dopo la morte di Elisabetta, figlia di Pietro il Grande e zarina di Russia dal 1741 al 1762, il trono passò a suo nipote Pietro III, che fu presto detronizzato ed eliminato dalla moglie Caterina. Tedesca di origine, Caterina II la Grande governò come imperatrice di Russia dal 1762 al 1796 proseguendo l’opera di trasformazione del paese in senso occidentale iniziata da Pietro il Grande [ 3.2]. Caterina conobbe le idee illuministe e frequentò personalmente Voltaire, Diderot e D’Alembert; ma i suoi tentativi di riformare le leggi e di abolire le servitù feudali dei contadini si scontrarono con la resistenza dei nobili, oltre che, forse, con la sua scarsa convinzione di perseguire fino in fondo il progetto riformatore. Proprio l’abolizione della servitù fu al centro della vasta rivolta contadina che tra il 1773 e il 1775 scosse la Russia. A guidarla c’era uno strenuo nemico della zarina, Emeljan Pugacëv (1740-1775), il quale proclamava di essere il redivivo zar Pietro III; l’insurrezione finì soffocata nel sangue dall’esercito. L’azione più incisiva di Caterina II fu quella contro il potere e la ricchezza della Chiesa ortodossa, a cui furono confiscati gran parte dei beni; metà dei conventi (500 su 900) furono chiusi, e le proprietà incamerate dallo Stato; i sacerdoti furono assoggettati

Capitolo 10 Illuminismo e riforme al potere sovrano e diventarono quasi pubblici dipendenti, stipendiati dello Stato. Altri interventi riguardarono l’istruzione elementare, che fu introdotta gratuitamente nei centri urbani, e la libertà di stampa, che fu ammessa con alcune cautele. Ma allo scoppio della Rivoluzione francese [ 12] la zarina abbandonò i progetti riformisti e tornò al tradizionale assolutismo, ribadendo la politica di potenza con l’occupazione di parte della Polonia e con l’espansione a sud-est, sul mare d’Azov e nella penisola di Crimea.

La Svezia di Gustavo III Il fascino delle idee illuministe raggiunse anche Gustavo III di Svezia (1771-92), che introdusse varie riforme nel sistema amministrativo e giudiziario, accordò la libertà religiosa e prese provvedimenti a favore delle attività produttive, soprattutto l’agricoltura e la pesca. La diffusione delle nuove idee si manifestò anche nella nascita di diverse accademie di ricerca, tra cui particolarmente significativa l’“Accademia svedese delle scienze” (1739); in quegli anni il naturalista Linneo (1707-1778), professore di botanica all’Università di Uppsala, inventò il sistema di classificazione delle piante che è tuttora in uso [ 9.3].

10.4 Il riformismo asburgico Le riforme di Maria Teresa d’Austria La punta avanzata del riformismo illuminato fu la monarchia asburgica, che regnava nell’Impero d’Austria, un dominio vasto, multinazionale, politicamente difficile, in cui si svolse l’azione di Maria Teresa (1740-80) e di suo figlio Giuseppe II, associato al trono nel 1765 e imperatore dal 1780 al 1790. Maria Teresa d’Austria si dedicò innanzitutto a uniformare il sistema amministrativo nelle varie regioni dell’Impero, fino ad allora separate da consuetudini e leggi diverse. Una scelta importante, per quanto impopolare, fu quella di assoggettare anche la nobiltà al pagamento delle tasse, con provvedimenti che furono di esempio per tutti i sovrani europei. Inoltre Maria Teresa sottrasse alla Chiesa il monopolio dell’istruzione, rendendola obbligatoria a partire dal 1774 e istituendo scuole elementari e superiori sotto il diretto controllo dello Stato. Per incentivare la crescita economica diede sviluppo alla rete stradale, favorendo gli scambi e i commerci. Giuseppe II, il vero sovrano illuminato Ancora più radicale fu l’opera del figlio Giuseppe II, forse l’unico sovrano che si lasciò guidare senza riserve dalle idee illuministe nell’attività di governo. Per distribuire con maggiore equilibrio il carico delle imposte, egli fece compilare un elenco generale delle proprietà dei sudditi, il catasto, un’opera senza precedenti, sperimentata dapprima in Lombardia e realizzata in tutto l’Impero tra il 1781 e il 1789, per una più equa distribuzione del carico fiscale. Inoltre, molti beni ecclesiastici furono incamerati dallo Stato e i sacerdoti diventarono stipendiati pubblici, secondo il modello inaugurato da Caterina II in Russia. Importanti furono anche le riforme di natura sociale ed economica: Giuseppe II migliorò le condizioni dei contadini abolendo i servizi di lavoro obbligatori (le corvées, di origine medievale) e varie forme di servitù feudale che ancora esistevano in alcuni paesi. Tolleranza religiosa Sul piano religioso, l’imperatore abolì ogni discriminazione nei confronti degli ebrei e nel 1781 emanò un editto di tolleranza per tutti i culti e le confessioni, istituendo, per i non cattolici, il matrimonio civile. L’editto fu motivato anche da esigenze di carattere politico: assicurare alla monarchia asburgica la fedeltà dei sudditi non cattolici; ciò non diminuisce il grande significato culturale e simbolico del gesto, che ebbe una vasta eco negli ambienti intellettuali del tempo. Opposizioni alle riforme Gli energici interventi di Giuseppe II ovviamente incontrarono l’opposizione delle classi privilegiate, l’aristocrazia e gli ecclesiastici. Per rimediare al malcontento e alle rivolte che tali riforme avevano suscitato, il suo successore, il fratello Leopoldo II (1790-92), che pure si era segnalato come convinto riformatore nella sua veste di granduca di Toscana, credette bene di venire a compromessi e di ammorbidire gli indirizzi politici del suo predecessore.

Manifesto in lode dell’editto di tolleranza dell’imperatore Giuseppe II, XVIII sec. [Historisches Museum der Stadt, Vienna]

L’incisione rappresenta l’imperatore Giuseppe II, figlio di Maria Teresa d’Austria, che concede la libertà di culto a tutti gli uomini. Il sovrano è illuminato dall’occhio, all’interno dell’esagono (formato da due triangoli sovrapposti), simbolo della Massoneria.

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10.5 Illuminismo e riforme nella Lombardia austriaca

Antonio Perego, Riunione dell’Accademia dei Pugni, XVIII sec. [Collezione Sormani Andreani Verri, Milano]

In questo dipinto è rappresentata una riunione dell’Accademia dei Pugni. Da sinistra, l’abate Alfonso Longo, Alessandro Verri, Giovanni Battista Biffi, Cesare Beccaria, Luigi Lambertenghi, Pietro Verri, Giuseppe Visconti di Saliceto, ovvero i più bei nomi della cultura lombarda dell’epoca.

Il “laboratorio” lombardo Anche in Italia, nel corso del Settecento, le idee della cultura illuminista furono di stimolo alla volontà riformatrice di alcuni sovrani. La Lombardia, dominio austriaco, ebbe un indubbio giovamento dall’attività riformatrice degli Asburgo, che stimolò la vita economica e fu positivamente accolta dalla parte più evoluta e matura della società, i patrizi e i ricchi borghesi protagonisti della ripresa produttiva e commerciale. La Lombardia fu, per gli Asburgo, una sorta di laboratorio in cui sperimentare le nuove politiche riformatrici. Qui, come abbiamo visto, fu messo in pratica per la prima volta il progetto di un catasto. Riforme culturali, sociali, economiche In Lombardia, come negli altri paesi soggetti all’Impero, furono aboliti i privilegi dei nobili e degli ecclesiastici e tutti furono sottoposti all’obbligo di pagare le tasse. Anche l’inquisizione e la censura furono abolite, mentre le scuole, fino ad allora gestite dagli ecclesiastici, furono rese pubbliche e obbligatorie, e affidate a dei laici. Le attività manifatturiere, artigianali e commerciali furono incoraggiate con l’abolizione di numerosi vincoli e ostacoli. In particolare era in aumento, in quei decenni, la produzione di lana e di seta greggia, collegata allo sviluppo delle industrie tessili inglesi e francesi. Il fermento intellettuale Alla crescita economica si accompagnò un originale movimento intellettuale. A Milano si distinsero i fratelli Pietro (1728-1797) e Alessandro (1741-1816) Verri, fondatori di un’associazione chiamata, polemicamente, “Accademia dei Pugni”, per indicare l’intenzione di rinnovare il mondo culturale lombardo, rompendo bruscamente col passato. Con il medesimo scopo fu fondato un giornale, «Il Caffè», pubblicato tra il 1764 e il 1766, nel quale si discuteva di tutto, per esempio di riforma fiscale e dell’ipotesi di un governo parlamentare di tipo inglese, da sostituire alla monarchia assoluta. Molto clamore suscitò l’opuscolo Dei delitti e delle pene, pubblicato nel 1764 da uno dei fondatori dell’accademia e della rivista, Cesare Beccaria (1738-1794): in esso si proponeva di abolire la tortura e la pena di morte, tradizionali strumenti di giustizia che Beccaria riteneva indegni di una società civile, e oltretutto inutili come deterrenti del crimine. Il libro fu tradotto in molte lingue e suscitò interesse in tutta Europa.

I modi della storia

L’invenzione del catasto

Una delle riforme più importanti promosse dall’imperatrice Maria Teresa (su un più antico progetto già impostato da suo padre Carlo VI d’Asburgo, fu quella legata all’introduzione del catasto, che venne poi compiutamente realizzato da Giuseppe II. Destinato nel tempo ad avere in tutta Europa conseguenze molto profonde sia a livello fiscale ed economico sia a livello sociale, il nuovo sistema di censimento incontrò l’opposizione della nobiltà e dei grandi proprietari terrieri, che vedevano nella sua applicazione una seria minaccia ai loro interessi. La sperimentazione del nuovo progetto partì per la prima volta in Lombardia (che in questo senso fu un vero e proprio “laboratorio” della politica innovatrice austriaca). Qui, dopo prolungate difficoltà, il catasto

entrò in vigore nel 1760 sotto la direzione di Pompeo Neri (1706-1776), un giurista fiorentino a cui l’imperatrice in persona aveva affidato già dal 1749 l’incarico. Il catasto, ossia il censimento generale dei beni fondiari, era effettuato tramite diretta e precisa rilevazione dei pubblici funzionari e non più, come in passato, tramite denunce degli stessi proprietari (che facevano in pratica un’autodichiarazione delle loro proprietà) e serviva a determinare il carico delle tasse imposte a ciascun proprietario. Il nuovo sistema di calcolo era dunque indispensabile per attuare una più equa distribuzione delle imposte e attraverso il suo utilizzo vennero aboliti gli antichi privilegi di nobili ed ecclesiastici, fino a quel momento esentati dal pagamento delle tasse.

Oltre a tutto ciò, il catasto offrì allo Stato uno strumento essenziale per pianificare gli interventi sul territorio, per esempio lo scavo di un canale o la programmazione di una bonifica. La minuziosa rappresentazione delle case di abitazione, dei locali di servizio, delle terre, degli alberi, dei sentieri, dei canali fu tipica delle mappe catastali che si realizzarono nella Lombardia austriaca nella seconda metà del XVIII secolo e confermano la grande perizia con cui il progetto fu attuato. Questi disegni, dunque, anche se ci stupiscono per il fascino che emanano, non nacquero con uno scopo estetico, ma erano finalizzati alla riorganizzazione fiscale di tutto il territorio, prima quello lombardo e poi, su più larga scala, quello asburgico.

Capitolo 10 Illuminismo e riforme

10.6 L’attività riformatrice nel Granducato di Toscana Un governo illuminato Particolare rilievo ebbero le riforme attuate in Toscana dal granduca Pietro Leopoldo, fratello di Giuseppe II e figlio dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria e di Francesco di Lorena (che dal 1737 governava il granducato in seguito agli accordi stabiliti nella pace di Vienna, 4.3). Il suo lungo regno, durato dal 1765 al 1790, portò nel granducato un’aria di novità, un fermento innovatore generato dalla fruttuosa collaborazione fra il sovrano e gli intellettuali “illuminati”, la parte più avanzata del ceto dirigente toscano. Gli interventi di riforma furono proposti con fermezza ma con gradualità, per limitare scontenti e opposizioni. Razionalizzare e liberalizzare l’economia In linea con le teorie fisiocratiche [ 9.1], Pietro Leopoldo dedicò le sue principali attenzioni all’agricoltura, ritenuta il settore fondamentale dell’economia: tra il 1766 e il 1775, a poco a poco liberalizzò il commercio dei grani e degli altri generi alimentari, intralciato da secolari barriere doganali e dai vincoli tradizionalmente imposti dal governo. Anche l’abolizione delle corporazioni cittadine (1770) e l’uniformazione del sistema doganale (1781) contribuirono al progetto di liberalizzazione. Vasti lavori di bonifica furono effettuati in val di Chiana e in Maremma sotto la guida dell’ingegnere idraulico Vittorio Fossombroni (1754-1844). Una legislazione all’avanguardia Anche l’amministrazione della giustizia fu riformata. Il Codice leopoldino, promulgato nel 1786, unificò la legislazione in tutto lo Stato e abolì

Aa Documenti Giornali e libertà. Come nasce la “pubblica opinione” Il giornale, inteso come foglio di informazione a carattere periodico, ebbe la sua origine nel tardo Cinquecento, ma il suo sviluppo, la sua trasformazione in quotidiano e la sua grande diffusione si compirono in Europa fra Sei e Settecento. In Italia i primi periodici (detti “gazzette”) si stamparono in Toscana, poi in tutte le principali città della penisola, tra il 1636 e il 1645. La loro tiratura non è confrontabile con quella della stampa attuale: il numero di copie oscillava fra le 150 e le 200. Del tutto eccezionale era la tiratura di 1500 copie realizzata in Germania dal «Frankfurter Journal» («Giornale di Francoforte»). Fra il XVII e il XVIII secolo i periodici fu-

V

rono molto ostacolati dai controlli e dalle censure delle autorità civili e religiose; contro tali restrizioni si formò ben presto un movimento di resistenza. L’Inghilterra fu il paese in cui la lotta per conquistare la libertà di stampa fu più precoce e combattiva: fin dal 1695 si ottenne l’abolizione della censura, che sul continente durò invece tutto il secolo successivo, fino alla Rivoluzione francese. Non sorprende quindi che proprio in Inghilterra la stampa abbia raggiunto il massimo di diffusione e di partecipazione alla vita civile del paese. A Londra, nel 1702, nacque il primo quotidiano, il «Daily Current», e dovettero passare diversi anni perché analoghe

i e un tribunale, che esiste in ciascheduna nazione, che è invisibile, perché non ha alcuno de’ segni, che potrebbero manifestarlo, ma che agisce di continuo, e che è più forte dei magistrati; e delle leggi, de’ ministri, e de’ Re che può esser pervertito dalle cattive leggi; diretto, corretto, reso giusto, e virtuoso dalle buone; ma che non può ne dalle une, né dalle altre esser contrariato, e dominato. [...] questo tribunale, io dico, è quello dell’opinione pubblica. [...] Ma questo tribunale non ha né foro, né tribuna, non vi sono comizi: in qual modo potrà dunque esser istruito dell’inosservanza d’una legge utile o d’un difetto, o del vizio, che si è scoperto in un’altra; [...] in qual modo verrà avvertito de’ disegni d’un ministero iniquo, o dell’abuso dell’autorità d’un Magistrato? [...]

pubblicazioni apparissero negli altri paesi d’Europa: in Italia pare che il primo quotidiano sia stato il veneziano «Diario veneto»; il primo quotidiano francese, il «Journal de Paris», uscì nel 1777. La libertà di stampa fu dunque al centro del dibattito illuminista, parallelamente alle riflessioni su una nuova realtà sociale, la cosiddetta “opinione pubblica”. Sul legame fra l’una e l’altra scrisse uno dei più autorevoli rappresentanti dell’Illuminismo italiano, il giurista napoletano Gaetano Filangieri (1753-1788), nella sua celebre opera La Scienza della legislazione, pubblicata tra il 1780 e il 1785, di cui proponiamo un passo.

La libertà della stampa è questo mezzo: il legislatore non deve dunque trascurarla; il legislatore deve stabilirla; il legislatore deve proteggerla. L’interesse pubblico lo richiede; la durata della sua legislazione, e la perennità della sorte del popolo l’esigono [...] Vi è un diritto, comune ad ogni individuo di ogni società [che] è quello di manifestare alla società stessa le proprie idee, che crede conducenti, o a diminuire i suoi mali, o a moltiplicare i suoi beni. La libertà dunque della stampa è di sua natura fondata sopra un dritto, che non si può né perdere, né alienare, finché si appartiene ad una società; ch’è superiore, ed anteriore a tutte le leggi, perché dipende da quella, che le abbraccia tutte, e tutte le precede. G. Filangieri, La Scienza della legislazione, 1780-85

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Modulo 3 La rivoluzione delle idee

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Le vie della cittadinanza

I

Contro la pena di morte

l milanese Cesare Beccaria (17381794), giurista, filosofo, economista e letterato, è una figura di spicco dell’Illuminismo settecentesco. A lui si deve la proposta, avanzata per la prima volta in Europa, di abolire l’uso della pena di morte, presente in tutti gli ordinamenti antichi e ritenuta fino ad allora una normale pratica giudiziaria. Il suo saggio Dei delitti e delle pene, pubblicato nel 1764, ebbe larghissima eco in Europa ed è considerato una pietra miliare nella storia del diritto. Beccaria sostenne che mettere a morte un uomo era non solo ingiusto ma anche inutile: «Questo inutile eccesso di supplizi, che non ha mai resi migliori gli uomini, mi ha spinto a esaminare se la morte sia veramente utile e giusta in un governo ben organizzato. Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini, di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risultano la sovranità e le leggi, perché queste rappresentano la volontà generale, e chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l’arbitrio di

ucciderlo?». Queste considerazioni evidentemente si rifanno all’idea liberale del contratto sociale come base della convivenza sociale e del potere politico, e definiscono il delitto (e la pena di morte eventualmente comminata a chi lo ha commesso) non come offese alla legge divina, ma, laicamente, come violazione del contratto che il singolo ha stipulato con gli altri». Beccaria concludeva il suo pensiero in modo perentorio: «Non è dunque la pena di morte un diritto, ma una guerra che la nazione fa a un cittadino, giudicando necessaria o utile la sua distruzione. Ma essa non è necessaria né utile, perché non l’intensione [l’intensità] della pena, ma la sua estensione nel tempo fa il maggiore effetto sull’animo umano». Dunque, solo la durata temporale e la certezza della pena possono avere un’influenza sul comportamento umano. La proposta di Beccaria fu accolta per la prima volta nel nuovo codice penale emanato da Pietro Leopoldo, grandu-

ca di Toscana, il 30 novembre 1786: tale giornata si celebra ancora oggi come festa regionale in Toscana. Dopo di allora, molti Stati hanno abolito la pena di morte: nel Regno d’Italia essa fu abolita dal ministro Zanardelli nel 1889 (tranne che per il reato di regicidio e per i crimini di guerra), poi fu reinserita dal regime fascista con il Codice Rocco (1930), poi fu definitivamente abolita dalla Costituzione repubblicana del 1948, tranne che per i casi previsti dalle leggi di guerra. Solo nel 1994 è stata abolita anche dal codice penale militare e nel 2007 è stata completamente espunta dalla nostra Costituzione. Rimangono, ancora oggi, nel mondo numerosi Stati – anche moderni e democratici come gli Stati Uniti o il Giappone – in cui la pena di morte è abitualmente praticata; la Cina è al primo posto nel numero di esecuzioni. Secondo un recente rapporto di Amnesty International (una organizzazione non governativa indipendente che dal 1961 si occupa di diritti umani) tali paesi assommano complessivamente a 58.

la tortura e la pena di morte: in tal modo la Toscana fu il primo Stato in Europa a tradurre in pratica le idee diffuse da Cesare Beccaria. «Abbiamo veduto con orrore – si legge nel Codice, che ripercorre passo passo le considerazioni di Beccaria – con quanta facilità nella passata legislazione era decretata la pena di morte». E poiché scopo della giustizia non è la vendetta ma la «correzione del reo, figlio anche esso della società e dello Stato», e poiché la detenzione «con la pena dei lavori pubblici» può dare «un esempio continuato», sicuramente più utile «di un momentaneo terrore che spesso degenera in compassione», e «avendo altresì considerato che una ben diversa legislazione potesse più convenire alla maggior dolcezza, e docilità di costumi del presente secolo, e specialmente nel popolo toscano, siamo venuti nella determinazione di abolire con la presente legge per sempre la pena di morte contro qualunque reo». Con questi interventi, la Toscana si pose all’avanguardia tra gli Stati italiani. Mappa della bonifica per colmata della Val di Chiana (Arezzo), 1823 [dalle Memorie idraulico-storiche; Biblioteca del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica, Milano]

Il metodo di bonifica per colmata interessa terre basse a carattere paludoso e consiste nell’inondarle con acqua proveniente dalle piene dei corsi d’acqua delle vicinanze e con i relativi detriti: in questo modo si alza gradualmente il livello del terreno e lo si rende coltivabile.

Capitolo 10 Illuminismo e riforme

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10.7 Spunti di riforme da Napoli al Piemonte Riformisti a Napoli Al di fuori della Toscana, le proposte dei riformatori trovarono scarso seguito, per la resistenza dei sovrani ad accogliere le nuove idee e per la mancanza di un tessuto sociale pronto a recepirle. Ciò accadde per esempio a Napoli, dove, pure, l’attività intellettuale e gli studi per il rinnovamento dello Stato si svilupparono con estrema vivacità. Tra le personalità più rappresentative del mondo culturale napoletano si ricordano il filosofo Gian Battista Vico (1668-1744), gli economisti Antonio Genovesi (1713-1769), uno dei primi in Europa a studiare in maniera scientifica i problemi del commercio, e Ferdinando Galiani (1728-1787), sostenitore delle idee fisiocratiche, e ancora il giurista Gaetano Filangieri (1753-1788) che formulò un piano generale di riforma legislativa e amministrativa. Riformisti a Torino Alcune riforme furono effettuate in Piemonte, per volere dei sovrani sabaudi Vittorio Amedeo II (1675-1730), Carlo Emanuele III (1730-73) e Vittorio Amedeo III (1773-96). I criteri amministrativi furono uniformati nelle varie parti dello Stato e gli uffici furono centralizzati nella capitale Torino. I privilegi del clero e dei nobili furono limitati e il censimento dei beni (catasto) fu rifatto in maniera più equa ed efficiente. Mancarono tuttavia lo spirito e la mentalità per una riforma globale, così come mancavano, nello Stato, una borghesia e una nobiltà colte e aperte al movimento illuminista europeo. Agli occhi degli osservatori stranieri il Piemonte appariva in quei decenni quasi «una caserma», governata in modo antiquato e militaresco. In effetti Vittorio Amedeo III impiegò gran parte delle sue risorse per potenziare e riformare l’esercito sul modello prussiano, mentre gli intellettuali più aperti alle idee nuove erano costretti a emigrare in altri paesi: così fu, per esempio, per il letterato Giuseppe Baretti (1719-1789), per il tipografo Giambattista Bodoni (1740-1813), per il poeta Vittorio Alfieri (1749-1803).

10.8 I nuovi rapporti tra Stati e Chiesa Il giurisdizionalismo L’opera riformatrice dei sovrani “illuminati” ebbe tra i suoi principali obiettivi la riformulazione dei rapporti fra Stato e Chiesa, secondo l’ottica del giurisdizionalismo, una corrente di pensiero sviluppatasi nel XVIII secolo nei paesi cattolici, che sosteneva la necessità di limitare il potere temporale della Chiesa, di separare nettamente i poteri civili da quelli ecclesiastici e di sottomettere la giurisdizione ecclesiastica a quella laica. La liberalizzazione dei culti, l’abolizione dei privilegi del clero, la soppressione di ordini religiosi, l’incameramento dei beni della Chiesa ritenuti improduttivi perché inalienabili e sottratti alle regole di mercato, l’introduzione del matrimonio civile come alternativa a quello religioso, l’istituzione di scuole pubbliche di Stato che sottraevano alla Chiesa il monopolio dell’istruzione, la trasformazione dei sacerdoti in stipendiati dello Stato, furono tutti aspetti – variamente perseguiti e realizzati nei diversi paesi – di questa politica di “emancipazione” dello Stato dalla Chiesa. Contro i gesuiti In tale contesto si inserisce la soppressione della Compagnia di Gesù, che fin dall’età della Controriforma costituiva, grazie alla sua influenza economica, politica e culturale, il principale strumento di intromissione della Chiesa e del Papato negli affari di Stato. I gesuiti diventarono un bersaglio della polemica illuminista, accusati (spesso in maniera pretestuosa) di trascurare i loro immensi patrimoni terrieri, di rappresentare gli interessi del Papato all’interno dei vari Stati, di sostenere la superstizione contro la ragione, l’ignoranza contro il sapere. All’interno stesso della Chiesa cattolica – dove si facevano strada idee di riforma analoghe a quelle dei governi laici – i gesuiti cominciarono a essere malvisti. Fatto sta che, nel giro di pochi anni, i gesuiti furono espulsi da molti paesi cattolici: dal Portogallo nel 1759, dalla Francia nel 1764, dalla Spagna nel 1767, dal Regno di Napoli nel 1768, poi dagli altri Stati della penisola italiana. Nel 1773 papa Clemente XIV (1769-74) decise di sciogliere l’ordine (che fu però ricostituito nel 1814 da Pio VII).

La cacciata dei gesuiti dalla Spagna nel 1767 [Civica Raccolta delle Stampe A. Bertarelli, Milano]

In questa stampa è rappresentata la cacciata dei gesuiti dalla Spagna avvenuta nel 1767 per ordine dello stesso monarca. I gesuiti divennero il bersaglio della polemica illuminista contro la Chiesa cattolica e per questo furono espulsi da molti paesi d’Europa.

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Modulo 3 La rivoluzione delle idee

Sintesi

Illuminismo e riforme

Contro l’assolutismo monarchico Due erano le proposte politiche degli illuministi: Montesquieu propose la monarchia moderata, caratterizzata dalla separazione dei tre poteri; Rousseau propose uno Stato democratico, in cui il popolo esercita direttamente la propria sovranità politica. Questo Stato era realizzato nei piccoli cantoni svizzeri; negli Stati di grandi dimensioni il popolo, tramite le elezioni, delega ai propri rappresentanti l’incarico di governare, con la possibilità di revoca dell’incarico.

vo III di Svezia (1771-92) introdusse riforme nell’amministrazione e nella giustizia, concesse la libertà di culto, favorì le attività produttive e la diffusione della cultura.

Il “dispotismo illuminato”. La Prussia di Federico II Nell’Europa del Settecento si diffuse la tendenza al “dispotismo illuminato”: alcuni sovrani promossero delle riforme nei propri Stati, ispirate agli ideali illuministi. Federico II di Prussia (1740-86), monarca attento alle idee illuministe, volle governare secondo criteri razionali e scientifici, promuovendo l’attaccamento allo Stato da parte dei sudditi. Le sue riforme portarono al protezionismo in campo agricolo, all’affermazione della libertà di culto, alla diffusione della pubblica istruzione.

Il riformismo asburgico Lo Stato in cui le riforme si svilupparono maggiormente fu l’Impero d’Austria, uno Stato multinazionale e complesso da governare. Maria Teresa (1740-80) tentò di uniformare la variegata amministrazione dei domìni imperiali; assoggettò la nobiltà al pagamento delle tasse; rese obbligatoria l’istruzione organizzando scuole dirette dallo Stato, eliminando il monopolio ecclesiastico sull’istruzione; promosse la crescita della rete stradale, favorendo lo sviluppo degli scambi commerciali. Il figlio Giuseppe II (1780-90) operò riforme ancora più radicali: ideò il catasto; sottrasse beni alla Chiesa rendendo i sacerdoti degli stipendiati pubblici; abolì le corvées e la servitù feudale. Questi provvedimenti incontrarono la forte opposizione delle classi privilegiate, tanto che il successore Leopoldo II ammorbidì questa linea politica.

I sovrani “illuminati” di Russia e Svezia In Russia l’imperatrice Caterina II la Grande (1762-96) tentò di introdurre una serie di riforme per la modernizzazione del paese: furono confiscati i beni della Chiesa ortodossa e i sacerdoti furono legati direttamente al potere sovrano; fu introdotta l’istruzione elementare gratuita nelle città e la libertà di stampa; fu proposta l’abolizione delle servitù feudali dei contadini, il che portò a una rivolta nelle campagne poi soffocata nel sangue. Allo scoppio della Rivoluzione francese Caterina abbandonò il riformismo tornando all’assolutismo e occupando territori in Polonia e in Crimea. Gusta-

Illuminismo e riforme nella Lombardia austriaca In Lombardia, che faceva parte dell’Austria, furono introdotte le riforme promosse dagli Asburgo: pagamento delle tasse per i nobili, abolizione di censura e inquisizione, istruzione obbligatoria pubblica e laica, sostegno alle attività economiche; inoltre fu introdotto il catasto. Si sviluppò un forte movimento intellettuale: i fratelli Pietro e Alessandro Verri fondarono l’“Accademia dei Pugni” e la rivista «Il Caffè»; Cesare Beccaria propose di abolire la tortura e la pena di morte in un testo, Dei delitti e delle pene, che conobbe un’enorme diffusione in tutta Europa.

L’attività riformatrice nel Granducato di Toscana In Toscana il granduca Pietro Leopoldo (1765-90) promosse una serie di riforme graduali. In ambito economico, fu liberalizzato il commercio dei grani e dei generi alimentari, e furono aboliti vincoli e barriere doganali; furono abolite le corporazioni cittadine; furono effettuate bonifiche di terreni. In ambito giuridico, fu approvato il Codice leopoldino, con cui, per la prima volta in Europa, si abolivano la tortura e la pena di morte. Spunti di riforme da Napoli al Piemonte Negli altri Stati italiani, le riforme ebbero una minore diffusione. A Napoli, nonostante un grande fermento intellettuale e la presenza di figure intellettuali di rilievo, non si ebbero riforme. In Piemonte ve ne furono alcune, a opera dei sovrani sabaudi: centralizzazione amministrativa, limitazione dei privilegi, censimento dei beni, ma senza un piano di riforme globali. I nuovi rapporti tra Stati e Chiesa All’interno delle riforme realizzate dai sovrani illuminati ebbe un ruolo centrale il problema della riformulazione dei rapporti tra Stato e Chiesa, con il fine di limitare il potere temporale del clero, di separare il potere ecclesiastico da quello civile, di sottomettere la giurisdizione ecclesiastica a quella laica. Furono presi provvedimenti come la liberalizzazione dei beni ecclesiastici, l’introduzione del matrimonio civile, la formazione di scuole pubbliche, la trasformazione dei sacerdoti in personale statale stipendiato. Fu poi soppressa la Compagnia di Gesù, accusata di rappresentare gli interessi papali e di alimentare la superstizione anziché la ragione: i gesuiti furono espulsi da molti paesi cattolici e l’ordine venne sciolto dal papa Clemente XIV.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Giuseppe II d’Austria ammorbidì la linea politica del predecessore Leopoldo II.

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c. L’abolizione della pena di morte fu sostenuta da Rousseau.

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b. In Russia si verificò una rivolta dei contadini tra il 1773 e il 1775.

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d. Linneo inventò il sistema di classificazione delle piante ancora oggi usato.

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Capitolo 10 Illuminismo e riforme

e. Il dispotismo illuminato realizzò una convergenza tra le esigenze assolutistiche e quelle modernizzatrici. V

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i. La Compagnia di Gesù fu oggetto di una polemica condotta dagli illuministi.

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f. Il progetto di realizzare un catasto fu messo in pratica per la prima volta in Lombardia.

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F

l. Montesquieu sosteneva una monarchia moderata caratterizzata dalla separazione dei poteri.

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F

g. La politica di Caterina II di Russia fu caratterizzata da un’abile opera di propaganda e autopromozione.

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m. L’Austria fu il primo Stato europeo ad abolire la pena di morte.

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F

h. Montesquieu sosteneva la sovranità popolare e la necessità del sistema rappresentativo.

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n. In Toscana gli interventi di riforma furono promossi con gradualità.

V

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2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. bonifica • botanica • catasto • corvées • dispotismo • fisiocrazia • giurisdizione • granduca • inalienabilità • opuscolo • propaganda • protezionismo • tortura Condizione di ciò che non può essere trasferito ad altri Libro di poche pagine Inventario generale di beni immobili di una città al fine di applicare le imposte stabilite dalla legge Nobile di livello inferiore al re e superiore al duca Risanamento di un terreno paludoso per renderlo idoneo alle attività umane Tormento fisico inflitto per estorcere confessioni, dichiarazioni, testimonianze Dottrina economica sorta in Francia nel XVIII secolo, in opposizione al mercantilismo Scienza che studia, descrive e classifica le piante Azione svolta al fine di diffondere fra strati sempre più ampi di popolazione idee, concetti, dottrine Politica economica di protezione dei prodotti nazionali dalla concorrenza straniera, tramite l’imposizione di dazi e dogane sulla merce estera da parte dello Stato Potestà legittima di amministrare il diritto Governo con potere assoluto, autoritario Nel diritto feudale, prestazione d’opera gratuita del vassallo a favore del proprio signore

3. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1739

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12.

1748

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1762

1764

1766

editto di tolleranza per tutti i culti nell’Impero austriaco abolizione delle corporazioni cittadine in Toscana la rivista milanese «Il Caffè» termina le sue pubblicazioni scioglimento della Compagnia di Gesù pubblicazione de Il contratto sociale di Rousseau compimento nell’Impero austriaco della realizzazione del catasto fondazione dell’Accademia svedese delle scienze promulgazione del Codice leopoldino espulsione dei gesuiti dal Portogallo obbligatorietà dell’istruzione in Austria pubblicazione de Dei delitti e delle pene di Beccaria pubblicazione de Lo spirito delle leggi di Montesquieu

1770

1773

1774

1781

1786

1789

125

126

Modulo 3 La rivoluzione delle idee

4. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. abolizione • agricole • Alfieri • Asburgo • Baretti • Beccaria • bonifiche • Borbone • borghesia • catasto • censura • centralizzazione • clero • Codice • crescita • doganale • esercito • Filangieri • liberalizzazione • limitazione • militarizzazione • nobiltà • resistenza • riforme • Savoia • scuole • unificazione • Verri • Vico

LE RIFORME: STATI ITALIANI A CONFRONTO LOMBARDIA GOVERNO

...............................

SOCIETÀ

sostiene le

d’Austria

.......................................

forte:

...........................

TOSCANA

PIEMONTE

NAPOLI

Pietro Leopoldo

Dinastia .................................

Dinastia .................................

Parte ceto dirigente illuminata: sostiene le

Assenza ................................. ..................................... colte e illuminate

Mancanza tessuto sociale a sostegno delle ........................................

Emigrazione degli intellettuali: Giuseppe ......................; Giambattista Bodoni; Vittorio .................

Fermento: richiesta di riforme: Gian Battista ..............; Antonio Genovesi; Ferdinando Galiani; Gaetano .................................

degli uffici

....................................................

statali, .................................... dei privilegi di ..................... e ................... , ridefinizione del .......................................... , potenziamento e riforma dell’ .........................

....................................................

....................................................

INTELLETTUALI

Fermento intellettuale: Pietro e Alessandro

Intellettuali illuminati: sostegno alle

.................................................. ;

....................................................

Cesare

PROVVEDIMENTI

...................................

Riforme: .............................. , .......................... dei privilegi di .................... e ..................., ..........................., ..................... dell’inquisizione, ............... obbligatorie pubbliche, ............................. dei vincoli

Riforme: ................................ del commercio dei grani, ........................................ delle corporazioni ....................... , uniformazione .................. , ........................... leopoldino: ............................ della pena di morte

....................................................

EFFETTI

Sostegno e stimolo alla

Sostegno alle attività

....................................................

................................................

economica e sociale

................................

e giuridica

............................

.................................................... .................................................... .................................................... .................................................... .................................................... ....................................................

Assenza di riforme globali e ................................ dello Stato

Assenza di riforme e ....................................................

dei sovrani alle novità

5. Completa la seguente tabella. bilanciamento • democratico • dimensioni • diretta • esecutivo • fiducia • giudiziario • Inghilterra • legislativo • libertà • limiti • magistratura • moderata • Parlamento • popolo • rappresentativo • revoca • separazione • sovranità • sudditi • Svizzera

DUE PROPOSTE POLITICHE A CONFRONTO MONTESQUIEU

ROUSSEAU

FORMA DI STATO

Monarchia .............................................

Stato .............................................

FORMA DI GOVERNO

.............................................

ISPIRATA A

.............................................

piccoli cantoni .............................................

CARATTERISTICHE

• ............................................. e controllo tra i poteri • ..............: potere ............................................. • Re e ministri: potere ............................................................ • ............................................: potere ...........................................

Stati di grandi ..........................................................: sistema .........................................., incarico di governare delegato dal ............................................................. a personale di sua ........................................................., ............................................. e possibilità di ......................................................... del potere

VANTAGGI

• ............................................. al potere del sovrano • ............................................. dei ..................................................

• Partecipazione ................................................................ del ......................................................................... alla vita politica

dei poteri

.............................................

popolare

Capitolo 10 Illuminismo e riforme

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

Che cosa si intende per “dispotismo illuminato”? Che tipo di governo contraddistinse il regno di Federico II di Prussia? Quali riforme furono adottate da Federico II di Prussia? Come furono accolte? Quale fu il progetto politico di Caterina II di Russia? Quali riforme furono adottate da Caterina II di Russia? Come furono accolte? Quali riforme furono adottate da Gustavo III di Svezia? Che tipo di governo contraddistinse il dispotismo illuminato asburgico? Quali riforme furono introdotte da Maria Teresa d’Austria? Come furono accolte? Quali riforme furono introdotte da Giuseppe II d’Austria? Come furono accolte?

Con le informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

IL DISPOTISMO ILLUMINATO IN EUROPA DOVE CHI

QUALI RIFORME

SOSTEGNO DI

OPPOSIZIONE DI

PRUSSIA

RUSSIA

SVEZIA

AUSTRIA

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7.

Leggi il documento “Contro la pena di morte” a p. 122 e rispondi alle seguenti domande. 1. Chi era Cesare Beccaria? Quale idea innovativa fu da lui proposta e dove? 2. Perché ritiene la pena di morte ingiusta? Perché la ritiene inutile? 3. Come si inserisce il delitto nella sua concezione della vita sociale?

4. Quale tipo di pena ha un maggiore effetto sull’animo umano? Quali princìpi devono caratterizzare la pena? 5. In quale Stato la proposta fu accolta per la prima volta? 6. Quali provvedimenti al riguardo sono stati presi nella storia d’Italia? Quale è la situazione attuale nel mondo? Con le informazioni ottenute, scrivi un breve testo di almeno 12 righe dal titolo: “La pena di morte: una questione ancora aperta?”.

127

La discussione storiografica

Il trionfo delle scienze e la rivoluzione della lettura A

lla fine del Settecento la scienza era diventata “di moda” nei salotti, nei giornali, nella produzione libraria. L’ansia di conoscenza, diffusa dalla cultura illuminista, aveva spostato il baricentro delle attenzioni dal sapere letterario e artistico, a cui prevalentemente si era dedicata la cultura umanistica e rinascimentale, al sapere tecnico e scientifico. In molti paesi europei si diffuse allora un inedito interesse per le questioni scientifiche e tecnologiche; nacquero accademie e

istituzioni culturali dedicate a questi temi; i maggiori scienziati furono ricoperti di onori dalle autorità statali e talvolta diventarono delle vere e proprie “star” acclamate dall’opinione pubblica. Su questi fenomeni proponiamo un brano di uno studioso italiano che si è particolarmente interessato alla storia dell’Illuminismo, Vincenzo Ferrone (1954). Negli stessi decenni si sviluppò un rapporto diverso fra libro e lettore, un nuovo modo di leggere che alcuni studiosi

amano definire “estensivo” anziché “intensivo”, perché basato non più sulla riflessione approfondita di pochi testi, trasmessi di generazione in generazione e circondati da una certa aura di sacralità, bensì sul rapido consumo di molti testi di attualità, letti in modo più distaccato e senza il tradizionale rispetto per le “autorità”. Su questa “rivoluzione della lettura”, proponiamo un brano dello storico francese Roger Chartier (1945), specialista di storia del libro e dell’editoria.

delle élites intellettuali, ma di un pubblico più vasto – che non aveva precedenti nella storia. Roger Chartier, da parte sua, illustrando la «rivoluzione della lettura»

avvenuta nel XVIII secolo, mostra il legame fra tale fonomeno e i nuovi sistemi di distribuzione, di prestito e di acquisto collettivo, che permettevano di leggere i libri senza doverli acquistare.

I testi Il brano di Vincenzo Ferrone, dedicato agli «uomini di scienza» nel periodo illuminista, sottolinea l’assoluta novità di un fenomeno – l’interesse per la tecnologia e la scienza da parte non solo

La scienza come fenomeno “alla moda” Vincenzo Ferrone

Il tardo Settecento segnò certamente il «trionfo della scienza» e la sua definitiva legittimazione agli occhi della nascente opinione pubblica […]. È ancor oggi difficile comprendere nei suoi profondi risvolti psicologici e di mentalità collettiva lo stupore, la meraviglia, l’eccitazione di quelle grandi masse di persone che si ritrovavano nelle piazze di tutta l’Europa per assistere ai primi voli dei palloni aero-

statici. Il susseguirsi di invenzioni preziose come il parafulmine o il rincorrersi sulle gazzette delle roventi polemiche intorno alle guarigioni miracolose ottenute dai fautori del magnetismo animale o intorno all’esistenza del flogisto1 alimentavano la frenetica curiosità dei salotti e delle corti per i meravigliosi esperimenti di elettricismo di cui era maestro il grande Franklin. Al tramonto del secolo, l’uomo di

1 Una sostanza immateriale che, secondo il chimico tedesco G. E. Stahl, si disperdeva nell’aria durante i fenomeni di combustione.

La discussione storiografica Il trionfo delle scienze e la rivoluzione della lettura

scienza era davvero “alla moda”. Tutti amavano sentirsi dei piccoli scienziati e contribuire, seppure da dilettanti, alla diffusione di quel sentimento di onnipotenza che caratterizzava i commenti generali e la pubblicistica sulle scienze e sulle tecniche. […] Un segno di questo spostamento d’interessi, del resto, trova riscontro tangibile nei risultati delle ricerche sui libri presenti nelle biblioteche francesi del XVIII secolo. Se negli anni venti la quota dei volumi di carattere scientifico è del 18%, all’inizio degli anni ottanta essa sale rapidamente al 30%. Ma più che la produzione libraria sono in realtà le gazzette, protagoniste indiscusse della nascita dell’opinione pubblica europea, a offrire le prove di un vero e proprio trionfo delle scienze dando voce non solo ai grandi confronti scientifici dell’epoca, ma anche alle polemiche e alle diatribe

129

più fruste all’interno di una comunità in piena effervescenza […]. Il primo quotidiano di Francia, il Journal de Paris, rappresenta una testimonianza preziosa in tal senso. Nelle sue pagine non trovavano posto soltanto la puntigliosa cronaca del dibattito scientifico nella capitale o il calendario dei lavori dell’Accademia delle Scienze, ma anche le meschine diatribe all’interno di essa. Altri indizi venivano dai periodici italiani, tedeschi e inglesi, che riservavano grande spazio alla vita delle accademie provinciali e nazionali, ai concorsi, ai dibattiti, al confronto scientifico come quello tra i fautori e i contrari della rivoluzione chimica di Lavoisier, o delle interpretazioni dell’elettricismo di Franklin. V. Ferrone, L’uomo di scienza, in L’uomo dell’illuminismo, a cura di M. Vovelle, Roma-Bari 1992, pp. 218 sgg.

Febbre di lettura Roger Chartier

Possiamo definire l’età dei Lumi come l’epoca di una «rivoluzione della lettura»? A tale quesito i contemporanei avrebbero senza dubbio risposto in modo affermativo, essendo fortemente consapevoli delle trasformazioni che avevano modificato la produzione a stampa e le pratiche di lettura. A sentir loro una vera e propria «mania della lettura», degenerata in «febbre di lettura» o in «furore di leggere», si è impadronita delle popolazioni. […] I racconti di viaggio come i quadri di costume insistono sull’universalità nuova della lettura, presente in tutti gli ambienti sociali, in tutte le circostanze e in tutti i luoghi del vivere quotidiano. […] L’iconografia proposta dai pittori, dai disegnatori e dagli incisori moltiplica le rappresentazioni della lettura: nei quadri e nelle incisioni, nei decori del vasellame in terraglia o in porcellana, sulle tele cerate o sugli orologi da taschino, sotto forma di silhouettes e figurine. La proliferazione di queste immagini svela nuovi lettori (donne, bambini, artigiani, contadini) e nuove abitudini: la lettura all’aperto, in giardino o in mezzo alla natura, a passeggio, a letto, che prepara o sostituisce l’incontro amoroso, la lettura a più persone, nella sciabilità del salotto o nell’assemblea domestica. Tutte queste rappresentazioni indicano, a loro modo, che le pratiche sono cambiate, che i lettori sono più numerosi e fanatici della lettura. Dobbiamo tradurre queste percezioni con la coppia di nozioni proposta da Rolf Engelsing, che oppone una lettura tradizionale, detta «intensiva», a una lettura moderna qualificata come «estensiva», la stessa che i contemporanei [a volte] indicano e condannano? Secondo tale dicotomia il lettore «intensivo» era posto a confronto con un corpus limitato e circoscritto di libri, letti e riletti, memorizzati e recitati, ascoltati e conosciuti a memoria, trasmessi di generazione in generazione. Questa maniera di leggere era fortemente intrisa di sacralità poiché assoggettava il lettore all’autorità del testo. Il lettore «estensivo» è completamente diverso: consuma numerosi testi stampati, nuovi ed effime-

François Boucher, Madame de Pompadour, 1756 [Arte Pinakothek, Monaco]

ri; li legge avidamente e con rapidità, li avvicina con occhio distaccato e critico. Un rapporto con lo scritto fatto di comunione e rispetto cederà così il passo a una lettura libera, disinvolta, irriverente. […] Il libro, da parte sua, diventa più accessibile. Il trionfo dei piccoli formati ne fa un compagno inseparabile. […] Il libro non deve più essere appoggiato per essere letto e il lettore non è più obbligato a sedersi per leggerlo: si può instaurare un nuovo rapporto con lo scritto, più consueto e immediato. […] D’altra parte si moltiplicano in tutta Europa le istituzioni in cui la lettura non implica necessariamente l’acquisto del libro. Una prima possibilità viene offerta dai librai: acquistando un abbonamento annuale o mensile i lettori possono leggere sul posto o prendere in prestito tutte le opere che il catalogo della libreria propone. […] La seconda formula consiste in un’associazione volontaria, dotata di statuti approvati collegialmente. Pagando una quota annuale, i membri possono prendere in prestito le opere acquistate in comune, che vengono vendute all’asta alla fine di ogni anno o sono invece conservate nella biblioteca della società. R. Chartier, Libri e lettori, in L’Illuminismo. Dizionario storico, a cura di V. Ferrone e D. Roche, Roma-Bari 1997, pp. 292 sgg.

Modulo 4

Rivoluzioni dell’età Le rivoluzio moderna dell’età

moderna Capitolo 11

La Rivoluzione americana

Il Settecento si concluse con due rivoluzioni destinate a cambiare il corso della storia mondiale: la Rivoluzione americana e quella francese. La Rivoluzione americana si compì tra il 1775 e il 1783 e fu opera dei coloni di origine europea, in prevalenza inglesi stanziati sulla costa atlantica dell’America settentrionale. Ribellatisi alla Gran Bretagna (da cui dipendevano), dopo un’aspra e difficile guerra condotta con l’appoggio di Francia, Spagna e Olanda, i coloni ottennero l’indipendenza e fondarono la prima nazione della storia moderna organizzata in forma democratica: la Repubblica degli Stati Uniti d’America.

Capitolo 12

La Rivoluzione francese Nel 1789 la Francia fu attraversata da una rivoluzione di straordinaria importanza storica, che segnò la fine della sovranità dei re e l’inizio della sovranità dei popoli. Per l’ampiezza delle forze che mise in movimento e il valore universale delle idee a cui diede vita – la libertà, l’uguaglianza dei diritti, la democrazia – la Rivoluzione francese è considerata uno degli avvenimenti di maggiore significato nella formazione del mondo contemporaneo.

oni

Capitolo 13

La Francia repubblicana

Gli ultimi anni della Rivoluzione furono assai difficili per la Francia, assediata e invasa dagli eserciti delle altre nazioni europee e sconvolta, all’interno, da disordini sociali e da una profonda crisi economica. La monarchia fu abbattuta e si instaurò la repubblica, che in un primo momento fu guidata dalle forze radicali della sinistra giacobina; in seguito, dopo un periodo drammatico di scontri ideologici e rappresaglie politiche, il governo passò alle forze moderate. Ciascuna di queste fasi fu accompagnata dalla stesura di una nuova Costituzione.

Capitolo 14

Napoleone Bonaparte e l’esportazione della libertà Agli anni del “Terrore” giacobino, conclusi nel 1795 con l’instaurazione di un governo moderato, seguì un ventennio di guerre pressoché ininterrotte, combattute dagli eserciti francesi contro le forze coalizzate delle maggiori potenze europee, tra le quali in prima linea l’Inghilterra. Nel corso di tali guerre, che ebbero come principale protagonista Napoleone Bonaparte al comando delle armate francesi, si diffusero in molti paesi d’Europa, compresa l’Italia, le idee di libertà e di uguaglianza affermatesi con la Rivoluzione francese.

Capitolo 15

Alla conquista dell’Europa: trionfo e crollo di Napoleone Giunto al potere con un colpo di Stato, Napoleone Bonaparte non si limitò a riorganizzare la vita dello Stato francese, ma attuò una politica di affermazione personale (sancita dal titolo di imperatore) e di espansione militare, che nel giro di pochi anni ne fece il dominatore dell’Europa. Ma altrettanto rapida fu la sua caduta, soprattutto dopo l’improvvida impresa dell’attacco alla Russia. In modi diversi, fra loro contraddittori, il ventennio napoleonico lasciò un’impronta indelebile nella storia europea.

Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

11 La Rivoluzione

Capitolo

132

americana

Percorso breve Le tredici colonie inglesi d’America, formatesi tra XVII e XVIII secolo sulla costa atlantica del continente, nella seconda metà del Settecento si ribellarono al governo di Londra e si costituirono come Stato indipendente con il nome di Repubblica degli Stati Uniti d’America. Alle origini del conflitto fra coloni e madrepatria vi furono motivazioni di ordine soprattutto economico: le colonie americane godevano di larghe autonomie amministrative e politiche, ma non avevano libertà economica, essendo subordinate nei commerci e nelle industrie agli interessi di Londra. I primi contrasti si verificarono nel 1765, quando il governo inglese introdusse una tassa di bollo sugli atti d’ufficio. I coloni protestarono, invocando il principio – una delle basi del liberalismo parlamentare inglese – che nessuna tassa si poteva imporre senza l’approvazione di chi avrebbe dovuto pagarla (e i coloni non avevano rappresentanti nel Parlamento inglese). In seguito alle proteste la tassa fu tolta, ma furono applicati dazi sul tè e su altre merci. I coloni attuarono forme di boicottaggio delle merci inglesi, poi scoppiarono sanguinosi incidenti che segnarono l’inizio della guerra. Gli insorti armarono un esercito e ne affidarono il comando a George Washington. Contemporaneamente sottoscrissero una Dichiarazione di indipendenza, redatta da Thomas Jefferson, ispirata alle idee illumi- Gilbert Stuart, Ritratto di George Washington, XIX sec. niste dell’uguaglianza fra gli uomini e del diritto dei cittadini alla libertà e al benessere. La Francia La nuova repubblica si diede una Costituzione di tipo (poi anche la Spagna e l’Olanda) si schierarono a fianco federale, approvata nel 1787, ispirata alle idee della sodei ribelli, e gli inglesi furono costretti alla resa. La pace, vranità popolare, dell’uguaglianza politica e della sefirmata a Versailles nel 1783, riconobbe l’indipendenza parazione dei poteri. Il primo presidente fu George Wadelle colonie. shington, eletto due anni più tardi.

Capitolo 11 La Rivoluzione americana

133

11.1 La colonizzazione dell’America settentrionale Un dominio europeo Il continente americano, che oggi è costituito quasi totalmente di nazioni indipendenti, nel XVIII secolo dipendeva dall’Europa. Dopo la scoperta di Colombo, il suo immenso territorio era stato un po’ alla volta conquistato dagli europei, che avevano fondato diverse colonie e assoggettato le popolazioni indigene, gli “indios”, come li aveva denominati lo stesso Colombo, ritenendo erroneamente di essere sbarcato in India. Nella parte centrale e meridionale del continente, dove un tempo erano fiorite le civiltà dei Maya, degli Aztechi e degli Incas [ vol. 1, 18], si erano imposti gli spagnoli e i portoghesi; nella parte settentrionale, abitata da numerose tribù di “pellirosse”, si affermarono i francesi e gli inglesi. Pellirosse e conquistatori Probabilmente di origine asiatica, i pellirosse furono così chiamati da Colombo per la caratteristica usanza, che alcuni di essi avevano, di dipingersi il volto e il corpo con ocra rossa, forse per proteggersi dalle punture degli insetti. I contatti degli europei con queste popolazioni furono per lungo tempo sporadici e non diedero luogo a veri e propri conflitti; solo nel corso del Settecento divenne chiara l’incompatibilità fra le mire espansionistiche dei conquistatori, che penetravano nel continente per fissarvi stabili insediamenti e aziende agricole, e le abitudini seminomadi degli indigeni, che vivevano soprattutto di caccia e di pesca.

OC EA NO PAC I FI C O

OC EA N O ATLA N TIC O L’assedio a un villaggio irochese, incisione del XVII sec.

OCEANO PACI FI CO

[da Voyages de la France Occidentale, dite Canada di Samuel de Champlain; Bibliothèque Nationale, Parigi]

Le popolazioni delle Americhe prima del 1492

inuit, irochesi, cultura pueblo, caribi athabasca algonchini, ges, ¯ quechua sioux muscoghi, uto - aztechi, aymarà chibcha arawak tupi - guaranì

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

Jean Leon Jerome Ferris, I padri pellegrini a Plymouth: il primo sermone nella nuova terra, 1621, XIX sec. In questo dipinto ottocentesco è rappresentato il primo sermone pronunciato a Plymouth (primo insediamento protestante nelle Americhe). L’11 novembre 1620, la nave Mayflower approdò nel Nuovo Mondo portando con sé i semi della democrazia.

Verso la libertà del Nuovo Mondo Le colonie inglesi, sul finire del Settecento, erano tredici, disposte lungo la costa atlantica dell’America settentrionale e delimitate, all’incirca, a nord dall’attuale Nuova Scozia, a sud dalla Florida. La prima era stata la Virginia, fondata nel 1580 durante il regno della regina Elisabetta [ vol. 1, 32.3]; le altre erano sorte successivamente, nel corso dei secoli XVII e XVIII. La popolazione era costituita in massima parte da emigrati inglesi, e da consistenti nuclei di scozzesi, irlandesi, olandesi, tedeschi: nel complesso, circa due milioni di abitanti nel 1763. Tutti costoro avevano abbandonato l’Europa sperando in migliori condizioni di vita e anche per trovare maggiore libertà; molti, infatti, erano fuggiti per sottrarsi alle persecuzioni politiche e religiose. I “padri fondatori” Un tipico esempio fu quello dei puritani inglesi – cristiani di fede protestante, sostenitori di una vita estremamente morigerata – i quali nella prima metà del Seicento abbandonarono la patria piuttosto che sopportare l’oppressione e le persecuzioni dei re Giacomo I (1603-25) e Carlo I Stuart (1625-49), sovrani di fede cattolica. Il primo gruppo di questi esuli, partito nel 1620 a bordo della nave Mayflower (‘Fior di maggio’) e arrivato l’11 novembre sulle coste del Massachusetts, è indicato ancora oggi dagli americani con l’appellativo di padri fondatori (o padri pellegrini), ossia come il nucleo iniziale della futura nazione, che con il suo spirito di libertà gettò i semi della democrazia [ 1.1]. Sbarcati nel continente americano, infatti, i profughi stabilirono fra di loro un patto di alleanza e di convivenza in cui si impegnavano «con promessa solenne davanti a Dio» a unirsi insieme «in un Civico Corpo Politico, allo scopo di costituire leggi giuste e uguali per tutti, ordinamenti e disposizioni quali di volta in volta si riterranno rispondenti e convenienti al bene della Comunità». In ricordo di questo patto ancora oggi in America si festeggia a novembre il Thanksgiving Day, il ‘Giorno del ringraziamento’.

Capitolo 11 La Rivoluzione americana

11.2 Tredici colonie in espansione Economia e territorio: tre tipi di sviluppo Intorno alla metà del Settecento le tredici colonie inglesi erano in piena espansione economica. In quelle del nord – Massachusetts, New Hampshire, Rhode Island, Connecticut – a terreno montuoso, accidentato e poco adatto alle attività agricole, la popolazione si era dedicata in prevalenza all’industria e al commercio, costruendo cantieri navali, fabbriche tessili, distillerie di bevande alcoliche. Nelle quattro colonie del centro – New York, Pennsylvania, New Jersey, Delaware – il buon terreno aveva favorito la formazione di numerose fattorie, grandi e piccole, che producevano cibo per tutti, tanto da essere chiamate “colonie del pane”: le coltivazioni più diffuse erano quelle di grano, orzo e mais; molto sviluppato era anche l’allevamento del bestiame, maiali, bovini, cavalli. Il clima caldo, le piogge abbondanti e il terreno fertile delle cinque colonie del sud – Maryland, Virginia, Carolina del nord, Carolina del sud, Georgia – avevano concorso a sviluppare le piantagioni, fattorie di ampia estensione dove si coltivavano per lo più il tabacco e il cotone, con mano d’opera costituita dagli schiavi neri e, in minor misura, dai contadini poveri immigrati dall’Europa, che mettevano a disposizione il loro lavoro per qualche anno, finché non avessero saldato il debito contratto per pagarsi il costo del viaggio dall’Europa all’America. Autonomia politica, divieti commerciali A differenza delle colonie della Spagna e di altre nazioni, le colonie inglesi godevano di larghe autonomie amministrative e politiche, affidate a Parlamenti locali, liberamente eletti, che in ogni colonia si affiancavano ai governatori inviati da Londra. Nella vita economica, invece, c’erano molte limitazioni in quanto ogni attività era subordinata agli interessi inglesi. Seguendo una norma comune a tutti gli Stati, l’Inghilterra considerava le colonie non come parte del proprio territorio ma come regioni di sfruttamento, che avevano l’obbligo di fornire materie prime alla madrepatria e di acquistare dalla stessa i manufatti occorrenti. Pertanto era vietato aprire fabbriche in concorrenza con quelle inglesi, il commercio d’esportazione si doveva effettuare soltanto con navi britanniche, lo zucchero e il frumento dovevano essere venduti ai prezzi stabiliti da Londra. Queste restrizioni provocavano un certo malcontento, ma erano accettate dai coloni senza particolari proteste, perché si trattava di norme a quel tempo comuni e diffuse in ogni paese. Inoltre, poiché l’Inghilterra con le sue forze militari difendeva i coloni americani dalle frequenti aggressioni dei francesi del Canada, la popolazione delle co-

I modi della storia

Istruzione obbligatoria e università per i coloni americani

Una delle caratteristiche più innovative delle colonie nordamericane, legata profondamente alla cultura illuminista, fu l’impulso dato all’istruzione pubblica. Nel 1776, quando venne emanata la Dichiarazione d’indipendenza, erano già in funzione nove università, per una popolazione di circa due milioni di persone. La più antica, Harvard nel Massachusetts, era stata istituita nel 1636, appena sedici anni dopo l’arrivo della Mayflower sulle coste americane, a dimostrazione di quanto l’istruzione stava a cuore ai padri pellegrini. La seconda università, il William and Mary College, venne aper-

ta a Williamsburg in Virginia nel 1693; nel 1701 la terza, Yale, nel Connecticut. Tutte replicavano il modello inglese dei college, ancora oggi seguito negli Stati Uniti. Fra il 1740 e il 1769 sorsero altre sei università. Altrettanto curata fu l’educazione di base. «La funzione di Stato-pilota – ha scritto M. Rossaro – spetta anche in questo caso al Massachusetts, che fin dal 1647, primo fra tutti i paesi del mondo, vara una legge per rendere obbligatoria l’istruzione: ogni centro abitato che conti almeno 50 capifamiglia deve aprire una scuola primaria a disposizione di tutti, attingendo

i fondi necessari nelle casse comunali; dove i capifamiglia raggiungono il numero di 100 deve sorgere anche una scuola secondaria, che apra l’accesso all’università. Questa legge così illuminata affonda le radici in una visione religiosa della vita: i legislatori puritani del Massachusetts ritengono che lo scopo essenziale dell’istruzione sia quello di consentire a tutti di leggere e interpretare le Sacre Scritture». Questa visione religiosa si rafforza e si consolida con le idee illuministe che esaltano la ragione e la conoscenza come strumenti di crescita personale e collettiva.

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136

Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna lonie considerava i privilegi economici a favore di Londra alla stregua di un compenso dovuto in cambio di un servizio. Poi c’era il contrabbando che, largamente praticato dai coloni (e tollerato dalle autorità britanniche), attenuava e in parte annullava il peso delle leggi restrittive.

11.3 Dalla tassa sul bollo alla guerra La Parola

boicottaggio “Boicottare”, cioè danneggiare qualcuno economicamente, bloccando le sue attività produttive o commerciali, è parola derivata da un nome proprio, quello del capitano inglese Charles Cunningham Boycott (18321897), che nel XIX secolo gestiva in Irlanda i beni di Lord Erne, un ricco proprietario terrierio. Di lui si racconta che trattava in modo violento i contadini che le lavoravano, disprezzando ogni loro richiesta; perciò fu oggetto di un sistematico ostracismo da parte della comunità locale: i vicini non gli parlavano, i negozi non lo servivano, il postino non gli recapitava la posta. Il caso diventò celebre e diede origine al verbo boycott, passato poi dall’inglese ad altre lingue.

Una spiacevole novità fiscale I rapporti fra i coloni e la madrepatria incominciarono a guastarsi a partire dal 1765, quando, al termine della guerra dei Sette anni, il governo di Londra, per compensare le ingenti spese del conflitto, impose una tassa sul bollo (lo Stamp Act, che rendeva obbligatorio l’uso della carta bollata per tutti i documenti pubblici, commerciali e giudiziari) e l’applicò per la prima volta anche ai coloni d’America. Nessuna tassa senza rappresentanza I coloni respinsero l’imposizione, sostenendo che, secondo la Dichiarazione dei diritti del 1689 [ 1.4], nessuna tassa poteva essere imposta senza la preventiva approvazione dei rappresentanti del popolo in Parlamento; e poiché ai coloni, che pure erano cittadini inglesi, non era concesso avere rappresentanti nel Parlamento di Londra, il provvedimento era da ritenersi illegale. Gli uffici governativi furono presi d’assalto e un po’ ovunque fu organizzato il boicottaggio delle merci inglesi. L’agitazione fu così intensa da indurre Londra ad abrogare la tassa. Tuttavia il Parlamento inglese e l’autoritaria volontà del re Giorgio III (1760-1820) riaffermarono il proprio diritto a dettare legge alle colonie: così nel 1767 fu approvata una serie di dazi sul commercio del tè, della carta, del vetro e di altre merci inglesi, che gli americani importavano dalla madrepatria. Il boicottaggio delle merci inglesi I coloni reagirono con forza, decisi a non accettare più imposizioni in campo fiscale ed economico, tanto più che era venuta meno la necessità di una protezione britannica contro le minacce dei francesi del Canada, dal mo-

Aa Documenti L’economia americana a servizio del monopolio inglese La produzione e il commercio delle colonie inglesi d’America, che nel corso del Settecento avevano trovato ampio sviluppo sia sul piano industriale, sia sul piano agricolo, erano rigidamente subordinati agli interessi di Londra. Fu proprio tale contrasto di interessi a determinare il conflitto tra i coloni e la madrepatria e

a determinare la volontà delle colonie di rendersi indipendenti da Londra. Si leggano in proposito i seguenti articoli di legge, emanati in Inghilterra tra la fine del XVII e la metà del XVIII secolo: nel primo si stabilisce l’obbligo per i coloni di servirsi unicamente di navi inglesi nei trasporti marittimi; il secondo proibisce

O

bbligatorio servirsi di navi inglesi Si decreta che a partire dal 25 marzo 1698 non si potranno più importare o esportare beni e mercanzie da alcuna colonia, se non imbarcati su navi costruite in Inghilterra o in Irlanda e di proprietà di persone inglesi o irlandesi, e governate da equipaggi di cui i tre quarti e il comandante siano dei sopraddetti paesi [...] pena la perdita delle navi e delle merci. Vietato fabbricare o esportare cappelli Poiché l’arte e il segreto di fabbricare cappelli ha raggiunto in Gran Bretagna un’alta perfezione, e considerevoli quantità di cappelli fabbricati in questo regno sono stati esportati e si esportano nelle colonie [...] si stabilisce che a partire dal 29 settembre 1732 non si potranno più caricare, né spedire dalle colonie cappelli o feltri, finiti e non, con lo scopo

ai coloni di impiantare manifatture di cappelli, che devono restare un prodotto esclusivo dell’Inghilterra; il terzo fissa un’identica proibizione per i laminati di ferro e le fonderie, e prevede pesanti multe per i contravventori.

di esportarli. Si stabilisce inoltre che nessuna persona residente nelle colonie potrà fabbricare o far fabbricare feltri o cappelli di lana o altro materiale, a meno che non sia stata prima a servizio come apprendista nel mestiere per almeno sette anni. Proibito lavorare il ferro Affinché il ferro in verghe e la ghisa grezza prodotti nelle colonie d’America possano essere ulteriormente lavorati in Inghilterra, si decreta che, a partire dal 24 giugno 1750, non potrà essere impiantata o, una volta impiantata, continuare a funzionare nessuna fabbrica o altra attrezzatura per il taglio o la laminatura del ferro, o fonderia funzionante con magli meccanici, o acciaieria [...] pena una multa di duecento sterline.

137 John Bluck, Una seduta della Camera dei Lords al tempo di Giorgio III, XIX sec. Il governo inglese, spinto dal sovrano, fu estremamente duro nei confronti delle colonie del Nuovo Mondo, tanto che lo scontro economico diventò, in pochi anni, conflitto militare.

mento che il Canada stesso, con la guerra dei Sette anni, era diventato colonia inglese. Fu stabilito, così, di non comprare più merci dall’Inghilterra e si reclamarono per i coloni d’America i medesimi diritti degli inglesi d’Inghilterra. Ne nacque una forte tensione seguita da incidenti.

La rivolta A Boston, nel 1770, i soldati inglesi spararono su un gruppo di dimostranti, provocando alcuni morti. Nel 1773, ancora a Boston, un grosso carico di tè trasportato da navi inglesi fu gettato in mare all’arrivo nel porto (l’episodio, noto con il nome di Boston tea party, ‘La festa del tè di Boston’, segnò il punto di non ritorno della rivolta). Nel 1775, a Lexington nel Massachusetts, i volontari americani aprirono il fuoco sulle truppe della guarnigione britannica; altrettanto accadde a Concord nel New Hampshire. Giorgio III dichiarò ribelli gli americani e ordinò la repressione: era la guerra. Dall’Inghilterra cominciarono a partire navi cariche di truppe e di armi, mentre le colonie arruolavano volontari per costituire un esercito. Il conflitto economico era ormai diventato uno scontro militare. Memo

Guerra dei Sette anni (1756-63) La guerra dei Sette anni [ 5.2], esplosa in Europa ma estesasi presto anche i possedimenti coloniali indiani e americani, fu combattuta da due schieramenti opposti: da una parte Gran Bretagna e Prussia (le due potenze emergenti), dall’altra Fran-

cia, Impero asburgico e Russia. La guerra si risolse con la pace di Parigi che segnò la definitiva affermazione della Prussia e la vittoria della Gran Bretagna, che riuscì a sottrarre alla Francia i suoi possedimenti nel Nord America e in India.

Stampa satirica sul tema dell’indipendenza americana, fine XVIII sec. [New York Public Library, New York]

In questa stampa una spia inglese, coperta di catrame e piume, è costretta a trangugiare il tè, simbolo dell’inizio della rivolta, prima di venire impiccata. L’illustrazione intende mostrare come l’autorità reale britannica non fosse assolutamente rispettata nelle colonie: all’albero della libertà è affisso lo Stamp Act capovolto, e sullo sfondo si svolge l’episodio del Boston Tea Party.

138

Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

11.4 La conquista dell’indipendenza La Dichiarazione di indipendenza Gli insorti riuscirono ad armare un esercito di circa ventimila uomini, il Continental Army, e ne affidarono il comando a George Washington (1732-1799), un ricco proprietario di piantagioni della Virginia, già noto per essersi battuto abilmente contro i francesi del Canada e contro i pellirosse loro alleati. Il 4 luglio 1776 i rappresentanti delle tredici colonie riuniti a Filadelfia ruppero ogni rapporto con Londra e si proclamarono autonomi, sottoscrivendo una Dichiarazione di indipendenza redatta da Thomas Jefferson (1743-1826), deputato della Virginia. La Dichiarazione era ispirata alle idee dell’Illuminismo [ 8], assai diffuse in America; vi si affermava che «gli uomini sono stati creati uguali e hanno alcuni diritti fondamentali, il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca del benessere: se un governo non rispetta questi diritti, i cittadini possono abbatterlo e sostituirlo». Alleati d’oltre Oceano La guerra nei primi anni ebbe esiti incerti per i ribelli che, di fronte all’offensiva delle superiori forze inglesi, subirono diverse sconfitte. Gruppi di volontari accorsero in loro aiuto dall’Europa, come il francese La Fayette, il prussiano Steuben, il polacco Kosciuszko, uomini animati da coraggio ed entusiasmo, ma sempre pochi per controbilanciare la sproporzione delle forze. Bisognava trovare alleati presso i governi, perciò fu mandato in missione in Europa a fare opera di propaganda per la causa degli insorti il libraio e scrittore Benjamin Franklin, noto anche per i suoi studi sull’elettricità e l’invenzione del parafulmine [ 9.2]. La Francia, sperando di rifarsi delle perdite coloniali subite nella guerra dei Sette anni, decise di intervenire a fianco dei coloni e inviò un corpo di spedizione, al quale si aggiunsero, poco tempo dopo, contingenti spagnoli e olandesi.

I tempi della storia Una Dichiarazione per il mondo La formazione degli Stati Uniti d’America ha un significato particolare nella storia moderna. Si trattò infatti del primo Stato dell’età moderna fondato su basi democratiche. «Consideriamo verità evidenti per se stesse – si legge nel preambolo alla Dichiarazione d’indipendenza, ispirato alle idee dell’Illuminismo europeo – che tutti gli uomini sono creati uguali e che essi hanno istituito dei governi la cui giusta autorità deriva dal consenso dei governati». Uguaglianza e autogoverno: due princìpi che sul piano politico rappresentavano qualcosa di totalmente nuovo, anche rispetto all’Inghilterra, che pure aveva realizzato da tempo una forma di governo a base liberale. Non si può ignorare che l’uguaglianza e la democrazia, nell’effettiva realtà americana di quegli anni, presentavano dei forti limiti: esisteva la schiavitù dei neri, il diritto di voto era riservato ai cittadini più abbienti, il potere politico era di fatto dominato da un ristretto numero di proprietari terrieri e di grandi commercianti. Ciò non toglie che la nuova repubblica apparisse in quei tempi come un modello per quanti aspiravano a creare una nuo-

va società. Un modello non solo locale, ma universale. «Ci auguriamo – scrisse Thomas Jefferson – che la rivoluzione americana sia per il mondo un segnale; che gli uomini insorgano e spezzino le catene in cui da se stessi si sono legati per ignoranza e superstizione; che essi finalmente conoscano la soddisfazione di scegliere la forma del proprio governo». Questo “segnale” ebbe particolare risonanza in Europa: gli avvenimenti americani avevano mostrato che le aspirazioni a costruire un mondo diverso non erano forzatamente destinate a rimanere idee astratte, ma potevano tradursi in realtà.

Joseph Trumbull, La Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti, firmata a Philadelphia il 4 luglio 1776, XVIII sec. [Yale University Art Gallery, New Haven]

Nel dipinto i cinque membri del Comitato presentano la Dichiarazione al Congresso. In piedi, da sinistra, J. Adams, R. Sherman, R. Livingston, Th. Jefferson, B. Franklin. Di fronte a loro, seduto, il presidente del Congresso, J. Hancock.

Di lì a pochi anni, anche in Francia sarebbe scoppiata una rivoluzione epocale.

Capitolo 11 La Rivoluzione americana La vittoria dei coloni In seguito all’allargamento del conflitto, gli inglesi si resero conto che la possibilità di ottenere una vittoria definitiva diventava improbabile. Perciò decisero di metter fine alla guerra. Il 5 settembre 1783 fu firmata la pace con il trattato di Versailles, presso Parigi. L’Inghilterra riconobbe l’indipendenza delle tredici colonie e restituì alcuni territori che aveva conquistato con la guerra dei Sette anni: alla Francia ritornarono il Senegal (Africa occidentale) e Tobago (Indie occidentali), mentre la Spagna riottenne Minorca e la Florida.

11.5 La nascita degli Stati Uniti d’America

H

U SETTS

Le prime tappe della democrazia Il patto dei padri fondatori era stato nel 1620 il primo passo della democrazia americana; esso non fu infatti stipulato tra sudditi di un sovrano ma tra membri di una comunità libera. Quasi un secolo e mezzo dopo (1776) era avvenuto il secondo passo: la Dichiarazione d’indipendenza. Firmata da 55 rappresentanti dei 13 Stati fondatori dell’Unione, la Dichiarazione intrecciò motivi provenienti dalla tradizione politica inglese (in cui il diritto di fare le leggi apparteneva al Parlamento eC A N A D A non al re) con chiari riferimenti alla cultura illuminista francese (soprattutto là dove si Québec affermava che «tutti gli uomini sono creati uguali», e che «sono dotati dal Creatore di NEW Montréal HAMPSHIRE alcuni inalienabili diritti, come la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità»). AC M A SS NEW Attenta agli aspetti etici e religiosi, la Dichiarazione si preoccupò di giustificare la Boston YORK RHODE ISLAND ribellione da un punto di vista non solo politico ma anche morale, sottolineando come CONNECTICUT la controparte, cioè la monarchia inglese, fosse venuta meno agli impegni nei confronti New York PENNSYLVANIA dei suoi sudditi, e come, di conseguenza, i sudditi fossero autorizzati a ritenere sciolto NEW JERSEY Filadelfia il patto che li legava alla monarchia (argomentazione che evidentemente si rifaceva DELAWARE all’idea del contratto sociale, elaborata in Inghilterra prima ancora che in Francia). MARYLAND

U SETTS

CAN AD A Québec

Colonie americane tra il 1763 e il 1783

VIRGINIA Raleigh NORTH CAROLINA

H

NEW Montréal HAMPSHIRE AC M A SS NEW Boston YORK RHODE ISLAND PENNSYLVANIA Filadelfia

SOUTH CAROLINA Charleston

GEORGIA Savannah

CONNECTICUT New York NEW JERSEY

Jacksonville FLORIDA gna Spa

DELAWARE MARYLAND VIRGINIA

3 178

Raleigh NORTH CAROLINA SOUTH CAROLINA Charleston

GEORGIA Savannah

Jacksonville FLORIDA

Spa gna 3 178

Possedimenti inglesi dopo la pace di Parigi del 1763

Possedimenti inglesi dopo la pace di Parigi del 1763

OCEANO ATLANTICO

Le tredici colonie che si sollevano contro la Gran Bretagna nel 1776 Alla Gran Bretagna dal 1763 al 1783 Zone popolate da pellerossa Confini degli Stati Uniti d’America nel 1783

OCEANO ATLANTICO

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140

Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

Le vie della cittadinanza

L

Un nuovo modello di Stato

a Costituzione del 1787, che da allora a tutt’oggi sta a fondamento degli Stati Uniti d’America, configura un tipico Stato “federale”, cioè una “confederazione” tra più Stati regionali. In un organismo politico di questo tipo, il rispetto delle autonomie locali è il principio prevalente in campi come l’amministrazione della giustizia, la tutela dei diritti civili e politici, la scuola e l’istruzione, l’assistenza medica e ospedaliera: tutti questi settori sono affidati ai singoli Stati, che li gestiscono in maniera diversa uno dall’altro, secondo le tradizioni e le consuetudini locali. Tutti gli Stati che fanno parte della confederazione, tuttavia, si impegnano a rinunciare a una parte della propria sovranità a favore del governo federale, a cui sono riservate le funzioni di interesse gene-

rale: la difesa nazionale, la politica estera, la politica economico-finanziaria e la direzione dei servizi pubblici essenziali (strade, ferrovie, comunicazioni). Una delle novità fondamentali della Costituzione americana fu la separazione dei poteri, secondo il principio teorizzato da Montesquieu [ 10.1] e di fatto già praticato nella monarchia inglese. Così Montesquieu scriveva, nell’opera Lo spirito delle leggi (1748), illustrando come solamente la separazione dei tre poteri potesse garantire libertà politica a un paese: «In ogni Stato esistono tre forme di poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario. Il primo di questi poteri consiste nel fare le leggi, nel correggere o annullare quelle esistenti. Il secondo consiste nel dare corso a queste leggi, os-

sia nell’applicarle, stabilendo la sicurezza dello Stato e istituendo rapporti con altri Stati. Il terzo consiste nel punire chi non rispetta le leggi. Ora, perché esista la libertà politica, bisogna che il governo sia organizzato in modo da impedire che un cittadino possa temere un altro cittadino». Negli Stati Uniti il potere legislativo fu affidato al Congresso, formato da due assemblee: il Senato (due membri per ogni Stato, eletti per sei anni) e la Camera dei rappresentanti (per ogni Stato un numero di membri proporzionale alla popolazione, eletti ogni due anni); il potere esecutivo fu attribuito al presidente, eletto ogni quattro anni; il potere giudiziario fu affidato alle Corti federali dei singoli Stati e alla Corte suprema, il tribunale più alto.

Gli Stati Uniti d’America Nel 1781 il percorso verso la democrazia non era ancora concluso e prima ancora della fine delle ostilità con l’Inghilterra, i rappresentanti delle tredici colonie, riuniti in assemblea a Filadelfia, decisero di aggregarsi in una federazione, alla quale venne dato il nome di Stati Uniti d’America. Inizialmente la federazione ebbe vita difficile e fu sul punto di disgregarsi, in quanto le autonomie e gli interessi particolari di ogni singolo Stato sembrarono prevalere sulle esigenze comuni. I piantatori della Virginia o della Georgia erano lontani dal comprendere i punti di vista e le necessità dei commercianti e degli industriali degli Stati del nord, né questi si rendevano conto dei bisogni e delle aspirazioni dei piantatori. Il problema di come conciliare le autonomie locali e i poteri centrali fu discusso dagli esponenti di tutti gli Stati, che si riunirono nuovamente a Filadelfia nel 1787. Il passo decisivo: la Costituzione I lavori dell’assemblea durarono quasi un anno e dopo accesi dibattiti si giunse a una soluzione di compromesso, grazie all’opera soprattutto di Washington e Franklin. Il 17 settembre del 1787 fu finalmente approvata la Costituzione federale degli Stati Uniti d’America, ispirata al principio dell’equilibrio dei poteri e delle diverse esigenze. Ciascuno degli Stati fondatori fu simboleggiato da una stella bianca nella bandiera azzurra della nuova repubblica, a indicare l’unità e, al tempo stesso, la molteplicità degli interessi rappresentati. Era nata la democrazia americana. Nel 1789 fu eletto il primo presidente: George Washington (1789-97).

Gilbert Stuart, George Washington, 1796 [National Portrait Gallery, Washington]

Capitolo 11 La Rivoluzione americana

Sintesi

La Rivoluzione americana

La colonizzazione dell’America settentrionale Nel XVIII secolo il continente americano era formato da diverse colonie dipendenti da Stati europei: nella parte settentrionale si erano insediati francesi e inglesi. Le popolazioni indigene, i pellirosse, entrarono in conflitto con i conquistatori: le loro abitudini seminomadi erano incompatibili con le tendenze espansionistiche degli europei. Sulla costa atlantica del Nord America si trovavano tredici colonie inglesi, abitate da diverse popolazioni emigrate dall’Europa. I “padri pellegrini”, un gruppo di puritani inglesi in fuga dalle persecuzioni religiose, furono considerati il primo nucleo della futura nazione americana. Tredici colonie in espansione Alla metà del XVIII secolo le colonie inglesi vivevano una fase di espansione economica. Esistevano delle differenze: in quelle settentrionali erano praticati commercio e industria, in quelle centrali (“colonie del pane”) agricoltura e allevamento, in quelle meridionali l’agricoltura di piantagione, con manodopera schiavistica. Dal punto di vista politico le colonie godevano di alcune autonomie e potevano eleggere Parlamenti locali. Dal punto di vista economico i loro interessi erano subordina-

ti a quelli della madrepatria inglese, che dettava i prezzi e le regole del commercio. Inizialmente questi privilegi erano tollerati a causa della protezione che gli inglesi davano ai coloni dalle aggressioni dei francesi provenienti dal Canada. Dalla tassa sul bollo alla guerra I rapporti con l’Inghilterra si incrinarono nel 1765, quando fu imposta la tassa sul bollo (Stamp Act): i coloni rifiutarono la tassa invocando il principio in base al quale nessuna imposizione poteva essere introdotta senza l’assenso dei rappresentanti del popolo in Parlamento, da cui però gli abitanti delle colonie erano esclusi. La tassa fu ritirata. Due anni dopo furono introdotte altre tasse, sul commercio di alcuni beni (tè, carta, vetro) importati nelle colonie dall’Inghilterra. La reazione fu dura: i coloni stabilirono di non acquistare più merci dalla madrepatria, invocando gli stessi diritti degli inglesi. Seguirono tensioni e incidenti, fino a che il re Giorgio III decise di intervenire con l’esercito per reprimere le proteste: si arrivò così allo scontro militare. La conquista dell’indipendenza I coloni armarono un proprio esercito (Continental Army), guidato da George Washington (1732-1799). Il 4 luglio 1776 i

rappresentanti delle colonie sottoscrissero la Dichiarazione di indipendenza, che sanciva la loro autonomia dalla madrepatria, ispirata ai princìpi dell’Illuminismo: uguaglianza tra gli uomini, diritto alla libertà e alla vita, possibilità di abbattere un governo irrispettoso dei diritti dei cittadini. Le prime fasi del conflitto furono favorevoli agli inglesi, ma gli insorti riuscirono a ottenere l’alleanza prima della Francia e poi della Spagna e dell’Olanda. Nel 1783, con la pace di Versailles fu riconosciuta l’autonomia delle colonie, mentre Francia e Spagna ottennero territori precedentemente perduti. La nascita degli Stati Uniti d’America Dopo l’approvazione della Dichiarazione di indipendenza, le colonie si unirono in una federazione, gli Stati Uniti d’America (1781), inizialmente poco coesa, in quanto gli interessi particolari di ogni Stato erano prevalenti su quelli comuni. Una nuova assemblea tra i rappresentanti degli Stati, riunita a Filadelfia nel 1787, giunse ad approvare la Costituzione federale degli Stati Uniti d’America (1787), che disegnava una confederazione di Stati in cui fosse tutelato l’equilibrio tra i diversi interessi e poteri. Il primo presidente della nuova democrazia americana, eletto nel 1789, fu George Washington.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1580

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

1620

1689

1765

1767

1770

1773

nasce la federazione degli Stati Uniti d’America Stamp Act partenza dei padri pellegrini a bordo della nave Mayflower Boston tea party trattato di Versailles costituzione federale degli Stati Uniti d’America fondazione della Virginia a Lexington i volontari americani sparano sulle truppe inglesi introduzione di imposte su tè, carta, vetro e altre merci importate dall’Inghilterra 10. Bill of Rights

1775

1776

1781

1783

1787

1789

11. George Washington è eletto presidente degli Stati Uniti d’America 12. Dichiarazione di indipendenza 13. i soldati inglesi sparano a Boston sui dimostranti provocando alcuni morti

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto.

3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

abrogazione • boicottaggio • bollo • contingente • contrabbando • dazi • federazione • piantagione • pellirosse • puritani • seminomadi

a. Oltre che da inglesi, la popolazione delle colonie era costituita da scozzesi e irlandesi.

V

F

b. I coloni eleggevano Parlamenti che si affiancavano ai governatori inglesi.

V

F

c. Gli indigeni dell’America settentrionale vivevano specialmente di caccia e pesca.

V

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d. Alcuni volontari giunsero dall’Europa in aiuto delle truppe ribelli americane.

V

F

e. La fondazione della Virginia è considerata il primo nucleo della nazione americana.

V

F

f. La Dichiarazione di indipendenza rappresenta il secondo passo della democrazia americana.

V

F

g. I coloni potevano aprire fabbriche in concorrenza con quelle inglesi.

V

F

h. L’indipendenza delle colonie americane fu riconosciuta col trattato di Versailles.

V

F

i. Lo Stamp Act introduceva dei dazi su alcune materie importate dall’Inghilterra.

V

F

l. Nella bandiera degli Stati Uniti, ogni Stato fondatore è rappresentato da una stella bianca.

V

F

m. Alla fine della guerra dei Sette anni cessò il pericolo di incursioni di francesi dal Canada.

V

F

n. Le quattro colonie del Nord svilupparono un florido sistema di industria e commercio.

V

F

o. La più antica università americana fu fondata ad Harvard nel 1636.

V

F

Unione di Stati autonomi Gruppi sociali che compiono periodici o parziali spostamenti Fattoria di estensione ampia Annullamento dell’effettività di una legge Segno impresso su un documento che ne attesta la validità Imposta sui prodotti importati dall’estero Importazione o esportazione di merci senza pagamento dei dazi doganali Seguaci inglesi della riforma protestante Insieme di uomini e reparti armati usati in un’impresa militare Popolazioni indigene dell’America settentrionale Azione condotta da più persone tendente a ostacolare prodotti o enti

4. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. fertile • agricoltura • allevamento • bevande • cavalli • clima • commercio • Connecticut • costruzioni • cotone • Delaware • fattorie • Georgia • grano • piantagione • industria • Maryland • Massachusetts • orzo • Pennsylvania • piogge • schiavi • tabacco • montuoso • tessili • Virginia

QUALI STATI

NORD

CENTRO

SUD

...................................................................... ,

New York, .............................................. , New Jersey, ............................................

................................................

New Hampshire, Rhode Island, ........................................................................

...................................................................... ,

, Carolina del Nord, Carolina del Sud,

........................................................................

CARATTERISTICHE

Terreno ..................................................... e accidentato e non adatto ad attività agricole

QUALE ECONOMIA

...............................

...................................................................... ,

...................................................................... ,

........................................................................

...................................................................... ,

Agricoltura di ...................................... , ........................................................ ampie: manodopera di ..................................... e contadini europei poveri

fattorie QUALI PRODOTTI

caldo, .......................... abbondanti, terreno ............................

Terreno .....................................................

.......................................

navali, prodotti

...................................... , ...............................

alcoliche

.................................. , ................................. , mais, maiali, bovini, ............................

.................................. , ................................. ,

Capitolo 11 La Rivoluzione americana

Indica sulla cartina i territori corrispondenti a ciascuno dei tre gruppi di stati, contrassegnandoli con un diverso colore. LE TREDICI COLONIE INGLESI

5. Completa la seguente tabella inserendo le date e le informazioni mancanti. Data: 1767 • 1773 • 1765 • 1776 • 1783 • 1775 Termini: alleati • americano • autonomia • colonie • Continental Army • contingenti • corpo • equilibrio • Europa • Florida • Francia • Giorgio III • Kosciuszko • indipendenza • inglesi • La Fayette • Lexington • Minorca • Senegal • spagnoli • Stati Uniti • Tobago • truppe • Versailles • volontari • George Washington • Boston Tea Party LA GUERRA D’INDIPENDENZA AMERICANA ORIGINI

• ................................. : Stamp Act: tassa sul bollo che i coloni rifiutano di pagare senza rappresentanza • ................................. : tassa sull’importazione di tè, carta, vetro, materie prime • ................................. : ........................................... (carico di tè inglese gettato in mare)

SCHIERAMENTI

• ................................. re di Inghilterra invia l’esercito per reprimere i disordini • ................................................ : al comando dell’esercito organizzato dagli insorti (..................................................................)

ALLEANZE

• Inizialmente: ................................................ provenienti dall’...........................................: ..............................................., Steuben, ........................................................................................................................................................................................................................................

• Poi: ................................................ (interesse al recupero delle ................................................) invia ............................................... di spedizione e arrivano .............................................. olandesi e ............................................................................................................. EPISODI SALIENTI

• ................................. : .............................................. : .............................................. americani sparano sui soldati ............................. • Invio ..................................................................... e organizzazione esercito .......................................................................................... • ................................. : Dichiarazione di indipendenza: ......................................................... delle ......................................................... • Esito iniziale favorevole agli .....................................................: superiorità militare • Invio contingenti di .......................................................... degli insorti: ....................................................... militare e trattative

ESITO FINALE

Pace di ...............................................................................

CONSEGUENZE

• ................................. : riconoscimento dell’............................................................... e nascita di un nuovo Stato • Francia: ottiene .......................................................... e ........................................................... • Spagna: ottiene .......................................................... e ...........................................................

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

Analizzare e produrre 6. Leggi il documento “L’economia americana a servizio del monopolio inglese” riportato a p. 136 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quali erano le caratteristiche di produzione e commercio nelle colonie inglesi nordamericane? 2. In che modo si innescano i contrasti con la madrepatria? 3. Che cosa fu decretato circa le importazioni e le esportazioni di beni nelle colonie? 4. Che cosa fu decretato circa il commercio dei cappelli prodotti nelle colonie? 5. Che cosa fu decretato riguardo le fabbriche in cui si lavorava il ferro nelle colonie? 6. Quale forma di governo caratterizzava le colonie? 7. Quali limitazioni subiva l’economia delle colonie? A vantaggio di chi? Con quali reazioni? 8. Quali norme entrarono in contrasto con gli interessi dei coloni? Perché? Con quale esito? 9. A quale principio si appellarono i coloni? Che cosa rivendicarono in base a esso? 10. In seguito a quali eventi la situazione si deteriorò definitivamente? Con le informazioni ottenute, integrandole con quelle presenti nella tabella del precedente esercizio, scrivi un testo di almeno 15 righe dal titolo “Cause ed effetti della Rivoluzione americana”.

7. Verso il saggio breve Leggi i documenti “Una Dichiarazione per il mondo” e “Un nuovo modello di Stato” riportati rispettivamente a p. 138 e a p. 140 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quali princìpi sono indicati nel preambolo alla Dichiarazione di indipendenza? 2. Che caratteristiche hanno questi princìpi rispetto alle forme di governo allora esistenti? 3. Nella realtà effettiva questi princìpi presentavano alcuni limiti? 4. Per quale motivo il nuovo Stato appariva un modello? Per chi lo era? 5. Quale segnale può dare la Rivoluzione americana al mondo secondo Thomas Jefferson? 6. Quali conseguenze ebbero in Europa gli avvenimenti americani? 7. Quando fu approvata la Costituzione degli Stati Uniti? Quale forma di Stato configura? 8. In quali campi sono rispettate le autonomie locali? 9. In quali campi vi è una competenza del governo federale? 10. Quale principio è applicato nella Costituzione americana? Da chi era stato teorizzato? 11. A chi è attribuito negli Stati Uniti il potere legislativo? 12. A chi è attribuito negli Stati Uniti il potere esecutivo? 13. A chi è attribuito negli Stati Uniti il potere giudiziario? 14. Per quanto tempo è rimasta in vigore la Costituzione degli Stati Uniti? Con le informazioni ottenute, scrivi un testo di almeno 12 righe dal titolo “Nuove idee alla base di un nuovo Stato: i caratteri di novità degli Stati Uniti d’America”.

Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

12 La Rivoluzione

Capitolo

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francese

Percorso breve Nel 1789 la Francia fu sconvolta da una rivoluzione di straordinaria importanza storica, che segnò la fine della sovranità dei re e l’inizio della sovranità dei popoli. A quel tempo, il potere del re era assoluto e un totale immobilismo caratterizzava la politica del paese, in stridente contrasto con il dinamismo dell’economia. La società, divisa in tre categorie o “stati” (nobiltà, clero, terzo stato), era fondata sul privilegio e sulla disuguaglianza: il peso del lavoro e delle tasse ricadeva interamente sul terzo stato (contadini e borghesie cittadine). Nel maggio 1789 il re convocò gli Stati generali (l’assemblea dei rappresentanti dei tre stati) per studiare il problema del disavanzo pubblico e la proposta, fatta dai ceti borghesi, di estendere a tutti il peso fiscale. I rappresentanti del terzo stato chiesero che si votasse non più “per stato”, come in passato, ma “per capo”, cioè per persona: un sistema che avrebbe assicurato la prevalenza del terzo stato, che contava un maggior numero di rappresentanti. Di fronte al rifiuto del re, costoro si separarono dall’assemblea e si autoproclamarono Assemblea nazionale costituente, compiendo il primo gesto di rottura rivoluzionaria. Il re reagì concentrando truppe su Parigi. La folla si scatenò e assalì la prigione della Bastiglia, liberando i carcerati (14 luglio). Il moto dilagò in tutto il paese, i contadini diedero l’assalto ai castelli nobiliari e incendiarono gli archivi in cui si conservavano i documenti del privilegio feudale. Anche dietro la spinta di questi fatti, l’Assemblea (in cui i gruppi della sinistra radicale, i cosiddetti “cordiglieri”, “giacobini” e “girondini”, progressivamente

La presa della Bastiglia, il 14 luglio 1789 [Musée Carnavalet, Parigi]

andavano imponendosi su quelli della destra moderata, i cosiddetti “foglianti”) si affrettò ad abolire questi privilegi e formulò una Dichiarazione dei diritti dell’uomo (26 agosto 1779) ispirata ai princìpi illuministi su cui già si era basata la Dichiarazione d’indipendenza americana. Il problema del debito pubblico e del disavanzo di bilancio fu affrontato espropriando i beni degli enti ecclesiastici: gli ordini religiosi furono soppressi e le loro proprietà furono vendute a privati cittadini. In tal modo si costituì un forte nucleo di interessi e un’ampia solidarietà sociale nei confronti della rivoluzione. Nel 1791 fu redatta una Costituzione che accoglieva i princìpi della sovranità popolare (Rousseau) e della separazione dei poteri (Montesquieu): la Francia in tal modo cessava di essere una monarchia assoluta.

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12.1 Una monarchia distante, un paese inascoltato Rapporti di forza tra nobiltà e monarchia Negli ultimi decenni del Settecento la Francia era un paese in difficoltà. La politica assolutista di Luigi XIV [ 2.2] aveva creato una scollatura fra il governo e il paese. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1715, la monarchia aveva perso prestigio e il potere nobiliare si era di nuovo rafforzato. Il suo successore, il pronipote Luigi XV, era ancora minorenne quando salì al trono; fino al 1723 la reggenza fu tenuta da Filippo di Orléans (1674-1723), nipote del Re Sole. Luigi XV regnò fino al 1774, per quasi mezzo secolo, e cercò di riaffermare il potere assoluto della monarchia ma senza avere la forza di combattere i privilegi dei nobili. Si creò dunque una situazione di stallo, che impediva di attuare qualsiasi riforma, in un momento in cui la grave crisi finanziaria (dovuta principalmente alle enormi spese sostenute per i conflitti bellici) avrebbe reso indispensabile assoggettare alle imposte anche la nobiltà e il clero, che tradizionalmente ne erano esenti. Un paese bloccato Per certi aspetti, la Francia era uno degli Stati europei più evoluti: l’agricoltura era fiorente, nuove industrie erano sorte nel campo tessile, metallurgico, navale. Il contrasto fra dinamismo economico e immobilismo politico era clamoroso, e su tale situazione il dibattito era acceso: il pensiero illuminista e la critica politica diffondevano la consapevolezza che il sistema di governo era inadeguato alle necessità del paese, l’ordinamento statale era antiquato ed era quantomai urgente una riforma fiscale. La situazione si aggravò quando salì al trono Luigi XVI (1774-93), un sovrano debole, incerto, che per giunta si trovò a dover fronteggiare una grave carestia (seguita da una serie di rivolte contadine) e a sostenere un ulteriore aumento delle spese pubbliche per l’appoggio militare dato dalla Francia alla ribellione dei coloni americani contro la madrepatria inglese [ 11.4]. La convocazione degli Stati generali Il re cercò di istituire una speciale imposta fondiaria da applicare a tutti i proprietari terrieri ma il progetto fu bocciato dall’assemblea dei notabili, aristocratici ed ecclesiastici, più che mai decisi a conservare i propri privile-

Louis-Charles-Auguste Couder, Apertura degli Stati generali il 5 maggio 1789 [Musée National du Château, Versailles]

L’ultima volta l’Assemblea degli Stati generali era stata convocata nel 1614, sotto il regno di Luigi XIII. I deputati presenti nel 1789 appartenevano al clero, alla nobiltà e al “terzo stato”. Per conquistare la maggioranza i deputati del terzo stato, i più numerosi, chiesero di votare “per testa” (un uomo un voto) e non più “per stato” (un voto unico) come avveniva in passato.

Capitolo 12 La Rivoluzione francese

Aa Documenti Rimostranze e richieste La convocazione degli Stati generali (maggio 1789) rappresentò per la popolazione francese un’occasione per presentare all’assemblea critiche alle leggi e proposte di riforma. Ogni città, ogni paese, ogni comunità contadina espose le sue richieste e i suoi problemi particolari nei cosiddetti Cahiers de doléances (‘quaderni di rimostranze’). In tali “quaderni”

si rispecchia la situazione del paese e lo stato d’animo dei ceti sociali più numerosi, quelli che costituivano il cosiddetto “terzo stato”. Vediamone qualche esempio, osservando come le proteste non mettano in discussione – per il momento – il ruolo del re e della monarchia, ancora avvertita come possibile garante di una maggiore giustizia sociale. Il malcontento

I

borghesi chiedono l’abolizione dei privilegi fiscali Chiediamo che le imposte siano ripartite fra tutti i sudditi, nobili, ecclesiastici e altri, senza distinzione né privilegi, in maniera uniforme, proporzionale, chiara. Chiediamo che, per l’avvenire, siano riformate le leggi in modo che nessuna tassa possa essere stabilita se non è stata prima approvata dall’assemblea dei rappresentanti della nazione.

I contadini chiedono l’abolizione delle servitù personali Chiediamo che siano abolite le corvées1 e le bannalità2 e tutti gli altri diritti che si rifanno alla servitù personale e al regime

ha come oggetto principale i privilegi della nobiltà, sia di tipo fiscale (come soprattutto fanno notare le lamentele avanzate dalle forze borghesi) sia di tipo economico e sociale (su cui si soffermano i contadini, vessati dalle prepotenze nobiliari e da anacronistici privilegi feudali).

feudale; chiediamo pure che sia soppressa la tassa sul macinato che si riscuote nei mulini. La libertà deve essere garantita dalla legge Chiediamo che sia assicurata la libertà di ogni persona, che nessuno possa essere arrestato se non in flagranza di delitto o in virtù di un decreto o di una sentenza. Il che comporta l’abolizione del privilegio del re di ordinare con un suo biglietto la carcerazione di qualcuno. E chiediamo che nessuno sia punito senza prima ascoltarlo e senza avere osservato le forme prescritte dalla legge. dai Cahiers de doléance di Valleraugue, Civray e Arcis

1 Prestazioni di lavoro gratuite. 2 Contributi imposti dai nobili ai contadini e agli abitanti dei villaggi.

gi e vantaggi. Essi convinsero il re a convocare gli Stati generali, l’organo di rappresentanza dei tre corpi sociali (detti appunto “stati”, o “ordini”) ufficialmente riconosciuti nel paese: nobili, clero e “terzo stato” (che comprendeva tutti gli altri ceti sociali). L’assemblea non veniva più riunita dal 1614, da quando cioè Maria de’ Medici, madre di Luigi XIII [ 2.1], l’aveva convocata nel vano tentativo di risolvere i continui contrasti tra la monarchia, la nobiltà e la borghesia. L’obiettivo non fu raggiunto e l’assemblea venne sciolta per essere riconvocata nuovamente solo dopo quasi due secoli da Luigi XVI. Il sovrano pensava di affidare agli Stati generali la discussione di una riforma fiscale che non soltanto le borghesie cittadine, ma anche la parte più avanzata della nobiltà, di orientamento liberale e sensibile al modello parlamentare inglese, ritenevano non più rimandabile.

12.2 Nobili, clero, “terzo stato”: la società di ancien régime Una società divisa in “ordini” Secondo uno schema sociologico di origine medievale, la società era suddivisa in tre gruppi, detti “stati” o “ordini”, e ancora nel XVII e nel XVIII secolo questo modello ideale determinava in Francia le modalità di elezione delle rappresentanze politiche. Il primo stato comprendeva i nobili, circa 350.000 persone nel 1780, che possedevano gran parte delle terre – circa un quarto dell’intero paese – e godevano di molti privilegi: del tutto esenti dalle imposte statali, nei loro possessi riscuotevano tasse di vario genere derivanti dagli usi feudali; inoltre esercitavano le funzioni giudiziarie. Il secondo stato era costituito dai religiosi, il clero secolare (preti) e regolare (monaci), circa 120.000 persone nel 1780, anch’essi esenti dalle imposte e autorizzati a riscuotere dalla popolazione uno speciale tributo chiamato “decima”, perché calcolato sulla decima parte dei redditi (frutti della terra e degli animali).

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna Il terzo stato era costituito da tutte le altre categorie sociali: la più numerosa era quella dei contadini, circa 20 milioni su una popolazione di 25 milioni, fra medi e piccoli proprietari, affittuari e braccianti. Su di essi gravavano i carichi più pesanti, dalle imposte del re agli innumerevoli diritti dei nobili, alle decime dovute al clero. Al “terzo stato” appartenevano inoltre le numerose categorie della borghesia urbana, che si differenziava in molteplici attività: lavoratori manuali, operai, artigiani, bottegai, impiegati, farmacisti, medici, commercianti all’ingrosso, avvocati, notai, banchieri, funzionari di Stato.

Le modalità di rappresentanza Nell’assemblea degli Stati generali, i gruppi privilegiati tradizionalmente erano sicuri di far prevalere il proprio punto di vista e i propri interessi, in quanto il sistema di votazione assicurava sempre a loro la maggioranza: si votava, infatti, non per persona ma per stati: ciascuno dei tre gruppi aveva a disposizione un solo voto, quindi la nobiltà e il clero, unendosi insieme, prevalevano regolarmente sull’unico voto del “terzo stato”. Era anche per questo motivo che quando i nobili o il clero reclamavano la convocazione degli Stati generali le questioni all’ordine del giorno si risolvevano quasi sempre in loro favore (a meno che i contrasti interni tra i due ordini non prendessero il sopravvento). Ancien régime La società divisa in ordini, e rispecchiata negli Stati generali, era una società fondata su una forte disuguaglianza sociale e su una rigida gerarchia, il ruolo rivestito da ogni individuo era prefissato all’interno di ciascun ceto. Al centro e al vertice di questa società vi era la figura del sovrano, che governava sui suoi sudditi e legiferava per “grazia di Dio”, ossia per diritto e volontà divina; in virtù di questa sua particolare natura, egli era difficilmente contestabile. Un modello sociale e politico così organizzato si rifletteva anche in campo economico: in Francia questo si tradusse in interventi da parte dello Stato che finirono per soffocare i tentativi di crescita delle borghesie cittadine, dal momento che l’interesse primario del re fu quello di riempire le casse statali piuttosto che dare risposte alle reali necessità di sviluppo del paese.

I tempi della storia Dal Medioevo al Settecento, i tre stati della società La suddivisione della società (e delle sue rappresentanze politiche) in tre gruppi o “stati” rimanda allo schema sociologico elaborato in Europa durante il Medioevo, tra la fine del IX e la metà dell’XI secolo [ vol.1, 2.3]. Questo schema individuava nel corpo sociale tre “ordini” (ordines) strettamente integrati fra loro e reciprocamente necessari, ciascuno con una sua specifica funzione svolta nell’interesse di tutti. L’ordine degli oratores (in latino, ‘coloro che pregano’) aveva il compito di provvedere alla salvezza eterna mediante la preghiera. L’ordine dei bellatores (‘coloro che combattono’) aveva il compito di provvedere con le armi alla difesa di tutti. Infine, l’ordine dei laboratores aveva il compito di lavorare, per produrre il cibo, i beni e i servizi necessari al sostentamento della comunità. L’ideologia della società tripartita, che, almeno in parte, rispecchiava i reali caratteri della società medievale, rimase in vigore per molti secoli, anche quando le condizioni effettive della società – per la crescita del ceto borghese e il progressivo differenziarsi

Allegoria dei tre stati di Francia [C.F.F. Archive, Londra]

Capitolo 12 La Rivoluzione francese Oramai nel Settecento questo tipo di società e l’ideologia che ne era alla base erano diventate obsolete: gli accadimenti francesi che stavano per iniziare con la convocazione degli Stati generali da parte di Luigi XVI ne avrebbero presto sancito il tramonto. Nel 1790 per indicare quel vecchio modello di società e il suo assetto politico, istituzionale, economico e sociale fu coniata l’espressione ancien régime, ‘antico regime’, ben presto adottata anche nel resto d’Europa per indicare situazioni analoghe.

Distribuzione della popolazione nei tre stati

0,3% 1,7% 1,7% 0,3% 17% 17% 81% 81%

Clero Clero Nobiltà Nobiltà Terzo Terzo stato: stato: borghesi borghesi ee artigiani artigiani Terzo stato: contadini Terzo stato: contadini

delle attività economiche e politiche – non corrispondevano ormai più a quello schema. Gli Stati generali francesi erano l’espressione politica di quella ideologia. Riuniti per volere del re, solo per pareri e consigli non vincolanti, essi rappresentavano l’unità della nazione attorno alla monarchia. La convocazione del 1789, dopo quasi due secoli da quando l’assemblea era stata riunita l’ultima volta, ebbe dunque un carattere di conservazione, di ripristino dell’antica “legalità” e dell’antico “ordine” di fronte alle rivendicazioni di una società che nel frattempo era enormemente cambiata. L’immagine della società tripartita fu utilizzata anche dai rivoluzionari per esprimere le proprie esigenze di cambiamento. Molte caricature e stampe satiriche dell’epoca fecero da supporto alla polemica ideologica e allo scontro politico, mostrando, per esempio, il “terzo stato” schiacciato dai privilegi dei nobili e del clero, esenti da ogni tipo di obbligo civico, a cominciare dal pagamento delle tasse.

Il risveglio del terzo stato. Luglio 1789 [C.F.F. Archive, Londra]

Si vedano le due stampe del 1789. Nella prima (a p. 148) un rappresentante del clero e un rappresentante della nobiltà schiacciano, con l’aiuto di un masso sul quale si intravede la scritta «Tasse, imposte e corvées», un rappresentante del popolo; nella seconda (in questa pagina) si legge al piede della stampa: «Bisogna sperare che il gioco finisca presto». Il peso cui alludono le immagini è quello dei doveri sociali e principalmente quello fiscale, dato che i nobili e il clero tradizionalmente erano esentati da ogni tipo di tasse.

Il clero e la nobiltà sulle spalle del terzo stato, 1789 [Musée Carnavalet, Parigi]

In questa polemica acquaforte, viene rappresentato il terzo stato (contadini e borghesi) che regge, sulla propria schiena, gli altri due ordini (nobili e clero) che, se pur in numero inferiore, piegano sotto il loro peso l’intero terzo stato.

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12.3 Gli Stati generali e l’inizio della rivoluzione L’Assemblea nazionale del terzo stato Convocati da Luigi XVI, gli Stati generali si riunirono a Versailles il 5 maggio 1789. Sin dalle prime sedute gli avvenimenti presero un andamento contrario alle aspettative degli aristocratici: il “terzo stato” dichiarò di non accettare il tradizionale sistema di votazione “per stati” e propose che si votasse “per testa”, cioè che ogni deputato disponesse di un suo voto personale. Seguendo questa regola, il “terzo stato” avrebbe potuto avere la maggioranza in quanto contava da solo 600 deputati, contro i 550 degli altri due “stati” messi insieme. Pro e contro la proposta sorsero discussioni accanite, fino a quando, il 17 giugno, il “terzo stato” decise di separarsi dagli altri e di proclamarsi Assemblea nazionale, poiché il fatto di rappresentare la quasi totalità del paese – circa il 98% dell’intera popolazione – gli dava il diritto di operare in nome della Francia, con o senza la partecipazione dei nobili e del clero. Con quel gesto di sfida contro il re e gli ordini privilegiati, il “terzo stato” compì il primo atto di rottura che segnò l’avvio del movimento rivoluzionario. Giuramento e monarchia costituzionale Il re cercò di reagire facendo chiudere la sala delle sedute, per impedire al “terzo stato” di riunirsi ancora. Ma i delegati, fermi nel loro proposito, si radunarono in una sala attigua, una palestra adibita al gioco della pallacorda (una specie di pallavolo) e qui giurarono di rimanere uniti per preparare una nuova Costituzione. Il re finì per cedere e invitò i nobili e il clero a prendere parte anch’essi ai lavori dell’assemblea che, secondo il nuovo corso impresso dal “terzo stato”, aveva cambiato radicalmente nome e scopo. Non più Stati generali, convocati dal monarca con funzioni consultive per esprimere pareri sul bilancio di Stato, ma un’Assemblea nazionale costituente volta a dare una Costituzione alla Francia (il 27 giugno 1789 il testo era pronto). Era un fatto indubbiamente rivoluzionario: si proponeva di porre fine alla monarchia assoluta e di dare inizio a una monarchia costituzionale. Alla Bastiglia! Di fronte agli avvenimenti in corso, i consiglieri più intransigenti del re reagirono duramente e fecero concentrare truppe intorno a Parigi, per ristabilire la piena autorità regia nei confronti dell’Assemblea. L’intervento dei militari scatenò il furore del popolo. Una gran folla, in maggioranza artigiani del quartiere di Saint-Antoine, si impadronì di fucili e cannoni nella caserma detta “degli Invalidi” e assalì la Bastiglia, la fortezza in cui erano rinchiusi i carcerati, occupandola e liberando i prigionieri. Jean-Pierre-Louis-Laurent Houel, La presa della Bastiglia il 14 luglio 1789, fine XVIII sec. [Musée Carnavalet, Parigi]

Questo dipinto rappresenta la presa della Bastiglia (il grande carcere parigino) e la conseguente scarcerazione di tutti i detenuti che vi erano all’interno. La presa della fortezza-carcere divenne immediatamente il simbolo della liberazione dall’oppressione della tirannide del re e dei suoi nobili.

Capitolo 12 La Rivoluzione francese Era il 14 luglio 1789, data che la Francia non dimenticò più e che dal 1880 celebra come festa nazionale. La presa della Bastiglia acquistò un valore di simbolo, rappresentò agli occhi dei cittadini la vittoria della libertà contro la tirannide. A Parigi si formò un nuovo Consiglio municipale, costituito di membri non più di nomina regia ma eletti dal popolo, e contemporaneamente fu istituita a presidio della rivoluzione una forza armata di volontari, detta Guardia nazionale, comandata dal marchese Marie-Joseph de La Fayette (1757-1834), che si era segnalato per aver combattuto in America a fianco dei coloni insorti per l’indipendenza [ 11.4].

Nicholas Henry Jeaurat de Bertry, Allegoria della Rivoluzione francese, XVIII sec. [Musée Carnavalet, Parigi]

12.4 La fine del regime feudale La “Grande paura” Dalla capitale il moto rivoluzionario si estese alle province: in molte città sorsero municipalità di cittadini nominati con libere elezioni e corpi locali di Guardie nazionali, mentre nelle campagne l’eco degli sconvolgimenti parigini, unito alla fame e al timore di possibili assalti di briganti o di complotti aristocratici, provocarono una serie di rivolte contro la nobiltà terriera. Tra luglio e agosto del 1789, un periodo che passò alla storia con il nome di “Grande paura”, i contadini assalirono i castelli dei nobili, distruggendo gli archivi e dando alle fiamme le carte su cui erano registrati i diritti feudali e i privilegi nobiliari. Furono moltissimi i grandi proprietari terrieri costretti alla fuga. «Il 12 agosto 1789, verso le 10 del mattino – narra, per esempio, una cronaca del tempo – gli abitanti dei villaggi di Prémilieu dipendenti dall’abbazia di Saint-Sulpice giunsero tumultuando, in numero di circa seicento, nei pressi dell’abbazia. Si affollarono nell’ufficio del priore e lo costrinsero con ogni mezzo a consegnare le ricevute delle somme che essi dovevano versare all’abbazia. Poi entrarono negli archivi e asportarono tutti i documenti, gli incartamenti e i libri di conti che trovarono; trasportarono tutto nel cortile dell’abbazia, ne fecero un mucchio e obbligarono il priore, il vice priore e il reverendo ad appiccare il fuoco». Episodi come questo si ripeterono ovunque, con un furore distruttivo dal forte valore simbolico (rivendicare la propria libertà) oltre che “tecnico” (cancellare i segni delle servitù contadine). L’abolizione dei diritti feudali Sotto la pressione di questo moto di popolo, l’11 agosto 1789, venti giorni dopo la presa della Bastiglia, l’Assemblea nazionale decretò l’abolizione del “regime feudale”, espressione con cui si intendeva l’insieme dei diritti esercitati dai nobili a scapito dei contadini. Si trattò di un provvedimento di particolare significato storico, che segnava la fine di un’epoca; da quel momento le persone e le terre dei contadini furono affrancate dai vincoli a cui erano soggette da secoli, come il diritto di ottenere prestazioni di lavoro gratuite (corvées), di incassare particolari tributi, di esercitare la giustizia nel territorio dipendente dal castello. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo L’Assemblea stabilì inoltre l’abolizione di tutti i privilegi, compresi quelli fiscali, e, mentre il clero rinunciava alla decima, si affermò che la riscossione delle imposte si sarebbe fatta «su tutti i cittadini e su tutti i beni nello stesso modo e con la medesima modalità». Appena qualche giorno dopo, il 26 agosto 1789, l’Assemblea nazionale costituente approvò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, diciassette articoli che, ispirati alle idee dell’Illumi-

La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, 26 agosto 1789 [Musée Carnavalet, Parigi]

In questo dipinto allegorico è formulata la prima essenza dei diritti dell’uomo scaturita dalla Rivoluzione francese.

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna nismo e modellati sulla Dichiarazione di indipendenza americana [ I tempi della storia, 11.4], fissavano i princìpi ai quali dovevano ispirarsi il nuovo Stato e la costituzione che l’Assemblea stava elaborando, in particolare la libertà e l’uguaglianza. «Gli uomini nascono e vivono uguali nei diritti»; «il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione»; «la legge è l’espressione della volontà generale»; «la libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri»; «la libertà di pensiero, di parola, di stampa è uno dei diritti più preziosi dell’uomo»: questi e altri princìpi della Dichiarazione dei diritti erano destinati a diffondersi nel mondo e a diventare il fondamento di tutte le Costituzioni moderne.

Le vie della cittadinanza

L

I diritti dell’uomo e del cittadino

a Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, pubblicata nell’agosto del 1789, è la base della Costituzione francese e di molte altre Costituzioni di Stati democratici del mondo contemporaneo. Il termine “cittadino” ha, nel nostro linguaggio, due diversi significati: da un lato indica l’abitante di una città e si contrappone a “contadino”; dall’altro indica chi gode dei diritti politici all’interno di una comunità locale o nazionale. Nella lingua francese, a differenza di quella italiana, i due significati sono espressi da parole diverse: citadin è l’abitante della città, citoyen il membro di una comunità politica. Questo secondo significato era già presente nel latino civis, usato per indicare chi godeva dei diritti politici riconosciuti ai Romani. Il concetto risaliva ancora più indietro, alla Grecia antica, quando i diritti di cittadinanza si realizzavano all’interno della città-Stato, la polis (da cui derivano il termine e il concetto di “politica”). Con la Rivoluzione francese, l’idea di “cittadino” si sostituisce a quella di “suddito” per indicare coloro che costituiscono uno Stato, non più intesi come dipendenti da un monarca, bensì come protagonisti attivi della vita politica e come detentori in

prima persona della sovranità (così come volevano le teorie contrattualistiche apparse in Olanda e in Inghilterra nel XVII secolo, secondo cui i cittadini cedono la loro sovranità ai governanti, i quali devono però agire nell’interesse collettivo). Questa idea della sovranità popolare è chiaramente espressa nella Dichiarazione francese del 1789. Tipicamente contrattualista, ma in questo caso di origine già medievale (trovandosi espressa per la prima volta nella Magna Charta inglese del 1215), è l’idea che i cittadini, assumendosi l’onere di pagare le tasse, hanno il diritto di approvarle preventivamente, e di controllare il modo in cui i governanti impiegano le risorse ottenute con il prelievo fiscale. Come abbiamo visto, questa idea fu decisiva nel far esplodere la rivoluzione dei coloni americani contro la madrepatria inglese. Altro elemento significativo della Dichiarazione dei diritti, derivato della cultura illuminista, è il fatto di riconoscere i diritti dell’uomo (di pensiero, di parola, di religione, di espressione, ecc.) come prerogative che gli spettano “naturalmente”, a prescindere da considerazioni di carattere

La Repubblica trionfante, 1870 [Musée Carnavalet, Parigi]

La massima manifestazione di libertà di un popolo consisteva per i democratici nell’espressione del voto, col quale si partecipava in modo diretto alla vita politica nazionale. In questa raffigurazione sono condensati i temi principali del pensiero democratico: sul piedistallo del suffragio universale poggia la personificazione della Repubblica, circondata dai simboli della Rivoluzione francese: la tavola dei diritti del cittadino, la spada che rappresenta la libertà e il fascio che rappresenta la Giustizia. La Repubblica schiaccia col piede sinistro la corona, simbolo della monarchia.

religioso. In questo, come nell’impostazione generale, il testo è fortemente debitore della Dichiarazione d’indipendenza americana di appena tredici anni prima (1776), a sua volta fortemente debitrice del pensiero illuminista francese. Si attua il tal modo un fecondo cortocircuito tra Europa e America, Francia e Stati Uniti, nell’elaborare i fondamenti del pensiero democratico moderno.

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12.5 I gruppi d’opinione nell’Assemblea costituente Sinistra e cordiglieri, giacobini, girondini I lavori dell’Assemblea costituente durarono circa due anni, nel corso dei quali incominciarono a delinearsi correnti politiche diverse, che si manifestavano anche nella diversa posizione dei seggi occupati in aula dai deputati rispetto alla presidenza. A sinistra sedevano i gruppi di idee più avanzate (riuniti in club, associazioni politiche): cordiglieri, giacobini, girondini. I cordiglieri (così chiamati dal luogo in cui si riunivano, l’ex convento dei frati francescani conventuali, detti Cordeliers) erano il gruppo che più accesamente sosteneva i princìpi della rivoluzione; vi aderivano soprattutto i ceti popolari, artigiani, operai, bottegai, piccoli commercianti; i leader più in vista erano i giovani avvocati Georges-Jacques Danton (1759-1794) e Camille Desmoulins (1760-1794), il medico Jean-Paul Marat (17431793), il giornalista Jacques-René Hébert (1757-1794). I giacobini (che derivavano il nome dalla loro sede, l’ex convento dei frati domenicani dedicato a san Giacomo e detto dei Jacobins) rappresentavano numerosi gruppi della media e alta borghesia; erano il gruppo meglio organizzato, che coordinava centinaia di società affiliate e per certi aspetti prefigurava la struttura dei moderni partiti politici. Fra i membri di maggior prestigio si segnalavano gli avvocati Maximilien Robespierre (1758-1794), presidente dell’associazione dal 1790, e Jacques-Pierre Brissot (1754-1793). Quest’ultimo diventò in seguito il leader dei girondini, un gruppo interno all’organizzazione giacobina, così chiamati perché provenienti in gran parte dal dipartimento della Gironda.

La Parola

sinistra, destra, centro I termini “sinistra” e “destra”, utilizzati ancora oggi per indicare diversi orientamenti politici (rispettivamente, i progressisti e i conservatori), nacquero al tempo della Rivoluzione francese, con riferimento alla posizione che i vari gruppi occupavano nell’Assemblea costituente.

Destra e foglianti, centro e pianura La destra dell’Assemblea era occupata dai foglianti (Feuillant era il fondatore del monastero in cui il gruppo aveva sede). Di saldi princìpi monarchici, provenivano per la maggior parte dalla borghesia agiata. Al centro sedeva il gruppo più numeroso, privo di forti riferimenti ideologici, persone di diversa estrazione sociale che di volta in volta appoggiavano l’una o l’altra proposta, secondo le circostanze e le opportunità. Erano chiamati pianura o anche, in tono dispregiativo, palude. La separazione dei poteri e la riforma elettorale Benché di tendenze politiche diverse e talvolta contrastanti, i deputati dell’Assemblea furono tutti d’accordo su un punto: il nuovo Stato doveva essere una monarchia costituzionale di tipo inglese, nella quale i tre poteri – esecutivo, legislativo e giudiziario – fossero chiaramente separati. Un’assemblea giacobina nel gennaio 1792 [Bibliothèque Nationale, Parigi]

Costituito nel maggio 1789 da alcuni parlamentari, il club dei giacobini in poco tempo riuscì a costituire una fitta rete di società affiliate in tutto il paese, diventando centro propulsore a livello nazionale della politica rivoluzionaria.

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna Molto dibattuto fu il problema del diritto di voto: una parte proponeva di estenderlo a tutti i cittadini limitatamente agli uomini (in Francia come in Italia il suffragio universale, cioè esteso a uomini e donne, è un fatto di recente acquisizione e risale al 1946), altri pensavano che dovesse essere riservato ai benestanti. Fu questa la proposta che prevalse, per cui alla fine i cittadini con diritto di voto risultarono circa 4 milioni. Questo sistema elettorale suscitò molte critiche tra i gruppi democratici e provocò reazioni di protesta: il cordigliere Desmoulins scrisse, ironicamente, che con quel sistema il filosofo Rousseau (che, come era noto, non aveva grandi disponibilità economiche) non sarebbe stato eleggibile.

12.6 I provvedimenti economici dell’Assemblea

Il prete messo al torchio caccia fuori i denari accumulati in secoli di privilegi e corruzione, fine XVIII sec. [Bibliothèque Nationale, Parigi]

In questa incisione satirica dell’epoca rivoluzionaria è rappresentato un prete che, messo al torchio, sputa dalla bocca le monete che ha indebitamente accumulato. I moti rivoluzionari furono talmente forti e coinvolgenti da essere la molla che fece capovolgere interamente lo stato delle cose sia in città sia in campagna.

La vendita dei beni ecclesiastici Un problema impegnò particolarmente i lavori dell’Assemblea nel 1790: quello del bilancio statale. Da tempo, ancora prima della rivoluzione, si erano fatti diversi tentativi per far fronte all’indebitamento dello Stato, ma senza successo, così che le difficoltà finanziarie continuavano a pesare sulla vita della nazione. Nel corso delle riunioni e dei dibattiti intorno a questo problema, l’Assemblea costituente prese un provvedimento straordinario: espropriare i beni del clero, un esteso patrimonio fondiario di grande valore (il 10% dell’intero territorio) che, incamerato dallo Stato, frazionato e venduto ai privati, avrebbe potuto procurare alla nazione una gran parte del denaro necessario a sanare il disavanzo pubblico. Almeno così si pensava. In realtà la vendita delle terre espropriate, che fu compiuta gradualmente, a lotti e anche con pagamenti rateali attraverso l’emissione dei cosiddetti “assegnati”, non diede i risultati sperati, nel senso che non procurò ricchezza sufficiente a colmare il debito pubblico. Anzi, nel giro di pochissimi anni il valore iniziale degli assegnati crollò: da titoli di prestito statali essi divennero carta-moneta e, essendo stati stampati in una quantità enorme (per un ammontare di circa 45 miliardi di lire francesi, a fronte di una copertura reale del valore dei beni ecclesiastici di pochi miliardi) contribuirono a provocare un deficit finanziario catastrofico. Nel 1795 la loro svalutazione sfiorò il 92%. Gli interessi rivoluzionari dei nuovi proprietari Di grande rilievo, invece, furono le conseguenze politiche e sociali della vendita. Infatti, coloro che avevano comprato una porzione dei beni ecclesiastici – per lo più borghesi e agricoltori – si legarono strettamente alle sorti della rivoluzione e la sostennero con decisione: da essa beneficiati, furono disposti da quel momento a fare qualsiasi sforzo pur di non consentire un ritorno al vecchio regime, che avrebbe rivendicato i beni del clero e quindi espulso i nuovi proprietari. Da questo nuovo ceto di agricoltori proprietari venne una ferma decisione di resistenza che salvò la rivoluzione nelle sue ore più difficili. La Costituzione civile del clero Dopo la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici, l’Assemblea approvò la Costituzione civile del clero: lo Stato si impegnò a provvedere al mantenimento dei vescovi e del clero, alle spese del culto, all’assistenza dei poveri. I sacerdoti diventavano, in tal modo, funzionari dello Stato, al quale dovevano prestare giuramento di fedeltà: in gran parte gli ecclesiastici si astennero dal prestare giuramento e furono perciò chiamati “preti refrattari” (dal latino refractarius, ‘litigioso’, ‘ostinato’); gli altri, una minoranza, vennero detti “preti giurati”. Tutti gli ordini religiosi furono aboliti, tranne quelli che si dedicavano all’assistenza sociale. Provvedimenti come questi erano già stati presi in quegli anni in altri Stati, particolarmente in Russia e nell’Austria asburgica. Solo in Francia, tuttavia, essi furono praticati in modo massiccio e sistematico, accompagnati da una massiccia propaganda anticlericale.

Capitolo 12 La Rivoluzione francese

12.7 La Costituzione del 1791 e la fine della monarchia assoluta La fuga del re Gli sviluppi del movimento rivoluzionario spinsero molti nobili ad abbandonare la Francia e a cercare appoggi presso i sovrani di altri paesi. Lo stesso re, che fino a quel momento aveva subìto passivamente gli eventi, sollecitato dalla parte più conservatrice della nobiltà e dalla moglie Maria Antonietta (1774-93), figlia di Maria Teresa d’Austria, controrivoluzionaria convinta, il 20 giugno 1791 abbandonò in segreto Parigi per rifugiarsi con la famiglia in Lorena, al confine orientale della Francia, dove si era raccolta gran parte dei nobili emigrati. Ma a Varennes, presso la frontiera belga, fu riconosciuto e riportato a Parigi sotto scorta armata. La monarchia costituzionale Nel settembre 1791 l’Assemblea approvò la Costituzione, con la quale la Francia ebbe una nuova forma di governo: monarchia non più assoluta ma costituzionale; da quel momento il re doveva condividere il potere con i rappresentanti del popolo. Al sovrano spettava il potere esecutivo (dare esecuzione alle leggi), all’assemblea dei rappresentanti del popolo era affidato il potere legislativo (fare le leggi), ai giudici era assegnato il potere giudiziario (far rispettare le leggi). In tal modo fu attuato il principio della separazione dei poteri teorizzata da Montesquieu, già messo in pratica negli Stati Uniti d’America [ 11]. Al tempo stesso fu riconosciuto il principio della sovranità popolare sostenuto da Rousseau. Infatti, sia i membri dell’Assemblea legislativa sia i giudici erano nominati non dal re ma dal popolo, per mezzo di elezioni (anche se il diritto di voto era riconosciuto solo ai possidenti). L’Assemblea in quei mesi procedette a una generale riforma delle strutture amministrative dello Stato. La Francia fu suddivisa in 83 dipartimenti e questi a loro volta in circondari, sostituendo il principio del decentramento a quello dell’accentramento, a lungo perseguito dalla monarchia assoluta. Il 1° ottobre 1791 fu convocata l’Assemblea legislativa, il primo Parlamento della Francia costituzionale. LA MANICA

PAS-DECALAIS

NORD PAS-DECALAIS SEINE- SOMME LA MANICA AISNE INFÉRIEURE ARDENNES NORD OISE MANCHE SOMME MOSELLE CALVADOS EURE SEINESEINE Paris MARNE AISNE INFÉRIEURE FINISTÈRE ARDENNES SEINEMEUSE SEINE-ETCÔTESORNE OISE BASMANCHE ET-OIS MARNE MEURTHE MOSELLE DU-NORD CALVADOS EURE SEINE RHIN MARNE ILLE-ET- MAYENNE EURE-ETParis S AUBE FINISTÈRE VILAINE E SEINE- SEINE-ET- HAUTE-MEUSE LOIR CÔTESORNE SG O BASSARTHE ET-OIS MEURTHE MARNE V MORBIHAN MARNE DU-NORD LOIRET HAUT- RHIN ILLE-ET- MAYENNE LOIR-EURE-ET- YONNE S HAUTELOIRE- VILAINE AUBE HAUTEMAINE-ETE RHIN ET-CHERLOIR SG SAÔNE INFÉRIEURE LOIRE CÔTESARTHE MARNE VO MORBIHAN ETINDRELOIRET D’OR HAUTCHER NIÈVRE YONNE LOIRE LOIRDOUBS HAUTELOIREMAINE-ETDEUXRHIN ET-CHER SAÔNE INFÉRIEURE LOIRE INDRE CÔTEVENDÉE SEVRÈS SAÔNEETINDREJURA ET-LOIRE D’OR CHER NIÈVRE VIENNE LOIRE DOUBS ALLIER DEUXCR EU CHARENTEVENDÉE SEVRÈS SINDRE SAÔNEHAUTEE AIN INFÉRIEURE ET-LOIRE JURA RHÔNE-ETVIENNE VIENNE CHARENTE CPUY LOIRE RE -DE- ALLIER O C E A NO CHARENTEU DÔME SE HAUTEAIN CORRÈZE ATLANTICO INFÉRIEURE RHÔNE-ETVIENNE ISÈRE PUY -DECHARENTE LOIRE CANTAL HAUTE-LOIRE DORDOGNE O C E A NO DÔME CORRÈZE A T L A N T I CGIRONDE O ARDÈCHE HAUTESDRÔME ISÈRE LOT LOT-ETALPES CANTAL LOZÈREHAUTE-LOIRE DORDOGNE GARONNE COMIATAVEYRON GIRONDE ARDÈCHE HAUTESBASSESVENAISSIN LANDES DRÔME ALPES GARD LOT-ET- LOT ALPES LOZÈRE GERSGARONNETARN COMIATAVEYRON VENAISSIN BASSESHÉRAULT BOUCHESBASSES- LANDES HAUTEGARD VAR ALPES DU-RHÔNE PYRÉNÉES GARONNE GERS TARN AUDE HAUTESBOUCHESHÉRAULT BASSESARIÈGE HAUTEPYRÉNÉES VAR DU-RHÔNE MAR PYRÉNÉES GARONNE PYRÉNÉESMEDITERRANEO AUDE HAUTESARIÈGE PYRÉNÉES ORIENTALES MAR PYRÉNÉESMEDITERRANEO ORIENTALES

I dipartimenti francesi nel 1790

CORSICA CORSICA

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

Sintesi

La Rivoluzione francese

Una monarchia distante, un paese inascoltato Alla fine del XVIII secolo in Francia il potere del re perdeva prestigio a vantaggio di quello nobiliare. Dopo un periodo di reggenza, nel 1723 divenne re Luigi XV, che cercò di riaffermare l’assolutismo, senza intaccare i privilegi dei nobili, esentati dalle tasse, mentre era in atto una crisi finanziaria. Vi era un contrasto forte tra dinamismo economico e immobilismo sociale e politico. Luigi XVI (1774-93) si trovò ad affrontare una carestia e l’aumento delle spese per l’intervento in aiuto dei coloni americani; tentò di istituire un’imposta fondiaria, bocciata dai nobili, arroccati a difesa dei propri interessi. Si arrivò così alla convocazione degli Stati generali, non più riuniti dal 1614, l’assemblea di rappresentanza degli ordini sociali, con l’obiettivo di discutere una riforma fiscale. Nobili, clero, “terzo stato”: la società di ancien régime Quella francese era una società tripartita, secondo uno schema nato nel Medioevo: vi erano i nobili (primo stato), il clero (secondo stato) diviso in secolare e regolare, mentre il terzo stato conteneva tutte le altre categorie sociali: i contadini, numerosissimi e gravati dagli oneri più pesanti, e la borghesia urbana. Negli Stati generali prevaleva sistematicamente la difesa degli interessi di clero e nobiltà, in quanto ognuno dei tre stati contava su un voto, il che metteva in minoranza il terzo stato. Si trattava di una società gerarchica e diseguale: al vertice vi era il re, monarca per diritto divino, investito di un potere assoluto. Era un modello sociale obsoleto, che sarà indicato come ancien régime. Gli Stati generali e l’inizio della rivoluzione Gli Stati generali si riunirono il 5 maggio 1789 e subito il terzo stato si oppose al voto “per stati”, reclamando il voto “per testa”, che avrebbe messo in minoranza

gli altri due stati. Il 17 giugno il terzo stato si proclamò Assemblea nazionale, affermando di agire in nome della maggioranza dei francesi, separandosi dagli altri stati. Il re fece chiudere la stanza delle sedute, ma i delegati si riunirono nella stanza detta “della Pallacorda”, giurando di non separarsi se non dopo l’approvazione di una nuova Costituzione. Era nata l’Assemblea nazionale costituente, che aveva come fine l’instaurazione di una monarchia costituzionale. Dopo che le truppe regie iniziarono a concentrarsi attorno a Parigi, il 14 luglio 1789 il popolo parigino assalì la fortezza della Bastiglia, dando inizio alla rivoluzione. A Parigi il governo fu assunto dal Consiglio municipale, elettivo, mentre la difesa fu affidata alla Guardia nazionale, composta da volontari. La fine del regime feudale La rivoluzione si estese da Parigi alle province: nelle città si formarono municipalità elette e guardie nazionali, nelle campagne i contadini assaltarono i castelli dei nobili, molti dei quali fuggirono, e diedero alle fiamme le carte che registravano i diritti feudali. L’Assemblea nazionale prese alcune decisioni rilevanti: furono aboliti il regime feudale, i diritti esercitati dai nobili sui contadini e i privilegi fiscali di nobiltà e clero; fu approvata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, di ispirazione illuminista e basata sulla libertà e l’uguaglianza. I gruppi d’opinione nell’Assemblea costituente Durante i lavori dell’Assemblea si delinearono diverse correnti politiche, indicate in base ai posti dei seggi occupati. A sinistra vi erano i cordiglieri, di ideali rivoluzionari radicali, i giacobini, appartenenti alla borghesia media e alta e organizzati in società affiliate, i girondini, provenienti dal dipartimento della Gironda. A destra vi erano i foglianti, monarchici provenienti dall’alta borghe-

sia. Al centro un vasto gruppo (pianura o palude), che appoggiava di volta in volta le proposte meglio rispondenti ai propri interessi. I diversi gruppi erano però uniti nel sostenere una monarchia costituzionale basata sulla separazione dei poteri. Si discusse molto sul diritto di voto, che fu infine attribuito ai cittadini benestanti. I provvedimenti economici dell’Assemblea L’Assemblea si impegnò per risolvere il problema dell’indebitamento dello Stato, tramite l’espropriazione dei beni del clero che furono messi in vendita. Questo provvedimento non riuscì però a colmare il debito pubblico, anzi finì per provocare un enorme deficit finanziario. Coloro che avevano acquistato beni ecclesiastici, in prevalenza borghesi e agricoltori, si legarono da allora strettamente alle sorti della rivoluzione, per difendere i beni acquistati. Fu poi approvata la Costituzione civile del clero: gli ecclesiastici dovevano giurare fedeltà allo Stato, che si faceva carico del loro mantenimento e delle spese; gli ordini religiosi furono aboliti, tranne quelli impegnati in opere di assistenza sociale. La Costituzione del 1791 e la fine della monarchia assoluta Molti nobili abbandonarono la Francia; così fece anche il re (20 giugno 1791), che fu però riconosciuto e ricondotto a Parigi. Nel settembre 1791 fu approvata la nuova Costituzione, che disegnava una monarchia costituzionale fondata sulla separazione dei poteri e sulla sovranità popolare. Il re dava esecuzione alle leggi, l’assemblea dei rappresentanti le votava, i giudici le facevano rispettare. I componenti dell’Assemblea legislativa e i giudici erano eletti dal popolo. Fu riformata la struttura amministrativa dello Stato, diviso in dipartimenti e in circondari, in base al principio del decentramento. La prima Assemblea legislativa fu convocata il 1° ottobre 1791.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento. b. Gli Stati generali avrebbero dovuto discutere della riforma:

a. Nel 1789 Luigi XVI convocò: l’Assemblea costituente. il Parlamento.

gli Stati generali. l’Assemblea legislativa.

amministrativa. economica.

giuridica. fiscale.

Capitolo 12 La Rivoluzione francese

c. Il secondo stato era costituito da: nobili. borghesi.

della centralizzazione amministrativa e della sovranità popolare. il principio della separazione dei poteri e della sovranità popolare.

ecclesiastici. contadini.

d. Il potere del re di Francia poggiava:

g. Dopo la presa della Bastiglia:

sul diritto divino. sul diritto e sulla volontà di Dio. sulla volontà di Dio. sulla volontà dei sudditi.

nacque l’Assemblea nazionale costituente. nacque il Consiglio municipale. nacque la Guardia Nazionale. nacquero il Consiglio municipale e la Guardia nazionale.

e. Dopo il giuramento della Pallacorda:

h. I principali leader dei giacobini erano:

nacquero gli Stati generali. nacque l’Assemblea nazionale costituente. nacque l’Assemblea legislativa. nacque il Consiglio municipale.

Danton e Marat. Danton e Robespierre.

Brissot e Robespierre. Brissot e Marat.

i. La Costituzione civile del clero introduceva:

f. La Costituzione del 1791 attuava il principio:

la vendita dei beni ecclesiastici. il diritto di voto per gli ecclesiastici. il giuramento di fedeltà allo Stato per gli ecclesiastici. l’abolizione di tutti gli ordini religiosi.

della sovranità popolare. della separazione dei poteri e della centralizzazione amministrativa.

2. Indica sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1614

1. 2. 3. 4. 5.

1715

1723

1774

1789

proclamazione dell’Assemblea nazionale costituente morte di Luigi XIV introduzione in Francia del suffragio universale la presa della Bastiglia diventa una festa nazionale approvazione della Costituzione

1790

6. 7. 8. 9.

1791

1880

1946

inizio del regno di Luigi XVI Maria de’ Medici convoca gli Stati generali inizio del regno di Luigi XV Robespierre diventa presidente dell’associazione dei giacobini

3. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. assegnati • Assemblea costituente • bilancio • decentramento • decima • deficit • esproprio • foglianti • imposta fondiaria • nazionalizzazione • pallacorda • Stati generali Antico gioco simile alla pallavolo Organo composto da rappresentanti del popolo per scrivere una Costituzione Saldo totale negativo tra attivo e passivo Quota del reddito prelevata dallo Stato in rapporto ai terreni posseduti Titoli di prestito statali poi diventati cartamoneta Spostamento di attività amministrative dal centro alla periferia Appartenenti alla corrente politica di princìpi monarchici Entrata, riservata al clero, corrispondente a parte dei beni prodotti dai coloni Assunzione del controllo di beni o mezzi di produzione da parte dello Stato Privazione della proprietà di un bene imposta dallo Stato Descrizione dell’insieme delle entrate e delle uscite in un ente o in un’azienda Assemblea dei rappresentanti di clero, nobiltà e borghesia francesi

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

4. Completa la seguente mappa concettuale inserendo le informazioni mancanti. alta • artigiani • borghesia • Brissot • centro • commercianti • Danton • destra • gruppo • ideologici • Marat • media • monarchici • diversa • popolari • sinistra • operai • radicale • variabile • rivoluzionari • Robespierre GLI SCHIERAMENTI POLITICI NELL’ASSEMBLEA NAZIONALE CORDIGLIERI

GIACOBINI

GIRONDINI

FOGLIANTI

PALUDE

SEDUTI A

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I LEADER

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Desmoulins, Hébert PROVENIENZA SOCIALE

Ceti ...........................

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e ...................................

e ...................................

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• Sostegno convinto ai princìpi

• Sostegno ai princìpi

• Sostegno ai princìpi

• Sostegno ai princìpi

• Assenza di riferimenti

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.......................................

.......................................

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• orientamento .......................................

• Struttura organizzata in

radicale

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.......................................

numeroso e di .......................................

estrazione sociale

bottegai, piccoli .......................................

ORIENTAMENTO POLITICO

• Sostegno .......................................

affiliate

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando nacque l’Assemblea nazionale costituente? Con quale scopo? 2. Che cosa fu deliberato relativamente a privilegi e imposizioni fiscali? 3. Che cosa fu approvato il 26 agosto 1789? Che cosa era sancito in essa? 4. Che cosa fu deliberato relativamente al diritto di voto?

5. Che cosa fu abolito l’11 agosto 1789? Con quali conseguenze? 6. Che cosa fu stabilito per risolvere il problema del debito statale? Con quali conseguenze? 7. Che cosa stabiliva la Costituzione civile del clero? 8. Quando fu approvata la Costituzione francese? Che forma di stato costruiva?

Con le informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale e scrivi un testo di almeno 15 righe dal titolo “Gli scopi e i risultati ottenuti dall’Assemblea nazionale costituente”. DIRITTO DI VOTO

ABOLIZIONE REGIME FEUDALE

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ASSEMBLEA NAZIONALE COSTITUENTE

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PROBLEMA DEL DEBITO STATALE

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ABOLIZIONE PRIVILEGI

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COSTITUZIONE CIVILE DEL CLERO

COSTITUZIONE

DICHIARAZIONE DIRITTI UOMO

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Capitolo 12 La Rivoluzione francese

6. Rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Che tipo di società caratterizzava la Francia nel 1789? In quali classi sociali essa si divideva? Come erano chiamate? Da chi erano composte? Chi godeva dei privilegi? In che cosa consistevano? Quali tasse erano pagate? Da chi? A chi? Quale sistema di voto era usato nelle deliberazioni degli Stati generali? Da chi fu sostenuto? Per quale motivo? A quando risaliva questa concezione della società? Perché questo modello sociale si rivelò superato? Come fu definito?

Con le informazioni ottenute, completa la seguente tabella. LA SOCIETÀ FRANCESE NEL 1789 PRIMO STATO

SECONDO STATO

TERZO STATO

QUANTI ERANO

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CHI ERANO

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QUALI DIRITTI

QUALI DOVERI

COME VOTAVANO

7. Leggi il documento “Rimostranze e richieste” a p.147. Con le informazioni ottenute, rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Che cosa erano i cahiers de doléances? Quando furono redatti? Da chi? Su che cosa si indirizzavano le critiche e i malcontenti dei cittadini? Perché i borghesi chiedevano di abolire i privilegi? Quali erano le richieste dei contadini? Quali richieste furono formulate circa la libertà personale dei cittadini? Perché furono convocati gli Stati generali? Da chi? Quali problemi e quali rivendicazioni emersero dopo la convocazione degli Stati generali? Con quale esito?

Con le informazioni ottenute, integrandole con quelle presenti nella tabella del precedente esercizio, scrivi un breve testo di almeno 12 righe dal titolo “Alla radice della rivoluzione francese: le rivendicazioni del Terzo Stato”.

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

13 La Francia

Capitolo

160

repubblicana

Percorso breve La trasformazione in senso costituzionale della monarchia francese e i provvedimenti presi dal nuovo governo contro i privilegi nobiliari e le proprietà ecclesiastiche misero in allarme i sovrani di Austria e di Prussia, anche per la propaganda anti-rivoluzionaria fatta dai nobili fuggiti dalla Francia. Il governo francese, timoroso di un possibile attacco, dichiarò esso stesso guerra all’Austria. Ma le truppe francesi subirono pesanti sconfitte, anche per l’incerta condotta degli ufficiali, quasi tutti di estrazione aristocratica. Il popolo parigino, guidato dai giacobini, assalì il Palazzo reale gridando al tradimento e sospese il re dalle sue funzioni, dichiarando fallito l’esperimento monarchico costituzionale (attuato tra il 1789 e il 1792) e instaurando la repubblica. Un nuovo esercito di volontari fu reclutato, riuscendo a capovolgere la situazione con alcune brillanti vittorie. Il re, processato per alto tradimento, fu ghigliottinato. La morte del re e l’espandersi delle truppe rivoluzionarie in Belgio, Renania, Savoia indussero gli Stati europei a coalizzarsi contro la Francia, che subì un’invasione austro-prussiana. Per far fronte alla drammatica situazione si formò a Parigi un governo con pieni poteri, il Comitato di salute pubblica, diretto dai giacobini (Robespierre, Saint-Just, Danton, Marat, Hébert). Nel paese si instaurò un regime dittatoriale che fu detto “Terrore”: migliaia di persone furono arrestate e mandate a morte. Intanto si proponevano nuove leggi sociali, si fondavano percorsi scolastici per formare (soprattutto in ambito scientifico) i ceti dirigenti della rivoluzione, si operava una “scristianizzazione” culturale e religiosa (salvo recuperare un culto di matrice illuminista, riservato alla dea Ragione). La situazione militare a poco a poco migliorò e il territorio nazionale fu liberato. Restava però una grave crisi economica e alimentare, che provocò duri contrasti fra i giacobini sui modi per affrontarla. Alla fine si impose la dittatura di Robespierre e con essa un nuovo periodo di “Grande Terrore”, durante il quale gli stessi capi giacobini finirono sotto la ghigliottina, eliminandosi l’uno dopo l’altro. Giustiziato nel 1794 anche Robespierre, la guida del

Jacques-Louis David, Maximilien Robespierre, fine XVIII sec.

governo passò ai gruppi moderati. Nell’agosto 1795 fu approvata una nuova Costituzione (che, abolito il suffragio universale, riservava il voto ai soli benestanti) e si formò un nuovo governo di cinque membri, il Direttorio, con cui lo sviluppo della rivoluzione poteva dirsi terminato.

Capitolo 13 La Francia repubblicana

13.1 Guerra all’Austria e instaurazione della repubblica La guerra contro l’Austria Alla fine del 1791 la Francia era diventata una monarchia costituzionale, il regime feudale era stato abolito e l’autorità del re era stata fortemente limitata dalla presenza di un Parlamento eletto dai cittadini. Erano momenti difficili: i sovrani d’Austria e di Prussia cominciavano a guardare con preoccupazione gli avvenimenti francesi, perché temevano che la rivoluzione si potesse estendere ad altri Stati, e dichiararono che in caso di pericolo per la famiglia reale di Francia sarebbero intervenuti con le armi in suo soccorso. Il governo di Parigi, allarmato da questa minaccia, ritenne necessario dichiarare guerra all’Austria: «una guerra preventiva – si disse – meglio attaccare per primi che aspettare di essere attaccati». Ma le operazioni militari portarono a una serie di sconfitte, dovute anche alla condotta incerta degli ufficiali francesi: molti di loro erano di origine aristocratica e non intendevano combattere per la rivoluzione, quindi, una volta giunti a contatto con gli avversari, disertavano, provocando sbandamento tra i soldati. La fine della monarchia costituzionale A Parigi le notizie delle sconfitte suscitarono indignazione e sgomento: si parlò di tradimento, si accusarono il re e i nobili di complottare con il nemico. Guidato dai giacobini, il popolo riprese l’iniziativa rivoluzionaria, s’impadronì del municipio e assalì il palazzo delle Tuileries, residenza del re. Costretto a fuggire, il sovrano si rifugiò presso l’Assemblea legislativa, che, sotto la minaccia dei rivoltosi, dichiarò Luigi XVI sospeso dalle sue funzioni. Cadeva in Francia, dopo nove secoli, la monarchia capetingia. Con la monarchia crollava l’esperimento monarchico-costituzionale, avviato nella prima fase della rivoluzione (1789-92). La repubblica in Francia Caduta la monarchia presero il sopravvento i gruppi repubblicani, in particolare i giacobini. In tale situazione apparve evidente che l’Assemblea Memo

Dinastia dei Capetingi Capostipite della dinastia dei Capetingi fu il conte di Parigi Ugo Capeto (987-996), che nel X secolo estese il suo potere su tutta la regione attorno alla città [ vol.1, 4.3]. Durante il regno dei suoi diretti successori (tra cui Luigi VI, Filippo II Augusto, Luigi IX e Filippo IV il Bello) la Francia fu unificata in una sola monarchia e si affermò tra le potenze europee. Nel 1328 si estinse il ramo di discendenza diretta di Ugo Capeto e iniziò quello collaterale dei Valois che con Francesco I, Enrico II e Enrico III governò il paese fino al 1589. Da allora il trono passò con Enrico IV, per via maschile discendente da Luigi IX, a un altro ramo collaterale della dinastia capetingia, quello dei Borbone, cui apparteneva Luigi XVI.

Calendario rivoluzionario anno II della repubblica, 1794 [Musée Carnavalet, Parigi]

Al centro del calendario campeggiano le parole chiave della Francia repubblicana: egalité, liberté, fraternité ou la mort.

