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Italian Pages 128 [140] Year 2018
Daniele Foraboschi
Violenze Antiche Testo pubblicato postumo a cura di Silvia Bussi
PHILIPPIKA
Altertumswissenschaftliche Abhandlungen Contributions to the Study of Ancient World Cultures 127
Harrassowitz Verlag
© 2018, Otto Harrassowitz GmbH & Co. KG, Wiesbaden ISBN Print: 978-3-447-11145-4 ISBN E-Book: 978-3-447-19811-0
P H I L I P P I K A
Altertumswissenschaftliche Abhandlungen Contributions to the Study of Ancient World Cultures
Herausgegeben von /Edited by Joachim Hengstl, Elizabeth Irwin, Andrea Jördens, Torsten Mattern, Robert Rollinger, Kai Ruffing, Orell Witthuhn 127
2018
Harrassowitz Verlag . Wiesbaden
© 2018, Otto Harrassowitz GmbH & Co. KG, Wiesbaden ISBN Print: 978-3-447-11145-4 ISBN E-Book: 978-3-447-19811-0
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Daniele Foraboschi (18.10.1941 – 11.09.2018)
© 2018, Otto Harrassowitz GmbH & Co. KG, Wiesbaden ISBN Print: 978-3-447-11145-4 ISBN E-Book: 978-3-447-19811-0
Daniele Foraboschi
Violenze Antiche Testo pubblicato postumo a cura di Silvia Bussi
2018
Harrassowitz Verlag . Wiesbaden
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Bis Band 60: Philippika. Marburger altertumskundliche Abhandlungen.
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A Marilena, sorella incomparabile
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VII
a) Di Europa, bellissima fanciulla, s’invaghisce il dio Zeus Che, trasformatosi in splendido toro mansueto, la rapisce. E la seduce sull’isola di Creta…
b) Ma il maschio seduttore si ribalta in vittima nella violenta trance estatica indotta alle Menadi da Bacco: “E loro se ne stanno acquattate, ciascuna in segreto. Pronte a servire alle voglie dei maschi … Pietà, madre, abbi pietà di me, per le mie colpe, non ammazzarlo, questo figlio tuo! Ma quella, con la bava alla bocca torceva Le pupille stravolte. Era fuori di sé, non intendeva. Posseduta da Bacco non l’ascoltò. Gli afferra il braccio sinistro con le mani, punta i piedi sui fianchi di quel disgraziato e gli sbrana la spalla… Lui urlava di dolore finché ebbe ancora un poco di fiato. Loro urlavano grida di vittoria… Le Baccanti, con le mani grondanti di sangue, si lanciavano come una palla brandelli di carne di Penteo…” (Euripide).*
c) Nello sviluppo delle società e nella lotta politica la violenza può essere vista come fenomeno positivo: “La violenza è la levatrice di ogni vecchia società, gravida di una società nuova” (Karl Marx).** “Come un eunuco che vuole deflorare una ragazza, così è chi vuole rendere giustizia con la violenza” (AT, Siracide).
* **
Euripide, Baccanti, 1120–1135. V. J.N. Bremmer, Greek Maenadism Reconsidered, in “Z.P.E.” 55, 1984, 267–286: le menadi sono donne che, nel mito e in parte anche nel rito, corrono sulle montagne, assaltano i maschi, sembrano uccelli, sono invulnerabili al ferro, al fuoco e ai serpenti … Il Capitale I, 24,6.
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Indice Introduzione.....................................................................................................................................1 Premessa............................................................................................................................................5 Violenze e individuo........................................................................................................................11 Violenza preistorica: Sacrifici umani e cannibalismo...............................................................11 Pubblico/privato: uomo/donna...................................................................................................17 Massacri e sterminio in Grecia e a Roma..................................................................................24 Guerra e pace a Roma................................................................................................................26 Uomo/Donna...............................................................................................................................40 Teorizzare la violenza: de Sade...................................................................................................47 Violenze sociali................................................................................................................................51 Crudeltà/Vendetta.......................................................................................................................63 Violenza/Emancipazione.............................................................................................................74 Economia della violenza..............................................................................................................84 L’antica, “sacra”, fame di denaro.................................................................................................89 Una ideologia anitmercato......................................................................................................92 L’inflazione...............................................................................................................................96 Prezzi e salari...............................................................................................................................98 Religioni e violenza...................................................................................................................101 Filosofie.....................................................................................................................................110 Escatolgie: il mondo conoscerà la sua morte?...........................................................................112 Conclusione senza conlusioni.......................................................................................................121 Indice analitico.............................................................................................................................123
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Introduzione La violenza è radicata nel profondo della psiche umana oppure è la reazione inevitabile a relazioni sociali squilibrate e ingiuste? È questo il dilemma su cui insiste un’indagine sempre più serrata. Tuttavia quando si trova che anche tra gli animali non carnivori è alta la percentuale degli assassini sembra emergere l’ipotesi che la violenza è radicata nel profondo della psiche animale. Non si uccide solo per predare. Si uccide anche pe difendersi, per mantenere un equilibrio demografico, la carrying capacity di un territorio di vita o su cui si è insediati. Come scrive H. Arendt “molto tempo prima che Konrad Lorenz scoprisse la funzione di stimolo vitale dell’aggressività nel regno animale, la violenza era esaltata come una manifestazione della forza e segnatamente della sua creatività”1. Ma si uccide anche per il piacere. Già il Divin Marchese teorizzava che la tortura è la premessa della voluttà, almeno per lui, che era un vero esperto, ma anche per tanti come lui. Al contrario subire un tormento può essere vissuto come un piacere per una mentalità capovolta rispetto a quella di de Sade, cioè nella fenomenologia del masochismo, che viene fatto risalire a Leopold von Sacher-Masoch e in primo luogo al suo romanzo del 1878 Venere in Pelliccia2. Anche nel caso estremo del cannibalismo, che perdura in varie forme fino ai nostri giorno in forme differenti che sembrano assurde, anche per fini medici, o per preparare drinks con particelle di mummie egiziane3, non si può cercare la spiegazione solo nell’ipotesi materialistica del bisogno di cibo per sopravvivere. L’ “ordine dei cannibali” è un rito religioso celebrato secondo regole complesse, quasi religiose, che solo alla fine si concludono con il cibo di un proprio simile “buono da mangiare”. Certe tribù come i Caribe rinunciavano periodicamente ad una attività lucrativa come lo schiavismo per tornare all’antico delizioso gusto di mangiare un proprio simile. Non è un caso che tra gli animali il cannibalismo sia rarissimo: “fra gli innumerevoli insetti impiegati come cavie si sono avuti comunque solo tre casi di cannibalismo”, anche dopo digiuni lunghi fino a 70 giorni4. Così nei sacrifici umani non si vive solo l’esperienza della crudeltà, ma anche la fede religiosa che attraverso il dolore e la morte del sacrificato si può accendere un contatto più diretto con la divinità. Ovviamente le élites che attraverso il sacrificio entravano in contatto con il divino acquisivano un prestigio che poteva servire come controllo sociale del popolo. Anche l’uomo più primitivo appare un complesso di contorsioni psichiche. Più naturali, diffuse e perduranti sono quelle che si esprimono nella dialettica maschio/ femmina, dove soprattutto, ma non solo, il maschio tende ad assumere un ruolo di dominio padronale che se si sente tradito, si trasforma in gelosia assassina. In un senso dell’onore offeso che domanda vendetta, sia a livello personale sia a livello di gruppi etnici o sociali. Ma alle volte c’è un gusto puro per la violenza. Certi massacri di guerra non hanno motivazioni se non nel puro piacere insensato per la violenza. Al contrario gruppi di donne violentate muoiono per il dolore, oppure chiamano “Delizie”, il giardino della delizia, il luogo, dove hanno subito una violenza desiderata.
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Sulla Violenza, Milano 1996 (19691), p. 75. V. J. Deleuze, Presentazione di Sacher-Masoch, Milano 1977 (19671). B. Schutt, Cannibalism: a Perfectly Natural History, New York 2017. E. Canetti, Il libro contro la morte, Milano 2017, pp. 11–12, 333. © 2018, Otto Harrassowitz GmbH & Co. KG, Wiesbaden ISBN Print: 978-3-447-11145-4 ISBN E-Book: 978-3-447-19811-0
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Introduzione
Diverso è il caso della violenza sociale, quando gruppi umani oppressi si rivoltano per rompere le catene ed emanciparsi. Tipico è il caso, pur contradditorio, della Rivoluzione Francese. Ma l’ansia di liberazione può stravolgersi in una specie di isteria della violenza come, in parte, nel pensiero, da tanti apprezzato, di Frantz Fanon5 o in certe forme di terrorismo diffuso. Difatti sembra esistere una dialettica amore/guerra (eros/polemos): l’estasi di S. Teresa del Bernini è un orgasmo o una contrazione di dolore? Le scene erotiche di ceti vasi greci sono sesso esasperato o atti di violenza? La violenza resta sempre all’ordine del giorno. Anche se le guerre possono portare conquiste e ricchezze, tuttavia costano e mandano spesso i bilanci degli Stati in rosso. Per la maggior parte dei filosofi la guerra è immanente alla storia. Ma questo deve essere superato in uno stadio superiore oppure è proprio questo l’aspetto positivo della vicenda umana? Anche nelle religioni il dilemma è contorto. Solo Gesù Cristo, di profonda formazione giudaica, predicò di porgere l’altra guancia. Il misericordioso Mosè e Maometto e i loro successori si contendono il primato della violenza. L’insegnamento di Budda fu un modello di pacifismo6, ma si diffuse in mezzo mondo attraverso la violenza, anche estrema, degli eserciti. La stessa fine del mondo è spesso immaginata come una catastrofe vulcanica, la punizione dei peccatori. Il mondo sembra nascere con violenza per finire nella violenza. Ci si chiede se era maggiore la violenza del passato o quella attuale. Le necro-statistiche sono tutte approssimative ed opinabili. Resta il dato che le tecnologie dello sterminio attuali sono incomparabilmente più devastanti di quelle antiche. Nella quotidianità della “normale” violenza non sembra invece che molto sia cambiato. In un papiro del III secolo prima di Cristo possiamo leggere di un uomo “greco” che si lamenta perché, mentre camminava per la strada, una donna razzialmente definita “egiziana” lo aveva insultato, gli aveva strappato il mantello sino a denudarlo, aveva gettato urina sui suoi vestiti e gli aveva sputato in faccia7. In una denuncia di quattro secoli dopo una proprietaria terriera si lamenta perché gli “anziani” del villaggio penetrarono in casa sua, la depredarono e violentarono la sua schiava Sarapiàs (non lei.).8 Nel IV/V secolo dopo Cristo, secondo la denuncia della stessa vittima (come vedremo più avanti), il marito la violentò e la mise incinta malgrado gli antichi inviti a non oltraggiare, picchiare e tradire la moglie. Nacque una bimba che portò a casa, prima di andare a vivere con un’altra donna. Ma poi le chiuse entrambe in casa come schiave costrette a convivere per alcuni giorni con un manipolo di banditi. Quando fu incinta, la abbandonò di nuovo per andare a vivere con l’altra moglie. Questo fu un certo Paolo, forse cristiano, forse prete9. Numerose erano e sono queste violenze, ma spesso restano sconosciute perché c’è sempre stato un diffuso ritegno a denunciarle: un tempo (e spesso anche oggi) una donna violentata era presa per una prostituta.
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V. V. Carofalo, Frantz Fanon: dalla liberazione dei popoli alla liberazione dell’Uomo, Milano 2016. R. Marangoni, Buddha, Milano 2017. P. Enteux. 79. BGU IV 1050. P. Oxy. L 3581.
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Introduzione
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E non mancano esempi10 (lo abbiamo già visto ed è significativo) del capovolgimento masochista: il marito tradito che soffre e implora la moglie puttana: “Sereno a Isidora, sorella e signora molti saluti… Voglio che tu sappia che da quando mi hai lasciato me sono triste, piango di notte e mi angoscio di giorno. Da un mese non mi lavo e non mi ungo con olio. Mi hai mandato una lettera che avrebbe scosso un pietra… Per non parlare dei tuoi discorsi e dei tuoi scritti: ‘Kolobòs mi ha fatto una prostituta’. Lui, invece, mi disse: tua moglie mi ha mandato un messaggio che diceva: lui (mio marito) ha comprato la catena e lui mi ha messo sul battello… Fammi sapere se vieni o non vieni”.
Ma alle volte nel mondo romano le prostitute sono rispettate ed anche amate. È il caso attestato dall’epitafio di Allia Potestas11, scritto da uno dei suoi due amanti che loda i suoi magnifici occhi e i capelli aurei, il viso candido come l’avorio, i seni sottili e bianchi come la neve. E che dire delle gambe comparabili a quelle di Atalanta? I papiri egiziani ci conservano decine di questi spaccati di vita che oggi arricchiscono la cronaca nera. Un ostrakon databile all’11 Gennaio del 145 avanti Cristo12 ci conserva addirittura un giuramento di non avere commesso violenza, probabilmente all’interno di risse familiari, come quelle che oggi riempiono i quotidiani: “Giuramento che deve giurare (di compiere)Herakleides figlio di Hermokles e suo fratello Nechoutes nell’anno 36, il giorno 15 di Choiak (8 Gennaio 134 a. C.) per Poregebthis figlio di Psenchonsis, nel tempio di Eracle: la ferita che tu hai non l’abbiamo compiuta noi e non sappiamo chi la fece. Ammonio ed Ermokles, suo fratello, hanno giurato insieme che il giuramento è vero”.
10 P. Oxy. III 528. 11 CIL VI 37965; v. A.K. Strog, Prostitutes and Matrons in the Roman World, New York – Cambridge 2016, cap. 2. 12 O. Wilck. 1150; v. W. Clarysse, Greeks in Ptolemaic Thebes, in S.B. Vleeming (ed.), “Hundred-Gated Thebes”, Leiden 1995, pp. 18–19.
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Premessa Finito il mito rousseauiano del “buon selvaggio”, la storia si svela come storia della violenza1: “bellum omnium contra omnes”, come asseriva Hobbes e tanti altri concordi con lui che “homo homini lupus”, un espressione coniata già da secoli. Per Rousseau, invece, i selvaggi sono superiori all’uomo europeo per l’amore che mostrano verso la società e la sua difesa. In questo si scontrò aspramente anche con D. Hume2. Sembra contrariamente che negli uomini convivano uno spirito di sopravvivenza e uno spirito autodistruttivo3. Anche nelle attestazioni dei papiri d’Egitto, che privilegio per la loro immediatezza quotidiana e documentaria, per il loro essere documento diretto e non narrazione inevitabilmente soggettiva, il messaggio della storia sembra essere lo stesso. Il problema è se questa violenza abbia un significato positivo, oppure negativo. Oppure nessun significato4. O un significato in sé, l’estetica della violenza civilizzatrice5: “Apollo risponde con la violenza della sua forma e della sua civilizzazione ad un’altra violenza, quella orientale, orgiastica e pre-individuale di Dioniso. La violenza della civiltà si esercita sulla violenza arcaica dell’origine”.
É chiara la valenza positiva della violenza politica, quando permette di superare un regime storicamente sclerotico e regressivo per aprire un varco all’innovazione. Anche il grande progetto anti-razzistico e multiculturale di Alessandro Magno ebbe una premessa di violenza conquistatrice6, che viene presa a modello dagli imperialisti contemporanei che vedono in lui il “soldato della civiltà”7. In questo senso non si può che essere d’accordo con Mario Liverani nel tormentato dibattito su imperialismo antico e moderno: “tutti gli imperialismi – coscienti o incoscienti che siano – hanno praticato conquiste e stragi per il loro interesse, politico ed economico. Che abbiano accampato scuse (e anche l’Assiria lo fa col suo ’imperialismo difensivo’), pertiene al livello ideologico e di propaganda, ma non può essere trasferito al livello propriamente operativo”8.
Diverso è il discorso della violenza antropologica, quella dei popoli “primitivi” e delle sue permanenze attuali. Già nella mitologia omerica il prototipo del maschio vincitore non è certo Ettore, tenero padre e figlio devoto. Esempio era la mitologia divina dove il padre degli dei, Giove, è un gran1 2 3
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A. Ferril, The Origin of War, London 1985, cap. I (L’uomo primitivo era pacifico o aggressivo?). S. Pupo (ed.), David Hume contro Rousseau, Milano 2017. E. Fromm, Anatomia della distruttività umana, Milano 1976; F. Dei (ed.), Antropologia della violenza, Roma 2005. P. Clastres, Archéologie de la violence, Paris 2016 (19771): “La société humaine relève non de la zoologie, mais de la sociologie”. Le società primitive sono società per la guerra, sono sostanzialmente guerriere (p. 62). Su tutti questi temi è fondamentale il libro di E. Cantarella, I supplizi capitali, Milano 20112. Per le implicazioni etiche e politiche vedi soprattutto l’introduzione. I. Gorzanelli, Schiller e Nietzsche: l’antropologia del discorso estetico. Critica della cultura, storia e istituzioni, tesi dott. on-line, p. 140. L. Canfora, Il presente come storia. Perché il passato ci chiarisce le idee, Milano 2014, pp. 154156. P. Briant, Alexandre. Exégèse des lieux communs, Paris 2016, pp. 507–525. ASSIRIA. La preistoria dell’ imperialismo, Roma – Bari 2017, p. XIII.
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Premessa
de seduttore, a volte spietato. Seduce la fanciulla Io, ma poi, temendo la gelosia della moglie Giunone, la trasforma in vacca e gliela dona9. Vincitori sono personaggi come Agamennone che rapisce e schiavizza la fanciulla Criseide e, soprattutto, Achille, l’eroe tracotante che non ha il senso dell’hybris 10, che è un concetto morale e sociale (esiste un processo legale per hybris) fondato sull’idea arcaica di onore personale che non deve essere prevaricato, mentre lui si spinge oltre, sino a uccidere l’avversario e oltraggiarne il corpo senza vita11. Achille che uccide, Achille che piange sembra una figura del perverso polimorfo. La connessione tra guerra e religione sembra ovvia e costante anche dove, come nel mondo antico, non sono mai esistite guerre di religione come le crociate12. Ma i templi sono sempre stati un potente polo di attrazione e di potere. Potevano anche godere del diritto di asilo (asylia) che lo Stato concedeva, però, con estrema cautela e discriminazione: così potevano sorgere grandi entità regionali come il Tempio-Stato di Pessinunte in Anatolia13, oppure piccole entità come il caso del tempio del villaggio egiziano di Narmouthis14. E questa aura sacrale faceva si che i templi potessero trarre vantaggi da offerte e donazioni che potevano essere fatte da città lontane, come gli altari dedicati dai Greci di Elea al santuario di Ammone a Siwa15, in pieno deserto libico, dove andavano in pellegrinaggio anche degli Italici e dove si recò anche Alessandro Magno per propiziare la sua grande impresa di conquista del mondo: prima di partire per l’India si addentrò per 500 km nel Sahara. La guerra è un fenomeno complesso, a volte affrontato in modo unilaterale anche da filosofi come H. Bergson, il cui discorso sulla guerra sembra solo un violento attacco francese contro il militarismo tedesco16. É un evento primitivo e una paranoia che perdura fino a oggi e certo anche domani, o è invece una creazione della civiltà, anche se ci sono differenze sostanziali tra la guerra antica e
9 Ovidio, Metamorfosi, I 583 ss.; M. Beard, Donne e potere, Milano 2018, pp. 14–15. 10 N.R.E. Fisher, Hybris, Warminster 1992, p. 1; H.-A. Rupprecht, Hybris. Anmerkungen zu einem Delikt in den Papyri der ptolemäischen und römischen Zeit, in P. Mikat – D. Werkmüller (edd), “Überrlieferung, Bewahrung und Gestaltung in rechtgeschitlichen Forschung”, Paderborn 1994, pp. 269–275. Il termine ha un’estensione semantica ampia. In un papiro P. Mich. inv. 4195 del 155 d.C. edito in “ZPE” 31, 1978, pp. 167–170, si legge una denuncia contro due asinai ubriachi che entrarono a tarda note nella casa del denunciante facendo brutalità (hybris) sui suoi parenti e attaccando una rissa con la polizia. 11 L. Zoja, Il gesto di Ettore, Torino 2000. 12 A. Jacquemin, I grandi santuari greci e la guerra attraverso la documentazione epigrafica, in C. Ampolo (ed.), “Guerra e pace in Sicilia e nel mediterraneo antico (VIII–III sec.a.C.)”, Pisa 2006, pp. 3–9; K.W. Arafat, War and Greek sanctuaries in Pausanias’ description of Greece, ibid., p. 11–18; C. Ampolo, Tra Greci e Barbari e tra Barbari e Greci. Cronache di massacri e tipologia dell’ eccidio nel mondo ellenico, in “QS” LXIV, 1996, pp. 5–28; A. Bernand, Guerre et violence dans la Gréce antique, Paris 1999. 13 B. Virgilio, Il tempio-Stato di Pessinunte fra Pergamo e Roma nel 2.–1. Secolo a. C., Pisa 1981. 14 Ch. Fischer-Bovet, Les conséquen, ces des reformes de l’armée lagide, in A.-E. Veīsse – S. Wackenier (edd.), “L’armée en Égypte aux époque perse, ptolémaique et romaine”, Genève 2014, p. 141 n. 7. 15 Pausania V 15. 16 Il significato della guerra, Milano – Udine 2013 (1914). I tedeschi furono certo militaristi, ma persero tutte le ultime guerre. Per le nuove indagini sulla guerra vedi F. Fornari, Psicoanaalisi della guerra, Milano 1988 (19701), che riapprofondisce le analisi di polemologia di Gaston Bouthoul (Le guerre. Elementi di polemologia, Milano 1982 = Les guerres, éléments de polémologie, Paris 1951, Bibliothèque scientifique = Traité de polémologie. Sociologie des guerres, Paris 1970).
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Premessa
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quella dei droni moderni17. Inizia con l’addestramento del cavallo oppure con l’invenzzione del carro da guerra18? È a tutti nota l’affeermazione di Eraclito: “la guerra è il padre di tutti, il re di tutti, e alcuni mostrò come Dei, altri come uomini, alcuni fece schiavi, altri liberi”19.
É comunque un sommovimento complessivo della società e della politica. Una kinesis, come scrisse Tucidide20. Addirittura (secondo le parole di Lev Trotsky al decimo Congressso dei Soviets nel Dicembre del 192221 “la guerra è la grande locomotiva della storia”, che fa esplodere le contraddizioni e sviluppare le forze produttive. Una delle popolazioni più incontaminate dalla civiltà occidentale e più ancorata alla sua cultura ancestrale sembra siano gli Yanomamö del Centro-America, tra Brasile e Venezuela 22, dove forse sopravvivono ancora. Sono appunto piccole tribù pericolose, dedite alla guerra, alla violenza, alla tortura, allo stupro, all’incesto violento (praticato, anche legalmente e consensualmente, in Egitto antico23, ma duramente proibito nella Bibbia che specifica anche quello maschile col padre24) alla guerra per il possesso delle donne e anche all’infanticidio come regolatore demografico in situazioni di carenze alimentari. Per altri l’ipotesi appare, però, infondata perché questi raids di guerra non sono motivati dall’obiettivo del ratto delle donne, ma da un desiderio di vendetta in rapporto a qualche affronto subito25, collegato ad un sistema crudele di controllo demografico. La sacralità della propria società è la matrice della violenza. Comunque lo stupro è un corollario della guerra. È il piacere della guerra: violentare una donna davanti al marito dona un piacere psicologico superiore e più prolungato nel tempo che non l’uccisione26. Ancora di più oggi, quando è la guerra civile27 il fenomeno dominante che partorisce milioni di morti, anche se non mancano crudeli guerre interstatali (Iraq/Iran; USA/ Iraq…).
17 M. Moggi, La polis e dintorni, Pisa 2017, pp. 225–241. 18 C. Renfrew, Archaeology and Language: The Puzzle of Indo-European Origins, London, 1987; R. Drews, Militarism and the Indo-Europeanizing of Europe, London – New York 2017 (v. Rec. Di R. Sauzeau in “BMCR” 2018.01.25). 19 D.K. fr. 53: “Πόλεμος πάντων μὲν πατήρ ἐστι, πάντων δὲ βασιλεύς, καὶ τοὺς μὲν θεοὺς ἔδειξε τοὺς δὲ ἀνθρώπους, τοὺς μὲν δούλους ἐποίησε τοὺς δὲ ἐλευθέρους” 20 I,1. 21 V. P. Clarke, The Locomotive of War, London 2017, Prologo. 22 N. Chagnon, Tribù pericolose: la mia vita tra gli Yanomamö e gli antropologi, Milano 2014; M. Harris, Cannibali e re. Le origini delle culture, Milano 2013 (19771), pp. 58–66. 23 S. Bussi, Mariages endogames en Égypte hellénistique et romaine, in “RHDFE” 80, 2002, pp. 1–22; v. P. Oxy. II 237 col. VII,19–29; B. Legras, Le corps violenté des femmes dans l’Égypte ptolémaique d’après la documentation papyrologique, in “Cahiers du Centre Gustave-Glotz” 10, 1999, pp. 225 e 234. 24 Levitico 18,7; v. F. Heritier, Une Pensée en mouvement, Paris 2013, pp. 177–181. 25 C. Alès, Pourqoi les Yanowamï ont-ils des filles?, in M.Godelier – M.Panoff (edd.), “La production des corps”, Amsterdam 1998, p. 311 n. 26 D. Di Cesare, Tortura, Torino 2016, p. 112. 27 D. Armitage, Guerre Civili, Roma 2017.
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Premessa
Paradossale è la mitologia del dio egiziano Min28, violentatore in massa di donne, detto Il toro di sua madre, rappresentato spesso mentre con la mano sostiene un fallo vistoso e sproporzionato, anche quando, secondo una leggenda, come punizione per avere violentato donne in massa, il suo corpo viene segato in due parti. Per evitare lo stupro delle proprie donne si dichiarano guerre, durante le quali si stuprano altre donne. Ma chi uccide un nemico per difendere l’onore della donna non può essere condannato come un assassino29. Il discorso amoroso è un fenomeno raro e difficile per cui va affrontato con la massima libertà 30. Nelle guerre lo stupro31 diviene un fenomeno di massa, soprattutto presso i barbari (e nell’ultima guerra mondiale?) sottaciuto dai mass-media e dagli storici, compresi i Greci classici, che non ne erano certo immuni, perché vi erano popoli che parlavano greco, ma avevano abitudine simili a quelle dei barbari, che fanno bottini disastrosi e oltraggiano donne e bambini e li mostrano nudi di fronte alla folla, anche se non era un’abitudine che gli stranieri potessero vedere donne completamente svestite32. Addirittura i generali lasciavano il saccheggio alla truppa, mentre loro rapivano le donne e le fanciulle, di cui coprono il capo con i loro elmi perché fosse chiaro chi fosse il padrone33. Nella mitologia si raccontano stupri di massa positivi: le Sabine vengono violentate dai Romani, ma poi implorano i loro fratelli di lasciarle vivere a Roma con i loro figli, i figli dei violentatori. Questo agli albori teorici della civiltà. Ma oggi la situazione non è qualitativamente dissimile: Africa, India, Arabia, Occidente gareggiano in atrocità. Spesso in fondo “le guerre si fanno per amore della guerra34”. Il problema è la lunga durata strutturale del fenomeno violenza. Anzi non è un problema; è una costatazione: anche senza guerra, fame, miseria l’uomo non si redime dalla violenza, dalla libidine della violenza che perdura quotidianamente. Anzi esiste anche una cultura positiva dello stupro. Già nel mondo antico gli Dei stupravano ed erano Dei. Esiste anche lo stupro del maschio … Lo stupro è un fenomeno tutto umano: tra gli animali pare quasi sconosciuto. Nelle necro-statistiche storiche si discute – un po’ vacuamente- se fu maggiore la violenza passata o quella moderna. Secondo S. Pinker l’alfabetizzazione, i commerci, i governi contemporanei fanno emergere gli “angeli buoni”, quindi l’impressione che la violenza sia aumentata sarebbe appunto una falsa impressione rispetto alle armi bianche antiche. Ma questa affermazione sembra soggettiva e infondata. Ricerche molto attente mostrano che nell’Inghilterra medievale il tasso di violenza omicida fosse molto più alto che oggi35. Basti inoltre pensare alla forza distruttiva delle moderne tecnologie (dalla bomba atomica al semplice kalashnikov) rispetto alle armi bianche antiche: il 5 agosto del 1945 un’unica bomba 28 S. Quirke, Ancient Egyptian Religion, London 1992, p. 46; J. Quaegebeur, Les quatre dieux Min, in U. Verhoeven – E.Graefe (edd.), “Religion und Philosophie in Alten Ägypten”, Leuven 1991, pp. 253–268. 29 Demostene, Contro Aristocrates, 55–56. 30 Demostene (?), Erotico. 31 N. Bernard, À l’ épreuve de la guerre, Paris 2000, pp. 56–62. 32 Isocrate, A Archidamo, 9–10. 33 Plutarco, Arato XXXI 3. 34 E. Canetti, La provincia dell’uomo, quaderno di appunti 1942–1972, Milano 2006, p. 36. 35 J. Sharpe, A Fiery and Furious People, London 2016.
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Premessa
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sganciata da un unico aereo sterminò di morte istantanea decine di migliaia di persone, cui ne seguiranno altre poco dopo. Quanto tempo sarebbe servito a colpi di spada? Il 1° Luglio 1916, h. 7.30, inizia la battaglia della Somme, dove combatterono anche Hitler e Tolkien. Gli inglesi attaccano le nuovissime, sconosciute, mitragliatrici tedesche: dopo 6 minuti perdono 30.000uomini. Dopo 5 mesi i morti saranno 443mila 36. Secondo calcoli approssimativi durante la storia di Roma circa 13 milioni di persone morirono in guerra, compresi circa 1 milione di gladiatori37. Comunque in percentuale, anche rispetto a una densità demografica molto bassa (in Europa alcune decine di milioni di abitanti rispetto alle centinaia di milioni attuali), le cifre appaiono alte. Malgrado le decine di milioni di morti nella grande guerra e nella seconda guerra mondiale si può sostenere che precedentemente i morti di morte violenta furono molto di più38, a cominciare dal pastore Ötzi, ucciso circa 5000 anni fa sulle Alpi del Tirolo39? La potenza tecnologica del mondo contemporaneo moltiplica in modo esponenziale le distruzioni di massa, gli assassini possono colpire a grandi distanze, senza nemmeno vedere chi hanno ucciso e comunque giustificati dall’ordine politico in cui vivono40. Decidere sembra difficile. Resta l’immanenza della violenza, componente basilare, assieme al desiderio sessuale, della mente umana, che spesso li abbina nella “creatività” sado-maso. Nella mitologia classica ha un ruolo centrale Eris, la dea della discordia, causa della guerra di Troia. Ė un elemento costante e fondante perché dal conflitto può nascere un nuovo ordine41, ma è comunque una “guerra-dalle-molte-lagrime”42. Il panico e la paura vi sono un sentimento costante che si esprime nelle forme più imprevedibili: all’inzio della seconda guerra mondiale, ancor prima dei bombardamenti, vennero uccisi circa 400000 cani e gatti domestici. Non era cattiveria, ma una forma di eutanasia da parte di amorosi padroni che temevano per le loro bestiole43. Anche tante esperienze religiose celebrano riti violenti, a causa di un’ “effervescenza del sacro”44 che ci fa precipitare nel caos primordiale. Su di un piano più realistico la guerra e il commercio sembrano due attività strettamente correlate, sia in positivo che in negativo45. Anche nel mondo antico, dove le guerre erano perlomeno annuali, non tutti i Greci erano soldati e le decisioni di guerra erano prese da gruppi ristretti.
36 Ph. Breton, De la violance, p. 75; J. Keegan, The Face of the Battle, 1976 (Ebook). 37 http://necrometrics.com/romestat.htm. 38 S. Pinker, Il declino della violenza, Milano 2013; Idem, The Better Angels of our Nature, New York 2011. 39 R. De Marinis – L. Brillante, Ötzi l’uomo venuto dal ghiaccio, Venezia 1988. 40 A. de Swaan, Reparto assassini, Torino 2015, pp. 1–8. 41 H. Ménard – P. Sauzeau – J.F. Thomas (edd.), La pomme d’Eris. Le conflit et sa représentation dans l’Antiquité, Montpellier 2012. 42 Teognide, Elegiae, I 549. 43 H. Kean, The great cat and dog Massacre, Chicago 2017. 44 E. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, trad. it. Milano 1963, pp. 189–190. 45 Cl. Lévi-Strauss, Guerre et commerce chez les Indiens d’Amérique du Sud, in “Renaissance” I,1–2, 1943, p. 136.
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Premessa
I Romani, che iniziarono con un entusiasmo di massa46 le guerre macedoniche, finirono praticando l’evasione della leva militare47. La guerra non è solo violenza, ma è un momento della complessa rete delle relazioni istituzionali e culturali. Nella Grecia antica non c’è quasi mai stata una pace duratura, ma la guerra di conquista non sembra affatto iscritta nel programma politico della città greca in generale48.
46 E. Gabba, Allora i Romani conobbero per la prima volta la ricchezza, in Idem, “Del buon uso della ricchezza”, 9, Milano 1988; v. D. Foraboschi, Gabba economista: Del buon uso della ricchezza, in C. Carsana – L. Troiani (edd.), “Percorsi di uno historikòs, in memoria di Emilio Gabba”, Como 2016, pp. 183–189. 47 D. 49,16,4,10. 48 P. Payen, Les revers de la guerre en Grèce ancienne, Paris 2012, p. 335; J. de Romilly, La Grecia antica contro la violenza, Genova 2007.
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Violenze e individuo Nei riti di passaggio arcaici1 è spesso intrinseca la crudeltà, perché è la crudeltà che garantisce che un individuo o una intera popolazione possano passare dall’infanzia all’adolescenza matura. Può addirittura succedere che le mutilazioni del capro espiatorio non siano sufficienti e che la vittima debba essere eliminata 2. Il capro espiatorio viene sacrificato perché lui stesso è sacro e può svolgere la funzione di vera vittima sacrificale. Ad Atene, Abdera e Marsiglia si tenevano a disposizione dei pharmakòi (capri espiatori umani) perché fossero pronti al momento opportuno3. Anche Edipo era stato un capro-espiatorio quando il padre Laio, avendo saputo da un oracolo che suo figlio lo avrebbe ucciso, ordina ad un pastore di esporlo sul monte Citerone. Il pastore non ha il coraggio di eseguire l’ordine e lo fa crescere a Corinto come figlio adottivo del re. Ma Edipo fugge da Corinto per paura di un oracolo che profetizzava che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre. Difatti durante una rissa di strada uccide Laio, il suo vero padre. Avendo risposto all’enigma della Sfinge vince il premio e sposa Giocasta,, la sua vera madre. Alla scoperta della verità lui si acceca e lei si impicca (così almeno secondo Sofocle). Edipo doveva essere una vittima sacrificale, finì invece nella tragedia della cecità4. La violenza estrema ha un ruolo fondatore. Edipo uccide il padre e si accoppia con la madre, così diventa un eroe fondatore, amato dal popolo5. E il modello eroico sembra fondamentale nelle società gerarchiche, mentre non è più dominante nelle guerre “democratiche6”. Violenza preistorica: Sacrifici umani e cannibalismo I culti bacchici potevano finire in sacrifici umani o anche in cannibalismo. A Roma vengono proibiti nel 186 a.C., ma forse continuarono in forma occulta7. I sacrifici umani vengono pure proibiti ai Celti anche se forse continuarono negli spazi sacrificali non dominanti8. Secondo Pomponio Mela9 i Galli sono superbi, superstiziosi e così crudeli che credevano che le vittime umane fossero più gradite agli Dei. Dopo che fu loro interdetta la pratica di sacrifici umani, quando conducono agli altari le offerte sacrificali se ne prendono (delibant), ancora con violenza, un pezzetto. Li praticavano anche gli Sciti10. Gli stessi Romani li avevano conosciuti se ripetutamente vengono vietati. Secondo Plinio (Naturalis Historia, XXX, 3) ancora nel 97 a.C. venne emanato un senatoconsulto contro i sacrifici umani. Tacito11, grande ammiratore 1 A. Van Gennep, Les rites de passage, Paris 1969. 2 M. Godelier – M. Panoff (edd.), Le corps humain, supplicié, possedé, cannibalisé, Amsterdam 1988, p. XII. 3 P. Girard, La violence et le sacré, Paris 2010 (19711); A. Brelich, Presupposti del sacrificio umano, Roma 2011, p. 83; C. Ando’s in C. Faraone – F.S. Naiden, (edd)., “Greek and Roman animal sacrifice: ancient victims, modern observers”, Cambridge 2012. Non sempre i sacrifici erano di sangue: C. Schulz, Roman sacrifice, inside and out, in “JRS”, 106, 2016, pp. 58–76. 4 Girard, cit. 5 Girard, cit., p. 374. 6 R. Girard, Achever Clausewitz, Roubaix 2011, p. 365 (v. postfazione di B. Chantre). 7 J.M. Pailler, Les Bacchanales dix ans après, in “Pallas” 1998, pp. 67–86. 8 R. Etienne, Introduction, a R. Etienne – M.Th. Le Dinahet (edd.), “L’espace sacrificiel”, Paris 1991. 9 De Chorographia III 2, 18, la cui fonte è forse Posidonio (G. Zecchini, I Druidi e l’opposizione dei Celti a Roma, Milano 1984, pp. 40–42) 10 Luciano, Intorno ai sacrifici, 13. 11 Germania IX.
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Violenze e individuo
dei Germani, scrive che in giorni stabiliti anche loro compivano sacrifici di uomini in onore di Mercurio, mentre a Marte e Ercole offrivano animali. Ma in tempi primitivi il fenomeno era diffuso. Possono essere esemplari alcune raffigurazioni di fasi delle guerre etrusco-romane, quando alla violenza non si poneva limiti: nel 358 a.C. nel foro di Tarquinia – in pubblico – vennero immolati 307 Romani12, mentre nel 307 i Romani sgozzarono 358 nobili di Tarquinia, o un centinaio in meno secondo Diodoro Siculo13. Nella mitologia e nel teatro greco sacrifici umani sono spesso associati a stupri di donne14, anche se nel racconto e nelle raffigurazioni greche l’aspetto cruento del sacrificio tende ad essere occultato15. I sacrifici che concludevano la festa dei Saturnali possono richiamare forme di crocefissione e di cannibalismo, tanto che C. Lévi-Strauss ha potuto affermare: siamo tutti Cannibali16. Secondo una prudente ipotesi di J.G. Frazer17 la stessa crocefissione di Cristo discende da un antico rito babilonese durante il qualle il finto re Aman veniva catturato e crocefisso. La crocefissione era una punizione non specificamente escogitata per Cristo, ma il destino annualmente riservato al finto re, dopo una parentesi di sfrenatezze sessuali, come nel caso del finto re dei Saturnali romani. Ma in seguito il re viene sostituito da un criminale, che opererebbe gli stessi benefici per gli uomini. In epoca romanaa la crocefissione e la sepoltura divengono una normale prassi18. Per quanto riguarda il cannibalismo sacrale W. Burkert, citando K. Meuli19, dice che il problema non è perché gli uomini mangino la carne, ma piuttosto perché il mangiare la carne sia considerato un atto sacro, una sacra virtù. Omero è forse la fonte più antica. Abbiamo almeno nove rappresentazioni (compresa quella della tomba François20) della scena in cui Achille sgozza (in stile “islamico”) dei giovinetti troiani21. In Omero22 Achille compie sacrifici in onore di Patroclo: brucia vivi quattro cavalli, sgozza due cani domestici e anche dodici figli di nobili troiani. Promette infine di fare divorare Ettore dai cani. Omero ci ha lasciato una specie di “enciclopedia tribale”, attraverso cui cogliere la preistoria o l’inconscio della civiltà, Secondo V. Andò Achille davanti ad Ettore morente si “trasforma in un potenziale cannibale, cosciente di porsi … fuori dai confini della cultura condivisa”23. Fa 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23
Livio, VII 15, 11–19. XVI 45,8. F.I. Zeitlin, Playng the Other, Chicago, 1996, pp. 200–201, 296–298. S. Georgoudi, L’ “occultation de la violence” dans le sacrifice grec: données anciennes, discours modernes, in S. Georgoudi – R.K. Piettre – F. Schmidt, “La cuisine et l’autel”, Turnhout, 2005, pp. 115–148. C. Lévi-Strauss, Nous sommes tous des cannibales, Paris 2013, pp. 15–47; F. Prescendi, Rois éphémères: enquête sur le sacrifice humain, Genève 2015. La crocefissione di Cristo, Macerata 2007, pp. 89–105 (già pubblicata nell’edizione del 1900 de Il ramo d’oro). Per una comparazione della crocefissione di Cristo in Flaavio Giuseppe e Filone alessandrino v. D.R. Schwartz, Reading the First Century, Tübingen 2013. M.D. Smith, The Finaal Days of Jesus, Cambridge 2018. Anthropologie des religiösen Opfer, München 1983, p. 22. S. Lowenstam, The Trojan War in Greek and Etruscan Art, Baltimore 2008, pp. 157–165. Iliade IV. Iliade XXIII 175–183. V. Andò, Cannibalismo e antropopoiesi nella poesia iliadica, in V. Andò – N. Cusumano (edd), “Come bestie?”, Caltanisetta – Roma 2010, p. 10; V. Andò, Violenza bestiale: modelli dell’umano nella poesia epica
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Violenza preistorica: Sacrifici umani e cannibalismo
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sacrifici umani e vorrebbe ritornare cannibale, secondo un modello bestiale che si è configurato, ma che non sarebbe innato all’uomo. Qui il sacrificio è un adempimento religioso che attraverso la consacrazione di una vittima modifica lo stato della persona morale che lo compie oppure quello di alcuni oggetti che lo interessano24. Sono questi indizi di antichi sacrifici umani che potevano contemplare anche il cannibalismo, che presso alcuni, come i Cartaginesi, era considerato cosa normale25. Così anche in Arcadia, dove si sacrificava a Zeus Liceo e forse si mangiavano anche viscere umane26. Il sacrificio appare lo strumento principale nella mediazione del rapporto tra l’uomo e la divinità e, così, diventa un idolo cui l’uomo deve sottoporsi con la stessa dedizione di chi pratica la schiavitù volontaria 27: “ non si cerca il godimentto per lenire la sofferenza del mondo,ma si gode della sofferenza,. si eleva, cioè, la sofferenza stessa a meta unica della pulsione. L’uomo religioso si schiera coi “sofferenti” non per amore, ma per calcolo, ovvero per il beneficio che ne potrà ricavare in un altro mondo. È l’aspetto cinico-utilitaristico del sacrificio religioso…”28. Anche il cannibale compie un sacrificio perché il cannibalismo non è solo indotto dalla fame, come pensa M. Harris29. Esistono infatti varie forme di cannibalismo, quello alimentare accanto a quello magico-religioso30. Ma la ritualità è una componente essenziale del cannibalismo. Nel racconto di Hans Staden, un marinaio e mercenario tedesco che compì due viaggi nell’America meridionale attorno agli anni 1547–1550, l’aspetto rituale accompagna quello alimentare. Nella narrazione che egli fa della sua esperienza di prigioniero dei cannibali31il pranzo viene preparato con cura e i due cristiani arrostiti vengono mangiati in tempi diversi. La carne viene cucinata e affumicata a lungo. Quindi mangiata assieme ad una bevanda speciale ricavata da radici. Già Erodoto ci parla di un popolo selvaggio di Androphagoi, che mangiavano carne umana (VI 18, 106). Ho già studiato esperienze interessanti, a cominciare dai Caribe d’America 32. Prima della battaglia i soldati si ubriacavano, si drogavano e danzavano freneticamente. Obiettivo del guerriero “posseduto dallo spirito della tigre” era quello di cibarsi di carni umane del nemico ucciso e di berne il sangue. Non era la ricerca di nutrimento, ma quella di proteine “spirituali”. Si tratta di bere lo spirito del nemico secondo magie e rituali cruenti. E’ significativo che proprio i Caribe a un certo punto considerarono più conveniente catturare e vendere schiavi. Ma ogni tanto rinunciavano a questi guadagni per tornare al piacere di mangiare la carne umana dei nemici catturati. Il rito ancestrale del cannibalismo li seduceva più che i guadagni derivanti dalla vendita dei nemici vinti. e drammatica, Caltanisetta – Roma 2013. 24 H. Hubert – M. Mauss, Essai sur la nature et la fonction du sacrifice, Paris 2015, p. 17. 25 Platone, Minosse, 315 b–c. 26 Platone, Repubblica VIII 565d–566; Plinio, N.H. VIII 82; Pausania VIII 2–6. 27 M. Recalcati, Contro il sacrificio. Al di là del fantasma sacrificale, Milano 2017. 28 Recalcati p. 57. 29 Buono da mangiare, Torino 1990. 30 E. Volhard, Il cannibalismo, Milano 2013 (19391), pp. 433–560; A. Brelich, I presupposti del sacrificio umano, Roma 2006 (19671); C. Grottanelli, Il sacrificio, Roma – Bari 1999. 31 Prigioniero dei cannibali. Diario di un viaggio alla fine della terra, 1553–1555, Milano 2016, pp. 151–156. 32 D. Foraboschi, Guerra Rivolta Egemonia, Milano 1988, pp. 13–14.
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Violenze e individuo
Il cannibale celebra riti complessi per straziare il corpo del nemico, di cui si abusa per umiliarlo con disprezzo con una crudeltà che diventa estrema fin dopo il Medioevo33. Esistono diverse forme di cannibalismo, che vanno da quello primitivo e di sopravvivenza a quello rituale34, dove i valori simbolici sopravanzano quelli alimentari. Del resto esiste anche la tradizione greca del cannibalismo divino (Kronos…)35. Nell’Inno cannibale dell’Egitto antico il faraone Unas si nutre degli dei per inghiottire la loro magia e il loro spirito36. L’antichità del fenomeno è lontanissima: in un villaggio della Germania occidentale di 7000 anni fa è stata trovata una fossa comune con i resti di un migliaio di persone che erano state mangiate da cannibali, che prima ne avevano gustato il midollo e il cervello37. Ma il fenomeno perdura. Si racconta che fino agli inizi del secolo scorso esistevano in Congo (dove i giornali hanno segnalato fenomeni di cannibalismo fino a poco temo fa) delle macellerie di uomini: uno schiavo vivente veniva esposto e l’acquirente segnava sul suo corpo la parte che desiderava. Quando tutto il corpo era stato venduto lo schiavo veniva ucciso, tagliato a pezzi e ognuno si prendeva quanto gli spettava38. Come gli antichi Caribe non si resisteva al piacere di mangiare carne umana 39. Ancor più di recente, nel Dicembre del 1937, i Giapponesi, che avevano subito enormi perdite da parte dell’Armata Rossa di Mao Tsedong, fanno strage di migliaia di Cinesi, dopo stupri, violenze e anche atti di cannibalismo40. Il bisogno di strage sembra autonomo, non finalizzato ad un obiettivo (militare …). A fine agosto 1944 avviene una nuova strage nazi-fascista nel paesino di Vinca, presso Carrara. La documentazione della sentenza del tribunale ci permette di cogliere l’allucinazione sia dei Tedeschi che degli Italiani: “i morti di Vinca furono, infatti, quasi duecento tra cui ventinove donne e bambini uccisi con mitraglie e bombe … una bimba di due mesi … uccisa al volo dopo essere stata lanciata in aria; una donna incinta uccisa e poi squartata, una vecchia sessantacinquenne bruciata viva col lanciafiamme … due vecchi bruciati vivi … un cieco abbattuto mentre tentava di nascondersi…”41.
La guerra volgeva alla fine, la voglia di crudeltà non si estingueva. Mai. Allo stesso modo di secoli prima. Agli inizi della guerra dei cent’anni uno storico quasi contemporaneo racconta che i contadini in rivolta, armati solo di bastoni e coltelli, catturarono il signore di un castello, lo legarono stretto e, numerosi, violentarono la moglie e la figlia. Poi uccisero un altro cavaliere, lo fecero arrosto e, dopo che una dozzina di uomini violentarono la moglie e le figlie, lo diedero in pasto agli uomini e alla fine uccisero tutte42.
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A. Montanari, Il fiero pasto. Antropfagie medievali , Bologna 2015, pp. 60–61. Ph. Breton, De la violence, Paris 2015, pp. 6–16; v. anche E Volhard, Il cannibalismo, Torino 1991. J. Attali, L’ordre cannibale, Paris 1979, p. 40. R.O. Faulkner, The Ancient Egyptian Pyramid Text , Oxford 1969, pp. 80–83. Breton, cit., p. 6. Breton, cit., p. 12. D. Foraboschi, Guerra Rivolta Egemonia, Milano 1988, pp. 13–14; Attali, cit., pp. 2–70; B. Schutt, Cannibalism: a Perfectly Natural History, New York 2017. 40 Breton, cit., pp. 12–38. 41 C. Nubola, Fasciste di Salò, Roma – Bari 2016, p. 71. 42 J. Froissart, La guerre des cent ans, Paris 1964 (15052), pp. 119–120.
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Violenza preistorica: Sacrifici umani e cannibalismo
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La vittima deve soffrire, essere bastonata e torturata prima di essere mangiata. La tortura e la crudeltà sembrano elementi essenziali del rituale cannibalico. Le pratiche di crudeltà nascono dall’illusione (e dal piacere) che chi viene torturato esprima la propria verità autentica, come nel caso degli schiavi greci e romani torturati in tribunale durante l’interrogatorio43. Alle volte resistevano fino all’ultimo: uno schiavo di Marco Antonio non aprì bocca contro il padrone, anche se prima lo frustarono a sangue, poi lo misero sul cavalletto di tortura. Ma funzionava la tortura? Sembra poco credibile, ma il problema si ripropone ancora oggi44, praticata, pare, anche recentemente negli USA45. Il castigo diventa un rito che celebra la vendetta del sovrano, dove l’ “elemento principale non era la legge della misura: era il principio della manifestazione eccessiva”46. Uno degli episodi più raccapriccianti è la tortura dell’assassino di Guglielmo d’Orange nel 1584. Il supplizio durò diciotto giorni: il primo giorno gli fu infilato il braccio assassino in una vasca di acqua bollente disposta sulla pubblica piazza, il secondo giorno il braccio gli fu amputato, quindi fu attanagliato, torturato con la ruota, martellato e alla fine strangolato47. La tortura ha come obiettivo la sofferenza della vittima, il castigo, non la sua morte immediata. Così deve essere protratta nel tempo, con crudeltà, fino al raggiungimento dell’obiettivo (la confessione, il tradimento degli amici …)48. Ma già Platone si era posto il problema di usare la tortura come una punizione intelligente che serva ad insegnare la virtù, cioè come funzione educativa49. Nel caso dello schiavo di Marco Antonio l’obiettivo viene mancato perché non è detto che con la tortura si raggiunge la verità. Anzi è lecito e morale torturare un terrorista se si suppone che sappia da chi e dove50 si sta compiendo un attentato? Ma se si prolunga troppo nel tempo la tortura non serve più a nulla: Pericle fa uccidere a bastonate i cittadini traditori di Samo che dopo dieci giorni di crocefissione in pubblico non erano ancora morti51. La crocefissione venne in sostanza abolita dagli imperatori cristiani del IV secolo, ma in Cina e Giappne durò fino al 1800. Ci sono foto di un criminale cinese che rapì delle ragazze e le vendette come prostitute. Venne crocifisso per alcuni giorni. Quindi, siccome non moriva per asfissia, gli vennero spezzate le gambe e fu strangolato52. Una delle torture più estreme nel mondo antico era il culleus, la pena riservata ai parricidi. Il condannato veniva frustato, gli si mettevano ai piedi degli zoccoli e si avvolgeva la testa in una
43 L. Pepe, Quali “altri”? Le vittime della tortura ad Atene tra V e IV secolo, in A. Maffi – L. Gagliardi (edd.), “I diritti degli altri in Grecia e a Roma”, S. Augustin 2011, pp. 218–235; J.A. Straus, L’esclavage dans’Égypte romaine, in “ANRW” II, 10,1, 1988, pp. 841–911; Idem, Esclaves maltraités ou punis dans l’Égypte romaine, in “Chr. d’Eg.” XC, 2015, pp. 134–146. 44 J. W Schiemann, Does Torture work?, Oxford 2016. 45 N. Chomsky, Chi sono i padroni del mondo, Milano 2016, pp. 48–49. 46 M. Foucault, Gli anormali, Corso al Collège de France (1974–1975), Milano 20173, p. 81. 47 Foucault, cit., pp. 81–82. 48 S. O’Mara, Why torture doesn’t work, Harvard 2016. 49 Protagora 324 a–b. 50 Di Cesare, cit., pp. 72–96. 51 V. il già citato Plutarco, Pericle, XXVIII. 52 J.G. Cook, Crucifixion in the Mediterranean world, Tübingen 2014, pp. 430–431, fig. 17.
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coperta, o in una pelle di lupo, quindi veniva chiuso in un sacco in compagnia di un serpente, un gallo e una scimmia. Alla fine veniva gettato nel Tevere53. “Si tratta di un aspetto fondamentale della storia della pena di morte: varie afflizioni che precedevano la morte, l’oggetto dell’esercizio … era il corpo, il campo della pena, il luogo del ludibrio successivo al decesso”54. La tortura sembra la premessa del piacere e della verità. La gioia passa attraverso il dolore. Come l’estasi mistica della S. Teresa del Bernini, così ambigua che sembra un’eiaculazione dolorosa, o altre espressioni simili “ mais qui se situaient plutôt de côté de la fonction phallique”55: un momento, come la tortura, che sadicamente, precede la voluttà. A volte la femmina gode a vedere due maschi che lottano per i suoi favori e si concede con passione al vincitore. In alcuni riti le donne vengono inseguite prima dell’amplesso, che a volte è consenziente, a volte è stupro56. In alcuni casi questa coincidenza degli opposti accade anche nel martirio. È facile passare dal morire per Dio all’uccidere per Dio57. Il martirio è la violenza iscritta nel corpo. I corpi dei martiri erano rotti, smembrati, bruciati e torturati .Ma, per un sadomasochismo perfetto, attraverso la tortura raggiungono l’estasi58. Agnes, una martire cristiana59, implora il suo torturatore di impugnare il pugnale e di realizzare gli ordini dell’imperatore. Quando la martire lo vede col pugnale sguainato, ancora più felice dice: “esulto perché viene un uomo selvaggio, crudele, torbido e pronto alle armi, piuttosto che se venisse un uomo languido, tenero, un efebo molle e profumato, che mi rovinerebbe con la morte il mio pudore. Questo, lo confesso, è l’amante che mi piace. Andrò incontro ai suoi passi irruenti e non ritarderò i suoi caldi desideri”. Anche Potiamene viene torturata su tutto il corpo e minacciata di essere esposta alle violenze di alcuni gladiatori. Ma non cedette e fu uccisa versando pece bollente sul suo corpo60. Forse peggiore fu la sorte del maestro cristiano Cassiano che viene condannato ad essere torturato dai suoi allievi che alla fine, per farlo morire, scrivono e incidono con lo stilo aguzzo i loro compiti su tutta la sua pelle61. Così, in generale, forme demenziali accompagnano tante scelte umane.
53 C. Vismara, Il supplizio come spettacolo, Roma 1990, pp. 13–20. Tutti i supplizi, le torture, le violenze più atroci venivano usualmente (e ancor oggi) praticate nel mondo. Per un elenco esemplare v. AAVV, Torturer à l’antique, Paris 2013; Cl. Lovisi, Contribution à l’ étude de la peine de mort sous la république romaine (509–149 av. J.C), Paris 1999; E. Cantarella, Come uccidere il padre, Milano 2017, pp. 91–95. 54 A. Prosperi, Delitto e perdono, Torino 2013, p. 69; J.-P. Vernant, L’ individu, la mort, l’amour, Paris 1989 (1982), p. 25; 57. 55 J. Lacan, Encore, Paris 1975, p. 95. 56 G.R. Scott, Storia delle punizioni corporali, Milano 2006, p. 11. 57 B. Green, Christianity in Ancient Rome, London 2014, p. 441; M.Fr. Baslez, Chrétiens persécuteurs, Paris 2014; Eadem, Les Persécutions dans l’antiquité, Paris 2007; P. Maraval (ed.), Actes et passions des martyrs chrétiens des premierss siècles, Paris 2010; G. Filoramo, La croce e il potere: i cristiani da martiri a persecutori, Roma – Bari 2014. 58 G. Clark, Bodies and Blood, in D. Montserrat (ed.), “Changing Bodies, Changing Meanings”, London – New York 1998, p. 99. 59 Prudenzio, Peristephanon, XIV 69–76. 60 Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, VI 5,2–4. 61 Prudenzio, Peristephanon IX 37–88.
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In un altro ambito i riti dionisiaci sembrano fenomeni irrazionali osteggiati dalla città-Stato, ma in realtà sono un rito originario, successivamente marginalizzato e quindi reinserito nel calendario religioso come normale festa bacchica62, quando in sostituzione della vittima umana si sacrificavano animali appositamente selezionati perché un certo tipo di animale poteva essere considerato come non adatto al sacrificio (athyton)63. Occorreva comunque un intermediario, una vittima, per stabilire una comunicazione tra il mondo del sacro e quello del profano64. Chi sacrifica vive un momento di intensa comunicazione con il divino e il sacrificio è il momento in cui si rafforza il senso comunitario dei fedeli che così si sentono diversi da altri gruppi65. Del resto ogni espressione religiosa esigeva il rispetto di precisi rituali: astinenza dal cibo e dal sesso (anche se qualcuno osava fare sesso sulla stessa via sacra66), divieto di abiti trasparenti, di ubriachezza, gerarchia nell’ordine delle processioni, proibizione per le donne adultere di partecipare ai misteri divini67. Pubblico/privato: uomo/donna La violenza sembra intrinseca all’uomo, soprattutto maschio: “noi discendiamo da un’eredità infinitamente lunga di assassini che avevano nel sangue il piacere di uccidere, come forse noi stessi ancora”68. La pulsione di morte, attiva o passiva, sembra intrinseca all’uomo. Oggi sembra essere un tabù, un tempo poteva essere gloriosa69. Già le raffigurazioni di vasi greci del VI a.C. mostrano satiri sessualmente iperdotati che inseguono uomini, animali e donne. La violenza sembra intrinseca alla sessualità maschile, che procede dalla barbarie alla civiltà70. Anche se Freud sostiene che la sessualità umana è sempre perversa/polimorfa e tende a crearsi un feticcio che sia suo oggetto d’amore. Questo non esiste negli animali, che sono più naturali e riproduttivi71. Un oscuro mondo di violenze, magie e sfrenatezze sessuali appare in un romanzo del II secolo d.C. che ci è giunto attraverso alcuni frammenti di papiri. Si tratta dei Phoinikikà di Lolliano72. 62 M. Halm-Tisserant, Le sparagmòs: un tipe de magie fécondant, in “Kernos” 17 (2004), pp. 119–142; V. Traficante, Disiecta membra. Breve nota iconografica sullo sparagmòs di Penteo, in A. Beltrametti (ed.), “Studi e materiali per le Baccanti di Euripide”, Como – Pavia 2007, pp. 97–98; P. Bonnechere, Le sacrifice humain en Grèce ancienne, Liège 1994, pp. 181–185. 63 SEG LX 2032. 64 H. Hubert – M. Mauss, Essai sur la nature et la fonction du sacrifice, Fano 2015 (18981). 65 S. Hitch – I. Rutherford (edd.), Animal Sacrifice in the Ancient Greek World, Cambridge 2017, pp. 1–3. Il sacrificio di animali venne trasmesso ai Greci attraverso un dialogo transculturale con gli Egiziani: v. J. Rutherford, The Reception of Egyptian Animal Sacrifice in Greek Writers: Ethnic Stereotyping and Transcultural Discourse, Ibid., p. 166. 66 P.Medin. Madi 2. 67 A. Chaniotis, Dynamic of Emotions and Dynamic off Rituals. Do Emotions Change Rituaals Norms?, in C. Brosius – U. Hüsken, “Ritual Matters”, London 2010, pp. 208–233. 68 S. Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e la morte (1915), in “Opera Omnia”, Milano 8, 1992, pp. 123–148. 69 Ph. Ariès, Storia della morte in Occidente, Milano 2006, pp. 233–236; C. Edwards, Death in Ancient Rome, Yale 2007. 70 C.I. Kerényi, Civilizing Violence, Fribourg 2004, p. 96. 71 M. Recalcati, Ritratti del desiderio, Milano 2018, pp. 103–108. 72 J.R. Morgan, The fragments of ancient greek fiction, 1936–1994, in “ANRW” II 34,2, 1995, pp. 3292–3390.
