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Italian Pages 720 Year 1967
T R A T T A T O DI ANATOMIA PATOLOGICA SPECIALE
PIANO
DELL'OPERA V O L U M E I - P a r t e i»
C U O R E E V A S I - Prof. Staemmler (Aquisgrana) ; M A L F O R M A Z I O N I D E L C U O R E E D E I V A S I - Prof. Doerr (Berlino); S A N G U E E O R G A N I E M O P O I E T I C I - Prof}. Bùngeler e Roller (Kiel). V O L U M E I - Parte 2» C A N A L E D I G E R E N T E E P E R I T O N E O - Prof. Merkel (Kiel); M A L A T T I E D E I D E N T I E D E L P A R A D E N Z I O - Prof. Meyer (Gòttingen); A N A T O M I A NORMALE D E L L E GHIANDOLE ENDOCRINE E REGOLAZIONE END O C R I N A - Prof. Tonutti (Giessen); A N A T O M I A P A T O L O G I C A D E L L E G H I A N D O L E E N D O C R I N E - Doc. Dr. Fassbender (Mainz); T I M O Prof. Tesseraux (Pforzheim). V O L U M E I I - P a r t e 1» O R G A N I S E S S U A L I - Prof). Lang e Gògl (Innsbruck); R E N I - Prof. mler (Aquisgrana).
Staem-
V O L U M E I I - P a r t e 2» F E G A T O - Prof. Kettler (Berlino); V I E B I L I A R I , C I S T I F E L L E A , P A N C R E A S - Prof. Giitherl (Erfurt). V O L U M E I I - P a r t e 3» O R G A N I D E L L A R E S P I R A Z I O N E - Prof. Giese (Bremen); C U T E Prof. Herzberg (Hamburg); O S S A E A P P A R A T O D E L L A L O C O M O Z I O N E - Prof. Haslhofer (Vienna). VOLUME
III
M E N I N G I C E R E B R A L I E S P I N A L I (TBC. C O M P R E S A ) , S I S T E M A L I Q U O R A L E E V E N T R I C O L A R E - Prof. Wepler (Kassel); D I S T U R B I DI CIRCOLO E M A L A T T I E VASCOLARI D E L SISTEMA NERVOSO, E D E M A E R I G O N F I A M E N T O D E L C E R V E L L O - Prof. Staemmler (Aquisgrana); M O R F O L O G I A G E N E R A L E D E L L E R E A Z I O N I E D E G E N E R A Z I O N I D E L S I S T E M A N E R V O S O , M A L F O R M A Z I O N I (SIRINGOMIELIA COMPRESA), M A L A T T I E E R E D O D E G E N E R A T I V E (MALATTIE PSICHICHE, MALATTIE DI PICK E DI ALZHEIMER COMPRESE) E M A L A T T I E INFIAMMATORIE (SIFILIDE D E L CERV E L L O E D E L M I D O L L O S P I N A L E C O M P R E S A ) - Prof. Peters (Bonn); DISTURBI D E L RICAMBIO E DEPOSIZIONE DI PIGMENTO N E L C E R V E L L O E N E L M I D O L L O S P I N A L E - Prof. Volland (Colonia); SISTEMA N E R V O S O P E R I F E R I C O E GANGLI SPINALI (TUMORI E S C L U S I ) - Prof. Krücke (Francoforte); T U M O R I E P A R A S S I T I D E L S I S T E M A N E R V O S O - Prof. Zülch (Colonia); O C C H I O - Prof. Kreibig (Francoforte); O R E C C H I O - Prof. Uffenorde (Göttingen).
EDUARD KAUFMANN
TRATTATO DI ANATOMIA
PATOLOGICA
SPECIALE il"
e I2a
edizione
tedesca
a cura
di
MARTIN STAEMMLER
Professore ordinario e direttore dell'Istituto Patologico e Batteriologico di Aquisgrana QUINTA
EDIZIONE diretta
ITALIANA da
ALFONSO GIORDANO
Dr. med. Dr. biol. Dr. h. c. Professore ordinario e direttore dell'Istituto di Anatomia e Istologia Patologica dell'Università di Milano
VOLUME SECONDO PARTE SECONDA Con
24g
figure
in nero
e a colori
nel
testo
CASA EDITRICE DR. FRANCESCO VALLARDI
Titolo
originale
dell'opera
LEHRBUCH DER S P E Z I E L L E N PATHOLOGISCHEN ANATOMIE W A L T E R D E G R U Y T E R & Co., Berlino
i a edizione tedesca » » 3a » 4a » 5Ä italiana i» tedesca 6» 2» italiana 7 a /8» tedesca italiana 3" » 4a g»/ioa tedesca II a /l2 a » italiana 5a 2»
1896 1901 1904 1907 1909 1912 1920 1920 1922 1925/1928 1929 1931/1941 1954/1967 1959/1967
Carta « Patinata Champion » della Cartiera Subalpina Sertorio S.p.A. di Torino Proprietà letteraria ed artistica riservata © Copyright 1912, 1920, 1925/28, 1929, 1967 by Casa Editrice Dr. Francesco Vallardi, Milano
AI NOSTRI LETTORI
Gli Autori e la Casa Editrice dell'Anatomia Patologica Speciale di E. KAUFMANN si propongono di pubblicare, accanto al completamento della n a e i 2 a edizione Supplementi di aggiornamento delle parti finora edite che rechino i risultati delle ricerche recenti, apparse dopo la loro pubblicazione. È previsto di dare maggiore sviluppo alle conoscenze di microscopia elettronica e di istochimica, ma anche di fornire brevi sintesi di particolari problemi, che abbiano avuto rilievo nella letteratura degli ultimi anni. L a loro elaborazione viene condotta in parte dagli Autori delle parti finora apparse, in parte da Autori che appositamente hanno offerto la loro opera a questo fine. Nell'ambito del Primo volume di supplemento il prof. W. DOERR, Heidelberg, completerà la sua sintesi, universalmente apprezzata, delle malformazioni del cuore e dei grossi vasi. Il prof. SCHUMMELFEDER di Colonia, prematuramente scomparso, aveva assunto il compito di elaborare problemi di istochimica e di microscopia in fluorescenza del cuore e dei vasi sanguigni. Il dr. CAESAR di Tubingen tratterà la microscopia elettronica del cuore. Il prof. SCHOENMACKERS di Aquisgrana ha accettato di elaborare il problema delle arterie coronarie e della irrorazione sanguigna del muscolo cardiaco, il prof. SANDRITTER di Giessen, la morfologia della trombosi. Altre parti dovrebbero riguardare le necrosi chimiche del muscolo cardiaco, la miocardite, e le malattie delle vene, in particolare la flebite. Speriamo con questi contributi di poter essere ulteriormente utili ai nostri lettori sempre nel senso di trovare nel KAUFMANN il consigliere, che renda loro familiari le più recenti conoscenze scientifiche nel campo della patologia morfologica. A q u i s g r a n a e Berlino, aprile 1963 GLI
AUTORI
E LA
CASA
EDITRICE
HANNO COLLABORATO ALLA QUINTA EDIZIONE ITALIANA condotta sulla n
VOLUME
a
e I2 a èdizioné tedesca
SECONDO,
I LIBERI
PARTE
SECONDA
DOCENTI
G. BAROLDI - S. BATTAGLIA - L. LOCATELLI T. MASINI - I. MORETTI GUERCIO - D. PALAZZI - F. RILKE A. TOMMASINI DEGNA - L. TROPEANO - M. ZORZI
E I
DOTTORI
M. BRUNELLI - S. D'ANCONA - F. MORTILLARO
PREFAZIONE DEL
TRADUTTORE
Arrivato al termine del presente volume, dedicato all'anatomia patologica speciale del fegato, delle vie biliari e del pancreas, desidero far rilevare come i volumi finora pubblicati, oltre a rappresentare nel loro insieme un testo di consultazione e di studio per gli studenti di medicina e per i medici, presi singolarmente costituiscono una base indispensabile per le singole relative specialità mediche e chirurgiche. Ad esempio, ogni buon specialista di malattie del fegato non potrà fare a meno di conoscere il contenuto di questo volume. Il successivo volume dell'opera sarà dedicato all'anatomia patologica speciale del sistema nervoso, e sarà un'ottima fonte di formazione e di informazione per gli specializzandi in clinica delle malattie nervose e mentali, e in psichiatria. Un ringraziamento particolare debbo rivolgere in questa occasione ai collaboratori che sono arrivati con me fino alla preparazione di questo volume. Ad essi, come a me, credo sia stato e sia tuttora di sprone e di guida il proposito di veder meglio conosciuto e apprezzato tutto il valore di un'opera destinata ad una disciplina, come l'anatomia patologica, che rimane il cardine insostituibile della medicina moderna, sia nelle sue applicazioni pratiche che nei suoi progressi scientifici. L'assistenza tecnica del Sig. Osvaldo Ciarrocca, per il lavoro iconografico, della libera docente dottor Battistina Masini e delle dottoresse Silvana Ratti e Giuseppina Dell'Orto per il lavoro di redazione, merita di essere qui segnalata anche alla gratitudine dei lettori. ALFONSO GIORDANO
INDICE PARTE
TERZA
IL F E G A T O (Prof. Dr. L . H. KETTLER, Berlino) SEZIONE I —
Generalità
3
Capitolo
I - Sviluppo
del fegato
Capitolo
II - Morfologia
3
normale
5
SEZIONE I I — Alterazioni cadaveriche
19
SEZIONE I I I — Alterazioni della forma e della posizione
23
SEZIONE I V — Ricambio del fegato e sue alterazioni (epatosi)
33
Capitolo 1. 2. 3. 4.
I - La necrosi
35
Necrosi massiva Necrosi a focolaio Necrosi di singole cellule Atrofia gialla acuta del fegato (distrofia del fegato) a) Atrofia cosiddetta genuina b) Il fegato nell'avvelenamento da fosforo e da funghi.
Capitolo II - Atrofia Capitolo 1. 2. 3. 4. 5.
III
61
- Metabolismo
idrico e proteico
Rigonfiamento torbido Metamorfosi vacuolare Formazione di gocce jaline Degenerazione vescicolare Periepatite cartilaginea
Capitolo
IV
Capitolo
V - Nucleoproteidi
Capitolo
VI - Metabolismo
Capitolo
VII - Ricambio
Capitolo
Vili
Capitolo
IX - Formazione
1. Ittero 2. Ittero 3. Ittero
36 37 41 42 43 53
- Fegato amiloide
delle sostanze grasse
emolitico epatocellulare meccanico
74 79
dei lipoidi
- Ricambio
64 65 66 67 69 70
dei carboidrati e deposito di glicogeno. ... della sostanza colorante della bile. Ittero.
82 102 108 119 123 128 131
INDICE
XIV
Capitolo X - Ricambio
dei sali inorganici
150
1. R i c a m b i o del ferro 2. R i c a m b i o del rame 3. Tesaurismosi calcica (calcificazione) Capitolo
XI — Depositi
150 155 156
di pigmento
160
1. P i g m e n t i emo- (rispettivamente mio-) globinici 2. P i g m e n t i autoctoni 3. P i g m e n t i esogeni Capitolo
XII
- Accumuli
(tesaurismosi)
— fagocitosi
SEZIONE V — La circolazione del fegato e 1 suoi disturbi Capitolo
I - Disturbi
del deflusso
sanguigno
del fegato
1. F e g a t o da stasi 2. Occlusione delle vene epatiche Capitolo
II - Disturbi
di afflusso
167 173 175 175 183
del sangue al fegato
1. D i s t u r b i generali 2. Disturbi locali a) V e n a p o r t a b) Arteria epatica
189 189 189 189 196
Capitolo
III
Capitolo
IV - Emorragie
206
Capitolo
V - Eclampsia
209
Capitolo
VI - Alterazioni
SEZIONE V I —
- Alterazioni
160 162 164
del circolo terminale
del circolo linfatico
I - Epatite sierosa
Capitolo
II - Epatite
Capitolo
III
- Epatite
purulenta
Capitolo
IV
- Epatite
virale (Hepatitis
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13.
(edema)
Infiammazioni del fegato (Hepatitis)
Capitolo
Capitolo
202
(E.
223
s.)
223
linfoplasmacellulare
V - I granulomi
219
227 230 epidemica,
epatite da siero).
infettivi
Tubercolosi del fegato (Tbc.) Morbo di B o e c k . Sarcoidosis (Sarcoide di Boeck) Sifilide del f e g a t o Linfogranulomatosi del fegato (Lgr.) Actinomicosi del f e g a t o (Actc.) Listeriosi del f e g a t o (Li.) T i f o addominale Morva Lebbra Micosi fungoide Brucellosi Reumatismo A l t r i granulomi
242 252 253 259 260 272 274 277 278 279 280 280 281 281 282
INDICE
XV
Capitolo VI - Appendice: Colangite intraepatica a) Morfologia e diagnosi differenziale della colangite intraepatica autonoma (c. i. a.) fi) Clinica della colangite intraepatica a u t o n o m a . . . . y) Patogenesi della colangite intraepatica autonoma. SEZIONE V I I — La cirrosi epatica
301
1. Classificazione morfologica classica a) L a cirrosi di Laennec (cirrosi epatica semplice; atrofia granulare del fegato; cirrosi portale; cirrosi ascitica). b) L a cirrosi grassa (steatocirrosi; cirrhose graisseuse) . . c) Cirrosi postnecrotica (cirrosi epatica tossica di Mallory; cirrosi di Mossé-Marchand-Mallory; cirrosi da atrofia gialla del fegato; postnecrotic scarring; cirrosi epatica postdistrofica) 2. Genesi causale delle cirrosi precedenti a) Cirrosi alcoolica b) Cirrosi dietetica c) Cirrosi postepatitica d) Cirrosi tossiche (comprese le infezioni locali aspecifiche) e) Combinazioni dei fattori succitati 3. Genesi formale delle cirrosi suddette Capitolo II — Cirrosi tesaurismosiche (cirrosi postinfiltrative) Cirrosi nella malattia da tesaurismosi glicogenica Cirrosi nel morbo di Gaucher Cirrosi nel morbo di Niemann-Pick Altre cirrosi tesaurismosiche molto rare
Capitolo III 1. 2. 3. 4. 5.
- Cirrosi biliare
302 302 319
321 322 323 325 326 328 330 331 339 339 340 340 340 341
Cirrosi colostatica Cirrosi colangitica Forme di combinazione Cirrosi colangiotossica ed emotossica Cirrosi biliare con xantornatosi (cirrosi biliare xantomatosa, xantomatosi biliare)
Capitolo IV - Cirrosi in corso di granulomi specifici Capitolo V - Cirrosi parassitaria
287 289 290 293
Capitolo I - Le cirrosi « a genesi affine »
1. 2. 3. 4.
285
(Cirrhosis
parasitaria)
1. Protozoi 2. Elminti Capitolo VI — Cirrosi nelle malattie del sangue 1. Cirrosi nella policitemia (Plethora vera) 2. Cirrosi nelle leucemie 3. Cirrosi nell'eritroblastosi fetale risp. nell'emolisi generalizzata 4. Cirrosi nell'anemia a cellule falciformi (Drepanocitosi) . . . .
341 344 346 346 348 350 352 352 353 354 354 354 354 355
INDICE
XVI
Capitolo VII - Cirrosi pigmentarie 1. Cirrosi emosiderotica 2. Cirrosi emocromatosica
356 356 357
Capitolo Vili
362
- Cirrosi vascolare
Capitolo IX - Cirrosi da stasi
363
Capitolo X - Cirrosi problematiche 1. Cirrosi nella malattia di Wilson-Westphal-Striimpell 2. Cirrosi nella sindrome di Banti 3. Cirrosi di Hanot 4. Cirrosi di Roussy
365 365 367 367 368
Capitolo XI - Appendice: le cosiddette cirrosi infantili risp. giovanili.
370
SEZIONE
VILI
— Accrescimento
e rigenerazione
375
del fegato
Capitolo I - Accrescimento del fegato in senso stretto
375
Capitolo II - Ipertrofia e iperplasia
376
Capitolo III
- Rigenerazione del fegato
378
Capitolo IV - Trapianto SEZIONE
IX
— Emopoiesi
380 epatica.
Eritroblastosi.
383
Leucosl
Capitolo I - Emopoiesi nel fegato
383
Capitolo II - Eritroblastosi fetale - Morbus haemolyticus neonatorum.
386
Capitolo III - Leucosi.'.
389
X — Tumori del fegato, compresi gli errori formativi rali e le cisti
SEZIONE
simlltumo395
Capitolo I - Formazioni benigne 1. Emangiomi cavernosi del fegato (cavernomi) 2. Iperplasia nodosa ed adenomi 3. Cisti del fegato - Fegato cistico 4. Tumori misti e teratomi del fegato
393 395 399 405 409
Capitolo II - Tumori maligni 1. Sarcomi (sa.) del fegato 2. Carcinomi del fegato a) Carcinomi epatici primitivi a) Carcinoma epatocellulare 18) Carcinoma colangiocellulare b) Carcinomi secondari 3. Corionepiteliomi del fegato
409 410 415 416 424 429 440 453
SEZIONE
XI
SEZIONE
XII
•— Ferite del fegato — I parassiti
Capitolo I - Protozoi
del fegato
463 467 467
INDICE
Capitolo II Capitolo III
-
XVII
Vermi
469
- Artropodi
481
PARTE QUARTA VIE BILIARI E CISTIFELLEA (Prof. Dr.
HARRY
GUTHERT,
Erfurt)
Capitolo I - Sulla embriologia delle vie biliari extraepatiche
487
Capitolo II - Sull'anatomia ed istologia delle vie biliari extraepatiche.
489
Capitolo III
496
- Sulla fisiologia
delle vie biliari extraepatiche
Capitolo IV — Malformazioni delle vie biliari extraepatiche 1. Malformazioni in senso lato a) Anomalie di forma della cistifellea b) Ipoplasia e aplasia della cistifellea c) Anomalie di posizione della cistifellea d) Porzioni eterotopiche di organi nella parete della cistifellea e) Anomalie di forma e di posizione dei dotti biliari extraepatici 2. Malformazioni in senso stretto a) Cosiddetta cisti idiopatica del coledoco (congenita) . . b) Restringimenti e obliterazioni di singoli tratti e risp. di tutto il sistema delle vie biliari extraepatiche . . . .
508
Capitolo V - Turbe circolatorie della cistifellea 1. Emorragie 2/ Edema 3. Torsione (rotazione del peduncolo)
511 511 512 512
Capitolo
VI
- La cistifellea da stasi
499 499 500 502 503 504 505 506 506
513
Capitolo VII — Infiammazione della cistifellea e dei dotti biliari. . . 1. Colecistite acuta aspecifica 2. Colecistite cronica aspecifìca 3. Eziologia della colecistite aspecifica 4. Tubercolosi delle vie biliari extraepatiche 5. Alterazioni infiammatorie dei dotti biliari extraepatici. .
515 515 520 525 528 528
Capitolo
532
Vili
- La colesterosi della cistifellea
Capitolo IX - La colelitiasi (Malattia da calcoli biliari) 1. Dati statistici 2. Classificazione dei calcoli biliari a) Calcolo di colesterina (calcolo di colesterina raggiato, calcolo solitario) b) Calcolo calcio-colesterinico stratificato c) Calcoli colesterino-pigmento-calcici d) Calcoli di combinazione
534 535 537 538 538 540 541
XVIII
INDICE
3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.
e) Calcoli di bilirubinato di calcio Composizione chimica dei calcoli Microliti Frammentazione dei calcoli Eziologia e morfogenesi dei calcoli biliari Alterazioni della colecisti nella colelitiasi Litiasi del coledoco Conseguenze della colelitiasi
542 542 543 545 545 554 556 557
Capitolo X — I tumori delle vie biliari extraepatiche 1. Tumori benigni 2. Tumori mesenchimali maligni 3. Tumori epiteliali maligni delle vie biliari extraepatiche. . a) Il carcinoma della colecisti b) Il carcinoma delle vie biliari extraepatiche
561 561 565 566 566 575
Capitolo XI - Parassiti nell'ambito delle vie biliari extraepatiche..
580
Capitolo XII
582
- Trauma e vie biliari extraepatiche
P A R T E QUINTA PANCREAS (Prof. Dr.
H A R R Y GÜTHERT,
Erfurt)
Capitolo I - Embriologia del pancreas
587
Capitolo II - Sulla anatomia e istologia del pancreas esocrino
589
Capitolo III - Sulla fisiologia del pancreas esocrino
596
Capitolo IV - Malformazioni del pancreas esocrino 1. Anomalie di sede del pancreas .. 2. Anomalie di sede e di forma dei dotti pancreatici 3. Anomalie di forma del pancreas a) Anomalie di forma, ipoplasia, aplasia, iperplasia b) Pancreas anulare c) Cisti pancreatiche disontogenetiche e pancreas cistico congenito 4. Pancreas accessorio e pancreas accessorio r u d i m e n t a l e . . . .
598 598 599 599 599 600
Capitolo V — Fibrosi cistica del pancreas
608
Capitolo VI — Disturbi di circolazione del pancreas
616
Capitolo VII — Le cosiddette degenerazioni del pancreas esocrino. . . . 1. La dischilia e la sua genesi 2. Necrobiosi e necrosi 3. Necrosi del tessuto grasso del pancreas 4. La steatosi degenerativa del parenchima pancreatico 5. Amiloidosi del pancreas 6. Depositi di ferro nel pancreas Appendice: l'atrofia del pancreas esocrino (compresa la cosiddetta atrofia lipomatosa pancreatica). . .
618 618 621 622 624 625 625
601 604
625
INDICE
XIX
Capitolo Vili - Le forme delle malattie pancreatiche acute aspecifiche e infiammatorie-degenerative croniche 1. Malattie pancreatiche complesse infiammatorie-degenerative. a) Necrosi pancreatica acuta (emorragica), pancreatite acuta (emorragica) (Statistica, Anatomia e Istologia patologica. Genesi formale, Genesi causale) b) Pancreatite cronica recidivante (« Chronic relapsing Pancreatitis ») Appendice: osservazioni alla nomenclatura 2. Malattie pancreatiche infiammatorie (degenerative) semplici. a) Infiammazioni acute a) Pancreatite sierosa acuta inclusa la sialangite . . . fi) Pancreatite purulenta b) Infiammazioni croniche a) Pancreatite cronica sierosa Appendice: Reperti pancreatici in rare malattie infettive di precedenti periodi di vita fi) Pancreatite cronica causata da altri fattori . . . . Capitolo IX - Le infiammazioni 1. L a tubercolosi 2. L a sifilide del pancreas
specifiche del pancreas
Capitolo X - Calcoli pancreatici e calcificazioni
pancreatiche
Capitolo XI - Pancreas e traumi Capitolo XII
- Parassiti del pancreas
Capitolo XIII - Tumori del pancreas esocrino 1. Tumori mesenchimali benigni 2. Tumori epiteliali benigni 3. Tumori mesenchimali maligni a) Sarcomi primitivi b) Metastasi di sarcomi nel pancreas c) Partecipazione del pancreas ai tumori del sistema emopoietico d) Partecipazione del pancreas alla linfogranulomatosi e alla micosi fungoide 4. Tumori epiteliali maligni a) Il carcinoma primitivo del pancreas b) Carcinoma pancreatico secondario c) Eziologia del carcinoma pancreatico Capitolo XIV Indice analitico
- Cisti e pseudocisti del pancreas
628 628 628 640 642 643 643 643 645 646 646 647 648 648 648 650 653 658 660 662 662 662 665 665 666 666 668 668 668 676 678 680 685
PARTE
TERZA
IL FEGATO (Prof. Dr. L. H. KETTLER, Berlino)
i
—
KAUFMANN
II,
p.
II
S E Z I O N E
I
GENERALITÀ
CAPITOLO
I
SVILUPPO DEL FEGATO
Oggi si deve ritenere sorpassata la concezione unitaria sullo sviluppo del fegato, in base alla quale tanto il parenchima proprio dell'organo come i dotti biliari deriverebbero parimenti da germogli solidi situati nella sede di formazione del fegato (KOELLIKER 1852, HERTWIG 1915). Conseguentemente (cfr. anche SCAMMON) epitelio specifico del fegato e dotti biliari intraepatici dovrebbero formarsi dal letto epatico solido della protuberanza craniale (della Pars Hepático) del diverticolo del fegato (doccia epatica) ed i grandi dotti biliari extraepatici dal diverticolo stesso (il dotto cistico dalla estroflessione caudale della Pars cystica, LEWIS). Secondo questa opinione sostenuta ancora oggi da molti (p. es. F I S C H E L , M A C M A H O N , B O E N I G ) alla quale si era associato anche K A U F M A N N , I dotti biliari intraepatici, in modo speciale i cosiddetti tratti di congiunzione, hanno origine dalle travate solide delle cellule del fegato che si sviluppano per prime. Le cellule epatiche dovrebbero dunque evolvere o sdifferenziarsi in epiteli dei dotti biliari; dunque non si tratta di materiale non differenziato dell'area epatica, che in seguito verrebbe determinato nel senso degli epiteli dei dotti biliari. A l contrario, già MINOT (1892) suppose che i dotti biliari intraepatici fossero estroflessioni del Ductus hepaticus. Secondo la teoria dualistica di HAMMAR (1926) esiste dapprima una piastra primaria di dotti biliari, dalla quale derivano le grandi vie biliari extraepatiche. S u d i esse giacciono i mantelli solidi del tessuto epatico che formano poi il successivo parenchima epiteliale. Quando le due parti sono già differenziate, si formano tra di esse piastre secondarie di dotti biliari, tipica specifica matrice dei piccoli condotti biliari intraepatici. Questi gemmano, utilizzando come guida il tessuto connettivo perivenoso, verso le travate dell'epitelio epatico, e non dovrebbero fallire l'esatta connessione, così, come sappiamo per lo sviluppo del rene (abbozzo dell'uretere-tessuto metanefrogeno). Anche se HORSTMANN crede di aver osservato la trasformazione di epiteli del fegato in cellule dei dotti biliari, e secondo BOENIG la teoria di HAMMAR non avrebbe trovato finora presso gli anatomici un riconoscimento gene-
IL
4
FEGATO
rale, fu possibile di accertarla ampiamente negli ambienti anatomopatologici ( E S S B A C H , R O T H , vedi pag. 30), in base ai reperti nelle anomalie di sviluppo (così anche G H O N ) . L o s v i l u p p o u l t e r i o r e del f e g a t o e m b r i o n a l e (prima in u n l o b o m e d i a n o p o s t o t r a s v e r s a l m e n t e , p o i in d u e l o b i l a t e r a l i in p r i n c i p i o s i m m e t r i c i , i n d i a l l a fine d e l l a q u a r t a s e t t i m a n a e m b r i o n a l e in q u a t t r o l o b i principali) e s p e c i a l m e n t e la formazione dei lobuli a v v e n g o n o per intimo c o n t a t t o coi vasi sanguigni i n v i a di s v i l u p p o (venae omphalomesentericae circa nella q u i n t a s e t t i m a n a di v i t a e m b r i o n a l e , p o i v e n a p o r t a ) . Sulle p a r t i c o l a r i t à d e l l a d i f f e r e n z i a z i o n e d e l p a r e n c h i m a d e l f e g a t o v e d i LIPP. Il t e s s u t o di s o s t e g n o del f e g a t o è di origine m e s e n c h i m a l e , il r e s t o è p r o d o t t o e n d o d e r m i c o . I l f e g a t o alla fine d e l s e c o n d o m e s e di v i t a e m b r i o n a l e p e s a 2 gr. (LEWIS), cioè c i r c a il 10 % del peso d e l c o r p o , n e l n e o n a t o c i r c a 125 gr. cioè a n c o r a solo il 4 % del p e s o del c o r p o (cfr. p a g i n a 6; a n c h e F I S C H E L e C L A R A ) . Q u a n t o alla f u n z i o n e del f e g a t o d e l l ' e m b r i ó n e si r i c o r d a la emopoiesi, c h e i n c o m i n c i a n e l s e c o n d o m e s e e t e r m i n a g e n e r a l m e n t e nel n o n o (notizie p i ù e s a t t e a p a g . 383) e l a f o r m a z i o n e della bile c h e h a inizio nel t e r z o m e s e d i g e s t a z i o n e (KOELLIKER, PARAT). N e i p r i m i mesi di v i t a d e l lattante il f e g a t o n o n h a a n c o r a r a g g i u n t o l a sua p i e n a f u n z i o n a l i t à . S T E G M A N N h a i n d a g a t o su q u e s t o p r o b l e m a c o n r i c e r c h e q u a n t i t a t i v e (vedi a p a g g . 124 e 375).
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Entwicklungsgeschichte
des
Menschen,
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5
GENERALITÀ
CAPITOLO
II
MORFOLOGIA NORMALE
L a netta divisione macroscopica della faccia superiore (ad opera del Mesohepaticum ventrale) e specialmente di quella inferiore (per mezzo del letto della cistifellea e dei solchi sagittali con la Vena cava caudalis, Chorda venae umbilicalis, Chorda ductus venosi Arantii ed infine la porta del fegato) nel lobo sinistro più piccolo ed in quello destro più grande, col lobo quadrato e col lobo caudato, non corrisponde a f f a t t o alla vera suddivisione interna dell'organo in due lobi. Questa ha origine dalla scissione in due rami della v e n a porta (e dell'arteria epatica) che induce anche a differenze funzionali, perché il sangue della porta non si mescola complet a m e n t e (particolarità funzionali a pag. 173). Il piano sagittale di confine che passa attraverso il fegato, « spartiacque » fra le due metà, che sono molto indipendenti tra di loro per l'irrorazione, corrisponde alla cosidd e t t a linea cava-cistifellea (REX-CANTLIE, W . W .
MAJER, KNOPP). L a
di-
visione spaziale può essere dimostrata in preparati per corrosione mediante radiografie stereoscopiche (HJORTSJOE). COINAUD descrive un'ulteriore divisione della porta in otto segmenti. Recentemente KNOPP distingue perfino tre lobi, assegnando parti del fegato alle singole vene e per determinarle usa un metodo elegante: l'iniezione subcapsulare di aria sotto acqua. Nella porta del fegato, cioè nel solco trasversale fra il L o b u s quadratus e il L o b u s caudatus confluiscono presso la V e n a portae e l'arteria epatica, che si dividono in due rami, numerosi nervi, per lo più con fibre amieliniche, raramente mieliniche, che appartengono tanto al v a g o che al simpatico (ganglio coeliacum) e parte finiscono direttamente nelle cellule epatiche e parte regolano i vasi, compresi i sinusoidi e le cellule stellate di K u p f f e r (HESS; WANG). Dalla porta hepatis si diramano, oltre i due tronchi principali del ductus hepaticus, anche i vasi linfatici che giacciono in parte nelle pareti dei grossi vasi e dei dotti biliari. Decorrono in principio nel tessuto periportale (senza apparenti comunicazioni coi cosiddetti spazi di Disse v e d i W . W . MEYER, BABICS, FOELDI, RENIJ, VAMOS,
ROMHANJI,
RUSZNIAK, SZABO; inoltre a pag. 10) e raccolgono la linfa non solo dall'interno dell'organo m a anche dall'omento, dai vasi linfatici della sierosa e li convogliano ai noduli linfatici regionali (anello linfatico della porta). Sulle loro alterazioni patologiche cfr. FAHR, sulle relazioni morfologico-
6
IL FEGATO
funzionali GOSSMANN, sull'accumulo di Thorotrast SCHUSTER (bibl. in HACKENTHAL), sulla tbc. caseificante dei lattanti (PANOFF), sulle alterazioni gommose a pag. 269, sull'accumulo di inchiostro di China (KETTLER), sul comportamento nella cirrosi epatica a pag. 3 1 5 , sulle m e t a stasi nel carcinoma primario del fegato a pag. 432. U n a parte dei nervi (rami del N. phrenicus) e vie linfatiche esce dal fegato al di là della p o r t a , nella parete delle vene epatiche, poi nel Mesohepaticum ventrale e nella Pars affixa (relazioni con le ghiandole retrosternali e mediastiniche). L a superficie di taglio negli adulti mostra macroscopicamente la caratteristica struttura dei lobi, che risalta più o meno dalla differenza di colori fra le singole zone. Recentemente HENSCHEL esamina le relazioni peculiari fra l'aspetto macroscopico ed i reperti istologici (specialmente distribuzione del sangue, degenerazione grassa e pigmentazione) e definisce quattro tipi fondamentali del disegno della superficie di sezione, dei quali uno si riscontrerebbe preponderatamente nel bambino. In genere nei lattanti e nei bambini m a n c a una chiara struttura macroscopica dei lobuli (POTTER). Le sezioni dei vasi riconoscibili ad occhio nudo sono caratteristiche: la Vena hepatica decorre sempre da sola, t a l v o l t a si osserva una sola apertura beante, nelle vene più grosse con parete sottile, nelle vene molto piccole quasi direttamente attorniate dal parenchima e senza tessuto connettivo circostante. KNOPP ha svolto ricerche sistematiche sulla sezione trasversale delle vene del fegato con sonde di Hegar e studiato le relazioni della larghezza dei vasi in dipendenza della circolazione. Non si trovarono attinenze certe fra la lunghezza del corpo ed il suo peso, però erano riconoscibili alterazioni d o v u t e all'età. L a v e n a porta (sulla struttura minuta delle sue pareti vedi BARNETT e BENNIGHOFF) giace insieme coi dotti biliari e l'arteria epatica nella guaina di Glisson, ed i lumi dei piccoli rami della porta si riconoscono come sottili striscie grigie (lente). L e vene centrali non si possono osservare ad occhio nudo. Peso del fegato nell'adulto circa 1500 gr. (un poco meno nelle donne, negli uomini qualche po' di più, fino a circa 1800 gr.) dunque press'a poco 2,2-2,7 % del peso del corpo con larghi margini (circa 2000 gr.) cfr. ROESSLE, ROULET; nel neonato circa 125 gr. (da 1 1 5 a 135) cioè circa il 4 % del peso del corpo. POTTER e ADAIR ne indicano il peso in un neonato della lunghezza di cm. 50,9 e del peso da 2750 a 3250 gr. in gr. 140. Nelle autopsie si dovrebbe sempre in prima linea accertare il peso del fegato. Massima larghezza da 25 a 30 cm., altezza da 20 a 22 cm., spessore da 6 a 9 cm. SCHUETZ calcola che il contenuto sanguigno del fegato normalmente sia del 35 % del peso totale. Sulla misurazione della durezza del fegato mediante lo sclerometro di Mangold che completa l'esame m a n u a l e della consistenza cioè in modo obiettivo il grado di resistenza alla pressione vedi
WEGELIN
(cfr.
anche
ROESSLE).
7
GENERALITÀ
L a struttura minuta del fegato (circa nelle proporzioni date da una forte lente d'ingrandimento) è molto complicata ed anche oggi non completamente chiarita in tutte le sue particolarità, nonostante ricostruzioni con
lamine
di
cera
(cfr.
KRETZ,
GILBERT
e
VILLARET,
BAUER,
PFUHL,
LOEFFLER). Dalla metà del secolo X V I I (WEPFER, MALPIGHI 1664) s'è generalmente introdotto il concetto del lobulo del fegato (acinus, meglio lobulus). Siccome mancano confini morfologici tracciati grossolanamente tranne che nel maiale e nell'orso polare l'interpretazione è diversa. Più in uso è « l'unità della vena centrale » il vecchio lobulo di Kiernan (1833). Il lobulo biliare di Sabourin (lobule biliaire, 1888) non è entrato nell'uso, così ancora meno « l'unità della vena porta » (portai unit) modificata rec e n t e m e n t e d a RAPPAPORT, BOROWJ, LOUGHEED e LOTTO.
Funzionalmente
è importante nell'infarto grasso (vedi a pag. 90) e potrebbe anche spiegare l'ordinamento dei fermenti della respirazione (SCHUMACHER) e la formazione delle vie della stasi (vedi pag. 178). I lobuli (nel senso comune sono masse complesse di parenchima a forma di botte o di uovo, dunque meno a forma di prisma e piuttosto come una clava) con fasci di cellule epatiche posti radialmente come reti (travate rispettivamente piastre di cellule epatiche) che circondano uniformemente la vena centrale come spessi mantelli. A l taglio trasversale i lobuli del fegato (diametro 1-2 mm.) appaiono come poligoni irregolari, nel centro è posta la vena centrale, sui lati confinano zone della capsula di Glisson ad angolo acuto, spesso a triangolo con canalicoli e vasi inclusi. Praticamente si distingue una zona centrale del lobulo (vicina alla vena centrale) ed una zona periferica; fra le due sta la zona intermedia (che viene preferita in certe turbe della circolazione, degenerazione vacuolare ma soprattutto nell'amiloidosi incipiente). I singoli lobuli (lobuli simplices) si riuniscono in lobuli composti (lobuli compositi). Nelle maglie tra le travate delle cellule epatiche sta la rete dei sinusoidi (rete mirabile) che nelle sezioni trasversali dei lobuli si dirigono verso la vena centrale. Il sangue fluisce in essi in senso centripeto, la corrente secondo JACOBY è più lenta nella zona intermedia. Sull'osservazione della corrente sanguigna intra vitam
vedi
LOEFFLER e NORDMANN, i n o l t r e
IRWIN e MACDONALD,
re-
centemente BLOCH. L a vena epatica riceve il sangue dai sinusoidi e lo scarica nella vena cava caudalis attraverso 8-10 rami principali e 2-3 terminali. Nei punti di sbocco si notano dei sistemi muscolari a guisa di sfintere (ELIAS e FELLER, STARCK, POPPER) che possono produrre un cosiddetto meccanismo di sbarramento delle vene (MAUTNER, PICK). Seguendo la vena a ritroso, i tronchi più grossi si diramano nel fegato e formano le vene collettrici (prima chiamate Venae sublobulares) che decorrono tra i lobuli dalla parte un po' appiattita, cioè dalla loro base; da qui si dipartono rami piccolissimi, nudi che penetrano nel parenchima; quando le vene collet-
8
IL FEGATO
trici non assumono più capillari si parla di « vene più grandi » cfr. B R A U S . W. P F U H L distingue: a) vene centrali; b) vene di congiunzione che sono composte da vene centrali ed inoltre assumono capillari; c) vene collettrici che assumono tanto vene di congiunzione come vene centrali, non esistono vene sublobulari. I rami delle vene del fegato normalmente si anastomizzano tra di loro ( E L I A S e P E T T Y ) . Per la formazione di una vena collettrice si uniscono parecchie vene centrali (vene intralobulari) che decorrono al centro dell'asse longitudinale del lobulo del fegato. Secondo E L I A S e P O P P E R i sinusoidi nell'uomo sboccano solo nelle vene centrali e non nelle vene collettrici (contrariamente a ciò che avviene nel topo). L a vena porta {vena portae) il vaso sanguigno « funzionale » del fegato decorre con le sue diramazioni, le vene interlobulari, fra i lobuli nel tessuto di Glisson ed infine sbocca nei sinusoidi. I rami della porta mostrano una diramazione molto regolare, come hanno dimostrato in preparati per corrosione MANN, WAKIM e BAGGENSTOSS. Di regola non hanno anastomosi tra di loro (ELIAS e PETTY). Parallele a essi decorrono le ramificazioni dell'arteria epatica ed i dotti biliari (HEALEJ, SCHROJ e SORENSEN, COUINARD), KNOPP ha calcolato approssimativamente la relazione dell'ampiezza dei vasi ed ha trovato che la porta misura il 67 % del diametro trasversale delle vene epatiche e la vena epatica il 150 % del lume della porta. L'arteria epatica (arteria hepatica propria) il cosiddetto vaso « nutritivo » del fegato mostra fuori dell'organo un aspetto molto variabile (notizie p i ù d e t t a g l i a t e p r e s s o B U D D E , SINGH e SOHAL, H E A L E J
e
SORENSEN
COUINARD). MICHELS afferma che esistono 26 vie collaterali. Per la dimostrazione con Raggi Roentgen vedi E. MARTENS. Nel fegato ha un decorso relativamente costante, e praticamente si deve considerare come un'arteria terminale, perché nell'organo non si osservano grandi anastomosi interarteriose ad eccezione di piccoli rami subcapsulari. Bibl. vedi sopra, inoltre GLAUSER. Sulle anastomosi arterovenose intraepatiche vedi più sotto! L'arteria epatica decorre nel tessuto periportale ed irrora i rami della porta ed i dotti biliari adiacenti, manda però rami alla capsula del fegato ed alla vena epatica (PFUHL, KASTERT). Nelle sedi delle diramazioni si notano cellule muscolari epitelioidi (BARGMANN). Questi dispositivi di chiusura rispettivamente di strozzamento sono stati ripetutamente osservati
di
recente
(KAUNITZE
SCOBER,
MAERK,
FREERKSEN,
CORONINI
ALTMANN).
La parte che l'arteria epatica assume nell'irrorazione totale del fegato e del 29-39 % secondo dati meno recenti ( B U R T O N - O P I T Z , B A R C R O F T e SHORE M A C L E O D e P E A R C E ) , secondo esperienze di G R A B , J A N S S E N e R E I N da 19 fino AL 2 2 , 5 % , s e c o n d o S C H W I E G K d a l 2 0 a l 2 5 % .
Di grande interesse è come nel passato la questione fino ad oggi non ancora sufficientemente chiarita della sede della confluenza tra la
GENERALITÀ
9
arteria epatica e la Vena portae. Nella bibliografia antica rivestivano grande importanza le cosiddette radici interne della porta (vedi LOEFFLER, KLINK, AUNAP) cioè l'arteria epatica non dovrebbe nutrire direttamente i lobuli ma riunirsi in piccole vene che si versano nella porta. Oggi si ammette generalmente che il sangue arterioso (almeno parzialmente) arriva direttamente nei lobuli del fegato. Ma i dettagli sono ancora incerti: KASTERT cerca la congiunzione arterioportale nei capillari della periferia dei lobuli, OLDS e STAFFORD ammettono uno sbocco separato dei rami terminali della porta e delle arterie nei setti dei sinusoidi, così che alcuni epiteli situati alla periferia dei lobuli vengono alimentati esclusivamente da sangue arterioso, altri invece solo da sangue venoso. L a mescolanza delle due correnti sanguigne avverrebbe appena nelle anastomosi periferiche dei sinusoidi, che non si troverebbero nel tessuto di Glisson (PFUHL e BOEHM si associano a questa concezione). Contrariamente HORNER e A N D R E W S , M A E G R A I T H e W E N Y O N s o s t e n g o n o il c o n c e t t o , c h e n e l t e s s u t o
periportale si trovino grandi sinusoidi interdipendenti, nei quali sboccano direttamente una gran parte dei rami dell'arteria epatica e la vena porta. (Contrario ZEIGER). HJAERRE p a r l a di u n «plesso perilobulare».
KNISELY
adotta una via di mezzo e riconosce tutte e due le ipotesi. Oggi si ammettono tre diversi modi di congiunzione tra l'arteria epatica e la vena porta: i ) anastomosi diretta arterovenosa fra i piccoli rami dell'arteria epatica e la vena porta; 2) comunicazioni indirette nell'ambito del sistema capillare entro le fessure interlobulari; 3) mediante i sinusoidi nel fegato. (Vedi BRUEGEL). L a supposizione di ELIA che esisterebbero capillari penetranti direttamente nel centro dei lobuli ' è meno probante (cfr. BRAUS: rami arteriosi translobulari). (Sui sinusoidi vedi a pagg. 13 e 202). Il tessuto connettivo nel fegato è scarso e relativamente povero di fibre elastiche. Circonda la superficie come capsula di Glisson ed accompagna come guaina di Glisson il sistema dei canali interlobulari (V. portae, arteria hepatica, dotti biliari e numerosi vasi linfatici) e i nervi (sinonimi: tessuto periportale, interlobulare, portobiliare di KIERNAN, «portai canals»). Il tutto viene nutrito col sangue dell'arteria hepatica. Per accumuli linfoidi vedi KETTLER. Nell'interno dei lobuli si trovano solo tracce di tessuto connettivo nelle adiacenze dei sinusoidi. Le fini fibre fenestrate (tessuto precollageno) si possono osservare più esattamente con speciali metodi di colorazione (Mallory, Pasini, impregnazione argéntica) così pure le reti che avvolgono i sinusoidi (OPPEL) ed ancora più le fibre che decorrono radialmente (vedi anche MARESCH, KON, HUECK, HUZELLA, bibl.
BRUNI).
D O E L L E ha studiato la distribuzione percentuale dei singoli elementi nel peso totale del fegato mediante la « istometria relativa » ( R E C K E R ) e trovato che in circostanze normali il valore del tessuto connettivo rappresenta il 7 %
IO
IL
FEGATO
(con una dispersione notevole di ^ 94.3 %) di fronte al 56,70 % del parenchima, e al 36,30 % dello spazio dei capillari (con una dispersione molto minore); non vennero presi in considerazione vasi più grandi col loro avvolgimento di connettivo. Fortunatamente sulla struttura microscopica minuta del tessuto epatico si sono negli ultimi decenni ampliate le cognizioni con l'impiego di mezzi di colorazione e di strumenti moderni specialmente del contrasto di fase, del microscopio ottico ed elettronico, e con la biopsia del fegato (DALTON, KAHLER,
STRIEBICH
e
LLOJD,
BRAUNSTEINER,
FELLINGER
e
PAKESCH,
FAWCETT, CACHERA e DARNIS); esistono però ancora problemi molto dibattuti p. es. l'esistenza dubbia di uno spazio di Disse. Ognuno conosce dal materiale di autopsia le fessure tra le cellule epatiche, spesso larghe, prive di endoteli, ripiene di masse nebulose, che si colorano debolmente, e le pareti dei sinusoidi ancora coerenti con le fibre a graticcio. Sul loro significato patologico vedi a pagg. 19 e 220. Secondo la nostra concezione odierna non ci sono normalmente veri spazi linfatici nell'interno dei lobuli
del fegato
(BROWICZ,
TEICHMANN,
HERING
e SIMPSON,
BARGMANN,
HENCKEL). W . W . MEYER non potè constatare una comunicazione con le vie linfatiche del tessuto periferico. Contro questo reperto stanno i risultati sperimentali di BABICS, FOELDI, RENYI-VAMOS, ROMHANYI,
RUSZNYAK
e SZABO. POPPER osservò generalmente, nel materiale di puntura del fegato ottenuto intra vitam, fessure pericapillari non distese. BRAUNSTEINER, FELLINGER e P A K E S C H c o n l ' o s s e r v a z i o n e al m i c r o s c o p i o
elettro-
nico non poterono mai dimostrare l'esistenza di eventuali spazi di Disse, mentre questi furono riprodotti da KUETTNER e VOGEL. Le cellule epatiche penetrano nelle fessure perisinusoidi coi loro « microvilli ». KAUFMANN ritenne indubbio che esista un sistema di fessure tra capillari e cellule epatiche. All'autore sembra più esatto parlare di una « saldatura » molto tenue fra vaso (con il tappeto a fibre fenestrate) e cellula epiteliale, che da una parte permette un lieve scambio di sostanze fra sangue e cellula (una membrana propria manca nella cellula epatica, SCHAFFER) e d'altra parte può assai facilmente venir sciolta. ROESSLE definisce il sistema di fibre fenestrate del fegato come una « membrana basale con ampi pori che lega i capillari alle travate di cellule epatiche ». Se ci si decide ad ammettere la possibilità di un minimo trasporto centrifugo di liquido dal lobulo del fegato nel tessuto di Glisson parecchi reperti sperimentali divengono più facilmente intelligibili; così si invoca volentieri questa via per la colangite da escrezione (BAHRMANN) ed il passaggio di bacteri dal sangue nella colecisti (RABL). Non altrimenti si può spiegare il fatto di una linfa nel fegato particolarmente ricca di albumina (pag. 219) e che l'inchiostro di China somministrato endovena in dose particolarmente massiva si deposita quasi esclusivamente nei linfonodi portali (KETTLER). SCHUSTER (vedi più sotto ALBERTINI) parla di un drenaggio centrifugo (linfogeno) attra-
II
GENERALITÀ
verso il reticolo di fibre fenestrate pericapillari nella deposizione di T h o rotrast
(cfr.
anche
WOHLWILL).
KIYONO,
HESSE,
SCHULZE
accertarono
già prima la migrazione di cellule a stella fagocitanti verso il tessuto periportale. Ciò non vale completamente nella stessa misura per il fegato che h a immagazzinato Thorotrast, come poté osservare l'autore (vedi a pag. 168). Secondo la concezione classica le cellule del fegato sono disposte in t r a v a t e a due file (le trabecole di Remak) ordinate una dopo l'altra, d o v e le ultime formano strutture radiali a rete. Contrariamente a ciò, ELIAS in numerose nuove pubblicazioni ha coniato per l'uomo il concetto della piastra del fegato (« lamina hepatis ») che dovrebbe avere lo spessore di uno strato di cellule attraversato da molti fori (« lacune ») e anastomizzato con altri. LIPP poté seguire nell'embrione su modelli di piastre di cera lo sviluppo della struttura fino ad una lamella dello spessore di uno strato. Il lobulo epatico viene diviso dal campo periportale da una « piastra di confine ». L a cellula epatica è grande (diametro da 13 a 30 /n) poliedrica e plastica in notevole misura. Secondo esami eseguiti da FAWCETT col microscopio elettronico dovrebbe essere congiunta con le cellule viciniori da una specie di dentellatura (interloking structure). Ciò corrisponde ai « microvilli » dalla parte adiacente al vaso sanguigno. Il numero totale delle cellule in un organo di peso medio è stato calcolato come costante da SIESS e STEGMANN (p. es. nel topo da 200 a 1400 mg.). L a cellula epatica umana contiene per lo più solo un nucleo, nel 27 % due (MUENZER, BOEHNM) molto raramente più nuclei. Le cellule con due nuclei si rinvengono numerose nella zona intermedia dei lobuli e nascono praticamente per amitosi (vedi altri dati in KETTLER). I nuclei delle cellule epatiche hanno volume diverso, m a non si t r a t t a di varianti di grandezza indiscriminate. Secondo gli interessanti « studi di variazione statistica » di W . JACOB J I nuclei hanno tra loro l'esatta relazione matematica di una progressione geometrica ( 1 : 2 : 4 : 8 ) . Il nucleo comune (quello che si osserva più di frequente nell'organo) ha nell'uomo il volume di 144 /¿3. I nuclei più grandi si osservano nella zona intermedia del lobulo. I notevoli reperti di JACOB J vengono confermati
d a BIRKENMAIER, CLARA, PFUHL, SAUSER e
SCHROETER.
