Una ontologia della tecnica al tempo dell'antropocene. Saggi su Heidegger

La comprensione della tecnica quale conquista ultima della metafisica moderna matura contestualmente alla critica all�

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Una ontologia della tecnica al tempo dell'antropocene. Saggi su Heidegger

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Chiara Agnello Una ontologia della tecnica al tempo dell,Antropocene Saggi su Heidegger

I ISc H1 BBOLETH

aNiki

"Vescovo, so volare",

il sarto disse al vescovo. "Guarda come si fa!" E salì, con arnesi che parevano ali, sopra lagrande, grande cattedrale. Il vescovo andò innanzi. "Non sono che bugie, non è un uccello, l'uomo: mai l'uomo volerà", disse del sarto il vescovo. "Il sarto è morto", disse al vescovo la gente. "Era proprio pazzia. Le ali si son rotte e lui sta là, schiantato sui duri, duri selci del sagrato". "Che le campane suonino. Eran solo bugie. Non è un uccello, l'uomo: mai l'uomo volerà", disse alla gente il vescovo. Bertolt Brecht, Il sarto di Ulm (1934)

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Introduzione

La distinzione fra «considerazione storiografica» (historische Betrachtung) e «meditazione storica» (geschichtliche Besinnung), più volte richiamata da Heidegger1, esplicita l'intento di interrogare la storia della scienza o più precisamente della tecnoscienza, muovendo da un domandare radicale: l'esplicazione della metafisica che è alla base di una scienza. Nella prospettiva della meditazione storica non è di interesse il resoconto delle scoperte scientifiche disposte in un ordine progressivo di successione, bensl l'individuazione dei fondamenti e dei presupposti che caratterizzano la comparsa di una teoria scientifica e le sue pratiche. Da questo punto di vista, per esempio, non avrebbe senso valutare la fisica aristotelica come un sapere primitivo superato dai guadagni successivi compiuti negli stessi ambiti delle scienze naturali, bensl interpretarne la concezione della natura che vi soggiace. Allo stesso modo Heidegger osserva che ciò che per la considerazione storiografica è posteriore alla nascita della scienza moderna, come la tecnica meccanizzata sorta nel XVIII secolo, viene invece prima dal punto di vista della meditazione storica.

1 Cfr. M. Heidegger, Vortriige und Aufsiitze, GA 7, p. 23; tr. it., p. 17.

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Non vi è alcun dubbio che l'indagine heideggeriana sulla tecnica tenga fede a quanto si è impegnata a fare. Lo sviluppo della tecnica odierna ha avuto, rispetto agli anni in cui la tecnica diviene uno dei temi centrali della riflessione heideggeriana2, una accelerazione che renderebbe inservibile un'indagine filosofica che avesse a cuore la historische Betrachtung. Crediamo possa valere per la riflessione heideggeriana stessa il richiamarsi a questa distinzione: se il pensiero di Heidegger è ancora interpellato all'interno dell'odierno dibattito sulle questioni di filosofia d,ella tecnica le ragioni non sono da rintracciare in quello che Heidegger chiama un «puro calcolo storiografico», ma nella profondità del suo «pensare in senso storico», della sua meditazione storica. La questione della tecnica impostata sin dagli esordi da Heidegger nel contesto di una radicale critica all'ontologia tradizionale è oggi invece prevalentemente declinata attraverso specifiche riflessioni sulle singole tecnologie nei più diversi ambiti. A tal riguardo si è parlato di empiric turn in relazione al lavoro di alcuni filosofi della tecnologia statunitensi3: la svolta empirista sostanzialmente consiste nel concentrare l'attenzione su pratiche tecnologiche concrete e sullo sviluppo delle specifiche tecnologie sull'esisten7.a o sull'ambiente invece di ricercare le condizioni trascendentali di una tecnologia inte-

2 Heidegger scrive di tecnologia moderna e tecnologia delle macchine riferendosi principalmente alla tecnologia della Seconda rivoluzione industriale. Quando affronta il tema dei pericoli dell'energia nucleare e della tecnologia genetica nel frattemPo è già cominciata l'era della Tena rivoluzione industriale che inizia alla fine del XX secolo, con l'ascesa della microelettronica e dei microcomputer. Cfr. J. Rifkin, La Terza rivoluzione industriale. Come il «potere laterale» sta trasformando l'energia, l'economia e il mondo, tr. it. di P. Canton, Mondadori, Milano 2011. 3 Cfr. H. Achterhuis (a cura di), American Philosophy ofTechnology. The Empirical Tum, tr. ingl. di R.P. Crease, Indiana University Press, Bloomington-IndianaPolis 2001.

