Tre Pellegrinaggi in Terrasanta 9782503589008, 2503589006

La Terrasanta crociata nel resoconto di tre dei più interessanti pellegrini dell'epoca. Le tre descrizioni della Te

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Tre Pellegrinaggi in Terrasanta
 9782503589008, 2503589006

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SAEWULF GIOVANNI DI WÜRZBURG TEODORICO TRE PELLEGRINAGGI IN TERRASANTA

CORPVS CHRISTIANORVM IN TRANSLATION

35

CORPVS CHRISTIANORVM Continuatio Mediaeualis CXXXIX

PEREGRINATIONES TRES

SAEWULF IOHANNES WIRZIBURGENSIS THEODERICUS

Edited by R. B. C. Huygens

TURNHOUT

FHG

SAEWULF GIOVANNI DI WÜRZBURG TEODORICO TRE PELLEGRINAGGI IN TERRASANTA

Introduzione, traduzione e note a cura di Silverio FRANZONI e Elisa LONATI

Supervisione accademica Paolo Chiesa e Rossana Guglielmetti

The translation of this work has been funded by SEPS Segretariato Europeo per le Pubblicazioni Scientifiche

Via Val d’Aposa 7 - 40123 Bologna - Italy [email protected] - www.seps.it

© 2020, Brepols Publishers n. v., Turnhout, Belgium. All rights reserved. No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying, recording, or otherwise without the prior permission of the publisher.

D/2020/0095/53 ISBN 978-2-503-58900-8 E-ISBN 978-2-503-58901-5 DOI 10.1484/M.CCT-EB.5.119809 ISSN 2034-6557 E-ISSN 2565-9421 Printed in the EU on acid-free paper.

INDICE GENERALE

Introduzione Il contesto storico Saewulf Giovanni di Würzburg Teodorico La fonte di Giovanni e Teodorico: Rorgo Fretello e la sua descrizione della Terrasanta Nota alla traduzione Interventi sul testo rispetto all’edizione di Huygens

7 7 13 19 25

Bibliografia Repertori, dizionari ed enciclopedie Fonti primarie Fonti secondarie

39 39 40 47

Saewulf: Resoconto veritiero su Gerusalemme Note di commento

57 82

29 36 37

Giovanni di Würzburg: Descrizione della Terrasanta 107 Note di commento 166 Teodorico: Trattato sui luoghi santi Note di commento

203 258

Indice dei passi biblici

279

Indice delle fonti non bibliche

285

Indice dei luoghi

291

Indice dei nomi

300

5

INTRODUZIONE

È offerta in questo volume la traduzione di tre delle più antiche descrizioni della Terrasanta crociata, edite da Robert B. C. Huygens in Peregrinationes tres. Saewulf, John of Würzburg, Theodericus (CC CM, 139), Turnhout, 1994. Quello di Saewulf è un vero e proprio resoconto di pellegrinaggio, interessante tanto per il suo valore di testimonianza personale quanto per il fatto di essere di poco successivo alla conquista europea della Palestina; Giovanni di Würzburg e Teodorico, invece, scrivono due guide della Terrasanta parzialmente sovrapponibili, in quanto derivate da una stessa fonte, che viene qua e là arricchita con informazioni originali dovute alla concreta esperienza degli autori. Le informazioni essenziali su ciascun autore e sulla sua opera sono fornite qui di seguito; chiarimenti puntuali e commenti più estesi, accompagnati dove necessario da ulteriori rimandi bibliografici, sono invece distribuiti in un doppio apparato di note, a piè di pagina e al termine di ciascun testo.

Il contesto storico Il pellegrinaggio è stato una dimensione importante del Cristianesimo fin dai primi secoli della sua storia, e la letteratura che ne è scaturita permette di seguire l’evoluzione di questa pratica, del significato che le era attribuito e delle valutazioni di cui era og-

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Introduzione

getto1. Com’è facile comprendere, una delle mete più frequentate è sempre stata la Palestina (la “terra santa” per antonomasia) e in particolare Gerusalemme, teatro degli avvenimenti fondanti della religione cristiana. I nostri tre autori si inseriscono dunque in una tradizione ben consolidata che, dopo le alterne vicende dell’Alto Medioevo – quando la Palestina, in mano prima bizantina e poi, dal VII secolo, musulmana, era per i pellegrini occidentali un territorio “straniero”  –, conosce una svolta decisiva in seguito alla conquista crociata della Terrasanta e della sua “capitale” Gerusalemme2 . Grazie a questo avvenimento, infatti, non solo si moltiplicano i pellegrinaggi e, con essi, i resoconti dei pellegrini e le descrizioni della Terrasanta, ma la città di Gerusalemme diviene sempre più presente alla cultura occidentale nella sua realtà terrena, una dimensione che nel corso dell’Alto Medioevo veniva posta in secondo piano, quando non respinta più duramente, a favore di una visione teologico-spirituale di Gerusalemme come la città santa che si rivelerà alla fine dei tempi o come metafora dell’anima del cristiano che si eleva verso Dio3. Quando, nell’autunno del 1102, Saewulf sbarca a Giaffa, la Terrasanta era possedimento europeo da (a seconda delle zone) tre-quattro anni, dopo che i crociati l’avevano percorsa da nord a sud arrivando a coronare con la sanguinosa espugnazione di Gerusalemme, il 15 luglio 1099, la loro pluriennale e travagliata spedizione. Nel corso di quest’impresa – sollecitata dal celebre discorso di Urbano II al concilio di Clermont del 1095, ma iniziata concretamente solo nell’estate dell’anno successivo – le armate cristiane (provenienti perlopiù dai territori oggi parte della FranInformazioni generali si troveranno all’interno della panoramica sulla letteratura di viaggio medievale offerta da Menestò, ‘Relazioni’. 2  Le spedizioni militari crociate e l’esperienza politica europea in Terrasanta costituiscono, com’è noto, uno dei problemi storiografici più complessi del Medioevo, e la letteratura in proposito è naturalmente molto vasta: ci limitiamo dunque a rinviare, per non citare che due titoli recenti, al ricchissimo studio di Tyerman, Guerre, e alla breve sintesi di Russo, Crociati. 3  Sulla posizione di Gerusalemme nella cultura e nella spiritualità europea del XII secolo, soprattutto in rapporto alla vicenda crociata, si rimanda all’utile sintesi di Schein, Gateway; per i risvolti più propriamente storico-artistici della questione si veda Blair Moore, The Architecture. 1 

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Introduzione

cia, del Belgio e del Sud Italia) scesero, dopo aver attraversato la penisola anatolica, lungo la costa mediterranea del Medioriente, ottenendo a più riprese vittorie, spesso inaspettate, contro i signori islamici locali. Nello stesso tempo, incomprensioni tra i capi della spedizione e ambizioni personali portarono le forze occidentali a sfilacciarsi nel corso della marcia verso Gerusalemme e, benché questa restasse chiaramente l’obiettivo finale, si vennero in parallelo creando nella regione potentati di stampo europeo. La prima a nascere fu la contea di Edessa, del cui territorio si impadronì, con un abile colpo di mano, Baldovino di Buglione (fratello del celebre Goffredo, primo signore di Gerusalemme) tra la fine del 1097 e i primi mesi del 1098. Di poco successiva fu la formazione del principato di Antiochia (1098-1099), su cui il normanno Boemondo d’Altavilla ottenne il dominio dopo una lunga contesa con gli altri capi crociati, seguita ad un ugualmente lungo e sfiancante assedio della città che doveva diventarne la capitale. Da ultimo, addirittura dopo la presa della città santa, venne la contea di Tripoli, creatasi grazie agli sforzi del tenace conte provenzale Raimondo IV di Saint-Gilles, che, pur avendone assunto il titolo fin da subito, non potè mai davvero esercitare il dominio sulla città: essa infatti, cinta d’assedio fin dal 1103, non capitolò che quattro anni dopo la sua morte, nel 1109, sotto gli attacchi del figlio illegittimo di Raimondo, Bertrando di Tolosa. Nel frattempo, con la celebre impresa del 15 luglio 1099 a cui abbiamo già accennato, si era costituito anche il più ampio e più importante dei dominî latini di Terrasanta, il regno di Gerusalemme, che – dopo qualche momento di tensione, dovuto probabilmente alla contesa per il potere tra i capi laici della crociata e gli ecclesiastici di più alto rango – fu affidato al lorenese Goffredo di Buglione, il quale tuttavia rifiutò di cingere la corona regia nel luogo in cui Cristo aveva manifestato la propria regalità ultraterrena e si limitò ad essere nominato “avvocato del Santo Sepolcro” (advocatus Sancti Sepulchri)4. Poco meno di un anno dopo, la scomparsa di Goffredo riaprì la corsa al regno, che si concluse nel giro di qualIl titolo effettivamente assunto da Goffredo non è tuttavia sicuro; cfr. anche n. 74 al testo di Giovanni. 4 

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Introduzione

che mese con l’incoronazione a primo vero re di Gerusalemme di Baldovino (fratello del defunto), avvenuta a Betlemme nella notte di Natale del 1100. Il nuovo sovrano si sforzò fin da subito, e con discreto successo, di rafforzare il regno contro le minacce interne (i nobili occidentali stabilitisi nella regione) ed esterne (i signori islamici locali), arrivando in particolare a conquistare alcuni porti di rilevanza strategica nella zona siro-palestinese. Quando nel 1118 Baldovino I morì senza lasciare eredi maschi, il suo trono venne offerto al cugino Baldovino di Le Bourcq, che si trovò a gestire il regno in un momento di particolare difficoltà, sia per i territori sotto il suo controllo che per il resto dei dominî crociati; se, ad eccezione della conquista di Tiro (avvenuta però mentre egli era prigioniero del signore di Aleppo), le sue campagne militari non raccolsero grandi frutti, Baldovino II seppe tuttavia gestire in maniera oculata il delicato problema della sua successione, facendo sposare la figlia primogenita Melisenda con il conte Folco V d’Angiò, che assunse la corona nel 1131. I poco più di dieci anni di governo di Folco furono segnati da difficoltà interne, forse legate al rinnovamento della classe dirigente del regno, e coincisero con il risvegliarsi di potenze straniere: da una parte l’impero bizantino (che tentò, senza successo, di annettersi il principato di Antiochia), dall’altra le signorie locali islamiche, in particolare quella sotto il controllo di Zangi, che aveva come centri principali Mosul e Aleppo. La conquista della città di Edessa per mano di quest’ultimo nel 1144 fu lo stimolo decisivo per l’organizzazione di una nuova grande crociata che, sotto l’ispirato impulso della predicazione di Bernardo di Clairvaux, raccolse fra il 1146 e l’inizio del 1147 vaste adesioni soprattutto in Francia e in Germania, i cui sovrani (Luigi VII e Corrado III) guidarono in prima persona i rispettivi contingenti. Nonostante i rapporti tesi e ambigui dei due principali condottieri con l’impero bizantino e con le stesse signorie occidentali in Terrasanta, si giunse infine alla decisione congiunta di attaccare Damasco, importante piazzaforte musulmana alle spalle del regno di Gerusalemme: la sua conquista, infatti, avrebbe contribuito non poco alla sicurezza di quest’ultimo, che nel frattempo – morto Folco d’Angiò nel 1143 – era passato nelle mani

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Introduzione

del giovane Baldovino III e di sua madre Melisenda. L’assedio di Damasco (luglio 1148), tuttavia, si risolse in un cocente fallimento per le armate cristiane e per l’intera spedizione (passata alla storia come Seconda Crociata), finendo inoltre per aprire la strada alla conquista della città (1154) da parte di Nur al-Din, temuto figlio del già menzionato Zangi e destinato ad essere formidabile rivale dei cristiani negli anni successivi. Più che le minacce esterne – che rischiarono anche di assumere il volto dell’imperatore bizantino Manuele Comneno, il quale tuttavia si limitò a ristabilire il proprio controllo su Antiochia – a complicare il regno di Baldovino III furono soprattutto le incomprensioni con la volitiva madre Melisenda, che sfociarono in una vera e propria spartizione del regno. Morti però i due contendenti (la madre nel 1161, il re nel 1163), il potere potè riunirsi nelle mani di Amalrico, fratello minore del predecessore, che nutrì rapporti pacifici con Costantinopoli anche grazie al matrimonio con una nipote dell’imperatore; le sue attenzioni furono quasi esclusivamente dirette verso l’Egitto, dove l’affievolirsi del potere fatimide lasciava un vuoto di cui sia i cristiani sia i musulmani – Nur alDin su tutti – speravano di approfittare. In effetti, nel corso degli ultimi anni di regno di Amalrico (morto nel 1174), un giovane luogotenente di Nur al-Din, Saladino (Salah al-Din), riuscì con abilità ad impadronirsi del potere in Egitto, per poi affermarsi come naturale erede del suo signore alla morte di questi e arrivare (nei primi anni ’80 del secolo) a riunire sotto il proprio controllo non soltanto i territori egiziani, ma anche le zone della Siria e dell’Iraq. Nel frattempo, la corona gerosolimitana era sempre più in crisi: il figlio ed erede di Amalrico, Baldovino IV, gravemente malato fin da bambino, faticava ad assicurare un governo stabile, e i tentativi di affiancargli un successore credibile non sortirono i risultati sperati. Alla sua morte nel 1185, e una volta scomparso, l’anno seguente, anche il giovanissimo erede Baldovino V, i due partiti concorrenti – facenti capo uno alla sorella di Baldovino IV e madre di Baldovino V, Sibilla, l’altro al reggente del regno Raimondo III di Tripoli – si fronteggiarono in un sottile scontro diplomatico da cui uscirono vincitori Sibilla e il marito Guido di Lusignano. Il loro regno sarebbe però stato breve: non appena terminato, nei

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primi mesi del 1187, il periodo di tregua stipulato tra le due parti, Saladino decise di cogliere l’occasione e, facendo leva su precedenti scaramucce, indusse i cristiani allo scontro. Nel luglio del 1187 le truppe occidentali subirono una rovinosa sconfitta nei pressi di Hattin (poco lontano da Tiberiade), a cui seguì, nel giro di breve tempo, la resa delle principali città cristiane della Terrasanta; il 2 ottobre 1187 le truppe di Saladino entrarono vittoriose a Gerusalemme, ponendo così fine al dominio crociato sulla città santa dopo nemmeno un secolo di esistenza. Abbiamo già accennato che, durante l’Alto Medioevo, quando la Gerusalemme terrena era una realtà remota nello spazio e nell’immaginario, la cristianità europea esaltava la dimensione spirituale ed escatologica della città santa, identificandola soprattutto con la sede del sepolcro di Cristo. Dopo la conquista crociata, però, Gerusalemme divenne molto più vicina anche nella sua realtà materiale, non da ultimo grazie all’intensificarsi dei pellegrinaggi, che furono ad un tempo causa ed effetto dell’esponenziale arricchimento della geografia sacra della città. Accanto al Santo Sepolcro, la cui preminenza fu naturalmente ribadita, si venne infatti definendo un numero sempre più alto di luoghi associati a eventi della vita di Cristo e di Maria, o più generalmente ricollegabili a episodi del Nuovo Testamento: su di essi si concentrarono non soltanto la venerazione dei fedeli, ma anche gli sforzi concreti dei nuovi padroni di Gerusalemme, che promossero una ristrutturazione della città su vasta scala. Questi sentimenti e le loro conseguenze materiali, tuttavia, si diressero anche verso quanto di Gerusalemme poteva rimandare all’Antico Testamento: in questo caso, i due punti più carichi di significato furono la zona del Tempio e la Torre di Davide, divenuta fra l’altro la sede dei nuovi sovrani, che si presentarono spesso secondo un immaginario biblico, in quanto capi del nuovo Israele venuto a liberare la Terrasanta dal dominio pagano. L’arricchimento ideale della topografia di Gerusalemme, che si estese peraltro a tutta la Palestina, ebbe, tra le altre, due conseguenze rilevanti: da un lato, il moltiplicarsi di guide e descrizioni della Terrasanta, e in particolare di Gerusalemme, fu naturale conseguenza del rinnovato interesse per l’argomento; dall’altro,

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tutta la regione fu caricata di una speciale santità (culminante, com’è ovvio, nel suo capoluogo), che la rendeva meta privilegiata per chi desiderasse purificare la propria anima e luogo ideale in cui ottenere l’accesso alla Gerusalemme celeste. Condizione, questa, che si poteva tra l’altro in certa misura estendere proprio attraverso le testimonianze scritte dei pellegrini, come i nostri Giovanni e Teodorico chiariscono nei rispettivi prologhi.

Saewulf Il breve racconto di viaggio del non meglio noto ­pellegrino ­Saewulf è la prima fonte di informazione di cui disponiamo a proposito della complessa e disordinata situazione politica che caratterizzava la Terrasanta poco dopo la presa di Gerusalemme nel 1099, alla fine del periodo fatimide. Del suo protagonista non sappiamo nulla, se non che era molto probabilmente inglese5: lo rivelerebbe il suo nome, attestato un discreto numero di volte (con più varianti) in documenti anglosassoni tutti dell’XI secolo6, e lo confermerebbe la sua conoscenza della storia normanna, che emerge in particolar modo nell’allusione alla recente morte di Roberto il Guiscardo (par. 3). È stato proposto di identificare il nostro autore con il mercante “Sevulfus” menzionato da Guglielmo di Malmesbury nei suoi Gesta pontificum Anglorum (4, 146): questi, dopo essere stato più volte vanamente ammonito da Vulfstano di Worcester († 1095), suo confessore, a rifiutare il peccato e ad abbracciare la vita monastica, si risolse solo in tarda età ad ascoltarne i pii consigli, facendosi monaco a Malmesbury stessa7. Guglielmo non fa nessun riferimento a un suo viaggio in Terrasanta né a sue produzioni letterarie, anche se un contesto monastico potrebbe giustificare quei passaggi della narrazione in cui Saewulf si rivolge Cfr. Damian-Grint, ‘Sæwulf ’. Secondo i dati forniti dal database online Prosopography of Anglo-Saxon England (www.pase.ac.uk). 7  Cfr. Guill. Malm., gesta pont., I, p. 434-437, con note di commento in Id., id., II, p. 198-199. 5 

6 

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più o meno esplicitamente ad un uditorio, che in tal caso poteva essere costituito dai confratelli. Il pellegrinaggio che ci viene raccontato è in buona parte un viaggio per mare8, dalle coste della Puglia fino a Giaffa e poi, dopo l’andata e ritorno da Gerusalemme via terra, da Giaffa verso Costantinopoli, fino a poco oltre lo stretto dei Dardanelli. Del percorso che Saewulf seguì per arrivare in Puglia non sappiamo nulla, e così del suo ritorno in patria, perché il testo si arresta bruscamente all’altezza dell’attuale Marmara-Ereğlisi, sulla costa nord del Mar di Marmara. Da alcune indicazioni dell’autore stesso possiamo dedurre che gli eventi si svolsero tra il luglio 1102 e il settembre 1103. Altre fonti dell’epoca pongono infatti la tempesta nel porto di Giaffa, di cui Saewulf fu testimone (par. 7), nell’estate del 1102, e nella primavera dell’anno successivo, durante l’assedio di Acri da parte dei Crociati, l’arrivo di una flotta di supporto ai musulmani cui Saewulf fa indirettamente allusione (par. 32). Questo lasso di tempo è scandito da riferimenti abbastanza costanti ai giorni in cui si verificano i diversi eventi (di solito sotto forma di menzione del santo celebrato in quella particolare data): sappiamo così che Saewulf si è imbarcato a Monopoli, in Puglia, domenica 13 luglio 1102 (par. 2) ed è arrivato a Gerusalemme in ottobre (par. 6 e 8), ripartendone poi nel maggio 1103 (par. 31) per arrivare sul Mar di Marmara in settembre (par. 34). Qualche cenno sparso dell’autore mostra che egli non viaggiò da solo, e che l’ultima parte del suo viaggio la compì con una compagnia più ristretta di quella originaria, probabilmente in conseguenza della scelta di dirigersi a Costantinopoli invece che ritornare direttamente in patria (par. 7 e 33). La narrazione si apre con un rapidissimo prologo, in cui ­Saewulf ci informa di avere compiuto la traversata verso Gerusalemme secondo una rotta prevalentemente costiera, il che l’ha spinto ad annotare i nomi delle isole per cui è passato (par.  1). Dopo che il giorno stesso della partenza un naufragio l’ha costret8  Per un’analisi approfondita e propriamente tecnica dei viaggi per mare compiuti dal nostro autore, si veda il saggio di John H. Pryor che precede nell’edizione critica il testo di Saewulf (Pryor, ‘Voyages’); alle informazioni più importanti di tale contributo faremo riferimento quando necessario nel corso delle nostre note.

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to a tornare indietro, egli ricomincia il viaggio da Brindisi alla volta di Corfù e di Cefalonia; tra la fine di luglio e la fine di agosto raggiunge Patrasso e Corinto e poi, dopo due giorni di marcia sulla terraferma, Tebe e Negroponte, da cui riprende il viaggio per mare (par. 2-3). Il pellegrino tocca così alcuni dei porti principali dell’Egeo, tra cui Andros, Mykonos, Nasso, Mitilene, Coo, Cnido e Rodi; poi prosegue da Rodi a Cipro passando per Patara, Mira, Pafo e isole minori spesso completamente deserte, fino ad arrivare a Giaffa il 12 ottobre 1102, dopo una tempesta durata ben sette giorni (par. 4-6). Saewulf si diffonde sul periodo di tempo passato a Giaffa, soprattutto perché, il mattino dopo il suo sbarco, è testimone di una tempesta ancor più terribile, che uccide centinaia di persone e distrugge molte navi spingendole contro le rocce che si ergono tutt’intorno all’approdo (par. 7). Da Giaffa, Saewulf arriva a Gerusalemme dopo due giorni di marcia su una via di montagna molto pericolosa; comincia così la descrizione dei monumenti più significativi della città santa, a cominciare dalla chiesa del Santo Sepolcro. Essa racchiude i luoghi della Passione del Signore e quello del ritrovamento della Croce e, come Saewulf ricorda, si trova sul pendio del Monte Sion, un tempo esterno alla città e ora inclusovi in seguito alla ricostruzione e all’ampliamento voluti dall’imperatore Adriano dopo la distruzione operata da Tito nel 70 (par. 8-10). Di qui si sale sul Monte Calvario, e poi si torna verso il Sepolcro, accennando a diverse chiese e numerosi luoghi in cui Gesù stette prima o dopo la sua Resurrezione (par. 11-13). Si scende quindi verso il Tempio del Signore, di cui Saewulf ricorda la primitiva fondazione da parte di Salomone, per elencare tutti i più importanti eventi della vita di Gesù che vi ebbero luogo (par. 1415). Dopo avere descritto la porta da cui il Signore entrò in città nel giorno delle Palme, Saewulf traccia il percorso che dal Tempio conduce verso la valle di Giosafat, dove si trova la chiesa in cui fu sepolta Maria, insieme al giardino del Getsèmani e al Monte degli Ulivi, su cui ebbe luogo l’Ascensione (par. 16-18). Si ritorna infine sul Monte Sion, alla chiesa sorta là dove Gesù apparve per la prima volta agli apostoli dopo la Resurrezione e dove essi ricevettero lo Spirito Santo (par. 19 e 21, con una piccola digressione sulla Galilea al par. 20). Al di fuori delle mura, infine, si trovano la chiesa

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consacrata a santo Stefano martire e quella in cui Pietro rinnegò il Signore; e ancora la chiesa che sorge sul luogo in cui fu tagliata la Croce e un grande monastero in onore di san Saba (par. 21). Saewulf comincia poi una descrizione delle principali mete di pellegrinaggio che si trovano intorno a Gerusalemme: Betlemme, che conserva luoghi e oggetti della nascita di Gesù, ma anche la tomba di san Girolamo (par. 22); Betania, con il sepolcro di Lazzaro (par. 23); Gerico, con il fiume Giordano e la regione circostante, e poi Ebron, che ospita le tombe dei Patriarchi, luoghi celebri già per diversi episodi dell’Antico Testamento (par. 24-26). Il viaggio continua per Nazaret, da cui, attraverso la Samaria, si arriva fino alla città di Acri; poco lontano da Nazaret si può vedere il Monte Tabor, su cui Gesù si trasfigurò, e da lì si prosegue verso il Mare di Tiberiade e il Monte Libano, dove nasce il Giordano (par. 27-30). Il 17 maggio 1103 Saewulf comincia il viaggio di ritorno da Giaffa, costeggiando le più importanti città marittime della zona, tra cui Cesarea di Palestina, Acri e Tripoli (par.  31); durante il viaggio verso Acri la nave si imbatte in una flotta saracena, cui riesce miracolosamente a sfuggire (par. 32). Passando per Cipro e Antiochia, i pellegrini arrivano a Rodi il 22 giugno, e poi a Samo e a Chio; lì Saewulf lascia la nave su cui stava viaggiando e con alcuni compagni si dirige verso Costantinopoli, toccando Smirne, Mitilene e Tenedo, attraversando lo stretto dei Dardanelli e costeggiando numerose città. La narrazione si conclude poco dopo il 29 settembre, quando egli arriva a Marmara-Ereğlisi (par. 33-34). Anche se incompleta, quella di Saewulf è ritenuta la migliore descrizione in lingua latina di un viaggio per mare che ci sia rimasta per il XII secolo. Non ci sono dubbi che tale pellegrinaggio sia stato veramente compiuto dal suo autore, giacché il racconto riflette con precisione le condizioni del viaggio per mare all’epoca, in termini di velocità di percorrenza, di cattivo tempo incontrato, di riferimenti a isole e porti lungo il percorso, di partenza dalla Puglia, di menzione delle navi in uso viste a Giaffa, di rotte seguite dato il tipo particolare di nave che sarebbe stato utilizzato. Il linguaggio del narratore è semplice e diretto, sovente segnato da problemi con la forma e declinazione di certi nomi, specialmente

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quelli greci; la scelta lessicale appare molto simile nella prima e ultima parte del resoconto, in cui Saewulf narra il viaggio per mare verso e dalla Terrasanta. Al di là di un certo grado di convenzionalità, pressoché inevitabile in un’opera del genere, la descrizione della Terrasanta offerta da Saewulf non sembra basarsi su nessun testo precedente in particolare, ma pare piuttosto dipendere dall’esperienza personale dell’autore e dalle testimonianze dei cristiani locali, definiti “Assiri”. Si nota però qualche interessante punto di contatto con il De locis sanctis di Beda9, al quale il racconto di Saewulf si avvicina particolarmente in alcuni passaggi: una circostanza che sarebbe degna di ulteriore approfondimento e che può aiutare a fare luce sulla cultura del nostro autore. Il testo è ad oggi conservato in un solo manoscritto, C ­ ambridge, Corpus Christi College, 111, un voluminoso codice miscellaneo in pergamena e carta, scritto da mani di diversa epoca, dall’XI fino al XVI secolo. La porzione centrale (p. 57-134) è occupata dal cartulario del XII secolo dell’abbazia di Bath, cui segue una corposa raccolta di trascrizioni cinquecentesche di documenti più antichi. La nostra opera, copiata alle p. 37-46 da una bella mano di fine XII secolo sotto il titolo Incipit certa relatio de situ Ierusalem, si trova nella prima unità codicologica, contenente altri documenti legati all’abbazia di Bath e vari testi senza una chiara relazione tra loro. Circondano infatti il racconto di Saewulf brani di diversa estensione, di interesse ora religioso (parte di un evangeliario e racconti di miracoli), ora storico-geografico (come descrizioni, apparentemente tratte da opere di Guglielmo di Malmesbury, di vari luoghi inglesi): uno studio più approfondito di tutto questo materiale e della sua trasmissione potrebbe aiutare a contestualizzare più precisamente l’opera del nostro autore. Non è facile determinare l’epoca in cui tale unità codicologica fu accorpata al resto del volume, ma si deve risalire almeno ai tempi di Matthew Parker († 1575, la cui collezione costituisce il nucleo originario Come in parte già segnalato da J.  Wilkinson in Jer. Pilgr., p.  6. I  paralleli saranno di volta in volta rilevati nel corso del testo; per comodità ricordiamo che i passi in questione si trovano ai par. 9, 17, 26, 28, 30. 9 

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della biblioteca del Corpus Christi di Cambridge), come prova la paginazione in matita rossa tipica dei volumi posseduti da questo personaggio10. Il racconto di Saewulf è stato edito per la prima volta da Marie-Armand  Pascal d’Avezac, sulla base di una trascrizione semi-diplomatica fornitagli da Thomas Wright, nel quarto volume del Recueil de voyages et de mémoires publié par la Societé de Géographie, Paris, 1839, p.  817-854; nello stesso anno è stato ristampato anche in una raccolta più ristretta (Relation des voyages de Guillaume de Rubruk, Bernard le Sage et Saewulf, publiés […] par F. Michel et Th. Wright, Paris, 1839, p. 237-274). Nel 1848 apparve una prima traduzione inglese ad opera di Thomas Wright (Early Travels in Palestine, London, 1848, p. 31-50, di recente riprodotta, con note e aggiornamenti, in Medieval English Travel. A Critical Anthology – ed. A. Bale, S. Sobecki, Oxford, 2019, p. 67-90). Il testo latino fu poi ripubblicato, verso la fine del secolo, con introduzione e traduzione di William R. Brownlow (Saewulf (1102, 1103 A. D.) (Palestine Pilgrims’ Text Society, 21), London, 1892, 18962; ristampa a New York nel 1971). Entrambe le edizioni correggono degli errori del manoscritto ma, a giudizio di Huygens, ne aggiungono di nuovi. Il testo della seconda è stato riprodotto, corredato dall’unica traduzione italiana precedente la nostra, da Sabino de Sandoli nella sua raccolta Itinera Hierosolymitana crucesignatorum (saec. XII-XIII), II, Jerusalem, 1980, p. 3-31, ma la qualità di questa traduzione è dubbia. Più recente è la versione inglese di John Wilkinson in Jerusalem Pilgrimage 1099-1185, London, 1988, p. 94-116, che pure Huygens segnala come non affidabile. In effetti, nessuna traduzione fin qui condotta può essere considerata pienamente soddisfacente per il semplice fatto che nessuna si è fondata su un’edizione adeguata, sebbene i dissesti del testo di Saewulf non siano comparabili con quelli che caratterizzano i resoconti di Giovanni di Würzburg e Teodorico. Il codice è descritto in James, Descriptive Catalogue, p. 236-247; si veda anche Budny, Manuscript Art, I, p. 580-581. Il cartulario di Bath è stato pubblicato in Kelly, Charters. 10 

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Giovanni di Würzburg La figura di Giovanni di Würzburg è inafferrabile quasi quanto quella di Saewulf. Dalle sue parole non si possono dedurre che pochi elementi: si tratta di un chierico tedesco della chiesa di Würzburg, animato da sentimenti particolarmente ostili verso la nobiltà franca che amministra la Terrasanta; egli compie il suo pellegrinaggio intorno al 1165, traendone una descrizione articolata, che dedica al “compagno e amico” Dietrich. Su quest’ultimo non abbiamo informazioni sicure: Titus Tobler (p. 415-416 della sua edizione, che citiamo più avanti) ha suggerito che si trattasse di Dietrich von Homburg, vescovo di Würzburg tra il 1223 e l’inizio del 1225 (egli sarebbe dunque divenuto vescovo piuttosto avanti negli anni), identificandolo al tempo stesso con Teodorico, il terzo dei nostri pellegrini; l’ipotesi è tuttavia priva di elementi probanti. La data precisa del viaggio di Giovanni non è nota. È certo che esso ebbe luogo dopo il 1148-1149, anni in cui si verificarono rispettivamente l’assedio di Damasco e la riconsacrazione della chiesa del Santo Sepolcro recentemente ampliata, di cui l’autore mostra di essere informato (par.  22 e 17-19). Huygens propende per una datazione agli anni ’60 piuttosto che ’70, come pure si era suggerito, dato che il viaggio di Teodorico, più tardo anche se non di molto, sembra essersi svolto intorno al 1170. Sappiamo per certo che Giovanni fu a Gerusalemme durante l’estate, dal momento che egli afferma di aver partecipato alla messa solenne in onore di san Giacomo Maggiore e di sant’Anna, il 25 luglio (par. 23). Il fatto che determinati edifici sacri siano descritti dall’autore come “recentemente costruiti” o “in costruzione” può, a confronto con testimonianze di pellegrinaggio precedenti come quella di Saewulf e successive come quella di Teodorico, offrire indicazioni interessanti per stabilire una cronologia relativa degli interventi di restauro promossi in Terrasanta dalla dinastia reale, dall’ordine dei Templari e degli Ospitalieri nonché da singole comunità religiose. Tuttavia, tali indicazioni devono essere trattate con precauzione, dato che almeno alcune di esse potrebbero essere state riprese da fonti precedenti e non rispecchiare la condizione in cui determinati siti si trovavano all’epoca in cui è ambientato il pel-

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legrinaggio, tanto più che l’autore potrebbe non averli visitati di persona. Gli edifici cui Giovanni allude come recentemente costruiti o in costruzione, o per la cui edificazione egli fornisce un terminus ante quem, sono in particolare: 1) la chiesa presso la Fonte di Giacobbe, che Giovanni afferma essere in costruzione (par. 2), mentre Teodorico la dice ormai terminata (par. 42). Tuttavia, la notizia di Giovanni si trova già nella sua fonte, Fretello (su cui cfr. infra), e proviene forse da testi ancora precedenti; 2) l’altare della cripta nella Grotta della Natività, che deve essere stato costruito prima dell’arrivo di Giovanni, poiché egli ne trascrive l’iscrizione (par. 3); 3) la nuova chiesa recentemente edificata nel luogo in cui Gesù pregò prima dell’arresto (par. 14); anche Teodorico parla di una nuova chiesa in costruzione (par. 24); 4) gran parte dei lavori di ampliamento e rinnovamento della chiesa del Santo Sepolcro (par.  17-19), cominciati qualche decennio prima del viaggio di Giovanni, che dovrebbero essere all’epoca quasi conclusi, giacché l’autore testimonia che la basilica è stata riconsacrata e ingloba ormai il nuovo chiostro dei Canonici e il sito del Calvario; 5) l’ospedale di San Giovanni e la sua cappella recentemente restaurata (par. 21), che Giovanni è il primo a descrivere in dettaglio; 6) la chiesa di San Giacomo Maggiore (par. 21), anch’essa descritta qui per la prima volta; 7) la chiesa di Santa Maria dei Tedeschi (par. 21), che Giovanni dice essere in costruzione; 8) una nuova chiesa che i Templari edificano presso il palazzo di Salomone (par. 22), la quale non pare terminata nemmeno all’epoca di Teodorico (par. 17); 9) la ricostruzione della chiesa di Sant’Anna (par. 23), attestata per la prima volta da Giovanni. Giovanni apre il racconto del suo pellegrinaggio con una dedica, particolarmente complessa ed involuta dal punto di vista sintattico, in cui afferma di essere stato spinto a raccogliere notizie sui luoghi santi visitati e a trascrivere le epigrafi che li ornavano

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dal desiderio di compiacere l’amico Dietrich, perché egli possa essere preparato ad un futuro viaggio a Gerusalemme o, se ciò sarà impossibile, perché egli possa almeno ammirarne la santità attraverso la lettura. Una possibile obiezione alla composizione del racconto viene disinnescata dallo stesso autore: ricordando come qualcun altro prima di lui abbia degnamente descritto gli stessi luoghi, Giovanni sottolinea che essi hanno subìto nel lasso di tempo intercorso trasformazioni tali da meritare una nuova descrizione, che sarà però limitata alla città santa e ai siti limitrofi. La narrazione si sviluppa secondo la successione dei cosiddetti sette sigilli, ovvero i sette stadi fondamentali dell’esistenza terrena e ultraterrena di Cristo (Incarnazione, Battesimo, Passione, Discesa agli inferi, Resurrezione, Ascensione, Prefigurazione del Giudizio Universale, con variazioni): i luoghi santi sono dunque menzionati uno dopo l’altro in base al legame che essi ebbero con le vicende evangeliche e al momento in cui vi si svolsero determinati eventi. Si comincia da Nazaret (par. 1), il luogo in cui avvenne l’Incarnazione, e dai siti che si trovano tra tale cittadina e Gerusalemme, tra cui Seffori, Cana, il Monte Tabor, Nain e il Monte Endor, Izreèl, i Monti di Gelboe; si passa poi alla pianura di Dotàim e alla Samaria (par. 2), con la città omonima nota anche come Sebaste, Neapoli-Sichem, Sicar con la Fonte di Giacobbe, Betel-Luz dove Giacobbe vide in sogno la scala che saliva al cielo, e infine Silo. Il par. 3 si apre con la menzione di alcuni eventi legati a Betlemme e al suo territorio, in cui si trovano la chiesa di San Caritone, la tomba di san Girolamo e quella di Rachele, moglie di Giacobbe. A partire dal par. 4, la narrazione si concentra invece su Gerusalemme, cominciando con la tormentata vicenda del Tempio, edificato e distrutto più volte nel corso dei secoli; Giovanni introduce così il terzo dei sigilli, dopo quelli dell’Incarnazione e della Nascita, ovvero la Presentazione del Signore, ricordando però che altre fonti identificano diversamente alcuni sigilli. Si prosegue con la menzione di episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento legati al Tempio, a memoria dei quali sono state apposte epigrafi che Giovanni trascrive, offrendo anche un’articolata descrizione delle decorazioni che ornano la struttura; si menzionano inoltre la cappella dedicata a san Giacomo il Minore e il cortile esterno con la Porta Aurea,

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da cui Gesù entrò a Gerusalemme nel giorno delle Palme (par. 5). Il Battesimo del Signore è ricordato al par. 6; si descrivono così il Giordano, il deserto in cui Gesù digiunò e fu tentato dal diavolo, il Monte Carmelo e altri villaggi della regione, fino a Cesarea di Palestina. I par. 7-10 si occupano invece di Ebron, del Monte Mamre, del Mar Morto, dell’Arabia, e poi ancora di Tiro, Sidone, Beirut e Damasco, del Libano, della pianura di Medan e del Mar di Galilea, presso cui Gesù compì numerosi miracoli prima e dopo la Resurrezione. Si ricordano ancora il luogo in cui avvenne il martirio di santo Stefano, i Monti di Modin e Lidda, Gerico, la piscina di Siloe e la valle di Giosafat (par. 11). Avvicinandosi al tempo della Passione, Giovanni descrive Betania (par. 12) e coglie l’occasione per discutere dell’opportunità di identificare Maria Maddalena con Maria sorella di Lazzaro; si passa poi al luogo in cui avvenne l’Ultima Cena, all’arresto di Gesù sul Monte degli Ulivi e al processo nel pretorio di Pilato (par. 13-15). La descrizione del sito del Calvario è seguita da quella del chiostro dei Canonici, recentemente aggiunto al corpo principale della chiesa del Santo Sepolcro, e della vera e propria “tomba” di Cristo (par. 16-18). Segue la menzione del luogo in cui fu trovata la Croce del Signore (par. 19), e Giovanni ne approfitta per ricordare le celebrazioni che si svolgono in città a memoria della liberazione da parte dei cristiani e di colui che condusse la spedizione, il duca Goffredo di Buglione. Il par. 20 è invece dedicato al sesto sigillo, ovvero l’Ascensione sul Monte degli Ulivi; si passa quindi al Monte Sion, ricordando la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli e la morte e sepoltura della Vergine Maria. Con i par. 21-22 si torna alla città santa: si descrivono il grande ospedale di San Giovanni Battista e alcune chiese dedicate a Maria nelle sue vicinanze, il cenobio di San Saba, la chiesa di San Giacomo Maggiore, quella in cui san Pietro fu incarcerato e il palazzo di re Salomone, ormai parte degli edifici amministrati dall’ordine dei Templari. Con la chiesa di Sant’Anna, la piscina Probatica e altri luoghi santi minori si conclude il giro della città, e il racconto si chiude con una lista di tutte le nazionalità che hanno un proprio luogo di culto a Gerusalemme (par. 23-24). Il testo principale è seguito da un’appendice liturgica e da un’ulteriore raccolta di epigrafi. L’appendice, attestata dal solo manoscritto

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T (cfr. infra), contiene brani della liturgia officiata nelle festività della (Ri)consacrazione della chiesa del Santo Sepolcro (15 luglio), della Trasfigurazione (6 agosto) e della Presentazione della Vergine al Tempio (21 novembre). La selezione di epigrafi si trova invece in T e B (cfr. infra): si tratta in alcuni casi di antifone, in altri di produzioni poetiche locali di qualità non particolarmente elevata, e la penultima di esse era già stata trascritta nel testo principale (par. 3). Lo stile di Giovanni non è particolarmente elaborato, tranne che nell’introduzione, ed egli non è certo un autore tra i più raffinati dell’epoca; tuttavia, la sua opera riesce nell’intento di descrivere con una certa chiarezza la Terrasanta, integrando con reminiscenze bibliche ed esperienze personali ciò che viaggiatori precedenti avevano riferito. Questo non impedisce che vi si trovino notizie scorrette o imprecise, errori toponomastici, indicazioni geografiche sbagliate, citazioni bibliche non perfettamente aderenti al dettato della Vulgata, nonché divergenze con il parallelo racconto di Teodorico, quando entrambi trascrivono le epigrafi poste sulle pareti delle più importanti chiese di Gerusalemme o riprendono il testo di Rorgo Fretello, autore di una descrizione della Terrasanta di poco precedente e di grandissimo successo (su cui cfr. infra). Inoltre, laddove i due testi sono più facilmente comparabili, si nota che la trattazione di Giovanni tende ad essere più farraginosa e disordinata rispetto a quella di Teodorico, le cui descrizioni, in particolare del Giordano, della Galilea, di Damasco e dell’Arabia, sono più compatte e meglio organizzate. L’opera è ad oggi nota in cinque testimoni, nei più importanti dei quali con il titolo di Descriptio locorum Terre Sancte o Des­ criptio Terre Sancte. Il migliore e più antico dei manoscritti è T (München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 19418, fine XII-inizio XIII secolo), proveniente dall’abbazia benedettina di Tegernsee e contenente la sola descrizione della Terrasanta composta da Giovanni; un altro manoscritto importante è B (Berlin, Staatsbibliothek-Preussischer Kulturbesitz, lat. oct. 32, XV secolo), proveniente da Bologna e contenente vari testi di pellegrinaggio. Verso la fine del testo, T e B trasmettono alcuni passaggi in una forma diversa l’uno dall’altro (cfr. par. 21, 22, 24): pur ritenendo la versione di B frutto di un’interpolazione, che riflette il pensiero di un al-

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tro pellegrino lettore di Giovanni, Huygens ha scelto di stamparla come alternativa a quella di T in quanto parte della storia della ricezione del testo; la nostra traduzione si adegua dunque a tale scelta. Gli altri tre testimoni, di qualità inferiore e accomunati da un numero importante di errori, sono in tutto o in parte comparabili anche per la scelta di testi che accompagnano il trattatello di Giovanni. Il manoscritto A (London, British Library, Add. 22349, XIV secolo) apparteneva all’accademia gesuita di Molsheim, vicino a Strasburgo, e contiene varie opere (tra cui la cronaca di Martino di Troppau, il Vangelo apocrifo di Nicodemo, la lettera del prete Gianni sulle meraviglie dell’Oriente); M (München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 8485, XV secolo) ne ripropone un buon numero, così come W (Würzburg, Universitätsbibliothek, M. ch. q. 73, XVII secolo, proveniente dal collegio gesuita della stessa città), che per il testo di Giovanni è un descriptus di A (e come A attribuisce al nostro racconto il bizzarro titolo di Revelatio de partibus transmarinis). Per un’analisi dettagliata dei rapporti intercorrenti tra questi cinque testimoni e le scelte editoriali connesse rimandiamo a quanto scrive Huygens in Peregr. tres, p. 16-21. L’opera di Giovanni è stata resa disponibile per la prima volta da Bernhard Pez (Thesaurus anecdotorum novissimus, I.3, Augustae Vindelicorum et Graecii, 1721, col. 483-534) grazie alla trascrizione del manoscritto T curata da dom Roman Krinner. Essa è stata riprodotta nella Patrologia Latina, 155, col. 1053-1090, ma il testo è pieno di errori e pesantemente rimaneggiato, con aggiunte e rifacimenti. In seguito, un’edizione è stata pubblicata in Descriptiones Terrae Sanctae ex saeculo VIII. IX. XII. et XV. – ed. T.  Tobler, L ­ eipzig, 1874, p. 108-192, ed è questa la versione che Sabino de Sandoli riproduce e traduce (Itin. Hier., II, p. 225-293): anche in questo caso, l’editore ha riorganizzato completamente il testo ed eliminato ciò che gli pareva superfluo, tradendo l’assetto originale del racconto secondo la successione dei sette sigilli. Due sono le traduzioni inglesi: quella di Aubrey Stewart del 1890, Description of the Holy Land by John of Würzburg (A. D. 1160-1170) (Palestine Pilgrims’ Text Society, 14), London, 1890 (ristampata a New York nel 1971), e quella di John Wilkinson, pubblicata nel 1988 in Jerusalem Pilgrimage, p. 244-273.

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Teodorico Per quanto l’identità di Teodorico sia ignota, si è ipotizzato che egli provenisse dalla Germania dell’ovest, poiché afferma di avere un compagno di viaggio, morto in Terrasanta, originario di Colonia e compara la copertura della chiesa del Santo Sepolcro con quella della chiesa di Aquisgrana. Quanto alla datazione del suo soggiorno nella regione di Gerusalemme, Huygens nota che all’epoca del viaggio di Teodorico il re Amalrico era ancora vivo (egli morì l’11 luglio 1174; cfr. par. 11) e la città di Paneas era già caduta (il che avvenne nell’ottobre 1164; cfr. par. 45); inoltre il nostro autore, trovandosi nel cosiddetto Giardino di Abramo presso Gerico il lunedì dopo le Palme (par. 28), vi vide dell’orzo maturo: dato che ciò avviene dopo la stagione piovosa, l’esigenza di individuare un anno in cui la Pasqua cadde piuttosto tardi porta a orientarsi verso il 1172 (16 aprile) o il 1169 (20 aprile), data preferibile secondo Huygens perché avvicinerebbe il viaggio a quello di Giovanni, rispetto al quale non sembrano essere trascorsi molti anni. Teodorico non parla della durata del suo soggiorno, ma offre alcune notizie sulle sue ultime settimane tra Gerusalemme, Gerico e Acri: nel giorno delle Palme egli ha partecipato alla sepoltura del compagno Adolfo nel cimitero dell’Akeldamà a Gerusalemme (par. 4) e poi è passato a Gerico (par. 28); il Sabato Santo si trovava di nuovo a Gerusalemme per la cerimonia del fuoco sacro (par. 8) e il mercoledì dopo Pasqua era ad Acri, pronto per tornare in patria (par. 40). Ben più di Giovanni di Würzburg, Teodorico pare una fonte importante e affidabile sulla cronologia relativa degli interventi di edificazione e restauro condotti in Terrasanta nella seconda metà del XII secolo. Oltre a ciò che si è detto in precedenza per Giovanni, aggiungiamo qui una lista di edifici che egli descrive come recentemente costruiti, o per la cui costruzione offre un terminus ante quem, ricordando parallelamente che è l’unico pellegrino a parlare di determinati siti o a farlo in forma particolarmente dettagliata. Teodorico è fra i primi ad attestare:

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1) la conclusione dei lavori di ricostruzione e ampliamento della Torre di Davide (par. 4); 2) la ricostruzione della parte superiore della chiesa di Santa Maria nella valle di Giosafat (par. 23); 3) l’edificazione di una nuova chiesa a Betania che assunse la memoria di Lazzaro (par. 28); 4) l’edificazione di un castello templare nel deserto della Quarantena (par. 29); 5) la riedificazione di una cappella nella valle di Innòm (par. 32); 6) il completamento del restauro della chiesa del Salvatore sul Monte Tabor (par. 46); 7) il rinnovamento della chiesa di Santa Maria a Nazaret (par. 47). In modo simile a Giovanni di Würzburg, il fine che Teodorico si propone è quello di offrire ai suoi lettori una rappresentazione dei luoghi santi che, facendo le veci di un reale pellegrinaggio, rammenti loro le sofferenze e la Resurrezione di Cristo, perché anch’essi ottengano la liberazione dai peccati e il regno celeste. Il suo racconto inizia dalla regione più importante, la Giudea, e dalla città somma, ovvero Gerusalemme: per l’una e per l’altra Teodorico offre una rapida, ma originale descrizione geografica, insistendo in particolare sulla collocazione sopraelevata di Gerusalemme, sulle vie di accesso e i monti che la circondano e sull’assetto delle sue strade e costruzioni (par. 1-4). Il primo luogo santo a essere descritto è la chiesa del Santo Sepolcro, la cui ornamentazione, comprese le numerose epigrafi e i preziosi mosaici, è registrata con dovizia di particolari, partendo dalla rotonda che racchiude la tomba del Signore (par. 5-6). Teodorico informa anche il lettore sulle confessioni che celebrano le loro funzioni all’interno della chiesa e sulla miracolosa manifestazione della luce divina che si verifica ogni Sabato Santo (par. 7-8). Si passa poi alla descrizione delle cappelle e di altri siti che circondano l’edificio principale, tra cui il luogo in cui venne ritrovata la Croce, il carcere in cui Gesù fu rinchiuso e le tombe dei re di Gerusalemme (par. 9-11). Il par. 12 si occupa del Monte Calvario, inglobato nella stessa chiesa, da cui Teodorico si allontana verso l’ospedale di San Giovanni Battista, con le vici-

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ne chiese dedicate alla Vergine Maria (par. 13). Si procede quindi per il Tempio del Signore, che occupa secondo la tradizione il sito dell’antico Tempio edificato da Salomone; se ne descrivono il cortile, le piscine, la ricca decorazione, la cappella di San Giacomo Minore, per poi soffermarsi sulle fasi di edificazione e distruzione che lo hanno interessato nel corso della storia (par. 14-16). Segue il palazzo di Salomone, divenuto sede dell’ordine dei Templari, che l’hanno completamente rinnovato, da cui ci si dirige verso la casa di Simeone, che ospitò Gesù bambino con la madre, e verso la piscina di Siloe (par. 17-19). L’autore segnala che la narrazione si adeguerà d’ora in poi agli eventi della Passione di Cristo, cominciando dalla Porta Aurea da cui Egli arrivò in città il giorno delle Palme (par. 20); si fa però riferimento anche alla chiesa in cui fu incarcerato Pietro per volere di Erode (par. 21). Sul Monte Sion si trovano la chiesa di Santa Maria, il Cenacolo e la tomba di santo Stefano (par. 22); una chiesa dedicata a Maria, dove ella fu sepolta, è anche nella valle di Giosafat (par. 23). Viene poi il Monte degli Ulivi, con i luoghi in cui Cristo pregò e venne arrestato (par. 24), mentre il par. 25 torna al Monte Sion, dove avvennero il giudizio di Pilato e il rinnegamento di Pietro. Seguono la chiesa di Sant’Anna, la piscina Probatica, la chiesa di Santo Stefano e quella di San Caritone (par. 26), e ancora il Monte degli Ulivi, su cui si verificò l’Ascensione (par. 27). A partire dal par. 28, la narrazione si sposta sui luoghi santi che si trovano fuori Gerusalemme, ovvero Betania e il Giardino di Abramo (par. 28), il Giordano, con il deserto in cui Gesù digiunò e fu tentato (par. 29), il sito del Battesimo e Gerico (par. 30). Il par. 31 costituisce una ricapitolazione delle vicende bibliche che ebbero luogo in Arabia. Ci si muove poi lungo la via che da Gerusalemme porta a Betlemme (par. 32-33), descritta la quale Teodorico passa a Ebron e al Monte Mamre (par. 34) e al Mar Morto (par. 35); a nord di Ebron si menzionano Gaza, Ascalona, Giaffa e Arimatea (par. 36). Muovendo di nuovo da Gerusalemme, si descrivono una cappella-ossario contenente i corpi di moltissimi pellegrini (par. 37), la chiesa che sorge là dove fu tagliato il legno della Croce, il luogo in cui nacque Giovanni Battista, i Monti di Modin e di Efraim e il Monte Silo (par. 38). Il par. 39 si occupa di Lidda e dei villaggi circostanti, di Cesarea di

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Palestina e delle montagne di Haifa, mentre il par. 40 si concentra su Tolemaide e il suo porto. Di nuovo, si torna nei pressi di Gerusalemme per descrivere alcuni luoghi da cui è possibile avvistare la città santa; seguono Neapoli con la Fonte di Giacobbe, Betel-Luz e il Monte Garizìm (par.  41-42), Samaria-Sebaste (par.  43) e altri siti della Samaria come Izreèl e i Monti di Gelboe (par. 44). I par. 45-46 sono dedicati al Mar di Galilea e alle cittadine che vi si affacciano, al Monte Libano, al Giordano, alla pianura di Medan e al Monte Tabor, il par. 47 a Nazaret, il par. 48 a Seffori e Cana. Con il par. 49 ci si allontana di nuovo per descrivere la regione di Damasco, e si chiude ai par. 50-51 con la rassegna delle città fortificate affacciate sul mare, tra cui Beirut, Sidone e Tiro. Ciò che si è detto sullo stile e gli intenti di Giovanni di Würzburg vale anche per Teodorico. Più di Giovanni, tuttavia, quest’ultimo vuole mostrare ai suoi lettori di saper comporre in uno stile abbastanza elevato e impreziosisce alcune descrizioni con elementi ritmici e assonanze; come fa notare già Huygens (Peregr. tres, p. 30, n. 28), il nostro autore pare aver avuto una particolare preferenza per gli aggettivi in -osus, al punto da coniarne lui stesso alcuni. È il più attento dei due a fare distinzioni tra le fonti di informazione, a sottolineare se le notizie sono di seconda mano, a enfatizzare quanto è stato verificato di persona, ed è nel complesso il più ricco di materiali. Due soli testimoni ci sono pervenuti dell’opera di Teodorico, intitolata in entrambi Libellus de locis sanctis. Si tratta di V (Wien, Österreichische Staatsbibliothek, 3529), a lungo considerato l’unico esemplare, e di M (University of Minnesota, James Ford Bell Library, 1424/Co), scoperto da François Dolbeau nel 1985 (Dolbeau, ‘Theodericus’) e usato per la prima volta nell’edizione di Huygens. Deriverebbero entrambi dallo stesso antenato, giacché condividono alcuni errori, gli stessi titoli e le stesse aggiunte marginali; sono entrambi di origine tedesca, risalgono al XV secolo e contengono vari testi senza relazione con il nostro, insieme ad una selezione comune di trattati legati alla Terrasanta. Poiché la scoperta di M consente di migliorare il testo in alcuni punti, ma il suo redattore è piuttosto interventista, V rimane il codice di base per la costituzione del testo.

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La prima edizione dell’opera di Teodorico è quella di Titus Tobler del 1865 (Theoderici Libellus de locis sanctis, Sankt Gallen-Paris, 1865), ripresa e tradotta da Sabino de Sandoli (Itin. Hier., II, p.  311-385); la sua qualità è di molto superiore rispetto a quella che lo stesso studioso ha prodotto per Giovanni di Würzburg, nonostante alcuni problemi dovuti a difficoltà di lettura del manoscritto V, all’epoca l’unico noto. Marie Luise e Walther Bulst (Theodericus, Libellus de locis sanctis (Editiones Heidelbergenses, 18), Heidelberg, 1976) hanno più tardi rettificato alcuni errori di Tobler, mantenendone tuttavia altri e rigettando alcune buone correzioni; su tali basi Huygens ha proceduto ad un’ulteriore revisione del testo. Come per Giovanni, esistono due traduzioni inglesi del testo di Teodorico: quella di Aubrey Stewart del 1891, Theoderich’s Description of the Holy Places (circa 1172 A. D.) (Palestine Pilgrims’ Text Society, 17), London, 1891 (ristampata a New York nel 1971 e, con l’aggiunta di una nuova introduzione, non priva di errori secondo Huygens, in Theoderich, Guide to the Holy Land – ed. R. G. Musto, New York, 1986), e quella del 1988 di John Wilkinson in Jerusalem Pilgrimage, p. 274-314.

La fonte di Giovanni e Teodorico: Rorgo Fretello e la sua descrizione della Terrasanta Come Giovanni e Teodorico, due dei suoi più importanti utilizzatori, anche Rorgo Fretello resta una figura sfuggente. Una serie di documenti datati, redatti tra 1119 e 1154/1157, lo collocherebbe nella prima metà del XII secolo; di origine probabilmente francese, egli potrebbe essere nato in Terrasanta e sarebbe stato “cancelliere della Galilea” e “cappellano della Chiesa di Nazaret”. Più che come una descrizione di pellegrinaggio, la sua opera si presenta come un trattatello di topografia sacra sulla Terrasanta. Quale guida di viaggio, essa sarebbe in effetti scarna ed incompleta, dato che non descrive le tipiche rotte di pellegrinaggio da Cesarea a Giaffa e da Giaffa a Gerusalemme; la narrazione sem-

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bra piuttosto impostata lungo tre vie, cui si conferisce anche un significato a livello spirituale: dall’Egitto al Sinai e al Giordano, dal Giordano al Libano, dal Libano a Nazaret e a Gerusalemme. Il testo è stilisticamente curato e ricco di riferimenti alla cultura patristica, soprattutto di stampo geronimiano (sfrutta infatti, fra l’altro, le epistole 78 a Fabiola e 129 a Dardano, il trattato De situ et nominibus locorum Hebraicorum e il Chronicon); inoltre, l’uso di etimologie di nomi ebraici è un’innovazione interessante per l’epoca e il genere letterario cui il trattatello appartiene. La composizione dell’opera di Fretello deve essere posteriore a due eventi che essa menziona esplicitamente, e cioè la presa di Tiro del 1124 e la morte del patriarca Gormond de Picquigny del 1128; il fatto che non dica che si può arrivare al Sinai partendo da Giaffa via Ascalona testimonia della sua antichità, perché Ascalona fu presa solo nel 1154 e fino all’arrivo dei Templari la rotta costiera a sud di Cesarea rimase pericolosa. Al di là di tali constatazioni, il trattatello è normalmente datato, in maniera generica, tra 1130 e 1148, anche se le recenti ipotesi di Paolo Trovato ne collocherebbero il completamento intorno al 1137-113811. Esso è dedicato a Enrico Sdyck (Jindřich Zdík), tra 1126 e 1150 vescovo di Olomouc, nell’attuale Repubblica Ceca, che aveva soggiornato proprio in quegli anni presso i Canonici del Santo Sepolcro. Tra le descrizioni della Terrasanta composte in epoca crociata, quella di Fretello è una delle più lette e imitate, tanto è vero che se ne conoscono un centinaio di testimoni risalenti ai secoli XIII-XV, oltre a numerosi rifacimenti e riusi. Tuttavia, l’edizione ad oggi di riferimento (P. C. Boeren, Rorgo Fretellus de Nazareth et sa description de la Terre Sainte. Histoire et édition du texte, Amsterdam-Oxford-New York, 1980) è ritenuta dai più insoddisfacente, poiché offre un testo non pienamente critico, fondato su pochi testimoni e privo di un adeguato commento storico e letterario. Inoltre, Boeren ha proposto una ricostruzione in larga parte scorretta dei rapporti tra il testo di Fretello e i numerosi altri ad Trovato, ‘Genealogia e cronologia’. È a partire dallo status quaestionis e dalle numerose e fondamentali precisazioni che Trovato fornisce sul testo di Fretello e sulla sua fortuna che si sviluppa quanto qui scritto. 11 

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esso affini, dando credito all’ipotesi che tutti discendano da una compilazione originaria, denominata alte Compendium, risalente ad un’epoca compresa tra il 1128 e il 1151. Recentemente, Trovato ha dimostrato che tale fonte non è mai esistita, o meglio che essa coincide con l’opera di Fretello; allo stesso tempo, egli ha messo in discussione l’idea, sempre risalente a Boeren, che questi sia l’autore anche di una diversa redazione del trattatello, battezzata dall’editore version comte-R (C-R), che si conclude con una forma abbreviata del paragrafo 75. Mentre la versione originale fu poco diffusa, quella rimaneggiata ebbe grande successo e fu l’unica disponibile a stampa fino al lavoro di Boeren; all’ampia circolazione contribuì il fatto che essa entrò a far parte nel 1356 di una collezione ufficiale messa a punto presso la curia papale di Avignone. L’idea di Boeren era che la redazione C-R fosse stata realizzata intorno al 1148 per essere dedicata non più a Enrico Sdyck, ma a Raimondo V conte di Tolosa; tuttavia, il nome “Raimondo” compare nella tradizione manoscritta solo dopo la revisione del testo condotta presso la curia avignonese, mentre i codici più antichi leggono Rodricus o R., detto Toletanus, e la dedica dell’opera suggerisce piuttosto che ci si riferisca ad un Templare. Inoltre, come nota Trovato, è strano che Fretello, che aspirava chiaramente alla realizzazione di un’opera raffinata, abbia licenziato una seconda versione molto impoverita dal punto di vista stilistico, con omissioni dovute a sviste nel processo di copia e manchevole di aggiornamenti rispetto agli edifici dati come in costruzione nel 1137-1138 e nel frattempo completati. Sembra molto più probabile che questa versione sia un rifacimento abbastanza frettoloso e poco curato di un compilatore che ha a disposizione una o più copie di Fretello, magari non di eccellente qualità, riprese e integrate con piccole aggiunte, per confezionare un trattato che possa compiacere un non meglio identificato Templare spagnolo. È quest’ultima la redazione dell’opera di Fretello che anche Giovanni e Teodorico conobbero; il primo offre dunque un terminus ante quem importante per la sua diffusione ed entrambi rappresentano, con il loro testo di qualità relativamente buona, uno strumento diagnostico importante, anche se da utilizzare con prudenza, soprattutto nel caso dei riusi poco letterali di Teodori-

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co. I passi che mostrano un legame con C-R si trovano in Giovanni ai seguenti paragrafi (rimandiamo tra parentesi al confronto condotto da Boeren tra la versione originale e quella rimaneggiata di ciascun luogo): – par. 4: l’origine del Tempio di Gerusalemme visibile all’epoca è descritta secondo una formulazione più ampia di quella originale (cfr. Boeren, Fretellus, p. 58-59); – par.  6: la versione C-R confonde i due palazzi edificati da Erode il Grande, ovvero la Torre di Davide o Cittadella, collocata sul Monte Sion, e l’Antonia, posta presso la chiesa di Sant’Anna a nord del Tempio (cfr. Boeren, Fretellus, p. 62); – par. 8: se Fretello aveva descritto nel dettaglio le quarantadue tappe del popolo di Israele nel deserto, la versione C-R sostituisce tutta la digressione con una breve descrizione dell’Arabia (cfr. Boeren, Fretellus, p. 55-56); – par. 9: l’unica informazione su Antiochia disponibile nella versione C-R riguarda i sette anni in cui san Pietro ne fu vescovo, mentre in Fretello si legge una descrizione ben più ampia (cfr. Boeren, Fretellus, p. 57). A questo fine, i passi rilevanti in Teodorico sono invece soltanto la descrizione dell’Arabia (par.  31) e la notizia su Antiochia (par. 49). Un piccolo elemento contrario a tale relazione, per entrambi i testi, è che essi riportano, rispettivamente al par. 8 e 35, un’informazione simile a ciò che Fretello racconta a proposito della grotta di Karnàin sul Monte dei Moabiti (par. 21), un passo assente nella versione C-R secondo la ricostruzione di Boeren. Tuttavia, il passo di Giovanni e Teodorico non corrisponde alla lettera a quanto si legge in Fretello, ed è possibile che esso derivi da una fonte diversa, o eventualmente da una copia della versione C-R leggermente divergente da quella di cui rende conto Boeren. Tra i nostri due autori, è Giovanni a riprendere Fretello in modo massiccio (tanto che Huygens ha calcolato che circa la metà della sua narrazione ricalca questa fonte) e soprattutto molto fedele, sia nella formulazione delle notizie che nella loro successione all’interno dei singoli paragrafi; Teodorico, invece, fa un uso più limitato dell’opera di Fretello (si è calcolato che

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circa un quarto del suo racconto ne deriva), intervenendo sul suo dettato con notevoli apporti personali. In particolare, rispetto a Giovanni Teodorico sopprime diversi dati menzionati da Fretello, come l’allusione a Bet-Cogla e Engaddi (Fretello par.  23, Giovanni par. 6); la descrizione della pietra di Tiro (F par. 25, G par. 8); il significato del nome Cafarnao (F par. 34, G par. 10); la descrizione di Gergessa (F par. 35, G par. 6); parte della presentazione di Nazaret (F par. 37, G par. 1) e quasi tutta quella di Betlemme (F par. 46-47, G par. 3); la menzione di Tekòa e della chiesa di San Caritone fuori Betlemme (F par. 48, G par. 3, 11); parte delle notizie sulla costruzione del Tempio e sul prepuzio di Gesù (F par. 51 e 54, G par. 4); il racconto della morte di Gesù (F par. 63-64, G par. 16-17); le notizie su Raab e Eliseo (F par. 72, G par. 11) e sul Monte Carmelo (F par. 74, G par. 6). Egli amplia però la storia dell’icona di Beirut (T par. 50, cfr. G par. 8) e quella biblica del furto dell’Arca (T par. 38, cfr. G par. 2), nonché la questione delle successive distruzioni e riedificazioni del Tempio (T par. 16, cfr. G par. 4); aggiunge diverse descrizioni, come quella del porto di Tolemaide (par. 40) e di Tiro (par. 51), e la menzione di varie fortezze poste sotto il controllo dell’ordine dei Templari e degli Ospitalieri. D’altra parte, l’opera di Fretello non contiene vere e proprie descrizioni dei luoghi sacri e delle chiese di Gerusalemme e del resto della Terrasanta, ma si concentra sulla menzione dei singoli siti e degli eventi biblici ad essi legati. Per la maggior parte, le informazioni relative agli edifici sacri e non, alla loro architettura e alle loro decorazioni (in particolare quando essi siano stati costruiti o rinnovati dopo il 1140, come il Santo Sepolcro) costituiscono altrettante innovazioni di Giovanni e di Teodorico rispetto al loro modello, innovazioni che ciascuno ha elaborato in maniera indipendente, dato che le informazioni sono solo in parte coincidenti e comunque diversamente formulate. Riuniamo qui di seguito in due tabelle le concordanze di Giovanni e Teodorico con la loro fonte principale (ricalcando quanto già fatto da Huygens in Peregr. tres, p. 203-206): per ciascun paragrafo del primo testo si indica il parallelo in Fretello, preceduto dalla dicitura “cfr.” in caso di somiglianza meno stringente.

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Giovanni 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 14 15 16 17 19 20 21 22 23

Fretello 37, 38, 39, 40 41, 42, 43, 45, 44, 45 46, 47, 48, 47, 49 50, 51, 50, 51, 52, storia del Tempio nella versione C-R, 54 55, 56, 60 31, 73, 72, 23, 73, 74, 41, 35, 74, descrizione dell’Antonia nella versione C-R 7, 8, 9 10, 11, cfr. 21, 11, descrizione dell’Arabia nella versione C-R, 24, 25, 26, 27, 25, 28, 33, 28 29, 30, 31, 32, 33, 34 34, 35, 36 67, 68, 69, 48, 68, 72, 58 59 62 62 63, 65, 63, 64 65, 64, 65, 66 64 cfr. 66 61, 57 cfr. 58 57, 48

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Teodorico 3 4 10 14 15 16 18 19 20 21 22 23 24 25 26 28 29 31 32 33 34 35 37 38 39 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51

Fretello 58 61 64 56 cfr. 55 56, 55, 52, 53 51 58 59, 60, 53 cfr. 58 61, 66, cfr. 67 cfr. 66 cfr. 62 cfr. 62 48 cfr. 71 cfr. 73 descrizione dell’Arabia nella versione C-R, 24 49 cfr. 46-47 7, 8, 9 8, 10, 11, cfr. 21, 11 cfr. 68 cfr. 64, cfr. 68-69, cfr. 65, 69, cfr. 45 69, 74 43 43, 45, 44 42 41, 40 35, 31, 32, 33 33, 34, 36, 38, 39 cfr. 37, 38 37 24, 25, 28, 33, 28, 29, 30 25, 27 26, cfr. 74

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Nota alla traduzione Raccogliamo qui qualche indicazione valida per tutti i testi tradotti in questo volume. Per i passi biblici citati dai tre autori abbiamo utilizzato di norma la traduzione stabilita dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 2008 (accessibile all’indirizzo internet www.bibbiaedu.it), da cui riprendiamo anche le sigle per i vari libri biblici; tranne dove la fonte bibliografica citata ne includa una, per gli altri testi la traduzione è nostra. Per ogni edificio menzionato dai tre resoconti rimandiamo al repertorio di Pringle, Churches, affermatosi ormai come l’opera di riferimento per l’architettura (in particolare sacra) della Terrasanta latina; da questa fonte abbiamo ricavato le informazioni essenziali riportate di volta in volta, verificando e aggiornando però i rimandi ad altri testi classici, patristici e medievali. Di norma, sia le notizie riguardanti un edificio o un luogo menzionato da due o tre dei nostri autori, sia alcune informazioni più minute sono date soltanto per il primo di essi (quindi Saewulf o Giovanni), senza essere ripetute per ciascuno, salvo dove il testo richieda aggiunte o precisazioni rispetto a quanto già detto. Spetta perciò al lettore, tramite il sistema di riferimenti incrociati che abbiamo stabilito nei margini esterni di ogni pagina (in cui alla prima lettera del nome di ciascun autore seguono uno o più numeri di paragrafo), risalire ai passi paralleli e alle informazioni ivi fornite. Le uniche note che talvolta ricorrono identiche in più di un testo (soprattutto in Giovanni e Teodorico, spesso sovrapponibili) sono quelle brevi a piè di pagina, indicanti i paralleli biblici o eventuali altri chiarimenti utili alla lettura. Nel caso delle opere di Saewulf e Giovanni, per le quali Huygens ha optato nell’edizione critica per un testo continuo, abbiamo adottato nella nostra traduzione la divisione in paragrafi già impiegata da de Sandoli nella sua raccolta (Itin. Hier., II). La corrispondenza, tuttavia, non ha sempre potuto essere rispettata: nel caso di Saewulf l’unica eccezione è costituita dal par.  19, per la ragione spiegata nella nota ad locum; nel caso di Giovanni, invece, poiché il testo latino utilizzato da de Sandoli riorganizza in gran parte la sequenza originale dell’opera, abbiamo cercato di rispet-

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tare il più possibile la scansione tematica, ma non sempre abbiamo potuto seguirne la numerazione.

Interventi sul testo rispetto all’edizione di Huygens In alcuni punti, il testo latino stampato da Huygens non ci è parso soddisfacente: abbiamo dunque preferito offrire una traduzione che presupponga una rettifica del dettato dei manoscritti oppure la scelta di una lezione diversa da quella adottata dall’editore. Le ragioni di ciascun intervento sono spiegate nel commento ad locum; si tratta sempre di piccoli ritocchi, motivati da ragioni paleografiche o da esigenze sintattiche, spesso sostenuti dal confronto con passi paralleli nella Bibbia, in Fretello, o in uno degli altri testi qui tradotti. Per comodità del lettore, elenchiamo qui tutti i luoghi in cui siamo intervenuti: – Saewulf: par. 1 (n. 1), par. 7 (n. 24), par. 16 (n. 43), par. 18 (n. 51), par. 20 (n. 53), par. 22 (n. 60); – Giovanni: par. 1 (n. 6), par. 2 (n. 9), par. 3 (n. 15), par. 3 (n. 16), par. 5 (n. 29), par. 6 (n. 31), par. 6 (n. 33), par. 9 (n. 47), par. 11 (n. 56), par. 14 (n. 66), par. 16 (n. 72), par. 21 (n. 82), par. 23 (n. 100); – Teodorico: par. 12 (n. 14), par. 16 (n. 21), par. 49 (n. 70)12 .

12  Prima di lasciare il lettore alle parole dei nostri tre pellegrini, desideriamo esprimere la nostra riconoscenza verso tutti coloro che ci hanno dato pareri, consigli e indicazioni di varia natura a diversi stadi del nostro lavoro; in particolare, vorremmo ringraziare sentitamente la professoressa Rossana Guglielmetti, responsabile scientifico per la sezione medievale delle pubblicazioni in italiano del Corpus Christianorum in Translation, per la generosità e l’accuratezza con cui ha supervisionato, e sensibilmente migliorato, ogni parte di questo volume. Per gli errori che, nonostante tutto, sono sopravvissuti, la responsabilità è naturalmente nostra; ma speriamo che i lettori vorranno non essere troppo severi.

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Mappa del percorso di Saewulf tratta da Peregr. tres. Per carte geografiche della Terrasanta e di Gerusalemme nel XII secolo, rimandiamo il lettore a quelle che si trovano in Pringle, Churches, Russo, Crociati, e Tyerman, Guerre.

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Saewulf Resoconto veritiero su Gerusalemme

Resoconto veritiero su Gerusalemme, 1-3

[1] Io, Saewulf, diretto a Gerusalemme per pregare sul Sepolcro del Signore benché indegno e peccatore, non avendo potuto compiere la traversata in alto mare per la via più rapida insieme con altri che si recavano là (vuoi perché oppresso dal peso dei peccati, vuoi per mancanza di una nave), decisi tuttavia1 di annotare le isole per cui passavo, o almeno i loro nomi. [2] Alcuni si imbarcano a Bari, alcuni a Barletta, alcuni anche a Siponto o a Trani, alcuni prendono il mare a Otranto, l’ultimo porto della Puglia; noi invece ci siamo imbarcati a Monopoli (distante un giorno di viaggio da Bari) domenica 13 luglio2, festa di santa Mildred vergine3, in un’ora sfortunata4 per come ci andò poi: se la clemenza divina non ci avesse difeso, saremmo tutti annegati. Infatti lo stesso giorno, mentre eravamo in mare molto lontani dal porto, abbiamo fatto naufragio per la violenza delle onde, ma col favore di Dio siamo ritornati illesi alla spiaggia. [3] Poi siamo andati a Brindisi, e lì di nuovo in un giorno sfortunatoa siamo saliti sulla stessa nave, ma in qualche modo riparata; e così, su un’isola della Grecia, siamo approdati alla città che si chiama, come l’isola, Corfùb, la vigilia della festa di san Giacomo apostoloc. Da lì poi siamo arrivati all’isola che si chiama Cefalonia, spinti da una grande tempesta, il primo di agosto: là morì Roberto il Guiscardo e là morirono alcuni dei nostri, e per questo eravamo molto tristi5. In seguito, allontanatici da quel luogo, siamo approdati a Polipolid; da lì invece siamo arrivati all’illustre isola di Patrasso, nella cui città siamo entrati per pregare sant’Andrea apostolo, che lì fu martirizzato e sepolto, ma poi venne traslato a Costantinopolie. Da Patrasso siamo arrivati, la vigilia di san Lorenzof, a Corinto, Il 22 luglio 1102. L’isola di Corfù, dopo una breve occupazione da parte dei Normanni di Roberto il Guiscardo nel 1083-1084, era all’epoca del viaggio di Saewulf già tornata sotto il controllo bizantino (Pryor, ‘Voyages’, p. 39). c  Cioè il 24 luglio 1102. d  Secondo Pryor, ‘Voyages’ (p.  37 e n.  9) Saewulf si riferisce al porto della città di Cillene. “Polipoli” potrebbe derivare dal nome Palaiopolis, attestato nel XIII secolo per indicare le rovine della città di Elis, a cinque miglia nell’entroterra. e  Per un primo orientamento sui testi relativi al martirio e alla traslazione a Costantinopoli di sant’Andrea cfr. BHL 428-433. f  Cioè il 9 agosto 1102. a 

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dove san Paolo apostolo predicò la parola di Dioa e ai cui abitanti scrisse una lettera. Lì abbiamo avuto molti disagi6. Da quel luogo, poi, abbiamo compiuto la traversata verso il porto di Ostab, e così siamo proseguiti a piedi (alcuni invece a dorso di asino) per due giorni fino a Tebe, città che nella lingua del luogo è chiamata Stivas7. E il giorno successivo siamo arrivati a Negropontec8, alla vigilia di san Bartolomeo apostolod. Lì invece abbiamo preso un’altra nave9. [4] Atene infatti, dove predicò l’apostolo Paoloe, dista due giorni di viaggio dalla costa di Corinto: lì san Dionigi nacque, fu istruito e poi fu convertito da san Paolo al Signore10; lì si trova la chiesa della Beata Vergine Maria, in cui, in una lampada, c’è un olio che brucia sempre, ma non si consuma mai11. Poi siamo arrivati all’isola che si chiama Petalionf, poi ad Andriag, dove si producono preziosi scindalia, sciamiti12 e altre vesti fatte di seta. Da lì siamo arrivati a Tino, poi a Siro, poi a Mykonos e così a Nassoh, a fianco della quale si trova la celebre isola di Creta, poi a Keros, Amorgo, Samo, Chio e Mitilenei. Poi siamo arrivati a Patmo, dove san Giovanni apostolo ed evangelista, esiliato da Domiziano Cesare, scrisse l’Apocalissej. Efeso invece si trova sulla costa presso Smirne, a un giorno di distanza: là più tardi egli entrò da vivo nel sepolcro13. Tra l’altro, l’apostolo Paolo scrisse una lettera agli Efesini. At 18, 1-17. Paolo dovette arrivare a Corinto all’inizio del 50. Pryor, ‘Voyages’ (p.  40) identifica Osta con Livadostra, sul fondo di una baia a nord del golfo di Corinto: questo luogo consentiva l’accesso via terra a Tebe e alla Beozia attraverso la valle del fiume omonimo. c  Si tratta dell’Eubea. d  Il 23 agosto 1102. e  At 17, 15-34. f  Si tratta probabilmente di Megalonisos Petalion, la maggiore delle isolette che occupano l’omonimo golfo tra la costa est dell’Attica e la propaggine meridionale dell’Eubea (Pryor, ‘Voyages’, p. 41). g  Cioè l’isola di Andros. h  Nasso era l’isola più grande e popolosa dell’arcipelago delle Cicladi, nota per i suoi allevamenti di bestiame (Pryor, ‘Voyages’, p. 42). i  Le ultime tre isole, come ricorda Pryor, ‘Voyages’ (p. 43-44), erano le più grandi ed abitate della costa ovest dell’Asia Minore; all’epoca di Saewulf si trovavano al centro dei traffici marittimi della zona, oltre ad essere basi importanti della flotta bizantina. j  Cfr. Ap 1, 9. a 

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Resoconto veritiero su Gerusalemme, 3-5

Poi siamo giunti alle isole di Lero e Calimno, poi a Coo, dove nacque Galeno, medico apprezzatissimo presso i Greci14. Da lì poi siamo passati per il porto della città distrutta di Lidoa, dove predicò Tito, discepolo di san Paolo apostolo15; poi siamo arrivati a Simi, che significa “argentea” b. [5] Poi invece siamo arrivati alla celeberrima Rodi16, dove si dice ci fosse una delle sette meraviglie del mondo, cioè la statua del Colosso, di centoventicinque piedi d’altezza, che i Persiani distrussero, insieme a quasi tutto il territorio della Romàniac, quando si spinsero fino in Spagnad; e ai Colossesi san Paolo scrisse una lettera17. Da là c’è un giorno di viaggio per la città di Patara, dove nacque san Nicola arcivescovo, alla quale noi siamo arrivati di sera, spinti da una grandissima tempesta. Al mattino, però, spiegate le vele, siamo arrivati a una città completamente abbandonata, che si chiama Santa Maria di Mogronissi (che significa “isola lunga”)e; la abitavano i cristiani, ormai scacciati dai Turchi da Alessandria18, come si nota dalle chiese e dagli altri edifici. Poi siamo giunti alla città di Miraf, dove san Nicola ricopriva la carica dell’arcivescovato; lì è il porto del Mar Adriatico19, così come Costantinopoli è il porto del Mar Egeo. a  Secondo Pryor, ‘Voyages’ (p. 45), si tratterebbe dell’odierna Datça, una delle due Cnido note nell’antichità. b  Il nome registrato da Saewulf è Asimi, derivato dal greco classico ἄσημος (àsēmos), termine che in origine significava “senza marchio”, “non coniato”, e che per estensione poteva indicare semplicemente l’argento (cfr.  il greco moderno ασήμι, asìmi, “argento”). c  Il termine, comparso nella Tarda Antichità come definizione generica per le aree dominate dai Romani, passò più tardi a indicare i territori controllati dall’impero bizantino; nelle fonti latine di epoca crociata, e forse anche in Saewulf, è usato invece per designare il sultanato selgiuchide di Rum, nato nell’Anatolia centrale verso la fine dell’XI secolo (cfr.  Berger, ‘Romania’; Crusades Encyclopedia, IV, p. 1050-1052). d  Secondo van der Vin, Travellers (I, p. 242) Saewulf si riferisce qui alla conquista araba di Rodi del 653, in occasione della quale i resti del Colosso (già parzialmente crollato per un terremoto nel III sec. a.C.) furono abbattuti e rimossi. e  Si tratta dell’attuale Kekova (Pryor, ‘Voyages’, p. 47), un’isola dalla forma allungata, come testimonia il nome usato da Saewulf, Mogronissi, storpiatura del greco μακρόνησος (makrónēsos), “isola lunga”. f  Oggi Demre. Mira non era propriamente un porto, ma aveva uno sbocco a mare chiamato in età classica Andriake.

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G9; T49

Dopo aver adorato il santo sepolcro in onore del santo20, a vele spiegate abbiamo raggiunto l’isola chiamata, a causa della forza del mare, Xindacopo, che nella nostra lingua significa “sessanta remi”a, vicino alla quale si trova il porto che, così come l’entroterra, ha nome Finike21. Da lì, dunque, dopo tre giorni attraverso l’ampia distesa del Mar Adriatico, siamo arrivati alla città di Pafo, che è parte dell’isola di Cipro, dove si riunirono tutti gli apostoli dopo l’Ascensione del Signore, vi tennero un consiglio per sistemare la situazione e lì inviarono in predicazione l’apostolo Barnaba. E dopo la morte di questi, san Pietro venne lì da Ioppeb e vi sparse i semi della parola divina, prima di salire alla cattedra episcopale di Antiochia22. [6] Proseguendo il nostro viaggio dall’isola di Cipro, siamo stati sbattuti dalle tempeste marine per sette giorni prima di poter giungere in porto, e a tal punto che una notte siamo ritornati a Cipro spinti da un forte vento contrario. Ma grazie alla clemenza divina (che è vicina a tutti coloro che la invocano con sinceritàc) da noi implorata con non poca contrizione, ci siamo rivolti di nuovo nella direzione che desideravamo: tuttavia per sette notti fummo sopraffatti da una tale tempesta e da un tale pericolo da perdere quasi del tutto la speranza di scampare. Al mattino, con il sorgere del sole, apparve davanti ai nostri occhi anche la costa del porto di Ioppe, e dal momento che la grande paura per il pericolo ci aveva rattristato fino alla disperazione, la gioia improvvisa e insperata centuplicò in noi la felicità. E dunque, dopo un periodo di tredici settimane, trascorso vivendo sempre sulle onde del mare o sulle isole, in tugurî e capanne abbandonate (visto che i Greci non sono ospitali), così come di domenica ci eravamo imbarcati a Monopoli, di domenica siamo approdati al porto di Ioppe23, con grande felicità e riconoscenzad. Forse una delle isolette di fronte a Capo Gelidonya, come suggerisce Pryor, ‘Voyages’, p. 47. Il nome usato da Saewulf dev’essere una deformazione del greco ἑξήκοντα κῶπαι (exēkonta kōpai), che significa appunto “sessanta remi”. b  L’odierna Giaffa. c  Cfr. Sal 145 (144), 18: Il Signore è vicino a chiunque lo invoca, / a quanti lo invocano con sincerità. d  Saewulf arriva a Ioppe (Giaffa) il 12 ottobre 1102. a 

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Resoconto veritiero su Gerusalemme, 5-7

[7] Ora vi prego, voi tutti amici miei amatissimi, alzando le mani al cielo esultate, lodate Dio insieme a me con grida di gioiaa, perché l’Onnipotente è stato misericordioso con me durante tutto il mio viaggio: sia benedetto il suo nome da ora e per sempreb. Tendete le orecchie, carissimi, e ascoltate la misericordia che la clemenza divina ha mostrato a me, per quanto ultimo dei suoi servi, e ai miei. Infatti, il giorno stesso in cui siamo approdati, qualcuno mi disse, credo per ispirazione divina: “Signore, sbarca oggi sulla terraferma, perché non succeda che domani tu non possa sbarcare per il sopraggiungere di una tempesta questa notte o all’alba”. Avendo sentito ciò, subito preso dal desiderio di sbarcare, ho preso una scialuppa e sono sbarcato con tutti i miei. Mentre sbarcavo, però, il mare ha cominciato ad agitarsi, la sua forza è cresciuta e si è scatenata una forte tempesta, ma con il favore della grazia divina sono giunto illeso alla riva. Che altro? Siamo entrati nella città per trovare ospitalità e, vinti e stremati dalle lunghe fatiche, ci siamo rifocillati e riposati. Al mattino però, mentre tornavamo dalla chiesa, abbiamo sentito il rumore del mare, le grida della gente, e tutti accorrevano e si meravigliavano di fatti mai sentiti prima, mentre noi, correndo preoccupati, siamo giunti insieme con altri alla riva. E infatti, quando siamo arrivati là, abbiamo visto che la tempesta superava i monti in altezza, scorto che sulla riva giacevano miseramente innumerevoli corpi di uomini e donne affogati e visto pure che le navi, fatte in mille pezzi, si muovevano vorticosamente lì vicino. Ma chi poteva sentire qualcosa oltre al ruggito del mare e al fragore delle navi? Essi infatti superavano le grida della gente e il fragore di qualsiasi folla24. La nostra nave invece, la più grande e forte, e molte altre cariche di frumento, di altre merci e di pellegrini che venivano e ritornavano, ancora in qualche modo trattenute al largo da ancore e funi, vedendo come venivano sballottate dalle onde, come gli alberi venivano abbattuti per la paurac, come le a 

gioia.