I dettagli della struttura minuta e della composizione chimica furono studiati in modo speciale nel nucleo della cellula epatica, tanto che i risultati della citologia generale sono validi di preferenza per il fegato. Il nucleo è il centro del ricambio della cellula e contiene acido deossiribosonucleinico. Nella formazione delle plasmaproteine assume grande importanza il nucleolo che contiene protidi ribosonucleici (CASPERSON, LAGERSTEDT, S T O W E L L , R U M J A N T Z E W ,
MCKAJ
e FARRAR.
più minute vedi RATHERY, SCHILLER, Bibl.).
P e r le
strutture
12
IL
FEGATO
Il citoplasma delle cellule epatiche è caratterizzato da organuli cellulari molto numerosi e da molte sostanze paraplasmatiche. Si riesce oggi con ultracentrifugazione di omogenato del fegato (CLAUDE) ad ottenerne le singole frazioni. Ci interessano, degli organuli, oltre ali 'apparato di Golgi diffìcilmente dimostrabile dal punto di vista tecnico che dovrebbe essere importante per la secrezione della bile (BARGMANN) e per specifici accumuli d i s o s t a n z e ( A L T M A N N , P F U H L e D I E N S T B A C H ) , e i microsomi
(al m i c r o s c o p i o
elettronico « microbodies ») discussi per il loro significato e che devono essere a g g r e g a t i a l l ' e r g a s t o p l a s m a
(CHAVEAU, GAUTIER, MOULÈ e
ROUIL-
LER), soprattutto i mitocondri. Hanno grandezza di 0,5 1 2 / 1 , f o r m a variabile (da rotondi a forma di bastoncino) e sono molto dipendenti da fattori osmotici mero
(HOGEBOOM,
costante
SCHNEIDER
(secondo
ALLARD,
e
PALADE).
MATHIEU,
DE
Normalmente LAMIRANDE
hanno e
nu-
CANTERO
2500 per ogni cellula epatica nel topo, SHENTON, SCHNEIDER e STRIEBICH calcolarono nei topi solo 558 per cellula epatica, DAVID (istituto dell'autore) 1630 per ogni nucleo di cellula, e sono uniformemente distribuiti nel corpo della cellula (sulla loro patologia vedi a pagg. 65, 62, 68, 163 inoltre ALTMANN). All'osservazione col microscopio elettronico si t r o v a n o due tipi di mitocondri (LAIRD, NYGAARD, RIS e BARTON); essi posseggono due membrane, l'interna molto articolata. Secondo recenti fotografie al microscopio elettronico (PALADE, SJOESTRAND) anche dell'autore, l'interno è attraversato da lamelle doppie. Nei mitocondri sono concentrati molti fermenti e vitamine (particolarità in KUEHNAU). L e zolle basofile della cellula epatica sembrano avere la forma al microscopio ottico dell'Ergastoplasma, la cui struttura ottica elettronica venne resa nota recentemente come sistema lamellare (CAHERA e DARNIS). Sulle sostanze paraplasmatiche straordinariamente importanti per la cellula epatica, soprattutto grasso, glicogeno ed acido nucleinico vedi pag. 80. P a r v e da molto tempo chiarita la natura dei canalicoli intralobulari o
« fessure
biliari
intracellulari »
(COSTA,
WEBER,
ZAMPI
e
IGNESTI;
essi rifiutano a ragione come ROESSLE l'espressione « capillari biliari »). D o v r e b b e r o rappresentare due fessure cilindriche tra due cellule epatiche, le quali hanno un mezzo solco o gola scanalata sulla superficie che forma il canalicolo biliare con una corrispondente scanalatura della cellula opposta. Studi di ottica elettronica compiuti da COSTA e Coli, confermano questa classica concezione. Manca loro una parete propria. Invece secondo HUECK queste fessure biliari possederebbero una parete f o r m a t a da un ispessimento, come una cuticola, dell'ectoplasma della cellula epatica; vedi anche SCHMIDTMANN (dove esistono cellule epatiche devono esistere anche canalicoli biliari, d o v e le prime vengono a perire scompaiono anche quest'ultimi). V e d i HOLMER che indicò un n u o v o metodo di colorazione dei canalicoli biliari. Con la p r o v a moderna della fosfatasi alcalina per mezzo del metodo di Gomori si possono rendere evi-
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GENERALITÀ
denti anche i capillari della bile. D a t a la concezione di Elias dell'esistenza delle lamine epatiche, la v e d u t a classica sui tubuli biliari sarebbe insostenibile, secondo la sua opinione, i «capillari» (sic!) biliari, provvisti di una parete propria solida a v v o l g o n o sotto forma di una rete poligonale ogni singola cellula epatica. L ' a u t o r e riconosce fondate molte obbiezioni d i ELIAS, confessa però che non si è ancora f a t t a un'idea chiara di questa n u o v a concezione nella proiezione dello spazio. Fessure biliari intracellulari certamente non si riscontrano nell'uomo (bibl. remota FIESSINGER, recente NOVIKOFF e NOE). I canalicoli biliari alla periferia dei lobuli passano nei cosiddetti « tratti di congiunzione o intercalari » (secondo CLARA più esattamente «tratti intermedi»). Qui è situato il tallone d'Achille del fegato (vedi a pag. 132). Sembra strano il concetto di u n ' « a m p o l l a » in questo territorio (KIKUCHI, KUEHN). I dotti biliari interlobulari sono canali con parete propria formati da cellule cubiche, poi cilindriche che divengono sempre più alte; i piccoli dotti si anastomizzano di frequente tra di loro, i più grossi hanno sempre più un sostegno di tessuto connettivo e scarse fibre muscolari liscie. L a parete dei grossi vasi biliari contiene piccole glandole mucose. T r a la cistifellea ed il fegato di solito ci sono comunicazioni dirette in forma di Ductus hepatocistici. A l l a totalità degli epiteli epatici recentemente si sono contrapposte le cellule a stella di v. K u p f f e r (o secondo REINKE cellule ad ala) come secondo parenchima (mesenchimale), ROESSLE. Esse formano notoriamente come cellule della riva dei sinusoidi la « provincia epatica » del sistema reticoloendoteliale (ASCHOFF e LANDAU) e mostrano perciò spiccate attiv i t à f a g o c i t a n e (vedi pag. 169). S'appoggiano alla parete dei sinusoidi (al cosiddetto tappeto di fibre a graticcio) dalla parte del lume (PRATT, ITO e NEMOTO), non v i sono ancorate molto tenacemente, m a manderebbero delle propaggini alle cellule epatiche (BRAUS ameboidi? parzialmente contestato) così che si instaura un intimo c o n t a t t o tra i due parenchimi (JAFFE e BERMANN, ROESSLE). Invece non passano a ponte sopra il lume dei sinusoidi (contrariamente all'opinione di ZIMMERMANN: endociti). Questi spazi sanguigni presentano certe caratteristiche, la loro parete non forma un canale chiuso (KAUFMANN, HENCKEL, negato da PRATT — esami recentissimi col microscopio elettronico eseguiti da RUETTNER e VOGEL confermano il rivestimento non continuo) esiste piuttosto un plasmodio di endoteli con numerosi stomi. D a ciò dipenderebbe l'accresciuta permeab i l i t à p e r l ' a l b u m i n a , o s s e r v a t a d a STARLING, KROGH, R I C K E R , LOEFFLER e
NORDMANN (vedi anche KUEHN e HILDEBRAND). D e l resto i sinusoidi possono mutare la loro ampiezza isolatamente e spontaneamente (SCHANTZ, EBBECKE,
HESS,
KROGH,
RICKER,
LOEFFLER
e
NORDMANN,
TSCHERNO-
GOROFF e POPOFF vedi a pag. 219). Recentemente venne convalidata da WOLF-HEIDEGGER
e
BERGL
la
concezione
di
ROESSLE
e
PFHUL
cellule a stella di K u p f ì e r rappresentano solo dati stadi funzionali
che
le
(special-
IL
M
FEGATO
mente gli elementi differenziati) dei soliti endoteli piatti dei sinusoidi. Così il loro volume varia notevolmente in corrispondenza della loro momentanea attività; RIBBERT parlò di pseudopodi, ROESSLE di « processi ameboidi che si retraggono »; nell'accumulo di sostanze non sempre le cellule a stella sono compartecipi nella loro totalità. Non si può però trarre la conclusione che debbano esistere differenze fondamentali tra gli endoteli e le cellule di Kupffer (FRESEN). Per le strette connessioni spaziali e funzionali fra il sangue, le cellule a stella, la parete dei sinusoidi, gli epiteli del fegato ed i canalicoli biliari ( c f r . E D L U N D e HANZON) ROESSLE h a p e n s a t o a l l a c o n c e z i o n e d i u n ' u n i t à
funzionale l'epatone, in analogia al concetto di nefrone. Però in quest'organo il parenchima mesenchimale ed epiteliale non sono posti come nel rene uno dopo l'altro, ma paralleli. Dettagli sulla filtrazione dei materiali provenienti dal sangue attraverso le cellule epatiche nel sistema delle vie biliari si possono dimostrare con certezza con l'osservazione del microscopio a luce
fluorescente
(HARTOCH, F R A N K E e S J L L A , H I R T , ANSORGE e MARKS-
TRAHLER, HAITINGER e GEISER,
Sulle funzioni
HANZON, GRAFFLIN e CORDDRY).
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2
—
KAUFMANN
II,
p.
II
SEZIONE
ALTERAZIONI
II
CADAVERICHE
Il concetto delle alterazioni cadaveriche del fegato ha assunto oggidì un significato più preciso, in quanto abbiamo appreso a delimitare le tanto importanti alterazioni agoniche da quelle postmortali in senso stretto. Il mezzo adatto è la biopsia intra vitam (vedi pag. 242). a) POPPER ha accertato come importanti alterazioni agoniche la scomparsa del glicogeno (particolari a pag. 109) e la dissociazione delle cellule epatiche confrontando i reperti istologici del materiale di agobiopsia ottenuto poco tempo prima della morte, con quelli microscopici ricavati dalla autopsia. Quest'ultima certamente in passato venne spiegata come conseguenza di agenti tossici — avviene per lisi della saldatura (meglio dentellatura pag. N ) tra le singole cellule epatiche. Inoltre ALTMANN ha dimostrato che molti di quei quadri, che dapprima falsamente si attribuivano ad un'infiammazione sierosa, sono di natura agonica. L a cellula epatica prossima ad estinguersi non è più in grado sufficiente di riassorbire il plasma sanguigno, che esce dalle pareti dei sinusoidi divenute più permeabili, così che appare nello spazio di Disse (formatosi solo ora artificialmente) vedi pag. 10. Finalmente possono essere agonali le macchie che si osservano non raramente sulla superficie del fegato, liscie, chiare, giallastre, rotonde, a forma di striscie, che alla sezione penetrano più o meno nella profondità ed hanno contorni irregolari; rappresentano territori anemici per la pressione di parti adiacenti (anse intestinali, stomaco, arcata costale). Alquanto differenti sono caratteristici territori giallopallidi con orli affilati ed angolati, che si propagano non molto profondamente, a forma di cuneo ed anche con orli frastagliati o lisci. Talvolta si osservano nel parenchima vicino alla capsula. L a loro forma esclude la supposizione di una pressione anemizzante. HELLY le interpretò come chiazze settiche derivate da edema a focolai ed accennò al raggruppamento delle macchie corrispondente alle ramificazioni della vena porta e dell'arteria epatica. BENECKE le spiegò come effetto di ischemia riflessa agonale da crampi dei piccoli vasi del fegato anche in malattie non settiche (messe
20
IL
FEGATO
in dubbio da ROESSLE). Si osservano molto di frequente nelle malattie acute del cervello e nelle peritoniti acute. Una parte di questi reperti precedentemente venne di certo interpretata falsamente; l'abbiamo conosciuta come il cosiddetto infarto adiposo, per opera di CESARIS DEMEL, più tardi di HAMPERL, vedi pag. 90. In nessun caso tutte queste alterazioni devono essere macroscopicamente confuse con flemmoni subcapsulari circoscritti molto simili, parimente angolati, come osservò una volta l'autore (giovane uomo, peritonite da infortunio con motocicletta) Aut. 1623/56. Le alterazioni postmortali in senso stretto sono da dividere principalmente in b) puramente autolitiche e in c) veri fenomeni di putrefazione. Nella pratica però appaiono quasi sempre unite. b) Riesce però almeno negli esperimenti sugli animali (alterazioni più fini delle cellule vedi in MORE e CROWSON) O per mezzo di una autopsia precoce (come è da prevedere dopo somministrazione di antibiotici a largo spettro) di sottoporre pezzi di fegato privi di bacteri ad un'autolisi isolata. Occorre mettere sul suo conto la fanerosi grassa, cioè la comparsa postmortale di grasso legato intimamente intra vitam ai corpi albuminoidi (cfr. BORCHERS, ASCHOFF, KNUECHEL) inoltre la s e p a r a z i o n e
mielinica
cromatotropa delle cellule del fegato (FEYRTER) e quella forma del cosiddetto rigonfiamento torbido che dobbiamo distinguere da quella sorta intra vitam, e che si definisce cadaverica, vedi pag. 64. L'autolisi, secondo l'esperienza, si manifesta soprattutto con molta rapidità ed intensità nell'atrofia gialloacuta del fegato e porta frequentemente ad una liberazione di leucina e tirosina in forma di una patina bianca simile alla muffa sulla superficie di sezione, quando il fegato è stato messo da parte da qualche giorno. L a capsula del fegato incidentalmente, come conseguenza di una imbibizione sanguigna, può assumere un colorito rossiccio sporco per diffusione dell'emoglobina (da emolisi postmortale). L a superficie del fegato e soprattutto la zona dell'orlo inferiore nel cadavere appaiono spesso nero-bluastri; se nella cavità dell'addome è contenuto liquido icoroso il cambiamento di colore avverrebbe durante la vita, ed è dovuto alla formazione di solfuro di ferro (vedi Voi. I pag. 178 della parte seconda). Questa pseudomelanosi (melanosi vera, vedi Voi. I pag. 452 della parte seconda) può approfondirsi per alcuni mm. nel parenchima; nelle affezioni infiammatorie del fegato o nella sepsi talvolta si spinge profondamente fino nell'interno dell'organo anche nell'ambito del tessuto di Glisson. c) In seguito alla penetrazione di batteri attraverso le vie biliari e la vena porta, il fegato è soggetto precocemente alla putrefazione cadaverica. I cadaveri settici sono spesso soggetti alla sua rapida comparsa. S e c o n d o recenti esperienze
(SIMMONDS, CANON, DIBBELT) n o n
ven-
gono confermate le vecchie asserzioni di una trasmigrazione di batteri nel sangue, specialmente di bacterium coli dall'intestino o l'ascesa nelle
ALTERAZIONI
CADAVERICHE
21
vie biliari durante l'agonia; si dovrebbe ritenere che lesioni della mucosa siano servite come speciali porte d'entrata. Invece i batteri nel cadavere raggiungono il fegato spesso rapidamente. Partendo dai recenti reperti nell'infarto anemico del fegato (vedi pag. 196) ci si pone di nuovo la domanda dell'assenza di germi nel fegato vivo. Secondo ROMIEU e BRUNSCHWIG nell'uomo normalmente esso è privo di batteri. Invece negli animali, specialmente nei cani, si troverebbero durante la vita nel fegato apparentemente normale anaerobi (Clostridium oedematiens e Clostridium perfrigens). Se la putrefazione è molto avanzata si sviluppa l'enfisema da putrefazione. Il fegato diventa spugnoso, crepita al taglio. In seguito si liquefa, è come una pappa. L'enfisema è formato da bolle di gas che si sviluppano se sono presenti batteri anaerobi dell'intestino, specialmente il bacillo della gangrena gassosa di Welch-Fraenkel, simile a quello della gangrena gassosa esterna (vedi muscoli) e nell'utero (cfr. febbre puerperale) e si osserva durante la vita. In un caso di ERNST la superfìcie di taglio si coprì tosto di schiuma incolore: fegato gassoso (buona riproduzione in ROESSLE-APITZ, p a g . 124). W . H . SCHULTZE p r o v o c ò s p e r i m e n t a l m e n t e le al-
terazioni durante la vita (cfr. anche STOLZ) ma non si osservò la propagazione ulteriore del processo, come osserva LOEHR. Sull'eziologia degli organi schiumosi, che non è unica, cfr. GOHN e SACHS, esauriente bibliog r a f ì a i n LOEHR.
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SEZIONE
III
ALTERAZIONI DELLA FORMA E DELLA POSIZIONE
Non è sempre facile nell'adulto ed anche nel bambino più grandicello distinguere in caso di alterazioni della forma del fegato se siano acquisite nella vita estrauterina oppure se siano congenite. Ancora meno agevole è nelle ultime distinguere se siano deviazioni dell'abbozzo primitivo, dunque eventualmente ereditarie, o anche causate da malattie intrauterine. HANSER si è espresso molto criticamente sulle malformazioni del fegato, per se stesse molto rare. Le difficoltà sopra accennate si manifestano già a proposito dell'i'wgrandimento o rimpicciolimento di tutto il fegato oppure di una sproporzione dei suoi lobi. Un lobo sinistro troppo piccolo (osservare la variante di larghezza secondo SCHWALBE) può essere ipoplastico (alterazione congenita) oppure anche atrofico, vedi pag. 61. Non comune è l'aplasia (ipoplasia fìg. I) o agenesia: il lobo sinistro (REDDY) oppure raramente il destro possono mancare completamente, il rimanente mostra deformazioni corrispondenti; in un caso di quest'ultima evenienza (vedi anche KRAUSPE) KAUFMANN osservò che la cistifellea era posta al margine destro del fegato. Qui si accenna anche alle discussioni critiche di W . W. MEYER sulla atrofia unilaterale del fegato. Estremamente raro è il mancato sviluppo del fegato: si osserva solo nell'Acardius amorphus, Epignatus ed altre malformazioni
(HANSER,
KAUFMANN).
Simili concetti sono validi per L'ingrandimento". HANSER ricorda in proposito che un lobo sinistro del fegato molto grande può essere la prova di una malformazione da arresto di sviluppo, perché nell'embrione ambedue i lobi sono pressapoco eguali. Ci sono però anche vere ipertrofie da compenso (bibl. in KANTOR) ed iperplasie (pag. 376). Non tanto raramente si osservano solchi accessori profondi (le cosiddette fessure accessorie) che in parte sono state ritenute di natura atavica; perciò la denominazione di solchi scimmieschi. Si trovano parte nell'ambito della faccia superiore (fig. 2) più di frequente su quella inferiore (occa-
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IL
FEGATO
sionalmente come cordoni duri subsierosi), parte come incisure del bordo del fegato. Si possono allora formare dei lobi abnormi: Hepar lobatum, tanto congenito (Hepar lobatum congenitum) (fig. 3) quanto acquisito in seguito a formazione di cicatrici p. es. Hepar lobatum syphyliticum vedi pag. 265 o conseguente a traumi pag. 465. Sovente si trovano soltanto formazioni polipose solitarie della grandezza di un fagiolo o di una nocciola. FRASER descrisse un lobo accessorio straordinariamente grande (12 : 3 cm.). E possibile macroscopicamente lo scambio con adenomi peduncolati
Fig. 1. Ipoplasia del lobo sinistro. Deformazione del lobo destro: « fegato a focaccia ». Donna di 67 anni. Aut. N. 799/56.
(SCHMIDT, ROTH). Di rado la segmentazione abnorme (secondaria per atrofia di tessuto epatico preformato) porta alla formazione di uno o più fegati accessori (Hepar succenturiatum) (figg. 4 e 5), che si trovano anche nell'omento, nel ligamento sospensorio (TAROZZI, BRUEHL), in cisti dell'intestino e nella capsula della milza (HEID, HAAM). KAUFMANN osservò anche un piccolo fegato accessorio sulla cupola della cistifellea (vedi anche RIBBERT,
RHODENBURG,
WALZEL
e GOLD,
KLEIN).
Formazioni
anomale
di lobi si osservano occasionalmente anche nelle ernie incarcerate ombelicali (vedi anche POLITZER), lo stesso talvolta nelle ernie diaframmatiche; cfr. anomalie di conformazione nelle ernie congenite (Voi. I/2 pag. 339). Il lobo sinistro può essere completamente staccato dal destro ed esservi unito solo da un ponte sottile dorsale (ZANDANELL). SI fa menzione inoltre
ALTERAZIONI
DELLA
FORMA
E
DELLA
POSIZIONE
25
Fig. 2. Profonda scissura accessoria e solco diaframmatico alla superficb del lobo destro del fegato (nelle parti ventrali residui aderenziali periepatitici). Donna di 70 anni. A u t . N. 1324/56.
Fig. 3Abnorme lobatura congenita del fegato, d o v u t a a scissure accessorie profonde. «Hepar lobatum congenitum ». Uomo di 56 anni. A u t . N. 287/56.
26
IL FEGATO
di insignificanti deviazioni della forma, come il lobo sinistro allungato, a forma di lingua; curvature abnormi del fegato; il Pons hepatis (sovrapposizione come di un ponte dell'incisura anteriore sinistra con tessuto epatico insieme con la Chorda v. umbilicalis) dove sembra che manchi il Lobus quadratus, e la cistifellea è sprofondata nel parenchima del fegato quasi invisibile dall'esterno (Vesica fellea occulta: FISCHEL, HELLWEG). Molto frequenti sono le anomalie di forma, che sono causate da compressione. Questa può provocare l'atrofìa o solamente indurre una modificazione della forma dell'organo molle e plastico. Un effetto molto comune
Fig. 4. Hepar succenturiatum. Unione a nastro lunga circa 2,5 cm. nel territorio del lobo sinistro.
della compressione sono solchi decorrenti in direzioni diverse sulla superficie del fegato. Possono essere: a) un solco largo, profondo, quasi orizzontale (o poco obliquo) decorrente sulla superficie convessa per lo più di ambedue i lobi; pare che sia l'effetto più comune della pressione da capi di vestiario troppo aderenti (il corsetto oggidì non dovrebbe avere alcuna importanza ) il tipico solco orizzontale da allacciamento. Per l'allacciamento, la parte inferiore del torace viene costretta e deformata, il fegato spostato verso il basso e il bordo dell'arcata costale si imprime profondamente nel fegato. Sulla parte compressa la capsula è leggermente ingrossata (Perihepatitis), il parenchima epatico talvolta scomparso è ridotto ad uno strato bianco ed atrofico che a poco a poco si trasforma in un ponte sottile e fibroso, congiungente la parte superiore principale del fegato con quella separata (fìg. 6). Nella
ALTERAZIONI
DELLA
FORMA
E
DELLA
POSIZIONE
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Fig. 5Fegato accessorio della grandezza di una prugna, alla superficie inferiore del lobo sinistro, al quale è unito da un cordone sottile connettivale. Lattante di sesso femminile dell'età di 12 settimane. A u t . N. 760/55.
Fig. 6. Profondo solco da costrizione nel territorio della superficie anteriore del lobo destro e sinistro. Donna di 77 anni. A u t . N. 865/56.
28
IL
FEGATO
parte separata si osserva spesso stasi venosa. Questa può ingrossarsi per la stasi o per ipertrofia compensatoria e divenire rotonda; non di rado anche triangolare o quadrangolare. L a parte staccata diventa perfino così mobile, che si può ribaltare verso l'alto (fegato a valvola), in altri casi può essere confusa con un rene migrante. La cistifellea è fissata al lobo destro separato, che naturalmente mostra il solco più profondo ed è sovente staccato da solo; il collo della cistifellea e il dotto cistico possono giacere nel territorio dello strozzamento, e ciò comporta stasi biliare e
Fig. 7. Solchi d i a f r a m m a t i c i nella superficie superiore del l o b o d e s t r o , e m e t a s t a s i m u l t i p l e (in c a r c i n o m a p r i m i t i v o della m a m m e l l a ) . D o n n a di 67 a n n i . A u t . N. 85/56.
facilita la formazione di calcoli. Per stiramento del dotto cistico e del coledoco si può provocare la loro ostruzione ed ittero. Nei vecchi si osserva talvolta un solco da pressione trasversale causato dal torace rigido e deforme. Ciò si osserva pure nella cifoscoliosi per pressione dell'arcata costale insieme con deformazioni generali del fegato. b) Se il fegato è molto voluminoso o se la parte inferiore del torace è molto stretta si possono formare impressioni delle costole decorrenti a forma di cerchio quasi parallele all'angolo destro laterale del fegato. c) Solchi sagittali sulla superficie superiore convessa del fegato, per lo più paralleli fra di loro, in numero di due o tre (fig. 7) raramente di più, possono essere congeniti (ORTH) O acquisiti, ed in questo caso per espirazione difficoltosa (p. es. negli enfisematosi) e qualche volta si formano anche
ALTERAZIONI D E L L A FORMA E D E L L A POSIZIONE
29
ad opera di cordoni e simili. Secondo il modo di vedere di alcuni si t r a t t a dell'effetto della pressione delle inserzioni ipertrofiche dei muscoli del diaframma in forma di grossi cuscinetti, e si può molto di frequente constatare che tali cuscinetti cilindrici del diaframma si adattano ai solchi (Solchi diaframmatici - ZAHN) altri ammettono una piega del diaframma, che può essere causata tanto dall'espirazione difficoltosa (LIEBERMEISTER) quanto dall'allacciamento rispettivamente restringimento delle parti inferiori del torace (bibliografia fino al 1905 in MOODY; recente WELTZ e GLAUNER, TERBRUEGGEN). CHIARI vede l'essenza di tali solchi longitudinali nella pressione del fegato contro il diaframma, eventualmente a v v e n u t a nella vita intrauterina (vedi anche WOERNER), i cui fasci muscolari parte vengono allontanati l'uno dall'altro e ripiegati, parte sono divenuti ipertrofici e per questi due fatti imprimono dei solchi nel fegato (vedi anche FRIEDEL, bibl. in KAWATA). Importanza primaria hanno negli adulti i colpi di tosse che spingono il fegato ripetutamente e violentemente contro il diaframma. WALZ parla di « solchi da piegamento » causati da appiattimento del diaframma rispettivamente della superficie epatica. WESTENHOFER parla di pieghe da spazio in quanto il fegato si piega in uno spazio troppo ristretto, il diaframma si insinuerebbe piegato nei solchi epatici; STADTMUELLER descrisse una tale « piega da spazio » nel torace ad imbuto. Nei solchi sagittali l'effetto atrofizzante della pressione può essere così piccolo che si ricava l'impressione, che la massa del fegato molle e pastosa sia stata semplicemente respinta; in queste aree manca per lo più la periepatite. d) Peraltro si osservano anche qualche volta impressioni del fegato senza atrofia vera e ciò si spiega per la grande possibilità di modellarsi (plasticità); così un'ansa intestinale sovrapposta, un tubo di drenaggio mal collocato (CHARITÉ, uomo di 54 anni, Aut. N. 824/56), un essudato, perfino solamente gas (nella perforazione dell'intestino) possono ridurre la superficie del fegato come una conca o trasformarla con rilievi irregolari (cfr. bolle di gas negli ascessi subfrenici o ascesso gassoso dei chirurgi LIEBMANN e SCHINZ bibl.). Tumori di organi vicini provocano degli infossamenti molto profondi, l'autore li osservò in un caso di feocromocitoma del surrene destro (Aut. N. 436/56). Non molto rare sono le anomalie del sistema vasale del fegato; p. es. LUEDIN (bibl.) descrisse lo sbocco delle vene polmonari nella vena porta (nel Cor biloculare), HELLWEG l'assenza dei rami intraepatici della porta (con altre malformazioni). A l t r a genesi hanno i cosiddetti vasi aberranti che sono rimasti conservati nell'atrofia da compressione del fegato come formazioni specialmente resistenti e appaiono spostati verso la superficie. Accanto alle deviazioni della forma agevolmente rilevabili macroscopicamente si deve tener conto di quelle che possono essere scoperte solo con l'esame microscopico accurato e perciò qualche volta si sottraggono alla
3o
IL
FEGATO
diagnosi. Si t r a t t a in genere di malformazioni congenite da arresto di sviluppo: ESSBACH ha reso noto un caso di aplasia dei dotti biliari intraepatici ed un altro di iperplasia dei dotti biliari intraepatici nel territorio del tessuto di Glisson (vedi anche FINK). Egli f a seguire importanti considerazioni sulla genesi normale dei dotti biliari terminali, nel senso di HAMMAR (vedi pag. 4). Simili conclusioni furono t r a t t e da ROTH dall'osservazione di una intensa proliferazione di dotti biliari ritenuta come malformazione nella zona di attacco di un adenoma peduncolato del fegato. A n c h e MAC MAHON e TANNHAUSER riferiscono sulla assenza di dotti biliari interlobulari in un ragazzo di 10 anni (vedi anche pag. 349). Sulle anomalie di sviluppo dei canalicoli biliari intracellulari (intralobulari) vedi SMETANA e JOHNSON (pag. 249). L a cosiddetta « f o c a l bilary fibrosis » (FARBER, BODIAN) si combina con la ben nota fibrosi del pancreas congenita e cistica; l'iperplasia che si è osservata e la trasformazione microcistica dei canali biliari intraepatici vengono recentemente spiegate da GLOOR e WERTHEMANN come malformazioni, contrariamente ad altre concezioni (disporia). Questi reperti ci a v v i a n o a quegli errori di sviluppo, che prima erroneamente si definivano come tumori benigni. Oggidì si spiegano come formazioni errate dei tessuti (amartie e coristie EUG. ALBRECHT), e si catalogano tra le anomalie di sviluppo. V i appartengono nel fegato molte forme di cisti, i cavernomi, molti adenomi ed altre formazioni nodose (così p. es. MCBURNEY, WOOI.NER e WOLLAEGER); si t r o v a qualche v o l t a anche tessuto del surrene disseminato (specialmente sulla superficie inferiore del lobo destro). Per amore di brevità queste formazioni errate di tessuti vengono t r a t t a t e più diffusamente a pag. 395. A n c h e le alterazioni di posizione del fegato possono essere congenite od acquisite. A quelle appartiene la posizione del fegato nell'ipocondrio sinistro come riflessa da uno specchio (nel Situs inversus totalis o raramente nel Situs inversus partialis) o lo spostamento dei lobi del fegato o di uno solo o di parti a forma di zaffi nelle ernie congenite (dell'ombelico e del diaframma) od altre formazioni con fessure; possono derivarne solchi profondi da stiramento, che si t r a m u t a n o in fibrosi. In un caso di completo spostamento del fegato nella c a v i t à della pleura destra, attraverso una fessura congenita del diaframma, la forma esterna era rimasta stranamente i n t a t t a (LEONHARDT e BECHER). Già nella v i t a intrauterina si possono osservare torsioni del fegato (spesso in direzione contraria alle sfere d e l l ' o r o l o g i o , PRIESCHING e GOHN).
Cambiamenti di posizione del fegato acquisiti sono noti come fegato migrante: Hepar mobile, epatoptosi. Parti dell'intestino possono porsi qualche v o l t a tra il fegato ed il diaframma (ptosi da interposizione, epatoptosi parziale, Malattia di Chilaiditi dei roentgenologi). Nella ptosi del fegato potrebbe avere importanza un allungamento dei ligamenti sospensori do-
ALTERAZIONI
v u t o a fattori costituzionali
DELLA
FORMA
E
DELLA
POSIZIONE
31
(debolezza del m e s e n c h i m a degli astenici). L a
p t o s i d e l f e g a t o d o v u t a a l l ' e t à s e c o n d o VOGT p u ò r a g g i u n g e r e d a i 4 a i 6 c m . P o s s o n o p r o v o c a r e s p o s t a m e n t i del f e g a t o nelle direzioni più diverse a n c h e o b l i q u e , il r i e m p i m e n t o sierose
(pneumotorace,
a b n o r m e o t u m o r i di organi vicini o di empiemi
subfrenici,
ecc.) c o m e
cavità
anche torsioni e
« r i b a l t a m e n t i » ( « p o s i z i o n e sui m a r g i n i » ) .
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SEZIONE
IV
R I C A M B I O DEL F E G A T O E SUE A L T E R A Z I O N I (EPATOSI)
Accanto agli importanti compiti del fegato nella circolazione sanguigna meritano senza alcun dubbio la massima attenzione le sue molteplici funzioni nei processi del ricambio normale. Questi vengono svolti solo in minima parte « nel proprio interesse »; il fegato piuttosto mette a disposizione dell'organismo le sue forze come organo assimilatore centrale (dunque « comportamento prevalentemente altruistico »). Perciò le sue alterazioni possono essere sempre comprese e valutate correttamente solo in connessione con quelle di tutto il corpo (sulle molteplici interdipendenze del fegato con gli altri organi, vedi KETTLER). Come ben dimostra la teoria delle « degenerazioni » un tempo sopravalutata anche per il fegato (vedi i testi di anatomia patologica generale) era estremamente difficile la delimitazione morfologica di quanto era ancor fisiologico dal patologico. Solo con esitazione venne ristretto il territorio patologico per il crescente riconoscimento di « funzioni di accumulo » ed appena da pochi decenni sappiamo che molti reperti istologici rappresentano brevi stadi di transizione nel ritmo di processi a decorso ortologico (FORSGREN). L a tendenza per fortuna sempre crescente alla « integrazione della morfologia con la funzione » ha quasi reso obbligatorio il moderno procedimento della biopsia del fegato (GIORDANO e CURTI, vedi più diffusamente in KALK, inoltre a pag. 242) e l'interpretazione delle prove funzionali con un raffinamento notevole del classico e spesso molto incompleto adeguamento clinico col reperto dell'autopsia. Purtroppo siamo ancora molto lontani dalla agognata meta, cioè di una concordanza anche solo approssimativa dei due metodi d'indagine (POPPER, riassunto critico e bibliografico
KETTLER).
L'attribuzione dei singoli compiti ai due parenchimi (epiteli e cellule stellate di Kupffer) è differente: esistono funzioni prevalentemente regolate dall'epitelio (accumulo del glicogeno, formazione di acidi biliari) e quelle del territorio del mesenchima (deposito di amiloide, formazione di 3
—
KAUFMANN
II,
p.
II
34
IL FEGATO
anticorpi). Molte possono essere dirette da ambedue (trasformazione di pigmento biliare, assorbimento di grasso, deposito di ferro), di molte non conosciamo la sede responsabile. Un'altra suddivisione del lavoro si svolge nel lobo epatico, ma non è ancora chiarito in che misura siano funzioni dipendenti dalla circolazione del sangue, in parte continue (povertà di ossigeno nel centro dei lobuli, ROESSLE) in parte passeggere (reazione dei c a p i l l a r i e l o r o c o n s e g u e n z e , L O E F F L E R e NORDMANN, SIEGMUND, K E T T L E R )
ed in quanto siano differenziazioni obbligatorie legate alle cellule. SCHUMACHER ha eseguito interessanti esami sulla topografìa dei fermenti della respirazione nei lobuli epatici del maiale, del bue, del cavallo, con l'ausilio di indicatori di sali di tetrazolio, ed ha dimostrato la concentrazione della deidrasi succinica e della citocromossidasi nella periferia dei lobuli, delle diaforasi nel centro, e le ha messo in correlazione con le variazioni della corrente. Con ciò viene scossa la teoria di EGER del « campo funzionale centrale e periferico » indipendente dai vasi (l'ultimo solo per funzioni di riserva e di compenso). Solo una parte dei compiti chimici noti del fegato può essere concepita od almeno supposta morfologicamente, e ciò sovente solo quando si riscontrano certe alterazioni anche se ancora irrilevanti. Vi appartengono: a) il ricambio dei carboidrati con l'accumulo ritmico di glicogeno (sui polisaccaridi P A S positivi vedi sotto); b) le deposizioni di grasso così frequenti e facili da dimostrare, delle cui trasformazioni siamo ben lungi dall'avere una visione completa; c) la presenza, proprio nella cellula epatica rilevante, di nucleoprotidi\ d) una parte del deposito di ferro ed anche di calcio; e) la distribuzione della fosfatasi (EGER); /) la presenza della Vit. A (HIRT e WIMMER, PATZELT); g) assunzione di acqua che supera certi limiti; h) diversi processi di riassorbimento e di fagocitosi; i) diverse pigmentazioni. Un numero impressionante di funzioni sono ancora molto oscure per il morfologo, e soprattutto le importanti trasformazioni nella cornice del ricambio dei corpi albuminoidi, delle quali noi prendiamo visione molto limitata a parti irrilevanti (certi coacervi e precipitati di fibrina, inoltre l'amiloide). L a struttura della cellula non dà alcuna idea della degradazione degli aminoacidi e della formazione di urea così come dell'attiva preparazione di alcune sostanze albuminoidi del sangue (albumine, a-globuline?, fibrinogeno), della preparazione di anticorpi, di composti simili ad ormoni e delle relazioni con singole vitamine (B, E, K) ed ancora meno di come possiamo dimostrare la normale formazione della bile. Altre funzioni chimiche del fegato che non possono essere controllate dal morfologo sono quelle della inattivazione dei veleni, della elaborazione della colesterina e molte altre (vedi testi di chimica fisiologica). Anche se molte volte le singole deviazioni del ricambio del fegato si sovrappongono o si combinano, p. es. compaiono degenerazioni grasse nelle alterazioni del ricambio degli idrati di carbonio (Diabetes mellitus),
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSL)
35
o carenza di albumina, t u t t a v i a i singoli gruppi si possono elaborare nel senso di un t r a t t a t o classico. Possiamo scegliere come concetto sopraordinato quello d a t o d a ROESSLE (in analogia con la nefrosi) dell'epatosi, che non dovrebbe sovrapporsi completamente a quello più comprensivo dell'epatopatia. Con questo nome comprendiamo il complesso delle alterazioni del parenchima epatico nel senso più lato. L e cause dell'epatosi sono estremamente varie. A p p a r e specialmente importante l'indicazione che la stessa azione nociva può produrre quadri anatomopatologici differenti secondo la natura, la durata e l'intensità della sua azione p. es. la m a n c a n z a di ossigeno provoca la degenerazione grassa, o anche la degenerazione vacuolare e perfino la morte locale.
CAPITOLO I
L A NECROSI
L a catastrofe di tutti i processi del ricambio significa la loro estinzione definitiva, la necrosi. Il fegato appunto per la sua posizione centrale nel ricambio chimico e nella circolazione del sangue di t u t t o l'organismo viene invaso da diverse parti dalle più svariate sostanze nocive e, come conferma l'esperienza, reagisce molto di frequente con la morte locale. A n c h e se le conseguenze cliniche spesso si manifestano poco per la sua grande forza di rigenerazione, proprio in questo campo l'indagine fondamentale può registrare negli ultimi tempi progressi notevoli. Il rapido allargarsi delle nostre cognizioni è dimostrato ampiamente dal fatto che K A U F M A N N non assegnò alcun capitolo alla necrosi nell'edizione di questo testo da lui stesso elaborata (9 e 10 ed. 1931), ad eccezione dell'atrofia gialla acuta del fegato, ma che ne accennò fugacemente a pag. 885 (oltre l'infarto e le necrosi nell'eclampsia). L a morte dei tessuti però determina il profilo morfologico delle alterazioni epatiche solo in pochi classici quadri nosologici per la sua notevole estensione e per il suo aspetto particolare. Se noi esigiamo inoltre al di là di questi aspetti una corrispondente genesi specifica — eccetto che per i granulomi caseificanti: tbc., sifilide e altri, vedi pag. 252 e seg. — ciò vale solo per l'infarto anemico (pag. 197) ed anche per l'eclampsia (pag. 209). A l contrario, oggi non possiamo più ritenere la cosiddetta atrofia gialla acuta del fegato come un unico processo morboso, perché può essere la conseguenza di molteplici influssi nocivi.
36
IL
FEGATO
Molto più di frequente rileviamo nel materiale corrente di autopsia piccoli focolai necrotici, macroscopicamente spesso poco appariscenti, che possono avere genesi molto varia. Non è possibile dall'aspetto della necrosi t r a r r e c o n c l u s i o n i s u l l a s u a e z i o l o g i a (RUBENS, MONTENEGRO e DE BRITO,
KETTLER). E opportuno quindi, fondamentalmente, stabilire una classi-
ficazione delle diverse forme di necrosi secondo punti di vista morfologici.
i. NECROSI MASSIVA L e più imponenti sono le necrosi massive del fegato (ROESSLE), fo-
colai a grandi spazi confluenti su molti territori lobulari con orli per lo più del tutto irregolari « come una carta geografica ». Solo nell'infarto anemico (pag. 197) possono lasciare ancora riconoscere una certa delimitazione « comprensibile » dipendente dal territorio vasale. Non molto di rado i territori sono variabilmente irrorati dal sangue, spesso in degenerazione grassa. Nel centro sostanze riconoscibili come positive per il Sudan devono la loro origine alla fanerosi grassa o sono resti di singole cellule dapprima in completa degenerazione grassa e poi cadute in sfacelo. Le cause sono molto varie e possono essere divise in 4 gruppi: 1. F u g i à f a t t a m e n z i o n e delle necrosi l e g a t e alla circolazione, nelle q u a l i sono d e t e r m i n a n t i la m a n c a n z a di ossigeno e a n c h e l ' a c c u m u l o di biossido di carbonio e l ' a s s e n z a dell'azione di s m a l t i m e n t o : v i a p p a r t e n g o n o l ' i n f a r t o a n e m i c o (pag. 197) e le v a s t e distruzioni t e s s u t a l i n e l l ' e c l a m p s i a (pag. 209). Si d e v o n o q u i a n n o v e r a r e a n c h e u n a p a r t e delle necrosi t r a u m a t i c h e p a g . 464. 2. U n a g r a n d e i m p o r t a n z a h a s e m p r e a v u t o l ' a z i o n e dei veleni, fosforo
(ZIEGLER
e
OBOLONSKY,
CLARA,
MICHAELIS,
KROENIG,
soprattutto RUBITSKY
e
MYERSON), v e l e n o d e l l ' a g a r i c o (VITERBO), t e t r a c l o r u r o di c a r b o n i o (specialm e n t e in c o m b i n a z i o n e c o n alcool: JENNINGS: d i m i n u z i o n e d e l l ' a z i o n e tossica per « a r t e r i a l i z z a z i o n e della v . p o r t a » : BARIATTI e DAGRADI a p a g . 196), raram e n t e s u l f a m i d i c i (LODGE e WOODCOCK), alcool allilico (EGER che coll'uso della s t r e p t o m i c i n a e della penicillina riuscì a ridurre n o t e v o l m e n t e le necrosi), t r i t o l o (CASTELLINO), pirrolo (POPPER). Il dosaggio ed il m o d o di s o m m i n i s t r a zione h a n n o sempre i m p o r t a n z a decisiva, l'immissione d i r e t t a nel f e g a t o p e r la v i a della p o r t a p r o d u c e necrosi s p e c i a l m e n t e m a s s i v e (POPPER; nell'iniezione d i r e t t a 0 p e r b o c c a ) ( « t o x i c i n f a r c t i o n »; CAMERON, K A R U N A R A T N E e
THOMAS);
q u e s t e somigliano t a n t o m o r f o l o g i c a m e n t e q u a n t o c l i n i c a m e n t e a l l a classica atrofia g i a l l a a c u t a del f e g a t o (vedi sotto). I n a l t r i casi lo stesso v e l e n o p r o d u c e solo necrosi t e s s u t a l e a piccole c h i a z z e (vedi sotto). 3. A p p e n a negli u l t i m i decenni si sono rese b e n n o t e due n u o v e c a u s e d i origine delle necrosi massive, delle q u a l i u n a è la nutrizione incongrua. Q u e s t e necrosi a p p a i o n o spesso i m p r o v v i s a m e n t e d o p o u n periodo l a t e n t e d i 28 fino
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSL)
37
al massimo di 1 0 0 giorni ( H J I A E R R E ; F I T E ) . Sono la conseguenza di una carenza troppo accentuata nel cibo di corpi albuminoidi ( H I M S W O R T H e G L Y N N , D E M E U L E N A E R E , W A H I ) ; in tal caso i cosiddetti aminoacidi « esogeni » contenenti zolfo, cistina e metionina rivestono la più grande importanza ( G Y O E R G Y e GOLDLATT,
WITTS,
POPPER,
HUERGA
e
KOCH-WESER)
e la Vit.
E
(SCHWARZ,
RASO) (cfr. anche la loro azione « lipotropa » pag. 91). Nell'esperimento sugli animali si possono riprodurre queste necrosi dovute alla dieta per mezzo di una dieta di fermenti ( S C H W A R Z , H O C K e F I N K , A H M A D e A T E R M A N ) e con alimentazione con olio di fegato di merluzzo ( G Y O E R G Y e G O L D B L A T T ) e di lardo di maiale ( T U C K E R e E C K S T E I N ) . È interessante che anche la dieta priva di grasso può provocare necrosi ( M E L E A N e B E V E R I D G E ) . Spesso cooperano alterazioni del riassorbimento (nella colite J O N E S , nella diarrea infantile, W A I N W R I G H T ) . Appartiene forse a questo gruppo il caso citato da K A U F M A N N di D E G E N E R e J A F F É di un lattante con grandi necrosi a carta geografica. 4. L'altro gruppo moderno è la conseguenza di una infezione virale, in cui ha la massima importanza la cosidetta forma fulminante dell'epatite epidemica ( P O P P E R , T A Y L O R ) pag. 2 4 7 . Aspetti simili dovrebbe produrre il virus della Rift-valley-fever ( S M I T H B U R N , H A D D O W e G I L L E T ) . Vedi più diffusamente sotto il capitolo « atrofia gialla acuta del fegato (pag. 43).
2. N E C R O S I A F O C O L A I O Senza dubbio nel fegato appaiono più frequenti le necrosi a focolaio. Non raggiungono mai la grandezza di un lobulo e spesso si arrestano ad aree determinate. E opportuno distinguere tra di esse le « necrosi centrali dei lobuli » e le « necrosi raggruppate » dette anche « necrosi focali » o «necrosi miliari» (KETTLER). Giacciono queste come focolai disseminati, per lo più nettamente delimitati verso le parti adiacenti, di un piccolo numero di epiteli necrotici solo in determinati settori dei lobuli, e preferiscono spesso la zona intermedia. Quelle confinano immediatamente con la vena centrale, la circondano senza interruzione e mostrano spesso un confine irregolare (in parte si sono sviluppate come « necrosi anulari emorragiche », HEINRICHSDORFF, bibl.; anche come esiti di iperemesi delle gravide). T u t t e e due le forme di necrosi possono coesistere contemporaneamente ed in certi stadi sono ricche di leucociti (pag. 238). Mentre per le necrosi centrali dei lobuli nella forma pura sono importanti specialmente la mancanza d'ossigeno (bibl. presso KETTLER) p. es. nelle anemie gravissime ma anche nell'iperemia venosa cronica (WAETJEN, ROTHE), inoltre la continua immissione attraverso i sinusoidi di veleni poco attivi (OVERBECK) le cause per le rimanenti necrosi miliari sono così straordinariamente molteplici, che qui se ne può dare solo un rapido sguardo. Per una serie di esse il danno è senza dubbio causato indirettamente attra-
38
IL
FEGATO
verso reazioni nella circolazione terminale (SIEGMUND, SCHUMACHER, vedi anche pag. 202 e seg.). V i appartengono al primissimo posto le necrosi nella stasi acuta (infarto cardiaco: CLARKE; sperimentalmente: KETTLER; spesso c o m b i n a t e con infezioni (HEINRICHSDORFF, WINTER, GRIESHAMMER,
WALLACH e POPPER). LUETHY (bibl.) le osservò nell'endocardite. Inoltre si ritrovano di frequente nelle lesioni capillari allergiche che si possono facilmente riprodurre nell'esperimento con l'immissione di determinati anticorpi (MASUGI, CORNIL e MOSINGER) o reiniezione di albumine eterogenee
(BOISSEZON,
RANDERATH,
WAETJEN,
HARTLEY
e
LUSHBAUGH).
Sul comportamento dei sinusoidi vedi pag. 203. Sono frequente reperto nel tipico shock anafilattico (VAUBEL, APITZ,
WEATHERFORD;
RY-
ANG, EICKHOFF. Altra bibl. in
; I. m
-'AH?.v:.agteif i m
'
KETTLER).
Forse
vi
si
devono annoverare anche le necrosi osservate nel disfacimento canceroso (WAETJEN, ROTHE) ed anche quelle nella para-proteinemia (PETZHOLD) e n e l l e u s t i o n i BLUETHGEN).
(BELT,
Dipendenti
dalla circolazione sono anche necrosi focali nella periarterite nodosa, nella dissenteria e nella difterite Fig. 8. (fig. 8 vedi sotto), nell'iperNecrosi a gruppi nella miocardite postdifterica (nella zona intermedia del lobulo epatico). Bambina di 3 anni termia, inoltre dopo sommie mezzo. nistrazione di tirosina. Dall'anno 1933 ci sono note le necrosi del fegato nel morbo di Basedow spesso poste nel centro degli acini (ROESSLE, HABAN) e nell'esperimento sugli animali (GERLEI). Altra bibl. in KETTLER. Però secondo osservazioni personali dell'autore si riscontrano gravi alterazioni del fegato nel Basedow, prescindendo dalle infiltrazioni periportali non del tutto costanti (cfr. BASEVI e DAGNINI). Simili sono quelle che si osservano nelle malattie del sangue (Morbus haemoliticus neonatorum: TRIBEDI e CHANDA: agranulocitosi: SCHAEFER, W . KOCH). Non è del tutto chiaro se siano veramente di natura embolica i piccoli focolai senza reazione osservati nell'emoglobinemia puerperale della vacca e riprodotti sperimentalmente da HJAERRE con iniezioni nella vena mesenterica di licopodio, inchiostro di China, olio, paraffina. FLEXNER e MALLORY pensano ad ostruzioni dei capillari ad opera di batteri, trombi di fibrina, e fagociti penetrati in circolo p. es. endoteli della
RICAMBIO D E L FEGATO E SUE ALTERAZIONI
39
(EPATOSl)
milza e dei capillari, come causa di tali necrosi. Nella drepanocitosi si osservano trombi di cellule a forma di falce nei sinusoidi (SONG, BOGOCH, CASSELMANN, MARGOLIES e BOCKUS). ZOLLINGER crede che l a sola emolisi
possa portare a vere necrosi del fegato. Simili a queste sono i casi analoghi dopo trasfusione di sangue non compatibile (LEMKE, LINDAU, vedi anche POLANI) .