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Un ragazzo di nome Androtimo durante un festa racconta di una ragazza di nome Perside, con cui ha il primo rapporto sessuale, con grande gioia di Perside che lo gratifica donandogli gioielli. In un altro frammento si racconta di una banda di briganti che sembra pratichino riti selvaggi: uno di questi, nudo, uccide un uomo, gli strappa il cuore, lo arrostisce e lo offre ai compagni, che, mangiando, subiscono inenarrabili guasti intestinali. I briganti quindi si dedicano ad un’orgia e poi si addormentano, lasciando a guardia undici uomini mascherati con una vernice bianca. In un’altra scena un tale di nome Glaucete parla con un fantasma che gli chiede di seppellire il suo cadavere accanto a quello di una ragazza bellissima che gli sta vicina. Sembrano riecheggiare qui antichi culti e magie, assieme a forme sacrificali che comprendevano sacrifici umani73. Ė la forma di violenza più diffusa, l’evento quotidiano e frequente, ma più inspiegabile. La non-violenza non è spontanea, sembra una conquista faticosa. Secondo Freud la violenza è invece innata. La pulsione di morte corrisponde a una tendenza dell’uomo a fare del male e, certamente, a essere crudele. Nel Settembre del 1932 scrive a Einstein e parla della “nostra pulsione distruttiva… Con un po’ di speculazione ci siamo in effetti persuasi che essa opera in ogni essere vivente e che la sua aspirazione è di portarlo alla rovina … Con tutta serietà le si addice il nome di pulsione di morte”, animata dal pensiero che “l’essere vivente in tanto protegge la propria vita in quanto ne distrugge una estranea74”. Anche J.Schumpeter sostiene fondamentalmente la stessa tesi75. È una pulsione innata, genetica, oppure corrisponde a relazioni sociali, a forme di educazione che possono scatenarcela? In Egitto antico la violenza è diffusamente attestata dai papiri76. Ma non sembra particolarmente narrata nella mitologia. Anche se nella Contesa tra Oro e Seth, dopo una serie di racconti violenti la vicenda si conclude con il dio Seth che violenta suo nipote Horos, in un ambiente culturale dove, come spesso, l’omosessualità passiva era vista in modo radicalmente negativo77. Alla violenza si può aggiungere il razzismo. In una denuncia al re Tolemeo IV dell’11 Maggio del 218 a.C.78 un uomo fiero di essere greco si lamenta perché, mentre camminava per la strada, una donna egiziana lo aveva insultato, gli aveva strappato il mantello sino a denudarlo, aveva gettato urina sui suoi vestiti e gli aveva sputato in faccia. Le differenze etniche vengono sottolineate: “senza ragione oltraggiato da una donna egiziana, io che sono Greco e straniero” (rr. 9–10). Secoli dopo colpisce un documento del 343 d.C., di epoca ormai cristiana (anche se il paganesimo sopravvisse a lungo in Egitto). 73 I. Cazzaniga, Eco di riti e culti orientali nelle torture di alcuni martiri giulianei di Siria e i frammenti papiracei testè editi del romanzo “Phoenikikà” di Lolliano, in “Vet. Chris.” 10, 1973, pp. 305–318. 74 S. Freud, Opere, Torino 1992, 11 (1930–1938), p. 299. 75 S. Freud, Opere, Torino 1992, 11 (1930–1938), p. 299. V. D. Foraboschi – S.Pizzetti, “La successione degli imperi e delle egemonie nelle relazioni internazionali”, Milano 2003. Nello stesso volume, D. Foraboschi, Guerra e imperi, 85–88 e soprattutto il saggio di B. Vigezzi alle pp. 135–160. 76 A.Z. Bryen, Violence in Roman Egypt, Philadelphia 2013 (v. la recensione di B. Legras in “BMCS” 2014,05,49). 77 M.Bierbrier, The Tomb-Builders of the Pharaohs, Cairo 1989, pp. 100–102. 78 P. Enteux. 79.
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È una petizione inviata dal diacono della chiesa cattolica Aurelio Zoilo, che chiede la punizione dei misfatti di alcuni individui vergognosi, quando suo figlio Gerontio era vivo e si era sposato con una donna di nome Nonna, figlia di Annous, con un matrimonio che si rivelò disastroso. Si sperava in un matrimonio fortunato, ma accadde il contrario. Mentre il figlio Gerontio era in punto di morte un tale Sakaon79, assieme ai suoi fratelli e alla madre della moglie, entrarono in casa e gli rapirono la moglie, prima che lui morisse. L’intervento dell’altro figlio Paseis non servì a nulla se non al rischio di essere ucciso durante una nuova rissa a bastonate, dopo la quale i violenti si daranno a nuove rapine di bestiame. Violenza privata estrema. Nulla si dice della povera sposa rapita e forse violentata, con la complicità dei fratelli e della madre Annous. I papiri ci conservano numerosi documenti di violenza. Basta trasceglierne qualcuno. Un altro papiro di Tebtunis del 109 a.C. (4 secoli prima del caso precedente)80. È la denuncia di un soldato, che è anche sarto, contro un capo di polizia che era entrato nel suo negozio assieme ad altri suoi collaboratori e lo aveva trascinato attraverso il villaggio, per la strada, con insolenze, oltraggi e botte. Lo rilasciarono dietro pagamento di 4 dracme di argento e 1300 di bronzo, oltre all’impegno a pagare un’altra somma consistente attraverso un’altra persona, perché lui era un disperato. Lo derubarono anche dei vestiti che stava tessendo. Polizia contro l’esercito nella figura di un soldato che, stranamente, fa anche il sarto. Ma non è un caso unico. Violenze e assassini erano incredibilmente diffusi anche nei piccoli villaggi81. I papiri, come al solito, sono ricchi di attestazioni di cronaca nera. Non sfuggono neanche i monaci. Nel V secolo d.C. a Ossirinco, una donna fa una denuncia al vescovo: “Alipio, un monaco, che è nostro nipote, ebbe desiderio di dare in matrimonio la mia piccola figlia ad Apaion, un nostro parente … Ma mia figlia non voleva sposarlo…Ma, malgrado il suo abito, il monaco mi picchiò, mi rubò e rovinò l’abbigliamento …”82. Estremo sembra il caso di Aurelia Attiena83, nel IV–V secolo d.C., ormai in piena epoca cristiana. Conviene ricordare questo caso già visto: secondo la denuncia della vittima il marito la violentò e la mise incinta malgrado gli antichi inviti a non oltraggiare, picchiare e tradire la moglie84. Nacque una bimba che portò a casa, prima di andare a vivere con un’altra donna. Ma poi le chiuse entrambe in casa come schiave costrette a convivere per alcuni giorni con un manipolo di banditi. Quando fu incinta la abbandonò di nuovo per andare a vivere con l’altra moglie. Questo fu Paolo, forse cristiano, forse prete. Ma, a volte, anche i padri non sono da meno. Nel 186 d.C., una donna di nome Dionisia denuncia il padre che voleva che interrompesse il suo matrimonio felice85. 79 P. Sakaon 48, da Teadelfia nel Fayum. Sul Fayum v. S. Lippert – M. Schentuleit (edd.), Graaeco-Roman Fayum, Texts and Archaeology, Wiesbaden 2008. 80 P. Col. Youtie I 16 (v. J. Bauschatz, Law and Enforcement in Ptolemaic Egypt, Cambridge 2013, pp. 149–151). 81 P. Parsons, La scoperta di Ossirinco, Roma 2014, pp. 229–232. 82 SB IV 7449. 83 P. Oxy. L 3581; E.A. Mathieson, Christian Women in the Greek Papyri of Egypt to 400 CE, Macquarie Un. 2014, pp. 48–49. 84 V. BGU IV 1050, del regno di Augusto. 85 P. Oxy. II 237; E. Cantarella, Come uccidere il padre, Milano 2017, p. 46.
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Ma sembra di essere di fronte a vicende immutabili. Tra il 1200 e il 1160 a.C. una serie di denunce conservate su un papiro di Der el-Medinah ci attestano le incredibili imprese banditesche di un individuo di nome Peneb che in tal modo da semplice lavoratore divenne il capo di una brigata di lavoratori86. Le violenze e le illegalità sembrano la sua specializzazione: furto di proprietà regali, violenze e stupri, maltrattamenti di operai, furto di strumenti da lavoro…In questo modo ottenne un alto grado di carriera. Le violenze sono sempre state quotidiane. In una denuncia penale del I secolo d.C.87 una donna denuncia un’altra e si lamenta che questa gli ha rubato degli oggetti e davanti alla richiesta di una somma di denaro per pagare il furto l’ha picchiata su tutto il corpo e ne ha approfittato per derubarla di un’altra corona d’oro. Ancora nel II secolo d.C. una donna va a casa del figlio per dirgli di non fidarsi di un tale Menà. Il figlio allora lo ammazza e dice alla madre di non preoccuparsi. La donna invece entra in agitazione, perde il sonno, ma lucidamente cerca di recuperare una somma di denaro per pagare il riscatto del figlio88. La crudeltà sembra normalità. Una donna di nome Dionysarion, restata vedova e incinta chiede di essere libera di esporre e abbandonare il bambino nascituro89. Storie che anche oggi si leggono quotidianamente. La violenza contro donne e bambini è tipica dell’uomo (maschio). La polarizzazione maschio/ femmina è sempre stata estrema. Fino al punto assurdo, ma significativo, che nell’ epistolario papiraceo proveniente da Kellis (Egitto tardo-antico) le donne scrivono solo in copto, gli uomini per lo più allo stesso modo se scrivono ad una donna, mentre tra maschi si scrive prevalentemente in greco90.Del resto nel diritto greco e in quello romano le donne non avevano figura giuridica, dovevano avere un kyrios, un tutore che le rappresentasse in pubblico, mentre secondo le norme egiziane ne potevano fare a meno. La stessa donna se stipulava un contratto in greco doveva avere un tutore, se lo stipulava in demotico (egiziano antico) lo faceva liberamente91. A Roma solo tre donne osarono parlare nel foro e quella (Amesia) che cercò di imporsi venne chiamata donna-maschio. L’altra, Afrania, con i suoi latrati e la sua impudenza infastidiva i tribunali e di lei si sarebbe dovuto ricordare non l’anno della nascita, ma solo l’anno della morte92 86 J. Cerny, Papyrus Salt. 124, in “JEA” 15, 1929, pp. 243–258. 87 BGU 20, 2870 88 P. Mich. VIII 473; v. S. Strassi, L’archivio di Claudius Tiberianus da Karanis, Berlin – New York 2008, pp. 38–41 e 128–130; più in generale v. R. Mascellari, La descrizione di atti criminosi e violazioni nei papiri: YBRIS, AIKIA, PLHGAI, BIA, in R.Haensch (ed.), “Recht Haben und Recht”. 89 BGU IV 1104 dell’8 a. C: “Bekommen in Imperium Romanum” Warschau 2016, pp. 483–521. 90 J. Clackson, Language and Society in the Greek and Roman Worlds. Key Themes in Ancient History, Cambridge 2015, pp. 131–133. 91 N. Lewis, Greeks in Ptolemaic Egypt, Oxford, 1986, pp. 88–103; K. Vandorpe, The Bilingual Family Archive of Dryton, His Wife Apollonia and Their Daughter Senmouthis (P. Dryton), Brussel 2002; B. Legras, Les testaments grecs dans le droit hellénistique: la question des héritières et des testatrices, in “Symposion” 2005, pp. 303–306; K. Vandorpe, Inventories and Private Archives in Greco-Roman Egypt, in K. Vandorpe – W. Clarysse (edd.), “Archives and Inventories in the Eastern Mediterranean”, Brussel 2007, pp. 69–83. 92 M. Beard, Donne e potere, Milano 2018, pp. 13–14, da Valerio Massimo, Facta et dicta memorabilia VIII 3,1: “Amesia Sentinas rea causam suam L. Titio praetore iudicium cogente maximo populi concursu egit modosque omnes ac numeros defensionis non solum diligenter, sed etiam fortiter executa, et prima actione et paene cunctis sententiis liberata est. quam, quia sub specie feminae uirilem animum gerebat,
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Un documento del IV secolo d.C.93 è particolarmente agghiacciante. Siamo in un ambiente giudaico-cristiano. Una donna denuncia le violenze inaudite del suo uomo. Costui chiuse a chiave in un sotterraneo figli, figliastri e schiavi per nove giorni. Picchiò due schiavi fin quasi alla morte. Denudò la figliastra della moglie e la bruciò col fuoco. Frustò gli schiavi per farli confessare falsamente di essere stato derubato dalla moglie (buona attuazione del principio paolino che noi siamo tutti uguali in Gesù Cristo94). Ma dopo una pausa si risposano. Poi ricominciano le violenze. Quando lei va in chiesa lui la chiude fuori casa. Pretende poi che lei paghi una certa cifra. Quando lei si rifiuta la fa rinchiudere e la convince a pagare un riscatto per il rilascio del suo assistente che era finito in galera. Si appropria infine anche dei suoi gioielli e poi se ne va affermando: entro un mese troverò una prostituta… Ma le prostitute potevano innamorare: Didimo, preso d’amore, vive presso una pubblica prostituta, fino alle ore piccole. Ma poi improvvisamente la uccide e sul momento non viene nemmeno imprigionato95. Un altro papiro96, proveniente probabilmente da Samaria, che era un centro di emigrazione ebraica, un marito di nome Sabbataios denuncia che la moglie incinta era stata picchiata fino al punto di mettere in forse la vita del bambino97. Ma anche in epoca cristiana troviamo padri che danno in pegno il figlio per avere crediti e si lamentano che il bambino “pazzo” non venga più picchiato, mentre lui stesso “desidera prendere un po’ di botte”98. Gli Ebrei godevano di cattiva fama. In un papiro si scrive99: spero che gli Ebrei non ti facciano arrosto; come se fossero degli antropofagi. Questo è l’antisemitismo di ampi settori dei Greci. Un intellettuale come Apione sembra quasi un precursore di Hitler. In un suo libello scrisse che gli Ebrei sono degli analfabeti lebbrosi100. Ma l’antigiudaismo non era particolarmente diffuso tra i Greci. Anzi i contatti reciproci furono abbastanza tardi. Nella Genesi, datata attorno al VII secolo a.C., i Greci sono chiamati Yavan101. Solo dopo i rapporti si intensificarono (mercenari, grano…). Per secoli Ebrei e Greci si ignorarono benché fossero contigui. Con l’ellenismo le aristocrazie giudaiche assunsero impor-
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Androgynen appellabant.” VIII 3,2 “C. Afrania uero Licinii Bucconis senatoris uxor prompta ad lites contrahendas pro se semper apud praetorem uerba fecit, non quod aduocatis deficiebatur, sed quod inpudentia abundabat. itaque inusitatis foro latratibus adsidue tribunalia exercendo muliebris calumniae notissimum exemplum euasit, adeo ut pro crimine inprobis feminarum moribus C. Afraniae nomen obiciatur. prorogauit autem spiritum suum ad C. Caesarem iterum Seruilium consules: tale enim monstrum magis quo tempore extinctum quam quo sit ortum memoriae tradendum est”. P. Oxy. VI 903 = CPJ III457d: v. A.Z. Bryen, Violence in Roman Egypt, Philadelphia 2013, pp. 273–274; D. Montserrat, Sex and Society in Graeco-Roman Egypt, London – New York 1996, p. 100. K.B. Neutel, A Cosmopolitan Ideal: Paul’s Declaration ‘Neitheer Jew nor Greeek, neither Slave nor Free, nor Male and Female’, in the Context of the first Century Thought, London – New York 2015. BGU IV 1024 (IV d.C.). CPJ I 133, del 153 o 142 a.C. V. M. Parca, Violence by and against Women in Documentary Papyri from Ptolemaic and Roman Egypt, in H. Melaerts – L. Mooren (edd.), “Le rôle et le statut de la femme en Égypte Hellénistique, Romaine et Byzantine”, Paris – Leuven 2002, pp. 283–296. M. Chrest. 361, del VI d.C. CPJ 437,4, del 116 d.C. (?). Flavio Giuseppe, Contro Apione, II 8; II 289. Genesi 10.
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tanti cariche nei nuovi regni: i Tobiadi dell’ Ammonitide, in Palestina, erano già responsabili fiscali di ampie regioni della Celesiria e della Giudea102. Invece i Greci di Alessandria giunsero a presentare alcuni imperatori romani come succubi degli Ebrei: “Lo scorso inverno arrivarono a Roma [gli Alessandrini]. Avendo appreso la presenza di ambasciatori ebrei ed alessandrini, l’imperatore [Traiano] fissò una data per ascoltare gli uni e gli altri. Ma Plotina [moglie di Traiano] avvicinò i senatori perché fossero contro i Greci alessandrini e sostenessero gli Ebrei. Così gli Ebrei entrarono per primi. Salutano l’imperatore Traiano che con gran calore contraccambia, perché anche lui era stato guadagnato alla loro causa grazie a Plotina. Dopo di loro entrano gli ambasciatori dei Greci Alessandrini e salutano l’imperatore. Costui non restituisce il saluto, ma dice:”voi mi salutate pensando di essere degni di essere salutati; voi che avete duramente molestato gli Ebrei?” Andatevene...”103.
Poi Traiano minaccia di morte i Greci Alessandrini e l’ambasciatore greco Hermaisco accusa che il Senato era pieno di “empi” Ebrei (in realtà non ve ne era nessuno). E proprio Traiano avrebbe condotto una lunga guerra contro gli Ebrei in rivolta, che poi, dopo due anni di resistenza, sarà repressa così che nel Nord-Egitto non troveremo tracce di ebraismo per secoli. Precedentemente l’imperatore Claudio aveva cercato di smorzare la violenza dei Greci di Alessandria contro gli Ebrei, che però minacciava di punizioni se avessero tentato di avere accesso alle istituzioni della città greca104: “Lucio Emilio Retto dice: poiché non tutta la città, per la sua popolosità, ha potuto trarre conoscenza della santissima e beneficentissima lettera, ho ritenuto necessario esporre la lettera affinché uno per uno leggendola ammiriate la grandezza del nostro Dio Cesare ed abbiate gratitudine per la benevolenza verso la città. “Anno secondo di Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico Imperatore, mese Nuovo Augusto, (giorno) 14. Sulla questione relativa a quale fazione avesse la responsabilità delle rivolte e sommosse – oppure, per dire la verità, della guerra- contro i Giudei avendo attestato in modo contrapposto i vostri ambasciatori e in particolare Dionisio figlio di Theon. Tuttavia non ho voluto fare un’ inchiesta approfondita, sebbene guardando a me stesso (osservo) una massa di immutabili indignazioni verso qualunque fazione abbia una volta rinnovato (il conflitto). Affermo definitivamente che se non sarà posto fine a questo odio mortale reciproco subito sarò costretto a mostrare cos’è un capo filantropo quando si volge verso un’indignazione giusta. Perciò già da ora scongiuro che gli Alessandrini in modo mite e filantropico si rivolgano agli Ebrei, che da molto tempo abitano la stessa città e per niente danneggino quanti riti sono stati stabiliti per loro verso Dio, ma lascino che loro si servano delle abitudini che (seguivano) sotto il Dio Augusto, abitudini che io avendole conosciute ho assicurato per entrambi. D’altro canto ordino anche ai Giudei che non cerchino di avere niente di più di quanto avevano prima e che per il futuro non mandino più due ambascerie come se abitassero in due città, cosa che prima non si fece mai; né cerchino di penetrare nelle gare dei ginnasi o in quelle dei kosmetai, 102 J. Blenkinsopp, Essays on the Judaism in the Prehellenistic Period, Berlin – Boston 2017. Flavio Giuseppe, Antiqui., XII 4, 4, 19; O. Mich. I 332 (?). D. Gera, Judaea and Mediterranean Politics, 219 to 161 B.C.E, Leiden 1997. 103 ACTA MARTYRUM ALEXANDRINORUM. ACTA HERMAISCI. 104 Lettera di Claudio (CPJ 16).
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mentre possono trarre vantaggio dalle loro proprie e mentre pur abitando in una città estranea godono di abbondanza di beni inestinguibili. Né portino o ammettano Giudei che vengono dalla Siria o dall’Egitto, cosa da cui sono costretto a nutrire maggiori sospetti, altrimenti sarò spinto in ogni modo a vendicarmi contro coloro che vogliono sollevare una comune malattia del mondo. Se desistendo da questi atteggiamenti entrambi con mitezza e filantropia vi comporterete reciprocamente, anch’io userò verso la città la stessa benevolenza che dai tempi passati, come da antenati, è stata familiare per voi”.
In un altro ben noto testo, scritto durante una rivolta giudaica, si legge: c’era una sola speranza e aspettativa, l’assalto della massa dei contadini del distretto contro gli “empi” Ebrei. Ma accadde il contrario: i nostri furono sconfitti e molti di loro furono fatti a pezzi105. Non sempre l’astio fu così acuto. Sul Mons Porphyrites lavoravano una ventina di operai ebrei; per loro, che a Pasqua non potevano mangiare il pane lievitato, le autorità locali ordinano che un cammello portasse del grano integro106. Alcuni imperatori tardo-antichi (come Onorio e poi nel VI secolo anche Teodorico107) tentarono di fare in modo che venisse rispettata la comunità e la festività giudaica del sabato. Alcuni cristiani si compiacevano delle feste giudaiche, più libere di quelle cristiane, dove si poteva ballare tutta la notte, anche a piedi nudi108. Un esempio è costituito da Sukkot, la festa delle capanne oggi costruite anche sui grattacieli di N.York e di altre grandi città109,quindi, è ancora oggi una festa importante che dura sette giorni110 tra candele, preghiere e cibi ricercati. Allora il peristilio esteriore del tempio di Gerusalemme dava accesso a camere e sale predisposte per la costruzione delle tende di sukkot, diversamente destinate alle tribù. Intorno al Tabernacolo gli Israeliti erano separati dai preti e dai Leviti. Intorno al tempio dalle-dodiciporte si riduce invece la separazione tra preti e laici111. Rari momenti di coesistenza tra Ebrei e Cristiani. Ci fu un’ ipotesi di equiparazione tra i Baccanali di Dioniso e la festa dei Tabernacoli112. Così scrive anche Tacito113, disapprovando però l’assimilazione perché quello dei Giudei sarebbe stato un “mos absurdus sordidusque”. Tacito, che non conosce il suo contemporaneo e ormai concittadino Flavio Giuseppe (l’Ebreo “traditore”, per gli Ebrei), torna varie volte sulla storia ebraica114. I toni sono diversi, ma non dissimulano il radicale e ottuso antigiudaismo di Tacito115, che ammirava la barbarie dei Germani,ma non sopportava le raffinatezze mentali dei Giudei, proprio come Himmler e
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CPJ 437 del 116–117 d.C. H. Cuvigny, Le pain pour les Juifs, in “Le myrte et la rose” I, Monpellier 2014, pp. 9–13. F.M. Gambari – C. Miedico, Gli dei degli altri, Gravellona 2016, p. 114. L.H. Feldman, Jews and Gentile in the Ancient World, Princeton 1996, pp. 369–382. M. Levy Lipis, Home is anywhere, Köln 2010. V. il mio articolo Sukkot in corso di stampa negli scritti in onore di G.Bejor. Levitico 23, 40–43. F. Schmit, La pensée du Temple. De Jerusalem à Qoumrân, Paris 1994, p. 178 (così risulta dal Rotolo del Tempio di Qumran). Feldman, cit., p. 501 n.16. Hist. 5,5. Feldman, cit., pp. 184–196 P. Schäfer, Giudeofobia, Roma 1999, pp. 261–268.
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Goebbels116, anche se in Germania, dopo Winckelmann, sarà il mito greco a divenire dominante117. Ma la Germania di Tacito fu un libro particolarmente ammirato dai nazisti. Massacri e sterminio in Grecia e a Roma Tutto questo sembra nulla rispetto allo sterminio di massa: in Egitto si sono trovate sepolture, databili a migliaia di anni prima di Cristo, con 60 scheletri di tutte le età trafitti da 116 punte di frecce118. Il massacro sembra una costante della storia umana. In Omero il massacro da parte di Ulisse di tutti i pretendenti al letto di Penelope è considerato un gesto di civiltà.Il ritorno dalla guerra è sempre celebrato in modo trionfale, ma spesso ha un seguito drammatico sia per l’eroe che per chi lo circonda e tra cui deve reinserirsi119. La storia greca sembra già, tra i suoi splendori, un’epoca di massacri120. Paradigmatico è il famoso episodio di Melo, narrato in forma dialogica da Tucidide121, quando gli Ateniesi, nel 415, essendo vincitori misero a morte tutti gli uomini in grado di combattere, resero schiavi donne e bambini e istallarono una loro colonia di 500 uomini ateniesi. L’episodio restò nella memoria storica sino al punto che un noto “neo-con” americano (R. Kagan, figlio di un noto storico della Grecia antica, D. Kagan) giunse al punto di giustificare l’interventismo bellico americano perché “l’America è un gigante con una coscienza”, al contrario degli antichi Ateniesi e dei moderni Europei122. Comunque conosciamo operazioni di sterminio difficili da immaginare senza la tecnologia hitleriana . Hitler, che in ogni caso risaliva a una cultura irrazionale come il razzismo di De Gobineau (ammirato già da Wagner e poi dai nazisti), assieme alle culture esoteriche e i più generici orientalismi123, aveva sviluppato un apparato tecnologico imponente e moderno. Sempre sul finire del V secolo a.C. a Corcira si fronteggiano, e si ammazzano, fazioni opposte124 in una spietata guerra civile. Per giorni i democratici, con l’aiuto di donne e schiavi, combattono per strada contro gli aristocratici, rafforzati da mercenari. Concludono infine un armistizio. Ma qualche giorno dopo la flotta di Corcira si scontra ancora con quella del Peloponneso. I Corciresi intanto continuano a massacrare gli avversari. Uccidono anche chi si arrende, così che i sopravvissuti che volevano consegnarsi, invece si uccidono reciprocamente, anche nel tempio, impiccandosi o in altri modi. Nel frattempo continuano la carneficina dei concittadini della fazione opposta. Non c’era più limite: il padre uccideva il figlio, che si arrendeva cercando però rifugio nei santuari inviolabili, dove, però, se veniva preso era ucciso sul posto. 116 L. Canfora, La Germania di Tacito da Engels al nazismo, Napoli 1979; Ch.B. Krebbs, Un libro molto pericoloso, Ancona 2012; V.E. Pagán, Tacitus. Understanding Classics, London – New York 2017, cap. IV. 117 A. Andurand, Le Mythe grec allemand. Histoire d’une affinité élective, Rennes 2013. 118 F. Heritier (ed.), “De la violence”, I–II, Paris 2005, pp. 27–29. 119 N.M. Knight, Penelope Gone to the War: The Violence of Home in Neverhome and Father Comes Home from the Wars, in “New Voices in Classical Reception Studies”, www2.open.ac.uk/ClassicalStudies/ GreekPlays, Issue 11, 2016, pp. 1–10. 120 V. Ampolo, Tra Greci e Barbari, cit. 121 V 116, 3–4. 122 R. Kagan, Paradiso e potere, Milano 2003, p. 112. 123 G. Galli, Hitler e il nazismo magico, Milano 20172. 124 Tucidide III,81, 2–5.
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Massacri e sterminio in Grecia e a Roma
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Addirittura alcuni furono murati dentro il tempio di Dioniso e ovviamente non vennnero risparmiati donne, vecchi e bambini. Non meno atroce fu la guerra civile ad Atene dove, come in tutta la Grecia, la guerra civile era uno “stato abituale”. Ma l’anno 404/403 fu così estremo che sparì dal calendario, che sarà indicato, come ha sottolineato Canfora, “con una formula quasi surreale:’non governo’ (anarchia)”. Soprattutto i trenta tiranni perseguirono un disegno di sterminio dei nemici, di confisca dei loro beni, soprattutto dei più ricchi, secondo un progetto sociale non propriamente connaturato a degli aristocratici ricchi125. Ma poco dopo i democratici vittoriosi uccideranno tra i trenta tiranni e numerosi nemici politici anche Crizia, zio di Platone, e il più tiranno dei tiranni: secondo Senofonte i trenta tiranni avevano fatto morire più Ateniesi in 8 mesi di dittatura che non i nemici Spartani in 10 anni di guerra126. Eppure Platone e Senofonte allora mostreranno segni di simpatia per gli oligarchi, allo stesso modo in cui anche illustri storici del secolo scorso apprezzarono il nazismo, come F. Jacoby (ebreo) in Germania o J. Carcopino in Francia, complice delle persecuzioni antigiudaiche nella Francia di Vichy, che al suo collega Isaac Jules sembrava un rispecchiamento della tirannide ateniese127. Il famoso Carcopino finse di non accorgersi nemmeno dello sterminio della famiglia del collega…Fascismo e classicismo erano le sue passioni, di cui fu precursore un maestro come U. Von Wilamowitz Moellendorff128. La logica del massacro ideologico dura sino ai nostri giorni, come è accaduto in Bosnia, nel Ruanda pochi anni fa e continua ancora altrove, su scala più ampia. Ci può essere un massacro con fini politici. Ma c’è anche una forma di massacro come manifestazione di libidine: ammazzare per ammazzare, libidine della tortura, come recentemente in Iraq e poco dopo in Siria. Così nel 53 a.C. i Romani guidati da Cesare, dopo avere subito un massacro a Cenabum (Orleans) da parte dei Galli, si vendicano ad Avaricum uccidendo alla cieca donne, vecchi e bambini129. La battaglia si svolge sotto una pioggia battente ed in mezzo alla città (cosa rara). Pochi furono i prigionieri, 40000 i morti130. Non c’è più un obiettivo militare, o di bottino. Esplode il sanguinario desiderio di vendetta che forse è in ognuno. La vigilia della battaglia è un momento di ansia e di paura. Spesso i soldati bevono alcolici e ci sono guardiani che girano per l’accampamento per vedere se ci sono ubriachi: un po di alcool dà una giusta ebbrezza, troppo rende imbelli. L’uso e l’abuso di alcolici è una costante dagli eserciti dal mondo antico131, agli eserciti di Napoleone, alla seconda guerra mondiale, fino alle droghe delle fallimentari guerre imperialiste dei francesi e poi degli americani in Vietnam,
125 L. Canfora, La guerra civile ateniese, Milano 2013, soprattutto cap. 13. 126 Elleniche, II 4,21. 127 J. Isaac, Les oligarques, Paris 1945 (trad. it., Gli oligarchi, con prefazione di L. Canfora, Roma – Salerno 2016). 128 L. Canfora, Cultura classica e crisi tedesca, Bari 1977; L. Lehner, Incontri con la filologia del passato, Bari 2012, pp. 89–103. 129 Cesare, Guerra Gallica, VII 28,4. 130 Y. Le Bohec, César chef de guerre, Paris 2015, p. 259. 131 Senofonte, Costituzione degli Spartani, V, 7.
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oppure le sostanze psichedeliche usate dagli Zulu132. Il merito delle vittorie è spesso dell’alcol133. Oggi attraverso la biologia (e miliardi di investimenti) si cerca di creare una nuova figura di combattente, il “soldato potenziato” in grado di fornire prestazioni psico-fisiche superiori. La guerra appare come una gestazione pericolosa, la conclusione è la morte o una nuova nascita da guerriero e maschio vincente. Ad Avaricum Cesare stesso, che racconta il fatto, ne sottolinea la crudeltà fine a se stessa, senza nemmeno desiderio di bottino: è la felice festa crudele successiva alla grande paura134. Dall’altra parte anche Vercingetorige resta imperterrito davanti al massacro dei suoi135 perché c’è in molti una indifferenza verso la crudeltà136. Oppure si ritiene che la politica della crudeltà sia un’opera di giustizia e di castigo dei malfattori137 (al delitto corrisponde la pena). Secoli dopo, nella Britannia romana, troviamo tracce di fenomeni ben più atroci138. A Lankills, nel Winchester, sono stati trovati scheletri che mostrano segni di decapitazione, con il cranio in posizioni non anatomiche (ai piedi o tra le gambe), in posizione prona, indizio di sacrifici umani di persone seppellite vive139. Guerra e pace a Roma140 “la guerra è gradita a chi nonl’ha sperimentata, ma chi l’ha provata avverte un enorme orrore nel cuore”.
Così Erasmo da Rotterdam, citando Pindaro, inizia i suoi Adagia sulla guerra141. Tuttavia l’aggressività sembra innata e inestinguibile in tutti gli animali: animali, anche non carnivori uccidono anche senza mangiare la vittima. Invece le leonesse aggrediscono la vittima che poi mangiano assieme al maschio. Nelle comunità umane la guerre è immanente:
132 Ł. Kamiénski, Shooting Up: A Short history of Drugs and War, Oxford – New York 2016. 133 V.D. Hanson, L’arte occidentale della guerra. Descrizione di una battaglia nella Grecia classica, Milano 1989. D. Foraboschi, rec. a A. Ambühl (ed.), War of the Senses-the Senses in War. Interactions and Tensions between Representations of War in Classical and Modern Culture, in “Thersites” 4, 2016, pp. 350, in “BMCR” 2017, 9, 54. 134 D. Foraboschi, Guerra, Rivolta, Egemonia, Milano 1998, pp. 11–13. 135 Commentarii de bello gallico VII 88: „Nostri omissis pilis gladiis rem gerunt. Repente post tergum equitatus cernitur; cohortes aliae appropinquant. Hostes terga vertunt; fugientibus equites occurrunt. Fit magna caedes. Sedulius, dux et princeps Lemovicum, occiditur; Vercassivellaunus Arvernus vivus in fuga comprehenditur; signa militaria septuaginta quattuor ad Caesarem referuntur: pauci ex tanto numero se incolumes in castra recipiunt. Conspicati ex oppido caedem et fugam suorum desperata salute copias a munitionibus reducunt. Fit protinus hac re audita ex castris Gallorum fuga”. 136 De bello gallico VII; A. Dal Lago, Carnefici e spettatori: la nostra indifferenza verso la crudeltà, Milano 2012. 137 T. Viljamaa – A. Timonen – Ch. Krözel, Crudelitas, Krems 1992. 138 E. Kenz, Le massacre objet d’ histoire, Paris 2005, p. 9: tra il 1900 e il 1987 si ipotizza che vi siano stati 170 milioni di civili uccisi, oltre ai 35 milioni di soldati morti sul campo. Per la Grecia classica v. B. Eck, Ibid., pp. 72–120. 139 Th. Molleson, What the bones tell us, in S.C. Humphreys – H. King (edd.), “Mortality and Immortality”, London 1981, pp. 27–29. 140 Rielaboro qui una mia precedente ricerca: Guerra e pace a Roma, in G. Daverio Rocchi (ed.), “Dalla concordia dei Greci al bellum iustum dei moderni” Milano 2013, pp. 83–105. 141 Dolce è la guerra per chi non ne ha esperienza, Milano 2017, p. 115.
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Guerra e pace a Roma
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“La guerra è il compito più importante che uno Stato possa intraprendere, la base sulla quale si decide la vita e la morte del paese, il TAO,che può determinare la sua sopravvivenza o la sua estinzione”142.
Ma il confronto/scontro di civiltà spesso si traduce in domande inquietanti come: chi siamo noi; chi sono loro. L’incontro con la differenza genera paure che possono degenerare in violenza. Duemila anni fa Livio scriveva143 che il tempio di Giano restava aperto quando Roma era in guerra e veniva chiuso in tempo di pace, cosa che successe solo due volte in circa sette secoli: dopo la prima guerra punica (241 a.C.) e dopo la battaglia di Azio (31 a.C.), quando Cesare Augusto estese – dice ancora Livio – la pace per terra e per mare. Questo costante ritmo di guerra era stato comunque necessario perché solo la paura dei nemici e delle divinità poteva impedire che gli animi delle masse rozze si lasciassero prendere dalla luxuria che si alimenta nell’ozio. Sebbene sia discusso, il passo di Livio, trova però una conferma nella narrazione delle proprie imprese che fa Augusto stesso144 riprendendo quasi letteralmente le parole di Livio. Ma aggiungendo come titolo di vanto che durante il suo regno – quarantennale – vi furono ben tre anni di pace in cui vennero chiuse le porte del tempio di Giano. Tuttavia la statua di Augusto di Prima porta e la gemma augustea ostentano il militarismo dell’imperatore, “il camaleonte”, come lo chiama Giuliano l’Apostata145. Appare subito evidente che la società romana era una società di guerrieri senza tregua. Del resto come tutte le società antiche146. Immagini belliche erano esposte, in varie forme, ovunque147. E la suggestione sul pubblico era altamente simbolica ed ideologica: si è detto che pochi fregi della colonna di Traiano potevano esseri visti e letti, ma su tutto il pubblico si imprimeva l’immagine di una grande guerra vittoriosa148. “ La visibilità della colonna – almeno in senso puntuale – non appare affatto indispensabile dall’unico punto di vista socialmente rilevante, quello del committente, e cioè dello stesso Traiano: e quindi poteva non essere prevista. La colonna stava lì come una sorta di immenso segnale di realtà altrimenti poco visibili: la collina 142 S. Tzu, L’arte della guerra, nuova ed., Vicenza 2000, p. 95. 143 I,19. 144 Res Gestae, 2, 42 ss. 145 Caesares 4,10. 146 “I popoli guerrieri dell’antichità ritraevano perlopiù dalla loro situazione stessa lo spirito bellicoso che li animava. Divisi in piccole tribù, si disputavano a mano armata un territorio angusto; sospinti dalla necessità gli uni contro gli altri, si combattevano o si minacciavano senza tregua: Quelli che pur non volevano farsi conquistatori, non potevano deporre la spada per non essere a loro volta conquistati. Per tutti il prezzo della sicurezza, dell’indipendenza, dell’esistenza stessa era la guerra”. (B. Constant, Conquista e usurpazione, Torino 1944, cap. 2). Ma non sembra qualitativamente diversa la situazione moderna. Come scrisse Foucault. “La guerra è il misuratore dei rapporti politici di forza, almeno come caso estremo. Ogni potere pacifico nasconde in sé una guerra primitiva e permanente. L’ordine civile è un ordine di battaglia. Rovesciando Clausewitz, si può dire che la politica è una guerra condotta con altri mezzi”. (v. C. Galli, Guerra, Roma – Bari 2004, p. 218). 147 T. Hölscher, Images of war, in “JRS” XCIII 2003, pp. 1–17; G. Daverio (ed.), Tra concordia e pace. Parole e valori della Grecia antica, Milano 2007; K.A. Raaflaub (ed.), War and Peace in the Ancient World, Oxford 2007; M. Bettalli, Guerra nell’antico Oriente e guerra in Grecia. Spunti di riflessione, in P. Desideri – M. Moggi – M. Pani – A. Lazzeretti (edd.), “Antidoron. Studi in onore di Barbara Scardigli Forster”, Pisa 2007, pp. 13–20; Ph. Contamine – J. Jouanna – M. Zink (edd), La Gréce et la guerre, Paris 2015. Per attestazioni letterarie ed utopiche contro la violenza v. J. de Romilly, La Grecia antica contro la violenza, Genova 2007. 148 P. Veyne, L’empire gréco-romain, Paris 2005, pp. 382–386.
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sbancata per creare il foro(come attesta senza possibilità di dubbio l’iscrizione); l’opera storica di Traiano, conservata nella vicina biblioteca; infine la tomba dello stesso imperatore”149. Nel mondo classico la guerra era originariamente un fatto stagionale: l’anno era scandito dal momento della guerra, che in epoca arcaica veniva vissuta come una crudele festa di primavera. Secondo Eraclito “ Polemos (la guerra appunto) di tutte le cose è padre e di tutte il re, e gli uni rivela dei, gli altri uomini, gli uni fa schiavi, gli altri liberi”150. Subito all’inizio delle sue Storie Erodoto si pone come progetto la ricerca della causa delle guerre e la sua conclusione è dolente(§87): nessuno infatti è così pazzo da preferire la guerra alla pace, nell’una è il figlio che vede morire il vecchio padre, nell’altra è il padre che vede la morte del figlio. Nelle Leggi di Platone 151 uno degli interlocutori afferma che la pace non esiste. E’ la guerra che, anche se non dichiarata, costituisce il fenomeno continuo perché è secondo natura (katà physin).Per Platone gli uomini sono bambini cattivi “tra tutti gli animaletti i più insidiosi, i più astuti, i più ribelli”152. Spesso è un inevitabile massacro perché “la guerra è un maestro violento”153 e in Grecia, soprattutto nel quarto secolo a.C., malgrado l’universale ed ideologica aspirazione alla pace si assiste ad una continua bellicosità suicida154. Non è un caso che l’Iliade sia sempre stato il poema ispiratore di tutta la grecità. Spesso dare la morte al corpo del nemico è un sadico piacere profondo155 che si esalta nell’ambigua zona dell’intimità maschile negli accampamenti e sui campi di battaglia, dove il vissuto appare un’avventura di gruppo e dove si misura la propria identità individuale. Così che a volte i soldati si estasiano nelle danze. Come il magister equitum – capo degli eserciti delle regioni orientali nella guerra contro Sapore II – Sabiniano che “per Edessena sepulchra quasi fundata cum mortuis pace…militari pyrrica sonantibus modulis pro histrionicis gestibus in silentio summo delectabatur”156. Si dilettava insomma a danzare nei cimiteri. 149 150 151 152 153
F. Coarelli, La colonna traiana, Roma 1999, p. 20. Trad. Pasquinelli, I presocratici, Torino 1980, I, 178, fr.14 Leggi, 626. Leggi VII 808d–e. V. M. Vegetti, Chi comanda nella città. I Greci e il potere, Roma 2017, pp. 104–107. C. Ampolo, Tra Greci e Barbari e tra Barbari e Greci. Cronache di massacri e tipologia dell’ eccidio nel mondo ellenico, in “QS” LXIV, 1996, pp. 5–28. 154 M. Jehne, Koine Eirene, Stuttgart 1994. 155 J. Hillman, Un terribile amore per la guerra, Milano 2005, p.11: “C’è una battuta del film Patton, generale d’acciaio (del 1970) che da sola riassume ciò che questo libro si propone di capire. Il generale Patton ispeziona il campo dopo una battaglia. Terra sconvolta, carri armati distrutti dal fuoco, cadaveri. Il generale solleva tra le braccia un ufficiale morente, lo bacia e, volgendo lo sguardo su quella devastazione, esclama: “Come amo tutto questo. Che Dio mi aiuti, lo amo più della mia vita”. 156 Ammiano Marcellino XVIII 7,7. La musica e il canto di guerra sono sempre stati elementi centrali non solo della guerra, ma anche della diplomazia e della battaglia (F. Cordano, La guerra e la musica nell’antica Grecia, in M. Sordi [ed.], “Guerra e diritto nel mondo greco e romano” Milano 2002, pp. 163–162 ). D. Foraboschi, Guerra. Rivolta. Egemonia; ma anche nel trionfo che si celebra dopo la battaglia: G. Amiotti, Nome e origine del trionfo romano, in M. Sordi (ed.), “Il pensiero sulla guerra nel mondo antico”, Milano 2001, pp. 101–108. Tutto questo rientrava nei rituali apotropaici della paura del nemico che conosciamo già nell’antico mondo orientale: “gli Egiziani rompono a scopo magico delle figurine d’argilla che impersonano i nemici, iscritte coi cosiddetti ‘testi di esecrazione’; gli Hittiti eseguono rituali diversi, ma basati su analoghi presupposti magici...” (M. Liverani, Guerra e diplomazia nell’antico Oriente, Roma – Bari 1994, p. 107). In forme diverse, che comprendono anche il cannibalismo, sembra questa una componente strutturale della psiche umana (Foraboschi, cit., p. 13). Per il piacere delle violenze nelle guerre più recenti v. J.
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Guerra e pace a Roma
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La psicologia della guerra appare complessa e contradditoria. L’inizio di una battaglia può corrispondere con esplosioni di gioia157. Per ottenere un effetto contrario gli Stukas di Hitler vennero attrezzati con sirene dai suoni assordanti per produrre effetti sconvolgenti sulla psiche dei nemici158. Comunque la morte in guerra appare quasi sempre una “bella morte”159. Dal punto di vista aristotelico la guerra è uno strumento positivo per acquisire beni e va quindi esercitata sia sulle bestie che sugli uomini barbari, non adatti a comandare. Anche ciò che viene preso in guerra appartiene al vincitore, ne diventa quindi schiavo. Alcuni retori greci del tempo di Aristotele non erano d’accordo, ma secondo lui la forza è una virtù e, quindi, chi perde deve soggiacere 160. Pensiero che sembra crudele e primitivo ma che è ampiamente condiviso da padri del liberalismo moderno come Grotius161 e Locke, secondo cui il prigioniero di guerra deve essere soggetto al potere assoluto del padrone, come uno schiavo162. Notoriamente nel mondo romano il motto sarebbe stato “se vuoi la pace prepara la guerra”, anche se non si trova da nessuna parte della letteratura latina in forma così icastica163. Forse solo in Cicerone troviamo qualche autentico auspicio di pace affinché “cedant arma togae”164. Anche intellettuali ed artisti si entusiasmarono, fino ai nostri giorni, davanti alla guerra: durante l’ultima guerra mondiale in Italia centinaia di pittori parteciparono a mostre sulla guerra165, come i futuristi nella guerra precedente. Darwinisticamente la guerra può essere spiegata come necessaria forma di selezione degli individui e dei gruppi sociali. Su questo momento biologico si innesta un fattore culturale quando l’elaborazione di una coscienza di identità etnica porta alla contrapposizione, eventualmente violenta, di diverse etnie166. Oggi l’angoscia e il disorientamento “trovano espressione in una fame di appartenenza e quindi nella politica dell’identità”167. Dalla guerra sorge lo Stato e lo Stato sarà il primo artefice di guerre.
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Bourke, Le seduzioni della guerra. Miti e storie di soldati in battaglia, Roma 2001. E la danza sulle tombe dei martiri poteva anche esprimersi come una forma di estasi nel mondo giudaico-cristiano. V. R. Cacitti, Furiosa turma, Milano 2006, pp. 127–134. L. Tolstoj, Guerra e pace, trad. it. Torino 1990, pp. 204, 212, 215, 220. J. Fest, Hitler. Una biografia, Roma 2005, p. 898. J.P. Vernant, L’ individuo, la morte, l’amore, Milano 2000, pp. 35–73. Politica 1255 a. Che nel 1625 pubblicò a Parigi il De jure belli ac pacis, ribadendo le sue teorie giusnaturaliste. D. Losurdo, Controstoria del liberalismo, Roma – Bari 2005, pp. 22–25. Forse è la contrazione proverbiale dell’espressione di Flavio Vegezio Renato “Igitur qui desiderat pacem praeparet bellum” (G. Brizzi, Si vis pacem, para bellum, in M. Pani [ed.], “Storia romana e storia moderna. Fasi in prospettiva”, Bari 2005, p. 11). Vedi anche, tra la vasta bibliografia sulla guerra, J.P. Brisson (ed.), Problèmes de la guerre à Rome, Paris 1969. Un classico è E. Gabba, Esercito e società nella tarda repubblica romana, Firenze 1973, pp. 1–45; Idem, Per la storia dell’esercito romano in età imperiale, Bologna 1974. G. Brizzi, Studi militari romani, Bologna 1983; Idem, Il guerriero, l’oplita, il legionario. Gli eserciti nel mondo classico, Bologna 2002. Sul nesso economia-guerra v. J. Andreau – P. Briant – R. Descat (edd.), Economie antique: La guerre dans les économies antiques, Saint-Bertand – de-Comminges 2000. De officiis 1,77; P. Frittoli, A proposito del lessico ciceroniano della guerra, in A. Valvo – G. Manzoni (edd.), “Analecta Brixiana”, Milano 2004, pp. 277–284. P. Rusconi (ed.), Tempo di guerra. Artisti al fronte, sfollati, sotto le bombe, Milano 2001. D. Dawson, Evolutionary Theory and Group Selection: The Question of Warfare, in “History and Theory” 38,4, 1999, p. 79 ss. E. Hobsbawn, Nations et nationalism, Paris 1992, p. 326.
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Negli studi di antropologia della guerra (non conosco studi di antropologia della pace) sono state avanzate svariate ipotesi per spiegare l’inestinguibile fenomeno bellico che potrebbe essere generato da pulsioni della psiche profonda dell’uomo: amore e morte, istinto di aggressività, secondo le categorie della psicanalisi o dell’antropologia168, tenendo conto che l’uomo è il solo animale che uccide e stermina per perversioni mentali e non solo per la propria sopravvivenza. Nel caso di Roma possono valere, invece, spiegazioni più materialistiche come quelle avanzate da Karl Marx e dagli ecologisti. Quando la terra è il principale spazio di produzione e l’arretratezza delle tecniche agricole impedisce rapidi progressi della produzione e della produttività diventa essa stessa il luogo di una continua contesa tra comunità diverse, quelle che già occupano questo spazio e quelle che vogliono impossessarsene. “Der Krieg ist daher die grosse Gesamtaufgabe, die grosse gemeinschaftliche Arbeit”169 (“La guerra è quindi il grande lavoro collettivo che si richiede sia per occupare queste condizioni oggettive di esistenza, sia per difenderne e perpetuarne l’occupazione”). Se con la guerra viene conquistato, insieme alla terra, anche l’uomo allora nasce la schiavitù, oppure la servitù della gleba170. Ma già secondo Platone causa della guerra è la scarsezza di terra agricola e da pascolo171. Nel momento in cui si rompe l’equilibrio dell’ecosistema, cioè la relazione tra capacità produttiva di un determinato territorio, la popolazione insediata, la sua potenzialità tecnica e il suo incremento demografico, cioè la carrying capacity di un territorio, si apre una contraddizione drammatica e la guerra diventa una necessità172. A questo punto le diverse comunità diventano antagoniste nella lotta per l’occupazione e la difesa del suolo. Ma allora l’originaria comunità di liberi contadini – vincendo e sottomettendo altri – si trasforma radicalmente in una società schiavistica. A meno che non siano possibili soluzioni arcaiche (ma ritornate moderne, seppur in altre forme) come le migrazioni di massa, spesso vissute attraverso la forma rituale del ver sacrum – la primavera sacra – quando una generazione di giovani veniva consacrata alle divinità ed in età adulta costretta ad abbandonare la patria in primavera173 per occupare – comunque con la violenza – un territorio. Consacrare alla divinità significava che quella generazione non godeva più la protezione delle leggi, ma solo di quella delle divinità: ognuno poteva dunque impiegare violenza contro di loro; il loro allontanamento verso altri territori era obbligatorio. Questi fenomeni erano una fatalità nel mondo antico, anche perché la lentezza di diffusione dell’innovazione tecnica rallentava le possibilità di sviluppo economico e della produttività. In particolare il territorio arcaico di Roma era coperto di paludi che lentamente verranno bonificate, ma che ridurranno a lungo la capacità di sostentamento della popolazione. Su quel 168 J. Haas (ed.), The Anthropology of War, Cambridge 1990; M. Kostial, Kriegerisches Rom? Zur Frage von Unvermeidbarkeit und Normalität militarischer Konflikte in der römischen Politik, Stuttgart 1995. 169 K. Marx – F. Engels, Werke, Band 42, Berlin 1983, p. 386 170 K. Marx, Lineamenti fondamentali per la critica dell’economia politica, I, Firenze 1968, p. 193; Y. Garlan, Éléments de polémologie marxiste, in “Mélanges Helléniques offerts à Georges Daux”, Paris 1974, 139 ss. Su guerra e altre fonti della schiavitù v. S. Bussi, Economia e demografia della schiavitù in Asia Minore ellenistico-romana, Milano 2001, pp. 17–61; D. Foraboschi in “Europäische Enzyclopedie, s.v. Sklaverei“. Sulla schiavitù in generale v. la formidabile bibliografia coordinata da H. Heinen, Handwörterbuch der Antiken Sklaverei, Stuttgart 2008; Idem, Antike Sklaverei, Stuttgart 2010; S. Riccardi, Die Erforschung der antiken Sklaverei in Italien von Risorgimento bis Ettore Ciccotti, Stuttgart 1997. 171 Repubblica, 373 de. 172 M. Harris, Cannibali e re, Milano 1977. 173 Dionigi di Alicarnasso I, 16.
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territorio e su quello vicino della città etrusca di Veio vi erano però importanti saline che furono causa di guerre, fino alla solita vittoria dei Romani. Notoriamente infatti il sale era di grande valore nelle economie antiche, non tanto per assaporare i cibi, quanto perché era l’unico conservante degli alimenti, era “il frigorifero dell’antichità”. Tale era la sua importanza in epoche pre-industriali che presso alcune tribù africane veniva scambiato come moneta174. Sulla scia di queste prime guerre l’imperialismo romano si estende in Italia e quindi in tutto il Mediterraneo: la guerra da strumento della politica diventa un autonomo fenomeno inerziale175 . Del resto le istituzioni sono sempre state plasmate da quelle militari: i due consoli erano contemporaneamente i supremi responsabili politici e i capi di Stato Maggiore; i sacerdoti fetiales erano preposti ai riti della dichiarazione della guerra giusta. Non diverso, secondo J.P. Vernant, era il modello della città oplitica in Grecia. “l’esercito non forma un corpo specializzato con sue tecniche particolari ... Non c’è un esercito professionale ... né categorie di cittadini votati particolarmente al mestiere delle armi; l’organizzazione militare si iscrive senza rottura nell’esatto prolungamento dell’organizzazione civica”.176 Tuttavia grandi studiosi come Theodor Mommsen ed Eric Gruen177 hanno sostenuto che l’imperialismo romano verso l’Oriente greco fu un imperialismo difensivo, nel senso che Roma venne coinvolta involontariamente dagli Stati ellenistici dentro i loro conflitti e alla fine, nel giro di pochi decenni, ne emerse come padrona del mondo. Diversa ed interessante appare l’impostazione di Gaetano De Sanctis. Per lui la conquista romana dell’Italia si giustifica in termini risorgimentali e patriottici come un primo momento di unità nazionale, anche se l’imperialismo romano in Italia significò debellare con la violenza ed omologare civiltà diverse quali quella etrusca, quella dei Celti, dei Sanniti ... L’espansionismo romano trans-marino veniva invece considerato da lui una forma di imperialismo sopraffattore perché non giustificato da un fine patriottico178. In realtà complessivamente l’imperialismo appare una forma preminente della politica romana. Nel 146 a.C. Cartagine viene rasa al suolo anche se è ormai una potenza vinta ed esausta, ma per l’imperialismo terroristico doveva essere annientata attraverso una guerra preventiva che evidenziasse i rapporti di forza internazionali e allontanasse il rischio del riemergere anche in Occidente di un equilibrio bipolare. Comunque la forza dell’Impero romano fu sempre la capacità di delegare la gestione del potere alle élites locali conquistate.
174 M. Godelier, La moneta di sale: Economia e società primitive, Milano 1970. Più in generale v. G. Traina, Sale e saline nel Mediterraneo antico, in “PdP” XLVII 1992, pp. 363–368. S.A.M. Adshead, Salt and civilization, Basingstoke 1992; M. Kurlansky, Salt, a World History, Milano 2003.; C. Carusi, Il sale nel mondo greco, Bari 2008. 175 K. von Clausewitz, Della guerra, Milano 1970 (1832–1837); R. Aron, Clausewitz, Bologna 1991 . 176 J.P. Vernant, Problèmes de la guerre en Grèce ancienne, Paris – La Haye 1968, p. 17 (tradotto in it. come La guerra nella Grecia antica, Milano 2018). 177 E.S. Gruen, The Hellenistic World and the coming of Rome, Berkeley 1984. Vedi la critica di E. Gabba in “Aspetti culturali dell’imperialismo romano”, Firenze 1993, cap.XIII. 178 “Roma doveva, anzitutto, ricuperare e riaprire alla colonizzazione latina la valle del Po, assicurando all’Italia il suo confine naturale delle Alpi....” in “Storia dei Romani”, IV,1, pp. 406 e 410. Secondo la stessa ottica storiografica il suo allievo S. Accame scriverà (quasi quarant’anni dopo) L’espansione romana in Grecia. Su Accame v. F. Fabbrini, Silvio Accame studioso del mondo antico, Roma 2000.