Cfr. Sal 47 (46), 2: Popoli tutti, battete le mani! / Acclamate Dio con grida di

Cfr. Sal 113 (112), 2: Sia benedetto il nome del Signore, / da ora e per sempre. Si trattava di una misura estrema: abbattere l’albero maestro per evitare che il velame, travolto dal vento, rovesciasse la nave. b  c 

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merci venivano gettate fuori bordo, quale occhio sarebbe stato così duro e insensibile da trattenersi dal pianto? Non abbiamo guardato quello spettacolo a lungo, prima che per la violenza delle onde e dei flutti le ancore venissero trascinate via, mentre le funi si spezzavano e le navi, slegate dalla forza delle onde, perduta ogni speranza di salvezza, ora sollevate in alto, ora sbattute verso il basso, a poco a poco dal mare aperto venivano infine gettate sulla spiaggia o sugli scogli; là poi si scontravano miseramente fiancata contro fiancata, là venivano fatte a pezzi dalla tempesta, e né la ferocia dei venti le lasciava ritornare tutte intere in mare aperto, né l’altezza della sabbia giungere a riva illese. Ma a che serve dire con quali lamenti marinai e pellegrini si aggrappavano alcuni alle navi, altri agli alberi, altri ai pennoni, altri ancora ai banchi, senza speranza alcuna di scampare? Che altro aggiungere? Alcuni, paralizzati dal panico, annegarono sul posto, altri aggrappati alla propria nave (cosa che pare a molti incredibile) furono straziati dai rottami lì sotto i miei occhi; altri, invece, venivano trascinati di nuovo in profondità dalle tavole strappate alla nave, altri ancora, sapendo nuotare, si affidarono spontaneamente alle onde: e così moltissimi morirono, mentre pochissimi, confidando nelle proprie forze, giunsero illesi a riva. Dunque di trenta navi enormi (alcune delle quali si chiamano comunemente “dromoni”, altre “gulafri”, altre ancora “catti”25), tutte cariche di pellegrini o di merci, prima che io mi allontanassi dalla riva a stento ne erano rimaste illese sette, mentre in quel giorno morirono più di mille tra uomini e donne. Nessun occhio vide mai, infatti, una disgrazia più grande, ma da tutto ciò mi ha sottratto con la sua grazia il Signore, a cui siano onore e gloria per i secoli dei secoli. Amen. [8] Siamo quindi saliti da Ioppe alla città di Gerusalemme, un viaggio di due giorni per una via di montagna molto difficile e pericolosa, poiché i Saraceni, che tendono sempre agguati ai cristiani, se ne stanno nascosti nelle caverne tra i monti e nelle grotte tra le rocce, vigili giorno e notte, sempre a scrutare se possono attaccare qualcuno vuoi perché accompagnato da un piccolo gruppo, vuoi perché rimasto in coda ad esso per la stanchezza: ora li si vede ovunque tutt’intorno, subito dopo sono scomparsi. E chiunque

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Resoconto veritiero su Gerusalemme, 7-9

faccia questo viaggio può vedere come innumerevoli corpi umani giacciano sulla via e vicino ad essa, completamente sbranati dalle bestie selvatiche. Forse qualcuno potrebbe stupirsi che lì si trovino corpi di cristiani insepolti, ma non c’è da meravigliarsi, perché c’è pochissima terra e la roccia non si presta facilmente ad essere scavata. E se anche ci fosse la terra, chi sarebbe così sciocco da abbandonare il suo gruppo e scavare praticamente da solo la tomba per il suo compagno? Chi lo facesse preparerebbe la tomba più per sé stesso che per il suo compagno. Su quella via certo non rischiano solo i poveri e i deboli, ma anche i ricchi e i forti: molti vengono uccisi dai Saraceni, di più però dal calore e dalla sete; molti muoiono per la mancanza di acqua, di più però bevendo troppo26. Noi invece siamo giunti illesi con tutto il gruppo alla nostra meta: benedetto il Signore, che non ha allontanato la mia preghiera e la sua misericordia da mea. Amen. [9] L’ingresso alla città di Gerusalemme è a ovest, sotto la rocca del re Davide, per la porta che si chiama Porta di Davide. Il primo luogo dove andare è la chiesa del Santo Sepolcro (che si chiama “Martirio”), non solo per la disposizione delle vie, ma poiché è più celebre di tutte le altre chiese: e questo è degno e giusto, poiché tutto ciò che era stato predetto e prescritto dai santi profeti in tutto il mondo sul Salvatore Nostro Gesù Cristo, lì si è tutto veracemente compiuto. La chiesa la edificò, dopo aver trovato la Croce del Signore, l’arcivescovo Massimo, con il sostegno regale e magnifico dell’imperatore Costantino e di sua madre Elena27. Al centro di questa chiesa c’è dunque il sepolcro del Signore, circondato e coperto da un muro massiccio, perché, quando piove, la pioggia non possa cadere sul Santo Sepolcro, visto che la chiesa sopra è scoperta. Essa si trova sul pendio del Monte Sion, e lì è anche la città, ma solo da dopo che i principi romani Tito e Vespasiano, per vendicare il Signore, ebbero completamente distrutto tutta Gerusalemmeb, perché si compisse la profezia del Signore; a  Sal 66 (65), 20: Sia benedetto Dio, / che non ha respinto la mia preghiera, / non mi ha negato la sua misericordia. b  La distruzione di Gerusalemme avvenne nel 70 d.C. ad opera del futuro imperatore Tito, nel contesto della rivolta della provincia ebraica cominciata nel 66.

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infatti, mentre Egli si avvicinava a Gerusalemme, vedendo la città disse, piangendo su di essa: se avessi compreso anche tu! Perché per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, e ti stringeranno da ogni parte e distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra eccetera (Lc 19, 41-44). Noi sappiamo che il Signore è morto fuori dalla portaa, ma l’imperatore Adriano, che si chiamava Elia, ricostruì la città di Gerusalemme e il Tempio del Signore e ingrandì la città fino alla Torre di Davide, che prima era molto lontana dalla città: e così dal Monte degli Ulivi chiunque può vedere dove era prima l’estremità occidentale delle mura della città e quanto poi essa sia stata ingrandita. L’imperatore chiamò poi la città con il suo nome, Elia, che significa “casa di Dio”. Alcuni invece dicono che la città sia stata ricostruita dall’imperatore Giustiniano, e così il Tempio del Signore, come è ora, ma queste sono dicerie e non verità. Gli Assiri infatti, i cui padri erano abitanti di quella terra fin dalla prima persecuzioneb, dicono che la città è stata presa e distrutta, insieme con tutte le chiese, per sette volte dopo la Passione del Signore, ma non è stata del tutto abbattuta28. [10] Nel cortile della chiesa del Sepolcro del Signore si vedono alcuni luoghi santissimi: il carcere in cui, secondo la testimonianza degli Assiri, il Nostro Signore Gesù Cristo fu imprigionato dopo essere stato tradito; poco sopra si vede il luogo in cui è stata ritrovata la Santa Croce insieme alle altre croci, e dove in seguito fu costruita in onore della regina Elena una grande chiesa, che fu poi completamente distrutta dai paganic; più in basso, invece, non lontano dal carcere, si vede la colonna di marmo legato alla quale il Nostro Signore Gesù Cristo venne percosso nel pretorio con fruste crudeli. Vicino c’è il luogo in cui Nostro Signore venne L’assedio della città fu l’episodio decisivo della prima guerra giudaica, conclusasi poi nel 73 con la presa della fortezza di Masada. a  Eb 13, 12. b  Cfr. At 8, 1. Assiri è il termine con cui Saewulf indica i cristiani del luogo. c  La prima grande distruzione della chiesa del Santo Sepolcro data al 614, ad opera dei Persiani guidati da Cosroe (cfr. n. 27); ne seguirono altre, anche se parziali, durante il dominio musulmano, in alternanza con episodi di ricostruzione più o meno fortunati, fino al 1040 circa.

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Resoconto veritiero su Gerusalemme, 9-12

spogliato dei vestiti dai soldati, e poi quello in cui i soldati lo rivestirono di una veste di porpora e lo coronarono con una corona di spine e si divisero le sue vesti tirandole a sorte29. [11] Poi si sale sul Monte Calvario, dove prima il patriarca Abramo, innalzato un altare, volle sacrificare suo figlio secondo il comando di Dioa; nello stesso luogo, in seguito, il Figlio di Dio, che quello prefigurava, fu immolato come vittima sacrificale a Dio Padre per la redenzione del mondo. E la roccia del monte, testimone della Passione del Signore, è spaccata in profondità accanto alla fossa in cui fu piantata la Croce del Signore, poiché essa non potè sopportare senza spaccarsi la morte del Creatore, come si legge nella Passione: e le rocce si spezzarono (Mt 27, 51). Al di sotto c’è il luogo detto Golgota, dove si dice che Adamo sia stato resuscitato dai morti dal fiotto di sangue del Signore caduto su di lui, come si legge nella Passione del Signore: e molti corpi di santi, che erano morti, resuscitarono (Mt 27, 52). Ma nelle Sentenze di sant’Agostino si legge che egli fu sepolto a Ebron, dove poi furono sepolti anche i tre patriarchi con le loro mogli30, Abramo con Sara, Isacco con Rebecca, Giacobbe con Lia, e le ossa di Giuseppe, che i figli di Israele portarono via con sé dall’Egittob. Presso il Calvario c’è la chiesa di Santa Maria, nel luogo in cui il corpo del Signore, tolto dalla croce, fu cosparso di profumi e avvolto in un lenzuolo, o meglio in un sudario, prima di essere seppellito31. [12] Nel muro esterno dell’absidec della chiesa del Santo Sepolcro, non lontano dal sito del Calvario, c’è un luogo chiamato “Compas”, dove il Signore Nostro Gesù Cristo in persona ha segnato e misurato con la propria mano il centro del mondo, secondo la testimonianza del salmista: eppure Dio è nostro re dai tempi antichi, ha operato la salvezza nel centro della terra (Sal 74 (73), Gen 22, 1-14. Cfr. Gen 49, 29-31 e Es 13, 19. Sulle tombe dei patriarchi a Ebron cfr. infra, par. 26. c  Nel testo latino si legge qui caput, che avrebbe la valenza tecnica di “capocroce”, cioè la parte terminale della chiesa, oltre il transetto, di solito comprendente coro e abside; ma poiché non siamo certi che nel latino di Saewulf (come in quello di Giovanni e Teodorico) il termine avesse già assunto un’accezione così tecnica, preferiamo renderlo in maniera più neutra con “abside”. a 

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12)32. Alcuni però dicono che in quel luogo il Signore Gesù Cristo sia apparso per prima a Maria Maddalena, mentre quella piangendo lo cercava e pensò che Egli fosse un giardiniere, come narra l’evangelistaa. Questi santissimi luoghi di preghiera si trovano nel cortile del Sepolcro del Signore verso est. Addossate ai lati della chiesa stessa, da una parte e dall’altra, si trovano invece due cappelle bellissime, cioè quelle in onore di santa Maria e di san Giovanni, così come essi stessi, partecipando alla Passione del Signore, si misero ai lati, da una parte e dall’altra. E dipinta sull’esterno del muro occidentale della cappella di Santa Maria si osserva l’immagine della Madre di Dio che consolò, parlando miracolosamente attraverso lo Spirito Santo, Maria Egiziaca, quando (come si legge nella sua Vita) ella, profondamente affranta, domandava insistentemente aiuto alla Madre di Dio attraverso la sua immagine ivi raffigurata33. Dall’altra parte, quella della chiesa di San Giovanni, c’è invece la bellissima chiesa della Santa Trinità, in cui si trova un battistero; a fianco c’è la cappella di San Giacomo apostolo, che fu il primo vescovo di Gerusalemme. E tutte queste chiese sono costruite e disposte in maniera tale che chiunque, trovandosi nell’ultima, può vederle perfettamente tutte e cinque, da porta a porta. [13] Fuori dalla porta della chiesa del Santo Sepolcro verso sud c’è la chiesa di Santa Maria, che è detta “Latina” perché in quel luogo i monaci celebrano sempre le sacre funzioni in latino; e gli Assiri dicono che la santa Madre di Dio in persona stette, durante la crocifissione di suo Figlio Nostro Signore, proprio nel luogo in cui c’è l’altare di questa chiesa34. E vicino ad essa c’è un’altra chiesa di Santa Maria, che è detta “Piccola”, dove vivono delle monache, che servono con grandissima devozione lei stessa e suo Figlio35. Presso questa chiesa c’è un ospedale, dove si trova un monastero stupendo, dedicato a san Giovanni Battista36. [14] Dal Sepolcro del Signore si scende poi, per la distanza di due tiri di balestra, al Tempio del Signore37, che si trova a est del Santo Sepolcro: il suo cortile è molto lungo e largo, con numerose porte, ma quella principale, che si trova di fronte alla facciata del a 

Gv 20, 15.

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Resoconto veritiero su Gerusalemme, 12-15

Tempio, è detta “Bella” per l’abilità della costruzione e la varietà dei colori; là Pietro curò lo zoppo quando lui e Giovanni salirono al Tempio per la preghiera delle tre del pomeriggio38, come si legge negli Atti degli apostolia. Il luogo in cui Salomone costruì il Tempio del Signore era detto anticamente Betel, dove Giacobbe si recò secondo l’ordine del Signore, e lì dimorò e lì vide la scala la cui cima toccava i cieli, e vide gli angeli salire e scendere, e disse: veramente questo luogo è santo, come si legge nella Genesib. Là egli innalzò una pietra come una stele e costruì un altare, versando olio sulla sua sommità; là più tardi, per volere divino, Salomone edificò al Signore un tempio magnifico e senza eguali e lo impreziosì meravigliosamente con ogni ornamento, come si legge nel Libro dei Rec: sovrastò tutti i monti intorno con la sua altezza e superò tutte le mura e tutti gli edifici con il suo splendore e la sua gloria. Al centro di questo Tempio si vede una roccia alta e grande e scavata al di sotto, in cui si trovava il Santo dei Santi: lì Salomone pose l’Arca dell’Alleanza, con la manna e il bastone di Aronne, che in quel luogo si coprì di fiori e foglie e produsse mandorle, e insieme le due Tavole della Legged. [15] Lì il Signore Nostro Gesù Cristo era solito riposare stanco degli insulti dei Giudei; lì c’è il luogo della confessione, dove i suoi discepoli si confessarono a Luie; lì l’angelo Gabriele apparve al sacerdote Zaccaria, dicendo: ricevi un figlio nella tua vecchiaiaf; sempre lì Zaccaria figlio di Barachìa fu ucciso tra il tempio e l’altareg; At 3, 1-10. Gen 28, 10-19. Saewulf non cità però la Bibbia, ma la rielaborazione di questo passo della Genesi utilizzata nella liturgia di consacrazione di una chiesa (Carmina Scripturarum, p. 10, Gen 28, 12-16). c  1Re 6-7. d  Cfr. Eb 9, 4. e  Per Giovanni e Teodorico la confessione è quella dell’adultera di Gv 8, 3-6. f  Cfr. Lc 1, 11-20. La frase riportata da Saewulf, però, non è tratta dal Vangelo, ma è un versetto utilizzato nella liturgia della festa di san Gabriele arcangelo (Carmina Scripturarum, p. 421, Lc 1, 11-13). g  Cfr. Mt 23, 35 e Lc 11, 51. L’uccisione di Zaccaria, figlio però di Ioiadà, è raccontata in 2Cr 24, 20-22; figlio di Barachìa (o Berechia) era invece il profeta Zaccaria, autore di uno dei libri dell’Antico Testamento (cfr. Zc 1, 1). Non è chiara la ragione della confusione, già presente nel testo evangelico da cui Saewulf dipende. a 

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G4; T16

G2; G5; T15; T42

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G5; T16

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G5

G5; T16

G5; T20

G4; T9

G22; T17

lì fu circonciso il bambino Gesù all’ottavo giorno e fu chiamato Gesù, che significa “salvatore”a; lì il Signore Gesù fu presentato dai genitori con la madre, la Vergine Maria, nel giorno della sua purificazione e fu accolto dal vecchio Simeoneb; sempre lì, quando Gesù aveva dodici anni, fu trovato seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava (Lc 2,  46), come si legge nel Vangeloc; da lì poi scacciò i buoi, le pecore e le colombe, dicendo: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera (Mt 21, 13; Mc 11, 17; cfr. Lc 19, 46); lì disse ai Giudei: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere (Gv 2, 19); lì si vedono ancora su una roccia le impronte del Signore, quando Egli si nascose e uscì dal Tempio, come si legge nel Vangelod, perché i Giudei non gli gettassero addosso le pietre che avevano raccolto; lì fu portata dai Giudei davanti a Gesù la donna sorpresa in adulterio, per trovare qualcosa di cui accusarloe. Là si trova la porta della città a est del Tempio, detta “Aurea”, dove Gioacchino, padre di santa Maria, andò incontro a sua moglie Anna per ordine dell’angelo del Signoref; per la stessa porta il Signore Gesù, venendo da Betania il giorno delle Palme, entrò nella città di Gerusalemme a dorso di un asino, mentre i bambini cantavano Osanna al figlio di Davide (Mt 21, 9). Dalla stessa porta entrò l’imperatore Eraclio, ritornando vincitore dalla Persia con la Croce del Signoreg, ma inizialmente il crollo delle pietre chiuse la porta e la trasformò in un muro compatto, finché, per l’avvertimento di un angelo, egli in segno di umiltà scese da cavallo e così il passaggio gli si aprì da sé39. Nel cortile del Tempio del Signore verso sud c’è il Tempio di Salomone40, di eccezionale grandezza, a est del quale si trova una

Lc 2, 21. Lc 2, 27-28. c  Lc 2, 41-47. d  Gv 8, 59. e  Gv 8, 3-6. f  Come raccontato nel Vangelo apocrifo dello Pseudo-Matteo (Ps. Matth., euang. 3, 5) e nel Libellus de natiuitate Sanctae Mariae (Libell. natiu. Mar. 4, 4), traduzioni-rielaborazioni latine dell’apocrifo greco attribuito a Giacomo. g  Avvenne nel 629 o nel 630. a 

b 

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Resoconto veritiero su Gerusalemme, 15-17

cappella che, secondo la testimonianza degli Assiri, conserva la culla di Gesù Cristo e il suo bagno e il letto della sua Santa Madre41. [16] Dal Tempio del Signore verso nord si va alla chiesa di Sant’Anna, madre di santa Maria, dove ella abitò con il marito; lì partorì anche sua figlia, l’amatissima Maria, salvatrice di tutti i fedeli42. Lì vicino si trova, presso la Porta Probatica, una piscina dotata di cinque porticati, che in ebraico si chiama Betzatà43 (come si legge nel Vangeloa); poco più in alto c’è il luogo in cui una donna fu guarita dal Signore toccando il lembo della sua veste, mentre Egli nella strada era premuto dalla folla: la donna soffriva di perdite di sangue da dodici anni e i medici non avevano potuto curarlab. [17] Da Sant’Anna si procede, per la porta che conduce alla valle di Giosafat, verso la chiesa di Santa Maria in quella stessa valle, dove ella dopo la morte fu sepolta dagli apostoli con tutti gli onori; e il suo sepolcro è venerato con il massimo onore dai fedeli, come è cosa buona e giusta. Lì i monaci servono giorno e notte il Nostro Signore Gesù Cristo e sua Madre44; sempre lì si trova il torrente Cedron e anche il Getsèmani, dove il Signore venne con i discepoli prima dell’ora del tradimento, dal Monte Sion oltre il torrente Cedron. Lì c’è anche un luogo di preghiera, dove Egli stesso lasciò Pietro, Giacomo e Giovanni dicendo: restate qui e vegliate con me (Mt 26, 38); e allontanatosi cadde con il volto a terra e pregò, e poi tornò dai suoi discepoli e li trovò che dormivanoc: lì si osservano ancora i singoli punti in cui ciascuno dei discepoli si addormentò45. Il Getsèmani si trova ai piedi del Monte degli Ulivi, e in basso, tra il Monte Sion e il Monte degli Ulivi, c’è il torrente Cedron, a fare da separazione tra i due monti; e la pianura tra i due monti si chiama valle di Giosafat. Poco più in alto sul Monte degli Ulivi c’è una cappella nel luogo in cui il Signore pregò46, come si legge nella Passione: poi si alGv 5, 2. Mt 9, 20-21; Mc 5, 25-29; Lc 8, 43-44. In realtà il celebre episodio dell’emorroissa avvenne a Cafarnao e non a Gerusalemme: ma anche l’abate russo Daniil, pellegrino a Gerusalemme qualche anno dopo Saewulf, dà la stessa erronea indicazione (Daniil, Itinerario, p. 93). Per un errore analogo cfr. anche Giovanni, par. 21. c  Mt 26, 38-40; Mc 14, 32-37 (cfr. Lc 22, 40-46). a 

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G22; T18

G23; T26

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G20; T23

G14; T24

Saewulf

G21; T4

G11; T19

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G20; T27

T27

G13; G20; T22

lontanò da loro circa un tiro di sasso; entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra (Lc 22, 41 e 44). Anche il campo di Akeldamà, comprato al prezzo del Signorea, si trova ugualmente ai piedi del Monte degli Ulivi presso la valle, lontano dal Getsèmani tre o quattro tiri di balestra verso sud, e là si vedono innumerevoli tombe. Il campo si trova presso i sepolcri dei santi padri Simeone il giusto e Giuseppe, che crebbe il Signore: questi due sepolcri, edificati molto tempo fa in forma di torri, sono scavati nella roccia stessa ai piedi del monte47. Poi si scende presso l’Akeldamà alla fonte che si chiama piscina di Siloe, dove, per ordine del Signore, il cieco nato si lavò gli occhi, dopo che il Signore gli aveva spalmato sugli occhi il fango fatto con il suo sputob. [18] Dalla chiesa di Santa Maria che abbiamo ricordato sopra si sale per una via ripida fin quasi alla cima del Monte degli Ulivi, verso est, al luogo in cui Nostro Signore salì al cielo sotto gli occhi dei suoi discepolic. Questo luogo è stato cintato con una torretta ed è curato con tutti gli onori: all’interno, nel punto esatto, è stato eretto un altare, e tutt’intorno è stato posto un muro48. Nel luogo invece dove gli apostoli, insieme con la sua Beata Madre Maria, stettero ad ammirare la sua Ascensione, c’è l’altare della chiesa di Santa Maria49; sempre lì comparvero davanti a loro due uomini in vesti bianche, dicendo: Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? eccetera (At 1, 11). Qui, all’incirca a un tiro di sasso, Nostro Signore scrisse il “Padre Nostro” con le proprie dita sul marmo in ebraico, come attestano gli Assiri; lì fu anche costruita una chiesa molto bella, ma poi essa fu completamente distrutta dagli infedeli50, così come tutte le chiese 51 sono al di fuori delle mura. [19] La chiesa dello Spirito Santo sul Monte Sion è al di fuori delle mura, a un tiro di freccia verso sud: proprio lì gli apostoli ricevettero Colui che era stato promesso dal Padre, cioè lo Spirito Paraclito, nel giorno della Pentecoste, e nello stesso luogo compoCfr. At 1, 18-19. Gv 9, 1-7. c  At 1, 9 (cfr. Mc 16, 19; Lc 24, 51). a 

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Resoconto veritiero su Gerusalemme, 17-21

sero il Credo. In quella chiesa c’è una cappella nel luogo dove morì santa Maria; dall’altra parte della chiesa c’è una cappella nel luogo dove il Signore Nostro Gesù Cristo dopo la Resurrezione apparve agli apostoli per la prima volta, e si chiama “Galilea”, come Egli disse agli apostoli: Dopo che sarò risorto vi precederò in Galilea (Mt 26, 32; Mc 14, 28); quel luogo era chiamato “Galilea” perché lì si trattenevano spesso gli apostoli, che erano chiamati “Galilei”52. [20] La grande città di Galilea si trova presso il Monte Tabor, a tre giorni di viaggio da Gerusalemme. Dall’altra parte del Monte Tabor c’è la città che si chiama Tiberiade, e poi Cafarnao e Nazaret sul Mare di Galilea o53 di Tiberiade, dove Pietro e gli altri apostoli tornarono a pescare dopo la Resurrezione del Signore e dove più tardi il Signore si manifestò loro sul marea. Nei pressi della città di Tiberiade c’è il terreno dove il Signore Gesù benedisse cinque pani e due pesci e poi con essi sfamò quattromila uomini, come si legge nel Vangelob. Ma torniamo a quel che stavamo dicendo. [21] Nella Galilea del Monte Sion, dove gli apostoli erano nascosti in una stanza per paura dei Giudei, Gesù stette in mezzo a loro a porte chiuse, dicendo: Pace a voi (Gv 20, 19 e 21), e di nuovo si mostrò là quando Tommaso mise il dito nel suo fianco e nel posto dei chiodic; là cenò con i suoi discepoli prima della Passione e lavò i loro piedid, e vi si trova ancora la tavola di marmo sulla quale cenò; là le reliquie di santo Stefano, Nicodemo, Gamaliele e Abibone furono riposte con ogni onore dopo il loro rinvenimento dal santo patriarca Giovanni54. Santo Stefano fu lapidato fuori dalle murae, a una distanza di due o tre tiri di balestra, dove era stata costruita verso nord una chiesa bellissima, che è stata completamente distrutta dai pagani55. Allo stesso modo, la chiesa della Santa Croce, che dista quasi un Gv 21, 1-14. Mt 15, 32-38 e Mc 8, 1-9. Saewulf fa riferimento ad una seconda moltiplicazione dei pani e dei pesci, narrata dai Vangeli soltanto nei passi qui citati. La prima moltiplicazione, in cui Gesù sfamò cinquemila uomini, è ricordata da Saewulf più avanti (cfr. infra, par. 29 e passi dei Vangeli ivi citati). c  Gv 20, 24-29. d  Gv 13, 2-11. e  Cfr. At 7, 58. a 

b 

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G15; T25

G10; T45

G15

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G11; T22

G11; T26

Saewulf

T38

G15; T25

G21

G3; T33

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miglio da Gerusalemme verso ovest, nel luogo dove era stata tagliata la Santa Croce, era veramente stupenda: ma è stata mandata in rovina dai pagani, anche se non completamente distrutta, tranne che per gli edifici circostanti e le celle dei monaci56. Ai piedi del muro esterno della città, sul fianco del Monte Sion, c’è la chiesa di San Pietro chiamata “Canto del gallo”, dove egli si nascose in una cripta profondissima (ancora oggi visibile) dopo aver rinnegato il Signore, e lì pianse amaramente il suo peccatoa57. Circa tre miglia a ovest della chiesa della Santa Croce c’è un monastero bellissimo e molto grande in onore di san Saba, che fu uno dei settantadue discepoli del Signore Nostro Gesù Cristob; un tempo viveva lì una comunità di più di trecento monaci greci, servendo Dio e san Saba: la maggior parte dei fratelli è stata uccisa dai Saraceni, mentre alcuni servono devotamente Dio in un altro monastero dedicato allo stesso santo, all’interno delle mura cittadine presso la Torre di Davide. Il primo monastero, invece, è caduto completamente in rovina58. [22] La città di Betlemme in Giudea è distante sei miglia da Gerusalemme verso sud. Lì niente è stato lasciato dai Saraceni in condizioni tali da abitarci, ma tutto è stato devastato come in tutti gli altri luoghi santi al di fuori delle mura di Gerusalemme, tranne il monastero della Beata Vergine Maria, Madre del Signore Nostro, che è grande e stupendo59. Nella sua chiesa c’è una cripta sotto il coro, quasi al centro, dove si vede il luogo esatto della nascita del Signore, sulla sinistra; a destra invece, poco più in basso, accanto al luogo della nascita del Signore, c’è la mangiatoia a cui stavano il bue e l’asino quando il bambino Gesù fu posto nella mangiatoia davanti a loro. La pietra che nel sepolcro sosteneva il capo del Nostro Salvatore, portata lì da Gerusalemme da san Girolamo presbitero, si può vedere nella sua60 mangiatoia. Lo stesso san Girolamo, poi, riposa sotto l’altare nord di questa chiesa, mentre gli Innocenti, i neonati che al posto di Cristo neonato proprio lì furono trucidati da Erode, riposano sotto un altare nella parte Mt 26, 75; Lc 22, 61-62 (Mc 14, 72). Cfr. Lc 10, 1; nessun Saba è però menzionato dal Vangelo, e non è chiara l’origine dell’informazione riferita da Saewulf, di cui non si trova alcuna traccia nella tradizione agiografica relativa al santo. a 

b 

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Resoconto veritiero su Gerusalemme, 21-25

sud della chiesa; ugualmente riposano lì anche le due santissime donne Paola e sua figlia, la vergine Eustochio. Là c’è un tavolo di marmo, sul quale la Beata Vergine Maria mangiò assieme ai tre Magi, dopo che essi ebbero offerto i loro doni; nella chiesa, vicino alla cripta della Natività, c’è una cisterna in cui si dice sia caduta la stella, e lì si dice che vi sia anche la vasca da bagno della Beata Vergine Maria61. [23] Betania, invece, dove il Signore resuscitò Lazzaro dai mora ti , dista da Gerusalemme circa due miglia a est, dall’altra parte del Monte degli Ulivi. Lì si trova la chiesa di San Lazzaro, dove si può vedere il suo sepolcro e quelli di molti vescovi di Gerusalemme62. Al di sotto dell’altare c’è il luogo dove Maria Maddalena lavò con le lacrime i piedi del Signore Gesù, li asciugò con i suoi capelli, li baciò e li unse di unguentob63. Betfage, dove il Signore mandò avanti i suoi discepoli verso Gerusalemmec, è sul Monte degli Ulivi, ma non la si vede quasi da nessuna parte. [24] Gerico, dove si trova il Giardino di Abramo, è distante da Gerusalemme dieci leghe; la sua terra è molto fertile per gli alberi da frutto e per qualsiasi genere di palma e di frumento. Lì si trova la sorgente del profeta Eliseo, la cui acqua, pur essendo amarissima da bere e pessima per la coltivazione, divenne dolce dopo che egli la benedisse e vi gettò del saled. Una pianura bellissima si estende in ogni direzione; da lì si sale per circa tre miglia verso un monte altissimo, al luogo dove il Signore digiunò per quaranta giorni e dove fu poi tentato da Satanae. [25] Il fiume Giordano è a quattro leghe da Gerico verso est; da questa parte del Giordano fino al Mare Adriatico, cioè fino al porto che si chiama Ioppe, c’è la regione chiamata Giudea. Dall’altra parte del Giordano, invece, c’è l’Arabia, grande nemica dei criGv 11, 38-44. Lc 7, 37-38; Gv 12, 3. c  Cfr. Mt 26, 17-18; Mc 14, 12-13; Lc 22, 7-8. d  2Re 2, 19-22. L’espressione usata da Saewulf per indicare il passaggio dell’acqua da nociva a potabile (aqua… in dulcedinem uersa est) riecheggia però quella che compare nell’episodio delle acque di Mara, raccontato in Es 15, 22-25. e  Cfr. Mt 4, 1-11. a 

b 

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G12; T20; T28

T28

G6

G6; T29

G8; T31

Saewulf

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G7; T34

G1; T47

stiani e molto ostile verso tutti coloro che adorano Dio, dove si trova il monte da cui Elia fu rapito in cielo su un carro di fuocoa. E ci sono diciotto giorni di viaggio dal Giordano al Monte Sinai, dove il Signore apparve a Mosè nel fuoco di un roveto ardenteb e dove poi, per ordine del Signore, Mosè salì e rimase a digiuno per quaranta giorni e altrettante notti: e così ricevette dal Signore due tavole di pietra, su cui il dito di Dio aveva scritto, per insegnare ai figli di Israele la legge e i comandamenti che erano contenuti in quelle tavolec. [26] Ebron, dove riposano i santi patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, ciascuno con la propria moglie, e dove pure è sepolto Adamo prima creatura, dista da Betlemme quattro leghe verso sud; qui il re Davide regnò per sette anni prima di ottenere dalla casa del re Saul la città di Gerusalemmed. La città di Ebron, grandissima e bellissima, è ormai stata devastata dai Saraceni; ma nella sua parte orientale i monumenti anticamente eretti per i santi patriarchi sono cinti da una fortificazione saldissima, e ciascuno dei tre ha l’aspetto di una grande chiesa, con all’interno due sarcofagi, uno per l’uomo e uno per la donna, costruiti con ogni onore. Ancora al giorno d’oggi, il profumo del balsamo e degli aromi preziosissimi di cui i santi corpi erano stati cosparsi emana soavemente dai sepolcri e riempie le narici dei visitatori. Le ossa di Giuseppe, invece, che i figli di Israele avevano portato con sé dall’Egitto (come egli aveva fatto giurare loro)e, sono tumulate più umilmente degli altri, quasi all’estremità della fortificazione64. Non lontano da essa, la quercia sotto la quale Abramo si trovava quando vide i tre giovani scendere per la viaf è ancora verde e ricca di fronde, secondo quanto dicono gli abitanti del luogo65. [27] Nazaret, città della Galilea, dove la Beata Vergine Maria ricevette dall’angelo l’annuncio della nascita del Signoreg, è distan2Re 2, 11. Es 3, 1-2. c  Es 24, 18; 31, 18; 34, 28. d  Cfr. 2Sam 5, 5. e  Gen 50, 24-25; Es 13, 19. f  Gen 18, 1-8. g  Lc 1, 26-38. a 

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Resoconto veritiero su Gerusalemme, 25-29

te da Gerusalemme circa quattro giorni di cammino; il percorso passa per Sichem, città della Samaria che ora si chiama Neapolia66, nella quale san Giovanni Battista ricevette da Erode la sentenza di decapitazione. Lì si trova anche la Fonte di Giacobbe67, dove Gesù, affaticato dal viaggio, sedendo assetato proprio presso questa fonte, si degnò di chiedere dell’acqua a una donna samaritana che era venuta lì ad attingerne, come si legge nel Vangelob. Da Sichem il percorso prosegue verso Cesarea di Palestina, da Cesarea a Haifa e da Haifa ad Accaron; da Accaron Nazaret dista circa otto miglia verso est. La città di Nazaret è stata completamente devastata e distrutta dai Saraceni, e tuttavia una chiesa veramente stupenda mostra ancora il luogo dell’Annunciazione del Signore68. Nei pressi della città sgorga una sorgente limpidissima, ancora protetta tutt’attorno da colonne e tavole di marmo com’era un tempo, alla quale Gesù da bambino, insieme ad altri bambini, spesso attinse l’acqua per portarla alla madre69. [28] Dista circa quattro miglia da Nazaret verso est il Monte Tabor, salito sul quale il Signore si trasfigurò alla presenza di Pietro, Giovanni e Giacomo; molto ricco di erba e di fiori, esso si innalza nel mezzo della verdeggiante pianura della Galilea tanto da sovrastare in altezza anche da lontano tutti i monti circostanti. Esistono ancora i tre monasteri anticamente costruiti sulla sua cima, uno in onore del Signore Nostro Gesù Cristo, un altro in onore di Mosè, il terzo di Elia, un po’ più lontano70, secondo quanto disse Pietro: Signore, è bello per noi essere qui: se vuoi, facciamo qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia (Mt 17, 4)c. [29] Dal Monte Tabor dista quasi sei miglia verso nord-est il Mare di Galilea o di Tiberiade, che è lungo dieci miglia e largo cinque. La città di Tiberiade, invece, si trova sulla costa del mare da una parte, mentre dall’altra parte ci sono Corazìn e Betsaida, la città di Andrea e Pietrod. A circa quattro miglia dalla città di Tiberiade verso nord c’è il villaggio di Gennèsaret, dove il Signore si manifestò ai discepoli che pescavano, come testimonia il VanCorrispondente all’odierna Nablus. Gv 4, 5-26. c  L’episodio è raccontato in Mt 17, 1-8; Mc 9, 2-8; Lc 9, 28-36. d  Cfr. Gv 1, 44. a 

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G2; T41-42

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G1; T47

G1; T46

G10; T46

Saewulf

G10; T45

G1; T48

75 G6; G9; T45

geloa. Da Gennèsaret dista quasi due miglia verso est il monte sul quale il Signore Gesù saziò cinquemila uomini con cinque pani e due pescib, monte che è chiamato dalla gente del luogo “Tavola del Signore”; ai suoi piedi si trova una chiesa di San Pietro, molto bella anche se abbandonata71. Cana di Galilea, dove il Signore convertì l’acqua in vino durante una festa di nozzec, si trova su un monte a circa sei miglia di distanza da Nazaret verso nord: lì niente è stato risparmiato, tranne il monastero che si chiama dell’“Architriclino”72. Circa a metà strada tra Nazaret e la Galilea c’è un villaggio che si chiama Romad, dove vengono ospitati tutti quelli che vanno da Accaron a Tiberiade, avendo Nazaret a destra, la Galilea a sinistra. [30] A un giorno di cammino da Tiberiade verso nord si trova il Monte Libano, ai piedi del quale sgorga il fiume Giordano, da due sorgenti che si chiamano una Gior, l’altra Dan: dall’unione delle loro acque si forma un fiume molto veloce, che prende il nome di Giordano e che nasce presso Cesarea, la città del tetrarca Filippo; quando Gesù arrivò in questo territorio, interrogò i suoi discepoli dicendo: la gente, chi dice che sia il Figlio dell’Uomo? (Mt 16, 13), come racconta il Vangeloe. Dalla sorgente, il fiume Giordano correndo rapidissimo si getta da una parte nel Mar di Galilea; dall’altra parte, invece, si scava l’alveo con grande forza e scorrendo così per otto giorni di viaggio si getta nel Mar Morto. L’acqua del Giordano è più bianca di tutte le altre acque e più simile al latte, e perciò la si distingue nel Mar Morto per un lungo tratto73. [31] Dopo che, nei limiti delle nostre possibilità, avemmo visitato e venerato ogni santuario della città di Gerusalemme e del suo territorio, il giorno di Pentecostef ci imbarcammo a Ioppe per ritornare in patria; ma, per paura dei Saraceni, non osammo adGv 21, 1-14. Mt 14, 15-21; Mc 6, 35-44; Lc 9, 12-17; Gv 6, 5-13. Cfr. supra, par. 20. c  Gv 2, 1-11. d  Secondo Pringle, Churches, II, p. 162 questa Roma sarebbe l’odierna Khirbat ar-Ruma (o Khirbet Rumeh), che potrebbe corrispondere alla Ruma menzionata dalla Bibbia (2Re 23, 36) e da Flavio Giuseppe (Ios., bell. Iud. 3, 233). e  Mt 16, 13-16; Mc 8, 27-30; Lc 9, 18-21 (quest’ultimo non colloca però l’episodio in un luogo preciso). f  Era il 17 maggio 1103. a 

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Resoconto veritiero su Gerusalemme, 29-32

dentrarci in aperto Mare Adriatico come avevamo fatto all’andata, temendo la loro flotta, e passammo dunque di fronte alle città della costa, alcune occupate dai Franchia, altre tuttora in possesso dei Saraceni. Questi sono i loro nomi: la più vicina a Ioppe si chiama Arsuf nella lingua del luogo, ma nella nostra Azotob, poi c’è Cesarea di Palestina, poi Haifa; queste città sono possesso di Baldovino, il fiore dei rec. Poi invece c’è la potentissima città di Acri, che chiamano Accaron, poi Sur e Segete, cioè Tiro e Sidone, e dopo ancora Iubeletd, poi Beirut e così Tortosae, possesso del duca Raimondof, poi Gibelg, dove si trovano i Monti di Gelboe, e poi Tripoli e Liceh74: queste sono le città che abbiamo oltrepassato. [32] Ma il quarto giorno dopo Pentecostei, mentre veleggiavamo tra Haifa ed Accaron, ecco davanti ai nostri occhi ventisei navi saracene, dell’ammiraglio di Tiro e Sidone, che andavano a Babilonia con l’esercito in aiuto ai Caldei per sconfiggere il re di Gerusalemme75. Le due navi che venivano con noi da Ioppe, cariche di pellegrini, visto che erano più leggere riuscirono a fuggire a Cesarea a forza di remi, lasciando sola la nostra; i Saraceni invece, girando attorno alla nostra nave e minacciandoci da lontano alla distanza di un tiro di freccia, si rallegravano di una preda così ricca. a  Nella letteratura dell’epoca delle Crociate il termine Franci – che tradurremo sempre con “Franchi” – può indicare sia, senza distinzioni di nazionalità, gli Occidentali coinvolti nelle diverse spedizioni e stabilitisi in Terrasanta, sia, in maniera più specifica, quelli provenienti dall’attuale Francia (cfr. Crusades Encyclopedia, II, p. 470-471). b  Arsuf coincide con la città nota nell’antichità con il nome di Apollonia e in epoca bizantina come Sozusa (cfr. Crusades Encyclopedia, I, p. 97-98); è però scorretta la sua identificazione con Azoto, la moderna Ashdod, che si trova invece a sud di Ioppe (Giaffa). c  Baldovino di Buglione, conte di Edessa (1097-1100) e primo re di Gerusalemme (1100-1118), era entrato in possesso delle città menzionate nel 1101 (cfr. Crusades Encyclopedia, I, p. 132-133). d  Si tratterebbe di Biblo, oggi Jbeil. e  Odierna Tartus, in Siria. f  Raimondo di Saint-Gilles, uno dei condottieri della Prima Crociata, fu conte di Tripoli (1102-1105; la conquista della città avvenne però soltanto quattro anni dopo la sua morte, nel 1109); la presa di Tortosa avvenne il 18 febbraio 1102 (cfr. Crusades Encyclopedia, IV, p. 1011-1013). g  Si tratterebbe di Gabala, oggi Jable. h  Si tratta di Laodicea, oggi Lat(t)akia. i  Cioè il 20 maggio 1103.

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Saewulf

I nostri allora, pronti a morire per Cristo, afferrarono le armi e, come richiedeva la situazione, riempirono di armati il castello della nostra nave: si trovava infatti sul nostro dromone una scorta di circa duecento uomini. Dopo quasi un’ora, il comandante dell’esercito, consigliatosi, ordinò a uno dei marinai di salire sull’albero della sua nave, che era grandissima, per conoscere precisamente da lui quale reazione stessimo mettendo in atto. Ma quando apprese da quello la fermezza della nostra difesa, spiegate le vele essi presero il largo: così quel giorno il Signore ci strappò ai nemici con la sua grazia. Più tardi i nostri, venendo da Ioppe, catturarono tre di queste navi e si arricchirono con il loro bottino. [33] Noi invece, veleggiando come potemmo lungo la Siria palestinesea, dopo otto giornib approdammo al porto di Sant’Andreac sull’isola di Cipro; il giorno seguente, facendo vela da lì verso la Romània, oltrepassato il porto di San Simeoned e il porto di Santa Mariae, dopo molti giorni giungemmo ad Antiochia Minoref. Durante quel viaggio fummo spesso attaccati dai pirati, ma con la protezione della grazia divina non subimmo più alcuna perdita, né per l’assalto dei nemici né per l’impeto delle tempeste. Poi, proseguendo lungo l’ampia costa della Romània, oltrepassate le città di san Nicola, Stamirrag e Patara, il giorno prima della vigilia di san Giovanni Battistah arrivammo a fatica all’isola di Rodi: se la clemenza divina non ci avesse difeso, infatti, le correnti a  Come indicato da Huygens ad loc., ci si riferisce alla parte palestinese della Siria, così chiamata dall’epoca dell’imperatore Adriano. b  Probabilmente il 28 maggio 1103. c  Non esisteva un vero porto con questo nome: la nave fece probabilmente solo una sosta di rifornimento (Pryor, ‘Voyages’, p. 51). d  Attuale Samandağ, un tempo nota come Süveydiye: si trattava del porto di Antiochia alla foce dell’Oronte (Pryor, ‘Voyages’, p. 52). e  Luogo sconosciuto. f  Anche nel Medioevo questo luogo, nell’attuale baia di Attalia, non aveva porto: la nave di Saewulf deve probabilmente essersi fermata solo per un rapido rifornimento (Pryor, ‘Voyages’, p. 52). g  Pryor conferma indirettamente che si tratta di Mira (‘Voyages’, p. 52); Stamirra o sue varianti sembrano essere attestate in carte geografiche tardomedievali (cfr.  d’Avezac, Saewulf, p.  830), mentre secondo Ruggero di Howden (Rog. Houeden, chron., III, p. 158) Stamire era il nome usato dai Greci per Mira. h  Il 22 giugno 1103.

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Resoconto veritiero su Gerusalemme, 32-34

al largo della città di Attalia ci avrebbero completamente inghiottito76. A Rodi, invece, per proseguire più rapidamente77, prendemmo una nave più piccola e ritornammo di nuovo in Romània. Poi arrivammo a Strovilo, una città molto bella ma completamente distrutta dai Turchia78, e fummo trattenuti lì per parecchi giorni a causa di un forte vento contrario. In seguito giungemmo all’isola di Samo e, dopo aver fatto lì rifornimento delle provviste necessarie (come facevamo in tutte le isole), approdammo all’isola di Chio. Là, abbandonata la nostra nave insieme con i compagni, intraprendemmo il viaggio verso Costantinopoli per andarvi a pregare. Attraversammo poi la grande città di Smirneb e arrivammo all’isola di Mitilene e poi a Tenedo: qui, nel territorio della Romània, si trovava l’antichissima e famosissima città di Troia, i cui resti, secondo quanto dicono i Greci, sono ancora visibili a molte miglia di distanza. [34] Ripartiti da lì, arrivammo allo stretto di mare che si chiama “Braccio di San Giorgio”, che separa due terre, cioè la Romània e la Macedonia, e attraversatolo arrivammo a San Femioc79, avendo la Grecia a destra e la Macedonia a sinistra80. La città di san Femio vescovo si trova sulla sponda macedone del Braccio, mentre un’altra città, che si chiama Savited, si trova sulla sponda greca, in maniera tale che ci sono due o tre tiri di balestra da una città all’altra: si dice che esse siano le chiavi di Costantinopoli. Da lì, poi, oltrepassammo via mare Gallipolie e San Giorgiof81 e Paniadog Il luogo in cui Saewulf arriva sarebbe l’isola di Kara Ada, antica Arconneso (o Arcos). b  Corrispondente all’attuale città turca di Izmir, Smirne fu un porto famosissimo per tutto il Medioevo, sia sotto la dominazione turca sia sotto quella bizantina (Pryor, ‘Voyages’, p. 54). c  Potrebbe trattarsi dell’attuale Eceabat o del porto maggiore della città di Sesto. d  Si tratta di Abido; Savite è solo una delle molte varianti del suo nome (Pryor, ‘Voyages’, p. 55). e  Si tratta della turca Gelibolu, allora il più importante porto dello stretto dei Dardanelli (Pryor, ‘Voyages’, p. 55). f  Ci si riferisce all’estremità della penisola dell’antica Gallipoli, ma non è chiaro a quale sito si alluda precisamente. g  Si tratterebbe di Barbaros o Panizo, sulla costa poco a sud di Tekirdağ, uno scalo poco importante e privo di un vero porto (Pryor, ‘Voyages’, p. 56). a 

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e altre splendide città della Macedonia, e arrivammo alla città di Rotostocaa il giorno dopo la festa di san Micheleb. Poi, ripartiti da lì, arrivammo all’illustre città di Racleac, dove secondo i Greci Elena fu rapita da Paride Alessandro82.

Note di commento Il solo manoscritto attualmente noto del testo di Saewulf legge tantum: l’espressione dovrebbe quindi essere tradotta “decisi di annotare soltanto”. Il senso richiederebbe però piuttosto un tamen, “tuttavia”: data l’estrema vicinanza paleografica dei due termini (tanto più se abbreviati, cosa che poteva darsi nel modello del nostro manoscritto) abbiamo deciso di correggere il testo rispetto all’edizione e di tradurre di conseguenza. 2. Come segnala Pryor, ‘Voyages’ (p. 35-36), la Puglia aveva a quell’epoca un’importanza fondamentale come luogo di partenza per l’Oriente (anche alcuni contingenti crociati si erano imbarcati qui) ed era una regione prospera ed attiva dopo due secoli di dominazione bizantina e la recente conquista normanna. La mancanza di una nave cui allude Saewulf al paragrafo precedente si spiega anche alla luce della data piuttosto tarda: il periodo migliore per salpare alla volta della Terrasanta era infatti la primavera; ma Saewulf deve essere arrivato all’inizio di luglio a Monopoli e non ha potuto trovare una nave disponibile a compiere la traversata in alto mare alla volta di Giaffa anche per l’enorme numero di pellegrini, mercanti e soldati che desideravano affrontare lo stesso viaggio. 3. Santa Mildred ( fl. 716-733 ca.), figlia di Merewalh, re del Magonsete (Mercia), e di Domneva (Domne Eafe), fu badessa del monastero fondato dalla madre sull’isola (ora penisola) di Thanet, all’estremi1.

a  L’attuale città turca di Tekirdağ, anch’essa non un vero porto, ma solo un approdo per rifornimenti (Pryor, ‘Voyages’, p. 56). b  Il 30 settembre 1103. c  L’attuale Marmara-Ereğlisi era il porto più importante sulla costa nord del Mar di Marmara (Pryor, ‘Voyages’, p. 56).

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tà orientale del Kent; anche le sue sorelle Mildburg e Mildgit sono venerate come sante. Le sue reliquie furono al centro di un’accesa disputa all’inizio dell’XI secolo (a seguito della devastazione del suo monastero ad opera dei Danesi nel 1011), che si concluse nel 1030 con il loro trasferimento presso l’abbazia di Sant’Agostino di Canterbury (cfr. Rollason, ‘Mildrith’; BHL 5960-5964; Bibl. Sanct., IX, col. 479-482). Non sembra che il culto di questa santa fosse legato a un luogo particolare e che quindi questo possa aiutare a definire meglio le origini di Saewulf. 4. Secondo una credenza attestata anticamente presso vari popoli, certi giorni nel corso dell’anno erano di cattivo auspicio e conveniva astenersi in essi da determinate attività (meglio ancora se da tutte o quasi). A partire dalla Tarda Antichità e poi nel Medioevo questi giorni, definiti aegyptiaci (il termine usato anche da Saewulf qui e poco oltre, par. 3), vennero stabiliti più precisamente: per il mese di luglio i giorni sfortunati erano il 13 e il 22, esattamente i due a cui fa riferimento qui il nostro autore (cfr.  Blackburn – Holford-Strevens, Companion to the Year, p. 590-592). Per l’uso del termine (a)egyptiacus si vedano anche Aug., in Gal. 35, 3-7 e DMLBS, s.v.; dà una spiegazione più dettagliata della questione, insieme ad un curioso distico esametrico utile a ricordare quali sono i dies aegyptiaci per ogni mese, Guill. Dur., rationale 8, 4, 20. 5. Cefalonia era il capoluogo della provincia bizantina nelle isole ioniche; Roberto il Guiscardo vi aveva fondato una nuova città (Porto Guiscardo, moderna Fiskardo) che ne divenne rapidamente il porto principale, quello a cui attraccò presumibilmente anche Saewulf (Pryor, ‘Voyages’, p. 39). Il celebre condottiero normanno morì di febbre su quest’isola il 17 luglio 1085 (cfr. DBI, LXXXVII, s.v.); anche l’italiano Cristoforo Buondelmonti (cfr. DBI, XV, s.v.), che visitò varie isole della Grecia nei primi decenni del ’400, ricorda la morte del Guiscardo, ma la colloca (con qualche confusione) sull’isola di Zacinto (Bond., Liber insularum, p. 50). Rimane in dubbio se la menzione di tale evento da parte di Saewulf dipenda semplicemente dalla fama del personaggio o se essa possa nascondere un legame più preciso con ambienti normanni e una specifica conoscenza della loro storia recente. 6. Pryor, ‘Voyages’ (p. 37-40) sottolinea che il viaggio di Saewulf da Monopoli a Corinto è stato estremamente lento (ben ventotto giorni) per gli standard dell’epoca, per di più in un periodo dell’anno in cui le condizioni atmosferiche erano generalmente favorevoli. Ci si

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domanda anche quali siano i disagi che Saewulf e compagni hanno affrontato a Corinto: ostacoli posti dagli ufficiali bizantini o dalla ricerca di un’altra nave, non andata a buon fine? Il termine Stivas (correzione degli editori per lo stinas del codex unicus) è una corruzione del nome greco della città, cioè Θῆβαι/Θῆβας (Thēbai/Thēbas): oltre alle mutazioni di pronuncia tipiche del greco bizantino (beta > v, eta > i), la s iniziale è interpretata come conseguenza di un fenomeno di risegmentazione della -s finale all’interno di un sintagma assai comune con nome di città come εἰς Θῆβας (eis Thēbas), “a Tebe”, “verso Tebe” (cfr. Reece, Homer’s Winged Words, p. 167 e n. 9). “Estives” è la forma che si trova nelle testimonianze in volgare francese (cfr. ad es. Bon, ‘Forteresses’, p. 187); si confronti il greco moderno Thiva. Il nome di “Negroponte” con cui gli Occidentali indicavano l’isola di Eubea è stato spiegato come deformazione, attraverso vari passaggi fonetici, della denominazione greca νῆσος τοῦ Εὐρίπου (nēsos tou Eurìpou), “isola dell’Euripo”, dal nome del canale che la separa dalla terraferma (cfr. ad es. Koder, Negroponte, p. 63-64). Sarebbe invece una falsa etimologia quella che riconduce il termine al ponte che nella Tarda Antichità, e poi alla fine del Medioevo, doveva collegare l’isola al continente (cfr. Pryor, ‘Voyages’, p. 40-41). Pryor, ‘Voyages’ (p.  40) suggerisce che Saewulf abbia preso una nave bizantina il cui compito primario era quello di navigare lungo la costa e di fermarsi nelle diverse isole dell’Egeo a scopi commerciali: ciò spiegherebbe il fatto che, come si dice nei paragrafi successivi, egli fu costretto a risalire verso nord fino a Mitilene prima di ridiscendere verso la Terrasanta. Si tratta del celebre Dionigi l’Areopagita, uno dei pochi Ateniesi che si convertirono a Cristo dopo il discorso tenuto da san Paolo nella città (At 17,  15-34). Egli è tradizionalmente ritenuto l’autore di alcuni opuscoli teologici (noti nel loro insieme come Corpus Dionysiacum), in realtà prodotti all’inizio del VI secolo, probabilmente a Costantinopoli, in un ambiente cristiano con forti influssi neoplatonici, nel tentativo di proporre una soluzione autorevole alle tensioni in corso nel Cristianesimo dell’epoca. Il Corpus ebbe poi un’importante incidenza sul pensiero medievale grazie alle traduzioni latine realizzatene fin dalla prima metà del IX secolo (Aa. Vv., ‘Dionysius Areopagites’; per uno studio più approfondito e innovativo dell’intera questione si veda Mainoldi, Dietro ‘Dionigi l’Areopagita’).

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La chiesa menzionata da Saewulf altro non è che il Partenone, fin da epoca tardoantica convertito in chiesa cristiana. In van der Vin, Travellers, I, p. 199-200, la testimonianza di Saewulf a proposito di una lampada che non si spegne mai viene messa in relazione con fenomeni simili attestati per altri luoghi (forse da spiegare pensando a giochi di luce creati da pietre preziose) e con quanto riferito dal notaio italiano Nicola de Martoni, che alla fine del ’300 vide in questa chiesa lumen ignis accensi quod nunquam extinguitur (“una fiamma che non si spegne mai”: Martoni, Pellegrinaggio, p. 140-141 = Le Grand, ‘Relation’, p. 652; per una presentazione generale del suo racconto di viaggio si veda, oltre alle edizioni citate, Ligato, ‘Diario di pellegrinaggio’). Un’informazione analoga è riportata nel Liber de uariis historiis di Guido da Pisa, che ricorda come ad Atene, nel tempio dedicato alla Vergine Maria, si trovi una luce divina che non si può spegnere (Guido Pis., liber 110, p. 136, r. 61-67; l’informazione che ci interessa è sicura, ma il passo che la contiene è piuttosto corrotto). Le testimonianze di Saewulf e di Guido, nel contesto più generale della storia medievale del Partenone come tempio cristiano, sono brevemente analizzate da Kaldellis, Christian Parthenon, p. 107-109 (che contiene anche, alle p. 196-206, un’appendice dedicata alla questione della luce miracolosa descritta dalle fonti). Per un altro episodio di “illuminazione soprannaturale” si veda invece Teodorico, par. 8. 12. Scindalia (cfr.  italiano “zendale”) e sciamiti (dal greco ἑξάμιτος, hexàmitos, “a sei fili”) sono preziosi tessuti di seta la cui produzione contribuì ad arricchire l’isola di Andros nel corso del XII secolo (Pryor, ‘Voyages’, p. 41; Polemis, ‘Andros’, in part. p. 12-13). 13. Patmo era rimasta praticamente deserta dal VII fino all’XI secolo, quando la costruzione del monastero di San Giovanni e la costituzione di una sua propria flotta mercantile la resero prospera (Pryor, ‘Voyages’, p.  44). Secondo la tradizione, Giovanni fu esiliato in questo luogo all’epoca dell’imperatore Domiziano, e più precisamente nell’anno 94 d.C. (Hier., chron., p. 192, r. 1-4, e uir. ill. 9, 6; Oros., hist. 7, 10, 4-5); sciolto dall’esilio alla morte di Domiziano, nel 96 d.C., egli potè rientrare ad Efeso, dove morì in tardissima età attorno al 100 (Hier., chron., p. 193, r. 7-10, e uir. ill. 9, 7; Oros., hist. 7, 11, 2). È nell’agiografia dello Pseudo-Mellito (BHL 4320) che si racconta che egli sarebbe entrato da solo nel proprio sepolcro; la storia è ripetuta anche, ad esempio, da Gregorio di Tours (Greg. Tur., Franc. 1, 26) e Orderico Vitale (Ord. Vit., hist. 2, 5). 11.

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In realtà era un altro celebre medico greco, Ippocrate, ad essere originario di Coo; Galeno invece veniva da Pergamo (oggi la città di Bergama in Turchia). Qualche secolo dopo due viaggiatori italiani, Nicola de Martoni (fine XIV sec.; Martoni, Pellegrinaggio, p. 128129  = Le Grand, ‘Relation’, p.  644) e Cristoforo Buondelmonti (primo quarto del XV sec.), riferiscono di aver visto a Coo i resti della casa di Ippocrate (cfr. van der Vin, Travellers, I, p. 245-246). 15. Secondo la tradizione, però, Tito (Bibl. Sanct., XII, col. 503-505) fu evangelizzatore e vescovo di Creta, come si ricavò dalla lettera a lui indirizzata da san Paolo (Tt 1, 5); non è chiaro il motivo della confusione di Saewulf. 16. Rodi era al crocevia delle rotte che portavano dal Levante all’Egeo e dall’Occidente all’Egitto e alla Terrasanta. Nonostante ripetuti attacchi da parte dei musulmani nei primi secoli del Medioevo, l’isola era rimasta bizantina e all’epoca del viaggio di Saewulf sperimentava probabilmente una nuova fase di prosperità (Pryor, ‘Voyages’, p. 46). 17. Si tratta in realtà degli abitanti di Colosse, una città non molto lontana da Efeso. La stessa informazione data da Saewulf è spesso ripetuta dagli autori medievali che parlano di Rodi; nonostante qualche dubbio fosse già sorto in precedenza, il primo a distinguere chiaramente i due luoghi fu Erasmo nelle sue In Novum Testamentum Annotationes (cfr. van der Vin, Travellers, I, p. 242). 18. Non è chiaro a quale episodio storico faccia qui riferimento Saewulf, né quale sia la città indicata come “Alessandria”. Secondo Wright, Early Travels (p. 33) si tratterebbe di Alessandretta (odierna İsken­ derun, in Turchia), sul primo tratto della costa mediterranea che poi scende verso Libano e Palestina: piuttosto distante, quindi, dall’isola di Kekova visitata da Saewulf. 19. Non è chiaro il motivo per cui Saewulf qui, poco oltre e ancora ai par.  25 e 31 usi questa spiazzante definizione di “Mare Adriatico” per indicare il Mediterraneo orientale; non è stato possibile reperire una fonte precisa ed esplicita a giustificazione di quest’uso, che non pare tuttavia completamente isolato. Nell’Antichità classica, infatti, deve aver avuto una qualche diffusione l’opinione che l’Adriatico si addentri nel continente da est verso ovest (si pensi d’altronde all’orientamento delle mappe antiche, ruotato di 90° verso ovest rispetto alle abitudini moderne), il che potrebbe aver favorito l’indebita estensione dei suoi confini verso Oriente. Orosio (ripreso nel XII secolo da Ugo di San Vittore in Descriptio mappae mundi, 28), ad esempio, parla di Creta come delimitata a sud dal Mare Libico, 14.

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quod et Hadriaticum vocatur, “chiamato anche Adriatico” (1, 2, 97; cfr. Oros., hist., I, p. 41 e 374); Iacopo da Varazze, invece, nella vita di san Nicola inclusa nella sua Legenda Aurea (3, 67), riferisce che tre generali romani furono invitati a pranzo dal santo dopo essere stati costretti dal cattivo tempo ad attraccare portui Adriatico, “in un porto adriatico” (Iac. Var., leg. aurea, I, p. 48-49). Quest’ultima occorrenza, tra l’altro, appare per il nostro caso particolarmente interessante, dato che Saewulf colloca proprio a Mira, la città di san Nicola, “il porto del Mar Adriatico”. Il sepolcro di san Nicola a Mira era vuoto dal 1087, quando alcuni marinai baresi trasportarono il corpo del santo nella propria città (cfr. BHL 6179-6199, e il recente studio di Silvestro, Santi, reliquie e sacri furti). Finike era un porto posto sugli attuali fiumi Basgöz e Tara. Fu una base bizantina molto importante e teatro di una disastrosa sconfitta per mano degli Arabi nel 655; nel XII secolo era nota come “Porto dei Pisani”, in quanto rifugio dei pirati di questa città che saccheggiavano le navi sulla rotta tra Rodi e l’Oriente (Pryor, ‘Voyages’, p. 47-48). In At 13, 1-4 i capi della Chiesa di Antiochia si riuniscono e inviano in predicazione a Cipro Paolo e Barnaba: ma non è chiaro se sia questo il passo a cui pensa Saewulf, che in effetti parla di una vicenda piuttosto differente. Gli Atti degli apostoli testimoniano della presenza di Pietro a Giaffa, anche se non parlano di un suo passaggio per Cipro né del suo ruolo di capo della Chiesa di Antiochia; quest’ultima carica gli è però riconosciuta dalla tradizione cristiana almeno fino dai tempi di Girolamo (cfr. Hier., uir. ill. 1, 1). La città di Giaffa sorgeva su una collina ed era priva di un vero porto: le navi più piccole venivano probabilmente ancorate tra le rocce in un’insenatura poco profonda, quelle più grandi rimanevano invece al largo. Questa doveva essere la situazione quando si scatenò la tempesta che Saewulf sta per descrivere, e la completa distruzione di molte navi, scagliate con violenza sulle rocce, è dunque perfettamente comprensibile (Pryor, ‘Voyages’, p. 48-49). Per informazioni più generali su Giaffa in epoca crociata si può vedere Pringle, Churches, I, p. 264-267; ibid., no 109 per la chiesa menzionata al paragrafo successivo, che pellegrini più tardi dicono essere dedicata a san Pietro. Si osservi che, nonostante quest’ultimo sia già associato alla città da alcuni episodi raccontati negli Atti degli apostoli, un edificio di culto a suo nome non è attestato prima del VI secolo.

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Il manoscritto di Saewulf porta una correzione da un iniziale turbarum (“folle”) a tubarum (“trombe”). L’editore ha ritenuto tale correzione appropriata, poiché riecheggia una iunctura virgiliana (Verg., georg. 4, 72: sonitus imitata tubarum, “[voce] che imita il suono delle trombe”); egli stesso segnala però che turbarum sarebbe altrettanto appropriato come eco di Is 17, 12 (vae multitudo populorum multorum ut multitudo maris sonantis et tumultus turbarum sicut sonitus aquarum multarum, “Ah, il tumulto di popoli immensi, tumultuanti come il tumulto dei mari, fragore di nazioni come lo scroscio di acque che scorrono veementi!”). Abbiamo ritenuto la seconda possibilità più verosimile e più adeguata al contesto, e abbiamo quindi ignorato nella nostra traduzione la correzione del manoscritto. 25. Per i diversi tipi di nave in uso all’epoca e in questo contesto si veda Pryor, ‘Voyages’, p.  49-50. Dromundus indicava ormai genericamente ogni tipo di grande nave, mentre il cattus era propriamente una galera dotata di rematori e così il gulafrus, ma probabilmente più larga del consueto. 26. Seppur con toni molto meno drammatici, il rischio per i pellegrini di essere attaccati dai Saraceni lungo le vie di montagna (in questo caso fra Betlemme ed Ebron) è ricordato anche dall’abate russo Daniil, che visitò la Terrasanta pochi anni dopo Saewulf (Daniil, Itinerario, p. 121-122; cfr. anche p. 136-137). 27. La Porta di Davide (cfr. Boas, Jerusalem, p. 50-53) fu, a partire dalla ricostruzione di Gerusalemme nel II sec. d.C., uno dei due accessi principali alla città per chi veniva da Giaffa e Betlemme; era posta al centro del muro ovest, probabilmente di fronte alla Torre di Davide (prima dell’ampliamento della città negli anni Sessanta del XII secolo). Per la storia e la descrizione del Santo Sepolcro e degli edifici annessi si veda Pringle, Churches, III, no 283 (cfr. anche Boas, Jerusalem, p. 102-109); che tale chiesa sia la prima a cui rivolgersi in ragione della disposizione delle strade lo scrive già Beda, loc. sanct. 2, 1 (ingressis ergo a septemtrionali parte urbem primum de locis sanctis pro conditione platearum diuertendum est ad ecclesiam constantinianam, quae martyrium appellatur, “entrati dunque in città da nord, per primo fra i luoghi santi si deve andare, a causa della disposizione delle strade, alla chiesa costantiniana, che si chiama Martirio”), che Saewulf pare non solo evocare, ma perfino correggere, precisando che si tratta anche del luogo santo più importante di tutti. Secondo il racconto di Girolamo, nel 135, quando Adriano ristabilì una colonia romana a Gerusalemme (rinominata Aelia Capitolina), sul 24.

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luogo in cui si credeva che Cristo fosse morto, fosse stato sepolto e fosse risorto fu edificato un tempio di Venere; questo sito era originariamente fuori dalle mura, ma la città si era intanto espansa fino ad includerlo. Nel 324 Costantino ordinò di distruggere il tempio di Venere e, su suggerimento del vescovo di Gerusalemme Macario (il Massimo di Saewulf?), volle far edificare nei pressi una basilica di straordinaria bellezza, che fu dedicata il 13 settembre 335. Nel 348 anche il luogo della Resurrezione fu racchiuso in un edificio. La pellegrina Egeria intorno al 384 definì il complesso come basilica dell’Anastasis, cioè della Resurrezione, e la basilica voluta da Costantino come “Martirio” in quanto posta sul Golgota “dietro la Croce”. Al periodo di costruzione della basilica daterebbe anche la scoperta del frammento della Croce, che dall’inizio del V secolo fu associata a Elena, madre di Costantino, nonostante ella non abbia avuto alcun ruolo nei lavori (per un’analisi generale di questa tradizione rimandiamo a Drijvers, Helena Augusta). Saccheggiato e distrutto nel 614 dai Persiani, il complesso fu in seguito ricostruito, e la reliquia della Croce, sottratta dall’imperatore Eraclio ai Persiani, fu restituita nel 629 o nel 630 (Zuckerman, ‘Heraclius’). Dal 638, sotto la dominazione musulmana, l’edificio sperimentò numerosi momenti di distruzione e ricostruzione, in ragione di una situazione politica mutevole e di rapporti di volta in volta differenti con i dominatori; grazie ad un accordo con questi ultimi, l’imperatore bizantino potè infine riedificarlo intorno al 1040. La modifica più significativa, come si desume dalle testimonianze di vari pellegrini di epoca successiva, consistette nel fatto che la basilica di Costantino non fu più ricostruita, e la sola Anastasis divenne al contempo cattedrale e santuario. Saewulf identifica dunque a torto la chiesa che descrive con quella di Costantino ed Elena; quest’ultima era invece la grande chiesa che sorgeva sul luogo del ritrovamento della Croce e fu poi distrutta interamente dai pagani. 28. Il nome attribuito ad Adriano, cioè Elia, è chiaramente scorretto, e la confusione deriva dal fatto che la gens dell’imperatore era chiamata Aelia. Erronea è ovviamente anche l’interpretazione del nome dato alla città (Aelia Capitolina, in onore di Adriano stesso e del dio Giove) come “casa di Dio”, che potrebbe forse derivare dalla pretestuosa identificazione nel nome latino Aelia del termine ebraico adoperato per Dio (El). Ancora, se Adriano ricostruì Gerusalemme nel 135, egli non fece evidentemente lo stesso per il Tempio; d’altra parte la città e il Tempio erano già stati ampliati in precedenza ad

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opera di Erode il Grande. Le notizie che Saewulf riporta alla fine del paragrafo a proposito della storia di Gerusalemme (sulla quale si veda, più in generale, Aa. Vv., ‘Jerusalem’; Dizionario della Bibbia, p. 372-377; per uno studio di più ampio respiro rimandiamo al recente Lemire, Gerusalemme) derivano, per sua stessa ammissione, da tradizioni locali, che potevano essere confuse e in parte leggendarie; è però vero che la città fu conquistata e distrutta più volte, dall’epoca di Nabucodonosor fino al recente trionfo crociato. 29. Questi luoghi sono descritti da Pringle in relazione al Santo Sepolcro (Churches, III, no 283) e si ritrovano in testimonianze, anche più accurate, contemporanee e successive a Saewulf. Originariamente nel cortile antistante la rotonda, essi furono inclusi nell’edificio vero e proprio in occasione dei lavori di ampliamento risalenti alla metà del XII secolo: l’espansione verso est della chiesa le conferì l’aspetto descritto più tardi da Giovanni di Würzburg e Teodorico. 30. Come già segnala Huygens, l’informazione non si trova né in Agostino né nel Liber Sententiarum di Prospero d’Aquitania (una raccolta di brani rilevanti tratti appunto dalle opere del vescovo di Ippona), ma nel De situ et nominibus locorum Hebraicorum, traduzione di Girolamo dell’Onomastikon di Eusebio di Cesarea (Hier., sit. et nom., p. 7, dove si ricordano anche alcuni luoghi paralleli in altre opere dello Stridonense). 31. Questa chiesa di Santa Maria viene ricordata anche da fonti poco più tarde di Saewulf (cfr. Pringle, Churches, III, p. 19); doveva trovarsi a est della chiesa del Santo Sepolcro, in una sorta di cortile. Poco prima della metà del XII secolo, la già ricordata opera di ampliamento (cfr. n. 29) portò però ad una serie di nuove edificazioni proprio in quest’area. 32. Il testo CEI traduce “ha operato la salvezza nella nostra terra”, ma in questo caso ci siamo mantenuti più fedeli alla versione della Vulgata riportata da Saewulf, perché non si perda il senso della citazione. Il sito è menzionato da Pringle (Churches, III, p. 22) perché, in seguito ai lavori di ampliamento citati alla nota precedente, nel 1160 esso non si trovava più nel cortile, ma al centro del cosiddetto chiostro dei Canonici (cfr. Giovanni, par. 17-19 e Teodorico, par. 9). Esistevano varie tradizioni a proposito dell’esatto luogo da identificare con il centro della terra, in ogni caso collocato a Gerusalemme o nei pressi della città, anche sulla base dell’autorità di un passo del commento ad Ezechiele di Girolamo (Hier., in Ezech. 2, 5, p. 56): mentre la tradizione ebraica tendeva a porlo nella zona dell’antico Tempio,

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fra i cristiani era prevalente l’associazione con l’area del Santo Sepolcro, centro “spirituale” della città; l’unica eccezione pare essere rappresentata da Teodorico (par. 16), che colloca il centro del mondo nei pressi della chiesa del Templum Domini, sorta appunto sul sito dell’antico tempio giudaico (Wright, Geographical Lore, p.  259261; French, ‘Journeys to the Center’; Macleod Higgins, ‘Defining the Earth’s Center’, in part. p. 34-39; Schein, Gateway, p. 141157). Il termine “Compas” utilizzato da Saewulf si ritrova anche, un paio di secoli più tardi, nel racconto di viaggio di John Mandeville (cfr. Tzanaki, Mandeville’s Medieval Audiences, p. 101-102). L’abate Daniil pare essere l’unico a parlare di un mosaico che riconosce espressamente a questo sito il ruolo di centro della terra, con un’iscrizione in cui Cristo precisa che qui “con il mio palmo ho misurato il cielo e la terra” (cfr. Is 40, 12; Daniil, Itinerario, p. 86): forse non è un caso che anche Saewulf si esprima in maniera piuttosto simile. 33. L’episodio cui si allude è narrato nella Vita di Maria Egiziaca, tradotta dal greco da Paolo di Napoli verso la fine del IX secolo (in PL, 73, col. 682-683; BHL 5415); lo si trova anche nel passaggio riportato all’interno della versione latina degli atti del Concilio Niceno II (786-787) procurata da Anastasio Bibliotecario (IX secolo; PL, 129, col. 314-315; BHL 5416); cfr. inoltre Hildeb., uita Marie Egypt., v. 501 ss. Pringle, Churches, III, p. 14, 26 e 33 fa allusione a quest’icona della Vergine che parlò a Maria Egiziaca: sostitutiva di quella posta anticamente nella basilica di Costantino, essa sarebbe stata vista da un anonimo pellegrino intorno al 1080 e sarebbe poi sopravvissuta fino al tardo Medioevo. 34. Pringle, Churches, III, no 334; Boas, Jerusalem, p. 122-125. Non è chiaro quando sia stata fondata questa chiesa: un hospitium associato ad una chiesa di Santa Maria esisteva già a Gerusalemme intorno all’860, ma non si sa se ci sia stata continuità fisica o istituzionale tra questa chiesa e quella descritta da Saewulf, che doveva esistere almeno nel 993, quando ricevette delle donazioni da Ugo, marchese di Toscana. Probabilmente per rimediare alla distruzione del 1009 voluta dal califfo al-Hākim, nell’XI secolo alcuni mercanti amalfitani ottennero dai Fatimidi il permesso di edificare a Gerusalemme un ospedale per i pellegrini occidentali (cioè l’ospedale di San Giovanni Battista, cfr. n. 36) e costruirono una chiesa di Santa Maria vicino alla porta del Santo Sepolcro, associata ad un’abbazia benedettina. C’è disaccordo fra le fonti sul fatto che Maria abbia davvero assistito alla Crocifissione in questo luogo e che qui si trovasse la sua casa.

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Pringle, Churches, III, no  335; Boas, Jerusalem, p.  125. Questa chiesa fu in origine quella del convento femminile dedicato a santa Maria Maddalena, che i mercanti amalfitani menzionati alla nota precedente eressero durante l’XI secolo insieme all’abbazia di Santa Maria Latina. Si osserva nelle fonti una certa confusione tra le due vicine chiese con le rispettive comunità monastiche, tanto che questa, che per Saewulf è la “Piccola”, per Giovanni di Würzburg (par. 21) è invece “Santa Maria Maggiore”. 36. Pringle, Churches, III, no 322-323; Boas, Jerusalem, p. 121. Secondo la tradizione questo ospedale, fondato per volere di alcuni mercanti amalfitani (cfr. n. 34 e 35), sorse nel luogo in cui san Giovanni Battista era nato ed era stato allevato. Saewulf non è chiarissimo, ma il complesso comprendeva i due monasteri precedentemente menzionati e l’ospedale vero e proprio, ad un certo momento separato dagli altri edifici a causa dell’ingente afflusso di pellegrini; in esso si trovava un altare o una cappella con dedica al Battista. 37. Pringle, Churches, III, no  367; Boas, Jerusalem, p.  109-110. Sae­ wulf, come sostanzialmente tutti all’epoca, era convinto che la chiesa del Templum Domini (oggi Cupola della Roccia) coincidesse con il Tempio della tradizione ebraica, di cui avrebbe ereditato forma e posizione. Come si comprende da quanto scrivono Giovanni (par. 2 e 5) e Teodorico (par. 15 e 42), l’identificazione di questo luogo con quello in cui Giacobbe avrebbe sognato la scala che toccava il cielo (vedi infra in questo stesso paragrafo) è scorretta; la confusione attestata da Saewulf deriva probabilmente dal fatto che anche quel luogo fu chiamato Betel come quello qui descritto. Esistono invece paralleli per l’identificazione della grotta scavata sotto la roccia al centro dell’edificio con il Santo dei Santi del Tempio di Salomone (cfr. infra nel testo). Infine, la pietra su cui si vedrebbero le tracce dei piedi del Signore (par. 15) potrebbe essere la stessa le cui impronte erano state in precedenza attribuite a Abramo e Isacco oppure a Maometto. 38. Entro il tardo VI secolo la Porta Bella era identificata con quella che poi sarà chiamata Porta Aurea, sul lato est del cortile del Tempio, dove effettivamente secondo At 3, 1-10 Pietro e Giovanni curarono lo zoppo. Non è chiaro come si sia arrivati a identificare questa, sul lato ovest, come Porta Bella, mentre per la confusione su quella a est Pringle indica una possibile ragione linguistica, cioè la sovrapposizione tra il termine greco per “bella”, ὡραία, hōràia (soprattutto se si pensa alla pronuncia bizantina, in cui il dittongo ai è letto e) e il latino aurea (cfr. Pringle, Churches, III, no 293; cfr. anche Boas, Jerusalem, p. 63-64).

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Pringle, Churches, III, no  293. Questa porta, che metteva in comunicazione l’area del Tempio con la valle di Giosafat e il Monte degli Ulivi, era in precedenza identificata con la Porta Bella nominata negli Atti degli apostoli (cfr. n. 38). Risale almeno al VII secolo la tradizione secondo cui Gesù sarebbe entrato a Gerusalemme per la Porta Aurea il giorno delle Palme (cfr. Ps. Beda, Omil. 3, 115, in PL, 94, col. 507), mentre del ritorno di Eraclio dalla Persia nel 629 o 630 e del relativo miracolo parla già Rabano Mauro (Omil. 70, in PL, 110, col. 133-134); entrambe le associazioni sono comuni nelle fonti del XII secolo. 40. Pringle, Churches, III, no  368-369; cfr.  anche Boas, Jerusalem, p. 79-80. L’edificio, noto anche come palazzo di Salomone, divenne più tardi la sede principale dell’ordine dei Templari (cfr. Giovanni, par. 22, e Teodorico, par. 17). 41. Pringle, Churches, III, no 339; cfr. anche Boas, Jerusalem, p. 132. L’associazione di questo luogo con Simeone (che qui avrebbe avuto la propria casa) inizia a comparire solo in tempi posteriori al viaggio di Saewulf, giacché si ritrova in Giovanni (par. 22) e Teodorico (par. 18). 42. Pringle, Churches, III, no 305; Boas, Jerusalem, p. 114-119. Già nel VII secolo è attestata l’identificazione di questa chiesa con il luogo in cui Anna e Gioacchino abitarono e in cui nacque Maria. Distrutta nel corso dell’XI secolo, e forse non ancora ricostruita al momento della conquista cristiana della città nel 1099, probabilmente non molto tempo dopo la visita di Saewulf ad essa fu associata una comunità monastica femminile (ricordata sia da Giovanni, par. 23, che da Teodorico, par. 26). 43. Pringle, Churches, III, no 366; Boas, Jerusalem, p. 175-176. L’esistenza di una chiesa presso la piscina Probatica è attestata fin dalla Tarda Antichità, ma non è sempre chiaro dalle fonti se si tratti della stessa che Saewulf ha appena descritto come chiesa di Sant’Anna o di una diversa. In ogni caso, sembra di poter capire da altri resoconti che verso la fine del XII secolo la piscina Probatica iniziò ad essere dotata di un proprio luogo di culto (cfr. Teodorico, par. 26). Nel testo dell’edizione compare una superprobatica piscina, ma l’aggettivo in questione non esiste; il passo corrispondente del Vangelo di Giovanni (5,  2) parla infatti di una piscina super Probatica, dove Probatica significa “Porta delle Pecore”: Est autem Hierosolymis, super Probatica, piscina, quae cognominatur Hebraice Bethsaida, quinque porticus habens, “A Gerusalemme, presso la Porta delle Pecore, vi è 39.

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una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici”. Pringle, Churches, III, p. 390 suggerisce che con superprobatica (“upper Sheep Pool”) Saewulf avrebbe voluto distinguere la piscina che descrive da un’altra subito a sud: ma il fatto che manchi qualunque riferimento a quest’ultima toglierebbe senso alla distinzione. Come ipotesi estrema si potrebbe supporre che Saewulf fosse davvero convinto che la piscina si chiamasse “superprobatica”, ma la circostanza appare meno probabile di un banale lapsus del copista che avrebbe qui mancato di distinguere correttamente le due parole (tanto più che non è infrequente nei manoscritti trovare una preposizione e il termine da essa retto scritti molto vicini, se non proprio senza spaziatura). Pringle, Churches, III, no 337; Boas, Jerusalem, p. 119-121. Non si sa con esattezza chi abbia fatto costruire questa chiesa di Santa Maria, ma essa esisteva certamente nel 451 e già nel VI secolo era riconosciuta come luogo di sepoltura della Madre di Cristo. La comunità monastica a cui Saewulf fa riferimento è senz’altro quella installatavi da Goffredo di Buglione in seguito alla conquista di Gerusalemme, formata da monaci che lo avevano accompagnato durante la Crociata; in seguito essa risulta strettamente legata a Cluny. Pringle, Churches, III, no 292. Entro il VI secolo il luogo in cui gli apostoli si addormentarono e Gesù fu arrestato, presso il quale sorse in seguito una chiesa indipendente, era stato associato con la sede della tomba di Maria, nella chiesa appena menzionata da Saewulf. Pringle, Churches, III, no  357. Una chiesa (poi conosciuta come San Salvatore al Getsèmani) fu qui costruita già intorno al 380; in seguito essa fu probabilmente abbandonata e andò distrutta, anche se il luogo in cui il Signore pregò rimase sempre noto. Una cappella vi sarebbe stata eretta all’indomani della presa di Gerusalemme da parte dei Crociati, e in effetti i primi visitatori dopo questa data non descrivono un grande edificio, che sarà costruito solo più tardi, come attestano Giovanni di Würzburg (par. 14, dove si parla di “una nuova chiesa”) e Teodorico (par. 24, dove si riferisce di lavori ancora in corso). Pringle, Churches, III, p. 186. Come attestano, tra gli altri, Giovanni (par.  11) e Teodorico (par.  3 e 16), le due “piramidi” poste nella valle del torrente Cedron erano normalmente identificate con le tombe di Giosafat, re di Giuda, e di san Giacomo il Minore. Parlando di Simeone e Giuseppe, Saewulf si rifarebbe invece a una tradizione differente, attestata in Adomnano di Iona (Adomn.,

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loc. sanct. 1, 14, da cui dipende Beda, loc. sanct. 5, 2) e influenzata da una corrente esegetica legata ai Vangeli apocrifi, in cui si confondevano personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Pringle, Churches, III, no 284; cfr. anche Boas, Jerusalem, p. 113. Saewulf è il primo pellegrino occidentale a descrivere il sito dopo la presa di Gerusalemme da parte dei Crociati: egli potrebbe fare riferimento alla chiesa di forma rotonda priva di tetto che le fonti vi attestano fin dalla Tarda Antichità. Tale chiesa sarebbe stata poi riedificata, fortificata e dedicata al Salvatore intorno alla metà del XII secolo, come si apprende in particolare dal racconto di Teodorico (par. 27). Pringle, Churches, III, no 341. Un monastero di Santa Maria sarebbe stato fondato sul Monte degli Ulivi prima del 530-550, per celebrare eventi legati all’Assunzione in cielo della Vergine. Immediatamente prima della Prima Crociata, e fino a qualche decennio dopo il passaggio di Saewulf, tale monastero aveva il compito di occuparsi dell’altare di cui si fa menzione, sul lato est del sito dell’Ascensione; perso questo incarico, esso andò presumibilmente in rovina. Pringle, Churches, III, no 298. All’inizio del IV secolo, una grotta sul Monte degli Ulivi era stata identificata come il luogo in cui il Signore aveva istruito gli apostoli sui misteri che concernono il Giudizio Universale; sopra di essa fu edificata una chiesa per volere dell’imperatore Costantino e di sua madre Elena. Prima di Sae­ wulf (e di altri pellegrini della stessa epoca), già Bartolfo di Nangis (Bart. Nang., gesta Francorum 33, p. 512), descrivendo Gerusalemme nel 1099, menziona un’antica chiesa sita nel luogo in cui Gesù avrebbe insegnato ai suoi discepoli il Padre Nostro. La distruzione cui si allude avvenne probabilmente agli inizi dell’XI secolo durante il califfato di al-Hākim, ma fu seguita intorno alla metà del secolo XII da un’ulteriore ricostruzione (come attesta Teodorico, par. 27). Il testo dell’edizione (e del manoscritto) non sembra poter reggere: abbiamo quindi pensato di integrare il relativo “che” (nel latino quae, da collocare tra aecclesiae e sunt); un’alternativa, forse meno plausibile, sarebbe stata quella di espungere il successivo sunt, “sono”. Precisiamo che de Sandoli, basandosi su un testo latino con diversa interpunzione, faceva iniziare il par. 19 da “così come tutte”. Pringle, Churches, III, no 336; Boas, Jerusalem, p. 111-113. Nonostante Saewulf parli di una chiesa dedicata allo Spirito Santo, in realtà essa era intitolata alla Madonna, come attesta anche Teodorico (par. 22). Dalla fine del V secolo questo sito sulla collina di Sion

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cominciò ad essere identificato con la casa dell’apostolo Giovanni, in cui avvenne il trapasso della Vergine Maria, nonché con il luogo in cui si sarebbe svolta l’Ultima Cena, Gesù sarebbe apparso per la prima volta ai suoi discepoli dopo la Resurrezione e lo Spirito Santo sarebbe sceso su di loro il giorno di Pentecoste (per l’inatteso appellativo di “Galilea” qui assegnatogli rimandiamo a quanto detto per Giovanni di Würzburg, n. 68). La chiesa doveva contenere molte reliquie importanti legate alla Passione (la corona di spine e la colonna della Flagellazione) e santo Stefano vi fu sepolto nel 415 (parte di tali notizie è fornita anche da Saewulf al par. 21). Benché alcune fonti attestino che al momento dell’arrivo dei Crociati nel 1099 essa era in rovina, Saewulf e altri autori di poco successivi a questa data non sembrano avere niente di rilevante da riferire in merito; a seguito di distruzioni avvenute nell’XI secolo, però, l’edificio era stato forse in parte ricostruito, perché la disposizione dei luoghi sacri pare diversa da quella descritta in fonti più antiche. 53. Il testo del manoscritto e dell’edizione non legge “o” (vel), ma “e” (et). Come è noto, si tratta dello stesso lago, e come tale Saewulf, che deve averlo visto di persona, lo descriverà nel seguito; abbiamo quindi pensato di correggere il latino et con un vel: la particella, che indicava qui l’alternativa onomastica, si presta facilmente ad uno scambio piuttosto banale con et. 54. Il corpo di santo Stefano, martirizzato fuori dalla porta nord della città di Gerusalemme, fu originariamente portato a Caphar Gamala dal rabbi Gamaliele e ivi seppellito. Nel 415 Luciano, sacerdote di tale villaggio, scoprì la tomba di santo Stefano, insieme a quella di Gamaliele, del figlio di questi Abibone e del nipote Nicodemo; tutti i corpi furono quindi trasferiti nella chiesa del Monte Sion (cfr. Pringle, Churches, III, p. 372; Boas, Jerusalem, p. 131). 55. Pringle, Churches, III, no 359; Boas, Jerusalem, p. 131. In origine, una grande basilica fu fatta costruire dal vescovo Giovenale con il sostegno dell’imperatrice Eudocia e le spoglie di santo Stefano vi furono ufficialmente collocate nel 439. È plausibile che l’edificio sia stato distrutto nel 614 durante il sacco persiano di Gerusalemme e che sia stato sostituito da una piccola cappella; nell’808 è attestata in questo sito una colonia di lebbrosi, il che può avere spinto i pellegrini di epoca successiva ad evitarlo, preferendogli la tomba del santo sul Monte Sion (dove è comunque possibile che i suoi resti fossero stati trasferiti in seguito alla distruzione del 614). Fonti della Prima Crociata parlano di una chiesa, o comunque dei resti di essa, e alla luce

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di queste la descrizione di Saewulf pare un po’ eccessiva; intorno alla metà del XII secolo è comunque attestata una significativa ricostruzione. Pringle, Churches, II, no  145. La chiesa, costruita sui resti di un edificio preesistente del VI-VII secolo, fu presumibilmente distrutta sotto il califfato di al-Hākim intorno all’anno Mille, ma una sua ricostruzione fu intrapresa a partire più o meno dal 1030. È possibile che sia stata ulteriormente depredata prima dell’arrivo dei Crociati nel 1099, ma la descrizione di Saewulf sembra comunque eccessiva. Pringle, Churches, III, no 352. Il luogo in cui Pietro rinnegò il Signore veniva collocato sul Monte Sion già nel IV secolo, e due secoli dopo fu identificato con una chiesa dedicata al santo; nel VII secolo è attestata una distinzione precisa tra il punto in cui l’apostolo aveva rinnegato il Maestro e quello in cui egli aveva pianto il suo peccato, in corrispondenza di un convento armeno fuori dalla città verso Siloe. Nel IX secolo le fonti attestano però una collocazione anche di quest’ultimo luogo presso il Monte Sion, parlando di una sorta di grotta al di sotto di esso, posta vicino alle mura della città. Pringle, Churches, II, no  216-217. Saewulf è il primo pellegrino occidentale a menzionare il monastero di San Saba, che egli non avrebbe però visitato: l’indicazione che fornisce è infatti errata, poiché esso si trovava in realtà nella valle del Cedron, a sud-est di Gerusalemme. Non si capisce esattamente a quale delle numerose devastazioni Saewulf faccia riferimento: ve ne furono nel 614 ed altre seguirono nell’VIII e nel IX secolo, ma sembra che una qualche forma di vita monastica sia continuata in questo luogo fino all’arrivo dei Crociati. Già nel VI secolo esistevano diversi complessi monastici intorno alla Torre di Davide (Pringle, Churches, III, no 355), che furono abitati anche in epoca successiva; la collocazione del secondo monastero menzionato da Saewulf non è stata dunque precisamente ricostruita. Pringle, Churches, I, no 61; Id., Secular Buildings, no 48; sulla storia della basilica della Natività in generale rimandiamo al recente Bacci, Mystic Cave (all’XI-XII secolo sono dedicate in particolare le p. 113-203). Una chiesa fu edificata sopra la grotta in cui Cristo era nato grazie al sostegno dell’imperatore Costantino e di sua madre Elena; presso di essa Girolamo e Paola ed Eustochio stabilirono nel 386 i rispettivi conventi. A seguito di un incendio, la basilica fu ricostruita per volere di Giustiniano e sopravvisse al sacco persiano del 614 e alla conquista musulmana: si tratta dunque dell’unica chiesa

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di epoca pre-musulmana rimasta integra fino ad oggi in Palestina. Le distruzioni menzionate da Saewulf devono essere quelle ordinate nel 1009 dal califfo fatimide al-Hākim, e il fatto che la basilica di Be­ tlemme sia scampata per volere divino è riferito anche da altre fonti occidentali, che parlano di una luce accecante che avrebbe disperso i nemici; in realtà, essa fu forse risparmiata perché utilizzata anche come luogo di culto musulmano (Bacci, Mystic Cave, p. 106-107). 60. Il testo latino dice in realtà che la pietra si può vedere “spesso” (sepius) nella mangiatoia. L’espressione pare sospetta (lo stesso Huygens commenta in nota di non riuscire a comprenderne il senso), perciò abbiamo ipotizzato che il termine fosse in origine un eius (“sua”), corrottosi a causa della vicinanza con il termine presepium (“mangiatoia”). 61. Girolamo morì a Betlemme il 30 settembre del 419 o 420, dopo aver trascorso nella cittadina gli ultimi decenni della sua vita. La presenza della sua tomba nella cripta della Natività è attestata fin dal V secolo; ad un certo momento, però, il suo corpo sarebbe stato trasferito a Roma, nella basilica di Santa Maria Maggiore, secondo una tradizione nata probabilmente alla fine del XIII secolo negli ambienti della basilica stessa (cfr. Aceto, ‘Betlemme a Roma’) e di cui ancora esiste traccia nelle versioni del Martirologio Romano anteriori al Concilio Vaticano II (cfr. Martyrologium Romanum, p. 180-181). Nicola de Martoni (Martoni, Pellegrinaggio, p. 74-75 = Le Grand, ‘Relation’, p. 612), tuttavia, ancora nel tardo ’300 colloca la sepoltura di Girolamo in questa cripta. Anche le reliquie dei santi Innocenti (Bibl. Sanct., VII, col. 819-831), ugualmente attestate a Betlemme fin dalla Tarda Antichità, sarebbero state a un certo momento trasferite a Costantinopoli, almeno secondo quanto riferisce il russo Daniil (Daniil, Itinerario, p. 119). Il bagno menzionato potrebbe corrispondere alla bocca di una cisterna abbandonata, tuttora visibile nell’angolo nord-ovest della cripta della basilica della Natività, che altri pellegrini identificano con il luogo in cui fu gettata l’acqua del primo bagno di Gesù bambino (Bacci, Mystic Cave, p. 232). 62. Pringle, Churches, I, no 59-60. La tomba di Lazzaro era visibile ai pellegrini dall’inizio del IV secolo e una chiesa fu costruita nei pressi alcuni decenni più tardi; dal VII secolo alla memoria di Lazzaro fu associata anche quella delle sorelle Marta e Maria. Testimonianze contemporanee a Saewulf, più precise, distinguono tra il sito della tomba, a ovest, e la grande chiesa al centro della cittadina, a est.