Il contingente principale è tuttavia rappresentato dai veleni. Possono essere inorganici (selenio, biossido di carbonio, silicio, berillio, manganese, arsenico, mercurio: MAC NIDER osservò necrosi periferiche con edema n e l l ' a v v e l e n a m e n t o sperimentale da mercurio (bibl. HARMON), piombo, rame elettrolitico, e di natura organica'. cloroformio (necrosi centrale dei
lobuli:
BRAND,
BOCK,
bibl.
HILDE-
HERXHEIMER,
LOEFFLER, FISCHLER) , t e t r a -
cloruro di carbonio (in piccole dosi HOFFMANN, HIMES, LAPAN,
RISZKI
e
POST),
D.D.T, acido acetico (GERHARTZ, M A N Z e L O R K E ) , u r e tano
(HAZLETT,
TAYLOR
e
WHITELAW), a z o i p r i t e , d i b r o -
mobenzolo, fenolo, fenilidrazina
(GROSSMANN,
JAFFE);
c l o r o p r o m a z i n a (DAVID), flo-
Fig. 9. Necrosi itterica in ittero meccanico (imbibizione biliare intensa nel centro della necrosi). Donna di 67 anni. A u t . N. 218/53.
rizina (FISCHLER), piridina, dietilstilbestrolo, acidi biliari, istamina (EPPINGER e
LEUCHTENBERGER HEINLEIN, GLOGGENGIESSER), c l o r o c h i n a ,
granugenolo
(B. FISCHER), cloranile (STAUB), tetracloroetano, solfato d'idrazina (FISCHLER e HJAERRE), c o c a i n a
(EHRLICH), f o r m i a t e d'allile
(HEINEMANN,
GLOGGENGIESSER), dicumarolo, acido tannico, Senecio jacobea e destrano (esauriente bibl. in KETTLER). Anche preparati chemioterapici in condizioni adatte possono provocare necrosi a focolai p. es. tiosemicarbazone (REY-BELLET)
e
salvarsan
(HEINRICHSDORFF,
SCHIFRIN,
CRAVEN).
Infine vi appartengono le necrosi itteriche (fig. 9) provocate da acidi biliari n e l l ' i t t e r o d a stasi (LUETHJ, LOEFFLER, HANSER, ROESSLE), così
come quelle negli iponutriti (AOKI e NAKAMURA) con necrosi concomitanti nel pancreas, e le minori nell'eclampsia. Osserviamo con speciale frequenza queste forme di necrosi nelle più differenti malattie infettive, però la loro patogenesi è molto varia. Dob-
4°
IL
FEGATO
biamo distinguere tra azioni dirette dei batteri che agiscono immediatamente sulle cellule, ed azioni a distanza delle tossine, che agiscono o direttamente come veleni degli epiteli o indirettamente attraverso il sistema dei vasi (p. es. difterite, dissenteria). Necrosi focali vengono causate dall'amebiasi (CARRERA), dalla toxoplasmosi (PINKERTON e HENDERSON), dalla brucellosi, dalla febbre ricorrente (STAEMMLER), da infezioni da streptoc o c c h i ' (MACMAHON
e MALLORY, ALBERTINI e GRUMBACH,
GLOGGENGIES-
SER), da Bact. coli (APITZ), dal bacillo di Friedlaender (CAPPELLI), dal Bac. funduliformis (WEPLER), dalla setticemia da meningococchi e pioceaneo (GHON), dalla lebbra (DRENNOWA), finalmente dalla Listeria monocytogenes (pag. 277) nella cosiddetta « listeriosi » (REISS, POTEL e KREBS, SEELIGER,
JUNG,
LINZENMEIER
e
ODENTHAL,
SCHMILZ,
FROBOESE);
a
questo gruppo appartengono indubbiamente molti casi pubblicati negli anni passati e non chiariti p. es. quello di KAUFMANN (feto maschio di due mesi con focolai nel f e g a t o ; SCHNEIDER,
KANTSCHEWA, IFF,
SCHWARZ
osservarono bastoncini argentofìli). I reperti più noti si trovano nella difterite
(COUNCILMANN,
MALLORY
e
PEARCY
e
RANDERATH,
GUENTHER, ZINCK, HOLLE, FRICK e LAMP'L, KOCH e ROEMER,
HEINLEIN, GLOGGEN-
GIESSER), nella scarlattina (BINGEL e SJSAK), nel morbillo, nella tosse canina, nel noma, nel vaiolo, nell'erpete semplice (PUGH, NEWNS e DUDGEON, WILLIAMS e J A C K , A R J E , AUSTIN e SANCHEZ), n e l t i f o e p a r a t i f o ( p a g . 278),
nella febbre gialla (necrosi della zona intermedia), nella malattia di WEIL (pag. 142), nella tubercolosi (esclusi i piccoli tubercoli: GUILLERY, ROULET, JORES), nella dissenteria (HEINLEIN, DIECKHOFF). Infine vennero constatate necrosi a focolai dopo applicazioni di ultrasuoni (BAUMANN e PRESCH, GLOGGENGIESSER) e nel topo totalmente ed improvvisamente digiunante con necrosi centrali dei lobuli (SCHLICHT). Lesioni da raggi Roentgen nel fegato possono consistere in necrosi a f o c o l a i o (WETZEL, TCHASSOWNIKOW, K A R N O F S K J , PATTERSON e R I D G W A Y ,
ARIEL; WILSON e STOWELL); alterazioni dei mitocondri furono descritte da MACCARDLE e CONGDON cfr. a n c h e GLAUSER. P e r ò s e c o n d o CASE e W A R -
THIN (Bibl.) la cellula epatica sarebbe più resistente dell'epitelio dei dotti biliari, nel quale si osservano degenerazione vacuolare, edema, necrosi, e d'altra parte rigenerazione atipica con cellule giganti con conseguenti blocco e stasi biliare, rottura e fuoriuscita di bile.
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
ALTERAZIONI
3. N E C R O S I D I S I N G O L E
41
(EPATOSl)
CELLULE
Molto evidenti ma di natura fugace e clinicamente senza grande importanza sono le necrosi di singole cellule epatiche, che possono assumere aspetti diversi (KETTLER: oscure, chiare, forma banale rispettivamente tossica). Rivestono interesse diagnostico nella puntura del fegato nelle f o r m e lievi di e p a t i t e e p i d e m i c a
(AXENFELD e BRASS, K A L K ,
KUEHN,
E. MUELLER) e si osservano inoltre negli avvelenamenti da istamina (GLOGGENGIESSER) O d a d i p r o p i o n a t o d i d i o s s i s t i l b e n e (GUMPRECHT e LOESER);
inoltre negli esperimenti di ipopressione (ALTMANN) nelle alterazioni della nutrizione (nello stadio assoluto di fame SCHLICHT) e dopo legatura temporanea della porta (KETTLER). Scompaiono generalmente senza tracce. Non tenendo conto dell'ultima forma della morte delle cellule, le necrosi di solito non si sviluppano « a cielo sereno ». Istologicamente esistono però degli epiteli apparentemente intatti, che sono già morti, come possiamo constatare con l'osservazione al microscopio a contrasto di fase (ZOLLINGER) e dopo colorazione con tripanblau (WILLIAMS) o trattamento al fluorocromo (SCHUEMMELFEDER). L a loro morte si riconosce istologicamente solo dopo parecchie ore (« necrofanerosi » BÙCHNER). Sulla cosiddetta azione eterolitica del plasma sanguigno su frammenti di fegato vedi LETTERER, SCHUERMANN, ROESSLE, GUILLERY. Si notano spesso, prima della necrosi, certi prestadi; riconosciamo come tali la grave degenerazione grassa, la trasformazione vacuolare e la degenerazione a bolle, anche l'atrofia. Le conseguenze cliniche della necrosi del fegato dipendono dalla sua estensione; necrosi massive portano all'epatargia, cioè al coma epatico riconoscibile dalla cessazione delle funzioni epatiche. Necrosi più piccole non danno clinicamente alcun sintomo. Vengono allontanate per immigrazione di leucociti e colliquazione. Solo di rado si osserva trasformazione ialina. Tali « hyaline bodies » si notano specialmente nell'epatite epidemica (AXENFELD e BRASS, KUEHN, SIEGMUND), d o p o l ' a z i o n e del t a n n i n o in
ferite da ustioni (KORPASSY) nell'infezione da erpete semplice (ANGULO, RICHARDS e ROQUE),
nell'esperimento
di depressione
(ALTMANN),
nello
stadio di fame assoluta (SCHLICHT), dopo disturbi acuti della circolazione (KETTLER), così come nella febbre gialla (corpuscoli di Councilmann, vedi sotto). Le necrosi a focolaio vengono presto compensate per mezzo della rigenerazione: si instaura quindi una restitutio ad integrum. L a premessa di questa è però l'integrità del mesenchima. In caso contrario si arriva al « collasso » di lunga durata o alla pura formazione di cicatrice (EPPINGER e LEUCHTENBERGER,
THALR,
inoltre a pag.
295).
IL
42
FEGATO
4. A T R O F I A G I A L L A A C U T A D E L F E G A T O (DISTROFIA D E L FEGATO) Senza dubbio è opportuna una giustificazione se nella moderna stesura di un testo di a n a t o m i a patologica speciale, nonostante legittime perplessità, viene m a n t e n u t o il classico n o m e di atrofia gialla a c u t a del fegato, che risale
a
ROKITANSKY
(1842)
(come
anche
da
ROESSLE-APITZ
1951,
HUECK
1953 e HAMPERL 1954). S a p p i a m o e s a t t a m e n t e che in linea generale non si t r a t t a di una vera atrofia (nel senso delle definizioni riportate più sotto) specialmente nel primo stadio molte volte « ipertrofico », cioè in quello giallo. A p p a i o n o non più felici i nomi di « degenerazione tossica a c u t a » o di « distrofia tossica » in q u a n t o spesso ci t r o v i a m o di fronte alla conseguenza non di un'azione tossica ma infiammatoria. Senza però l ' a g g e t t i v o tossico la denominazione di distrofia (letteralmente alterazione della nutrizione) è t r o p p o generica, e può benissimo comprendere una g r a v e degenerazione grassa, una carenza di glicogeno fuori del ritmo normale, e perfino una tesaurismosi. F i n o a che non ci si risolverà in generale a sostituire termini più propri a quelli del pari meno appropriati come p. es. ipertrofia della p r o s t a t a o, per riferirci allo stesso organo, cirrosi epatica, può essere usato ancora il classico nome già menzionato.
L'atrofia gialla acuta del fegato, come oggi sappiamo, non rappresenta assolutamente un quadro unico di malattia. E ciò vale non solo in misura predominante per l'eziologia speciale (vedi sotto), ma ancor più anche per l'aspetto morfologico e per l'interpretazione patogen'etica. Si dovrebbe dunque per principio distinguere una forma puramente degenerativa (p. es. nell'avvelenamento da fosforo e da altri veleni) ed una puramente infiammatoria (epatite maligna da virus), e questa si dovrebbe definire infiammazione prevalentemente alterativa. Se noi ciò nonostante comprendiamo in un unico comune concetto questo complesso non omogeneo, ci spinge a far ciò il grave quadro clinico, che spesso decorre secondo uno schema unitario col reperto obiettivo del deficit funzionale del fegato, epatargia, che ha come substrato anatomopatologico essenziale un notevole rimpicciolimento del fegato per distruzione massiccia del parenchima epatico specifico, dunque per necrosi degli epiteli. Si osservano diverse varianti del decorso morfologico in gran parte dipendenti dall'azione nociva scatenante, che giustificano una grossolana suddivisione in due tipi, cioè: 1) quello che nel passato si definì atrofia genuina oggi noto principalmente come epatite maligna da virus, 2) quello osservato in certi avvelenamenti acuti (specialmente fosforo!). KAUFMANN si sforzò di rilevare differenze più
sottili (vedi sotto). Praticamente riveste ancora grande interesse la suddi-
RICAMBIO D E L FEGATO E S U E ALTERAZIONI
(EPATOSl)
43
visione, oggi da tutti riconosciuta, dei reperti anatomopatologici in relazione al decorso clinico, in una forma acuta (che dura solo pochi giorni), una subacuta (che dura fino a più settimane) ed una subcronica rispettivamente cronica (che dura mesi ed anni e decorre ad accessi).
a ) A T R O F I A COSIDDETTA G E N U I N A
Aspetto macroscopico: nei casi acuti il fegato di regola è più o meno notevolmente rimpicciolito, solo eccezionalmente, in principio transitoriamente, ingrossato. Spesso le alterazioni (diagnosticate istologicamente) sono ad occhio nudo poco appariscenti. Perciò la diagnosi macroscopica può riuscire molto difficile, nonostante una gravissima degenerazione delle cellule epatiche. Di solito l'organo è flaccido, mencio, si può piegare facilmente, è spappolabile, ha una consistenza quasi come di una massa semifluida. Gli orli sono sottili, piatti, la capsula è rugosa; in alcuni casi sporgono alla superficie aree più grandi o più piccole, gialle o rosso-grigiastre, come lievi gibbosità. Il colore della sezione è diffusamente giallo o di un bel giallo ocra (come rabarbaro secco inumidito), specialmente, come di solito, se coesiste ittero. Dalla superficie del taglio si può strisciare una poltiglia fluida opaca. Nei casi subacuti, che secondo S E Y F E R T sarebbero i più frequenti, il fegato è marmorizzato di rosso e giallo, dove le aree rosse sono più fitte, compatte e trattenute « come il tessuto della milza » (WALDEYER) talvolta attraversate da sottili trabecole grigie (guaina di Glisson v. sotto) come affondate dalla superficie della sezione, mentre quelle grigie sono rilevate come cuscinetti. Il fegato nel suo insieme al tatto è duro elastico. Di frequente attorno ai rami più grandi della porta si nota un colorito intensamente rosso causato da emorragie. Anche nella sostanza grigia e rossa si notano piccole emorragie puntiformi. Il disegno dei lobuli è talora quasi del tutto scomparso; è ancora visibile nelle zone gialle dove negli stadi iniziali di solito è rigonfio, con acini grossolani, eventualmente persistono isole rosse su fondo giallo; in quelle rosse non sempre è completamente scomparso, ma si può ancora distinguere un sistema reticolare divenuto a maglie più strette per la scomparsa delle cellule epatiche entro la guaina di Glisson rimasta intatta, che delimita i contorni degli acini, come osservò KAUFMANN in tre casi (cfr. anche V E R S E ) . L'atrofia rossa è lo stadio più progredito; segue all'atrofia gialla. Quella gialla passa in quella rossa se il tempo di durata è sufficiente (ZENKER accennò al passaggio dall'atrofia grassa a quella iperemica). Il colore rosso dipende generalmente dal riempimento dei vasi capillari dilatati in modo preponderante nel centro dei lobuli (« iperemia da scarico »); tra di loro le trabecole delle cellule
44
IL
FEGATO
epatiche sono scomparse fino a resti granulari; dei lobuli restano solo le impalcature capillari. Il parenchima epatico distrutto viene in gran parte eliminato attraverso le vie linfatiche. L a supposizione di KAUFMANN che i detriti passerebbero nell'intestino attraverso le vie biliari dovrebbe essere ancora riesaminata. Il fegato può rimpicciolirsi della metà o di un terzo, il peso scende talvolta fino a 500 gr. T u t t i i diametri sono compresi nella riduzione, in modo speciale però lo è notevolmente quello dello spessore. L'organo si appiattisce. In casi relativamente vecchi (subacuti) domina il colore rosso fino al rosso bruno (atrofia rossa subacuta del fegato) e si possono osservare ancora singole isole gialle. L a cistifellea ed i dotti biliari contengono allora scarsa bile, spesso poco colorata, trasparente o leggermente torbida, eventualmente anche oscura. Non è sempre necessario che tutto il fegato sia compreso nel processo degenerativo; il lobo sinistro è colpito in genere più intensamente del lobo destro. KAUFMANN osservò anche p. es. che la parte inferiore del lobo destro era rimasta intatta e presentava solo un quadro di modica stasi con infiltrazione grassa periferica. Non si può soprattutto prospettare uno schema generale valevole per l'atrofia acuta, come osservò anche EUG. FRAENKEL. Se un fegato simile si lascia esposto all'aria si forma (in modo speciale rapidamente nella stagione calda) sulla superficie di taglio e sulle pareti dei vasi un induito bianco, splendente, come una cuticula, che consta di leucina cristallizzata (acido aminocapronico: druse rotondeggianti) e tirosina (acido ossifenilaminopropionico: a cespugli), che aderisce tenacemente ed è alquanto ruvido al tatto. Questi prodotti di disfacimento dei corpi albuminoidi non si trovano del resto solo nell'atrofia acuta del fegato, ma anche più spesso nelle malattie infettive settiche, nell'avvelenamento da fosforo, anche se in misura ridotta e non regolare. L'asserzione di UMBER sull'esame dei frammenti escissi che il fegato molle del cadavere nell'atrofia acuta sia un prodotto della digestione postmortale venne contraddetta da EUG. FRAENKEL. Non è però da meravigliarsi che nei frammenti escissi si osservino eventualmente relativamente poche manifestazioni di necrosi (cfr. HANSER) quando si tratta di uno stadio molto iniziale; è ovvio che processi autolitici postmortali prendono parte all'aspetto del fegato cadaverico. Microscopicamente si osserva, dove il disegno degli acini è ancora ben visibile e di solito nel centro dei lobuli, una tumefazione idropica incipiente, intorbidamento albuminoide e sfacelo grasso delle cellule con scomparsa del glicogeno. Nelle stesse aree color giallo ocra, si notano isolatamente cellule granulose torbide, molte volte grasse e resti di cellule. T r a la rete capillare larga, lassa giacciono qua e là cellule isolate rimpicciolite di colore itterico, prevalentemente con necrosi semplice, parzialmente anche con contenuto grasso e granuloso, che non assumono più la colora-
RICAMBIO DEL FEGATO E SUE ALTERAZIONI
(EPATOSl)
45
zione del nucleo. Nelle aree rosse dello stadio subacuto non si osservano più cellule epatiche (fig. io) o solamente isolate; i capillari si sono riempiti maggiormente a scapito delle travate delle cellule epatiche, e si trovano tra le vaste maglie della rete capillare (che spiccano specialmente con la colorazione delle fibre a graticcio cfr. H u z e l l a ) detriti costituiti da granuli di grasso, acidi grassi, esteri di colesterina, lipoidi in senso stretto e pigmenti biliari granulari o cristallini (fig. n ) . Più tardi scompare l'intenso riempimento dei capillari e spesso si arriva al collasso dell'impalcatura
Fig. io. A t r o f i a epatica s u b a c u t a « rossa ». Il lobulo e p a t i c o p o s t o nel m e z z o della figura è p r i v o di cellule epatiche; in luogo di queste enorme iperemia. A l l a periferia cosi d e t t a proliferazione dei d o t t i biliari e infiltrazione a cellule rotonde. In a l t o e a destra in lobuli epatici vicini parenchima e p a t i c o ancora conservato. U o m o di 27 anni. A u t . N . 582/32.
(spesso molto esteso; fig. 11). Le fibre a graticcio si ingrossano e si moltiplicano, gradatamente succede anche una trasformazione in tessuto collageno. Inoltre, al posto delle cellule epatiche, si istituisce una proliferazione viva e ricca di cellule dal tessuto connettivo periportale, dove spiccano file di cellule epiteliali. Queste ultime sono predominanti nella periferia, e, non tenendo conto che i canalicoli sono più tozzi e i loro epiteli più grandi (Orth), corrispondono alle proliferazioni dei dotti biliari, come si osserva nelle cirrosi, e sono connessi con dotti biliari interlobulari. (Sulla loro imponenza dà una buona immagine un'interessante ricostruzione in M i l n e ) . Frammezzo si scorgono anche cordoni di cellule solidi che assomigliano a travate (parzialmente atrofiche) di cellule epatiche e ne rappresentano
IL
FEGATO
Fig. I I . Cosiddetto collasso stremale nella atrofia epatica cronica. Donna di 46 anni. Ingrandimento 99 diametri.
Fig. 12. Dettaglio della parte in alto della fig. 1 1 . Trasformazione della trama reticolare collabita in tessuto collageno.
RICAMBIO D E L F E G A T O E S U E A L T E R A Z I O N I
(EPATOSl)
47
i residui, oppure se non mostrano alterazioni degenerative sono di formazione recente. Talvolta si vedono proliferazioni di dotti biliari passare nelle travate di cellule epatiche e rispettivamente unirsi con queste. K i m u r a osservò frequenti mitosi nelle cellule del f. Si trovano anche cellule giganti ( R ò s s l e ) (fig. 14). Queste neoformazioni rigenerative si incontrano principalmente nelle vicinanze dei dotti biliari principali, penetrano però anche dalla periferia nell'interno degli acini. Talvolta si possono vedere accumuli di cellule rotondeggianti tra le proliferazioni dei dotti biliari e nel connettivo periportale, qua e là anche in vicinanza dei capillari dei
Fig. 13. C. d. proliferazioni di dotti biliari nell'atrofia subcronica del fegato. D o n n a di 33 anni.
lobuli. Essi non sono senz'altro dimostrativi per una epatite fulminante; così possono comparire anche nell'avvelenamento da fosforo (pag. 53). Qua e là si vedono anche emorragie. Se individui dopo (o con) atrofìa acuta del f. rimangono più a lungo in vita, può aversi una rigenerazione in parte da resti del parenchima epatico, in parte dagli epiteli dei dotti biliari interacinosi neoformati, rispettivamente proliferati (fig. 15); da questa può risultare il quadro di una cirrosi a nodi più o meno grossolani (vedi pag. 321) oppure un'iperplasia a nodi multipli ( M a r c h a n d ) (cfr. pag. 295); in questo caso il f. è piccolo e nelle sezioni si vedono nodi bianchi, molto rigonfi, da piccoli fino alla grandezza di una mela, nettamente delimitati, di colore giallo bianco o giallo o grigio-giallo oppure itterico, tra i quali si estendono trabecole con-
48
IL
FEGATO
nettivali di diversa larghezza, grigie o grigio rosse o rosso scure (più o meno fortemente vascolarizzate). Superficie grossolanamente granulosa, o liscia-bitorzoluta. SEYFARTH (bibl.) attribuisce i casi di iperplasia nodosa ad uno stadio subcronico, cioè a casi i quali muoiono dall'inizio della 4 a settimana fino al 7°-8° mese dopo l'inizio della malattia e conducono all'ascite, mentre indica come forma cronica quella che con decorso lento (BERGSTRAND indica 3 fino a 4 anni) della distruzione cellulare del f. arriva a sempre rinnovati tentativi di rigenerazione, e dopo la completa guarigione (secondo BERGSTRAND qui ci sono tuttavia sempre lesioni pa-
Fig. 14. Atrofia epatica cronica recidivante con cellule epiteliali giganti (il f. era molto raggrinzato macroscopicamente). Donna di 64 anni. Aut. N. 1302/32.
renchimali) del processo degenerativo conduce al quadro di una cirrosi a grossi lobi, che si manifesta tuttavia soltanto dopo un tempo più lungo. La forma cronica nel senso di un prolungamento continuativo del processo è relativamente rara. Invece si arriva nella forma a decorso di più anni sempre a recidive (« ad accessi »): si ha una « recrudescenza » del processo. Si è parlato anche propriamente di una « lotta tra degenerazione e rigenerazione ». L a questione se la partecipazione principale nella rigenerazione del f. spetti ai resti di parenchima epatico oppure alla proliferazione dei dotti biliari (a forma di tubuli i così detti pseudotubuli) è stata diversamente interpretata. MEDER e MARCHAND sostennero come determinante la prolife-
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSl)
49
razione dei dotti biliari. HESS (bibl.) è dell'opinione che la cellula epatica abbia una parte principale, in quanto senza di essa non si realizza una completa rigenerazione con iperplasia nodosa e che d'altra parte anche una evoluzione delle proliferazioni dei dotti biliari in trabecole cellulari del f. è possibile soltanto quando essi si uniscono organicamente con cellule epatiche preesistenti, ordinate in modo più o meno tipico. Mentre KLOTZ deriva la rigenerazione del tessuto epatico nell'iperplasia nodosa dai dotti biliari, specialmente HERXHEIMER e W. GERLACH (bibl.), BLUM (bibl.) ai quali segue WILLER, sostengono la neoformazione dalle cellule epatiche
Fig. 15. Stadio di cicatrizzazione dopo atrofia gialla del fegato con numerosi nodi di rigenerazione. Ragazzo di 13 anni. Aut. N. 795/39.
quale modo di rigenerazione principale, rispettivamente unico (vedi anche pag. 312 e letteratura più vecchia in SCHOPPLER). Secondo BERGSTRAND i pseudotubuli si formerebbero soltanto dove le cellule epatiche più periferiche dell'acino rimangono risparmiate; strettamente parlando, non vi sarebbe alcuna differenza fra gli uni e le altre, poiché nell'interno dell'acino i pseudotubuli proliferano come tubuli ghiandolari, le cui cellule assomigliano completamente alle cellule del f., mentre nel tessuto portale compaiono formazioni simili ai dotti biliari. Questa concezione dovrebbe essere valida. In alcuni casi nell'iperplasia nodosa si può anche trattare di atrofia del f. subacuta progrediente, nella quale mancano quasi completamente 4 —
Kaufmann
II, p.
II
5°
IL FEGATO
processi rigenerativi, e, come nel caso di JORES, non vi sono neppure proliferazioni connettivali (vedi anche KLOPSTOCK, MEYER). Reperti in altri organi. — L a colecisti è quasi vuota, la bile residua è spesso densa e scura « in alto grado ». L a milza è all'inizio ingrossata e diffluente, più tardi va verso una splenomegalia più compatta (similmente come nella cirrosi). L'ittero generale grave sempre presente non è di natura unitaria, tuttavia è prevalentemente epatocellulare (vedi pag. 128). Nel rene si trovano i quadri della nefrosi colemica e lipemica (E. MAYER). Il cuore e la muscolatura striata sono evidentemente, ma moderatamente steatosici. Non raramente vi sono estese emorragie nella cute, nell'ambito del canale gastroenterico, nei genitali. Nello stadio cronico può comparire ascite. Eziologia. — In passato si attribuiva maggiore importanza alla cosiddetta forma primaria, criptogenetica, idiopatica dell'a. g. a. del f., poiché malgrado una quantità di noxe considerate possibili, spesso molto frequenti, la causa vera e propria della malattia in molti casi rimaneva ignota. Perciò dovette sorprendere e spingere a rinnovate ricerche della genesi causale, il fatto che negli anni prima e specialmente al termine della seconda guerra mondiale (del resto anche dopo la prima: BERGLUND) l'a. g. a. del f. aumentò molto di numero. Notizie a questo proposito si trovano in WERTHEMANN e B O D O K Y d a B a s i l e a , BJORNEBOE e RAASCHOU d a C o p e n h a g e n , BRASS
da
Francoforte sul Meno, HOFIG da Berlino e LOTZE da Halle. Anche CEBULLA ha constatato statisticamente su materiale dell'Istituto della Charité l'aumento dell'a. g. a. del f. negli anni dal 1945 fino al 1954 in confronto agli anni 1935 fino al 1944 (0,97 % invece del 0,37 %). Da questo si rileva l'insistente accenno a due fattori patogenetici senza dubbio considerevoli, cioè condizioni di nutrizione completamente insufficienti e l'accresciuta diffusione dell' epatite virale. Indipendentemente da ciò dobbiamo considerare l'azione nociva al f. da molto tempo conosciuta (indipendentemente da avvenimenti mondiali) di determinati veleni. E quindi possibile distinguere tre gruppi di noxe ai quali dobbiamo attribuire con sufficiente sicurezza una azione eziologica corrispondente: 1. Già nella necrosi massiva del f. è stata rilevata l'importanza di una alimentazione insufficiente, particolarmente di una carenza proteica. HIMSWORTH e GLYNN hanno visto nelle loro ricerche spesso i reperti morfologici della forma a decorso acuto e subacuto dell'atrofia tossica del f. Dobbiamo a HJÀRRE e OBEL il riconoscimento di analoghi quadri di alterazione alimentare nel maiale e TIEDGE ha insistito sull'effetto particolarmente efficace di una alimentazione con olio di fegato di merluzzo. D a tutto ciò deriva che una parte dei casi umani devono essere attribuiti ad una alimentazione non idonea o erroneamente composta, eventualmente anche con alterato assorbimento nel tubo digerente, in verità non come l'unica (?), ma per lo meno come azione certamente coadiuvante
RICAMBIO
DEL FEGATO
E SUE ALTERAZIONI
(EPATOSl)
51
(UMBER ha riconosciuto l'alimentazione incongrua in verità anche come determinante, ma solo indirettamente attraverso una colangite enterogena; ciò è c o n t r a d d e t t o d a VERSE).
2. Oggi è sicuramente della massima importanza pratica la cosiddetta forma fulminante (POPPER) O maligna (BÜCHNER) dell'epatite virale (vedi pag. 247). Già EPPINGER aveva richiamato l'attenzione sulla possibilità dell'evoluzione del cosiddetto ittero catarrale in un'a. g. a. del f. Oggi è stata da tutte le parti confermata (BERGSTRAND, ROHOLM e IVERSEN, SIEGMUND, R O U L E T , SCHOPPER, K A L K , K Ö N I G , D I E L ) .
Si è già
con-
venuto di parlare di una « forma virale » dell'a. g. a. del f. (POPPER e FRANKLIN). Spesso precede una più intensa degenerazione grassa (occasionalmente con formazione di cellule schiumose: KÜHN) (SIEGMUND, ROULET, SCHOPPER). I centri lobulari sono colpiti a preferenza dalle necrosi (DAMODARAN). Sono note recidive. Vi dovrebbero essere però grandi difficoltà a riconoscere con sicurezza le corrispondenti cause solamente dai reperti istologici. L'infiltrazione a cellule rotonde del tessuto periportale e la mobilizzazione delle cellule stellate di Kupffer che da alcuni vengono considerate essenziali per la diagnosi differenziale, possono essere anche di natura secondaria. Secondo l'opinione dell'Autore possono essere considerati più significativi ricchi depositi di lipofuscina nell'epatite virale maligna
(LÜCKE,
BÜCHNER).
3. D a molto tempo è conosciuto il significato causale delle intossicazioni gravi (« forma tossica » secondo POPPER e FRANKLIN) « epatite tossica » [? dovrebbe più giustamente chiamarsi « epatosi tossica »!] secondo HIMSWORTH e GLYNN). L'a. g. a. del f. è stata trovata in lavoratrici in fabbriche di munizioni (CEELEN, DIETRICH, GOLDSCHMIDT), dopo trattamento con atophan (SUTTON), yatren (ZIELER e BIRNBAUM), rimifon (RANDOLPH,
JOSEPH)
O fenilacetilurea
(LIVERSEDGE,
YATES e
LEMPERT)
e avvelenamento da saponina (GHON). Recentemente sono stati chiamati in causa pirrolo, formiato allilico, 2,3-diaminofenazina, tritolo ( = trinitrotoluolo), arsenalcool, fenobarbital, diiantina e trimetadione, tetracloroetano e sinatost (bibl. in KETTLER). Anche il tricloroetilene (TARSITANO), c a t r a m e
(LUKE) e t i r o x i n a
(ZELDENRUST e v . BEEK)
possono
portare all'a. g. a. del f. Mentre il cloroformio dà solo raramente luogo a questo grave quadro morboso (casi di morte ritardata: GULEKE, VON BRACKEL,
BALKHAUSEN,
REICHEL,
bibl.
BERGLUND,
LOEFFLER),
classico
è l'avvelenamento da fosforo e da funghi; questo porta però al secondo tipo dell'a. g. a. del f. (vedi pag. 53). PRESSER e FLORANGE videro l'a. g. a. del f. dopo iniezione di mercurio da un termometro (azione da piombo accessoria?). KAUFMANN ha anche pensato ad una intossicazione endogena batterica da ptomaine intestinali; egli vide a. g. a. del f. per ritenzione di feci di settimane intere, in seguito ad una stenosi dell'intestino crasso distale.
52
IL FEGATO
Controversa è ancora oggi la parte del salvarsan (al contrario della sifilide che può essere certamente esclusa come causa dell'a. g. a.). Già KAUFMANN ha accennato ai giudizi molto vari su una eventuale azione dannosa del salvarsan; alcuni A A . descrivono, dopo iniezione di salvarsan, in parte necrosi lobulare centrale emorragica, in parte il quadro dell'a. a. o s u b a c u t a (SEVERIN e HEINRICHSDORFF, HERZOG, SILBERGLEIT e FÒCKLER,
HANSER, ARNDT e altri), altri trovarono in verità anche f. con necrosi tessutale e proliferazioni dei dotti biliari come nell'a. a. ma un f. ingrossato (STERNBERG). Un'azione possibilmente dannosa del salvarsan sul f. è sicuramente ammissibile (vedi anche BERGLUND), anche se HERXHEIMER e GERLACH, ZIELER e BIRNBAUM (bibl.) la n e g a n o per la genesi di u n ' a . a.
del f. e R. JAFFÉ (bibl. particolareggiata) la considera soltanto un fattore coadiuvante, quando altre condizioni sono già realizzate (vedi HERXHEIMER, bibl.). UMBER riferisce in casi di a. a., nei quali la lue sarebbe stata considerata come la causa scatenante, che l'immediata somministrazione di salvarsan può produrre perfino un arresto della gravissima necrosi tossica parenchimale. Oggi è riconosciuta soltanto in parte un'azione diretta tossica del salvarsan (GOTTRON, HEUBNER); è stato tuttavia confermato che alte dosi di salvarsan portano in ricerche su animali alla necrosi del f. (CRAVEN, SCHIFRIN). Si è piuttosto sempre più inclini a incolpare principalmente l'epatite sierosa, trasmessa con l'iniezione di salvarsan (ROHOLM e IVERSEN, A X E N F E L D e BRASS, BEZPROZVANNYJ; ulteriore bibl. in
KET-
TLER), questa notoriamente porta in una più alta percentuale al quadro dell'a. g. a. del f. che la comune epatite epidemica (BÜCHNER). Per esempio su iooo sifilitici trattati ammalarono 368, dei quali 12 morirono di a. g.
a. d e l
f.
(RISSEL).
Ad un esame più accurato della suddetta divisione sorprende che una intera serie di cause ripetutamente citate nella letteratura classica per l'a. g. a. del f. non sono ricordate. Così essa si deve ricondurre secondariamente a note malattie infettive come p. es. vaiolo, eresipela, osteomielite (MEDER) presumibilmente anche il tifo, soprattutto le malattie puerperali ed altre malattie purulente e settiche come la peritonite, appendicite (BASES, HARBITZ, AMBERGER) (ruolo della sifilide vedi sopra). In paragone alla relativa rarità dell'a. g. a. del f. queste cause non devono oggi essere riconosciute seriamente se non come scatenanti. Viceversa si può senz'altro mettere in conto un influsso favorevole all'attivazione delle suddette noxe o attraverso la realizzazione di una disposizione d'organo patologica (una « predisposizione alla malattia » del f.) o attraverso attivazione di u n ' e p a t i t e g i à e s i s t e n t e (BUSANNY-CASPARI e ROCHOLL, GG. B . GRUBER).
Similmente deve essere spiegato il fatto, che l'affezione colpisce in modo particolare le donne, soprattutto gravide e puerpere (ASSMANN, BERBLINGER). Tuttavia ciò non può essere basato sulla presenza di un cosiddetto f. gravidico (HOFBAUER), concetto oggi largamente respinto
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSl)
53
(DIETEL, HEYNEMANN, NIXON, EGELI, LAQUEUR e Y A H Y A ) . N o n r a r a m e n t e si a m m a l a n o a n c h e b a m b i n i ( b i b l . i n K L O P S T O C K , R I S A K b i b l . , W E G E R L E , più
di r e c e n t e
BENEKE,
ROULET,
HOLFELD,
APLEY
e WALLIS),
i
quali
soltanto poco tempo prima erano leggermente malati (KAUFMANN: $ di 3 a.) o apparentemente completamente sani. Concludendo deve essere dunque ammesso che nonostante tutte le nostre attuali conoscenze la causa rimane in alcuni casi non chiarita. Vi sono purtroppo anche casi di un'a. g. a. del f. « criptogenetica ». Decorso clinico. — Il sintomo clinico guida è l'ittero grave (prevalentemente epatocellulare, vedi pag. 128) Utero (I. grave) che aumenta gradualmente di intensità, man mano che il f. si impiccolisce progressivamente. Contemporaneamente si instaura un'ipoglicemia, per lo più soltanto moderata. Gradualmente intervengono gravi disturbi cerebrali (convulsioni, spasmi), che raggiungono il loro punto massimo nel coma epatico. Spesso si manifesta una diatesi emorragica (vedi sopra). L'aria espirata dimostra un caratteristico odore « terroso » che sa di « fegato » (KALK) . Questo fetore epatico è determinato da metilmercaptano e dimetilsolfuro (E. SCHULZE). Nell'urina si trovano leucina e tirosina, l'eliminazione di urea è diminuita. Malgrado la temperatura normale il polso è molto accelerato. Occasionalmente esistono un notevole aumento di eritrociti nel sangue e aumento del valore emoglobinico (sulle cause possibili vedi FAHR). Nella gravida si arriva all'aborto. Le forme a decorso cronico possono accompagnarsi ad uscite. Importante è sapere che (come nel tifo) il decorso clinico e quello morfologico si svolgono press'a poco parallelamente; piuttosto il « processo anatomico può essere più vecchio della storia clinica» (HERXHEIMER), ma anche il contrario.
b) IL F E G A T O N E L L ' A V V E L E N A M E N T O D A F O S F O R O E D A
FUNGHI
a) Il fegato da fosforo non si vede oggi più nel materiale autoptico umano.
Viceversa
(bibl.
più
vecchia:
KRÖNIG,
ZIEGLER
e
OBOLONSKY,
OPPEL, HARNACK, MANWARING, a v v e l e n a m e n t o d a f o s f o r o e d e f f e t t o i n s u l i n i c o : A R N D T e GREILING) l ' a v v e l e n a m e n t o d a f o s f o r o e r a e d è s e m p r e
im-
piegato in esperimenti su animali, in parte per studiare la steatosi del f. (LEBEDEFF,
ROSENFELD; v e d i
p a g . 94), i n p a r t e p e r
la
rigenerazione
e
l a c i r r o s i d e l f. ( C L A R A , C A V A L C A N T I e L E V I S , B E S T , M C L E A N e R I D O U T , A S H B U R N , M C Q U E E N E Y e F A U L K N E R ) . I l f. p u ò c o s ì i n t e n s a m e n t e
ingras-
sare, che si manifesta un quadro molto simile a quello dell'a. g. a., ma la steatosi prevale più a lungo. Nella maggior parte dei casi la degenerazione grassa delle cellule epatiche viene preceduta dalla scomparsa del glicogeno (presunta causa dell'ultima,
c f r . STAEMMLER e v e d i
anche ARNDT e
GREILING).
54
IL FEGATO
Nei casi, nei quali la morte da intossicazione da fosforo (f. giallo) interviene nei primissimi giorni, può talvolta mancare qualsiasi reperto caratteristico (degenerazione grassa). Dopo tre giorni può però essere già evidente. Il f. è quindi spesso ingrossato, i margini sono rigonfi, il colore è giallo bruno, giallo grigio o giallo, l'organo ha il comportamento untuoso, grasso, di un f. grasso. Frequente l'ittero; si vede allora il f. giallo zafferano come un f. grasso itterico. Le cellule appaiono microscopicamente ingrandite, torbide, riempite di gocciole di grasso, eccezionalmente grandi (verosimilmente in gran parte inglobate; vedi pag. 94) e sono ancora singolarmente ben riconoscibili. Le gocciole di grasso non sono per lo più grosse come nella infiltrazione adiposa semplice; però di regola più grandi che nell'a. a. (nell'avvelenamento da fosforo di animali gravidi il f. fetale reagisce ugualmente con degenerazione grassa, SCHWALBE e MÜCKE). Se la morte sopravviene tardi (dopo 10 fino a 14 giorni), ciò che è raro, una parte delle cellule epatiche morte si disfanno completamente; si vedono i detriti cellulari e nucleari, un'altra parte è già in corso di riassorbimento (la rassomiglianza con l'a. a. diventa sempre più grande); il f. è più piccolo, ma più compatto che all'inizio. Il colore è marmorizzato con macchie gialle o rosse o diffusamente rosse, si incontrano evidenti granulazioni gialle pseudoacinose. Microscopicamente si trovano anche proliferazioni dei dotti biliari (DINKLER); KAUFMANN vide una vivace rigenerazione in un avvelenamento subacuto da f. dopo 18 giorni (studente di 20 anni, suicidio con veleno per topi, pasta di fosforo), dove si erano neoformati già dei « noduli adenomatosi » distinti; il f. aveva un peso di 950 gr., era sufficientemente duro, itterico, giallo zafferano, in parte anche rosso e qui particolarmente compatto (ittero della cute, emorragie nelle sierose; edema polmonare emorragico). Fra le alterazioni degli altri organi si trova nell'avvelenamento da fosforo degenerazione grassa del cuore, del pancreas, dei reni, delle ghiandole gastriche, della muscolatura dell'intestino, degli endoteli vasali, degli epiteli alveolari e particolarmente anche della muscolatura del tronco (più evidentemente si presentava il muscolo pettorale giallo rosso sporco, torbido). Inoltre si trovano emorragie di varia entità in più parti come fegato, intestino, sierose e particolarmente nel pannicolo adiposo. Sperimentalmente BALAN ha potuto riconoscere con metodo tintoriale una alterazione delle miscele di lipoidi nelle cellule del tessuto adiposo. Per quanto concerne la diagnosi differenziale del f. da fosforo in confronto all'a. g. a. del f., nell'avvelenamento da fosforo prevale la degenerazione grassa di alto grado, infiltrazione grassa patologica (ROSENFELD), nell'atrofia acuta la necrosi cellulare. Le gocciole di grasso nell'avvelenamento da fosforo sono di regola più grandi, poiché qui di solito si ha una migrazione di grassi dai depositi (se anche non come forma esclusiva della degenerazione grassa vedi pag. 94). La necrosi cellulare nell'avvelena-
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSl)
55
mento da fosforo comincia alla periferia (il disegno acinoso, grani gialli con areola grigio-rossa avvallata), nell'atrofia acuta nel centro degli acini. L'infiltrazione leucocitaria e le proliferazioni dei dotti biliari compaiono nell'avvelenamento da fosforo molto più presto che nell'atrofia (cfr. PALTAUF). Anche se l'atrofìa gialla acuta comincia con un rigonfiamento e ingrossamento del f. (propriamente dunque un'ipertrofia gialla acuta), questa è però soltanto una fase del tutto transitoria, e quando i casi vengono all'autopsia, il f. è di regola fortemente rimpicciolito. Viceversa nell'avvelenamento acuto da fosforo, che spesso conduce alla morte molto prima dell'a. a., il f. si trova molto di frequente ancora ingrossato, più raramente (cfr. il caso sopra) subisce lo stadio atrofico. Se anche secondo l'opinione di alcuni autori (vedi pag. 94) il grasso che compare qui nel f. dovrebbe essere soltanto grasso di infiltrazione, tuttavia la denominazione « degenerazione grassa » è giustificata in quanto contemporaneamente compare un più grave processo necrotico nelle cellule infiltrate di grasso (secondo PALTAUF provocato ad opera di un fermento autolitico che agisce dal sangue sulle cellule epatiche). Nell'intossicazione cronica da fosforo si sviluppa, come ha dimostrato WEGNER sperimentalmente, un'epatite diffusa interstiziale che porta fino all'indurimento. Come sostiene PALTAUF, dopo intossicazione nei bambini può risultare anche iperplasia a grossi nodi, simile a quella che compare dopo a. a. Dopo la morte si isolano nel f. da fosforo (come in ogni grave degenerazione parenchimale del f.) anche cristalli di leucina e tirosina sulle superfici di taglio e nelle pareti vasali. Nell'urina queste sostanze compaiono soltanto raramente più abbondanti. b) Il quadro del f. nell'avvelenamento da funghi assomiglia a quello dell'avvelenamento acuto da fosforo, combinato con quello dell'atrofia acuta (PRYM, EUG, FRAENKEL). In casi acuti la «degenerazione grassa» del f. con degenerazione grassa del cuore dei reni e (costantemente!) della muscolatura come pure con emorragie (sede prevalente nel f.) appartiene al quadro classico; in questo /. adiposo emorragico (cfr. M. B. SCHMIDT, HERZOG, bibl. TREUPEL e REHORN, clin. e bibl.) si combina la necrosi cellulare acuta con la degenerazione grassa. EUG. FRAENKEL rileva gravi alterazioni della muscolatura striata (distruzione della sostanza contrattile e formazione di tubuli muscolari) come diagnosi differenziale importante in confronto all'a. g. a. del f. MILLER e KLEMPERER vedono nella dominanza della degenerazione grassa più grave con soltanto lieve necrosi nei casi acuti, una differenza in confronto al f. nell'atrofia gialla acuta, mentre nei casi a decorso protratto si forma il quadro dell'atrofia acuta. Così LAUX (bibl.) ha trovato nell'avvelenamento da Tignosa Verdognola (Amanita phalloides scambiata con il prataiolo) in un bambino di 11 a., che morì dopo 50 ore, solo degenerazione grassa di alto grado, nel padre di 37 anni avvelenato contemporaneamente, che morì dopo 4 giorni e 1/2 il quadro
IL
5&
FEGATO
spiccato dell'atrofia giallo-rossa. I n q u e s t ' u l t i m o , si v e d o n o a n c h e p a s s a g g i da trabecole
cellulari e p a t i c h e
a proliferazioni di d o t t i biliari;
inoltre
i n t e r v i e n e un'iniziale necrosi delle cellule epatiche di i n t e n s i t à v a r i a b i l e , g r a v e , a c u t a , a d inizio nel c e n t r o degli acini c o m e regolare f a t t o comitante
della degenerazione
HERZOG,
PRYM,
KLEMPERER,
grassa;
cfr. PALTAUF,
HERXHEIMER
M.
B.
(estesa bibl.);
con-
SCHMIDT,
WELSMANN,
LAUX. A n c h e n e l l ' a v v e l e n a m e n t o d a H e l v e l l a esculenta (Helvella
esculenta,
v a r i e t à v e l e n o s a della f a m i g l i a della s p u g n o l a , per la q u a l e l ' e l i m i n a z i o n e dell'acqua
di
cottura
non
protegge
sempre
dall'avvelenamento)
porta
all'atrofia gialla a c u t a del f. (UMBER).
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18,
GUILLERY
1195
H.,
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Path.
53,
522
(1939).
G Y Ö R G Y e GOLDBLATT, J .
—
Exper.
58
IL
M e d . 70, 1 8 5 (1939); 75, 3 5 5 ( T 9 4 2 ) ;
89,
FEGATO
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RICAMBIO
DEL
FEGATO E
SUE
ALTERAZIONI
59
(EPATOSI)
LOTZE CHR., Zbl. allg. P a t h . 88, 169 (1952). — LUCKÉ B., A m e r . ] . P a t h . 20, 595 (1944). — LÜTHY F., V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 254, 849 (1925). — LUKE D., V e t . Ree., L o n d o n 66/43, 643 (1954). — MACCARDLE e CONGDON, Anier. J. P a t h . 31, 725 (1955). MACMAHON e MALLORY, A m e r . J. P a t h . 7, 299 (1931). — MACNIDER, (zit. b. H a r m o n ) . —
M A L L O R Y F . B . , J. M e d . R e s . , B o s t o n N . S . 1, 264 ( 1 9 0 1 ) . —
MANWARING W .
H.,
B e i t r . p a t h . A n a t . , J e n a 47, 331 (1910). — MANZ e LORKE, D t s c h . Zschr. gerichtl. Med. 42, 139 (1953/54). — MARCHAND F., B e i t r . p a t h A n a t . , J e n a 17, 206 (1895). — MASUGI M., B e i t r . p a t h . A n a t . Jena 91, 82 (1933). — MAYER E . , V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 236, 279 (1922). — MAYER E . , V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 275, 1 1 4 (1929). — MCLEAN e BEVERIDGE, J. N u t r i t . 52, 499 (1954). — MEDER E., B e i t r . p a t h . A n a t . , J e n a 17, 143 (1895). — MEYER F. G. A., V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 194, 212 (1908). — MICHAELIS P., A r c h . G e w e r b e p a t h . , Berlin 7, 477 (1936). — MILLER J., V e r h . D t s c h . P a t h . Ges. 18, 272 (1921). — MILNE L . S.: A r c h . int. med.. Chicago S, 639 ( 1 9 1 1 ) . — M O N T E N E G R O e DE B R I T O , A n . F a c . m e d . S . P a u l o 2 6 , 4 5 ( 1 9 5 2 ) . — p a t h . A n a t . , J e n a 110, 264 (1949). —
MÜLLER E.,
NIXON, EGELI, LAQUEUK e Y A H Y A , J.
Beitr.
Obstetr.
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PINKERTON e HENDERSON
J., A m e r .
Med. Ass.
116,
807
(1941)
—
POLANI,
J.
P a t h . B a c t . 67, 431 (1954). — POPPER H., V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 298, 574 (1937)— POPPER H., A r c h . P a t h . Chicago, 46, 132 (1948). — POPPER H., W i e n . klin. W s c h r . 65, 722 (1953). — POPPER e FRANKLIN, A r c h . P a t h . , C h i c a g o , 46, 339 (1948). — POPPER, H U E R G A e K O C H - W E S E R : A n n . N . Y . A c a d . S c . 5 7 , 9 3 6 ( 1 9 5 4 ) .