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E’ difficile trovare un’esplicita motivazione economica delle guerre di Roma179. Ma i bottini e i tributi dei Paesi conquistati diventavano sempre più un elemento centrale dell’economia e dello stile di vita dei Romani180. E di questo erano ben consapevoli anche i popoli esterni. In un noto passo del primo libro dei Maccabei181 si descrive con ammirazione l’invincibilità bellica e la ricchezza dei bottini dei Romani, la loro conquista delle miniere d’oro e d’argento della Spagna, il fatto che nella guerra contro i Greci “ne fecero cadere molti trafitti, condussero in schiavitù le loro donne e i loro figli, li saccheggiarono, si impadronirono della loro terra, abbatterono le loro fortezze e se li resero soggetti...” Più in generale “stesero il loro potere su re vicini e lontani, e quanti udivano il loro nome ne avevano timore”. Gli aspetti materiali dell’imperialismo erano spesso sottaciuti. Ma emergevano visibilissimi nel nuovo stile di vita. Ai senatori era stato proibito – secondo il codice etico aristocratico – il commercio all’ingrosso, ma attraverso intermediari anche i nobili praticarono il commercio su grande scala. In uno studio apparso negli USA occorrono quasi mille pagine per studiare le attività commerciali dei senatori in un arco temporale di 220 anni182. In epoca imperiale osserveremo addirittura a grandi commerci con India, Ceylon e Cina. Il fulgore dei bottini e la percezione dei nuovi orizzonti economici che si aprivano spinsero spesso al bellicismo anche le masse popolari183. Machiavelli apprezzò questo continuo essere sul piede di guerra: ”quelli principi sono deboli che non stanno in su la guerra”. Roma arcaica costituisce un modello di re guerrieri che con la forza aprono lo spazio a riforme pacifiche. “Da questo piglino esempio tutti i principi che tengono stato; che chi somiglierà a Numa (il re pacifico) lo terrà o non terrà secondo che i tempi o la fortuna gli girerà sotto; ma chi somiglierà Romolo (il re guerriero) e fia come esso armato di prudenza e d’armi, lo terrà in ogni modo...”184. Un’impostazione simile si può trovare in Ettore Ciccotti, uno studioso singolare che, dopo un’esperienza culturale di impostazione teorica positivistico-marxista, divenne senatore monarchico-fascista185, senza però rinunciare alla sua intelligenza. Secondo lui “le istituzioni di Roma sembrano plasmate dalla guerra ... La cittadinanza coincide, nelle sue più antiche manifestazioni, con l’esercito...Una delle funzioni della guerra, il sevizio militare a cavallo, dà il nome e l’origine a tutta una classe della cittadinanza, l’ordine dei cavalieri”186, che ancor prima di essere ricchi commercianti e possidenti rappresentavano un corpo militare. Non dissimile è l’impostazione di un grande studioso come M. Finley187, notoriamente un ebreo americano che all’epoca della caccia alle streghe riparò in Gran Bretagna, cambiando nome da Finkelstein in Finley appunto188. 179 D. Musti, Polibio e l’ imperialismo romano, Napoli 1978. 180 E. Gabba, Aspetti culturali dell’ imperialismo romano, soprattutto pp. 252–253. 181 I 8. 182 N.K. Rauh, Senators and Business in the Roman Republic 264–44 B.C., Ann Arbor 1988. 183 Gabba, Aspetti culturali, cit., p. 253. 184 Discorsi sulla prima deca di Tito Livio 1,19. 185 M. Mazza, Intr. a “La guerra e la pace nel mondo antico”, Roma – Bari 1977, p. LXIX. 186 La pace e la guerra nel mondo antico, Torino 1901, p. 110–111. Vedi anche La filosofia della guerra e la guerra alla filosofia,: una risposta didascalica al prof. Gaetano De Sanctis, Milano 1905. 187 Guerre e imperi, in “Prometeo”, dove cita esplicitamente Ciccotti. Il saggio è ripreso in forma un poco ampliata nel cap. V di Problemi e metodi. 188 D. Tompkins, La formation de Moses Finley d’après les documents americains, in “Anabases”, 19, 2014, p. 127 ss.; W.V. Harris, Moses Finley and Politics, Leiden – Boston 2013; v. anche M. Nafissi, Ancient Athens
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Per lui “nell’antichità veniva universalmente accettato che la guerra fosse una condizione naturale della società umana”189. Anche ad Atene la condizione di guerra fu persistente e dopo Alessandro Magno la situazione si fece ancora più tetra. Roma fu però forse uno stato ancora più bellicoso se si può valutare che nel primo secolo avanti Cristo un uomo su tre era mediamente impegnato in guerra190. Diversa è l’impostazione di Arnaldo Momigliano. Già il titolo delle sue lezioni tenute a Cambridge nel 1940 e pubblicate postume nel 1996 esplicita questa differenza: “Pace e libertà nel mondo antico”191. Il tema sono la pace e la libertà, non la guerra. Momigliano era (con vari distinguo) di formazione crociana e, come B. Croce aveva scritto una Storia d’Europa nel Novecento disegnando una storia della libertà in un periodo di relativa pacificazione (fino alla “ferocia della lunga guerra ... che si era annunciata ai popoli con la promessa di una generale catarsi, nel suo corso e al suo termine mancò affatto a questa promessa”192), così lui analizza il nesso tra pace romana e progresso della libertà spirituale. E’ ben consapevole dei drammatici limiti di quella pace. Scrive letteralmente: “La pax romana impose un’obbedienza servile ai membri dello stato romano e diede mano libera alla classe di governo nel trattare i poveri. La pace può essere o vita o morte. La romana era vicina alla morte, perché lo scopo di questa pace era appunto, pace-calma ai confini dell’impero e calma entro i confini”193. Ma questa pace è una pace permanente, è la pace degli dei, cioè una componente centrale della religione194. Nel 1930 recensendo il saggio di B. Croce, Constant e Jellinek intorno alla differenza tra la libertà degli antichi e quella dei moderni,195 concludeva ponendo il problema della “funzione dell’impero romano, che, nel parificare progressivamente vincitori e vinti e nel rendere quindi impossibili le libertà del vincitore, giovò a interiorizzare la libertà e a trasformarla in ‘redenzione’ ”. Un pensiero difficile, anche da condividere. Ma un pensiero che prelude a M. Foucault quando afferma che l’aumento della dominazione imperiale, cioè dell’oppressione dell’individuo, appare simmetrica ad un approfondimento della soggettività. “Il sequestro della libertà sociale veniva in altri termini compensato da un ‘rivolgersi a sé’ (secondo una diffusa espressione greca: epistrophé eis heauton) dal consolidamento di una potestas su chi mirava a costruire una figura della soggettività personale autonoma, imprendibile, irriducibile al dominio del potere statuale”196. Dove, come diceva Seneca, la via verso la libertà poteva essere una qualsiasi vena del corpo197. Alla lotta politica della polis subentra, già dall’ellenismo dispotico, un altro valore,l’’enkrateia, il dominio e la ricerca di se198. and Modern Ideology. Value, Theory and Evidence. Max Weber, Karl Polanyi and Moses Finley, London 2005. 189 P. 74. 190 P. 72. Riduce queste stime drammatiche N. Rosenstein, Rome at war, cit. 191 Pubblicate a cura di R. Di Donato, Firenze 1996. 192 Ibid., Bari 1965, p. 306. 193 P. 49. 194 Pp. 32–34. 195 Storia d’Europa nel secolo decimonono, Bari 1965, pp. 117–119. Un’idea di Europa come spazio politico non esisteva nel mondo antico e comincia a formarsi solo con il Medioevo. Ma nell’Antico affonda le proprie radici (H. Leppin, L’eredità del mondo antico, Bologna 2010). 196 M. Vegetti, L’ermeneutica del soggetto. Foucault, gli antichi e noi, in M. Galzinga (ed.), “Foucault, oggi” Milano 2008, p. 154. M.Foucault, L’uso dei piaceri, Milano 2008, pp. 68–82. 197 Vegetti, cit., p. 155. 198 Foucault, L’uso dei piaceri, cit.
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Ambivalente appare l’immagine dell’impero romano, da una parte erede di un imperialismo violento e perdurante, dall’altra preludio e spazio ecumenico del cristianesimo. Comunque i connotati della pax romana restano sempre quelli di un popolo conquistatore e vincitore.La pace imperiale romana è una prosecuzione dell’imperialismo, una continua difesa contro i barbari che infestano i loro confini. “Perdonare a coloro che sono stati assoggettati e debellare i superbi”, cioè coloro che non si lasciano assoggettare, questa è la pace romana come la intende Virgilio199. La guerra è un valore in sé, secondo un’eredità arcaica, quando l’uomo appare “mas nao a forma de luta e a etica do guerreiro”200 . La guerra è per lui terrore e tragedia, ma anche fascinazione. “La vittoria di Augusto sui nemici è assimilata alla Gigantomachia, cioè alla vittoria di Giove e degli dei olimpici contro i mostri ribelli ...la guerra non ammette conciliazione e finisce col dominio completo sul nemico, ridotto all’impotenza (anche se non ucciso)”201. Secondo Tacito202 i Britanni e i Germani non sono ancora stati rammolliti da una lunga pace. Anche i Celti avevano avuto una fiorente stagione di guerre. Alcune tribù, come i Gesati, combattevano nudi, con grande fierezza, ma scarsi esiti203. Ormai, però,con la pace, hanno perso quella virtù e impigriscono nell’ozio. Essere imbelli e pacifici è un insulto204, anche se la pace appare una utopia ricorrente nella stessa iconografia monetaria (Concordia; Homonoia; Ramo di ulivo205). Secondo Cornelio Nepote206 anche Epaminonda teorizzava che la pace si consegue con la guerra cui bisogna sempre essere preparati perché “paritur pax bello”, cioè: se vuoi la pace prepara la guerra. Più articolata e prudente sembra la posizione di Cicerone che sostiene che bisogna ricorrere alla guerra solo in casi estremi, quando le pacifiche trattative sono fallite207. Nell’ Apocalisse di Giovanni Roma appare significativamente come una meretrice che “ha sette teste e dieci corna ... Le sette teste sono i sette colli sopra i quali la donna siede ... Sulla fronte di lei sta scritto il nome misterioso: “Babilonia la grande”, madre di tutte le meretrici e di tutti gli abomini della terra ... è la grande città che esercita il suo potere regale sui re della terra”208. Ovviamente nella riflessione cristiana termini come pace e guerra acquistano tutt’altro connotato. Lucidissimo è il pensiero di S. Agostino (di formazione profondamente romana e non greca o punica 209), realistico, ma teso a sottolineare la pace come fine: anche quelli che vogliono la guerra desiderano pervenire a un pace gloriosa, che raggiungeranno solo quando si sarà sconfitta la parte avversa. Infatti anche quelli vogliono mutare la condizione di pace in cui si trovano lo fanno per acquisire quella pace che vogliono loro, cioè il loro dominio. In questa prospettiva si 199 Eneide, 6, 853. 200 P. Da Cunha Corrêa, Armas e Varôes. A guerra na Lirica de Arquíloco, Sāo Paulo, 1998, p. 73. 201 La Penna, L’ impossibile giustificazione della storia. Un’ interpretazione di Virgilio, Bari 2005, pp. 266–267; v. anche pp. 251–257. 202 De Vita J. Agricolae, 11,5. 203 Polibio II 28,8. 204 Orazio, Saturae, 4, 60 (riprendendo Ennio). 205 R. Pera, Ramus felicis olivae; da attributo di Pax ad attributo imperiale, in “NAC” 2003, pp. 185–197; Eadem, Homonoia sulle monete da Augusto agli Antonini, Genova 1984. 206 Vitae, Epa., 5. 207 De Officiis I, 34–40. 208 Apocalisse di Giovanni 17. V.L. Hermann, L’Apocalypse johannique et l’ histoire romaine, in Latomus 1948, I, pp. 23–46 (questa apocalisse sarebbe stata scritta tra il 62 e il 64 d.C.). 209 S. Ratti, Le premier saint Augustin, Paris 2016, cap. I.
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può affermare, in un linguaggio ambiguo tra il misticismo estremo e la violenza brutale: “Cosa c’è da biasimare nella guerra? L’uccidere uomini che un giorno dovranno morire?”210. Nella Roma pagana esisteva invece la guerra giusta, quella ingiusta e quella pia. La guerra giusta 211 era quella dichiarata rispettando le norme che richiedevano che fossero i sacerdoti fetiales a dichiarare la guerra e a scagliare una lancia in direzione del territorio nemico. La guerra diveniva giusta e pia se veniva proclamata secondo l’ispirazione della religione romana, memore dei costumi antichi212. Nella realtà spesso ogni pretesto era buono per attaccare guerra (vedi Sagunto, il trattato dell’Ebro213 e la successiva nova sapientia214, cioè la nuova scaltrezza). Il dibattito sullo jus ad bellum continuerà fino a S. Agostino, che ne elaborò il concetto215, fino a Grotius e oltre. Ma il mondo non conosce un anno di pace. L’espansionismo senza confini appare il costante orizzonte di Roma 216. L’impero romano si espande implacabilmente anche verso isole lontane e con poche ricchezze da sfruttare, come la Britannia, con un insediamento anche in Irlanda (come attesta non solo un tesoretto di monete trovato a sud di Dublino, ma soprattutto il castrum-emporio di Drumanagh a settentrione, occultato a lungo per assecondare l’ideologia dell’incontaminata purezza celtica irlandese contro la miscela di popoli inglese217, anche se dal Rinascimento gli intellettuali irlandesi parleranno fluentemente il latino); fallisce l’espansionismo in Germania fino al fiume Elba, anche se gli scambi culturali e commerciali arriveranno sino in Danimarca 218. Dopo ripetute guerre Traiano conquisterà la Dacia e la testa decapitata del suo re Decebalo verrà ostentata dai bassorilievi della colonna traiana. Malgrado questo Traiano divenne oggetto di culti locali e la Dacia è divenuta Romania, che conia monete con l’effige di Traiano e Decebalo appaiate. Sempre Traiano condurrà una spedizione vittoriosa contro i Parti che permetterà la costituzione momentanea della nuova provincia di Arabia. La vittoria non sarà effimera, ma il regno partico avrà secolari capacità di ripresa. Il bipolarismo Roma/Persia suscita una serie continua di guerre durante le quali moriranno anche degli imperatori romani (Valeriano, Giuliano). Roma voleva essere l’unico centro imperiale dell’ecumene. Per questo scatena una lunga serie di guerre preventive soprattutto contro i Persiani. L’esito sarà paradossale. Quando nel VII secolo, con l’imperatore Eraclio I, la secon210 M. Fumagalli Beonio Brocchieri, Cristiani in armi, Roma – Bari 2006, p. 25. 211 E.S. Ramage, The Bellum iustum in Caesar’s De Bello Gallico, in “Athenaeum” 89, I, 2001, pp. 145–170. 212 M. Sordi, Bellum iustum ac pium¸ in M. Sordi (ed.), “Guerra e diritto nel mondo greco e romano, Milano 2002, pp. 3–11. Più in generale vedi il volume, curato dalla stessa studiosa, “Il pensiero sulla guerra nel mondo antico”, Milano 2001. 213 Un trattato con Cartagine definiva il fiume Ebro (in Spagna) come confine tra le zone di influenza di Cartagine e Roma. Sagunto era una città alleata di Roma, era a Sud di questo confine, ma interviene ugualmente a suo favore. 214 Livio 42,47,9. 215 De civitate Dei IV 6,15; v. P. Crépon, Le religioni e la guerra, Genova 1992, pp. 81–88. 216 C.R. Whittaker, Frontiers of the Roman Empire, Baltimore – London 1994 e Rome and Its Frontiers, London – New York 2004; D. Slootjes – M. Peachin, Rome and the Worlds Beyond its Frontiers, Leiden 2016; T. B. Mitford, East of Asia Minor Rome’s Hidden Frontier, 1, Oxford 2018. 217 Di una spedizione romana in Irlanda parla anche Tacito in Vita I. Agricolae 24,1. Anche Giovenale vi fa cenno in Saturae II, 159–161. C.R. Whittaker, Frontiers of the Roman Empire, Baltimore 1994, p. 45. La polemica riprese fiato quando il The Sunday Times del 21 Gennaio 1996 rendeva noti gli scavi del castrum-emporio di Drumanagh (ripreso subito dal Corriere della Sera del giorno dopo). 218 T.M. Lucchelli, La moneta nei rapporti tra Roma e l’Europa barbarica: aspetti e problemi, Firenze 1998.
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da Roma –Costantinopoli – riuscirà a piegare i Persiani la vittoria si stravolgerà in sconfitta dell’Occidente, perché, venuto meno l’argine iraniano contro i nomadi orientali, si aprirà un varco alle invasioni di popoli come gli Arabi e i Turchi, che incideranno profondamente sulla storia dell’Occidente. A margine di questo discorso vale forse la pena segnalare che queste strategie romane e la logica delle guerre preventive costituiscono un modello per i cosiddetti neo-conservatori, o neo-rivoluzionari, degli Stati Uniti219 che si compiacciono di sottolineare come “gli Stati Uniti occupano una posizione senza pari dai tempi in cui Roma dominava il mondo del mediterraneo”, ma “se gli Stati Uniti hanno costruito una Pax americana, essa non si fonda su conquiste coloniali o espansionismo economico”220, ma su opere di evergetismo. Ma questa è una chiara mitologia falsificante. Da secoli si era espanso il grande fenomeno del colonialismo: soprattutto quello dell’Inghilterra, della Spagna e del Nord-America. Qui si combatterono guerre sanguinarie finchè il Sud divenne una specie di colonia del Nord vittorioso, alla ricerca dell’”avorio nero”, gli schiavi221, che poi saranno liberati come cittadini di rango inferiore e diprezzati dai suprematisti. Secondo alcuni sarebbe stato Tucidide, in un passo esplicito222, il creatore della categoria e di guerra preventiva quando scrisse che gli Spartani furono costretti a fare guerra contro Atene per la paura che la crescente potenza di Atene divenisse alla fine invincibile223. E’ curioso notare che un grande studioso americano della guerra del Peloponneso, Donald Kagan, critica questa idea di guerra preventiva già in un suo libro del 1969224 dedicato al figlio Bob. Questi non è altri che Robert Kagan, un neo-conservatore vicino al presidente Bush II, che in un suo libro tradotto anche in italiano (col titolo significativo di “Paradiso e Potere”225) teorizza la guerra preventiva e i rapporti di forza praticati dagli USA, mentre gli imbelli Europei si trastullano in un paradisiaco sogno di pace. Kagan cita e condivide il pensiero della Rice: “Quando l’America agisce nel proprio interesse, dichiara la Rice [Condoleezza] in sintonia con molti americani, agisce necessariamente nell’interesse di tutti. ‘A dire il vero’ continua la Rice ‘non c’è nulla di sbagliato nel fare qualcosa che vada a beneficio dell’umanità, anche se, in qualche modo, ciò si verifica come effetto secondario’226 (!!!). Queste le linee essenzialissime della guerra a Roma, dove ben presto alle manifestazioni di forza si sostituì l’intimidazione della potenza, come nel famoso caso del cerchio di Popilio, quando Popilio Lenate a capo di una piccola ambasceria e di fronte all’esercito schierato di Antioco IV di Siria traccia un cerchio attorno al re e gli intima di ritirarsi immediatamente 219 S. Roda, Strategie imperiali, in Pani (ed.) ”Storia romana e storia moderna”, pp. 115–132. 220 L.F. Kristol – W. Kaplan, La guerra all’Iraq. La fine della tirannia di Saddam e la missione dell’America, Roma (ed. Liberal) 2003, pp. 168–169. 221 E.R. Wolf, Europe and the People Without History, Berkeley –Los Angeles 1982, p. 6 e 195. 222 I,23,6. 223 V.M. Cesa, Le ragioni della forza, Bologna 1994, p. 50 (sottolinea come gli Spartani si sentano costretti a dichiarare guerra ad Atene per evitare che la sua potenza diventasse imbattibile. Si trattò quindi di una guerra preventiva: gli Spartani furono nella condizione di anankasai es to polemein, come scrive Tucidide in I,23,6). 224 The Outbreak of the Peloponnesian War, p. 345. Il suo ultimo libro sull’argomento, con interessanti riferimenti al presente, è The Peloponnesian War, London 2003. 225 Milano 2003. 226 R. Kagan, Il diritto di fare la guerra, Milano 2004, pp. 57–58.
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assieme ai suoi soldati227: la fama della forza di Roma era ormai tale che non era nemmeno più necessario dispiegarla. Comunque non si può concludere senza accennare ad alcune fondamentali dinamiche storiche. La guerra subisce trasformazioni radicali nel corso dei secoli. In epoca arcaica essere soldato era un diritto dei ricchi e per questo motivo il re Servio Tullio avrebbe diviso il corpo civico in classi censitarie. Successivamente diviene dovere dei proletari che in quanto tali non possono sostentarsi e devono quindi essere stipendiati, come viene definito dalla riforma di Mario228, quando ormai sembra sparita la mitica figura del contadino-soldato e subentra quella del militare arruolato per anni o decenni che si lega sempre più al suo generale anche quando diventa un leader politico. Mutano anche le forme dell’approvvigionamento militare. In un frammento del suo trattato De re militari Catone229, allontanando i mercanti, afferma che l’esercito si nutre da se stesso. Affermazione affine a quella dello stratega cinese – forse del IV secolo a.C. – Sun Tzu230. Ma quando gli eserciti si moltiplicano e si spargono lungo gli immensi confini dell’impero occorre organizzare un sistema annonario militare che provveda all’approvvigionamento dell’esercito231. Allora le merci si sposteranno per migliaia di km determinando anche rilevanti fenomeni economici, come nel caso dell’olio spagnolo che rifornisce le truppe stanziate in Germania 232. Fondamentali sono inoltre le trasformazioni tattiche che – assieme all’orgogliosa coscienza del sentirsi Romani233 – permisero le innumerevoli vittorie di Roma 234. 227 Livio, 45,12 = Polibio 29,11. 228 Gabba, Esercito e società, pp. 1–45. 229 In una citazione del suo comportamento riportata da Livio (XXXIV,9): “redemptoribus vetitis frumentum parare ac Romam dimissis ‘bellum’ inquit ‘se ipsum alet...agros hostium urit vastatque, omnia fuga et terrore complet”; v. D. Foraboschi, Politica ed economia in Catone, Milano 1989. 230 L’arte della guerra, p. 76, nrr. 14 e 15. 231 M. Corbier, L’aerarium Saturni et l’aerarium militare: administration et prosopographie senatoriale, Roma 1974. 232 R. Remesal, Reflejos economicos y sociales en la producciòn de anforas olearias Baeticas (Dressel 20); Idem, Heeresversorgung und die wirtschaftlichen beziehungen zwischen Baetica und Germanien (è un approfondimento del precedente lavoro). Il problema dell’approvvigionamento dell’esercito e del”bagaglio” dei soldati è valutato come cruciale anche da R. Montecuccoli, Aforismi della guerra, p. 29. 233 Napoleone noterà che la frammentazione e l’assenza di un sentimento di nazione sta alla base del fatto che “i Galli non disponevano di nessun esercito di fila organizzato, addestrato, e dunque di nessuna arte o scienza militare” (Napoleone Bonaparte, Le guerre di Cesare, Roma 1999, p. 44). 234 Notoriamente durante le guerre sannitiche, o comunque nel quarto secolo a.C., i Romani che prima avrebbero combattuto in modo simile agli opliti greci – anche se non abbiamo nessuna descrizione di una battaglia romana di questo tipo – sostituiscono lo scudo rotondo con quello quadrato più ampio e, mutando la tattica di battaglia, si schierano manipulatim (Livio VIII,8,3). Articolano cioè la legione di circa cinquemila soldati in una serie di manipoli agili, composti di non molti uomini, alcune decine che non possiamo definire con sicurezza perché sia il testo di Livio che quello del “greco-romano” Polibio (VI,24) sono oscuri e contraddittori. Ma, prescindendo dalle diverse ipotesi formulate per rendere intelligibili questi testi, quel che risulta chiaro è che i manipoli erano delle unità relativamente autonome capaci di evoluzioni tattiche veloci. Più comprensibile e noto appare lo schieramento sul campo. Scolasticamente può essere così ricostruito: la prima linea era costituita dagli hastati che erano in numero di 15 manipoli distanziati gli uni dagli altri. In seconda linea si schieravano altri 15 manipoli di principes, gli uomini più maturi, anch’essi armati pesantemente e protetti dallo scudo grande rettangolare. Questi 30 manipoli venivano chiamati antepilani perché precedevano la terza fila detta primus pilus dove si allineavano in 5 manipoli i triarii, veterani di provato coraggio che formavano come una palizzata con le aste dalla
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La falange greca 235 costituiva infatti, per fermarsi sulle più elementari nozioni, un poderoso e terrificante schieramento corazzato di fanti che avanzavano appoggiando lunghe aste (sarisse) sulla spalla dei soldati della fila antistante e che con una copertura di cavalieri e arcieri difficilmente potevano essere fermati e sconfitti. Emilio Paolo alla sola vista ne restò intimorito236. Le manovre però erano difficili. Per la stessa retromarcia occorrevano esercizi ordinati e complessi, come quelli descritti da Senofonte237. Se la falange riusciva a mantenere la sua conformazione e la sua potenza nulla poteva sostenerla in uno scontro frontale (Polibio XVIII,29)238. Ma per questo aveva bisogno di terreni pianeggianti e ampi. Se invece il campo di battaglia è montuoso, scosceso o comunque accidentato la falange si scompone, divenendo vulnerabile239. I nemici possono però evitare il campo di battaglia pianeggiante dedicandosi nel frattempo al saccheggio per costringere la falange a scendere comunque in campo. A questo punto la sua superiorità viene meno e può essere sconfitta, soprattutto se si trova di fronte la legione manipolare romana che, oltre tutto, con la sua tattica di attacchi ad ondate disordina la compattezza della falange, sia nel caso di successo nel primo scontro, sia in quello di ritirata tattica, quando la falange è costretta a un inseguimento comunque affannoso (Polibio XVIII, 31–32). Notoriamente, secondo il racconto di un esperto militare come Polibio (studiato ancora nelle scuole militari francesi del XVIII secolo240), l’esercito romano risulta superiore anche Profonde le differenze nella costruzione dell’accampamento. Mentre infatti i Greci lo costruiscono adattandolo alle disuguaglianze del terreno che scelgono, i Romani invece preferiscono sottoporsi alla fatica di scavare terrapieni per costruire accampamenti geometrici ordinatissimi e sempre uguali in modo che in ogni evenienza i soldati possano muoversi con sicura agilità come scrive Polibio (XVIII, 42) sulla base di una fonte scritta più che sulla sua personale osservazione241. Il problema della guerra restò comunque sempre centrale nella storia di Roma e gli studi militari continuarono sino a Onasandro, Frontino (in parte forse anche Polieno, che era però un retore) Apollodoro di Damasco, Renato Vegezio ed altri. punta metallica, seguiti da altri 5 manipoli di rorarii, armati alla leggera e così denominati perché come le rugiade (rores) precedono la pioggia così loro avevano il compito di aprire la battaglia con rapide scaramucce. Chiudevano la legione gli accensi che avevano una funzione di attendenti degli altri militari. L’elemento fondamentale della tattica consisteva nello schieramento dei 30 manipoli delle prime due linee: uno schieramento distanziato e disposto a quinconce (come il numero 5 nel gioco dei dadi) per permettere il passaggio dei triarii quando necessario. La legione era così articolata in manipoli mobili con un ruolo differenziato delle file: quelle retrostanti avevano una funzione di supporto rispetto a quelle anteriori e dovevano dare loro rifugio e protezione in caso di retrocessione. Quando la prima fila arretrava la seconda fila, quella centrale, faceva da perno alla manovra lasciando avanzare la terza fila. La battaglia era così gestita attraverso una tattica di attacchi e retrocessioni a ondate successive con una dinamica impossibile per i nemici schierati nella falange greca. 235 G. Brizzi, Il guerriero, l’oplita, il legionario. Gli eserciti nel mondo classico, Bologna 2002, pp. 99–106. 236 Plutarco, Emilio Paolo, XVII, 1–3. 237 Costituzione degli Spartani, XI, 5–10. 238 V. anche Arriano, Techne taktikè, 12. 239 P. Ducrey, Guerre et montagne dans l’antiquité, in L.-E. Roulet (ed.), “La guerre et la montagne, économie et société 15, 2, 1996, pp. 231–244. 240 F. Biet, Les réflexions stratégiques du XVIIIe siècle d’après l’œuvre de Polybe, in “Histoire économie société” 15, 1996, pp. 231–244; P. Ducrey, Guerre et montagne dans l’antiquité, in L.-E. Roulet (ed.), “La guerre et la montagne, économie et société” 15,2, 1996, pp. 231–244. 241 Momigliano, Alien Wisdom, cit., p. 25.
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André Piganiol242 pose una questione di difficile risposta: Roma è morta di morte naturale – cioè di decadenza – oppure è stata assassinata dalle invasioni barbariche? Implosione o tsunami barbarico? Oppure si è estinta secondo una delle 210 ipotesi formulate in proposito ed elencate da Demandt243. Di decadenza non si parla più (dopo Gibbon, che comunque come corresse i suoi entusiasmi per i rivoluzionari francesi, così corresse i suoi pessimismi su Roma), anche se il problema era già stato individuato da Varrone244. perché gli ultimi secoli di Roma appaiono più come un nuovo stile politico-culturale piuttosto che una decadenza di valori. Anche il declino militare va ridimensionato245. Questo declino militare si accompagna a significative e incisive riforme che preparano la rinascita del primo periodo bizantino246. I Visigoti vengono sconfitti a Pollenzo e Verona nel 402. Attila “flagello di Dio” viene sbaragliato nel 451 ai Campi Catalaunici247 dal generale Ezio e i suoi alleati Goti, popolo che elabora una propria idea di “goticità” proprio a contatto con i Romani e il cristianesimo, significativo esempio di “trasfert culturel”. Quando entrano nell’Impero i barbari sono in parte già romanizzati. Di Alarico, che saccheggiò Roma, si disse che pose un limite alle sue stragi per timore di Dio. Le tribù dei Winnili cambiano il loro nome in Longobardi quando, a contatto con il mondo romano, rielaborano una loro identità etnica. E così è anche per le tribù germaniche che a con l’impero creano una propria immagine culturale, ereditando aspetti della romanità, come i Vandali che fondono un regno in Africa trasferendovi antiche disposizioni romane come la Lex manciana, attestata dalle tablettes Albertini, ora al museo di Algeri248. Anche i terribili Vandali che calando dal Nord/Europa avevano fondato un regno in Africa, da cui ripartivano per avventure da pirati del Mediterraneo, conservarono importanti aspetti della civiltà romana. Più in generale sembra che la violenza si sia intensificata nel passaggio da una società di cacciatori e raccoglitori ad una società di agricoltori-allevatori che si contendono gli spazi delle ricchezze. C’è chi ipotizza che non ci siano pulsioni distruttive innate e genetiche (ipotesi, invece, di Freud), come l’invidia e la gelosia nel caso di Caino e Abele, ma relazioni sociali e forme di educazione che possono scatenare violenze249. Già in certe fasi del paleolitico, quando la società di cacciatori-raccoglitori si fa più complessa emergono forme di gerarchia, spinte verso il primato, sfide nell’ostentazione di sontuose dissipazioni di beni (potlach) per emergere come capo250. Secondo M. Foucault la stessa sofisticazione delle tecniche di repressione, la riduzione delle violenze sui corpi a favore di una detenzione prolungata e di massa non è, come sembrerebbe, un processo di liberalizzazione, ma un affinamento della microfisica del potere e 242 L’empire romaine, IV, Paris 1947, p. 422. La sua conclusione notoriamente era: » La civilisation romaine n’est pas morte de sa belle mort. Elle a été assassinée ». 243 A. Demandt, Der Fall Roms: die Auflösung des römischen Reiches im Urteil der Nachwelt, München 1984, p. 695. 244 L. Bessone, Senectus imperii, pp. 49–50. 245 Diversamente, però, A. Ferrill, The fall of the roman Empire: the military explanation, London 1986. 246 A. Lewin, Popoli, terre e frontiere dell’Impero romano, Catania 2008. 247 Vedi tutti i contributi editi recentemente da S. Giorcelli Bersani in Romani e barbari. Incontro e scontro di culture, Torino 2004. 248 Ch. Courtois et al., Tablettes Albertini: actes privés de l’ époque vandale (fin du Ve siècle), Paris 1952, 2 vols. 249 Heritier, cit., p. 30. 250 B. Hayden, Une société hiérarchique ou égalitaire?, in S.A. de Beaune (ed.), “Chasseurs-cueilleurs”, Paris 2007, pp. 197–208.
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dell’assoggettamento251. Genetica o sociale che sia la crudeltà è un progetto: un tentativo di estinguere l’eterogeneità dell’altro per possederlo oltre la materialità, la sessualità e lo stupro. La società punitiva richiede disciplina e l’organizzazione del mondo come un panopticon carcerario. Ma storicamente dalla repressione moralizzante voluta da certe sette religiose (Quaccheri, Metodisti …) sembra sorgere la violenza e il vizio. La crudeltà sembra una arcana richiesta di amore unita in nesso con la bellezza. “La jouissance de la transgression” è il titolo significativo di un seminario di J. Lacan252. Fenomeno ben intuito da Botticelli nelle tavole del dipinto su Anastasio degli Onesti253. Qui una donna, giovane e bella, viene inseguita da cani che la sbranano, mentre un cavaliere la insegue e la squarta, eviscerandola con crudele libidine davanti a un gruppo di convitati felici. Bellezza, nudità femminile, amore e crudeltà si sommano in una sintesi dove la crudeltà sembra l’elemento visionario della natura umana. Un’inspiegabile fonte di libidine. È la crudeltà gratuita che dona piacere e riempie le pagine della storia. In Grecia antica e a Roma esposizione dei corpi dei condannati, crocefissioni, mutilazioni, decapitazioni, disprezzo dei cadaveri, violenza corporale, stupri, sacrifici umani, castrazioni, marchiare un corpo, impiccare, impalare, cavare gli occhi…erano tra le più diffuse abitudini254. Del resto anche Ebrei, Greci e Romani erano stati selvaggi. La morte incombeva ovunque: la morte contata, cioè la demografia; la relazione tra vivente e morente, l’immaginario della morte, la fine del mondo come catastrofe complessiva erano i drammi di allora come oggi255. In Ruanda, a cominciare dall’aprile del 1994, cioè ai giorni nostri, gli Hutu, che avevano convissuto per secoli con i Tutsi (noti anche come Vatussi), scatenano, come già qualche decennio prima, violenze di massa, stupri, sventramenti, violenze psicologiche… Ė una crudeltà inutile, ma inerente allo sterminio: ai cadaveri dei longilinei Tutsi vengono amputati gli arti inferiori, per accorciarli. I mariti Hutu uccidono le mogli e i loro figli Tutsi anche se i matrimoni misti erano frequenti256. In 100 giorni gli Hutu massacrano circa un milione di Tutsi, In una stessa chiesa dei Cattolici hanno ucciso altri cattolici con una violenza intrareligiosa che deriva un razzismo importato e applicato tra popoli affini e vicini257. Ė una follia collettiva, accecante, che oggi pare si sia, per il momento, almeno in Ruanda, ma non altrove, estinta. Uomo/Donna In una dimensione più familiare e circoscritta è significativa la vicenda di Medea 258, nella versione di Euripide259. L’amore è per lei possesso totale da cui ogni sospetto scatena una gelosia feroce da barbara Dopo aver vinto il vello d’oro a Colkis, Giasone e Medea ritornano a Iolchos. 251 252 253 254 255 256 257 258 259
D. Defert in Heritier, cit., p. 99. Le Séminaire, VII, Paris 1986, pp. 225–241. G. Didi-Huberman, Ouvrir Venus, Paris 1999. A. Allély, Corps au supplice et violence de guerre dans l’Antiquité, Paris 2014. W.K. Pritchett, The Greek State at War, Berkeley – London 1974, pp. 226–234. Fr. Hinard, La mort, les morts dans le monde romain, Caen 1987, pp. 5–10. Heritier, cit., pp. 328–359. St. Audoin-Rouzeau, Une initiation Rwanda (1994–2016), Paris 2016. M.Bettini – G. Pucci, Il mito di Medea: immagini e racconti dalla Grecia a oggi, Torino 2017. G. Sissa, La Jalousie, une passion inavouable, Paris 2015, p. 38; M. Boymel Kampe, Sexuality in Ancient Art, Cambridge 1996 (studio analitico complessivo); P. Pucci, The Violence of Pity in Euripides’ Medea, Ithaca – London 1980; J. March, Euripides the Misogynist?, in A. Powell (ed.), “Euripides, Women and Sexuality”,
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patria di Giasone. Medea uccide il vecchio re Pelias, facendolo uccidere dalle sue stesse figlie con la promessa di ringiovanirlo. Da qui fuggono a Corinto, dove Medea uccide con una corona che si infiamma la figlia del re Creonte che l’aveva promessa in sposa a Giasone allettato dalla prospettiva di successo e pronto ad abbandonare Medea, che allora, gelosa e vendicativa come “una tigre barbarica”, uccide i figli del loro amore e lascia sopravvivere Giasone nella tristezza di una vecchiaia senza figli. In un’altra versione del mito Medea sarebbe fuggita ad Atene, presso il re Egeo di cui, ancora, tentò di uccidere il figlio Teseo, però sempre indenne perché nipote del dio Helios. La straniera Medea diventerà un mito nella letteratura successiva. Forse perché se c’è un’alterità barbarica in Medea si tratta di una barbarie che forse è al fondo dell’anima di tanti di noi260. Sembra la tragedia dei rapporti familiari, dove amore, odio, tradimento e gelosia si intrecciano inevitabilmente. Come l’amore per i figli che porta alla loro uccisione per vendetta dell’amante tradita che, sconvolta, afferma che era comunque un destino la loro morte, per questo li avrebbe comunque uccisi261. In questo contesto familiare l’assassinio sembra un sacrificio rituale, perché il linguaggio del sacrificio sembra in se il linguaggio della violenza, qui la pietà si mischia alla paura e all’odio, alla vendetta contro l’amante, che dopo avere disonorato, nel tradimento, il letto dell’amore, sperava di condurre una vita dolce, irridendo l’amante precedente262. Al di là di Euripide, storie di ordinaria follia. Un altro caso esemplare di famiglie tragiche. Eteocle e Polinice erano due fratelli nati dal matrimonio incestuoso tra Edipo e sua madre Giocasta. Combattendo per il potere sotto le mura di Tebe i due si ammazzarono reciprocamente. Eppure Eteocle si sente parte della stessa miserabile, pandakruton, famiglia 263, perché anche nell’odio perdura il sentimento dei fratelli264, eredi e portatori di disgrazie: per amore di loro la sorella Antigone, figura ammirata ma non condivisa anche da Hegel265, finirà sepolta viva. La famiglia reale e la città di Tebe erano un’immagine prototipica della violenza 266. Del resto anche a Roma le vergini vestali, se venivo meno al voto di castità, venivano sepolte o murate vive267. La tragedia è appunto un genere emofiliaco. Ma la famiglia (oikos) è una cellula dello Stato, cui deve sottostare. Lo dimostra il trattamento dell’adulterio ad Atene. I maschi sono liberi di avere le concubine che vogliono, le femmine, le mogli, non possono interferire. Addirittura un marito può intrattenere nella propria casa la sua prostituta,
London – New York 1990, pp. 32–75; L. Nissim – A. Preda (edd.), “Magia, Gelosia, Vendetta. Il mito di Medea nelle lettere francesi”, Milano 2006.. 260 L. Nissim, Le mythe de Médée, ou l’alterité barbare, in L. Nissim – A. Preda (edd.), “Magia, gelosia vendetta. Il mito di Medea nelle lettere francesi”, Milano 2006, p. 398. 261 Euripide, Medea, 1240–1241. 262 Medea, 1354–1355. 263 Eschilo, I sette contro Tebe, 654. 264 A. Damet, La septième porte. Les conflits familiaux dans l’Athènes classique, Paris 2012, p. 11. 265 B. Holmes, Gender. Antiquity and its Legacy, London 2012, p. 151–154. 266 J. Komorowska, The Tide of Violence: Euripides’ Phoinician Women, in J. Styka (ed.), “Violence and Aggression in Ancient World”, Krakow, 2006, p. 98. 267 E. Cantarella, Come uccidere il padre, Milano 2017, pp. 34–37.
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trattandola con nobile eleganza, assieme alla moglie, trattata, invece, come una serva 268. Gli uomini possono essere denunciati per rapporti adulterini solo in quanto vanno contro gli interessi della città-Stato per questioni di eredità o di figli bastardi. Per il resto l’uomo può uccidere l’amante di sua moglie in caso di adulterio flagrante, oppure umiliarlo facendolo sodomizzare con radici di rafano (raphanidoo), o infamie simili269. Perché l’adulterio è peggio della violenza carnale: la donna ama l’adultero più del marito270. Significativo è il caso dell’orazione di Lisia Per l’uccisione di Eratostene: un contadino, Eufileto, è sicuro del rapporto con la moglie soprattutto dopo la nascita di un figlio che dovrebbe rassicurare la fedeltà. Ma quando torna dai campi nota nella moglie dei comportamenti sospetti. La schiava di un’amante di Eratostene gli racconta che la padrona, insospettita dalla diminuita presenza di Eratostene, l’aveva incaricata di spiare Eratostene, di scoprire la nuova tresca con la moglie di Eufileto e di riferire tutto a questo. Allora Eufileto riesce a cogliere i due in flagrante adulterio e il pluriadultero Eratostene viene ucciso, secondo la norma del delitto d’onore. Il tradito ottiene così la sua tarda ed inutile vendetta, che comunque conforta il suo orgoglio di maschio-padrone mancato. Anche le fanciulle possono amare un amore irruente. Esiodo271 narra di una parthenos “dalla bella pelle” che ignara di Afrodite-tutta-d’oro si unge di unguenti, mentre soffia un vento impetuoso che sembra evocare violenza carnale272. Ad Atene una legge di Solone riportata da Plutarco273 stabilisce che un padre che scopre la gravidanza, o anche solo la seduzione, di una figlia può venderla. A Roma, addirittura, tra la donna adultera e la donna violentata c’è solo una diffeerenza di tecnica erotica: non c’è differenza sostanziale tra chi tradisce il marito e chi viene violentata 274. Ma questa sarà un’innovazione storica, quando si definiscono le forme e le regole della famiglia. Originariamente l’unione sessuale era un rito tribale, collettivo e libero. Secondo Pausania 275 durante una carestia nell’Elide le donne chiesero ad Atena di restare incinte appena si fossero congiunte con un uomo (non è detto il marito). Desiderio che venne esaudito con successo e il luogo del primo amore occasionale fu chiamato “Delizie” (Bradu)276. Le storie mitiche non offrivano un modello edificante. Un solo esempio. Agamennone era figlio o comunque discendente di Atreo (capostipite di una famiglia senza norma), che sposò Erope, che lo tradì con il fratello Tieste. Atreo mise in scena una vendetta in forma di una conciliazione, imbandendo un pranzo con le carni dei figli di Tieste. Da parte sua il capo dei Greci, Agamennone, accetta di sacrificare la figlia Ifigenia per rabbonire la dea Artemide, che aveva precedentemente insultato. Parte poi per la guerra di Troia, dove perde l’aiuto fondamentale di Achille, perché gli ha sottratto la schiava-concubina Briseide. 268 Dionigi di Alicarnasso, De oratoribus, 1,1–7; v. C. Castelli, Il proemio de antiquis oratoribus di Dionigi d’Alicarnasso, in “Vichiana” 2, 2017, pp. 109–117. 269 E. Cantarella, Moicheia e omicidio legittimo in diritto attico, in “Labeo” 18, 1972, pp. 78–88; Damet, cit., pp. 235–240, 238 n. 157. D. Cohen, Law, Sexuality and Society, Cambridge 1991, 98–170. 270 Lisia, Sull’uccisione di Eratostene, 33–34. 271 Opere e Giorni 505–530. 272 G. Sissa, Le corps verginal, Paris 1967. 273 Solone 23. 274 L. Beltrami, Il sangue degli antenati, Bari 1998, pp. 58–59. 275 V 3,2. 276 L. Gernet, Anthropologie de la Grèce antique, Paris 1982, pp. 55–61.
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Tragedie greche che evocano drammi del profondo di epoche protostoriche. Qui l’identità appare come una specie di pazzia per l’adorata patria 277, un poco come nel caso di Abramo e Isacco, dove la vittima designata, il figlio, secondo una prassi più volte attestata e condannata nell’Antico Testamento278, viene ancora sostituita da un capro, dopo che Abramo aveva dato prova – dicendo “eccomi”– di fedeltà al proprio Dio279. Agamennone tornato a casa viene, con i suoi uomini, ucciso da Egisto, amante della moglie Clitemnestra, che a sua volta uccide la bellissima e disperata figlia di Priamo, Cassandra che, come bottino di guerra, Agamennone aveva acquisito come schiava-concubina. Cassandra, che era già stata corteggiata dal dio Apollo e violentata da Aiace in uno spazio vicino alla statua di Atena, dea che sta già meditando che lui e i suoi pochi superstiti moriranno in breve.280. L’eros è sempre ambivalente e legato a polemos, la guerra. L’amplesso appare come una specie di corpo a corpo, la cui scena non è il campo di battaglia, ma il letto281. Ma proprio da questa lotta nasceva il piacere. Come nel rilievo di una gemma dove il pene di un uomo penetrato analmente è vistosamente eretto282. Sonno, eros e morte sono contigui, come si vede in un vaso a figure rosse dove due sileni si impossessano di una giovane dormiente e accondiscendente283. Simili e maschie sono le raffigurazioni dei vasi, a parte qualche vaga e tenera scena lesbica come quella di un vaso di Tarquinia 284. Dunque nelle raffigurazioni artistiche l’amplesso appare come una lotta, se non una violenza. Come diceva J. Lacan l’uomo è più predisposto alla perversione, anche perché rivaleggia col fallo del padre senza volersi identificare con lui, per non essere il fallo della madre285. Nella perversione l’altro diventa strumento del godimento. Godimento che è sempre drammatico perché il godimento femminile “è Altro godimento eccedente la misura fallica”, che gli uomini irridono “per appiattire la spigolosità angosciante che questa infinitezza può costituire per un uomo”286. L’eros è multiforme e seduce col tradimento anche le donne più fedeli. Come la matrona di Efeso che dopo avere trascorso giorni nella tomba dell’amato marito, senza cibo e sonno, alla fine si fa sedurre dalla giovane guardia della tomba 287. L’esasperazione erotica è tale che si creano oggetti che sono genitali votivi finalizzati a diverse esperienze288.
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V. Sebillotte Cuchet, Liberez la patrie, Paris 2006. H.D. Dewrell, Child Sacrifice in Ancient Israel, Winona Lake 2017. Genesi 22, 1–18. S. Nevin, Military Leaders and the Sacred Space in Classical Geek Warfare, London – New York 2017, pp. 16–17. 281 S. Durup, L’espressione tragica del desiderio amoroso, in Cl. Calame (ed.), “L’amore in Grecia”, Roma – Bari 1983, p. 153. 282 Th.K. Hubbard (ed.), A companion to the Greek and Roman Sexuality, cit., p. 512. 283 E. Vermeule, Aspect of Death in Early Greek Art and Poetry, Berkeley – Los Angeles – London 1979, p. 154. 284 J. Boardman – E. La Rocca– A. Mulas, Eros in Griechenland, München 1976, p. 111. 285 Ecrits, Paris 1966, p. 823. 286 M. Recalcati, Jacques Lacan I. Desiderio, godimento e soggettivazione, Milano 2012, pp. 468–469. 287 Petronio, Satiricon, 111–113. 288 J. Draycott – E.-J. Graham (edd.), Bodies of Evidence: Ancient Anatomical Votives Past, Present and Future. Medicine and the body in antiquity, London – New York 2016.
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Violenze e individuo
Le scene erotiche a tre sembrano combattimenti sfrenati289. La non certo tenera pratica dell’intimità posteriore (pedicare) ha lasciato testimonianze scritte sui muri di Pompei290, nelle tombe etrusche di Tarquinia, come sulle pietre di montagna presso Ventimiglia, pur senza arrivare all’assurda ipotesi di rapporti omosessuali tra padre e figlio che sarebbero stati (contemporaneamente?) soldati291. Comunque è noto che nel mondo antico, entro certi limiti, l’omosessualità era una pratica normale292. Nell’Antologia Palatina c’è chi si vanta di avere sodomizzato altri per tre volte293. Anzi era una pratica antica, a volte rituale. Nella pederastia (dove si distinguevano il maschio adulto e l’adolescente) anche il ragazzo passivo era coinvolto nella pratica senza nessuna riprovazione pubblica. E questo tra una notevole varietà di popoli,che andavano dagli indoeuropei agli amerindi294. In un’iscrizione su un vaso dell’Italia Meridionale295 databile al VI–V secolo a.C. si legge di un tizio che dopo avere praticato la sodomia per due volte (pepugikòs) continuò su questa via giorno dopo giorno. E cosa significherà Dec(ies) pedicavi Nisium di una iscrizione di Koln 296? L’omosessualità era in qualche modo tollerata e regolata secondo le fasce di età. Non si tollerava in genere l’omosessualità passiva, considerata una mollezza lasciva (anche se il giovane passivo interagisce con l’attore attivo e può capovolgere il suo ruolo divenendo maestro attivo). Eppure le accuse di omosessualità potevano emergere anche in tribunale297. Ai tempi dell’imperatore Claudius un tale Rufus Sillianus accusa Valerius Asiaticus, un uomo dal fisico “palestrato”, già amante di Messalina di vari misfatti e di essere una femminuccia (mollitia corporis). Asiatico lo interrompe e gli dice: “chiedi ai tuoi figli se io sono un maschio”298, vantando davanti a tutti di avere sodomizzato i figli dell’avversario299. Comunque la violenza carnale era una pratica esercitata fin prima dei tempi di Omero. Ed è, evidentemente, continuata fino ad oggi. Nelle leggi di Gortina lo stupratore poteva compensare la colpa con una pena affatto privata che compensasse l’offesa inflitta 300. In ogni caso le situazioni risultano differenziate. Secondo il codice di Hammurabi (databile nel terzo millennio a.C., alla linea 130), nel caso in cui una giovane donna non sposata veniva violentata solo il maschio avrebbe dovuto essere sottoposto a giudizio.
289 S. Corner, Sumposion, in Th.K. Hubbard (ed.), “A Companion to Greek and Roman Sexualities”, Malden 2014, p. 202; L. Canali, Erotismo e violenza nell’antica Roma, Casale Monferrato 2005. 290 C. Williams, Sexual Themes in Greek and Latin Graffiti, in Th. K. Hubbaard, cit., p. 502. 291 Iscrizioni edite da G. Mennella, Le iscrizioni rupestri della Valle delle Meraviglie e della Valle dell’Ossola, in “Rupes loquentes”, Roma 1992, pp. 13–31. 292 E. Cantarella, Secondo natura: la bisessualità nel mondo antico, Milano 2006; M. Masterson – N.S. Rabinowitz – J. Robson (edd.), Sex in Antiquity: Exploring Gender and Sexuality in the Ancient World, London – New York 2015, pp. 115–351. 293 IX 317. 294 J. Bremmer, An Enigmatic Indo-European Rite: Paederasty, in “Arethusa” 13,2 1980, pp. 279–298. 295 SEG LX 1050. 296 CIL 13, 10017, 10041. 297 B. Legras, L’ homosexualité masculine à travers les papyrus grecs d’Égypte: droit et morale, in E. Cantarella – G. Thür (edd.), “Symposion” 1997, pp. 269–284. 298 Tacito, Annali XI 2. 299 V. Jolivet, Les affaires de monsieur Asiaticus, in “DHA” 41/42, 2015, pp. 71–86. 300 L. Gernet, Observations sur la loi de Gortyne, in “REG” XXIX 1916, p. 393.
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Uomo/Donna
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Nell’Antico Testamento301 si legge che se l’uomo trova la giovane fidanzata in campagna, le fa violenza e giace con lei, morirà l’uomo che è giaciuto con lei, mentre non farai nulla alla giovane vergine fidanzata … Ma “ se l’uomo trova la giovane fidanzata in campagna, le fa violenza e giace con lei, morirà l’uomo che è giaciuto con lei, mentre non farai nulla alla giovane; per la giovane non c’è peccato meritevole di morte… La giovane fidanzata, essendo stata trovata in campagna, magari ha gridato, ma nessuno l’ha udita”. Ma lo stupro diventa spesso, ancora oggi, disonore di chi è stuprata, anche se già un severo pensatore come S. Agostino aveva affermato che le donne violentate dai barbari rimangono pure nell’anima 302. Nel mito, Rea Silvia, violentata da Marte, viene considerata colpevole e sepolta viva303. Tuttavia lo stupro è vergogna per chi lo subisce. Spesso non viene denunciato. È difficile dimostrare che sia stato violenza e non sesso consensuale. Un tempo una donna sposata non poteva denunciare una violenza carnale subita senza il consenso del marito304. Bambine e bambini violentati vengono presentati come libertini viziosi305 e l’atto della violenza carnale viene sorvolato sia nei Codici Penali che nei trattati di medicina 306. Addirittura c’è una scansione classista della pena: nel codice arcaico (VI–V a.C.) di Gortina 307la violenza carnale contro la persona di un libero viene multata con 100 stateri, mentre quella di uno schiavo contro una persona libera con il doppio308. Ma lo stupro è un atto di potere che ha una problematica sociale in quanto coinvolge la responsabilità del clan e della famiglia. Nelle leggi mesopotamiche se un uomo deflora una ragazza sulla strada senza che i genitori lo sappiano questi la devono dare in sposa allo stupratore309 (come ancora in Italia sino a qualche decennio fa). In Atene antica il problema della donna violentata si poneva solo all’interno di questa trama. Del resto una donna poteva avere pulsioni, semmai solo per il marito, non si distingue tra stupro e seduzione, tra crimine e piacere. Nel pensiero dei Greci, e anche dei Romani, era comunque un crimine contro il guardiano della donna, il kurios. Per questo non esisteva distinzione tra stupro e seduzione: una donna poteva avere rapporti solo con il marito310. La seduzione appare sempre un maleficio. Molte erano le differenziazioni locali. Non ovunque regnava l’erotofobia. In un decreto della Tessaglia del II secolo a.C si stabilisce che una donna che ha avuto rapporti sessuali si debba lavare dalla testa ai piedi ed attendere sette giorni prima di entrare nel tempio: una pena non particolarmente severa 311. 301 302 303 304 305 306 307 308 309 310
Deuteronomio 22, 23–29. C.D. 2,2; 1,19. Livio I 4. G. Vigarello, Historia della violacion, siglos XVI–XX, Valencia 1999, p. 74. Vigarello, cit., p. 133. Vigarello, cit., p. 386 e Deuteronomio 53. IC IV 72, II 1–7. R. Sealy, Women and Law in Classical Greece, Chapel Hill – London 1990, pp. 50–81. M. Stol, Women in Ancient Near East, Berlin 2016, p. 258. R. Omitowoju, Rape and Politics of Consent in Classical Athen,; Cambridge 2002, pp. 230–232; S. Deacy – K. Pierce (edd.), Rape in Antiquity, London 1997. 311 J.-Cl. Decourt – A. Tziaphalias, Un règlement religieux de la région de Larissa: cultes grecs et “orientaux”, in “Kernos” 28, 2015, pp. 19 e 35.
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Violenze e individuo
Per Erodoto e Ovidio lo stupro addirittura piaceva alle donne312: “grata est vis ista puellis”. Violenza ed eros accompagnano buona parte della letterature e della mitologia politeista greca. Violentare una donna è un esercizio di potere e l’immaginario greco non aveva limiti in proposito: Dei si trasformano in bestie per violentare fanciulle, oppure fanciulle si trasformano in bestie e vengono violentate. Sui vasi a pitture rosse si trova pure la scena di Aiace Oileo che violenta Cassandra, scena assente nell’Iliade. A Locri Epizefiri, in Calabria, di notte, nel tempio di Afrodite, una giovane donna faceva dono di se agli stranieri. E si immaginò anche la prostituzione sacra, dove le donne, anche aristocratiche, dovevano vendere il proprio corpo per la ricchezza di un tempio313. In realtà la prostituzone sacra sembra una leggenda, anche se Strabone scrive che molte donne prostituiscono il loro corpo in molte città, come Comana Pontica e Corinto (XII 3, 36)314. La violenza è un atto di prepotenza ostentata socialmente. Come quando, nei primi anni del II sec. d.C., stando alla denuncia del marito, a tarda ora, un tale Apollas di Ossirinco, ubriaco, tra gli insulti, gli denudò (e violentò? “anesure”) la moglie che stava sulla porta in presenza di molte persone importanti315. La verginità fu il valore ideologico massimo delle matrone romane: come Lucrezia che si suicidò dopo essere stata violentata da Sesto, figlio del re Tarquinio il Superbo316. La brutalità della scena è rappresentata in vari dipinti soprattutto in un quadro di Tiziano così descritto da M.Beard317: “Lucrezia appare inerme, con gli occhi pieni di lacrime; Tarquinio è raffigurato come un violento aggressore, con la sua spada scintillante e un ginocchio piantato tra le gambe della donna.Sullo sfondo si vede emergere, da dietro la tenda, la mano del giovane schiavo che Tarquinio minacciò di uccidere insieme a Lucrezia, per farli sembrare colpevoli di un vergognoso adulterio”. Ancora nel II secolo d.C. la verginità venne divinizzata nella figura di Tyche Regilla, moglie del grande oratore Erode Attico, che invece, secondo una lettera di Filostrato, l’avrebbe fatta ammazzare da un suo ex-schiavo con un pugno nella pancia, quando era incinta all’ottavo mese del sesto figlio e aveva 35 anni318. Ma ad un certo punto la verginità non fu nemmeno più un’ostentazione ipocrita.
312 Erodoto I 4,5; Ovidio, Ars amatoria, I 673–674. 313 A. Iriarte – M. Gonzalez, Entra Ares y Afrodita, Madrid 2008; W. Burkert, Homo necans, Torino 1983, p. 260; G. Raina (ed.), Dissimulazione della violenza nella Grecia antica, Como – Pavia 2006; A. Beltrametti, Pensare, raccontare e rappresentare la violenza. Anche questo abbiamo imparato dai Greci, ibid. p. 24: “hybris è per i Greci funzione di eros”. Ma alle volte le violenze estreme venivano colpite con punizioni estreme: il persiano Artacytes nel 479 a.C. aveva osato portare delle donne in un tempio per compiere atti “empi” e rubare i tesori. Fu catturato dagli Ateniesi ed inchiodato vivo su una tavola (Erodoto IX, 120). 314 V. Pirenne – Delforge, The Aphrodisia and the Sacred, in D. Ogden (ed.), “A Companion to Greek Religion”, Oxford 2007, p. 321. 315 P. Oxy. XXXVI 2758. In generale per l’Egitto tolemaico v. B. Legras, Le corps violenté des femmes dans l’Égypte ptolémaïque d’après la documentation papyrologique, in “Cahier Gernet Glotz” 10 (1999), pp. 225–234. 316 Livio I 58. 317 SPQR. Storia dell’antica Roma, Milano 2015, immagine 4. 318 S.B. Pomeroy, The Murder of Regilla, Cambridge (MA) – London 2007; K. Harper, The Christian Trans formation of Sexual Morality in Late Antiquity, Cambridge (MA) – London 2013, p. 51.
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Teorizzare la violenza: de Sade
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Quando una legge proibì alle matrone di avere amanti, a parte le donne iscritte nelle liste di prostituzione, alcune matrone si iscrissero in quelle liste per praticare amori plurimi319. Diversamente sarà con il cristianesimo. Gesù pratica ma non predica l’ascetismo, mentre in S. Paolo la verginità diventa un valore anche rispetto al matrimonio, pur senza l’estremismo di certi ascetismi320. Il cristianesimo delle origini risente molto del mondo circostante. Anzi, seecondo M. Foucault, è una parte dell’etica pagana 321. Ma la narrazione storica è ancora ben più cruda. Nel 494 a.C. I Persiani, secondo la loro consuetudine, catturarono i più giovani e belli dei Greci: le fanciulle vennero chiuse nell’ harem del Gran re, i ragazzi vennero castrati per farne i custodi322. Addirittura quando i Persiani conquistarono la Focide alcune donne vennero catturate e violentate ripetutamente, fino alla morte, da una massa di barbari323, come era già successo324. La violenza sessuale sembra non avere limiti. In Egitto le donne morte di personaggi illustri se sono molto belle non vengono consegnate subito agli imbalsamatori, ma dopo 3 o 4 giorni, per evitare che gli imbalsamatori facessero sesso con il cadavere325. Secoli dopo ci sarà un noto personaggio che teorizzerà la violenza come libidine. Teorizzare la violenza: de Sade È’ un pensatore sommo per fama. Un filosofo della perversione. I suoi libri sono spesso noiosi. Sono spesso una teoria della libidine più che una narrazione erotica. Cioè non hanno quasi nulla di pornografico. Teorizza la violenza come necessaria premessa della libido, ma senza precorrere i concetti di Nietzsche di oltre-uomo o super-uomo326. In lui la narrazione del sesso è noiosa. L’illuminismo si mostra nel suo volto prossimo al totalitarismo, è la negazione di Rousseau e affonda le sue radici in Hobbes.Come appare nettamente in Le 120 giornate di Sodoma (così intelligentemente interpretate da Pasolini) scritte nel 1785 su 35 foglietti di 11 cm. per 12 m., ma pubblicate per la prima volta solo nel 1904. Sembra richiamare le antiche esperienze di tortura o precorrere l’esperienza di Auschwitz. Come ha scritto S. Žižek, sulle orme di J. Lacan, il suo pensiero può essere inteso come un’integrazione di quello moralissimo di Kant. Il crudele precetto kantiano riassunto nell’espressione “al di là del principio del piacere”, implica una azione violenta di repressione delle spontanee esigenze naturali, cioè l’intervento di un aguzzino sadico che reprima alcune
319 Svetonio, Tiberio, 35; Tacito, Annali, II,85. 320 L. Perrone, “Eunuchi per il regno dei cieli”? Amore e sessualità dal Nuovo Testamento al primo cristi anesimo, in “Cristianesimo nella storia” XXIII,2, 2002, pp. 281–304. 321 D. Wheeler-Reed, Regulating Sex in the Roman Empire: Ideology, the Bible, and the early Christians, New Haven – London 2017, p. xiv. 322 Erodoto VI 32. 323 Erodoto VIII 33. 324 Erodoto II 89. Sulla sorte crudele dei prigionieri v. Pritchett, cit., V 1991, pp. 203–312 325 Erodoto II 89, 1. 326 D. Foucault, Histoire du libertinage, Paris 2010; G. Brivio, Il labirinto di Narciso: Sade e Nietzsche nei simulacri di Pierre Klossowski, Bergamo 2015; N. Sansone, La filosofia del marchese De Sade, Milan – Udine 2014; A. Le Brun, Sade. Attaquer le soleil, Paris 2014 (catalogo della mostra sugli influssi di de Sade sulla cultura successiva).