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Saewulf, come la maggior parte dei pellegrini dell’epoca, confonde Maria sorella di Lazzaro con Maria Maddalena. In effetti, il Vangelo poteva dare adito a incertezze, come sottolinea Giovanni di Würzburg nella sua lunga digressione sullo spinoso argomento (par. 12). I passi più significativi in questo senso sono quelli di Gv 12, 3 e Lc 7, 37-38: il primo descrive come Maria, sorella di Lazzaro, abbia cosparso i piedi di Gesù di unguento profumato, asciugandoli poi con i suoi capelli; il secondo menziona un’anonima peccatrice che bagnò i piedi di Gesù con le sue lacrime e li asciugò e profumò nella stessa maniera. Gli altri due Vangeli (Mt 26, 6-7 e Mc 14, 3) raccontano invece di come una donna ruppe sul capo di Gesù un vasetto pieno di olio prezioso, mentre Egli si trovava sempre a Betania, nella casa di Simone il lebbroso. 64. Pringle, Churches, I, no 100. La tomba dei patriarchi a Ebron fu un venerato luogo di culto fin dalla Tarda Antichità sia per i cristiani che per gli Ebrei e, dopo la conquista della città attorno al 638, anche per i musulmani; ai tempi di Saewulf, il culto cristiano era stato ristabilito da poco, in seguito alla presa della città da parte di Goffredo di Buglione nel 1100. Che qui fossero sepolti Abramo, Isacco e Giacobbe con le rispettive mogli era noto da vari passi della Genesi (23, 19; 25, 9-10; 49, 29-31; 50, 13) ed è ripetuto da pressoché tutte le fonti. Meno univocamente ricordata è la presenza di Adamo ed Eva, che poteva essere dedotta dall’erronea traduzione nella Vulgata di Giosuè 14, 15: “Ebron si chiamava prima Kiriat-Arbà; Adamo, il più grande, lì fu posto fra gli Anakiti [o “nella terra degli Anakiti”] e la terra fu libera dalle guerre” (nomen Hebron antea vocabatur Cariatharbe; Adam maximus ibi inter [in terra secondo alcuni codici] Enacim situs est et terra cessavit a proeliis); la Nova Vulgata corregge invece, sulla base dell’ebraico: “Ebron si chiamava prima Kiriat-Arbà: costui [scil. Caleb, figlio di Iefunnè] era stato l’uomo più grande tra gli Anakiti. E la terra visse tranquilla, senza guerra” (nomen Hebron antea vocabatur Cariatharbe (id est civitas Arbe), hominis maximi inter Enacim. Et terra cessavit a proeliis). La collocazione della sepoltura di Adamo in questo luogo era peraltro sostenuta dall’autorità di Girolamo, che fra le due possibilità – Ebron oppure il Calvario – prende ripetutamente posizione per la prima, ad es. nel De situ et nominibus locorum Hebraicorum, citato più sopra da Saewulf stesso (par. 11), ma anche in in Matth. 27, 33 (p. 270) e in altri passi delle sue opere. La teoria della sepoltura ad Ebron di Adamo o di Giuseppe (la cui tomba era in realtà a Sichem, come raccontato in 63.

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Giosuè 24, 32 e ricordato anche da Giovanni di Würzburg, par. 2, e Teodorico, par. 42) potrebbe essere stata rafforzata dal desiderio di trovare un quarto personaggio con cui giustificare l’etimologia del nome ebraico (citato da Giovanni, par. 7, e Teodorico, par. 34) Kiriat-Arbà, ovvero “città dei quattro”. Si noti che Saewulf, pur avendo già precisato più sopra (par. 11) e ripetuto anche qui che Adamo è sepolto a Ebron come gli altri, descrive poi tre edifici soltanto, ciascuno dei quali accoglie una coppia di patriarchi. Nonostante le modifiche intervenute nel corso dei secoli (soprattutto sotto la dominazione musulmana, quando in questo luogo fu costruita una moschea), una struttura simile ad una chiesa sovrastava le sepolture dei patriarchi già nella descrizione del tardo VII secolo riportata da Adomnano (Adomn., loc. sanct. 2, 10), che Beda riprende scrivendo (Beda, loc. sanct. 8): sepulchra patriarcharum quadrato muro circumdantur, capitibus uersis ad aquilonem, et haec singula singulis tecta lapidibus instar basilicae dolatis, trium patriarcharum candidis, Adam obscurioris et uilioris operis, “i sepolcri dei patriarchi sono circondati da un muro quadrato, le teste rivolte verso nord, e ciascuno è sormontato da una pietra lavorata a forma di basilica, bianche quelle dei tre patriarchi, più scura e di qualità inferiore quella di Adamo”; nella descrizione di Saewulf, tuttavia, quello ad essere sepolto un po’ discosto dagli altri e in maniera più umile non è Adamo, ma Giuseppe. Il nostro autore, inoltre, è l’unico a parlare delle sepolture come raggruppate due a due, mentre da tutte le altre descrizioni si ricava chiaramente che c’erano sei sepolcri separati. Per la precisione, quelle descritte da Saewulf (e Beda) non erano le tombe vere e proprie, ma piuttosto delle strutture costruite al livello del terreno in corrispondenza dei luoghi dove si riteneva che i patriarchi fossero sepolti in una cripta sotterranea; quest’ultima fu scoperta ed esplorata nel 1119, come raccontato in un breve resoconto latino di poco successivo (Elm, ‘Zwei Berichte’; Whalen, ‘Discovery’; il testo, con traduzione italiana a fronte, è stampato anche in Itin. Hier., I, p. 331-338). La “fortificazione saldissima” che cinge le tombe sarà da identificarsi con le mura monumentali fatte costruire probabilmente da Erode nel I sec. a.C., in parte ancor oggi conservate. 65. Saewulf parrebbe non aver visitato questo sito, dove era stato costruito in epoca tardoantica un luogo di culto che non doveva però sopravvivere nel XII secolo (cfr. Pringle, Churches, II, no 192); più o meno negli stessi anni, il russo Daniil (Daniil, Itinerario, p. 122123) ne offre invece una descrizione piuttosto dettagliata.

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Il nome di Neapoli risale alla fondazione da parte di Vespasiano, nel 72, della città di “Flavia Neapolis”, a poca distanza dall’antica Sichem (cfr.  Pringle, Churches, II, p.  95; Id., Secular Buildings, no 158). 67. Pringle, Churches, I, no 108 (con aggiornamenti in IV, no 108). La chiesa di età tardoantica costruita presso questo celebre pozzo deve essere caduta in rovina fra il IX secolo, quando ancora è descritta dai pellegrini, e l’epoca della Prima Crociata, quando i visitatori, come Saewulf qui, citano soltanto la Fonte di Giacobbe senza nominare luoghi di culto annessi. La ricostruzione sarebbe iniziata nei decenni successivi, come sappiamo da Giovanni di Würzburg (par. 2) e Teodorico (par. 42). 68. Pringle, Churches, II, no 169. Una chiesa dell’Annunciazione esisteva a Nazaret già dall’epoca costantiniana; più tardi fu costruita una magnifica basilica bizantina, che sopravvisse fino all’epoca della Prima Crociata o più probabilmente fu restaurata da Tancredi d’Altavilla dopo che egli si fu impadronito di Nazaret nel 1099. 69. Cfr. Pringle, Churches, II, no 170. La tradizione per cui il bambino Gesù era solito attingere acqua ad una fonte che sgorgava presso Nazaret deriverebbe dalla letteratura apocrifa sull’infanzia di Cristo, come il Vangelo di Tommaso o quello dello Pseudo-Matteo; per ulteriori dettagli si veda l’episodio narrato da Teodorico, par. 47, per cui Gesù, all’età di sei anni, avrebbe rotto accidentalmente la brocca datagli dalla madre, ma le avrebbe portato comunque l’acqua in una piega della tunica. È possibile che questa sorgente sia da identificare con quella che affiora vicino alla moderna chiesa greca di San Gabriele (ma Pringle non ne sembra convinto), mentre una seconda fonte, che sgorga più lontana, sarebbe quella presso cui Maria incontrò l’arcangelo Gabriele secondo il Vangelo apocrifo di Giacomo. 70. Pringle, Churches, II, no 155. Sembra che in origine una sola chiesa fosse stata costruita sulla cima del Monte Tabor, dove a partire dalla metà del IV secolo la tradizione colloca l’episodio della Trasfigurazione di Cristo; dal 570 circa diversi racconti di pellegrinaggio attestano la presenza di più edifici uno accanto all’altro: un monastero, l’ampia chiesa dedicata alla Trasfigurazione (o al Salvatore) e due chiese più piccole, intitolate a Mosè e Elia. Secondo Pringle, Churches, II, no 157, fino alla conquista da parte dei Crociati le tre chiese sarebbero state tanto vicine da far parte di un’unica struttura; e poiché Saewulf pone quella consacrata al profeta Elia un po’ discosta dalle altre, egli potrebbe riferirsi alla chiesa medievale 66.

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i cui resti sono incorporati nell’attuale chiesa ortodossa omonima. La descrizione, per quanto in parte imprecisa e a parere di Pringle “copiata” da quella di Beda, loc. sanct. 16 (rispetto al quale si notano però alcune discrepanze non indifferenti), è una delle poche disponibili; durante il XII secolo l’antica basilica bizantina della Trasfigurazione fu trasformata in chiesa romanica, ma la maggior parte dei pellegrini ricorda soltanto l’evento evangelico, senza menzionare edifici. Pringle, Churches, II, no 249. Le fonti non attestano propriamente l’esistenza di una chiesa di San Pietro, quanto piuttosto di una chiesa di antica fondazione intitolata ai Dodici, collocata vicino al lago nel punto in cui Gesù sarebbe loro apparso. Saewulf, come molti altri pellegrini del XII secolo, attribuisce erroneamente il nome di “Tavola del Signore” alla collina dove Gesù nutrì la folla, invece che al luogo ai suoi piedi dove Egli apparve agli apostoli e mangiò con loro. Sul sito della chiesa dei Dodici sorge oggi la chiesa del Primato di San Pietro, in cui è conservata una roccia detta “Tavola”, su cui si dice che Gesù, dopo la pesca miracolosa, preparò da mangiare per i suoi discepoli e conferì a Pietro il primato tra gli apostoli (Gv 21, 1-19). Pringle, Churches, II, no 181. La collocazione del villaggio di Cana mutò nel corso dei secoli, ma le indicazioni fornite da Saewulf sono confermate da altri viaggiatori, contemporanei e successivi. Il nome “Architriclino” deriva dal resoconto delle nozze di Cana fornito in Gv 2, 1-11: secondo la tradizione si trattava di un invitato importante, parente o amico dell’ospite, che veniva nominato “maestro di tavola” (appunto il significato del termine greco ἀρχιτρίκλινος, architrìklinos), con il compito di supervisionare lo svolgimento della festa. L’informazione riportata da Saewulf sul formarsi del Giordano da due altri fiumi è piuttosto comune nelle fonti tardoantiche e medievali (la ripetono infatti anche Giovanni di Würzburg, par. 6 e 9, e Teodorico, par. 45) e ha la sua fonte remota in un passo di Girolamo (in Matth. 16, 13). La descrizione delle acque bianche del Giordano sembrerebbe riecheggiare quella di Beda, loc. sanct. 10. Pryor, ‘Voyages’ (p. 50, n. 24) fa notare che Saewulf menziona gli ultimi luoghi del paragrafo in ordine scorretto dal punto di vista della loro posizione geografica, forse perché la sua nave non vi si fermò ed egli non ricevette che indicazioni generiche sui porti via via avvistati.

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Resoconto veritiero su Gerusalemme, NOTE

Come ricorda Pryor, ‘Voyages’ (p. 51, n. 25), questo fatto e la tempesta fuori Giaffa (par.  7) confermano la datazione del viaggio al 1102-1103. Alberto di Aquisgrana (Albert. Aqu., hist. 9,  11) racconta infatti che nell’estate del 1102 circa duecento navi arrivarono in Terrasanta (quaranta secondo il cronista arabo Ibn al-Qalānisī) e che la maggior parte di esse fu distrutta da una tempesta (Albert. Aqu., hist. 9, 18); la primavera successiva, durante l’assedio di Acri da parte dei Crociati, una flotta di dodici navi venne in soccorso degli assediati da Tiro, Sidone e Tripoli (Albert. Aqu., hist. 9, 19). Se la connessione suggerita da Pryor con quest’ultimo evento è esatta, risulta poco perspicua l’indicazione di Saewulf secondo cui la flotta saracena si stava dirigendo verso Babilonia, vale a dire verso l’Egitto: ma la confusione sarà forse da spiegare con quanto ricordato da Alberto di Aquisgrana (Albert. Aqu., hist. 9, 19), e cioè che le città di Tiro, Sidone e Tripoli erano de regno Babylonie, quindi sotto il controllo del califfato fatimide d’Egitto. 76. Come ricorda Pryor, ‘Voyages’ (p. 52), la pericolosità della baia di Attalia e le tempeste che potevano colpire i naviganti sono citate anche da altre fonti medievali, il cui riscontro può essere utile per chiarire l’esatto significato dell’espressione impiegata da Saewulf, tractus ciuitatis Satali. Huygens (nota ad loc.) suggerisce di interpretare tractus come “gorgo”, “forte corrente” (“drawing in, strong current”), citando un luogo di Sallustio (Sall., Iug. 78, 1-4) in cui si offre l’etimologia del nome Sirte, legata alla presenza nella zona di forti correnti che trascinano ingenti quantità di sabbia e detriti: Syrtes ab tractu nominatae. La spiegazione è ripetuta da importanti autorità altomedievali quali Isidoro (Isid., orig. 13, 18) e Beda (Beda, in Act. Apost. 27), che interpretano l’etimologia da tractus connettendola appunto alla forza del mare delle Sirti che tutto trascina. È verosimilmente questo il senso del termine anche nell’impiego fattone da Saewulf, anche se le altre fonti cui fa allusione Pryor utilizzano espressioni diverse per indicare le difficoltà della navigazione in questo luogo. Fulcherio di Chartres (Fulch., hist. 3, 59) parla di gurges Attaliae (“i gorghi di Attalia”); un paio di secoli più tardi, due viaggiatori italiani ricordano i terribili fortunali che caratterizzano il golfo di Attalia: Nicola de Martoni racconta di aver attraversato, fortunatamente senza problemi, quodam gulfum maris quod dicitur mare Sathanie, per quod omni tempore transitur cum fortuna, “un golfo di quel mare chiamato ‘mare di Satalia’, dove si passa sempre con fortuna” (Martoni, Pellegrinaggio, p. 120-121 = Le Grand, 75.

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Saewulf

‘Relation’, p.  638), mentre Lionardo Frescobaldi (Bartolini – Cardini, Viaggio in Oriente, p.  185; sul personaggio cfr.  DBI, L, s.v.) fu investito nel “golfo di Setalia” da “un nodo di vento con tanta tempesta e fortuna” da rischiare seriamente il naufragio. Una leggenda a spiegazione della pericolosità di questo tratto di mare comincia ad essere attestata nella letteratura medievale dal tardo XII secolo, forse sulla base di tradizioni più antiche (Harf-Lancner – Polino, ‘Gouffre de Satalie’). Può essere interessante ricordare che secondo Giraldo Cambrense in lingua gallese il termine per secca (sabulum mari nudatum, “sabbia del mare allo scoperto”) è “trait”, dall’autore stesso tradotto appunto con tractus (cfr.  DMLBS, s.v. tractus, 12.c). 77. Pryor, ‘Voyages’ (p.  52-53) discute di due possibili sfumature di “più rapidamente” (citius): si intende che il viaggio fu più veloce o la partenza più rapida? In effetti le navi più grandi viaggiavano più velocemente delle piccole, anche se queste ultime erano più facilmente manovrabili; ma probabilmente è la seconda l’interpretazione corretta: Saewulf e i compagni si sarebbero trasferiti su un’altra nave per andare a Costantinopoli invece che restare per un po’ a Rodi o partire direttamente verso casa con la precedente imbarcazione. 78. Saewulf sembra confondere l’isola di Strovilo (Kara Ada) con le rovine di Alicarnasso (attuale Bodrum), sulla terraferma proprio davanti ad essa. Tale confusione potrebbe essere dovuta al fatto che nel decennio precedente i Turchi avevano distrutto Alicarnasso, causando la fuga della sua popolazione sull’isola di Kara Ada; d’altra parte, la sovrapposizione fra i due luoghi doveva essere comune, se anche un documento bizantino del 1082 indica con il nome di Strovilo la terraferma (Pryor, ‘Voyages’, p. 53). 79. San Femio è la latinizzazione di sant’Eutimio (Bibl. Sanct., V, col. 335). Tale santo medico proveniva da Madytos o Madyos, odierna Eceabat, dove venne probabilmente sepolto: la circostanza giustificherebbe l’idea che con l’appellativo di “San Femio” Saewulf si riferisca proprio a Eceabat. In alternativa, e forse più probabilmente, dato che Eceabat non aveva un porto significativo, egli farebbe allusione al porto maggiore di Sesto, ugualmente opposto a Abido in direzione nord: anche in questa città, infatti, era vivo il culto di sant’Eutimio (Pryor, ‘Voyages’, p. 55). 80. Con Macedonia Saewulf indica la costa trace dello stretto, a sud della regione che storicamente porta questo nome; la definizione di Grecia applicata al versante asiatico, invece, risulta più spiazzante,

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Resoconto veritiero su Gerusalemme, NOTE

ma non del tutto senza paralleli. In almeno due luoghi dei suoi Dei gesta per Francos, infatti, Guiberto di Nogent usa o lascia intendere di conoscere la stessa definizione per un’area simile: in maniera indiretta (Guibert. Nov., Dei gesta 2, 11) quando definisce “Grecia al di qua del Braccio di San Giorgio” la costa europea dello stesso, facendo supporre l’esistenza di un territorio omonimo sull’altra sponda; in modo esplicito (Guibert. Nov., Dei gesta 1, 5) quando, descrivendo sinteticamente le conquiste musulmane precedenti la Prima Crociata, afferma che esse si estesero dalla Palestina a “l’Armenia, la Siria e una parte della Grecia, fino al mare noto come Braccio di San Giorgio”. 81. Il luogo che ispirò il nome mediolatino di “Braccio di San Giorgio” per lo stretto dei Dardanelli non doveva essere un porto. All’estremità della penisola di Gallipoli, nel sito di Examile, si trovava anticamente una fortezza, i cui nomi Plagiarion, Brachialum e simili avrebbero stimolato la confusione con il termine brachium. Poiché una chiesa e un monastero di San Giorgio furono fondati lungo la costa e il capo a est del sito di Examile prese il nome di Capo di San Giorgio, è difficile capire a quale luogo si riferisca esattamente Sae­ wulf (Pryor, ‘Voyages’, p. 56). 82. Saewulf è uno dei pochi pellegrini che riferiscono qualcosa sull’Ellesponto e l’unico a collocarvi il rapimento di Elena da parte di Paride; l’incontro tra i due personaggi sarebbe invece avvenuto a Citèra secondo molte fonti medievali, probabilmente in accordo con una durevole tradizione locale (cfr. van der Vin, Travellers, I, p. 192 e 220-222).

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Giovanni di Würzburg Descrizione della Terrasanta

Descrizione della Terrasanta

Giovanni, che è ciò che èa nella Chiesa di Würzburg per grazia di Dio, saluta il suo caro compagno e amico Dietrich e gli augura la contemplazione della Gerusalemme celeste, compartecipe dell’Esso Stesso (Sal 122 (121), 3)1. La disposizione, a me nota, dei tuoi costumi, tanto conforme a quella di tutti gli uomini buoni, e anche quella devozione tanto appassionata al culto del servizio divino, oltre che le ragioni del vincolo d’amicizia, hanno legato i miei sentimenti alla tua volontà (che nel mutuo scambio tra di noi sempre confido sarà equa e benevola) al punto da rendere insopportabile che alcuno dei tuoi desideri, nel cui compimento sia richiesto l’impegno della mia sollecitudine, non raggiunga il fine voluto, per quanto le mie forze mi permettono. Questo è anche il motivo per cui io, durante il mio pellegrinaggio a Gerusalemme per amore del Signore Nostro Gesù Cristo, ricordandomi di te anche se eri assente, per affetto verso di te ho preso nota il più chiaramente e il più attentamente possibile dei luoghi venerabili che Nostro Signore Salvatore del mondo, insieme con la sua gloriosa madre Maria sempre vergine e con il reverendo collegio dei suoi discepoli, santificò con la propria presenza corporale, soprattutto nella santa città di Gerusalemme; e mi sono dato da fare per raccoglierne nero su bianco i fatti e le iscrizioni sia in prosa sia in metro. Penso che questa descrizione ti sarà gradita, e per questo motivo: le singole cose in essa vividamente presentate, se un giorno o l’altro verrai qui sotto l’ispirazione e la protezione divina, verranno incontro ai tuoi occhi come già note, spontaneamente e senza l’indugio e la fatica della ricerca; oppure, se non avrai occasione di venire e vederle con lo sguardo corporeo, comunque conoscendole e contemplandole in questa forma concepirai una maggiore devozione per la loro santità. So, certo, che già qualche tempo prima d’oggi questi stessi luoghi, non soltanto quelli all’interno della suddetta città, ma anche quelli situati molto più lontano, sono stati descritti da un uomo degno di rispettob; però questo nostro atto di devozione riguardo Cfr. 1Cor 15, 10: per grazia di Dio, però, sono quello che sono… Sembrerebbe naturale vedere in queste parole un’allusione a Fretello e alla sua descrizione della Terrasanta, fonte importante di Giovanni (cfr. la nostra introduzione); in tal caso, però, si deve ritenere un’esagerazione quanto detto a proa 

b 

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Giovanni di Würzburg

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S27; T47

T48

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al loro stato, che abbiamo descritto diligentemente vedendolo dal vivo, non deve essere giudicato eccessivo e superfluo, poiché nel lungo lasso di tempo intercorso, essendo questa città stata più volte presa e distrutta dai nemici, anche gli stessi luoghi santi all’interno delle mura e appena al di fuori (gli unici a cui ci interessiamo) sono stati devastati e talora in seguito trasformati. Dei luoghi, invece, che si trovano molto al di fuori nel territorio circostante abbiamo deciso di non parlare, sapendo che ne sarà già detto a sufficienza da altri. [1] E tuttavia, poiché l’inizio della nostra redenzione si è celebrato grazie all’incarnazione del Signore annunciata dall’angelo nella città di Nazaret, vogliamo dare principio a questa descrizione proprio a partire da questa città, che dista da Gerusalemme circa sessanta miglia, e toccare brevemente e sommariamente le località che si trovano fra essa e la città santa, anche se sappiamo che ne è già stato detto più diffusamente e più ampiamente da altri. Questa città, distante dieci miglia da Tiberiade, è il capoluogo della Galilea e propriamente è detta la città del Salvatore, per il fatto che in essa fu concepito e cresciuto, motivo per cui Lui stesso è chiamato Nazareno. Nazaret significa “fiore” o “virgulto”a, e non senza ragione, visto che in essa è nato il fiore della cui grazia è pieno il mondo, quel fiore che è la Vergine Maria, dalla quale nella stessa Nazaret l’arcangelo Gabriele annunciò che sarebbe nato il Figlio dell’Altissimo, dicendo: Ave, Maria eccetera, a cui ella rispose Ecco la serva del Signore eccetera (Lc 1, 26-38). Di Nazaret fu detto: Da Nazaret può venire qualcosa di buono? (Gv 1, 46). A due miglia da Nazaret, lungo la via che conduce ad Acri, si trova la città di Seffori. Di Seffori era Anna, la madre di Maria madre del Signore Nostro. A Seffori si dice che sia nata anche la Beata Vergine Maria, ma secondo Girolamo (come egli afferma nel prologo del sermone che scrisse per Eliodoro sulla nascita di santa posito delle vicissitudini subite da Gerusalemme, che non è mai stata conquistata e distrutta nel trentennio che separa il nostro autore da Fretello. Se non si tratta di quest’ultimo, è difficile dire a chi si faccia riferimento: forse qualcuno che aveva trattato dei luoghi santi in un’epoca più remota? a  Hier., nom. hebr., p. 62, r. 24 e p. 66, r. 18 Lagarde (p. 137 e 142).

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Descrizione della Terrasanta, 1

Mariaa) si dice che sia nata nella stessa città di Nazaret, nella stessa stanza nella quale più tardi rimase incinta alle parole dell’angelo. Proprio qui la stanza viene ancora mostrata in un luogo ben preciso, come vidi e annotai di persona2. A quattro miglia da Nazaret, due da Seffori, verso est si trova Cana di Galilea, da cui venivano Filippo e Natanaeleb. Qui il giovane Gesù, sedendo a tavola con sua madre durante un matrimonio, trasformò l’acqua in vinoc. A  Nazaret sgorga quella piccola sorgente a cui da bambino Gesù era solito attingere l’acqua e poi offrirne a sua madre3. A un miglio da Nazaret verso sud c’è un luogo chiamato “Precipizio”4, da cui alcuni giovani volevano far precipitare Gesù, ma Egli scomparve dalla loro vista all’improvvisod. A quattro miglia da Nazaret verso est c’è il Monte Tabor, dove Gesù si trasfigurò alla presenza dei suoi apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo, e al cospetto anche di Mosè e Eliae. Questa festa è celebrata solennemente a Gerusalemme il giorno di san Sistof e soprattutto dai Siriani, quando anche lì fu udita la voce del Padre, che diceva: Questi è il Figlio mio, l’amato eccetera (Mt 17, 5). Ed Egli inoltre vietò a Pietro, Giovanni e Giacomo di rivelare a qualcuno ciò che avevano visto, finché il Figlio dell’Uomo non fosse risorto dai morti. Là Pietro disse: Signore, è bello per noi essere qui eccetera (Mt 17, 4). A due miglia dal Tabor verso est c’è il Monte Ermon. Scendendo dal Monte Tabor il signore Melchisedech, che era chiamato a  Cfr. Libell. natiu. Mar. 1, 1. Questo testo, rielaborazione della versione latina di un apocrifo greco attribuito all’evangelista Matteo, circolò anche sotto il nome di Girolamo, fra le cui lettere, con il numero 50, è stampato in PL, 30, col. 297 ss.; per informazioni ulteriori rimandiamo all’introduzione delle edizioni dello Pseudo-Matteo e della sua rielaborazione, in CC SA, 9 e 10. b  Nonostante quanto sostenuto da Giovanni (e da Teodorico, par.  48) sulla scorta di Fretello (par. 37), soltanto Natanaele (che nei Vangeli sinottici è chiamato Bartolomeo) era in realtà di Cana (Gv 21, 2); Filippo veniva invece da Betsaida (Gv 1, 44), ma, coerentemente con quanto qui affermato, egli non è ricordato al par. 9 fra gli apostoli provenienti da questa cittadina. L’associazione dei due potrebbe dipendere dal fatto che, secondo il racconto di Gv 1, 45-50, fu Filippo a invitare Natanaele a seguire Cristo. c  Gv 2, 1-11. d  Lc 4, 29-30. e  Mt 17, 1-8; Mc 9, 2-8; Lc 9, 28-36. f  Cioè il 6 agosto; cfr. infra par. 25 (appendice liturgica).

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S29; T48

S27; T47 T47 S28; T46

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Giovanni di Würzburg

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T44

anche Sem figlio di Noè, sacerdote e re di Salem, incontrò Abramo che ritornava dalla strage degli Amaleciti e gli presentò pane e vino, il che simboleggia l’altare di Cristo nel tempo della Grazia5. A due miglia dal Tabor c’è la città di Nain, presso la cui porta Gesù restituì alla vita il figlio della vedova, che gli abitanti dicono fosse il Bartolomeo in seguito divenuto apostoloa. Sopra Nain c’è il Monte Endor; ai suoi piedi, sul torrente Cadumin, che corrisponde al torrente Kison, per consiglio della profetessa Debora Barak, figlio di Amonb, sconfisse gli Idumei: morto Sisara per mano di Giaele, moglie di Cheber il Kenita6, Barak uccise con la spada Zeeb, Zebach e Salmunnà inseguendoli oltre il Giordano, una volta distrutto il loro esercito sull’Endor e sotto l’Endor, da cui il salmo Il Tabor e l’Ermon cantano il tuo nome eccetera (Sal 89 (88), 13)c. A cinque miglia da Nain c’è la città di Izreèl, anche detta Zaraim e ora comunemente Gallina Minore, da cui veniva l’empia regina Gezabele, che sottrasse la vigna di Nabot e morì gettata dalla sommità del palazzo per la sua insolenzad; e fino a poco tempo fa si poteva vedere il suo monumento funebre ancora in piedi7. Nei pressi di Izreèl c’è il campo di Meghiddo, dove il re Ozia morì sconfitto dal re di Samaria; poi fu trasportato a Sion e ivi sepoltoe. A un miglio da Izreèl ci sono i Monti di Gelboe, dove Saul e Gionata perirono sconfitti in battagliaf, per cui Davide disse: O  monti di Gelboe, non più rugiada né pioggia eccetera (2Sam 1, 21). A due miglia da Gelboe verso est c’è Scitopoli, metropoli

Lc 7, 11-15. L’identificazione non pare ricorrere altrove (non è data nemmeno nel passo parallelo di Teodorico) e potrebbe dunque derivare veramente da una tradizione locale, come sostiene Giovanni; ma è stato anche ipotizzato che la sua fonte risieda in un testo evangelico apocrifo (cfr. Pringle, Churches, II, p. 115-116). b  Il nome corretto è però Abinòam, come riportato da Fretello (Abynoe, par. 39) e Teodorico (Abinoen, par. 46). c  I fatti cui Giovanni allude (cfr. anche Teodorico, par. 46), apparentemente come ad un unico episodio, sono narrati in Gdc 4, 4-22 e Gdc 8, 4-12 (dove è però Gedeone ad uccidere Zebach e Salmunnà, mentre Zeeb non compare), con l’aggiunta di alcuni elementi ricavati da Sal 83 (82), 10-12. d  1Re 21, 1-16; 2Re 9, 30-37. e  2Re 9, 27-28 (dove il nome del re è però Acazia, e chi lo sconfigge è Ieu re di Israele); cfr. infra, par. 6 e Teodorico, par. 44. f  1Sam 31, 1-7. a 

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Descrizione della Terrasanta, 1-2

della Galilea che si chiama anche Bet-Sean, cioè “casa del sole” o “città del sole”, sulle mura della quale fu appesa la testa di Saula. [2] A cinque miglia da Izreèl c’è la cittadina di Genunio8, detta ora comunemente Gallina Grassa o Maggiore. Tra questa e Sebaste c’è una pianura che chiamano di Dotàim, dove, lungo la strada, si vede ancora la vecchia cisterna in cui Giuseppe fu buttato dai fratellib. Dalla suddetta cittadina di Genunio comincia la Samaria. A dieci miglia da Genunio si trova Samaria, detta anche Sebaste e Augusta da Cesare Augusto. In essa fu seppellito Giovanni Battista, il precursore del Signore: fatto decapitare da Erode oltre il Giordano, nella fortezza di Macheronte presso il Lago di Asfaltide, da lì egli fu traslato dai suoi discepoli a Sebaste e sepolto tra Eliseo e Abdia. Si dice che più tardi il corpo fu fatto esumare9 e cremare da Giuliano l’Apostata, spargendone al vento le ceneri, ma senza la testa, che era stata prima traslata ad Alessandria, poi a Costantinopoli e infine in Gallia, nella città di Poitiers, e senza l’indice, con cui Giovanni aveva indicato Gesù che veniva a farsi battezzare, dicendo: Ecco l’Agnello di Dio eccetera (Gv 1, 29). L’indice lo aveva portato con sé tra le Alpi la santa vergine Tecla, e lì viene conservato con la massima devozione nella chiesa di Moriana10. E Samaria è il nome della città e della regione. A quattro miglia da Samaria, ovvero Sebaste, c’è Neapoli, detta anche Sichemc, che prende il nome da Sichem padre di Emor; essa si trova tra Dan e Betel. Da Sichem quella terra ha ricevuto il nome di Sichem; di Sichem era Emor, che rapì Dina, figlia di Giacobbe, mentre camminava in quel luogod. A Sichem furono riportate a  1Sam 31,  8-10. La traduzione riferita da Giovanni (sulla scorta di Fretello, par. 40) per Bet-Sean (Bethsan) è in realtà quella tramandata per la città di Bet-Semes (Bethsames; cfr.  Thiel, Grundlagen, p.  267); l’etimologia offerta dalle fonti per la prima è invece “città del nemico” (Hier., sit. et nom., p. 55; cfr. Thiel, Grund­lagen, p. 267 per traduzioni alternative). Teodorico (par. 44) fornisce una diversa traduzione, ugualmente errata. b  Cfr. infra, par. 10. c  L’odierna Nablus. d  Gen 34, 1-2. In realtà Sichem era figlio di Emor (Camor nella traduzione CEI) e fu lui a compiere violenza su Dina e ad essere per questo ucciso, insieme al padre, dai figli di Giacobbe (cfr. infra nel testo). L’errore è già in Fretello (par. 43), ma non è ripetuto da Teodorico (par. 42).

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T44 T28; T46

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Giovanni di Würzburg

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dall’Egitto le ossa di Giuseppea. Sempre a Sichem, presso una fonte, Geroboamo fabbricò due vitelli d’oro, che fece adorare, come un tempo Aronne, alle dieci tribù che aveva condotto con sé da Gerusalemme e che aveva indotto a separarsi; uno di questi vitelli lo pose a Dan, l’altro a Betelb. La città di Sichem fu distrutta dai figli di Giacobbe, che uccisero anche Emor, addolorati per lo stupro della sorella Dinac. Al giorno d’oggi Sichem è detta Neapoli, cioè “città nuova”. Davanti a Sichem si trova Sicar, vicino al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figliod, dove c’è la Fonte di Giacobbe, che è anche il pozzo su cui si legge nei Vangeli che Gesù si sedette, affaticato per il viaggio, ed ebbe il colloquio con la Samaritanae; oggi in quel luogo si costruisce una chiesa11. Presso Sichem si trova il terebinto sotto cui Giacobbe nascose gli idoli a Betelf. A un miglio da Sichem c’è la città di Luz, in cui abitò per molto tempo Abramo e dove Giacobbe vide nel sonno la scala la cui sommità toccava i cieli e gli angeli che vi salivano e scendevano, e subito svegliandosi disse: Veramente questo luogo è santo ed è la porta del cielo (Gen 28, 17); e dopo avere innalzato una pietra come una stele e avervi versato sopra dell’olio, chiamò Betel quel luogo, che prima si chiamava Luzg. A fianco di Betel c’è il Monte Garizìm, che guarda il Monte Ebal verso est presso Dan, sopra Sichem. Si dice che su questo monte, cioè a Betel, Abramo volle sacrificare suo figlio. A venti miglia da Sichem e a quattro da Gerusalemme, sulla via che porta a Diospoli, ci sono il monte e la città di Silo (detta anche Rama), dove rimasero l’Arca dell’Alleanza e la Tenda del Signore dall’arrivo dei figli di Israele fino ai tempi del profeta Samuele e del re Davideh. A ventiquattro miglia da Sichem, sedici da Diospoli, sedici da Ebron, dieci da Gerico, quattro da Betlemme, sedici da Bersabea, Gs 24, 32. 1Re 12, 25-29. L’analogo comportamento di Aronne cui si allude è raccontato in Es 32, 2-6. c  Gen 34, 1-29. d  Ripresa letterale di Gv 4, 5. e  Gv 4, 5-26. f  Gen 35, 4. g  Gen 28, 10-19. h  Cfr. ad es. 1Sam 3, 21; 1Sam 4, 3-4. a 

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Descrizione della Terrasanta, 2-3

ventiquattro da Ascalona e altrettanti da Ioppea, sedici da Ramatàim, si trova Gerusalemme, la santissima metropoli della Giudea, che si chiama anche Sion, di cui è stato detto: Di te si dicono cose gloriose, città di Dio (Sal 87 (86), 3); essa ha anche nome Elia da Elio Adriano che la costruìb. [3] Betlemme significa “casa del pane”c – Betlemme città di Giuda, detta anche Efratad – e non senza ragione, poiché dal fiore di Nazaret venne in essa il frutto della vita, cioè dalla Vergine Maria Cristo Gesù, Figlio del Dio vivente, che è il pane degli angeli e la vita di tutto il mondo. A Betlemme, presso il luogo della Natività, c’è la mangiatoia in cui giacque il bambino Gesù, da cui il profeta: Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo padrone (Is 1, 3). Da lì il fieno su cui giacque il bambino Gesù fu portato a Roma dalla regina Elena e riposto con tutti gli onori nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Nel luogo della Natività del Signore si leggono questi due versi iscritti in un mosaico dorato:

S9 S22; T33

Luce dell’angelica virtù e suo culmine, qui veramente Dio è nato dalla Vergine Madre12.

A un miglio da Betlemme brillò per i pastori la stella, quando nacque il Signore e apparve loro l’angelo che disse: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontàe. A  Betlemme, guidati da una stella mai vista, vennero tre re dall’Oriente a venerare il bambino Gesù e ad adorarlo come re degli angeli, presentandogli i mistici doni dell’oro, dell’incenso e della mirraf. A Betlemme e nel suo territorio Erode fece decapitare Oggi Giaffa. Una volta ricostruita da Adriano nel 135, Gerusalemme prese il nome di Aelia Capitolina, dal nome della gens dell’imperatore, Aelia. c  Secondo un’etimologia diffusa fin dai primi secoli del Cristianesimo (la si trova spesso, ad esempio, nei testi di Ambrogio e Girolamo: cfr. Thiel, Grundlagen, p. 266) e divenuta poi del tutto consueta nel corso del Medioevo (senz’altro anche attraverso la mediazione di Isid., orig. 15, 1, 23). d  Cfr. Gen 35, 19 e 48, 7; Mi 5, 1 (ripreso in Mt 2, 6). e  Antifona della liturgia del Natale: CAO, III, p. 236, no 2946 (tratta, con qualche differenza, da Lc 2, 14). f  Mt 2, 1-12. a 

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Giovanni di Würzburg

T32

T16 T18

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gli Innocentia, la maggior parte dei quali riposa sepolta verso sud a quattro miglia da Betlemme, due da Tekòa13. A quattro miglia da Betlemme verso sud c’è la chiesa di San Caritone14, dove i monaci, di cui egli era stato il pio pastore, nel momento stesso in cui egli moriva agonizzarono all’unisono con lui (cosa che avevano devotamente chiesto15 a Dio), dal momento che il loro padre era stato pio ed essi non volevano sopravvivergli, tutti presi dall’amore per lui. In questa chiesa si possono vedere dei gruppi di tali monaci nell’atteggiamento che essi tennero desolati per l’agonia16 del loro padre, che fu poi traslato a Gerusalemmeb. A Betlemme sotto la basilica, non lontano dalla mangiatoia del Signore, riposa in una caverna il corpo di san Girolamo; Paola e Eustochioc, a cui Girolamo stesso scrisse, sono parimenti seppellite a Betlemme. A un miglio da Betlemme, sulla via che porta a Gerusalemme, si trova Chabratha, il luogo in cui Rachele morì dopo aver partorito Beniamino e in cui riposa sepolta dal marito Giacobbe. Sulla sua tomba Giacobbe pose dodici grosse pietre a simbolo dei suoi dodici figlid; questo monumento funebre è ancora visibile ai passanti17. [4] Gerusalemme, gloriosa metropoli della Giudea, secondo i sapienti è posta al centro del mondoe. Davide vi regnò trentaquattro anni e mezzof. A Gerusalemme si trova il Monte Moria, sulla cui cima Davide vide un angelo che, roteando la spada sguainata, seminava strage nel popolo di Dio: temendo che punisse lui e la città perché aveva peccato nel censire il popolo, egli si gettò a terra sinceramente pentito, e profondamente prostrato ottenne ascolto Mt 2, 16. Sulla sepoltura di san Caritone cfr. infra, par. 23. c  Madre e figlia, appartenenti alla più alta nobiltà romana, furono “figlie spirituali” di Girolamo, tanto da seguirlo in Palestina per votarsi ad una vita monastica (Bibl. Sanct., X, col. 123-136, e V, col. 302-304). d  Gen 35, 16-20 e 48, 7. I dodici figli di Giacobbe sono elencati in Gen 35, 22-26. e  La descrizione del punto esatto in cui si troverebbe il centro della terra è data infra, al par. 17. f  2Sam 5, 5, dove si parla però di trentatré anni di regno. Il passo corrispondente di Fretello (par. 50) indica un periodo di trentatré anni e mezzo: non si può escludere che l’informazione scorretta data da Giovanni sia dovuta ad un errore di copia, banale nel caso di un numerale scritto in cifre romane. a 

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Descrizione della Terrasanta, 3-4

e perdono dal Signorea. Di Davide dice il Signore: Ho trovato un uomo secondo il mio cuore (At 13, 22; cfr. 1Sam 13, 14). Sotto il regno di Davide prosperava sul Monte Moria l’aia di Ornan il Gebuseo, da cui Davide in persona volle comprarla per costruirvi la casa del Signore, poiché in quel luogo egli aveva ottenuto misericordia da Lui, visto che l’angelo del Signore vi si era fermato, risparmiandolob. Acquistò dunque l’aia, ma il Signore gli proibì di entrarvi, poiché era un uomo sanguinarioc. Quindi egli affidò tutte le spese che aveva progettato per questo fine al figlio Salomone, secondo la volontà di Dio, perché costruisse così una casa per il Signore. E il re Salomone edificò nell’aia un tempio per il Signore, e cioè “Betel”d, e un altare, che consacrò con sfarzo incomparabile, domandando al Signore che qualunque cosa fosse richiesta in quel luogo meritasse di essere esaudita: il Signore glielo concesse e perciò la casa del Signore è la casa della richiestae. In seguito, però, al tempo di re Sedecìa, a causa dell’insolenza del principe e del popolo Nabucodonosor la spogliò grazie a Nabuzaradàn, capo dei suoi cuochi18; e fece portare via lo stesso Sedecìa, privato della città, e tutte le ricchezze che splendevano nel Tempio e nella città, e ordinò che il popolo fosse portato al suo cospetto a Babiloniaf; poco tempo dopo il faraone Necao distrusse il Tempio e la cittàg. Ora, perché non paia cosa assurda a chi scrive e noiosa a chi ascolta l’enumerare sotto chi e da chi il Tempio fu costruito e distrutto una, due, tre volte, cercherò di spiegartelo, mio caro, a proposito del Betel di oggi nel modo più esatto possibile19. In re2Sam 24, 10-17. 2Sam 24, 18-25 e 1Cr 21, 18-27. In 2Sam questo personaggio è chiamato Araunà (cfr. Teodorico, par. 38), mentre è in 1Cr che si trova la forma Ornan usata qui da Giovanni (e da Teodorico nel passo parallelo, al par. 18). c  Cfr. 2Sam 16, 7-8 e 1Cr 28, 3. d  Secondo Girolamo, infatti, la traduzione di Betel è “casa di Dio” (Hier., nom. hebr., p. 3, r. 18 Lagarde [p. 62]). e  2Cr 1, 7-12. Alla costruzione del Tempio è invece dedicato il lungo resoconto di 2Cr 1, 18-5, 1. f  2Re 25, 8-21. g  In 2Re 23, 29-35 si parla degli scontri fra Necao e il popolo d’Israele, ma essi non includono alcuna distruzione di Gerusalemme da parte degli Egizi. a 

b 

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S14; T16

Giovanni di Würzburg

88 T9

89

altà, sotto quale e da quale re questo Betel sia stato ricostruito è praticamente ignoto: alcuni infatti dicono che esso sia stato riedificato sotto l’impero di Costantino da sua madre Elena, in onore alla Santa Croce da lei ritrovata; altri dall’imperatore Eraclio in onore alla Croce del Signore, che egli riportò dalla Persia nel suo trionfoa; altri da Giustiniano Augusto, altri ancora da un sovrano di Menfi Egizia in onore di Allahb, cioè del Dio supremo, giacché per onorarlo ogni lingua lo venera devotamente20. Il Tempio attuale, dicevo, è il quarto, mentre nel penultimo il bambino Gesù fu circonciso otto giorni dopo la sua nascitac21. Il suo prepuzio fu presentato nel Tempio di Gerusalemme al re Carlo Magno da un angelo sceso dal cielo, ed egli lo portò in Gallia, ad Aquisgrana; più tardi fu trasferito da Carlo il Calvo in Aquitania, nel territorio di Poitiers, presso Charroux, nella chiesa che aveva fatto costruire in onore del Santo Salvatore e che aveva arricchito con le enormi ricchezze della casa regnante, affidate ai monaci che là risiedevano; e il prepuzio del Signore è venerato solennemente in quel luogo da allora fino ad oggi22. Come abbiamo detto, il primo mistero si è compiuto nella città di Nazaret mediante l’incarnazione del Signore, il secondo invece si è realizzato a Betlemme di Giudea mediante la sua nascita; il terzo, detto “Ypapanti del Signore”, ovvero “Presentazione di Cristo”d, nel quarantesimo giorno dalla nascita, si è verificato a Gerusalemme nel Tempio del Signore. In realtà, questi tre misteri sono riuniti sotto uno solo dei sigilli (di cui si dice che siano sette) da cui nell’Apocalisse è chiuso il libro che non può essere aperto da nessuno se non dall’Agnello immolato fin dalla fondazione del mondoe;

Nel 629 o nel 630. Giovanni (ma già Fretello, par. 53) usa qui la forma Allachiber, approssimativa traslitterazione latina della ben nota invocazione “Allah akbar”, scambiata per il nome del Dio dei musulmani; già Rodolfo di Caen (Radulf. Cadom., Tancr. 144) citava questa formula come emblematica della preghiera islamica. c  Lc 2, 21. d  Pur indicando in effetti la festa della Presentazione al Tempio di Gesù, il termine Ypapanti (dal greco ὑπαπάντη, hypapàntē) significa propriamente “incontro”, con riferimento all’incontro di Cristo bambino con l’anziano Simeone. e  Ap 5-6; 13, 8. a 

b 

118

Descrizione della Terrasanta, 4-5

da cui: Tu sei degno, o Signore eccetera (Ap 4, 11)a. Da alcuni invece i sette sigilli sono contati così: Natività o Incarnazione del Signore, Battesimo, Passione, Discesa agli Inferi, Resurrezione, Ascensione, Parusiab per il Giudizio futuro23. Di questi sette, sei sono già stati aperti dal Nostro Signore Gesù Cristo nella regione di Gerusalemme; il settimo deve essere compiuto dallo stesso Nostro Signore, e il suo compimento non ha un tempo e un luogo stabiliti, nonostante il profeta Gioele abbia detto, parlando per il Signore: Riunirò tutte le genti nella valle di Giosafat e là verrò a giudizio con loro (Gl 4, 2). [5] Ma di ciò si parlerà altrovec; ora torniamo alla Presentazione del Signore, aggiungendo sulla sua circoncisione che essa avvenne nel Tempio del Signore all’ottavo giorno, e che, per quanto l’asportazione della carne che essa comporta indichi nell’opinione di altri l’abbandono dei vizi, tuttavia, poiché pertiene all’Antico Testamento e, ricevuto compimento in Lui, da allora deve cessare, essa non viene annoverata tra i misteri del Nuovo Testamento e non ha niente a che fare con nessuno dei sette sigilli di cui abbiamo parlato. Come abbiamo già detto, il Nostro Signore Gesù Cristo fu presentato nel Tempio da sua madre e fu accolto tra le braccia di san Simeone, che con spirito profetico esclamò: Ora puoi lasciare, Signore, che il tuo servo vada eccetera (Lc 2, 29). Nel Tempio il Signore Nostro Gesù Cristo, ormai cresciuto, disputò con i Giudei ancora dodicenne, mentre si trovava a Gerusalemmed, e in seguito spesso insegnava loro, anche se essi lo avevano in odio; nel Tempio lodò l’offerta che la povera aveva deposto nel tesoro, poiché ella aveva dato tutto ciò che avevae. Sopra il pinnacolo del Tempio (e cioè probabilmente sopra un lato del recinto, con al di sotto delle aperture che formano una a  La citazione corrisponde ad Ap 4, 11, ma è probabilmente il versetto Ap 5, 9 (subito successivo alla visione del libro) che Giovanni aveva in mente: la differenza consiste soltanto nel vocativo “o Signore”, assente nell’incipit del canto di Ap 5, 9. b  Il termine greco Parusia, normalmente tradotto come “venuta”, si riferisce perlopiù alla futura apparizione di Gesù nel Giorno del Giudizio (Dizionario della Bibbia, p. 633-634). c  Vedi infra, par. 11. d  Lc 2, 41-47. e  Mc 12, 41-44; Lc 21, 1-4.

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S15; T15

90

Giovanni di Würzburg

T12

sorta di merlatura a pinne o “cinne”a) il diavolo pose Gesù e, tentandolo per la terza volta dopo il battesimo e il digiuno, disse: Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù (Mt 4, 6). Si dice che sempre nel Tempio del Signore, il 21 novembre, fu presentata a tre anni la Beata Vergine Mariab, come testimoniano i versi che lì sono iscritti: Accompagnata da sette vergini, la vergine destinata a servire Dio fu qui presentata a tre anni.

E lì ricevette spesso l’assistenza degli angeli, da cui il verso: La vergine vive del servizio degli angeli. S15

T15

Il Signore Gesù Cristo scacciò dal Tempio i mercanti e i compratoric, e a memoria di ciò è ancora esposta nella parte destra del Tempio una pietra, venerata con un gran numero di luci e ornamenti, che porta impresso il segno del piede del Signore quando Egli resistette, con la sola forza divina, a così tanti uomini e li scacciò fuori con violenza. E questa pietra è stata posta vicino ad un’altra, sulla quale è dipinta come su un altare la Presentazione di Nostro Signore, il che è spiegato nella raffigurazione e nell’iscrizione, che recita così: Qui fu presentato il Re dei Re, nato da vergine: perciò questo luogo fu detto a ragione santo, grazie a Lui il luogo è prezioso ed è detto a ragione santo. Qui Giacobbe vide la scala e costruì l’altared.

a  Ci limitiamo a riprendere in italiano il termine usato da Giovanni, cinnae, che a parere di Huygens (nota ad loc.) è semplicemente la resa in latino, secondo una pronuncia tedesca (quindi con c letto z), del termine tedesco “Zinnen”, cioè “merlature”. b  Com’è raccontato, pur senza indicazione di una data precisa, in Ps. Matth., euang. 4 (p. 322-325) e in Libell. natiu. Mar. 6 (p. 298-301); cfr. anche Martyrologium Romanum, p. 537. c  Mt 21, 12; Mc 11, 15-16; Lc 19, 45; Gv 2, 14-15. d  Si noti che, al posto di quest’unica iscrizione, con i versi centrali largamente sovrapponibili, Teodorico (par.  15) ne offre due distinte di due versi ciascuna, la prima riferita al luogo della Presentazione di Gesù, la seconda dedicata alla visione di Giacobbe.

120

Descrizione della Terrasanta, 5

Ma, con tutto il rispetto per la venerabilità del Tempio, non è vero che come è raffigurato lì Giacobbe posò il capo sulla medesima pietra, quando nel sonno vide la scala che giunge al cielo, per cui salivano e scendevano gli angelia24. Vi è stato apposto anche questo verso:

S14; T15; T42

91

Questa sia la tua terra, Giacobbe, insieme ai tuoi discendenti.

Ma ciò non avvenne a Giacobbe in quel luogo, bensì lontano da lì, mentre andava in Mesopotamia, e cioè presso Mahumeria Maggioreb. Nel Tempio Nostro Signore liberò l’adultera dagli accusatori dicendo: Chi è senza peccato eccetera (Gv 8, 7); e a lei disse, mentre gli accusatori se ne andavano in silenzio: Donna, va’ in pace e d’ora in poi non peccare più (Gv 8, 10-11). Si può vedere questo luogo in una piccola cripta dello stesso Tempio, cui si accede dalla parte sinistra del Tempio, e si chiama “Confessione”. Si dice che Zaccaria fosse entrato nello stesso luogo quando ricevette dall’angelo la conferma del concepimento di Giovannic. Tutto ciò è rappresentato dall’affresco e dalle iscrizioni, che recitano così. L’angelo a Zaccaria:

T41 S15; T16

Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita

eccetera. Sull’architrave si vede l’immagine di Cristo: Assolvo coloro che ammettono sinceramente le loro colpe.

Nel Tempio, presso un altare che si trovava all’aperto, lontano dal Tempio più di ventidue passi, cadde martire Zaccaria figlio di Barachìad; e su di esso nell’Antico Testamento i Giudei solevano Gen 28, 10-19. Cfr. supra, par. 2. Odierna al-Bira. c  Lc 1, 5-22. La prima delle due iscrizioni subito sotto deriva da Lc 1, 13. d  Cfr. Mt 23, 35 e Lc 11, 51; 2Cr 24, 20-22; vedi nota al luogo corrispondente di Saewulf, par. 15. a 

b 

121

S15; T14

92

Giovanni di Würzburg

T15

T16

sacrificare tortore e colombea. In seguito i Saraceni lo trasformarono in una meridiana, tuttora visibile, e si può notare che ancora oggi molti Saraceni vi si recano per pregare, poiché essa è rivolta a sud, la direzione verso cui essi sono soliti pregare. Il Tempio del Signore, fatto rivestire (chiunque sia stato) all’interno e all’esterno con splendide lastre di marmo, ha una bella forma rotonda, o meglio tondo-ottagonale, cioè con otto angoli lungo un perimetro circolare; le pareti esterne sono decorate da un bellissimo mosaico fino a metà altezza, poiché il resto è di marmo. La parte inferiore è continua, se non che è interrotta da quattro porte. La porta a est si trova accanto alla cappella dedicata a san Giacomo, che fu il primo vescovo di Gerusalemme nel tempo della Grazia: infatti egli fu ucciso con un bastone da follatore dopo essere stato precipitato proprio da quella parte del tetto del Tempio25. Perciò sulla parete laterale della medesima cappella sono iscritti questi versi: Giacomo di Alféo, immagine del Signore, morì per Cristo precipitato da questo Tempio: così Giacomo il giusto, che predicava pubblicamente Cristo, la folla malvagia punì, lo uccise con un bastone da follatore.

Questi versi, invece, si trovano in alto, lungo il bordo interno della sorta di ciborio che copre la cappella: Giacomo di Alféo, fratello del Signore Nazareno, fu nell’aspetto26 e nella vita davvero un israelita. Gettato giù dal parapetto del Tempio con empio inganno, massacrato con un bastone, salì felice a Cristo.

93

La porta a nord conduce al chiostro dei Canonicib; sul suo architrave sono state apposte varie iscrizioni in lingua saracena. Sempre Cfr. Lv 5, 7. Giovanni utilizza sempre per il chiostro dei Canonici la definizione di claus­ trum (o chorum) dominorum, dunque letteralmente “chiostro dei Signori”: come indicato da Huygens (nota ad loc.), il fenomeno è dovuto all’influenza del tedesco a 

b 

122

Descrizione della Terrasanta, 5

lì, presso questa porta, si trova il luogo con l’acqua salvifica di cui il profeta disse: Ho visto l’acqua scaturire dal lato ecceteraa. All’entrata occidentale del Tempio, in alto nel vestibolo c’è un’immagine di Cristo, intorno alla quale c’è questa iscrizione:

T16

Questa mia casa sarà chiamata casa di preghierab.

T15

Anche a sud c’è una porta, che conduce alla costruzione di Salomone, e così a ovest, verso il Sepolcro del Signore, dove si trova anche la Porta Bella27, mentre passava con Giovanni per la quale Pietro rispose al mendicante che chiedeva loro l’elemosina perché zoppo: Non possiedo né argento né oro eccetera (At 3, 6). Entrambe queste porte, cioè quella a nord e quella a ovest, hanno aperture a sei battenti; quella a sud ne ha quattro, mentre quella a est solo due. Tutte e quattro le porte hanno, però, un bel vestibolo. Tutto ciò per la parte inferiore della parete, ma nella parte superiore, ovvero dove si trova il bellissimo mosaico, sono inserite delle finestre, in maniera tale che siano cinque su ciascuno degli otto lati, tranne dove ci sono le porte del Tempio: su questi lati si trovano solo quattro finestre, così che il numero complessivo è di trentasei. Tra questa parete esterna di forma circolare e le grandi colonne marmoree all’interno (che sono dodici e sostengono la parete interna, più stretta e più alta e quasi tonda, dotata di finestre e posta sopra quattro pilastri quadrati), qui, dicevo, ci sono sedici colonne e otto pilastri fatti con blocchi squadrati di marmo, distanziati di otto piedi da un lato e dall’altro, che sostengono la parte di tetto che sta tra la parete esterna più larga e quella interna più stretta, dotata di un bellissimo soffitto; al di sopra, vicino al tetto, ci sono tutt’intorno una sorta di camminamento e dei canali di piombo che scaricano l’acqua piovana. Sopra la parete più stretta si innalza verso l’alto una volta rotonda, dipinta all’interno e ricoperta di piombo all’esterno, alla “Chorherr”, che significa appunto “canonico”, ma è costruito sul termine “Herr”, cioè “signore”. a  Cfr. Ez 47, 1-2; la citazione viene in realtà dalla liturgia della Domenica di Pasqua: CAO, III, p. 537, no 5403. b  La formula è utilizzata, fra l’altro, nella liturgia di dedicazione di una chiesa: CAO, ΙΙΙ, p. 174, no 2428.

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S14

T16

94

Giovanni di Würzburg

T15

cui sommità i cristiani hanno posto il segno della Santa Croce. Ciò provoca grande fastidio ai Saraceni, e molti avrebbero voluto farlo togliere a proprie spese: infatti, pur non credendo nella Passione del Signore, essi venerano tuttavia il Tempio in quanto vi adorano il loro creatore – ma ciò deve essere considerato idolatria secondo Agostino, che dice essere idolatria tutto ciò che è al di fuori della fede in Cristoa. Sul recinto del Tempio, più o meno sotto il tetto, all’esterno e salendo verso ovest si trova questa iscrizione: A questa casa sia pace eterna dall’Eterno Padreb. Benedetta la gloria del Signore dal suo luogo santoc.

Verso sud: La casa del Signore è saldamente fondata su una pietra sicurad. Beati coloro che abitano nella tua casa, Signore, ti loderanno nei secoli dei secolie.

Verso est: Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevof! Nella tua casa, Signore, tutti diranno gloriag.

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Verso nord: Il tempio di Dio è santo, Dio ne ha cura, Dio lo edificah.

All’interno del Tempio, invece, sul bordo superiore, lungo tutto il giro, è apposto questo responsorio a grandi lettere: Ascolta, Signore, l’inno

Secondo quanto si sostiene nel De trinitate (Aug., trin. 1,  6,  13, p.  24-25): “λατρεύειν [latrèuein], vocabolo da cui deriva il nome idolatra, attribuito a chi presta agli idoli il culto dovuto a Dio”. b  Dalla liturgia per la dedicazione di una chiesa: CAO, III, p. 398, no 4252. c  Dalla liturgia per la dedicazione di una chiesa: CAO, III, p. 86, no 1706. d  Dalla liturgia per la dedicazione di una chiesa: CAO, III, p. 83, no 1680. e  Dalla liturgia per la dedicazione di una chiesa: CAO, III, p. 71, no 1590. f  Citazione di Gen 28, 16. g  Cfr. Sal 29 (28), 9: Nel suo tempio tutti dicono: “Gloria!”. h  Dalla liturgia per la dedicazione di una chiesa: CAO, III, p. 504, no 5128. a 

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Descrizione della Terrasanta, 5

Con il suo versetto: Volgi lo sguardo, Signore

ecceteraa. Nello spazio inferiore ci sono alcuni versi dell’inno Gerusalemme, città beatab scritti in lettere d’oro. Il Tempio, così mirabilmente costruito e ornato, ha tutt’intorno un cortile ampio e piano, a pianta quadrata e pavimentato con lastre di pietra congiunte, a cui si sale da tre lati con una lunga scala. Il cortile, infatti, è ingegnosamente sopraelevato rispetto al livello del terreno, e il suo ampio ingresso si trova sulla parete orientale attraverso cinque archi, collegati da quattro grandi colonne; questa parete si apre così verso la Porta Aurea, da cui entrò solennemente il Signore cinque giorni prima della sua Passione, a cavallo di un’asina e accolto dai bambini ebrei con rami di palma, che innalzavano lodi e dicevano: Osanna al figlio di Davide (Mt 21, 9)c. Questa porta è sempre rimasta integra per volere divino, nonostante in seguito Gerusalemme sia stata spesso presa e distrutta dai nemici. Essa, per riverenza verso l’ingresso divino e mistico del Signore, che da Betania salì a Gerusalemme per il Monte degli Ulivi, all’interno è chiusa, fuori è bloccata da massi, e non si apre mai per nessuno, se non nel giorno delle Palme: allora, ogni anno, in memoria di quanto avvenuto, essa viene aperta solennemente per la processione e per tutto il popolo dei pellegrini e dei cittadini, dopo che il patriarca ha pronunciato al popolo il suo sermone ai piedi del Monte degli Ulivi; finito il rito di quel giorno, la porta viene di nuovo chiusa per tutto l’anno come prima, tranne che nel giorno dell’Esaltazione della Santa Croce, in cui viene di nuovo aperta. Nei pressi della stessa porta, ai piedi delle mura, si trova un famoso cimitero28. Il cortile del Tempio ha verso sud un ingresso aperto da tre grandi archi, uniti da due colonne di marmo, e sullo stesso lato ha Dalla liturgia per la dedicazione di una chiesa: CAO, III, p. 442, no 4621 (da Dt 26, 15). b  Il testo dell’inno si troverà in Blume, Hymnen, no 102, p. 110-112; per il suo utilizzo nella liturgia della festa per la liberazione di Gerusalemme (cfr.  infra, par. 19) rimandiamo a Linder, ‘Liturgy’, p. 114, no 13, e p. 118, no 56. c  Mt 21, 1-9; Mc 11, 1-10; Lc 19, 29-38; Gv 12, 12-15. a 

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T14

S15; T20

96

T3

Giovanni di Würzburg

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T30 S30; T45

S24; T29

S24

un altro ingresso più largo del precedente. A ovest, invece, dalla parte della città, c’è un bell’accesso che si apre con quattro archi collegati29 da tre colonne di marmo. A nord il cortile è un po’ più stretto per l’aggiunta del chiostro dei Canonicia, mentre il resto dello stesso lato presenta un ingresso molto bello e largo; all’esterno del cortile, a sud, a ovest e in parte anche verso nord, si trova una spianata altrettanto bella e molto ampia. Basti questa descrizione del Tempio e del luogo che lo circonda: non aspiriamo a una più dettagliata. [6] Nostro Signore, quando aveva ventinove anni e tredici giorni (da cui Luca: e aveva circa trent’anni [Lc 3, 23]), volendo porre fine alla circoncisione e rinnovare l’uomo vecchio con l’acqua benedetta, andò nel deserto da Giovanni, suo precursore, e fu battezzato da lui nel Giordano, nel luogo che dista tre miglia da Gerico, dove la voce del Padre suo risuonò sopra di Lui dicendo: Questi è il Figlio mio, l’amato eccetera (Mt 3, 17)b. Il Giordano è un fiume che ha origine da due corsi d’acqua, Gior e Dan, che nascono ai piedi del Monte Libano e, dopo aver corso ognuno per conto suo per un lungo tratto, si congiungono sotto i Monti di Gelboe. Nell’esatto momento in cui Cristo veniva battezzato, anche lo Spirito Santo scese su di Lui in forma di colombac, mostrando che Lui, e non Giovanni, aveva il potere di santificare le acque. Lì vicino, al secondo miglio da Gerico, sulla sinistra c’è il deserto che si chiama Quarantena, su una roccia del quale Gesù digiunò per quaranta giorni e quaranta notti, e lì, tentandolo quando era affamato, il diavolo disse: Di’ che queste pietre diventino pane (Mt 4, 3). A due miglia dalla Quarantena verso la Galilea c’è l’alto monte su cui egli tentò di nuovo Gesù, mostrandogli tutti i regni del mondo e dicendogli: Tutte queste cose io ti darò eccetera (Mt 4,  9)d. Vicino alla Quarantena scorre l’acqua di quella sorgente che il beato Eliseo rese potabile, da malsana che era, dopo averne

Cfr. par. 17 per l’omonimo e più famoso chiostro del Santo Sepolcro. Mt 3, 13-17; Mc 1, 9-11; Lc 3, 21-22. La stessa formula è usata nell’episodio della Trasfigurazione: Mt 17, 5; Mc 9, 7; Lc 9, 35. c  Oltre ai passi già citati alla nota precedente, cfr. anche Gv 1, 32. d  Mt 4, 1-11; Lc 4, 1-13; cfr. anche Mc 1, 12-13. a 

b 

126

Descrizione della Terrasanta, 5-6

guarito la sterilitàa. Davanti a Gerico, lungo la via, il mendicante cieco esclamò, sentendo che Gesù passava: Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me (Lc 18, 38); ed egli meritò di essere illuminato da Lui sia nel corpo che nello spiritob. Al terzo miglio da Gerico, a due miglia dal Giordano, si trova Bet-Cogla, che significa “luogo del giro”, perché lì si disposero in cerchio, piangendo intorno alla salma di Giacobbe, i suoi figli e la sua gente, che lo riportavano a Ebron dall’Egittoc. Engaddi si trova nella tribù di Giuda ed è dove Davide si ritirò nel desertod che è nell’Aulon di Gerico, cioè nella regione campestre di cui abbiamo parlato sopra. Engaddi si chiama quel grande villaggio giudeo presso il Mar Morto, e lì era tradizione coltivare ed esportare il balsamo: perciò si parla di vigne di Engaddi (Ct 1, 14)30. A otto miglia da Nazaret, verso il Carmelo, c’è il Monte Kairam31, alle pendici del quale, presso una fonte, Lamec padre di Noè uccise con una freccia Caino e con l’arco la sua guida; perciò, furibondo d’ira, disse: Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido eccetera (Gen 4, 23)32. Di Caino il Signore aveva detto: Chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte (Gen 4, 15)e. A tre miglia dal Monte Kairam si trova il Monte Carmelo, di cui nel Cantico dei Cantici si dice: Il tuo collo è come il Carmelof; su di esso il beato Elia volle vivere per molto tempo, e insieme a lui il suo discepolo, il beato Eliseo. A sei miglia da Nazaret, verso Genuinog, c’è Ger, il luogo33 in cui Ieu re d’Israele colpì Ozia re di Giudeah. A sedici miglia da Nazaret, verso est sul Mare 2Re 2, 19-22. Mc 10, 46-52; Lc 18, 35-43; in Mt 20, 29-34 i ciechi protagonisti dell’episodio sono invece due. c  La sepoltura di Giacobbe è raccontata in Gen 50, 7-14; del compianto in cerchio e dell’etimologia di Bet-Cogla parla invece Hier., sit. et nom., p. 9. d  1Sam 24, 1. e  La citazione ha senso anche rispetto al seguito del passo riportato appena prima da Giovanni, in cui Lamec afferma che egli sarà vendicato non sette volte, come il suo antenato, ma settantasette. f  Cfr. Ct 7, 5-6: Il tuo collo come una torre d’avorio […] Il tuo capo si erge su di te come il Carmelo. g  Cfr. supra, par. 2. h  2Re 9, 27, dove si parla però di Acazia, non di Ozia, mentre il luogo dell’assassinio è Gaber (Gur nella traduzione CEI); cfr. supra, par. 1. a 

b 

127

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Giovanni di Würzburg

T39; T51 T4

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S26; T34

di Galilea, si trova Gergessa, il villaggio in cui il Salvatore risanò quelli che erano tormentati dai demonî e da cui fece precipitare i maiali in marea. A sedici miglia dal Monte Carmelo, verso sud, c’è la metropoli di Cesarea di Palestina, da cui veniva il centurione Cornelio, che lì san Pietro battezzò e creò vescovob. Vi si trova anche la Torre di Stratone, ed Erode vi costruì un porto di marmo bianco per contrastare l’arrivo di Cesare Augusto34. Secondo la testimonianza di Flavio Giuseppe, fu sempre Erode a far costruire la torre che sovrasta Gerusalemme (detta anche Torre di Davide), e la chiamò Antonia35. [7] Dall’altra parte di Gerusalemme, leggermente a sud, si trova la città di Ebron, che un tempo era metropoli dei Filistei e dimora di giganti, distante dalla città santa un giorno di viaggio; ed era la città dei sacerdoti e dei fuggitivi nella tribù di Giudac, collocata nel territorio in cui il Plasmatore di tutto plasmò e diede vita al nostro padre Adamo. Ebron è detta “Kariath Iarbe”, che nella lingua dei Saraceni significa “quarta città”, da kariath, “città”, e arba, “quarta”, poiché vi furono sepolti in una doppia grotta i quattro venerabili padri Adamo, Abramo, Isacco e Giacobbe, e le loro quattro mogli Eva, nostra madre, Sara, Rebecca, Lia36. Ebron si trova presso la valle delle Lacrime: quest’ultima è chiamata così poiché per cento anni Adamo vi pianse suo figlio Abeled; in seguito, ammonito da un angelo, lì si unì a sua moglie, da cui generò suo Mt 8, 28-32; Mc 5, 1-13; Lc 8, 26-33. Gergessa deve corrispondere alla Gerasa di cui si parla nei Vangeli. b  Il centurione Cornelio è protagonista, insieme a Pietro, dei fatti narrati in At 10; naturalmente non si trova qui traccia della sua consacrazione episcopale (o di un suo ruolo nella Chiesa di Cesarea), attribuitagli dalla tradizione fin dalla Tarda Antichità, ma senza reale fondamento, e ancora riportata nelle vecchie versioni del Martirologio Romano (cfr. Martyrologium Romanum, p. 46; Bibl. Sanct., IV, col. 189-192). c  Come si spiega in Nm 35, 1-15, quarantotto città furono assegnate ai Leviti al momento della spartizione della Terra Promessa fra le varie tribù di Israele; sei di esse furono anche deputate ad essere rifugio per i colpevoli di omicidio involontario (cfr. Gs 20; Dizionario della Bibbia, p. 716). Su Ebron nello specifico cfr. anche Gs 21, 9-13 e 1Cr 6, 42. d  Lo stesso episodio è ambientato da Burcardo in una grotta nei pressi di Ebron (Burch., descr. 97). a 

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Descrizione della Terrasanta, 6-8

figlio Set, dalla cui tribù discese Cristoa. A due miglia da Ebron c’è la tomba di Lot, nipote di Abramo. A Ebron c’è un campo che si chiama Gebal, la cui terra rossa viene scavata e mangiata dagli abitanti e viene esportata attraverso l’Egitto per essere commerciata, poiché la si vende come una spezia preziosissima. Questo campo, quanto viene scavato in larghezza e profondità, tanto lo si ritrova ricostituito dopo un anno per volontà divina. Vicino a Ebron c’è il Monte Mamre, ai cui piedi c’è il terebinto, detto “dirps”, cioè leccio o quercia, presso cui stette per molto tempo Abramo; sotto di esso vide i tre angeli e ne adorò uno, e ospitandoli nel modo più onorevole possibile li nutrì e li rifocillòb: e perciò fu detto prima via della fedec. Secondo la testimonianza di Girolamod, questa quercia crebbe da allora fino al tempo dell’imperatore Teodosio, e si dice che da essa nacque quella che viene vista e onorata oggi dalla gente del luogo. Che tale quercia, per quanto secca, abbia proprietà mediche è provato dal fatto che, se uno va a cavallo, fino a che ne porta con sé una parte il suo animale non collassa37. Ebron fu il primo luogo in cui arrivarono Giosuè, Caleb e i loro dieci compagni in esplorazione della Terra Promessae; a Ebron Davide regnò per sette anni e mezzof. [8] A dieci miglia da Ebron verso est c’è il Lago di Asfaltide, detto anche Mar Morto (e giustamente, poiché non vi si trova nulla di vivo) e Mare del Diavolo38: infatti quelle quattro infelicissime città, Sodoma, Gomorra, Seboìm, Adma, perseverando per sua istigazione nella loro empietà, furono arse in un fuoco di zolfo

Cfr. Gen 4, 25 e Lc 3, 38. Gen 18, 1-8. In questo episodio appaiono in effetti tre persone ad Abramo, ma egli si rivolge loro con appellativi al singolare: questo offriva naturalmente spunto a discussioni sulla Trinità, com’è ad esempio quella di Agostino nel Contra Maximinum (Aug., c. Maximin. 2, 26, 5 e 7, p. 668-671 e 675-677). Il nome “dirps” non è altro che una storpiatura del greco δρύς (drys), “quercia” (cfr. Hier., sit. et nom., p. 77). c  Giovanni ricava quest’espressione da Prudenzio (Prud., psych., praef. 1-2). d  Cfr. Hier., sit. et nom., p. 7 e 77, dove si parla però dei “tempi dell’imperatore Costanzo” (presumibilmente Costanzo II, imperatore dal 337 al 361); è invece in Fretello (par. 9) che si menziona Teodosio (imperatore tra 379 e 395). e  Cfr. Nm 13, 1-24. f  2Sam 2, 11 e 5, 5. a 

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e furono sommerse in quel lagoa. Su quel lago, sul declivio della Giudea, si trova Soar, detta anche Bela o Zara, quinta di quelle città, ma salvata dalla distruzione grazie alle preghiere di Lotb, la quale è ancora visibile ed ora è nota come Palmaria. Uscendo da Soar la moglie di Lot fu trasformata in una statua di salec, e ne rimangono ancora tracce. Sulla riva di questo mare gli abitanti del luogo trovano e raccolgono molto allume e molto catrame, e dal mare si estrae il bitume detto “giudaico”, necessario a molti usi. Soar ora è detta dai nostri compatrioti Città della Palma. Sul Lago di Asfaltide, sul declivio dell’Arabia, si trova la grotta di Karnàin sul Monte dei Moabiti, sul quale Balak figlio di Beor portò l’indovino Balaam per maledire i figli di Israeled; a causa di una terribile spaccatura questo monte si chiama “Spezzato”. Il Lago di Asfaltide separa la Giudea e l’Arabia. L’Arabia al tempo dei figli d’Israele era un luogo solitario, un deserto, un eremo, una terra impraticabile e senz’acquae; in essa il Signore trattenne il popolo di Israele per quarant’anni, facendo piovere per loro manna da mangiare e facendo scaturire acqua da una rocciaf. In Arabia si trova il Monte Sinai, su cui Mosè dimorò per quaranta giorni e quaranta notti senza toccare cibog; su di esso il Signore diede a Mosè la Legge, scritta con il suo stesso dito su tavole di pietrah. In Arabia si trova la valle di Mosè, in cui egli batté due volte la roccia, facendo sgorgare

a  Cfr. Gen 19, 24-25 (dove si riferisce di Sodoma e Gomorra distrutte da zolfo e fuoco, senza alcun riferimento all’acqua) e Dt 29, 22 (dove insieme alle prime due città compaiono anche Seboìm e Adma). b  Gen 19, 18-22. L’identità di Soar, Bela e Zara (Zoara nel testo di Girolamo) è affermata da Hier., sit. et nom., p. 153 (cfr. anche Gen 14, 8). c  Gen 19, 26. d  Le vicende di Balak e Balaam sono narrate in Nm 22-24. Contrariamente a quanto dice qui Giovanni (e poi Teodorico, par. 35), era Balaam ad essere figlio di Beor, mentre Balak era figlio di Sippor (cfr. Nm 22, 2 e 5). e  Cfr. Sal 63 (62), 2: in terra arida, assetata, senz’acqua (traduzione CEI del testo della Nova Vulgata, in terra deserta et arida et inaquosa, leggermente differente da quello della Vulgata geronimiana echeggiata da Giovanni: in terra deserta et invia et inaquosa, “in terra deserta, impraticabile e senz’acqua”). f  Es 16, 4-17, 7. g  Es 24, 18 e 34, 28. h  Es 31, 18; Dt 9, 10.

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Descrizione della Terrasanta, 8

per il popolo di Dio due ruscelli d’acquaa, da cui tutta quella regione è ora irrigata. Sempre in Arabia i figli di Israele furono preceduti durante la notte da una colonna di fuoco, mentre ogni giorno una nube li circondavab; in Arabia si trova Elìm, dove i figli di Israele posero l’accampamento, un luogo nel deserto in cui trovarono dodici sorgenti e settanta palme quando uscirono dal Mar Rossoc; in Arabia ci furono le quaranta tappe dei figli di Israele39; in Arabia c’è il Monte Oreb, su cui riposa sepolto Aronned; in Arabia c’è il Monte Abarìm, sul quale il Signore seppellì Mosè, la cui tomba tuttavia non è visibilee; in Arabia c’è il Monte Regale, che il re Baldovino, primo re dei Franchi a Gerusalemme, costruì per sottomettere quella terra ai cristiani e rafforzò per proteggere il regno di Davide40. L’Arabia confina con l’Idumea nel territorio di Bostronf. L’Idumea è la terra di Damasco: essa però è parte della Siria e capitale della Siria è Damasco. Il Libano separa l’Idumea e la Fenicia; in Fenicia si trova Sur, cioè Tiro, nobilissima città metropolitana dei Fenici che, secondo i Siriani, non volle41 accogliere Cristo che passava sulla costa. Secondo la testimonianza delle Sacre Scritture essa diede a Dio dei martiri, il numero dei quali solo a Lui è dato conoscere; Tiro cela la tomba di Origene42. Davanti a Tiro c’è una grande roccia di marmo su cui sedette Gesù: essa è rimasta intatta dal tempo di Cristo fino all’espulsione degli infedeli dalla città, ma poi è stata fatta a pezzi dai Franchi e dai Veneti; sopra ciò che resta di quella roccia è stata costruita una chiesa in onore del Salvatore43. A otto miglia da Tiro verso est, sul mare, si trova Sarfen, ovvero Sarepta di Sidone, in cui un tempo abitò il profeta Elia. Lì egli resuscitò il figlio della vedova (cioè Giona) che lo aveva ospitato, nutrendolo e rifocillandolo con generositàg. Nm 20, 11. Es 13, 21-22. c  Es 15, 27; Nm 33, 9. d  Cfr. Nm 20, 25-29 e Nm 33, 38. e  Dt 32, 48-49 e 34, 5-6 (dove si trova già l’osservazione sull’irreperibilità della tomba di Mosè: nessuno fino ad oggi ha saputo dove sia la sua tomba). f  Secondo il corrispondente passo di Fretello (par. 24), seguito da Teodorico, si tratta della città di Bosra, più volte nominata nella Bibbia. g  1Re 17, 9-24. L’identificazione del figlio della vedova di Sarepta con il profeta Giona non è data dalla Bibbia, ma risalirebbe, secondo Girolamo, ad una tradizione a 

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A sei miglia da Sarfen c’è l’illustre città di Sidone, da cui veniva Didone, che costruì Cartagine in Africa; a sedici miglia da Sidone si trova Berito, città ricchissima. A Berito un’immagine del Nostro Salvatore, crocifissa per sfregio non molto tempo dopo la sua Passione da alcuni Giudei che volevano deriderlo, fece scaturire sangue e acqua: perciò molti furono battezzati e credettero nel vero Crocifisso, e chiunque fosse stato unto con ciò che era scaturito da quell’immagine veniva risanato da qualunque malattia lo opprimesse44. Arpad è una città di Damasco. Damasco è in Siria, e perciò la Bibbia dice Damasco, capitale della Siriaa, metropoli venerabile. Damasco fu costruita in Siria da Elièzer, servo di Abramo, nel terreno in cui Caino uccise suo fratello Abeleb. A Damasco abitò Esaù, detto anche Seir e Edom: Seir significa “peloso”, Edom “rosso” o “fulvo”c. Da Edom tutta quella terra prende il nome di Idumea, di cui si dice nel Salmo: sull’Idumea getterò i miei sandali (Sal 60 (59), 10; Sal 108 (107), 10). È anche detta Edom, da cui il profeta: Chi è costui che viene da Edom, da Bosra con le vesti tinte? (Is 63, 1). Una parte di quella terra è Us, da cui venne il beato Giobbe, detta anche Suach, da cui Bildad di Suach; in essa si trova anche Teman, metropoli dell’Idumea, e da Teman venne Elifaz di Teman; vi si trova anche la città di Naamà, da cui Sofar di Naamà: ebraica (Hier., in Ion., prol., p. 378, r. 35-37). a  Cfr. Is 7, 8 (la Bibbia CEI traduce “capitale di Aram è Damasco” adottando, in luogo del Syriae della Vulgata e della Nova Vulgata, l’antica denominazione della regione, identificabile appunto con la Siria). Giovanni indica il testo biblico con l’etichetta di historia (“storia”), comune nel linguaggio esegetico medievale per designare il senso letterale della Scrittura (cfr. DMLBS, s.v. historia). b  Elièzer, servo di Abramo, è detto “di Damasco” in Gen 15, 2, ma mai nella Bibbia gli è attribuita la costruzione della città, ruolo che invece gli è assegnato dalla Glossa ordinaria al passo citato della Genesi. Che Damasco sorgesse nel luogo dell’assassinio di Abele è invece riferito da Girolamo (Hier., in Ezech. 8, 27, 18, p. 373, r. 1174-1177). c  Seir è il monte (che Giovanni stesso ricorda poco oltre) dove Esaù visse per un certo periodo (Gen 36, 8); l’origine del nome Edom è invece legata al celebre episodio in cui Esaù scambia la propria primogenitura per un piatto di minestra di lenticchie, descritta come “rossa” in Gen 25, 29-30. I significati dei due nomi sono dati rispettivamente da Hier., nom. hebr., p. 10, r. 27-28 Lagarde (p. 72), e p. 5, r. 24 Lagarde (p. 65); cfr. anche Thiel, Grundlagen, p. 413 e 291-292.