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sa come concetto unitario, come accade in posizioni divenute ormai classiche di ambito continentale. Al pensiero heideggeriano ci si richiama se si sta stretti nei panni della filosofia delia tecnica quale ennesima «filosofia al genitivo»4, come l'ha acutamente definita Franco Volpi al tempo in cui ne constatava l'ingresso nelia costellazione delie numerose discipline filosofiche. Volpi osserva che la riHessione fìlosofica, se appunto declinata al genitivo, appare come irrimediabilmente destinata a una «nobile anabasi, a una ritirata strategica dalle grandi questioni per rifugiarsi in problemi di dettaglio»5• In tale ottica, le pur interessantissime questioni affrontate dalie ricerche sull'impatto delie specifiche tecnologie rappresentate dal versante della empiric turo rimarrebbero confinate a una funzione «soltanto ancillare e subalterna»6• Lo stesso può dirsi, come evidenziato da posizioni simili a quella di Michel Serres, per i dibattiti che si concentrano sulle piccole questioni ambientali invece di porre quella di un'etica ambientale in cui la natura sia pensata come un membro della comunità morale con cui stipulare un contratto naturale, in cui l'umanità non sia né padrone né vittima della natura ma con essa provi a istituire un rapporto di reciprocità e simbiosi. Limitarsi a declinare le singole questioni particolari senza inquadrarle in un contesto teorico più ampio equivale a credere che scongiurare l'ecocatastrofe significhi auspicare una somma di provvedimenti da discutere e negoziare solo nell'ambito ristretto degli interessi delle politiche nazionali, misconoscendo cos} l'urgen7.a di una visione globali7.7_.ata e planetaria: Certo, possiamo rallentare i processi già in corso, legiferare riduzioni del consumo di combustibili fossili, ripiantare mas-

4 F. Volpi, Il nichilismo, Latena, Roma-Bari 2005, p. 147. 5 Ibidem. 6 lvi, p. 146.

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sicciamente le foreste devastate ... tutte belle iniziative, ma insieme equivalgono all'immagine di una nave che naviga a venticinque nodi verso una barra rocciosa sulla quale sarà inevitabilmente distrutta, e sul cui ponte l'ufficiale di guardia consiglia alla sala macchine di ridurre la velocità di un decimo sen7.a cambiare direzione. 7

I motivi per cui si assiste a una ripresa del discorso heideggeriano sulla tecnica, anche in alcuni casi da parte di studiosi che a vario titolo possono essere ricondotti ali'ecosofia, sono evidenti se si pensa alla critica heideggeriana al soggettivismo metafisico e all'antropocentrismo. A Heidegger, infatti, si richiamano quelle posizioni critiche nei confronti del movimento di riforma ambientale reputate incapaci di affrontare adeguatamente la questione della distruzione della biosfera perché ancora dipendenti dalla prospettiva di un umanismo antropocentrico8 • A ciò si aggiunge l'evidenza che quella che oggi viene diffusamente indicata come tecno-scienza «sfonda sempre più massicciamente l'orizzonte dell'antropologia tradizionale» aumentando tanto il sapere quanto il potere su noi umani cosl da mettere definitivamente

7 M. Serres, Il contratto naturale, tT. it. di A. Serra, Feltrinelli, Milano 2019, p.69. 8 Cfr. M. Zimmerman,Heidegger's Phenomenology and Contemporary Environmentalism, in C.S. Brown - T. Toadvine (a cura di), &o-Phenomenology. Back to the Earth ltself, Suny Press, Albany 2002, pp. 73-101, pp. 99 e 128, Zimmennan vede nell'invito heideggeriano a rimanere aperti al rinnovamento creativo offerto dalla tradizione sapienziale occidentale spunti decisivi per una concezione non antropocentrica dell'umanità. Va però precisato che i panegirici heideggeriani sull'Heimat e l'uso diffuso di una mistica del naturalismo presente nella retorica nazionalista tedesca hanno subito indotto Zimmennan a delle dovute precisazioni circa l'ispirazione di un antiumanismo ecologista ispirato da Heidegger: cfr. M. Zimmennan, Rethinking the Heidegger-Deep &ology Relationship, in «Environmental Ethics», vol.15, n. 3, 1993, pp. 195-224.