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Violenze e individuo
immorali istanze naturali327. La crudeltà può espimere una sua etica. Ma è un’ascesi dolorosa contro il bisogno umano di piacere e il piacere della crudeltà che prova Sade. Infatti l’asceta è un martire che flagella il proprio corpo come facevano i pagani contro i martiri cristiani. È una violenza capovolta328. Restano memorabili alcune riflessioni sadiche: Se si ama il proprio dolore, esso diviene voluttà. Il mio più grande dolore è che in realtà non esiste un Dio, e quindi mi vedo privato del piacere di insultarlo. Ciò che voi chiamate depravazione non è altro che lo stato naturale dell’uomo. Come scriverà P. Weiss in Marat/Sade329: “L’uomo è un distruttore Ma se uccide e non ne prova piacere Allora diventa una macchina”.
Contro Marat, Sade afferma che la violenza che sogna una società giusta è una vuota utopia, mentre la vera dimensione umana è il gusto di operare violenze”. Condusse dunque una vita da illuminista depravato, cioè libertino. Ma in lui “il carnefice si identifica con la vittima e la paura che riesce a ispirarle diventa, nella sua rappresentazione, la propria paura”330. Nello stesso tempo “Sade si contrappone al carnefice, ne denuncia il crimine, articolando la violenza e convertendola in riflessione sulla violenza”331. Ma come dice G. Giorello “la lussuria, più che un peccato, appare come una forza debordante della natura. La lussuria non è solo manifestazione di eros, creatività artistica, e magari piacere della scoperta scientifica. È anche e soprattutto una passione di conoscenza, nel senso più ampio della parola, che può costituire altresì il nucleo di una società aperta e libertaria, insofferente di qualsiasi costellazione di dogmi stabiliti”332. Significativo è il racconto “Le sciagure di Florville”. Qui la protagonista è una donna irreprensibile che per un oscuro e tragico destino cade in un tipo di vita disperato: diventa l’amante del fratello, moglie del proprio padre, assassina del figlio, colpevole della condanna al patibolo della madre. Secondo una diffusa vulgata la vita licenziosa di de Sade figura già nella sua epoca nei diari dell’ispettore Marais, dipendente direttamente dall’ispettore generale di polizia Antoine de Sartine, egli era addetto a seguire con scrupolo le attività sessuali dei membri della corte, compresi quelli di sangue regale, per poi riferire tutto per il piacere curioso di sua maestà il re Luigi XV di Francia e a Madame de Pompadour. È quindi attestata da documenti diretti, anche se comunque soggettivi. Vi si possono trovare i riferimenti all’avventura con l’attrice Colette, che Sade era costretto a condividere con un altro nobile in quanto non aveva soldii bastanti per mantenerla. Seguirono altre attrici e ballerine. 327 S. Žižek, Ils ne savent pas ce qu’ ils font, Paris 2016, pp. 137–140; A. Coudreuse, Sade, écrivain polymorphe, Paris 2015. 328 J. Bronkhorst, Violence, Terrorisme et Religion, in Ph. Borgeaud – A.C. Rendu Loisel, “Violentes émotions”, Genève 2009, pp. 58–59. 329 Marat/Sade, da trad. ingl., London – New York 1965, pp. 32–33. 330 P. Klossowski, intr. all’ ed. di Parma 1992, p. 18. 331 D. Di Cesare, Tortura, Torino 2016, p. 120. 332 È questo il senso di tutto il saggio, Lussuria. La passione della conoscenza, Milano 2010.
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Teorizzare la violenza: de Sade
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Nel 1765 scelse come amante la giovanissima, ma già ricca di legami erotici, Beauvoisin, una delle cortigiane più ricercate della Corte. Sade lasciò la sua casa coniugale per portarsela a Lacoste, dove trascorse con lei un paio di mesi e talvolta fu confusa dai cittadini con la legittima moglie. Questo gli fece meritare le critiche più dure da parte della sua famiglia.: Mme. Montreuil, da Parigi, si mise in contatto con lo zio, l’abate del luogo, nel tentativo di farlo ragionare, ma la relazione adulterina continuò per almeno due anni. La sua vita di filosofo, pervertito ed artista passò attraverso vari anni di carcere (32 in una vita di 74 anni), dove trovò comunque modo per divertirsi e rappresentare opere teatrali. Nel 1772 si recò a Marsiglia, dove, il 27 giugno di quell’anno, fu protagonista di un’altra avventura sui generis. Ricevette quattro ragazze alle quali offrì confetti afrodisiaci; in seguito le frustò e le sodomizzò, costringendo loro stesse a frustarlo mentre aveva sporadici rapporti con il servo Latour. La sera stessa s’intratteneva con la prostituta Marguerite Coste, alla quale fece ingoiare un’intera scatola di dolci alla cantaridina (afrodisiaca polvere di insetti), sottoponendola poi a pratiche sessuali di ogni tipo. L’erotismo ostentato sembra l’inevitabile espressione sia della sua etica dell’amoralità totale che della filosofia morale del suo discorso filosofico. Ma l’erotismo più grezzo deve spesso emergere: “ sono due ore che mi tira come a un demonio: guardate, dice, posando sul tavolo un affare di grossezza e lunghezza spaventose… Su ragazzi, vi seguo. I signori mi permetteranno che perda un po’ di sperma prima di conoscerli più intimamente”333. Tra le varie e innumerevoli stravaganze ebbe anche una relazione con Anne-Prospère de Launay de Montreuil, cognata e amante del marchese, futura canonichessa secolare benedettina. La moglie sembra che continuasse ad amarlo e quando era in prigione cercò inutilmente di vederlo, travestendosi da uomo per eludere i controlli. Morì il 2-12-1814. Lasciò scritte le sue ultime volontà, nelle quali aveva espresso il desiderio di essere esposto dopo la morte nella sua stanza per 48 ore senza che alcuno lo toccasse, in seguito, messo nudo, in una semplice cassa e sepolto senza alcun segno di riconoscimento nella profondità della foresta nella sua proprietà di Malmaison presso Épernon. Nonostante le sue disposizioni testamentarie, de Sade venne sepolto nel cimitero di Charenton. Il costo della sepoltura ammontava a 65 livres, così ripartite: 20 per la croce, 10 per la bara, 6 per la cappella mortuaria, 9 per le candele, 6 per il cappellano, 8 per i portatori e 6 per il becchino. Il suo cranio venne in seguito rimosso dalla bara per investigazioni scientifiche. Suo figlio maggiore fece bruciare (secondo un’usanza antica che troviamo già nel Vangelo334) tutti i manoscritti del padre non pubblicati; questi comprendevano anche l’immensa opera in più volumi Les Journées de Florbelle. Guerre e cacce, incesti e orge religiose impongono il sorgere di taboo e interdizioni che permettano la crescita di una società meno disordinata 335. Ovviamente le trasgressioni sono irrefrenabili, fino alla Philosophie du boudoir ou les instituteurs immoraux, appunto di Sade. Difficile trovare paralleli nel mondo antico. Lo spettacolo della crudeltà era una componente di quella cultura. Basti pensare ai giochi gladiatori o a certe forme di pene mortali. Ma una tale dialettica tortura/voluttà mi sembra difficile trovarla. Ci si limitava ad una crudeltà di massa. 333 La nuova Justine, Parma 1992 (1797), p. 562. 334 D. Rohmann, Christianity, Book-Burning and Censorship in Late Antiquity, Berlin 2016, p. 112. 335 G. Bataille, L’ érotisme, Paris 2011 (1957).
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Violenze e individuo
Notoriamente contrapposta fu la personalità di Masoch, che invece di torturare preferiva essere torturato nell’anima e amava le Veneri in pelliccia che lo facevano soffrire336. Un poco il sentimento di certe poesie di Cornelio Gallo e dello stesso Catullo. Un caso estremo di masochismo è rappresentato dal’immagine di un ragazzo che “magna mentula praeditus, me praesente, puellam futuat”. Visione che turba il ragazzo così che “membrum meum in eius anum immittam”: la libido del dolore eccita la libido del provare dolore337. Ė un fenomeno capovolto e spesso abbinato al sadismo; è meno conosciuto, ma probabilmente altrettanto diffuso. Basti citare la lettera, già precedentemente ricordata, inviata da un marito alla moglie nel II secolo d.C.338, che ci viene dal deserto egiziano: “ Sereno a Isidora, sorella e signora molti saluti … Voglio che tu sappia che da quando mi hai lasciato io sono triste, piango di notte e mi angoscio di giorno. Da un mese non mi lavo e non mi ungo con olio. Mi hai mandato una lettera che avrebbe scosso un pietra… Per non parlare dei tuoi discorsi e dei tuoi scritti: ‘Kolobòs mi ha fatto una prostituta’. Lui, invece, mi disse: tua moglie mi ha mandato un messaggio che diceva: lui (mio marito) ha comprato la catena e lui mi ha messo sul battello … Fammi sapere se vieni o non vieni”. Insomma il marito cornuto si dispera, non si lava nemmeno, e implora il ritorno della moglie-prostituta. Più allegra e provocatoria è la lettera di due omosessuali che scrivono ad un amico dicendo che si sono divertiti e gli fanno “una proposta indecente”, asserendo che non gli faranno male e allegando un disegnino esplicito sulle loro intenzioni anali339. Lontane premesse del tragico “Salò Sade” di Pasolini.
336 S. Masoch, L’amore crudele: “Crudele è la donna che attira sorridendo un uomo nelle sue reti, per farsene beffe in seguito e divertirsi del suo tormento. (p. 108)”. E questa crudeltà era la sua libido. 337 D. Orrells, Sex. Antiquity and its Legacy, London – New York 2015, pp. 94–95; R. von Kraft Ebing, Psychopatia Sexualis: Ein klinisch-forensische Studie, Stuttgart 1886, p. 297 “fornito di un grande fallo penetra una fanciulla in mia presenza, così che io inserisco il mio membro nel suo ano”. 338 P. Oxy. III 528. 339 P. Oxy. XLII 3070, del I secolo d.C .
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Violenze sociali Nei momenti di disordine sociale e politico la violenza esplode in modo incontrollato. Dalle interdizioni che vengono proclamate si può intuire la realtà sottostante. Nel 118 a.C. Tolemeo Evergete II, re d’Egitto, emana un’ordinanza che elenca gli abusi commessi e da reprimere: torturare gli esattori delle imposte sacre, impossessarsi di villaggi e proprietà terriere, imporre tasse ed altro1. Certo le violenze sono molteplici e senza una causa unica. Violenze tra privati, violenze tra gruppi, secondo le più diverse motivazioni (campanilismi, tifoserie contrapposte di squadre sportive … gelosie tra amanti …). Qui è difficile capire o condannare. Oppure violenze politiche. Se hanno un fine liberatorio e non velleitario, cioè non solo sanguinario, a volte vengono approvate. Marx, Lenin, Stalin, Sartre, Fanon e i nazifascismi contrapposti insegnano. Perché la guerra non solo distrugge gli Stati, ma ne costruisce di nuovi2. E il terrorismo? Resta sanguinario, ma sostanzialmente insignificante, se risulta velleitario. Mentre il terrorismo islamico attuale appare isterico e cieco (con qualche lato di comicità nella sua arcaica ritualità: i più fanatici, anche tra quelli del Bataclan, pregano così intensamente, prosternando la fronte sul pavimento fino a procurarsi una “zona ipercheratosica”, cioè un bernoccolo3). Ma è di massa e mostra quindi un peso politico. Nelle città greche, culla della civiltà occidentale, la violenza non si esprimeva solo tra i diversi Stati, o nelle guerre civili interne, ma anche tra le varie componenti esterne di quelle società e assumeva connotati oracolistici e religiosi come spesso il fondamentalismo4. Gli schiavi sono notoriamente un genere umano di seconda classe, per cui sembra “sopportabile” il dovere combattere contro di loro quando si ribellano5. Gli schiavi non hanno mai avuto un ruolo significativo. Neanche nelle rivolte. Quando nel 133 a.C. Aristonico si ribella contro Roma solo quando le sue prospettive cominciano a farsi cupe, libera gli schiavi e fonda una “città degli schiavi”, detta “città del sole” (Heliopolis). Ma gli aristocratici greci preferiscono asservirsi a Roma e vincere contro i ribelli. Contrariamente alle ipotesi della filosofia della storia marxista (nella sua interpretazione stalinista) gli schiavi non furono affatto una forza rivoluzionaria. Anzi, le rivolte servili furono poche e perdenti. In Grecia durante la guerra del Peloponneso ventimila schiavi ateniesi approfittarono del caos per tentare la fuga. Successivamente dobbiamo arrivare al 136 a.C. per trovare una rivolta significativa. Allora in Sicilia lo schiavo siriaco Euno si mette a capo di una massa di schiavi e riesce a sconfiggere i Romani, prima di essere sbaragliato. Ma anche questa non appare come una rivolta sociale radicale. Euno si proclama re e asservisce, a sua volta, i nemici sconfitti. 1 2 3 4 5
P. Tebt. 5, 57–61. A. Jacquemin, Guerre et Religion dans le monde Grec (490–322 av. J.-C.), Paris 2000, p. 170. D. Di Cesare, Terrore e modernità, Torino 2017, pp. 5–6. M. Sordi, L’ ira di Atena: terrorismo e oracolistica tra il 196 e il 191 a.C., in G. Urso (ed.), “Terror et Pavor”, Pisa 2006, pp. 137–143. L. Canfora, Spartaco, Marx, Mommsen, in G. Urso, cit., pp. 215–216; P. Garnsey, Ideas of Slavery from Aristotle to Augustine, Cambridge 1996. Una critica radicale dello schiavismo, contro Aristotele, è già in Alcidamas (IV a.C.): “La natura non fece nessuno schiavo” (Aristotele, Retorica 1373b18), v. Foraboschi – Bussi, Integrazione, cit., p. 22; per l’ampia problematica e bibliografia v. ora H. Heinen – J. Deissler (edd.), “Handwörterbuch der Antiken Sklaverei”, Stuttgart 2017, 3; I.L.E. Ramelli, Social Justice and the Legitimacy of Slavery: The Role of Philosophical Asceticism from Ancient Judaism to Late Antiquity, Oxford 2016.
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Più complessa è la già citata rivolta di Aristonico in Asia Minore (133 a.C.). Nella lotta contro i Romani Aristonico mobilita anche masse di schiavi e di poveri. I suoi seguaci si chiamano “cittadini del sole”, che fondano una “città degli schiavi” che affascina l’utopia di certi filosofi stoici come Blossio di Cuma, che già aveva partecipato alle lotte di Tiberio Gracco contro le prevaricazioni dei ricchi. Ma gli stessi Greci di Asia abbandoneranno la lotta, per onorare i Romani che li avevano liberati dal pericolo di Aristonico, mentre in realtà li avevano trasformati in sudditi tributar Più radicale sembra la rivolta che Spartaco6 guida a cominciare dal 73 a.C. Agli schiavi e ai gladiatori si aggregano anche piccoli contadini impoveriti e altri popoli italici. Spartaco ripartisce in modo comunitario i bottini delle sue vittorie e, assieme alla moglie, celebra riti primitivi, alternativi alla cultura di Roma. Ma alla fine viene sconfitto. Dopo non assisteremo più a rivolte di massa. Ma Spartaco rimase un’immagine archetipa e mitica fino ai giorni nostri, evocato da personaggi come Rosa Luxemburg. Sul piano culturale manifestazioni esemplari di una cultura alternativa sono gli oracoli e le apocalissi, mentre l’iscrizione africana di Machtar è un documento raro di un piccolo contadino che si guadagna un’ascesa sociale particolare fino ad integrarsi nelle istituzioni romane ed essere fiero di divenire senatore municipale. Oracolo del vasaio7 II,52 ss.: “… Memfi genitrice di dei, e queste cose saranno deserto alla fine dei mali. Quando sopravvenga la caduta delle foglie sull’Egitto degli uomini inospitali verrà desertificata allo stesso modo del mio camino la città degli uomini che portano la cintura a causa delle illegalità che commisero e dell’Egitto… portate lì di nuovo si dirigerà verso l’Egitto(?) la città, posta- in- riva- al- mare, dei pescatori (?) dei luoghi freddi a causa del buon demone e verso Memfi si dirige così che alcuni di quelli che l’attraversano dicano:” questa, in cui abita ogni genere di uomini, era la nutrice di ogni genere di uomini”. III E allora l’Egitto verrà accresciuto Quando colui che è venuto 55 anni dopo il Sole, donatore di beni, inviato dalla dea grandissima per pregare che i presenti e i defunti risorgano per essere partecipi dei beni alla fine dei mali… e ci sarà la caduta delle foglie e il Nilo in piena restato acqua verrà e rivestito attorno, celebrando una processione, correrà col proprio cerchio e l’estate prenderà la propria corsa/ armoniosi venti soffieranno…”. 6 7
G. Brizzi, Ribelli contro Roma. Gli schiavi, Spartaco, l’altra Italia, Bologna 2017. O. Rossini, Spartaco e gli altri, in A. Giardina (ed.), “Storia mondiale dell’Italia”, Roma – Bari 2017, pp. 74–78 (l’obiettivo di Spartaco sarebbe stato quello di andare in Spagna per contrapporsi a Pompeo). P. Oxy. XXI 2332; M. Betrò, Letteratura profetica e opposizione politica nei primi secoli dell’Egitto romano: storia di un’assenza?, in “ Studi e materiali di storia delle religioni” 79,1, 2013, pp. 75–90.
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L’anonimo autore dell’Apocalisse di Baruch8, contemporaneo dei fatti del 70 d.C., intona sulle rovine della città di Gerusalemme questo impressionante e potentissimo lamento che dà la misura del turbamento e dell’emozione che quell’avvenimento provocò: „Beato chi non è nato o chi è nato ed è morto! Guai a noi, invece, noi, quanti siamo vivi, perché vediamo i dolori di Sion e quel che è accaduto a Gerusalemme! Chiamerò le sirene del mare e voi, Lilit, verrete dal deserto, e i demoni e gli sciacalli dalle selve: vegliate e cingete i vostri lombi per il compianto e levate lamenti con me e compiangete con me. Voi, agricoltori, non seminate più e tu, terra, per chi darai i frutti del tuo raccolto? Trattieni dentro di te la dolcezza dei tuoi alimenti! E tu, vite, perché continuare a dare il tuo vino, dato che non se ne offre più in Sion, né più vi si offriranno primizie? E voi, cieli, trattenete la vostra rugiada e non aprite i depositi della pioggia. E tu, sole, trattieni la luce dei tuoi raggi, e tu, luna, spegni la moltitudine della tua luce: perché infatti sorgerebbe ancora la luce lì dove è stata ottenebrata la luce di Sion?“ “… infatti si sveglierà a suo tempo contro di te L’ira che ora, per la sua magnanimità,viene trattenuta come con un morso. E avendo detto queste cose mi fermai per sette giorni E dopo questo avvenne che io, Baruch, ristetti presso il monte Sion Ed ecco una voce venne dall’alto e mi disse alzati sui tuoi piedi oh Baruch e ascolta il verbo del Dio potente… E i popoli … calpestando la terra(?) E voi vi servite delle costruzioni che stanno su di lei avendo sempre avuto opere di bene ed essendo sempre stati ingrati. E risposi e dissi: ecco mi hai mostrato l’ordine dei tempi E ci sarà un futuro. E mi hai detto: dai popoli verrà portata la prassi da te detta e ora so che molti… Sono quelli che hanno sbagliato e vissero E portarono dal cosmo poche cose…”.
L’ascesa sociale e l’integrazione vengono invece esaltate in un famoso testo, di umili origini, ma poetico e carico di ideologia del successo sociale – proveniente dalla Tunisia. L’epigrafe di Machtar9: “Sono nato da un antenato povero e da un misero genitore che non aveva né ricchezza né casa. Dopo mio padre vissi coltivando la mia roba in campagna, né per i campi, né per me vi era una pausa. E quando l’anno aveva prodotto messi mature Io ero il primo mietitore degli steli. Quando la torma dei mietitori avanzava nei campi Dirigendosi verso i pascoli di Cirta o i campi di Giove Prima di tutti andavo avanti come mietitore Lasciando dietro le mie spalle le fitte mie terre Dodici volte ho mietuto sotto il sole rabbioso E poi – per merito del mio lavoro- venni fatto conduttore Per undici anni condussi le squadre di mietitori E tagliai con la mia mano i campi della Numidia 8 9
Apocalisse siriaca di Baruch 10, trad. P. Bettiolo; APOCALISSE DI BARUCH (P. Oxy. III 403,9 ss.). CIL VIII 11824.
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Violenze sociali Questa fatica e questa vita contenta di poco Mi fecero un signore e una villa è pronta E la nostra vita percepì i frutti degli onori E io stesso fui iscritto tra le persone selezionate (in Senato), scelto nell’ordine del tempio mi sono seduto nell’ordine sacerdotale E da piccolo contadino io stesso divenni censore E ho generato e vidi i giovani figli e i cari nipoti. Per i meriti della vita ho passato anni famosi che una lingua perfida non può rovinare con nessun crimine. Imparate, o mortali, a passare la vita senza colpe. Così meritò e visse chi morì senza frode”.
Le contraddizioni sociali, però, continueranno ad alimentarsi sotterraneamente in rivolte minori, ma non meno significative dello stato d’animo degli schiavi e degli umili. Il motto diffuso era: voi avete tanti nemici quanti sono gli schiavi che possedete10. Il prefetto di Roma Pedanio Secondo, nel 61 d.C., viene assassinato dai suoi servi11. Schiavi seducono le proprie matrone, oppure vendono come schiavo il proprio padrone. Ladri, incendiari, fuggitivi e delinquenti vari alimentano le fila dei servi. Ma anche quelle dei medici: Plinio jr.12 che racconta che frequentemente durante i suoi viaggi gli era capitato di sperimentare i furti dei medici, che vendono medicamenti qualsiasi a prezzi ingenti, curano malattie che non conoscono per guadagnare, oppure prolungano nel tempo la cura di malattie banali per aumentare i propri guadagni. A parte il caso di liberti (gli schiavi liberati) che si immortalano vantandosi di essere divenuti grandi commercianti tra l’Asia Minore e l’Italia per decine di volte attraverso un mare pericoloso, perché, come scrive Strabone13, dopo avere doppiato capo Malea si deve dimenticare il ritorno: “Flavio Zeuxis lavoratore dopo avere navigato oltre il capo Malea (in Laconia) verso l’Italia settantadue volte preparò la tomba per se stesso e per i figli Flavio Theodoro e Flavio Theudas e per chi loro Concedano”14.
Accanto al normale commercio esiste anche un commercio crudele e paradossale, come quelllo dello schiavo liberato Aulos Kapreilios che si vanta, nell’iscrizione della sua tomba, di essere diventato commerciante di schiavi15. Ma conosciamo anche altri fenomeni paradossali. Quando nel IV secolo d.C. la santa donna Melania vuole liberare i suoi schiavi, questi, in buona parte, si rifiutano e chiedono di restare 10 J. Toner, Marcus Sidonius Falx, L’art de gouverner ses esclaves, trad fr. Paris 20152, p. 171. 11 Tacito, Annali, XIV 43. 12 De Medicina I, 1 (è un breve trattato in tre libretti). 13 VIII 6,20. 14 IGRP IV 841. 15 SEG XXXVI 587; v. M. Finley, Aspects of Antiquity, London 1972, pp. 150–155.
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nella condizione servile: subire la libertà è un rischio, mentre essere al servizio di una ricca aristocratica cristiana appare certamente come una sicurezza: la schiavitù volontaria sembra un fenomeno destinato a perdurare. Per questo la figura dello schiavo non sparirà mai, anche se la forza-lavoro dominante16 diverrà sempre più quella degli affittuari, dei coloni e dei servi della gleba. Anche la schiavitù moderna, che fu abolita forrmalmente dal Senato del Missisipi solo nel 199517, ma abolita in Francia già il 27 Aprile del 1848, anche a seguito del poderoso studio (1560 pp.) di H. Wallon edito nel 1847, come il Manifesto comunista di Marx18, non conobbe grandi prese di coscienza rivoluzionarie (a parte, forse, la rivolta di Great Pueblo in Messico19). Tra gli schiavi neri era molto diffusa la mentalità servile dello zio Tom, per cui le forme religiose erano oppio piuttosto che utopia sovversiva. E la rivolta di Toussaint Louverture ad Haiti animata dagli spiriti della Rivoluzione francese negò se stessa e finì in tragedia (morì in un carcere dei suoi ammirati francesi), anche se furono proprio questi “giacobini neri” i primi ad abolire la schiavitù20. A questa tradizione francese si ricollega il black marxism, soprattutto nella figura di C.L.R. James (anche grande esperto di cricket), che in questo senso voleva essere considerato un “francese” e che aveva scritto un dramma teatrale e una storia incentrati su Toussaint Louverture, a Londra nel 1934 e nel 193821. “Ė un Marx particolare quello di James, capace di immergersi nelle rivolte degli schiavi e confrontarsi con Toussaint Louverture. Ė un Marx ripensato a partire dalle “periferie” che, rivoltandosi, si appropriano degli appelli all’uguaglianza e alla libertà della rivoluzione francese…”22. Gli schiavi di Haiti in modo troppo soggettivistico, vengono descritti come gli unici che seppero vincere una rivoluzione, anche perché la schiavitù viene vista come una situazione rivoluzionaria in se.23. La schiavitù moderna nelle Americhe fu un fenomeno massiccio che coinvolse milioni di uomini (malgrado l’opposizione della monarchia spagnola e di vesvovi come Bartolomé de las Casas) colpiti da un’alta mortalità soprattutto durante i disperati viaggi24 dall’Africa all’America. Non meno crudele fu la schiavitù dei cristiani, catturati in massa da pirati musulmani nel Mediterraneo, rivenduti in Oriente e mantenuti in una condizione di “infinita miseria”, fino a ridurli a bestie25. Ma le rivolte degli schiavi furono poche e non molto significative lungo il corso della storia, anche se il loro mito continua. Gli schiavi mancarono sempre di una identità etnica e culturale attorno a cui potersi unificare nell’elaborazione di un progetto sociale alternativo.
16 A. Marcone (ed.), L’età romana. Liberi, semiliberi e schiavi in una società pre-moderna, Roma 2016. 17 L. Canfora, La schiavitù del capitale, Bologna 2017, p. 63–64. 18 Cl. Nicolet, Henri Wallon: de l’esclavage antique à l’esclavage moderne, Académie des Inscriptions et BellesLettres, Académie des sciences morales et politiques 2004, pp. 1–7. 19 J.M. Espinosa, The Pueblo Indian revolt of 1696 and the Franciscan missions in New Mexico, London 1988. 20 C.L.R. James, Black Jacobin, London 1938; D. Losurdo, Il marxismo occidentale, Roma – Bari 2017, p. 156; Ph. Girard, Toussaint Louverture. A Revolutionary Life, New York 2016. 21 Non si scherza con la rivoluzione: Marx e Lenin nei Caraibi, Verona, ombre corte, 2017. 22 Intr. di G. Roggero a Non si scherza con la rivoluzione, p. 9. 23 L.C. James, Le jacobins noirs.Vie de Toussaint-L’Ouverture, Paris 1850 (ora Paris 2017, p. 129). 24 A. Reséndez, The Other Slavery. The Uncovered story of Indian enslavement in America, New York – Boston 2016. 25 R.C. Davis, Esclaves Chrétiens, Maîtres Musulmans, Paris 2006.
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Per questo furono sempre sconfitti. Anche perché il castigo era violento, compresa l’uccisione, privata o pubblica, di centinaia o migliaia di schiavi26. L’unica eccezione sembrano gli schiavi che diventano i “cittadini del sole” di Aristonico e i moderni “giacobini neri”, prima di finire spietatamente sconfitti. Allo stesso modo i mercenari sono utili alle funzioni belliche della città, ma violenti e senza legge, come, tra i tanti, mostra il caso dei 1300 peltasti traci ingaggiati dagli Ateniesi, i quali, quando non poterono essere imbarcati si scatenarono nel massacrare gli uomini, senza risparmiare vecchi e giovani, ma uccidendo tutti, comprese le donne, i bambini e anche le bestie27. Del resto i mercenari erano nemici comuni dell’umanità 28. Per sostentarsi saccheggiavano le campagne circostanti29, come già ci attesta Omero30. È questo il significato della frase di Catone31 – signifcativamente presente anche nel cinese Sun Tzu32 – “la guerra nutre se stessa”: nelle guerre antiche (ma non solo) il saccheggio è un momento importante di approvvigionamento. Così da ordinati soldati potevano mutarsi in banditi. Il brigantaggio fu infatti un fenomeno endemico nelle società antiche. Raramente assunse i connotati del brigantaggio sociale, come con Bulla Felix in Italia o con Maternus in Gallia, dove i Bagaudae, dei latrones, già dal 286 d.C., riescono a costruire un regno autonomo da Roma, con una propria moneta coniata con il nome di un loro re, Amandus33. Qu I Bagaudae diventano un mito, quello del selvaggio libero nella società ugualitaria della foresta, dove si liberano anche gli schiavi34, o anche che si è liberato ed è divenuto cristiano35. Sono un fenomeno con elementi di affinità con quello afri26 Si sa che i seguaci di Spartaco vennero crocefissi e uccisi a migliaia. Gli schiavi dovevano vivere in uno stato di terrore: «Poiché abbiamo, tra gli schiavi domestici, gente di diversa origine, con usanze tra le più disparate, che praticano riti stranieri o addirittura nessun rito, la paura è l’unica possibilità di tenere a freno questa massa. Moriranno, certo, degli innocenti. Ma anche in un esercito che si sia dato alla fuga, quando si flagella a morte un soldato ogni dieci, la sorte può toccare anche a degli innocenti. Il pensiero dei grandi proprietari era” che ogni azione “esemplare ha in sé qualcosa di ingiusto, ma si riscatta, con danno di alcuni, nell’utilità generale» (Tacito, Annali XIV, 44). Gli schiavi recalciranti non comprendono la logica, sono come gli animali e reagiscono meglio ai colpi di frusta. Ma non bisogna darsi pena per questo: “gli schiavi sono rovinati dai loro vizi e non dalla crudeltà di un padrone” (così sintetizza il pensiero dei grandi proprietari schiavisti un abile e preparato falsificatore contemporaneo: J. Toner, Marcus Sidonius Falx, L’art de gouverner ses esclaves, tr. fran., Paris 2015, p. 135). 27 Tucidite VII 28–30; v. M. Bettalli, Hoi ton Hellenon aporoi, in G. Urso, cit., pp. 55–64. 28 M. Bettalli, Mercenari. Il mestiere delle armi nel mondo greco antico, Roma 2013, p. 23. 29 M. Trundle, The Business of War. Mercenaries, in B. Campbell – L. Tritle (edd.), “The Oxford Companion of Warfare in the Classical World”, Oxford 2015. 30 Iliade 9, 329–330; 20, 90–92; 21, 35–38. 31 Livio XXXIV 9, 12. 32 L’arte della guerra, Napoli 1988, p. 76; v. anche Polieno III 10, 5. 33 V. Neri, I Marginali nell’Occidente Tardoantico, Bari 1998, cap. 6; E.Bianchi, Uno storico sovietico ritrovato: Aleksandr D. Dmitriev (1888–1962), in “Quaderni di Storia” 76, 2012, pp. 207–275; Idem, I conflitti sociali nell’Africa romana. Note sopra un dibattito marxista, in “L’Africa Romana XIX”, Roma 2012, pp. 2855–2862; Idem, Briganti e ribelli nelle campagne africane del III secolo d.C., in “L’Africa Romana” XX, Roma, 2015, pp. 1069–1080; Idem, I Bagaudi alla presa di Autun (270 A.D.). Vecchie questioni, nuove conferme, in “Classica et Christiana” 11, 2016, pp. 9–41; A. D’Incà, Martiri e Briganti, Trapani 2016. 34 Rutilio Namaziano, De reditu suo, 1, 213–216; F. Vittinghoff, Gesellschaft, in W. Fischer et al., “Handbuch der europäischen Wirtschafts- und Socialgeschichte” Stuttgart 1990, pp. 359–360; E. Frézouls, Gallien und römisches Germanien, ibid. pp. 507–508. 35 P. Dockes, Revoltes Bagaudes et ensauvagement. La guerre sociale en Gaule, in “Analyse, Epistémologie, Histoire économique 19. Sauvages et Ensauvagés”, Lyon 1980, pp. 143–260.
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cano dei berberi detti circumcelliones, tra cui, però, appare più evidente una vocazione cristiana fondamentalista, pauperista, con aspetti “comunistici”, violenti contro i ricchi: si aggiravano in massa impugnanndo dei bastoni con cui colpire i ricchi che incontravano e devastando le loro ville.36 Alla fine si suicidavano. Il brigantaggio era diffuso ovunque e poteva esprimere dei connotati classisti e di crisi del Modo di Produzione Schiavista 37, come era definito il mondo antico nella terminologia marxista 38. Gli scontri erano brutali e crudeli: nell’82 a.C. in Africa, quando il governatore Caio Fabio Adriano, con la forza di un manipolo di schiavi, cerca di instaurare un regno autonomo, viene fatto bruciare vivo insieme ai suoi, dai proprietari terrieri39. E l’Africa continuò ad essere un territorio di ribelli e latrones. Questo si riflette anche nella circolazione monetaria: come ha mostrato E.A. Bianchi nei periodi di maggior crisi, come durante le guerre, aumentano i tesori di monete occultate per sottrarle ai banditi. E il banditismo continuò sempre. Ai tempi di S. Agostino40 dei banditi chiamati mangones catturavano i liberi cittadini e li rivendevano come schiavi sui mercati, come già i pirati cretesi del III secolo a.C.41 Il brigantaggio è un fenomeno massiccio che percorre tutta la storia: in ampie regioni d’Italia (e del mondo): un condannato poteva essere assolto se un parente o un amico forniva all’autorità una testa mozza, magari conservata sotto sale, comperata sul mercato, oppure procurata decapitando qualcuno, dopo atroci torture42. I Romani avevano quasi un culto della violenza. Catone e Cicerone non rimproverano tanto la violenza quanto il fatto che sia compiuta per capriccio. Tuttavia i giochi gladiatori erano una forma di violento capriccio di massa, che tuttavia assumevano una suggestione religiosa quando erano preceduti da una processsione che partiva dal tempio di Giove Capitolino e attrverso i Foro arrivava fino al Circo Massimo (la pompa circensis)43. Lance, giavellotti, spade, pugnali, tridenti, corazze, elmi, scudi, reti per catturare le belve. Queste erano le principali armi dei gladiatori. Ma poco si sa di come se le procurassero. E’ probabile che se erano prigionieri di guerra combattessero con le loro stesse armi, altrimenti ne venivano riforniti dagli organizzatori degli spettacoli gladiatori che, come gli attuali produttori di spettacoli, traevano guadagni dall’organizzazione dei giochi del circo: pane gratuito e circo costituivano infatti un aspetto dominante della plebe di Roma e delle altre città dell’Impero. Poco si sa tuttavia della produzione e dei costi di queste armi. 36 R. Cacitti, Furiosa Turba, cit.; E. Bianchi, I conflitti sociali nell’Africa romana. Note sopra un dibattito marxista, in “L’Africa romana” XIX, Roma 2012, pp. 2857–2862. 37 E.M. Schtajerman, Afrikansie Vosstanija III veka, in “VDI” 2, 24, 1948, pp. 65–74 (trad. di E. Bianchi); E.A. Bianchi, Briganti e ribelli nelle campagne africane del III secolo d.C., in “L’Africa romana” XX, Roma 2015, pp. 1068–1088. 38 E. Bianchi, I conflitti sociali in Africa romana. Note sopra un dibattito marxista, in “L’Africa romana” XIX, cit., pp. 2855–2862. 39 Orosio V, 20, 3. 40 Epistulae, 102. 41 S. Bussi, Attacco di pirati a Teos ellenistica, in “Studi ellenistici” 12, 1999, pp. 159–171; C. Ferone, Lesteia, Napoli 1997. 42 E. Ciconte, La grande mattanza.Storia della guerra al brigantaggio, Roma – Bari, 2018, pp. 19–26. 43 J.A. Latham, Performance, Memory, and Processions in Ancient Rome: The ‘pompa circensis’ from the Late Republic to Late Antiquity, New York – Cambridge, 2016.
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A Roma la guerra era un’antica “festa crudele”. Ogni anno vi era almeno una stagione di guerra. Prima di Augusto le porte del tempio di Giano, che venivano chiuse solo quando non era in atto una guerra, vennero rinserrate solo due volte. Tuttavia questo impegno bellico veniva spesso rifornito solo da liberi artigiani di armi. Già nella Grecia classica le fabbriche di armi erano di proprietà privata: il padre dell’oratore Demostene ne possedeva una che impiegava decine di schiavi. Ma ancora con l’impero romano vediamo che gli artigiani dell’Egitto esportano, o si fanno arrivare le vesti da lontane officine anche dell’Asia Minore44. Anche il mercato delle armi era libero e questo preoccupava l’autorità politica, che faticò a porlo sotto controllo per motivi di ordine pubblico. Col tempo si nota, però, un’evoluzione. Nella Roma più antica potevano andare in guerra solo i più ricchi, perché la guerra era un onore e non un onere. E questi aristocratici si presentavano alla leva con le proprie armi. Successivamente officine artigiane seguivano le legioni, di cui fabbricavano e riparavano gli armamenti. Solo verso la fine dell’impero romano lo Stato cominciò ad organizzare fabbriche pubbliche di armi per equipaggiare le centinaia di migliaia di soldati stanziati entro i confini dell’Impero. Malgrado questo dominio della guerra poco si sa del costo degli armamenti. Nel 209 avanti Cristo l’equipaggiamento in divise militari di diecimila soldati era costato quattrocentocinquantacinque kg di oro. Qualche dato più di dettaglio ci fornisce un papiro egiziano: una corazza di ottone (quindi da parata), intrecciata nel modo più sottile e di peso leggero, costa trecentosessanta dracme (cioè circa altrettanti dollari). Queste armi potevano esere impiegate anche nei giochi gladiatori, attestati da più di 200 iscrizioni latine. Era comunque costoso organizzare dei giochi gladiatori. Ma era un costo che gli aristocratici si sobbarcavano volentieri pur di mostrare il proprio potere e la propria generosità alle folle. Nel 65 avanti Cristo Giulio Cesare assoldò 320 paia di gladiatori per ostentarli nei combattimenti e nella lotta contro le bestie feroci. Ad un altro livello, in un piccolo municipio spagnolo, i magistrati politici sono tenuti per legge a finanziare quattro giorni di spettacoli gladiatori con una spesa di almeno seimila sesterzi (uguali a circa seimila dollari attuali). Il reclutamento dei gladiatori era il più diverso: prigionieri di guerra, carcerati,schiavi, ma anche uomini liberi e di alto grado sociale. Il mestiere era pericoloso, ma portava popolarità e ricchezza, anche se la morte incombeva ad ogni combattimento. Più raramente troviamo donne e nani che fanno i gladiatori per la gioia degli spettatori. Ma agli spettatori l’imperatore Caligola giocò uno scherzo atroce. Poiché mancavano carcerati per combattere contro le belve egli fece scendere nell’arena alcuni del pubblico, dopo avere fatto tagliare loro la lingua … perché non urlassero dal terrore. Lo svolgimento dei combattimenti era regolato da leggi e consuetudini precise che venivano fatte rispettare dal presidente di turno delle gare. Se a un certo punto del combattimento un gladiatore si sentiva soccombente poteva chiedere la grazia che veniva negata quando pubblico e autorità, piegavano il pollice verso terra (pollice verso).
44 P. van Minnen, The Volume of the Oxyrhynchite Textile Trade, in “Münstersche [poi: Marburger] Beiträge zur antiken Handelsgeschichte”, 5, 1986, pp. 88–95; Y. Le Bohec, Armi e guerrieri di Roma antica, Roma 2006, pp. 176–178; Idem, L’esercito romano, Roma 2003, pp. 276–310; M. Rocco, L’esercito romano tardoantico, Padova 2012, pp. 121–123; P. Col. IX (del IV secolo d.C.).
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Ma pare che al pubblico più che il combattimento interessasse il fascino cruento dello sgozzamento del vinto, di una morte violenta evocatrice del primitivo subconscio dell’uomo assassino. Per questo, alle volte, si faceva uccidere anche il vincitore. Dentro questo orizzonte di violenza la breve vita di un gladiatore45 poteva godere i suoi spazi di affettività. Poteva avere una donna convivente, ma anche una moglie e dei figli. Ne è noto uno che ne ebbe quattro. Ci sono arrivate varie epigrafi funebri di donne per il loro compagno gladiatore, quasi sempre morto in giovanissima età (se alcuni campioni sono giunti a vincere più di cento combattimenti, mediamente si stima che non si sopravvivesse oltre i dieci combattimenti), mettendo la donna nella condizione di “donna gladiatoria” (ludia), cioè di compagna di altri gladiatori. Le iscrizioni attestano anche espresssioni di tenerezza: “Verecunda / ludia Luc/ius gladia/tor”46. Su queste donne i gladiatori vincitori esercitavano un fascino seducente come la loro forza, la loro giovinezza e la generosità nel dissipare in festa i prezzi di ingaggio e i premi per la vittoria. Ma anche le grandi matrone erano a volte sedotte dal sogno di un gladiatore: la madre già schiava del prefetto del pretorio Nimfidio47 fu sedotta dal gladiatore Marziano ed ebbe quel figlio importante che assomigliava a lui. Circolava voce che l’imperatrice Faustina avesse concepito con un gladiatore il futuro imperatore Commodo, notoriamente esperto dei giochi gladiatori. La crudeltà era un gusto di moda. I comandanti romani potevano fare bastonare fino alla morte i loro soldati (fustuarium). Ma anche i capi greci avevano il potere di ricorrere alla violenza48. L. Flaminino per divertire il suo giovane amante fece uccidere degli ostaggi Galli49. Cassio scrive in una lettera a Cicerone che Cesare “il clemente” considera l’atteggiamento del gladiator una virtù50. La crudeltà non aveva limiti. Antoninos, un ambasciatore dei Greci di Alessandria d’Egitto presso l’imperatore Traiano, per avere detto qualcosa di inopportuno viene minacciato di essere torturato e fatto bruciare fino alle ossa51, perché le braccia reggono tutto il corpo appeso su una croce. Per i Romani la crudeltà era una libidine52. I ricchi facevano arredare le proprie ville con mosaici raffinati, dove le bestie feroci sbranavano uomini vari. Simili scene venivano riprodotte anche su ceramiche da cucina: colazione e sbranamenti si conciliavano. 45 F. Guidi, Morte nell’arena. Storia e leggenda dei gladiatori, Milano 2006. 46 CIL VII 1335, dalla Britannia. 47 Plutarco, Galba 9. 48 J.Ch. Couvenhes, De disciplina Graecorum, in J.M. Bertrand (ed.), “La violence dans les monde Grec et Romain”, Paris 2005, p. 433 e 454. In generale v. anche: J. Styka (ed.), Violence and Aggression in the Ancient World, Kraków 2006; H.A. Drake (ed.), Violence in Late Antiquity – Perceptions and Practices, Aldershot 2006. 49 A. Lintott, Violence in Republican Rome, Oxford 1999, p. 36; Livio 39,42,8 ss. 50 Fam. XV, 19,4. Eppure anche qui la guerra fu un’ideologia ostentata. A Roma la guerra era giusta, legittima e etica. Il rapporto esercito/società consolidava la politica e la lunga durata dell’impero (P. Desideri [ed.], “Testi greci romani e bizantini sulla guerra e l’impero”, Firenze 2008). 51 H. Musurillo, The Acts of Pagans Martyrs. Acta Alexandrinorum, Acta Pauli et Antonini, col. VII. 52 G. Flamerie de Lachapelle, Torturer à l’antique, supplices, peines et châtiments en Grèce et à Rome, Paris 2013.
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Non solo per il piacere quotidiano di chi poteva permetterselo, ma per un pubblico vasto. Le decine di migliaia di spettatori del Colosseo53, che godevano di spettacoli di morte, dovevano essere per lo più dei proletari. Il Colosseo di Roma fu inaugurato dall’imperatore Tito nell’80 d.C. e in una sola girnata furono sterminati 5.000 animali. Traiano fece di più. Ma non è nulla se si pensa che nel mondo vi erano circa 230 anfiteatri54. Ma il fenomeno è generale. Anche in Nord-Europa la crudeltà era diffusa. Un solo esempio: quando nel 994 i Vichinghi conquistarono una città vicina a Brema uccisero gli abitanti, ma solo dopo tremende mutilazioni55. La guerra è anche paranoia. Fioriscono le varie ipotesi sull’origine della violenza bellica, ma una ricerca sintetica convincente sembra ancora lontana. Anche Clausewitz ha analizzato forme, tattiche e strategie della guerra, ma non le sue radici56. Clausewitz ha tuttavia indagato anche la dimensione antropologica della guerra. Quando afferma che la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi si apre al contesto sociale complessivo e allo spirito primitivo della guerra: la reciprocità e il duello arcaico57. Karl Marx e il “generale” Engels58 ne hanno invece discusso tutta la dimensione sociologica ed economica, mettendo in rilievo come in uno stadio di avanzamento dell’economia il prigioniero, invece di essere sgozzato, può essere trasformato in una forza economica, in uno schiavo, cioè forza-lavoro produttiva59. Quando si costituiscono le comunità sociali la guerra, che Engels, in una lettera a Marx del 12 Luglio 1866 chiama “l’industria del massacro”, diventa essenziale per difendere ed ampliare il territorio su cui sono insediate. Se appare insufficiente la carrying capacity del territorio, perché la popolazione è divenuta troppo numerosa, la guerra diventa necessaria come il lavoro necessario del contadino-soldato, cui a un certo momento verrà pagato uno stipendium, che è la prima forma di salario generalizzato. Si forma anche un territorio (ager publicus che può essere sfruttato dagli individui, ma checome notava Marx nelle pagine note come Formen dei Grundrisse – non si presenta come elemento accessorio dell’individuo (a parte le prevaricazioni abusive), ma, originariamente, come proprietà comune di una tribù, che lo deve difendere contro tutte le altre tribù. Il vincitore può comportarsi in modi diversi. O imporre il proprio modo di produzione (come a volte i paesi capitalisti), o limitarsi a riscuotere una quota fiscale (come gli Ateniesi della Lega Delio-Attica e più tardi gli Ottomani). Oppure percorrere una via intermedia: tasse e nuove aziende. Così fecero i Romani, mentre i Greci non riuscirono a porsi a questo livello se non con Alessandro Magno e l’ellenismo. L’oppressione fiscale era una dimensione incombente anche allora. Lo Stato tentava di aumentarle, i cittadini fuggivano da casa per non pagarle (anacoreti fiscali), perché non possono
53 R. Auguet, Cruauté et civilisation. Les Jeux romains, Paris 1970. 54 R. Rea, Il mondo nel Colosseo, Il Colosseo nel mondo, in A. Giardinaa (ed.), “Storia mondiale dell’Italia”, Milano 2017, pp. 122–126. 55 T. Viljama – A. Timonen – Ch. Krötal, Crudelitas, Krems 1992, p. 140. 56 R. Aron, Clausewitz, Bologna 1991. 57 R. Girard – B. Chantre, Achever Clausewwitz, Flamarrion 2011, pp. 107–143. 58 B. Bianchi (ed.), Economia guerra e società nel pensiero di Friedrich Engels, Milano 1997. 59 Y. Garlan, Guerre et économie en Grèce ancienne, Paris 1989, pp. 202–223: Aperçus de Marx et de Engels sur la guerre dans les sociétés antiques.
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pagare le tasse perché la loro terra era stata allagata, oppure si era desertificata60. Costoro in prigione pativano la fame, oppure potevano essere torturati venendo appesi a testa in giù61. Leggi disattese vorrebbero impedire che i figli possano essere dati in pegno per le tasse, oppure imprigionati. Spesso i monaci cristiani cercano di intercedere, ma non si sa con quale esito. Nel IV secolo è ben conosciuto il caso del monaco Apa Joannes, che tenta varie mediazioni a favore di chi lo implora di avere un’esenzione dal servizio militare. Ma non si sa con quale esito. In un documento62 una recluta che si era mutilato tagliandosi un dito, come era abitudine, per non prestare servizio militare, aveva poi pagato anche 8 solidi di oro come ricompensa, ma ancora non si sapeva l’esito. Queste amputazioni erano una pratica così diffusa che nel 367 d.C. gli imperatori Valentiniano e Valente decretarono che anche i mutilati devono fare il servizio militare63 e poco dopo ribadiscono che chi si taglia le dita per evitare il servizio militare venga bruciato vivo e il suo eventuale padrone venga pesantemente condannato64. Fare la guerra è un dovere come lavorare. Dalla guerra dipende la possibilità di sopravvivenza. Per questo la guerra viene ostentata come un vanto anche da re o faraoni imbelli65. Inoltre per un certo periodo in Egitto non vi fu una netta distinzione tra carriera militare e carriera civile66.Gli scribi estensori delle stele egiziane erano consapevoli di potere essere accusati di falsificazione e facevano di tutto per evitarlo. Nelle iscrizioni della spedizione di Hastsheput a Punt è enfatizzato l’aspetto dello dispiegamento militare egiziano, ma appare comprensibile che la spedizione aveva come fine prioritario quello di intensificare gli scambi commerciali tra Egitto e Punt (Corno d’Africa?) emarginando gli intermediari di un tempo ed evidenziando il ruolo primario degli Egiziani67. Anche nell’Egitto dei faraoni il monarca è rappresentato come supremo leader della guerra68 (del resto ovunque c’è necessità di leader, santoni e ciarlatani), mentre la corte e i nobili sembrano più attenti ai problemi della difesa e non erano direttamente consultati. Tuttavia per lunghi periodi le guerre furono relativamente poche e soprattutto difensive69, anche per merito dei confini egiziani, protetti da mari e deserti, finché con le in60 D. Foraboschi, Economia e società a Narmouthis (Egitto), in “Antichità Altoadriatiche “ 85, 2016, p. 314. 61 J.G. Keenan – J.G. Manning – U. Iftach-Firanko, Law and Legal Practice in Egypt from Alexander to the Arab Conquest, Cambridge 2014, pp. 538–540. 62 P. Herm. 7. 63 Cod. Theod. 7,13,4 64 Cod. Theod. 7,13,5. 65 P. Vernus, Le temps de Seth. La violence et le mal dans l’Egypte ancienne, in “Egypte, Afrique et Orient” 22, 2001; Idem, Idéologie et identité dans l’Egypte pharaonique, in “I quaderni del ramo d’oro” 2, 1998, pp. 9–10; per le epoche precedenti v. L. Bestock, Violence and Power in Ancient Egypt: Image and Ideology before the New Kingdom, New York 2018. 66 A. Spalinger, The organisation of the pharaonic army (Old and New Kingdom), in J.C. Moreno Garcia (ed.), “Ancient Egyptian Administration”, Leiden, 2013, pp. 406–408. Anzi fino al Medio Regno faraonico pare non esistesse un esercito permanente organizzato in varie unità (A.R. Schulman, Military Organization in Pharaonic Egypt, in J.M. Sasson [ed.], “Civilizations in Ancient Near East”, New York 1995, I pp. 289–291). 67 J.M. Galàn, Notes on Egyptian Imperialism ca. 1480–1430 BC (Hatsheput-Amenotep II), in G. Miniaci – M. Russo (edd.), “La guerra e i suoi riflessi nelle società antiche”, Pisa 2008, pp. 13–24. 68 Ci è restata anche l’amara storia di un soldato della 180 dinastia (tra il 1544 e il 1476 a.C. [B. Petty, Ahmose. An Egyptian Soldier Story, Littleton 2014]), un soldato che combatté per trentanni in una vita di drammi. 69 A.J. Spalinger, War in Ancient Egypt, Blackwell 2005, pp. 101–103.
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vasioni asiatiche e libiche anche i templi dovettero subire un fenomeno di militarizzazione70, soprattutto negli ultimi secoli dei faraoni, quando l’impero persiano tentò invano la conquista dell’Egitto, con successi solo intermittenti71. Ma gli imperatori romani soprattutto si presentano come generalissimi. Come Augusto, fine e spietato politico, personalità proteiforme che volle apparire divina72, ma non grande condottiero. Addirittura si addormentò all’inizio della battaglia navale di Nauloco73. Eppure divenne signore del mondo abitato grazie al genio militare del suo amico Agrippa cui diede in moglie l’affascinante e libertina figlia Giulia74 che partorì figli. La guerra incombeva ovunque. Così i Romani stanziarono un corpo militare75 nel deserto libico come avamposto di una nuova espansione verso l’Africa (fino al fiume Niger, secondo le recenti ricerche di M. Liverani76) e difesa contro le tribù sahariane. Dall’altra parte della carta geografica, verso la Scozia, costruirono fortilizi (come Vindolanda) e una specie di muraglia cinese (Vallum Hadriani) per far fronte alle terribili tribù dei Picti, in attesa dei quali generali, mogli e figli conducevano una piacevole vita divertita da gioiose e ben nutrite feste di compleanno77. I confini dell’Impero erano senza limite, o quasi78. Ma la disciplina non doveva incrinarsi: il sofisticato imperatore Adriano va a Lambaesis79, in Algeria, per tenere alle truppe un rigoroso discorso sul quotidiano esercizio dell’addestramento militare80 Nell’epica greca l’uomo (maschio) si mostra sicuro della sua forza e della sua scaltra intelligenza (metis81) è in piena forma, senza esitazioni, non trema ed appare fiero come un ferro fiammeggiante, ma la sua potenza e velocità spariscono davanti alla morte, che è rimpianto della gioventù82. Ė il declino fisico della vecchiaia rispetto alla quale è meglio morire in battaglia, quando il vigore della gioventù è ancora al suo acme, senza i segni della prossima decrepitezza: la morte è un incubo incombente sulla vita. Non basta affermare con Epicuro che quando c’è la morte non ci sono io, mentre la morte è assente quando io ci sono. 70 A.M. Gnirs, Militär und Gesellschaft, 1996. 71 S. Ruzicka, Trouble in the West, Oxford 2012. 72 L. Canfora, Augusto figlio di Dio, Roma – Bari 2015 (Augusto per divinizzarsi proclamò Cesare Divus Julius, ottenendo l’effetto della mummia di Lenin); A. Marcone, Augusto: il fondatore dell’ impero che cambiò la storia di Roma e del mondo, Roma – Salerno 2015. 73 Suetonio, Augusto, 6. 74 L. Braccesi, Giulia, la figlia di Augusto, Roma – Bari 2012. 75 V. O. Bu Njem. 76 M. Liverani, Imperialismo, colonizzazione e progresso tecnico: il caso del Sahara libico in età romana, in “Studi Storici” 4, 2006 pp. 1003–1057. 77 II 291. 78 I Tantillo, 98 d.C. Traiano: l’ impero scopre i suoi limiti, in A. Giardina, “Storia mondiale”, cit., pp. 131–132. 79 M.A. Levi, Le iscrizioni di Lambaesis e l’esercito di Adriano, “RAL” IX 5, 1994, pp. 711–723; A. Galimberti, Adriano e l’ ideologia del principato, Roma 2006, pp. 113–122. 80 Tab. Vindol. II 291. 81 M. Detienne – J.P. Vernant, Le astuzie dell’ intelligenza nell’antica Greci, Roma – Bari 1978, pp. 16–17. 82 J.-P. Vernant, L’ individu, la mort, l’amour, Paris 1989 (1982), p. 25; 57. Non riesco a condividere l’affermazione di una studiosa come J. de Romilly che il politeismo rende assurda l’idea di una guerra di religione e che la cultura greca è ricerca della non-violenza (La Grèce antique contre la violence, Paris 2000, pp. 9–19).
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Crudeltà/vendetta
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Si arriva alla vanagloria del soldato, il Miles Gloriosus, “espugnatore di torri e città” (Plauto), il soldato che esibisce ostentatamente la propria presunta forza e abilità. In un’iscrizione un soldato si vanta di avere attraversato a nuoto il Danubio sotto gli occhi dell’imperatore Adriano, di avere lanciato una freccia, di averla raggiunta e di averla spezzata con un’altra freccia. E conclude: “sono di esempio a me stesso”83. La vanagloria è tipica di certi soldati. Nel 591 a.C. un mercenario greco, di ritorno dall’invasione dell’Etiopia da parte del faraone Psammetico II, giunto ad Abu Simbel, ai confini meridionali dell’Egitto, incise un graffito sulla colossale statua di Ramsess II, lasciando un ricordo di se e dei suoi compagni che dalla Grecia erano arrivati in Africa, fieri della grande avventura, ma irrispettosi della sacralità del luogo e della gamba del faraone su cui incisero un’iscrizione vistosa84. Anche la conclusione della guerra poteva essere atroce, come nel 427 a.C. quando i Greci di Mitilene dovettero capitolare di fronte ai Greci di Atene, già prima alleati. Alcuni proposero uno sterminio, alla fine ci si accontentò di esecuzioni di masse di cittadini, schiavizzazioni, distruzione delle mura, confisca della flotta e di estesi terreni85. Ma la nemesi storica ricadrà su Atene. Quando nell’estate del 405 a.C. alla conclusione della guerra del Peloponneso, appare evidente la vittoria di Sparta gli Ateniesi passano notti senza dormire, piangendo per i loro morti e ancor più per se stessi. “L’incubo era di dovere patire quello che proprio loro avevano inflitto ai Melii, coloni spartani, quando li avevano strangolati con un assedio e poi schiacciati. E lo stesso avevano fatto – ben lo ricordavano – a Estiea, a Kione, Torone, Egina e a molti altri Greci”. La città era alla fame. Gli Spartani sbarcano e tornano quelli che erano stati esiliati. Cominciano a distruggere le mura di Atene instancabilmente, al ritmo delle suonatrici di flauto86. Crudeltà/vendetta La crudeltà è un elemento immanente alla guerra come in tutte le forme di vendetta. La vendetta non è solo una reazione impulsiva, ma una reazione morale e sociale regolata da precise nome, come appare particolarmente chiaro nel Giappone del XVII secolo: “Solo tre erano le eccezioni previste dalla legge shogunale e da quelle di feudo nell’ambito delle quali si poteva far ricorso alla tradizione guerriera della vendetta privata violenta: • bunreiuchi, l’uccisione di un cittadino comune che aveva mancato di rispetto al guerriero; • megatakiuchi, l’uccisione della moglie infedele e del suo amante; • katakiuchi, la vendetta registrata. Queste erano occasioni legittime di intreccio tra violenza e onore87”. 83 ILS 2558; J.E. Lendon, Soldiers and Ghosts, Yale 2005, p. 251; M.F. Speidel, Swimming the Danube under Hadrian’s Eyes, in “Ancient Society” 1, 1991, pp. 277–282. Aquileia fu u centro di diffusione della cultura egiziana anche al di là delle Alpi: M.-Ch. Budischovssky, La diffusion des cultes égypttiens à travers les pays alpins, Udine 1976. 84 H. Van Wees, Greek Warfare. Myths and Realities, London 2004, p. 232. V. ora S. Struffolino, Iscrizione di Abu Simbel, in C. Antonietti – S. De Vido (Edd.), Iscrizioni greche, Roma 2017, pp. 34–39. 85 F.J. Fernandez Nieto, Los acuerdos belicos en la antigua Grecia, Santiago de Compostela 1975, pp. 263–271. 86 L. Canfora, La guerra civile ateniese, Milano 2013, pp. 9–14; Idem, Tucidide, Roma – Bari 2016. 87 R. Marangoni, L’ istituzionalizzazione della vendetta in una società guerriera: l’esempio del Giappone dei Tokugawa (1600–1868): “Il discorso sull’istituzionalizzazione della vendetta in una società guerriera come quella del Giappone feudale di epoca Tokugawa (1600–1858) va inserito e compreso all’interno di uno schema interpretativo che non può prescindere dall’incidenza che il pensiero confuciano ha avuto
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La giustizia era una vendetta regolamentata, non certo una punizione rieducativa, come in tutto il mondo antico88. In età moderna a Roma, come a Firenze, il boia faceva a pezzi il cadavere del giustiziato, per poi, di notte ricomporlo, impossessarsi del grasso dal suo corpo per farne medicinali e infine lasciarlo seppellire89. Ma crudeltà doveva seguire una certa ritualità. Le confraternite seguivano precise regole per ricomporre il corpo del giustiziato: “Rescissa che sarà la testa dal suo busto, il confortatore ch’haverà la tavoletta prenderà quella con tutt’e due le mani per le guance di essa rivoltata in su, e la porrà nel cataletto già preparato, dove nello stesso tempo quattro altri fratelli eletti a portar detto cataletto prenderanno due dalle braccia e due dai piedi il cadavere e lo metteranno in detto cataletto”90. Tutto era avvolto in un’atmosfera religiosa, ma torture, decapitazioni, squartamenti anatomici, che suscitavano l’attrazione del popolo accorso ad osservare questa anatomia ostentata, oppure i corpi lasciati appesi per il maligno voyeurismo di certe masse (famosa la Folie Mericourt della rivoluzione francese, che lascia ancora il suo nome ad una strada di Parigi) erano occasioni di sadismo di massa. A cominciare dal XIV secolo il corpo del giustiziato diviene occasione di anatomia pubblica quando sulla piazza i medici cercano di approfondire la propria scienza e il popolo si gode lo spettacolo degli squartamenti. Ospedali e patiboli diventano botteghe di corpi da sezionare a favore della scienza anatomica o degli studi artistici di uomini come Leonardo e Michelangelo. Lo spettacolo dei corpi si celebrava allegramente soprattutto a carnevale: “qui finalmente il rito della giustizia diventava quella grande festa crudele che era stata frenata e repressa dai rituali religiosi nel giorno dell’esecuzione. Intorno allo scenario teatrale dell’anatomia si faceva festa, si mangiava e si beveva, si godeva una libertà dalle regole che offriva lavoro a ladri e prostitute. E poteva così accadere che dallo sfrenamento degli istinti nascessero nuovi crimini, che una giovanissima donna si trovasse a distanza di nove mesi a partorire e a soffocare un figlio concepito in un androne, frutto di un rapporto casuale: col risultato di ritrovarsi trasformata da spettatrice a protagonista dell’anatomia del carnevale immediatamente successivo”91.
nella società cinese e in quella giapponese. Vengono pertanto analizzate le relazioni umane nel confucianesimo classico e il nodo dato dalla differente prevalenza in Cina e Giappone delle due virtù confuciane fondamentali, la pietà filiale (k¯o) e la lealtà (ch¯u). L’utilizzo strumentale della lealtà come virtù massima del guerriero all’interno della tarda formalizzazione dell’etica samuraica fu promosso dall’élite guerriera nipponica per un maggior controllo sui suoi uomini in arme di cui andava incanalata, domata, la potenziale violenza, già utilizzata per raggiungere l’egemonia e ora temuta come destabilizzante per il benessere e l’armonia dello stato. Si giunse così a un’eccezionale istituzionalizzazione della vendetta che, pur continuando ad essere considerata come un imperativo morale – perché legata inevitabilmente alla concezione elevata della virtù della lealtà – venne via via maggiormente regolamentata attraverso misure restrittive che finirono per limitarla a rarissimi casi. Era la logica dello stato a prevalere nel conflitto fra moralità feudale e governo centrale, o, secondo una definizione cara agli studiosi confuciani, la questione pubblica (k¯o) aveva alla fine la meglio sulla questione privata (shi)”. In “Itinera” 2009, pp. 1–25. 88 E. Cantarella, Eroi, donne, potere tra vendetta e diritto, Milano 2014. Eadem, Il ritorno della vendetta:. Pena di morte: Giustizia o assassinio?, Milano 2007. 89 Prosperi, cit., pp. 394–396. 90 Prosperi, cit., p. 336. 91 Prosperi, Delitto e perdono, pp. 350–352.