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna legislativa (cioè il Parlamento), espressione della monarchia costituzionale, non rappresentava più la volontà popolare; essa pertanto fu sciolta e vennero indette le elezioni a suffragio universale maschile, un sistema che appariva per la prima volta in Europa. Si formò così una nuova assemblea, la Convenzione nazionale, che iniziò i suoi lavori nel settembre 1792 e come suo primo atto proclamò la repubblica.

13.2 Contro l’Europa dei re, la condanna a morte di Luigi XVI La guerra contro la Prussia Di fronte alla drammatica situazione militare (gli austroprussiani erano penetrati in territorio francese e minacciavano di marciare su Parigi) il nuovo governo repubblicano proclamò «la libertà e la patria in pericolo» e fece appello ai volontari, costituendo nuovi battaglioni di soldati particolarmente combattivi e fedeli: in gran parte erano popolani, “sanculotti”, come venivano chiamati (in francese sans culottes, ‘senza culottes’), perché indossavano i pantaloni lunghi anziché quelli corti fermati al ginocchio (culottes) tipici dei nobili. Portata dai volontari affluiti da Marsiglia, si diffuse in quei giorni una canzone, la Marsigliese, che diventò poi l’inno nazionale della Francia. La vittoria di Valmy Dopo duri combattimenti, il 20 settembre 1792 i nuovi battaglioni francesi riuscirono a fermare i prussiani a Valmy, un villaggio presso il fiume Marna, e a farli ripiegare. Questa vittoria ebbe un particolare significato morale e politico in quanto fu il primo successo militare della rivoluzione sull’Europa dei re, un successo di truppe volontarie, reclutate tra il popolo, su un esercito regolare considerato tra i migliori d’Europa. Dopo Valmy le armate francesi riportarono altre vittorie, occupando il Belgio, la Savoia, Nizza e gran parte della Renania tedesca. Ogni occupazione era presentata come una “liberazione”, una «guerra ai re per liberare i popoli»; ma nonostante quelle nobili parole, le guerre condotte dai francesi significarono, come tutte le guerre di invasione, la conquista e l’annessione dei territori occupati. François Gérard, La rivolta del 10 agosto 1792, fine XVIII sec. [Musée du Louvre, Parigi]

La sala del maneggio è invasa dalla folla tumultuante che il 10 agosto 1792 depone definitivamente Luigi XVI. Fallisce così l’esperimento monarchico-costituzionale e comincia quello della repubblica.

Capitolo 13 La Francia repubblicana

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Aa Documenti Si può vivere senza re? La necessità di liberarsi del re, dopo l’esperimento della monarchia costituzionale che aveva caratterizzato la prima fase della rivoluzione francese tra il 1789 e il 1792, fu fortemente sostenuta dai

gruppi giacobini, adducendo come motivo la sostanziale incompatibilità fra gli interessi del popolo e quelli della monarchia. Ma, nell’Europa dei re, affermare che un paese potesse fare a meno di un sovra-

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l popolo francese sembra avere sorpassato di duemila anni il resto della specie umana. L’Europa è in ginocchio dinanzi alle ombre di quei tiranni che noi puniamo. In Europa un contadino, un artigiano sono degli animali ammaestrati per il piacere di un nobile; in Francia, i nobili cercano di trasformarsi in lavoratori e non possono neppure ottenere questo onore. L’Europa non riesce a pensare che si possa vivere senza re o senza nobili; noi invece pensiamo che non si possa vivere con loro. L’Europa sparge

no era comunque un passaggio difficile, un’idea non ovvia, un “salto” culturale che bisognava in qualche modo giustificare. È quello che fa Robespierre in questa dichiarazione.

il suo sangue per stringere le catene dell’umanità; noi per spezzarle. I nostri vicini intrattengono l’universo raccontando della salute del re, dei suoi divertimenti, dei suoi viaggi; vogliono far conoscere alla posterità a quale ora ha fatto colazione, in quale momento è tornato dalla caccia. Noi invece gli facciamo conoscere i nomi e le virtù degli eroi morti combattendo per la libertà, gli insegniamo in quale ora è segnata la fine degli oppressori del mondo.

Luigi XVI alla ghigliottina Mentre gli eserciti estendevano le conquiste francesi, il governo fece processare il re, chiamando l’imputato semplicemente «cittadino Luigi Capeto» come un membro qualsiasi della società. Giudicato colpevole di tradimento contro la nazione, Luigi XVI fu condannato a morte e portato alla ghigliottina, il nuovo strumento di esecuzione capitale scelto in quegli anni per assicurare ai condannati una morte rapida e senza inutili sofferenze. L’esecuzione avvenne il 21 gennaio 1793 in place de la Révolution (‘piazza della Rivoluzione’) di fronte al palazzo delle Tuileries.

Louis-Léopold Boilly, Il costume da sanculotto, XVIII sec. [Musée Carnavalet, Parigi]

In questo dipinto si capisce molto bene quale fosse il modo di vestire dei sanculotti: lunghi pantaloni, camicia, giacca e cappello. L’uomo qui rappresentato porta la bandiera francese come simbolo della rivoluzione e il suo sguardo fiero è rivolto verso il futuro.

L’esecuzione di Luigi XVI il 21 gennaio 1793 [Musée Carnavalet, Parigi]

Il ghigliottinamento del re di Francia segnò la fine dell’esperimento monarchico-costituzionale e la nascita della Francia repubblicana.

Jemappes 1792

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austriaci

Valmy 1792 13.3 Caos e disordini. La nuova Costituzione BRETAGNA e il Terrore

Rodano

piemontesi

Quiberon 1795e rivolte contadine Alleanze antifrancesi ira L’espansione militare della Francia e la conLo Nantes danna a morte di Luigi XVI provocarono un vivo allarme negli altri paesi europei, che, Cholet sentendosi minacciati dalla rivoluzione e temendo che l’espansione della Francia alterasinglesi VANDEAtra le potenze, costituirono una coalizione antifrancese pericolosamente l’equilibrio se (la prima di sette). Vi aderirono l’Inghilterra, l’Austria, la Prussia, la Russia, la Spagna Lione subirono e altri Stati. Attaccate da ogni parte, le armate rivoluzionarie SAVOIA pesanti sconfitte e dovettero ritirarsi, incalzate dagli avversari che invasero il territorio francese. Quasi negli stessi giorni, in Vandéa e in Bretagna, regioni sulla costa atlantica, esplose un’insurrezione dei contadini Bordeaux i quali, esasperati dalle continue leve militari imposte dal governo, sobillati dai nobili e armati dagli inglesi, si levarono in un violento moto insurrezionale contro ParigiGaerocontro la rivoluzione. PROVENZA

nn

a

La Costituzione repubblicana e il Comitato di salute pubblica In queste drammatiche Marsiglia condizioni – l’invasione militare e le ribellioni interne – la Convenzione ricorse a misure eccezionali: nel 1793 si redasse una nuova CostituzioneTolone repubblicana e si creò un governo dotato di poteri dittatoriali, il Comitato di salute pubblica, formato di nove membri con Robespierre presidente, Dantoninglesi incaricato degli affari esteri, Lazaspagnoli re Carnot (1753-1823) della conduzione della guerra. La Rivoluzione francese, 1789-95

olandesi

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Coblenza Fleurus 1794

Varennes austriaci

Valmy 1792

Rivolte antirivoluzionarie Conquiste e annessioni (1792-95) Valmy 1792 Battaglie

inglesi

Jemappes 1792 Wattignies 1793

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Wattignies 1793

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Coblenza Fleurus 1794

CORSICA

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Le questioni più spinose, da risolvere con estrema urgenza, erano legate all’economia del paese e alla sua difesa. La profonda crisi economica che il paese stava attraversando fu affrontata applicando alcuni provvedimenti che, ben lontani dal risolvere i problemi, tentarono di arginarne la gravità: tra questi vi fu la “legge del maximum” che fissava un limite massimo non solo al prezzo di cereali e beni, ma anche a merci e salari. In teoria i trasgressori potevano essere puniti con la morte. Sul piano militare, invece, venne istituita la leva in massa e l’esercito fu riorganizzato secondo criteri di disciplina, rigore e merito: da quel momento ufficiali e sottufficiali, di estrazione borghese e popolana, potevano aspirare ai gradi più alti del comando, sempre sotto la supervisione della Convenzione.

Il Terrore Il Comitato, diretto con inflessibile energia, prese i provvedimenti ritenuti necessari ricorrendo, per dar loro esecuzione, all’uso sistematico della violenza; perciò quella fase della rivoluzione fu detta “periodo del Terrore”. Le insurrezioni della Vandéa e della Bretagna furono domate con le armi e con esecuzioni di massa. Ogni sospetto di controrivoluzione fu bloccato per mezzo del Tribunale rivoluzionario, un organismo speciale di nuova istituzione per i reati politici; le sue sentenze erano inappellabili e immediatamente esecutive. Era sufficiente un sospetto, anche senza prove, per essere arrestati e giudicati. Ogni garanzia dei diritti individuali fu di fatto abolita, l’annientamento dei nemici della rivoluzione (o supposti tali) fu condotto ovunque con spietato rigore. Anche l’ex regina Maria Antonietta fu portata alla ghigliottina; identica sorte toccò ai molti nobili e sacerdoti che si erano rifiutati di prestare giuramento alla repubblica; così pure finirono ghigliottinati i generali accusati di tradimento perché si erano lasciati vincere in battaglia. Il Terrore, motivato dallo stato di guerra e dalla controrivoluzione interna, durò dall’agosto 1793 al luglio 1794 e fece migliaia di vittime.

13.4 Legislazione e laicizzazione Leggi sociali Malgrado le difficoltà di quei momenti terribili, il governo rivoluzionario approvò una serie di leggi sociali che non avevano precedenti nella storia e che costituirono il modello di molte legislazioni civili del nostro tempo: nel 1794 fu dichiarata l’abolizione della schiavitù nelle colonie francesi e nello stesso anno fu avviato il grande progetto di alfabetizzazione dell’intera popolazione, con la legge sull’istruzione gratuita e obbligatoria per tutti, a spese dello Stato. Scuola elementare e istruzione superiore Il problema dell’istruzione popolare, intesa come base indispensabile della crescita civile e sociale, fu infatti assai vivo nella mente dei legislatori della rivoluzione. In alcune disposizioni emanate nel 1794, a proposito delle scuole “primarie”, ossia elementari, si diceva chiaramente che «le scuole primarie hanno come scopo di dare ai bambini dell’uno e dell’altro sesso l’istruzione necessaria a degli uomini liberi – e ancora – Quelle che erano prima le scuole ecclesiastiche, che non siano già state vendute a vantaggio della repubblica, sono messe a disposizione della municipalità...». Il 21 dicembre 1794 la Convenzione decretò la fondazione dell’Ècole Polytechnique, la ‘scuola politecnica’, un istituto di istruzione superiore distinto dall’università, destinato a dare una preparazione di tipo tecnico e scientifico ai suoi allievi, ammessi per merito dopo una dura selezione. A un iniziale biennio, basato sullo studio intensivo di matematica, chimica, fisica e meccanica, seguiva un triennio di apprendistato tecnicoscientifico da svolgere nei laboratori e nelle officine. Il Politecnico divenne il modello francese di istruzione pubblica superiore e su di esso vennero impostate tutte le altre scuole, dentro e fuori dalla Francia.

Le vittime del Terrore del 1793, XVIII sec. [Musée Carnavalet, Parigi]

In questa incisione, illuminati dall’occhio della dea Ragione, vi sono i corpi decapitati delle vittime del Terrore: prelati, aristocratici e borghesi “traditori“. Il braccio della rivoluzione stringe la spada della giustizia (rappresentata dalla bilancia) che ha compiuto il suo atto.

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I modi della storia

Due rivoluzioni a base decimale: il metro e il calendario

Fra le novità introdotte dalla Rivoluzione francese, una delle più durature fu l’istituzione di nuove unità di peso e di misura, basate su un sistema decimale unificato. Fino ad allora, le misure erano prevalentemente di tipo “concreto” (braccia, passi, ecc.) e variavano considerevolmente da luogo a luogo: nella sola zona di Parigi si contavano una quarantina di sistemi diversi. Nel 1793 un’apposita commissione governativa decretò l’abolizione delle antiche misure, simbolo del particolarismo feudale, e la loro sostituzione con una misura “razionale” valida per tutti. Anche questo fu un modo per esprimere il valore universale dei princìpi rivoluzionari, e anche per favorire – a tutto vantaggio dei ceti borghesi – l’unificazione dei mercati e il libero commercio. Questo è il testo ufficiale con cui nel 1793 venne istituito il metro (dal greco metron, ‘misura’): La Commissione di Commercio propone di stabilire una misura di lunghezza, comune a tutta la Repubblica. Dopo aver dimostrato che il gran numero di misure ora esistenti,

diverse tra loro a seconda dei luoghi, è di grave ostacolo al commercio, la Commissione propone di copiare dalla natura l’unità di misura, per renderla costante e certa; prendiamo dunque come punto di riferimento la lunghezza del meridiano terrestre, e da essa ricaveremo la nuova misura, il metro: esso sarà la quarantamilionesima parte di quel meridiano.

Il governo rivoluzionario, dopo avere creato il sistema decimale, stabilì di mutare anche il sistema di computo del tempo, introducendo un nuovo calendario a base decimale. L’anno era di dodici mesi e ogni mese comprendeva 30 giorni, distinti non più in 4 settimane, ma in 3 decadi, cioè tre gruppi di 10 giorni ciascuno. Considerato che 12 mesi di 30 giorni fanno in tutto 360 giorni, cioè 5 in meno rispetto all’anno solare, si aggiunsero 5 giorni complementari, detti

Le nuove misure introdotte nel periodo della Rivoluzione francese, fine XVIII sec.

Nuovi sistemi di misurazione Un altro importante provvedimento fu l’adozione del sistema decimale, un nuovo metodo di misura (i cui simboli sono il metro, il litro, il chilogrammo, ecc.) creato per rendere uniformi e più semplici i rapporti commerciali tra le diverse regioni della Francia; in precedenza esistevano diversi pesi e misure, secondo le tradizioni locali. Il sistema decimale si rivelò talmente pratico che fu poi adottato da quasi tutti i paesi del mondo. Il progetto di scristianizzazione Altre riforme, volute da Hébert e dai cordiglieri, mirarono a una completa scristianizzazione della società provando a eliminare i simboli, i riferimenti e le insegne della religione cristiana, accusata di aver per secoli e secoli sostenuto la sacralità della monarchia e l’aspetto divino del monarca. Vennero aboliti gli abiti religiosi, chiuse le chiese, distrutte le statue dei santi e le campane; si diffuse in sostituzione del culto dei santi cristiani il culto dei martiri rivoluzionari, primo fra tutti Marat, assassinato dalla girondina Charlotte Corday (1768-1793); furono introdotte feste in onore della dea Ragione e un calendario rivoluzionario in cui, tra l’altro, si eliminarono i giorni della domenica e le feste religiose, sostituite con le “feste della rivoluzione”. Fu a questo punto che l’opera di scristianizzazione fu bloccata da Robespierre e dalla Convenzione, che sancirono la libertà di culto per tutte le confessioni, istituendo però anche il culto dell’Essere supremo, una religione razionale e simbolica di ispirazione deista [ 8.2].

13.5 Dittatura e morte di Robespierre Vittorie contro la Prussia La situazione militare a poco a poco cominciò a migliorare. I nuovi eserciti organizzati da Carnot si dimostrarono validi strumenti di vittoria. Comandati da giovani generali, che avevano ottenuto i gradi per le capacità mostrate sul campo, essi fermarono l’invasione austro-prussiana (battaglia di Wattignies il 28 dicembre

Capitolo 13 La Francia repubblicana

“sanculottidi”, consacrati a feste nazionali, dedicate al Genio, al Lavoro, alle Belle Azioni, alle Ricompense e all’Opinione. La festa dell’Opinione era una specie di carnevale politico in cui era permesso criticare e prendere in giro gli uomini di governo. Ogni quadriennio, inoltre, per colmare la lacuna di 5 ore e 48 minuti che veniva a presentarsi rispetto all’anno solare, si aggiungeva un giorno supplementare di festa, dedicato alla Rivoluzione. L’anno aveva inizio il 22 settembre, giorno dell’equinozio d’autunno, chiamato 1° vendemmiale. I giorni non furono più dedicati ai santi ma a fiori, frutti, animali e oggetti diversi, che ricordavano il lavoro, l’agricoltura, la rivoluzione. Per esempio il 19 Messidoro (giugno) era dedicato alla segale, il 20 all’avena, il 21 alla cipolla, il 23 al mulo, il 28 alla falce, il 30 ai fagioli. Anche i mesi furono chiamati con nomi

nuovi, ispirati alle stagioni e ai lavori agricoli. Essi furono nell’ordine: Vendemmiale, Brumale (per la nebbia), Glaciale (per la brina), Nevoso, Piovoso, Ventoso, Germinale (per i germogli primaverili), Fiorile, Pratile, Messidoro, Termidoro (‘che porta il caldo’), Fruttidoro (il primo corri-

sponde a settembre, l’ultimo ad agosto). Il nuovo calendario ebbe vita breve. Introdotto dalla Convenzione il 24 novembre 1793, fu abolito da un decreto di Napoleone il 31 dicembre 1805. Il 1° gennaio 1806 ritornò in vigore il tradizionale calendario gregoriano.

Allegorie del calendario rivoluzionario: i mesi di Fruttidoro e Termidoro, fine XVIII sec.

1793) e la coalizione antifrancese (battaglia di Fleurus, il 26 giugno 1794) e costrinsero gli avversari a ritirarsi. Il territorio nazionale fu liberato.

La crisi economica Le disposizioni di politica interna invece non diedero i risultati sperati e le condizioni generali di vita restarono deludenti. Nonostante il calmiere dei prezzi, nonostante il razionamento delle derrate alimentari e la requisizione dei generi di prima necessità, il loro costo continuava a crescere mentre il valore degli assegnati continuava a diminuire [ 12.6]. C’erano giorni in cui i viveri mancavano e tale situazione colpiva duramente i ceti più deboli. Sulla via da intraprendere per uscire dalle difficoltà si aprirono forti dissensi tra gli esponenti dei diversi gruppi politici: Danton proponeva la fine dei provvedimenti straordinari e il ritorno a una situazione di normalità; Hébert, al contrario, voleva interventi ancora più duri in favore del popolo; Robespierre era in una posizione intermedia e suggeriva di lasciar libere le attività economiche ma senza dimenticare le aspirazioni e i bisogni della popolazione più povera. Il “Grande Terrore” I contrasti si acuirono tanto che si tornò alla “politica del terrore”. Per ordine di Robespierre, Hébert fu ghigliottinato sotto l’accusa di praticare teorie che affamavano il popolo; poi fu mandato a morte Danton con molti suoi seguaci, che Robespierre, nella sua rigorosa onestà che gli valse il nome di “incorruttibile”, detestava come affaristi arricchiti alle spalle del popolo. In tal modo Robespierre rimase dittatore unico e avviò una sua personale politica che utopisticamente si proponeva di estirpare la corruzione e i vizi e di far trionfare la virtù. «Il fondamento unico della società civile – dichiarò – è la morale: l’immoralità è la base del dispotismo, come la virtù è l’essenza della repubblica». Seguì un periodo chiamato “Grande Terrore” per l’elevato numero di persone che finirono sotto la ghigliottina. In questo clima di paura maturò una congiura contro lo stesso Robespierre il quale, accusato di tirannia, il 27 luglio 1794 fu mandato a morte insieme con i suoi sostenitori.

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13.6 La Costituzione del 1795 e il Direttorio Una Costituzione meno democratica Giustiziato Robespierre, la guida del paese, tenuta fino ad allora dai giacobini, passò ai gruppi moderati. La Costituzione del 1793 fu abrogata e sostituita da una nuova Costituzione (agosto 1795), la terza dall’inizio della rivoluzione (la prima era stata quella del 1791). Abolito il suffragio universale, si riaffermò la limitazione del voto ai soli benestanti. La separazione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) fu riconfermata. Il potere legislativo fu assegnato non più a una camera sola, com’era stato in precedenza, ma a due assemblee, il Consiglio dei Cinquecento e il Consiglio degli Anziani. Il governo, cioè il potere esecutivo, fu affidato a un gruppo di cinque membri, chiamato Direttorio. Con il Direttorio e la Costituzione del 1795 lo sviluppo della rivoluzione poteva considerarsi concluso.

I luoghi della storia

Le piazze della rivoluzione

Le piazze, assieme alle strade, furono luoghi cruciali della rivoluzione. Luoghi pubblici per definizione, esse rappresentavano in modo visibile, e in qualche modo simbolico, il “possesso” della città da parte del popolo. Un popolo costituito da tanti uomini e da tante donne, molte delle quali – venditrici ambulanti, apprendiste o salariate delle botteghe artigiane sparse lungo le vie cittadine – vivevano e lavoravano quotidianamente all’aperto nella città: il loro numero, sembra, superava quello degli uomini nella proporzione di tre a uno, e non c’è

quindi da stupirsi se il popolo parigino che diede vita alla rivoluzione fu in gran parte un popolo femminile, come anche le raffigurazioni dell’epoca ci aiutano a immaginare. Padrone della città e dei suoi territori, delle strade e delle piazze, le donne non esitarono ad affiancarsi agli uomini nelle manifestazioni di protesta e a impugnare esse stesse le armi. Le piazze furono, in quegli anni drammatici, anche un luogo di spettacolo, come sempre erano state – fin dal Medioevo – dove si eseguivano le esecu-

zioni capitali, che non servivano solo a giustiziare un colpevole o presunto tale, ma anche a “mostrarlo” pubblicamente in pubblico. Perciò la ghigliottina non funzionava in segreto, ma faceva mostra di sé nella piazza della Rivoluzione, già dedicata al re Luigi XV e rinominata in seguito piazza della Concordia (nome che porta tuttora). Le piazze furono anche un luogo di festa, dove la rivoluzione affermò i suoi valori innalzando quelli che furono chiamati “alberi della libertà”. Fu questo uno dei principali simboli della Rivoluzione franManeggio Giacobini Parigi durante la Rivoluzione 1 Tuileries Louvre

Maneggio Giacobini 1 Tuileries Louvre Campo Hôtel des di Marte Invalides

Campo Hôtel des di Marte Invalides Temple

Châtelet 2 Hôtel de Ville Notre Dame

Cordiglieri Châtelet

Bastiglia

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Luxembourg Panthéon

Hôpital de la Salpêtrière

1 place de la Révolution dal 1795 place de la Concorde 2 place de Grève

Bastig

Luxembourg Panthéon

2 Hôtel de Ville Notre Dame Cordiglieri

Temp

1 place de la Révolution dal 1795 place de la Concorde 2 place de Grève

Capitolo 13 La Francia repubblicana La situazione però era tutt’altro che pacificata. Le condizioni economiche del paese erano disastrose e le iniziative adottate dal Direttorio causarono un ulteriore aumento dei prezzi. La popolazione insorse e le fu mandato contro l’esercito.

La “congiura degli uguali” Un drammatico ma significativo episodio fu quello di François-Nöel Babeuf (1760-1797), detto Gracco, un uomo politico che tentò, con un colpo di forza, di instaurare uno Stato basato sull’abolizione della proprietà privata della terra e sulla comunione dei beni e del lavoro, allo scopo di «attuare veramente l’uguaglianza di tutti gli uomini». Alla cospirazione, detta “congiura degli uguali”, prese parte anche un italiano di origine fiorentina, Filippo Buonarroti (1761-1837); quando la congiura fu scoperta, alcuni dei suoi promotori, tra cui Babeuf, furono ghigliottinati (maggio 1797); Buonarroti e altri furono condannati al carcere. La vicenda di Babeuf è considerata uno dei primi tentativi anticipatori dell’anarchismo, un movimento che si sviluppò tra XIX e XX secolo [ 29.3].

cese e del “nuovo ordine” che essa intendeva instaurare: un palo (o un vero e proprio albero) issato sulle pubbliche piazze delle città e dei paesi, attorno al quale si svolgevano feste, canti, balli. Già utilizzato durante la lotta per l’indipendenza americana, l’albero della libertà riprendeva un antico motivo del folklore popolare riempiendolo di un nuovo significato politico e sociale. L’albero manifestava davanti a tutti la rottura con la tradizione, non solo sul piano politico, ma anche culturale e religioso: in polemica contro la religione cristiana, esso richiamava una

religiosità di tipo “naturalistico” come quella che, agli inizi della primavera, amava festeggiare il ritorno della fertilità e del ciclo vegetativo innalzando alberi dal forte valore simbolico. L’importanza di questo simbolo era talmente forte che, quando le forze rivoluzionarie venivano sconfitte, la prima cosa che si faceva era abbattere l’albero. La semplicità e la “spontaneità” di queste feste (anche se, in effetti, erano gli stessi governanti a sollecitarne l’introduzione) erano polemicamente contrapposte alle feste nobiliari, organizzate per pochi

privilegiati e in luoghi chiusi. «Non sono queste le feste del popolo felice – aveva scritto Jean-Jacques Rousseau – perché solo all’aria aperta, sotto il cielo, ci si abbandona al sentimento della felicità e della libertà. Piantate un palo di fiori in mezzo a una piazza, riunitevi intorno il popolo, e avrete la festa». Soprattutto durante la dittatura di Robespierre furono organizzate molte manifestazioni di questo genere, per creare fra il popolo un’atmosfera di entusiasmo e accrescere il consenso politico attorno alla nuova repubblica.

Jacques Bertaux, Presa del palazzo delle Tuileries, 10 agosto 1792, fine XVIII sec.

Pierre Antoine de Machy, Esecuzione capitale sulla place de la Révolution, 1793

[Musée National du Château, Versailles]

[Musée Carnavalet, Parigi]

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13.7 Uguaglianza e libertà: tre Costituzioni a confronto La Costituzione del 1791 3 settembre 1791. 24 giugno 1793. 22 agosto 1795. Sono le date delle tre Costituzioni della Francia rivoluzionaria: ciascuna di esse rappresenta una fase diversa della rivoluzione. La prima, quella del 1791, istituisce la monarchia costituzionale. Tutti i privilegi sono aboliti: «Non vi è più nobiltà, né distinzioni ereditarie, né regime feudale, né, per alcun individuo, alcun privilegio». Gli articoli 3, 4 e 5 sono riservati al potere legislativo (delegato all’Assemblea nazionale), esecutivo (delegato al re), giudiziario (delegato ai giudici, eletti dal popolo), che d’ora in poi resteranno sempre separati. Il carattere borghese della Costituzione si sottolinea in particolare negli articoli relativi alla proprietà e al diritto di voto per eleggere l’Assemblea: quest’ultimo è riservato ai “cittadini attivi” che pagano le tasse, cioè ai ceti abbienti, «che hanno una rendita pari al valore di duecento giornate di lavoro» (articolo 7). La Costituzione del 1793 La seconda Costituzione, del 1793, è quella del nuovo Stato repubblicano: è la più aperta e democratica delle tre. Nel preambolo, ispirato in parte alla Dichiarazione d’indipendenza americana, si legge che «il governo è istituito per garantire all’uomo il godimento dei suoi diritti naturali», e che fra questi vi sono «l’uguaglianza, la libertà, la proprietà». Si sottolinea il valore dell’istruzione, che deve essere «alla portata di tutti i cittadini»; si afferma, secondo le idee degli illuministi, che «quando il governo viola i diritti del popolo, il popolo ha il diritto e il dovere di insorgere». Il diritto di voto, e anche il diritto a essere eletti, non sono più riservati ai benestanti, ma estesi a tutti senza distinzione di censo: «Ogni cittadino francese è eleggibile nel territorio della Repubblica» (articolo 28). La Costituzione del 1795 La terza Costituzione, del 1795, mostra un ritorno alle posizioni moderate del 1791. Fra i diritti dell’uomo, il preambolo mette al primo posto la libertà, mentre nella Costituzione del 1793 al primo posto vi era l’uguaglianza. Il voto torna a essere limitato secondo il censo: «Ha diritto di essere nominato elettore [dopo essere stato indicato da elezioni primarie, anch’esse riservate ai cittadini benestanti] solo chi è proprietario o usufruttuario di beni o di una rendita pari al valore di duecento giornate di lavoro».

I tempi della storia L’invenzione dello Stato laico La Rivoluzione francese fu un evento decisivo nel processo di formazione dello Stato moderno. Al di là delle contraddizioni e delle violenze che la accompagnarono, al di là delle forti differenze fra il programma radicale dei giacobini e quello dei gruppi moderati, essa rappresentò la traduzione in termini politici delle idee illuministe, in particolare per quanto riguarda il rapporto fra Stato e Chiesa: per la prima volta in Europa si affermò l’idea di uno Stato laico, separato dalla Chiesa. Di fatto, dal Medioevo in poi, queste due

realtà si sovrapponevano l’una all’altra: il “cittadino” (ovvero il “suddito”, negli Stati monarchici) era tale in quanto appartenente alla “società cristiana”. I non cristiani – per esempio gli ebrei – non godevano di alcun diritto e non potevano partecipare alle cariche pubbliche; lo Stato non possedeva un’anagrafe per le nascite, i battesimi, i matrimoni, perché tutte queste registrazioni erano affidate agli archivi parrocchiali. Non esisteva, in altre parole, quello che oggi siamo soliti chiamare lo “stato civile” delle persone,

ma solamente uno “stato ecclesiastico”. L’idea di uno Stato laico separato dalla Chiesa, introdotta in Europa con la Rivoluzione francese, significò, pertanto, l’affermarsi non solo della tolleranza religiosa come principio generale, ma anche dell’uguaglianza di diritti fra tutti i cittadini; essa inoltre comportò la costruzione di una nuova struttura amministrativa, volta a censire e registrare i cittadini negli archivi pubblici, come è oggi d’uso in tutti i paesi europei.

Capitolo 13 La Francia repubblicana

Sintesi

La Francia repubblicana

Guerra all’Austria e instaurazione della repubblica In seguito all’istituzione della monarchia costituzionale (1791), i re di Austria e Prussia dichiararono di essere pronti ad aiutare il re di Francia. Precedendoli, il governo rivoluzionario mosse una guerra preventiva all’Austria: le operazioni militari portarono a delle sconfitte, dovute alla condotta degli ufficiali, fedeli al re. I nobili e il re furono accusati di tradimento e cospirazione, a Parigi il popolo assaltò la residenza reale delle Tuileries. Il re si rifugiò presso l’Assembea legislativa, che dichiarò la monarchia decaduta. Il governo passò ai gruppi repubblicani e giacobini, che sciolsero l’Assemblea legislativa, indicendo nuove elezioni a suffragio universale maschile. La nuova assemblea, la Convenzione nazionale, si insediò nel 1792 e proclamò la repubblica. Contro l’Europa dei re, la condanna a morte di Luigi XVI Gli austro-prussiani penetrarono in Francia marciando verso Parigi. Il governo dichiarò la patria in pericolo e reclutò volontari, perlopiù provenienti dalle classi popolari (sanculotti). Nel settembre 1792 i prussiani furono fermati a Valmy: era il primo successo militare della rivoluzione sugli eserciti delle monarchie assolute. A essa seguirono altre vittorie e occupazioni di territori, presentate come una liberazione dei popoli dalla tirannide. Luigi XVI fu processato, condannato per tradimento contro la nazione e giustiziato (21 gennaio 1793). Caos e disordini. La nuova Costituzione e il Terrore I paesi europei organizzarono una coalizione antifrancese (Inghilterra, Austria, Prussia, Russia, Spagna) che penetrò in Francia. All’interno del paese, in Bretagna e Vandea si ebbero insurrezioni contadine controrivoluzionarie.

La Convenzione prese allora misure eccezionali: fu redatta una nuova Costituzione (1793); fu instaurato un governo dittatoriale, il Comitato di salute pubblica; fu fissato un limite ai prezzi; fu introdotta la leva di massa; fu istituito un Tribunale rivoluzionario che giudicava sui reati politici con sentenze inappellabili e irrispettose dei diritti individuali (Terrore). Legislazione e laicizzazione Furono anche approvate leggi sociali senza precedenti: fu abolita la schiavitù nelle colonie (1794); fu poi introdotta l’istruzione obbligatoria e gratuita per tutti i cittadini. L’istruzione popolare era vista come la base della crescita civile e sociale. La Convenzione fondò l’Ècole Polytechnique (dicembre 1794), un istituto tecnicoscientifico cui si accedeva per merito e che divenne il modello di istruzione pubblica superiore. Il metodo di misurazione fu unificato ricorrendo al sistema decimale, che agevolò i rapporti commerciali interni. Importanti riforme furono fatte anche per la laicizzazione della società: furono aboliti simboli e riferimenti al cristianesimo, sostituiti dal culto dei martiri rivoluzionari o della Ragione; fu anche introdotto un nuovo calendario rivoluzionario. Con il governo di Robespierre si introdusse la libertà religiosa e il culto deista dell’Essere supremo. Dittatura e morte di Robespierre Gli austro-prussiani furono sconfitti e grazie all’organizzazione degli eserciti attuata da Carnot, il territorio francese fu liberato. In politica interna non si raggiunsero i risultati sperati e tra gli esponenti politici si ebbero delle divisioni e dei contrasti. Si tornò allora alla politica del “terrore”: Hébert e Danton furono messi a morte, Robespierre rimase dittatore unico. L’aumento delle tensioni

sfociò nel “Grande Terrore”: molti, tra cui lo stesso Robespierre e i suoi seguaci, furono condannati a morte, in un clima di paura collettiva. La Costituzione del 1795 e il Direttorio Dopo la morte di Robespierre, il governo passò ai moderati. Fu approvata una nuova Costituzione (1795) che chiuse il processo rivoluzionario. Il diritto di voto fu nuovamente attribuito ai soli benestanti, fu adottata la separazione dei poteri attribuendo il potere legislativo a due assemblee e il potere esecutivo a un Direttorio composto da cinque membri. Rimanevano però dei problemi di carattere economico, con un aumento ulteriore dei prezzi e delle tensioni sociali. Nel 1797 fu sventata la congiura detta “degli uguali”, guidata da François-Nöel Babeuf, che intendeva abolire la proprietà privata e introdurre la comunione dei beni. I congiurati furono condannati in parte alla pena capitale. Questa fu una delle prime apparizioni dell’anarchismo. Uguaglianza e libertà: tre Costituzioni a confronto Tra 1791 e 1793 furono approvate tre diverse Costituzioni, una per ogni fase rivoluzionaria. La prima (1791) introduceva la monarchia costituzionale, l’abolizione dei privilegi, la divisione dei poteri, il diritto di voto per i cittadini benestanti. La seconda (1793) introduceva uno Stato repubblicano democratico, che garantiva al cittadino i diritti ritenuti naturali (libertà, proprietà), evidenziava il valore dell’istruzione, poneva l’eguaglianza come valore principale, introducendo il suffragio universale. La terza (1795) era caratterizzata da posizioni moderate: reintroduceva il diritto di voto per censo e la libertà era al primo posto tra i diritti dell’uomo.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento. a. La Costituzione del 1975 affidava il potere esecutivo: al Consiglio degli Anziani. al Comitato di salute pubblica.

al re. al Direttorio.

b. Il Comitato di salute pubblica era: un’assemblea costituente. un governo democratico.

un’assemblea legislativa. un governo dittatoriale.

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

c. Nel 1792 si formò una nuova Assemblea, chiamata: Direttorio. Assemblea nazionale.

Convenzione nazionale. Comitato di salute pubblica.

d. Il periodo del Terrore durò: dal giugno 1793 al giugno 1794. dal luglio 1793 all’agosto 1794. dall’agosto 1793 al luglio 1794. dall’agosto 1793 al giugno 1794. e. Le insurrezioni dei contadini in Vandea erano rivolte contro: la Chiesa. i nobili.

la rivoluzione. i privilegi feudali.

f. La congiura degli eguali fu guidata da: Buonarroti. Robespierre.

Babeuf. Hébert.

g. I “sanculotti” erano: popolani. borghesi.

contadini. artigiani.

h. Per risolvere le difficoltà economiche, Danton proponeva: la fine dei provvedimenti straordinari. una soluzione intermedia. interventi più duri a vantaggio del popolo. interventi più duri a vantaggio della borghesia. i. Il Tribunale rivoluzionario giudicava: sui reati penali con sentenze appellabili. sui reati politici con sentenze inappellabili. sui reati penali con sentenze inappellabili. sui reati politici con sentenze appellabili.

2. Associa alle seguenti date l’evento corrispondente.

3. Aggiungi alle seguenti parole chiave il significato corretto. anarchismo • calmiere • controrivoluzione • diserzione • ghigliottina • politecnico • sanculotti • cristianizzazione • sistema decimale • suffragio universale Sistema che, per rappresentare i numeri, utilizza dieci cifre, da 0 a 9 Istituto universitario di architettura e ingegneria I rivoluzionari più radicali, così chiamati perché portavano i pantaloni lunghi (portati dalle classi più umili) Sistema politico fondato sull’assenza di governo Abbandono illegittimo da parte di un militare del reparto in cui presta servizio Macchina per mozzare il capo ai condannati a morte Diritto di voto esteso a tutti Prezzo massimo di vendita per alcune merci di largo consumo Allontanamento dalla fede cristiana Reazione politica, sociale o militare a una rivoluzione

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

3 settembre 1791

...................................................................................

a. Il regno di Luigi XVI ebbe fine nel 1791.

V

F

20 settembre 1792

...................................................................................

b. La Costituzione del 1795 assegnava il diritto di voto ai cittadini benestanti.

V

F

21 gennaio 1793

...................................................................................

V

F

24 giugno 1793

...................................................................................

c. La legge “del maximum” fissava un limite ai prezzi di beni, merci e salari.

28 dicembre 1793

...................................................................................

d. Robespierre fu giustiziato durante il periodo del “Grande Terrore”.

V

F

26 giugno 1794

...................................................................................

e. La battaglia di Wattignies è il primo successo delle armate rivoluzionarie.

V

F

27 luglio 1794

...................................................................................

f. Luigi XVI fu processato e condannato a morte nel 1793.

V

F

21 dicembre1794

...................................................................................

22 agosto 1795

...................................................................................

g. I giacobini introdussero il suffragio universale maschile.

V

F

h. Il governo giacobino introdusse l’istruzione obbligatoria e gratuita per tutti i cittadini.

V

F

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

approvazione della prima Costituzione battaglia di Valmy fondazione dell’Ècole Polytechnique battaglia di Fleurus esecuzione di Robespierre approvazione della seconda Costituzione approvazione della terza Costituzione esecuzione di Luigi XVI battaglia di Wattignies

Capitolo 13 La Francia repubblicana

5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. Assemblea nazionale • censitario • Comitato di salute pubblica • Consiglio degli Anziani • Consiglio dei Cinquecento • Convenzione nazionale • Direttorio • dittatoriali • esecutivo • giudiziario • legislativo • libertà • monarchia moderata • privilegi • re • rendita • repubblica moderata • Terrore • Tribunale rivoluzionario • uguaglianza • universale • repubblica democratica LE TRE COSTITUZIONI PRIMA COSTITUZIONE

SECONDA COSTITUZIONE

TERZA COSTITUZIONE

QUANDO

1791

1793

1795

FORMA DI GOVERNO

......................................................................

......................................................................

......................................................................

con caratteri ......................................... durante il Terrore CHI VOTA

Suffragio ................................................: cittadini con .......................................... pari a 200 giornate lavorative

Suffragio .................................................

QUALI DIRITTI

Abolizione dei .......................................

Diritti naturali dell’uomo:

Diritti dell’uomo:

poi ............................................. e proprietà

..............................................................

..............................................................

QUALI POTERI

Suffragio ................................................: cittadini con .......................................... pari a 200 giornate lavorative poi ............................................. e proprietà

Divisione dei poteri tra:

Divisione dei poteri tra:

Divisione dei poteri tra:

......................................................................

......................................................................

......................................................................

(potere ...................................................), ............... (potere ..................................), – giudici (potere .................................)

(potere ...................................................),

e .................................................................. (potere ...................................................), ................................................ composto da 5 membri (potere ......................), giudici (potere .....................................)

......................................................................

composto da nove membri (potere ...............................................) e, durante il ..............................................., ......................................................................

(potere ....................................................)

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

In che periodo governarono i giacobini? Quale forma di governo essi adottarono? Quale politica militare adottarono? A causa di quali problemi? Con quali risultati? In che modo si arrivò alla fine della monarchia? Per quali cause? Quali reazioni interne furono innescate dalla politica giacobina? Quali erano i principali problemi interni? Come furono affrontati? Con quali risultati? Quali furono le principali innovazioni introdotte dai giacobini? Quale politica religiosa adottarono i giacobini? Come si arrivò alla politica del Terrore? Da che cosa era caratterizzata? Quando e come terminò la fase del governo giacobino?

Leggi il documento “Si può vivere senza re” riportato a p. 163 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5

Secondo Robespierre, quale differenza esiste tra la società francese e le società europee? Come sono trattati i contadini in Francia e in Europa? Come sono trattati i nobili in Francia e in Europa? Come è trattata la figura del re in Francia? Come in Europa? Che cosa viene fatto conoscere al popolo in Francia? Per quale motivo?

Sulla base delle informazioni raccolte, scrivi un breve testo di almeno 12 righe dal titolo: “La fase giacobina della Rivoluzione francese”.

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Come nacquero i conflitti bellici in cui fu coinvolta la Francia rivoluzionaria? 2. Contro quali avversari essi furono combattuti? Per quali cause? A quale scopo? 3. Come si svilupparono le vicende belliche tra 1792 e 1793? 4. Come si svilupparono le vicende belliche tra 1793 e 1794?

5. Quali furono le principali vittorie francesi? 6. Quale conseguenza ebbero le vicende militari sul piano interno? E sul piano esterno? 7. In che modo venne creato l’esercito rivoluzionario? Quali caratteri aveva?

Con le risposte ottenute, completa la tabella. LE GUERRE DELLA FRANCIA RIVOLUZIONARIA

GLI AVVERSARI

L’INIZIO DELLA GUERRA

LE VICENDE BELLICHE

LE BATTAGLIE

L’ESERCITO

LE CONSEGUENZE

1792-93

1793-94

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8. Leggi il documento “Le piazze della rivoluzione”, riportato a p. 168, e rispondi alle seguenti domande.

1. Quale significato assunsero le piazze durante la rivoluzione? 2. Da chi era composto il popolo? Quale ruolo svolsero le donne? Per quale motivo? 3. Perché le esecuzioni capitali avvenivano nelle piazze? Dove era posta la ghigliottina? 4. Quali feste si svolgevano nelle piazze? Che cosa erano gli “alberi della libertà”?

5. A che cosa si ricollegavano? A che cosa si contrapponevano? 6. In quale fase della rivoluzione avvenivano maggiormente questo tipo di manifestazioni? 7. Come erano giudicate queste manifestazioni da Rousseau? Con le informazioni ottenute, scrivi un breve testo di almeno 10 righe dal titolo: “L’importanza della piazza e del popolo: una novità politica”.

Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

14 Napoleone

Capitolo

175

Bonaparte e l’esportazione della libertà

Percorso breve Agli anni della rivoluzione, conclusi nel 1795 con l’instaurazione di un governo moderato, seguì un ventennio di guerre ininterrotte, combattute dagli eserciti francesi contro le forze coalizzate delle maggiori potenze europee. Nel 1796 il governo di Parigi progettò un’offensiva contro l’Austria, durante la quale fu decisivo il genio militare di Napoleone Bonaparte, che occupò gran parte dell’Italia del nord e costrinse l’Austria alla pace di Campoformio (1797). La Lombardia, già possesso austriaco, passò sotto il controllo francese; il Veneto, con tutta la Repubblica di Venezia, fu ceduto da Napoleone all’Austria. Le armate napoleoniche, accolte con entusiasmo da molti patrioti, avanzavano in nome della libertà ma si comportavano come truppe di occupazione; ovunque arrivava, Napoleone imponeva pesanti tributi e si impadroniva di opere d’arte di grande valore, che spediva a Parigi come bottino di guerra. Vinta l’Austria, restava in armi l’Inghilterra. Nel tentativo di piegarla Napoleone occupò l’Egitto, pensando di farne una base di attacco all’India e all’impero coloniale britannico. La spedizione si risolse in un disastro militare, anche se i suoi risultati furono straordinari sul piano scientifico, grazie alla squadra di studiosi che aveva seguito Napoleone e che approfittò dell’occasione per portare alla luce importanti tesori dell’antica civiltà egizia. Di fronte alla crescente ostilità delle potenze europee, il governo di Parigi cercò di creare attorno alla Francia un cuscinetto di repubbliche “amiche”, Stati vassalli a protezione del territorio francese. Nacquero così la Repubblica batava (Belgio e Olanda), l’Elvetica (Svizzera) e in Italia, la Cisalpina, la Ligure, la Romana, e la Partenopea. Ma queste repubbliche ebbero vita breve poiché crollarono una dopo l’altra quando l’alleanza austro-rus-

Andrea Appiani, Napoleone primo console, 1803 [Villa Melzi, Bellagio]

sa ebbe ragione dell’esercito francese. In seguito a tali sconfitte crebbe in Francia il desiderio di un governo più forte: lo stesso Napoleone se ne fece carico, sciogliendo il Direttorio con un colpo di Stato e impadronendosi del potere con la carica di “primo console” (1799).

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

14.1 La guerra tra Francia e Austria. Napoleone in Italia (1796-97) Le opportunità di una guerra Nel 1796 la prima coalizione europea contro la Francia [ 13.3] si era praticamente dissolta, in seguito ai vari trattati di pace che separatamente erano stati firmati da Prussia e Spagna; restavano però ancora in armi l’Austria, l’Inghilterra e la Russia. Il Direttorio, il governo borghese che si era imposto in Francia dopo la morte di Robespierre, progettò un’offensiva contro l’Austria nella speranza di mettere fine alla guerra, risanare le finanze pubbliche con le ricchezze conquistate e affermare definitivamente all’interno del paese la propria autorità (insurrezioni popolari e cospirazioni filomonarchiche non erano ancora sopite). Contro l’Austria Il piano prevedeva due attacchi simultanei: due armate dovevano puntare su Vienna attraverso la Germania; un terzo esercito, al comando di Napoleone Bonaparte (1769-1821), un giovane generale di ventisette anni, aveva il compito marginale di entrare nella Pianura Padana (la Lombardia era possesso austriaco) per distrarre e tenere impegnate le forze degli Asburgo e dei Savoia. Le operazioni di guerra si svilupparono in maniera assai diversa dalle previsioni: l’esercito inviato in Italia, che avrebbe dovuto svolgere azioni d’appoggio, compì invece le azioni decisive, che portarono la spedizione a un esito vittorioso. Ciò fu dovuto alle qualità militari di Napoleone, che seppe battere rapidamente gli avversari e in pochi mesi si impose come principale arbitro della situazione. La prima campagna d’Italia A maggio, Napoleone entrò da trionfatore a Milano; nei mesi successivi gran parte dell’Italia del nord (tutta l’area tra Piemonte, Liguria ed Emilia) fu occupata dalle sue truppe, mentre il granduca di Toscana, il papa, il re di Napoli non fecero alcuna resistenza e si arresero al vincitore. «Italiani, noi veniamo a spezzare le vostre catene», proclamava Napoleone mentre avanzava. «Siamo amici dei popoli e combattiamo i tiranni che vi rendono schiavi». I

Aa Documenti La bandiera tricolore: dalla Francia rivoluzionaria alla Repubblica cispadana La bandiera della Repubblica cispadana, dai colori verde, bianco e rosso, fu creata su imitazione della bandiera francese e divenne più tardi il simbolo della nazione italiana. La bandiera tricolore francese – blu, bianca e rossa – nacque nel primo periodo della rivoluzione: il rosso e il blu erano (e sono tuttora) i colori del comune di Parigi, il bianco il colore della monarchia. Il vessillo dunque significava, all’inizio, l’auspicata coesistenza fra i princìpi della rivoluzione e l’istituto mo-

narchico. Per qualche anno i tre colori furono usati come coccarda della Guardia nazionale; nel 1794 furono assunti come bandiera nazionale, seguendo la raccomandazione del pittore JacquesLouis David (1748-1825), di mantenere il blu vicino all’asta, mentre la configurazione originale prevedeva su quel lato il rosso. Nel XIX secolo la restaurata monarchia tentò di ritornare al tradizionale stendardo reale di colore bianco, ma Luigi Filippo, il “re cittadino”, ripristinò definitivamente il tricolore.

L

ibertà – Eguaglianza In nome della Repubblica Cispadana una ed indivisibile. Cittadini, Nella seduta in Reggio del giorno 7 gennaio corrente il Congresso decretò: Che lo stemma della Repubblica Cispadana sia innalzato in tutti quei luoghi nei quali è solito che si tenga lo stemma della sovranità. Che sia universale lo Stendardo e Bandiera Cispadana di tre colori, verde, bianco e rosso, col turcasso.

A somiglianza della bandiera francese si formarono, nel corso dell’Ottocento, altri tricolori, simboli di altre nazioni d’Europa. Tra di essi anche la bandiera italiana, con la sostituzione del verde al blu. Il tricolore italiano come simbolo di Stato nazionale fu adottato per la prima volta nella seduta del Congresso della Repubblica cispadana, tenuta a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797. Un manifesto rendeva pubblica la decisione del Congresso:

Che li predetti tre colori si usino nella coccarda Cispadana da portarsi da tutti. Che alla testa di tutti gli atti pubblici si ponga l’intestatura: Repubblica Cispadana una e indivisibile. Che l’era della Repubblica Cispadana incominci dal 1° giorno di giugno del corrente anno 1797.

C. Masi, G. Barizzoni, G. Sacchetti, L. Remondini, Segretari

Capitolo 14 Napoleone Bonaparte e l’esportazione della libertà francesi, in effetti, furono accolti come liberatori da quei gruppi di borghesi e di nobili che avevano aderito alle idee riformatrici dell’Illuminismo. In diverse località della Lombardia, dell’Emilia, del Veneto si formarono dei comitati che con l’appoggio di Napoleone costituirono governi provvisori di ispirazione repubblicana, alleati della Francia. A Milano fu istituita la Repubblica transpadana (al di là del Po); in Emilia-Romagna sorse la Repubblica cispadana (al di qua del Po), comprendente gli ex ducati estensi di Reggio e Modena, le ex legazioni pontificie di Bologna e Ferrara e tutta la Romagna.

Il trattato di Campoformio Per piegare l’Austria, Napoleone decise di sfruttare a fondo i successi iniziali; pertanto, dopo aver costretto alla resa la fortezza austriaca di Mantova, invase il Veneto e occupò Venezia: così, nel breve spazio di pochi giorni, la secolare Repubblica di San Marco perdette la sua indipendenza. Dopo aver respinto una controffensiva austriaca, Napoleone avanzò verso Vienna; giunto a cento chilometri dalla capitale, incontrò gli inviati degli Asburgo che si erano presentati per avviare trattative di pace. Bonaparte volle assicurarsi tutto il merito della vittoria e, senza attendere il consenso del governo di Parigi, negoziò personalmente l’armistizio, che fu concluso con la pace di Campoformio, presso Udine, il 17 ottobre 1797: la Lombardia e il Belgio passarono alla Francia; Venezia, il Veneto, l’Istria e la Dalmazia furono ceduti all’Austria.

14.2 Liberatori o conquistatori? La rapina delle opere d’arte L’entusiasmo dei patrioti italiani non tardò ad attenuarsi, in seguito all’atteggiamento di Napoleone e dei suoi uomini, i quali parlavano di libertà e di uguaglianza ma si comportavano da padroni in terra di conquista. Dovunque arrivava, Napoleone imponeva pesanti tributi in denaro e si impadroniva di opere d’arte di grande valore, che spediva a Parigi come bottino di guerra.

La festa del 4 luglio

La bandiera della Repubblica cispadana

La bandiera della Francia fu utilizzata per la prima volta durante la Rivoluzione.

La bandiera della Repubblica cispadana utilizzata da una delle coorti italiane (reparti militari) già nel 1796.

177

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna James Gillray, Napoleone guida il saccheggio dell’armata francese in Italia, 1814 [Civica Raccolta delle Stampe A. Bertarelli, Milano]

In questa stampa ottocentesca, si ironizza sul saccheggio di opere d’arte subìto dall’Italia durante le campagne napoleoniche. Questo tipo di propaganda antifrancese fu diffusa soprattutto dagli inglesi alla vigilia del Congresso di Vienna e della Restaurazione.

Giuseppe Salvirch, Scudo di sei lire della Repubblica cisalpina, 1797-1802 Scudo in argento con la personificazione della Repubblica che rende omaggio alla Francia.

Questa rapina sistematica fu uno degli aspetti delle conquiste napoleoniche in Italia (ma anche in Belgio e in Olanda le cose non andarono diversamente). Le opere d’arte furono asportate da musei, chiese, case private e inviate in Francia secondo indicazioni precise del Direttorio, che così nel 1796 scriveva a Napoleone: «Il Direttorio è persuaso, cittadino generale, che voi consideriate la gloria delle belle arti alla stessa stregua della gloria dell’esercito che comandate. L’Italia deve in gran parte a queste glorie le sue ricchezze e il suo lustro; ma è giunto il giorno che il loro regno deve passare in Francia: il Museo Nazionale deve avere i più celebri monumenti di tutte le arti e voi non trascurerete di arricchirlo, cercando, raccogliendo e facendo trasportare a Parigi gli oggetti più preziosi che potrete trovare». Di tutta risposta Napoleone chiedeva di inviare «tre o quattro buoni artisti, per far scegliere a loro quali opere d’arte convenga prelevare per portarle a Parigi».

L’Italia sotto Napoleone Le vittorie di Bonaparte provocarono una profonda trasformazione politico-territoriale degli Stati italiani. Le Repubbliche transpadana e cispadana, vale a dire la Lombardia, l’Emilia e la Romagna, furono unite insieme a formare un unico Stato con capitale Milano, chiamato Repubblica cisalpina (al di qua delle Alpi); la sua Costituzione fu modellata su quella francese. A Genova, sempre per volontà di Napoleone, fu costituita la Repubblica ligure, strettamente collegata alla Francia. La cessione di Venezia all’Austria fu una delusione amara per i patrioti veneti che avevano visto in Napoleone un difensore della libertà: un’eco drammatica di questo stato d’animo si trova nelle pagine del romanzo Le ultime lettere di Jacopo Ortis, scritto dal poeta Ugo Foscolo (17781817), vissuto per molti anni a Venezia, il cui protagonista è uno studente veneto di passione repubblicana, il quale, dopo avere assistito al sacrificio della sua patria, si ritira in solitudine sui colli Euganei e infine si uccide. La “guerra di liberazione dei popoli” rivelò allora altre finalità: essa era anche un pretesto per giustificare la politica di espansione della Francia. Napoleone appariva un conquistatore, e i popoli continuavano, come in passato, a essere trattati quale merce di scambio tra i potenti della Terra.

Capitolo 14 Napoleone Bonaparte e l’esportazione della libertà

14.3 La spedizione napoleonica in Egitto (1798-99) Conquistare l’Egitto per sconfiggere l’Inghilterra Vinta l’Austria, soltanto l’Inghilterra restava in armi contro la Francia. Poiché era difficile assalirla nel suo territorio, protetto dall’Oceano e da una poderosa flotta, Napoleone progettò di colpirla nei suoi interessi marittimi e coloniali allestendo una spedizione in Egitto, con il duplice scopo di assicurare alla Francia un territorio coloniale e di creare una base da cui insidiare i traffici e i commerci britannici con l’India e gli altri possessi asiatici. L’impresa, affidata dal Direttorio a Bonaparte, prevedeva l’impiego di 65 navi da guerra e di quasi 60.000 uomini tra marinai e soldati. Sbarcati ad Alessandria, non fu difficile ai francesi vincere i mamelucchi, una casta militare alle dipendenze del sultano di Costantinopoli, da cui formalmente dipendeva l’Egitto. Il 21 luglio1798 si svolse la battaglia delle piramidi e le truppe francesi, incitate dalle parole di Napoleone «Soldati, dall’alto di queste piramidi 40 secoli di storia vi guardano», sbaragliò l’esercito mamelucco. Pochi giorni dopo, il 1° agosto, fu però la flotta francese a essere distrutta, nella baia di Abukir (nei pressi di Alessandria d’Egitto) dalle navi inglesi guidate dall’ammiraglio Horatio Nelson (1758-1805). L’esercito napoleonico, pertanto, rimase bloccato in territorio egiziano; Napoleone riuscì comunque a riparare in Francia, dove fu ben accolto dalla popolazione, che confidava in lui per risollevare le sorti della repubblica. La riscoperta dell’antico Egitto La spedizione napoleonica in Egitto si risolse in un disastro militare ma le sue conseguenze furono straordinarie dal punto di vista archeologico e storico. Assieme ai soldati e ai marinai, infatti, Napoleone aveva voluto che facesse parte della spedizione anche una commissione di studiosi (c’erano ingegneri, architetti, botanici, disegnatori, stampatori, matematici, astronomi), a cui fu affidato

I luoghi della storia

Scienza e scienziati francesi in Egitto

Al di là dei suoi scopi militari, l’avventura di Napoleone in Egitto fu l’occasione per numerose indagini archeologiche e ricerche scientifiche e letterarie, compiute da una squadra di studiosi al seguito dell’esercito (più di 150, i cosiddetti savants, ‘sapienti’,

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‘esperti’). Due mesi dopo il loro arrivo, tra il 20 e il 22 agosto, Napoleone Bonaparte diede ordine di istituire al Cairo un vero e proprio centro di ricerca, l’Institut National d’Egypte, dove furono allestite una biblioteca e gli studi dei vari esperti, oltre ai

francesi impiantarono [nella casa del califfo Hassan] una grande biblioteca, con diversi bibliotecari che custodivano i libri e li consegnavano ai lettori che ne avevano bisogno. La biblioteca era aperta ogni giorno dalle dieci del mattino. I lettori stavano riuniti in una grande stanza accanto a quella in cui venivano tenuti i libri. Essi si sedevano su seggiole intorno a grandi tavoli e incominciavano a lavorare. Anche dei semplici soldati si recavano a lavorare nella biblioteca. Quando un musulmano desiderava visitare il locale, non gli si impediva di farlo, ma al contrario, egli era il benvenuto. I francesi erano particolarmente compiaciuti quando un visitatore musulmano mostrava interesse per le scienze. Alcuni francesi studiavano l’arabo e imparavano a memoria dei versi del Corano; erano studiosi seri e amavano le scienze, specialmente la matematica e la filologia. Giorno e notte si dedicavano a imparare l’arabo. [Nell’osservatorio] vi erano strumenti notevoli per la loro grande precisione. Alcuni di essi erano molto costosi. Vi era-

depositi della strumentazione scientifica. Tutto questo suscitò la curiosità e l’interesse anche della popolazione locale, come racconta la cronaca dello storico egiziano El-Giabarti (1754-1822), testimone dell’invasione napoleonica.

no anche telescopi che potevano essere smontati e chiusi in cassettine. I pittori erano insediati nella casa di Ibrahim bey. Tra di essi vi era Rigo, che dipingeva ritratti; egli era così abile che, vedendo i ritratti, si sarebbe pensato che fossero in rilievo e stessero per parlare. Egli aveva ritratto tutti gli sceicchi e gli altri notabili. Un altro artista disegnava animali e insetti; un altro pesci. Quando veniva scoperto un animale o un pesce sconosciuto in Francia, veniva posto in un liquido, che lo conservava indefinitamente. [Il farmacista Royer] era insediato nella casa di Zulficar Katkhoda. Aveva immagazzinato qui tutti i suoi strumenti e le sue droghe. Aveva fatto costruire delle fornaci per distillare l’acqua e preparare unguenti e sali. Aveva due laboratori, uno al piano terreno, l’altro al primo piano; vi si vedevano vasi e bottiglie di ogni forma. da ‘Abd al-Rahman El-Giabarti, Cronache

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna il compito di registrare ogni aspetto del nuovo paese che andavano a conquistare (dall’etnografia alla flora ai monumenti). Il risultato di questo lavoro fu la pubblicazione, tra il 1803 e il 1830, di un’opera enciclopedica (la Description de l’Egypte) che spalancò all’Europa le porte di un mondo ancora sconosciuto ma tanto immaginato. A Rosetta, località presso le foci occidentali del Nilo, gli archeologi trovarono una stele con un’iscrizione bilingue, scritta utilizzando tre grafie diverse: il geroglifico (l’egiziano antico), il demotico (una forma tarda della lingua e della scrittura egiziana) e il greco; confrontando i tre testi, Jean-François Champollion (1790-1832) riuscì per la prima volta a decifrare l’antica scrittura geroglifica. La fortunata scoperta fu il punto di partenza per uno studio approfondito della storia e della civiltà dell’antico Egitto, in quei tempi ancora poco note ma destinate a incidere enormemente sul gusto e sulla moda ottocentesca.

14.4 Dalle repubbliche filofrancesi al colpo di Stato di Napoleone La seconda coalizione antifrancese La spedizione in Egitto suscitò timori nelle altre potenze europee, che per la seconda volta si coalizzarono per fermare l’avanzata francese: l’alleanza comprendeva, con l’Inghilterra che l’aveva promossa, l’Austria, la Russia e il Regno di Napoli, e inoltre l’Impero ottomano. Nel frattempo il Direttorio, con il pretesto di diffondere la libertà tra i popoli, si avventurò in una politica scopertamente espansionistica, che mirava a creare intorno alla Francia un insieme di repubbliche “amiche”, in realtà Stati vassalli che avevano soprattutto la funzione strategica di cuscinetti a protezione del territorio francese. Jean-Léon Gérôme, Napoleone e le truppe francesi in Egitto, 1863 [Ermitage, San Pietroburgo]

In questo dipinto Napoleone, a dorso di un cammello, guida i suoi uomini attraverso il deserto. La spedizione in Egitto fu un disastro dal punto di vista militare ma face arrivare in Francia i più bei capolavori egiziani (la stele di Rosetta, il grande obelisco, ecc.).

Le “repubbliche sorelle” in Europa Fra il 1798 e il 1799 fu creata in Svizzera la Repubblica elvetica; l’Olanda e il Belgio, conquistate dalle truppe francesi, furono unite insieme con il nome di Repubblica bàtava. In Italia, il Piemonte fu annesso alla Francia, lo Stato Pontificio fu trasformato in Repubblica romana, il Regno di Napoli diventò la Repubblica partenopea. La Francia, per fronteggiare la seconda coalizione, progettò di attaccare l’Austria ripetendo la manovra vittoriosamente sperimentata nel 1796: un’armata nella Pianura Padana e due armate in Germania, con destinazione Vienna. Ma le armate francesi furono sconfitte dagli alleati austro-russi e dovettero abbandonare la Lombardia e il Piemonte.

Stele di Rosetta, 196 a.C. [British Museum, Londra]

SVIZZERA

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REGNO VESC. VENETO DI D’UNGHERIA Capitolo 14 Napoleone Bonaparte e l’esportazione della libertà TRENTO Campoformio Milano Verona Torino TE Mantova Venezia DUCATOR ON SVIZZERA M E Genova DI P. C E REGNOIMPERO VESC. PI ISAVENETO OTTOMANO DI EP. LIGU PARMA LPI D’UNGHERIA NA RE TRENTO Firenze Campoformio Milano Verona Torino EP. DI LUCCA RE Mantova TOSCANAVeneziaA T N DUCATOR ON MA M EP. MA IMPERO Genova DI RA E O I C R DR OTTOMANO P I . L S . PARMA P I A GU E L I P A P TIC R RE INA REP O CORSICAE Firenze Roma UB A C C B U L I L D ICA REP. TOSCANA PA A N MA RTE A M R Napoli ADN RO RO IAPTEA P. R E REGNO ICO E R PU CORSICA Roma BB DI LIC MAR SARDEGNA AP TIRRENO AR TE Napoli NOP MAR EA REGNO IONIO DI MAR SARDEGNA REGNO TIRRENO DI SICILIA MAR IONIO REGNO DI SICILIA Domìni austriaci Territori sotto l’influenza francese

L’Italia agli inizi del 1799

Louis-Charles-Auguste Couder, Installazione del Consiglio di Stato nel dicembre del 1799, 1836 [Consiglio di Stato, Parigi]

Il dipinto rappresenta la proclamazione dei tre consoli (a sinistra con le giacche rosse) al centro dei quali c’è Napoleone. Il governo provvisorio dei tre consoli elesse Napoleone come “primo console” conferendogli il potere esecutivo. L’evento segnò la fine del sistema elettivo francese.

Il crollo delle repubbliche in Italia I rovesci dei francesi furono seguiti dal crollo Domìni austriaci delle repubbliche da loro create: prive di forze proprie, senza il sostegno delle poTerritori sotto l’influenza francese polazioni, esse scomparvero in pochi giorni, come castelli di carte. Ultima a cadere fu la Repubblica partenopea, i cui dirigenti, nutriti di cultura illuminista, tentarono di resistere al ritorno della monarchia borbonica. Ma, assaliti da bande armate di contadini guidati dal cardinale Ruffo (1744-1827), che stava riconquistando il regno agli ordini del re Ferdinando IV (1759-1806), furono costretti ad arrendersi dopo aver ottenuto dallo stesso Ruffo la promessa di aver salva la vita. La promessa non fu rispettata: i patrioti furono arrestati e processati, più di cento furono condannati a morte. Il colpo di Stato: Napoleone al potere Le sconfitte subite dagli eserciti francesi e il rischio di un’invasione della Francia da parte degli austro-russi provocarono allarme a Parigi e indebolirono il governo. Si diffuse pertanto negli ambienti politici il desiderio di un governo più forte, in grado di assicurare l’ordine interno e di metter fine alla guerra. In questo clima maturò l’idea, messa a punto da due membri del Direttorio, Emmanuel Sieyès (1748-1836) e Paul Barras (1755-1829), di un colpo di Stato da attuare con l’appoggio dell’esercito. Bonaparte, tornato in quei giorni dall’Egitto, apparve l’uomo adatto per attuare il progetto: abile sul piano politico, esperto amministratore, capo militare di prim’ordine, aveva tutte le doti necessarie per assumere il potere. I tre consoli Il progetto fu attuato il 18 brumaio (9 novembre) 1799: Napoleone sciolse il Direttorio e impose la formazione di un governo provvisorio composto di tre consoli: Bonaparte, Sieyès e Pierre-Roger Ducos (1747-1816, un altro membro del Direttorio). Allo stesso Napoleone, con il titolo di “primo console”, fu conferito per dieci anni il potere esecutivo. Le elezioni furono abolite dappertutto; i magistrati, i prefetti e i sindaci non furono più eletti dalla popolazione ma cominciarono a essere scelti dal governo. In tal modo si decretava la fine delle autonomie locali e del sistema elettivo, una delle conquiste più significative della rivoluzione.

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

Sintesi

Napoleone Bonaparte e l’esportazione della libertà

La guerra tra Francia e Austria. Napoleone in Italia (1796-97) Firmati i trattati di pace con Prussia e Spagna (1796), in guerra rimanevano Austria, Inghilterra e Russia. Il governo del Direttorio decise un doppio attacco all’Austria: due armate erano dirette su Vienna e una terza, guidata dal giovane generale Napoleone Bonaparte (1769-1821), sulla Lombardia. Napoleone occupò gran parte dell’Italia settentrionale e non incontrò alcuna resistenza in Toscana, a Roma e a Napoli. In diversi luoghi fu accolto come un liberatore. Si costituirono alcuni governi repubblicani, alleati della Francia: la Repubblica transpadana (Milano), la Repubblica cispadana (Emilia-Romagna). Napoleone invase poi il Veneto, che perse la sua indipendenza, e marciò verso Vienna. Gli Asburgo intavolarono trattative di pace concluse direttamente da Napoleone, senza aspettare l’assenso del governo francese: col trattato di Campoformio (1797) la Francia otteneva Belgio e Lombardia, la Spagna Veneto, Istria e Dalmazia. Liberatori o conquistatori? Le conquiste napoleoniche in Italia furono caratterizzate da imposizioni fiscali pesanti e da sottrazioni di opere d’arte. Questi comportamenti stridevano con l’entusiasmo dei patrioti italiani, che andò scemando. L’as-

setto territoriale dell’Italia settentrionale fu modificato: i domìni francesi furono uniti nella Repubblica cisalpina e fu costituita la Repubblica di Genova. La cessione di Venezia all’Austria provocò la delusione dei patrioti veneti. Quella che appariva in origine una guerra di liberazione dalla tirannide si mostrò come l’espansione della potenza francese e del potere napoleonico a danno dei popoli. La spedizione napoleonica in Egitto (179899) Dopo la sconfitta austriaca, rimaneva in armi solo l’Inghilterra. Napoleone, per colpire il nemico nei suoi interessi coloniali, progettò una spedizione in Egitto, per creare una base da cui ostacolare i commerci inglesi con l’India. Sbarcati ad Alessandria, prima vinsero nella battaglia delle piramidi contro i mamelucchi (luglio 1798), poi furono sconfitti nella battaglia navale di Abukir (1° agosto) dall’ammiraglio inglese Nelson. L’esercito francese rimase bloccato in Egitto, mentre Napoleone riuscì a tornare a Parigi, portando con sé gli studiosi che in Egitto avevano registrato ogni aspetto della vita di quel paese: l’esito fu la stesura di un’enciclopedia di grande rilievo (Description de l’Egypte). Fu anche scoperta la stele di Rosetta, che permise di decifrare per

la prima volta l’antica scrittura geroglifica egiziana. Dalle repubbliche filofrancesi al colpo di Stato di Napoleone Le potenze europee si unirono in una seconda coalizione antifrancese, a cui aderirono Inghilterra, Austria, Russia, Regno di Napoli, Impero ottomano. Il Direttorio creò attorno alla Francia un cuscinetto di protezione mediante l’instaurazione di diverse repubbliche a essa legate: la Repubblica elvetica, la Repubblica bàtava (Olanda e Belgio), la Repubblica romana e quella partenopea. Il Piemonte fu annesso alla Francia. Le armate francesi furono sconfitte e queste repubbliche crollarono: l’ultima fu quella napoletana. In Francia le sconfitte militari provocarono il desiderio di un governo più forte. Venne attuato un colpo di Stato appoggiato dall’esercito: il 18 brumaio (9 novembre) 1799 fu sciolto il Direttorio, sostituito da un governo provvisorio formato da tre consoli. Napoleone ebbe il titolo di “primo console” e gli fu conferito un mandato decennale di governo. Furono abolite le elezioni e l’insieme delle magistrature diventò appannaggio del governo. Non esistevano più due conquiste centrali della rivoluzione: le elezioni e le autonomie locali.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Associa nella seguente tabella ogni data all’evento corrispondente. Data: 1 agosto 1798 • 9 novembre 1799 • 17 ottobre 1797 • 21 luglio 1798 Evento: trattato di Campoformio • battaglia navale di Abukir • colpo di Stato in Francia • battaglia delle piramidi DATA ............................................................

EVENTO ....................................................................................................................................................................... .......................................................................................................................................................................

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Capitolo 14 Napoleone Bonaparte e l’esportazione della libertà

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. colpo di Stato • comitato • cospirazione • demotico • geroglifico • mamelucchi • primo console • stele • Stato cuscinetto • Stato vassallo Stato creato, ai confini di una potenza, per arginare le aggressioni di potenze confinanti Soldati mercenari, principalmente schiavi turchi e circassi In un governo retto da più consoli, console con maggiori poteri, civili e militari Lastra verticale in pietra, recante decorazioni in rilievo o iscrizioni Stato assoggettato a una potenza più forte, a cui è legato da vincoli di dipendenza economica e legislativa Atto forte e contro la legge vigente, finalizzato a un cambiamento di regime Gruppo di persone incaricate di studiare, organizzare, risolvere questioni di varia natura, nell’interesse di una comunità Segno della scrittura figurata degli antichi Egizi Fase della lingua scritta egiziana Accordo segreto tra più persone per organizzare e attuare azioni sovversive contro il governo

3. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento. a. Jean-François Champollion riuscì a decifrare per la prima volta la scrittura: demotica. greca. geroglifica. latina. b. Dopo la prima campagna d’Italia di Napoleone, furono formate le repubbliche: transpadana e cisalpina. cisalpina e cispadana. cisalpina e ligure. cispadana e transpadana. c. L’esercito guidato da Napoleone Bonaparte nel 1797 doveva inizialmente puntare verso: la Lombardia. l’Austria. l’Egitto. la Repubblica di Venezia. d. La seconda coalizione antifrancese fu promossa: dall’Inghilterra. dall’Austria. dalla Russia. dall’Impero ottomano. e. Nel 1796 la Francia rimase in guerra contro: Austria, Inghilterra e Prussia. Austria, Inghilterra e Spagna. Austra, Inghilterra e Russia. Austria e Inghilterra.

f. Tra il 1798 e il 1799 in Italia esistevano le repubbliche: cisalpina, batava, napoletana, romana. cisalpina, ligure, transpadana, romana. cisalpina, ligure, napoletana, romana. cisalpina, transpadana, napoletana, romana. g. Dopo il trattato di Campoformio, furono formate le repubbliche: transpadana e cisalpina. cisalpina e cispadana. cisalpina e ligure. cispadana e transpadana. h. Il trattato di Campoformio sancì: il passaggio della Lombardia e del Belgio alla Francia. il passaggio della Lombardia e del Belgio all’Austria. il passaggio del Veneto alla Francia. l’indipendenza di Venezia. i. Con il titolo di primo console a Napoleone fu attribuito: Il potere legislativo per dieci anni. il potere esecutivo per un anno. il potere esecutivo per dieci anni. tutti i poteri per un anno. l. Il governo provvisorio del 1799 segnò la fine: delle repubbliche italiane. del sistema elettivo. delle guerre in Italia del potere di Napoleone.

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4. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. armistizio • Austria • battaglia di Abukir • battaglia delle piramidi • Belgio • cisalpina • cispadana • console • Dalmazia • Francia • Inghilterra • isolamento • Istria • ligure • Lombardia • mamelucchi • Mantova • Milano • Parigi • prima • Prussia • repubbliche • Russia • Savoia • seconda • transpadana • Veneto • Venezia • Vienna IN ITALIA

IN EGITTO

CAUSE

Prosecuzione della guerra contro la ............................. coalizione antifrancese

Prosecuzione della guerra contro la ............................. coalizione antifrancese

AVVERSARI

.................................................

e ....................................................

................................................... , ....................................................

VICENDE BELLICHE

• Armata guidata da Napoleone: fronte secondario • Vittorie militari e ingresso a .......................................... • Conquista dell’Italia settentrionale • Conquista di ............................... e del ............................... • Avanzata verso ............................... e ................................. deciso personalmente da Napoleone

• Formazione di un corpo di spedizione • Sbarco ad ........................................................ • Sconfitta dei ............................................................... nella

TRATTATI

..........................................................................................................

• Sconfitta della flotta francese nella ..........................................................................................................

• ....................................................... dell’esercito francese • Napoleone a ..................................................

Trattato di Campoformio: la Francia ottiene ........................................... e ......................................; l’Austria ottiene ..........................................., ......................................, ...........................................

CONSEGUENZE

Formazione della Repubblica ........................................... (Milano) e della Repubblica ............................................... (Emilia Romagna); poi: Repubblica ............................... (Lombardia Emilia Romagna) e Repubblica ...........................................

• Formazione della ......................................... coalizione antifrancese: ........................................, ................................., ............................., ..................................., Impero ottomano • Crollo delle ........................................... in Italia e colpo di Stato in .........................................: Napoleone diventa primo .................................................

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo tre righe. 1. Quali conseguenze ebbero le campagne napoleoniche sul piano culturale? 2. Come emerse la figura di Napoleone Bonaparte? 3. Quale funzione avevano le repubbliche filofrancesi istituite tra 1798 e 1799? Quali erano? 4. Quale governo fu introdotto in Francia dopo il colpo di Stato del 18 brumaio? 5. Che cosa stabiliva il trattato di Campoformio? Come fu accolto in Italia?

6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Come si concluse la prima campagna italiana di Napoleone? 2. Come furono accolti i francesi inizialmente nella prima campagna italiana? 3. Che cosa caratterizzò il comportamento dei francesi in Italia dopo la conquista? 4. Quali conseguenze ebbe la prima campagna italiana sul piano culturale?

5. Che reazioni vi furono in Italia? 6. Quali repubbliche furono create in Italia dopo il trattato di Campoformio? 7. Che cosa caratterizzò la caduta della Repubblica napoletana? Leggi il documento alle pp. 176-177 “La bandiera tricolore: dalla Francia rivoluzionaria alla Repubblica cispadana” e rispondi alle seguenti domande. 1. Quando fu adottato per la prima volta il tricolore italiano? 2. Quale significato simbolico aveva inizialmente il tricolore francese? 3. Quali princìpi nel documento sono messi in relazione con la Repubblica cispadana? 4. In quali luoghi si dovrà porre la nuova bandiera? 5. Su quali documenti il simbolo del tricolore dovrà essere posto? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve testo di almeno 10 righe dal titolo “Le repubbliche napoleoniche in Italia: aspetti e contraddizioni”.

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15 Alla conquista

Capitolo

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dell’Europa: trionfo e crollo di Napoleone

Percorso breve Dopo il colpo di Stato del 1799, Napoleone preparò una nuova offensiva contro gli austriaci: entrato di nuovo in Italia, li vinse a Marengo (1800) e riportò la regione padana sotto il controllo francese. Nel 1801 ottenne un importante successo diplomatico: stipulò un concordato con la Santa Sede, inducendo Pio VII a riconoscere lo Stato francese, che a sua volta (pur ribadendo la laicità dello Stato e la libertà religiosa) riconobbe il primato del culto cattolico. Nel 1802 Napoleone ottenne il consolato a vita e avviò un vasto piano di riforme: centralizzazione amministrativa, istituzione di un catasto e di una Banca nazionale, riorganizzazione della scuola e in particolare dei licei. Nel 1804 fu redatto il nuovo Codice civile, una raccolta organica delle leggi nate dalla Rivoluzione in nome della libertà. A questo punto Napoleone si fece attribuire il titolo di imperatore e instaurò nel paese un regime dittatoriale, alimentando il culto della sua persona. Di fronte alle mire espansionistiche di Bonaparte, una nuova coalizione fu organizzata nel 1805 dalla Gran Bretagna. Napoleone progettò di invadere l’isola, ma la flotta francese fu vinta a Trafalgar mentre, sul continente, lo stesso Napoleone batteva gli avversari in una serie di clamorose vittorie contro austriaci, prussiani e russi. L’intera Europa era sotto il dominio francese e Napoleone mise in atto una vera politica dinastica, insediando membri della sua famiglia al governo dei vari paesi. A quel punto solo l’Inghilterra restava in armi. Napoleone cercò di piegarla decretando il “blocco continentale” (chiusura di tutti i porti europei alle navi britanniche) ma l’impresa si rivelò di difficile attuazione, soprattutto perché gli inglesi, con l’aiuto del Portogallo, organizzarono un’opera sistematica di contrabbando. L’imperatore fu così costretto a nuove guerre, dapprima nella penisola iberica,

Napoleone a Sant’Elena, XIX sec. [Bibliothèque Marmottan, Parigi]

poi in Russia (dove lo zar aveva dichiarato di non poter rispettare il “blocco”). La campagna di Russia (1812) fu disastrosa per l’armata francese, sterminata dal freddo, dalla fame, dagli attacchi della cavalleria nemica. I nemici di Napoleone approfittarono del momento per allestire l’ennesima coalizione, che lo sconfisse a Lipsia (1813) obbligandolo ad abdicare. Esiliato all’Elba, l’imperatore tornò nel 1815 alla testa di un nuovo esercito ma a Waterloo (Belgio) fu vinto dalle armate inglesi e prussiane. Di nuovo esiliato nella sperduta isola atlantica di Sant’Elena, vi morì nel 1821. In modi diversi, fra loro contraddittori, il ventennio napoleonico lasciò un’impronta indelebile nella storia europea.

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

15.1 La vittoria francese sull’Austria, la pace in Europa La seconda campagna d’Italia Dopo il colpo di Stato del brumaio 1799, che aveva consegnato la Francia a Napoleone Bonaparte, il “primo console” (come egli stesso si era intitolato) preparò una duplice offensiva contro l’Austria che, assieme all’Inghilterra, aveva dato vita a una seconda coalizione in chiave antifrancese. L’attacco fu rapido: le truppe di Napoleone marciarono per la seconda volta verso l’Italia, il 2 giugno del 1800 occuparono Milano e il 14 giugno si scagliarono contro l’esercito asburgico che fu battuto prima a Marengo (in Piemonte, nei pressi di Alessandria) e, poco dopo, anche in Germania. Vittoria e pace La sconfitta costrinse l’imperatore d’Austria ad abbandonare il Belgio e l’Italia settentrionale e a firmare nel 1801 la pace di Lunéville con la quale la Francia affermava di nuovo la sua influenza oltre i propri confini. Sotto la dipendenza francese risorsero la Repubblica batava (Belgio e Olanda) e la Repubblica elvetica (Svizzera); in Italia, il Piemonte fu di nuovo annesso alla Francia, mentre nella Pianura Padana, già sede della Cisalpina, fu costituita la Repubblica italiana, sotto la presidenza dello stesso Napoleone. Di fronte ai successi di Napoleone, anche la Russia fu costretta a firmare la pace con Parigi, seguita poco dopo dagli inglesi (pace di Amiens, 1802). Dopo dieci anni di guerra si era raggiunta finalmente la pace, per la Francia e per l’Europa. Il concordato con la Chiesa Sicuro di aumentare la propria popolarità e di contribuire alla pacificazione interna, Napoleone a questo punto avviò trattative con la Santa Sede per risolvere il contrasto che era sorto nei primi anni della rivoluzione tra il nuovo governo repubblicano e la Chiesa cattolica [ 12.6]. Il 16 luglio 1801, grazie alla mediazione del cardinale Consalvi, segretario dello Stato pontificio, si arrivò a un concordato con il papa Pio VII (1800-23), in base al quale lo Stato francese, pur ribadendo la laicità dello Stato e la libertà di religione per ciascun cittadino, riconosceva il primato del culto cattolico rispetto agli altri culti; la Chiesa a sua volta riconosceva la Repubblica francese e il suo nuovo governo.

Aa Documenti Napoleone soffoca la libertà di stampa Consapevole dell’importanza della propaganda come strumento di governo, Napoleone dedicò la massima attenzione ai giornali, ai libri, agli spettacoli teatrali, sui quali istituì una stretta vigilanza e una censura preventiva. Tutto ciò che poteva insinuare dubbio, critica, indifferenza nei confronti della sua persona o del suo regime fu tolto di mezzo. Viceversa fu incoraggiata ogni manifestazione elogiativa e celebrativa. Nel 1800 a Parigi uscivano 72 giornali. Il

17 gennaio Napoleone ne soppresse 59, per poter controllare più facilmente i restanti 13. Di questi ultimi, nel 1811 non ne sussistevano che quattro: il «Moniteur» (portavoce ufficiale dell’imperatore), il «Journal de l’Empire», la «Gazette de France» e il «Journal de Paris». Nelle scuole era obbligatorio leggere il «Moniteur». Professori e maestri dovevano illustrare agli allievi specialmente i bollettini di guerra, che per ordine di Na-

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eprimete di più i giornali, fate in modo che siano pubblicati solo buoni articoli, fate capire ai redattori che non è lontano il tempo in cui, accorgendomi che non mi sono utili, sopprimerò tutti i giornali e ne conserverò uno solo. Fate loro capire che il tempo della rivoluzione è finito, che in Francia c’è un solo partito, e che io non sono disposto a tollerare che si scriva qualcosa contro i miei interessi. lettera di Napoleone al ministro Fouché, 1805

poleone erano redatti come strumenti di propaganda: le vittorie erano raccontate con grande risalto e con molta enfasi, le sconfitte invece erano minimizzate o addirittura passate sotto silenzio. Questa politica repressiva è ben testimoniata da una lettera scritta nel 1805 da Napoleone e indirizzata al ministro di Polizia Joseph Fouché (1763-1820), e da un decreto del 1810 emanato dallo stesso Napoleone.

È

proibito stampare o far stampare pubblicazioni che possano mettere in dubbio i doveri dei sudditi verso il sovrano e nuocere all’interesse dello Stato. Chi contravviene a questa norma sarà arrestato e condannato secondo le prescrizioni del Codice Penale. decreto di Napoleone, 1810

Venezia: tavola del catasto austro-napoleonico, 1806 Fratelli Lesueur, Il sogno di Napoleone dopo la battaglia di Marengo, XIX sec. [Musée Carnavalet, Parigi]

Questa illustrazione rappresenta il sogno di Napoleone dopo la vittoria sugli austriaci, a Marengo. È il sogno di un’Europa sottomessa, che rende omaggio al conquistatore.

Una delle più importanti riforme napoleoniche fu l’istituzione del catasto, attraverso il quale Napoleone riuscì a censire perfettamente i beni di ogni singolo cittadino.

15.2 Le riforme di Napoleone Consolato e riforme amministrative Forte del rinnovato prestigio, Napoleone ebbe riconfermati i pieni poteri e nel maggio 1802 ottenne il consolato a vita. Per contrastare gli oppositori e i critici potenziò la polizia e la magistratura, e istituì una rigida censura su giornali, libri, opere teatrali. Contemporaneamente si dedicò a un vasto piano di riforme, sia nell’ambito politicoamministrativo, sia nell’ambito economico e fiscale. L’amministrazione dello Stato fu centralizzata: i dipartimenti, istituiti dalla rivoluzione come strumenti di decentramento burocratico [ 12.7], furono sottoposti al controllo di prefetti che rappresentavano il governo centrale e ne dipendevano direttamente. Riforme economiche Per risanare la pesante crisi economica che continuava a gravare sul paese, Napoleone istituì (già dal 1800) la Banca di Francia e introdusse, sul modello già sperimentato dagli Asburgo d’Austria [ 10.4], un nuovo catasto con cui furono censiti i beni posseduti da ogni cittadino. Diminuirono le imposte dirette, quelle cioè pagate da chi poteva produrre un reddito (in pratica proprietari terrieri e borghesia), mentre aumentarono quelle sui beni di consumo (le imposte indirette) che andarono a gravare sulla popolazione meno ricca (che dovette spendere di più per procurarsi il necessario per vivere). Il vantaggio di tale politica fu però l’aumento degli investimenti da parte dei proprietari terrieri e dei borghesi in settori chiave come l’agricoltura e l’industria. Inoltre, per proteggere dalla concorrenza britannica il commercio e l’industria nazionali furono applicate tariffe doganali molto alte sull’importazione di merci inglesi. Riforme scolastiche Una cura particolare fu dedicata alla scuola. Durante la rivoluzione si era cercato di attuare l’istruzione elementare gratuita per tutti, a carico dello Stato, per un ideale di uguaglianza sociale scaturito dalla cultura illuministica [ 13.4]. L’impegno dello Stato napoleonico fu rivolto piuttosto alla scuola secondaria, destinata ai figli dei notabili e idonea a formare i ceti dirigenti del paese. Il modello di scuola creato allo scopo fu il liceo, preparatorio per l’università. Un liceo concepito come collegio, in cui gli allievi vivevano sotto una disciplina di tipo militare, con le divise, i gradi, le gerarchie, le marce. La formazione culturale aveva un carattere prevalentemente letterario.

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna L’organizzazione dei licei, il reclutamento e il pagamento degli insegnanti erano compito dello Stato. L’istruzione elementare restò invece affidata ai comuni e alle parrocchie.

Riforme civili La creazione più significativa e duratura del governo napoleonico fu il Codice civile, emanato nel 1804: una raccolta delle leggi nate dalla rivoluzione, che offrì per la prima volta ai cittadini leggi chiare, valide per tutti nel territorio dello Stato. In precedenza ogni regione, ogni città aveva norme proprie, diverse da quelle altrui, alcune risalenti al diritto romano, altre di origine medievale, altre emanate negli anni della rivoluzione; norme talvolta in contraddizione tra di loro, da cui scaturivano frequenti incertezze, che favorivano il privilegio e gli inganni.

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Napoleone I imperatore dei francesi, 1806 [Musée de l’Armée, Parigi]

Questo quadro testimonia la volontà di rintracciare la legittimità del potere di Napoleone in tempi anteriori alla monarchia dei Borbone: lo scettro dell’imperatore, la mano della giustizia, il mantello color porpora foderato di ermellino, la tunica bianca e la corona d’alloro sono tutti simboli che richiamano l’Impero romano e il passato carolingio della Francia. Napoleone, divenuto il simbolo della Francia trionfatrice, viene elevato a imperatore dal Senato.

Il Codice civile Nel Codice furono consolidate le conquiste essenziali della Rivoluzione francese: la libertà individuale, l’uguaglianza di fronte alla legge, la libertà religiosa. Fondamentale venne dichiarato il diritto di proprietà, al quale furono dedicati numerosi articoli, come uno dei cardini sui quali era costruita la nuova società nata dalla rivoluzione. Accanto al diritto di proprietà, definito assoluto e inviolabile, fu affermata la libertà di iniziativa economica. Tra le norme relative alla famiglia fu ammesso il divorzio. Napoleone introdusse il Codice anche nei paesi soggetti o “amici” della Francia, in particolare in Italia e nei paesi tedeschi; in tal modo gran parte dell’Europa conobbe e sperimentò forme più moderne ed evolute di ordinamenti statali, basate su valori civili e politici che, a cominciare dall’Ottocento, avrebbero fortemente condizionato l’evoluzione della società europea. «La mia vera gloria – dirà Napoleone al termine della sua avventura politica – non consiste nell’avere vinto sessanta battaglie. Ciò che vivrà eternamente è il mio Codice civile».

15.3 La fine della repubblica: Napoleone imperatore La rottura degli accordi di pace Non pochi studiosi hanno espresso l’opinione che Napoleone sarebbe stato veramente grande se, dopo aver conseguito smaglianti successi militari e avere assicurato la pace e l’ordine alla Francia, si fosse volontariamente ritirato dal potere, a somiglianza di George Washington [ 11.4] che, dopo aver guidato e vinto la guerra contro gli inglesi, presiedette per otto anni il governo degli Stati Uniti e poi si ritirò a vita privata. Ma Napoleone, deciso a crearsi in Francia un’autorità quasi assoluta, arbitro ormai della pace e della guerra, dopo soli tredici mesi dalla pace di Amiens giunse di nuovo a una rottura dei rapporti con l’Inghilterra, che nel maggio 1803 dichiarò guerra alla Francia. Napoleone imperatore Mentre Napoleone estendeva il suo dominio, per confermare agli occhi dei nemici il potere del loro leader il Senato francese gli conferì il titolo di “imperatore dei francesi”, dichiarandolo trasmissibile agli eredi. L’incoronazione ebbe luogo a Parigi, nella cattedrale di Nôtre Dame, il 2 dicembre 1804. Il papa, Pio VII, era presente alla cerimonia, ma non fu lui a incoronare l’imperatore come era sempre accaduto dal Medioevo in poi, per sottolineare il carattere religioso e l’origine divina dell’autorità imperiale. Napoleone invece prese da sé la corona e se la mise sul capo con le proprie mani: simbolicamente, questo gesto significava che non era sovrano per diritto divino, ma per investitura popolare, ossia per diritto proprio. Napoleone il santo Dopo aver cinto la corona imperiale Napoleone accentuò sempre di più il culto per la sua persona, servendosi di tutti i mezzi, la stampa, il teatro, l’arte, la religione. In un Nuovo catechismo introdotto in Francia a partire dal 1806 si legge: «Onorare e servire il no-

Capitolo 15 Alla conquista dell’Europa: trionfo e crollo di Napoleone stro Imperatore è come onorare e servire Dio stesso». Perfino il calendario liturgico subì modificazioni in omaggio al dittatore: alla data del 15 agosto comparve, per ordine governativo, san Napoleone, da festeggiare solennemente in tutta la Francia. Il nuovo santo, non registrato tra quelli ufficialmente riconosciuti dalla Chiesa, fu scoperto – meglio sarebbe dire “inventato” – in un oscuro episodio della storia antica, dove si accenna a un ufficiale romano di nome Napoleone, martirizzato all’epoca di Diocleziano.

15.4 Napoleone padrone dell’Europa La sconfitta della terza coalizione Alla dichiarazione di guerra dell’Inghilterra, Napoleone rispose preparando uno sbarco nell’isola. Ma la superiorità inglese sul mare e l’entrata in guerra della Russia, dell’Austria e della Svezia, che nell’agosto del 1805 si unirono nella loro terza coalizione, impedirono l’attuazione del progetto. La flotta francese fu quasi completamente distrutta a Trafalgar (presso Cadice, nella penisola iberica) dall’ammiraglio Nelson, che nella battaglia perse la vita. Questa sconfitta fu compensata da nuove vittorie dell’imperatore, che, attaccato dall’Austria, dalla Prussia, dalla Russia, in meno di due anni piegò gli avversari e si impadronì di gran parte dell’Europa. Prima sconfisse gli eserciti austro-russi nella battaglia di Austerlitz (1805) e occupò Vienna; poi si volse contro la Prussia e ne annientò l’esercito; penetrò infine in Polonia, dove sconfisse i russi e firmò con lo zar Alessandro I (1801-25) la pace di Tilsit (1807).

I modi della storia

Nuovi stili e nuove mode per la Francia imperiale

La moda settecentesca si era contraddistinta, soprattutto fra i nobili, per la grande attenzione agli elementi decorativi, sia nell’abbigliamento delle persone, sia nell’arredamento degli interni: mobili, soprammobili, ecc. Questo stile, detto rococò, fu a poco a poco abbandonato verso la fine del secolo, all’epoca della rivoluzione, con l’affermarsi dell’abbigliamento “borghese” che si caratterizzava per la sua maggiore semplicità e praticità. Furono abolite le parrucche, il taglio dei vestiti diventò più lineare e funzionale. Intanto si cominciava a riscoprire l’arte classica, se ne imitavano le forme pure ed essenziali. Il neoclassicismo – come fu chiamato il nuovo stile – trionfò in epoca napoleonica, sia per la suggestione degli studi e delle scoperte archeologiche che gli scienziati al seguito delle armate francesi facevano in Oriente, sia per le pretese “imperiali” che a un certo punto assunse la politica di Napoleone, che volle presentarsi quasi come erede dell’Impero romano e della civiltà classica. Nella camera da letto dell’imperatore, alle pareti appaiono decorazioni ispirate alle case di Pompei, portate alla luce proprio in quegli anni. Ed ecco sorgere a Parigi un arco di trionfo in stile romano e una

chiesa (la Madeleine) in stile greco. Ecco affermarsi nel mobilio uno stile – detto “impero” – lineare e severo. Ecco sparire dall’abbigliamento femminile i fronzoli troppo ricercati, in favore di linee più essenziali, tagliate in modo verticale per

Chiesa della Madeleine, 1807-42 [Parigi]

valorizzare il collo e le braccia (che ora, secondo l’uso greco e romano antico, si preferiscono scoperte). Questi nuovi gusti estetici sono chiaramente visibili anche nell’arte figurativa dell’epoca.

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna L’impero di Napoleone L’intera Italia passò sotto il dominio francese, e con essa l’Istria e la Dalmazia, denominate “Province illiriche”. Nell’Europa del nord, la Polonia fu annessa alla Francia. Gli Stati tedeschi, che fin dal Medioevo costituivano il Sacro romano impero germanico (presieduto da secoli dagli Asburgo d’Austria), furono riuniti da Napoleone in un organismo unico, denominato Confederazione del Reno, e furono sottoposti alla Francia. Da quel momento Napoleone poteva dirsi padrone dell’Europa. Il suo potere personale, ormai senza limiti, fu da lui consolidato con una politica dinastica: assegnare a membri della sua famiglia il governo dei paesi conquistati. Così egli affidò l’Italia settentrionale, trasformata in Regno italico, al figliastro Eugenio di Beauharnais (1781-1824); il Regno di Napoli al fratello Giuseppe (1806-08); il Regno d’Olanda al fratello Luigi (1806-10); il Granducato di Toscana alla sorella Elisa (1809-14). La quarta coalizione Nel 1806 l’eccessiva potenza francese spinse la Prussia, la Russia, la Svezia, l’Inghilterra a unirsi di nuovo contro Napoleone (quarta coalizione). Ma, di nuovo, l’abilità di Bonaparte ebbe ragione degli avversari. Nei trattati di pace si convenne che la Prussia avrebbe ceduto le province polacche, che formarono un nuovo Stato, il Granducato di Varsavia, affidato da Napoleone a un suo alleato, il re di Sassonia.

15.5 La resistenza inglese REGNO DI NORVEGIA e la guerriglia spagnola REGNO Il “blocco continentale” Forte del suo primato navale e della sua potenza economica, MARE DI l’Inghilterra DEL resisteva irriducibile all’espansionismo della Francia napoleoniSVEZIA REGNO IRLANDA NORD DI ca e continuava ad alimentare contro di lui coalizioni e guerre. Bonaparte, nell’impossiDANIMARCA bilità di scontrarsi vittoriosamente sul mare con la rivale,I M ricorse alla guerra economica, ERO SSIA la chiusura diP tutti INGHILTERRA RUcioè P decretando il “blocco continentale”, i porti europei alle I DI D NO G E navi britannicheREGNO e alleDInavi di paesi neutrali provenienti dall’Inghilterra. GRANDUCATO R U S S I A R VESTFALIA Elba Od DI VARSAVIA er CONFEDERAZIONE Dni epr ola DEL RENO Vist REGNO Dni Loira est I M PNORVEGIA E RDI O r IMPERO CONFED . FRANCESE ELVETICA D ’A US T R I A REGNO REGNO Po D’ITALIA MARE DI DEL io REGNO SVEZIA MAR NERO Danub IRLANDA NORD DI IM DANIMARCA PE Roma IMPERO RO SSIA INGHILTERRA I PRU REGNO DI D NO O DI REGNO DI TT EG GRANDUCATO R U SSIA R NAPOLIVESTFALIA Elb OM a Od DI VARSAVIA A N O OCEANO e r Se CONFEDERAZIONE Dni ATLANTICO nn epr ola DEL RENO a Vist Dni Loira est IMPERO MAR MEDITERRANEO r IMPERO . FRANCESE CONFED ELVETICA D ’A US T R I A REGNO Po D’ITALIA io MAR NERO Danub REGNO I Tago DI M PE Roma RO SPAGNA REGNO OT DI TO NAPOLI MA NO

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Capitolo 15 Alla conquista dell’Europa: trionfo e crollo di Napoleone

I modi della storia

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Il primo zucchero di barbabietola

«La necessità aguzza l’ingegno» dice un noto proverbio. Cioè: quando manca qualcosa, la fantasia degli uomini cerca nuove soluzioni alle proprie esigenze. Un esempio significativo di questa realtà è la vicenda che, attorno al 1807, sollecitò le ricerche del banchiere francese Benjamin Delessert (1773-1847) sulle barbabietole e la scoperta del procedimento per estrarne lo zucchero, già sperimentato dallo scienziato berlinese Friedrich Karl Achard (1753-1821). All’origine dell’innovazione di Delessert vi

fu il “blocco continentale”, ossia l’isolamento dell’Inghilterra voluto da Napoleone, che, indirettamente, provocò l’arresto delle importazioni di zucchero, tradizionalmente garantite dalle navi inglesi. Fino a quel momento, infatti, lo zucchero si ricavava solo dalla canna, coltivata nelle piantagioni americane e asiatiche. Il nuovo procedimento, che poi si diffuse, consentì ai francesi di continuare a produrre zucchero utilizzando una pianta diversa e rendendo sempre meno necessarie le importazioni da oltre Oceano.

La scoperta ebbe una grande importanza, perché permise alla Francia di procurarsi ugualmente il prezioso alimento e Delessert, che prima di essere un botanico dilettante e membro dell’Accademia delle scienze era un banchiere e un industriale, aprì vari zuccherifici nel paese che gli fruttarono importanti riconoscimenti ufficiali e il titolo di barone dell’impero, tributatogli dallo stesso Napoleone. Oggi, una grandissima parte dello zucchero consumato in Europa deriva dalle barbabietole.

Gli inglesi reagirono organizzando su vasta scala il contrabbando. Attraverso il Portogallo, l’Italia meridionale, l’Olanda, la Germania settentrionale i prodotti inglesi continuarono a entrare nel continente. Per far rispettare il blocco e per espandere ulteriormente il suo impero, Napoleone organizzò nuovi interventi militari, innanzitutto contro uno dei più stretti alleati commerciali dell’Inghilterra: il Portogallo.

Il controllo del Portogallo e della Spagna Il comando delle truppe inviate nella penisola iberica fu affidato al generale Gioacchino Murat (1767-1815), cognato di Napoleone. Grazie all’appoggio che i francesi ebbero dalla Spagna, il Portogallo cadde sotto il loro dominio nel 1807. Subito l’anno dopo, approfittando dei contrasti interni alla corona per questioni di successione dinastica, Napoleone riuscì a imporre sul trono di Spagna suo fratello Giuseppe, già sovrano del Regno di Napoli, che passò a Murat. L’occupazione francese della penisola provocò l’insurrezione degli spagnoli, che senza sosta e per diversi anni attaccarono le truppe francesi con azioni di logorante “guerriglia” (il termine, divenuto d’uso comune, fu coniato proprio in quella circostanza). Francisco Goya, 3 maggio 1808: fucilazione alla Montaña del Principe Pio, 1814 [Museo El Prado, Madrid]

Questa tela documenta un evento particolarmente cruento: le truppe imperiali fucilano su una collina nei pressi di Madrid un gruppo di rivoltosi, arrestati e condannati senza alcuna prova di colpevolezza. Nel 1807, le truppe napoleoniche entrano in Spagna, e il popolo, ritenendo giunta la libertà, riserva ai francesi una buona accoglienza. Ma ben presto le mire di Napoleone diventano chiare: detronizzare i Borbone al solo scopo di sostituirli con suo fratello Giuseppe Bonaparte. A questo punto la popolazione si ribella, subendo la spietata repressione dell’esercito francese.

Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna La quinta coalizione Mentre Napoleone era impegnato a reprimere la rivolta in Spagna, una nuova alleanza si formò tra Austria e Inghilterra: era la quinta coalizione. Ancora una volta Bonaparte si dimostrò più forte battendo gli avversari nella battaglia di Wagram (1809) e togliendo all’Austria altri territori. A coronamento della sua potenza, ormai giunta al punto più alto, Napoleone riuscì a ottenere dall’imperatore d’Austria, Francesco I (1804-35), l’autorizzazione a sposarne la figlia diciottenne Maria Luisa d’Asburgo: il matrimonio portò al trono dell’imperatore il prestigio di un’illustre parentela. L’anno seguente nacque un figlio, battezzato Napoleone come il padre e dotato del titolo di “re di Roma”. Napoleone ora aveva tutto, anche l’erede a cui affidare il suo impero.

15.6 La campagna di Russia e il crollo di Napoleone

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L’invasione della Russia Il paese che maggiormente risentiva i danni economici del blocco imposto da Napoleone all’Inghilterra era la Russia, che scambiava con Londra legname, grano, materie prime e altri prodotti naturali in cambio di macchinari, armi, tessuti. Per questo, nel 1812, lo zar Alessandro I informò Napoleone che non gli era possibile rispettare il blocco e che intendeva riprendere i rapporti con l’Inghilterra. Napoleone, convinto che la Russia fosse l’ultimo ostacolo che gli impediva di piegare l’Inghilterra, concentrò un immenso esercito di 700.000 uomini, circa la metà francesi, gli altri provenienti dai paesi soggetti, e invase la Russia con l’obiettivo di raggiungere l’esercito dello zar, inferiore di numero, e distruggerlo con un’unica rapida azione, Pietroburgo che avrebbe MARErisolto la guerra in poche settimane. I

DEL NORD REGNO Mosca L’Europa nel 1812 REGNO DI DI GRAN BRETAGNA Borodino 1812 Tilsit DANIMARCA E IRLANDA Lubecca Amburgo Friedland 1807 R Londra SIA O US R Lipsia 1813 P Varsavia R OCEANO Waterloo 1815 Jena 1806 DUCATO U DI VARSAVIA ATLANTICO S CONF. S Parigi Austerlitz 1805 DEL RENO O Lunéville Wagram 1809 Pietroburgo Ulm 1805 MARE IMPERO Vienna Presburgo DEL FRANCESE NORD IMPERO D’AUSTRIA REGNO Mosca REGNO REGNO DI Marengo 1800 DI GRAN BRETAGNA Borodino 1812 DI Tilsit DANIMARCA io EREGNO IRLANDA MAR NERO Danub SPAGNA D’ITALIA Lubecca Amburgo Friedland 1807 R Londra IM SIA Madrid Roma O P E PRUS Istanbul Lipsia 1813 R O Varsavia Bailén 1808 REGNO R REGNO OCEANO Waterloo DUCATO DI 1815 Jena 1806 U OT DI VARSAVIA DI ATLANTICO Cadice T S O CONF. NAPOLI MA N SARDEGNA S Parigi Austerlitz C.Trafalgar 1805 O1805 DEL RENO O Lunéville Wagram 1809 Ulm 1805 REGNO Algeri IMPERO Vienna Presburgo DI SICILIA Tunisi FRANCESE IMPERO D’AUSTRIA Malta REGNO 1800 brit. Marengo 1800 DI io MAROCCO MAR MEDITERRANEO REGNO ALGERIA MAR NERO Danub SPAGNA D’ITALIA I M Madrid Roma Abukir 1798 PE Istanbul RO Bailén 1808 REGNO EGITTO REGNO DI OT DI Cadice TO M NAPOLI SARDEGNA A NO C.Trafalgar 1805

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Capitolo 15 Alla conquista dell’Europa: trionfo e crollo di Napoleone Una trappola mortale Ma il comando russo, guidato dal generale Michail Ilarinovi Kutuzov (1745-1813), adottando una tattica già sperimentata nel XVIII secolo da Pietro il Grande contro gli svedesi [ 3.4], evitò lo scontro diretto e fece ritirare ordinatamente le truppe, attirando gli avversari all’interno dello sconfinato paese, dopo aver dato alle fiamme raccolti, depositi, villaggi, in modo da non lasciare ai francesi nient’altro che terra bruciata. Napoleone riuscì ad arrivare a Mosca soltanto per vederla distrutta da un incendio, appiccato prima del suo arrivo. Dopo avere inutilmente atteso per un mese che lo zar mandasse i suoi messi a chiedere la pace, egli dovette rassegnarsi a ordinare la ritirata mentre già avanzava l’inverno, il cosiddetto “generale inverno”. Freddo, gelo, fame, malattie decimarono la grande armata, tra gli attacchi della cavalleria cosacca e di bande di contadini. Fu un disastro senza precedenti. La disfatta della Beresina Il colpo di grazia arrivò tra il 25 e il 27 novembre 1812 quando le truppe napoleoniche, già ridotte di numero, tentarono di attraversare le acque gelate del fiume Beresina (in Bielorussia) per proseguire nella loro ritirata. Kutuzov sferrò il suo attacco contro l’armata di Napoleone, le vittime furono decine di migliaia. Riuscirono a tornare a casa meno di 100.000 uomini. Il crollo di Napoleone La campagna di Russia era finita in modo catastrofico: centinaia di migliaia di morti, la Francia indebolita, crollato il mito dell’invincibilità di Napoleone. Gli Stati europei approfittarono del momento giudicato particolarmente favorevole per riprendere le armi, affrontare Napoleone senza dargli il tempo di riprendersi, batterlo definitivamente. Agli inizi del 1813 l’Inghilterra, la Russia, la Prussia, l’Austria, la Svezia si unirono ancora una volta contro l’imperatore. Era la sesta coalizione.

Aa Documenti Gli orrori della guerra di Russia nella lettera di un soldato italiano Il 25 ottobre 1812, all’indomani della battaglia di Malojaroslavets (a sud-ovest di Mosca) combattuta fra l’armata russa e l’esercito francese, il sottufficiale bologne-

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se Alessandro Neri, sergente maggiore nel III Reggimento di fanteria leggera del Regno italico, al seguito di Napoleone nella campagna di Russia, scrisse alla madre

alojaroslavets, 25 ottobre 1812 Carissima mamma, non mi ricordo più qual sia stato l’ultimo paese da cui Le ho scritto: forse uno della Baviera. Da quell’epoca in poi ci hanno fatto raddoppiare le marce per passare la Sassonia, Slesia, Prussia, Polonia, Lituania, Livonia, e Russia in poco più di due mesi. Impossibile cosa sarebbe che io provassi a raccontarLe i patimenti e le fatiche di una marcia di 2.900 miglia circa. Gli strapazzi, la fame, la sete, le febbri, le continue marce di 30 e 40 miglia al giorno, le acque fetide, il clima scellerato, i combattimenti colle truppe russe e coi crudelissimi cosacchi. […] Ieri, in ritirata, abbiamo avuto una grandissima battaglia contro più di centomila russi, mentre le nostre truppe, in massima parte italiane, venute in soccorso dei francesi, essendo stato ucciso il loro generale Delzons, non erano che 15.000; abbiamo vinto noi italiani, ma abbiamo avuto delle perdite enormi: forse 5.000 uomini, ma i russi ne ebbero il doppio […] Siamo andati spessissimo all’attacco alla baionetta. Che orrori! Morti una quantità di ufficiali e generali, ferito il ge-

la lettera che qui riportiamo. Quando la lettera giunse a destinazione, nel febbraio dell’anno successivo, Neri era già morto durante la ritirata. Aveva ventitré anni.

nerale Pino, morto suo fratello, ferito Varese il colonnello del nostro reggimento, e tanti e tanti altri calpestati dai cannoni, dai cavalli. […] Avendo pernottato sul campo di battaglia, perché la battaglia finì a mezzanotte, non può immaginare, cara madre, quali orrori ho visto… Il viceré ci ha lodati noi italiani soprattutto, e anche Napoleone ci ha passato in rivista oggi, sul campo di battaglia, e ci ha fatto grandi elogi, dicendoci “bravi italiani”. Anche i feriti gridavano “Viva l’imperatore, viva l’Italia”. Ora siamo fermi: ma che cosa faremo? Non so come passeremo questo inverno così terribile, cioè se in pace o in guerra. In una o l’altra maniera io dispero però di rivedere la bella Italia! […] Non mi posso estendere1 di più, e poi non so nemmeno se riceverà queste righe. Se pure giungono nelle sue mani, possano ispirarLe quell’amore di natura che mi condurrà fino alla morte. Abbracci a tutta la famiglia – suo Alessandro.

1 Dilungare.

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

Adolf Northen, Le truppe prussiane fanno irruzione nel villaggio di Plancenoit durante la battaglia di Waterloo, XIX sec. [Hamburger Kunsthalle, Amburgo]

Il dipinto mostra l’ingresso dei prussiani, guidati dal feldmaresciallo (maresciallo di campo) Blücher, a Plancenoit (nodo cruciale nella battaglia di Waterloo). La sconfitta napoleonica di Waterloo, contro l’alleanza anglo-prussiana, segnò la fine dell’impero napoleonico.

La battaglia di Lipsia Napoleone ricostituì l’esercito reclutando una leva di giovanissimi e si inoltrò in Germania, sperando di vincere gli avversari combattendoli separatamente; ma dopo aver ottenuto, inizialmente, un duplice successo sui prussiani, si scontrò nei pressi di Lipsia (16-18 ottobre 1813) con le forze unite della coalizione, numericamente superiori, e fu sconfitto nella cosiddetta “battaglia delle nazioni” (l’esercito alleato era infatti composto da soldati provenienti da quasi tutti i paesi europei). Napoleone dovette rientrare in patria per tentare di evitare l’invasione della Francia, ma non riuscì a impedire che Parigi stessa fosse occupata dagli alleati (marzo 1814), che rifiutarono qualunque trattativa con Bonaparte e dichiararono che avrebbero aperto negoziati di pace soltanto con altri uomini di governo. Si formò allora un governo provvisorio presieduto dal marchese di La Fayette, che dichiarò decaduto l’imperatore.

15.7 La fine dell’impero di Napoleone Il Congresso di Vienna Costretto ad abbandonare la Francia, Napoleone si ritirò nell’isola d’Elba, che gli fu concessa come possedimento e come luogo d’esilio. Sul trono di Francia fu restaurata la dinastia borbonica nella persona di Luigi XVIII (1814-24), fratello maggiore del re ghigliottinato durante la rivoluzione. I rappresentanti delle maggiori potenze, Inghilterra, Austria, Russia e Prussia, si riunirono in Congresso a Vienna (1814-15) per concordare un equilibrio tra gli Stati che assicurasse la pace e restaurasse ovunque le autorità e gli ordinamenti politici esistenti prima della rivoluzione. Ma nel marzo 1815 i lavori del congresso fu-

Capitolo 15 Alla conquista dell’Europa: trionfo e crollo di Napoleone rono interrotti da un avvenimento che suscitò scalpore in tutta Europa: Napoleone, sfuggito alla sorveglianza della flotta inglese, aveva lasciato l’Elba ed era sbarcato in Francia, accolto con entusiasmo dalla popolazione, in maggioranza ostile alla monarchia e ai nobili, che minacciavano vendette e reclamavano la restituzione dei beni confiscati.

I cento giorni. La sconfitta a Waterloo Lo spirito patriottico e rivoluzionario dei francesi sembrò aver ritrovato la sua impetuosa energia, tanto che Luigi XVIII, da pochi giorni sul trono, abbandonò Parigi e riparò oltre confine. L’avventura di Napoleone durò pochi mesi, i cosiddetti “cento giorni”; immediatamente i suoi avversari riunirono le forze nella settima e ultima coalizione ed egli, dopo aver inutilmente tentato di allacciare rapporti diplomatici con i governi europei, dovette nuovamente scendere in guerra. Sui campi di Waterloo in Belgio, il 18 giugno 1815, i 95.000 soldati inglesi del generale Wellington (1769-1852) assieme ai prussiani del generale Blücher (1742-1819) ottennero una vittoria risolutiva sui 120.000 uomini di Bonaparte. Travolto dalla sconfitta, Napoleone si consegnò agli inglesi, confidando nell’ospitalità di quel popolo da lui definito «il più potente, il più costante, il più generoso dei miei nemici». Napoleone fu relegato in esilio a Sant’Elena, una sperduta isola dell’Atlantico, al largo della costa occidentale dell’Africa, dove morì sei anni dopo, il 5 maggio 1821. Il ripristino delle monarchie Nei giorni in cui Napoleone fuggiva dall’Elba e tentava di risollevare le sue fortune in Francia, si compirono in Italia le vicende di suo cognato, Gioacchino Murat, sul trono di Napoli dal 1808. Ritenendo di consolidare il suo potere, Murat dichiarò guerra all’Austria e marciò verso la Lombardia, sperando di sollevare le popolazioni e di ottenerne l’appoggio. A Rimini lanciò un proclama (30 marzo 1815) in cui prometteva di dare la costituzione all’Italia e affermava di farsi sostenitore dell’indipendenza italiana. Ma il suo messaggio passò inascoltato. Sconfitto a Tolentino nelle Marche, Murat riparò in Corsica mentre a Napoli tornavano i Borbone. In ottobre Murat tentò di riconquistare il Regno di Napoli sbarcando in Calabria, ma il suo piccolo esercito fu facilmente vinto ed egli stesso fu catturato, processato e fucilato il 13 ottobre 1815. Dopo Waterloo, non solo in Italia ma in tutta Europa i confini territoriali dei vari Stati erano destinati a ritornare grosso modo quelli antecedenti all’ascesa di Napoleone. Ciò che però era cambiato era il sentimento di indipendenza che la Rivoluzione americana prima e quella francese poi avevano trasmesso alle popolazioni, che avevano già ereditato il modello delle loro Costituzioni.

I tempi della storia Napoleone e la storia d’Europa La storia dei paesi europei fu profondamente segnata dall’opera di Napoleone, che lasciò impronte durature in molti Stati del continente. Il bilancio della vicenda è contraddittorio: il dominio napoleonico, decisamente dannoso sotto certi aspetti, fu anche un’occasione di avanzamento civile, sociale, giuridico. I territori annessi alla Francia e i cosiddetti “Stati vassalli” furono sottoposti a ingenti prelievi fiscali e a brutali spoliazioni di tesori artistici. Nello stesso tempo, i nuovi Stati conobbero più moderni ordinamenti amministrativi e un’organizzazione più

efficiente della burocrazia statale. Soprattutto è da riconoscere l’importanza del Codice civile, promulgato in Francia nel 1804 e presto introdotto in Italia e in Germania. Realizzando l’abolizione dei privilegi feudali, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e al fisco, l’abbattimento delle barriere doganali, il Codice civile contribuì in maniera decisiva all’evoluzione della società e della vita economica. Anche negli Stati non soggetti a Napoleone questa ventata di novità fece sentire i suoi effetti: dall’Austria alla Prussia, agli

Stati italiani rimasti indipendenti, gli anni del dominio napoleonico videro scomparire la servitù contadina, i tribunali privilegiati per il clero o per i nobili, i vincoli doganali, le differenze locali di pesi e di misure. Da questo punto di vista le conquiste della Rivoluzione francese furono effettivamente “esportate” in tutta l’Europa, sollecitando fra i ceti borghesi più avanzati il nascere di una nuova coscienza civile e ponendo le basi per i movimenti sociali e politici dei decenni successivi.

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

Sintesi

Alla conquista dell’Europa: trionfo e crollo di Napoleone

La vittoria francese sull’Austria, la pace in Europa Ottenuta la carica di “primo console” dopo il colpo di Stato del 18 brumaio, Napoleone attaccò nuovamente l’Austria, sconfiggendola a Marengo (Piemonte) e in Germania. Con la pace di Lunéville (1801) furono ricostituite le Repubbliche batava ed elvetica, accanto alla Repubblica italiana, nella Pianura Padana, presieduta da Napoleone. Il Piemonte tornò alla Francia. In seguito anche Russia e Inghilterra firmarono la pace con Bonaparte che stipulò anche un concordato con papa Pio VII, con cui venne riaffermata la libertà di culto in Francia, ma con un ruolo privilegiato alla religione cattolica, e il Papato riconobbe la Repubblica francese. Le riforme di Napoleone Ottenuto il consolato a vita (maggio 1802) Napoleone diede inizio a una serie di riforme. In ambito amministrativo, fu istitituita la figura del prefetto con cui si rafforzò il governo centrale; in ambito economico: istituzione della Banca di Francia; introduzione di un nuovo catasto; aumento delle imposte indirette, che colpì i meno ricchi ma permise degli investimenti in ambito agricolo e industriale; applicazione di tariffe doganali per le merci importate dall’estero. Fu poi introdotto il liceo, una scuola secondaria per la formazione delle classi dirigenti caratterizzata da una rigida disciplina, finanziata dallo Stato. La riforma più nota fu l’emanazione del Codice civile (1804), una raccolta di tutte le leggi entrate in vigore nel periodo rivoluzionario, che dava alla Francia leggi chiare e valide per tutti, basate sulle conquiste rivoluzionarie in merito alla libertà e all’uguaglianza dei cittadini. Queste norme furono introdotte negli Stati soggetti all’influenza francese, permettendo la diffusione in Europa di ordinamenti statali moderni ed evoluti. La fine della repubblica: Napoleone imperatore Napoleone estese sempre di più il suo dominio personale sulla Francia. La pace di Amiens, stipulata con l’Inghilterra, fu rotta nel 1803 dall’attacco inglese alla Francia; sul piano interno, a Bonaparte venne attribuito il titolo di “imperatore dei francesi”, sugellato dalla cerimonia dell’incoronazione (di-

cembre 1804), durante la quale Napoleone si pose da solo la corona, a simboleggiare come l’origine del suo potere fosse nell’investitura popolare. Il culto per la sua persona fu alimentato in ogni modo: teatro, arte, religione, fino al calendario liturgico che arrivò a prevedere la festività di san Napoleone. Napoleone padrone dell’Europa Dopo la ripresa del conflitto tra Francia e Inghilterra, fu costituita la terza coalizione antifrancese (agosto 1805), comprendente anche Austria, Russia e Svezia. Dopo la sconfitta nella battaglia navale di Trafalgar, seguì una serie di vittorie francesi, a danno degli austriaci (battaglia di Austerlitz), dei prussiani e dei russi, con i quali fu firmata la pace di Tilsit (1807). La Francia acquistò una posizione di dominio in Europa, ottenendo l’Italia, l’Istria e la Dalmazia, gli Stati tedeschi e la Polonia. Napoleone assegnò i paesi conquistati a suoi familiari, avviando di fatto una politica dinastica. Una quarta coalizione antifrancese (1806) fu sconfitta nuovamente da Bonaparte. Sulle province polacche prima appartenenti alla Prussia si formò il Granducato di Varsavia, affidato al re di Sassonia, alleato di Napoleone. La resistenza inglese e la guerriglia spagnola Per vincere l’Inghilterra, Napoleone decise di colpire i suoi commerci e, con il cosiddetto “blocco continentale”, escluse dai porti europei le navi britanniche o provenienti dall’Inghilterra. Gli inglesi risposero con la pratica del contrabbando. Il contrabbando inglese passava per il Portogallo e Napoleone decise di attaccare questo paese, arrivando a conquistarlo (1807). Inoltre fu posto sul trono di Spagna Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone. La presenza francese determinò la rivolta degli spagnoli, condotta tramite azioni di guerriglia. Una quinta coalizione antifrancese (Austria e Inghilterra) fu ancora una volta sconfitta da Bonaparte (battaglia di Wagram). L’imperatore francese raggiunse il culmine del suo potere sposando Maria Luisa d’Asburgo, figlia dell’imperatore austriaco, da cui ebbe un figlio. A quel punto i suoi domini avevano anche un erede.

La campagna di Russia e il crollo di Napoleone Il blocco continentale danneggiò particolarmente la Russia, partner commerciale dell’Inghilterra. Nel 1812 lo zar Alessandro I dichiarò la sua intenzione di riprendere i commerci con gli inglesi. Per risposta, a capo di un enorme esercito (700.000 uomini), Napoleone invase la Russia. Il generale russo Kutuzov fece ripiegare le truppe all’interno distruggendo ogni cosa, in modo da far trovare al nemico solo terra bruciata. Quando Napoleone arrivò a Mosca la trovò incendiata. Con l’avvicinarsi del tremendo inverno russo, i francesi dovettero ritirarsi. A quel punto l’esercito francese fu attaccato e decimato sia dal freddo sia dalla cavalleria russa. La campagna di Russia si trasformò in una catastrofe. Approfittando della debolezza francese, fu organizzata la sesta coalizione antifrancese (Austria, Prussia, Russia, Svezia), che sconfisse l’esercito napoleonico (Lipsia, 1813) e arrivò a occupare Parigi. La coalizione rifiutò le trattative di pace e Napoleone fu dichiarato decaduto e sostituito al governo dal marchese di La Fayette. La fine dell’impero di Napoleone Napoleone fu esiliato nell’isola d’Elba, mentre in Francia fu restaurata la dinastia borbonica con Luigi XVIII, fratello del re ghigliottinato. Le potenze europee si riunirono nel Congresso di Vienna (1814-15), per ridisegnare l’Europa secondo il principio dell’equilibrio e della restaurazione degli assetti prerivoluzionari. Durante i lavori del congresso, Napoleone fuggì dall’Elba e raggiunse Parigi, accolto con entusiasmo dalla popolazione. Il re appena posto sul trono fuggì all’estero. Iniziò l’ultima fase dell’avventura napoleonica, i “cento giorni”. Venne formata la settima coalizione antifrancese e Napoleone fu definitivamente sconfitto (battaglia di Waterloo) e relegato nella sperduta isola di Sant’Elena, dove morì nel 1821. Negli stessi mesi Gioacchino Murat, re di Napoli, attaccò l’Austria, in nome dell’indipendenza dell’Italia, ma fu sconfitto e riparò in Corsica. Qualche mese dopo tentò di riconquistare Napoli sbarcando in Calabria, ma fu sconfitto e fucilato. Gli assetti territoriali e politici dell’Europa tornarono a essere quelli del periodo prenapoleonico.

Capitolo 15 Alla conquista dell’Europa: trionfo e crollo di Napoleone

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1800

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

1801

1802

1803

1804

1805

1806

battaglia di Lipsia pace di Tilsit battaglia di Waterloo Codice civile napoleonico battaglia di Wagram formazione della quarta coalizione antifrancese inizio dei lavori del Congresso di Vienna morte di Napoleone

1807

1808

9. 10. 11. 12. 13. 14. 15.

1809

1812

1813

1814

1815

1821

battaglia di Austerlitz battaglia di Marengo battaglia del fiume Beresina pace di Amiens concordato tra la Francia e il papa Pio VII l’Inghilterra dichiara guerra alla Francia Gioacchino Murat diventa re di Napoli

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto.

3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

censura • blocco continentale • coalizione • Codice civile • concordato • contrabbando • cosacchi • dipartimenti • esilio • guerriglia • liceo • prefetti

a. Napoleone aumentò le imposte dirette e diminuì quelle indirette.

V

F

b. I “cento giorni” incominciarono durante i lavori del Congresso di Vienna.

V

F

c. Il concordato del 1801 riconosceva al cattolicesimo il primato rispetto agli altri culti.

V

F

d. Nei licei istituiti da Napoleone la formazione culturale aveva un carattere soprattutto letterario.

V

F

e. Nell’ottobre 1813 Napoleone venne sostituito al governo da La Fayette.

V

F

f. Il blocco continentale consisteva nella chiusura dei porti europei alle navi inglesi.

V

F

g. La pace europea sancita dal trattato di Amiens si mantenne per quasi tre anni.

V

F

h. Nel proclama di Rimini, Murat sostenne l’indipendenza dell’Italia.

V

F

Raccolta dell’insieme delle norme giuridiche riguardanti il diritto privato

i. Nel 1812 lo zar Alessandro I aderì al blocco continentale contro i prodotti inglesi.

V

F

Controllo preventivo dei contenuti su opere di diffusione pubblica

l. L’apice della potenza napoleonica si ebbe col matrimonio con Maria Teresa d’Asburgo.

V

F

m. Dopo il 1807, venne formata una “confederazione del Reno” sottoposta al dominio francese.

V

F

n. Napoleone fu incoronato imperatore dal papa Pio VII nel 1804.

V

F

o. Dopo la battaglia di Waterloo, Napoleone si ritirò in esilio nell’isola d’Elba.

V

F

p. Prima del 1804 le regioni e le città francesi avevano leggi tra loro contraddittorie.

V

F

q. Dopo la pace di Lunéville l’Italia settentrionale venne annessa alla Francia.

V

F

r. Il generale Kutuzov utilizzò contro Napoleone la tattica della “terra bruciata”.

V

F

Circoscrizioni amministrative decentrate rette da un prefetto Accordo tra due parti o Stati per comporre una controversia Azioni di guerra irregolari condotte contro un esercito regolare Chiusura dei porti di un continente alle merci provenienti da un paese Organi periferici che rappresentano il governo centrale

Pena consistente nell’allontanamento dal paese di residenza Unione tra gruppi o Stati per il conseguimento di fini comuni Scuola secondaria superiore che prepara all’università Soldati di cavalleria dell’esercito russo Violazione delle leggi doganali riguardanti le merci

197

198

Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

s. I paesi conquistati dalla Francia furono assegnati, dal 1807, ai familiari di Napoleone.

V

F

v. Il Codice civile fece conoscere alla Francia forme più evolute dell’ordinamento statale.

V

F

t. Dopo la caduta di Napoleone in Francia fu restaurata la monarchia borbonica.

V

F

z. Gioacchino Murat nel 1807 da re di Spagna divenne re di Napoli.

V

F

u. La pace di Tilsit fu firmata tra la Francia e la Russia.

V

F

4. Completa la seguente tabella inserendo le date e le località mancanti. Data: 1800 • 1801 • 1802 • 1805 • 1806 • 1807 • 1809 • 1813 • 1815 Luogo: Amiens • Austerlitz • Beresina • Lunéville • Lipsia • Marengo • Prussia • Russia • Svezia • Tilsit • Trafalgar • Vienna • Wagram • Waterloo LE SETTE COALIZIONI ANTIFRANCESI QUANDO PRIMA

1793-96

CHI

BATTAGLIE

ESITO

Austria, Inghilterra,

Wattignies e Fleurus

Liberazione territorio francese

......................................................................

Italia (........................................., nel ....................) e Germania

Pace di ..................................... (nel ..................) e di ................ (nel ..................)

Austria, Inghilterra,

.......................................................

....................................................................., ......................................................................

e ................................................... (nel ..................)

Pace di ..................................... tra Francia e Russia (nel ..................)

.....................................................................,

Penisola iberica

Portogallo alla Francia e Giuseppe Bonaparte re di Spagna

....................................................................., ......................................................................

SECONDA

TERZA

QUARTA

1799-1802

.........................................

.........................................

Austria, Inghilterra,

....................................................................., .....................................................................,

Inghilterra QUINTA

.........................................

Austria, Inghilterra

.......................................................

Matrimonio tra Napoleone e Maria Luisa d’Austria

SESTA

.........................................

Inghilterra, ..........................................., ....................................................................., Austria, ....................................................

......................................................,

Caduta di Napoleone

SETTIMA

.........................................

Inghilterra, ..........................................., ...................................................., Austria

......................................................, ....................................................... .......................................................

Esilio definitivo di Napoleone e Congresso di ..................................................

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quali cariche furono ricoperte da Napoleone Bonaparte? In quali anni? 2. Quali furono i caratteri della riorganizzazione amministrativa dello Stato? 3. Quali furono i suoi provvedimenti nel campo della politica economica?

4. Quali misure protezionistiche furono da lui adottate? 5. Quali furono le sue riforme nell’ambito della politica scolastica? 6. Quali furono le sue riforme in ambito giuridico? Che conseguenze ebbero? 7. Quali provvedimenti furono presi nei confronti delle opposizioni interne?

Capitolo 15 Alla conquista dell’Europa: trionfo e crollo di Napoleone

Con le informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale. LE RIFORME INTERNE DI NAPOLEONE BONAPARTE DIRITTO .........................................................................

OPPOSIZIONI INTERNE

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AMMINISTRAZIONE:

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NAPOLEONE BONAPARTE Cariche: .......................................................................

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SCUOLA

ECONOMIA

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6. Leggi il documento “Gli orrori della guerra di Russia nella lettera di un soldato italiano” a p. 193 e rispondi alle seguenti domande. 1. Chi era Alessandro Neri? Che cosa racconta nel documento? 2. Quale tragitto hanno percorso le truppe? Quali difficoltà vi hanno incontrato? 3. Come termina la battaglia raccontata? In che modo è combattuta? 4. Che cosa dice Napoleone ai soldati? Quale è il suo atteggiamento? 5. Che cosa viene detto nel brano circa le speranze di ritornare dalla spedizione? Sulla base delle informazioni contenute nella precedente tabella, scrivi un testo di almeno 12 righe dal titolo: “Ascesa e declino di Napoleone Bonaparte”.

7.

Rispondi alle seguenti domande con un breve testo di almeno 10 righe. 1. Quando ebbe luogo la seconda campagna d’Italia? Che esito ebbe?

2. Quali aspetti caratterizzarono l’incoronazione imperiale di Napoleone? 3. Perché si formò la terza coalizione? Come si sviluppò il conflitto? Che conseguenze ebbe? 4. Perché si formò la quarta coalizione? Come si sviluppò il conflitto? Che conseguenze ebbe? 5. Che cosa era il “blocco continentale”? Perché venne imposto? Con quali conseguenze? 6. Perché si formò la quinta coalizione? Come si sviluppò il conflitto? Che conseguenze ebbe? 7. Quando ebbe luogo la campagna di Russia? Che cosa la caratterizzò? Che esito ebbe? 8. Perché si formò la sesta coalizione? Come si sviluppò il conflitto? Che conseguenze ebbe? 9. Che cosa furono i “cento giorni”? Quando ebbero luogo? A che cosa portarono? 10. Chi era Gioacchino Murat? 11. Perché si formò la settima coalizione? Come si sviluppò il conflitto? Che esito ebbe?

199

200

Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

Sulla base delle risposte date alle domande, completa la seguente tabella. LE GUERRE NAPOLEONICHE DAL 1799 AL 1815 SECONDA CAMPAGNA D’ITALIA

CONTRO TERZA E QUARTA COALIZIONE

CONTRO PORTOGALLO E SPAGNA

CONTRO QUINTA COALIZIONE

CAMPAGNA DI RUSSIA

CONTRO SESTA COALIZIONE

I CENTO GIORNI

QUANDO

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DOVE

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PERCHÉ

CONTRO CHI

EPISODI SALIENTI

ESITO FINALE

CONSEGUENZE

La discussione storiografica

Aspetti economici e sociali della Rivoluzione francese U

na consolidata interpretazione della Rivoluzione francese è quella che la rappresenta come momento decisivo dello scontro, in Francia, tra gli interessi della nobiltà feudale, che aveva dominato la vita del paese dal Medioevo in poi, e quelli delle emergenti borghesie cittadine, che, dopo avere affermato la propria supremazia economica nelle attività produttive, nelle manifatture, nei commerci, aspiravano a estendere questa supremazia anche sul piano politico e a diventare la nuova classe dirigente del paese. La rivoluzione in questo senso costituì il momento di passaggio da un’egemonia a un’altra, dal dominio sociale e politico dell’aristocrazia a quello della borghesia. Questo tipo di interpretazione, tuttora accolta dalla maggior parte degli studiosi, risale al pensiero socialista di inizi Novecento, in particolare a Jean Jaurés (1859-1914), autore di una Storia socialista della Rivoluzione francese (1901-08), che, applicando alla storia di Francia il modello di analisi proposto da Karl Marx (1818-1883), padre dell’ideologia comunista, delineava l’evoluzione storica come un succedersi di egemonie sociali diverse, legate agli interessi economici delle varie classi. Il passaggio dal feudalesimo al capitalismo (ossia a un sistema economico fondato sulla divisione fra proprietà e lavoro e sulla concentrazione in poche mani dei mezzi materiali per produrre e realizzare profitti) segnava, appunto, il prevalere degli interessi borghesi su quelli aristocratici, a cui avrebbe fatto seguito, in un futuro che i socialisti si auguravano imminente, l’egemonia della classe operaia. Con declinazioni ogni volta diverse, questo schema è stato sostanzialmente accolto dalla storiografia francese

successiva ed è rimasto alla base delle più accreditate interpretazioni del fenomeno rivoluzionario di fine Settecento. Su di esso si sono modellati gli studi di Albert Mathiez (1874-1932), Georges Lefebvre (1874-1959) e più recentemente di Albert Soboul (19141982), autore di questa lapidaria affermazione: «La Rivoluzione francese rappresenta, insieme con le rivoluzioni inglesi del XVII secolo, il coronamento di una lunga evoluzione economica e sociale che ha reso la borghesia padrona del mondo». Queste idee sono state messe in discussione da una diversa tradizione storiografica, di matrice liberale, la quale ha sostenuto che la “rivoluzione borghese” è solo un mito costruito dagli studiosi. Padre di questa revisione è stato l’inglese Alfred Cobban (19011968), secondo il quale gli interessi della borghesia francese del Settecento non erano affatto in contrasto con quelli della nobiltà feudale: al contrario, i borghesi miravano a integrarsi nella società aristocratica per condividerne i privilegi; del resto – ha sostenuto Cobban – essi non costituivano un ceto sociale omogeneo, ma un coacervo composito

Nobiltà e clero sulle spalle della borghesia Immagini satiriche di questo tipo erano diffusissime negli anni della Rivoluzione.

in cui non dominavano gli imprenditori ma semmai i liberi professionisti, i possidenti, i piccoli commercianti. Se i lavori dell’Assemblea nazionale costituente, nel 1789, presero una direzione diversa, portando alla rapida abolizione dei privilegi nobiliari e di tutto ciò che aveva a che fare con il regime feudale, ciò non avvenne per volontà e per scelta della componente borghese del “terzo stato”, bensì per la pressione della componente popolare. Furono gli interessi contadini a individuare il regime feudale come nemico da abbattere; furono le rivolte contadine contro i nobili, gli assalti ai castelli, la distruzione degli archivi a spingere la rivoluzione in senso anti-nobiliare. La tesi di Cobban è stata ripresa da altri storici, fra i quali l’americano George V. Taylor (1919) che ha sottolineato la vicinanza degli obiettivi sociali di no-

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Modulo 4 Rivoluzioni dell’età moderna

bili e borghesi, insistendo sul fatto che la “nobiltà di toga” (quella parte della borghesia che soprattutto al tempo di Luigi XIV era stata introdotta negli uffici pubblici) si era progressivamente avvicinata alla “nobiltà di spada” (l’aristocrazia tradizionale), condividendone interessi e stili di vita, a cominciare dalla proprietà fondiaria, in cui la maggior parte dei borghesi aspirava a investire i propri capitali. Lo scontro fra i due gruppi avvenne perché la nobiltà di corte (in gran parte raccolta dallo stesso Luigi XIV nella reggia di Versailles)

diventò col tempo sempre più esclusiva e selettiva, impedendo l’accesso di “nuovi nobili” al suo interno. A questa radicale revisione storiografica è stato obiettato che l’importanza delle forze popolari nel processo rivoluzionario non esclude una sua matrice fondamentalmente borghese. Albert Soboul, rispondendo a Cobban, ha ribadito la natura borghese del fenomeno, pur ammettendo che la virata in senso anti-feudale della rivoluzione sia stata accelerata dalla pressione contadina. Questa tuttavia non esaurì

il senso storico dell’evento: semmai, afferma Soboul, riprendendo le suggestioni già formulate da Jean Jaurés agli inizi del Novecento, la discesa in campo delle classi popolari fu una sorta di anticipazione di quanto sarebbe accaduto in seguito, nel corso del XIX secolo, quando, chiusa ormai la partita fra nobiltà e borghesia con il trionfo di quest’ultima, il crescere delle rivendicazioni popolari avrebbe spostato l’asse del conflitto, mettendo ora in primo piano i contrasti fra borghesia e masse operaie.

che definisce “un mito” l’idea della “rivoluzione borghese”. Il secondo è di Albert Soboul, che polemicamente gli risponde, ribadendo la specificità “bor-

ghese” della rivoluzione, e inquadrando la vicenda francese, in modo comparativo, all’interno della più ampia evoluzione storica delle borghesie europee.

I testi I brani che presentiamo illustrano le due diverse posizioni sul significato sociale ed economico della Rivoluzione francese. Il primo è di Alfred Cobban,

La “rivoluzione borghese” come mito storiografico Alfred Cobban

Ci troviamo di fronte a un problema che è di realtà storica. È valida l’identificazione della borghesia come forza sociale responsabile della ribellione ai diritti signoriali1? [...] Quel che ci interessa non è che cosa sia accaduto, che nel complesso non è in discussione, ma perché accadde in quel modo. Che le campagne, una volta accertatane la possibilità, debbano essersi battute in ogni maniera possibile per l’abolizione dei diritti di signoria, è facile da capire. Ma se l’«abolizione del feudalesimo ad opera della borghesia» ha qualche significato, essa può significare soltanto abolizione dei diritti signoriali; e comunque noi riteniamo formata la borghesia, essa doveva includere gli uomini che formularono i cahiers2 delle città e i membri del terzo stato all’Assemblea Nazionale. Ne deriva che il vero evento storico da spiegare non è l’«abolizione del feudalesimo ad opera della borghesia», ma, al contrario, la sua resistenza a tale abolizione. [...] Per chi voglia identificare il movimento rurale contro i diritti signoriali con una «rivolta borghese contro il feudalesimo» resta solo una linea di ritirata, fondata sulla scoperta di una classe, che si potrebbe chiamare «borghesia

rurale», che si suppone abbia guidato il movimento contro il sistema delle seigneuries3, traendone vantaggio. Se così è stato, ciò avvenne evidentemente in opposizione alla borghesia cittadina, il che rende difficile sostenere la tesi dell’unità d’interessi della classe borghese. [...] In verità non si vede in che modo sia possibile non accettare quanto ogni storico, se avesse osservato l’evidenza, avrebbe per forza accettato, qualora non fosse stato intellettualmente schiavo di una teoria. L’abolizione dei diritti signoriali fu opera delle campagne, ammessa controvoglia dagli uomini che redassero i cahiers delle città e imposta all’Assemblea Nazionale dalla paura ispirata da una rivolta contadina. Ne deriva che il «rovesciamento del feudalesimo ad opera della borghesia» si avvicina molto a un mito. A. Cobban, La società francese e la rivoluzione, Firenze 1967 (orig. Princeton, 1964) 1 Feudali. 2 Quaderni di rimostranze. 3 Diritti di signoria.

La discussione storiografica Aspetti economici e sociali della Rivoluzione francese

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La “rivoluzione borghese” come realtà storica Albert Soboul

La Rivoluzione del 1789-94 ha segnato l’avvento della società moderna, borghese e capitalista, nella storia della Francia. La sua caratteristica fondamentale è di avere realizzato l’unità nazionale del paese in base alla distruzione del regime delle signorie e degli ordini privilegiati del feudalesimo [...]. Il fatto che la Rivoluzione francese sia giunta finalmente a instaurare una democrazia liberale ne precisa anche il significato storico. Da questo duplice punto di vista, e considerata sotto la prospettiva della storia mondiale, merita di essere definita il modello classico della rivoluzione borghese. Lo studio comparativo della Rivoluzione francese pone quindi due serie di problemi. Problemi d’ordine generale: quelli inerenti alla legge storica del passaggio dal feudalesimo al capitalismo moderno. Se ci si rifà alla problematica esposta da Marx nel libro III del Capitale, questa transizione si effettua in due modi: con la distruzione completa dell’antico sistema economico e sociale (è «la via veramente rivoluzionaria»), con la salvaguardia degli antichi metodi di produzione in seno alla nuova società capitalista (è la via del compromesso). Problemi d’ordine particolare: quelli attinenti alla struttura specifica della società francese alla fine dell’Ancien Régime e tali da spiegare i caratteri specifici della Rivoluzione francese rispetto ai vari tipi di rivoluzione borghese. Da questo duplice punto di vista la storia della Rivoluzione francese non si può isolare da quella dell’Europa. In

tutti i paesi europei la formazione della società moderna [...] si è prodotta in misura diversa a vantaggio della borghesia. La Rivoluzione francese non è stata la prima da cui la borghesia abbia tratto vantaggio: prima di questa la rivoluzione olandese del secolo XVI, le due rivoluzioni inglesi del secolo XVII, la rivoluzione americana del secolo XVIII sono scaturite da questa evoluzione. [...] Se la Rivoluzione francese fu la più clamorosa delle rivoluzioni borghesi, tale da eclissare con la drammaticità delle lotte di classe le rivoluzioni che l’avevano preceduta, essa lo dovette all’ostinazione dell’aristocrazia ancorata ai propri privilegi feudali, restia a qualsiasi concessione, e all’accanimento in senso contrario delle masse popolari. La borghesia non aveva desiderato la rovina dell’aristocrazia; il rifiuto del compromesso e la controrivoluzione la obbligarono a procedere alla distruzione dell’ordine antico. Ma non vi riuscì se non alleandosi alle masse rurali e urbane, alle quali bisognava pure dare soddisfazione: la rivoluzione popolare e il Terrore fecero piazza pulita, il feudalesimo fu irrimediabilmente distrutto, si instaurò la democrazia. [...] Da questo duplice punto di vista la Rivoluzione francese fu ben lungi dal costituire un mito, come qualcuno ha insinuato. A. Soboul, L’ottantanove nella storia del mondo contemporaneo, 1969

Modulo 5

La rivoluzione La industriale rivoluzione

industriale Capitolo 16

L’età delle macchine Per millenni, l’uomo ha prodotto tutto ciò che gli serviva – alimenti, vestiti, oggetti d’uso – lavorando con le sue mani e servendosi di attrezzi elementari (martelli, punteruoli, trapani) o utilizzando macchine semplici, azionate a mano (come i telai) o mosse dalla forza dell’acqua, del vento, degli animali (come i mulini). A metà del XVIII secolo in alcuni paesi, e per prima l’Inghilterra, le cose cominciarono a cambiare in maniera irreversibile: nuove invenzioni tecnologiche promossero il passaggio dal sistema di produzione tradizionale a uno industriale e il motore a vapore diede al processo la dimensione di una vera e propria rivoluzione industriale.

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Capitolo 17

Capitalismo e classe operaia Con il processo di industrializzazione si affermò il capitalismo, un sistema economico e sociale che prevede la separazione tra proprietà e lavoro. Ne derivò una profonda trasformazione della società, con l’apparire di una nuova classe sociale – il proletariato operaio – che non esisteva prima della rivoluzione industriale. Il cambiamento del sistema produttivo, legato alle nuove tecnologie e all’uso delle macchine, vide affermarsi anche un nuovo tipo di organizzazione del lavoro, il cosiddetto “sistema di fabbrica”.

Capitolo 18

La questione sociale Le durissime condizioni di vita e di lavoro della classe operaia, nata dalla rivoluzione industriale, suscitarono attente riflessioni e idee di rinnovamento sociale, proposte sia da intellettuali, filosofi ed economisti, sia da industriali illuminati, sia da associazioni operaie. A questo insieme di problemi, al tempo stesso sociali, economici e politici, si dà il nome di “questione sociale”.

Modulo 5 La rivoluzione industriale

16 L’età

Capitolo

206

delle macchine

Percorso breve Tra XVIII e XIX secolo si avviò in Inghilterra la rivoluzione industriale, un fenomeno tra i più importanti della storia, così chiamata non per la rapidità dei cambiamenti, che avvennero in modo graduale, ma per il loro carattere profondo e irreversibile, che modificò radicalmente gli equilibri produttivi e, con essi, l’intera struttura della società. Il sistema industriale di produzione, basato sul lavoro delle macchine, si sviluppò da un insieme di innovazioni tecnologiche che riguardarono dapprima il settore tessile, poi quello siderurgico. Per rispondere all’accresciuta domanda di tessuti di cotone, in una fase di crescita demografica e di espansione del mercato, varie innovazioni migliorarono la produttività degli strumenti per filare e per tessere. All’accresciuta domanda di macchine fece riscontro lo sviluppo dell’industria siderurgica, che crebbe in stretta interconnessione con gli altri settori industriali. In questo caso fu importante la messa a punto di nuovi procedimenti di fusione, che permisero di utilizzare come combustibile non più la legna ma il coke, ricavato dal carbon fossile. Ne derivò uno straordinario impulso all’industria mineraria. Ma la spinta decisiva alla modificazione del sistema produttivo fu l’invenzione della macchina a vapore (1776), attribuita a James Watt (1736-1819), il primo motore termico costruito dall’uomo. Esso fu applicato alla produzione tessile, poi a quella mineraria e siderurgica e infine ai mezzi di trasporto, sulle navi e sui treni. Diversi motivi concorrono a spiegare perché la rivoluzione industriale scattò in Inghilterra prima che altrove. La rivoluzione agraria, sollecitata nel XVIII secolo dalla piccola nobiltà rurale, permise di aumentare la produ-

Pehr Hilleström il Vecchio, La fonderia Anchor a Söderfors, 1770-80 ca. [Nationalmuseum, Stoccolma]

zione e i redditi, ossia l’accumulo di capitali per l’acquisto di macchine; la disponibilità locale di prodotti come il carbone e il ferro fu messa a frutto per costruirle e per farle funzionare; la posizione internazionale del paese, che col suo impero coloniale dominava i mari, consentì di guardare al mondo intero come a un grande mercato da cui trarre materie prime e in cui vendere prodotti. A ciò si aggiunse la stabilità politica del governo inglese, che investì nel miglioramento delle infrastrutture viarie e nell’espansione dei canali navigabili, per il transito e il trasporto delle merci. L’Inghilterra in questo modo diventò, come fu scritto, «l’officina del mondo».

Capitolo 16 L’età delle macchine

207

16.1 Uomini e macchine La rivoluzione industriale Fra il XVIII e il XIX secolo prese avvio in Europa un processo di radicale trasformazione dell’economia e della società, noto come rivoluzione industriale. “Rivoluzione” non tanto per la rapidità dei cambiamenti, che avvennero in modo graduale, nell’arco di alcuni decenni, quanto per la loro profondità, per il loro carattere irreversibile: da quel momento in poi i modi di lavorare, di vivere, di pensare non furono più gli stessi; l’intera struttura della società ne uscì alterata, così come gli equilibri su cui per millenni si erano rette le civiltà umane. Un insieme di importanti innovazioni tecnologiche trasformarono i modi di produzione e operarono un cambiamento totale dei sistemi di lavoro. Era nato il sistema industriale di produzione: il più grande cambiamento storico avvenuto dai tempi dell’invenzione dell’agricoltura in età neolitica. L’età meccanica «Se ci chiedessero di caratterizzare con una sola parola questa età che è la nostra – scriveva nel 1829 lo storico e filosofo scozzese Thomas Carlyle (1795-1881) – noi saremmo tentati di definirla non: l’età eroica, o religiosa, o filosofica, o morale, ma soprattutto: l’età meccanica. La nostra età è quella della macchina, in tutta la compiutezza del termine [...]. Non soltanto l’esterno e il fisico è adesso guidato dalla macchina, ma anche l’interno e lo spirituale. La stessa pratica regola non soltanto i nostri modi di agire, ma anche i nostri modi di pensare e sentire». La trasformazione riguardò tanto gli aspetti quantitativi della produzione (sia agricola sia industriale) quanto quelli qualitativi e modificò i tempi, i luoghi e i modi di lavorare e produrre, ponendo le basi per la nascita di un nuovo tipo di società, non più contadina ma industriale, in cui la fabbrica diventava l’unità produttiva per eccellenza.