—
PRESSER
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REISS, POTEL e K R E B S , Z s c h r . i n n . M e d . 6, 4 5 1
(1951). —
R E Y - B E L L E T J., A c t a
D a v o s . 12, 1 (1953). — RISAK E . , V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 245, 268 (1923). — RISSEL E . , Zschr. klin. Med. 139, 367 (1941). — RISSEL E . , W i e n . klin. W s c h r . 61, 198 (1949). — R i x E . , V e r h . D t s c h . P a t h . Ges. 33, 1949, 160 (1950). — RÖSSLE R . , Schweiz, med. W s c h r . 10 4 (1929). — RÖSSLE R., E n t z ü n d u n g e n der L e b e r in H e n k e L u b a r s c h s H d b . d. spez. p a t h . A n a t . u. Hist. 5/1, 243 (1930). — RÖSSLE R . , V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 291, 1 (1933). RÖSSLE-APITZ, A t l a s P a t h . A n a t . , S t u t t g a r t 1 9 5 1 . — ROHOLM e IVERSEN, A c t a p a t h , microbiol. S c a n d . , 16, 427 (1939). — ROKITANSKY C., L e h r b . d. P a t h . A n a t . , W i e n 1861, S. 269. — ROSENFELD G., Zschr. klin. Med. 28, 256 (1895), 36, 232 (1899). — ROSENFELD, V e r h . D t s c h . P a t h . Ges. 6, 1903, 73 (1904). — ROTHE G., F r a n k f . Zschr. P a t h . 51, 1 (1938). — ROULET F., A c t a D a v o s . 3, 1 (1936). — ROULET F . , V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 310, 436 (1943). — RUBENS M O N T E N E G R O e DE B R I T O , A n . F a c . m e d . S . P a u l o 2 6 , 4 5 ( 1 9 5 2 ) . —
RUBITSKY e M Y E R -
SON, A r c h . I n t . Med., C h i c a g o 83, 164 (1949). — RYANG W . T., J. Chosen Med. A s s . (Abstr. Section) 28, 752 (1938). — SCHAEFER R., D t s c h . A r c h . klin. Med. 1 5 1 , 191 (1926). — SCHIFRIN A . , V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 287, 175 (1933). — SCHLICHT I., V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 326, 568 (1955). — SCHMIDT M. B . , Zschr. a n g e w . A n a t . , B e r l i n 3, 146 (1918). — SCHMITZ U., V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 324, 438 (1953). — SCHNEIDER P . , V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 219, 74 (1915). — SCHÖPPLER H . , V i r c h o w s
6o
IL
FEGATO
Arch. p a t h . A n a t . 185, 402 (1906). — SCHÖPFER W., Beitr. p a t h . A n a t . , J e n a 109, 65 ( 1 9 4 4 ) . — SCHULZE E . , D t s c h . m e d . W s c h r . 80, 1 9 1 5 ( 1 9 5 5 ) . — SCHÜMMELFEDER N . , D t s c h . m e d . W s c h r . 74, 1 2 8 5 (1949). — SCHÜMMELFEDER N . , V e r h . D t s c h . P a t h . Ges. 33: 1949, 65 (1950). — SCHÜMMELFEDER N . , V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 3 1 8 , 1 1 9 ( 1 9 5 0 ) . — SCHÜRMANN P . , V e r h . D t s c h . P a t h . G e s . 2 9 , 1 9 3 6 , 2 3 4 ( 1 9 3 6 ) . — SCHUMACHER H . - H . , V e r h . D t s c h . P a t h . Ges. 36, 1 9 5 2 , 3 1 1 (1953). — SCHUMACHER H . - H . , V e r h . D t s c h . P a t h . Ges. 40, 1 9 5 6 , 2 5 4 ( 1 9 5 7 ) . — SCHWALBE e MÜCKE, F r a n k f . Z s c h r . P a t h . 1 1 , 2 4 9 ( 1 9 1 2 ) . — SCHWARZ H . , V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 282, 862 ( 1 9 3 1 ) . — S E E L I G E R , J U N G , LINZENMEIER e ODENTHAL, D t s c h . m e d . W s c h r . 7 7 , 5 8 3 ( 1 9 5 2 ) . — SEVERIN e HEINRICHSDORFF, Z s c h r . k l i n . M e d . 76 H . 1 u . 2 ( 1 9 1 2 ) . — SEYFARTH C., V e r h . D t s c h . P a t h . Ges. 1 8 , 2 5 5 ( 1 9 2 1 ) . — SEYFARTH C., D t s c h . m e d . W s c h r . 47, 1 2 2 2 ( 1 9 2 1 ) . — SIEGMUND H . , M ü n c h . m e d . W s c h r . 89, 4 6 3 ( 1 9 4 2 ) . — SIEGMUND H . , V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 3 1 1 , 1 8 0 (1944). — SIEGMUND H . , K l i n . W s c h r . 24/25, 8 3 3 ( 1 9 4 7 ) . — SIEGMUND H . , R e g e n s b . J b . ä r z t l . F o r t b . 2, 1 ( 1 9 5 1 ) . — SIEGMUND H . , V e r h . Ges. V e r d a u u n g s k r k h . 1 5 , 1 9 5 0 , 3 1 (1952). — SILBERGLEIT e FÖCKLER, Z s c h r . k l i n . M e d . 88, 3 3 3 ( 1 9 1 9 ) . — SMITHBURN, HADDOW e GILLET, B r i t . J . E x p e r . P a t h 29, 1 0 7 ( 1 9 4 8 ) . — SONG Y . S . , A r c h , of P a t h . 60, 2 3 5 ( 1 9 5 5 ) . — STAEMMLER M . , F r a n k f . Z s c h r . P a t h . 60, 560, (1949). — STAEMMLER M., V e r h . D t s c h . P a t h . Ges. 32, 1948, 3 5 6 ( 1 9 5 0 ) . — STAUB H . , F r a n k f . Z s c h r . P a t h . 3 5 , 1 2 4 ( 1 9 2 7 ) . — STERNBERG C., W i e n . k l i n . W s c h r . 26, 2096 ( 1 9 1 3 ) . — SUTTON D . C., J . A m e r . M e d . Ass. 9 1 , 3 1 0 (1928). SYSAK N., V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 2 5 2 , 3 5 3 (1924). — TARSITANO F . , F o l . m e d . N a p o l i 37, 500 (1954). — TAYLOR H . E . , A m e r . J . Clin. P a t h . 1 7 , 3 1 4 (1947). — THALER
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RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
CAPITOLO
ALTERAZIONI
(EPATOSl)
6i
II
ATROFIA
Se definiamo l'atrofia nel senso classico (CELSUS) come un rimpicciolimento di organi, delle loro parti o delle singole cellule in seguito a diminuita
nutrizione
(VON G I E R K E ,
KAUFMANN,
DIETRICH,
HUECK),
dob-
biamo lasciare fuori causa la cosiddetta atrofia degenerativa (p. es. atrofia gialla acuta del f. vedi pag. 43, inoltre rimpicciolimento cellulare in seguito ad avvelenamento cronico con allilformiato, selenio, biossido di carbonio e altri, bibl. in KETTLER). Infatti in essa si tratta non solo di una «nutrizione insufficiente» (ROSSLE), ma di vere distruzioni cellulari. Se consideriamo inoltre che nel f. (che invero non è un tessuto labile in senso proprio, cfr. pag. 375) anche l'atrofia «numerica» può essere soltanto la conseguenza dell'accumulo di regressioni di singole cellule (anche di necrosi di singole cellule), rimane allora strettamente da considerare soltanto 1'« atrofia semplice ». (Letteralmente sarebbe più giusto, ma non usabile il termine di « ipotrofia »). Essa è più conosciuta come un processo cronico di diversa genesi e può interessare il f. nella totalità — atrofia generale — 0 s o l a m e n t e singoli l o b i (W. W . MEYER, BENZ, BAGGENSTOSS e WOLLAEGER,
LARA, vedi anche pag. 23) o anche parte degli stessi — atrofia parziale. Secondo le cause noi distinguiamo diverse forme: così conosciamo L'atrofia senile o àa età (particolari in TAUCHI e MORIKAWA) e l'atrofia da compressione, di cui abbiamo già parlato a proposito dei solchi della superficie del f. (vedi pag. 26). Come atrofia parziale, essa compare nelle vicinanze di tumori, ascessi e parassiti, mentre appare molto diffusa la atrofia nella amiloidosi progredita del f. in scala microscopica. A d essa assomiglia la così frequente atrofia da stasi o cianotica nel f. da stasi (vedi pag. 178) come quella dopo legatura di rami del dotto epatico (SCHALM, SCHULTE, B A X , MILTE, MANSENS e P E R E I R A , MANSENS, SCHALM, MANSENS
e BAX), — c o m p l e t a m e n t e conosciuta V« atrofia cachettica del f. » nell'insufficiente afflusso di nutrimento (digiuno: OVERZIER, GÜLZOW, LEDUC, tumori dell'esofago e dello stomaco, marasma senile, tisi, cachessia di SIMMONDS, B A S E D O W : S C I A K Y , G U Y E e R U T I S H A U S E R , P I P E R e P O U L S E N ) .
Neil'«, generalizzata il f. si rimpicciolisce proporzionalmente in toto; spesso in modo molto rilevante. Questo fatto ha la sua base in una diminuzione di volume delle cellule epatiche, soprattutto di quelle della parte
62
IL
FEGATO
centrale degli acini. Queste diventano piccole, rotonde o poliedriche, torbide, e d i m o s t r a n o p e r d i t a p r o t e i c a (TERBRÜGGEN, JAFFÉ, HUMPHREYS, B E N D I T T
e WISSLER). In parte spariscono completamente. I nuclei possono essere leggermente picnotici oppure in parte rimpiccioliti o rotondi, in parte n o t e v o l m e n t e ingrossati. I mitocondri mostrano diverso comportamento: in parte scompaiono, in parte sono più grandi, m a diminuiscono particolarmente di numero nel digiuno (KETTLER, DAVID). L ' e r g a s t o p l a s m a sparisce. Poiché le cellule del f. perdono spesso n o t e v o l m e n t e la loro f o r m a specifica, si d e v e quindi a ragione parlare di a. da sdifferenziamento. Dapprima e in m o d o rilevantissimo, si atrofizzano i margini del f.; d i v e n t a n o acuti, piatti, bianchi, fibrosi e sono n e t t a m e n t e delimitati in confronto al parenchima residuo; la sostanza epatica è qui quasi c o m p l e t a m e n t e scomparsa nell'orlo connettivale, nodoso e trasparente, e si v e d o n o solt a n t o ancora alcune trabecole bianche, che corrispondono a vasi e a dotti biliari grossolani, e giacciono in un tessuto p o v e r o di vasi e fibroso. L a superficie del f. rimpiccolito è liscia oppure finemente grinzosa, poiché la capsula di Glisson è d i v e n t a t a t r o p p o ampia. L a consistenza a u m e n t a in seguito al relativo aumento del connettivo (per il tessuto di sostegno più grossolano vedi MÜLLER) spesso simile a cuoio. Secondo FOLTZ un a u m e n t o (ipertrofia ed iperplasia) delle fibre reticolari c o m p o r t a u n a particolare consistenza dell'atrofia semplice del f. L a diminuzione di peso può nell'atrofia essere enorme (eventualmente fino ad 1/3 del suo normale volume: così un fegato della collezione di Basilea di u n a donna di 73 anni h a m o s t r a t o un peso di 542 gr., secondo KAUFMANN). Solo raramente rimane i n v a r i a t a la colorazione del f. atrofico (la colorazione fisiologica delle cellule del f. è gialla bruniccia diffusa con un leggero sottotono rosso chiaro a causa del pigmento dei mitocondri: BENSLEY). Molto più frequentemente d i v e n t a bruno cioccolato per deposizione di lipofuscina nelle cellule del f. (vedi pag. 162): atrofia bruna, atrofia fusca. L e porzioni centrali sono di regola m o l t o fortemente pigm e n t a t e . Perciò la superficie di sezione m o s t r a un evidente delicato disegno acinoso. I lobuli appaiono t u t t a v i a m o l t o piccoli; il loro centro è qualche v o l t a depresso e bruno scuro, la periferia appare grigio-chiara fino a giallo-bruno. T r o v i a m o l'a. b r u n a s o p r a t t u t t o nella vecchiaia e nello s t a t o di digiuno. I n v e c e della lipofuscina non è t a n t o raro di t r o v a r e anche siderina nelle cellule del f. (cellule stellate di K u p f f e r ) , s o p r a t t u t t o nella morte d a inanizione già n o t e v o l m e n t e conosciuta nel f., nella pedatrofia. Però anche nell'adulto e in animali da esperimento si trova, molto meno come emosiderina, m a come conseguenza della lisi della muscolatura (miosiderina, GIESE). U n a patogenesi sicuramente molto diversa dall'atrofia cronica mostrano le forme acute di a., alle quali appartiene una gran parte delle cosid-
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dette cellule scure del f. (cellules sombres). Non sono da confondere con le cellule del f. prive di glicogeno (vedi pag. 108). Si devono anche evitare errori p e r a r t e f a t t i d i t e c n i c a (FEUER, SIBATANI e NAORA). I l l o r o c o m p o r t a -
mento può essere in parte interpretato come collasso cellulare, cioè come « stadio di esaurimento dopo una avvenuta emissione di secreto » (CLARA, HELMKE); si tratta dunque di quadri reversibili che possono essere osservati specialmente nell'uremia, nella gravidanza, nell'ileo cronico e nell'epatite epidemica (vedi pag. 244). Anche per semplice disadratazione o «detumescenza» possono comparire cellule scure del f. (EGER, ALTMANN).
In che
parte però si tratta stanno
per
morire
anche di una vera degenerazione di
(CLARA, BÖHM,
PFUHL,
TAUCHI
e
cellule
NAKAMURA,
«necrosi cellulare» di singole cellule, KETTLER). Sopra interessanti reperti del settore proteico nella morte acuta da inanizione vedi pag. 68.
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64
IL
FEGATO
CAPITOLO
III
METABOLISMO IDRICO E PROTEICO
Già nell'introduzione di questo capitolo (vedi pag. 34) è s t a t a indicata l'importante parte del f. nel metabolismo proteico dell'organismo; sulla quale purtroppo il substrato morfologico ci può dare soltanto scarso aiuto. I compiti del f. in questo settore interessano dapprima la demolizione delle sostanze proteiche attraverso gli aminoacidi in urea, la trasformazione di idrati di carbonio (glucosio, eventualmente anche grassi) e la neoformazione di albumine ematiche specifiche (albumina — WHIPPLE — a globuline [?], fibrinogeno); vi appartiene anche la formazione di anticorpi e di protrombina. Il contenuto proteico della cellula epatica è fisiologicamente largamente costante (EGER) e si v a l u t a secondo TERBRUGGEN circa il 15 fino al 16 % . Con la conoscenza della fine struttura del protoplasma cellulare epatico (W. J. SCHMIDT, FREY-WYSSLING) d i v e n t a pure comprensibile l'accoppiamento del gel proteico del plasma e dell'acqua cellulare; notevoli q u a n t i t à dell'ultima possono essere fissate in modo invisibile. Il normale tenore idrico della cellula del f. è del 76 % (TERBRUGGEN). L a grande importanza del f. come immagazzinatore d ' a c q u a è nota
(R.
KÓHLER).
I n f a t t i alterazioni di questi due settori metabolici possono comparire isolate. Così è da spiegare la degenerazione vescicolare (v. sotto) e l'edema cellulare o parenchimatoso soltanto attraverso l'assorbimento idrico (ZINCK, EGER); solo in parte corrisponde a questo stato la cosidd e t t a cellula chiara epatica; esso non può essere confuso con un'infiltrazione glicogenica massimale. Così pure le proteine possono essere riassorbite per sé sole dalle cellule del f. (ricerche al microscopio a fluorescenza di HAITINGER e GEISER). FEYRTER interpreta la granulazione proteica cromotropa delle cellule del f. (dimostrata attraverso la colorazione per inclusione con tionina) come segno di una (transitoria?) alterazione fermentativa; essa compare regolarmente nella polmonite plasmacellulare dei bambini. In generale però si t r a t t a di deviazioni nell'assunzione di acqua e proteine, strettamente associate.
RICAMBIO
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E
SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSl)
65
i. RIGONFIAMENTO TORBIDO Il migliore esempio di questo processo è rappresentato dal rigonfiamento torbido (intorbidamento albuminoso. Le denominazioni « degenerazione granulosa » — GHON o « epatite parenchimatosa » —• KAUFMANN, dovrebbero oggi essere evitate come improprie). A stretto rigore si dovrebbe distinguere tra l'intorbidamento e il rigonfiamento come due possibilità distinte; tuttavia nella prassi essi compaiono per lo più accoppiati. Il f. è in tal caso più o meno fortemente ingrossato, il margine anteriore è ottuso, la consistenza molle, flaccida fino a melmosa. La superficie è liscia, anche le sezioni sono di aspetto opaco grigio rossiccio smorto fino a gialliccio sporco; talvolta il f. è come cotto; è anemico, ciò che è attribuito alla pressione delle cellule rigonfiate sui capillari. I lobuli sono ingrossati, ma non netti. Secondo HOLMER i capillari biliari spariscono presto nel rigonfiamento torbido. Le cellule del f. si ingrossano e si rigonfiano, il protoplasma diventa granuloso, torbido e anche il nucleo può diventare indistinto («nascosto»). Tutto questo è chiaro nei preparati a fresco. Con aggiunta di acido acetico diluito scompaiono i piccoli granuli, il nucleo diventa evidente. Il rigonfiamento torbido (r. t.) può essere reversibile. Le cause sono svariate. Più spesso il r. t. può avvenire nei casi tossiinfettivi, particolarmente settici (anche peritonite) e avvelenamenti. PoPJÁK l'ha prodotto nei conigli con iniezione di tossina difterica, lo si vide inoltre dopo avvelenamento con tossina dissenterica (DIECKHOFF) e acido cianidrico (TOPPICH), nell'epatite virale (E. MÜLLER) ed ipertermia (Rix). La patogenesi può oggi essere considerata come chiarita, in quanto tanto l'assunzione proteica quanto l'idrica (sia isolate che unite) possono portare a questo quadro caratteristico. Già precedentemente è stato detto che ambedue fino ad un certo grado si svolgono dapprima "inavvertite". TERBRÜGGEN indica l'aumentato assorbimento albuminico (particolarmente nella polmonite crupale, nell'empiema pleurico, nella sepsi, nella meningite ed encefalite) come rigonfiamento proteico che non sempre deve essere considerato identico con il r. t. Soltanto in determinate condizioni si arriva al quadro classico di questo (RÒSSLE, LAUBENDER, H O P P E - S E Y L E R , ZINCK, E P P I N G E R ) particolarmente nel riassorbimento di proteine da disfacimento. ZOLLINGER vide, al microscopio a contrasto di fase, albumina deposta nei mitocondri (maggiori particolarità in SCHULTZ, OBEL, TERBRÜGGEN e DENEKE). Ha riconosciuto però anche un secondo meccanismo della formazione di un r. t. mediante assunzione idrica nei mitocondri, che portò al massimo rigonfiamento mitocondriale. Nell'esperimento di sospensione 5
—
KAUFMANN
II,
p.
II
66
IL
FEGATO
mitocondriale in acqua distillata si produce sempre questa « trasformazione », con produzione di una vescicola. I corpuscoli mitocondriali che in questo caso si formano non sono stati finora dimostrati chiaramente al microscopio elettronico. ZOLLINGER conferma perciò le primitive affermazioni di ASCHOFF-ANITSCHKOW e BANG-SJÓVALL. Nella patologia umana non è però presente in genere l'apporto di una soluzione ipotonica circostante, quanto un'alterazione tossica dei mitocondri. ALTMANN ritiene possibile anche una distruzione mitocondriale. Egli respinge d'altra parte il rigonfiamento torbido da assorbimento proteico. Il r. t. è dunque considerato non di genesi unitaria; spesso (per lo più?) le due alterazioni sono però combinate, come ha rilevato l'aumento, chimicamente controllato, di acqua e proteine.
2. M E T A M O R F O S I V A C U O L A R E Non soltanto differenze quantitative, ma anche qualitative giustificano una separazione del r. t. da altri quadri molto significativi sui preparati in sezione, fra i quali mediante ricerche degli ultimi decenni abbiamo imparato a conoscere bene la metamorfosi vacuolare. L'aspetto macroscopico del f. per lo più non è rilevante. Viceversa il quadro istologico è molto caratteristico (fig. 16) e appare spesso nel materiale di autopsia (fino al 30 % — KETTLER). Il citoplasma è cosparso di più vacuoli grossi rotondi ovali o poligonali, che facilmente incavano talora il nucleo. Essi non hanno niente a che fare con i mitocondri. I vacuoli non contengono né grasso né glicogeno e sono spesso chiari come l'acqua. Dopo una presenza più lunga si possono riconoscere in essi anche sostanze proteiche (glicoproteine? ATERMAN). L a vacuolizzazione interessa per lo più gruppi di cellule epatiche e compare in forma di chiazze al centro dei lobuli o anche meno frequentemente nella zona intermedia. La sua patogenesi è ancora controversa; è tuttavia sicuro che essa si può sviluppare in un tempo brevissimo (minuti!). Corrispondentemente alla concezione oggi prevalente, i vacuoli si formano per assunzione di liquido dalla corrente circolatoria (ALTMANN, ATERMAN). L'autore che dapprima sosteneva la stessa concezione ha dovuto in seguito esprimere delle limitazioni a causa del rimpicciolimento di cellule vacuolizzate spesso da lui osservato (confermato da KIRGIS); così anche, secondo BASSI e BERNELLI-ZAZZERA, il contenuto idrico complessivo del f. vacuolizzato di ratto non differisce da quello normale. Altri pensano perciò a. spostamenti intracellulari di acqua (MÜLLER e ROTTER). In analogia con ciò la proteina vacuolare dovrebbe corrispondere o a quella del plasma sanguigno o
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a quella del citoplasma delle cellule epatiche ( B Ü C H N E R ) . (Accanto a questi vacuoli più conosciuti vi sono anche altre forme lacunari nelle cellule epatiche come vacuoli secretori e digestivi [maggiori dettagli in K E T T L E R ] ) . Quale causa della formazione vacuolare può essere ritenuta responsabile in molti casi una mancanza di ossigeno. Però sono state espresse all'incontro più volte perplessità al suo riconoscimento come causa unica. Così si è pensato alla collaborazione di un aumento della pressione sanguigna nel territorio capillare ( T R O W E L L ) , rispettivamente ad un aumento della permeabilità dei capillari ( K E T T L E R ) , indipendente dalla ipossiemia, o anche ad una prevalente azione dell'anidride carbonica ( S C H L Ü T Z ) . In singoli casi la trasformazione vacuolare si trova in esperimenti di depressione, in casi di morte da altitudine, in congelamenti, in collasso da calore, in casi di morte da sport, in stasi iperacuta dopo difterite, per azione di ultrasuoni o per abbassamento di pressione. È stata anche osservata in ustioni, nell'epatectomia parziale, nella epatite epidemica, in inanizione assoluta ed in molte intossicazioni (come p. es. con DDT, falloidina, idrogeno fosforato, acido cianidrico, monossido di carbonio, tiourea, istamina, tetracloruro di carbonio, inoltre dopo somministrazione di aureomicina ed azione di ossigeno puro). Le note ricerche di R A U M S SU formazioni vacuolari dopo infusioni di grandi masse di liquido ipotoniche non vengono uniformemente interpretate (Rivista della bibl. in K E T T L E R ) . La sorte dei vacuoli è diversa; in molti casi la cellula vacuolizzata è suscettibile di una completa restitutio ad integrum. Non molto raramente esse diventano però anche necrotiche ( A L T M A N N , K E T T L E R ) . Spesso nei vacuoli preesistenti da lungo tempo la proteina si trasforma in sfere jaline ( V O G T , A L T M A N N , K E T T L E R ) , ma compaiono anche inclusi vacuolari filiformi o bastoncellari. Essi si colorano con il metodo di M A S S O N (in rosso), con il metodo di G O L D N E R (orange), inoltre con le colorazioni dell'ematossilina ferrica e della fibrina.
3. FORMAZIONE DI GOCCE JALINE La metamorfosi a gocce jaline nel citoplasma delle cellule epatiche non avviene però sempre attraverso una metamorfosi vacuolare. Del tutto comuni sono i cosiddetti corpuscoli inclusi (c. i.) ben noti nel f. Oggi sono interpretati molto variamente, per cui siamo dell'opinione che si possa effettivamente trattare anche di formazioni patogeneticamente diverse. Così alcuni di essi contengono numerosi nucleoproteidi e sono evidentemente di altra origine (vedi pag. 80). Altrimenti contengono anche sostanze fagocitate (vedi pag. 169). Il deposito proteico primario a gocce
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FEGATO
jaline nel vero senso è tuttavia raro nel materiale autoptico umano: BER(Istituto dell'A.) vide frequentemente gocce fibrinopositive in ricerche in corso nel rene, nel medesimo materiale solo una volta nel f. (cfr. anche W E G E L I N ) . Si trova in seguito a mancanza di ossigeno, in alterazioni circolatorie (TERBRÙGGEN) e scottature ( Z I N C K ) , in alcuni avvelenamenti (fluoruro di sodio: A B R A M O V ) , nella febbre gialla, epatite epidemica ( R I S S E L ) , ma anche nello stato di inanizione acuta assoluta. K E T T L E R vide inoltre nel f. di topo grosse sfere proteiche, positive alle THOLD
Fig. 16. Metamorfosi vacuolare delle cellule epatiche (presso il centro della figura una necrosi di singole cellule contenenti leucociti). In singoli vacuoli sferule proteiche. Donna di 27 anni.
colorazioni dei mitocondri e dell'Azan. Questi sono considerati come conseguenze di una eteroproteinemia. Sulle alterazioni mitocondriali in animali a digiuno vedi anche F A W C E T T . Inoltre i nucleoli delle cellule del f. sono piccoli nei ratti affamati (STENRAM). Si sono osservati corpi inclusi dopo la cosiddetta arterializzazione del f. (FISHER e F I S H E R ) ed epatectomia parziale ( D O N I A C H e W E I N B R E N ) . Sui cosiddetti corpuscoli di Mallory nella cirrosi epatica di Laennec vedi pag. 308. La natura virale dei c. i. è stata discussa molte volte, ma mai in modo convincente (PAPPENHEIMER e H A W T H O R N E , A N G U L O , R I C H A R D S e R O Q U E , B E N D A ,
RISSEL
e T H A L E R , COSTERO, C É S P E D E S e B A R R O S O - M O G U E L ) . Quando si trovano gocce jaline nelle cellule stellate di Kupffer, allora si deve anche pensare alla fagocitosi di corpi jalini, cioè epiteli jalinizzati, morti, vedi pag. 43).
RICAMBIO DEL FEGATO E SUE ALTERAZIONI (EPATOSl)
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Nel nucleo cellulare sono conosciuti corpi inclusi di diversa natura, che compaiono negli avvelenamenti da colchicina, bismuto, diversi metalli ( p i o m b o : BLACKMAN, GERMUTH e EAGLE, WACHSTEIN) e s o p r a t t u t t o
nella
citomegalia (vedi pag. 282), inoltre nella febbre gialla (TORRES, COWDRY e KITCHEN, RÒSSLE). In generale dovrebbero essere di natura aspecifìca. In quale misura questi presentano principalmente vacuoli con contenuto di glicogeno, grasso e nucleoproteidi, v. sotto. Sui depositi intracellulari di cistina cristallizzata riferisce HOTTINGER.
Fig. 17. Degenerazione vescicolare delle cellule epatiche nel centro lobulare (nuclei cellulari picnotici). Uomo di 64 anni. Aut. N. 124/47.
4. D E G E N E R A Z I O N E V E S C I C O L A R E Un quadro completamente diverso dalla metamorfosi vacuolare e dalla degenerazione a gocce jaline presenta la degenerazione vescicolare delle cellule epatiche (d. v.) descritta la prima volta nel 1922 da B. FISCHERWASELS. Essa si differenzia molto evidentemente in via del tutto morfologica dalla vacuolare, in quanto le cellule epatiche sono sempre molto ingrandite (KIRGIS) in toto, appaiono chiare come l'acqua (senza che contengano glicogeno), ed hanno un nucleo picnotico. Con sicurezza la
7°
IL FEGATO
sorte di tali cellule è la morte immediata. Soltanto raramente sono singole, per lo più riunite in gruppi e preferiscono la zona lobulare centrale (fig. 17) o intermedia. Per quanto facile sia produrre la d. v. nelle ricerche su animali mediante avvelenamenti (cocaina: KETTLER, fenilidrazina, anche tetracloruro di carbonio: WAHI, TANDON e BHARADWAJ e molti altri), altrettanto raramente essa viene all'osservazione in materiale autoptico nella forma classica. L a sua patogenesi causale non è ancora chiarita in modo soddisfacente. La sola mancanza di ossigeno non è evidentemente sufficiente. L a alimentazione deficiente di albumina appare predisponente (KETTLER). Maggiori particolari in ALTMANN, Trattato di Pat. Gen.
5) P E R I E P A T I T E
CARTILAGINEA
Un forte ispessimento fibroso simile alla dura madre o liscio, a cotenna jalina, interessante il rivestimento sieroso di f. per lo più molli non cirrotici, spesso di più millimetri, è per lo più indicato come periepatite cronica fibrosa o iperplastica o cartilaginea o fegato a zucchero candito (CURSCHMANN); questa capsula cotennosa tendente al raggrinzamento può essere circoscritta (fig. 18) o (più raramente) interessare tutto il f. e così condurre all'addensamento, al rimpicciolimento attraverso compressione, alterazione di forma (forma a focaccia, fig. 19) del f. (senza stasi) e, similmente a una cirrosi, portare al restringimento della vena porta, ascite e tumore di milza (quadro istologico, vedi fig. 20). Spesso anche la sierosa che riveste la milza, più raramente nella regione epigastrica, o anche l'intero peritoneo (vedi Voi. 1/2, pag. 562) e con esso anche il pericardio (che per lo più mostra solo molte aderenze) come pure la pleura (i polmoni possono essere deformati, multilobari) sono lisci, ispessiti, callosi, jalini. Ciò può essere di origine primaria o secondaria (partendo dal pericardio e dalla pleura destra) oppure dall'addome propagarsi alla pleura e al pericardio. KAUFMANN vide tra l'altro un caso (in donna di 60 anni) che era accompagnato da formazione di numerose cisti linfatiche chilose fino alla grandezza di un pugno nel peritoneo. F. PICK parla di pseudocirrosi epatica pericarditica e scorge in un'infiammazione obliterante del pericardio, soprattutto nel restringimento del luogo di passaggio della vena cava caudale, l'alterazione primaria, la cui conseguenza sia non stasi generalizzata, ma stasi predominante nel f. e nel circolo della vena porta, che conduce alla formazione di un f. atrofico a noce moscata (con indurimento connettivale), ad ispessimento del rivestimento sieroso degli organi addominali e all'ascite. Ciò corrisponde evidentemente più alla cirrosi cardiaca (vedi pag. 183) ed è qualche cosa di diverso del f. a zucchero candito, dovuto ad una causa infiammatoria forse infettiva (reumatica?).
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSl)
71
F i g . 18. P e r i e p a t i t e c i r c o s c r i t t a c r o n i c a j a l i n i z z a n t e (nella U c m o d i 5S a n n i . A u t . N . 1 5 6 / 5 6 .
Fig.
linfoadenosi).
19.
F e g a t o a z u c c h e r o c a n d i t o (in p o l i s i e r o s i t e c r o n i c a f ì b r o p l a s t i c a d i a l t o g r a d o c o n e n d o c a r d i t e e a d e r e n z e p l e u r i c h e m a s s i v e ) . P e s o d e l f. 1 9 3 0 g . U o m o d i 25 a n n i . A u t . N . 90/54.
72
IL
FEGATO
Comune ad ambedue è la frequenza della pericardite obliterante (SIEGERT), che è confermata dalle esperienze di K A U F M A N N (vedi anche sotto) (bibl. in N I C H O L L S , H U G U E N I N , R O S E , H E S S ) . H U E B S C H M A N N ammette in generale per la realizzazione del f. a zucchero candito 2 momenti, in primo luogo un impedimento della circolazione ematica nel f. (nel suo caso
Fig. 20. Quadro microscopico di insieme della periepatite jalinizzante del preparato della fig. 19 (i punti scuri e a macchie nell'ispessimento massivo capsulare, visibili al margine inferiore della figura nel parenchima epatico, sono vasi sanguigni).
conseguenza di un vizio tricuspidale cronico) e in secondo luogo alterazioni infiammatorie (nel suo caso conseguenza di un'infezione lieve in frequenti punture dell'ascite); pericardite ed una polisierosite non sono qui necessarie. Raramente si vede un f. a zucchero candito su un f. squisitamente cirrotico. K A U F M A N N lo osservò in un uomo di 51 anni (autopsia 145, Basilea 1903), nel quale il f. (2285 gr.) e la milza (442 gr.) presentavano un rivestimento ispessito j alino, simile a porcellana, liscio, coesistevano vizio mitralieo ed aderenze pericardiche (cfr. anche R E I M E R ) .
RICAMBIO
DEL
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E
SUE
ALTERAZIONI
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(EPATOSI)
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CAPITOLO
IV
FEGATO AMILOIDE Il f. è spesso interessato nella amiloidosi generalizzata tipica (a. secondaria). Secondo HANSER esso occupa il quarto posto (dopo la milza, reni e surreni). Ciò vale anche per la non frequente amiloidosi da reumatismo articolare: TEILUM e LINDAHL. Amiloidosi isolata del f. interviene invece soltanto in modo estremamente raro (EIGER, KAUFMANN). Sulla possibilità di una regressione della amiloidosi epatica riferisce SCERBA. L a questione del vario interessamento del f. in questo quadro morboso è stata chiarita da TERBRUGGEN ammettendo due forme fondamentali dell'amiloidosi generale: noi troviamo per lo più, nel tipo milza a sagù, amiloide abbondante nell'interno dei lobuli epatici, nel tipo milza a prosciutto invece solo in limitata misura nella parete dei più piccoli rami interlobulari dell'arteria epatica. L ' A . — come pure BRASS, anche ROTH — ha trovato per lo più confermata questa regola nella osservazione di routine del materiale autoptico dell'Istituto di Patologia della Charité. Essa vale anche per il caso di KAUFMANN di un uomo di 36 anni. Viceversa nel caso di GRAHAM (0' di 84 anni) il f. malgrado il tipo milza a prosciutto era così gravemente colpito da amiloide che si era giunto ad una grave atrofìa del parenchima epiteliale epatico e clinicamente a simulare una cirrosi epatica (sui fondamenti generali della malattia amiloidotica vedi i trattati di Patologia Generale; inoltre M. B. SCHMIDT, KUCZYNSKY; DOMAGK, LETTERER, ROTTER e BUNGELER, BATTAGLIA V o i . I, p a g .
975).
RICAMBIO DEL FEGATO E SUE ALTERAZIONI
(EPATOSl)
75
L a stasi ematica dovrebbe favorire la deposizione amiloidotica nel f. U n a combinazione di steatosi epatica e di amiloidosi del f. si t r o v a nella tubercolosi solo nell'i % (GIRARD, PLAUCHU e LOISY). Per l'amiloide nei fegati lobati sifilitici vedi pag. 268, nella linfogranulomatosi vedi pag. 272. R a r a m e n t e è osservata la deposizione amiloidotica di un f. cirrotico (MiROUZE: cirrosi di Hanot) o in combinazione con epatomi JP TPjl recidivanti (DEL RIO e GUASTA VINO).
Comportamento macroscopico: gradi piccoli non producono alterazioni macroscopiche. Nell'infiltrazione amiloidotica più grave il volume del f. a u m e n t a notevolment m te; se non è ingrandito, è sempre più pesante e più ÉÈttì. mia».:* ** ì» U?. duro del normale. Il peso «^fe* & specifico aumenta, in contraa a if v sto con l'infiltrazione grassa. R a r a m e n t e il f. può divenire pesante fino a 7 k g (normale < r t 1,5 fino a 2 kg). L a sua forma Fig. 21. è tozza, i margini sono per Amiloidosi di un piccolo ramo dell'arteria epatica lo più arrotondati, ottusi, la Donna di 36 anni. superficie liscia. L a consistenza è tesa, rigida, dura, non elastica, il f. si taglia come prosciutto affumicato; è friabile. L a superficie di taglio è omogenea, trasparente, vitrea; sezioni abbastanza spesse sono trasparenti, come rischiarate in glicerina. Il tono di colorazione è ancora bruno, rosso scuro o pallido bruniccio, grigio o simile a lardo cotto, e cereo secco; da qui il nome di «fegato lardaceo»! Il pallore dipende dal f a t t o che numerosi capillari sono ristretti o del t u t t o occlusi; il colore bruniccio è condizionato dall'atrofia delle cellule del f.; fegati bruno rossi sono ancora ricchi di sangue. Se si versa soluzione di LUGOL sulla superficie di taglio e si l a v a dopo alcuni secondi con acqua, le zone amiloidi prima grigio pallide appaiono colorate in castano bruno o mogano, le non amiloidi in giallo; anche la partecipazione predominante della zona intermedia degli acini può essere t a l v o l t a riconoscibile già macroscopicamente. In casi lievi la distinzione è possibile solo microscopicamente oppure rilevabile macroscopicamente solo mediante immersione di una sezione sottile in soluzione jodica, quindi lavaggio e osservazione su fondo bianco.
„^
Spesso si ha contemporaneamente infiltrazione grassa. In tal caso
76
IL FEGATO
si alternano zone gialle, torbide, non trasparenti e grigie o grigio brune trasparenti. Le parti centrali degli acini possono apparire verdi per il pigmento biliare. Sull'ittero nell'amiloidosi vedi MARIANI e CUTILLO, KLECKNER e MAGIDSON non hanno trovato ittero in nessuno dei loro dieci casi di amiloide epatica. Talvolta l'epatite sifilitica è combinata con l'amiloide, questo è stato osservato perfino nei bambini. Comportamento microscopico. — L a deposizione, rispettivamente formazione di sostanza amiloide (riconoscibile mediante le note colorazioni con jodio.metilvioletto, rosso congo) nell'apparato vascolo-connettivale conduce secondariamente alla compressione e degenerazione di cellule epatiche. Più frequentemente e spesso perfino isolate (vedi sopra) ammalano le piccole arterie interacinose (fig. 21): la loro media assume dapprima zolle amiFig. 22. Ioidi tra le sue fibre (si posDeposizione amiloide epatica predominante nella zona intermedia. Atrofia di molte trabecole cellulari epatiche sono vedere casi di amiloi(em. eos.). dosi in cui sono interessate nel f. e in molti altri organi, come cuore, intestino, ghiandole mesenteriche, lingua, tiroide, pancreas, solo le piccole arterie; KAUFMANN lo vide p. es. in un uomo di 36 anni con rene grinzo amiloidotico, milza a prosciutto e surrene amiloidotico). Inoltre la sostanza amiloide vitrea è trovata nella vicinanza dei capillari intraacinosi, dove giace in forma di zolle e di ammassi (fig. 22); si insinua tra i tubi endoteliali dei capillari e le cellule epatiche, si trova dunque immediatamente addossata alle fibre reticolari (vedi pag. 10 cosiddetto spazio di Disse), comprime i capillari, per cui i lumi, con conservazione intatta degli endoteli, sono più o meno ristretti ed infine diventano impervii, mentre le trabecole di cellule epatiche diventano atrofiche per compressione, ma anche per alterazione trofica (più lunga via di diffusione per l'ossigeno e le sostanze nutritive), si riducono sempre più e si trasformano in piccoli ammassi bruni (atrofia pigmentata), in piccola parte anche presentano degenerazione albuminosa e grassa. Le cellule epatiche non diventano mai amiIoidi (oppure qualche volta molto raramente, cfr. M. B. SCHMIDT, LEUPOLD, bibl.). Dove le cellule epatiche sono completamente scomparse,
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSl)
77
il loro posto è preso da masse amiloidi; si trovano allora solo grumi di sostanza amiloide trasparenti, rigonfi tra residui retiformi degli acini. Anche la vena centrale può presentare degenerazione amiloide. Talora i rami portali interacinosi sono la sede principale dell'alterazione, che non si può riconoscere macroscopicamente. Talvolta l'amiloide si localizza dapprima alla periferia, più frequentemente però dapprima principalmente nella zona intermedia dei lobuli, e le zone periferiche ancora libere mo-
Fig. 23. Amiloidosi a focolai e degenerazione grassa marginale del f. (in tubercolosi polmonare cronica cavitaria). (Amiloide bianca nella figura, distretti adiposi nerastri). Donna di 27 anni.
strano infiltrazione grassa delle cellule epatiche. Dalla zona intermedia l'infiltrazione amiloide progredisce quindi alla periferia e nella zona centrale. La distribuzione dell'amiloide nel f. spesso non è uniformemente intensa. In piccolo ciò appare frequentemente (fig. 23). Molto raramente però compare una distribuzione dell'amiloide nel f. così irregolare che si rilevano zone fortemente amiloidotiche, come focolai e noduli ben circoscritti, in contrasto con la parte non o debolmente infiltrata. K A U F M A N N lo vide in modo specialmente chiaro in un caso di Gòttingen (pubblicato da H U S T E N ) di un soggetto malato da 4 anni, nel f. deformato e perfino infiltrato come per tumore (4240 gr), nella milza (800 gr.) e meno fortemente nel rene, mentre il f. contemporaneamente presentava evidenti manifestazioni di rigenerazione ed ipertrofia. Amiloide isolata « locale » è estremamente rara ( H A N S E R ) .
78
IL
FEGATO
Nella paramiloidosi, a. atipica primaria o idiopatica; a. senza malattia fondamentale (per definizione e comportamento vedi anche L U B A R S C H , P I C C H I N I e F A B R I S , A P I T Z , STAEMMLER) — il f. corrispondentemente alla regola che gli organi preferiti dall'amiloide tipica sono per lo più non colpiti, è anche più raramente interessato: così D E W O L F e C L A R K E , F I S H E R e
PREUSS,
JOSSELSON,
PRUITT
e
EDWARDS,
LOVE,
BÀEZ-VILLASENOR,
e R I V E R A , L O O G E N e B Ó H M , S T A E M M L E R non hanno t r o v a t o una compartecipazione del f. L o stesso vale per un caso osservato dall'autore di paramiloidosi assai diffusa in un uomo di 59 anni con plasmocitomi multipli ( A . N. 254/51). In altri casi di a. atipica, così in A T L A S , G A ROJAS
BERMANN e S T E R N , M A N G A L I K , D O N T E N W I L L , C A U S S A D E , N E I M A N , S T E H L I N
e L A S C O M B E S , P O C O C K e D I C K E N S , B A T T A G L I A e M A S I N I , una deposizione (spesso anzi grave) di questa paramiloide è espressamente notata. In t a l caso sono preferiti i più grandi rami dell'arteria epatica. Non può essere qui discusso quanto estesa sia in tali casi una combinazione tra amiloidosi primaria e secondaria (cosiddette forme miste; p. es. H A E M M E R L I , R E I MANN,
SAHYOUN
e
CHAGLASSIAN,
WOLF,
HITZIG
e
OTANI).
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RICAMBIO DEL FEGATO E SUE ALTERAZIONI
79
(EPATOSL)
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(195°)-
CAPITOLO
V
NUCLEOPROTEIDI L'abbondanza di nuovi risultati appunto su questo settore metabolico del f. autorizza la stesura di un capitolo speciale del Trattato. Così l'acido ribo- (RNA) ed anche il desossiribonucleico (DNA) compaiono regolarmente nel f. e sono ben rilevabili istologicamente. Si colorano c o n s a f r a n i n a o gallocianina-allume; m o s t r a n o allo s p e t t r o u l t r a v i o l e t t o u n a b a n d a di a s s o r b i m e n t o di 2600 À . L a distinzione di a m b e d u e le f o r m e p u ò essere f a t t a p e r m e z z o dei c o r r i s p o n d e n t i f e r m e n t i (ribo- e risp. desossiribonucleasi) e colorazioni specifiche (per il D N A , reazione nucleare s e c o n d o FEULGEN; p e r il R N A : colorazione c o n pironina, bleu di t o l u i d i n a , tionina e altre). P e r g i u d i c a r e su m a t e r i a l e b i o p t i c o del f. è i m p o r t a n t e sapere c h e il R N A del c o r p o cellulare nel t e s s u t o del t u t t o fresco si colora s o l t a n t o d e b o l m e n t e e a fini granuli, m a in m a t e r i a l e a u t o p t i c o (di circa 24 ore) fortemente
(HIMES,
RIZSKI,
HOFFMAN,
POLLISTER e POST). S u l l a s t r u t t u r a
chi-
m i c a , demolizione, ecc. dei nucleoproteidi v e d i t r a t t a t i di C h i m i c a biologica. C o r r i s p o n d e n t e m e n t e al loro a l t o significato biologico, i n u c l e o p r o t e i d i h a n n o u n ruolo i m p o r t a n t e , s o p r a t t u t t o n e l nucleo c h e r a p p r e s e n t a il c e n t r o m e t a b o l i c o della cellula (CASPERSSON) . Q u i l a sintesi delle s o s t a n z e p r o t e i c h e h a l u o g o solo in p r e s e n z a di nucleoproteidi, il c o n t e n u t o del nucleo in D N A è l a r g a m e n t e costante; l a s u a m a s s a p r i n c i p a l e è nei cromosomi. V i c e v e r s a il
8o
IL FEGATO
nucleolo contiene tra l'altro R N A che è sintetizzato in esso. Esso è l'intermediario essenziale tra il nucleo ed il citoplasma e fornisce continuamente R N A attraverso la membrana nucleare al plasma (questo normale passaggio non è riconoscibile istologicamente). Questo R N A eccita nel corpo cellulare la neoformazione di sostanze proteiche. Nel plasma si trovano secondo specie animali e condizioni di vita, più o meno abbondanti nucleoproteidi in forma di zolle e grumi irregolari. Corrispondono all'ergastoplasma (vedi pag. 12). Per giudicare dell'intensità della cosiddetta basofilia del citoplasma deve essere qui presa in considerazione anche la grandezza cellulare (SIBATANI e FUKUDA).
Anche sulle alterazioni del metabolismo del nucleoproteidi nel f. siamo oggi bene informati ( M A C A R Y ) . Al centro sta la « patologia del nucleolo »: B E R G ha descritto per primo l'espulsione di sostanza nucleolare (dunque principalmente RNA, come noi oggi sappiamo), e perfino di interi nucleoli attraverso la membrana nucleare integra nel corpo cellulare e ha parlato di un « meccanismo a chiusa » (confermato da C L A R A , K R E M E R ) . A L T MANN ha potuto interpretare questo reperto particolarmente nei nuclei giganti (v. pag. 244) nell'epatite epidemica, come compenso in corso di alterata escrezione fisiologica (vedi anche S C H I L L E R ) . (Viceversa sulle rare emissioni di DNA (sostanza Feulgen positiva) nel citoplasma in lesioni riferisce B O E L S ) . Nell'insufficiente alimentazione proteica il nucleolo si ipertrofizza ( M C K A Y e F A R R A R ; « degenerazione dei corpuscoli nucleari » ( R U M J A N T Z E W ) . Simili ingrandimenti compaiono anche in altre gravi noxe patologiche ( F I N D L A Y ) . Infine i nucleoli possono presentare una vacuolizzazione (noyaux vacuolaires - C A Z A L e M I R O U Z E ) . Per lo più queste vescicole contengono glicogeno o (più raramente) grasso; qualche volta il contenuto non può essere determinato ( M A C A R Y ) . Spesso in stretta connessione con alterazioni funzionali del nucleolo vi sono alterazioni del contenuto nucleotidico del citoplasma delle cellule epatiche. Da tempo sono conosciute le particelle basofile nel corpo cellulare falsamente interpretate in un primo tempo da B E R G come « immagazzinamento di proteine alimentari » che compaiono nei più diversi animali dopo ricco nutrimento proteico. Sono oggi ritenute come materiale di riserva derivato dal nucleo ( A L T M A N N , B R Ä C H E T ) . Queste zolle basofile (vedi anche T A R D I N I ) scompaiono facilmente ( O P I E parla di cromatolisi) nelle più diverse lesioni, così nello stato di inanizione ( L A G E R S T E D T , S I B A T A N I e F U K U D A ) , come nella steatosi più grave ( B A R O N E e P A R I S I , B A K E R , I N G L E , L I e E V A N S ; nella steatosi media sono però aumentati ( P E T R O N E L L I , S Z A N T O e P O P P E R ) , nell'insufficienza di ossigeno ( M C K A Y e F A R R A R ) , nello shock traumatico ( M O Y S O N ) , nella colostasi (SPANGARO) e soprattutto in alterazioni gravi, così in cellule necrotiche ( R I C H e B E R T H R O N G ) e dopo avvelenamenti (CC14) e in lesioni da freddo ( G O R D O N e N Ü R N B E R G E R ) . È complicato il comportamento degli acidi nucleici dopo irradiazione Roentgen ( P A I G E N e K A U F M A N N ) .
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSl)
8l
Infine per completare le precedenti trattazioni (pag. 68) sui « corpi inclusi » sia qui aggiunto che una parte di questi consiste tuttavia (non di fibrina, ma) di nucleoproteidi. Tali sostanze globulari compaiono nel nucleo cellulare in avvelenamenti (con bismuto, piombo e altri). B U C H M A N N considera i corpi inclusi che compaiono nei nuclei cellulari di topi dopo avvelenamento con colchicina ( L A M B E R S ) , in accordo con Z O L L I N G E R , come ingrossamento di nucleoli, in seguito ad alterato meccanismo di chiusa. Anche W I L S O N descrive corpi inclusi derivanti da nucleoli nel f. di topi (in parte in epatomi). Certamente qualche cosa di diverso rappresentano i corpuscoli di T O R R E S nella febbre gialla, vedi sotto. Come prodotto terminale del metabolismo degli acidi nucleici valgono i « cristalli nucleari » del f. del cane ( B E R G , G R A N D I S ) .