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in crisi «i simboli e l'immaginario della tradizione umanisticocristiana»9. Del resto è innegabile come le trasformazioni dell'essere umano poste dinnanzi a noi dalla Quarta rivoluzione industriale 10 comportino un'immagine dell'uomo che sempre più diventa una sola cosa con i dispositivi intelligenti digitali, e rendano sempre più inapplicabili le categorie di comprensione derivanti dal dogma naturalistico di una essen7.a stabile della natura umana e ancora più perspicua la critica heideggeriana all'umanismo. Va però ricordato che la critica all'umanismo sorge contestualmente ali'affermazione della necessità di un pensare che non si sottragga al compito di comprendere l'umano stare al mondo nell'accadere storico dell'essere compiuto nella tecnica. Un tale pensiero è anche etico nella misura in cui riflette sulla tecnica quale modalità disvelativa dell'ente a partire dal raccoglimento e dal progettare in cui l'uomo, a seconda del suo agire, si porta a una stabilità sicura oppure si conduce sull'orlo della catastrofe. Dentro questa cornice, nell'era della tecnoscien7.a, l'etica può per Heidegger essere ripensata solo nella dimensione della macroa7Jone planetaria e non a misura del singolo individuo, se non al pre720 di rimanere «sul piano dell'omiletica» 11 , come «qualcosa di "penultimo" rispetto alle realtà prodotte dalla tecnoscienza» 12 • 9 F. Volpi, Il nichilismo, cit., p. 155. 10 Klaus Schwab definisce così l'era emergente caratteriz:r.ata da digitalizzazione, tecnologia genetica, guerra ibrida, smaterializzazione del processo produttivo, nanotecnologie, computer quantistici, e capitalismo cognitivo, cfr. K. Schwab, The Fourth Industria[ Reoolution, Penguin, London-New York 2017. 11 È una espressione utiliz:r.ata da Franco Volpi proprio in riferimento al fatto che, per Heidegger, l'unico modo per pensare adeguatamente l'etica provando a rispondere ai problemi del mondo moderno sta già nella comprensione della tecnica: cfr. F. Volpi, Il nichilismo, cit., p. 176. 12 Ibidem.

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Non si può negare che l'impossibilità nel tempo della tecnica di un'etica che comprenda il ruolo dell'agire individuale possa apparire un modo piuttosto vago e quantomeno pretestuoso di evadere più in generale la questione della responsabilità personale. Non è dunque sufficiente l'intento heideggeriano di manifestare il bisogno di un'etica per cercare di comprendere a quali risorse di senso appellarsi per rispondere all'appello proveniente dal disorientamento che comporta la velocità del cambiamento imposto dalla tecnica oggi; tutt'al più, una certa utilità si può trarre dall'ispirazione di un nuovo umanesimo non antropocentrico che, immune da tecnofobia, non sia però passivamente vittima degli imperativi di una tecnica priva di ogni controllo. Al di là degli accenti mistico destinali in cui risuona la retorica del Wanderoogel, dal pensiero heideggeriano tuttavia proviene una indicazione per ripensare l'abitare dell'uomo sulla terra che inteipreta questo dimorare nella natura e nella storia attraverso una narrazione che non è più quella dell'uomo al centro, che della natura vuole insignorirsi 13 • Per l'uomo all'epoca dell'Antropocene - dell'era che chiamiamo oggi con il nome dell'uomo medesimo - è possibile trarre qualche ispirazione dal richiamo heideggeriano alla sapienza della cosmologia antica del primo inizio in vista di una nuova narrazione, solo se al tempo stesso egli prova anche a rispondere agli interrogativi posti dalle potenzialità trasformative della tecnica e dal timore che la velocità e inarrestabilità del cambiamento possano portare a un mondo senza di noi 14, a dispetto del nome con cui abbiamo designato l'era presente. Certamente, l'auspicio

13 M. Heidegger, Holzwege, GAS, p. 94; tr. it., p. 99. 14 Un interessante esercizio intellettuale scritto in forma documentale su cosa accadrebbe all'ambiente naturale e artificiale se oggi cessasse improvvisamente l'antropiZ7.aZione è il libro di A. Weisman, Il mondo senza di noi, tr. it. di N. Gobetti, Einaudi, Torino 2008.

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di una «fìlosofia della tecnica al nominativo» trova motivi di interesse nella riproposizione della domanda ontologica sulla tecnica e in relazione a «una configurazione più estesa: la "cosmologia" propria della cultura da cui è emersa» 15, qualora serva a riconfigurare simbolicamente un rapporto con la natura di armonia e non di dominio. Nell'orizzonte sin qui descritto si inseriscono i saggi del libro, che affrontano tutti la questione della tecnica e della critica heideggeriana all'umanismo argomentate dalla fine degli anni Trenta in poi; se ne differenziano il primo saggio, Tra logos e physis: la tecnica tra manifestatività dell'ente e di.svelamento dell'esserci e, in parte il secondo, La medicina antica tra tecnica e natura. Motivi di attualità nell'interpretazione heideggeriana della techne medica, che prendono invece in considerazione gli anni del serrato confronto con Aristotele, quelli precedenti la pubblicazione di Sein und Z,eit, in cui il primato della praxis sulla theoria viene individuato sulla scorta di una originale lettura del VI libro dell'Etica Nicomachea. Tale primato è affermato mentre parallelamente Heidegger porta avanti il tentativo di distinguere il Dasein dal «soggetto» 16 della metafisica tradizionale, caratterizzandolo esistenzialmente anche in riferimento al rapporto con gli altri enti secondo il Fiirsorgen e il Besorgen, e sottolinea anche il ruolo che la 'Znhandenheit ha nella relazione che intercorre tra il Dasein e gli altri enti. Nel Natorp-Bericht, infatti, latechne viene rappresentata quale modo d'essere scoprente dell'esserci, ed è compresa a par15 Y. Hui, Cosmotecnica. La questione della tecnica in Cina, tr. it. di S. Baranzoni, Nero, Roma 2021, p. 22. 16 Tentativo non pienamente riuscito secondo alcuni. Sulla difficoltà dell'oltrepassamento della metafisica della soggettività e per una lettura di Essere e tempo, quale estrema metafisica umanistica del soggetto, dr. M. Ruggenini, Il soggetto e la tecnica. Heideggerinterprete "inattuale" dell'epoca presente, Bulzoni, Roma 1978.