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Il decollo L’avvio della rivoluzione industriale – il cosiddetto decollo (take off) – avvenne in Inghilterra negli ultimi decenni del Settecento. Ma perché proprio lì e perché allora? Le cause del fenomeno, o per meglio dire le condizioni che lo resero possibile, furono diverse e complesse e intrecciarono tutti gli aspetti della vita economica, politica e culturale del paese.

Densità di popolazione (1801) per km2

Lo sviluppo demografico ed economico in Gran Bretagna ai primi dell’Ottocento

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Modulo 5 La rivoluzione industriale

16.2 La rivoluzione industriale inizia in Inghilterra. Perché?

Un allevatore mostra fiero la sua pecora, XVIII sec. Di pari passo con la cosiddetta rivoluzione agricola, si perfezionarono i metodi di allevamento, principalmente di ovini e bovini, con lo scopo di ottenere una migliore qualità di lana e una produzione di latte e carne più elevata in tempi più rapidi.

Dalla rivoluzione agricola… Per spiegare l’avvio della rivoluzione industriale in Inghilterra molti storici attribuiscono un ruolo importante alla profonda trasformazione dell’agricoltura avvenuta nel paese durante il XVIII secolo: trasformazione talmente radicale da meritare essa stessa l’appellativo di “rivoluzione” [ 7.4]. Da secoli la coltivazione della terra si basava su un sistema collettivo; frazionata in tanti piccoli appezzamenti, essa era lavorata dai contadini dei villaggi, che decidevano insieme il da farsi: che cosa seminare, quando e come raccogliere, come usare gli spazi boschivi di uso comune. Nel corso del Settecento tutto questo finì: i diritti d’uso collettivi furono aboliti, i boschi furono messi a coltura; la proprietà della terra si concentrò nelle mani di pochi, i piccoli appezzamenti furono accorpati e trasformati in vaste fattorie recintate, gestite da un unico proprietario. Si passò in questo modo – con il sostegno del governo e di apposite “leggi di recinzione” – dal piccolo podere a conduzione collettiva alla grande proprietà a conduzione individuale. Queste vaste fattorie furono gestite con metodi nuovi: vi furono introdotti nuovi sistemi di rotazione, nuove colture, sementi selezionate, attrezzi perfezionati. Si ottennero rendimenti molto alti, che permisero ai proprietari di accumulare consistenti profitti e ingenti patrimoni. La scomparsa dei piccoli poderi e del sistema collettivo ridusse molti contadini a nullatenenti disoccupati: alcuni furono assunti come braccianti salariati nelle fattorie, altri si riversarono nelle città a cercare lavoro. …alla rivoluzione industriale In tal modo la rivoluzione agraria si saldò strettamente con la rivoluzione industriale. Inizialmente ne favorì l’avvio, fornendole la base finanziaria, cioè il denaro da investire nell’acquisto di macchinari, e la base umana, cioè la massa dei salariati (in un momento in cui la crescita demografica, sostenuta dalla disponibilità di cibo, faceva vistosamente aumentare la popolazione nel paese: da 6 a 14 milioni, in Inghilterra, fra il 1740 e il 1830). In seguito, lo stesso processo di industrializzazione contribuì in maniera

I luoghi della storia

L’Inghilterra si copre di canali

La rivoluzione industriale inglese fu accompagnata e sostenuta da una straordinaria diffusione di canali artificiali navigabili, che misero in contatto varie località e permisero di trasportare grandi quantità di materiale (soprattutto carbone e ferro ma anche legname) con spese assai basse. Si pensi che, su strada, un cavallo da carico poteva portare circa 125 kg di merci; lo stesso animale, camminando lungo il bordo di un canale e trascinando una chiatta con una corda, era in grado di trasportare da 30 a 50 tonnellate. In questo modo il prezzo delle materie prime e dei prodotti finiti poté diminuire grandemente: il carbone passò da 40 a 6 scellini il kg e si raggiunsero riduzioni medie sui trasporti che sfiorarono il 75%. Si capisce, Ford Madox Brown, L’inaugurazione del Bridgewater Canal nel 1761, 1869 [Murale nel Municipio di Manchester (Inghilterra)]

quindi, perché in breve tempo l’Inghilterra si riempì di canali navigabili: tra il 1790 e il 1820 i chilometri percorribili su acque interne erano circa 3500.

Il primo canale artificiale progettato per scopi industriali fu quello fatto realizzare dal duca di Bridgewater, tra il 1759 e il 1761, con l’obiettivo di portare il carbone

Capitolo 16 L’età delle macchine decisiva al successo della rivoluzione agraria, integrando col suo apporto tecnologico (con macchine agricole come la seminatrice meccanica e la macchina trebbiatrice) la trasformazione economica e sociale.

Una superpotenza economica Un’altra condizione fondamentale che rese possibile la rivoluzione industriale fu l’eccezionale sviluppo del commercio, legato all’espansione coloniale. Nel Settecento l’Inghilterra era il centro di uno spazio mercantile senza precedenti, sia per le sue dimensioni geografiche, allargate all’Asia, all’Africa, all’America, sia per lo straordinario movimento di merci e di denaro a cui tale commercio dava luogo. Particolarmente intenso era il mercato internazionale dei tessuti di cotone: il dominio coloniale, soprattutto in India, consentiva un abbondante approvvigionamento di materia prima a basso costo e, al tempo stesso, apriva immensi mercati per la vendita dei tessuti inglesi (che, dai primi decenni del Settecento, sostituirono quelli indiani 5.7). Anche il mercato interno crebbe considerevolmente: sia il venir meno dell’autoconsumo contadino (susseguente alla crisi della piccola proprietà), sia la crescita dei redditi agricoli e della capacità di acquisto dei grandi proprietari fecero aumentare la domanda di beni di consumo, a cominciare proprio dai tessuti. Certi studiosi insistono anche sull’abbondante disponibilità di materie prime e in particolare di risorse minerarie come il carbone e il ferro. Bisogna però precisare che per parecchio tempo, almeno fino al 1780, gli inglesi preferirono importare il ferro dalla Svezia, mentre solo successivamente – a industrializzazione avviata – la crescente domanda di questo prodotto spinse a valorizzare le risorse locali. Un paese politicamente solido Altra condizione fondamentale che favorì il decollo industriale fu la stabilità politica dell’Inghilterra, che aveva precocemente trovato un fruttuoso equilibrio tra monarchia e Parlamento, in un clima di grande vivacità intellettuale, di attenzione alle novità scientifiche, di tolleranza e di apertura alle nuove idee. Fu proprio per impulso del governo che si ebbe in Inghilterra un generale miglioramento delle infrastrutture viarie e, soprattutto, una spettacolare espansione dei canali navigabili, che facilitò il trasporto e il transito delle merci. Kendal MARE

dalle sue miniere nel Worsley fino alle fabbriche dell’industriosa Manchester, collegando in parte questa con Liverpool, un’altra tra le più importanti città industriali inglesi del Settecento. Attorno a questo canale fu costruita, a poco a poco, una fitta ed estesa rete di vie navigabili, che collegavano i principali York Hull centri del paese, Oxford, Coventry, Brids stol, Londra, ecc. «Ne sono stati aperti Grimsby in tutte le direzioni», nota Arthur Young effield (1741-1820), un viaggiatore inglese, verBostonso la fine del secolo. «Il porto – scrive da Manchester – è uno spettacolo granNottingham King’s Lynn dioso, con quella prodigiosa animazione Norwich Leicester che solo l’immenso traffico commerciaGreath Yarmouth le di questo luogo può creare». ventry

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Modulo 5 La rivoluzione industriale

16.3 Le nuove macchine per l’industria tessile L’importanza dei cotonifici La rivoluzione industriale viaggiò di pari passo con lo sviluppo dell’industria tessile, tanto che le innovazioni tecnologiche in questo settore divennero quasi un simbolo della trasformazione che si stava avviando. Furono soprattutto le industrie tessili di nuova generazione, i cotonifici, a saper sfruttare per primi le invenzioni che artigiani di varia estrazione idearono per migliorare la produttività di questo settore. Fino a poco tempo prima, infatti, gran parte della produzione tessile inglese era stata realizzata a domicilio dai contadini, che dedicavano a questi lavori i periodi di minor impegno dell’attività agricola. Essi dipendevano dai mercanti, proprietari delle filatrici (gli apparecchi che trasformano le fibre in filo) e dei telai (gli apparecchi che intrecciano i fili ricavandone il tessuto), che provvedevano a consegnare la materia prima e a ritirare il prodotto finito. Richieste di mercato L’ampliarsi dei commerci e della domanda di tessuti (specie quelli in cotone, più economici e più richiesti da una popolazione in continua crescita) stimolò la ricerca di nuovi sistemi di produzione, di nuove tecnologie in grado di soddisfare le necessità di un mercato in costante espansione. Ebbero così inizio i primi perfezionamenti nella produzione dei tessuti e, poiché le fasi di lavorazione (preparazione della fibra, filatura, tessitura e finitura) erano strettamente legate le une alle altre, l’innovazione adottata in una fase rendeva necessario il miglioramento delle altre. La tessitura meccanica La prima invenzione riguardò la tessitura, cioè la fase in cui i fili disposti in verticale sul telaio (l’ordito) vengono intrecciati con altri fili che corrono orizzontalmente (la trama). Nel 1733 John Kay (1704-1780) inventò un nuovo tipo di spoletta per il filo della trama: la “navetta volante”, un attrezzo a forma di navicella con

I modi della storia

Motori per filare la seta

Lo sviluppo dell’industria in Inghilterra ridusse le importazioni di manufatti dall’estero. Su questo aspetto della rivoluzione produttiva riflette lo scrittore Daniel Defoe (1660-1731), mentre descrive il nuovo motore impiegato nel setificio dei fratelli Lombe nella città di Derby (nella

zona centro-orientale dell’Inghilterra). La logica è semplice: con le nuove macchine, la capacità produttiva dei laboratori inglesi è aumentata al punto da non richiedere più importazioni. Fattori tecnologici, economici e sociali si incrociano inestricabilmente.

E

cco una curiosità veramente straordinaria, unica nel suo genere in Inghilterra: parlo dei mulini del Derwent, che alimentano i tre principali motori per la fabbricazione di organzino o seta ritorta. Questa, prima che questi mulini fossero montati, i mercanti inglesi dovevano acquistarla in Italia pagando in contanti. Con le nuove macchine una mano può filare la quantità di seta che prima veniva filata da cinquanta, e in maniera migliore e più sicura. Questo motore contiene 26.586 ruote e compie 96.746 movimenti, che lavorano 73.726 iarde1 di filo di seta a ogni giro completo della ruota idraulica, cioè tre volte al minuto, e 318.504.960 iarde nel tempo di un giorno e una notte. Una ruota idraulica mette in moto tutte le altre ruote e movimenti, ognuno dei quali può essere arrestato separatamente. Allo stesso modo, una pompa antincendio reca aria calda in ogni singola parte del motore, e tutta l’operazione è regolata da una sola persona. D. Defoe, A Tour Through the Whole Island of Great Britain, 1720 1 1 iarda = 0,9144 metri.

La nuova macchina, la cui forza John Lombe aveva visto sapientemente sfruttata nei setifici piemontesi, era alimentata dai mulini costruiti sulla riva del fiume Derwent e serviva per filare la seta con una produttività enormemente superiore a quella manuale. Il setificio dei fratelli Lombe Il setificio a cinque piani costruito dai fratelli Lombe a Derby nei pressi del fiume Derwent e commentato nel 1720 da Daniel Defoe divenne un’attrazione turistica perché fu ritenuta la prima industria completamente meccanizzata, che utilizzava tre nuove macchine filatrici.

Capitolo 16 L’età delle macchine

La spinning jenny di James Hargreaves Il disegno riproduce la spinning jenny di James Hargreaves. Sulla rastrelliera (A) sono collocati gli stoppini (fasci di fibre leggermente ritorte). Questi passano attraverso lo strettoio (B) – filiera –, che può essere chiuso per bloccare lo svolgimento dei rocchetti, e arrivano ai fusi (C), fissati sul fondo dell’intelaiatura. Quando una parte degli stoppini è tesa tra i fusi e la filiera, questa viene bloccata dal lavorante con la mano sinistra e fatta scorrere in direzione opposta ai fusi per ottenere la stiratura del filo. Allo stesso tempo, girando con la destra la manovella della ruota (D), attraverso un sistema di cinghie sul rullo, si trasmette il movimento i fusi. Una bacchetta di guida disposta sopra i fusi, che porta un filo di ferro ben teso per tutta la lunghezza della macchina (E), provvede a mantenere il filato sulla punta dei fusi, in modo che il loro movimento rotatorio non avvolga ma ritorca il filato. Quando si è ottenuta la torcitura desiderata, si abbassa la bacchetta di guida e si lascia che i fusi, ruotando, si avvolgano intorno al filo.

Interno di una manifattura tessile, 1835 [Science Museum, Londra]

Sistema della filatura intermittente operato da più spinning jenny.

dentro la spoletta; munito di piccole ruote, esso riceveva una spinta iniziale dal tessitore, scorreva su un binario fissato al telaio e attraversava velocemente l’ordito, fino a essere ripreso sul lato opposto dallo stesso tessitore. Questo semplice marchingegno permetteva di realizzare tessuti più larghi di 1,20-1,40 m (il massimo dell’ampiezza raggiungibile con la tecnica precedente e che coincideva con l’apertura del braccio del lavorante) e soprattutto velocizzava l’operazione, tanto che un solo tessitore poteva eseguire il lavoro di cinque persone nella stessa unità di tempo.

La filatura meccanica Cresciuta la produttività dei telai (e di conseguenza la richiesta di filati) nuove invenzioni apparvero per rendere più efficace la filatura, l’attività più lenta di tutto il processo, che consisteva nel creare il filo tirando e torcendo la fibra precedentemente pulita e pettinata. James Hargreaves (1720-1778) costruì nel 1765 una filatrice multipla, la spinning jenny (in italiano, ‘giannetta’), con la quale una sola persona poteva filare contemporaneamente ottanta fili, impiegando il medesimo tempo che occorreva per filare un solo filo con una filatrice tradizionale. Negli anni successivi altri tipi di filatoio furono messi a punto: nel 1769 il barbiere Richard Arkwright (1732-1792) ideò il filatoio idraulico che consentiva di torcere e avvolgere contemporaneamente il filo di cotone; il successo fu tale che egli aprì circa 20 filande. Nel 1779 Samuel Crompton (1753-1827) inventò il filatoio intermittente (il mule, ‘mula’) che combinava i due filatoi precedenti e produceva molto rapidamente un filo resistente e di ottima qualità, così da eguagliare e superare quelli indiani (si è calcolato che con i filatoi di Arkwright e di Crompton circa 45 kg di cotone potevano essere filati in 300 ore, mentre a un esperto filatore indiano ne servivano 50.000). Il telaio meccanico L’aumento della produzione dei filati spinse a migliorare le altre fasi e così, nel 1785, fu costruito il primo telaio meccanico, opera di Edmund Cartwright (1743-1823). Furono necessari alcuni anni di perfezionamento ma a partire dal 1820 tale macchina (costruita non più in legno ma in metallo) si impose ed ebbe una particolare importanza nello sviluppo della produzione tessile, che in pochi anni si moltiplicò di oltre dieci volte. Al telaio meccanico si deve inoltre il passaggio dalla produzione manuale-domiciliare alla produzione meccanica di fabbrica.

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Modulo 5 La rivoluzione industriale

16.4 Le innovazioni nell’industria siderurgica e mineraria L’industria siderurgica In Inghilterra l’industria tessile ebbe un rapidissimo sviluppo a partire dalla seconda metà del Settecento ma il vero punto di forza dell’economia del paese era rappresentato dall’industria metallurgica, che con il suo settore siderurgico provvedeva alla lavorazione del ferro e alla produzione di ghisa (una lega di ferro e carbonio derivata dalla raffinazione del ferro negli altiforni). La siderurgia conobbe una rapida espansione, direttamente legata ai progressi della rivoluzione industriale, basata sulla meccanizzazione (ossia sull’uso di macchine costruite in ferro). Si creò fin dagli inizi una interconnessione tra la produzione di ferro e gli altri settori industriali, come quello agricolo e quello tessile che avevano scoperto l’utilità, l’efficacia e la resistenza delle macchine metalliche rispetto a quelle più economiche, ma meno efficaci e precise, fabbricate in legno.

La pompa a vapore di Thomas Newcomen, 1712 Si tratta di una delle prime macchine a vapore, messa a punto da Thomas Newcomen (16641729). Fu impiegata nelle miniere soprattutto per aspirare l’acqua dal fondo delle gallerie, ma anche per rifornire di acqua le ruote idrauliche più grandi. Nonostante il grave difetto costituito dall’enorme consumo di carbone necessario al continuo riscaldamento del cilindro principale, questa pompa non ebbe rivali nelle miniere inglesi per circa 60 anni. Thomas Newcomen non fu mai in possesso del brevetto della sua macchina e non riuscì, quindi, a sfruttarne il successo sul piano economico.

Il coke Il punto di debolezza del settore siderurgico era rappresentato dal combustibile necessario per fondere il ferro. Negli altiforni si era sempre usato come combustibile il carbone di legna, ma questa risorsa nel XVIII secolo era in via di esaurimento (molte foreste inglesi erano state abbattute per far posto ai campi coltivati e già durante il regno di Elisabetta, nella seconda metà del XVI secolo, era stato vietato l’utilizzo di carbone di legna). Inoltre, il carbone di legna non produceva sufficiente calore per raffinare il ferro estratto nelle miniere inglesi, molto ricco di impurità. Un primo sostanziale cambiamento avvenne con l’applicazione di nuovi procedimenti di fusione del ferro: dapprima quello inventato dal fabbro Abraham Darby (1678-1717), che agli inizi del secolo consentì di usare come combustibile – anziché la legna – il coke, un derivato dalla distillazione del carbon fossile (il carbone formatosi nei millenni per la fossilizzazione delle foreste presenti nell’area), abbondantissimo nelle miniere della Gran Bretagna e con un potere calorifero maggiore rispetto alla legna. Gli alti costi di produzione non favorirono l’impiego del coke, ma già alla fine del secolo il problema era risolto tanto che le nuove industrie sorsero non più vicino ai boschi dove si trovava la legna ma nei pressi delle miniere di ferro e carbon fossile. Una ghisa migliore e più economica Altre innovazioni decisive furono quelle brevettate da Henry Cort (1740-1800) nel 1783-84, che permisero di produrre ghisa di buona qualità anche partendo dal minerale inglese, piuttosto scadente. Da questo momento in poi l’Inghilterra, che aveva sempre importato ferro dalla Svezia, non solo riuscì a soddisfare il fabbisogno interno e a cessare le importazioni, ma diventò a sua volta uno dei maggiori esportatori di ferro del mondo. L’industria mineraria A questo punto furono richiesti grandi sforzi all’industria mineraria per riuscire a garantire al settore siderurgico le materie prime per la sua produzione. Furono apportate in questa direzione una serie di migliorie nel tentativo di velocizzare le operazioni di estrazione e soprattutto risolvere problemi importanti come quello delle infiltrazioni di acqua nei cunicoli delle miniere, che mettevano a rischio la vita degli operai quando non ne intralciavano semplicemente il lavoro. A tale scopo fu ideata una pompa a vapore, detta miner’s friend (‘l’amica del minatore’) che aspirava l’acqua dalle gallerie; non fu completamente risolutiva del problema ma aprì la strada a un’innovazione che avrebbe rivoluzionato completamente tutti e tre i settori industriali (minerario, tessile e siderurgico): la macchina a vapore.

Capitolo 16 L’età delle macchine

213

Macchinari all’imbocco di una miniera di carbone in Inghilterra, 1820 ca. [Walker Art Gallery, National Museum and Galleries on Merseyside, Liverpool]

Agli inizi dell’Ottocento la macchina a vapore (qui rappresentata con la ciminiera fumante) fu particolarmente sfruttata nelle miniere di carbone, dove serviva per portare il minerale in superficie.

16.5 La macchina a vapore e la crescita produttiva La forza motrice del vapore L’invenzione che diede la spinta decisiva a modificare l’intero sistema produttivo e che avviò definitivamente l’Inghilterra all’industrializzazione fu la macchina a vapore, attribuita a James Watt (1736-1819), un ingegnere scozzese che mise a punto i primi esemplari nel 1776. La macchina a vapore si può considerare il primo motore termico della storia, un congegno assolutamente senza precedenti che, utilizzando il calore prodotto da un materiale combustibile, produceva energia e movimento così da sostituire non solo la forza muscolare dell’uomo e degli animali, ma anche quella ben più potente del vento e dell’acqua, da secoli applicata ai mulini, alle imbarcazioni e ad altri tipi di macchine. Inventando il motore, che può essere costruito in un numero illimitato di esemplari, l’uomo venne a trovarsi in una condizione del tutto nuova: per la prima volta ebbe a disposizione una quantità di energia teoricamente illimitata, che poteva produrre, controllare e applicare secondo le necessità. Vapore e cotone In Inghilterra il motore di Watt fu utilizzato dapprima nell’industria tessile: «mediante cinghie e pulegge – così fu descritta tale applicazione – la macchina a vapore trasmette il suo movimento a centinaia di filatoi e telai, azionandoli simultaneamente con moto regolare, costante e uniforme». Con il nuovo sistema produttivo, la quantità degli oggetti d’uso costruiti dall’uomo si accrebbe in maniera eccezionale, raggiungendo valori mai visti, addirittura impensabili nelle epoche passate. Sono significativi in proposito alcuni dati numerici. Intorno al 1740, qualche decennio prima della rivoluzione industriale, in Inghilterra il consumo medio annuo di cotone greggio (non ancora filato) ammontava a 1.700.000 libbre (3,75 tonnellate; 1 libbra = 453 grammi). Cinquant’anni più tardi, dopo l’applicazione all’industria tessile delle prime macchine a vapore, il consumo passò a 15.500.000 libbre (34,1 tonnellate), aumentando, poi, a ritmo vertiginoso, fino a 535.600.000 libbre (118,2 tonnellate) tra il 1841 e il 1848. Vapore, ferro e carbone Oltre che all’industria tessile, il motore di Watt fu applicato all’industria mineraria e siderurgica, che ne ricevette un formidabile impulso. La fusione del ferro con il coke fu particolarmente avvantaggiata dall’introduzione delle macchine a vapore, utilizzate per produrre gettiti e correnti di aria in grado di alimentare la combustione negli altiforni. Ascensori, pompe per l’acqua e carrelli per sollevare il carbone dal sottosuolo erano azionati da motori a vapore accanto alle miniere. Cartiere, distillerie, impianti di canalizzazione adottarono tutti i vantaggi della nuova forza motrice.

Modulo 5 La rivoluzione industriale Una comune fonte d’energia L’energia del vapore, così sorprendentemente in grado di far funzionare altre macchine, fu impiegata in vari modi: semplicemente sfruttando l’azione di abbassamento/innalzamento dei pistoni si azionavano ganci oppure, impiegando bielle e manovelle, si convertiva il movimento alternato verticale dei pistoni in uno rotatorio continuo, o ancora applicando ruote dentate si muovevano ingranaggi. Valvole e dispositivi acceleravano, diminuivano, bloccavano e regolavano la velocità e il funzionamento di queste nuove macchine, tutte diverse per ambiti di impiego ma tutte uguali nella forza che le muoveva. L’importazione del cotone grezzo in Inghilterra L’importazione di cotone grezzo, aumentata incredibilmente tra il 1740 e il 1830 (e poi ancora di più nei due decenni successivi), incrementò il suo volume d’affari in coincidenza con l’introduzione di alcune importanti innovazioni nel settore tessile. Si osservi come il primo importante aumento, tra il 1770 e il 1790, coincida con l’affermazione della spinning jenny e con l’applicazione del motore a vapore al filatoio. Nel 1816 il prodotto di cotone lavorato e finito costituiva il 40% delle esportazioni inglesi. Un altro grande balzo in avanti avvenne dopo il 1820, quando il telaio meccanico di Cartwright divenne metallico; esso si impose definitivamente tra gli anni ’30 e ’40 (quando l’importazione di cotone grezzo superò i 350 milioni di libbre).

milioni di libbre (1 libbra = 0,453 kg)

214

200

183,6

180 160 140 120

98,7

100 80 60 40 20 1,7 0 1740

3,7 1770

15,5

1790

30,1

1800

1820

1830

16.6 La rivoluzione dei trasporti Navi a vapore Le nuove macchine rivoluzionarono anche i mezzi di trasporto, marittimi e terrestri. Nel 1807 lo statunitense Robert Fulton (1765-1815) applicò il motore a vapore a un’imbarcazione, la Clermont, che navigò sul fiume Hudson per 270 km. Qualche anno dopo, nel 1819, fu costruita la prima nave a vapore in grado di attraversare l’Atlantico: la Savannah, di bandiera americana, che il 24 maggio iniziò la sua traversata transoceanica e il 20 giugno, alimentata in parte a vela e in parte a vapore, approdò trionfalmente a Liverpool da dove, poi, proseguì per San Pietroburgo. Anche in questo caso, nonostante i successi e l’entusiasmo suscitato, la nuova tecnologia si affermò solo dopo circa 20 anni dalla traversata della Savannah (che infatti, tornata in patria, fu riconvertita in nave a vela). La prima ferrovia Nei trasporti terrestri si rivelò fondamentale l’opera dell’inglese George Stephenson (1781-1848) che, perfezionando diverse applicazioni del motore di Watt, mise a punto la locomotiva a vapore, una nuova macchina che, muovendosi su binari di ferro, si mostrò capace di trainare un convoglio di 90 tonnellate su un percorso

Nave a vapore sul fiume Hudson Nel 1807 l’americano Fulton organizzò sul fiume Hudson un regolare servizio mercantile servendosi di un battello mosso da energia a vapore.

Capitolo 16 L’età delle macchine di 43 km, la linea Darlington-Stockton, la prima ferrovia pubblica della storia, aperta nel 1825. A essa seguì cinque anni dopo, nel 1830, il primo importante collegamento ferroviario tra due grandi città industriali, Manchester e Liverpool, una linea di 50 km percorsa da un treno che viaggiava a una velocità media di 26 km orari, trainato da una nuova più potente locomotiva costruita dallo stesso Stephenson, il famoso Rocket (‘Razzo’) capace di una velocità massima di 47 km all’ora. Tali velocità, che possono apparire modeste se confrontate a quelle che si raggiungono oggi, furono una conquista tecnologica rivoluzionaria, perché portarono al superamento dei limiti che erano stati per migliaia di anni una condizione fissa della vita umana: il passo dell’uomo e quello del cavallo, corrispondenti a una velocità oscillante fra i 3 e i 15 km all’ora, misure che parevano immutabili come le leggi di natura.

L’Inghilterra «officina del mondo» L’avvento della ferrovia rappresentò un cambiamento radicale di questa situazione: caddero le barriere che isolavano le città e i continenti; lo scambio delle merci (affidato fino ad allora soprattutto alle vie d’acqua) diventò più rapido; la storia degli uomini incominciò a prendere un diverso respiro, sempre meno locale e sempre più mondiale. Una rapidissima espansione della rete ferroviaria accompagnò lo sviluppo del sistema industriale in Inghilterra. Nel 1838, appena tredici anni dopo l’apertura della prima linea, le strade ferrate avevano già una lunghezza di 750 km e dopo breve tempo, nel 1850, raggiungevano i 10.000 km. Ciò diede un formidabile impulso alla produzione industriale e al commercio dell’Inghilterra, che nell’Ottocento si affermò come il paese più ricco e potente della Terra, l’«officina del mondo», come fu definito, per l’ampiezza e l’efficienza della sua organizzazione economica, ramificata in tutti i continenti.

Aa Documenti 1825, prima ferrovia: grande novità o satanica invenzione? La prima ferrovia del mondo fu inaugurata in Inghilterra il 27 settembre 1825 sul tratto Stockton-Darlington, lungo 43 km. Alla guida della locomotiva stava il suo

inventore in persona, George Stephenson. Fu una grande festa, che il giornale londinese «The Times» raccontò qualche giorno dopo, il 27 settembre, sofferman-

T

re macchine a vapore, della forza di cinquanta cavalli ciascuna, sono servite a trainare 13 vagoni, carichi di diverse merci e prodotti, sulla sommità del piano inclinato che forma il percorso; là i vagoni, insieme ad altre carrozze che ospitavano le autorità, gli invitati, gli azionisti, sono stati attaccati a una macchina mobile chiamata l’Esperienza: in tutto 34 vetture di cui una riservata a una banda che suonava allegre fanfare; un’altra era decorata da un vessillo dove si leggeva la frase latina: «Periculum privatum, utilitas publica»1. A un segnale convenuto il convoglio si mise in marcia, fra le grida di giubilo della folla. Uomini a cavallo cercarono di seguire i vagoni, ma furono ben presto distanziati; dove l’inclinazione era più forte il convoglio ha raggiunto la velocità di 26 miglia2 orarie.

dosi soprattutto sulla straordinaria velocità che il treno era riuscito a raggiungere: 40 km all’ora!

D

ella ferrovia non si fa cenno nella Parola di Dio. Se fosse stato proposito di Dio che le sue creature intelligenti viaggiassero alla spaventosa velocità di quindici miglia l’ora, su veicoli a vapore, Egli lo avrebbe predetto chiaramente per bocca dei suoi santi profeti. Si tratta di un’astuzia di Satana per far precipitare nell’inferno le anime immortali.

«The Times», 27 settembre 1825 1 ‘Rischio privato, pubblica utilità’. 2 40 chilometri orari.

Come ogni novità destinata a trasformare il modo di vita degli uomini, la ferrovia fu attaccata dagli spiriti più conservatori del tempo. Nello stesso 1825, così fu scritto a proposito di questa «astuzia di Satana»:

La ferrovia Stockton-Darlington il giorno dell’inaugurazione

215

216

Modulo 5 La rivoluzione industriale

Sintesi 2

L’età delle macchine

Uomini e macchine La rivoluzione industriale, avvenuta in Europa tra XVIII e XIX secolo, fu un processo irreversibile di trasformazione della società, basato su alcune innovazioni tecnologiche che portarono a una trasformazione delle modalità di produzione e di lavoro, con la nascita del sistema di produzione industriale. Queste innovazioni modificarono luoghi, tempi e modi di produzione, ponendo le basi per la nuova società industriale, in cui la fabbrica era l’unità produttiva fondamentale. Il decollo della rivoluzione industriale si ebbe in Inghilterra a partire dagli ultimi decenni del Settecento. La rivoluzione industriale inizia in Inghilterra. Perché? Molteplici furono i fattori che innescarono la rivoluzione industriale. Anzitutto i cambiamenti nel sistema di gestione della proprietà agricola, che si ebbero a partire dal Settecento, portarono alla scomparsa della piccola proprietà contadina e alla nascita della grande proprietà agricola fondata su metodi innovativi di gestione, alti rendimenti e profitti. In tal modo si fornì un doppio sostegno alla nascente rivoluzione industriale: finanziario (capitali da investire) e umano (manodopera da impiegare). In secondo luogo lo sviluppo del commercio inglese riguardò da una parte il commercio internazionale, basato su un vastissimo impero coloniale che garantiva sia le materie prime sia un mercato per i prodotti, dall’altra il commercio interno, in cui aumentò la domanda di beni di consumo. Inoltre vi era disponibilità di materie prime e risorse energetiche

interne. Infine la stabilità politica agevolò un’attività di governo che sostenne lo sviluppo industriale. Le nuove macchine per l’industria tessile La rivoluzione industriale determinò un forte sviluppo dell’industria tessile, in particolare dei cotonifici. A partire dal XVIII secolo la crescita della domanda e dei commerci stimolò la ricerca di nuove tecnologie e di nuovi sistemi di produzione. Molte furone le invenzioni in questo settore: la navetta volante (1733), che permetteva di velocizzare il processo di tessitura; la filatrice multipla (1765), che permetteva di filare più fili contemporaneamente; il filatoio idraulico (1769), che permetteva di torcere e di avvolgere il filo di cotone; il filatoio intermittente (1779), che combinava le due macchine precedenti producendo un filo di alta qualità; il primo telaio meccanico (1785). Le innovazioni nell’industria siderurgica e mineraria L’industria metallurgica e il settore siderurgico divennero il punto di forza dell’economia inglese ed ebbero una notevole espansione, legata alla produzione di macchine in ferro (meccanizzazione), utilizzate nell’agricoltura e nell’industria, che garantivano una maggiore efficacia e resistenza. Il punto di debolezza del settore siderurgico era la necessità di reperire il combustibile necessario a fondere il ferro: inizialmente si usava il carbone di legna, in via di esaurimento e dotato di poco calore per la raffinazione del ferro; in seguito fu introdotto il coke, derivato dal carbon fossile (presente in Inghilterra). Alla fine del Settecento si costruirono le industrie in

prossimità delle miniere di carbon fossile e ferro, per ridurre i costi. La produzione di ferro inglese crebbe notevolmente e l’Inghilterra giunse a essere uno dei principali paesi esportatori di ferro. La macchina a vapore e la crescita produttiva L’invenzione che permise di modificare l’intero sistema della produzione fu la macchina a vapore – costruita nel 1776 da James Watt – il primo motore termico della storia. Mediante il calore derivato da un combustibile si produceva energia che poteva essere utilizzata e prodotta secondo le necessità, sostituendo quella derivata dall’uomo e dagli animali, dal vento e dall’acqua. Il motore fu applicato inizialmente all’industria tessile, permettendo di azionare simultaneamente centinaia di telai e di filatoi, e in seguito trovò applicazione nella siderurgia e nell’industria mineraria. La rivoluzione dei trasporti Il motore a vapore fu utilizzato per la costruzione di mezzi di trasporto marittimi e terrestri: la prima imbarcazione a vapore, la Clermont (1807); la prima nave a vapore che riuscì ad attraversare l’Atlantico (1819); e, nel campo dei trasporti terrestri, la locomotiva a vapore, macchina che si muoveva su binari di ferro. Tra 1825 e 1830 i collegamenti ferroviari all’interno dell’Inghilterra incominciarono a diffondersi e, di conseguenza, crebbe notevolmente la velocità dei trasporti e la facilità di scambio delle merci. L’espansione della rete ferroviaria inglese diede un enorme slancio commerciale e industriale all’Inghilterra, che fu definita «officina del mondo».

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1733

1765

1769

1776

1779

1. invenzione del filatoio idraulico 2. inaugurazione della linea ferroviaria Stockton-Darlington 3. costruzione della prima imbarcazione a vapore 4. invenzione della filatrice multipla 5. invenzione dei primi esemplari della macchina a vapore 6. invenzione del primo telaio meccanico

1784

1785

1807

1819

1825

1830

7. costruzione della prima imbarcazione a vapore transoceanica 8. perfezionamento della possibilità di produrre ghisa di qualità 9. inaugurazione della linea ferroviaria Manchester-Liverpool 10. invenzione del filatoio intermittente 11. invenzione della “navetta volante”

Capitolo 16 L’età delle macchine

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. coke • cotonificio • fabbrica • filatrice • ghisa • infrastruttura • locomotiva • metallurgia • officina • ordito • spoletta Insieme di strutture secondarie e complementari di una struttura di base, necessarie affinché quest’ultima possa funzionare Complesso dei fili che si dispongono longitudinalmente sul telaio e che sono attraversati dai fili che compongono la trama, formando così il tessuto Fabbrica per la produzione dei filati o dei tessuti di cotone Arnese di legno a forma di tubetto attorno al quale è avvolto il filo da tessere Veicolo automotore usato per la trazione di convogli su rotaie Residuo ottenuto dalla distillazione del carbon fossile, usato come combustibile Lega di ferro e carbonio, prodotta in altoforno Macchina per la filatura di fibre tessili Stabilimento attrezzato per la produzione di determinate merci industriali Insieme di locali e strutture adibiti a lavorazioni artigianali o industriali Scienza e tecnica relative all’estrazione, alla raffinazione e alla lavorazione dei metalli

3. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo.

c. La prima linea ferroviaria inaugurata in Inghilterra fu la Manchester-Liverpool.

V

F

d. Prima della rivoluzione industriale, la produzione tessile era realizzata a domicilio dai contadini.

V

F

e. La rivoluzione agraria fornì la base finanziaria alla rivoluzione industriale.

V

F

f. La macchina a vapore trovò applicazione nell’industria tessile, mineraria e siderurgica.

V

F

g. Il telaio meccanico si impose da subito nello sviluppo della produzione tessile.

V

F

h. Prima del XIX secolo la vita umana aveva come limite la velocità del passo dell’uomo.

V

F

Richard Arkwright

ghisa

James Watt

filatoio idraulico

Samuel Crompton

Clermont

Robert Fulton

coke

Abraham Darby

filatrice multipla

John Kay

macchina a vapore

George Stephenson

locomotiva a vapore

Edmund Cartwright

telaio meccanico

James Hargreaves

navetta volante

i. Le trasformazioni nell’agricoltura furono favorite dall’apporto tecnologico dell’industrializzazione.

V

F

Henry Cort

filatoio intermittente

l. L’attività di filatura era la più lenta di tutto il processo produttivo del settore tessile.

V

F

m. Dopo la rivoluzione industriale la fabbrica diventò la principale unità produttiva.

V

F

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. La disponibilità di materie prime diede da subito una spinta decisiva all’industria inglese.

V

F

n. La massima velocità raggiungibile dalle prime locomotive era di 47 km orari.

V

F

b. La stabilità politica inglese produsse un’espansione delle infrastrutture viarie e dei canali navigabili.

V

F

o. La Clermont fu la prima nave a vapore che attraversò l’Oceano Atlantico.

V

F

217

218

Modulo 5 La rivoluzione industriale

5. Completare la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. abolizione • accorpamento • capitali • collettiva • contadini • crescita • decisioni • domicilio • espansione • fattorie • filatrice • filatura • fornitura • frazionamento • gestione • grande • individuale • macchinari • manodopera • mercanti • piccola • ritiro • tecnologie • telaio • tessitura • villaggi

I SETTORI AGRICOLO E TESSILE PRIMA E DOPO IL XVIII SECOLO

SETTORE AGRICOLO

SETTORE TESSILE

PRIMA

DOPO

• .......................... proprietà: conduzione ............................. • .................................... degli appezzamenti coltivati dai contadini dei ....................................... • ........................................ comuni (raccolto, semina, uso collettivo boschi)

• ............................ proprietà: conduzione ............................ • .................................................... dei diritti collettivi di uso • .............................................................. degli appezzamenti in ............................................................... recintate di grandi dimensioni: metodi innovativi di ......................................... (rotazione colture sementi attrezzi) • intreccio con rivoluzione industriale: fornisce ................................................... e ............................................... e ottiene ............................................. (le macchine agricole)

• Lavoro a .................................... dei .................................. nei periodi di minore impegno • ................................: proprietari dei .................................... ............................. (.................................... e ................................): gestione della manodopera, ..................................... delle materie prime e .................................... del prodotto finito

• ................................. della domanda di tessuti: sviluppo di nuove .................................................. per un mercato in ......................................................................

• Nuovi ............................... per ................................ (navetta volante) e .............................. (filatrice multipla, filatoio idraulico e intermittente), e ............................ meccanico • .................................................................... della produzione

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando e da chi fu inventata la macchina a vapore? 2. Come funzionava la macchina a vapore? Che cosa era in grado di produrre? 3. Come fu impiegata nei vari settori industriali? 4. In che modo fu impiegata per la costruzione di mezzi di trasporto? Con quali conseguenze?

Con le informazioni ottenute, completa la tabella. INDUSTRIA TESSILE ............................................................................................ ............................................................................................

INDUSTRIA MINERARIA E SIDERURGICA

MACCHINA A VAPORE

............................................................................................

..........................................................................

............................................................................................

.......................................................................... ..........................................................................

Leggi il documento “1825, prima ferrovia: grande novità o satanica invenzione?” a p. 215 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quando fu inaugurata la prima ferrovia del mondo? Dove? Da chi? 2. Da che cosa era composto il convoglio? Che cosa poteva trasportare? 3. Quale fu la reazione delle persone presenti? 4. Che cosa viene detto circa la velocità degli uomini a cavallo? Perché viene sottolineato tale aspetto? 5. Quali critiche furono mosse alla ferrovia? A opera di chi?

..........................................................................

USO COME FONTE DI ENERGIA ...................................................... ...................................................... ...................................................... ...................................................... ......................................................

MEZZI DI TRASPORTO ............................................................................................ ............................................................................................

Sulla base delle informazioni ottenute, completale con quelle della tabella e scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “Il motore a vapore e la rivoluzione dei trasporti”.

Capitolo 16 L’età delle macchine

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Per quali motivi la rivoluzione industriale si sviluppò a partire dall’Inghilterra? 2. Perché la rivoluzione agraria influì sullo sviluppo industriale? 3. Che cosa caratterizzava il commercio in Inghilterra nel XVIII secolo? 4. Quali erano le condizioni politiche dell’Inghilterra? Come influirono sulla rivoluzione industriale?

5. Quali innovazioni tecniche furono introdotte nel settore tessile? Con quali risultati? 6. Quali innovazioni tecniche furono introdotte nella lavorazione del ferro? 7. Quali innovazioni furono introdotte nella lavorazione della ghisa? 8. Che cosa era prodotto dall’industria metallurgica? 9. Quali innovazioni furono introdotte nell’industria mineraria? 10. Come e da chi fu inventata la macchina a vapore? Che conseguenze ebbe tale invenzione?

Con le informazioni ottenute, completa la mappa concettuale.

CAUSE E CONSEGUENZE DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE INGHILTERRA ...................................................................... ......................................................................

RIVOLUZIONE AGRARIA

SVILUPPO DEI COMMERCI

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

...................................................................... ......................................................................

STABILITÀ POLITICA ...................................................................... ...................................................................... ......................................................................

SISTEMA INDUSTRIALE INNOVAZIONI TECNOLOGICHE

INDUSTRIA TESSILE

INDUSTRIA MINERARIA

INDUSTRIA METALLURGICA

MACCHINA A VAPORE

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

219

Modulo 5 La rivoluzione industriale

17 Capitalismo

Capitolo

220

e classe operaia

Percorso breve Nata in Inghilterra, la rivoluzione industriale nel corso dell’Ottocento si diffuse in altri paesi europei (Belgio, Francia, Germania) e negli Stati Uniti. Lo straordinario aumento della produzione reso possibile dalle nuove macchine aprì immensi mercati all’industria; contemporaneamente furono elaborate contrastanti teorie economiche, legate ai diversi interessi in gioco: il ‘liberismo’, sostenuto dall’inglese Ricardo, affermava la necessità di lasciare piena libertà agli imprenditori e al mercato, senza alcun intervento da parte dello Stato; il ‘protezionismo’ al contrario sosteneva, nei paesi in cui l’industria stava sviluppandosi, che essa andava difesa dalla concorrenza dei paesi già sviluppati (praticamente, l’Inghilterra) con interventi legislativi, incentivi alla produzione, protezioni doganali. Con il processo di industrializzazione si affermò il capitalismo, un sistema economico-sociale che prevedeva la separazione tra proprietà e lavoro, concentrando in

poche mani i mezzi di produzione (dato l’alto costo delle nuove macchine). Ne derivò una profonda trasformazione della società, con la progressiva crisi del ceto degli artigiani (che prima svolgevano a domicilio la maggior parte dei lavori, con macchine semplici di loro proprietà) e l’apparire di una nuova classe sociale, il proletariato operaio, ricco solo della propria forza lavoro. Il cambiamento del sistema produttivo vide affermarsi anche un nuovo tipo di organizzazione del lavoro, il cosiddetto “sistema di fabbrica”, che prevedeva la concentrazione degli strumenti di lavoro in grandi complessi produttivi e una progressiva specializzazione e divisione delle fasi di lavoro (teorizzata nella seconda metà del Settecento dall’economista Adam Smith, in funzione di una maggiore produttività). Nacquero così le prime città industriali moderne, coi loro problemi ambientali (inquinamento) e sociali (condizioni di vita delle masse operaie). La città inglese di Sheffield nello Yorkshire, metà del XIX sec. [Galleries and Museums Trust, Sheffield]

Capitolo 17 Capitalismo e classe operaia

221

17.1 La rivoluzione industriale si allarga L’industrializzazione europea Dall’Inghilterra, dove aveva avuto origine, la rivoluzione industriale si allargò ad altri paesi europei, poi agli Stati Uniti. Fin da subito si delineò una situazione destinata a incidere pesantemente sui successivi sviluppi della storia: la trasformazione non avvenne ovunque ma solo in una piccola parte del mondo, con la conseguenza di dare origine a una netta differenziazione tra zone “sviluppate” e zone “non sviluppate”, a un’enorme disparità di ricchezza e di capacità economica tra i paesi industrializzati e quelli che rimasero fermi a un sistema produttivo di tipo tradizionale. Ci furono paesi che con rapidità seguirono la strada dell’industrializzazione aperta dall’Inghilterra, grazie anche a una serie di fortunate condizioni interne. Il Belgio per esempio, forte dei suoi giacimenti di carbone, della sua attiva e intraprendente borghesia e di una situazione politica favorevole, riuscì a impiantare nel suo territorio industrie siderurgiche molto competitive. La Francia, paese dalla forte tradizione agricola, puntò sull’industria tessile e meccanica mentre più lento fu il decollo della Germania, che, comunque, superata la difficoltà iniziale, riuscì in breve tempo a organizzare le sue forze produttive. Cresce la rete ferroviaria Anche le ferrovie si diffusero, abbastanza rapidamente, dall’Inghilterra al resto dell’Europa e agli Stati Uniti d’America. Nel 1835 (dieci anni dopo la prima strada ferrata inglese) fu aperta la prima linea ferroviaria tedesca; quattro anni più tardi (1839) fu inaugurata la prima ferrovia italiana, da Napoli a Portici, circa 7 km, percorsi durante il viaggio inaugurale a una media di 40 km orari; seguì, nell’agosto 1840, la costruzione della linea Milano-Monza. In breve tempo tutte le nazioni europee e gli Stati Uniti d’America ebbero, in maggiore o minor misura, le loro strade ferrate, che si moltiplicarono contemporaneamente allo sviluppo industriale.

Gran Bretagna Belgio 1783-1802 1833-60

Francia 1830-60

Germania 1850-73

Stati Uniti 1843-60

Giappone 1878-1900

Svezia 1868-90

Canada 1896-1914

Russia 1890-1914

Cina 1952

Turchia 1937

Argentina 1935

India 1952

Salvatore Fergola, L’apertura del primo tronco ferroviario italiano sulla linea Napo li-Portici, 1840 [Certosa e Museo di San Martino, Napoli]

Il quadro di Salvatore Fergola, pittore di corte presso i Borbone a Napoli, ricorda l’evento dell’apertura del primo tronco ferroviario italiano sulla linea Napoli-Portici, realizzata nel 1839 per volere di Ferdinando II. L’appalto per la costruzione e gestione della ferrovia campana (che di lì a pochi anni si arricchì di altri tratti) fu dato a una società francese, mentre le prime locomotive furono importate direttamente dall’Inghilterra. Ma già nel 1842 nasceva a Pietrarsa (in provincia di Napoli) uno stabilimento per la costruzione di locomotive, convertito da una precedente fabbrica di cannoni. Le Officine di Pietrarsa, oggi convertite in un museo, furono a lungo all’avanguardia nel settore delle ferrovie a vapore, ispirandosi direttamente ai modelli inglesi. Le date del “decollo” Questi dati sono forniti da Walt W. Rostow, storico dell’economia americano, che ha precisato le tappe della rivoluzione industriale indicando per ciascun paese gli anni del “decollo”, cioè il periodo in cui lo sviluppo dell’industrializzazione diventò irreversibile.

222

Modulo 5 La rivoluzione industriale Cambia il sistema bancario Alla costruzione delle ferrovie si legò anche un’altra importante rivoluzione: quella finanziaria. I grandi investimenti di capitali messi in circolazione per la realizzazione della rete ferroviaria, per l’impianto delle nuove industrie, per l’acquisto di macchinari, tecnologie e materie prime, provocarono una profonda trasformazione del sistema bancario. Le banche non si limitarono più, come in passato, a sostenere economicamente le attività commerciali, ma assunsero un ruolo sempre più importante nel fornire i cospicui finanziamenti (restituibili sul lungo termine) necessari per avviare progetti industriali importanti, altrimenti troppo onerosi per i privati cittadini. PRODUZIONE DI CARBONE IN EUROPA 82%

PRODUZIONE DI GHISA IN EUROPA 73%

89%

65%

23%

12%

1820-24

20%

7%

6%

1845-49

6%

8%

1820-24

11%

1845-49

PRODUZIONE DI TESSUTI IN COTONE IN EUROPA 77%

Gran Bretagna Francia Germania

Produzione di ghisa, carbone e tessuti in cotone in Europa I grafici mostrano in maniera evidente la supremazia dell’Inghilterra nei settori siderurgico, minerario e tessile.

74%

23% 1825-34

3%

17%

6%

1845-54

17.2 Due teorie e un sistema: liberismo, protezionismo e capitalismo Il liberismo La rivoluzione industriale fece aumentare la quantità dei prodotti in maniera mai vista, tanto che, non bastando più il mercato interno ad assorbirli, si fece ricorso in forma crescente al commercio internazionale. Ciò si verificò anzitutto in Inghilterra, dove la rivoluzione industriale aveva avuto origine e si era sviluppata. Contemporanea e correlata a tale situazione, si sviluppò in Inghilterra la teoria detta liberismo, che sosteneva la necessità di lasciare agli imprenditori e ai mercanti piena libertà di produrre e commerciare, senza alcuna limitazione di regole e di leggi. Principale esponente di questa teoria fu l’economista inglese David Ricardo (17721823). «Le attività economiche – egli scrisse – devono svolgersi liberamente, senza alcuna interferenza da parte dello Stato. I cittadini di ogni nazione devono essere liberi di poter commerciare con chiunque e in ogni parte del mondo, senza alcun vincolo. In tal modo si verrà a produrre un equilibrio perfetto fra le nazioni. Ogni paese tenderà naturalmente a specializzarsi in quei settori in cui potrà produrre a costi più convenienti, e scambierà quei prodotti con altri, fabbricati in altre parti del mondo, da popoli che si sono specializzati in altri tipi di produzione. E ne verrà di conseguenza la massima utilità per tutti».

Capitolo 17 Capitalismo e classe operaia

223

Il protezionismo Interessi diversi si delinearono nei paesi in cui l’industria stava nascendo, dove gli imprenditori chiedevano di essere protetti con leggi e dogane da parte dello Stato, per difendersi dalla concorrenza insostenibile dei paesi già sviluppati industrialmente. Si formò così una teoria opposta al liberismo, chiamata protezionismo. Scrisse, per esempio, l’economista tedesco Friedrich List (1789-1846): «Lo Stato deve esercitare qualche forma di controllo sulla vita economica. La libertà di commercio è una falsa libertà; in concreto essa è una forma di tirannia imposta dalle nazioni più progredite e più ricche sulle nazioni ancora arretrate. Lo Stato deve perciò proteggere le industrie che stanno nascendo, per dare loro la possibilità di progredire e di affermarsi: si devono pertanto proibire o assoggettare a tasse e dazi pesanti le merci provenienti dall’estero, poiché potrebbero soffocare le nascenti industrie nazionali». Nasce il capitalismo moderno Oltre alla nascita di nuove teorie economiche, la rivoluzione industriale portò alla formazione di un nuovo sistema economico-sociale, il capitalismo, basato sulla divisione fra proprietà e lavoro e sulla concentrazione in poche mani dei mezzi materiali (macchine, impianti fissi, utensili, terre, ecc.) indispensabili alla produzione e alla realizzazione di profitti. Lo sviluppo del capitalismo moderno fu strettamente collegato alla maggiore complessità e all’alto costo dei macchinari introdotti tra XVIII e XIX secolo nei processi di lavorazione tessile e in altri campi produttivi. Si considerino queste cifre: verso la fine del Settecento, in Inghilterra, una filatrice a funzionamento manuale, del tipo normalmente usato dagli artigiani, costava circa 10 sterline, somma non particolarmente elevata che dava la possibilità anche a un modesto lavoratore di impiantare con i suoi risparmi o con qualche prestito un piccolo laboratorio dove produrre filati in proprio. Con l’introduzione delle macchine e del motore a vapore, la situazione cambiò radicalmente: le macchine filatrici del modello più piccolo costavano non meno di 150-200 sterline, le più grandi circa 1000 sterline, somme inaccessibili a qualunque artigiano. L’adozione di macchinari così costosi fu possibile unicamente a ristretti gruppi di persone, che talvolta si riunirono in società, mettendo insieme le proprie risorse economiche, altre volte ottennero dalle banche i finanziamenti necessari.

Frédéric Sorrieu, Visione idilliaca del mercato e dei suoi benefici, 1849 [Musée Carnavalet, Parigi]

Sulla scia delle teorie liberiste, l’artista francese Sorrieu propone in questa stampa l’immagine di un’ideale città europea che fonda il proprio sviluppo economico e sociale esclusivamente sul libero commercio. I popoli di tutti i continenti s’incontrano nel porto della città e convivono fraternamente, consapevoli che solo il commercio può produrre benessere per tutti e, quindi, garantire la pace.

224

Modulo 5 La rivoluzione industriale

17.3 Il sistema di fabbrica e il nuovo paesaggio industriale La Parola

profitto Si definisce “profitto” la differenza che si ottiene sottraendo ai ricavi lordi di un’impresa le spese totali che essa ha sostenuto per produrre ciò che ha venduto.

La fabbrica L’alto costo degli impianti e la volontà di ricavarne il maggior profitto possibile favorirono la concentrazione delle macchine in grandi complessi produttivi, le fabbriche, che in breve tempo assunsero dimensioni e valori enormi. Agli inizi dell’Ottocento, la vista dei primi grandi complessi industriali suscitò forti emozioni: da un lato l’ammirazione, lo stupore per le straordinarie realizzazioni della rivoluzione industriale; dall’altro lo sgomento per la contaminazione prodotta dalle fabbriche nell’ambiente naturale. «La notte risplende di fuoco e di luce», scrisse il geologo francese Faujas de Saint-Fond (1741-1819) dopo una visita, nel 1814, alle ferriere di Carron in Scozia; «guardando da una certa distanza quelle infinite distese di carbone ardente, quei fasci di fuoco che s’innalzano sugli altiforni, mentre si ode l’assordante rimbombo dei martelli sulle incudini e il lacerante sibilo delle pompe ad aria, non sai più se ti trovi vicino a un vulcano in eruzione o se, per una qualche magia, sei stato trasportato presso la soglia dell’antro di Vulcano, che con i suoi Ciclopi sta preparando la folgore». Una «triste visione» Nel 1826, davanti alla selva di officine sorte nel Lancashire, l’architetto prussiano Karl Friedrich Schinkel (1781-1841) commentò nel suo diario: «Com’è triste la visione di una città industriale inglese! In pochi decenni in questa regione sono state fondate quattrocento nuove fabbriche. Si vedono elevarsi edifici là dove appena tre anni fa erano i campi, e questi edifici sono già così neri come se fossero vecchi di cent’anni. Gli

Philip James de Loutherbourg, Coalbrookdale di notte, fine XVIII sec. [Science Museum, Londra]

Questa visione notturna della cittadina di Coalbrookdale, nell’Inghilterra nordoccidentale, mostra come gli altiforni e le fabbriche lavorassero incessantemente, anche di notte, per riuscire a soddisfare le richieste del mercato, stravolgendo quelli che erano stati fino a quel momento i normali e naturali orari dei lavoratori, oltre che di tutti gli abitanti della zona.

Aa Documenti Lo spirito del capitalismo e l’etica del lavoro In contrapposizione alla tradizionale figura dell’aristocratico, cavaliere cortese e abile guerriero, la nuova borghesia industriale venne formando un altro mo-

R

dello di uomo, che aveva come regola di vita il lavoro e come segno di distinzione la ricchezza. Successo e guadagno furono esaltati come i valori più importanti

icordati che il tempo è denaro. Chi potrebbe guadagnare col suo lavoro 10 scellini al giorno, e va a passeggio mezza giornata, o fa il poltrone nella sua stanza, anche se spende solo 6 pence per i suoi piaceri non deve contare solo questi; oltre a questi egli ha speso, anzi buttato via, anche i 5 scellini non guadagnati. Ricordati che il denaro è per sua natura fecondo e produttivo. Il denaro può produrre denaro, e i suoi frutti possono ancora produrne e così via. 5 scellini impiegati diventano 6, e di nuovo impiegati 7 scellini e 3 pence e così via, finché diventano 100 sterline. Quanto più denaro è disponibile, tanto più se ne produce nell’impiego, così che l’utile sale sempre più alto. Chi getta via un pezzo da 5 scellini, distrugge tutto quello che si sarebbe potuto produrre con esso, intere colonne di sterline.

dell’esistenza. Significative in proposito le massime di uno dei protagonisti della rivoluzione americana: lo scienziato e uomo politico Benjamin Franklin (1706-1790).

Ricordati che chi paga puntualmente è il padrone della borsa di ciascuno, perché può in ogni momento prendere a prestito tutto il denaro di cui i suoi amici non hanno bisogno. Abituati a osservare anche i piccoli dettagli. Le azioni più insignificanti, che hanno influenza sul buon nome di un uomo e sul credito di cui egli può godere, debbono essere tenute in considerazione. Il colpo del tuo martello nell’officina, che il tuo creditore sente alle cinque del mattino o alle otto di sera, lo rende tranquillo per sei mesi; se ti vede al biliardo o sente la tua voce all’osteria, quando invece dovresti essere al lavoro, la mattina seguente ti cita per il pagamento ed esige il suo denaro prima che tu l’abbia disponibile. B. Franklin, Advice for a young tradesman (‘Consigli per un giovane commerciante’), 1748

Capitolo 17 Capitalismo e classe operaia enormi blocchi di edifici, costruiti con mattoni rossi e senza alcuna arte, al solo fine di soddisfare una necessità immediata, fanno un’impressione piuttosto sgradevole».

La città Il processo di industrializzazione fece nascere agglomerati di tipo nuovo, le prime città industriali moderne, centri urbani che avevano le fabbriche alla base della propria economia e della propria vita sociale. Verso queste città incominciarono ad affluire dalla campagna contadini poveri, braccianti, manovali, artigiani disoccupati, a costituire una grande riserva di mano d’opera da cui le fabbriche potevano attingere forza-lavoro. In queste città il numero degli abitanti cresceva incessantemente: Manchester, il più importante centro dell’industria cotoniera inglese, fra il 1760 e il 1830 vide la sua popolazione moltiplicata per sei.

I luoghi della storia

Le città industriali

L’avvento della rivoluzione industriale modificò profondamente non solo il modo di vivere delle persone, ma anche i luoghi, gli ambienti dove esse vivevano. Tutto iniziò a essere costruito e organizzato in funzione dell’apparato produttivo: fabbriche e case, canali e porti, strade e ferrovie si affastellarono tra loro in un’atmosfera plumbea, avvelenata dal fumo delle ciminiere sempre in funzione. Nel tentativo (insufficiente) di accogliere quanti si spostavano nelle nuove città industriali alla ricerca di un lavoro stabile si affermarono tipologie edilizie intensive: tra strade strette all’interno di un paesaggio di fabbriche sorsero i quartieri operai, gli slums, formati da grandi caseggiati che ospitavano centinaia di famiglie, allog-

giate in piccole stanze poco illuminate e con poca aria, proveniente da un cortile interno comune. In queste città, in questi quartieri si viveva in condizioni che oggi definiremmo insopportabili. Nel 1790 un rapporto medico stilato da due dottori, Thomas Percival (1740-1804) e John Ferriar (1761-1815), descriveva così le condizioni di vita dei tanti operai (uomini, donne, bambini) che vivevano a Manchester in cantine fatiscenti: «In certe zone della città queste cantine sono talmente umide che vanno considerate assolutamente inadatte all’abitazione. Ho visto più di una famiglia ammalarsi e morire per aver soggiornato per qualche tempo in cantine dove l’acqua trasuda dai muri. I poveri patiscono soprattutto per

la mancanza d’aerazione. La febbre ne è l’abituale conseguenza e, spesso, ho veduto dei casi di tubercolosi da attribuire interamente a tali cause. […] Un inquilino, venuto il giorno dal suo villaggio, dorme spesso in un letto ancora infestato dai parassiti lasciati dall’ultimo occupante o su cui era steso, poche ore prima, il cadavere di un uomo ucciso dalla febbre». Mancavano ospedali, mancavano servizi pubblici addetti alla pulizia delle strade, mancavano servizi igienici elementari come gli acquedotti e le fogne. Nel 1843-44 in un quartiere di Manchester 33 latrine erano utilizzate da circa 7000 persone (una per 212 individui). In tali condizioni si diffondevano con facilità malattie infettive quali la bronchite, la tubercolosi, il tifo.

Gustave Doré, Veduta della periferia di Londra e Gli slums sotto i viadotti ferroviari di Londra, 1872 [da W. Blanchard Jerrold e G. Doré, London, A Pilgrimage]

Nel 1872 William Blanchard Jerrold (1826-1884), giornalista, e Gustave Doré (1832-1883), artista incisore, pubblicarono un libro illustrato dal titolo London, A Pilgrimage (‘Londra, un pellegrinaggio’). In questo documento di cronaca sociale i due autori si proposero di mostrare come «milioni di esseri agglomerati agiscono e reagiscono gli uni agli altri», accostandosi alla vita di Londra non come storici o topografi, ma come «pellegrini, vagabondi e zingari bighelloni». Le illustrazioni di Doré ritraggono la città con straordinaria forza e drammaticità, riprendendo sia gli abitanti di Londra che, giorno e notte, si dedicano al lavoro o allo svago nei parchi e nelle sale da ballo, sia chi vive nelle prigioni e nei quartieri operai. In particolare, l’incisore francese pare ossessionato dallo spettacolo di miseria e sofferenze offerto dagli slums, quartieri periferici pianificati dagli speculatori edilizi per i salariati dei sobborghi industriali delle grandi città inglesi, i cui edifici, di infima qualità, erano costruiti ignorando qualsiasi norma di igiene e sicurezza.

225

226

Modulo 5 La rivoluzione industriale

17.4 La nascita della classe operaia Artigiani, operai, capitalisti Nell’Europa preindustriale i vari mestieri si esercitavano in maniera artigianale. In Inghilterra, come altrove, si distinguevano gli artigiani domiciliati nelle campagne, per lo più filatori, tessitori, magliai, cardatori, che lavoravano in proprio o per conto di mercanti, alternando l’attività tessile con quella agricola, e gli artigiani delle città, fabbri, coltellinai, maestri fonditori, che lavoravano in laboratori autonomi o semiautonomi. L’introduzione del sistema di fabbrica segnò la crisi di questi modelli di lavoro e fece crescere la nuova categoria degli operai, una massa di persone che, assunte negli stabilimenti, furono sottoposte a durissime condizioni di lavoro. Così, mentre per la concorrenza dell’industria declinavano le piccole imprese artigiane, si definirono due classi con interessi contrapposti: quella dei capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione, e quella degli operai, i quali (a differenza degli artigiani tradizionali) non possedevano nulla tranne la propria forza-lavoro, messa a disposizione del proprietario in cambio di un salario stabilito per contratto. Per indicare questo nuovo gruppo sociale si iniziò a usare il termine “proletariato”, una parola che derivava dal latino proletarius con cui nell’antica Roma si definiva chi non possedeva null’altro che la propria prole. L’uomo al servizio della macchina Nelle fabbriche, grandi capannoni, simili a caserme, costruiti non in funzione dell’uomo ma delle macchine che dovevano esservi ospitate, l’attività dell’operaio fu completamente condizionata dalle macchine, nei tempi, nei ritmi, nei movimenti; il filatoio e il telaio che da secoli, nei laboratori artigiani, erano stati strumenti al servizio dell’uomo, ora diventarono dei mezzi di sfruttamento: non più la macchina al servizio del lavoratore, ma il lavoratore al servizio della macchina. Anche il rapporto tra padrone e dipendenti si trasformò: quelle forme di cordialità e di umanità che potevano nascere nell’ambiente familiare della bottega artigiana, nella fabbrica scomparvero e il padrone apparve sempre più agli operai come un personaggio estraneo e lontano. La divisione del lavoro Una delle principali innovazioni del sistema di fabbrica fu la divisione del lavoro: ogni operaio doveva compiere una o pochissime operazioni, sempre le stesse, ripetute dalla mattina alla sera. In tal modo si otteneva un grande aumento della produttività, come osservarono i principali economisti dell’epoca, a cominciare da Adam Smith (1723-1790), padre del liberismo, che nel suo saggio sulla Ricchezza delle nazioni (1776) teorizzò e descrisse per primo la divisione del lavoro, come organizzazione ideale della nuova economia industriale.

I modi della storia

Diciotto operazioni per costruire uno spillo

La divisione del lavoro rappresentò una delle più significative innovazioni del sistema di fabbrica. L’aumento di produ-

P

zione che essa consentiva di raggiungere fu analizzato e descritto, dal punto di vista tecnico, dal filosofo ed economista

rendiamo come esempio una fabbrica di modesto rilievo, ma in cui la divisione del lavoro è bene applicata: una fabbrica di spilli. Un uomo trafila il metallo, un altro raddrizza il filo, un terzo lo taglia, un quarto gli fa la punta, un quinto lo schiaccia all’estremità dove deve inserirsi la capocchia. Fare la capocchia richiede due o tre operazioni distinte; inserirla è un’attività distinta, pulire gli spilli è un’altra, e persino il metterli nella carta è un’altra a sé stante. Cosicché l’attività di fabbricare uno spillo viene divisa, in tal modo, in circa diciotto distinte operazioni, tutte compiute da mani diverse. Ma vi sono fabbriche in cui ogni persona compie due o tre operazioni. Ne ho visto una di questo tipo dov’erano impiegati soltanto dieci uomini e dove alcuni di loro compivano due o

scozzese Adam Smith, che esemplificò i vantaggi del nuovo sistema con il celebre esempio della manifattura di spilli:

tre operazioni distinte. Essi erano in grado, quando si impegnavano al massimo nel lavoro, di fabbricare più di 48 mila spilli di formato medio ogni giorno. Si può dunque considerare che ogni persona, facendo la decima parte di 48 mila spilli, fabbricasse 4800 spilli al giorno. Se invece avessero lavorato tutti in modo separato e indipendente, senza che alcuno di loro si fosse particolarmente addestrato in un compito suo particolare, non avrebbero certamente potuto fabbricare neppure venti spilli al giorno per ciascuno, forse neanche un solo spillo al giorno, cioè certamente neppure la duecentoquarantesima parte, e forse neanche la quattromilaottocentesima parte di quello che sono attualmente in grado di fare, grazie a un’adeguata divisione e combinazione delle diverse operazioni. A. Smith, La ricchezza delle nazioni, libro I, capitolo 1, 1776

Capitolo 17 Capitalismo e classe operaia

Sintesi

Capitalismo e classe operaia

La rivoluzione industriale si allarga Dall’Inghilterra, la rivoluzione industriale si diffuse in altri paesi europei e negli Stati Uniti. Il fenomeno riguardò però solo una piccola parte del mondo, originando quella distinzione tra zone sviluppate e zone non sviluppate che caratterizzerà la storia dei secoli successivi. Alcuni paesi riuscirono a realizzare un’industrializzazione rapida, come Francia e Belgio. La costruzione di ferrovie si estese a tutti i paesi, parallelamente al loro sviluppo industriale. Il sistema finanziario si modificò: le banche ebbero un ruolo fondamentale nel fornire i capitali necessari per avviare i progetti industriali. Due teorie e un sistema: liberismo, protezionismo e capitalismo Con la rivoluzione industriale aumentò la quantità di prodotti e si fece ricorso, soprattutto in Inghilterra, al commercio internazionale per poterli smerciare. Si svilupparono diverse teorie economiche. In Inghilterra nacque il liberismo, il cui principale esponente, David Ricardo, sosteneva la necessità di lasciare agli imprenditori la piena libertà di commerciare, senza che lo Stato intervenisse nel mercato con leggi e regole. In altri Stati, in cui l’indu-

stria era meno forte di quella inglese, si sviluppò invece il protezionismo, che sosteneva la necessità dell’intervento statale a difesa dell’economia nazionale, mediante leggi e tariffe doganali. La rivoluzione industriale portò poi alla nascita di un sistema economico-sociale nuovo, il capitalismo. Esso era basato sulla divisione tra lavoro e proprietà e sulla concentrazione in poche mani dei mezzi materiali necessari alla produzione di beni e in grado di produrre profitti. La diffusione delle macchine e del motore a vapore aveva infatti determinato un aumento dei costi di acquisto dei macchinari industriali, accessibili solo a gruppi ristretti di imprenditori, che si unirono in società ottenendo i finanziamenti dalle banche. Il sistema di fabbrica e il nuovo paesaggio industriale Il costo elevato degli impianti industriali e la volontà di ottenerne i massimi profitti portarono alla concentrazione dei macchinari nelle fabbriche, complessi produttivi che si diffusero nel corso del XIX secolo, originando reazioni diverse, a volte di ammirazione, a volte di timore. Le città industriali, che avevano le fabbriche al

centro della propria economia, nacquero e crebbero in questi anni, attingendo manodopera dalle campagne circostanti: contadini, braccianti, manovali, artigiani disoccupati. La crisi dell’artigianato e la nascita della classe operaia Prima della rivoluzione industriale, in Europa i mestieri artigianali avevano una grande importanza, sia nel mondo rurale sia in città. Con la nascita del sistema di fabbrica tali lavori entrarono in crisi, mentre crebbe il numero degli operai, impiegati nelle fabbriche con condizioni di lavoro dure. Si delinearono due classi dagli interessi differenti: i capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione, e gli operai, che mettevano la loro forza-lavoro a disposizione dei proprietari in cambio di un salario. L’attività degli operai nelle fabbriche era condizionata dalle macchine e anche il rapporto tra padrone e dipendenti diventò meno umano, più indiretto e distante. La fabbrica adottava il metodo della divisione del lavoro, teorizzato da Adam Smith: ogni operaio compiva un numero limitato di operazioni uguali e ripetitive. Il sistema garantiva un forte aumento della produttività.

Esercizi Comprendere e ordinare 1.

Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1776

1814

1826

1835

1839

1840

1. visita dell’architetto Karl Friedrich Schinkel alle officine del Lancashire 2. inaugurazione della linea ferroviaria Napoli-Portici 3. pubblicazione del saggio Ricchezza delle nazioni di Adam Smith 4. inaugurazione della prima linea ferroviaria tedesca 5. visita del geologo Faujas de Saint-Fond alle ferriere di Carron 6. inaugurazione della linea ferroviaria Milano-Monza

2. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. La Germania, dopo alcune difficoltà iniziali, riuscì a organizzare le sue forze produttive.

V

F

b. Nell’Europa preindustriale gli artigiani delle città lavoravano in laboratori autonomi o semiautonomi. V

F

c. Le fabbriche erano grandi complessi produttivi in cui erano contenute le macchine.

V

F

d. La rivoluzione industriale permise di ridurre la differenza tra zone sviluppate e non sviluppate.

V

F

e. Tra il 1760 e il 1830 il numero degli abitanti di Manchester aumentò di tre volte.

V

F

f. La divisione del lavoro si basava su un gran numero di operazioni uguali e ripetitive.

V

F

g. Le banche assunsero un ruolo decisivo nel fornire i finanziamenti necessari per le industrie.

V

F

h. Gli operai avevano caratteristiche molto simili a quelle degli artigiani tradizionali.

V

F

i. In Inghilterra si fece ricorso al commercio internazionale per poter smerciare i prodotti.

V

F

l. Il capitalismo era basato essenzialmente sulla divisione tra proprietà e lavoro.

V

F

227

228

Modulo 5 La rivoluzione industriale

3. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. agglomerato urbano • capitalismo • finanziamento • giacimento • investimento • liberismo • manodopera • proletariato • profitto • protezionismo • salario • società Politica economica con cui uno Stato protegge i prodotti nazionali dalla concorrenza straniera attraverso provvedimenti, quali dazi e dogana Dotare del denaro necessario al compimento di un’opera o di un determinato investimento Insieme di persone legate da vincoli più o meno complessi, soggette a leggi e ordinamenti comuni Complesso di edifici che compongono un centro abitato Retribuzione fissa attribuita periodicamente al lavoratore dipendente che svolge un’attività continuativa, per lo più manuale Un capitale destinato ad attività e acquisti, con il fine di determinarne l’incremento Deposito naturale di materie prime suscettibili di sfruttamento industriale Sistema economico e sociale fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sul sistematico investimento di capitali finalizzato al profitto degli imprenditori, che produce la suddivisione del mondo produttivo in classe dei capitalisti e classe dei lavoratori Guadagno Insieme delle persone che prestano un lavoro subordinato, specialmente manuale Classe dei lavoratori dipendenti salariati, in genere non specializzati, che vivono esclusivamente del proprio lavoro

4. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. assenza • Belgio • commercio • concorrenza • controllo • Inghilterra • Francia • Friedrich List • Germania • industrializzazione • internazionali • Adam Smith • leggi • libertà • mercato • produzione • protezione • regole • David Ricardo • tariffe • tasse

TEORIE ECONOMICHE A CONFRONTO

PRINCIPALI ESPONENTI DA DOVE PROVENIVANO

LIBERISMO

PROTEZIONISMO

.......................................................................................................

.......................................................................................................

.......................................................................................................

.......................................................................................................

.......................................................................................................

Stati di recente ..................................................................... ( ...................................., ..............................., ............................)

.......................................................................................................

PRINCÌPI ECONOMICI

• Piena ............................................ di ............................... e di ................... dei beni per mercanti e imprenditori • Scambi ..................................................................................

• ............................................................. degli imprenditori • Difesa dalla ......................... di paesi già sviluppati

.................................................... dell’intervento statale e di ............................................................................................. e riguardanti il ..........................................................................

...............................................

RUOLO DELLO STATO

dello Stato sull’economia:

..................................................., .................................................

e ............................................................................... doganali

Capitolo 17 Capitalismo e classe operaia

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande in un breve testo di massimo 5 righe. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Che cosa si intende per capitalismo? Quando e come si sviluppò? In che modo la diffusione della macchina a vapore incise sullo sviluppo del capitalismo? Quali furono le novità che caratterizzarono l’attività delle banche con lo sviluppo del capitalismo? Quali classi contrapposte si affermarono? Che cosa le caratterizzava? Che cosa si concentrava nelle mani dei capitalisti? Per quale motivo? Con quali conseguenze? Perché si affermarono le fabbriche? Che cosa le caratterizzava? Che cosa era la divisione del lavoro? Da chi era sostenuta?

6. Leggi il documento “Lo spirito del capitalismo e l’etica del lavoro” a p. 224 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4.

Che cosa significa il principio secondo cui «il tempo è denaro»? Che cosa significa il principio secondo cui «Il denaro è fecondo e produttivo per sua natura»? Perché si afferma che «chi paga puntualmente è padrone della borsa di ciascuno»? Per quale motivo nell’etica capitalista ha un grande rilievo l’attenzione prestata ai piccoli dettagli?

Con le informazioni ottenute, integrandole con il precedente esercizio, scrivi un breve testo di almeno 10 righe dal titolo “Che cosa è il capitalismo?”.

7. Verso il saggio breve Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa erano le città industriali? Dove e perché si svilupparono? Chi le abitava? 2. In che modo esse furono accolte dai contemporanei? Leggi il documento “Le città industriali” a p. 225 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5.

In che modo la rivoluzione industriale modificò i luoghi in cui gli uomini vivevano? Quali tipologie edilizie si affermarono nelle città industriali? Quali erano le condizioni di vita all’interno delle città industriali? Che cosa caratterizzava le cantine nei quartieri operai? Quali malattie si diffondevano? Quali servizi necessari erano assenti nei quartieri operai?

Leggi la citazione di Faujas de Saint-Fond riportata a p. 224 e rispondi alle seguenti domande. 1. A che cosa viene paragonato l’aspetto della fabbrica? Per quale motivo? 2. Che cosa appare agli occhi e agli orecchi dell’osservatore? Leggi la citazione di Karl Friedrich Schinkel riportata a p. 224 e rispondi alle seguenti domande. 1. Come appare all’autore la visione della città industriale? 2. In quanto tempo la presenza delle industrie ha cambiato il volto della città? In che modo? 3. Che cosa caratterizza gli edifici? Quale impressione essi producono nell’autore? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve saggio di almeno 15 righe dal titolo “L’industria e la città: aspetti e problemi”.

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Modulo 5 La rivoluzione industriale

18 La questione

Capitolo

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sociale

Percorso breve Nei primi tempi della rivoluzione industriale le condizioni di vita della classe operaia erano durissime: orari di lavoro prolungati fino a notte, compensi miseri, assenza di qualsiasi protezione, sfruttamento del lavoro minorile e femminile (che costava meno). Tutto questo suscitò riflessioni e idee di rinnovamento sociale, proposte sia da intellettuali, filosofi ed economisti, sia da industriali illuminati, sia da associazioni operaie. A questo insieme di problemi, al tempo stesso sociali, economici e politici, si è dato il nome di “questione sociale”. Le prime forme di lotta sociale apparvero in Inghilterra, paese d’origine della rivoluzione industriale. Dopo un periodo di violenze, caratterizzate dalla distruzione delle macchine da parte di gruppi di operai sostenitori del luddismo, si svilupparono forme associative (in un primo tempo clandestine, perché proibite dalla legge) come società di mutuo soccorso o cooperative di consumo, poi veri e propri sindacati che comprendevano i lavoratori di un’intera categoria. Chiamate Trade Unions, queste associazioni furono riconosciute dal governo inglese nel 1824. Operando sul piano politico esse ottennero miglioramenti sostanziali come la riduzione degli orari e delle condizioni di lavoro, e leggi assistenziali a sostegno delle classi popolari. Fra quanti si occuparono della questione sociale ebbe una speciale importanza il movimento socialista, che si presentò come una critica radicale al capitalismo, a cui

Honoré Daumier, La rivolta, 1860 ca. [The Philips Collection, Washington D.C.]

si contrapponeva una forma diversa di società, basata sulla proprietà pubblica e collettiva, anziché privata, dei mezzi di produzione. Tra i socialisti si distinsero subito due tendenze, quella ‘riformista’ che intendeva operare nella società capitalista per trasformarla, e quella ‘rivoluzionaria’ che intendeva abbatterla. Tra gli iniziatori delle idee socialiste si ricordano l’inglese Owen e i francesi Saint-Simon, Fourier, Proudhon, Blanc, Blanqui.

18.1 Le condizioni di vita dei lavoratori Una vita misera e durissima Il periodo della rivoluzione industriale, soprattutto in Inghilterra, fu uno dei più difficili per le condizioni di vita delle classi lavoratrici: nei primi tempi lo sfruttamento della forza-lavoro da parte degli industriali era molto duro, i salari bassissimi, l’esistenza difficile se non drammatica. I consumi degli operai erano ridotti al minimo e spesso l’alcolismo era il solo modo per dimenticare la realtà quotidiana. All’interno delle fabbriche le condizioni di vita degli operai erano penose. Ciò derivava anche dal fatto che il numero di persone in cerca di lavoro era di gran lunga superiore rispetto alle possibilità di reclutamento. Perciò i proprietari, con questo eccesso di mano d’opera disponibile, poterono pretendere orari di lavoro prolungati fino a 14-16 ore giornaliere, al limite della resistenza fisica, in cambio di salari che a stento bastavano a mantenere in vita i lavoratori e le loro famiglie. Lo sfruttamento di donne e bambini Per il lavoro in fabbrica spesso erano utilizzati anche le donne e i bambini, perché i loro compensi erano inferiori a quelli degli uomini e degli adulti. «In molte fabbriche inglesi – si legge in una cronaca del 1795 – sono impiegati bambini in tenerissima età; molti di essi vengono trasportati in massa, per fare gli apprendisti, presso dei padroni che si trovano a centinaia di miglia di distanza. Le condizioni di lavoro sono tali per cui generalmente alla fine del periodo di apprendistato essi non sono più in grado di intraprendere una qualsiasi altra attività». Le donne, in genere, erano occupate nell’industria tessile, in qualità di cucitrici, camiciaie, merlettaie. I bambini più spesso erano reclutati per il lavoro nelle miniere, da cui si ricavavano il ferro per la costruzione delle macchine e il combustibile (carbone) per far funzionare i motori a vapore. La denuncia di Engels Una delle più celebri descrizioni delle condizioni di vita degli operai inglesi ai primi dell’Ottocento è quella di Friedrich Engels (1820-1895), economista, filosofo e politico tedesco, fondatore assieme a Karl Marx del materialismo storico e del movimento comunista [ 29.2]. Nel saggio La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845) egli denunciò lo sfruttamento della classe lavoratrice e le angosciose condizioni di vita delle famiglie operaie, e non vi è dubbio che la realtà sociale da lui rappresentata fosse effettivamente drammatica, come ci attestano molti altri scritti e documenti dell’epoca. Nessuna garanzia sul lavoro Le condizioni dei lavoratori erano aggravate dalla mancanza di norme assistenziali e da leggi che proibivano le associazioni tra i lavoratori. In Inghilterra questa soggezione dei lavoratori agli imprenditori durò per circa cinquant’anni; poi, dall’ultimo decennio del Settecento, gli operai non furono più disposti a subire passivamente queste condizioni di lavoro e incominciarono a protestare, prima in maniera disorganizzata e spontanea, poi attraverso forme di associazione, come le leghe e i sindacati, proibite e perseguite dalla legge e costrette perciò a vita clandestina.

18.2 Il luddismo e le associazioni operaie «Distruggiamo le macchine» Violente insurrezioni contro il sistema di fabbrica scoppiarono in Inghilterra tra il 1812 e il 1817, a Manchester e in altri grandi centri dell’industria tessile. Ne furono protagonisti lavoranti a domicilio, artigiani, giornalieri del settore tessile, operai disoccupati che si ritenevano danneggiati dalla concorrenza delle macchine, che producevano di più e a minor costo. Furono assaliti gli stabilimenti e distrutte le macchine, giudicate la prima causa dei bassi salari e della disoccupazione.

Bambini al lavoro in una fabbrica di carta in Germania, 1858

232

Modulo 5 La rivoluzione industriale Il movimento fu chiamato luddismo, dal nome di una leggendaria figura di tessitore, Ned Ludd, che si diceva avesse fatto a pezzi un telaio nel 1799 e che pertanto fu assunto come simbolica figura di eroe giustiziere. Le azioni distruttive dei luddisti continuarono per qualche tempo, poi furono bloccate dall’intervento della forza pubblica, che arrestò i rivoltosi. I capi furono impiccati. Anche fuori dell’Inghilterra la protesta degli operai prese forme violente: a Lione, in Francia, nel 1831, i lavoratori della seta tentarono di impadronirsi della città e furono sanguinosamente dispersi dall’esercito.

Le vie della cittadinanza

Lo sfruttamento del lavoro minorile

C

osì Friedrich Engels, uno dei teorici dell’ideologia comunista, descrisse la degradante condizione fisica e psicologica di bambini e bambine impiegati nel massacrante lavoro di miniera: Nelle miniere di carbone e di ferro lavorano bambini di 4, 5, 7 anni; la maggior parte di essi però ha più di 8 anni. Sono incaricati di trasportare il materiale dai luoghi di scavo alla galleria principale, e di aprire e richiudere le porte al passaggio degli operai e del materiale. Alla sorveglianza di queste porte vengono adibiti per lo più i bambini più piccoli, che in questo modo devono starsene soli per dodici ore al giorno nel buio, in un corridoio angusto e quasi sempre umido. Invece il trasporto del carbone e del minerale di ferro costituisce un lavoro estremamente duro, perché questo materiale deve essere trascinato in grosse carriole senza ruote sul fondo accidentato delle gallerie, spesso sul fango umido o attraverso l’acqua, spesso ancora per erte salite e attraverso passaggi che talvolta sono tanto angusti che gli operai devono camminare carponi. A

Bambini al lavoro in una miniera inglese, 1844

questo estenuante lavoro vengono adibiti ragazzi più grandi e ragazze adolescenti. [...] La conseguenza prima di una fatica così eccessiva è che tutte le energie vitali sono assorbite dallo sviluppo unilaterale dei muscoli, così che i muscoli delle braccia e delle gambe, della schiena, delle spalle e del petto si sviluppano in modo eccessivo, mentre tutto il resto del corpo, per la mancanza di sufficiente nutrimento, si deforma.

Ci vollero anni prima che le lotte operaie e le pubbliche leggi riuscissero a cancellare questa piaga iniziata con la rivoluzione industriale. Ma ancora oggi, in certi paesi del mondo, la crescita industriale si accompagna a fenomeni di oppressione sociale e lo sfruttamento del lavoro minorile è uno dei più comuni e crudeli. Secondo un rapporto della giornalista Rita Stucchi Pedrini attualmente nel mondo sono circa 300 milioni (per metà indiani) i bambini sfruttati «per i più umili lavori nelle miniere, nelle fabbriche, nei cantieri edili, nelle strade; nelle acciaierie

infornano e tolgono dal fuoco le lamiere arroventate, nelle vetrerie preparano la pasta per i lavoratori adulti, nelle cave di ardesia trasportano pezzi di roccia; la loro abilità manuale e le piccole dita li rendono particolarmente ambiti per annodare i tappeti o per fabbricare piccoli giocattoli. Il lavoro dura sette giorni su sette e può prolungarsi fino a 12-14 ore al giorno; i compensi sono miserabili, il minimo per non morire di fame. […] Molti muoiono ancora giovani. […] In Francia e in Inghilterra lavorano clandestinamente – soprattutto nel settore tessile – bimbi turchi, africani, asiatici. […] Di fronte a queste forme di sfruttamento, l’ONU e l’UNICEF si sono proposti una politica di interventi per proibire l’impiego lavorativo dei bambini di età inferiore ai 10 anni: un obiettivo ancora minimo, un primo passo, solo, per cercare di estirpare un fenomeno drammatico che stride in maniera acuta con le conquiste sociali e culturali del nostro tempo».

Lewis Hine, Bambini al lavoro in un’industria tessile in Georgia (USA), 1910 ca.

Capitolo 18 La questione sociale

233

Le prime associazioni operaie Lavorando insieme nelle fabbriche, incontrandosi ogni giorno, scambiandosi idee, gli operai compresero ben presto che l’unico modo per difendere i propri interessi, per mostrarsi meno disposti a subire le dure condizioni del sistema di fabbrica, era quello di unire le proprie forze. Si formarono così, intorno al 1790 in Inghilterra e poco più tardi in Francia, le prime associazioni operaie: alcune come società di “mutuo soccorso”, altre come “cooperative di consumo”. Le prime erano costituite da gruppi di operai che cedevano una parte del salario per costituire un fondo comune da usare in caso di necessità particolari: licenziamenti, malattie, infortuni. Le seconde erano formate da negozi appartenenti ad associazioni di lavoratori e gestiti dai lavoratori stessi i quali, nell’interesse collettivo, rinunciavano a una parte degli utili per vendere le merci a un prezzo più basso. Trade Unions Non permesse dalla legge, queste prime associazioni furono costrette a vita semiclandestina. Esse accrebbero la loro forza quando i lavoratori incominciarono a organizzarsi in sindacati, unioni che comprendevano non solo gli operai di uno stabilimento, ma i lavoratori di un’intera categoria, per esempio i minatori o i tessili. Ciò avvenne per la prima volta in Inghilterra, dapprima in forma illegale, poi con il riconoscimento del governo (1824). A questi sindacati fu dato il nome di Trade Unions, ‘Unioni di mestiere’. La loro più importante arma di lotta fu lo sciopero. Le prime leggi sul lavoro in fabbrica In qualche decennio, attraverso lotte anche molto aspre, le Trade Unions riuscirono a raggiungere notevoli risultati, anche per gli orientamenti liberali e democratici assunti dalla monarchia e dal governo inglese in quel periodo. Il Parlamento inglese fu il primo a emanare disposizioni governative per regolare il lavoro in fabbrica: una delle prime leggi, varata il 15 ottobre 1831, modificava usanze ormai consolidate dal momento che prevedeva la riduzione dell’orario di lavoro (prima a 12, poi a 10 ore), il divieto per i minori di 21 anni di lavorare di notte (anche per questioni di moralità, visto che uomini e donne lavoravano insieme per tutta la notte) e la proibizione del lavoro minorile, stabilendo che «nessun ragazzo, fino all’età di 9 anni, possa essere impiegato in nessuna specie di lavoro». La “Legge sui poveri” del 1834 introdusse le prime norme assistenziali per le malattie, gli infortuni, la disoccupazione, affidando a enti e istituzioni locali l’assistenza ai bisognosi.

18.3 Origine del movimento socialista Il socialismo Nei primi decenni dell’Ottocento incominciò a diffondersi, specialmente in Inghilterra e in Francia, un movimento di pensiero che proponeva un nuovo modello di società, che si riteneva capace di risolvere i gravi problemi che affliggevano la vita delle masse operaie. Tale movimento, chiamato socialismo, propose una critica radicale del capitalismo, a cui venivano rimproverati soprattutto l’individualismo e la ricerca del profitto, cause primarie, secondo i socialisti, dei mali sociali. Le false promesse del capitalismo e il ruolo dello Stato All’individuo e alla libertà d’iniziativa la società capitalista dava un’importanza fondamentale, considerandoli condizioni indispensabili dello sviluppo economico: «Nel perseguire l’interesse proprio – aveva scritto l’economista Adam Smith – ciascuno promuove, spesso inconsapevolmente, quello della società». I seguaci del socialismo facevano notare che il benessere non si era affatto diffuso fra tutte le classi sociali; che l’attività individuale e la ricerca del profitto, lasciate libere senza alcun controllo né limitazione, avevano provocato l’accumulazione della ricchezza nelle mani di un ristretto numero di persone, a danno della maggioranza della popolazione, che si trovava sfruttata e impoverita. Per far cessare questo stato di cose i socialisti proponevano la costituzione di una società diversa, che avesse alla base non più l’individualismo ma un sistema produttivo controllato dallo Stato, o anche di proprietà collettiva (dello Stato o dei lavoratori). Il profitto del lavoro sarebbe stato equamente distribuito fra tutti coloro che l’avevano prodotto con la loro attività.

James Sharples, Tessera del sindacato dei metallurgici, 1851 Dalle prime forme di opposizione sociale che si svilupparono in Inghilterra tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, nacquero le Trade Unions, nucleo originario di un movimento sindacale destinato a grandi sviluppi. L’immagine raffigura una tessera del sindacato degli operai metallurgici disegnata da James Sharples, egli stesso operaio.

234

Modulo 5 La rivoluzione industriale

I tempi della storia Si può cambiare la società? Povertà, sfruttamento, disuguaglianza sono mali antichi quanto l’uomo; ancora oggi pesano su gran parte dell’umanità. Nel nostro tempo, tuttavia, è radicalmente cambiato l’atteggiamento degli uomini di fronte a condizioni di vita ritenute ingiuste. Fino al XVIII secolo era convinzione diffusa che il contrasto fra ricchi e poveri, dominanti e dominati, oppressori e oppressi fosse un’immutabile necessità di natura. Con la diffusione delle idee illuministe si fece strada un modo di pensare diver-

so, basato sull’idea che i modi di vita dipendono in gran parte dagli uomini stessi, e perciò si possono cambiare. «Le miserie umane – scrisse lo storico e filosofo francese Alexis de Tocqueville (1805-1859) – sono opera delle leggi e non del destino». Soprattutto la Rivoluzione francese contribuì a diffondere i princìpi di libertà e di uguaglianza, come valori universali e come diritti validi per tutti gli uomini. Pertanto, quando furono chiari gli intollerabili livelli di sfruttamento a cui erano

sottoposti gli operai nei primi tempi della rivoluzione industriale, apparvero sempre più numerosi studi, saggi, riflessioni sulla condizione operaia, e proposte di intervento per modificare la situazione. Parallelamente si organizzò il movimento operaio che, dapprima in modo clandestino, poi in forme riconosciute e ufficiali, dopo anni di lotte e di riflessioni politiche portò a milioni di uomini una nuova consapevolezza del proprio stato e la fiducia di poter rinnovare la società e costruire un mondo migliore.

Riforme o rivoluzione? Ma, in pratica, come si poteva attuare una società di questo genere? Si delinearono due diverse tendenze: quella dei riformisti e quella dei rivoluzionari. I primi sostenevano che la società si poteva trasformare pacificamente, con riforme graduali, attuate mediante la collaborazione tra le organizzazioni sindacali e i governi. La seconda, invece, sosteneva che il passaggio dalla società capitalista alla società socialista non poteva avvenire se non attraverso uno scontro frontale, un urto violento: la società capitalista non si poteva trasformare, ma soltanto rovesciare.

18.4 Progetti di riforma sociale Alle radici del socialismo La forte carica utopistica del pensiero socialista del primo Ottocento si ispirava alla tradizione ugualitaria dei gruppi radicali formatisi durante la prima rivoluzione inglese e durante la Rivoluzione francese. Nei due paesi ne furono precursori rispettivamente Robert Owen e Henri de Saint-Simon.

Capital and Labour [dalla rivista inglese «Punch», 1845]

In questa vignetta satirica l’interno di una miniera è raffigurato quasi come una bolgia dantesca, popolata da bambini, storpi e donne malsane, mentre nei “piani superiori” i ricchi padroni oziano serviti e riveriti. Inutilmente il progresso bussa alla porta della miniera, ben custodita da un guardiano seduto su sacchi di oro.

Un industriale illuminato in Scozia In Gran Bretagna, uno dei primi tentativi di mettere in pratica le idee di riforma sociale fu attuato dall’industriale Robert Owen (17711858), nutrito di ideali illuministi, che introdusse importanti innovazioni nel suo cotonificio di New Lanark presso Glasgow, in Scozia: ridusse l’orario di lavoro agli operai, aumentò i salari, migliorò le condizioni igieniche della fabbrica e degli alloggi dei lavoratori, istituì scuole per i loro bambini. Incoraggiato dai successi di tali iniziative, cercò di estenderle su più larga scala e per questo ricercò l’appoggio degli uomini d’affari e della classe colta; ma nessuno lo seguì e l’iniziativa rimase senza seguito. Owen si dedicò anche all’organizzazione delle Trade Unions e di cooperative di consumo fra i lavoratori: soprattutto in questa promozione dell’associazionismo operaio, che proseguì poi in modo autonomo, sta l’importanza della sua azione sociale. Il socialismo francese: il controllo dello Stato… Un nobile, Henri de Saint-Simon (1760-1825), è considerato l’iniziatore del socialismo in Francia. Per migliorare i contrasti tra le classi e dar vita a una società più giusta, egli propose di mettere sotto il controllo dello Stato i mezzi di produzione e di affidarne la gestione a un ristretto gruppo di scienziati e di tecnici, i più esperti e capaci fra gli industriali e gli operai. … o l’autogestione? Diverso fu il progetto di Jean-Baptiste Fourier (1768-1830). Anziché accentrare l’economia nelle mani dello Stato, Fourier prospettò un decentramento delle forze produttive, attraverso la formazione di piccole comunità di 1600-2000 persone, raggruppate volontariamente in edifici detti “falansteri” (dal greco phálanx, ‘gruppo’, ‘schiera’). Qui ciascuno avrebbe scelto il proprio

Capitolo 18 La questione sociale lavoro sulla base delle attitudini personali, dando origine a una società fondata sull’armonia e sulla collaborazione. Nessuno finanziò il progetto, che rimase sulla carta.

Cooperazione senza Stato Un altro pensatore, Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865), criticò non solo la società capitalista ma anche l’ipotesi socialista, giudicata centralizzatrice e burocratica in quanto tendeva a mettere i mezzi di produzione sotto il controllo statale. Proudhon proponeva invece di restringere i poteri dello Stato, fino ad arrivare alla sua totale eliminazione, in modo che fosse garantita la libertà di ogni individuo contro qualunque forma di autoritarismo e dispotismo. L’ideale ultimo di Proudhon era l’eliminazione dello Stato e della proprietà, in nome di un cooperativismo di stampo anarchico [ 29.3]. Il suo saggio più celebre, pubblicato nel 1840, si intitolava Che cos’è la proprietà?, e la risposta era «La proprietà è un furto». La lotta per le riforme Questi primi teorici del socialismo faticarono a instaurare rapporti organici con le masse operaie. Louis Blanc (1811-1882), invece, prese parte alle lotte operaie e fu membro del governo provvisorio che si istituì a Parigi dopo la rivoluzione del 1848 [ 22.2]. Sostenitore di un socialismo riformista, controllato dallo Stato, egli promosse la creazione di “laboratori nazionali” (ateliers nationaux) allo scopo di eliminare la disoccupazione e di assicurare a tutti un posto di lavoro. L’ipotesi rivoluzionaria Al contrario, Louis-Auguste Blanqui (1805-1881) sostenne la via rivoluzionaria al socialismo ed ebbe una parte di rilievo nelle lotte e nei moti insurrezionali che accompagnarono le vicende del movimento operaio francese, dalla rivoluzione del 1830 [ 20.3] a quella del 1848 [ 22.2]. A differenza degli altri socialisti, che progettavano riforme più o meno praticabili, Blanqui era convinto che nessun accordo fosse possibile tra la classe operaia e i capitalisti. Egli fu il primo a teorizzare la presa del potere da parte dei lavoratori e a usare l’espressione “dittatura del proletariato”, che sarebbe poi stata ripresa da Karl Marx e Friedrich Engels [ 29.2].

Aa Documenti Un regolamento di fabbrica nell’Italia del primo Ottocento Nei primi tempi dell’industrializzazione, i regolamenti di fabbrica erano particolarmente vessatori nei confronti degli operai: non si trattava di norme contrattate fra le due parti, ma di imposizioni unilaterali degli imprenditori, che tenevano sotto strettissimo controllo la manodopera e ne sfruttavano il lavoro nel modo più

L

totale. Questi regolamenti dimostravano senza possibilità di fraintendimenti quale fosse il modello capitalista contro cui si scagliò il movimento socialista. Per esempio, il regolamento del lanificio dei fratelli Sella a Croce Mosso (vicino a Biella, in Piemonte), redatto nel 1835, disponeva che tutte le infrazioni degli ope-

a giornata è composta di dodici ore di lavoro in tutte le stagioni. La notte, di ore undici d’inverno e di dieci l’estate. Dopo 15 giorni di permanenza di un operaio in fabbrica, l’operaio è obbligato a rimanervi per due anni e così di seguito. Nessun operaio sarà ricevuto in fabbrica, se non si sottomette a osservare il presente regolamento: Penali comuni a tutti: entrando un quarto d’ora dopo il primo suono della campana si perderà un quinto della giornata. Posto abbandonato, conversazioni: sono tassate di un quarto di giornata. Andata alla latrina per via indiretta1, mezza giornata. Dormire di notte, una giornata; di giorno, mezza; in piedi, mezza. Bere vino, acquavite o altri liquori, mangiare castagne o frutta i cui resti imbrattino i locali, un quarto di giornata; lo stesso, se non si spazzeranno i locali tutti i giorni. Cantare, camminare, o parlare, disturbare, un quarto; la notte, un terzo. Introdursi nel lanificio ubriachi, mezza giornata. 1 Senza seguire la via normale.

rai venissero punite trattenendo parte del salario, misurato in “giornate” o frazioni di giornate; in un caso si arrivava anche all’arresto. Non è forse un caso se nello stesso luogo, circa trent’anni dopo, nacque una delle prime forme di sindacato italiano: la Società di mutuo soccorso dei tessitori di Croce Mosso.

Gettare immondizie nel cortile, scale, latrine, un quinto di giornata. Entrare nelle camere d’abitazione personale dei padroni, è tassato della perdita del salario di dieci giornate di lavoro. Fumar tabacco è proibito sotto pena di una giornata e masticarlo mezza. Portare mantelli, parapioggia, fagotti o altro più avanti della portineria, mezza giornata di penale. Entrare o uscire da una parte che non sia la porta grande darà al padrone il diritto di fare arrestare, o consegnare alla giustizia il delinquente come sospetto; chi esce di nascosto per la porta grande, pagherà la penale di mezza giornata. Chiunque accelera il movimento o lo ritarda, senza essere comandato, incorrerà in una penale da due giorni a un mese, più il danno e spese. dal Regolamento generale del lanificio de’ fratelli Sella di Croce Mosso

235

236

Modulo 5 La rivoluzione industriale

Sintesi

La questione sociale

Le condizioni di vita dei lavoratori Nel primo periodo della rivoluzione industriale, specialmente in Inghilterra, la vita degli operai delle fabbriche era contraddistinta da un’estrema durezza: salari molto bassi, orari di lavoro estremamente lunghi (fino a 16 ore giornaliere), sfruttamento della forza lavoro dei bambini (nelle fabbriche o nelle miniere) e delle donne (soprattutto nell’industria tessile). Non esistevano inoltre né norme assistenziali né forme di associazioni tra lavoratori, proibite dalla legge. A partire dall’ultimo decennio del XVIII secolo, in Inghilterra si ebbero le prime proteste degli operai, prima spontanee, poi mediante forme di associazione (leghe e sindacati) clandestine. Il luddismo e le associazioni operaie La prima forma di protesta operaia fu quella del movimento luddista: in alcuni centri inglesi dell’industria tessile, gruppi di lavoratori e disoccupati assalirono gli stabilimenti distruggendo le macchine, ritenute la causa della disoccupazione e dei salari bassi. Le azioni dei luddisti continuarono fino a quando esse non furono interrotte dall’intervento della polizia; i rivoltosi furono arrestati e i capi giustiziati. Gli operai iniziaro-

no a unire le loro forze per difendere i propri interessi, costituendo le società di mutuo soccorso, formate da operai che creavano un fondo comune con finalità assistenziali, e le cooperative di consumo, negozi gestiti da operai che vendevano a un prezzo più basso le merci. Infine gli operai si organizzarono in sindacati (Trade Unions), unioni dei lavoratori di una categoria riconosciute dal governo inglese nel 1824, il cui mezzo di lotta era lo sciopero. I sindacati riuscirono a ottenere l’approvazione di alcune leggi che miglioravano la condizione degli operai: fu ridotto l’orario di lavoro e proibito il lavoro minorile, furono introdotte le prime norme assistenziali. Origine del movimento socialista All’inizio del XIX secolo, in Francia e in Inghilterra si diffuse il socialismo, fondato su una critica radicale del capitalismo che, sollecitando l’individualismo e la ricerca del profitto, era indicato come causa delle ingiustizie sociali e della diseguale distribuzione della ricchezza. I socialisti proponevano di sostituire all’individualismo capitalista un sistema di produzione controllato dallo Stato, in cui i profitti sarebbero stati equamente divisi tra coloro che li avevano prodotti. Due

furono le correnti del primo socialismo: i riformisti ritenevano possibile una trasformazione graduale della società attraverso accordi tra governi e sindacati, mentre i rivoluzionari ritenevano possibile instaurare il socialismo solo in seguito al rovesciamento della società capitalista. Progetti di riforma sociale Il pensiero socialista ebbe come precursori l’industriale inglese Robert Owen, che introdusse nel suo cotonificio delle innovazioni per migliorare le condizioni dei lavoratori e fu attivo nell’associazionismo operaio, e il nobile francese Henri de Saint-Simon, considerato l’iniziatore del socialismo in Francia. Altri esponenti del pensiero socialista furono JeanBaptiste Fourier, che promosse piccole comunità di lavoratori basate sulla collaborazione interna; Pierre-Joseph Proudhon, che teorizzò l’eliminazione dello Stato per garantire la più assoluta libertà a ogni individuo; Louis Blanc, attivo nelle lotte operaie a Parigi dopo il 1848, che promosse la creazione di “laboratori nazionali” per eliminare la disoccupazione; Louis-Auguste Blanqui, attivo nelle lotte operaie e sostenitore della rivoluzione come mezzo per instaurare il socialismo.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1812

1824

1831

1834

1840

1845

1. insurrezione dei lavoratori della seta a Lione 2. pubblicazione del saggio La situazione della classe operaia in Inghilterra di Engels 3. pubblicazione del saggio Che cos’è la proprietà? di P.J. Proudhon 4. il governo inglese riconosce le Trade Unions 5. Legge sui poveri in Inghilterra 6. prime insurrezioni promosse dal movimento luddista

2. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Le cooperative di consumo erano formate da operai che mettevano insieme un fondo comune.

V

F

b. Le prime proteste degli operai avvennero nell’ultimo decennio del Settecento.

V

F

c. Louis Blanc era un sostenitore del socialismo riformista.

V

F

d. La “Legge sui poveri” del 1834 prevedeva la proibizione del lavoro minorile.

V

F

e. L’espressione “dittatura del proletariato” venne coniata da Louis-Auguste Blanqui.

V

F

f. Per i socialisti, l’individualismo e il profitto erano le cause della povertà e dello sfruttamento.

V

F

g. Il luddismo intendeva combattere la concorrenza delle macchine agli operai.

V

F

h. La più importante arma di lotta delle società di mutuo soccorso era lo sciopero.

V

F

i. Gli orari di lavoro nelle fabbriche arrivavano al massimo di 10-12 ore giornaliere.

V

F

Capitolo 18 La questione sociale

l. Le diverse tendenze in cui si articolava il socialismo erano: riformisti, rivoluzionari, anarchici.

V

F

n. I precursori del socialismo in Francia furono Henri de Saint-Simon e Jean-Baptiste Fourier.

V

F

m. Secondo Robert Owen, la proprietà era un furto.

V

F

o. I sindacati erano unioni che raggruppavano i lavoratori di un’intera categoria.

V

F

3. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. anarchia • cooperativa • disoccupazione • falansteri • insurrezione • luddismo • profitto • riformisti • rivoluzionari • salario • sciopero • sindacato • socialismo Condizione caratterizzata dalla mancanza di un lavoro retribuito Unione che comprende i lavoratori di un’intera categoria Associazione gestita dagli stessi lavoratori al fine di produrre o vendere beni Edifici destinati ad accogliere comunità di lavoratori di 1600-2000 persone Socialisti che sostenevano la trasformazione graduale della società capitalista Dottrina che propone l’eliminazione dello Stato e di ogni forma di autorità Astensione collettiva dal lavoro da parte dei dipendenti Socialisti che sostenevano il rovesciamento della società capitalista Moto di ribellione collettiva condotto con modalità violente Dottrina che propone un sistema produttivo basato sull’eguaglianza sociale Retribuzione del lavoratore subordinato e dell’operaio Fase delle lotte operaie basata su reazioni violente contro le macchine Eccedenza del totale dei ricavi sul totale dei costi

Analizzare e produrre 4. Rispondi alle seguenti domande in un breve testo di massimo tre righe. 1. Che cosa caratterizzava il movimento luddista? Quale esito ebbe? 2. Quali furono le prime forme di associazionismo operaio? Che funzioni svolgevano? 3. Che cosa erano le Trade Unions? Quali risultati riuscirono a ottenere? 4. Quali leggi sul lavoro in fabbrica furono emanate dal Parlamento inglese? 5. Che cosa era il socialismo? Quale modello di società sosteneva? 6. Quali erano le tendenze in cui si divideva il socialismo? Che cosa le caratterizzava? 7. Quali erano le condizioni di vita all’interno delle fabbriche?

5.

Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” a p. 232 e rispondi alle seguenti domande. 1. Chi è l’autore del brano riportato nel documento? 2. Quale età avevano i bambini che lavoravano nelle fabbriche? 3. Quali mansioni erano svolte dai bambini nelle fabbriche?

4. Come venivano trasportati il carbone e il minerale di ferro? Chi era impiegato in questo lavoro? 5. Quali conseguenze derivavano ai bambini dal lavoro in fabbrica? 6. Il fenomeno del lavoro minorile esiste ancora al giorno d’oggi? Dove principalmente? Con quali conseguenze? 7. Quali politiche sono state adottate attualmente per combattere il fenomeno? Con quali risultati? Leggi la citazione della cronaca del 1795 riportata a p. 231 e rispondi alle seguenti domande. 1. Come erano condotti i bambini nelle fabbriche? 2. Quali erano le condizioni di lavoro? Rispondi alle seguenti domande. 1. Per quale motivo era utilizzata manodopera minorile nelle fabbriche? Con quali mansioni? 2. Dove e quando fu abolito per la prima volta il lavoro minorile nelle fabbriche? Utilizzando le informazioni raccolte, scrivi un breve testo di almeno 10 righe dal titolo “Il lavoro minorile tra passato e presente”.

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La discussione storiografica

Le invenzioni/innovazioni della rivoluzione industriale S

econdo una classica definizione dell’economista austriaco Joseph Alois Schumpeter (1883-1950), si definisce “invenzione” la scoperta di una nuova tecnica, “innovazione” la sua applicazione ai processi produttivi. Potremmo aggiungere che le “invenzioni” sono normalmente un fatto individuale (qualcuno inventa qualcosa) ma che solamente quando esse entrano nell’uso collettivo, perché la comunità ne ha verificato l’efficacia e l’utilità rispetto alle esigenze economiche reali, le “invenzioni” diventano “innovazioni”. Sono sempre le esigenze produttive, i criteri di utilità a determinare il successo di una determinata tecnologia, che magari esiste da secoli: il mulino era un’invenzione antica, ma solo nel

Medioevo si diffuse (diventando a tutti gli effetti un’innovazione) perché solo allora, in mancanza di manodopera, si sentì l’esigenza di una macchina che sostituisse il lavoro manuale. In altri contesti storici, come quello della rivoluzione industriale, un flusso continuo di invenzioni accompagnò la crescita dell’economia: non si trattava di elaborazioni teoriche, frutto della curiosità scientifica e dell’ansia di conoscere (come potevano essere state, per esempio, le molteplici invenzioni di Leonardo da Vinci in età rinascimentale), ma di soluzioni pratiche a problemi concreti. Queste furono le “invenzioni” del Settecento in Inghilterra. Significativamente, gli uomini passati alla storia per i perfezionamenti apportati

alle macchine per tessere e filare non erano uomini di scienza ma artigiani, contadini, lavoratori manuali: Hargreaves di mestiere faceva il tessitore, Kay e Crompton erano agricoltori, figli di proprietari terrieri, Arkwright faceva il barbiere, Cartwright era un ecclesiastico. James Watt, l’inventore della macchina a vapore, era noto come costruttore di strumenti di precisione. È anche importante sottolineare che tutte queste invenzioni rappresentarono il perfezionamento di congegni e dispositivi già messi a punto da altri: lo stesso Watt giunse a realizzare il suo “gioiello” solo dopo avere osservato e studiato altre macchine, e valutato con molti collaboratori le intuizioni che via via gli venivano alla mente.

invenzioni ma al continuo, quotidiano miglioramento di tecniche spesso importate da fuori: il successo dell’industria britannica fu dovuto alla capacità di elaborare e mettere a frutto una miriade di “microinvenzioni” attuate da artigiani e meccanici con spirito imprenditoriale. Questo meccanismo è ben illustrato, nel brano successivo, dallo storico inglese Thomas Southcliffe Ashton

(1899-1968), che si sofferma sull’invenzione di Watt, la macchina a vapore, che diede alla rivoluzione industriale la sua definitiva accelerazione, mostrando come essa nacque – al pari di tante altre – rielaborando e “aggiustando” tecnologie esistenti. Ashton sottolinea anche il carattere collettivo di questa invenzione, nella quale confluirono esperienze e competenze diverse.

I testi Il primo brano che presentiamo è dello storico statunitense Joel Mokyr (1946), il quale insiste sull’aspetto “meccanico” più che “scientifico” (dunque pratico e non teorico, sperimentale e non speculativo) delle innovazioni che via via segnarono gli sviluppi della rivoluzione industriale. Mokyr in particolare sostiene che la superiorità tecnologica mostrata dall’Inghilterra in questo campo non fu dovuta a spettacolari

Creatività tecnologica e microinvenzioni Joel Mokyr

Se si è d’accordo che alla base della rivoluzione industriale vi fu qualcosa che chiamiamo creatività tecnologica, allora è opportuno interrogarsi sui fattori che ne furono responsabili. Tanto per cominciare, la Gran Bretagna non pare aver goduto di un vantaggio particolare nella realizzazione di

macroinvenzioni: un gran numero di queste ultime venne realizzato all’estero, in particolare in Francia. […] Qualsiasi periodo di efficace creatività tecnologica richiede sia salti di qualità fondamentali che piccoli miglioramenti incrementali, spesso anonimi, che hanno luogo nell’ambito di tec-

La discussione storiografica Le invenzioni/innovazioni della rivoluzione industriale

niche note. La chiave del successo tecnologico britannico fu il suo vantaggio relativo in fatto di microinvenzioni. […] Le prove a favore dell’affermazione secondo cui il vantaggio relativo della Gran Bretagna risiedeva nel perfezionamento piuttosto che nell’originalità derivano in parte da fonti contemporanee. Un commento frequentemente citato è quello di uno stampatore di tessuto svizzero che nel 1766 osservò che un oggetto, per essere perfetto, doveva essere inventato in Francia e rielaborato in Inghilterra. Nel 1829 l’ingegnere John Farey dichiarò che inglesi e scozzesi hanno talento soprattutto nel trovare applicazioni pratiche per le nuove idee e nel portare alla perfezione tali applicazioni, pur non essendo “fantasiosi” quanto gli stranieri. Gli europei del continente si sentivano frustrati, come aveva detto profeticamente Leibniz nel 1670: «Non

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è lodevole che noi tedeschi, che fummo i primi nell’invenzione delle arti e scienze meccaniche, naturali, e così via, siamo gli ultimi quando si tratta di espanderle e migliorarle». Una verifica dell’ipotesi che la Gran Bretagna godesse di un vantaggio relativo in fatto di microinvenzioni è nell’instaurazione di flussi commerciali netti. Le economie tendono a specializzarsi nell’area in cui dispongono di un vantaggio relativo. L’economia britannica, parlando per approssimazione, era importatrice netta di macroinvenzioni ed esportatrice di microinvenzioni e perfezionamenti minori. […] La Gran Bretagna prese le grandi invenzioni dove le trovò, ma tutto quel che fu preso in prestito venne migliorato e raffinato. J. Mokyr, Leggere la rivoluzione industriale, Bologna 1997, pp. 47-48

Come James Watt (con l’aiuto di molti) perfezionò la macchina a vapore Thomas Southcliffe Ashton [Watt] si accorse che il principale difetto della macchina atmosferica [inventata da Newcomen] derivava dall’alternata iniezione e condensazione del vapore: per evitare che il vapore si condensasse prima che lo stantuffo si fosse innalzato completamente, era necessario tenere caldo il cilindro; ma nello stesso tempo era necessario che il cilindro fosse freddo, in modo da permettere al vapore di condensarsi e di attrarre nuovamente in basso lo stantuffo. I subitanei cambiamenti di temperature delle pareti del cilindro implicavano la dispersione di una grande quantità di energia potenziale. Su questo problema Watt aveva avuto vari colloqui con Black, Anderson, John Robison e altri membri dell’Università e vi aveva riflettuto sopra per molti mesi. Fu nel pomeriggio di una domenica del 1765, durante una passeggiata sul Green, che per un’improvvisa ispirazione egli trovò la soluzione: pensò di inserire un condensatore separato, da mantenere costantemente freddo, permettendo così al cilindro di restare sempre caldo. In poche settimane fu preparato un modello, ma dovettero passare molti anni, e molte difficoltà tecniche dovettero essere superate, prima che dal modello si passasse alla macchina vera e propria. Gli esperimenti di Watt furono finanziati da John Roebuck, che era comproprietario del brevetto, registrato nel 1769. Ma le fonderie

di Carron non potevano fornire gli artigiani specializzati il cui aiuto era essenziale per un progresso del progetto. Nel 1774 James Watt dalla Scozia passò a Birmingham, dove ebbe l’appoggio di un uomo dalla posizione ben solida, dotato di un temperamento entusiasta. Nelle officine di Boulton c’erano appunto quegli operai specializzati di cui Watt aveva bisogno per la fabbricazione delle valvole e delle altre parti delicate della macchina. A poca distanza da là c’erano poi le fonderie della Coalbrokdale, da tempo specializzate nella produzione di parti in ghisa della macchina atmosferica; e ancora a portata di mano, a Bradley, c’era John Wilkinson (1728-1808), il grande proprietario di officine il cui brevetto di foratura dei cannoni, del 1774, poté essere adattato alla preparazione dei cilindri con una precisione mai raggiunta per l’addietro. Watt ebbe la fortuna di avere dei buoni collaboratori. Le ricerche di Black, che formulò i primi principi, il capitale e lo spirito di iniziativa di Boulton, la genialità di Wilkinson, l’abilità tecnica di Murdoch, Southern, e di una schiera di oscuri artigiani, furono tutti necessari alla realizzazione pratica della macchina a vapore. Th. Southcliffe Ashton, La rivoluzione industriale, Bari 1953 (ed. orig. 1948)

Modulo 6

L’età dei nazionalismi L’età dei e dei moti nazionalism liberali e dei moti

liberali Capitolo 19

L’Europa restaurata

Tra il 1800 e il 1815 le guerre napoleoniche avevano sconvolto l’Europa, affermando il dominio francese su molti paesi e diffondendo ovunque le idee della Rivoluzione francese. Sconfitto Napoleone, le potenze vincitrici intesero restaurare i precedenti equilibri politici ma alcuni aspetti di quell’esperienza, in particolare lo spirito di libertà e le innovazioni amministrative introdotte dal dominio napoleonico, continuarono a operare profondamente nella società e nella cultura europea.

mi

Capitolo 20

1820-31: insurrezioni liberali in Europa Tra il 1820 e il 1831 scoppiò in Europa una serie di moti insurrezionali, in gran parte suscitati dalle organizzazioni segrete che si erano sviluppate in molti paesi dopo il Congresso di Vienna. L’obiettivo era quello di abbattere le monarchie assolute e di sostituirle con monarchie costituzionali. In alcuni Stati, come in Grecia e in Polonia, si mirò anche a ottenere l’indipendenza.

Capitolo 21

La libertà dell’America Latina e l’espansione degli Stati Uniti Le idee di libertà e indipendenza che stavano agitando l’Europa giunsero anche in America Latina, dove, tra il 1811 e il 1825, una serie di rivolte guidate dai discendenti dei conquistatori europei portò alla nascita di molti nuovi Stati indipendenti. Intanto, a nord, gli Stati Uniti d’America allargavano verso ovest il loro spazio economico e politico, strappando immensi territori alle popolazioni indigene.

Capitolo 22

Europa 1848: l’anno delle rivoluzioni Il 1848 fu un anno particolarmente significativo nella storia d’Europa. Esso fu caratterizzato da un ampio movimento rivoluzionario che coinvolse la Francia, la Germania, l’Italia e l’Impero asburgico. In tutti questi paesi scoppiarono delle rivolte popolari che chiedevano libertà, indipendenza, giustizia.

Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

19 L’Europa

Capitolo

242

restaurata

Percorso breve Dopo la sconfitta di Napoleone, che per un quindicennio aveva sconvolto gli equilibri politici dell’Europa affermando il dominio francese su molti paesi e diffondendo ovunque le idee della Rivoluzione francese, le potenze vincitrici si impegnarono a restaurare i precedenti equilibri, riunendosi nel 1814-15 al Congresso di Vienna, organizzato e presieduto dal principe di Metternich, ministro degli Esteri dell’Impero d’Austria. Ovunque furono restaurati i sovrani “legittimi” che avevano tenuto il potere prima della Rivoluzione. Il patto militare detto “Santa Alleanza”, stipulato tra i sovrani di Russia, Prussia e Austria, si impegnò a garantire reciproco aiuto in nome di un’idea assolutista e sacrale della monarchia. La Gran Bretagna parlamentare, che non poteva accettare questa idea, stipulò con le tre potenze un patto separato. Il Congresso di Vienna, ritenuto da alcuni storici la prima conferenza europea per il mantenimento della pace e della stabilità politica, costituì attorno alla Francia una sorta di “cordone sanitario” per meglio controllarla, dando vita al nuovo Regno dei Paesi Bassi e ingrandendo il Regno di Sardegna, ossia il Piemonte sabaudo. Gli Stati tedeschi furono ridotti di numero e riuniti in una confederazione presieduta dall’Austria. La Prussia e la Russia si allargarono a spese dei paesi vicini. In Italia si costituì il Regno Lombardo-Veneto sotto il diretto dominio austriaco; ma gli Asburgo controllavano tutto il paese, grazie alle alleanze politiche o familiari con i sovrani restaurati sul trono. La Francia uscì abbastanza indenne da questa operazione politico-diplomatica, grazie all’abilità del ministro

Il Congresso di Vienna, inizio XIX sec.

Talleyrand, che riuscì a partecipare al Congresso convincendo i vincitori che una Francia liberata da Napoleone e restaurata in una salda monarchica era necessaria per l’equilibrio europeo. Nonostante le apparenze, alcuni aspetti dell’esperienza napoleonica, in particolare lo spirito di libertà e le innovazioni amministrative introdotte dal dominio francese, continuarono a operare profondamente nella società e nella cultura europea. Il principio di libertà fu perseguito clandestinamente dalle sètte segrete che si diffusero in tutti i paesi europei. In certi casi esse operarono anche in nome dell’indipendenza politica: fu il caso, in Italia, della Carboneria.

Capitolo 19 L’Europa restaurata

19.1 Ritorno al passato: il Congresso di Vienna Il congresso Il 4 ottobre 1814, prima ancora della caduta definitiva di Napoleone, i delegati degli Stati europei che avevano combattuto contro le armate francesi si riunirono a congresso a Vienna per concordare una sistemazione politica dell’Europa, ritenuta necessaria dopo gli sconvolgimenti provocati dalle guerre napoleoniche. Al congresso, che durò fino al 9 giugno 1815 (pochi giorni prima della battaglia di Waterloo, 15.7), parteciparono più di quattrocento capi di Stato, ministri, diplomatici, ma le decisioni furono prese dagli statisti delle quattro potenze che avevano maggiormente sostenuto il peso della guerra: Gran Bretagna, Russia, Prussia, Austria. Esse furono rappresentate rispettivamente dal ministro degli Esteri inglese lord Castlereagh (1769-1822), dal conte di Nesselrode (1780-1862) rappresentante dello zar Alessandro I; dal cancelliere prussiano principe di Hardenberg (1750-1822) e dal ministro degli Esteri austriaco principe di Metternich (1773-1859), da molti ritenuto il principale protagonista delle trattative nonché organizzatore del congresso. Fra di essi si inserì il rappresentante della Francia sconfitta, il ministro Talleyrand (1754-1838), che riuscì abilmente a convincere i vincitori che il suo non era il paese di Napoleone ma uno Stato amico cui la Rivoluzione e il generale avevano sottratto i legittimi sovrani: era dunque necessario, per l’equilibrio generale, restaurare in Francia una salda monarchia. I tre princìpi del congresso Dopo lunghe e laboriose trattative, il Congresso di Vienna giunse a un accordo che delineò un nuovo assetto degli Stati europei, un ordinamento politico che avrebbe dovuto assicurare una pace durevole per tutti. Il nuovo ordinamento si basò su tre princìpi fondamentali: l’equilibrio delle forze, la legittimità dinastica, la restaurazione dell’ancien régime. Il principio dell’equilibrio fu considerato di importanza primaria per la conservazione della pace, pertanto si cercò di rispettarlo il più possibile, specialmente quando si effettuarono spartizioni di territori: in genere si mirò a controbilanciare ogni assegnazione con altre equivalenti. Tale strategia fu particolarmente sostenuta dall’Inghilterra, che aveva bisogno della pace in Europa per poter sviluppare la sua politica coloniale oltre Oceano e per questo sostenne la creazione di Stati-cuscinetto attorno alla Francia. A Vienna si stabilì ancora che ogni Stato fosse restituito ai sovrani definiti “legittimi”, cioè coloro che avevano tenuto il potere prima della Rivoluzione francese. Si convenne, inoltre, che ogni sovrano riportasse la situazione politica e sociale del suo paese alle stesse condizioni in cui si trovava prima della Rivoluzione. Questo orientamento, per il suo carattere di ritorno al passato, fu chiamato “Restaurazione”.

La sala del Congresso di Vienna [Bundeskanzleramt, Vienna]

In questa sala si riunirono più di quattrocento capi di Stato. Il Congresso di Vienna aprì l’età della Restaurazione e sancì la creazione di un cordone di Stati-cuscinetto, attorno alla Francia, per scongiurare future invasioni.

Memo

Ancien régime L’espressione ancien régime (in francese, ‘antico regime’) fu utilizzata in Francia al tempo della Rivoluzione, per definire, con accezione dispregiativa, il sistema di governo abbattuto dai rivoluzionari cioè la monarchia assoluta. Per estensione esso finì per indicare non solo i sistemi politici tradizionali, ma il complesso di relazioni sociali, economiche e culturali che li caratterizzavano. Gli storici, oggi, utilizzano l’espressione praticamente come sinonimo di “età moderna”, il periodo corrispondente alla storia europea dei secoli XVI-XVIII.

243

244

Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

Il Congresso, XIX sec. [Musée Carnavalet, Parigi]

In questa incisione colorata sono raffigurati, da sinistra a destra, il rappresentante della Francia Talleyrand, il ministro degli Esteri inglese Lord Castlereagh, l’imperatore d’Austria Francesco I, lo zar Alessandro I, il re di Prussia Federico Guglielmo III, il re di Sassonia Federico Augusto I, una personificazione della Repubblica di Genova.

Alleanze a tutela dell’ordine A completamento dell’opera di ricostruzione politico-territoriale fu stretto tra i sovrani di Russia, Prussia e Austria, su iniziativa dello zar Alessandro, un patto detto Santa Alleanza (26 settembre 1815), che impegnava i contraenti a prestarsi reciprocamente «assistenza, aiuto e soccorso» contro eventuali tentativi di mutare l’ordine stabilito. Primo compito dell’alleanza, detta “santa” perché i sovrani si consideravano «incaricati da Dio a governare l’umanità», era quello di stroncare con le armi ogni tentativo di rivolta e di insurrezione, dovunque scoppiasse. A questo patto si affiancò, il 20 novembre dello stesso anno, la Quadruplice Alleanza promossa da Castlereagh e stipulata fra le tre monarchie e la Gran Bretagna, che non aveva aderito alla Santa Alleanza perché i suoi ordinamenti parlamentari e costituzionali non potevano accettare le dichiarazioni di sacralità e santità della figura del re.

19.2 La Restaurazione Il nuovo assetto politico dell’Europa Dal punto di vista politico la Restaurazione comportò il rafforzamento delle monarchie assolute, soprattutto quelle di Russia, Austria e Prussia, e il ripristino di quelle decadute, come in Spagna, in Portogallo e nei diversi Stati italiani. In Francia già nel 1814 era tornata sul trono la dinastia dei Borbone con Luigi XVIII [ 15.7] che, pur mirando a soddisfare le fortissime richieste nobiliari di un ritorno all’ancien régime, concesse “benevolmente” e per opportunità politica ai suoi sudditi una Carta costituzionale in cui si sancivano – in teoria – l’uguaglianza e i diritti fondamentali dei cittadini. La Francia divenne così, almeno formalmente, una monarchia costituzionale come lo erano anche il nuovo Regno dei Paesi Bassi e quello di Svezia. La Confederazione svizzera rimaneva in Europa la sola repubblica (oltre a quella minuscola di San Marino) mentre il Regno Unito restava l’unica monarchia parlamentare. Proprio in virtù della sua consolidata forma costituzionale, l’Inghilterra non subì particolari contraccolpi all’indomani del congresso; unica conseguenza fu il rafforzamento dell’aristocrazia fondiaria rappresentata dai tories, l’ala conservatrice del Parlamento inglese, che nel 1815 varò una serie di leggi, le cosiddette Corn Laws (‘leggi dei grani’), con

Capitolo 19 L’Europa restaurata cui si imposero pesanti dazi sul grano importato favorendo i proprietari terrieri inglesi. I prezzi di pane e cereali aumentarono con grave danno delle masse popolari e degli industriali, che sulla base del costo del grano dovevano regolare i salari dei loro operai.

Il nuovo assetto territoriale, nell’Impero asburgico... La restaurata situazione politica dell’Europa prevedeva qualche cambiamento anche nella ridefinizione dei confini territoriali. All’Impero asburgico fu riconosciuto un ruolo egemone sulla penisola italiana, garantito da una serie di legami politici e dinastici con vari Stati e dall’annessione del Veneto che, unito alla Lombardia, costituì il Regno Lombardo-Veneto. Belgio e Lussemburgo furono ceduti dagli austriaci all’Olanda e insieme andarono a costituire il Regno dei Paesi Bassi, un nuovo Stato pensato come “cuscinetto” per scoraggiare nuovi tentativi di espansione della Francia e tranquillizzare i paesi vicini, soprattutto l’Inghilterra. Sempre per tenere sotto controllo le possibili reazioni francesi fu ingrandito il Regno di Sardegna, a cui furono annesse Nizza, la Savoia e la Liguria, e fu confermata la neutralità della Confederazione dei cantoni svizzeri. ...nell’Europa Centro-orientale... La Prussia si ingrandì a ovest, cedendo parte della Polonia e annettendo i territori tedeschi lungo il Reno. La Russia si allargò verso l’area balcanica e verso Occidente, inglobando il Regno di Polonia e la Finlandia (sottratta alla Svezia che però ricevette in cambio l’unione con la Norvegia). Gli Stati tedeschi non tornarono a costituire il Sacro romano impero (abolito da Napoleone nel 1806) ma furono ridotti di numero e riuniti in una Confederazione germanica di cui facevano parte anche la Prussia e l’Austria: a quest’ultima spettò la presidenza.

I tempi della storia Mercato dei popoli o prima conferenza europea? «A Vienna c’è un bellissimo mercato – e i popoli se venneno all’incanto; – e a chi ne compra e a chi je paga un tanto – je consegneno er popolo legato». Con queste sarcastiche parole un anonimo poeta romano dell’Ottocento condannò il cinismo con cui gli statisti riuniti a Vienna trattarono il destino e la libertà dei popoli, attenti solo agli interessi del potere e dei re.

Nonostante il suo carattere profondamente reazionario, il Congresso di Vienna ebbe una grande importanza storica perché fu la prima conferenza europea, con i capi di Stato tutti riuniti insieme a cercare una soluzione comune ai problemi della pace e della stabilità politica. Secondo alcuni studiosi, come l’inglese Eric Hobsbawm, i lavori di Vienna si possono considerare come il primo tentativo di creare

un’associazione per la collaborazione e la pace internazionale, una specie di anticipazione della Società delle Nazioni (1919) e dell’ONU (1945). In effetti si riuscì per circa un secolo, dal 1815 al 1914, data d’inizio della Prima guerra mondiale, a evitare conflitti di carattere generale fra i paesi europei. Rimane il fatto che la “pace” che allora si costruì fu quella voluta dai potenti d’Europa e specialmente dal principe di Metternich, il quale, per esprimere il proprio attaccamento al passato, si autodefinì «l’uomo di ciò che fu». Gli storici e i politici contrari all’assolutismo non ebbero dubbi nel giudicare il Congresso di Vienna come un anacronistico ritorno al passato: esso rappresentava il tentativo di fermare il progresso della storia, la volontà di riportare negli Stati europei gli ordinamenti di ancien régime che esistevano prima della Rivoluzione francese.

Il mercato della Restaurazione, XIX sec. I popoli non sono che merce di scambio fra i potenti: è ciò che intende suggerire questa illustrazione satirica inglese, riferendosi alle decisioni del Congresso di Vienna. Su un piatto della bilancia vi è l’oro, sull’altro i popoli ben impacchettati.

245

Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

REGNO DI

SVEZIA

...nell’Europa Occidentale Spagna e Portogallo non subirono cambiamenti sostanREGNO ziali nel loro assetto territoriale e anche la Francia riuscì a conservare i suoi confini, in DI gran parte per diplomatica del ministro Talleyrand. NORVEGIAl’abilità San Pietroburgo Stoccolma La Gran Bretagna indirizzò le sue attenzioni non sui territori europei (salvo tenere Cristiania Mosca sotto controllo la Francia e la Russia) ma nell’assicurarsi l’acquisizione di importanti MARE RCA A M punti per l’ulteriore espansione del suo impero coloniale: acquisì alcune isole DEL strategici NORD dell’Oceano Atlantico togliendole alla Spagna e alla Francia, l’isola di Ceylon nell’Oceano Indiano e la Colonia del Capo inI MSud all’Olanda, e conservò P E Africa, R O R Usottraendole S S O l’isola di Malta nel Mediterraneo. SIA

L’Europa nel 1815 OCEANO ATLANTICO

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SVIZZERA

O DI DAN REGN I

246

germanica

MAROCCO

Le vie della cittadinanza

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ALGERIA

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MAR MEDITERRANEO

Tipi di Stato: forme di governo

1830 Definizione dei confini Inoltre, la sovranità può essere esercitae componenti fondamentali di della unoGrecia ta senza vincoli (monarchia assoluta), in Stato sono tre: il popolo, ossia1831 la comuDefinizione dei confini nità di persone riunite insieme indel una Belgiomaniera autoritaria (dittatura), oppure rispettando delle regole concordate (atstessa entità politica; la sovranità, ossia Confini della Confederazione il potere di governare questa comunità; il traverso le leggi e, eventualmente, una germanica territorio, ossia lo spazio fisico sul quale Costituzione). Tra i venticinque Stati che oggi compongovive la comunità e si esercita il potere. Le forme dello Stato possono essere di no l’Unione Europea, sei sono monarchie vario tipo: in ogni caso, l’elemento chiave costituzionali, perfettamente integraper definirne il carattere è l’esercizio del- te nel sistema politico della democrazia la sovranità. Questa può spettare a una (Svezia, Norvegia, Danimarca, Gran Bresola persona (monarchia, ‘governo di uno tagna, Spagna, Belgio, a cui si deve agsolo’); a un piccolo gruppo di persone, per giungere il Granducato di Lussemburgo). esempio i membri di una classe sociale o Le monarchie assolute sono praticamendi un partito politico (oligarchia, ‘governo te scomparse in Europa. Unico esempio, di pochi’); a tutti i membri della comunità legato al particolarissimo carattere dello Stato in questione, rimane la Città del Va(democrazia, ‘governo del popolo’).

ticano, che dal punto di vista istituzionale si configura come una monarchia elettiva. L’organizzazione dello Stato risponde a diversi criteri. Si dice parlamentare uno Stato – come la repubblica italiana o la monarchia inglese – in cui la principale responsabilità politica spetta al Parlamento. Quando il presidente della repubblica (o il re) è anche capo del governo, lo Stato si definisce presidenziale, come per esempio gli Stati Uniti d’America, mentre la Francia è considerata una repubblica semi-presidenziale perché il presidente accentra in sé alcuni poteri importanti – come la difesa e i rapporti con l’estero – ma altri poteri spettano al Primo ministro e al Parlamento.

Capitolo 19 L’Europa restaurata

247

19.3 L’Italia nel 1815: un paese frammentato I domini indiretti degli Asburgo La penisola italiana, che nel 1815 contava una popolazione di poco inferiore ai 20 milioni di abitanti, in seguito alle decisioni del Congresso di Vienna risultò divisa in dieci Stati. Il più esteso era il Regno delle Due Sicilie (in precedenza chiamato Regno di Napoli) retto da Ferdinando IV di Borbone [ 14.4], legato agli Asburgo e divenuto re delle Due Sicilie con il nome di Ferdinando I (1816-25). La capitale del Regno, Napoli, con i suoi 400.000 abitanti era uno dei più grandi centri d’Europa, insieme con Parigi, Londra, San Pietroburgo. Pur restaurando in maniera molto dura l’antica autorità monarchica, Ferdinando conservò le riforme introdotte da Napoleone, prima fra tutte quella del Codice civile. Gli Stati più piccoli (tutti sotto il controllo indiretto degli Asburgo) erano il Ducato di Lucca retto da Maria Luisa di Borbone (1817-24); il Ducato di Parma e Piacenza retto da Maria Luisa d’Austria (1815-47, moglie di Napoleone e figlia dell’imperatore d’Austria); il Ducato di Modena e Reggio retto da Francesco IV d’Asburgo-Este (1814-46) e il Ducato di Massa e Carrara restituito a sua madre Beatrice d’Este (1814-29). Nell’Italia centrale vi era il Granducato di Toscana che fu restituito al fratello dell’imperatore d’Austria, Ferdinando III di Lorena (1814-24). Questi governò con lungimiranza, dando allo Stato un ordinamento moderatamente liberale, che ne favorì lo sviluppo civile e culturale. La minuscola Repubblica di San Marino, uno dei più antichi Stati italiani, i cui statuti risalivano al 1263, fu riconosciuta libera e indipendente.

EN NO REGNO LO MBA RDO -V DI DUC. DI S SARDEGNA V I Z Z E R A PARMA DUC. DI OT I M MODENA TO PE I M P E R O REP. DI M RO SAA S SAN MARINO D ’ A U S T R I A A N MAUCC I O .D L ETO MA UGC DI V EN REGNO D DUNCO. LGRANDUCATO R O D R O MBADI AD DI RI TOSCANA DUC. DI AT DUC. DI SARDEGNA ICO T I M P PARMA MODENA OT CORSICA A OM ER REP. DI (Fr.) ASS A AN O R SAN MARINOE M C GN DI I LUC O . C MA O DU UC. D GRANDUCATO R D DI AD RI TOSCANA AT IC REGNO O DI CORSICA MAR SARDEGNA (Fr.) RE TIRRENO GN O MAR IONIO RE

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I regimi autoritari Il Regno di Sardegna, in cui tornarono i Savoia con Vittorio ZZERA EmanueleS IV I(1802-21), risultò notevolmente ingrandito con l’annessione di Nizza e IMPERO della Savoia e con quella della Repubblica di Genova, che cessò di esistere come D’AUSTRIA entità autonoma. La politica adottata ETO da Vittorio Emanuele I fu di assoluta restauraG

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L’Italia nel 1815

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Ritratto di Vittorio Emanuele I [Museo di Stato, Torino]

Vittorio Emanuele I fu artefice di una assoluta Restaurazione in Italia. Tutte le riforme e le conquiste attuate durante l’età napoleonica furono abolite e il potere regio ristabilito come se nulla fosse accaduto.

248

Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

I modi della storia

Quante lingue parlano gli italiani?

Italia 1815: il paese era frazionato politicamente, e anche linguisticamente. Ogni regione aveva un suo idioma, ogni città il suo dialetto; la lingua italiana era nota solo a esigue minoranze di intellettuali ed era usata quasi come seconda lingua, più nella forma scritta che per il parlare

quotidiano, dato che per lo più la si conosceva in modo superficiale. Su questa situazione rifletté con particolare acume lo scrittore milanese Alessandro Manzoni (1785-1873), che lavorò molti anni alla stesura del suo unico romanzo, I promessi sposi, limando con grande attenzione il

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er tutta Italia si scrive e si parla una lingua comune. Su questo non c’è dubbio. Ma provate a immaginare che in un crocchio1, per esempio, di milanesi, i quali stiano conversando nel loro particolare idioma, sia introdotto un piemontese, un bolognese, un veneziano, un napoletano, e che, smesso perciò il parlar milanese, si metta mano alla lingua comune d’Italia. A questo punto la conversazione non va più avanti come prima: i milanesi sono costretti a servirsi di termini generici, mentre prima usavano parole precise ora incominciano ad aiutarsi con giri di frase, finché, a un certo momento, quasi disperati, finiranno per usare di nuovo il loro idioma per spiegarsi chiaramente e con esattezza.

suo linguaggio in modo da fargli perdere ogni inflessione dialettale, e cercando di renderlo moderno e ricco di sfumature, così da poterlo proporre in tutto il paese come modello di lingua “italiana”. Leggiamo alcune considerazioni di Manzoni sulla questione linguistica.

Se noi volessimo buttar via tutti i nostri idiomi e restringerci alla lingua comune, a quel tanto cioè di vita comune che possediamo di fatto, ci troveremmo a un tratto sprovveduti non solo di una quantità di espressioni vivaci, argute, calzanti, ma anche d’una quantità di termini, di dizioni proprie a significare avvenimenti giornalieri, operazioni consuete. E pertanto si farà minor uso dei nostri particolari linguaggi solo quando si entrerà in possesso di una lingua comune, la quale si adatti a prestare gli stessi servizi e con la quale la gente trovi d’aver sì mutato il modo, ma non diminuita la facoltà d’esprimersi. A. Manzoni, Della lingua italiana, 1846

1 Un gruppo di persone che parlano fra loro in strada.

zione: le riforme che erano state fatte durante l’età napoleonica furono annullate e si riaffermò in maniera decisa il ruolo della Chiesa cattolica. Analoga strada di intransigente ritorno al passato fu seguita nel già citato Ducato di Modena e nello Stato pontificio, retto dal pontefice Pio VII (1800-23) e comprendente il Lazio, l’Umbria, le Marche e la Romagna, con le legazioni di Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì; in più esso comprendeva due enclaves all’interno del Regno di Napoli, i principati di Benevento e Pontecorvo.

I domìni diretti degli Asburgo Così come cessò di esistere la Repubblica di Genova, cessò di esistere anche quella di Venezia. Il Veneto diventò possesso austriaco e fu unito alla Lombardia a formare il Regno Lombardo-Veneto, dipendente da Vienna e retto da Francesco I d’Asburgo (1804-35), imperatore d’Austria. Il Trentino e la Venezia-Giulia erano già parte integrante dell’Impero asburgico. Nonostante il forte controllo esercitato dalle forze austriache, nel Regno LombardoVeneto non furono cancellate le riforme apportate da Napoleone e si proseguì nell’opera di ammodernamento delle istituzioni amministrative e scolastiche, permettendo così la crescita culturale ed economica dello Stato. Condizioni di vita e di lavoro dei sudditi Il livello di vita delle popolazioni era basso ovunque, ma particolarmente in alcune zone dello Stato pontificio (Romagna, Lazio) e della Calabria. Innumerevoli frontiere e dogane ostacolavano i viaggi e i commerci e frenavano lo sviluppo economico. Per andare da Milano a Bologna bisognava attraversare tre frontiere, esibire una quantità di passaporti, documenti, visti, timbri e pagare dogane a ogni passaggio. Oltre alle barriere doganali fra uno Stato e l’altro vi erano anche quelle interne a ogni singolo Stato. Le misure, i pesi, le monete erano diversi non soltanto da Stato a Stato ma, talvolta, perfino da città a città: il ducato napoletano era diverso dall’oncia siciliana, lo scudo papale differiva dalla lira piemontese, e così via.

Capitolo 19 L’Europa restaurata

19.4 Le società segrete: progetti di libertà Le sètte dei liberali Contro i tentativi di restaurare l’assolutismo sorsero ben presto opposizioni e dissensi, per opera soprattutto di intellettuali e borghesi, che raccoglievano l’eredità del pensiero illuminista del secolo precedente. Perseguitati e assoggettati a continui controlli di polizia, questi gruppi furono costretti a organizzarsi in forme clandestine, in sètte o società segrete. Numerose società segrete si formarono nel secondo decennio dell’Ottocento, subito dopo il Congresso di Vienna, in molti paesi d’Europa. Con modalità diverse, queste società ebbero uno scopo comune, l’aspirazione alla libertà: libertà nei confronti dello Stato, libertà di parola e di espressione, di stampa, di riunione, di culto, di attività economica. Per questo le persone che vi presero parte si definirono liberali. Costituzione e indipendenza La forma di Stato che i liberali auspicavano era la monarchia costituzionale, in cui i poteri del re fossero limitati da precise regole a protezione dei diritti dei cittadini. Pertanto il loro progetto politico era quello di ottenere una Costituzione dai sovrani. A tale obiettivo alcune società segrete aggiungevano quello dell’indipendenza: liberare il proprio paese dalla dominazione straniera. Era il caso dell’Italia, in gran parte sotto controllo austriaco; della Grecia, dominata dai turchi; della Polonia, soggetta alla Russia; dei paesi tedeschi che subivano la prevalenza dell’Austria.

Aa Documenti Istruzioni segrete per la polizia austriaca in Italia Le seguenti “istruzioni segrete”, destinate alla polizia austriaca del LombardoVeneto, sono un significativo documento

dell’oculata sorveglianza che il governo di Vienna esercitava sui sudditi italiani, controllando minuziosamente ogni

aspetto della vita politica, sociale, culturale, religiosa del paese, anche con l’aiuto di “confidenti” ovvero spie.

R

intracciare e scoprire cospirazioni, complotti, progetti, contro la sacra persona di Sua Maestà, l’augusta casa imperante e lo Stato. […] Scoprire associazioni e società segrete, siano esse di politica religiosa o di altra tendenza. […] Osservare l’opinione pubblica di tutte le classi circa gli avvenimenti politici; sorvegliare chi esercita influenza sullo spirito pubblico, e chi inventa o diffonde notizie false. […] Osservare l’influenza che sullo spirito pubblico producono i giornali, i fogli volanti, i libri e le immagini di qualunque sorta. […] Vigilare rigorosamente sui maneggi con cui i venditori di libri, stampe o pitture cercano di smerciare gli scritti proibiti. […] Vigilare sulla condotta ufficiale e domestica degli impiegati della pubblica amministrazione. […] Organizzare il servizio segreto mediante confidenti stipendiati o gratuiti, nonché mediante la sorveglianza della corrispondenza epistolare.

Carbonari arrestati nel Lombardo-Veneto, 1820 ca. I membri della Carboneria erano soprattutto ufficiali, aristocratici, intellettuali, membri della borghesia illuminata e liberale, come è evidente nell’abbigliamento dei carbonari arrestati nel Lombardo-Veneto raffigurati in questo dipinto.

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Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

John Murray, Una riunione di carbonari, 1821 [Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Roma]

La Carboneria, diffusasi rapidamente in Italia, in Francia e in Spagna, era strutturata in base a una rigida gerarchia e i propri membri, legati dalla massima segretezza, dovevano sottostare a regole ben precise e partecipare a rituali in cui utilizzare un linguaggio simbolico conosciuto solo dagli iniziati.

La Carboneria In Italia la sètta più diffusa fu la Carboneria, sviluppata specialmente nelle regioni centrali della penisola e nel Regno delle Due Sicilie. Il suo nome, simbolicamente, richiamava il carbone, che è nero e sotterraneo (cioè non visibile, segreto) ma ha in sé la potenza di suscitare la luce e il calore della fiamma (cioè i beni della libertà e della giustizia). Gli affiliati, per riconoscersi, usavano segni e parole convenzionali che si riferivano alla vita dei carbonai. Questo linguaggio simbolico e questo sistema di comunicazione erano stati scelti a imitazione di un’altra società segreta, la Massoneria, nata nel Settecento [ 8.3] e diffusa in tutta Europa, che derivava i suoi simboli dal mestiere del muratore. Le parole dei carbonari I carbonari, oltre a servirsi di un codice alfabetico cifrato (in cui ogni lettera ne indicava un’altra), usavano parole ed espressioni convenzionali per indicare i fatti e le azioni più pericolose. Chiamavano “baracche” i luoghi di riunione, “vendite” le assemblee, “foreste” le località prescelte per compiere azioni di lotta; frasi come «fare un sonetto» e «leggere libri di devozione» indicavano rispettivamente la preparazione di un campo di battaglia o di piani rivoluzionari. “Orchestra” era l’Italia indipendente. Tra di loro i carbonari si interpellavano con il nome di “buoni cugini” e usavano l’espressione “Gran Maestro” per indicare il capo supremo della società, l’identità del quale era ignota alla quasi totalità degli affiliati. Anche Gesù Cristo era chiamato “buon cugino” perché, secondo i carbonari, era stato la prima vittima dei tiranni. Come protettore avevano scelto san Teobaldo, il santo dei boscaioli e dei carbonai. Anche le donne si potevano affiliare alla Carboneria: ciò accadde soprattutto negli ambienti aristocratici lombardi, dove le patriote, organizzate in piccoli gruppi detti “aiuole”, si riunivano in assemblee dette “giardini”; le più impegnate nell’attività di propaganda erano dette “maestre giardiniere” e a loro si poteva anche «dare un bacio», ossia assegnare un incarico nella sètta.