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6 —
KAUFMANN
II,
p.
II
82
IL
FEGATO
CAPITOLO V I
METABOLISMO DELLE SOSTANZE GRASSE
A n c h e n e l m e t a b o l i s m o dei g r a s s i n e u t r i i l f. h a u n a p a r t e i m p o r t a n t e , chiarita principalmente dal lato chimico. Viceversa in c a m p o
fisiologico
i reperti morfologici
sono m o l t o scarsi, perché i quadri in u n p r i m o
ritenuti come « depositi normali » oggi sono considerati come già
tempo
particolarmente
patologici.
Sulla n o t a azione degli acidi biliari nell'emulsione e r i a s s o r b i m e n t o dei grassi a l i m e n t a r i lo stesso f. a s s u m e d a p p r i m a s o l t a n t o i n d i r e t t a m e n t e l'elab o r a z i o n e ulteriore dei grassi esogeni, riassorbiti, p e r c h é la loro m a s s a p r i n c i p a l e s c a v a l c a il f e g a t o a t t r a v e r s o la v i a del d o t t o t o r a c i c o (secondo STURM a r r i v a n o s o l t a n t o acidi grassi c o n m e n o di 14 a t o m i di C a t t r a v e r s o la v e n a p o r t a dirett a m e n t e al f.). I l f. r i c e v e s o l t a n t o a t t r a v e r s o l a circolazione generale i grassi n e u t r i e d o v r e b b e p o t e r i m p e d i r e u n a l i p e m i a eccessiva, q u a n d o c o n t i e n e ricc a m e n t e glicogeno. R i c e r c h e c o n isotopi (STETTEN e SALCEDO) h a n n o d i m o s t r a t o che il f. spesso n o n raccoglie il grasso a l i m e n t a r e e n t r a t o d i f r e s c o nel sangue, m a il m a t e r i a l e m o b i l i t a t o d a i depositi. E s s o c o n t i e n e a n c h e s e m p r e u n a p a r t e di sostanze « m a r c a t e » così p. es. d a l P 3 2 , c h e u t i l i z z a nella sintesi dei fosfolipoidi (CHAIKOFF e Coli., GOULD, ZILVERSMITH È Coli.). I n o l t r e i grassi e p a t i c i possono essere t r a s f o r m a t i in fosfolipoidi c o n la c o l l a b o r a z i o n e della colina e così resi idonei p e r u n r a p i d o t r a s p o r t o , in t a l m o d o è i m p e d i t o u n imm a g a z z i n a m e n t o di grasso n o n n a t u r a l e (sul ruolo della m e t i o n i n a v e d i sotto). L a r a p i d a distruzione dei grassi nel f. in c o n f r o n t o di altri o r g a n i p o r t a , d o p o /S-ossidazione p e r l a v i a d e l l ' a c i d o a c e t i c o a t t i v o e c o n d e n s a m e n t o dello stesso c o n acido ossalacetico, a d a c i d o citrico e q u i n d i a l l a s u a ulteriore e l a b o r a z i o n e (vedi t r a t t a t i di c h i m i c a fisiologica). I f e r m e n t i dell'ossidazione d e g l i acidi grassi e l a fosforilazione sono l o c a l i z z a t i p r e f e r i b i l m e n t e nei m i t o c o n d r i . Infine v i è u n a s t r e t t a relazione dell'elaborazione di grassi c o n l ' a c i d o ribonucleico i n t r a p l a s m a t i c o (vedi p a g . 80). N o r m a l m e n t e i l f. c o n t i e n e s e m p r e g r a s s o c h i m i c a m e n t e c i r c a n e l 2 fino a l 4 %
riconoscibile
(EGER), c h e p e r ò p e r l a m a g g i o r p a r t e n o n è r i c o n o -
scibile istologicamente: i fosfatidi f a v o r i s c o n o i n f a t t i u n l e g a m e dei grassi n e u t r i a i c o r p i p r o t e i c i d e l c i t o p l a s m a (HARTMANN, F R E I , STUNZI, ALMASY e HOLZACH, v e d i i n o l t r e p a g . 102). S o l t a n t o q u a n d o q u e s t o l e g a m e è s c i o l t o , p . es. n e l l a n o t a l i p o f a n e r o s i , i l g r a s s o n e u t r o p u ò e s s e r e d i m o s t r a t o la colorazione.
con
L ' a m m i s s i o n e di u n r a g g u a r d e v o l e c o n t e n u t o « n o r m a l e »
d i g r a s s o in f o r m a v i s i b i l e d i g o c c i o l e n e l l ' e p i t e l i o e p a t i c o i n c o n t r a m o l t o
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSl)
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scetticismo. Sul più ricco contenuto di grasso del f. dei lattanti riferiscono CLARA, DORKIN
e WEINBERG
come
DUCOMMUN-LEHMANN. N o n p u ò
tut-
tavia essere negato che nel quadro dell'ammesso ritmo nell'elaborazione dei grassi (HOLMGREN) nel f. degli adulti il grasso può essere visibile istologicamente in modo transitorio. Ciò avviene secondo SACHS in forma di singole gocce distribuite irregolarmente nei lobuli; secondo PFUHL, SCHILLER, OVERBECK nell'uomo in grosse gocce con preferenza nel centro lobulare nella zona peribiliare nell'epitelio del f. (vedi sotto). Tuttavia ogni quantità di grassi in eccesso che supera una misura minima deve essere indicata come non fisiologica. Con ciò è stato anche risposto alla domanda sulla funzione di immagazzinamento del grasso del fegato. Trascurando il contenuto di grasso stabile invisibile (a cui appartengono particolarmente anche lipoidi, vedi pag. 103) il f. non deve normalmente immagazzinare alcun grasso (SÙNDER, SACHS). Se tuttavia ciò avviene, ci sono già alterazioni nel meccanismo di degradazione e di trasporto. Tra il contenuto di grasso fisiologico e patologico, la vera degenerazione grassa del f., vi sono passaggi continui. Gli estremi sono l'organo istologicamente libero di grasso da un lato, il fegato grasso diffuso [totale), Hepar adiposum, lipomatosi o steatosi epatica, dall'altro. Comportamento macroscopico. — Il f. infiltrato di grasso è voluminoso e questo ingrossamento può essere molto rilevante. Il peso del f. può essere aumentato più del doppio. In un uomo di 29 anni con obesità generale di alto grado il f. pesava (secondo KAUFMANN) 4360 gr. (i testicoli ciascuno 15 gr., l'ipofisi era della grandezza del seme di una nocciola). Il parenchima riempie la capsula a superficie liscia come uno specchio, così fortemente tesa, che gli spigoli del f. sono resi ottusi. Il f. è pastoso, anelastico, le impressioni digitali si livellano soltanto lentamente o affatto; è fragile (questo implica una disposizione organica patologica, poiché si rompe facilmente in un trauma ottuso. KAUFMANN vide p. es. una emorragia mortale endoaddominale per rottura epatica multipla dopo caduta dal letto in un delirante da alcool senza lesioni esterne); esso è di peso specifico basso (e galleggia quindi sull'acqua). Il colore è pallido, giallo bruno, giallo burroso, o, se vi è una anemia simultanea, è di colore argilla « fegato grasso anemico ». Il fegato grasso è contemporaneamente iperemico, così il suo colore è giallo rosso, nella putrefazione più grave è poi spesso completamente rosso (torbido, rosso pallido). Il coltello si copre nel taglio di grasso, dalla superfìcie di taglio si vede uscire un succo denso, simile a panna, nel quale si vedono gocce di grasso. Nel f. totalmente grasso (che ha l'aspetto del fegato d'oca di Strasburgo) il disegno lobulare è confuso, perchè anche le parti centrali del lobulo sono piene di grasso, e i lobuli voluminosi sono così addossati che anche i limiti interlobulari del tessuto con dentro i rami portali altrimenti macroscopicamente visibili diventano completamente invisibili. Nella cosiddetta
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FEGATO
degenerazione grassa del f. (vedi sotto) l'organo è dapprima macroscopicamente ingrossato, più tardi rimpicciolito è floscio, molle, torbido al taglio, spesso senza evidente disegno acinoso, di colore giallo rosso, giallo grigio o giallo. L'ittero è contemporaneamente presente, così che si forma il fegato zafferano di colore oro scuro (hepar crocatum). Reperto microscopico. — L a singola cellula è molto ricca di grasso, e contemporaneamente il nucleo con un sottile orlo di protoplasma è spinto da un lato, una grossa goccia di grasso con un orlo scuro prende il luogo del protoplasma. Se la goccia è molto grande, la cellula è ancora più ingros-
Fig. 24. Steatosi epatica di alto grado in bambina di 10 mesi con grave distrofia. Peso del fegato gr. 820. (Aut. N. 34.501 dell'Istit. di Anat. e Istol. Patol. dell'Univ. di Milano).
sata. Nell'infiltrazione grassa molto più grave (fig. 25) può essere esercitata una pressione sulle cellule epatiche e sui capillari che t u t t a v i a impedisce stranamente poco la funzione del f. (RÒSSLE). Nella così detta degenerazione grassa (vedi sotto) si riconoscono spesso cellule epatiche ancora del tutto distinte, che contengono fini gocce di grasso molto rifrangenti; il protoplasma cellulare è torbido. Le cellule sono ingrossate, rigonfie. L e gocce di grasso possono essere diversamente grandi, in alcune affezioni lo sono particolarmente (p. es. nell'avvelenamento acuto da fosforo e da funghi), in altre piccole, quasi polverulente. L a presenza di goccie di grasso più grandi rende spesso non facile la distinzione dall'infiltrazione grassa semplice. L ' A . non ritiene la grandezza delle gocce un carattere distintivo fondamentale.
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E
SUE
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Nelle forme più gravi di d. g. la cellula si disfa completamente in un detrito di granuli grassi e proteici che si possono ben vedere in preparati per striscio. I nuclei sono distrutti per carioressi e cromatolisi (allora non sono più presenti capillari biliari, HOLMER). Gradi lievi di d. g. possono regredire. Le cellule epatiche completamente degenerate possono eventualmente essere sostituite in seguito a un processo rigenerativo. Secondo GHON nel f. grasso le fibre del reticolo possono essere assottigliate. In gradi lievi di degenerazione grassa possono talvolta più cellule ma talvolta singole cellule epatiche, completamente isolate le une dalle altre,
Fig. 25. Steatosi diffusa del f. Colorazione em. eos.
andare incontro alla cosiddetta « steatosi di singole cellule » (WOLFF, SACHS, OVERBECK, bibl. in SCHLICHT) oppure la deposizione predilige soprattutto tutte le cellule epatiche di determinate zone lobulari, e può essere allora riconoscibile anche ad occhio nudo, ma è particolarmente rilevabile ad un ingrandimento con lente. Si può distinguere una steatosi epatica centrale (ordinata a forma di anello intorno alle vene centrali) ed mia. periferica (in prossimità del tessuto di Glisson) (fig. 26). Macroscopicamente si vede sulla superfìcie di taglio un disegno acinoso molto distinto; nel deposito grasso periferico le parti più esterne dei lobuli, gialle e infiltrate di grasso, formano un evidente elegante reticolo che nelle sue maglie rinchiude parti più depresse, più scure, centrali e si solleva nettamente in confronto con quelle. Nell'iperemia da stasi i centri sono rossi.
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IL
FEGATO
La degenerazione grassa centrale del f., che secondo P R E I S S N E R si osserva nel 13,7 % dei casi correnti di autopsia permette di riconoscere isole gialle, rotonde sullo sfondo di un reticolo brunastro. Sono possibili combinazioni tra ambedue i tipi di degenerazione grassa; possono confluire in una degenerazione grassa totale. Un deposito grasso strettamente intermedio è raro nell'uomo. S U N D E R lo vide in un topo tenuto a digiuno, S C H L I C H T (Istituto dell'A.) con una certa regolarità in determinati stadi di inanizione pure nel topo. Sulle cause dell'eventuale localizzazione preferita
Fig. 26. Steatosi periferica del f. Sul margine superiore ed inferiore della fìg. tubercolo miliare. Colorazione Sudan III (nella fig. il grasso è colorato in nero).
vedi pag. 33 e sotto patogenesi. In taluni casi esiste un ordinamento delle parti infiltrate di grasso in forma di macule prominenti o di isole nodulari che si compongono di parti confinanti con gli spazi triangolari connettivali di lobuli adiacenti. Questo fegato grasso granulare può avere una certa rassomiglianza con la cirrosi (un f. grasso cirrotico è però duro). Secondo H A M P E R L esso corrisponde al territorio d'alimentazione di piccoli rami portali. Possono però anche formarsi nel dimagramento da un f. uniformemente grasso. Ad ingrandimento microscopico più forte diventa necessario secondo H E L L Y un ulteriore differenziamento della topografia intracellulare delle gocce grasse più piccole, e difatti egli distingue un deposito perivascolare (fig. 27), peribiliare, centrocellulare e diffusocellulare. Le singole grandi gocce non possono peraltro variare la loro
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posizione. WEGELIN (bibl.) vide relativamente frequenti gocce di grasso nei nuclei di cellule epatiche umane, il cui protoplasma era libero di grasso (immagazzinamento vicariante di grasso). Deve essere distinta da questo tipo la frequente degenerazione grassa delle cellule stellate di K u p f f e r riconoscibile soltanto istologicamente, che d'altra parte non procede parallela a quella delle cellule del f. (SCHILLING, W . FISCHER). L a patogenesi causale della steatosi del f. è molto varia e la spiegazione dei singoli casi diventa sempre più diffìcile con l'aumento delle co-
F i g . 27. Degenerazione grassa perivascolare (con preferenza dei centri lobulari, nella fig. t u t t a v i a non riconoscibili). Colorazione S u d a n I I I .
noscenze. Sarebbe troppo semplice, se ancora oggi ci si accontentasse della divisione classica di una steatosi saginativa, una steatosi retentiva e una steatosi regressiva. Questi concetti fondamentali possono t u t t a v i a avere ancora un valore non soltanto didattico, m a anche patogenetico come fattori singoli: la steatosi saginativa, l'infiltrazione grassa del f. (infiltratio adiposa hepatis) o fegato grasso devono semplicemente essere ascritti ad un apporto aumentato di grasso proveniente dal sangue (lipemia, vedi sotto) in cellule epatiche non danneggiate (critica a pag. 92). Non mi pare ancora dimostrato convincentemente se un aumento isolato della permeabilità della membrana cellulare ha un ruolo in questa o in altre forme di steatosi. Qui si può anche collegare l'infiltrazione grassa condizionata localmente nelle membrane ascessuali (sui lipoidi vedi sotto),
88
IL
FEGATO
che prima era ritenuta una « steatosi » da riassorbimento. Nella steatosi retentiva (degenerazione grassa retentiva) la cellula è parimenti sana, il grasso di deposito esogeno non è aumentato, ma la cellula epatica manca dei mezzi necessari per la distruzione del grasso (come ossigeno, ma anche glicogeno) oppure per la produzione di una forma regolare di trasporto rispettivamente per l'associazione istologicamente invisibile alle proteine cellulari (formazione di fosfatidi mediante colina o metionina). K E T T L E R deduce dalla comparazione dell'azione della colina e del corormone che ambedue i concetti dell'infiltrazione grassa e della ritenzione siano ancora fondati. Nella steatosi regressiva, che corrisponde all'incirca alla steatosi degenerativa di prima tuttavia non nel senso di una trasformazione diretta della proteina in grasso —• manca parimenti un aumentato apporto di grasso. Invece la cellula epatica stessa è danneggiata direttamente nel suo corredo di fermenti (con il risultato di un rallentato catabolismo) o nella sua capacità di legami fisico-chimici (diminuzione del limite di solubilità e quindi liberazione di grasso prima invisibilmente legato). Sopra si è già brevemente ricordato che la grandezza delle gocce non gioca più parte decisiva per differenziare una steatosi ancora nei limiti fisiologici, da una forma tipicamente degenerativa. K A U F M A N N ha stabilito come segue le caratteristiche morfologiche fra la forma infiltrativa e quella regressiva. Nella forma infiltrativa il volume e la consistenza del fegato aumentano mentre in quella regressiva nelle fasi iniziali, il viscere è ingrossato per diminuire poi progressivamente di volume in rapporto all'età del processo. Il fegato diventa inoltre sempre più molle ed alla superficie di taglio si presenta di aspetto torbido senza un evidente disegno della struttura lobulare. Se dalla sezione di taglio di un fegato infiltrato di grasso si allontana quest'ultimo (ad esempio con alcool od etere), al posto del grasso rimane un sistema di epatociti intimamente connessi tra loro e perforati da vacuoli. Invece, sottoponendo allo stesso trattamento un fegato in forte steatosi degenerativa (fegato da fosforo di 10-14 giorni, fegato della atrofia rossa, ecc.), si riscontra una estesa distruzione degli epatociti e scomparsa del disegno. Questa suddivisione non soddisfa però completamente. Si consideri inoltre il fatto che, in pratica, il meccanismo della steatosi, in ogni singolo caso, non è facilmente valutabile come, ad esempio, nella « degenerazione grassa infiltrativa» ( F I B I G E R , H E R X H E I M E R , H U E B S C H M A N N ) , e nell'avvelenamento da fosforo (vedasi sotto); trattasi certamente di una combinazione di due o più fattori; in un processo così complesso appare inoltre degno di considerazione l'intervento di influssi umorali e nervosi, nella funzione coordinata di tutti gli organi (riassunto in K E T T L E R ) . Si consiglia perciò di attenersi ad una semplice classificazione della steatosi del fegato a seconda delle singole cause. In questo processo si dovrebbe anche ammettere un frequente intreccio di più fattori, come ad esempio nel fegato grasso dell'alcoolista o del tubercolotico (vedasi sotto).
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1. Ancora completamente sconosciuta è la natura della influenza che possono avere gli ormoni e il sistema nervoso centrale sul ricambio dei grassi nel fegato. Alcune ghiandole endocrine possono esercitare un influsso sul metabolismo dei grassi nel fegato: tiroide (nel Basedow): (RÖSSLE, HABAN, BANSI,
GIRAUD,
LEVY
e
LATOUR,
si v e d a
inoltre
WEGELIN,
FEDERLIN), ipofisi (RAAB, BEST e CAMPBELL,
ROOSEN-RUNGE,
ENNOR
e
SINGER,
SHAFFER,
M A C K A Y e BARNES,
FRAENKEL-CONRAT
e
LI,
LEVIN
e
FARBER), surreni (BERMAN, SYLVESTER, H A Y e SELYE), g h i a n d o l e sessuali
(steatosi del fegato nel climaterio, nella castrazione, nella distrofìa adiposo genitale, in gravidanza e durante trattamenti con estrogeni: RÖSSLE, H E Y N E M A N N , S E L Y E , STÖRTEBECKER, SZEGO e ROBERTS, D E SMET).
Ancora
non è stata data una risposta definitiva al quesito relativo alla precisa natura di quei fattori cui si deve attribuire la steatosi epatica nei casi di esclusione pancreatica, anche nella fibrosi cistica congenita del pancreas (GLOOR
e
HARMS,
MÄDER,
WERTHEMANN,
bibl.)
(Lipocaic?: DRAGSTEDT,
CANEPA, TANTURI
e BANFI,
BRUUN,
Vagotonina?:
SANTENOISE,
ALBOT,
GROGNOT,
e
SANTENOISE,
ALBOT,
BAMBERGER,
THEVENOT,
V.
PROHASKA
DAM e
VIDACOVITCH, COTLENKO,
e
SCHILLING, CORTEVILLE GROGNOT
e
THEVENOT, mancanza di tripsina? ROSSI e SERVELLO, altra bibl. in: HERSHEY
e
SOSKIN,
CHAIKOFF
e
CONNOR
ed
altri,
riassunto
in
KETTLER).
VAL'DES ha cercato di dimostrare sperimentalmente i rapporti fra steatosi del fegato e sistema nervoso centrale, KRAUS ha osservato steatosi del fegato in casi di aumentata pressione cerebrale, confr. anche PREISSNER. Importante è la conoscenza dell'influsso che possono esercitare le interruzioni del midollo spinale sulla genesi della steatosi ipossiemica del fegato (WERTHEIMER, ROSIN) e così pure la comparsa di una steatosi del fegato di origine centrale nella catatonia (GAUPP); però in questi casi devesi pensare anche ad un influsso esercitato da alimentazione alterata (malati di mente!). 2. Spesso deve valere come causa di una steatosi del fegato la mancanza 0 deficienza di ossigeno. Essa si accompagna ad una incompleta combustione dei grassi, ad una steatosi da ritenzione e presentasi per lo più in forma di una ipossiemia. Questa compare nei casi di prolungato soggiorno ad altezze elevate (CHIODI e SAMMARTINO) e si può anche facilmente riprodurre con l'ipopressione ricercatori
sperimentale
moderni:
ROSIN,
(LEWINSTEIN, 1896, VON SCHROETTER LUFT,
ULRICH,
SCHLICHT,
BÜCHNER).
1902; Sono
sufficienti pochi gradi di abbassamento della pressione atmosferica (per esempio da 240 a 360 mm. di mercurio per le cavie; da 140 fino a 270 mm. di mercurio nei topi che sono più resistenti: SCHLICHT). L a degenerazione grassa ipossiemica del fegato si osserva inoltre nelle anemie gravi (fegato grasso anemico, vedasi a pag. 189), specialmente nella anemia di Biermer (perniciosa) che ora è rara, ma anche in quelle di altra natura (nella clorosi; nelle emorragie; pure nella sifilide, nella sepsi, nella cachessia can6*
—
KAUFMANN
II,
p.
Il
9°
IL FEGATO
cerigna, nell'età avanzata, nelle infiammazioni croniche catarrali dell'intestino: RÒSSLE; non è rara la combinazione con la stasi), anche in casi di protratto avvelenamento con ossido di carbonio. L a conseguenza più frequente è una steatosi centrolobulare e perivascolare poiché proprio in quella regione, esiste il maggior bisogno di ossigeno nei casi di insufficiente saturazione ematica di ossigeno (RÓSSLE). Macroscopicamente nel fegato si vedono piccole macchie di color giallo zolfo non rilevate e distribuite a distanza regolare, che rappresentano le regioni centrolobulari, di colore bruno chiaro per infiltrazione di pigmento ematico. Però la spiegazione patogenetica non è così semplice poiché VON SCHROETTER nelle cavie e SCHLICHT nei topi, hanno osservato anche steatosi periferiche. Sicuramente intervengono anche alterazioni secondarie della circolazione sanguigna, come confermato anche dagli esperimenti di ROSIN (sezioni del midollo spinale) e di LOEWY (trattamento con decolin). L a steatosi del fegato a noce moscata, che circonda a mo' di anello la necrosi o l'atrofia centrolobulare in cui i centri sono macroscopicamente situati più profondamente, di colore rosso bruno cupo, intimamente connessi uno con l'altro, è ugualmente condizionata a una ipossiemia e senza dubbio è anche una conseguenza indiretta di una insufficienza cardiaca (stasi, vedasi pag. 179). PREISSNER ha indagato varie combinazioni delle diverse forme di degenerazione grassa ipossiemica del fegato con quella cardiaca. Con il termine di « infarto adiposo del fegato » si designa una steatosi localizzata che è correlata ad alterazioni di circolo (specialmente in vicinanza del legamento falciforme del fegato: BENEKE,
CESARIS DEMEL, BALLI,
HAMPERL,
FALK). Le ipossiemie intracellulari sono per lo più conseguenza di una intossicazione dei fermenti, di cui si farà cenno più avanti al punto n. 4. 3. L a steatosi del fegato è frequentemente di origine alimentare. L a nozione classica della esistenza di una pura infiltrazione grassa non può più considerarsi valida. E vero che una dieta ricca di carboidrati può ritenersi un fattore patogenetico importante, secondo il paragone usato volentieri da KAUFMANN con le oche di Strasburgo le quali vengono « ingrassate » con una dieta ricca di carboidrati e costrette a movimenti molto l i m i t a t i (FLOCK, BOLLMAN, HESTER e MANN), p e r ò a t t u a l m e n t e n o i d o b -
biamo porre in primo piano anche la mancanza di fattori lipotropi (vedasi sotto). Certamente anche la « semplice » lipemia (la quale per altro si accompagna sempre ad una ipercolesterinemia) è in grado di determinare un deposito di grassi non solo nelle cellule stellate di Kupffer, ma pure negli epatociti specie alla periferia dei lobuli (ITO e NEMOTO vorrebbero tener separate dalle cellule di Sternberg speciali «cellule grassose»). Ciò può valere in egual modo nella lipemia di origine alimentare in senso stretto sia nell'adiposità come nella lipemia da fame. Non esiste alcun parallelismo fra contenuto di grasso del fegato e stato della nutrizione; ad esempio ad ogni aumento del grasso corporeo (adiposità, obesità) non si accompagna
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gì
necessariamente un fegato grasso. Sulla steatosi del fegato da fame riferiscono
CONNOR,
UEHLINGER;
HADFIELD
e GARROD, DIBLE, nelle
condi-
zioni di digiuno si verifica un aumento della mobilizzazione del grasso dai suoi depositi. Così nella cachessia si può osservare il « fegato grasso cachettico ». Numerosi A A . hanno studiato la conseguenza del digiuno acuto nei topi
(SÙNDER, HODGE, MACLACHLAN, BLOOR, W E L C H , KORNBERG e F A L -
KENHEIM). SCHLICHT ha riscontrato in tal caso un andamento a onde del contenuto grasso epatico istologicamente dimostrabile e legato pure ad una variazione dei tipi di steatosi. Inoltre nella inanizione si riscontra un aumento della steatosi delle singole cellule, come già citato a pag. 85 (SCHLICHT) . Altre forme di iperlipemia possono portare ad identici risultati specie nelle cellule stellate, come in determinate nefrosi, nella gravidanza, nel salasso e specialmente nel diabete mellito (dettagli in MIROUZE). Secondo RÒSSLE nelle cellule stellate il contenuto di grasso aumenta a tal punto da costituire un quadro caratteristico del diabete; KAWAMURA ha riscontrato in un caso grasso birifrangente (steatosi colesterinica). A proposito della lipemia tossica vedasi sotto. L a scoperta dei cosiddetti fattori lipotropi nell'anno 1932, ha portato un importante contributo al problema della patogenesi della steatosi del fegato di origine alimentare, da lungo tempo stagnante. Secondo BEST sotto tale nome si comprendono sostanze completamente diverse fra loro e distinte per struttura chimica, le quali sono capaci di impedire un eccessivo deposito di grasso nel fegato oppure di accelerarne l'allontanamento da quest'ultimo. Poiché molte di queste sostanze hanno il potere di impedire anche più gravi alterazioni epatiche (come per esempio le necrosi, vedasi a pag. 36 e segg.), si parla anche volentieri di « sostanze epatoprotettive » (KL. SCHWARZ), epatotrope (BECKMANN) O necrotrope (EGER). Da lungo tempo è nota la spiccata attività della colina che per prima fu provata nel fegato grasso da fosforo (BEST, MACLEAN e RIDOUT) e
da
tetracloruro
di
carbonio
(BARRETT,
BEST,
MACLEAN
e
RIDOUT).
Uguali attività lipotrope mostra pure la metionina (TUCKER e ECKSTEIN, 1937,
PENDL e
WEINMANN).
L'attività lipotropa della colina consiste nel suo potere stimolante la sintesi dei fosfolipidi (specialmente della lecitina) nella cellula epatica (HORNING e ECKSTEIN, ZILVERSMITH, ENTEMAN e CHAIKOFF). S o t t o l a s u a
azione viene accelerato il trasporto dei grassi neutri dal fegato (BEST, C A Y E R e CORNATZER, POLLI e R A T T I , EMMRICH e PETZOLD). L a
metionina
agisce quale fornitore di gruppi metilici nella sintesi della colina; essa ha dunque il potere di compensare una insufficienza di colina di origine alimentare attraverso la neoformazione di colina. Altri fattori lipotropi sono la cistina, la caseina (BEST e HUNTSMAN), il levulosio (REMY), l'inosite, la b e t a i n a (HARTMANN), l a x a n t i n a (CALDER), l a l e c i t i n a (HERSHEY e SOSKIN),
92
IL
FEGATO
la piridoxina, la riboflavina e così pure il tocoferolo e forse anche la eparina (per le vitamine vedasi sotto). Se pertanto è accertato che tutte queste sostanze hanno la possibilità di prevenire o di guarire determinate forme patologiche di steatosi epatica si dovette presto costatare che molti casi di fegato grasso « alimentare » sono principalmente determinati da una deficienza cronica delle stesse s o s t a n z e ( B E S T e H U N T S M A N , HIMSWORTH e G L Y N N , MOSCHCOWITZ, CHRISTENSEN
e AZZOUNI, W A H I ,
HARTROFT,
SCHAFFNER
e POPPER).
Questo
fatto ci chiarisce oggi l'azione del tutto comune di una alimentazione povera di proteine e ricca di carboidrati durante il periodo bellico e postbellico, in paesi coloniali e pure nella dieta farinacea dei lattanti. F u presto confermato con l'esperimento il valore di una insufficienza cronica di colina
( B E S T e H U N T S M A N , G L Y N N , HIMSWORTH e
LINDAN),
di c a s e i n a (STAUB, VIOLLIER e WERTHEMANN, DEMEULENAERE), di m e t i o -
nina (CHAIKOFF e Coli.) e di tocoferolo. Nelle diete ipoproteiche BEST, HARTROFT e RIDOUT hanno osservato in modo interessante una degenerazione grassa periportale; per contro nel deficit di colina hanno trovato un accumulo di grasso primitivamente centrale. In caso di mancanza di fattori lipotropi, negli esperimenti sugli animali, possono presentarsi spesso quadri istologici che nell'uomo solo raramente si riscontrano (l'Autore li ha visti, nel materiale autoptico, soltanto una volta): HARTROFT li definisce come « lipodiastaemata » e li pone fra le « lipoepatosi intracellulari ». Per la rottura delle cellule epatiche, stipate di grasso, si verifica la formazione di grosse cisti grassose. Riuscirà ora comprensibile anche l'importanza di una insufficienza di determinate vitamine per la genesi di una steatosi epatica, specialmente di vitamina E (KL. SCHWARZ, RASO, degenerazione grassa centrale del lobulo: CHEVREL, BELTAN e CORMIER) e così pure del complesso
vit-B2
(DEMEULENAERE;
DERER
e HRUBISKO,
GYORGY
e
GOLDBLATT). Pure noto è l'effetto di una mancanza di riboflavina (ALBREGGIANI), e la steatosi aniacinica (I) del fegato nella pellagra (MAINZER): L a vitamina A (QUERNER) e la vitamina C (TERBRÜGGEN) sono anche importanti nel quadro della steatosi del fegato. Non solo il mancante o insufficiente apporto vitaminico con gli alimenti, m a pure le diarree croniche possono condurre ad un deficit di fattori lipotropi (colite cronica ulcerosa —
JONES, d i a r r e a i n f a n t i l e —
TAYLOR, POWELL e WRIGHT, W A I N -
WRIGHT). Dobbiamo solo brevemente ricordare che esistono i cosiddetti fattori antilipotropi (BEST) ai quali appartengono, per esempio, la coles t e r i n a (SCHETTLER) e l a e r g o s t e r i n a ( H A E N D E L e M A L E T ) . B E S T , CHANNON
e RIDOUT hanno infatti potuto realizzare, con una alimentazione colesterinica, una degenerazione grassa del fegato; iniezioni intraperitoneali di eparina possono ostacolarla (MENG e DAVIS).
(I) [La Niacina è la v i t a m i n a P P , anti-pellagra. N. d. T.].
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(EPATOSl)
93
Sarebbe prematuro ammettere che oggi si conoscano tutti i fattori lipotropi e rispettivamente che ogni steatosi epatica, di origine alimentare, debba essere ricondotta ad un loro deficit. Esistono però ricerche sperimentali e osservazioni cliniche le quali non dimostrarono la sicura esistenza di r a p p o r t i con i f a t t o r i l i p o t r o p i
(SHILS, FRIEDLAND e STEWART: ali-
mentazione con grano); (NICOL: fegato grasso nella razza nigeriana anche nei r i c c h i m e r c a n t i ; GUALANDI, GIBERTINI, SQUADRINI e MARCON: l a p r e -
senza nella colelitiasi di una steatosi epatica, resistente ai fattori lipotropi). Si pensa così piuttosto ad un fattore ancora sconosciuto il quale «È legato alle proteine» (NICOL). Significativo interesse, sotto questo punto di vista, presenta il cosidetto « Kwashiorkor » della letteratura angloamericana, una malattia che si accompagna a gradi estremi di steatosi epatica. Forme atipiche (formes frustes) vengono anche designate con i termini di « nutritional dystrophy », « tropical (o: malignant) malnutrition », « fatty liver diseases of children », « distrofia policarencial hidropigenica» (Brasile) o «maladie oedémateuse du sevrage» (Marocco). L a denominazione di « pellagra infantile » non trova consenso unanime. L a malattia viene osservata soprattutto nelle regioni tropicali, così nell'Africa equatoriale
(WILLIAMS,
in q u e l l a m e r i d i o n a l e
1933,
TROWELL,
AUFFRET
e TANGUY,
(GILLMAN e GILLMAN), o c c i d e n t a l e
DAVIES),
(SENECAL, CA-
MAIN e HOUSSIAUX) e pure nel nord Africa (Marocco: DELON), si riscontra inoltre nelle Indie, a Ceylon (JAGASAHERA, mentre COORAY e PANABOKKE non sono di parere contrario), nel Pacifico occidentale (MANSOR-BAHR, STRANSKY
e
PESIGAN),
nella
Giamaica
(WATERLOW,
BRAS,
JELLIFFE
e
STUART) e finalmente nel Brasile e nel Cile (dettagli in TROWELL e DAVIES). Sono colpiti specialmente i bambini da 1 a 5 anni di età (con punte massime nel secondo anno di vita), spesso dopo il divezzamento. L a malattia si accompagna sempre a gradi estremi di iponutrizione, specie un deficit di proteine e di vitamina B. Il K w . assomiglia per alcuni caratteri alla malattia da alimentazione con farinacei della pediatria tedesca; presenta però, in più, altri sintomi. L a sindrome tipica del K w . consiste in ipoproteinemia, edemi e abnorme pigmentazione della cute (con desquamazione e lieve sudorazione: «the grazy pavement dermatosis »); inoltre si aggiungono distrofia fino al marasma, ipotonia, debolezza della muscolatura, stomatite, glossite, diarrea ed anemia. Trovasi sempre un fegato grasso grave (con partecipazione prevalente dei centri lobulari). Esiste inoltre, occasionalmente, atrofia (e fibrosi) del pancreas (TROWELL, WATERLOW, B R A S , JELLIFFE e STUART). D A V I E S r i t i e n e c h e il p u n t o
centrale
della malattia consiste in una atrofia selettiva delle ghiandole che producono fermenti (pancreas, ghiandole dell'intestino tenue, salivari, lacrimali). L a fibrosi della periferia dei lobuli non è rara. Il K w . ha in comune con altre steatosi croniche del fegato l'esito in cirrosi (vedasi a Pag- 325)-
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FEGATO
4. Estremamente varie sono le possibilità di una origine tossica della steatosi del fegato: ad esempio essa può derivare da una intera serie di sostanze inorganiche. Appartengono a questo gruppo i metalli come il manganese (LAIRD), l'antimonio, il bismuto (HEINLEIN, POPPER), lo zinco UNGAR e BODLANDER), il piombo
(LEICHER) e i m e t a l l o i d i arsenico
CHHORST, H A N S E R , L A I R D , S T O E B E R , V A L ' D E S , L E I N B R O C K e P E T E R S )
(Eied
il fosforo. Sull'azione di questo sono già state dette le nozioni fondamentali a pag. 51; qui vogliamo solo menzionarle per approfondire il sopracitato concetto della « degenerazione grassa infìltrativa ». LEBEDEFF, ROSENFELD (vedasi anche SCHWALBE, WUTTING) ritengono infatti di aver dimostrato nel fegato grasso sperimentale da fosforo (e pure da fiorizina) una migrazione del grasso dai depositi nel sangue ed una mobilitazione del grasso alimentare verso il fegato con secondario deposito in quest'ultimo. Si presenta qui un tipico esempio di una lipemia tossica (vedasi sopra). Ci si chiede però se il punto di fusione diverso basti da solo a caratterizzare diversi tipi di grasso. E. PETRI ha pure dimostrato che il grasso del fegato umano da fosforo (e dell'atrofìa acuta), non è costituito da un sol tipo ma, al contrario, da una miscela di grassi neutri e di lipoidi. Nella infiltrazione grassa degenerativa non è possibile ammettere che trattisi di semplice infiltrazione poiché in diversi casi si è dimostrato effettivamente che anche la cellula stessa è lesa. L a degenerazione grassa del fegato non è rara nei casi di avvelenamento da vapori di acido nitrosonitrico (SCHULTZBRAUNS,
TROISI).
Anche numerose sostanze organiche possono in determinate condizioni portare ad una degenerazione grassa del fegato, così ad esempio benzina (KLEIN), cloralio,
iodoformio
(KAUFMANN), tricloroetilene
(GRABER, ROB-
BERS e RUMELIN), preparati a base di D D T , etionina, una sostanza con struttura simile alla metionina, o acido alfa-amino-gamma-etil-tiobutirrico
(JENSEN,
CHAIKOFF
BECKER), pirrolo (DOETSCH),
aminotiazolo
e
(POPPER),
dicumarolo
TARVER,
allossana
KOCH-WESER,
FARBER
(SCOPINARO
e PENDE),
(SCHOEN, T I S C H E N D O R F
(TINACCI e IGNESTI), pentothal
e WEPLER,
(KORNER),
e V.
POPPER,
tiouracile KAULLA),
2-3-ditiopropanolo
(MACNIDER), morfina e codeina (GERCHOW e PRIBILLA), caffeina negli animali gravidi (STIEVE), olio di chenopodio (MELE). Di significato pratico notevole è il cloroformio, su questo vedasi HANSÉR, LOEFFLER, BLACKS C H A F F E R , JOHNSON e G O B B E L , L U S H B A U G H e S T O R E R , T A N T U R I ,
MILLER,
ROSS e WHIPPLE, così p u r e HERXHEIMER e THÒLLDTE che riferiscono n u o v e
comunicazioni. Dopo prolungate e ripetute aspirazioni di cloroformio si verificano nei centri dei lobuli necrosi e formazione di detriti cellulari, alla periferia del lobulo invece una degenerazione grassa di alto grado (BOCK, bibl., HERXHEIMER, bibl.), intimamente connessa con una degenerazione grassa del miocardio, degli epiteli della corteccia renale e dell'intima dell'aorta (si veda a pag. 39). Il cloroformio è superato, per quanto
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E
SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSl)
95
riguarda attività nociva, dal tetracloruro di carbonio il quale, già secondo le dosi (si veda a pag. 36 sotto la voce necrosi) può determinare anche g r a v i degenerazioni grasse del f e g a t o (BARRETT, BEST, MCLEAN e RIDOUT)
come pure l'avvelenamento fungino, specialmente da amanita phalloides (si veda a pag. 55), inoltre HANSER, VITERBO. Interessanti ricerche sperimentali sono state condotte con falloidina da VOGT; sono stati dimostrati, accanto a gradi elevati di degenerazione grassa, anche vacuoli (vedasi a pag. 66). Ancora non diminuito interesse suscita l'alcool etilico per quanto concerne la genesi della degenerazione grassa massiva del fegato (RÒSSLE, CONNOR,
CACHERA
e
LAMOTTE,
CACHERA,
LAMOTTE
e
TUBIANA),
che,
secondo DIETRICH, in parte contiene ancora colesterina. La sua patogenesi però non è ancora perfettamente chiarita. Una diretta azione tossica dell'alcool non viene concordemente ammessa da tutti, per lo meno quale causa unica. L a causa fondamentale viene per lo più attribuita al fatto che il bevitore è incline a nutrirsi con una dieta povera di proteine e di vitamina B
(CONNOR, G Y O R G Y e G O L D B L A T T , R U Y T E R S e N I Z E T ,
WITTS),
e così si pensa ad una insufficienza di colina (GIRARD, PLAUCHU e LOISY), tanto più che la metionina riduce il fegato grasso. Nel bevitore può certamente insorgere la degenerazione grassa del fegato anche se l'alimentazione è r i c c a di p r o t e i n e (CHAIKOFF, ENTEMAN, GILLMAN e CONNOR). D o b b i a m o
perciò riconoscere un'azione immediata dell'alcool (si veda pure MALLOV, LILLIE, DAFT e SEBRELL), la quale in parte è di natura tossica (con azione inibente la degradazione del grasso), in parte spiegabile in maniera indiretta attraverso l'apporto di forti quantità di idrati di carbonio facilmente digeribili (nei bevitori di birra) o, in particolare, nei bevitori di acquavite, attraverso l'azione più pura dell'alcool (EGER, KAUFMANN). In questo senso depone anche il fatto che il fegato grasso alcoolico può rimanere invariato per anni (KAUFMANN) solo quando si è « bevuto » senza interruzione. Questo fatto è stato recentemente confermato anche biopticamente (CACHERA, LAMOTTE e LAMOTTE-BARILLON). È s o r p r e n d e n t e c h e i p a z i e n t i
n o n s o f f r a n o d i a l c u n d i s t u r b o (CACHERA, LAMOTTE e TUBIANA, ULEVITCH,
GALL, ABERNATHY e SCHIFF) ; le prove cliniche di « funzionalità epatica » r i s u l t a n o n e g a t i v e (CACHERA e Coli.; K A L K , WIGAND, WILDHIRT, GIRARD,
PLAUCH e LOISY, POPPER e Coli.). Ciò è pure documentato praticamente d a l l a m a n c a n z a di d a n n o istologico (ROSSLE, CACHERA, LAMOTTE e DARNIS).
Con la sospensione dell'alcool la degenerazione grassa epatica regredisce molto rapidamente
(SEIFE, KESSLER, LISA, SCUDERO e R u i z ) . P e r a l t r o
se l'abuso di alcool viene protratto il fegato grasso può gradualmente e v o l v e r e in u n a cirrosi g r a s s a (KAUFMANN, CACHERA, LAMOTTE e DARNIS, A L B O T . D U P U Y , HERMAN e CORTEVILLE, p e r il r e s t o v e d a s i a p a g .
323).
Purtroppo anche alcuni dei chemioterapici e rispettivamente antibiotici che si sono diffusi in questi ultimi tempi, possono manifestare azioni
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IL
FEGATO
collaterali non gradite e provocare fra l'altro una degenerazione grassa del fegato: così il sulfatiazolo (UHLACH), ma specialmente il conteben (TBI/6g8, B Ö H M , SCHMIDT e H A H N , H E I N E , K A L K , B Ö H L K E e H E N K E L , E M M R I C H e
PETZOLD). Molto si discute sulla azione concorrente che può esercitare la tubercolosi polmonare nella genesi della steatosi epatica (si veda anche THOM,
HORLEIN,
OLDERSHAUSEN,
LOFITZKI).
Attualmente
una azione « epatospecifìca », della aureomicina LEPPER,
ZIMMERMAN,
LEPPER,
WOLFE,
CARROLL,
ZIMMERMAN,
CALDWELL, CALDWELL,
si
parla
di
(FALOON, NOLL e PRIOR,
SPIES, SPIES
e
WOLFE
e
DOWLING,
DOWLING,
SAINT
e
JOSKE, YESNER e KUNKEL). Dobbiamo finalmente citare i fattori di natura infettivo-tossica; si trovano steatosi epatiche di grado molto marcato con la compartecipazione contemporanea delle cellule stellate di Kupffer spesso a u m e n t a t e di n u m e r o (SCHILLING, bibl.; v . PLATEN, ASCH, G . KOCH)
— nella piemia, sepsi, tifo addominale, vaiuolo, avvelenamento da carne, da molluschi guasti e nel botulismo, nella erisipela (HILDEBRANDT, KAUFMANN), nella peritonite (GHON), inoltre nella dissenteria (HOLT), nella « intossicazione dei lattanti (pure nella malattia di Winkel, si veda STAEMMLER, v o i .
I/I, pag.
124), n e l l a d i f t e r i t e
(DIECKHOFF
e
LAURENTIUS).
Frequentissima è la steatosi epatica massiva nella tubercolosi grave (FEGITZ e MONACO, KIENLE e KNÜCHEL), s p e c i a l m e n t e nello s t a d i o c a c h e t t i c o
terminale di una tisi polmonare cavernosa con tubercolosi intestinale florida, ma anche nella tubercolosi miliare e nella meningite tubercolare. SAPHIR trova nel 34 % di tutti i tubercolotici una steatosi epatica; GIRARD, PLAUCHU e LOISY in 26 a 42 % dei loro casi. In questo meccanismo patogenetico intervengono certamente diversi fattori che si completano a vicenda: interviene anche l'anemia grave. Secondo KAUFMANN la stasi nelle vene epatiche, sempre presente nei casi di grave tubercolosi polmonare esercita un'azione che favorisce il ristagno del grasso nelle cellule epatiche, sebbene nella tubercolosi, pur mancando l'iperemia passiva, il fegato presenta sempre una steatosi (SPRING). Sono inoltre importanti influssi legati alla nutrizione, come la mobilizzazione del grasso dai depositi della cute in casi di apporto calorico inferiore al normale (GIRARD, PLAUCHU e LOISY). L a iponutrizione dei tubercolotici è stata messa in e v i d e n z a d a SEIFE, KESSLER, HOFFMAN e LISA. O g g i nella
tubercolosi
intestinale dobbiamo tenere in debito conto il deficit di fattori lipotropi, dovuto ai disturbi di assorbimento. Secondo HUEBSCHMANN spesso potrebbe avere una notevole importanza, nella genesi del fegato grasso del tisico, anche un eccessivo apporto di grasso con l'alimentazione. Secondo moderne ricerche non può essere sottovalutato in alcun modo l'influsso tossico dei bacilli tubercolari, anche se uccisi (DOMAGK, OFFE e SIEFKEN). Tale azione tossica può determinare la steatosi epatica dei tubercolotici attraverso un unico meccanismo patogenetico al di fuori dell'intervento di conteben o altri medicamenti (vedasi sopra).
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SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSl)
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Proprio nella degenerazione grassa del fegato di natura tossica è sempre interessante stabilire perché, accanto al frequente e diffuso fegato grasso, vengano osservate in parecchi casi, degenerazioni grasse centrolobulari, mentre in altri solamente periferiche. Ben poco ciò dipende dal tipo dei tossici. In più OVERBECK potè dimostrare che la intensità dell'azione tossica è determinante per la localizzazione del grasso nei lobuli; una scarsa quantità di sostanze debolmente tossiche induce una degenerazione grassa centrale, mentre maggiori quantità di sostanze fortemente tossiche ne determinano una di tipo periferico. Una spiegazione convincente di questo comportamento non è ancora stata data (ALTMANN ha cercato di dare una spiegazione). La steatosi del fegato centrale è dunque o normale (vedi sopra) o ipossiemica, ma può anche essere condizionata ad una intossicazione lieve; la prima forma occupa una posizione peribiliare, le ultime due però sono peri vascolari. 5. Oltre a questi quattro grandi gruppi di degenerazioni grasse del fegato che abbiamo presentato esistono solo molto raramente altri tipi, che sono di scarso significato. Così dopo una parziale epatectomia che lasci circa il 33 % di parenchima si vede comparire una infiltrazione grassa (vedasi a pag. 379) (LUDEWIG, MINOR e HORTENSTINE, STOWELL). Il grasso neutro scompare di nuovo da sé dopo circa 10 giorni (EMMRICH e PETZOLD). Manca pure di una spiegazione patogenetica la steatosi epatica che compare nel fegato dopo trattamento con raggi Rontgen (per esempio nei topi sopravvissuti per circa 40 giorni, dopo 50 r/giorno: CHEVALLIER, BURG e SPEHLER; si veda anche ELLINGER, SCHREIER). Molto uniforme è l'esito di tutte le degenerazioni grasse del fegato anche se determinate da cause diverse (vedasi pag. 87 e seg.) in quanto non si attua una definitiva distruzione del tessuto come nella « atrofia gialla acuta », attraverso gravi e simultanee alterazioni (fegato grasso degenerativo). La steatosi può così rimanere per lunghi anni inalterata, senza che si osservino evidenti lesioni funzionali (vedasi sopra). Quando la causa determinante cessa, il contenuto di grasso del fegato spesso rapidamente regredisce. D'altra parte il fegato grasso in molti casi (ma non sempre: DIBI.E) può trasformarsi gradatamente in una cirrosi grassa (vedasi a pag. 319).