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tire dall'interpretazione delle aristoteliche virtù dianoetiche come una delle modalità disvelative con cui l'esserci accede all'ente, in altre parole come un modo dell'aletheuein. Negli anni successivi anche in Sein und Z,eit la disposizione della tecnica viene valutata positivamente come un aver-a-che{are con le cose nel senso di utili7.7.arle in contesti operativi: un prendersi cura, un incontrare le cose primariamente nella loro Zuhandenheit, che soltanto secondariamente lascia spazio all'osservazione sulla base della Vorhandenheit. Al riguardo è utile sottolineare che proprio questi temi affrontati da Heidegger negli anni giovanili hanno ispirato alcune rare ma interessanti declinazioni postumaniste del problema della tecnica 17, in genere per lo più ispirate da saggi come la Letterasull:«umanismo» o la Questione della tecnica 18 • La relazione simbiotica uomo-tecnologia costitutiva della nozione di tecnicità originaria del postumanesimo trova certamente delle assonanze nell'0Tiz7.0nte pragmatista tratteggiato in Sein undZ,eit (e negli anni immediatamente precedenti) con la descrizione del rapporto pratico produttivo che caratteriz1.a la relazione del Dasein con gli enti che lo circondano. In quel contesto la Zuhandenheit, l'aver a che fare pratico con le cose a portata di mano, o utili, sorregge l'affermazione fondamentale di Heidegger che la pratica precede la teoria; quel che è interessante osservare è che questo rapporto non è derubricabile in ciò che Heidegger molti anni dopo definirà una concezione antrapologica e strumentale della tecnica, ma definisce

17 Cfr. D. Ihde, Heidegger's Technologies. Postphenomenological Perspectives, Fordham University Press, New York 2010. 18 Cfr. G. Rae, Overcoming Philosophy: Heidegger on the Destroction of Metaphysics and the Tronsformation to Thinking, in «Human Studies», voi. 36, n. 2, 2013, pp. 235-257. Il saggio è un significativo contributo sul debito di alcune teorie postumaniste con la critica heideggeriana all'umanismo letta comunque come ultima propaggine dell'umanismo stesso.

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l'umano proprio in relazione alle attività e alla reali7.7..azione

di progetti che gli strumenti tecnici consentono. La posizione heideggeriana in questo senso già al tempo di Sein und Z,eit non è assimilabile alla postura dell'antropologia filosofica che riconduce il ruolo svolto dalla cultura e dalla tecnica a una compensazione (Kompensation) 19 o, alla maniera di Gehlen, a un esonero (Entlastung,11' derivante da strutturale difettività (Mangel). Dunque non è assimilabile in alcun modo a prospettive essenzialiste che, immaginando l'umano come una natura fissa qualificabile sulla base di qualcosa in meno rispetto agli altri viventi, si pongono esattamente sul piano della tradizionale antropologia filosofica, che Heidegger attaccherà frontalmente qualche anno dopo nella Lettera sull:«u.manismo» a partire dalla definizione greca di zoon wgon echon. L'originale proposta di Graham Harman di smarcarsi dall'antropocentrismo della tradizione filosofica attraverso una «ontologia orientata agli oggetti», per esempio, muove proprio dallo spunto heideggeriano offerto dal ruolo della Zu.handenheit. Secondo Harman, Heidegger sta distinguendo tra un «uso» nel senso della razionalità strumentale dell'umanesimo rappresentato da un essere umano privilegiato che decide ri.Hessivamente come utili7.7..are uno strumento per i suoi fini liberamente scelti e un «uso» nel senso di una simbiosi uomo-strumento in cui l'umano preriflessivamente raccoglie lo strumento per impegnarsi nell'attività necessaria alla sua vita21 •

19 O. Marquard, Philosophie des Stattdessen. Einige Aspekte der Kompensationstheorie, in Id., Philosophie des Stattdessen. Studien, Reclam, Stuttgart 2000, pp. 30-49: pp. 39-40. 20 A. Gehlen, L'uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, tr. it., a cura di V. Rasini, Mimesis, Milano-Udine 2010, p. 101.