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Descrizione della Terrasanta, 8-9

questi tre furono i consolatori di Giobbea. Nel territorio dell’Idumea, a due miglia dal Giordano, c’è il fiume Giacobbe, attraversato il quale, di ritorno dalla Mesopotamia, Giacobbe lottò con l’angelo che cambiò il suo nome da Giacobbe in Israeleb. In Idumea c’è il Monte Seir, sotto il quale si trova Damasco. A due miglia da Damasco c’è il luogo in cui Cristo apparve a Saulo dicendo: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? (At 9, 4), e lì una grande luce dal cielo avvolse Saulo. A Damasco Saulo fu battezzato da Ananìa, che gli impose il nome di Paolo. Dalle mura di Damasco fu calato giù Paolo, temendo la furia dei persecutoric. [9] Libano significa “candore”d e di esso si dice nel Cantico dei Cantici: Vieni dal Libano, colomba mia (cfr. Ct 4, 8; Ct 2, 14 e 5, 2). Alle pendici del Libano nascono il Parpar e l’Abanà, i fiumi di Damasco. L’Abanà attraversa i monti del Libano e la pianura di Arcados, sfociando nel Mar Grandee nel territorio in cui si ritirò sant’Eustachio, privato della moglie e abbandonato dai figli45. Il Parpar attraversa la Siria verso Antiochia e, dopo aver lambito le sue mura, sfocia nel Mar Mediterraneo a dieci miglia dalla città, nel porto di Solim, ovvero di San Simeone. Ad Antiochia san Pietro apostolo stette per sette anni portando le vesti episcopali. Alle pendici del Libano si trova la città di Paneas, detta anche Belinas e Cesarea di Filippo46. Alle stesse pendici scaturiscono le due sorgenti Gior e Dan, dalla cui confluenza sotto i Monti di Gelboe nasce il Giordano. La valle che si estende dai Monti di Gelboe fino al Lago di Asfaltide, attraversata dal Giordano, si chiama Gortus. Si chiama Aulon (che è un termine ebraico) la valle, granCfr. Gb 1, 1 e 2, 11. Gen 32, 23-29. Il nome del fiume in questione non era però Giacobbe (Iacob), ma Iabbok (Iadach in Teodorico, par. 49). Per quanto possa parere sorprendente un errore su un toponimo che compare in un episodio biblico senz’altro famoso, Huygens preferisce conservare il testo tramandato dai codici, tanto più che forme errate compaiono già in alcuni testimoni di Fretello (Peregr. tres, p. 24). c  Per tutte queste vicende relative alla conversione di Saulo/Paolo e ai suoi primi tempi da cristiano, cfr. At 9, 1-25. d  La traduzione (una delle due possibili: l’altra, che passa per il greco λίβανος, lìbanos, è “incenso”) è data da Girolamo in vari luoghi delle sue opere (cfr. Thiel, Grundlagen, p. 342). e  Cioè il Mediterraneo; la definizione di Grande, comune nel Medioevo, risale almeno a Isidoro (Isid., orig. 13, 16, 1). a 

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de e ricca di campi, che si estende dal Libano fino al deserto di Paran, sempre fiancheggiata dai monti su entrambi i latia. Il Giordano divide la Galilea e l’Idumea e la terra di Bostron, che è la seconda metropoli dell’Idumea. Giordano significa “discesa” b. Il Dan scorre sottoterra quasi dalla sorgente fino alla pianura di Medan, in cui il suo alveo riaffiora in superficie in modo molto visibilec. Quella pianura è detta di Medan poiché nel mezzo vi si trova il fiume Dan. In arabo la piazza si dice medan, in latino invece foro: e Medan è chiamata 47 poiché all’inizio dell’estate vi si riunisce una folla innumerevole, che porta con sé ogni genere di mercanzia, e un grande numero di Parti e Arabi vi dimora per tutta l’estate per proteggere il popolo e pascere le proprie greggi in quei pascolid. Il nome Medan si compone di med e dan: med in arabo è “acqua”, dan è “fiume”e. Venendo da quella pianura il Dan, divenuto fiume, attraversa Suach, dove la tomba del beato Giobbe, ancora in piedi, viene onorata dai re e dal popolo48. Piegando verso la Galilea delle gentif sotto la città di Kedar, il Dan si unisce al Gior presso i bagni curativi, dopo aver attraversato la piana di Spineto. Il Gior forma non lontano da Paneas il lago omonimo, poi tra Betsaida e Cafarnao comincia il Mar di Galilea. Di Betsaida erano Pietro e Andrea, Giacomo di Alféo e Giovanni49. A sei miglia da Betsaida c’è Corazìn, in cui crescerà l’Anticristo seduttore del mondo50. Di Corazìn e Betsaida disse Gesù: Guai a Vedi supra, par. 6. La traduzione è corrente nei testi patristici (ad esempio in opere di Girolamo, Ambrogio, Gregorio Magno): cfr. Thiel, Grundlagen, p. 333. c  Secondo Abel, Géographie, I, p.  483-484, non si tratterebbe di una nuova sorgente del Dan, ma di un altro fiume, affluente del Giordano, lo Yarmuk (forse lo Hieromices di Plin., nat. hist. 5, 74); Medan (el-Meddan) sarebbe invece il nome del prolungamento di questo wadi verso ovest. d  Informazioni analoghe sono date da Guill. Tyr., chron. 16, 9, p. 726, r. 13-16. e  La stessa etimologia è riportata, verso la fine del XIII secolo, da Burcardo di Monte Sion (Burch., descr. 22, 6, p. 34, rispetto a cui ritocchiamo leggermente l’interpunzione): Saraceni autem fontem illum non Phyalam, sed Medan uocant, id est aquas Dan: ‘me’ enim ‘aque’ Arabice dicitur, Dan uero fons est unus de duobus supradictis, “i Saraceni, invece, chiamano quella sorgente non Fiala, ma Medan, cioè ‘acque di Dan’: me, infatti, significa ‘acque’ in arabo, mentre Dan è una delle due sorgenti di cui si è detto sopra”. f  Cfr. anche infra, par. 10. a 

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Descrizione della Terrasanta, 9-10

te, Corazìn! Guai a te, Betsaida! (Mt 11, 21; Lc 10, 13). A sei miglia da Corazìn c’è la stupenda città di Kedar, di cui si dice nel Salmo: Abito con gli abitanti di Kedar (Sal 120 (119), 5). Kedar significa “nelle tenebre”a. [10] Cafarnao, sulla sponda destra del mare, è la città del centurione, in cui Gesù guarì il figlio del centurione, di cui Egli stesso disse: In Israele non ho trovato una fede così grande (Mt 8, 10)b. A  Cafarnao Gesù compì molti segni insegnando nella sinagoga. Cafarnao significa “città bellissima” o “figlia della bellezza”c, che per noi indica la santa Chiesa: tutti coloro che vengono a lei dal Libano, cioè dal candore delle virtù, da essa e in essa sono resi più splendenti. A due miglia da Cafarnao c’è il pendio di quel monte su cui il Signore parlò alle folle e istruì i suoi apostoli ammaestrandolid, e curò anche un lebbrosoe. A un miglio da quel pendio c’è il luogo in cui sfamò cinquemila uomini con cinque pani e due pescif: perciò quel luogo è detto “Mensa”, cioè “luogo dove si mangia”. Accanto a questo luogo si trova quello in cui Cristo apparve ai suoi discepoli dopo la Resurrezione, mangiando con loro un po’ di pesce arrostitog, in riva al mare che il Signore percorse senza bagnarsi a  Hier., nom. hebr., p. 48, r. 13-14 Lagarde (p. 119); cfr. anche Thiel, Grund­ lagen, p. 276. b  Mt 8, 5-10; Lc 7, 1-10. Nei Vangeli il protagonista dell’episodio è però il servo del centurione, non il figlio; la confusione è forse dovuta all’ambiguità dell’espressione latina puer meus usata dal centurione: letteralmente, infatti, puer significa “ragazzo”, ma è impiegato comunemente nel senso di “servo”. In due punti del passo citato, tuttavia, Luca parla propriamente di seruus, come esplicitato anche dalla Glossa ordinaria a Mt 8, 6. c  La prima (uilla pulcherrima) delle due traduzioni proposte da Giovanni è quella riferita da Girolamo nel suo commento a Matteo (Hier., in Matth. 11, 23, p. 85, r. 228); l’altra traduzione possibile è “campo della consolazione” (ager consolationis): cfr.  Thiel, Grundlagen, p.  273. Nel passo corrispondente di Fretello (par. 34) si legge invece filia pulcherrima, “figlia bellissima”: ma dal momento che sia la sua fonte (Girolamo) che il suo derivato (Giovanni) hanno la forma corretta, è possibile che filia sia un errore di copia per uilla nei manoscritti serviti di base all’edizione di Boeren. d  Si tratta del celebre Discorso della Montagna, riportato in Mt 5, 1-7, 29. e  Mt 8, 1-4; Mc 1, 40-45; Lc 5, 12-14. f  Mt 14, 15-21; Mc 6, 35-44; Lc 9, 12-17; Gv 6, 5-13. g  Gv 21, 9-14. Anche in Lc 24, 36-43 Gesù risorto mangia del pesce arrostito con gli apostoli, ma la scena è ambientata a Gerusalemme. Altre apparizioni sono

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i piedi, quando apparve sul finire della notte a Pietro e Andrea, intenti a pescare51. E allora Gesù disse a Pietro, che voleva raggiungerlo camminando sul mare e stava affondando: Uomo di poca fede, perché hai dubitato? (Mt 14, 31)a. Sempre qui, un’altra volta, rese il mare tranquillo quando i suoi discepoli si aspettavano di morireb. Dalla parte sinistra del mare, nell’avvallamento di un monte, si trova Gennèsaret, luogo che genera una brezza ancora percepibile da chi vi si trovac. A due miglia da Gennèsaret si trova il villaggio di Magdala, da cui venne Maria Maddalena. Questa regione è la “Galilea delle genti”, nella tribù di Zabulon e di Neftalid; nella parte superiore di questa Galilea c’erano venti città, di cui il re Salomone fece dono all’amico Chiram, re di Tiroe. A due miglia da Magdala c’è la città di Chinneret, chiamata anche Tiberiade da Tiberio Cesare, che Gesù soleva visitare nella sua giovinezza. A quattro miglia da Tiberiade si trova la città di Betulia, da cui venne Giuditta, che per salvare la sua gente uccise con grande astuzia Oloferne durante l’assedio della cittàf. A quattro miglia da Tiberiade verso sud c’è Dotàim, dove Giuseppe trovò i suoi fratelli che pascevano le greggi e dove essi lo vendettero agli Ismaeliti avendolo in odiog. [11] Davanti alla porta di Gerusalemme che guarda verso ovest, la parte da cui iniziò la liberazione della città sotto il secondo Israeleh, morì lapidato santo Stefano Protomartire, che da lì fu traslaricordate infra, par. 17. a  Mt 14, 24-31; Mc 6, 45-52; Gv 6, 16-21. b  Mt 8, 23-27; Mc 4, 36-40; Lc 8, 22-25. c  L’informazione è data, sulla scorta di Egesippo, da Isidoro (Isid., orig. 13, 19, 6), secondo il quale, inoltre, il nome Gennèsaret (da lui impiegato nella forma Genesar e ritenuto di origine greca) significa proprio “che genera una brezza da sé stesso” (generans sibi auram; cfr. Gasparotto, Etimologie, p. 120-121). Altre traduzioni erano date da fonti patristiche: cfr. Thiel, Grundlagen, p. 315. d  Cfr. Mt 4, 15, dove si cita Is 8, 23. e  1Re 9, 11. f  Gdt 13, 1-10; 16, 21 e 23. g  Gen 37, 17-28, e supra, par. 2. Si noti che la Bibbia CEI utilizza qui la variante Dotan per il toponimo che altrove nella stessa traduzione si trova come Dotàim, forma che abbiamo mantenuto anche in questo passo in quanto più vicina al latino. h  La formula è già usata da Fretello (par. 2 e 67), secondo Boeren e Huygens (note ad loc.) per alludere a Goffredo di Buglione, guida dei Crociati che liberarono la città santa il 15 luglio 1099.

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Descrizione della Terrasanta, 10-11

to a Sion e sepolto tra Nicodemo e Gamaliele e Abibone, poi fu portato a Costantinopoli e infine fu sepolto a Roma insieme a san Lorenzo. Per questo sulla tomba si legge: Colui che Sion uccise, Bisanzio ce lo inviò52.

Davanti alla porta di Gerusalemme, presso la piscina che guarda a sud, c’è la grotta in cui, per ordine di Dio onnipotente, un leone trasportò durante la notte i circa dodicimila martiri uccisi sotto il re Cosroe: e perciò è chiamata “Ossario del Leone”53. A sei miglia da Gerusalemme verso sud, sulla via che porta a Ramatàim, c’è il Monte Modin, da cui venne Mattatìa, padre dei Maccabeia, i quali vi riposano sepolti in tombe ancora visibili54. A otto miglia da Modin, sulla via che porta a Ioppe, si trova Lidda, detta anche Diospoli, in cui è noto che fu seppellito il corpo di san Giorgio, a un miglio da Ramatàim55. A tre miglia da Betlemme si trova il villaggio di Tekòa, da cui venne Amosb, che ivi riposa sepolto. A  quattro miglia da Gerusalemme verso sud c’è la città in cui si trovava Zaccaria quando Maria, madre di Gesù, già incinta del Figlio di Dio, si affrettò per venire a salutare Elisabetta, sua parente, incinta del figlio Giovannic, che si dice sia nato nello stesso luogod. A tredici miglia da Gerusalemme verso nord c’è Gerico, da cui venne la prostituta Raab che, ospitando i quattro esploratori dei figli di Israele, li liberò, li nascose e li nutrìe. Di Gerico era Zaccheo che, essendo piccolo di statura, quando sentì che Gesù passava da quelle parti salì su un sicomoro per vederlo e parlare con Lui, riconoscendosi colpevole e chiedendo perdonof. Di Gerico erano anche i ragazzi che derisero il beato Eliseo mentre saliva a Gerusalemme, gridando: Sali, calvo! Sali, calvo! (2Re 2, 23). A due miglia da Gerusalemme, sulla via che porta a Sichem, c’è il Monte Gàbaa della tribù di BeniaCfr. 1Mac 2, 1. Cfr. Am 1, 1. c  Lc 1, 39-45. d  Come Giovanni, nemmeno Fretello (par. 68) precisa il nome di questo luogo; l’unico a farlo è Teodorico (par. 38), non è chiaro se sulla base di un’altra fonte o grazie ad informazioni avute sul posto. e  Gs 2, 1-21. f  Lc 19, 1-10. a 

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Giovanni di Würzburg

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minoa. A un miglio da Gerusalemme, sul declivio del Monte degli Ulivi, c’è il Monte della Perdizione, ad esso contiguo56; li divide però la via che porta da Giosafat a Betania passando per Betfage. Si chiama Monte della Perdizione perché il re Salomone vi pose e vi adorò l’idolo Molochb. Proprio vicino a Gerusalemme, sotto la reggia di Salomone, sul declivio nella valle di Giosafat, c’è la piscina di Siloe, dove Gesù mandò il cieco cui aveva restituito la vista a lavarsi gli occhi con l’acqua. Egli andò, si lavò e riacquistò la vista: perciò Siloe significa “mandato”c. Naamàn, principe di Siria, non fu mandato dal profeta Eliseo alla stessa acqua, ma al Giordano, perché immergendosi tre volte in esso fosse guarito dalla lebbra. Ma egli, guardandolo quasi con indignazione, proruppe: Non sono forse migliori il Parpar e l’Abanà, fiumi della nostra terra? (2Re 5, 12). Però alla fine, prestando ascolto agli avvertimenti del suo servo, egli obbedì all’ordine del profeta, e fu guaritod. Secondo la tradizione dei Siriani, il Siloe viene da Silo. Le acque di Siloe scorrono in silenzio, poiché è un fiume sotterraneoe. Presso Siloe c’era la quercia di Roghel, sotto la quale riposa sepolto san Giosia57. Nella valle di Giosafat fu sepolto san Giacomo di Alféo, che, come abbiamo dettof, fu precipitato dal Tempio. Nella medesima valle c’è una bella cappella, in cui rimangono tracce della sua sepoltura, con iscritti sopra questi versi: I Giudei senza legge opprimono il figlio di Alféo, causa della morte sono per lui il nome e l’amore di Dio. Il figlio di Alféo, precipitato dal Tempio, qui fu portato e devotamente tumulato.

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Di lì fu traslato a Costantinopoli. Nella valle di Giosafat, sotto una tomba a forma di piramide, fu seppellito lo stesso re GiosaCfr. Gs 18, 28. 1Re 11, 7; cfr. anche 2Re 23, 13 (dove compare il nome di “Monte della Perdizione”). c  Gv 9, 6-7. d  2Re 5, 9-14. Nella Bibbia le immersioni sono però sette e non tre come qui. e  Cfr. Is 8, 6: le acque di Siloe, che scorrono piano (ma nel latino si dice effettivamente cum silentio, “in silenzio”). f  Al par. 5. a 

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Descrizione della Terrasanta, 11-12

fat58, da cui prese nome tutta la valle. Significa però “valle del giudizio”a secondo questo passo: Riunirò tutte le genti eccetera (Gl 4, 2). Ovunque in questa valle ci sono numerose grotte, in cui dei religiosi conducono una vita eremiticab. Essa dipende tutta dal monastero posto in cima alla stessa valle sulla riva del torrente Cedron, presso il giardino in cui spesso Nostro Signore soleva riunirsi con i discepolic. Ancora oggi nella cripta di quel monastero si vede la tomba della santissima Vergine Maria, di cui parleremo più avantid. Si è già detto dei due sigilli che Nostro Signore sciolse, come il leone uscito dalla tribù di Giuda, nel libro sigillato di Giovannie, ovvero la Natività e il Battesimo; aggiungiamo perciò gli altri. [12] Quando si avvicinava il tempo della sua Passione, Gesù Nostro Signore giunse a Betania la sera prima del giorno delle Palme; e il giorno seguente, cioè di domenica, entrò di mattina nella città santa con la solennità di cui abbiamo già parlatof. Betania dista da Gerusalemme due miglia, ed è la città in cui Simone (o, meglio, Lazzaro) ospitò spesso Gesù, che era servito devotamente da Marta e Maria. A Betania Maria Maddalena, dopo avere rotto un vasetto di alabastro, ne versò per devozione l’unguento prezioso sul capo del Salvatore, mentre stava seduto a pranzo; e tutta la casa fu riempita dal profumo di quell’unguentog. Si dice anche che la medesima Maria, in quel luogo o forse in un altro (cioè nella casa di Simone il lebbroso), tempo prima, quando era ancora nel peccato, spinta dal pentimento giunse ai piedi del Signore, che stava anche in quell’occasione a tavola, e bagnò con le lacrime i piedi di Gesù, li asciugò con i suoi capelli e li unse con un altro unguento, Secondo l’etimologia data da Girolamo in vari passi delle sue opere (“Egli giudica”, “il Signore giudicherà”, “giudizio del Signore” o simili): cfr. Thiel, Grund­ lagen, p. 334. b  Su questo luogo, detto Vicus Heremitarum, cfr. Boas, Jerusalem, p. 132-133. c  Cioè Santa Maria nella valle di Giosafat, presso cui era collocato l’Orto degli Ulivi. d  Cioè al par. 20 (a cui rimandiamo anche per informazioni ulteriori sul monastero cui fa allusione Giovanni). e  Cfr. Ap 5, 5. f  Cfr. supra, par. 5. g  Mt 26, 6-7; Mc 14, 3. a 

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cioè quello della contrizione: e così ottenne dal Signore il perdono dei suoi peccatia. Perciò, quando in un passo delle Sacre Scritture si trova che una Maria si è gettata ai suoi piedi e in un altro passo che un’altra ha unto il capo del Signore, i nostri sapienti spiegano che “altra” è da intendersi come “diversa”, perché là si avvicinò come peccatrice nell’amarezza del pentimento, qui come ormai perdonata con l’esaltazione della devozione. C’è poi una chiesa, all’interno delle mura della città santa presso Sant’Anna, verso nord, vicino alle mura della città, consacrata a Maria Maddalena59: in essa abitano dei monaci giacobiti, che dicono che lì fu la casa di Simone il lebbroso, il quale invitò a pranzo Nostro Signore, e durante il pranzo arrivò Maria Maddalena, che si gettò ai suoi piedi, li bagnò con le sue lacrime, baciatili li asciugò con i suoi capelli e li unse con l’unguento. E indicano addirittura il luogo preciso in cui Maria giunse ai piedi di Gesù, segnato sul pavimento con una croce; e lo provano con una rappresentazione dipinta su tavole, mostrando anche un capello della stessa Maria che è contenuto in un vasetto trasparente lì ritrovato. Dicono anche che fu un’altra Maria, la sorella di Lazzaro e Marta, quella che a Betania (la loro città) ruppe un vasetto di alabastro e versò l’unguento prezioso sul capo di Nostro Signoreb. Affermano che la sua tomba sia ancora oggi visibile a Tabaria, poiché il suo corpo è ivi sepolto60; ammettono invece che il corpo di Maria Maddalena riposa sepolto nella nostra terra, a Vézelay61. Questo essi affermano, come ho potuto sentire di persona; ma, come abbiamo già detto, i nostri sapienti dicono che la Maria che unse i piedi e il capo di Gesù fu una sola, ed essa fu sorella di Lazzaro e un tempo peccatrice. Tuttavia, il testo del Vangelo è molto oscuro su questo punto e anche in un ascoltatore attento solleva dubbi su questo problema, cioè se Simone il fariseo abbia avuto una casa a Betania e vi abbia invitato il Signore, il che però non sembra possibile, perché tutta la città era di Lazzaro e delle sue sorelle; e se Simone avesse avuto altrove una casa e magari nel luogo di cui abbiamo parlato, allora è necessario che si dica che la prima volta Maria ha unto non solo i piedi, ma anche il capo a  b 

Lc 7, 37-38 (dove non è detto il nome della donna); cfr. anche Gv 12, 3. Gv 12, 3.

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Descrizione della Terrasanta, 12-13

di Gesù, come si può intendere sulla base delle parole del Signore stesso, che dice nel Vangelo: Simone, sono entrato in casa tua eccetera (Lc 7, 44); che la seconda volta, invece, Maria, nella sua casa di Betania, gli ha unto solo il capo, dopo aver rotto sopra di Lui il vasetto di alabastro, da cui nel Vangelo: Mentre Gesù si trovava a Betania eccetera (Mt 26, 6). Se qualcuno volesse informarsi più ampiamente su queste cose, venga egli stesso e chieda agli abitanti più saggi di questa terra il corso degli eventi e la verità riguardo a questo fatto; infatti non ho trovato molto in proposito in nessun testo62. A metà tra Betania e la cima del Monte degli Ulivi si trovava Betfage , un villaggio di sacerdoti; ne rimane ancora traccia in due specie di torri di pietra, di cui una è una chiesa63. Ai piedi del Monte degli Ulivi, verso la città, dove è ora visibile la tomba di santa Maria Verginea, c’era un piccolo villaggio detto Getsèmani. [13] Avvicinandosi, come si è detto, la Passione del Signore, dopo la resurrezione di Lazzaro Egli venne a Gerusalemme nel giorno delle Palme; lo stesso giorno, trascorsa la festività appena citata, ritornò al Monte degli Ulivi, per rimanervi fino al giovedì, in cui doveva celebrare insieme con i suoi discepoli l’Ultima Cena, con la quale pose fine all’antica Alleanza e diede inizio alla nuova. Quando dunque i suoi discepoli gli chiesero dove voleva celebrare la Pasqua, Egli ne inviò in città alcuni, perché andassero a preparargli una casa o un luogo dove compiere adeguatamente i misteri di una tale cena, come si legge più distesamente nel Vangelo: andate in città; troverete un uomo che porta una brocca d’acqua: seguitelo eccetera (Mc 14, 13). Questo cenacolo fu trovato sul Monte Sion64, nel luogo in cui si dice che un tempo Salomone costruì uno splendido edificio, di cui si parla nel Cantico dei Cantici: un baldacchino si è fatto il re Salomone eccetera (Ct 3, 9). Il cenacolo, al piano superiore dell’abitazione, era grande e ampio: e si dice che in questo largo spazio, in ragione di quel mistero, Nostro Signore cenò con i suoi discepoli, e lì con un’allusione svelò il suo traditore, confortando gli altri a proposito della sua immi-

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Cfr. infra, par. 20.

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nente Passionea e offrendo loro il suo corpo da mangiare sotto la specie del pane e il suo sangue da bere sotto la specie del vino, dicendo ogni volta che ecceterab. Una volta terminata la cena al piano superiore dell’abitazione, è verosimile che, sempre in ragione del mistero, al piano inferiore della casa Nostro Signore abbia dato un esempio di umiltà lavando i piedi dei discepoli, che ciò sia avvenuto prima o dopo la cena, come suggerisce un commento a quel passo del Vangelo di Giovanni: e terminata la cena si alzò eccetera (cfr. Gv 13, 2 e 4)c. Comunque, che ciò sia accaduto prima o dopo, la differenza di luogo è ancora oggi indicata dalla rappresentazione del fatto nella chiesa del Monte Sion: infatti nella sua parte superiore, sul lato sinistro, si vede dipinta la cena, in quella inferiore, cioè nella cripta, si mostra come sia avvenuta la lavanda dei piedi dei discepoli. [14] Compiuti dunque questi misteri, Egli ritornò con i suoi discepoli per pregare al Monte degli Ulivi e, avendoli lasciati alle sue pendici e sul suo declivio, si ritirò da solo alla distanza di un lancio di sasso, cioè nel Getsèmani, e pregò il Padre suo dicendo: Padre, se è possibile eccetera (Mt 26, 39)d; lì per la paura della carne versò sudore come di sangue. Tornato dai discepoli e trovandoli addormentati, rimproverò soprattutto Pietro, dicendo: Non sei riuscito a vegliare con me una sola ora? (Mc 14, 37), e agli altri: Dormite pure e riposatevi (Mc 14, 41)e. Così, allontanatosi una terza volta da loro verso lo stesso luogo e rivolte al Padre le stesse preghiere, confortato infine dal Padre in quanto uomo e da sé stesso in quanto Dio, tornò per la terza volta dai discepoli e disse: Vegliate e pregate (Mt 26, 41; Mc 14, 38; cfr. Lc 22, 46). La distinzione tra questi luoghi, cioè dove rimasero i discepoli e dove il Signore pregò, si vede chiaramente nella valle di Giosafat. Infatti, presso la chiesa maggiore, dove ancora oggi si trova, come Gv 13, 21-35. Giovanni richiama qui la formula (tratta da 1Cor 11, 25) utilizzata durante l’eucarestia al momento della consacrazione. c  Per restare più fedeli al testo della Vulgata citato dal nostro autore ci distacchiamo dalla traduzione CEI, che recita invece: “durante la cena…”. Il commento cui fa allusione Giovanni è quello di Agostino (Aug., in euang. Ioh. 55, 3, p. 465, r. 8-13). d  Cfr. anche Mc 14, 36 e Lc 22, 42. e  Cfr. anche Mt 26, 40 e 45 (dove la prima apostrofe, pronunciata parlando con Pietro, è rivolta a tutti gli apostoli). a 

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Descrizione della Terrasanta, 13-15

diremo più avantia, la tomba della Beata Vergine Maria, a destra dell’ingresso c’è una cappella con una grotta, in cui rimasero i discepoli, tristi e assonnati, quando il Signore si allontanò da loro tre volte e tre volte ritornò, il che è tuttora lì indicato da un dipinto. Il luogo dove il Signore pregò, invece, è circondato da una nuova chiesa, detta chiesa del Salvatore, dal cui pavimento emergono tre massi non lavorati come delle piccole rupi, sui quali si dice che il Signore pregò inginocchiandosi tre volte: presso queste pietre i fedeli di Cristo compiono atti di venerazione e offerte con la più grande devozione65. Sapendo Nostro Signore che Giuda si stava avvicinando con la folla a questa grotta – Giuda, infatti, mentre gli altri discepoli dopo la cena erano rimasti con il Signore, andato da solo dai Giudei trattò con loro la consegna del Signore, e ricevute come ricompensa del tradimento trenta monete d’orob ormai si avvicinava con la folla – sapendo ciò, dicevo, Gesù disse in quella grotta ai suoi discepoli: Alzatevi, andiamo! Ecco, è vicino66 eccetera (Mt 26, 46; cfr. Mc 14, 42). Così, uscito dal Getsèmani e riconosciuto grazie al bacio di Giuda, fu preso, legato e portato via dai soldati che erano stati inviati lì. Però nella caverna di cui si è detto si vedono cinque buchi in una pietra, creati dalle cinque dita di una mano del Signore, il Signore cioè già catturato e che, strattonato violentemente dai suoi persecutori, avrebbe tentato di aggrapparsi. Comunque stiano le cose, noi sappiamo senza dubbio che Egli avrebbe potuto fare qualcosa di più grande, segno di maggior potenza e forza. [15] Il Signore Nostro, tradito, come abbiamo detto, da un suo discepolo, catturato e legato da un soldato romano, fu condotto al Monte Sion, dove allora si trovava il pretorio di Pilato chiamato Litostroto, in ebraico Gabbatàc67. All’epoca, infatti, la parte migliore e più forte di tutta la città si trovava sulla cima di quel monte, in maniera che anche la Torre di Davide, torre di vedetta e protezione del resto della città, si innalzava su di esso; e come una madre genera e protegge, la parte inferiore della città era detta sua Cioè al par. 20. Probabile lapsus di Giovanni (ripetuto anche più avanti, par. 21): le monete erano in realtà d’argento, come si dice in Mt 26, 15. c  Gv 19, 13. a 

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figlia, da cui: Dite alla figlia di Sion eccetera (Mt 21, 5, da Is 62, 11)a. Più tardi, però, quando la città fu distrutta e spostata sotto l’imperatore Elio nel luogo dove ora si trova, il monte, da alto che era, fu drasticamente abbassato e spianato, e anche la torre e gli altri edifici ne furono rimossi; oggi viene mostrato il luogo dove erano il pretorio e la Torre di Davide. A quel tempo presso il pretorio, a sud, si trovava il grande edificio dove il Signore cenò con i suoi discepoli; sempre accanto al pretorio, a est, c’era il cortile in cui Egli fu condotto in catene e trattenuto per tutta quella notte sotto la sorveglianza delle guardie e dei capi dei Giudei, fino all’ora in cui doveva comparire in giudizio il mattino successivo. Nello stesso pretorio Pietro rinnegò tre volte il Signore prima del canto del gallo e lì, dopo averlo udito, quando il Signore lo guardò, ricordate piamente le parole di Gesù si pentì sinceramente e pianse amaramente, rifugiandosi nella caverna che ora si chiama “Canto del gallo” e popolarmente “Galilea”. Sul Monte Sion Cristo apparve ai discepoli, perciò lì si trovano apposti sul lato destro della chiesa questi versi: Cristo apparve qui ai suoi discepoli galilei risorto: perciò questo luogo è detto Galilea.

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Sulla via per cui da Sion si scende a Giosafat, presso la Porta del Monte Sion, sopra la caverna stessa è costruita una chiesa, che è oggi custodita da monaci greci68. Venuto dunque il mattino successivo, condannato con un giudizio ingiusto, in un luogo davanti al pretorio Egli fu flagellato, percosso, coperto di sputi, vestito con una veste di porpora, trafitto da una corona di spine, il che è indicato dall’iscrizione lì collocata, che così recita: Questi viene incoronato perché secondo giustizia il mondo sia governato.

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Lo stesso luogo è indicato da una cappella davanti alla chiesa maggiore di Sion, verso nord, contenente un dipinto di quei fatti con questa iscrizione: a 

Dalla liturgia della prima domenica di Avvento: CAO, III, p. 148, no 2201.

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Descrizione della Terrasanta, 15-16

Il Santo dei Santi è condannato dalla voce dei colpevoli, per i suoi servi Dio sopporta la battaglia e il flagello. La buona croce di Cristo viene in aiuto a Simone: egli non porta senza ricompensa ciò che dà ogni bene ai beati.

Da lì, dopo la sentenza di condanna alla crocifissione pronunciata contro di Lui, posero sulla spalla del Signore la croce appositamente preparata, perché la portasse fino al luogo del patibolo, affinché si compisse la profezia: Sulle sue spalle è il suo potere eccetera (Is 9, 5). Sopraggiunse però un uomo di Cirene, che costrinsero a portare la croce fino al luogo del Calvario in ragione del mistero. [16] Allora, rispetto al sito dell’antica città, il luogo del Calvario, che era adibito all’esecuzione dei condannati a morte, si trovava fuori dalle mura. Quel luogo era così chiamato per il fatto che essi venivano resi calvi, rasati loro i capelli, con le teste consumate dal vento e ormai denudate fino alla carne e lasciati insepolti, oppure perché lì i condannati venivano resi calvi, cioè venivano solitamente condannati. Quel luogo, che era anche detto in ebraico Golgota, si trovava su un’antica rupe, così come anche oggi i luoghi sopraelevati tutt’attorno alle città sono deputati all’esecuzione dei condannati. Intanto che su quella rupe la croce veniva preparata per appendervelo, Nostro Signore era tenuto in catene come in carcere in un luogo che allora era in campagna e che oggi ha l’aspetto di una cappella e viene ancora chiamato “Carcere del Signore”; esso si trova esattamente dall’altra parte del Calvario, nell’abside sinistra della chiesa69. Alcuni tuttavia, come ho udito di persona, hanno un’opinione diversa su questo luogo. Poi sul Calvario, per ordine di Pilato e per insistenza dei Giudei, dei soldati romani appesero alla croce Nostro Signore, dopo averlo spogliato della tunica e avergli dato da bere fiele e aceto. E mentre era agonizzante sulla croce, Gesù affidò sua madre al suo amico Giovanni, che la prese sotto la propria custodia perché un vergine custodisse la Vergine; e nel dire a sua madre Donna, ecco tuo figlio (Gv 19, 26), Gesù faceva allusione secondo alcuni a Giovanni, o piuttosto a sé stesso, come se dicesse: soffro in questo modo per il fatto di essere figlio, che

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devo alla tua maternità, ma non mi deriva da essa la capacità di compiere miracoli (perciò anche un’altra volta, alle nozze di Cana, aveva detto: Donna, che vuoi da me? [Gv 2, 4]). Così si rivolse a sua madre; poi a Giovanni: Ecco tua madre (Gv 19, 27), nel senso cioè di devozione e cura filiali. Mentre pativa in croce sul Calvario come vittima sacrificale del mondo, Egli promise la veste dell’immortalitàa al ladrone appeso alla sua destra, che gli aveva chiesto perdono; e sul patibolo della croce trapassato dalla lancia versò sangue e acqua, una cui goccia aprì gli occhi di Longino, che l’aveva colpito in un moto di pietà e compassione, perché Gesù non soffrisse più a lungo restando in vita70. Quando così Nostro Signore moriva sulla croce e spontaneamente deponeva la propria anima, il velo del Tempio si squarciò da cima a fondo e la roccia stessa nella quale la croce era piantata si spaccò a metà nel punto in cui era toccata dal sangue: e attraverso questa spaccatura il suo sangue scese sottoterra, dove alcuni dicono che fosse sepolto Adamo, che fu così battezzato nel sangue di Cristo. E dicono che per indicare ciò viene ovunque dipinto ai piedi del Crocifisso un teschio: ma Adamo battezzato nel sangue di Cristo non rappresenta nient’altro che Adamo redento grazie al sangue di Cristo, visto che la Scrittura riferisce che egli fu sepolto ad Ebronb. Con il volto deforme di uomo che viene di solito posto ai piedi del Crocifissoc si indica invece la morte e la sua distruzione, per cui il Signore dice: O morte, sarò la tua morte (Os 13, 14)d, cioè la tua distruzione.

a  Eco dell’espressione utilizzata dal sacerdote durante la preparazione per la messa, al momento di indossare la stola: “Rendimi, Signore, la stola dell’immortalità…” (redde mihi Domine stolam immortalitatis…). b  Gs 14, 15, secondo la versione della Vulgata; cfr. supra, par. 7 e Saewulf, n. 64. c  La presenza di Adamo (a figura intera o con il solo capo, o anche sotto forma di scheletro o semplice teschio) è un elemento iconografico comune nelle raffigurazioni della Crocifissione in Occidente almeno fin dal IX secolo, a simboleggiare il trionfo della Redenzione operata da Cristo sulla caduta nel peccato di Adamo (Schiller, Iconography, p. 130-133). d  Giovanni cita naturalmente la versione della Vulgata geronimiana; nella traduzione rivista della Nova Vulgata, invece, il versetto in questione suona così: ubi pestilentiae tuae, o mors?, “dov’è, o morte, la tua peste?”.

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Descrizione della Terrasanta, 16-17

Il sito del Calvario è sulla destra, all’entrata della chiesa maggiore; la celebre fenditura della roccia che si trova nella sua parte superiore è venerata con grande solennità ed è ancora oggi chiaramente visibile a chi si reca lì. La stessa parte superiore è decorata da uno splendido mosaico e contiene una bella rappresentazione della Passione71 di Cristo e della sua sepoltura, con le testimonianze dei profeti relative a quanto accaduto sia per l’una che per l’altra. È da notare anche che nello stesso luogo, a quanto si dice, il volto del Signore sulla croce fu rivolto verso est per forza di cose, data la posizione, che la croce fosse stata piantata nel foro rotondo la cui apertura è ancora visibile e in cui i fedeli mettono le offerte, oppure nel luogo in cui si vede eretta un’asta di pietra cilindrica, come alcuni sostengono e come pare molto più sensato rispetto alla posizione del sito e al fatto che il sangue sia fuoriuscito dal fianco destro fino alla fessura nella pietra72. Lì, nella parte superiore a destra, è situato un altare dedicato alla Passione del Signore, e tutto quel luogo prende nome da essa. Al di sotto, invece, la parte inferiore del Calvario racchiude un altare ed è chiamata “Al Sangue Santo”, perché si dice che il sangue del Signore sia scorso fin lì attraverso la fessura nella roccia; e questo luogo è oggi indicato, dietro l’altare, da una concavità della roccia dove è sospesa un’ampolla perpetuamente illuminata. Come abbiamo detto, nel luogo del Calvario è stato compiuto il terzo mistero e si dice che sia stato spezzato il terzo dei sigilli che chiudono il libro. [17] Passiamo al resto. In mezzo al coro dei Canonici73, non lontano dal Calvario, c’è un luogo designato come un altare dall’erezione di lastre di marmo e grate di ferro; al di sotto di queste lastre, dei piccoli cerchi disegnati sul pavimento si dice indichino il centro della terra, secondo quanto è scritto: ha operato la salvezza nel centro della terra (Sal 74 (73), 12). Si dice che dopo la Resurrezione il Signore sia apparso a santa Maria Maddalena nello stesso luogo, che è oggetto di grande venerazione; al suo interno è anche appesa una lampada. Alcuni sostengono che sempre nello stesso posto Giuseppe ottenne da Pilato il corpo di Gesù: in quello stesso giorno, cioè venerdì, depostolo dalla croce lo lavò, lo cosparse con venerazione di unguenti e aromi preziosi e, avvoltolo in un lenzuolo pulito, lo seppellì in un giardino non lontano, in una tomba nuova

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che si era fatto scavare nella roccia. Da lì Egli scese agli inferi per liberare l’uomo: ecco il quarto sigillo e il quarto mistero. Da quel luogo, a compimento del quinto mistero e per spezzare il quinto sigillo, veramente il Signore resuscitò dai morti, il leone della tribù di Giuda, sconfitta la morte; lì l’angelo del Signore apparve alle sante donne, quando il masso era già stato fatto rotolare via dall’ingresso della tomba, e disse che veramente Gesù era risorto dai morti: andate ad annunciare ai miei fratelli (Mt 28, 10), e anche: andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro (Mc 16, 7)a. Lo stesso giorno, ormai verso sera, Egli apparve nelle sembianze di un forestiero a due discepoli, che dolendosi per la sua morte si recavano ad Eleuteropoli, cioè Emmaus, un villaggio a sei miglia da Gerusalemme verso ovest; e lì, accoltolo come loro ospite, lo riconobbero nello spezzare il pane, ma subito Egli scomparveb. Poi apparve a tutti gli apostoli, tranne Tommaso, sul Monte Sion a porte chiuse, dicendo loro: Pace a voi (Gv 20, 19 e 21); otto giorni dopo apparve sullo stesso monte a Tommaso e agli altri discepoli, e allora gli offrì le sue ferite da toccare, al che Tommaso esclamò: Mio Signore e mio Dio! (Gv 20, 28). Queste apparizioni sono rappresentate in una pittura sul Monte Sion, cioè nella cripta della chiesa maggiore, dove è anche dipinto Nostro Signore che lava i piedi dei discepoli, insieme con una chiara descrizione di entrambi i fatti. Dopo la Resurrezione Gesù si manifestò ai suoi discepoli tre volte anche presso il Mare di Tiberiade e in marec, e inoltre molte volte altrove, a prova della sua Resurrezione già avvenuta e della nostra resurrezione che ancora deve venire. [18] Il monumento funebre in cui è contenuto il sepolcro del Signore è di forma quasi rotonda e all’interno è decorato a mosaico; vi si accede da est attraverso una piccola porta, davanti a cui c’è un porticato quasi quadrato con due ingressi: da uno passa chi entra nel monumento per andare al sepolcro, dall’altro chi esce. Nel porticato stanno anche i custodi del sepolcro, e verso il coro c’è una terza porta. All’esterno del monumento, a ovest, cioè Nel primo caso è in realtà Gesù stesso, e non l’angelo, a parlare. Lc 24,  13-32. Come spiega Hier., sit. et nom., p.  91, il nome “moderno” di Emmaus era però Nicopoli; l’antica Eleuteropoli è identificata con l’attuale Beth Guvrin, una cinquantina di km a sud-ovest di Gerusalemme. c  Cfr. Gv 21. a 

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presso l’absidea del sepolcro, è addossato un altare sovrastato da una struttura quadrata, con tre pareti fatte di grate di ferro ben lavorate: questo altare è detto “Al Santo Sepolcro”. Il monumento ha sopra di sé una sorta di ciborio circolare abbastanza ampio e ricoperto d’argento nella parte superiore, il quale si innalza verso l’alto in direzione del largo foro che si apre nel soffitto dell’edificio più grande; quest’ultimo con la sua forma rotonda circonda il monumento a una certa distanza, e ha nella parte più alta una parete continua, ampiamente dipinta e decorata con varie immagini di santi e illuminata da numerose lampade. Lungo la circonferenza interna dell’edificio più grande, otto colonne rotonde di marmo e altrettanti pilastri squadrati (decorati all’esterno con altrettante lastre di marmo quadrate) sostengono tutt’attorno la parte superiore dell’edificio sotto il tetto che, come abbiamo detto, è aperto al centro. Abbiamo detto che le colonne, in numero di otto, sono poste tutt’intorno: ma ora verso est la loro disposizione e quantità sono cambiate a causa dell’aggiunta di una nuova chiesa (a cui da lì si accede), che include una costruzione nuova e aggiunta ex novo, cioè il coro dei Canonici, piuttosto ampio, e una cappella abbastanza lunga, in cui si trova l’altare maggiore dedicato all’Anastasis, cioè alla santa Resurrezione, come mostra una rappresentazione a mosaico postavi al di sopra. Essa contiene infatti l’immagine di Cristo che risorge dopo aver abbattuto le porte dell’inferno e che porta via da là il nostro antico padre Adamo. All’esterno della cappella dell’altare e all’interno del perimetro del chiostro si trova uno spazio piuttosto ampio, tutt’attorno sia a questa nuova costruzione, sia all’antica tomba già nominata, adatto alla processione al Santo Sepolcro che si svolge in occasione del vespro ogni domenica sera da Pasqua fino all’Avvento, con l’antifona Cristo risorto, il cui testo si trova anche sull’esterno della tomba, nel margine superiore, in lettere d’argento rilevateb. Terminato il canto di a  Come già detto per Saewulf (par. 12), qui e ai par. 19 e 21 rendiamo con “abside” il latino caput, che in senso tecnico significherebbe “capocroce”. b  L’antifona è utilizzata nella liturgia di diverse feste, in particolare quella della Pasqua: CAO, III, p. 96, no 1796. Teodorico (par. 5) riporta il testo dell’iscrizione menzionata da Giovanni.

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questa antifona, il cantore subito intona Poi alla seraa, con il salmo Magnificat b e con la colletta della Resurrezione Dio onnipotente ed eterno, dopo aver premesso il versetto Il Signore è risorto da questo sepolcroc. Ugualmente, in questo periodo ogni domenica si celebra la messa Sono risortod. [19] Presso l’abside della nuova chiesa, verso est, accanto al chiostro dei Canonici, c’è un luogo interrato al modo di una cripta, piuttosto ben illuminato, dove si dice che la Croce del Signore sia stata ritrovata dalla regina Elena, in onore della quale è lì collocato un altare. La regina portò con sé a Costantinopoli la parte più grande del sacro legno, mentre il resto, lasciato a Gerusalemme, è conservato con cura e venerazione in un luogo dall’altra parte della chiesa, di fronte al Calvario. Questo luogo, benché già consacrato molto tempo fa dal sangue di Cristo lì versato, è stato recentemente consacrato, anche se in maniera superflua, da uomini reverendi il quindicesimo giorno di luglio. Perciò i seguenti versi, lì iscritti in lettere d’oro sotto un e, ancora lo testimoniano: Questo luogo sacro è consacrato dal sangue di Cristo: con la nostra consacrazione nulla è aggiunto a tale sacralità. Ma la chiesa costruita attorno e sopra a questo luogo sacro è stata consacrata il quindicesimo giorno di lugliof.

Lo stesso giorno dello stesso mese, anche se ormai molto tempo prima, dopo che a lungo era stata tenuta prigioniera sotto il dominio di diverse stirpi di Saraceni, la città santa fu liberata dall’eDalla liturgia della domenica di Pasqua: CAO, III, p. 533, no 5371. Lc 1, 46-55. c  Formula utilizzata nella liturgia della domenica di Pasqua e in altre occasioni: CAO, III, p. 498, no 5079. d  Si utilizza cioè la liturgia della domenica di Pasqua: Sono risorto è l’inizio della formula con cui si apre la celebrazione (AMS, p. 100-101, no 80). e  Come segnala Huygens con la nota ad loc. e un segno di lacuna, il testo è guasto in questo punto, anche se il senso della frase rimane perfettamente chiaro. f  Cioè il 15 luglio 1149. Si noti che nella versione riportata da Teodorico l’iscrizione ha un verso in più alla fine e alla seconda riga legge “aggiungiamo” (addimus) invece che “è aggiunto” (additur). a 

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Descrizione della Terrasanta, 18-19

sercito dei cristiani. In memoria della liberazione si celebra con un ufficio sacro questo giornoa, dopo il rinnovamento della consacrazione, cantando nella prima messa Rallegrati Gerusalemmeb, mentre nella messa principale si celebra la liturgia della dedicazione Terribile è questo luogoc. In quel giorno, infatti, furono pure consacrati nella stessa chiesa quattro altari: l’altare maggiore, quello in alto sul Calvario e due sull’uno e sull’altro lato della chiesa, uno dedicato a san Pietro e l’altro a santo Stefano Protomartire. Il giorno successivo celebrano solennemente, tanto con elemosine che con preghiere, la commemorazione di tutti i fedeli defunti, soprattutto dei caduti in occasione della presa della città, il cui cimitero più celebre si trova presso la Porta Auread. Il terzo giorno tutta la città ricorda solennemente l’anniversario della morte dell’illustre duca Goffredo di beata memoria, della santa spedizione, nato da stirpe tedesca, con un’abbondante distribuzione di elemosine nella chiesa maggiore, secondo la disposizione data da lui stesso ancora vivente74. Però, anche se in questa maniera lì egli è onorato quasi a spese sue, tuttavia l’espugnazione della città non è attribuita a lui e ai Tedeschi, che pure patirono e si diedero da fare non poco in quella spedizione, ma soltanto ai Franchi. Perciò, sempre per sminuire il nostro popolo, l’epitafio del famoso Wigger, stimato per le sue molte imprese valorose – visto che non potevano negare che egli fosse tedesco –, lo hanno cancellato e gli hanno sovrapposto quello di un soldato franco, come ancora può vedere chi là si reca75. Il suo sarcofago, infatti, è ancora visibile in un angolo all’aperto tra la chiesa maggiore e la cappella di San Giovanni Battista, ma il suo nome è stato cancellato e ne è stato sovrapposto un altro. A piena conferma del disprezzo per i nostri uomini e ad esaltazione

a  Cfr. lo studio di Linder, ‘Liturgy’, e quanto riportato da Giovanni stesso alla fine del proprio testo (par. 25). b  Dalla liturgia della quarta domenica di Quaresima: cfr. infra, par. 25. c  Si tratta della formula – tratta da Gen 28, 17 – con cui si apre la liturgia utilizzata nella messa di dedicazione di una chiesa (cfr. AMS, p. 118-119, no 100). Manteniamo la traduzione CEI del corrispondente passo della Genesi, anche se il latino terribilis ha qui piuttosto il senso di “che incute rispetto, timore reverenziale”. d  Già menzionato sopra, al par. 5.

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124

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S12; T11

Giovanni di Würzburg

dei Franchi si legge, apposta sul fianco esterno della tomba, questa iscrizione: Nel millesimo e centesimo anno meno uno dal parto della Vergine, illustre per la nascita del Signore, quando la luce di Febo aveva già rischiarato luglio per quindici volte, i Franchi presero Gerusalemme con poderoso valore.

Contro la quale io scrivo: Non i Franchi ma i Franconi, più forti nella spada, la santa Gerusalemme, da lungo tempo prigioniera, sciolsero dal giogo dei diversi pagani. Franconi, non Franchi: Wigger, Guntrama e il duca Goffredo sono vera prova che tutto ciò è noto76.

126

Dunque, benché il duca Goffredo e suo fratello Baldovino, che dopo di lui fu creato re di Gerusalemmeb – cosa che prima il duca per umiltà aveva rifiutato  –, fossero delle nostre terre, tuttavia, poiché pochi dei nostri erano rimasti con loro e moltissimi altri si erano affrettati a tornare con grande nostalgia al suolo natale, tutta la città fu occupata da gente di altre nazionalità, Franchi, Lotaringi, Normanni, Provenzali, Alverniati, Spagnoli e Borgognoni che avevano preso parte a quella spedizione, tanto che nessuna parte della città, nemmeno nella più piccola strada, fu assegnata ai Tedeschi (i quali non se ne curavano e non avevano intenzione di restare lì); così, taciuto il loro nome, la liberazione della città santa è attribuita ai soli Franchi, che anche oggi, insieme con le altre genti che ho menzionato, dominano la regione circostante la città77. E senz’altro il territorio dei cristiani avrebbe già da tempo esteso i suoi confini oltre il Nilo a sud e oltre Damasco a est, se ci fossero tanti Tedeschi quanti sono questi qui. Ma ora lasciamo perdere tutto ciò e torniamo a quanto stavamo dicendo. a  Forse lo stesso personaggio nominato da Albert. Aqu., hist. 7, 30 (p. 528529) come membro di un’ambasceria fra i cui mittenti compare anche il già nominato Wigger. b  Nel 1100, dopo la morte di Goffredo; su Baldovino cfr. Crusades Encyclopedia, I, p. 132-133.

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Descrizione della Terrasanta, 19-20

[20] Siamo arrivati al compimento del sesto sacramento e all’apertura del sesto sigillo, che si ritiene siano avvenuti con l’Ascensione di Nostro Signore sul Monte degli Ulivi, nel luogo in cui oggi c’è una grande chiesa al cui centro, in corrispondenza di un grande foro, si indica il luogo dell’Ascensione78: da lì, sotto gli occhi dei suoi discepoli, di altri uomini di Galilea e di sua madre, Egli salì al cielo portato da una nube, dopo che aveva dato ordine ai discepoli di non allontanarsi da Gerusalemme prima di aver ricevuto lo Spirito Paraclito promesso dal Padre, che li avrebbe pienamente confortatia. E questo avvenne dieci giorni dopo l’Ascensione del Signore e cinquanta dopo la Resurrezione, cioè nel giorno di Pentecoste, mentre i discepoli si trovavano in una stanza dell’edificio sul Monte Sion che abbiamo già descritto, dove si dice che Nostro Signore abbia cenato, ed attendevano il compimento della promessab: tutto ciò è ancora mostrato in quel luogo da una rappresentazione a mosaico nella cappella dell’abside della chiesac. Vi sono infatti raffigurate le immagini dei dodici apostoli, con lo Spirito Santo che scende sulla testa di ciascuno in forma di lingue di fuoco, con questa iscrizione: Venne all’improvviso dal cielo un fragore

ecceterad. All’ingresso della stessa chiesa, sulla destra, un luogo è messo in risalto da lastre di marmo levigate in forma di ciborio, dove si dice che la Beata Vergine Maria spirò e migrò da questo mondo e dove un dipinto sulla parete accanto mostra il suo figlio e Signore Nostro Gesù Cristo che accoglie la sua anima alla presenza degli apostoli. Tutt’attorno alla costruzione che sovrasta questo luogo si trova quest’iscrizione: La santa Madre di Dio è stata innalzata sopra i cori degli angelie. At 1, 4-9. At 2, 1-4. c  Cfr. supra, par. 13 e 17. d  La formula, tratta da At 2, 2, è usata nella liturgia della domenica di Pentecoste: CAO, III, p. 224, no 2847. e  Dalla liturgia per la festa dell’Assunzione di Maria: CAO, III, p. 214, no 2762. L’iscrizione è riportata anche poco oltre, verso la fine di questo stesso paragrafo, a a 

b 

153

S18; T27

127

S19; T22

Giovanni di Würzburg

S17; T23

128

Nel medesimo giorno del suo trapasso gli apostoli, che erano allora tutti e dodici presenti per volontà del Signore, trasportarono il suo corpo dal Monte Sion fino alla chiesa nella valle di Giosafat e lì lo seppellirono con ogni onore, al centro di una cripta decorata con meravigliose lastre di marmo e con una splendida pittura policroma79. Pur in assenza del suo corpo, alla tomba è sovrapposta una struttura a forma di ciborio, notevole tanto per la copertura marmorea che per le decorazioni d’oro e d’argento, su cui è apposta questa iscrizione: Qui è la valle di Giosafat, di qui è la via per il cielo. Salda nel Signore, qui fu sepolta Maria, da qui innalzata raggiunse il cielo inviolata la speranza dei prigionieri, la loro via, luce e madre.

Giustamente si è precisato “in assenza del suo corpo”, perché, a quanto si dice, quando a otto giorni dal trapasso, secondo l’usanza degli Ebrei, il suo sepolcro fu visitato e ispezionato, il suo corpo non fu ritrovato: perciò si crede con fede che non soltanto la sua anima, ma anche il corpo sia stato assunto nella gloria dal suo amato Figlio, anche se Girolamo sembra accennarvi più con esitazione che con sicurezza nella lettera Mi costringete, Paola ed Eustochio ecceteraa. Comunque sia, noi crediamo che la Beata Vergine Maria, per il semplice fatto di aver meritato di portare in grembo il proprio Creatore, sia degna di ogni onore e santificazione non soltanto nell’anima, ma anche nel corpo, e che il suo Figlio sommamente benevolo e sommamente potente lo voglia e lo possa. La sua sepoltura è onorata e venerata anche per una sorta di legame di analogia con l’onore che si tributa al sepolcro del suo amato Figlio. All’entrata di questa cripta c’è una pittura con apposta questa iscrizione: Eredi della vita, venite a lodare la Signora grazie a cui è data la vita ed è recuperata la salvezza del mondo. proposito della chiesa di Santa Maria nella valle di Giosafat; nella versione citata da Teodorico (par. 23), il verbo è alla seconda persona singolare (“sei stata innalzata”). a  Correntemente attribuita a Girolamo nel Medioevo, questa lettera è in realtà un’operetta di Pascasio Radberto (cfr. n. 79).

154

Descrizione della Terrasanta, 20

A sinistra una raffigurazione di Girolamo contiene queste parole:

129

a Come abbiamo visto con i nostri occhi, il suo sepolcro viene tuttora mostrato al centro della valle di Giosafat, dove in suo onore è stata edificata una chiesa rivestita di splendide lastre di pietra, in cui tutti dicono che ella fu sepolta. A destra del suo ingresso un’immagine di Basilio contiene questi versi: Della Madre di Cristo, di eccelsa dignità e potenza, si mostrò Giuliano nemico crudele e profano. Perciò, come la Madre ordinò, egli fu abbattuto nella morte. Alla Regina salvatrice lode e onore senza fine. Amen80.

Questa e molte altre scritte a lode della Vergine sono dipinte all’ingresso della cripta, mentre all’interno, sulle pareti tutt’attorno alla tomba e sul soffitto, si trovano le iscrizioni seguenti. Sulla parete di destra: Maria Vergine è stata assunta alla dimora celeste

ecceterab; lungo il perimetro: La vidi, bella come una colomba

130

eccetera, fino a: E giglio delle vallic.

a  L’iscrizione associata alla figura di Girolamo è purtroppo andata perduta nei manoscritti di Giovanni. b  Dalla liturgia per la festa dell’Assunzione di Maria: CAO, III, p. 328, no 3707. c  Formula impiegata nella liturgia delle feste di sante vergini: CAO, III, p. 537, no 5407.

155

Giovanni di Würzburg

E subito dopo: La videro le figlie di Siona; veramente da qui la Vergine gloriosa salì al cielo. Orsù, gioite, perché ineffabilmente innalzata con Cristo regna in eternob.

Sulla parete anteriore: Maria fu assunta in cieloc.

Sul lato opposto: La santa Madre di Dio è stata innalzata

ecceterad; al centro: La moltitudine degli angeli in piedi attorno a santa Maria assisa in trono: è grazie a lei che è stata aperta la via verso il regno celeste.

131 S17; T4

[21] Ora però, visto brevemente ciò che concerne l’apertura del sesto sigillo grazie alle azioni del Signore Nostro Gesù Cristo – l’apertura del settimo, infatti, deve ancora avvenire e, come abbiamo detto, sarà il Giorno del Giudizio –, visto tutto ciò, dicevo, e descritti sommariamente i luoghi in cui ciò è avvenuto (insieme ad alcuni altri vicini ad essi), torniamo alla santa città di Gerusalemme, di cui dobbiamo descrivere i luoghi santi nuovi e costruiti ex novo e destinati al culto divino che si trovano all’interno delle mura. Si aggiunga anche che nella medesima città Giuda ricevette per il tradimento di Nostro Signore le monete d’oroe con cui fu acquistato il campo di Akeldamà, cioè “Campo del sangue”, a  L’espressione deriva dalla Bibbia (Ct 6,  8 nel testo della Vulgata, 6,  9 nella traduzione CEI) ed è utilizzata nella liturgia di varie feste mariane (cfr. CAO, III, p. 536, no 5395; Carmina Scripturarum, p. 274-275, Ct 6, 8). b  Questa seconda parte dell’iscrizione è ricalcata su un passo del trattatello pseudo-geronimiano (Radbert., assumpt. 4, 23, p. 119, r. 187-189) su cui Giovanni si basa per descrivere la chiesa di Santa Maria nella valle di Giosafat (cfr. n. 79); esso riprende a sua volta una formula propria della liturgia per la festa dell’Assunzione di Maria (CAO, III, p. 256, no 3105). c  Dalla liturgia per la festa dell’Assunzione di Maria: CAO, III, p. 60, no 1503. d  La stessa iscrizione (in forma più completa) è citata anche poco sopra in questo stesso paragrafo a proposito del luogo sul Monte Sion in cui Maria spirò. e  Come già detto sopra, al par. 14, le monete erano in realtà d’argento.

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Descrizione della Terrasanta, 20-21

deputato fino al giorno d’oggi alla sepoltura degli stranieri, che si trova a sinistra del Monte Sion lungo la via che conduce ad Efrata81. Sopra a questo campo c’è il Monte Ghicon, unto sul quale82 il re Salomone cinse la corona reale, e sullo stesso monte era tradizione ungere gli altri rea. E si ricordi che Nostro Signore al centro di Gerusalemme resuscitò una ragazza dalla morte e compì in questa città molti miracoli83. Di fronte alla chiesa del Santo Sepolcro (che abbiamo descritto più sopra) verso sud è costruita una bella chiesa dedicata a san Giovanni Battista, cui è affiancato un ospedale che in diversi edifici accoglie un grandissimo numero di malati, sia donne che uomini, li cura e li nutre ogni giorno con grandissime spese84: quando sono stato lì, ho saputo dagli stessi inservienti che il totale dei degenti era di circa duemila; e di questi talvolta, nel giro di una notte e di un giorno, viene portata via più di una cinquantina di morti, mentre continuano senza sosta ad arrivarne di nuovi. Che aggiungere? Questa istituzione sostenta con le sue distribuzioni di cibo così tante persone, al suo interno come all’esterno (senza contare le ingenti elemosine che quotidianamente vengono date ai poveri che porta a porta chiedono del pane e che ne restano fuori), che senza dubbio la somma delle spese nemmenob i suoi direttori e i suoi ammi- se uno voglia informarsene nistratori riescono a calcolarla. precisamente può in qualche modo essere calcolata, neanche dagli amministratori e dai direttori, che sono molto devoti al servizio dell’elemosina per i malati e i bisognosi che vengono da ogni parte. Oltre a tutte queste spese fatte tanto per i malati che per gli altri bisognosi, 1Re 1, 38-39. Qui e nel seguito ci adeguiamo alla scelta dell’editore del testo latino, che all’originale di Giovanni, rappresentato dal manoscritto T (a sinistra), ha affiancato le interpolazioni di un lettore successivo, testimoniate dal codice B (a destra); cfr. la nostra introduzione. a 

b 

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S13; T13

132

Giovanni di Würzburg

la stessa istituzione

la stessa santa istituzione

sostenta molte persone, distribuite nei suoi vari castelli, fornite di ogni mezzo militare per la difesa della terra dei cristiani dalle incursioni dei Saraceni85. Accanto a questa chiesa di San Giovanni è costruito un monastero femminile dedicato a santa Maria, che quasi tocca con l’abside le strutture della chiesa appena nominata e che si chiama Santa Maria Maggiore86. Non lontano da qui, sullo stesso lato della stessa strada, c’è un monastero maschile, sempre dedicato a santa Maria e chiamato Santa Maria Latina,  

T13 S21

133

perché si dice che i Latini l’abbiano costruito insieme all’ospedale di San Giovanni e che i due si siano poi separati87,

dove si conserva con grande venerazione il teschio di san Filippo apostolo e lo si mostra ai visitatori devoti che ne facciano richiesta. Sulla strada che dalla Porta di Davide scende verso il Tempio, sul lato destro vicino alla Torre di Davide, c’è un cenobio di monaci armeni, dedicato a san Saba abate reverendissimo88, per il quale la Vergine Maria compì molti miracoli quand’era ancora vivo. Nello stesso luogo, non lontano da qui, scendendo oltre l’incrocio con un’altra strada, c’è una grande chiesa in onore di san Giacomo Maggiore, dove vivono dei monaci armeni che sempre lì hanno pure un grande ospedale per accogliere i poveri della loro lingua. Vi si conserva anche con grande venerazione il teschio dello stesso apostolo: egli infatti fu fatto decapitare da Erode, i suoi discepoli caricarono il suo corpo su una nave a Ioppe e lo trasportarono in Galizia,

nel regno di Spagna, in Galizia, per intervento divino,

ma poiché la sua testa rimase in Palestina, il teschio è ancora mostrato ai pellegrini che si recano in questa chiesa89.

158

Descrizione della Terrasanta, 21-22

Scendendo lungo la stessa via verso la porta che conduce al Tempio, sulla destra c’è una traversa sotto un lungo portico, e in questa strada c’è un ospedale con una chiesa in corso di costruzione in onore di santa Maria, che si chiama “Casa dei Tedeschi”, a cui pochi o nessuno di lingua diversa fa donazioni90. [22] Nella stessa via, verso la porta per cui si va al Monte Sion, è edificata una cappella in onore di san Pietro, nella cui cripta, scavata piuttosto in profondità, si dice fosse la cella dove san Pietro, legato con catene di ferro e sotto la custodia di soldati sia all’esterno che all’interno, era scrupolosamente tenuto prigioniero per ordine di Erode: ma questa scrupolosità fu elusa per intervento della divina potenza91. Quella stessa notte, infatti, grazie ad un angelo, in mezzo ai custodi le catene di ferro si spezzarono, le porte sia della prigione che della città si aprirono da sole e san Pietro se ne andò incolume sotto la guida dell’angelo, dicendo: Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo eccetera (At 12, 11). All’entrata di questa chiesetta si leggono a proposito del miracolo lì avvenuto queste righe:

T21

134

Vèstiti, Pietro, àlzati e vai via libero: gli anelli delle tue catene sono spezzati. Ora so per certo, poiché la porta mi è stata aperta, che mi hai salvato, o pietà di Cristoa!

Nella cripta di questa chiesa di san Pietro in Vincoli, il giorno della festa la messa solenne si celebra con una colletta così giustamente ampliata: Dio, che facesti andare via incolume san Pietro apostolo sciolto dalle catene in questo luogo eccetera. La chiesetta è piccola e non ricca di rendite o adornata per il culto come sarebbe degno di un così grande miracolo divino e di un così grande principe degli apostoli. La porta per la quale si va al Monte Sion si chiama Porta Ferrea ed è quella che si aprì da sola per l’angelo e per Pietro92. Proseguendo lungo la prima strada, più grande, da cui si diparte la via che abbiamo menzionato, c’è una grande porta, che consente l’ingresso al vasto cortile del Tempio; sulla destra verso sud si trova un palazzo che si dice anticamente costruito da Salomone, dove ci sono delle stalle notevoli, tanto capienti da poter accoglieIl primo distico riprende le parole dell’angelo in At 12, 7-8, il secondo l’esclamazione di Pietro in At 12, 11. a 

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S15; T17

Giovanni di Würzburg

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re più di duemila cavalli o millecinquecento cammelli. Accanto a questo palazzo i Templari hanno aggiunto molti edifici grandi e spaziosi, e costruiscono anche una nuova e grande chiesa, che però non è ancora terminata93. Questa istituzione ha parecchi possedimenti e rendite enormi, sia in quella terra che in altre province, e fa, sì, elemosine piuttosto generose ai poveri di Cristo, ma esse non sono un decimo di quelle che fanno gli Ospitalieri.

S15; T18

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S16; T26

Ospitalieri di San Giovanni94.

Essa ha anche parecchi soldati per la difesa della terra dei cristiani, ma, per non so quale incidente, la loro fama è macchiata (a torto o a ragione) dall’accusa di tradimento: e questo, comunque, è chiaramente provato da quanto accaduto a Damasco con il re Corrado95. Accanto agli edifici dei Templari, a est, addossata alle mura della città, c’era la casa di Simeone il giusto, dove si dice che spesso per ospitalità e per amicizia egli accolse, rifocillò e fornì denaro e provviste alla Beata Vergine Maria, madre del Signore. Così fece anche la notte prima del giorno (il quarantesimo dalla nascita del Signore) in cui doveva presentare al Tempio il bambino e sua madre: mentre lo teneva fra le braccia e lo offriva all’altare, riconoscendo per spirito di profezia che Egli era colui che gli antichi padri avevano atteso per lunghissimo tempo con desiderio inesprimibile, esclamò profeticamente: Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace eccetera (Lc 2, 29)a. In questa stessa casa, ora trasformata in chiesa, san Simeone riposa sepolto, come indicato dall’iscrizione lì apposta; nella cripta della chiesa si conserva ancora e si mostra con grande venerazione la culla lignea di Cristo96. [23] Di fronte al cortile del Tempio, verso nord, accanto alla porta per cui si va alla valle di Giosafat, è costruita una grande chiesa dedicata a sant’Anna, in cui una pittura mostra come per volontà e ammonizione divine lei e Gioacchino generarono la Beata Vergine Maria (come si apprende più dettagliatamente nella Vita di sant’Anna); la sua festa (a cui io stesso ho partecipato) si celebra lì con gran-

a 

Lc 2, 22-35.

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Descrizione della Terrasanta, 22-23

de solennità il giorno di san Giacomo Maggiorea97. In questa chiesa serve Dio una comunità di monache – e, si spera, sante monache98. Uscendo da questa chiesa, sulla destra, con una breve deviazione si arriva alla piscina Probatica, che al tempo di Gesù un angelo del Signore era solito agitare a determinati intervalli: e il primo malato che vi entrava dopo questo movimento dell’acqua veniva risanato da qualsiasi infermità lo opprimesse. In greco probaton significa “delle pecore”, per il fatto che lì era abitudine lavare le interiora delle pecore durante i sacrifici, e perciò l’acqua era rossa, a causa delle vittime sacrificali che vi venivano ripulite99. Davanti alla piscina Probatica Gesù restituì la salute al malato dicendogli: prendi la tua barella e cammina (Gv 5, 8; cfr. Mc 2, 9 e 11). Proseguendo sullo stesso viale che sale dalla Porta di Giosafat, nella strada successiva che si diparte da esso si trova, sulla destra verso le mura della città, una chiesa dedicata a santa Maria Maddalena, dove vivono dei monaci giacobiti e di cui abbiamo già detto ciò che sapevamo di quel che c’era da direb. Avanzando lungo la strada che abbiamo già nominato, dalla Porta della valle di Giosafat dritto verso la via che, dalla Porta di Santo Stefano a nord, conduce in direzione di quelle tre (anzi, molte di più) strade in cui si espongono varie merci100, di fronte alla chiesa maggiore del Santo Sepolcro, a metà – dicevo – di questa strada si incontra un antico arco in pietra che sovrasta la strada stessa, sotto il quale si dice che la Beata Vergine Maria si sia riposata con il suo felice e beato figlio, ancora neonato, e lo abbia allattato. Una pittura mostra il fatto lì avvenuto e il luogo stesso, separato dal pubblico uso per una piccola area attorno alla costruzione, sacro senza l’aggiunta di una chiesa, è onorato e venerato debitamente101. Sempre dalla via che dalla Porta di Santo Stefano sale fino al fianco della chiesa del Santo Sepolcro, non molto lontano da quest’ultima verso nord, c’è una piccola strada, lungo la quale, in una chiesa sira, riposa il corpo di san Caritone martire, tenuto in grande venerazione dai monaci siri e mostrato ai pellegrini ancora quasi integro, sollevando il coperchio della piccola cassa di legno a  b 

Cioè il 25 luglio. Cfr. par. 12.

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137

T26

Giovanni di Würzburg

in cui è conservato102. Come abbiamo raccontato sopra, questo santo, insieme ai suoi monaci, fu ucciso dai Saraceni nel suo cenobio sul fiume Giordano per aver professato il nome di Cristoa. [24] Così, descrivendo i luoghi venerabili nella santa città di Gerusalemme, dopo aver iniziato dalla chiesa del Santo Sepolcro, facendo il giro per la Porta di Davide siamo ritornati al punto di partenza, tralasciando molte cappelle e chiese minori, che uomini di diversa nazionalità e uomini di diversa lingua e nalingua zionalità, tutti veri cristiani, lì possiedono. Si trovano infatti in questo luogo Greci, Latini, Tedeschi,

138

Ungari

Bulgari

Scoti, Navarrini, Britanni, Inglesi,

Inglesi, Franchi,

Ruteni, Boemi, Georgiani, Armeni, Siriani, Giacobiti, Siri, Nestoriani, Indiani, Egiziani, Copti, Cafeturici, Maroniti e molti altri che sarebbe lungo elencare: ma con questi terminerà la nostra opera103. Amen.

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[25] Il 15 luglio ricorre la dedicazione della chiesa del Santo Sepolcro. Lo stesso giorno si celebra una grandissima festa per la presa di Gerusalemme da parte dei cristiani104, come ricorda l’introito della messa: Rallegrati Gerusalemmeb. Signore pietà: Dio Padre onnipotentec. Non è chiaro come si concilî quanto qui detto sul martirio di Caritone rispetto al cenno alla morte del santo fatto dallo stesso Giovanni al par. 3. b  Dalla liturgia della quarta domenica di Quaresima: AMS, p.  74-75, no  60; cfr. anche Linder, ‘Liturgy’, p. 118, no 61. c  Huygens (nota ad loc.) osserva che in questo caso l’indicazione non rimanda ad un’altra preghiera, ma serve a indicare su quale melodia va intonato il Kyrie. a 

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Descrizione della Terrasanta, 23-25

Orazione: Dio onnipotente ed eterno, che con la tua mirabile potenza hai strappato la tua città Gerusalemme dalle mani dei pagani e l’hai restituita ai cristiani, assistici benevolo, ti preghiamo, perché noi che celebriamo ogni anno con devozione questa santa solennità meritiamo di raggiungere le gioie della Gerusalemme celeste. Per Cristo… Epistola: Àlzati, rivestiti di lucea. Alleluia: Giorno santob, con il graduale Tutti da Sabac. Vangelo: Mentre Gesù entrava in Gerusalemme (Mt 21, 10). Credo. Offertorio: La destra del Signored. Orazione segreta: Ti preghiamo, Signore, dègnati di accettare questo sacrificio che supplici ti offriamo e per la sua potenza rendici degni, noi che oggi festeggiamo la città di Gerusalemme strappata dalle mani dei pagani, di meritare con questa celebrazione di diventare infine cittadini della Gerusalemme celeste. Per Cristo… Comunione: Àlzati Gerusalemmee. Dopo la comunione: Il sacrificio che abbiamo ricevuto, Signore, ci conferisca la salute del corpo e dell’anima, perché noi che gioiamo per la liberazione della tua città Gerusalemme meritiamo di essere fatti eredi della Gerusalemme celeste. Per Cristo… * Liturgia della Trasfigurazione del Signore. Orazione: Dio, che sul monte hai voluto tramutarti secondo la nostra sostanza, fa’, ti preghiamo, che quella luce che ti sei degnato di mostrare ai tuoi apostoli sia donata anche a noi. Tu che con il Padre… a  Is 60, 1-6 (la stessa lettura che si usa per la festa dell’Epifania); Linder, ‘Liturgy’, p. 119, no 64. b  Il versetto è usato anche nella liturgia del Natale: AMS, p. 16-17, no 11b. c  La formula (da Is 60,  6) ricorre anche nella liturgia dell’Epifania: AMS, p. 24-25, no 18 (cfr. CAO, III, p. 381, no 4119 e 4120); Linder, ‘Liturgy’, p. 119, no 65. d  L’incipit si ritrova nell’offertorio di varie feste: AMS, p. 34-35, no 26; p. 70-71, o n  55; p. 94-95, no 77b; p. 117, no 97bis; Linder, ‘Liturgy’, p. 120, no 70. e  Linder, ‘Liturgy’, p. 120, no 72.

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Giovanni di Würzburg

Il 6 agosto si celebra la Trasfigurazione del Signore sul Monte Tabor. Introito: Benedetta sia la santa (per intero)a. Orazione: Dio, che in questo giorno hai rivelato dall’alto il tuo Figlio unigenito mirabilmente trasformato ai padri dell’antica e della nuova Alleanza, concedici, ti preghiamo, di raggiungere con atti a te graditi la gloria sempre da contemplare di Colui in cui hai dichiarato che la tua paternità si è compiaciuta. Per Cristo… Orazione segreta: Accogli, ti preghiamo, Signore Padre Santo onnipotente, i doni che presentiamo per la gloriosa Trasfigurazione del tuo Figlio e concedici propizio di essere liberati dalle sofferenze di questo mondo e di raggiungere le gioie eterne. Per Cristo… Dopo la comunione: Dio, che hai consacrato questo giorno con la Trasfigurazione del tuo Verbo incarnato e con la voce della tua paternità scesa su di Lui, concedi, ti preghiamo, che per il divino nutrimento meritiamo di essere trasfigurati nelle membra di Colui che comandò di fare questo in sua memoria, Gesù Cristo tuo Figlio, Nostro Signore, che con te… * Il 21 novembre è la presentazione al Tempio della Beata Vergine Maria; perciò si recita nel Tempio stesso questa orazione: Orazione: Dio, che hai voluto che dopo tre anni fosse presentata al Tempio del Signore la santa Madre di Dio, tempio dello Spirito Santo, guarda il popolo a te devoto e concedi che noi, che celebriamo la festa della sua presentazione, diveniamo a nostra volta tempio in cui tu ti degni di abitare. Per Cristo…

141

[26] 105 Iscrizione sull’architrave della chiesa del Santo Sepolcro:

T12

Perché piangi, donna? Ora adori colui che cerchi. La formula è tratta dalla liturgia della festa della Trinità: CAO, III, p.  86, n  1708, e AMS, p. 173, no 172bis; secondo Huygens (nota ad loc.) è abbastanza singolare che la si utilizzi invece per la liturgia della Trasfigurazione. a 

o

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Descrizione della Terrasanta, 25-26

Ora, vivo, sono degno di essere venerato: non mi toccarea.

Fuori, all’entrata del Calvario: Questo illustre luogo, il Calvario, è santo per il signore, per il sacrificio, per la croce, per il lavacro: infatti Gesù, il suo sangue, il cartiglio, il sacro profluvio del corpo ci salva, ci redime, ci protegge e ci lava106.

Dentro, nel luogo della deposizione del Signore: I suoi cari la cara carne di Dio compianta tolgono dalla croce: il pio re questo soffre per i miseri.

Dentro, presso la finta sepoltura del Signore: Cristo cosparso di aromi è deposto nella tomba; il giusto per i suoi meriti è innalzato al cielo. Gioisce l’uomo, tremano i Mani, geme l’abisso intero: con la venuta di Cristo è rimesso il peccato di Adamo.

Sempre nello stesso posto, ma al centro: Mentre così Cristo viene sepolto in una tomba di pietra, con la sua morte il cielo è dischiuso all’uomo.

Sopra il luogo della Natività: Luce dell’angelica virtù e suo culmine, qui veramente Dio è nato dalla Vergine Madre.

T33

Sull’architrave dell’ingresso alla parte interna del sepolcro: Della Resurrezione di Cristo furono e sono testimonianza il luogo, l’angelo custode del sepolcro, la veste e la nostra redenzione.

Cfr. Gv 20, 17 (nella Nova Vulgata si trova però tenere, “trattenere”, in luogo del tangere, “toccare”, della Vulgata). a 

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Giovanni di Würzburg

Note di commento Per questo breve passo del salmo 122 (121) citato da Giovanni ci è parso opportuno discostarci dalla traduzione CEI (“Gerusalemme è costruita come città unita e compatta”), la quale, sulla scorta della Nova Vulgata, chiarisce un passaggio piuttosto oscuro già della versione greca dei Settanta e delle antiche versioni latine, conservatosi nella Vulgata geronimiana (modello del nostro autore) nella forma cuius participatio eius in idipsum. Percorrendo gli usi di questo versetto nella letteratura mediolatina, infatti, sembra che sia frequente l’interpretazione che si può far risalire ad Agostino (Aug., trin. 3, 2, 8; Id., in psalm. 121, 5-6), in parte ripresa dalla Glossa ordinaria al luogo biblico in questione, secondo cui il salmista avrebbe voluto esprimere la compartecipazione della Gerusalemme celeste in Dio, con cui questa entità unica (idipsum, letteralmente “esso stesso”) viene identificata. Poiché ci è sembrato che la citazione di Giovanni avesse poco senso nella forma adottata dalla traduzione CEI, abbiamo preferito una resa più fedele alla lettera della Vulgata e all’interpretazione apparentemente diffusa all’epoca del nostro autore. Per informazioni più approfondite sull’esegesi agostiniana rimandiamo ai recenti studi di Onesti, ‘Agostino e la participatio’, e di Mo­ reau, ‘L’interprétation’. 2. Pringle, Churches, II, no 196. Sembra risalire alla fine del VI secolo la tradizione, molto diffusa nel XII secolo, per cui Seffori fu la città natale dei genitori della Vergine Maria, Anna e Gioacchino. È solo Giovanni di Würzburg a ricordare che all’epoca qualcuno sosteneva che a Seffori avesse avuto luogo anche la nascita di Maria, mentre l’opinione vulgata la collocava a Nazaret. 3. Cfr. Pringle, Churches, II, no 170. L’accenno di Giovanni è molto rapido, rispetto sia alla descrizione della fontana marmorea proposta da Saewulf (par. 27), sia al racconto che Teodorico (par. 47) dedica ad un particolare episodio dell’infanzia di Gesù collegato da alcuni Vangeli apocrifi a questo luogo. 4. Pringle, Churches, II, no 149. Dall’inizio del IX secolo questo luogo era collocato tre km a sud di Nazaret e vi si trovavano un monastero e una chiesa dedicati alla Vergine Maria; le numerose allusioni di pellegrini del XII secolo non parlano però di alcun edificio di culto. 5. Pringle, Churches, II, no 158. L’associazione di Melchisedech con il Monte Tabor deriva da una tradizione gnostica che fa la sua ap1.