Capitolo 19 L’Europa restaurata

Sintesi

L’Europa restaurata

Ritorno al passato: il Congresso di Vienna Dall’ottobre 1814 al giugno 1815 a Vienna si riunirono i rappresentanti delle potenze antinapoleoniche, per ridisegnare la geografia politica dell’Europa. Il principale protagonista fu il principe di Metternich, ministro degli Esteri austriaco; un ruolo importante ebbe anche il ministro francese Talleyrand, ammesso alle trattative, che fece valere gli interessi francesi. I confini europei furono ristabiliti in base a tre princìpi: l’equilibrio (non doveva esserci uno Stato predominante sugli altri), la legittimità (andavano ricollocati sul trono i sovrani legittimi), la restaurazione (riportare l’Europa all’età prenapoleonica). Per garantire questa linea politica, si crearono due diverse alleanze: la Santa Alleanza – formata da Austria, Russia e Prussia – univa gli Stati assoluti allo scopo di reprimere eventuali tentativi di rivolta; la Quadruplice Alleanza – Austria, Prussia, Russia e Inghilterra – aveva scopi analoghi ma gli Stati membri non si riconoscevano tutti nell’adesione al principio dell’origine divina del potere monarchico, essendo l’Inghilterra una monarchia parlamentare. La Restaurazione Il Congresso di Vienna sancì il rafforzamento delle monarchie assolute anche in Spagna, Portogallo e in alcuni Stati italiani. La Francia, sul cui trono venne posto Luigi XVIII, in

teoria era una monarchia costituzionale, in quanto il re aveva concesso una Carta ai sudditi. L’Inghilterra vide il rafforzamento dell’aristocrazia fondiaria: le Corn Laws, approvate dal Parlamento, favorivano gli interessi dei proprietari terrieri. L’Impero asburgico estese la sua influenza all’Italia, mediante l’annessione diretta del Lombardo-Veneto e i legami dinastici con gli altri sovrani. Vennero costituiti attorno alla Francia degli Stati-cuscinetto, per arginarne eventuali mire espansionistiche: il Regno dei Paesi Bassi, che includeva Olanda, Belgio e Lussemburgo, accanto al Regno di Savoia, i cui territori si estesero. Prussia e Russia ottennero incrementi territoriali. Venne costituita una Confederazione germanica tra gli Stati tedeschi, presieduta dall’Austria. Francia, Spagna e Portogallo tornarono ai loro confini prerivoluzionari. La Gran Bretagna ottenne acquisizioni territoriali strategiche nelle colonie. L’Italia nel 1815: un paese frammentato La penisola italiana era divisa in dieci Stati. Il Regno delle Due Sicilie, quello più vasto, era sotto l’influenza austriaca e guidato da Ferdinando I, che conservò alcune riforme napoleoniche; in Italia centrale, il Granducato di Toscana era governato da Ferdinando III di Lorena, che seguiva una politica liberale moderata; lo

Stato pontificio era retto dal Pio VII, che invece seguì una politica di forte conservazione; nell’Italia settentrionale, il Lombardo-Veneto, annesso all’Austria e culturalmente ed economicamente dinamico, conservò le riforme napoleoniche, mentre il Regno di Sardegna, guidato da Vittorio Emanuele I, si caratterizzò per da una linea politica di assoluta restaurazione. Il livello di vita delle popolazioni italiane era mediamente basso, i viaggi e i commerci erano difficoltosi per l’esistenza di numerose frontiere e dogane interne. La diversità di pesi, misure e monete usate aumentava le difficoltà di scambio. Le società segrete: progetti di libertà Il tentativo di restaurare l’assolutismo incontrò l’opposizione di intellettuali e borghesi, eredi del pensiero illuminista, che si organizzarono in società segrete allo scopo di ottenere il riconoscimento delle libertà fondamentali. I liberali miravano a ottenere una monarchia in cui il potere dei sovrani fosse limitato da una Costituzione; in alcune realtà (Italia, Grecia, Polonia), a questi scopi si sommava quello dell’indipendenza nazionale. In Italia, specialmente al Centro-Sud, si diffuse la Carboneria. Gli affiliati usavano un linguaggio cifrato convenzionale, simile a quello adottato da un’altra società segreta europea, la Massoneria, nata nel Settecento.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. La società segreta più diffusa in Italia era la Massoneria.

V

F

g. La Confederazione germanica comprendeva gli Stati tedeschi, la Prussia e l’Austria.

V

F

b. La politica dell’equilibrio venne sostenuta principalmente dall’Inghilterra.

V

F

c. A Napoli Ferdinando I di Borbone conservò il Codice civile introdotto da Napoleone.

V

F

V

F

h. Il principe di Metternich sostenne che la Rivoluzione aveva sottratto la Francia ai sovrani legittimi.

d. La Carboneria era diffusa soprattutto nel Lombardo-Veneto e nel Regno di Sardegna.

V

F

i. In Italia vi erano barriere doganali tra singoli Stati e barriere doganali interne a ciascuno Stato.

V

F

e. Le Corn Laws introducevano una serie di dazi doganali sulle importazioni di grano.

V

F

l. I princìpi sanciti dal Congresso di Vienna furono: l’equilibrio, l’assolutismo, la legittimità.

V

F

f. La Lombardia, il Trentino e il Veneto vennero annessi all’Austria dopo il Congresso di Vienna.

V

F

m. Il nome della Carboneria indica simbolicamente gli ideali di libertà e di giustizia.

V

F

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Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. annessione • Carboneria • congresso • enclave • equilibrio • indipendenza • legittimità • neutralità • oncia • restaurazione • setta Società segreta sorta in Italia nel XIX secolo Società segreta opposta ai governi assolutistici del XIX secolo Principio in base al quale bilanciare la potenza dei diversi Stati Riunione di diplomatici per risolvere questioni di comune interesse Moneta usata in Sicilia nel XIX secolo Principio in base al quale porre sul trono dinastie cui il regno era stato sottratto Territorio incluso nei confini di uno Stato diverso da quello di appartenenza Acquisizione di uno Stato o di un territorio a opera di un altro Stato Posizione di estraneità rispetto a un conflitto internazionale Atteggiamento che sostiene la non mutabilità del principio dinastico Condizione di autonomia assoluta dall’organismo politico di cui si fa parte

3. Associa le seguenti date all’evento corrispondente. Data: 20 novembre 1815 • 1814 • 1806 • 1263 • 9 giugno 1815 • 4 ottobre 1814 • 26 settembre 1815 • 1815 Evento: Restaurazione della dinastia Borbone in Francia • Statuti della Repubblica di San Marino • Quadruplice Alleanza • abolizione del Sacro romano impero • Corn Laws • fine del Congresso di Vienna • inizio del Congresso di Vienna • Santa Alleanza DATA

EVENTO

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4. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento. a. Dopo il Congresso di Vienna, la Francia divenne: una repubblica parlamentare. una monarchia costituzionale. una monarchia parlamentare. una monarchia assoluta. b. Il capo supremo della Carboneria era indicato con l’espressione: Gesù Cristo. Orchestra.

Gran Maestro. San Teobaldo.

c. Alla Quadruplice Alleanza aderirono: Francia, Austria, Prussia, Inghilterra. Francia, Austria, Prussia, Russia.

Inghilterra, Austria, Russia, Prussia. Inghilterra, Francia, Russia, Prussia. d. Gli Stati che dopo il 1815 non subirono sostanziali modifiche territoriali furono: Francia, Italia, Spagna. Francia, Belgio, Spagna.

Francia, Portogallo, Spagna. Francia, Prussia, Spagna.

e. I membri delle società segrete avevano un orientamento politico: assolutista. liberale.

repubblicano. socialista.

f. Alla Santa Alleanza aderirono: Francia, Austria, Russia. Francia, Prussia, Russia.

Austria, Inghilterra, Prussia. Austria, Russia, Prussia.

Capitolo 19 L’Europa restaurata

5. Completa la seguente mappa concettuale inserendo le informazioni mancanti (alcuni termini possono essere utilizzati più volte). assetto • assolutismo • Austria • bilanciamento • dinastie • Europa • Francia • Gran Bretagna • legittimità • Regno di Napoli • pace • politico • Paesi Bassi • Portogallo • Prussia • Quadruplice • restaurazione • Russia • San Marino • Santa • Regno di Sardegna • sociale • Spagna • Stato pontificio • Regno di Svezia • Svizzera principio di EQUILIBRIO • Mantenimento della .......................... • .................................................... territori • sostegno: ................................................

CONGRESSO DI VIENNA • sistemazione politica in ................................... • decisioni prese da .............................................. ..........................................................................................

principio di ................................................. • Ripristino ................................................ prerivoluzionario • ................................................ rafforzato

..........................................................................................

principio di ................................................. • Riportare le ........................................... legittime sul trono • Diverse forme statali in ...................

principio tutelato e garantito da un sistema di alleanze comprendente ......................................

ALLEANZA

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......................................

ALLEANZA

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REPUBBLICHE

MONARCHIE COSTITUZIONALI

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MONARCHIE PARLAMENTARI

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MONARCHIE ASSOLUTE

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Analizzare e produrre 6. Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” a p. 246 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Che cosa si intende rispettivamente per popolo, sovranità, territorio? Che cosa è la monarchia? Che cosa è l’oligarchia? Che cosa è la democrazia? Esistono all’interno dell’Unione Europea monarchie costituzionali e monarchie assolute? Che cosa caratterizza uno Stato parlamentare? Che cosa caratterizza uno Stato presidenziale? Che cosa caratterizza uno Stato semipresidenziale?

Integrando le informazioni ottenute con quelle presenti nella mappa concettuale dell’esercizio precedente, scrivi un breve testo di almeno 10 righe dal titolo “Forme di Stato e forme di governo ieri e oggi”.

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Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Chi governava il Regno di Napoli? Che forma di Stato vi era? Quale era la linea politica di governo? 2. Quali erano i ducati dell’Italia centrale? Chi li governava? Quale era la linea politica di governo? 3. Chi governava lo Stato pontificio? Quale era la linea politica di governo? 4. Quali erano le particolarità di San Marino? 5. Chi governava il Granducato di Toscana? Quale era la linea politica di governo? Che conseguenze ebbe?

6. Chi governava il Regno di Sardegna? Quale era la linea politica di governo? Che cosa comportò? 7. Chi governava il Lombardo-Veneto? Quale era la linea politica di governo? Che cosa distingueva questo Stato? 8. Quale era il livello di vita delle popolazioni italiane? Quali differenze esistevano tra gli Stati? 9. Quali elementi ostacolavano gli spostamenti e i commerci tra gli Stati italiani?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella. REGNO DELLE DUE SICILIE .........................................................................

LOMBARDO-VENETO ......................................................................... ......................................................................... .........................................................................

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STATO PONTIFICIO

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GLI STATI ITALIANI NEL 1815

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SAN MARINO

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REGNO DI SARDEGNA

DUCATI ITALIA CENTRALE

GRANDUCATO DI TOSCANA

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Leggi il documento “Quante lingue parlano gli italiani” a p. 248 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quali lingue erano parlate in Italia? 2. Quali problemi di comunicazione esistevano tra gli abitanti dei diversi Stati italiani? 3. Quale proposta è formulata da Alessandro Manzoni? Integrando le informazioni ottenute con quelle ricavabili dalla precedente mappa concettuale, scrivi un testo di almeno 12 righe dal titolo “L’Italia nel 1815: una realtà diversificata”.

8. Leggi il documento “Istruzioni segrete per la polizia austriaca in Italia” riportato a p. 249 e rispondi alle seguenti domande.

1. Che cosa doveva scoprire la polizia? Su che cosa doveva vigilare? Che cosa doveva organizzare? 2. Per quali cause e a quale scopo questi compiti erano attribuiti alla polizia? 3. Che cosa erano le società segrete? Quando e perché si formarono? 4. Quale era l’orientamento politico delle società segrete? Quali erano i loro scopi politici? 5. Quali erano le principali società segrete nel primo Ottocento? 6. Quali mezzi venivano usati dalle società segrete per nascondere le loro attività? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve testo di massimo 10 righe dal titolo “Società segrete, cospirazioni politiche, controllo statale”.

Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

20 1820-31:

Capitolo

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insurrezioni liberali in Europa

Percorso breve Tra il 1820 e il 1831 scoppiarono in Europa diversi moti insurrezionali, in gran parte suscitati dalle organizzazioni segrete che si erano sviluppate in molti paesi dopo il Congresso di Vienna, trovando consensi soprattutto tra gli ufficiali dell’esercito e le borghesie cittadine. Il loro obiettivo era di abbattere le monarchie assolute, per sostituirle con monarchie costituzionali; in alcuni Stati, come la Grecia e la Polonia, si mirò anche a ottenere l’indipendenza. La prima insurrezione avvenne a Cadice in Spagna (1820); a essa seguirono, come in una reazione a catena, quelle di Napoli e Palermo nel Regno delle Due Sicilie (1820), di Alessandria, Pinerolo e Torino nel Regno sabaudo (1821). Anche la Serbia (1815) e la Grecia (1821) si ribellarono al dominio turco-ottomano, poi fu la volta della Russia (moto di San Pietroburgo, 1825). Nel 1830 si sollevarono Parigi, Bruxelles e Varsavia; nel 1831 Modena, Parma, Reggio Emilia e varie città romagnole soggette allo Stato pontificio. Molti sovrani furono costretti a concedere la Costituzione, ma le forze della Santa Alleanza riuscirono nella maggior parte dei casi a reprimere l’ondata di libertà, ripristinando nel sangue l’ordine precedente. Non mancarono tuttavia anche esiti positivi delle insurrezioni: in Francia il re Carlo X fu costretto ad abdicare per non aver rispettato la Costituzione, e fu sostituito da Luigi Filippo

Louis-François Lejeune, Ingresso di Carlo X a Parigi dopo l’incoronazione, 1825 [Musée National du Château, Versailles]

di Orléans che si intitolò “re dei francesi”, tale non per diritto divino ma per volontà dei cittadini, impegnandosi al rispetto della libertà; il Belgio si separò dall’Olanda e costituì un Regno autonomo; la Grecia ottenne l’indipendenza dall’Impero turco (e anche alla Serbia furono riconosciute ampie autonomie).

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Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

20.1 I moti del 1820-21 In Spagna L’inizio dei moti insurrezionali si ebbe in Spagna, a Cadice, quando nel gennaio 1820 un corpo di spedizione dell’esercito regio, destinato a essere imbarcato per il Sud America a combattere le colonie in rivolta (che nel 1809 avevano sfruttato l’occupazione napoleonica della madrepatria per dichiararsi indipendenti), si ammutinò provocando, come in una reazione a catena, l’estendersi della ribellione ad altre guarnigioni tra le cui fila era massiccia la presenza di membri delle società segrete. Il re Ferdinando VII di Borbone (1814-33) dovette cedere alle pressioni dell’esercito e concesse la Costituzione, che limitava i poteri della monarchia e ripristinava quelli delle Cortes, i Parlamenti spagnoli. Nel Regno delle Due Sicilie La notizia della sollevazione spagnola e del suo successo provocò anche in Italia un’ondata di moti insurrezionali, guidati da ufficiali dell’esercito legati alle sètte segrete. Una rivolta scoppiò il 1° luglio 1820 nel Regno delle Due Sicilie, a Nola nei pressi di Napoli, per iniziativa di due ufficiali affiliati alla Carboneria, Michele Morelli (17901822) e Giuseppe Silvati (1791-1822), subito sostenuti dal generale Guglielmo Pepe (17831855), comandante della guarnigione di Napoli. Essi chiedevano a Ferdinando I di Borbone, re delle Due Sicilie, la concessione di una Costituzione liberale simile a quella appena accordata in Spagna. Il re, nell’impossibilità di opporre resistenza, dovette concedere la Costituzione e accettare la formazione di un governo di ispirazione liberale, il primo in Italia. Il 15 luglio una ribellione scoppiò anche a Palermo, dove si ebbe (a differenza che a Napoli) una vasta partecipazione popolare. Sostenuta della nobiltà locale, delusa dalla politica accentratrice della monarchia, la rivolta assunse un evidente carattere separatista e fu rapidamente repressa dalle truppe inviate dal re. In Piemonte I moti di Napoli suscitarono una particolare eco in Piemonte, dove, nel marzo 1821, scoppiò nella guarnigione di Alessandria un moto insurrezionale ispirato dai Federati, un’organizzazione segreta che si era diffusa nel nord Italia raccogliendo adesioni tra i militari e nelle file dei nobili più aperti alle nuove idee. I Federati, che avevano gli esponenti di maggior prestigio nel conte Santorre di Santarosa (1783-1825) e nel conte Federico Confalonieri (1785-1846), si proponevano di cacciare gli austriaci dall’Italia e di formare un regno costituzionale dell’Alta Italia, governato dai Savoia. Essi speravano di ottenere l’appoggio del principe Carlo Alberto (1798-1849), probabile erede al trono sabaudo.

I tempi della storia L’importanza di una rivoluzione mancata La repressione del movimento costituzionale in Spagna, a Napoli e in Piemonte fu violenta, con condanne a morte, carcere e deportazioni. Essa fu diretta dall’Austria e dalla Santa Alleanza e si estese anche al Lombardo-Veneto, dove l’Austria, per prevenire le insurrezioni, effettuò un accurato controllo delle associazioni liberali e dei gruppi carbonari. A Milano, in particolare, furono soppressi tutti i giornali, mentre la censura sui libri diventò più che mai severa e sospettosa. I liberali più in vista, dopo essere stati sottoposti a pressanti controlli, furono incarcerati e condannati a scontare anni di prigionia nella fortezza dello Spielberg, nei pressi della moderna Brno in Moravia (all’epoca, regione orientale della Confederazione germanica). Alcuni morirono di

stenti, altri ne uscirono duramente provati nel corpo e nello spirito. Uno di essi, Silvio Pellico (1789-1854), descrisse le drammatiche condizioni di vita dello Spielberg in un libro autobiografico, Le mie prigioni, che si diffuse in tutta Europa come alta testimonianza umana e politica. La repressione fu facilitata dall’esiguo numero dei liberali, organizzati in piccoli gruppi talvolta senza rapporti tra loro. Inoltre essi operavano in un completo isolamento sociale, con scarse relazioni fra i ceti borghesi e nessun contatto con i ceti popolari delle città e delle campagne, indifferenti alle iniziative della Carboneria e alle idee dei liberali. Anche per questo, le insurrezioni non sortirono alcun risultato immediato. Ciononostante esse non furono inutili, in quanto avviarono un

movimento per la libertà e l’indipendenza che diede i suoi frutti nei decenni successivi. Santorre di Santarosa, uno dei capi carbonari piemontesi, scrisse in proposito nel 1821: «Questa rivoluzione è la prima che si sia fatta in Italia da molti secoli senza l’appoggio degli stranieri; è la prima che abbia mostrato due popoli italiani1 che, dalle due estremità della penisola, rispondono l’uno all’altro. Il suo risultato è stato negativo, ma lo slancio è dato; la passione degli italiani per l’indipendenza nazionale si rinforza per i sacrifici che costa loro. La potenza austriaca può ritardare il momento, ma non farà che rendere più terribile l’esplosione».

1 Si riferisce ai napoletani e ai piemontesi.

Capitolo 20 1820-31: insurrezioni liberali in Europa

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Insurrezione a Palermo nel 1820 In questo disegno è rappresentata l’insurrezione di Palermo che assunse immediatamente caratteri di secessione. I nobili e la popolazione lottavano fianco a fianco per poter raggiungere l’indipendenza dal Regno delle Due Sicilie.

Quando l’insurrezione si estese a Pinerolo e a Torino, il re Vittorio Emanuele I, piuttosto che aderire alle richieste dei rivoltosi, preferì abdicare in favore del fratello Carlo Felice (1821-31), temporaneamente assente dal regno. La reggenza fu assunta allora da Carlo Alberto (in carica dal 1831 al 1849), il quale, dietro la pressione dei congiurati, concesse la Costituzione, condizionandone la validità all’approvazione di Carlo Felice. Ma costui sconfessò immediatamente l’operato di Carlo Alberto, ordinandogli di lasciare il regno dopo avere ritrattato gli impegni presi con gli insorti, la cui azione fu rapidamente repressa anche per il deciso intervento delle truppe della Santa Alleanza [ 19.1], che sanguinosamente restaurò l’assolutismo non solo in Piemonte ma anche a Napoli, occupando pure la Sicilia, e in Spagna, dove furono di nuovo abolite le Cortes e la Costituzione.

20.2 Le rivolte nei Balcani, in Grecia e in Russia L’Impero multinazionale turco-ottomano Agli inizi dell’Ottocento l’Impero turco-ottomano dominava su un territorio vastissimo che si estendeva dall’Africa settentrionale all’Europa sud-orientale, passando per l’Asia Minore. Tuttavia, in Nord Africa l’Egitto e gli altri paesi islamici (posti nominalmente sotto il controllo turco-ottomano) agivano ormai come Stati autonomi mentre nei Balcani, abitati da popolazioni in maggioranza cristiane (greci, serbi, macedoni, albanesi, bulgari, romeni), erano molti i domìni che si erano resi autonomi. Nei confronti delle tante popolazioni cristiane che abitavano nei Memo

Impero turco-ottomano Nel XIV secolo i turchi ottomani si mossero dall’Anatolia (nell’attuale Turchia) e si espansero nel Mediterraneo orientale, avanzando verso i Balcani e la Grecia. Nel 1453 conquistarono Costantinopoli mettendo fine all’Impero romano d’Oriente e, forti di un governo sta-

bile ed efficiente, tra il XVI e il XVII secolo estesero il loro controllo sulle coste settentrionali dell’Africa e mirarono al cuore dell’Europa, occupando l’Ungheria e assediando Vienna. Il predominio dei traffici nel Mediterraneo fu nelle loro mani fino al 1571, quando, sconfitti da veneziani e spagnoli

nella battaglia di Lepanto, dovettero arrestare la loro espansione che però riprese a metà del XVII secolo. Il declino dell’Impero ottomano era già iniziato ma le guerre contro Venezia, l’Austria e la Russia per il controllo del Mediterraneo e dei Balcani continuarono per tutto il XVIII e il XIX secolo.

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Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali suoi domìni l’Impero turco aveva da sempre praticato una larga tolleranza religiosa, accompagnata però da una rigida discriminazione sociale ed economica (i cristiani non potevano avere proprietà ed erano perciò sottomessi ai dominatori ottomani). Nel 1774, tuttavia, il regime di Costantinopoli aveva dovuto accettare, per ragioni strategiche, che la tutela dei sudditi cristiani passasse alla Russia e all’Austria. L’impossibilità di tenere insieme e controllare regioni così profondamente diverse tra loro per usanze, costumi, lingue, religioni provocò una situazione di grave crisi nell’impero, destinata ad aggravarsi e a suscitare gli interessi delle potenze europee.

Eugène Delacroix, La Grecia morente sulle rovine di Missolungi, 1826 [Musée des Beaux-Arts, Bordeaux]

Il dipinto di Eugène Delacroix si ispira a un drammatico episodio della guerra intrapresa dal popolo greco per liberarsi della dominazione turca e documenta le suggestioni romantiche e letterarie che le vicende del conflitto destarono in tutta Europa. La Grecia, raffigurata come una donna bella ma sofferente, si inginocchia sulle rovine di una fortezza fatta saltare in aria dai patrioti per evitare la resa al nemico, rappresentando l’ideale della democrazia calpestata dai turchi.

La rivolta della Serbia e della Grecia Un movimento indipendentista era scoppiato in Serbia tra 1815 e 1816 e aveva portato alla concessione di un’ampia autonomia alla regione: il sultano ottomano riconobbe infatti a Miloš Obrenovic’ (1780-1860), capo della rivolta, il titolo di “capo della regione serba”. Nel 1821, quasi contemporanea ai moti piemontesi, un’insurrezione a carattere nazionale scoppiò in Grecia. Questo paese si trovava dal 1453 sotto il dominio turco e aspirava da tempo a recuperare una propria autonomia, che salvaguardasse le differenze di lingua, di cultura, di religione. L’insurrezione fu organizzata dall’Eterìa (in lingua greca ‘fratellanza’), una società segreta simile alla Carboneria, guidata da Alèxandros Ypsilàntis (1792-1828), ed ebbe l’appoggio della Russia, che vide nella rivolta greca un’occasione per estendere la propria influenza nei Balcani e aprirsi uno sbocco al Mediterraneo. Anche la Francia e la Gran Bretagna si schierarono a fianco degli insorti, per estendere il loro dominio nel Mediterraneo orientale a scapito dell’Impero ottomano. Un proclama di libertà Oltre all’appoggio delle grandi potenze, che intervennero con i loro eserciti per ragioni politiche ed espansionistiche, i greci ebbero anche l’aiuto di numerosi patrioti stranieri, accorsi per motivi ideali: tra questi Santorre di Santarosa, che aveva già partecipato ai moti piemontesi del 1821, e il poeta inglese George Byron (1788-1824), che morì durante l’insurrezione. Dopo anni di scontri, gli insorti proclamarono nel 1822, durante il congresso di Epidauro, l’indipendenza del paese, ma il conflitto continuò più violento che mai.

Francesco Hayez, I profughi di Parga, 1830 [Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia]

In questo dipinto, l’artista ricorda le lotte per l’indipendenza greca dall’Impero ottomano, mettendo in scena l’epopea del popolo martire con una enfasi tale da suscitare l’ammirazione di Mazzini. La Grecia, sotto il dominio turco dal 1453 (anno della caduta di Costantinopoli), aspettava da tempo il momento opportuno per recuperare l’autonomia perduta.

Capitolo 20 1820-31: insurrezioni liberali in Europa

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Il moto decabrista in Russia Le idee liberali che infuocavano la Grecia, la Spagna e l’Italia si erano intanto diffuse anche in Russia tra gli ufficiali della guardia imperiale, nonostante la rigida censura che il regime zarista aveva messo in atto contro la diffusione di libri, giornali e idee di stampo liberale. Sensibili alle idee della Rivoluzione francese e aperti a progetti liberali, i militari russi tentarono nel 1825 di far sollevare la città di San Pietroburgo con il programma di abbattere l’assolutismo degli zar e di trasformare la Russia in uno Stato costituzionale. La rivolta fu breve quanto sfortunata: scoppiata nel mese di dekàbr, ‘dicembre’ in lingua russa, e per questo chiamata decabrista, non vide la partecipazione degli altri corpi dell’esercito, come avevano sperato gli organizzatori dell’insurrezione, e lo zar Nicola I (1825-55) poté facilmente reprimere l’ammutinamento. Gli ufficiali insorti furono tutti fucilati. L’indipendenza della Grecia: una vittoria liberale La rivolta greca intanto si avviava a concludersi con un esito più favorevole agli insorti, proprio grazie agli interventi decisivi di Russia, Gran Bretagna e Francia. Nel 1829 si arrivò alla pace di Adrianopoli: il sultano di Costantinopoli dovette riconoscere l’indipendenza della Grecia e l’anno dopo, secondo quanto stabilito nei protocolli di Londra (1830-31), fu instaurata nel paese una monarchia. Gli accordi di Adrianopoli e i protocolli di Londra, che segnarono un passo importantissimo nelle rivendicazioni liberali di tutta Europa, prevedevano inoltre la costituzione di un autonomo Principato di Serbia (a Miloš Obrenovic’ fu attribuito il titolo di principe ereditario) e la formazione dei due Principati di Moldavia e Valacchia. I tre principati furono posti sotto il protettorato dell’Impero russo e la loro nascita accelerò il processo di dissoluzione dell’Impero ottomano, che sarebbe proseguito nei decenni successivi.

20.3 I moti liberali del 1830: Parigi insorge Barricate a Parigi A mettere in crisi la politica della Restaurazione, attuata dal Congresso di Vienna e dagli interventi repressivi della Santa Alleanza, sopraggiunse nel luglio 1830 una violenta rivolta a Parigi. Era re Carlo X (1824-30), un sovrano duro e autoritario che aveva abbandonato la politica moderatamente liberale del suo predecessore, Luigi XVIII, e mirava a restaurare gli antichi privilegi aristocratici a danno dei ceti borghesi, che con il proprio lavoro davano sviluppo all’economia del paese. Tra questi gruppi crescevano ogni giorno di più il malcontento e l’opposizione alla politica del re. Il 25 luglio 1830 Carlo X emanò quattro ordinanze che abolivano la libertà di stampa, scioglievano il Parlamento, fissavano una nuova legge elettorale favorevole ai nobili e indicevano nuove elezioni. Ciò scatenò la rivolta. Borghesi, studenti, commercianti, operai alzarono le barricate nelle strade di Parigi e, dopo tre giorni di combattimenti, costrinsero il re ad abdicare e fuggire. «Re dei francesi per volontà della nazione» La corona fu offerta a Luigi Filippo d’Orléans (1830-48), noto per le sue idee liberali: il nuovo sovrano assunse il potere con il titolo di «re dei francesi» e non più “di Francia”, per sottolineare il cambiamento avvenuto nella monarchia: il re non era più tale per diritto divino, ma per volontà della popolazione che gli aveva affidato la corona. Luigi Filippo ripristinò la bandiera tricolore, simbolo della Rivoluzione, che Luigi XVIII aveva abolito in favore di quella bianca col giglio della dinastia borbonica; concesse

Jean-Victor Schnetz, Il combattimento davanti alla sede municipale parigina del 1830, seconda metà XIX sec. [Musée du Petit Palais, Parigi]

Sventolando nuovamente la bandiera tricolore, con le barricate e il sangue i rivoltosi parigini costrinsero il re alla fuga. Il 27, 28 e 29 luglio 1830, che passeranno alla storia con l’espressione “tre giorni gloriosi”, videro nuovamente il popolo protagonista per le strade di Parigi. I sanguinosi combattimenti provocarono oltre mille morti. Carlo X e la famiglia reale abbandonarono Parigi, consentendo così l’instaurazione di una monarchia costituzionale.

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Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali una Carta costituzionale che estendeva il diritto di voto a un maggior numero di cittadini (individuati però sempre sulla base del reddito); favorì con i suoi provvedimenti legislativi lo sviluppo delle attività commerciali e industriali, tanto da essere chiamato “re borghese”.

Affari esteri: non intervenire In politica estera Luigi Filippo proclamò il principio del “non intervento”, in netta opposizione con la politica adottata dalla Santa Alleanza: in base a tale dichiarazione la Francia non sarebbe intervenuta negli affari interni degli altri paesi, anche se fossero scoppiate delle rivolte, perché – si dichiarava – ogni popolo ha il diritto di darsi gli ordinamenti che crede e anche di insorgere contro il proprio sovrano. Gli avvenimenti di Parigi ebbero ripercussioni quasi immediate in altri paesi europei, particolarmente in Belgio, in Polonia e in Italia (soprattutto in Emilia e Romagna).

Aa Documenti La Libertà guida il popolo Un celebre dipinto di Eugène Delacroix, pittore francese vissuto tra il 1798 e il 1863, convinto sostenitore degli ideali di libertà, fu realizzato nel 1830 per celebrare l’insurrezione di Parigi contro la politica autoritaria di Carlo X, che aveva abolito la libertà di stampa, sciolto il Parlamento e varato una nuova legge elettorale favorevole agli aristocratici. L’opera di Delacroix ritrae il popolo parigino che, sullo sfondo delle due torri della cattedrale di Notre Dame, mette in fuga i soldati del re (il quale a sua volta sarà costretto a fuggire dalla città, dopo avere abdicato). A guidare i cittadini è la Libertà in persona, allegoricamente raffigurata da una figura femminile che brandisce con la destra un fucile e con la sinistra la bandiera tricolore francese; il cosiddetto “berretto frigio” indossato dalla donna, un copricapo di forma conica con la punta rivolta in avanti, è un antico segno di libertà (nell’antica Roma veniva donato dal padrone agli schiavi liberati) che durante la Rivoluzione del 1789 aveva assunto un valore altamente simbolico. Quella di Delacroix è la prima rappresentazione figurata di Marianne, la personificazione della Francia libera e repubblicana, mito fondante dell’immaginario nazionale. Il titolo del dipinto non lascia adito a equivoci: La Libertà guida il popolo. Delacroix intese rappresentare un “popolo” che comprendeva tutte le classi sociali, unite contro lo strapotere regio e nobiliare: il borghese, l’operaio, il soldato. Il bambino che affianca Marianne con l’arma in pugno (secondo la tradizione, esso avrebbe ispirato il personaggio di Gavroche nei Miserabili di Victor Hugo) significa la partecipazione alla lotta di persone di ogni età, e la speranza in un futuro migliore. Il personaggio con la tuba, simbolo della

borghesia cittadina, pare essere un autoritratto dello stesso autore, che si compiace di mescolarsi ai rivoltosi. L’immagine della Libertà evocata da Delacroix in questo dipinto è stata usata ripetutamente nella storia francese: nel 1944 apparve sui manifesti murari che festeggiavano la liberazione della Francia dal nazismo; nel 1968 fu utilizzata durante le manifestazioni di protesta del mo-

vimento studentesco francese, e poi dai gruppi femministi che rivendicavano i diritti delle donne; nel 1982 accompagnò la vittoria del socialista François Mitterrand alle elezioni presidenziali. La stessa iconografia delle monete francesi (dapprima il franco, poi l’euro) ha come riferimento principale questa fortunata immagine. Il quadro è attualmente conservato presso il Museo del Louvre di Parigi.

Eugène Delacroix, La Libertà guida il popolo, part., 1830 [Musée du Louvre, Parigi]

Capitolo 20 1820-31: insurrezioni liberali in Europa

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The Wedding, XIX sec. [British Museum, Londra]

Vignetta satirica inglese sul “matrimonio forzato” tra Olanda e Belgio. Metternich spinge una riluttante Olanda all’altare per darla in sposa al Belgio. Il matrimonio è voluto dalla Santa Alleanza, che nella vignetta è rappresentata dal vescovo celebrante.

20.4 Le insurrezioni in Belgio, Polonia e Italia centrale L’indipendenza del Belgio Il Belgio era stato unito all’Olanda dai diplomatici del Congresso di Vienna nel Regno dei Paesi Bassi, ma l’unione era mal sopportata dalle due popolazioni, diverse per lingua (francese e fiammingo), religione (il Belgio era cattolico, l’Olanda protestante), interessi economici (il Belgio aveva avviato un processo di industrializzazione che non si conciliava facilmente con le esigenze agricole e commerciali dell’Olanda). Promossa dai liberali di Bruxelles, il 25 agosto 1830 (un mese dopo la rivolta parigina) scoppiò un’insurrezione fra la popolazione belga, che proclamò la propria indipendenza. L’Austria e la Santa Alleanza progettarono un intervento repressivo contro i ribelli; ma a favore dei belgi si schierarono la Francia e la Gran Bretagna, il cui appoggio portò la rivoluzione a un rapido successo. Come per la Grecia, l’indipendenza del Belgio fu riconosciuta in uno dei protocolli di Londra, nel gennaio 1831, a cui fu aggiunta una dichiarazione particolare: l’obbligo di questo Stato alla neutralità perpetua. Il Belgio si dotò di una tra le Costituzioni più avanzate e liberali d’Europa e, su proposta congiunta dei diplomatici francesi e britannici, la sovranità del nuovo paese fu affidata al principe Leopoldo di Sassonia-Coburgo (1831-65). La repressione russa in Polonia Anche in Polonia la rivoluzione di Parigi suscitò grandi entusiasmi e speranze. Nel novembre 1830 Varsavia insorse contro lo zar di Russia per ottenere l’indipendenza. Ma l’insurrezione, malgrado l’eroica resistenza della popolazione, fu soffocata dalle truppe zariste, e a nulla valsero le proposte di molti europei indignati per la durezza della repressione. I patrioti fuggirono a migliaia dal paese, rifugiandosi in gran parte a Parigi. Una drammatica testimonianza di tali vicende ci è stata lasciata dal grande compositore Fryderyk Chopin (1810-1849), che evocò in una bellissima pagina musicale (Studio per pianoforte detto “La caduta di Varsavia”) il coraggio e la disperazione dei polacchi oppressi.

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Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

Assalto alla casa di Ciro Menotti, 1881 Davanti alla casa di Menotti, sventolando il tricolore repubblicano, i congiurati, traditi da Francesco IV duca di Modena, resistono strenuamente all’esercito austriaco. Tutti i congiurati furono catturati e condannati a morte per volere dello stesso Francesco IV.

Insurrezioni in Emilia e Romagna Subito dopo l’inizio di quella polacca la rivolta scoppiò anche nell’Italia centrale. Il moto indipendentista ebbe origine a Modena nel 1831 e di qui si estese ad altre città dell’Emilia e della Romagna. Ne furono artefici i carbonari, diretti da un commerciante di Carpi, Ciro Menotti (1798-1831), con lo scopo di liberare la regione dai governi assoluti e di istituire un regime di libertà. Pare che gli insorti avessero preso contatti con il duca di Modena Francesco IV, il quale si era mostrato disposto ad appoggiare l’insurrezione sperando di ricavarne un personale vantaggio, quello di estendere i suoi domìni nell’Italia centrosettentrionale. Sia i congiurati, sia il duca si illudevano di ottenere aiuto dal nuovo re di Francia, Luigi Filippo. Ma le speranze dei congiurati fallirono. Il duca di Modena, per timore di un intervento austriaco e dubitando dell’appoggio francese, che in effetti non giunse, abbandonò i congiurati, fece arrestare Ciro Menotti e fuggì a Mantova sotto la protezione degli austriaci. L’insurrezione, già fissata, scoppiò ugualmente e da Modena dilagò a Parma, a Reggio e alle città dello Stato Pontificio, Bologna, Forlì, Ravenna, Rimini, Ferrara, dove fu dichiarato decaduto il potere temporale del pontefice e proclamato lo Stato delle Province Unite. La repressione austriaca in Italia L’esperienza ebbe vita breve ma fu storicamente significativa nella storia del Risorgimento italiano, anche perché aveva coinvolto città appartenenti a Stati diversi (i Ducati di Modena e di Parma e lo Stato Pontificio) che si erano trovate unite nella lotta insurrezionale. Le truppe austriache intervennero e in poche settimane la rivolta fu repressa. I sovrani furono riportati al potere, carcere e condanne a morte colpirono i congiurati; Ciro Menotti fu mandato al patibolo per volere dello stesso Francesco IV, rientrato a Modena.

Capitolo 20 1820-31: insurrezioni liberali in Europa

Sintesi

1820-31: insurrezioni liberali in Europa

I moti del 1820-21 Nel biennio 1820-21 si verificarono in Europa diversi moti insurrezionali. In Spagna, nel gennaio 1820, un corpo di spedizione si ammutinò a Cadice; la ribellione si estese per opera di soldati appartenenti alle società segrete e il re Ferdinando VII concesse una Costituzione che ripristinava i poteri parlamentari. Negli Stati italiani, un’insurrezione scoppiò prima a Napoli (luglio 1820), dove il re concesse una Costituzione simile a quella spagnola, poi a Palermo, dove un moto separatista fu represso dalle truppe regie. In Piemonte, l’insurrezione (marzo 1821), ispirata dalla società segreta dei Federati, aveva come scopo la cacciata degli austriaci e la formazione di un Regno dell’Alta Italia. Il re Vittorio Emanuele I abdicò in favore del fratello Carlo Felice. Il reggente Carlo Alberto, su cui puntavano gli insorti, concesse una Costituzione subordinandone la validità all’approvazione di Carlo Felice, che non arrivò. Carlo Alberto fu costretto a lasciare il regno e la rivolta fu repressa dall’intervento delle truppe della Santa Alleanza, che restaurò l’assolutismo anche in Spagna e a Napoli. Le rivolte nei Balcani, in Grecia e in Russia All’inizio del XIX secolo, nei territori sottoposti all’autorità dell’Impero ottomano, alcune realtà si erano di fatto rese autonome, come l’Egitto e alcuni territori dei Balcani abitati da popolazioni cristiane. La politica religiosa dell’Impero turco era caratterizzata dalla tolleranza dei culti, ma da una discriminazione sociale dei

non musulmani. Le difficoltà legate alla compresenza di diverse culture e religioni determinò una crisi che esplose negli anni Venti. In Serbia era stata concessa una forte autonomia, sotto la spinta di un movimento indipendentista. In Grecia nel 1821 scoppiò una rivoluzione finalizzata all’indipendenza nazionale, che fu appoggiata dalla Russia, dalla Francia e dalla Gran Bretagna, che volevano estendere la loro influenza nell’area mediterranea. Il conflitto fu deciso dall’intervento delle potenze europee e nel 1829 fu proclamata l’indipendenza della Grecia, poi confermata dai protocolli di Londra, che sancirono anche l’autonomia di Serbia, Moldavia e Valacchia. Nel 1825 era intanto scoppiata in Russia la rivolta “decabrista” – guidata da alcuni militari che chiedevano una Costituzione – che fu rapidamente repressa. I moti liberali del 1830: Parigi insorge Nel luglio del 1830 scoppiò una rivolta a Parigi, causata dalla politica assolutistica di Carlo X, che tentava di restaurare i privilegi aristocratici ed emanò quattro ordinanze che abolivano la libertà di stampa, scioglievano il Parlamento, indicevano nuove elezioni da tenersi con una nuova legge elettorale favorevole alla nobiltà. Il popolo di Parigi, composto da studenti, commerciai e operai, si ribellò costringendo il re alla fuga. Fu nominato un nuovo re, Luigi Filippo d’Orléans, di orientamento liberale. Il nuovo re ripristinò il tricolore rivoluzionario, concesse

una Costituzione che estendeva il diritto di voto e permise lo sviluppo di commercio e industria. In politica estera si oppose agli orientamenti della Santa Alleanza affermando il principio del non intervento. Le insurrezioni in Belgio, Polonia e Italia centrale Nell’agosto 1830 scoppiò un’insurrezione in Belgio, con lo scopo di ottenere l’indipendenza dall’Olanda, alla quale era stata unita dal Congresso di Vienna. I due paesi presentavano molte differenze, di tipo linguistico, religioso, economico. A sostegno della ribellione belga intervennero Francia e Gran Bretagna, contro la Santa Alleanza. In tal modo si arrivò al riconoscimento dell’indipendenza del Belgio (1831), che approvò una Costituzione liberale e garantì la sua neutralità perpetua. Anche la Polonia insorse per l’indipendenza, ma la repressione attuata dalle truppe zariste fu durissima. Infine, in Italia centrale, a Modena, i carbonari organizzarono un’insurrezione per il superamento dell’assolutismo e in nome di una maggiore libertà. Inizialmente il duca Francesco IV si era mostrato favorevole a sostenere la rivoluzione, ma poi abbandonò i congiurati. La rivolta si diffuse anche nei Ducati di Parma e Reggio e in parte dello Stato pontificio, ma l’esercito austriaco la represse e, come conseguenza, si ebbe la restaurazione dei sovrani e la condanna a morte dei ribelli, tra cui Ciro Menotti. Tuttavia, per la prima volta, la stessa ribellione aveva coinvolto Stati tra loro diversi.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1453

1774

1809

1816

1820

1. protocolli di Londra 2. dichiarazione di indipendenza delle colonie spagnole in Sud America 3. congresso di Epidauro 4. moto insurrezionale ad Alessandria 5. rivolta a Parigi 6. la tutela dei sudditi cristiani dell’Impero ottomano passa ad Austria e Russia

1821

1822

7. 8. 9. 10. 11. 12.

1825

1829

1830

ribellione indipendentista a Modena insurrezione decabrista a San Pietroburgo pace di Adrianopoli ribellione indipendentista in Serbia inizio della dominazione turca sulla Grecia ribellione popolare a Palermo

1831

263

264

Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. abdicazione • ammutinamento • autonomia • discriminazione • fiammingo • indipendentismo • ordinanza • protocollo • tolleranza Tendenza a rendersi autonomi dall’organismo politico di cui si fa parte Rifiuto dei subordinati a eseguire l’ordine dato dal superiore Atteggiamento di rispetto verso idee e convinzioni altrui Posizione tendente a ghettizzare gruppi per le loro idee e convinzioni Lingua parlata nelle Fiandre, parzialmente diversa dall’olandese Rinuncia al trono da parte di un sovrano Documento diplomatico attestante un accordo internazionale Provvedimento legislativo o amministrativo emanato da un’autorità Posizione di uno Stato che si governa con leggi proprie

3. Associa le seguenti date all’evento corrispondente. Data: 25 agosto 1830 • 25 luglio 1830 • 1 luglio 1820 • novembre 1830 • gennaio 1820 • 15 luglio 1820 • marzo 1821 • gennaio 1831 • luglio 1830 Evento: insurrezione ad Alessandria • indipendenza del Belgio • rivolta a Parigi • insurrezione a Varsavia • rivolta a Nola • ordinanze di Carlo X • insurrezione a Palermo • insurrezione a Bruxelles • insurrezione a Cadice DATA

EVENTO

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4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

f. L’esito della rivolta in Grecia fu determinato dall’intervento di Prussia e Francia.

V

F

a. Nell’Impero ottomano, i cristiani avevano libertà di culto e potevano avere delle proprietà.

V

F

b. La rivoluzione in Grecia fu organizzata dall’Eterìa.

g. Il re di Savoia Carlo Alberto abdicò in favore del fratello Carlo Felice.

V

F

V

F

c. Il Belgio aveva un’economia industriale, l’Olanda soprattutto commerciale e agricola.

h. La rivolta nell’Italia centrale del 1830-31 aveva coinvolto città appartenenti a Stati diversi.

V

F

V

F

d. A Napoli fu formato il primo governo di ispirazione liberale in Italia.

i. La Costituzione concessa in Spagna limitava i poteri del re e ripristinava le Cortes.

V

F

V

F

e. La rivolta in Polonia portò alla proclamazione dell’indipendenza.

l. L’insurrezione scoppiata ad Alessandria era ispirata dalla Carboneria.

V

F

V

F

m. Le ordinanze del 1830 abolivano la libertà di stampa e scioglievano il Parlamento.

V

F

Capitolo 20 1820-31: insurrezioni liberali in Europa

5. Associa i nomi del primo gruppo alle nozioni del secondo gruppo. Personaggio: George Byron • Vittorio Emanuele I • Fryderyk Chopin • Ciro Menotti • Santorre di Santarosa • Carlo X • Miloš Obrenovic • Carlo Alberto • Filippo d’Orléans • Guglielmo Pepe • Alèxandros Ypsilàntis Evento: rivolta di Napoli • Eterìa • rivolta di Serbia • caduta di Varsavia • ordinanze • reggenza • re dei francesi • Federati • insurrezione della Grecia • abdicazione PERSONAGGIO

EVENTO

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6. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento. a. Tra 1815 e 1816 era scoppiato un moto indipendentista: in Macedonia. in Grecia. in Serbia. in Belgio. b. L’insurrezione decabrista si verificò in: Belgio. Grecia. Russia. Francia. c. La ribellione di Palermo fu appoggiata: dai commercianti. dalla Carboneria. dall’esercito. dalla nobiltà. d. I protocolli di Londra prevedevano la formazione dei principati: di Serbia, Grecia e Moldavia. di Macedonia, Moldavia e Valacchia. di Serbia, Moldavia e Valacchia. di Grecia, Moldavia e Valacchia. e. Nel gennaio 1820 scoppiò un moto insurrezionale: a Nola. a Cadice. ad Alessandria. a Palermo.

f. La rivolta scoppiata ad Alessandria fu organizzata: dall’Eterìa. dalla Massoneria. dai Federati. dalla Carboneria. g. Lo Stato delle Province Unite fu proclamato in Italia nel: 1821. 1831. 1830. 1820. h. L’indipendenza della Grecia fu riconosciuta: dal congresso di Epidauro. con la pace di Adrianopoli. con i protocolli di Londra. con i trattati di Parigi. i. In politica estera Luigi Filippo d’Orleans proclamò: il principio del non intervento. il principio dell’intervento in favore dei moti indipendentisti stranieri. pieno appoggio alla Santa Alleanza. pieno appoggio ai sovrani stranieri.

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266

Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

Analizzare e produrre 7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Per quale motivo scoppiò la rivolta in Spagna? Da chi fu promossa? Con quale esito terminò? 2. Per quale motivo scoppiò la rivolta in Spagna? Come si sviluppò? Come terminò? 3. Per quale motivo scoppiò la rivolta nel Regno di Sardegna? Come si sviluppò? Come terminò? 4. Per quale motivo scoppiò la rivolta in Grecia? Chi la sostenne? Quando e con che esito terminò? 5. Per quale motivo scoppiò la rivolta decabrista in Russia? Come terminò? Per quale motivo? Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella. INSURREZIONI IN EUROPA TRA 1820 E 1825 DOVE

Spagna

Regno di Napoli

Regno di Sardegna

Grecia

Russia

QUANDO

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PERCHÉ

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PROMOSSO DA A FAVORE

CONTRO EPISODI SALIENTI

ESITO FINALE

Leggi il documento “L’importanza di una rivoluzione mancata” a p. 256 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5.

In che modo erano organizzati i liberali? Cosa comportò il loro tipo di organizzazione? Chi era Silvio Pellico? Quali iniziative prese l’Austria per prevenire insurrezioni nel Lombardo Veneto? Quali condanne furono comminate? Nei confronti di chi? Quali risultati raggiunsero le insurrezioni? Come le commenta Santorre di Santarosa?

Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle contenute nella precedente tabella, scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo “Un bilancio delle rivolte italiane degli anni Venti”.

Capitolo 20 1820-31: insurrezioni liberali in Europa

8. Rispondi alle seguenti domande. Sulla base delle informazioni ottenute, completa la tabella. 1. 2. 3. 4.

Perché scoppiò la rivolta in Francia? Da chi fu condotta? Con quale esito? Perché e contro chi il Belgio si ribellò? Chi lo sostenne? Chi si oppose? Quale esito finale ci fu? Perché scoppiò la rivolta in Polonia? Da chi fu condotta? Con quale esito? Perché scoppiò la rivolta in Emilia e Romagna? Da chi fu promossa? Quale fu l’esito finale? I MOTI DEL 1830

DOVE

Francia

Belgio

Polonia

Emilia e Romagna

QUANDO

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PERCHÉ

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PROMOSSO DA

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A FAVORE

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CONTRO

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EPISODI SALIENTI

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ESITO FINALE

9. Leggi il documento “La Libertà guida il popolo” a p. 260 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Chi era Eugène Delacroix? In quale occasione fu dipinto il suo quadro? Che cosa è rappresentato nel quadro? Come è raffigurata la libertà? Che cosa indossa? Da chi è composto il popolo? Che cosa rappresenta il bambino? Che cosa rappresenta il personaggio con la tuba? In quali occasioni della storia successiva della Francia il quadro è stato usato? In quale museo si trova?

267

Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

21 La libertà

Capitolo

268

dell’America Latina e l’espansione degli Stati Uniti

Percorso breve L’eco dei moti insurrezionali europei, con le idee di libertà e indipendenza che essi propugnavano, giunse anche nell’America Latina, la parte centro-meridionale del continente soggetta al dominio coloniale spagnolo e portoghese, dove, tra il 1811 e il 1825, una serie di rivolte guidate dai discendenti dei conquistatori europei (i cosiddetti “creoli”) portò alla nascita di molti nuovi Stati. All’origine del movimento vi furono motivi ideali e ragioni economiche: i “creoli” costituivano la classe economicamente più forte del paese, da cui dipendevano i “meticci” (nati dall’incrocio tra bianchi e indigeni), gli “indios” (discendenti delle popolazioni originarie) e gli schiavi neri; ma il potere politico e militare continuava a essere riservato ai dominatori europei. Da tale tensione nacquero le rivolte indipendentiste, che trovarono i loro capi militari soprattutto nel venezuelano Simon Bolívar e nell’argentino José de San Martín. Solo il Brasile raggiunse l’indipendenza in maniera pacifica, concordandola con il re di Portogallo. In tutti gli altri paesi furono le armi a decidere lo scontro, a cui parteciparono (dalla parte dei rivoltosi) anche volontari europei, tra cui Giuseppe Garibaldi. Bolívar avrebbe sognato un’America Latina unificata sul modello degli Stati Uniti. Prevalsero invece gli interessi locali e nacquero, così, nel giro di pochi anni, gli Stati indipendenti che tuttora esistono in quella parte del continente. Ovunque, i creoli presero in mano il potere. Al successo delle insurrezioni contribuì l’appoggio della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, che, in quei decen-

Vita nella prateria: la caccia al bufalo, XIX sec. [Museum of the City of New York, New York]

ni, erano impegnati ad allargare verso ovest il loro spazio economico e politico, strappando immensi territori alle popolazioni indigene, gli “indiani”, sopraffatti dall’avanzare della “frontiera” e dalla nascita di nuovi Stati che via via si aggregavano all’Unione. La corsa verso il West, sostenuta dal graduale avanzare della ferrovia, trovò ulteriore stimolo nella scoperta di giacimenti d’oro e petrolio nelle regioni occidentali. Gli indiani delle praterie, sterminati assieme ai bisonti che costituivano la loro principale risorsa di vita, furono confinati in appositi territori detti “riserve”.

Capitolo 21 La libertà dell’America Latina e l’espansione degli Stati Uniti

269

21.1 Tensioni sociali e politiche in America Latina L’America Latina L’eco dei moti insurrezionali che a partire dal 1820 erano scoppiati in quasi tutti i paesi europei giunse sino in America Latina, ossia in quella parte del continente soggetta da secoli al dominio coloniale della Spagna e del Portogallo (entrambi paesi di cultura latina). Si trattava di un territorio immenso, possesso spagnolo dal Messico all’Argentina, possesso portoghese in Brasile. Una società composita La popolazione di quei paesi era suddivisa in tre gruppi ben distinti: i creoli, discendenti dei primi spagnoli e degli altri europei sbarcati nel continente, costituivano la classe economicamente più forte, proprietaria delle piantagioni e delle miniere; i meticci, nati dall’incrocio dei bianchi con gli indigeni, solitamente lavoravano alle dipendenze dei creoli, come artigiani, bottegai, commercianti, soldati. Il gruppo più misero era costituito dagli indios, discendenti dalle popolazioni indigene originarie e dagli schiavi neri acquistati in Africa; essi erano adibiti al lavoro della terra, all’allevamento del bestiame, allo scavo nelle miniere, al servizio domestico nelle case dei ricchi. La rivolta indipendentista Mentre il potere economico era in mano ai creoli, il potere politico e militare continuava a essere riservato agli spagnoli e ai portoghesi, che governavano per mezzo di un viceré e dei suoi funzionari, cercando di ricavare dalle colonie la maggior quantità possibile di ricchezza, sotto forma di tasse e di materie prime. Una politica di puro sfruttamento, che impoveriva le colonie e creava uno stato di forte tensione fra la popolazione creola e i dominatori europei. Tale tensione sfociò in aperta rivolta e in guerra armata a cominciare dal 1810, approfittando delle difficoltà politiche della Spagna, occupata dalle truppe napoleoniche [ 15.5]. In quegli anni le colonie spagnole furono di fatto governate da giunte locali, che in breve si trasformarono in centri di rivendicazione indipendentista: già nel 1811 furono proclamate l’indipendenza del Venezuela e del Paraguay.

21.2 La libertà dell’America Latina Una rivolta organizzata I centri principali del movimento indipendentista furono, a nord, i paesi della costa dei Caraibi (Venezuela e Colombia), a sud le province del Rio de la Plata (attuale Argentina). Alla guida dei movimenti di liberazione si posero due abili e combattivi capi: il commerciante venezuelano Simon Bolívar (1783-1830), soprannominato il Libertador do Nord, e l’ufficiale argentino José de San Martín (1778-1850), passato dalla parte dei ribelli e chiamato il Libertador do Sud. Guerra e indipendenza La guerra tra i coloni e la madrepatria rapidamente portò all’indipendenza dei territori americani. In poco più di dieci anni, tra il 1811 e il 1825, nelle terre che già erano state possesso della Spagna e del Portogallo si formarono molti Stati autonomi. L’Argentina si proclamò indipendente nel 1816 e due anni dopo toccò al Cile, liberato dalle forze di San Martín; nel 1819 Bolívar diede origine alla Repubblica di Gran Colombia, una vasta regione comprendente anche gli odierni Ecuador e Venezuela, e una parte dell’America centrale. Nel 1821 si resero indipendenti le terre dell’America centrale e del Messico, costituitosi in Impero. Il Brasile raggiunse l’indipendenza in maniera pacifica nel 1822, attraverso la collaborazione della stessa casa regnante di Lisbona: Pedro I (182231), figlio del re di Portogallo Giovanni VI di Braganza (1816-26), pro-

José Gil de Castro, Ritratto di Simon Bolívar, 1825 Simón Bolívar si guadagnò il titolo di Libertador diventando il capo indiscusso della lotta di liberazione nell’intera America del Sud. Nel suo pensiero l’America Latina unita avrebbe potuto far sentire maggiormente il suo peso.

Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

270

I modi della storia

L’unione fa (farebbe) la forza

Nel 1819 Simon Bolívar riuscì a dar vita a un grande Stato, la Repubblica di Gran Colombia, comprendente i territori delle odierne Colombia e Venezuela, più l’Ecuador e una parte dell’America centrale (Panama). Nel suo pensiero, questo doveva essere il primo passo verso la costituzione di un’unica confederazione degli Stati latinoamericani, che unendo le

I

loro forze avrebbero meglio rappresentato e difeso i propri interessi nel contesto delle potenze mondiali. Il progetto di Bolívar non riuscì a prendere corpo, anzi la stessa Gran Colombia si dissolse una decina d’anni dopo. Esso tuttavia rimane a testimoniare il fervore politico di quegli anni. Si legga in proposito questa lettera, scritta da Bolívar nel dicembre 1819, po-

chi giorni dopo l’approvazione della Legge fondamentale della Repubblica di Colombia, per sottolineare i vantaggi che deriverebbero dall’unione in un solo Stato del Venezuela e della Nuova Granada (che al tempo comprendeva le attuali Colombia e Panama, più porzioni di altri Stati confinanti).

l voto unanime dei deputati del Venezuela e della Nuova Granada ha gettato le fondamenta di un edificio solido e stabile, conferendogli il nome, il rango e la dignità con cui deve essere conosciuta al mondo la nostra nascente Repubblica e sotto i quali essa dovrà stabilire le sue relazioni politiche. […] In dieci anni di lotta e di lavoro indicibili, in dieci anni di sofferenze sovrumane abbiamo sperimentato l’indifferenza con cui tutta l’Europa, e persino i nostri fratelli del nord1, sono rimasti tranquilli spettatori del nostro sterminio. Tra gli altri motivi c’è – e lo metterei in testa a tutti gli altri – quello della molteplicità delle sovranità costituite fino a oggi. La mancanza di unità e di consolidamento, la mancanza di accordo e di armonia e, soprattutto, la carenza di mezzi che necessariamente derivava dalla separazione delle repubbliche è, ripeto, la vera causa del disinteresse che fino adesso i nostri vicini e gli europei hanno sentito per la nostra sorte.

Del resto, pezzi di territorio, frammenti di nazione – sia pure di grandi estensioni, ma senza popolazione né strutture – non potevano ispirare interesse o certezze a chi avesse desiderato allacciare delle relazioni con essi. La Repubblica di Colombia non solo ha i mezzi e le risorse necessarie al rango e all’importanza raggiunti, ma ispira fiducia agli stranieri per la sua capacità di gestione. Da qui nasce quella facilità di farsi degli alleati e di procurarsi quegli aiuti di cui essa ha bisogno per il consolidamento della propria indipendenza. Le ricchezze di Cundinamarca2, del Venezuela, il rispettivo numero di abitanti e la vantaggiosa posizione del porto venezuelano, conferiranno alla Colombia una importanza che né il Venezuela né la Nuova Granada, separate, potrebbero avere.

1 Gli Stati Uniti.

2 Uno dei distretti centrali della Colombia.

S. Bolívar, L’unico scopo è la libertà, Scritti scelti, Roma 1983, p. 122

clamò l’indipendenza del paese e sé stesso imperatore del nuovo Stato americano. Negli anni successivi le truppe colombiane e argentine, guidate da Bolívar e San Martín, ebbero ragione delle ultime resistenze spagnole e dopo la vittoriosa battaglia di Ayacucho nel 1824 proclamarono l’indipendenza del Perù e della Bolivia (1825).

Un’unione impossibile Simon Bolívar aveva sognato di riunire tutti i paesi del centro e Sud America in un’unica grande Confederazione, sul modello degli Stati Uniti, ma il progetto non riuscì a prendere corpo a causa delle rivalità politiche e dei contrasti territoriali sorti fra i nuovi Stati. Nel 1828 si costituì lo Stato dell’Uruguay, in uno spazio già conteso fra Argentina e Brasile. Nel 1830 la Repubblica di Gran Colombia si divise in tre Stati diversi: Colombia, Venezuela ed Ecuador. Negli anni successivi i territori dell’America centrale si frantumarono in cinque Stati, Costarica, Nicaragua, Honduras, Salvador, Guatemala.

21.3 Conseguenze dell’indipendenza latino-americana L’appoggio britannico e statunitense Al successo del movimento di indipendenza dell’America Latina contribuì l’atteggiamento favorevole della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, che a un certo punto intravidero la possibilità di aprire quegli immensi territori alla propria espansione commerciale e industriale. Il governo di Londra fece sapere che la sua flotta non avrebbe permesso alle forze della Santa Alleanza di intervenire contro gli insorti. Il presidente degli Stati Uniti James Monroe (1817-25) pronunciò nel 1823 un discorso in cui affermava che da quel momento in poi l’Europa non avrebbe mai più dovuto intromettersi nella vita e negli affari degli

Capitolo 21 La libertà dell’America Latina e l’espansione degli Stati Uniti

271

americani: «Le due Americhe – egli disse –, in conseguenza della libertà e dell’indipendenza che si sono date e che intendono conservare, non devono d’ora innanzi essere considerate come oggetto di futura colonizzazione da parte di qualsiasi potenza europea». La dichiarazione nasceva non solo da considerazioni di carattere ideale, ma anche dal fatto che il processo di indipendenza faceva presagire un futuro legame preferenziale dei paesi dell’America Latina con gli stessi Stati Uniti, sul piano sia politico sia economico.

Il potere dei creoli Dalle guerre d’indipendenza non derivarono mutamenti sostanziali nella vita economica e nella struttura sociale dei paesi americani: le divisioni si conservarono, i ceti più poveri e deboli continuarono a vivere sottomessi e sfruttati dai gruppi dominanti. La schiavitù formalmente fu abolita (tranne che in Brasile, dove rimase in vigore fino al 1888) ma le condizioni di vita della popolazione lavoratrice non migliorarono. In realtà i creoli furono gli unici a trarre vantaggi concreti dal grande rivolgimento avvenuto: essi possedevano già il potere economico e a questo aggiunsero il dominio politico, sottratto agli spagnoli e ai portoghesi; in tal modo diventarono i padroni del paese, con tutte le sue ricchezze. Le nuove repubbliche, nate per inaugurare un’era di libertà e di progresso, apparvero sin dai primi anni lacerate da profondi contrasti interni e destinate a una lunga instabilità sociale e politica. Gli anni dell’indipendenza in America Centrale e Meridionale, 1810-39

STATI UNITI

MESSICO 1821 Messico

STATI UNITI

YUCATÁN 1821

CUBA

(SP.) SANTO DOMINGO GIAMAICA PUERTO R HAITI H.B. (brit.) ICO (Sp.) G. 1804 H. S. N. OCEANO Caracas C. R. ATLANTICO VENEZUELA GU Bogotà 1811-30 brit. YANA Olan. Fr. COLOMBIA 1831 ECUADOR 1830

PERÙ 1824

BRASILE 1822 OC E A N O San Salvador Lima C P AC I UFBIAC(SO (Bahia) YUCATÁN SANTO P.) 1821 DOMINGO La Paz GIAMAICA Messico PUERTO R BOLIVIA HAITI H.B. (brit.) ICO (Sp.) G. 1804 1825 H. PARAGUAY S. N. OCEANO 1811-13 Caracas San Rio de C. R. Paolo Janeiro ATLANTICO VENEZUELACILE GU brit. YANA Bogotà 1811-30 1818 Olan. Fr. COLOMBIA Santiago URUGUAY 1831 Buenos 1828 Aires ECUADOR 1830

ARG

EN 181 TINA 6

MESSICO 1821

BRASILE 1822MALVINE (FALKLAND) San Salvador (Bahia)

Lima

CILE 1818

NA

La Paz BOLIVIA 1825 PARAGUAY 1811-13

NTI

OC E A N O P AC I F I C O

PERÙ 1824

San Rio de Paolo Janeiro

Gran Colombia, 1819-30 Province Unite dell’America centrale, 1823-39 1822 Anno di indipendenza C.R. = Costa Rica 1821 G. = Guatemala 1821 H. = Honduras 1821 H.B. = Honduras britannico (brit.) N. = Nicaragua 1821 S. = El Salvador 1821

Gran Colombia, 1819-30 Province Unite dell’America centrale, 1823-39 1822 Anno di indipendenza C.R. = Costa Rica 1821 G. = Guatemala 1821 H. = Honduras 1821 H.B. = Honduras britannico (brit.) N. = Nicaragua 1821 S. = El Salvador 1821

272

Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

21.4 L’espansione degli Stati Uniti d’America

La Parola

pionieri

Alla conquista del Far West Gli Stati Uniti d’America, formatisi nel XVIII secolo con la ribellione di tredici colonie inglesi alla madrepatria [ 11.3, 11.5], vissero nell’Ottocento una straordinaria espansione territoriale, economica e demografica. La principale direttrice di espansione fu quella verso il ‘lontano Occidente’, il Far West, l’immensa regione delle praterie situate nella parte ovest del continente americano, un mondo vastissimo in cui i nuovi colonizzatori, stanziati lungo la costa atlantica, non avevano mai messo piede; per lungo tempo esso era rimasto dominio incontrastato delle tribù indigene d’America, i cosiddetti “pellirosse” [ 11.1], dei bufali, dei daini. La penetrazione dei coloni in quei territori ebbe inizio nei primi decenni dell’Ottocento, in concomitanza con l’aumento della popolazione e con i primi sviluppi della ferrovia e del telegrafo (inventato nel 1836, 28.2). Carovane di pionieri partivano in cerca di fortuna: gruppi di 50-100 famiglie, con grandi carri ricoperti di tela, trainati da cavalli; agricoltori, boscaioli, avventurieri che prendevano possesso di terre fertilissime mai messe a coltura, fondavano nuove città, costituivano nuovi Stati che si aggiungevano a quelli originari dell’Unione.

“Pioniere” deriva dal francese pionnier, antico termine militare che indicava i soldati a piedi (pions, ‘pedoni’) incaricati di andare in avanscoperta per perlustrare il terreno, aprire strade, preparare trincee. Dal francese il termine passò all’inglese (pioneer), all’italiano e ad altre lingue, assumendo significati più ampi ma sempre legati alle idee di esplorare, dissodare, colonizzare, ossia operare in anticipo rispetto a qualcuno che seguirà.

Un’Unione sempre più ampia Verso la metà del secolo i nuovi Stati erano già una ventina, estesi dalla zona dei Grandi laghi a nord (Ohio, Illinois, Michigan, Wisconsin…) alle grandi pianure del sud (Missouri, Alabama, Arkansas…). Tra il 1845 e il 1850 si aggiunsero il Texas, il New Mexico e la California, strappati al Messico. La scoperta, in California, di miniere d’oro e di giacimenti petroliferi aggiunse nuovi motivi alla corsa verso ovest.

Gli Stati Uniti, 1822-54 Nella carta sono segnalate le principali popolazioni pellirosse che, con l’avanzata verso ovest dei coloni, furono sterminate e relegate nelle riserve.

Bl ac kf

P O S S E D I M E N T I

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Apache Tribù indiane

C. = Connecticut D. = Delaware M. = Massachusetts Md. = MarylandMESSICO N.H.= New Hampshire N.J.= New Jersey R.I. = Rhode Island Vt. = Vermont

TEXAS 1845

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TENNESSEE

ARKANSAS 1836

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SOUTH CAROLINA GEORGIA

A ID OR FL 1845

prima del 1800 1800-40 1840-60 venduto dal Messico (1853)

an

Territori INDIANI

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MISSOURI

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ajo Nav Territorio del NUOVO MESSICO 1850-54

Territorio del KANSAS 1854-61

ILLINOIS

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CALIFORNIA 1850

Territorio dello UTAH 1850-61

IO WA 1846

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WISCONSIN 1848

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AN I G 37 C H 18

Territorio del NEBRASKA 1854-61 Cheye n

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Territorio dell’OREGON 1848-53 Hupa

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Territorio del MINNESOTA 1849-58 Si ou x

Crows

San Francisco

B R I T A N N I C I

t

Territorio di WASHINGTON 1853-59

C U B A

18

ve

Apache Tribù

Capitolo 21 La libertà dell’America Latina e l’espansione degli Stati Uniti

273

La formazione di un mito Questa marcia verso terre nuove fu sentita dagli americani come una vicenda epica, come una delle pagine più gloriose della storia nazionale: in questi termini essa fu poi celebrata e rievocata da storici e scrittori, e anche attraverso i film “western” proiettati al cinema, che nel Novecento fu ampiamente utilizzato per rappresentare e idealizzare il mito della “frontiera”. Ma l’avanzata dei pionieri significò in realtà lo sterminio degli indigeni pellirosse e della loro civiltà: gran parte di loro perì a causa delle lotte combattute contro gli invasori e per la brusca rottura che l’avanzata dei conquistatori provocò nei loro tradizionali sistemi di vita, basati prevalentemente sulla caccia e sul nomadismo.

21.5 Lo sterminio degli indiani I nativi d’America Già agli inizi del XIX secolo gli europei avevano eliminato, o allontanato dai loro territori un considerevole numero di tribù di indiani, come gli europei chiamavano i nativi americani fin dal tempo di Cristoforo Colombo, che diede loro questo nome credendo erroneamente di essere sbarcato in India. Il fenomeno, dopo avere coinvolto le tribù che abitavano sulla costa atlantica, nei decenni successivi si accelerò, parallelamente all’avanzare della frontiera verso ovest: intere tribù (Sioux, Delaware, Cherokee, Creck ...) furono deportate al di là del grande fiume, il Mississippi, che nel 1830 fu stabilito come confine dell’espansione dei coloni. Ma il confine non fu rispettato, così come non furono rispettati i patti che di volta in volta si stipulavano con gli indiani, progressivamente relegati in aree sempre più ristrette e sempre più lontane, le cosiddette “riserve”. Una risorsa preziosa: il bisonte Tra il Mississippi e le Montagne Rocciose i pionieri si scontrarono con nuove tribù indiane, che, a differenza di quelle dell’est, più sedentarie e dedite anche all’agricoltura, praticavano un nomadismo puro e vivevano esclusivamente di caccia. La loro esistenza dipendeva totalmente dai bisonti, che attraversavano da nord a sud le pianure in mandrie di milioni di capi. La caccia al bisonte per secoli era stata praticata a piedi, con l’ausilio di arco e frecce; dal Sei-Settecento, con l’impiego del cavallo e del fucile (entrambi introdotti in America dagli europei) essa diventò ancora più efficace e produttiva. Dal bisonte gli indiani traevano tutto ciò che serviva alla loro vita: la carne per il cibo, la pelle per i vestiti e per le tende che servivano da abitazioni, il grasso come combustibile; con i tendini facevano corde per gli archi, con le ossa strumenti di lavoro e utensili domestici. Il bisonte e la locomotiva Per indebolire e disperdere gli indiani, i conquistatori europei li colpirono nella loro risorsa essenziale: i bisonti. Scriveva a metà dell’Ottocento l’esploratore Francis Parkman (1823-1893): «quando saranno estinti i bisonti, anche i pellirosse dovranno disperdersi». Appunto questo accadde nei decenni centrali dell’Ottocento. A mano a mano che i carri dei pionieri e le linee della ferrovia avanzavano, i bisonti venivano sistematicamente cacciati, uccisi, sterminati. La loro carne fu usata per nutrire le folte squadre di operai che costruivano le strade ferrate; vere e proprie “cacce di divertimento” furono organizzate sui treni, permettendo ai viaggiatori di sparare dai finestrini sui branchi di bisonti che si incontravano sulla strada. Il numero di bisonti diminuì drasticamente con l’avanzare della ferrovia, nel giro di un ventennio ne furono ammazzati circa tredici milioni. Quando nel 1869 fu completata la prima li-

Indumento di un capo Sioux Gli indiani si vestivano e vivevano con ciò che offriva il bisonte. Nonostante la resistenza opposta da tutte le tribù, furono spinti sempre più a ovest e in aree sempre più ristrette chiamate “riserve”.

274

Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali nea transcontinentale (a opera delle due grandi compagnie ferroviarie americane, la Union Pacific e la Central Pacific), il punto in cui i binari si congiunsero furono fissati alla traversina con un chiodo d’oro: alla fine il “bisonte d’acciaio”, il treno, aveva cacciato il bisonte in carne e ossa, e con esso gli indiani. I conflitti tra i “pellirosse” e i “visi pallidi” occuparono quasi tutto il XIX secolo ma, alla fine, il progetto di vera e propria pulizia etnica intrapreso dai coloni non riuscì a essere fermato [ 33.6].

Aa Documenti Civiltà a confronto Fra i colonizzatori europei dell’America, non pochi affrontarono l’incontro con le popolazioni indigene con un atteggiamento di superba sufficienza, ritenendosi portatori di una civiltà superiore nel mondo dei “selvaggi”. Non tutti i bianchi,

N

però, considerarono “selvaggi” gli indiani. Alcuni, i più sensibili alle idee illuministe di comprensione e di tolleranza, sottolinearono la diversità – semplicemente la diversità, non l’inferiorità – dei loro costumi rispetto a quelli dei conquistatori. In

oi li chiamiamo selvaggi perché i loro costumi differiscono dai nostri che consideriamo la perfezione della civiltà; ma essi pensano la stessa cosa dei loro. Gli indiani, quando sono giovani, sono cacciatori e guerrieri; da vecchi diventano consiglieri giacché il loro governo è retto dal Consiglio dei saggi. Non hanno esercito e non hanno prigioni, né funzionari incaricati di indurre all’obbedienza o di infliggere punizioni. In generale studiano l’oratoria e il migliore oratore ha la maggiore influenza. Le donne indiane educano i figli e conservano la memoria degli affari comuni, perché sia tramandata alla posterità. Queste funzioni degli uomini e delle donne sono considerate naturali e onorevoli. Avendo pochi bisogni artificiali, essi hanno una grande abbondanza di tempo libero per provvedere al proprio miglioramento mediante la conversazione. In confronto al loro, essi considerano il nostro laborioso modo di vivere infimo e degradante, e la cultura di cui tanto ci gloriamo frivola e inutile. Un esempio di tale atteggiamento si può vedere nell’episodio della firma del trattato di Lancaster, in Pennsylvania, nell’anno 1744, fra il governo della Virginia e le Sei Nazioni indiane. Dopo la conclusione della firma i commissari della Virginia pronunciarono un discorso per informare gli indiani che era stato istituito all’Università di Williamsburg un fondo per l’educazione della gioventù indiana, e che se le Sei Nazio-

questo senso si era espresso Benjamin Franklin (1706-1790), che ebbe un ruolo di primo piano nelle vicende da cui si sviluppò nel XVIII secolo la nuova entità politica degli Stati Uniti [ 11]. Leggiamo le sue parole.

ni avessero voluto inviare sei giovani in quella Università il governo avrebbe avuto cura di loro e avrebbe fatto in modo che essi fossero istruiti al modo degli uomini bianchi. [Il giorno successivo, l’oratore degli indiani espresse la loro profonda gratitudine per la proposta,] «ma voi che siete saggi – disse – dovete sapere che nazioni diverse hanno anche diverse concezioni delle cose, e non vi adonterete se il nostro giudizio su questo tipo di educazione non è uguale al vostro. Ne abbiamo avuta esperienza quando alcuni dei nostri giovani sono stati condotti in alcune Università delle province settentrionali: essi sono stati istruiti in tutte le vostre scienze ma quando sono tornati a casa non sapevano sopportare la fame o il freddo, non sapevano costruire un rifugio, prendere un daino, uccidere un nemico; parlavano male la nostra lingua e non erano, di conseguenza, adatti a essere cacciatori, né guerrieri, né consiglieri: insomma non erano buoni a nulla. Vi siamo comunque grati per la vostra gentile offerta e sebbene siamo costretti a rifiutarla, per mostrarvi la nostra gratitudine, qualora i signori della Virginia vogliano mandarci una dozzina dei loro figli ci prenderemo cura della loro educazione, insegnando loro tutto ciò che sappiamo e facendo di loro dei veri uomini». B. Franklin, Osservazioni sui selvaggi del nord America, 1784

Karl Bodmer, Campo di indiani Dakota, 1834 [Joslyn Art Museum, Omaha (Nebraska)]

Capitolo 21 La libertà dell’America Latina e l’espansione degli Stati Uniti

Sintesi

La libertà dell’America Latina e l’espansione degli Stati Uniti

Tensioni sociali e politiche in America Latina Nel 1820, l’America Latina era formata da territori appartenenti alla Spagna, tranne il Brasile legato al Portogallo. La società era tripartita: i creoli, discendenti dei conquistatori europei, erano la classe economicamente più forte; i meticci, nati dall’incrocio tra bianchi e indigeni, lavoravano alle dipendenze dei creoli, mentre gli indios e gli schiavi neri erano il gruppo più povero. Il potere economico era nelle mani dei creoli, mentre il potere politico rimaneva nelle mani di spagnoli e portoghesi, il che alimentava una crescente tensione sociale. Già a partire dal 1810, in un periodo di debolezza della Spagna occupata da Napoleone, vi erano state le prime rivolte, mentre Venezuela e Paraguay si proclamarono indipendenti nel 1811.

accordi pacifici col re di Portogallo), Perù, Bolivia, Uruguay. Simon Bolívar pensava di riunire tutti i nuovi Stati in una Confederazione, simile a quella nordamericana, ma le rivalità politiche e territoriali impedirono la realizzazione del progetto. Nei territori dell’America centrale si formarono altri cinque Stati: Costarica, Nicaragua, Honduras, Salvador, Guatemala. Conseguenze dell’indipendenza latinoamericana Gran Bretagna e Stati Uniti agevolarono i movimenti di indipendenza sudamericani perché videro in essi un’occasione per espandere la propria influenza in quelle zone. Gli inglesi affermarono che avrebbero impedito l’intervento della Santa Alleanza e il presidente statunitense Monroe dichiarò che l’Europa da allora in poi avrebbe dovuto ignorare le questioni interne al continente americano. La nascita dei nuovi Stati non portò a mutamenti economici e sociali di rilievo: furono soprattutto i creoli a beneficiarne, in quanto al potere economico sommarono quello politico, mentre le fasce sociali deboli rimasero sottomesse. Permanevano in questi Stati contrasti interni e instabilità politica.

La libertà dell’America Latina I centri dei movimenti di liberazione nazionale furono i paesi dei Caraibi a nord e le province situate sul Rio de La Plata a sud; alla guida dei movimenti si posero rispettivamente Simon Bolívar e José de San Martín. Negli anni 1811-25 si arrivò all’indipendenza dei territori americani, in cui si formarono Stati autonomi: Argentina, Cile, Gran Colombia (successivamente divisa in Colombia, Venezuela ed Ecuador), Messico, Brasile (in questo caso tramite

L’espansione degli Stati Uniti d’America Nel corso dell’Ottocento si sviluppò una forte espansione territoriale verso le

praterie dell’America settentrionale, in cui vivevano gli indigeni “pellirosse”. Questa espansione fu agevolata dalla diffusione delle ferrovie e del telegrafo e fu condotta da gruppi di pionieri che si spostavano fondando nuove città e nuovi Stati. Queste vicende, che diventarono una parte molto sentita della storia nazionale (mito della frontiera), ebbero come conseguenza lo sterminio delle popolazioni indigene. Lo sterminio degli indiani Nel corso dell’Ottocento, le popolazioni indigene del Nord America furono progressivamente allontanate dai territori in cui erano insediate, prima sulla costa atlantica, poi, man mano che la frontiera si spostava, nelle regioni verso ovest. Le popolazioni atlantiche erano sedentarie e praticavano l’agricoltura, quelle oltre il Mississippi (fissato come confine, anche se non fu rispettato dai conquistatori) praticavano la caccia ed erano nomadi. La loro risorsa principale era costituita dai bisonti, da cui gli indigeni traevano tutto il necessario per vivere; i conquistatori, cacciando e uccidendo sistematicamente i bisonti, colpirono mortalmente la civiltà dei pellirosse. Scoppiarono delle cruente lotte, che continuarono per tutto il secolo. I pellirosse che soppravvissero furono man mano confinati nelle riserve.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1811

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

1816

1818

1819

1821

indipendenza del Brasile invenzione del telegrafo formazione dello Stato dell’Uruguay formazione della Repubblica di Gran Colombia abolizione della schiavitù in Brasile battaglia di Ayacucho indipendenza del Cile

1822

1823

1824

1825

1828

1830

1836

1888

8. divisione della Gran Colombia in Colombia, Venezuela, Ecuador 9. indipendenza del Messico 10. discorso del presidente americano James Monroe 11. indipendenza del Venezuela e del Paraguay 12. indipendenza dell’Argentina 13. indipendenza del Perù e della Bolivia

275

276

Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. confederazione • creoli • giunta • meticci • nomadismo • prateria • riserve • transcontinentale • tribù • western Unione politica tra più Stati con interessi convergenti Nati dall’incrocio tra gli europei e le popolazioni indigene Raggruppamento sociale semplice caratterizzato da comunanza di lingua e costumi Discendenti dei conquistatori europei di origine spagnola Che interessa due o più continenti Genere cinematografico ispirato alla conquista dei territori occidentali nordamericani Vasta pianura formata da erbe perenni Forma di vita basata sullo spostamento continuo delle popolazioni Zona riservata esclusivamente all’insediamento degli indigeni Organo collegiale che provvede all’amministrazione di un territorio

3. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. acquisizione • Africa • agricoltura • allevamento • artigiani • bottegai • commercianti • conquistadores • dipendenze • discendenti • domestici • dominante • immutata • incrocio • miniere • misere • neri • piantagioni • proprietari • ricchezze • sfruttamento • soldati • subordinato • vantaggi PRIMA E DOPO L’INDIPENDENZA: LA SOCIETÀ SUDAMERICANA CREOLI

METICCI

INDIOS

SCHIAVI

Discendenti dei

Nati dall’................................ tra bianchi e indios

...................................................

.............................

...................................................

degli indigeni

acquistati in ..............................................

RUOLO SOCIALE

...................................................

...................................................

...................................................

...................................................

ATTIVITÀ SVOLTE

...................................................

lavoro alle ............................ dei creoli, ............................, .................................................., ..................................................,

...................................................

...................................................

...................................................

...................................................

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...................................................

...................................................

...................................................

...................................................

...................................................

CHI ERANO

di .............................................. e ...............................................

...................................................

DOPO L’INDIPENDENZA

Vantaggi: ............................... di potere politico e dominio sulle

Situazione sociale economica ...................................................

...................................................

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. La Repubblica di Gran Colombia era formata da Venezuela, Colombia e Uruguay.

V

F

c. La battaglia di Ayacucho fu seguita dalla proclamazione di indipendenza del Cile e del Perù.

V

F

b. La penetrazione dei coloni nordamericani verso ovest iniziò nella seconda metà del XIX secolo.

V

F

d. Le colonie spagnole del Sud America erano governate dal vicerè e dai suoi funzionari.

V

F

Capitolo 21 La libertà dell’America Latina e l’espansione degli Stati Uniti

e. Il bisonte costituiva la risorsa economica fondamentale dei pellirosse nordamericani.

V

F

f. José de San Martín fu soprannominato Libertador do Nord.

V

F

g. L’unico Stato sudamericano a raggiungere pacificamente l’indipendenza fu il Brasile.

V

F

h. La popolazione degli Stati americani era composta da creoli, indios e schiavi neri.

V

F

i. Simon Bolívar intendeva costituire una Confederazione tra i paesi del Sud America.

V

F

l. Nella conquista dei territori occupati dai pellirosse, un ruolo fondamentale fu svolto dalla ferrovia.

V

F

m. Negli anni in cui Napoleone occupava la Spagna, le colonie erano governate da funzionari del re.

V

F

n. Dopo l’indipendenza raggiunta dagli Stati, i creoli ottennero il potere politico oltre a quello economico.

V

F

o. I movimenti indipendentisti del Sud America furono appoggiati da Stati Uniti e Francia.

V

F

p. In California, New Mexico e Texas furono scoperti giacimenti petroliferi e miniere d’oro.

V

F

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande. 1. Da chi furono appoggiate le rivolte indipendentiste in Sud America? Per quale motivo? 2. Quali erano le attività principali svolte dai pellirosse? 3. Che cosa si intende con l’espressione Far West? 4. Che esito ebbe la guerra tra coloni e madrepatria negli Stati sudamericani? 5. Quali tensioni sociali esistevano negli Stati sudamericani prima dell’indipendenza? Quali dopo? 6. Che cosa sosteneva il presidente statunitense James Monroe? 7. In che modo e per quali motivi furono decimati i pellirosse nordamericani? 8. Quali erano le rivendicazioni dei creoli all’inizio del XIX secolo? 9. Da chi fu guidata la guerra tra coloni e madrepatria negli Stati sudamericani?

6. Leggi il documento “L’unione fa (farebbe) la forza” riportato a p. 270 e rispondi alle seguenti domande.

1. Come era soprannominato Simon Bolívar? Da dove proveniva? Che lavoro svolgeva? 2. Quali guerre furono condotte da Simon Bolívar? Con quali risultati? 3. Quale era il suo progetto politico? Che esito ebbe? Per quali cause? 4. Che cosa era la Repubblica di Gran Colombia? 5. Da quali Stati era composta? Per quanto tempo durò? Per quali cause finì? 6. Per quale motivo fu scritta la lettera di Simon Bolívar riportata nel documento? 7. Che cosa è stato stabilito dal voto dei deputati di Venezuela e Nuova Granada? 8. Quale è stata la reazione dell’Europa e degli Stati Uniti? 9. Quali sono le cause della reazione dell’Europa e degli Stati Uniti? 10. Quali elementi positivi potrebbero nascere dalla decisione presa dai deputati? 11. Quali caratteristiche sono attribuite alla Repubblica di Colombia?

Sulla base delle informazioni ricavate, scrivi un breve testo di massimo 10 righe dal titolo “Chi era Simon Bolívar”.

7. Leggi il documento “Civiltà a confronto” riportato a p. 274 e rispondi alle seguenti domande.

1. Quando iniziò la penetrazione dei coloni statunitensi verso ovest? Da che cosa fu agevolata? 2. Da chi e in che modo fu condotta la penetrazione dei coloni statunitensi verso ovest? 3. Che cosa si intende con l’espressione “mito della frontiera”? Che significato simbolico assume? 4. Che cosa differenziava le società degli indiani atlantici da quelle degli indiani oltre il Mississippi? 5. Che cosa sono le riserve? Per quale motivo furono istituite? 6. Quali erano le principali attività che caratterizzavano la società dei pellirosse? 7. Come si comportarono i conquistatori europei verso i bisonti? Per quale motivo? 8. Quali risultati comportò l’espansione dei coloni nelle società indiane? Per quale motivo? 9. Per quale motivo i pellirosse sono chiamati selvaggi? 10. Quali attività svolgono gli indiani giovani? Quali attività svolgono gli indiani anziani? 11. Quali caratteristiche della società statunitense sono assenti nella società dei pellirosse? 12. Che cosa studiano i pellirosse? Quali sono i loro bisogni primari? Quale attività svolgono le donne? 13. Che cosa fu proposto ai pellirosse dopo la firma del trattato di Lancaster? 14. Quale fu la reazione dei pellirosse alla proposta? Con quali argomentazioni? 15. Quale proposta fu fatta dai pellirosse ai signori della Virginia? Con quali argomentazioni? Sulla base delle informazioni ricavate, scrivi un breve testo di massimo 12 righe dal titolo “Pellirosse e visi pallidi”.

277

Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

22 Europa 1848: l’anno

Capitolo

278

delle rivoluzioni

Percorso breve Il 1848 fu un anno particolarmente critico nella storia d’Europa. Esso fu caratterizzato da un ampio movimento rivoluzionario che coinvolse la Francia, la Germania, l’Italia e l’Impero asburgico. In tutti questi paesi scoppiarono delle rivolte, sostenute non più solo dai ceti borghesi, che chiedevano libertà civili o indipendenza politica, ma anche dalle classi popolari, che rivendicavano migliori condizioni di lavoro e una maggiore giustizia sociale, in un periodo di particolare difficoltà per l’economia europea. La scintilla scoppiò a Parigi, dove la popolazione insorse contro il re Luigi Filippo per ottenere un allargamento del corpo elettorale e concreti interventi per migliorare il tenore di vita degli operai. Il re abdicò e si formò un governo repubblicano con la partecipazione dei democratici moderati e dei socialisti. Le due anime della rivolta si tradussero, da un lato, nell’introduzione del suffragio universale, dall’altro nella creazione di “laboratori nazionali”, un’industria di Stato voluta dal socialista Louis Blanc, destinata a dar lavoro ai disoccupati. La vittoria dei moderati alle elezioni segnò però la sconfitta del progetto socialista e la chiusura dei “laboratori”: gli operai insorsero e la rivolta fu soffocata dall’esercito. Presidente della nuova repubblica fu eletto Luigi Napoleone Bonaparte, che qualche anno dopo (1852) si fece proclamare imperatore col nome di Napoleone III, indirizzando in senso autoritario la vita dello Stato. In seguito ai fatti di Parigi, in molti paesi soggetti alla monarchia asburgica si ebbero insurrezioni a sfondo li-

Frédéric Sorrieu, La repubblica universale, democratica e sociale, 1848 [Musee de la Ville de Paris, Musee Carnavalet, Parigi]

berale (Boemia, Germania) talora complicate da rivendicazioni indipendentiste (Ungheria, Italia). Vienna, Budapest, Praga, Milano, Venezia si sollevarono. Anche a Berlino vi furono imponenti manifestazioni di protesta, volte a ottenere non solo l’indipendenza della Confederazione germanica dall’Austria, ma anche la riunificazione degli Stati tedeschi (tra i quali era già stata stipulata una unione doganale che abbatteva le frontiere facilitando gli scambi economici). Tutte le sollevazioni furono represse con la forza delle armi, ma la sfida era solo rimandata.

Capitolo 22 Europa 1848: l’anno delle rivoluzioni

279

22.1 Libertà, indipendenza, giustizia Tempo di rivolta Ci sono anni, nel flusso continuo degli eventi storici, che improvvisamente danno corpo ad attese, aspirazioni, tensioni, catalizzandole e facendole precipitare. Fu il caso del 1848 in Europa: quell’anno, il continente fu sconvolto da una serie di rivoluzioni scoppiate nelle capitali dei principali Stati e ben presto dilagate a macchia d’olio. Non a caso, l’espressione «scoppia un quarantotto» è rimasta anche nel linguaggio corrente a designare un improvviso caos, uno sconvolgimento che ribalta gli equilibri esistenti. Anni di crisi e carestie Gli storici sottolineano che nei due anni precedenti (1846-47) una grave crisi agricola – allargatasi poi al settore industriale e commerciale – aveva diffuso ovunque una situazione di disagio e malessere. Il caso più disperato fu quello dell’Irlanda dove, tra il 1845 e il 1850, un fungo infestante distrusse interi raccolti di patate, alimento base delle masse popolari. Il 1847 fu “l’anno nero” della carestia: morirono circa mezzo milione di irlandesi, molti altri emigrarono. Si calcola che nel giro di un decennio, dal 1841 al 1851, la popolazione crollò da 8.300.000 abitanti a soli 5.800.000. L’idea di libertà Anche nel resto d’Europa, seppure in forma decisamente meno drammatica, il cibo mancava e l’economia languiva. Tutto questo, però, non sarebbe bastato da solo a provocare le rivolte, se il tessuto sociale non fosse stato ormai permeato di ideali di libertà e di autonomia politica, quelli che avevano già trovato espressione nelle insurrezioni del 1820-21 e del 1830 e che nel frattempo si erano ulteriormente consolidati. In più, rispetto ad allora, ci fu l’emergere prepotente di rivendicazioni sociali, che, a differenza di quanto era accaduto nei decenni precedenti, portarono a una forte presenza delle masse popolari (operai e artigiani) nei moti insurrezionali, accanto alle borghesie liberali. Le rivoluzioni coinvolsero tutta l’Europa continentale, dalla Francia all’Impero asburgico, all’Italia, alla Confederazione germanica.

22.2 Parigi insorge di nuovo. La rivoluzione del 1848 in Francia Le difficoltà della monarchia Il movimento rivoluzionario ebbe inizio a Parigi. In Francia da qualche anno vi era una diffusa ostilità contro il re Luigi Filippo, portato al trono come sovrano costituzionale dalla rivolta del 1830 [ 20.3], che si mostrò incapace di fronteggiare la difficile situazione economica del paese. A risollevare le sorti del suo mandato non servì la conquista dell’Algeria, completata nel 1847 e presentata come inizio di una nuova fase per la Francia. Il malcontento della società I ceti borghesi chiedevano maggiori libertà e una riforma del sistema elettorale, che estendesse a un più alto numero di cittadini il diritto di voto: su 35 milioni di francesi, soltanto una minima parte, circa 250.000 persone, a quel tempo avevano il diritto di recarsi alle urne. Esasperati erano gli operai delle fabbriche, il nuovo ceto sociale formatosi con la rivoluzione industriale: pagati con salari bassissimi, chiedevano che il governo si occupasse anche dei loro problemi. Il ’46 e il ’47 erano stati anni particolarmente duri per i ceti popolari, a causa del cattivo raccolto delle patate e del forte aumento dei prezzi degli alimenti. Scontenti erano pure i contadini, colpiti anch’essi dalla crisi economica e dall’impoverimento.

George Frederic Watts, La fame in Irlanda, 1850 [The Trustees of the Watts Gallery, Guilford, Compton]

Questo dipinto mostra, in tutta la sua drammaticità, la situazione di grave crisi che attraversò l’Irlanda tra in 1845 e il 1850.

280

Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali Ancora barricate a Parigi In questo stato di generale inquietudine e malcontento bastava un’occasione perché la rivolta esplodesse. Essa si presentò il 22 febbraio 1848, quando il re, con un atto di autorità, proibì una riunione che avrebbe dovuto tenersi in un quartiere di Parigi per discutere la riforma elettorale. Il popolo, indignato per la proibizione, scese nelle strade con le armi in pugno e innalzò le barricate (23-24 febbraio), appoggiato dalla guardia nazionale che fece causa comune con gli insorti. La seconda repubblica Al termine di tre giorni di combattimenti la rivolta si concluse con la fuga del re e la proclamazione della repubblica, la seconda dopo quella giacobina del 1792 [ 13.1]. Si formò un governo provvisorio, costituito da politici di diverso orientamento: democratici moderati, come il poeta Alphonse de Lamartine (1790-1869), che fu eletto presidente dell’assemblea; socialisti come Louis Blanc [ 18.4].

I luoghi della storia

Le barricate

“Barricata” è un termine di origine francese, derivato da barrique che significa ‘barile’. Ciò perché i barili e le botti, che si rotolano e si trasportano con facilità, furono tra i primi oggetti a essere utilizzati per costruire, appunto, le barricate, che non solo a Parigi, ma in tutta l’Europa ottocentesca diventarono il simbolo della protesta, della rivolta, dell’insurrezione popolare. Ostruire le strade con ogni sorta di materiali era il primo modo

U

per impadronirsi di una città, impedendo l’accesso alle forze dell’ordine, combattendole al riparo delle cataste di oggetti accumulati. Non per nulla uno dei primi provvedimenti dell’imperatore Napoleone III fu quello di predisporre un nuovo piano urbanistico per la città di Parigi, che mirava a sventrare i vecchi quartieri pieni di vicoli e stradine per far posto ad ampi viali, i grandi boulevards, che tuttora contraddistinguono la città: questo era

omini di frenetica eloquenza arringavano la folla agli angoli delle strade; altri, nelle chiese, suonavano le campane a martello; si fondeva piombo, si confezionavano cartucce; alberi dei boulevards, vespasiani, panchine, cancellate, lampioni, tutto fu sradicato, rovesciato; all’alba Parigi era coperta di barricate. Non ci fu molta resistenza; si met-

anche un modo per ridurre i rischi delle barricate, divenute per il popolo parigino quasi il simbolo della protesta contro i poteri costituiti. Una suggestiva evocazione della Parigi rivoluzionaria, che fra l’altro descrive minuziosamente gli oggetti che contribuivano a formare le barricate, si trova nel romanzo L’educazione sentimentale di Gustave Flaubert (1821-1880).

teva in mezzo, dappertutto, la Guardia nazionale e alle otto, con le buone o con le cattive, il popolo s’era già impadronito di cinque caserme, di quasi tutte le sedi municipali, dei punti strategici decisivi. La monarchia si dissolveva, rapida e senza scosse.

Barricate in Rue St. Martin a Parigi, XIX sec.

Jean-Louis-Ernest Meissonier, Barricate del 1848, metà XIX sec. [Musée du Louvre, Parigi]

1848

O REGN

NORD

IRLANDA

REGNO

BALT

Amburgo DEIdelle PAESI rivoluzioni Capitolo 22 Europa 1848: l’anno 281 Hannover 1848

Pose 1846, BASSI INGHILTERRA Berlino 1831,1848 Amsterdam Colonia 1848 SIA RUS 1830, 1848 1848 DI P I primi provvedimenti del nuovo governo furono l’introduzione del suffragio uniO N Lipsia Boulogne REG versale maschile (il diritto di voto fu esteso a tutti i cittadini maschi, non però alle Bruxelles Francoforte 1830,1845 1840 Lilla 1830 1848 1841 Praga donne) e l’istituzione dei laboratori nazionali, un’industria creata dallo Stato in favore Brünn1 Stoccarda 1848 Parigi 1830, 1848 dei disoccupati, secondo il programma economico e sociale diOCEANO Blanc. Ulma 1847,1848 1847 Nantes REGNO DI FRANCIA Vi (Repubblica dal 1848) 1848 Sconfitta dei socialisti, vittoria dei conservatori Il progettoATLANTICO di trasformazione della Monaco 1848 Neuchâtel 1848

società in senso socialista, sostenuto da Blanc e dal proletariato parigino, si scontrò IMPERO D’ SVIZZERA La Coruña Limoges Lione1848 subito con l’insuccesso elettorale. Le elezioni indette il 23 1820 aprile 1848 diedero infatti Venezia 1848 Clermont Zag 1848 un’ampia maggioranza ai moderati (su 900 deputati, i socialisti non raggiunsero 1841 Torino Milano Verona 1821,1833, 1821,1848 il numero di cento): si formò un governo di orientamento conservatore e si ordinò 1848 1822 Porto Tolosa REGNO DI la chiusura dei laboratori nazionali per evitare un eccessivo rafforzarsi dei socialisti. 1820-23 STATO Firenze 1841 Marsiglia SARDEGNA Madrid 1848 DELLA Gli operai insorsero e per alcuni giorni (23-26 giugno) leREGNO vie di Parigi furono insan1848 1820-23,1835 CHIESA DEL guinate da una battaglia violentissima, nella quale caddero migliaia di operai sotto il Roma PORTOGALLO 1837,1848 Lisbona fu così fuoco delle truppe mobilitate dal governo. Il moto socialista Valencia sulBarcellona REGN REGNOstroncato 1820,1835,1842 1820-23 Napoli 1835 DELLE DI nascere.

1820,1848 DUE SIC

SPAGNA

L’impero di Napoleone III La vittoria dei conservatori fuCadice consolidata con la nomina a Palermo 1820, 1848 presidente della repubblica (10 dicembre 1848) di Luigi Napoleone Bonaparte (1848MAR MEDITERRANEO 1820-23 70), nipote del “grande” Napoleone, già affiliato alla Carboneria e di tendenze moderatamente liberali, uomo di grandi ambizioni che mirava soprattutto al potere personale. Appena tre anni dopo egli sciolse il Parlamento, assumendo pieni poteri, e nel 1852 si I moti rivoluzionari fece proclamare “imperatore dei francesi” col nome di Napoleone III. nella prima metà del XIX sec.

Moti rivoluzionari Paesi interessati dai moti del 1848 Confini della Confederazione germanica

MARE DEL IRLANDA

OCEANO ATLANTICO La Coruña 1820 Porto 1820-23 REGNO DEL PORTOGALLO Lisbona 1820-23 Cadice 1820-23

NORD

O DI DANIM REGN A

REGNO DI NORVEGIA

A RC

REGNO DI SVEZIA Copenaghen 1848

Riga 1847 MAR BALTICO

REGNO Amburgo Posen DEI PAESI Hannover 1848 1846, 1848 BASSI INGHILTERRA Berlino 1831,1848 Varsavia Amsterdam Colonia 1848 IA 1830,1831 USS 1830, 1848 R 1848 P DI NO Lipsia Boulogne REG Bruxelles Francoforte 1830,1845 1840 Lilla 1830 1848 Cracovia 1841 Praga Brünn1848 1846,1848 Stoccarda 1848 1830, 1848 Parigi (austriaca dal 1846) Ulma 1847,1848 1847 Nantes REGNO DI FRANCIA Vienna1848 (Repubblica dal 1848) 1848 Monaco 1848 Budapest 1848 Neuchâtel 1848

IMPERO RUSSO

IMPERO D’AUSTRIA SVIZZERA Limoges Lione1848 Venezia 1848 Clermont Zagabria 1848 1848 Torino 1841 Milano 1821,1833, 1821,1848 Verona 1848 1822 Tolosa REGNO DI I O M 1841 Marsiglia SARDEGNA Firenze STATO T Madrid P 1848 DELLA T E 1848 1820-23,1835 O CHIESA R O M Roma A N Barcellona 1837,1848 Valencia O REGNO REGNO 1820,1835,1842 Napoli 1835 DELLE DI 1820,1848 DUE SICILIE SPAGNA MAR MEDITERRANEO

Palermo 1820, 1848

Missolungi 1821 Epidauro 1822 GRECIA (indipendente dal 1822, riconosciuta nel 1830)

Moti rivoluzionari Paesi interessati dai moti del 1848 Confini della Confederazione

MAR NERO Istanbul

Johann Jakob Kirchhoff, Lotte in strada a Berlino il 18-19 marzo 1848 Baldassarre Verazzi, Combattimento a Palazzo Litta, 1848 [Museo del Risorgimento, Milano]

Il dipinto rappresenta un gruppo di patrioti di diversi ceti sociali difesi dalle barricate, durante le Cinque giornate di Milano, quando l’esercito asburgico fu cacciato dalla città.

22.3 Rivoluzioni e repressioni nell’Impero asburgico La borghesia contro l’assolutismo Gli eventi di Parigi del febbraio 1848 scatenarono una reazione a catena, provocando l’insurrezione dei liberali in molti paesi soggetti alla monarchia asburgica, considerata il centro dell’assolutismo europeo. Italiani e ungheresi reclamavano l’indipendenza per sottrarsi alla soggezione degli Asburgo; libertà e governi costituzionali chiedevano i boemi e i tedeschi. A differenza di quanto accadeva in Francia, la componente sociale e operaia nei territori imperiali rimase sullo sfondo: lo scontro con il potere asburgico fu sostenuto principalmente dalla borghesia liberale. Insurrezioni a catena La rivoluzione si estese con rapidità impressionante, come un incendio che si propaga. Il 13 marzo la protesta partì dalla stessa capitale, Vienna, dove la popolazione (tra cui moltissimi studenti) innalzò le barricate reclamando dall’imperatore Ferdinando I (1835-48) il licenziamento di Metternich (il quale infatti si dimise) e la Costituzione (che fu promessa). Il 15 marzo insorse la popolazione di Budapest, capeggiata da Lajos Kossuth (1802-1894), considerato poi un eroe nazionale, che costituì un governo autonomo ungherese. Il 17 e il 18 marzo insorsero le due principali città del Regno Lombardo-Veneto, Venezia e Milano [ 24.1]. Il 19 marzo si sollevò la popolazione di Praga, chiedendo autonomia e libertà per il popolo boemo; ma il bombardamento della città pose fine alle richieste dei patrioti e segnò l’inizio della repressione imperiale. La controffensiva militare Le rivolte di austriaci, ungheresi, boemi e italiani scoppiate nell’impero multinazionale degli Asburgo per ottenere libertà costituzionali e indipendenza furono tutte soffocate dalle forze militari, che ripresero saldamente il potere. Vienna, sede del Parlamento costituzionale dei liberali austriaci, fu sottoposta al bombardamento delle artiglierie e costretta a capitolare; i generali vittoriosi costrinsero all’abdicazione l’imperatore Ferdinando I, accusato di aver concesso la Costituzione, e misero sul trono suo nipote Francesco Giuseppe (1848-1916), che ristabilì la monarchia assoluta. Gli ungheresi, che si erano liberati dai legami con gli Asburgo di Vienna

Capitolo 22 Europa 1848: l’anno delle rivoluzioni

283

proclamando la repubblica al tempo di Ferdinando I, nel 1849 dovettero arrendersi all’intervento delle forze dello zar di Russia Nicola I, accorso su richiesta del nuovo governo viennese in mano a Francesco Giuseppe.

22.4 Insurrezioni nella Confederazione germanica Berlino insorge Lo stesso 18 marzo del 1848, mentre Milano si sollevava e le altre città dominate dagli Asburgo erano già in lotta, una rivolta a Berlino scosse anche il Regno di Prussia. A differenza di quanto accadeva nell’Impero asburgico, dove gli insorti chiedevano Costituzioni (come i boemi e i viennesi) o autonomia e indipendenza nazionale (come gli ungheresi e gli italiani), le sommosse che divamparono contemporaneamente nella Confederazione germanica nacquero dall’aspirazione a unificare l’eterogenea compagine delle popolazioni di lingua tedesca. La nascita di un sentimento nazionale La spinta unitaria dei vari territori tedeschi era già riconoscibile nei tentativi di reazione contro gli attacchi e le occupazioni subite al tempo di Napoleone [ 15.4], che nel 1806 dichiarò la fine del Sacro romano impero e la nascita della Confederazione germanica. La nuova formazione, organizzata in maniera più razionale e funzionale, riduceva a 39 il numero dei tantissimi staterelli di cui si componeva il Sacro romano impero e fu per questo riconfermata nel 1815 dal Congresso di Vienna, che ne affidò la presidenza all’Austria [ 19.2]. Nonostante i paesi della Confederazione germanica non fossero stati investiti dai moti del 1820 e del 1830, al suo interno si erano pienamente affermate le idee liberali e i sentimenti patriottici, sostenuti e rafforzati dai princìpi di libertà e di unità nazionale ispirati dal Romanticismo, un nuovo movimento culturale nato in Germania e diffusosi poi in Inghilterra, Francia e Italia. L’unione doganale I princìpi liberali dei patrioti tedeschi influenzarono anche gli attori della vita economica della Confederazione (industriali, commercianti, agenti finanziari) Anton Klaus, La battaglia di Alexanderplatz, XIX sec. [Sächsische Landesbibliothek, Dresda]

Questa litografia rappresenta, in tutta la sua forza, l’insurrezione di Berlino del 18-19 marzo 1848. Guidati dall’idea di unificare la Germania nel segno del liberalismo, i rivoltosi furono massacrati dalle milizie del re.

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Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

I modi della storia

Come il Romanticismo invocò la libertà

Nel XIX secolo, molti poeti e scrittori contribuirono a diffondere gli ideali della libertà attraverso un movimento letterario e culturale chiamato Romanticismo e “romantici” furono chiamati essi stessi. Nato in Germania alla fine del Settecento, a opera di filosofi e scrittori tra cui Johann Wolfgang Goethe (1749-1832), il Romanticismo si diffuse e si affermò in Europa durante il periodo della Restaurazione, tra il 1815 e il 1830. Gli scrittori romantici si opponevano a ogni forma di imposizione nel campo dell’arte. «L’artista – essi affermavano – non deve obbedire a regole fisse né deve imitare modelli precostituiti. Lo stile e la forma espressiva vanno liberamente creati dallo scrittore, devono essere opera sua personale e spontanea. Così pure, devono essere liberamente scelti gli argomenti da trattare». I romantici preferirono scrivere in uno stile semplice, chiaro e ricco di sentimento, affinché i libri fossero letti da molte persone, non soltanto

da pochi. «L’arte deve essere popolare e rivolgersi a tutti». L’Inghilterra fu uno dei primi paesi a recepire il messaggio romantico. Il poeta George Gordon Byron (1788-1824), morto nella guerra d’indipendenza greca, e lo scrittore Walter Scott (1771-1832), autore di numerosi romanzi storici tra i quali il celebre Ivanhoe, furono due dei protagonisti principali di questa tendenza. In Francia personalità d’eccezione furono il poeta Alphonse de Lamartine (17901869), presidente della seconda repubblica, lo scrittore Victor Hugo (1802-1885), ancora oggi popolare per il romanzo I miserabili, l’artista Eugène Delacroix (17981863), considerato il più grande pittore romantico del paese. «Il romanticismo – scrisse Victor Hugo – altro non è che il liberalismo in letteratura. Libertà nell’arte, libertà nella società: questo il duplice fine a cui debbono tendere con pari slancio tutti gli spiriti; questa la doppia bandiera attorno a cui si raggruppano i giovani

d’oggi e, con loro, il fiore della generazione che ci ha preceduti, tutti quei saggi anziani che hanno riconosciuto che la libertà letteraria è figlia della libertà politica. Tale il principio del secolo: e prevarrà. A popolo nuovo arte nuova».

In Italia, il Romanticismo si diffuse grazie all’opera divulgatrice di Madame de Staël (1766-1817) ed ebbe tra i suoi più illustri protagonisti, oltre a Silvio Pellico (l’eroe romantico incarcerato dagli austriaci nella fortezza dello Spielberg), lo scrittore Alessandro Manzoni (1785-1873), autore de I promessi sposi, dove, per la prima volta nella storia della letteratura, i protagonisti sono due popolani, Renzo e Lucia, perseguitati da un nobile prepotente. Il romanzo è ambientato in Lombardia durante il dominio spagnolo del Seicento e inquadra le vicende delle persone nel contesto storico di malgoverno, sfruttamento, fame, guerra: i malanni (così vuole insegnare Manzoni nel suo libro) che colpiscono un popolo quando è privo della libertà.

Heinrich Bürkel, Scene di vita intorno al Teatro di Marcello, XIX sec. [Kunstmuseum, Düsseldorf]

In questo quadro l’artista descrive con dovizia di particolari le attività quotidiane dei popolani romani che si aggirano nelle strade accanto agli imponenti ruderi di un grandioso passato. È questo uno tra i temi ricorrenti del Romanticismo in pittura.

Capitolo 22 Europa 1848: l’anno delle rivoluzioni e nel 1834 nacque con il patrocinio della Prussia lo Zollverein, una unione doganale che abbatteva le frontiere e le dogane di ben 19 Stati della Confederazione, costruendo uno spazio economico unitario là dove unità politica ancora non c’era. Ogni Stato della Confederazione, infatti, aveva sì una sua rappresentanza politica all’interno della Dieta di Francoforte (dove era la sede del Bundestag, il Parlamento federale), ma i suoi membri non disponevano di veri poteri istituzionali, che restavano in mano ai sovrani di ogni singolo Stato a loro volta soggetti al controllo austriaco.

La rivolta Quando nel 1848 alle richieste di riforme costituzionali rivendicate dai liberali e dai moderati si unirono quelle sociali di contadini e operai, la rivolta scoppiò irruenta nelle campagne e nelle città, a Berlino e negli altri Stati della Confederazione. Il re di Prussia Federico Guglielmo IV (1840-61) fu costretto a riunire il Parlamento; un’Assemblea nazionale costituente fu convocata a Francoforte, ma faticò a prendere orientamenti precisi. Da un lato le forze borghesi erano spaventate dalle sommosse operaie che qua e là scoppiavano, dall’altro l’idea di riunire gli Stati tedeschi contrapponeva quanti desideravano rimanere collegati all’Austria (sostenendo la creazione della cosiddetta “grande Germania”) ai fautori di uno Stato tedesco stretto attorno alla Prussia (la “piccola Germania”, senza l’Austria). Questi ultimi prevalsero e offrirono a Federico Guglielmo la corona imperiale, ma questi rifiutò; l’Assemblea fu sciolta e le milizie repressero tutte le rivolte ancora accese negli Stati della Confederazione. Un’occasione persa In Germania, così come negli altri paesi europei interessati dall’ondata rivoluzionaria, le insurrezioni del 1848 si risolsero in un fallimento. Una spiegazione dell’insuccesso sta nei contrasti tra le forze insurrezionali, che videro contrapporsi al loro interno le correnti liberali moderate e quelle democratiche radicali, più sensibili al collegamento con le forze popolari di ispirazione socialista. Queste contraddizioni per il momento ebbero la meglio, ma la sfida era solo rimandata.

Le vie della cittadinanza

I

Stato, nazione, nazionalità

l termine “nazione” (derivato dal latino natio, ‘nascita’) letteralmente indica un insieme di persone che hanno in comune l’origine etnica e, con essa, una lingua, un credo religioso, dei modi di vita. Tuttavia gli storici tendono oggi a rivedere il concetto di “etnia”, interpretandolo non tanto come una realtà biologica, determinata dalla nascita, ma soprattutto come una realtà culturale, determinata dalla storia: la condivisione di una lingua, di una religione, di certe abitudini e consuetudini in questo senso non sarebbe da interpretare come la condizione di partenza perché una “etnia” o “nazione” si affacci alla storia, bensì come il punto di arrivo di una storia più o meno lunga di convivenza e di adattamento. In questo senso, l’idea di “nazione” (che indica i membri di una comunità etnica) tende a sovrapporsi a quella di “Stato” (che sono le strutture organizzative della comunità), andando quasi a coincidere con il concetto intermedio di “nazionalità”, che indica l’appartenenza di una persona a una comunità politica. Per esempio, quando parliamo di “nazione

italiana”, non intendiamo solo i cittadini di origine italiana, ma tutti coloro che, anche di origine non italiana, possiedono la nazionalità italiana, ossia godono del diritto di cittadinanza nello Stato italiano. Se, dunque, dal punto di vista teorico non c’è coincidenza fra le idee di nazione e di Stato, di fatto, però, le due cose tendono a coincidere, giacché l’appartenenza a una medesima comunità politica costruisce, nel tempo, un’identità nazionale. In qualche raro caso l’identità è legata anche a un’origine comune della popolazione; normalmente questo non accade. Esistono oggi, e sono esistite in passato, nazioni senza Stato: un caso esemplare è quello dei curdi, che, distribuiti in cinque Stati diversi (Turchia, Armenia, Iran, Iraq, Siria), costituiscono tuttavia una forte comunità etnica. Viceversa, esistono Stati con componenti nazionali fortemente individuate: la Spagna include minoranze di baschi e una vasta comunità catalana che parla una lingua diversa dal castigliano (impropriamente chiamato “spagnolo”); il Belgio comprende una comunità vallone, di

lingua francese e di religione cattolica, accanto a una comunità fiamminga, di lingua olandese e di religione protestante; la Svizzera comprende tre aree culturali diverse in cui si parlano, rispettivamente, il tedesco, il francese e l’italiano. Dovremmo forse concluderne che non esiste una “nazione” svizzera, o belga? Un senso di comune appartenenza a un paese, a uno Stato? La risposta evidentemente è negativa. Nonostante le tensioni, o talvolta le rivalità che esistono fra popolazioni di diversa origine che risiedono nello stesso paese, il sentimento “nazionale” si costruisce nel tempo a partire dalla condivisione di interessi comuni. Un caso esemplare è quello degli Stati Uniti, che letteralmente non potrebbero definirsi una “nazione” in quanto comprendono al loro interno centinaia di popolazioni diverse, con tradizioni e religioni diverse (recenti censimenti ne hanno registrate più di 400). Eppure, gli americani sentono di essere una nazione. E dunque lo sono, perché il senso di appartenenza nazionale non è scritto nel sangue ma è un frutto della storia.

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Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

Sintesi

Europa 1848: l’anno delle rivoluzioni

Libertà, indipendenza, giustizia Nell’anno 1848 scoppiarono in Europa una serie di rivoluzioni, che dalle capitali dei principali Stati si allargarono a macchia d’olio. Tra le cause di questi eventi gli storici pongono una grave crisi agricola (1846-47), con esiti particolarmente tragici in Irlanda, dove la distruzione di interi raccolti di patate causò un gran numero di morti e di emigrati, e soprattutto l’ampia diffusione degli ideali di libertà e autonomia politica, cui si sommavano le rivendicazioni sociali del popolo (operai e artigiani), che prese parte alle rivolte accanto alla borghesia liberale. Parigi insorge di nuovo. La rivoluzione del 1848 in Francia I moti rivoluzionari ebbero inizio a Parigi, dove, nonostante la conquista dell’Algeria, l’ostilità verso il re Luigi Filippo era crescente, per l’incapacità del re di affrontare la situazione economica del paese. Il malcontento era diffuso in tutte le classi sociali. I borghesi chiedevano maggiori libertà e un ampliamento del diritto di voto; il popolo era in difficoltà per l’aumento dei prezzi e i cattivi raccolti; gli operai avevano salari bassissimi e i contadini erano fortemente impoveriti dalla crisi economica. L’occasione per lo scoppio dell’insurrezione fu la proibizione di una riunione per discutere la riforma elettorale: il popolo scese in strada, sostenuto dalla guardia nazionale. Il re fuggì, fu proclamata la repubblica e instaurato un governo provvisorio, formato da esponenti di diverse tendenze politi-

che, che introdusse il suffragio universale maschile e i laboratori nazionali, un’industria statale creata allo scopo di impiegare i disoccupati, ispirata dalle idee socialiste di Louis Blanc. Alle elezioni dell’aprile 1848 prevalse una maggioranza moderata e si formò un governo conservatore, che chiuse i laboratori nazionali e represse la successiva insurrezione socialista. Nel dicembre fu nominato presidente della repubblica Luigi Napoleone Bonaparte (nipote di Napoleone I), di tendenze liberali moderate, che progressivamente assunse i pieni poteri: nel 1851 sciolse il Parlamento e si fece proclamare “imperatore dei francesi” (1852). Rivoluzioni e repressioni nell’Impero asburgico Dopo gli eventi parigini, nei paesi soggetti al dominio asburgico si ebbero diverse insurrezioni sostenute dalla borghesia liberale (senza la componente operaia), in cui alle richieste di libertà e Costituzioni si sommavano quelle di indipendenza, portate avanti da italiani e ungheresi. Nel mese di marzo 1848 le rivolte si diffusero rapidamente: la prima a insorgere fu Vienna, dove Metternich si dimise e venne promessa una Costituzione. Fu poi la volta di Budapest, dove si formò un governo provvisorio autonomo, di Milano e Venezia e infine di Praga. Nella città boema fu attuata una dura repressione ed essa venne bombardata, come in seguito anche Vienna; Budapest sarà ripresa dopo l’intervento delle truppe dello zar di Russia. A Vienna l’imperatore abdicò e sul trono

fu posto Francesco Giuseppe (1848-1916), che immediatamente ristabilì la monarchia assoluta. Insurrezioni nella Confederazione germanica Nel marzo del 1848 scoppiò una rivolta anche in Prussia, il cui fine era di unificare le popolazioni di lingua tedesca. Nel corso del XIX secolo la crescente spinta all’unificazione dei territori tedeschi aveva portato ad alcuni risultati: nel 1806 venne costituita da Napoleone I la Confederazione germanica, confermata dal Congresso di Vienna; nel 1834 era stata introdotta l’unione doganale tedesca (Zollverein), che aboliva dogane e frontiere in 19 Stati; inoltre, con la Dieta di Francoforte, gli Stati avevano anche una forma di rappresentanza politica, seppure priva di poteri sostanziali. Diverse istanze portarono al moto del 1848: i liberali e moderati volevano riforme costituzionali, i contadini e gli operai chiedevano riforme sociali. La rivolta, scoppiata a Berlino, si estese alle campagne e ad altri Stati della Confederazione. Il re di Prussia convocò il Parlamento e un’Assemblea nazionale costituente, i cui lavori non portarono ad alcun risultato, a causa delle divisioni interne. Venne proposta al re la corona imperiale di una Germania unita senza l’Austria; ma dopo il suo rifiuto l’Assemblea fu sciolta e l’insurrezione fu repressa dall’esercito. Il fallimento delle istanze rivoluzionarie fu determinato dalle divisioni tra i moderati liberali e i radicali democratici.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1792

1806

1815

1834

1845

1. Congresso di Vienna 2. Napoleone III imperatore dei francesi 3. repressione della rivolta ungherese a opera dell’esercito dello zar 4. in Irlanda un fungo infestante inizia a distruggere le coltivazioni di patate

1847

5. 6. 7. 8. 9. 10.

1848

1849

1851

è istituita l’unione doganale tra 19 Stati tedeschi nascita della Confederazione germanica Luigi Napoleone scioglie il Parlamento francese conquista francese dell’Algeria repubblica giacobina in Francia insurrezione popolare a Milano

1852

Capitolo 22 Europa 1848: l’anno delle rivoluzioni

2. Associa le seguenti date all’evento corrispondente. Data: 15 marzo 1848 • 23 febbraio 1848 • 19 marzo 1848 • 23 aprile 1848 • 10 dicembre 1848 • 18 marzo 1848 • 23 giugno 1848 • 18 marzo 1848 • 22 febbraio 1848 • 17 marzo 1848 • 13 marzo 1848 Evento: rivolta a Berlino • inizio del moto socialista a Parigi • insurrezione a Venezia • insurrezione popolare a Parigi • insurrezione popolare a Vienna • sollevazione popolare a Praga • elezioni in Francia a suffragio universale maschile • Luigi Napoleone presidente della Repubblica francese • Luigi Filippo vieta una riunione a Parigi per discutere la riforma elettorale • insurrezione popolare a Budapest DATA

EVENTO

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3. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. abdicazione • artiglieria • bombardamento • Bundestag • salario • proclamazione • Romanticismo • Zollverein Unione doganale tedesca Tiro continuo di armi da fuoco su una zona tale da provocarne la distruzione Movimento culturale nato in Germania all’inizio dell’Ottocento Rinuncia al trono da parte di un sovrano Parlamento tedesco Retribuzione del lavoratore subordinato e dell’operaio Complesso di armi da fuoco pesanti Annuncio con valore ufficiale

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Dopo le elezioni del 1848, in Francia salì al potere il nipote di Napoleone Bonaparte.

V

F

h. I membri della Dieta di Francoforte disponevano di veri poteri istituzionali.

V

F

b. Nel 1848 la corona imperiale austriaca passò a Francesco Giuseppe.

V

F

i. I socialisti francesi appoggiavano la creazione dei laboratori nazionali.

V

F

c. In Italia e in Boemia gli insorti reclamavano l’indipendenza dal potere degli Asburgo.

V

F

l. La guardia nazionale si oppose alle insurrezioni popolari del febbraio 1848 a Parigi.

V

F

d. Il Romanticismo promuoveva i princìpi di libertà e di unità nazionale.

V

F

m. La “grande Germania” comprendeva i territori della Confederazione, della Prussia, dell’Austria.

V

F

e. La crisi agricola del 1846-47 ebbe i suoi esiti più gravi in Scozia.

V

F

n. La conquista dell’Algeria fu presentata come l’inizio di una nuova fase per la Francia.

V

F

f. Nel 1848 apparvero le rivendicazioni sociali a opera degli operai e degli artigiani.

V

F

o. Le rivolte nell’Impero asburgico furono soffocate dalle forze militari.

V

F

g. In Prussia le rivolte furono sostenute solamente dalla borghesia liberale.

V

F

p. Dopo la rivoluzione del 1848, in Francia fu introdotto il suffragio universale.

V

F

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288

Modulo 6 L’età dei nazionalismi e dei moti liberali

5. Completa la seguente mappa concettuale inserendo le informazioni mancanti. alimenti • ampliamento • aumento • barricate • borghesia • conquista • consenso • contadini • crisi • governo • guardia nazionale • impoverimento • incapacità • insurrezione • libertà • malcontento • operai • ostilità • patate • peggioramento • prezzi • raccolto • re • repubblica • riforma • salari • voto L’INSURREZIONE PARIGINA DEL 1848: PROTAGONISTI, CAUSE, EFFETTI • ................................................... verso il .................... accusato di ................................................... nell’affrontare la .................................... economica • ......................................................... Algeria: non aumenta il .........................................................

...................................................

diffuso nella società francese

...................................................

rivendicazioni: maggiore ....................................., ................................... del sistema elettorale, ...................................... diritto di ....................

CETI POPOLARI difficoltà nei due anni precedenti: cattivo .................................. delle ................................, ................................ dei prezzi degli ................................

...................................................

...................................................

ceto sociale di formazione recente (rivoluzione industriale): ............................... bassissimi, ....................................... indifferente ai loro problemi

...................................................... condizioni

di vita: .........................................

economica, ...................................................

Situazione esplosiva: • ............................................... e ................................................ popolare appoggiata dalla ............................................... • Fuga del ................................................................................ • Proclamazione della .......................................................

6. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. abolizione • Assemblea • assenza • Austria • Confederazione germanica • con • Congresso di Vienna • contrasti • controllo • costituente • Dieta di Francoforte • doganale • fallimento • fine • frontiere • grande • libertà • nazionale • inizio • piccola • rappresentanti • Romanticismo • senza • unità • Zollverein I PRIMI PASSI DELL’UNIFICAZIONE TEDESCA 1806

1815

1820-30

1834

1848

• ......................... del Sacro romano impero • .................................. della

..................................................

Diffusione ........................... e delle idee di ................... e unità ..................................

• .............................................. (unione ..............................): ...................................... delle

• .............................................. nazionale

..................................................

..................................................

..................................................

..................................................

..................................................

(39 Stati)

con presidenza all’............................................

e dogane tra ...................... Stati • .............................................. ................................................:

..................................................

confermata dal

..................................................

degli Stati; .......................... di poteri reali; ................... ................................... e Stati

..................................................

• Due concezioni: Germania (....... Austria) e ................... Germania (.......................... Austria) • .......................................... a causa .................................... tra forze insurrezionali ..........................

Capitolo 22 Europa 1848: l’anno delle rivoluzioni

Analizzare e produrre 3. Quando scoppiò la rivolta in Ungheria? Chi la sostenne? Come si sviluppò? Come si concluse? 4. Quando scoppiò la rivolta in Boemia? Chi la sostenne? Come si sviluppò? Come si concluse? 5. Quando scoppiò la rivolta in Prussia? Chi la sostenne? Come si sviluppò? Come si concluse?

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando scoppiò la rivolta in Francia? Chi la sostenne? Come si sviluppò? Come si concluse? 2. Quando scoppiò la rivolta in Austria? Chi la sostenne? Come si sviluppò? Come si concluse?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella. I MOTI DEL 1848 DOVE

Francia

Austria

Ungheria

Boemia

Prussia

QUANDO

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PERCHÉ

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CHI PARTECIPA

EPISODI SALIENTI

ESITO FINALE

8.

Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” a p. 284 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa indica alla lettera il termine “nazione”? 2. Come interpretano oggi gli storici il concetto di “etnia”? 3. Che cosa si intende oggi per nazione? Per Stato? Per nazionalità? 4. Che cosa si intende parlando di “nazione italiana”?

5. Dal punto di vista politico, cosa accomuna i concetti di “nazione” e di “Stato”? 6. Esistono nazioni senza Stato? 7. Esistono Stati con diverse componenti nazionali al proprio interno? 8. Come si costruisce il sentimento nazionale? 9. Perché gli Stati Uniti sono presi come esempio di costruzione del sentimento nazionale?

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La discussione storiografica

L’idea di nazione L

’idea di nazione, tipico prodotto della cultura dell’Ottocento, è stata declinata fin dagli inizi in modi diversi e contrastanti: da un lato la “nazione” è stata pensata come realtà naturale, per così dire biologica, definita dall’appartenenza a un gruppo etnico, a un popolo originario di un determinato territorio; dall’altro è stata pensata come appartenenza politica a una comunità, frutto di una scelta “culturale” più che di una condizione “naturale”. Tale distinzione fra un’accezione “naturalistica” e una “volontaristica” dell’idea di nazione è al

centro di un celebre lavoro dello storico italiano Federico Chabod (1901-1960), intitolato per l’appunto L’idea di nazione, pubblicato postumo nel 1961. Egli sottolineava come la prima accezione, fondata su presunti fattori naturali quali la discendenza, il sangue, il legame con un territorio, avesse preso forma nell’Ottocento soprattutto nei paesi di cultura tedesca, in stretto rapporto con lo sviluppo del Romanticismo, mentre l’accezione “volontaristica” si era sviluppata all’interno della cultura inglese e francese, in cui, fin dai secoli XVII e XVIII, aveva preso

corpo l’idea della politica come “contratto sociale”. Analoga distinzione fu proposta dallo storico céco Hans Kohn (18911971) in un saggio del 1944, L’idea del nazionalismo nel suo sviluppo storico, che identificava da un lato un nazionalismo europeo “occidentale” attento soprattutto al tema dei diritti politici e delle libertà civili, che avrebbe sviluppato una vocazione più aperta e democratica; dall’altro un nazionalismo “orientale”, legato ai temi dell’appartenenza etnica, da cui sarebbero scaturiti – soprattutto in Germania – autoritarismo e intolleranza.

ottocentesca, con altri valori quali il liberalismo, la democrazia, il socialismo, sovrapponendosi o contrapponendosi a essi in modi ogni volta diversi. Il secondo brano è dello storico italiano Alberto Mario Banti (1957) e si riferisce alle “narrazioni mitiche” che nell’Ottocento accompagnarono la nascita delle varie tradizioni nazionali: un carattere comune di queste narrazioni, egli osserva, è quello di rievocare una vicenda storica reale, ma

infarcita di elementi immaginari, segnata da un atto di violenza ai danni di un popolo da parte di un oppressore; a esso fanno seguito il riscatto e la riconquista della libertà da parte del popolo oppresso, che in tal modo consolida la propria coscienza “nazionale”. Questo genere di racconti, solitamente ambientati nel Medioevo, sono tipici della letteratura romantica e servono a dare legittimazione storica ai nazionalismi ottocenteschi.

I testi I due principali filoni del nazionalismo ottocentesco sono esaminati nel primo brano che presentiamo, opera dello storico francese René Rémond (1918-2007). Anch’egli insiste sulla duplicità dell’idea di nazione, che può assumere caratteri progressivi e “democratici” o, al contrario, “tradizionalisti” e autoritari. In particolare egli fa notare come il nazionalismo non appaia mai come un valore a sé stante, bensì si incroci, nella cultura

Il nazionalismo fra democrazia e autoritarismo René Rémond

In una prospettiva più larga, paragonato al liberalismo, alla democrazia e al socialismo, il movimento delle nazionalità copre un periodo più lungo, perché si estende per tutto il XIX secolo, mentre i tre movimenti si succedono l’uno all’altro. Il movimento nazionale è contemporaneo di tutti e tre i fenomeni. Il fatto nazionale si afferma fin dal 1815, e con quanta forza! Alla vigilia del 19141 non ha perduto nulla della sua intensità; in Europa, si prolungherà molto oltre il conflitto, e anzi troverà un quadro più largo, con i movimenti di decolonizzazione2 che gli si possono ricollegare. 1 Inizio della Prima guerra mondiale. 2 La conquista dell’indipendenza da parte delle colonie, nel corso del Novecento.

A questa prima differenza nel tempo se ne aggiunge un’altra, nello spazio. Mentre il dominio del liberalismo resta per lungo tempo limitato all’Europa occidentale, tutti i paesi – o quasi – hanno attraversato crisi legate al fenomeno nazionale, anche quelli in cui l’unità nazionale era lo sbocco di una storia plurisecolare. […] Il fatto nazionale appare dunque universale, ed è singolare come questo movimento, che è l’affermazione della particolarità, sia forse il fatto più universale della storia. È presente nella maggior parte delle guerre del XIX secolo. È questa una caratteri-

La discussione storiografica L’idea di nazione

stica che differenzia i rapporti internazionali prima e dopo il 1789. Nell’Europa dell’antico regime, le ambizioni dei sovrani stavano alla radice dei conflitti. Nel XIX secolo, il sentimento dinastico ha ceduto il passo al sentimento nazionale, parallelamente al trasferimento di sovranità dalla persona del monarca alla collettività nazionale. Le guerre d’indipendenza italiane, dell’unità tedesca, la questione d’Oriente3, tutto ciò deriva dalla rivendicazione nazionale. Il fatto nazionale, insieme a quello rivoluzionario, nel XIX secolo è il più decisivo fattore di rivolgimento. Il fatto nazionale, certo perché si estende per un periodo più lungo di quello delle altre tre correnti, e probabilmente anche perché concerne paesi molto diversi fra loro, non è contrassegnato da nessuna ideologia determinata, non ha legami sostanziali con nessuna delle tre ideologie, non possiede un colore politico uniforme. Tuttavia, l’idea nazionale di solito non è autosufficiente: propone all’intelligenza politica una specie di quadro, che esige d’esser riempito. Siccome l’idea nazionale ha bisogno di associarsi ad altre idee politi-

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che, di amalgamarsi con altre filosofie, può entrare in diverse combinazioni, che non sono determinate in anticipo. L’idea nazionale può accordarsi sia con una filosofia di sinistra, sia con un’ideologia di destra. […] Questa indeterminatezza del fatto nazionale, questa possibilità di praticare alleanze di ricambio spiegano le variazioni di cui la storia offre più d’un esempio. In particolare spiegano l’esistenza di due nazionalismi, uno di destra e l’altro di sinistra, uno piuttosto aristocratico e l’altro popolare: il primo ha tendenze conservatrici e tradizionaliste, attinge i suoi quadri e i suoi dirigenti fra i notabili tradizionali; il secondo è incline alla democratizzazione della società e recluta i suoi seguaci fra gli strati popolari. R. Rémond, Introduzione alla storia contemporanea, 2: Il XIX secolo, Milano 1976, pp. 177 sgg.

3 La questione d’Oriente vide concorrere tra loro le potenze europee per il controllo dei territori del debole Impero ottomano.

L’invenzione delle storie nazionali Alberto Mario Banti

In termini generali, le storie nazionali seguono un modello narrativo piuttosto uniforme, declinato poi secondo diverse scansioni specifiche: l’origine è fatta derivare da un atto di violenza perpetrato contro un popolo nativo di una terra, e la vicenda politica di quella terra, di quella nazione, è poi tutta intessuta della lotta del popolo oppresso contro gli oppressori nel tentativo di riconquistare le perdute libertà. E così, in Inghilterra, la storia originaria della nazione inglese viene presentata come la lotta degli anglo-sassoni e dei loro eredi contro il giogo normanno, nel tentativo di recuperare le libere istituzioni di cui l’Inghilterra anglo-sassone era dotata, e di cui era stata privata dalla prepotenza dei re e dei nobili normanni, ed è una storia che trova spazio nei testi di Turner, di Scott, e più tardi di Charles Kingley, Edward Freeman, William Stubbs1. In Francia, la storia è declinata nella forma della lotta degli eredi delle popolazioni gallo-romane, portatori dei sentimenti di libertà incorporati negli antichi municipia, contro l’oppressione dei nobili franchi e dei loro monarchi, e trova spazio negli scritti di Augustin Thierry come di suo fratello Amédée, di Fauriel come di Eugène Sue o di Alexandre Dumas2. In Germania lo spazio è occupato dalla rivalutazione delle radici barbariche, dalla riscoperta dell’opera di Tacito [sui germani], dall’esaltazione di Arminio, il capo cherusco, vincitore con i suoi guerrieri sulle legioni di Varo nella battaglia di Teutoburgo: radici autoctone e sentimenti anti-francesi si assommano in una ricostruzione che fa largo spazio al rilancio di una mitografia germanica, anche

attraverso la riscoperta e la valorizzazione del Canto dei Nibelunghi. In Italia questa storia prende la forma della narrazione dell’oppressione da parte di un’innumerevole sequenza di popoli stranieri, che è subita dagli antichi “italiani”, come Manzoni chiama gli abitanti della penisola all’altezza del VI secolo d.C., quando si profila la grande invasione longobarda. Come è stato notato, fin dalla sua diffusione in epoca romantica queste narrazioni tendono a enfatizzare i caratteri più puramente etnici degli attori collettivi della storia, i popoli/nazioni. E questo aspetto diventa assolutamente evidente in gran parte del discorso intellettuale, politico o scientifico del XIX secolo europeo. Il lignaggio e le relazioni di sangue, l’idea di una comunità di discendenza, dotata di una storia comune, diventano i materiali ordinari dei ragionamenti e delle opere scritte da intellettuali del calibro di Benjamin Disraeli, Charles Kingsley, John Seeley o Hippolyte Taine. Il senso di questa strategia retorica è piuttosto chiaro: dare forza politica alle ipotesi politiche che si vogliono far derivare dall’esistenza di una nazione naturalisticamente strutturata. A.M. Banti, L’onore della nazione, Torino 2005, pp. 170-171

1 Storici e scrittori inglesi del periodo romantico. 2 Storici e romanzieri francesi dell’Ottocento.

Modulo 7

L’unità italiana L’unità

italiana Capitolo 23

Un’idea nuova: l’unità italiana Il fallimento dei moti insurrezionali italiani del 1820-31 segnò la crisi della Carboneria e delle altre associazioni clandestine. I loro programmi erano apparsi troppo ristretti e scollegati, privi di una visione generale delle necessità del paese. Incominciò così a formarsi un’idea politica nuova: quella di unificare l’Italia e di superare le divisioni che da secoli separavano gli Stati della penisola. Fra i primi a occuparsi della questione vi furono Giuseppe Mazzini, che immaginò un’Italia unita e repubblicana, da costruire con la rivoluzione popolare, e Vincenzo Gioberti, che pensò a un’Italia federale, voluta dai sovrani e presieduta dal papa.

Capitolo 24

Le rivolte del 1848 Come il resto d’Europa anche l’Italia fu investita dai moti rivoluzionari del 1848, che rivendicavano l’indipendenza e l’unità del paese. L’insurrezione ebbe inizio a Venezia e a Milano, poi si estese a gran parte della penisola e si trasformò in guerra aperta contro l’Austria. A guidare l’esercito di riscossa nazionale si pose Carlo Alberto di Savoia, ma dopo l’iniziale entusiasmo una serie di insuccessi sancì la sconfitta del re e dei rivoluzionari e la riaffermazione degli antichi poteri monarchici.

Capitolo 25

La seconda guerra d’indipendenza Nel decennio 1849-59 maturarono le condizioni che resero possibili l’indipendenza e l’unificazione dell’Italia. Per il raggiungimento di questo risultato fu determinante l’opera diplomatica di Cavour e del Piemonte, l’unico Stato italiano che, dopo la guerra perduta e l’insuccesso delle rivoluzioni del ‘48, era rimasto fedele alla Costituzione e aveva conservato ordinamenti di libertà civile. Grazie ad abili manovre politiche e all’alleanza con la Francia, il Piemonte spinse l’Austria alla guerra e riuscì a sottrarle la Lombardia.

Capitolo 26

Nasce il Regno d’Italia Il processo di unificazione politica dell’Italia, iniziata dalla monarchia sabauda con la guerra del 1859, continuò con l’annessione al Piemonte della Toscana, dell’Emilia e della Romagna e fu avviata a compimento nel 1860 dalle forze popolari che diedero vita a uno degli episodi più famosi del Risorgimento italiano: la conquista del Regno delle Due Sicilie per opera di un gruppo di volontari guidati da Giuseppe Garibaldi.

Capitolo 27

Italia 1861. La formazione dello Stato I primi governi dell’Italia unita, espressione della Destra parlamentare, dovettero affrontare i gravi problemi di un paese analfabeta, malnutrito, privo di infrastrutture e di comunicazioni. Il nuovo Stato si dotò di una struttura amministrativa e politica fortemente centralizzata ma tale scelta provocò gravi squilibri fra il Nord e il Sud, suscitando malcontenti e un fenomeno, il brigantaggio, per molti versi simile a una vera guerra civile.

Modulo 7 L’unità italiana

23 Un’idea nuova:

Capitolo

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l’unità italiana

Percorso breve Falliti i moti insurrezionali del 1820-31, prese corpo in Italia l’esigenza di superare la logica delle sètte clandestine e delle insurrezioni locali, di affrontare in maniera più organica i problemi del paese, di discuterli in modo aperto tra fasce più larghe di popolazione. Tra i primi a porre questi temi fu Giuseppe Mazzini, fondatore della “Giovine Italia”, un’organizzazione patriottica che si proponeva il triplice scopo di rendere l’Italia unita, indipendente e repubblicana. Secondo Mazzini, il mezzo per attuare tale programma era l’insurrezione popolare, da avviarsi mediante la formazione di bande armate nei diversi Stati della penisola, dopo un’intensa opera di propaganda. La Giovine Italia si diffuse tra le borghesie cittadine e gli ufficiali dell’esercito e preparò diversi moti insurrezionali: tutti ebbero esiti negativi, finendo con il carcere e condanne a morte per i rivoltosi (particolarmente tragica fu, nel 1844, la spedizione in Calabria dei fratelli Bandiera, catturati e uccisi dai soldati borbonici con l’aiuto dei contadini). Lo stesso Mazzini dovette fuggire dall’Italia. L’idea dell’Italia unita trovava un grosso ostacolo nel problema di coscienza che poneva ai cattolici: unificare l’Italia significava, infatti, mettere fine agli Stati locali e fra essi anche allo Stato pontificio. A tale questione cercò di dare risposta Vincenzo Gioberti, che immaginò un paese federato per iniziativa degli stessi sovrani, a capo del quale ci sarebbe stato il pontefice. Questa idea ebbe un certo successo e parve addirittura concretizzarsi quando il nuovo papa Pio IX, eletto nel 1846, concesse l’amnistia ai prigionieri politici e avviò una serie di riforme, suscitando un tale movimento d’entusiasmo da costringere i sovrani di Napoli, Firenze e Torino (e poi lo stesso pon-

Camillo Costa, La fucilazione dei fratelli Bandiera, XIX sec. [Museo del Risorgimento, Istituto Mazziniano, Genova]

tefice) a concedere una Costituzione, mentre tra gli Stati della penisola si costituiva una Lega doganale. Al programma di Gioberti si affiancarono altri progetti federalisti moderati, avanzati dai piemontesi Balbo e Durando, mentre i milanesi Cattaneo e Ferrari proposero un federalismo democratico e repubblicano. In modi diversi, l’idea di unificare l’Italia si stava ormai imponendo all’attenzione generale.

Capitolo 23 Un’idea nuova: l’unità italiana

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23.1 Unita, indipendente, repubblicana: l’Italia di Giuseppe Mazzini Un’Italia da far rinascere Falliti i moti insurrezionali del 1820-31, prese corpo in Italia l’esigenza di superare la logica delle sètte carbonare e delle insurrezioni locali, di affrontare in maniera più ampia e organica il problema della libertà e dell’indipendenza del paese, discutendolo in modo aperto e diffondendone la consapevolezza tra fasce più larghe di popolazione. Tra i primi a porre con chiarezza questi temi fu il genovese Giuseppe Mazzini (1805-1872) che, con il suo pensiero e la sua opera, ebbe una fondamentale importanza nel pubblicizzare e nel rendere di generale interesse il problema del “Risorgimento d’Italia”, come in quegli anni si cominciò a chiamare il moto di riscossa politica e culturale che avrebbe portato il paese all’indipendenza. Mazzini e la Giovine Italia A soli 22 anni Mazzini si iscrisse alla Carboneria, ma, denunciato da una spia, fu imprigionato nelle carceri di Savona. Nella solitudine del carcere meditò a lungo sugli insuccessi delle associazioni segrete e maturò la convinzione che i problemi dell’Italia si dovevano affrontare in modo diverso da quelli praticati fino ad allora. Scarcerato dopo tre mesi per mancanza di prove, Mazzini, piuttosto che rimanere in patria sorvegliato dalla polizia, preferì l’esilio e si trasferì in Francia, a Marsiglia, dove prese contatto con altri emigrati politici (tra cui quel Filippo Buonarroti coinvolto nella “congiura degli uguali” organizzata da Babeuf, 13.6). A Marsiglia Mazzini fondò nel 1831 una nuova organizzazione rivoluzionaria, a cui diede il nome di Giovine Italia: “giovine” perché si rivolgeva di preferenza alle nuove generazioni, “Italia” perché, differenziandosi dalle società segrete precedenti, aveva come obiettivo non questo o quel problema locale, ma l’Italia intera, e si rivolgeva pertanto a tutti gli italiani. Nuovi princìpi per l’Italia e per l’Europa Il programma della Giovine Italia fu indicato da Mazzini in tre punti fondamentali: unità, indipendenza, repubblica. Unità: si dovevano abolire gli Stati esistenti e creare un unico Stato italiano. Questa idea era una delle maggiori novità del programma mazziniano e, a quei tempi, pochi la condividevano (secoli di divisione politica avevano contribuito a formare nelle popolazioni mentalità e abitudini diverse). Indipendenza: bisognava liberare l’Italia da ogni soggezione straniera, in particolare da quella austriaca. Repubblica: era necessario fondare in Italia uno Stato repubblicano, perché soltanto la repubblica, basata sulla sovranità dei cittadini (vera espressione della volontà di Dio secondo la visione mazziniana), poteva assicurare la libertà. I fatti del 1820-21 [ 20.1] avevano mostrato infatti che i Borbone, i Lorena, i Savoia, gli Asburgo, gli Este e le altre case regnanti non meritavano la fiducia del popolo: dopo avere concesso le Costituzioni, uno dopo l’altro si erano affrettati a sopprimerle e a impriogionare i patrioti. Il programma morale e politico di Mazzini non si limitò all’Italia: nel 1834 egli fondò la Giovine Europa, un’organizzazione che si proponeva di diffondere l’ideale di un’Europa unita in una Confederazione di Stati, a somiglianza di quanto era già avvenuto negli Stati Uniti d’America.

23.2 Nuovi metodi di lotta Rivoluzione popolare Oltre all’idea di unificazione del paese, un altro punto decisivo del programma mazziniano era la fiducia nel popolo, considerato come il vero attore della storia, la cui volontà era ispirata e guidata da Dio. La formula «Dio e popolo» coniata da Mazzini sintetizzava efficacemente il suo pensiero su quale fosse la strada da percorrere per raggiungere l’indipendenza e l’unità nazionale: la profonda, incondizionata fede in un ideale comune di fratellanza e libertà avrebbe portato il popolo a realizzare la sua missione e ottenere la vittoria. Per attuare il suo programma, infatti, Mazzini confidava in

Frontespizio della «Giovine Italia», 1831 In questa foto è rappresentato il frontespizio del primo fascicolo della rivista mazziniana «La Giovine Italia». L’associazione politica della Giovine Italia fu fondata da Giuseppe Mazzini nel luglio 1831 a Marsiglia; il suo programma si poneva come scopo principale quello di trasformare l’Italia in una repubblica democratica unitaria.

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Modulo 7 L’unità italiana Sentenza nella causa del Regio Fisco Militare, 26 ottobre 1833 [Museo del Risorgimento, Istituto Mazziniano, Genova]

Quello qui rappresentato è il testo della condanna a morte decretata dal tribunale militare di Alessandria (una delle sedi, con Chambéry e Genova, in cui si svolsero i processi alla Giovine Italia nel 1833 e 1834) contro Giuseppe Mazzini, Pasquale Berghini e Domenico Barberis, «contumaci, ed inquisiti in comune di delitto d’alto tradimento militare».

una rivoluzione popolare, da preparare non con i sistemi della Carboneria, affidati a cospirazioni segrete, ma con nuovi metodi di lotta: la propaganda e la guerriglia.

La propaganda A differenza dei carbonari che si erano chiusi in gruppi ristretti e talora avevano nascosto i loro programmi perfino agli aderenti, la Giovine Italia si propose di fare ampia propaganda fra tutti i ceti sociali. Manifesti e giornali, stampati all’estero, erano introdotti clandestinamente in Italia perché tutti conoscessero l’esistenza dell’associazione e i suoi programmi. Soltanto i nomi degli aderenti erano conservati segreti, per evidenti ragioni di sicurezza personale. La guerriglia Invece delle congiure (che l’esperienza dei carbonari aveva rivelato inefficaci) e dei tentativi di pacifici accordi costituzionali con i governi (che i moti precedenti avevano dimostrato vani), la Giovine Italia costituì delle bande armate, con il compito di portare la guerriglia negli Stati dominati dall’assolutismo. Queste bande dovevano svolgere un’azione continua, tale da mantenere i governi in allarme e suscitare nel popolo, con l’esempio, la volontà di insorgere. «Un piccolo brigante italiano» La Giovine Italia si diffuse con rapidità, specialmente in Piemonte e in Liguria, dove in poco più di due anni riunì circa sessantamila aderenti. L’ampiezza del movimento mazziniano e la sua forza rivoluzionaria furono riconosciute anche dagli avversari, sia pure in forma indiretta e in negativo. Il principe di Metternich, presidente del Congresso di Vienna e illustre uomo di Stato austriaco, descrisse Mazzini con queste parole: «Ebbi a lottare contro il più grande dei soldati, Napoleone; giunsi a mettere d’accordo fra loro imperatori e re, uno zar, un sultano, un papa, principati e repubbliche; legai e sciolsi venti volte intrighi di corte; ma nessuno al mondo mi diede maggiori fastidi di un piccolo brigante italiano, magro, pallido, cencioso, ma eloquente, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome Giuseppe Mazzini».

I tempi della storia Il “Risorgimento” italiano Il processo storico che nei decenni centrali dell’Ottocento portò l’Italia alla conquista dell’indipendenza fu definito dai contemporanei, e poi dagli storici, con la parola Risorgimento, che significava la “rinascita” del paese, il riscatto da una condizione di decadimento morale e culturale in cui esso era caduto dal XVI secolo in poi, con il progressivo asservimento a potenze straniere. Ma l’idea di un’Italia unita, che nel corso dell’Ottocento si af-

facciò alla coscienza di molti intellettuali e politici italiani, e anche stranieri, in effetti era totalmente nuova: lungo tutto l’arco della sua storia millenaria l’Italia non aveva mai costituito un soggetto statale unitario (solo all’epoca dell’Impero romano era stata unita, ma all’interno di un più vasto contesto imperiale, che non lasciava spazio a un’identità veramente autonoma sul piano politico). L’Italia dunque non era mai esistita come Stato. Era invece esistita – fin dal Medioevo – come spazio comune di esperienze culturali, artistiche, economiche; uno spazio fisico, suddiviso in molteplici entità politiche, in cui si condividevano modi di vivere e di pensare, attraverso la circolazione degli uomini, delle Bandiera della Giovine Italia, XIX sec. [Museo del Risorgimento, Istituto Mazziniano, Genova]

Raro esempio di bandiera tricolore a bande orizzontali appartenuta ad Antonio Dodero, mazziniano esiliato a Marsiglia nel 1833.

merci, delle idee da un capo all’altro del paese. Non era una semplice “espressione geografica”, come amava definirla il principe di Metternich, artefice della Restaurazione del 1815. Era molto di più: una “espressione culturale”, magari limitata ad ambiti sociali ristretti, le aristocrazie dapprima, le borghesie più tardi, che non restringevano certo alla propria città o al proprio Stato l’ambito di attività e di movimento. Gli artisti del Rinascimento erano senza dubbio “italiani”, anche se prestavano la loro opera ora a Roma, ora a Firenze, ora a Napoli, ora a Venezia. “Italiani” erano gli scrittori, che sapevano scrivere in dialetto ma anche in una lingua accessibile a tutti. “Italiani” i cuochi delle grandi famiglie, che raccoglievano ricette da tutto il paese. Nel pensiero degli intellettuali, da Francesco Petrarca a Niccolò Machiavelli, da Dante Alighieri a Carlo Goldoni, l’Italia esisteva da secoli ed era un’entità soprattutto culturale. Pensarla come uno Stato fu un salto importante, ma in fondo non difficile. Se gli italiani esistevano, perché non avrebbe potuto esistere l’Italia?