21 G. Harman, Tool-Being. Heidegger and the Metaphysics of Objects, Open Court, Chicago-La Salle 2002, p. 18.

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Filosofi dell'embodiedcognitive science come Andy Clark portano a pieno sviluppo l'elaborazione heideggeriana del Dasein e del suo rapporto con gli utensili dentro una cornice di pensiero in cui, più che scegliere di utilizzare la tecnologia, gli esseri umani sono immersi e costitutivamente correlati alla tecnologia. Clark ricorre a esempi come impianti cocleari, ricerca sulle staminali e protesi - che mostrano come l'essere umano sia intimamente connesso alla tecnologia non tematicamente, ma nella trasparenza del vivere -, giungendo ad affermare che non stiamo diventando cyborg, ma di fatto siamo «Cyborg naturali»22 , indistinguibili per nostra natura dalla tecnologia, cioè da quella relazione che ha garantito la sopravvivenza evolutiva dell'uomo. Il tet7.o saggio, Il manifestarsi della physis nella techne: la vio7.enza del predominante, riguarda invece, come i saggi seguenti, le riflessioni sulla tecnica nel periodo successivo alla Kehre. Viene qui preso come punto di partenza Introduzione alla metafisica, quale momento in cui è palesata l'idea che la questione dell'Essere sia anche la questione della tecnica, che la tecnica sia cioè considerata luogo di dischi usura dell'essere. La tecnica è compresa in quanto categoria ontologica in relazione alla cosmologia da cui è sorta e viene presentata nella forma di un disvelare che scaturisce da una Aus-einander-setzung. Dalla contrapposizione reciproca tra techne e dike emerge quella forma di sapere che fa sl che l'Essere si metta in opera negli essenti, ma il tratto di questa violenza è qualcosa che contraddistingue la tecnica nel mondo greco ma che non ha a che vedere con la tecnica intesa in senso moderno. Con questa mise en abime della meditazione storica sulla tecnica in Introduzione alla metafisica si fa strada la convinzione che l'accadere storico epocale dell'essere non sia riducibile a prodotto di attività 22 A. Ciarle, Natural-Boro Cyborgs: Mincls, Technologies, and the Futureof Human lntelligence, Oxford Universi!)' Press, Oxford-New York 2003, p. 31.

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umane, ma che d'altra parte nell'accadere storico temporale l'essere come evento mantenga uno strutturale riferimento all'uomo. Il corso del 1935 rappresenta una tappa essenziale verso il domandare sulla tecnica che non si accontenta della definizione antropologico-strumentale: qui, infatti, la via indicata da Heidegger sembra sia quella di intendere la tecnica come un elemento che si sottrae all'uomo, un accadere del disvelamento in ciò che viene sperimentato tecnicamente. La tecnica è dunque intesa come l'evento di appropriazione tra l'essere e l'uomo. Il saggio Quale Weltbild per la scienza contemporanea: la tecnica come accadere storico dell'essere intende mostrare come la volontà heideggeriana di oltrepassamento della concezione antropologico-strumentale della tecnica non si risolva in una mitopoiesi della tecnica quale fatale destino cui rassegnarsi, né tantomeno nel suggerimento di farsi complici di un incontrollato avanzare della tecnica stessa. Soffermandosi sul dialogo con Heisenberg in occasione del ciclo di conferenze su Le arti nell'età della tecnica, il saggio mostra come emerga il tratto della tecnica, inteso proprio sotto il profilo cui si accennava innanzi, dell'«accadere storico» nella sua distinzione essenziale dalla «osservazione storiografica», un tratto decisivo per la riformulazione della Seinsgeschichte che, pur lasciando irrisolta la questione controversa del ruolo dell'umano nei riguardi della tecnica, ancora una volta consente lo sguardo rinnovato sulla collocazione dell'uomo in un mondo in cui l'uomo stesso non ha alcun titolo a pensarsi come padrone degli al,tri enti.

Gli altri due saggi, L'a/,tro umanismo: l'esserci non è il padrone degli enti e Il desiderio di un'etica nell'epoca dell'immagine del mondo dominata dalla tecnica, hanno l'obiettivo di mostrare che la lettura heideggeriana della tecnica come stadio ultimo dello sviluppo della metafisica sia declinata in una duplice maniera. Per un verso sembra infatti che l'essere umano sia inesorabilmente condannato a «perseguire e coltivare soltanto ciò

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che si disvela nell'impiegare, prendendo da questo tutte le sue misure»zi. Come è noto, Heidegger descrive lo scenario in cui l'essen7a della tecnica governa e dispone il rapporto dell'essere umano col reale esclusivamente nei termini di uno sfruttamento del secondo da parte del primo. In tal senso, l'uomo sembra esposto non a un pericolo, ma al «pericolo supremo», perché rischia di divenire esso stesso «fondo» impiegabile, al pari del resto del reale, ed è proprio questa imposizione generali7.7.ata della tecnica che giunge a lambire anche la sua stessa essen7a: l'uomo s'illude fìno a vestirsi «orgogliosamente della fìgura di signore della terra.>>24 • Questa minaccia, come Heidegger non manca di sottolineare, non proviene «dalle macchine e dagli apparati tecnici», bensì dall'essenza stessa della tecnica, per il fatto che là dove si dispiega e domina l'im-posizione, ogni disvelamento è improntato nel segno della direzione e della assicurazione del fondo. Per altro verso però, l'idea «post-metafìsiea>> di verità degli anni successivi alla Kehre, il cui accadere si produce «essenzialmente nell'uomo anche se non per l'uomo», trae fuori il Dasein dalle secche della soggettività destinandolo alla custodia dell'essere, se si condivide la lettura di &sere e tempo quale ultima propaggine della contestata metafisica umanistica del soggetto2.~. Anzi, in questo senso la critica heideggeriana a ogni umanismo costituisce un fil rouge, come Derrida ha messo in luce 26 - con una lettura quasi continuista del discorso heideggeriano prima e dopo la Kehre -, che attraversa la caratteriz7.azione del Dasein dell'analitica esistenziale di Sein