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Descrizione della Terrasanta, NOTE

parizione in forma cristianizzata in un testo attribuito ad Atanasio di Alessandria e in varie opere copte. In questa tradizione l’originario racconto veterotestamentario (Gen 14,  18-20) dell’incontro di Melchisedech con Abramo è significativamente ampliato: dopo sette anni di vita ascetica trascorsi sul Tabor, Melchisedech viene trovato e curato da Abramo per volere divino e offre poi a lui e ai suoi compagni una coppa di vino in cui è stato intinto del pane, prefigurazione dell’Eucarestia. Si noti che nella Bibbia, in 2Sam 1, 1, è Davide a tornare “dalla strage degli Amaleciti”, mentre in Es 17, 8-13 sono Mosè e Giosuè a scontrarsi con la tribù di Amalèk; nell’episodio cui fa allusione Giovanni (e Teodorico, par. 46), invece, Abramo aveva combattuto contro una coalizione di quattro re, colpevoli di aver rapito, dopo la loro vittoria su Sodoma, suo nipote Lot. Non è chiara la ragione della confusione, che è già presente nel testo di Fretello (par.  39) e che risale almeno all’epoca carolingia, essendo attestata dalla redatio altera dell’Itinerarium Antonini Placentini (Anton. Plac. 19, p. 147, con commento a p. 278). Dall’inizio del XII secolo una chiesa ricavata in una grotta sulla cima del Tabor faceva memoria dell’incontro, ma pare che essa sia stata frequentata più che altro da cristiani orientali; numerosi altri visitatori, tra cui Giovanni e Teodorico (e già Fretello), ambientano l’episodio sulla via che scende dal monte e non menzionano alcuna chiesa. A quanto si può dedurre dalla Bibbia (Gen 14, 17), l’incontro sarebbe però avvenuto nella valle di Save, nei pressi di Gerusalemme; Anton. Plac. 19 colloca invece l’episodio sul Golgota. L’identificazione di Melchisedech con Sem figlio di Noè, riferita già da Girolamo (che la attribuisce alla tradizione ebraica: Hier., quaest. hebr. in Gen., p. 24, r. 12-13 Lagarde [p. 19]) e recepita quindi da Isid., orig. 15, 1, 5 e dalla Glossa ordinaria a Gen 14, 18, è ricorrente nella letteratura mediolatina. 6. L’editore stampa Gebel uxore Aberemei, sulla base dei migliori manoscritti (Gebel T : Gehel B; Aberemei T : Abheremi B); ci pare invece il caso (di qui la nostra traduzione) di ripristinare le forme corrette Iahel (o anche Gehel, come legge il manoscritto B) e Aber Cinei, impiegate – oltre che, naturalmente, dal passo biblico di riferimento (cfr. Gdc 4, 17) – da Fretello (Gahel e Aber Cynei, par. 39) e Teodorico (Iahel e Abel Cynei, par. 46) e già attestate dai recentiores A e M (Iahel AM; Abercynei A : Abercinci M). 7. Pringle, Churches, I, p. 276-277; cfr. anche Id., Secular Buildings, no 116 e Boas, Archaeology, p. 244. Già alla fine dell’epoca romana, Izreèl era un villaggio di importanza strategica per la sua collocazio-

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ne e la presenza di sorgenti d’acqua. Che in questo luogo si trovassero la vigna di Nabot e la tomba di Gezabele era forse già riferito da una fonte del IV secolo come Egeria, a noi nota, per questo passo, grazie all’uso fattone da Pietro Diacono nel XII secolo (ed. in Peregr. Aeth., p. 99; in generale su Egeria e le riprese di Pietro rimandiamo a Natalucci, Pellegrinaggio); sembra che la tomba fosse ancora visibile all’epoca dei nostri tre pellegrini. 8. Nei manoscritti di Giovanni e Teodorico compaiono forme diverse del nome di questo villaggio, e le oscillazioni paiono tali da sconsigliare un’uniformazione delle varie occorrenze che sarebbe arbitraria. Si è mantenuta perciò l’alternanza tra Genunio (come qui e poco più sotto) e Genuino (par. 6) in Giovanni (anche se si può dubitare che un autore ammettesse due forme diverse per un stesso toponimo), mentre in Teodorico (par. 44) si è lasciato inalterato il Gemino riportato concordemente dai codici; in Fretello – almeno per come stampato da Boeren, senza varianti in apparato – la forma è sempre Genuino (par.  41-42). Per qualche informazione su tale villaggio, posto al confine tra la Galilea e la Samaria e oggi noto con il nome di Janin, si veda Pringle, Churches, I, p. 273. 9. Per com’è riportata dai manoscritti e stampata dall’editore, questa frase è sintatticamente insostenibile: l’assumitur con cui essa inizia (che dovrebbe significare “si assume”, “si ritiene”, un senso che però parrebbe utilizzato soltanto in contesti di ragionamento logico) dev’essere corruttela dell’assumptum (“esumato”) impiegato da Fretello nel passo corrispondente (par. 42), che è invece perfettamente in linea con il seguito della frase da un punto di vista sintattico (è infatti coordinato all’altro infinito concrematumque, e giustifica questo -que altrimenti senza senso) e contenutistico. Su questa correzione si basa dunque la nostra traduzione. 10. Su Sebaste (nome assunto dalla città dopo la ricostruzione voluta da Erode attorno al 25 a.C. e che, come implicito nel testo di Giovanni, è l’esatto corrispettivo greco del latino Augusta) e sulla cattedrale di San Giovanni ivi costruita si veda Pringle, Churches, II, no 225. Che Giovanni sia stato decapitato nella fortezza di Macheronte (fatta ricostruire da Erode nel sito dell’odierna Mukawer: Wandrey, ‘Machaerus’) è informazione che non si trova nel racconto evangelico della sua morte (Mt 14, 6-12 e Mc 6, 21-29), ma che risale a Flavio Giuseppe (Ios., ant. Iud. 18, 5, 2, p. 421; cfr. anche Dizionario della Bibbia, p. 512); della sua sepoltura a Sebaste insieme ai profeti Eliseo e Abdia si hanno attestazioni fin dal IV secolo, ad esempio in

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opere di Girolamo (Hier., in Mich. 1, 1, p. 427, r. 174-176, e epist. 108,  13,  4); della profanazione della tomba e della cremazione del corpo di Giovanni parla invece Rufin., hist. 11, 28 (p. 1033). I testi di pellegrinaggio del XII secolo non danno molte informazioni sulla cattedrale di San Giovanni, tendendo a ripetere piuttosto (come Giovanni e Teodorico) la trafila degli spostamenti subiti dalle spoglie del santo; ma la riscoperta, nel 1145, del reliquiario contenente i resti di Giovanni e dei profeti sepolti insieme a lui (raccontata in una lettera del patriarca di Gerusalemme Guglielmo, pubblicata da Le Roulx de Lincy – Bruel, ‘Notice historique’, p. 492-493) fece da stimolo alla ricostruzione della chiesa e alla diffusione in Occidente di tali reliquie. Quelle del Battista, in particolare, sono numerosissime e sparse un po’ per tutta l’Europa occidentale (cfr. Bibl. Sanct., VI, col.  599-605 e 611-616): le dita, soprattutto, sarebbero conservate – anche in più “esemplari” o per singole falangi – in una decina di luoghi tra Italia e Francia; come riferisce qui il nostro testo, a San Giovanni di Moriana (Saint-Jean-de-Maurienne), nella Savoia, l’indice (o tre dita secondo altre tradizioni) sarebbe stato portato da una giovane originaria del luogo, santa Tecla (nota anche come Tigride o Tigre), forse vissuta nel VI secolo (Bibl. Sanct., XII, col. 474). È però la testa la più “mobile” fra le reliquie di Giovanni: a parte Emesa, dove essa sarebbe stata nascosta e ritrovata per due volte, diverse tradizioni convergono su Costantinopoli (con tappe ad Alessandria e Rodi) come luogo di conservazione del prezioso capo e punto di partenza per un’ulteriore circolazione. 11. Pringle, Churches, I, no 108 (con aggiornamenti in IV, no 108). Presso il luogo in cui il Vangelo di Giovanni collocava il pozzo di Giacobbe e l’incontro di Gesù con la Samaritana una chiesa fu costruita intorno al 384; distrutta forse poco dopo, essa fu successivamente ricostruita da Giustiniano e sopravvisse fino all’inizio del IX secolo. Quando nel 1099 i crociati occuparono Nablus, la chiesa era da tempo in rovina, nonostante il sito fosse ben noto: Saewulf, come altri pellegrini di inizio XII secolo, menziona infatti il solo pozzo. Il fatto che Giovanni affermi che un edificio è in costruzione all’epoca del suo viaggio è però considerato sospetto: l’informazione è frequente nei racconti di pellegrini dopo il 1130 (compreso quello di Fretello), ma l’espressione quasi invariata che essi usano parrebbe derivare da un passo di Girolamo riferito proprio a questo luogo (Hier., sit. et nom., p. 165). Il primo pellegrino per cui si considera sicuro che abbia descritto una chiesa di recente costruzione è dunque Teodorico

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(par. 42). Da altre fonti sappiamo che la chiesa era dedicata al Salvatore e che si trovava sotto il controllo delle benedettine di Betania (Teodorico, infatti, menziona una comunità di monache residenti presso il pozzo di Giacobbe). 12. Pringle, Churches, I, no 61 (per l’accenno alla Grotta della Natività e, poco più avanti in Giovanni, per la menzione delle tombe di Girolamo, Paola e Eustochio); Id., Secular Buildings, no 48. Benché i numerosi lavori di restauro e ampliamento della basilica della Natività non siano descritti con dovizia di particolari nei racconti di viaggio dell’epoca, la testimonianza di Giovanni mostra che l’altare principale della cripta era stato ricostruito prima del 1165, quando egli ne ricopiò l’iscrizione. La basilica di Santa Maria Maggiore a Roma (nota anche come Santa Maria “al presepe”) rappresentò il tentativo più compiuto in epoca medievale di riprodurre in Occidente il luogo santo della nascita di Gesù, forse in reazione alla conquista araba di Betlemme nel VII secolo (Bacci, Mystic Cave, p. 103; sulla storia della basilica si può vedere Saxer, Sainte-Marie-Majeure). Fra le reliquie venerate a Santa Maria Maggiore c’erano la culla di Gesù e addirittura, come ricorda anche Giovanni, il fieno su cui Egli giacque; la menzione a questo proposito di Elena, madre di Costantino, è chiaramente anacronistica, ma è probabilmente dovuta alla comune associazione della sua figura con la costruzione della prima basilica della Natività a Betlemme. 13. La tradizione per cui i neonati fatti massacrare da Erode nel vano tentativo di liberarsi di Gesù riposavano nella Grotta della Natività a Betlemme è antica e ben attestata, come si vede anche nel racconto di Saewulf (par. 22); tuttavia, Fretello e dopo di lui Giovanni (Teodorico, invece, tace) sembrano conoscerne una versione alternativa, di origine ad ora ignota, secondo la quale gli Innocenti sarebbero stati in gran parte sepolti in una località fuori dalla cittadina. 14. Pringle, Churches, II, no 199-200. San Caritone, nativo di Iconio, fondò tre monasteri in vari luoghi della Palestina, l’ultimo dei quali a sud-est di Betlemme intorno al 345. Daniil (Daniil, Itinerario, p. 127-128) descrive la tomba del santo collocata nella più grande delle due chiese del monastero, ma già intorno al 1130 altri pellegrini riferiscono che il corpo era stato traslato a Gerusalemme, come nota lo stesso Giovanni poco più avanti (sulla base di Fretello, par. 48). Più tardi, anche Burcardo di Monte Sion (Burch., descr. 98) riferisce che i confratelli di Caritone morirono insieme a lui, ma senza offrire ulteriori dettagli.

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Il prescierant (“avevano saputo in anticipo”) dei manoscritti di Giovanni suona qui decisamente fuori luogo; Huygens stesso (Peregr. tres, p. 19) parla di “obvious nonsense”, anche se preferisce non correggere. A noi pare però necessario intervenire ripristinando il petierant (“avevano chiesto”) del corrispondente luogo di Fretello (par.  48), verosimilmente corrotto nell’archetipo della tradizione di Giovanni per ragioni paleografiche banali: di qui la nostra traduzione. 16. Come poco sopra, nonostante Huygens ritenga opportuno non correggere l’agonizantes (riferito quindi ai confratelli di Caritone) tràdito dai manoscritti, è a nostro parere decisamente preferibile ripristinare la lezione agonizantis (Caritone stesso) presente in Fretello (par. 48). Non è del tutto chiaro a cosa faccia allusione Giovanni parlando di questi “gruppi di monaci” visibili nella chiesa di San Caritone, ma si può ricordare che Daniil (Daniil, Itinerario, p. 128) riferisce di aver visto nel cimitero del monastero un gran numero di “santi padri”, i cui corpi “sono come vivi”. 17. Pringle, Churches, II, p. 176-178. Dall’inizio del IV secolo, la tomba di Rachele veniva mostrata lungo la via da Gerusalemme a Ebron, nel punto in cui la strada per Betlemme se ne distaccava. Intorno alla metà del XII secolo, la tomba sembra essere stata coperta con una volta; poiché la maggior parte dei pellegrini dell’epoca non vi fa riferimento che attraverso il racconto biblico, solo alcuni menzionano le dodici pietre che la coprivano in ricordo dei dodici figli di Giacobbe. Chabratha è un toponimo in realtà inesistente, nato dal fraintendimento da parte della traduzione greca dei Settanta di un termine ebraico che indicava la distanza da Efrata del luogo in cui Rachele morì (Strickert, Rachel Weeping, p. 20). 18. Nabuzaradàn, ufficiale dell’esercito di Nabucodonosor, ricevette dal suo re il compito di mettere a ferro e fuoco la città di Gerusalemme, come Giovanni ricorda. La strana qualifica di “capo dei cuochi” che la tradizione medievale gli assegna è in effetti la traduzione letterale del titolo associato al suo nome nel testo biblico (cfr. ad es. 2Re 25, passim), reso dalla traduzione CEI con “capo delle guardie” (Dizionario della Bibbia, p. 572). Come spiega Girolamo (Hier., quaest. hebr. in Gen., p. 57, r. 29 – p. 58, r. 3 Lagarde [p. 45]), l’ambiguità si era mantenuta nella traduzione dei Settanta: il significato proprio del greco ἀρχιμάγειρος (archimàgheiros), impiegato nel senso di “capo dell’esercito”, è appunto “capo dei cuochi”. Il fatto che sia stato un personaggio con una carica del genere a devastare la città santa ha naturalmente stimolato la sensibilità allegorica dei medievali, che 15.

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hanno talvolta interpretato questo episodio in senso morale come simbolo delle nefaste conseguenze di una condotta smodata (anche sulla scorta dell’autorevole precedente di Gregorio Magno: Greg. M., moral. 30, 18): è quello che fa, ad esempio, Ildeberto di Le Mans in uno dei suoi epigrammi biblici, dal titolo molto esplicito di “Cosa significa che il re di Babilonia distrusse le mura di Gerusalemme per mano di Nabuzaradàn capo dei cuochi” (Quod significat quod rex Babilonis destruxit muros Ierusalem per Nabuzardan principem cocorum; Scott – Baker – Rigg, ‘Biblical Epigrams’, p. 297-298). 19. Per il Tempio si veda Pringle, Churches, III, no 367; Boas, Jerusalem, p. 109-110. Anche Giovanni, come già Saewulf, identifica la chiesa del Templum Domini (oggi Cupola della Roccia) con l’antico Tempio di Gerusalemme. Benché esso sia esistito in modo continuativo per più di mille anni, a causa di due progetti complessivi di ricostruzione la sua storia viene normalmente distinta in tre fasi. Il Tempio di Salomone o Primo Tempio fu costruito da Salomone nel X sec.  a.C. e completamente distrutto da Nabucodonosor nel 587 a.C. Il Secondo Tempio fu eretto al ritorno dall’esilio babilonese nella seconda metà del VI sec. a.C., mentre una nuova consacrazione si ebbe nel 164 a.C. ad opera di Giuda Maccabeo, dopo la profanazione del sovrano seleucide Antioco IV Epifane. I lavori di ampliamento voluti da Erode il Grande, che lo trasformarono nel cosiddetto Terzo Tempio, iniziarono verso il 19 a.C. e terminarono solo nel 64 d.C. In seguito, il Tempio fu distrutto dal futuro imperatore Tito nel 70 d.C., e non ne rimase altro che ciò che è oggi noto come Muro del Pianto (Dizionario della Bibbia, p. 843-847). 20. La chiusa di questo periodo pare soffrire di un’incongruenza sintattica. Il latino di Giovanni recita infatti pro reuerentia Allachiber, id est summi dei, quoniam ad ipsum colendum deuote ab omni lingua ueneratur, sulla falsariga del passo corrispondente di Fretello (par. 53), sub honore Allachiber, id est summi dei. Et quoniam ad ipsum colendum ab omni lingua reuerende ueneratur. La difficoltà sta nel rapporto fra la finale implicita ad ipsum colendum (“per onorarlo”) e il verbo ueneratur (“è venerato”): l’interpretazione più “naturale” della frase richiederebbe di considerare il soggetto passivo del secondo (Allah) al tempo stesso oggetto della finale, a costo però di un’indubbia durezza sintattica. Che il verbo ueneror, deponente secondo l’uso classico, possa essere inteso da Giovanni come un vero e proprio passivo è dimostrato dal ricorrere della medesima forma ueneratur alla fine del capoverso successivo a questo: “il prepuzio del Signore è venerato

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Descrizione della Terrasanta, NOTE

(ueneratur) solennemente in quel luogo da allora fino ad oggi”; ma l’uso è in generale attestato nel latino medievale. La difficoltà si potrebbe in qualche modo aggirare considerando ueneratur come una sorta di impersonale (interpretazione possibile, fra l’altro, anche nella seconda occorrenza del verbo appena citata); ma in questo caso a porre qualche problema sarebbe ab omni lingua, che pare in tutto e per tutto un complemento d’agente e che spingerebbe dunque a intendere ueneratur come un passivo (a meno di non legare questo complemento al gerundivo finale ad ipsum colendum, a costo però di supporre una struttura della frase piuttosto innaturale). Tutto il discorso, naturalmente, implica di considerare sano il testo tràdito: ma non ci pare di intravedere interventi economici che possano risolvere in maniera convincente un eventuale guasto. 21. Nonostante il silenzio dell’editore (non soltanto di Giovanni, ma anche di Fretello), questo passo, per com’è trasmesso dai codici, ci pare piuttosto disperato: la traduzione rende quello che sembra esserne il senso, lasciando in secondo piano le difficoltà del latino, verosimilmente in parte corrotto già nel testo di Fretello, e dunque quasi certamente nel manoscritto che della sua opera Giovanni poteva utilizzare. Il testo del nostro autore è il seguente: presens hoc, inquam, templum est, quantum predicatur, cuius in penultimo octauo die natalis sui puer Iesus circumcisus est, che letteralmente si dovrebbe tradurre: “il Tempio presente, dicevo, è, a quanto si sostiene, quello di cui(?) nel penultimo l’ottavo giorno dalla sua nascita il bambino Gesù fu circonciso”. Per quanto riguarda la prima parte della frase, il guasto si può individuare rifacendosi al passo corrispondente di Fretello (par. 54), dove si legge: presens utique hoc templum quartum predicatur, “si dice che il Tempio presente sia il quarto”, in linea con la spiegazione offerta appena prima, in cui si elencano i tre templi precedenti, costruiti e distrutti nel corso dei secoli. L’est di Giovanni deve dunque aver fatto intrusione nel testo una volta che il quartum di Fretello si era corrotto in quantum, creando un inciso (“a quanto si sostiene”) e privando la frase di un verbo reggente. Più complesso pare trovare una soluzione per la seconda parte della frase, che già in Fretello presenta la problematica espressione cuius in penultimo, difficile da legare, da un punto di vista sintattico, sia a quanto precede che a quanto segue. A rigore il relativo cuius (“di cui”) dovrebbe legarsi al templum di poco precedente, ma il senso del sintagma resta oscuro: cosa sarebbe questo “penultimo del Tempio”? D’altra parte, è da escludere che in penultimo vada legato come de-

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terminazione temporale all’octauo die subito successivo, sia perché si creerebbe un’espressione decisamente bizzarra (“il penultimo ottavo giorno”?), sia perché poco più avanti, all’inizio del par. 5, Giovanni ripete che la circoncisione di Cristo avvenne “all’ottavo giorno”. Più sensato e soddisfacente, pur nell’incertezza, ci è parso dunque sottintendere templo: che la circoncisione di Cristo avvenne “nel penultimo Tempio” è un’indicazione coerente con il fatto che, secondo Fretello e Giovanni, il Tempio dell’epoca di Cristo è proprio quello che precede l’edificio da loro descritto. 22. La venerazione per il prepuzio di Cristo si affermò soprattutto a partire dall’XI secolo, di pari passo con il moltiplicarsi dei luoghi che sostenevano di conservare questa reliquia. La vicenda riferita da Giovanni (sulla scorta del passo parallelo di Fretello, par.  54) trova diffusione a partire dal XII secolo, quando le fonti cominciano a citare una simile trafila per gli spostamenti del prepuzio dalla Terrasanta a una delle sue sedi europee (Roma e Charroux fra le più frequenti); per tutta la questione rimandiamo a Lützelschwab, ‘Zwischen Heilsvermittlung’; Palazzo, ‘The Veneration’; Ceravolo, Il prepuzio, in part. p. 66-70. L’abbazia di Saint-Sauveur di Charroux (nella diocesi di Poitiers e nell’attuale dipartimento della Vienne; cfr. Cottineau, Répertoire, I, col.  711-712), cui Giovanni fa allusione, fu fondata nel tardo VIII secolo e prosperò, oltre che per merito dei sovrani carolingi, grazie alle importanti reliquie che conservava, fra cui appunto quella del prepuzio di Cristo. La storia raccontata da Fretello e Giovanni è attestata per la prima volta proprio in un testo prodotto a Charroux verso la fine dell’XI secolo per celebrare e rafforzare l’importanza dell’abbazia (Gabriele, Empire of Memory, p. 44-51). 23. I sette sigilli di Ap 5-6 paiono aver interessato in maniera particolare gli esegeti medievali, che ne hanno discusso non soltanto nei commenti al passo biblico in questione, ma anche in trattati interamente dedicati a questo argomento. La loro associazione con altrettanti episodi dell’esistenza terrena e ultraterrena di Cristo rientra in una tradizione esegetica che risale almeno al VI secolo, probabilmente in connessione con particolari pratiche liturgiche; altre interpretazioni prevedevano invece di connetterli con i sette doni dello Spirito Santo, con sette eventi nella storia della Chiesa o con teorie storico-­ escatologiche più elaborate. Un’antologia di testi medievali sull’argomento (in traduzione inglese) è offerta in Seven Seals; si veda anche Matter, ‘The Pseudo-Alcuinian’.

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Pringle, Churches, III, no 367. Una pietra collocata nel luogo in cui Cristo scacciò i mercanti dal Tempio è già menzionata da Saewulf, che la descrive tuttavia come la roccia su cui i piedi del Signore si posarono quando Egli si nascose per non essere lapidato dai Giudei. Quanto alla visione di Giacobbe, essa avvenne effettivamente fuori Gerusalemme, presso un villaggio di nome Betel (odierno Baitin: cfr. Pringle, Churches, I, no 36 e supra nel testo, par. 2); più tardi, anche Burcardo di Monte Sion (Burch., descr. 59) contesta la collocazione di questo episodio nella città santa, sottolineando che la confusione sarebbe dovuta al fatto che il nome Betel era usato anche in riferimento ad essa. 25. Pringle, Churches, III, no 319. Le prime attestazioni di tale costruzione risalgono alla metà del IX secolo: diverse fonti arabe ne parlano come della “Cupola della Catena”, che il re Davide vi avrebbe appeso come strumento di giustizia, poiché solo l’innocente poteva raggiungerla. Nel XII secolo, quando il Templum Domini (l’odierna Cupola della Roccia) divenne una chiesa, essa fu trasformata in una cappella dipendente e le prime fonti cristiane che la menzionano (intorno al 1160) ne parlano già come del luogo in cui san Giacomo fu precipitato dal Tempio. Secondo la tradizione testimoniata per esempio da Girolamo e Rufino (Hier., uir. ill. 2, 14; Rufin., hist. 2, 23; cfr. anche Martyrologium Romanum, p. 166), Giacomo il Minore, primo vescovo di Gerusalemme, fu gettato dal parapetto all’angolo sud-est del Tempio nella valle del Cedron (cfr. Pringle, Churches, III, no 319), dove fu poi bastonato fino alla morte; che il sito di tale martirio sia stato nel Medioevo identificato con quello della Cupola della Catena deriva dall’erronea confusione di questo parapetto con il tetto del Templum Domini. 26. Il latino dell’iscrizione adopera qui il termine persona, che secondo l’uso classico corrisponde all’italiano “personaggio”; nel latino medievale, però, persona acquisisce anche il valore di “aspetto fisico”, come ad esempio in Guill. Malm., gesta reg. 4, 319, 2 spetiosae personae homo, “uomo di bell’aspetto”, o in Ord.  Vit., hist. 6,  10 erat… aliquantulum corpulentus, mediocris persone, “era… piuttosto corpulento, di media statura”. Per quanto la traduzione sia dunque sicura, il senso dell’intero verso resta piuttosto oscuro. 27. Pringle, Churches, III, no 293; cfr. anche Boas, Jerusalem, p. 63-64. Come tutti all’epoca, Giovanni, e più tardi Teodorico (par. 4 e 14), identifica la porta a ovest come Porta Bella, nonostante in origine tale nome fosse dato alla porta a est, che divenne poi la Porta Aurea. 24.

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Sulla Porta Aurea cfr. Pringle, Churches, III, no 293 e nota precedente. L’esatta collocazione del cimitero posto da Giovanni presso la Porta Aurea (su cui cfr. Boas, Jerusalem, p. 183) non è chiara; doveva trattarsi di un luogo riservato alla sepoltura dei caduti durante la Crociata, forse lo stesso in cui Ruggero di Howden dice che furono sepolti gli assassini di Tommaso Becket, morti dopo essersi recati in penitenza a Gerusalemme (Rog. Houeden, chron., II, p. 17). 29. La nostra traduzione si basa su una piccola correzione rispetto al testo tràdito dai manoscritti e stampato da Huygens, dove questo participio è riferito non agli archi, ma alle colonne (per quatuor arcus tribus columpnis marmoreis continuatis). In questo caso, tuttavia, la descrizione non ha un senso soddisfacente (“tre colonne di marmo contigue”?), che invece si ottiene facilmente correggendo il participio in continuatos, per concordarlo con arcus. L’intervento è inoltre giustificato dalla presenza di un parallelo nell’espressione usata poco sopra: tres magnos arcus duabus columpnis marmoreis coniunctos, “tre grandi archi, uniti da due colonne di marmo”. 30. Queste righe su Engaddi (incluso il rimando a un punto precedente del testo, che quindi non va considerato realmente pertinente) sono una ripresa pressoché letterale di Hier., sit. et nom., p. 87; l’esistenza di un villaggio giudeo con questo nome non è sostenuta da alcuna altra fonte (Prawer, History of the Jews, p. 62). Come spiega Girolamo (Hier., sit. et nom., p. 15-17), Aulon è il nome della valle che si estende dal Libano fino al deserto di Paran, e che include dunque anche Gerico; questa spiegazione è citata quasi alla lettera da Giovanni stesso al par. 9, compresa la precisazione, in realtà inesatta, sul fatto che si tratti di un termine ebraico e non greco (αὐλών, aulòn, significa in effetti “depressione”, “avvallamento”). 31. Il toponimo dovrebbe riferirsi al monte noto da altre fonti come Kain o Kaim, moderno Tall Qaimun (Pringle, Churches, II, p. 159). I manoscritti riportano unanimemente Kara mons, ma, dal momento che sia Giovanni stesso (qualche riga più avanti) sia Fretello (par. 74: a Kaim monte) attestano una forma con la i nel corpo del nome e una m finale, ci sembra sensato ripristinare qui la forma Kairam, com’è nella seconda menzione del monte da parte di Giovanni. 32. In realtà sono due i Lamec menzionati nella Bibbia (cfr. Dizionario della Bibbia, p. 474-475): uno discendente di Caino e protagonista dell’episodio riferito da Giovanni (Gen 4, 19-24), l’altro discendente di Set, figlio di Matusalemme e padre di Noè (Gen 5, 25-31). La confusione è tuttavia comune nelle fonti medievali, così come il raccon28.

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to del delitto di Lamec: nella Bibbia, infatti, non si trova nient’altro che la frase citata da Giovanni, in cui non è precisato alcun dettaglio né l’identità delle vittime. La spiegazione canonica (riferita dalla Glossa ordinaria a Gen 4, 23 e ripetuta da molti autori) è che Lamec, divenuto vecchio e quasi cieco, durante una battuta di caccia uccise per errore Caino e poi, infuriato, il giovane che lo accompagnava e gli aveva indicato dove mirare. I manoscritti di Giovanni riportano qui unanimemente Gerlicus, in quo Iheu rex Israel, al posto del Ger, locus in quo… del passo corrispondente di Fretello (par. 41). Benché Huygens si limiti a far notare il problema, ci è parso necessario intervenire sul testo di Giovanni, in cui vediamo una corruttela della tradizione piuttosto che un errore dell’autore. Un intervento del genere, naturalmente, trarrebbe grande giovamento da una migliore conoscenza della tradizione manoscritta di Fretello: se fosse meglio noto lo stato dei suoi testimoni, si potrebbe anche valutare se il codice usato da Giovanni conteneva già questa corruttela. Torre di Stratone era in effetti il nome di un insediamento d’epoca ellenistica sul sito del quale Erode fece costruire la città di Cesarea negli ultimi decenni del I sec. a.C. (Leisten, ‘Caesarea Maritima’; cfr.  anche Pringle, Secular Buildings, no  76). La precisazione “di Palestina” o “Marittima” aiutava a distinguere questo luogo dalla cittadina omonima alle pendici del Monte Ermon, nominata più avanti (par. 9) anche da Giovanni. Come effettivamente riferito da Flavio Giuseppe (Ios., ant. Iud. 15, 292 e bell. Iud. 1, 401, entrambi accessibili a Giovanni in versione latina, il secondo anche nella traduzione-rielaborazione tramandata sotto il nome di Egesippo: Heges. 1, 35, 1, p. 67, r. 20 – p. 68, r. 7; per una disamina più approfondita del problema Egesippo cfr. Somenzi, Egesippo-Ambrogio), prima del 31 a.C. Erode I fece costruire una fortezza a nord-est del Tempio di Gerusalemme, dedicandola a Marco Antonio; essa fu poi distrutta da Tito nel 70 (Schwemer, ‘Antonia’). Come accennato nell’introduzione, la confusione tra Torre di Davide e Antonia è dovuta alla versione rimaneggiata di Fretello che Giovanni usa; la si ritrova però anche in altri autori, come ad esempio Burcardo (Burch., descr. 81). Pringle, Churches, I, no  100. Tutte queste informazioni su Ebron (salvo la sua identificazione con il luogo della creazione di Adamo) sono ricavate quasi alla lettera da Hier., sit. et nom., p. 7; la resa corretta dell’antico nome Cariatharbe (o Kariath Iarbe, secondo la forma

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tràdita da uno dei codici di Giovanni e preferita dall’editore) è però “città dei quattro”, come lo stesso Girolamo indica altrove (ad es. in Hier., sit. et nom., p. 113; epist. 108, 11) e come ricorda anche Teodorico, par. 34. L’espressione “doppia grotta” utilizzata da Giovanni altro non è che la traduzione letterale della Vulgata (Gen 23, 9; 23, 17; ecc.) per il nome ebraico Macpela, che deriva probabilmente da una radice che significa “doppio” e nella Bibbia indica sia la grotta dove furono sepolti Abramo, Isacco e Giacobbe, sia il campo in cui essa si trovava (cfr. Dizionario della Bibbia, p. 513). L’identificazione della quarta coppia con Adamo ed Eva è problematica, ma essa è data per certa da numerosi pellegrini del XII secolo, che come Giovanni menzionano la sepoltura in modo sommario. Quanto alla tomba di Lot, nominata da Giovanni poco più avanti, varie fonti del XII secolo la pongono in un luogo a sud-est di Ebron, sulla via che porta al Mar Morto: potrebbe trattarsi dell’odierna Bani Na‘im, dove la sepoltura sarebbe ancora visibile nel cortile della moschea locale. Se l’associazione della tomba con il villaggio pare risalire all’epoca bizantina, quest’ultimo non sarebbe però mai stato sotto il controllo cristiano (cfr. Pringle, Churches, I, p. 107). 37. Pringle, Churches, II, no 192. La quercia presso cui Abramo avrebbe incontrato i suoi tre ospiti, posta sulla collina di Mamre nei pressi di Ebron, era venerata fin da epoca remota, ma fu l’imperatore Costantino a farvi edificare per primo una chiesa; i pellegrini del XII secolo, tuttavia, non fanno menzione di alcun edificio sacro, e le loro descrizioni sono più che altro ricalcate su narrazioni precedenti, in particolare quella di Girolamo (Hier., sit. et nom., p. 7). L’aneddoto sulla terra rossa venduta come spezia e sul suo miracoloso ricostituirsi (cfr. poco sopra nel testo) si trova anche in altre fonti di XII e XIII secolo; Burcardo di Monte Sion (Burch., descr. 97) le attribuisce la proprietà miracolosa che Giovanni e Teodorico riferiscono invece ai rami della quercia di Mamre. Rendiamo con “non collassa” l’espressione latina non infunditur (usata anche da Teodorico, par. 34, e in entrambi i casi ricavata da Fretello, par. 9), riprendendo la traduzione proposta ad loc. da Huygens (“won’t founder”) e il suggerimento dell’editore di Fretello (p. 10, n. 16). La patologia dell’equus infusus/infunditus, o infusio, è nota ai trattati di ippiatria come un disturbo dovuto ad un eccesso di acqua, cibo o fatica che, provocando un accumulo di sangue e umori nelle zampe, fa zoppicare il cavallo e gli rende impossibile muoversi (cfr. ad es. Giordano Ruffo, De cura equorum seu de hippiatria 11

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e Pietro de’ Crescenzi, Liber ruralium commodorum 9, 19, citati dal Du Cange, s.v. infusio). 38. Lago di Asfaltide (Asphaltìtis lìmnē in greco, Asphaltites lacus in latino; cfr. ad es. Plin., nat. hist. 5, 72, da cui Sol., collect. 35, 2) è il nome con cui il Mar Morto era conosciuto nell’antichità classica, a causa delle notevoli quantità di bitume (ásphaltos in greco) che galleggiavano sulla sua superficie; la denominazione di Mar Morto per noi comune potrebbe essere stata in uso già tra I sec.  a.C. e I sec. d.C., quando doveva comparire nelle Historiae di Pompeo Trogo (Iust., epit. 36, 3, 6). I medievali ne potevano trovare una descrizione piuttosto dettagliata in Isid., orig. 13, 19, 3-4 (basato sui luoghi citati di Plinio e Solino e sulla traduzione/rifacimento della Guerra giudaica di Flavio Giuseppe attribuita ad Egesippo: cfr. Gasparotto, Etimologie, p. 116-119; cfr. anche Petr. Com., hist. schol., Gen. 44 e 53, p. 83 e 101-102; traduzione e commento in Lazzarini, Genesi, p. 149 e 344-345; 167 e 358); la denominazione di Mare del Diavolo pare risalire proprio all’epoca delle Crociate, e il primo autore ad attestarla potrebbe essere Fretello (par. 10). Per informazioni più dettagliate rimandiamo a Köckert, ‘Asphaltitis limne’. 39. Secondo la Bibbia, il percorso del popolo d’Israele dall’Egitto alla Terra Promessa si articolò in quaranta tappe, elencate in Nm 33, 1-49; una diversa tradizione, risalente all’epistola 78 di Girolamo (A Fabiola, sulle tappe dei figli d’Israele nel deserto, edita in Hier., epist., II, p.  49-87), ne aggiungeva invece altre due. Entrambi i conteggi permettevano interpretazioni allegoriche che collegavano il percorso degli Ebrei con, rispettivamente, i quaranta giorni di digiuno di Cristo nel deserto e le quarantadue generazioni precedenti la sua nascita, elencate da Mt 1, 1-17. Come già detto nell’introduzione, il testo originale di Fretello (par. 12-22) elenca queste tappe, seguendo la seconda delle due tradizioni, mentre la versione rielaborata, utilizzata da Giovanni e Teodorico, conserva solo un rapido accenno all’argomento, rifacendosi tra l’altro alla prima delle due enumerazioni (Boeren, Fretellus, p. 55-56). 40. Pringle, Churches, I, no 103 e II, no 147. In realtà il monte su cui Aronne morì e venne sepolto non è l’Oreb, bensì l’Or (come correttamente indicato da Teodorico, par. 31, e dalla fonte di Giovanni e Teodorico, Fretello, par.  19). Il luogo in questione, oggi noto con il nome di Jabal Harun, ospitava nel XII secolo il monastero di Sant’Aronne, di cui non rimane alcuna traccia. Quanto alla tomba di Mosè, eretta sulla cima su cui egli morì subito dopo aver visto

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la Terra Promessa, essa era tradizionalmente collocata nella parte nord-ovest dei Monti di Moab, ma un’identificazione più precisa resta impossibile. La fortezza a cui allude Giovanni, infine, nota con il nome francese di Montréal o con quello arabo di Shobak, fu eretta da Baldovino  I nel 1115 e cadde poi in mano musulmana nel 1189 (Pringle, Secular Buildings, no 157; Kennedy, Crusader Castles, p. 23-25; Crusades Encyclopedia, III, p. 853). A giudicare dalla versione dei fatti riferita da Teodorico (par. 50), che appare più ricca e coerente, il verbo corretto dovrebbe qui essere uoluit, “avrebbe voluto”, e non noluit, “non volle”, come si legge invece nei manoscritti di Giovanni. La scelta tra le due opzioni, tuttavia, è complicata dal fatto che già nella fonte dei nostri due autori, cioè Fretello (par. 25), compare il dubbio noluit, senza peraltro i dettagli ulteriori offerti da Teodorico: ci pare perciò difficile, allo stato attuale delle conoscenze in merito alla tradizione manoscritta e alla costituzione del testo di Fretello, decidere nettamente in favore di una delle due forme. Pringle, Churches, IV, p.  216-217; Id., Secular Buildings, no  227. Numerosi pellegrini di XII e XIII secolo ripropongono la stessa vaga allusione ai martiri di Tiro, ma nessuno menziona altra tomba che quella di Origene, morto e sepolto in questa città già secondo Girolamo (Hier., uir. ill. 54, 33). La sua sepoltura sarebbe stata ancora visibile, secondo le informazioni date da Guglielmo di Tiro (Guill. Tyr., chron. 13, 1, p. 586, r. 82-87), negli anni Ottanta del XII secolo, mentre non è certo se i pellegrini che vi alludono nel XIV secolo l’abbiano veramente visitata. La formula che Giovanni usa per indicare il numero sconosciuto dei martiri è quella che si ritrova nei martirologi (Huygens, nota ad loc., rimanda a Martyrologe d’Usuard, p. 184, ma l’espressione è sopravvissuta quasi invariata fino al Martyrologium Romanum, p. 70). Pringle, Churches, IV, no 476. La costruzione di tale chiesa dedicata al Salvatore sarebbe cominciata intorno al 1130 e le fonti dell’epoca già riportano un racconto identico a quello di Giovanni a proposito della pietra su cui essa fu edificata, una parte della quale giunse a Venezia e fu esposta nella chiesa di San Marco. Altri pellegrini contemporanei e successivi, tuttavia, non fanno alcuna menzione di un edificio religioso in questo sito. Pringle, Churches, I, p.  114 e 117. L’episodio raccontato da Giovanni (e Teodorico) è attestato per la prima volta nel 787, quando, durante il concilio di Nicea, si diede pubblica lettura di un sermo-

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ne greco falsamente attribuito ad Atanasio di Alessandria (di cui si conservano più versioni latine: BHL 4227-4230), a sostegno della credenza che le immagini sacre potessero compiere miracoli. La storia risulta poi molto diffusa, in relazione a Beirut, nelle fonti di XII secolo, e doveva essere in generale nota in Occidente, dove almeno dal X secolo si commemorava l’evento con una vera e propria festività, collocata al 9 novembre (Sansterre, ‘L’image blessée’). Solo Teodorico sostiene che l’immagine si trovi ancora nella cattedrale di Beirut, mentre sembra che all’epoca essa fosse già stata asportata e trasferita in Italia, nella cappella di San Lorenzo del palazzo del Laterano. 45. Secondo la tradizione, Placido, generale di Traiano, si convertì al cristianesimo a seguito di una visione avuta durante una battuta di caccia, prendendo il nome di Eustachio; caduto in povertà, prese la decisione di trasferirsi in Egitto, ma durante il viaggio la moglie Teopista gli fu sottratta dal capitano della nave che li trasportava, mentre i figli, Teopisto e Agapio, furono rapiti dalle bestie selvagge poco dopo lo sbarco. Provvidenzialmente riunitisi e riconosciutisi alcuni anni dopo, tutti i membri della famiglia subirono il martirio a Roma sotto l’imperatore Adriano, per essersi rifiutati di partecipare a riti pagani. Benché queste vicende non paiano avere alcun fondamento reale, il culto di sant’Eustachio ebbe una notevole diffusione in epoca medievale un po’ in tutti gli ambiti della Cristianità (cfr. Bibl. Sanct., V, col. 281-291; BHL 2760-2771). 46. L’antica città di Paneas (così chiamata per la presenza di un luogo di culto dedicato a Pan; oggi Banyas) fu ricostruita dal tetrarca Filippo all’inizio del I sec. d.C. con la nuova denominazione di Cesarea, che nei Vangeli (Mt 16, 13 e Mc 8, 27) è accompagnata dalla precisazione “di Filippo” per distinguere questo luogo da un’altra cittadina omonima, più a sud sulla costa del Mediterraneo (detta invece Cesarea “di Palestina” o “Marittima”: cfr. supra, par. 6). Secondo Guglielmo di Tiro (Guill. Tyr., chron. 19, 10, p. 876, r. 27-29) Belinas era la storpiatura del nome greco usata dai Latini. Per altre informazioni sulla cittadina, particolarmente in epoca crociata, cfr. Pringle, Churches, I, no 38; Id., Secular Buildings, no 42; Crusades Encyclopedia, I, p. 151-152. 47. Come già a Huygens, ci pare chiaro che il passo sia corrotto e che non sia soddisfacente nemmeno il luogo corrispondente di Fretello (par. 33), che recita: Planities illa Meddan uocatur eo quod Dan in ea medius est. Sarracene quidem sonat platea: meddan; Latine autem

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platea: forum. Medan uero uocatur eo quod singula estate…, “quella pianura si chiama Meddan perché il Dan si trova in mezzo ad essa. In arabo piazza si dice meddan, in latino invece foro; e Medan è chiamata così per il fatto che ogni estate…”. Una soluzione possibile per il testo di Giovanni, che avrebbe il vantaggio di riavvicinarlo alla sua fonte, è quella di porre un punto fermo dopo forum e di trasporre Medan prima di uero uocatur, in maniera da ristabilire un ordine dei termini più naturale: sarrachenice quidem sonat platea illa ‘medan’, latine vero platea ‘ forum’. uero uocatur [Medan] eo quod…, “in arabo la piazza si dice medan, in latino invece foro; e Medan è chiamata così per il fatto che…”. Ci pare tuttavia più soddisfacente proporre l’integrazione di un ulteriore forum, originariamente collocato tra platea e forum e caduto a causa del ripetersi immediato dello stesso termine; il testo latino che traduciamo è dunque il seguente: sarrachenice quidem sonat platea illa ‘medan’, latine vero platea ‘ forum’. uero uocatur Medan eo quod… In questo modo si restituisce un pieno significato alla riflessione onomastica di Giovanni, che si fonderebbe sulla duplice valenza del termine forum, nella prima occorrenza inteso come esatto corrispondente di platea (“piazza”), nella seconda utilizzato piuttosto nel senso di “mercato”. Rimane invece in dubbio se questo fosse anche il testo originale di Fretello (cui l’edizione non renderebbe giustizia) o se siano stati il modello di Giovanni o Giovanni stesso a intervenire su un passaggio non perfettamente chiaro. 48. Pringle, Churches, II, no 208. La tomba di Giobbe fu scoperta verso la fine del IV secolo e su di essa fu presto edificata una chiesa; il luogo in cui si trovava, noto come Carneas, fu identificato con il villaggio di Ashtarot-Karnaim, e tale identificazione ebbe ampia fortuna nei racconti di viaggio del XII secolo grazie alla mediazione di Girolamo, che lì collocava la casa del profeta (Hier., sit. et nom., p. 113). 49. Così afferma Girolamo (Hier., in Marc. 5, p. 474, r. 7-8), che tuttavia, non aggiungendo al nome alcuna specificazione, deve intendere non Giacomo di Alféo, come qui, ma Giacomo di Zebedeo, fratello di Giovanni. In realtà, in Gv 1, 44 si parla di Betsaida come della città di Filippo (considerato da Giovanni – e da Fretello, par. 37, e Teodorico, par. 48 – originario di Cana: cfr. supra, par. 1), Pietro e Andrea, mentre sull’origine dei fratelli Giacomo e Giovanni i Vangeli non danno nessuna indicazione esplicita; la loro provenienza da Betsaida potrebbe essere stata dedotta dal fatto che in Lc 5, 10 essi

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sono definiti “soci” di Pietro. Si noti che il passo corrispondente di Fretello (par.  33) nomina non soltanto Giacomo di Alféo, ma anche Giacomo fratello di Giovanni, non precisandone il patronimico come già faceva Girolamo: è possibile che l’assenza di questo nome qui e nel passo parallelo di Teodorico (par. 46) dipenda da una piccola lacuna nella copia di Fretello utilizzata dai nostri autori. 50. La riflessione cristiana ha elaborato nel corso dei secoli uno schema abbastanza dettagliato della storia dell’Anticristo, secondo il quale, in maniera speculare a Gesù, egli nasce in un luogo, Babilonia, ma viene cresciuto in un altro, appunto Corazìn. La chiamata in causa di questa città – che potrebbe essere dovuta proprio alla maledizione lanciata da Cristo, che Giovanni stesso sta per citare – non pare essere precedente all’Apocalisse dello Pseudo-Metodio, testo siriaco della fine del VII secolo, ma ha trovato ampia diffusione nel Medioevo occidentale grazie al trattatello Sulla nascita e il tempo dell’Anticristo di Adsone di Montier-en-Der († 992) e ai numerosi scritti da esso derivati (cfr. Anticristo, p. 349 e 600; il testo di Adsone e quelli ad esso legati sono editi in Adso, Antichr.). 51. Pringle, Churches, II, no 249. In modo perfettamente coincidente con una tradizione testimoniata già dalla pellegrina Egeria nel tardo IV secolo, Giovanni elenca i tre luoghi evangelici associati all’area: la collina presso cui Gesù pronunciò il Discorso della Montagna, il luogo in cui moltiplicò i pani e i pesci per sfamare cinquemila uomini e la spiaggia presso cui si manifestò dopo la Resurrezione e mangiò con gli apostoli. Su ognuno dei tre luoghi si ergeva una chiesa nel periodo bizantino, ma intorno al 685 tutte e tre erano state distrutte, e altri edifici sacri furono costruiti nell’area, in particolare sul Mare di Tiberiade, nei secoli successivi. Come molti pellegrini dell’epoca, Giovanni (e con lui Teodorico) si limita a fare riferimento alle associazioni bibliche della località e, come Saewulf e molti altri, egli attribuisce erroneamente il nome di “Mensa” (“Tavola” in Saewulf) al luogo della moltiplicazione invece che a quello in cui Cristo apparve agli apostoli. 52. Pringle, Churches, III, no  336 (per la tomba di santo Stefano) e no 359 (per la chiesa di Santo Stefano fuori Gerusalemme); cfr. anche Boas, Jerusalem, p. 111-113 e 131. Le fonti dell’epoca discordano sul fatto che santo Stefano sia stato sepolto nel luogo stesso in cui era stato lapidato e che sulla sua tomba sia stata eretta una chiesa, forse per via delle varie traslazioni subite dalle reliquie del santo. Se Sae­ wulf (par. 21) parla sia di un bell’edificio, distrutto dai musulmani,

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sul sito del martirio, sia della sepoltura di Stefano sul Monte Sion, Giovanni fa allusione alla morte del santo e alla sua tomba sul Sion, ma senza descrizioni più dettagliate; egli si dimostra però consapevole non solo delle successive traslazioni che il corpo del santo sperimentò in Terrasanta, ma anche del suo passaggio a Costantinopoli e infine a Roma, dove le sue reliquie furono riposte insieme a quelle di san Lorenzo nella basilica di San Lorenzo fuori le mura. Non è chiaro, tuttavia, da dove arrivi a Fretello, cui Giovanni attinge, l’iscrizione che si troverebbe sulla tomba di Stefano a Roma, che non pare essere nota da altre fonti. 53. Pringle, Churches, III, no 330; Boas, Jerusalem, p. 184. Si trattava in origine di una piscina, nota come “di Mamilla” o “Massimilla” dal nome della matrona che l’aveva finanziata. Nel 614 i Persiani di Cosroe II vi tennero prigionieri e poi massacrarono numerosi cristiani, e in quel luogo e nelle grotte circostanti furono sepolti molti di quelli che morirono durante l’assedio di Gerusalemme. Già nel IX secolo il sito era noto, ma la tradizione di una sepoltura operata per volontà divina da un leone non emerse che intorno al 1130, come si legge nel testo di Fretello, che Giovanni riprende fedelmente. 54. Pringle, Churches, II, p. 6. Una tradizione che appare nelle fonti latine dall’inizio del XII secolo colloca Modin nelle vicinanze di Lidda e di Emmaus; essa pare derivare dalla descrizione di Girolamo (Hier., sit. et nom., p.  133), ma non è chiaro a quale insediamento collinare pensassero esattamente gli autori dell’epoca. 55. Pringle, Churches, II, n°  137. La storia di Lidda nel Medioevo è intimamente connessa con quella della chiesa di San Giorgio, le cui origini sono oscure così come quelle del culto di questo santo. Se una tradizione tarda descrive san Giorgio come un soldato nativo di Lidda martirizzato a Nicopoli sotto Diocleziano, le prime attestazioni di un legame con quella che sarebbe stata la sua città natale risalgono all’inizio del VI secolo (Theod. 4, p. 116; Anton. Plac. 25, 4, p. 170171); Adomnano di Iona (Adomn., loc. sanct. 3, 4) riferisce invece delle virtù miracolose di una colonna su cui si poteva scorgere la sagoma del santo, che legato ad essa fu flagellato. I testi relativi a san Giorgio sono numerosi in greco fin dal V secolo, mentre in latino iniziano ad apparire al tempo delle Crociate, e la celebre immagine del santo che abbatte il drago pare risalire proprio a quest’epoca (cfr. Bibl. Sanct., VI, col. 512-531; BHL 3363-3406; vedi anche Crusades Encyclopedia, II, p. 508-509). Una chiesa dedicata a san Giorgio esisteva a Lidda forse già nel 325, data a cui si è certi che la città aveva

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un suo vescovo, di cui non si sa tuttavia se fosse associato proprio a tale sede. All’arrivo dei musulmani, nel 636, vi sorgeva un’imponente basilica, che fu risparmiata fino al 1010; restaurata e distrutta più di una volta, non è certo in che condizioni essa si trovasse all’arrivo dei Crociati: pare che lavori di restauro siano stati condotti nel XII secolo, anche se la maggior parte dei pellegrini dell’epoca menziona solo la tomba di san Giorgio e tace della sua chiesa. La nostra traduzione si basa sulla correzione che Huygens suggerisce soltanto in apparato, non ritenendo prudente intervenire nel testo poiché lo stesso errore si trova già in Fretello (par. 58), e dunque potenzialmente nella copia usata da Giovanni. Tuttavia, et continuus (“e contiguo”), come offerto dai manoscritti, è decisamente inferiore a ei continuus (“ad esso contiguo”), che si può ottenere facilmente con una correzione economica e nient’affatto invasiva. Che l’errore sia già in Fretello è reso meno significativo dal fatto che una corruttela così banale può essersi prodotta in modo indipendente sia nella tradizione di Fretello che in quella di Giovanni. Ci è parso eccessivo intervenire sul testo (tramandato unanimemente dai manoscritti di Giovanni), ma si noti che il nome corretto, riferito anche da Fretello (par. 58), è Isaia: secondo una tradizione giudaica, poi fatta propria dai cristiani e arrivata fino al Martirologio Romano (Martyrologium Romanum, p. 272), il celebre profeta sarebbe stato fatto uccidere dal re Manasse con una sega di legno e sarebbe poi stato sepolto sotto una quercia presso la sorgente di Roghel (Bibl. Sanct., VII, col. 928). Della sua tomba parla già l’Itinerarium Antonini Placentini, ma è solo la recensio altera a precisare che essa si trova sotto la quercia di Roghel (Anton. Plac. 32, 3 e p. 188189). Pringle, Churches, III, no 320. Mentre Saewulf (par. 17) descrive nella valle due tombe vicine, associandole a Simeone e Giuseppe, Fretello (par. 58), e quindi Giovanni e Teodorico (par. 3), seguono la tradizione più diffusa, che vuole che in questo luogo siano sepolti Giosafat, re di Giuda, e san Giacomo il Minore. Giovanni è tuttavia il solo a descrivere la cappella dedicata al secondo nella valle di Giosafat. Pringle, Churches, III, no 344; Boas, Jerusalem, p. 130. Diverse chiese, sede dei vescovi giacobiti di Gerusalemme, devono essersi succedute in questo luogo ed essere una dopo l’altra cadute in rovina. La chiesa e il monastero annesso furono ricostruiti all’inizio del XII secolo dal vescovo Ignazio II, morto nel 1124-1125.

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Pringle, Churches, II, no 262; Id., Secular Buildings, no 222. Pringle identifica la Tabaria del testo di Giovanni con Tiberiade, dove si trovava una chiesa giacobita, probabilmente fondata prima del 1000 e ancora esistente nel XII secolo, dedicata a santa Maria (forse senza ulteriori specificazioni). 61. Benché la Maddalena fosse venerata in Occidente anche in precedenza, non paiono esistere santuari a lei dedicati anteriori al X secolo. L’abbazia di Vézelay, fondata dopo la metà del IX secolo con dedica alla Madonna, fu intitolata a Maria Maddalena soltanto verso la metà dell’XI secolo, contemporaneamente al sorgere della tradizione secondo cui il corpo della santa sarebbe stato conservato lì e in concomitanza con una diffusione più ampia del suo culto, che prese poi grande impulso proprio grazie al santuario di Vézelay, ai pellegrinaggi che vi erano diretti e alla letteratura che ne scaturì. Mentre è minoritaria l’opinione, più antica, che farebbe giungere le reliquie della santa a Vézelay direttamente dalla Palestina, la tradizione più diffusa pone una tappa intermedia a Aix-en-Provence, dove la Maddalena si sarebbe rifugiata e avrebbe trovato una prima sepoltura. Sul culto di questa santa restano di riferimento gli studi di V. Saxer: rimandiamo in particolare ai due volumi di Saxer, Culte, e a Id., ‘L’origine’; un bilancio delle sue ricerche è offerto da Boesch Gajano, ‘Il culto’. 62. Come anticipato a proposito del luogo parallelo di Saewulf (par. 23), i Vangeli possono lasciare dubbi sull’identificazione della Maria protagonista degli episodi ricordati da Giovanni, il che diede adito a due interpretazioni opposte in Oriente e in Occidente. In quest’ultimo, sulla scorta dell’autorità di Gregorio Magno (Greg. M., in euang. 33, 1), si era soliti ritenere che Maria Maddalena, Maria di Betania sorella di Lazzaro e l’anonima peccatrice di Lc 7, 37-38 fossero la stessa persona; in Oriente, sulla base di Origene, le si considerava invece tre figure distinte (cfr. Bibl. Sanct., VIII, col. 1078-1080; Saxer, Culte, p. 2-4; Iac. Var., leg. aurea, II, p. 1585-1587). A metà del XII secolo il chierico latino Gerardo di Nazaret scrisse un trattatello sulla questione, considerata ancora aperta in un luogo in cui cristiani occidentali e orientali si trovavano a convivere: egli fa così mostra di un panorama di letture piuttosto impressionante (da cui sono però escluse le autorità greche), impiegato con notevole abilità (Kedar, ‘Gerard of Nazareth’). Connesso al problema delle tre Marie è anche quello, brevemente discusso dal nostro autore, che riguarda la figura di Simone, men60.

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zionato esplicitamente dai Vangeli sinottici come ospite di Gesù nell’episodio in cui una donna unge il capo o i piedi di quest’ultimo: in Matteo (26, 6-13) e Marco (14, 3-9) egli è un lebbroso residente a Betania, mentre in Luca (7, 36-50) è un fariseo che abita in un luogo non meglio specificato. Il fatto che in Giovanni (12, 1-8) il gesto descritto sia compiuto da Maria sorella di Lazzaro a Betania fa però sorgere un’ulteriore incongruenza, a cui il nostro autore risponde nel contesto di un’originale digressione, senza paralleli in Fretello e Teodorico. 63. Pringle, Churches, I, no  64. Già all’inizio del XII secolo l’abate Daniil (Daniil, Itinerario, p. 97) menziona l’esistenza di una sorta di torre o pilastro a ovest del villaggio di Betania, dove Marta corse incontro a Gesù annunciandogli la morte di Lazzaro e più tardi il Signore montò sull’asina che doveva condurlo a Gerusalemme. Giovanni parla di due edifici di pietra in forma di torri, ma non descrive la cappella edificata all’interno di uno dei due, come farà più tardi Teodorico. 64. Pringle, Churches, III, no 336; Boas, Jerusalem, p. 111-113. Poiché Giovanni descrive Santa Maria sul Monte Sion seguendo il filo del racconto evangelico, il suo discorso appare frammentario rispetto alla trattazione più lineare di Teodorico; egli aggiunge tuttavia informazioni importanti soprattutto a proposito della decorazione della chiesa. Nonostante né Giovanni né altri pellegrini ne facciano esplicita menzione, si ricordi che dopo il viaggio di Saewulf, verso la metà del secolo, vennero condotti alcuni lavori di ricostruzione dell’edificio; ma è difficile dire se ciò che le fonti dell’epoca descrivono sia la chiesa risalente all’XI secolo o quella romanica che la sostituì un secolo e mezzo dopo. 65. Pringle, Churches, III, no 292 (per la cappella in cui gli apostoli si addormentarono) e 357 (per la chiesa detta del Salvatore). Giovanni sembra suggerire che il primo di questi due luoghi si presentava all’epoca del suo viaggio come una grotta preceduta da una sorta di anticamera. Inoltre egli testimonia che, apparentemente in un momento successivo alla visita di Saewulf, nel luogo in cui Gesù aveva pregato prima dell’arresto era stata edificata una nuova chiesa, anche se i lavori forse non erano terminati, almeno stando a quanto riferisce Teodorico (par. 24). Fu probabilmente un frammento di una delle tre pietre che Giovanni menziona a giungere nel 1205 al monastero di Pairis, in Alsazia, grazie al suo abate, come racconta Guntero di Pairis (Gunth. Par., hyst. 24).

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Come nota Huygens stesso, nella fonte evangelica il verbo è al passato, adpropinquauit (“è vicino”) e non al futuro, adpropinquabit (“si avvicinerà”) come nel testo di Giovanni: trattandosi di un errore banale all’interno di un passo senz’altro molto noto, ci pare plausibile attribuirlo a una semplice svista e dunque legittimo correggerlo. 67. Pringle, Churches, III, p.  4 e no  358. Dall’inizio del IV secolo il luogo in cui Gesù fu portato di fronte al sommo sacerdote Caifa era collocato sul Monte Sion; quello in cui Egli fu giudicato da Pilato era ancora posto presso il muro ovest del Tempio, e nobilitato a partire dal VI secolo dalla presenza di una chiesa consacrata a santa Sofia; in seguito, tuttavia, anche il pretorio finì per essere collocato sul Monte Sion, davanti alla porta della chiesa di Santa Maria. All’inizio del XII secolo, una seconda tradizione si sviluppò: poiché essa voleva che il pretorio si trovasse vicino alla fortezza dell’Antonia, all’estremità nord del recinto del Tempio, la prigione di Cristo fu posta contro il muro settentrionale dello stesso (Pringle, Churches, III, no  301), mentre nella parte nord della strada si trovava la cappella sorta sulla casa di Pilato, dove Gesù sarebbe stato flagellato (ibid., no 289). La tradizione precedente, tuttavia, non scomparve, e le descrizioni contemporanee del Monte Sion ne mantengono memoria, confondendo spesso il sito del pretorio e quello della casa di Caifa. Se una cappella legata al pretorio doveva esistere già nel IX secolo, essa non è menzionata nelle fonti del XII secolo che a partire dagli anni ’60; Giovanni, da parte sua, aggiunge alcuni dettagli sui punti in cui ebbero luogo gli eventi salienti del Giovedì e Venerdì Santo. 68. Pringle, Churches, III, no  299 (per la cosiddetta “Galilea”) e 352 (per la chiesa del Canto del gallo). Giovanni, come altri autori dell’epoca (incluso Teodorico, par. 25), sembra risentire di una confusione tra la cappella del “Canto del gallo” e quella nota come “Galilea”. Quest’ultima, del resto, fu al centro di un problema secolare, derivato da un impiego ambiguo del termine “Galilea” nel racconto evangelico successivo alla Resurrezione: se Gv 21, 1 e Mt 28, 16 raccontano infatti che, una volta risorto, Gesù incontrò gli apostoli in Galilea (rispettivamente presso il Mare di Galilea o su una montagna), come Egli aveva loro promesso, in Lc 24, 13-50 e Mc 16, 9-19 non si fa riferimento che a sue apparizioni a Gerusalemme e nei dintorni. Già dal VI secolo si cercò di rimediare all’incongruenza riconoscendo un luogo con il nome di Galilea sul Monte degli Ulivi, poco lontano dal luogo dell’Ascensione; nel XII secolo, tuttavia, un’altra Galilea 66.

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fu collocata dai cristiani d’Occidente nella chiesa di Santa Maria sul Monte Sion (cfr. Saewulf, par. 19), benché la preesistente tradizione non sia scomparsa. Anche l’attribuzione a dei monaci greci, ricordata da Giovanni, della chiesa che sorge al di sopra della grotta è scorretta: essa doveva piuttosto essere armena, come attesta Teodorico, dato che tale era la fondazione originaria. 69. Si tratta di un luogo che tutti e tre i nostri pellegrini menzionano, ma che non pare descritto da Pringle. Non coincide infatti con l’edificio di Pringle, Churches, III, no 301, ovvero con la casa dei sacerdoti Anna e Caifa, dove Gesù venne portato dopo l’arresto, giudicato e imprigionato; questa fu identificata solo nella seconda metà del XII secolo con una chiesa di San Salvatore sulla via di Giosafat, che marcava in origine il luogo in cui Gesù si riposò lungo il cammino verso il Calvario. 70. La figura di Longino (le cui più antiche attestazioni risalgono al VI-VII secolo) deriva dal sovrapporsi di tre diversi personaggi che compaiono, pur senza nome, nei Vangeli: il soldato che trafisse con una lancia il costato di Gesù sulla croce; il centurione che lo dichiarò “davvero Figlio di Dio” dopo la sua morte; il capo della guarnigione incaricata di sorvegliare il sepolcro di Cristo. Secondo la tradizione, Longino, dopo essere stato istruito nella fede dagli apostoli, sarebbe morto martire a Cesarea di Cappadocia (Bibl. Sanct., VIII, col. 8995). Si ipotizza che il suo nome derivi da quello dello strumento che gli è associato, la lancia con cui colpì Cristo, che in greco si dice appunto λόγχη (lònchē). 71. Nella traduzione cerchiamo di dare un senso alla frase nonostante la chiara presenza di un guasto, come segnalato da Huygens (nota ad loc., a cui rimandiamo). Nel latino, infatti, sia “la stessa parte superiore” sia “la bella rappresentazione della Passione” (letteralmente “la Passione ben rappresentata”) dovrebbero essere soggetti, ma con un solo verbo a disposizione, “è contenuta” (che noi rendiamo volgendolo alla forma attiva), chiaramente riferito alla rappresentazione. È plausibile che si sia perduta una parte di testo, ma non è chiaro né cosa, né esattamente dove, se prima o dopo il riferimento ad uno “splendido mosaico”. 72. La nostra traduzione si basa su un’interpretazione della sintassi di questo articolato periodo diversa rispetto a quella proposta da Huygens. L’editore, infatti, riteneva che le due alternative presentate dal testo fossero da una parte che la croce era stata piantata nel foro rotondo venerato dai fedeli, dall’altra che il volto di Cristo sulla croce

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era rivolto verso est; cioè, con riferimento al testo latino, che i due siue reggessero il primo fuerit infixa (“fosse stata piantata”, la croce), il secondo declaratur posita fuisse (“si dice che fosse rivolto”, il volto di Cristo). In realtà, la struttura del periodo risulta meno intricata e il senso più perspicuo se, contraddicendo l’indicazione data in nota da Huygens, si correlano i due siue facendo loro reggere le due indicazioni di luogo in rotundo foramine (“nel foro rotondo”) e in parte ea (letteralmente “da quella parte”; “nel luogo” nella nostra traduzione), che servono a presentare le due possibili collocazioni della croce. Per ulteriore chiarezza, riportiamo l’intero passo in latino con la nostra interpunzione: Nota quoque quod in eodem loco, siue crux fuerit infixa in rotundo foramine quod adhuc patens ostenditur et in quod oblationes mittuntur fidelium, siue in parte ea ubi astile cuiusdam rotundi lapidis ostenditur erectum (ut quidam asserunt et ut plus quoad situs positionem et ad sanguinis ex dextro latere ad rimam petrae emissionem congruum et ydoneum esse uidetur), facies domini in cruce pendentis ex positionis necessitate uersus orientem declaratur posita fuisse. Iuxta eundem locum… Riguardo all’orientamento del volto di Cristo sulla croce, Burcardo (Burch., descr. 79) prende una posizione opposta rispetto a quella di Giovanni, sostenendo con altri argomenti che esso era stato rivolto verso ovest. 73. Pringle, Churches, III, p. 23-30; cfr. anche Boas, Jerusalem, p. 102109. Le descrizioni della chiesa del Santo Sepolcro lasciate da Giovanni e Teodorico sono le più ampie a nostra disposizione e combinate insieme esse offrono un quadro articolato e piuttosto fedele di come questo edificio doveva presentarsi all’epoca. La più antica, quella di Giovanni, è la prima a mostrare senza ombra di dubbio che il nuovo chiostro edificato dai Franchi, noto come chiostro dei Canonici, era stato annesso alla rotonda che racchiudeva il sepolcro di Cristo. Esso non fu che uno dei numerosi elementi aggiunti tra la metà degli anni ’50 e la metà degli anni ’60 alla costruzione principale dal lato est, come il santuario che lo racchiudeva, il transetto romanico e alcuni altari: per procedere a tale costruzione si dovette demolire parte dell’edificio preesistente e costruire su gran parte del cortile; così, il Sepolcro e alcuni luoghi santi che vi si trovavano, compreso il Calvario, finirono per essere inclusi in un solo edificio. L’entrata principale del cortile fu trasformata in una facciata con doppia porta che immetteva direttamente nel transetto sud; a destra della porta una scala esterna portava ad un vestibolo, da cui si

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aveva accesso al Calvario; la vecchia chiesa, ormai divenuta troppo piccola, venne ampliata e messa in comunicazione con i nuovi edifici conventuali. Un’iscrizione registrata da Giovanni (par.  19) e Teodorico (par. 12) come apposta all’interno della cappella del Calvario menziona un episodio di consacrazione avvenuto nel 1149: si è a lungo discusso se tale consacrazione riguardasse la nuova chiesa, che avrebbe dovuto essere terminata per quella data; poiché Giovanni ricorda altri quattro altari che vi vennero consacrati lo stesso giorno, l’ipotesi più accreditata è che l’intero lavoro di costruzione fosse almeno in fase avanzata verso il 1150. 74. Goffredo, conte di Buglione e duca della Bassa Lorena, fu uno dei principali condottieri della Prima Crociata, guida delle prime truppe ad entrare a Gerusalemme il 15 luglio 1099 e primo sovrano di Gerusalemme dopo la conquista (pur non rivestendone mai ufficialmente il titolo, come Giovanni stesso ricorda poco più avanti). Dopo la sua morte, avvenuta il 18 luglio 1100, e la sua sepoltura nella chiesa del Santo Sepolcro (cfr. Pringle, Churches, III, p. 64-65), Goffredo fu presto idealizzato nella letteratura e nel folklore come eroe cristiano e protagonista della Prima Crociata. La sua attribuzione a una stirpe tedesca è in realtà una forzatura da parte di Giovanni, forse basata sulla sua appartenenza, per parte di madre, alla famiglia dei duchi di Lorena; suo padre era invece conte di Boulogne-sur-Mer (nell’estremo nord della Francia). Sfortunatamente, una piccola lacuna nel testo di Giovanni ha portato via l’epiteto attribuito a Goffredo in relazione al suo ruolo di condottiero dei Crociati, il che è tanto più fastidioso se si pensa che anche l’esatto titolo da lui assunto una volta eletto a signore di Gerusalemme resta problematico: è chiaro soltanto che i capi crociati convennero sull’inopportunità di cingere una corona regale nel luogo in cui Cristo ne aveva portata una di spine. Per cenni biografici succinti si veda Crusades Encyclopedia, II, p. 533535; per informazioni più complete rimandiamo invece alla recente biografia di John, Godfrey of Bouillon. 75. Menzionato da più fonti sulla Prima Crociata, Wigger (o Wicher o Guicher), di origine tedesca e ministeriale dell’abbazia di Fulda, si unì alle truppe di Goffredo di Buglione probabilmente quando si trovava già in Medioriente; benché Giovanni ne collochi la tomba a Gerusalemme, altri lo danno come sepolto a Giaffa, dove sarebbe morto di febbre nell’agosto del 1101. C’è accordo invece sulle sue eccezionali doti belliche: Alberto di Aquisgrana, addirittura, sostiene che egli avrebbe tagliato in due un Turco con un colpo di spada e

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ucciso da solo un temibile leone che minacciava uomini e bestie nella regione di Giaffa (Albert. Aqu., hist. 7, 71; p. 584-585). Cfr. Murray, Crusader Kingdom, p. 235-236 e la nota ad loc. di Huygens (Peregr. tres, p. 125). Traduciamo il verso non chiarissimo di Giovanni (argumento sunt haec fore cognita uero) secondo il suggerimento di Huygens (nota ad loc.: “I suggest the following translation of the last line: ‘… are real evidence that all this is ( fore = esse) well known’”). Un’altra possibilità è che fore abbia un senso finale: “sono vera prova che serva a rendere noto tutto ciò”. Dopo i massacri seguiti alla conquista crociata della città, sono varie le fonti che attestano per Gerusalemme una situazione di forte spopolamento; l’afflusso di Occidentali, anche come pellegrini, contribuì poi a un’inversione di tendenza, e si stima che in epoca crociata la città raggiungesse i trentamila abitanti, una popolazione comparabile a quella delle contemporanee Pisa, Firenze o Londra. È anche vero, però, quanto Giovanni osserva a proposito dei Tedeschi: almeno fra i partecipanti iniziali alla Prima Crociata, non sembra che fosse alto il numero di coloro che avevano intenzione di trattenersi a lungo in Oriente. Informazioni essenziali sulla situazione socio-economica nei territori crociati durante il XII secolo sono date da Boas, Jerusalem, p.  35-40, mentre un quadro più dettagliato è offerto da Tyerman, Guerre, p. 217-245. Pringle, Churches, III, no 284; Boas, Jerusalem, p. 113. La chiesa in questione deve essere stata riedificata intorno alla metà del XII secolo; la descrizione di Giovanni è sommaria, ma pare di capire che essa presentasse un’apertura alla sommità, in corrispondenza del luogo dell’Ascensione, in modo non troppo dissimile dalla costruzione a forma di torretta scoperta che Saewulf aveva descritto in precedenza. Pringle, Churches, III, no 337; Boas, Jerusalem, p. 119-121. La chiesa, edificata intorno alla metà del V secolo, fu distrutta nel 614 dai Persiani e ricostruita nei decenni successivi su due livelli, come testimoniato verso la fine del VII secolo da Adomnano di Iona (Adomn., loc. sanct. 1,  12). In seguito, la parte superiore dovette subire altri danni, ma la struttura inferiore, contenente la tomba, sopravvisse fino al tempo della Prima Crociata; la ricostruzione sarebbe iniziata intorno al 1105 e la chiesa superiore fu allora trasformata in una basilica romanica. Il racconto di Giovanni non è interamente originale, poiché, pur avendo visitato di persona la chiesa, egli riprende parte della descrizione da un testo precedente, espressamente menziona-

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to poco più avanti: un trattatello sull’Assunzione di Maria che circolava come epistola geronimiana, ma che è in realtà attribuibile al teologo del IX secolo Pascasio Radberto (Radbert., assumpt.). Tuttavia, il nostro pellegrino integra la fonte con osservazioni personali riguardanti la tomba di Maria e trascrive la ricca serie di iscrizioni che la ornavano, tratte dalle antifone intonate il giorno della festa dell’Assunzione. 80. Il Giuliano nominato nell’iscrizione è Giuliano l’Apostata, imperatore romano dal 360 al 363, famigerato presso i cristiani per essersi convertito al paganesimo dal cristianesimo in cui era cresciuto e per aver cercato di riportare in auge la religione romana tradizionale una volta salito al potere (cfr. almeno Rosen, ‘Iulianus Apostata’). Per i rimaneggiamenti subiti dal testo dell’iscrizione nelle edizioni precedenti a quella di Huygens cfr. Peregr. tres, p. 9-10. 81. Pringle, Churches, III, no 332; Boas, Jerusalem, p. 185-187. Il Vangelo di Matteo (27, 7-8) narra che, con i trenta denari restituiti da Giuda dopo il tradimento, i sacerdoti comprarono un campo in cui seppellire gli stranieri, il quale fu noto da allora come “Campo del sangue”. Il cimitero fu poi adibito alla sepoltura dei pellegrini, e come tale è ricordato in testimonianze del tardo VI secolo e dell’epoca carolingia; esso era ancora utilizzato nel corso del XII secolo, tant’è che vi fu sepolto un compagno di Teodorico (par. 4). 82. Il testo latino offerto dai manoscritti e conservato dall’editore è super quem agrum est mons Geon iunctus in quo, che si potrebbe tradurre “subito sopra a questo campo c’è il Monte Ghicon, sul quale…”, con “subito” che rende l’aggettivo iunctus legandolo alla determinazione spaziale super agrum. Huygens stesso fa però notare che il passo parallelo di Fretello (par. 61) presenta una piccola, ma significativa differenza, rispetto alla quale il testo di Giovanni sarebbe un errore commesso dall’autore stesso o derivatogli dalla copia della fonte utilizzata: super agrum peregrinorum, qui et Achelde­mach […] mons Gyon, unctus in quo…, “sopra al campo degli stranieri, cioè l’Akeldamà… c’è il Monte Ghicon, unto sul quale…”. A  nostro parere, piuttosto, iunctus è un banale errore paleografico della trasmissione di Giovanni rispetto all’unctus della fonte, tanto più che l’inungi solebant (“era tradizione ungere”) utilizzato al termine della frase parrebbe richiamare una nozione già menzionata a proposito di Salomone, e la coda del periodo che contiene questo sintagma è un’aggiunta rispetto al testo di Fretello, che si ferma a diadema sus­ cepit (“cinse la corona reale”). Per queste ragioni, ci pare legittimo

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correggere il testo tramandato di Giovanni allineandolo a quello del suo modello. 83. Almeno dal testo dei Vangeli, non sono noti miracoli di resurrezione operati da Gesù a Gerusalemme; l’unica ragazza protagonista di un simile episodio è la figlia di Giairo, che però viveva a Cafarnao (Mt 9, 18-25; Mc 5, 21-42; Lc 8, 41-55), dove gli evangelisti ricordano anche che Cristo compì molti miracoli (cfr. Giovanni stesso al par. 10). Non è questo l’unico caso di episodi miracolosi avvenuti a Cafarnao erroneamente “traslati” a Gerusalemme: la guarigione dell’emorroissa, avvenuta appena prima della resurrezione della figlia di Giairo, viene infatti collocata a Gerusalemme da Saewulf, par. 16. Le ragioni della confusione non sono chiare: benché i Vangeli non siano particolarmente espliciti, è possibile ricavare che i fatti si svolgono in Galilea, e più precisamente sul Mare di Tiberiade; a proposito di Mt 9, 1 la Glossa ordinaria precisa che la città cui si allude è Cafarnao. 84. Pringle, Churches, III, no 322-323; Boas, Jerusalem, p. 85-88, 121 e 156-160; Id., Archaeology, p. 43-49; Crusades Encyclopedia, II, p. 605606. Proprio al nostro autore risale la prima descrizione dettagliata dell’ospedale di San Giovanni Battista, che si trovava di fronte al Santo Sepolcro, all’interno del quartiere detto “del Patriarca”, nella parte nord-ovest della città. Poiché Giovanni lo descrive come affiancato ad una bella chiesa, sembra plausibile che i lavori compiuti prima del 1153-1155 abbiano comportato la realizzazione di un nuovo edificio che sostituisse o ampliasse la piccola cappella bizantina precedentemente inclusa nell’ospedale. 85. Una comunità maschile esisteva certamente presso l’ospedale di San Giovanni fin dai tempi della sua fondazione nell’XI secolo; essa divenne però un vero e proprio ordine solo nel 1113 con il riconoscimento da parte di papa Pascale II, cui seguì una progressiva acquisizione di privilegi e proprietà, tanto a Gerusalemme che al di fuori di essa. La natura assistenziale dell’ordine rimase sempre preponderante, anche nella propaganda e nella percezione comune, ma già negli anni ’30 del XII secolo, sotto il maestro Raymond du Puy, gli Ospitalieri conobbero un processo di militarizzazione sul modello dei Templari, con i quali presero poi parte a tutte le principali azioni belliche dell’epoca. Il loro ruolo di possessori di castelli (alcuni dei quali menzionati da Teodorico) comincia con l’acquisizione della fortezza di Bethgibelin, donata da re Folco nel 1136. Per informazioni più approfondite rimandiamo a Crusades Encyclopedia, II, p. 598605; Boas, Jerusalem, p. 26-27; Id., Archaeology, p. 4-6.

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Pringle, Churches, III, no 335; Boas, Jerusalem, p. 125. Giovanni, a differenza di Saewulf, attribuisce correttamente a tale convento il nome di Santa Maria Maggiore. 87. Pringle, Churches, III, no 334; Boas, Jerusalem, p. 122-125. La versione alternativa all’originale di Giovanni, probabilmente dovuta a un lettore successivo (cfr. la nostra introduzione), allude al fatto che nell’XI secolo si erano edificati un ospedale per i pellegrini occidentali (cioè l’ospedale di San Giovanni Battista) e una chiesa di Santa Maria vicino alla porta del Santo Sepolcro, ma fu in seguito necessario separare l’ospedale dal resto del complesso a causa del crescente numero di visitatori. 88. Pringle, Churches, III, no 355; cfr. anche Boas, Jerusalem, p. 161. Giovanni afferma erroneamente che il monastero di San Saba è abitato da monaci armeni: forse si confonde a causa della vicina chiesa armena di San Giacomo Maggiore o scambia la chiesa di San Saba con quella, anch’essa prossima, di San Giacomo Persiano. 89. Pringle, Churches, III, no  318; Id., ‘Traditions’; Lewy, ‘Body’; cfr. anche Boas, Jerusalem, p. 126-128. Giacomo, figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni (detto Maggiore per distinguerlo dall’altro apostolo omonimo, Giacomo di Alféo o Minore), fu ucciso, come raccontano gli Atti (12, 1-2), nel 44 d.C. per volere di Erode Agrippa; non è noto dove si svolse il suo martirio, ma esso venne presto collocato a Gerusalemme e la sua tomba fu posta sul Monte degli Ulivi. Tuttavia, all’inizio del VII secolo un’altra tradizione associava Giacomo ad una missione di evangelizzazione della Spagna, collocando la sua sepoltura “in Acaia Marmarica”, probabile corruzione di un’originaria espressione che rimandava ad una città della Marmarica, tra Libia ed Egitto. All’inizio del IX secolo la sua tomba fu scoperta in Galizia e all’inizio del XII la storia della sua traslazione in quel luogo era diffusa: secondo l’Historia Compostellana, scritta nei primi decenni del XII secolo, i discepoli di Giacomo ne trasportarono il corpo a Compostela direttamente dal luogo del martirio. Quest’ultimo era ormai collocato a Gerusalemme sul Monte Sion, forse perché vi si trovavano altri edifici menzionati nello stesso passo degli Atti o perché in precedenza vi sorgeva una chiesa dedicata a san Menas, il cui martirio, ben noto nel X secolo, presentava molti punti di contatto con quello di Giacomo. La chiesa di San Giacomo potrebbe essere stata fondata in seguito alla visita a Gerusalemme del patriarca armeno nel 1141, ma il primo pellegrino a fornircene notizie dettagliate è proprio Giovanni. 86.

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Pringle, Churches, III, no  333; cfr.  anche Boas, Jerusalem, p. 89, 125-126, 160. Giacomo di Vitry (Historia Orientalis 66, in Itin. Hier., III, p.  342-345) racconta che, poco dopo la Prima Crociata, un pio tedesco stabilitosi a Gerusalemme costruì un ospedale per i propri compatrioti, a disagio nel parlare francese, lingua “ufficiale” del luogo; vicino a tale ospedale egli fece edificare anche una chiesa, dedicata a santa Maria. Nel 1143 l’istituzione fu posta sotto il controllo degli Ospitalieri, ma mantenne un’identità propria; all’inizio del Duecento, invece, essa divenne proprietà dell’ordine dei Cavalieri Teutonici, nato ad Acri alla fine del XII secolo (Boas, Archaeology, p. 6; Crusades Encyclopedia, IV, p. 1158-1166). Giovanni la visitò probabilmente in ragione della sua provenienza tedesca. 91. Pringle, Churches, III, no 353; Boas, Jerusalem, p. 129. La vicenda dell’incarcerazione di Pietro sotto Erode Agrippa e della sua liberazione da parte di un angelo è narrata dagli Atti degli apostoli (12, 3-11). Nel XII secolo vi erano due distinte tradizioni riguardanti l’identificazione di questo carcere: una lo collocava all’interno delle mura della città di fronte al Monte Sion; l’altra invece a nord, presso il pretorio, la chiesa di Sant’Anna e il palazzo di Erode. Una chiesa che ne indicava la posizione doveva esistere dal 1150 circa. 92. La Porta Ferrea (Boas, Jerusalem, p. 59-62) doveva trovarsi all’estremità meridionale della strada che scendeva dalla Porta di Santo Stefano verso sud-est. Nota da altre fonti come Porta dei Conciatori per il fatto di trovarsi presso le officine di tali artigiani, potrebbe essere detta Ferrea da Giovanni per via delle catene con cui san Pietro era stato legato nella vicina prigione o delle placche che ne ricoprivano i battenti. 93. Pringle, Churches, III, no 368-369; Boas, Jerusalem, p. 79-80, 163164 e, più in generale sul quartiere dei Templari, Id., Archaeology, p.  19-42. Pare che dopo la visita di Saewulf il palazzo sia stato in parte abbattuto, in quanto troppo grande per essere mantenuto e restaurato. Dal 1120 esso divenne la principale residenza dei Templari e numerose opere di ricostruzione e ammodernamento si susseguirono dal 1140 al 1170 circa, così che intorno al palazzo sorgessero tutti gli edifici necessari ad ospitare i membri dell’ordine; i resoconti di Giovanni e Teodorico costituiscono le testimonianze più importanti e dettagliate a proposito di questi lavori. L’impianto originario delle stalle a cui Giovanni accenna risale al I sec. d.C.; la nuova chiesa che i Templari stanno edificando doveva invece trovarsi nella parte nord della corte. 90.

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Il regno di Gerusalemme e gli altri regni latini, scarsamente popolati, faticavano a difendersi e a difendere pellegrini e viaggiatori: i Templari, primo ordine militare della Terrasanta, nacquero proprio per supplire a queste necessità, giocando così anche un ruolo centrale nel rivitalizzare il pellegrinaggio e favorire la ripresa sociale e economica della regione. Tale istituzione nacque nel 1119-1120 sotto la guida dei due cavalieri Ugo di Payns e Goffredo di Saint-Omer, ottenendo dal sovrano di Gerusalemme un’ala del palazzo reale noto come Tempio di Salomone; nel 1129 il concilio di Troyes stabilì una regola per l’ordine ed esso cominciò la sua espansione, sostenuto da figure autorevoli come Bernardo di Clairvaux, che compose negli anni ’30 il trattatello Ai cavalieri del Tempio in lode della nuova cavalleria. I  Templari nacquero come struttura militare trasferita in un quadro monastico, mostrando fin dall’inizio attitudini belliche più marcate di quelle assistenziali, soprattutto rispetto agli Ospitalieri, benché entrambe le realtà fossero proprie a ciascuno dei due ordini. L’esagerata insistenza sul primo aspetto, sia nella pratica che nell’immaginario collettivo, guadagnò all’ordine ricchezze e fama (non sempre positiva: cfr. infra nel testo), ma alla lunga giocò un ruolo importante anche nel suo declino. Per altre informazioni si veda Crusades Encyclopedia, IV, p. 1149-1157; Boas, Jerusalem, p. 27-28; Id., Archaeology, p. 2-4; Ligato, ‘Separazioni e distinzioni’. 95. Per un breve profilo biografico di Corrado III di Germania († 1152), uno dei capi della Seconda Crociata, cfr. Crusades Encyclopedia, I, p. 270-271. L’episodio a cui allude Giovanni è l’assedio di Damasco del 1148, di cui Corrado fu uno dei principali comandanti, risoltosi in un fallimento per disaccordi tra i vari generali dell’esercito occidentale ed errori di tattica nella gestione dell’attacco; presto, tuttavia, sorsero accuse di tradimento a danno di signori locali, di condottieri occidentali e anche, come velatamente sostenuto qui da Giovanni, degli ordini militari (cfr. Tyerman, Guerre, p. 340-341; Forey, ‘The Failure’). Tra le fonti che riferiscono delle varie ipotesi ricorderemo qui: l’Historia Pontificalis di Giovanni di Salisbury, in cui si menzionano esplicitamente i sospetti relativi ai Templari (Ioh. Sarisb., hist. pont., p. 56-58); Guglielmo di Tiro, che descrive nel dettaglio l’assedio di Damasco e le accuse di tradimento che subito circolarono (Guill. Tyr., chron. 17, 4-7, tradotto in Crociate. Testi storici e poetici, p. 964-972); la breve lettera di Corrado stesso al suo reggente Wibaldo di Corvey, in cui si attribuisce il fiasco dell’assedio a un tradimento non meglio specificato (Conr., diplomata, 94.

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no 197, p. 356-357; la missiva è conservata nell’epistolario di Wibaldo stesso: Wibald., epist., I, p. 220-222). 96. Pringle, Churches, III, no 339; cfr. anche Boas, Jerusalem, p. 132. La collocazione in questo luogo dell’abitazione di Simeone e della sua tomba inizia a comparire nelle fonti solo dagli anni ’60 del XII secolo (Saewulf, par. 17, pone infatti la sepoltura di Simeone nella valle di Giosafat, nei pressi dell’Akeldamà), probabilmente in connessione con una ristrutturazione dell’edificio: mentre in precedenza si parlava soltanto della cappella sotterranea, Giovanni distingue tra una parte superiore della chiesa, dedicata a Simeone, e la cripta inferiore, contenente reliquie di Cristo e della Madonna. 97. Pringle, Churches, III, no 305; Boas, Jerusalem, p. 114-119. Nonostante le condizioni e le ricchezze della chiesa di Sant’Anna nei primi decenni del XII secolo non siano perfettamente note, Giovanni attesta che essa era stata ricostruita prima del 1165 e che era abitata da una congregazione di monache, le quali vi celebravano solennemente la festa di sant’Anna lo stesso giorno di quella di san Giacomo, il 25 luglio. Le vicende relative al concepimento di Maria sono narrate anche in Libell. natiu. Mar. 2-5 (p. 280-299), ma non è chiaro se Giovanni, con la generica indicazione di “Vita di sant’Anna”, rimandi a questo testo oppure a una delle numerose agiografie della santa (cfr. BHL 483-491). 98. Non si riesce bene a capire il senso di questa precisazione da parte di Giovanni, ma l’avverbio utinam (“si spera”) che accompagna nel testo latino sacrosanctarum (“di sante”, scil. monache) non pare poter avere altro valore che quello consueto di esprimere o rinforzare un augurio. Si potrebbe sospettare una corruzione del testo, ma non si riesce a vedere facilmente né quale, né dove. 99. Pringle, Churches, III, no 366; Boas, Jerusalem, p. 175-176. Il significato del nome di questa piscina (riportato anche dalla Glossa ordinaria ai primi versetti di Gv 5 e citato abbastanza di frequente nella letteratura mediolatina) è spiegato nel dettaglio da Girolamo (Hier., sit. et nom., p. 59): essa era composta da due vasche, una piena di acqua piovana, l’altra di acqua rossa come se fosse macchiata dal sangue delle vittime, che appunto era tradizione lavare lì. 100. Quasi al centro di Gerusalemme, all’incrocio delle sue due vie principali poco a sud del Santo Sepolcro, si trovava un ampio sistema di mercati e botteghe di cui facevano parte le tre strade coperte cui accenna Giovanni, costruite dai Crociati nel corso del XII secolo (Boas, Jerusalem, p. 143-155). Un testo francese più tardo ci informa

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Descrizione della Terrasanta, NOTE

che esse erano note (da ovest a est) come Strada delle Erbe, Strada della Cattiva Cucina e Strada Coperta (riservata al commercio di tessuti). Il periodo composto da Giovanni è contorto e, come stampato da Huygens, giustapporrebbe nella descrizione della stessa via due opposte indicazioni di moto a luogo: ad Portam Sancti Stephani (“alla Porta di Santo Stefano”, cioè verso nord) e versus plateas illas (“verso quelle strade”, cioè verso sud). Abbiamo quindi creduto opportuno, nel testo latino che sta dietro la nostra traduzione, ritoccare leggermente la prima delle due indicazioni, trasformando l’ad Portam in a Porta, in maniera che il testo menzioni, com’è logico, i due estremi della via in questione. 101. Pringle, Churches, III, no 342. Alla fine del XIII secolo i pellegrini di lingua latina cominciano a fare riferimento a una chiesa (detta “dello Spasmo”) posta presso l’antico arco romano oggi noto come dell’Ecce homo, lungo la strada della Porta di Giosafat, nel luogo in cui la Vergine sarebbe svenuta vedendo il Figlio portare la croce (si ricordi che, secondo una delle due tradizioni diffuse all’epoca, Gesù passò di qui per raggiungere il Calvario, essendo stato giudicato presso la parte nord del recinto del Tempio). Tuttavia, secondo il racconto che offre Giovanni, pare che un sito in prossimità fosse già associato a Maria: se l’arco che egli descrive è quello dell’Ecce homo, tale chiesa avrebbe dunque occupato un luogo di culto preesistente associato ad una differente tradizione. 102. Pringle, Churches, III, no 310; Boas, Jerusalem, p. 128. La prima menzione di una chiesa di San Caritone a Gerusalemme risale al 1135 e varie testimonianze contemporanee e successive ricordano che i resti del santo vi dimoravano senza subire alcuna corruzione. Il luogo esatto su cui sorgeva la chiesa è dibattuto, ma le informazioni fornite da Giovanni e Teodorico per raggiungerla sono abbastanza precise e sostanzialmente sovrapponibili (anche se il secondo sembra confondere l’est e l’ovest). 103. In questo lungo e nutrito elenco dei “gruppi” di abitanti della Gerusalemme crociata Giovanni mescola categorie etniche e religiose; una enumerazione simile è offerta anche da Fulcherio di Chartres, che però si attiene a criteri più strettamente etnico-geografici (Fulch., hist. 1, 13, 4-5, p. 203-204, con gli utili commenti dell’editore sull’identificazione esatta dei vari popoli menzionati); un quadro piuttosto dettagliato per l’intera Terrasanta verso la fine del Duecento è invece tracciato da Burcardo di Monte Sion (Burch., descr. 111-117).