Capitolo 23 Un’idea nuova: l’unità italiana

23.3 I primi moti mazziniani L’insuccesso della prima rivolta A Marsiglia nel 1833 fu organizzato il primo moto insurrezionale: esso doveva scoppiare in Piemonte, preparato da un’intensa propaganda fra le truppe; ma la polizia venne a conoscenza del piano e procedette all’arresto di molti congiurati, dodici dei quali furono condannati a morte. Il fallimento della prima missione Espulso dalla Francia, Mazzini si rifugiò in Svizzera, a Ginevra, dove entrò in contatto con altri patrioti in esilio, italiani e polacchi, e assieme a loro progettò una spedizione armata contro il Regno di Sardegna. Il piano prevedeva che tre colonne guidate da Girolamo Ramorino (1792-1849) penetrassero in Piemonte attraverso la Savoia con lo scopo di suscitare un’insurrezione generale; contemporaneamente doveva scoppiare una rivolta a Genova, sotto la guida di Giuseppe Garibaldi (1807-1882), un giovane di Nizza, capitano della marina mercantile sabauda, che stava svolgendo un’attiva propaganda degli ideali mazziniani fra i marinai delle navi da guerra. Il moto, avviato nel febbraio 1834, si risolse in un totale insuccesso (Buonarroti, ormai apertamente ostile a Mazzini, boicottò l’impresa). In Savoia la polizia disperse le colonne armate prima ancora che entrassero in azione. A Genova il gruppo dei rivoluzionari si dissolse prima dell’insurrezione e Garibaldi, trovatosi da solo nel luogo convenuto, fu costretto alla fuga imbarcandosi su una nave in partenza per il Sud America; condannato a morte in contumacia (come Mazzini), rimase per quattordici anni nel continente americano, dove combatté per la libertà della Repubblica del Rio Grande e l’indipendenza dell’Uruguay dall’Argentina [ 21.2].

La Parola

contumacia Di origine latina, il termine indica l’assenza da una seduta giudiziaria di colui che viene processato e, eventualmente, condannato. Altre volte la parola si usa per indicare la segregazione di una comunità, per esempio i viaggiatori e il personale di una nave, in cui si sospetta che sia diffusa un’epidemia. In entrambi i casi il termine rimanda all’idea della separazione, della lontananza.

La «tempesta del dubbio» Il fallimento dei primi moti fece nascere in Mazzini un doloroso sconforto e il dubbio di aver proposto ideali non realizzabili. Gli sembrò di essere un illuso, di inseguire dei sogni e non dei veri programmi politici. Per qualche tempo visse in un tormentoso stato d’animo, che egli stesso chiamò «tempesta del dubbio». A superare la crisi gli fu di aiuto la sua profonda religiosità, la convinzione che «la vita è missione e il sacrificio e il dolore non sono mai inutili»; pertanto le ragioni della rivoluzione nazionale italiana dovevano essere affermate al di là di ogni insuccesso immediato e al di sopra di ogni sacrificio. «Una rivoluzione è necessaria – scrisse, – è l’unico mezzo per cui possiamo sperare di conquistare migliori destini e la libertà. Il nostro paese è diviso in molti Stati, e senza una rivoluzione non possiamo sperare d’unirlo […]. Se un tentativo non riesce, riuscirà il terzo, riuscirà il quarto. Che cosa conta il numero? La nostra è politica nuda o religione? È calcolo solamente o fede?». Espulso anche dalla Svizzera, nel 1837 Mazzini trovò rifugio in Inghilterra dove, venuto a contatto con il mondo operaio dell’industria britannica, avvertì l’importanza della “questione sociale” e fondò, come sezione della Giovine Italia, l’Unione degli operai italiani, affrontando i problemi della categoria operaia in funzione della liberazione nazionale. La tragedia dei fratelli Bandiera Un tragico episodio, nel 1844, mise fortemente in crisi il movimento mazziniano. Due veneziani, i fratelli Attilio (1810-1844) ed Emilio (1819-1844) Bandiera, ufficiali della marina austriaca, avevano fondato una società segreta, l’Espéria, collegandola poi con la Giovine Italia. Venuti a conoscenza che nell’Italia meridionale alcuni gruppi mazziniani erano insorti, sbarcarono con un drappello di volontari in Calabria, alla foce del fiume Neto, sul mare

Giuseppe Mazzini implora il generale Ramorino di guidare la spedizione in Savoia, XIX sec. [Museo del Risorgimento, Torino]

Mazzini scelse Girolamo Ramorino come capo militare della spedizione del febbraio 1834 contro la monarchia piemontese. Dopo l’insuccesso, Ramorino fu condannato a morte e i suoi compagni l’accusarono di aver sperperato i fondi della spedizione al gioco e di essersi comportato debolmente nella missione.

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Modulo 7 L’unità italiana Ionio, per portare aiuto agli insorti e sollevare la popolazione contadina. La spedizione, compiuta contro il parere di Mazzini, ebbe un esito disastroso. La gendarmeria borbonica, aiutata dai contadini convinti di trovarsi di fronte a dei briganti, catturò facilmente il gruppo; i fratelli Bandiera furono fucilati assieme a sette compagni. Il fatto produsse grande impressione nell’opinione pubblica italiana e Mazzini, sebbene non fosse direttamente responsabile dell’azione dei due fratelli, e anzi l’avesse anche sconsigliata, subì pesanti critiche e accuse di «avventurismo e irresponsabilità».

23.4 L’alternativa federalista di Vincenzo Gioberti È possibile essere cattolici e patrioti? Se essere patrioti significava unificare l’Italia, ciò non comportava la fine dello Stato pontificio e un danno gravissimo per il mondo cattolico? Turbati da questi scrupoli religiosi, molti cattolici italiani esitavano di fronte alle attività e alle ideologie dei patrioti. Alla questione dedicò particolari riflessioni un sacerdote torinese, Vincenzo Gioberti (1801-1852) che, dopo avere aderito alla Giovine Italia, se ne era poi allontanato. A Bruxelles, dove si trovava in esilio, egli pubblicò

I modi della storia

Stampa clandestina

Per diffondere le sue idee politiche Mazzini fece largo uso di manifesti e giornali, che venivano stampati all’estero – per evitare i controlli della censura – e introdotti in Italia clandestinamente, con espedienti

di ogni genere, come quelli descritti dallo stesso Mazzini in questo brano autobiografico, che racconta le peripezie delle pubblicazioni “sovversive” da una nave all’altra, da un porto all’altro della peniso-

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n giovane che viaggiava sui vapori di Napoli e altri impiegati sui vapori francesi ci giovavano mirabilmente. Affidavamo a essi gli involti, scrivendo sull’involto destinato a Genova un indirizzo di una casa commerciale di Livorno, su quello che spettava a Livorno un indirizzo di Civitavecchia, e così via. In tal modo l’involto veniva tolto al controllo doganale e poliziesco del primo porto toccato e si conservava nel battello, dove veniva custodito finché i nostri, avvertiti, non si recavano a bordo, dove si dividevano le stampe, celandole intorno alla persona. Ma poi si fecero più attenti la vigilanza e i controlli, e allora incominciò tra noi e i Governucci d’Italia un duello che

La stampa clandestina era un reato molto grave contro cui ripetutamente i vari governi italiani si scagliarono; le pene, se si veniva scoperti, erano molto severe e po-

ci costava sudori e spese, ma che proseguimmo con buoni risultati. Spedimmo i fascicoli nascosti dentro barili di pietra pomice; in seguito li nascondemmo nella parte centrale di botti di pece, intorno alla quale lavoravamo di notte in un magazzino che avevamo preso in affitto. Le botti, dieci o dodici, si spedivano numerate, per mezzo di agenti commerciali all’oscuro di tutto, che le inviavano a commissionari, ugualmente ignari, in luoghi sempre diversi, dove taluno dei nostri, avvertito dell’arrivo, si presentava a mercanteggiare l’acquisto della botte, che con il numero indicava il contenuto. G. Mazzini

tevano arrivare fino alla condanna a morte. L’azione dei patrioti fu però esemplare, come si legge negli scritti di Piero Cironi (1819-1862), giornalista, patriota e amico

S

ul suolo italiano la lotta fu vivissima, faticosa, perseverante, coraggiosa, perché dove la stampa non aveva alcun diritto legale, tranne il silenzio, i pericoli cui andavasi incontro erano gravissimi. Il comando austriaco in Bologna, la polizia di Toscana e di Roma, i commissarii feroci dei governi restaurati erano persecutori ostinati di ogni parola nazionale. Nulla di meno «la stampa clandestina operava con una audacia, una franchezza e un successo assolutamente meraviglioso e indubitato, senza altro esempio nei moti rivoluzionarii»1. Questo successo costò però la vita di Antonio Sciesa fucilato il 2 agosto 1851 a Milano per causa di stampa clandestina: costò la vita di Luigi Dottesio 1 Citazione dalla rivista inglese della Società «Amici d’Italia».

la. Una volta che il materiale era giunto a destinazione, altri trucchi dovevano essere escogitati per diffonderlo: nasconderlo in sacchi di farina o in ceste di uova, in statue di gesso cave all’interno, e così via.

intimo di Mazzini, autore di quella che è considerata la prima storia del giornalismo italiano: La stampa nazionale italiana, 1828-1860.

appiccato in Venezia il dì 11 ottobre 1851 per diffusione di opere della stamperia di Capolago. Il Bisesti e il Cesconi, stampatore l’uno, libraio l’altro in Verona, furono involti nel sanguinoso processo di Mantova. […] Gli stampatori di Roma Saghellelli Pietro, e Segnani Costantino furono condannati a quindici anni di prigionia. Una statistica incompleta del tributo di persecuzione pagato dall’arte tipografica e libraria, che ci guida in questa breve indicazione è cosa da far raccapricciare per la moltiplicità delle sentenze e la gravità della pena. P. Cironi, La stampa nazionale italiana, 1828-1860, 1862

Capitolo 23 Un’idea nuova: l’unità italiana

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nel 1843 un libro, Del primato morale e civile degli italiani, nel quale esponeva una nuova soluzione del problema italiano, diversa da quella indicata da Mazzini.

Una proposta moderata e pacifica Gioberti sosteneva che il programma mazziniano di una insurrezione popolare doveva essere abbandonato, e così pure si doveva respingere l’idea di annullare i molti Stati della penisola per costruirne uno solo. La via proposta da Gioberti era moderata e pacifica: egli suggeriva di conservare gli Stati esistenti, indurre i singoli sovrani a compiere le necessarie riforme, ciascuno nell’ambito del proprio Stato, quindi, mediante accordi politici da stipulare tra i diversi regnanti, creare una federazione presieduta dal papa. La proposta fu accolta con vivo interesse da migliaia di italiani, che vi trovarono una possibilità di conciliazione tra il liberalismo e il cattolicesimo, tra il patriottismo regionale e le aspirazioni nazionali. Il federalismo neo-guelfo Il movimento che si formò lungo la via indicata da Gioberti si chiamò “federalista” e anche “moderato” o “neo-guelfo”: federalista, perché mirava a unificare l’Italia attraverso una federazione tra gli Stati esistenti; moderato, perché rifiutava l’uso delle armi e le rivoluzioni e proponeva riforme graduali e pacifiche; neoguelfo perché, mettendo il papa al centro del progetto politico, richiamava alla memoria le tendenze guelfe della tradizione medievale. Il Primato morale e civile degli italiani scritto da Gioberti contribuì molto ad avvicinare alla causa dell’unificazione italiana anche l’opinione moderata del paese, timorosa delle idee sovversive di Mazzini. In ciò è da riconoscere la sua importanza, che lo scrittore Luigi Settembrini (1813-1876) non esitò a definire rivoluzionaria, nonostante il suo tono moderato: questo libro, scrisse Settembrini, «fece una rivoluzione profonda in tutta Italia […] Noi eravamo servi, divisi, sminuzzati, spregiati dagli stranieri […] noi stessi ci tenevamo inferiori a tutti gli altri, e per tanti secoli di misera servitù avevamo offuscato la coscienza dell’esser nostro, quando costui ci dice: – Voi italiani siete il primo popolo del mondo. – Noi? – Sì, voi avete primato civile e morale sopra tutti. Non mai libro di filosofo, e neppure di poeta e di altro scrittore è stato più potente e più salutare di questo».

23.5 Altre proposte federaliste Il problema dell’Austria Un punto del programma federalista moderato suscitò dubbi e riserve: come si poteva attuare una federazione degli Stati italiani finché una potenza straniera, l’Austria, occupava una parte del territorio nazionale ed esercitava un controllo più o meno forte su tutti gli Stati della penisola? Era evidente che l’unificazione politica del paese non si poteva compiere se l’Austria non abbandonava il Lombardo-Veneto. Le idee di Balbo e di Durando Su tale questione si soffermò in particolare un patriota piemontese, Cesare Balbo (1789-1853), in un libro intitolato Le speranze d’Italia, pubblicato nel 1844. Balbo affermò che per allontanare gli austriaci dall’Italia non era necessaria la guerra: allo stesso risultato si poteva arrivare per mezzo di trattative diplomatiche, magari proponendo al governo di Vienna di rifarsi, in cambio del LombardoVeneto, con i territori balcanici attualmente inclusi nell’Impero turco. Inoltre, secondo Balbo, per attuare la federazione italiana non era sufficiente allontanare gli austriaci e offrire (come proposto da Gioberti) la presidenza al pontefice: occorreva anche coinvolgere nell’operazione il Regno di Sardegna, l’unico Stato della penisola che avesse un esercito efficiente e una solida tradizione militare. Uniti insieme, il prestigio spirituale del papa e la spada dei Savoia avrebbero consentito di avviare con concrete probabilità di successo le trattative con il governo di Vienna. Idee monarchico-federaliste furono espresse da un altro piemontese, Giacomo Durando (1807-1894), che nel saggio Della nazionalità italiana (1846) ipotizzò l’articolazione dell’Italia in tre Stati costituzionali, politicamente coordinati fra di loro, retti rispettivamente dai Savoia a nord, dai Lorena al centro, dai Borbone a sud.

Antonio Puccinelli, Ritratto di Gioberti, seconda metà XIX sec. [Galleria d’Arte Moderna, Firenze]

Vincenzo Gioberti, qui ritratto nel suo studio, nonostante fosse stato artefice della creazione di un movimento moderato federalista, fu arrestato nel 1833 perché sospettato di simpatie mazziniane; scarcerato per mancanza di prove, fu tuttavia costretto all’esilio prima a Parigi e poi a Bruxelles.

300

Modulo 7 L’unità italiana Le idee repubblicane di Ferrari e Cattaneo Un diverso orientamento politico, lontano sia dalla posizione dei moderati sia da quella dei mazziniani, fu espresso dai federalisti repubblicani, di formazione democratica e laica, sostenitori della sovranità popolare e dell’uguaglianza sociale. I più apprezzati esponenti di questa tendenza furono due studiosi milanesi, Giuseppe Ferrari (1811-1876) e Carlo Cattaneo (1801-1869), che sostennero l’idea di una federazione fra gli Stati italiani, ma «al modo della Svizzera e degli Stati Uniti», cioè repubblicana.

23.6 Le riforme di papa Pio IX e le Costituzioni del 1848 Un papa liberale? Le speranze dei neo-guelfi parvero tradursi in realtà quando, il 16 giugno 1846, morto Gregorio XVI (che dal 1831 reggeva in modo autoritario e conservatore lo Stato pontificio), fu eletto papa il vescovo di Imola Giovanni Mastai Ferretti, con il nome di Pio IX (1846-78). Egli salì al trono accompagnato dalla simpatia degli italiani, che ne conoscevano le idee non contrarie ai liberali. Si sapeva che amava sinceramente l’Italia e che non approvava la politica austriaca; si diceva che avesse letto con interesse il Primato di Gioberti. Pio IX salva l’Italia, XIX sec. In questo dipinto, papa Pio IX tira a bordo della nave dell’“Indipendenza Italiana”. Le riforme da lui attuate e le sue idee molto vicine a quelle dei liberali generarono l’entusiasmo degli italiani e il timore degli austriaci. Alle sue spalle Carlo Alberto punta la spada verso l’aquila bicefala asburgica che viene abbattuta da un fulmine.

Finalmente riforme I primi atti di governo del nuovo papa sembrarono confermare le aspettative. Egli concesse un’amnistia (perdono) ai prigionieri politici, più larga e generosa di quelle conferite, come voleva la tradizione, dai suoi predecessori in occasione dell’ascesa al trono. Chiamò a far parte del governo, fino ad allora tenuto esclusivamente da ecclesiastici, anche dei laici che andarono a formare la Consulta di Stato. Costituì una Guardia civica, affidando ai cittadini stessi, e non più a dei mercenari, il compito di formare un corpo di polizia armata. In tutta l’Italia si acclamò al papa in forme così entusiastiche da suscitare i timori della monarchia austriaca: «Avrei potuto prevedere tutto – commentò Metternich – fuorché un papa liberale». Mai come in quei giorni si era vista una simile passione per la causa italiana. Ben presto all’entusiasmo si accompagnarono importanti fatti politici. Un clima contagioso: nuove riforme in Italia Sull’esempio del papa e dietro le pressioni dell’opinione pubblica, i sovrani italiani furono costretti ad attuare varie riforme: il granduca Leopoldo II di Toscana diede qualche libertà di stampa, mentre fra Torino, Firenze e Roma si presero i primi accordi per la realizzazione di una Lega doganale (3 novembre 1847) sul modello di quella della Confederazione germanica, da più parti considerata come un primo passo verso l’unificazione italiana. Proteste a Milano, rivolte a Palermo Gli unici a persistere in un atteggiamento rigidamente contrario alle riforme furono l’imperatore Ferdinando I d’Austria (1835-48) e il re delle Due Sicilie Ferdinando II di Borbone (1830-59). Ciò fece precipitare gli eventi. Il 1° gennaio 1848 a Milano i patrioti, in segno di protesta non violenta contro gli austriaci e la loro dominazione, organizzarono uno sciopero del fumo per danneggiare il monopolio imperiale dei tabacchi; il 12 gennaio a Palermo scoppiò invece una rivolta, la prima di quelle che nel 1848 travolsero l’Europa [ 22]. L’insurrezione, vittoriosa in Sicilia, si propagò in Calabria e il re Ferdinando II fu costretto ad accordare la Costituzione (10 febbraio 1848). Le prime Costituzioni Trascinati dagli eventi, gli altri sovrani d’Italia furono condotti a imitare il gesto di Ferdinando II e a promulgare anch’essi la Costituzione: così, tra il

Capitolo 23 Un’idea nuova: l’unità italiana febbraio e il marzo del 1848, Carlo Alberto di Savoia, Leopoldo di Toscana, Pio IX abolirono nei loro Stati l’assolutismo, riconoscendo ai cittadini il diritto di partecipare al governo e di fare le leggi assieme al re. Tale diritto, ossia il potere legislativo, fu affidato a due assemblee, una composta di membri nominati dal re, l’altra di rappresentanti del popolo, i “deputati”, scelti mediante elezioni. Il diritto di votare era riconosciuto soltanto ai cittadini che possedevano un certo patrimonio. Quelli che non raggiungevano il livello stabilito di risorse economiche, vale a dire la maggioranza della popolazione, erano privi del diritto di voto; così pure ne erano prive le donne. Nonostante queste limitazioni, le Costituzioni e le riforme attuate negli Stati italiani nel 1848 rappresentarono un primo importante passo sulla via della libertà e delle conquiste civili.

Le vie della cittadinanza

L

[Museo del Risorgimento, Torino]

La Parola

deputato “Deputare” (verbo di origine latina) significa delegare, destinare qualcuno allo svolgimento di un compito. La moderna accezione politica del termine, che indica quanti sono stati eletti in un’assemblea o Parlamento per rappresentare la volontà di coloro che li hanno scelti, risale al periodo della Rivoluzione francese.

Dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana

a Costituzione emanata da Carlo Alberto per il Regno di Sardegna il 4 marzo 1848 ha una particolare importanza nella storia italiana. Tale Statuto, che aveva posto fine alla monarchia assoluta dando inizio alla monarchia costituzionale, diventò la Costituzione del Regno d’Italia nel 1861, quando fu proclamata l’unificazione del paese sotto la monarchia sabauda, e tale rimase fino all’avvento della Repubblica nel 1946. Lo Statuto fece proprie alcune fondamentali conquiste del pensiero liberale. Garantì la libertà religiosa: tutti i culti erano ammessi, anche se al cattolicesimo si riconobbe lo speciale ruolo di religione di Stato. Garantì la libertà di stampa, di

Frontespizio dello Statuto albertino

301

pensiero, di azione. Affermò l’uguaglianza dei diritti fra tutti i cittadini, indipendentemente dal loro stato sociale. Impose a tutti il pagamento delle tasse. Restò una certa ambiguità per ciò che riguardava la divisione dei poteri, cardine dello Stato liberale moderno, poiché il potere esecutivo (affidato al re) e quello legislativo (affidato alle Camere) erano chiaramente distinti, mentre il potere giudiziario era fortemente soggetto al potere del re, al quale spettava la nomina dei giudici. Pur ricollegandosi agli ideali di libertà e di progresso civile diffusi in Europa dalla Rivoluzione francese, lo Statuto albertino era un documento accordato in forma paternalistica: il re lo aveva “concesso” ai sudditi non come un loro diritto ma come atto di personale favore del sovrano. Nello Statuto albertino vi erano non poche limitazioni: per esempio, il Senato era nominato interamente dal sovrano, non dai cittadini; inoltre il diritto di voto non era riconosciuto a tutti, ma soltanto alle persone più abbienti (meno del 3% dell’intera popolazione). Lo Statuto albertino garantì tuttavia una certa libertà agli italiani, che si avviarono gradatamente a costruire uno Stato liberale. Lo Statuto albertino rimase operante fino al 1922, anno in cui si affermò in Italia il fascismo, un regime totalitario antiliberale e antidemocratico che, pure senza abrogare formalmente lo Statuto, di fatto lo annullò, sopprimendo i partiti e ogni forma di libertà, svuotando il Parlamento delle sue funzioni. Ciò fu possibile anche a causa del carattere “flessibile” dello Statuto, che poteva essere modificato senza particolari formalità.

La prima pagina della Costituzione italiana, tratta da uno dei tre originali del dicembre 1947 [Archivio Storico della Presidenza della Repubblica]

Alla nuova Costituzione italiana si giunse attraverso le drammatiche vicende della Seconda guerra mondiale e della Resistenza, che provocarono dapprima il crollo del fascismo, poi la fine della monarchia. Questa fu dichiarata decaduta dal popolo italiano con il referendum a suffragio universale del 2 giugno 1946, il primo a cui parteciparono anche le donne. Quello stesso giorno fu eletta un’Assemblea costituente, che elaborò la nuova Costituzione, la stessa che attualmente regola la vita politica e sociale dell’Italia. Essa entrò in vigore il 1° gennaio 1948.

302

Modulo 7 L’unità italiana

Sintesi

Un’idea nuova: l’unità italiana

Unita, indipendente, repubblicana: l’Italia di Giuseppe Mazzini Dopo il fallimento dei moti del 1820-31, in Italia si intensificò l’esigenza di affrontare la questione della libertà e dell’indipendenza. Tra i primi a diffondere questi nuovi temi fu Giuseppe Mazzini, con cui inizia a diffondersi l’idea del Risorgimento italiano, della rinascita politica e culturale che avrebbe condotto all’indipendenza. Mazzini fondò l’organizzazione rivoluzionaria Giovine Italia (1831), organizzazione che si prefiggeva di creare uno Stato unico italiano, indipendente e repubblicano, espressione della sovranità del popolo. Mazzini fondò poi la Giovine Europa (1834), che si proponeva di creare un’Europa unita basata su una Confederazione di Stati. Nuovi metodi di lotta Un altro punto centrale del pensiero di Mazzini era la fiducia nel popolo («Dio e popolo»): per ottenere la vittoria occorreva la fede incondizionata negli ideali di fratellanza e di libertà, che avrebbe condotto a una rivoluzione popolare. Per prepararla, i mazziniani utilizzarono due mezzi: la propaganda, introducendo clandestinamente in Italia manifesti e giornali, e la guerriglia, creando delle bande armate in continua attività. La Giovine Italia si diffuse soprattutto in Liguria e in Piemonte. I primi moti mazziniani Una prima insurrezione mazziniana (1833) venne scoperta dalla polizia, che procedette all’arresto dei congiurati condannandone alcuni a morte. Mazzini, espulso dalla Francia, si

rifugiò a Ginevra, dove progettò una spedizione armata contro il Regno di Sardegna, secondo un piano che prevedeva sia la penetrazione armata in Piemonte sia una rivolta a Genova, guidata da Garibaldi. Anche in questo caso l’esito fu fallimentare: la rivolta si dissolse e Garibaldi fuggì in Sud America. Espulso anche dalla Svizzera, Mazzini si rifugiò in Inghilterra, dove fondò l’Unione degli operai italiani, legando la questione nazionale alla questione sociale. Un ulteriore episodio negativo per i mazziniani si ebbe nel 1844: contro il parere di Mazzini, i fratelli Bandiera sbarcarono in Calabria con un gruppo di volontari contando sulla sollevazione della popolazione contadina, che non ebbe luogo: essi furono catturati e fucilati dall’esercito borbonico. L’evento produsse una reazione critica dell’opinione pubblica italiana contro Mazzini. L’alternativa federalista di Vincenzo Gioberti I cattolici italiani, consapevoli che l’unificazione italiana avrebbe prodotto la fine dello Stato pontificio, tennero una posizione incerta verso le attività e le ideologie dei patrioti. Il problema fu affrontato dal sacerdote torinese Vincenzo Gioberti che propose una soluzione atta a conciliare liberalismo e cattolicesimo. Andava superata l’idea dello Stato unitario e della rivolta popolare, a favore del mantenimento degli Stati esistenti, dell’introduzione in essi di riforme liberali, dell’instaurazione di una Confederazione tra gli Stati italiani, presieduta dal papa. I seguaci di tale proposta furono detti “neo-guelfi”.

Altre proposte federaliste L’unione federale tra gli Stati italiani implicava l’allontanamento dell’Austria dal Lombardo-Veneto. Cesare Balbo propose una federazione che coinvolgesse Stato pontificio e Regno di Sardegna, al fine di ottenere dall’Austria i territori lombardi e veneti. Altre ipotesi federaliste furono quelle di Giacomo Durando, che propose un’Italia formata da tre Stati costituzionali tra loro coordinati, e quelle dei federalisti repubblicani Ferrari e Cattaneo, che proposero una federazione tra tutti gli Stati italiani che adottasse la forma di governo repubblicana. Le riforme di papa Pio IX e le Costituzioni del 1848 Papa Pio IX, eletto nel 1846, accolse in parte le istanze neo-guelfe: concesse un’ampia amnistia ai prigionieri politici, istituì una Consulta di Stato aperta ai laici con incarichi di governo, formò una Guardia civica organizzata dai cittadini. A tali provvedimenti seguirono alcune riforme adottate negli altri Stati, tra cui i primi accordi per una Lega doganale tra Toscana, Regno di Sardegna e Stato pontificio. Solo a Milano e Napoli i sovrani rimasero legati a una rigida difesa dell’assolutismo, che provocò delle reazioni: a Palermo scoppiò nel 1848 un’insurrezione, poi estesa in Calabria, che portò alla concessione di una Costituzione. In seguito, Carlo Alberto di Savoia, Leopoldo di Toscana e Pio IX abolirono l’assolutismo e permisero ai cittadini la partecipazione al potere legislativo.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1831

1. 2. 3. 4. 5.

1833

1834

1837

1843

sbarco dei fratelli Bandiera in Calabria accordi per una Lega doganale tra Torino, Firenze e Roma insurrezione mazziniana contro il Regno di Sardegna Primato morale e civile degli italiani di Vincenzo Gioberti Ferdinando II di Borbone accorda la Costituzione nel Regno delle Due Sicilie

1844

6. 7. 8. 9.

1846

1847

Mazzini si rifugia in Inghilterra fondazione della Giovine Italia elezione a papa di Pio IX insurrezione mazziniana a Marsiglia

1848

Capitolo 23 Un’idea nuova: l’unità italiana

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. amnistia • avventurismo • contumacia • deputato • gendarmeria • guerriglia • Risorgimento • manifesto • moti • neo-guelfismo • propaganda • sovranità Corpo militare con compiti di tutela dell’ordine pubblico Potere originario e indipendente da ogni altro potere Istituto giuridico che estingue un reato Movimento che mira alla riscossa politica e culturale e all’indipendenza dell’Italia Azione tendente a conquistare il favore di strati sempre più ampi di popolazione Tendenza a proporre azioni avventate senza considerarne i rischi Tentativi rivoluzionari Incaricato al quale è delegato lo svolgimento di un compito Foglio di propaganda politica o pubblicitaria Assenza dal processo di colui che viene giudicato Corrente politica che mira a conciliare il liberalismo e il cattolicesimo Conflitto condotto da piccoli nuclei irregolari di combattenti

3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

c. La proposta neo-guelfa fu formulata da:

a. L’idea dell’indipendenza italiana era una delle maggiori novità del programma politico mazziniano.

V

F

b. Il progetto di un attacco armato contro il Regno di Sardegna fu osteggiato da Filippo Buonarroti.

V

F

Analizzare e produrre

Cesare Balbo. Carlo Cattaneo.

Vincenzo Gioberti. Giacomo Durando.

d. Gli accordi per una Lega doganale furono stipulati tra:

Torino, Firenze e Roma. c. Balbo proposeriportando una confederazione Milano, Firenze e Torino. 4. Cesare Completa la tabella all’interno, nella posizione corretta, i termini indicati. V F con un ruolo egemone del Regno di Sardegna. Firenze, Roma e Napoli. cavalieri • secolare • autonomia • corvées • decima • dipendenza • mestiere • taglia • canone • regolare • caccia • doni • tornei Torino, Firenze e Napoli. d. La proposta neo-guelfa mirava a conciliare V F il liberalismo e il cattolicesimo. e. Giuseppe Ferrari e Carlo Cattaneo sostenevano: Funzione sociale Vita quotidiana Condizione sociale e. Giacomo Durando proponeva una federazione una Confederazione moderata tra gli Stati italiani, guidata V F repubblicana tra tutti gli Stati italiani.I …...................….. erano educati al ……..................….. delle armi. Pratica- ……................................….. dal papa. guerrieri NOBILI vano la …….........................….. e i ……........................….. f. Il programma della Giovine Italia si basava una federazione repubblicana tra glieconomica Stati italiani. V F sui princìpi di unità, indipendenza, repubblica. l’unione degli Stati italiani in una sola repubblica. Avevano soprattutto obblighi. Tral’articolazione questi, i più diffusi erano dell’Italia in tre Stati costituzionali tra loro g. La Giovine Europa proponeva un’unione ……................................….. …….....................…..Ve il …….....................….. . Altri tributi erano la produttori di beni le CONTADINI F legati. tra i diversi Stati europei in un solo Stato. economica ……........................….. e i ……........................….. h. Mazzini confidava in una rivoluzione da attuarsi f. Appena eletto papa, Pio IX concesse: V …….........................….. F tramite cospirazioni segrete, guerriglia, propaganda. Erano divisi in clero (monaci) e inun’amnistia, clero una Costituzione, una Consulta di Stato. …….................................….. preghiera ……........................….. (preti). Sapevano leggere e scrivere. Godevano SACERDOTI un’amnistia, una Lega doganale, una Guardia economicacivica. di una entrata specifica, la…….........................….. un’amnistia, una Consulta di Stato, una Guardia civica.

4. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento. a. La spedizione dei fratelli Bandiera ebbe luogo: in Savoia. in Francia.

in Sicilia. in Calabria.

b. Nel 1848, la prima Costituzione venne concessa: a Roma. a Napoli.

a Firenze. a Torino.

un’amnistia, una Costituzione, una Guardia civica. g. In Inghilterra Mazzini fondò: la Giovine Europa. l’Esperia.

l’Unione degli operai italiani. la Giovine Italia.

h. La rivolta di Genova doveva essere guidata da: Filippo Buonarroti. Girolamo Ramorino.

Giuseppe Ferrari. Giuseppe Garibaldi.

303

304

Modulo 7 L’unità italiana

5. Associa i nomi del primo gruppo alle nozioni del secondo gruppo. Girolamo Ramorino

Esperia

Giuseppe Mazzini

federalismo repubblicano

Giuseppe Ferrari

Dio e popolo

Vincenzo Gioberti

neo-guelfismo

Giuseppe Garibaldi

rivolta a Genova

Giacomo Durando

Della nazionalità italiana

Fratelli Bandiera

penetrazione in Savoia

Cesare Balbo

Le speranze d’Italia

6. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. accordi • cattolicesimo • confederazione • fratellanza • Giovine Italia • federalismo • indipendenza • liberalismo • libertà • moderatismo • neo-guelfismo • papa • popolo • re • repubblica • riforme • rivoluzione • ruolo • Sardegna • sovrani • trattative • unità

LO SCOPO I MEZZI

PROTAGONISTI

I PRINCÌPI

MAZZINI

GIOBERTI

BALBO

Formazione Stato italiano

........................................

tra Stati italiani guidata dal ................................................

........................................

tra Stati italiani

negli Stati e politici tra Stati

tra Stati italiani

................................ popolare diffusione

..............................................

........................................

ideali ........................... e .............................

........................................

e con l’Austria

Aderenti: .....................................................

.................................... degli Stati italiani

Stati italiani: .............................................. egemone di ......................................... e ............................... di ....................................

........................................................................

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........................................................................

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Analizzare e produrre 7. Rispondi alle seguenti domande. Sulla base delle informazioni ottenute, completa la tabella. 1. Quando e dove scoppiò il primo moto mazziniano? Che esito ebbe? 2. Quale insurrezione fu progettata a Ginevra? Quale piano la caratterizzava? Che esito ebbe? 3. Quali personaggi furono coinvolti in tale insurrezione?

4. Quale tragico episodio avvenne nel 1844? Da chi fu organizzato? Con che esito? Mazzini si disse favorevole? 5. Quali reazioni produsse tale episodio nell’opinione pubblica italiana? 6. Che cosa si intende per «tempesta del dubbio»?

QUANDO

1833

1834

1844

DOVE

...........................................................................

...........................................................................

...........................................................................

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IL PIANO

GLI EVENTI

L’ESITO

Capitolo 23 Un’idea nuova: l’unità italiana

8. Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” a p. 301 e rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe per ognuna. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Quando fu emanato lo Statuto albertino? Per quale motivo riveste importanza nella storia italiana? Quali libertà erano garantite dallo Statuto albertino? In che modo era organizzata la divisione dei poteri? Quale era il peso del potere del re nello Statuto albertino? Come poteva essere modificato? Fino a quando rimase in vigore? Quando è entrata in vigore la nuova Costituzione italiana? In che modo fu redatta?

9. Verso il saggio breve Leggi il documento “Stampa clandestina” riportato a p. 298 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5.

Perché Mazzini faceva uso di manifesti e di giornali? Dove erano stampati? Come erano diffusi? A quali controlli erano sottoposte queste pubblicazioni? In che modo si eludevano? Quali trucchi utilizzati dai mazziniani sono riportati nel brano? Quali erano le pene previste per le pubblicazioni di stampa clandestine? Quali casi di condanne sono citati nel documento?

Leggi la citazione di Metternich riportata a p. 296 e rispondi alla seguente domanda. Quali caratteristiche sono attribuite a Mazzini? Quale giudizio è formulato? Leggi la citazione di Mazzini riportata a p. 297 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quale è il mezzo necessario per conquistare la libertà? 2. Che cosa si intende per fede? Che ruolo assume nel pensiero di Mazzini? 3. Che cosa si propone di fare nel caso di fallimento di un tentativo? Rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Perché Mazzini critica la Carboneria? In seguito a quali eventi si trasferisce all’estero? In quali città vivrà? Quali erano gli scopi della Giovine Italia? A quali princìpi faceva riferimento? Quali erano gli scopi della Giovine Europa? Che cosa si intende con l’espressione «Dio e popolo»? Secondo Mazzini, attraverso quali mezzi si può arrivare alla realizzazione della sua proposta? Chi deve essere coinvolto perché l’esito sia positivo? Chi e come deve tentare di farlo?

Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve testo di almeno 12 righe dal titolo “Giuseppe Mazzini: le idee, la proposta politica, le azioni compiute”.

305

Modulo 7 L’unità italiana

24 Le rivolte del 1848

Capitolo

306

Percorso breve Come il resto d’Europa, anche l’Italia fu investita dai moti rivoluzionari del 1848, che rivendicavano l’indipendenza e l’unità del paese. L’insurrezione ebbe inizio il 17 marzo a Venezia, dove la folla penetrò nelle carceri e liberò i prigionieri politici. Il 18 marzo la popolazione insorse a Milano, combattendo nelle strade per cinque giorni e costringendo alla fuga la guarnigione austriaca, comandata dal maresciallo Radetzky. Alle insurrezioni di Venezia e Milano seguì la dichiarazione di guerra all’Austria da parte di Carlo Alberto di Savoia, che entrò in Lombardia con le sue truppe, appoggiato da rinforzi provenienti dagli altri Stati italiani: gruppi di volontari dalla Toscana e da Roma, reparti dell’esercito regolare da Napoli. Scoppiava così la “prima guerra per l’indipendenza italiana” e il programma dei moderati (unire l’Italia non per via di una rivoluzione popolare, ma per iniziativa congiunta dei suoi sovrani) sembrava sul punto di realizzarsi. Ma ben presto gli altri sovrani richiamarono le loro truppe, mentre il papa dichiarò di non potersi schierare contro i “figli cattolici” d’Austria. Felice Donghi, Le Cinque giornate di Milano: le barricate, XIX sec. [Museo di Milano, Milano]

Rimasto isolato e con molte incertezze sulla strategia da seguire, Carlo Alberto fu sconfitto a Custoza e cercò di accordarsi con gli austriaci, continuando la guerra solo per timore che l’iniziativa passasse ai patrioti repubblicani (Mazzini, Garibaldi, Cattaneo). Nuovamente sconfitto a Novara, il re abdicò e gli successe il figlio Vittorio Emanuele II. Gli austriaci occuparono nuovamente le principali città del Lombardo-Veneto, non senza incontrare resistenze, che furono particolarmente accanite a Venezia e a Brescia. Anche a Roma, intanto, erano scoppiati disordini, il papa si era rifugiato a Gaeta sotto la protezione del re di Napoli ed era stata proclamata la repubblica, con a capo un triumvirato composto da Giuseppe Mazzini con Aurelio Saffi e Carlo Armellini. In appoggio al pontefice, la Francia di Napoleone III inviò dei reparti militari che presero la città (difesa da Garibaldi con i suoi volontari) e la riconsegnarono a Pio IX.

Capitolo 24 Le rivolte del 1848

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24.1 La prima guerra per l’indipendenza italiana La rivoluzione a Venezia I moti rivoluzionari del 1848 che scoppiarono in tutta Europa investirono anche l’Italia. L’insurrezione ebbe inizio a Venezia, dove, la mattina del 17 marzo 1848, neanche due settimane dopo la concessione dello Statuto albertino (4 marzo) e subito al diffondersi della notizia della caduta di Metternich in Austria, la folla sfondò i cancelli e le porte delle carceri e liberò i patrioti Niccolò Tommaseo (18021874) e Daniele Manin (1804-1857), costringendo la guarnigione austriaca ad abbandonare la città. Pochi giorni dopo (era il 22 marzo), in piazza San Marco, lo stesso Manin, di fronte alla popolazione riunita, proclamò Venezia libera e dichiarò l’istituzione della Repubblica di San Marco. Le Cinque giornate di Milano Il 18 marzo, il giorno successivo alla rivolta di Venezia e in contemporanea con quella di Berlino [ 22.4], insorse Milano. La popolazione scese nelle strade e nelle piazze a costruire barricate (se ne contarono 1700) contro il presidio militare austriaco, numeroso e ben comandato dal maresciallo Joseph Radetzky (1766-1858). La lotta, che ebbe come capi e animatori Carlo Cattaneo, Luciano Manara (1825-1849), Emilio (1830-1859) ed Enrico (1827-1849) Dandolo, si protrasse per cinque giorni, passate alla storia come le Cinque giornate di Milano, e si concluse con la liberazione della città. Le truppe austriache intanto si ritiravano nel cosiddetto “Quadrilatero”, la zona fortificata formata dalle quattro piazzeforti di Mantova, Peschiera, Legnago e Verona. Guerra all’Austria? Dopo aver liberato Venezia e Milano, apparve evidente ai patrioti che, per impedire il ritorno in forze delle truppe austriache, era necessario prepararsi alla guerra contro l’Austria, una guerra da combattere subito, approfittando della momentanea crisi militare dell’avversario. Ma da chi doveva essere organizzata e condotta la guerra? Su questo punto i patrioti avevano idee diverse. A Milano i repubblicani federalisti, come Cattaneo e Ferrari, volevano armare il popolo creando dei corpi di volontari: la guerra sarebbe così diventata, secondo lo spirito mazziniano, un’ideale continuazione dello slancio insurrezionale delle Cinque giornate. I moderati, al contrario, sostenevano che la guerra doveva essere combattuta dagli eserciti regolari dei sovrani d’Italia: in particolare essi contavano sul re di Sardegna Carlo Alberto. Special-

Memo

Re di Sardegna I duchi di Savoia ottennero il titolo di re nel 1713, con i trattati europei che conclusero la guerra di successione spagnola [ 4.2]: in tale occasione fu loro concessa la Sicilia, con il titolo regio che le era annesso fin dal Medioevo. Sette anni dopo la Sicilia passò all’Impero e fu scambiata con la Sardegna; da allora i Savoia si chiamarono “re di Sardegna”.

Carlo Bossoli, L’assalto dei milanesi all’armeria Uboldi, XIX sec. [Civico Museo del Risorgimento, Milano]

Nicola Sanesi, Innocenzo Migliavacca, La proclamazione della Repubblica di Venezia, XIX sec. In questa incisione è rappresentato il festeggiamento avvenuto a Venezia per la proclamazione della Repubblica di San Marco il 22 marzo 1848. I moti veneziani iniziarono la mattina del 17 marzo con l’assalto al portone del carcere.

Il 18 marzo toccò a Milano insorgere e gli insorti furono così tanti che non si riuscirono ad armare tutti. Le armi necessarie per i combattimenti vennero prelevate dalle collezioni dei nobili, dai musei, dalle case e dai negozi. In questo dipinto è rappresentato l’assalto dei rivoltosi alla celebre armeria privata Uboldi sita nel cuore della città.

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Modulo 7 L’unità italiana mente la nobiltà lombarda e i moderati piemontesi, timorosi dei possibili sviluppi del moto insurrezionale, cercavano di convincere il re, facendogli notare che, se le forze democratiche avessero vinto da sole in Lombardia, si sarebbe formata una repubblica e l’unificazione italiana sarebbe stata opera dei mazziniani, non dei Savoia.

La prima guerra d’indipendenza Queste ragioni convinsero Carlo Alberto, il quale, nella speranza di realizzare quella conquista della Lombardia a cui i Savoia aspiravano da secoli, il 23 marzo 1848 dichiarò guerra all’Austria, affermando in un proclama di intervenire «per la difesa della causa italiana». Lo stesso giorno l’esercito sardo varcò il Ticino e penetrò in Lombardia, muovendo su Milano. Incominciava così quella che fu chiamata prima guerra per l’indipendenza italiana. I fatti di Milano ebbero importanti contraccolpi in tutta la penisola. A Firenze, a Roma, a Napoli le manifestazioni dei patrioti costrinsero i sovrani a prendere parte alla lotta contro l’Austria e a inviare truppe in appoggio dei piemontesi: dalla Toscana partì un gruppo di volontari, in gran parte studenti e professori dell’Università di Pisa; da Roma un altro corpo di volontari, guidati da Giacomo Durando; da Napoli truppe regolari comandate da Guglielmo Pepe, il protagonista della rivolta carbonara del 1821. In testa a ogni reggimento sbandierava il tricolore italiano con al centro lo stemma dei Savoia, che Carlo Alberto con un proclama aveva voluto inserire «per meglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell’unione italiana» e porgere «quell’aiuto che il fratello aspetta dal fratello, l’amico dall’amico». In quel momento sembrava che il programma dei moderati fosse sul punto di realizzarsi.

Aa Documenti Chi combatté sulle barricate?

24.2 La defezione d’Italia lista di nomi, con l’indicaGoverno provvisorio che si dei instauròpotenti in città una semplice

Quali ceti sociali presero parte alle rivoluzioni del 1848? La risposta a questa domanda è in una pagina scritta da uno dei principali animatori delle Cinque giornate di Milano, Carlo Cattaneo, presidente del

L

subito dopo gli scontri. In questa testimonianza sono i documenti a parlare, i registri che elencano le vittime degli scontri in città contro le truppe austriache. A volte,

e note mortuarie del Municipio di Milano registrano al 31 marzo più di 300 morti per ferite. Tre sono possidenti, di origine popolana: Ettore Zanaboni di Lodi, giovane di 25 anni, e due vecchi: Antonio Costa della curia di Sant’Eufemia e Antonio Grassi del suburbio di Porta Ticinese. Notiamo ancora: Augusto Anfossi, mercante; tre giovani ingegneri, Luigi Stelzi, Carlo Carones e Andrea Cassanini. L’istitutore Borselli e il prete Marco Lazzarini. Troviamo ancora un ferroviere, un giovane ragioniere, tre studenti, due impiegati, tre scrivani, un cavallerizzo, un suggeritore teatrale; due commercianti, due mediatori, quattro commessi e non meno di ventisei bottegai.

zione del mestiere che ciascuno svolgeva, basta a farci capire il significato sociale di un evento, a permetterci di ricostruire il lato umano della storia.

Ma il maggior numero di uccisi è fra gli operai: le barricate e gli operai vanno insieme ormai come il cavallo e il cavaliere. Il sacro mestiere degli stampatori ebbe cinque morti. Vi son tre macchinisti, un incisore, un cesellatore, un orefice. Dei lavoratori del ferro e del bronzo morirono non meno di quindici. Dei calzolai, vi furono tredici uccisi. Dei sarti, quattro caddero. Tre cappellai; e venti tra verniciatori, doratori, sellai, tessitori, e anche un parrucchiere. Vi è una decina di muratori. Un agricoltore, un giardiniere, un ortolano e sei contadini; parecchi facchini e altri ignoti di mestiere e di nome. Grande è il numero delle donne uccise. Vediamo indicata una levatrice, una ricamatrice, una modista. Noi, raccogliendo solo il sommario significato di questi aridi ruoli, ripetiamo che il sangue dei cinque giorni fu veramente versato dal popolo, e al popolo se ne deve gratitudine e gloria. Fu questa la prima vittoria dell’Italia contro l’oppressore. C. Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano nel 1848, VI, Lugano 1849

Cinque giornate di Milano: gli insorti assaltano la Porta Tosa (22 marzo 1848), XIX sec. [Museo di Milano, Milano]

Sventola il tricolore sulle barricate, il fumo denso della polvere da sparo bruciata pervade il campo ma lascia intravvedere chi vi lasciò la vita: uomini e donne di ogni estrazione sociale, artigiani, contadini, sacerdoti. Era il 22 marzo e gli austriaci furono battuti definitivamente; in seguito a questo episodio la porta fu rinominata Vittoria.

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La resa di Vicenza l’11 giugno 1848, XIX sec. [Museo Centrale del Risorgimento Italiano, Roma]

Giovanni Durando nel 1848 disobbedì agli ordini di Pio IX portando le truppe pontificie oltre il Po per sbarrare la strada agli austriaci. Bloccato a Vicenza dall’avanzata di Nugent, fu costretto alla resa l’11 giugno 1848. Trentamila soldati imperiali con cinquanta cannoni invasero la città.

24.2 La defezione dei potenti d’Italia Una breve illusione L’esercito di riscossa nazionale radunato da Carlo Alberto riuscì a vincere alcuni scontri contro le truppe asburgiche ma ben presto si vide che la speranza di liberare il paese dagli austriaci mediante l’azione congiunta dei sovrani italiani era un’illusione. La situazione stava per precipitare. Le forze si dividono Pio IX si era lasciato andare a concessioni che alla lunga non poteva mantenere. Non si poteva certo pensare che il papa, capo spirituale di tutti i cattolici, dichiarasse guerra alla cattolica Austria. Il 29 aprile 1848, a poche settimane dall’inizio della guerra, egli affermò di non potersi schierare contro gli austriaci, perché la sua missione era quella di abbracciare «tutte le genti, popoli e nazioni con pari studio di paternale amore». Diede quindi ordine al generale Durando di rientrare nello Stato pontificio (ordine a cui peraltro Durando non obbedì); nello stesso tempo, a dimostrazione del suo affetto per la causa italiana, inviò una lettera all’imperatore d’Austria, esortandolo a lasciare i suoi domìni in Italia. Il gesto del papa ebbe delle ripercussioni sull’atteggiamento del re di Napoli e del granduca di Toscana, i quali si affrettarono a richiamare anch’essi le truppe. Solo gruppi di volontari toscani e napoletani rimasero in Lombardia. Repressioni e ritrattazioni Ritiratosi dalla guerra, re Ferdinando II impose di nuovo il suo potere assoluto, suscitando il terrore fra la popolazione napoletana, mitragliata dai mercenari svizzeri, e abolì la Costituzione appena concessa. Anche Messina, in rivolta, fu bombardata, tanto che da quel giorno i siciliani chiamarono il sovrano col nomignolo di “Re Bomba”. In Toscana il granduca Leopoldo, pur mostrandosi tollerante nei confronti dei patrioti, fece chiaramente intendere di essere contrario alla guerra, anzi chiese espressamente agli austriaci un contingente di truppe da tenere a Firenze in difesa del trono. Far guerra all’Austria non appariva una cosa naturale a quei sovrani, che proprio nella monarchia asburgica trovavano il sostegno più forte al mantenimento del loro potere. Inoltre essi diffidavano di Carlo Alberto, convinti che volesse rafforzare il regno espandendosi in Lombardia. In seguito a questi fatti, la concezione federalista e neo-guelfa di Gioberti mostrò i suoi limiti e perdette molte delle adesioni che aveva avuto inizialmente in Italia.

24.3 La sconfitta di Carlo Alberto. La sconfitta dei rivoluzionari Il re tentenna Nei primi scontri le truppe sabaude ottennero qualche isolato successo, ma poi rallentarono la loro azione, per ragioni, sembra, più politiche che militari, e tergiversarono troppo nella strategia d’attacco, tanto che il soprannome “re tentenna” dato al sovrano sembrò più che giustificato. Carlo Alberto infatti era riuscito a ottenere dalle città padane la richiesta di annessione al Regno di Sardegna, e ora, ritenendo appagate le sue aspirazioni, cercava di accordarsi con l’Austria nella speranza di vedere riconosciute da Vienna le annessioni. Intanto gli austriaci recuperavano le forze e il terreno persi.

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Modulo 7 L’unità italiana Vittorio Emanuele II a Custoza, XIX sec. [Civica Raccolta Stampe Bertarelli, Milano]

Dopo alcuni modesti successi iniziali dei piemontesi l’iniziativa tornò nelle mani dell’esercito asburgico che il 23-25 luglio, nella prima grande battaglia campale a Custoza, presso Verona, sconfisse clamorosamente il disorganizzato esercito sabaudo. Le sorti della prima guerra d’indipendenza si rovesciarono. La sconfitta di Custoza, infatti, costituì non soltanto il brusco risveglio dal sogno di una facile vittoria ma coincise con la riscossa asburgica il cui esercito riuscì, in breve tempo, a riprendere tutte le città ribelli.

La sconfitta di Custoza Radetzky riprese l’offensiva e il 25 luglio sconfisse Carlo Alberto a Custoza, nei pressi di Verona, costringendo le sue truppe a ripiegare su Milano. I democratici prepararono la difesa della città e nuovamente innalzarono le barricate, decisi a combattere a oltranza. Mazzini (giunto dall’Inghilterra appena scoppiata la rivoluzione), Garibaldi (prontamente tornato dal Sud America) e Cattaneo arruolarono volontari e mobilitarono la Guardia civica. Ma Carlo Alberto, sia per suggerimento dei suoi generali, tutti nobili che non erano affatto convinti della causa nazionale e antiaustriaca, sia per timore che si profilasse una vittoria dei repubblicani, da lui considerati pericolosi avversari politici, dopo un accenno di difesa alla periferia di Milano si accordò con Radetzky e diede ordine alle sue truppe di rientrare in Piemonte, suscitando l’indignazione dei milanesi. Il 9 agosto 1848 a Vigevano (sulla riva destra del Ticino, oggi in provincia di Pavia) fu concluso l’armistizio di Salasco (così detto dal nome del generale piemontese che lo firmò), per cui l’esercito regio sgombrò la Lombardia e gli austriaci rientrarono a Milano. Vittorio Emanuele II e l’armistizio La tregua durò sette mesi, poi, nel marzo del 1849, Carlo Alberto, spinto dai democratici piemontesi, riprese a combattere. Ma le sue truppe furono sconfitte a Novara (23 marzo) e Carlo Alberto abdicò, riparando in Portogallo; pochi mesi dopo morì (28 luglio). Gli successe il figlio, Vittorio Emanuele II (1849-78), che firmò con Radetzky l’armistizio di Vignale (24 marzo 1849) con cui si pose termine alla guerra austro-piemontese. La lotta dei patrioti per la libertà e l’indipendenza però continuò ancora in diverse parti d’Italia, combattuta da forze volontarie.

I luoghi della storia

«Viva Verdi» nelle piazze, nelle strade, nei teatri

«Viva Verdi» gridavano per le strade e nei teatri i patrioti italiani: ma non era solo un inno di stima per le qualità artistiche del grande musicista. Giuseppe Verdi (1813-1901), uno dei più grandi geni della storia della musica, era anche un simbolo della resistenza contro l’Austria e della lotta per l’indipendenza nazionale. Nelle sue opere, spesso ispirate a vicende della storia antica e medievale, vi erano chiare allusioni alla situazione attuale dell’Italia: le storie e i personaggi antichi erano un pretesto per parlare dell’oggi. Verdi era perciò diventato un simbolo politico e i patrioti moderati, quelli che affidavano

ai Savoia il compito di unificare l’Italia, attribuivano alle cinque lettere del suo cognome un significato cifrato ma in realtà chiarissimo: V come Vittorio, E come Emanuele, R come Re, D come Di, I come Italia. Viva Vittorio Emanuele Re D’Italia. I teatri lirici si trasformarono in luoghi di rivendicazione politica e le opere di Verdi, composte su testi di Temistocle Solera (1815-1878), diventarono un motivo di preoccupazione per le autorità del Lombardo-Veneto. Soprattutto il coro «Va’ pensiero sull’ali dorate», che nell’opera Nabucco (rappresentata nel 1842) piange la sorte degli ebrei prigionieri in Babilo-

nia, aveva assunto per i patrioti un valore simbolico della attuale “prigionia” italiana. Anche il coro «O Signore dal tetto natìo», nell’opera I Lombardi alla prima crociata (1843), suscitava nel pubblico entusiastiche manifestazioni di orgoglio nazionale. Per questo una circolare del governo austriaco, diffusa nel dicembre 1847, tentò di boicottarne l’esecuzione: «Benché non sia consigliabile di proibire direttamente la produzione sulle scene della prelodata opera, tuttavia si trova opportuno che con mezzi indiretti e prudenti venga possibilmente influito onde essa in questo Carnevale non venga rappresentata, e che

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L’assedio di Venezia A Venezia, quando giunse la notizia che i piemontesi erano stati sconfitti a Novara e Carlo Alberto aveva abdicato, l’Assemblea della repubblica stabilì di opporsi con le armi al ritorno degli austriaci. Assediata e bombardata da terra e dal mare, la città resistette quattro mesi e mezzo (dall’aprile all’agosto 1849) difesa dalle forze cittadine e dai volontari napoletani di Guglielmo Pepe. Poi, per la mancanza di viveri e lo scoppio di un’epidemia di colera, dovette capitolare. Ai capi della resistenza, tra cui Manin, Tommaseo e Pepe, fu imposto l’esilio. Le Dieci giornate di Brescia A Brescia il 23 marzo 1849, il giorno stesso della sconfitta di Carlo Alberto a Novara (di cui però non si sapeva nulla), i cittadini insorsero e cacciarono gli austriaci dalla città. Ritornate in forze, le truppe asburgiche dovettero lottare per dieci giorni, strada per strada, casa per casa, prima di vincere l’accanita difesa della popolazione, guidata da Tito Speri (1825-1853). Gli scontri continuano Anche Livorno si oppose al ritorno degli austriaci e combatté contro il corpo di spedizione inviato per riportare al governo il granduca Leopoldo, che si era rifugiato a Gaeta presso il re di Napoli dopo che le forze democratiche avevano preso il sopravvento nel suo Regno, seguendo l’esempio di quanto stava accadendo nel vicino Stato pontificio [ 24.4]. In quegli stessi giorni (aprile 1849) Catania e Palermo resistevano all’attacco delle truppe del re di Napoli, per difendere l’indipendenza della Sicilia: come già in occasioni precedenti, le rivolte siciliane miravano soprattutto a reclamare l’autonomia politica dell’isola. Ferocemente saccheggiate e bombardate, le due città dovettero anch’esse cedere.

24.4 La Repubblica romana Le difficoltà di Pio IX Particolare rilievo politico ebbero gli avvenimenti che tra l’aprile 1848 e il febbraio 1849 si svolsero a Roma dopo che il papa comunicò la sua decisione di abbandonare la guerra nazionale. Il malcontento della popolazione cittadina era cresciuto e i democratici avevano chiesto al papa nuove riforme e più ampie libertà. Per far fronte in qualche modo alle richieste, Pio IX chiamò a capo del governo Pellegrino Rossi (1787-1848), un conservatore illuminato, di larghe vedute, nella speranza che il suo intervento pacificasse gli animi ed evitasse l’inasprirsi delle tensioni politiche. Ma il programma di Rossi, che mirava a un’ampia riorganizzazione dello Stato, fu respinto sia dai democratici, che lo trovarono limitato rispetto alle loro aspettative, sia dai conservatori – i nobili e l’alto clero – che lo giudicarono dannoso per i loro interessi e privilegi. Nacquero dei tumulti e Pellegrino Rossi fu assassinato.

del pari in generale venga nei teatri e altri luoghi pubblici scrupolosamente evitato tutto quanto potrebbe in qualche guisa divenire causa di inconvenienti dimostrazioni che potessero essere interpretate contro il Governo Austriaco e in favore delle speranze chimeriche nella unità e libertà italiana».

Su Giuseppe Verdi si racconta un singolare aneddoto. Ancora giovane ma già famoso compositore, fu fatto chiamare un giorno dal governatore austriaco di Milano, che gli chiese di scrivere una marcia per le sue truppe. «Generale – avrebbe risposto Verdi – al momento non ho sotto mano che arie di ritirate. Ne volete?».

Il teatro Carignano in Torino la sera del 18 gennaio 1847, XIX sec. [Museo Centrale del Risorgimento Italiano, Roma]

Durante il triennio patriottico 1847-49 il teatro fu usato come «specchio della rivoluzione»: non solo spettacoli ma anche feste e celebrazioni.

Foglio volante con le parole dell’inno Fratelli d’Italia scritto da Goffredo Mameli e musicato dal maestro Michele Novaro Il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli, fu scritto nell’autunno del 1847 dall’allora ventenne studente e patriota Goffredo Mameli. Musicato poco dopo a Torino da Michele Novaro, il canto nacque in quel clima di fervore patriottico che già preludeva alla guerra contro l’Austria. Il 12 ottobre 1946 l’Inno di Mameli diventò l’inno nazionale della Repubblica italiana.

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Modulo 7 L’unità italiana Memo

Triumvirato Nell’antica Roma il triumvirato (termine che deriva dalle parole latine tres, ‘tre’ e vir, ‘uomo’) era una magistratura costituita da tre persone che collegialmente detenevano il potere. Il primo triumvirato nacque però come accordo privato, non come carica pubblica e fu stipulato tra Pompeo, Crasso e Cesare nel 60 a.C.

La Repubblica romana Pio IX, nell’impossibilità di mantenere sotto controllo la situazione, abbandonò la capitale nel novembre del 1848 e si rifugiò a Gaeta, sotto la protezione del re di Napoli (che di lì a poco avrebbe accolto anche Leopoldo di Toscana in fuga per le rivolte nel granducato). Poche settimane dopo a Roma i democratici formarono un’Assemblea costituente che il 29 febbraio 1849 proclamò la fine del potere temporale dei papi e l’istituzione della Repubblica romana, con a capo un triumvirato formato da Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini (1777-1863) e Aurelio Saffi (1819-1890). In difesa del nuovo Stato repubblicano accorsero volontari da ogni parte d’Italia, primo fra i primi Giuseppe Garibaldi con le sue truppe di volontari, le “camicie rosse”. L’appello del papa Da Gaeta, intanto, il papa lanciava un appello ai paesi cattolici perché l’aiutassero a ristabilire il suo potere. Risposero all’invito i governi di Napoli, Spagna, Austria e, in particolare, della Francia, con grande sdegno di Mazzini e dei repubblicani italiani, ai quali appariva inconcepibile l’opposizione di una repubblica che avevano considerato amica. In realtà Luigi Napoleone Bonaparte [ 22.2], presidente appena nominato della Repubblica francese, mirava soprattutto a rafforzare il suo potere personale e a questo scopo offrì aiuto a Pio IX, convinto che il gesto gli avrebbe assicurato le simpatie degli elettori cattolici, che in Francia costituivano una delle forze più importanti (nel 1852 si sarebbe fatto proclamare imperatore). Dopo un mese esatto dalla firma dell’armistizio di Vignale le truppe francesi sbarcavano a Civitavecchia. La riconquista francese di Roma Superiore per uomini e mezzi, il corpo di spedizione francese prese possesso della città il 3 luglio, dopo un’accanita resistenza dei volontari garibaldini, prolungatasi per circa un mese lungo le strade e nelle ville intorno a Roma e che portò alla morte di tanti patrioti italiani, tra cui Dandolo e Manara – gli eroi delle Cinque giornate di Milano – e, a soli 22 anni, Goffredo Mameli (18271849), autore di quel Canto nazionale che sarebbe diventato l’Inno d’Italia. La fuga di Garibaldi Garibaldi, con una parte dei suoi uomini, tentò di raggiungere la Repubblica di San Marco che ancora non era stata abbattuta ma, braccato dalle forze nemiche, riparò prima a Ravenna dove vide morire, per le ferite riportate, la moglie Anita Ribeiro de Silva (1821-1849) e infine a Genova, dove fu arrestato dai gendarmi piemontesi. Condannato all’esilio, il 30 luglio 1850 si rifugiò negli Stati Uniti, dove trovò lavoro come operaio a New York, nella fabbrica di candele del suo amico Antonio Meucci (l’inventore del telefono, 28.2). Nel 1854 era di nuovo a Londra, con Mazzini.

I modi della storia

Camicie rosse

La camicia rossa, divisa e simbolo dei volontari garibaldini, nacque attorno al 1843 nell’America del Sud, a Montevideo, dove Garibaldi, esule dall’Italia, combatteva per la libertà dell’Uruguay contro l’Argentina. Secondo la testimonianza dell’ammiraglio inglese Herbert Frederick Winnington Ingram (1820-1889), che conobbe Garibaldi in Sud America, l’adozione della camicia rossa sarebbe stata causata, molto semplicemente, dalla necessità di vestire nella maniera più economica l’esercito appena costituito: siccome una casa commerciale di Montevideo aveva fatto al governo l’offerta di vendergli a prezzo ridotto una partita di camicie di lana rossa, l’occasione parve buona e l’affare fu fatto. «Queste camicie

– continua Ingram – in origine erano state preparate per gli operai dei macelli, perché col loro colore sopportavano meglio le macchie di sangue». Qualcun altro sostiene che l’idea della camicia rossa fu suggerita a Garibaldi dal pittore genovese Gaetano Gallino (1804-1884), emigrato a Montevideo e convertitosi alla causa garibaldina nella lotta per l’indipendenza uruguayana. In ogni caso non dovette mancare anche una ragione ideale e simbolica: Garibaldi, come molti dei suoi uomini, era repubblicano di tendenze socialiste. Rossa era, da mezzo secolo, la bandiera della

Filippo Palizzi, Gruppo di garibaldini, 1860 [Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma]

rivoluzione in Europa. E sia dunque rossa la camicia del garibaldino… tanto più se si presenta l’occasione di acquistarla a prezzo ridotto.

Capitolo 24 Le rivolte del 1848

Sintesi

Le rivolte del 1848

La prima guerra per l’indipendenza italiana I moti rivoluzionari europei del 1848 si estesero anche all’Italia. A Venezia il popolo riuscì a cacciare gli austriaci dalla città e fu istituita la Repubblica di San Marco. A Milano l’insurrezione popolare (le Cinque giornate) portò a liberare la città. Per impedire il ritorno degli austriaci era necessaria una guerra, ma i patrioti si divisero sulle sue modalità: i repubblicani federalisti sostenevano l’idea di reclutare volontari armati fra il popolo, mentre i moderati puntavano sugli eserciti regolari dei sovrani italiani. Carlo Alberto, temendo la formazione di una repubblica di ispirazione mazziniana nell’Italia settentrionale, dichiarò guerra all’Austria: incominciava la prima guerra d’indipendenza, alla quale parteciparono anche volontari provenienti da Roma e Toscana e truppe regolari provenienti da Napoli. Il simbolo dell’esercito era il tricolore con lo stemma dei Savoia. Il progetto dei moderati sembrava in grado di realizzarsi. La defezione dei potenti d’Italia Dopo alcuni successi iniziali dell’esercito nazionale italiano, si ebbero delle defezioni che cambiarono l’esito della guerra. Il papa Pio IX dichiarò l’impossibilità di

schierarsi contro l’Austria cattolica e ritirò le sue truppe, seguito dai re di Napoli e dal granduca di Toscana. A combattere rimasero soltanto gruppi di volontari. A Napoli Ferdinando II revocò la Costituzione e bombardò le popolazioni ribelli. A Firenze Leopoldo chiese truppe all’Austria a sostegno del suo trono. I legami tra questi Stati e l’Austria e la diffidenza verso Carlo Alberto mostrarono le difficoltà di realizzare il disegno moderato e federalista sostenuto da Gioberti. La sconfitta di Carlo Alberto. La sconfitta dei rivoluzionari Ai primi successi militari seguì un rallentamento degli attacchi. Carlo Alberto, ottenuta l’annessione delle città padane, cercò di accordarsi con l’Austria, che intanto si riprese, ottenendo la vittoria nella battaglia di Custoza. Mentre a Milano i repubblicani reclutavano volontari, Carlo Alberto stipulò l’armistizio di Salasco, con il quale gli austriaci rientrarono a Milano. Dopo sette mesi il conflitto riprese e vi fu una nuova vittoria austriaca a Novara. Carlo Alberto abdicò e gli successe Vittorio Emanuele II, che stipulò l’armistizio di Vignale, ponendo fine alla guerra. Il ritorno degli austriaci incontrò l’opposizione del popolo a Bre-

scia e a Venezia (che resistette quattro mesi e mezzo), a Livorno, mentre a Catania e Palermo la rivolta assunse caratteri di rivendicazione dell’autonomia siciliana: le due città furono saccheggiate e bombardate dalle truppe borboniche. La Repubblica romana A Roma, in seguito all’abbandono della guerra da parte di Pio IX, i democratici richiedevano riforme e libertà. Il papa chiamò al governo il conservatore illuminato Pellegrino Rossi, ma tale scelta scontentò sia i democratici sia i nobili e l’alto clero: scoppiarono tumulti in città e il nuovo capo del governo fu assassinato. Il papa fuggì a Gaeta, protetto dal re di Napoli, mentre a Roma i democratici istituirono la Repubblica romana, retta da un triumvirato (Mazzini, Armellini, Saffi) e difesa da volontari guidati da Garibaldi. Il papa lanciò un appello di aiuto ai paesi cattolici, al quale rispose la Francia di Luigi Napoleone, che mirava a rafforzare il suo potere presso gli elettori cattolici. Sbarcati a Civitavecchia, i francesi conquistarono la città, nonostante la resistenza di un mese dei volontari. Garibaldi riparò a Ravenna e poi a Genova, da dove, condannato all’esilio, si rifugiò prima negli Stati Uniti e poi a Londra.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Associa le seguenti date all’evento corrispondente. Data: 4/3/1848 • 17/3/1848 • 18/3/1848 • 22/3/1848 • 23/3/1848 • 29/4/1848 • 25/7/1848 • 9/8/1848 • 29/2/1849 • 23/3/1849 • 24/3/1849 • 3/7/1849 • 28/7/1849 • 30/7/1850 Battaglia di Novara

Armistizio di Salasco

Inizio dell’insurrezione a Venezia

Il Piemonte dichiara guerra all’Austria

Conquista francese di Roma

Proclamazione della Repubblica di San Marco

Insurrezione di Milano

Armistizio di Vignale

Battaglia di Custoza

Istituzione della Repubblica romana

Garibaldi si rifugia negli Stati Uniti

Pio IX ordina di ritirare le truppe dalla guerra contro l’Austria

Concessione dello Statuto albertino Morte di Carlo Alberto

313

314

Modulo 7 L’unità italiana

2. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto.

l. A Roma i democratici proclamarono la fine del potere temporale dei papi.

V

F

m. I repubblicani federalisti sostenevano che in guerra dovevano combattere gli eserciti regolari italiani.

V

F

Magistratura collegiale guidata da tre titolari

n. La prima guerra d’indipendenza mostrò i limiti dell’ipotesi neo-guelfa sostenuta da Gioberti.

V

F

Corrente politica che mira a conciliare il liberalismo e il cattolicesimo

o. La resistenza dei volontari garibaldini a Roma si prolungò per circa quattro mesi.

V

F

Presidio militare cui è affidata la difesa di una città

p. Da Firenze, Roma e Napoli partirono truppe regolari a sostegno dell’esercito sabaudo.

V

F

Acquisizione di uno Stato o di un territorio ad opera di un altro Stato

q. Dopo la battaglia di Custoza fu firmato l’armistizio di Salasco.

V

F

Località dotate di fortificazioni permanenti

4. Associa i nomi all’evento (un evento può essere associato a più nomi).

annessione • armistizio • barricata • federalismo • guarnigione • neo-guelfismo • piazzeforti • proclama • tregua • triumvirato

Sbarramento di strade o passaggi cittadini allo scopo di combattere Sospensione temporanea delle ostilità belliche Dichiarazione solenne pronunciata da parte del capo di uno Stato Cessazione delle ostilità belliche in vista della stipula di un trattato di pace

Evento: • triumvirato • re tentenna • volontari romani • camicie rosse • Repubblica di San Marco • armistizio di Vignale • Cinque giornate di Milano • governo di Roma • insurrezione di Brescia • truppe regolari napoletane • telefono Ferdinando II Pellegrino Rossi

Assetto di uno Stato unitario che riconosce ampie autonomie locali

Enrico Dandolo Tito Speri

3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

Niccolò Tommaseo

a. Dopo il ritiro delle truppe, il granduca di Toscana abolì la Costituzione e impose il suo potere assoluto. V

F

Vittorio Emanuele II

b. Le rivolte a Catania e Palermo miravano a reclamare l’autonomia politica della Sicilia.

V

F

Giuseppe Garibaldi

c. Nobili e democratici trovarono il programma di Pellegrino Rossi contrario ai propri interessi.

V

F

d. I repubblicani federalisti volevano armare il popolo creando corpi di volontari.

V

F

e. Alla richiesta di aiuto di Pio IX risposero positivamente Napoli, Spagna, Austria, Francia.

V

F

f. Il Quadrilatero era formato dalle fortezze di Mantova, Peschiera, Brescia e Verona.

V

F

g. Carlo Alberto ebbe un atteggiamento politicamente favorevole verso gli insorti milanesi.

V

F

h. Dopo la battaglia di Custoza venne firmato l’armistizio di Vignale.

V

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i. Il generale Durando non obbedì all’ordine di rientrare nello Stato pontificio.

V

F

Luciano Manara Carlo Armellini Guglielmo Pepe Giuseppe Mazzini Carlo Alberto Giacomo Durando Antonio Meucci Aurelio Saffi Daniele Manin Carlo Cattaneo

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando scoppia la rivoluzione a Venezia? Da chi è condotta? Con che esito? 2. Quale forma di Stato è instaurata a Venezia?

3. Quando incomincia l’assedio di Venezia? In seguito a che cosa? Che esito ha? Chi vi prende parte? 4. Quando scoppiano le Cinque giornate di Milano? Chi sono i protagonisti? Quali sono le conseguenze?

Capitolo 24 Le rivolte del 1848

5. Chi fu presente a Milano per organizzare le armate dei volontari? 6. Che cosa accade a Milano dopo l’armistizio di Salasco? 7. Che cosa accade a Roma dall’aprile 1848 al febbraio 1849? 8. Chi è presente a Roma durante questo periodo? A che scopo?

9. Quale forma di Stato è instaurata a Roma? 10. Da chi è condotta la riconquista di Roma? Contro chi? Con quali conseguenze? Con le informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

TRE INSURREZIONI CITTADINE A CONFRONTO

L’INIZIO

I PROTAGONISTI

GLI EVENTI

LA FINE

VENEZIA

MILANO

ROMA

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6. Leggi il documento “Chi combatté sulle barricate” riportato a p. 308 e rispondi alle seguenti domande. 1. Chi è l’autore del documento riportato nel brano? 2. A quale insurrezione prese parte? Quale era il suo progetto politico? 3. Quanti morti sono registrati nel municipio di Milano al 31 marzo? 4. Quale è l’origine sociale dei deceduti? Quali sono i mestieri che ricorrono più frequentemente? 5. Tra gli operai, quale è la categoria più presente? Vi sono donne tra gli uccisi? 6. Da chi furono condotte le insurrezioni a Milano? Dove e come si svolsero? 7. Quali erano le rivendicazioni del popolo? Quali risultati riuscirono a ottenere? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dalla precedente tabella, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “Le città insorgono”.

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. In che anno scoppiò la prima guerra di indipendenza? In seguito a quali eventi? Quando ebbe fine? 2. Quali furono i principali protagonisti del conflitto? 3. Quale era l’idea di guerra dei repubblicani? Quale quella dei moderati? 4. Quali conseguenze ebbe la guerra dichiarata dal Piemonte negli altri Stati? 5. Da chi era composto inizialmente l’esercito che attaccò l’Austria? Che cosa cambiò in seguito? 6. Quali eventi modificarono il senso e l’esito della guerra? 7. Quale esito ebbe la guerra? Quali furono le principali battaglie? 8. Che cosa prevedevano gli armistizi di Salasco e di Vignale? Da chi furono firmati? 9. Quali conseguenze produsse la guerra tra Austria e Piemonte? Con le informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

LA GUERRA AUSTRO-PIEMONTESE IL PERIODO

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LE CAUSE

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L’ESERCITO

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EPISODI SALIENTI

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ESITO FINALE

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Modulo 7 L’unità italiana

25 La seconda guerra

Capitolo

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d’indipendenza

Percorso breve Dopo le insurrezioni e la guerra del 1848-49 in Italia si ebbe un periodo di repressioni e condanne contro i patrioti. Il solo Stato che conservò un ordinamento di libertà civili, con una Costituzione e un Parlamento, fu il Regno di Sardegna, dove confluirono numerosi esuli e perseguitati politici da tutto il paese. Dal 1852 il Regno fu governato da Cavour, che si garantì una solida maggioranza attraverso il “connubio” tra le ali moderate della Destra e della Sinistra. La sua politica economica fu ispirata alle idee del liberismo, cioè alla libertà di impresa e di commercio, e diede uno straordinario impulso al progresso dell’industria, del commercio e dell’agricoltura in Piemonte. Le campagne furono irrigate dal canale che fu intitolato allo stesso Cavour. Lo Stato da parte sua si impegnò a moltiplicare le infrastrutture stradali e ferroviarie. Per risolvere il problema italiano e liberare il paese dalla presenza austriaca Cavour mise in opera un’abile strategia diplomatica, sostenendo che era necessaria l’alleanza con uno Stato militarmente forte. A tale sco-

po partecipò all’alleanza franco-inglese contro lo zar di Russia (guerra di Crimea, 1853) e riuscì a portare all’attenzione delle potenze europee il problema italiano, guadagnandosi la simpatia inglese e stringendo con la Francia di Napoleone III un trattato di alleanza militare (Plombières, 1858). La “seconda guerra d’indipendenza italiana”, come fu detta, preparata e voluta dallo stesso Cavour, scoppiò nel 1859 e portò a una serie di vittorie dei franco-piemontesi (Montebello, Palestro, Magenta, Solferino e San Martino) a cui fece seguito l’annessione della Lombardia al Piemonte. Il Veneto restò invece agli Asburgo, perché Napoleone III si affrettò a concludere con l’Austria l’armistizio di Villafranca, suscitando le proteste e le dimissioni di Cavour. Il sovrano francese fu indotto a tale decisione in seguito agli avvenimenti che stavano modificando il quadro politico italiano, con le richieste di annessione al Piemonte delle regioni centrali del paese, inizialmente destinate a passare sotto il controllo francese.

La partenza per le crociate

Édouard-Louis Dubufe, Il congresso di Parigi conclude la guerra di Crimea, 1855 ca. [Musée National du Château, Versailles]

Capitolo 25 La seconda guerra d’indipendenza

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25.1 Il Piemonte, un’Italia in miniatura Un paese aperto Il processo di unificazione dell’Italia giunse a maturazione nel decennio 1849-59. Alla sua realizzazione contribuirono forze diverse, culturali, politiche e militari, tutte concentrate – all’inizio – nel Piemonte sabaudo. Ovviamente non si trattò di un caso. Mentre negli altri Stati italiani ogni libertà veniva soppressa e i patrioti erano colpiti da dure condanne, il Piemonte aprì le sue frontiere agli esuli e accolse i perseguitati politici. Professionisti, scrittori, artigiani, uomini di tutte le tendenze – liberali, democratici, mazziniani – del Lombardo-Veneto, dell’Emilia, della Toscana, del Regno di Napoli si inserirono nella realtà piemontese, che si arricchì delle loro esperienze, delle loro idee, diventando una specie di Italia in miniatura, in cui si preparò gran parte della fase conclusiva del Risorgimento nazionale. La politica riformatrice di d’Azeglio A presiedere il governo del Regno, dopo la sfortunata guerra contro l’Austria, il re Vittorio Emanuele II chiamò nel 1849 il torinese Massimo d’Azeglio (1798-1866), un liberale conservatore, convinto sostenitore dello Statuto albertino. D’Azeglio si impegnò nell’opera di rinnovamento dello Stato abolendo antichi privilegi del clero, come quello di non poter essere giudicato dai tribunali civili, e cercando di dare un’impronta laica al paese. Nel 1852, su sua proposta, fu nominato presidente del Consiglio dei ministri il conte Camillo Benso di Cavour (1810-1861), che già da due anni occupava il Ministero per l’agricoltura e il commercio. Il “connubio” di Cavour Promuovendo un accordo (ironicamente definito “connubio”) fra l’ala più progressista della Destra moderata, da lui stesso capeggiata, e la componente più moderata della Sinistra democratica, capeggiata da Urbano Rattazzi (18081873), Cavour diede vita a una solida e ampia maggioranza parlamentare. Il nuovo presidente del Consiglio avrebbe governato quasi ininterrottamente il Regno di Sardegna fino al 1861 e si sarebbe rivelato uno dei maggiori statisti d’Europa, concorrendo in maniera decisiva, con la sua intelligente e abile opera politica e diplomatica, a realizzare il processo di indipendenza e di unificazione dell’Italia.

Camillo Benso di Cavour, XIX sec. [Château de Sales, Sales]

L’impegno politico di Cavour si mise in luce nel 1847 con la fondazione del quotidiano «Il Risorgimento». Nel 1848, il 20 ottobre, Cavour pronunciò il suo primo discorso parlamentare, sostenendo la politica di mediazione e di rinvio delle ostilità contro l’Austria, richiesta invece a gran voce dai democratici.

Aa Documenti I vantaggi della politica liberista secondo Cavour Cavour aveva sostenuto i vantaggi della politica liberista sia durante il suo mandato di ministro dell’Agricoltura e poi della finanza, sia quando era stato nominato Primo ministro in Piemonte. Egli si

mantenne tenacemente fermo a questa linea anche quando, più tardi, si ritrovò a capo del governo della nuova Italia unita. Contro le critiche dei conservatori, che si opponevano alla riduzione dei dazi do-

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o posso qui invocare la propria mia esperienza: quando si fece la riforma del 18511, molti onorevoli e benemeriti industriali vennero da me lamentandosi che con quella riduzione tutte le fabbriche sarebbero state costrette a chiudere. E mi ricordo che uno di quei signori, che non nominerò, mi disse: «Ebbene, l’anno venturo ci vedrà in piazza Castello con sei o settemila operai a domandare del pane». Io espressi un vivissimo dolore di questa eventualità, ma siccome credevo fermamente che s’ingannasse non m’arrestai. Diminuimmo i dazi. Otto mesi dopo mi annunciano quel1 La riforma del 1851 ridusse in Piemonte i dazi doganali.

ganali, il 21 maggio 1861 egli pronunciò in Parlamento un discorso a difesa del libero scambio, rifacendosi a quella sua precedente e fortunata esperienza.

lo stesso industriale, ed immaginai a tutta prima che fosse seguito da seimila operai; ma era solo. Ei s’avanza e mi dice (scusate la parola un po’ volgare), mi dice: «Io ero un gran minchione, lei aveva tutte le ragioni; fatta la riforma, mi sono detto due cose, o chiudere la fabbrica, o migliorarla; presi il secondo partito, andai in Inghilterra e vidi che ella aveva ragione, che noi eravamo indietro ancora di venti e più anni. Mutai le mie macchine e tutto procede bene». C.B. conte di Cavour, 21 maggio 1861

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Modulo 7 L’unità italiana

25.2 Le idee di progresso civile e sociale di Cavour Una formazione cosmopolita Nato a Torino nel 1810, Cavour nell’età giovanile fu avviato alla carriera militare, secondo una consuetudine comune ai giovani del suo ceto sociale. Ma, non sopportando la rigida disciplina militare, a 21 anni abbandonò l’esercito e preferì intraprendere una lunga serie di viaggi di studio, in Svizzera, Francia, Inghilterra. L’Inghilterra, specialmente, suscitò in lui grande ammirazione, per i suoi ordinamenti politici ed economici fondati sulla libertà; Cavour li apprezzò tanto da farsene un modello a cui ispirarsi per far progredire il Piemonte. Una mente lucida e intraprendente Al suo ritorno in patria, Cavour si dedicò con impegno all’agricoltura, gestendo direttamente un vasto possesso fondiario a Leri, presso Vercelli, che egli condusse con tecniche moderne, osservate e studiate durante i viaggi in Francia e in Inghilterra. Introdusse l’uso dei fertilizzanti chimici, da poco inventati per opera di uno scienziato tedesco, Justus von Liebig [ 28.5]; praticò l’irrigazione artificiale, diffuse le macchine agricole e altri moderni sistemi di lavoro, ottenendo come risultato la trasformazione della grande fattoria in una produttiva e fiorente azienda agraria, dotata anche di grandi allevamenti di bestiame selezionato ai quali furono affiancati stabilimenti per la trasformazione del latte in formaggio e burro. I contadini ebbero a disposizione nuove case, una per famiglia, e un piccolo villaggio con una scuola, un ambulatorio medico, una chiesa, una bottega. «Un uomo pericolosissimo» Le tendenze liberali del giovane Cavour non sfuggirono alla polizia austriaca, che nel 1833 compilò una scheda informativa dal tono allarmato, sulla base di un rapporto segreto ricevuto dall’ambasciatore d’Austria a Torino: «Questo giovane – vi si leggeva – appartiene a una delle famiglie più rispettabili del Piemonte, e suo padre, il marchese Cavour, è il primo a lamentarsi della condotta e delle idee del figlio. Fornito di molto talento e facilità d’ingegno, egli era entrato nel genio militare. Ma le sue idee liberali e le sue relazioni con altri giovani mal pensanti indussero il re a confinarlo nel

I luoghi della storia

Un’industria per l’Italia unita: l’Ansaldo

«Prima ancora di pensare all’unità d’Italia, Cavour pensò a creare l’Ansaldo». Così ha scritto il giornalista economico Gildo Campesato, sottolineando l’importanza che Cavour diede al progetto di industrializzazione dello Stato che governava. A corte non ne erano particolar-

mente entusiasti: «Il nostro governo non ha simpatia per l’industria, vi vede un’alleata del liberalismo», confessa Cavour a un amico, in una lettera del 1838. Cavour tuttavia riuscì a far passare la sua linea, e puntò su Genova – una città ricca di manodopera specializzata, legata principalmente ai cantieri navali – come luogo principe del suo progetto industriale. Nel 1853, il governo rilevò l’officina ferroviaria Taylor-Prandi da poco fallita e la cedette a un gruppo di imprenditori capeggiati dall’ingegnere Giovanni Ansaldo (18141859) che, per rilanciarla, si avvalse appunto del personale dei cantieri navali. Cavour assicurò all’azienda sostegno finanziario e commesse pubbliche, per la costruzione di treni, navi e armi. Tra i soci fondatori dell’azienda c’era anche Raf-

Manifesto pubblicitario della S.A.I. Gio. Ansaldo & C.

faele Rubattino (1810-1881), armatore e patriota genovese che qualche anno dopo finanziò la spedizione dei Mille di Garibaldi fornendo le due navi Piemonte e Lombardo. «Governo e industria, politica e affari, strategie imprenditoriali e interessi dello Stato – continua Campesato – costituiscono un intreccio che non sarà mai scisso lungo tutte le vicende che da allora hanno accompagnato la vita dell’Ansaldo». Trainata dalle commesse pubbliche del regno, l’Ansaldo rapidamente diventa il simbolo della Genova industriale, «prima città-fabbrica del paese, Manchester d’Italia». Non a caso, proprio a Genova e in particolare all’Ansaldo prenderanno corpo i primi nuclei del movimento sindacale e dei partiti operai italiani. La vicenda dell’Ansaldo – che crescerà soprattutto dopo l’unità d’Italia, nei decenni tra XIX e XX secolo – è una tappa importante nella storia della rivoluzione industriale in Italia.

Capitolo 25 La seconda guerra d’indipendenza

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Eugène Gluck, Battaglia sul fiume Cernaia, XIX sec. [Museo del Risorgimento, Istituto Mazziniano, Genova]

La battaglia sul fiume Cernaia (16 agosto 1855) fu l’unico fatto d’armi in cui l’esercito piemontese ebbe modo di mettersi in evidenza. Fu importante poiché respinse il tentativo dei russi, assediati nella fortezza di Sebastopoli, di occupare la riva sinistra del fiume e di evitare così il bombardamento al loro ultimo baluardo difensivo.

forte di Bard. Io lo considero come un uomo pericolosissimo, e tutti gli sforzi per ricondurlo sulla buona strada sono riusciti infruttuosi. Merita, dunque, una sorveglianza continua».

Cavour alla guida del Piemonte Chiamato alla carica di Primo ministro, Cavour si sforzò di applicare al Piemonte le regole di governo che aveva appreso nel corso dei suoi viaggi in Europa. In particolare si ispirò al principio del liberismo [ 17.2], trasformando l’economia del regno sulla base del libero scambio, con la diminuzione o la soppressione di dazi e dogane. Il commercio ne ricevette uno straordinario impulso: dal 1850 al 1858 le importazioni passarono da 112 a 321 milioni di lire annue, le esportazioni da 94 a 236 milioni; Genova diventò uno dei maggiori porti del Mediterraneo. Parallelamente si svilupparono le industrie, soprattutto nel campo della siderurgia e della meccanica: la fabbrica Ansaldo di Sampierdarena, presso Genova, grazie alle commesse statali di materiali ferroviari, navi, armi, motori, diventò la più importante fabbrica italiana del settore. L’importanza delle infrastrutture L’espressione forse più significativa del progresso economico del Piemonte in quel decennio fu lo sviluppo delle ferrovie, che passarono da 8 km nel 1848 a 850 km nel 1859 (contro i 986 del resto d’Italia). Anche nell’agricoltura, secondo il modello già sperimentato da Cavour nella tenuta di famiglia, furono introdotte importanti innovazioni. Esemplare fu un’opera promossa dallo stesso Cavour: un canale (che da lui prese il nome) che derivava l’acqua dal Po presso la confluenza della Dora Baltea, attraversava la pianura alta del Vercellese e del Novarese fino al Ticino, quindi, mediante una rete di canali minori, irrigava oltre 50.000 ettari di terreno, che divennero fra i più fertili del paese.

25.3 Alla ricerca di alleati. La guerra di Crimea La necessità di un aiuto Di fronte all’infelice esito delle insurrezioni e della guerra del 1848-49, Cavour maturò l’idea che il Piemonte non poteva fare da sé, data la sproporzione di forze nei confronti dell’Impero d’Austria. Bisognava trovare un forte alleato fra le nazioni d’Europa: soltanto così sarebbe stato possibile allontanare le truppe asburgiche dalla Lombardia e dal Veneto. L’idea era semplice e logica, ma la sua attuazione non sembrava facile. Come avrebbe potuto il piccolo Piemonte, schiacciato fra le maggiori potenze, trovare un alleato? Su questi problemi Cavour rifletté a lungo, in attesa di qualche favorevole circostanza. La guerra di Crimea L’occasione di far entrare il Piemonte nel più ampio gioco della politica europea non tardò a presentarsi. Nel 1853 lo zar di Russia Nicola I invase i Principati di Moldavia e Valacchia [ 20.2], regioni dell’attuale Romania, che in

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Modulo 7 L’unità italiana quel tempo facevano parte dell’Impero turco. Lo scopo era quello di crearsi uno sbocco nel Mare Mediterraneo attraverso il Mar Nero. Per impedire che l’equilibrio nel Mediterraneo orientale si modificasse a favore della Russia, Francia e Gran Bretagna intervennero a fianco della Turchia contro la Russia. Ne derivò una guerra lunga e difficile [ 33.2], che si fece particolarmente drammatica nella penisola di Crimea, dove migliaia di soldati inglesi e francesi morirono falciati dal colera e dalle battaglie sanguinosissime, intorno all’imprendibile fortezza di Sebastopoli. Le due potenze cercarono altri soldati e nel 1855 si rivolsero anche al governo di Torino.

Momento e intervento propizio Cavour intuì che quella era l’occasione che cercava. Nonostante avesse contro di sé l’opinione pubblica del paese («Perché sacrificare uomini e risorse – dicevano gli oppositori – in una guerra che non ci riguarda?») accettò la richiesta e inviò 15.000 uomini a combattere in Crimea, sotto la guida di Alfonso La Marmora (1804-1878). I fatti gli diedero ragione. A guerra finita, con la vittoria degli anglo-francesi, il Primo ministro piemontese fu invitato a Parigi a partecipare al congresso in cui si discuteva la ratifica della pace; era la primavera del 1856.

Mario Moretti Foggia, I martiri di Belfiore, part., 1905 [Museo Civico del Risorgimento, Mantova]

Questo dipinto dei primi del Novecento fu donato dallo stesso autore al Museo del Risorgimento della sua città natale, Mantova, accompagnando la sua offerta con una significativa dichiarazione sul concetto che l’ispirava: «l’opera deve testimoniare non tanto per merito suo proprio, quanto per virtù dell’idea che la illumina». In un tragico controluce balzano in primo piano i martiri sulle forche, mentre i soldati austriaci si perdono in un confuso e indistinto buio.

Cavour e il Piemonte tra i grandi d’Europa Cavour approfittò della circostanza per illustrare, con un abile discorso, che il solo modo di conservare la pace in Europa era quello di eliminare alla radice i motivi di malcontento e di agitazione dei popoli, e spiegò che da questo punto di vista uno dei più gravi pericoli era costituito dal malgoverno a cui erano soggetti tanti italiani. Al termine del congresso di Parigi, Cavour poteva dire di aver guadagnato al Piemonte e all’Italia le simpatie del governo inglese e una mezza promessa dal sovrano francese: «Che cosa posso fare per l’Italia?» gli avrebbe detto Napoleone III, salutandolo. La domanda, vaga e imprecisa, poteva significare molto e nulla. Cavour da quel momento cercò di darle un contenuto concreto.

25.4 Ultime insurrezioni mazziniane Le vittime di Belfiore Mentre si sviluppavano le iniziative politiche e diplomatiche di Cavour, Mazzini proseguiva la sua azione di propaganda. Dopo il 1850 fissò il suo centro operativo in Lombardia, organizzando una raccolta di fondi per l’acquisto di armi e munizioni in previsione di nuove insurrezioni. La polizia austriaca, che disponeva di un’efficiente rete di spionaggio, non tardò a scoprire la cospirazione e arrestò la quasi totalità dei patrioti. Ne seguì una dura repressione: a Belfiore (in provincia di Mantova) furono eseguite nove condanne a morte, tra cui quelle di Tito Speri (l’eroe delle Dieci giornate di Brescia) e del sacerdote Enrico Tazzoli (1812-1852). L’attività cospirativa tuttavia continuò, particolarmente intensa tra il 1853 e il 1856. La spedizione di Pisacane Una drammatica vicenda fu la spedizione di Carlo Pisacane (1818-1857), un patriota napoletano seguace di Mazzini, avvicinatosi poi alle idee socialiste. Egli riteneva che la rivoluzione popolare dovesse appoggiarsi ai ceti più poveri, i contadini, ai quali bisognava distribuire la terra attuando una generale riforma agraria. Confidando nello spirito di rivolta delle masse contadine, nel luglio 1857 Pisacane sbarcò con un drappello di trecento uomini a Sapri, nel Cilento, una delle regioni economicamente più depresse delle Due Sicilie. La spedizione si concluse tragicamente: raggiunto dalle truppe borboniche, il gruppo trovò in parte la morte, molti furono gravemente feriti, altri imprigionati. Pisacane, per non cadere vivo nelle mani dei borbonici, si uccise.

Capitolo 25 La seconda guerra d’indipendenza

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Giuseppe Sciuti, Morte di Pisacane, 1890 [Museo Civico, Catania]

Il quadro, di pochi anni successivo ai fatti, rappresenta la fine della sfortunata spedizione a Sapri. Al grido di «Viva l’Italia! Viva la Repubblica!» gli insorti tentarono di far sollevare la popolazione, che invece li costrinse dapprima alla fuga e successivamente aiutò le truppe borboniche nel massacro di cinquanta di loro. Pisacane, per non farsi prendere vivo, si uccise. Era il 1857.

Le insurrezioni spontanee non bastano Il fallimento dei tentativi insurrezionali rivelò ancora una volta la loro inadeguatezza strategica; validi come testimonianza di fede, essi faticavano a configurarsi come progetti politici sia perché coinvolgevano ristrette fasce della società (le masse contadine, che rappresentavano la maggioranza della popolazione, erano del tutto assenti), sia perché mancavano di organizzazione, affidandosi a uno spontaneismo che non era all’altezza dell’impresa. Pertanto, dopo il 1856-57 molti democratici di orientamento repubblicano e mazziniano abbandonarono i programmi insurrezionali e cercarono altre vie di soluzione ai problemi del paese.

25.5 La seconda guerra d’indipendenza (1859) Il trattato di Plombières La generica promessa fatta da Napoleone III a Cavour si trasformò ben presto in un concreto trattato di alleanza militare, stretto a Plombières, in Francia, nel luglio del 1858, tra il Regno di Sardegna e la Francia. Il trattato stabiliva che, se l’Austria avesse attaccato il Piemonte, la Francia sarebbe intervenuta a difendere l’alleato. In caso di vittoria si sarebbero formati un Regno dell’Alta Italia sotto casa Savoia (comprendente Lombardia, Veneto, Emilia, Romagna) e un Regno dell’Italia centrale (Toscana, Marche, Umbria) che Napoleone III contava di affidare al cugino Gerolamo (1822-1891), così come contava di assegnare il Regno delle Due Sicilie a un altro parente, Luciano Murat (1803-1878). Il pontefice avrebbe conservato la sovranità su Roma e il Lazio e fra tutti gli Stati della penisola si sarebbe costituita una federazione, presieduta dallo stesso pontefice. Alla Francia sarebbero andate Nizza e la Savoia. Il rischio che, in questo modo, la Francia diventasse troppo potente in Italia fu poi superato dall’abilità politica di Cavour, che seppe condurre gli eventi verso risultati diversi, utili alla causa italiana. Le manovre di Cavour Il trattato di Plombières si intendeva valido a condizione che la guerra fosse dichiarata dall’Austria: solo in questo caso la Francia sarebbe intervenuta a fianco del Piemonte. Cavour perciò, a cominciare dai primi mesi del 1859, avviò una campagna di provocazione per raggiungere tale scopo: intensificò gli armamenti, concentrò truppe lungo il fiume Ticino (confine con la Lombardia austriaca), raccolse volontari da ogni parte d’Italia e li affidò a Garibaldi perché li organizzasse nel corpo dei “Cacciatori delle Alpi”. Il governo austriaco, contrariato da queste insolite attività militari, protestò e invitò il Piemonte a disarmare, ma ne ottenne un rifiuto. Vienna inviò un ultimatum, cioè un’ultima proposta che, se respinta, avrebbe avuto come seguito la dichiarazione di guerra. Era il 26 aprile 1859 e Cavour non aspettava altro: respinse l’ultimatum e fu la guerra. La guerra Napoleone III inviò in Italia 200.000 uomini che si unirono alle forze armate piemontesi, un corpo costituito da 63.000 combattenti. Entrato in Lombardia, l’eserci-

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Croce Rossa: un’idea nata a Solferino Lombardo-Veneto

Magenta 1859 Battaglie

a Ginevra, riunisce 186 società nazionali e forma, assieme all’analoga Mezzaluna rossa, che opera nei paesi islamici, il “Movimento internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa”, la più grande organizzazione umanitaria del mondo. Il suo emblema, la croce rossa, in effetti non ha un significato religioso ma è derivato dalla bandiera svizzera (croce bianca in campo rosso) con i colori invertiti, a ricordo del paese in cui l’associazione ebbe origine. Dal 2005 l’emblema del Movimento internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa è diventato il Cristallo Rosso, al cui interno può essere inserito il simbolo del paese in cui si opera.

idea venne a un uomo sconvolto da uno spettacolo spaventoso. Il 24 giugno 1859 Henry Dunant (1828-1910), cittadino svizzero, di Ginevra, assistette da una collina alla battaglia di Solferino tra i franco-piemontesi e gli austriaci: un massacro sanguinoso che durò 18 ore e si concluse con 11.000 morti e 30.000 feriti, la maggior parte dei quali destinata a morire per mancanza di cure. Dunant era venuto in Italia per affari: voleva incontrare Napoleone III e proporgli di installare in Algeria un complesso di mulini a vento; ma l’imperatore era troppo occupato a seguire la guerra per dare ascolto a Dunant, che dall’orrore di quella giornata

ricavò un libro pubblicato nel 1862, Ricordo di Solferino, e ne mandò una copia ad amici, conoscenti e a tutte le personalità politiche d’Europa, proponendo di fondare «una società di volontari allo scopo di portare soccorso e cure ai feriti in tempo di guerra senza distinzione di nazionalità». Il libro suscitò grande commozione e la proposta incontrò appoggi e adesioni dappertutto. Nel 1863 a Ginevra furono convocati esperti provenienti da sedici paesi, per studiare un concreto programma d’azione. Da tale riunione nacque il Comitato Internazionale della Croce Rossa, nucleo originario che segnò la nascita della Croce Rossa nel mondo. L’associazione, che ha tuttora sede

Emblema della convenzione di Ginevra

La Croce Rossa, la Mezzaluna Rossa e il Cristallo Rosso

323

to franco-piemontese si scontrò in violente battaglie campali con gli austriaci, forti di 170.000 soldati, riportando decisive vittorie a Montebello, Palestro, Magenta e aprendosi la strada verso Milano. Nel frattempo Garibaldi, con i Cacciatori delle Alpi, avanzò lungo le Prealpi lombarde ed entrò vittorioso a Como, Bergamo, Varese, Brescia.

La battaglia di Solferino e l’armistizio Lo scontro decisivo ebbe luogo il 24 giugno nelle località di Solferino e San Martino, presso il lago di Garda. Qui, circa 300.000 uomini si affrontarono in una battaglia sanguinosa, con perdite elevatissime e innumerevoli feriti da entrambe le parti. Lo scontro si chiuse con la vittoria dei franco-piemontesi. Ma quando già sembrava che l’ultima ora del dominio austriaco in Italia stesse per scoccare, Napoleone cessò di combattere e firmò l’armistizio a Villafranca (11 luglio).

25.6 Le ragioni dei francesi I timori di Napoleone III Per quale motivo il sovrano francese aveva interrotto la guerra proprio nel momento in cui essa stava per concludersi con la vittoria? Le ragioni furono diverse. Innanzitutto, mentre le azioni militari procedevano vittoriose, erano accaduti dei fatti in Italia che Napoleone non aveva previsto e che non erano di suo gradimento. Entusiasmate dai successi militari franco-piemontesi, le popolazioni del Granducato di Toscana e dei Ducati di Parma e di Modena erano insorte contro i loro sovrani e li avevano cacciati, dando vita a governi provvisori; il movimento popolare si era poi esteso ai domìni pontifici, a Bologna, alla Romagna, alle Marche. Questi governi provvisori, diretti da commissari inviati da Cavour, chiedevano di unirsi al Regno di Sardegna, e ciò contrastava gli interessi di Napoleone, il cui obiettivo era quello di creare nel centro dell’Italia uno Stato vassallo della Francia. In secondo luogo, i cattolici francesi, il cui appoggio era necessario a Napoleone per sostenersi sul trono, si mostravano ostili all’idea di privare il papa anche soltanto di una parte dei suoi territori. Infine, si stava profilando un intervento della Prussia a fianco dell’Austria, per impedire che i successi francesi alterassero l’equilibrio europeo delle forze. All’Austria solo il Veneto Per tutti questi motivi Napoleone, senza neppure interpellare Vittorio Emanuele II, stabilì di porre termine alla guerra e firmò i preliminari di pace con l’imperatore d’Austria: il Veneto restava agli Asburgo; la Lombardia fu ceduta al re di Francia, che a sua volta la cedette al re di Sardegna; nel resto dell’Italia tutto tornava e restava come prima. Queste notizie sollevarono in Italia una tempesta di indignazione e spinsero Cavour, furibondo, a dare le dimissioni. Ma la situazione rapidamente cambiò, avviando a soluzione i problemi italiani.

Jean-Louis-Ernest Meissonier, Napoleone III alla battaglia di Solferino, 1859 [Musée d’Orsay, Parigi]

Il dipinto rappresenta la tragica battaglia di Solferino, il 24 giugno 1859, una tra le più sanguinose battaglie della seconda guerra d’indipendenza italiana. Le truppe francesi e piemontesi sconfissero l’armata austriaca, ma con un tributo di decine di migliaia di morti e feriti da ambo le parti.

324

Modulo 7 L’unità italiana

Sintesi

La seconda guerra d’indipendenza

Il Piemonte, un’Italia in miniatura Il processo di unificazione italiana fu realizzato con il contributo di varie forze presenti in Piemonte: il regno sabaudo aveva aperto le frontiere a esuli e perseguitati politici, la cui presenza contribuì allo sviluppo del Risorgimento nazionale. Nel 1849 fu chiamato al governo Massimo d’Azeglio, che cercò di dare slancio alla laicità dello Stato; il suo successore Camillo Benso conte di Cavour (dal 1852) ottenne una maggioranza parlamentare grazie all’accordo (connubio) tra le ali moderate della Destra e della Sinistra. Le idee di progresso civile e sociale di Cavour Cavour si impegnò nell’agricoltura, facendo uso di tecniche moderne nella gestione dei suoi possessi fondiari, trasformati in aziende agricole innovative ed efficienti. Divenuto Primo ministro, tentò di modernizzare il Piemonte: adottò una politica economica liberista, abolendo dazi e dogane, dando impulso al commercio: il porto di Genova acquistò importanza crescente, l’industria siderurgica e meccanica si sviluppò, furono costruite ferrovie e sistemi di canalizzazione. Alla ricerca di alleati. La guerra di Crimea Cavour comprese che il Piemonte aveva bisogno di un forte alleato tra le nazioni europee per poter riuscire ad allontanare le truppe austriache da Lombardia e Veneto. L’occasione si presentò quando Francia, Gran Bretagna e Turchia attaccarono la Russia (1853), che aveva invaso la Moldavia e la Valacchia, alla ricerca di uno sbocco sul Mediter-

raneo orientale. La guerra, che si svolse in Crimea, fu lunga e sanguinosa e le potenze europee chiesero l’intervento di altri eserciti, tra cui quello piemontese. Cavour accettò e inviò un corpo di spedizione guidato dal generale La Marmora. Dopo la sconfitta russa, il Regno di Sardegna poté partecipare al congresso di pace, dove Cavour espose il problema italiano alle potenze europee, ottenendo le simpatie del governo inglese e una vaga promessa di intervento da parte di Napoleone III. Ultime insurrezioni mazziniane Nel frattempo, Mazzini continuava le sue azioni di propaganda. Nel 1850 stabilì il suo centro operativo a Milano e organizzò una raccolta di fondi per nuove insurrezioni; l’iniziativa fu scoperta dalla polizia asburgica, che procedette ad arresti ed esecuzioni. Una vicenda drammatica fu quella di Carlo Pisacane, mazziniano di simpatie socialiste, che sbarcò nel 1857 a Sapri, con l’idea di sostenere una rivoluzione popolare che avesse come fine una riforma agraria e la distribuzione di terre ai contadini. L’esito fu fallimentare. I continui insuccessi mazziniani misero in luce inadeguatezze strategiche e partecipazione di ristrette forze sociali. Alcuni democratici repubblicani si allontanarono dai progetti insurrezionali, alla ricerca di nuove vie per risolvere la questione nazionale italiana. La seconda guerra d’indipendenza (1859) Francia e Regno di Sardegna strinsero un’alleanza militare, sancita dal trattato di Plombières, che prevedeva l’inter-

vento armato francese in caso di attacco al Piemonte e la futura ripartizione dell’Italia: al nord un Regno dell’Alta Italia dominato dai Savoia, mentre due parenti di Napoleone III sarebbero stati posti sul trono del Regno delle Due Sicilie e di un Regno dell’Italia centrale. Accanto a essi sarebbe rimasto in vita lo Stato pontificio. Tutti questi Stati si sarebbero riuniti in una federazione presieduta dal papa. In seguito a ripetute provocazioni del Piemonte, gli austriaci risposero con un ultimatum, scaduto il quale attaccarono; i francesi intervennero e si ebbero diverse battaglie campali; quella decisiva ebbe luogo a San Martino e Solferino (24 giugno), vinta dai francopiemontesi. Ma un mese dopo, Napoleone si ritirò dalla guerra e stipulò con l’Austria l’armistizio di Villafranca (luglio 1859). Le ragioni dei francesi I motivi che portarono al ritiro francese dalla guerra furono diversi. Anzitutto, si erano verificate insurrezioni popolari, in Toscana, a Parma e a Modena, che avevano portato all’instaurazione di governi provvisori che chiedevano di essere uniti al Regno di Sardegna. Tali insurrezioni si estesero anche ad alcuni domìni pontifici (Bologna, Romagna, Marche). Questi fatti erano in contrasto con gli interessi e i progetti francesi. Inoltre, i cattolici francesi non accettavano l’idea di privare il papa di alcuni territori; infine, l’alterazione degli equilibri europei comportava il rischio di un intervento in guerra della Prussia a fianco dell’Austria. In seguito agli accordi di pace, l’Austria cedette la Lombardia alla Francia, che la assegnò al Piemonte.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1849

1850

1852

1853

1855

1. Francia e Gran Bretagna chiedono al governo di Torino aiuto militare in Crimea 2. inizio del governo Cavour 3. armistizio di Villafranca 4. alleanza di Plombières 5. congresso di Parigi

1856

6. 7. 8. 9. 10.

1857

1858

1859

1861

inizio del governo d’Azeglio Mazzini fissa il suo centro operativo in Lombardia fine del governo Cavour la Russia invade la Moldavia e la Valacchia spedizione di Carlo Pisacane

Capitolo 25 La seconda guerra d’indipendenza

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto

g. La Lombardia non fu ceduta direttamente dall’Austria al Piemonte.

V

F

h. Cavour impostò la sua politica economica sui princìpi del liberismo e del libero scambio.

V

F

i. Il connubio era un accordo politico tra d’Azeglio e Rattazzi.

V

F

l. L’opinione pubblica piemontese era favorevole all’intervento militare in Crimea.

V

F

V

F

n. I “Cacciatori delle Alpi” erano un corpo di volontari organizzato da Garibaldi.

V

F

Accordo segreto tra più persone per sovvertire una situazione politica

o. I cattolici francesi non erano contrari a privare il papa di alcuni territori.

V

F

Ultima proposta rivolta da uno Stato a un altro con conseguenze in caso di rifiuto

p. Il modello politico ed economico al quale Cavour guardava era l’Inghilterra.

V

F

q. La battaglia decisiva della seconda guerra d’indipendenza fu quella di Magenta.

V

F

r. Perché la Francia intervenisse in guerra, era necessario che l’Austria attaccasse il Piemonte.

V

F

armistizio • commesse • connubio • cospirazione • fertilizzante • liberismo • socialismo • spionaggio • ultimatum Sostanza usata per la concimazione dei terreni agricoli Dottrina che propone un sistema produttivo basato sull’eguaglianza sociale Cessazione delle ostilità belliche in vista della stipula di un trattato di pace

Teoria economica che prevede la libera iniziativa e il libero mercato Ordinazioni di qualcosa da produrre o da costruire Attività clandestina finalizzata a raccogliere informazioni Coalizione realizzata in Piemonte tra i moderati dei diversi schieramenti

3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Dopo il 1852, molti democratici repubblicani abbandonarono la linea insurrezionale.

Analizzare e produrre

V

m. Secondo Pisacane, ai contadini andavano assegnate le terre mediante una riforma agraria.

4. Associa i nomi alle nozioni. spedizione di Sapri • Regno dell’Italia centrale • fertilizzanti chimici • repressione a Belfiore • armistizio di Villafranca • abolizione dei privilegi del clero • Cacciatori delle Alpi • Sinistra democratica • guerra di Crimea Alfonso La Marmora

F

Carlo Pisacane

Giuseppe Garibaldi b. Lo scopo della guerra di Crimea era evitare che V F la Russia ottenesse uno sbocco sul Mediterraneo. Enrico Tazzoli 4. Completa la tabella riportando all’interno, nella posizione corretta, i termini indicati. c. In Piemonte si rifugiarono molti esuli e perseguitati Urbano Rattazzi V F politici•provenienti dagli altri Stati italiani. cavalieri secolare • autonomia • corvées • decima • dipendenza • mestiere • taglia • canone • regolare • caccia • doni • tornei Napoleone III d. Il Regno dell’Alta Italia comprendeva Lombardia, F sociale Vita quotidiana V Condizione sociale Veneto, Marche,Funzione Emilia, Romagna. Justus von Liebig e. L’armistizio di Villafranca seguì l’uscita I …...................….. erano al ……..................….. delle armi. Pratica- ……................................….. V educati F dalla guerra di guerrieri Napoleone III. Gerolamo Bonaparte NOBILI vano la …….........................….. e i ……........................….. economica f. Il governo d’Azeglio introdusse importanti Massimo d’Azeglio V F innovazioni nell’agricoltura. Avevano soprattutto obblighi. Tra questi, i più diffusi erano CONTADINI

produttori di beni

Analizzare e produrre

le …….....................….. e il …….....................….. . Altri tributi erano la ……........................….. e i ……........................….. Erano divisi in clero …….........................….. (monaci) e in clero

preghieradomande con……........................….. leggere alle e scrivere. Godevano 5.SACERDOTI Rispondi alle seguenti un breve testo (preti). di mas-Sapevano 6. Rispondi seguenti domande.

4. 5.

economica …….................................…..

economica

di una entrata specifica, la…….........................….. 1. Chi era Camillo Benso di Cavour? Che cosa si intende per “connubio”? 2. Quale fu la sua formazione politica e i suoi interessi? Quale era il progetto di Carlo Pisacane? Che esito ebbe? 3. Quali elementi innovativi introdusse nella gestione dei suoi Quando si ebbe il governo d’Azeglio? Quali furono le sue possessi fondiari? caratteristiche? 4. Quali cariche politiche furono ricoperte da Cavour? Che tipo Per quale motivo la Francia si ritirò dalla seconda guerra di politica economica fu introdotta da Cavour? d’indipendenza? 5. A quali princìpi si ispirava? Con quali conseguenze pratiche? Per quali cause scoppiò la guerra di Crimea? Quali Stati vi 6. Che cosa contraddistinse la politica estera di Cavour? Quali presero parte? Per quale motivo? risultati riuscì a conseguire? In che modo?

simo 5 righe. 1. 2. 3.

……................................…..

325

326

Modulo 7 L’unità italiana

Con le informazioni raccolte, completa la seguente mappa concettuale.

CARATTERI DELLA POLITICA DI CAVOUR CARICHE RICOPERTE ............................................................... ............................................................... ...............................................................

POLITICA ESTERA

MAGGIORANZA PARLAMENTARE

............................................................... ............................................................... ............................................................... ...............................................................

Camillo Benso Conte di Cavour

.............................................................. .............................................................. ..............................................................

...............................................................

..............................................................

...............................................................

..............................................................

INFRASTRUTTURE INNOVAZIONI

POLITICA ECONOMICA

.........................................................................................

.........................................................................................

.........................................................................................

.........................................................................................

.........................................................................................

.........................................................................................

Leggi il documento “I vantaggi della politica liberista secondo Cavour“ riportato a p. 317 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4.

Quale linea politica seguì? Quale principio è difeso nel discorso riportato dal documento? Chi si oppose nel 1851 a Cavour? Con quali argomentazioni? Per quale motivo? Che cosa replicò Cavour a queste critiche? Che cosa accadde dopo otto mesi?

Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un testo di massimo 12 righe dal titolo “Profilo di Camillo Benso, conte di Cavour”.

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Quando fu combattuta la seconda guerra d’indipendenza italiana? Da chi? Che cosa prevedevano gli accordi di Plombières? A che condizioni sarebbe intervenuta la Francia? Per quale motivo Cavour organizzò provocazioni ai confini con l’Austria? In che cosa consistevano? Quali furono i principali scontri armati? Chi li vinse? Tra chi fu stipulato l’armistizio di Villafranca? Che cosa prevedeva? Quali reazioni e quali conseguenze si ebbero in Italia dopo questo conflitto?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

LA SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA ITALIANA LE ALLEANZE GLI ACCORDI IL CONFLITTO LE BATTAGLIE L’ESITO

......................................................................................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................................... .........................................................................................................................................................................................................................................

Modulo 7 L’unità italiana

26 Nasce

Capitolo

327

il Regno d’Italia

Percorso breve Contro i progetti iniziali di Napoleone III, che mirava a controllare l’Italia centrale, il fortunato esito della seconda guerra d’indipendenza fece scoppiare insurrezioni di patrioti in Toscana, Emilia e Romagna, e anche queste regioni, oltre alla Lombardia, furono annesse al Piemonte mediante plebisciti. Nizza e la Savoia passarono alla Francia come compenso per l’appoggio militare ricevuto. Intanto si faceva esplicito l’appoggio inglese alla causa italiana. L’unità nazionale, avviata dalla monarchia di Savoia con la guerra e le annessioni del 1859-60, fu portata a compimento da Giuseppe Garibaldi, che con un piccolo esercito di volontari (i celebri “Mille”) riuscì nel 1860 a conquistare il Regno delle Due Sicilie. Partito il 6 maggio da Quarto, presso Genova, con il tacito consenso di Vittorio Emanuele II, egli sbarcò con i suoi uomini in Sicilia, a Marsala (11 maggio), mentre la flotta inglese sorvegliava le acque. Ottenuto l’appoggio delle popolazioni locali, da sempre ostili ai Borbone anche per motivi indipendentistici, Garibaldi penetrò nell’interno ed ebbe uno scontro vittorioso con l’esercito borbonico nella violentissima battaglia di Calatafimi (15 maggio), che gli aprì la via verso Palermo. Per garantirsi l’appoggio del ceto dirigente locale, gli ufficiali garibaldini (in particolare il suo luogotenente Nino Bixio) non esitarono a reprimere nel sangue le ribellioni dei contadini contro i proprietari delle terre. Dalla Sicilia Garibaldi passò in Calabria e avanzò su Napoli, dove entrò il 7 settembre. Al fiume Volturno si combatté la battaglia decisiva, che costrinse il re Francesco II ad abbandonare lo Stato mentre Vittorio Emanuele II ordinava all’esercito piemontese di marciare attraverso le Marche e l’Umbria e di riunirsi con i garibaldini a Napoli.

Garibaldi, 1860 [Bibliothéque Nationale, Parigi]

Si compì in tal modo l’unificazione politica del paese: il 17 marzo 1861 il Parlamento di Torino proclamò la nascita del Regno d’Italia, di cui Vittorio Emanuele II assunse la sovranità.

328

Modulo 7 L’unità italiana

26.1 Le annessioni al Piemonte La resistenza tosco-emiliana La frettolosa firma dell’armistizio di Villafranca da parte di Napoleone III era stata in parte determinata dai timori per l’instaurazione di governi provvisori nei territori dell’Italia centrale. In Toscana e in Emilia, i patrioti che capeggiavano tali governi dichiararono che avrebbero impedito con le armi, a qualsiasi costo, il ritorno degli antichi sovrani. A Firenze, il barone Bettino Ricasoli (1809-1880) affermò di essere disposto a saltare in aria con il Palazzo Vecchio, sede del nuovo governo, prima di lasciare rientrare il granduca; altrettanto fermo fu l’atteggiamento di Luigi Carlo Farini (1812-1866) nei ducati emiliani, di Leonetto Cipriani (1812-1888) in Romagna. Si armarono volontari e fu chiamato Garibaldi a comandarli per resistere con la forza a qualunque tentativo di restaurazione.

La Parola

plebiscito Il termine significa ‘decisione del popolo’. Deriva dal latino ed è composto delle due parole plebs, ‘plebe’, ‘popolo’ e scitum, ‘ordine’, participio passato di sciscere che vuol dire ‘deliberare’.

Sostegno inglese e stallo austriaco In quei giorni inoltre si manifestò una chiara presa di posizione della Gran Bretagna in favore degli italiani. Il governo inglese, capeggiato dal liberale John Temple conte di Palmerston (1784-1865), oltre a provare simpatia per la causa italiana, era anche persuaso che fosse un vantaggio per la pace europea rafforzare la posizione dell’Italia a spese dell’Austria. Vista la situazione favorevole che si era creata grazie all’appoggio inglese e grazie anche alla politica di non intervento nei territori italiani cui si stavano costringendo Austria e Francia, Vittorio Emanuele II riconsegnò le redini del governo al dimissionario Cavour, che riavviò le trattative con Napoleone III, sempre molto interessato ad acquisire Nizza e la Savoia. Plebisciti e annessioni al Piemonte Su iniziativa dello stesso Cavour, fu indetto per il 12 marzo 1860 nei territori ribelli un plebiscito per decidere sull’annessione al Regno di Sardegna (cioè al Piemonte). Una vasta campagna propagandistica portò all’esito sperato dal conte: il 97% dei votanti si dichiarò favorevole all’annessione e Cavour, forte di questi risultati, ottenne dall’imperatore francese l’unione al Piemonte non soltanto della Lombardia ma anche della Toscana, dell’Emilia e della Romagna. In cambio furono cedute alla Francia, sempre con decisione plebiscitaria, Nizza e la Savoia.

26.2 La spedizione dei Mille Garibaldi in Sicilia L’impresa che fu poi chiamata “spedizione dei Mille” – perché circa un migliaio erano i volontari che inizialmente vi parteciparono – fu suggerita a Garibaldi dalla particolare situazione della Sicilia. L’isola, da tempo ostile al regime borbonico di Napoli, contro il quale si era già ribellata più volte con intenzioni separatiste, era in grande fermento per i clamorosi avvenimenti del nord Italia e pareva pronta a sollevarsi. Tetar van Elven, La partenza dei Mille, 1889 [Museo del Risorgimento, Istituto Mazziniano, Genova]

L’idea di una spedizione in Sicilia fu di due esuli siciliani in Piemonte, Rosolino Pilo e Francesco Crispi. I volontari partirono dallo scoglio di Quarto su due piroscafi della compagnia Rubattino, il Piemonte e il Lombardo, requisiti da Nino Bixio.

Capitolo 26 Nasce il Regno d’Italia

329

I numerosi esuli siciliani emigrati in Piemonte – Francesco Crispi (1818-1901), Rosolino Pilo (1820-1860), Giovanni Corrao (1822-1863) e altri – si erano incontrati con Garibaldi e gli avevano proposto di preparare un corpo di spedizione: il loro piano era di far scoppiare delle insurrezioni nell’isola e di appoggiarle con il corpo da sbarco. Tutta la Sicilia, essi pensavano, avrebbe fatto causa comune con Garibaldi, sostenendolo nella lotta contro i Borbone di Napoli. A frenare Garibaldi, tuttavia, c’era il ricordo delle tragiche e solitarie iniziative dei fratelli Bandiera e di Pisacane.

La rivolta di Palermo Il primo moto insurrezionale scoppiò il 4 aprile 1860 a Palermo, seguito due giorni dopo da una rivolta a Messina. Contrariamente alle speranze, il movimento non riuscì a estendersi perché subito soffocato dai borbonici. Soltanto alcune bande armate, condotte da Rosolino Pilo, riuscirono a guadagnare le montagne e a mantenere accesa la rivolta nelle località dell’interno. Garibaldi, quando seppe che la rivolta rimaneva viva nelle campagne, decise comunque di intervenire e cominciò ad arruolare volontari. Vittorio Emanuele e Cavour finsero di non sapere nulla e lasciarono fare. Il viaggio dei Mille All’alba del 6 maggio 1860 salparono da Quarto, un sobborgo di Genova, le navi a vapore Piemonte e Lombardo, comandate da Garibaldi. A bordo, 1085 volontari (secondo altri calcoli, 1089) provenienti da diverse parti d’Italia: bergamaschi e genovesi, milanesi e livornesi, pavesi, romagnoli, veneziani, trentini, siciliani; tra di essi anche alcuni esuli polacchi e ungheresi. Un piccolo drappello di uomini, alla conquista di un regno difeso da 100.000 soldati e da oltre 100 navi da guerra. Dopo sei giorni di navigazione e una sosta a Talamone, sulla costa toscana, per provvedersi di armi e di carbone, i Mille sbarcarono l’11 maggio a Marsala, grazie all’appoggio della flotta inglese che sorvegliava le acque del porto dagli attacchi dei Borbone, e si avviarono verso l’interno dell’isola, tra gli sguardi curiosi dei contadini.

26.3 La battaglia di Calatafimi e la repressione dei moti popolari Un’incredibile vittoria Il primo scontro tra le truppe borboniche e i volontari garibaldini si ebbe il 15 maggio nei pressi di Calatafimi. Fu una battaglia violentissima, con fasi drammatiche e quasi disperate per gli uomini di Garibaldi, che avevano di fronte forze più che doppie. Garibaldi intuì il grande valore di quello scontro: se i suoi non lo avessero superato, ben difficilmente si sarebbe potuto continuare nell’impresa. Dopo un combattimento sanguinoso, i garibaldini riuscirono a mettere in fuga i borbonici, e da quel momento ottennero la fiducia e l’appoggio delle popolazioni. Da diverse parti dell’isola accorsero volontari, in prevalenza contadini, che vedevano in Garibaldi il salvatore, colui che li avrebbe liberati dall’oppressione dei Borbone e dei latifondisti. Governo provvisorio e rivolte Questa convinzione si rafforzò quando il generale, insediato un governo provvisorio affidato a Francesco Crispi, varò una serie di provvedimenti a carattere popolare, come l’abolizione di una tassa sul macinato, che gravava soprattutto sui ceti più miseri, e l’assegnazione di terre comunali ai contadini. Sull’onda dell’entusiasmo non tardarono a sorgere tra i contadini violente ribellioni, appropriazioni di terre, incendi, vendette, stragi. Contro questa esplosione di rivendicazioni sociali le autorità garibaldine reagirono con durezza, alla maniera militare. I garibaldini contro i contadini ribelli In realtà, Garibaldi non aveva alcuna intenzione di suscitare o tollerare movimenti di popolo volti a sovvertire il diritto di proprietà, poiché per la sua azione aveva bisogno dell’appoggio dei proprietari terrieri, nobili e borghesi, che di fatto dirigevano la vita dell’isola e guidavano il movimento di liberazione contro i Borbone. Senza il loro sostegno sarebbe diventato problematico continuare con successo la guerra. Perciò le autorità garibaldine, in accordo con i notabili sici-

Gerolamo Induno, Addio alla mamma del garibaldino, 1860 [Pinacoteca di Brera, Milano]

All’amor di patria deve cedere il passo l’amor di madre: è un tema frequentemente affrontato dall’arte patriottica, che tendeva a stabilire attorno alla missione risorgimentale un consenso della famiglia, esaltata come cellula della nazione.

330

Modulo 7 L’unità italiana liani, non esitarono a reprimere con le armi le rivolte sociali, come per esempio avvenne a Bronte, alle falde dell’Etna, dove il luogotenente di Garibaldi, Nino Bixio (1821-1873), intervenne con le armi contro i contadini che avevano occupato il feudo della famiglia dell’ammiraglio inglese Nelson. Furono trucidate 150 persone. Fatti simili avvennero a Recalbuto, Castiglione, Randazzo, Centorbi e in altre località.

26.4 L’intervento dei piemontesi La conquista di Napoli Dopo aver conquistato Palermo e sopraffatto le ultime difese avversarie nell’isola (Milazzo, Messina, Augusta, Siracusa), l’esercito garibaldino sbarcò in Calabria e, superata ogni resistenza, il 7 settembre 1860 entrò a Napoli. Francesco II (1859-60), diventato re appena l’anno precedente, abbandonò la capitale e si rifugiò con le truppe rimastegli fedeli – in gran parte mercenari tedeschi – nella fortezza di Gaeta. A questo punto intervenne l’esercito piemontese. Cavour e Vittorio Emanuele, che fino ad allora, pur appoggiando tacitamente l’impresa di Garibaldi, si erano mantenuti in un prudente riserbo, ritennero che fosse giunto il momento di muoversi apertamente e di inviare a Napoli le truppe regolari. Le ragioni dell’intervento piemontese Due furono i motivi principali che spinsero Cavour all’intervento. Il primo di carattere interno: la monarchia temeva che, in seguito alle clamorose vittorie dei garibaldini, l’intero paese diventasse repubblicano (la maggior parte dei volontari professava idee mazziniane e lo stesso Garibaldi, pur mostrandosi leale verso il re, era di sentimenti repubblicani). Il secondo di carattere internazionale: Cavour temeva che Garibaldi, conquistata Napoli, proseguisse con le sue truppe fino a occupare Roma. In tal caso sarebbe sorta una grave complicazione: l’intervento minacciato da Napoleone III, imperatore di Francia, in difesa dello Stato pontificio.

Aa Documenti Vittorio Emanuele a Garibaldi: «Non mi obbedisca» La lettura di un singolo documento non è mai sufficiente per lo storico, il cui lavoro consiste nel confrontarlo con altri, per verificarne il contenuto e il significato. A volte, questo procedimento consente di rovesciare completamente

il senso delle testimonianze. Per esempio, la corrispondenza fra Garibaldi e il re Vittorio Emanuele II riserva delle sorprese che risultano evidenti solo se si mettono a confronto e in parallelo tutte le lettere.

C

aro Generale, Lei sa che allorquando Ella partì per la spedizione di Sicilia non ebbe la mia approvazione; ora mi risolvo a darLe un suggerimento nei gravi momenti attuali, conoscendo la sincerità dei Suoi sentimenti verso di me. Per cessare la guerra fra Italiani ed Italiani, io La consiglio a rinunziare all’idea di passare con la Sua valorosa truppa sul continente napoletano. Generale, ponderi il mio consiglio e vedrà che è utile all’Italia, verso la quale Ella può accrescere i Suoi meriti, mostrando all’Europa che, come sa vincere, così sa fare buon uso della vittoria.

Ma il re, in realtà, desiderava che Garibaldi proseguisse verso Napoli: la lettera era stata scritta solo per necessità diplomatica. Infatti, unita alla prima lettera, ce n’era una seconda che diceva: Ora, dopo aver scritto da Re, Vittorio Emanuele Le suggerisce di rispondere presso a poco così. Dire che il Generale è pieno di devozione per il Re, che vor-

Il 22 luglio 1860, mentre Garibaldi, conquistata la Sicilia, stava preparandosi a sbarcare in Calabria, Vittorio Emanuele II gli scrisse questa lettera, invitandolo a non muoversi dalla Sicilia.

rebbe poter seguire i suoi consigli, ma che i suoi doveri verso l’Italia gli impongono di soccorrere i Napoletani per liberarli da un governo nel quale gli uomini leali ed i buoni Italiani non possono aver fiducia. Non poter dunque aderire ai desideri del Re volendosi riservare piena la sua libertà d’azione. Cinque giorni dopo, infatti, Garibaldi rispose al re di non potergli obbedire:

S

ire, La Maestà Vostra sa di quanto affetto e riverenza io sia penetrato per la Sua persona e quanto io bramo di ubbidirla, però V. M. Deve ben concepire in quale imbarazzo mi porrebbe oggi un’attitudine passiva, in faccia alle popolazioni del continente napoletano, a cui ho promesso il mio immediato appoggio. L’Italia mi chiederebbe conto della mia passività e credo ne deriverebbe immenso danno. Al termine della mia missione io deporrò ai piedi di V. M. L’autorità che le circostanze mi hanno conferito e sarò ben fortunato d’ubbidirla per il resto della mia vita.

Capitolo 26 Nasce il Regno d’Italia

331

La battaglia del Volturno Pertanto l’esercito piemontese mosse verso Napoli, penetrando nelle Marche e nell’Umbria, e a settembre vinse le truppe del papa a Castelfidardo e ad Ancona. Quasi negli stessi giorni Garibaldi combatté lungo il fiume Volturno la battaglia di più vaste proporzioni dell’intera campagna: i 50.000 uomini di Francesco II attaccarono in forza, nel tentativo di capovolgere la situazione con una sola decisiva vittoria. Garibaldi, che disponeva di 24.000 uomini, diede prova di tutte le sue capacità di comandante e di trascinatore di uomini, riuscendo a respingere l’attacco da ogni parte. Un plebiscito preventivo Subito dopo la battaglia del Volturno Cavour si affrettò a far approvare dal Parlamento piemontese una legge che consentiva allo Stato sabaudo di annettere altri Stati italiani che avessero espresso la volontà di unirsi al Regno di Sardegna. In questo modo lo statista cercava di prevenire la formazione di Assemblee costituenti da parte delle forze democratiche e repubblicane, vincitrici contro i Borbone in Sicilia e a Napoli (qui erano anche arrivati Mazzini e Cattaneo). Per evitare tempestivamente la possibile “deriva” repubblicana, Cavour fece indire per il 21 ottobre un plebiscito in tutte le province dell’ex Regno delle Due Sicilie e il responso fu di schiacciante consenso per l’annessione. Giunsero infine in Campania le truppe piemontesi di Vittorio Emanuele II.

26.5 Da Teano al Regno d’Italia (17 marzo 1861) L’incontro di Teano Il 26 ottobre 1860 Garibaldi, ben consapevole dei risultati del plebiscito, andò a incontrare Vittorio Emanuele II e nei pressi di Teano lo accolse e lo salutò come re d’Italia. Con questo incontro il generale intese consegnare ogni potere nelle mani del sovrano sabaudo. L’impresa poteva dirsi finita ma la lealtà dimostrata da Garibaldi verso il re non fu ricompensata, perché in ogni modo si tentò di licenziare e allontanare il generale dalla scena politica e militare; non si vollero neanche riconoscere ai suoi volontari i medesimi diritti di cui godevano i soldati dell’esercito piemontese. Garibaldi a Caprera, Mazzini in esilio Amareggiato e deluso, Garibaldi a quel punto sciolse le sue truppe e, rifiutati i titoli, le decorazioni, il denaro che gli erano stati offerti («Son qui per fare l’Italia – disse al re – non per fare carriera»), si ritirò nell’isola di Caprera. Prima però, il 7 novembre del 1860, entrò simbolicamente a Napoli al seguito del sovrano, a cui consegnò i risultati delle votazioni. Dopo due giorni l’eroe del Risorgimento italiano, che aveva conquistato e consegnato un regno, si imbarcò senza clamore per Caprera, carico di un sacchetto di semi, qualche barattolo di zucchero e caffè e un po’ di pasta. Anche Mazzini andò di nuovo in esilio, ma nei progetti di entrambi l’opera di unificazione italiana non era conclusa. Mancavano Roma e il Veneto. Il primo Parlamento italiano Terminata la spedizione dei garibaldini e dell’esercito piemontese, anche le Marche e l’Umbria, scorporate dallo Stato pontificio, proclamarono in maniera nettissima con un plebiscito la loro volontà di annessione al Regno di Sardegna. Così in tutte le regioni, dalle Alpi alla Sicilia (esclusi il Veneto austriaco e il Lazio papale), nel gennaio 1861 si tennero le elezioni dei deputati al primo Parlamento italiano, che ebbe sede a Torino e fu formato dai rappresentanti di ogni parte della penisola, eletti con il sistema in uso in Piemonte e quindi in base al censo. La proclamazione del Regno d’Italia Nella riunione del 17 marzo 1861 il Parlamento proclamò la fondazione del Regno d’Italia sotto la monarchia dei Savoia. Vittorio Emanuele II ne fu il primo re, proclamato «per grazia di Dio e volontà del popolo».

Carlo Bossoli, Voto per l’annessione nella sala dell’Università a Napoli, 1860-62 [da Album storico-artistico della Guerra d’Italia nel 1859; Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli, Milano]

Le operazioni di voto del plebiscito a suffragio universale maschile per l’annessione del Regno di Napoli al Regno di Sardegna si svolsero a Napoli, presso l’università. Le votazioni si risolsero in poco più che una celebrazione pubblica dell’unificazione.

332

Modulo 7 L’unità italiana Pietro Aldi, Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II a Teano, part., 1866-88 [Palazzo Pubblico, Siena]

L’affresco rappresenta lo storico incontro avvenuto il 26 ottobre 1860 al bivio di Taverna Catena, presso Teano. Garibaldi consegnò a Vittorio Emanuele II le province meridionali e ogni potere politico su di esse.

Il nuovo Stato adottò la bandiera tricolore, nata in età napoleonica come emblema della Repubblica cispadana e già adottata dalle truppe piemontesi, con l’aggiunta dello stemma dei Savoia, durante la prima guerra d’indipendenza. Ma per completare l’unità territoriale e politica del nuovo Stato occorreva ancora risolvere le questioni di Roma e di Venezia; alla loro soluzione si stava dedicando Cavour, quando il 6 giugno 1861 lo statista improvvisamente morì. Fu una grave perdita e tutti ne furono consapevoli, anche Mazzini e Garibaldi, che tante volte erano stati in contrasto con lui.

Vincenzo Cabianca, Garibaldi a Caprera, 1870-80 [Galleria d’Arte Moderna, Firenze]

La tela rappresenta lo sconforto di Garibaldi per essere stato estromesso dalla vita politica del paese, tanto da auto-esiliarsi a Caprera.

I luoghi della storia

Da tutta Europa per parlare all’“eroe dei due mondi”

L’appellativo “eroe dei due mondi” con cui fu conosciuto Garibaldi, oggetto di grandissima fama e, dopo la morte, anche di una vera e propria devozione popolare, con tanto di immaginette e santini, trova la sua ragion d’essere nel fatto che il generale ebbe davvero, in tutte le sue azioni, una visione ampia di ciò che faceva. E poiché operò in questo modo sia in Europa sia in America, si spiega l’entusiasmo che ovunque lo accompagnò, da una parte e dall’altra dell’Atlantico. La vicinanza al popolo e ai suoi

U

problemi, il carattere schietto e semplice, la quantità di luoghi che percorse e in cui si fermò (non c’è quasi paese in Italia che non abbia dedicato a Garibaldi una strada o una piazza; non c’è quasi paese dove non si ricordi che abbia riposato o alloggiato) sono gli aspetti materialmente visibili di una larga visione politica, che concepiva il tema dell’indipendenza nazionale solo all’interno di un quadro internazionale. Una pagina dello scrittore e giornalista Giuseppe Bandi (1834-1894), che raccon-

n caravanserraglio dell’Oriente, coi suoi ospiti tanto diversi di razza, di fogge, di colori, potrebbe dare soltanto un’idea del nostro quartier generale e delle persone ragguardevoli o volgari, piacevoli o grottesche, rinomate od ignote, che sedettero alla nostra mensa durante quei mesi fantastici. Per intenderci in mezzo a quella Babele, parlavamo ordinariamente il tedesco, senza scapito però degli altri idiomi; così che a mio fratello, scrivendo io il 2 settembre

tò in un diario di guerra, intitolato I Mille, la sua esperienza come sottotenente volontario al seguito di Garibaldi (fu ferito a Calatafimi e considerato un eroe dallo stesso Garibaldi), mostra come al quartier generale del comandante affluissero persone da ogni dove: diplomatici, messi, semplici curiosi. La testimonianza è importante perché mette in luce non solo la popolarità di Garibaldi in Europa, ma la dimensione internazionale in cui si poneva il problema dell’unità italiana e, quindi, della spedizione dei Mille.

di apparecchiarsi a seguirmi alla liberazione di Roma, cui ci tenevamo sicuri di avviarci, appena sbrigate le faccende con il reame di Napoli, consigliavo «d’imparar ben bene il tedesco, lingua parlata al mio stato maggiore, oltre l’ungherese, il francese, l’inglese». Curiosa condizione per italiani che combattevano in un esercito italiano ed in Italia! G. Bandi, I Mille, Firenze 1903

Capitolo 26 Nasce il Regno d’Italia

Sintesi

Nasce il Regno d’Italia

Le annessioni al Piemonte In Italia centrale si erano formati dei governi provvisori guidati da patrioti che armarono volontari per resistere al ritorno dei sovrani. Inoltre l’Inghilterra, guidata da Palmerston, prese posizione a favore degli italiani. Vittorio Emanuele II richiamò al governo Cavour, che indisse nei territori ribelli un plebiscito (marzo 1860), il cui esito fu favorevole all’annessione al Regno di Sardegna. Oltre alla Lombardia, anche Toscana, Emilia e Romagna furono unite al Piemonte, mentre la Francia otteneva Nizza e la Savoia. La spedizione dei Mille L’impresa dei Mille fu suggerita dall’ostilità verso i Borbone diffusa in Sicilia; gli esuli siciliani in Piemonte (Crispi, Pilo, Corrao) progettarono un piano, in base al quale sarebbero scoppiate nell’isola insurrezioni da appoggiare sbarcando in Sicilia. Garibaldi inizialmente era perplesso, per l’esito negativo delle spedizioni mazziniane in Calabria e a Sapri. Nell’aprile 1860 insorse Palermo; la rivolta fu domata e i ribelli ripiegarono nelle campagne. Garibaldi decise di agire comunque: una spedizione di 1085 volontari salpò da Quarto, presso Genova, e sbarcò l’11 maggio a Marsala.

La battaglia di Calatafimi e la repressione dei moti popolari Il primo scontro si ebbe il 15 maggio a Calatafimi. Nonostante l’inferiorità numerica e l’andamento incerto e violento della battaglia, i garibaldini riuscirono a mettere in fuga i borbonici, ottenendo l’appoggio delle popolazioni e di gruppi di volontari. Fu instaurato un governo provvisorio, guidato da Francesco Crispi, che prese provvedimenti a favore di poveri e contadini. Nacquero però violente ribellioni contadine, represse dagli uomini di Garibaldi, che necessitava dell’appoggio di nobili e borghesi siciliani. Alcune furono duramente stroncate, come avvenne a Bronte, dove il luogotenente Nino Bixio intervenne in armi. L’intervento dei piemontesi Dopo aver conquistato Palermo e la Sicilia, Garibaldi sbarcò in Calabria e giunse a Napoli nel settembre 1860. Il re Francesco II si rifugiò a Gaeta con le truppe fedeli. A questo punto Cavour e Vittorio Emanuele II decisero di intervenire con l’esercito, temendo sia la possibile affermazione di una repubblica sull’onda dei successi garibaldini sia che Garibaldi potesse attaccare lo Stato pontificio, rischiando un possibile intervento francese a difesa del papa. L’esercito sabaudo si mosse

attraverso Marche e Umbria, mentre Garibaldi otteneva la vittoria nella decisiva battaglia del Volturno. Fatta approvare una legge che permetteva l’annessione al Piemonte degli Stati che avessero espresso tale volontà, Cavour indisse un plebiscito, con cui le province dell’ex Regno delle Due Sicilie espressero la volontà di annessione al Piemonte. Da Teano al Regno d’Italia (17 marzo 1861) Dopo il plebiscito, presso Teano si ebbe l’incontro tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi, che lo salutò come re d’Italia; i due entrarono a Napoli nel novembre 1860. In seguito, Garibaldi, deluso dal comportamento del re, che sembrava voler ridimensionare il suo ruolo politico e militare, si ritirò nell’isola di Caprera. Dopo l’annessione di Napoli, anche Marche e Umbria passarono a far parte del Regno di Sardegna in seguito a plebisciti. Nel gennaio 1861 si ebbero le prime elezioni dei deputati per il Parlamento italiano; nella prima seduta (17 marzo 1861), fu proclamata la fondazione del Regno d’Italia sotto la monarchia dei Savoia. L’unità italiana era quasi completa, a eccezione di Roma e del Veneto, quando improvvisamente, nel giugno 1861, Cavour morì.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Associa a ciascuna data l’evento corrispondente. 15/5/1860 • 17/3/1861 • 12/3/1860 • 26/10/1860 • 6/6/1861 • 6/4/1860 • 7/9/1860 • 11/5/1860 • 7/11/1860 • 6/5/1860 • 21/10/1860 • 4/4/1860 incontro di Teano

battaglia di Calatafimi

insurrezione a Palermo

insurrezione a Messina

morte di Cavour

plebiscito nel Regno delle Due Sicilie

partenza da Quarto

plebisciti in Toscana, Emilia, Romagna

Garibaldi entra a Napoli

arrivo a Marsala

Garibaldi e Vittorio Emanuele entrano a Napoli

proclamazione del Regno d’Italia

333

334

Modulo 7 L’unità italiana

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto.

3. Associa i nomi alle nozioni corrispondenti.

annessione • armistizio • costituente • deputato • luogotenente • macinato • plebiscito • rivolta sociale

re delle Due Sicilie • governo provvisorio Firenze • bande armate in Sicilia • governo inglese • luogotenente di Garibaldi • governo provvisorio Emilia • governo provvisorio Sicilia • esule siciliano in Piemonte • governo provvisorio Romagna

Assemblea eletta allo scopo di redarre le norme fondamentali di uno Stato Farina ottenuta dal grano e da altri cereali

Rosolino Pilo John Palmerston

Consultazione diretta del popolo su questioni di particolare rilevanza

Luigi Carlo Farini

Incaricato di svolgere un compito di rappresentanza

Francesco II

Ribellione che mira al miglioramento delle condizioni di vita del popolo

Nino Bixio

Leonetto Cipriani

Acquisizione di uno Stato o di un territorio a opera di un altro Stato Sostituto temporaneo di chi ricopre il massimo grado di una gerarchia

Giovanni Corrao Francesco Crispi Bettino Ricasoli

Cessazione delle ostilità belliche in vista della stipula di un trattato di pace

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

g. L’intervento piemontese a Napoli era dovuto a ragioni di carattere sia interno sia internazionale.

V

F

F

h. Dopo i plebisciti del marzo 1860, Lombardia, Marche, V Emilia e Romagna furono annesse al Piemonte.

F

V

F

V

F

c. Cavour e Vittorio Emanuele II intervennero per impedire la partenza della spedizione dei Mille.

i. La rivolta scoppiata a Palermo nell’aprile 1860 fu subito soffocata dai borbonici.

V

F

l. Dopo la spedizione dei Mille, Garibaldi si ritirò a Caprera.

V

F

d. Il governo provvisorio siciliano abolì la tassa sul macinato e assegnò terre comunali ai contadini.

V

F

V

F

e. Vittorio Emanuele II fu proclamato re d’Italia «per grazia di Dio e volontà del popolo».

V

F

n. Il governo della Gran Bretagna si oppose al rafforzamento della posizione dell’Italia.

V

F

f. L’esercito piemontese sconfisse le truppe pontificie V nelle battaglie di Castelfidardo e Talamone.

F

o. Le autorità garibaldine repressero con le armi le rivolte sociali.

V

F

a. I territori appartenuti al Regno delle Due Sicilie furono annessi al Piemonte il 26 ottobre 1860.

V

b. Le prime elezioni del Parlamento si tennero dopo l’approvazione di una nuova legge elettorale.

m. Cavour cercò di prevenire la formazione di assemblee costituenti delle forze repubblicane.

5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti (alcuni termini possono essere usati più volte). 1859 • 1860 • cessione • Francia • governo • marzo • ottobre • Piemonte • plebiscito • pontificio • Villafranca ACQUISIZIONI TERRITORIALI

LOMBARDIA

TOSCANA

EMILIA – ROMAGNA

REGNO DELLE DUE SICILIE

MARCHE – UMBRIA

QUANDO

.....................................

.....................................

...........................................

...........................................

.............................................

Dopo armistizio di

........................... dopo nascita ...................... provvisorio e

............................... dopo nascita ........................... provvisorio e

Scorporo da Stato

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Dopo ........................... dei .................................... ....................................... e ..................................... al

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Capitolo 26 Nasce il Regno d’Italia

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande con un breve testo di massimo 5 righe.

1. In che modo il popolo siciliano reagì allo sbarco dei garibaldini? 2. Che cosa accadde a Garibaldi e a Mazzini dopo la spedizione dei Mille? 3. Quando fu eletto il primo Parlamento italiano? Con quale legge elettorale? 4. Quali furono le ragioni che spinsero Cavour a intervenire nell’Italia meridionale? 5. Quale legge fu approvata a Torino dopo la battaglia del Volturno? Per quale motivo? 6. Quale fu la bandiera scelta per il nuovo Stato italiano? Dove e quando era nata? 7. Quando e come terminò la spedizione dei Mille? 8. Quali modifiche territoriali avvennero nel marzo 1860 nel Regno di Sardegna? 9. Da chi fu organizzata la spedizione dei Mille? Da chi fu sostenuta?

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Da chi fu organizzata la spedizione dei Mille? Quale fu la reazione iniziale di Garibaldi? Per quale motivo? 2. Quando incominciò la spedizione? In seguito a che cosa? 3. Quando ebbe fine? In seguito a che cosa? 4. Chi prese parte alla spedizione? Da chi era appoggiata indirettamente? 5. Da chi fu formato il governo provvisorio siciliano? Quali provvedimenti prese? 6. Quale fu l’atteggiamento di Garibaldi di fronte alle rivendicazioni sociali del popolo e dei contadini? 7. Che cosa accadde a Calatafimi? Che cosa accadde a Bronte? 8. Quali furono le principali tappe della spedizione? Quale fu la battaglia decisiva? 9. Quale fu l’esito finale della spedizione? Come reagì Garibaldi? Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

LA SPEDIZIONE DEI MILLE COME INIZIA QUANDO INIZIA CHI PARTECIPA APPOGGIO DI EPISODI SALIENTI LE BATTAGLIE ESITO FINALE

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8. Verso il saggio breve Leggi il documento “Vittorio Emanuele a Garibaldi: «Non mi obbedisca»” riportato a p. 330 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa contiene il documento? Che informazioni possiamo ricavarne? 2. Quale suggerimento è dato dal re a Garibaldi nel primo documento? Con quale argomentazione? 3. Quali suggerimenti sono dati dal re a Garibaldi nel secondo documento? Con quale argomentazione? 4. Che cosa risponde Garibaldi? Quali suggerimenti sono seguiti nella sua risposta? Con quale argomentazione? 5. Che cosa afferma Garibaldi di voler fare al termine della sua iniziativa?