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Del resto i giochi gladiatori di Roma antica erano – come si è detto– una libidine di massa per la violenza e si diffusero ovunque, dalla Germania all’Asia Minore all’Africa. I giochi gladiatori erano nati come una forma di cerimonia funebre che può risalire fino ai cruenti funerali che Achille celebra per l’amico Patroclo. Ma con l’Impero romano diventano un pretesto per offrire al popolo, “ felice di vedere scorrere sangue”, uno spettacolo92. La morte, la tortura, la carcerazione erano normalmente concepiti come giusta vendetta sociale, non si pensava nemmeno a un possibile pentimento, una rieducazione: il libro di C. Beccaria (Dei delitti e delle pene, 1764) venne addirittura posto all’Indice93. Il libro prende lo spunto da vari articoli illuministici che P. Verri sintettizzerà in un volume nel 1777 (Osservazioni sulla tortura) La Santa Inquisizione aveva perfezionato con raffinata crudeltà le tecniche del castigo e della punizione, fino agli autodafé e i roghi sulle piazze94. Presunte streghe, stregoni e lebbrosi venivano uccisi in massa95. Le punizioni corporali erano (e in parte sono) considerate uno strumento rieducativo96 e ampliamente praticato contro le donne dentro le mura domestiche. In realtà la pena di morte è uno spazio crudele dove si stravolge il rapporto tra colpevole e giudice perché questo alla fine ribalta il ruolo e diventa il carnefice97. La pena di morte corrispondeva a volte ad una recita crudele e divertita: un condannato veniva vestito da Ercole e quindi bruciato vivo come Ercole con la camicia di Deianira. Oppure gli si faceva recitare la parte di Attis e lo si castrava98. La crudeltà diventava teatralità. Nelle battaglie navali allestite come una rappresentazione gladiatoria si uccidevano migliaia di persone99. La pena di morte diviene spettacolo, come spesso nella storia. Alcune ville romane in Tunisia si ornavano di splendidi mosaici con scene di condannati divorati dalle bestie feroci. Per il piacere degli occhi dei padroni che si dilettavano a vedere corpi sbranati100 e si compiacevano di ostentare le bestie feroci, che esportavano dall’ Africa ed erano anche la loro ricchezza. Del resto i disegni erotici e violenti di Ercolano e Pompei attrassero subito i turisti del 1700. L’esempio veniva dagli imperatori. Tiberio, dopo avere fatto torturare senza sosta un suo ospite di Rodi si dilettò di ogni carneficina. Presso la sua splendida villa di Capri c’era un luogo roccioso da cui, dopo lunghe e “exquisita” torture, i condannati, in sua presenza, venivano precipitati in mare, dove un manipolo di suoi marinai faceva a pezzi i cadaveri101. Inventava anche nuovi generi di tortura: faceva bere a lungo i condannati, poi faceva legare il pene in modo che soffrissero le tremende pene dell’urina repressa. Il corpo è il luogo dove si esercitano tutte le delizie, ma anche tutte le più atroci vendette, dalla decapitazione, alla castrazione, per cui si impiegavano speciali coltelli102, dall’amputazione 92 P. Veyne, L’Empire Gréco-romain, Paris 2005, pp. 550–551. 93 Prosperi, cit., p. 21 94 J. Edwards, Storia dell’ inquisizione, Milano 2006, pp. 50–69. 95 C. Ginzburg, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Torino 1995. 96 G. Geltner, Flogging Others. Corporal Punishment and Cultural Identity from Antiquity to Present, Amsterdam 2014. 97 A. Camus, La ghigliottina. Riflessioni sulla pena di morte, Milano 2018 (19571). 98 K.M. Coleman, Fatal Charades: Roman Executions staged as Mithological Enactments, in “JRS” LXXX 1990, pp. 43–73. 99 Coleman, cit., pp. 70–71. 100 Dal Lago, Carnefici e spettatori, cit. 101 Svetonio, Tiberio, 62. 102 R. Sérida, A Castration Story from the Tebtynis Temple Library, Copenaghen 2016, I,2.
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alla tortura prolungata nel tempo fino alla morte per appendimento (apotympanisnòs)103. La tortura è nemica della morte perché la vittima deve soffrire nel tempo prolungato e il suppizio è uno spettacolo. Pericle dopo avere fatto appendere sulla piazza i prigionieri di Samo per dieci giorni, visto che non morivano li fece uccidere a bastonate104. E’ una forma di crocefissione, cioè un’esecuzione attraverso l’ appendimento del condannato ad una croce che in greco prende nome (stauròs)105 dalla forma della lettera dell’alfabeto tau (T)106. Nella crocefissione la morte non interviene per emorragia attraverso i buchi dei chiodi infissi nei polsi, o nella mano107, ma per soffocamento perché le braccia devono reggere tutto il corpo appeso. Il peso del corpo chiude tutta la muscolatura che seve alla respirazione determinando la morte per asfissia108. Era una pena estrema. Cicerone scrive che non ci sarebbe maggior gioia che vedere i suoi nemici crocefissi109.Sembra, invece, impossibile la crocefissione attraverso l’inchiodamento ad una croce della mano, ma qualcuno sostiene che in Israele è stato trovato uno scheletro di mano trapassato da un chiodo110. Nell’Egitto greco-romano ai vari tipi di esecuzione capitale si aggiungevano quelli della tradizione locale: la decapitazione rituale, il venire “donato” ai coccodrilli e l’impalamento111. Varie erano le tecniche dell’impalamento. Alcuni attaccano le loro vittime a testa in giù, altri fanno passare un bastone attraverso l’ano, altri spezzano le braccia sul patibolo: dopo aver introdotto la punta del palo, questo veniva spinto subito all’interno del corpo del suppliziato, penetrando rapidamente di alcuni centimetri. La progressiva introduzione del palo nel ventre del condannato, avveniva ad opera del boia per mezzo di ripetuti colpi, dati con un pesante mazzuolo all’estremità più grossa del palo. Grazie ad un’adeguata abilità dovuta all’esperienza il carnefice era in grado di guidare i due inservienti su come tirare le funi legate alle caviglie, in modo da mantenere il corpo del condannato nella posizione voluta, durante gli inevitabili sussulti e contorcimenti, per far sì di non ledere organi vitali allo scopo di prolungarne al massimo l’agonia. Sopra la scapola destra gli si formava una protuberanza che il carnefice incideva a croce. Ancora qualche colpo leggero e spuntava la cima del palo rivestita di metallo, restava soltanto da spingerlo finché fosse all’altezza della guancia. Per ultimo, gli venivano legati i piedi al palo in modo che non scivolasse in basso, e a volte il corpo del condannato veniva ricoperto di miele o altre sostanze dolci, in modo da attirare ogni tipo di insetto e aumentare ancor di più la sofferenza del condannato, costretto così a subire anche il tormento delle punture e il fastidio insopportabile causato dagli insetti. Se il fegato, i polmoni e il cuore erano rimasti integri, il condannato era vivo e cosciente. Servendosi di corde gli assistenti del carnefice issavano il palo, in modo che l’estremità più larga 103 A. Allely (ed.), Corps au supplice et violences de guerre dans l’Antiquité, Paris 2014; v. anche H. Van Vees, War and Violence in Ancient Greece, Swanna 2000. 104 Plutarco, Pericle, XXVIII. 105 Un’analisi complessiva della crocefissione è nelle più che 500 pagine di J.G. Cook, Crucifixion in the Mediterranean World, Tübingen, 2015. 106 J.G Cook, Crucifixion in the Mediterranean World, Tübingen, 2015, pp. 2–15. 107 K. Killgrove in “Forbes” 19, 891, sostiene che sia stato trovato uno scheletro di mano trafitto da un chiodo, quindi una traccia di crocefissione; un piede crocefisso sarebbe stato trovato in Italia più di recente (A. Borschel-Dan, in “The Times of Israel’s Jewish World and Archaeology”, Maggio 2018). 108 P. Ducrey, Le traitement des prisionniers de guerre dans la Grèce antique, Paris 1968, pp. 208–209. 109 In Calpurnium Pisonem 42,25. 110 K. Killigrove in “Forbes” 8/12/2015, 19,891. 111 B. Legras, Hommes et femmes d’Egypt, Paris 2010, pp. 244–248.
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si conficcasse in una buca scavata nel terreno, poi lo rinsaldavano con cunei di legno. La morte sarebbe arrivata molti giorni dopo112. Impalare una persona senza ucciderla all’istante è difficile perché il palo deve passare attraverso gli organi vitali senza trafiggerli. Ma era una “scienza” perfezionata nei millenni perché già i bassorilievi assiri mostrano impalamenti accanto a decapitazioni e smembramenti dei cadaveri113, perché decapitazioni e mutilazioni sembrano particolaarmente diffuse tra varie culture di ascendenza nomadica114. Ma anche sul piano più privato esistevano pratiche crudeli. Come la circoncisione delle donne, ovvero l’escissione o clitoridectomia (praticata ancira oggi presso i Masai in Kenya), impropriamente detta “circoncisione faraonica”. Il medico Sorano avrebbe raccomandato a Marco Antonio il taglio del clitoride di Cleopatra per controllare i suoi appetiti erotici eccessivi115. E in Egitto queste pratiche sembrano diffuse116. In Eritrea si circoncideva sia il clitoride che le labbra117. Ma un solo papiro greco ci attesta direttamente questa pratica118. Lo sfondo resta favolistico. Come quando, nel VI secolo d.C., il medico Aetius di Amida scrive119 che lo sfregamento dei vestiti femminili eccita troppo in loro il desiderio di sesso. Da qui la necessità della escissione. Ma violenza e crudeltà si esprimono sopratutto, e in dimensioni di massa, nelle situazioni belliche. Per questo la guerra è stata un sogno del maschio esibizionista. Ancora oggi. D’Annunzio è il “vate” della guerra. Il dandy pre-fascista Boccioni corse ad arruolarsi inneggiando alla guerra: “igiene del mondo” (Marinetti). E morì subito cadendo dalla sua bella cavalla. Gioventù ed eros sfioriscono. La morte è la meta terrificante ed incombente per tutti. Ma è anche uno strumento di potere: morte del nemico, strumento di vendetta, sadico preludio alla voluttà. Esemplare sembra l’Impero romano. La maggior parte degli imperatori muoiono vittime di congiure e tanti sfuggono a congiure ordite e fallite. Per Voltaire “se si fa eccezione per Giuliano e due o tre altri, quale imperatore non infangò il trono con abomini e crimini?”120. Messalina121 da sola fa strage di giovani delle classi nobili, prima di essere uccisa lei stessa da un tribuno impietoso che non le lasciò nemmeno il tempo di suicidarsi122. Vicende normali nei palazzi imperiali. Subito dopo Messalina appare Agrippina jr. che riuscì ad acquisire il ruolo effettivo di donna imperatrice. La sua storia sembra un poco romanzata, ma è comunque fondata su dei suoi scritti autobiografici. Nacque in un accampamento militare presso Colonia, in Germania, dove si trovava il padre Germanico, della famiglia di Marco Antonio. Quando era una bambina l’imperatore Tiberio le sterminò la famiglia e mandò in esilio la madre Agrippina 112 Simile fu il destino di Gesù. 113 Seneca, Dial. 6,20,3; Lettere 14,5; P. Butterlin, Le Proche-Orient ancien, in “Le sacre”, cit., pp. 62–64. 114 Y. Muller, Religion, Empire and Mutilation: a Cross-Religous Perspective on Achemenid Mutilation Practices, in D. Edelman – A.F. Mckinley – Ph. Guillaume (edd.), “Religion in the Persian Empire”, Tübingen 2016, pp. 197–227. 115 A.E. Hanson – M.H. Green, Soranus of Ephesus:Methodicorum Princeps I, in “ANRW” II 37, p. 986. 116 Montserrat, cit., pp.41–43. 117 Legras, Hommes et femmes, cit., p. 127. 118 UPZ I 2,10: “era ora che che Tathemin, secondo il costume dgli Egiziani, venisse circoncisa“. 119 Sulla pratica medica XVI 115. 120 Essai sur les Moeurs, Paris 1963, p. 164 e p. 409. 121 J.-N. Castorio, Messaline, la putain impériale, Paris 2015. 122 Tacito, Annali XI.
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Maggiore, che poi si lasciò morire di fame. Lo stesso Tiberio la costrinse a sposare, quando aveva 14 anni, un uomo che odiava, G. Domizio Enobarbo da cui ebbe un solo figlio, Nerone, prima che morisse nel 40 d.C. A Tiberio Successe Caligola che, forse, la sorella Agrippina assieme all’altra sorella Livilla, cercò di assassinare. Il marito di Livilla fu giustiziato e le due sorelle spedite in esilio a Ponza, mentre il giovane Nerone fu affidato alle cure della zia Domizia, nota per la sua immoralità. Nel 48 Messalina, moglie di Claudio, viene eliminata dal potente ex-schiavo Narciso che poi viene fatto assassinare da Agrippina, la quale a sua volta, giocando sulla sua magnetica bellezza, riesce a sedurre e sposare Claudio, con l’aiuto di un altro potente ex-schiavo, Pallante, che, come Narciso aveva delle tenute fin in Egitto. Claudio incantato da Agrippina designa come suo successore non il figlio naturale Britannico, ma il figlio di Messalina, Nerone che, appena imperatore, liquida anche il proprio fratellastro Britannico. Di ritorno da una festa a Baia Agrippina e la sua amica Acerronia Pollia vennero uccise dai sicari di Nerone, mentre Agrippina porgeva il ventre agli assassini: “protendens uterum ventrem feri exclamavit”123. Sembra il romanzo di una donna quarantenne, bellissima, ambiziosa e senza paura. Ma era la normale vita di corte. E l’omicidio doveva essere una raffinata cattiveria, come nel caso di Cn. Pompeo, fatto uccidere tra le braccia di un giovinetto che amava124. Settimio Severo ordinò che il cadavere di Clodio Albino (un usurpatore) fosse deposto davanti alla sua casa per essere visto a lungo; poi cavalcò sopra il cadavere di Albino. Alla fine ordinò che fosse gettato nel Rodano assieme a moglie e figli125, lo fece decapitare e inviò,la testa appesa a Roma126. Significativo é il caso di Faustina, moglie dell’imperatore-filosofo Marco Aurelio127. Morì attorno ai 45 anni, dopo avere avuto una dozzina di figli e avere spinto Avidio Cassio alla rivolta contro il suo stesso marito e imperatore, che comunque continuò ad onorarla, malgrado le sue follie. Come quando vedendo sfilare dei gladiatori si innamorò in modo infuocato di uno, fino al punto di ammalarsi. Dei maghi Caldei, interpellati dall’imperatore, consigliarono di uccidere il gladiatore e far fare a Faustina un bagno nel suo sangue per poi andare a letto con il marito. La sua fenomenologia appare diversa: violenza carnale, violenza interpersonale, cannibalismo, violenza di gruppo, violenza tra presunte identità diverse e contrapposte, violenza “rivoluzionaria”, sono fenomeni che mostrano un comun denominatore, ma sono radicalmente diversi come uccidere la giovane amante infedele, oppure il tiranno oppressore128. Sembrerebbe che tutta la storia sia percorsa dalla ricerca o dall’invenzione di una identità da contrapporre agli altri. È una rievocazione dei defunti da riproporre come nuovo futuro. Il richiamo all’identità è una specie di neo-romanticismo, un’idea postulata e affermata piuttosto di essere costruita. “Ogni utilizzazione della nozione di identità comincia dalla critica di questa nozione”129. Coì scriveva Lévi-Strauss, pur provenendo da una famiglia ebraica dell’Alsazia dai legami strettamente identitari. Identità è pensare che l’umanità finisca alle fron123 Tacito, Annali VIII 5. 124 Svetonio, Claudio, XXIX 1–2. 125 HA, Severus, XI 8. 126 Cassio Dione VII,3; Erodiano 3,8,1. 127 HA, Marcus Antoninus, XIX. 128 M. Marzano, Dictionnaire de la violence, Paris 2011. 129 Cl. Lévi-Strauss, Race et histoire, Paris 19732, p. 21.
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tiere della mia tribù, come fanno quei “primitivi” che si definiscono “gli uomini”, come se gli altri fossero “i cattivi”, le scimmie130. Già i Greci, che spesso si contrapponevano tra loro con violenza, si costruiscono una coscienza “nazionale” quando devono fare fronte all’incubo della Persia imperiale131. Così nel 479 a Platea circa 300000 Persiani vennero sbaragliati da circa 100000 Greci, che, dopo vari tentennamenti, diffidenze e disunioni, si ricompattarono contro il “barbaro” nemico. L’ideologia dell’identità è che deve essere primordiale, con un’enfasi sul sangue e lo spirito etnico espressione di un territorio. Ma è la regione che crea l’ethnos oppure è l’ethnos, “con le sue pratiche dello spazio” che crea la regione? L’identità primitiva sembra un’identità infelice, drammatica, ma con un alto grado di aggressività. Alla base della civiltà occidentale Greci ed Ebrei si immaginarono come nuovi popoli migranti alla ricerca di terre promesse. Alle volte intere regioni non conservano tracce evidenti dei popoli che le conquistarono. Come nella Galatia dell’Asia Minore dove i Galli non ci hanno quasi lasciato tracce archeologiche dirette della loro presenza. In altri territori passarono i più svariati popoli, come in Egitto, a El-Deir, dove sappiamo che si insediarono Egiziani, Persiani, Greci e Romani senza evidenti criteri etnici locali132. Amartya Senn che da bambino vide entrare nel suo giardino in India un uomo linciato dagli Indu perché era musulmano, scrive riflessioni importanti sul problema:” Molti dei conflitti e delle atrocità del mondo sono tenuti insieme dall’illusione di un’identità univoca e senza possibilità di scelta. L’arte di costruire l’odio assume la forma dell’invocazione del potere magico di una identità …”. Chi non rientra in questa identità ristretta viene considerato un invasore da combattere con ogni mezzo. “L’identità può anche uccidere, uccidere con trasporto. Un sentimento forte – ed esclusivo – di appartenenza a un gruppo può in molti casi portare con se la percezione di distanza e divergenza da altri gruppi. La solidarietà all’interno del gruppo può contribuire ad alimentare la discordia tra gruppi …”133. Sembrano fenomeni di mongoloidismo di massa, ma sono oggi di attualità. “Nessuno ha mai visto la propria tradizione, tantomeno avrà visto la propria identità, ma tutti nella loro vita hanno visto delle radici”134. Cioè una metafora per ribadire ideologicamente che l’autenticità è alle nostre spalle, nel comune passato. Diversamente nel mondo antico. Se gli Ateniesi furono elitisti ed esclusivisti, i Romani furono più liberali, fino al punto di concedere la cittadinanza romana e un sovraccarico di imposte a tutti i popoli che avevano conquistato135. Il conquistatore dell’Egitto, Augusto, disprezzava la cultura del paese, si rifiutava di visitare le tombe dei sovrani (a parte Alessandro Magno) dicendo che non voleva vedere cadaveri, ma re136. Non volle vedere il Dio toro Apis di Memfis, dicendo che era solito venerare Dei e non buoi137. Eppure il mondo romano subì profondi influssi (al di là di qualche disprezzo di intellettuali come Tacito e Giovenale) dalla cultura egiziana. 130 Cl. Lévi-Strauss, L’ identité, Paris 1983 (19771), p. 331. 131 F. Prontera, Geografia e storia della Grecia antica, Firenze 2011, pp. 15–28. 132 I. Malkin,Between Collective and Ethnic Identities: a Conclusion, in “DHA” supp. 10, 2014, pp. 283–289. 133 A. Senn, Identità e violenza, Roma – Bari 2008, pp. XIII e 3. 134 M. Bettini, Radici, Bologna 2016, p. 21. 135 D. Foraboschi – S. Bussi, Integrazione e alterità, Milano 2013. 136 Svetonio, Augusto, XVIII 1; CXIII. 137 Cassio Dione LI 16.5.
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Al fondo il problema sembra essere se esista un DNA, una ereditarietà, della violenza, oppure se la violenza si ricrea storicamente138. Le reazioni emotive sono geneticamente condizionate, oppure sono costruzioni sociali istituzionalizzate?139. Esistono aspetti positivi: La liberazione violenta…La violenza liberatrice …? Il tentativo di realizzare degli ideali comporta comunque una violenza. Nella città-Stato il modo migliore per attaccare la posizione di un rivale era distruggerlo e possibilmente sbarazzandosene anche fisicamente attraverso la morte e l’esilio140. Pericle fu crudelissimo con i suoi nemici che fece torturare e uccidere141. L’ostracismo era un ampio strumento di democrazia. Ma votava solo una minoranza manipolabile e il voto era soggetto a brogli: Temistocle ebbe migliaia di voti contrari, ma alcuni sospetti di broglio perché alcuni ostraka risultano scritti dalla stessa mano e contengono insulti contro la sua presunta omosessualità142. Con i secondi triumviri (Ottaviano, Antonio e Lepido) si supera ogni limite. Ordinano che se qualcuno uccide un proscritto e porti a loro la testa ottenga 25000 dracme nel caso sia un libero cittadino, 10000, oltre la libertà e la cittadinanza del padrone, se è uno schiavo143. Così tutta la città di Roma si riempì di cadaveri dilaniati dai cani, di teste issate sui rostri. Particolare fu la crudeltà di Antonio e di sua moglie Fulvia, su cui i loro avversari insistettero fino a suscitare il sospetto che più che di narrazione storica si tratti di diffamazione politica. La moglie Fulvia, oltre gli assassinii, si prese sulle ginocchia la testa di Cicerone, gli aprì la bocca, ne fece uscire la lingua, dove ficcò le spille dei suoi capelli, mentre lanciava tremendi insulti contro il morto144. Sembra inutile continuare l’elencazione delle violenze antiche. Proscrizioni di migliaia di nemici fatte da imperatori pacificatori, come si proclamò Augusto, attraverso nomenclatores, cioè schiavi dalla memoria prodigiosa che tenevano a memoria, senza lasciare traccia scritta, gli elenchi dei nemici da uccidere145. Uccisioni di migliaia di schiavi impalati lungo migliaia di km di strade (come quando Spartaco venne sconfitto). Nell’Egitto ellenistico, agli inizi del II secolo a.C., i capi dei ribelli sconfitti vengono trascinati nudi sotto le mura della città di Sais prima di essere messi a morte tra le torture.
138 Heritier (ed.), De la violance, cit. 139 J. Le Doux, Il cervello emotivo, Milano 1998, p. 118. 140 M.I. Finley, L’ invention de la politique, Paris 1985, p. 173. 141 Plutarco, Pericle, XXVIII. 142 S. Forsdyke, Ostracism and Democracy, Princeton – Oxford 2005, p. 160; W.V. Harris, Ancient Literacy, p. 54. 143 Appiano, BC, IV, 11,13,53. 144 Cassio Dione, XLVII, 8,4. V. K. Christ, Die Frauen der Triumviri, in A. Gara – D. Foraboschi (edd.), “Il triunvirato costituente alla fine della repubblica romana. Scritti in onore di Mario Attilio Levi”, Como 1993, pp. 139–141. 145 J. Kolendo, Nomenclator, memoria del suo padrone o del suo patrono. Studio storico ed epigrafico, Epigrafia e Antichità, Faenza 1989; A.C. Michel, The “Commentariolum petitionis” as an attack on election campaigns, in “Athenaeum” 97, 2009, pp, 31–57. Così anche in Atene classica: L. Canfora, La democrazia come violenza, Palermo 1982.
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Schiavi fatti uccidere impunemente, come quando nel 61 d.C. il prefetto di Roma Pedanio Secondo, dopo essere sopravvissuto per un breve periodo ad un tentativo omicida da parte di alcuni suoi schiavi, prima di morire ne fa uccidere impunemente 400146. Al contrario altri schiavi catturano il padrone, lo picchiano anche nelle pudenda e lo gettano su un pavimento rovente per accertarsi che fosse morto147. Ma esiste anche la schiavitù volontaria, quella analizzata nel breve libretto di La Boetie148, quella che da un senso di protezione e sicurezza sotto il dominio di un padrone importante per cui la libertà, se ti viene concessa, come nel caso di Melania Jr., viene rifiutata come un pericolo149: “È un fatto davvero sorprendente e nello stesso tempo comune, tanto che c’è più da dolersene che da meravigliarsene, vedere milioni di milioni di uomin asserviti come miserabili, messi a testa bassa sotto un giogo vergognoso non per costrizione di forza maggiore ma perché sembra siano affascinati e quasi stregati dal solo nome di uno di fronte al quale non dovrebbero né temerne la forza [...] né amarne le qualità”.
Schiavi giovinetti venivano violentati allegramente da padroni raffinati, come il poeta Orazio150 che si chiede perché soffrire pene d’amore quando si hanno a disposizione schiavi e schiavette seducenti e disponibili. Perché le schiave potevano servire sia come oggetto erotico che come strumento di riproduzione e questo poteva procurare piacere al padrone e condiscendenza disperata agli schiavi. Oppure lagrime e dolore, come ad Achille, che piange nel suo cuore quando gli rapiscono a forza la sua donna-schiava dalla-bella cintura (Il. 1, 428–430). Il sesso, ovviamente,si accompagna spesso alla fertilità. In Egitto i disegni erotici, itifallici, le raffigurazioni di coitus a tergo per anum, come la donna piegata in avanti, mentre l’uomo le tiene i fianchi dal di dietro, come appare su alcuni graffiti dell’antico Egitto, vanno interpretati come augurio di fertilità151. A livello più basso c’era la pratica quotidiana del furto con violenza sessuale. Il mondo antico sembra uno spazio ampio di ladroni e banditi152. Fino all’inimmaginabile. Un documento del 184 d.C. è una denuncia da parte di una proprietaria terriera perché gli “anziani” del villaggio penetrarono in casa sua, la depredarono e violentarono la sua schiava Sarapiàs (non lei)153.
146 Tacito, Annali XIV 43. 147 Plinio Jr., Epistulae III 14; ma “excipiunt servi fideliores, concubinae cum ululatu et clamore concurrunt”: anche i padroni più odiosi trovano schiavi e concubine fedeli. 148 É. De la Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, Macerata 2004, p. 4 (lo scritto è del ca. 1576 e continua ad avere il successo di varie edizioni). Polibio XXII 17. A.-E. Veïsse, Les revoltes égyptiennes, Leuven – Paris, 2004, p. 160–163: i ribelli egizini del 197 a.C. sono terrorizzati dall’arrivo delle truppe regali e si rimettono alla mercé del re, che, invece, non concede nesuna grazia (Polibio XXII 17). 149 C. Bevegni, Cristianesimo e schiavitù, “Athenaeum” 98,1, 2010, pp. 239–244. 150 D. Foraboschi, Orazio tra latifonddo e sogno contadino, in “Atti Venosa”, Venosa 1993, pp. 219–223; C. Rubiera Concelas, Exclavitud femenina en la Roma antigua: entre la reproducion biologica y la maternidad, in “DHA” 2015, pp. 151–170. 151 Ch. Hue-Arcé, Les graffiti érotiques de la tombe 504 de Deir El-Bahari revisités, in “BIFAO” 113, 2013, pp. 193–202. 152 V. Neri, I marginali nell’Occidente Tardoantico, Bari 1998; Orazio, Epodi IV, 19; Epistulae I, 2,32. Un’epigrafe spagnola attesta un manipolo di ladroni assassini (“ZPE” 192, 2014, p. 306). 153 SB XIV 11904.
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Violenze sociali
La violenza non ha limiti. Basti citare il caso sintomatico di un papiro egiziano del II secolo a.C. È una denuncia contro dei banditi che hanno profanato una tomba, derubato tutti i beni (reato punito anche con la morte154) e, infine, hanno lasciato aperta la porta così che i lupi hanno divorato i cadaveri155. A un più alto livello, sterminatore è un epiteto regale, da sempre: sul propileo del tempio tolemaico di Khonsou a Karnak c’è una scritta significativa: il re è qualificato come “valido nella carneficina” e lo scriba ha il cuore soddisfatto quando ha visto una carneficina156. A Roma si impose che si tenessero spettacoli entro le mura, vicino al Tevere ; come un esorcismo, un rituale di morte, una dannazione157. Il massacro è spesso il compagno glorioso della guerra. Grandi generali, da Alessandro Magno a Cesare, non indulsero a questo vizio. Ma in ogni tempo il vincitore diventava anche il massacratore158. Quando il nemico sta per cedere si scatena il furore guerriero. Immagine della furia guerriera primitiva sono, abbiamo visto, i Berserks, popoli germanici che combattono a piedi nudi, con le spade impugnate, mentre scortano nudi l’imperatore Traiano (raffigurati sulla sua colonna), con un aspetto di selvaggia barbarie159. I corpi dei nemici devastati dalle frecce eccitavano i vincitori. Allora poteva scatenarsi un furore omicida, come accadde a Pidna, quando i Macedoni già sconfitti vengono sterminati dai Romani160. Filippo V di Macedonia fu così tirannico che in un decreto di Atene viene equiparato ai Pisistratidi161. Suo obiettivo sembra fosse quello di togliere tutto ai nemici, distruggere le piazze, i porti, le città, gli uomini, le navi, i raccolti, tutte le cose. La sua marcia attraverso il Peloponneso non è che devastazioni e massacri162. Ma già durante le lotte per la successione di Alessandro Magno i seguaci vengono sterminati, mentre fuggono, dai Romani163; (i perdenti) sono bruciati vivi a centinaia, uccisi nei templi dove avevano sperato rifugio, crocifissi e, nel più fortunato dei casi, venduti come schiavi …164 Non è diverso in India. Sotto il re buddista Asoka (fine III secolo a.C.) in uno dei suoi editti scritti anche in greco per fare propaganda di buddismo e diete vegetariane tra i nemici, si dichiara pentito dei massacri di bramini e nemici, massacri che gli avevano, però, permesso di costruire ed imporre un impero buddista165. Ma oggi sono rinati i monaci militari “buddisti” (sōhei)166. E tra gli induisti il tridente (Trishula) di Shiva è una chiara immagine militare. .
154 U. Laffi, In greco per i Greci, Pavia 2013, pp. 51–52. 155 UPZ 187, del 127/126 a.C. La profanazione delle tombe era punibile con la morte. V. U. Laffi, cit. 156 F. Labrique, Violence et émotions en Égypte ancienne, in P.H. Borgeaud – A.C. Rendu Loisel (edd.), “Violentes émotions”, Genève 2009, p. 71 e p. 78 (lo scriba è soddisfatto quando ha visto una carneficina). 157 D.G. Kyle, Spectacles of Death in Ancient Rome, London – New York 1998, pp. 270–271. 158 El. Kenz, Le massacre objet d’ histoire, Paris 2005. 159 M.P. Speidel, Ancient Germanic Warriors, London 2004, pp. 60–66. 160 X. Lapray, Les violances corporelles dans les batailles rangées, in A. Allely (ed.), “Corps au supplice et violence de guerre dans l’antiquité”, Bordeaux 2014, pp. 137–149. 161 Livio XXXI 44. 162 Polibio V 11 163 Livio XXXXIV, 42. 164 Diodoro XIX 63; 103. 165 XIII editto. V. J. Bloch, Les Inscriptions d’ Asoka I, Paris 1950. p. 124: “150000 persone sono state deportate; 100000 sono state uccise; molte volte questo numero sono morte”. 166 B.D. Victoria, Lo Zen alla Guerra, Roma 2001.
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Crudeltà/vendetta
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Comunque anche i Romani, che celebravano i trionfi militari, si compiacevano dei massacri compiuti. Del resto i fratricidio, il rapimento in massa delle donne, erano posti all’origine di Roma e lo spettacolo dei gladiatori che si uccidevano davanti al popolo romano forniva la sicurezza di un impero senza fine167. Ma anche i condannati avevano i loro diritti, come quello di non pagare le tasse che potevano ricadere sugli eredi168. Anche allora, però, le gare erano spesso truccate pagando una cifra a chi era disposto a perdere anticipatamente cadendo, nel wrestling, tre volte per finta. A questo proposito si hanno anche documenti di ispezioni ufficiali di medici che attestano se una persona era stata picchiata, lasciando tracce di abrasioni o di frustate sulla schiena169. La crudeltà militare si accentua quando con certe religioni monoteistiche (Ebraismo, Cristianesimo, Islam) l’esercito diviene strumento per l’espansione e la difesa dell’unica religione di Stato, senza libertà religiosa. Come i preti e gli sciamani il guerriero sente di compiere una missione divina, un dovere sanzionato dalla sua comunità170. Il XVI libro del Codice Teodosiano dogmatizza l’idea di fede cattolica e anima i vandalismi dei cattolici, che distruggono i templi di Bel ad Apamea e il Serapeo di Alessandria d’Egitto, dove le statue non furono soltanto distrutte, ma anche rubate171 e dove la filosofa platonica Ipazia fu linciata172. Ma già prima, nel 388 d.C., le masse cattoliche della città di Callinico (Al-Raqqa) in Siria, erano state spinte dallo stesso vescovo, ad incendiare la sinagoga degli ebrei e una cappella gnostica. L’imperatore cristiano Teodosio li vorrebbe punire, ma S. Ambrogio lo attacca pubblicamente, con dure parole antisemite (secondo la tradizione cattolica successiva a S. Paolo), contro i “traditori Ebrei”173, sostenendo che giustamente lui stesso aveva ordinato di distruggere anche la sinagoga di Milano174. Del resto già all’iizio dell’egemonia cattolica, nel 315, viene condannata la “setta bestiale” dei Giudei175. Gli Ebrei furono gli unici ad opporsi con tenace autenticità sia ai Greci, sia ai Romani sia anche alla Chiesa cattolica. Per gli altri,comunque, anche se i Romani vincitori potevano subire gravi perdite erano sempre oggetto di ammirazione. Il celta Vercingetorige morì in prigione. Arminio, l’orgoglio dei tedeschi, fu umiliato da Germanico, figlio dell’imperatore Tiberio… Così tutti, in varie forme, si romanizzarono.
167 M. Zimmermann, Violence Reconsidered, in H.A. Drake (ed.), “Violence in Late Antiquity”, Adelshot 2006, pp. 346–347: durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo ci sarebbero state quasi 15 milioni di persone eliminate (la cifra sembra irrealistica, come se mezzo Impero fosse stato spopolato). 168 P. Petaus 9, 10–18: si chiede la riduzione delle tasse di due condannati ad bestias (essere divorati dalle bestie). 169 P. Oxy. LXXIX 5209, del 267 d.C. ca.; P. Oxy. LXXX 5296. 170 J.F. Shean, Soldiering for God. Christianity and the Roman Army, Leiden – Boston 2010. 171 P. Athanassiadi, Vers la pensée unique, Paris 2010, p. 100. 172 S. Ronchey, Ipazia: la vera storia, Milano 2011. 173 Lettera 40, 8 e 18. 174 Lettere 40 (all’imperatore) e 41 (racconta il fatto alla sorella). Vedi S.L. Greenslade, Early Latin Theology, Westminster 1956, pp. 226–250. 175 Codex Theodosianus, 16, 8, 1 e 6.
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Violenze sociali
In Giordania, a Wadi Rum, leggiamo su un’ iscrizione rupestre del II d.C.: “I Romani vincono sempre. Io Laurikios ho scritto. Salve Zenone”176. Anche sulle rupi del deserto veniva celebrata l’invincibilità dei Romani… Ma l’eccesso di fortuna può essere rischioso. È quanto emerge dalla storia favolistica di Policrate tiranno di Samo nel VI secolo a.C.177 Le sue fortune erano famose e il re d’Egitto Amasi strinse con lui un’amichevole alleanza. Ma tale era la fortuna di Policrate che Amasi gli consigliò di liberarsi di un oggetto prezioso per evitare un pericoloso eccesso di fortuna. Allora Policrate gettò in mare un anello prezioso. Ma un pesce che lo inghiottì venne pescato da un pescatore che lo riportò a Policrate, che informò del fatto Amasi178 il quale si preoccupò e decise di sciogliere l’amicizia con Policrate perché un uomo così fortunato non poteva che finire male e lui non voleva soffrire delle disgrazie di un amico. Di fatti Policrate fu catturato da un tiranno e crocefisso179. Violenza/Emancipazione “Il mostro non dorme sotto il letto. Il mostro può dormire accanto a te”. (Anonimo)
Il risvolto positivo della violenza può anche essere il colonialismo, che originariamente è un fenomeno di violenza e sfruttamento180. Lo stesso Marx, con alcuni articoli scritti per la New York Tribune ammise il ruolo di rivoluzione sociale del colonialismo inglese in India, che dissolse le precedenti ed oppressive vecchie società pur tra nuove violenze e nuove oppressioni. E questo sembra vero sia, per certi aspetti, per quanto riguarda quello moderno, come quello britannico, sia anche il fenomeno antico delle colonie greche e romane che si impiantavano (ed emarginavano) sopra uno strato precedente di indigeni repressi ed acculturati. Così una civiltà più potente e composita si diffuse nel Mediterraneo. Il capolavoro di questo imperialismo furono i Romani, che alla fine diedero la cittadinanza a tutti i popoli conquistati dentro una forma di “imperialismo democratico”, come lo definì Gramsci. Al di là delle drammatiche denunce di Mitridate e di Calcago un imperialismo si impose ovunque con violenza e impose nuove imposte181 che i sottoposti cercarono di evitare con la ribellione o la fuga per evasione fiscale. Le stesse operazioni di censimento venivano viste con diffidenza, in quanto mezzi di registrazione a fini fiscali, compreso l’obbligo per gli emigrati di tornarsene alla casa di origine, come la Madonna e Giuseppe.
176 IGL Syr 21,4. 177 Erodoto III, 40–45. 178 A. Mastrocinque, Il destino di due re sconfitti nella storiografia antica, in F.M. Simon – F. Pina Polo – J.R. Rodriguez (edd.), “Vae Victis! Perdedores en el mundo antiguo”, Barcelona 2012, pp. 57–61. 179 Erodoto III 40–43. 180 R. Rawat, Marx on British Rule in India, Fall 2005. D. Foraboschi, Guerra, Rivolta, Egemonia, Milano 2000. 181 Per iniziare con il periodo romano-repubblcano v. D. Musti, Polibio e l’imperialismo romano, Napoli 1978; E. Gabba, Aspetti culturali dell’iperialismo romano, Firenze 1993; E.S. Gruen, The Hellenistic World and the Coming of Rome, Berkeley 1984 (Roma sarebbe divenuta un impero senza avere avuto volonta di potenza???); V.W. Harris, War and Imperialism in Republican Rome, 327–70 B.C., Oxford 1989.
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Violenza/Emancipazione
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Secondo Filone Alessandrino182 la violenza degli esattori fiscali non conosceva limiti. Se degli evasori fiscali venivano catturati erano poi puniti in mezzo alla pubblica piazza con tale crudeltà che qualcuno tra il pubblico tentava di evitare lo spettacolo suicidandosi, con veleni o pugnali. L’alto Egitto si ribellò subito contro il primo governatore romano, il poeta Cornelio Gallo, che, però, in poco tempo sciolse la ribellione con tanta esaltata gloria da infastidire il Senato e finire costretto al suicidio183. Ma alla fine si formò un impero che in quanto pagano viene criticato dai Padri della Chiesa, ma esaltato in quanto glorioso passato di Roma184. Sidonio Apollinare nel 478 d.C., dopo la caduta dell’impero d’occidente scrive, senza drammatizzazioni, che dopo la fine del Senato “solo la cultura sussiste”185. Sembra che l’Impero romano sia caduto “senza rumore”. Ce ne si accorse solo mezzo secolo dopo con storici come Eugippo, Procopio, Conte Marcellino, quando Giustiniano progettò di ricomporre l’impero universale186. Roma aveva già subito il saccheggio di Alarico, favorito da una matrona romana che per pietà del suo aspetto barbarico gli aprì le porte187 e quello di Genserico, ma la deposizione di Romolo Augustolo da parte di Odoacre fu fatale: lentamente la popolazione della città si era ridotta da un milione a centomila abitanti188, per diventare nel Medioevo poco più di un villaggio. L’enorme contrazione degli abitanti, dovuta a guerre ed epidemie, è ben attestata dai cimiteri di massa e dalla crescita del numero dei tesoretti monetari non recuperati. Terremoti ed epidemie attraversarono tragicamente la storia di Grecia e Roma189. Ma le stesse furono anche la causa di vicende drammatiche. L’imperialismo romano, come il colonialismo greco ebbero aspetti positivi, cioè un fiorire delle ricchezze e delle culture che animò una memoria coloniale che spesso è favolistica190 e che deforma gli eventi storici fino al punto che, in epoca musulmana, la crudeltà più efferata venne stravolta in generosità191. Questo vale anche per le colonie greche che si insediarono numerose in tutto il Mediterraneo e oltre: ovunque portarono una grande cultura, ovunque estirparono gli indigeni, percepiti come una comunità inferiore, simili alle scimmie, come gli abitanti di Pithecusa (Ischia), ap182 De Specialibus legibus, III 159 ss. 183 Strabone XVII 1, 53; A. Jördens, Staathalterische Verwaltung in der Römischen Kaiserzeit, Stuttgart 2009, pp. 68–70; pp. 68–70; F. Hoffman – M. Minas-Nerpel – S. Pfeifer, Die dreisprachige Stele des C. Cornelius Gallus, Berlin 2009; S. Bussi, L’Égypte et la Nubie eau tournant de la domination romaine: pour une lecture politique de la trilingue de Philae, (in stampa); P. Gagliardi, Cornelio Gallo all’alba del terzo millennio. Bibliografia per gli anni 2000–2013, in F. Rohr Vio – E. M. Ciampini (edd.), “La lupa sul Nilo. Gaio Cornelio Gallo tra Roma e l’Egitto”, Venezia 2015, pp. 163–211; P. Gagliardi, La presunta damnatio memoriae di Cornelio Gallo, in “Historia” 66, 2017, pp. 65–82. 184 H. Inglebert, Les Romains chrétiens face à l’Histoire de Rome, Paris 1996, pp. 674–688. 185 Sidonio Apollinare, Epistulae 2. 186 S. Rebenich, Late Antiquity in Modern Eyes, in S. Rousseau (ed.), “A Companion to Late Antiquity”, Oxford 2009, p. 78. 187 Procopio, B.V., I 2, 27. 188 J. Harries, Sidonius Apolinaris and the Fall of Rome: AD 407–484, Oxford 2002, p. 156. 189 M. Mc Cormick, Tracking Mass Death during the Fall of Rome’s Empire, in “JRA” 28,1 2015, pp. 563 ss.; J. Toner, Roman Disasters, Cambridge 2013 (trad. it. Milano 2018). 190 M. Giangiulio, Memorie coloniali, Roma 2010. 191 Il terribile califfo al-Hakim che, intorno al mille d.C., distrusse chiese e sterminò i cristiani, nelle “Mille e una notte” appare come protettore dei cristiani copti. (L. di Anna, Elogio della crudeltà, in T. Viljamaa – A. Timossen – Ch. Krötzl (edd.), “Crudelitas”, Krems 1992, p. 85.
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Violenze sociali
punto l’isola delle scimmie, come apparivano gli indigeni ai Greci. E il fenomeno si riproporrà quando gli Spagnoli conquistarono l’America centro-meridionale e si posero il problema se gli Amerindi fossero bestie o umani192. Le complesse dinamiche di questa forma di colonialismo si possono cogliere nella storia della piccola città greca di Focea, fondata su suolo microasiatico da cittadini greci di Eretria e Teos., che divennero cittadini cittadini della Focide193. La città espanse i suoi commerci fino all’occidente estremo, fino alla fondazione di Marsiglia intorno al 600 a.C., sospinti ad Occidente dai propri traffici e dall’avanzata dei Persiani in Asia Minore194. La sua gente si era insediata in parte in Corsica ad Alalia. Attorno alle sue acque nel 540 a. C. (circa) affrontarono le flotte congiunte di Etruschi e Cartaginesi e riuscirono vittoriosi195. Ma, come scrive Erodoto, fu una “vittoria di Cadmo”, cioè una vittoria con tali perdite da rasentare la sconfitta (come le “vittorie di Pirro”). Parte cercò rifugio a Massalia (Marsiglia), dove non fu ben accetta sia dai Liguri che dai Celti196, parte fondò Elea in Italia197. Senza limite fu il loro spirito di avventura. Nel IV secolo a.C. Pitea di Marsiglia navigò fino alla mitica Thule, nel Settentrione estremo dell’Europa, alla ricerca di commerci, della preziosa ambra e di nuove conoscenze geografiche198. In Gallia il dialogo coi Liguri fu praticamente nullo. Ma anche coi Celti, espressione di culture diverse con cui i Greci non amavano lo scambio, anzi preferivano imporre il proprio imperialismo mercantile199, formando delle clientele dipendenti già a cominciare dall’età arcaica 200. Per parte loro i Greci, malgrado la xenofilia ostentata di Pericle201, saranno insensibili alla cultura celtica, mentre i Celti, malgrado le ostilità, appaiono molto più aperti. Non soltanto alla cultura del vino202 e alla sua ebbrezza. Ma anche alla coltivazione delle vigne: il termine charax/ charassa, che indica il palo, o la canna, che sostiene il vigneto arriva in Egitto e, forse,attraverso i Focei, in Piemonte, dove persiste nel parlato, e in parte dell’Europa meridionale, compresa la Svizzera 203.
192 193 194 195 196 197 198 199
V. Foraboschi – Bussi, Integrazione e alterità, pp. 21–22. L. Antonelli, Traffici focei di età arcaica, Roma 2008, pp. 15–24. Antioco di Siracusa in Strabone VI 1,1 (FGrH 555). Erodoto I 166. M. Clerc, Massalia, Marseille I, 1927, pp. 151 ss. Antonelli, cit., pp. 220–221. St. Magnani, Il viaggio di Pitea sull’Oceano, Bologna 2002. M. Clavel Levêque, Marseille grecque. La dynamique d’un impérialisme marchand, Marseille – Paris 1977; A. Giardina – A.J. Gurevič, Il mercante dall’Antichità al Medioevo, Roma – Bari 1994, pp. 10–11; N.K. Rauh, Senators and Business in the Roman Republic 264–44 B.C., Ann Arbor 1988; A. Tchernia, Le plebiscitum claudianum, in J. Andreau – V. Chankowski (edd.), “Vocabulaire et expression de l’économie dans le monde antique”, Paris 2007, pp. 253–278. 200 L.-Fr. Gant, L’apport des fouilles récentes à l’ étude de l’ économie massaliète, in M. Bats – G. Bertucchi – G. Ganges – H. Treziny (edd.), “Marseille grecque et la Gaule, Provence 1992, pp. 173–177. 201 Tucidide II 39, 1. 202 Che già presso i Greci era raffinata e conosceva i vitigni del Merlot e del Cabernet che tramanderà ai Romani (C. Jung – V. Bell, Un espace rurale antique dans le territoirede la cité de Béziers, Montpellier 2017, p. 112). 203 P. Mil. Vogl. VII, 308.
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Violenza/Emancipazione
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Al di là del vino, l’impatto imperialistico, ma anche creativo, greco-celtico lo troviamo nell’iconografia monetaria, dove i Celti ricreano in affascinanti stili espressionistici la moneta dei Focei di Marsiglia. Come dice Giustino204 i Galli ormai si ellenizzano e la loro moneta si diffonde205. Decine di kg di oro, proveniente da non si sa dove, vengono coniati “in forma greca” nella Gallia settentrionale206. Comunque la politica di Roma verso i Celti fu durissima e violenta, anche per contrastarne l’aggressività che li aveva portati ad egemonizzare gran parte dell’Europa. Quante regioni dal nome Galizia o affini si trovano dalla Spagna fino alla Turchia 207? Ma alla fine i piccoli contadini italici ebbero ragione dei giganteschi Celti. Già nel 225 a.C. a Talamone208 i Celti, che a volte combattevano nudi, vennero sconfitti e sterminati in una battaglia che resterà famosa, ricordata da D’Annunzio, da Mussolini e anche da U. Bossi, che si schierò dalla parte dei Celti, antichi ascendenti della Lega Nord 209. Esemplare è la vicenda dei Celti Boi, provenienti dalla Boemia 210. Dopo varie peregrinazioni si stanziano in Emilia-Romagna, attorno alla città di Felsina, che cambiò il nome in Bologna 211. Si formò quindi una cultura e uno stile di vita affine tra i Celti transalpini e quelli italici. Esemplare è l’adozione e la diffusione del bracciale da caviglia 212. Ma una volta che vennero sconfitti i Senoni e fondata la colonia romana di Sena Gallica, i Boi sopravvissuti a queste guerre vennero estradati verso la terra di origine, la Boemia, quelli almeno che sopravvissero alle stragi compiute dai Romani213; mentre secondo Strabone214 i Boi forse sarebbero stati completamente sterminati durante le continue guerre contro i Daci. Ma la loro città, Bologna, nel 196 a.C. diventa colonia romana e riaccende la cultura del territorio. Ma in generale Roma fu generosa coi Celti, che divennero un pilastro del suo potere e ottennero la cittadinanza di pieno diritto. Il discorso di Lione dell’imperatore Claudio215 è la dichiarazione più esplicita della scelta politica di Roma a favore delle aristocrazie imperiali, a cominciare dalle élites dei Celti, che possono entrare in Senato, malgrado le opposizioni degli Italici gelosi dei loro privilegi originari, che saranno presto messi in minoranza dalla massiccia cooptazione delle élites greche. Il sistema 204 XLIII 4. 205 K. Gruel, La monnaie chez les Gaulois, Paris 1989; A. Pautasso, Le monete preromane dell’Italia settentrionale, Aosta 1991; M. Feugère – M. Py, Dictionnaire des monnaies découvertes en Gaule méditerranéenne: 530–27 av. notre ère, Paris 2011. 206 N. Roymans – G. Creemers – S. Scheers, Late Iron Age Gold Hoards from the low Countries of the Caesarian Conquest of Northern Gaul, Amsterdam 2012, p. 17. 207 E. Lesssing – V. Kruta, Les Celtes, Friburg 1978 (a p. 25 gli insediamenti Celti). 208 Polibio II, 28–30. 209 G. Della Monaca, Talamone 225 a.C. La battaglia dimenticata, Grosseto, 2012, pp. 170–171. 210 P. Drda – A. Rybova, Les Celtes de Bohême, Paris 1995 (p. 122: I Celti Boi furono i più duramente colpiti dalle vittorie di Roma, che ne confiscò buona parte del territorio costringendo la maggioranza dei Boi a ritornare nelle zone danubiane di origine (v. però G. Brizzi, Boii, in “Der Neue Pauly” 2, 1997, pp. 730 ss.). 211 Strabone IV 195; V 216. 212 Kruta, cit., p. 25, 50, fig. 60. 213 Plinio, NH, III 116. 214 V 213 215 CIL XIII 1668.
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Violenze sociali
greco-romano si fondava sulla preminenza di aristocrazie spesso intelligenti, a volte esaltate in modo quasi ridicolo, come in Dione Chrisostomo che vede i nobili (i migliori) come i donatori di ogni bene216, a cominciare dall’acqua e dal pane: “Felici, ridenti e amanti della danza [dovete essere]. Dal momento che non automaticamente sprizza il vino a voi assetati da una qualche pietra o da una fonte. Né il latte e il miele potete facilmente avere smuovendo la terra con la punta delle dita. Neppure l’acqua vi giunge qui automaticamente e neppure la focaccia avete certo in vostro potere; ma anche questo prendete dalle mani dei migliori [i nobili]. Così che è ugualmente opportuno per voi porre fine alle danze bacchiche e adattarvi maggiormente a loro [i nobili?]. Ora prestate ascolto solo alla nota musicale e alla zampogna”
Le élites dei Celti vennero precocemente integrate: già al tempo di Cicerone; con Calpurnio Pisone, raggiunsero il consolato, e nemmeno un secolo dopo le guerre galliche di Cesare vennero completamente integrate. Il già citato discorso di Claudio è la più esplicita espressione di questo illuminismo dei dominatori: “Una volta i re governarono questa città, tuttavia capitò che non la tramandassero a successori interni. Sopravvennero personaggi diversi e alcuni esterni, come (indubbiamente vicino, ma allora straniero) venendo dai Sabini, successe a Romolo. Come Tarquinio Prisco successe ad Anco Marcio. Quello a causa del sangue contaminato, perché era nato da Demarato di Corinto e da una madre di Tarquinia, di buona famiglia ma povera (come quella che ebbe necessità di soccombere a un tale marito) siccome in patria era tenuto lontano dalla gestione di cariche onorifiche, dopo che emigrò a Roma conseguì il regno. Anche a costui e al figlio o al nipote di lui (infatti anche su questo ci sono discrepanze tra gli autori) successe Servio Tullio – se seguiamo i nostri autori – nato da Ocresia, schiava di guerra. Se invece seguiamo gli Etruschi, egli era un sodale fedelissimo di Celio Vivenna, compagno di tutte le lue imprese. Successivamente spinto da una diversa fortuna con tutti quelli che erano sopravvissuti dell’esercito celiano uscì dall’Etruria, occupò il monte Celio, e lo chiamò così dal nome del suo comandante Celio. Cambiò quindi il nome – infatti in etrusco il suo nome era Mastarna – fu chiamato come ho già detto e con sommo beneficio per lo Stato ottenne il regno”217.
I Greci, invece, consideravano quasi tutti gli altri dei barbari e vivevano nel timore di imbarbarirsi (ekbarbarotesesthai), come scrive il re della Battriana (Afganistan) ad Antioco III di Siria 218. E gli “altri” tendevano ad ellenizzarsi, sedotti da una cultura sentita come superiore. Così un indiano di Kandahar, nel II secolo a.C., scriverà versi in un greco traballante e si farà chiamare Sofutos, per sembrare più greco219. Questo senso di superiorità della cultura greca creò anche forme di incomunicabilità interna tra polis e polis e tra i diversi status sociali: accanto alla guerra di conquista è sempre esistita la guerra civile. In Grecia la guerra civile (stasis)220 è quel momento in cui si estingue la distinzione tra famiglia e Stato, perché emerge solo la contrapposizione nemico-nemico entro cui era inevitabile collocarsi per conservare la propria figura di cittadino221. Nelle lotte civili uccidere un fratello è 216 217 218 219 220 221
Agli Alessandrini 59. CIL XIII 1668. Polibio XI 34. SEG 54, 1569. V. R. Mairs, The hellenistic far East, Berkeley 2015. N. Loraux, La cité divisée, Paris 1997. G. Agamben, Stasis, Torino 20015.