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Giovanni di Würzburg

I vari gruppi etnico-religiosi menzionati da Giovanni sono riconducibili sia a Chiese che oggi definiremmo ortodosse, sia a Chiese cattoliche di rito particolare: per informazioni essenziali rimandiamo al conciso repertorio di Roberson, Eastern Christian Churches; un’utile sintesi sulle varie confessioni religiose nella Terrasanta del XII secolo si troverà in MacEvitt, The Crusades, p. 7-12, mentre informazioni più dettagliate, in particolare alla luce delle relazioni delle Chiese orientali con quella latina in epoca crociata, si troveranno nello studio di Hamilton, Latin Church. Infine, una rassegna delle chiese di Gerusalemme affidate alle varie confessioni è offerta da Pringle, Churches, III, p. 5-6. Con il termine “Giacobiti”, dal nome del vescovo di Edessa Giacomo o Giacobbe (Ἰάκωβος, Iàcōbos) Baradeo († 578), considerato il fondatore di questa Chiesa, si indicavano i cristiani siriani monofisiti di rito ortodosso. La definizione di Siriani (Suriani) e Siri (Syri), che potrebbe indicare gli ortodossi calcedoniani che celebravano i propri riti in lingua siriaca, serve forse a differenziare questi due gruppi dai Giacobiti; resta però non chiaro a quale distinzione esattamente pensi Giovanni con due denominazioni tanto simili. La definizione di Nestoriani era applicata ai cristiani orientali che seguivano la dottrina di Nestorio († dopo il 451), secondo cui esistevano in Cristo due nature (divina e umana) distinte. Il gruppo di più difficile identificazione sono gli enigmatici Cafeturici, che non risultano nominati altrove e che non sembra possibile identificare con certezza con nessuno dei gruppi etnico-religiosi noti (cfr. von den Brincken, Die “Nationes”, p. 349-350; ma lo studio è ricco di informazioni più in generale sulle comunità cristiane nella Terrasanta dell’epoca). 104. Una commemorazione della presa di Gerusalemme all’interno della liturgia si ebbe innanzitutto in Oriente, dove la festa fu presto inaugurata presso il Santo Sepolcro e inserita nel ciclo liturgico entro il 1114. L’adozione nella liturgia di un evento post-biblico e eminentemente militare si giustificò con l’interpretazione della conquista come inizio di una nuova fase nella storia della Chiesa e realizzazione storica delle profezie bibliche, nonché preludio del Giudizio Universale. In Occidente una commemorazione liturgica della liberazione non fu mai istituita a livello generale, ma alcune comunità, soprattutto francesi, reagirono autonomamente e variamente, facendone memoria attraverso i calendari, inserendola nella liturgia o realizzando componimenti paraliturgici che avevano l’obiettivo, mettendo in relazione l’evento con tradizioni locali o feste ricono-

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Descrizione della Terrasanta, NOTE

sciute, di legittimarlo in quanto episodio cardine della storia provvidenziale della salvezza (per un’analisi più dettagliata rimandiamo a Gaposchkin, ‘Echoes of victory’). 105. Pringle, Churches, III, p. 28-29. L’iscrizione che comincia con le parole Questo illustre luogo… era collocata presso l’entrata che dall’esterno della chiesa conduceva al Calvario, probabilmente sulla porta tra il Calvario e l’anticamera ora nota come cappella dei Franchi. Le tre iscrizioni che seguono sono legate ad alcuni mosaici della cappella sud del Calvario, raggiungibile passando per la stessa porta: la prima era associata alla Deposizione, che fonti più tarde collocano sul muro est, e correva lungo un arco sotto la volta che la copriva; la seconda iscrizione sovrastava un’immagine della Sepoltura di Cristo, che copriva il muro sud dell’abside est. La collocazione esatta dell’immagine legata all’incontro tra la Maddalena e il Risorto, invece, è incerta, ma è plausibile che essa si trovasse nel timpano sopra l’architrave della porta est, nonostante Giovanni la ponga sull’architrave e Teodorico tra due porte. 106. Gli ultimi tre versi dell’iscrizione sono composti secondo lo schema dei cosiddetti versus rapportati, nei quali frasi dall’identica struttura sintattica sono smembrate e i loro elementi sono raggruppati a seconda della tipologia, in maniera tale che per ricostruire le effettive relazioni logiche si dovrebbero leggere i versi in verticale. Nel nostro caso, ed esempio, a “signore” corrisponde “Gesù” che “ci salva”, a “sacrificio” corrisponde “il suo sangue” che “ci redime”, e così via (accenna ai versus rapportati Curtius, Letteratura europea, p. 318319; cfr. anche Lausberg, Elementi di retorica, p. 183).

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Teodorico Trattato sui luoghi santi

Trattato sui luoghi santi, 1

A tutti coloro che venerano la santa e unica Trinità e soprattutto a coloro che amano il benignissimo Signore Nostro Gesù Cristo, Teodorico, rifiuto tra tuttia, tanto i monaci quanto i cristiani, augura di partecipare in questa fragile vita alle sofferenze di Cristo, così da meritare di regnare insieme a Lui felicemente in eterno. Quanto dei luoghi santi – cioè quelli in cui il nostro Salvatore, manifestando la sua presenza corporale, realizzò i compiti, o meglio i misteri, della sua beata umanità e della nostra redenzione – o noi stessi abbiamo conosciuto di persona oppure abbiamo appreso dal racconto veritiero di altri, ci siamo preoccupati di metterlo per iscritto per soddisfare quanto possibile i desideri di coloro che, non potendo andare là con i propri piedi, nella descrizione di ciò che non possono raggiungere con lo sguardo lo percepiscano almeno con l’udito. E ogni lettore riconosca che perciò noi abbiamo faticato in questo impegno, perché grazie a questa stessa lettura o narrazione egli impari ad avere sempre in mente Cristo, e tenendolo in mente si impegni ad amarlo, amando Colui che ha sofferto per lui partecipi delle sue sofferenze, partecipandone si accenda di desiderio per Lui, acceso di desiderio per Lui sia liberato dai peccati, liberato dai peccati consegua la sua grazia, conseguita la sua grazia ottenga il regno celeste. E si degni di conferirglielo Colui che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen. [1] Come è chiaro a tutti coloro che leggono le pagine del Nuovo e dell’Antico Testamento, la terra di Canaan fu data in possesso per decisione divina alle dodici tribù del popolo d’Israele; essa, divisa nelle tre province dette Giudea, Samaria e Galilea, anticamente era ricca di molte città, villaggi e fortezze. E i luoghi e i nomi di tutte queste città anticamente erano noti a tutti, mentre sono ignorati dai moderni in quanto stranieri, residenti lì non dalla nascita, ad eccezione dei nomi di pochi luoghi, che riferiremo poi a suo tempo. Poiché infatti il nostro amatissimo Signore Gesù Cristo esigeva vendetta del suo sangue, che gli empi Giudei avevano versato sulla croce con mani insanguinate, Vespasiano e Tito, Cfr.  1Cor 4,  13: siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi. a 

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Teodorico

principi romani, entrando con l’esercito in Giudea rasero al suolo il Tempio e la città, distrussero le città e le fortezze dell’intera Giudea, costrinsero ad emigrare in paesi stranieri quegli assassini espellendoli dal loro territorioa. Perciò tutti i beni e le ricchezze sia del popolo sia dell’intera provincia sono stati distrutti; e anzi, anche se si vede qualche traccia di alcuni luoghi, tuttavia i nomi di quasi tutti sono cambiatib. [2] Innanzitutto, dunque, bisogna riferire quanto, di persona o per sentito dire, abbiamo potuto scoprire sulla Giudea, che, com’è noto, era la parte più importante del regno giudaico. In essa, come l’occhio nella testa, si trova la città santa di Gerusalemme, da cui scaturirono per tutte le genti la grazia, la salvezza e la vita per mezzo del Signore Nostro Gesù Cristo, mediatore tra Dio e gli uomini. La Giudea a ovest è lambita dal Mar Grandec, a sud è chiusa dai monti dell’Arabia e dal deserto dell’Egitto, a est è delimitata dal fiume Giordano, a nord è racchiusa dalla Samaria e dall’Idumea. La Giudea è perlopiù montuosa, e poiché raggiunge proprio attorno alla città santa le cime più alte, tutti i suddetti confini sono in discesa, così come al contrario da quelli ad essa si va in salita. I monti stessi, poi, in alcuni luoghi sono inaspriti da blocchi di roccia durissima, in altri invece sono adornati da pietre molto adatte alla squadratura, nei più sono impreziositi da marmo bianco, rosso e screziato. Tuttavia, ovunque tra questi ammassi di pietre si trovi una zolla di terra, essa è notoriamente adatta alla produzione di ogni frutto, e per questo abbiamo visto i monti e i colli coperti di vigneti, oliveti e ficheti, e abbiamo ammirato le valli abbondare di frumento e di prodotti degli ortid. Allusione alla guerra combattuta tra Ebrei e Romani fra il 66 e il 73, culminata con la presa e la distruzione di Gerusalemme nel 70. b  Huygens (nota ad loc.) rimanda alle osservazioni di Guglielmo di Tiro a proposito delle storpiature dei nomi locali da parte degli Occidentali (Guill. Tyr., chron. 19, 10, p. 876, r. 27-28, con nota ad loc.) e alle lamentele di Guiberto di Nogent sulla difficoltà di conoscere la forma corretta dei toponimi orientali (Dei gesta, praef., p. 82-83, r. 94 ss.). c  Cioè il Mediterraneo; la definizione di Grande, comune nel Medioevo, risale almeno a Isidoro (Isid., orig. 13, 16, 1). d  Apprezzamenti di questo tipo (cfr. anche infra, par. 28) sono probabilmente un po’ troppo generosi, visto che Teodorico dovette visitare la Terrasanta all’inizio a 

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Trattato sui luoghi santi, 1-3

[3] Infine, proprio sulle cime più alte dei monti, come attestano Flavio Giuseppe e Girolamoa, si trova la famosa città di Gerusalemme, che è considerata la più santa e la più importante fra tutte le città e i luoghi del mondo, non perché sia santa da sé o grazie a sé, ma poiché fu glorificata dalla presenza dello stesso Dio e Signore Nostro Gesù Cristo e della sua pia Madre, e dal fatto che vi abitarono, insegnarono, predicarono e subirono il martirio patriarchi, profeti, apostoli e anche altri santi. E benché le cime dei monti, più alte di quanto essa sia, la sovrastino così da tutti i lati, tuttavia essa stessa, posta su un monte, è di per sé collinare: ne deriva che essa rapisce lo sguardo di chi la osserva da tutti i monti circostanti. Infine tra il colle di Moria, dove si trova il Tempio del Signore, e il Monte degli Ulivi, che eleva la sua cima più in alto degli altri monti, si trovano il torrente Cedron e la valle di Giosafat; e questa, iniziando dal Monte della Gioia, da cui si apre l’ingresso alla città dalla parte nord1, e passando per la chiesa di Santa Maria, che si chiama così dal nome della valleb, e per il sepolcro di Giosafat, re di Giudea, dalla cui uccisione essa prese questo nome, e anche accanto alla piscina di Siloe, si apre in una valle profondissima, dopo essersi incontrata con un’altra valle che, dall’angolo destro della città, piega oltre le nuove cisterne tra il Monte Sion e il campo di Akeldamà e abbraccia due lati della città. Il sepolcro di Giosafat, poi, è stato eretto proprio nel mezzo della valle, a forma di piramide, fatto di blocchi ben squadrati; attorno ad esso ci sono numerose celle di servi di Dio, cioè reclusi, che sono state poste tutte sotto la cura dell’abate di Santa Maria. La città stessa, invece, si estende da nord a sud in lunghezza e da ovest a est in larghezza, tutta solidamente difesa da torri, mura e bastioni al di sopra delle suddette valli, sulla sommità del monte. C’è anche un vallo, o fossato, posto al di fuori delle mura, protetto da un muro, da bastioni e da merlature, che è chiamato “barbacadella primavera del 1169 (cfr. le osservazioni di Huygens in Peregr. tres, p. 27-29, e quanto ne riportiamo nella nostra introduzione). a  Huygens (nota ad loc.) rimanda a Flavio Giuseppe (Antichità Giudaiche 5,  78)  – che Teodorico poteva leggere nella versione latina voluta da Cassiodoro (Cassiod., Ios. antiq., p. 315) – e a Girolamo (Hier., epist. 46, 3). b  Cioè Santa Maria nella valle di Giosafat, che Teodorico descrive al par. 23.

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G11

Teodorico

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S17; G21

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ne”. Ha sette porte, sei delle quali vengono sprangate ogni notte fino a dopo il sorgere del sole, mentre la settima, chiusa da un muro, non viene aperta se non il giorno delle Palme e all’Esaltazione della Santa Croce. Ed essendo una città oblunga, ha cinque angoli, uno dei quali è inclinato verso l’interno. Quasi tutte le sue strade hanno pavimenti lastricati con grandi pietre, e molte sono coperte con volte di pietra, dotate qua e là di finestre per far passare la luce. Le case, innalzate con muri lavorati, non hanno come da noi tetti che terminano a punta, ma spianati con superficie piatta, cadendo la pioggia dai quali raccolgono l’acqua piovana nelle loro cisterne e la conservano per i loro bisogni: e infatti non usano altra acqua, perché non ne hanno. La legna sia da costruzione sia da ardere lì è cara, perché il Monte Libano, l’unico ad essere ricco di legna di cedro, di cipresso e di abete, è molto lontano da loro e non possono andarci per i pericoli causati dagli infedeli2. [4] La Torre di Davide, assemblata con solidità incomparabile per mezzo di blocchi squadrati di enormi dimensioni e posta presso la porta sud (da cui parte la via che conduce a Betlemme), è entrata in possesso del re di Gerusalemme insieme alla terrazza adiacente e a un palazzo edificato di recente, ben fortificato con fossati e barbacani3. Essa si trova sulla rocca del Monte Sion, per cui si dice nel Libro dei Re: Davide espugnò la rocca di Sion (2Sam 5, 7). Si trova anche di fronte al Tempio del Signore, verso cui la città si estende in larghezza, con a sud il Monte Sion, a est il Monte degli Ulivi. Il Monte Sion si estende dalla Torre fino alla chiesa di Santa Maria fuori le mura, e dalla chiesa fin quasi al palazzo di Salomone e fino alla via che conduce dalla Porta Bella alla stessa Torre; è più largo del Monte degli Ulivi, ma più basso. E mentre il Monte Moria, che si erge sulla valle di Giosafat e su cui sono posti il Tempio del Signore e il palazzo di Salomone, è considerato una grande collina, il Monte Sion lo sovrasta in altezza quasi quanto quello sovrasta, come si è detto sopra, la valle di Giosafat. Nel campo di Akeldamà, che soltanto la valle menzionata divide da questo monte, c’è il cimitero degli stranieri, dove si trova la chiesa della Santa Madre di Dio e Vergine Maria4 e dove pure ab-

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Trattato sui luoghi santi, 3-5

biamo seppellito, nel giorno santo delle Palmea, un nostro fratello defunto di nome Adolfo, originario di Colonia. Sovrasta questo campo il Monte Ghicon, su cui Salomone cinse la corona reale, come si legge nel Libro dei Reb. Degli altri edifici pubblici e privati abbiamo potuto scovare nessuna o poche tracce, ad eccezione della casa di Pilato, che si trova vicino alla chiesa di Sant’Anna, madre di Nostra Signora, e alla piscina Probatica5. Di tutto ciò che Erode costruì, come riferisce Flavio Giuseppe, per quanto abbia molto cercato, non ho visto nulla, se non un lato ancora esistente del palazzo detto Antonia, con una porta collocata presso il cortile esterno del Tempio. [5] Restano dunque da descrivere i luoghi santi, grazie ai quali la città stessa è detta santa; per questo abbiamo ritenuto di dover cominciare dal Santo dei Santi, cioè dal Sepolcro del Signore6. La chiesa del Santo Sepolcro, splendidamente costruita, si ritiene sia stata fondata dalla regina Elena; il suo muro esterno, che corre tutt’intorno lungo una circonferenza, rende la chiesa stessa rotonda, mentre il sepolcro del Signore ne occupa il centro. Questo è il suo aspetto. La costruzione che si erge sopra il sepolcro ed è decorata con una bella copertura di marmo non è perfettamente rotonda, ma dal muro circolare si dipartono verso est due piccole pareti, che si incontrano con una terza; esse contengono in sé tre porticine, larghe tre piedi e alte sette, di cui una si apre a nord, la seconda a est, la terza a sud: si entra da nord, si esce da sud, mentre la porta a est è riservata all’uso dei custodi del Sepolcro. Tra queste tre porticine e la quarta, per cui si entra nel sepolcro, c’è un altare piccolo ma venerabile, dove si narra che il corpo del Signore fu posto da Giuseppe e Nicodemo prima di essere seppellito. Inoltre, sopra l’entrata della grotta, che si trova dietro l’altare, c’è un mosaico in cui essi seppelliscono il corpo del Signore alla presenza di Nostra Signora, sua madre, e delle tre Marie ben note dal Vangelo con dei vasetti di aromi, mentre un angelo siede al di sopra del sepolcro, fa rotolare la pietra e dice: Ecco il luogo dove l’avevano posto Probabilmente il 13 aprile del 1169 (cfr. Peregr. tres, p. 28 e la nostra introduzione). b  1Re 1, 38-39. a 

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G6

S9; G18

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Teodorico

(Mc 16, 6). Tra l’entrata e il sepolcro un rigo si estende lungo tutto il semicerchio con questi versi: G26

Della Resurrezione di Cristo furono testimonianza il luogo, l’angelo custode del sepolcro, la veste e la nostra redenzione.

Tutto ciò è rappresentato in un bellissimo mosaico, che orna tutta quella piccola costruzione. A entrambe le porte ci sono dei custodi inflessibili, che fanno entrare non meno di sei e non più di dodici persone insieme (infatti l’angustia del luogo non può accoglierne di più) e, dopo che quelle hanno fatto la loro adorazione, le obbligano a uscire dall’altra porta. Peraltro, nessuno può superare, se non strisciando sulle ginocchia, l’entrata della grotta, attraversata la quale si trova il tesoro desiderabile, ovvero il sepolcro in cui il benignissimo Signore Nostro Gesù Cristo riposò per tre giorni. Esso, decorato magnificamente con marmo bianco, oro e pietre preziose, ha su un lato tre fori rotondi, attraverso i quali i pellegrini danno i baci desiderati alla pietra stessa su cui il Signore fu posto; è largo due piedi e mezzo, lungo un cubito maschile e un piede. Lo spazio che sta tra il sepolcro e il muro è abbastanza ampio da permettere che cinque persone vi trovino posto per pregare in ginocchio, rivolte verso il sepolcro. All’esterno, intorno alla costruzione, sono disposte dieci colonne, che insieme con gli archi che sostengono creano un recinto circolare; al di sopra c’è un fregio che presenta questa iscrizione, incisa in lettere d’oro: Cristo risorto dai morti più non muore, la morte non lo dominerà più: ciò che vive vive infatti per Dioa.

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Presso l’absideb dello stesso edificio, che è rivolta a ovest, c’è un altare racchiuso da pareti di ferro, da porte con serrature e da una grata di legno di cipresso decorata con varie pitture e da un tetto dello stesso tipo, similmente decorato, sostenuto dalle pareti. Il a  La formula è utilizzata nella liturgia di diverse feste, in particolare quella della Pasqua: CAO, III, p. 96, no 1796. b  Come già detto per Saewulf (par. 12), qui e verso la fine del paragrafo rendiamo con “abside” il latino caput, che in senso tecnico significherebbe “capocroce”.

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Trattato sui luoghi santi, 5

tetto di questa struttura è fatto di lastre di rame dorate e ha al centro un foro rotondo, attorno al quale delle colonnette disposte in cerchio e sormontate da degli archetti sostengono il tetto simile a un ciborio. Sopra il tetto c’è una croce dorata, e sopra la croce una colomba pure dorata. Tra ogni coppia di colonnette dall’alto degli archi, cioè da ciascun arco, pendono lungo tutto il cerchio delle lampade; ugualmente tra le colonne della parte inferiore pendono ovunque delle coppie di lampade. Per quanto riguarda gli archi inferiori, su ogni arco sono iscritti due versi, che in alcuni non siamo riusciti per nulla a leggere a causa dei colori sbiaditi; siamo riusciti a capirne chiaramente soltanto sei su tre archi: Venne in questo piccolo luogo Colui che aveva creato il mondo. Ti avvicini alla sua tomba: “Fai presto in modo di essere mio tempio”. È bello vedere l’agnello desiderato dall’assemblea dei padri, nato a Efrataa, morto sul Golgota, sepolto da una pietra. Questi portò alle stelle la prima creatura, vinse l’astuzia del demonio e permettendo all’uomo caduto di risorgere dice: “Eccomi”.

Intorno alla parete di ferro costruita, come abbiamo detto, presso l’abside, e a cui è affissa una grata, c’è un rigo che corre in cerchio con questi versi: Qui la morte è distrutta e la nostra vita guarita; si offre la vittima gradita, cade il nemico, la colpa è lavata; il cielo gioisce, gemono gli inferi, la legge è rinnovata:

a  Cioè Betlemme (cfr. Gen 35, 19 e 48, 7). Non è chiaro perché il nome Efrata, che dovrebbe riferirsi ad un villaggio nella tribù di Beniamino, sia utilizzato spesso in relazione con l’area di Betlemme o addirittura come suo sinonimo (Dizionario della Bibbia, p. 274).

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Teodorico

queste cose insegnano, o cristiano, quanto sia santo questo luogo.

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[6] I  pavimenti della chiesa sono magnificamente rivestiti di marmo bianco e screziato. La chiesa è sostenuta nella parte inferiore da otto colonne quadrate (dette pilastri) e da sedici colonne tonde monolitiche; nella parte superiore essa è rafforzata ugualmente da otto pilastri e da sedici colonne, perché, come la chiesa di Aquisgrana, anche questa ha una volta nella parte inferiore e superiore7. La modanatura bassa, che percorre circolarmente tutta la chiesa, è interamente coperta da iscrizioni in greco. La parte di muro che si trova tra la modanatura mediana e quella superiore risplende di un mosaico d’incomparabile bellezza, in una parte più antica del quale, di fronte al coro (cioè sopra l’arco del santuario), si vede raffigurato fino all’ombelico Gesù fanciullo, che risplende con volto infantile e dolcissimo; a sinistra c’è sua madre, a destra invece l’arcangelo Gabriele, che pronuncia il noto saluto: Ave o Maria, piena di grazia, il Signore è con te, tu sei benedetta tra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno; questo saluto è scritto tanto in latino che in greco intorno allo stesso Signore Cristo. Più oltre verso destra, nello stesso mosaico, sono raffigurati uno dopo l’altro i dodici apostoli, ognuno con in mano le lodi relative ai misteri di Cristo. In mezzo a loro sta l’imperatore Costantino, poiché insieme a sua madre Elena fu il fondatore di questa chiesa, in una nicchia del muro non troppo profonda, vestito con una trabea di regale magnificenza. Dopo gli apostoli risplende poi, mirabilmente ornato, san Michele arcangelo. Segue a sinistra la schiera dei dodici profeti che parlarono in modo venerabile, tutti con la faccia rivolta verso lo splendido Bambino e con in mano le profezie che un tempo Egli ispirò loro. In mezzo ad essi, cioè di fronte al figlio, si trova la santa regina Elena, magnificamente ornata. Sullo stesso muro poggia un tetto di piombo sorretto da un soffitto di legno di cipressoa, con un grande buco rotondo sulla sommità, per cui entra dall’alto la luce che illumina tutta la chiesa, priva di altre finestre.

a 

È di cipresso anche il soffitto della casa degli sposi in Ct 1, 17.

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Trattato sui luoghi santi, 5-7

[7] Inoltre il santuario, ovvero il Santo dei Santi, edificato in un secondo momento con un lavoro meraviglioso dai Franchi, è stato aggiunto al corpo di questa chiesa8, dove pure essi celebrano nella maniera più conveniente le lodi divine, di giorno e di notte, a tutte le ore canoniche, premettendo sempre la sequenza di santa Maria. La metà delle offerte del Sepolcro del Signore è destinata a loro compenso, l’altra metà è riservata alle necessità del patriarca. L’altare maggiore è dedicato al nome e all’onore del Signore Salvatore; dietro ad esso si trova la cattedra del patriarca, sopra cui pende dagli archi del santuario un’icona di Nostra Signora grandissima e reverendissima, insieme all’icona di san Giovanni Battista e anche ad una terza icona del suo paraninfo san Gabrielea. Sul soffitto del santuario è rappresentato Nostro Signore Gesù Cristo, che tiene la Croce con la sinistra, con la destra Adamo, e guarda maestosamente verso l’alto mentre entra nei cieli con passo da gigante, il piede sinistro alzato, il destro ancora fermo a terra, circondato da sua madre, da san Giovanni Battista e da tutti gli apostoli. Sotto i suoi piedi un rigo, che si estende da muro a muro lungo tutto il semicerchio, contiene questa iscrizione: Lodate Colui che è stato crocifisso nella carne, glorificate Colui che è stato sepolto a causa vostra e adorate Colui che risorge dalla morteb.

Poi, sul rigo superiore che si estende lungo lo stesso semicerchio c’è questa iscrizione: Cristo salendo al cielo prese prigioniera la prigionia, diede doni agli uominic.

Al centro di questo coro c’è un altare piccolo e cavo, ma degno di venerazione, sul pavimento del quale è incisa una piccola croce in un cerchio: essa indica che Giuseppe e Nicodemo lì deposero il corpo del Signore, appena tolto dalla croce, per lavarlo. Davanti a  Nell’antica Grecia, il paraninfo era colui che accompagnava gli sposi a casa dopo la festa di matrimonio, solitamente un amico o parente dello sposo. b  L’iscrizione è tratta, seppur con qualche piccola differenza, dalla liturgia della domenica di Pasqua: CAO, III, p. 115, no 1955. c  Dalla liturgia dell’Ascensione: CAO, III, p. 58, no 1487.

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alla porta di questo stesso coro c’è un altare non piccolo, riservato esclusivamente al culto dei Siriani. Così ogni giorno, una volta che i Latini hanno compiuto gli uffici divini, i Siriani sono soliti cantare gli inni divini o lì davanti al coro o in una qualche abside della chiesa; vi hanno anche molti piccoli altari, non atti né concessi all’uso di nessuno se non al loro. Queste sono le confessioni o sette che compiono gli uffici divini nella chiesa di Gerusalemme: Latini, Siriani, Armeni, Greci, Giacobiti, Nubiania. Tutti questi hanno ciascuno le loro particolarità tanto nelle abitudini di vita che negli uffici divini; i Giacobiti nelle loro feste si servono di trombe al modo degli Ebrei. [8] È tradizione nella chiesa del Santo Sepolcro, nel Sabato Santo della Pasqua, al sorgere del sole, spegnere la luce artificiale e aspettare la luce che verrà dal cielo, tanto nella chiesa stessa che in tutte le altre chiese sparse per la città. Per ricevere questa luce viene preparata davanti al sepolcro una delle sette lampade d’argento che vi stanno appese. Allora il clero e il popolo, in grande ed ansiosa attesa, aspettano che Dio stenda dall’alto la sua mano, intonando, spesso insieme ad altre preghiere, Che Dio aiuti e Santo Sepolcro, ad alta voce e non senza lacrime. Nel frattempo, sia il patriarca o altri vescovi che si riuniscono per ricevere il sacro fuoco, sia il resto del clero sono soliti visitare spesso il sepolcro per pregare, con la croce in cui si trova un grandissimo pezzo della Croce del Signore e con altre reliquie di santi, verificando anche se Dio abbia già posto la grazia della sua luce nella lampada preparata per questo. Il fuoco infatti suole mostrarsi in determinati orari e luoghi: a volte arriva verso l’ora prima, a volte verso la terza o la sesta o la nona ora o anche all’ora della compieta, e viene ora al Sepolcro stesso, ora al Tempio del Signore, qualche volta presso San Giovanni. Il giorno in cui noi miseri, con altri pellegrini, attendevamo il santo fuoco, esso giunse subito dopo l’ora nona: allora, al suono delle campane, in tutta la città si compivano le funzioni eucaristiche, essendo stati celebrati in precedenza i battesimi e tutti gli altri uffici. E non apPer informazioni essenziali sulle diverse confessioni cristiane che convivevano nella Gerusalemme dell’epoca rimandiamo a quanto detto alla n. 103 di Giovanni. Con “Nubiani” Teodorico dovrebbe indicare i Copti. a 

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Trattato sui luoghi santi, 7-9

pena quel sacro fuoco giunge, è tradizione presentarlo al Tempio del Signore prima che chiunque, ad eccezione del patriarca, accenda la sua candela9. [9] Più o meno verso ovest all’uscita della chiesa, dove si sale da questa alla strada per una scalinata di più di trenta gradini, proprio davanti all’uscita si trova una cappella in onore di santa Maria, di cui si occupano gli Armeni. Così, a sinistra della chiesa verso nord, c’è una cappella in onore della Santa Croce, dove pure si conserva un grande pezzo del legno venerabile, racchiuso nell’oro e nell’argento; essa è custodita dai Siriani. Ancora dalla stessa parte, vicino a questa cappella verso est, c’è una cappella degna della massima venerazione, dove si trova un reverendo altare dedicato alla Santa Croce e dove si ammira con la massima riverenza in un meraviglioso reliquiario un grandissimo pezzo del medesimo beato legno, incastonato d’oro, d’argento e di pietre preziose così da essere ben visibile; e quando la necessità lo esige, i cristiani sono soliti portare questo legno salvifico in guerra contro i pagani. Questa cappella è anche magnificamente decorata con mosaici10. La Croce la restituì ai cristiani l’imperatore romano Eraclio, dopo averla strappata a Cosroe, re dei Persiani, nella guerra che combatté contro di lui. Nei pressi di questa cappella, verso est, si scende per circa venti gradini in una cappella buia, dove c’è un altare ugualmente venerando, sul cui pavimento si vede incisa una piccola croce. Si dice che in questo luogo fu imprigionato Nostro Signore Gesù Cristo, quando, condotto dal giudizio di Pilato al luogo della Passione, attese che il suo volto fosse velato e che sul Calvario fosse innalzata la croce a cui doveva essere appeso. Ancora, dopo questa cappella c’è un altare in onore di san Nicola, e poi la porta di un chiostro, da cui si entra nel chiostro dei Canonici, che si trova vicino al santuario. A chi entra in chiesa dall’altra parte, dopo avere fatto il giro del chiostro, si presenta l’immagine del Crocifisso, dipinta sulla porta del chiostro così da suscitare grande contrizione in tutti coloro che la guardano; intorno ad essa sono iscritti questi versi: Guarda, tu che passi, poiché tu fosti per me causa di dolore: per te ho così sofferto, per me tu evita i peccati.

215

153

G19

G4

S10; G16

Teodorico

S10; G19

154

S10; G15

[10] Di qui si scende verso est per più di trenta gradini fino alla venerabile cappella di Sant’Elena regina, collocata al di fuori della detta chiesa; vi si trova un altare venerando in suo onore. Di qui si scende ancora verso destra per quindici gradini o poco più in una grotta sotterranea, nel cui angolo destro c’è un altare cavo, e sotto di esso si vede una croce incisa sul pavimento, nel punto in cui si dice che la regina in persona abbia trovato la Croce del Signore; vi si trova un altare in onore di san Giacomo e la cappella non ha altra finestra se non una grande apertura in alto. [11] Inoltre, dall’altro lato della chiesa, cioè a destra dietro al coro, c’è un bell’altare, dove si trova una grande parte della colonna alla quale il Signore fu legato e flagellato. Di lì verso sud, davanti alla porta della chiesa, si vedono cinque sepolcri, di cui uno, preziosamente realizzato in marmo bianco e contiguo al coro, è del fratello del re di Gerusalemme, di nome Baldovino; il secondo è del re Baldovino, fratello del duca Goffredo. Su di esso è inciso questo epitafio: Questi è Baldovino, secondo Giuda Maccabeoa, speranza della patria, onore della Chiesa, forza di entrambe, colui che temevano, a cui portavano doni e tributi Kedar e l’Egitto, Dan e l’omicida Damasco. Oh dolore, egli è racchiuso in questo piccolo sepolcro.

Il terzo sepolcro è del fratello di questi, il duca Goffredo, che recuperò con la spada e la saggezza la città di Gerusalemme, occupata dai Saraceni e dai Turchi, e la restituì ai cristiani; ricollocò nella sua sede il patriarca scacciato dai pagani, stabilì il clero nella chiesa, decretò loro uno stipendio perché potessero essere soldati di Dio. Il quarto sepolcro è del padre dell’attuale re, Amalrico; il quinto del padre della badessa di San Lazzarob11. Poi, più o meno verso sud, si apre una porta, attraverso cui si entra nella cappella a  Per il ricorso alla figura dei Maccabei nella letteratura sulle Crociate si può vedere Russo, ‘Maccabei e crociati’ e Morton, ‘The defence’. b  Il monastero di San Lazzaro di Betania è nominato da Teodorico stesso al par. 28.

216

Trattato sui luoghi santi, 10-12

edificata sotto la torre campanaria; e da quella si passa in un’altra cappella molto venerabile, dedicata a san Giovanni Battista, in cui c’è anche un battistero; da essa si giunge poi in una terza cappella12. Dalla prima cappella si sale invece per quaranta o più gradini fino alla strada. [12] Resta ora da dire del Monte Calvario13, che risplende in quella chiesa come l’occhio nella testa; da là ci verranno luce e vita eterna per la morte del Figlio di Dio e l’effusione del suo sangue. Prima dell’entrata di questa chiesa, cioè della porta rivestita di solido bronzo (porta che, come si vede, è doppia), si sale per una quindicina di gradini ad un vestibolo piccolo, ma chiuso da un cancello e decorato da affreschi; i custodi, facendo da là sopra la guardia alle porte, decidono quanti pellegrini far entrare, affinché qualcuno non rischi di essere schiacciato o di morire per la gran calca che spesso si forma in quel luogo. Da quel vestibolo si sale ancora per tre gradini, attraverso un’altra porta, verso una cappella che supera per venerazione e riverenza tutti i luoghi della terra. Essa si innalza sorretta da quattro pilastri molto robusti, il suo pavimento è rivestito in modo mirabile di ogni tipo di marmo e la sua volta (o soffitto) è adornata con grande nobiltà da mosaici, raffiguranti i profeti (Davide, Salomone, Isaia e alcuni altri) che recano in mano scritte concordi con la Passione del Signore; nessuna opera sulla terra potrebbe dunque eguagliare questa, se soltanto si potesse vederla bene: il luogo infatti è abbastanza buio a causa delle costruzioni circostanti. Il punto, invece, in cui stette la croce su cui il Salvatore morì, sopraelevato verso est su un alto piedistallo e ricoperto nella parte sinistra di eccellente marmo bianco, mostra14 un’apertura profonda e larga al punto che ci si potrebbe quasi far entrare la testa, dove è noto che fu conficcata la croce: lì i pellegrini sono soliti premere il capo e il volto per amore e riverenza verso il Crocifisso. A destra invece il Monte Calvario, la cui cima si erge più in alto, mostra al suolo una fessura lunga, larga e piuttosto profonda, dovuta alla spaccatura che subì al momento della morte di Cristoa; e apertosi un tempo con quel terribile buco, esso prova Cfr. Mt 27, 51: il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono. a 

217

S12; G19

155 G16

S11; G16

Teodorico

156

di avere riversato fino a terra il sangue che uscì dal fianco di Cristo appeso alla croce. Sulla sommità del monte i pellegrini hanno l’abitudine di deporre le croci che hanno portato con sé fin lì dai loro paesi (noi ne abbiamo vista in quel luogo una grande quantità) e i custodi del Calvario sono soliti bruciarle tutte il Sabato Santo. Lì si trova un altare venerabile, e alla Parasceve il patriarca e il clero vi celebrano tutto l’ufficio di quel giorno. Sul muro alla sinistra dell’altare è dipinta un’immagine del Crocifisso di grande bellezza: alla sua destra c’è Longino che ferisce il costato di Cristo con la lancia, a sinistra c’è Stefato che offre l’aceto con la spugna15; a sinistra c’è anche sua madre e a destra Giovanni. Tutt’intorno si estendono due grandi righi, completamente ricoperti di iscrizioni in greco; a destra dell’altare Nicodemo e Giuseppe depongono dalla croce Cristo ormai morto, dove c’è anche questa iscrizione: Deposizione di Nostro Signore Gesù Cristo dalla croce.

G19

Di qui si scende per quindici gradini alla chiesa e si giunge alla cappella chiamata Golgota, venerabile ma buia, sul cui fondo c’è una finestra profonda, che mostra a chi guarda la fine della spaccatura arrivata fin lì dal Calvario; si dice che vi si sia fermato il sangue di Cristo, scorso fin là attraverso la spaccatura. Inoltre, sull’arco che chiude il Golgota, cioè sul lato ovest del Calvario, si vede una tavola dipinta sulla parete, in cui si leggono questi versi iscritti in lettere d’oro: Questo luogo sacro è consacrato dal sangue di Cristo: con la nostra consacrazione non aggiungiamo nulla a tale sacralità. Ma la chiesa costruita attorno e sopra a questo luogo sacro è stata consacrata il quindicesimo giorno di luglio dal patriarca Fulcherio con gli altri padria.

La consacrazione avvenne il 15 luglio 1149. Si noti che Giovanni, nel riportare questa stessa iscrizione, omette l’ultima riga, mentre alla seconda ha un passivo “è aggiunto” (additur) in luogo dell’“aggiungiamo” (addimus) di Teodorico. a 

218

Trattato sui luoghi santi, 12-13

Si dice che il 21 novembre, a tre anni, la santa Vergine Maria sia stata presentata nel Tempio del Signore; e là si vedono iscritti anche questi versi16:

G5

157

Accompagnata da sette vergini, la vergine destinata a servire Dio fu qui presentata a tre anni. La vergine vive del servizio degli angeli.

Davanti all’entrata della chiesa, tra le due porte, è raffigurato Cristo Signore, abbigliato in modo reverendo, come appena risorto dalla morte; ai suoi piedi, senza però toccarli, giace prostrata Maria Maddalena, cui il Signore porge uno scritto contenente questi versi: Perché piangi, donna? Ora adori colui che cerchi. Ora, vivo, sono degno di essere venerato: non mi toccarea.

[13] Chi esce dalla chiesa verso sud incontra una sorta di cortile quadrato, fatto di pietre squadrate, a sinistra del quale, all’esterno presso il Golgota, si trova la cappella delle tre Marie, custodita dai Latini17. Ancora più a sud si trova un’altra cappella, di cui si occupano gli Armeni, e oltre ancora c’è un’altra piccola cappella. All’uscita di quella spianata si trova, verso sinistra, una via coperta piena di mercanzie, mentre di fronte si vede la piazza del mercato. Al suo ingresso ci sono sei colonne sormontate da archi, e lì subito a sud si incontrano la chiesa e l’ospedale di San Giovanni Battista. Di quanti edifici questa costruzione sia adorna, di quanti appartamenti, letti e altri oggetti, concessi ad uso dei poveri, degli infermi e degli invalidi, abbondi, quanto sia ricca di mezzi da impiegare a sollievo dei poveri, quanto sia sollecita nel sostentamento dei bisognosi, nessuno potrebbe a parole farne fede ad un altro se non potesse egli stesso verificarlo con i propri occhi. Passando attraverso l’edificio non siamo riusciti in alcun modo a sapere il numero totale dei ricoverati, ma abbiamo visto che il numero dei letti superava il migliaio: nessun re o signore potente potrebbe mantenere

Cfr. Gv 20, 17 (nella Nova Vulgata si trova però tenere, “trattenere”, in luogo del tangere, “toccare”, della Vulgata). a 

219

G26

S13; G21

158

Teodorico

G21

G5

159

tutti coloro che quella istituzione mantiene ogni giorno. E non c’è da meravigliarsene poiché, oltre ai beni che posseggono all’estero (il cui numero non può essere facilmente calcolato), sia essia sia i Templari si sono assoggettati quasi tutte le città e i villaggi che un tempo appartenevano alla Giudea e poi sono stati distrutti da Vespasiano e Tito, con tutti i campi e i vigneti, distribuendo truppe per l’intera regione e fortificando saldamente i castelli contro i pagani. Dopo questa costruzione segue subito a est la chiesa di Santa Maria, in cui delle religiose, poste sotto l’autorità di una badessa, celebrano ogni giorno le lodi divine. Si dice che questo luogo sia dedicato a santa Maria poiché, a quanto si narra, mentre il Nostro Salvatore, condotto alla Passione, veniva torturato, per suo ordine ella rimase chiusa in quel luogo, in un cenacolo che allora vi si trovava. Segue immediatamente a est un’altra chiesa, ugualmente dedicata a Nostra Signora per il fatto che, mentre Nostro Signore subiva il supplizio della croce per la nostra salvezza, ella, esanime per l’enorme dolore, fu trasportata a forza di braccia lì in quella grotta sotterranea, dove sfogò il suo dolore strappandosi i capelli dal capo: essi sono ancora conservati in quella chiesa in un’ampolla di vetro. Nella stessa chiesa ci sono anche la testa di san Filippo apostolo, riccamente decorata d’oro, il braccio di san Simone apostolo e il braccio di san Cipriano vescovo; dei monaci vi servono Dio sottomessi a una regola e all’autorità di un abate. [14] Di lì, piegando un poco verso sud, si arriva attraverso la Porta Bella al Tempio del Signore, passando all’incirca in mezzo alla città; dal cortile inferiore si sale per ventidue gradini al cortile superiore, e dal cortile superiore si entra nel Tempio. Nel cortile inferiore, proprio davanti alla scalinata, si scende per venticinque gradini o più ad una grande piscina18; pare che da questa si arrivi, attraverso dei cunicoli sotterranei, fino alla chiesa del Santo Sepolcro, tanto che si dice che il Sabato Santo il fuoco acceso dal cielo venga portato proprio attraverso questi sotterranei al Tempio del Signoreb. In quella piscina venivano lavate, secondo il precetto a  b 

Cioè gli Ospitalieri. Cfr. supra, par. 8.

220

Trattato sui luoghi santi, 13-15

della Legge, le vittime destinate ad essere offerte nel Tempio del Signore. Il cortile esterno è grande il doppio o poco più di quello interno, e il pavimento del primo come di quello interno è lastricato con pietre grandi e larghe. Rimangono ancora due pareti del cortile esterno, mentre altre due sono passate in uso ai Canonici e ai Templari, che vi hanno costruito case e giardini. Dal lato ovest si sale al cortile superiore per due rampe di gradini, e così da quello sud. In cima alla scalinata davanti a cui abbiamo detto che si trova la piscina, ci sono quattro colonne sormontate da archi e vi si trova anche il sepolcro di un uomo ricco, circondato da un cancello di ferro e scolpito con abilità nell’alabastro. Anche verso destra, in cima alla scalinata posta a sud, ci sono quattro colonne sormontate da archi, mentre a sinistra ce ne sono tre. Verso est ci sono poi quindici doppi gradini, per cui si sale dalla Porta Aurea al Tempio: in base al loro numero il salmista compose quindici salmia e su di essi poggiano cinque colonne. A sud, inoltre, ai due angoli del cortile interno, ci sono due piccoli edifici: uno di essi, posto a ovest, si dice che fosse la scuola di santa Maria. Tra il Tempio e due lati del cortile esterno – l’orientale e il meridionale – c’è una grande pietra posta a mo’ di altare che, secondo la tradizione di alcuni, è la bocca delle piscine che si trovano in quel luogo, mentre secondo l’opinione di altri indica che lì fu ucciso Zaccaria, figlio di Barachìab. Nella parte nord ci sono il chiostro e gli edifici dei chierici. Intorno al Tempio, sotto il pavimento, ci sono delle grandi piscine, e tra la Porta Aurea e i quindici gradini c’è una grande vasca, vecchia e in rovina, in cui anticamente venivano lavate le vittime da offrire in sacrificio. [15] Si vede chiaramente che il Tempio è ottagonale nella parte inferiore e ornato da splendidi marmi dal basso fino a metà altezza, mentre da lì fino al bordo superiore, su cui poggia il tetto, è decorato con mosaici di eccezionale fattura. Il fregio che corre tutt’intorno al perimetro del Tempio contiene questa iscrizione, a  Cioè i Salmi da 120 (119) a 134 (133), detti “canti delle salite” perché usati dai fedeli che salivano in pellegrinaggio al Tempio. b  Cfr. Mt 23, 35 e Lc 11, 51; 2Cr 24, 20-22; vedi nota al luogo corrispondente di Saewulf, par. 15.

221

S15; G5

G5

160

Teodorico

che comincia dalla facciata, cioè dall’ingresso occidentale, e deve essere così letta secondo il corso del sole. Sulla facciata: A questa casa sia pace eterna dall’Eterno Padrea.

Sul secondo lato: Il tempio di Dio è santo, Dio ne ha cura, Dio lo santificab.

Sul terzo lato: Questa è la casa del Signore saldamente edificatac.

Sul quarto lato: Nella casa del Signore tutti diranno gloriad.

Sul quinto: Benedetta la gloria del Signore dal suo luogo santoe.

Sul sesto: Beati coloro che abitano nella tua casa, Signoref.

Sul settimo: Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevog!

Sull’ottavo: La casa del Signore è saldamente fondata su una pietra sicura h.

Inoltre verso est, presso la chiesa di San Giacomo, una colonna è rappresentata sul muro in un mosaico, e sopra di essa c’è questa descrizione: colonna romana. Dalla liturgia per la dedicazione di una chiesa: CAO, III, p. 398, no 4252. Dalla liturgia per la dedicazione di una chiesa: CAO, III, p. 504, no 5128. c  Dalla liturgia per la dedicazione di una chiesa: CAO, III, p. 244, no 2998. d  Cfr. Sal 29 (28), 9: Nel suo tempio tutti dicono: “Gloria!”. e  Dalla liturgia per la dedicazione di una chiesa: CAO, III, p. 86, no 1706. f  Dalla liturgia per la dedicazione di una chiesa: CAO, III, p. 71, no 1590. g  Citazione di Gen 28, 16. h  Dalla liturgia per la dedicazione di una chiesa: CAO, III, p. 83, no 1680. a 

b 

222

Trattato sui luoghi santi, 15

La parte superiore del muro gira con un cerchio più stretto, sorretta all’interno da pilastri; essa sostiene un tetto di piombo e alla sommità ha una grande sfera e sopra di essa una croce d’oro. Si entra ed esce per quattro porte, ognuna delle quali guarda una delle quattro parti del mondo. La chiesa si regge su otto pilastri quadrati e sedici colonne; le sue pareti e il suo soffitto sono decorati splendidamente con mosaici. Intorno al coro ci sono quattro pilastri, o piloni, e otto colonne, che sorreggono il muro interno con il suo soffitto, che si erge verso l’alto; sopra gli archi del coro corre tutt’intorno un rigo, che contiene nell’ordine questa iscrizione: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera, dice il Signorea. In essa a chi chiede viene dato, chi cerca trova e a chi bussa sarà apertob: chiedete e vi sarà dato, cercate e troveretec.

Nel cerchio superiore, che corre ugualmente tutt’intorno, c’è questa iscrizione: Ascolta, Signore, l’inno e la preghiera che il tuo servo innalza davanti a Te, o Signore, perché i tuoi occhi siano aperti e le tue orecchie siano attente sopra questa casa giorno e notted. Volgi lo sguardo, Signore, dal tuo santuario e dalla tua altissima dimora nei cielie.

All’entrata del coro c’è un altare in onore di san Nicola, circondato da una cancellata di ferro, con in cima una cornice contenente questa iscrizione. Sul davanti: Nell’anno 1101, 9a indizione, 18a epatta. La formula è utilizzata, fra l’altro, nella liturgia di dedicazione di una chiesa: CAO, ΙΙΙ, p. 174, no 2428. b  L’espressione è impiegata varie volte dalla liturgia, ad esempio nella quinta e sesta domenica dopo Pasqua: CAO, III, p. 385, no 4151. c  Dalla liturgia della quinta e sesta domenica dopo Pasqua: CAO, III, p. 401, o n  4280. d  La formula, tratta da 1Re 8, 28-29, è impiegata dalla liturgia monastica: CAO, II, p. 459, no 97 (2); p. 586, no 114 (5); p. 649, no 120 (4); p. 728, no 129. e  Dalla liturgia per la dedicazione di una chiesa: CAO, III, p. 442, no 4621 (da Dt 26, 15). a 

223

161

Teodorico

Sul lato sinistro: Nel 64° anno dalla presa di Antiochia, nel 63° da quella di Gerusalemme.

Sul lato destro: Nel 62° anno da quella di Tripoli, nel 61° da quella di Berito, nel 18° da quella di Ascalona19.

162

S15; G5

Verso est sul lato del coro, invece, c’è un luogo ritenuto degno di ogni venerazione, circondato da una cancellata di ferro dotata di porte: lì Nostro Signore Gesù Cristo, portato al Tempio con la sua offerta a quaranta giorni dalla nascita, fu presentato dai genitori; proprio all’entrata del Tempio il vecchio Simeone lo prese in braccio e lo portò al luogo della presentazionea. Sulla facciata di quel luogo sono iscritti questi versi: Qui fu presentato il Re dei Re, nato da vergine, grazie a Lui il luogo è prezioso ed è detto a ragione santo.

S14; G2; G5

Presso lo stesso luogo, alla distanza di appena un cubito, è posta quella pietra che il patriarca Giacobbe mise un tempo sotto il suo capo, dormendo sulla quale vide la scala che arrivava al cielo e gli angeli che vi salivano e scendevano, e disse: Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo (Gen 28, 16). Sulla facciata di quel luogo ci sono i seguenti versi: Giacobbe, addormentato nel corpo, ma vigile dentro di sé nello spirito, qui vide la scala, eresse una stele per altare.

G5

G11

[16] Da qui si entra per la porta est nella cappella di San Giacomo apostolo, fratello del Signore, dove egli fu precipitato dal parapetto del Tempio e poi ucciso dagli empi Giudei, che gli spaccarono il cranio con un bastone da follatore. Fu prima sepolto nella valle di Giosafat, vicina al Tempio, e poi, traslato dai fedeli in quel luogo, fu sepolto con l’onore che meritava. Sopra il suo sepolcro è iscritto questo epitafio: a 

Lc 2, 22-35.

224

Trattato sui luoghi santi, 15-16

Parlate, pietra e fossa: di chi sono le ossa che custodite? Sono di Giacomo il giusto: qui giace al riparo della tomba.

Questa chiesetta è rotonda, più larga in basso e più stretta in alto, sorretta da otto colonne e ornata splendidamente con affreschi20. Chi torna dalla chiesa per la stessa porta incontra, oltre il suo ingresso verso sinistra, uno spazio quadrato, lungo cinque piedi e largo altrettanto, in cui il Signore, stando in piedi e venendo interrogato su dove fosse, rispose “A Gerusalemme”, che dicono essere posta al centro del mondo: perciò esso è detto Gerusalemme. Sempre dietro all’ingresso, di fronte a questo luogo, cioè verso nord, se ne incontra un altro, contenente quelle acque che il profeta Ezechiele vide 21 dal lato destro del Tempioa. Per chi torna alla chiesa maggiore, verso sud presso il coro, anzi sotto di esso, c’è un passaggio attraverso cui si entra per circa quarantacinque gradini nella cripta dove gli scribi e i farisei portarono al Signore Gesù la donna sorpresa in adulterio, accusandola: il buon maestro le rimise i peccati e la liberò dalla condanna, e su questo esempio lì si è soliti dare l’indulgenza ai pellegrini. Questa chiesa ha trentasei finestre nella parte inferiore e quattordici in quella superiore (che sommate insieme fanno cinquanta), ed è consacrata a santa Maria Nostra Signora, cui è anche dedicato l’altare maggiore. Si dice che anch’essa sia stata fondata da sant’Elena regina e da suo figlio, l’imperatore Costantino22. Vediamo dunque quante volte e da chi il Tempio sia stato edificato o distrutto. Come si legge nel Libro dei Reb, il re Salomone fu il primo a costruire, per ordine divino e con grandi spese, un Tempio al Signore, non rotondo, come è ora, ma allungato, che sopravvisse fino ai tempi di Sedecìa, re di Giuda. Questi, catturato da Nabucodonosor re di Babilonia, fu condotto prigioniero a Babilonia, e con lui furono portate prigioniere nella terra degli Assiri anche le tribù di Giuda e di Beniamino. Poi Nabuzaradàn, capo dei suoi cuochi, venuto con l’esercito a Gerusalemme, bruciò a  b 

Cfr. Ez 47, 1-2. 1Re 5, 16 ss.; cfr. anche 2Cr 1, 18 ss.

225

163 S12; G4; G17 G5

S15; G5 G5

S14; G4

Teodorico

164

S15; G22

il Tempio e la città: e questa fu la prima distruzione del Tempioa. Tornati nella terra di Giuda dopo settant’anni di prigionia, i figli di Israele, guidati da Zorobabele e Esdra, ricostruirono il Tempio nello stesso luogo con l’appoggio e il permesso di Ciro, re dei Persiani, e lo decorarono come meglio poteronob. Durante la riedificazione del Tempio e della città, essi tenevano (così si dice) in una mano le pietre, nell’altra le armi, a causa delle frequenti scorrerie dei pagani che li circondavanoc. Questa fu dunque la seconda ricostruzione del Tempio. Poi, come si legge nel Libro dei Maccabeid, la città, se non fu completamente distrutta, fu comunque in grandissima parte devastata da Antioco, re di Siria: le ricchezze del Tempio furono completamente saccheggiate, i sacrifici proibiti, i muri distrutti, e tanto la città che il Tempio si ridussero quasi ad un deserto. In seguito, scacciato Antioco ed espulsi i suoi generali dalla Giudea con l’aiuto divino, Giuda Maccabeo e i suoi fratelli riedificarono e rinnovarono il Tempio e, restaurato l’altare, ristabilirono come prima i sacrifici e le offerte, affidandoli ai sacerdotie. Questa fu la terza ricostruzione del Tempio, che sopravvisse fino ai tempi di Erode. Egli, come riferisce Flavio Giuseppef, fece radere al suolo questo Tempio nonostante il parere contrario dei Giudei, e ne costruì un altro più grande e sontuoso: questa fu la quarta riedificazione del Tempio, che durò fino ai tempi di Vespasiano e Tito. Essi, conquistata tutta la regione, rasero al suolo sia la città che il Tempio: e questa fu la quarta distruzione del Tempio. Dopodiché, come si è detto poco sopra, il Tempio attuale è stato costruito in onore di Nostro Signore Gesù Cristo e della sua pia Madre dalla regina Elena e dal figlio di lei, l’imperatore Costantino: e questa fu la quinta riedificazione del Tempio. [17] Segue a sud il palazzo di Salomone23: allungato come una chiesa, sostenuto all’interno da colonne e chiuso in fondo da un muro circolare, come un santuario, con un alto e ampio soffitto 2Re 25, 8-21. Esd 3, 1-13. c  Cfr. Ne 4, 11-12. d  1Mac 1, 30-39. e  1Mac 4, 36-61. f  Ios., ant. Iud. 15, 380-402 (p. 273-277). a 

b 

226

Trattato sui luoghi santi, 16-18

rotondo, esso è costruito, come si è detto, a mo’ di chiesa. Questo palazzo è passato, con tutte le sue dipendenze, sotto il controllo dei Templari che, abitando in esso e nelle altre case adiacenti e conservandovi armi, indumenti e cibo, vigilano costantemente per custodire e proteggere la regione. Essi possiedono anche le stalle dei cavalli edificate un tempo dallo stesso Salomone, contigue al palazzo, intricate per la varietà della mirabile costruzione, erette su pilastri, con arcate che si alternano variamente a soffitti a volta: siamo testimoni del fatto che, secondo i nostri calcoli, esse possono accogliere diecimila cavalli con i loro guardiani. Inoltre, nemmeno se uno scagliasse una freccia con una balestra potrebbe arrivare da un lato all’altro di quell’edificio, né in lungo né in largo. Ai piani superiori esso abbonda di abitazioni, terrazze e costruzioni variamente adattate ad ogni necessità; al di sopra è ricco di camminamenti, giardini, cortili, vestiboli, sale d’aspetto e vasche dove raccogliere l’acqua piovana per riempire le cisterne; nella parte bassa abbonda di lavatoi, magazzini, granai, depositi di legname e tutte le altre provviste necessarie. Dall’altra parte del palazzo, a ovest, i Templari hanno costruito un nuovo edificio, la cui altezza, lunghezza e larghezza, le cui cantine, refettorî, scalinate e il tetto (che contro l’abitudine di quel paese è appuntito), anche se io potessi descriverli, chiunque mi ascolti potrebbe credermi a fatica. Infatti vi hanno edificato una nuova corte, così come dall’altra parte hanno quella vecchia, e nello stesso luogo, sul lato del cortile esterno, stanno anche costruendo una nuova chiesa, di grandezza e fattura incredibili. Quanta potenza e ricchezza abbiano a disposizione i Templari, nessuno può saperlo con facilità: infatti sia essi sia gli Ospitalieri si sono sottomessi quasi tutte le città e i villaggi di cui un tempo era ricca tutta la Giudea e che poi furono distrutti dai Romani, costruendo ovunque fortificazioni e disponendo in esse delle guarnigioni; senza contare i possessi numerosi e quasi infiniti che, come è noto, essi hanno all’esteroa. [18] Il muro della città circonda tutte le loro abitazioni a sud e a est, mentre a ovest e a nord il muro fatto da Salomone abbraccia a 

In questo passo Teodorico fa eco a quanto già detto al par. 13.

227

165

Teodorico

166

G4

S15; G22

S17; G11

sia le loro residenze sia il cortile esterno e lo stesso Tempio. Nella parte nord del cortile rimangono una sola parete e una sola porta delle rovine dell’Antonia costruita da Erode. Il colle su cui si trova il Tempio era detto anticamente Moria; su di esso il re Davide vide l’angelo del Signore in piedi che con la spada sguainata uccideva il popolo, quando disse al Signore: Io ho peccato, io ho agito male; ma queste pecore che hanno fatto? La tua mano venga contro di me e contro la casa di mio padre! (2Sam 24, 17; cfr. 1Cr 21, 17). Su questo colle ci fu l’aia di Ornan il Gebuseo, che Davide comprò da lui per costruire la casa del Signorea. Di qui, per una porta sul retro, si passa da una via stretta tra il muro est della città e il giardino dei Templari, e si arriva alla venerabile chiesa detta “Al Bagno” o “Alla Mangiatoia del Signore Salvatore”. Lì verso est si vede la culla di Cristo Signore, posta con onore su un alto muro davanti a una finestra; a sud si vede per terra una grande vasca di pietra, in cui si ritiene che Egli fosse solito fare il bagno da bambino; a nord si mostra il letto di Nostra Signora, in cui ella stava stesa mentre allattava il figlio. A questa chiesa si scende per circa cinquanta gradini; essa fu un tempo la casa di Simeone il giusto, dove egli riposa in pace24. [19] Da quella chiesa, cioè dall’angolo sud della città, per il pendio del monte, lungo il contrafforte con cui i Templari hanno fortificato le loro case e la loro corte (dove anche nell’antichità era posta la città), una via dritta conduce alla piscina di Siloe; si dice che essa si chiami così perché le acque di quella fonte scorrono fin lì dal Monte Silo per un percorso sotterraneo25. La cosa mi sembra dubbia, perché in mezzo ci sono sia il monte su cui sorge la città sia altri monti, e nessuna valle può arrivare direttamente da quel monte alla piscina, e a causa della distanza tra i luoghi non è possibile che così tanti monti siano stati scavati: il Monte Silo è infatti lontano due miglia dalla città. Lasciando in sospeso la questione, proponiamo agli ascoltatori ciò che sappiamo essere vero: possiamo dare per certo che l’acqua scaturisce dal terreno come 2Sam 24, 18-25 e 1Cr 21, 18-27. Si noti che in 2Sam il possessore dell’aia è chiamato Araunà (forma usata da Teodorico stesso al par. 38), mentre la variante Ornan compare nel racconto parallelo di 1Cr (e in Giovanni, par. 4). a 

228

Trattato sui luoghi santi, 18-20

una sorgente, una sorgente che scompare dopo avere riempito la piscina ed essere scesa in un’altra posta vicino ad essa. Si scende per tredici gradini alla piscina, tutt’intorno alla quale ci sono dei pilastri che sostengono degli archi, sotto cui è stato realizzato con grandi pietre un camminamento: stando sopra di esso è possibile attingere l’acqua che scorre al di sotto. L’altra piscina, quadrata, è circondata da un semplice muro. Un tempo la piscina di Siloe si trovava all’interno della città, mentre ora ne è piuttosto lontana: qui infatti è stato sottratto alla città circa il doppio di quanto è stato aggiunto attorno al Sepolcro del Signore. [20] Ora il filo della nostra narrazione deve procedere secondo l’ordine della Passione di Cristo, ed Egli ci conceda per la sua grazia di patire insieme a Lui per poter regnare insieme con Lui. Betania, dove c’era la casa di Simone il lebbroso, di Lazzaro e delle sue sorelle Maria e Marta, in cui il Signore veniva spesso ospitatoa, dista un miglio da Gerusalemme; essa si trova presso la valle che chiude a est il Monte degli Ulivi. Nel giorno delle Palme, dunque, il Nostro amatissimo Signore Gesù Cristo, che veniva da Betania, una volta arrivato a Betfage – un luogo che sta a metà tra Betania e il Monte degli Ulivi, dove è stata costruita in suo onore una bella cappella –, stando su una grande pietra (che si vede benissimo in quella cappella)26 inviò due discepoli a portargli un’asina e un asinello; salito sull’asina27 si affrettò verso Gerusalemme passando per il Monte degli Ulivi, e alla discesa dal monte una grande folla gli venne incontro. Superati la valle di Giosafat e il torrente Cedron, Egli giunse alla Porta Aurea, che è doppia. Al suo arrivo, il catenaccio di una delle due porte saltò, ed essa gli si aprì da sola, mentre fece aprire l’altra con grande strepito, strappandone via con violenza la catena. Per questo gli è stata dedicata in quel luogo una cappella, dove quella stessa catena, ricoperta d’oro, è conservata con grande venerazione. La porta non viene Cfr. Mt 26, 6; Mc 14, 3; Gv 11, 1. Giovanni (par. 12) discute della controversa identificazione della Maria sorella di Lazzaro con Maria Maddalena, nonché con l’anonima peccatrice di Lc 7, 37-38, in quanto protagoniste di tre varianti dell’episodio evangelico in cui un vasetto d’olio profumato fu versato sui piedi o sul capo di Gesù. L’ambientazione del racconto, diversa a seconda del Vangelo, chiama in causa anche le figure di Lazzaro e Simone, fatte coincidere (a torto) da Giovanni. a 

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S23; G12

S15; G5 S23; G12

Teodorico

168 G22

mai aperta, se non nel giorno delle Palme e all’Esaltazione della Santa Croce, poiché l’imperatore Eraclio vi passò con un grande pezzo del santo legno che aveva portato dalla Persiaa. Il Signore stesso, entrato nel Tempio, vi rimase ad insegnare ogni giorno fino al giovedì. [21] Con Lui dunque desidero salire sul Monte Sion e vedere cosa abbia fatto dopo, ma prima voglio essere incarcerato con Pietro, perché Cristo mi insegni insieme a lui a non rinnegarlo, ma a pregarlo. Coloro che percorrono la via dal Tempio al Monte Sion incontrano una bella cappella, in cui c’è il carcere, posto sottoterra ad una grande profondità (tant’è che vi si arriva per settanta e più gradini), in cui Erode il Giovane aveva incatenato san Pietro e da cui l’angelo del Signore lo liberòb28. All’entrata della cappella sono iscritti questi versi: Vèstiti, Pietro, àlzati e vai via libero: gli anelli delle tue catene sono spezzati. Ora so per certo, poiché la porta mi è stata aperta, che mi hai salvato, o pietà di Cristoc!

S19; S21; G13; G20

[22] Dunque il Monte Sion, che si trova in gran parte fuori dalle mura della città a sud, ospita una chiesa dedicata a Nostra Signora santa Maria, ben fortificata con mura, torri e bastioni contro gli attacchi dei pagani; in essa servono Dio dei religiosi regolari con un superiore29. Al suo interno si trova, a sinistra dell’abside centrale, quel luogo venerabile, ornato di marmo prezioso all’esterno e di mosaici all’interno, in cui Nostro Signore Gesù Cristo accolse l’anima della sua amata Madre, Nostra Signora santa Maria, e la portò al cielo. Tale costruzione è quadrata nella parte bassa, mentre nella parte alta presenta un ciborio rotondo. Dalla parte destra si sale per circa trenta gradini al cenacolo, che si trova all’estremità dell’abside: lì si vede la tavola su cui Nostro Signore cenò con i suoi discepoli e, dopo l’allontanamento del traditore, affidò loro i sacramenti del suo corpo e del suo sangue. Sempre nel cenacolo, più Dopo aver trionfato sui Persiani, nel 629 o nel 630. At 12, 3-11. c  Il primo distico riprende le parole dell’angelo in At 12, 7-8, il secondo l’esclamazione di Pietro in At 12, 11. a 

b 

230

Trattato sui luoghi santi, 20-23

di trenta piedi a sud di lì, c’è un altare nel luogo in cui lo Spirito Santo scese sopra gli apostolia. Da là si scende per tanti gradini quanti ne servono per salire, e nella cappella posta al di sotto del cenacolo si vede una vasca di pietra incastonata nel muro, in cui il Signore lavò i piedi agli apostoli in quel luogo. Lì vicino a destra si trova un altare, nel luogo in cui Tommaso toccò il costato del Signore dopo la Resurrezioneb: e per questo è chiamato “Dito”. Di qui si passa attraverso un vestibolo intorno al presbiterio e alla sua sinistra c’è un altare venerabile, sotto il quale è certo che il corpo di santo Stefano Protomartire fu sepolto da Giovanni vescovo di Gerusalemme; si legge che in seguito il corpo sia stato traslato da Costantinopoli a Roma dall’imperatore Teodosio, dopo essere stato trasportato, a quanto si dice, da Gerusalemme a Costantinopoli dalla regina Elena. Davanti al coro, vicino al muro, c’è una colonna di marmo prezioso, attorno a cui le persone semplici hanno l’abitudine di girare. [23] Dopo la Cena il Signore uscì di lì, dirigendosi oltre il torrente Cedron, dove c’era un giardino. Il torrente Cedron scorre in mezzo alla valle di Giosafat. Nel luogo in cui c’era quel giardino è stata costruita, con le sue dipendenze, una chiesa di Santa Maria, dove il suo corpo fu sepolto30. Attraverso un portico, scendendo per più di quaranta gradini, si entra nella cripta in cui c’è il suo santo sepolcro, preziosamente decorato di marmi e mosaici. All’entrata della cripta sono stati posti questi due versi: Eredi della vita, venite a lodare la Signora grazie a cui è data la vita ed è recuperata la salvezza del mondo.

Il sepolcro, circondato da venti colonne su cui poggiano degli archi, ha al di sopra un fregio circolare e il tetto. Sul fregio sono iscritti questi quattro versi: Qui è la valle di Giosafat, di qui è la via per il cielo. Salda nel Signore, qui fu sepolta Maria, a  b 

At 2, 1-4. Gv 20, 24-29.

231

169 S21; G11

S17; G20

Teodorico

da qui innalzata raggiunse il cielo inviolata la speranza dei prigionieri, la loro via, luce e madre.

170

Sopra il tetto di tale costruzione c’è anche un ciborio rotondo, sostenuto da sei doppie colonne, con sopra una sfera e una croce dorata; tra ciascuna coppia di colonnette pende una lampada. Si entra al sepolcro da ovest e si esce da nord. L’Assunzione di Maria è stata splendidamente rappresentata sul soffitto; il suo bordo inferiore contiene questa iscrizione: Maria fu assunta in cielo, gioiscono gli angeli e innalzando insieme lodi benedicono il Signorea.

Attorno al presbiterio di questa basilica c’è un rigo contenente questa iscrizione: Santa Madre di Dio, sei stata innalzata sopra i cori degli angeli nel regno celesteb.

Di qui si sale verso la chiesa per tanti gradini quanti se ne sono discesi verso la cripta. La chiesa e tutte le sue dipendenze sono ben fortificate con alte mura, torri salde e bastioni contro gli attacchi dei pagani; tutt’intorno hanno numerose cisterne. Uscendo dalla cripta, sulla sinistra, c’è una piccola cappella che sta proprio sulla scalinata. In quella chiesa i Siriani hanno un proprio altare. Sul soffitto che sta al di sopra dei gradini per cui si scende alla cripta è rappresentato il trapasso di Nostra Signora: il suo amato Figlio, il Signore Nostro Gesù Cristo, accompagnato dalla moltitudine degli angeli accoglie la sua anima e la porta al cielo, mentre gli apostoli assistono commossi e offrono il loro devoto servizio. E quando un Giudeo volle togliere il velo che copriva il suo santissimo corpo posto nella bara, un angelo gli amputò con la spada entrambe le mani, che caddero a terra lasciandogli dei moncherini inertic. Si racconta infatti che, dopo il trapasso di Nostra Signora sul Monte Sion (come si è detto più so-

Dalla liturgia per la festa dell’Assunzione di Maria: CAO, III, p. 60, no 1503. Dalla liturgia per la festa dell’Assunzione di Maria: CAO, III, p. 214, no 2762. Nel testo di Giovanni (par. 20) l’iscrizione usa la terza persona singolare (“è stata innalzata”). c  Cfr. Daniil, Itinerario, p. 98. a 

b 

232

Trattato sui luoghi santi, 23-24

pra)a, i santi apostoli misero con riverenza nella bara il suo santissimo corpo, per seppellirlo nella valle di Giosafat, e lo portarono lungo la via che si dirige fuori dalle mura della città verso sud. Alcuni Giudei, in cui non si era ancora placata la fiamma dell’odio e dell’invidia che a lungo avevano nutrito contro di lei e contro suo Figlio, accorsero per profanare in qualche modo il suo corpo; uno di loro, più audace e più miserabile degli altri, avvicinatosi alla bara del santo corpo tentò di togliere con empio coraggio il velo che lo copriva. Ma i meriti della Santa Vergine e la vendetta divina punirono severamente la sua temerarietà: infatti le mani e le braccia gli si disseccarono ed egli ispirò agli altri una rapida fuga, non priva di raccapriccio. [24] Avanzando da lì verso sud, in direzione del Monte degli Ulivi, si incontra una chiesa non piccola, chiamata Getsèmani, dove il Salvatore, venendo dal giardino con i suoi discepoli, entrò e disse loro: Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare (Mt 26, 36). Entrando in essa si troverà subito un altare venerabile, e scendendo a sinistra in una grotta sotterranea si vedranno segnalati quattro luoghi, in ognuno dei quali si sdraiarono e si addormentarono tre apostoli. Verso sinistra, in un angolo di questa stessa cripta, c’è anche un grande masso, su cui Cristo fece sei buchi imprimendo le dita. Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso (Lc 22, 41): infatti Egli pregò per tre volte poco più in alto, verso il Monte degli Ulivi in direzione sud, nel luogo in cui viene ora edificata una nuova chiesa. Il punto in cui fece la prima preghiera è nell’abside sinistra, il secondo in mezzo al coro, il terzo nell’abside destra. Tra il Getsèmani e i luoghi in cui Cristo pregò, a mezza via sul fianco del Monte degli Ulivi, dove le folle vennero incontro al Signore con rami di palma, è stata realizzata una piattaforma di pietre, dove il patriarca benedice le palme nel giorno delle Palme31. In questi luoghi, mentre Gesù sentiva paura e angosciab, vennero Giuda e le guardie dei Giudei con lanterne, fiaccole e armi, lo presero, lo legarono e lo condussero al palazzo del sommo sacerdote Caifa; dopo averlo deriso per tutta la notte, il mattino seguente lo presentarono in giudizio a Pilato. a  b 

Cfr. l’inizio del par. 22. Cfr. Mc 14, 33: e cominciò a sentire paura e angoscia.

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S17; G14

Teodorico

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G15

S10

[25] Egli, dopo averlo interrogato a lungo, lo fece condurre al luogo del giudizio e sedette in tribunale nel luogo chiamato Litostroto, che si trova di fronte alla chiesa di Santa Maria sul Monte Sion, in alto, verso le mura della città. Qui vi è una cappella veneranda in onore del Signore Nostro Gesù Cristo, dove si conserva gran parte della colonna legato alla quale il Signore fu fatto flagellare da Pilato, dopo essere stato da lui condannato alla crocifissione: lì, a sua imitazione, i pellegrini hanno l’abitudine di flagellarsi. Proprio davanti alla chiesa, invece, su una pietra scolpita a forma di croce, è incisa questa frase: Questo luogo si chiama Litostroto e qui il Signore fu giudicato.

S19; G15

S21; G15

G16

S16; G23

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Da qui verso est, a destra dall’altra parte della via, si scende per cinquanta gradini alla chiesa chiamata “Galilea”, dove si conservano due anelli della catena con cui era stato legato san Pietro. A sinistra dell’altare si scende ancora per una sessantina di gradini in una grotta sotterranea molto buia, in un angolo della quale Pietro fuggì a nascondersi dopo aver rinnegato il Signore. Lì si trova anche un dipinto che lo raffigura seduto, con la testa china fra le mani, che piange per le sofferenze del suo buon Maestro e per averlo rinnegato, mentre una serva incombe su di lui minacciosa e il gallo sta davanti ai suoi piedi e canta. Questa chiesa è gestita dagli Armeni. Da qui il Signore fu condotto lungo le mura della città fino al Calvario (dove allora c’erano dei giardini e oggi degli edifici) e lì fu crocifisso: infatti, come dice l’apostolo, il Signore subì la passione fuori dalla porta della città (Eb 13, 12). Abbiamo esposto come potevamo ciò che abbiamo appreso dal vivo su Cristo e i suoi luoghi; ora riferiremo alcune cose risapute sui suoi amici e su altri luoghi, dopodiché racconteremo alcune cose viste da noi, alcune riferiteci da altri. [26] Sulla via che conduce alla porta orientale vicina alla Porta Aurea, accanto alla casa, o palazzo, di Pilato (che, come abbiamo detto sopra, si affaccia su questa stessa via), si trova la chiesa di Sant’Anna, madre di Nostra Signora santa Maria, al cui sepolcro, situato in una grotta sotterranea, si accede scendendo una ventina di gradini; in questa chiesa alcune monache servono Dio sotto la

234

Trattato sui luoghi santi, 25-27

guida di una badessa32. Chi procede a nord di essa troverà in una valle profonda, presso un colle sassoso su cui si erge un’antica costruzione, la piscina Probatica, che, com’è scritto nel Vangeloa, ha cinque portici, nell’ultimo dei quali è costruito un altare33. Chiunque costeggi le mura della città cominciando il percorso dalla Torre di Davide, troverà all’angolo occidentale una chiesa e delle abitazioni per lebbrosi ornate e in bell’ordine34. Oltrepassando invece la grande cisterna degli Ospitalieri, prima di arrivare alla porta settentrionale ti troverai davanti, su un colle, la chiesa di Santo Stefano Protomartire, il quale, buttato fuori da quella porta e lapidato dai Giudei, proprio lì vide i cieli aperti. In mezzo alla chiesa c’è un luogo sopraelevato di qualche gradino, circondato da una cancellata di ferro, al cui centro si trova un altare venerabile e cavo, nel luogo in cui egli fu lapidato e i cieli si aprirono sopra di lui35. Questa chiesa dipende dall’abate di Santa Maria Latina. Proprio vicino alla porta, invece, c’è un ospedale benemerito, che in greco si chiama xenodochium36. Se vai un po’ oltre lungo la stessa strada, prendendo una via a sinistra verso est, troverai una chiesa di proprietà degli Armeni, nella quale riposa un santo di nome Caritone, le cui ossa sono coperte di carne come se fosse vivo37. [27] Poi, quando erano vicini il giorno e l’ora della sua Ascensione, una volta salito sul Monte degli Ulivi il Signore, in piedi su una grande pietra, ascese ai cieli al cospetto degli apostoli, dopo essersi benevolmente degnato di benedirli. Il Monte degli Ulivi, come si è detto sopra, è più alto di tutti i monti circostanti la città e produce abbondanti raccolti di ogni tipo di frutto. Sulla sua cima si trova una chiesa molto venerata, intitolata al Salvatore stesso: e in effetti da quelle parti non è abitudine assegnare altra consacrazione ai luoghi resi gloriosi dalla presenza del Signore. Venti alti gradini salgono oltre l’altezza naturale del monte fino a questa chiesa. Proprio al centro di essa si erge una costruzione rotonda, meravigliosamente adornata di marmo bianco e di un ciborio e molto alta, al cui centro si trova un altare venerando: sotto di esso si vede la pietra su cui si dice che il Signore stette quando salì ai cieli. In questa chiesa sono dei canonici a celebrare gli uffici divini; a 

Gv 5, 2.

235

S21; G11

G23

S18; G20

174

Teodorico

S18

s23

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G2 S24

ed essa è ben protetta contro gli infedeli da torri grandi e piccole, mura, fortificazioni e guardie notturne38. Chi uscendo da questa chiesa va verso ovest incontra una chiesetta buia in una grotta sotterranea: una volta che vi si è scesi per venticinque gradini si vede in un grande sarcofago il corpo di santa Pelagia, che proprio qui terminò la sua vita nel servizio divino come reclusa39. Sempre a ovest, lungo la strada che va a Betania, sul fianco del Monte degli Ulivi c’è una chiesa molto onorata, nel luogo in cui il Salvatore si trovava quando fu interrogato dai discepoli su come dovessero pregare ed Egli lo insegnò loro dicendo: Padre Nostro, che sei nei cieli (Mt 6, 9). Lo scrisse per loro di sua propria mano, e proprio sotto l’altare è scritto per intero, in maniera tale che i pellegrini possano baciarlo. Dal centro di questa chiesa si scende poi per circa trenta gradini ad una cripta sotterranea, dove si dice che spesso il Signore stesse ad insegnare ai suoi discepoli40. [28] Posta dunque per prima Gerusalemme in questa esposizione come la testa nel corpo, è giusto aggiungere all’opera gli altri luoghi, quasi fossero le altre membra. Segue dunque Betania, anch’essa protetta tanto dalla conformazione del luogo quanto dalla resistenza delle mura; qui si trova una venerabile chiesa doppia, l’una resa gloriosa dal corpo di san Lazzaro, che il Signore resuscitò dai morti a quattro giorni dalla sepoltura e che resse la Chiesa di Gerusalemme per quindici anni, l’altra dalle reliquie delle sue sorelle Maria e Marta41. Lì serve Dio una comunità di monache retta da una badessaa; qui spesso fu ospite il Signore e Salvatore Nostro. Su un monte oltre Betania verso est, a quattro miglia da Gerusalemme, si trova, con la sua cappella, la Cisterna Rossa, in cui si racconta che Giuseppe fu gettato dai suoi fratelli; qui i Templari hanno costruito un solido castello42. Tre miglia più oltre si trova il Giardino di Abramo43, in una bella pianura nei pressi del Giordano, cioè a un miglio da esso; la sua grandezza è doppia rispetto a un campo in essa incluso, ampio e circondato da un ameno corso d’acqua. Il campo si estende in larghezza fino al Giordano Teodorico menziona al par. 11 la tomba di una delle badesse di San Lazzaro, Ivetta, figlia di re Baldovino II. a 

236

Trattato sui luoghi santi, 27-29

e in lunghezza fino al Mar Morto; i suoi terreni appena dissodati sono adatti alla produzione di qualsiasi frutto e ricchi di legna abbondante, ma fitta di spine come rovi. Abbiamo trovato invece il Giardino pieno di frutti innumerevoli, ma di pochi tipi, mentre vi abbiamo visto dell’orzo maturo il lunedì dopo le Palmea. Qui possiede molte torri e grandi abitazioni la prepotenza dei Templari, che hanno l’abitudine (così come gli Ospitalieri) di scortare i pellegrini diretti verso il Giordano e di provvedere a che essi non vengano attaccati dai Saraceni all’andata, al ritorno o durante il loro pernottamento lì. [29] Il Giordano dista un miglio da qui; il suo corso rapido e pieno di anse costeggia i monti dell’Arabia e si getta nel Mar Morto per non riemergerne più. Dalla Cisterna Rossa fino alla valle appena nominata si estende un deserto spaventoso, dove il Signore Gesù fu condotto per essere tentato dal diavolo. Alla fine di questo deserto, infatti, si trova un monte terribile, altissimo e pressoché inaccessibile per la sua singolare parete a picco, che come si innalza verso l’alto in una cima enorme, così precipita in basso in una valle profonda e buia. La gente lo chiama “Quarantena”44, noi possiamo chiamarlo “Quadragesimale”, per il fatto che il Signore vi rimase digiunando per quaranta giorni e altrettante nottib. La strada per il luogo in cui il Signore risiedette, a metà del fianco del monte, non è dritta, ma tortuosa e piena di curve, ed essendo qua e là scivolosa costringe talvolta chi sale ad avanzare carponi. In cima ad essa c’è una porta e, quando vi sarai entrato e sarai avanzato un po’, troverai una cappella costruita in una grotta e consacrata a Nostra Signora. Di qui, procedendo faticosamente verso l’alto lungo la via, che sale senza gradini e attraversa una spaccatura del monte ampia e irta di rocce, passerai per un’altra porta, e dopo un tornante e una nuova salita arriverai ad una terza porta: entratovi, vedrai un piccolo altare eretto in onore della Santa Croce; a destra di questa piccola costruzione si mostra il sepolcro di un santo di nome Pellegrino, di cui è esposta una mano ancora coperta di carne. Salendo ancora per circa sedici gradini a  b 

Probabilmente il 14 aprile 1169 (cfr. supra, par. 4). Cfr. Mt 4, 1-2 e Lc 4, 1-2.

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S24; G6

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Teodorico

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G6

fino in cima alla costruzione, troverai a est un altare venerabile e a ovest di esso il sacro luogo in cui stette Nostro Signore Gesù Cristo: qui (come si è detto) Egli digiunò per quaranta giorni e altrettante notti, e terminato il digiuno gli angeli lo servirono. Questo luogo si trova proprio a metà del monte, poiché la sua cima si eleva verso l’alto tanto quanto le sue pendici si estendono verso il basso. Sulla sua vetta si vede una roccia enorme, sulla quale si dice che il diavolo stesse seduto a tentarloa. Da questo monte la vista si estende molto lontano oltre il Giordano fino all’Arabia, e si vedono perfino, oltre il Mar Morto, i confini dell’Egitto. Le mura e i sotterranei della Quarantena, invece, sono pieni di molte provviste e armi dei Templari: in effetti essi non potrebbero avere una fortezza più sicura e più fastidiosa per gli infedeli. Dove inizia la salita e termina la discesa di questo monte, cioè ai suoi piedi, sgorga una grande sorgente, che irriga il Giardino di Abramo e tutta la pianura circostante. Come abbiamo detto, i pellegrini sono soliti pernottare qui, nella pianura bagnata da questo corso d’acqua, per andare a pregare alla Quarantena e per purificarsi nelle acque del Giordano. Essi sono protetti dalle minacce dei pagani su tre lati del Giardino45, sul quarto sono custoditi dai presidî degli Ospitalieri e dei Templari. [30] Quando anche noi andammo umilmente in quel luogo per pregare, desiderando purificarci insieme agli altri nelle acque del Giordano, mentre scendevamo dopo il tramonto, quando ormai cominciava a fare buio, e guardavamo dall’alto la pianura ai nostri piedi, vi vedemmo – secondo un calcolo approssimativo – più di sessantamila persone, quasi tutte con una candela in mano. Dai monti dell’Arabia gli infedeli che vivono oltre il Giordano potevano senz’altro vederle tutte, anche se a Gerusalemme si trovava un numero ancora più grande di pellegrini, arrivati di recente. Proprio nel luogo dove Nostro Signore fu battezzato da Giovannib si trova una grande pietra, sulla quale si dice che il Salvatore stette mentre veniva battezzato e che le acque del Giordano salirono da Lui, non che Egli vi entrò. Sulla sponda del Giordano, a  b 

Cfr. Mt 4, 1-11 e Lc 4, 1-13. Mt 3, 13-17; Mc 1, 9-11; Lc 3, 21-22.