6. Quale rapporto tra Garibaldi e Vittorio Emanuele si può evincere dalla lettura del documento? Leggi il documento “Da tutta Europa per parlare all’«eroe dei due mondi»” riportato a p. 332 e rispondi alle seguenti domande. 1. Perché Garibaldi era definito “eroe dei due mondi”? 2. Per quale motivo la sua figura ha sempre suscitato entusiasmo? In che modo esso si manifestò? 3. Chi era Giuseppe Bandi? Che cosa descrive nel documento riportato? Sulla base delle informazioni raccolte, scrivi un breve saggio di almeno 10 righe dal titolo “Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi”.

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Modulo 7 L’unità italiana

27 Italia 1861.

Capitolo

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La formazione dello Stato

Percorso breve I primi governi dell’Italia unita dovettero confrontarsi con i problemi di un paese povero e arretrato. L’Italia contava allora 22 milioni di abitanti (26 con il Veneto austriaco e il Lazio pontificio), il 70% dei quali erano contadini. Molto basse le condizioni di vita: le precarie condizioni igieniche favorivano la diffusione di malattie infettive come il tifo e il colera; nelle regioni del Centro-sud era presente a livello endemico la malaria; la malnutrizione dei contadini del Nord, che mangiavano quasi solo polenta di mais, provocava malattie come la pellagra. Elevatissimo (quasi l’80%) era il numero degli analfabeti: problema a cui diede una prima soluzione la legge Casati del 1860, che introdusse in Piemonte, e poi in tutto il regno, l’istruzione elementare obbligatoria. L’Italia fu governata dal 1861 al 1876 dagli uomini della cosiddetta Destra storica, sotto la guida di Bettino Ricasoli (essendo morto Cavour nel 1861). La prima scelta da fare era se dare al paese un’organizzazione centralizzata o se articolarlo in maniera federativa, dando spazio alle autonomie regionali. Dopo un lungo dibattito si intraprese la prima via, nel timore che il paese appena unito si sfaldasse. L’unificazione economica dell’Italia fu avviata con la costruzione di una rete ferroviaria nazionale, l’adozione di una moneta unica (lira) e l’abolizione delle dogane interne, che segnò la nascita di un mercato nazionale all’insegna della politica liberista. Questo danneggiò l’economia del Sud, che subì la concorrenza delle regioni più forti, dove le manifatture industriali erano già avviate. Il contrasto economico tra Nord e Sud, a cui fu dato il nome di “questione meridionale”, si segnalò fin da allora come uno dei maggiori problemi del nostro paese. Anche l’adozione di un sistema fiscale unico pesò sulle regioni meridionali, abituate a una tassazione più leggera. A ciò si aggiunse (altra novità per le popolazioni meridionali) il servizio militare obbligatorio. Da tutto ciò prese avvio un fenomeno drammatico e di ampie proporzioni, il brigantaggio, che tra il 1861 e il 1865 assunse i

Deputati della prima legislatura, 1861

caratteri di una vera guerra civile, contro cui il governo non esitò a impiegare l’esercito, pacificando nel sangue le regioni meridionali. Intanto crescevano le imposte sui consumi: soprattutto quella sul macinato, che colpiva i più poveri, provocò tumulti con centinaia di morti. A questi prezzi fu raggiunto, nel 1875, il pareggio del bilancio.

Capitolo 27 Italia 1861. La formazione dello Stato

27.1 Un paese arretrato, frammentato, analfabeta Carenze infrastrutturali e industriali Nei primi tempi dopo l’unificazione, l’Italia era ancora un paese in prevalenza agricolo, ben diverso da paesi come l’Inghilterra, la Francia o la Germania, in cui la rivoluzione industriale aveva portato radicali cambiamenti economici e sociali. Basti pensare alla mancanza di efficaci sistemi di comunicazione (che, oltretutto, erano indicativi del frazionamento politico e territoriale in cui versava il paese appena unificato). Poche e mal tenute erano le strade. Le ferrovie raggiungevano nell’intero territorio della penisola una lunghezza di 1761 km, ben poco se confrontati alle reti ferroviarie di altri paesi europei: 22.000 km in Francia, 33.000 in Inghilterra. Inoltre, di questi 1761 km, i 4/5 erano concentrati in Piemonte, Lombardia, Toscana, Veneto; appena 1/5 si trovava nel Sud. Un mondo contadino e analfabeta Nel 1861, su una popolazione di circa 22 milioni di abitanti (26 milioni contando anche il Veneto austriaco e il Lazio pontificio), quasi il 70% degli italiani erano contadini, mentre appena il 18% erano operai, concentrati nelle regioni del Nord. La popolazione rurale comprendeva piccoli affittuari, mezzadri, coloni, braccianti, gruppi diversi che avevano in comune la povertà e l’analfabetismo. Nell’insieme, il 78% degli italiani non sapeva leggere né scrivere. La percentuale scendeva al 54% in Lombardia, Piemonte e Liguria; saliva al 90 nelle isole e nel Mezzogiorno, con la punta più alta in Basilicata. I motivi di questo stato di cose, pur nella diversità fra una regione e l’altra, risalivano principalmente alla noncuranza dei governi preunitari nei confronti dell’istruzione popolare, che non solo non era stata favorita, ma, addirittura, era stata ostacolata. Nel Mezzogiorno, in particolare, i sovrani borbonici avevano deliberatamente lasciato le popolazioni nell’ignoranza, convinti che tale condizione fosse la più adatta a mantenere il popolo in obbedienza. La legge Casati All’analfabetismo si aggiungeva il frazionamento dal punto di vista linguistico: ogni città, ogni regione aveva la sua parlata particolare. Come agli inizi del secolo, una lingua italiana comune era conosciuta e usata soltanto da un limitato numero di persone colte, mentre il grosso della popolazione parlava dialetto. Per combattere l’analfabetismo e unire così anche linguisticamente il paese, il ministro Gabrio Casati (1798-1873) fece estendere al resto del Regno la legge piemontese del 1860 sull’istruzione elementare obbligatoria e gratuita per i primi due dei quattro anni previsti. La cosiddetta legge Casati non ebbe però facile attuazione. Frammentazione diffusa L’unificazione, dunque, era più di nome che di fatto, anche perché ciascuno dei vecchi Stati – pur se inglobato nel Regno – si regolava con le sue leggi tradizionali e usava proprie monete: lire in Piemonte, scudi nel Regno pontificio, once in Sicilia, piastre nel Napoletano, e così via: nell’insieme si contavano più di una cinquantina di monete diverse. Anche i pesi e le misure erano differenti e così pure le usanze, le abitudini di vita. Carro trainato da due cavalli di fronte alla fontana di Santa Lucia a Napoli, 1860-65 ca. [Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari, Firenze]

Una raffigurazione tipica del Meridione d’Italia all’indomani dell’Unità: anche le città (perfino una metropoli come Napoli) hanno un aspetto rurale.

La Parola

mezzadria La mezzadria è un contratto agricolo in cui, facendo a metà delle spese e dei prodotti ricavati, il colono si impegna a coltivare il fondo concessogli dal proprietario della terra. Questo tipo di conduzione era molto diffusa nell’Italia centrale (Toscana, Umbria, Marche) e in Emilia-Romagna mentre al Sud dominava il latifondo e al Nord la piccola e media azienda agricola.

337

Modulo 7 L’unità italiana

338

27.2 Una popolazione con gravi problemi alimentari e sanitari Malnutrizione al Nord Uno degli aspetti più inquietanti della vita delle popolazioni, soprattutto rurali, era l’insufficiente e scadente alimentazione. La dieta dei contadini era prevalentemente vegetale e basata sui prodotti locali. Nell’area padana si consumavano grandi quantità di polenta di mais, il cereale di origine americana che dalla seconda metà del Settecento aveva cominciato a essere intensamente coltivato per fornire qualche sollievo alla fame dei ceti rurali [ 7.3]. I più poveri spesso avevano nel piatto di polenta l’unico alimento della giornata, insaporito da rare verdure (cavoli, rape) e da qualche pezzo di carne o di pesce conservato sotto sale. Chi poteva, integrava il consumo di polenta con quello di pane nero, fatto con cereali inferiori come la segale o l’avena, talvolta anche con legumi (fagioli, ceci, lenticchie). Nel corso dell’Ottocento cominciarono a diffondersi anche la patata e il riso (in certe zone come la Lombardia e il Piemonte). In ogni caso mancava la varietà e soprattutto mancavano gli apporti proteici dati dalla carne, un consumo di lusso riservato ai benestanti: solo nelle città, talvolta, anche la gente del popolo riusciva a consumarne, quando i prezzi erano bassi. La pellagra Questa monotonia alimentare fu causa, nel corso dell’Ottocento e fino agli inizi del Novecento, di gravi epidemie di pellagra, una terribile malattia provocata dalla carenza di vitamina PP (che dalla farina di granoturco non si può assimilare, se non viene sottoposta a trattamenti particolari): inizialmente essa provoca infezioni della pelle, poi, aggravandosi, può portare alla pazzia e alla morte. Soprattutto le campagne del Veneto, della Lombardia e dell’Emilia ne furono colpite. Malnutrizione al Sud Le condizioni alimentari del Centro-sud non erano migliori di quelle del Nord: anche qui c’era grande monotonia di alimenti, generale scarsità di carne e di apporti proteici. Tuttavia, la grande povertà dei contadini e dei braccianti meridionali non arrivò mai a scatenare malattie da carenza alimentare come la pellagra dell’area padana. Base della dieta popolare nel Sud era infatti il pane di frumento, cioè un prodotto assai più ricco dal punto di vista nutritivo, a cui, inoltre, si aggiungevano più abbondanti verdure quali i cavoli, le cipolle, i pomodori (altro prodotto di origine americana che conobbe un grande successo nell’Ottocento). Cibo completo era anche la pasta, che i contadini del Sud consumavano già allora abbondantemente, anche se non dappertutto. Come grassi alimentari si usavano ovunque il lardo e lo strutto; più raro era l’impiego del burro (al Nord) e dell’olio (al Sud). Assai importante dal punto di vista energetico era anche l’apporto del vino.

Aa Documenti Il pane e la carne «Lui mangia carne e noi pane»: così, in modo estremamente sintetico e quasi simbolico, un piccolo artigiano fiorentino

I

distingue l’alimentazione del “popolo” da quella del “signore”. E protesta, in una lettera al giornale «La Nazione», per la

o sono un povero ciabattino di principii moderati e sono stato fino ad ora col governo e perciò leggo tutti i giorni il vostro giornale. Ieri leggendo un vostro articolo sul macinato trovai che la logica era bella ma il conto non mi tornava; per esempio io guadagno due lire al giorno, ho otto figli minori di età e consumo al giorno 18 libbre di pane perché altro non c’entra. Ora con l’aumento dovuto al macinato pago e mi rincara due centesimi la libbra, in un mese sono lire 10,80, in

recente introduzione della tassa sul macinato, cioè sulla farina, cioè sul cibo dei poveri.

un anno lire 129,60; come volete che poveri come noi si possa pagare detta tassa? Non gli basta al signore, lui mangia carne e noi pane, non gli basta al signore nelle ricorrenze mangiare pasticci di fegato di Strasburgo e noi una minestraccia di fagioli e ci si contenta. Ma, perdio, non cercate di levarci una parte anche di questa. «La Nazione», gennaio 1869

Capitolo 27 Italia 1861. La formazione dello Stato

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Camillo Polozzi, Contadini umbri, 1888 La situazione economica era così precaria che chi possedeva degli animali li utilizzava esclusivamente per il lavoro agricolo.

Igiene precaria e malattie Le condizioni igieniche in cui viveva la popolazione erano generalmente malsane, né vi era un’efficace protezione sanitaria da parte dello Stato. In certe regioni d’Italia migliaia di famiglie vivevano in grotte, altre in capanne di paglia, canne e fango. In città come Napoli o Roma c’erano quartieri dove uomini e donne, vecchi e bambini si ammucchiavano in umidi scantinati. La precarietà delle condizioni igieniche, unita alla scadente alimentazione, favoriva il diffondersi delle infezioni e delle malattie. Soprattutto il colera – che fu chiamato “la peste dell’Ottocento” – infierì e fece numerose vittime: più di 160.000 persone ne furono colpite tra il 1865 e il 1869, con una particolare virulenza nell’Italia meridionale, già interessata dal tifo epidemico. In diverse località, come nel Lazio, in Sardegna e nella bassa pianura del Po (Romagna e Polesine), si stendevano vaste zone paludose, infestate da zanzare anofele che, spargendosi nei luoghi abitati, con la loro puntura trasmettevano all’uomo la malaria, malattia spesso mortale.

27.3 Il primo Parlamento italiano Destra e Sinistra Il 27 gennaio 1861 si svolsero le prime elezioni politiche generali per la formazione del Parlamento italiano. Su una popolazione di 22 milioni di cittadini, solo una ristrettissima minoranza aveva diritto di voto: circa 400.000 persone, meno del 2% del totale. Ciò era dovuto alla legge elettorale piemontese del marzo 1848 (estesa a tutto il Regno dopo il compimento dell’unità nazionale) in base alla quale il diritto di voto era riconosciuto solo a quanti possedevano un certo patrimonio e pagavano allo Stato un determinato importo di tasse. I due principali raggruppamenti politici si denominarono Destra e Sinistra, secondo una tradizione risalente ai tempi della Rivoluzione francese, legata alla posizione che ciascun gruppo occupava nell’aula, rispetto al presidente della Camera. La Destra, che fu poi definita “storica” per non confonderla con successivi movimenti reazionari, era costituita da moderati liberali, seguaci della politica di Cavour. La Sinistra comprendeva i democratici progressisti, provenienti dalle file mazziniane e garibaldine, ex repubblicani che un po’ a malincuore avevano accettato la monarchia.

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Modulo 7 L’unità italiana La Destra al potere In base ai risultati elettorali ebbe la prevalenza la Destra e ai suoi esponenti fu dato l’incarico di formare il governo, il primo governo dell’Italia unita. Cavour ne fu il presidente e ministro degli Esteri. Al bolognese Marco Minghetti fu affidato il ministero degli interni; al piemontese Giovan Battista Natoli l’agricoltura; al modenese Manfredo Fanti la guerra; al livornese Piero Bastogi le finanze; al fiorentino Ubaldino Peruzzi i lavori pubblici; al napoletano Francesco De Sanctis l’istruzione.

Palazzo Carignano, Torino, 1679-85 Nel 1861 il seicentesco palazzo Carignano divenne sede del primo Parlamento dell’Italia unita. Proprio a questo scopo tra il 1864 e il 1871 esso fu ampliato su progetto di Gaetano Ferri e Giuseppe Bollati, dei quali è l’eclettica facciata posteriore su piazza Carlo Alberto.

I modi della storia

Decentrare o centralizzare? La prima questione da affrontare fu quella di creare una nuova organizzazione statale che sostituisse ai diversi sistemi amministrativi e giudiziari un ordinamento unico, valido per l’intero territorio della penisola. Furono prospettate due diverse soluzioni, una basata sulle autonomie regionali (il governo centrale doveva lasciare alle singole regioni la libertà di amministrarsi in autonomia, secondo le particolari esigenze economiche e le tradizioni locali), una basata sulla centralizzazione (il governo centrale doveva regolare e controllare direttamente le regioni, per mezzo di suoi funzionari). In Europa gli esempi più caratteristici di Stati decentrati erano l’Inghilterra e la Svizzera; la Francia, invece, era un modello di Stato centralizzato. Lo Stato centralizzato Molti parlamentari aderirono alla proposta di decentramento presentata dal ministro Minghetti e sostenuta, nel paese, da Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo. Ma il progetto fu respinto e finì per prevalere la scelta di uno Stato centralizzato, suggerita dal timore che le autonomie regionali potessero mettere in pericolo l’unità del paese, raggiunta tardivamente e con tanta fatica. L’attuazione dell’ordinamento accentrato fu affidata al successore di Cavour, il fiorentino Bettino Ricasoli [ 26.1] il quale estese all’intero territorio della penisola l’organizzazione statale piemontese, a sua volta modellata su quella della Francia. Il paese fu diviso in province, con a capo i prefetti, che ricevevano gli ordini direttamente dal governo centrale. Tale ordinamento è restato in vigore per oltre un secolo, fino al 1970, anno in cui lo Stato italiano ha dato vita alle autonomie regionali che, in base ai princìpi della nuova Costituzione repubblicana (1948), si propongono di stimolare l’autogoverno e con esso la vita democratica del paese.

“Piemontizzare”

Il termine “piemontizzare” fu usato, in tono polemico e dispregiativo, da vari settori del mondo politico e culturale del Mezzogiorno d’Italia dopo l’unità, per indicare la volontà, da parte dei piemontesi, di uniformare la vita del Regno ai

L

modelli del loro Stato. Nel brano che segue, tratto da una mozione parlamentare di Francesco Proto Carafa duca di Maddaloni, presentata nel 1862, il governo di Torino è accusato di avere non già annesso, ma conquistato le terre del Sud,

a smania di subito impiantare nelle province napoletane quanto più si poteva delle istituzioni del Piemonte, senza neppur discettare se fossero o no opportune, fece nascere sin dal principio della dominazione piemontese il concetto e la voce “piemontizzare”. […] Tutto si fa venir dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per i dicasteri e per le pubbliche amministrazioni. […] A’ mercanti di Piemonte dànnosi le forniture più lucrose: burocratici di Piemonte occupano quasi tutti i pubblici uffizi, gente spesso ben più corrotta degli antichi burocratici napoletani. Anche a fabbricare le ferrovie si mandano operai piemon-

e di trattarle come zone di sfruttamento coloniale. La visione è eccessiva nei toni, ma riflette bene le difficoltà di integrazione che segnarono la nascita del nuovo Stato italiano.

tesi i quali oltraggiosamente pagansi il doppio che i napolitani. A facchini della dogana, a carcerieri, a birri vengono uomini di Piemonte e donne piemontesi si prendono a nudrici dello ospizio dei trovatelli, quasi neppure il sangue di questo popolo più fosse bello e salutevole. Questa è invasione, non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra sic come terra di conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare le province meridionali come il Cortes e il Pizzarro facevano nel Perù e nel Messico, come gli inglesi nei regni del Bengala. Mozione d’inchiesta del duca di Maddaloni,1862

Capitolo 27 Italia 1861. La formazione dello Stato

341

27.4 La formazione di un mercato nazionale Riforme economiche e amministrative L’unificazione legislativa, monetaria e amministrativa, con l’abolizione delle dogane interne, fu ultimata nel 1865. La lira divenne la moneta unitaria e varie banche provvedevano alla sua emissione: i tempi non erano ancora maturi per la creazione di una Banca nazionale. Tutto ciò ebbe come prima conseguenza la formazione di un mercato nazionale, cioè di un commercio interno lungo l’intera penisola. Lo sviluppo dei traffici commerciali fu stimolato dalla politica liberista del governo della Destra, favorevole al libero movimento delle merci, senza impedimenti di dazi o dogane. Per promuovere gli scambi si lavorò nel campo delle comunicazioni e dei trasporti: la rete ferroviaria fu quasi quintuplicata e nel 1876 raggiunse gli 8300 km; anche le strade furono migliorate, se ne costruirono 21.000 km e si realizzò una galleria sotto il Fréjus che congiunse nel 1871 l’Italia e la Francia. Fu favorito il commercio marittimo creando porti e sostenendo la navigazione a vapore; aumentò in maniera considerevole il numero degli uffici postali e delle linee del telegrafo. Il declino economico del Sud La politica liberista del governo, tuttavia, abolendo dazi e dogane, comportò un danno per l’economia del Sud. Infatti le manifatture delle regioni meridionali, numericamente scarse e condotte in forme ancora artigianali, non furono in condizione di resistere alla concorrenza delle industrie più sviluppate delle regioni settentrionali né tanto meno a quella degli Stati stranieri più avanzati. Non più protette dai dazi, le manifatture del Sud entrarono in una fase di declino e, in gran parte, cessarono le loro attività. Ciò si verificò nelle industrie tessili, nelle cartiere, nelle raffinerie di zucchero, poi nelle industrie alimentari collegate con il mondo rurale, quali la fabbricazione di salumi, la lavorazione di latticini, olio, vino. Queste attività finirono in buona parte assorbite dalle industrie settentrionali, che si imposero in virtù di tecnologie più avanzate e di prezzi più bassi. La “questione meridionale” Incominciò così a delinearsi in Italia fin dai primi anni di storia unitaria il contrasto economico tra il Nord e il Sud, determinato dalla localizzazione delle industrie nelle regioni settentrionali e dal persistente carattere agricolo delle regioni meridionali. Uno stato di cose a cui gli storici hanno dato il nome di “questione meridionale”, un grave problema che pesò sullo sviluppo complessivo del paese e che è perdurato fino ai nostri tempi, come uno dei nodi più complessi della vita economica e politica italiana. Passeggeri e impiegati della ferrovia fermi alla stazione di Velletri, 1865 ca. L’allargamento della rete ferroviaria fu uno dei primi obiettivi della politica nazionale dopo l’Unità.

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Modulo 7 L’unità italiana

27.5 Il disavanzo dello Stato Il nuovo sistema fiscale L’unificazione ebbe un alto costo economico, che pesò per molti anni sul bilancio dello Stato: le guerre risorgimentali, la costruzione della rete ferroviaria e di quella stradale, la creazione di un’amministrazione unica, queste e altre spese provocarono nel bilancio dello Stato un disavanzo enorme. Portare il bilancio in pareggio fu l’obiettivo che si pose il ministro delle Finanze Quintino Sella (in carica negli anni 1862, 1865, 1869-73): sotto la sua direzione il governo fece ricorso a una tassazione più pesante e attuò un sistema fiscale unico per tutta la penisola. Questa decisione provocò irritazione e malcontento in gran parte del paese, perché negli Stati preunitari molti cittadini avevano pagato tasse assai più basse, e alcuni, i più poveri, ne erano stati del tutto esenti. Sui proprietari terrieri il fisco si mostrò moderato; più pesantemente colpì gli industriali, i commercianti, i professionisti. Ma le somme più alte furono ottenute con le imposte indirette, che gravavano indistintamente su tutti e pesavano, quindi, soprattutto sulle masse popolari, essendo applicate ai generi di largo consumo come il sale, il carbone, i fiammiferi.

Domenico Morelli, Ritratto di Quintino Sella, XIX sec. [Museo del Risorgimento, Torino]

Artefice della unificazione del sistema fiscale, Quintino Sella attuò una politica di forti imposte indirette (tasse sui beni di consumo).

L’imposta sul macinato A far esplodere l’indignazione popolare fu un nuovo peso fiscale, deliberato nel 1868: l’imposta sul macinato, che colpiva la farina all’atto della molitura, 2 lire al quintale per il frumento e 1 lira per il granoturco. L’imposta, mentre non fu neppure avvertita dai ceti più ricchi, diventò un aggravio insopportabile per le masse, che vivevano prevalentemente di pane, pasta e polenta. «Imposta progressiva sulla miseria» essa fu definita da un deputato dell’opposizione, Francesco Crispi. La nuova imposta entrò in vigore nel gennaio 1869. Immediatamente scoppiarono dei tumulti e dopo appena due settimane si contavano 250 morti, 1000 feriti, 4000 arrestati. In Emilia, dove le proteste furono particolarmente violente, fu necessario mobilitare un corpo d’armata per ristabilire l’ordine e continuare a percepire l’imposta. Il pareggio del bilancio fu raggiunto otto anni dopo, nel 1875.

Le vie della cittadinanza

“T

Tributi, tasse, imposte

ributi”, “tasse”, “imposte”: a queste parole, che si riferiscono al prelievo fiscale operato dallo Stato sui cittadini, per poter sostenere le spese di funzionamento dell’apparato pubblico e per finanziare i servizi essenziali alla comunità (scuole, ospedali, ecc.), il linguaggio corrente attribuisce spesso un significato generico, quasi si trattasse di sinonimi. Invece, solo il termine “tributo” si riferisce, genericamente, a un contributo richiesto dallo Stato e pagato dal cittadino. Gli altri due termini hanno un significato più preciso e più tecnico: “tasse” sono quella particolare categoria di tributi che il cittadino versa nel momento in cui usufruisce di un determinato servizio (per esempio, quando si spedisce una lettera utilizzando la posta di Stato, si paga una tassa acquistando il relativo francobollo). “Imposte” sono invece i tributi che vengono versati senza che vi sia un rapporto immediato con un servizio. Due sono le forme principali di imposta: dirette e indirette.

Le imposte “dirette” sono quelle fissate in base al reddito, ossia al guadagno dei singoli cittadini, con un criterio proporzionale (versare allo Stato una parte del proprio guadagno annuo) che viene fissato, di solito, in modo progressivo (la quota da versare è sempre più alta a mano a mano che il reddito cresce). È questo ciò che l’articolo 53 della nostra Costituzione stabilisce, quando dichiara che «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività». La principale imposta diretta italiana è l’IRPEF (Imposta sul reddito delle persone fisiche). Ogni anno, ciascun contribuente è tenuto a compilare un apposito modulo, con il quale dichiara all’ufficio provinciale delle imposte dirette l’ammontare delle sue entrate relative all’anno precedente (per esempio, nel 2012 si dichiara il reddito del 2011); contemporaneamente deve versare l’imposta, calcolata secondo una

percentuale del reddito complessivo. Tale percentuale cresce con il crescere del reddito e può variare secondo le decisioni del governo. Le imposte “indirette” sono invece versate in base agli acquisti che si fanno: per esempio, ogni volta che acquistiamo un litro di benzina, o un chilo di sale, una parte del prezzo corrisponde a una tassa che viene versata allo Stato. Questo secondo tipo di imposta è assai più semplice da riscuotere, poiché non prevede né la denuncia dei propri redditi da parte del cittadino, né l’accertamento di quei redditi da parte dello Stato. In compenso, essa è ingiusta dal punto di vista sociale, poiché fa pagare la stessa imposta a tutti, indipendentemente dal loro reddito, gravando di più sui contribuenti poveri. La principale di queste imposte indirette è oggi l’IVA (Imposta sul valore aggiunto), applicata su tutti gli oggetti in commercio, dal quaderno all’automobile, dalla lampadina al computer.

Capitolo 27 Italia 1861. La formazione dello Stato

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27.6 Brigantaggio e rivolta sociale Una guerra civile Una grave rivolta armata scoppiò nell’Italia meridionale nel 1861, dapprima in Basilicata e poi in Irpinia, estendendosi quindi al Sannio, al Molise, all’Abruzzo, alla Puglia. Fu un imponente movimento di masse contadine, il cosiddetto “brigantaggio”, in rivolta contro il nuovo Stato e i nuovi governanti, di dimensioni a tal punto preoccupanti da impegnare le forze dell’esercito e da assumere i caratteri di una vera guerra civile. All’origine del brigantaggio Il brigantaggio nel Sud era un male antico, una piaga ormai cronica degli Stati preunitari, provocata dalle secolari condizioni di miseria dei contadini, molti dei quali, spinti dalla disperazione, fuggivano sulle montagne per vivere di furto e di rapina. Il passaggio dal regime borbonico allo Stato unitario aggravò, inizialmente, le condizioni di vita delle popolazioni, soprattutto per l’aumento delle tasse e per l’introduzione del servizio militare obbligatorio, due pesi insostenibili per molte famiglie di contadini e di braccianti, che si vedevano private di risorse e di forza lavoro giovanile (nel passato Regno borbonico, la tassazione era molto lieve e il servizio militare esisteva solo in forma volontaria). Avvenne così che molti giovani si diedero alla macchia per non presentarsi al servizio di leva. Nel 1861 nella sola Sicilia si contarono non meno di 25.000 coscritti scomparsi fra le montagne. «L’ipocrisia della libertà» Il siciliano Francesco Crispi così scriveva a Garibaldi per spiegargli che cosa stava accadendo in Sicilia e i gravissimi rischi che la situazione comportava a livello nazionale: «Mio Generale [...] credo mio dovere dirvi qualche cosa della povera isola che voi chiamaste a libertà e che i vostri successori ricacciarono in una servitù peggiore di prima. Dal nuovo regime quella popolazione nulla ha ottenuto di che possa esser lieta. Nissuna giustizia, nissuna sicurezza personale, l’ipocrisia della libertà sotto un governo, il quale non ha d’italiano che appena il nome. [...] La popolazione

Briganti della banda di Crocco, dopo la cattura, 1864 Attiva nel Melfese (in Basilicata) all’epoca del cosiddetto brigantaggio, la banda di Crocco fu uno degli innumerevoli gruppi formatisi nel Mezzogiorno d’Italia. Il brigantaggio aveva radici antiche ma si acuì con il passaggio allo Stato unitario.

Filomena Pennacchio, Giuseppina Utale e Maria Giovanna Tito dopo la disfatta delle bande capeggiate da Crocco, 1865 Tra le fila dei briganti militavano spesso anche le donne. Figlie, madri o mogli di briganti, spesso rimaste sole, si univano alle bande dimostrandosi capaci di partecipare attivamente alla rivolta contadina.

Modulo 7 L’unità italiana

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in massa detesta il governo d’Italia, che al paragone trova più tristo del Borbonico. Grande fortuna che non siamo travolti in quell’odio noi, che fummo causa del mutato regime! Essa ritien voi martire, noi tutti vittime della tirannide [...] Se i consiglieri della Corona non mutano regime, la Sicilia andrà incontro a una catastrofe. È difficile misurarne le conseguenze, ma esse potrebbero essere fatali alla patria nostra».

Interessi borbonici e interventi militari La ribellione fu alimentata anche dagli sbandati dell’ex esercito borbonico e dagli aiuti di armi e di denaro inviati da Francesco II, il detronizzato sovrano del Regno di Napoli, che da Roma, dove si era rifugiato, sosteneva il movimento nella speranza di poter riconquistare il Regno. Gli osservatori più accorti erano ben consapevoli che il brigantaggio aveva radici profonde e non si poteva spiegare come un fenomeno di pura delinquenza. Tuttavia il governo non esitò a usare la mano forte, mandando l’esercito, oltre 100.000 uomini, a occupare militarmente le regioni meridionali e a reprimere la guerriglia con costi umani altissimi. Fu, come si scrisse, «la pagina forse più tragica e dolorosa della nostra storia nazionale». Nel 1865 il Sud poteva dirsi “pacificato”, ma nessuno dei problemi che avevano provocato il conflitto era stato veramente affrontato.

Aa Documenti Il brigantaggio nell’inchiesta Massari L’inchiesta sul brigantaggio nel Mezzogiorno, promossa dal Parlamento italiano nel dicembre 1862, è uno dei documenti più importanti e significativi sugli aspetti

I

e sulle cause del complesso fenomeno. La relazione presentata l’anno successivo da Giuseppe Massari (1821-1884), collaboratore di Cavour e presidente della commis-

l brigantaggio è sintomo di un male profondo e antico. La prima causa è la condizione sociale, lo stato economico del campagnolo, che in quelle province è assai infelice. Il contadino non ha nessun vincolo che lo stringa alla terra. La sua condizione è quella del nullatenente... Molta è la gente che non sa come fare per guadagnarsi la vita. I braccianti più miseri hanno pane di tal qualità che non

sione, individua con estrema lucidità le radici sociali ed economiche del brigantaggio, collegandolo alla situazione di povertà e di malessere delle regioni del Sud.

ne mangerebbero i cani. Tanta miseria e squallore sono la naturale base del brigantaggio. La vita del brigante abbonda di attrattive per il povero contadino. […] Su 375 briganti che si trovano il giorno 15 aprile nelle carceri, 293 sono miseri braccianti. […] Nella provincia di Reggio Calabria, dove la condizione del contadino è migliore, non vi sono briganti. […] Il sistema feudale spento dal progredire della civiltà ha lasciato un’eredità che non è ancora totalmente distrutta. I baroni non esistono più, ma la tradizione dei loro soprusi non è ancora cancellata e in parecchie località l’attuale proprietario non cessa di rappresentare agli occhi del contadino l’antico signore feudale. Il contadino sa che le sue fatiche non gli fruttano benessere, sa che il prodotto della terra non sarà suo, si vede e si sente condannato a perpetua miseria, e l’istinto della vendetta sorge nell’animo suo. L’occasione gli si presenta, egli non se la lascia sfuggire, si fa brigante. […] Il brigantaggio diventa così la protesta selvaggia e brutale della miseria contro antiche e secolari ingiustizie. G. Massari, Relazione sulle cause del brigantaggio nel Mezzogiorno, 1863

Briganti di Sonnino (Latina), seconda metà del XIX sec. [Museo Centrale del Risorgimento Italiano, Roma]

Capitolo 27 Italia 1861. La formazione dello Stato

Sintesi

Italia 1861. La formazione dello Stato

Un paese arretrato, frammentato, analfabeta Dopo l’unificazione, l’Italia era un paese prevalentemente agricolo. Gli operai, presenti solo nel Nord del paese, erano pochi; non esisteva un efficiente rete di strade e di ferrovie. L’analfabetismo era estremamente diffuso (in media il 78% degli italiani). Vi era un forte frazionamento linguistico: la maggioranza della popolazione parlava dialetto. Il problema fu affrontato con la legge Casati, che introduceva l’istruzione elementare obbligatoria ma ebbe difficoltà di attuazione. Nei vari Stati preunitari esistevano poi diverse monete, pesi, misure oltre che diverse usanze e stili di vita. Una popolazione con gravi problemi alimentari e sanitari I contadini avevano un’alimentazione scadente e insufficiente, con un bassissimo apporto di proteine della carne. Nell’Italia settentrionale il cibo principale consumato dai contadini era la polenta di mais, oltre al pane nero, alla patata e al riso. Questo tipo di alimentazione monotono provocò epidemie di pellagra. Nell’Italia centro-meridionale i consumi erano leggermente più vari: pane di frumento, verdure, pasta e non si verificarono malattie da carenze alimentari. Le malsane condizioni igieniche delle popolazioni provocarono la diffusione di infezioni e malattie, come il colera, il tifo, la malaria. Il primo Parlamento italiano Nel gennaio 1861 si tennero le elezioni per il primo Parlamento del nuovo Stato unitario; votava solo chi aveva un certo reddito e

pagava un certo importo fiscale (2% circa della popolazione). I raggruppamenti politici erano la Destra “storica” (moderati liberali e seguaci di Cavour) e la Sinistra (democratici progressisti, mazziniani e garibaldini). Una maggioranza legata alla Destra sostenne il primo governo nazionale. La prima questione da affrontare era l’organizzazione e l’ordinamento da dare al nuovo Stato, su cui si fecero due ipotesi. Il ministro Minghetti sostenne le autonomie regionali, ma la proposta fu respinta per timore di mettere a rischio l’unità del paese. Prevalse l’ipotesi di centralizzazione: l’organizzazione statale del Regno di Sardegna fu estesa a tutto il territorio nazionale, diviso in province amministrate da prefetti.

Il disavanzo dello Stato Gli alti costi economici dell’unificazione determinarono un enorme disavanzo nel bilancio statale, per cui il ministro delle Finanze Quintino Sella si propose l’obiettivo di arrivare al pareggio del bilancio, mediante una tassazione forte e un unico sistema fiscale. Queste scelte provocarono un crescente malcontento nella popolazione, soprattutto per l’inasprimento delle imposte indirette, che riguardavano i beni di consumo e gravavano allo stesso modo su tutte le fasce sociali. Nel 1868 l’introduzione dell’imposta sul macinato provocò tumulti sedati con l’uso della forza. Nel 1875 si arrivò al pareggio del bilancio.

La formazione di un mercato nazionale Nel 1865 si era completata l’unificazione legislativa, monetaria (introduzione della lira come moneta unica) e amministrativa (abolizione delle dogane interne). Si formò un mercato nazionale, favorito dalla politica liberista della Destra: si svilupparono i commerci e i traffici interni, si migliorò il sistema delle comunicazioni e dei trasporti. Tale politica danneggiò le manifatture del Sud, ancora artigianali, che non ressero la concorrenza di quelle settentrionali, tecnologicamente più avanzate. L’abolizione dei dazi di protezione le mise in grave crisi, fino alla cessazione delle attività, poi assorbite da industrie del Nord. Si incominciò a delineare un evidente contrasto economico tra il Nord industriale e il Sud agricolo (“questione meridionale”).

Brigantaggio e rivolta sociale Nel 1861 scoppiò nell’Italia meridionale il brigantaggio, una rivolta armata contro il nuovo Stato a opera di masse di contadini. Le cause del fenomeno riguardavano l’aggravio delle condizioni di vita delle popolazioni per l’aumento delle tasse e l’introduzione del servizio militare obbligatorio, che aveva sottratto forza lavoro giovanile a contadini e braccianti. Il movimento fu finanziato da Francesco II di Borbone, che sperava di riconquistare il Regno. Il governo del nuovo Stato unitario intervenne con l’esercito, occupando militarmente le regioni meridionali e reprimendo con durezza la guerriglia, con aspetti di guerra civile. Nel 1865 il brigantaggio fu debellato con la forza, ma non ne furono sanate le cause.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1848

1. 2. 3. 4. 5.

1860

1861

1865

tassa sul macinato attuazione delle autonomie regionali in Italia costituzione della Repubblica italiana legge elettorale piemontese costruzione della galleria del Frejus

1868

1869

6. 7. 8. 9. 10.

1871

1875

1948

1970

violenti tumulti in Emilia sedati dall’intervento dell’esercito pareggio del bilancio abolizione delle dogane interne legge piemontese sull’istruzione obbligatoria prime elezioni politiche del Parlamento italiano

345

346

Modulo 7 L’unità italiana

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. analfabetismo • brigante • centralizzazione • dialetto • disavanzo • frazionamento • liberismo • malaria • mezzadria • monotonia • pellagra • piastra • prefetti Tendenza a riunire in un solo potere centrale i poteri periferici Contratto agrario che prevedeva il pagamento al padrone della metà dei prodotti Malattia provocata da carenze vitaminiche che provoca erezioni cutanee e nevrosi Malvivente che compie azioni violente contro persone e cose Eccedenza delle uscite sulle entrate in un bilancio Malattia spesso mortale trasmessa all’uomo dal morso di zanzare anofele Suddivisione, in ambito soprattutto amministrativo o finanziario Organi periferici che rappresentano il governo centrale Sistema linguistico utilizzato in una comunità e in uno spazio geografico ristretti Teoria economica che prevede la libera iniziativa e il libero mercato Ripetizione insistente di uno stesso fatto o di una stessa situazione Incapacità di leggere e scrivere Monete usate nel Regno delle Due Sicilie

3. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento. a. Dei 1761 km totali di ferrovie sul territorio italiano, la percentuale di quelle presenti al Sud era di: 2/5.

1/5.

3/5.

4/5.

b. La proposta di introdurre nel nuovo Stato il decentramento amministrativo fu presentata da: Carlo Cattaneo. Bettino Ricasoli.

Marco Minghetti. Quintino Sella.

Manfredo Fanti. Francesco De Sanctis.

d. Come moneta del nuovo Stato italiano fu adottata: la lira. la piastra.

lo scudo. l’oncia.

e. Il pareggio del bilancio fu raggiunto nel: 1873.

1875.

1871.

1868.

f. Nelle elezioni del 1861, il corpo elettorale era composto all’incirca: dal 3% della popolazione. dal 5% della popolazione. dal 6% della popolazione. dal 2% della popolazione. g. Le autonomie regionali sono state introdotte in Italia nel: 1948.

1970.

1861.

78%.

70%.

18%.

54%.

i. La percentuale degli analfabeti sulla popolazione italiana nel 1861 era del: 78%.

70%.

18%.

54%.

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

c. La legge che introduceva l’istruzione elementare obbligatoria fu opera di: Bettino Ricasoli. Gabrio Casati.

h. La percentuale dei contadini sulla popolazione italiana nel 1861 era del:

1875.

a. Nel 1861, il frazionamento tra gli Stati italiani riguardava: lingua, monete, pesi, misure.

V

F

b. La prima questione affrontata dal nuovo Stato italiano fu quella dell’organizzazione dello Stato.

V

F

c. La repressione del brigantaggio assunse i tratti di una vera e propria guerra civile.

V

F

d. Quintino Sella introdusse una tassazione più pesante e un sistema fiscale diversificato per zone. V e. Il colera si diffondeva soprattutto nelle zone paludose. V

F

f. L’indignazione e il malcontento del popolo esplosero dopo la tassa sul macinato.

V

F

g. La questione meridionale fu favorita dalla politica liberista del governo.

V

F

h. La Destra storica comprendeva anche gli ex repubblicani e i garibaldini.

V

F

i. La dieta delle popolazioni contadine era caratterizzata ovunque da monotonia alimentare.

V

F

l. I governi degli Stati preunitari avevano favorito l’istruzione popolare.

V

F

F

Capitolo 27 Italia 1861. La formazione dello Stato

5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti (le informazioni possono essere usate più volte). assenza • avena • burro • carenza alimentare • cavoli • carne • cipolle • colera • Emilia • epidemie • frumento • igieniche • Lazio • Lombardia • malaria • monotonia • nero • olio • pasta • patata • pellagra • Piemonte • polenta di mais • Polesine • pomodori • proteine • rape • riso • Romagna • sotto sale • Sardegna • segale • tifo • Veneto • vitamina • zanzare

L’ALIMENTAZIONE E LE CONSEGUENZE ITALIA CENTRO-NORD

ITALIA CENTRO-SUD

• ................................................................ • Verdure: ..................... ..................... e ..................... .................... (...................... e ...........................) • Solo alcuni: pane ................................ (.................................... ............................................ legumi) • Carne e pesce conservati ..................................................... ........................................: poche persone • Grassi alimentari: lardo, strutto, ...................................... • Vino

• Pane di ............................................... • Verdure: ............................................, .........................................

I LIMITI

• ................................................................................... alimentare • Assenza di ...................................................................... della ............................................................... (benestanti e cittadini)

• .................................................................................... alimentare • Assenza di ........................................................................ della ................................................................ (benestanti e cittadini)

LE MALATTIE

• ..................................................................: infezioni cutanee, pazzia e morte (.................................................., ......................................................, .....................................................) • ..........................................: zone paludose (............................., ..............................................); morte

LE CAUSE

• ...................................................................................: carenza di ................................................................................. PP • ...........................................: puntura di ....................................... e precarietà condizioni ............................................................

....................................................................

• ................................................................ • Grassi alimentari: lardo, strutto, ...................................... • Carne e pesce conservati ..................................................... ........................................................: poche persone • Vino

• ............................................................................. di malattie da .................................................................................



.....................................................................................................

e

.................................................................................

• ..................................... (zone paludose: ................................., morte

................................................................);

• ........................................ e .......................................: precarietà condizioni ........................................ e .......................................... incompleta • ........................................: puntura di ..................................... e precarietà condizioni .................................................................

Analizzare e produrre 6. Leggi il documento “Il pane e la carne” riportato a p. 338 e

7. Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” riportata a p. 342 e rispondi alle seguenti domande in un testo di massimo 3 righe.

1. Chi è l’autore della lettera riportata nel documento? Perché la scrive? 2. Quali dati interessanti sull’alimentazione possiamo ricavare dalla lettura del documento? 3. Che cosa era la tassa sul macinato? Da chi fu introdotta? Per quale motivo? 4. Quali fasce sociali colpiva la tassa? Perché? Quali fatti seguirono alla sua approvazione?

1. Che cosa è un tributo? Che cosa è una tassa? Che cosa è un’imposta? 2. Quali tipi di imposte esistono? Quali sono le caratteristiche che le contraddistinguono? 3. Che cosa afferma l’articolo 53 della Costituzione della Repubblica Italiana? 4. Che cosa è l’IRPEF? Che tipo di imposta è? Che cosa è l’IVA? Che tipo di imposta è? 5. Su chi gravano i diversi tipi di imposta? In che misura? Per quale motivo?

rispondi alle seguenti domande.

Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle presenti nella tabella dell’esercizio precedente, scrivi un breve testo di massimo 10 righe dal titolo “Alimentazione e popolazione nell’Italia unita”.

347

348

Modulo 7 L’unità italiana

8. Rispondi alle seguenti domande.

5. Quali scelte furono fatte dalla Destra storica in politica economica? 6. Quali scelte furono fatte dalla Destra storica circa l’organizzazione amministrativa dello Stato? 7. Quali scelte furono fatte dalla Destra storica in politica interna?

1. Quando si tennero le prime elezioni del Regno d’Italia? Chi poteva votare? 2. Quali erano gli schieramenti? Che cosa li differenziava? Chi prevalse? 3. Come era composto il primo governo del Regno d’Italia? 4. Quali scelte furono fatte dalla Destra storica nel campo dell’istruzione?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale. ELEZIONI

............................................................... ............................................................... ...............................................................

PRIMO GOVERNO

DESTRA STORICA

...............................................................

...............................................................

...............................................................

Scelte governative

............................................................... ...............................................................

POLITICA SCOLASTICA

ORGANIZ. AMMINISTRATIVA

POLITICA ECONOMICA

POLITICA INTERNA

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9. Verso il saggio breve Leggi il documento “Piemontizzare” a p. 340 e rispondi alle seguenti domande. 1. Chi è l’autore del brano riportato nel documento? 2. Da che cosa nasce il termine? Che cosa significa? Da chi è utilizzato? 3. Quali incarichi sono affidati ai piemontesi? 4. Come sono trattate le province meridionali? 5. Quali sono le posizioni espresse dall’autore del brano? Leggi il documento “Il brigantaggio nell’inchiesta Massari” a p. 344 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa era l’inchiesta Massari? Da chi fu promossa? 2. Di che cosa è sintomo il brigantaggio? 3. Quale è la condizione sociale e lo stato economico dei contadini meridionali? 4. A quale classe sociale appartengono i briganti? Per quali cause? 5. In quale provincia non vi sono briganti? Per quale ragione? 6. Quale è l’eredità lasciata nella mentalità contadina dal sistema feudale? In che cosa si manifesta? 7. Che interpretazione è data del brigantaggio nel documento?

Leggi la citazione di Francesco Crispi riportata alle pp. 343344 e rispondi alle seguenti domande. 1. Come è commentata la situazione della Sicilia? 2. Che cosa hanno ottenuto le popolazioni siciliane dall’annessione al Regno d’Italia? 3. A chi sono attribuite le maggiori responsabilità in merito? Rispondi alle seguenti domande. 1. Per quale motivo l’analfabetismo era maggiore nelle regioni meridionali? 2. Che cosa caratterizzava l’alimentazione e le condizioni igieniche delle regioni meridionali? 3. Quali soluzioni si prospettarono all’indomani dell’unità d’Italia circa l’organizzazione dello Stato? 4. Perché la politica liberista del governo danneggiò le regioni meridionali? 5. Il brigantaggio esisteva prima della nascita del Regno d’Italia? 6. Quali novità legislative influirono sull’affermazione del fenomeno? 7. In che modo lo Stato unitario intervenne per reprimere il fenomeno? Sulla base di tutte le informazioni ottenute ed ordinate, scrivi un breve saggio di almeno 12 righe dal titolo “Il Sud nell’Italia unita: questione meridionale e brigantaggio”.

La discussione storiografica

Forze sociali e interessi economici nel Risorgimento italiano U

n tema assai dibattuto dalla storiografia italiana è stato quello della partecipazione popolare (o della “mancata“ partecipazione popolare) alle vicende che nel corso dell’Ottocento portarono all’unificazione del paese. Studiosi di formazione marxista hanno sottolineato la natura “borghese” e “moderata” del Risorgimento italiano, e l’incapacità delle forze democratiche e “popolari” di assumere un ruolo di protagoniste, nonché di coinvolgere le masse nel processo di formazione dello Stato unitario. Emilio Sereni (1907-1977), esponente di punta della storiografia marxista italiana, pubblicò nel 1947 un volume in cui presentava il processo di unificazione come diretto risultato delle forze e degli interessi economici del capitalismo nascente, che stava modificando i tradizionali equilibri rurali introducendo i rapporti capitalistici nelle campagne (di qui il titolo del lavoro di Sereni: Il capitalismo nelle campagne, 1860-1900) e che mirava a costruire un “mercato nazionale” che superasse le divisioni e le barriere doganali fra i vari Stati. Nel 1949 fu pubblicato postumo Il Risorgimento di Antonio Gramsci (1891-1937), uno dei fondatori del Partito comunista italiano, arrestato (e morto in carcere) durante il periodo fascista. Fra i numerosi appunti di riflessione storica e politica da lui raccolti durante la prigionia, molti riguardano l’esperienza

risorgimentale e in particolare il fatto che le forze democratiche (a cominciare da Mazzini e dal Partito d’Azione da lui fondato) non seppero aggregare le masse contadine, che finirono per subire passivamente la “rivoluzione borghese”, gestita dalle forze liberalmoderate che si riunivano attorno a Cavour. Nodo della questione sarebbe stata, secondo Gramsci, la mancanza di un progetto di riforma agraria volto a ridistribuire ai contadini le terre dei latifondi: solo questo, a suo parere, avrebbe potuto coinvolgere le masse popolari nel processo risorgimentale. La tesi di Gramsci fu duramente contestata da Rosario Romeo (1924-1987), storico di formazione liberale, in un saggio pubblicato nel 1956 e ripreso tre anni dopo nel volume Risorgimento e capitalismo. Secondo Romeo, le considerazioni di Gramsci sono frutto di un «astratto ideale morale e politico» che arbitrariamente viene sovrapposto alla reale dinamica degli eventi storici. Del resto, continua Romeo, una eventuale riforma agraria – che spezzasse le grandi proprietà in favore della piccola proprietà contadina – sarebbe stata controproducente rispetto alle esigenze del nuovo Stato, poiché avrebbe impedito la formazione di quei capitali privati da cui lo Stato stesso poté attingere, tramite il prelievo fiscale, le risorse per costruire le nuove infrastrutture economiche e amministrative del paese.

L’idea del Risorgimento come “rivoluzione borghese” è stata ripresa da altri studiosi di formazione marxista, come Ernesto Ragionieri (1926-1975), che ha proposto di considerare l’esperienza italiana nel più ampio contesto delle “rivoluzioni borghesi” europee del XVIII-XIX secolo. Altri invece, come Marco Meriggi (1955), hanno minimizzato la portata degli interessi “borghesi” sostenendo che il liberalismo moderato risorgimentale ebbe un carattere prevalentemente aristocratico e servì, anzi, a riproporre una rinnovata egemonia sociale della nobiltà. Quanto alla mancata “partecipazione di massa” al Risorgimento, lamentata da Gramsci e, al contrario, positivamente giudicata da Romeo, è da ricordare la più recente presa di posizione di Alberto Mario Banti (1957) e di Paul Ginsborg (1945) che hanno spostato l’attenzione dagli “interessi” economici ai “discorsi” che il Risorgimento mise in campo, ossia le emozioni, i simboli, le suggestioni storiche. Da questo punto di vista, sostengono i due studiosi, il Risorgimento non fu affatto un fenomeno elitario ma, veramente, un “movimento di massa”, giacché vi presero parte attiva decine di migliaia di persone e, dietro di loro, altre centinaia di migliaia di persone che condivisero gli avvenimenti e gli ideali che li facevano muovere.

350

Modulo 7 L’unità italiana

I testi Il primo brano che presentiamo è quello in cui Antonio Gramsci riflette sul Risorgimento come “rivoluzione mancata”: discutibile sul piano del metodo, tale teoria si è dimostrata, sul piano dei contenuti, uno spunto di riflessione estremamente fecondo, su cui altri, da diversi punti di vista, si sono dovuti confrontare.

Il secondo brano è quello in cui Rosario Romeo confuta la tesi di Gramsci, affermando che accogliere le richieste dei contadini avrebbe significato per l’Italia l’impossibilità di procedere sulla via del capitalismo, prima in campo agrario poi in campo industriale. Secondo Romeo, sostenere le ragioni della grande proprietà contro i conta-

dini era stata da parte dello Stato liberale una scelta – a prescindere dagli interessi che spingevano in quel senso – oggettivamente necessaria; Gramsci al contrario si figurava una diversa possibilità, quella di un Risorgimento “popolare”, che i movimenti democratici non erano stati capaci di suscitare e neppure di pensare.

Il capitalismo agrario e la rivoluzione mancata Antonio Gramsci

Perché il Partito d’Azione1 non pose in tutta la sua estensione la quistione agraria? Che non la ponessero i moderati era ovvio: l’impostazione data dai moderati al problema nazionale domandava un blocco di tutte le forze di destra, comprese le classi dei grandi proprietari terrieri, intorno al Piemonte come Stato e come esercito. La minaccia fatta dall’Austria di risolvere la quistione agraria a favore dei contadini […] non solo gettò lo scompiglio tra gli interessi in Italia, determinando tutte le oscillazioni dell’aristocrazia (fatti di Milano del febbraio ’53 e atto di omaggio delle più illustri famiglie milanesi a Francesco Giuseppe proprio alla vigilia delle forche di Belfiore), ma paralizzò lo stesso Partito d’Azione, che in questo terreno pensava come i moderati e riteneva ‘nazionali’ l’aristocrazia e i proprietari e non i milioni di contadini. Solo dopo il febbraio ’53 Mazzini ebbe qualche accenno sostanzialmente democratico […] ma non fu capace di una radicalizzazione decisiva del suo programma astratto. È da studiare la condotta politica dei garibaldini in Sicilia nel 1860, condotta politica che era dettata da Crispi: i movimenti di insurrezione dei contadini contro i baroni furono spietatamente schiacciati e fu creata la Guardia nazionale anticontadina; è tipica la spedizione repressiva di Nino Bixio nella regione catanese, dove le insurrezioni furono più violente. Eppure, anche nelle Noterelle di G. C. Abba2 ci sono elementi per dimostrare che la quistione agraria era la molla per far entrare in moto le grandi masse:

basta ricordare i discorsi dell’Abba col frate che va incontro ai garibaldini subito dopo lo sbarco di Marsala. In alcune novelle di G. Verga ci sono elementi pittoreschi di queste sommosse contadine, che la Guardia nazionale soffocò col terrore e con la fucilazione in massa. Questo aspetto della spedizione dei Mille non è stato mai studiato e analizzato. La non-impostazione della quistione agraria portava alla quasi impossibilità di risolvere la quistione del clericalismo e dell’atteggiamento antiunitario del Papa. Sotto questo riguardo i moderati furono molto più arditi del Partito d’Azione: è vero che essi non distribuirono i beni ecclesiastici fra i contadini, ma se ne servirono per creare un nuovo ceto di grandi e di medi proprietari legati alla nuova situazione politica, e non esitarono a manomettere la proprietà terriera, sia pure solo quella delle Congregazioni3. Il Partito d’Azione, inoltre, era paralizzato, nella sua azione verso i contadini, dalle velleità mazziniane di una riforma religiosa, che non solo non interessava le grandi masse rurali, ma al contrario le rendeva passibili di una sobillazione contro i nuovi eretici. A. Gramsci, Il Risorgimento, Torino 1949, pp. 103-104 1 Il movimento politico fondato da Mazzini. 2 Il garibaldino che scrisse un diario della spedizione dei Mille. 3 Congregazioni religiose.

Il capitalismo agrario come indispensabile premessa dello sviluppo Rosario Romeo È su uno sfondo di debole sviluppo del capitalismo cittadino e di incipiente capitalismo agrario che va studiato il significato della mancata rivoluzione contadina auspicata

da parte marxista. In un paese come l’Italia del secolo XIX, dove già la borghesia aveva posto le mani su buona parte della proprietà ecclesiastica nell’età napoleonica […] e dove

La discussione storiografica Forze sociali e interessi economici nel Risorgimento italiano

l’introduzione del codice di Napoleone aveva già cancellato ogni differenza giuridica tra proprietà feudale e proprietà borghese, una rivoluzione contadina mirante alla conquista della terra avrebbe inevitabilmente colpito […] anche le forme di più avanzata economia agraria, liquidando gli elementi capitalistici dell’agricoltura italiana per sostituirvi un regime di piccola proprietà indipendente, e imprimendo all’Italia agricola una fisionomia, appunto, di democrazia rurale. […] Una volta liquidato dalla rivoluzione contadina il più progredito capitalismo agrario, e nella generale debolezza di quello industriale e mobiliare, il paese avrebbe subito un colpo d’arresto nella sua evoluzione a paese moderno, e non solo sul piano della vita economica, ma in genere dei rapporti civili e sociali. […] Una fonte importante dell’accumulazione capitalistica fu la politica connessa alla fondazione e allo sviluppo dello Stato unitario, che fin dalle origini convogliò grosse quantità di risparmio forzato verso l’esecuzione di grandi opere pubbliche (per esempio costruzioni ferroviarie), favorì le speculazioni finanziarie collegate con la espansione del debito pubblico, stimolò talune industrie con la politica degli armamenti. […] D’altra parte, l’incremento della rendita fondiaria, assai notevole per tutto il secolo, e che si sviluppa con particolare rapidità dopo il 1860, è anch’esso una delle fonti più importanti di accumulazione. […] Rendite e profitti

agrari danno vita a una corrente che irrora tutta l’economia urbana, da una parte stimolando la domanda e dall’altra andando a fecondare e ad ampliare nuove iniziative e intraprese. Cioè: la formazione del capitale necessario allo sviluppo della produzione industriale […] si realizza solo nel corso del XIX secolo in Italia. […] La funzione storica della classe dirigente risorgimentale, e in primo luogo dei moderati, sul piano economico-sociale, sarà dunque di conquistare (e garantire) le condizioni politiche necessarie al compimento di questo processo a spese dei contadini, e di convogliarne i proventi verso una linea di moderno sviluppo economico quale fu quella inaugurata con il liberismo di Cavour e della Destra, che si trasformerà in consapevole politica di sviluppo industriale qualche decennio dopo il 1860, quando l’accumulazione di capitali provenienti dall’agricoltura ne avrà creato le necessarie premesse. […] Naturalmente, non si vuol dire con questo che la rivoluzione agraria avrebbe arrestato definitivamente lo sviluppo capitalistico in Italia. […] Ma certo, la rivoluzione agraria sembra configurarsi più come un elemento d’arresto che come un elemento d’impulso in questo processo, nelle particolari condizioni storiche dell’Italia. R. Romeo, Risorgimento e capitalismo, Bari 1959, pp. 28-39

351

Modulo 8

Il trionfo Ildell’industria trionfo e della dell’industri borghesia e della

borghesia Capitolo 28

La seconda rivoluzione industriale

Nel corso del XIX secolo si verificarono straordinari cambiamenti nella vita economica, sociale e culturale dei paesi industrializzati. Tali cambiamenti, collegati a importanti innovazioni tecniche e scientifiche, furono a tal punto incisivi che gli storici non esitano a parlare di una “seconda rivoluzione industriale”, avvenuta in particolare tra il 1850 e il 1870, dopo la “prima” rivoluzione che nel XVIII secolo aveva avviato la profonda trasformazione dell’economia e della società.

ria

Capitolo 29

La borghesia al potere In seguito alla rivoluzione industriale, che si sviluppava rapidamente, l’Europa in pochi decenni si trasformò: con il trionfo della classe borghese, protagonista della svolta economica, cambiarono le strutture sociali, i regimi politici, gli atteggiamenti mentali. Il successo dell’industria e della borghesia portò infatti all’affermazione degli Stati liberali, mentre si allargavano le organizzazioni operaie e i partiti di ispirazione socialista.

Capitolo 30

La rivoluzione dei consumi e dei modi di vita Lo sviluppo delle tecnologie produttive, che accompagnò la rivoluzione industriale, suscitò cambiamenti epocali nei modi di vivere e di pensare, modificando abitudini che duravano da secoli o da millenni. Nel giro di poche generazioni l’offerta di beni e di servizi crebbe in misura vertiginosa, e crebbe il numero degli uomini che potevano accedervi. Inoltre, nel corso del XIX secolo la popolazione europea quasi raddoppiò di numero, anche per i miglioramenti avvenuti nel campo dell’igiene e della medicina.

Capitolo 31

Macchine per la vita quotidiana La sostituzione del lavoro manuale con quello meccanico, elemento portante della rivoluzione industriale, riguardò dapprima solamente le fabbriche. Poi, l’industria cominciò essa stessa a produrre macchine domestiche, da impiegare nella vita di tutti i giorni, a casa o sul posto di lavoro. La macchina conquistò uno spazio crescente nell’attività degli uomini e delle donne, e contribuì a cambiare la loro vita.

Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

28 La seconda

Capitolo

354

rivoluzione industriale

Percorso breve Tra 1850 e 1870 si verificarono decisivi cambiamenti nel sistema di produzione industriale, collegati a importanti innovazioni tecniche e scientifiche. Essi furono a tal punto incisivi che gli studiosi parlano di una “seconda rivoluzione industriale”, dopo quella che nel XVIII secolo aveva riguardato il settore tessile. La nuova rivoluzione ebbe come settore di punta l’industria siderurgica, impegnata soprattutto a produrre binari, vagoni, locomotive. Ferrovie e navi a vapore consentirono di ridurre le distanze e di estendere il movimento mercantile su scala mondiale: gli storici la chiamano “rivoluzione dei trasporti”. Anche le comunicazioni assunsero una dimensione globale, grazie a invenzioni come il telegrafo (Morse), il telefono (ideato dall’italiano Meucci, perfezionato e brevettato dall’americano Bell), il telegrafo senza fili e la radio (Marconi). Contemporaneamente si svilupparono le agenzie di stampa e di informazione. Nuove fonti d’energia, al posto del carbone, sostennero la seconda rivoluzione industriale: l’elettricità e il petrolio, che a poco a poco sostituirono il vapore come forza motrice delle macchine. Si cominciò a produrre l’elettricità utilizzando la forza dell’acqua, in centrali idroelettriche che sfruttavano una nuova invenzione, la dinamo (che consente di trasformare il movimento in elettricità) combinata con una turbina. Decisiva per lo sviluppo industriale fu la scoperta di un modo per trasmettere a distanza l’energia elettrica, grazie al cosiddetto filo “trifase”: così l’industria poté decollare anche in regioni prive di risorse energetiche locali. L’altra nuova fonte di energia fu il petrolio, che si cominciò a trivellare dal terreno con un sistema messo a punto dall’americano Drake. Nella seconda metà dell’Ottocento si affermò anche l’industria chimica, che trovò particolare applicazione in agricoltura dopo che Justus von Liebig intuì l’importanza di certe sostanze per la rigenerazione del terreno. Si affermò in tal modo una nuova agricoltura (a cui concorse

Donna francese al telefono, inizio Novecento

anche l’impiego di nuove macchine) che si rivelò estremamente produttiva e aumentò in modo esponenziale la disponibilità di cibo, sia pur ponendo, in prospettiva, nuovi problemi sul piano ambientale.

Capitolo 28 La seconda rivoluzione industriale

355

28.1 La rivoluzione dei trasporti e dell’industria siderurgica L’età della ferrovia Tra il 1850 e il 1870 l’Europa si ricoprì di ferro: in totale furono costruiti 75.000 km di ferrovie, una lunghezza pari a quasi due volte la circonferenza della Terra. Proprio il settore dei trasporti fu il settore propulsivo dell’industria, che in quei decenni lavorò soprattutto a produrre binari, locomotive, vagoni, oltre ai macchinari industriali che servivano per fabbricarli. Il sistema dei trasporti fu completamente modificato dalla nuova rete ferroviaria: le distanze si accorciarono, le merci cominciarono a viaggiare più velocemente da un capo all’altro dell’Europa, gli uomini si sentirono più vicini. I valichi del Moncenisio, del Brennero, del Tarvisio, del Gottardo, del Sempione misero in comunicazione il nord con il sud delle Alpi. Spagna e Francia furono collegate attraverso i Pirenei. Una ferrovia e un treno divenuto ben presto mitico (l’Orient Express) collegarono Vienna con la Grecia e la Turchia. Transatlantici di ferro Anche i viaggi per mare subirono una radicale trasformazione. Fin dagli inizi del secolo si erano diffuse le navi a vapore, ma ancora nel 1850 era prevalente la navigazione a vela, poiché il motore meccanico offriva scarsi vantaggi: le navi, costruite sempre in legno, non potevano sostenere velocità troppo elevate; il pieno di carbone toglieva spazio alle merci e rendeva meno remunerativo il viaggio; il sistema di propulsione, applicato a due grandi ruote a pale sulle fiancate della nave, girava a vuoto quando il mare agitato inclinava l’imbarcazione. Dopo il 1840, al posto delle ruote laterali si cominciarono a impiegare delle eliche sommerse, sistemate nella parte posteriore della nave; ma l’innovazione decisiva fu l’abbandono del legno in favore del ferro (e poi dell’acciaio) per costruire lo scafo delle navi. Il primo transatlantico in ferro fu varato in Inghilterra nel 1843 e compì il tragitto di andata e ritorno da Liverpool a New York. I velieri continuavano a solcare l’oceano, ma la loro epoca era definitivamente tramontata.

Manifesto pubblicitario per le spedizioni ferroviarie di prodotti deperibili, fine XIX sec. Come suggerisce questo manifesto pubblicitario francese che reclamizza l’uso delle ferrovie per il trasporto merci, la rapidità dei nuovi mezzi di trasporto permise l’esportazione anche di prodotti facilmente deperibili, come la frutta o i fiori.

Il primato siderurgico Si era dunque verificata una vera rivoluzione nei trasporti e questo aveva provocato un importante cambiamento: l’industria siderurgica aveva soppiantato l’industria tessile, prevalente nella prima metà del secolo [ 16.3], come settore di punta del sistema produttivo industriale. Sviluppo della rete ferroviaria in Europa, 1850-70

SVILUPPO DELLA RETE FERROVIARIA IN EUROPA (1850-70) 1850 1870

SVILUPPO DELLA RETE FERROVIARIA IN EUROPA (1850-70) 1850 1870

356

Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia Il materiale stesso – il ferro – non era più quello di alcuni decenni prima. Nella prima metà del secolo si era utilizzata prevalentemente la ghisa, cioè ferro quasi allo stato naturale, prodotto negli altiforni dopo aver sottoposto a vari trattamenti il minerale ricavato dalle miniere [ 16.4]; in seguito, grazie ad alcune innovazioni nelle tecniche di fusione, si iniziò a produrre l’acciaio, una lega metallica di ferro e carbone estremamente depurata, più resistente e, al tempo stesso, più facile da lavorare.

L’età dell’acciaio Inizialmente l’acciaio era prodotto solo in piccole quantità, poiché le operazioni necessarie per ottenerlo erano assai complesse e dispendiose, ma le cose cambiarono quando, nel 1856, l’inglese Henry Bessemer (1813-1898) inventò un apparecchio chiamato “convertitore”, che consentiva di bruciare le impurità della ghisa direttamente negli altiforni, soffiandovi dentro dell’aria quando era ancora in stato di fusione: in tal modo l’acciaio si poté ricavare più facilmente e a minor costo. A iniziare da allora, l’acciaio a poco a poco sostituì la ghisa: già nel 1870 se ne producevano in Europa 500.000 tonnellate; trent’anni più tardi, 28 milioni. Nacque in questo periodo (1884), a Terni, la prima acciaieria italiana.

I modi della storia

Viaggiare per strada

Con la diffusione della rete ferroviaria i tragitti su strada non ebbero più l’importanza di un tempo, ma anche in questo campo si attuarono nel corso dell’Ottocento alcune innovazioni. Nella prima metà del secolo si iniziò a utilizzare nella costruzione delle strade (poche delle quali, forse il 10%, erano lastricate) il cosiddetto sistema a schiena d’asino, cioè un rialzamento del terreno al centro della carreggiata, che facesse defluire le acque ai lati e impedisse che la strada si impantanasse nei giorni di pioggia. Inoltre si introdusse un nuovo metodo di pavimen-

tazione, detto “macadam” dal nome del suo inventore, l’ingegnere scozzese John L. McAdam (1756-1836). Esso consisteva nel rendere più solido e scorrevole il fondo stradale, comprimendovi sopra della ghiaia mista a frammenti di pietra. Grazie anche a queste innovazioni, attorno al 1850 i tragitti stradali si potevano compiere in metà tempo rispetto a venti-trenta anni prima. Per esempio, il trasporto della posta da Parigi a Lione impiegava 100 ore nel 1814, 50 nel 1848. Più tardi, alla fine del XIX secolo e agli inizi del XX, il diffondersi delle automobili die-

de nuova importanza ai trasporti stradali e spinse i costruttori a studiare ancora nuovi sistemi per consolidare la struttura delle strade e impedire il sollevamento della polvere. La soluzione fu quella di fissarla al fondo con un collante detto catrame, una miscela di idrocarburi distillati dai combustibili solidi, in particolare il carbon fossile. In seguito si cominciò a usare l’asfalto, un composto di materiale roccioso e di sostanze bituminose derivate dal petrolio. Queste innovazioni furono legate allo sviluppo dell’industria chimica negli ultimi decenni dell’Ottocento.

Rullo compressore a vapore, prodotto dalla Avelling & Porte di Rochester, 1867 [Science Museum, Londra]

Nel 1820 l’ingegnere scozzese John McAdam, incaricato della manutenzione delle strade di Bristol, mise a punto un nuovo sistema di inghiaiatura delle strade con l’uso di ciottoli frantumati, agglomerati e compressi con l’aiuto di un rullo compressore. I rulli per lo spianamento del manto stradale, in uso in forme elementari già in epoca romana, nel XIX secolo furono costituiti da cilindri di ferro collegati attraverso assi laterali a un traino a vapore.

Caricatura di John McAdam, 1827 [British Museum, Londra]

Amb u

Amb urgo

Glasgow Pietroburgo Liverpool Mosca Manchester Berlino Londra AMERICA DEL NORD 357 Parigi Chicago New York Vienna Trebisond 20 giorni San Francisco Napoli 12 giorni Istanbul Filadelfia 45 giorni Comunicazioni Glasgow Pietroburgo Tampico Liverpool postali Alessandria Mosca Manchester Berlino Londra AMERICA DEL NORD e telegrafiche 13 giorni 29 giorni Parigi Chicago New York Vienna Trebisonda Pechino negli anni 1852-75 20 giorni San Francisco Napoli Tokyo 12 giorni B St. Thomas Istanbul Filadelfia 45 giorni 15 giorni 3 Shanghai 57 giorni CINA ( Tampico Fernando Poo Alessandria (via Capo di Buona Calcutta 13 giorni OCEANO 26 giorni Speranza) 29 giorni INDIA 44 giorni PACIFICO (via Mediterraneo) Bombay St. Thomas OCEANO 15 giorni 33 giorni ATLANTICO Fernando Poo 26 giorni

OCEANO PACIFICO

(via Mediterraneo)

OCEANO ATLANTICO Valparaíso 48 giorni Buenos Aires 42 giorni

Montevideo 42 giorni

Città del Capo 33 giorni

28.2 La svolta nelle telecomunicazioni Cavi telegrafici principali in funzione nel 1875

Singapore Valparaíso 45 48giorni giorni OCEANO INDIANO

Buenos Aires 42 giorni

Montevideo 42 giorni

Città del Capo 33 giorni

AUSTRALIA Sydney 73 giorni NUOVA ZELANDA

Cavi telegrafici principali in funzione nel 1875 Tempo medio che la posta impiega per raggiungere l’Inghilterra nel 1852

Tempo medio che la posta impiega

Il telegrafo A iniziare dal XIX secolo, più ancora delle merci e degli uomini, coper raggiungere l’Inghilterra nel 1852 minciarono a circolare con grande velocità i messaggi e le idee. L’invenzione decisiva fu quella del telegrafo elettrico, opera dell’americano Samuel Finley Morse (1791-1872): un apparecchio trasmittente che, aprendo e chiudendo i contatti di un circuito elettrico, consente di inviare messaggi a un apparecchio ricevente, utilizzando uno speciale alfabeto fatto di punti e linee che, dal nome del suo inventore, fu detto “alfabeto Morse”. Poiché la corrente elettrica viaggia alla velocità della luce (300.000 km al secondo), con questo sistema le distanze erano pressoché annullate e si potevano ricevere informazioni quasi nello stesso momento in cui erano inviate. Comunicare col mondo Il primo modello di telegrafo fu costruito verso il 1836. Nel 1844 fu inaugurata la prima linea telegrafica fra Washington e Baltimora. Nei decenni successivi esso divenne uno straordinario strumento di comunicazione, utilizzato a fini commerciali e finanziari (acquistare e vendere prodotti, investire capitali) come pure militari e politici (trasmettere dispacci e ordini durante le campagne militari, comunicare con i governi di altri paesi e con le amministrazioni periferiche, ecc.). Le linee telegrafiche in un primo tempo furono sistemate solo sulla superficie terrestre; nel 1866 un cavo elettrico fu posato sul fondo dell’Oceano Atlantico e mise in comunicazione diretta l’Europa con l’America. Le agenzie di stampa Con il telegrafo si svilupparono le agenzie di informazioni, che vendevano notizie soprattutto ai giornali. Celebre quella di Julius Reuter (18161899), fondata ad Aachen (Aquisgrana) in Germania e poi trasferita a Londra, che si segnalò per i suoi servizi su alcuni importanti avvenimenti bellici, come la seconda guerra d’indipendenza italiana (1859) o la guerra di secessione americana (1861-65). Negli anni successivi anche i grandi giornali europei cominciarono ad avere propri “corrispondenti speciali”. Il telefono Non meno straordinaria fu l’invenzione del telefono, un apparecchio capace di convertire i suoni in correnti elettriche, e pertanto di trasmetterli e riceverli. Ideato nel 1871 dall’italiano Antonio Meucci (1808-1889), esso venne perfezionato e brevettato nel 1876 da un inglese stabilitosi negli Stati Uniti, Alexander Bell (1847-1922). Con questo nuovo strumento le comunicazioni diventarono ancora più facili e le agenzie d’informazione aumentarono ulteriormente la propria capacità di lavoro. Una cinquantina d’anni più tardi, l’agenzia americana Associated Press contava oltre cinquantamila corrispondenti nel mondo.

358

Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia Gustave Doré, Il ponte di Westminster, 1872

[da London: A Pilgrimage (‘Londra: un pellegrinaggio’) di Blanchard Jerrold e Gustave Doré]

L’illuminazione pubblica delle strade, di cui Londra fu la prima a essere dotata, fu considerata un’arma efficace nella lotta contro il crimine di strada, che, in particolare nelle grandi città industriali, aveva raggiunto livelli preoccupanti all’inizio dell’Ottocento.

La lampadina di Thomas Alva Edison

Il telegrafo senza fili Di straordinaria importanza furono poi, sul finire dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, gli studi del fisico italiano Guglielmo Marconi (1874-1937), che inventò un tipo di telegrafo senza fili che trasmetteva e riceveva utilizzando le onde radio o elettromagnetiche, dette anche “hertziane” dal nome dello studioso, il fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz (1857-1894), che per primo ne dimostrò l’esistenza. Il primo esperimento di questo tipo risale al 1895; nel 1901 Marconi riuscì a trasmettere segnali attraverso l’Atlantico. L’invenzione permise, fra l’altro, di scambiare messaggi fra le navi in mare e la terraferma, facilitando eventuali operazioni di soccorso, come accadde la prima volta nel 1909 a una nave inglese speronata nell’Atlantico da un’altra imbarcazione. La radio Solo più tardi, utilizzando apposite valvole, Marconi mise a punto l’apparecchio radio, un sistema di comunicazione destinato a grande fortuna nel XX secolo. Mediante questa tecnologia si poté utilizzare per i messaggi a distanza non più solo l’alfabeto cifrato di Morse, ma anche – come col telefono – la lingua parlata di tutti i giorni.

28.3 Nuove fonti di energia: l’elettricità Dinamo e lampadine La “seconda rivoluzione industriale” non si caratterizzò solamente per l’importanza primaria assunta dall’industria siderurgica in luogo di quella tessile, ma anche per la scoperta di una nuova fonte di energia, l’elettricità, che a poco a poco soppiantò il vapore come forza motrice delle macchine. Dopo le ricerche di Luigi Galvani, di Benjamin Franklin, di Alessandro Volta [ 9.2], nel XIX secolo gli studi sull’elettricità avevano compiuto notevoli passi avanti: negli anni trenta Carl Gustav Jacobi (1804-1851) aveva costruito un piccolo motore elettrico, Michael Faraday (1791-1867) aveva approfondito le ricerche sull’elettromagnetismo, Morse aveva realizzato il telegrafo. Ma fu l’invenzione della dinamo, un apparecchio capace di trasformare il movimento in elettricità e viceversa, a rendere possibile l’applicazione dell’energia elettrica alle macchine. Studiata già a metà dell’Ottocento dal fisico pisano Antonio Pacinotti (1841-1912), la dinamo fu messa a punto nel 1866 da Werner von Siemens (1816-1892) e trovò una prima concreta applicazione nel 1882 quando l’americano Thomas Alva Edison (1847-1931) costruì a New York una centrale elettrica capace di alimentare un migliaio di lampadine (invenzione da lui brevettata tre anni prima).

Capitolo 28 La seconda rivoluzione industriale Le centrali idroelettriche Per produrre energia elettrica fu utilizzata soprattutto la forza dell’acqua, combinando la dinamo con una macchina detta turbina. Questa, mossa dall’acqua, azionava a sua volta la dinamo che trasformava il movimento (energia meccanica) in energia elettrica. Il collegamento di un gran numero di turbine e dinamo costituiva le centrali idroelettriche, situate presso cascate naturali o artificiali, o lungo i fiumi nella parte alta delle valli, dove la corrente era più rapida. In seguito si scoprì che era possibile (mediante un sistema di tre fili detto “trifase”) trasmettere a distanza l’energia elettrica. Per la prima volta, la forza idrica – utilizzata da secoli per far funzionare i mulini e altre macchine – poteva essere utilizzata lontano dai corsi d’acqua. La conquista dell’elettricità Ciò decretò il definitivo successo della nuova fonte energetica ed ebbe un’importanza decisiva per lo sviluppo industriale: sia perché le fabbriche poterono sorgere un po’ dappertutto, indipendentemente dalla loro collocazione geografica; sia perché lo sviluppo industriale fu possibile anche in quei paesi, come l’Italia, la Svizzera, la Svezia, che, a differenza dell’Inghilterra o della Germania, non disponevano di importanti bacini carboniferi, ma erano ricchi di energia idraulica. La conquista dell’elettricità significò il declino del vapore come fonte energetica. Gli impianti per la produzione di elettricità, situati nei bacini idrici delle montagne, col tempo sostituirono le attività estrattive nelle miniere di carbone, il combustibile che per oltre un secolo era stato impiegato per far funzionare le macchine a vapore.

Aa Documenti La sconfitta del buio: un «attentato all’ordine divino»? Nell’Ottocento le strade delle città cominciarono a essere illuminate artificialmente, dapprima con lampade a gas, poi con la luce elettrica. Una rete regolare di lampioni a gas fu costruita per la prima volta a Londra nel 1810, poi a Parigi nel 1818, poi in altre città europee e americane. La luce artificiale consentì di prolungare il periodo della veglia sia per gli impegni lavorativi, sia per gli svaghi. I riflessi dell’innovazione nella vita quotidiana furono ancora maggiori quando, nelle

O

principali città, l’illuminazione a gas fu portata anche all’interno delle abitazioni. L’illuminazione elettrica, resa possibile dall’invenzione della lampadina da parte dell’americano Thomas Alva Edison (1879), si sostituì alle lampade a gas già sul finire del secolo e poi, più generalmente, nel Novecento. A poco a poco una fitta rete di fili elettrici cominciò a coprire i cieli delle città, carichi di un’energia che non solo illuminava le strade e le case, ma, attraverso il telefono e il telegra-

gni illuminazione a gas delle strade è da condannare:

1. per ragioni teologiche: giacché è un attentato all’ordine divino; 2. per ragioni giuridiche: perché le spese graveranno sulle imposte indirette; 3. per ragioni sanitarie: le emanazioni del petrolio e del gas sono nocive alla salute e provocano numerose malattie; 4. per ragioni filosofiche e morali: giacché la luce artificiale dissipa negli animi il timore dell’oscurità che trattiene i deboli dal commettere peccati; questa chiarità notturna conferisce più sicurezza al bevitore, che può fare bisboccia fino a notte nelle taverne; 5. per ragioni di polizia e di ordine pubblico: rende i cavalli ombrosi e i ladri audaci; 6. per ragioni economiche: per comprare petrolio e carbone, ogni anno una somma importante va all’estero, diminuendo la ricchezza nazionale. «Kölnige Zeitung», 2 marzo 1819

Manifesto pubblicitario per la lampadina Tungsram Tango, 1903 L’invenzione di Edison del 1879 fu presto perfezionata e commercializzata. Questo manifesto reclamizza le lampadine della ditta Tungsram, una manifattura ungherese creata nel 1896 e acquisita quasi cento anni più tardi dalla statunitense General Electric.

fo, conduceva ogni sorta di messaggi e notizie. L’elettricità fu infine applicata ai mezzi di trasporto pubblici, i tram, che consentivano agli uomini di spostarsi rapidamente nei centri urbani. Non mancarono, tuttavia, oppositori dell’innovazione, che avanzarono argomenti per noi sorprendenti, ma che all’epoca produssero una certa impressione nell’opinione pubblica. Si legga, per esempio, quanto scrisse un giornale tedesco della Renania, la «Kölnige Zeitung».

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

Pozzi petroliferi in Pennsylvania, seconda metà del XIX sec. Nel corso dell’Ottocento negli Stati Uniti furono messe a punto nuove tecniche di trivellazione del suolo, che facilitarono l’estrazione del petrolio. Una vera e propria industria petrolifera nacque intorno agli anni cinquanta del secolo nei pressi di Titusville, in Pennsylvania, per iniziativa di Edwin Drake che inaugurò il 27 agosto 1859 il primo pozzo petrolifero redditizio del mondo. Nel XX secolo il settore crebbe in misura esponenziale.

28.4 Nuove fonti d’energia: il petrolio L’oro nero Oltre all’elettricità, una nuova fonte di energia fu scoperta e cominciò a essere utilizzata nella seconda metà dell’Ottocento: il petrolio. Questa sostanza – un olio che si trova nel sottosuolo di molti paesi, prodotto dalla decomposizione di organismi animali e vegetali – era conosciuta in Medio Oriente fin dall’antichità, ma poteva essere utilizzata, come combustibile, solo quando affiorava in superficie. Solo nel 1859 l’americano Edwin Drake (1819-1880) mostrò che era possibile estrarlo mediante trivellazione del terreno e, da quel momento, la ricerca dei giacimenti petroliferi e il loro sfruttamento diventarono un nuovo modo per fare fortuna: una vera corsa all’oro nero (come fu chiamato il petrolio) iniziò in America, soprattutto in Pennsylvania, in Ohio, in California, nel Texas; poi anche in Russia. I derivati del petrolio Dal petrolio, attraverso varie fasi di depurazione chimica, si estraevano i suoi diversi componenti, i cosiddetti “idrocarburi”, in parte liquidi, in parte gassosi, e si ottenevano vari prodotti fra cui il cherosene che, prima dell’introduzione della luce elettrica, era impiegato per l’illuminazione. In seguito, negli anni ottanta-novanta del secolo, quando fu inventato il motore a scoppio e nacquero le prime industrie automobilistiche, prese speciale importanza un altro ricavato dal petrolio, la benzina; la nafta fu invece utilizzata per i motori diesel degli autocarri o delle navi, e per le macchine industriali. Il re del petrolio Tali sviluppi riguardano soprattutto la storia del Novecento, ma già negli ultimi decenni del secolo precedente l’estrazione del petrolio era diventata – soprattutto in America – un affare che coinvolgeva enormi interessi e scatenava aspri conflitti: in questo modo si creò la straordinaria fortuna di un uomo d’affari come John D. Rockefeller (1839-1937), che in breve tempo (fra il 1864 e il 1880) riuscì a garantirsi, con una serie di spregiudicate operazioni economiche e finanziarie, un vero monopolio commerciale della produzione di petrolio.

Capitolo 28 La seconda rivoluzione industriale

28.5 Lo sviluppo dell’industria chimica Le raffinerie Accanto all’industria siderurgica e all’industria elettrica, un terzo elemento fondamentale della “nuova” rivoluzione industriale fu l’industria chimica. Le raffinerie, cioè gli stabilimenti per la lavorazione del petrolio, si moltiplicarono nelle zone petrolifere già dagli anni sessanta del XIX secolo. Nei decenni successivi si cominciarono a produrre coloranti artificiali, che diedero nuovo impulso all’industria tessile. Ma, soprattutto, fu importante il ricorso alla chimica per il rinnovamento delle tecnologie agrarie. L’invenzione dei fertilizzanti I concimi chimici nacquero principalmente grazie alle ricerche di uno studioso tedesco, Justus von Liebig (1803-1873). Egli fu il primo a scoprire che la crescita delle piante dipende dalla disponibilità di elementi minerali assorbiti dal terreno attraverso le radici; pertanto, per mantenere la fertilità del terreno è necessario somministrargli le sostanze di cui è stato privato. Le più importanti di queste sostanze erano, secondo Liebig, l’anidride solforica, la potassa e la calce; solo più tardi si scoprì l’azoto, un altro elemento essenziale per la fertilità del suolo. Liebig espose la sua teoria nel 1840, in un volume intitolato Applicazioni della chimica nell’agricoltura e nella fisiologia, e a quella data risalgono i primi esperimenti di produzione dei concimi chimici, destinati, nei decenni successivi, a sconvolgere il rapporto degli uomini con la terra. La nuova agricoltura Per millenni, la scarsità di concime animale – il solo genere di concime utilizzato in agricoltura – era stata la causa principale dei bassi rendimenti dei campi; solo la “rivoluzione agraria” del XVIII secolo, collegando strettamente l’attività agricola con l’allevamento del bestiame [ 7.4], aveva consentito di disporre di concime in maggior quantità. Ora però il salto tecnologico era senza confronti più grande: l’invenzione dei concimi chimici metteva a disposizione una quantità di fertilizzanti potenzialmente illimitata, con risultati sorprendenti sul piano della produttività. La scoperta di Liebig fu completata dalle ricerche di altri studiosi, come Ernest Solvay (1838-1922). Oltre ai concimi si inventarono gli anticrittogamici, preparati chimici che prevengono o arrestano le malattie delle piante, proteggendole dagli insetti nocivi. Anche il crescente impiego di macchine, fornite dalle industrie meccaniche, contribuì ad accrescere considerevolmente la produttività dell’agricoltura ottocentesca: seminatrici, mietitrici, trebbiatrici sempre di più si sostituirono al lavoro manuale dell’uomo. Manifesto reclamizzante il solfato d’ammonio, 1911 Questa pubblicità, pubblicata su un almanacco francese dell’inizio del XX secolo, mostra bene la fiducia nei fertilizzanti generatasi a seguito delle ricerche nel campo della chimica. Da un lato una coppia di contadini se la ride ammirando i prodotti di dimensioni esagerate del proprio campo fertilizzato, dall’altro due poveri contadini, che non hanno usato il solfato d’ammonio, non possono che piangere guardando i sassi che imperano sul loro terreno inaridito.

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

Le vie della cittadinanza

U

Ambiente, inquinamento, sviluppo sostenibile

n tema oggi molto discusso è quello dello “sviluppo sostenibile”, ossia di una crescita economica (sia in campo agricolo, sia, soprattutto, in campo industriale) che sappia muoversi con equilibrio fra le esigenze produttive e il rispetto degli equilibri ambientali: questi equilibri, infatti, non solo sono fondamentali per la qualità della nostra vita, ma sono anche la condizione per non disperdere quel delicato patrimonio di risorse naturali che in fin dei conti è alla base dell’attività produttiva. Il rispetto dell’ambiente, quindi, è un valore di interesse comune, che lo Stato e la collettività intera hanno ogni interesse a preservare. Preoccupazioni come queste, divenute quanto mai pressanti ai nostri giorni, non erano avvertite con la stessa intensità nei decenni in cui prese avvio la rivoluzione industriale, anche se, fin dagli inizi, diversi osservatori denunciarono l’invivibilità delle città industriali, dovuta all’inquinamento dell’aria e all’avvelenamento dell’acqua determinati dagli scarichi delle fabbriche. Molto tempo dovette passare prima che ci si rendesse conto dei danni ambientali prodotti dall’introduzione in agricoltura dei concimi chimici e degli anticrittogamici: tra XIX e XX secolo la loro produzione e utilizzazione diventarono sempre più ampie, e solo negli ultimi decenni del Novecento cominciarono a diffondersi allarmi e preoccupazione per l’eccessivo sfruttamento del suolo e per l’inquinamento delle falde acquifere, causati dall’uso indiscriminato di sostanze come l’ossido di azoto, i fosfati, il DDT e altri insetticidi. Sostanze nocive non solo per l’ambiente, ma per la stessa salute degli uomini, sia coloro che lavorando nei campi sono spesso a contatto con questi prodotti, sia la massa dei consumatori che infine li trovano sulla propria tavola. Ovviamente, combattere l’inquinamento non significa negare i meriti dell’industrializzazione o delle nuove tecniche di produzione agraria, che ci hanno portato, per la prima volta nella storia, sicurezza alimentare e tante comodità quotidiane. Ma proprio per questo, per non disperdere il patrimonio di utilità che gli uomini sono riusciti a costruire, è più che mai necessario inventare nuovi modi di produrre, perfezionare i sistemi di smaltimento dei rifiuti, studiare nuove forme di

riciclaggio dei materiali e ricercare tutti i modi possibili per proteggere l’ambiente in cui viviamo. Numerose organizzazioni operano, ormai da tempo, per introdurre nel settore agricolo metodi di coltivazione diversi da quelli chimici, che alla lunga impoveriscono il suolo esaurendo la sua fertilità naturale: in particolare si studiano metodi per distruggere gli insetti nocivi non con gli antiparassitari, ma con altri insetti (sistema detto “lotta integrata”); come concimi si utilizzano sostanze organiche, derivate da scarti animali e vegetali. Sperimentazioni di “agricoltura biologica” si svolgono ormai in migliaia

di aziende italiane e lo stesso avviene in altri paesi: in Inghilterra gli anticrittogamici sono stati banditi in almeno la metà delle serre a ortaggi, sostituiti da larve e insetti selezionati; anche in Olanda l’impiego di tali insetti è ormai diventato comune. Parallelamente si va estendendo la richiesta di concimi naturali, che certi paesi (Germania, Marocco, Cile, ecc.) hanno cominciato a esportare. Questi nuovi modi di produrre, importanti dal punto di vista ambientale, sono significativi anche sul piano culturale, poiché fondono insieme le più sofisticate conquiste della scienza contemporanea con la saggezza dei saperi contadini tradizionali. Proprio questo incrocio può essere la chiave per risolvere i problemi di uno sviluppo incontrollato, come quello verificatosi tra Otto e Novecento, al quale è oggi necessario porre rimedio, ripensando in modo meno aggressivo e più morbido, “sostenibile” appunto, i termini del rapporto fra l’ambiente, gli uomini e la loro salute (dell’ambiente non meno che degli uomini).

Una coccinella comune

Manifesto pubblicitario per lo zolfo come antiparassitario, seconda metà del XIX sec. [Museo Civico Bailo, Treviso]

Nel campo dell’agricoltura biologica giocano un ruolo importante alcuni insetti, come la coccinella sectepuntata (ossia la coccinella comune), voracissimi predatori di acari, afidi e cocciniglie.

Capitolo 28 La seconda rivoluzione industriale

Sintesi

La seconda rivoluzione industriale

La rivoluzione dei trasporti e dell’industria siderurgica Nel ventennio 1850-70 in Europa si ebbe un’enorme crescita della rete ferroviaria; la produzione di ferro divenne un settore centrale dell’industria e le comunicazioni si modificarono, rendendo più agevole lo spostamento di uomini e merci. Anche i viaggi via mare si trasformarono: nella seconda metà del XIX secolo si iniziarono a costruire navi a vapore, prima in ferro e poi in acciaio. La centralità dell’industria siderurgica in seguito alla rivoluzione dei trasporti portò anche alla produzione di un nuovo materiale, l’acciaio, resistente e facile da lavorare, che progressivamente finì per sostituire la ghisa. La svolta nelle telecomunicazioni Nel corso del XIX secolo vennero diffusi diversi apparecchi in grado di trasportare i messaggi e le idee: il telegrafo elettrico, un apparecchio trasmittente in grado di inviare messaggi mediante un alfabeto composto di punti e linee (alfabeto Morse), che permise di avere uno scambio di informazioni in tempo quasi reale; il telefono (ideato dall’italiano Meucci e brevettato da Bell), apparecchio che converte suoni in correnti elettriche ed è in grado di trasmettere comunicazioni in modo ancora più rapido del telegrafo; infine le invenzioni dell’italiano Guglielmo Marconi: il telegrafo senza fili, che trasmetteva mediante onde radio o elettromagnetiche, e l’ap-

parecchio radiofonico, in grado di diffondere informazioni a distanza usando la lingua parlata quotidianamente. Mediante tali mezzi si diffusero anche le agenzie di stampa, che potevano fornire ai giornali notizie in tempo reale sugli eventi, tramite il lavoro dei corrispondenti speciali. Nuove fonti di energia: l’elettricità La seconda rivoluzione industriale fu caratterizzata dalla scoperta e dall’uso industriale di una nuova fonte di energia, l’elettricità, che fu progressivamente usata come forza motrice per le macchine. Nel XIX secolo si ebbe l’invenzione della dinamo, un apparecchio che permetteva di trasformare il movimento in elettricità e viceversa. Per produrre energia elettrica la dinamo fu combinata con la turbina, una macchina mossa dall’acqua che azionava una dinamo producendo energia: utilizzando un gran numero di turbine, furono costruite le centrali idroelettriche, che sfruttavano il movimento dei corsi d’acqua. Una volta scoperta la possibilità di trasmettere energia elettrica anche a distanza, essa assunse un’importanza decisiva per lo sviluppo industriale e finì con il soppiantare il vapore come fonte energetica. Nuove fonti di energia: il petrolio Nella seconda metà del XIX secolo iniziò a essere usata anche una nuova fonte energetica, il petrolio. Nel 1859 si perfezionò la tecnica

della trivellazione del suolo per estrarre il petrolio e lo sfruttamento dei giacimenti iniziò a diffondersi. Dal petrolio si potevano estrarre gli idrocarburi o ricavare prodotti come il cherosene (usato per l’illuminazione). Negli ultimi anni del secolo, dopo l’invenzione del motore a scoppio e dell’automobile, assunsero importanza crescente altri ricavati del petrolio, la benzina e la nafta. Lo sviluppo dell’industria chimica Anche l’industria chimica ebbe un ruolo centrale nella nuova rivoluzione industriale, prima con la diffusione delle raffinerie, stabilimenti in cui veniva lavorato il petrolio, poi con la produzione dei coloranti artificiali, largamente applicati nell’industria tessile. Ma fu soprattutto l’agricoltura a beneficiare dei progressi della chimica. Grazie alle ricerche di von Liebig, si produssero dei concimi chimici che permettevano di accrescere la fertilità delle piante attraverso le sostanze necessarie: la disponibilità di una quantità illimitata di fertilizzante determinò così una crescita enorme della produttività agricola. Altri studi portarono all’invenzione degli anticrittogamici, che proteggevano le piante dagli insetti nocivi. Inoltre l’impiego di macchine prodotte dalle industrie meccaniche, che finirono col sostituirsi progressivamente al lavoro dell’uomo, fece ulteriormente crescere la produttività agricola.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1836

1840

1843

1844

1856

1859

1. ideazione del telefono 2. messa a punto del sistema di trivellazione del petrolio 3. Applicazioni della chimica nell’agricoltura e nella fisiologia di Justus Von Liebig 4. costruzione del primo modello di telegrafo 5. invenzione del “convertitore” 6. brevetto del telefono 7. messa a punto della dinamo 8. inaugurazione della linea telegrafica Washington-Baltimora

1866

1871

1876

1882

1884

9. Edison costruisce una centrale elettrica a New York 10. apertura dell’acciaieria di Terni 11. varo del primo transatlantico in ferro

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364

Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. acciaio • anticrittogamici • cherosene • convertitore • corrispondente • dinamo • ghisa • idrocarburi • transatlantico • turbina • petrolio • valico Preparati chimici che prevengono o arrestano le malattie delle piante Chi si trova in un rapporto epistolare continuo con qualcuno Macchina motrice a rotazione che riceve energia cinetica da un fluido Sostanza presente nel sottosuolo e derivante dalla decomposizione di organismi Lega metallica di ferro e carbone estremamente depurata Nave da passeggeri che collegava l’Europa con le Americhe Componenti liquidi o gassosi estratti dal petrolio mediante depurazione chimica Apparecchio capace di trasformare il movimento in elettricità e viceversa Apparecchio che consentiva di bruciare le impurità della ghisa negli altiforni Luogo di passaggio da un versante all’altro di un rilievo montuoso Prodotto di distillazione del petrolio usato come carburante o combustibile Ferro quasi allo stato naturale prodotto negli altiforni

3. Associa ai nomi le giuste scoperte. NOME

EVENTO

Guglielmo Marconi

dinamo

Werner von Siemens

agenzia di informazione

Edwin Drake

concimi chimici

Samuel Finley Morse

telegrafo senza fili

Rudolf Hertz

trivellazione

Karl Justus von Liebig

convertitore

Gustav Jacobi

onde elettromagnetiche

Antonio Meucci

lampadina

John D. Rockefeller

telegrafo elettrico

Thomas Edison

piccolo motore elettrico

Michael Faraday

ricerche sull’elettromagnetismo

Henry Bessemer

ideazione del telefono

Alexander Bell

produzione di petrolio

Julius Reuter

brevetto del telefono

Capitolo 28 La seconda rivoluzione industriale

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Il telefono convertiva i suoni in correnti elettriche che erano trasmesse e ricevute.

V

F

g. In Medio Oriente il petrolio era conosciuto come combustibile fin dall’antichità.

V

F

b. Fino al 1850 le navi erano costruite prevalentemente in legno.

V

F

c. Gli impianti idroelettrici col tempo si affiancarono alle miniere di carbone.

V

F

V

F

h. Il telegrafo elettrico fu usato durante le campagne militari e per comunicazioni intergovernative.

d. Nel 1856 si producevano in Europa 500.000 tonnellate di acciaio.

F

V

F

i. L’applicazione dell’energia elettrica alle macchine V fu studiata da Antonio Pacinotti.

e. Il telegrafo senza fili trasmetteva aprendo e chiudendo i contatti di un circuito elettrico.

V

F

V

F

l. La dinamo trasformava l’energia meccanica in energia elettrica.

f. Gli idrocarburi sono prodotti dalla decomposizione di organismi animali e vegetali.

V

F

V

F

m. L’Orient Express collegava Vienna con la Turchia e la Russia.

Analizzare e produrre 5.

Leggi il documento “La sconfitta del buio: un «attentato all’ordine divino»?” a p. 359 e rispondi alle seguenti domande.

1. Quando e dove furono illuminate per la prima volta le strade? 2. Quali conseguenze si ebbero sulla vita degli uomini? 3. Quando e come furono illuminate le abitazioni? Quali modifiche si ebbero nel paesaggio cittadino? 4. Quali ulteriori applicazioni urbane ebbe l’elettricità? 5. Chi si opponeva? Con quali argomentazioni? 6. Che cosa contiene il documento? Quali ragioni vi sono elencate a sostegno delle tesi proposte? 7. Che cosa si utilizzava per illuminare prima dell’uso della luce elettrica? 8. Chi inventò le lampade? Come furono utilizzate inizialmente? Con quali applicazioni? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve testo di massimo 10 righe dal titolo “L’energia elettrica e l’illuminazione delle città”.

6. Rispondi alle seguenti domande con dei testi di massimo 3 righe ciascuna. 1. Che cosa si intende per rivoluzione dei trasporti? Quali innovazioni furono introdotte?

2. Quali materie prime erano utilizzate dall’industria siderurgica? 3. Attraverso quali mezzi si svilupparono le comunicazioni? Con quali conseguenze? 4. Come funzionava il telegrafo? Chi lo utilizzava? 5. Quali furono le applicazioni pratiche dell’elettricità? 6. Quali furono le innovazioni introdotte nell’industria chimica? 7. In che modo poteva essere utilizzato il petrolio? Con quali applicazioni pratiche?

7.

Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” a p. 362 e rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 5 righe. 1. Che cosa si intende per “sviluppo sostenibile”? Perché tale idea è stata introdotta? 2. Quali conseguenze sono state prodotte sull’ambiente da concimi chimici e anticrittogamici? 3. Quando si è posto per la prima volta il problema? 4. A che cosa occorre prestare attenzione per preservare la qualità dell’ambiente? 5. Quali metodi di coltivazione sostenibili esistono oggi? 6. Quali provvedimenti legislativi sono stati presi in materia nei vari Stati? 7. Perché le produzioni sostenibili sono significative sul piano culturale?

365

Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

29 La borghesia

Capitolo

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al potere

Percorso breve In seguito alla prima e alla seconda rivoluzione industriale trionfò in Europa la classe borghese e ciò ebbe dirette ripercussioni sul piano politico: il liberalismo parlamentare si affermò sull’assolutismo regio, consolidando le libertà che sono alla base delle democrazie moderne. Sul piano economico si affermò il liberismo, cioè l’idea che l’economia deve essere libera, i mercati aperti e unificati, le barriere doganali abolite. L’affermarsi della borghesia trovò la sua controparte nel rafforzamento delle associazioni operaie e del pensiero socialista, i cui interpreti più radicali furono Marx ed Engels, iniziatori dell’ideologia “marxista” o “comunista”. Essi sostennero che la storia è dominata dalle esigenze economiche e dai contrasti sociali che esse determinano (lotta di classe). Come la borghesia aveva affermato i propri interessi imponendosi sulla nobiltà, così la classe operaia avrebbe abbattuto la concentrazione capitalistica instaurando attraverso la rivoluzione una “dittatura del proletariato”, preludio all’abolizione dello Stato. Lo sviluppo del movimento operaio e delle associazioni sindacali interessò tutti i paesi europei e portò a importanti conquiste, sostenute dai partiti di ispirazione socialista nati negli anni 1870-90. Dopo un ventennio di crescita, il sistema industriale entrò in crisi tra 1873 e 1896, a causa dell’eccesso di produzione dovuto al moltiplicarsi dei paesi produttori, in Europa e fuori (Stati Uniti, Giappone). L’eccesso di concorrenza causò un abbassamento dei prezzi e dei profitti, che coinvolse anche il settore agricolo. Molte aziende

Il riposo del proletario, XIX sec.

fallirono e si crearono grandi concentrazioni industriali riunite in “cartelli”. Anche i capitali si concentrarono in grandi compagnie finanziarie dette holdings. La lunga depressione segnò la crisi del liberismo e aprì la strada al “protezionismo”, ossia all’intervento dello Stato nell’economia, per proteggere le industrie nazionali con interventi di sostegno e tariffe doganali contro le importazioni. Il legame fra economia, finanza e politica che si strinse in quegli anni fu all’origine di una nuova fase di crescita industriale e di espansione coloniale.

Capitolo 29 La borghesia al potere

29.1 Liberalismo e borghesia L’età del liberalismo L’Europa di fine Ottocento appariva trasformata rispetto agli inizi del secolo non solo sul piano economico (con lo straordinario sviluppo dell’industria) ma anche sul piano politico. In molti paesi le monarchie assolute erano state soppiantate da governi costituzionali (monarchie e repubbliche) che esprimevano gli interessi del ceto borghese, divenuto ricco e potente con lo sviluppo e il consolidamento della rivoluzione industriale. L’affermazione della borghesia segnò il trionfo del liberalismo, cioè di un sistema politico che, in contrapposizione all’assolutismo regio, proclamava il principio della sovranità dei cittadini, rappresentata da un Parlamento liberamente eletto. Per opera dei nuovi governi si attuarono nella maggior parte delle nazioni europee quelle fondamentali libertà – di stampa, di riunione, di parola, di religione, di pensiero – che sono alla base delle democrazie moderne. È evidente peraltro che i nuovi Stati garantivano soprattutto le “libertà” che interessavano la borghesia e in particolare la libertà di commercio. L’unificazione mondiale dei mercati Grazie alla rivoluzione dei trasporti, la possibilità di scambiare merci (favorita e ricercata dai sistemi liberali) non fu più limitata a ristrette aree regionali o – al più – nazionali, ma si estese a tutto il globo terrestre: i prodotti delle industrie europee ora potevano essere esportati dappertutto. Un po’ alla volta si delineò una nuova organizzazione del mercato mondiale: alcuni paesi si specializzarono nella produzione industriale e nello sviluppo delle tecnologie, altri si dedicarono all’agricoltura e a fornire i mezzi di sussistenza. I paesi europei maggiormente industrializzati, in primo luogo l’Inghilterra, rinunciarono all’autosufficienza alimentare, cominciando a importare cereali e carne. Altri, come l’Australia, l’Argentina, la Russia, concentrarono le proprie energie nella produzione di animali e di beni agricoli. Del tutto particolari furono le vicende degli Stati Uniti d’America, un paese che, sfruttando i grandi spazi vergini di cui disponeva, diventò in breve tempo un grande produttore di cereali (e un vero “granaio” per l’Europa industriale) ma, allo stesso tempo, seppe sviluppare un’intensa politica di industrializzazione, configurandosi come temibile concorrente delle potenze industriali europee. Stati liberali L’unificazione mondiale dei mercati fu sostenuta e accompagnata dalle politiche liberiste che fecero crollare le barriere doganali fra gli Stati europei ed extraeuropei. Il liberalismo politico ed economico trionfò soprattutto in Gran Bretagna, dove gli interessi della borghesia industriale consolidarono definitivamente la tradizione liberale del paese [ 33.4] Anche in Francia si era affermata, al tempo di Luigi XVIII e poi di Luigi Filippo d’Orléans, una monarchia liberale che si identificava fortemente con i valori e gli interessi della borghesia degli affari. La mancanza, tuttavia,

Memo

Borghesia Il termine risale ai secoli XI-XII e fu usato inizialmente per indicare gli abitanti del burgus, un agglomerato di abitazioni sorto all’esterno della cinta muraria cittadina. I burgenses solitamente si dedicavano ad attività artigianali e mercantili, distinguendosi dalla nobiltà terriera e dalla popolazione contadina. Nei secoli del tardo Medioevo

e dell’età moderna, con lo sviluppo delle attività finanziarie e commerciali, la posizione economica e sociale dei “borghesi” si rafforzò tanto da essere indispensabile per l’affermazione del potere monarchico. In alcuni paesi, come la Germania e i Paesi Bassi, i borghesi continuarono a distinguersi nettamente dalla nobiltà terriera e a svolgere attività commerciali;

altrove, come in Inghilterra, si fusero con la nobiltà minore o gentry, dando origine a un ceto composito che si interessava alle attività commerciali e agricole con una mentalità imprenditoriale. Fu anche per questo che la “rivoluzione agraria”, punto di partenza di quella industriale, si affermò in Inghilterra prima che altrove.

Giuseppe De Nittis, In tribuna, 1881 [Galleria d’Arte Moderna, Roma]

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia in Francia di un solido appoggio parlamentare, e la perdurante opposizione dei gruppi repubblicani e democratici, provocarono un’involuzione in senso conservatore che fu il preludio alla rivoluzione del 1848 e al successivo ritorno, con Napoleone III [ 32.2], di una monarchia autoritaria. Anche in Olanda, Belgio, Svezia, Danimarca e Norvegia si affermarono nel corso dell’Ottocento dei governi parlamentari attenti agli interessi dei ceti borghesi. Lo stesso Regno d’Italia, dopo il raggiungimento dell’unità, si sviluppò su basi liberali e parlamentari, secondo la tradizione avviata da Cavour, 25.2). Più difficile e lenta fu l’affermazione del liberalismo in Germania e nell’Impero austro-ungarico, dove la tradizione militarista delle dinastie Hohenzollern e Asburgo fece sentire il suo peso sul Parlamento, soffocandone l’autonomia. Situazione ancora più difficile in Russia, dove l’assolutismo monarchico degli zar rimase intatto e bloccò la libertà di iniziativa dei ceti borghesi [ 33.3].

29.2 La rivoluzione proletaria secondo Marx ed Engels Marx ed Engels Il periodo di massima affermazione del potere e della cultura borghese fu anche quello in cui si rafforzarono le associazioni operaie e presero corpo nuove proposte politiche di ispirazione socialista, dopo quelle avanzate da Saint-Simon, Fourier, Blanc e altri nella prima metà del secolo [ 18.4]. Tutte le precedenti teorie furono criticate e respinte da Karl Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (1820-1885), due filosofi rivoluzionari tedeschi che le definirono “utopistiche”, cioè illusorie, inattuabili, in quanto si basavano sul presupposto che i capitalisti e gli operai potessero collaborare insieme nel tentativo di creare una società più giusta. Secondo Marx ed Engels ciò non era possibile, perché le due classi erano divise da interessi opposti e contrastanti, che le spingevano necessariamente in lotta l’una contro l’altra. Di fronte alle molte proposte

Una serata in un salotto borghese, Tolosa, 1893

Festa di beneficenza alla Villa Reale di Milano, 1865 Affermatasi economicamente come classe dirigente, la borghesia fece propri costumi e modi dell’aristocrazia ormai in declino. Le cene nelle case eleganti delle capitali e delle grandi città, le corse dei cavalli, le feste di beneficenza, le serate a teatro o le feste da ballo, tipici luoghi e momenti di divertimento fino ad allora riservati ai nobili, diventarono per la borghesia ottocentesca occasioni ideali per palesare la raggiunta posizione sociale.

Capitolo 29 La borghesia al potere

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Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, 1901 [Galleria d’Arte Moderna, Milano]

Questo dipinto propone, per la prima volta, il proletariato come soggetto di un’opera d’arte. Dall’opera del pittore lombardo emerge il chiaro contenuto simbolico e ideologico dell’avanzare compatto, verso la conquista dei propri diritti, di una folla di lavoratori cosciente della propria forza.

“utopistiche” presentate dai socialisti riformatori, Marx ed Engels diedero un’originale interpretazione della società capitalistica e dell’intero corso della storia, in due opere, il Manifesto del partito comunista (1848) e Il capitale (1867), che diventarono la base di un nuovo movimento di pensiero, detto “comunista” o, dal nome di Marx, “marxista”.

La lotta di classe Secondo questa interpretazione, la vita degli uomini è dominata in tutte le epoche dalle esigenze economiche, cioè dalla necessità di procurarsi i beni materiali indispensabili all’esistenza. I conflitti fra le classi nascono dai modi in cui tali beni sono prodotti e distribuiti, e da quei conflitti derivano il carattere delle leggi e l’organizzazione degli Stati. Perciò la storia dell’umanità è essenzialmente una storia di lotte di classe: lotta tra ristretti gruppi dominanti, che detengono il potere e la ricchezza, e vasti gruppi di dominati ridotti in povertà. L’economia antica si era fondata sul lavoro degli schiavi e aveva visto il contrasto tra schiavi e padroni. Nel Medioevo la nobiltà feudale aveva asservito i contadini. Nell’età moderna le borghesie mercantili e industriali avevano a poco a poco soppiantato i ceti nobiliari. Con il trionfo della rivoluzione industriale a metà del XIX secolo la borghesia si era infine imposta su tutti, come il ceto più ricco e più forte. Alla borghesia capitalista si contrapponeva ora il ceto operaio, la nuova classe originata dal sistema di fabbrica. Il proletariato classe dominante La previsione di Marx era che questa lotta avrebbe portato alla concentrazione totale dei mezzi di produzione e delle ricchezze nelle mani di poche famiglie, con il conseguente totale impoverimento delle masse lavoratrici. A questo punto, che Marx supponeva conclusivo nel processo storico, le masse proletarie unite avrebbero compiuto una grande, definitiva rivoluzione, rovesciando il sistema capitalistico e assumendo il potere. Per un certo tempo il loro governo avrebbe avuto un carattere dittatoriale (la “dittatura del proletariato”) allo scopo di stroncare ogni resistenza; la dittatura sarebbe durata fino a che i mezzi di produzione non fossero diventati proprietà comune e i beni distribuiti equamente nel corpo sociale. Raggiunto questo fine, lo Stato sarebbe stato abolito e sostituito da libere forme di autogestione e di associazionismo.

Bandiera dei movimenti sindacali, XIX sec. [Collezione privata]

La scritta, in lingua tedesca, recita: «Proletari di tutto il mondo unitevi!», la celebre frase di chiusura del Manifesto del partito comunista.

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

Le vie della cittadinanza

Una storia di lotte

N

el corso del XIX secolo la nuova classe operaia, nata dalla rivoluzione industriale, a poco a poco si organizzò in associazioni e sindacati che, dapprima vietati, furono poi riconosciuti come controparte dai governi e dagli imprenditori capitalisti. In questo modo il movimento operaio si rafforzò, raggiungendo importanti risultati come la riduzione dell’orario di lavoro, il miglioramento delle condizioni di vita nelle fabbriche, la proibizione o la limitazione del lavoro minorile, l’aumento dei salari. Tali conquiste non avvennero una volta per tutte: le contrattazioni fra lavoratori e imprenditori, attraverso discussioni sindacali o utilizzando l’arma dello sciopero, sono ancora oggi una realtà quotidiana nei paesi democratici, mentre nei paesi autoritari esse sono proibite o represse. Soprattutto, queste vicende ci insegnano che lo sviluppo della vita economica e sociale non è automatico, ma dipende, volta per volta, dalla ca-

pacità delle singole parti di far sentire la propria voce e di affermare i propri diritti. La Costituzione italiana tutela con una serie di importanti articoli (dal 35 al 47) le attività e i rapporti economici dei suoi cittadini, primo fra tutti il lavoro «in tutte le sue

forme e applicazioni», ma anche l’organizzazione sindacale, il diritto allo sciopero, la proprietà privata. A questi princìpi costituzionali si ispirò lo Statuto dei lavoratori, approvato dal Parlamento nel 1970, che costituisce la base democratica e di giu-

Manifesto del Sindacato centrale degli agricoltori francesi, 1900 [Collezione privata]

Nell’Europa continentale il movimento sindacale ricevette un impulso decisivo dal movimento politico socialista, stabilendo con i partiti un legame ideologico e programmatico.

La Prima Internazionale L’ideologia di Marx ed Engels si diffuse in molti paesi, non solo fra gli operai, come strumento di lotta sociale e politica, ma anche fra gli intellettuali e gli studiosi, come metodo di analisi storico-economica. Lo stesso Marx si incaricò di stendere il programma e lo statuto dell’”Associazione Internazionale dei Lavoratori”, la prima organizzazione in difesa dei lavoratori non più limitata a un ambito nazionale, fondata a Londra nel 1864 e meglio nota come Prima Internazionale. Vi confluirono personaggi di molteplici tendenze, dai sindacalisti inglesi ai mazziniani italiani, dai francesi seguaci di Blanqui e Proudhon agli anarchici di Bakunin. Proprio i contrasti fra questi ultimi e i marxisti furono il principale motivo di crisi dell’associazione, che fu sciolta nel 1876. Il primo importante tentativo di tradurre in pratica il progetto marxista si sarebbe compiuto in Russia nel 1917.

29.3 Anarchismo e movimento operaio L’ideologia anarchica di Bakunin Nella seconda metà dell’Ottocento, negli stessi anni in cui si sviluppavano il movimento socialista e quello marxista, sorse e si diffuse in diversi paesi d’Europa, tra cui anche l’Italia, un altro movimento a sfondo rivoluzionario: l’anarchismo, propagandato da un pensatore russo di nobile famiglia, Michail Bakunin (1814-1876).

Capitolo 29 La borghesia al potere

stizia all’interno dei luoghi di lavoro. L’articolo 1 dello Statuto è relativo alla libertà di opinione dei lavoratori: «I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei princìpi della Costituzione». Altre norme sono volte alla tutela della dignità del lavoratore e alla libertà sindacale: l’articolo 4 per esempio vieta «l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori»; un comma dell’articolo 15, invece, stabilisce che non è possibile «licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni […] a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero». In Italia le più importanti organizzazioni sindacali, espressione di diversi orientamenti politici, sono la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL), tradizionalmente legata ai partiti della sinistra, la Confederazione Italiana dei Sindacati dei

Lavoratori (CISL), di ispirazione cattolica, la Unione Italiana dei Lavoratori (UIL), di ispirazione laica; la Unione Generale del Lavoro (UGT), legata alla destra sociale. A questi sindacati, che rappresentano la principale controparte degli imprenditori

nelle trattative per i contratti collettivi di lavoro (spesso con la presenza del governo in ruolo di mediatore), si aggiungono le associazioni di singoli settori del mondo del lavoro, come i docenti della scuola, gli operai metalmeccanici, i giornalisti, ecc.

Uno striscione dei sindacati alla festa del Primo maggio, Roma [foto di A. Tosatto]

Bakunin affermava che lo sfruttamento e l’ingiustizia che pesavano sulla vita di milioni di uomini avevano una sola origine: lo Stato, le sue leggi, i suoi ordinamenti. Pertanto gli uomini, le masse dei diseredati, in particolare gli operai sfruttati, se volevano liberarsi dell’oppressione dovevano porsi un unico obiettivo, la rivoluzione universale, da scatenare contro gli organi del potere per arrivare a distruggere lo Stato, qualunque Stato, fosse quello borghese o quello dei socialisti o dei comunisti. «Ogni potere, borghese o altro – affermò Bakunin – finisce sempre col tradire il popolo. Ogni legislazione, ogni autorità non può che andare a vantaggio di una minoranza dominatrice contro gli interessi della maggioranza asservita». Dopo la distruzione dello Stato, la società si sarebbe ricomposta da sola, «non dall’alto, ma dal basso, attraverso una libera federazione delle associazioni operaie emancipate dal giogo dello Stato». Gli anarchici presero parte a tutti i movimenti rivoluzionari europei della seconda metà dell’Ottocento e del primo Novecento.

I primi sindacati Un aspetto importante delle trasformazioni politiche e sociali nell’Europa di fine Ottocento fu l’affermazione dei movimenti operai, con lo sviluppo delle associazioni dei lavoratori, delle organizzazioni sindacali e dei partiti socialisti, la cui ideologia “ufficiale” a poco a poco diventò quella marxista. Questo fenomeno si verificò un po’ ovunque, dall’Inghilterra (il primo paese in cui i sindacati, o Trade Unions, ottennero il riconoscimento giuridico, 18.2) alla Francia, al Belgio, all’Olanda, alla Germania, alle nazioni scandinave. I primi sindacati di categoria,

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia che riunivano gli addetti a un determinato mestiere o settore produttivo, a poco a poco si raccolsero in associazioni più vaste dette Camere del Lavoro (sorte tra il 1887 e il 1892). Nacquero anche le Confederazioni Generali del Lavoro, organismi che comprendevano i lavoratori di un’intera nazione. Associandosi insieme, i lavoratori acquistarono una forza notevole, che permise di ottenere importanti risultati non solo nell’ambito del lavoro (aumenti salariali, limitazione della giornata lavorativa a 8 ore) ma, più in generale, in quello dei diritti sociali (assistenza medica, pensione) e civili (diritto di voto).

Il sostegno socialista Sul piano politico, gli interessi dei lavoratori furono sostenuti dai partiti di ispirazione socialista, sorti negli anni settantanovanta in tutti i paesi d’Europa (nel 1892 in Italia). Nel 1889 fu costituita a Parigi l’Internazionale dei Lavoratori, un’associazione fra tutti i partiti operai degli Stati europei, formatasi allo scopo di coordinarne le azioni. Questa associazione, detta anche “Seconda Internazionale” (per distinguerla dalla prima, promossa nel 1864 da Karl Marx), proclamò la data del 1° maggio festa dei lavoratori di tutto il mondo, a ricordo di un grande sciopero avvenuto quel giorno fra gli operai degli Stati Uniti. Rata Langa, L’avanzare del nuovo secolo, 1900 In questa vignetta satirica realizzata per la rivista «L’Asino», Gabriele Galantare (che qui si firma con lo pseudonimo Rata Langa) illustra la fiducia nella possibilità che i movimenti operai portino a degli sviluppi di uguaglianza sociale nel nuovo secolo. Un signore anzianotto, il XIX secolo, porta con sé nella tomba le ingiustizie del suo tempo (schiavitù, miseria, violenze e crudeltà), mentre dall’alto di una collina discende il XX secolo, incarnato da un operaio con il piccone sulla spalla: sostenuto da una folla di lavoratori, egli porta con sé la bandiera dei motti socialisti, giustizia, libertà, benessere e fratellanza.

La Parola

depressione Il primo significato di “deprimere” (dall’identico verbo latino) è di tipo fisico, materiale: vuol dire ‘premere’, ‘calcare’ e si usa per indicare, per esempio, la pigiatura dell’uva. In senso metaforico significa ‘abbattere’, ‘umiliare’: la depressione è, come sappiamo, un fenomeno di avvilimento psicologico. Per estensione il termine si usa in altri campi, come l’economia, quando la produzione diminuisce e gli scambi languiscono.

29.4 La crisi del 1873-96. Dal liberismo al protezionismo Un eccesso di produzione Dopo la straordinaria espansione degli anni 1850-70, l’economia europea attraversò un periodo di generale depressione, che durò per oltre vent’anni, dal 1873 al 1896. Fu una crisi di tipo nuovo, diversa da quelle del passato, provocate solitamente dalle carestie, dalla mancanza di mezzi di sussistenza. La crisi di fine Ottocento, al contrario, ebbe origine da un eccesso di beni: un paradosso che solo il modo di produzione industriale poteva generare. Fino a quel momento si era mantenuto un sostanziale equilibrio tra la quantità di merci e di prodotti che uscivano dalle industrie e la quantità di merci e di prodotti assorbiti dal mercato: infatti i prodotti delle industrie europee che eccedevano il fabbisogno interno dei paesi produttori venivano in gran parte esportati fuori dell’Europa, soprattutto in America e in Asia (India, Cina, Giappone). A un certo punto, però, il numero dei paesi produttori – per lungo tempo solamente quelli dell’Europa centrooccidentale – cominciò a crescere: negli Stati Uniti e in Giappone [ 34.5] sorsero industrie che producevano tessuti, metalli, macchinari; nella stessa Europa, anche la Germania fece rapidi progressi sulla via dell’industrializzazione. Il crollo dei prezzi In conseguenza di ciò si ebbe un forte aumento della produzione complessiva e i mercati mondiali si trovarono letteralmente invasi dai prodotti che uscivano dalle industrie europee, americane e giapponesi. Ciò provocò una generale concorrenza e una forte riduzione dei prezzi e dei profitti, che poté essere sopportata dalle grandi aziende ma mise in seria difficoltà le piccole e medie imprese, incapaci di offrire prodotti a basso prezzo. Qualcosa di simile si stava verificando in campo agricolo: il grande sviluppo della cerealicoltura in Russia, in India, nelle sterminate pianure degli Stati Uniti, provocò una crescente offerta di grano sui mercati europei (il nuovo sistema di trasporti consentiva di farlo giungere in quantità e in tempi fino ad allora inconcepibili) e mise in difficoltà le economie locali, facendo crollare i prezzi. La crisi del liberismo La difficile situazione mise in crisi il liberismo, cioè il principio del libero commercio. Di fronte alla concorrenza dei prodotti extra-europei, gli agricoltori e gli industriali fecero pressioni sui governi per sollecitare l’adozione di una politi-

Capitolo 29 La borghesia al potere

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ca protezionista, che, imponendo forti tariffe doganali alle merci d’importazione, favorisse i produttori locali. Tutti i governi europei, con la sola eccezione di quello inglese, negli anni settanta-ottanta del XIX secolo scelsero questo tipo di politica, intervenendo per proteggere e sostenere le industrie e le aziende agricole del paese dalla concorrenza esterna. Il principio dell’intervento statale sull’economia cominciò a prevalere su quello della libertà di scambio, sostenuto dagli economisti liberali nella prima metà del secolo [ 17.2]. In Italia, per esempio, il sostegno del governo – che adottò nel 1887 una politica doganale protezionista – fu decisivo nel sollecitare la nascita o la crescita di alcune importanti industrie, come le acciaierie Terni, le officine metalmeccaniche Breda, gli stabilimenti chimici Pirelli, le prime centrali elettriche.

29.5 “Cartelli” e holdings La nascita delle multinazionali La lunga depressione economica di fine Ottocento modificò sensibilmente le strutture dell’industria europea. Molte piccole e medie aziende fallirono e furono acquistate a prezzi di liquidazione dalle imprese maggiori, che in tal modo giunsero a controllare interi settori produttivi. In Gran Bretagna, nei decenni tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo scomparvero oltre 650 piccole imprese, assorbite in unità maggiori. In molti paesi si formarono grandi concentrazioni di industrie, collegate fra loro in associazioni chiamate “cartelli”, talora dislocate in Stati diversi e perciò chiamate ”multinazionali”. I casi Krupp e Ford Un esempio di gigantesco consorzio produttivo fu il complesso Krupp, in Germania, che combinava insieme produzione mineraria, metallurgia e industria chimica: fondata nel 1861 da Alfred Krupp (1812-1887), verso la fine dell’Ottocento l’impresa contava circa 43.000 dipendenti e divenne una della più importanti industrie belliche europee, tanto che il loro fondatore fu soprannominato “il re del cannone”. Un altro imponente gruppo industriale fu la fabbrica di automobili creata negli Stati Uniti da Henry Ford (1863-1947) [ 31.1] che in breve tempo divenne l’uomo più ricco d’America dopo John Rockefeller, il “re del petrolio”. Queste potenti concentrazioni dominavano interamente certi settori della produzione. L’acquisto della materia prima, la sua lavorazione, la vendita, tutto avveniva sotto il loro controllo: in tal modo i “cartelli” potevano determinare il prezzo delle merci e il loro afflusso sui mercati, e con ciò di fatto veniva eliminata la libera concorrenza.

La catena di montaggio nella fabbrica Ford, 1913

Maglio a vapore nelle acciaierie Krupp di Essen, seconda metà del XIX sec. L’industria creata nel 1861 da Alfred Krupp fu un tipico esempio di consorzio produttivo che interessava le diverse fasi di lavorazione di un prodotto: in questo caso, industria estrattiva, siderurgica e meccanica.

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

I modi della storia

Il re del petrolio

A iniziare dal 1859, anno in cui Erwin Drake [ 24.8] mostrò che era possibile estrarre il petrolio dal terreno trivellandolo in profondità, la corsa all’oro nero coinvolse le regioni petrolifere degli Stati Uniti d’America, in particolare la Pennsylvania, l’Ohio, la California e il Texas. Per qualche tempo il mercato del pe-

trolio si svolse senza regole e nella più assoluta libertà: pullulavano i cercatori, moltissimi erano i proprietari di giacimenti, numerose le raffinerie. Ma in pochi anni il mercato del petrolio passò sotto il controllo di una sola persona, John D. Rockefeller, proprietario di una raffineria a Cleveland. La svolta avvenne nel 1867, quando Rockefeller stipulò un accordo con una compagnia ferroviaria (e subito dopo con altre) garantendo di utilizzarne regolarmente i carri-merci per il trasporto di una quantità fissa di petrolio greggio dai pozzi alle raffinerie, e da queste ai luoghi di vendita. La proposta era allettante per le compagnie ferroviarie, il cui maggiore problema era allora rappresentato dall’instabilità della produzione di petrolio e dall’estrema variabilità delle richieste di trasporto, ora

esuberanti rispetto al numero dei carri, ora insufficienti per ammortizzare il costo del viaggio. In cambio della regolarità garantita da Rockefeller, gli furono accordati prezzi assai vantaggiosi, che gli consentirono di allargare l’entità degli acquisti e dei trasporti. Poco alla volta egli conquistò un vero monopolio in questo campo, e ottenne da varie compagnie ferroviarie l’impegno a trasportare esclusivamente il suo petrolio. Appena tre anni più tardi, nel 1870, la compagnia petrolifera di Rockefeller, denominata Standard Oil o Esso (così sì pronunciano in inglese le lettere S.O., sigla della compagnia), aveva raggiunto un capitale di un milione di dollari. Molti continuavano a essere i proprietari di giacimenti petroliferi e i produttori di petrolio, ma la maggior parte di questo era acquistato e raffinato da Rockefeller. I rivali furono superati uno dopo l’altro: nel 1880, il 95% della produzione americana di petrolio passava per gli impianti della Standard Oil.

John D. Rockefeller con il figlio John jr.

Le compagnie finanziarie La concentrazione delle industrie fu accompagnata dalla concentrazione di grandi capitali, indispensabili per fornire alle industrie stesse i mezzi finanziari per le loro attività, per esempio l’acquisto di grandi quantità di materie prime come rame, stagno, piombo, tungsteno, cromo, scarse in Europa e reperibili soltanto in altre parti del mondo. Si formarono pertanto grandi società finanziarie, dette holdings, e banche specializzate, che con i loro colossali patrimoni sostenevano (e talvolta controllavano e dirigevano) le industrie. In qualche caso – come in Francia – il collegamento banca-industria fu strettissimo e sollecitato dallo stesso governo: grandi banche, come il Crédit mobilier, sorsero con lo scopo specifico di finanziare le imprese industriali. Altrove – come in Inghilterra – i due settori conservarono una maggiore autonomia: la Bank of England e le banche minori rimasero collegate, come in passato, anche alle imprese commerciali e al traffico d’oltremare. In Germania, dove la frammentazione politica fu superata solamente a iniziare dagli anni settanta dell’Ottocento, la concentrazione delle imprese e dei capitali incominciò verso la fine del secolo. Finanza e politica La potenza economica di queste concentrazioni industriali e finanziarie esercitò in ogni caso una rilevante influenza sulla politica dei governi. Ormai la vera forza degli Stati consisteva non più nel numero degli abitanti o nell’estensione territoriale, ma negli apparati industriali e nella consistenza finanziaria, nella capacità di produrre acciaio e merci e di saper dominare i mercati. Queste trasformazioni rafforzarono la dimensione internazionale del mercato. Il capitalismo europeo acquistò nuova forza e si organizzò, anche sul piano politico e militare, per trovare nuovi spazi in cui poter collocare capitali e prodotti. Una nuova fase di espansione iniziò sul finire del XIX secolo, sostenuta dalla politica dei governi e da nuove conquiste coloniali in Asia e in Africa [ 34].

Capitolo 29 La borghesia al potere

Sintesi

La borghesia al potere

Liberalismo e borghesia A fine Ottocento molte furono le trasformazioni politiche in Europa: il ruolo socialmente egemone assunto dalla borghesia con la rivoluzione industriale portò alla formazione di governi costituzionali e all’affermazione del liberalismo. La rivoluzione dei trasporti favorì una nuova organizzazione del mercato mondiale, sostenuta da politiche liberiste e dall’abolizione dei dazi tra Stati. Alcuni paesi si specializzarono nelle tecnologie industriali, importando i beni di sussistenza (Inghilterra), altri producevano animali e beni agricoli (Argentina, Australia, Russia), mentre gli Stati Uniti incrementarono sia la cerealicoltura sia l’industrializzazione. Il liberalismo si affermò in gran parte degli Stati europei, a eccezione della Germania, della Francia (che viveva il ritorno all’autoritarismo conservatore con Napoleone III), dell’Impero austro-ungarico, dove l’autonomia del Parlamento era limitata dal militarismo delle dinastie, e in Russia, dove perdurava l’assolutismo zarista. La rivoluzione proletaria secondo Marx ed Engels Nel periodo in cui la borghesia si affermava socialmente, nascevano anche nuove proposte ispirate ai princìpi socialisti: i filosofi rivoluzionari tedeschi Marx ed Engels fornirono una complessiva interpretazione del capitalismo e della storia umana. In ogni epoca, essi sostennero, la vita degli uomini è stata dominata dall’esigenza di procurarsi i beni materiali indispensabili; le modalità di produzione e distribuzione di tali beni hanno sempre innescato delle lotte tra classi sociali. Nel periodo ottocentesco, la lotta di classe contrapponeva capitalisti

e operai. La lotta di classe avrebbe portato a una rivoluzione a opera delle masse proletarie unite, al termine della quale si sarebbe instaurata prima la dittatura del proletariato, poi un sistema di proprietà comune dei mezzi di produzione e un’equa distribuzione dei beni. L’ideologia marxista si diffuse in molti paesi e strati sociali; nel 1864 venne fondata a Londra la Prima Internazionale, un’organizzazione a difesa dei lavoratori, il cui programma fu steso da Marx, caratterizzata da diverse tendenze al proprio interno. Si sarebbe poi sciolta nel 1876 per i contrasti tra i marxisti e gli anarchici. Anarchismo e movimento operaio Nella seconda metà del XIX secolo si diffuse anche l’anarchismo, un altro movimento rivoluzionario propagandato dal russo Bakunin. Secondo l’anarchismo, lo sfruttamento e le ingiustizie cui l’uomo era sottoposto erano una conseguenza dell’ordinamento statale. Ogni tipo di Stato andava abbattuto con una rivoluzione e sostituito con un’unione dal basso tra le associazioni operaie. Alla fine del secolo si svilupparono anche il movimento operaio, le prime forme di associazionismo e le prime organizzazioni sindacali, le Camere del Lavoro e le Confederazioni Generali del lavoro: in questo modo gli operai acquisirono maggiore forza sociale e ottennero i primi diritti sociali e civili. Si svilupparono anche i partiti di ispirazione socialista che nel 1889 si associarono nella Seconda Internazionale. La crisi del 1873-96. Dal liberismo al protezionismo Tra 1873 e 1896 l’economia europea entrò in un periodo di crisi,

causato dal maggior numero dei paesi produttori e conseguentemente dall’aumento della produzione complessiva di beni, in eccedenza rispetto alla domanda. I prezzi e i profitti diminuirono e ne scaturì una crisi delle aziende medie e piccole. Un fenomeno analogo avvenne anche nell’agricoltura: aumentò l’offerta di grano e calarono i prezzi. Il principio del libero commercio entrò in crisi e si affermò quello dell’intervento statale nell’economia: a eccezione della Gran Bretagna, tutti gli Stati europei adottarono una politica protezionistica, per favorire le produzioni locali. In Italia l’adozione di questo tipo di politica favorì la nascita e la crescita di alcune importanti industrie. “Cartelli” e holdings La depressione economica di fine Ottocento modificò le industrie europee. Le piccole e medie aziende fallirono e furono acquistate dalle maggiori, che arrivarono a controllare interi settori produttivi creando grandi concentrazioni industriali tra loro collegate (cartelli); a volte erano dislocate in più Stati (multinazionali). Si crearono enormi consorzi produttivi, come quello di Alfred Krupp in Germania o di Henry Ford negli Stati Uniti, che riuscivano a determinare i prezzi e l’afflusso delle merci sul mercato. Si verificò poi la concentrazione dei grandi capitali necessari a finanziare l’attività industriale, con la formazione di grandi società finanziarie e di banche specializzate, i cui capitali controllavano le industrie. Tali concentrazioni influirono sulle politiche dei governi. Si rafforzò il mercato internazionale attraverso l’espansione coloniale, alla ricerca di nuovi spazi ove collocare capitali e prodotti.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1848

1. 2. 3. 4.

1861

1864

1867

Il capitale di Marx ed Engels fondazione della Seconda Internazionale adozione in Italia della politica doganale protezionista fondazione del consorzio produttivo industriale di Alfred Krupp

1876

1887

5. 6. 7. 8. 9.

1889

1892

1917

rivoluzione marxista in Russia fondazione della Prima Internazionale Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels fondazione del Partito Socialista Italiano scioglimento della Prima Internazionale

375

376

Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

2. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. anarchismo • autogestione • cartello • comunismo • depressione • fabbisogno • holding • Internazionale • liberalismo • liberismo • liquidazione • multinazionale • sindacato Unione che comprende i lavoratori di un’intera categoria La lunga crisi del liberismo e aprì la strada al protezionismo Grande concentrazioni di industrie, collegate fra loro Sistema politico che esprimeva la sovranità dei cittadini attraverso l’elezione di Parlamenti e che garantiva i princìpi di libertà Grandi società finanziarie Dottrina che propone l’eliminazione dello Stato e di ogni forma di autorità La trasformazione del patrimonio dell’azienda in danaro che servirà per pagarne i debiti Ciò che è necessario per svolgere una determinata attività o per raggiungere o mantenere un determinato Stato Organizzazione in difesa dei lavoratori non più limitata a un ambito nazionale Gestione di un’attività o una struttura da parte di coloro che vi lavorano Sistema economico che permette il libero scambio, abolendo i dazi protettivi e altri vincoli statali Dottrina politica ed economica basata sull’abolizione della proprietà privata e sulla collettivizzazione dei beni e dei mezzi di produzione Impresa la cui attività si svolge in più paesi contemporaneamente

3. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. associazioni • assunzione • Bakunin • beni • capitalisti • classe • distribuzione • distruzione • dittatura • Engels • europeo • federazione • Internazionale • leggi • lotta • Marx • masse • movimento • operai • ordinamenti • produzione • proletariato • proprietà • ricomposizione • Stato • universale COMUNISTI

ANARCHICI

SEGUACI DI

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MALI SOCIALI E CAUSE

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Ingiustizie e sfruttamento degli uomini causati da .......................................... e ............................................................... dello ..................................................................................................

QUALE RIVOLUZIONE

Rivoluzione delle ................................................... proletarie

Rivoluzione .....................................................................................

A CHE SCOPO

.......................................................................................

proletarie: del potere

................................................. dello ................................................ e di ogni forma di potere

.......................................................................................

DOPO LA RIVOLUZIONE

................................................

del ...................................................., comune ed equa ................................................ sociale dei .....................................

........................................... società: ................................................ di ........................................................................................ operaie

PARTECIPANO A

Prima e Seconda .......................................................................; ............................................................................................. operaio

................................................................................

..........................................................................

rivoluzionario

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4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Fino al 1873, vi era una situazione di equilibrio tra le merci prodotte e quelle assorbite dal mercato.

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b. La Francia di Napoleone III era una monarchia liberale legata ai valori e agli interessi della borghesia.

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Capitolo 29 La borghesia al potere

c. Le Camere del Lavoro raccoglievano gli addetti a un certo settore o sistema produttivo.

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d. In Francia, il collegamento tra banche e industrie fu sollecitato dal governo.

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e. Secondo Marx, la lotta di classe caratterizza l’intera storia dell’umanità.

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f. Verso la metà del XIX secolo, iniziò una nuova fase di conquiste coloniali in Asia e Africa.

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g. L’economia europea attraversò un periodo di depressione tra il 1850 e il 1870.

l. Nella seconda metà del XIX secolo, Russia, India e Stati Uniti divennero grandi produttori di grano.

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m. Il 1° maggio fu proclamato festa dei lavoratori di tutto il mondo dalla Seconda Internazionale.

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n. In Russia e in Germania l’assolutismo monarchico bloccò la libera iniziativa dei ceti borghesi.

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o. La dittatura del proletariato aveva lo scopo di stroncare ogni resistenza alla rivoluzione.

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h. La Prima Internazionale si sciolse in seguito ai contrasti tra i marxisti e i sindacalisti inglesi.

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p. Negli anni 70-80 tutti i paesi europei scelsero politiche protezionistiche, senza eccezioni.

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i. L’anarchismo si diffuse in molti paesi europei, tra i quali l’Italia.

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q. Il liberismo proclamava il principio della sovranità dei cittadini.

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Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande. 1. In quale periodo si verificò l’espansione economica? 2. Quali furono le cause dell’espansione economica? 3. In che modo si sviluppò? Con quali conseguenze?

4. In quale periodo si verificò la crisi economica? 5. Quali furono le cause della crisi economica? 6. In che modo si sviluppò? Con quali conseguenze?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella. ASCESA E CRISI DEL LIBERO MERCATO ESPANSIONE ECONOMICA

CRISI ECONOMICA

QUANDO NASCE

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PERCHÉ NASCE

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COME SI SVILUPPA

LE CONSEGUENZE

6. Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” alle pp. 370-371 e rispondi alle seguenti domande.

1. Che cosa era il movimento operaio? In quali paesi si sviluppò? 2. Che cosa erano le Camere del Lavoro? E le Confederazioni generali del lavoro? 3. Perché l’associazionismo operaio accrebbe la forza del movimento? A quali risultati portò? 4. Quali partiti sostennero le rivendicazioni operaie? 5. Attraverso quali mezzi furono condotte le lotte operaie?

6. In che modo la Costituzione della Repubblica italiana tutela i rapporti economici dei cittadini? 7. Che cos’è lo Statuto dei lavoratori? Che cosa affermano gli articoli 1,4 e 15? 8. Quali sono i principali sindacati al giorno d’oggi? Qual è la loro controparte? 9. Quali associazioni di rappresentanza dei lavoratori si affiancano ai sindacati? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo “Rivendicazioni sociali e movimento operaio”.

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

30 La rivoluzione

Capitolo

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dei consumi e dei modi di vita

Percorso breve La rivoluzione industriale provocò un forte cambiamento delle condizioni di vita, non solo tra le classi medie ma anche tra le classi popolari. Ciò per un motivo intrinseco alla logica economica, dato che l’industria, per creare profitto, deve produrre e vendere molto, dunque ha bisogno di acquirenti. Essa dunque mirò da un lato ad allargare i mercati esterni con l’espansione coloniale, dall’altro a innalzare i salari e le potenzialità di acquisto delle masse lavoratrici. Le lotte operaie, in questo senso, paradossalmente convergevano con l’interesse degli industriali. I consumi alimentari furono i primi a essere rivoluzionati. Grazie ai progressi in agricoltura e ai nuovi mezzi di trasporto, combinati con le nuove macchine frigorifere che producevano il freddo artificialmente, grano, carne e pesce cominciarono a essere importati da paesi lontani e apparvero sul mercato in maggiore quantità e a prezzi più accessibili. Nuovi sistemi di conservazione (soprattutto la sterilizzazione in boccali di vetro e poi in scatole di latta) diedero avvio all’industria conserviera. Altra rivoluzione fu quella del vestiario: abiti più economici diventarono accessibili a tutti, e con i grandi magazzini nacque una nuova forma di mercato. Grandi progressi furono fatti nell’Ottocento dalla scienza medica: Laënnec introdusse lo stetoscopio per l’auscultazione; apparvero la siringa e il termometro; Pasteur, Koch e altri chimici scoprirono l’esistenza dei microbi e il loro legame con le malattie infettive; in chirurgia si introdussero le pratiche dell’anestesia e dell’asepsi, cioè della sterilizzazione dei materiali. Da tutto ciò derivò una sorprendente diminuzione della mortalità, che, sommandosi ai benefici della migliorata alimentazione, produsse una crescita straordinaria della popolazione: tra gli inizi e la fine del secolo l’Europa raddoppiò da 200 a 420 milioni di abitanti.

Manifesto per un magazzino di confezioni femminili e per l’infanzia, 1880 ca. [Musée des Arts Décoratifs, Parigi]

La crescita demografica e l’affluire dei contadini nelle città industriali accentuarono la concentrazione degli uomini nei centri urbani, dove si attuarono forme di separazione urbanistica tra i quartieri operai e quelli borghesi. Nuove tecniche edilizie si affermarono, con l’uso di nuovi materiali quali il ferro, il cemento armato, il vetro. La Torre Eiffel a Parigi e i grattacieli americani furono il simbolo di questa nuova epoca.

Capitolo 30 La rivoluzione dei consumi e dei modi di vita

30.1 Benessere di massa? Verso migliori condizioni operaie Le condizioni di vita e di lavoro dei ceti popolari avevano toccato tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, nel momento del primo decollo industriale, uno dei punti più bassi mai toccati nella storia. I più radicali oppositori del capitalismo, Marx ed Engels, avevano previsto che nei decenni a venire la miseria degli operai e dei ceti umili si sarebbe aggravata in maniera ancora più drammatica, provocando una catastrofe sociale da cui sarebbe scaturita la definitiva rivoluzione e, con essa, il totale rinnovamento della società [ 29.2]. Tale previsione non si avverò, e anche per questo i movimenti operai e i partiti socialisti europei finirono spesso per accettare, sullo scorcio del secolo, le regole e le istituzioni dello Stato parlamentare. In effetti, le cose erano molto cambiate in quei decenni: non solo i ceti borghesi, ma le stesse classi popolari – sia pure in misura minore – avevano cominciato a trarre vantaggio dalla trasformazione generale dell’economia e della società che la rivoluzione industriale aveva portato con sé. Produrre e consumare Il motivo di tutto ciò è semplice: l’industria, per creare profitto, deve anzitutto coprire i costi dei macchinari su cui si basa; perciò deve produrre e vendere molto. Ha dunque bisogno di consumatori, il più possibile numerosi; è nel suo interesse che la cerchia degli acquirenti si allarghi, che un numero crescente di persone abbia il desiderio e la possibilità di comprare. Questo “bisogno di acquirenti” fu soddisfatto in due modi diversi: da un lato portò alla ricerca di mercati esterni e all’espansione coloniale delle potenze industriali [ 34]; dall’altro trovò una risposta nell’innalzamento dei salari e delle potenzialità di acquisto delle classi lavoratrici le quali, in questo modo, poterono esse stesse trasformarsi in consumatori dei beni che l’industria produceva. Ciò avvenne, nel corso del XIX secolo, dietro la spinta delle lotte operaie, ma, in fondo, nell’interesse stesso degli industriali. Gli albori del consumo di massa Certo, le differenze sociali rimanevano fortissime, e per molto tempo furono quasi solamente i ceti della media e della piccola borghesia a godere di questo allargamento sociale dei consumi. Tuttavia anche le fasce più alte del mondo operaio (i lavoratori specializzati, i tecnici) riuscirono ad accedervi, almeno per i consumi principali, i più indispensabili alla vita e al benessere quotidiano. In questo senso si può cominciare a parlare di un vero consumo di massa, sollecitato dalle lusinghe della pubblicità che i nuovi canali d’informazione – per il momento soprattutto i giornali – consentivano di far giungere a chiunque. Fu questa la nuova realtà, economica ma anche mentale, creata dalla società industriale.

30.2 La rivoluzione alimentare La svolta agricola Il settore dei consumi alimentari fu il primo a essere totalmente rivoluzionato dal modo di produzione industriale. Per cominciare, vi furono straordinari progressi nel campo dell’agricoltura: l’impiego più sistematico delle macchine nel lavoro dei campi e la diffusione dei fertilizzanti chimici e degli anticrittogamici consentirono di superare quello stato di totale dipendenza dalle contingenze climatiche e ambientali, che da sempre aveva caratterizzato questo settore fondamentale dell’attività umana. Frattanto, i nuovi mezzi di trasporto (ferrovia, navi a vapore) consentirono di riversare sul mercato europeo crescenti quantità di cereali provenienti da paesi lontani: le pianure della Russia asiatica, dell’India, degli Stati Uniti. In tal modo la disponibilità di grano diventò più abbondante e sicura. Il sogno di pane e carne Fu in questo periodo storico che si verificò – secondo l’espressione dello storico Fernand Braudel – la «rivoluzione del pane bianco»: dalla seconda metà dell’Ottocento, la farina e il pane di frumento non furono più un lusso riservato ai ricchi, ma un cibo accessibile ai più. E mentre l’importanza alimentare dei pani “scuri” di cereali inferiori declinava, la farina di frumento diventava sempre più bianca, grazie

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

La mietitrice meccanica progettata da Patrick Bell nel 1826

La mietilegatrice McCormick, 1878

Copertina di un catalogo inglese di macchine per mietere e legare il grano, 1892 Negli Stati Uniti, la mancanza di manodopera e la vastità degli spazi coltivabili furono alla base del forte sviluppo della meccanizzazione dell’agricoltura, che portò un notevole aumento di produttività. Nuovi modelli di macchine mietitrici si susseguirono nel giro di pochi anni, perfezionando l’originaria mietitrice meccanica progettata nel 1826 dallo scozzese Patrick Bell. Ulteriori sviluppi si ebbero con l’introduzione di macchine che mietevano e legavano il grano (come la sofisticata mietilegatrice McCormick del 1878); o che univano le operazioni di mietitura e trebbiatura (le cosiddette mietitrebbie). Già verso il 1880, negli Stati Uniti, quattro quinti del grano erano raccolti impiegando queste macchine, mentre in Europa la meccanizzazione agricola conobbe tempi assai più lenti.

all’utilizzo di nuovi tipi di mulino con cilindri di ferro, e poi di porcellana, al posto delle tradizionali macine in pietra. Anche la disponibilità di carne crebbe enormemente. Ora che era possibile trasportarla con facilità, grandi spazi furono riservati all’allevamento del bestiame nelle sconfinate pianure americane (soprattutto in Argentina) e in quelle australiane, recentemente colonizzate dagli inglesi. Interi carichi di carne sbarcavano nei porti europei e un antico sogno popolare – mangiare carne come i ricchi – sembrava avverarsi. Anche il pesce era più abbondante, ora che i mari erano solcati da navi più veloci e più solide.

Problemi di conservazione Tutto ciò presupponeva non solo il perfezionamento del sistema di trasporti, ma anche la possibilità di conservare a lungo i prodotti, in particolare la carne e il pesce. I tragitti da un capo all’altro dell’oceano, per quanto rapidi, duravano pur sempre diverse decine di giorni. Da questo punto di vista fu fondamentale l’evoluzione tecnologica che consentì di “produrre” freddo con apposite macchine refrigeratrici e, perciò, di preservare il cibo in modo assai più efficace e duraturo di quanto non si fosse potuto fare sino a quel momento.