23 M. Heidegger, Vortrage1.mdAufsiitze, GA 7, p. 2.5; tr. it., p. 19. 24 lvi, p. 28; tr. it., p. 23. 2.5 Cfr. supra, p. 17, nota 16. 26 J. Derrida, Fini dell'uomo, in Id., Margini della filosofia, tr. it. di M. Iofrida, Einaudi, Torino 1997, pp. 153-185: p. 171.

23 und Zeit per giungere al tentativo di pensare oltre l'umanismo del Briefiiber den «Humanismus».

Certamente, sul piano teoretico, l'elaborazione di una idea di esistenza quale essenza dell'umano pensata a partire dalla differenza da un altro, di cui l'uomo non dispone, ha delle conseguenze notevoli anche su una ipotesi di riconsiderazione della tecnica su cui oggi siamo chiamati a riflettere. Nel Brief iiber den «Humanismns» il decentramento dell'uomo, la cui dignità consiste nel venire chiamato dall'essere a custodia della sua verità», fa apparire indebita e vana la sua pretesa di dominare sull'intero degli enti. Il riferimento estatico alla verità dell'essere viene descritto come «cura», nel peculiare senso che l'uomo «è (west) nel getto dell'essere che è il destino destinante», e questo comporta il fatto che «l'uomo non è il padrone dell'ente». Raccogliere l'invito a superare ogni antropologismo e soggettivismo, nella prospettiva che proprio in virtù di un simile decentramento l'uomo non sia padrone degli enti che lo circondano, sembra che oggi più che mai possa rappresentare uno snodo fondamentale per pensare il nostro futuro sul pianeta. La deposizione della centralità del soggetto e la critica delle interpreta7Joni umanistiche dell'uomo come animale razionale, come «persona», come essere composto di spirito, di anima e di corpo - definite non false, ma semplicemente insufficienti - rilanciano infatti per Heidegger il desiderio di un'etica. I saggi sono rivolti ad analizzare questa duplice direzione presente nella lettura heideggeriana della tecnica anche in riferimento alla peculiare concezione di storia cui si faceva cenno all'inizio di questa Introdnzione: la storia non è infatti solo l'oggetto della storiografia, né il puro compiersi dell'attività umana, ma è l'accadere storico dell'essere nel suo disvelarsi, e questo accadimento non è un destino immodificabile cui ab-

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bandonarsi ma una stona di coappartenenza nel disvelamento dentro il cui corso l'uomo può decidere di stare come un servo (ein Horiger) o come un ascoltante (ein Horender); in quest'ultimo caso significa scegliere di appartenere al proprio destino di ente disvelante per natura tecnico, consapevole di non essere padrone degli enti ma un ente tra gli altli capace di cura e custodia. Al di là dell'importante presa d'atto di non essere padroni di ciò che si crede di dominare e del generico invocare un'etica per il pianeta, limane da capire in che modo l'uomo si possa mettere nella posizione di ascoltante evitando che lo sviluppo tecnologico, insieme al suo desiderio di dominio, trasformi il mondo «in enorme riserva permanente, come adikia o Unfung (non concordanza)» 27• Il contrasto tra dike e techne, più che caratterizzare il tempo dell' Antropocene gli varrebbe allora il nome coniato da Bernard Stiegler di «entropocene»28, un tempo in cui l'eccesso di hybris più che disvelare l'essere del mondo nella natura e nella stona ne minaccia la stessa possibilità d'essere. Dal pensiero heideggeliano di certo ci provengono l'esortazione a imparare a pensare, declinabile nel senso del Iifìuto di considerare ogni essere naturale come riserva permanente, oltre che buoni argomenti per la concezione non antropocentrica dell'umanità, fonte di ispirazione - come si è visto - di alcune ecofìlosofìe. La cogen7.a della prospettiva di decentramento dell'essere umano Iivela la necessità di interrogarlo sulla sua responsabilità nel processo di antropiz7.azione dell'ambiente circostante e dei suoi esiti degenerativi, ma il lettore di Heidegger non può che rassegnarsi al fatto che la domanda sull'etica limane

27 Y. Hui, Cosmotecnica, cit., p. 197. 28 B. Sticgler, Dans la disroption. Comment nepas devenir fou?, Les Liens qui Libèrent, Paris 2016.