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Trattato sui luoghi santi, 29-31

invece, si trova una chiesa: i sei monaci che vi abitavano furono decapitati da Zangi, il padre di Norandino; lì c’è anche una roccaforte dei Templari46. Tornando direttamente dal Giordano verso Gerusalemme, ancora nella pianura campestre e prima di addentrarsi fra le montagne, si incontra Gerico, attraversata da un fiume proveniente dagli stessi monti e oggi ridotta a una piccola cittadina. Tuttavia, essa si trova su un terreno fertile, dove tutti i frutti sono soliti maturare prima; vi nascono moltissime rose, che si infittiscono di foglie abbondanti – e perciò è adeguato il confronto con Nostra Signora: e come le piante di rose in Gerico (Sir 24, 14) – ed essa eccelle anche per i suoi grappoli d’uva grandissimi e precoci. Questo luogo dipende dalla chiesa di San Lazzaro di Betania, ma la terra è lasciata incolta a causa delle incursioni dei Saraceni. A destra di questa via, verso nord, si vedono chiaramente i Monti di Gelboe, situati a ridosso della pianura già nominata. [31] Tra l’Egitto e l’Arabia si trova il deserto attraverso cui un tempo il Signore condusse i figli di Israele dopo che furono usciti dal Mar Rosso; là, come si leggea, li nutrì di pane celeste e là fece scaturire per loro acqua da una pietra. Invece, il deserto nel quale i figli di Israele trovarono dodici sorgenti d’acqua e settanta palme si trova nel territorio dell’Arabia, e si chiama Elìmb. In Arabia c’è anche una valle che si chiama “di Mosè” per il fatto che lì egli fece sgorgare acqua da una pietra per il popolo, percuotendo la roccia con il bastone due voltec: da questa sorgente è ora irrigata tutta la regione. Nella stessa provincia si trova il Monte Sinai, su cui Mosè digiunò per quaranta giorni e altrettante nottid, e sempre lì ricevette la Legge scritta dalle dita di Dio su tavole di pietrae. Il Monte Or, dove è sepolto Aronnef, è situato in Arabia, e ugualmente il Monte Abarìm, sul quale il Signore seppellì Mosè, la cui tomba

Es 16, 4-17, 7. Es 15, 27; Nm 33, 9. c  Nm 20, 11. d  Es 24, 18 e 34, 28. e  Es 31, 18; Dt 9, 10. f  Cfr. Nm 20, 25-29 e Nm 33, 38. a 

b 

239

178

S25; G8

Teodorico

179

G3

tuttavia non è visibilea. Ancora, è in Arabia il monte che si chiama “Regale”, che Baldovino, re di Gerusalemme, sottomise al dominio dei cristiani dopo averlo conquistato in battagliab. Questi sono i territori e le province per cui i figli di Israele, usciti dall’Egitto e attraversato il Mar Rosso, entrarono nella Terra Promessa, dopo aver ucciso Sicon re degli Amorrei e Og re di Basanc (province che si trovano tra l’Idumea e l’Arabia) e dopo aver superato il Giordano. Essi lo oltrepassarono proprio nel luogo in cui Cristo fu battezzato, e dopo aver preso Gerico, che si trova in pianura, ottennero, come si è detto, la Terra Promessa. L’Arabia, invece, al tempo del passaggio dei figli di Israele era deserta, tanto che allora non aveva nemmeno il nome di provincia. [32] Chiunque, uscendo dalla porta occidentale della città accanto alla Torre di Davide e piegando verso sud, attraverserà nei pressi della nuova cisterna la valle di Innòm, che cinge due lati della città, arriverà dopo più di mezzo miglio ad una cappella molto venerata, intitolata a Nostra Signora santa Maria, nel luogo in cui ella aveva l’abitudine di riposarsi quando andava da Betlemme a Gerusalemme. Davanti alla sua porta si trova una cisterna, a cui i passanti sono soliti ristorarsi47. Da lì inizia un campo in cui si trovano moltissimi cumuli di pietre, che i pellegrini ingenui sono contenti di avervi ammucchiato perché credono che nel Giorno del Giudizio siederanno su queste “sedie”d. Lì vicino si trova anche il luogo che si chiama Chabratha48, dove Rachele, moglie di Giacobbe, morì dopo aver partorito Beniamino; dopo averla sepolta proprio lì, Giacobbe raccolse dodici pietre sulla sua tombae, nel luogo in cui si trova anche un monumento funebre a lei dedicato.

a  Dt 32, 48-49 e 34, 5-6 (dove si trova già l’osservazione sull’irreperibilità della tomba di Mosè: nessuno fino ad oggi ha saputo dove sia la sua tomba). b  Nel 1115; il Baldovino menzionato è re Baldovino I († 1118). c  Dt 3, 1-7 e 29, 6-7; cfr. anche Nm 21, 21-35. d  La stessa osservazione è riportata, circa una generazione prima di Teodorico, da Ottone di Frisinga (Otto Fris., chron. 8, 18) a proposito della valle di Giosafat, che secondo la tradizione sarebbe destinata ad essere luogo del Giudizio Universale (cfr. Giovanni, par. 11). e  Gen 35, 16-20.

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Trattato sui luoghi santi, 31-33

[33] Viene poi la gloriosa città di Dio Betlemme, nella quale, secondo i vaticinî dei profetia, il nostro amatissimo Signore Gesù Cristo nacque come uomo. In essa si trova una chiesa venerabile, risplendente dell’onore di una sede episcopale; l’altare maggiore è intitolato a Nostra Signora santa Maria49. Alla fine dell’abside di destra presso il coro, invece, si scende per venticinque gradini in una cripta sotterranea, dove si trova un altare venerando e cavo, con incisa una croce sottile che arriva fino a terra, costituito da una grande tavola di marmo sorretta da quattro colonnette. Apposti in questo luogo si leggono i due versi seguenti: Luce dell’angelica virtù e suo culmine, qui veramente Dio è nato dalla Vergine Madre.

Nella stessa cripta, ma a destra (cioè verso ovest), si scende di quattro gradini e si arriva a quella mangiatoia in cui non ci fu soltanto il fieno degli animali, ma in cui si trovò anche il cibo degli angeli. La mangiatoia è ricoperta all’esterno di marmo bianco; nella parte superiore ha tre fori rotondi, attraverso i quali i pellegrini le danno i baci tanto agognati. La cripta, per parte sua, è meravigliosamente decorata a mosaico. Al di sopra di essa, invece, si trova una cappella veneranda a doppia volta, dove si possono vedere a sud un altare molto onorato e verso ovest il sepolcro di Giuseppe di Arimatea, collocato in una parete. Non lontano dalla mangiatoia di Cristo Signore c’è invece il sepolcro di san Girolamo, il cui corpo, si dice, fu fatto traslare da lì a Costantinopoli da Teodosio IIb. Sopra alla chiesa brilla, infissa su un’asta, una stella di rame interamente ricoperta d’oro, a simboleggiare i tre Magi che – come si legge nel Vangeloc – arrivarono lì guidati dalla stella e, quando l’ebbero trovato insieme a sua madre Maria, adorarono il bambino Gesù. A un miglio da Betlemme l’angelo apparve ai pastori e la luce di Dio li avvolse; radunatasi nello stesso luogo, la moltitudine delle schiere celesti cantò Gloria a Dio nell’alto dei cielid. a  Cfr. Mi 5, 1 (E tu, Betlemme di Efrata, […] da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele), ripreso in Mt 2, 6. b  Imperatore romano d’Oriente tra 408 e 450. c  Mt 2, 1-12. d  Lc 2, 8-14.

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S22; G3

G26

180

Teodorico

S26; G7

181

[34] A sud di questo luogo, nei pressi del Mar Morto, c’è la valle di Ebron50, dove si dice che Adamo, una volta scacciato dal Paradiso, abitò e fu sepolto. Essa fu nella tribù di Giuda la città dei sacerdoti e dei fuggitivi, anticamente metropoli dei Filistei e dimora di giganti; un tempo era chiamata “Cariatharbe”, cioè “città dei quattro”, perché lì furono sepolti in una doppia grotta i quattro venerabili padri, ovvero Adamo prima creatura, i tre patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, e le loro quattro mogli Eva, Sara, Rebecca e Lia; prima la città si chiamava Arbe. Nel suo territorio, o meglio nella sua parte più lontana, c’era una grotta doppia di fronte a Mamre, che Abramo acquistò da Efron, figlio di Socar l’Ittitaa. Nei campi vicini a questa città, invece, si trova un terriccio rosso, che viene scavato e mangiato dagli abitanti ed esportato attraverso l’Egitto; si tramanda che Adamo fu plasmato da questa terra. Si dice che tale terriccio, quanto viene scavato in larghezza e profondità, di tanto si ricostituisca l’anno seguente per intervento divino. Nei pressi della stessa città è situato il Monte Mamre, ai cui piedi si trova una quercia, che oggi chiamano “dirps”, sotto la quale Abramo vide i tre angeli, ne adorò uno e li accolse come ospitib. Secondo Girolamo questa quercia sopravvisse fino all’epoca dell’imperatore Teodosioc; dal suo tronco o dalle sue radici ne crebbe un’altra, ancora oggi in vita (sebbene sia in parte seccata), che ha proprietà mediche tali che, finché uno cavalcando ne porta in mano una qualche parte, il suo cavallo non collassa. Ebron fu il primo luogo in cui arrivarono Caleb, Giosuè e i loro dieci compagni, che Mosè aveva inviato da Kades-Barnea ad esplorare la Terra Promessad. In questa città ebbe poi inizio

Gen 23, 7-20. Gen 18, 1-8. In questo episodio appaiono in effetti tre persone ad Abramo, ma egli si rivolge loro con appellativi al singolare: questo offriva naturalmente spunto a discussioni sulla Trinità, com’è ad esempio quella di Agostino nel Contra Maximinum (Aug., c. Maximin. 2, 26, 5 e 7, p. 668-671 e 675-677). Il nome “dirps” non è altro che una storpiatura del greco δρύς (drys), “quercia” (cfr. Hier., sit. et nom., p. 77). c  Cfr. Hier., sit. et nom., p. 7 e 77, dove si parla però dei “tempi dell’imperatore Costanzo” (presumibilmente Costanzo II, imperatore dal 337 al 361); è invece in Fretello (par. 9) che si menziona Teodosio (imperatore tra 379 e 395). d  Cfr. Nm 13, 1-24. a 

b 

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Trattato sui luoghi santi, 34-35

il regno di Davide, visto che egli per ordine divino vi regnò per sette annia. [35] A due miglia da Ebron c’era il sepolcro di Lot, nipote di Abramo. Dieci miglia a est di Ebron si trova il Lago di Asfaltide, detto anche Mar Morto perché non ospita nessuna forma di vita, o Mare del Diavolo poiché, perseverando per sua istigazione nella loro empietà, quelle quattro città, Sodoma, Gomorra, Seboìm e Adma, furono incenerite da un fuoco di zolfo sceso dal cielo e sommerse da questo lago, esondato ad occupare il loro territoriob. Il colore tetro dell’acqua di questa palude fa inorridire e il suo fetore fa allontanare chi si avvicina. Ogni anno, alla ricorrenza della distruzione delle quattro città, si vedono galleggiare su questo lago pietre, legni e materiali di altro tipo, a simboleggiare la loro dannazione. Nei pressi dello stesso lago c’è la città di Soar, detta anche Bela e Cara, che, salvata dalla distruzione grazie alle preghiere di Lotc, esiste ancora oggi. Uscendo da essa la moglie di Lot, guardatasi alle spalle, fu trasformata in una statua di saled, ancora esistente e con il volto rivolto verso la schiena; essa, come costantemente rimpicciolisce con la luna calante, così sempre ricresce quando quella è crescente. Il lago produce anche un bitume che si chiama “giudaico”, utile a molti stregoni; sulle sue rive si trova inoltre dell’allume, che i Saraceni chiamano “catrannium”. Inoltre, nei pressi di questo lago, sul declivio dell’Arabia, si trova la città di Karnàin sul Monte dei Moabiti, in cima al quale Balak figlio di Beor, re dei Moabiti, collocò l’indovino Balaam per maledire i figli di Israelee; a causa 2Sam 2, 11 e 5, 5. Giovanni (par. 7) è più preciso nel riferire il periodo di regno di Davide a Ebron, parlando, come la fonte biblica indicata, di sette anni e mezzo. b  Cfr. Gen 19, 24-25 (dove si riferisce di Sodoma e Gomorra distrutte da zolfo e fuoco, senza alcun riferimento all’acqua) e Dt 29, 22 (dove insieme alle prime due città compaiono anche Seboìm e Adma). c  Gen 19, 18-22. L’identità di Soar, Bela e Cara (Zara in Giovanni di Würzburg, Zoara in Girolamo) è affermata da Hier., sit. et nom., p. 153 (cfr. anche Gen 14, 8). La grafia Cara nel testo di Teodorico potrebbe forse essere dovuta ad un’influenza della lingua madre tedesca dell’autore, che l’avrebbe portato a rendere il suono iniziale z- con una c (come fa anche Giovanni, con un’altra parola, al par. 5). d  Gen 19, 26. e  Le vicende di Balak e Balaam sono narrate in Nm 22-24. Contrariamente a quanto dice qui Teodorico (e già Giovanni, par. 8), era Balaam ad essere figlio di Beor, mentre Balak era figlio di Sippor (cfr. Nm 22, 2 e 5). a 

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G7 G8

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Teodorico

183 G11

di una terribile spaccatura questo monte si chiama “Spezzato”. Lo stesso lago separa la Giudea e l’Arabia. [36] Dieci miglia a norda di Ebron, sul Mar Grande, si trova Gaza, che ora si chiama Gazara; qui Sansone compì molte imprese, e una notte portò perfino via le sue porteb. A otto miglia da Gaza, sul Mar Grande, c’è la città ben fortificata di Ascalona. Queste città fecero parte della Palestina, cioè la terra dei Filistei. Sempre sulla costa del Mar Grande si trova la città di Ioppe, dove l’apostolo Pietro resuscitò Tabitàc; al giorno d’oggi è chiamata Giaffa. Lì vicino c’è Arimatea, da cui veniva Giuseppe, membro autorevole del sinedrio, che seppellì Cristod. Qui, cioè nella terra di Giuda, si trova anche il campo da cui un angelo rapì il profeta Abacuc quando egli aveva spezzettato i pani in un recipiente e andava a portarli nel campo ai mietitori, e lo condusse a Babilonia perché portasse il pasto a Daniele, rinchiuso nella fossa dei leonie. [37] Chi esce dalla città santa verso ovest per la porta attigua alla Torre di Davide, procedendo verso destra raggiunge una cappella nella quale, una volta sceso di quasi cento gradini in una grotta sotterranea molto profonda, troverà moltissimi corpi di pellegrini: si dice che essi siano arrivati là in questo modo51. Un anno, tutti i pellegrini venuti a Gerusalemme per pregare trovarono la città piena di Saraceni, e non potendo perciò entrarvi, né volendo andarsene, li assediarono nella città; ma, non avendo né armi né viveri a sufficienza per compiere un’impresa tanto ardua, cominciarono a penare terribilmente per mancanza del necessario. Mentre si trovavano in questa difficile situazione, i Saraceni, accorgendosi che essi non potevano affrontarli, irruppero su di loro dalla città e li passarono tutti a fil di spada. Poiché però cominciava ad emanare fetore da un così grande numero di cadaveri, decisero di bruciare tutto; ma quella notte stessa venne un leone inviato da Dio, che gettò tutti quei corpi in questa grotta dall’imboccatura angusta. Non se ne può trasportare oltre mare nemmeIn realtà verso ovest (cfr. le osservazioni di Huygens in Peregr. tres, p. 24-25). Gdc 16, 1-3. c  At 9, 36-43. d  Mt 27, 57-60; Mc 15, 43-46; Lc 23, 50-53; Gv 19, 38-42. e  Dn 14, 33-39.

a 

b 

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Trattato sui luoghi santi, 35-38

no un pezzetto, altrimenti, se portato a bordo, dicono che la nave torni indietro da sola. [38] Segue, oltre un monte, una valle fertilissima e amena, dove si trova una chiesa maestosa dedicata al Nostro Signore Gesù Cristo e alla sua amata Madre52; qui, in un altare cavo, si adora con venerazione il luogo in cui si ergeva il tronco da cui fu tagliata la croce alla quale il Salvatore fu appeso per la nostra salvezza. Sono i Siriani ad occuparsi di questa chiesa, che è ben protetta contro gli attacchi degli infedeli da torri, mura e bastioni, ed è dotata di stanze, sale, refettorî e abitazioni, adatti ad ogni utilizzo; le loro pareti terminano con un alto tetto. Si dice che il re Salomone tagliò questo albero e, dopo avervi apposto l’immagine di una croce, lo collocò in un luogo degno fino alla venuta del Salvatore, certo prevedendo nel suo spirito che la salvezza sarebbe giunta al mondo grazie alla morte di Cristo. Da qui si passa a San Giovanni, ovvero al luogo che si chiama “Boscoso”, dove abitarono suo padre Zaccaria e sua madre Elisabetta e dove lo stesso san Giovanni nacque53, e anche dove santa Maria, dopo aver ricevuto l’annuncio dell’angelo a Nazaret, si recò a salutare santa Elisabettaa. Vicini a questo luogo sono i Monti di Modin, sui quali si stabilì Mattatìa con i suoi figli quando Antioco sottometteva la città e i figli di Israeleb; queste montagne sono chiamate oggi Belmont. Nei pressi di questi monti si trova il villaggio fortificato di Emmaus (che oggi chiamano Fontenoid), dove il Signore apparve a due discepoli il giorno stesso della sua Resurrezione54. Lì accanto si ergono le montagne di Efraim, chiamate Sophim, e subito dopo la grande città di Ramatàim, che oggi si chiama Rames, da cui venivano Elkanà, padre del profeta Samuele, e Anna, sua madrec55. Vicino a Sophim c’è Bet-Oron, che ora chiamano Beter. A destra di questa zona, cioè a ovest, a due miglia dalla città santa si sale al Monte Silo, da cui arrivano alle valli sottostanti corsi d’acqua dolce. Qui rimase l’Arca dell’Alleanza del Signore Lc 1, 39-45. Cfr. 1Mac 2, 1. c  1Sam 1, 1-20. a 

b 

245

S21

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G11

G17

G2

Teodorico

185

G11

G6

dall’ingresso dei figli di Israele nella Terra Promessa fino al tempo del sacerdote Eli, quando, a causa dei peccati degli Ebrei, l’Arca fu rubata dai Filistei e da loro trattenuta finché, colpiti dalla sferza celeste, a sette mesi dal furto essi furono costretti a riportarla caricata su un carro fino a Bet-Semes. Qui, poiché l’ira di Dio infuriava atrocemente sia sui sacerdoti sia sul popolo per il fatto che l’Arca era trattenuta, gli abitanti di Kiriat-Iearìm (cioè Gàbaa)a vennero a portarla via da Bet-Semes e la collocarono presso di séb. Più tardi il re Davide e tutto Israele la portarono via da Gàbaa con inni e canti di lode e la collocarono nella città di Davide, cioè sul Monte Sionc. In seguito, quando (come si è detto sopra) egli ebbe costruito il Tempio del Signore sul Monte Moria, dove c’era l’aia di Araunà il Gebuseo, il re Salomone collocò l’Arca nel Tempiod. Sul Silo fu anche sepolto il profeta Samuele, e perciò questo luogo, cambiato il suo nome originario, viene chiamato San Samuele; qui si trova anche una comunità di monaci detti “grigi”56. [39] Nella campagna a sei miglia a ovest del Silo si trova Lidda, dove fu sepolto, secondo la tradizione, san Giorgio martire: ragion per cui questo luogo, cambiato il suo nome precedente, viene oggi chiamato San Giorgio. Da qui le campagne si estendono in una pianura dolce e piacevole, fra le montagne e il mare, lungo la via che porta ad Acri, cioè Tolemaide; qui si vedono molte città e villaggi, sia vecchi che nuovi, fra cui Caphar Gamala, Caphar Semala, un villaggio fortificato chiamato oggi Caco, sito in una zona molto fertile, la città fortificata ora nota come Cesarea di Palestina, un tempo come Torre di Stratone, e le montagne di Haifa, accanto a cui si trova l’omonima cittadina, completamente distrutta, in cui si dice che furono coniati i trenta denari dati dai Giudei in cambio del sangue di Cristo a Giuda il traditore. Sulla cima più a  Il termine, reso nella Vulgata come un toponimo, significa in realtà semplicemente “collina”, e così è tradotto dalla Bibbia CEI in 1Sam 7, 1, il passo che sta dietro a questo inciso: “Gli abitanti di Kiriat-Iearìm vennero a portare via l’arca del Signore e la introdussero nella casa di Abinadàb, sulla collina” (in Gabaa); cfr. anche Dizionario della Bibbia, p. 469 e 351. b  1Sam 4, 10-7, 2. c  2Sam 6, 2-17. d  1Re 8, 1-8; cfr. supra, par. 18.

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Trattato sui luoghi santi, 38-41

alta di queste montagne si trova anche una rocca dei Templari, che permette ai naviganti di riconoscere da lontano la terraferma57. [40] Sulla costa del mare di fronte ad Acri si trova poi, in una zona dal terreno fertile, un grande villaggio fortificato omonimo, che viene detto “Nuova Acri”; accanto ad esso c’è un bosco di palme piuttosto grande, e tre miglia più oltre c’è la città di Tolemaide, grande, ricca e popolosa58. L’accesso al porto di Tolemaide (vale a dire al luogo dove si ancorano le navi) è perlopiù difficile e pericoloso quando, al soffio dell’australe, le sue coste sono battute frequentemente dalle onde, con flutti enormi che si scontrano con violenza: dove infatti la forza del mare non è trattenuta dalla barriera di un monte, le onde arrivano a ribollire sulla terraferma fino a più di un tiro di sasso di distanza. In questa città i Templari si sono costruiti una sede enorme e di fattura ammirevole sulla costa del mare, e alla stessa maniera gli Ospitalieri hanno eretto nella stessa città una sede stupenda. Inoltre, ovunque siano approdate le navi dei pellegrini, è al porto di questa città che tutte si devono recare per riportarli in patria dopo il loro ritorno da Gerusalemme. In effetti, l’anno in cui fummo là, il mercoledì della settimana di Pasquaa abbiamo contato all’ancora nel porto trenta navi, oltre a quella chiamata “buza” di cui noi ci siamo serviti all’andata e al ritorno59. Lungo la via che da Gerusalemme, passando per i luoghi che abbiamo nominato, va a Tolemaide, si scorgono molte città e fortezze abbandonate, distrutte tempo fa da Vespasiano e Tito, ma si vedono anche castelli assai ben fortificati, appartenenti ai Templari e agli Ospitalieri. [41] Due miglia a nord della città santa si trova una chiesetta dove, avvistando per la prima volta la città, i pellegrini, pieni di gioia immensa, sono soliti deporre le loro crocib, e dove pure mettendosi a piedi nudi desiderano cercare umilmente Colui che per loro si degnò di venire là povero e umile. A tre miglia da qui c’è un grande villaggio chiamato oggi Mala Humeria, dove, presso una chiesa dedicata a santa Maria, si trova una grande croce di pietra a  b 

Probabilmente il 23 aprile 1169. Si tratta del Monte della Gioia, cui Teodorico ha già fatto allusione al par. 3.

247

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G5

Teodorico

187 S27; G2

S27; G2

scolpita eretta su un piedistallo di sette gradini, salendo sul quale i pellegrini contemplano non senza grida di commozione la Torre di Davide, che (come si è già detto) è collocata a quattro miglia di distanza sulla rocca del Monte Sion. L’antico nome di questo villaggio mi è sfuggito di mente60. A otto miglia da qui, su un monte molto alto, si trova un altro grande villaggio; una volta scesi da lì per una strada ripida, passando per una pianura vasta e bella e per una zona montuosa, si arriva alla città ben fortificata che anticamente si chiamava Sichem o Sicar, ora invece Neapoli, cioè “città nuova”a. Passando per questa strada abbiamo incontrato un gran numero di Saraceni, che venendo tutti con buoi e asini si sono messi a devastare un campo grande e bello61 e ci hanno spaventati non poco gridando in maniera terribile (cosa per loro non insolita quando iniziano a fare qualcosa). Lì, infatti, vivono molti infedeli, sparsi nelle città, nelle fortezze e anche nei villaggi della stessa provincia, e hanno preso l’abitudine di coltivare la terra al servizio del re di Gerusalemme o dei Templari o degli Ospitalieri. [42] La città di Neapoli si trova in Samaria, è ricca di fonti e corsi d’acqua, piena di vigneti, oliveti e alberi di ogni genere e si distingue per la ricchezza delle sue coltivazioni. Venendo qui il Signore Gesù, affaticato per il viaggio, si sedette presso una fonte e lì parlò con la donna samaritanab. Il pozzo su cui il Signore si sedette è lontano mezzo miglio dalla città ed è collocato davanti all’altare della chiesa che è stata costruita su di esso; qui serve Dio una comunità di monache. Il pozzo si chiama Fonte di Giacobbe e si trova nel terreno che egli aveva dato a Giuseppe suo figlioc. Un tempo i figli di Giacobbe distrussero Neapoli dopo averne ucciso il re Sichem, figlio di Emor l’Ittita, perché aveva violentato la loro sorella Dinad; questa città si trova tra Dan e Betel, e qui GeroboDa identificare con l’odierna Nablus. Gv 4, 5-26. c  Gv 4, 5. d  Gen 34, 1-29. Emor (Camor nella traduzione CEI) era in realtà, come si legge in Gen 34,  2, Eveo (Eveus) e non Ittita (Etheus, o Hettheus nella Vulgata) come scrive qui Teodorico: ma in assenza di altri riscontri, ci pare impossibile decidere se si tratti di un lapsus dell’autore o di un errore di copia. Si noti, in ogni caso, che a 

b 

248

Trattato sui luoghi santi, 41-43

amo re di Israele costruì due vitelli d’oro e li pose uno a Dan e l’altro a Betela. Nei pressi di Sichem ci sono due monti: si dice che su uno, arido e brullo, Caino presentò come offerta a Dio dei prodotti della terra, e sull’altro, eccezionalmente fertile di ogni albero e frutto, Abele similmente presentò come offerta a Dio il grasso delle sue greggi. A Sichem furono riportate dall’Egitto le ossa di Giuseppeb, e accanto ad essa si trova la quercia sotto la quale sua madre Rachele nascose gli idoli che aveva rubato al padre Labanoc. Distante un miglio verso est è Betel, che prima si chiamava Luzd, dove Abramo immolò suo figlio Isaccoe e dove pure Giacobbe, addormentatosi con una pietra sotto il capo, vide la scala che arrivava fino al cielo, gli angeli che salivano e scendevano su di essa e il Signore stesso appoggiato alla scalaf. Lì vicino si vede il Monte Garizìm, esattamente di fronte al Monte Ebal, dai quali Mosè stabilì di benedire o maledire a seconda dei meritig. [43] A sei miglia da lì, su un monte non alto ma massiccio, si trova Samaria, o Sebaste, oggi chiamata San Giovanni, dalla quale prese nome la provincia di Samaria e le cui rovine suggeriscono l’aspetto di una grande città; essa si distingue per la fecondità sia dei campi, sia delle vigne e di ogni frutto. In questo luogo i discepoli di san Giovanni Battista affidarono alla terra il corpo del maestro, dopo che egli era stato decapitato da Erode il Giovane nella fortezza di Macheronte come ricompensa per una danzatrice; si dice che più tardi Giuliano l’Apostata lo fece bruciare. La sua testa, però, fu portata prima ad Alessandria, poi sull’isola di nome Rodi e più tardi fu trasferita a Costantinopoli dall’imperatore Teodosio; anche una parte di un suo braccio vi è conservata con grande venerazione. Egli fu sepolto in una cripta (a cui si accede con trentacinque gradini) tra i profeti Eliseo e Abdia, nella grotta in Teodorico non commette l’errore, già di Fretello (par. 43) e di Giovanni (par. 2), di invertire i ruoli e il rapporto di parentela di Emor e Sichem. a  1Re 12, 25-29. b  Gs 24, 32. c  Gen 31, 19 e 35, 4. d  Gen 28, 19. e  Gen 22, 1-14. f  Gen 28, 10-19. g  Dt 27, 11-13; cfr. anche Dt 11, 29.

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188

S14; G2; G5

G2

G2

Teodorico

189 G1-2

G1

cui quest’ultimo nutrì un tempo settanta profetia, che pure sono sepolti lì. [44] A dieci miglia da qui si trova la cittadina di Geminob, con la quale inizia la Samaria. A cinque miglia da Gemino c’è Izreèl, ora chiamata “Passaggio delle galline”, da cui veniva Nabot, che per la sua vigna fu fatto lapidare dall’empia Gezabele, la quale in seguito Ieu fece calpestare in quello stesso luogo dagli zoccoli dei cavallic. Nei pressi di Izreèl c’è il campo di Meghiddo, dove il re di Giuda Ozia morì sconfitto dal re di Samariad. Si vedono di questa città ancora molte rovine e anche un monumento funebre dedicato a Gezabele. Un miglio a est di Izreèl si vedono i Monti di Gelboe, mentre a due miglia da essa si trova la città un tempo chiamata Bet-Sean, cioè “casa di Dio”, e ora Scitopoli: sulle sue mura, come si legge, i Filistei appesero le teste di Saul e dei suoi figli, dopo averli uccisi in battagliae. Izreèl costituisce il confine della Galilea verso est e ne è la metropoli. Su un alto monte accanto a essa gli Ospitalieri hanno costruito un grandissimo castello ben fortificato, per proteggere la terra al di qua del Giordano dagli attacchi di Norandino, tiranno di Aleppo62. Non lontano da lì, verso ovest, c’è una fortezza dei Templari che si chiama Safad, ben protetta contro le incursioni dei Turchi. Da lì verso il Mar Grande si estende il Monte Ermon, alle cui pendici occidentali i Templari hanno costruito un castello non piccolo e nel suo territorio una grande cisterna, con una carrucola per attingere l’acqua63. [45] Da qui in poi si estendono campi molto piacevoli e fertilissimi, alla cui estremità settentrionale si trova, sul Mar di Galilea, a  All’episodio si fa allusione in 1Re 18, 4, dove però i profeti sono cento, nascosti nella grotta e rifocillati cinquanta alla volta. b  La stessa che Giovanni di Würzburg chiama Genunio o Genuino (par. 2 e 6) e Fretello (par. 41-42) Genuino (cfr. n. 8 a Giovanni). c  1Re 21, 1-16; 2Re 9, 30-37. d  2Re 9, 27-28 (dove il nome del re è però Acazia, e chi lo sconfigge è Ieu re di Israele); cfr. anche Giovanni, par. 1 e 6. e  1Sam 31, 8-10. Il significato di Bet-Sean riferito da Teodorico, diverso da quello che Giovanni (par. 1) riprende da Fretello, è tuttavia ugualmente errato: “casa di Dio” è in realtà la traduzione di Betel (Thiel, Grundlagen, p. 265; cfr. Giovanni, par. 4 e nota ad loc.), mentre Bet-Sean significa “città del nemico” (Thiel, Grund­ lagen, p. 267).

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Trattato sui luoghi santi, 43-45

la città di Tiberiade, dove il Signore sfamò cinquemila uomini con cinque pani e due pescia: perciò quel luogo si chiama “Mensa” e vi si vedono ancora i segni delle ceste. Lì accanto si trova anche il luogo in cui il Signore apparve ai discepoli dopo la Resurrezione e mangiò davanti a loro una porzione di pesce arrostito e un favo di mieleb. È questo il Mare di Galilea su cui il Signore camminò sul finire della notte per andare dai discepoli, e dove, afferrando la mano di Pietro che camminava sulle onde del mare e stava ormai affondando, gli disse: Uomo di poca fede, perché hai dubitato? (Mt 14, 31)c. Sempre qui, un’altra volta, Egli placò il mare quando i discepoli erano in pericolod. Nei pressi dello stesso mare, non lontano da Tiberiade, si trova il monte sul quale Egli salì dopo aver visto la folla e su cui spesso sedeva e parlava ai discepoli e alle follee, e dove anche si degnò di curare un lebbrosof. Ai piedi del Monte Libano, che costituisce il confine settentrionale della Giudea, si trova la città di Paneas, che più tardi ricostruita da Filippo, tetrarca dell’Iturea e della Traconitide, fu chiamata Cesarea di Filippo, in memoria del suo nome e allo stesso tempo in onore di Tiberio Cesare, sotto il quale egli governava. Oggigiorno essa è chiamata Belina; quando gli infedeli la strapparono ai cristiani, nell’anno 1164 dall’incarnazione del Signore Nostro Gesù Cristo, vi collocarono un loro presidio64. Lì nascono insieme i due torrenti Gior e Dan, che dopo essere scorsi separatamente fino ai Monti di Gelboe formano il Giordano. Quest’ultimo, come si è detto soprag, scorre dai Monti di Gelboe fino al Lago di Asfaltide lungo la valle che si chiama Campestre o Grande, dal Libano fino al deserto di Paran, sempre fiancheggiato su entrambi i lati dai monti. Il suo corso separa la Galilea e l’Idumea e la terra di Bosra, che è la seconda metropoli dell’Idumea dopo Damasco.

Mt 14, 15-21; Mc 6, 35-44; Lc 9, 12-17; Gv 6, 5-13. Lc 24, 36-43. c  Mt 14, 24-31; Mc 6, 45-52; Gv 6, 16-21. d  Mt 8, 23-27; Mc 4, 36-40; Lc 8, 22-25. e  Mt 5, 1-7, 29. f  Mt 8, 1-4; Mc 1, 40-45; Lc 5, 12-14. g  Cfr. par. 29. a 

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190

S20; S29; G10

G9

S30; G6; G9

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Teodorico

G9

G10

G2; G10 S29; G10

Il Dan scorre sottoterra dalla sorgente fino alla pianura di nome Medan, dove il suo alveo diventa chiaramente visibile; all’inizio dell’estate si raduna in questa piana una folla innumerevole, che porta con sé ogni genere di mercanzia, e insieme un grande numero di Parti e Arabi per proteggere la folla e le greggi, che restano in quel luogo per tutta l’estatea. Da questa pianura il Dan attraversa Suach, dove la tomba del beato Giobbe, ancora in piedi, è venerata dagli abitanti; poi, scorrendo verso la Galilea delle genti fino alla città di Kedar e oltrepassando la piana di Spineto (dove si trovano delle località di cura), si unisce al Gior. Questo, invece, sbocca da un lago a Paneas e, passato per il Mar di Galilea, prende un nuovo inizio tra Betsaida e Cafarnao65. [46] È questa la Betsaida da cui venivano Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo di Alféo. A quattro miglia da Betsaida c’è Corazìn, dove si crede che dovrà nascere l’Anticristo, per il fatto che il Signore le rimproverò dicendo: Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsaida! (Mt 11, 21; Lc 10, 13). A cinque miglia da Corazìn si trova la stupenda città di Kedar, di cui il profeta dice nel salmo: Abito con gli abitanti di Kedar (Sal 120 (119), 5). Anche Cafarnao, la città del centurione a cui il Signore resuscitò dalla morte un figlio, si trova sulla sponda destra dello stesso mareb. È situata a quattro miglia da Tiberiade la città di Betulia, da cui venne Giuditta, che uccise Olofernec; quattro miglia a sud di Tiberiade c’è Dotàim, dove Giuseppe incontrò i suoi fratellid. Sul lato sinistro del mare, sotto la cavità di un monte, sbocca il Lago di Gennèsaret, che è circondato dai monti da tutte le parti e che si dice generare una brezza esso stesso, non per la spinta di un qualche vento, ma per l’emisInformazioni analoghe sono date da Guill. Tyr., chron. 16, 9, p. 726, r. 13-16. Mt 8, 5-10; Lc 7, 1-10. Nei Vangeli il protagonista dell’episodio è però il servo del centurione, non il figlio; la confusione è forse dovuta all’ambiguità dell’espressione latina puer meus usata dal centurione: letteralmente, infatti, puer significa “ragazzo”, ma è impiegato comunemente nel senso di “servo”. In due punti del passo citato, tuttavia, Luca parla propriamente di seruus, come esplicitato anche dalla Glossa ordinaria a Mt 8, 6. c  Gdt 13, 1-10; 16, 21 e 23. d  Gen 37, 17. Si noti che la Bibbia CEI utilizza qui la variante Dotan per il toponimo che altrove nella stessa traduzione si trova come Dotàim, forma che abbiamo mantenuto anche in questo passo in quanto più vicina al latino. a 

b 

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Trattato sui luoghi santi, 45-47

sione di un proprio soffio. A due miglia da Gennèsaret c’è il villaggio di Magdala, di dov’era Maria Maddalena. Questa provincia si chiama “Galilea delle genti” e fa parte della tribù di Zabulon e di Neftalia; nella parte superiore di questa Galilea si trovano le venti città che il re Salomone diede in dono a Chiram, re di Tiro, come racconta il Libro dei Reb. A due miglia da Magdala si trova Chinneret, chiamata anche Tiberiade, di cui si è parlato soprac. A cinque miglia da Tiberiade verso ovest si erge il Monte Tabor, altissimo, sul quale il Signore Nostro Gesù Cristo si trasfigurò di fronte a tre suoi discepolid. Su di esso è costruita una chiesa maestosa dedicata proprio al Salvatore, dove degli uomini che hanno preso i voti monastici sono al servizio di Dio sotto l’autorità di un abate, e dove si dice anche che fu celebrata per la prima volta la messa. Scendendo da questo monte Melchisedech, sacerdote del Dio altissimo e re di Salem, andò incontro ad Abramo che tornava dalla strage degli Amaleciti, portandogli pane e vinoe66. A due miglia dal Tabor c’è la città di Nain, presso la cui porta il Signore resuscitò dalla morte il figlio della vedovaf. Sopra Nain si trova il Monte Endor, ai cui piedi, sul torrente Cadumin (che è poi il Kison), per consiglio della profetessa Debora Barak, figlio di Abinòam, dopo aver trionfato su Iabin re degli Idumei e sul suo generale Sisara e dopo aver inseguito oltre il Giordano Zeeb, Zebach e Salmunnà (i re degli Ismaeliti, degli Agareni, degli Amaleciti e degli Ammoniti), tornato infine dal loro inseguimento trovò Sisara ucciso da Giaele, moglie di Cheber il Kenita, con un chiodo conficcato nelle tempie fino al suolog. [47] Quattro miglia a ovest del Monte Tabor, sulla via che porta ad Acri, si trova la gloriosissima città di Nazaret; vi è in Cfr. Mt 4, 15, dove si cita Is 8, 23. 1Re 9, 11. c  All’inizio del par. 45. d  Mt 17, 1-8; Mc 9, 2-8; Lc 9, 28-36. e  Gen 14, 18-20. f  Lc 7, 11-15. g  I fatti cui Teodorico allude (cfr.  anche Giovanni, par.  1), apparentemente come ad un unico episodio, sono narrati in Gdc 4, 4-22 e Gdc 8, 4-12 (dove è però Gedeone ad uccidere Zebach e Salmunnà, mentre Zeeb non compare), con l’aggiunta di alcuni elementi ricavati da Sal 83 (82), 10-12. a 

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S28; G1

G1

S27; G1

Teodorico

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S27; G1

G1

G1

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essa una chiesa venerabile, risplendente dell’onore di una sede episcopale e intitolata a Nostra Signora santa Maria67. Nell’abside sinistra di questa chiesa si scende per una quindicina di gradini in una grotta sotterranea, dove verso est, sul fondo di un altare concavo, è incisa una piccola croce, a indicare che proprio lì Nostra Signora ricevette dall’arcangelo Gabriele l’annuncio di Cristo. A sinistra di questo altare, cioè verso nord, riposa sepolto Giuseppe suo sposo, il padre putativo del Salvatore, e sulla sua tomba è costruito un altare. A destra invece, cioè verso sud, si trova un luogo sovrastato da un arco e con incisa una piccola croce lunga fino al suolo, dove la santa Madre di Dio venne alla luce dal grembo di sua madre. Di questa città, poi, tutti raccontano un miracolo grande e stupendo: ogni volta che gli infedeli tentano di attaccarla, essi vengono distolti dal loro tentativo dalla cecità o da qualche altra piaga celeste. Sempre lì, da una testa di leone scolpita nel marmo, sgorga la sorgente a cui Gesù da bambino era solito attingere l’acqua e portarla a sua madre. Così si dice abbia avuto origine questa fonte: una volta che Gesù bambino era andato ad attingere l’acqua ad una cisterna, avendo i suoi coetanei rotto la brocca nel giocare, Egli portò alla madre l’acqua che aveva attinto nella piega della sua tunica, non avendo un altro contenitore per trasportarla. Quando ella si rifiutò di berla poiché le pareva che Egli l’avesse portata in maniera un po’ indecorosa, Gesù quasi arrabbiandosi la buttò dalla tunica a terra, e si dice che lì sia subito scaturita la sorgente che ancora oggi sgorga68. A un miglio da Nazaret verso sud c’è un luogo che si chiama “Precipizio”, perché da lì i Giudei volevano far precipitare Cristo mentre Egli se ne andava passando in mezzo a loroa. [48] A due miglia da Nazaret sulla via che conduce ad Acri si trova la città fortificata di Seffori, di dove fu sant’Anna, la madre della Madre di Cristo. A quattro miglia da Nazaret, due da Seffori, verso est c’è Cana di Galilea, da cui venivano Filippo e

a 

Lc 4, 29-30.

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Trattato sui luoghi santi, 47-49

Natanaelea e dove il Signore tramutò l’acqua in vinob. Poi, a tre miglia da Seffori, sulla via che porta ad Acri, si trova un castello dei Templari molto ben fortificato69, e tre miglia più oltre la stessa città di Acri, o Tolemaide. Questa via, che da Acri porta a Gerusalemme passando per Nazaret, Samaria e Neapoli, si chiama “superiore”, mentre quella che va da Acri a Gerusalemme passando per Cesarea e Lidda è detta “marittima”. [49] L’Arabia confina con l’Idumea nel territorio di Bosra. L’Idumea è una provincia della Siria e la metropoli degli Idumei è Damasco. Questa città fu edificata da Elièzer, servo di Abramo, nel terreno in cui Caino uccise suo fratello Abele, e un tempo vi abitò Esaù, detto anche Seir e Edom, dal quale tutta la regione prende il nome di Idumea. Una parte di essa è chiamata Us, da cui venne il beato Giobbe, e una parte è chiamata Suach, di dov’era Bildad di Suach. Nella stessa provincia si trovano anche le città di Teman e di Naamà, rispettivamente patria di Elifaz di Teman e Sofar di Naamàc. Arpad, Camat e Sefarvàim70 sono città dei Damasceni. Nel territorio dell’Idumea, a due miglia dal Giordano, scorre il torrente Iadach, attraversato il quale, di ritorno dalla Mesopotamia, Giacobbe lottò con l’angelo che cambiò il suo nome da Giacobbe in Israeled. È in Idumea il Monte Seir, sotto il quale si trova Damasco. A due miglia da questa città si trova il luogo in cui Cristo abbattè Saulo e rialzò Paoloe, facendo di un nemico un amico e di un persecutore un maestro della verità. Nonostante quanto sostenuto da Teodorico (e da Giovanni, par. 1) sulla scorta di Fretello (par.  37), soltanto Natanaele (che nei Vangeli sinottici è chiamato Bartolomeo) era in realtà di Cana (Gv 21, 2); Filippo veniva invece da Betsaida (Gv 1, 44), ma, coerentemente con quanto qui affermato, egli non è ricordato al par. 46 fra gli apostoli provenienti da questa cittadina. L’associazione dei due potrebbe dipendere dal fatto che, secondo il racconto di Gv 1, 45-50, fu Filippo a invitare Natanaele a seguire Cristo. b  Gv 2, 1-11. c  Cfr. Gb 1, 1 e 2, 11. d  Gen 32, 23-29. Il nome del fiume in questione non era però Iadach, ma Iabbok (Giacobbe in Giovanni, par. 8). Per quanto possa parere sorprendente un errore su un toponimo che compare in un episodio biblico senz’altro famoso, Huygens preferisce conservare il testo tramandato dai codici, tanto più che forme errate compaiono già in alcuni testimoni di Fretello (Peregr. tres, p. 24). e  At 9, 3-6. a 

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S29; G1

G8

Teodorico

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S5; G9 G8

G8

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Alle pendici del Monte Libano nascono il Parpar e l’Abanà, i fiumi di Damasco, uno dei quali, l’Abanà, sfocia nel Mar Grande dopo aver attraversato la pianura di Arcados; in quel territorio sant’Eustachio si ritirò dopo essere stato privato della moglie e rimasto senza figli. Il Parpar attraversa la Siria verso Antiochia e, dopo aver lambito le mura della città, sfocia nel Mar Mediterraneo a dieci miglia da essa, nel porto di Solim, che è chiamato porto di San Simeone. In questa città, che è ora sede di un patriarcato, san Pietro ricoprì per primo la carica di vescovo. [50] Il Libano separa la Fenicia e l’Idumea. Metropoli della provincia fenicia è la città di Tiro, i cui abitanti, a quanto dicono i Siriani, avrebbero voluto accogliere Cristo che passava sulla costa, ma Egli disse di non essere stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israelea. Queste sono dunque le grandi città marittime circondate da mura che si trovano nelle province di Siria, Palestina e Giudea e che sono sotto il controllo dei cristiani. Mamistra, Antiochia e Tripoli, oggi chiamata Tursolt, nonché la città di Gibelet, con al suo interno un castello ben fortificato, fanno parte della provincia di Celesiria. Viene poi a ovestb, sulla costa del mare, Berito, che oggi è detta Beirut, una città ricca e solida, grande e popolosa, in cui una volta dei Giudei nemici della Croce di Cristo, pensando di arrecargli un’offesa, crocifissero una sua immagine. Dopo che le ebbero rivolto tutte le ingiurie che sapevano i loro padri avevano fatto a Cristo in croce, trafissero anche con una lancia il fianco di quell’immagine; e quando ne uscirono, come dal fianco di Cristo sulla croce, sangue e acqua, essi, aggiungendo peccato a peccato, li raccolsero in un recipiente e si accinsero a mettere alla prova Dio. Ma Dio onnipotente sfruttò il loro male a fin di bene. Quando infatti, per poterlo deridere ancora di più nel caso in cui la divina potenza non avesse avuto effetto, ebbero cosparso le membra degli ammalati con quel sangue, accorgendosi che coloro che erano toccati dal liquido santo subito recuperavano la salute, essi Cfr. Mt 15, 24. In realtà a sud: si tratta probabilmente di una svista di Teodorico (cfr. Peregr. tres, p. 24). a 

b 

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Trattato sui luoghi santi, 49-51

si sottomisero alla fede cristiana. Quest’immagine è tuttora conservata con venerazione nella chiesa di questa città, resa illustre da una cattedra episcopale. [51] A sedici miglia da Berito si trova la nobile città di Sidone, da cui venne Didone, la fondatrice di Cartagine in Africa. A sei miglia da Sidone c’è Sarfen, ovvero Sarepta di Sidone, dove la vedova nutrì il profeta Elia e dove pure Dio, attraverso lo stesso profeta, resuscitò dai morti il figlio della vedova, cioè il profeta Gionaa. All’ottavo miglio da Sarfen sulla costa del mare si trova Tiro, che oggi chiamano Sur, superiore a tutte le altre città per la sua solida protezione di torri e mura. Essendo quadrangolare, con l’aspetto di un’isola, tre dei suoi lati sfiorano il mare, il quarto è protetto nella maniera più sicura da fossati, barbacani, torri, mura, bastioni e merlature; essa ha soltanto due accessi, che sono rinforzati da quattro porte con torri su entrambi i lati. Come Acri, essa si distingue per avere due porti, quello interno riservato alla città, quello esterno accessibile alle navi straniere. Fra i due porti svettano verso l’alto due torri costruite con grandi blocchi di pietra, collegate da un’enorme catena di ferro a mo’ di porta, che come aperta permette di entrare ed uscire, così chiusa lo impedisce. Questa città risplende dell’onore di una sede episcopale71. A quattro miglia da lì si erge una fortezza di nome Scandalion, dove sorgenti d’acqua erompono in superficie e si gettano in mare scorrendo al di sotto di essa72. A tre miglia di distanza si trova un grande villaggio che la gente oggi chiama Castrum Imberti73. Quattro miglia più oltre viene Acri (o Tolemaide) e poi, tre miglia più avanti, la nuova e la vecchia Haifab. Sei miglia dopo ancora c’è Cesarea di Palestina, splendidamente costruita, insieme al porto adiacente, da re Erode, e a quattordici miglia Ioppe (o Giaffa), con il suo porto pericoloso per il soffiare del vento australe. Dopo di essa, nell’ordine, vengono Gaza (o Gazara) e la ben difesa città di

a  1Re 17, 9-24. L’identificazione del figlio della vedova di Sarepta con il profeta Giona non è data dalla Bibbia, ma risalirebbe secondo Girolamo ad una tradizione ebraica (Hier., in Ion., prol., p. 378, r. 35-37). b  Qualche informazione sulla vecchia Haifa (abbandonata probabilmente nel corso dell’XI secolo) si troverà in Pringle, Churches, II, no 174.

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G8

197 G6

Teodorico

Ascalona, delle quali abbiamo già parlato sopra: tutte queste città sono sul mare e tutte sono grandi e dotate di mura. Questa è la nostra descrizione, sulla base in parte di quanto noi stessi abbiamo visto, in parte di racconti affidabili altrui, dei luoghi santi in cui il Signore Nostro Gesù Cristo, preso per noi aspetto di servo, si mostrò nella sua sostanza corporea: con quanto è stato qui esposto speriamo di incitare gli animi dei lettori o degli ascoltatori all’amore per Lui.

Note di commento Secondo una tradizione attestata almeno dal X secolo, “Monte della Gioia” (mons Gaudii) era il nome dato all’altura dalla quale si poteva scorgere per la prima volta la meta di un pellegrinaggio o un luogo di culto di grande importanza; in particolare, un simile monte esisteva nei pressi dei tre principali luoghi di pellegrinaggio medievali, Gerusalemme, Roma e Santiago. Le informazioni date da Teodorico qui e al par. 41 (dove si descrivono un po’ più ampiamente il luogo e le reazioni di gioia dei pellegrini) sono sfruttate per individuare l’esatta collocazione del Monte della Gioia di Gerusalemme da Kedar, ‘Montes Gaudii’; si veda anche Id., ‘Dimensioni comparative’. Come sostiene Kedar, è verosimile che il Monte della Gioia venisse collocato inizialmente un paio di km a nord di Gerusalemme, nel punto in cui la via di pellegrinaggio più battuta nel XII secolo arrivava in cima alla valle di Giosafat; qui dunque andrebbe posta la cappella di cui parla Teodorico al par. 41 (cfr. Pringle, Churches, II, no 235). Più tardi, cambiate le condizioni politiche della zona, il percorso si spostò verso ovest, e con esso il primo luogo da cui si poteva vedere la città santa, che venne collocato sull’altura di Nabi Samwil, dove si trovava la tomba del profeta Samuele (cfr. infra, par. 38), la cui associazione con il Monte della Gioia è del tutto comune nelle fonti del XIII secolo. 2. La ricca descrizione di Gerusalemme e della regione circostante che Teodorico offre non ha parallelo né in Fretello né in Giovanni. Secondo gli studi archeologici (Boas, Jerusalem, p. 49-68), la Gerusa1.

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Trattato sui luoghi santi, NOTE

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lemme di epoca crociata aveva in realtà cinque porte principali (di Davide, di Santo Stefano, di Giosafat, Aurea e del Monte Sion) e una serie di porte secondarie (forse fino a otto). Come osserva il nostro autore (par.  2), i monti attorno alla città erano ricchi di pietra da costruzione (soprattutto calcare e gesso), ma poveri di legna, sia per le caratteristiche del terreno sia a causa delle guerre succedutesi nel corso dei secoli per la conquista di Gerusalemme (Boas, Jerusalem, p. 5-7). Pringle, Churches, III, no  285; Id., Secular Buildings, p.  54-55; Boas, Jerusalem, p.  73-78. La “Cittadella di Gerusalemme”, nota anche come “Torre di Davide” dalla massiccia torre che formava il suo nucleo (più propriamente, sembra si trattasse di un insieme di torri), sorgeva nella parte ovest della città, subito a sud della Porta di Davide. Riedificata almeno in parte in epoca bizantina, sulle rovine di una delle tre torri della fortezza di Erode distrutta all’epoca della rivolta del 70, dopo la conquista dei Crociati essa divenne una delle tre residenze reali della capitale e, in virtù della tradizionale associazione con il re Davide, il simbolo della sovranità franca sulla città. La testimonianza di Teodorico mostra che il grande progetto crociato di ricostruzione e ampliamento della cittadella era stato compiuto entro gli anni ’60 del XII secolo. Pringle, Churches, III, no  332; Boas, Jerusalem, p.  185-187. L’Akeldamà è attestato come luogo di rifugio per eremiti dalla fine del VI secolo e un edificio di culto vi sarebbe stato costruito già prima dell’anno 1000, ma non dovevano rimanerne tracce all’inizio del XII secolo. Nel 1143 una chiesa venne concessa in questo luogo all’ospedale di San Giovanni e soltanto Teodorico, tra i pellegrini dell’epoca, ne parla esplicitamente. Nonostante Teodorico risenta, come Giovanni (cfr. n. 67 al suo testo), della confusione che nel corso dei secoli aveva portato a collocare il pretorio di Pilato e dunque il luogo in cui Gesù venne flagellato sul Monte Sion (par. 25), egli sembra anche mantenere una qualche traccia di una tradizione più antica, che poneva il Litostroto presso il Tempio. In conseguenza di quest’ultima, e secondo un’interpretazione vulgata soprattutto a partire dal 1180 circa, la casa del governatore romano Pilato, contenente il luogo della Flagellazione, è dunque posta lungo la via di Giosafat, all’estremità nord del recinto del Tempio (cfr. anche par. 26). Pringle, Churches, III, no 283, in part. p. 23-30; cfr. anche Boas, Jerusalem, p. 102-109. Rispetto alla descrizione di Giovanni, già molto

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Teodorico

articolata, Teodorico aggiunge alcuni dettagli importanti su diversi ambienti della chiesa del Santo Sepolcro: in particolare, egli descrive meglio la rotonda in cui si collocava il sepolcro, precisa numerosi elementi decorativi che Giovanni tace e presenta le epigrafi che ornavano la chiesa nell’ordine in cui le incontra, mentre Giovanni le raccoglie in una sintetica appendice finale. Inoltre, egli fa menzione di alcune cappelle ed altari di cui Giovanni non parla e permette di comprendere meglio in che misura si siano svolti i lavori di ampliamento della chiesa cominciati dai Franchi intorno alla metà del secolo. 7. Nonostante Teodorico menzioni la cattedrale di Aquisgrana per la sua analogia con il Santo Sepolcro, l’architettura del suo nucleo originario, la Cappella Palatina (fatta edificare da Carlo Magno negli ultimi anni dell’VIII secolo), potrebbe alludere, oltre che alle basiliche paleocristiane di Roma e Ravenna, anche alla Cupola della Roccia di Gerusalemme, l’edificio islamico che occupava il presunto sito dell’antico Tempio di Salomone. Carlo avrebbe infatti avuto particolare interesse nel presentarsi come “nuovo Salomone”, oltre che come “nuovo Costantino”, e finanziando la ricostruzione di numerosi santuari in rovina nella città santa se ne sarebbe assunto anche il ruolo di patrono e difensore (si veda Blair Moore, The Architec­ ture, in part. p. 51; rimandiamo alla consultazione di quest’opera per un bilancio ampio e recente sul valore simbolico dell’architettura sacra di Gerusalemme nel pensiero occidentale e sui numerosi edifici sacri che cercarono di ricrearla). 8. Pringle, Churches, III, p. 25-26. Si allude qui al cosiddetto chiostro dei Canonici, uno degli elementi aggiunti durante i lavori di ampliamento della chiesa del Santo Sepolcro insieme ad un grande santuario, che si collegava direttamente alla parte est della rotonda con il sepolcro. Nonostante Teodorico affermi qui di seguito che l’altare maggiore è dedicato al Salvatore, fonti coeve parlano di una consacrazione alla Vergine Maria, affermando che esso sarebbe sorto sul luogo da cui ella aveva assistito alla Crocifissione. Quanto al luogo della Deposizione del Signore, all’epoca esso veniva normalmente fatto coincidere con il Compas, o centro del mondo, come indicherebbe la descrizione di Giovanni (par. 17); tuttavia Teodorico non solo non fa menzione della circostanza, ma pone il centro del mondo altrove, nel Tempio del Signore (par. 16). 9. La cerimonia di cui parla Teodorico (e che ancora oggi i cristiani ortodossi celebrano a Gerusalemme ogni Sabato Santo) è descritta estesamente per la prima volta – con modalità del tutto analoghe

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Trattato sui luoghi santi, NOTE

a quelle presentate dal nostro testo – dal monaco franco Bernardo (Bernard. Mon., itin. 11, p. 121), che visitò la Terrasanta nell’870; ma l’episodio non è riferito soltanto da resoconti di pellegrinaggio: se ne trova infatti una vivida descrizione anche in Rodolfo il Glabro (Radulf. Glab., hist. 4,  19), e perfino Urbano  II vi avrebbe fatto allusione nel celebre discorso tenuto al concilio di Clermont nel 1095 (almeno per come lo riporta Balderico di Bourgueil: Bald. Burg., hist. Ier. 1, p. 7; sulle varie versioni di questo discorso rimandiamo a Munro, ‘The Speech’). Il ripetersi del miracolo pare essere stato percepito anche come una sorta di legittimazione divina del dominio crociato su Gerusalemme, tant’è che il ritardo della sua manifestazione nel Sabato Santo del 1101 creò non poca apprensione (Schein, Gateway, p. 40-42). Il tema dell’accensione miracolosa di una lampada, di derivazione ebraica e biblica, lascia tracce in Occidente fin dal VI secolo: ci limiteremo qui a menzionare l’esempio della Navigazione di san Brendano, un testo estremamente diffuso nell’Europa medievale, che costruisce su questo motivo la porzione finale (12, 65-71) di uno dei suoi episodi più estesi (per approfondimenti rimandiamo al commento in Nauig. Brend., p. 149-150). 10. Pringle, Churches, III, p. 26. Teodorico aggiunge, rispetto a Giovanni, la descrizione di alcune cappelle disposte lungo il lato nord della rotonda, quasi tutte probabilmente preesistenti e non toccate dai lavori di ampliamento. Pare che esse siano rimaste perlopiù nelle mani dei cristiani d’Oriente, anche se altre fonti intorno al 1180 parlano della cappella di Santa Maria come greca. La terza cappella menzionata doveva essere latina ed associata al tesoro della Santa Croce. 11. Pringle, Churches, III, p. 16 ricorda che prima dell’epoca crociata, benché funerali di personaggi importanti venissero normalmente celebrati nel sito sotto il Calvario, la sepoltura in loco non sembra attestata. Nel XII secolo essa iniziò ad essere praticata: in teoria era riservata ai re di Gerusalemme, ma alcuni cavalieri ottennero una dignità tale da meritarla nei primi anni del regno; tra i personaggi più celebri tumulati nel sito del Santo Sepolcro (benché in punti diversi) si ricorda ovviamente Goffredo di Buglione, morto il 18 luglio 1100 (Crusades Encyclopedia, II, p. 533-535). Dati tali precedenti, vi furono poi seppelliti (nell’ordine seguito da Teodorico ed escludendo il già nominato Goffredo): re Baldovino III nel 1163 (Crusades Encyclopedia, I, p. 136-137); re Baldovino I il 7 aprile del 1118, accanto al fratello Goffredo (Crusades Encyclopedia, I, p.  132-133); re Folco

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d’Angiò, padre di Baldovino III e di re Amalrico, nel 1143 (Crusades Encyclopedia, II, p. 491-492); re Baldovino II nel 1135 (Crusades Encyclopedia, I, p. 135-136). Infine, nel 1174 anche Amalrico, regnante all’epoca del nostro autore, vi fu sepolto (Crusades Encyclopedia, I, p. 58-59). La badessa di San Lazzaro cui allude Teodorico è Ivetta, ultima figlia di Baldovino II (cfr. Crusades Encyclopedia, I, p. 136). Cfr. anche Boas, Jerusalem, p. 180-181. 12. Pringle, Churches, III, p. 29. Si tratta delle cappelle che si trovavano nella parte ovest del cortile antistante la chiesa. Si noti che, se Teodorico le descrive rispettivamente come cappella sotto la torre campanaria, cappella di San Giovanni Battista e cappella senza nome, Saewulf parlava (a quanto pare correttamente) di cappella di San Giovanni Evangelista, della Santa Trinità e di San Giacomo Minore. Giovanni, invece, sembra credere che la cappella più a nord sia quella di Giovanni Battista. 13. Pringle, Churches, III, p. 28-30. La descrizione che Teodorico offre del sito del Calvario, ormai inglobato nella chiesa del Santo Sepolcro grazie a recenti lavori di restauro ed ampliamento della stessa, comincia dall’esterno. Essa conferma che all’epoca la grande facciata sud con la sua doppia porta era stata completata, così come la parte più bassa della torre campanaria; benché Giovanni (par. 19 e 26) non lo dica esplicitamente, il fatto che egli trascriva come Teodorico (cfr. infra) l’iscrizione collocata sulla doppia porta (Perché piangi…) e quella posta sull’entrata esterna del Calvario (Questo luogo sacro…) mostra che la situazione non doveva essere molto diversa intorno al 1165. 14. Per com’è tramandato dai manoscritti e stampato dall’editore, questo periodo presenterebbe un anacoluto che ci pare troppo forte perché il testo si possa considerare sano; letteralmente, infatti, si dovrebbe tradurre così: “il punto, invece, in cui stette la croce su cui il Salvatore morì, sopraelevato verso est su un alto piedistallo, ricoperto nella parte sinistra di eccellente marmo bianco, è mostrata un’apertura profonda e larga al punto che ci si potrebbe quasi far entrare la testa”. Le soluzioni possibili paiono due: o si suppone che uno tra elatus (“sopraelevato”) e constratus (“ricoperto”) sottintenda un est (“è”), e in tal caso si dovrebbe interpungere con un punto e virgola dopo “marmo bianco”; o si ritiene che il passivo ostenditur (“è mostrata”) sia una piccola corruttela per l’attivo ostendit (“mostra”), il cui soggetto sarebbe il punto in cui fu infissa la croce e la larga apertura l’oggetto. Questa seconda ipotesi ci pare preferibile: di qui la nostra traduzione.

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I due personaggi compaiono spesso nelle rappresentazioni della Crocifissione fin dal VI secolo: su Longino rimandiamo a quanto già detto per Giovanni, n.  70; un’attenzione decisamente inferiore fu invece concessa all’altro personaggio, che non divenne protagonista di alcuna tradizione particolare, salvo quella di essere considerato ebreo, nonostante i Vangeli (Mt 27, 48; Mc 15, 36; Gv 19, 29) non diano informazioni chiare in proposito. Il suo nome, Stefato, rimane di origine oscura, nonostante i tentativi di spiegarlo sulla base del fraintendimento di termini greci che potevano comparire nelle raffigurazioni accanto a lui (Schiller, Iconography, passim; Jordan, ‘Stephaton’; Id., ‘The Last Tormentor’). 16. Come segnala Huygens (nota ad loc.), questo capoverso e l’iscrizione che esso introduce sono qui incongruenti, in quanto si riferiscono al Tempio del Signore (infra, par.  15) e non al Santo Sepolcro; l’errata collocazione non è probabilmente da attribuire a Teodorico stesso. 17. Cfr. Pringle, Churches, III, p. 30; questa cappella sarebbe quella che altri pellegrini dell’epoca descrivono come consacrata a Maria Maddalena e coinciderebbe con l’attuale chiesa di Santa Maria Egiziaca, ai piedi della scala esterna al Calvario, o con quella copta di San Michele, a est di essa. 18. Pringle, Churches, III, no 367, in part. p. 406. Teodorico è l’unico, tra i nostri pellegrini, a ricordare questa piscina vicino ai gradini del Tempio, che Pringle identifica come una cisterna formata dalla chiusura di epoca medievale della precedente entrata del Tempio. Per le piscine menzionate più avanti, alla fine di questo paragrafo, non disponiamo di paralleli in altre fonti. 19. Pringle, Churches, III, no 367; Boas, Jerusalem, p. 109-110. Teodorico aggiunge, rispetto a Giovanni, la descrizione di questa piccola cappella (forse non ancora terminata intorno al 1165), le cui iscrizioni fanno memoria degli interventi di abbellimento del Tempio succedutisi durante tutto il XII secolo: in particolare, nel 1101 durante il regno di Baldovino I, nel 1162 sotto Baldovino III, nel 1171 sotto re Amalrico. Le date contenute nella prima e nella terza iscrizione sono state corrette da Huygens (cfr. Peregr. tres, p. 26-27) sulla base dei dati cronologici in nostro possesso grazie ad altre fonti: le cifre fornite dai manoscritti (4a indizione, 11a epatta per la prima e 11° anno dalla presa di Ascalona per la terza) sono senza dubbio errate, ed è più facile pensare ad errori paleografici, di per sé abbastanza banali, occorsi nella trasmissione del testo di Teodorico, piuttosto 15.

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che a clamorose sviste commesse nella realizzazione delle iscrizioni a Gerusalemme, dove queste date erano senz’altro ben note. Pringle, Churches, III, no 319 e p. 186, e Giovanni, n. 25 e 58. Se Giovanni riporta sia la descrizione dell’attuale sepoltura di san Giacomo che quella della cappella dedicatagli nella valle di Giosafat, Teodorico non si occupa che della prima, trascrivendo una sola iscrizione, diversa da quelle riportate da Giovanni. Huygens nota in apparato la possibile caduta del participio redundantes (“che scaturiscono”), recuperabile dal passo di Ezechiele (47, 1-2) che qui Teodorico ha in mente, ma non ritiene necessario integrarlo nel testo; a noi pare invece che non se ne possa fare a meno, perché un verbo simile è richiesto dalla precisazione “dal lato destro del Tempio”. Nel testo latino, la scelta migliore sarebbe di integrare redundantes appena prima del redeuntibus (“per chi torna”) con cui inizia la frase successiva, poiché in questo punto la caduta sarebbe stata agevolata dall’inizio identico dei due termini, e forse anche dalla loro generica somiglianza grafico-fonetica. Pringle, Churches, III, no  367. Teodorico è l’unico pellegrino a ricordare che il Tempio del Signore e il suo altare maggiore erano dedicati alla Vergine Maria. D’altra parte, qui e là nel corso della narrazione egli aggiunge alcuni dettagli rispetto a Giovanni, come quello a proposito del luogo in cui avvenne la Presentazione di Gesù (par. 15), e trascrive un più alto numero di iscrizioni, in una forma più completa, rispetto al suo predecessore. Pringle, Churches, III, no  368-369; cfr.  anche Boas, Jerusalem, p. 79-80, 163-164. La descrizione della principale residenza templare di Gerusalemme è notevolmente amplificata in Teodorico rispetto a quanto si riscontra in Giovanni; d’altra parte, lungo tutto il suo racconto egli appare particolarmente interessato a registrare le numerose fortezze che incontra, appartenenti tanto ai Templari che agli Ospitalieri. Pringle, Churches, III, no 339; cfr. anche Boas, Jerusalem, p. 132. Diversamente da Giovanni, Teodorico non fa menzione di una chiesa posta al piano superiore dell’edificio, ma riunisce tutte le reliquie descritte su un unico piano, collocato ad un livello inferiore. Sulla base della descrizione della via d’accesso che egli offre, Pringle deduce che la cappella era separata dagli edifici sotto il controllo dei Templari. Boas, Jerusalem, p. 171-172. La piscina di Siloe era alimentata dalla principale sorgente naturale esistente a Gerusalemme, ricordata da

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vari autori di epoca crociata per essere poco regolare e di scarsa qualità; l’inquinamento delle sue acque risaliva probabilmente a ben prima dell’arrivo degli Occidentali e faceva sì che esse fossero utilizzate soltanto per l’agricoltura e altre attività lavorative. Pringle, Churches, I, no 64. Il solo Teodorico, tra i pellegrini dell’epoca, descrive questa cappella, probabilmente distrutta poco dopo la conquista di Saladino nel 1187. Quanto alla pietra che si trovava al suo interno, già nel IX secolo essa era mostrata ai visitatori, come testimonia il racconto del monaco Bernardo (Bernard. Mon., itin. 16, p. 124). Non c’è accordo perfetto tra i Vangeli sull’animale a cavallo del quale Gesù sarebbe entrato a Gerusalemme: Marco (11, 2-7), Luca (19, 30-35) e Giovanni (12, 14-15) parlano di un “puledro” o “puledro d’asina”, mentre Matteo (21, 2-7) parla di un’asina e del suo piccolo, ma poi non specifica su quale dei due monti Gesù. Mentre in Giovanni (par. 5) i manoscritti si dividono tra “asina” e “asino”, e Huygens mette a testo la prima possibilità ritenendo che potesse corrompersi nell’altra più facilmente che viceversa, in questo passo di Teodorico il testo tràdito (conservato dall’editore) parla in maniera concorde di “un’asina e un asinello”, ma poi fa salire Cristo su “un asino”. Ci è sembrato bizzarro che, a distanza di poche parole, Teodorico parli di “asina e asinello” (asina e pullus) e poi passi a indicare il secondo con “asino” (asinus): per questo riteniamo opportuno correggere quest’ultima forma con un femminile, più in linea con il contesto e che potrebbe essersi facilmente corrotto nel più banale maschile. Pringle, Churches, III, no 353; Boas, Jerusalem, p. 129. Per quanto le informazioni che Teodorico fornisce a proposito di questa cappella siano più limitate rispetto al racconto di Giovanni, solo il primo precisa che per raggiungerla bisogna scendere più di settanta gradini. Pringle, Churches, III, no 336; Boas, Jerusalem, p. 111-113. Rispetto a Giovanni (par. 13), che si concentra esclusivamente sul Cenacolo, Teodorico offre una descrizione più generale della chiesa di Santa Maria sul Monte Sion. L’identificazione del vestibolo cui egli fa riferimento più avanti, che metterebbe in comunicazione le cappelle a sud del santuario con quella di Santo Stefano a nord, è incerta: potrebbe trattarsi di una sorta di deambulatorio posto sotto l’abside oppure tra il santuario e il coro. Come Giovanni, anche Teodorico ricorda esplicitamente le successive traslazioni del corpo di santo Stefano, tranne la prima a Caphar Gamala. Infine, secondo Pringle, la colonna di cui si fa menzione poteva essere un ricordo della

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flagellazione di Cristo avvenuta presso il pretorio, collocato a torto sul Monte Sion (anche se all’esterno della chiesa); due pezzi della colonna effettivamente utilizzata in quell’episodio sono descritti da Teodorico al par. 11 (nella chiesa del Santo Sepolcro) e 25 (appunto sul Monte Sion, nel luogo del giudizio di Pilato). Pringle, Churches, III, no 337; Boas, Jerusalem, p. 119-121. Rispetto alla già ampia descrizione di Giovanni, Teodorico aggiunge alcuni dettagli sulla chiesa di Santa Maria nella valle di Giosafat; in particolare, egli è il primo nel XII secolo a fare allusione alla sua parte superiore ricostruita, pur senza descriverla, forse perché inaccessibile ai pellegrini. Pringle, Churches, III, no  292 (per la grotta del Getsèmani) e 357 (per la chiesa del Salvatore, ancora in costruzione secondo Teodorico). L’esistenza di una sorta di anticappella nella prima delle due chiese, suggerita da Giovanni, è confermata da Teodorico; il riferimento di quest’ultimo a quattro punti in cui gli apostoli si sarebbero addormentati tre a tre contrasta invece evidentemente con il Vangelo (dove non si dà alcuna informazione del genere) e non tiene conto dell’assenza di Giuda (che non si concilia con un totale di dodici), ma è ripetuto da altri pellegrini dell’epoca. Quanto alla celebrazione della liturgia delle Palme, Teodorico sembrerebbe non aver ben compreso la parte che si svolgeva ai piedi del Monte degli Ulivi, perché altre fonti dicono che le palme e i rami di ulivo venivano benedetti presso il Tempio del Signore prima che la folla andasse ad incontrare la processione guidata dal patriarca nella valle di Giosafat. Durante la festa dell’Assunzione, tuttavia, la processione proveniente dal Monte Sion faceva tappa alla chiesa del Salvatore prima di giungere alla tomba di Maria. Pringle, Churches, III, no  305; Boas, Jerusalem, p.  114-119. La menzione della tomba di sant’Anna non si trova né in Giovanni né in Saewulf. Pringle, Churches, III, no  366; Boas, Jerusalem, p.  175-176. Già Origene, commentando il passo del Vangelo di Giovanni (5,  2-9) in cui si narra di come Gesù guarì il paralitico, spiega che quattro portici circondavano la piscina Probatica e il quinto la sormontava. La descrizione di Teodorico, rispetto a quella di Giovanni, sembra presupporre che verso la fine del XII secolo la piscina Probatica fosse stata adattata per usi religiosi; fonti poco più tarde parlano esplicitamente di una cappella edificata al di sopra di essa.

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Pringle, Churches, III, no 328; cfr. anche Boas, Jerusalem, p. 2829, 96-97, 161. L’ospedale per lebbrosi di San Lazzaro dovrebbe essere stato costruito nel 1130-1140, con il sostegno della corona di Gerusalemme; esso ricevette ricche donazioni per tutto il XII secolo e divenne un rifugio per tutti gli Occidentali, compresi i nobili, che avessero contratto tale malattia. 35. Pringle, Churches, III, no 359; Boas, Jerusalem, p. 131 e 174. Teodorico identifica chiaramente il luogo in cui santo Stefano fu martirizzato con quello in cui sorge una chiesa in suo onore, che doveva essere stata da poco ricostruita, dato che alcuni decenni prima Saewulf l’aveva descritta come in rovina; Giovanni, invece, fa allusione alla sola tomba del santo sul Monte Sion. 36. Pringle, Churches, III, no  338; cfr.  Boas, Jerusalem, p.  161. Alla metà del XII secolo, varie proprietà collocate attorno alla Porta di Santo Stefano erano sotto il controllo dei benedettini della chiesa di Santa Maria Latina (come Teodorico stesso riferisce per la chiesa di Santo Stefano); tra queste c’era sicuramente un ospedale, anche se non è certo che si tratti di quello a cui allude il nostro autore, che potrebbe anche definire xenodochium una porzione di un’altra struttura presente nella stessa area. 37. Pringle, Churches, III, no 310; Boas, Jerusalem, p. 128. Teodorico sembra confondere l’ovest con l’est nella descrizione della strada che conduce a questa chiesa; parimenti, sembra più probabile che essa fosse amministrata dai Siriani ortodossi (come sostiene Giovanni) che dagli Armeni. 38. Pringle, Churches, III, no 284; Boas, Jerusalem, p. 113. Teodorico descrive con precisione maggiore rispetto a Giovanni il monumento scoperto a memoria dell’Ascensione di Cristo, collocato al centro di una chiesa. Egli è anche l’unico a ricordare che la chiesa è sotto il controllo di canonici regolari e che essa è fortificata, così da prevenire futuri attacchi come quello del 1152, in cui i musulmani occuparono temporaneamente il Monte degli Ulivi. 39. Pringle, Churches, III, no 351. Chi fosse esattamente santa Pelagia rimane dubbio: esistono infatti tre figure di sante con tale nome la cui commemorazione cade lo stesso giorno (8 ottobre) e che sono verosimilmente “moltiplicazioni” di uno stesso personaggio storico, forse una giovane martire di Antiochia del III secolo. La figura a cui allude qui Teodorico è quella di Margherita (o Marina, in versioni più antiche della sua storia), un’attrice antiochena del IV secolo che, dopo essersi convertita ed aver ricevuto il battesimo, si trasferì a Ge34.

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rusalemme sotto le mentite spoglie di un monaco di nome Pelagio e trascorse il resto della sua vita ritirata sul Monte degli Ulivi (Bibl. Sanct., X, col. 432-439; cfr. anche Bibl. Sanct., VIII, col. 1150-1160, e Martyrologium Romanum, p. 441-442). Entro la fine del VI secolo la sua cella era divenuta meta di pellegrinaggio e nel XII secolo essa era nota sia ai cristiani d’Occidente che a quelli d’Oriente. Pringle, Churches, III, no  298. La chiesa, in rovina all’epoca di Saewulf, fu in seguito ricostruita grazie al patronato di due nobili danesi, che vollero farsi seppellire in questo luogo dopo la morte, avvenuta nel marzo 1152 o 1153. Altre fonti contemporanee a Teodorico parlano della chiesa del Padre Nostro, precisando come lui che sotto l’altare si trovava una pietra recante le parole scritte dal Signore. Pringle, Churches, I, no 59-60; Id., Secular Buildings, no 47. Sembra che all’inizio del XII secolo l’antica chiesa di San Lazzaro fosse stata ridedicata o a santa Maria e Marta o a santa Maria Maddalena; una nuova chiesa assunse dunque la memoria di Lazzaro. Pringle, Churches, II, no 251; Boas, Archaeology, p. 111-112 e 237238. Corrispondente all’odierna Tal‘at ad-Damm, il luogo era fortificato già in epoca romana, per proteggere coloro che viaggiavano da Gerusalemme a Gerico; secondo Pringle, la descrizione datane da Girolamo nella sua lettera 108 (Hier., epist. 108, 12, 3) lascerebbe intendere che nel 385 vi sorgessero già una stazione di posta e una cappella. Quella che altrove (Hier., sit. et nom., p. 25) egli chiama “Salita dei rossi” (a causa del fatto che, in corrispondenza di tale luogo, le rocce erano visibilmente macchiate di rosso) divenne nota nel corso del XII secolo come Cisterna Rossa; Teodorico la confonde però con la cisterna in cui Giuseppe fu gettato, collocata normalmente nella piana di Dotàim (cfr. par. 46). Questa suggestiva denominazione di Giardino di Abramo era utilizzata dai pellegrini medievali per indicare l’oasi di Gerico, una zona fertile costeggiata dallo Wadi Qelt, che attirava la loro attenzione più della cittadina stessa, ridottasi a poca cosa (come Teodorico stesso nota più avanti, al par. 30); la descrizione del nostro autore è ben più dettagliata del breve cenno di Saewulf, ma piuttosto intricata (cfr. la nota ad loc. di Huygens e Abel, Géographie, II, p. 359-360). Pringle, Churches, I, no  104-107; Id., Secular Buildings, no  109. Probabilmente data già al IV secolo l’identificazione, diffusissima nel XII, del promontorio di Jabal Quruntul, che sovrasta la valle di Gerico, con il luogo in cui Gesù digiunò per quaranta giorni e quaranta notti e fu poi tentato dal diavolo; alcune fonti, tra cui Gio-

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vanni ma non Teodorico, distinguono inoltre il luogo del digiuno e della prima tentazione da quello della seconda. La descrizione che Tedorico propone è la più completa che ci sia pervenuta per il XII secolo: in particolare, egli soltanto menziona una cappella consacrata a santa Maria (che coincide con l’attuale grotta-eremitaggio di Sant’Elia) e una cappella della Santa Croce (non identificata), insieme alla tomba di un Pellegrino che secondo Pringle potrebbe essere Elpidio, successore di san Caritone, fondatore di un monastero in questo luogo. Il sito in cui il Signore digiunò, menzionato da altre fonti, coincide con la chiesa più importante della Quarantena, consacrata intorno al 1135-1136 probabilmente sul sito di un edificio preesistente. Teodorico fornisce infine la datazione ante quem per il castello templare che descrive, sul sito dell’antica fortezza maccabea di Dok (cfr. Boas, Archaeology, p. 241). 45. Come rileva Huygens (nota ad loc.), il testo sembra qui aver sofferto di una piccola lacuna: il soggetto del verbo reggente di questa prima parte della frase, tuentur (letteralmente “proteggono”), potrebbero essere i pellegrini stessi (e dunque mancherebbe qualcosa come un pronome riflessivo, “si proteggono”), oppure potrebbe essere stato portato via da un guasto del testo. Sembrerebbe mancare, inoltre, una precisazione di chi o cosa protegge i pellegrini: Huygens osserva che la geografia del sito non offre difese naturali. 46. Pringle, Churches, I, no 39 e II, no 209. Nel VI secolo il punto del fiume Giordano in cui Cristo venne battezzato doveva essere messo in evidenza con una costruzione di qualche tipo (una colonna di marmo sormontata da una croce o un obelisco insieme ad una croce di legno), mentre sulla riva l’imperatore Anastasio  I aveva fatto costruire una grande chiesa in onore di san Giovanni Battista, con annesso monastero. Nel 659 tali edifici furono distrutti da un terremoto, e il monastero fu poi ricostruito, con una propria chiesa, più lontano dal fiume, su una piccola collina. Nel XII secolo era ancora possibile identificare il luogo in cui Cristo era stato battezzato, ormai un po’ discosto dal fiume che doveva nel frattempo aver mutato il suo corso (Daniil, Itinerario, p. 104); Teodorico, da parte sua, ricorda soltanto la grande pietra su cui, secondo la tradizione, Giovanni stette durante il Battesimo, affermando però che colui che vi salì non fu il Battista, bensì il Signore. Zangi (Crusades Encyclopedia, IV, p. 1293-1295), signore di Mosul e Aleppo, fu a lungo avversario dei Latini e padre dell’ancora più temuto Norandino (che il nostro autore nominerà nuovamente al par. 44); l’attacco che Teodorico ricorda dovrebbe essere avvenuto nel 1139.

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Pringle, Churches, II, no 178. Mentre non è chiaro a quale episodio della vita di Maria si riferirebbe Teodorico, fonti più antiche ricollegano questo luogo alla sosta che Giuseppe e Maria vi avrebbero fatto durante il loro cammino verso Betlemme, raccontata nel Protovangelo di Giacomo (noto in Occidente nella traduzione latina attribuita a Matteo: Ps. Matth., euang. 13, 1, p. 410-413). Una chiesa con un monastero annesso esisteva qui dal V secolo, ma Daniil (Daniil, Itinerario, p. 117) attesta che all’inizio del XII essi erano ormai distrutti; tuttavia, all’epoca di Teodorico almeno una cappella doveva essere stata ricostruita. La “nuova cisterna” che egli menziona è identificabile con la cosiddetta piscina di Germano (dal nome del ricco benefattore che la fece costruire nella seconda metà del XII secolo, noto per aver finanziato anche altre costruzioni nella Gerusalemme dell’epoca); essa è oggi detta “del Sultano” in seguito ai lavori di risistemazione avvenuti nel XVI secolo per volere del sultano Solimano I (Boas, Jerusalem, p. 173-174). 48. In luogo del corretto Kabrata, il testo di Teodorico riporta Katabrata, con una piccola svista (dovuta ad un copista, se non già imputabile all’autore stesso) del tutto comprensibile per un toponimo non molto comune. 49. Pringle, Churches, I, no 61; Id., Secular Buildings, no 48. La descrizione di Teodorico è, rispetto a quella di Giovanni, decisamente più dettagliata e ricca di particolari. Tra le altre cose, egli specifica che la chiesa della Natività era una sede episcopale: in realtà, nell’organizzazione ecclesiastica bizantina essa non era mai stata sede di un vescovo, ma l’importanza religiosa del sito spinse i Crociati a modificarne lo statuto, stabilendo anche uno stretto rapporto tra la chiesa e il re di Gerusalemme. Inoltre Teodorico menziona poco più avanti la sepoltura di Giuseppe di Arimatea, il cui corpo fu fatto traslare in questo luogo intorno al 1130 e posto in una tomba sul lato ovest del coro. 50. Pringle, Churches, I, no 100; Id., Secular Buildings, no 101. La descrizione di Teodorico coincide quasi perfettamente con quella di Giovanni, nonostante egli modifichi leggermente l’ordine di esposizione delle informazioni e non compia l’errore relativo all’antico nome di Ebron, tradotto correttamente come “città dei quattro”. 51. Si tratta di quello che Giovanni chiama Ossario del Leone (cfr. n. 53; cfr. anche Boas, Jerusalem, p. 184). Rispetto a questi, che si fonda sulla descrizione di Fretello, Teodorico trasforma i martiri dell’assedio persiano del 614 in pellegrini massacrati dai musulmani. 47.

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Pringle, Churches, II, no 145. Poco dopo il passaggio di Saewulf, che ne descrive la parziale distruzione, il luogo in questione deve essere stato ripopolato e restaurato; la chiesa e il monastero che vi sorgevano sono menzionati da numerose fonti del XII e XIII secolo e Teodorico ne fornisce una descrizione particolarmente ampia. 53. Pringle, Churches, I, no 7-8. Corrispondente all’attuale ‘Ain Karim, il luogo in cui Elisabetta sarebbe vissuta (a circa otto km dalla Gerusalemme antica, ora parte della città) comincia a essere noto dal VI secolo; varie chiese dedicate a Elisabetta, Zaccaria o Giovanni sono segnalate dalle fonti nel corso del tempo, e la casa di Zaccaria in cui Giovanni nacque coinciderebbe con l’attuale chiesa dedicata a quest’ultimo, come si comprende facilmente dal racconto di Daniil (Daniil, Itinerario, p. 130). Il nome “Boscoso” evocato da Teodorico, per cui vi sono paralleli in testi francesi del XIII secolo, potrebbe essere messo in relazione con la collocazione dell’abitazione di Elisabetta in una regione montuosa (Lc 1, 39). D’altra parte, nel Protovangelo di Giacomo (Protévangile de Jacques 22, p. 262-265) si narra che, per sfuggire al massacro degli Innocenti voluto da Erode, Elisabetta scappò con il figlio sulle montagne fuori Betlemme, ma, non trovando alcun rifugio, ella invocò il soccorso di Dio; immediatamente la montagna si spaccò in due e la accolse e un angelo scese dal cielo a proteggerla. A partire dall’epoca bizantina, la grotta che aveva nascosto Elisabetta e Giovanni sembra essere divenuta meta di pellegrinaggio; una chiesa vi si trova tutt’oggi, con il nome di chiesa della Visitazione. 54. Pringle, Churches, II, p. 6 e no 247; Id., Secular Buildings, no 207; cfr. Boas, Archaeology, p. 228. All’inizio del XII secolo Modin, la città dei Maccabei, veniva collocata tra Lidda-Diospoli e Emmaus, sulla base di Girolamo, che l’aveva descritta come un villaggio vicino a Diospoli (Hier., sit. et nom., p. 133). Ma alla fine del XII secolo, accanto all’antica tradizione che faceva coincidere Emmaus con Nicopoli (l’attuale ‘Amwas) se ne era diffusa un’altra, che voleva tale villaggio più vicino a Gerusalemme, in corrispondenza dell’attuale Abu Ghosh (su cui si veda Pringle, Churches, I, no 1). Si finì quindi per spostare anche Modin genericamente nella stessa area; il solo Teodorico si spinge a identificare tale luogo con i monti di Belmont (oggi Suba), dove gli Ospitalieri avevano una piazzaforte. 55. La denominazione di Sophim per i monti di Efraim (per cui non abbiamo trovato paralleli da sovrapporre perfettamente all’opinione di Teodorico) deriva forse da un problema di interpretazione di 52.