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solo uccidere un nemico. Ė la stessa logica che sottende il terrorismo mondiale moderno, anche quando le matrici sono originariamente tribali. Ma come successe ad Atene nell’ultimo decennio del V sec. a.C. durante le guerre civili tutti i limiti vengono travolti: il popolo si divide in varie fazioni, o resta inerte, gli stessi tiranni e gli oligargìchi si dividono o restano assenti222. L’abbiamo già osservato: nell’epica greca l’uomo (maschio) si mostra sicuro della sua forza; ma la sua potenza e velocità spariscono davanti alla morte, che è rimpianto della gioventù.223 Ė l’incombente vecchiaia rispetto alla quale sembra meglio morire in battaglia, quando il vigore della gioventù è ancora al suo acme, senza i segni della prossima deprimente decrepitezza. Per questo la battaglia è spesso stata amata dal maschio estetizzante. Anche se la morte appare un incubo tragico. La guerra fu una pratica costante di tutti i popoli. A lungo ci si affaticò nei dibattiti sulla guerra. L’esito è sotto i nostri occhi: non ci si ricorda quasi più degli stermini e delle torture della guerra in Jugoslavia di qualche anno fa, per restare in Europa. Migliaia di persone hanno continuato a morire in guerra anche dopo l’elaborazione del concetto di “guerra giusta”224. Gesù Cristo disse di porgere l’altra guancia a chi ti percuoteva sul viso.Non si sa se qualcuno l’abbia mai ascoltato. La tenace elaborazione sul concetto di Bellum justum è spesso servita a giustificare ogni tipo di sterminio, perché servì a superare l’interpretazione estremistica in chiave pacifista dei Vangeli per aprire alcune possibilità di guerra (ben limitate in S. Agostino225) che poi non conobbero più confini. Da un passato di guerra si passa a un futuro di guerra. Del resto anche i popoli del Nord (Vichinghi, Normanni…) erano maestri di barbarie: saccheggiare, depredare, uccidere, massacrare, cavare gli occhi, amputare mani, piedi e nasi erano la base della loro civiltà 226. Ogni pretesto è buono per scatenare guerre. Nell’Egitto romano gli abitanti della città di Ossirinco si massacrano in guerra con gli abitanti di Cinopoli perché gli uni avevano mangiato il pesce sacro ossirinco e gli altri, dopo averlo offerto in sacrificio, il cane sacro di Cinopoli, la città del cane227. Così anche in Italia si accendevano sanguinosi scontri campanilistici, come quello tra Pompei e Nocera, esploso per motivi da stadio e finito in una strage atroce228. Alle volte queste violenze potevano assumere dimensioni inaudite, tali da dover essere chiamate antropofagia piuttosto che guerra 229. Secondo Giovenale in Egitto (che lui odiava) i vincitori di queste guerre campanilistiche non riuscivano ad aspettare la cottura delle carni dei nemici e mangiavano i cadaveri crudi230. Ma sono informazioni poco attenndibili, come quando Strabone (XI 8,6) scrive che presso alcune tribù dell’Asia i vecchi venivano portati nel quartiere 222 L. Sancho Roher, Sociologia de la stasis, in “Athenaeum” 104,1, 2016, pp. 5–30; 104,2, 2016, pp. 373–396; L. Canfora, La guerra civile ateniese, Milano 2013. 223 G.M. Cantarella, Manuale della fine del mondo, Torino 2015. 224 R.J. Hoffmann, La guerra giusta e la jihad. La violenza nel Giudaismo, nel Cristianesimo e nell’Islam, Milano 2011. 225 A. Calore, Agostino e la teoria della “guerra giusta”, in A. Cassi (ed.), “Guerra e diritto”, Soveria Mannelli 2009, pp. 15–16. 226 G.M. Cantarella, Manuale della fine del mondo, Torino 2015. 227 Plutarco, Moralia 380B, De Iside et Osiride 72. 228 Tacito, Annales XIV 17. 229 P. Oxy. XLII 3065 del III d.C. Anche i conflitti sociali potevano assumere i connotati della guerra (PSI 4, 286,5 del III/IV d.C.). 230 Satire XV 80–84.
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commerciale della carne di montone per essere mangiati pure loro come carne da macello, come ancora (lo abbiamo già visto) nel Congo del secolo scorso. Siamo sul ridicolo lacrimoso. Ma anche la notte di S. Bartolomeo e la storia di Montaillou (nel racconto di E. Le Roy La Durie) sono sull’orlo del tragico e dell’assurdo. La violenza rivoluzionaria è l’evento che rende possibile l’esistenza dell’inesistente, di popoli che vivono in una oppressione oscura e muta 231. Ma quando qualcuno vince può stravolgersi in dittatura: allora il vincitore elimina il peggio, ma non costruisce il meglio. Anche se “solo la violenza può servire dove regna la violenza”232. La rivoluzione francese fu l’inizio della nostra democrazia moderna, ma anche la festa della violenza, spesso spettacolo di masse che accorrevano ad ammirare la ghigliottina e le teste mozze dei decapitati. Nel 1961 J.P. Sartre, nella prefazione ai “Dannati della terra” di Frantz Fanon (originario della Martinica), glorifica la violenza liberatrice, pur con qualche perplessità rispetto alla convinzione fanatica di F. Fanon che sognava che, dopo la guerra di liberazione dell’Algeria, la violenza rivoluzionaria imminente avrebbe liberato l’Africa (rivoluzione africana faavorita dall’islam) e il mondo233. Nel 1961, a 36 anni, nello stesso anno in cui usciva il suo libro più famoso, Fanon moriva di leucemia in un ospedale USA. Intanto ancora l’Algeria, dopo la violenza colonialista e quella islamista, aspetta la violenza liberatrice234. Difatti, nella postfazione dell’edizione del 2002 del libro di Fanon, Mohammed Herbi sostiene che per Fanon, che faceva parte del movimento antipsichiatrico, è dalla parte della follia che si trovano un’autenticità e una verità, perché espressione della rivolta contro il potere coloniale e contro la violenza della psichiatria (elettrochoc …). La critica delle armi e le armi della critica devono allearsi235. Ma la violenza, come diceva W. Benjamin, mostra un volto ambiguo: l’impiego di mezzi violenti per raggiungere mete ideali può spesso fermarsi alla prima fase sanguinaria 236. Nel mondo antico brigantaggio, pirateria e ribellismo furono una costante. Ma assunsero raramente forme radicalmente drammatiche, come nel Tardo-Antico col fenomeno dei Bagaudae. Una crisi economica, sociale e politica la osserviamo nel Delta del Nilo attorno agli anni 160 d.C.: i villaggi si spopolano, le tasse non si pagano, addirittura l’autorità ne autorizza la non riscossione237. Malattie epidemiche (la peste antonina) e le rivolte contadine, quella dei boukoloi (banditi cannibali che vivevano sulle barche) di cui ci parla anche Achille Tazio, sono alla radice di questa anarchia 238 che giunge al punto di interrompere le comunicazioni tra Alessandria e il resto del Paese239 e a proclamare un sacerdote come proprio re240. 231 232 233 234 235
A. Badiou, Il risveglio della storia, Milano 2012, p. 52. B. Brecht, Santa Giovanna dei macelli. A. Badiou, Il risveglio della storia, Milano 2012, p. 52. D. Macey, Frantz Fanon. Une Vie, Paris 2011, pp. 485–488. V. Carofalo, Un pensiero dannato. Frantz Fanon e la politica del riconoscimento, Milano – Udine 2011, p. 10. 236 M. Tomba, Attraverso la piccola porta. Quattro studi su Walter Benjamin, Milano 2017, pp. 34–65; W. Benjamin, Per la critica della violenza, Roma 2010, p. 59. 237 K. Blouin, Triangular Landscape, Oxford 2014. 238 4,12–13. Ma la letteratura è spesso favolistica: T. Polanski, The Boukoloi Uprising, or how the Greek Intellectuals Falsified Oriental History, in J. Styka (ed.), “Violence and Aggression in the Ancient World”, Krakow 2006, pp. 149–164. 239 P. Mich. VIII 510. 240 Cassio Dione LXXI,4.
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Nell’Egitto ellenistico ci furono rivolte che durarono decenni. A cominciare dal II secolo a.C., quando comincia a spegnersi l’aspetto progressivo del colonialismo greco. Le rivolte erano scoppiate per un diffuso dramma sociale241 che si coniugava con certe forme di nazionalismo egiziano e produceva migliaia di morti242. Ma la violenza di militari contro preti e civili era storia di normale quotidianità, mai si svolgeva in rivoluzione politico-sociale. Quando gli Ebrei si ribellarono (117–118 d.C.) Greci ed Egiziani si allearono con i dominatori Romani contro i ribelli. Solo gli Ebrei furono continuamente in rivolta a cominciare dal II secolo a.C. con i Maccabei contro i Greci seleucidi per finire nel II secolo d.C. sotto Lucio Vero, in Mesopotamia, assieme ai Parti contro i Romani243. La loro idea di popolo eletto e terra promessa precorre il nazionalismo e anima questo ribellismo secolare. Nel III Oracolo sibillino si esprime tutto l’odio orientale contro l’Occidente244. Sono più di 800 versi contro i Greci e i Romani. I Romani sono chiamati Sebastenoi (Sebastoì) e il loro mostro è Beliar (Nerone?). Roma subirà una punizione tremenda (vv. 350–364): subirà esazioni tre volte superiori a quelle imposte agli altri popoli, una punizione di venti volte maggiore rispetto alle persone rese schiave e di diecimila volte maggiore rispetto ai debiti imposti. Ma vendetta non mancherà e Roma sarà ridotta a una strada. E non diversa sarà la sorte della Grecia, non madre di beni, ma allevatrice di bestie (464–488): un’orda di barbari porterà loro distruzione. Il testo è di origine egiziana giudaizzante, ma non può essere datato con precisione perché appare un conglomerato, un’antologia di profezie varie che si possono datare dal II secolo a.C. fino all’inizio dell’Impero romano. Il tempo delle profezie è spesso atemporale. Anche i numeri assumono un valore simbolico: quando si parla del settimo re dell’Egitto è impossibile tentare di individuarlo: anche qui il numero ha un valore simbolico come il settimo giorno, cioè il Sabato degli Ebrei. Particolarmente problematici sono i versi 75–92. Qui la Sibilla esalta una vedova che domina (despoina) su tutto l’universo. Potrebbe alludere a Cleopatra che restò vedova del marito-fratello Tolemeo XIII. Ancora Cleopatra potrebbe essere colei che avrebbe vendicato L’Asia contro Roma e l’Occidente (350–380) portando prima distruzione e, quindi, una pace universale. Ma se Cleopatra ebbe mai tali ambizioni, tuttavia fallì nella realizzazione. Qualcuno ha congetturato che il personaggio che l’oracolo profetizza come liberatore fosse Mitridate . Ma è possibile vedere in lui una padrona e nel suo massacro di decine di migliaia di Romani e Italici una premessa del regno della pace? Malgrado questo ribellismo le comunità giudaiche appaiono sempre in crescita. Così sembrerebbe per la grande comunità di Alessandria d’Egitto, anche se non sono attendibili fonti arabe che parlano di 40 mila Ebrei ancora nel 642 d.C.245. 241 C. Préaux, Esquisse d’une histoire des révolutions égypttiennes sous les Lagides, in “Ch.d’Eg” 11, 1936, pp. 522–552. 242 A.E. Veïsse, Les “révoltes égyptiennes”: Recherches sur les troubles intérieurs en Égypte du règne de Ptolémée III à la conquête romaine, Leuven – Paris 2004; B.C. McGing, Revolt Egyptian Style. Internal Opposition to Ptolemaic Rule, in “Arch. PF” 43, 1997, pp. 273–314. 243 G. Brizzi, 70 d.C. La conquista di Gerusalemme, Roma – Bari 2015, p. 315. 244 V. Gruen, in Gli Ebrei nell’ impero romano, cit., pp. 56–76. 245 Ch. Haas, Alexandria in Late Antiquity, Baltimore – London 1997, pp. 111–113.
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Comunque erano numerosi: occupavano un intero quartiere e nel 414/415 d.C. si scontrarono ancora più volte con i pagani e assalirono con le spade i cristiani loro vicini, finché per l’intervento del patriarca Cirillo furono rase al suolo le loro sinagoghe e la comunità fu espulsa. Cirillo era una forte e violenta personalità. Fu lui l’animatore dei movimenti cristiani che portarono al linciaggio della filosofa Ipazia, che venne prima torturata nella Grande Chiesa e poi bruciata 246. Lo scontro ideologico pagani/cristiani, anche se i padri della chiesa attinsero molto dalla filosofia greco-romana, fu a volte violento, e sul tema delle torture e dei tormenti nasceranno anche dei romanzi dei martiri,come lo pseudo-Nilo247. Già alla fine del II secolo d.C. (forse nel 177) abbiamo uno scritto di Atenagora violentemente anti-pagano248. Atenagora scrive che bisognerebbe che costoro, i pagani, se volessero considerare terribile l’unirsi sfrenatamente e indistintamente, avrebbero orrore di Zeus, che generò figli tanto con la madre Rea, tanto con la figlia Kore-Persefone e sposò poi la sorella Hera – Giunone. Per non parlare di Krono che tagliò i genitali del padre Urano249. Indubbiamente la mitolagia classica mostrava aspetti bestiali e primitivi anche nella sapiente ricostruzione di J.-P. Vernant250: “Urano [il cielo] non cessa mai di disseminarsi nel seno di Gaia [la terra]. L’Urano primordiale non conosce altra attività se non quella sessuale. Coprire Gaia enza sosta, per quanto è nella sua potenza: non pensa che a quello, e non fa che quello.La povera Terra si trova allora incinta di una prole numerosa che non può nemmeno uscire dal suo grembo, che deve restare là dove Urano l’ha concepita”.
Gaia non riesce nemmeno a liberare il suo grembo dallla sua prole. Ma uno di questi Titani, “Cronos dai pensieri scaltri” riceve in dono dalla madre un falcetto di bianco acciaio. Con questo Crono castra il padre che lancia ululati di dolore mentre viene scaraventato in cielo dove continua il suo sesso irrefrenabile con Gaia, generando altri Titani e figli che lui stesso divora. Finchè Zeus l’astuto sconfigge tutti i nemici col lampo del suo sguardo folgorante. Ma il disprezzo era contraccambiato. Tacito, in un brano famoso251, afferma che gli Ebrei nutrono un “hostile odium” contro tutti gli altri, così alcuni imperatori li sterminarono. Non era così originariamente . In I° Maccabei c’è un inno alla potenza di Roma; Cleopatra e Marco Antonio furono filogiudaici, truppe ebraiche vennero in soccorso di Cesare bloccato ad Alessandria durante il Bellum Alexandrinum252. 246 Ch. Haas, cit., p. 91 e p. 312; S. Ronchey, Ipazia: la vera storia, Milano 2011. 247 F. Conca, Per un’edizione critica di Nilo, Narrationes, in “ACME” 31,1, 1978, pp. 38–57; M. Link, Die Erzählung” des Pseudo-Neilos: ein spätantiker Matirerroman, München – Leipzig 2005. 248 M. Marcovich, Athenagoras, Legatio pro Christianis, Berlin – New York 1990, XX,1. 249 F. Massa, In forma di serpente. Incesti, mostri e diavoli nella condanna cristiana dei culti dionisiaci, in V. Andò – N. Cusumano (edd.), “Come bestie?”, Caltanisetta – Roma 2010, pp. 235–256. 250 L’universo, gli Dei, gli uomini, Torino 2014, pp. 12–14. 251 Historiae V 5. 252 L. Canfora, Il presente come storia, Milano 2014, pp. 195–199 (la fonte è Flavio Giuseppe, Antichità XIV 137–139, che utilizza un frammento delle Storia di Strabone; OGIS 129; P. Bingen 45, del 33 a.C.; B. Legras, Autour du papyrus dit de Cléopâtre: les prostagmata lagides et les interactions romano-égyptiennes, in S. Bussi (ed.), “Egitto dai faraoni agli Arabi”, Milano 2013, pp. 159–172; S. Bussi, Cléopâtre et la chora égyptienne: probémes économiques et socieaux, in “Byrsa”, 29–30/2016–31–32/2017, pp. 15–36.
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Dopo secoli di propaganda antigiudaica senza spargimento di sangue iniziò con le espulsioni da Roma di 4000 Ebrei, con un Senatus Consultum del 19 d.C.253, un lungo periodo di conflitti sanguinosi in cui persero la vita migliaia di Ebrei, che comunque seppero a lungo tenere testa ai greco-romani254. Anzi nel VI secolo d.C. si costituì un regno ebraico nel Sud dell’Arabia (il regno di Himyar) che fu protagonista di massacri di cristiani, che a loro volta sotto la guida del negus Kālēb tentarono di invadere il regno ebraico255. Nel II secolo il filosofo Celso scrisse un trattato contro i Cristiani (Alethes logos, il discorso vero) sostenendo che Gesù era originario di un piccolo villaggio della Giudea, figlio di una contadina accusata di adulterio con un soldato romano di nome Panthera 256, da cui ebbe un figlio, Gesù appunto, che poi fuggì in Egitto, dove apprese le arti magiche257. L’interessante è che questo Panthera padre di Gesù pare lo si trovi solo nel Talmud (e forse in una iscrizione della Germania 258 oltre a varie altre dell’impero259) che Celso doveva conoscere e riappare presso certi antisemiti come R. Wagner (e lo stesso Hitler), che scrisse anche un pamphlet contro i musicisti ebrei260, per accogliere gli aspetti positivi di Cristo (v. Parsifal), che non potevano, secondo il delirio antisemita essere ebraici261. La polemica pagana contro il cristianesimo fu subito vivace e più articolata della ripulsa di Tacito262. Porfirio, platonico come Celso, nel III secolo d.C. pubblicò un libro Contro i Cristiani, di cui ci restano alcuni frammenti citati soprattutto da Eusebio di Cesarea, che gli aveva risposto con un libro andato perso, Contro Porfirio. Seguiranno anche le risposte di S.Agostino e S. Gerolamo, perché la critica pagana era sottile e filologica. Porfirio dimostra, come risulta anche a noi, che il profeta Daniele non profetizzava niente perché era uno storico del II secolo a.C. e non un profeta del VII–VI secolo a.C. Le sue erano profezie a posteriori263. D’altra parte le persecuzioni contro cristiani non furono sempre spietate264. Quelle di Decio furono a volte burocratiche e formali, come attestano una cinquantina di papiri che conservano 253 Svetonio, De vita XII Caesarum, Tiberius 36; Schäfer, cit., p. 258. 254 Z. Yavetz, Judenfundschaft in der Antike, München 1997, pp. 100–101; S. Cappelletti, The Jewish Community of Rome from the Second Century B.C. to the Third Century C.E., Leiden 2006. 255 G. W. Bowersock, Le Trōne d’Adoulis, Paris 2014, pp. 106–107. Anche in Marocco sorsero forti comunità ebraiche nel tardo-antico e fino ai nostri giorni (H. Zafrani, Ėtudes et recherches sur la vie intellectuelle juive au Maroc. De la fin du 15è au début du 20é siècle, Paris 2003 [l’opera complessiva è in tre volumi]). 256 P.Schäfer, Jesus in the Talmud, Princeton 2007, pp. 15–25. 257 I 7. 258 CIL XIII 7514, una tomba: Tib(erius) Iul(ius) Abdes Pantera Sidonia ann(orum) LXII stipen(diorum) XXXX miles exs(ignifer?) coh(orte) I sagittariorum h(ic) s(itus) e(st). Ma l’ipotesi mi sembra poco attendibile 259 A. Deissmann, Light From the Ancient East Or The New Testament Illustrated by Recently Discovered Texts of the Graeco Roman World, London 2003 (19271) pp. 73–74. 260 L. Distaso, Il giudaismo in musica, R. Wagner, Milano – Udine 2016. 261 D. Foraboschi – S. Bussi, Integrazione e alterità, Milano 2013, p. 97. 262 Historiae V 5. 263 A. Magny, Porphyry in Fragments, Dorchester 2014, p. 79. 264 Sulle persecuzioni più tarde v. P. Gemeinhardt – J. Leemans (edd.), Chrystian Martyrodom in Late Antiquity, 300–450 AD, Berlin – Boston 2012.
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dichiarazioni non autentiche di avere compiuto i sacrifici e venerato gli imperatori. Quando i cristiani si rifiutavano di fare sacrifici agli Dei venivano perseguitati265. Ma alcuni furbescamente riuscivano a farli compiere da parenti266. Questo dà un poco la dimensione del fenomeno, anche se molti cristiani furono torturati a morte, come Origene, dopo che lui stesso si era castrato per non commettere peccati267. Economia della violenza Non tutti gli imperialismi, frutto di guerre vittoriose, possono portare profitti duraturi. Ci sono anche le vittorie di Pirro. Più in generale, il colonialismo spagnolo in America, dopo una prima fase di arricchimenti, si trasformò in crisi economica, crollo del valore dell’argento e di tante ricchezze, anche se, invece, il colonialismo imperiale perdura 268. Il Portogallo da grande impero intercontinentale è ridotto a una piccola nazione dell’Unione Europea. L’imperialismo (o le annessioni) dell’URSS di Stalin non si tradussero (come subito aveva capito Beria) in sostanziali rapine a spese dei paesi “fratelli”. Anche il colonialismo greco antico trasformò il Mediterraneo, ma senza grandi vantaggi per le poleis fondatrici. Semmai vi furono forme di imperialismo all’interno delle leghe, come quello di Atene all’interno della lega Delio-Attica, che si concludevano spesso con bilanci pubblici precari269. Forse diverso è il caso di Roma antica che da villaggio divenne insieme di villaggi e poi si trasformò in capitale sontuosa di un impero trans-continentale. Ma le cifre dei costi e ricavi delle guerre sono imprecise e discutibili, anche perché, come diceva già Livio, si può dare poca fiducia ad uno scrittore in una questione di numeri270. Ma le sue stese cifre non sembrano attendibili e accurate, anche in considerazione del fatto che pur essendo un buon conoscitore del greco quando traduce Polibio a proposito della battaglia di Cinocefale scrive che i fanti macedoni gettano a terra le lunghe lance (sarisse) per combattere più agilmente con le spade, mentre Polibio aveva correttamente scritto che i fanti al momento del combattimento abbassano le lance dalla posizione verticale della marcia a quella orizzontale dello scontro, quando devono infilzare il nemico271. Patrick Marchetti ha tentato un bilancio della seconda guerra punica tra il 214 e il 202 a.C.272 Il passivo sarebbe ammontato a 65.000.000 di denari, cioè, secondo le equivalenze ricostruite da R.W. Goldsmith273, a circa 260.000.000 di dollari. L’attivo sarebbe invece stato di 39.000.000 di denari, cioè circa 156.000.000 di dollari. 265 P. Oxy. L 3529. 266 P. Oxy. XXXI 2608. 267 Eusebio, Historia ecclesiastica, VII, I. 268 C.M. Cipolla, Conquistadores, pirati, mercatanti. La saga dell’argentto, Milano 2011. A. Pagden, Signori del mondo, Bologna 2005, pp. 126–127. 269 L. Migeotte, Les finances des citées grecques, Paris 2014, pp. 675–684. 270 XXXXVI, 38: “in numero scriptori parum fidei sit”. 271 Polibio 11,16; Livio 33,8,9. 272 Histoire économique et monétaire de la deuxième guerre punique, Bruxelles 1975, p. 275; N. Rosenstein, Rome at War, North Carolina 2004, pp. 108–140, minimizza invece i costi delle guerre. V. il fondamentale breve saggio di M. Crawford, War and Finance, in “JRS” 1964, pp. 29–32. 273 Sistemi finanziari premoderni, Roma – Bari 1990, pp. 44; 67–70.
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Cifre imprecise e dubbiose per la frammentarietà e contraddittorietà delle fonti antiche, ma forniscono un ordine di idee: dopo una lunga guerra alla fine vittoriosa Roma perse 104.000.000 di dollari, cui si deve aggiungere il valore monetario di decine di migliaia di morti in guerra e i conti in rosso del bilancio dello Stato274. Un calcolo ipotetico ma interessante e originale tenta anche L. Loreto275 per la prima guerra punica impiegando l’appossimazione di un numero indice276: MARINA
ANNO
ESECITO
TOTALE
I PERIODO 264
2
2
263
2.6
2.6
262
idem
261
idem
II PERIODO 260
1.8
2.12
4.1
259
1.5
1.3
2.8
258
idem
3
4.5
257
idem
2
3.5
256
4.6
3
7.6
255
3.9
2
5.9
254
4.3
2
6.3
Si tratta di approssimazioni aritmetiche, molto utili, da cui risulta che il bottino di guerra non fu quasi mai esorbitante, anzi, al contrario, le casse dello Stato vittorioso andarono, a volte, in crisi. Ma la guerra fu un investimento per il futuro: in pochi decenni l’armata romana avrebbe conquistato tutto il Mediterraneo, con nuove terre da sottoporre a tributo e dove trapiantare migliaia di coloni italici e militari congedati. Il passivo di una guerra vittoriosa si trasforma in attivo. Ma per i soldati stanziati in zone di confine la vita era sempre penosa. A Vindolanda, nell’Inghilterra settentrionale, nel registro della prima coorte dei Tungri (gallo-germani) troviamo 296 soldati presenti su 752, ma di questi 31 non sono abili per il servizio, 15 sono malati, 6 sono feriti e 10 soffrono di infiammazioni agli occhi277, altri conducono una vita anche festos, hanno mogli, figli e celebrano i compleanni278 con cibi e vini raffinati. Certo non tutte le guerre ebbero un simile andamento. 274 T.Ñ. del Hoyo, Roman Economy, Finance and Politics in the Second Punic War, in D. Hoyos (ed.), “A Companion to the Second Punic War”, Oxford 2011, pp. 379–391. 275 La grande strategia di Roma nell’età della prima guerra punica, Napoli 2007, p. 215. 276 Ibid.: “Come numero indice si assume il costo di un esercito consolare (2 legioni + 2 ali sociali) incluso il vitto corrisposto alle corrispondenti ali alleate, pari a poco meno di 200 talenti, in cui viene arrotondato”. 277 Tab. Vindol. I 154. 278 Tab. Vindol. II 291.
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Violenze sociali
Tra il I e II secolo d.C. gli imperatori condussero varie campagne militari costose per la conquista della Dacia. Ma alla fine il bottino, “l’oro dei Daci”, fu forse solo un mito. Ma anche qui non saranno mancate gioiose feste per i compleanni, con consumo anche di birra e di vini importati279. Si sviluppò così un volontarismo e un combattentismo di massa: gente che vedeva nell’esercito uno strumento normale di professionalità, meglio remunerata del mestiere del contadino280. Militarismo che si innestava sopra la più antica tradizione dell’eroe-guerriero, di cui presero parte anche donne, come Camilla o le mitiche Amazzoni281, per la conquista di terre e bottini. Ma già nel II secolo a. C., con le guerre di conquista in Grecia, i Romani avevano conosciuto ed apprezzato la ricchezza 282 alimentando il loro spirito imperialistico. Dopo le disfatte contro Mitridate283, le campagne di Pompeo in Oriente dovettero permettere la conquista di terre e bottini. Addirittura, con la conquista dell’Egitto, fu tale la nuova liquidità disponibile da determinare un rialzo dei prezzi percepibile anche dai contemporanei284. Nel 70 d.C., con la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio venne portato a Roma un bottino sontuoso, come pare risultare dai rilievi dell’arco di Tito. Così le celebrazioni dei trionfi erano il momento e lo spazio dell’ostentazione delle nuove ricchezze imperiali. E il fenomeno continuò nei secoli: Settimio Severo ampliò al massimo i confini dell’impero, che si estese dalla Scozia al Centrafrica 285, fino al tracollo di Roma e delll’Occidente nel 476. Tracollo fatale, di cui pochi presero coscienza, anche se forse nessun impero durò mai così a lungo. Pur attraverso svariate crisi le casse dello Stato furono così pingui da permettere a Nerone di sognare di esentare l’amata Grecia dal pagamento delle tasse286. Tuttavia il costo della guerra continuò a aumentare. Nel II secolo d.C. si contano circa 30 legioni di 5000 uomini l’una, cui si aggiunge la guarnigione di Roma e circa 200000 ausiliari, 279 Tab. Vindol. I pp. 51–71; II pp. 47–54. 280 E. Gabba, Le rivolte militari romane, Firenze 1975, pp. 14–15. 281 G. Arrigoni, Camilla, amazzone e sacerdotessa di Diana, Milano 1982, pp. 33–37; Ch. Runenberger, Der Tod und das Mädchen, Berlin 2015, pp. 65–105. 282 E. Gabba, Allora i Romani conobbero per la prima volta la ricchezza, in “Del buon uso della ricchezza”, Milano 1988, pp. 19–26. 283 F. de De Callataÿ, L’ histoire des guerres mithridatiques vue par les monnaies, Louvain la-Neuve 1997. 284 Svetonio, Augusto 41: “Liberalitatem omnibus ordinibus per occasiones frequenter exhibuit. Nam et invecta urbi Alexandrino triumpho regia gaza tantam copiam nummariae rei effecit, ut faenore deminuto plurimum agrorum pretiis accesserit, et postea, quotiens ex damnatorum bonis pecunia superflueret, usum eius gratuitum iis, qui cavere in duplum possent, ad certum tempus indulsit. Senatorum censum ampliavit ac pro octingentorum milium summa duodecies sestertium taxavit supplevitque non habentibus. 2 Congiaria populo frequenter dedit, sed diversae fere summae: modo quadringenos, modo trecenos, nonnumquam ducenos quinquagenosque nummos; ac ne minores quidem pueros praeteriit, quamvis non nisi ab undecimo aetatis anno accipere consuessent. Frumentum quoque in annonae difficultatibus saepe levissimo, interdum nullo pretio viritim admensus est tesserasque nummarias duplicavit”. 285 V. il già citato M. Liverani, Imperialismo, colonizzazione e progresso tecnico: il caso del Sahara libico in età romana, in “Studi Storici” 2006,4, pp. 1003–1057. 286 D. Foraboschi, Moneta ed economia nella politica di Nerone, in “Neronia” VI, Rome à l’époque néronienne, Bruxelles 2002, pp. 421–431; D. Foraboschi, Vicino ed estremo Oriente, forme dello scambio monetale, in “Moneta, Mercanti, Banchieri” Pisa 2003, pp. 137–143; D. Foraboschi, Vicino ed estremo Oriente, forme dello scambio monetale, in “Moneta, Mercanti, Banchieri”, Pisa 2003, pp. 137–143.
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Economia della violenza
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per un totale di quasi mezzo milione di soldati. Il costo del soldo si aggirava attorno ai 170 milioni di denari287, equivalenti a circa 680 milioni di dollari, secondo i calcoli, approssimativi ma significativi di Goldsmith288. Ma anche i Romani subirono disfatte tremende289. Decine di migliaia (più di 100000290) di soldati furono uccisi da Annibale. Annibale, pure lui uomo di valore e crudeltà disumani, avrebbe spinto i suoi soldati a mangiare i nemici o a passare su ponti costruiti con i cadaveri dei nemici uccisi291. Non solo. Il 9 Giugno del 53 a.C. nella battaglia di Carre contro i Parti persero, secondo Appiano292, ventimila legionari. È vero che, come dice Livio293, gli scrittori sono poco attendibili quando forniscono numeri, ma la disfatta rimase nella memoria fino ad oggi. Le legioni romane erano allora costituite prevalentemente da soldati greco-orientali abituati ad una vita dissoluta e spaventati alla prima vista dei nemici294 e non seppero resistere. In certe situazioni resistere non serve. Ancora nel 9 d.C. più di tre legioni romane furono annientate da alcune tribù di Germani guidate da un ex-ufficiale dell’esercito romano, Arminio (oggi Hermann, un nome diffusissimo in Germania), nella selva di Teutoburgo. I Germani non erano all’altezza dei Romani, ma alcuni si erano addestrati nell’esercito imperiale e i Romani commisero l’errore di addentrarsi in una selva dove non potevano evitare gli agguati nemici, che erano dei primitivi denominati Berserks. Vestivano di pelli di orso o di volpe, portavano lunghi capelli e combattevano a piedi nudi,o completamente nudi. Secondo la tradizione erano in preda ad una pazzia estatica di guerra e combattevano urlando come animali, anche di notte, come fantasmi o come animali e come 287 D. Rathbone, Warefare and State, in H. Van Wees, “The Cambridge History of Greek and Roman Warefare”, Cambridge 2007, p. 174; G. Brizzi, Canne, Bologna 2016. Annibale era un uomo eccezzionale.. 288 “Plurimum audaciae ad pericula capessenda, plurimum consilii inter ipsa pericula erat. Nullo labore aut corpus fatigari aut animus vinci poterat. Caloris ac frigoris patientia par; cibi potionisque desiderio naturali, non voluptate modus finitus; vigiliarum somnique nec die nec nocte discriminata tempora; id quod gerendis rebus superesset quieti datum; ea neque molli strato neque silentio accersita; multi saepe militari sagulo opertum humi iacentem inter custodias stationesque militum conspexerunt. Vestitus nihil inter aequales excellens: arma atque equi conspiciebantur. Equitum peditumque idem longe primus erat; princeps in proelium ibat, ultimus conserto proelio excedebat. Has tantas viri virtutes ingentia vitia aequabant, inhumana crudelitas, perfidia plus quam Punica, nihil veri, nihil sancti, nullus deum metus, nullum ius iurandum, nulla religio. Cum hac indole virtutum atque vitiorum triennio sub Hasdrubale imperatore meruit, nulla re quae agenda videndaque magno futuro duci esset praetermissa” (Livio XXI 4). 289 N. Rosenstein, Rome at War, Chapel Hill – London, 2004, pp. 110–111. V. anche F. Cavaggioni, Vae Victis. Il problema della sconfitta militare a Roma durante lo scontro con Annibale, Bologna 2013. Nei primi anni dell’invasione di Annibale Roma perse circa 100 mila uomini (G. Brizzi, Annibale, strategia e immagine, Spoleto 1984, p. 148). 290 G. Brizzi, Annibale, cit., p. 218. 291 Livio XXI,4; Polibio 24,8. 292 Guerre Civili, II 18. 293 XLVI 38. 294 G. Brizzi, Préface a G. Traina, Carrhes, Paris 2011, pp. X–XI; Idem, 70 D.C. La conquista di Gerusalemme, Roma – Bari 2015, pp. 36–46. Malgrado tutto, questa leggenda dei Parti invincibili ha attraversato i secoli, anche se in seguito i Romani si presero varie rivincite fino al III secolo d.C., quando invece nel 260 l’imperatore Valeriano venne catturato e umiliato da Shappur I che lo fece raffigurare nei rilievi di Bishapur (Persia), prostrato ai suoi piedi.Alla fine nel VII secolo d.C. la vicenda si concluse con la vittoria dell’imperatore Heraclio che abbatté l’impero dei Parti, aprendo però un varco ad Arabi e Turchi. Vittoria o sconfitta?
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Violenze sociali
animali violentavano donne e anche principesse295. Eppure erano arruolati negli eserciti regolari romani e anche raffigurati sulla colonna di Traiano296. È impossibile fare un bilancio da ragioniere su costi e ricavi delle guerre condotte da Roma. Comunque l’Urbs divenne una metropoli di circa un milione di abitanti, spazio di innumerevoli monumenti dove affluivano le ricchezze di tutto il mondo come retoricamente enfatizza nel II secolo dopo Cristo E. Aristide nell’Elogio di Roma. Elio Aristide297 rappresenta il caso meglio documentato di un nevrotico antico, pronto per una cura psicanalitica. In quel che resta dei suoi sei Discorsi Sacri racconta ripetutamente e con noiosa insistenza delle sue malattie e di come l’incubazione dentro il tempio del Dio Asclepio riesca a guarirlo. Le malattie sono quasi sempre le stesse: mal di stomaco, insonnia, difficoltà di digestione, vomito, difficoltà di sudorazione. I sogni sono il suo incubo e la sua salvezza. Si vede gonfio nel basso ventre, crede oniricamente che un barbaro gli ficchi un dito in bocca. Su questi sogni compose un’opera autobiografica monumentale che solo in parte ci è restata 298. É un retore simile che elabora il più adulatorio Encomio di Roma. Essendo un Greco inneggia ai Romani come se fossero altra cosa dai greco-romani. Per lui i Romani hanno abolito le differenze razziali, superato l’idea di barbaro, unificando il mondo in un’unica cultura, una forma di globalizzazione positiva che ha abolito ogni gelosia, dal momento che Roma ha messo a disposizione di tutti le sue ricchezze. Sembrano per lui sparire tutte le differenze etniche, quando invece i popoli continuavano a combattersi, anche nelle identità alimentari (la problematica di Food and Identity299). Non c’è confine per l’impero romano, se non il mare che lo cinge ad anello dentro terre feconde e felici. Questa ideologia encomiastica e accecante esalta acriticamente un impero di pace, che invece, anche durante la vita di Elio Aristide, viene percorso da guerre sanguinose: guerre partiche, giudaiche, germaniche ... Ma Aristide è la star del suo tempo. Viene onorato da varie città greche d’Egitto, dove soggiornò per due anni mietendo successi. Malgrado innumerevoli malattie (immaginarie?) nella primavera del 146 si gettò nelle acque gelide del fiume Meles (Asia Minore) e ne uscì, tra gli amici e gli adulatori, gridando: “Zeus è il più grande”300. Precursore della famosa nuotata del 1966 nel fiume YangTse di Mao-TseDong ultrasettantenne? Questa mentalità bellicista e agonistica finisce, come abbiamo visto, nel Tardoantico quando si espande l’evasione delle leva e i giovani si mutilano per non andare in guerra 301.
295 M.P. Speidel, Ancient Germanic Warriors, London – New York, 2004, p. 79. 296 Speidel, cit., pp. 39–67. 297 G.H. Renberg, Where Dreams May Come. Incubatin Sanctuaries in the Greco-Roman World, Leiden – Boston 2016, pp. 199–202. 298 Renberg, cit., pp. 199–200. 299 C. Grottanelli – L. Milano, Food and Identity in Ancient World, Padova 2004. 300 A. Bernard, Les portes, nr. 4 ter. Discorsi sacri II 75–77; Ch.A. Behr, P. Aelius Aritides. The complete Works, Leiden 1981, p. 306. 301 Cod. Theod. 7,12,4; 7,13,5
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L’antica, “sacra”, fame di denaro
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L’antica, “sacra”, fame di denaro Nel mondo antico il denaro non era così pervasivo come oggi. Ma fu sempre oggetto di odio quello degli altri, che i banditi derubavano con violenza e amore per il proprio o per quello che veniva donato. Ladri e speculatori sono sempre esistiti. Attorno alla ricchezza e al denaro si sono scatenati i sentimenti più sfrenati, amore e odio. Come ai nostri giorni del resto. Cosa non si fece per venti denari? Il profumo dell’oro attraversava tutte le società e scatenava rancori ed egoismi. L’oro è considerato immorale. Ma il suo fascino seducente e potente non era minore. Danae si fa sedurre e ingravidare da Zeus trasformato in una pioggia di oro che la inonda. La potenza dell’oro è ed è sempre stata irresistibile. Al culmine della sua potenza Atene emana un decreto perentorio per unificare a suo favore pesi, misure e monete del suo impero302 e Pericle venne accusato di usare il tesoro degli alleati per finanziare le sue grandi opere pubbliche303. La fiscalità tende a divenire sempre più raffinata ed opressiva. Gli Stati tendono ad accaparrarsi quote maggiori del surplus quanto più aumentano le competizioni interstatali e, quindi, la domanda di spese di guerra 304. Si arriva alla requisizione dei beni dei soggetti fiscali. Degli esattori fiscali giungono fino al punto di rubare il mantello di una povera donna 305. Alla fine le persone fuggono in massa dalle loro case per non pagare le tasse: l’anachoresis fiscale306 precede gli anacoreti religiosi. Appena fu inventata la moneta le precedenti violenze si moltiplicarono all’ennesima potenza in una lotta senza sosta per acquisire ricchezze e denaro, che era la forma evidente e tangibile del prestigio e della gloria cui tanti ambivano: la vergiliana “auri sacra fames”307, così tanto fraintesa anche da Dante308. La stessa ricerca del prestigio, della leadership, della santità implica rivalità, aggressività, disponibilità economiche fin dai tempi più antichi conosciuti, come quelli dell’Egitto dei faraoni309. L’esibizione della ricchezza, il consumo ostentatorio (la conspicuous consumption di Veblen), l’agonismo dissipativo per conseguire il primato, come il potlatch, sembrano sottendere ogni società. Si sa che la dialettica del dono-contro-dono non è una forma di bontà, ma piuttosto un modo per definire le gerarchie sociali: chi dona di più è il più potente. Le società antiche non sono capitalistiche e dominate dal mercato. Sono inserite dentro una fitta rete di trame sociali (embedded) che frenano il libero mercato (disembedded)310. Non esistono
302 D. Foraboschi, rec. a Th. Figueira, The power of money, in “RIN” 2002, pp. 482–484; IG I3 10; 71; 1473. 303 Plutarco, Pericle, 12,12; V. Azoulay, Pericles of Athens, Princeton 2014, pp. 76–78. 304 A. Monson – W. Scheidel, Studying fiscal regimes, in A. Monson – W. Scheidel (edd.), “Fiscal Regimes and the Political Economy of Premodern States”, Cambridge 2015, p. 19. 305 BGU 515, del 193 d.C. Ma nell’impero romano le scelte legali non furono sempre oppressive (D. Kehoe, Legal Institutions and Agrarian Change in the Roman Empire, in H.D. Baker – M.Jursa [edd.], “Documentary sources in Ancient Near Eastern and Greco-Roman Economic History”, Oxford 2014, pp. 147–149. 306 W. Schmidt, Der Einfluss der Anachoresis im Rechtsleben Ägyptens zur Ptolemäerzeit, Köln 1966; A.E. Hanson, Sworn Declarations of Removal from Herakleides Division, Arsinoite Nome, in B. Palme (ed.), “Akten des 23. Internationalen Papyrologenkongresses”, Wien 2007, pp. 267–271. 307 Eneide III 57 (“esecranda fame”). 308 Purgatorio XXII 40: “sacra”, Dante fraintende il latino sacra, che non significa sacra, ma esecranda. 309 S. Morenz, Prestige-Wirtschaft im alten Ägypten, München 1969. 310 K. Polanyi, La grande trasformazione, Torino 1974 (19441).
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Violenze sociali
classi contrapposte, ma ceti gerarchici.Anche Marx è incerto ad applicare il concetto di classe al mondo pre-capitalistico311. Ma questo non impediva la ricerca del profitto. A Roma Nerone promuove una fortunata e intelligente riforma monetaria (nel 63/64 d.C.) che riducendo il peso e il titolo della moneta e riuscendo a farla circolare allo stesso valore gli permette di incamerare tonnellate di argento312. Il saccheggio e il bottino, il latrocinio quotidiano furono l’aspirazione di tutti i popoli. Abbiamo visto che i più antichi teorici della guerra, da Sun Tzu a Catone sottolineano l’importanza centrale del bottino e della devastazione del territorio nemico. Anche il bizantino Phokas vede la centralità del bottino in funzione dell’approvvigionamento dei soldati, del loro arricchimento, della devastazione dei territori nemici313. Forse il più potente successore di Alessandro Magno fu Tolomeo I Lagos, che si impossessò del tesoro e del corpo del re per portarlo in Egitto, assieme alla sua donna, Taide, secondo alcuni una prostituta, che gli aveva generato tre figli e aveva guidato l’incendio di Persepoli314. Già Polibio scriveva che la maggior parte degli uomini accetta di soffrire e corre pericoli per ottenere un guadagno; gli uomini si astengono malvolentieri dal saccheggio. Anche quando raggiungono il successo compiono imprese rischiose per avere di più, ma alla fine perdono tutto315. Perché, come scrisse Marx,“nell’oro e nell’argento io possiedo la ricchezza generale nella sua forma pura, e quanto più ne accumulo, tanto più mi approprio di ricchezza generale” e nascondo tesori sottraendoli al pericolo di scomparire nello scambio e nella circolazione316. Se fino a qualche decennio fa si usava nascondere i risparmi sotto il materasso, gli antichi nascondevano le loro monete ovunque, come ancora nel 1667 Samuel Pepy che sotterra migliaia di sterline e quando nottetempo volle diseppellirle ne trovò solo una parte e dovette filosoficamente concludere che “a volte conservare il denaro è penoso come arricchirsi”317. L’elenco degli antichi tesoretti nascosti (Coin Hoards) conta una decina di volumetti. Si trattava di piccole cifre, oppure di tesori di famiglia accumulati nei secoli, o anche di ingenti tesori, come quello di Brescello di cui ci parla anche Ludovico Muratori, dove vennero trovate decine di migliaia di monete d’oro, subito trafugate dagli abitanti del posto, così che a noi ne sono restate solo poche decine318, oltre a quello britannico di Cunetio (Milden hall), dove col metal detector, furono scoperte 54951 monete, per lo più del III secolo d.C.319
311 D. Fusaro, Bentornato Marx, Firenze 2017 (2009), pp. 154–168. 312 Come ipotizza E. Christiansen alcune migliaia di monete solo dall’Egitto (The Roman Coins of Alexandria, Aahrus 1987, pp. 72 e 164 ss.). V. anche D. Foraboschi, Moneta ed economia nella politica di Nerone, in J.M. Croiselle – Y. Perrin (edd.), “Neronia VI. Rome all’époque néronienne”, Bruxelles 2002, pp. 425–431. 313 Phokas, Traité de la guérilla (De velitatione), trad. G. Dragon, Paris 2011, pp. 231–237. 314 Plutarco, Alex.; v. P. Chauvin, Alexandre confisque l’empire, in “Naissance et mort des empires”; E. Perrin (ed.), Neronia VII, 2004, Rome l’Italie, la Grèce, Bruxelles, pp. 19–26. 315 X, 17. 316 K. Marx, Lineamenti fondamentali per la critica dell’economia politica, I, Firenze 1968, p. 193. 317 D. Foraboschi, La tesaurizzazione o la moneta nascosta, in “RIN” XCV 1993, 335. 318 Foraboschi, La tesaurizzazione, cit., p. 334. 319 E. Besly – R. Bland, The Cunetio Treasure, London 1983.
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L’antica, “sacra”, fame di denaro
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La moneta affascina perché produce figli, è prolifera di profitti, come si legge in una iscrizione ellenistica dell’Afganistan (Kandahar)320.I progressi dell’economia monetaria furono costanti, ma lenti, come mostra la documentazione egiziana321. Ma la lotta per acquisire moneta fu costante e crudele. I commercianti sembravano i più avidi di tutti. Nella prefazione dell’Editto sui prezzi massimi stabiliti per tutte le merci Diocleziano li presenta come avidi ladroni, causa della crisi economica, con un moralismo esasperato, sospetto, ma non del tutto implausibile. Roma farà coniare una massa notevole di circa mezzo miliardo di denari già nell’epoca repubblicana 322. Questa necessità di coniazioni massicce si scontrava con l’assenza di strumenti meccanizati per produrre monete in tempi brevi, per cui ci fu sempre una carenza di monete e si dovette sempre ricorrere a forme di baratto. Il fenomeno si aggrava con le riforme monetarie: più sono frequenti e radicali le riforme monetarie più ampia è la scomparsa della moneta precedente. Forse vi furono eccezioni, come nel caso dell’antica moneta alessandrina d’argento, che sembra perdurare sino all’epoca romana 323. Chiara è la situazione di Antinoupolis tardo-antica: con la riforma di Diocleziano spariscono le monete usuali che costituivano ormai un’eccezione dentro la circolazione dell’Impero romano324. All’alba del mondo monetario la situazione era profondamente diversa. Quando, tra il VII e il VI secolo a. C., si inventa la moneta siamo di fronte come ad un gioiello, un “artefatto prezioso”, da possedere e contemplare. Le banche non esistevano ancora. Chi possedeva dei risparmi li depositava presso i templi, che per lo più fungevano da spazio di assicurazione e non da banche di credito ad interesse. Era un mondo profondamente diverso, quello della civiltà del dono-contro-dono: io sono tenuto a farti un dono e tu devi corrispondere secondo precise regole. I prestiti potevano essere concessi senza interessi, in un contesto di socialità, o tribalità, diffusa e vincolante oggi inimmaginabile, in un mondo dove pare difficile ottenere anche dei crediti ad interesse. Ma che sembra forse ritornare nell’esperienza di Internet dove si verificano forme di scambio gratuito, a cominciare dall’enciclopedia Wikipedia, sostanzialmente prodotto gratuito di operatori volontari325.
320 D. Foraboschi, Moneta prolifera, in B. Virgilio (ed.) “Studi ellenistici” XIX, Pisa 2006, pp. 299–306. 321 D. Agut-Labordère, L’orge et l’argent. Les usages monétaires à ‘Ayn Manâwir à l’ époque perse, in “Annales H.A.S.” 69, 2014, pp. 75–90 e G. Gorre, La monnaie de bronze lagide et les temples égyptiens. Diffusion de la monnaie de bronze en Thébaide au III siècle av. J.-C., Ibid. pp. 91–113; Idem, Les monnaies lagides et les papyrus démotiques, in P. Olivier et al. (eds.), “Les monnaies des fouilles du Centre d’Études Alexandrines. Les monnayages de bronze à Alexandrie de la conquête d’Alexandre à l’Égypte moderne”, Alexandria 2012, pp. 110–139. 322 R. Wolters, Nummi Signati, München 1995, p. 38. Più in generale v. F. de Callataÿ (ed.), Quantifying monetarry supplies in Greco-Roman times, Bari 2011. 323 E. Christiansen, On Denarii and Other Coin-Terms in the Papyri, in “ZPE” 54, 1984, pp. 292–299. 324 D. Castrizio, Le monete nella necropoli Nord di Antinoupolis (1937–2007), Firenze 2010, p. 7. 325 M. Aime – A. Cossetta, Il dono al tempo di Internet, Torino 2010.
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Violenze sociali
Una ideologia anitmercato326 Dopo l’epoca greca arcaica, quando forse anche gli aristocratici contendevano ai pirati gli spazi del commercio, la dignità delle pratiche commerciali declina nella misura in cui si dilatano enormemente gli scambi. Aristotele327 paragona ancora i pirati (lestaì) ai commercianti, anche se tra loro distingue tra chi commette ingiustizia e chi commette solo un errore. Ma in fondo entrambi non facevano che trasferire merci da una località ad un’altra. Sempre Aristotele distingue lo scambio di beni necessari dallo scambio a fini commerciali, che produce ricchezza e moneta (kerdos), cioè un profitto che lui giudica innaturale328. All’inizio del De Agricultura ancora Catone considera il commercio profittevole, ma pericoloso e, in sostanza immorale. La retorica moralistica raggiunse, come ho già accennato, il suo apice in epoca tardo-antica con l’editto del 301 di Diocleziano (prefazione)329: è la pazza avarizia dei commercianti che determina aumenti di prezzi quasi ogni ora. La loro appare una cupidigia sfrenata, che non si cura nemmeno dell’abbondanza delle merci. Vengono quindi fissati i prezzi massimi di tutte le merci in tutto il mondo. Se qualcuno andrà contro a queste disposizioni sarà condannato a morte. Per lunghe colonne verranno fissati i prezzi di tutte le merci, anche quelle minori, come il pistikion (un cereale detto speltha in latino330) che non ricorre mai in tutta la letteratura greca se non i pochi papiri egiziani dell’archivio di Isidoro (III–IV d.C.). Il furore anticommerciale di Diocleziano sarà ovviamente irriso da Tertulliano che imputa ad una carestia, di cui Diocleziano sembrerebbe colpevole, l’inflazione dei prezzi e considera fallimentare la realizzazione dell’editto331. Cosa che non appare propriamente vera, se ancora una decina di anni dopo il livello dei prezzi non supera quello fissato dall’imperatore dalmata 332. Comunque editti e tariffari regolano rigidamente il mercato, dall’Africa (Zarai) all’Asia (Efeso333, Palmira 334). Addirittura a Koptos (Egitto) del 90 d.C. i dazi di passaggio variano secondo le tipologie delle persone: le prostitute pagano 108 dracme, le donne che arrivano in battello solo 20, quelle che risalgono all’interno solo 4 dracme (rr. 16–26)335. Non si può pensare che la legge del mercato sia la legge di Dio. Nemmeno che il mercato sia un fine e non un mezzo:è un fenomeno immesso nel flusso storico, un flusso multiforme e variabile. Il termine greco oikonomia ha mutato varie vole il suo significato (da amministrazione
326 Ho cercato di approfondire questa analisi in Teorie Economiche/Economie Antiche, in corso di stampa su “QdS”. 327 Rhetorica 1405a20. 328 Politica 1256°1–1257°40; soprattutto 1257b 7–8. 329 M. Giacchero, Edictum Diocletiani et collegarum de pretiis rerum venalium; in integrum fere restitutum e latinis graecisque fragmentis ,Genova 1974. 330 S. Bussi, Cereali d’Egitto: il problema del pistikion, in “RIN” CV, 2004, pp. 549–552. 331 De mortibus persecutorum 7. 332 P. Oxy. XXXVI 2798. 333 M.Cottier et al. (edd.), The Customs Law of Asia, Oxford 2008. 334 G.M. Carrié, in “Antiquité Tardive” 12, 2000, pp. 331–352. 335 Palmira (IGRP III 1056); C. Perassi – A. Bona, La ‘Tariffa’ di Palmira. Un aggiornamento bibliografico ragionato, in “RIN” 2016, pp. 73–116; St. Guédon, La lex vestis peregrinae dans le tarif de Zarai, in “Antiquités africaines” 50, 2014, pp. 111–123; F. Morelli, Tessuti e indumenti nel contesto economico tardoantico: i prezzi, in “Antiquité Tardive” I, 12, 2000, pp. 55–78; Koptos (A. Bernand, Les portes du désert, Paris 1984, nr. 67).
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della casa ad economia degli Stati. Su questo processo storico si deve ragionare, non sulla divinizzaazione dell’economia. Certamente una massa consistente di documenti (letteratura, epigrafi, papiri, etichette di piombo336 …) mostrano l’esistenza di un mercato diffuso e vivace337. Ma chiamare mercato libero (se mai è esistito) questo tipo di fenomeni richiama un’ideologia che appare inapplicabile al mondo antico, cioè incapace di comprendere i processi storici. Roma fu certamente la più grande e splendida economia pre-industriale, ma ben lontana dall’Europa moderna e dal suo PIL (GDP). Moderno/Antico non sono categorie ideologiche, ma valutazioni di dati positivi: dinamica tecnologica, demografica, produttività, profitti …338 Di sicuro presto, già nel VI secolo a.C., si era osservata un’evoluzione moderna. Si distingue tra valore reale e valore nominale della moneta (uno Stato autorevole riesce a fare circolare una moneta come se fosse composta dal 100% di argento mentre il suo titolo era inferiore, così che la differenza diventa guadagno per lo Stato: un decreto, una parola creano o cambiano la ricchezza ). E così già dai primi tempi della preziosa moneta di elettro. L’astratto valore della moneta diventa concreto nella circolazione: produce profitti per lo Stato sottraendo valori ai cittadini. Nel III secolo d.C. la quantità di metallo prezioso di un denario romano si abbassa fin oltre il 50% del valore nominale con cui viene fatto circolare (come se venisse emessa una moneta di 1 grammo di argento e venisse fatta circolare al valore di circa 2 grammi). Ė il massimo della modernità della moneta: oggi il valore metallico di un Euro è insignificante rispetto al suo valore nella circolazione. Ma una successione di crisi politiche, economiche e militari farà precipitare il titolo della moneta, scatenando un’inflazione senza limiti e riducendo i pagamenti a venire fatti con moneta pesata. La soluzione sarà un ritorno al primitivo, coniando una moneta di oro fino (il solido) di valore corrispondente al suo peso. In concomitanza la massa di monete non era sufficiente alla quantità degli scambi, anche perché non esistevano macchine in grado di produrre milioni di monete all’anno.
336 Provengono per lo più dall’Europa orientale (Zagabria e Romania): v. in C. Alfaro – J.P. Brun – Ph. Borgard – R.P. Benoit (edd.), “Textiles y Tintes en la ciudada antigua”, Valencia 2011, J.R. Radmaan Livaja, Le role des étiquettes de plombe dans le travail du textile à Siscia, pp. 181–196. Edizione delle tessere sempre ad opera di Livajia: Tessere iz Sisk, Zagabria, 2014 (si notano piccole cifre fluttuanti, pp. 91–98). 337 Recentemente il problema viene messo a fuoco lucidamente (in chiave modernista) da K. Ruffing, Driving Forces for specialization: Market, Location Factors, Productivity Improvments, in A. Wilson – M. Flohr (edd.), “Urban Craftsmen and Traders in the Roman World”, Oxford 2016, pp. 115–131, che sottolinea altrove come la NIE (New Institutional Economics) può servire a superare la secolare e rigida contrapposizione tra primitivisti e modernisti (v. K. Droß-Krüpe – S.Föllinger – K. Ruffing [edd.], Antike Wirtschaft und ihre kulturelle Prägung / The cultural shaping of the ancient economy, Wiesbaden, 2016). 338 Contra E. Lo Cascio, The early roman empire: the State and the economy, in W. Scheidel – I. Morris – R. Saller (edd.), “The Cambridge economic history of the roman world”, Cambridge 2007, pp. 620–625. Lo stesso autore sostiene che gli alti livelli di inquinamento misurabili in Groenlandia e databili fino all’epoca imperiale romana misurerebbe lo sviluppo pre-industriale dell’economia romana. Ma cosa inquinava e a quale livello? Il petrolio e i motori che nessuno aveva iventato o impiegato? L’inquinamento derivante dall’attività della monetazione, non mi sembra rilevante (E. Lo Cascio, 150 a.C. dall’Italia, Groenlandia, in A. Giardina [ed.], “Storia mondiale dell’Italia”, Roma – Bari 2017, pp. 61–64).
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Per questo il baratto, cioè l’economia dei pagamenti in natura, continuò a persistere339 e venivano impiegate anche forme di pagamento su carta (nomina facere, W.V. Harris). Quando i pagamenti erano ingenti non si può ipotizzare che venissero trasportate pesanti quantità di metallo, ma che si facessero ordini di pagamento cartacei simili ai nostri assegni: la villa di Cicerone sul Palatino costò 3 milioni e mezzo di sesterzi, corrispondenti a 3 tonnellate e mezzo di metallo340. Evidentemente si ricorse a forme di pagamento più agevoli. L’uso della moneta era diffuso non solo nelle città, ma anche nelle campagne, ma le varie attestazioni di scambio in natura mostrano come la monetizzazione non fosse completa e come l’uso della moneta non fosse sofisticato (assegni …)341. Del resto in una delle aree più significative, quella di Pompei dove per via dell’eruzione del Vesuvio ci è restata una specie di fotografia della realtà, osserviamo (secondo diversi studi di Rosa Vitale342) una situazione paradossale: ancora in epoca romano-imperiale la moneta più attestata è quella greca. La moneta d’oro viene coniata in minori quantità, ma essendo il suo valore circa il quadruplo della moneta d’argento va tenuta in considerazione, perché metteva in circolazione masse corrispondenti di merci. La moneta d’oro è una moneta antica, anche i faraoni ne coniavano con scritte in geroglifico, forse per pagare i 40.000 mercenari ingaggiati da Nectanebo II343. Anche i Tolemei continuarono su questa linea. In varie località, dall’Egitto344 a Pompei345, a Brescello in Italia, fino alla Britannia e in tutto l’impero circolano monete d’oro. Sono meno numerose ma di più alto valore. Aumetano quindi la consistenza della massa monetaria. Più in generale le economie antiche e quella romana in particolare erano economie complesse e ben diverse dal capitalismo liberistico. Comunque economie molto differenziate, senza forme di globalizzazione generale. Ai ricchi Romani che abitavano ville si contrapponevano miserabili braccianti che lavoravano solo periodicamente, o miseri contadini che sopravvivevano su un colle desolato, assieme ad una scarnificata schiava nera 346. 339 Con tutti i suoi limiti: mentre il denaro è universale e si scambia con ogni merce, lo scambio in natura è vincolato perché, come aveva già intuito Aristotele (Etic. Nico. V,59), il prodotto di un ciabattino non si scambia con l’identico prodotto di un altro ciabattino. Lo scambio deve essere “diagonale” (kata diametron sunzeuxis): un architetto può scambiare il suo prodotto, una casa, con i prodotti di un calzolaio, le scarpe. 340 Fam. 5,6,2: W.V. Harris, The monetary systems of the Greeks and Romans, Oxford 2008, pp. 174–207. 341 Ch. Howgego, The Supply and Use of Money in the Roman World 200 B.C. to A.D. 300, in “JRS” LXXXII, 1992, pp. 1–31. 342 Il numerario di piccolo taglio dai rinvenimenti monetari di Pompei, in M. Asolati – G. Gorini (edd.), “I ritrovamenti monetali e i processi inflattivi nel mondo antico e medievale”, Padova 2008, pp. 29–51; v. anche M. Flohr – A. Wilson (ed.), The Economy of Pompei, Oxford 2017, Part IV. 343 Th. Faucher – W. Fisher-Bonet – S. Dhennin, Les monnaies en or aux types hieérogliphiques Nwb nfr, in “BIFAO” 112,2, pp. 147–169. 344 A. Savio – A. Cavagna, L’Egitto e la moneta d’oro (I–III d.C.), in M. Asolati – B. Callagher – A. Saccocci (edd.), “Suadente nummo vetere: studi in onore di Giovanni Gorini”, Padova 2016, pp. 217–230; A. Cavagna, Monete tolemaiche oltre l’Egitto, Milano 2015; K. Panagopulou, Gold in Ptolemaic Egypt, in “ZPE” 197, 2016, pp. 178–190 (fiale d’oro venivano usate come mezzo di pagamento); J.-P. Brun – T.P. Deroin – Th. Faucher – B. Redon – F. Térigeol, Les mines d’or ptolémaiques, in “BIFAO” 113, 2013, pp. 111–126. 345 R. Cantilena, Monete d’oro a Pompei, in “Il XIII Congreso Internacional de Numismatica – Actas” Madrid, 2005, Vol. I, pp. 673–679. 346 D. Foraboschi – S. Bussi, Integrazione e alterità, Milano 2013, p. 157.