30.3 La fabbrica del freddo Tecniche tradizionali Il problema della conservazione del cibo era sempre stato un obiettivo fondamentale delle società umane. Tradizionalmente, la conservazione si faceva soprattutto con la tecnica della salagione: il sale infatti, assorbendo l’acqua e prosciugando gli alimenti, ne prolunga di molto la durata. Altre tecniche erano l’essiccazione al Sole e l’affumicatura (spesso associata alla salagione), la pre-cottura dei cibi (le carni venivano lessate e poi conservate a bassa temperatura), l’immersione in olio (tecnica usata soprattutto per le verdure), l’infusione in alcool (per certi tipi di frutta), la cottura con lo zucchero (confetture, marmellate); un altro modo per proteggere e conservare gli alimenti era l’uso sapiente delle tecniche di fermentazione, impiegate, per esempio, nella fabbricazione dei salumi e dei formaggi. L’uso di neve e ghiaccio Anche il freddo era utilizzato come agente conservante: i palazzi e le case signorili disponevano spesso di spazi interrati, “ghiacciaie” o “conserve” in cui durante l’inverno si raccoglievano neve e ghiaccio, per tenere al fresco gli alimenti tutto l’anno. In certe città tale sistema era gestito dalle pubbliche autorità in sotterranei aperti all’uso dei cittadini: a Parigi, nel 1857, fu realizzata una “conserva” pubblica nel parco denominato bois (‘bosco’) de Boulogne: un sistema di costruzioni sotterranee,

Capitolo 30 La rivoluzione dei consumi e dei modi di vita

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suddivise in compartimenti isolati con aperture a doppia chiusura, in cui era possibile immagazzinare fino a 10 milioni di kg di ghiaccio, che si stimava dovessero servire al fabbisogno della capitale per un anno.

Il frigorifero Intanto si studiava il modo per realizzare artificialmente le basse temperature, utilizzando particolari tipi di gas che, dilatandosi, sottraevano calore all’ambiente circostante e, comprimendosi, lo cedevano. La prima macchina frigorifera di questo tipo, mossa da una macchina a vapore, fu brevettata nel 1851 dall’americano John Gorrie (1803-1855) e perfezionata qualche anno più tardi dal tedesco Franz Windhausen (1829-1904). Il francese Charles Tellier (1828-1913) realizzò il primo impianto frigorifero su un piroscafo, il Frigorifique, che nel 1876, in 105 giorni di traversata, trasportò della carne macellata dall’Argentina alla Francia. Da quel momento, la tecnica della refrigerazione diventò di gran lunga la più usata per importare derrate alimentari dai continenti extraeuropei. Il cibo viaggia fresco Applicata ai vagoni ferroviari oltre che alle navi, essa permise che si effettuassero trasporti di cibo a grandissima distanza. «Oggi – scriveva nel 1887 il medico italiano Paolo Mantegazza – si portano le carni fresche dall’America e fin dalla Nuova Zelanda, in bastimenti con camere artificialmente raffreddate con apparecchi ingegnosissimi». Montati su pescherecci, gli impianti frigoriferi diedero la possibilità ai pescatori di recarsi in zone molto lontane, da dove il pesce giungeva abbondante sui mercati europei. Esso era lavorato e preparato sulle navi stesse, come si faceva già nel Medioevo per salarlo o affumicarlo; ora lo si poteva conservare fresco. Questo tipo di industria si sviluppò soprattutto nei paesi scandinavi.

30.4 L’industria conserviera Sigillare e sterilizzare Un’altra tecnologia che permise di accrescere le riserve di cibo fu quella di rinchiudere gli alimenti in un recipiente sigillato. L’idea venne a un pasticcere francese, François Appert (1750-1841). Agli inizi del XIX secolo egli mise a punto un sistema di sterilizzazione che bloccava la fermentazione e la putrefazione degli alimenti, in particolare della carne: la tecnica – che dal nome del suo inventore fu detta “appertizzazione” – consisteva nel bollire i prodotti, riporli in un contenitore di vetro sigillato, indi sottoporre lo stesso contenitore all’azione dell’acqua bollente, per uccidere i germi residui.

La Frigorifique e la cella frigorifera sulla nave [da Louis Figuier, Le merveilles de l’industrie ou Description des principales industries modernes, Parigi, 1873-77]

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

I modi della storia

Lotta alle frodi alimentari

I primi tempi dell’industrializzazione furono caratterizzati da frodi e adulterazioni alimentari di ogni genere, senza che, per molti decenni, fossero messi a punto degli strumenti di controllo legislativo. Fu una sorta di “epoca d’oro” della sofisticazione, attorno a cui non tardò a scatenarsi una vera e propria battaglia sociale. Un pioniere di questa battaglia fu il chimico tedesco Fredrick Accum (1769-1838), che svolse in Gran Bretagna – il paese all’avanguardia della rivoluzione produttiva e distributiva e, quindi, delle frodi alimentari – un’intensa opera di ricerca scientifica e di sensibilizzazione politica a favore dei consumatori. Il suo trattato sull’adulterazione dei cibi, sottotitolato La morte in pentola, pubblicato a Londra nel 1820, fu il primo di una lunga serie di scritti di denuncia in seguito ai quali il Parlamento inglese dovette nominare (1834) la prima commissione d’inchiesta sulle frodi alimentari. Un altro pioniere fu il medico Arthur Hill Hassall (1817-1894), direttore del primo laboratorio governativo per lo studio e la repressione delle fro-

di. L’indagine fu sostenuta da una accesa campagna di stampa: è rimasta celebre una vignetta pubblicata dal settimanale satirico «Punch» nel 1855, durante i lavori della commissione parlamentare, che mostrava una bambina nel negozio del droghiere: «Signore – erano le sue parole – la mamma la prega di darmi un etto di tè della migliore qualità, per uccidere i topi, e mezzo etto di cioccolata per sterminare gli scarafaggi». Energica fu l’opposizione dei produttori: lo stesso Accum fu costretto a lasciare l’Inghilterra. Tuttavia nel 1860 fu approvata la prima legge inglese contro le frodi (Adulteration Food Act, ossia ‘Legge sull’adulterazione del cibo’). Pochi anni dopo, un servizio di igiene pubblica degli alimenti fu istituito in Francia e affidato nel 1877 al chimico Louis Pasteur (1822-1895). In Italia, le prime leggi sulla genuinità degli alimenti risalgono al 1888. Negli Stati Uniti fu soprattutto un libro dello scrittore Upton Sinclair (18781968), La giungla, pubblicato nel 1905, a sollevare l’opinione pubblica contro gli

scandali dell’industria alimentare. Agli ultimi anni del secolo risalgono le prime associazioni per la tutela dei diritti dei consumatori, un genere di associazioni che avrebbero avuto ampio sviluppo nel XX secolo, in Europa come in America.

L’uso dell’adulterazione, 1855 [dalla rivista «Punch»]

Arte e industria conserviera Lo stesso Appert mise in pratica la sua intuizione, aprendo nel 1804 a Massy una fabbrica di conserve; soprattutto i militari e i marinai, per le spedizioni di guerra e i rifornimenti di bordo, diventarono clienti delle sue carni in scatola. Nel 1810, incoraggiato e finanziato dal governo, Appert rese pubbliche le sue scoperte in un volume intitolato L’arte di conservare tutte le sostanze animali e vegetali, che fu subito tradotto in tedesco e in inglese. Nei decenni successivi il metodo Appert fece scuola in Europa e fu imitato da molti, con varie modifiche e sperimentazioni. Solo più tardi, le ricerche sui microbi del biologo francese Louis Pasteur consentirono di elaborare una spiegazione scientifica della sterilizzazione degli alimenti mediante uso del calore (essa perciò fu anche detta “pastorizzazione”). Il cibo in lattina Fra il 1830 e il 1840 i recipienti di vetro cominciarono a essere sostituiti con quelli di latta, sperimentati per la prima volta in Inghilterra dal commerciante Peter Durand. Oltre alla carne si iniziarono a inscatolare verdure: in tale attività si segnalarono soprattutto i tedeschi Philipp W. Daubert e C. Hahn, che diedero vita a una fiorente industria di asparagi e piselli in scatola. La nascita di queste e altre simili imprese segnò una svolta nella storia dell’agricoltura europea, che diventò, in larga misura, fornitrice di prodotti per l’industria alimentare. Da quest’ultima vennero a dipendere, in modo sempre più forte con il passare del tempo, gli orientamenti e le scelte degli agricoltori, poiché soprattutto i prodotti che meglio di altri si prestavano a essere trattati dall’industria conserviera (come asparagi e piselli) cominciarono a essere coltivati su larga scala. Piselli e pelati Cirio Più lentamente si diffuse l’industria conserviera in quei paesi, come l’Italia, dove il consumo di verdure fresche era più abituale. Il primo industriale conserviero italiano, il piemontese Francesco Cirio (1836-1900), per lungo tempo fu soprattutto un commerciante di prodotti freschi: egli fu il primo a introdurre nel nostro paese i vagoni frigoriferi, con cui esportava all’estero le derrate alimentari. Nel 1857, in società con Michele Garelli, fondò a Torino una fabbrica di piselli in scatola. In seguito, l’industria conserviera italiana si concentrò soprattutto sulla produzione di pomodori.

Capitolo 30 La rivoluzione dei consumi e dei modi di vita

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Latte condensato ed estratto di carne Oltre alle carni e alle verdure si tentò di “appertizzare” e inscatolare anche il latte, ma in questo caso si dimostrò migliore un altro procedimento – la condensazione – ideato per la prima volta nel 1853 dall’americano Gail Borden: il latte veniva fatto bollire con l’aggiunta di zucchero, fino a raggiungere la consistenza del miele. Due anni dopo, l’inglese Thomas Grimwade produsse in Gran Bretagna il primo latte in polvere. Altre tecniche di conservazione furono messe a punto nella seconda metà dell’Ottocento: particolarmente importante fu il procedimento di trasformazione della carne in estratto, inventato nel 1850 da Justus von Liebig, lo stesso scienziato che aveva inventato i concimi chimici [ 28.5]. Quindici anni dopo nacque a Freyebentos nell’Uruguay il primo grande stabilimento per la fabbricazione di tale prodotto, che prese il nome di Società Liebig.

30.5 La rivoluzione del vestiario Abiti per tutti Nel corso dell’Ottocento, l’aumento dei salari delle classi lavoratrici e il contemporaneo calo dei prezzi, provocato dallo sviluppo dell’industria tessile, consentirono a molti l’acquisto di capi di vestiario un tempo inaccessibili. Nel 1846 lo storico francese Jules Michelet (1798-1874) descrisse questa “rivoluzione del vestiario” sottolineando come la possibilità di acquistare biancheria personale, da letto, da tavola, per la prima volta si fosse estesa alle famiglie povere, «interi strati sociali che mai ne avevano avuto dalle origini del mondo». I grandi magazzini La quantità di oggetti che l’industria mise a disposizione dei consumatori, suscitando, attraverso i messaggi pubblicitari, una vera corsa all’acquisto, trovò una spettacolare esibizione in un nuovo tipo di negozi, i grandi magazzini, apparsi verso la metà del secolo in Inghilterra e in Francia, poi in altri paesi. In Italia, uno dei primi fu aperto nel 1877 a Milano da Ferdinando (1836-1908) e Luigi (1839-1900) Bocconi. Una rivista del tempo, «L’illustrazione italiana», descrisse l’avvenimento salutandolo come segno dei tempi nuovi e decantando «l’ordine, il buon gusto, l’opulenza, l’abbondanza delle merci messe in vendita». Fra abiti semplici e di lusso, economici e costosi, «in ogni categoria c’è grande varietà di oggetti, destinati alla comodità, al benessere, al lusso, allo svago del vestire e dell’abitare: c’è tanta roba da stancar la vista e dare il capogiro».

Figurina Liebig della serie Giochi infantili III (Il gioco del cavalluccio), 1892 Le figurine della serie Giochi infantili III furono ideate per una famosa campagna pubblicitaria che promuoveva l’estratto di carne Liebig: bambini sani e contenti vogliono rappresentare gli esempi e il risultato di un’alimentazione più ricca.

Manifesto pubblicitario per i magazzini Crespin et Dufayel di Parigi [Musée d’Arts Décoratifs, Parigi]

I grandi magazzini costituirono una grande novità per la società di fine Ottocento: qui, in un solo luogo, venivano proposte le più svariate merci, dai mobili alle biciclette, dalla bigiotteria ai capi di abbigliamento. Quello che era offerto alla clientela non era solo il prodotto in sé, ma anche, e soprattutto, un modello sociale, quello borghese, da imitare per essere socialmente accettati.

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

I tempi della storia Le donne nella società industriale La rivoluzione industriale portò importanti cambiamenti nel ruolo sociale e familiare delle donne, specie di quelle che non appartenevano ai ceti più agiati. Anzitutto, una massa imponente di donne fu immessa nel mondo del lavoro: secondo una statistica del 1839, su 491.000 operai che lavoravano nelle fabbriche inglesi ben 243.000 erano donne; di queste, quasi la metà avevano meno di diciotto anni. Tale situazione fu favorita dal fatto che gli industriali potevano pagare alle donne un minore salario rispetto agli uomini; inoltre, il nuovo sistema di produzione assegnava alle macchine, più che alla forza fisica degli operai, la maggior parte del lavoro da svolgere. Ciò portò uno sconvolgimento nelle strutture tradizionali della famiglia, poiché la donna non era più adibita solo alle faccende domestiche e poteva anche capitare che fosse l’unica ad avere un lavoro retribuito, mentre il marito,

disoccupato, si curava della casa. La parità di mansioni fra i due sessi sfociò ben presto nella rivendicazione di uguali diritti sia nel campo lavorativo, sia in quello della partecipazione sociale e politica (a cominciare dal diritto di voto, riservato ai soli maschi): nella seconda metà dell’Ottocento, il superamento della condizione di inferiorità delle donne diventò uno degli obiettivi dei movimenti socialisti. Sorsero anche specifici movimenti per l’emancipazione femminile, come, in Francia, il Club delle donne di Eugénie Niboyet (1796-1883), o il Club dell’emancipazione femminile di Jeanne Deroin (1805-1894). Nelle famiglie borghesi, dove non c’erano donne lavoratrici, dominava invece il modello della donna “di casa” e della netta separazione fra mansioni (e diritti) maschili e femminili. Tuttavia in qualche caso anche le donne della media e alta borghesia parteciparono al movimento

di emancipazione femminile, e dove ciò accadde la forza del movimento fu particolarmente forte. Così fu soprattutto in Inghilterra, dove, verso la metà dell’Ottocento, alle associazioni operaie femminili di Blackburn e di Sheffield si affiancò l’associazione borghese di Barbara Leigh Smith Bodichon (1827-1891). Nel 1866 il filosofo ed economista Stuart Mill (18061873) presentò in Parlamento la petizione di 1500 donne per l’estensione del voto al sesso femminile; nel 1869 egli scrisse un saggio, Sullo stato di soggezione della donna, che nei decenni successivi diventò un punto di riferimento per le principali rivendicazioni femministe: uguaglianza di diritti politici, parità di retribuzione sul lavoro, libero accesso all’istruzione e a tutte le carriere. Agli inizi del Novecento i gruppi femminili inglesi trovarono un coordinamento generale nella cosiddetta Unione sociale e politica delle donne. Il movimento,

Costume e società Prima della Rivoluzione francese, le differenze nel modo di vestire segnalavano in modo scenografico l’appartenenza sociale: solo i nobili potevano indossare indumenti preziosi e colorati, agli altri ciò era proibito per legge (anche se, di fatto, gli ambienti dell’alta borghesia imitavano spesso i costumi nobiliari). La Rivoluzione introdusse i princìpi di libertà e di uguaglianza anche nel campo dell’abbigliamento: «nessuna persona dell’uno o dell’altro sesso – recita un decreto del 1793 – potrà costringere alcun cittadino o cittadina a vestirsi in modo particolare. Ognuno è libero di portare l’abito e gli accessori che preferisce». L’abito borghese, per lui Nel corso dell’Ottocento, il trionfo della borghesia, dei suoi valori e del suo stile di vita significò anche l’affermarsi di un nuovo modello di abbigliamento: la fastosità e la ricchezza dell’abito nobiliare lasciarono il posto a uno stile sobrio, severo, rigoroso, simbolo dell’efficienza e del risparmio, del lavoro e della razionalità. Elemento fondamentale del vestito maschile diventò il cosiddetto “abito intero”, giacca e pantaloni, con il panciotto o il gilè sulla camicia e l’immancabile cilindro in testa. I colori sgargianti, luminosi e appariscenti dell’abito aristocratico furono sostituiti da tinte più severe: soprattutto il grigio e il nero, simboli del rigore morale e della laboriosità. Trionfò la tendenza all’uniformità: l’abito borghese non esaltava le differenze ma il conformismo sociale. Solo pochi accessori – in particolare la cravatta – contribuivano a portare un tocco di diversità e di colore a questa “divisa”. L’abito di “rappresentanza”, per lei Nell’abito femminile destinato alle donne delle classi più agiate non vi furono cambiamenti altrettanto radicali: esso restò caratterizzato dalla varietà, dai colori sgargianti, dalle insolite forme. In tal modo si segnalava molto chiaramente la differenza sociale tra i due sessi, tra le diverse funzioni che la società borghese assegnava ai maschi e alle femmine: il lavoro “serio” era riservato ai primi; alle donne, che si volevano relegate nell’ambito domestico, spettava, in pubblico, un ruolo di frivola “rappresentanza”. «Ecco un uomo con la sua donna – scrive un giornale parigino nel 1869 –, lui nero, semplice, spento; lei rosa, raffinata, piena di moine, seducente da capogiro…». Ma la rivoluzione industriale stava trasformando

Capitolo 30 La rivoluzione dei consumi e dei modi di vita

detto anche delle “suffragette” perché chiedeva anzitutto l’estensione alle donne del diritto elettorale, o “suffragio”, incominciò le sue lotte nel 1903 nella città di Manchester e ottenne i primi risultati politici nel 1918. Movimenti simili a quello inglese sorsero in tutti i paesi dell’Occidente, compresa l’Italia.

Centraliniste al lavoro a New York, 1900 ca. Oltre che nell’industria, le donne trovarono una loro collocazione in alcuni specifici settori lavorativi, in particolare nei lavori impiegatizi di basso profilo. Alcuni di questi, come la mansione di “centralinista” nelle moderne compagnie telefoniche, erano quasi esclusivamente riservati alle donne.

anche il mondo femminile, dentro e fuori l’ambito domestico, contribuendo ad avviare quel processo di emancipazione e di consapevolezza dei propri diritti che da lì a poco sarebbe emerso con forza.

30.6 Nasce la medicina moderna I progressi medici Le condizioni sanitarie degli europei migliorarono nettamente negli ultimi decenni dell’Ottocento, sia per la migliore e più abbondante alimentazione, sia per i progressi dell’igiene urbana: nuovi sistemi fognari, nuovi servizi di pulizia delle strade comparvero nelle maggiori città. Ma, soprattutto, furono decisive le eccezionali conquiste della scienza medica: in quel periodo furono messi a punto quasi tutti i moderni metodi di indagine, quelli che vengono tuttora seguiti per la diagnosi e la cura delle malattie. Fra le innovazioni ottocentesche va in primo luogo segnalato il metodo dell’auscultazione, ossia quella tecnica che consiste nell’appoggiare l’orecchio sul corpo del malato per ascoltarne le vibrazioni sonore, allo scopo di effettuare la diagnosi. Un gesto semplice, che oggi ci sembra naturale: in realtà ci volle l’intuizione di un grande medico, il francese René Laënnec (1781-1826), per comprenderne e dimostrarne l’efficacia (1816). Nuovi strumenti Per rendere più facile l’auscultazione Laënnec inventò lo stetoscopio, un apparecchio che permette di amplificare i suoni provenienti dall’interno del corpo. Altri strumenti che apparvero agli inizi dell’Ottocento nella pratica medica furono la siringa per iniezioni – inventata dal francese Charles Gabriel Pravaz (17911853) – e il termometro per misurare la temperatura corporea, introdotto dal tedesco Ludwig Traube (1818-1876). La scoperta dei microbi e delle vitamine Fondamentali furono le ricerche del chimico francese Louis Pasteur (1822-1895), il quale per primo scoprì l’esistenza dei microbi e dimostrò che le infezioni sono prodotte da questi germi. In seguito a tale scoperta Pasteur riprese e perfezionò la pratica della vaccinazione (introdotta nel

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386

Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia Settecento dall’inglese Jenner per prevenire il vaiolo, 7.2) applicandola ad altre malattie, come la rabbia e il carbonchio. Seguendo la via di Pasteur, altri scienziati si dedicarono allo studio dei bacilli e ne scoprirono diversi tipi; il tedesco Robert Koch (1843-1910) individuò quelli che provocavano la tubercolosi e il colera (una malattia epidemica particolarmente virulenta nel XIX secolo). Inoltre si individuò la zanzara anofele come veicolo della malaria, altro flagello dell’epoca nelle zone basse e paludose. Col tempo, le ricerche sulla fisiologia del corpo umano portarono alla scoperta di certe sostanze indispensabili al processo vitale – le vitamine, gli ormoni – di cui si ignorava l’esistenza: il chimico polacco Casimir Funk (1884-1967) fu il primo, nel 1912, a esporre una organica teoria delle vitamine. La prima operazione chirurgica con anestesia, 1846 [The J. Paul Getty Museum, Malibu]

Una nuova chirurgia Importanti innovazioni avvennero anche nel campo della chirurgia. La prima fu l’introduzione dell’anestesia, consistente nella sospensione o riduzione della sensibilità del paziente mediante l’uso di preparati chimici, allo scopo di rendere indolore un intervento chirurgico. Essa fu praticata per la prima volta nel 1846 dal dentista americano W. Thomas Morton (1819-1868). Soprattutto il cloroformio fu impiegato per le prime anestesie. Non meno efficaci furono le pratiche di asepsi, cioè la sterilizzazione del materiale chirurgico. Pulizia e igiene in sala operatoria Quando ancora non si sapeva che le infezioni erano provocate da organismi microscopici, i medici non si preoccupavano troppo della pulizia durante le operazioni: non indossavano il camice, non usavano i guanti, tenevano arredata la camera operatoria come una qualsiasi stanza, lavavano i ferri e le garze come normale bucato. Dopo la scoperta dei microbi ci si rese conto della necessità di provvedere a un’igiene assoluta per evitare infezioni nel corpo del malato. I medici si lavarono più accuratamente, i ferri e le garze furono sterilizzati col calore, i locali disinfettati con l’acido fenico o con altri preparati. Bastarono questi accorgimenti per ottenere risultati sorprendenti: mentre in passato la mortalità operatoria era altissima (morivano in media 80 persone su 100), con la pratica dell’asepsi un po’ alla volta essa scese al 3 per cento. Fondamentali in questo senso furono gli studi del medico ungherese Ignác Fülop Semmelweis (1816-1865), che comprese come l’altissima mortalità che colpiva le donne subito dopo il parto fosse dovuta all’insorgere delle infezioni causate dalle pessime condizioni igieniche in cui questi avvenivano.

30.7 L’aumento demografico e la trasformazione delle città Diminuisce la mortalità, cresce la popolazione I progressi conseguiti nella lotta contro le malattie furono eclatanti: in Italia, fra il 1880 e il 1900, i decessi (per ogni milione di abitanti) diminuirono da 534 a 13 per il vaiolo, da 886 a 225 per il tifo, da 595 a 125 per la malaria; in Inghilterra, da 959 a 125 per la scarlattina, da 208 a 16 per la difterite. Risultati analoghi si registrarono negli altri paesi europei. La diminuita incidenza delle malattie infettive fu – assieme ai sostanziali miglioramenti alimentari – una delle due cause principali della crescita della popolazione. L’aumento demografico che si era avviato nel XVIII secolo [ 7.1] proseguì e si accelerò nel corso dell’Ottocento, tanto che dagli inizi alla fine del secolo il numero degli europei diventò più che doppio, passando da meno di 200 a oltre 420 milioni.

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Asia Oceania Nord America Africa L’aumento demografico accompagnò il processo di industrializzazioL’urbanizzazione Centro-Sud America

ne e diede vita aNord un vasto fenomeno di concentrazione degli uomini nei centri urAmerica Oceania bani. Col passare del tempo il fenomeno diventò sempre più intenso. Masse crescenti Centro-Sud America di contadini si trasferivano nelle città, attratti dalla speranza di un salario più sicuro e Oceania di un’esistenza più ricca di svaghi e di interessi: nella seconda metà dell’Ottocento, in Inghilterra, la popolazione contadina scese dal 35% al 22% del totale; in Belgio, dal 50% al 25%; in Germania, dal 64% al 39%. Verso il 1890 le città europee che avevano oltrepassato la soglia dei 100.000 abitanti erano 118 (contro le 20 del 1815); 50 erano al di sopra dei 250.000; le capitali avevano raggiunto cifre elevatissime: Londra contava 4 milioni di abitanti (contro i 950.000 del 1815), Parigi 3 milioni. In Italia, le città a più alto sviluppo industriale erano Torino, Milano e Genova (il “triangolo industriale” del Nord, come sarebbe poi stato definito).

Fleet Street a Londra, fine del XIX sec. Il traffico di questa strada centrale di Londra, nonostante l’assenza di automobili, è già abbastanza sostenuto, tanto da darci un’idea di quanto fosse affollata la città già nella seconda metà dell’Ottocento.

401 L’aumento demografico tra il 1750 e il 1900 nel mondo

Il diagramma illustra i dati relativi all’aumento della popolazione 120 95 mondiale tra il 1750 e il 1900. Si 81 63 26 33 6 tratta di stime e non di dati certi, 2 meno sicure man mano che ci si 120 1850allontana dall’Europa.1900 Se nel 1750 81 63 6 il totale complessivo degli abitanti della Terra era di 728 milio1900 ni, nel 1900 si passò a 1 miliardo e 608 milioni. L’aumento percentualmente più forte, come si vede dal grafico, avvenne nel continente europeo e in quello americano.

Nord America

Africa

Quartieri separati Nelle città che assunsero una loro specifica identità proprio nel periodo della rivoluzione industriale (tipico il caso di Manchester) lo sviluppo urbanistico seguì il criterio della separazione sociale: i quartieri operai erano nettamente separati da quelli destinati alla classe media, sicché, osservava Friedrich Engels, in queste città si sarebbe potuto abitare per anni, «entrarvi e uscirne ogni giorno senza mai venire a contatto con degli operai». Tali caratteri si precisarono nel corso dell’Ottocento: i quartieri operai furono disegnati in maniera regolare e geometrica, con case a schiera, squadrate, tutte uguali, dai caratteri perfettamente identificabili e distinguibili.

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

I luoghi della storia

L’Europa delle metropoli: la nuova Parigi

Parigi fu l’esempio emblematico e più radicale del rinnovamento urbano che trasformò le più importanti metropoli europee. Il progetto di ridisegnare la fisionomia della capitale della Francia fu affidato dall’imperatore Napoleone III al prefetto Georges-Eugène Haussmann (1809-1891). Fra il 1853 e il 1870, grandi viali (i celebri boulevards) furono tracciati al posto di vecchi quartieri che furono letteralmente rasi al suolo; grandi piazze sostituirono il tortuoso andirivieni di vie e vicoli che aveva caratterizzato la città fin dal Medioevo. Undici comuni che circondavano la città furono annessi al suo territorio, che si ingrandì quasi del doppio. Nella zona ovest fu creato un elegante quartiere borghese; a est, a nord, a sud si concentrarono i nuovi quartieri operai. Fu insomma una grande operazione di “bonifica” – igienica e sociale al tempo stesso – di quei sovrappopolati quartieri del centro che, dal tempo della Rivoluzione in poi, erano sempre stati i luoghi “caldi” di Parigi, quelli che il popolo aveva utilizzato come campo di battaglia e in cui si era arroccato dietro inaccessibili barricate. Il nuovo progetto urbanistico mirava,

come scrisse lo stesso Haussmann, a «sventrare la vecchia Parigi, il quartiere delle sommosse, delle barricate». Gli spazi aperti e i larghi viali non solo consentivano di tenere più pulita la città (proprio a Parigi, alla fine del secolo, cominciò a funzionare il primo regolare servizio pubblico di nettezza urbana) ma di controllarla socialmente e politicamente (la loro grandiosa larghezza rendeva impossibile la costruzione di barricate). Non più solo capitale di Francia, Parigi divenne simbolicamente anche la capitale d’Europa. Suggestiva e impressionante, la città emozionava chiunque la visitasse: «Ah! ecco il cuore ardente di Parigi, la via massima dei trionfi mondani, il grande teatro delle ambizioni e delle dissolutezze famose, dove affluisce l’oro, il vizio e la follia dai quattro angoli della terra!», scriveva, dopo averla vista, lo scrittore Edmondo

Louis-Jacques-Mandé Daguerre, Boulevard du Temple, Parigi, 1839 [Bayerisches Nationalmuseum, Monaco]

A Parigi, la costruzione dei famosi boulevards – il Boulevard du Temple è qui presentato in un primissimo esempio di ripresa fotografica – richiese l’abbattimento di molti quartieri medievali; di contro migliorarono i collegamenti fra i vari punti della città, semplificando gli spostamenti e rendendo possibile all’esercito d’intervenire tempestivamente in caso di bisogno in ogni zona di Parigi.

I padiglioni dell’Esposizione di Parigi del 1889, in una cartolina dell’epoca [Musée Carnavalet, Parigi]

De Amicis (1846-1908). «Qui è la pompa suprema, è la metropoli delle metropoli, la reggia aperta e perpetua di Parigi, a cui tutto aspira e tutto tende. Qui la strada diventa piazza, il marciapiede diventa strada, la bottega diventa museo; il caffè, teatro; l’eleganza, fasto; lo splendore, sfolgorìo; la vita, febbre. [...] V’è la pulizia olandese, la gaiezza d’un giardino, e tutta la varietà di colori d’un bazar orientale». A conferma del ruolo di primo piano assunto dalla città alla fine dell’Ottocento contribuì la grande Esposizione universale del 1889. Per l’occasione fu inaugurata la Torre Eiffel, così chiamata dal nome dell’ingegnere Alexandre-Gustave Eiffel (1832-1923), che la realizzò completamente in ferro. Alta 300 metri, pesante 75.000 quintali, costruita con circa 15.000 travi d’acciaio tenuti insieme da 2.500.000 rivetti, la Torre Eiffel non fu un semplice “monumento di ferro”, ma un vero e proprio «monumento al ferro», come lo stesso progettista lo chiamò. «Ho voluto – disse – innalzare alla gloria della scienza moderna, e a massimo onore dell’industria francese, un arco di trionfo come quelli innalzati dalle precedenti generazioni davanti ai conquistatori». Innalzata per essere esposta temporaneamente solo per il periodo della fiera, la Torre Eiffel fu lasciata al suo posto e divenne il simbolo dell’età dell’acciaio e, per eccellenza, di Parigi e della Francia.

Capitolo 30 La rivoluzione dei consumi e dei modi di vita

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Un nuovo assetto urbanistico Nelle città più antiche, dove le abitazioni popolari si mescolavano a quelle della borghesia, furono compiuti degli interventi radicali per ristrutturare l’assetto urbano e separare i gruppi sociali, allontanando gli operai dal centro e destinando a loro nuovi quartieri periferici. Esemplare fu il caso di Parigi, ma analoghi princìpi furono seguiti a Berlino, Vienna, Barcellona, Londra. Nuove tecniche edilizie Importanti novità apparvero anche nell’edilizia. Nella seconda metà dell’Ottocento si cominciarono a impiegare, per gli edifici più importanti, dei materiali mai usati in precedenza: il ferro e il cemento armato. Si cominciò inoltre a fare grande uso del vetro, per accrescere la luminosità all’interno degli edifici. Alcune realizzazioni destarono particolare stupore e ammirazione, come il grande edificio in ferro e vetro, a cui fu dato il nome di Crystal Palace ossia ‘palazzo di cristallo’, che ospitò l’Esposizione universale di Londra nel 1851, e la Torre Eiffel, innalzata a Parigi nel 1889 e costruita interamente in ferro. In quel periodo sorsero in America i primi grattacieli, anch’essi simbolo di una nuova civiltà e di un nuovo stile artistico, improntato alla sobrietà, alla semplicità, all’armonia delle linee geometriche. Ferro, cemento e vetro furono impiegati prevalentemente in edifici pubblici e privati di grandi dimensioni; per le costruzioni ordinarie si continuarono a usare le tecniche e i materiali tradizionali: mattoni, legno, calce, pietre. La Parola

Esposizione universale Allestite dalla metà dell’Ottocento, le Esposizioni universali celebravano il trionfo della tecnologia. Furono create per mettere in mostra le più recenti scoper-

te e le loro applicazioni pratiche; la prima fu organizzata a Londra nel 1851 e vide la partecipazione di ben 17.000 espositori. Ancora più affollate furono le Esposizioni di Parigi del 1867 e del 1889 (bi-

centenario della Rivoluzione). Altre Esposizioni furono organizzate negli Stati Uniti, diventati ormai, con l’Europa, il secondo polo industriale del mondo.

Il Crystal Palace di Joseph Paxton a Londra, veduta interna da una stampa d’epoca, 1850-51 I progressi della cosiddetta “architettura del ferro” possono essere seguiti attraverso la storia delle Esposizioni universali. La prima esposizione si aprì a Londra nel 1851 e per la sua sede in Hyde Park fu bandito un concorso internazionale. Il vincitore risultò essere il Crystal Palace di Joseph Paxton, caratterizzato da un elemento fondamentale: la completa prefabbricazione dei pezzi che lo componevano, cosa che garantiva una grande rapidità di montaggio e la possibilità di recuperare integralmente l’edificio una volta finito l’evento. Dopo l’esposizione, infatti, esso fu interamente smontato e rimontato in un sobborgo di Londra, dove rimase, variamente utilizzato, fino al 1937, quando fu distrutto da un incendio.

Daniel H. Burnham, Monadnock Building di Chicago, 1889-92 Alla fine del XIX secolo Chicago fu teatro di una fervente opera di ricostruzione. Dopo un incendio che nel 1871 aveva distrutto il centro cittadino, un manipolo di giovani architetti si lanciò nell’uso dell’acciaio per innalzare palazzi e grattacieli che fecero scuola in tutto il mondo.

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

Sintesi

La rivoluzione dei consumi e dei modi di vita

Benessere di massa? Nel corso del XIX secolo le classi popolari incominciarono a ottenere vantaggi dalla trasformazione economica e sociale. Le industrie, per produrre profitti, avevano necessità di produrre e vendere molti beni e di accrescere il numero dei consumatori: per questo motivo, oltre a ricercare nuovi mercati tramite l’espansione coloniale, fu favorita la crescita del potere d’acquisto delle classi lavoratrici. Si verificò un allargamento dei consumi che includeva, oltre a media e piccola borghesia, anche le fasce alte del mondo operaio. Sollecitato dalla diffusione della pubblicità, incominciò a prodursi il fenomeno del consumo di massa. La rivoluzione alimentare Il settore della produzione alimentare fu rivoluzionato dai nuovi modi di produzione industriale. L’agricoltura riuscì a superare la dipendenza totale delle produzioni da clima e ambiente grazie all’uso di macchinari e fertilizzanti. L’introduzione di nuovi mezzi di trasporto rese possibile produrre un’enorme quantità di cereali per il mercato europeo. Anche la disponibilità di carne e pesce aumentò enormemente. Per conservare questi prodotti, anche durante il trasporto, furono ideate nuove macchine refrigeratrici. La fabbrica del freddo Per risolvere il problema della conservazione del cibo, nella seconda metà del XIX secolo fu ricercato il modo di realizzare artificialmente le basse temperature, mediante macchine basate sull’uso di gas che sottraevano calore all’ambiente. La prima macchina fri-

gorifera fu ideata nel 1851 e il suo utilizzo si estese ai piroscafi, ai vagoni ferroviari (permettendo il trasporto intercontinentale del cibo) e ai pescherecci; in tal modo il pescato poteva essere anche lavorato e conservato direttamente sulle navi. L’industria conserviera Furono ideati altri metodi per la conservazione dei cibi, tra cui vi fu l’idea di inscatolare gli alimenti. Inizialmente si fece ricorso all’“appertizzazione”: i cibi venivano bolliti e poi conservati all’interno di contenitori in vetro sigillato, sostituiti in seguito con contenitori di latta. In tal modo si potè inscatolare la carne, ma anche le verdure, il che determinò delle modificazioni nella scelta dei prodotti da coltivare, preferendo quelli meglio conservabili. Altri metodi di conservazione introdotti nella seconda metà del secolo furono la condensazione del latte, la produzione di latte in polvere e la trasformazione della carne in estratto. In Italia, la prima industria conserviera fu aperta da Francesco Cirio. La rivoluzione del vestiario Nel XIX si verificò anche la rivoluzione del vestiario: si estese la possibilità per le famiglie povere di acquistare capi di biancheria, in seguito all’aumento dei salari e alla diminuzione dei prezzi dei prodotti tessili. La corsa all’acquisto, promossa dall’uso della pubblicità, portò alla nascita di un nuovo tipo di negozi, i grandi magazzini. Si affermò un nuovo modello di abbigliamento che caratterizzava le classi borghesi in ascesa, e sottolineava la differenza di funzione sociale tra uomini e donne: gli uomini vestivano con un abito intero a tinte severe

(segno di laboriosità e serietà), mentre le donne, che in pubblico avevano funzioni di frivola rappresentanza, si vestivano con maggiore varietà di colori e di forme. Nasce la medicina moderna Negli ultimi decenni del XIX secolo le condizioni sanitarie europee migliorarono sensibilmente, in seguito alle migliori alimentazione e igiene urbana, ma soprattutto per i progressi della scienza medica. Furono messi a punto metodi innovativi che permettevano la diagnosi e la cura delle malattie, come lo stetoscopio, il termometro e la siringa. Grazie alle ricerche di Pasteur fu possibile individuare e poi curare le infezioni prodotte dai germi. In chirurgia furono introdotte l’anestesia e l’asepsi, che ridusse fortemente la mortalità operatoria. L’aumento demografico e la trasformazione delle città I miglioramenti nell’alimentazione e nella medicina permisero una crescita progressiva e ininterrotta della popolazione europea (420 milioni di individui alla fine del secolo). Una conseguenza del fenomeno fu la concentrazione degli uomini nelle città, nelle quali i quartieri operai erano separati da quelli in cui vivevano le classi medie. Questo valeva sia per le città cresciute con la rivoluzione industriale sia per le città più antiche, in cui si intervenne sull’assetto urbano per modificarlo in modo da separare i gruppi sociali. Nella seconda metà del secolo si ebbero novità anche nell’edilizia: si usarono nuovi materiali, come ferro, cemento armato e vetro, specie per gli edifici di grandi dimensioni, tra cui i primi grattacieli.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1804

1810

1816

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1851

1. brevetto della prima macchina frigorifera 2. ideazione del procedimento della condensazione del latte 3. L’arte di conservare tutte le sostanze animali e vegetali di François Appert 4. prima produzione di latte in polvere 5. apertura di un grande magazzino a Milano

1853

1855

1857

1876

1877

6. fondazione della fabbrica di piselli in scatola di Francesco Cirio 7. invenzione del procedimento di trasformazione della carne in estratto 8. realizzazione del primo impianto frigorifero su un piroscafo 9. introduzione del metodo dell’auscultazione 10. apertura della prima fabbrica di conserve a Massy

Capitolo 30 La rivoluzione dei consumi e dei modi di vita

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. acquirente • anestesia • asepsi • carbonchio • condensazione • emancipazione • estratto • frigorifero • ghiacciaie • pastorizzazione • profitto • stetoscopio Sterilizzazione degli alimenti mediante l’uso del calore Chi acquisisce il diritto di proprietà su un bene dietro pagamento Liberazione da restrizioni e costrizioni tradizionali Macchina che permette di realizzare artificialmente le basse temperature Apparecchio che permette di amplificare i suoni provenienti dall’interno del corpo Sostanza ricavata mediante sottrazione da un organismo animale o vegetale Infezione che colpisce bovini, ovini e uomini producendo pustole emorragiche Spazi interrati in cui si conservavano gli alimenti per tutto l’anno Sterilizzazione del materiale chirurgico Sospensione della sensibilità del paziente mediante uso di preparati chimici Eccedenza del totale dei ricavi rispetto al totale dei costi Assunzione di una maggiore densità

3. Associa i nomi alle seguenti innovazioni. Charles Tellier

termometro

Ludwig Traube

recipienti di latta

Louis Pasteur

prima macchina frigorifera

Gail Borden

condensazione

Casimir Funk

anestesia

Peter Durand

sterilizzazione degli alimenti

John Gorrie

siringa

François Appert

vitamine

Robert Koch

inscatolamento verdure

René Laënnec

primo impianto frigorifero su un piroscafo

Thomas Grimwade

microbi

W. Thomas Morton

latte in polvere

Philipp W. Daubert

condizioni igieniche del parto delle donne

Justus von Liebig

bacilli di tubercolosi e colera

Charles Gabriel Pravaz

auscultazione

Ignác Fülop Semmelweis

trasformazione della carne in estratto

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392

Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

4. Completa il brano con i termini che trovi di seguito elencati. acquisto • ammirazione • aumento • autorità • borghesi • città • cittadini • conserve • contadini • edifici • edilizia • demografico • epoca • fabbisogno • ferro • ghiacciaia • identiche • incremento • Londra • magazzini • Manchester • Milano • operai • Parigi • popolazione • quartieri • sociale • spostamento • Torino • vetro Nella seconda metà dell’Ottocento le ………............…… europee cambiarono profondamente. La ………............…… urbana crebbe per effetto dell’ ………............…… ………............…… e dello ………............…… dei ………............…… dalle campagne. In città si svilupparono le fabbriche; una tipica città industriale fu ………............…… , mentre a ………............…… ebbe sede la fabbrica di ………............…… Cirio. I ……..…..........…… erano divisi per appartenenza ………............…… : ai quartieri ………............…… , fatti di abitazioni ………............…… , si contrapponeva l’eleganza dei quartieri ………............…… . Gli effetti dell’ ………............…… della capacità di ………............…… favorirono la nascita dei grandi ………............…… (uno dei primi fu aperto a ……..…..........…… ), ma anche iniziative di utilità comune promosse dalle pubbliche ………............…… : a ………............…… , per esempio, fu realizzata una ……..…..........…… utilizzabile dai ………............…… , capace di far fronte al ………............…… alimentare annuale. Anche l’ ………............…… cambiò: nacquero i grandi ………...........…… in ………...........…… e ……............…… , come il Crystal Palace a ………............…… e la Tour Eiffel a ………............…… , che destavano ………............…… e rappresentavano anche visivamente la nuova ………............…… .

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa fu la rivoluzione dei consumi? In che modo essa fu favorita dalla rivoluzione industriale? 2. Perché le classi dei lavoratori riuscirono a consumare più di prima? 3. Quali fasce sociali appartenevano alla categoria dei consumatori? 4. Quali furono le principali novità introdotte nell’agricoltura e nell’allevamento? 5. Di quali beni aumentò notevolmente la disponibilità?

6. Quali novità caratterizzano il consumo dei cibi? 7. Per quali prodotti furono introdotti nuovi sistemi di conservazione? Come funzionavano? 8. Quali conseguenze ebbero le modifiche nel regime alimentare delle popolazioni? 9. Che cosa fu la rivoluzione del vestiario? Chi riguardò? 10. Da che cosa fu determinata? A quali conseguenze portò? 11. Come si vestivano gli uomini? Come si vestivano le donne? Per quale motivo?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale. RIVOLUZIONE INDUSTRIALE ........................................................................................................ ........................................................................................................

ALIMENTAZIONE

RIVOLUZIONE DEI CONSUMI

ABBIGLIAMENTO

................................................................................

........................................................................................................

................................................................................

................................................................................

........................................................................................................

................................................................................

................................................................................ ................................................................................ ................................................................................ ................................................................................

................................................................................

ALIMENTAZIONE E PROGRESSI MEDICINA Cause .........................................................................................

................................................................................ ................................................................................ ................................................................................

6. Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe per ognuna. 1. Per quali motivi si innescò la rivoluzione dei consumi? 2. Che cosa si intende per consumo di massa? 3. Quali progressi tecnologici permisero di accrescere i cibi disponibili? 4. Come si conservavano i cibi prima del 1851? 5. Quali applicazioni pratiche ebbe la macchina frigorifera? Come funzionava?

6. Chi furono i principali protagonisti dell’affermazione dell’industria della conservazione alimentare? 7. Come vestivano i nobili? In che cosa si differenziavano dal modo di vestire dei borghesi? Perché? 8. Quali scoperte avvennero nella seconda metà del XIX secolo in campo medico? Con quali risultati? 9. Quali furono le cause e gli effetti dell’incremento demografico?

Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

31 Macchine per la

Capitolo

393

vita quotidiana

Percorso breve Nel XIX secolo l’ingrandirsi delle città pose inediti problemi di trasporto pubblico, risolti dapprima con “omnibus” trainati da cavalli, poi da tram su rotaie, mossi da motori a vapore e poi elettrici. La prima metropolitana fu costruita a Londra nel 1863. Poi apparve l’automobile (il primo esemplare fu costruito in Germania nel 1886) e con essa l’industria automobilistica: Daimler-Benz in Germania, FIAT in Italia, Renault in Francia, Ford negli Stati Uniti, dove per la prima volta apparve la catena di montaggio. A quei decenni risale anche l’invenzione della bicicletta, che in breve tempo diventò un mezzo di trasporto di massa. Alla fine del secolo apparve il primo aeroplano, costruito negli Stati Uniti dai fratelli Wright, che compirono il primo volo nel 1903. La rivoluzione dei mezzi di trasporto fu accompagnata da altre straordinarie invenzioni. Il primo apparecchio fotografico fu opera del francese Niepce (1826) e fu poi perfezionato dal pittore Daguerre: le foto, stampate su supporto metallico (e dal 1840 su carta, quindi riproducibili in più esemplari), inizialmente servirono soprattutto a eseguire ritratti, rendendo più accessibile una pratica prima riservata alle classi alte. Dal 1888 furono costruiti apparecchi maneggevoli che trasformarono la fotografia in un fenomeno di massa. Dalla fotografia prese origine il cinema, inaugurato nel 1895 a Parigi dai fratelli Lumière. Le macchine, dopo essere state introdotte nel lavoro di fabbrica, dalla metà dell’Ottocento entrarono nelle case: prima apparve la macchina per cucire (in cui si specializzò la società Singer) poi l’aspirapolvere e la macchina per scrivere; seguirono il telefono, la macchi-

La stazione di King’s Cross della linea metropolitana a Londra, 1863 ca.

na fotografica, il grammofono. Tutto ciò ebbe un grande impatto non solo economico ma sociale e culturale: le trasformazioni della vita quotidiana furono, in quegli anni, profonde e radicali come mai era accaduto nella storia. Le conquiste della scienza e della tecnica diffusero il mito del progresso, imponendo nuovi valori (la velocità, la precisione, il calcolo) e sovrapponendo nuovi ritmi “artificiali” a quelli della natura che per millenni avevano condizionato gli uomini. Questo creò un clima di grande entusiasmo, ma anche disorientamento e disagi.

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

31.1 Il tram e l’automobile: come muoversi in città (e fuori) Trasporto pubblico urbano L’ingrandirsi delle città pose ben presto il problema di come muoversi al loro interno. Dopo i primi veicoli per il trasporto pubblico trainati da animali, gli omnibus (termine latino che significa ‘per tutti’), nacquero – a imitazione dei treni – i tram, “treni urbani” mossi dapprima da una macchina a vapore, poi, negli ultimi decenni del secolo, dall’elettricità. Una forma di trasporto urbano che cominciò a diffondersi nelle grandi capitali fu quello della metropolitana, una linea ferroviaria sotterranea che univa i principali punti della città. La prima metropolitana, a tre binari, fu inaugurata a Londra nel 1863. L’automobile Sul finire del secolo anche nel settore del trasporto privato, che si era svolto fino ad allora con carrozze a cavalli, si ebbe una svolta importante: l’invenzione dell’automobile, il cui primo esemplare fu costruito nel 1886 dal tedesco Gottlieb Daimler (1834-1900). Era una vettura a ruote di linea tradizionale, disegnata sul modello delle carrozze trainate da cavalli (alle quali evidentemente si ispirava), mossa però da un motore a scoppio alimentato a benzina. Negli anni successivi lo stesso Daimler e Karl Benz (18441929), anch’egli tedesco, fecero varie sperimentazioni fino a costituire una vera industria automobilistica: dalla fabbrica di Daimler uscì, nel 1901, la prima vettura con telaio in lamiera stampata, femminilmente battezzata Mercedes. Le industrie automobilistiche Industrie automobilistiche sorsero anche in altri paesi: la FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino) in Italia, la Renault in Francia. Nel 1894, per promuovere commercialmente il nuovo veicolo, fu organizzata la prima corsa automobilistica della storia: il vincitore coprì la distanza da Parigi a Rouen alla velocità di 25 km all’ora. L’immediato successo che il pubblico decretò all’automobile fece nascere l’esigenza di accelerare i tempi di produzione, per poter soddisfare tutte le richieste. Fu un industriale americano, Henry Ford (1863-1947), a introdurre per primo, nel 1903, il sistema della catena di montaggio, che, secondo il classico principio di Adam Smith [ 9.1], suddivideva il processo di lavorazione in molteplici piccole operazioni, ciascuna delle quali affidata a un gruppo di operai. Anche la FIAT, in Italia, adottò più

Primo manifesto pubblicitario della FIAT, 1899 Il modello pubblicizzato è quello della fotografia.

La prima vettura FIAT guidata dal senatore Biscaretti, 1899 ca. Cofondatore della FIAT, oltre che senatore del Regno d’Italia, Carlo Biscaretti fu anche fra i primissimi italiani a conseguire la patente di guida, nel 1902. La vettura sulla quale è ritratto in questa fotografia è il primo modello con il quale la casa automobilistica torinese affrontò il mercato.

Capitolo 31 Macchine per la vita quotidiana

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Lucien Baylac, Cartellone pubblicitario delle biciclette Clément, 1891

tardi questo sistema di produzione; a essa si affiancarono nei primi anni del Novecento altre due industrie automobilistiche, la Lancia di Torino e l’ALFA (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili) di Milano. La produzione in serie consentì di accorciare i tempi di lavoro e di abbassare i costi: di lì a poco l’automobile, nata come genere di lusso, sarebbe diventata di uso più comune, trasformando profondamente i modi di vita degli uomini.

31.2 A terra con la bici, in cielo con l’aereo L’invenzione del biciclo I primi esperimenti per creare un veicolo a ruote individuale, mosso dalla sola forza fisica del guidatore, furono effettuati da alcuni artigiani tedeschi verso la metà del XVII secolo. Macchine simili furono realizzate in Francia nel Settecento, ma fu solo tra il 1816 e il 1818 che il barone tedesco Karl Friedrich Drais (17851851) costruì un biciclo con ruote in legno, antenato diretto della moderna bicicletta. Le ruote erano collegate da un telaio, su cui stava seduto il guidatore; la spinta si dava puntando i piedi a terra; un manubrio orientava la direzione della ruota anteriore. Nel 1839 lo scozzese Kirkpatrick MacMillan (1812-1878) riprese il progetto e vi introdusse due innovazioni sostanziali: i freni e i pedali. Anche questo modello però, come il precedente, fu considerato dai contemporanei come una stravagante curiosità. Dal velocipede alla bicicletta Solo nella seconda metà del secolo si cominciò a guardare con maggiore attenzione al nuovo mezzo di trasporto. Il primo modello di successo fu il velocipede di Pierre (1813-1883) ed Ernest (1842-1882) Michaux, presentato in Francia nel 1861. Nel 1870 gli inglesi James Starley (1831-1881) e William Hillmann (1847-1921) crearono il primo dei famosi velocipedi a ruota anteriore alta. Seguirono molti piccoli accorgimenti tecnici, che in breve tempo migliorarono la funzionalità del mezzo. Importante fu soprattutto l’introduzione della trasmissione a catena, inventata dall’inglese Harry Lawson (1852-1925) nel 1879: essa segnò il ritorno al modello di veicolo a ruote uguali. Nel 1885 John K. Starley (1854-1901), il nipote di James, diede alla bicicletta la sua forma quasi definitiva. Tre anni più tardi, John Dunlop (1840-1921) vi applicò gli pneumatici di gomma. Da allora la bicicletta diventò un mezzo di trasporto di massa, sia per l’uso quotidiano, sia come strumento di svago e competizione.

I soci di Foligno del Touring Club Ciclistico Italiano in gita alle fonti del Clitunno La bicicletta ebbe presto un grande successo grazie ai suoi diversi usi, da un lato quello pratico, come strumento di trasporto quotidiano, dall’altro quello legato ai momenti di svago e allo sport.

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia L’invenzione dell’aeroplano Agli ultimi anni dell’Ottocento e ai primi del Novecento risalgono gli esperimenti che portarono all’invenzione dell’aeroplano, un mezzo di trasporto straordinario che avrebbe totalmente rivoluzionato le nozioni di distanza e di spazio. I primi progetti per costruire un mezzo più pesante dell’aria, che si sollevasse grazie all’uso di un motore, prevedevano l’impiego di una sola ala. Si costruirono poi dei biplani e dei triplani. Il biplano fu adottato agli inizi del Novecento dai fratelli Orville (1871-1948) e Wilbur (1867-1912) Wright, fabbricanti di biciclette negli Stati Uniti, che per primi riuscirono ad alzarsi da terra con il loro aereo, mosso da un motore a benzina che mediante una trasmissione a catena azionava due eliche. Esso decollava da una rotaia con l’aiuto di una catapulta. Il primo volo, nel 1903, fu in sostanza un lungo balzo di una quarantina di metri; i voli successivi furono sempre più lunghi, da alcuni minuti fino a mezz’ora (nel 1905). Aeroplani civili e militari Negli anni successivi furono sperimentati molti tipi diversi di aeroplani, per uso sia civile sia militare. Le imprese si susseguirono a ritmo serrato: nel 1909 il francese Louis Blériot (1872-1936), su un monoplano dotato di un motore per motociclette, trasvolò la Manica, sorvolata per la prima volta nel 1785 con l’aerostato [ 9.4]; nel 1910 l’aviatore peruviano Jorge Chavez (1887-1910) attraversò le Alpi, schiantandosi in fase di atterraggio; nel 1919 il capitano Albert Read (1887-1967), John Alcook (1892-1919) e Arthur Brown (1886-1948) compirono le prime trasvolate atlanti-

I modi della storia

Nuove tendenze artistiche: Modernismo, Impressionismo

Fra il 1890 e il 1910 si sviluppò in Europa una nuova tendenza artistica, detta Modernismo. Nei vari paesi ebbe caratteri e nomi diversi: Art Nouveau in Francia, Liberty in Italia, Jugendstil in Germania, Modern Style in Inghilterra. Punto di riferimento comune a tutte queste esperienze fu la nuova realtà industriale dell’Europa, che sembrava uniformare e standardizzare gli oggetti, in contrasto con la varietà e la fantasia dell’artigianato tradizionale. Si ve-

Lampada in vetro della Manifattura dei fratelli Daum, 1900 ca.

rificò pertanto, come reazione a tale stato di cose, una “riscoperta” dell’artigianato, una nuova valorizzazione degli oggetti della vita quotidiana nella loro singola individualità. Ci si volle rifare alla tradizione medievale, si introdussero forme sinuose ispirate al mondo della natura e degli animali, contrapposte alle forme geometriche, razionali, “innaturali” dell’industria. Peraltro, fu la stessa borghesia industriale a promuovere il nuovo stile e a commis-

sionare opere ai nuovi artisti. Alle nuove tendenze artistiche si ispirarono grandi architetti dell’epoca, come Antoni Gaudì (1852-1926), che a Barcellona progettò case, palazzi e giardini. Ma soprattutto l’attenzione si concentrò sugli oggetti della vita quotidiana, secondo il principio che la bellezza si deve sposare all’utilità, permeare la realtà e le cose di tutti i giorni: arredi domestici – famose carte da parati, ispirate a motivi floreali, furono di-

Manuel Orazi, Manifesto pubblicitario per La Maison Moderne, 1907 [Musée des Arts Décoratifs, Parigi]

Capitolo 31 Macchine per la vita quotidiana che. Numerosi perfezionamenti tecnici furono messi a punto e sperimentati, per scopi bellici, negli anni della Prima guerra mondiale (1915-18), la prima della storia che vide gli uomini combattere anche in cielo.

31.3 Fotografia e cinema: come catturare le immagini La fotografia Fra le invenzioni che nel corso del XIX secolo cambiarono il modo di vivere e di pensare degli uomini, un ruolo importante ebbero la fotografia e (più tardi) il cinema, che consentirono di “catturare” le immagini, diventando in breve tempo uno straordinario strumento documentario e artistico. I princìpi ottici (proiettare immagini) e chimici (fissarle su un supporto, sfruttando la sensibilità alla luce di certe sostanze) furono oggetto di ricerche già prima del XIX secolo, ma solo nel 1826 il francese Joseph Niepce (1765-1833) riuscì a fissare l’immagine di un edificio su una lastra di peltro, spalmata con un composto di sali d’argento. Dal ritratto pittorico a quello fotografico Negli anni successivi la tecnica fu perfezionata dal pittore francese Louis Daguerre (1787-1851), da cui derivò il nome di “dagherrotipi” dato alle prime fotografie su supporto metallico, e fu utilizzata prevalentemente da artisti, in alternativa al ritratto pittorico. Rispetto a quest’ultimo, la fotografia

segnate dall’inglese William Morris (18341896) – mobili, soprammobili. Inoltre i “modernisti” si dedicarono alla grafica e alla pubblicità, mettendo la loro creatività al servizio delle attività produttive e di una concezione più “democratica” dell’arte. L’idea di libertà, come valorizzazione del genio creativo individuale, fu evocata in maniera suggestiva dal termine Liberty, usato in Italia per indicare le tendenze artistiche del Modernismo. In realtà, il ter-

mine derivava semplicemente dal nome di Arthur Liberty (1843-1917), un commerciante londinese specializzato nella compravendita di oggetti “nuovo stile”. In quegli stessi decenni si sviluppò la scuola pittorica dei cosiddetti impressionisti, un gruppo di artisti francesi – Claude Monet (1840-1926), Pierre-Auguste Renoir (1841-1919), Camille Pissarro (1830-1904), Paul Cézanne (1839-1906), Edgar Degas (1834-1917), Alfred Sisley

(1839-1899) – che lavorarono a Parigi e operarono una vera rivoluzione in campo pittorico, anzitutto sul piano dei contenuti: mentre la pittura tradizionale aveva dato la preferenza ad argomenti solenni e grandiosi – imprese di condottieri e di sovrani, ritratti di re, fatti mitologici, episodi biblici, vite di santi – la pittura degli impressionisti si concentrò invece sugli aspetti comuni della vita di ogni giorno: i tavolini di un caffè sulla strada, una colazione in campagna, donne e bambini ai giardini pubblici, il levarsi del Sole, le alberature delle navi al porto. Nuovo fu anche lo stile, cioè il modo di dipingere: nella pittura di tipo classico si dava importanza al disegno, ai contorni delle cose; il colore veniva steso con molta cura, ben chiuso e definito entro il disegno; i particolari erano rifiniti fino all’ultimo dettaglio. Gli impressionisti invece non si fermarono sui particolari ma badarono all’effetto dell’insieme; neppure curarono molto il disegno, ma diedero importanza soprattutto al colore e alla luce, ottenuti con pennellate rapide, senza sfumature, che creano una sensazione di grande luminosità e libertà, come se si fosse all’aria aperta. Claude Monet, Impressione: sole nascente, Le Havre, 1872 [Musée Marmottan, Parigi]

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia aveva l’enorme vantaggio di essere più economica. Gli studi fotografici cominciarono perciò ad affollarsi di uomini e donne, anche di modesta condizione sociale, desiderosi di farsi fare un ritratto. Il fenomeno fu importante sul piano sociale: tradizionalmente, il ritratto era stato un privilegio esclusivo della nobiltà e dei ceti ricchi; ora diventava accessibile a tutti.

Fotogramma del film L’uscita degli operai dalle Officine Lumiére, 1895 Tra le forme di spettacolo della fine del secolo XIX, il cinema si impose ben presto per la sua naturale destinazione popolare, conforme tra l’altro allo spirito del tempo: all’incrocio tra scienza, industria e civiltà urbana. Questo fotogramma è tratto dal primo film della storia del cinema, realizzato dai fratelli Lumière piazzando la macchina da presa davanti alle loro officine e riprendendo gli operai che uscivano dal lavoro.

John Thompson, Un fotografo nel parco di Clapham Common a Londra, 1876 [Royal Photographic Society, Bath]

Nella seconda metà dell’Ottocento, grazie al miglioramento e alla diffusione delle tecniche fotografiche, un campo fino ad allora di esclusiva pertinenza della pittura, come la rappresentazione di ritratti, di vedute di città o di campagna, iniziarono a essere affidate ai fotografi, che entrarono in aperta concorrenza con i pittori. Ai controversi rapporti fra arte e fotografia seguirono aspre polemiche. Solo grazie a fotografi di qualità, come Nadar, la fotografia passò lentamente al rango di espressione artistica, acquisendo nel tempo una sua identità distinta dalla pittura.

La foto-documentaria La fotografia, inoltre, non meno dei nuovi mezzi di trasporto e di comunicazione, fu importante per far conoscere luoghi e paesaggi lontani: fotografi francesi e inglesi ben presto divenuti celebri fecero servizi su monumenti storici del Medio Oriente, chiese e castelli europei, ghiacciai alpini, e così via. Famose sono soprattutto le immagini scattate dal fotografo Nadar (1820-1910), al quale si devono, fra l’altro, le prime fotografie aeree, fatte dall’alto di un pallone aerostatico. Nel 1840 William F. Talbot (1800-1877) inventò la stampa su carta, che consentiva di stampare non un solo esemplare, come col dagherrotipo, ma un numero illimitato di copie (peraltro, il sistema faticò molto ad affermarsi). Le macchine fotografiche I primi apparecchi fotografici erano assai ingombranti e costosi. Solo fra il 1870 e il 1900 si ebbero dei miglioramenti tecnologici che consentirono a un più vasto pubblico, non più solo a pochi artisti e professionisti, di utilizzare il nuovo mezzo. Nel 1888 un’industria americana mise sul mercato un apparecchio maneggevole e leggero, di basso costo, che fu venduto in milioni di esemplari. La fotografia era diventata un fenomeno di massa. Il cinema Dalla fotografia ebbe origine il cinema, il cui inizio si fa risalire al 1895, quando, al Salon Indien di Parigi, i fratelli Auguste (1862-1954) e Louis (1864-1948) Lumière proiettarono in pubblico una dozzina di film della durata di due minuti ciascuno. Essi furono i primi a intuire e a mettere in pratica le straordinarie potenzialità espressive e spettacolari del nuovo mezzo, creando la prima vera industria del cinema. Nei loro filmati, accolti dal pubblico con stupefatto entusiasmo, i fratelli Lumière si proponevano di riprodurre la realtà: come primi soggetti scelsero, per esempio, un bimbo che mangia la pappa, l’uscita degli operai dalle fabbriche, l’arrivo del treno (che spaventò moltissimo i primi spettatori, impressionati dall’effetto realistico della scena, con una locomotiva che si avvicinava sempre di più alla macchina da presa). Altri, in seguito, si dedicarono al cinema di fantasia, il cui prototipo si fa risalire al film del 1902 Viaggio sulla luna di Georges Méliès (1861-1938). Attraverso vari perfezionamenti tecnici, che aggiunsero il colore al bianco e nero, e corredarono le immagini col suono, il cinema sarebbe diventato la forma d’arte e di spettacolo tipica del XX secolo.

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31.4 Automazione domestica La macchina per cucire Una svolta significativa, di grande impatto non solo economico ma sociale e culturale, si verificò nel corso dell’Ottocento. La produzione di macchine, che aveva caratterizzato l’avvio della rivoluzione industriale e del sistema di fabbrica, cominciò a interessare anche diversi ambiti della vita domestica, allargando e modificando gli obiettivi dell’industria. Un caso particolarmente significativo è quello della macchina per cucire. I primi modelli furono pensati per uso industriale: numerosi tentativi si susseguirono già nel corso del Settecento e nei primi decenni dell’Ottocento, finché nel 1830 il francese Barthélemy Thimonnier (1793-1857) costruì la prima macchina capace di effettuare il cosiddetto punto “a catenella” (alla base dell’arte del cucito). Il successo fu immediato e poco dopo nacquero le prime officine per la costruzione in serie di macchine da cucire. Tecnologia moderna in casa Già in quegli anni esse cominciarono a essere proposte anche al pubblico “di casa” e in particolare alle donne, trasformandosi in strumenti domestici. Nel 1850 la società Singer mise in commercio un nuovo tipo di macchina che consentiva di diversificare le esecuzioni scegliendo fra vari tipi di punti di cucito. Da allora, la tecnologia in questo campo è rimasta sostanzialmente invariata. Comparvero in quei decenni altre macchine che sarebbero divenute compagne abituali della vita quotidiana, per esempio l’aspirapolvere, o la macchina per scrivere. Anche il telefono divenne, sul finire del secolo, una presenza domestica; così pure la macchina fotografica e il grammofono. Il fonografo a cilindro Nel XIX secolo si scoprì infatti che non solo le immagini, ma anche i suoni potevano essere “catturati”, registrati e riprodotti, dopo essere stati opportunamente trasformati in segnali elettrici. Il primo esperimento riuscito risale al 1877, quando lo statunitense Thomas Edison – l’inventore della lampadina – mise a punto il suo fonografo a cilin-

La macchina per scrivere Remington n.1, 1868 Il modello n.1 di macchina per scrivere prodotto dalla ditta E. Remington & Sons entrò sul mercato quando questi apparecchi erano ancora insoliti e di scarso uso. Queste prime macchine, infatti, non erano facili da usare, in quanto non permettevano a chi le utilizzava di vedere ciò che stava scrivendo a meno di non fermare la scrittura, alzare il carrello e tirare fuori il foglio dal rullo. Grazie però alla sua tastiera (detta Qwerty), ideata dai designers C.L. Sholes e C. Glidden, che rendeva più rapido il processo di scrittura, la Remington n.1 fu la prima macchina per scrivere a riscuotere un certo successo commerciale. Alla prima Remington ne seguirono altre, consolidando il nome della ditta produttrice, con la quale ancora oggi si identificano spesso questi oggetti, ormai in disuso perché sostituiti dalla videoscrittura al computer.

I tempi della storia L’epoca bella Il periodo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento fu definito Belle Époque, un’espressione francese che significa ‘epoca bella’, scelta per indicare il particolare stato d’animo degli europei del tempo: grande euforia, grande entusiasmo per i progressi incredibili della scienza e della tecnica, per le continue invenzioni e novità che in pochi anni avevano cambiato la vita degli uomini e delle donne e avevano aumentato – se non per tutti, certamente per molti – le comodità pubbliche e private, le occasioni d’acquisto, i consumi, il benessere. La luce nelle case e nelle strade, l’acqua corrente nella cucina e nel bagno, le vetrine piene di oggetti, gli strumenti domestici, il telefono, le automobili, l’aeroplano... Mai, nella storia, l’umanità aveva conosciuto una così radicale e improvvisa trasformazione dei modi di vita. Da questo punto di vista neppure il nostro tempo, così intensamente segnato dalle innovazioni

tecnologiche, che si susseguono di continuo modificando incessantemente gli strumenti e i modi del vivere quotidiano, si può paragonare agli anni di fine Ottocento: la società di oggi, abituata da oltre un secolo alle meraviglie della scienza e della tecnica, le accetta ormai come un dato di fatto e quasi come un’ovvietà; le vive con interesse ma, certo, con minore entusiasmo e partecipazione di quanto non accadde nel XIX secolo, quando le “prime” meraviglie entrarono nella vita delle persone, sconvolgendo abitudini e ritmi che si ripetevano da secoli, o per meglio dire da millenni. In seguito, i perfezionamenti sono stati enormi, ma il vero salto di qualità si verificò in quei pochi decenni. Il mito del progresso (nell’economia, nella scienza, nella società) trovò la sua tipica espressione in una corrente intellettuale e filosofica detta positivismo, fiduciosa nel miglioramento continuo e inarrestabile

dell’umanità, grazie alle conquiste “positive”, reali e concrete, della ricerca scientifica e della conoscenza della realtà. Un generale ottimismo pervase la mentalità e il sentire di molti. Padre della nuova filosofia fu riconosciuto Auguste Comte, vissuto nella prima metà del secolo (17981857), pioniere della scienza da lui detta “fisica sociale” e che fu poi chiamata “sociologia”, ossia lo studio “scientifico” della società e dei comportamenti collettivi, al di fuori di ogni riferimento morale o metafisico. Rielaborando le sue intuizioni, il filosofo inglese Herbert Spencer (18201903) propose una interpretazione della storia sociale in chiave evoluzionista, che ebbe grande influenza in tutti i campi del sapere e che sostenne sul piano teorico gli studi di Charles Darwin (1809-1882) sulla selezione naturale e l’evoluzione della specie, resi pubblici nel 1859 da un’opera subito divenuta celebre, L’origine delle specie.

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Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia dro, uno strumento che, mediante un cornetto acustico, convogliava il suono su una membrana; questa, vibrando, incideva con una punta un foglio di stagno, che, applicato a un cilindro, scorreva circolarmente. La “lettura” del suono avveniva facendo ripercorrere alla puntina il medesimo percorso, in senso inverso. Nel 1887, Emile Berliner (1851-1929) ebbe l’idea di trasformare il cilindro in un disco. Da allora, per oltre un secolo, pur compiendo progressi prodigiosi, la tecnica dei suoni si è mantenuta fedele a quelle originarie intuizioni: solo le tecnologie digitali, sul finire del XX secolo, hanno radicalmente cambiato le modalità di registrazione e di riproduzione dei suoni.

I luoghi della storia

L’invenzione delle vacanze al mare

Fino a tutto il Settecento, la sola forma di “villeggiatura” praticata (dai ricchi) era quella di trasferirsi in campagna durante l’estate: «un divertimento diventato ai nostri giorni una passione, una mania, una fonte di scompiglio», scriveva Carlo Goldoni in una commedia intitolata appunto La villeggiatura. L’usanza di trascorrere le vacanze al mare incominciò solo nel XIX secolo. Fra le prime stazioni balneari, frequentate dalle corti regie, dall’aristocrazia e dall’alta borghesia, si ricorda quella di Dieppe in Normandia, fondata nel 1822 dal conte di Brancas. In seguito diventarono famose Trouville, sempre sulla costa normanna, e Biarritz in Guascogna. Erano soprattutto luoghi di incontro e di mondanità, che durante i mesi estivi sostituivano i salotti cittadini. In Italia, è solo negli ultimi decenni del secolo che si cominciano a “prendere i bagni”, come allora si diceva. Anche qui sono soprattutto i nobili e i ricchi borghesi a godere dell’opportunità: «Al lido di Venezia – si legge in un giornale dell’epo-

Al bagno vestiti, 1904 ca. [Collezione Diego Mormorio, Roma]

ca – sui capanni e sulle tende fanno spicco gli stemmi delle più note famiglie patrizie». I costumi e le abitudini, assai diverse da quelle odierne, mostrano la volontà di trasferire sulla spiaggia i modi del salotto: «Gli uomini, che indossano il costume da bagno solamente per scendere in acqua, stanno tutto il giorno in spiaggia con cravatta e cappello di panama, scarpe stringate e calze, abiti bianchi di lino con il panciotto attraversato dalla catena dell’orologio. Le cabine sono costruite su palafitte; ogni cabina è munita di una botola che consente alle bagnanti di immergersi in acqua senza uscire all’aperto in costume. Solo gli uomini osano attraversare la spiaggia in calzoncini e maglietta». A poco a poco l’abitudine si allarga a nuovi ceti sociali, mentre anche numerosi forestieri scendono in Italia per le vacanze al mare. La riviera romagnola si affolla di turisti: nel 1899 il giornale «Vita Nuova» scrive che «in Bellaria è ormai impossibile trovare una stanza, né sul mare né in

paese». Un numero crescente di famiglie di varia estrazione corre a queste spiagge «dove le attrae la vita ribelle alla tirannia dell’etichetta, ma in compenso ricca d’allegria e di onesta libertà». In un periodo di acuti contrasti sociali, il ritrovarsi uniti al Sole sembra quasi un segno di pacificazione: «I nobili, gli aristocratici stanno in mezzo al popolo e nelle onde di questa buona e bella aria, in questo quieto mare non si conosce quel che sia divisione di classe. Qui tutto è armonia». L’immagine, proposta da un periodico riminese del tempo, è sicuramente troppo idilliaca per rispondere al vero; è un’immagine pubblicitaria. Tuttavia una cosa è chiara: le vacanze al mare stanno anch’esse per diventare un fenomeno di massa.

Sulla spiaggia di Viareggio, 1910 ca.

Capitolo 31 Macchine per la vita quotidiana

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31.5 Un nuovo rapporto con la natura Scienza e fantascienza Lo sviluppo economico e le continue conquiste in campo scientifico e tecnologico non solo modificarono nel profondo i modi di vita delle popolazioni ma contribuirono a diffondere un sentimento di ottimismo e fiducia, soprattutto da parte dei ceti borghesi, nel continuo e generale miglioramento delle condizioni di vita degli esseri umani. Si creò un vero e proprio mito del progresso e della tecnologia che trovò nell’Ottocento numerosi cantori. Fra di essi va annoverato lo scrittore francese Jules Verne (1828-1905), che nei suoi romanzi d’avventura e di fantascienza anticipò, con la fantasia ma soprattutto con l’intuizione, molte delle scoperte e dei progressi tecnologici del XX secolo. Ventimila leghe sotto i mari, Viaggio al centro della Terra, Dalla Terra alla Luna, Attorno alla Luna, scritti fra il 1863 e il 1870, precorrono in modo sorprendentemente preciso certe conquiste della navigazione e dell’aeronautica contemporanea. Figlio dei tempi nuovi è anche Il giro del mondo in ottanta giorni (1873), dove la celebre scommessa del gentiluomo inglese Phileas Fogg – compiere in soli 80 giorni il periplo della Terra – nasce dalla consapevolezza che, con i nuovi mezzi di trasporto, «il mondo è diventato più piccolo, e lo si percorre dieci volte più presto che cent’anni fa». Il trionfo dell’orologio L’ossessione maniacale degli orari e della puntualità è un carattere essenziale del personaggio di Verne e della cultura che egli esprime: la società industriale è la società del calcolo e della precisione. Le industrie osservano orari e tempi di lavoro rigidamente fissati; i treni e le navi viaggiano a orari regolari e prestabiliti (nel romanzo di Verne, Phileas Fogg compare spesso nell’atto di consultare il suo inseparabile «Orario generale Bradshaw delle linee ferroviarie e marittime»). È il mondo dell’orologio, della produttività, della velocità; del tempo misurato in denaro, secondo una visuale tipica della cultura borghese, totalmente estranea alle società tradizionali. I problemi del “progresso” Di fronte a questi valori e al trionfalismo borghese dell’epoca bella, non mancarono voci perplesse e dissenzienti, che esprimevano non solo sentimenti nostalgici e reazionari, ma anche la consapevolezza che il “progresso”, assieme a molti inestimabili vantaggi, era all’origine di molti problemi nuovi: basti ricordare l’inquinamento ambientale. Soprattutto si avvertì con disagio il distacco dai ritmi naturali, che il “macchinismo” ottocentesco tendeva a relegare ai margini della “civiltà”. Il rapporto fra uomini e ambiente stava cambiando profondamente: l’invenzione dei concimi chimici rese l’agricoltura meno dipendente dal clima e dalla natura del suolo; le nuove tecniche di preparazione e di conservazione del cibo liberarono, almeno in parte, il regime alimentare dai capricci delle stagioni; nuovi incredibili strumenti consentirono di catturare le immagini e i suoni del mondo; l’industria, da cui uscivano in continuazione nuovi oggetti, parve il trionfo dell’artificio, della capacità degli uomini di creare essi stessi la propria realtà e la propria vita. Nonostante l’industria: la primavera Tutto ciò non poteva non avere importanti riflessi sul piano culturale e psicologico, provocando un progressivo allontanamento degli uomini dal “senso della natura”. Di questo disagio si fecero interpreti diversi scrittori del tempo: la nonnaturalità della città industriale fu, per esempio, tema del romanzo Resurrezione di Lev Tolstoj (1828-1910), pubblicato nel 1899, che si apre con la descrizione della primavera a Mosca, una primavera che riesce a spuntare a dispetto dell’indifferenza e dell’ostilità degli uomini. «Nonostante gli uomini, raccoltisi a centinaia di migliaia in così poco spazio, cercassero di sfigurare la terra in cui si accalcavano, inzeppandola di pietre perché nulla vi crescesse; nonostante si sforzassero di strappare ogni erba dal suolo, di far fumo col carbone e la nafta, di tagliare gli alberi, di scacciare gli animali e gli uccelli; nonostante tutto ciò, la primavera era sempre la primavera, perfino in città».

Frontespizio de Il giro del mondo in ottanta giorni di Jules Verne [Edizione Hetzel; Collezione privata]

Phileas Fogg, il protagonista del romanzo di Jules Verne, incarna la figura del viaggiatore, che prende nuova forma proprio in questi anni grazie soprattutto ai progressi tecnici dei trasporti: la sua impresa testimoniava come la navigazione a vapore, il telegrafo, la ferrovia e le prime forme di trasporto aereo mettessero ormai in comunicazione quasi tutto il globo.

402

Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

Sintesi

Macchine per la vita quotidiana

Il tram e l’automobile: come muoversi in città (e fuori) In seguito all’ingrandimento delle città, furono ideati nuovi veicoli per permettere gli spostamenti urbani: l’omnibus, il tram, la metropolitana. Alla fine secolo, con l’invenzione dell’automobile si asistette a una vera rivoluzione del trasporto privato. Le prime automobili erano simili alle carrozze; poi furono costruiti i primi stabilimenti industriali in grado di produrre vetture con telaio in lamiera. L’esigenza di aumentare la produzione portò all’ideazione – da parte di Henry Ford – della catena di montaggio, che suddivideva le operazioni di lavoro permettendo di accorciare i tempi e di diminuire i costi della produzione. A terra con la bici, in cielo con l’aereo Da un iniziale modello di biciclo a ruote in legno si idearono, a partire dalla metà dell’Ottocento, prima il velocipede, poi la bicicletta, che divenne un mezzo di trasporto di massa e di uso quotidiano. Tra Ottocento e Novecento vari esperimenti portarono all’invenzione dell’aeroplano. I primi progetti avevano una sola ala, poi furono ideati i biplani e i triplani. Il primo volo di mezz’ora avvenne nel 1905,

a opera dei fratelli Wright. Negli anni seguenti si sperimentarono diversi tipi di aeroplano, a uso sia civile sia militare, con un forte incremento nel periodo della Prima guerra mondiale. Fotografia e cinema: come catturare le immagini Tra le invenzioni che cambiarono maggiormente le abitudini e la mentalità degli uomini, vi furono quelle che permettevano di catturare le immagini. La fotografia fu perfezionata con l’introduzione dei dagherrotipi, le prime fotografie su supporto metallico, simili al ritratto dipinto ma meno costose, che riscossero un immediato successo di pubblico; inoltre furono usate per documentare realtà lontane e sconosciute. Negli ultimi anni del secolo entrarono in commercio le prime macchine fotografiche. Il cinema fu ideato a Parigi dai fratelli Lumière, che produssero brevi film che riproducevano scene della realtà. I progressivi aggiustamenti tecnici portarono poi il cinema a diventare la forma di spettacolo tipica del XX secolo. Automazione domestica Un’altra innovazione fu l’introduzione nell’ambiente domestico di macchine prima di esclusivo

impiego industriale, come la macchina per cucire che, dopo il 1850, fu messa in commercio in modelli idonei all’uso domestico. Nello stesso periodo si diffusero anche l’aspirapolvere, la macchina per scrivere, il telefono, la macchina fotografica e il grammofono. La scoperta della possibilità di registrare e riprodurre i suoni portò all’invenzione del fonografo a cilindro, in seguito trasformato in disco: tale tecnica del suono ha conosciuto innovazioni enormi partendo da tali intuizioni, rimanendo a esse simile fino alla fine del XX secolo. Un nuovo rapporto con la natura Lo sviluppo economico e le innovazioni scientifiche e tecnologiche alimentarono un clima di ottimismo e di fiducia, il mito del continuo progresso della tecnologia. Nella nuova società un posto di primo piano aveva l’orologio, ossia il computo preciso del tempo, che regolava il lavoro e i viaggi di treni e navi. Queste novità portarono anche all’emergere di alcuni voci critiche, che avvertivano il distacco dai ritmi naturali e il cambiamento in atto nei rapporti tra uomo, ambiente e senso della natura.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1826

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14.

1850

1863

1870

1877

1885

1886

1887

prima corsa automobilistica della storia prima macchina fotografica a basso costo la Singer mette in commercio un nuovo tipo di macchina per cucire fonografo a cilindro costruzione della bicicletta prima trasvolata aerea della Manica primo modello di automobile invenzione del cinema fissazione di un’immagine su una lastra di peltro uso del disco per la riproduzione dei suoni inaugurazione della metropolitana di Londra primo volo dei fratelli Wright velocipede a ruota anteriore alta prima autovettura in telaio con lamiera stampata

1888

1894

1895

1901

1903

1909

Capitolo 31 Macchine per la vita quotidiana

2. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. biplano • dagherrotipo • disco • fantascienza • fonografo • metropolitana • montaggio • omnibus • tram • trasmissione • velocipede Trasferimento di movimento da un organo all’altro di una macchina Prime fotografie su supporto metallico Linea ferroviaria sotterranea che unisce i principali punti della città Strumento che convogliava il suono su una membrana mediante un cornetto acustico Aeroplano con due ali portanti sovrapposte Veicolo viaggiante su rotaie per il trasporto cittadino dei passeggeri Operazione con cui i componenti di una struttura vengono collocati al loro posto Piastra circolare per la riproduzione dei suoni Veicoli per il trasporto pubblico trainati da animali Mezzo di locomozione a due ruote con la ruota anteriore alta e quella posteriore bassa Invenzione fantastica fondata su elementi scientifici

3. Associa ai nomi le seguenti innovazioni e scoperte. Albert Read

bicicletta

John Dunlop

automobile

Thomas Edison

velocipede

Emile Berliner

disco

Louis Daguerre

biciclo

Harry Lawson

trasvolata della Manica

Henry Ford

stampa su carta

Karl Friedrich Drais

catena di montaggio

Gottlieb Daimler

biplano

Orville Wright

fonografo a cilindro

John K. Starley

prima industria automobilistica

James Starley

pneumatici di gomma

Louis Blériot

trasvolata atlantica

Karl Benz

cinema

William F. Talbot

trasmissione a catena

Auguste Lumière

fotografie su supporto metallico

403

404

Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. I suoni erano registrati e riprodotti dopo essere stati trasformati in segnali elettrici.

V

F

g. I romanzi di Tolstoj esaltavano il mito del progresso e della tecnologia.

V

F

b. La prima automobile era simile alle carrozze trainate da cavalli.

V

F

h. I dagherrotipi erano utilizzati dagli artisti in alternativa al ritratto pittorico.

V

F

c. I primi apparecchi fotografici erano maneggevoli e leggeri.

V

F

i. Gli omnibus erano treni urbani mossi inizialmente da una macchina a vapore.

V

F

d. La Prima guerra mondiale fu combattuta anche con l’utilizzo di aeroplani.

V

F

l. I primi filmati cinematografici avevano una durata di circa due minuti.

V

F

e. Il primo biciclo con ruote in legno era privo di freni e di pedali.

V

F

V

F

f. I primi prototipi di aeroplano dei fratelli Wright avevano una sola ala.

V

F

V

F

m. Il sistema della catena di montaggio fu introdotto da Karl Benz e Gottlieb Daimler. n. Il progresso in alcuni casi provocò forme di disagio culturale e psicologico.

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo tre righe per ogni domanda.

6. Leggi il documento “L’epoca bella” a p. 399 e rispondi alle seguenti domande.

1. Quali furono i mezzi di trasporto pubblico utilizzati nelle città? 2. Come funzionavano le prime automobili? A quale fascia di consumatori erano destinate? 3. In che modo si arrivò all’invenzione dell’aeroplano? Quali conseguenze produsse? 4. Per quale motivo il cinema e la fotografia riscossero enorme successo? 5. Quali case automobilistiche esistevano in Italia? 6. Che cosa caratterizzava le prime immagini fotografiche? 7. Quali macchine erano vendute per scopi domestici? 8. Chi inventò il fonografo? Che cosa permetteva? Come funzionava? 9. Che cosa caratterizzò il mito del progresso? 10. Quali erano i primi prototipi della bicicletta?

1. Che cosa indica l’espressione “Belle Époque”? Perché si utilizza? 2. Quali novità cambiarono la vita degli uomini in questo periodo? Con quali conseguenze? 3. Esistono delle differenze rispetto al periodo in cui viviamo? 4. Quale corrente filosofica espresse l’idea del mito del progresso? Integrando le informazioni ottenute con quelle ricavabili dalla precedente tabella, scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo “Aspetti e carattere della Belle Époque”.

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Quali mezzi di trasporto erano utilizzati alla fine dell’Ottocento per il trasporto pubblico? Quali mezzi di trasporto erano utilizzati alla fine dell’Ottocento per il trasporto privato? Quali mezzi di trasporto furono ideati alla fine dell’Ottocento? In che modo erano realizzati i ritratti prima della fine dell’Ottocento? E dopo? Quali macchinari industriali furono poi commerciati per usi domestici? A quale tipo di pubblico questi macchinari si rivolgevano?

Con le informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale. Vita quotidiana della borghesia

Mezzi di trasporto

Elettrodomestici

Riproduzione delle immagini

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La discussione storiografica

La famiglia borghese e l’invenzione del “privato” I

cambiamenti storici non coinvolgono solo le forme politiche, i rapporti di forza, i modelli produttivi, ma anche i modi di vivere, di pensare, di organizzare la quotidianità. Un tempo gli studiosi avevano la tendenza a ritenere che la dimensione “privata” della vita non avesse molto a che fare con le “grandi” vicende storiche; che ne fosse in qualche modo separata, distinta. Testi di qualche secolo fa come la ‘Storia della vita privata dei francesi’ (Histoire de la vie privée des français) di Pierre JeanBaptiste Le Grand d’Aussy (1737-1800) o le decine di volumi sulla ‘Vita privata di una volta’ (La vie privée d’autrefois) di Alfred Franklin (1830-1917) erano principalmente raccolte di aneddoti, di “curiosità” sulla vita degli individui, colta nei suoi gesti quotidiani come dal buco della serratura: arti, mestieri, mode, costumi, usi, come si legge nel sottotitolo dell’opera di Franklin. Ancora in tempi recenti, un’intera collana editoriale poteva intitolarsi La vita quotidiana al tempo di… e prendere in considerazione temi quali l’alimentazione, l’abbigliamento, la struttura e l’arredamento delle case, gli svaghi delle persone, e via dicendo, come se tutto ciò costituisse un mondo a parte rispetto alle correnti della storia. Oggi l’atteggiamento degli studiosi è cambiato: sempre più consapevole si è fatta la convinzione che gli aspetti della vita degli uomini sono profondamente interconnessi e meritano, tutti, di essere studiati come fatti storici a pieno titolo, con implicazioni che non sono mai totalmente soggettive o “private”, ma hanno sempre un legame, più o meno evidente, con la dimensione “pubblica” della storia. Mangiare certe cose e non altre, vestirsi in un certo modo e non in un altro non sono scelte

casuali, o lasciate alla totale discrezionalità o al capriccio degli individui; sono, invece, il più delle volte, il risultato di situazioni oggettive, di ben precise forze, materiali e simboliche, economiche e culturali, che in ogni società indirizzano le persone a comportarsi in un certo modo. Di conseguenza, questo “privato” deve essere studiato in maniera critica, non per accumulare notizie curiose ma per capire il senso e la logica dei comportamenti quotidiani, il loro rapporto con la cultura e gli interessi di ciascuna epoca. L’interesse degli storici per la storia della famiglia, del matrimonio, dei rapporti fra genitori e figli è aumentato di pari passo con questa consapevolezza, e ciò spiega perché negli ultimi trent’an-

Edgar Degas, La famiglia Bellelli, 1858-67 [Musée d’Orsay, Parigi]

ni siano uscite importanti opere collettive come la Storia della vita privata a cura di Philippe Ariès (1914-1984) e Georges Duby (1919-1996), cinque volumi (con la partecipazione di decine di studiosi) pubblicati tra il 1985 e il 1987 in Francia e poi in altre lingue (la versione italiana, per l’editore Laterza, è uscita tra il 1987 e il 1988) o come la Storia della famiglia in Europa, a cura di Marzio Barbagli e David I. Kertzer. Ma c’è di più. Proprio occupandosi di “storia della vita privata” gli storici hanno chiarito – scambiando le loro competenze con sociologi e antropologi – che lo stesso concetto di “privato” è un prodotto della storia: esso ha assunto una particolare importanza a iniziare dal XIX secolo, il periodo di

406

Modulo 8 Il trionfo dell’industria e della borghesia

affermazione della società e della cultura borghese (non a caso, dunque, risalgono a quell’epoca le prime “storie della vita privata”, di cui si è detto). È all’interno del “ceto medio”, della classe borghese uscita dalla rivoluzione industriale, intermedia fra l’aristocrazia e il proletariato, che per la prima volta si afferma in maniera netta la separazione tra una sfera definita “pubblica” (in cui si svolgono gli affari, le relazioni sociali,

la vita politica) e una sfera definita “privata” (quella della casa e della famiglia). Prima di allora, la famiglia non era affatto percepita come una realtà “privata”, ma come componente essenziale dell’appartenenza sociale e dell’attività politica: i clan aristocratici dominavano la vita delle città, le alleanze tra famiglie determinavano il successo di questa o quella fazione, la stessa vita di corte costringeva i nobili a mostrarsi perma-

nentemente in pubblico; anche tra i contadini prevalevano forme di associazione e di solidarietà tra diverse famiglie, che servivano a coordinare il lavoro in maniera collettiva, superando la dimensione “privata” del singolo nucleo familiare. L’Ottocento rappresentò da questo punto di vista un’importante cesura, ponendo le premesse di atteggiamenti mentali e culturali che sono diventati prevalenti nella società contemporanea.

glia doveva diventare il luogo di un “privato” gelosamente custodito; dall’altro, questa immagine di un “privato” moralmente integro doveva essere resa pubblica, per mostrare e dimostrare la superiorità dell’etica borghese e dei suoi nuovi modelli di vita. Nel secondo brano il sociologo Richard Sennett (1943), anch’egli statunitense, propone una singolare riflessione sul cambiamento delle strategie di vendita nei grandi magazzini ottocenteschi: mentre in precedenza gli acquisti erano il momento conclusivo di una contrattazione “pubblica” tra venditore e acquirente (quasi una sorta di azione teatrale, come ancora oggi accade nei mercati

orientali), i grandi magazzini al contrario proponevano prezzi fissi non contrattabili, spostando nell’ambito del “privato” il rapporto tra acquirente e merce acquistata. Quest’ultima assumeva un nuovo valore, per così dire “intimo”: il vestito di una persona, se prima indicava la sua appartenenza sociale, ora esprimeva la sua individuale personalità. L’abilità del venditore consisteva adesso nel creare suggestioni emotive che spingessero il visitatore (o più spesso la visitatrice) ad acquistare il prodotto dopo averlo “interiorizzato” come valore. Anche in questo modo si consolidava la tendenza della classe borghese a “privatizzare” la vita domestica.

I testi La separazione tra sfera pubblica e privata operata dalla cultura borghese dell’Ottocento, che in qualche modo segnò l’“invenzione” del privato, è oggetto del primo brano che presentiamo, opera della storica statunitense Mary Jo Maynes (1949), che illustra anche come a tale separazione si sia affiancata, allora per la prima volta, una netta distinzione di ruoli tra maschi e femmine all’interno della famiglia, affidata alle cure femminili e pensata come luogo di isolamento dal mondo esterno (riservato ai maschi). Peraltro, la studiosa sottolinea il carattere intimamente contraddittorio di questa situazione: da un lato, la fami-

Uomini in società, donne in casa Mary Jo Maynes

Come Sarah Ellis scrisse nel suo manuale di economia domestica, pubblicato con grande successo nel 1839, scopo del buongoverno familiare era di garantire «un luminoso, sereno, riposante e gioioso angolo di paradiso in un mondo assai poco paradisiaco». […] Non bisogna tuttavia confondere le affermazioni altisonanti con la realtà: i confini che delimitavano la famiglia erano molto meno rigidi di quanto non implicassero quelle affermazioni. Nonostante tutte le aspirazioni alla privatezza, dato che la nascita di un nuovo stile di vita familiare era parte integrante di un’affermazione di superiorità morale e politica, i valori propri di quel modo di vivere dovevano essere messi in pratica, evidenziati e resi dominanti. La privatezza della vita familiare, quindi, era sempre un po’ fittizia: occorreva dare a

quella vita una certa pubblicità, così che le classi socialmente e politicamente antagoniste della borghesia, al di sopra e al di sotto di essa, notassero e apprezzassero la sua superiorità nella vita familiare. Una ricerca sul ceto medio svedese, per esempio, è giunta alla conclusione che «per la borghesia l’ambiente familiare era al tempo stesso una vetrina d’esposizione per il mondo e un riparo da esso», mentre il fatto che i contadini non si curassero della privatezza familiare era citato a riprova della loro pochezza morale. […] La manifestazione più evidente della cultura familiare dell’élite fu forse l’innovazione nei ruoli dei sessi, che divennero – come hanno osservato numerosi storici – molto più nettamente distinti di quanto non fossero mai stati.

La discussione storiografica La famiglia borghese e l’invenzione del “privato“

In passato le donne erano disprezzate come moralmente inferiori agli uomini, ma lavoravano al loro fianco […] e avevano pesanti responsabilità nella gestione dell’economia familiare. […] Per contro, la concezione dei sessi emersa sul finire del tardo Settecento [e sviluppatasi nel secolo successivo] innalzava la donna in quanto madre, ma la caratterizzava come una creatura diversa e complementare rispetto all’uomo; alla fine, ella apparteneva al sesso moralmente superiore, ma il regno su cui esercitava l’autorità era separato e di livello inferiore. […] [Come si legge in un testo tedesco del 1848,] «in generale la donna è all’origine dei vincoli che tengono unita la famiglia, ma è l’uomo a collegarla con il mondo esterno: è lui il tramite

407

fra una famiglia e l’altra, è lui il fondamento dello Stato». […] [Invece, come ha notato Wilhelm Riehl,] nelle campagne uomini e donne erano poco differenziati tra loro: «Il lavoro è per molti aspetti lo stesso in questo ceto inferiore la voce, la fisionomia e il comportamento sono molto simili nei due sessi; evidentemente le differenze caratteristiche emergono solo nell’ambito di gruppi sociali più progrediti». M.J. Maynes, Culture di classe e modelli di vita familiare, in Storia della famiglia in Europa. Il lungo Ottocento, a cura di M. Barbagli e D.J. Kertzer, Roma-Bari 2002, pp. 291-295

Grandi magazzini e consumi “privati” Richard Sennett

La migliore introduzione alla vita pubblica del XIX secolo è la curiosa storia della trasformazione del commercio al dettaglio nelle capitali. La nascita del grande magazzino – un argomento in apparenza frivolo – è in realtà il paradigma della vita pubblica del XIX secolo, che da scambio attivo si trasformò in un’esperienza del pubblico più intensa, ma meno socievole. […] Nel XVIII secolo, il mercanteggiamento, con tutto il suo rituale, era uno dei fenomeni più consueti del teatro urbano e un’esperienza quotidiana per l’uomo-attore. In una società senza prezzi fissi il punto terminale della catena di produzione e distribuzione è il gesto plateale, l’abilità di manovra, l’arte di cogliere i punti deboli dell’avversario. Questo gioco stilizzato stabilisce un legame sociale tra venditore e acquirente e, se non si partecipa attivamente, si rischia di perdere del denaro. Il sistema a prezzo fisso […] diminuì il rischio di non interpretare un ruolo. L’idea, poi, dell’ingresso libero fece della passività una norma. [Prima,] entrare in un negozio significava essere in procinto di fare un acquisto. [Ora non più.] Il nuovo ruolo passivo dell’acquirente andava di pari passo con i nuovi stimoli al consumo [provocati dalla disposizione della merce, dalla coreografia degli scaffali, dalle vetrine a specchio, dalla rotazione accelerata dei prodotti

esposti, che creava l’illusione della scarsità e il desiderio di comprare]. Ma perché questo feticismo della merce funzionava? Questa domanda solleva il problema del rapporto tra capitalismo e cultura pubblica. Il sistema capitalistico aveva la capacità di “mistificare” le apparenze. […] Spingendo i compratori ad arricchire gli oggetti di significati personali al di là della loro utilità, il capitalismo creò un codice di credenze che rese redditizio il commercio al dettaglio. Questo codice, a sua volta, era il segno di una metamorfosi più profonda del significato della sfera pubblica: investimento di sentimenti personali e osservazione passiva stavano ormai confluendo; uscire in pubblico era ormai un’esperienza personale e passiva. […] Nel 1750 un abito non aveva niente in comune con la sfera dei sentimenti: era un segno arbitrario, artificiale, indicante la posizione occupata nella società […]. Verso il 1890, il fatto di indossare l’abito appropriato poteva comunicare un’idea di “castità” o di “lussuria”, perché l’abito “esprimeva” la personalità. […] In “pubblico” si osservava, e poi ci si esprimeva non in forza di un’interazione continua, ma dopo un periodo di attenzione passiva, silenziosa. R. Sennett, Il declino dell’uomo pubblico, Milano 1982, pp. 96 sgg.

Modulo 9

Stati, imperi, Stati, nazioni imperi,

nazioni Capitolo 32

L’unificazione della Germania e il completamento dell’unità italiana Il processo di unificazione dell’Italia si completò negli stessi anni in cui maturava la nascita della Germania, tra il 1861 e il 1871. Tra le due vicende vi fu uno stretto rapporto: gli avvenimenti politici e militari che portarono all’unità tedesca ebbero, infatti, un’influenza decisiva sulla storia del nostro paese, concorrendo, direttamente e indirettamente, a rendere possibile l’unione all’Italia del Veneto (1866) e di Roma (1870). La nascita della Germania e il completamento dell’unità italiana significarono una crisi profonda dell’Impero d’Austria, che si avviò a perdere la sua egemonia nell’Europa centrale.

Capitolo 33

Le grandi potenze tra assolutismo e liberalismo A metà dell’Ottocento l’assolutismo persisteva nelle sue forme più conservatrici negli imperi di Austria e Russia. La sconfitta contro la Prussia segnò il declino dell’Impero asburgico, che nel 1867 si trasformò in Impero austro-ungarico, mentre in Russia l’autoritarismo degli zar bloccava lo sviluppo industriale del paese, ostacolando la libertà d’iniziativa della borghesia. Nello stesso periodo anche l’altro grande impero multinazionale, quello ottomano (al centro delle contese fra le potenze europee), vide aggravare la sua già profonda crisi. Opposta era la situazione in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, dove trionfarono la borghesia cittadina e i princìpi di libertà. Durante la monarchia liberale della regina Vittoria, il Regno Unito visse la sua “età d’oro”, mentre la guerra di secessione americana aprì la strada al boom industriale ed economico degli USA.

Capitolo 34

Il nuovo colonialismo L’espansione coloniale degli europei, iniziata con i viaggi del XV-XVI secolo e proseguita intensamente tra Sei e Settecento, trovò nuovo impulso nel corso dell’Ottocento, in seguito allo sviluppo del sistema industriale. In pochi decenni le potenze del vecchio continente, forti della loro superiorità tecnica, scientifica e militare, presero possesso del mondo. Alla fine del secolo, nonostante i movimenti di liberazione nei paesi dell’America Latina, risultavano in mani europee una gran parte dell’Asia, dell’Africa e delle terre oceaniche.

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni

?????????’ cazione 32 L’unifi

Capitolo

410

della Germania e il completamento dell’unità italiana

Percorso breve Tra il 1866 e il 1871 si completò l’unificazione dell’Italia, mentre maturava la nascita della Germania come Stato “nazionale”: due avvenimenti tra cui vi fu uno stretto rapporto. L’idea di unificare i numerosi Stati tedeschi, riuniti in una Confederazione presieduta dall’Austria, si fece strada fra i ceti intellettuali e poi nella borghesia industriale, che puntava a creare un unico grande mercato: a tale scopo fu costituita nel 1834 l’unione doganale, su iniziativa della Prussia, un regno particolarmente sviluppato sul piano economico e industriale, che guidò l’unificazione del paese in funzione anti-austriaca sotto il regno di Guglielmo I Hohenzollern e la guida del Primo ministro Ottone di Bismarck, che dotò la Prussia di un esercito numeroso e ben addestrato. Il processo di unificazione avvenne attraverso due successive guerre. La prima, nel 1866, fu vinta dalla Prussia contro l’Austria (battaglia di Sadowa), con la conseguenza che 21 dei 39 Stati della Confederazione passarono sotto il controllo prussiano; al conflitto partecipò anche l’Italia, alleata della Prussia, che, nonostante le sconfitte subite, ottenne il Veneto. La seconda guerra, nel 1870, fu combattuta dalla Prussia contro la Francia che, sotto la sovranità dell’imperatore Napoleone III, perseguiva ambiziosi programmi di egemonia europea e di espansione coloniale. La vittoria prussiana (battaglia di Sedan) permise a Bismarck di coalizzare e unire tutti gli Stati tedeschi, formandone un impero che fu detto “Secondo Reich” (dopo quello medievale di Ottone I). Napoleone III abdicò e la Francia, dove nuovamente fu instaurata la repubblica, dovette cedere ai tedeschi l’Alsazia e la Lorena. A Parigi, nello stesso 1870, un’insurrezione popolare portò alla formazione di un regime di ispirazione

Franz von Lenbach, Otto von Bismarck, 1880 ca. [Kunsthistorisches Museum, Vienna]

La partenza per le crociate

socialista detto “Comune”, che fu stroncato nel sangue dall’esercito. La sconfitta della Francia ebbe riflessi anche in Italia. Napoleone III era stato il principale difensore dello Stato pontificio (ripetutamente attaccato da Garibaldi e dai suoi uomini) e la sua abdicazione lasciò via libera a Vittorio Emanuele II, che nel settembre 1870 fece occupare Roma dall’esercito, proclamandola capitale d’Italia. Nonostante le numerose garanzie offerte dallo Stato italiano, il papa si considerò prigioniero in Vaticano e proibì ai cattolici di partecipare alla vita politica nazionale.

Capitolo 32 L’unificazione della Germania e il completamento dell’unità italiana

32.1 L’ascesa della Prussia La Confederazione germanica L’idea di un’unità “nazionale” fra i 39 Stati tedeschi riuniti nella Confederazione germanica aveva cominciato a circolare già ai primi dell’Ottocento, limitata tuttavia a ristretti ambiti sociali e culturali (soprattutto intellettuali e studenti). Con il rapido sviluppo dell’industrializzazione, attiva in particolare nelle regioni renane e in Slesia, l’aspirazione unitaria si estese ad altri ceti: imprenditori, industriali, banchieri, mercanti. Per tutti costoro l’unificazione degli Stati aveva un valore principalmente economico: la soppressione delle frontiere e delle dogane avrebbe moltiplicato il movimento delle merci e la produzione industriale ne avrebbe grandemente beneficiato. Un unico grande mercato Un primo passo fu compiuto nel 1834, quando, su iniziativa della Prussia, fu istituita l’unione doganale [ 22.4]. La quasi totalità degli Stati, esclusa l’Austria, si impegnò ad abolire le barriere fiscali in modo che la libera circolazione delle merci desse vita a un unico grande mercato. La creazione dell’Unione doganale ebbe grande risonanza e produsse effetti notevoli, facilitando – per cominciare – l’estendersi della rete ferroviaria, che diede un nuovo impulso agli scambi. La Prussia di Bismarck L’iniziativa prussiana aveva, di fatto, messo in discussione il primato austriaco, e fu proprio la Prussia, un regno particolarmente sviluppato sul piano economico e industriale, a portare a compimento il progetto unitario anche sul piano politico. Nel 1861 sul trono di Prussia salì Guglielmo I Hohenzollern (1861-88), con il progetto di togliere all’Austria la supremazia sui paesi tedeschi e di unificarli sotto il proprio governo. Il progetto era sostenuto sia dai nobili latifondisti, i cosiddetti Junker, tradizionalisti e militaristi, sia dalla potente borghesia industriale. Per la sua attuazione il re affidò il governo a Ottone di Bismarck (1862-90), uno statista abile ed energico, che impegnò le finanze dello Stato in uno straordinario rafforzamento dell’esercito, portato in breve tempo da 48.000 a 400.000 uomini, accuratamente addestrati.

Memo

Confederazione germanica Nel XIX secolo i popoli di lingua tedesca erano ancora divisi in molti Stati, più o meno estesi, tutti di origine antica, ciascuno con moneta, esercito e leggi proprie. Essi erano collegati in una Confederazione [ 22.4] di valore più teorico che reale, in quanto gli Stati componenti (tra cui Austria e Prussia) si consideravano autonomi e sovrani. Istituita durante il Congresso di Vienna (1815), tale confederazione era presieduta dall’Austria, che esercitava un sostanziale predominio su tutti gli altri Stati.

32.2 La Francia al tempo del Secondo impero I piani egemonici di Napoleone III A metà dell’Ottocento, mentre la Prussia si rafforzava a spese dell’Austria, la Francia perseguiva ambiziosi programmi di supremazia in Europa, sotto il governo di Napoleone III. Eletto presidente della Seconda repubblica durante la rivoluzione del 1848 [ 22.2], Luigi Napoleone Bonaparte, nipote del grande Napoleone di cui si atteggiava a erede, dopo aver sciolto il Parlamento con un colpo di Stato (1851) si era fatto proclamare imperatore con il nome di Napoleone III (1852) e aveva instaurato una dittatura personale, in cerca di gloria e di una rinnovata grandezza, come nella trionfale epoca del Primo impero napoleonico. L’espansione coloniale Cardini della sua azione furono l’accelerazione dello sviluppo industriale all’interno del paese e, all’esterno, guerre di prestigio e conquiste coloniali. Mentre veniva consolidato il possesso dell’Algeria, occupata fin dal 1830 ma rimasta per trent’anni in preda alla guerriglia, altre spedizioni militari portarono alla conquista di nuove colonie in Africa (Senegal, Somalia) e in Asia (Indocina). All’espansione coloniale si accompagnò il taglio dell’istmo di Suez, un’opera di grande importanza tecnologica ed economica, la cui realizzazione fu affidata al diplomatico francese Ferdinand de Lesseps (18051894) e conclusa nell’arco di dieci anni fra il 1859 e il 1869. Perfino in Messico Napoleone III inviò una spedizione militare (1862), cointeressando all’impresa anche la corte austriaca, che insediò come imperatore del Messico l’arciduca Massimiliano d’Asburgo (1864-67), fratello dell’imperatore Francesco Giuseppe. La spedizione ebbe un esito sfortunato, scontrandosi con gli interessi coalizzati di Gran Bretagna, Stati Uniti, Prussia e Russia, e si concluse con il ritiro delle truppe francesi e la fucilazione nel 1867 dello stesso Massimiliano, catturato dagli insorti messicani guidati dal presidente liberale Benito Juárez (1858-72).

Napoleone III, XIX sec. [Godsmiths’ Hall, Londra]

In questo dipinto è rappresentato Luigi Napoleone Bonaparte che, dopo il colpo di Stato del 1851, si fece eleggere imperatore con il nome di Napoleone III. Attuò una politica di forte espansione coloniale.

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Calendario per l’anno 1863 [Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli, Milano]

Garibaldi non si rassegnò alla rinuncia a Roma: nel 1862 fu fermato sull’Aspromonte dalle truppe sabaude. In questa caricatura del 1863 minaccia con la sua gruccia Napoleone III e Pio IX, sulle spalle del suo protettore francese.

I luoghi della storia

La questione romana Alla politica di Napoleone III era anche collegato uno dei problemi più spinosi del giovane Regno d’Italia: la cosiddetta questione romana. In Italia era opinione diffusa che senza Roma, simbolo della storia nazionale, il Risorgimento non si poteva considerare compiuto. Ma questa idea trovava opposizione in molte capitali europee perché – si diceva – Roma, in quanto capitale del cattolicesimo universale, apparteneva al mondo e non all’Italia. Soprattutto in Francia il movimento in appoggio del papa era forte e già aveva spinto Napoleone III a mettere il proprio esercito a disposizione per la difesa di Roma [ 24.4]. Dopo la morte di Cavour (1861) intorno alla questione romana si delinearono in Italia due tendenze: una moderata, che ipotizzava una soluzione pacifica, condotta attraverso le vie diplomatiche; una d’azione, che riteneva necessario l’intervento con le armi. A sostegno dell’azione militare stava la maggior parte dei repubblicani, con in testa Giuseppe Garibaldi. Contro Garibaldi, in difesa del papa Un tentativo di conquista fu compiuto da Garibaldi nel 1862: raccolti volontari in Sicilia, egli si avviò attraverso la Calabria in direzione di Roma. Ma Napoleone III minacciò di intervenire con l’esercito in difesa del papa. Il governo italiano, allora, decise di fermare l’avanzata dei volontari e inviò le sue truppe, che raggiunsero i garibaldini sul massiccio dell’Aspromonte, all’estremità meridionale della Calabria; lo scontro tra camicie rosse ed esercito italiano provocò dodici morti e lo stesso Garibaldi fu ferito a un piede.

Il canale di Suez

Il 17 novembre 1869 una lunga fila di 77 navi di tutte le nazionalità, preceduta dallo yacht di Napoleone III, transitava attraverso il canale di Suez. Con questa spettacolare parata si inaugurava una delle più grandiose opere di ingegneria del XIX secolo: il taglio dell’istmo di Suez, a occidente della penisola egiziana del Sinai. Il lavoro, cominciato dieci anni prima, nel 1859, fu compiuto da una compagnia commerciale diretta da Ferdinand de Lesseps, un diplomatico francese che riuscì a convincere il viceré d’Egitto ad accogliere il progetto nel territorio del suo Stato. I progetti tecnici furono in gran parte opera di un ingegnere italiano, il trentino Luigi Negrelli (1799-1858). L’impresa ebbe una enorme influenza

sugli scambi commerciali: collegando il Mediterraneo al Mar Rosso, il canale abbreviò in misura decisiva la via marittima tra Europa e Oriente (la tratta FranciaIndia si poteva ora percorrere nella metà del tempo) mentre, in precedenza, le navi erano costrette a fare la circumnavigazione dell’Africa, seguendo la rotta tracciata da Vasco de Gama nel XV secolo. Il canale di Suez velocizzò la penetrazione europea (soprattutto britannica e francese) non solo nei territori asiatici ma anche in quelli africani; l’Egitto si trovò così a rivestire un ruolo strategico di primo piano per gli interessi occidentali: controllare il paese significava controllare il canale e con esso il passaggio verso l’Africa orientale e soprattutto l’Oriente.

In un primo tempo il canale fu gestito in comproprietà dai francesi e dal Pascià d’Egitto. Poi se ne impadronì la Gran Bretagna, che nel 1875 riuscì ad acquistare le azioni egiziane (pari al 44% del capitale complessivo) grazie a un prestito della banca Rotschild e al forte debito estero che l’Egitto aveva accumulato. Il controllo del canale di Suez divenne una delle questioni più delicate della storia del XX secolo anche perché fu al centro delle rivendicazioni arabe contro il colonialismo europeo in territorio egiziano e africano. Dal 1956 è proprietà dello Stato egiziano, che consente il passaggio a tutte le navi, di qualsiasi nazionalità, tramite il pagamento di una tassa che costituisce oggi una delle maggiori entrate per l’economia del paese. Albert Rieger, Il canale di Suez, 1864 [Civico Museo Revoltella, Trieste]

Il primo scavo di un canale di collegamento tra il Mediterraneo e il Mar Rosso si fa risalire al 1800 a.C.; in epoca romana lo scavo fu migliorato e prese il nome di canale di Traiano, poi fu abbandonato all’incuria, causa del successivo interramento. Progetti per il taglio di un canale attraverso l’istmo di Suez furono fatti dai veneziani nel Quattrocento e dai francesi nei secoli successivi, ma nessuno conobbe esiti concreti. Finalmente aperto nel 1869, il canale di Suez fu inaugurato al cospetto dell’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III.

Capitolo 32 L’unificazione della Germania e il completamento dell’unità italiana

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Il re di Prussia e il conte di Bismarck, XIX sec. [Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli, Milano]

La guerra austro-prussiana (giugno-agosto 1866) fu combattuta da Prussia e Italia contro l’Austria, appoggiata da vari Stati tedeschi, e fu voluta da Bismarck anche per imporre la supremazia prussiana in Germania.

Il governo tentò quindi di trovare un accordo diplomatico con la Francia e due anni dopo si firmò un compromesso noto come “convenzione di settembre” (1864): Napoleone III si impegnava a ritirare la sua guarnigione da Roma, il governo italiano a non aggredire i possessi pontifici (anzi a difenderli) e a spostare la capitale da Torino ad altra città. Nel maggio del 1865 il nuovo presidente del Consiglio, il generale La Marmora (lo stesso che aveva guidato le truppe inviate da Cavour in Crimea, 25.3), scelse come capitale del Regno d’Italia Firenze e Napoleone III iniziò a far ritirare le sue truppe.

32.3 La guerra austro-prussiana L’alleanza italo-prussiana La tensione fra Prussia e Austria nel frattempo cresceva. Deciso ormai allo scontro, Bismarck individuò come naturale alleato l’Italia, che aveva in sospeso con l’Austria la delicata questione di Venezia e del Veneto, tuttora sotto dominio asburgico. Firmò pertanto un trattato di alleanza con l’Italia, per dividere le forze austriache impegnandole su due fronti: il trattato prevedeva, in caso di vittoria, la cessione del Veneto all’Italia. La guerra dei ducati L’occasione per provocare la guerra si presentò a Bismarck tra il 1864 e il 1865, quando Austria e Prussia si accordarono per sottrarre alle mire espansionistiche del re di Danimarca alcuni territori appartenenti territorialmente alla loro Confederazione ma riuniti nella persona del sovrano danese: i Ducati di Schleswig, Holstein e Lauenburg, fondamentali per il controllo del Mare del Nord e del Mar Baltico. Dopo aver occupato insieme quei territori le due potenze entrarono in conflitto al momento di decidere chi li avrebbe amministrati. I prussiani contro l’Austria Rotte le relazioni con l’Austria, Bismarck avviò le operazioni di guerra il 16 giugno 1866 e le concluse con estrema rapidità: in pochi giorni i prussiani, ben guidati, equipaggiati con armi nuove (fucile a retrocarica, cannoni d’acciaio), veloci nei movimenti (per la prima volta nella storia militare, l’esercito fece uso delle ferrovie), riportarono una schiacciante vittoria a Sadowa, in Boemia, costringendo l’Austria alla resa (3 luglio 1866). La terza guerra d’indipendenza italiana Non altrettanto brillanti furono le operazioni sul fronte italiano, dove i reparti comandati dai generali Cialdini e La Marmora subirono il rovescio di Custoza (Verona), il 24 giugno 1866. Intanto, sul mare, due corazzate guidate dall’ammiraglio Carlo Pellion Persano (1806-1883) furono affondate dalla flotta avversaria nei pressi dell’isola di Lissa (Dalmazia), il 20 luglio 1866.

Modulo 9

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Giovanni Selerio, Il combattimento navale di Lissa, XIX sec. [Museo del Risorgimento, Istituto Mazziniano, Genova]

Il dipinto mostra la prima grande battaglia marina in cui furono impiegate navi a vapore corazzate. La battaglia di Lissa fu uno scontro navale che si svolse il 20 luglio 1866 nel Mare Adriatico nelle vicinanze dell’isola di Lissa (Dalmazia) tra le flotte dell’Impero austriaco e quelle della regia marina italiana. Per l’Italia fu una dura sconfitta.

Solo Giuseppe Garibaldi, tornato a combattere con le sue camicie rosse, riuscì a battere gli austriaci a Bezzecca, in Trentino (21 luglio 1866). Ma l’avanzata dei garibaldini fu arrestata dall’armistizio che i prussiani, ormai vincitori, firmarono con l’Austria, senza neanche avvisare preventivamente il governo italiano. Memorabile il dispaccio di Garibaldi il quale, avendo ricevuto dal re Vittorio Emanuele II l’ordine di cessare il combattimento, rispose con una sola parola: «Obbedisco». In questo modo terminò la cosiddetta terza guerra per l’indipendenza italiana (dopo quelle del 1848 e del 1859).

Gli accordi di pace La pace di Praga, firmata il 23 agosto 1866 dalla Prussia e dall’Austria, pose fine alla guerra. L’Austria perdette il predominio sui paesi tedeschi e la Prussia ottenne la presidenza di una nuova Confederazione dei paesi tedeschi del nord, delimitata dal fiume Meno e comprendente 21 Stati, posti sotto il controllo di Guglielmo I e del governo di Berlino.

I modi della storia

La guerra e la povera gente

La letteratura “verista” di fine Ottocento rappresenta uomini e donne nel loro agire quotidiano, al di fuori di ogni idealizzazione retorica. Il dolore della povera gente colpita dalla guerra è descritto con commovente efficacia dallo scrittore

I

Giovanni Verga (1840-1922), che nel romanzo I Malavoglia narra il dramma di Maruzza, una donna di Aci Trezza, vicino a Catania, che perde il figlio Luca nella battaglia navale di Lissa. La battaglia, vista da questo piccolo borgo di pescatori

l giorno dopo cominciò a correre la voce che nel mare c’era stato un combattimento tra i bastimenti nostri e quelli dei nemici, che nessuno sapeva nemmeno chi fossero, ed era morta molta gente; chi raccontava la cosa in un modo e chi in un altro, a pezzi e bocconi, masticando le parole. Le vicine venivano colle mani sotto il grembiule a domandare se comare Maruzza ci avesse il suo Luca laggiù, e stavano a guardarla con tanto d’occhi prima d’andarsene. La povera donna cominciava a star sempre sulla porta, come ogni volta che succedeva una disgrazia, voltando la testa di qua e di là, da un capo all’altro della via, quasi aspettasse più presto del solito il suocero e i ragazzi dal mare1. Le vicine le domandavano pure se Luca avesse scritto, o era molto che non riceveva lettere da lui. Coll’andare dei giorni però, nessuno parlava più di quello che era successo; poiché Maruzza non vedeva spuntare la lettera non aveva voglia né di lavorare né di stare in casa:

1 Ritornare dalla pesca.

siciliani, appare come un fatto incomprensibile, terribile e misterioso come il destino che si accanisce contro i poveri. Lissa è mille miglia lontana da Aci Trezza, ma la tragedia della guerra per un momento le tiene insieme.

era sempre in giro a chiacchierare di porta in porta, quasi andasse cercando quel che voleva sapere. – Avete visto una gatta quando ha perso i suoi gattini? – dicevano le vicine. La lettera non veniva, però. Alcuni le dicevano: – Andate a Catania, che è un paese grosso, e qualcosa sapranno dirvi. Che andasse dal capitano del porto, giacché le notizie doveva saperle lui. Colà, dopo averla rimandata per un pezzo da Erode a Pilato, si misero a sfogliare certi libracci e a cercare col dito sulla lista dei morti. Allorché arrivarono ad un nome, Maruzza che non aveva ben udito, perché le fischiavano gli orecchi, e ascoltava bianca come quelle cartacce, sdrucciolò pian piano per terra, mezza morta. – Son più di quaranta giorni – conchiuse l’impiegato, chiudendo il registro. – Fu a Lissa; che non lo sapevate ancora? G. Verga, I Malavoglia, capitolo IX, 1881

Capitolo 32 L’unificazione della Germania e il completamento dell’unità italiana Con la successiva pace di Vienna (3 ottobre 1866) l’Austria, mantenendo sotto il proprio dominio solo le regioni di Trento e Trieste, cedette il Veneto e il Friuli (esclusa Gorizia) alla Prussia che, attraverso una mirata operazione diplomatica, li consegnò non all’Italia (sconfitta ripetutamente durante la guerra) ma alla Francia, che, a sua volta e solo dopo questi mortificanti passaggi, li cedette all’Italia.

32.4 La guerra franco-prussiana e la Comune di Parigi Una politica di potenza Dopo avere battuto gli austriaci a Sadowa e avere imposto il suo predominio sugli Stati tedeschi del nord, la Prussia di Bismarck mirava a estendere il suo potere anche sugli altri Stati di lingua tedesca, per creare un grande Impero germanico. L’ambizioso programma non poteva lasciare indifferente la Francia, che a sua volta mirava ad affermare il suo primato in Europa. Sorsero così fra le due potenze tensioni e una crescente ostilità, che portò ben presto alla guerra. Un telegramma di guerra Le ostilità furono aperte il 19 luglio 1870 dopo che Bismarck, con un piano tanto astuto quanto subdolo, riuscì a scatenare l’opinione pubblica francese manipolando un telegramma che informava dell’incontro tra Guglielmo I e l’ambasciatore francese tenutosi nella città tedesca di Ems. Eliminando alcune parti del documento, il cancelliere lasciò intendere che l’ambasciatore fosse stato messo alla porta dal sovrano e, come aveva ben immaginato, il dispaccio giunto a Parigi fece «l’impressione del panno rosso sul toro francese». L’opinione pubblica si infuriò e con essa il re, che dichiarò guerra alla Prussia. Lo scontro mostrò subito la prevalenza militare dei prussiani. Meticolosamente addestrati, meglio armati, superiori per numero e organizzazione, essi vinsero i francesi in poche settimane, costringendoli alla resa nella battaglia di Sedan, al confine con il Belgio, dove lo stesso Napoleone III fu fatto prigioniero (1-2 settembre 1870). La Terza repubblica francese Alla notizia del disastro, il 4 settembre Parigi si sollevò contro il governo e, dichiarato decaduto il regime napoleonico, proclamò nuovamente la repubblica, la terza dopo quelle del 1792 e del 1848. Disperati tentativi di resistenza contro i prussiani furono organizzati in diverse località; anche Garibaldi accorse con un corpo di volontari in appoggio dei repubblicani francesi, malgrado l’età avanzata e l’amarezza per le vicende che avevano contrapposto i repubblicani italiani al governo francese. Ma tutto fu inutile. Di fronte alla schiacciante superiorità prussiana, il governo francese, presieduto da Adolphe Thiers (1797-1877), fu costretto a capitolare e a firmare l’armistizio (28 gennaio 1871), accettando le condizioni imposte da Bismarck. Condizioni durissime, in quanto impegnavano a cedere l’Alsazia e la Lorena, ricche regioni minerarie, a pagare la somma favolosa di 5 miliardi di franchi-oro e a subire una parziale occupazione finché le clausole non fossero state totalmente soddisfatte.

La battaglia di Sedan, XIX sec. [Musée Carnavalet, Parigi]

Lo scontro definitivo tra le armate francesi e quelle prussiane avvenne a Sedan il 1° settembre 1870 e segnò la vittoria di queste ultime, costringendo Napoleone III, che fu fatto prigioniero, alla resa. Il giorno di Sedan (Seddinstag) diventò festa nazionale durante il governo di Bismarck.

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Modulo 9 Stati, imperi, nazioni La Comune di Parigi A Parigi i democratici e i socialisti non vollero accettare la pace, che giudicavano umiliante e disastrosa per la nazione. Pertanto, il 18 marzo 1871, guidarono una insurrezione popolare contro il governo, sostenuta dalla Guardia nazionale che fece causa comune con gli insorti. Thiers fu cacciato e venne costituito un nuovo governo a base popolare e di ispirazione socialista, la Comune, che si impegnò ad attuare nuove forme di giustizia sociale e di partecipazione diretta al governo. La vicenda della Comune è considerato da alcuni storici il primo tentativo di instaurare un regime a base operaia e socialista. Secondo Karl Marx, l’episodio manifestò la capacità rivoluzionaria del proletariato. Altri lo giudicarono un moto confuso e incoerente di forze diverse, rese esplosive dalla disperazione del popolo, ridotto alla fame per l’assedio dei prussiani. Comunque la si giudichi, l’esperienza ebbe una rilevante importanza storica, testimoniata dal fatto che a essa si ispirarono più tardi i movimenti socialisti e operai di diversi paesi del mondo.

Memo

Sacro romano impero

La repressione La Comune ebbe vita breve. Dopo appena due mesi dalla sua proclamazione, Thiers, che aveva ricostituito il governo a Versailles, inviò 100.000 uomini contro Parigi, che fu ripresa dopo una settimana di sanguinosi combattimenti, macchiati di crudeltà di ogni genere da una parte e dall’altra. Migliaia di “comunardi” – come furono chiamati i sostenitori del governo popolare – furono fucilati o deportati dopo processi sommari. La Terza repubblica riprendeva il suo percorso, con addosso il peso di una cruenta guerra civile.

Nel 962 il papa Giovanni XII (955-963) incoronò imperatore il re di Germania Ottone I di Sassonia (936-973). Nacque in tal modo quello che più tardi sarebbe stato chiamato “Sacro romano Impero germanico” [ vol.1, 3.1], “sacro” perché consacrato dal papa (la cui autorità fu subordinata a quella imperiale), “romano” perché idealmente collegato alla tradizione di Roma antica, “germanico” perché affidato a una MAR BALTICOIl 18 gennaio 1871, pochi giorni prima che Thiers firmasse Il Secondo impero germanico dinastia di stirpe germanica. Königsberg MARE l’armistizio con la Prussia, nella reggia di Versailles i sovrani tedeschi, entusiasti e amL’impero di Ottone DEL I siNORD esten- SCHLESWIG mirati per il trionfo di Guglielmo I, dichiararono PRUSSIA decaduta la Confederazione germanica e deva dalla Germania all’Italia HOLSTEIN NIA ORIENTALE A R e, con alterne vicende, sarebacclamarono il re di Lubecca MEPrussia PRUSSIA“imperatore tedesco” (Deutscher Kaiser). Nasceva così, PO be sopravvissuto fino al 1806Amburgo OCCIDENTALE com’era nei desideri di Bismarck, il nuovo Impero germanico, il Secondo Reich (‘Regno’, quando fu eliminato da Napole- Brema ‘Impero’) dopo il Sacro romano impero fondato nel 962 da Ottone I di Sassonia: un grande one Bonaparte. R EStato Amsterdam V V tedesco sotto la dinastia degli Hohenzollern di Prussia e con capitale Berlino. POSNANIA Berlino i O s tola HANN ICK Varsavia PAESI BASSI VES Hannover BRANDEBURGO W S TF Reno Ode UN AL r BR Essen I A La formazione del Secondo Reich Lipsia Breslavia Düsseldorf Anversa Dresda MAR BALTICO Colonia A Bruxelles NI MARE S L E S I A O Königsberg B E L G I O PROV. ASSIA SS SCHLESWIG DEL NORD 1866 SA Sadowa Francoforte PRUSSIA Sedan 1870 RENANA HOLSTEIN NIA Praga REGNO ORIENTALE RA Lubecca E M PRUSSIA DI Metz Mannheim I M P E R O Amburgo A U S T R O - U N G A R I C OPO OCCIDENTALE BAVIERA Brema Strasburgo Stoccarda R WÜRTTEMBERG Amsterdam Visto Dan H A N N O V E POSNANIA Berlino la ubio K Vienna C I Varsavia Monaco PAESI BASSI VES Hannover BRANDEBURGO W NS TF Reno O U der R A B Essen LIA SVIZZERA Lipsia Breslavia Düsseldorf Anversa Dresda Colonia A I Bruxelles S L E S I A ON B E L G I O PROV. ASSIA SS SA Sadowa 1866 Francoforte Sedan 1870 RENANA Praga REGNO DI Metz Mannheim IMPERO AUSTRO-UNGARICO BAVIERA Regno di Prussia nel 1866 Stoccarda Strasburgo Annessioni del 1866 WÜRTTEMBERG Adesioni degli Stati tedeschi all’impero Dan ubio Vienna Annessione dell’Alsazia-Lorena nel 1871 Monaco SSO

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Confine dell’impero nel 1871 Sedan 1870 Battaglie

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32.5 L’unificazione della Germania: il Secondo Reich

Capitolo 32 L’unificazione della Germania e il completamento dell’unità italiana

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Bismarck gioca col papa, XIX sec. Nella partita a scacchi Bismarck si contrappone a papa Pio IX così come su fronti opposti erano anche nella realtà politica. Bismarck, tra il 1873 e il 1875, impose idee e leggi fortemente anticlericali e anticattoliche.

Fra autoritarismo e liberalismo Ben organizzato politicamente e militarmente, il nuovo Stato nasceva con una forte vocazione autoritaria, garantita dal solido esercito messo in piedi da Bismarck e dalla concentrazione del potere nelle mani dell’imperatore e del Primo ministro o “cancelliere” (in quegli anni, lo stesso Bismarck). Tuttavia, questo autoritarismo si inseriva in una struttura istituzionale di tipo parlamentare: il potere legislativo era esercitato da un Parlamento composto di due camere, una eletta a suffragio universale (Reichstag) e una, di carattere federale, composta da rappresentanti dei singoli Stati che avevano dato origine all’Impero (Bundesrat). L’Impero germanico in questo modo si distingueva sia dalle monarchie assolute di tipo conservatore, come l’Austria o la Russia, sia dagli Stati liberali come l’Inghilterra. Aristocrazia militare e borghesia industriale Altro carattere originale del nuovo Stato, mutuato dal modello prussiano, fu la solida alleanza fra l’aristocrazia terriera e militare e il mondo industriale e bancario, che stimolò una rapida crescita economica e industriale, sostenendo al tempo stesso la politica di potenza del paese. I due gruppi sociali trovarono espressione, rispettivamente, nel Partito conservatore e nel Partito nazional-liberale, a cui presto si aggiunsero il Partito del Centro, espressione di un eterogeneo elettorato cattolico, forte soprattutto in Baviera, e il Partito socialdemocratico che tutelava gli interessi del mondo operaio. La battaglia contro i cattolici e i socialisti Bismarck difese a oltranza la natura laica dello Stato, dichiarando una vera “battaglia di civiltà” (Kulturkampf) contro le forze cattoliche: a tal fine emanò una serie di norme per sorvegliare l’attività del clero, abolire il controllo religioso sull’insegnamento, imporre l’obbligo del matrimonio civile. Gli effetti di tale “battaglia” furono però controproducenti, stimolando la compattezza dei cattolici tedeschi e rafforzando la loro rappresentanza parlamentare. Anche le forze socialiste si consolidarono, nonostante alcune “leggi eccezionali” emanate contro il movimento operaio e sindacale. A ciò fece riscontro, da parte del governo, l’attuazione di importanti leggi assistenziali e previdenziali a favore delle classi lavoratrici. Anche in questo modo la Germania ribadiva l’originalità della sua organizzazione statale, sospesa fra autoritarismo e paternalismo, conservazione e innovazione.

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Cessioni di Nizza e Savoia Annessione del Veneto, 1866 del Lazio,nazioni 1870 ModuloAnnessione 9 Stati, imperi, Battaglie Volturno 1860

32.6 Il completamento dell’unità d’Italia Milano

1850

Milano

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1859-60 Milano

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1860-70 Milano Venezia

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Venezia

Bologna francoVerso della questione romana La guerra Genova Bologna Genovala risoluzione prussiana, che preparò la nascita del nuovo Impero tedesco, ebbe un Castelfidardo 1860 importante contraccolpo anche in Italia, determinando laFirenze risoluzioFirenze ne della cosiddetta “questione romana” e concorrendo alla definitiva unificazione del paese. Roma Roma Dopo la fallita spedizione in Aspromonte, c’era stato un altro tentativo da parte di Garibaldi di conquistare e unire Roma, sede pon-Volturno 1860 Napoli tificia, al nuovo Stato italiano. Nel 1867 il generale aveva provato di nuovo a organizzare una spedizione armata, assieme a dei volontari arruolati in Toscana. Di nuovo però Parigi aveva minacciato d’interPalermo venire e il capo del governo italiano, Urbano Rattazzi, che in unPalermo primo Milazzo 1860 Marsala tempo aveva tacitamente sostenuto l’azione dei volontari, ordinò di 1860 Calatafimi arrestare Garibaldi e condurlo in esilio a Caprera sotto scorta. Il generale non si diede per vinto: fuggì dall’isola, raccolse nuovi volontari e si avviò verso Roma; lo precedeva un drappello di pochi uomini, guidati dai fratelli Enrico (1840-1867) e Giovanni (1842-1869) Cairoli, che dovevano penetrare in città per suscitarvi un’insurrezione. La spedizione finì in modo tragico. Enrico Cairoli fu ucciso assieMilano Torino Venezia me ai suoi compagni durante gli scontri, Giovanni morì in seguito per Bologna Genova le ferite riportate. Garibaldi fu affrontato presso Mentana dai francesi che, superiori di numero e armati con un nuovo modello di fucile a Castelfidardo 1860 Firenze tiro rapido, provocarono gravi perdite tra i volontari, costringendoli a ripiegare e disperdersi.

Alla conquista di Roma Ma alla caduta di Napoleone III in seguito 1860 alla sconfitta di Sedan, ilVolturno governo italiano si ritenne svincolato dalla Convenzione firmata con il governo francese e inviò a Roma un reparto dell’esercito. Il momento era molto delicato e per evitare che sopravvenissero “inconvenienti” di qualsiasi natura, pochi giorni priMilazzo entrassero 1860 ma che i soldati Palermo piemontesi nella città del papa, l’allora Marsala presidente del Consiglio Lanza (1869-73) spedì due signifiCalatafimiGiovanni 1860 cativi telegrammi: «Raccomando massima vigilanza e custodia Mazzini. Sua fuga in questi momenti creerebbe seri imbarazzi Governo»; «Raccomando massima sorveglianza Garibaldi. Sua presenza sul continente darebbe gravi imbarazzi Governo» (Garibaldi in quel momento si trovava in Francia per combattere al fianco dei repubblicani francesi contro le armate prussiane). La scena doveva essere libera e tutto doveva essere sotto controllo, specie la presenza di coloro che del Risorgimento erano stati i promotori e gli eroi.

Napoli

Genova

Milano

Roma

Roma

Torino

Torino

Venezia

Castelfidardo 1860

Roma Volturno 1860

Palermo Marsala

Milazzo 1860

Calatafimi 1860

L’unificazione dell’Italia

Processo di unificazione Cessioni di Nizza e Savoia Annessione del Veneto, 1866 Annessione del Lazio, 1870 Volturno 1860 Battaglie

Torino

Milano Bologna

Torino Venezia

Genova

Milano Bologna

Venezia

Capitolo 32 L’unificazione della Germania e il completamento dell’unità italiana

419

La breccia di Porta Pia L’esercito piemontese, dopo aver superato una breve resistenza voluta dal papa a scopo dimostrativo – far vedere al mondo che la Santa Sede subiva un atto di violenza –, entrò in città attraverso una breccia aperta nelle mura a colpi di cannone, presso Porta Pia. Era il 20 settembre 1870. Pochi giorni dopo (2 ottobre) un plebiscito popolare decise l’annessione della città al Regno d’Italia. Nel luglio del 1871 il governo e la corte si trasferirono a Roma, che fu proclamata nuova capitale. La legge delle guarantigie L’occupazione di Roma provocò una grave tensione fra la Santa Sede e lo Stato italiano; nel tentativo di superarla, il governo approvò la cosiddetta “legge delle guarentigie” (garanzie), che fu offerta al papa per regolare i reciproci rapporti. In base a tale legge lo Stato italiano si impegnava a non interferire nella vita interna della Chiesa, riconoscendole piena libertà di svolgere la sua attività su tutto il territorio nazionale; al papa erano assicurati gli onori sovrani, il diritto di tenere proprie rappresentanze all’estero e di accogliere quelle estere presso di sé; di avere una propria guardia armata nei palazzi Vaticano e Laterano e nella villa di Castelgandolfo, che restavano di proprietà della Santa Sede e dentro i quali lo Stato italiano non poteva esercitare la sua autorità; infine, al papa era assegnata una dotazione annua di 3 milioni di lire, la stessa che prima gravava sul bilancio dello Stato pontificio. Il dissidio tra Stato e Chiesa Tutto questo era un modo per dare corpo al principio «libera Chiesa in libero Stato», enunciato nel 1861 da Cavour. Ma Pio IX, che già aveva scomunicato Vittorio Emanuele II e gli uomini di governo che avevano contribuito all’occupazione dello Stato pontificio, rifiutò l’accordo e si considerò prigioniero in Vaticano. Inoltre, per non riconoscere la legittimità del nuovo Stato, proibì ai cattolici di partecipare alla vita politica dell’Italia: direttiva che fu sintetizzata nella formula «né eletti né elettori». Il dissidio fra Stato e Chiesa durò per circa mezzo secolo e rappresentò uno degli ostacoli che impedirono al popolo italiano, in maggioranza cattolico, di prendere parte attiva alle vicende del paese.

L’apertura della breccia nelle mura di Porta Pia, 1870 [Museo Centrale del Risorgimento Italiano, Roma]

Ore 10 del 20 settembre 1870, i soldati del generale Raffaele Cadorna, dopo aver vinto la debole resistenza delle truppe pontificie, sfondano a cannonate le mura presso Porta Pia a Roma.

420

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni

Sintesi

L’unificazione della Germania e il completamento dell’unità italiana

L’ascesa della Prussia Nel corso dell’Ottocento, prese slancio l’idea dell’unificazione tra gli Stati tedeschi appartenenti alla Confederazione germanica. Su iniziativa della Prussia, nel 1834 fu istituita l’Unione doganale (cui aderì gran parte degli Stati tedeschi ma non l’Austria), che abbatté le dogane permettendo la circolazione delle merci e la creazione di un grande mercato interno. Il progetto di unità politica fu sostenuto dal re di Prussia Guglielmo I Hohenzollern, che intendeva unificare sotto il proprio regno i paesi tedeschi, con il sostegno di nobili e borghesi. Il governo fu affidato a Ottone di Bismarck. La Francia al tempo del Secondo impero In Francia Napoleone III instaurò una dittatura personale assumendo la carica di imperatore. In politica interna stimolò lo sviluppo industriale; in politica estera conquistò nuove colonie in Africa e Asia venendo però sconfitto nel tentativo di inserirsi in Messico; inoltre, procedette al taglio dell’istmo di Suez, agevolando le comunicazioni tra Europa e Oriente. Il ruolo di Napoleone III fu sostanziale nella questione romana. Dopo il 1861, i fautori dell’unione di Roma all’Italia erano divisi tra moderati e repubblicani. A questi ultimi era legato Garibaldi, che tentò di conquistare Roma ma fu respinto sull’Aspromonte dall’esercito italiano. Italia e Francia firmarono la “convenzione di settembre”, poi la capitale italiana fu spostata a Firenze (1865) e le truppe francesi iniziarono il ritiro da Roma. La guerra austro-prussiana Mentre la tensione tra Austria e Prussia cresceva,

Bismarck si alleò con l’Italia allo scopo di dividere le forze austriache su due fronti e si preparò alla guerra, che scoppiò in seguito al mancato accordo tra le potenze tedesche per la spartizione dei ducati sottratti alla Danimarca. La guerra (giugno 1861) fu brevissima: dopo meno di un mese l’Austria, sconfitta a Sadowa, si arrese. Sul fronte italiano le truppe austriache vinsero l’esercito italiano a Custoza e si imposero nella battaglia navale di Lissa; furono sconfitte solo dai volontari garibaldini in Trentino. I trattati di pace, firmati a Praga e Vienna, stabilirono il predominio della Prussia su una nuova Confederazione germanica composta da 21 Stati e la cessione di Veneto e Friuli alla Prussia, che li cedette alla Francia e infine all’Italia. La guerra franco-prussiana e la Comune di Parigi Il progetto prussiano di creare un grande impero germanico estendendo il controllo sugli Stati tedeschi provocò un conflitto con la Francia, che voleva affermare il suo primato europeo. Nel luglio 1870 scoppiò la guerra tra Francia e Prussia: in poche settimane i francesi furono sconfitti a Sedan e Napoleone III fu imprigionato. A Parigi una sollevazione popolare portò alla nascita della Terza repubblica, presieduta da Adolphe Thiers, che firmò l’armistizio con la Prussia, che ottenne Alsazia e Lorena oltre a una consistente indennità di guerra. A Parigi democratici e socialisti insorsero, appoggiati dalla Guardia nazionale, instaurando la Comune, un governo popolare di ispirazione socialista, basato su forme di giustizia sociale e di partecipazione

diretta del popolo al governo. L’esperimento fu represso dopo un paio di mesi dalle truppe inviate da Thiers. L’unificazione della Germania: il Secondo Reich Nel gennaio 1871, a Versailles il re di Prussia fu acclamato imperatore (Kaiser) del Secondo Reich, un grande Stato tedesco con capitale Berlino, retto dalla dinastia Hohenzollern, con caratteri autoritari e un forte peso dell’esercito. La struttura istituzionale era parlamentare: il potere legislativo era diviso tra il Reichstag, eletto a suffragio universale, e il Bundesrat, dove sedevano i rappresentanti degli Stati. Le basi sociali su cui poggiava lo Stato erano l’aristocrazia terriera, le industrie e le banche. Sul piano interno Bismarck cercò di limitare il peso del clero e delle classi lavoratrici. Il completamento dell’Unità d’Italia La guerra franco-prussiana ebbe dei contraccolpi in Italia, dove fu risolta la questione romana e completata l’unificazione. Dopo un altro fallimentare tentativo garibaldino di conquistare Roma (1867), in seguito alla caduta di Napoleone III il governo italiano inviò l’esercito, che entrò in città nel settembre 1870 (breccia di Porta Pia); nel luglio 1871 la capitale fu spostata a Roma. Per appianare i problemi tra Stato italiano e Santa Sede fu approvata la legge delle guarentigie, che garantiva l’impegno dello Stato italiano a non interferire nelle attività del papa, che conservava alcune proprietà e una dotazione annua a carico dello Stato. Il papa vietò ai cattolici di partecipare alla vita politica: il dissidio tra Stato e Chiesa sarebbe durato per circa mezzo secolo.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

d. Bismarck si alleò con l’Italia per le questioni territoriali che essa aveva in sospeso con l’Austria.

V

F

a. Le nuove colonie acquisite dalla Francia di Napoleone III furono: Algeria, Somalia, Indocina.

V

F

e. Il movimento di appoggio al papa nella questione romana era forte soprattutto in Italia.

V

F

b. I gruppi sociali dominanti in Prussia erano legati ai Partiti conservatore e nazional-liberale.

V

F

f. I fratelli Cairoli presero parte alla spedizione garibaldina poi fermata sull’Aspromonte.

V

F

c. Garibaldi intervenne in Francia con alcuni volontari in appoggio al governo della Comune.

V

F

g. Secondo Marx, l’episodio della Comune indicava la capacità rivoluzionaria del proletariato.

V

F

Capitolo 32 L’unificazione della Germania e il completamento dell’unità italiana

h. Nel 1866, l’esercito prussiano fece uso per la prima volta delle ferrovie.

V

F

i. L’idea dell’unificazione tedesca incontrò immediatamente il favore dei ceti principali.

V

F

l. Il Secondo Reich tedesco era stato fondato nel 962 da Ottone I di Sassonia.

V

F

V

F

n. La Kulturkampf era diretta contro il clero a difesa della natura laica dello Stato.

V

F

o. Con la convenzione di settembre l’Italia si impegnava a spostare la capitale e a non attaccare Roma.

V

F

p. La legge delle guarentigie cercò di attuare il principio «libera Chiesa in libero Stato».

V

F

q. La spedizione in Messico di Napoleone III era sostenuta anche da Austria e Prussia.

V

F

r. L’Unione doganale aveva messo in crisi il primato austriaco sulla Confederazione germanica.

V

F

m. La terza guerra d’indipendenza italiana si combatté tra 1870 e 1871.

2. Associa le seguenti date all’evento corrispondente. 16/6/1866

armistizio tra Francia e Prussia

3/7/1866

battaglia di Sadowa

23/8/1866

Roma capitale d’Italia

3/10/1866

pace di Vienna

19/7/1870

breccia di Porta Pia

2/9/1870

battaglia di Sedan

20/9/1870

inizio della guerra franco-prussiana

2/10/1870

annessione di Roma all’Italia

18/1/1871

inizio della guerra austro-prussiana

28/1/1871

nascita del Secondo Reich tedesco

luglio 1871

pace di Praga

3. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1830

1834

1848

1851

1852

1861

1862

1. Luigi Napoleone Bonaparte si fa proclamare imperatore col nome di Napoleone III 2. Guglielmo I Hohenzollern diventa re di Prussia 3. Roma diventa capitale d’Italia 4. battaglia di Sadowa 5. fucilazione dell’arciduca Massimiliano d’Asburgo in Messico 6. convenzione di settembre tra Francia e Italia 7. occupazione francese dell’Algeria

1864

1865

1866

1867

1869

1870

1871

8. si conclude il taglio dell’istmo di Suez 9. Luigi Napoleone Bonaparte scioglie il Parlamento 10. i volontari garibaldini sono fermati sull’Aspromonte dall’esercito italiano 11. Firenze diventa capitale d’Italia 12. Unione doganale tedesca 13. battaglia di Sedan 14. Luigi Napoleone Bonaparte è eletto presidente della Repubblica francese

4. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. armistizio • Bundesrat • cancelliere • comunardo • confederazione • dittatura • guarentigie • istmo • Junker • Kaiser • Reich • Reichstag • Risorgimento Unione politica tra più Stati con interessi convergenti

Movimento che mira alla riscossa politica e culturale e all’indipendenza dell’Italia

Camera tedesca eletta a suffragio universale

Nobili latifondisti tedeschi, tradizionalisti e militaristi

Titolo di Primo ministro in alcuni Stati tedeschi Lingua di terra stretta che unisce due territori di grande estensione Regime politico caratterizzato dall’accentramento di tutti i poteri in un solo organo Cessazione delle ostilità belliche in vista della stipula di un trattato di pace

Sostenitore del governo popolare instaurato a Parigi nel 1871 Impero tedesco Camera tedesca di carattere federale Garanzie Imperatore tedesco

421

422

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni

5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. Alsazia • ambasciatore • annessione • armistizio • Belgio • Bezzecca • Bismarck • Boemia • Comune • Custoza • Danimarca • ducati • Francia • Friuli • Gorizia • Holstein • indennità • Italia • Launenburg • Lissa • Lorena • Napoleone III • Parigi • Prussia • re • repubblica • Roma • Sadowa • Sedan • Schleswig • Veneto • vittoria

LE GUERRE DELLA PRUSSIA DI BISMARCK GUERRA AUSTRO-PRUSSIANA

GUERRA FRANCO-PRUSSIANA

QUANDO

16/6/1866 – 3/7/1866

19/7/1870 – 28/1/1871

DOVE

...............................................................................................................

...............................................................................................................

CONTRO CHI

Austria

Francia

ALLEANZA CON

...............................................................................................................

...............................................................................................................

PERCHÈ INIZIA

Mancato accordo per la divisione dei ................................. di .................................... sottratti alla ..........................................

Provocazione di .....................................................: diffusione della notizia che ............................................. francese era stato cacciato dal ................. di ................................................., e conseguente reazione e guerra

EPISODI SALIENTI

Rapidi successi militari: ......................................................... a.............................................; sul fronte italiano: insuccessi a ....................................................... e .............................................., ........................................ di Garibaldi a ........................................

Prevalenza militare prussiana: vittoria a ...........................; ........................................................................ è fatto prigioniero; conseguenze: Terza ............................................ francese e capitolazione e ......................................................

ESITO FINALE

• Vittoria: in ............................................................: presidente Confederazione paesi tedeschi del nord (21 Stati) • L’........................................ ottiene ......................................... e .................................................. tranne ............................................

• Vittoria: la Prussia ottiene ................................................ e .......................................... e l’.......................................... di guerra • A ........................................: governo .......................................... • A ........................................: conquista e ................................... all’......................................................

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa si intende per “questione romana”? 2. Quali erano le posizioni contrapposte? Da chi erano sostenute? 3. Quali tentativi furono compiuti da Garibaldi per conquistare Roma? Con che esito? 4. Quale fu il ruolo svolto dalla Francia? Per quale motivo? 5. Che cosa stabiliva la convenzione di settembre? Quali furono le conseguenze? 6. In seguito a quale conflitto europeo si arrivò alla soluzione della questione romana? 7. Quando e come fu conquistata Roma? Con quali conseguenze? 8. Perché fu approvata la “legge delle guarentigie”? Che cosa stabiliva? 9. Quale fu la reazione del papa? Quali conseguenze ebbe?

Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “La questione romana e il rapporto tra Stato e Chiesa”.

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Chi furono gli artefici dell’unificazione politica tedesca? Attraverso quali tappe? 2. Quale era il ruolo dell’esercito nel nuovo Stato? 3. Che cosa caratterizzò la politica estera della Prussia? Con quali conseguenze? 4. Quali parti della società prussiana sostenevano il progetto di unificazione politica? 5. Quali erano i principali partiti? Quali interessi rappresentavano? 6. Quale era il carattere dello Stato? Quale era il ruolo del Parlamento? 7. Che cosa caratterizzò le scelte dello Stato in politica interna? Con quale scopo? Con quali risultati?

Capitolo 32 L’unificazione della Germania e il completamento dell’unità italiana

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale.

ESERCITO ............................................................................... ............................................................................... ............................................................................... ...............................................................................

POLITICA INTERNA

...............................................................................