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inevasa, il conatus di una possibile «macroetica planetaria» tradisce l'incapacità (e la deliberata noluntas) di concepire un pensiero che voglia incidere sulla vita e ancor di più sulla vita associata. Ne è testimonian7.a Nurnoch ein Gott kann uns helf en, l'intervista in cui l'inviato dello «Spiegel» pone un interrogativo semplice e diretto, per questo ancora più insidioso: Non dovrebbe il filosofo essere pronto a farsi un'idea di come gli uomini possono organi7.7.are la loro coesisten7.a in questo mondo da loro stessi tecnici7.7.ato e che forse, gli ha preso la mano? Non è giusto aspettarsi dal filosofo che dia delle indicazioni su come si rappresenta una possibilità di vita e viceversa non viene meno il filosofo ad una parte (e sia pure una piccola parte) della sua professione e della sua vocazione, se non sa comunicare nulla in proposito?29

A questo domanda Heideggerrisponde con una esitazione solo

in parte dovuta a quella che lui stesso definisce una «estraneazione alimentata proprio dalla posizione di potenza delle scienze nei confronti del pensiero»30: Per quanto ne so, un singolo non è in grado, a partire dal pensiero, di ottenere una panoramica del mondo nella sua totalità che gli permetta di dare indicazioni pratiche e, ciò, perfino in ordine al compito di trovare innanzitutto una base per il pensiero stesso. Il pensiero nella misura in cui si prenda sul serio rispetto alla grande tradizione, si sente qui impari al compito appena si accinge a dare indicazioni concrete.3 1

È un'aporia insanabile quella di non provare neanche a comprendere come il singolo possa contribuire a formulare la «macroetica», una sostanziale sfiducia nelle potenzialità del compito 29 M. Heidegger, Spiegel-Gespriich mit Martin Heidegger (23. September 1966), in Id., Reden und andere 'Zeugnisse eines Lebensweges (1910-1976), GA 16, pp. 6.52-683: p. 681; tr. it., p. 152. 30 lvi, p. 681; tr. it., p. 153. 31 Ibidem.

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clitico del pensiero di incidere sul reale, ma soprattutto l'ammissione di un totale disorientamento di fronte alla questione fondamentale, quella politica: «è per me oggi un problema decisivo come si possa attribuire un sistema politico - e quale - ali'età della tecnica. A questa domanda non so dare alcuna risposta. Non sono convinto che sia la democrazia»32• Ma su questa difficoltà pesa l'errore fatale: aver pensato che l'incontro della tecnica planetaria con l'uomo moderno determinasse la «verità e la grandezza»33 di quel movimento politico che invece ha portato il mondo nell'abisso.

32 lvi, p. 668; tr. it., p. 131. 33 lvi, p. 667; tr. it., p. 130.

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I l'ra Iogos e physis: la tecnica tra manifestatività dell'ente e disvelamento dell'esserci

1. Il semestre estivo del 1922: Aristotele e l'originaria motilità della vita

Negli anni del primo insegnamento di Friburgo, com'è noto, ha luogo un serrato confronto di Heidegger con Aristotele decisivo per il maturare di alcuni argomenti essenziali 1 all'elaborazione dell'analitica esistenziale di Sein und Zeit. Lo studio di Aristotele è significativo anche per lo sviluppo di riflessioni prodromiche alla questione della tecnica, tema più diffusamente affrontato negli anni successivi alla Kehre. L' «assimilazione vorace»2 di temi aristotelici confluisce infatti 1 È altrettanto noto come non sia solo lo studio di Aristotele a influenzare l'elaborazione dei temi dell'analitica esistenziale negli anni in cui Heidegger teneva anche i corsi sull'ermeneutica della fatticità. Heidegger individua nel pensiero cristiano delle origini - in particolare ne11e lettere paoline e nelle Confessioni agostiniane, oltre che in alcuni mistici medievali - testimonianza di esperienze vissute capaci di cogliere la vita nella sua fatticità epurata da ogni teoreticismo e da tendenze obiettivanti. 2 L'espressione è di Franco Volpi, che sottolinea come Heidegger non si limiti a interpretare Aristotele ma attraverso un confronto serrato miri a una appropriazione radicale dell'ontologia e della filosofia pratica di Aristotele cui era pervenuto tramite le letture giovanili di Brentano e di Braig, cfr. F. Volpi, Heidegger e Aristotele, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 11. Sul