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L’economia romana fu tuttavia, in una qualche misura, un’economia di mercato347. Ma il mercato del mondo romano fu sempre un mercato controllato e limitato da una serie di fattori: la capacità produttiva, le esazioni fiscali, le confische di terre, gli appalti statali, gli evergetismi (cioè la dissipazione prestigiosa, in forma di dono, delle ricchezze dei ricchi verso i meno ricchi, al fine di celebrare la propria superiorità, evento che già Tertulliano critica per la confusione tra beneficienza e divertimenti348), i costi dei trasporti, le requisizioni forzate di animali da trasporto349, che riducevano inevitabilmente i costi del trasporto, già per se stessi squilibrati dal differenziale tra bassi costi quando si ricorreva alle vie d’ acqua ed alti costi via terra; le lentezze istituzionali, le difficoltà tecnologiche in generale e in particolare quelle utili per aumentare adeguatamente la massa monetaria, in modo che la massa delle merci fosse scambiabile con denaro. Soprattutto pesanti erano le ricadute della differenza di costo tra i trasporti via terra e quelli via acqua. Nella Roma imperiale il trasporto del grano via mare incideva sul costo del grano per circa l’1.3%, quello via terra poteva incidere fino al 70%, mentre nell’Inghilterra del XV/XVI secolo tale aumento si aggirava attorno al 25%350. Questo determinava pesanti conseguenze sui mercati e la loro dislocazione: conveniva importare a Roma grano dall’Egitto (da dove arrivavano annualmente alcuni milioni di modii351 di circa 8 kg l’uno) piuttosto che dalla pianura padana, da dove semmai arrivavano i maiali che si recavano al macello a piedi e attraversando le folte foreste di querce ghiandifere dell’Italia di allora352. Per i Romani, infatti, il maiale non era una bestia originale, un tabu, come per Ebrei e poi i Musulmani353. Così anche nei regni ellenistici, dove vigeva una dinamica di fitta contrattazione come nei bazaar, ma alla fine lo Stato prevaleva nella supervisione dei prezzi354. Malgrado questo il mercato della città di Roma imperiale è stato definito un bazaar della globalizzazione. E così era già percepito allora, come risulta dall’Encomio di Roma di Elio Aristide. Per Elio Aristide i Romani hanno annullato le differenze razziali, superato l’idea di barbaro, 347 E.Lo Cascio, Crescita e declino. Studi di storia dell’economia romana, Roma 2009, pp. 139–191; 273–296. 348 L. Cracco Ruggini, From Pagan to Christian Evergetism, in F. Carlà – M. Gori (edd.), “Gift Giving “Embedded” Economy in the Ancient Word”, Heidelberg 2014, pp. 203 – 212; N. Coffee, Gift and Gain: How Money Transformed Ancient Rome. Classical culture and society, New York 2017. 349 C. Adams, Land transport in roman Egypt, Oxford 2007, pp. 135–153; E. Ashtor, Histoire des prix et des salaires dans l’Orient médiéval, Paris 1969; Monumentum Ephesenum, in “Epigraphica Anatolica” 14, 1989; v. anche “AE” 989, nr. 681; M. Crawford – M. Corbier et al., The Customs Law of Asia, Oxford 2008. 350 R. Duncan-Jones, The Economy of the Roman Empire. Quantitative Studies, Cambridge 1974, p. 368. 351 F. De Romanis, Septem annorum canon, in “Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei” (CSMFS) 1996, pp. 133–159. 352 D. Vera, Il maiale del popolo romano: note di storia sociale e alimentare, in “I quaderni di Moretta” 11, 2004, pp. 15–18. 353 C. Vassas, Questions Anthropologiques autour de l’ interdit du porc dans le judaismeet son élection par le christianisme, in B. Lion – C. Michel (edd.), “De la domestication au tabou. Le cas des suidés au Proche-Orient ancien”, Paris 2006, pp. 227–232; M.H. Benkheira, Quelques interprétation Anthropologiques du tabou du porc en islâm, ibid. pp. 233–244. 354 G. Reger, The Economy, p. 339, in A. Erskine et al. (edd.), “A Companion to the Hellenistic World” Blackwell 2005; P.F. Bang, Imperial Bazaar, in P.F. Bang – M. Ikeguchi – H.G. Ziche (edd.), “Ancient Economies, Modern Methodologies”, Bari 2006, pp. 76–77; Idem, The Roman Bazaar: A Comparative Study of Trade and Markets in a Tributary Empire, Cambridge 2008; Bang sostiene posizioni molto polemiche contro le tesi relativamente moderniste di P. Temin: v. “JRA”, 28,2 2015, pp. 637–640.
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unificando il mondo in un’unica cultura, una forma di globalizzazione positiva che ha abolito ogni gelosia, dal momento che Roma ha messo a disposizione di tutti le sue ricchezze. Sembrano per lui sparire tutte le differenze etniche, quando invece i popoli continuavano a combattersi, anche nelle identità alimentari355. Non c’è idealmente confine per l’impero romano, se non il mare che lo cinge ad anello dentro terre feconde e felici. All’interno dei confini dell’Impero, che è una vera economia-mondo, si produce ogni merce utile all’umanità, mentre dai paesi esterni si importano rare merci preziose. E tutto confluisce in quell’ombelico del mondo che è Roma capitale356. Roma sarebbe la New York dell’antico. Almeno nel sogno retorico di Elio Aristide. In realtà fino all’Alto Medioevo perdurano strutture economiche pre-capitalistihe. Con elementi di originalità profonda, come il grande e diffuso fenomeno dell’urbanesimo, che contraddistingue il mondo classico. Cioè l’opposizione tra civiltà urbana ed arretratezza delle campagne già individuata ed enfatizzata da M. Rostovtzeff 357. “Ricchezza e potere erano in maniera decisiva basati sulla terra. Quanto più si poteva trarre dalla terra, vale a dire dai contadini che la coltivavano, sia in canoni di affitto che in tasse, tanto più si era ricchi, e maggiori quindi risultavano la quantità di risorse che si era in grado di manovrare, il numero di uomini amati che si potevano mantenere, e il potere di cui si poteva disporre. Il mezzo più sicuro per sfruttare la terra erano le tasse, perché in teoria tutti dovevano pagarle… Il legame tra ricchezza e potere significava che uno Stato forte dipendeva in modo essenziale dallo sfruttamento dei contadini”358, che però potevano sviluppare forme comunitarie autonome (obscina) in parte apprezzate dallo stesso Marx359, nella fase finale della sua vita 360. L’ inflazione Come ho già detto l’invenzione della moneta corrispose quasi subito all’introduzione di una divaricazione tra valore reale e valore nominale della moneta. Se uno Stato emetteva moneta al valore reale di 90 e la faceva circolare a quello nominale di 100 incassava immediatamente questa differenza. La forbice tra valore reale e valore nominale andò sempre più divaricandosi nell’interesse dello Stato, finché nella seconda metà del terzo secolo d.C. venne meno la capacità dell’autorità emittente di garantire il valore nominale, “ingannando” i cittadini. Ma già nell’Egitto ellenistico misuriamo enormi fenomeni di innalzamento dei prezzi: la dracma di bronzo viene ridotta da 68 gr. a 2 gr. Così cresce anche la velocità di circolazione e aumentano i prezzi361. Tuttavia le monete dell’Egitto ellenistico continuano a circolare per tutto il mondo di allora 362. Con l’imperatore Aureliano vennero coniate monete di “argento”, ma che in realtà contenevano solo il 5% di argento e per il restante 95% erano composte di metalli più vili. Anche qui una semplice parola diviene creatrice di ricchezza 355 C. Grottanelli-I. Milano (edd.), Food and Identity in the Ancient World, Padova 2004. 356 P. Desideri – F. Fontanella, (edd.), Elio Aristide e la legittimazione greca dell’ impero di Roma, Bologna 2013 (in particolare il cap. settimo di E. Lo Cascio). 357 B.D. Shaw, Under Russian Eyes, in “JRS” LXXXII, 1992, p. 220. 358 Ch. Wickham, L’eredità di Roma. Storia dell’Europa dal 400 al 1000 d.C., Roma – Bari 2014, p. 624. 359 V. la famosa lettera di Marx a Vera Zasulič dell’otto Marzo 1881. 360 P.P. Poggio, La rivoluzione russa e i contadini. Marx e il populismo rivoluzionario, Milano 2017. 361 R.A. Hazzard – S.M. Huston, The Surge in Prices under Ptolrmies IV and V, in “Chr. d’Ég.” XC 2015, pp. 119–120; A. Cavagna, La crisi dello Stato tolemaico tra inflazione e svalutazione del denaro, Milano 2010. 362 A. Cavagna, Monete tolemaiche oltre l’Egitto, Milano 2015.
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Questo – assieme ad una probabile crisi produttiva – determinò l’avvitarsi di un’inflazione mai precedentemente conosciuta accanto ad una parallela esplosione di povertà e violenze per la sopravvivenza, che diventano fenomeni sociopolitici e religiosi (i mangones in Africa, i Bagaudae in Gallia …). I papiri egiziani mostrano che il prezzo363 di circa 30 kg di grano aumentò di circa il 50% tra gli anni 45/160 e di ca. il 60% negli anni 191/270. Negli stessi rispettivi periodi il prezzo del vino aumentò mediamente – ma qui occorre valutare le differenze di qualità – del 100% e del 50%; mentre il prezzo del lavoro manuale passò – tra II e III secolo – da una dracma al giorno a 2,2 dracme, con un aumento superiore al 100%364. Dietro queste cifre si nascondono i conflitti reali di persone e gruppi che si contendono con ogni mezzo l’accesso al benessere. Sono aumenti che sembrano consistenti sul lungo periodo, ma risultano inferiori all’1% annuo per le merci e di circa l’1% all’anno per la forza-lavoro comune: percentuali lontane da un’inflazione disastrosa. Il problema fu il fatto che la progressione dell’inflazione non fu lineare, ma contraddistinta da curve catastrofiche, come nel 274/5 quando i prezzi si impennano drammaticamente di circa dieci volte. Questo fenomeno, assieme allo svilimento progressivo del contenuto metallico della moneta, produsse una crescente sfiducia verso le nuove coniazioni che si espresse nella ricerca di monete vecchie o addirittura di monete “tolemaiche”365, cioè di monete non più coniate da tre secoli, la cui antichità sembrava garantire la qualità. La lotta per una moneta di qualità fu costante e produsse drammi diffusi, soprattutto quando avanzava, invece, l’inflazione. Una valutazione comparativa dei prezzi su scala imperiale romana appare difficile per la diversità dei pesi, delle misure e delle monete (l’unificazione monetaria dell’Impero, almeno in due grandi aree, l’Occidente e l’Oriente, avverrà solo nel tardoantico). Tuttavia – come già detto – recentemente sono state raccolte centinaia di attestazioni di prezzi in alcune pubblicazioni di cui citerò le più significative e ricche di dati366. Un’idea approssimativa dell’andamento dei prezzi si può forse avere elencando i prezzi di due merci di grande diffusione: il grano e gli asini che, in quanto animali da trasporto molto prolifi-
363 D. Rathbone, Prices and Price Formation in Roman Egypt, in J. Andreau – P. Briant – R. Descat (edd.), “Ėconomie antique. Prix et formation des prix dans les économies antiques”, Saint-Betrand – deComminges 1997, pp. 183–244. 364 D. Rathbone, Monetisation, not Price-Inflation, in Third-Century A.D. Egypt, in C.E. King (ed.), “Coin Finds and Coin Use in the World”, Berlin 1996, pp. 321–339. 365 E. Christiansen, On Denarii and Other Coin-Terms in the Papyri, in “ZPE” 54, 1984, pp. 292–299. 366 J.A. Straus, Le prix des esclaves dans les papyrus d’ époque romaine trouvés en Egypte, in “ZPE” 11, 1973, pp. 289–295. J.A., Straus, Liste commentée des contrats de vente d’esclaves passés en Ėgypte aux époque grecque, romaine et byzantine, in “ZPE” 131, 2001, pp. 135–144; R.S. Bagnall, Currency and inflation in fourth century Egypt, “BASP” suppl. 5, 1985; Bagnall, P.Kell. 4, 1997, pp. 52–56; H.-J. Drexhage, Preise, Mieten/ Pachten, Kosten und Löhne im Römischen Ägypten, St. Katharinen 1991; Idem, Scimus quam varia sint pretia rerum per singulas civitates regionesque. Zu den Preisvariationen im römischen Ägypten, Marburg 1988; K. Maresch, Bronze und Silber, Opladen 1996; K. Ruffing, Preise und Wertangaben aus Dura Europos und Umgebung, in “LAVERNA” XIII 2002, pp. 24–44; S. Bussi, Economia e demografia della schiavitù in Asia Minore ellenistico-romana, Milano 2001, pp. 88–92; W. Scheidel, http://www.stanford .edu/~scheidel/ pub.htm; K. Harper, Slave Prices in Late Antiquity, in “Historia” 52, 2010, pp. 206–238.
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ci erano diffusi ovunque e meno costosi di cavalli e cammelli, il cui valore poteva corrispondere a più del doppio367, ma che avevano una capacità di trasporto anche quattro volte superiore. Anche per questo gli asini erano sfruttati in modo crudele, come notoriamente attesta Apuleio368. Un asino egiziano può costare 364 dr. nel 138 d.C. e 280 nell’anno successivo369. Ma nel 307 si arriva alla cifra di 5 talenti e 1000 dr. (= 31000 dr.). Il costo giornaliero per il trasporto con un asino fluttua tra il I e III sec. d.C. tra 1 e 4 dr.370. L’andamento dei prezzi in Occidente non è sempre comparabile, anzi presenta profonde divaricazioni difficili da spiegare, ma diffuse in tutte le economie pre-capitalistiche. Seguendo le preziose tabelle di Scheidel un asino occidentale, secondo le fonti letterarie, può valere alcune decine di volte in più rispetto a quelli egiziani, con una tendenza, però, alla diminuzione del prezzo nel passaggio dalla età repubblicana a quella imperiale. Ancora più accentuata è la diversità per quanto riguarda il grano, i cui prezzi variavano sensibilmente secondo fattori stagionali come il clima e la lontananza temporale dalla mietitura (più ci si allontana dall’ultima mietitura e si contraggono le scorte di grano più aumentano i prezzi). In Egitto tra il 160 e il 169/70 d.C. 30 kg di grano passano dal prezzo di poco più di 7 dracme egiziane (= 7 sesterzi romani ) a quello di 20 dr371. In Occidente troviamo (sempre secondo le fonti letterarie elaborate da Scheidel) prezzi che vanno da 2–3 sesterzi per circa 8 kg di grano nella Sicilia ai tempi di Verre (74–72 a.C.) a circa 100 denari (= 400 sesterzi) al massimo nella Britannia della prima età imperiale: l’alta produttività della Sicilia, con un rapporto seme/prodotto che poteva arrivare fino a 1:10372 innalzava l’offerta di merci ed abbassava inevitabilmente i prezzi. Evidentemente la produttività della terra e i costi di produzione erano così ottimali in Egitto (come i costi del trasporto fluviale e marittimo e quelli di commercializzazione) che si poteva produrre una tale disparità di prezzi da rendere conveniente vendere in Italia il grano alessandrino, come mostrano le Tavole pompeiane dei Sulpicii373. Prezzi e salari Abbiamo già visto, accennando all’inflazione, che sia i prezzi che i salari ebbero una costante tendenza alla crescita 374. Quando si determinava un’alta domanda di forza-lavoro i salari tendevano a salire e viceversa, con evidenti diversità secondo le regioni dell’impero, ma anche con for367 Nel II secolo i prezzi di un cammello tendono ad oscillare tra le 680 e le 1000 dracme (BGU I 88; 100; II 469; 416). 368 Metamorfosi IX, 10–13. 369 P. Bingen 61 Intr. (altri prezzi in P.Oxy. LXIX 4746 Intr. e in H. Youtie, Scriptiunculae Posteriores II, Bonn1982, 696 (nel secondo secolo prezzi tra 155 e 244 dr.) 370 P. Bingen 76 Intr. 371 P. Berl. Leihg. 2,39, r. col.5; SB 6, 9348, col. 1. 372 Cicerone, Verrine II 3, 112. 373 G. Camodeca, Tabulae Pompeianae Sulpiciorum I–II, Roma 1999; J. Rowlandson, Landowners and Tenants in Roman Egypt, Oxford 1996, pp. 247–252; J. Andreau, Sull’economia di Pompei, in P.G. Guzzo (ed.), Pompei, scienza e società, Milano 2001, pp. 109–110; Idem, Les affaires de monsieur Jucundus, Rome 1974. 374 Per una abbastanza recente messa a punto dei problemi economici v. R. Duncan-Jones, Structure and scale in the roman economy, Cambridge 2002; A. Bowman – A. Wilson, Quantifying the roman economy: methods and problems, Oxford 2009; G. Raepsaet, Ėconomie antique et Ėtats. Tendences actuelles de la re-
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Prezzi e salari
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se alcune curiose affinità, come nel caso dei salari dei minatori della Dacia e quelli dei cavatori del Mons Claudianus, in Egitto375. Vi furono anche manifestazioni di lavoratori per sollecitare maggiori salari, come già era accaduto in epoca faraonica a Deir el Medina, prima del 1000 a.C. Esemplare, anche per i risvolti di umana quotidianità, è il caso di P.Brem. 63, datata al 16 luglio del 116 d.C.: “Eudaimonìs a sua figlia Aline, salute. Io prego soprattutto che tu possa partorire presto e che io riceverò notizie del bambino e che mi si dica che è un maschio. Tu ti sei imbarcata il 29 e dopo io cominciai a tessere. Ho, alla fine, ricevuto il materiale dal tintore il 10 del mese di Epiph. Sto lavorando con le tue schiave per quanto posso. Non posso trovare ragazze che lavorino con me perché tutte sono impegnate a lavorare con le loro padrone. I nostri lavoratori hanno marciato attraverso la città lottando e chiedendo un aumento di salario. Tua sorella Seouerous ha partorito un figlio… Stai sicura che io non penserò a Dio finché non avrò indietro mio figlio in buona salute…Già vedo che sarò nuda per tutto l’inverno”376. cherche, in “L’Antiquité Classique” 79, 2010, pp. 32–346; J. Andreau, L’ économie du monde romain, Paris 2010. 375 H. Cuvigny, The amount of wages paid to the quarry-workers/Mons Claudianus, in “JRS” 86, 1996, pp. 141–144. 376 Εὐδ[αι]μονὶς Ἀλίνηι τῆι θυγατρὶ χαίρειν. εὔχομαί σε πρὸ πάντων εὐκαίρως ἀποθέσθαι τὸ βάρος 5 καὶ λαβεῖν φάσιν ἐπὶ ἄρρεν[ο]ς. τῆι κθ ἀνέπλ[ε]υσας καὶ τ[ῆι] ἑξῆς κατέσπ ̣ακα. μόγις ἔλαβον ἀπὸ τοῦ βαφέος τ[ῆι] ι τοῦ Ἐπείφ. συνεργάζομαι 10 δὲ ταῖς παιδίσκαις σου κατὰ τὸ δυνατόν. οὐχ εὑρίσκω τὰς δυναμένας συνεργάζεσθαι ἡμῖν, ἅπ[α(?)]σ[α(?)]ι γὰρ ταῖς ἰδίαις κυρίαις ἐργάζονται. περι15 ώδευσαν γὰρ οἱ ἡμῶν ὅλην τὴν πόλιν [π]ροσπεύδοντες πλέον μισθόν. ἡ ἀδελφή σου Σουεροῦς ἀπέθετο τὸ βάρος. ἔγραψέ μοι Τεεῦς εὐχαριστ[οῦ-] 20 σα ὑμῖν, ὥστε, κυρία, ἔγνων ὅτι αἱ ἐντολαί μου μενοῦσι. πάντας γὰρ τοὺς αὑτῆς καταλείψασα συνεξώρμησέ σοι. ἀσπάζεταί σε ἡ μεικρὰ καὶ προσ25 καρτεῖ τοῖς μαθήμασι. ἴσθι δὲ ὅτι οὐ μέλλω θεῶι σχολάζειν, εἰ μὴ πρότερον ἀπαρτίσω τὸν υἱόν μου. εἰς τί μοι ἔπεμψ[ας] τὰς κ (δραχμὰς), ὅτε οὐκ εὐκαιρῶ; ἤδη 30 πρὸ ὀφθαλμῶν ἔχω, ὅτι γυμνὴ μενῶ τὸν χειμῶνα. (mano 2) ἔρρωσο. Ἐπεὶφ κβ.
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Violenze sociali
Ma in generale, a parte questi spaccati di micro-storia (in un ambiente ebraico) non possediamo documenti sufficienti e rappresentativi di aree omogenee, secondo le categorie di Lefebvre377, per elaborare un nesso tra prezzi, salari e ricchezza collettiva, come in parte era riuscito a fare Ashtor378 per l’Oriente medievale. Per quanto riguarda la solita documentazione papirologica possiamo costatare che un bracciante agricolo (che spesso era pagato, almeno in parte, anche in natura) remunerato con una dracma giornaliera poteva raggiungere il minimo di sussistenza comprandosi 30 kg di grano al prezzo mutevole di 7–20 dr. Ma il lavoro del bracciante è stagionale con salari variabili secondo la domanda (semina, mietitura, vendemmia...). Come potevano sostentarsi durante gli intervalli stagionali dell’anno agricolo? Forse ancor più drammatico era il caso dei piccoli proprietari e pastori contadini, che dovevano sopperire alla scarsezza della propria produzione con affitti di altre terre e con prestiti difficili da restituire. Anche allora il denaro era imperioso: chi non lo restituiva poteva essere soggetto a forme di schiavitù per debiti (paramoné) non così crudele come l’arcaico nexum (dove il creditore insoddisfatto poteva avere diritto di morte sul debitore insolvente), ma comunque una forma di asservimento obbligatorio e contrattuale della persona. Certo più drammatico era il caso dei piccoli proprietari e pastori contadini, che dovevano sopperire alla scarsezza della propria produzione con affitti di altre terre e con prestiti difficili da restituire, tipici di una miseria sociale diffusa. Forse era più conveniente assecondare l’imperialismo, arruolarsi nell’esercito, avere uno stipendio non spregevole per congedarsi, poco dopo i quarant’anni, e acquisire con i risparmi, e con qualche donativo di Stato, un campicello da coltivare. La vita del piccolo contadino era spesso compassionevole, come mostra l’archivio di papiri di Kronion379, il Moretum virgiliano, l’Euboico di Dione di Prusa e una serie di altri testi. Comunità comunque complesse dove si praticava il matrimonio tra fratelli (come nel caso della famiglia di Kronion), oppure si conviveva con donne africane, come nel caso del Moretum380, secondo un’esperienza diffusa fino in Inghilterra: nel 1953 nel Sussex si scoprì lo scheletro381 di epoca romana di una donna di origine africana sub-sahariana (Beachy Head woman). Probabilmente sono i documenti delle prime (ma di origine più antiche) forme della schiavizzazione dei neri. Con la scoperta dell’America cominciò il brutale processo di schiavizzazione degli indigeni, massacrati da cattolici e protestanti, ritenuti da alcuni cristiani dei non-uomini, quindi degli schiavi per natura. Notoriamente in loro difesa si levò il vescovo Bartolomé de las Casas (con la 377 G. Lefebvre, Riflessioni sulla storia, Roma 1976, pp. 83–125. 378 E. Ashtor, Histoire des prix et des salaires dans l’Orient médiéval, Paris 1969. 379 D. Foraboschi, L’archivio di Kronion, Milano 1971. 380 Foraboschi – Bussi, Integrazione e alterità, cit., p. 157. Inizio del poemetto: “Già la notte aveva percorso dieci ore invernali e l’uccello che sveglia aveva annunciato col suo canto il giorno, quando Simulo, rustico coltivatore di un piccolo campo, temendo un triste digiuno nel giorno che stava arrivando, solleva il corpo, scivolato pian piano dal povero letto, e con mano pronta esplora le tenebre inerti, cercando il focolare…”. 381 Poi esposto all’Eastbourne Museum.
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Religioni e violenza
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sua Obra Indigenista), mentre gli si oppose duramente Juan Ginés de Sepulveda382. Comunque gli spagnoli torturarono ed uccisero masse di indigeni americani, come in Spagna perseguitarono e poi espulsero gli Ebrei, considerati una razza inferiore, dal sangue infetto. Ma alla fine il più noto capo dell’inquisizione, Torquemada, venne allontanato dal Papa. Nel mondo antico materialmente non tanto diverse dovevano essere le condizioni degli strati sociali inferiori, ma ancora più difficile sembra la possibilità di valutare il tenore di vita di operai ed artigiani. Il problema andrebbe posto, ma non è ancora il tempo per avanzare ragionevoli ipotesi complessive. Certo le masse lottavano per sopravvivere, imploravano distribuzioni di grano383, oppure si arruolavano per la guerra, mettendo a rischio la propria vita, nella speranza di un bottino acquisito con la violenza e di un salario sicuro. L’impero serviva perché pochi acquisissero grandi ricchezze e molti potessero sopravvivere coltivando un fazzoletto di terra, se non facevano parte dei milioni di schiavi senza terra. Realtà crudele, ma certo la più equilibrata rispetto ad altri momenti della storia pre-capitalistica. I Romani ebbero una capacità di dominio che seppero coniugare con una capacità dirigente384 che permise loro di fondare un “impero democratico” di durata secolare come nessun altro: latino e greco erano le lingue dominanti dentro un impero greco-romano dove si confrontavano le più varie lingue e già nel 116 a.C. troviamo testi latini scritti in caratteri greci385. Ho già scritto che il “marxista” Gramsci considerava Roma una democrazia imperiale, che, però, concedeva il diritto di cittadinanza ai nemici sconfitti386. Ed era un grande apprezzamento per la storia politica di Roma. Apprezzamento corrispondente a quello dei cittadini: quando nel 212 Caracalla concede la cittadinanza a quasi tutti gli abitanti dell’Impero masse di persone si prendono il nome Aurelio in onore dell’imperatore Aurelio Caracalla, che con la cittadinanza aveva, però, ‘concesso’ (dopo la sanguinosa strage degli Alessandrini387) anche un aumento delle tasse388. Società ed economia sono lo spazio di tensioni e violenze. A volte i Romani ebbero uno spirito di integrazione e cooptazione. Ad Atene ciò succedeva raramente: il diritto di cittadinanza era ristretto e difeso389. Di quale potenza non si può oggi dire la stessa cosa? Religioni e violenza Difficile trovare un messaggio pacifista come quello di Cristo che invita a porgere l’altra guancia al prepotente che ti schiaffeggia. Posizione unica nella storia delle religioni, non sempre ereditata dai suoi fedeli390. Colui che si riteneva più cristiano del Papa, Martin Lutero, che era dell’ordine di S. Agostino, i cui discorsi contro i Giudei sono invece dialoganti, scrisse un libello 382 V. l’edizione dell’opera di Bartolomé de Las Casas e l’introduzione (pp. 7–59) di J. Alcina Franch, Madrid 1985; S. Wiesenthal, Cristoforo Colombo ebreo di Spagna, Milano 2017, p. 50 (il Papa scomunica il grande Inquisitore Torquemada), pp. 135–161 (Colombo e gli Ebrei). 383 V. L. Fezzi, In margine alla legislazione frumentaria di età repubblicana, in “CG” 2001, pp. 91–100. 384 D. Foraboschi, Guerra Rivolta Egemonia, Milano 1999, p. 47. 385 SEG XXVIII 1485 (da File); D. Foraboschi – S. Bussi, Integrazione e alterità, Milano 2013, pp. 45–46. 386 A. Gramsci, Quaderni dal carcere, VIII, n. 1240. 387 Chr. Rodriguez, Caracalla et les Alexandrins, in “JJP” XLII 2012, pp. 229–272. V. Cassio Dione LXXVIII, 28, pp. 21–23. 388 Y. Braux, Biling, Leuven 2015, p. 80. Cassio Dione LXXVII 9 (LXXVIII). 389 V. Foraboschi – Bussi, Integrazione, cit., p. 10. 390 Filoramo, La croce e il potere, cit.
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Violenze sociali
(conforme all’antisemitismo del tempo391) che invitava alla distruzione violenta dell’ebraismo,392 colpevole dell’avvelenamento del popolo. Si compiacque anche che dopo la rivolta anti-romana di Bar Kochba (134–136 d.C.) “I Giudei vennero cacciati dalla loro terra … e non poterono più vedere neppure da lontano con i loro occhi sacrileghi le regioni della loro patria”393. Lutero volle costruire una nuova Chiesa detentrice dell’unica verità e del potere di condannare gli eretici394. E durante la rivolta dei contadini, ispirati anche dal nuovo cristianesimo rinato, invitò, in un altro libello del 1525, che cristianamente si intitolava Esortazione alla pace e “che però in pochi giorni si trasformò in un’esortazione alla guerra”395, allo sterminio “delle bande criminali dei contadini”, che non meritavano nessuna clemenza: “Che ragione c’è di mostrare clemenza ai contadini? Se ci sono innocenti in mezzo a loro, Dio saprà bene proteggerli e salvarli, Se Dio non li salva vuol dire che sono criminali. Ritengo che sia meglio uccidere dei contadini che i principi e i magistrati, poiché i contadini prendono la spada senza l’autorità divina. Nessuna misericordia, nessuna pazienza verso i contadini, solo ira e indignazione, di Dio e degli uomini. Il momento è talmente eccezionale che un principe può, spargendo sangue, guadagnarsi il cielo. Perciò cari signori sterminate, scannate, strangolate, e chi ha potere lo usi”396.
Giustificò così lo sterminio di circa centomila contadini397: sempre nel 1525 aveva pubblicato l’appello “Contro le bande brigantesche e assassine dei contadini”. La sua idea di Chiesa era certamente meno tollerante di quella che combatteva. Certo Lutero fu “un uomo che aveva cambiato la sua storia e quella del mondo”398. Ma con contraddizioni laceranti accanto ad aspetti positivi399. Non fu da meno l’altro famoso umanista e protestante, G. Calvino. Su sua istigazione (pare) il 27 ottobre del 1553 a Ginevra viene condannato a morte M. Servet, accusato di magia e di eresia perché non crede alla trinità definita dal Concilio di Nicea. Dopo una lunga carcerazione in una stanza putrida e buia viene condannato ad essere bruciato vivo. Il condannato implora di essere decapitato per evitare un “eccesso di dolore”. Ma viene bruciato e dopo mezzora di atroci sofferenze muore. Come voleva Calvino, che dichiarò giusta la sua condanna nello scritto 391 Th. Kaufmann, Gli Ebrei di Lutero, Torino 2016. 392 M. Lutero, Contro gli Ebrei, Milano 1997 (1543). 393 Lutero, Contro gli Ebrei, cit., p. 112. 394 M. Firpo, Lutero e la (in)tollerana, in “Micro Mega” 3, 2017, pp. 142–148. 395 Prosperi, Lutero, p. 471 (Ebook). 396 V. A. Giardina – G. Sabatucci – V. Vidotto, Il Manuale dal 1350 al 1650, Bari, 2002, p. 224. 397 F. Engels, La guerra dei contadini in Germania, Roma 1949, trad. G. De Caria, cap. IV: “Nello stesso periodo in cui nella Selva Nera veniva repressa la quarta cospirazione del Bundschuh (Lega dei contadini), a Wittenberg Lutero dava il segnale del movimento che doveva trascinare nel vortice tutte le classi sociali e scuotere tutto l’impero …”. Ma “era posta la necessità di un antagonismo nettamente dichiarato, di una lotta diretta tra i due partiti. Questo antagonismo immediato si manifestò subito. Lutero e Münzer si combatterono pubblicamente dalla stampa e dal pulpito, del pari che gli eserciti dei principi, dei cavalieri e delle città, composti in massima parte di forze luterane o che inclinavano al luteranesimo, batterono le schiere dei contadini e dei plebei”. Per questo qui Engels chiama Lutero “leccapiedi della monarchia assoluta”. 398 A. Prosperi, Lutero, Milano 2017, p. 18 (Ebook). 399 Tra i molti interessanti scritti usciti in occasione dei 500 anni dalla pubblicazione delle Tesi di Wittemberg, v. S. Nitti, Lutero, Roma – Salerno, 2017; A. Melloni (ed.), Lutero. Un cristiano e la sua eredità (1517–2017), Bologna 2017.
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Defensio orthodoxae fidei, contra prodigiosos errores Michaelis Serveti Hispani, pubblicato subito dopo nel 1554400. Non da meno i cattolici. Dopo secoli di relativa tolleranza verso gli Ebrei il Papa Paolo IV (1555–1559) nel suo breve pontificato ebbe modo di emanare una bolla (Cum nimis absurdum) in cui proclamava che gli Ebrei erano destinati ad essere schiavi per sempre, dimenticandosi che Cristo era un ebreo e schiavo di nessuno401. Ma già nel 1516 era istituito il ghetto di Venezia, che salvaguardava in qualche modo anche gli Ebrei, ma era comunque una forma di controllo e repressione402. Ma la giudeo-fobia ha origini antiche. Già Apione “alessandrino”403, in realtà nato tra i contadini di un’oasi, forse Siwa, scrisse un libello antiebraico che l’ebreo Flavio Giuseppe confutò con fine cultura. Apion, famoso letterato greco-egizio, sosteneva che gli Ebrei vennero cacciati dall’Egitto a causa i una loro malattia contagiosa (lumê), una specie di peste404. Alcuni imperatori romani rispettarono i riti giudaici, come la festa del sabato405. Ma poi comiciò una serie di persecuzioni ed espulsioni in tutta Europa. Nel 1239 il papa Gregorio IX ordinò la distruzione del Talmud. Poco dopo, nel 1242, 24 carri che trasportavano copie del Talmud furono bruciati per ordine del re di Francia Luigi IX406. La vita degli Ebrei divenne infernale … Del resto anche un illuminista prototipico come Voltaire nella voce Giudea del Dizionario Filosofico si lasciò andare ad un anti-semitismo volgare. Per non parlate di Martin Heidegger, ammiratore di Lutero, rettore nazista407 (!?) dell’Uni versità di Friburgo nel 1933, per cui, nei Quaderni neri, la questione ebraica non era una questione razziale, ma, peggio, una questione metafisica, perché quella specie è come un opportunista che ancora oggi va di gran moda e può assorbire tutto il resto. In fondo fu amante della giovane ebrea Anna Arendt408, come Mussolini fu amante dell’ebrea fascista Margherita Sarfatti. Lutero tradì dunque le parole pacifiste di Gesù Cristo che, oltretutto, era un ebreo. Cristo rimane una figura singolare nella storia dell’umanità. Non sono affatto credibili le parole di chi lo accusa di essere violento, antifemminista, anti-ecologista e mille altre colpe409.
400 St. Zweig, Conscience contre violence, tr. fr., Paris 2004, p.157 401 C. Vivanti, The History of of the Jews in Italy and the Hitory of Italy: Die Konstruktion de Jüdischen Geschichte by Graetz, in “Journal of Modern History” 67, 1995, pp. 323–324. 402 F. Jori, 1516. Il primo ghetto, Pordenone 2016, pp. 30–33. 403 V. ora L. Capponi, Il ritorno della fenice, Pisa 2017, pp. 69–96. 404 L. Troiani, Commento storico al contro Apion, Pisa 1977; J. Barclay, Against Apion, in B.H. Howell Chapman – Z. Rodgers (edd.), “A Companion to Josephus”, Oxford 2016, pp. 75–85; F. Calabi, Contro Apione, Venezia 1993; Capponi, cit., pp. 89–92. In generale v. P. Schäfer, Giudeofobia, Roma 1999. 405 D. Foraboschi, Sukkot*, in stampa in “Scritti in onore di G. Bejor”. 406 P.-A. Taguieff, L’antisemitismo, Milano 2016, pp. 50–51. 407 V. Farias, Heidegger et le nazisme, Verdier – Lagrasse 1987; D. Di Cesare, Heidegger e gli Ebrei. I “Quaderni neri”, Torino 2006. H. France-Lanord nella voce Antisémitisme del Le Dictionnaire Martin Heidegger (Paris 2013) afferma: “Il n‘y a, dans toute l’œuvre de Heidegger publiée à ce jour (84 volumes sur 102), pas une seule phrase antisémite.” (p. 27). Ma i “Quaderni neri” usciranno un anno dopo, nel 2014, con affermazioni che rendono difficile questa asserzione. 408 E. Faye, Arendt et Heidegger, Paris 2016; A. Di Cesare, Heidegger e gli ebrei, Torino 2014. 409 H. Akalos, The Bad Jesus. The Ethics of New Testament Ethics, Iowa 2015.
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Ma le religioni monoteistiche hanno incorporato uno spirito missionario intollerante410 che comportava la conversione del miscredente e implicava l’esclusione dei diversi. Sembra quasi di dovere rimpiangere il politeismo, che in una dimensione di pluralità di divinità non si turbava se altre se ne aggiungessero, anzi ne importava direttamente411. Anche se messaggi pacifici come quello di Budda (conosciuto in Occidente412) si sono presto stravolti in volontà di conquista: già Asoka tra IV/III secolo a.C. lanciava messaggi vegetariani e buddisti verso l’Occidente413, ma nello stesso tempo, coi suoi eserciti, aveva conquistato ampi territori su cui divulgare il buddismo. Nel mondo pagano non mancarono guerre di religione che, come oggi, avevano sempre un risvolto politico (Ammon/Aton). In Egitto antico gli abitanti di Eracleopoli distrussero un opera poderosa come il Labirinto e i suoi coccodrilli sacri perché era loro invisum414. Al contrario non lontano da lì, a Narmouthis, si allevavano coccodrilli sacri415. Decine di cittadini di Sardi vengono condannati a morte perché oltraggiarono i templi e i sacerdoti di Efeso416. Oggi i politeisti sono in guerra, come gli Hindu che si rifanno al pensiero violento di Savarkar417, nemico del pacifista Gandhi. Dall’altra parte i monoteisti musulmani sono in guerra tra di loro per affermare il loro unico Dio, che è poi quello di entrambi (sunniti/sciiti). La violenza sembra un connotato strutturale dell’umanità. Può essere una creazione della società piuttosto che un fenomeno naturale. Molti fenomeni sono espressione di valori simbolici piuttosto che di pulsioni della psiche profonda, come vorrebbe Freud. A volte si combatte per distruggere e non per saccheggiare. Le donne vengono violentate per umiliare i loro uomini e non per desiderio sessuale418. Anche nell’Iliade (II 354–356) Nestore esorta l’esercito a violentare le donne troiane per vendetta contro il ratto di Elena, cioè per orgoglio e senza eros o lussuria. Bisogna uccidere per sopravvivere, per difendere l’onore in modo implacabile, inespiabile419. Il dolore genera crudeltà420.
410 J. Assmann, Le prix du monothéisme, Paris 2007, p. 193. 411 M. Bettini, Elogio del politeismo, Bologna 2014. 412 Clemente Alessandrino, Stromata XV 1,71,6; E. Arrigoni, Manicheismo, mazdakismo e sconfessione dell’eresiarca romano-persiano Bundos, Milano 1982. 413 G. Pugliese Carratelli, Gli edittti di Asoka, Milano 1993. 414 Plinio NH XXXVI 86; Erodoto II 148. 415 E. Bresciani, Sobek, Lord of the Land of the Lake, in S. Ikram (ed.), “Divine Creatures. Animal Mummies in Ancient Egypt”, Cairo – New York 2005, pp. 199–204. 416 IEph. 2, 572 di età ellenistica (fine IV°). V. H. Wankel, Die Bekanntmachung des Tode Urteils in der Ephesischen Inschrift inv. 1631, in “ZPE” 24, 1977, pp. 219–221. 417 M. Delahoutre, Le fondamentalisme hindou, in J. Ries – N. Spineto (edd), “Métamorphose du sacré” Turnhout 2010, pp. 253–258. 418 H. Van Wees, Status Warriors, Amsterdam 1992, pp. 183–184. 419 E. Catarella, Senza vendetta nella sala morrete, Odissea II 145, in P. Di Lucia – L. Mancini (edd.), “La giustizia vendicatoria”, Pisa 2016, pp. 163–168. 420 M. Sordi, Amnistia, perdono e vendetta nel mondo antico, Milano 1997; Eadem, Responsabilità, perdono e vendetta nel mondo antico, Milano 1998.
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Nell’anima di ogni uomo sembra si annidi uno spirito patologico e originario di vendetta pronto a scattare, in forme diverse, ad ogni minimo pretesto, oppure reale provocazione421. La guerra e la crudeltà erano segno di forza. Racconta Erodoto422 che il re egiziano Apries mandò un ambasciatore al generale Amasis per chiedere la sua lealtà. Amasis non scese nemmeno da cavallo e fece mandare come risposta al re il naso e le orecchie tagliate dell’ambasciatore. Ma una forza acquisita con violenza può esercitarsi senza violenza. Dopo il 180 a.C. il re di Siria Antioco IV Epifane occupò l’Egitto. Roma inviò in Egitto un’ambasceria guidata da Popilio Lenate. Gli ambasciatori romani si incontrarono disarmati con Antioco che aveva ostentatamente schierato le sue truppe. Popilio con in mano il le tabellae con il testo di una delibera del Senato, ingiunge al re di ritirarsi immediatamente da tutto l’Egitto. Il re chiede di potersi consultare con il suo consiglio. Ma Popilio con una verga di vigna traccia un cerchio attorno al re e gli ingiunge di prendere una decisione prima di uscire dalla linea tracciata. Antioco, consapevole della potenza di Roma (anche se al momento disarmata) si narra che decise di ritirarsi423. È questo il “cerchio di Popilio”: con la forza si costruisce una potenza che può mantenersi ed intimorire anche senza più l’impiego di forza. È una contraddizione del reale: la violenza crea il caos e l’ordine crea la violenza perché in generale è una necessità, o una volontà, del potere pubblico, quella di sottomettere al suo controllo la violenza privata. Anche la vendetta trova la sua giustificazione in quanto diritto del cittadino di portare soccorso a se stesso424 e può essere una pulsione che cova nel tempo. Lo stesso messaggio di Cristo, che sarà stravolto in violenza, conteneva un germe di bellicosa rottura dell’ordine costituito: “Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace, ma la spada. Sono venuto a separare l’uomo da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora da sua suocera; sì, nemici dell’uomo saranno quelli di casa sua”425.
Colui che trasgredirà la lettera del messaggio divino sarà sommerso dai flagelli”426. Sembra il retaggio dell’Antico Testamento, ma in realtà è profondamente diverso perché predica una rivoluzione etica interiore e non una violenza tra popoli e Stati. Tanto che ci si pone il problema di come uno possa leggere la Bibbia e restare cristiano427, anche se per certi versi il linguaggio di un testo come quello dell’Apocalisse rievoca l’Antico Testamento. È tuttavia a favore della pena di morte per chi maledice il padre e la madre428. Ancor più severo è verso altre colpe: ”Chi poi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono, sarebbe meglio per lui che gli si appendesse al collo una pietra da mulino e fosse gettato in mare”.
421 G. Bonnet, La vengeance. L’ incoscient à l’oeuvre, Paris 2015, pp. 171–173. 422 II 162. 423 Livio XLV 12; Polibio XXIX 27. 424 E. Cantarella, Violence privée et procés, in J.-M. Bertrand (ed.), “La violence dans le monde grec et romain”, Paris 2005, p. 346 e 409; A.E. Veïsse, Le discours sur les violences dans l’Égypte hellénistique, ibid. pp. 213–223. 425 Vangelo di S. Matteo, 34–39. 426 Apocalisse 18. 427 J.D. Crossan, Jesus and the Violence of Scripture, London 2015. 428 Matteo 15,4; Marco 7,10.
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Ma già Aristotele aveva condannato gli abusi sessuali su fanciulli e fanciulle429, cioè la pederastia. Anche se fin dagli inizi vi furono degli zeloti tra i seguaci di Gesù, cioè membri di una setta ebraica che voleva liberare anche con la violenza Israele dal dominio romano, come tentarono gli Ebrei con la grande rivolta del 66–70 d.C. e le altre successive430. Dopo i primi successi della rivolta (ma molti Ebrei si schierarono con i Romani) furono sconfitti e schiavizzati431. Nella successiva rivolta della diaspora (115–117 d.C.), che si estese dalla Tunisia all’Iraq, tennero testa ai Romani, ma alla fine furono sterminati quasi completamente, come un ventennio dopo con Bar Kochba. Questo ribelle religioso spaccò il corpo ebraico: chi lo vide come “figlio della stella”, chi lo vide, invece, come “figlio della menogna”. All’inizio la rivolta senbra avere successo: i Romani dovranno arruolare nuove leve per compensare i soldati persi432. La lotta fu molto violenta: in una grotta vicino al Mar Morto, vicino a quella dove si è trovato l’archivio di Babatha433 (una giovane donna che aveva, secondo una consuetudine ebraica non condannata nei Vangeli, due mariti, uno di nome Gesù, l’altro di nome Giuda) si sono trovati scheletri, anche di bambini, scomposti, con le teste decapitate, raccolte in un cesto e con le mandibole strappate. La resistenza fu dura. Gli Ebrei costruirono una fitta rete di passaggi sotterranei che ancora sopravvivono e inflissero pesanti perdite ai Romani434, prima di essere sconfitti. Dopo di allora non ebbero più forze435. Ma gli Ebrei furono un esempio unico di opposizione di massa al potere imperialistico, in un mondo dove non c’era affatto (anche allora) un ampio spazio per una “estetica della resistenza”, come direbbe Peter Weiss. Lo stesso Gesù è stato inteso come uno zelota, cioè un ribelle politico. L’idea ha un certo successo e l’ultimo libro sull’ argomento, scritto da un iraniano di origini musulmane, è stato edito in varie lingue e discusso su varie riviste436. Ma non mi sembra corretta. Certamente, però, gli apostoli Giacomo e suo fratello Giovanni sono detti “boanerghes”437, cioè “figli del tuono”: potrebbero essere, secondo Brandon, dei terroristi, dei sicari che col pugnale ammazzavano i nemici in nome di ideali nazionalisti e fondamentalisti, per cui venivano fatti passare per briganti e non per patrioti438. Erano gruppi di individui che si erano completamente sottomessi all’Altro, senza guadagnarsi almeno uno spazio minimo di negazione che gli permettesse di essere se stessi439. Non mi pare che Gesù possa essere inteso in questo modo, anche se c’è una ricca bibliografia sul suo essere fariseo, ebreo, esseno, ribelle, rivoluzionario politico … 429 Politica 1315° 15–28 430 S.G.F. Brandon, Il processo a Gesù, Milano 1974; Idem, Processo a Gesù. Zelota, sedizioso, sovversivo, Roma 2015. 431 G. Brizzi, 70 D.C. – La conquista di Gerusalemme, Roma – Bari 2015 (la più intelligente e recente trattazione del tema). 432 W. Eck, Der Bar Kochba Aufstand, der kaiserliche Fiscus und die Veteranenversorgung, in ”Scripta classica Israelica” 19, 1999, pp. 139–148. 433 D. Hartman, Archivio di Babatha. Testi greci e ketubbah vol. 1, Brescia 2016. 434 W. Eck, Der Bar Kochba Aufstand der Jahre 132–136 und seine Folgen der Provinz Judaea/Syria Palaestina, in G. Urso (ed.), “Judaea socia/Judaea capta”, Pisa 2012, pp. 249–266. 435 D. Foraboschi, Aspetti dell’opposizione giudaica, in a.c.d. M. Sordi, “L’opposizione politica ”CISA”, Milano 2000, pp. 31–60; W. Eck, Der Bar Kochba Aufstand der Jahre 132–136, cit. 436 R. Aslan, Gesù il ribelle: vita nella Palestina dell’anno zero, Milano 2013. 437 Marco 3,17–18: così li chiamò Gesù (“figli del tuono”?). 438 G. Brizzi, cit., pp. 283–297. 439 S. Žižek, Il soggetto scabroso. Trattato di ontologia politica, Milano 2003, p. 334.
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Già nel libro della Genesi si raccontano vicende efferate. Dina, figlia di Giacobbe, viene violentata da Sichem, che poi se ne innamora. Chiede allora di sposarla, ma gli viene risposto che sia lui che il suo popolo avrebbero dovuto circoncidersi. L’operazione determinò in tutti una spossatezza di cui approfittarono Simeone e Levi, fratelli di Dina, per uccidere tutti i maschi dell’altro popolo, saccheggiare la città e prendere come bottino tutti i beni, compresi le donne e i bambini. Questa era la vendetta per chi aveva trattato Dina come una prostituta440. Simili violenze ricorrono spesso: “uccisero tutti i maschi … Poi i figli di Israele fecero schiave le donne, fecero razzia dei loro animali, delle loro greggi e di ogni loro bene. Incendiarono le città dove abitavano e i loro recinti”441.
Ma a Mosè questo non bastò. Pretese che venisse ucciso ogni bambino maschio e ogni donna che si fosse giaciuta con un uomo. Le vergini potevano vivere solo per i maschi di Israele442. Ancora più tremendo è un Salmo famoso: “Figlia di Babilonia, votata alla distruzione: beato chi ti ricambierà quanto hai fatto a noi! Beato chi prenderà i tuoi bambini E li sbatterà contro la roccia!”443.
Già nella Genesi quando gli Ebrei si inebriarono nel culto del vitello d’oro Mosè ne fa uccidere per punizione tremila444. Per terminare con le citazioni fermiamoci al Deuteronomio445: “nelle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dona in eredità non lascerai viva anima alcuna, ma voterai allo sterminio Hittiti, Cananei, Perizziti, Evei e Gebusei”.
Del resto esplicitamente nella Bibbia si dice che Dio ha creato il bene, ma anche il male446. Tuttavia nei testi più recenti della Bibbia la violenza tende a disparire. Non diversamente tra gli altri popoli. Saturno divora i figli. Zeus si trasforma in toro, rapisce una bella fanciulla di nome Europa e la seduce (o violenta?). Nella mitologia greca le origini del mondo sono le più atroci. Urano, il Cielo, non fa altro che sesso con Gaia, la Terra. E la copre completamente procreando in continuazione. Per liberarsi Gaia produce al proprio interno una lama di acciaio che affida a Crono. Quando Urano penetra ancora Gaia, Crono gli recide i genitali. Urano,che è stato castrato, lancia un urlo pauroso di dolore, ma ormai il suo dominio è finito e lui sarà il cielo immobile che copre tutta la terra447. Anche nel mondo antico il sesso era governato e guardato con diffidenza448. 440 Genesi. 34. 441 Numeri 3. 442 La violenza è una componente rilevante della personalità del maschio di Israele: v. T. M. Temos, Violence and Personhood in Ancient Israel and Comparative Contexts, Oxford 2017. 443 Salmo 137 (136). 444 Esodo 32, 26–28. 445 20,16. 446 Isaia 45, 5–7; Th. Römer, L’ invention de Dieu, Paris 2014, p. 295. 447 J.-P. Vernant, L’universo, gli Dei, gli uomini, Torino 2000, pp. 12–14. 448 M. Foucault, Les aveux de la chair, Paris 2018.
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Nel mondo arabo filosoficamente e filologicamente complesso è il termine Jihad, ma le ascendenze veterotestamentarie del Corano possono spiegare le moderne interpretazioni paurosamente violente, anche se propriamente Jihad sembra significare “lotta interiore”449 e nel Corano si trovano spesso espressioni del tipo: “combattete contro coloro che vi combattono, ma senza eccesso” (II, 190)450. Ma c’è anche la discussa sura VIII 7 (la sura del bottino): “stermina i non credenti fino all’ultimo”, che ispira i fondamentalisti di oggi e ne vorrebbe giustificare il terrorismo attuale che vorrebbe essere rivolta contro una globalizzazione inaccettabile. Del resto un bellicismo estremo accomuna l’Antico Testamento al Corano: “è il Signore, vostro Dio, che va con voi, per combattere per voi contro i vostri nemici” (Deuteronomio XX,4), cioè è Yahweh che combatte in prima fila, come si dirà di Allah: “Ma non voi li uccideste, bensì Dio li uccise, e non eri tu a lanciare frecce, bensì Dio le lanciava” (Corano VIII, 17)451. In particolare il libro dei Giudici è una narrazione continua di battaglie, tra sangue e fuoco, per la conquista della terra di Israele, la terra promessa. Ma anche il Corano sembra un testo complesso, difficile e da storicizzare. Il misoginismo musulmano che garantisce al maschio il diritto di picchiare la donna quando questa sbaglia e che trova riscontro in alcune affermazioni di S. Paolo452 e di altri padri della chiesa (in aperto contrasto con l’atteggiamento di Cristo rispetto alle donne, compresa Maddalena (la donna fedele, ma non certo di fama conformistica), va in qualche modo circoscritto453. Gesù è forse l’unico non maschilista, pur dentro una tradizione biblica primitiva: “Trovo che amara più della morte è la donna…”454. Gesù al contrario quando gli sottopongono il caso della donna sorpresa in adulterio e chiedono che, secondo la legge di Mosè, venga lapidata455, risponde che chi è senza peccato scagli la prima pietra. Tutti, essendo normali peccatori, si dileguano. Cristo non condanna la donna e le chiede, però, di non peccare più456. La tradizione della Chiesa, a cominciare da S. Paolo, andrà in senso contrario. Come il Corano che è notoriamente più maschilista. Viene però contraddetto quando Maometto è terrorizzato, dopo la vista dell’Arcangelo Gabriele e sembra si placasse solo quando poté accucciarsi in mezzo alle gambe di sua moglie457.Ancora più netta è la figura della Madonna, che genera Dio ed è magistra anche tra apostoli inevitabilmente maschilisti458. Ma se è vero che è la donna che partorisce l’uomo, tuttavia è l’uomo la prima creatura di Dio, da cui poi viene estratta la donna. Per questo la donna deve ubbidire all’uomo, che inoltre è colui che le fornisce i mezzi di sussistenza459. Su di un altro versante la lapidazione è una tradizione ebraica, almeno fino al tempo di Gesù che appunto la condanna (“chi è senza peccato lanci la prima pietra…”).
449 450 451 452 453 454 455 456 457 458 459
M. Campanini, Islam, Milano 2013. R.J. Hoffmann, La guerra giusta e la jihad, Milano 2011. Crépon, cit., pp. 122–123. Corinzi 11,1–6; 13–16. V. Žižek sottocitato. Qo 7, 26. Gv 8, 1–11. E. Bianchi, Gesù e le donne, Torino 2016, pp. 85–86. S. Žižek, L’Islam e la modernità. Riflessioni blasfeme, Milano 2015. M. Cacciari, Generare Dio, Bologna 2017, p. 72. F. Aït Sabbah, La femme dans l’ inoscient musulman, Paris 1982, pp. 142–145.
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La decapitazione, invece, è diventata spettacolo mediatico con i fondamentalisti contemporanei, ma trova forse qualche riscontro nel Corano (XLVII, 4; VIII, 12). Dalla Mesopotamia alla Siria, dalla terra dei Maya all’Amazzonia, fino alle Ande oppure, dall’altra parte del mondo, alla Dacia di Traiano la decapitazione di massa dei nemici appare un fenomeno normale. Più difficilmente decifrabili sono, invece, le scene di auto-decapitazione a colpi di ascia presso i Maya460. La morte dell’altro sembra susciti piacere. Ancora negli USA del 1800 veniva propagandato con manifesti il linciaggio dei neri come spettacolo pubblico461. Migliaia di neri vennero linciati alla presenza di migliaia di sadici spettatori462. Nel Corano non si trovano pagine violente come quelle di alcune pagine dell’Antico Testa mento, ma la predica della violenza è ripetuta. La verità sembra sotto gli occhi di tutti, ma nessuno la vuole vedere. Per passare ad un altro continente, gli Atzechi facevano morire le proprie vittime a fuoco lento, dopo avere strappato il cuore ancora pulsante. I Dayak del Borneo colpivano ripetutamente con aghi e lame le vittime fino a provocare una lenta morte per dissanguamento. Alcuni popoli allevavano dei bambini solo per immolarli463. Del resto l’infanticidio sembra fosse diffuso anche nel mondo romano464. La crudeltà sembra un sentimento diffuso non solo d Atene e a Roma. A Cartagine dopo la prima guerra punica e dopo la sconfitta dei mercenari ribelli questi vengono torturati: si tagliano le mani, le orecchie e il naso, vengono castrati, gli si spezzano le gambe, prima di gettarli, moribondi ma ancora purtroppo vivi, in una fossa465. A Teutoburgo i barbari Germani, dopo avere distrutto le legioni romane, non ancora soddisfatti, tagliano la lingua a un Romano e poi gli cuciono la bocca466. Già secoli prima gli Sciti usavano recidere lo scalpo e uccidere i nemici, anche le femmine e gli adolescenti467. Quando Dionigi il Giovane conquista Locri si impadronisce delle più prestigiose case della città, le fa adornare di rose e altri fiori, vi convoca le giovani donne locali e ne abusa senza freno. Ma quando venne sconfitto quelli di Locri trattarono sua moglie e le figlie come delle prostitute. In questo si distinsero i parenti delle giovani di Locri già violentate. Alla fine le uccisero infilando degli aghi sotto le unghie delle mani. Macinarono le loro ossa nei mortai, mentre le carni le fecero mangiare ad altri, imprecando contro quelli che si rifiutavano468. Ma poi nel Medioevo le tecniche della tortura raggiunsero vertici di raffinata e disgustante perfezione469. Cattolici e Protestanti gareggiarono nella pratica delle torture470. E le masse assistevano estasiate allo spettacolo. Anzi in Francia si erano inventati (in assenza di uomini) lo spettacolo dei 460 S. D’Onofrio – A.Ch. Taylor (edd.), La guerre en tête, Paris 2006, pp. 10–11. 461 Catalogo della mostra di Parigi (2016), The Colored Line. 462 P. Phillips, Blood at the Root, London 2016. 463 S. Pinker, Il declino della violenza, IV p. 11. 464 Kr. Killgrove, Infanticide or Natural Death, on-line. 465 Polibio I 80. 466 Floro, Epit. Storia romana III 30, 36–80. 467 Erodoto IV; E. Murphy, Mummies and log houses of the dead: Scythian life and death, in S. Simpson – S. Pankova (edd.), “Scythian warriors of ancient Siberia”, London 2017. 468 Eliano, Storie vere, IX 8. 469 Th. Jigourel, Tortures et Supplices au Moyen Âge, Rennes 2016. 470 A. Prosperi, Delitto e perdono, Torino 2013.
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gatti bruciati vivi. A fine ottocento circa 40 mila persone passavano dall’obitorio di Parigi ogni giorno per vedere i morti. Lo spettacolo è sempre piaciuto: nel 1936 all’ultima esecuzione pubblica in USA assistettero 20000 persone, anche perché il boia, Florence, avrebbe dovuto essere una donna471. E già ai tempi di Shakespeare l’esecuzione dei criminali era uno spettacolo molto popolare dove le masse si spintonavano per contendersi le prime file472. Anche nel mondo greco si allevavano vittime sacrificali (pharmakoì) e a Marsiglia alcune erano dei volontari che in attesa della morte si potevano “gustare” in prigione il cibo che non avevano a casa.473. Altri amavano divertirsi. Su un epitaffio romano leggiamo: “Passante non pisciare sulla mia tomba… ma se tu vuoi essere il benvenuto mesci il vino, bevi e passami la coppa”474. Filosofie “Tutti i lumi della verità non possono nulla per arrestare la violenza e non fanno che irritarla di più…”, ma ” la verità vive in eterno e alla fine trionfa sui suoi nemici” (B. Pascal, Le Provinciali XII).