POLITICA ESTERA

...............................................................................

...............................................................................

...............................................................................

...............................................................................

...............................................................................

...............................................................................

...............................................................................

...............................................................................

...............................................................................

...............................................................................

SECONDO REICH ......................................................................................... ......................................................................................... ......................................................................................... ......................................................................................... .........................................................................................

PARTITI

PARLAMENTO

...............................................................................

...............................................................................

...............................................................................

...............................................................................

...............................................................................

...............................................................................

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BASI SOCIALI ............................................................................... ............................................................................... ............................................................................... ............................................................................... ...............................................................................

Ordina le principali informazioni ottenute con le risposte e la mappa in un testo di almeno 10 righe dal titolo “Tra conservazione e innovazione: il Secondo Reich tedesco”.

...............................................................................

423

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni

33 Le grandi potenze

Capitolo

424

tra assolutismo e liberalismo

Percorso breve In Europa, a metà dell’Ottocento, soprattutto gli Imperi d’Austria e di Russia esprimevano gli ideali dell’assolutismo monarchico. La sconfitta con la Prussia segnò il declino dell’Austria, un impero multinazionale in cui erano forti le spinte autonomistiche e le aspirazioni all’indipendenza. Nel 1867 fu riconosciuta l’indipendenza del Regno d’Ungheria e nacque il nuovo Impero austro-ungarico, costituito di due Stati con unico sovrano. La Russia degli zar era un paese economicamente arretrato, dove il 90% della popolazione era costituita da contadini e dove ancora vigeva la servitù della gleba. Alessandro II la abolì nel 1861 e diede avvio a un cauto programma di riforme, ma non volle compromettere il rapporto con i proprietari terrieri e finì per creare uno scontento generale (nel 1881 fu vittima di un attentato anarchico). Anche l’altro impero multinazionale, quello turcoottomano, attraversò una crisi profonda e a poco a poco perdette il controllo dei Balcani, mettendoli al centro delle contese fra le potenze europee (“questione d’Oriente”). Mire egemoniche furono messe in atto dallo zar di Russia, che nel 1854 attaccò l’Impero turco (guerra di Crimea). Nuovi scontri si susseguirono, fino al congresso di Berlino che nel 1878 riconobbe l’indipendenza di Romania, Serbia, Montenegro e Bulgaria, mentre la Bosnia e l’Erzegovina passavano all’Impero asburgico e Cipro all’Inghilterra. Del tutto diversa era la situazione in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, dove il XIX secolo vide trionfare la bor-

Pawel Ossipovicˇ Kowalewskij, Campagna russa dopo la rivolta del 1861, XIX sec.

ghesia industriale e, con essa, il liberalismo parlamentare. La regina Vittoria, che regnò dal 1837 al 1901, diede il tono a un’epoca in cui il Regno Unito visse la sua “età d’oro”. Negli Stati Uniti d’America si verificò un drammatico contrasto fra gli Stati del Nord, in cui prevalevano l’industria e il mercato libero del lavoro, e quelli del Sud, in cui prevaleva l’economia delle piantagioni lavorate da schiavi. La secessione del Sud provocò una sanguinosa guerra civile (1861-65) vinta dai nordisti e seguita dall’abolizione della schiavitù (anche se in vari Stati rimase una segregazione di fatto della popolazione nera). Ritrovata l’unità e la pace, gli USA fecero straordinari progressi nel campo industriale e agricolo; un’eccezionale crescita demografica, legata al flusso migratorio dall’Europa all’America, popolò le campagne di contadini e le città di manodopera industriale.

Capitolo 33 Le grandi potenze tra assolutismo e liberalismo

425

33.1 La fine dell’Impero asburgico, la nascita dell’Impero austro-ungarico L’assolutismo asburgico Tra tutte le forme di Stato presenti in Europa nella seconda metà dell’Ottocento l’esempio più emblematico di assolutismo monarchico era quello dell’Impero asburgico. La politica autoritaria e conservatrice della casa regnante d’Austria si fondava sull’appoggio della grande aristocrazia terriera e del clero cattolico, a danno degli interessi e della libertà di iniziativa dei ceti borghesi e dello sviluppo industriale del paese. La creazione di un capillare sistema amministrativo e di un efficace esercito regolare permise ai sovrani di tener unito uno Stato formato da popolazioni diverse, che aspiravano all’autonomia e all’indipendenza. Spinte autonomistiche In questo impero multinazionale, le rivolte di ungheresi, boemi e italiani scoppiate nel 1848 [ 22.3] per ottenere libertà politica e riforme costituzionali furono tutte soffocate dalle forze militari, che ripresero saldamente il potere. Gli ungheresi, che si erano liberati dai legami con gli Asburgo di Vienna proclamando la repubblica, dovettero arrendersi all’intervento delle forze dello zar di Russia, accorse su richiesta del governo viennese. Questa situazione cambiò radicalmente dopo la guerra che oppose Austria e Prussia nel 1866 [ 32.3] e che si risolse con la sconfitta delle forze imperiali asburgiche. In seguito alle gravi perdite subite (il distacco dei paesi tedeschi e della regione veneta) l’Austria si trovò indebolita nella potenza e nel prestigio, non più in condizione di mantenere saldamente unito l’impero: gli ungheresi (o magiari, uno dei gruppi nazionali più numerosi) da tempo chiedevano l’indipendenza da Vienna; i boemi mal sopportavano il governo asburgico; i serbi, i croati e gli sloveni erano poco disposti a convivere con gli austriaci e tanto meno ad accettarne la supremazia politica. Il Regno d’Ungheria Costretto a tener conto di queste esigenze di libertà, l’imperatore Francesco Giuseppe scelse una politica di compromesso e il 21 dicembre 1867 riconobbe il Regno d’Ungheria come Stato indipendente, pur se collegato all’Austria nella politica estera, nelle finanze e nelle questioni di guerra, oltre che nel riconoscimento della persona dell’imperatore asburgico come unico sovrano dei due paesi. Da allora, l’aquila con due teste tra un’unica corona diventò l’emblema dei due regni congiunti in un solo sovrano.

Giubileo del 50° anno di governo di Sua Maestà l’imperatore Francesco Giuseppe, 1898 [Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli, Milano]

Questa oleografia ritrae Francesco Giuseppe con le insegne del potere e otto scene della sua vicenda politica e umana.

426

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni Principali gruppi etnici nell’Impero austro-ungarico Nell’Impero austro-ungarico si parlavano ben 11 lingue diverse (tedesco, ungherese, rumeno, slovacco, croato, serbo, polacco, ucraino, ceco, italiano, sloveno) e si professavano 5 diverse confessioni religiose (cattolica, protestante, ortodossa, ebraica, musulmana). Dopo la divisione dell’impero in due monarchie, la parte soggetta al governo austriaco (la cosiddetta Cisleitania) contava circa 20 milioni di abitanti mentre la parte soggetta al governo di Budapest (la Transleitania) ne contava circa 14,5 milioni.

italiani 3%

ucraini 12,6%

croati 8,8%

slovacchi 9,4%

tedeschi 9,8%

polacchi 17,8 tedeschi 35,6% ungheresi 48%

rumeni 14%

cechi 23%

Area austriaca

Area ungherese

L’Impero austro-ungarico Si formò così in Europa una nuova entità politica, l’Impero austro-ungarico, costituito da due Stati con diverse popolazioni e diverse lingue, ciascuno con un proprio governo e Parlamento, l’uno con capitale Budapest, l’altro con capitale Vienna. Anche le popolazioni di lingua slava – serbi, sloveni, croati – avanzarono il progetto di dar vita a una formazione statale autonoma, ma l’opposizione ungherese impedì che il progetto si attuasse. La formazione dell’Impero austro-ungarico segnò un radicale cambiamento nella politica espansionistica di Vienna. In precedenza orientata verso il Centro Europa, da quel momento essa prese a dirigersi verso le zone danubiane e i Balcani: regioni a cui mirava, da tempo, anche la Russia.

33.2 La crisi dell’Impero ottomano e la “questione d’Oriente” La questione d’Oriente Il declino dell’immenso Impero ottomano, iniziato già nel Settecento, subì nell’Ottocento una rapida accelerazione. L’impossibilità di tenere insieme e controllare tante regioni così profondamente diverse tra loro per usanze, costumi, lingue, religioni, e che inoltre, in molti casi, reclamavano autonomia e indipendenza, condusse l’Impero turco-ottomano a una grave crisi. La fragilità imperiale ben presto attirò le mire egemoniche dei paesi europei (della Russia in primo luogo) e diede inizio alla cosiddetta “questione d’Oriente”, che si sarebbe protratta per tutto il XIX secolo. Al centro del conflitto vi era il controllo della penisola balcanica, punto strategico per l’accesso al Mediterraneo e il predominio dei traffici del Mar Nero verso l’India e l’Asia centrale.

I modi della storia

L’aquila con due teste nuovo simbolo degli Asburgo

In seguito alle sconfitte subite nel 1859 (Solferino e San Martino) e nel 1866 (Sadowa) l’Impero asburgico perdette gran parte dei suoi territori (il Lombardo-Veneto e la Germania) e per sopravvivere fu costretto a concedere l’autonomia all’Ungheria. In tal modo l’Impero asburgico cessò di essere una monarchia unitaria

e si trasformò in una monarchia formata da due regni – l’Austria e l’Ungheria – uniti nella persona dell’imperatore d’Austria. L’aquila con due teste è appunto l’emblema dei due regni congiunti in un solo sovrano. Aquila bicefala asburgica

Capitolo 33 Le grandi potenze tra assolutismo e liberalismo Dall’indipendenza greca alla guerra di Crimea Allo scoppio dei primi moti indipendentisti del 1820, la vastità territoriale dell’Impero ottomano era ancora intatta ma la conquista dell’indipendenza da parte della Grecia e l’autonomia ottenuta dalla Serbia e dai Principati di Valacchia e di Moldavia [ 20.2] accelerarono il processo di indebolimento imperiale, aprendo la strada a un’ingerenza sempre maggiore delle potenze europee. Il conflitto per impadronirsi dei domìni turchi poteva esplodere da un momento all’altro e per questo Russia, Inghilterra, Francia e Austria strinsero vari accordi tra il 1840 e il 1841, per evitare il crollo dell’impero e la corsa alla conquista. Ma non bastò. Nel 1854 lo zar di Russia, desideroso di ottenere uno sbocco sul Mediterraneo e il controllo dello stretto dei Dardanelli, attaccò l’Impero turco dando inizio alla guerra di Crimea [ 25.3]. Subito, nel timore di una vittoria zarista, si schierarono al fianco della Turchia la Francia e l’Inghilterra (cui poco dopo si aggiunse il Piemonte, ma non l’Austria, che rimase neutrale). La presa di Sebastopoli nel 1855 segnò la fine del conflitto e la sconfitta della Russia. Il congresso di Parigi dell’anno successivo ripristinò la situazione precedente alla guerra e la Turchia rimase nominalmente a capo di Serbia, Moldavia e Valacchia, che nel 1859 si sarebbero unite nello Stato di Romania.

Budapest

Fallite neutralità europee e nuove guerre Un nuovo patto di non belligeranza, voD va luto da Bismarck, fu stipulato nel 1873 tra Russia, Austria e Germania per mantenererain equilibrio la situazione dei singoli Stati ma la questione d’Oriente riaccese di nuovo le ostilità tra Russia e Austria. L’occasione fu fornita da una serie di rivolte indipendentiste

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BOS NIA I Balcani nel 1878Belgrado - ER ZEG OVIN A

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Budapest

427

Istanbul

Salonicco

Atene

Sakarya MAR IONIO I A E C G R

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Smirne

Atene

Impero ottomano Territori occupati dall’Austria-Ungheria Annessioni: al Montenegro, alla Serbia, alla Romania, alla Russia CRETA

Impero ottomano

428

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni che tra il 1875 e il 1876 scoppiarono in Bulgaria, in Bosnia e in Erzegovina contro i dominatori turchi. La Russia intervenne nel conflitto e sconfisse in poco tempo le truppe imperiali ottomane, ottenendo un netto vantaggio sulla penisola balcanica rispetto agli altri paese europei.

Il congresso di Berlino A quel punto fu convocato a Berlino un congresso internazionale (1878) in cui Bismarck, con il ruolo di presidente e mediatore, riuscì a ridimensionare l’espansione territoriale russa mentre l’Impero ottomano dovette riconoscere l’indipendenza della Romania, della Serbia, del Montenegro e della Bulgaria. L’Impero austro-ungarico acquisì il controllo della Bosnia e dell’Erzegovina; all’Inghilterra andò l’isola di Cipro. L’Impero ottomano poco alla volta stava perdendo gran parte dei territori e restringeva la sua sfera d’influenza a un’area sempre più piccola. La questione d’Oriente era però ancora lontana dall’essere risolta e si sarebbe trascinata fino alla Prima guerra mondiale.

I modi della storia

La guerra di Crimea e il giornalismo di guerra

In seguito all’invenzione del telegrafo (1837) l’importanza della stampa crebbe considerevolmente, diventando uno strumento decisivo nella costruzione del consenso o del dissenso sociale. Essa poteva fornire notizie pressoché immediate sui fatti che accadevano nel mondo, influendo in modo diretto ed efficace sui giudizi e sugli atteggiamenti dei lettori, interessarli ad avvenimenti lontani che fino ad allora non avevano potuto attrarre l’attenzione dell’opinione pubblica. Il giornalismo di guerra, in particolare, accrebbe la partecipazione a vicende che, vissute “in presa diretta”, prendevano una inedita corposità e coinvolgevano vivamente sul piano emotivo. Il primo caso di una guerra seguita e raccontata giorno dopo giorno attraverso i giornali fu la guerra di Crimea, combattuta tra il 1853 e il 1856 tra la Russia da una parte, l’Impero ottomano, la Francia e l’Inghilterra dall’altra, con l’appoggio di un corpo di spedizione piemontese. Il pubblico londinese poteva seguire l’evolversi delle operazioni attraverso le corrispondenze quotidiane sul «Times» di W.H. Russell (1820-1907) e di altri giornalisti. In questo modo poté essere avvicinato a un evento inizialmente poco comprensibile, che solo grazie alla stampa poté diventare popolare e acquistare l’appoggio del paese. Nei decenni successivi il giornalismo di guerra diventò uno dei punti di forza del-

Militari costruiscono una linea ferroviaria a Balaklava in Crimea [foto di Roger Fenton]

la diffusione della stampa. Anche celebri scrittori vi si cimentarono: Alexandre Dumas (1802-1870), l’autore dei Tre moschettieri, scrisse per i giornali francesi molte corrispondenze sulle imprese di Garibaldi. A metà dell’Ottocento anche la fotografia cominciò a essere utilizzata per documentare le campagne di guerra. Su richiesta del governo britannico, nel 1853 la Royal Photographic Society inviò in Crimea Roger Fenton (1829-1869) che, con

oltre 300 scatti, documentò il conflitto e divenne il primo fotoreporter di guerra della storia. Il milanese Stefano Lecchi (1804-1863) fissò in alcune immagini gli ultimi giorni degli scontri che portarono alla fine della Repubblica romana [ 24.4]. Verso la fine del secolo le fotografie cominciarono a essere inserite nelle pagine dei giornali, che assunsero un carattere documentario – e persuasivo – ancora più efficace.

Capitolo 33 Le grandi potenze tra assolutismo e liberalismo

33.3 L’Impero russo degli zar L’assolutismo zarista e l’arretratezza del paese Nella Russia degli zar l’assolutismo monarchico rimase intatto nonostante i tentativi di rivolta degli inizi dell’Ottocento (come quello decabrista, 20.2) e le richieste di riforma avanzate da più parti dopo la guerra di Crimea (che aveva mostrato tutta l’arretratezza della Russia). Il grande sviluppo intellettuale del paese – che nel XIX secolo vide fiorire artisti e scrittori del calibro di Nikolaj Gogol (1804-1852), Ivan Turgenev (1818-1883), Lev Tolstoj (18281910), Fedor Dostojevskij (1821-1881) – strideva bruscamente con il clima politico e con la situazione economica e sociale: l’agricoltura era l’attività prevalente nel paese (secondo il censimento del 1897, il 90% della popolazione era costituito di contadini) ma si svolgeva in forme antiquate, senza alcun investimento o tentativo di modernizzazione. I contadini erano ancora soggetti alla servitù della gleba, già abolita in tutti gli altri paesi europei, e ciò provocava frequenti insurrezioni fra le masse rurali. La servitù del resto (stabilita per legge dello Stato) era estesa a gran parte della popolazione, minatori, operai, artigiani. Le riforme di Alessandro II Solo nel 1861 lo zar Alessandro II (1855-81), dopo aver varato una serie di riforme con lo scopo di modernizzare il paese, decise finalmente di abolire la servitù della gleba, restituendo ai contadini la libertà personale e consentendo loro di riscattare le terre che lavoravano. Ma l’assegnazione delle terre avvenne in modo contraddittorio, tentando di salvaguardare gli interessi della grande aristocrazia agraria: ne derivarono malcontenti e ribellioni che furono duramente represse. Autocrazia e populismo Il clima politico degradò rapidamente e le speranze liberali che il nuovo zar aveva alimentato nel paese rimasero deluse. La diffusione in Russia del movimento anarchico [ 29.3] e del cosiddetto “populismo”, che propugnava la necessità di “avvicinarsi al popolo” per elevarlo dalla sua miseria materiale e morale, fu un segno della profonda scollatura creatasi fra il sovrano e i suoi sudditi. A questo punto l’assolutismo di Alessandro II assunse forme esasperate, divenendo una vera e propria autocrazia contro cui si scagliarono sia i “populisti”, sia gruppi di cospiratori antizaristi, sia gli anarchici. Nel 1881 lo zar rimase vittima di un attentato compiuto per strada da un anarchico. Dopo la sua morte, la politica autoritaria della monarchia si inasprì ulteriormente. Contadini russi, XIX sec. In questa stampa sono rappresentati dei contadini russi in abiti festivi. Il 90% della popolazione russa era formata da contadini soggetti alla servitù della gleba fino a che Alessandro II non decise di abolirla.

Memo

Servitù della gleba Con questa espressione si intendeva il vincolo di un contadino alla terra che coltivava e (indirettamente) al proprietario di quella terra. Il “servo della gleba” poteva quindi essere venduto e comprato assieme alla terra. Un vincolo di questo tipo fu istituito per la prima volta nel periodo romano tardo-imperiale (III secolo), per fissare tutti i lavoratori (non solo i contadini) al proprio mestiere e garantire allo Stato un gettito fiscale stabile. Nel Medioevo, con il disgregarsi dell’autorità statale, la consuetudine a poco a poco si perdette, poi riprese dal XII secolo sotto forma di patto privato tra proprietari e contadini. Dal XVII secolo in poi riapparve come legge di Stato in diversi paesi europei, soprattutto dell’Est. La Russia fu l’ultimo paese ad abolirla. Paradossalmente si può dire che solo un libero poteva essere servo della gleba. Egli infatti non era servo “nella persona”, bensì rispetto al luogo in cui viveva e lavorava.

429

430

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni

33.4 La Gran Bretagna liberale Un paese all’avanguardia Agli inizi dell’Ottocento l’Inghilterra godeva di una situazione privilegiata rispetto agli altri Stati del continente: già da tempo si era data una chiara forma costituzionale, con saldi ordinamenti parlamentari all’interno di un regime monarchico ben incardinato nel tessuto sociale. I princìpi fondamentali del liberalismo [ 9.1] erano condivisi da entrambi gli schieramenti del Parlamento e il paese era in pieno fermento industriale, con livelli di sviluppo ineguagliati nel resto del mondo. La Restaurazione non ebbe effetti di particolare clamore nel paese, se non la riaffermazione del potere della nobiltà terriera e degli alti prelati anglicani, rappresentati dall’ala conservatrice del partito Tory, che si rese responsabile di una serie di “leggi sul grano” (le Corn laws, 19.2) che scatenarono accesi dibattiti ma, soprattutto, il malcontento delle masse popolari, che più volte insorsero perché il dazio imposto sull’importazione di cereali ne manteneva elevato il costo, e degli industriali, che vedevano minacciata la crescita delle loro imprese (perché il dazio provocava, nei paesi stranieri, l’imposizione di tariffe doganali che a loro volta ostacolavano l’esportazione di prodotti inglesi).

La regina Vittoria e Disraeli, XIX sec. In questa stampa sono rappresentati la regina Vittoria e il Primo ministro Disraeli, artefici di una stagione di riforme e ammodernamenti. Durante il lungo regno di Vittoria, la monarchia inglese raggiunse grande prestigio e popolarità e la regina divenne il simbolo dell’orgoglio nazionale.

Riforme liberali Il Regno Unito seppe comunque tener conto, pur fra molte contraddizioni, della nuova realtà sociale rappresentata dalle masse operaie e dalle loro rivendicazioni. Ciò era apparso chiaro già negli anni venti del XIX secolo, quando nelle file del partito conservatore dei Tories si affermò l’ala più aperta, capeggiata da George Canning (1770-1827) e Robert Peel (1788-1850): nel 1824 il governo inglese riconobbe per la prima volta il diritto degli operai di riunirsi in associazioni (le Trade Unions, 18.2 e 29.3). Nel 1832 una nuova legge elettorale allargò il diritto di voto, anche se l’idea di adottare il suffragio universale, proposta dal cosiddetto “movimento cartista” nato all’interno delle associazioni sindacali, non trovò seguito. Nel 1833 fu varata la legge sul lavoro nelle fabbriche; nel 1834 la legge sui poveri. Nel decennio successivo, fu proprio il governo presieduto dal Tory Robert Peel a deliberare l’abolizione del dazio sulle importazioni di grano (1848), rispondendo alle richieste della popolazione urbana e rurale e della borghesia industriale. L’Inghilterra vittoriana La politica di riforme promossa dal governo inglese, unita alla capacità di mediare tra le parti sociali in conflitto, riuscì a evitare che nel Regno Unito scoppiassero quei moti insurrezionali che nel resto d’Europa stavano scuotendo dalle fondamenta le monarchie. La scelta liberale e liberista costituì il filo rosso dei governi che si succedettero in Gran Bretagna durante il lunghissimo regno della regina Vittoria (1837-1901) e a tal punto la regina si identificò con il clima sociale e culturale del tempo, da far parlare gli storici di un’età “vittoriana”, termine che nell’uso è diventato quasi sinonimo di “borghese”. Il ventennio 1848-66 fu caratterizzato dalla presenza quasi ininterrotta dei liberali (Whigs) alla guida del governo, in un clima di grande stabilità politica e di boom economico e industriale, che fecero degli anni centrali dell’Ottocento una sorta di “età dell’oro” della storia britannica. Nel 1865 il Primo ministro William Gladstone (1809-1898) propose una ulteriore estensione del diritto di voto, provocando la caduta del governo liberale e il ritorno al potere dei conservatori, guidati da Benjamin Disraeli (1804-1881): ma fu lo stesso Disraeli a varare, nel 1867, una riforma elettorale ancora più avanzata di quella proposta dal suo predecessore, a dimostrazione della sostanziale condivisione di ideali politici e sociali all’interno del paese, nonostante le rivalità elettorali. Nel 1871 il governo riconobbe con un atto formale lo statuto legale delle Trade Unions; l’anno dopo fu accolta la richiesta del movimento cartista di introdurre il voto segreto nelle elezioni; l’istruzione divenne uno dei punti chiave dell’azione governativa e la Gran Bretagna riuscì in un tempo relativamente breve ad abbattere la percentuale di analfabeti nel regno.

Capitolo 33 Le grandi potenze tra assolutismo e liberalismo

431

Emigranti arrivano in America a bordo della nave Westernland, 1890 ca. L’emigrazione verso l’America fu un movimento antico ma fu incentivato e sollecitato dallo stesso Abraham Lincoln nel XIX secolo. Il “sogno americano” per alcuni fu la effettiva realizzazione dei propri desideri e di una condizione di vita migliore, ma per molti rimase una mera illusione.

33.5 Dall’Europa agli Stati Uniti, in cerca di libertà e fortuna Un grande sviluppo demografico La seconda metà dell’Ottocento fu un periodo di avvenimenti cruciali non solo per l’Europa ma anche per gli Stati dell’Unione nel Nord America. La corsa alla conquista dell’Ovest, iniziata nei primi decenni del 1800 [ 21.4], continuò senza sosta per tutto il secolo, sostenuta da un grande fenomeno di migrazione di massa che portò milioni di persone ad abbandonare i paesi dell’Europa e ad attraversare l’Oceano Atlantico. Fu così che la popolazione degli Stati Uniti, da circa 5 milioni all’inizio dell’Ottocento, salì a 39 milioni nel 1870 e alla fine del secolo toccò i 100 milioni. Trent’anni dopo aveva superato i 120 milioni. Mai nella storia si era visto un fenomeno di tale portata. L’emigrazione degli europei Il movimento migratorio aveva origini lontane, che risalivano ai tempi del viaggio di Colombo (1492); esso era poi continuato nel Seicento e nel Settecento, dando luogo a insediamenti coloniali spagnoli e portoghesi nel centro-sud dell’America, inglesi e francesi nel nord. Si era però sempre trattato di gruppi poco numerosi: si calcola che sul finire del XVIII secolo nell’America del Nord vi fossero poco più di 4 milioni di europei, assai pochi se si pensa alla vastità dei territori. Nell’Ottocento la migrazione si fece intensissima e rapida. Non era, come nei secoli precedenti, un movimento di colonizzazione o di conquista, ma un flusso di gente che si recava in America in cerca di fortuna e di migliori condizioni di vita. Gente che, inizialmente, proveniva soprattutto dai paesi industrializzati, dove lo sviluppo economi-

432

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni co e la diffusione del benessere si accompagnavano a fenomeni drammatici di povertà e di emarginazione sociale. Fino al 1880 circa, a emigrare furono prevalentemente inglesi, irlandesi (colpiti dalla terribile carestia di patate del 1845-46, 22.1), tedeschi. Tra il 1860 e il 1880, nel periodo di più intensa colonizzazione dell’Ovest, arrivarono anche scandinavi, olandesi, francesi, svizzeri. Tutti cercavano libertà, benessere e quella “felicità” che la Costituzione americana prometteva ai cittadini dello Stato [ 11.5].

Il “sogno americano” Il “sogno americano” fu sollecitato dallo stesso governo degli Stati Uniti: nel 1861 il neoeletto presidente Abraham Lincoln (1861-65) promulgò l’Homestead Act (‘legge sulla proprietà’), un provvedimento che prevedeva la concessione di 160 acri di terre pubbliche (circa 65 ettari) a chiunque si assumesse l’impegno di metterli a coltura. Ma non era solo l’agricoltura a essere in espansione e a offrire migliori prospettive di vita: anche il processo di industrializzazione del paese assicurava lavoro a molti come operai nelle fabbriche. Decisivo in questo senso fu l’incremento della ferrovia, vero segnale dell’espansione industriale: dai 30 km di rete ferroviaria del 1830 si passò ai 53.000 del 1860 e fu sempre Lincoln a volere la realizzazione della prima linea ferroviaria transcontinentale, che nel 1869 mise in comunicazione la costa orientale del continente con quella occidentale. Popolamento rurale e urbano Dopo il 1880 la natura del flusso migratorio dall’Europa all’America cambiò radicalmente: per la maggior parte, gli immigrati non provenivano più dai paesi industrializzati del Nord (come era avvenuto fino ad allora) ma dai paesi poveri del Sud e dell’Est. Milioni di italiani, greci, ungheresi, polacchi giunsero negli Stati Uniti, proprio quando la disponibilità di terre da colonizzare stava esaurendosi. Pertanto essi andarono a popolare soprattutto le città, faticando assai più dei primi immigrati a trovare lavoro e a inserirsi nella società locale. Di qui nacquero

L’emigrazione transoceanica dall’Europa su base decennale tra il 1851 e il 1930 1851-60

1861-70

1871-80

1881-90

1901-10

1911-20

1921-30

31.000

40.000

46.000

248.000

440.000

1.111.000

418.000

61.000

1000

2000

2000

21.000

16.000

30.000

21.000

33.000

Danimarca



8000

39.000

82.000

51.000

73.000

52.000

64.000

Finlandia







26000

59000

159000

67000

73000

27.000

36.000

66.000

119.000

51.000

53.0000

32.000

4000

671.000

79.000

626.000

1.342.000

527.000

274.000

91.000

564.000

5000

27.000

168.000

992.000

1.580.000

3.615.000

2.194.000

1.370.000

Paesi Bassi

16.000

20.000

17.000

52.0000

24.000

28.000

22.000

32.000

Norvegia

36.000

98.000

85.000

187.000

95.000

191.000

62.000

87.000















634.000

45.000

79.000

131.000

185.000

266.000

324.000

402.000

995.000





58.000

288.000

481.000

911.000

420.000



3000

7000

13.000

572.000

791.000

1.091.000

1.306.000

560.000

17.000

122.000

103.000

327.000

205.000

324.000

86.000

107.000

6000

15.000

36.000

85.000

35.000

37.000

31.000

50.000

1.313.000

1.572.000

1.849.000

3.259.000

2.149.000

3.150.000

2.587.000

2.151.000

Austria-Ungheria* Belgio

Francia Germania Italia

Polonia Portogallo Russia Spagna Svezia Svizzera Gran Bretagna e Irlanda

1891-1900

* Dal 1921, la sola Repubblica d’Austria [da B.R. Mitchell, International Historical Statistics. Europe 1750-1993, London 19984, p. 129]

Capitolo 33 Le grandi potenze tra assolutismo e liberalismo

433

nel paese forti tensioni, che più tardi (a iniziare dal 1917) portarono a provvedimenti legislativi che limitarono e sottoposero a un più stretto controllo l’immigrazione. Il risultato di questa lunga vicenda fu che tra il 1800 e il 1930 qualcosa come 40 milioni di europei attraversarono l’Atlantico e si trasferirono negli Stati Uniti, contribuendo in maniera decisiva alla straordinaria crescita demografica del paese. A essi si aggiunsero centinaia di migliaia di asiatici, soprattutto cinesi e giapponesi.

33.6 Le guerre indiane Resistenza e annientamento dei “nativi” L’espansione territoriale dei coloni europei avvenne ai danni delle popolazioni indigene [ 21.4]. Le tribù sioux, oglala, cheyennes, arapaho, kiowa, comanches, navaho, apaches difesero a oltranza i propri territori e la propria indipendenza, nelle vaste praterie fra il Dakota e l’Arizona: in una serie di guerre combattute tra il 1862 e il 1890, alcuni leggendari capi indiani opposero una strenua resistenza all’avanzata dei coloni. Qualche sporadica vittoria – come quella del 25 giugno 1876 presso le rive del fiume Little Big Horn, in cui i sioux di Toro Seduto e Cavallo Pazzo annientarono un reparto di uomini guidato dal generale George Custer (1839-1876) – non poté nulla contro la superiorità militare e gli inganni degli avversari, che si vantarono di aver portato la civiltà in quelle lande selvagge. «L’uomo bianco ha invaso la mia terra» Esemplari sono a riguardo le parole di Toro Seduto che testimoniano i soprusi che i pellirosse d’America subirono durante l’avanzata dei bianchi nei loro territori: «Quando mai un patto, a cui i bianchi abbiano tenuto fede, è stato infranto dai pellirosse? Mai una volta. Quando mai gli uomini bianchi hanno tenuto fede a un patto concluso con noi pellirosse? Mai una volta. L’uomo bianco ha invaso la mia terra e mi ha perseguitato. L’uomo bianco mi ha costretto a combattere per i miei territori di caccia. L’uomo bianco mi ha costretto a ucciderlo, per evitare che lui uccidesse i miei amici, le mie donne, i miei bambini. Quale legge ho mai violato? È forse ingiusto che io ami ciò che è mio? Sono forse malvagio perché la mia pelle è rossa, perché sono pronto a morire per il mio popolo e la mia terra?». Nel corso di quelle vicende la civiltà indiana e i suoi valori andarono irrimediabilmente distrutti e sopravvivono oggi solamente nei musei etnografici dedicati ai “nativi”.

Toro Seduto, capo sioux, seconda metà XIX sec.

Amos Bad Heart Buffalo, La battaglia di Little Big Horn, fine XIX sec. Il 25 giugno 1876 i più grandi capi sioux con tutte le loro tribù annientarono un intero reparto dell’esercito statunitense comandato dal generale Custer presso il fiume Little Big Horn. In questo disegno il capo sioux Cavallo Pazzo (al centro) uccide un ufficiale del 7° reggimento cavalleria.

434

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni

Le vie della cittadinanza

L

Melting pot

a larghissima confluenza di immigrati che si riversarono negli Stati Uniti tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento – a cui si aggiunsero i milioni di africani liberati dalla schiavitù e divenuti cittadini a pieno diritto dello Stato – conferì alla nazione americana un carattere nuovo, assolutamente inedito: gli Stati Uniti, garantendo a tutti gli immigrati il rispetto delle proprie tradizioni, della propria cultura, della propria religione, si trasformarono in un paese multi-centrico, multi-etnico, multi-culturale, improntato, almeno sul piano ideologico, ai princìpi illuministi della libertà e della tolleranza. Un paese che storici e sociologi si sono poi abituati a definire melting-pot, un “crogiuolo” che fonde e mescola i popoli e le culture. La convivenza tra le varie popolazioni si rivelò, in effetti, spesso difficile: rivalità e scontri razziali hanno segnato da allora, e fino a oggi, la storia del paese. Ciò non toglie che esso abbia messo in pratica il più straordinario esperimento di coesistenza

Compravendita di schiavi nella Virginia, 1852 Il commercio transoceanico degli schiavi fu ufficialmente abolito nel 1808; quando l’Africa cessò di essere la principale fonte di approvvigionamento della manodopera schiavile per le piantagioni degli Stati del Sud, iniziò un vivace commercio degli schiavi esistenti (alla metà del XIX secolo il numero dei neri ammontava a circa il 60% della popolazione del Sud), venduti in vere e proprie aste pubbliche come quella riprodotta nell’immagine.

pacifica che la storia abbia conosciuto: decine e decine di fedi religiose (oggi se ne contano oltre cinquanta, senza contare le sètte minori), centinaia e centinaia di gruppi etnici vi si sono incrociati e confrontati, anche duramente, ma con un sostanziale rispetto delle libertà individuali e del sistema democratico di governo. In questa prolungata apertura al mondo esterno, in questa disponibilità ad assorbire e integrare ogni forma di contributo che potesse arricchire la vita economica, politica e culturale del paese è da riconoscere il segreto della vitalità eccezionale mostrata dagli Stati Uniti fra XIX e XX secolo. Mettendo a frutto le esperienze e le forze della vecchia Europa e di altri continenti, essi seppero proporsi – con sempre maggiore convinzione e credibilità – come il nuovo centro del mondo.

Manifestazione per il giorno di San Patrizio a St Paul, Minnesota (USA) [© Annie Griffiths Belt/Corbis]

Particolarmente caratterizzata dal punto di vista culturale, la comunità irlandese si è ben radicata nel Nuovo Mondo, impiantando costumi e tradizioni tipici della madrepatria. Oggi, la tradizionale festa di san Patrizio, il santo protettore dell’Irlanda, è fra le feste più amate negli Stati Uniti ed è talmente sentita tra la popolazione di alcune città da rappresentare uno dei momenti folcloristici più appariscenti dell’anno.

33.7 L’America tra liberalismo e protezionismo Schiavismo a Sud, industrializzazione a Nord Pur avendo condiviso la grande avventura del Far West, gli Stati dell’Unione erano profondamente diversi sul piano sociale e avevano interessi economici contrastanti. Nelle regioni meridionali prevaleva un’economia di tipo agricolo: soprattutto erano sviluppate le piantagioni di cotone, tabacco, canna da zucchero. In queste piantagioni, alle dipendenze di grandi e medi proprietari terrieri, lavoravano migliaia di schiavi, che si continuavano a catturare in Africa e a vendere oltre Atlantico nonostante il loro commercio fosse stato proibito già dagli inizi del secolo (dal Parlamento inglese nel 1808, dal Congresso di Vienna nel 1815). Attorno al 1850, gli schiavi di origine africana costituivano fino al 60% della popolazione degli Stati del Sud. Il loro sfruttamento interessava tutte le proprietà, sia grandi sia piccole. Nelle regioni settentrionali, invece, la schiavitù era pressoché sconosciuta, poiché la vita economica si basava prevalentemente sull’industria metallurgica e tessile (rispettivamente in Pennsylvania e lungo la costa nord-orientale), la cui mano d’opera era costituita da operai salariati di condizione libera. Salariati erano anche i lavoratori delle grandi aziende cerealicole che negli Stati centro-settentrionali (soprattutto il Michigan e l’Illinois) affiancavano le industrie in costante crescita. Proteggere il mercato o liberalizzarlo? Questa diversità di situazione fece nascere tra gli Stati del Nord e quelli del Sud un crescente dissidio di idee e di interessi. Gli Stati del Nord sostenevano l’abo-

Capitolo 33 Le grandi potenze tra assolutismo e liberalismo

435

lizione della schiavitù, per motivi morali e religiosi (l’uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio) e anche per motivi economici, poiché dalle masse di schiavi, una volta resi liberi, l’industria avrebbe potuto trarre abbondante mano d’opera a basso prezzo. Gli Stati del Sud volevano invece conservare la schiavitù, su cui si basava la ricchezza dei proprietari terrieri. Inoltre, gli industriali delle regioni settentrionali si battevano in Parlamento e al governo per far approvare dazi e dogane sulle importazioni, allo scopo di proteggere i loro prodotti dalla concorrenza europea. Contro queste imposizioni erano invece schierati gli agricoltori del Sud, per i quali era vantaggioso non avere ostacoli doganali all’esportazione dei prodotti agricoli. Macchine a vapore e industrializzazione

Macchine a vapore e industrializzazione 1840 Gran Bretagna

1860

1870

1880

1888

1896

620

2450

4040

7600

9200

13.700

Germania

40

850

2480

5120

6200

8080

Francia

90

1120

1850

3070

4520

5920

Belgio

40

160

350

660

810

1180

Russia

20

200

920

1740

2240

3100

Italia

10

50

330

500

830

1520

760

3470

5590

9110

14.400

18.060

1650

9380

18.460

34.150

50.150

66.100

Stati Uniti Totale

La tabella illustra la potenza totale delle macchine a vapore (espressa in migliaia di cavalli-vapore) e il rapido sviluppo industriale di alcuni paesi, con l’eccezionale primato di Stati Uniti e Gran Bretagna. Negli Stati Uniti, soprattutto le regioni settentrionali furono interessate dal boom industriale, che richiedeva molta manodopeC per questo gli A ra salariata. Anche Territorio di l’aboliStati del Nord sostenevano zione della WASHINGTON schiavitù, che avrebbe Territorio del “liberato“ nuova manodopera MONTANA OREGON Territorio dell'IDAHO

33.8 La guerra di secessione americana

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NEVADA San Francisco

La secessione Il contrasto tra il Nord e il Sud degli Stati dell’Unione, che era un contrasto su due modi opposti di immaginare il futuro del paese, si aggravò quando fu eletto presidente degli Stati Uniti Lincoln (1860), esponente del Partito repubblicano (il più vicino agli interessi dei grandi industriali) che non faceva mistero né della sua avversione alla schiavitù (di cui auspicava l’abolizione o, almeno, la limitazione) né, soprattutto, della sua fede “unionista”, essendo un convinto sostenitore dell’Unione degli

Territorio Territorio dello UTAH del COLORADO

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Stati dell’Unione Stati confederati

La guerra civile americana, E S 1861-65 OCEANO S PACIFICO

Stati dell’Unione Stati confederati Stati schiavisti unionisti Territori liberi Antietam 1862 Battaglie C. = Connecticut D. = Delaware Md. = Maryland M. = Massachusetts N.H. = New Hampshire N.J. = New Jersey Pa. = Pennsylvania R.I. = Rhode Island Vt. = Vermont W.Va. = West Virginia

I

C

436

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni Stati federali contro il prevalere delle singole aspirazioni autonomistiche, sostenute dai confederalisti (storicamente più forti nel sud). Gli Stati del Sud gridarono alla provocazione e si ribellarono: undici di essi si dichiararono autonomi e si ritirarono dall’Unione, riunendosi in una nuova entità politica che chiamarono Stati confederati d’America (18 febbraio 1861). La capitale fu fissata a Richmond in Virginia; come presidente fu eletto Jefferson Davis (1861-65).

La guerra civile La secessione fu dichiarata illegittima e provocò l’immediato intervento del governo: fu la guerra civile, detta “guerra di secessione”, che insanguinò gli Stati Uniti dal 1861 al 1865. Dapprima prevalsero le truppe sudiste, comandate dal generale Robert Lee (18071870), che riportarono diversi successi e avanzarono su Washington. Ma a Gettysburg (luglio 1863) l’offensiva fu fermata, i nordisti penetrarono in territorio sudista e con la flotta bloccarono le coste. I confederati attesero invano un appoggio da parte degli in-

Aa Documenti La guerra come lezione di pace: il proclama del presidente Lincoln Il 4 luglio 1861, a guerra civile iniziata, il presidente Lincoln espose i princìpi ideali a cui si era ispirata la sua decisione di combattere duramente la secessione degli Stati del Sud. Mettendo in secondo piano il contrasto sul problema della schiavitù (che pure era stato un motivo fondamentale nel dare origine alla guerra) egli insistette sulla necessità di

tener fede al patto federativo e alla Costituzione che gli Stati dell’Unione si erano liberamente dati nel 1787. In tal modo si sarebbe dimostrato non solo agli americani, ma al mondo intero che anche un governo democratico e repubblicano poteva essere estremamente solido e avere, all’occasione, la capacità di combattere con forza i suoi nemici. In

tal modo la guerra sarebbe stata una “lezione di pace”, dimostrando l’inutilità di farvi ricorso per raggiungere ciò che una pacifica decisione costituzionale e legislativa aveva già escluso (in questo caso, la possibilità per gli Stati dell’Unione di separarsi). Ecco alcuni passi salienti del discorso di Lincoln.

L

’Unione è più antica di qualsiasi Stato [fra quelli che la compongono], e in effetti è stata l’Unione a crearli come Stati. All’origine alcune colonie dipendenti costituirono l’Unione, e l’Unione a sua volta distrusse il loro antico rapporto di dipendenza e li rese Stati, tali come oggi sono. Nessuno di essi ebbe mai una Costituzione statale indipendente dall’Unione. […] Il nostro governo popolare è stato spesso definito un esperimento. Due punti sono già stati conseguiti dal nostro popolo in questo esperimento: la riuscita istituzione del governo e il successo della sua amministrazione. Vi è un punto che dobbiamo ancora raggiungere: il successo della sua conservazione contro un formidabile tentativo interno di rovesciarlo. Ora sta al nostro popolo dimostrare al mondo che coloro i quali conducono lealmente e bene una elezione sono anche capaci di reprimere una ribellione; che il sistema delle schede elettorali è il legittimo e pacifico successore delle pallottole; e che, quando le schede hanno deciso lealmente e costituzionalmente, non può esservi un fortunato ritorno alle pallottole; e che alle elezioni successive non può esservi un ricorso riuscito se non sempre per mezzo delle schede elettorali. Sarà questa una grande lezione di pace: insegnare agli uomini che ciò che non possono raggiungere con una elezione non può essere ottenuto neppure con la guerra; insegnare a tutti quale follia sia farsi i promotori di una guerra. A. Lincoln, 4 luglio 1861

Abraham Lincoln

glesi, principali acquirenti del loro cotone: in realtà, gli inglesi erano interessati al grano del Nord non meno che al cotone del Sud; del resto non avrebbero potuto appoggiare la causa della schiavitù, che essi stessi avevano, per primi, dichiarato illegittima. Pertanto i sudisti rimasero soli e in breve tempo furono ridotti allo stremo: il generale William Sherman (1820-1891) invase la Georgia mentre il generale Ulysses Grant (1822-1885) si impadronì di Richmond, la capitale dei confederati, costringendo alla resa il generale Lee e decretando la vittoria dei nordisti (9 aprile 1865). Il bilancio della guerra fu tremendo: gli unionisti perdettero sul campo circa 360.000 uomini, i confederati 260.000. Molte regioni del sud risultarono devastate e saccheggiate, fabbriche e ferrovie distrutte, edifici pubblici e privati rasi al suolo, città come Richmond, Atlanta, Columbia ridotte in cenere. L’economia degli Stati del Sud faticò molto a riprendersi da questo disastro.

L’assassinio di Lincoln Il 15 aprile 1865, pochi giorni dopo la fine della guerra, il presidente Lincoln fu assassinato con un colpo di pistola mentre da un palco assisteva a uno spettacolo teatrale. Opera di un fanatico sudista, l’omicidio finì per danneggiare la stessa parte sconfitta. Lincoln, infatti, preoccupato di garantire l’unità della nazione e di ricucire le ferite della guerra, aveva consigliato ai vincitori di usare la massima moderazione nei confronti dei vinti. Scomparso lui, gli interessi del Nord furono affermati senza troppi riguardi: il territorio fu sottoposto a occupazione militare; la moneta degli Stati secessionisti fu privata di ogni valore; distruzioni, vendette, confische si susseguirono; il commercio, le industrie, le ferrovie del Sud caddero nelle mani dei grandi finanzieri del Nord. L’abolizione della schiavitù Fra il 1865 e il 1870, una serie di tre emendamenti alla Costituzione stabilì l’abolizione della schiavitù (anticipata già nel 1863 da un decreto di Lincoln), la parità fra i cittadini, il diritto di voto per tutti senza distinzione «di razza, di colore o di precedente condizione servile». L’abolizione della schiavitù, tuttavia, non significò il venir meno della separazione tra bianchi e neri: teoricamente uguale di fronte alla legge e nei diritti politici, la popolazione degli ex schiavi d’origine africana fu di fatto discriminata da tutta una serie di provvedimenti, soprattutto negli Stati del Sud. Un decreto dello Stato del Tennessee, approvato nel 1901, per esempio, dichiarava illegale «permettere che bianchi e uomini di colore frequentino la stessa scuola, accademia, collegio o altro luogo di studio».

La battaglia di Gettysburg, XIX sec. In questa incisione sono rappresentati alcuni dei momenti più drammatici della battaglia di Gettysburg, combattuta nel luglio del 1863. Considerata la più grande battaglia della guerra di secessione, in sé non fu decisiva (i due eserciti si affrontarono senza guadagnare posizioni e le perdite furono ingenti da entrambe le parti) ma significò per l’esercito del generale Lee l’impossibilità di proseguire nella sua marcia verso Nord.

438

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni

Sintesi 2 Le grandi potenze tra assolutismo e liberalismo La fine dell’Impero asburgico, la nascita dell’Impero austro-ungarico Nella seconda metà del XIX secolo nell’Impero asburgico sopravviveva l’assolutismo monarchico, sostenuto da clero e aristocrazia terriera. Lo Stato, tenuto insieme dall’esercito e da una solida amministrazione, aveva un carattere multinazionale. Gradualmente, le rivendicazioni di autonomia dei vari popoli che lo componevano iniziarono a emergere: nel 1848 le rivolte furono soffocate dall’esercito. Le perdite territoriali (Veneto, paesi tedeschi) che seguirono alla sconfitta del 1866 resero più difficile la coesione dell’Impero. Nel 1867, con il riconoscimento dell’indipendenza del Regno di Ungheria, nacque l’Impero austro-ungarico, con due Stati e due capitali (Vienna e Budapest). L’espansionismo di Vienna si rivolse verso la penisola balcanica, su cui si dirigevano anche le mire della Russia. La crisi dell’Impero ottomano e la “questione d’Oriente” Nell’Ottocento l’Impero ottomano non riusciva più a tenere insieme le eterogenee popolazioni che lo componevano e questo prestò il fianco alle mire espansionistiche delle potenze europee verso i Balcani (questione d’Oriente). Con l’indipendenza della Grecia (1820) l’indebolimento dell’impero crebbe. Nel 1854 con la guerra di Crimea, l’espansione russa verso il Mar Nero fu bloccata da Francia e Inghilterra, cui si aggiunse il Piemonte. Il congresso di Berlino (1878) sancì il ridimensionamento russo, l’indipendenza di Romania, Serbia, Montenegro e Bulgaria, la cessione all’Austria di Bosnia ed Erzegovina e di Cipro all’Inghilterra. La questione non era però risolta. L’Impero russo degli zar In Russia, nonostante rivolte e richieste di riforme e un

forte fermento intellettuale, permaneva l’assolutismo. La servitù della gleba – ancora vigente per i contadini, ma anche per minatori, operai, artigiani – fu abolita nel 1861 dallo zar Alessandro II, ma a questo primo passo seguì l’assegnazione delle terre che, favorendo la proprietà nobiliare, creò delusione e inevitabili tensioni. Questo scollamento tra sudditi e sovrano favorì la diffusione dell’anarchismo e del populismo da una parte, e un inasprimento delle misure autocratiche dall’altra. Nel 1881 lo zar fu ucciso da un anarchico. La Gran Bretagna liberale All’inizio del XIX secolo la Gran Bretagna era una monarchia costituzionale liberale con un forte sviluppo industriale. Dopo la Restaurazione riprese forza l’ala conservatrice dei tories, sostenuta da nobili e clero, che approvò le “leggi sul grano” che imponevano dazi sulle importazioni di cereali, favorendo i proprietari terrieri e tenendo alti i prezzi. A queste si opposero le masse popolari, ma anche gli industriali. Le rivendicazioni che seguirono non rimasero inascoltate e, a partire dagli anni Venti, furono approvate molte leggi innovative: diritto di riunione, allargamento del diritto di voto, legge sul lavoro nelle fabbriche, legge sui poveri fino all’abolizione dei dazi doganali sul grano. Si evitavano così tensioni e si favorì una lunga fase liberale (età vittoriana), in cui al governo si alternarono i Whigs, che favorirono lo sviluppo industriale, e i Tories, che allargarono il diritto di voto. Dall’Europa agli Stati Uniti, in cerca di libertà e fortuna Nella seconda metà dell’Ottocento negli Stati Uniti l’espansione verso Ovest fu alimentata dalla migrazione di milioni di europei, provenienti principalmente dai paesi indu-

strializzati. La politica del governo favoriva l’afflusso di immigrati: l’Homestead act (1861) garantiva la proprietà di terra a chi la coltivasse. Anche l’industrializzazione garantiva lavoro come operai. Dopo il 1880 iniziarono ad arrivare immigrati dall’Europa del Sud-est che ebbero maggiori difficoltà nella ricerca di lavoro e nell’inserimento sociale. Si ebbero tensioni sociali e si approvarono alcune restrizioni verso l’immigrazione. Le guerre indiane L’espansione verso Ovest avvenne a danno delle popolazioni indigene. Negli anni 1862-90 si combatté una lunga guerra tra indiani e coloni: questi ultimi, militarmente superiori, prevalsero e la civiltà indiana fu distrutta. L’America tra liberalismo e protezionismo Gli Stati Uniti presentavano delle diversità sociali ed economiche: gli Stati del Sud avevano un’economia agricola, basata sulle piantagioni in cui erano impiegati gli schiavi neri, ed erano avvantaggiati dall’assenza di dazi doganali; gli Stati del Nord avevano un’economia basata su industrie e grandi aziende cerealicole, in cui lavoravano operai salariati, ed erano favorevoli all’abolizione della schiavitù e all’introduzione di dazi e dogane sulle importazioni. Nacquero così dei contrasti tra gli Stati settentrionali e meridionali. La guerra di secessione americana I contrasti si inasprirono dopo l’elezione del presidente Lincoln (1860), contrario alla schiavitù e favorevole a una maggiore unione tra gli Stati. Undici Stati del Sud si staccarono dall’Unione, creando gli Stati confederati d’America. La secessione non fu accettata e iniziò una guerra civile (1861-65) che, alla fine, vide prevalere gli Stati del Nord.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Lo Stato multinazionale austriaco era tenuto insieme dall’efficienza dell’esercito.

V

F

b. L’aquila con due teste indicava i regni di Austria e Ungheria.

V

F

c. L’omicidio del presidente Lincoln finì col migliorare le condizioni degli Stati meridionali.

V

F

Capitolo 33 Le grandi potenze tra assolutismo e liberalismo

d. L’età vittoriana fu caratterizzata dal predominio dell’ala conservatrice del partito Tory.

V

F

r. Il movimento cartista era favorevole a introdurre il voto segreto nelle elezioni.

V

F

e. Tra il 1873 e il 1875 scoppiarono rivolte indipendentiste in Bulgaria, Bosnia, Erzegovina.

V

F

s. La “questione d’oriente” riguardava il conflitto per il controllo della penisola balcanica.

V

F

f. In Russia la servitù della gleba era estesa a gran parte della popolazione.

V

F

2. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento.

g. Negli Stati Uniti, il Partito repubblicano era quello V più vicino agli interessi dei piccoli industriali.

F

a. Alla fine dell’Ottocento, la popolazione degli Stati Uniti d’America era composta da:

h. La battaglia di Little Big Horn fu vinta dai sioux contro le truppe del generale Custer.

V

F

i. Tra il 1860 e il 1880 gli emigranti negli Stati Uniti provenivano dai paesi poveri dell’Europa.

V

F

l. Le Corn laws erano criticate dalle masse popolari ma sostenute dagli industriali.

V

F

m. Dopo il 1866, l’espansionismo austriaco si diresse V verso l’Europa centrale.

F

n. Il commercio degli schiavi era stato proibito dal Congresso di Vienna.

V

F

o. L’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti fece venire meno la separazione tra bianchi e neri.

V

F

p. La “questione d’oriente” fu risolta con il congresso di Berlino del 1878.

V

F

q. Il populismo sosteneva la necessità di sottrarre il popolo alla miseria materiale e morale.

V

F

120 milioni di abitanti. 39 milioni di abitanti.

5 milioni di abitanti. 100 milioni di abitanti.

b. La politica assolutistica degli Asburgo in Austria era sostenuta da: borghesi e nobili. industriali e nobili.

clero e borghesi. nobili e clero.

c. Il presidente degli Stati confederati d’America era: Abraham Lincoln. Robert Lee.

Jefferson Davis. William Sherman.

d. In Inghilterra la riforma elettorale fu approvata da: Robert Peel. Benjamin Disraeli.

William Gladstone. George Canning.

e. Dopo il 1866, le nazionalità presenti nell’Impero austriaco erano: ungheresi, boemi e italiani. slavi, boemi e italiani.

ungheresi, slavi e boemi. ungheresi, slavi e italiani.

3. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. abolizione • allargamento • Alessandro II • anarchismo • aristocrazia • assoluta • autocrazia • Balcani • Bosnia • Cipro • clero • contadini • conservatrice • contrasto • Erzegovina • Francesco Giuseppe I • grano • Impero • indipendente • istruzione • leggi • liberale • mediazione • nazioni • operai • parlamentare • populismo • servitù • Vittoria • voto

STATI EUROPEI A CONFRONTO AUSTRIA

RUSSIA

GRAN BRETAGNA

SUL TRONO

......................................................................

......................................................................

......................................................................

(1848-1916)

(1855-81)

(1837-1901)

FORMA DI STATO

Monarchia ..............................................

Monarchia ..............................................

Monarchia ..............................................

LINEA DI GOVERNO

......................................................................

Riforme e poi: ........................................

......................................................................

SOSTEGNO DI

......................................................................

......................................................................

.....................................

Rivolte ....................................... interne

Insurrezioni di .....................................; diffusione di ........................................ e ..........................................; cospirazioni

Malcontento verso le .......................... sul ........................................ poi abolite

Ungheria ................................................. e formazione ........................................ austro-ungarico

............................................. della gleba e delusione per la diseguale assegnazione delle terre

Leggi a sostegno degli ......................, ............................................ del diritto di .................................. e potenziamento dell’.............................................................

Espansionismo verso i .....................; nel 1878 ottiene ..................................,

Espansionismo verso i

espansione russa nei ................................................; nel 1878 ottiene ...................................

PROBLEMI INTERNI

POLITICA INTERNA

POLITICA ESTERA

......................................................................

..................................................................;

nel 1878: ridimensionamento

tra parti sociali

............................................

439

440

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni

4. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1859

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

1860

1861

1863

1865

1866

assassinio dello zar Alessandro II abolizione della servitù della gleba in Russia battaglia di Little Big Horn riconoscimento dell’Ungheria come Stato indipendente fine della guerra di secessione americana riconoscimento dello statuto formale delle Trade Unions Abraham Lincoln è eletto presidente degli Stati Uniti

1867

1869

1871

1876

1878

1881

8. inaugurazione della prima linea ferroviaria transcontinentale negli Stati Uniti 9. congresso internazionale di Berlino 10. battaglia di Gettysburg 11. sconfitta dell’Austria nella guerra contro la Prussia 12. formazione dello Stato di Romania

5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. agricoltura • aziende • cereali • concorrenza • cotone • dazi • dogane • economiche • esportazione • favorevoli • industria • liberismo • metallurgia • morali • operai • piantagione • proprietari • protezionismo • salariati • schiavi • tabacco • terrieri • tessile • canna da zucchero

GLI STATI UNITI D’AMERICA PRIMA DELLA GUERRA DI SECESSIONE STATI DEL NORD ATTIVITÀ ECONOMICHE

.................................................

CHI LAVORAVA

STATI DEL SUD di .................................................

..........................................

e ....................................... agricole

.................................................

..........................................

e liberi

COSA SI PRODUCEVA

........................................................................................................

settori: ........................................................................................

LE IDEE ECONOMICHE

• ................................: contrari a ........................................ e ............................: vantaggio per ................................. beni • ........................................... a conservazione schiavitù: base ricchezza dei ............................................................

•.............................: .............................. a ................................... e ............................. per limitare la ............................... europea •............................................. a conservazione schiavitù: motivazioni ................................... ed ....................................

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Da quanti abitanti era composta la popolazione degli Stati Uniti all’inizio e alla fine del XIX secolo? 2. Prima dell’Ottocento, quali erano i caratteri dell’emigrazione verso gli Stati Uniti? 3. Quali popolazioni emigrarono negli Stati Uniti fino al 1880?

4. Quali popolazioni emigrarono negli Stati Uniti dopo il 1880? Da dove provenivano? 5. Per quale motivo si dirigevano verso gli Stati Uniti? 6. Quali furono le linee della politica del governo statunitense nei confronti del fenomeno? 7. Vi furono dei cambiamenti nel corso del secolo? Per quale ragione?

Con le informazioni ottenute, completa la tabella.

L’EMIGRAZIONE VERSO GLI STATI UNITI D’AMERICA

QUANTI ERANO DA DOVE ARRIVAVANO

PERCHÉ EMIGRAVANO

COSA TROVAVANO

INIZIO OTTOCENTO

METÀ OTTOCENTO

FINE OTTOCENTO

...................................................................

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Capitolo 33 Le grandi potenze tra assolutismo e liberalismo

Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” a p. 434 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quale carattere assunsero gli Stati Uniti in seguito alla forte immigrazione? 2. Che cosa fu garantito agli immigrati? A quali princìpi illuministi si ispirava lo Stato? 3. Che cosa si intende con l’espressione melting pot? 4. Quali difficoltà accompagnarono la convivenza tra i vari popoli? 5. Quali elementi positivi hanno accompagnato la convivenza tra i vari popoli? 6. In che modo il fenomeno ha influenzato la storia degli Stati Uniti? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con la tabella precedente, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “Verso gli Stati Uniti d’America”.

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quali furono le cause profonde della guerra di secessione? Quale motivo scatenò la guerra? 2. Quale assetto istituzionale si dettero gli Stati del Sud dopo la secessione? 3. Chi guidava gli eserciti dei nordisti e dei sudisti? 4. Quali furono gli episodi salienti del conflitto? Quale fu la battaglia decisiva? 5. Come terminò la guerra? Con quali conseguenze? Con quale bilancio? Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

LA GUERRA DI SECESSIONE AMERICANA QUANDO

............................................................. ..........................................................................................................................................................................................................................

LE CAUSE

.......................................................................................................................................................................................................................... .......................................................................................................................................................................................................................... ..........................................................................................................................................................................................................................

GLI SCHIERAMENTI

.......................................................................................................................................................................................................................... .......................................................................................................................................................................................................................... ..........................................................................................................................................................................................................................

GLI EPISODI SALIENTI

.......................................................................................................................................................................................................................... .......................................................................................................................................................................................................................... ..........................................................................................................................................................................................................................

L’ESITO FINALE

.......................................................................................................................................................................................................................... .......................................................................................................................................................................................................................... ..........................................................................................................................................................................................................................

IL BILANCIO

.......................................................................................................................................................................................................................... ..........................................................................................................................................................................................................................

Leggi il documento “La guerra come lezione di pace: il proclama del presidente Lincoln” a p. 436 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

Chi era Abraham Lincoln? Perché la sua elezione incise sullo scoppio della guerra civile? Che cosa espose Abraham Lincoln il 4 luglio del 1861? Quali argomentazioni furono utilizzate per sostenere la guerra? Che rapporto esiste, secondo Lincoln, tra l’Unione e i singoli Stati? Quali successi politici sono stati conseguiti dal governo del popolo americano? Quale punto deve essere aggiunto ai successi già conseguiti? Per quale motivo il governo è legittimato a reprimere la ribellione? Quale lezione di pace potrà essere ricavata? Da chi?

Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dalla precedente tabella, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “La guerra civile negli Stati Uniti d’America: le cause, gli schieramenti, le motivazioni”.

441

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni

34 Il nuovo

Capitolo

442

colonialismo

Percorso breve L’espansione coloniale degli europei, iniziata con i viaggi del XV-XVI secolo, trovò nuovo impulso nell’Ottocento in seguito allo sviluppo del sistema industriale, che richiedeva materie prime per la produzione e nuovi mercati in cui vendere i prodotti. Soprattutto la crisi di sovrapproduzione del 1873-96 spinse in questa direzione. L’Africa, fino ad allora sconosciuta, fu esplorata sistematicamente e a poco a poco conquistata da inglesi, francesi, tedeschi, belgi, spagnoli, portoghesi, italiani (che occuparono l’Eritrea). Nel 1884 il trattato di Berlino stabilì precise regole per l’occupazione e la spartizione del continente fra le varie potenze. L’Asia del Sud-est fu colonizzata da inglesi e francesi; interi arcipelaghi del Pacifico furono occupati da inglesi,

tedeschi e statunitensi. L’India diventò una colonia inglese, posta nel 1858 sotto il diretto controllo del governo. Nella parte continentale dell’Asia si affermò l’espansionismo russo. Anche la Cina, che formalmente mantenne la sua indipendenza, dovette aprirsi alla penetrazione e al controllo economico degli europei. Perfino le terre polari furono raggiunte, mentre Australia e Nuova Zelanda furono colonizzate dagli inglesi. Particolare fu il caso del Giappone, che da possibile colonia si trasformò esso stesso in potenza coloniale, dopo l’avvio nel 1868 della “grande trasformazione” voluta dall’imperatore Meiji, che avviò un rapido processo di industrializzazione controllato dallo Stato. Le tendenze espansionistiche del Giappone portarono all’occupazione della Manciuria, una regione cinese già occupata dai russi. Nell’America Latina, nonostante i movimenti di liberazione che nella prima metà del secolo avevano reso indipendenti tutti i paesi, si affermò la crescente influenza economica e politica degli Stati Uniti.

L’incontro fra capi militari inglesi ed esponenti del potere locale del Punjab in India

Capitolo 34 Il nuovo colonialismo

443

34.1 Alla ricerca di mercati e di materie prime Le esigenze coloniali dell’industria Una nuova fase dell’espansione coloniale europea – dopo quella iniziata con i viaggi del XV-XVI secolo e proseguita fra Seicento e Settecento – si avviò nel XIX secolo. A sollecitarla concorsero diversi fattori, tra i quali ebbe importanza preminente lo sviluppo economico e industriale. Gli Stati industrializzati, infatti, mirarono a estendere il proprio dominio su altri paesi principalmente per due motivi:

■ assicurarsi le materie prime occorrenti alla produzione; ■ crearsi in ogni parte del mondo nuovi mercati in cui vendere i propri prodotti e investire i propri capitali.

Il primato britannico Non a caso il paese che più di ogni altro si affermò in questa gara di dominio universale fu la Gran Bretagna, culla della rivoluzione industriale: essa diventò il centro di un vasto impero, esteso in ogni parte della Terra. Alla Gran Bretagna si affiancarono come concorrenti le maggiori potenze industriali europee ed extra-europee: la Francia, il Belgio, la Germania, gli Stati Uniti, il Giappone. Anche paesi di più limitato sviluppo industriale, come l’Italia, timidamente tentarono di inserirsi nella gara. Crisi economica e politica coloniale Soprattutto la crisi del 1873-96, determinata da un eccesso della produzione industriale [ 29.4], agì da stimolo per l’occupazione di territori stranieri e la creazione di nuove colonie. «Nell’epoca in cui ci troviamo e nella crisi che attraversano tutte le industrie europee – affermò in quel periodo lo statista francese Jules Ferry (1832-1893) – la fondazione di una colonia è la creazione di uno sbocco. Si è infatti constatato che il legame fra la madrepatria e le colonie è sufficiente perché il predominio economico accompagni e sostenga il predominio politico». Dunque, concludeva, Ferry, «la politica coloniale è figlia della politica industriale». Proprio la politica coloniale consentì alle potenze europee di superare la crisi e di avviare una nuova fase di crescita della produzione: fra il 1900 e il 1914 il commercio internazionale dei prodotti industriali raddoppiò, e le esportazioni europee a poco a poco superarono le importazioni. L’esplorazione dell’Africa Fu in tale prospettiva che nell’Ottocento fu compiuta, per la prima volta, una vera esplorazione del continente africano. Gli europei penetrarono in quel mondo, fino ad allora ignoto se non nelle zone costiere del Mediterraneo, e lo percorsero in ogni direzione, da nord a sud, da est a ovest, seguendo i lunghi fiumi, attraversando le savane, le foreste, i deserti, entrando a contatto con nuovi gruppi umani, con piante e animali mai visti. Viaggi e scoperte Tra il 1818 e il 1826 furono organizzate, a partire da Tripoli, le prime spedizioni attraverso il deserto del Sahara, da parte di viaggiatori inglesi, francesi e di altri paesi. Tra gli altri si ricordano i tedeschi Heinrich Barth (1821-1865) e Gerhard Rholfs (1831-1896), che scoprirono la lontana oasi di Cufra e raggiunsero l’Atlantico nella regione della Guinea; gli inglesi Richard Burton (1821-1890), John Speke (1827-1864) e James Grant (1827-1892), che per primi riuscirono a trovare le sorgenti del Nilo (1858-62) e a spiegare il millenario mistero delle sue piene annuali, a cui l’Egitto doveva la sua fertilità e la sua stessa esistenza. Lo scozzese David Livingstone (1813-1873) si spinse in una delle zone più difficili e meno note dell’Africa: la regione dei grandi laghi equatoriali (Niassa, Tanganica, fiume Zambesi, cascate Vittoria). Dal 1849 al 1873, egli percorse a piedi quei territori

Copertina di The Life and Explorations of Dr. Livingstone, 1878 Quella raffigurata è la copertina di uno degli innumerevoli libri pubblicati da David Livingstone, missionario ed esploratore. Livingstone esplorò per primo, già all’inizio degli anni cinquanta del XIX secolo, la zona dello Zambesi.

444

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni con la guida di alcuni indigeni. A un certo punto non si ebbero più notizie di lui e alla sua ricerca fu mandato Henry Stanley (1841-1904), un giornalista inglese, che riuscì a rintracciarlo in un villaggio in preda alle febbri. Stanley successivamente esplorò il bacino del fiume Congo ed effettuò la traversata dell’Africa da est (Zanzibar) a ovest (foci del Congo). Anche diversi italiani effettuarono viaggi di esplorazione in Africa: Romolo Gessi (1831-1881) percorse il bacino superiore del Nilo e l’Etiopia; Gaetano Casati (1838-1902) si spinse nella zona tra il Nilo e il Congo; Vittorio Bottego (1860-1897) seguì il corso dei fiumi Giuba e Omo (Somalia).

34.2 Berlino 1884: la spartizione dell’Africa

La spedizione di un esploratore francese nell’alto Congo, 1892 Questa incisione dal «Petit Journal» mostra un esploratore francese mentre guida una spedizione nell’alto Congo.

Una questione di “civiltà”? Dopo gli esploratori, e assieme a loro, giunsero in Africa i missionari, i soldati, i mercanti. Lo scopo scientifico delle spedizioni si intrecciò con gli interessi politici ed economici e si ammantò di motivazioni ideali: portare la “vera” civiltà e la “vera” religione a quei popoli “selvaggi” e “primitivi”. In pochi decenni gli europei presero possesso dell’intero continente. I francesi, che già possedevano l’Algeria, il Senegal e la Costa d’Avorio, nel 1881 occuparono la Tunisia. Gli inglesi, che da tempo possedevano colonie nel Golfo di Guinea (Costa d’Oro, Sierra Leone, Gambia), nel 1882 occuparono l’Egitto. Nello stesso 1882, il re del Belgio Leopoldo II (1865-1909) si impadronì del Congo, dove, qualche anno prima, erano state scoperte le grandi risorse minerarie della regione del Katanga.

Aa Documenti Trattati e fucilate I primi stanziamenti coloniali europei in Africa avvennero attraverso patti con i capi locali: pochi oggetti bastavano a ottenere da loro privilegi e diritti, a cominciare dalla libertà di commercio.

sono a proposito le clausole del trattato stipulato nel 1843 dal re di Francia Luigi Filippo con il re dell’Assinia (che sarebbe poi diventata la colonia francese della Costa d’Avorio).

Naturalmente, dietro questa apparente ingenuità dei sovrani indigeni è da immaginare la forza di pressione, sempre molto persuasiva, costituita dalle armi in mano ai nuovi arrivati. Esemplificative

1. I re, i capi e il popolo dell’Assinia [...] desiderano costituirsi in un protettorato potente, ponendosi sotto la sovranità di Sua Maestà Luigi Filippo, re dei francesi, a cui essi concedono il possesso completo di tutto il territorio, con il diritto di alzarvi la propria bandiera e di farvi ogni costruzione che egli riterrà opportuna. 2. Il re e i capi continueranno a godere di fronte agli indigeni del loro diritto di sovranità, ma, in virtù del presente trattato, nessuna nazione1 avrà diritto di fare nel paese di Assinia alcun insediamento di qualsiasi genere.

7. In cambio di queste concessioni, i francesi accorderanno protezione al re e ai capi dell’Assinia, a cui Sua Maestà si impegna a donare, il giorno della ratifica del trattato, 100 pezze di stoffe assortite, 100 barili di polvere da sparo, 100 fucili da un colpo, 2 sacchi di tabacco, 6 recipienti di acquavite da 220 litri, 5 cappelli, 1 specchio, 1 organetto di Barberia2, 4 casse di liquori, 3 fili di corallo o di perle miste. 1 Oltre alla Francia. 2 Uno strumento musicale.

L’esplorazione e l’occupazione dell’Africa da parte degli europei furono però molto spesso accompagnate da episodi di violenza contro gli indigeni, come chiaramente dimostra una pagina del diario dell’esploratore Henry Stanley.

D

opo due ore di dura fatica arrivammo all’isola di Bumbireh1. Mentre ci avvicinavamo [...] guidai il battello, che procedeva in testa, verso una piccola cala, come se intendessi sbarcarvi. Ma anziché sbarcare, aggirammo la cala ed entrammo in una baia sul lato occidentale. Ciò che volevo, con questa manovra, era ingannare gli indigeni, attirandoli nel punto dove fingevo di sbarcare, per poi accerchiarli e impiombarli con una scarica dopo l’altra. Avevo progettato di attaccarli in un luogo aperto e sgombro, in un punto dove il sole mi fosse stato favorevole, dato che nei Tropici, mentre declina, esso ha un potente effetto abbagliante e accecante.

Lasciammo, dunque, che gli indigeni si ammassassero nel luogo, a difendere la spiaggia. Noi, giunti a cinquanta metri da loro, attendemmo un poco; poi, a un mio segnale, scaricammo i fucili sui nemici, ricevendone di ritorno una pioggia copiosa di pietre e frecce, che caddero innocue nell’acqua. Dopo la prima scarica ciascun fuciliere sparò a volontà. H.M. Stanley, Diario del viaggio in Tanganica, 1875

1 In Tanzania.

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Bamako (Fr.) Capitolo 34 Il nuovo colonialismo

Espansione inglese e francese In base a questo criterio, soprattutto la Francia e l’Inghilterra procedettero a insediarsi sulla maggior parte delle coste e delle regioni interne del continente africano. L’espansione francese seguì una direttiva orizzontale, da ovest a est: a iniziare dal Senegal furono raggiunti il Niger, il lago Ciad e numerosi altri territori, fino all’isola di Madagascar. L’espansione inglese seguì invece una direttiva verticale, a iniziare da nord (Egitto) e da sud (Colonia del Capo). In quest’ultimo territorio gli inglesi si erano insediati agli inizi del secolo, cacciando i cosiddetti “boeri”, discendenti dei primi coloni olandesi che nel XVII secolo avevano assoggettato e ridotto in schiavitù la popolazione indigena. Indi occuparono la Rhodesia, il Kenia, l’Uganda, il Sudan.

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Il trattato di Berlino Nel 1884 i rappresentanti delle maggiori potenze si riunirono a Berlino e stabilirono le rispettive zone d’influenza e le norme da seguire per l’occupazione. Il trattato di Berlino – definito dagli storici una sorta di «galateo della rapina» – prevedeva il rispetto di alcune regole: quando uno Stato occupava una porzione di costa, doveva comunicarlo agli altri e godeva, per ciò stesso, del diritto di penetrare nel territorio interno, fin dove i suoi interessi non si scontravano con quelli di altri Stati occupanti.

445

Il dominio imperialista, fine XIX sec. In questa vignetta è disegnato un rappresentante dell’esercito coloniale inglese che schiaccia un militare egiziano. Il disegno, critico nei confronti della politica colonialista inglese, ritrae la vera essenza della politica imperialista europea (schiacciare le popolazioni autoctone e sottometterle alle proprie volontà).

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Modulo 9 Stati, imperi, nazioni Le due linee di espansione (francese e inglese) vennero a incrociarsi nell’Africa centrale: a Fashoda, un villaggio del Sudan, nel 1898 si trovarono di fronte truppe dei due eserciti provenienti, rispettivamente, da ovest e da nord. Non si ebbe però alcuno scontro: il “galateo” dell’accordo funzionò e si stabilirono precisi confini tra le due zone d’influenza.

Altre occupazioni europee Intanto, anche la Germania occupava territori africani: nel 1884 assoggettò diverse regioni che andarono a formare i due nuclei della cosiddetta Africa tedesca: occidentale (sull’Oceano Atlantico) e orientale (sull’Oceano Indiano). I portoghesi occuparono l’Angola e il Mozambico, gli spagnoli la regione occidentale del Sahara. L’Italia non volle essere da meno e nel 1885 occupò un territorio sul Mar Rosso, l’Eritrea; quindi si impadronì della Somalia e più tardi della Libia.

Le vie della cittadinanza

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L’abolizione della schiavitù e della tratta degli esseri umani

u iniziativa della Gran Bretagna fu intrapresa nel corso dell’Ottocento una energica lotta contro la schiavitù e la tratta degli esseri umani, che da secoli alimentava lucrose correnti di traffico dall’Africa all’America. Nel 1811 il governo inglese approvò una legge che dichiarava reato tale attività e la puniva con la deportazione. Il commercio degli schiavi fu ufficialmente abolito in Europa dal Congresso di Vienna del 1815. Esso tuttavia continuò a essere esercitato nel mondo africano, specialmente dagli arabi. Centinaia di migliaia di schiavi continuarono a essere trasportati attraverso l’Oceano Atlantico, nonostante le intercettazioni effettuate dalle navi inglesi. Quando gli inglesi penetrarono in Africa come colonizzatori, l’azione antischia-

Quattro generazioni di schiavi a Beaufort, South Carolina, 1862

vista fu ripresa. Nel 1899 fu convocato a Bruxelles un congresso a cui parteciparono diciassette Stati e che si concluse con la formulazione della cosiddetta Carta dei diritti dello schiavo africano. Quasi tutti i paesi interessati si impegnarono a proibire la schiavitù e a prendere severi provvedimenti contro i trasgressori. Nel 1926 fu firmata a Ginevra la Convenzione concernente la schiavitù da parte degli Stati membri della Società delle Nazioni (la prima organizzazione mondiale tra governi di vari paesi) che, prendendo le mosse dalla conferenza di Bruxelles, definirono la schiavitù come «lo stato o la condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o taluni di essi» e si impegnarono a «prevenire e reprimere la tratta degli schiavi e proseguire la soppressione completa della schiavitù sotto tutte le sue forme, in modo progressivo e al più presto possibile». Nel 1956 fu l’Organizzazione delle Nazioni Unite a modificare il testo della Convenzione del 1926 e a firmare l’Accordo addizionale concernente l’abolizione della schiavitù, della tratta degli schiavi e delle istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù. Questo nuovo trattato, oltre a ribadire l’impegno nella lotta contro le varie forme di schiavitù, prese in considerazioni e dalla Convenzione del 1926 (tra cui la servitù della gleba e la schiavitù per debiti), ne includeva altre analoghe, come la pratica di cedere le donne a scopo matrimoniale in cambio di denaro o di poterle ereditare in caso di morte del marito oppure, ancora, di consegnare minori per sfruttare loro stessi o il loro lavoro. Il divieto di riduzione in schiavitù è presente anche nei trattati sui diritti umani

Bambino asiatico al lavoro

condivisi oggi da molti paesi nel mondo e nel 2003, con l’entrata in vigore del trattato di Palermo, è aumentato in maniera significativa il numero dei paesi che si sono dotati di una legislazione anti-tratta. Ma la schiavitù è tutt’altro che scomparsa. Secondo le stime delle organizzazioni umanitarie che si occupano di schiavitù e tratta di esseri umani, non ci sono mai stati nel mondo così tanti schiavi come oggi. Si calcola che siano circa 12 milioni le persone costrette a un regime di schiavitù e che il traffico illegale di esseri umani frutti alle organizzazioni criminali circa 10 miliardi di dollari all’anno, al terzo posto come giro d’affari dopo armi e droga.

Capitolo 34 Il nuovo colonialismo

447

Una stazione ferroviaria lungo la Transiberiana, inizi XX sec. La costruzione della linea ferroviaria Transiberiana fu il risultato della necessità di mettere in comunicazione la città di Mosca con il Pacifico. La forza lavoro impiegata, per questa titanica impresa, arrivò a contare circa 90 mila uomini, molti dei quali reclutati fra i condannati ai lavori forzati. In media venivano posati 740 km di rotaie l’anno.

Confini “a tavolino” Sul finire dell’Ottocento la spartizione era compiuta. Con le uniche eccezioni dell’Etiopia e della Liberia, i soli paesi ad avere conservato una propria autonomia, l’intero continente africano appariva suddiviso, valutato, disegnato sulle carte geografiche con i colori degli Stati europei. I territori furono separati o uniti solo in base a considerazioni di natura economica, politica e strategica. Astratti confini geometrici, stabiliti a tavolino, lo attraversarono da una parte all’altra senza alcuna considerazione dei rapporti reali esistenti tra le popolazioni. Gli indigeni opposero scarsa resistenza o non si opposero affatto agli invasori: troppo evidente era la sproporzione delle forze in campo. Si limitarono ad assistere a questa scossa violenta, che sconvolse le loro tradizioni e i loro modi di vivere.

34.3 Il colonialismo in Asia I domìni asiatici di Europa e USA Negli ultimi decenni dell’Ottocento l’espansione coloniale degli europei proseguì anche in Asia. Come in Africa, essa fu opera soprattutto delle maggiori potenze industriali: Gran Bretagna, Francia, Germania, a cui si aggiunsero in questo caso la Russia, gli Stati Uniti e il Giappone. Tra il 1853 e il 1884 i francesi occuparono un’ampia regione dell’Asia sud-orientale, comprendente Cambogia, Cocincina, Tonchino, Laos, Annam (il Vietnam attuale), che prese il nome di Indocina francese. Gli inglesi occuparono la Birmania, la Malesia e numerosi arcipelaghi a nord e a est dell’Australia. Altri arcipelaghi, nella stessa zona, furono occupati dalla Germania (Caroline, Marianne) e dagli Stati Uniti (Filippine, Hawaii). Sumatra, Borneo e Giava restarono sotto il dominio dell’Olanda, affermatosi due secoli prima [ 5.1]. Le regioni occupate dalla Russia Nella parte continentale dell’Asia si affermò durante l’Ottocento l’espansionismo russo, che trovò il suo campo d’azione nelle sterminate regioni siberiane e, in direzione sud, nel Turkestan. La colonizzazione della Siberia si spinse fino al Pacifico e fu suggellata dalla creazione delle due basi navali di Petropavlovsk (1849) e Vladivostok (1860). Per consolidare il dominio russo in queste zone, lo zar avviò la titanica impresa di collegare mediante ferrovia Mosca con il Pacifico (arrivando sino a Vladivostok). La ferrovia Transiberiana – con i suoi 9300 km, la più lunga del mondo – fu inaugurata nel 1903. Il dominio britannico in India Nel frattempo si accelerò la penetrazione in India degli inglesi [ 5.2], che costrinsero i francesi – indeboliti dalle sconfitte di Napoleone III in Europa – ad abbandonare il paese. Da allora, il dominio inglese a poco a poco si estese su quasi tutta l’India.

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni

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Aa Documenti «L’imperialismo è una necessità» Le ragioni economiche del colonialismo e la sua intrinseca “necessità” per un paese industriale furono sostenute dall’inglese John Atkinson Hobson (1858-1940) in uno studio del 1902, che rappresenta la prima riflessione organica sull’argomento. Ne leggiamo alcuni passi.

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oi1 dobbiamo disporre di mercati per le nostre manifatture in continuo sviluppo, dobbiamo trovare nuovi sbocchi per gli investimenti dei nostri capitali e per il continuo aumento della popolazione. […] Un numero sempre più elevato di nostri connazionali si dedica alla produzione di manufatti e al commercio nelle città: essi pertanto dipendono dai rifornimenti alimentari e dalle materie prime provenienti da paesi stranieri. Per comprare e pagare tutte queste cose, noi dobbiamo vendere le nostre merci all’estero. Durante i primi tre quarti del secolo siamo stati in condizione di farlo senza difficoltà attraverso una naturale espansione commerciale con i paesi del continente. Negli ultimi trent’anni, però, la nostra supremazia nella produzione e nel commercio dei manufatti è stata fortemente scossa: altri Stati, in particolare la Germania, gli Stati Uniti e il Belgio, si sono fatti avanti a rapidissimi passi e la loro concorrenza sta rendendo sempre più difficile disporre di liberi mercati per le nostre manifatture.

1 Gli inglesi.

Le intrusioni di questi paesi persino nei nostri possedimenti ci impongono con la massima urgenza l’adozione di energiche misure che ci assicurino nuovi mercati. Tali nuovi mercati devono trovarsi in paesi finora arretrati, dove vivono popolazioni numerose con possibilità di aumento e di sviluppo dei bisogni economici, che i nostri mercanti e i nostri manifatturieri siano in grado di soddisfare. È pertanto necessario usare la diplomazia e le armi della Gran Bretagna allo scopo di costringere coloro che possiedono i nuovi mercati a trattare con noi; e l’esperienza insegna che il mezzo più sicuro per assicurarsi e per sviluppare tali mercati è quello di stabilire protettorati oppure occupare territori. Per quanto costoso e rischioso possa essere questo processo di espansione imperiale, esso è indispensabile alla continuità della nostra esistenza e del nostro progresso. L’imperialismo va visto non come una scelta, ma come una necessità. J. Atkinson Hobson, 1902

Capitolo 34 Il nuovo colonialismo L’amministrazione dell’India da parte degli inglesi fu tenuta inizialmente da un gruppo commerciale privato, la Compagnia delle Indie, che seguì metodi brutali nei confronti degli indigeni. Nel 1858 alla Compagnia subentrarono dei funzionari statali e l’India, collegata all’Europa mediante cavi telegrafici, fu posta sotto il diretto governo di Londra: nel 1876 la regina Vittoria prese anche il titolo di “imperatrice delle Indie”. Nel paese sorsero scuole e università di tipo europeo, istituite per formare una classe di dirigenti locali, collaboratori degli inglesi nell’amministrazione coloniale. Successivamente, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, gli inglesi riuscirono a I M P E R O imporre il proprio protettorato sulla vicina Persia, sull’Afghanistan e sul Tibet. RUSSO

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Protettorato Con questo termine, coniato nel XIX secolo, si indica uno Stato che, pur conservando l’indipendenza, è posto sotto la “protezione” di uno Stato più forte, che si impegna a rappresentarne e tutelarne gli interessi in ambito internazionale. Nella maggior parte dei casi questa “protezione” si traduce in una forma di controllo che di fatto mette un paese alle dipendenze di un altro, pur non essendone, formalmente, una colonia.

Manzhouli

34.4 MANCIURIA La “guerra dell’oppio” e la penetrazione europea in Cina

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Shenyang COREA (dal 1637 al 1895 alla Cina)

Porti aperti agli stranieri (1842-1911) Concessioni ottenute dalle potenze straniere Rivolta dei boxer (1900) Aree di influenza inglese Aree di influenza francese Aree di influenza tedesca Aree occupate dal Giappone Manciuria cinese occupata dalla Russia (1900-05)

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La guerra dell’oppio, Wuchang che gli inglesi facevano coltivare in India e venHankoudevano in Cina, fu proibito dal governo cinese sia per gli effetti deleteri che la droga produceva sugli uomini,Fuzhou sia perché ilDanshui grande volume di acquisti ngqing faceva uscire dal paese una considerevole quanXiamen In applicazione TAIWAN tità di denaro. del decreto goverOCEANO nativo che proibiva Shantoudi vendere oppio, PA iCfunzionari IFICO Canton cinesi ne Hong distrussero un grosso carico (ventimila Kong inglesi) casse) (nel che1842 eraagli stato introdotto clandestinamente gzi nel porto di Canton dalla Compagnia britannica NA delle Indie. Londra approfittò dell’incidente per Qiongzhou inviare una spedizione militare che, superiore di mezzi e di armi, costrinse il governo cinese a cedere alla Gran Bretagna il territorio di Hong-Kong e ad aprire al commercio europeo altri quattro porti, tra cui Shangai (trattato di Nanchino, 1842). Da quel momento iniziò la M

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Un paese antico e chiuso La Cina, paese di millenaria civiltà, nell’Ottocento conservava i suoi antichi ordinamenti: un imperatore considerato di origine divina stava a capo dello Stato, in cui dominavano alcune grandi famiglie di funzionari, i “mandarini”; le Shenyang province erano amministrate COREAda governatori G I A P P O Ncon E ampi poteri; leggi precise limitavano 1637 al 1895 i rapporti con le civiltà(dal non asiatiche; i commeralla Cina) Pechino ci degli stranieri Port Arthurpotevano essere esercitati IMPERO (nel 1905 giapponesi) Tianjin solamente nelai porto di Canton, sotto la diRUSSO Weihaiwei retta sorveglianza dell’amministrazione lo(nel 1898 Manzhouli agli inglesi) cale e con la mediazione dei mercanti del posto. I MANCIURIA Jinan Qingdao primi che(nel riuscirono, con la violenza, a penetrare 1897 ai tedeschi) in Cina furono gli inglesi, M A R Edopo C I N Euno S E scontro arHarbin O R I E N T A L E matoNanchino noto come “guerra dell’oppio” (1839).

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Modulo 9 Stati, imperi, nazioni penetrazione europea in Cina e in pochi decenni il paese, sebbene nominalmente indipendente, cadde sotto il controllo economico e militare di inglesi, francesi, olandesi e tedeschi.

Le ribellioni contro gli stranieri L’ingresso delle merci e dei capitali europei nella vita economica della Cina alterò gli equilibri tradizionali e creò una forte tensione nel paese, suscitando movimenti contro le ingerenze straniere. In particolare nelle regioni centrali scoppiarono varie rivolte contadine, guidate da una stravagante figura di profeta rivoluzionario, Hung Hsiu-ch’uan (1814-1864), che predicava il rinnovamento religioso e sociale del popolo cinese. I Tai-ping (così furono detti i rivoltosi) tentarono di costituire un loro Stato, autonomo dal governo centrale e ostile alla penetrazione straniera, ma la rivolta fu presto domata, con l’interessato appoggio delle truppe europee. La rivolta dei boxers Allo stesso modo fu soffocata dalle potenze europee la rivolta dei boxers, nome con cui si indicavano gli affiliati a una società clandestina di carattere fortemente nazionalista e xenofobo. La rivolta, scoppiata a Pechino nel 1900, fu l’ultimo atto di una serie di proteste e di manifestazioni di insofferenza seguite alla disastrosa guerra che la Cina aveva combattuto qualche anno prima (1894-95) contro il Giappone.

La rivolta dei boxer, inizi XX sec. Questa illustrazione tratta dal «Petit Journal» mostra la furia dei boxer che si rivolge non solo contro le persone, sacerdoti stranieri e cinesi cristianizzati, ma anche contro gli oggetti, quali i fili del telegrafo, simboli della penetrazione nel paese delle moderne novità occidentali.

34.5 Il Giappone da possibile colonia a potenza coloniale L’arrivo degli americani Come la Cina, anche il Giappone era vissuto fino a metà dell’Ottocento in un isolamento quasi completo, con scarsi rapporti con l’Occidente. Il suo governo aveva ancora un carattere feudale: l’imperatore (mikado), considerato di origine divina, era sostenuto da una casta di guerrieri detti “samurai” [ 5.1]. Furono gli Stati Uniti, spinti da interessi commerciali e marittimi, a penetrare per primi nel paese: nel 1853 una squadra navale statunitense entrò con la forza nel porto di Shimonosaki (nella stessa regione dove si trova Tokyo) e ne impose l’apertura. Nel giro di pochi anni il governo giapponese fu costretto ad aprire tutti i porti al commercio straniero e le potenze europee non tardarono a trarne profitto. Il piano industriale Venuti a contatto con la scienza e la tecnica degli europei, i giapponesi, a differenza degli altri popoli colonizzati, le assimilarono rapidamente, avviando, negli ultimi decenni del secolo, il decollo industriale del Giappone, preparato, così

I modi della storia

Feudalesimo industrializzato: alle origini del Giappone moderno

Un «feudalesimo industrializzato»: è questa l’originale interpretazione che lo storico francese Fernand Braudel, nel volume Il mondo attuale, ha dato del Giappone moderno, intendendo dire che la rivoluzione industriale avvenne in quel paese senza sovvertire le strutture sociali tradizionali. Fu il ceto feudale a guidare l’industrializzazione in Giappone, sotto la guida dell’imperatore e in una modalità “gerarchica” che riproponeva rapporti già sperimentati nell’ambito feudale. I nuovi «signori della finanza e degli affari» furono l’equivalente dei nobili feudatari; gli operai lavorarono per loro con spirito non diverso da quello con cui i contadini avevano lavorato le loro terre, disposti a ubbidire e ad acconten-

tarsi di salari bassissimi; gli ingegneri e i direttori d’azienda furono «i samurai dei tempi nuovi». Nei decenni dell’industrializzazione era un pugno di famiglie a detenere più dell’80% dei capitali giapponesi: i Mitsui, i Mitsubishi, i Sumitovo, i Yasuda, e sopra tutti la casa imperiale, di gran lunga la più ricca di quelle ricchissime famiglie. Le stesse imprese conservarono una struttura familiare, «mistura di feudalesimo e di paternalismo, in un ambiente dove la libera impresa e il socialismo erano sentiti come idee strane e straniere», che avrebbero distrutto la civiltà propria del paese. Proprio l’esistenza di questa struttura gerarchica, in una società abituata al rispetto dell’au-

torità, spiega «il miracolo, il voltafaccia del 1868». Quell’anno l’imperatore accentrò in sé ogni potere, sovrapponendosi al governo dei nobili e imponendo al paese la via dell’industrializzazione; procurò gli investimenti necessari, costruì egli stesso le officine e le fabbriche. Dopo di che «concesse a privati, scelti a suo piacimento, le imprese così create, un po’ come avrebbe potuto concedere vasti feudi di nuovo genere». Obbediente, disciplinata, la società giapponese si adeguò al capitalismo così come aveva accettato il feudalesimo. «Il figlio del Sole – conclude Braudel – non ebbe bisogno di creare qualche ideologia o mistica; la mistica esisteva già e permise di manovrare il Giappone come un sol uomo».

Capitolo 34 Il nuovo colonialismo come era accaduto in Europa, dal rinnovamento delle strutture agrarie. La scelta, lucidamente programmata sul piano politico, fu realizzata con grande rapidità.

Il rinnovamento Meiji L’inizio della “grande trasformazione” fu annunciato ufficialmente e solennemente nel 1868 dall’imperatore Meiji (1867-1912), che dichiarò di voler rinnovare il paese «ricercando la saggezza in ogni parte del mondo» per svecchiare le «antiche usanze» del Giappone. Migliaia di giovani furono mandati in Inghilterra, in Germania, in Francia, negli Stati Uniti a imparare le tecnologie dell’Occidente per riportarle nel loro paese; tecnici stranieri furono invitati in Giappone; scuole tecniche e professionali furono aperte ovunque. Otto anni dopo si contavano già cento fabbriche mosse da macchine a vapore. Nel 1872 entrò in funzione la prima linea ferroviaria, da Tokyo a Yokohama.

Am ur

La modernizzazione del paese Al processo di industrializzazione si accompagnò una politica di armamenti che fece del Giappone una grande potenza militare, in grado di porsi essa stessa obiettivi di conquista coloniale. Anche sul piano politico si ebbe una notevole trasformazione: nel 1868 fu abolito il sistema feudale e nel 1889 fu istituito un Parlamento di tipo occidentale per affiancare il governo dell’imperatore. Una caratteristica originale dello sviluppo giapponese fu che le riforme politiche e la trasformazione industriale furono opera di quello stesso ceto feudale che aveva fino ad I M P ed E economica R O R Urimase S S Operciò segnata allora dominato il paese. La direzione politica dal carattere autoritario e militarescoTchita di questo ceto, che organizzò la nuova società SAKHALIN giapponese in modo rigidamente gerarchico. Si può dunque affermare che, paradosAMUR salmente, la tradizione guerresca dei samurai ebbe un ruolo importante nel determinare la politica aggressiva e le tendenze espansionistiche del “nuovo” Giappone. KARAFUTO MANCIURIA

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Manciuria cinese occupata dalla Russia (1900-05) Giappone nel 1905 Territori annessi nel 1905 dopo la guerra russo-giapponese Corea autonoma nel 1905 annessa dal Giappone nel 1910 Zona di influenza giapponese in Manciuria dopo il 1905

L’espansione del Giappone (1895-1910)

Transiberiana e ferrovie della Manciuria

Manciuria cinese occupata dalla Russia (1900-05) Giappone nel 1905

Tsukioka Yoshitoshi, Una donna dell’epoca Meiji in abiti occidentali, 1888 In questa stampa, tratta dalla serie Fuzoku sanjuniso, è rappresentata una donna giapponese in abiti tipicamente occidentali, segno della “grande trasformazione” voluta dall’imperatore Meiji.

451

452

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni La guerra con la Cina Il primo scontro fu con la Cina: tra il 1894 e il 1895 l’esercito nipponico assalì e occupò la Corea e l’isola di Formosa. Negli anni successivi, approfittando della crescente debolezza politica e militare del paese vicino, il Giappone occupò la regione cinese della Manciuria, cacciandone i russi che se ne erano impadroniti (1904-5). La sconfitta dei russi consentì al Giappone di avviare una più profonda penetrazione economica in Cina e suscitò grande impressione in Occidente: era la prima volta che un paese non europeo si imponeva con le armi su un paese europeo.

34.6 Le terre oceaniche e artiche Il colonialismo inglese in Oceania Anche l’Australia nel corso dell’Ottocento fu popolata dagli europei, in particolare dagli inglesi. In quegli immensi territori non vivevano, originariamente, che poche tribù indigene. Sul finire del Settecento gli inglesi costituirono sulla costa australiana, nel sito dell’attuale Sydney, una colonia di deportazione, mentre gruppi di emigranti iniziavano la penetrazione verso l’interno, introducendo su larga scala la pratica della pastorizia. La scoperta di miniere d’oro, avvenuta nel 1851, attrasse altri emigranti dall’Europa e la popolazione salì verso il 1880 a due milioni e mezzo. Similmente avvenne nella Nuova Zelanda, dove nel 1830 sbarcò il primo gruppo di coloni inglesi – un migliaio di persone – che fondarono la città di Wellington. Solo più tardi il flusso di emigrazione aumentò, in seguito alla scoperta, anche qui, di ricchi giacimenti minerari. L’arrivo ai Poli La penetrazione europea si estese persino alle inospitali terre polari, fino ad allora abitate solo da due diversi gruppi etnici: gli inuit nell’estremo nord dell’America e gli yupik dell’Asia. Le popolazioni native del Canada settentrionale (i cree) si riferirono a questi gruppi usando l’appellativo dispregiativo (e perciò rifiutato dagli interessati) di “eschimesi”, che sembra significare ‘fabbricante di racchette da neve’ o, secondo un’altra interpretazione, ‘mangiatore di carne cruda’. Nelle terre polari gli antichi abitanti, che vivevano da millenni in un pressoché totale isolamento dal resto del mondo, videro apparire per la prima volta altri uomini. Si trattò soprattutto di russi, scandinavi, canadesi, esploratori e commercianti in cerca di pellicce, grasso, cuoio. Essi introdussero tra le popolazioni di quelle fredde solitudini le armi da fuoco, gli arnesi metallici (in precedenza i soli materiali utilizzati erano l’osso e l’avorio), il petrolio, la farina, lo zucchero, il tè.

Paul Gauguin, Ta matete (Il mercato), 1892 [Kunstmuseum, Basilea]

Il colonialismo europeo, che impose i propri modelli culturali ai popoli dell’Africa e dell’Asia, produsse anche degli effetti “di ritorno”, ossia influenze delle culture afro-asiatiche sulla cultura europea. Per esempio il pittore Paul Gauguin (1848-1903) si stabilì nella colonia francese di Tahiti e trovò in questi luoghi la sua principale fonte di ispirazione.

Capitolo 34 Il nuovo colonialismo ALASKA (1867)

34.7 Imperialismo statunitense in America Latina

E T I N

SSeattle Porland

NE

E U La conquista del Pacifico Anche gli Stati Uniti parteciparono, come nuova potenza A L MONGOLIA MANCIURIA industriale, all’espansione coloniale di fine Ottocento. Già nel 1867 avevano annesso Pechino successivi l’interesse le isole Midway e acquistato l’Alaska dalla Russia. Nei decenni COREAle Tokyo si concentrò sull’area del Pacifico, dove furono occupate e annesse isole Hawaii OCEANO O (1898) e le isole Samoa, spartite con la Germania (1899).C PP PACIFICO I N G IA Nel frattempo gli Stati Uniti cominciarono a rivendicare perA sé il diritto di controllaisole MIDWAY re gli equilibri economici e politici dell’intero continente Hongamericano. Kong (1867)

453

San Francisc

FORMOSA

La teoria imperialista La cosiddetta “dottrina di Monroe”, dal nome del presidente 00 km GUAM che nel 1823 aveva appoggiato la lotta per l’indipendenza delleManila colonie22europee del(1898) CenFILIPPINE tro e Sud America [ 21.3], fu “aggiornata” e interpretata in modo da farla diventare il (1898) fondamento ideologico delle nuove tendenze espansionistiche. Monroe aveva affermato, semplicemente, che l’America era degli americani e che gli europei non dovevano ingeBORNEO rirsi nelle loro faccende. Da questo pensiero derivò, in modo evidentemente tendenzioso, CELEBES NUO la teoria che spettava agli Stati Uniti «esercitare il potere sovrano sul continente, VA G afferU E A mando come legge la propria volontà» (così si espresse il presidente Cleveland nelIN1896). La questione cubana La prima occasione per mettere in pratica tale teoria si presentò nel 1898, quando l’isola di Cuba, rimasta, con Portorico e Guam, l’ultima colonia della Spagna, si ribellò al dominio di Madrid, protestando contro la durezza dello sfruttaAUSTRALIA mento a cui era sottoposta. In appoggio a Cuba, gli Stati Uniti dichiararono guerra agli spagnoli e li costrinsero a evacuare l’isola, che fu proclamata repubblica indipendente ma di fatto passò sotto il controllo politico, militare ed economico statunitense. Anche le isole di Portorico e Guam furono sottratte agli spagnoli. Gli ultimi residui del colonialismo europeo in America venivano così a cessare, mentre cominciava ad affermarsi nell’America Latina la presenza statunitense, favorita dalla debolezza politica ed economica delle repubbliche nate con le rivoluzioni del 1811-25 [ 21.2].

5000 km

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0

35

HAWAII (1898)

00

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km

isole SAMOA TUTUILA (1899) (1900)

NUOVA ZELANDA L’imperialismo statunitense

Basi e possedimenti USA FILIPPINE Territori occupati dagli USA (1898) (con data)

ALASKA (1867)

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NE

COREA Tokyo I N

A Hong Kong FORMOSA

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isole MIDWAY (1867)

Manila 2200 km GUAM (1898) FILIPPINE (1898) BORNEO CELEBES

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5000 km

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HAWAII (1898)

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isole SAMOA TUTUILA (1899) (1900) AUSTRALIA

NUOVA ZELANDA

NICARAGUA (1911)

PORTORICO (1898) CUBA (1898) HAITI (1915)

PANAMA (1903)

San S Diego

454

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni

Sintesi

Il nuovo colonialismo

Alla ricerca di mercati e di materie prime Nel XIX secolo gli Stati industrializzati avevano bisogno di ottenere materie prime e nuovi mercati su cui vendere i prodotti e investire i capitali. Iniziò una nuova fase di espansione coloniale, di cui i maggiori protagonisti furono Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati Uniti, Giappone. Questa politica portò a un superamento della crisi (1873-96) e all’avvio di una fase di crescita della produzione. A essa fu legata l’esplorazione della parte interna dell’Africa. Berlino 1884: la spartizione dell’Africa Alle spedizioni scientifiche seguirono quelle di missionari, soldati, mercanti, dettate da interessi economici e politici e dalla convinzione di dover civilizzare popolazioni primitive. In pochi anni gli europei occuparono il continente, stabilendo col trattato di Berlino (1884) le regole da seguire per le spartizioni territoriali. A insediarsi in Africa furono soprattutto la Francia, che si estese in linea orizzontale dal Senegal al Madagascar, e l’Inghilterra che si estese in linea verticale dall’Egitto alla colonia del Capo all’estremo sud. Ottennero territori anche Belgio, Germania, Portogallo, Spagna e Italia, che occupò l’Eritrea (1885). Il colonialismo in Asia Negli ultimi decenni del XIX secolo l’espansione coloniale delle potenze industriali europee si rivolse anche verso l’Asia. Nel Sud-est asiatico si ampliarono i domìni della Francia (Indocina francese), degli Stati Uniti (Filippine e Hawaii) e della Germania, mentre l’Olanda mantenne Sumatra, Borneo e Giava. L’Inghilterra si espanse in Birmania e Malesia e consolidò il proprio dominio sull’India, che passò dal control-

lo privato della Compagnia delle Indie a quello del governo di Londra. Nell’Asia continentale, la Russia si espanse verso est, attraverso la Siberia, fino al Pacifico. La “guerra dell’oppio” e la penetrazione europea in Cina All’inizio dell’Ottocento la Cina conservava i suoi ordinamenti tradizionali: l’imperatore divinizzato, l’importanza dei mandarini, ampi poteri ai governatori delle province. I commerci con gli europei erano regolati da leggi molto restrittive. La guerra dell’oppio (1839) segnò l’inizio della penetrazione in Cina dell’Inghilterra, che ottenne il territorio di Hong Kong e l’apertura di alcuni porti al commercio. Questa alterazione dei tradizionali equilibri cinesi provocò delle reazioni interne: rivolte contadine, poi sedate con l’appoggio europeo, e la rivolta dei boxers, appartenenti a una società clandestina fortemente ostile agli europei. Il malcontento interno alla Cina crebbe in seguito alla sconfitta nella guerra contro il Giappone (1894-95). Il Giappone da possibile colonia a potenza coloniale Alla fine dell’Ottocento il tradizionale isolamento del Giappone fu spezzato per la prima volta dagli Stati Uniti, dopo di che i porti furono progressivamente aperti. I contatti con la scienza e la tecnica occidentali furono assimilati secondo un programma di interscambio ideato dall’imperatore Meiji. Nel giro di pochi anni si avviarono l’industrializzazione e riforme politiche, con l’abolizione del feudalesimo e l’introduzione del Parlamento, pur permanendo una società gerarchicamente divisa. Fu incrementata la forza militare e avviata un’espansione terri-

toriale ed economica in direzione della Cina. La sconfitta dei russi in Manciuria (1904-05) destò grande impressione in Occidente: era la prima vittoria di un paese non europeo nei confronti di un paese europeo. Le terre oceaniche e artiche Nel XIX secolo anche l’Australia, in precedenza abitata da poche tribù indigene, fu popolata dagli europei, in particolare inglesi. Gli emigranti penetrarono all’interno introducendo la pastorizia. Dopo la scoperta di miniere d’oro, i flussi migratori aumentarono. Anche in Nuova Zelanda un primo gruppo di coloni inglesi fu seguito da altri emigranti dopo la scoperta di giacimenti minerari. Gli europei giunsero anche nelle terre polari, in precedenza abitate principalmente dagli inuit (in Nord America) e dagli yupik (Asia). Imperialismo statunitense in America Latina All’espansione coloniale di fine Ottocento presero parte anche gli Stati Uniti d’America. All’acquisizione di nuovi territori (isole Midway, Alaska) seguì l’espansione nell’area del Pacifico (isole Samoa e Hawaii). Il presidente Cleveland rivendicò il diritto statunitense a una posizione di dominio rispetto agli equilibri del continente americano. In coerenza con tale principio, gli Stati Uniti intervennero dopo una ribellione contro gli spagnoli a Cuba, che divenne una repubblica indipendente ma sotto l’influenza statunitense. Agli spagnoli furono sottratte anche Guam e Portorico. Il colonialismo europeo in America terminava, mentre si espandeva l’influenza degli Stati Uniti sulle deboli repubbliche sudamericane.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. La crisi del 1873-96 frenò la nascita di nuove colonie.

V

F

d. La regina Vittoria fu nominata “imperatrice delle Indie” nel 1858.

b. L’episodio di Fashoda fece rompere gli accordi di spartizione territoriale tra Francia e Inghilterra.

V

F

e. Alla fine del Settecento gli inglesi costruirono una colonia di deportazione in Australia.

V

F

c. L’espansione coloniale ottocentesca fu condotta soprattutto dagli Stati industrializzati.

V

F

f. Il primo paese straniero a penetrare nei porti giapponesi fu l’Inghilterra.

V

F

V

F

Capitolo 34 Il nuovo colonialismo

g. Il presidente Cleveland sostenne il potere sovrano V degli Stati Uniti sul continente americano.

F

s. L’espansionismo russo si diresse verso la parte continentale dell’Asia.

V

F

h. Dopo il trattato di Berlino, Germania e Inghilterra occuparono gran parte delle coste africane.

V

F

t. Il trattato di Nanchino stabilì la cessione di Hong-Kong dalla Gran Bretagna alla Cina.

V

F

i. Tra il 1900 e il 1914 si ebbe una nuova fase di crescita della produzione.

V

F

u. Prima dell’insediamento degli inglesi, nella Colonia del Capo vivevano i boeri.

V

F

l. Gli esploratori e i commercianti nelle terre polari cercavano pellicce, grasso, avorio.

V

F

m. La Cina proibì il commercio dell’oppio anche per le grandi quantità di denaro che uscivano dal paese. V

F

2. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Vittorio Bottego

sorgenti del Nilo

Henry Stanley

zona tra Nilo e Congo

Romolo Gessi

bacino del fiume Congo

Richard Burton

fiumi Giuba e Omo

David Livingstone

oasi di Cufra

F

Heinrich Barth

grandi laghi equatoriali

F

Gaetano Casati

bacino superiore del Nilo

n. L’espansione inglese in Africa seguì una direttiva orizzontale, da ovest a est.

V

F

o. Dopo la rivolta del 1898, Cuba fu annessa agli Stati Uniti d’America.

V

F

p. La “grande trasformazione” in Giappone fu promossa dal ceto feudale che dominava il paese. V

F

q. La rivolta dei boxers tentò di costituire uno Stato autonomo dal governo centrale.

V

r. Gli unici paesi africani ad avere conservato autonomia furono l’Etiopia e la Liberia.

V

3. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1839

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

1842

1858

1860

1868

1872

1881

occupazione inglese dell’Egitto rivolta dei boxers a Pechino occupazione giapponese della Manciuria occupazione italiana dell’Eritrea creazione della base navale di Vladivostok trattato di Berlino guerra dell’oppio

1882

8. 9. 10. 11. 12. 13. 14.

1884

1885

1898

1900

1903

1905

inizio della “grande trasformazione” in Giappone inaugurazione della ferrovia transiberiana l’India è posta sotto il governo diretto di Londra entra in funzione la linea ferroviaria tra Tokyo e Yokohama le truppe inglesi e francesi si incrociano a Fashoda occupazione francese della Tunisia trattato di Nanchino

4. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. arcipelago • boeri • deportazione • eschimese • esploratore • mandarino • protettorato • samurai • xenofobia Tutela militare, economica e amministrativa, stabilita da un trattato, da uno Stato nei confronti di un altro, che in cambio consente allo Stato protettore determinati privilegi Relegazione del condannato in un luogo lontano dalla madrepatria, con privazione dei diritti civili e politici Alto dignitario civile e militare della vecchia Cina imperiale Raggruppamento di isole situate nello stesso mare e accomunate dai caratteri morfologici Casta militare privilegiata dedita all’arte della guerra Popolazione nativa delle coste artiche dell’America e dell’Asia Ostilità sistematica e indiscriminata nei confronti degli stranieri e di tutto ciò che è straniero Coloni olandesi stabilitisi in Sudafrica nel XVII secolo Chi percorre luoghi, terre sconosciute a scopo di studio e di ricerca

455

456

Modulo 9 Stati, imperi, nazioni

5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. Algeria • Angola • Australia • Birmania • Borneo • Cambogia • Caroline • Ciad • Cocincina • Congo • Costa d’Avorio • Egitto • Eritrea • Filippine • Giava • Hawaii • Hong Kong • India • Kenia • Laos • Libia • Malesia • Marianne • Mozambico • Rhodesia • Senegal • Sierra Leone • Sudan • Sumatra • Tunisia

IL COLONIALISMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO: I DOMINI DEGLI STATI

INGHILTERRA

FRANCIA

AFRICA

ASIA E OCEANIA

Costa d’Oro, ......................., Gambia, ..........................., Colonia del Capo, ......................, ....................., Uganda, .....................

..............................., Persia, Afghanistan, Tibet, ...........................

..................................., ...................................., ......................................,

.................................., ...................................,

...............................,

..................................,

Niger, ......................................, Madagascar

........................., .........................., ........................., Nuova Zelanda,

Tonchino, ....................

Vietnam

BELGIO

Congo

...................................................................................................................

GERMANIA

Africa tedesca occidentale (Atlantico) e orientale (Indiano): domìni

.............................................., ..........................................,

PORTOGALLO

......................................................., ..........................................................

...................................................................................................................

SPAGNA

Sahara occidentale

...................................................................................................................

ITALIA

.............................................,

Somalia, ................................................

...................................................................................................................

STATI UNITI

...................................................................................................................

..............................., .............................., parte delle Isole Samoa

OLANDA

...................................................................................................................

..............................................., ....................................................,

RUSSIA

...................................................................................................................

Siberia, ..................................................................................................

parte delle

Isole Samoa

Indica sulle cartine i territori appartenenti a ciascuno Stato contrassegnandoli con un colore diverso.

Giava

Capitolo 34 Il nuovo colonialismo

Analizzare e produrre 6. Leggi il documento «“Feudalesimo industrializzato”: alle origini del Giappone moderno» a p. 450 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa caratterizzava la società tradizionale giapponese nella prima metà dell’Ottocento? 2. Come avvenne la penetrazione degli Stati stranieri nei porti giapponesi? 3. Che cosa si intende per “grande trasformazione”? Da chi fu promossa? A che scopo? 4. Quale politica militare fu seguita dal Giappone nella seconda metà dell’Ottocento? 5. Quali riforme politiche e sociali interne furono adottate? A opera di chi? A che scopo? 6. Quali conseguenze ebbe il carattere storicamente guerriero dei samurai sul nuovo Giappone? 7. Quali guerre furono intraprese dal Giappone tra Ottocento e Novecento? Con che esito? 8. Chi ha coniato la definizione di “feudalesimo industrializzato”? Che cosa intende sottolineare? 9. Quali erano le principali classi sociali nel Giappone della seconda metà del XIX secolo? 10. Chi deteneva la maggior parte dei capitali? Quale era la struttura delle imprese? 11. Che cosa accadde nel 1868? Come reagì la società giapponese? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve testo di almeno 10 righe dal titolo “La modernizzazione del Giappone”.

7.

Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” a p. 446 e rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe. 1. Che cosa approvò il governo inglese nel 1811? 2. Che cosa decise il Congresso di Vienna sul commercio degli schiavi? Queste decisioni furono seguite? 3. Che cosa fu convocato a Bruxelles nel 1889? A che scopo? 4. Quale conferenza fu tenuta a Ginevra nel 1926? Da chi? A che scopo? 5. Che cosa firmò l’ONU nel 1956? Quali novità vi erano contenute? 6. Come è la situazione attuale?

8. Verso il saggio breve Leggi il documento “Trattati e fucilate” a p. 444 e rispondi alle seguenti domande. 1. Come avvennero i primi stanziamenti coloniali europei in Africa? 2. Che cosa contiene il primo documento? 3. Che cosa desiderano il popolo e il re dell’Assinia? A chi concedevano il territorio? Con quali diritti e con quali limitazioni? In cambio di che cosa? 4. Che cosa contiene il secondo documento? In che modo erano condotte le esplorazioni? Avevano un carattere pacifico? 5. Quale manovra è effettuata? A che scopo? 6. Come sono trattati gli indigeni? Quali armi sono usate? Leggi il documento «L’imperialismo è una necessità» a p. 448 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa contiene il documento? 2. Per quale motivo si cercano nuovi mercati e nuove materie prime? 3. Che cosa è cambiato negli ultimi trent’anni? Perché? 4. Dove vanno cercati e trovati i nuovi mercati? Perché? 5. In che modo occorre agire? Quali forme istituzionali occorre dare ai nuovi territori? 6. Perché l’imperialismo è definito una necessità? Leggi la citazione di Jules Ferry riportata a p. 443 e rispondi alle seguenti domande. 1. Chi era Jules Ferry? 2. A che cosa serve la fondazione delle colonie? Quali legami devono esserci con la madrepatria? 3. Da che cosa nasce la politica coloniale? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle presenti nella tabella dell’esercizio n. 5, scrivi un breve saggio di almeno 15 righe dal titolo “L’imperialismo di fine Ottocento: le cause e le modalità”.

457

La discussione storiografica

Industrializzazione, imperialismo, colonialismo S

econdo una celebre definizione dello statista russo Lenin (1870-1924), l’imperialismo, e la conseguente colonizzazione delle regioni arretrate del pianeta, rappresenta la «fase suprema del capitalismo». Attorno a questa idea si è costruita l’interpretazione marxista del colonialismo, visto come esito degli interessi industriali delle grandi potenze, alla ricerca di materie prime e di nuovi mercati. Altre interpretazioni mettono in primo piano la dimensione politica, la volontà di espansione territoriale e le mire egemoniche dei paesi europei. C’è stato addirittura chi, come l’economista austriaco Joseph Schumpeter (1883-1950), ha visto nell’imperialismo ottocentesco il residuo di antiquati valori militareschi, di una cultura politica ormai sorpassata rispetto alle

esigenze della moderna società industriale. Ma bisogna ammettere che l’interpretazione economica non è solo frutto di un pregiudizio ideologico di stampo marxista: furono gli stessi protagonisti del colonialismo, gli uomini politici che nel XIX secolo sostennero la necessità di penetrare in regioni e continenti nuovi, a giustificare la politica di espansione con motivazioni di questo tipo. Nel bel mezzo della crisi di sovrapproduzione che colpì l’economia europea tra il 1873 e il 1896, lo statista francese Jules Ferry (1832-1893) affermò che la fondazione di nuove colonie serviva come sbocco per la produzione industriale, dichiarando senza mezzi termini che «la politica coloniale è figlia della politica industriale» [ 34.1]. La crescente competizione economi-

ca fra i paesi industriali parve anche all’economista inglese John Atkinson Hobson (1858-1940) il motivo trainante del colonialismo: in uno studio del 1902 egli sostenne che era indispensabile per l’industria inglese «disporre di mercati per le manifatture in continuo sviluppo, trovare nuovi sbocchi per gli investimenti di capitali», in un momento in cui la supremazia inglese sui mercati internazionali era scossa dalla concorrenza di nuove potenze industriali [ Documenti, 34.3]. Il dibattito storiografico sul colonialismo non può dunque prescindere dalle ragioni di carattere economico, che sicuramente si incrociarono con esigenze di altra natura ma mantennero sempre una loro centralità.

di considerare anche le ragioni “locali” del colonialismo, cioè le vicende specifiche delle singole zone di occupazione, che interagirono con le politiche e le scelte della potenza coloniale agendo, in qualche caso, da molla propulsiva dell’intervento politico-militare. Nel secondo brano, lo storico tedesco Wolfgang Reinhard (1937) esamina i meccanismi attraverso i quali la penetrazione coloniale, dopo avere sfruttato le risorse dei paesi occupati con una vera “economia di rapi-

na”, introdusse forme di produzione agricola funzionali alle esigenze del mercato internazionale, stravolgendo gli equilibri di consumo locali. In questo caso le motivazioni economiche del colonialismo appaiono di natura commerciale più che industriale, o semmai chiamano in causa l’industria alimentare, da cui vengono a dipendere le scelte agricole operate nei paesi coloniali. Reinhard si riferisce in particolare all’Africa, ma il discorso ha una valenza più generale.

I testi Lo storico statunitense Raymond F. Betts (1926-2007) è ritenuto uno dei maggiori specialisti di storia del colonialismo. Nel brano che qui presentiamo, egli esamina le varie posizioni storiografiche proposte sull’argomento, mostrando come le motivazioni economiche e quelle politiche (non senza importanti riflessi sul piano culturale) normalmente siano integrate fra di loro, nonostante la priorità data alle une o alle altre dai singoli studiosi. Betts inoltre sottolinea l’importanza

La discussione storiografica Industrializzazione, imperialismo, colonialismo

459

Fra economia e politica Raymond F. Betts

[Tra i modelli interpretativi che sono serviti a spiegare il fenomeno dell’imperialismo] nessuno ha esercitato tanta attrazione quanto quello di derivazione nettamente marxista. Secondo tale modello, il capitalismo industriale estendendosi a nuovi mercati e cercando nuove zone per gli investimenti industriali promosse l’imperialismo in quanto strumento per ottenere maggiori profitti. Che tali profitti siano stati realmente ottenuti e che le relative previsioni si siano basate su valutazioni reali o mitiche del potenziale valore economico dei territori da acquistare, è del tutto irrilevante rispetto alla premessa di base di questa tesi: il fine economico. Di recente, una suggestiva variante della tesi economica ritiene che l’imperialismo sia stato un temporaneo dispositivo per regolare le disfunzioni economiche e sociali provocate in Germania e in Gran Bretagna dalla crescita irregolare dell’economia industriale. […] Contro queste tesi orientate sull’economia, gli storici convinti del primato della politica estera hanno ritenuto che generatore dell’imperialismo fu il dinamismo del sistema europeo di Stati. Quando la politica di potenza dovette cercare altri spazi al di fuori del piccolo continente europeo, in cui l’unificazione dell’Italia e della Germania aveva eliminato i centri tradizionali di scontro e di spartizione territoriale, nuovi campi di manovra si cercarono o si trova-

rono in Africa, nel Vicino Oriente e nell’Estremo Oriente. Nell’ambito di questa ipotesi, che si basa in primo luogo sull’analisi delle attività diplomatiche e su una valutazione del concetto di equilibrio di potere, figurano appunto la rivalità anglo-francese e quella anglo-tedesca. Contro queste interpretazioni, che hanno comunque in comune il fatto che in generale accettano l’esistenza del «nuovo imperialismo», sta la più influente tra le teorie recenti, quella che postula l’esistenza di imperi «informali» (acquisiti per via commerciale) e «formali» (annessi politicamente), che mirano entrambi all’espansione economica. Questa tesi […] nega l’unicità, la subitaneità e l’intensità del «nuovo imperialismo». Infine, studi recenti che capovolgono l’impostazione tradizionale […] hanno cercato di modificare l’impostazione eurocentrica, presente nella maggior parte delle analisi sulle cause dell’imperialismo. Secondo questa linea di ricerca, i fattori locali avrebbero provocato il coinvolgimento politico, a volte non previsto e non desiderato nelle capitali europee. Di conseguenza, il colonialismo, ossia l’attività coloniale locale, avrebbe preceduto l’imperialismo, ossia la politica nazionale. R.F. Betts, L’alba illusoria. L’imperialismo europeo nell’Ottocento, Bologna 1986, pp. 94-95

Agricoltura locale e colture da esportazione Wolfgang Reinhard

Come nella maggior parte dei casi, anche in Africa l’economia coloniale esordì come economia di rapina, una sorta di saccheggio in grande stile, che raggiunse il suo culmine nelle colonie del Congo. Si trattava di fare il più rapidamente possibile bottino dei prodotti naturali come l’avorio e il caucciù, sfruttando nel modo più brutale gli indigeni, senza effettuare il minimo investimento nel paese. Fu così che i guadagni di parecchie società cui erano state accordate concessioni in certi periodi toccarono il 1400 per cento. […] Le amministrazioni coloniali tendevano in caso di bisogno a dichiarare proprietà dello Stato quella terra che agli occhi degli europei appariva senza padrone e ad assegnarla a coloni bianchi o a società con capitali. Venne introdotta inoltre la possibilità per gli africani di possedere in regime di proprietà privata la terra, a cui si accompagnavano la registrazione, la tassazione e altre spiacevolezze che spesso facevano sì che la terra finisse nelle mani dei creditori o degli acquirenti bianchi. […] Al mantenimento della proprietà della terra nelle mani degli africani non doveva corrispon-

dere assolutamente una mera economia di sussistenza, bensì la produzione da parte dei contadini africani di cash crops (‘colture da esportazione’) per il mercato mondiale. […] Gli investitori sia pubblici sia privati, durante l’epoca coloniale, investirono il loro denaro in primo luogo nel settore delle esportazioni in senso lato. Il risultato fu uno sviluppo unilateralmente orientato al commercio estero, vale a dire agli interessi economici degli europei anziché all’economia africana, cioè uno sviluppo economico dalla forte connotazione coloniale. Se guardiamo la carta geografica, ancora oggi possiamo ricavare una siffatta conclusione dal più importante investimento statale, la costruzione delle ferrovie. Ancora più chiaramente che in India, a parte poche eccezioni, tale costruzione ha creato un sistema di linee ferroviarie d’approccio gravitanti sulle città portuali, sistema che non rispondeva alle esigenze del continente, bensì al suo sfruttamento da parte degli europei. W. Reinhard, Storia del colonialismo, Torino 2002, pp. 278-281

Indice Memo e Parole Memo Ancien régime 243 Borghesia 367 Confederazione germanica 411

Dinastia dei Capetingi 161 Guerra dei Sette anni 137 Guerra dei Trent’anni 15 Impero turco-ottomano 257

Protettorato 449 Re di Sardegna 307 Sacro romano impero 416 Servitù della gleba 429

Triumvirato

depressione 372 deputato 301 destra 153 erba medica 87

Esposizione universale mezzadria 337 pionieri 272 plebiscito 328

profitto 224 sinistra 153 volt 110 voltaggio 110

312

Parole bilancia commerciale 18 boicottaggio 136 centro 153 contumacia 297

389

Capitolo 5 L'Islam, l'Impero bizantino, le Crociate

Indice dei nomi I numeri in corsivo si riferiscono alle occorrenze in didascalia e in scheda.

A

Accum, Fredrick, 382. Achard, Friedrich Karl, 191. Alcook, John, 396. Aldi Pietro, 332. Alekseev, Fëdor, 30. Alessandro I, zar, 189, 192, 243. Alessandro II, zar, 429. Alfieri, Vittorio, 123. Ansaldo, Giovanni, 318. Appert, François, 381. Appiani, Andrea, 175. Ariès, Philippe, 405. Arkwright, Richard, 211, 238. Armellini, Carlo, 312. Artois, Carlo X d’, re di Francia, 259, 260. Asburgo, Carlo II d’, re di Spagna, 37. Asburgo, Carlo VI d’, imperatore, 37, 39, 120. Asburgo, Filippo IV d’, re di Spagna, 19. Asburgo, Francesco Giuseppe, imperatore, 411, 425, 425. Asburgo, Francesco I d’, imperatore, 192, 244, 248. Asburgo, Giuseppe II d’, imperatore, 119. Asburgo, Leopoldo I d’, imperatore, 37. Asburgo, Leopoldo II d’, imperatore, 119. Asburgo, Maria Luisa d’, 192, 247. Asburgo, Maria Teresa d’, imperatrice, 119, 120, 155. Asburgo, Massimiliano d’, arciduca, 411. Asburgo, Pietro Leopoldo d’, granduca di Toscana, 121-122, 122. Asburgo-Este, Francesco IV d’, duca, 247, 262, 262. Asburgo-Lorena, Leopoldo II d’, granduca, 311, 312. Asburgo-Lorena, Maria Antonietta d’, regina di Francia, 155, 165. Ashton, Thomas Southcliffe, 238, 239. Atkinson Hobson, John, 448, 458. Augusto III, re di Polonia, 39.

B

Bakunin, Michail, 370-372. Babeuf, François-Nöel, 169, 295. Balbo, Cesare, 299. Bandi, Giuseppe, 332.

Bandiera, Attilio ed Emilio (fratelli), 297. Banti, Alberto Mario, 290, 291, 349. Barbagli, Marzio, 405. Baretti, Giuseppe, 123. Barras, Paul, 181. Bastogi, Piero, 340. Baviera, Carlo Alberto di, duca, 39. Baylac, Lucien, 395. Beauharnais, Eugenio de, viceré d’Italia, 190. Beccaria, Cesare, 120, 122, 122. Bell, Alexander, 357. Bell, Patrick, 380. Benedetto XIV (Prospero Lambertini), papa, 54. Benz, Karl, 394. Bering, Vitus Johansen, 59. Berliner, Emile, 400. Bernardin de Saint-Pierre, JacquesHenry, 62, 103. Bertaux, Jacques, 169. Bessemer, Henry, 356. Betts, Raymond F., 458, 459. Biscaretti, Carlo, 394. Bismarck, Otto von, 410, 411, 413, 413, 415, 415, 417, 417, 427. Bixio, Nino, 328, 330. Blanc, Louis, 235, 280, 281, 368. Blanchard Jerrold, William, 225. Blanqui, Louis-Auguste, 235, 370. Blériot, Louis, 396. Bloch, Marc, 92, 93. Bluck, John, 137. Bocconi, Ferdinando e Luigi (fratelli), 383. Bodmer, Karl, 274. Bodoni, Giambattista, 123. Boilly, Louis-Léopold, 163. Bolívar, Simon, 269, 270, 270. Bollati, Giuseppe, 340. Bonaparte, Giuseppe, re di Napoli, 190, 191, 191. Bonaparte, Luigi Napoleone III, 281, 312, 320, 321, 322, 323, 328, 330, 411-413, 412, 415, 418. Bonaparte, Luigi, re d’Olanda, 190. Bonaparte, Luisa, duchessa, 190. Bonaparte, Napoleone, 175, 176-181, 178, 179, 180, 185, 186-195, 186, 187, 188, 195. Bontekoe, Cornelius, 75. Borbone, Enrico IV di, re di Francia, 15. Borbone, Ferdinando II di, re delle Due Sicilie, 300, 309. Borbone, Ferdinando IV di, re di Napoli, 181, 247.

Borbone, Ferdinando VII di, re di Spagna, 256. Borbone, Filippo V di, re di Spagna, 37, 39. Borbone, Francesco II di, re delle Due Sicilie, 330, 331. Borbone, Luigi XIII di, re di Francia, 15, 17, 146. Borbone, Luigi XIV di, re di Francia, 8, 1620, 17, 18, 19, 20, 26, 40, 108, 146, 202. Borbone, Luigi XV di, re di Francia, 38, 146, 168. Borbone, Luigi XVI di, re di Francia, 147, 149, 150, 161, 162-163, 162, 163. Borbone, Luigi XVIII, di, re di Francia, 194, 244, 259. Borbone, Maria Luisa, 247. Borden, Gail, 383. Bossoli, Carlo, 307, 331. Bottego, Vittorio, 444. Boucher, François, 129. Bougainville, Louis-Antoine de, 59. Boycott, Cunningham, 136. Braganza, Giovanni VI di, re di Portogallo, 269. Braudel, Fernand, 379, 450. Brissot, Jacques-Pierre, 153. Brown, Arthur, 396. Brown, Ford Madox, 208. Buffon, Georges-Louis Leclerc conte di, 110. Buonarroti, Filippo, 169, 295, 297. Bürkel, Heinrich, 284. Burnham, Daniel H., 389. Burton, Richard, 443. Byron, George Gordon, lord, 258, 284.

C

Cabianca, Vincenzo, 332. Cadorna, Raffaele, 419. Cairoli, Enrico e Giovanni (fratelli), 418. Canning, George, 430. Carafa Proto, Francesco, 340. Carletti, Francesco, 61. Carlo XII, re di Svezia, 29. Carlyle, Thomas, 207. Carnot, Lazare, 164. Cartwright, Edmund, 211, 238. Casati, Gabrio, 337. Casati, Gaetano, 444. Castlereagh, Robert Stewart, visconte di, 243, 244. Castro, José Gil de, 269.

461

Indice dei nomi

462

Caterina la Grande, imperatrice di Russia, 118-119. Cattaneo, Carlo, 300, 307, 308, 310, 340. Cavallo Pazzo, capo indiano, 433. Cavendish, Henry, 112. Cavour, Camillo Benso, conte di, 317, 317, 318-319, 318, 320, 321, 323, 328, 339, 340, 349, 368, 412, 419. Cézanne, Paul, 397. Chabod, Federico, 290. Champaigne, Philippe de, 15. Champollion, Jean-François, 180. Charles, Jacques, 112, 112. Chartier, Roger, 128, 129. Chavez, Jorge, 396. Chopin, Fryderyk, 261. Cianfanelli, Nicola, 110. Cipriani, Leonetto, 328. Cirio, Francesco, 382. Cironi, Piero, 298. Clausewitz, Carl von, 40. Clemente XIV (Giovanni Vincenzo Ganganelli), papa, 123. Clive, Robert, 57. Cobban, Alfred, 201, 202. Colbert, Jean-Baptiste, 16, 18. Colombo, Cristoforo, 133, 273, 431. Comte, Auguste, 399. Confalonieri, Federico, 256. Confucio, 54. Cook, James, 59, 59. Corrao, Giovanni, 329. Cort, Henry, 212. Costa, Camillo, 294. Couder, Louis-Charles-Auguste, 146, 181. Crispi, Francesco, 328, 329, 342, 343. Croft, Enest, 4. Crompton, Samuel, 211, 238. Cromwell, Oliver, 6, 7, 8. Custer, George, 433, 433.

D

D’Alembert, Jean-Baptiste Le Rond, 100, 101, 102, 118. D’Azeglio, Massimo, 317. Daguerre, Louis-Jacques-Mandé, 388, 397. Daimler, Gottlieb, 394. Dandolo, Emilio ed Enrico (fratelli), 307. Danton, Georges-Jacques, 153. Darby, Abraham, 212. Darwin, Charles, 110, 399. Daubert, Philipp W., 382. Daumier, Honoré, 230. David, Jacques-Louis, 160, 176. Davis, Jefferson, 436. De Amicis, Edmondo, 388. De Bertry, Nicolas-Henry Jeaurat, 151. De Gouges, Marie Olympe, 102. De Nittis, Giuseppe, 367. De Sanctis, Francesco, 340. Defoe, Daniel, 210. Degas, Edgar, 397, 405.

Delacroix, Eugène, 258, 260, 284. Delessert, Benjamin, 191. Deroin, Jeanne, 384. Desmoulins, Camille, 153, 154. Diderot, Denis, 100, 101, 102. Disraeli, Benjamin, 430, 430. Dodero, Antonio, 296. Donghi, Felice, 306. Doré, Gustave, 225, 358. Dostojevskij, Fedor, 429. Drais, Karl Friedrich, 395. Drake, Edwin, 360, 360, 374. Dubufe, Édouard-Louis, 316. Duby, Georges, 17, 405. Ducos, Pierre-Roger, 181. Dumas, Alexandre, 428. Dunant, Henry, 322. Dunlop, John, 395. Durand, Peter, 382. Durando, Giacomo, 299, 308. Durando, Giovanni, 309, 309.

E

Edison, Thomas Alva, 358, 358, 359, 399. Edward, Penny, 57. Eiffel, Alexandre-Gustave, 388. El-Giabarti, Abd al-Rahman, 179. Engels, Friedrich, 231, 232, 235, 368-370, 379.

F

Fanti, Manfredo, 340. Faraday, Michael, 358. Farini, Luigi Carlo, 328. Federico Guglielmo IV, re di Prussia, 285. Fenton, Roger, 428. Ferdinando I, imperatore d’Austria, 300. Fergola, Salvatore, 221. Ferrari, Giuseppe, 300, 307. Ferri, Gaetano, 340. Ferriar, John, 225. Ferris, Jena Leon Jerome, 134. Ferrone, Vincenzo, 128, 128-129. Ferry, Jules, 443, 458. Filangieri, Gaetano, 121, 123. Flaubert, Gustave, 280. Ford, Henry, 373, 394. Foscolo, Ugo, 178. Fossombroni, Vittorio, 121. Fouché, Joseph, 186. Fourier, Jean-Baptiste, 234, 368. Franklin, Alfred, 405. Franklin, Benjamin, 109, 109, 138, 138, 274, 358. Fulton, Robert, 214, 214. Funk, Casimir, 386.

G

Galiani, Ferdinando, 123. Gallino, Gaetano, 312.

Galvani, Luigi, 109, 358. Garelli, Michele, 382. Garibaldi, Giuseppe, 310, 312, 327, 328, 329, 330, 330, 331, 332, 332, 343, 412, 412, 414, 418, 428. Gaudì, Antoni, 396. Gauguin, Paul, 452. Genovesi, Antonio, 123. Gérard, François, 162. Gérôme, Jean-Léon, 180. Gessi, Romolo, 444. Giansenio, Cornelio (Cornelis Jansen), 17. Gillray, James, 178. Ginsborg, Paul, 349. Gioberti, Vincenzo, 298, 299, 300, 309. Gladstone, William, 430. Gluck, Eugène, 319. Goethe, Johann Wolfgang, 284. Gogol, Nikolaj, 429. Goldoni, Carlo, 400. Goldsmith, Oliver, 100. Gorrie, John, 381. Goya y Lucientes, Francisco José, 97, 191. Gramsci, Antonio, 349, 350. Grant, James, 443. Grant, Ulysses, 437. Gray, Stephen, 109. Greenhill, John, 10. Grimwade, Thomas, 383. Grozio, Ugo, 98. Gustavo III, re di Svezia, 119.

H

Hannover, Giorgio III di, re d’Inghilterra, 136, 137. Hannover, Vittoria di, regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, imperatrice delle Indie, 430, 430. Hardenberg, Karl August, principe di, 243. Hargreaves, James, 211, 211, 238. Hassal, Arthur Hill, 382. Haussmann, Georges-Eugène, 388. Hayez, Francesco, 258. Hazard, Paul, 97. Hébert, Jacques-René, 153, 166, 167. Hertz, Heinrich Rudolf, 358. Hill, Christopher, 48-49. Hilleström, Pehr, il Vecchio, 206. Hillmann, William, 395. Hine, Lewis, 232. Hobbes, Thomas, 10, 10. Hoenzollern, Federico Guglielmo di, re di Prussia, 25, 85, 117. Hoenzollern, Federico Guglielmo III di, re di Prussia, 244. Hoenzollern, Federico I di, re di Prussia, 25. Hoenzollern, Federico II, re di Prussia, 40, 55, 85, 117-118, 118. Hoenzollern, Guglielmo I, re di Prussia, 411, 414, 415, 416. Hogart, William, 76, 76. Holl, William, il Giovane, 109.

Indice dei nomi Houel, Jean-Pierre-Louis-Laurent, 150. Hugo, Victor, 260, 284. Hume, David, 98. Hung Hsiu-ch’uan, 450.

I

Induno, Gerolamo, 329. Ingres, Jean-Auguste-Dominique, 188. Ireton, Henry, 7.

J

Jacobi, Carl Gustav, 358. Jaurés, Jean, 201, 202. Jefferson, Thomas, 138, 138. Jenner, Edward, 82, 83. Jones, Eric L., 92, 92-93. Juárez, Benito, 411.

K

Kant, Immanuel, 97. Kay, John, 210, 238. Kertzer, David I., 405. Keynes, Maynard, 108. Kirchhoff, Jakob, 282. Klaus, Anton, 283. Koch, Robert, 386. Kohn, Hans, 290. Kovalevskij, Pavel Osipovicˇ, 424. Kreutzinger, Josef, 56. Krupp, Alfred, 373. Kutuzov, Michail Ilarinovi, 193.

L

La Fayette, Marie-Joseph-Paul-Yves-RochGilbert Motier, marchese di, 151, 194. La Marmora, Alfonso, 320. Labat, Jean-Baptiste, 75. Laënnec, René, 385. Lamarck, Baptiste, 110. Lamartine, Alphonse de, 280, 284. Lanza, Giovanni, 418. Lavoisier, Antoine-Laurent, 111. Lawrence, Stone, 48, 49. Lawson, Harry, 395. Le Grand d’Aussy, Baptiste, 405. Lecchi, Stefano, 428. Lee, Robert, 436, 437. Leeuwenhoek, Anton, 82. Lefebvre, Georges, 201. Leibniz, Gottfried, 25. Leigh Smith Bodichon, Barbara, 384. Lejeune, Louis-François, 255. Lemonnier, Anciet-Charles Gabriel, 99. Lenbach, Franz von, 410. Lenin, Vladimir Il´icˇ, 458. Leonardo da Vinci, 112, 238. Leopoldo II, granduca, 300, 301. Lesseps, Ferdinand-Marie, visconte de, 411, 412.

Liberty, Arthur, 397. Liebig, Justus von, 318, 361, 383. Lincoln, Abraham, 431, 432, 435, 436, 437. Linneo, Carlo (Carl von Linné), 110, 119. List, Friedrich, 223. Livingstone, David, 443, 443. Locke, John, 10, 10, 98. Lombe, John, 210. Longhi, Alessandro, 102. Longhi, Pietro, 74, 84. Lorena, Ferdinando III, duca, 247. Lorena, Francesco di, 39. Loutherbourg, Philip James de, 224. Ludd, Ned, 232. Lumière, Auguste e Louis (fratelli), 398, 398.

M

Machy, Pierre Antoine de, 169. MacMillan, Kirkpatrick, 395. Mameli, Goffredo, 311, 312. Manara, Luciano, 307. Manin, Daniele, 307, 311. Mantegazza, Paolo, 381. Manzoni, Alessandro, 248, 284. Marat, Jean-Paul, 153, 166. Martin, Jean-Baptiste, 17. Marx, Karl, 121, 231, 235, 368-370, 372, 379, 416. Massari, Giuseppe, 344. Mathiez, Albert, 201. Maynes, Mary Jo, 406, 406-407. Mazzarino, Giulio Raimondo, cardinale, 15, 15. Mazzini, Giuseppe, 295-298, 295, 296, 297, 298, 299, 310, 312, 331, 332, 340, 349. McAdam, John Loudon, 356. Medici, Maria de’, regina di Francia, 147. Meissonier, Jean-Louis-Ernest, 280, 323. Méliès, Georges, 398. Menotti, Ciro, 262, 262. Menzel, Adolph, 118. Meriggi, Marco, 349. Metternich, Klemens Wenzel Lothar, principe di, 243, 244, 245, 296, 307. Meucci, Antonio, 312, 357. Meytens, Martin van, il Giovane, 40. Michaux, Pierre e Ernest (fratelli), 395. Michelet, Jules, 383. Migliavacca, Innocenzo, 307. Mignard, Pierre, 14. Mill, Stuart, 384. Miloš Obrenovicˇ, principe di Serbia, 258, 259. Minghetti, Marco, 340. Mitterand, François, 260. Mokyr, Joel, 238, 238-239. Molière, Jean-Baptiste Poquelin, 17. Monet, Claude, 397. Montesquieu, Charles-Louis de Secondat, barone di, 116, 117, 140, 155.

Montgolfier, Etienne e Joseph (fratelli), 111, 112. Monti, Vincenzo, 112. Morelli, Domenico, 342. Morelli, Michele, 256. Moretti Foggia, Mario, 320. Morris, William, 397. Morse, Samuel Finley, 357. Morton, W. Thomas, 386. Murat, Gioacchino, 191, 195. Murat, Luciano, 321. Murray, John, 250. Musschenbroek, Pieter, 109.

N

Nadar, Félix Tournachon noto, 398. Natoli, Giovan Battista, 340. Nattier, Jean-Marc, 24. Negrelli, Luigi, 412. Nelson, Horatio, 179. Neri, Alessandro, 193. Neri, Pompeo, 120. Nesselrode, Karl Vasil´evicˇ, conte di, 243. Newcomen, Thomas, 212. Niboyet, Eugénie, 384. Nicola I, zar, 259, 319. Niepce, Joseph, 397. Northen, Adolf, 194. Novaro, Michele, 311.

O

Orange, Guglielmo d’, 9. Orange, Guglielmo III d’, re d’Inghilterra, 20. Orazi, Manuel, 396. Orléans, Filippo d’, duca, 146. Orléans, Luigi Filippo d’, re di Francia, 259, 279, 367, 444. Owen, Robert, 234.

P

Pacinotti, Antonio, 358. Palizzi, Filippo, 312. Parkman, Francis, 273. Parmentier, Antoine-Augustin, 85. Pasteur, Louis, 382, 385. Paxton, Joseph, 389. Pedro I, imperatore del Brasile, 269. Peel, Robert, 430. Pellico, Silvio, 256, 284. Pellion Persano, Carlo, 413. Pellizza da Volpedo, Giuseppe, 369. Pennacchio, Filomena, 343. Pepe, Guglielmo, 308, 311. Percival, Thomas, 225. Perego, Antonio, 120. Peruzzi, Ubaldino, 340. Pietro il Grande, zar, 27, 27, 28-29, 28, 30, 118. Pilâtre De Rozier, Jean-François, 112. Pilo, Rosolino, 328, 329.

463

Indice dei nomi

464

Pio IX (Giovanni Mastai Ferretti), papa, 300, 300, 301, 309, 311, 312, 412, 417, 419. Pio VII (Gregorio Luigi Barnaba), papa, 123, 186, 248. Pisacane, Carlo, 320. Pissarro, Camille, 397. Pitt, William, 54, 55. Polozzi, Camillo, 339. Poullain de La Barre, François, 102. Pravaz, Charles Gabriel, 385. Preisel, Christophe, 97. Proudhon, Pierre-Joseph, 235, 370. Pugacëv, Emeljan, 118, 118.

Q

Quesnay, François, 59, 108, 108.

R

Radetzky, Joseph, 307, 310. Ragionieri, Ernesto, 349. Rainborough, Thomas, 7. Ramorino, Girolamo, 297, 297. Rata Langa, Gabriele Galantare noto, 372. Rattazzi, Urbano, 317, 418. Read, Albert, 396. Reinhard, Wolfgang, 458, 459. Rémond, René, 290, 290-291. Renoir, Pierre-Auguste, 397. Reuter, Julius, 357. Ribeiro de Silva, Anita, 312. Ricardo, David, 222. Ricasoli, Bettino, 328. Richelieu (Armand Jean de Plessis), cardinale, 15. Rieger, Albert, 412. Robespierre, Maximilien, 153, 163, 164, 166-167, 168. Rockefeller, John D., 360, 373, 374. Romeo, Rosario, 349, 350-351. Rossi, Pellegrino, 311. Rostow, Walt W., 221. Rousseau, Jean-Jacques, 59, 103, 103, 117, 117, 155, 169. Rubattino, Raffaele, 318.

S

Sacco, Luigi, 83. Saffi, Aurelio, 312 Saint-Fond, Faujas de, 224. Saint-Simon, Claude-Henri de Rouvroy, conte di, 234, 368. Salvirch, Giuseppe, 178. San Martín, José de, 269, 270. Santarosa, Santorre, conte di, 256, 256, 258. Sassonia, Augusto II di, re di Polonia, 29. Sassonia-Coburgo, Leopoldo, principe di, 261. Savoia, Carlo Alberto, re di Sardegna, 256, 257, 301, 301, 307, 308, 309, 310, 311.

Savoia, Carlo Emanuele III di, 41, 123. Savoia, Vittorio Amedeo II di, 41, 123. Savoia, Vittorio Amedeo III di, 123. Savoia, Vittorio Emanuele I, re di Sardegna, 247, 247, 257. Savoia, Vittorio Emanule II, re di Sardegna, poi re d’Italia, 310, 310, 328, 329, 330, 330, 331, 332, 414, 419. Schall, Johann Adam, 54. Schinkel, Karl Friedrich, 224. Schnetz, Jean-Victor, 259. Schumpeter, Joseph Alois, 238, 458. Sciuti, Giuseppe, 321. Scott, Walter, 284. Selerio, Giovanni, 414. Sella, Quintino, 342, 342. Semmelweis, Ignác Fülop, 386. Senesi, Nicola, 307. Sennet, Richard, 406, 407. Sereni, Emilio, 349. Settembrini, Luigi, 299. Sharples, James, 233. Sherman, William, 437. Siemens, Werner von, 358. Sieyès, Emmanuel, 181. Silvati, Giuseppe, 256. Sinclair, Upton, 382. Sisley, Alfred, 397. Smith, Adam, 108, 109, 109, 226. Soboul, Albert, 201, 202, 203. Solera, Temistocle, 310. Solvay, Ernest, 361. Soresi, Domenico, 102. Sorrieu, Frédéric, 223, 278. Spallanzani, Lazzaro, 111. Spencer, Herbert, 399. Speri, Tito, 311, 320. Spinoza, Baruch, 98, 98. Staël, Anne-Louise-Germaine Necker, baronessa de, 284. Stanislào Leszczyn ´ski, re di Polonia, 29, 38, 39. Stanley, Henry, 444, 444. Starley, James, 395. Starley, John K., 395. Stephenson, George, 214, 215, 215. Stork, Abraham, 27. Stuart, Anna, 55. Stuart, Carlo I, re d’Inghilterra, 6, 6, 134. Stuart, Carlo II, re d’Inghilterra, 8. Stuart, Giacomo I, re d’Inghilterra, 5, 134. Stuart, Giacomo II, re d’Inghilterra, 8. Stuart, Gilbert, 132, 140. Stuart, Maria, regina di Scozia, 5, 7, 9, 55.

T

Talbot, William F., 398. Talleyrand, Charles-Maurice principe di, 243, 244. Tayler, George V., 201. Tazzoli, Enrico, 320. Tellier, Charles, 381.

Temple, John, conte di Palmerston, 328. Teniers, David, il Giovane, 76. Testlin, Henri, 16. Thevenot, Jean de, 75. Thiers, Adolphe, 415, 416. Thimonnier, Berthélemy, 399. Thompson, John, 398. Thornhill. James, 9. Tito, Giovanna Maria, 343. Tocqueville, Charles-Alexis-Henri Clerel de, 234. Togukawa, Ieyasu, shogun, 54. Toland, John, 98. Tolstoj, Lev, 401, 429. Tommaseo, Niccolò, 307, 311. Toro Seduto, capo indiano, 433, 433. Traube, Ludwig, 385. Trumbull, Joseph, 138. Tudor, Elisabetta I, regina d’Inghilterra, 7, 134. Tulp, Nicolaes, 75.

U

Unterberger, Ignaz, 99. Utale, Giuseppina, 343.

V

Van der Meulen, Adam Frans, 19. Van Elven, Tetar, 328. Van Loo, Louis Michel, 35. Vauban, Sebastien, 20. Verazzi, Baldassarre, 282. Verdi, Giuseppe, 310, 311. Verga, Giovanni, 414. Verne, Jules, 401, 401. Verri, Pietro, 73, 120. Vico, Gian Battista, 123. Volta, Alessandro, 109, 120, 358. Voltaire, François-Marie Arouet noto, 59, 98-99, 118.

W

Walpole, Robert, 54. Washington, George, 138, 140, 140, 188. Watt, James, 213, 238. Watts, George Frederic, 279. West, Benjamin, 109. Willaerts, Adam, 5. Williams, Eric, 62. Windhausen, Franz, 381. Winnington, Ingram, 312. Wright of Derby, Joseph Wright noto, 107. Wright, John Michael, 10. Wright, Orville e Wilbur (fratelli), 396.

Y

Young, Arthur, 209. Ypsilàntis, Alèxandros, 158.