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DEL
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(EPATOSL)
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I02
IL
FEGATO
CAPITOLO
VII
RICAMBIO DEI LIPOIDI È noto da tempo che il fegato giuoca una parte importante anche nel ricambio dei lipoidi (compresa la colesterina). Però la morfologia di fronte alla chimica fisiologica in questo campo è piuttosto insufficiente, poiché i lipoidi o sfuggono alle ricerche istologiche con le colorazioni di routine oppure non vengono differenziati dai trigliceridi. Questi ultimi possono perfino legarsi alle proteine e con ciò, a causa dello stato colloidale e idrofilo, morfologicamente mascherare i lipoidi ( F R E Í , S T Ü N Z I , A L M A S Y e H O L Z A C H , H A R T M A N N e F L E C K ) . Le colorazioni speciali per i lipoidi, acidi grassi e simili ( B E N D A - F I S C H L E R , C I A C C I O , S C H U L T Z E , F E Y R T E R , S M I T H - D I E T R I C H , colorazione con solfato di bleu nilo) non sono per nulla specifiche e inoltre incostanti (KAUFMANN e LEHMANN). Un progresso in questo campo è rappresentato perciò, senza dubbio, dalle ricerche di F E Y R T E R sulle granulazioni lipoidee cromotrope delle cellule epatiche le quali, con la colorazione per inclusione alla tionina, assumono un colore da rosa-rosso fino a rosso (con la colorazione per inclusione con il cresil-echt-violett in bleu). F E Y R T E R considera tali inclusioni citoplasmatiche come lipoidi puri (fosfatidi? cerebrosidi? gangliosidi?), che potrebbero essere giunti al fegato attraverso la via ematica per un aumentato apporto al fegato di sostanze da distruzione organica. I lipoidi sono elaborati principalmente nel fegato: questo rappresenta così la sede della normale sintesi della colesterina ( S C H E T T L E R , B U R G E R ) , inoltre di fosfolipidi ( E N T E N M A N , C H A I K O F F e Z I L V E R S M I T H ) , che sono poi immessi nel plasma sanguigno. Parimenti il fegato regola il livello della colesterina ematica. Il fosforo radioattivo è un mezzo adatto per studiare il ricambio fosfolipidico del fegato ( P E R L M A N , S T I L L M A N e C H A I K O F F , E N T E N M A N , C H A I K O F F e Z I L V E R S M I T H , F A S S B E N D E R ) . Esso forma così, dopo somministrazione di P 32 , fosfolipidi ( C H A I K O F F e Coli., Z I L V E R S M I T H e Coli.); dopo iniezione endovenosa rapidamente migrano nel fegato molecole fosfolipidiche marcate con P 32 (GOULD). La colina rappresenta un materiale importante per la sintesi dei fosfolipidi nella cellula epatica ( H O R N I N G e E C K S T E I N , Z I L V E R S M I T H , E N T E MAN e C H A I K O F F ) . La metionina costituisce il prestadio della colina ( C H A I K O F F e Coli., M C K I B B I N e Coli., Du V I G N E A U D e Coli., S I M M O N D S e Coli.). I fosfatidi sono regolarmente dimostrabili nel fegato come componente normale; solamente in scarsa quantità la sfingomielina (KLENK); in quantità più
RICAMBIO DEL FEGATO E SUE ALTERAZIONI (EPATOSL)
IO3
elevata la cefalina, meno abbondante la lecitina (CAHN, HOUGET e AGID, MARCHETTI). Per quanto riguarda gli intimi rapporti fra ricambio dei lipoidi e dei grassi neutri, sulle azioni lipotrope ed antilipotrope, si veda a pag. 91 seg. Sulle lipoproteine nel fegato hanno riferito MENSCHIK e SZCZESIAK. Molte delle alterazioni del ricambio elei lipoidi nel fegato si sottraggono al controllo morfologico, così il meccanismo della cosiddetta « precipitazione degli esteri » (cioè aumento nel sangue della colesterina libera rispetto a quella esterificata nel corso di gravi alterazioni funzionali epatiche, per e s e m p i o n e l f e g a t o g r a s s o : THOMAS, T H A N N H A U S E R , C A N E P A , T A N T U R I BANFI, HEILMEYER, HARTL, HENNING, BÜRGER); n e l l ' U t e r o
e
(specialmente
meccanico) il contenuto in colesterina del sangue è di frequente aumentato (STURM, BÜRGER). Il diabete mellito conduce ad un deposito di esteri colesterinici (KAWAMURA) o di lipoidi nelle cellule stellate del fegato con positività della reazione di Smith-Dietrich (DIETRICH). REINECK ha sperimentalmente ricercato il loro comportamento nella steatosi colesterinica del coniglio.
Secondo
le r i c e r c h e di FRIEDMAN, B Y E R S ,
GUNNING, OMOTO
e
HAYASHI le cellule stellate di Kupffer immagazzinano solamente la colesterina introdotta per via orale e non quella di origine endogena introd o t t a per via parenterale. Nel fegato grasso (specialmente degli alcoolisti: DIETRICH) è spesso contenuta colesterina; certamente la sua quantità viene di sovente determinata in modo differente (BEST e Coli., GYÖRGY e Coli., POLLI e RATTI). SCHETTLER potè ottenere, con aggiunta di colesterina alla normale dieta dei topi, un aumento molto significativo del contenuto degli esteri colesterinici del fegato (e di altri organi), senza che per questo fossero riconoscibili deviazioni morfologiche. Come già si è detto il contenuto di lipoidi e quello di grassi neutri sono accoppiati come, per esempio, nella lipemia. Così le cellule stellate di Kupffer nel diabete spesso sono ricche di esteri colesterinici (RÖSSLE). Secondo PETRI nel fegato da fosforo si osserva un miscuglio di trigliceridi e di lipoidi. HARTMANN, S C H E T T L E R , F R A I , STUNZI, A L M A S Y e HOLZACH m e t t o n o i n e v i d e n z a
che
i grassi neutri sono istologicamente dimostrabili in misura variabile malgrado l'uguale quantità dimostrata chimicamente secondo l'entità della frazione fosfolipidica contemporaneamente presente. Negli stati di ipossia duranti da lungo tempo la formazione dei fosfatidi nel fegato è fortemente diminuita
(GOEBEL, K L A N T E , KUTZIN, MAURER e NIKLAS). D o p o
parziale
epatectomia per contro i fosfolipoidi rimangono quasi inalterati (ARDY, PONTREMOLI e ARRIGO). Concludendo bisogna infine ricordare che i lipoidi in senso lato si possono trovare frequentemente in grande copia nelle membrane dell'ascesso epatico (ad esempio nell'ascesso epatico tropicale, actinomicosi ed altre malattie). Nelle tesaurismosi da lipoidi si osserva una frequente partecipazione del fegato. Non si deve con ciò ritenere che esso, sotto il profilo patogenetico, possa acquistare una posizione preminente.
IL FEGATO
Di regola nel morbo di Gaucher il fegato è alterato. In questa rara malattia che prevale nell'età adulta (i casi nei lattanti sono rari: GIAMPALMO ne raccolse fino al 1949 soltanto 43; si veda inoltre O B E R L I N G e W O R I N G E R , KOHNE,
DONAT,
SCHAIRER,
SEITZ e STAMMLER,
HAMPERL,
BÜRGER),
le
cellule di Gaucher, che appartengono al S.R.I., sono elettivamente infarcite di cerebrosidi (cioè di cerasina, un cerebrogalattoside — L I E B — ma specialmente di cerebroglucosidi — K L E N K ) , COSÌ che esse appaiono come elementi con nucleo piccolo, citoplasma fortemente ingrandito e « rugoso » (particolari su questo punto si vedano in R O T T E R e B Ü N G E L E R , Vol. I). I cerebrosidi si possono colorare soltanto con Sudan III, ma non con i coloranti specifici dei lipoidi. Si ritiene che essi siano saldamente legati alle proteine (UZMAN). Particolari anche sulla distribuzione in altri organi in L E T T E R E R , inoltre R O T T E R e B Ü N G E L E R . Le cellule stellate di Kupffer nel fegato sono notevolmente rigonfie e costituiscono appunto le caratteristiche cellule di Gaucher, situate specialmente in posizione centrolobulare (anche subendoteliale nelle vene centrali); si possono però trovare pure nel tessuto periportale (istiociti macrofagi). L E T T E R E R insiste sulla capacità proliferativa delle cellule colpite. Si può eventualmente arrivare fino alla atrofia da compressione degli epatociti. Tutto il fegato aumenta di volume spesso fino al doppio, come risulta già dal termine appropriato di « epatosplenomegalia »: P I C K calcola pesi medi di 3300 gr.; B R I L L M A N D L E B A U M - L I B M A N hanno riscontrato nel loro caso un peso di 4800 gr. La capsula è talora ruvida, bianco grigiastra; la superfìcie di taglio di colore bruno fino a giallo. P I C K mette in risalto la caratteristica venatura grigiobiancastra del parenchima epatico. Depositi di ferro sono frequenti (ma non tanto nelle cellule di Gaucher: EPSTEIN). Altri particolari riferiscono P I C K , G R U B E R , L E T T E R E R , U E D A (6 casi). Ben nota è la possibilità di una evoluzione delle alterazioni epatiche in una cirrosi ( P I C K , R Ö S S L E , vedasi a pag. 339). Anche nella malattia di Niemann-Pick il fegato è sempre compromesso. La forma morbosa è propria dei bambini piccoli, fino al 2 0 anno di vita; si osserva un infarcimento notevole non solo delle cellule del S.R.I. ma anche di molti gruppi di epatociti da parte di un fosfatide (SIEGMUND) , il quale (considerato dapprima come lecitina — SMETANA —) oggi è riconosciuto come sfingomielina (KLENK: fino al 22 % dell'organo secco, SIEGMUND) . Le cellule colpite — cosiddette cellule di P I C K — sono schiumose fino ad assumere aspetto ad alveare. Il loro contenuto può essere colorato in nero con il metodo di SMITH-DIETRICH (oltre che con la colorazione con il Sudan III e simili). Dette cellule presentano una colorazione positiva anche alla ematossilina ferrica e con il metodo all'inclusione secondo F E Y R T E R (altri dettagli in P I C K , inoltre in R O T T E R e B Ü N G E L E R ) . Esiste sempre una epatomegalia di alto grado (WIENBECK; dal doppio perfino a 4 e 5 volte il volume normale). Il fegato presenta un colore variabile da giallo
RICAMBIO DEL FEGATO E SUE ALTERAZIONI (EPATOSl)
I05
grigio a rosso giallastro fino a giallo canarino (spesso simile al fegato grasso diffuso; NIEMANN lo paragona al fegato da fosforo), la sua consistenza in parte è simile al mastice, in parte dura (SIEGMUND). Dal punto di vista microscopico, accanto alle cellule stellate di Kupffer (e occasionalmente agli istiociti periportali), anche le cellule epiteliali stesse sono degenerate in cellule schiumose
(RÒSSLE, BLOOM, BAUMANN, K L E N K e
SCHEI-
DEGGER, per contro non nel caso di WIENBECK). Mentre secondo DIEZEL gli epatociti accumulano esclusivamente sfìngomielina, le cellule stellate di Kupffer conterrebbero inoltre glicolipidi. Sono stati descritti disturbi della eliminazione biliare; inoltre la alterata funzione epatica può portare ad uno spostamento del rapporto colesterina totale/colesterina esterificata del sangue. Sono numerose le segnalazioni di un passaggio in cirrosi epatica
(ROSSLE, PICK, v e d a s i a p a g . 340).
Nella idiozia amaurotica infantile soltanto occasionalmente vengono accumulati nel fegato lipoidi in scarsa quantità (oltre che nella milza, linfonodi, midollo, polmoni e reni; SCHOB, KUFS, SJOVALL). Nel primo caso di DIEZEL le cellule stellate del fegato contenevano un glicolipoide sotto forma di gocce (identico al ganglioside del sistema nervoso centrale). SIEGMUND ha descritto in un bambino di due anni e mezzo con disostosi multipla (gargoilismo) alterazioni epatiche in forma di infarcimento lipoidico degli epatociti e delle cellule stellate del fegato (si veda anche LETTERER). Neli'angiokeratoma corporis diffusum Fabry con complesso sintomatico cardio-vaso-renale, che appartiene al gruppo delle tesaurismosi fosfatidiche, SCRIBA trovò un moderato accumulo di lipoidi nelle cellule stellate ed elementi schiumosi e rigonfi nel tessuto periportale. In un tipico caso dell'Istituto della Charité (uomo di 38 anni, pubblicato da FALCK e WEICKSEL) il fegato per contro non era compromesso. FRESEN riferisce un caso relativo a un bambino di 13 mesi con forte accumulo di lipoidi (reazione di Smith-Dietrich positiva; nessuna birifrangenza) nelle cellule stellate di Kupffer e negli istiociti periportali (pure nella milza, linfonodi, midollo, timo, polmoni, cervello). Egli ritiene, nonostante le differenze chimiche trattarsi di un caso affine al morbo di Gaucher dei lattanti. Nella malattia di Hand — (SCHÜLLER-CHRISTIAN) — che appartiene alle granulomatosi — granulomatosi lipoidica (CHESTER) con deposito di colesterina e dei suoi esteri — il fegato non fa parte di quegli organi, che sono preferibilmente colpiti (LETTERER). CHESTER riferisce che esso è raramente compromesso, sebbene nel suo primo caso contenesse in singoli campi periportali « punticini di granulomi lipoidici giallastri » con cellule lipidiche. Sulla partecipazione inoltre del fegato riferiscono CHIARI (poco!), HAND,
WEIDMAN
e
FREEMAN,
SCHULTZ,
WERMBTER
e
PUHL,
HERZEN-
BERG, PRETL nel lattante. BÜRGER parla di circa un terzo di casi positivi. Il fegato non è ingrossato (CHIARI, CHESTER) O soltanto in modo insignificante (HERZENBERG) . In parte le cellule stellate di Kupffer sono ripiene
IO6
IL
FEGATO
di sostanze birifrangenti e perciò rigonfie; anche gli epatociti possono partecipare al processo (CHIARI: soltanto singole cellule epatiche; HERZENBERG: forte accumulo nelle regioni centrolobulari). Il tessuto periportale è colpito qua e là (ROTTER e BUNGELER), e può più di una volta mostrare proliferazioni dei dotti biliari lievi (WEIDMAN e FREEMAN, WATJEN). L'esito di questa malattia può anche essere la cirrosi. Sui rapporti fra malattia di Hand da una parte, reticolosi di LETTERER e granuloma eosinofilo dall'altra riferisce FEYRTER.
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DEL
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SUE
ALTERAZIONI
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io8
IL
FEGATO
CAPITOLO
VILI
RICAMBIO DEI CARBOIDRATI E DEPOSITO DI GLICOGENO
Mentre per il passato lo studio istomorfologico del ricambio degli idrati di carbonio del fegato doveva essere limitato alla dimostrazione del contenuto di glicogeno, oggi si è nelle condizioni di mettere in evidenza, con la reazione dell'acido periodico-leucofucsina, altri composti di questo gruppo di sostanze ( H O T C H K I S S , M A C M A N U S , G R A U M A N N ) . Questo genere di ricerche è ancora all'inizio e non si può certamente possedere un completo panorama sulla fisio-patologia del metabolismo dello zucchero con i soli mezzi istologici (sulle ricerche istotopochimiche del glucosio nel fegato secondo il metodo di O K A M O T O , K A D O T A e A O Y A M A riferisce G . M Ü L L E R ) . La dimostrazione microscopica del glicogeno con l'iodio e col carminio di BEST costituisce un metodo corrente. Sebbene quest'ultimo nella maggior parte degli Istituti debba rappresentare ancora un metodo standard per le ricerche di routine, si devono però conoscere i suoi errori: esistono spesso discrepanze rilevanti fra il contenuto di glicogeno valutato col metodo di BEST e quello dosato esattamente per via chimica (EGER, contrariamente POPPER e W O Z A S E K , F O N G , S C H A F F E R e K I R K rendono nota una nuova metodica di determinazione ultramicrochimica del glicogeno epatico). Date le incertezze insite nel metodo istochimico fino ad oggi usato, ben si comprende la ricerca di altre tecniche istochimiche più sicure (vapori di iodio; metodo di crio-disseccamento (freezing-drying); reazione per il glicogeno di BAUER; reazione sec o n d o GOMORI, b i b l . i n KETTLER).
È ben nota la posizione centrale del fegato nel ricambio dei carboidrati. Al fegato affluiscono i monosaccaridi metabolizzati, provenienti dalla nutrizione attraverso la via della vena porta, e vengono polimerizzati (secondo la quantità affluita) in glicogeno oppure trasformati in una porzione determinata subito in grassi. Il glicogeno epatico, rispetto a quello dei muscoli, ha un peso molecolare molto più elevato che però è fortemente variabile (STAUDINGER) . Il fegato è atto a costruire zucchero dai grassi e dalle proteine (neoglicogenesi) ed elabora pure fisiologicamente l'acido lattico che gli proviene dal muscolo. Esso rappresenta un « serbatoio di glicogeno che cede glucosio, secondo il bisogno, al sangue (altri dettagli nei trattati di chimica fisiologica). Il contenuto di glicogeno del fegato è variabile secondo le specie animali (e rispettivamente l'uomo) e oscilla secondo il ritmo funzionale di F O R S G R E N (si veda anche H O L M G R E N e E K M A N ) ma anche in dipendenza della nutrizione, del lavoro muscolare e di altri diversi fattori attorno a valori variabili.
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSl)
IOg
Le cellule epatiche contenenti glicogeno sono grandi, chiare e hanno un aspetto come quelle vegetali. Ciò si osserva non solo in molti animali di laboratorio (specialmente conigli e cavie) ma anche nell'uomo sano, come ogni esperto patologo può constatare con le comuni ricerche istologiche ed istochimiche di biopsie epatiche. Il contenuto di glicogeno del fegato normale arriva fino al 25 % del peso secco (EGER); cioè circa 150 gr. (STURM). Il fegato dell'embrione non contiene glicogeno. Se noi, nel materiale autoptico, siamo abituati ad osservare le cellule epatiche più piccole, compatte, scure perché povere di glicogeno (« forme inattive »: MEERSSEMAN e PROUST), ciò non è tanto dovuto alla lisi post-mortale di glicogeno (SIEGMUND), la cui entità è stata per il passato sopravalutata (BOBBIT e DEUEL, VAL'DES), quanto alla perdita del glicogeno epatico che rapidamente e costantemente si verifica nelle più diverse malattie (vedasi sotto). Molto glicogeno può scomparire anche nello stato agonico (POPPER; si veda a pag. 19). MEIXNER ha creduto di poter stabilire un importante rapporto medico-legale tra tipo di morte, quantità e distribuzione del glicogeno; così nei casi di morte improvvisa si riscontrano cellule epatiche ricche di glicogeno. Nelle agonie protratte, si osserva invece un trasporto del glicogeno verso i capillari ed i vasi linfatici oppure una sua totale mancanza. SJÒVALL e MIYAUCHI non confermano però questi reperti, mentre MOMOEDA che ha studiato 35 casi di morte improvvisa, soltanto in 23 ha trovato nel fegato cellule chiare, rigonfie e molto ricche di glicogeno. POPPER e WOZASEK (bibl.) hanno osservato nel fegato del cadavere, in casi di morte improvvisa senza precedenti malattie, un contenuto di glicogeno in quantità variabile dal 2,42 % al 6,17 % , mentre nei casi mortali preceduti da malattie estenuanti, cachettizzanti, e da agonia, solo quantità variabili dallo 0,3 fino all'i,2 % (nei diabetici però valori in genere più alti che in questi ultimi casi). Se nel momento culminante della deposizione del glicogeno (« fase di assimilazione ») il lobulo epatico non è completamente infarcito, allora esso si deposita prevalentemente nelle regioni centro-lobulari (CLARA, PFUHL, FLEISCHHAUER,
EGER
e K L À R N E R , E K M A N e HOLMGREN).
Infatti la
de-
gradazione del glicogeno inizia in genere fisiologicamente alla periferia (HELMKE, SOOSTMEYER, KETTLER). Viceversa il carico di glicogeno incomincia alla periferia e in circa quattro ore si estende a tutta la superficie del lobulo (REMY e GERLICH). Si ritiene ancora di poter escludere che nel fegato si verifichino depositi contemporanei di grasso e di glicogeno, istologicamente riconoscibili. Questa esclusione, in condizioni fisiologiche, non avviene sicuramente
(RÒSSLE,
PFUHL,
RAVDIN,
THOROGOOD,
RIEGEL
e
PETERS)
e
spesso manca pure in condizioni patologiche (SYSAK, bibl.; H. J. ARNDT, POPPER e W O Z A S E K , v . GIERKE, K A P L A N e CHAIKOFF, E G E R e KLARNER).
Soltanto nelle alterazioni epatiche si può osservare simile « antagonismo » (REMY
e
TERBRUGGEN).
no
IL
FEGATO
L a regolazione della formazione e della lisi del glicogeno, del passaggio del glucosio nel sangue ed il mantenimento di un costante tasso glicemico (circa i o o mg. % ) avviene in diversi modi: in primo luogo si deve menzionare il fegato stesso. Esso è capace di svolgere estesa « autoregolazione chimica» (HILLER); si parla di un «meccanismo omeostatico » (SOSKIN). In secondo luogo bisogna considerare anche complessi influssi ormonali tra i quali i più importanti sono quelli che derivano dalle isole di Langerhans: le cellule a formano il glucagone ( B Ü R G E R ) , quelle ¡i la insulina (il rapporto fra le cellule a : è di I a 4, F E R N E R ) . Si dovrebbero superare i limiti di questa trattazione di anatomia patologica speciale se si volessero trattare completamente l'effetto e l'azione degli ormoni. Qui noi vogliamo semplicemente rettificare un vecchio errore, quale trovasi anche oggi riportato in molti moderni trattati di morfologia, e cioè che l'insulina fa aumentare il contenuto di glicogeno epatico. Evidentemente si tratta del contrario ( C O R I e C O R I , P F U H L , B Ü R G E R , H Ò P K E R , B E R I N G E R ) . Di significato importante sono inoltre gli ormoni dell'ipofisi anteriore (somatotropo e adrenocorticotropo), quelli dei surreni (corticale: glicocorticoidi; midollare: adrenalina), della tiroide (tiroxina) e delle ghiandole sessuali ( D A G R A D I e P E R O N A T O ) . Ioni potassio, acido ascorbico e vitamina B x influiscono inoltre sul ricambio degli idrati di carbonio. Durante la gravidanza, il fegato è povero di glicogeno ( H E Y N E M A N N ) , la reazione è solamente positiva nelle regioni centro-lobulari ( D I E T E L ) . Da tempo la puntura di C L A U D E B E R N A R D ha dimostrato che esistono anche influssi nervosi. Una azione neurovegetativa non è neppure da scartare anche se, secondo D O N A L D , la denervazione del fegato non conduce ad alterazioni della regolazione dello zucchero ematico. Importanti sono pure i centri diencefalici e la corteccia cerebrale. Se si vuol avere un sicuro giudizio sulla patologia del ricambio del glicogeno, bisogna possedere precisi orientamenti (con sufficienti controlli in parallelo) sul contenuto normale di glicogeno, nello stesso momento cronologico riferito alla medesima specie animale (rispettivamente uomo), alla relativa nutrizione e allo stesso gruppo di età, ecc. Diversi casi di « completa scomparsa di glicogeno » e di « tesaurismosi glicogenica » della letteratura, indubbiamente non hanno alcun fondamento. In contrasto con le concezioni sul ricambio dei grassi (vedasi pag. 82) l'infarcimento glicogenico diffuso di tutte le cellule epatiche non si considera come una « degenerazione glicogenica » m a piuttosto viene interpretato, in determinati stati, come una condizione favorevole in presenza di influenze patologiche. Contro il concetto di una « azione protettiva », bisogna però porre notevoli r i s e r v e c o m e d i c h i a r a n o R A V D I N , THOROGOOD, R I E G E L e P E T E R S , BOLLMAN.
Il concetto di « tesaurismosi glicogenica » (JUNKERSDORF, SÜNDER) dovrebbe oggi pure essere limitato (FORSGREN e HOLMGREN, BERINGER). In alcuni casi una alterazione epatica sta veramente alla base di un contenuto massimale di glicogeno nel fegato: così dopo somministrazione di strofantina (LÜBKE), « synopen » (una sostanza antistaminica; BENSTZ
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSl)
III
e MEYER-KRAHMER), tiouracile (MAY e Coli.); inoltre in determinate alterazioni epatiche (epatite in una diabetica; HILLER) e rispettivamente dopo iniezione di un siero epatotossico (RAUSCHENBACH). Anche nella poliomielite il fegato può presentare ricco contenuto di glicogeno (GHON, DIETRICH).
Più chiara è la situazione quando si tratta di una pura lisi di glicogeno nel fegato: i) essa si verifica nel digiuno acuto ove, fra tutte le sostanze organiche per primo viene consumato il glicogeno fino a minime tracce (solo successivamente è intaccato il grasso dei depositi). Il fegato da fame negli esperimenti sugli animali (HOFMEISTER) perde definitivamente la capacità di fissare glicogeno dopo somministrazione di amido; in questo caso la presenza di zucchero nelle urine (glicosuria), l'aumento dello zucchero ematico (iperglicemia) ci consentono di parlare di diabete da fame. Oggi nel diabete da fame si vede una conseguenza del blocco della produzione di insulina. L'ipofisi anteriore ha una relativa prevalenza (STURM). (In un secondo tempo il grasso, mobilizzato dai depositi, conduce alla lipemia da fame e al fegato grasso). GEORGI ha osservato, in accordo con lavori della vecchia letteratura, una degradazione di glicogeno instaurantesi alla periferia dei lobuli. Secondo BERINGER il fegato da fame del diabetico spesso è più ricco di glicogeno di quello dell'uomo sano. Infine v a segnalato che il fegato da fame dimostra una diminuita capacità di accumulo p e r i l g l i c o g e n o (SOSKIN e L E V I N E , E G E R e O T T E N S M E I E R , R E M Y e G E R L I C H ) .
2) E nota la scomparsa del glicogeno in condizioni di ipossia, si tratta per lo più di una primissima reazione del fegato (solo più tardi compare degenerazione grassa e così via). La letteratura è vasta (BAREILLIERFOUCHÉ,
PICHOTKA, DEANE, NESBETT,
BUCHANAN
e HASTINGS,
DEVOS).
GEORGI non ha potuto sempre confermare nelle sue esperienze i reperti di ALTMANN e ROSIN i quali sostengono che nella ipossia la scomparsa di glicogeno incomincia, nelle regioni ceritrolobulari (confr. la questione analoga di una degenerazione grassa centrale di origine ipossiemica: SCHLICHT). I disturbi di circolo hanno sicura importanza. In simili casi anche la perfrigerazione estrema agisce come la ipossia (FUHRMANN e CRISMON, BÜCHNER, MINJER, nei neonati: FOPP). 3) Numerosi sono i fattori di natura tossica che possono determinare la scomparsa del glicogeno nel fegato. Molto di sovente infatti nella letteratura la scomparsa del glicogeno epatico non è neppure citata, come ad esempio negli avvelenamenti dell'uomo, dato che si è abituati a riscontrare nel fegato del cadavere una estrema povertà o l'assoluta mancanza di glicogeno. Diminuzione del contenuto del glicogeno epatico si trova sempre negli avvelenamenti da fosforo (KAUFMANN), arsenico, morfina, veronal, cloroformio (GHON, DIETRICH), stricnina, pilocarpina, toluilendiamina e fenilidrazina (ROSSLE, FIESSINGER, KÁLLÓ), acido tannico (KORPÁSSY), salicilato di sodio (JACKSON), florizina (HIERONYMI),
allossana
(BASSI e CAPONE-BRAGA), e t i l u r e t a n o
(LENNERT
112
IL
FEGATO
e ILGNER), paradimetilaminoazobenzolo («giallo di burro»: ORR, PRICE e STICKLAND, SCHNEIDER), dopo iniezione di decolin (RABL), trattamento c o n o r m o n i c o r t i c a l i (MOHR), c o n t i r o x i n a (RÒSSLE, SIMONDS e BRANDES, EITEL
e
LOESER,
GERLEI,
MARKOFF),
nella
dissenteria
(DIECKHOFF),
anche nella legatura delle vie biliari (TOMISELLI, bibl., SCHEUNERT). Anche nello shock anafilattico si verifica regolarmente la scomparsa del glicogeno epatico
(SOOSTMEYER, SIEGMUND, SAIDENSCHNUR). Se
dunque
in tutte queste diverse lesioni della cellula epatica si verifica una progressiva diminuzione del glicogeno, si può allora ritenere che essa non dipenda unicamente da un aumento della lisi del glicogeno ma anche da una insufficiente sintesi dello stesso. 4) Contrastanti sono i pareri sulle alterazioni del contenuto del glicogeno epatico dopo trattamento radiante: mentre R o s s e ELY dopo trattamento con raggi X e neutroni hanno osservato nel ratto un accumulo durevole di glicogeno epatico anche dopo schermatura con piombo, LEVY e RUGH ritengono invece di aver riscontrato una quasi totale mancanza di glicogeno epatico negli hamster e nei topi irradiati con dosi mortali. Si deve aggiungere a questo punto la scomparsa del glicogeno epatico dopo trattamento con ultrasuoni (BEJDL). 5) Senza dubbio importante è la conoscenza del comportamento del fegato nel diabete mellito. Purtroppo si sa che i reperti del fegato sono variabili e non patognomonici. Di regola il fegato del diabetico, in casi vecchi e gravi, è rimpicciolito e, nel coma diabetico, è per lo più privo di glicogeno. Talora nel fegato del diabetico si verifica un maggior accumulo di glicogeno. Inoltre esso (negli stadi iniziali) è spesso aumentato di volume e relativamente pesante (sopra i 2000 gr.), di una tipica tinta rosa con una certa trasparenza. Il glicogeno molto facilmente si trasforma in glucosio e viene legato o allo stato liquido o in forma di aggregati ialini, di gocce o di granuli, prima ai granuli e poi al restante citoplasma (il quale, dopo allontanamento del glicogeno, appare a forma di alveare) e pure nel nucleo (vescicoloso e povero di cromatina) (« glicogeno nucleare »: EHRLICH, MEIXNER, ASKANAZY,
HUEBSCHMANN,
ROSENBERG,
bibl.
KARAMITSAS,
KLESTADT,
SCHERTLIN, bibl. KANEKO). Detto nucleo appartiene a cellule quasi sempre ipertrofiche (il cui citoplasma, in quel momento generalmente non contiene glicogeno, HUEBSCHMANN), inoltre il glicogeno viene deposto, come ritiene ARNOLD, anche nei capillari e nelle reti finissime dei vasi linfatici che circondano i cordoni di epatociti (probabilmente si intende negli spazi di DISSE!?). Il glicogeno nucleare non è patognomonico del diabete mellito ma, al contrario, può presentarsi anche nel fegato da stasi, nelle epatiti virali (si veda a pag. 245), nelle cirrosi tropicali (UNGAR e FELDMAN), quanto dopo avvelenamento con cloropromazina (DAVID e si veda anche ANKERMANN, LORENZ, MACARY, bibl.). Altri A A . ritengono che il deposito extra-cellulare del glicogeno, per contro, sia da considerare un fenomeno post-mortale (SJÒVALL, MIYAUCHI). Se nel fegato diabetico
RICAMBIO DEL FEGATO E SUE ALTERAZIONI (EPATOSl)
II3
il contenuto di glicogeno è elevato, la sua distribuzione nel lobulo è per lo più uniforme, mentre se il contenuto di glicogeno è piuttosto moderato, esso è preferibilmente ammassato alla periferia dei lobuli stessi (MIYAUCHI). ROSSLE dimostra un intenso deposito di grasso nelle cellule stellate e contemporaneamente la comparsa di fibre collagene pericapillari derivanti dalle fibrille reticolari (vedi pag. 9): (MERIEL; DARNAUD e Coli.; inoltre MIROUZE). Per la diagnosi di diabete nel cadavere è importantissimo l'esame del rene. Qui, con la reazione dello iodio, si può dimostrare
Fig. 28. — Glicogeno nucleare delle cellule epatiche (nuclei degli epatociti bianchi; « vuoti »). Donna di anni 79.
un deposito di glicogeno, qualche volta già anche macroscopicamente, al limite fra sostanza corticale e midollare, sotto forma di strisce di colore bruno. Per quanto riguarda la collagenizzazione delle fibrille reticolari nel diabete vedasi FRESEN. E facilmente comprensibile, data la posizione centrale del fegato nel ricambio degli idrati di carbonio, che, in gravi malattie di quest'organo (per esempio cirrosi), si possa arrivare ad un diabete cosiddetto epatogeno (STURM). In modo estremamente interessante, il fegato partecipa a tutti i casi di malattia da esagerato deposito di glicogeno — glicogenosi, tesaurismosi glicogenica. Questa sindrome è stata per la prima volta illustrata nel 1929 da v. GIERKE, sotto il nome di epatonefromegalia glicogenica. All'autopsia di una bambina di quasi 8 anni, (oltre ai reni) v. GIERKE riscontrò un fegato ingrossato quasi il triplo del normale (2000 gr.). Istologicamente dimostrò che le cellule epatiche erano fittamente stipate di piccole gocce di glicogeno. 8 —
KAUFMANN
II,
p.
II
ii4
IL FEGATO
Nonostante la rarità di questo quadro morboso oggi però conosciamo una intera serie di casi nei quali spesso il fegato è aumentato di volume in modo gigantesco (SMITH e O ' F L Y N N , K I M M E L S T I E L , F A B E R , V. G I E R K E , E S S E R e SCHEIDEGGER, SIEGMUND, W E N I N G e B R U N C K , S E L B E R G ) , mentre invece i casi in cui il fegato è scarsamente ingrandito sono più rari (PUTSCHAR, H U M P H R E Y S e K A T O , P O M P E e W O L F F , L I E B E G O T T , W A C H S T E I N ) . Solo raramente il fegato rappresenta l'organo unicamente compromesso (tipo puro « epatico » secondo v. G I E R K E 1937). Per lo più esiste una partecipazione del rene ( F A B E R ; V. G I E R K E , SIEGMUND), del cuore (la cosiddetta forma « epatocardiaca »: BISCHOFF, PUTSCHAR, K I M M E L S T I E L , P O M P E , ANTOPOL,
HEILBRUNN
e
TUCHMANN,
HUMPHREYS
e
KATO,
UNSHELM,
e J E C K E L N , W O L F F , E S S E R e SCHEIDEGGER, W E N I G ) , della muscolatura striata (KIMMELSTIEL, POMPE, H U M P H R E Y S e K A T O , F A B E R , E S S E R e SCHEIDEGGER, GÜNTHER; SIEGMUND, W E N I G , S E L B E R G , F O R B E S ) , della lingua ( H E R T Z e J E X K E L N , W O L F F , GÜNTHER, W E N I G ) , della muscolatura liscia ( W O L F F ) , del sistema nervoso centrale (KIMMELSTIEL, E S S E R e SCHEIDEGGER, GÜNTHER, S E L B E R G ) , del tessuto adiposo (SIEGMUND). La forma clinicamente consiste in ipoglicemia (quando c'è lipemia), chetonuria, mancanza o diminuzione dell'attività della fosfatasi alcalina nel fegato (THANNHAUSER); eventualmente segue «ihfantilismo epatico» HERTZ
(LOESCHKE,
SCHALL,
WORSTER-DROUGHT
e
PARKES
WEBER,
UNSHELM,
La regressione dell'abnorme contenuto di glicogeno è una rara eccezione (v. G I E R K E ) ; si verifica la trasformazione in cirrosi (SIEGMUND). Le cause della tesaurismosi glicogenica sono ancora oggi ignote. Tutte le teorie fino ad ora proposte non sono state confermate, così per esempio quella di una mancanza di fermento diastasico, di alterazioni della formazione dei surreni e del pancreas, (specialmente un aumento delle cellule beta) e quella sui rapporti con l'idrope congenita e rispettivamente con la eritroblastosi fetale (LIEBEGOTT, B R U N C K ) . Inoltre N I S B E T H e C U P I T ritengono di aver osservato, in un diverso caso di malattia da tesaurismosi, cioè nel gargoilismo (pag. 105) anche deposito di sostanze di natura carboidrata; il fegato aveva in questo caso una consistenza gommosa. SIEGMUND).
Reperti simili a quelli della tesaurismosi glicogenica con un contenuto di glicogeno circa 7 volte il normale hanno ottenuto F O N N E S U e S E V E R I nei ratti con il 2,4-dinitrofenolo (1). In quest'ultimo decennio gli studi biochimici hanno portato nuove conoscenze sulla patogenesi delle glicogenosi. Così oggi sappiamo che molte di queste malattie, se non tutte, sono dovute alla carenza di fattori enzimatici e che il difetto è trasmissibile ereditariamente quale carattere mendeliano recessivo. Dato che alla sintesi e alla degradazione del glicogeno presiedono diversi fattori (1) La parte di questo capitolo che segue è stata elaborata, in aggiunta al testo tedesco, dal prof. Vittorio Zambotti e dal prof. Aureliano Rovescalli, ai quali esprimiamo un vivo ringraziamento (N. d. T.).
RICAMBIO DEL FEGATO E SUE ALTERAZIONI
(EPATOSl)
II5
enzimatici, ciascuno dei quali, se carente, può portare a un sovvertimento della via metabolica, si ritiene utile un rapido richiamo alle nozioni biochimiche fondamentali. Il glicogeno è un polimero del glucosio (vedi schema). Le molecole dell'esosio sono unite in modo da formare una catena molto ramificata (struttura arborescente). I tratti di catena interposti fra una ramificazione e l'altra, come pure le catene laterali (i cosidetti rami), sono uniti tra loro con legami 1,4a-glicosidici; al contrario l'innesto della catena laterale sulla catena principale è dato da un legame 1,6-a-glicosidico.
L a tappa iniziale del processo di polimerizzazione implica la trasformazione di glucosio (G) in glucosio-6-fosfato (G-6-P) a spese d e l l ' A T P e con l'intervento dell'enzima esocinasi. Successivamente il G-6-P è convertito a glucosioi-fosfato (G-l-P; enzima fosfoglucomutasi), il quale reagisce con l'uridintrifosfato (UTP) formando uridindifosfoglucosio (UDPG) e pirofosfato (enzima U T P : G - l - P transurudilasi). Infine il glucosio legato a l l ' U D P è trasferito su molecole preesistenti di glicogeno, che in tal modo si ingrandiscono. Questa reazione è catalizzata dall'enzima U D P G : glicogeno transglicosilasi. L'attacco (innesto) delle catene laterali (rami) avviene con meccanismo diverso. U n enzima, denominato « enzima ramificante », stacca un tratto non ramificato di catena di un'altra molecola polimerica del glucosio e lo innesta direttamente, con legame 1,6-a-glicosidico sulla catena principale o su una preesistente catena laterale della molecola di glicogeno in via di formazione. In definitiva, i legami glicosidici esistenti nella molecola del glicogeno sono tutti 1,4-a, ad eccezione di quelli che stanno all'origine della ramificazione, che sono i,6-a. L a degradazione del glicogeno inizia con una reazione fosforolitica, catalizzata dalla glicogeno-fosforilasi, che scinde i legami 1,4-a glicosidici, iniziando dalla estremità della catena principale o delle ramificazioni e liberando glucosio1-fosfato (G-l-P). L'azione della fosforilasi si arresta a livello dei legami 1,6-a-
II6
IL F E G A T O
glicosidici (origine del r a m o ) , p e r la scissione d e i della amilo-i,6-a-glicosidasi, detta a p p u n t o per d e r a m i f i c a n t e ». Scisso q u e s t o l e g a m e , r i p r e n d e a d c h e p r o v v e d e alla scissione dei l e g a m i 1,4-a fino al scisso a n c o r a d a l l ' e n z i m a d e r a m i f i c a n t e e così di
q u a l i è richiesto l ' i n t e r v e n t o q u e s t a sua a z i o n e « e n z i m a a g i r e la glicogeno-fosforilasi, nuovo legame 1,6-a, che sarà seguito.
L ' a z i o n e c o m b i n a t a di q u e s t i d u e e n z i m i c o n d u c e alla c o m p l e t a d e m o l i zione del g l i c o g e n o in G - l - P . Q u e s t ' u l t i m o è p o i t r a s f o r m a t o in G - 6 - P (enzima: f o s f o g l u c o m u t a s i ) , e q u e s t o , infine (per l o m e n o l a f r a z i o n e d e s t i n a t a a rigen e r a r e il glucosio e m a t i c o ) , scisso in glucosio e f o s f a t o i n o r g a n i c o
(enzima:
glucosio-6-fosf atasi). L a c a r e n z a a n c h e di u n o solo d e g l i e n z i m i i n t e r e s s a t i nel ciclo m e t a b o l i c o d e s c r i t t o p u ò d a sola p r o v o c a r e l ' a r r e s t o o la d e v i a z i o n e di t u t t o il processo. S u q u e s t e p r e m e s s e G . CORI s o s t e n n e la n e c e s s i t à di t r a t t a r e l a g l i c o g e n o s i n o n p i ù c o m e u n ' u n i c a m a l a t t i a , m a di i m p i e g a r e u n a classificazione p i ù a d e r e n t e alle m o d e r n e c o g n i z i o n i
biochimiche.
N e l l a classificazione p r o p o s t a d a G . CORI, o r m a i e n t r a t a nell'uso c o r r e n t e , s o n o e l e n c a t e 6 f o r m e di glicogenosi, i n d i c a t e c o i n u m e r i r o m a n i d a I a V I (vedi t a b e l l a e grafico). A l t r e classificazioni sono s t a t e p r o p o s t e c o n a l t e r n a f o r t u n a , n é si p u ò dire che il c a p i t o l o p o s s a essere c o n s i d e r a t o chiuso, p o i c h é c i si p u ò a s p e t t a r e che ulteriori a c q u i s i z i o n i b i o c h i m i c h e p o r t i n o alla i d e n t i f i c a z i o n e di nuove entità
tipo
nosografiche.
difetto enzimatico
I
glucosio - 6 - fosfatasi
II
?
organi colpiti
struttura glicogeno
nome eponimico
definizione clinica
fegato, rene
normale
mal. di v. Gierke
glicogenosi epatorenale da deficit di glucosio — 6—fosfatasi
generalizzata
normale
mal. di Pompe
glicogenosi idiopatica generalizzata
III
amilo - (1,6) - glucosidasi e n z i m a deramifìcante
fegato, cuore, muscoli
atipica
mal. di Fornes
destrinosi limite da deficit di deramificante
IV
enzima ramificante
fegato e altri organi
atipica
mal. di Andersen
amilopectinosi da carenza di ramificante
V
miofosforilasi
muscoli
normale
mal. di McArdleSchmidtPearson
glicogenosi da carenza di miofosforilasi
VI
epatofosforilasi
fegato
normale
mal. di Hers
glicogenosi da carenza di epatofosforilasi
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSI)
II7
I punti di blocco metabolico che corrispondono alle singole forme di glicogenosi sono indicati nel grafico. Appare chiaro che il difetto che sta alla base della forma di v . Gierke, ossia la mancanza di glucosio-6-fosfatasi, compromette la t a p p a terminale di tutto il processo. Il conseguente accumulo di glucosio-6-fosfato influenza le reazioni a monte del processo, permettendo la sintesi del glicogeno, ma ostacolando la scissione: perciò esso si accumula. D a t a poi la localizzazione della glucosio-6-fosfatasi esclusivamente nel fegato e nel rene, si comprende bene la compromissione dei due organi in questo tipo di glicogenosi. È inoltre interessante far notare come la struttura del glicogeno risulti atipica soltanto nelle forme dei tipi I I I (priva di ramificazioni o più esattamente con ramificazioni ridotte a una sola molecola di glucosio) e I V (struttura raggiata) priva di ramificazioni. Ciò è comprensibile se si tiene presente il tipo di deficit enzimatico responsabile della malattia. Sottolineiamo infine che la causa della glicogenosi di Pompe (II tipo) è ancora inesplicata.
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CAPITOLO
IX
FORMAZIONE DELLA SOSTANZA COLORANTE DELLA BILE. ITTERO
L a sostanza colorante della bile, la bilirubina, è un p r o d o t t o finale del catabolismo dell'emoglobina. Q u e s t ' u l t i m a è un cromoproteide f o r m a t o dalla globina e dall'eme, il quale è costituito da un sistema anulare tetrapirrolico
120
IL
FEGATO
(con catene laterali) con un atomo centrale di ferro. Per ossidazione e rottura dell'anello ha origine prima la biliverdina (attraverso gli stadi intermedi di ossiemocromogenoglobina e verdeglobina) la quale, per successiva riduzione, viene eliminata dal fegato come bilirubina. Quest'ultima è identica alla ematoidina di Virchow che si riscontra nei vecchi focolai emorragici ed è ugualmente priva di ferro ( H . F I S C H E R ) . Nell'intestino, in un secondo tempo, per riduzione della bilirubina (che avviene ad opera dei batteri intestinali), derivano l'urobilina e la stercobilina, molto affini fra di loro ( H E I L M E Y E R ) . Questi pigmenti conferiscono alle feci il tipico colore bruno e di norma sono eliminati attraverso il retto (dalla loro quantità si può stabilire il « ricambio emoglobinico » (la « muta del sangue ») H A U R O W I T Z , H E I L M E Y E R ) . Se il fegato non ha più la facoltà di captare una parte di urobilina e stercobilina riassorbite attraverso la porta per condizioni patologiche (e di eliminarle di nuovo con la bile), questi pigmenti giungono nel sangue in quantità aumentata (valore normale circa l ' i % ) , e, attraverso il rene, nella urina (nelle urine appena emesse trovasi il prodotto di riduzione cioè l'urobilinogeno e rispettivamente lo stercobilinogeno). L O N D O N , W E S T , S H E M I N e R I T T E N B E R G credono di aver scoperto un'altra fonte per la formazione della bilirubina dagli eritrociti (particolari nel lavoro originale!). A l l o s t a t o a t t u a l e non si è ancora risolto in m o d o definitivo il p r o b l e m a della sede della formazione della bilirubina, anche se la m a g g i o r p a r t e dei patologi riconoscono la teoria di A S C H O F F (vedasi sotto). A n c h e numerosi clinici e fisiopatologi si a c c o r d a n o nel ritenere v a l i d a la teoria di cui sopra. S t o r i c a m e n t e sono interessanti alcuni punti: Le famose ricerche di M I N K O W S K I e N A U N Y N (1886) hanno fornito la prova che negli uccelli (oche ed anitre), ai quali è stato estirpato il fegato, non si verifica la comparsa dell'ittero che altrimenti compare regolarmente dopo inalazione di idrogeno arsenicale. Gli A A . hanno fondato su questi esperimenti la teoria che ha tenuto il campo per molto tempo, e cioè che non ci può essere l'ittero senza la partecipazione del fegato, oppure, praticamente, che la bilirubina viene formata solamente dalla cellula epatica. Successivamente, specie in base agli esperimenti sugli animali, si è presa in considerazione l a possibilità che l a trasformazione d i r e t t a della e m o g l o b i n a in bilirubina possa a v e r luogo anche aldi fuori del fegato. È n o t o (VIRCHOW) che la bilirubina occasionalmente si f o r m a anche al di fuori del fegato, come a d esempio nei grossi e v e c c h i e m a t o m i e negli essudati emorragici (HEILMEYER): però, in simili condizioni, u n n e t t o ittero generalizzato rappresenta u n a r a r i t à (cfr. N E W M A N e L E P E H N E , bibl. H A U ROWITZ). Solo alla condizione che in circolo penetri in n o t e v o l e q u a n t i t à emoglobina e risp. suoi p r o d o t t i di trasformazione (bilirubina), p r o v e n i e n t i a d esempio d a u n v a s t o s t r a v a s o di sangue, si p u ò osservare per lo p i ù leggera colorazione itterica delle c o n g i u n t i v e e della pelle (nella r o t t u r a di u n a t u b a g r a v i d a — SCHOTTMULLER, bibl. — , negli emotoraci di n a t u r a t r a u m a t i c a ed altre forme).
RICAMBIO DEL FEGATO E SUE ALTERAZIONI
(EPATOSL)
121
Si è preso in considerazione, per la formazione anepatica della bilirubina, il sistema reticolo-istiocitario e in primo luogo le cellule stellate di Kupffer (nelle quali già N A U N Y N e M I N K O W S K I hanno dimostrato occasionalmente bilirubina) la milza e, successivamente, il midollo delle ossa (eventualmente anche i linfonodi). M C N E E ha ripetuto gli esperimenti sulle oche epatectomizzate ed avvelenate con idrogeno arsenicale ed ha potuto riscontrare la comparsa di ittero, sia pure modesto. L'importanza della « epatectomia » consiste nel fatto che con essa vengono asportate le cellule stellate di Kupffer quantitativamente prevalenti negli uccelli (in F I S C H L E R riserve; O G A T A , L E P E H N E , bibl.). Si è così coniato il termine di ittero reticoloendoteliale. La dimostrazione che la milza partecipa alla formazione di bilirubina è stata data da H I I M A N S V A N D E N B E R G H in quanto nel sangue venoso della milza egli ha riscontrato un contenuto di bilirubina quasi triplo di quello presente nel sangue periferico. Però, come ritiene NAUNYN, con ciò senza dubbio si viene a stabilire unicamente la origine anepatogena di bilirubina ma non quella della genesi della bilirubina nell'ittero emolitico, per cui non è possibile dedurre considerazioni sulla natura dell'ittero stesso. Secondo EPPINGER nella milza gli eritrociti verrebbero soltanto « preparati » al fine di renderli più facile preda delle cellule stellate, che posseggono funzione biligenetica (vedi anche M. B. S C H M I D T 1 9 4 0 ) . Si ritiene che gli epatociti in parte assumano la bilirubina dalle cellule stellate per poi di nuovo eliminarla, fenomeno che in condizioni normali avviene secondo la direzione cellula epatica-capillari biliari, mentre un'altra parte resta nel sangue a costituire la base della bilirubinemia fisiologica (H. v. D. BERGH). Particolare importanza riveste l'esperimento condotto sugli uccelli in cui si è preventivamente ottenuto un blocco del S.R.I. con argento, mediante iniezioni di collargolo; in queste condizioni sperimentali non si osserva la comparsa dell'ittero da idrogeno arsenicale ( L E P E H N E e altri). R O S E N T H A L e M E L C H I O R hanno però potuto dimostrare, con ripetuti controlli, che le premesse di quell'esperimento non sono pertinenti. L'elegante esperimento della epatectomia totale nei cani (MANN e MAGATH), che possono essere mantenuti in v i t a ugualmente per un certo numero di ore con iniezioni endovenose di glucosio, ha dimostrato la possibilità dell'ittero anepatico (comparsa nel sangue di una sostanza colorante gialla). Peraltro R O S E N T H A L , M E L C H I O R e L I C H T hanno sicuramente dimostrato che l'epatectomia impedisce l'ittero da toluilendiamina e così pure l'ittero da iniezioni endovenose di sangue laccato (la scuola di ASCHOFF, vedasi YUASA, bibl., ha considerato questa forma come ittero da riassorbimento). Esso ha la sua origine nel fegato. Rimane però ancora aperta la questione se queste interessanti ricerche abbiano potuto dimostrare, in modo indiscutibile e completo, la formazione anepatica della bilirubina. NAUNYN ha creduto che dal punto di vista fisiologico sia di nessuna importanza, per la formazione della bile, la trasformazione della
122
IL
emoglobina lisi, cui Egli siderazione unica. P I C K la esistenza
FEGATO
in bilirubina (innanzitutto nelle cellule stellate di Kupffer). L'emopure riconosce un notevole significato, potrebbe essere presa in connell'ittero ematogeno, solamente però come causa lontana e non non ammette che sia stata addotta una sicura prova istologica per di un ittero reticoloendoteliale, anepatico, lienogeno.