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1Sam 1, 1, che, secondo il testo della Vulgata, così introduce la figura di Elkanà, padre di Samuele: fuit vir unus de Ramathaim Sophim de monte Ephraim et nomen eius Helcana, letteralmente “ci fu un uomo di Ramathaim Sophim, del monte Efraim, e il suo nome era Elkanà”. Le traduzioni moderne ritengono Sophim predicativo di Elkanà e lo rendono con “Sufita”, ovvero discendente di Suf, il capostipite a cui la genealogia di 1Sam 1, 1 fa risalire il padre di Samuele, mentre nel Medioevo si considerava il termine come parte del nome della città di Ramatàim. Pare, tuttavia, che si discutesse anche dell’interpretazione di Sophim come nome di un monte sul quale si sarebbe trovata Ramatàim, almeno stando a quanto accenna Andrea di San Vittore nel suo commento al passo biblico in questione (Andr. S.  Vict., reg., p.  6): “c’è chi ritiene che Sophim sia un monte nella tribù di Efraim su cui si trova la città di Ramatàim, ma noi non siamo d’accordo con questi” (Sunt qui putant Sophim montem esse in tribu Ephraim in qua sita sit ciuitas Ramathaim; quibus non assentimur). 56. Pringle, Churches, II, no 159. La collocazione di Rama (o Ramatàim), città d’origine di Samuele (cfr.  1Sam 1,  1-20) e luogo in cui venne sepolto (1Sam 25, 1), era controversa: secondo le indicazioni di Girolamo (Hier., sit. et nom., p. 33, dove pure si identifica Ramatàim con Arimatea), essa doveva coincidere con l’attuale Rantis, ma collocazioni diverse le furono attribuite nei primi secoli d.C., fino a quando la tradizione che la voleva sulla collina di Nabi Samwil, a nord-ovest di Gerusalemme, soppiantò le altre all’inizio del VI secolo. Se il monastero costruito su tale collina nel 553-554 sparì come conseguenza dell’invasione musulmana del 636, la fondazione di un’abbazia di Premostratensi (i “monaci grigi” di Teodorico) sul sito della tomba di Samuele rimonta all’epoca del re Baldovino II (entro il 1130 ca.). L’identificazione di Nabi Samwil con il Monte della Gioia, che Teodorico (par. 3) colloca altrove, risale verosimilmente al XIII secolo, quando il mutare dei percorsi preferenziali di pellegrinaggio comportò anche uno spostamento del luogo da cui si poteva per la prima volta scorgere la meta del viaggio, tradizionalmente definito appunto “Monte della Gioia” (cfr. n. 1). 57. Il villaggio detto Caco è Qaqun (cfr. Pringle, Churches, II, p. 164165; Id., Secular Buildings, no 168; Boas, Archaeology, p. 231), una cittadina importante della regione di Cesarea, abitata da Franchi e da Siriani; gli Ospitalieri avevano in questo luogo delle proprietà e probabilmente una sede. Quanto a Haifa, la cittadina, abitata da Giudei e musulmani, fu assediata nell’estate del 1100 dal re Baldovi-

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no e rasa al suolo dopo la capitolazione; il suo porto fu eclissato già nel XII secolo da quello di Acri (cfr. Pringle, Churches, I, p. 222223; Crusades Encyclopedia, II, p. 553-554). La fortezza templare cui Teodorico allude, invece, sembra essere stata nota con diversi nomi nel XII e XIII secolo, tra cui “castello di Santa Margherita”, ed è stata spesso confusa con altri luoghi vicini (Pringle, Churches, II, no 212; Id., Secular Buildings, no 196; Boas, Archaeology, p. 254). 58. Pringle, Churches, IV, in part. p. 3-7; Id., Secular Buildings, p. 1517; Boas, Archaeology, p. 222-223; Crusades Encyclopedia, I, p. 9-12. Già citata nell’Antico Testamento, la città di Acri si trova all’estremità nord della baia omonima (oggi nota anche come baia di Haifa). Quando il nucleo originario di tale insediamento fu restaurato sotto Tolomeo II (285-246 a.C.), esso prese il nome di Tolemaide; nel 47 d.C. divenne una colonia romana e dopo la conquista persiana del 614 un’importante base navale. Acri fu assediata dal re Baldovino I nella primavera del 1103, ma non venne conquistata che l’anno successivo, grazie al sostegno della flotta pisana e genovese: divenne così, per tutto il XII secolo, la seconda capitale del regno latino, per poi passare nelle mani del Saladino nel 1187 ed essere recuperata dai Crociati nel 1191; la sua presa nel 1291 da parte dei Mamelucchi pose idealmente fine al potere crociato in Terrasanta. 59. Pringle, Churches, IV, p.  4-5 e no  451, no  410-411; Id., Secular Build­ings, no 5. Il porto di Acri fu edificato nella seconda metà del IX secolo sotto il controllo musulmano; nonostante la pericolosità cui Teodorico fa riferimento (il suo fondale era poco profondo e circondato da scogliere), si trattava del porto più sicuro della zona, e poiché Tiro non fu presa nell’immediato, esso divenne il principale luogo di arrivo dei pellegrini in Terrasanta e continuò ad esserlo nel corso del XIII secolo. La sede dei Templari cui si allude sarebbe stata edificata nella prima metà del XII secolo, ma Teodorico è l’unico pellegrino che la descriva, seppur sommariamente. Quanto alla sede degli Ospitalieri, essi possedevano già alcune proprietà nella parte nord-est di Acri intorno al 1110, ed edificarono in particolare una chiesa di San Giovanni, probabilmente con un ospedale annesso. La “buza” (cfr. italiano “bùcio” e inglese “buss”) era un tipo di nave piuttosto grande; varie occorrenze del termine sono raccolte dal Du Cange, s.v. bussa. 60. Pringle, Churches, I, p. 161 e no 66. Oggi noto con il nome di al-Bira, questo villaggio, posto a una quindicina di km da Gerusalemme lungo la via verso nord che conduce a Nablus, fu ricostruito all’i-

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Teodorico



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62.



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nizio del XII secolo dopo le invasioni arabe; entro il 1128 era noto come Mahumeria, probabile ricordo di una moschea che vi era sorta in precedenza, e dagli anni ’60 del XII secolo l’aggettivo “Grande” (o “Maggiore”, come attestato da Giovanni, par.  5) fu aggiunto al suo nome per distinguerlo da un insediamento omonimo sorto nel frattempo (cfr. anche Pringle, Secular Buildings, no 54; Id., ‘Mag­ na Mahumeria’). Se la prima menzione della chiesa di Mahumeria risale al 1128, solo Teodorico ricorda che essa era consacrata a Maria e descrive la sua croce scolpita. È probabile che, come osserva Huygens (nota ad loc.), il testo abbia qui sofferto di una piccola corruttela. Il latino recita infatti magnum amenitatis campum, letteralmente “un grande campo di bellezza”, che l’editore conserva ipotizzando che amenitatis (“di bellezza”) vada interpretato come genitivo di qualità, dunque assimilabile ad un aggettivo (da cui la nostra traduzione). Ma il sospetto avanzato da Huygens è che magnum sia corruzione di magnae (da legare a amenitatis, “di grande bellezza”) o addirittura di magnum magnae (“un grande campo di grande bellezza”, un’opzione meno probabile a nostro avviso). Sembra che all’epoca il villaggio di Izreèl (su cui si veda la n. 7 a Giovanni) fosse effettivamente fortificato, ma secondo altre fonti esso apparteneva ai Templari (cfr. Pringle, Churches, I, p. 276-277 e Id., Secular Buildings, no 116; Boas, Archaeology, p. 244). Su Norandino (latinizzazione – Norandinus, Noradinus – dell’arabo Nur al-Din), signore di Aleppo e Damasco e figura chiave negli scontri tra Arabi e Latini nel corso del XII secolo, cfr. Crusades Encyclopedia, III, p. 892894; suo padre Zangi era stato menzionato da Teodorico al par. 30. Per la fortezza di Safad cfr. Pringle, Churches, II, p. 206 e Id., Secular Buildings, no 191; Boas, Archaeology, p. 251-252; Crusades Encyclopedia, IV, p. 1074. La data di fondazione di tale castello crociato non è certa: esso esisteva probabilmente già nel 1143 e entro il 1168 sarebbe passato sotto il controllo dei Templari; conquistato da Saladino nel 1188, ritornò poi ai Franchi nel 1240-1241 e fu riedificato entro il 1260 (per l’edizione del trattatello su tale ricostruzione cfr. De constructione castri Saphet). Per la seconda fortezza, collocata sulle pendici dell’Ermon, cfr. Pringle, Churches, I, p. 207 e Boas, Archaeology, p. 241-242: si tratta del castello templare noto anche come Castrum Fabe, stabilito ad al-Fula evidentemente entro il 1170 circa. Com’è noto da altre fonti, la presa di Cesarea da parte dei musulmani (guidati da Nur al-Din, il Norandino menzionato da Teodorico

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Trattato sui luoghi santi, NOTE

al par. 44) avvenne nel 1164. Su queste basi, e ritenendo che Teodorico non potesse non conoscere la data di un fatto di tale portata, avvenuto pochi anni prima del suo viaggio in Terrasanta e da lui stesso messo in risalto con un’espressione piuttosto solenne, Huygens ha considerato legittimo correggere il testo tramandato dai manoscritti che, a causa di un errore paleografico non inverosimile, riportano la data del 1171 al posto del corretto 1164 (cfr. Peregr. tres, p. 26). 65. Quest’informazione sul Gior è errata: dal momento che se ne sta seguendo il corso in direzione nord-sud, non si può dire che esso, una volta attraversato il Mar di Galilea, ne sbocchi tra Betsaida e Cafarnao, che si trovano invece sulla sponda nord del lago. Nel passaggio ripreso qui da Teodorico, Fretello (par. 33), seguito alla lettera da Giovanni (par. 9), dà un’informazione diversa e corretta, indicando che “il Gior forma non lontano da Paneas il lago omonimo, poi il Mar di Galilea prende inizio tra Betsaida e Cafarnao” ( Jor haut longe a Paneas lacum illius reddit ex se; postea mare Galilee sumens initium inter Bethsaida et Capharnaum). Se non c’erano già stati interventi nel corso della trasmissione del testo di Fretello in stadi antecedenti al nostro autore, è possibile che l’errore sia da imputare a Teodorico stesso, che potrebbe aver trovato insoddisfacente la sintassi della sua fonte in questo passaggio e vi avrebbe messo mano nel tentativo di migliorarla, finendo però per ricavarne un’informazione errata. Nel testo di Fretello, infatti, assistiamo ad un brusco cambio di soggetto (dal Gior al Mar di Galilea) e il participio sumens (“prendendo”), su cui si regge la seconda parte della frase, arriva un po’ a sorpresa dopo l’indicativo reddit (“forma”) di poco precedente, in un quadro che potrebbe anche far sospettare un piccolo guasto testuale. Teodorico, dunque, cercando una sintassi più lineare, potrebbe aver riferito il participio sumens al Gior, soggetto del verbo reggente reddit, ricavando invece dalla menzione del Mar di Galilea un’indicazione geografica teoricamente plausibile. 66. Pringle, Churches, II, no 155. Sembra che dopo il passaggio di Sae­ wulf il monastero sul Monte Tabor sia stato distrutto e l’antica basilica bizantina sia stata trasformata nella chiesa romanica di cui oggi resta traccia. Se Giovanni, come la maggior parte dei pellegrini dell’epoca, si limita a narrare l’episodio biblico della Trasfigurazione (con un accenno alla particolare liturgia della festa dedicatagli), la descrizione di Teodorico conferma che intorno al 1170 il restauro della chiesa del Salvatore e del monastero annesso era stato completato. L’idea che la prima messa sia stata celebrata in questo luogo

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Teodorico

deve essere messa in relazione con il fatto (a cui sta per accennare lo stesso Teodorico) che su tale monte, in occasione del suo incontro con Abramo, il sacerdote Melchisedech gli offrì una coppa di vino in cui era stato intinto del pane, prefigurazione dell’Eucarestia (cfr. Pringle, Churches, II, no 158 e n. 5 a Giovanni). 67. Pringle, Churches, II, no 169. Come mostrano i resti archeologici, la chiesa vista da Saewulf all’inizio del XII secolo fu in seguito sostituita da un edificio di maggiori proporzioni, uno dei più ampi dell’intero regno latino di Gerusalemme. Anche se non è chiaro quando esattamente fu costruito, esso doveva essere stato ultimato entro la data in cui Teodorico visitò la Terrasanta; la descrizione di quest’ultimo, rispetto a quelle d’inizio secolo, suggerisce che i Franchi abbiano apportato delle modifiche all’assetto della Grotta dell’Annunciazione, ampliandola con una sorta di vestibolo per includere il luogo in cui la Vergine sarebbe nata. 68. Cfr. Pringle, Churches, II, p. 141. Teodorico è l’unico dei nostri autori a riportare con dovizia di particolari un episodio dell’infanzia di Gesù, verificatosi in una delle tante occasioni in cui Egli si sarebbe recato a questa fonte per attingere acqua. Oltre a narrare l’origine della sorgente, Teodorico accenna anche, a differenza di Giovanni e come Saewulf, al fatto che essa era stata nobilitata con la costruzione di una struttura in marmo. L’episodio è raccontato nel Vangelo apocrifo dello Pseudo-Tommaso, a cui Teodorico potrebbe aver avuto accesso tramite una delle due versioni latine esistenti (edite in Euangelia apocrypha, l’una come seconda parte del Vangelo dello Pseudo-Matteo, p. 93-111, l’altra a sé stante, p. 164-180; cfr. Euangelium Thomae, p. 144153); ma è possibile che tutto derivi dai racconti di guide locali, visto che almeno la parte finale, con la reazione brusca di Gesù e il miracoloso sgorgare della fonte, non pare attestata in alcuna fonte scritta. 69. Si veda Pringle, Churches, II, p. 209-210 e no 196 per Seffori (odierna Saffuriya); p. 301-302 per il castello templare, identificabile con il villaggio cristiano di Le Saffran (oggi Shafa ‘Amr), collocato in posizione strategica sulla via tra Acri e Nazaret (cfr.  anche Boas, Archaeology, p. 252; Pringle, Secular Buildings, no P25). 70. Huygens conserva il Sepharnaim dei manoscritti, ma a noi pare più opportuno ripristinare la forma corretta Sepharuaim (come già avevano fatto i precedenti editori, M. L. e W. Bulst), supponendo uno scambio n/u decisamente banale dal punto di vista paleografico. 71. Su Tiro cfr. Pringle, Churches, IV, p. 177-178; Id., Secular Build­ ings, no 227; Boas, Archaeology, p. 258; Crusades Encyclopedia, IV,

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Trattato sui luoghi santi, NOTE

p. 1210-1211. I Crociati presero Tiro, dopo vari tentativi falliti, nel luglio 1124, sotto la guida del patriarca Gormond de Picquigny e con l’aiuto dei Veneziani; i non cristiani furono espulsi l’anno successivo ed essa rimase parte del regno latino fino al XIII secolo. Le fortificazioni della città e del suo doppio porto erano impressionanti e sopravvissero al violento terremoto del giugno 1170, come attestano pellegrini del decennio successivo. 72. Pringle, Churches, I, no 102; Id., Secular Buildings, no 106. Scandalion (o Iskandaruna) è già descritta come fortezza nel X secolo; nel 1117 re Baldovino I vi costruì un castello dotato di una guarnigione, che passò sotto il controllo musulmano tra il 1187 e il 1192, per venire in seguito recuperato dai Franchi. Guglielmo di Tiro (Guill. Tyr., chron. 11, 30), riferendo della costruzione della fortezza, dà anche l’etimologia del nome: Scandalion (o Scandalium com’è nel testo di Guglielmo) sarebbe una storpiatura del termine Scandarium (Iskandarun), derivato dalla forma araba del nome di Alessandro Magno (Scandar, Iskandar), che – secondo una tradizione che pare però priva di fondamento – in questo luogo per primo avrebbe costruito una fortificazione. Si ritiene, in effetti, che lo Scandalion medievale possa essere identificato con il sito tardoantico di Alexandroskene (“tenda di Alessandro” in greco), che l’Itinerarium Burdigalense (inizio del IV sec.), unica fonte a nominarlo, colloca a dodici miglia da Tiro (Itin. Burdig., p. 12; cfr. anche Cohen, Hellenistic Settlements, p. 201). Fulcherio di Chartres (Fulch., hist. 2, 62, p. 605-606), fonte di Guglielmo in questo punto, dà invece un diverso significato al nome, sostenendo che esso significhi “Campo del Leone” (Campus Leonis), secondo quella che è definita un’etimologia popolare da Prawer, Histoire du Royaume, p. 306, n. 27. Un’informazione simile a quella riportata da Teodorico a proposito della fonte che sgorga ai piedi della fortezza (oltre alla stessa etimologia data da Guglielmo di Tiro) è offerta ancora nel 1697 da un viaggiatore inglese, Henry Maundrell (Maundrell, Journey, p. 51-52; Butlin, ‘Maun­drell, Henry’). 73. Pringle, Churches, II, no 282; Id., Secular Buildings, no 237. Noto da altre fonti con il nome di Casale Imberti o Lamberti, corrisponde all’attuale villaggio di az-Zib, poco a nord di Acri, dopo la cui caduta nel 1104 sarebbe divenuto possesso dei Crociati; vi fu edificata una nuova cittadina nel 1146/1153 per volontà di re Baldovino III.

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INDICE DEI PASSI BIBLICI

Antico Testamento Genesi (Gen) 4, 15 4, 19-24 4, 23 4, 25 5, 25-31 14, 8 14, 17 14, 18-20 15, 2 18, 1-8 19, 18-22 19, 24-25 19, 26 22, 1-14 23, 7-20 23, 9 23, 17 23, 19 25, 9-10 25, 29-30 28, 10-19 28, 16 28, 17 28, 19 31, 19 32, 23-29 34, 1-2 34, 1-29

127 176 127 129 176 130, 243 167 167, 253 132 76, 129, 242 130, 243 130, 243 130, 243 67, 249 242 178 178 99 99 132 69, 114, 121, 249 124, 222, 224 114, 151 249 249 133, 255 113 114, 248

34, 2 35, 4 35, 16-20 35, 19 35, 22-26 36, 8 37, 17 37, 17-28 48, 7 49, 29-31 50, 7-14 50, 13 50, 24-25

248 114, 249 116, 240 115, 211 116 132 252 136 115, 116, 211 67, 99 127 99 76

Esodo (Es) 3, 1-2 13, 19 13, 21-22 15, 22-25 15, 27 16, 4 – 17, 7 17, 8-13 24, 18 31, 18 32, 2-6 34, 28

76 67, 76 131 75 131, 239 130, 239 167 76, 130, 239 76, 130, 239 114 76, 130, 239

Levitico (Lv) 5, 7

279

122

Indice dei passi biblici

Numeri (Nm) 13, 1-24 20, 11 20, 25-29 21, 21-35 22 – 24 22, 2 e 5 33, 1-49 33, 9 33, 38 35, 1-15

129, 242 131, 239 131, 239 240 130, 243 130, 243 179 131, 239 131, 239 128

Deuteronomio (Dt) 3, 1-7 9, 10 11, 29 26, 15 27, 11-13 29, 6-7 29, 22 32, 48-49 34, 5-6

240 130, 239 249 125, 223 249 240 130, 243 131, 240 131, 240

Giosuè (Gs) 2, 1-21 137 14, 15 99, 146 18, 28 138 20128 21, 9-13 128 24, 32 100, 114, 249 Giudici (Gdc) 4, 4-22 4, 17 8, 4-12 16, 1-3 Samuele 1 (1Sam) 1, 1 1, 1-20 3, 21 4, 3-4 4, 10 – 7, 2 7, 1 13, 14 24, 1 25, 1 31, 1-7

112, 253 167 112, 253 244 272 245, 272 114 114 246 246 117 127 272 112

31, 8-10 Samuele 2 (2Sam) 1, 1  1, 21 2, 11 5, 5 5, 7 6, 2-17 16, 7-8 24, 10-17 24, 17 24, 18-25 Re 1 (1Re) 1, 38-39 5, 16 ss. 6 – 7 8, 1-8 8, 28-29 9, 11 11, 7 12, 25-29 17, 9-24 18, 4 21, 1-16

113, 250 167 112 129, 243 76, 116, 129, 243 208 246 117 117 228 117, 228 157, 209 225 69 246 223 136, 253 138 114, 249 131, 257 250 112, 250

Re 2 (2Re) 2, 11 76 2, 19-22 75, 127 2, 23 137 5, 9-14 138 5, 12 138 9, 27 127 9, 27-28 112, 250 9, 30-37 112, 250 23, 13 138 23, 29-35 117 23, 36 78 25171 25, 8-21 117, 226 Cronache 1 (1Cr) 6, 42 21, 17 21, 18-27 28, 3

280

128 228 117, 228 117

Indice dei passi biblici

Cronache 2 (2Cr) 1, 7-12 1, 18 ss. 1, 18 – 5, 1 24, 20-22

1, 17 2, 14  3, 9 4, 8  5, 2  6, 8 (9) 7, 5-6 

117 225 117 69, 121, 221

Esdra (Esd) 3, 1-13

226

Neemia (Ne) 4, 11-12

226

Giuditta (Gdt) 13, 1-10 16, 21 e 23

136, 252 136, 252

Maccabei 1 (1Mac) 1, 30-39 2, 1 4, 36-61

226 137, 245 226

Giobbe (Gb) 1, 1 2, 11

133, 255 133, 255

Salmi (Sal) 29 (28), 9 47 (46), 2 60 (59), 10 63 (62), 2 66 (65), 20 74 (73), 12 83 (82), 10-12 87 (86), 3 89 (88), 13 108 (107), 10 113 (112), 2 120 (119) – 134 (133) 120 (119), 5 122 (121), 3 145 (144), 18

124, 222 63 132 130 65 67-68, 147 112, 253 115 112 132 63 221 135, 252 109 62

Cantico dei Cantici (Ct) 1, 14

127

Siracide (Sir) 24, 14 Isaia (Is) 1, 3 7, 8  8, 6 8, 23 9, 5 17, 12 40, 12 60, 1-6 60, 6 62, 11 63, 1

212 133 141 133 133 156 127 239 115 132 138 136, 253 145 88 91 163 163 144 132

Ezechiele (Ez) 47, 1-2

123, 225, 264

Daniele (Dn) 14, 33-39

244

Osea (Os) 13, 14

146

Gioele (Gl) 4, 2

119, 139

Amos (Am) 1, 1

137

Michea (Mi) 5, 1

115, 241

Zaccaria (Zc) 1, 1

69

281

Indice dei passi biblici

Nuovo Testamento Matteo (Mt) 1, 1-17 2, 1-12 2, 6 2, 16 3, 13-17 3, 17 4, 1-2 4, 1-11 4, 3 4, 6 4, 9 4, 15 5, 1 – 7, 29 6, 9 8, 1-4 8, 5-10 8, 10 8, 23-27 8, 28-32 9, 18-25 9, 20-21 11, 21 14, 6-12 14, 15-21 14, 24-31 14, 31 15, 24 15, 32-38 16, 13 16, 13-16 17, 1-8 17, 4 17, 5 20, 29-34 21, 1-9 21, 2-7 21, 5 21, 9 21, 10 21, 12 21, 13 23, 35

179 115, 241 115, 241 116 126, 238 126 237 75, 126, 238 126 120 126 136, 253 135, 251 236 135, 251 135, 252 135 136, 251 128 194 71 134-135, 252 168 78, 135, 251 136, 251 136, 251 256 73 78, 181 78 77, 111, 253 77, 111 111, 126 127 125 265 144 70, 125 163 120 70 69, 121, 221

26, 6 26, 6-7 26, 6-13 26, 15 26, 17-18 26, 32 26, 36 26, 38 26, 38-40 26, 39 26, 40 e 45 26, 41 26, 46 26, 75 27, 7-8 27, 48 27, 51 27, 52 27, 57-60 28, 10 28, 16 Marco (Mc) 1, 9-11 1, 12-13 1, 40-45 2, 9 e 11  4, 36-40 5, 1-13 5, 21-42 5, 25-29 6, 21-29 6, 35-44 6, 45-52 8, 1-9 8, 27 8, 27-30 9, 2-8 9, 7 10, 46-52 11, 1-10 11, 2-7 11, 15-16

282

141, 229 99, 139 187 143 75 73 233 71 71 142 142 142 143 74 193 263 67, 217 67 244 148 188 126, 238 126 135, 251 161 136, 251 128 194 71 168 78, 135, 251 136, 251 73 181 78 77, 111, 253 126 127 125 265 120

Indice dei passi biblici

11, 17 12, 41-44 14, 3 14, 3-9 14, 12-13 14, 13 14, 28 14, 32-37 14, 33 14, 36 14, 37 14, 38 14, 41 14, 42  14, 72 15, 36 15, 43-46 16, 6 16, 7 16, 9-19 16, 19 Luca (Lc) 1, 5-22 1, 11-20 1, 13 1, 26-38 1, 39 1, 39-45 1, 46-55 2, 8-14 2, 14 2, 21 2, 22-35 2, 27-28 2, 29 2, 41-47 2, 46 3, 21-22 3, 23 3, 38 4, 1-2 4, 1-13 4, 29-30 5, 10 5, 12-14 7, 1-10

7, 11-15 7, 36-50 7, 37-38 7, 44 8, 22-25 8, 26-33 8, 41-55 8, 43-44 9, 12-17 9, 18-21 9, 28-36 9, 35 10, 1 10, 13 11, 51 18, 35-43 18, 38 19, 1-10 19, 29-38 19, 30-35 19, 41-44 19, 45 19, 46 21, 1-4 22, 7-8 22, 40-46 22, 41 22, 41 e 44 22, 42 22, 46  22, 61-62 23, 50-53 24, 13-32 24, 13-50 24, 36-43 24, 51

70 119 99, 139, 229 187 75 141 73 71 233 142 142 142 142 143 74 263 244 209-210 148 188 72 121 69 121 76, 110 271 137, 245 150 241 115 70, 118 160, 224 70 119, 160 70, 119 70 126, 238 126 129 237 126, 238 111, 254 182 135, 251 135, 252

Giovanni (Gv) 1, 29 1, 32 1, 44 1, 45-50 1, 46 2, 1-11 2, 4 2, 14-15 2, 19

283

112, 253 187 75, 99, 140, 186, 229 141 136, 251 128 194 71 78, 135, 251 78 77, 111, 253 126 74 134-135, 252 69, 121, 221 127 127 137 125 265 66 120 70 119 75 71 233 71-72 142 142 74 244 148 188 135, 251 72 113 126 77, 111, 182, 255 111, 255 110 78, 102, 111, 255 146 120 70

Indice dei passi biblici

4, 5 114, 248 4, 5-26 77, 114, 248 5, 2 71, 93, 235 5, 2-9 266 5, 8 161 6, 5-13 78, 135, 251 6, 16-21 136, 251 8, 3-6 69, 70 8, 7 121 8, 10-11 121 8, 59 70 9, 1-7 72 9, 6-7 138 11, 1 229 11, 38-44 75 12, 1-8 187 12, 3 75, 99, 140 12, 12-15 125 12, 14-15 265 13, 2 e 4  142 13, 2-11 73 13, 21-35 142 19, 13 143 19, 26 145 19, 27 146 19, 29 263 19, 38-42 244 20, 15 68 20, 17 165, 219 20, 19 e 21 73, 148 20, 24-29 73, 231 20, 28 148 21148 21, 1 188 21, 1-14 73, 78 21, 1-19 102 21, 2 111, 255 21, 9-14 135 Atti degli apostoli (At) 1, 4-9 1, 9

153 72

1, 11 72 1, 18-19 72 2, 1-4 153, 231 2, 2 153 3, 1-10 69, 92 3, 6 123 7, 58 73 8, 1 66 9, 1-25 133 9, 3-6 255 9, 4 133 9, 36-43 244 10128 12, 1-2 195 12, 3-11 196, 230 12, 7-8 159, 230 12, 11 159, 230 13, 1-4 87 13, 22 117 17, 15-34 60, 84 18, 1-17 60 Corinzi 1 (1Cor) 4, 13 11, 25 15, 10 Tito (Tt) 1, 5

205 142 109 86

Ebrei (Eb) 9, 4 13, 12

69 66, 234

Apocalisse (Ap) 1, 9 4, 11 5 – 6 5, 5 5, 9 13, 8

60 119 118, 174 139 119 118

284

INDICE DELLE FONTI NON BIBLICHE

Adomnano di Iona De locis sanctis 1, 12 1, 14 2, 10 3, 4

192 94 100 184

Agostino Contra Maximinum 2, 26, 5 e 7 129, 242 De Trinitate 1, 6, 13 124 3, 2, 8 166 Enarrationes in Psalmos 121, 5-6 166 Epistulae ad Galatas expositio 35, 3-7 83 In Iohannis euangelium tractatus 55, 3 142 Alberto di Aquisgrana Historia Ierosolimitana 7, 30 7, 71 9, 11 9, 18 9, 19

152 192 103 103 103

Andrea di San Vittore Expositio historica in librum Regum p. 6272

Antiphonale Missarum Sextuplex (AMS) n° 11b163 n° 18163 n° 26163 n° 55163 n° 60162 n° 77b163 n° 80150 n° 97bis163 n° 100151 n° 172bis164 Balderico di Bourgueil Historia Ierosolimitana 1261 Bartolfo di Nangis Gesta Francorum Hierusalem expugnantium 3395 Beda De locis sanctis 2, 1 88 5, 2 95 8100 10102 16102 Expositio Actuum Apostolorum 27103

285

Indice delle fonti non bibliche

Ps. Beda Omiliae 3, 115

n° 3707155 n° 4119 163 n° 4120 163 n° 4151223 n° 4252 124, 222 n° 4280223 n° 4621 125, 223 n° 5079150 n° 5128 124, 222 n° 5371150 n° 5395156 n° 5403123 n° 5407 155

93

Bernardo Monaco Itinerarium 11261 16265 Buondelmonti, Cristoforo Liber insularum p. 5083 Burcardo di Monte Sion Descriptio Terrae Sanctae 22, 6 134 59175 79190 81177 97 128, 178 98170 111 – 117 199 Carmina Scripturarum Gen 28, 12-16 Ct 6, 8 Lc 1, 11-13

69 156 69

Corpus Antiphonalium Officii (CAO) n° 97 (2) 223 n° 114 (5) 223 n° 120 (4) 223 n° 129223 n° 1487213 n° 1503 156, 232 n° 1590 124, 222 n° 1680 124, 222 n° 1706 124, 222 n° 1708164 n° 1796 149, 210 n° 1955213 n° 2201144 n° 2428 123, 223 n° 2762 153, 232 n° 2847153 n° 2946115 n° 2998222 n° 3105156

Daniil Itinerario in Terra Santa p. 8691 p. 9371 p. 97187 p. 98232 p. 104269 p. 117270 p. 11998 p. 121-12288 p. 122-123100 p. 127-128170 p. 128171 p. 130271 p. 136-13788 Egesippo Historia 1, 35, 1 Flavio Giuseppe Antiquitates Iudaicae 5, 78 15, 292 15, 380-402 18, 5, 2 Bellum Iudaicum 1, 401 3, 233

177

207 177 226 168 177 78

Frescobaldi, Lionardo Viaggio in Oriente p. 185104

286

Indice delle fonti non bibliche

Fretello Descriptio de locis sanctis 2136 7 34, 35 8 34, 35 9 34, 35, 129, 178, 242 10 34, 35, 179 11 34, 35 12 – 22 179 19179 21 32, 34, 35 23 33, 34 24 34, 35, 131 25 33, 34, 35, 180 26 34, 35 27 34, 35 28 34, 35 29 34, 35 30 34, 35 31 34, 35 32 34, 35 33 34, 35, 181, 183, 275 34 33, 34, 35, 135 35 33, 34, 35 36 34, 35 37 33, 34, 35, 111, 182, 255 38 34, 35 39 34, 35, 112, 167 40 34, 35, 113 41 34, 35, 168, 177, 250 42 34, 35, 168, 250 43 34, 35, 113, 249 44 34, 35 45 34, 35 46 33, 34, 35 47 33, 34, 35 48 33, 34, 35, 170, 171 49 34, 35 50 34, 116 51 33, 34, 35 52 34, 35 53 35, 118, 172 54 33, 34, 173, 174 55 34, 35 56 34, 35 5734 58 34, 35, 185

59 34, 35 60 34, 35 61 34, 35, 193 62 34, 35 63 33, 34 64 33, 34, 35 65 34, 35 66 34, 35 67 34, 35, 136 68 34, 35, 137 69 34, 35 7135 72 33, 34 73 34, 35 74 33, 34, 35, 176 p. 55-56 32, 34, 35 p. 5732 p. 58-59 32, 34 p. 62 32, 34 Fulcherio di Chartres Historia Hierosolymitana 1, 13, 4-5 2, 62 3, 59

199 277 103

Giacomo di Vitry Historia Orientalis 66196 Giovanni di Salisbury Historia Pontificalis p. 56-58197 Girolamo Chronicon p. 192, r. 1-4 85 p. 193, r. 7-10 85 Commentarii in Hiezechielem 2, 5 90 8, 27, 18 132 Commentarii in Ionam prol. (p. 378, r. 35-37) 132, 257 Commentarii in Mattheum 11, 23 135 16, 13 102 27, 33 99

287

Indice delle fonti non bibliche

Commentarii in Micheam 1, 1 169 De situ et nominibus locorum Hebraicorum p. 7 90, 129, 177, 178, 242 p. 9127 p. 15-17176 p. 25268 p. 33272 p. 55113 p. 59198 p. 77 129, 242 p. 87176 p. 91148 p. 113 178, 182 p. 133 184, 271 p. 153 130, 243 p. 165169 De uiris illustribus 1, 1 87 2, 14 175 9, 6 85 9, 7 85 54, 33 180 Epistulae 46, 3 207 78179 108, 11 178 108, 12, 3 268 108, 13, 4 169 Hebraicae quaestiones in libro Geneseos p. 24, r. 12-13 167 p. 57, r. 29 – p. 58, r. 3 171 Liber interpretationis Hebraicorum nominum p. 3, r. 18 117 p. 5, r. 24 132 p. 10, r. 27-28 132 p. 48, r. 13-14 135 p. 62, r. 24 110 p. 66, r. 18 110 Tractatus in Marci euangelium 5182

Giustino Epitoma historiarum Philippicarum Pompei Trogi 36, 3, 6 179 Glossa ordinaria Gen 4, 23 Gen 14, 18 Gen 15, 2 Sal 122 (121), 3 Mt 8, 6 Mt 9, 1 Gv 5

177 167 132 166 135, 252 194 198

Gregorio Magno Homiliae in Euangelia 33, 1 Moralia in Iob 30, 18

186 172

Gregorio di Tours Historiae Francorum 1, 26

85

Guglielmo Durand Rationale diuinorum Officiorum 8, 4, 20 83 Guglielmo di Malmesbury Gesta pontificum Anglorum 4, 146 Gesta regum Anglorum 4, 319, 2 Guglielmo di Tiro Chronicon 11, 30 13, 1 16, 9 17, 4-7 19, 10

13 175

277 180 134, 252 197 181, 206

Guiberto di Nogent Dei gesta per Francos praef.206 1, 5 105 2, 11 105

288

Indice delle fonti non bibliche

Guido da Pisa Liber de uariis historiis compositus 11085 Guntero di Pairis Hystoria Constantinopolitana 24187 Iacopo da Varazze Legenda Aurea 3, 67

87

Ildeberto di Le Mans Epigrammata biblica 43172 Vita Beate Marie Egiptiace vv. 501 ss. 91 Isidoro di Siviglia Etymologiae siue Origines 13, 16, 1 133, 206 13, 18 103 13, 19, 3-4 179 13, 19, 6 136 15, 1, 5 167 15, 1, 23 115 Itinerarium Antonini Placentini 19167 25, 4 184 32, 3 185 Itinerarium Burdigalense p. 12277 Libellus de natiuitate Sanctae Mariae 1, 1 111 2 – 5 198 4, 4 70 6120 Martoni, Nicola de Liber peregrinationis ad loca sancta p. 74-7598 p. 120-121103 p. 128-12986 p. 140-14185

Martyrologium Romanum 2 feb. (p. 46) 20 feb. (p. 70) 1 mag. (p. 166) 9 mag. (p. 180-181) 6 lugl. (p. 272) 8 ott. (p. 441-442) 21 nov. (p. 537)

128 180 175 98 185 268 120

Ps. Matteo Vangelo 3, 5 70 4120 13, 1 270 Maundrell, Henry A Journey from Aleppo to Jerusalem p. 51-52277 Nauigatio sancti Brendani 12, 65-71

261

Orderico Vitale Historia Ecclesiastica 2, 5 6, 10

85 175

Orosio Historiae aduersus paganos 1, 2, 97 7, 10, 4-5 7, 11, 2 Ottone di Frisinga Chronica 8, 18

86-87 85 85

240

Pascasio Radberto De assumptione Sanctae Mariae Virginis 4, 23 156 Pietro Comestore Historia Scholastica Gen 44 e 53

289

179

Indice delle fonti non bibliche

Plinio il Vecchio Naturalis Historia 5, 72 5, 74

179 134

2, 23 11, 28

175 169

Protovangelo di Giacomo 22271

Ruggero di Howden Chronica vol. II, p. 17  vol. III, p. 158

176 80

Prudenzio Psychomachia praef. 1-2

Sallustio Bellum Iugurthinum 78, 1-4

103

129

Rabano Mauro Omiliae 7093

Solino Collectanea rerum memorabilium 35, 2 179

Rodolfo di Caen Tancredus 144118

Teodosio De situ Terrae Sanctae 4184

Rodolfo il Glabro Historiae 4, 19

Virgilio Georgica 4, 72

Rufino Historia Ecclesiastica

261

Wibaldo di Corvey Epistulae vol. I, p. 220-222

290

88

198

INDICE DEI LUOGHI

Oltre ai toponimi, registriamo in questo indice anche la mag­g ior parte degli edifici (soprattutto sacri) menzionati nei nostri tre testi, ciascuno sotto la voce relativa alla città o al sito in cui esso si trova; non abbiamo tenuto conto, invece, di luoghi per cui era troppo difficile individuare un’etichetta chiara, né di edifici poco impor­tanti o molto raramente citati. Qualora esso sia stato indicato nel commento (e  salvo in caso di scarsa utilità o di identificazione dubbia), abbiamo fornito tra parentesi il numero assegnato a ciascun nome nel repertorio di Pringle, Churches. Abanà, fiume  133, 138, 256 Abarìm, monte (n° 147)  131, 239 Abido (Savite)  81, 104 Accaron  vd. Acri Acri (Accaron, Tolemaide)  14, 16, 25, 28, 33, 77, 78, 79, 103, 110, 196, 246, 247, 253, 254, 255, 257, 273, 276, 277 Adma, città  129, 130, 243 Africa  132, 257 Aix-en-Provence 186 Aleppo  10, 250, 269, 274 Alessandria (Alessandretta?)  61, 86 Alessandria d’Egitto  113, 169, 249 Alicarnasso 104 Alpi 113 Amorgo, isola  60 Andria (Andros), isola  15, 60, 85 Antiochia  9, 10, 11, 16, 32, 62, 80, 87, 133, 224, 256, 267 Antiochia Minore  80 Aquisgrana  25, 118, 212, 260 Aquitania 118 Arabia  22, 23, 27, 32, 34, 35, 75, 130, 131, 206, 237, 238, 239, 240, 243, 244, 255

Arcados, pianura  133, 256 Arimatea  27, 244, 272 Armenia 105 Arpad, città  132, 255 Arsuf (Apollonia), città  79 Ascalona  27, 30, 115, 224, 244, 258, 263 Asfaltide, lago  vd. Mar Morto Atene  60, 85 Santa Maria (Partenone), chiesa  60, 85 Attalia, città  80, 81, 103 Augusta  vd. Samaria, città Aulon, valle  127, 133, 176 Avignone 31 Azoto (Ashdod), città  79 Babilonia  117, 172, 183, 225, 244 Babilonia (d’Egitto?)  79, 103 Bari 59 Barletta 59 Basan, regione  240 Bath, abbazia  17, 18 Beirut (Berito)  22, 28, 33, 79, 132, 181, 224, 256, 257

291

Indice dei luoghi

Bela  vd. Soar Belgio 9 Belina(s)  vd. Cesarea di Filippo Belmont  vd. Modin Beozia 60 Berito  vd. Beirut Bersabea, città  114 Bet-Cogla  33, 127 Bet-Oron (Beter), città  245 Bet-Sean (Scitopoli), città  112, 113, 250 Bet-Semes, città  113, 246 Betania  16, 22, 26, 27, 70, 75, 99, 125, 138, 139, 140, 141, 170, 186, 187, 216, 229, 236, 239 San Lazzaro, chiesa (n° 60)  26, 216, 236, 239, 262, 268 Sante Marta e Maria (ex San Lazzaro), chiesa (n° 59)  75, 98, 236, 268 Betel (città e altro nome del Tempio)  21, 28, 69, 92, 113, 114, 117, 118, 175, 248, 249, 250 Beter  vd. Bet-Oron Betfage (n° 64)  75, 138, 141, 187, 229, 265 Bethgibelin, fortezza  194 Betlemme (Efrata)  10, 16, 21, 27, 33, 74, 76, 88, 98, 114, 115, 116, 118, 137, 157, 170, 171, 208, 211, 240, 241, 270, 271 Natività (Santa Maria), chiesa (n° 61)  20, 74, 75, 97, 98, 115, 165, 170, 241, 270 San Caritone, monastero (n° 199200)  21, 33, 116, 170, 171 Betsaida  77, 111, 134, 135, 182, 252, 255, 275 Betulia, città  136, 252 Betzatà  vd. Gerusalemme, piscina Probatica Biblo (Gibelet, Iubelet)  79, 256 Bisanzio  vd. Costantinopoli Bologna 23 Bosra (Bostron), città  131, 132, 134, 251, 255 Bostron  vd. Bosra

Boulogne-sur-Mer 191 Braccio di San Giorgio  vd. Dardanelli Brindisi  15, 59 Caco, villaggio  246, 272 Cadumin  vd. Kison Cafarnao  33, 71, 73, 134, 135, 194, 252, 275 Calimno, isola  61 Camat, città  255 Campestre (o Grande), valle  127, 239, 251 Cana  21, 28, 78, 102, 111, 146, 182, 254, 255 Architriclino, monastero (n° 181)  78, 102 Canaan, regione  205 Caphar Gamala, villaggio  96, 246, 265 Caphar Semala, villaggio  246 Cara  vd. Soar Cariatharbe  vd. Ebron Carmelo, monte  22, 33, 127, 128 Cartagine  132, 257 Castrum Fabe, fortezza  250, 274 Castrum Imberti, villaggio (n° 282)  257, 277 Cedron, torrente e valle  71, 94, 97, 139, 175, 207, 229, 231 Cefalonia  15, 59, 83 Celesiria, regione  256 Cesarea di Cappadocia  189 Cesarea di Filippo (Belina(s), Paneas)  25, 78, 133, 134, 177, 181, 251, 252, 274, 275 Cesarea di Palestina (Cesarea Marittima, Torre di Stratone)  16, 22, 27-28, 29, 30, 77, 79, 128, 177, 181, 246, 255, 257, 272 Chabratha (tomba di Rachele)  21, 116, 171, 240, 270 Charroux, abbazia di Saint-Sauveur  118, 174 Chinneret  vd. Tiberiade Chio  16, 60, 81 Cipro  15, 16, 62, 80, 87

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Indice dei luoghi

Elìm  131, 239 Emesa 169 Emmaus (Eleuteropoli, Fonte­ noid)  148, 184, 245, 271 Endor, monte  21, 112, 253 Engaddi, villaggio  33, 127, 176 Ermon, monte  111, 112, 177, 250, 274

Cirene 145 Cisterna Rossa (n° 251)  236, 237, 268 Citèra, isola  105 Città della Palma  vd. Soar Clermont  8, 261 Cluny, abbazia  94 Cnido (Lido)  15, 61 Colonia  25, 209 Colosse, città  86 Compas  vd. Gerusalemme, centro della terra Coo  15, 61, 86 Corazìn  77, 134, 135, 183, 252 Corfù  15, 59 Corinto  15, 59, 60, 83, 84 Costantinopoli (Bisanzio)  11, 14, 16, 59, 61, 81, 84, 98, 104, 113, 137, 138, 150, 169, 184, 231, 241, 249 Creta  60, 86

Fenicia  131, 256 Finike (“Porto dei Pisani”)  62, 87 Firenze 192 Fonte di Giacobbe (n° 108)  20, 21, 28, 77, 101, 114, 169, 170, 248 Fontenoid  vd. Emmaus Francia  8-9, 10, 79, 169, 191 Fulda, abbazia  191

Damasco  10, 11, 19, 22, 23, 28, 131, 132, 133, 152, 160, 197, 216, 251, 255, 256, 274 Dan, città  113, 114, 216, 248, 249 Dan, fiume  78, 126, 133, 134, 181, 182, 251, 252 Dardanelli (Braccio di San Giorgio)  14, 16, 81, 105 Diospoli  vd. Lidda Dotàim, pianura  21, 113, 136, 252, 268 Ebal, monte  114, 249 Ebron (Cariatharbe, Kariath Iarbe, Kiriat-Arbà; n° 100)  16, 22, 27, 67, 76, 88, 99, 100, 114, 127, 128, 129, 146, 171, 177, 178, 242, 243, 244, 270 Edessa  9, 10, 79, 200 Edom  vd. Idumea Efeso  60, 85, 86 Efrata  vd. Betlemme Egitto  11, 30, 67, 76, 86, 103, 114, 127, 129, 179, 181, 195, 206, 216, 238, 239, 240, 242, 249 Eleuteropoli  vd. Emmaus Elia (Aelia Capitolina)  vd. Gerusalemme

Gàbaa  137, 246 Galilea, regione e città  15, 23, 29, 72, 73, 76, 77, 78, 110, 111, 113, 126, 134, 153, 168, 188, 194, 205, 250, 251, 254 Galilea delle genti  134, 136, 252, 253 Galizia  158, 195 Gallia  113, 118 Gallina Grassa o Maggiore  vd. Genuino Gallina Minore  vd. Izreèl Gallipoli (Gelibolu)  81, 105 Garizìm, monte  28, 114, 249 Gaza (Gazara)  27, 244, 257 Gazara  vd. Gaza Gebal  vd. Ebron Gelboe, monti  21, 28, 79, 112, 126, 133, 239, 250, 251 Gemino  vd. Genuino Gennèsaret, villaggio e lago  77, 78, 136, 252, 253 Genuino (Genunio, Gemino; Gallina Grassa o Maggiore), villaggio  113, 127, 168, 250 Genunio  vd. Genuino Ger  127, 177 Gergessa (Gerasa), villaggio  33, 128 Gerico  16, 22, 25, 27, 75, 114, 126, 127, 137, 176, 239, 240, 268 Germania  10, 25, 197

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Indice dei luoghi

Gerusalemme (Elia, Salem, Sion)  8, 9, 10, 12, 13, 14, 15, 16, 19, 21, 22, 23, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 32, 33, 56, 59, 64, 65, 66, 68, 70, 71, 73, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 88, 89, 90, 91, 93, 94, 95, 96, 97, 109, 110, 111, 112, 114, 115, 116, 117, 118, 119, 122, 125, 128, 131, 135, 136, 137, 138, 139, 141, 148, 150, 151, 152, 153, 156, 157, 162, 163, 166, 167, 169, 170, 171, 172, 175, 176, 177, 183, 184, 185, 187, 188, 191, 192, 194, 195, 196, 197, 198, 199, 200, 206, 207, 208, 214, 216, 224, 225, 229, 231, 236, 238, 239, 240, 244, 247, 248, 253, 255, 258, 259, 260, 261, 264, 265, 267, 268, 270, 271, 272, 273, 276 Akeldamà (n° 332)  25, 72, 156, 193, 198, 207, 208, 259 Antonia, fortezza (palazzo di Erode)  32, 34, 128, 177, 188, 196, 209, 228 Calvario (Golgota)  15, 20, 22, 26, 67, 89, 99, 145, 146, 147, 150, 151, 165, 167, 189, 190, 191, 199, 201, 211, 215, 217, 218, 219, 234, 261, 262, 263 Carcere del Signore (Santo Sepolcro)  26, 66, 145, 189, 215 centro della terra (Compas)  67, 90, 91, 116, 147, 225, 260 chiostro dei Canonici (Santo Sepolcro)  20, 22, 90, 147, 149, 150, 190, 215, 260 Litostroto, pretorio e casa di Pilato  22, 66, 143, 144, 188, 196, 209, 234, 259, 266 Ossario del Leone (piscina di Mamilla; n° 330)  27, 137, 184, 244, 270 palazzo di Salomone (sede dei Templari; n° 368-369)  20, 22, 27, 70, 93, 123, 138, 159, 160, 196, 197, 208, 226, 227, 264 piscina Probatica (Betzatà; n° 366)  22, 27, 71, 93, 94, 161, 198, 209, 235, 266

294

piscina di Siloe  22, 27, 72, 97, 138, 207, 228, 229, 264 Porta Aurea (n° 293)  15, 21, 27, 70, 92, 93, 125, 151, 175, 176, 221, 229, 234, 259 Porta Bella  68-69, 92, 93, 123, 175, 208, 220 Porta di Davide  65, 88, 158, 162, 259 Porta Ferrea (Porta dei Conciatori)  159, 196 Porta di Giosafat  161, 199, 259 Porta del Monte Sion  144, 259 Porta Probatica  71, 93 Porta di Santo Stefano  161, 196, 199, 259, 267 San Caritone, chiesa (n° 310)  27, 161, 199, 235, 267 San Giacomo Maggiore, chiesa (n° 318)  20, 22, 158, 195 San Giacomo Minore, cappella (n° 319)  21, 27, 122, 175, 222, 224, 225, 264 San Giovanni Battista, ospedale e chiesa (n° 322-323)  20, 22, 26, 68, 91, 92, 157, 158, 194, 195, 214, 219, 259 San Lazzaro, ospedale e chiesa (n° 328)  235, 267 San Pietro in Vincoli, chiesa (n° 353)  22, 27, 159, 196, 230, 265 San Saba, monastero (n° 355)  22, 74, 97, 158, 195 San Saba, monastero fuori città (n° 216-217)  16, 74, 97 Sant’Anna, chiesa (n° 305)  20, 22, 27, 32, 71, 93, 140, 160, 196, 198, 209, 234, 266 Santa Croce, chiesa fuori città (n° 145)  16, 27, 73, 74, 97, 245, 271 Santa Maria “al Bagno” (casa di Simeone), chiesa (n° 339)  27, 71, 93, 160, 198, 228, 264

Indice dei luoghi

Santa Maria Latina, chiesa (n° 334)  22, 27, 68, 91, 92, 158, 195, 220, 235, 267 Santa Maria Maddalena, chiesa (n° 344)  140, 161, 185 Santa Maria Maggiore, chiesa (n° 335)  22, 27, 68, 92, 158, 195, 220 Santa Maria dei Tedeschi, chiesa (n° 333)  20, 159, 196 Santo Sepolcro (Anastasis, Martirio; n° 283)  9, 12, 15, 19, 20, 22, 23, 25, 26, 30, 33, 59, 65, 66, 67, 68, 88, 89, 90, 91, 123, 126, 145, 147, 148, 149, 150, 151, 157, 161, 162, 164, 165, 190, 191, 194, 195, 198, 200, 209, 210, 211, 212, 213, 214, 215, 216, 217, 218, 219, 220, 229, 260, 261, 262, 263, 266 Santo Stefano, chiesa (n° 359)  1516, 27, 73, 96, 183, 235, 267 Tempio del Signore (n° 367)  12, 15, 21, 23, 27, 32, 33, 34, 66, 68, 69, 70, 71, 89, 90, 91, 92, 93, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 138, 146, 158, 159, 160, 164, 172, 173, 174, 175, 177, 188, 199, 206, 207, 208, 209, 214, 215, 217, 219, 220, 221, 223, 224, 225, 226, 228, 230, 246, 259, 260, 263, 264, 266 Torre di Davide (n° 285)  12, 26, 32, 66, 74, 88, 97, 128, 143, 144, 158, 177, 208, 235, 240, 244, 248, 259 xenodochium (ospedale)  235, 267 Ghicon, monte  157, 193, 209 Giacobbe  vd. Iabbok Giaffa (Ioppe)  8, 14, 15, 16, 27, 29, 30, 62, 64, 75, 78, 79, 80, 82, 87, 88, 103, 115, 137, 158, 191, 192, 244, 257 Giardino di Abramo  25, 27, 75, 236, 237, 238, 268 Gibel (Gabala), città  79 Gibelet  vd. Biblo

Gior, fiume  78, 126, 133, 134, 251, 252, 275 Giordano  16, 22, 23, 27, 28, 30, 75, 76, 78, 102, 112, 113, 126, 127, 133, 134, 138, 162, 206, 236, 237, 238, 239, 240, 250, 251, 253, 255, 269 San Giovanni Battista, monastero (n° 209)  239, 269 Giosafat, valle  15, 22, 26, 27, 71, 72, 93, 119, 138, 139, 142, 144, 154, 155, 156, 160, 161, 185, 189, 198, 207, 208, 224, 229, 231, 233, 240, 258, 259, 264, 266 Santa Maria, chiesa (n° 337)  15, 26, 27, 71, 72, 94, 139, 141, 142, 154, 155, 156, 192, 207, 231, 232, 266 Vicus Heremitarum  139, 207 Giuda, regno  94, 185, 225, 226, 244, 250 Giudea  26, 74, 75, 115, 116, 118, 127, 130, 205, 206, 207, 220, 226, 227, 244, 251, 256 Golgota  vd. Gerusalemme, Calvario Gomorra  129, 130, 243 Gortus, valle  133 Grecia  59, 81, 83, 104, 105, 213 Haifa  28, 77, 79, 246, 257, 272, 273 Hattin 12 Iabbok (Giacobbe, Iadach), fiume  133, 255 Iadach  vd. Iabbok Iconio 170 Idumea (Edom)  131, 132, 133, 134, 206, 240, 251, 255, 256 Innòm, valle e cappella (n° 178)  26, 240, 270 Ioppe  vd. Giaffa Iraq 11 Israele, regno  112, 127, 249, 250 Italia  9, 169, 181 Iturea, regione  251 Iubelet  vd. Biblo Izreèl (Gallina Minore, “Passaggio delle galline”, Zaraim)  21, 28, 112, 113, 167, 250, 274

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Indice dei luoghi

Kades-Barnea 242 Kairam, monte  127, 176 Kariath Iarbe  vd. Ebron Karnàin, grotta e città  32, 130, 243 Kedar, città  134, 135, 216, 252 Keros, isola  60 Kiriat-Arbà  vd. Ebron Kiriat-Iearìm 246 Kison (Cadumin), torrente  112, 253 Le Saffran, fortezza  255, 276 Lero, isola  61 Libano, monte e regione  16, 22, 28, 30, 78, 86, 126, 131, 133, 134, 135, 176, 208, 251, 256 Libia 195 Lice (Laodicea)  79 Lidda (Diospoli, San Giorgio; n° 137)  22, 27, 114, 137, 184, 246, 255, 271 Lido  vd. Cnido Londra 192 Lorena 191 Luz, città  21, 28, 114, 249 Macedonia  81, 82, 104 Macheronte, fortezza  113, 168, 249 Magdala, villaggio  136, 253 Mahumeria Maggiore (Mala Humeria), villaggio (n° 66)  121, 247, 273, 274 Mala Humeria  vd. Mahumeria Maggiore Malmesbury, abbazia  13 Mamistra, città  256 Mamre, monte  22, 27, 129, 178, 242 Mar(e) Adriatico  61, 62, 75, 79, 86, 87 Mar(e) del Diavolo  vd. Mar Morto Mar Egeo  15, 61, 84, 86 Mar(e) di Galilea (o di Tiberiade)  16, 22, 28, 73, 77, 78, 127-128, 134, 135, 148, 183, 188, 194, 250, 251, 252, 275 San Pietro, chiesa (n° 249)  78, 102 Mar Grande  vd. Mar Mediterraneo Mar(e) Libico  86 Mar di Marmara  14, 82

Mar Mediterraneo (Grande)  86, 133, 181, 206, 244, 250, 256 Mar Morto (Lago di Asfaltide, Mare del Diavolo)  22, 27, 78, 113, 127, 129, 130, 133, 178, 179, 237, 238, 242, 243, 244, 251 Mar Rosso  131, 239, 240 Marmara-Ereğlisi (Raclea), città  14, 16, 82 Marmarica, regione  195 Medan, pianura  22, 28, 134, 182, 252 Meghiddo  112, 250 Menfi Egizia  118 “Mensa (Tavola) del Signore”  78, 102, 135, 183, 251 Mesopotamia  121, 133, 255 Mira (Stamirra)  15, 61, 80, 87 Mitilene (Lesbo)  15, 16, 60, 81, 84 Moabiti, monte  32, 130, 180, 243 Modin (Belmont), monti e città  22, 27, 137, 184, 245, 271 Molsheim 23 Monopoli  14, 59, 62, 82, 83 Monte della Gioia  207, 247, 258, 272 Monte della Perdizione  138 Monte Regale, fortezza  131, 180, 240 Monte degli Ulivi  15, 22, 27, 66, 71, 72, 75, 93, 95, 125, 138, 141, 142, 153, 188, 195, 207, 208, 229, 233, 235, 236, 266, 267, 268 Ascensione, chiesa (n° 284)  72, 95, 153, 192, 235, 267 Getsèmani (Orto degli Ulivi), giardino e chiesa (n° 292)  15, 71, 72, 94, 139, 141, 142, 143, 187, 233, 266 Padre Nostro, chiesa (n° 298)  72, 95, 236, 268 San Salvatore al Getsèmani, chiesa (n° 357)  20, 71, 94, 143, 187, 233, 266 Santa Maria, chiesa (n° 341)  72, 95 Santa Pelagia, cappella (n° 351)  236, 267, 268 Moria, monte  116, 117, 207, 208, 228, 246

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Indice dei luoghi

Moriana (San Giovanni di Moriana)  113, 169 Mosul  10, 269 Mykonos  15, 60 Naamà, città  132, 255 Nablus (Neapoli, Sichem)  21, 28, 77, 99, 101, 113, 114, 137, 169, 248, 249, 255, 273 Nain, città  21, 112, 253 Nasso  15, 60 Nazaret  16, 21, 26, 28, 29, 30, 33, 73, 76, 77, 78, 101, 110, 111, 115, 118, 127, 166, 245, 253, 254, 255, 276 Annunciazione (Santa Maria), chiesa (n° 169)  26, 77, 101, 254, 276 Neapoli  vd. Nablus Negroponte (Eubea)  15, 60, 84 Nicea 180 Nicopoli  148, 184, 271 Nilo 152 Nuova Acri, villaggio  247 Or, monte (n° 103)  179, 239 Oreb, monte  131, 179 Orto degli Ulivi  vd. Monte degli Ulivi, Getsèmani Osta (Livadostra)  60 Otranto 59 Pafo (Cipro)  15, 62 Pairis, abbazia  187 Palestina  7, 8, 12, 86, 98, 105, 116, 158, 170, 186, 244, 256 Palmaria  vd. Soar Paneas  vd. Cesarea di Filippo Paniado (Barbaros o Panizo)  81 Paran, deserto  134, 176, 251 Parpar, fiume  133, 138, 256 “Passaggio delle galline”  vd. Izreèl Patara, città  15, 61, 80 Patmo, isola  60, 85 Patrasso  15, 59 Pergamo 86 Persia  70, 93, 118, 230

Petalion (Megalonisos Petalion), isola 60 Pisa 192 piscina di Mamilla  vd. Gerusalemme, Ossario del Leone Poitiers  113, 118, 174 Polipoli (Cillene o Elis)  59 Porto Guiscardo (Fiskardo)  83 “Precipizio” (luogo presso Nazaret; n° 149)  111, 166, 254 Puglia  14, 16, 59, 82 Quarantena, monte e deserto (n° 104107)  22, 26, 27, 75, 126, 237, 238, 268, 269 Raclea  vd. Marmara-Ereğlisi Rama  vd. Ramatàim Ramatàim (Rama, Rames)  114, 115, 137, 245, 272 Rames  vd. Ramatàim Ravenna 260 Rodi  15, 16, 61, 80, 81, 86, 87, 104, 169, 249 Roghel, quercia  138, 185 Roma  98, 115, 137, 170, 174, 181, 184, 231, 258, 260 San Lorenzo fuori le mura, chiesa 184 Santa Maria Maggiore, chiesa  98, 115, 170 Roma (Khirbat ar-Ruma), villaggio 78 Romània (sultanato di Rum?)  61, 80, 81 Rotostoca (Tekirdağ), città  82 Saba 163 Safad, fortezza  250, 274 Salem  vd. Gerusalemme Samaria (Augusta, San Giovanni, Sebaste), città  21, 28, 113, 168, 249, 255 Samaria, regione  16, 21, 28, 77, 112, 113, 168, 205, 206, 248, 249, 250 Samo  16, 60, 81

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Indice dei luoghi

San Femio (Eceabat o Sesto)  81, 104 San Giorgio  vd. Lidda San Giorgio (penisola di Gallipoli)  81, 105 San Giovanni  vd. Samaria, città San Giovanni (“Boscoso”; n° 7-8)  27, 137, 245, 271 San Simeone (Solim), porto  80, 133, 256 Sant’Agostino di Canterbury, abbazia 83 Sant’Andrea (Cipro), porto  80 Santa Margherita, fortezza (n° 212)  247, 273 Santa Maria, porto  80 Santa Maria di Mogronissi (Kekova), isola  61, 86 Santiago de Compostela  195, 258 Sarepta (Sarfen)  131, 132, 257 Sarfen  vd. Sarepta Savite  vd. Abido Scandalion, fortezza (n° 102)  257, 277 Scitopoli  vd. Bet-Sean Sebaste  vd. Samaria, città Seboìm, città  129, 130, 243 Sefarvàim, città  255, 276 Seffori, città (n° 196)  21, 28, 110, 111, 166, 254, 255, 276 Segete  vd. Sidone Seir, monte  132, 133, 255 Sicar, città  21, 114, 248 Sichem  vd. Nablus Sidone (Segete)  22, 28, 79, 103, 131, 132, 257 Silo, monte e città  21, 27, 114, 138, 228, 245, 246 San Samuele (Nabi Samwil; n° 159)  246, 258, 272 Simi, isola  61 Sinai, monte  30, 76, 130, 239 Sion  vd. Gerusalemme Sion, monte  15, 22, 27, 32, 65, 71, 72, 73, 74, 95, 96, 97, 137, 141, 142, 143, 144, 148, 153, 154, 156, 157, 159, 184, 187, 188, 189, 195, 196, 207, 208, 230, 232, 234, 246, 248, 259, 265, 266, 267

“Galilea”, chiesa (n° 299)  73, 96, 144, 188, 234 San Pietro, chiesa detta “Canto del Gallo” (n° 352)  16, 74, 97, 144, 188, 234 San Salvatore, cappella (n° 358)  144, 188, 234 Santa Maria, chiesa (n° 336)  15, 27, 72, 73, 95, 96, 141, 142, 144, 148, 153, 183, 187, 188, 189, 208, 230, 234, 265, 266 Siponto 59 Siria  11, 79, 80, 105, 131, 132, 133, 138, 226, 255, 256 Siro, isola  60 Sirte, golfo  103 Smirne  16, 60, 81 Soar (Bela, Città della Palma, Palmaria, Zara o Cara)  130, 243 Sodoma  129, 130, 167, 243 Solim  vd. San Simeone Sophim (monti di Efraim)  245, 271, 272 Spagna  61, 158, 195 Spineto, pianura  134, 252 Spirito Santo, chiesa  vd. Sion, monte, Santa Maria Stamirra  vd. Mira Stivas  vd. Tebe Strovilo (Arconneso)  81, 104 Suach, città  132, 134, 252, 255 Sur  vd. Tiro Tabaria (Tiberiade?)  140, 186 Tabor, monte  16, 21, 26, 28, 73, 77, 101, 111, 112, 164, 166, 167, 253, 275 San Salvatore, chiesa (n° 155)  26, 77, 101, 102, 253, 275 Sant’Elia, chiesa (n° 157)  101102 “Tavola del Signore”  vd. “Mensa del Signore” Tebe (Stivas)  15, 60, 84 Tegernsee, abbazia  23 Tekòa, villaggio  33, 116, 137 Teman, città  132, 255 Tenedo, isola  16, 81

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Indice dei luoghi

Terra Promessa  128, 129, 179, 180, 240, 242, 246 Terrasanta  7, 8, 9, 10, 12, 13, 17, 19, 23, 25, 28, 29, 30, 33, 36, 56, 79, 82, 84, 86, 88, 103, 109, 174, 184, 197, 199, 200, 206, 261, 273, 275, 276 Thanet (Kent)  82-83 Tiberiade (Chinneret)  12, 73, 77, 78, 110, 136, 186, 251, 252, 253 Tino, isola  60 Tiro (Sur)  10, 22, 28, 30, 33, 79, 103, 131, 136, 180, 253, 256, 257, 273, 276, 277 Tolemaide  vd. Acri Torre di Stratone  vd. Cesarea di Palestina Tortosa 79 Traconitide, regione  251 Trani 59

Tripoli (Tursolt)  9, 11, 16, 79, 103, 224, 256 Troia 81 Troyes 197 Tursolt  vd. Tripoli Us, regione  132, 255 Venezia 180 Vézelay  140, 186 Würzburg  19, 24, 109 Xindacopo, isola  62 Yarmuk  vd. Dan, fiume Zacinto, isola  83 Zara  vd. Soar Zaraim  vd. Izreèl

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INDICE DEI NOMI

Abacuc 244 Abdia  113, 168, 249 Abele  128, 132, 249, 255 Abibone, figlio di Gamaliele  73, 96, 137 Abinòam  112, 253 Abramo  25, 27, 67, 75, 76, 92, 99, 112, 114, 128, 129, 132, 167, 178, 236, 238, 242, 243, 249, 253, 255, 268, 276 Acazia  vd. Ozia Adamo  67, 76, 99, 100, 128, 146, 149, 165, 177, 178, 213, 242 Adolfo, compagno di Teodorico  25, 209 Adomnano di Iona  94, 100, 184, 192 Adriano (Elio)  15, 66, 80, 88, 89, 115, 144, 181 Adsone di Montier-en-Der  183 Agareni 253 Agostino, santo  67, 83, 90, 124, 129, 142, 166, 242 Alberto di Aquisgrana  103, 191 Alessandro Magno  277 Allah  118, 172 Alverniati 152 Amaleciti  112, 167, 253 Amalrico, re di Gerusalemme  11, 25, 216, 262, 263 Ambrogio, santo  115, 134 Ammoniti 253 Amon  vd. Abinòam Amorrei 240

Amos 137 Anakiti 99 Ananìa, santo  133 Anastasio I  269 Anastasio Bibliotecario  91 Andrea, apostolo  59, 77, 80, 134, 136, 182, 252 Andrea di San Vittore  272 Anna, madre di Maria  19, 20, 22, 27, 32, 70, 71, 93, 110, 140, 160, 166, 196, 198, 209, 234, 254, 266 Anna, madre di Samuele  245 Anna, sommo sacerdote  189 Anticristo  134, 183, 252 Antioco IV Epifane  172, 226, 245 Arabi  87, 134, 252, 274 Araunà (Ornan)  117, 228, 246 Armeni  162, 214, 215, 219, 234, 235, 267 Aronne  69, 114, 131, 179, 239 Assiri 225 Assiri (cristiani della Terrasanta)  17, 66, 68, 71, 72 Atanasio di Alessandria, santo  167, 181 Augusto (Cesare Augusto)  113, 128 Balaam  130, 243 Balak  130, 243 Balderico di Bourgueil  261 Baldovino I, re di Gerusalemme  9, 10, 79, 131, 152, 180, 216, 240, 261, 263, 272, 273, 277

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Indice dei nomi

Baldovino II, re di Gerusalemme  10, 216, 236, 262, 272 Baldovino III, re di Gerusalemme  11, 216, 261, 262, 263, 277 Baldovino IV, re di Gerusalemme  11 Baldovino V, re di Gerusalemme  11 Barachìa  69, 121, 221 Barak  112, 253 Barnaba, santo  62, 87 Bartolfo di Nangis  95 Bartolomeo (Natanaele), apostolo  60, 111, 112, 255 Basilio, santo  155 Becket, Tommaso  176 Beda  17, 100, 103 Beniamino  116, 137-138, 211, 225, 240 Beor  130, 243 Bernardo di Clairvaux  10, 197 Bernardo Monaco  261, 265 Bertrando di Tolosa  9 Bildad  132, 255 Boemi 162 Boemondo d’Altavilla  9 Borgognoni 152 Britanni 162 Bulgari 162 Buondelmonti, Cristoforo  83, 86 Burcardo di Monte Sion  128, 134, 170, 175, 177, 178, 190, 199 Cafeturici  162, 200 Caifa  188, 189, 233 Caino  127, 132, 176, 177, 249, 255 Caldei 79 Caleb  99, 129, 242 Caritone, santo  21, 27, 33, 116, 161, 162, 170, 171, 199, 235, 269 Carlo il Calvo  118 Carlo Magno  118, 260 Cassiodoro 207 Cavalieri Teutonici  196 Cheber  112, 167, 253 Chiram  136, 253 Cipriano, santo  220 Ciro 226 Colossesi 61

Copti  162, 214 Cornelio, centurione  128 Corrado III, re di Germania  10, 160, 197 Cosroe II  66, 137, 184, 215 Costantino  65, 89, 91, 95, 97, 118, 170, 178, 212, 225, 226, 260 Costanzo II  129, 242 Damasceni 255 Danesi 83 Daniele 244 Daniil, pellegrino  71, 88, 91, 98, 100, 170, 171, 187, 270, 271 Davide  12, 26, 32, 65, 66, 70, 74, 76, 88, 97, 112, 114, 116, 117, 125, 127, 128, 129, 131, 143, 144, 158, 162, 167, 175, 177, 208, 217, 228, 235, 240, 243, 244, 246, 248, 259 Debora  112, 253 Didone  132, 257 Dietrich, amico di Giovanni di Würzburg  19, 21, 109 Dietrich von Homburg, vescovo di Würzburg 19 Dina  113, 114, 248 Diocleziano 184 Dionigi l’Areopagita  60, 84 Domiziano  60, 85 Domneva, moglie di Merewalh  82 Ebrei  99, 154, 179, 206, 214, 246 Edom  vd. Esaù Efesini 60 Efraim  27, 245, 271, 272 Efron 242 Egeria  89, 168, 183 Egesippo  136, 177, 179 Egizi, Egiziani  117, 162 Elena, madre di Costantino  65, 66, 89, 95, 97, 115, 118, 150, 170, 209, 212, 216, 225, 226, 231 Elena di Troia  82, 105 Eli 246 Elia  76, 77, 101, 111, 127, 131, 257, 269 Elièzer  132, 255

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Indice dei nomi

Elifaz  132, 255 Elio (Elia)  vd. Adriano Eliodoro, amico di Girolamo  110 Elisabetta, madre di Giovanni Batti­ sta  137, 245, 271 Eliseo  33, 75, 113, 126, 127, 137, 138, 168, 249 Elkanà  245, 272 Emor (Camor)  113, 114, 248, 249 Enrico Sdyck (Jindřich Zdík), vescovo di Olomouc  30, 31 Eraclio  70, 89, 93, 118, 215, 230 Erasmo 86 Erode Agrippa (“il Giovane”)  27, 158, 159, 195, 196, 230 Erode Antipa (“il Giovane”)  77, 113, 249 Erode il Grande  32, 74, 90, 100, 115, 128, 168, 170, 172, 177, 196, 209, 226, 228, 257, 259, 271 Esaù (Edom, Seir)  132, 255 Esdra 226 Eudocia 96 Eusebio di Cesarea  90 Eustachio, santo  133, 181, 256 Eustochio, figlia di Paola  75, 97, 116, 154, 170 Eva  99, 128, 178, 242 Ezechiele 225 Femio (Eutimio), santo  81, 104 Fenici 131 Filippo, apostolo  111, 158, 182, 220, 254, 255 Filippo, tetrarca  78, 181, 251 Filistei  128, 242, 244, 246, 250 Flavio Giuseppe  78, 128, 168, 177, 179, 207, 209, 226 Folco V d’Angiò, re di Gerusalemme  10, 194, 216, 261-262 Franchi  79, 131, 151, 152, 162, 190, 201, 213, 260, 272, 274, 276, 277 Franconi (Tedeschi)  152 Frescobaldi, Lionardo  104 Fretello, Rorgo  20, 23, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 37, 109, 110, 111, 112, 113,

116, 118, 129, 131, 133, 135, 136, 137, 167, 168, 169, 170, 171, 172, 173, 174, 176, 177, 178, 179, 180, 181, 182, 183, 184, 185, 187, 193, 242, 249, 250, 255, 258, 270, 275 Fulcherio, patriarca di Gerusalemme 218 Fulcherio di Chartres  103, 199, 277 Gabriele, arcangelo  69, 101, 110, 212, 213, 254 Galeno  61, 86 Gamaliele, rabbino  73, 96, 137 Gedeone  112, 253 Georgiani 162 Gerardo di Nazaret  186 Geroboamo  114, 248-249 Gezabele  112, 168, 250 Giacobbe (Israele)  20, 21, 28, 67, 69, 76, 77, 92, 99, 101, 113, 114, 116, 120, 121, 127, 128, 133, 136, 169, 170, 171, 175, 178, 224, 240, 242, 248, 249, 255 Giacobiti  162, 200, 214 Giacomo, pseudo  70, 101, 270, 271 Giacomo Maggiore, figlio di Zebedeo  19, 20, 22, 59, 71, 77, 111, 158, 161, 182, 183, 195, 198, 216(?) Giacomo Minore, figlio di Alféo  21, 27, 68, 94, 122, 134, 138, 175, 182, 183, 185, 195, 216(?), 222, 224, 225, 252, 262, 264 Giacomo Persiano, santo  195 Giacomo di Vitry  196 Giaele  112, 167, 253 Giairo 194 Gioacchino, padre di Maria  70, 93, 160, 166 Giobbe  132, 133, 134, 182, 252, 255 Gioele 119 Giona  131, 257 Gionata 112 Giorgio, santo  105, 137, 184, 185, 246 Giosafat  94, 138-139, 185, 207 Giosia  vd. Isaia

302

Indice dei nomi

Giosuè  129, 167, 242 Giovanni, evangelista  60, 68, 69, 71, 77, 85, 92, 96, 111, 123, 134, 139, 145, 146, 182, 183, 195, 218, 252, 262 Giovanni, vescovo di Gerusalemme  73, 231 Giovanni Battista  20, 22, 26, 27, 68, 77, 80, 91, 92, 113, 121, 126, 137, 151, 157, 158, 160, 168, 169, 194, 195, 213, 214, 217, 219, 238, 245, 249, 259, 262, 269, 271, 273 Giovanni di Salisbury  197 Giovanni di Würzburg  7, 9, 13, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 28, 29, 31, 32, 33, 34, 36, 37, 67, 69, 71, 90, 92, 93, 94, 96, 99, 100, 101, 102, 109, 111, 112, 113, 116, 117, 118, 119, 120, 122, 127, 129, 130, 132, 135, 137, 139, 142, 143, 146, 149, 151, 155, 156, 157, 162, 166, 167, 168, 169, 170, 171, 172, 173, 174, 175, 176, 177, 178, 179, 180, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188, 189, 190, 191, 192, 193, 194, 195, 196, 197, 198, 199, 200, 201, 214, 218, 228, 229, 232, 240, 243, 249, 250, 253, 255, 258, 259, 260, 261, 262, 263, 264, 265, 266, 267, 268-269, 270, 274, 275, 276 Giovenale, vescovo di Gerusalemme 96 Giraldo Cambrense  104 Girolamo, santo  16, 21, 74, 87, 88, 90, 97, 98, 99, 102, 110, 111, 115, 116, 117, 129, 130, 131, 132, 133, 134, 135, 139, 154, 155, 167, 169, 170, 171, 175, 176, 178, 179, 180, 182, 183, 184, 198, 207, 241, 242, 243, 257, 268, 271, 272 Giuda, figlio di Giacobbe  115, 127, 128, 139, 148, 225, 242 Giuda Iscariota  143, 156, 193, 233, 246, 266 Giuda Maccabeo  vd. Maccabei Giudei  69, 70, 73, 119, 121, 132, 138, 143, 144, 145, 175, 205, 224, 226, 232, 233, 235, 246, 254, 256, 272 Giuditta  136, 252

Giuliano l’Apostata  113, 155, 193, 249 Giuseppe, figlio di Giacobbe  67, 76, 99, 100, 113, 114, 136, 236, 248, 249, 252, 268 Giuseppe, santo  72, 94, 185, 254, 270 Giuseppe di Arimatea  147, 209, 213, 218, 241, 244, 270 Giustiniano  66, 97, 118, 169 Goffredo di Buglione  9, 22, 94, 99, 136, 151, 152, 191, 216, 261 Goffredo di Saint-Omer  197 Gormond de Picquigny, patriarca di Gerusalemme  30, 277 Greci  61, 62, 80, 81, 82, 162, 214 Gregorio Magno  134, 172, 186 Gregorio di Tours  85 Guglielmo, patriarca di Gerusalemme 169 Guglielmo di Malmesbury  13, 17 Guglielmo di Tiro  180, 181, 197, 206, 277 Guiberto di Nogent  105, 206 Guido di Lusignano  11 Guido da Pisa  85 Guntero di Pairis  187 Guntram, crociato tedesco  152 al-Hākim, califfo fatimide  91, 95, 97, 98 Iabin 253 Iacopo da Varazze  87 Ibn al-Qalānisī  103 Idumei  112, 253, 255 Ieu  112, 127, 250 Ignazio II, vescovo giacobita di Gerusalemme 185 Ildeberto di Le Mans  172 Indiani 162 Inglesi 162 Innocenti, santi  74, 98, 116, 170, 271 Ippocrate 86 Isacco  67, 76, 92, 99, 128, 178, 242, 249 Isaia  138, 185, 217 Isidoro di Siviglia  103, 133, 136, 206

303

Indice dei nomi

Ismaeliti  136, 253 Israele  vd. Giacobbe Israele, popolo  12, 32, 67, 76, 114, 117, 128, 130, 131, 135, 137, 179, 205, 226, 239, 240, 241, 243, 245, 246, 256 Ivetta, badessa di San Lazzaro  216, 236, 262 Labano 249 Lamec  127, 176, 177 Latini  158, 162, 181, 214, 219, 269, 274 Lazzaro  16, 22, 26, 75, 98, 99, 139, 140, 141, 186, 187, 216, 229, 236, 239, 262, 267, 268 Leviti 128 Lia  67, 128, 242 Longino, soldato romano  146, 189, 218, 263 Lorenzo, santo  59, 137, 181, 184 Lot  129, 130, 167, 178, 243 Lotaringi 152 Luca, evangelista  126, 135, 252 Luciano, sacerdote  96 Luigi VII, re di Francia  10 Maccabei  137, 172, 216, 226, 271 Magi  75, 115, 241 Manasse 185 Mandeville, John  91 Manuele Comneno  11 Maometto 92 Marco, evangelista  180 Marco Antonio  177 Maria, sorella di Lazzaro  22, 98, 99, 139, 140, 141, 186, 187, 229, 236, 268 Maria Egiziaca  68, 91, 263 Maria Maddalena  22, 68, 75, 92, 99, 136, 139, 140, 147, 161, 186, 201, 219, 229, 253, 263, 268 Maria Vergine  12, 15, 20, 22, 23, 26, 27, 60, 67, 68, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 85, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 98, 101, 109, 110, 111, 115, 119, 120, 137, 139, 141, 143, 145, 146, 152, 153, 154, 155, 156, 158, 159,

160, 161, 164, 165, 166, 170, 186, 188, 189, 193, 195, 196, 198, 199, 207, 208, 209, 212, 213, 215, 218, 219, 220, 221, 224, 225, 226, 228, 230, 231, 232, 233, 234, 235, 237, 239, 240, 241, 245, 247, 254, 260, 261, 264, 265, 266, 267, 269, 270, 274, 276 Maroniti 162 Marta, sorella di Lazzaro  98, 139, 140, 187, 229, 236, 268 Martoni, Nicola de  85, 86, 98, 103 Massimo (Macario?), vescovo di Gerusalemme  65, 89 Mattatìa  137, 245 Matteo, evangelista  111, 270 Matteo, pseudo  70, 101, 111, 276 Matusalemme 176 Maundrell, Henry  277 Melchisedech  111, 112, 166, 167, 253, 276 Melisenda, regina di Gerusalemme  10, 11 Mellito, pseudo  85 Menas, santo  195 Merewalh, re del Magonsete  82 Metodio, pseudo  183 Michele, arcangelo  82, 212, 263 Mildburg, santa  83 Mildgit, santa  83 Mildred, santa  59, 82 Moabiti 243 Moloch, divinità mediorientale  138 Mosè  76, 77, 101, 111, 130, 131, 167, 179, 239, 240, 242, 249 Naamàn 138 Nabot  112, 168, 250 Nabucodonosor  90, 117, 171, 172, 225 Nabuzaradàn, ufficiale di Nabucodonosor  117, 171, 172, 225 Natanaele  vd. Bartolomeo Navarrini 162 Necao, faraone  117 Neftali  136, 253 Nestoriani  162, 200

304

Indice dei nomi

Nicodemo, discepolo di Gesù  209, 213, 218 Nicodemo, nipote di Gamaliele  73, 96, 137 Nicola, santo  61, 80, 87, 215, 223 Noè  112, 127, 167, 176 Norandino (Nur al-Din), signore di Aleppo  11, 239, 250, 269, 274 Normanni  59, 152 Nubiani 214 Og 240 Oloferne  136, 252 Orderico Vitale  85 Origene  131, 180, 186, 266 Ornan  vd. Araunà Orosio 86 Ospitalieri  19, 33, 160, 194, 196, 197, 220, 227, 235, 237, 238, 247, 248, 250, 264, 271, 272, 273 Ottone di Frisinga  240 Ozia (Acazia)  112, 127, 250 Paola, discepola di Girolamo  75, 97, 116, 154, 170 Paolo (Saulo), santo  60, 61, 84, 86, 87, 133, 255 Paolo di Napoli  91 Paride  82, 105 Parker, Matthew  17 Parti  134, 252 Pascale II, papa  194 Pascasio Radberto  154, 193 Pelagia, santa  236, 267 Pellegrino, santo  237, 269 Persiani  61, 66, 89, 184, 192, 215, 226, 230 Pietro, apostolo  16, 22, 27, 32, 62, 69, 71, 73, 74, 77, 78, 87, 92, 97, 102, 111, 123, 128, 133, 134, 136, 142, 144, 148, 151, 159, 182, 183, 196, 230, 234, 244, 251, 252, 256 Pietro Diacono  168 Pilato  22, 27, 143, 145, 147, 188, 209, 215, 233, 234, 259, 266 Plinio il Vecchio  179

Pompeo Trogo  179 Prospero d’Aquitania  90 Provenzali 152 Prudenzio 129 Raab  33, 137 Rabano Mauro  93 Rachele  21, 116, 171, 240, 249 Raimondo III di Tripoli  11 Raimondo IV di Saint-Gilles  9, 79 Raimondo V di Tolosa  31 Raymond du Puy  194 Rebecca  67, 128, 242 Roberto il Guiscardo  13, 59, 83 Rodolfo di Caen  118 Rodolfo il Glabro  261 Romani  61, 206, 227 Rufino 175 Ruggero di Howden  80, 176 Ruteni 162 Saba, santo  16, 22, 74, 97, 158, 195 Saewulf  7, 8, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 36, 37, 56, 59, 60, 61, 62, 66, 67, 69, 71, 73, 74, 75, 80, 81, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 102, 103, 104, 105, 121, 146, 149, 166, 169, 170, 172, 175, 183, 185, 186, 187, 189, 192, 194, 195, 196, 198, 210, 221, 262, 266, 267, 268, 271, 275, 276 Saladino (Salah al-Din)  11, 12, 265, 273, 274 Sallustio 103 Salmunnà  112, 253 Salomone  15, 20, 22, 27, 69, 70, 92, 93, 117, 123, 136, 138, 141, 157, 159, 172, 193, 197, 208, 209, 217, 225, 226, 227, 245, 246, 253, 260 Samuele  114, 245, 246, 258, 272 Sansone 244 Sara  67, 128, 242 Saraceni  64, 65, 74, 76, 77, 78, 79, 88, 122, 124, 128, 134, 150, 158, 162, 216, 237, 239, 243, 244, 248 Saul  76, 112, 113, 250

305

Indice dei nomi

Saulo  vd. Paolo Scoti 162 Sedecìa  117, 225 Seir  vd. Esaù Sem  vd. Melchisedech Set  129, 176 Sibilla, regina di Gerusalemme  11 Sichem  113, 248, 249 Sicon 240 Simeone, santo  27, 70, 72, 93, 94, 118, 119, 160, 185, 198, 224, 228 Simone, apostolo  220 Simone, il lebbroso o il fariseo  99, 139, 140, 141, 186, 229 Simone di Cirene  145 Siri  162, 200 Siriani  111, 131, 138, 162, 200, 214, 215, 232, 245, 256, 267, 272 Sisara  112, 253 Sisto, santo  111 Socar 242 Sofar  132, 255 Solimano I  270 Solino 179 Spagnoli 152 Stefano, santo  16, 22, 27, 73, 96, 136, 151, 183, 184, 231, 235, 265, 267 Stefato  218, 263 Tabità 244 Tancredi d’Altavilla  101 Tecla, santa  113, 169 Tedeschi  20, 151, 152, 159, 162, 192 Templari  19, 20, 22, 27, 30, 31, 33, 93, 160, 194, 196, 197, 220, 221, 227, 228, 236, 237, 238, 239, 247, 248, 250, 255, 264, 273, 274 Teodorico  7, 13, 18, 19, 20, 23, 25, 26, 27, 28, 29, 31, 32, 33, 35, 36, 37, 67, 69, 85, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 100, 101, 102, 111, 112, 113, 117, 120, 130, 131, 133, 137, 149, 150, 154, 166, 167, 168, 169, 170, 175, 178, 179, 180, 181, 182, 183, 185, 187, 188, 189, 190, 191,

193, 194, 196, 199, 201, 205, 206, 207, 214, 216, 218, 227, 228, 236, 240, 243, 247, 248, 249, 250, 253, 255, 256, 258, 259, 260, 261, 262, 263, 264, 265, 266, 267, 268, 269, 270, 271, 272, 273, 274, 275, 276, 277 Teodosio I  129, 231, 242, 249 Teodosio II  241 Tiberio  136, 251 Tito, discepolo di Paolo  61, 86 Tito, imperatore  15, 65, 172, 177, 205, 220, 226, 247 Tolomeo II  273 Tommaso, apostolo  73, 148, 231 Tommaso, pseudo  101, 276 Traiano 181 Turchi  61, 81, 104, 191, 216, 250 Ugo, marchese di Toscana  91 Ugo di Payns  197 Ugo di San Vittore  86 Ungari 162 Urbano II, papa  8, 261 Veneti, Veneziani  131, 277 Vespasiano  65, 101, 205, 220, 226, 247 Vulfstano di Worcester  13 Wibaldo di Corvey  197, 198 Wigger, crociato tedesco  151, 152, 191 Zabulon  136, 253 Zaccaria, “figlio di Barachìa”  69, 121, 221 Zaccaria, padre di Giovanni Batti­ sta  69, 121, 137, 245, 271 Zaccheo 137 Zangi, signore di Aleppo  10, 11, 239, 269, 274 Zebach  112, 253 Zeeb  112, 253 Zorobabele 226

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