Come per Freud violenza e sessualità sono istinti primari, praticamente tutte le filosofie vedono violenza e guerra alla base della storia. Basta dunque citarne solo qualcuna. Per Platone quello che la maggior parte degli uomini chiama pace è solo un nome. Di fatto, secondo natura,c’è una guerra continua tra città e città475. Ancora più drammatico è Tucidide476: Non solo tra gli uomini, come è noto, ma, per quel che se ne sa, anche tra gli dei, un impulso necessario e naturale spinge a dominare su chi puoi sopraffare. Questa legge non l’abbiamo stabilita noi, né siamo stati noi i primi a valercene: l’abbiamo ricevuta che già c’era e a nostra volta la consegneremo a chi verrà dopo e avrà valore eterno”. La guerra è il dominio del più forte il cui nemico deve scatenare una guerra preventiva se teme che possa diventare ancora più forte. Così accadde quando gli Spartani, dopo avere consultato l’oracolo, decisero di scendere in guerra contro Atene, la cui potenza poteva diventare inarrestabile477. Per Platone tutte le guerre nascono per la volontà di possesso478. “La guerra è il padre e il re di tutte le cose”479. Attorno alla guerra si creano nuove economie480, perché gli eserciti abbisognano
471 F. Larson, Teste mozze, Novara 2016, p. 92. 472 N. MacGregor, Il mondo inquieto di Shakespeare, Milano 2017, p. 260. 473 A. Brelich, Presupposti del sacrificio umano, Roma 2006, p. 83; D.D. Hughes, Human Sacrifice in Ancient Greece, London – New York 1991, pp. 139–165; A. Porter – G.M. Schwartz (edd.), Sacred Killing: The Archaeology of Sacrifice in the Ancient Near East, Winona Lake 2012. I sacrifici cruenti trovano forse una prosecuzione cristiana in certi riti della Grecia ortodossa (S. Georgoudi, Rito e sacrificio animale nella Grecia moderna, in M. Detienne – J.P. Vernant [edd.], “La cucina del sacrificio in terra greca”, Torino 1982, pp. 182–202). Sulla cerimonia sacrificale che contemplaava lo sgozzamento del bovino (bouphonia) v. J.-L. Durand, Sacrifice et labour en Grèce ancienne, Paris – Rome 1986, pp. 67–80. 474 CIL VI 2357. 475 Leges 626. V. più in generale il mio studio Guerra e pace a Roma, in G. Daverio (ed.), “Dalla concordia dei Greci al bellum iustum dei moderni”, Milano 2013, pp. 83–105. 476 V, 105. 477 Tucidide I 118, 2–3. V. M. Cesa, Le ragioni della forza, Bologna 1994. 478 Fedone 66c. 479 Eraclito 53. 480 L. de Blois – E. Lo Cascio, The impact of the roman army (200 BC–AD 476), Leiden 2007.
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Filosofie
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di tutto, dal vettovagliamento alle prostitute481, che fin dai tempi dell’Anabasi482 di Senofonte seguivano numerose i soldati in marcia. Il fenomeno si fa sempre più diffuso, anche perché si elabora il concetto di “guerra giusta” in modo che anche i Cristiani si massacreranno reciprocamente fino alle tragedie delle ultime guerre mondiali483 e a quelle di ora. Sembra non ci sia nessuno spiraglio per una speranza di pace. In Hegel la conquista della libertà e della luce presuppone la violenza che rompa l’oscurità circostante484: “Il diritto internazionale si fonda su trattati, che devono essere rispettati. Ma gli Stati sono l’uno verso l’altro in un rapporto di stato di natura, e quindi sono dotati solo di volontà particolare. Quindi i trattati sono soggetti a venire disattesi sulla base di questa volontà. Kant pensa alla pace perpetua da realizzarsi attraverso una federazione a contenuto morale, ma anche in questo caso gli stati resterebbero pur sempre delle volontà sovrane particolari...La guerra in quanto situazione nella quale la vanità delle cose e dei beni temporali, che altrimenti suol essere un modo di dire edificante, diventa una cosa seria, è quindi il momento in cui l’idealità del particolare ottiene il suo diritto e diviene realtà; la guerra ha il superiore significato che grazie ad essa ... la salute etica dei popoli viene mantenuta nella sua indifferenza di fronte al rinsaldarsi delle determinatezze finite, come il movimento …dei venti preserva il mare dalla putredine, nella quale sarebbe ridotto dalla quiete durevole, come i popoli da una pace durevole o addirittura perpetua485”.
Tale è la grandiosità della guerra che la forma letteraria che la esprime sarà, per Hegel, quella originaria dell’epica. Per Kant, che aspira alla pace, lo stato di pace tra gli uomini che vivono assieme non è affatto uno stato di natura (status naturalis), il quale è piuttosto uno stato di guerra, cioè uno stato in cui, anche se non sempre esplodono le ostilità, la loro minaccia è tuttavia continua486. Il confronto/scontro di civiltà spesso si traduce in domande inquietanti come: chi siamo noi; chi sono loro. L’incontro con la differenza genera paure che possono degenerare in guerre. E le guerre possono essere considerate positive: l’inno alla guerra sarà – tra i tanti – ripreso in termini profetici da O. Spengler: “ La guerra è la creatrice ... la vita è portata in alto attraverso la morte”487. Concetti che verranno mediati nella prosa quotidiana del fascismo. E il dibattito sul tema potrebbe continuare all’infinito488. Al solito, sono Marx/Engels a ribaltare, al di là di ogni mistica, il problema: la vittoria della violenza poggia sulla produzione di armi, e questa poggia a sua volta sulla produzione in gene-
481 Notoriamente molto diffuse anche nel mondo antico. Tra la vasta bibliografia cito solo E.E. Cohen, Athenian Prostitution, Oxford 2016; A. Glazebrook – B. Tsakirgis (edd.), Houses of ill Repute, Pennsylvania 2016; E. Cantarella, L’ amore è un Dio: il sesso e la polis, Milano 2007; E. Cantarella – L. Jacobelli, I volti dell’amore, Milano 1998 (e 2013). 482 IV 19. 483 N. Biggar, In Defence of War, Oxford 2013. 484 V. Morfino, Sulla violenza. Una lettura di Hegel, Como 2000, p. 56. 485 G. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Roma – Bari 1954, §320 e 324. 486 V. l’appendice all’edizione Feltrinelli di A. Burgio (E. Kant, Per la pace perpetua, Milano 2005). Simile è ovviamente il pensiero di Th. Hobbes, De cive I,12. 487 Il tramonto dell’Occidente, Milano 1957, p. 1348. 488 D. Foraboschi, Guerra, Rivolta, Egemonia, Milano 1998.
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rale, quindi sulla “potenza economica”, sull’ “ordine economico” sui mezzi materiali che stanno a disposizione della violenza489. Escatolgie: il mondo conoscerà la sua morte? La violenza estrema è la fine del mondo. Ė la morte terrifica di tutti, anche gli eroi greci che pure attraverso prove mortali potevano aspirare all’immortalità490 e anche tanti cristiani o musulmani, che potevano sognare un aldilà in forma di paradiso. Una serie di eventi disastrosi nel tardo-antico (guerre, epidemie, crisi climatiche…) incrinò le fondamenta dell’antico politeismo civico e fece emergere nel giudaismo, nel cristianesimi e nell’islam una stagione di escatologie drammatiche491. Tuttavia “siamo ben lontani dal credere a quelle interpretazioni di storia universale che vedono la storia del mondo procedere di catastrofe in catastrofe… Una antica teoria greca connetteva storia degli uomini e fenomeni naturali: essa derivava certamente dalla diretta osservazione del mondo che stava attorno ai Greci, dalle loro esperienze sui condizionamenti naturali e ambientali, con i riflessi sui modi della vita e sull’organizzazione della società e della convivenza umana”492. Nihil occasus, nihil ortus erit?493 Ma è raro trovare nella letteratura greco-romana un cenno alla fine del mondo494. Tra i Romani495 troviamo “la mancanza di una precisa codificazione dell’idea della morte e dell’oltretomba negli orientamenti escatologici veniva così a giustificarsi quella libertà di coscienza che traspare chiaramente dalla varietà delle procedure connesse al culto funebre”496. Questo si spiega sia con la cartografia antica del tempo497, sia con la diffusione di certe ideologie politiche. Era diffusa una visione circolare del flusso del tempo detta anakuklosis, per cui non si concepiva la storia come un’evoluzione lineare, che poteva capovolgersi e divenire involuzione e quindi fine. La concezione circolare del tempo corrisponde alla paura della storia Questo è il concetto che sostanzialmente ispira, sia pur con qualche incertezza, il pensiero dei 40 libri delle Storie di Polibio, che può essere definito uno storico greco-romano (in parte anticipato da Erodoto498).
489 Anti-Dühring 2,1. 490 J.-P. Vernant, La morte negli occhi. Figure dell’altro nell’antica Grecia, Bologna 1987. 491 K. Harper, The Fate of Rome, Princeton 2017, p. 249 e 304–315. 492 E. Gabba, Riflessioni storiografiche sul mondo antico, Como 2007, p. 11. 493 Seneca, Thyestes, 814. 494 Una ricerca incompiuta sul tema è E. De Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Torino 2002; G. Zecchini, Fine dell’ impero romano ed escatologia, Milano 2014. 495 S. Birk, Depicting the Dead, Aahrus 2013: era importante per i Romani essere ricordati dopo la morte e questo era una loro qualità (p. 9). Sui circa 15000 sarcofagi di età imperiale i bassorilievi raffigurano le aspirazioni e l’identità dei defunti. 496 J. Ortalli, I Romani e l’ idea dell’oltretomba tra monumenti, immagini e scritture, in “Ostraka” XIX,1–2, 2010, p. 79 (buona parte di questo numero della rivista è relativo alla morte e ai culti funebri). Su prospettive greche, romane, ebraiche e cristiane della morte v. i contributi in W. Ameling (ed.), Topographie des Jenseits. Studien zur Geschichte des Todes in Kaiserzeit und Spätantike, Stuttgart 2011; B. Shaw, Seasons of Death: Aspects of Mortality in Ancient Rome, in “JRS” 86, 1996, pp. 100–138. E. Rebillard, Christians and their Many Identities in Late Antiquity: North Africa, 200–450 CE, Ithaca, 2012. 497 D. Rosenberg – A. Grafton, Cartografie del tempo. Una storia della linea del tempo, Torino 2012. 498 III, 80–82.
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Escatolgie: il mondo conoscerà la sua morte?
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Anche se Polibio ne temeva la crisi, l’impero romano ebbe una durata incomparabile. Questo grazie ad una serie di motivi, ma anche perché per alcuni secoli aveva avuto una “Costituzione mista” che, secondo alcuni, permetteva un equilibrio tra il ruolo delle élites dirigenti e quello delle masse che, come i bambini chiedono solo di essere compiaciute, cosa che i demagoghi non esitano a fare ostentatamente499. Questo aveva ben compreso Polibio quando elogiava (libro VI) la Costituzione di Roma e il ruolo strumentale attribuito ad una religione che era religione del “rito”, sacrale come il pontificato massimo di Cesare, ispirandosi in qualche modo (senza approfondimenti teoretici) ad alcuni filosofi greci, discutibili ma certo interessanti500. E Polibio501 è una delle nostre fonti migliori, non un “nativo della provincialissima Mega lopoli” e “uno straniero in terra straniera” come scrive G. Zecchini502 (forse offeso perché Poli bio non era cristiano? Ma era vissuto qualche secolo prima di Cristo…). Polibio non era affatto un “irrispettoso e insieme stupido” (???). Aveva viaggiato a lungo fuori da Megalopoli503. Aveva studiato a lungo testi e lingue come il latino e ne aveva discusso con molte persone504 durante il suo soggiorno coatto presso il raffinato Circolo degli Scipioni. Studiando i trattati romano-cartaginesi aveva verificato la profonda differenza tra latino arcaico e latino contemporaneo505, quando normalmente i Greci non pronunciavano una parola in latino. Oltretutto, era tale da venire studiato ancora dai militari francesi nel ‘700506. Per ritornare al tema della concezione del tempo, Santo Mazzarino ha scritto nella famosa nota numero 555, lunga 49 pagine, a conclusione dei tre volumi del suo Il pensiero storico classico507, non si può nettamente distinguere una concezione rettilinea del tempo, propria del pensiero cristiano, e anche di quello musulmano dove Dio è signore del tempo508, da una concezione circolare pagana che semmai prelude all’idea dell’eterno ritorno. E’ ben noto che Nietzsche509 riprende drammaticamente l’idea dell’eterno ritorno. Anticipatore del suo intendimento è Anassimandro che però fa rientrare nel suo pensiero la fine del mondo, perché nel divenire perenne del mondo c’è un eterno essere, l’apeiron, cioè un indeterminato da cui le cose si distaccano con il loro divenire e questo rendersi autonome delle cose le espone all’espiazione della colpa, la colpa di essersi rese autonome dall’eterno essere e quindi fedeli alla morte, alla caducità510. 499 500 501 502
M. Vegetti, Chi comanda nella città. I Greci e il potere, Roma 2017, p. 36; Platone, Gorgia,502e. F.W. Walbank, A Historical Commentary on Polybius, Oxford 1957, pp. 741–741. J. Thornton, Polibio e l’ imperialismo romano, in “Mediterraneo Antico” XVII, 2014, pp. 157–182. Polibio e la Costituzione romana: storia di un fraintendimento, in “Scritti di Storia per Mario Pani”, Bari 2011, pp. 532–533. 503 Walbank, cit., I, pp. 3–10. 504 Walbank, cit, I, 26–35 505 III 22. 506 L. Poznanski, La polémologie pragmatique de Polybe, in “Journal des Savants” 1994, pp. 17–74; F. Biet, Les réflexions stratégiques du XVIIIe siècle d’après l’œuvre de Polybe, in “Histoire économie société” 15, 1996, pp. 231–244. 507 Bari 1966, II,2, pp. 412–461. 508 Corano, Sura 24,23. 509 E.W. Nietzsche, La filosofia nell’età tragica dei Greci (del 1873), Roma 1988. Lo stesso tema è sviluppato in La volontà di potenza (1901). 510 V. N. Spineto, Mircea Eliade, Oscar Cullmann et l’opposition entre temps cyclique et temps lineaire en histoire des religions, in “Le myrte et la rose”, cit., pp. 216–226.
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Un frammento di Anassimandro sembra esplicito: “E donde viene agli esseri la nascita, là avviene anche la loro dissoluzione secondo necessità; poiché si pagano l’uno l’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia, secondo l’ordine del tempo”511.
Come ha scritto Ernesto de Martino512: “La natura tende all’eterno ritorno perché è il modo più economico di divenire, perché è “pigra”, perché lo Spirito non si è ancora distaccato da essa. Con lo Spirito, cioè con la umanità e con la cultura, la tendenza all’eterno ritorno diventa un rischio contro cui la umanità e la cultura sono chiamate a combattere. Lo Spirito è distacco dalla pigrizia della natura...”.
In ogni caso nel mondo greco-romano la concezione circolare sembra prevalente e quindi non troviamo visioni chiliastiche o millenaristiche, ma semmai declini e rinascite. D’altro canto nell’impero che dominò il mondo per lunghi secoli, quello romano, l’ideologia più diffusa, imposta e dominante, era quella di Roma aeterna per cui pochi osano immaginare una fine. E i Romani, anche di basso rango, provavano uno strano piacere della propria e altrui storia513. Troviamo cenni alla vecchiaia dell’impero (Senectus imperii di L. Bessone), o addirittura di morte (interitus)514 dell’impero, secondo una concezione biologica dell’evoluzione storica (Gabba515). Ma i casi sono pochi e sparsi: Varrone, Floro, Seneca, Vopisco (fantomatico scrittore di alcune vite di Imperatori della Historia Augusta e Ammiano Marcellino vedono volgersi la vita del mondo in quattro o cinque fasi simili a quelle dell’uomo516. Secondo Floro517, che riassume in qualche modo il pensiero degli altri: “Qualora si consideri il popolo romano quasi fosse un unico uomo e si esamini attentamente tutto il suo ciclo storico come sia iniziato,, come sia cresciuto, come sia giunto quasi ad una certa fioritura di gioventù, come poi sia per così dire invecchiato, si troveranno quattro gradi di sviluppo. Il primo periodo, sotto i re durò circa duecentocinquanta anni”.
Ci fu poi il periodo della cosiddetta adolescenza. In seguito vi furono centocinquanta anni fino a Cesare Augusto. Quindi vi furono non molto meno di duecento anni in cui il mondo piombò in un’età oscura. Ma con l’imperatore Traiano verrà restituita la gioventù.
511 A. Pasquinelli, I presocratici: frammenti e testimonianze, Torino 1976; H. Diels – W. Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, Berlin 1934–1937, Anassimandro fr. 1; E. Zeller – R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, I, Firenze 1969, p. 211; per Empedocle, ibid., p. 22: nulla nasce dal nulla, né nulla finisce nel nulla. 512 La fine del mondo, p. 225. 513 Cicerone, De fin. Bon. et mal., V 19,52. 514 L. Bessone, La storia epitomata. Introduzione a Floro, Roma 1996; Idem, Senectus imperii. Biologismo e storia romana, Padova 2008; Velleio Patercolo, Historiae romanae libri II, 2,11,3: “quemadmodum urbium imperiorumque, ita gentium nunc florere fortunam, nunc senescere, nunc interire”. 515 E. Gabba, Fatti della natura, storia degli uomini, in E. Gabba, “Riflessioni storiografiche sul mondo antico”, Como 2007, pp. 13, 22. 516 Tutti i passi sono analizzati nei citati due libri di Bessone. 517 Epitome I 3.
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Solo in uno storico come Sallustio518 possiamo trovare l’affermazione netta che tutto ciò che nasce muore519. Il corpo è inevitabilmente soggetto a decomposizione. Anche Lucrezio sostenne che il cosmo è un perenne turbinio di atomi, ma a un certo punto scrive: “Un colpo più violento di quanto sopporti la sua natura, abbatte qualsiasi essere animato e si adopera a sconvolgere tutti i sensi del corpo e dell’animo. Si dissolvono così le disposizioni dei corpuscoli primi e nel profondo restano impediti i moti vitali …”520.
Temi simili si trovano anche in Seneca e nella teoria stoica dell’ekpyrosis521, l’incendio cosmico che incenerisce il mondo. Mi sembra inutile procedere all’elencazione di quanti pensatori concepirono l’eternità del mondo. Filone di Alessandria, ebreo di grande cultura greca, ci fornisce le linee essenziali – a cominciare da Anassagora – nel suo trattato De aeternitate mundi (PERI AFKARSIAS KOSMOU). Secondo lui ci furono tre opinioni diverse: quella di chi sostiene che il mondo è ingenerato e immortale, quella di chi pensa invece che il cosmo abbia avuto una nascita e avrà una morte e quella di chi sostiene un posizione mista, cioè che il mondo è nato, ma resta incorruttibile. Filone prende in considerazione molti filosofi, a cominciare da Okellos, un presocratico della Lucania, che sostenne che il mondo né nasce né muore. Simile sarebbe la teoria di Platone nel Timeo522. Tuttavia il pensiero di Platone sembrerebbe più problematico: “Dunque – scrive – il tempo fu prodotto insieme con il cielo, affinché, così come erano nati insieme, si dissolvessero anche insieme, se mai dovesse avvenire una loro dissoluzione. E fu prodotto in base al modello della realtà eterna”523.
Aristotele è più perentorio nell’affermare l’eternità del cosmo, perché le sfere dei pianeti non fanno nient’altro che imitare nel loro moto circolare l’eternità di Dio e il moto circolare è la migliore rappresentazione dell’eternità524. Però l’eternità è propria della divinità, non degli enti umani che sono invece mortali525. Una posizione simile viene riproposta da S. Agostino quando scrive: “Non ci fu un tempo durante il quale avresti fatto nulla, poiché il tempo stesso l’hai fatto tu e non vi è un tempo eterno con te perché tu sei stabile, mentre un tempo che fosse stabile non sarebbe un tempo”526. 518 De bello iugurtino, 2,3. 519 Corrisponde al principio pitagorico che nella vita sta il principio della morte (Diogene Laerzio 8,22) 520 De rerum natura, II 944–951: “accensi sensus animantem quamque tuentur. Praeterea quamvis animantem grandior ictus, quam patitur natura, repente adfligit et omnis corporis atque animi pergit confundere sensus … donec materies amnis concussa per artus vitalis animae nodos a corpore solvit” 521 Filone Alessandrino, De aet. mund. 4; Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, soprattutto 7, 134; L. Castagna, Vecchiaia e morte del mondo in Lucrezio, Seneca e San Cipriano, in “Aevum Antiquum” 13, 2000, pp. 239–263. 522 Filone, ibid., 12. 523 Timeo 37d. Il tema dell’immortalità viene approfondito nel Fedone ed è ripreso dai neo-platonici (S.R.Ph. Gertz, Death and Immortality in Late Neoplatonism, Leiden – Boston 2011). 524 Fisica IV, 10, 217–218. 525 E. Berti, Aristotele, Sull’essere, Milano 2013, p. 36. 526 Confessioni 11,14,17.
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Del resto anche la morte individuale viene percepita in diversi modi: dalla morte eroica a quella personale e qualsiasi527, alla tragica morte in guerra di padri e figli528. Ma in un certo senso è vera l’affermazione di E. Canetti: “solo le religioni hanno qualcosa da dire sulla morte. Su du essa le filosofie non dicono nulla”529. Tra i Cristiani pensare alla morte può apparire un gioioso avvicinamento a Dio530, oppure una “diem tremendam iudicii”, come appare in tre iscrizioni funebri del primo cristianesimo531. Nella prima autobiografia di una donna, La passione di Perpetua, scritta nel 203 d.C., quando la cristianissima Perpetua viene condannata al supplizio, a Cartagine, di fronte alle esitanti titubanze del boia532, si portò essa tessa alla gola la spada, “perché gustasse un po’ il dolore”, che era il preludio di un al di là paradisiaco, dopo essere stato il luogo di percezione della violenza. Ma anche all’interno del pensiero cristiano ci sono delle evoluzioni: fino al Medioevo la morte viene considerata l’anticamera dell’eternità, col Rinascimento, invece, la morte non è più l’inizio certo di una nuova vita533. Esiste anche una differenziata “Archeologia della Morte”534. Fu necessaria una rivoluzione culturale perché i cimiteri fossero accettati all’interno delle aree urbane, mentre per millenni si collocano quasi sempre in aree extra-urbane, secondo precise strategie mortuarie che, però, a volte non riusciamo a decifrare, come il cimitero di più di ottocento bambini scoperto in Egitto a Tebtunis535. Anche nel pensiero orfico greco la morte può essere un preludio di felicità. Secondo alcuni pensatori – riecheggiando orfismo, pitagorismo e il Platone del Fedone – con la morte finalmente una meravigliosa luce viene incontro e ti avvolge e si è accolti dentro luoghi puri e prati incontaminati, dove risuonano voci e si vedono danze. La morte collettiva può riguardare intere regioni (come nel caso dell’Atlüe del Timeo e del Crizia platonici), oppure può essere una libera scelta di suicidio di massa, come nel caso dei 960 Ebrei che, come scrive Giuseppe Flavio, si suicidarono a Masada nel 73/74 d.C. per non essere assoggettati dai Romani536. La pratica del suicidio di massa sembra una tragica attitudine dei Giudei, come mostra anche la grotta con gli scheletri decapitati (o è un massacro compiuto dai Romani?) dove è stato trovato l’archivio di Babata537. 527 K. Waldner – R. Gordon – W. Spickermann (edd.), Burial Rituals, Ideas of Afterlife, and the Individual in the Hellenistic World and the Roman Empire, Stuttgart, 2016; M.S. Mirto, La morte nel mondo greco: da Omero all’età classica, Roma 2007; Ph. Ariès, Storia della morte in Occidente: dal Medioevo ai nostri giorni, Milano 1980. 528 Erodoto § 87. 529 Il libro contro la morte, Milano 2017, p. 275. 530 V. il fascicolo monografico “Pensare la morte”, “Communio” 232, 2012. 531 AE 1999, 810; CIL 5, 5415; IC a Roma 120. 532 XXI 10. 533 Ariès, Storia della morte, cit., p. 112. 534 N. Laneri, Archeologia della morte, Roma 2011; H. Williams – M. Giles, Archaeologists and the Dead, Oxford 2016; C. Edwards, Death in Ancient Rome, Yale 2007. 535 C. Gallazzi – G.Hadji-Minaglou, Sépultures de nouveau-nés et d’enfants dans une nécropole à la fin du VIIIe du IXs. apr. J.-C. à Ummm-el-Breigât, Tebtynis, in M.-D. Nenna (ed.), “L’enfant et la mort dans l’ Anti quité gréco-romaine”, Alexandrie 2012, pp. 389–406. 536 G. Brizzi, 70 D.C. La conquista di Gerusalemme, Roma – Bari 2015, pp. 274–282; Foraboschi – Bussi, Integrazione, cit. p. 115. 537 D. Hartman, Archivio di Babatha. Testi greci e ketubbah vol. 1, Brescia 2016.
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Il suicidio di massa viene messo in dubbio, ma resta fino ad oggi un esempio di sacrificio e simbolo perenne per Israele538. Ma anche l’idea di suicidio ha una sua storia. Non si può parlare in generale di “suicidio egoista” (Durkheim) per quanto riguarda il mondo antico, che si richiama invece al dolor alla fides o alla virtus. Come in una lettera di una madre che minaccia il suicidio se il marito non torna subito, mentre il figlio non mangia da 6 giorni e sta morendo539. D’altro canto un marito scrive alla moglie incinta: se è un maschio lascialo vivere, se è una femmina abbandonala. Addirittura in caso di divorzio la donna incinta è autorizzata ad esporre il bambino e a sposarsi con un altro uomo540. Così profondamente differenziate sono le motivazioni dei 9639 suicidi noti per il mondo antico, di cui 76 sono casi di suicidio collettivo e 854 casi di suicidio individuale541, perché il suicidio individule ha una storia millenaria, come attesta un asipirante suicida vissuto in Egitto intorno al 2000 a.C., che scrisse un’opera intitolata “Dialogo del disperato con la sua anima”, in cui l’Io discute con l’anima, che lo convince ad evitare il suicidio, indegno di un uomo542. Ma solo per influssi egiziani, giudaici e poi cristiani appare una dimensione apocalittica e millenaristica543, quando l’apocalisse diviene disvelamento di un futuro drammatico, l’angoscia della fine del tempo cioè il “dramma dell’apocalisse cristiana”544, oppure dell’avvento del regno di Dio545. Le Revelationes dello Pseudo-Metodio, forse scritte in siriaco e poi tradotte in varie altre lingue, nel VII secolo, con qualche retaggio di Zoroastro, sono alla base delle tematiche medievali dell’Anti-Cristo e della fine del mondo546. Ma già nei testi assiro-babilonesi – come il Gilgamesh – appaiono rappresentazioni della vita dopo la morte547, così nella “Discesa di Isthar negli Inferi”, per ricuperare l’amante Tammuz da lei stessa forse fatto morire. I temi apocalittici sono tipici del giudaismo e ben attestati nel libro di Daniele dell’Antico testamento, libro redatto attorno al 167 a.C., quando Antioco IV di Siria volle porre un altare pagano sulle mura del tempio di Gerusalemme, con un atto che viene definito “abominio della desolazione” (bdelugma heremoseos)548. E’ forse il libro archetipo delle apocalissi e delle profezie post eventum e precede la più famosa Apocalisse, quella di Giovanni, dove si scrive di un ciclo millenario della vita (20,6), cui poi succederà una nuova vita. In un rotolo di Qumran549 si legge che nella guerra finale i figli della luce sconfiggeranno i figli delle tenebre e ne faranno un massacro. 538 Fl. Giuseppe, B.J. I 161–172; 237–238; Brizzi, cit., p. 278–279; S. Mason, A History of the Jewish War, A.D. 66–74, Cambridge 2016. 539 PSI III 177. 540 P.Oxy. 744; BGU 1104. 541 A.J.L. van Hoof, From Autothanasia to Suicide, London – New York 1990, p. 233. 542 A. Roccatti, Sapienza egizia, Brescia 1994, pp. 7–10; J. Assmann, Ägypten, Frankfurt 1999, pp. 199– 202. 543 J. Flori, La fine del mondo nel Medioevo, Bologna 2010. 544 E. de Martino, La fine del mondo: contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Torino 1977, pp. 284 ss. 545 Apocalisse di Giovanni 20,6; S. Paolo, 1 Cor. 15, 52¸ Ai Romani 8,37. Su questo tema meditarono numerosi padri della Chiesa. 546 A. Lolos, Die Apokalypse des Ps.-Methodius, Meisenheim an Glan 1976; G.J. Reinink, Die syrische Apokalypse des Pseudo-Methodius, Lovanio 1993. 547 A.K.G. Jeremias, Die Babylonisch-Assyrischen Vorstellung vom Leben nach dem Tode, Leipzig 1887. 548 Daniele 9, 27 e altrove. V. M. Hadas-Lebel, Jérusalem contre Rome, Paris 1990, cap. XI. 549 1QM.
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Un certo sincretismo di culture egiziane, giudaiche e greche diede spazio ad una letteratura profetica in greco di cui, però, ci restano pochi frammenti. Nella Cronaca demotica, redatta probabilmente nel II secolo a.C., il linguaggio è profetico ed oracolare, ma dopo le varie disgrazie che cadranno sull’Egitto ci sarà una rinascita, anche sotto la dominazione greca: “… gli dei lasciano venire gli stranieri ad essere padroni dell’Egitto … L’acqua sarà abbondante al suo tempo e i panettieri vivranno nel tempo suddetto degli stranieri … Rallegratevi o stomaci, troverete da mangiare! ... succede nel tempo suddetto che i Greci vengano in Egitto e siano padroni dell’Egitto per molto tempo … [Ci sarà abbondanza] nel tempo suddetto (dei Greci)”550.
Più apocalittico sembra il terzo Oracolo sibillino, giuntoci su di un papiro greco, ma di spiriti giudaico-egiziani. Può essere datato al II secolo a.C., ma è un conglomerato e una rielaborazione di oracoli precedenti, che venivano aggiornati man mano che la profezia non si avverava. Sono più di 800 versi contro Roma e la Grecia e contro un mostro detto Beliar, che nelle letture posteriori potrebbe essere stato identificato con Nerone. Roma sarà ridotta allo spazio vuoto di una strada e non diversa sorte toccherà alla Grecia, non madre di beni, ma allevatrice di bestie (vv. 464–488). Una signora (despoina, forse Cleopatra) avrebbe distrutto Roma e l’Occidente per poi distendere una pace perenne sul mondo intero (vv. 356–366)551. Le profezie non si avverano, ma le distruzioni apocalittiche non saranno seguite dalla fine del mondo: anche nell’Oracolo del vasaio, forse la traduzione greca di un testo egiziano, si profetizza un deserto alla fine dei numerosi mali, ma infine “l’Egitto sarà accresciuto e l’estate prenderà la propria corsa/ e armoniosi venti soffieranno …”552. Addirittura nella Apocalisse di Baruch553, un testo ebraico giuntoci su un frammento di papiro greco (poi tradotto in siriaco) e redatto da un contemporaneo dopo la distruzione del Tempio nel 70 d.C., troviamo un inizio assolutamente apocalittico (“Beato chi non è nato, o chi è nato ed è morto!”), ma un finale di speranza: “… ecco mi hai mostrato l’ordine dei tempi/ e ci sarà un futuro/ e mi hai detto: dai popoli verrà portata la prassi da te detta…”. Tra il II e III secolo d.C. già S. Ippolito afferma, con oscura certezza, che dopo 1290 giorni di dominio dell’Anticristo verrà la beatitudine per chi resiste fino al giorno 1335, cioè per misteriosi 45 giorni in più554. Già con il sincretismo gnostico si manifesta una attesa della fine555. 550 E. Bresciani, Letteratura e poesia dell’antico Egitto, Torino 1999, p. 814; J.H. Johnson, The Demotic Chronicle an Anti-Greek Tract?, in “Grammata Demotika”, Würzburg 1984, p. 123: la cronaca non esprime sentimenti nazionalistici radicalmente anti-Greci, ma esprime una rivolta contro metodi di governo incapaci. 551 E.S. Gruen, Ebrei, Greci e Romani nel terzo oracolo sibillino, in A. Lewin (ed.), “Gli Ebrei nell’impero romano”, Firenze 2001, pp. 56–76. 552 P. Oxy. 2332, II, 52 ss. Secondo Johnson, The Demotic Chronicle, cit., si tratta di una traduzione greca di testo egiziano, dove si auspica che un governatore egiziano proveniente da Herakleopolis soppianterà i Greci. La trad. tedesca del testo è di L.Koenen in “ZPE” 2, 1968, pp. 178–209. Il testo, databile al III sec. a.C. ci è giunto in due versioni, una anti-alessandrina e una anti-giudea ; v. L. Koenen, Die Apologie des Töpfers an König Amenophis oder das Töpferorakel, in A. Blasius – B.U. Schipper (edd.), “Apokalyptik und Ägypten”, Leuven 2002, pp. 139–187, soprattutto pp. 139–140. 553 P. Oxy. III, 403. 554 De Antichristo 62. 555 G. Filoramo, L’attesa della fine. Storia della gnosi, Roma – Bari 1983, pp. 199–219.
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Ma è solo con il IV secolo che cominciano ad apparire profezie millenaristiche sulla fine del mondo e predizioni sulla data precisa di questo evento. Siamo cioè al trionfo della morte. Alla fine del IV secolo Quintus Julius Hilarianus, vescovo dell’Africa proconsolare, scrisse un trattato intitolato Chronologia sive libellus de Mundi duratione (PL XIII, 1097–1105); qui compie vari astrusi calcoli cronologici tra cui valuta 5530 anni dalla creazione del mondo alla Passione di Cristo e, postulando in 6000 anni la durata del mondo, profetizza che questo sarebbe finito attorno al 498, dopo che l’Anticristo sarebbe stato vinto e ucciso e sarebbero risorti tutti i santi e per mille anni “draco ille antiquus, diabolus et satanas” sarebbe stato legato nell’abisso perché non seducesse nessuno (cap. XVIII). Attorno allo stesso periodo (ca. 400 d.C) nasce in Galizia il vescovo Hidatius che scrisse un Chronicon sulla falsariga dei Fasti Consolari di Roma, raccontando secondo il calendario gli avvenimenti più importanti. Alla fine della sua opera racconta che in Galizia, nel fiume Minio, vengono pescati quattro pesci di aspetto e di specie mai visti, come riferirono alcuni cristiani e religiosi che li avevano catturati. Su questi pesci erano iscritte, in ebraico, greco e latino le età del mondo e 365 anni con il loro numero di mesi. Non lontano dalla stessa località si manifestarono altri fenomeni meravigliosi che il vescovo Hidatius ritiene prolisso ricordare. La conclusione di questa narrazione onirica è che sembra vicino l’arrivo dell’Anticristo e la finis temporum, che, secondo un’Apocalisse apocrifa sarebbe stata predestinata, stando ai calcoli degli studiosi moderni, nel 482 d.C.556 Insomma, prima del cristianesimo i pagani immaginarono apocalissi e devastazioni, la tristezza di un al di là tenebroso come l’Ade, oppure ricco dell’esuberante felicità dei campi elisi. Il cristianesimo si diffuse rapidamente dall’Asia Minore all’Occidente, compresa la barbara Germania, che aveva resistito all’Impero romano557. Non conosco, invece, tracce di una mentalità da mille e non più mille558. E’ soprattutto col Medioevo, a cominciare dal XII secolo, che la paura del cataclisma finale diventa un fenomeno di massa. Nell’immaginario popolare questa paura è preannunciata da preavvisi tremendi: terremoti, invasioni di cavallette, piogge di serpenti o di rane, congiunzione delle comete e degli astri, sintomi di una pestilenza incombente559. Anche se proprio dalla peste – come scrive Vovelle – “viene portato alla luce il legame conturbante tra l’appetito del coito e l’onnipresenza della morte”560. Invece a Pompei, dopo il terremoto del 62 d.C., si continuò a vivere tranquillamente fino alla disastrosa eruzione del Vesuvio del 79, quando morirono migliaia di cittadini, tra cui Plinio il 556 R.W. Burgess, The Chronicle of Hydatius and the Consularia Constantinopolitana, Oxford 1993, pp. 8–9; G. Zecchini, Jerome, Orosius and the Western Chronicles, in G. Marasco (ed.), “Greek and Roman Historiography in late Antiquity: fourth to six Century A.D.”, Leiden – Boston 2003, p. 343; C. Molè Ventura, Uno storico del V secolo: il vescovo Hidatius, in “Siculorum Gymnasium”1974, pp. 279–351; 28, 1975, pp. 58–139; PW, s.v. Hydatius. 557 E.Faber, Von Ulfila bis Rekkared, Stuttgard 2014. Su Ulfila p. 311. 558 Una mentalità millenaristica oppure una concezione circolare del tempo sono forse esistite presso gli Etruschi. Ma non si trova nella tradizione etrusca più genuina (D. Briquel, Millenarismo e secoli etruschi (seminario Milenio y profecia en el mundo antiguo y su influenzia, Valladolid 2000, pp. 263–276). Un millenarismo etrusco si può trovare nel De die natali liber di Censorino, ma siamo nel terzo secolo dopo Cristo. Qualcosa si trova anche nella profezia di Vegoia (A. Valvo, La profezia di Vegoia proprietà fondiaria e aruspicina in Etruria nel I secolo a.C., Roma 1988, pp. 82–84). Simile millenarismo rintracciamo nel lemma Thirrenia del lessico Suda, ma siamo in epoca bizantina. 559 M. Vovelle, La morte e l’Occidente, Roma – Bari 1986, p. 73. 560 Vovelle, cit., p. 75.
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Vecchio, che da avventuroso scienziato si era avvicinato per studiarla con attenzione e portare soccorso ad un amico. Per il resto l’aldilà dei campi Elisi sembra a qualcuno un mondo da Paradiso delle Urì. Già Omero li aveva descritti come un gioioso spazio fiorito e paradisiaco561. Ma con Luciano di Samosata si giunge al vertice del sogno erotico. Qui vivono rapporti sessuali liberali: gli umani “si uniscono apertamente davanti a tutti, con femmine e maschi e non trovano che questo sia vergognoso. Solo Socrate giurava che ai giovani si avvicinava con purezza di intenzioni. Ma tutti erano convinti che spergiurasse. Spesso, almeno Giacinto e Narciso confessavano; ma egli negava. Le donne sono in comune per tutti e nessuno è geloso del vicino, ma sono riguardo a questo molto platonici (platonikotatoi), nel senso del comunismo degli uomini e delle donne della Repubblica di Platone e i ragazzini si offrono a chi li desidera, senza fare obiezioni”562. Cioè: una fine del mondo da fare invidia. Forse non a tutti, ma a molti.
561 Odissea, IV 702–712. 562 Storia Vera, II 19.
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Conclusione senza conlusioni Qui si ripropone il problema centrale, dopo questo abbreviato tragitto tra storie di violenze innumerevoli. La violenza è, come dice Freud1, una componente psichica innata e permanente dell’uomo, come degli animali, oppure è il prodotto di relazioni sociali squilibrate e ingiuste, che hanno corrotto la bontà originaria (Rousseau)? E’ connaturata all’uomo stesso (Hobbes: Homo homini lupus)? Ha una sua giustificazione crudele ed evoluzionistica (la guerra e il cannibalismo come strumenti di un equilibrio demografico)? Lo studio della violenza nel mondo antico non mostra differenze qualitative con i tempi moderni, come appare dalle varie comparazioni che ho cercato di individuare. Il mito del “buon selvaggio” può oggi considerarsi tramontato: i selvaggi più primitivi che conosciamo, come gli Yanomamö, appaiono come una delle popolazioni più violente. Nello stesso tempo le continue guerre e le quotidiane violenze non possono cosiderarsi una legge universale dell’umanità: osserviamo troppe variazioni nel tempo e nello spazio, anche per quanto riguarda il fenomeno del suicidio2. Le recenti ricerche che mostrano che la violenza letale è frequente anche tra i mammiferi non carnivori, oltre che tra gli uomini3, moltiplicano l’enigma. Ė notizia apparsa anche sui giornali che nel “villaggio dei macachi” nel bioparco di Roma circa 59 scimmie scatenano 15.000 aggressioni al giorno, vendicandosi anche sui parenti deboli dei nemici4. Non da meno sono i gatti: nel 2011 determinarono la rovina o l’estinzione di 123 specie di uccelli sparsi su 120 isole attorno all’Australia, oltre gli assalti a vari tipi di rettili e anche a mammiferi5. Nacque allora addirittura un movimento per lo sterminio dei gatti. Francamente il dubbio della ricerca prevale ancora su ogni certezza.
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Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, cit. E. Krug, World Report on Violence and Health, Volume 1, Ginevra 2002, pp. 196–197. J.M. Gómez et al., The phylogenetic roots of human jethal violence, in “Nature” 2016, pp. 1–11. G. Schino et al., Aquisition and functional consequences of social knowlendge in macaques, in “Royal Soc. open Science” 8 Febbraio 2017, 4. P.P. Marra – Ch. Santella, Cat Wars, Princeton 2016.
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Indice analitico Acta Martyrum Alexandrinorum, p. 20 Agamennone e le donne, p. 40 Agostino, S., guerra /pace, p. 32 Alcolici, in battaglia, p. 23 Amartya Senn, identità, p. 67 Anakyklosis, il cerchio del tempo, p. 110 Anassimandro, p. 111 Ambrogio, S., vescovo, intellettuale raffinato, p. 71 Antropofagia, p. 77 Anziani violentano una schiava, p. 2,9 Apion, antigiudeo, p. 101 Apocalisse, p. 103, 115 Apotympanismòs, crocefissione, p. 64 Arendt, p. 1, 101 Aristide, E., retore, pp. 86–87 Aristotele, p. 90, 104, 113 Armi, p. 7 Arminio, p. 71, 85 Atenagora, comtro i pagani, p. 80 Attali, J., riti dei cannibali, p. 12 Banditi/Briganti, p. 54 Bar Kochba, l’ultima rivolta, p. 100, 104 Bartolomé de las Casas, indigeni, p. 53 Beccaria, C., p. 63 Benjamin, W., p. 78 Berserks, selvaggi guerrieri Germani, p. 85 Bibbia, violenza, p. 103 Bottino, pp. 105–106 Bu Njem, fortilizio in Libia, p. 60 Burkert, W., p. 10 Calvino, repressione, p. 100 Cannibali, p. 28, 118 Catone, p. 35, 54 Celso, contro i cristiani, p. 81 Celti, ellenizzati, p. 74 Cicerone, la villa sul Palatino, p. 92 Circumcelliones, contro i ricchi, p. 54 Claudio, imperatore, p. 65, 75 Clausewitz, p. 57 Coin Hoards, p. 88 Colonialismo, p. 82 Condannati, p. 38, 63 Corano, p. 107 Costi trasporti, p. 93 Cristo, pp. 101–102 Croce, B., p. 31 Crudeltà, pp. 9–13, 24, 38 Culture, p. 37, 74 De Sade, pp. 51–53 Decapitazione, p. 107 Delizie (Bradu), giardino delle violenze, p. 41
Denaro, p. 87–97 Dina figlia di Giacobbe, p. 105 Dono-contro-dono, p. 87 Durkheim, il suicidio, p. 115 Ebrei, ribelli, pp. 78–79 Economia, pp. 91–92 Economia della guerra, pp. 82–83 Egiziana urina su un Greco, p. 16 Elisi Campi, paradiso del sesso, p. 118 Emancipazione, pp. 72–77 Engels, p. 100, 109 Eraclito, p. 26 Eris, p. 8 Eros, p. 2 Escissione, p. 65 Fanon, F., I dannati della terra, p. 78 Femmina, p. 14 Filone di Alessandria, violenza fisco, p. 72 Fine del mondo, p. 76 Finley, M. I., pp. 30–31 Fiscalità, p. 87 Focei nel Mediterraneo, p. 74 Foucault, p. 13, 25 Frazer, la crocefissione, p. 10 Genesi, p. 19, 41, 105 Giappone, la vendetta, p. 61 Gibbon, la decadenza, p. 37 Giorello, la lussuria, p. 46 Gladiatori, p. 47, 49 Guerra/Religione, p. 33 Harris, M., cannibali, p. 68, 72 Hegel, la violenza, p. 109 Heidegger, antisemitismo, p. 101 Heliopolis, città del sole e degli schiavi, p. 49 Hobbes, p. 109, 118 Identità, p. 86 Imbarbarirsi, p. 76 Impalamento, p. 64 Imperialismo, p. 72–73, 82, 84 Inflazione, p. 93–94 Kagan, R., Superiorità USA, p. 34 Kant, pace, p. 45, 109 Kraft Ebing, Psicopatia Sexualis, p. 48 Lacan, p. 14, 45 Lenin, la violenza, p. 48, 59 Le Roix La Durie, la notte di S. Bartolomeo, p. 77 Lévi-Strauss, identità, p. 66 Liberazione, p. 77–78 Lucrezio, fine del mondo, p. 101, 113 Lutero, protestantesimo, p. 99–101 Maccabei, liberazione di Israele, p. 81
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Indice analitico
Machiavelli, la guerra continua, p. 30 Machtar, Il mietitore, p. 50 Marito violenta compagna, p. 2, 115 Marito tradito e innamorato, p. 48 Marsilia, Greci/Celti, p. 74 Marx, la violenza, p. 88, 89, 94 Maschio, p. 105–106 Masoch, p. 48 Massacro, p. 24–26, 58 Martirio, p. 14 Mauss, il sacrificio, p. 11, 16 Medea, la gelosia, p. 38–39 Melania, schiavi liberati, p. 53 Mercato, p. 87–88 Mercenari, p. 53–54 Militarismo, p. 84 Misoginia, p. 106 Moglie puttana, p. 3 Momigliano, p. 31, 36 Moneta, p. 84, 87 Monoteismo, p. 102 Morte, p. 38–40 Nietzsche, eterno ritorno, p. 111 Omero, enciclopedia tribale, p. 10 Omosessuali, piacere che non fa male, p. 42, 48 Oracoli, p. 50 Oracolo Sibillino III, p. 79 Pace, p. 79, 100, 104, 108 Pagani, l’Ade, p. 118 Panthera, padre di Gesù?, p. 81 Paolo IV Papa, antisemitismo, p. 101 Pederastia, p. 42, 104 Pene di morte, p. 47, 62–64 Pharmakòi, capri espiatori umani, p. 108 Piganiol, fine dell’impero romano, p. 37 Pirati, p. 37 Platone, pace/guerra, p. 109–111 Polemos, p. 26, 41 Polibio, imperialismo, p. 30, 32, 36, 68, 76, 82, 88, 110, 111 Policrate, la fortuna, p. 71–72 Politeismo, p. 102 Prezzi, p. 103–105 Prostituzione, p. 44–45 Puttana bellissima, p. 3 Razzismo, p. 16, 23, 38 Recalcati, il sacrificio, p. 11 Religione, p. 33, 60, 71, 101–102, 111 Rousseau, p. 3, 118 Sacrifici umani, p. 1, 9–11 Sacrificio, p. 11 Sacro, p. 15 Sadismo, p. 48, 62
Salari, p. 89 ss. Salmo 137, violenza biblica, p. 105 Schiavi, p. 28, 34, 49–53 Sciopero, p. 97 Sesso, p. 105, 110 Sodomia, p. 42 Soldato, p. 53, 58, 60 Spartaco, p. 49, 53 Spettacolo violenza, p. 62, 64, 70 Stalin, p. 48, 82 Stragi, p. 4, 37 Stupro (violenza carnale), p. 6–7, 14, 43–44 Suicidio, p. 114–115 Supplizio, p. 114 Tacito, anti-giudaismo, p. 21 Tolemeo II, p. 48 Tortura, p. 59, 63, 68, 82 Tortura/Voluttà, p. 46–47 Toussaint Louverture, rivolta dei neri, p. 53 Traiano imperatore, p. 57, 70 Trasporti, p. 93 Trotsky, guerra locomotiva della storia, p. 6 Tucidide, guerra preventiva, p. 29 Urano, mania sessuale, p. 80 Vendetta, p. 102–105 Vercingetorige, p. 24, 71 Verginità, p. 44–45 Vernant, città/esercito, p. 29 Vindolanda, fortilizio Nord Inglese, p. 60 Violenza, p. 61, 63, 66 Violenza preistorica, p. 9 Yanomamö, primitivi attuali, p. 6, 18
Fonti letterarie Qumran M., p. 21, 115 Acta Martyrum Alexandrinorum, Acta Hermaisci, p. 20 Agostino, C.D. 2,2; 1,19, p. 43 Agostino, Confessioni 11,14,17, p. 113 Agostino, De civitate Dei IV 6,15, p. 33 Ambrogio, Lettere 40 e 41, p. 71 Antioco di Siracusa in FGrH 555, p. 73 Apocalisse di Giovanni 17, p. 32 Apocalisse di Giovanni 20,6, p. 115 Appiano, Guerre Civili II 18, p. 85 Apuleio, Metamorfosi IX, 10–13, p. 96 Aristotele, Fisica IV, 10, 217–218, p. 113 Aristotele, Etic. Nico. V,59, p. 92 Aristotele, Politica 1255 a, p. 27 Aristotele, Politica 1256,1–1257,40, p. 90 Aristotele, Politica 1315° 15–28, p. 104 Aristotele, Rhetorica 1405a20, p. 90 Arriano, Techne taktikè 12, p. 36
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Indice analitico Athenagoras, Legatio pro Christianis, p. 80 Augusto, Res Gestae, 2, 42 ss, p. 25 Cassio Dione LXXI, 4, p. 78 Celso, I 7, p. 81 Cesare, De bello gallico, VII 28,4, p. 23 Cesare, De bello gallico, VII 88, p. 24 Cicerone, De officiis 1,77, p. 27 Cicerone, Verrine II 3, 112, p. 96 Cicerone, De Officiis I, 34–40, p. 32 Cicrone, Fam. 5,6,2, p. 92 Clemente Alessandrino, Stromata XV 1.71.6, p. 102 Cod. Theod. 7,12,4; & 7, 13,5, p. 59, 86 Codex Thedosianus, 16, 8, 1 & 6, p. 71 Corano, II, 190; VIII, 17, p. 106 Cornelio Nepote,Vitae, Epa., 5, p. 32 D.G. 49,16, 4, 10, p. 8 Daniele 9, 27, p. 115 Demostene (?), Erotico, p. 6 Demostene, Contro Aristocrates, 55–56, p. 6 Deuteronomio 22, 23–29, p. 43 Diodoro XIX 63; 103, p. 70 Diogene Laerzio 8,22, p. 113 Dione Crisostomo, Agli Alessandrini 59, p. 75 Dionigi di Alicarnasso I, 16, p. 28 Dionigi di Alicarnasso, De oratoribus, 1,1–7, p. 40 Eliano, Storie vere, IX 8., p. 107 Eneide III 57, p. 87 Eraclito 53, p. 108 Eraclito fr.14, p. 26 Erodoto § 87, p. 26 Erodoto I 166, p. 74 Erodoto I 4, 5, p. 44 Erodoto I, 87, p. 114 Erodoto II 148, p. 102 Erodoto III, 40–45, p. 71 Erodoto IV, p. 107 Erodoto, III, 80–82, p. 110 Eschilo, D.K. fr.53, p. 5 Eschilo, I sette contro Tebe, 654, p. 39 Esiodo, Opere e Giorni 505–530, p. 40 Esodo 32, 26–28, p. 105 Euripide, Baccanti, 1120–1135, p. VII Euripide, Medea, 1240–41, p. 39 Eusebio, Storia ecclesiastica, VI 5,2–4, p. 14 Eusebio, Historia ecclesiastica, VII, I, p. 82 Filone A., De Specialibus legibus, III 159 ss., p. 72 Filone Alessandrino,De aet. mund., 4 e 12, p. 113 Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, 7, 134, p. 113 Fl. Giuseppe, B.J., I 161–172 & 237–238, p. 115 Flavio Giuseppe, Antiqui., XII 4, 4, 19, p. 20 Flavio Giuseppe, Antiqui. XIV 137–139, p. 80 Flavio Giuseppe, Contro Apione, II 8 & II 289, p. 19 Floro, Epit. Storia romana III 30, 36–8, p. 107
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Floro, Epitome I 3, p. 112 Genesi 10, p. 19 Genesi 34, p. 105 Giovenale, Satire XV 80–84, p. 77 Giovenale, Saturae II, 159–161, p. 33 Giuliano l’apostata, Caesares,4,10, p. 25 Giustino XLIII 4, p. 74 Giovanni 8, 1–11, p. 106 Hilartianus J., Chronologia sive libellus de Mundi duratione, p. 117 IC IV 72, II 1–7, p. 43 Iliade IV,p. 10 Iliade XXIII 175–183, p. 10 Ippolito S., De Antichristo 62, p. 116 Isaia 45, 5–7, p. 105 Isocrate, A Archidamo, 9–10, p. 7 La passione di Perpetua 21,10, p. 114 Levitico 18, 7, p. 6 Levitico 23, 40–43, p. 21 Lisia, Sull’uccisione di Eratostene, 33–34, p. 40 Livio I 4, p. 43 Livio VII 15, 11–19, p. 10 Livio XLV 12, p. 35, 103 Livio XLVI 38, p. 85 Livio XXI 4, p. 85 Livio XXXI 44, p. 70 Livio XXXIII 8,9, p. 82 Livio XXXIV 9, p. 54 Livio XXXXII 47, 9, p. 33 Livio XXXXIV 42, p. 70 Livio XXXXV 12 = Polibio 29,11, p. 35 Livio XXXXVI 38, p. 82 Luciano, Intorno ai sacrifici, 13, p. 9 Luciano, Storia Vera, II 19, p. 118 Lucrezio, De rerum natura, II 944–951, p. 113 Maccabei, p. 30, 80 Numeri 3, p. 105 Odissea, IV 702–712, p. 118 Oracolo sibillino III, p. 79, 116 Orazio, Saturae, 4, 60, p. 32 Ovidio, Ars amatoria, I 673–674, p. 44 Ovidio, Metamorfosi, I 583 ss, p. 4 P. Oxy. 2332, II,52 ss (Oracolo vasaio), p. 50, 116 P. Oxy. III, 403 (Apocalisse di Baruch), p. 50, 116 Paolo S., 1 Cor. 15,52 & Ai Romani 8,37, p. 115 Paolo, Corinzi 11,1–6 & 13–16, p. 106 Pausania VIII 2–6, p. 11 Pausania V 3,2, p. 40 Phokas, De velitatione, p. 88 Platone, Gorgia,502e, p. 111 Platone, Leggi, 626, p. 26 Platone, Leggi 808d–e, p. 26 Platone, Minosse 315 b–c, p. 11
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Indice analitico
Platone, Protagora 324 a–b, p. 13 Platone, Repubblica VIII 565d–566q, p. 11 Platone, Timeo 37d, p. 113 Plinio, N.H. III 116, p. 75 Plinio, N.H. VIII 82, p. 11 Plinio, N.H. XXXVI 86, p. 102 Plutarco, Alex. p. 88 Plutarco, Arato XXXI 3, p. 7 Plutarco, Emilio Paolo, XVII, 1–3, p. 36 Plutarco, Iside et Osiride, 72, p. 77 Plutarco, Moralia 380, p. 77 Plutarco, Pericle XII 12; p.87 Plutarco, Pericle XXVIII, p. 13, 63, 68 Plutarco, Solone 23, p. 40 Polibio I 80, p. 107 Polibio II 28,8, p. 32 Polibio II 28–30, p. 75 Polibio V 11, p. 70 Polibio X 17, p. 88 Polibio XI 34, p. 76 Polibio XI 16, p. 82 Polibio XXIV 8, p. 85 Polibio XXIX 27, p. 103 Pomponio Mela, De Chorographia III 2, 18, p. 9 Procopio, B.V., I 2, 27, p. 73 Prudenzio, Peristephanon, IX 37–88, p. 14 Prudenzio, Peristephanon, XIV 69–76, p. 14 Purgatorio XXII 40, p. 87 Qoelet 7, 26, p. 106 Sallustio, De bello iugurtino, 2,3, p. 113 Salmo 137 (136), p. 105 Seneca, Thyestes, 814, p. 110 Senofonte, Anabasi, IV 19, p. 109 Senofonte, Costituzione degli Spartani XI 5–10, p. 36 Strabone IV 195; V 216, p. 75 Strabone V 213, p. 75 Strabone XI 8,6, p. 77 Suetonio, Augusto 41, p. 84 Suetonio, De vita XII Caesarum, p. 80 Tacito, Annali, XI 2, p. 42 Tacito, Annali, XIV 17, p. 77 Tacito, Germania IX, p. 9 Tacito, Hist. 5,5, p. 21, 80, 81 Tacito, Vita I. Agricolae 24,1, p. 33 Tacito, Vita I. Agricolae 11,5, p. 32 Tertulliano, De mortibus persecutorum 7, p. 90 Tucidide I 23, 6, p. 34 Tucidide I 118, 2–3; V 105, p. 108 Tucidide II 39, 1, p. 74 Tucidide III 81, 2–5, p. 22 Tucidide, V 116, 3–4, p. 22 1
Vangelo di S. Marco 7,10, p. 103 Vangelo di S. Matteo, 34–39, p. 103 Virgilio, Eneide, 6, 853, p. 32
Index locorum1 AE 1999, 810, p. 114 BGU II 515, p. 87 BGU IV 1050, p. 2, 17 BGU IV 1104, p. 18 BGU XX, 2870, p. 18 CIL 5, 5415, p. 114 CIL 6, 2357, p. 108 CIL 6, 37965, p. 3 CIL 13, 1668, p. 75, 76 CIL 13, 7514, p. 81 CIL 13, 10017 & 10041, p. 42 CPJ 16, p. 20 CPJ 437, p. 14, 21 CPJ I 133, p. 19 Edictum Diocletiani et collegarum de pretiis, p. 90 IC a Roma 120, p. 114 IGL Syr 21,4, p. 71 IGRP III 1056, p. 90 M. Chrest. 361, p. 19 OGIS 129, p. 80 P. Col. Youtie I 16, p. 17 P. Enteux. 79, p. 2, 16 P. Mich. VIII 473, p. 18 P. Mil. Vogl. VII, 308, p. 74 P. Oxy. II 237, p. 6 P. Oxy. III 403, p. 116 P. Oxy. IV 744, p. 115 P. Oxy. VI 903 = CPJ III 457d, p. 19 P. Oxy. XXXVI 2798, p. 90 P. Oxy. XXII 2332, II,52, p. 116 P. Petaus 9, 10–18, p. 70 P. Sakaon 48, p. 17 P. Bingen 45, p. 80 P. Medin. Madi 2, p. 15 P. Mich. inv. 4195, p. 4 P. Mich. VIII 510, p. 78 P. Oxy. II 237 col. VII,19–29, p. 6, 17 P. Oxy. III 528, p. 3, 48 P. Oxy. XXXI 2608, p. 81 P. Oxy. XLII 3065, p. 77 P. Oxy. L 3581, p. 2, 17 P. Oxy. L 3529, p. 81 P. Oxy. LXXIX 5209, p. 71 P. Oxy. LXXX 5296, p. 71 PSI III 177, p. 115
Papiri e iscrizioni: abbreviazioni secondo Année Philologique.
© 2018, Otto Harrassowitz GmbH & Co. KG, Wiesbaden ISBN Print: 978-3-447-11145-4 ISBN E-Book: 978-3-447-19811-0
Indice analitico PSI IV 286, 5, p. 77 SB IV 7449, p. 17 SEG LX 1050, p. 42
SEG LX 2032, p. 15 Tab. Vindol. I 154 & II 291, p. 83 Tab. Vindol. II pp. 47–54, p. 84
© 2018, Otto Harrassowitz GmbH & Co. KG, Wiesbaden ISBN Print: 978-3-447-11145-4 ISBN E-Book: 978-3-447-19811-0
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