KAUFMANN nell'ultima ristampa di questo trattato, da lui elaborata, ha concluso riassumendo che le nuove ricerche dimostrano sempre più, nel senso di MINKOWSKI e NAUNYN, che il fegato è la fonte della formazione della bilirubina. In ciò concorderebbero anche numerose nuove ricerche istologiche (vedasi HEINRICHSDORFF, HOLMER). Anche GREPPI ha concluso dai suoi esperimenti che le cellule epatiche, in condizioni fisiologiche, formano la bilirubina, le cellule di Kupffer certamente prendono parte al processo della emolisi, m a non mostrano alcuna partecipazione alla preparazione della bilirubina. KANNER (R. PALTAUF) contesta alle cellule di Kupffer la capacità di formare bilirubina; nello stesso senso FISCHLER, ascrive solo agli epatociti l'attività biligenetica. Recentemente COSTA e CIPRIANI credono di aver dimostrato questa proprietà nelle cellule del fegato, per lo meno nelle condizioni sperimentali, e cioè dopo che quest'ultimo è stato privato del potere opsonico, mediante perfusione con soluzione di emoglobina. In contrasto con queste opinioni, si può così formulare la moderna concezione logica dei patologi e di molti clinici (B. E. VOLHARD, BURGER KALK, HEILMEYER, BRUGSCH) sulla sede della formazione della bilirubina. Secondo
ASCHOFF
(LEPEHNE,
MCNEE,
MANN
e MAGATH,
recentemente
anche PAVEL, PERNWORTH) la bilirubina indiretta viene formata di norma nel S.R.I. (forse pure nel sangue circolante). Poiché il fegato rappresenta una considerevole parte del S . R . I . dato il contenuto di cellule stellate di Kupffer, sotto questo punto di vista acquista primaria importanza (specie negli uccelli: cfr. l'interpretazione degli esperimenti di MINKOWSKI e NAUNYN data da MCNEE; vedi anche M. B. SCHMIDT). L a bilirubina indiretta è legata ad una albumina (BENNHOLD e Coli.; considerazioni critiche in KUHN, bibl.); dà la reazione indiretta di H. v. d. BERGH e nell'uomo non passa attraverso il filtro renale. L a cellula epatica ha soltanto il compito di trasformare la bilirubina indiretta in diretta e di eliminarla attraverso i canalicoli biliari (ABELOFF e HUMMEL). Nelle vie biliari (compresa la cistifellea) si verifica presto una ossidazione in biliverdina (su quanto concerne la dilatazione dei capillari biliari dopo iniezione endovena di acido deidrocolico, papaverina e belladonna, riferisce CLARA). Nella trasformazione nella forma diretta gli acidi biliari potrebbero avere una notevole importanza (del resto essi sono prodotti esclusivamente dalle cellule epatiche). BITTORF e KALK con l'introduzione endovena di acidi biliari hanno reso possibile il passaggio della bilirubina indiretta attraverso le urine, così che non è condizione strettamente necessaria un passaggio
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E
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diretto attraverso la cellula epatica. Si deve accennare all'ipotesi di FORSGREN e cioè ad una « formazione ritmica di bile » che si alterna a quella del glicogeno (v. pag. 108); nella fase di non assimilazione le cellule epatiche sono povere di glicogeno m a ricche di granuli di secreto biliare che FORSGREN considera prestadio della bile; l'azione di una soluzione al 3 % di cloruro di bario li fa precipitare. In condizioni normali, circolano nel sangue circa 0,5 % mg. di bilirubina indiretta: l'aumento di questa (colemia per lo più legata con trasformazione in bilirubina diretta, vedasi sotto) determina Yittero. Esso consiste in una imbibizione di tessuti corporei (anche delle fibre elastiche, KÜHN) con bilirubina (in determinati casi anche biliverdina). All'inizio trattasi solamente di pigmento in soluzione: nell'Utero di lunga durata si formano nei tessuti precipitati granulari ed in parte anche cristalli. Per la formazione dell'ittero cutaneo la quantità della bilirubina serica deve aver raggiunto un certo livello minimo (al disopra dei mg. 2 % circa). A l disotto di tale quantità si parla di subittero. Se i reni sono in condizioni di eliminare interamente la bilirubina presente nel sangue (ittero « latente »), allora non si verifica l'ittero cutaneo (cfr. HABERLAND). In modo molto accentuato si colorano le congiuntive e la cute. In base alla patogenesi (vedasi sotto) la colorazione può essere giallo-puro (ittero flavo), giallorosso (ittero rubino) oppure giallo-verdastro (ittero verde). In casi di lunga durata la tonalità del colore può passare dal grigioverdastro fin quasi al nerastro (ittero melanico). Nell'ittero le lacrime, la saliva ed il succo gastrico rimangono sempre scolorati; le urine per contro sono di colore bruno eccetto che nell'ittero emolitico (vedasi sotto). Fondamentalmente si distinguono tre diverse forme di itteri le quali però non si presentano mai in forma « pura »; si deve spesso tener conto della combinazione di fattori patogenetici (WITH, vedasi pag. 137).
1. I T T E R O
EMOLITICO
Dati i concetti fondamentali e generali sovraesposti sulla genesi della sostanza colorante della bile può bastare un cenno al cosidetto ittero emolitico (EPPINGER) tanto più che in esso la cellula epatica perde d'importanza, sotto il profilo patogenetico. Si parla anche di ittero an (extra) epatico, dinamico, ittero da iper {super-) funzione (ASCHOFF), ittero da produzione (WITH) O « ittero preepatico » (PERNWORTH). L'i. e. è la conseguenza di una formazione fortemente aumentata di bilirubina indiretta nel S.R.I. a seguito di una esaltata distruzione di globuli rossi. Esiste moderata iperbilirubinemia con diazoreazione indiretta; gli acidi biliari
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IL
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non sono presenti nel sangue; la cute mostra una tinta p u r a m e n t e giallo chiara (ittero flavo); l'urina non contiene pigmenti biliari (da cui il nome di ittero « acolurico ») m a solo abbondante stercobilina (rispettivamente urobilinogeno) ; il rene non è alterato; la bile è « pleiocromica », le feci fortemente colorate. L'ittero emolitico familiare è classico (MINKOWSKI-CHAUFFARD, particolari in ROTTER-BÙNGELER, voi. I/I, pag. 910) ed è caratterizzato da splenomegalia (la splenectomia porta spesso a guarigione), microsferocitosi (anemia a cellule a palla) con eritrociti piccoli a palla, di minor valore funzionale (p. esempio hanno una resistenza osmotica diminuita), anemia. L a bile, fortemente ispessita e ricca di pigmento, determina la formazione di cilindri biliari i quali a loro volta, possono costituire la causa di un ittero meccanico (EPPINGER). Devesi però ammettere l'intervento di u n a alterazione epatica complementare poiché nell'animale il sovraccarico endovenoso di bilirubina non determina la formazione di cilindri m a semplicemente una pleiocromia (ALTMANN e KUHN, dettagli sui cilindri biliari si vedano nell'Utero epatico a pag. 129). A l t r e cause possono essere l'emolisi nel l'anemia perniciosa (HEILMEYER e EILERS), gli effetti di sostanze tossiche (nell'avvelenamento da idrogeno arsenicale: il cadavere presenta una t i n t a piuttosto giallo bruno che gialla; nell'avvelenamento da elvella esculenta; fallina; la toluilendiamina d i v e n t a t a t a n t o importante per lo studio dell'ittero nell'emolisi; fenilidrazina; nitriti, pirogallolo, anilina, fenolo — WELLER — ; benzolo, clorato di potassio, piombo; nell'aborto causato da saponi, DIEKE; SCHOLZ pensa certamente ad una alterazione epatica diretta); nella emoglobinuria da freddo (SCHUBOTHE e ALTMANN riferiscono sulla contemporanea alterazione epatica). Già si è detto a proposito dell'ittero lieve in casi di grossi ematomi; pure nello scorbuto g r a v e si osserva un ittero emolitico poco rilevante (BRUGSCH). Però, accanto ad una emolisi aumentata, acquista più o meno import a n z a un altro fattore che può essere in parte fisiologico ed in parte di natura tossica, cioè « l'adinamia secretiva » delle cellule epatiche. OHNO attribuisce a questa insufficienza funzionale degli epatociti valore altissimo. U n esempio tipico è rappresentato dall'Utero fisiologico dei neonati nel quale d e v e essere presa in considerazione, oltre alla distruzione degli eritrociti in soprannumero per acclimatazione, anche la nota, fisiologica debilità funzionale del fegato del neonato (STEGMANN, a pag. 4; ANSELMINO e HOFFMANN parlano di una « R i » (?) acclimatazione del neonato). L ' i . n. appare per lo più in terza giornata sotto forma di una colorazione giallastra del tegumento senza che siano presenti sintomi di malattia. L ' i . compare circa nel 60-80 % e nei prematuri è più frequente e più intenso. Sui rapporti fra estensione dei focolai epatici di emopoiesi ed intensità dell'i, n. simplex, parla THOENES. L ' i . n. scompare per lo più in una settimana. Costituisce un reperto, noto da lungo tempo, la presenza n e l
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sangue e nei tessuti in casi di i. n. di cristalli di ematoidina (sotto forma di tavolette rosse rombiche o di cristalli aghiformi sottili e di colore giallooro). Nel rene si osservano spesso pure i noti infarti di bilirubina-acido urico. La patogenesi dell'i.n. ha trovato già da tempo numerose e diverse spiegazioni. Q U I N C K E ammette che, mancando nell'intestino l'azione dei batteri, una parte della bilirubina del meconio non venga ridotta e, come tale, riassorbita nel sangue. Così il sangue delle vene mesenteriche, carico di componenti biliari, non giungerebbe dapprima al fegato, il quale evidentemente eliminerebbe il pigmento ivi contenuto, ma piuttosto, per la via del dotto venoso di Aranzio (ancora aperto nei primi giorni di vita, E L S À S S E R ) entrerebbe nella circolazione generale, attraverso la cava inferiore. K N Ò P F E L M A C H E R ed altri non ritengono possibile dal punto di vista fisiologico tale meccanismo di riassorbimento ed ammettono una parapedesi (pag. 129), una alterazione della secrezione determinata dall'aumento della viscosità della bile nei primi giorni di vita e dall'incremento della secrezione biliare, dopo la nascita: nel neonato la bile neoformata essendo ancora abbastanza vischiosa non potrebbe defluire. Per la vecchia ipotesi di B I R C H - H I R S C H F E L D che l'i. n. sia dovuto ad un edema delle vie biliari vedasi a pag. 220. Secondo M I U R A , un eccessivo sovraccarico di sangue nel fegato, determina un rigonfiamento che, a sua volta aggravando le condizioni di deflusso linfatico e biliare, ne rallenta il passaggio nei capillari epatici. Per H O F M E I E R l'i. n. deriverebbe dal fatto che la improvvisa quanto attiva distruzione dei globuli rossi determina la formazione di una bile insolitamente abbondante e pleiocromica per cui una parte di essa giunge al fegato ove viene riassorbita (ittero emo-epatogeno). Questa teoria è però stata sostanzialmente completata, nel senso che in prima linea, spicca una alterazione della funzione epatica (HEYENEMANN, bibl. ed altri), mentre le ricerche che hanno dimostrato un aumentato contenuto di bilirubina nel sangue del neonato, confermano anche il significato emolitico del processo (HIJMANS VAN DEN BERGH, bibl.). Che la bilirubinemia deponga unicamente per una insufficienza del fegato poiché, dopo il parto, le cellule epatiche ipofunzionanti lasciano passare nel sangue, come nella vita fetale ed ancora per un certo tempo, una considerevole parte della bilirubina aumentata alla nascita, mentre il momento ematogeno nella genesi dell'ittero ( Y L P P Ò ed altri, vedasi sotto) non avrebbe alcun ruolo, non è stato confermato in merito al secondo punto. A favore della distruzione del sangue depongono pure le ricerche di L E P E H N E il quale ha dimostrato in casi di i. n. una eritroressi cioè una digestione di eritrociti fagocitati nelle cellule del S.R.I., in primo luogo nelle cellule della polpa splenica. Significativa potrebbe ancora essere la prova riportata da L E P E H N E di una diazoreazione diretta straordinariamente ritardata, ciò che parlerebbe contro l'ittero da stasi (in quanto si riconosca ancora validità dimostrativa a questa reazione). Però non è possibile di conciliare tanto facilmente con ciò il reperto di acidi biliari nella urina e nell'essudato pericardico ( B I R C H - H I R S C H F E L D , H A L B E R S T A M ) e L E P E H N E ritiene che essi possano giungere per riassorbimento dall'intestino nella corrente sanguigna attraverso il dotto venoso di Aranzio ancora pervio. Il risultato di queste ri-
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IL FEGATO
cerche potrebbe pertanto convalidare sotto il profilo patogenetico, la insufficienza epatica e la vivace distruzione eritrocitaria, negli ultimi giorni prima del parto e nei primi giorni dopo il parto. Pertanto si potrebbe parlare di una genesi ematoepatogena (cfr. HELLMUTH e sintesi in v. JASCHKE). I nuovi concetti sui fattori determinanti l'i. n. potrebbero forse, secondo V O L H A R D (bibl.) e con le dovute riserve, essere così formulati: in tutti i neonati esiste una considerevole bilirubinemia (vedi Y L L P O e A . H I R S C H ) la quale si manifesta attraverso la colorazione gialla della cute in alta percentuale nei prodotti a termine e costantemente in quelli prematuri (i. n. latente e manifesto). L'ittero latente è la conseguenza della intensa distruzione di eritrociti determinata dalla nascita, accompagnata dalla deviazione del circolo per l'instaurarsi della respirazione polmonare che assicura contemporaneamente un più ricco apporto di ossigeno. Tale distruzione di globuli rossi rappresenta chiaramente un meccanismo di regolazione. Si v a però al di là della realtà quando solamente per questo fatto G O L D B L O O M e G O T T L I E B considerano l'i. n. come puramente ematogeno. Maggiormente devesi prendere nel dovuto conto il ruolo della cellula epatica. Essa in genere nell'adulto è atta ad eliminare la bile in sì elevata misura che forti quantità di bilirubina iniettate nel circolo ematico in breve spazio di tempo possono essere nuovamente eliminate, evitando in tal modo un suo accumulo nel sangue. Nei neonati esiste una insufficienza che, certamente, è relativa poiché essi, itterici o no, eliminano, durante i primi 13 giorni di vita, una quantità di bilirubina superiore a quella di bambini di età maggiore, s'intende sempre nello stesso periodo di tempo. Si arriva allora ad una stasi di pigmento biliare prima dell'epatocita, cioè nel sangue. Potrebbesi così ritenere probabile che l'ittero latente dei neonati sia puramente ematogeno e cioè una iperbilirubinemia. Per contro l'i. n. manifesto sarebbe da considerare come una insufficienza secretiva della cellula epatica limitata ai primissimi giorni. Anche nel feto esiste una leggera iperbilirubinemia (da distruzione di globuli rossi vecchi) ed a causa di una insufficiente maturazione del fegato una scarsa eliminazione di pigmento biliare, che si instaura solo poco prima della nascita. Quanto più bilirubina passa nel meconio, maggiormente il fegato è maturo (e quanto più scarso è il contenuto in bilirubina del sangue del cordone ombelicale tanto più lieve sarà poi anche l'ittero dopo la nascita). In bambini che non diventano itterici, m a hanno alla nascita un fegato già maturo comincia nei primissimi giorni un intenso aumento della escrezione di bilirubina nell'intestino; il contenuto in bilirubina del sangue non diventa così alto da potersi arrivare all'ittero. T u t t i i prematuri diventano però itterici perché la distruzione degli eritrociti, che avviene come in quelli a termine, si accompagna pure ad un notevole grado di immaturità del fegato. Se un i. n. si trascina a lungo
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(i. n. prolungatus), bisognerà allora considerare l'esistenza di una insufficienza epatica più grave la quale sarà in rapporto alla debilità del neonato oppure collegata a eventuali malattie tossi-infettive. Sull'i, n. vedasi inoltre: W . G . S C H U L T Z , bibl.; origine anepatocellulare, alterazione della funzione dell'apparato di escrezione biliare, nessuna lesione del parenchima epatico, A S C H O F F e H U M M E L , l'i. n. è fondato su una eccessiva formazione extraepatica di bilirubina che trovasi in forma cristallina nel sangue, nei tessuti e, prima della comparsa dell'ittero, nei liquidi delle cavità corporee del neonato e presenta solamente la reazione indiretta: A N S E L M I N O e H O F F M A N N , M O L L A R E T . H.
JAKOBY;
Uguali considerazioni valgono per l'i. n. gravls, sebbene questo debba tenersi nettamente disgiunto da quello fisiologico sotto il profilo patogenetico, poiché esso rappresenta già un quadro morboso appartenente alla malattia emolitica del neonato (eritroblastosi) da incompatibilità R h (pag. 386). È possibile che parecchi casi di ittero grave dei neonati con pure gravi manifestazioni morbose siano anche di origine settico-tossica; oppure da ricondurre a primitive alterazioni del fegato stesso (epatite dei lattanti, vedasi sotto) oppure ad una pericolangite gommosa con stenosi dei dotti (vedasi in sifilide del fegato, pag. 264). L a primitiva concezione che l'i. n. gravis rappresenti un estremo del solito i. n. (YLLPÒ, HART, EICHELBAUM), oggi non è più valida. L'i. n. gravis rappresenta una forma mista di ittero emolitico ed epatocellulare (ESCH, K E E L , ZOLLINGER); il fegato è compromesso ulteriormente (al di là della « debilità » fisiologica) (pag. 388). ~L'ittero nucleare è classico nel cervello: solamente, alcuni giorni dopo il parto (sec. POTTER giammai prima di un periodo di v i t a di 30 ore) appare sia diffusa sia a chiazze una intensa colorazione gialla del cervello, elettivamente limitata al territorio dei nuclei (nucleo lenticolare, corpo striato, attorno all'acquedotto di Silvio, nuclei oli vari).
L e recenti nozioni biochimiche sulla escrezione della bilirubina dimostrano il ruolo f o n d a m e n t a l e del f e g a t o . L a cellula epatica i n f a t t i c a p t a la bilirubina libera (indiretta) v e i c o l a t a nel p l a s m a dalle a l b u m i n e e p r o v v e d e a coniugarla con l'acido glicuronico t r a s f o r m a n d o l a in mono- e in diglicuronidi solubili (bilirubina diretta) che v e n g o n o escreti. L a coniugazione viene c a t a l i z z a t a dalla U D P - g l i c u r o n i l - t r a n s f e r a s i (nome sistematico: UDP-glicuronato-glucuronil-transferasi, E . C . 2 . 4 . 1 . 1 7 ) . Q u e s t o sistema e n z i m a t i c o è i n a t t i v o nella cellula e p a t i c a fetale e viene a t t i v a t o nei p r i m i giorni dopo la nascita con più o meno g r a n d e r a p i d i t à . Q u e s t o f a t t o spiega le m o d a l i t à di insorgenza dell'ittero n e o n a t a l e e rende c o m prensibile che l'ittero risulti t a n t o più g r a v e q u a n t o maggiore è il grado di i m m a t u r i t à della cellula e p a t i c a . L a c a r e n z a di glicuronil-transferasi costituisce un g r a v e d i f e t t o congenito, proprio della sindrome di Crigler-Najjar (ittero congenito familiare anemolitico). I n q u e s t o caso la cellula epatica risulta i n c a p a c e di p r o v v e d e r e alla normale t r a s f o r m a z i o n e della bilirubina libera nei glicuronidi corrispondenti, di conseguenza la bilirubina si a c c u m u l a nel sangue condizionando un g r a v e ittero, solitamente letale a b r e v e scadenza con il q u a d r o di un ittero nucleare.
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Bibl. a questo proposito: B E N E K E , PFALTZER, H A R T che lo ha ritenuto una malattia infettiva; V O N G I E R K E che trovò in un caso eritroblastosi diffusa; emorragie nei polmoni e nei reni K A U F M A N N osservò pure in un caso, in maniera molto evidente (SCHMORL, PALM, EICHELBAUM, ADELHEIM, H U W E R , POTTER) . Finalmente devesi brevemente aggiungere che anche dopo una epatite virale (senza partecipazione epatica ma con una splenomegalia di grado molto elevato) potrebbe manifestarsi un ittero (KALK, critica in GANSSLEN) .
2. I T T E R O E P A T O C E L L U L A R E Nell'ittero parenchimatoso, epatocellulare, epatico o distruttivo (EpPINGER) la adinamia funzionale della cellula epatica occupa del tutto posizione centrale (vedasi OHNO). Nonostante la sicurezza del significato della lesione della cellula epatica, è ben difficile pur t u t t a v i a una precisazione del meccanismo patogenetico. Attualmente non esiste ancora una teoria generalmente riconosciuta e soddisfacente; forse si tratta in effetti di diverse forme. In parte riveste importanza probabilmente la adinamia escretiva già citata a proposito dell'Utero emolitico (RICH, ASCHOFF, WITH), per cui la denominazione di ittero da ritenzione sarebbe pertinente. Viene poi l'aumento graduale della bilirubina nel sangue, prodotta in quantità non diminuita dal S.R.I. Obiezioni critiche dovrebbero essere sollevate certamente, in quanto la bilirubina dà la diazoreazione diretta parzialmente positiva ed anche perché, con questa teoria, non è possibile chiarire la comparsa di acidi biliari nel sangue. Per contro l'Autore non vede alcuna difficoltà nel fatto che istologicamente le cellule epatiche non presentano alcuna alterazione. ROBBERS e RÙMELIN sono della identica opinione nei loro studi sul substrato anatomico del subittero. Anche nell'ittero intermittente (MEULENGRACHT) ed in altre forme (vedasi sotto) mancano le alterazioni istologiche del fegato; ciò abbiamo potuto osservare anche neìl'icterus neonatorum; ROSSLE ritiene « non facilmente immaginabile » un ittero con grosse vie biliari pervie senza alterazione delle cellule epatiche. Molte volte sono morfologicamente riconoscibili alterazioni, nelle note malattie epatiche che si accompagnano ad ittero (come nella atrofia giallo-acuta, nella epatite virale maligna ed altre). D e t t e lesioni sono costituite da necrosi parenchimali diffuse (« la dissociazione » delle cellule epatiche è per lo più un fenomeno agonico o post-mortale: POPPER, pag. 19). A seguito di questa distruzione di cellule epatiche vengono aperti necessariamente i canalicoli biliari (pag. 12) e con ciò si realizza una comunica-
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zione tra il loro lume residuo e gli spazi pericapillari: potrebbe istituirsi un Utero da rigurgito (RICH). Identiche considerazioni valgono per le note necrosi epatiche unicellulari (vedasi sopra). Sono però conosciute necrosi massive parenchimatose anche senza concomitante ittero (BAUMGARTEL, L A M A N N A , C L A R A , OHNO, K Ü H N ) . C i ò si s p i e g a c o l f a t t o c h e i c a n a l i c o l i
biliari teoricamente aperti subito si richiudono (ALTMANN). Non è possibile stabilire un parallelismo fra entità e tipo delle alterazioni istologiche ed intensità dell'ittero
(SCHMIDT, SIEGMUND,
KALK).
Si è nuovamente costretti a considerare quale punto capitale patogenetico l'alterazione funzionale delle cellule epatiche. Esse, anche senza alterazioni strutturali morfologicamente riconoscibili possono talvolta secernere nei canalicoli biliari proteine coagulabili, fenomeno noto con il nome di proteinocolia (meno esattamente albuminocolia, WUHRMANN e WUNDERLY). Per questo fatto il lume dei canalicoli viene spesso occluso da cilindri proteici dapprima incolori. Sembra che nella costituzione di questi non entri la proteina propria della cellula epatica, ma al contrario proteine provenienti dal sangue. Detti cilindri incolori si imbibiscono poi di bilirubina. Si arriva così per lo più immediatamente alla formazione di « trombi biliari » colorati (non trattasi però di « trombi » veri!), già descritti da AFFANASSIEW. Questi possiedono pure una sostanza fondamentale proteica che è evidenziabile mediante decolorazione in soluzione ammoniacale debole (ALTMANN, KÜHN) oppure con perossido di idrogeno (HEINRICHSDORFF) .
Dapprima si credette ad un semplice ispessimento della bile « vischiosa » che caratterizza la pleiocromia (STADELMANN) . LEPEHNE (bibl.) la ritenne invece espressione di una alterazione tossica della cellula epatica, la cui conseguenza è quella di produrre una bile qualitativamente alterata. Questa formazione di trombi può anche avvenire senza alcuna occlusione delle grandi vie biliari che possa costituire motivo grossolano di stasi. Tali cilindri biliari si riscontrano nella epatite virale (KALK e BÜCHNER), morfologicamente identica all'ittero da salvarsan (v. pag. 243), negli esperimenti sulla ipossia (ALTMANN), negli avvelenamenti (fosforo, arsenico, toluilendiamina, cloropromazina), nell'anemia perniciosa e nel fegato da stasi (KRAUSE). Il significato etiologico dei cilindri biliari per la genesi dell'ittero da « ostruzione » è certamente ancora discusso. Mentre UMBER considera i « trombi » biliari e le loro conseguenze quale causa generale di tutte le forme di ittero (anche BÜCHNER e KALK li ritengono patogeneticamente importanti almeno nella epatite epidemica), la primitiva ipotesi che ritiene l'ittero pleiocromico una conseguenza della stasi per riflusso di bile nei canalicoli biliari (STADELMANN) non ha avuto riconoscimento generale. Secondo RÖSSLE i cilindri biliari non sono la causa ma la conseguenza di una epatosi; per BAUMGÄRTEL i cilindri biliari sono privi di importanza etiologica. ALTMANN negli esperimenti condotti 9 —
KAUFMANN
I I , p.
II
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sui gatti in ipossia ha osservato molti cilindri biliari ma non la presenza di ittero. L'Autore ha riferito identiche considerazioni (vedasi KETTLER, Erg. allg. Path.). Oltre a questa, la teoria di MINKOWSKI, già esposta, sulla parapedesi della bile, conta ancor oggi i suoi seguaci. MINKOWSKI riconosce alla cellula epatica una speciale proprietà in virtù della quale potrebbe realizzarsi una doppia secrezione: precisamente una estema indirizzata verso le vie biliari (di bilirubina e di acidi biliari) ed una interna diretta verso la via ematica e linfatica (di glucosio e di urea). Poiché queste funzioni presuppongono la integrità delle cellule epatiche, sarebbe comprensibile che, anche senza un ostacolo meccanico al deflusso della bile, possano alterarsi la quantità e la direzione di quella secrezione per un meccanismo della cellula epatica, per alterazioni della funzione da sovraccarico di epatociti sani o per lesioni epatocellulari nei processi tossi-infettivi (QUINCKE). Se per questo fatto i costituenti della bile vengono secreti verso la via dei capillari ematici, allora compare l'ittero (paracolia di Pick, ittero da diffusione di Liebermeister). NAUNYN indica quale causa della parapedesi della bile la « permeabilità » della cellula epatica verso gli spazi linfatici. Anche contro questa teoria si sono sollevate obiezioni, innanzi tutto perché nulla è stato precisato sulle forze che determinano la secrezione nei capillari biliari. STADELMANN crede così doversi rifiutare in linea di massima la parapedesi mentre, al contrario, per NAUNYN e altri, e specialmente BAUER e SPIEGEL, sicuramente a quest'ultima sarebbe da attribuire la normale bilirubinemia (anche nel siero normale la bilirubina è presente in quantità variabile; vedasi sopra). Alla teoria della parapedesi si sono opposte prima di tutte le ricerche di EPPINGER con la documentazione dei trombi biliari (vedasi sotto) e della rottura dei capillari. Questi reperti in seguito furono particolarmente valutati non solo nell'ittero emolitico (con pleiocromia), nel quale vennero considerati caratteristici sec. EPPINGER, ma anche nell'ittero meccanico (NEUKIRCH, KRETZ) ed in altre forme di ittero con vie biliari libere. MINKOWSKI e STERLING sono contro la teoria di EPPINGER ma poi propendono nuovamente per la parapedesi ritenendola patogeneticamente valida anche nell'ittero da stasi. HEINRICHSDORFF ha creduto di poter arrivare, in base ad accurate ricerche, alla piena conferma della parapedesi, poiché anche dal punto di vista istologico avrebbe dimostrato: i) che sono le cellule epatiche che producono la bile; 2) che la lesione della cellula epatica conduce alla parapedesi. BAUMGARTEL ha di recente modificato la vecchia teoria della parapedesi e ritiene che, in casi di abnormemente aumentata glicogenolisi, una parte della bile possa essere strappata alla cellula epatica dalla forte « corrente di glucosio » ed indirizzata nel sangue. Si parla di una « deviazione della bile » (A. HEINEMANN) . Interessante è la prova di BOLLMAN e MANN che la iniezione di soluzione di glucosio fortemente
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concentrata determina bilirubinemia. Anche ALTMANN ha ritenuto possibile una forma di parapedesi per la genesi nelle cellule epatiche di quelle sieroalbumine, che poi verrebbero secrete nei canalicoli biliari. I reperti clinici corrispondono alla patogenesi: poiché la cellula epatica stessa è compromessa nelle alterazioni del ciclo funzionale, si trovano nel sangue bilirubina diretta e pure acidi biliari. L'urina diventa scura, i reni presentano una nefrosi colemica. Il colore delle feci varia: spesso esse sono sufficientemente colorate, possono però diventare anche spesso quasi acoliche. L a cute mostra un ittero rubino, cioè colorito giallo-rossastro.
3. I T T E R O M E C C A N I C O Nell'Utero meccanico (EPPINGER), oppure ittero da stasi, da ostruzione, da occlusione, da strozzamento, da riassorbimento (ASCHOFF) O postepatico (PERNWORTH) (anche «icterus per stasin»), la causa determinante consiste certamente in una forma primitiva di occlusione delle vie biliari escretrici. L a questione relativa al luogo e modalità del passaggio nel sangue della bile ristagnante è però ancora problematica. Si pensa ad una filtrazione diretta nel circolo ematico oppure all'intermediario dei linfatici: « ittero linfogeno » (RABL,
WITH).
Controlli delle ricerche di FLEISCHL, KUFFERATH e v. FREY sull'arrivo della bile nel dotto toracico dopo legatura del coledoco, hanno mostrato che l'ittero era presente pure nella legatura contemporanea del dotto coledoco e toracico (D. GERHARDT). Dovendosi realizzare dunque il passaggio diretto nel sangue, si concluse che appunto la via ematica era seguita nel caso di interruzione di quella linfatica. Questa opinione non è stata condivisa da BROWICZ che ha ammesso la possibilità di un riassorbimento attraverso la via linfatica solamente a livello dei grandi dotti biliari intraepatici, mentre il riassorbimento intralobulare della bile avviene solamente attraverso la v i a sanguigna. In primo luogo sono state studiate e ricercate le possibilità di comunicazione intralobulari. Secondo V O N K U P F F E R ed altri, i capillari biliari intracellulari si continuano nell'interno delle cellule epatiche sotto forma di vacuoli (vacuoli secretivi) costituenti una specie di dotto con espansioni bottoniformi e si dipartono da questo canalicoli secretivi finissimi intracellulari i quali circondano il nucleo (secondo B R O W I C Z si trovano anche nel nucleo stesso). Nella stasi biliare cronica essi sono riempiti di masse di colore bruno e giallo verdastro. Esiste pure, d'altra parte, un intimo rapporto delle cellule epatiche con i capillari sanguigni. Questo rapporto F R A S E R e N A U W E R C K vedono nei reticoli intracellulari iniettabili dai vasi sanguigni, B R O W I C Z lo localizza nella connes-
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sione delle cellule epatiche con quelle della parete dei capillari a mezzo di un sottile canalicolo il quale, nella stasi biliare di alto grado, è stato riscontrato colorato in giallo. Questo fatto depone per la secrezione di bile dalle cellule verso i capillari sanguigni — per lo meno in condizioni patologiche. In condizioni fisiologiche queste vie intracellulari dovrebbero costituire la via afferente di materiali nutritivi e funzionali provenienti dal sangue (anche per gli stessi eritrociti) mentre quelle intracellulari biliari servire come vie di scarico (BROWICZ). Mentre S C H A F F E R ha ottenuto identici reperti iniettando il fegato di conigli, reperti che B R O W I C Z interpreta sovrapponibili alle osservazioni da lui fatte nell'uomo, H O L M G R E N invece li mette in dubbio. L'esistenza di canalicoli intracellulari fu successivamente negata pure da A R N O L D (bibl.) che li interpretò come granuli e catene di granuli, J A G I C e F I E S S I N G E R (bibl.); quest'ultimo ritiene che le concezioni di B R O W I C Z siano fondate su rilievi eseguiti su materiale patologico non appropriato. E P P I N G E R ha descritto a carico dei capillari biliari intercellulari brevi prolungamenti laterali che giungono fin dentro la cellula epatica (capillari biliari intracellulari), e si dirigono verso i capillari sanguigni e che egli riuscì a dimostrare con uno speciale metodo di colorazione (altri metodi in C I E C H A N O W S H I , H E I N R I C H S D O R F F , O T A N I e l'eccellente metodo di H O L M E R ) . Questi prolungamenti non raggiungono mai i capillari sanguigni ma, al contrario, i capillari sanguigni e biliari rimangono separati l'uno dall'altro per mezzo del citoplasma della cellula epatica. I capillari ematici sarebbero circondati da un sistema reticolare di fibre le cui fessure sarebbero analoghe a quelle del tessuto connettivo (pag. 9). I capillari linfatici non posseggono una parete propria (anche B R O W I C Z ha ritenuto valide queste ricerche pur essendo contrarie alla sua opinione tanto giustamente sostenuta). Se nelle stasi biliari la gemma laterale dei capillari biliari si dilata così essa come la cellula epatica possono scoppiare e la bile entra nel sistema delle fessure che circonda i capillari sanguigni (pag. 10), da qui nella corrente linfatica e, attraverso il dotto toracico, nel sangue. I n casi di pressioni e s t r e m a m e n t e e l e v a t e la bile irrompe d i r e t t a m e n t e nei sinusoidi, come di recente h a d i m o s t r a t o H A N Z O N con il microscopio a fluorescenza. H A R T O C H insiste contro q u e s t a affermazione poiché u n a dilatazione dei canalicoli biliari, d o p o l e g a t u r a del coledoco, si verifica a d i s t a n z a di m o l t o t e m p o e S C H E U N E R T h a n e g a t o la c o m p a r s a di d i l a t a z i o n i o di fessure negli s p a z i biliari intralobulari perfino nell'ittero d a stasi di vecchia data. G u a d a g n a perciò in p r o b a b i l i t à l'ipotesi di K Ü H N secondo cui nel « tallone di A c h i l l e » del sistema delle v i e biliari efferenti (ASCHOFF) e cioè nel territorio della cosiddetta a m p o l l a alla periferia del t e s s u t o periportale, si verifica in p r i m o t e m p o u n a particolare fluidità per cui l a bile p u ò infiltrarsi nella rete l i n f a t i c a periportale. A p p u n t o in q u e s t a sede, secondo KIKUCHI, d o v r e b b e r o comparire soluzioni di c o n t i n u o a n c h e negli e s p e r i m e n t i sui conigli. N o n v i è bisogno in questi casi di pressione i n t e r n a eccessivamente e l e v a t a , poiché, g i à per azione « dall'esterno » (cioè per l ' e d e m a o l a i n f i a m m a z i o n e del tessuto periportale), possono stabilirsi
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delle lesioni. Esistono, a proposito delle alterazioni del tratto intercalare, anche altre teorie che parlano di un suo blocco (POPPER, CAROLI, vedasi oltre). In genere le vie biliari più sottili nella stasi biliare, mostrano chiare alterazioni quali edema, degenerazione vacuolare, spostamenti e pigmentazione biliare (RABL). Si possono instaurare, già dopo breve tempo, proliferazioni delle vie biliari (OGATA). Bisogna guardarsi di non scambiare il quadro con quello della cosiddetta « focal biliary fìbrosis » (pag. 30), in cui fu osservata una stasi di secreto nelle vie biliari dilatate ed aumentate, senza alcun vero e proprio ostacolo al deflusso (GLOOR e WERTHEMANN). La bile arriva in ogni caso, e qualunque sia la teoria esatta, finalmente nel sangue (in parte almeno per la via del dotto toracico) determinando una colemia, cioè un tasso elevato di bilirubina diretta; aumentano in secondo tempo pure gli acidi biliari e la colesterina (BÙRGER, HENNING, STURM). L a congiuntiva e la cute si colorano di giallo nel modo più netto; il colore di questa ultima può passare più tardi al verde: ittero verde. Secondo BRUGSCH, più profondamente è situato l'ostacolo al deflusso biliare e più intensa diventa la componente verde. Le esperienze di KOCH-WESER, MEYER, YESINICK e POPPER hanno dimostrato che nei ratti le alterazioni istologiche epatiche sono tanto più gravi quanto più vicina al fegato viene fatta la legatura delle vie biliari extraepatiche. Nell'ittero che dura da molto tempo il colore diventa grigio-verde (ittero melanico). L a distribuzione del colore (KOVACZ, BIENENFELD) incomincia in modo tipico alla testa, collo, torace superiore, braccio, per diminuire progressivamente nelle parti distali (anche nel cadavere è visibile tale comportamento). È nota la bradicardia. Secondo moderne concezioni il prurito non è dato dagli acidi biliari (HENNING). L'urina presenta un colore dal giallo cupo al brunastro (coluria, colaluria, bilirubina e acidi biliari nella urina — cfr. H. BORCHARDT — ) . Le feci, se l'occlusione è totale, sono scolorate, cretacee, grigiastre, di aspetto lucente, untuose, di consistenza pastosa o di mastice per la insufficiente digestione e per la particolare ricchezza in acidi grassi e saponi, di odore putrido-fetido (il contenuto intestinale può anche essere di colore grigio se la bilirubina è stata completamente ridotta a urobilinogeno, poiché la leucourobilina è priva di proprietà coloranti; cfr. NAUNYN). Il colore del fegato può essere da giallo-verde fino a verdecupo a seconda del grado dell'Utero. Sulla sezione di taglio spiccano per il contrasto di colore le regioni centro-lobulari verde-cupo e la periferia del lobulo di colore verde-chiaro. Fra tutti gli organi interni si colora innanzi tutto il rene, che a volte assume una tonalità intensa verde-erba (nefrosi colemica). Il plasma sanguigno contiene bilirubina, la quale colora in giallo l'intima dei vasi e le valvole cardiache; perfino nell'ittero lieve la colorazione di questi ultimi è ben evidente. I trasudati possono assumere un colore variante dal giallo-oro al verde-bruno, e così il sudore, mentre, per contro, gli altri escreti sono incolori (lacrime, saliva, muco). Non
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vengono inoltre colorati la cartilagine, la cornea, i muscoli e la sostanza specifica dei nervi. Anche il liquor dei ventricoli cerebrali è molto spesso incolore (SCHMORL, vedasi anche ASKANAZY), mentre il liquor spinale risulta colorato in giallo (UMBER e H. BORCHARDT mettono in discussione se la colorazione gialla, la xantocromia del liquor è data dalla sostanza colorante della bile). I cadaveri degli itterici (come quelli dei settici) vanno rapidamente in putrefazione. L'ittero può derivare: a) da una stasi biliare generale fra le cui cause sono da considerare i restringimenti e le occlusioni delle grandi vie biliari (GUTHERT ha portato un contributo sotto il punto di vista etiologico). Si può certamente contestare che la sola stasi sia sufficiente a determinare l'ittero. MAC MASTER e R o u s ritengono piuttosto, in base a ricerche su cani e scimmie che alla stasi dovrebbe aggiungersi una lesione di tutto il parenchima epatico o delle vie biliari o una distruzione di eritrociti. Questi rilievi si estendono anche all'Icterus catarrhalis, per il quale un tempo si considerava generalmente di importanza eziologica l'occlusione del coledoco, dovuta dalla presenza di secreto catarrale mucoso (vischioso) come fattore di stasi. Anche NAUNYN non tralasciò di valorizzare questo « Icterus duodenalis » per lo meno per i casi di lieve entità che si presentano in modo sporadico, ma non per le forme che appaiono in modo epidemico; in questi casi l'ittero sarebbe di natura colangica. Mentre LEPEHNE (bibl.) scarta del tutto l'antico concetto dell'ittero catarrale e ritiene (come elemento determinante) che al processo partecipi il fegato — epatite, epatosi — , KLEMPERER-KILLIAN-HEYD reputano che non esista una origine unitaria del cosiddetto « ittero catarrale »: i) il secreto catarrale occlude il coledoco. 2) L a degenerazione ematogena e le necrosi multiple del fegato. 3) L a colangite infettiva ed ematogena condizionano l'ittero. Così pure si esprime BAUER (l'ittero è la conseguenza visibile di una epatite). Oggi l'ittero catarrale è unanimemente ritenuto identificabile con la epatite virale (vedi a pag. 243). Deve però essere ancora citato qualche singolare caso di ittero da stasi: HAMRE e MONSEN osservarono in giovani ratti nutriti con dieta povera di vitamina A un'estesa occlusione del lume delle vie biliari ad opera di proliferazioni polipose dell'epitelio metaplasico; tale fatto condusse all'instaurarsi dell'ittero. FISHER e MCCLOY riscontrarono ristagno di bile in casi di pancreatite acuta emorragica. Inoltre in questa sede è da ricordare la osservazione di ESSBACH di una completa aplasia delle più sottili diramazioni intraepatiche dei dotti biliari nonché il lavoro di SMETANA e JOHNSON, i quali decisero di ascrivere parimenti determinati casi di ittero dei neonati ad un arresto di sviluppo dei più esili rami biliari, il che portava alla comparsa di cellule epatiche gigantesche e con più nuclei. Tali cellule erano ricche di pigmento biliare. /S) Un parziale ristagno di bile può persino essere riscontrato nel fegato,
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allorquando, per esempio nella cirrosi ipertrofica oppure nella comune cirrosi, viene esercitata una pressione su condotti biliari, esili oppure grandi, per cui possono derivare ectasia e rottura dei medesimi. In altri casi si produce un calcolo intraepatico oppure una neoformazione, ovvero, come osservò KAUFMANN (confronta a pag. 198) la compressione di un aneurisma intraepatico dell'arteria epatica può determinare la stenosi e l'occlusione soltanto di una parte dei condotti biliari e ciò provoca un'ectasia parziale, talvolta di alto grado, dei dotti biliari, in un settore limitato del fegato: il che provoca ittero. — Per 1'« icterus ex emotione » si ammette come fattore causale un colangiospasmo e, se simile ittero si protrae più a lungo, la presenza di cilindri biliari che si formano per la stasi (UMBER). Il quadro microscopico del fegato. — Nelle stasi biliari di più antica data, i capillari (biliari) dilatati appaiono come formazioni lucenti, di colore giallo-ver de, sferiche o ramificate, assai bizzarre e di aspetto contorto e varicoso che si spingono fra le cellule epatiche. Talvolta ne deriva un reti. .
Fig. 29. Fegato nell'Utero meccanico. Formazione di cilindri
biliari e accumulo di pigmento (il pigmento biliare
colo iniettato di bile, sopratnella figura è nero). tutto al centro degli acini. Le cellule epatiche in parte sono diffusamente imbibite di pigmento biliare, in parte contengono gocce, granuli o cristalli aghiformi di pigmento biliare. In casi di ittero di vecchia data si notano nei canalicoli biliari cumuli di bile consolidata (i cosiddetti « trombi biliari »; AFFANASSIEW li definisce più propriamente « cilindri biliari »), di colore verde o nero-verdastro. Anche entro gli epatociti si riscontrano tubicini pieni di bile, dilatati e claviformi (vedi appresso a pag. 132). Le cellule di Kupffer contengono pigmento biliare (riassorbito) e cilindri biliari; vedi fig. 30. (Anche negli epiteli renali si repertano accumuli di granuli verdi o gialli). La reazione di Gmelin può servire a distinguere il pigmento biliare: alla sezione microscopica fresca si aggiunge idrato di potassio diluito, che dopo breve tempo viene poi lavato con acqua. Quindi si aggiunge acido nitrico concentrato (contenente nitrito) e si osserva il viraggio del colore dal verde al bleu, al violetto fino al rosso.
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Nell'ittero meccanico entra soprattutto in gioco una sostanza chimica: la fosfatasi alcalina. Essa deve essere formata negli osteoblasti ( K O L L E R e
forse anche nelle stesse cellule epatiche e G R O S S M A N , contestata da H A R D e H A W K I N S ) e viene normalmente versata dal fegato nella bile. ZUPPINGER, MAJNO
e
ROUILLER),
(BODANSKY, KUHN, W A N G
Il contenuto fisiologico di fosfatasi nel fegato oscilla notevolmente; il fermento giace preferibilmente alla periferia dei lobuli ( E G E R e G E L L E R ) , secondo C L E V E L A N D , R I C H F I E L D , G A L L e S C H I F F non spetta nessun significato diagnostico al tipo di distribuzione della fosfatasi. Nell'interno delle cellule epatiche essa predilige il nucleo (SHERLOCK e W A L S H E , S U L K I N e G A R D N E R , K R I T Z L E R e B E A U B I E N ) . Secondo GOMORI essa si lascia porre in evidenza soprattutto nelle vie biliari.
Fig. 30. Cilindri biliari fagocitati dalle cellule stellate.
Nell'ittero meccanico il contenuto del fegato in fosfatasi alcalina aumenta fortemente (in preferenza nel lume dei piccoli dotti biliari dilatati — S H E R L O C K e W A L S H E : H A R D e H A W K I N S — e nelle cellule epatiche — C L E V E L A N D , R I C H F I E L D , G A L L e S C H I F F — ) . L'aumentato tasso serico di fosfatasi (massimo dopo 48 ore, A. K Ü H N , B E C K M A N N , K I R B E R G E R e M A R T I N I ) rende possibile distinguere dal punto di vista della diagnosi differenziale un ittero da occlusione da un ittero epatico (certamente il comportamento della fosfatasi nell'ittero meccanico non è specifico. Bibl. in K Ü H N , K E T T E L E R ) . Inoltre aiuta in tale senso anche il quadro del ferro serico (pag. 150). Al contrario lo stabilire se è presente in maggior quantità la bilirubina diretta o soltanto quella indiretta non è sempre utilizzabile con sicurezza per la diagnosi differenziale ( W I T H ) .
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SUE
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Nella stasi biliare di più lunga durata si aggiunge in conseguenza dell'azione della bile, che ristagna nei protoplasmi ( G E R H A R D T , O G A T A ) necrosi delle cellule epatiche (confronta anche con la necrosi degli epiteli renali nei reni di color verde-erba), la quale può presentarsi sotto forma di piccoli focolai multipli delle dimensioni sino a un grano di miglio, rotondi, chiari e di colore giallo-pallido, e può condurre alla formazione di tessuto connettivale di origine flogistica: se si aggiunge a ciò una infezione dell'intestino fanno allora seguito gravi processi infiammatori delle vie biliari, i quali possono provocare colangite purulenta, pericolangite e ascessi (vedi pag. 241). Dopo un semplice ittero da stasi è possibile osservare anche atrofia acuta (pag. 43) e la necrosi acuta delle cellule epatiche. Viene altresì temuta l'aumentata tendenza alle emorragie, conseguente a disturbi nel riassorbimento della vitamina K , da parte dell'intestino, a cagione del deficit di bile (il che determina una ipoprotrombinemia). Quando l'impedimento che determina la stasi biliare viene eliminato, come per esempio allorquando un calcolo occludente la papilla viene espulso nell'intestino, allora la bile scorre subito in grande quantità nell'intestino dove il pigmento biliare viene ridotto a idrobilirubina (urobilina). (Nell'intestino del feto non esistono batteri e quindi nel contenuto enterico si reperta bilirubina inalterata, ossia non ridotta: anche nel contenuto intestinale giallo del lattante vi è bilirubina indecomposta oppure soltanto ridotta in minima parte; attraverso la ossidazione della bilirubina si ottiene la biliverdina). Altre notizie sulla sorte della urobilina vedi a pag. 1x9. Il comportamento dell'urina in occasione della scomparsa dell'ittero è il seguente: la bilirubina scompare dalle urine e di contro compare in un primo tempo un'abbondante quantità di urobilina (urobilinuria) dopo che l'afflusso di bile nell'intestino è ritornato libero; per maggiori dettagli vedi in FISCHLER.
4. All'inizio venne già sottolineato come i tre tipi fondamentali di ittero non sempre compaiano in forma « pura »; le combinazioni sono assai frequenti: abbiamo imparato a conoscere come già nell'Utero dei neonati esista tale combinazione sotto forma di aumentata formazione extraepatica di bilirubina, associata ad una componente epatica nel senso di un ittero da ritenzione (secondo le modalità dell'ittero meccanico). Anche alla forma di ittero epatico che decorre con « proteino-colia » deve essere associata una « microstasi » secondo il concetto di singoli ricercatori (è ovvio in tal caso di porre un certo confronto con la « nefroidrosi »). Si debbono qui citare altre forme di ittero in aggiunta alle precedenti: così l'ittero tossico (per esempio in seguito ad avvelenamento da piombo o fosforo, ma anche da toluilendiamina o fenilidrazina, vedi sopra), al quale partecipano un'aumentata emolisi e un danno delle cellule epatiche; la contemporanea degenerazione grassa condiziona un « fegato zafferano ». Sull'Utero da « salvarsan » vedi pag. 243. Di grande importanza pratica è
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poi l'ittero infettivo: di esso si riscontrano casi in corso di malattie infettive, così come in affezioni settiche, inoltre nella polmonite, nel tifo, nella scarlattina, nella malaria, nel morbo di Weil, ecc. L a patogenesi di questi casi non è assolutamente unica ed in proposito regnano opinioni molto diverse (come su tutto questo intero campo d'indagine!). Secondo il pensiero degli A A . si tratta per lo più di una combinazione di emolisi e di danno cellulare epatico. L a sifilide non provoca in genere alcun tipo di ittero. A proposito dell'ittero sifilitico precoce vedi ROBERT. L'ittero nella sepsi, soprattutto nella sepsi streptococcica (ma anche nella sepsi lenta) non è in genere molto marcato, e la eliminazione dei pigmenti biliari nell'intestino è appena disturbata. L a diazoreazione diretta sul siero è pronta. LEPEHNE segnalò come vero ittero settico casi presentanti cute di un singolare colorito giallo-bruno in corso di sepsi da gangrena gassosa e di sepsi puerperale foudroyante: in tali casi si tratterebbe di un ittero emolitico. L'ittero che si presenta durante una polmonite viene in parte prodotto in seguito ad accentuata distruzione di eritrociti a livello dei polmoni ammalati. Così si pensa all'esistenza di una genesi emolitica-pleiocromica, di certo contemporanea al danno funzionale delle cellule epatiche (vedi LEPEHNE, bibl. ROCCAVILLA). S e c o n d o
EPPINGER
già
nei
polmoni
av-
viene probabilmente una trasformazione dell'emoglobina in bilirubina. NAUNYN ammette una colangia (?) e una parapedesi (veleni del sangue e produzione di metaemoglobina ad opera dei pneumococchi. Vedi SCHNABEL).