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nell'analisi dell'esperienza della vita fattizia e della sua originariarrwtilità già a partire dai primi anni Venti. Nella Vorlesung del Sommersemester del 1922 è attraverso il confronto con Metafisica A 1-2 che comincia a farsi strada l'idea che l'ermeneutica della fatticità vada elaborata in direzione dell'ontologia e viceversa che la domanda ontologica possa essere posta solo se radicata nell'effettività della vita. Alcune significative analisi terminologiche sono rivelative dell'intenzione di mostrare come la theoria non preceda affatto la praxis, ma si presenti sin dal suo sorgere in uno stretto intreccio con questa. Innanzitutto l'icastico incipit della Metafisica: «Tutti gli uomini desiderano per natura conoscere» (Ilétvtsç èivdpco1t0t wu sioéva.t 6psyovta.t q>uost) 3, diventa nell'interpretazione heideggeriana il desiderio verso il vedere (Sehen) che si radica nella vita4• A Heidegger preme osservare come sia possibile individuare nella fenomenologia delle forme di conoscenza descritta da Aristotele il carattere della vita nel suo prodursi, nel suo venir a maturazione (7.eitigung), ovvero nell'attuazione dell'interpretare se stessa e il mondo nella forma della cura.

rapporto fra l'elaborazione dell'ermeneutica della fatticità e l'intento - a seguito della lettura di Lutero - di individuare nel cristianesimo quelle tendenre obiettivistiche e teoreticistiche proprie della grecità, cfr. T. Kisiel, The Genesis of Heidegger's Being and Time, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London 1993, pp. 227-230. Sul rapporto con Aristotele in questa fase di elaborazione dell'ermeneutica della fatticità, cfr. anche G. Figal, Heidegger als Aristoteliker, in A. Denker - G. Figal F. Volpi- H. Zaborowski (a cura di), HeideggerundAristoteles, Alber, Freiburg-Munchen 2007, pp. 53-76, e R. Elm, Aristoteles -ein Hermeneutiker der Faktizitiit? Aristoteles' Dijferenziernng oon q>p0V11ia. und ihre Tronsformation bei Heidegger, ivi, pp. 2.55-282.

3 Aristot., Met., A 1, 980a 21 (tr. it., Metafisica, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2000). 4 Cfr. M. Heidegger, Phiinomenologische lnterpretationen ausgewiihlter Abhandlungen des Aristoteles zur Ontologie und wgik, CA 62, p. 17.

29 L'attenzione heideggeriana muove dalla constatazione che il sorgere del sapere filosofico accade solo quando gli uomini si siano esonerati dal prowedere ai bisogni primari. Aristotele pone infatti in una singolare relazione la vita contemplativa con quella di carattere tecnico pratico, sottolineando come la contemplazione e la ricerca delle cause del tutto ebbe luogo una volta consolidati i saperi volti a prowedere a necessità e bisogni primari: cioè una volta che gli uomini si sono affrancati dalle urgenze e difficoltà del vivere quotidiano grazie alle conoscenze rivolte all'utile, che appunto consentono di eliminare lo stato indigenza (Beduiftigkeit) e di soddisfare i piaceri (Geniisse) connessi al vivere. In un certo senso, si potrebbe affermare che la filosofia sia nata una volta awenuto stabilmente il ricorso al principio dell'esonero. L'atto di battesimo della scienza contemplativa per eccellenza, infatti, richiama l'idea di un sapere possibile quando gli uomini si siano emancipati dai bisogni primari: «la scoperta di quelle scienze che non sono dirette al piacere né alle necessità della vita awenne in quei luoghi in cui gli uomini dapprima furono liberi da occupazioni pratiche»5• Per Aristotele, quando il pensare è inteso quale attività fine a se stessa e non rivolta a un fine a essa esterno, si costituisce come un sapere diverso da quello rivolto all'utile o da quello più direttamente connesso all'agire. Lepisteme theoretike è un sapere desiderato e ricercato di per sé e non in vista di uno scopo esterno ed è, allo stesso tempo, ciò a cui ci si può dedicare proprio quando un altro tipo di conoscenza, l'episteme poietike, ha già liberato gli uomini dalla necessità di sopperire ai bisogni e alle necessità più immediate. Il sapere tecnico è dunque una di quelle forme del conoscere che agevolano l'esistenza e consentono la liberazione da impedimenti che rientra tra le forme di libertà negativa. Il modo di vivere teoretico è infatti visto come possibile solo quando si 5 Aristot., Met., A 1, 98lb20.

30 è compiuta una liberazione (Freiwerdung), una facilitazione

(Erleichterong) della vita resa possibile dalle -rsx,vat che mirano alla òtay©Yll quale possibilità di soffermarsi (venveilen) liberamente senza disturbi: un modo d'essere che rimane fondamentale anche per la ooq>ia53 • Emerge così una continuità di sviluppo della vita che mostra la tendenza naturale a evolversi nella -tJsropia, modalità libera e autentica della vita di muoversi secondo volontà e desiderio e non soggetta ad asservimento. 6 I termini che indicano le forme del sapere vengono tradotti nel quadro di una elaborazione della conoscenza stessa come commercio prendentesi cura, espressione formulata pochissimo tempo dopo anche nel Natorp-Bericht: l'at