Per quanto riguarda l'ittero dei cardiopatici (ittero cianotico) NAUNYN lo considera condizionato da colangia capillare, da stasi nei capillari biliari su basi locali, con la possibilità in una parte dei casi della comparsa di abbondanti trombi biliari (confronta anche LEPEHNE, OERTEL). HENNING pensa piuttosto ad un'azione emolitica. Analogamente SHERLOCK interpreta questo ittero di natura complessa; egli riconosce una componente epatocellulare accanto a quella meccanica (microstasi da compressione dei canalicoli biliari e trombi biliari) ed una componente emolitica (stasi ed infarti dei polmoni). 5. Infine dobbiamo ammettere che talune forme di ittero sono ancora oggi oscure in sommo grado, specialmente perché esse non presentano in linea di massima alterazioni morfologiche specifiche del fegato. A questo gruppo appartengono casi che dal punto di vista clinico palesano innanzi tutto l'impronta di un ittero da occlusione, casi nei quali però l'operazione (oppure l'autopsia) dimostrano condotti biliari intra- ed extraepatici facilmente pervi. Citiamo i reperti di BRICK e KYLE, oltre quelli di ALMADEN e R o s s dopo trattamento con metiltestosterone; anche quelli di GOULSTON e SMITH, BRASS. A questo proposito è stata esposta la tesi di un blocco dei tratti intermedi (CAROLI) e si reputa che questi giochino
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un ruolo nella epatite, nell'ittero da « salvarsan », dopo trattamento con arsfenamina, nel morbo di Weil, ecc. Di recente ha suscitato interesse l'ittero che si presenta in circa il 5 % dei casi in seguito a trattamento con cloropromazlna (Chlpr.) (la Chlpr., in U.S.A. designata come thorazin, è una dimetilaminopropilclorofenotiazina usata come sedativo). Quantunque sia sottolineata la mancanza di ogni segno di flogosi, nella letteratura anglo-americana si parla di « epatite » da Chlpr. Quale causa viene ammessa una stasi biliare intraepatica (GOLD, ROSENBERG e CAMPBELL, MCHARDY,
MCHARDY
e CANALE, MOVITT e Coli.; v .
OMMEN
e
BROWN,
LINDSAY e SKAHEN). Possono anche formarsi cilindri biliari nei canalicoli. Anche se fanno difetto i test patologici di funzionalità epatica, l'A. pensa anche ad un disturbo epatocellulare nel senso di una proteinocolia. L a critica f a t t a a pag. 129 deve anche prospettare l'ittero da Chlpr. come un « ittero da occlusione ». D ' a l t r a parte DAVID nell'Istituto dell'A. potè ottenere nei topi alterazioni parenchimali di varia natura (vedi pagg. 39, 112, 377), m a non ottenne mai ittero. Anche HANGER e GUTMAN non si
(1) (N. d. T.). L ' i t t e r o giovanile intermittente anemolitico, alla luce delle moderne acquisizioni, deve essere classificato tra le forme legate ad alterazioni congenite del metabolismo della bilirubina. Di questo gruppo fa p a r t e l'iperbilirubinemia da « shunt » (ISRAEL e Coli.), c a r a t t e r i z z a t a da splenomegalia e deposizione di pigmento ferroso nelle cellule epatiche e nelle cellule di K u p f f e r . Q u e s t a entità patologica è legata verosimilmente ad iperproduzione di bilirubina indipendente dal ricambio eritropoietico, probabilmente d e r i v a t a direttamente dal metabolismo porfirinico. L ' i t t e r o giovanile intermittente di Gilbert-Meulengracht è la f o r m a più frequente tra quelle legate a vizi congeniti del metabolismo bilirubinico. L a cellula epatica è incapace di metabolizzare in m i s u r a , sufficiente la bilirubina pur risultando apparentemente integra nel complesso delle sue funzioni. Mentre le indagini al microscopio ottico non hanno fornito rilievi significativi, il microscopio elettronico h a invece consentito l'osservazione di modificazioni che sembrano direttamente ricollegabili con la patogenesi della malattia (SIMON e
VARONNIER).
T a l i alterazioni consistono in rigonfiamento e distacco degli endoteli dei seni e nell'amputazione o scomparsa dei microvilli protrudenti negli spazi di Disse. A n c h e le cellule epatiche mostrano segni di alterazione della m e m b r a n a citoplasmatica. Gli spazi di Disse sono frequentemente intasati da microvilli a m p u t a t i e da residui citoplasmatici che ne p r o v o c a n o la dilatazione. Il danno funzionale che sarebbe responsabile della sindrome coinvolgerebbe i sistemi recettori destinati alla captazione della bilirubina libera del plasma, f a t t o che sembra trovare una conferma anche in ricerche sperimentali con mezzi di contrasto a base di radiojodio. Della sindrome di Crigler-Najjar si è già f a t t o cenno a p a g . 128. Nelle tre sindromi precedenti l'iperbilirubinemia è d o v u t a ad a c c u m u l o di bilirubina libera (indiretta). Nella sindrome di Dubin-Johnson e nella forma assai simile descritta da R o t o r l'iperbilirubinemia è invece d o v u t a in p r e v a l e n z a alla bilirubina coniugata (diretta), la quale p u ò anche essere filtrata dal rene e passare nelle urine. L a sindrome di R o t o r differisce da quella di Dubin-Johnson per la minore g r a v i t à o per la assenza di segni di insufficienza epatica e di compromissione generale nonché per la m a n c a n z a della tipica deposizione pigmentaria epatica caratteristica della sindrome di Dubin-Johnson. P e r e n t r a m b e le forme si a m m e t t e che il difetto funzionale consista nella incap a c i t à parziale della cellula epatica alla escrezione della bilirubina normalmente c o n i u g a t a con acido glicuronico.
140
IL FEGATO
associano all'opinione, secondo la quale l'occlusione intraepatica potesse avere siffatta importanza, anzi essi considerano presenti in tali casi alterazioni d'ordine funzionale. In senso analogo CHABROL e BLANCHON pensano ad una disfunzione neuro-vegetativa (in questi casi le vie biliari sono appunto morfologicamente inalterate). Sulla cosiddetta « epatite colangiolitica » (GALL e BRAUNSTEIN) v e d i p a g . 248.
Altre forme di ittero non hanno nemmeno fatto nascere il sospetto clinico di una occlusione delle vie biliari, sono inoltre esenti da ogni danno epatico e anche da processi emolitici (E. SCHULZE). Ricordo a questo punto l'ittero giovanile intermittente di MEULENGRACHT, l'ittero familiare non emolitico
(GILBERT
e
LEREBOULLET,
PATRASSI,
DAMESHEK
e
SINGER,
GILBERT) oppure la disfunzione epatica costituzionale (ROZENDAAL, COMFORT e SNELL). Sussiste un certo parallelismo fra questi casi e quelli di ittero, che si mantiene ancora per un certo tempo dopo la scomparsa dei reperti morfologici di una epatite, « iperbilirubinemia persistente postepatitica »
(GROS
e
KIRNBERGER,
HULT,
KUHN
e
HITZELBERGER),
la quale forse deriva da un deficiente potere di escrezione da parte del fegato. Qualcosa d'altro sembrano invece mostrare i 12 casi di « ittero cronico idiopatico » (in parte intermittente) descritti da DUBIN e JOHNSON, in essi con il puntato biopsico venne repertato un fegato ingrassato che a v e v a assunto un tipico colore verde-cupo e mostrava un intenso accumulo — soprattutto dei centri lobulari — negli epiteli di pigmento bruno non ancora bene differenziato e grossolanamente granuloso. L e cellule stellate ne rimangono prive. Si potrebbe anche trattare in simili casi di disturbi del ricambio di natura congenita. Casi analoghi furono pubblicati d a SPRINZ e N E L S O N , d a K L A J M A N e E F R A T I .
Anche l'ittero delle gravide (ittero della gravidanza, ittero ex graviditate — HEYNEMANN « epatopatia delle gravide » — L. SEITZ) non è ancora chiarito. EGELI ammette un'alterazione degli epatociti nella tossicosi gravidica. D a tale forma deve essere distinta una seconda, la quale h a il significato di una malattia casuale delle gravide con ittero concomitante e c h e è l e g a t a a d u n a e p a t i t e (NIXON, EGELI, LAQUEUR e Y A H Y A ) . I n q u e s t i
casi si può egualmente sviluppare come avviene nelle donne non gravide un'atrofia giallo-acuta del fegato (confronta BERBLINGER, DIEL). 6. La cosiddetta «bile bianca» (B. B.). È opportuno discutere qui la cosiddetta « bile bianca », in quanto essa viene repertata appunto nei canali biliari (sulla idrope isolata della « vesica fellea » vedi invece nel T r a t t a t o di GUTHERT). Con questa definizione si intende un liquido incoloro o debolmente colorato bianco-grigio-giallastro, avente aspetto mucoso-filante, con reazione da neutra ad alcalina. In esso mancano i pigmenti biliari, sovente anche i sali biliari e la colesterina. Nella maggioranza dei casi la bile bianca è sterile.
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La sua origine non è ancora in alcun modo chiarita, tanto più che non esiste in tutti i casi una analogia con l'idrope della coleciste, cioè non si constata di regola occlusione delle vie biliari (vedi pag. 130 LA M A N N A , vedi sotto). Quando, come avviene nella maggioranza dei casi, in seguito all'occlusione determinata da un tumore oppure per l'incunearsi di un calcolo si manifesta una stasi biliare e quindi un ittero meccanico, allora l'aumentata pressione della bile viene interpretata come un momento patogenetico sostanziale; nel qual caso, se pur esiste stenosi alta, viene posta in discussione anche la funzione regolatrice sulla pressione della colecisti. Tale fenomeno si verifica inoltre in occasione di colecistectomia; in casi di calcoli del cistico; in colecistite cicatriziale in parte raggrinzante ( D O N A T H ) . Un reperto esemplare viene raggiunto dal caso n. 53 di E I C H M E Y E R in cui esisteva contemporanea occlusione litiasica del cistico e del coledoco. A proposito degli esperimenti condotti su animali trattati con legatura delle vie biliari, vedi soprattutto Rous e M A C M A S T E R (inoltre V A L D O N I , B E R N H A R D , A R O N S O H N ) . In contrapposto a quanto si verifica nell'idrope solitaria della colecisti, nella bile bianca condizionata da stasi una parte dei ricercatori considera pure come fattore sostanziale un riassorbimento dei pigmenti biliari ed una ipersecrezione da parte delle pareti dei condotti biliari ( K A U S C H ) . D O N A T H (bibl.) riferì del resto sopra il reperto di accumuli di esteri colesterinici sotto forma di macchie lungo le pareti dei dotti biliari in casi di ipertensione. In genere non viene attribuita alcuna importanza nella interpretazione del fenomeno all'opinione di B R U N NER, secondo la quale nella evenienza di una occlusione posta in profondità potrebbe esservi mescolato con la bile anche il succo pancreatico. Secondo il pensiero della maggior parte dei ricercatori deve essere invece attribuito valore decisivo ad una alterazione del parenchima epatico: come conseguenza della iperpressione biliare sembra innanzi tutto che sia da prospettarsi una insufficienza della attività di secrezione delle cellule epatiche, una acolia ( C O U R V O I S I E R , K Ò R T E ) . Ma è stata posta in discussione anche una paracolia (vedi pag. 130) come effetto di una aumentata pressione secretoria nei condotti biliari ( K A U S C H , B R U N N E R , S P I N D L E R , B E R T O G , G O R K E ) . A R O N S O H N pensa ad un riassorbimento retrogrado della bile già prima secreta, che verrebbe operato dalle cellule epatiche. Oltre a ciò una infezione dovrebbe accelerare lo scoloramento della bile. L'infezione, per esempio la colangite, di certo non può acquistare che molto raramente un'importanza accessoria, come sostengono A S C H O F F , N A U N Y N , B E R N H A R D , ecc.; anche la bile bianca sterile però può provocarla con frequenza (Rous e M A C M A S T E R , COSÌ come D O N A T H ritengono per ciò che l'infiammazione non sia un fattore necessario). Tutte queste teorie debbono però essere sottoposte a revisione critica, in quanto anche casi di « bile bianca » furono osservati in parte senza ristagno di bile e senza ittero — si parla in tali casi di « vera » bile bianca — in
142
IL FEGATO
parte senza processi infettivi. LA MANNA reputa in simili evenienze, che si tratti sostanzialmente di un «deficit funzionale totale delle cellule epatiche», di una disfunzione reversibile (KAUSCH, BERTOG) come conseguenza di una epatosi. Purtroppo alterazioni istologiche patognomoniche per tali casi non sono conosciute. Detto disturbo funzionale può essere condizionato da fattori tossici (nella stasi biliare, nella intossicazione da atophan; FRANCKE, FRANCHE e SYLLA) oppure da fattori infettivi (nella colangite). I bambini vi sono soprattutto predisposti; in essi la bile bianca può essere provocata semplicemente da una infezione generalizzata con ipertermia (LA MANNA). Si potrebbe quindi ricapitolare al proposito, che nell'adulto esiste in genere un complesso di fattori fra i quali accanto ad insufficienza funzionale delle cellule epatiche debbono essere prese in considerazione la stasi, l'infezione e la secrezione mucosa delle vie biliari. 7. L'ittero infettivo 0 malattia di Weil. — Il morbo di Weil (WEIL, Heidelberg 1886), denominato anche ittero contagioso, appartiene alle leptospirosi; è una malattia settica generalizzata, febbrile, che esordisce in modo brusco con gravi sintomi generali, vomito, diarrea o stipsi, astenia, sintomi cerebrali (sonnolenza, delirio) e con dolori muscolari, soprattutto ai polpacci; al che subentra in 3 a -7 a giornata l'ittero, che nella massima parte dei casi è di intensità rilevante e al quale si associano spesso numerose emorragie della cute, che possono presentarsi sotto forma di rilievi pomoidi (confronta PICK). Nelle urine si repertano assieme ad urobilinogeno (vedi pag. 119) bilirubina e sali biliari. Le feci possono essere acoliche. L a gravità dei casi è varia; i casi lievi regrediscono in breve tempo; il decesso si verifica per lo più in i a -3 a settimana. All'autopsia si riscontrano assieme all'ittero generalizzato emorragie capillari anche delle superficie sierose e mucose e di numerosi organi interni (specie i polmoni) come pure dei muscoli. Le emorragie vengono per lo più interpretate di natura tossi-infettiva (MILLER le considera dovute alla colemia; vedi per contro PICK, BEITZKE, ecc.). Il fegato, fortemente itterico, è per lo più duro, con capsula liscia, attraverso la quale traspaiono sovente punticini di colorito rosso-bruno o rosso-vinoso oppure macchie sbiadite. Le trabecole epatiche tendono ad una leggera dissociazione — per rilassamento del tessuto interstiziale — , gli « spazi linfatici » pericapillari sono dilatati (edema, vedi HERXHEIMER). Le cellule epatiche secondo la maggior parte dei dati bibliografici sono poco alterate (PICK descrive però un rigonfiamento torbido e una necrosi riproducibile sperimentalmente — vedi anche CASTILLO), i nuclei vengono sovente riscontrati di forma globosa nella parte centrale degli acini; possono mancare i cilindri biliari; esiste poco grasso negli epatociti, abbondante invece nelle cellule di Kupffer; segni di processi rigenerativi: molte mitosi fra le cellule epatiche e formazione di cellule giganti (OBERNDORFEN); focolai di infiltrazione, principalmente formati da elementi linfocitari, variano d'intensità nella guaina
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di Glisson (cfr. BEITZKE) e possono anche mancare del tutto. Nel complesso il quadro patologico del fegato è poco caratteristico. Le grandi vie biliari sono pervie; la bile è poco densa. L'ittero viene per lo più interpretato o come parapedesi biliare oppure come ittero da stasi con formazione di trombi biliari (vedi PICK), mentre da altri A A . è considerato come l'esempio più importante di ittero anepatico, reticolo-endoteliale, lienogeno (LEPEHNE); il che da taluni A A . viene invero contestato. F r a gli altri reperti costanti sono da segnalare: alterazioni muscolari — dal punto di vista macroscopico si notano piccoli focolai di degenerazione imbibiti di bile; microscopicamente si osservano focolai di degenerazione cerea ed ialina, anche necrosi schiumosa e vacuolare, emorragie e rapido sviluppo di tessuto di granulazione (confronta PICK). Costanti sono inoltre le lesioni renali: i reni appaiono ingranditi in modo assai marcato, hanno colore giallo-verdognolo con chiazze rosse sulla superficie esterna. Microscopicamente presentano: rigonfiamento torbido fino alla necrosi dei singoli epiteli dei canalicoli urinari, desquamazione degli epiteli capsulari dei glomeruli, albumina negli spazi capsulari e nei tubuli contorti. Nel tessuto interstiziale si riscontrano infiltrati cellulari principalmente di tipo linfocitario e al tempo stesso si notano di quando in quando piccole emorragie nell'interno dei canalicoli
(HERXHEIMER, BEITZKE). MILLER definì le al-
terazioni renali come « nefrite acuta interstiziale con nefrosi colemica » e le considerò, insieme con la degenerazione ialina a piccole macchie riscontrabile nella muscolatura dei polpacci, il reperto più importante in sede di diagnosi al tavolo settorio. Ciò venne confermato dall'A. L a milza per lo più non è né ingrossata né molle; LEPEHNE descrisse per
primo una estesa fagocitosi di residui eritrocitari nelle cellule reticolari, negli endoteli dei seni, alterazioni che egli considera come reperti anatomopatologici specifici della malattia. Vedi anche pag. 125. In contrapposto agli abituali reperti sopra descritti a carico del fegato, nel quale in antitesi alla atrofia acuta non giocano alcun ruolo sostanziale le necrosi, sono stati pure riferiti casi con gravissimo danno e con atrofia del parenchima epatico, i quali indicano la possibilità di un passaggio del morbo di Weil in atrofia acuta (PICK, HART). Si dovrebbe anche ammettere che da fegati necrotici in modo più o meno marcato quali si possono riscontrare nel morbo di Weil, possano derivare cirrosi in parte nodulari e in parte di forma comune (vedi a pag. 329). Eziologia: il morbo di Weil è chiamato anche spirochetosi ittero-emorragica. INADA ed IDO trovarono dapprima spirochete sospette nel fegato di cavie inoculate con sangue di uomini affetti da morbo di Weil (vedi anche
UHLENHUTH
e
FROMME,
INADA
e
KANEKO
e
monografia
di
KA-
NEKO, ivi bibl.). Nel morbo di Weil le spirochete si repertano nel sangue e nelle urine; il sangue le contiene dal I° al i o 0 giorno di malattia. HUE-
IL FEGATO
144
BENER e REITER provocarono con esperimenti su cavie (inoculazione intraperitoneale di 2 cc. di sangue di malati) reperti anatomici analoghi a quelli dell'uomo. Venne definita la spirocheta come spirocheta itterogene (UHLENHUTH
e
FROMME),
secondo
NOGUCHI
Leptospira
(XEUTOQ:
sottile;
aneiQa: filo tortuoso) ittero-emorragica (o dell'ittero-emorragia). Come sorgente principale di infezione vengono considerati i ratti, i quali sovente albergano le spirochete nel loro organismo e le eliminano con le urine e con le feci (confronta UHLENHUTH e ZÜLZER). Probabilmente entrano in gioco anche nella trasmissione della malattia morsi di pidocchi e di tafani. Secondo altri Autori verrebbe piuttosto messa in discussione come porta d'ingresso dei parassiti la mucosa della bocca (viene infatti segnalato arrossamento del palato e del retrobocca; confronta p. es. HILGERMANN, le cavie risultano iniettabili per os; p. es. MILLER descrive anche la presenza di numerose vescicole nell'epitelio delle cripte delle tonsille. Nel cadavere gli agenti patogeni furono repertati solo raramente e in numero estremamente limitato, nel fegato, nei reni, nei muscoli (confronta BEITZKE), innanzi tutto in casi di morte a v v e n u t a nella I A settimana, e in autopsie praticate precocemente nei reni (vedi bibl. in MILLER, confronta anche LUBARSCH, — b r e v e recensione — in MARTIN e PETIT, SNIJDERS): s e c o n d o
KANEKO gli agenti patogeni si individuano in uno stadio precoce negli organi parenchimatosi e più tardivamente soprattutto nei muscoli. Nella febbre di sette giorni, oppure di NAUNUKAYAMI molto simile alla forma atipica del morbo di Weil, m a per lo più senza ittero, venne dimostrata una leptospira hebdomadis diversa da quella del morbo di Weil (vedi il lavoro
comune
MORIHANA,
di IDO, ITO, W A N I , OKUDA,
HOKI; i n o l t r e
KANEKO
e
VERVOORT).
8. Nella febbre gialla, il cui quadro anatomico può essere molto simile al morbo di Weil, si riscontra necrosi più grave delle cellule epatiche, e cioè secondo H. CHIARI (bibl.) « necrosi a chiazze » (cioè ancora frammisti a cellule epatiche normali o in degenerazione grassa focolai di elementi necrotici), le quali interessano soprattutto la zona intermedia degli acini, mentre la porzione centrale e periferica mostrano segni di degenerazione grassa (DA ROCHA-LIMA e W . H. HOFFMANN). L a febbre gialla è endemica nei climi tropicali, nel Sud-America ed Africa Occidentale (vedi W . H. HOFFMANN, KLOTZ bibl.) e risulta specialmente letale per gli europei dal 30 all'8o % — dopo un periodo febbrile di tre giorni con caduta della temperatura seguono ittero, emorragie della cute e delle mucose, oliguria; alla fine della I A settimana segue l'exitus con crampi e delirio — NOGUCHI (1918) credette di aver trovato una leptospira itteroide (spirocheta) molto simile alla spirocheta del morbo di Weil e egli la considerò come l'agente della febbre gialla in Ecuador, e la coltivò (confronta W . H. HOFFMANN). L a trasmissione ad individui sani avviene mediante la puntura di una zanzara femmina fecondata (Aedes Aegypti, prima denominata stegomyia
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
ALTERAZIONI
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(EPATOSI)
fasciata), la quale si infetta a contatto con malati (vedi anche H U D S O N , esperimenti su scimmie). Anche W. H . H O F F M A N N e J A H N E L già avevano pensato che fosse dubbia l'importanza eziologica della leptospira; ora essa viene addirittura negata; in contrapposto si ammette che l'agente patogeno sia rappresentato da un virus invisibile (ultravirus), facilmente filtrabile, il quale deve essere presente negli organi e nel sangue ed è trasmissibile ad animali, vedi bibl. in W. H . H O F F M A N N (1929) (per altre notizie sugli agenti patogeni della febbre gialla vedi in K U C Z Y N S K I , bibl.). Per la diagnosi anatomica di febbre gialla endemica è decisivo l'esame del fegato (W. H . H O F F M A N N ) ; per quanto riguarda il fegato e la milza nella febbre gialla vedi anche K L O T Z e S I M P S O N . W. H . H O F F M A N N confermò recentemente in un caso di febbre gialla osservato in Africa Occidentale la esistenza di « inclusioni acidofile « nei nuclei delle cellule epatiche (si tratta probabilmente di processi degenerativi, è discutibile che siano in relazione con l'agente patogeno della febbre gialla), come M. T O R R E S le descrisse nelle scimmie ammalate di febbre gialla. Sopra queste cosiddette « inclusioni » di T O R R E S , vedi anche C O W D R Y e K I T C H E N , R Ò S S L E , S N I J D E R X D e D I N G E R . Per le alterazioni del sistema nervoso centrale vedi A. J A K O B . ( I )
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CAPITOLO
X
RICAMBIO DEI SALI INORGANICI i. RICAMBIO D E L
FERRO
Con ambedue le porzioni di parenchima, porzione epiteliale e cellule stellate di Kupffer, il fegato partecipa in modo determinante al ricambio del ferro. I clinici (HEILMEYER) riconoscono ad esso una posizione « centrale » in questo settore del ricambio. Finora però ci rimane sconosciuta una gran parte di questo lavoro (funzionale), in quanto è dimostrabile soltanto la deposizione patologica di emosiderina. È però auspicabile che fra non molto anche la ferritina fisiologica sia istochimicamente dimostrabile (reazione al solfato di cadmio?). Il fegato è — assieme alla milza e al midollo osseo — il più importante deposito di Fe del nostro organismo e contiene tale elemento nel citoplasma cellulare (HARRISON) — il nucleo è privo di ferro: LISON, PEARSE —- quale « ferro di deposito fisiologico » (riserva di ferro) sotto forma di ferritina (con un contenuto del 17-23 % di Fe trivalente, che è accoppiato alla apoferritina, sostanza di trasporto che consta di albumina). Un contenuto di Fe nel fegato sotto i 50 mgr. % può non essere individuato con le indagini istochimiche, poiché esso è costituito da ferritina. Del resto il contenuto in Fe del fegato normale oscilla fortemente (MASSHOFF), nelle donne esso è più scarso (il contrario avviene nei ratti secondo HARRISON). I valori per le diverse età furono determinati da RECHENBERGER e SCHAIRER. Il fegato dei neonati (K. e M. ADLER) e dei vecchi è particolarmente ricco di ferro. Esso in parte sotto forma di alimento (circa 12 mgr. al dì; regolazione attraverso il blocco mucoso del duodeno e dell'intestino tenue superiore: B U C H M A N N e S T O D T M E I S T E R , G R A N I C K ) , in parte proveniente dalla distruzione degli eritrociti e della muscolatura, viene portato nel sangue come idrossido di ferro in complesso proteina-idrossido di ferro, « transferrina » ( L A U R A L L ) , e rispettivamente « plasma-siderofilina » ( S C H A D E ) al fegato. Il ferro radioattivo dopo iniezione può essere dimostrato nel fegato sotto forma di ferritina ( G R A N I C K ) ; peraltro esso viene poco dopo trasportato al midollo osseo ( F I N C H , G I B S O N , P E A C I C K e F L U H A R T Y ) . Il tenore di Fe plasmatico è sufficientemente costante (nell'uomo circa 120-125 Y %• n e ^ a donna 80-90 y %). Il fegato è in grado di modificare il contenuto plasmatico di Fe; nelle malattie del paren-
RICAMBIO DEL FEGATO E SUE ALTERAZIONI
(EPATOSL)
151
chima, così nell'ittero epatocellulare (soprattutto nella epatite epidemica) esso è — sovente persino in quantità notevole — elevato ( T Ò T T E R M A N , D U B S ) ; R E I S S M A N N , B O L E Y , C H R I S T I A N S O N e D E L P osservarono una ascesa del Fe serico parallela alla estensione di necrosi epatiche, sperimentalmente provocate. Nell'ittero meccanico il contenuto di Fe plasmatico è abbassato ( H E M M E L E R ) . Questo dato può essere importante per la diagnosi differenziale dell'ittero (circa l'elevazione dei valori nella emocromatosi vedi sotto).
La sostanza ferrica di deposito, già da tempo nota ai patologi è la « slderina » per lo più emosiderina, ma anche «siderina miogena» (GIESE). La siderina si trova nelle cellule stellate oppure negli epiteli epatici in parte sotto forma di granuli finissimi in parte in grossolane zolle (mai però in forma cristallina) ed ha un colore che muta dal giallo al bruno-rugginoso fino al nerastro. Sul ferro « diffuso » vedi MASSHOFF. In contrapposto alla ferritina (che contiene dal 17 % fino al 23 % di Fe) la siderina può contenere fino al 36 % di Fe ( B E H R E N S e A S H E R ) , che si lascia mettere in evidenza con le note reazioni del Fe (reazione al bleu-Berlino di Perls; reazione di Turnbull dopo trattamento con solfato di ammonio secondo Q U I N C K E ) . L a siderina è un idrossido di Fe legato a sostanze vettrici di natura organica ( H U E C K ) . Secondo G O E S S N E R queste si compongono di un complesso glico-proteico, secondo G E D I C K di proteine, di mucopolisaccaridi acidi e di lipoidi (affini alla cerasina), per cui sussistono certe differenze, dimostrabili in modo interessante (in fluorescenza e componente di polisaccaridi) fra la emosiderina che si trova nelle cellule stellate e quella giacente negli epatociti. I rapporti fra ferritina ed emosiderina non sono ancora chiariti in modo definitivo. Secondo le modalità del passaggio dallo stato di « sol- » a quello di « gel » la ferritina si deve trasformare in emosiderina ( S C H W I E T Z E R ) . Sulle complicate correlazioni quantitative fra entrambe queste sostanze hanno sperimentalmente indagato in ratti albini K E I D E R L I N G , W Ò H L E R e A L T M E Y E R .
1. Al morfologo interessa come è facile comprendere la siderosi del fegato, che si rende visibile macroscopicamente (il fegato appare di colore bruno-ruggine), sovente persino senza particolari espedienti così come dal punto di vista istologico; essa è condizionata o da un « eccesso » di ferro, oppure da un « difetto » di apoferritina, così che il Fe precipita rendendosi visibile; questa ultima evenienza però è molto rara. Le cause che determinano una maggiore offerta di Fe e quindi una siderosi del fegato sono varie; la sorgente del Fe può risiedere in una esaltata distruzione ematica (« ferro da emolisi »), in un logorio di sostanza muscolare in casi di deficienza generale di proteine nella nutrizione, in uno spostamento del Fe dal sangue nei tessuti ed infine in un aumentato apporto esogeno. Ambedue i primi fattori talvolta si combinano (così, per esempio, nei disturbi della nutrizione, ecc.), ma in altri casi sono distinguibili in modo netto. a) All'ultimo tipo appartiene la emosiderosi semplice del fegato nelle « emoglobinemie », cioè nei casi di distruzione massiva di sangue a sede
152
IL FEGATO
intravasale « ferro emolitico ». È quanto si verifica nella emolisi tossica (per esempio, nell'avvelenamento da idrogeno arsenicale, da toluilendiamina), nell'itterò emolitico (nelle gravi anemie emolitiche — H Y M A N e SOUTHWORTH — oppure nell'itterò grave che si riscontra nella malattia emolitica neonatorum familiare — ZOLLINGER), soprattutto però nella anemia perniciosa; il fegato assume un colorito giallo-orange o bruno chiaro, tipo pelo di volpe, ed è sovente sede di degenerazione grassa nella porzione centroacinosa (per le alterazioni di struttura vedi anche in METTIER). Oltre al fegato anche la milza (poco!), il midollo osseo e i linfonodi sono sedi di deposito di pigmento ferrico (vedi anche M I G A Y e P E T R O F F ) . Il fegato dell'anemia perniciosa dimostra appunto la ragione per la quale L U B A R S C H segnalò che non esiste alcun parallelismo fra la entità della distruzione del sangue e la quantità di Fe depositato nei tessuti. Perciò nonostante che la distruzione ematica sia forte, la quantità di pigmento nel fegato è lieve, in modo sorprendente, quand'anche esso persino non manchi completamente. Si deve dunque ammettere che il pigmento si sciolga nuovamente e che quindi dal fegato venga eliminato, dopo che le cellule stellate (LUBARSCH parla in modo generico di « cellule di sponda » (Uferzellen) lo hanno consegnato agli epatociti (ROSSLE); a questi ultimi (specie alla periferia dei lobuli), così come agli epiteli dei canalicoli urinari contorti, si limita il deposito relativamente modesto del pigmento anche nei casi, in cui l'anemia porta il malato all'esito letale. fi) Contrariamente a quanto avviene in questi casi la siderosi del fegato in corso di « disturbi della nutrizione » non è da mettere in relazione soltanto con una aumentata emolisi (una compartecipazione della medesima è ammessa da LUBARSCH, O V E R Z I E R , MASSHOFF e WALDSCHUTZ). Anzi G I E S E , SHERLOCK e W A L S H , B E R N I N G poterono dimostrare una liberazione di Fe dalla mioglobina nella ipotrofia muscolare progressiva (nel corso di malattie defedanti — con esaurimento — e nella distrofia da inanizione). Per ciò si dovrebbe, per usare un termine corretto, parlare di miosiderina o meglio di « siderina miogena » (MENKIN propone di parlare di « citosiderosi »). Di contro a queste forme croniche di siderosi, SCHETTLER in topi denutriti in modo acuto (nel corso di sei giornate) ha osservato una reazione del Fe estremamente marcata; ciò che l'Autore potè confermare. Anche in questi casi la muscolatura ha dimostrato una evidente perdita di peso. La vera causa di tale forma di siderosi è da ricercare però nella deficienza di albumina ( B E R N I N G ) . L'ipotesi di GILLMAN e G I L L M A N , che consiste nell'ammettere la possibilità di una « emocromatosi alimentare » (vedi sotto) è da escludersi (confronta anche HIGGINSON, G E R R I T S E N e W A L K E R ) . Nei disturbi dietetici cronici del lattante il fegato atrofico e ricco di Fe è già da tempo conosciuto ( W E G E L I N , S T R À T E R , D U B O I S , bibl. G U T H E R T e F U C H S sottolineano il notevole contenuto in Fe del fegato del lattante già in rapporto alla età e discutono la possibilità di una liberazione del Fe in
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I53
precedenza mascherato). A p p u n t o nella siderosi del lattante sembra però che giochi un ruolo di rilievo anche un fattore emoglobinogeno. MASSHOFF e WALDSCHÜTZ osservarono una considerevole eritrofagocitosi associata a distruzione intracellulare di emoglobina nel fegato. Che i rapporti rimangano ancora più complicati lo dimostrano anche le condizioni di dipendenza sussistenti fra il ricambio del Fe e quello dei grassi; così GILLMAN e G I L L M A N , S E L B E R G , K A L K , R O B B E R S e R Ü M E L I N r i c o n o b b e r o l a
de-
generazione grassa del fegato come una occasione di aumentato deposito del Fe. In fine determinate forme di dieta (dieta di mais) possono condurre ad alterazioni del tipo del blocco delle mucose (Mucosal block, CARBONERA) e quindi ad una aumentata assunzione del F e (SPOENDLIN). U n a parte di questi fattori gioca sicuramente un ruolo anche nella formazione di un fegato ricco di Fe, quale si ha nei bevitori. y) D i tutt'altra natura è l'aumento del contenuto di Fe nelle cellule stellate di Kupffer in corso di infezioni locali (WENDEROTH). In clinica è corrente il termine di « iposideremia infettiva », nella quale il Fe plasmatico è migrato nel S R I . RECHENBERGER e SCHAIRER e anche MASSHOFF nelle malattie infettive non riscontrarono mai un aumento del contenuto di Fe nel fegato. ò) L'aumentato apporto esogeno può facilmente condurre ad un eccessivo accumulo nel fegato, poiché l'organismo non è in grado di elevare in modo corrispondente l'eliminazione del Fe. Così è possibile osservare una grave siderosi del fegato dopo molteplici iniezioni di soluzioni contenenti F e e soprattutto dopo trasfusioni di sangue ripetute con frequenza: « siderosi trasfusionale ». W Y A T T , MIGHTON e MORAGUES ne descrissero un caso in un soggetto che aveva ricevuto 135 (!) trasfusioni. MASSHOFF ammette che alla base di una emosiderosi epatica (o splenica) che insorga subito dopo una trasfusione di sangue questo vada incontro alla distruzione in genere rapida (vedi anche SCHALLOCK) . Invece in seguito a digestione intracellulare di eritrociti fagocitati non si verifica un carico di Fe nelle cellule epatiche (RÒSSLE: « cellule globulifere »).
A l F e di origine esogena sembra ancora sia da ricondurre un aumentato apporto endogeno (cosiddetto «ferro extratrasfusionale»). Gli A A . sono propensi a dubitare che in simili casi si debba parlare di emocromatosi, come fanno gli A A . americani (vedi sotto). Il destino della emosiderina non è indagabile facilmente; il suo depositarsi è continuo; t u t t a v i a allontanando il primitivo disturbo può gradualmente essere posta di nuovo a disposizione dell'organismo come si verifica con certezza nella anemia perniciosa mediante ripetute iniezioni (BANCHE e CUGNASCO). Secondo il parere di DUNCAN, è sempre possibile un certo danno alle cellule epatiche ad opera della emosiderina (di con-
1
IL FEGATO
54
traria
opinione
è M. B .
SCHMIDT); a n c h e
WENDEROTH e SCHWIETZER
la pensano come DUNCAN. 2. Sostanzialmente più complicati che nella siderosi del fegato sono la patogenesi ed il significato della Emocromatosi (vedi RECKLINGHAUSEN, 1889), la sua essenza anche oggi non è chiarita in modo definitivo. Si repertano due tipi di pigmento: uno contenente ferro (emosiderina?) ed uno privo di ferro (emofuscina; oggi interpretata come ceroide; inoltre lipofuscina e melanina — nella pelle — ) . Il fegato ha colore bruno intenso e il deposito di pigmento ferrico in esso è enorme. Si tratta, come già RÒSSLE distinse, del « fegato pigmentato della emocromatosi ». Particolari in merito alla cirrosi ad essa legata vedi pag. 357. In un tempo più recente si sono distinte due teorie sulla patogenesi della emocromatosi: a) La emocromatosi idiopatica, criptogenetica. — In Germania viene ritenuta come una malattia sui generis e si ammette che il depositarsi del Fe non sia determinato da una distruzione ematica intravasale, ma soprattutto dalla incapacità delle cellule epatiche ad elaborare il pigmento. Secondo CARBONERA e PALAZZI (ricerche sperimentali) interverrebbe anche un fattore per ora sconosciuto diverso dall'insufficienza funzionale epatica. L a emocromatosi può perciò essere considerata fra le malattie tesaurosiche (EPPINGER, M. B . SCHMIDT, LETTERER); in t a l m o d o d i v e n t a v e r o s i m i l e
un fattore costituzionale (SHELDON). In ogni modo la «muta» del sangue non viene rafforzata (EPPINGER); non esiste alcuna anemia. Di certo il t a s s o serico d e l F e è i n n a l z a t o (BÜCHMANN e SCHENZ, HEMMELER e HEIL-
MEYER). Se si inietta Fe radioattivo in casi di emocromatosi, lo si riscontra sotto forma di deposito di emosiderina nell'organismo (FINCH, GIBSON, PEACOCK e FLUHARTY). All'alterato ricambio del Fe si associa una seconda lesione, cioè quella del ricambio proteico, alla quale già LUBARSCH aveva ricondotto la enorme deposizione di pigmento bruno anche nella muscolatura liscia. Oggi sono in discussione tre pigmenti: la emofuscina, in parte considerata come « ceroide », la lipofuscina e la melanina (cfr. a pag. 162 e vedi pag. 357). fi) La cosiddetta emocromatosi secondaria (in accordo con RAUBER). Nella letteratura anglosassone si propende piuttosto a ritenere che un apporto di Fe eccessivamente elevato possa condurre alla emocromatosi. Si prende quindi in considerazione la nota emosiderosi grave in corso di disturbi della nutrizione (GILLMAN e Coli.), quella che si verifica dopo trasfusioni di sangue (« emocromatosi esogena »: SCHWARTZ e BLUMENTHAL, di contro COTTIER) e in parecchie forme di anemia emolitica. Nel numero dei fattori patogenetici furono fatti rientrare anche i disturbi del blocco delle mucose (mucosal block) (GRANICK e Coli, anche HEILMEYER). L ' A . si associa però a l p e n s i e r o d i F E D E R , G I T M A N e H O F F M A N , d i W E N D E R O T H , COSÌ c o m e , s u l l a
scorta delle esperienze su animali, a quello di R o u s e OLIVER oltre che a quello di MUIR e DUNN, concludendo che una simile emosiderosi non deve
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
ALTERAZIONI
(EPATOSL)
155
in nessun modo essere senz'altro interpretata come una emocromatosi, anche quando essa sia in certo qual modo grave (vedi anche SCARPAZZI, PAOLINI
e
CAMERINI
RIVIERA;
SERVIDA
e
CARBONERA).
Sulle
relazioni
fra trasfusioni di sangue, emosiderosi e cirrosi si sono espressi in senso c r i t i c o MUIRHEAD, CRASS, JONES e H I L L così c o m e
COTTIER.
Ben a proposito si associano nel rigettare l'ipotesi di una emocromatosi esogena anche H I G G I N S O N , G E R R I T S E N e W A L K E R nel comunicare 4 4 casi, studiati dal punto di vista istologico (e in parte anche chimico), di siderosi del fegato in anziani bantu del Sud Africa (la causa deve essere ricercata nell'aumentato riassorbimento intestinale nel corso di difetti della nutrizione). P R O B S T aumentando sperimentalmente l'apporto giornaliero di Fe in conigli (gr. 8 di Fe al dì) ha riscontrato una siderosi veramente notevole del fegato, ma non ha riscontrato un quadro né anatomico né funzionale simile alla emocromatosi (anche W A L L E R S T E I N e R O B B I N S esprimono una certa perplessità a riconoscere i reperti in un siriano di 73 anni dopo prolungata terapia ferrica come emocromatosi).
2. R I C A M B I O D E L
RAME
Il problema della importanza del rame soprattutto nella cirrosi epatica (c.e.) occupa nella letteratura più recente larga parte, dopo che MALLORY PARKER e NYE per primi nel 1921 ottennero con l'alimentazione risultati positivi, che accostarono a quelli della cirrosi emocromatosica dell'uomo. TAKADA (1954) produsse mediante insufflazione di polvere di rame in conigli una cirrosi epatica. Non tutti i ricercatori successivi però ottennero risultato analogo (vedi OSHIMA e SIEBERT, bibl.) e LUBARSCH negò ogni valore di prova a quei tentativi (parimenti fecero BÜCHMANN e SCHENZ). MALLORY poté dimostrare anche nella cirrosi pigmentaria dell'uomo una notevole elevazione del contenuto di rame, reperto che venne da diversi A A . confermato (SCHONHEIMER e OSHIMA); analoghe conclusioni valgono per la pseudocirrosi epatica di Wilson-Westphal-Striimpell (WERTHEMANN, VOLLAND). L a cirrosi epatica di Laennec non mostra tale aumento (secondo MALLORY) oppur lo mostra, come appare dalle ricerche di ADRIANOFF e AUSBACHER, soltanto nella m e t à dei casi. Come risultato di numerosi lavori si concluse però che anche nel fegato normale è possibile ritrovare, sorprendentemente alte quantità di Cu (per esempio 24 mgr/kg in un uomo di 63 anni, fonditore di rame; v. ZALKA). R a m e si riscontra costantemente negli organi dell'uomo e degli animali, e il fegato ne è considerato il principale deposito. Il suo contenuto oscilla molto anche in condizioni fisiologiche (fra o e 16 mgr/kg; sintesi in KETTLER), certamente non in modo così marcato come avviene per il ferro (MASSHOFF). Il rame
156
IL FEGATO
vi giace con preferenza nei nuclei delle cellule (HARRISON). È confermato mediante le ricerche con isotopo (Cu64) (SCHUBERT, MAURER e RIEZLER) che il fegato delle gravide palesa un aumento nel contenuto in rame (GERLACH). S o p r a t t u t t o nel f e g a t o dei n e o n a t i (CHERBULIEZ e ANSBACHER) e
dei lattanti, il rame si trova in quantità rilevante, persino in dosi così alte che superano largamente quelle degli adulti (KLEINMANN e KLINKE, MASSHOFF, STURM). Anche se per la origine della cirrosi epatica nell'uomo non è da considerarsi responsabile il rame, tuttavia deve però essere messo in risalto l'aumento del contenuto di tale metallo nei casi di distrofia epatica subcronica, nella emocromatosi oppure nei casi di ittero grave (GERLACH):
HEILMEYER,
KEIDERLING
e
STÙWE
riferiscono
sull'aumento
del tasso di rame nel siero in corso di malattie con danno epatico.
3. T E S A U R I S M O S I CALCICA
(CALCIFICAZIONE)
Il deposito di calcio nel fegato si verifica soltanto di rado (per lo più come carbonato e fosfato acido di calcio, qualche volta come sapone di calce: HAGIWARA, BENEDELHUBER); in tali casi si tratta di una calcificazione dei lobuli epatici nella loro porzione centrale necrotica. Viene anche talvolta descritta una tesaurismosi calcica sub- (fig. 31) e rispettivamente intracapsulare (fig. 32). In seguito ad avvelenamento da piridina le zone necrotiche che si presentano (nella cirrosi epatica) possono risultare cariche di calcio (BAXTER). Analogamente venne riscontrata calcificazione nelle necrosi eventualmente ipoossiemiche in sedi marginali dei l o b u l i (LUFT, ROSIN, ULRICH). CEELEN e MALY o s s e r v a r o n o estese calcifica-
zioni nel fegato in corso di eclampsia, DAGNINI dopo narcosi cloroformica protratta, HARBITZ dopo metamorfosi amiloide. EPPINGER riscontrò calcificazione centrolobulare nella eritroblastosi fetale e RÒSSLE segnalò depositi di Ca nei territori sclerotici dopo azione del thorotrast. Una comunicazione epistolare del Prof. FRANK (Gottinga) riferiva all'Autore di estese calcificazioni epatiche, accertate radiologicamente e confermate con biopsia, in due casi di cirrosi (FRANK e SCHULZE discutono a questo proposito sulla possibilità della mancanza del fattore 3 — secondo R. SCHWARZ — ) . Dati sperimentali vedi in KATASE. Calcificazioni nei cavernomi vedi a pag. 396, nelle metastasi pag. 448, nelle parassitosi vedi pagine 473 e 481. KAUFMANN parla di depositi di calcio anche nella capsula di Glisson in casi di metastasi calcifiche (HANKE: calcio negli epiteli epatici) oppure nella gotta calcica (BABES; HEDINGER: «calcinosi nodulare del fegato»; LIEBSCHER, ROLLET). BENOIT riferì su depositi di calcio negli epiteli vasali e negli istiociti dei tessuti periportali in casi di « calcinosi universale ».
RICAMBIO
DEL
FEGATO
E
SUE
Fig.
ALTERAZIONI
(EPATOSl)
157
31.
Calcificazione s o t t o c a p s u l a r e del f e g a t o . R e a z i o n e di K o s s a . Il c a l c i o n e l l a figura è c o l o r a t o in n e r o . B i m b o d i 7 g i o r n i . A u t . N . 1628/40.
Fig.
32.
P e r i e p a t i t e c r o n i c a c o n e s t e s a c a l c i f i c a z i o n e (e i a l i n o s i ) in u n c a s o d i c u o r e a « c o r a z z a » e d i u n a p r e g r e s s a p l e u r i t e . U o m o d i 52 a n n i . A u t . N . 59/56.
158
IL
FEGATO
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CAPITOLO X I
DEPOSITI DI PIGMENTO È raccomandabile, a motivo della strana qualità della che si riserbi pure un capitolo separato alla pigmentazione anche se molte volte non esiste alcuna sostanziale differenza tesaurismosi, che verranno descritte nel capitolo successivo
colorazione, del fegato, con talune (pag. 167).
1. P I G M E N T I EMO- ( R I S P E T T I V A M E N T E MIO-) G L O B I N I C I A proposito della siderosi vedi a pag. 151, sulla pseudo-melanosi vedi a pag. 20, sull'ittero epatico vedi pag. 119. 1. Il pigmento malarico (denominato anche in modo non corretto « melanina malarica ») non giace mai negli epiteli epatici (in essi si depositano soltanto gli sporozoiti all'inizio; vedi pag. 467); soprattutto sotto forma di piccole deposizioni finemente granulari di colore nero-brunastro (fig. 33) esso giace entro le cellule stellate (esse includono anche i parassiti, in quanto il fegato, accanto alla milza, rappresenta la principale sede di distruzione dei parassiti malarici nel corpo umano; confronta HELLY) e in parte anche entro i macrofagi contenuti entro i lumi oppure alla periferia dei capillari; all'inizio essi si riscontrano dovunque, più tardivamente in modo preminente alla periferia degli acini e nella capsula di Glisson. Tale pigmento non dà alcuna delle abituali reazioni del Fe (ma soltanto reazioni modificate) e scompare con idrato di potassio (il pigmento antracotico non si comporta in questo modo). Il pigmento malarico è birifrangente (SCHAUDINN). Il fegato nella malaria può tumefarsi e divenire nero-bruno oppure si atrofizza. In particolare vedi in MARCHIAFAVA
e
BIGNAMI; v e d i
a n c h e JACSÓ, e
confronta
a
pag.
352.
Sull'in-
RICAMBIO DEL FEGATO E SUE ALTERAZIONI (EPATOSL)
IÓI
grossarsi delle cellule stellate di Kupffer come una delle cause del cosiddetto «grosso fegato coloniale » vedi in B E N A Z E T , S O H I E R , P L A U C H U , L O I S Y e C H A S T E L . Nella schistosomiasi mansoni G O N N E R T e A L I M A N N trovarono un pigmento nero-bruniccio, che essi considerarono come il residuo della nutrizione ematica del parassita. 2. Il pigmento ceroideo (p.c.) è stato osservato già da oltre 20 anni da H A M P E R L nei cosiddetti « fluorociti » (elementi analoghi alle « cellule da collasso gialle di Amanos). Il nome stesso fu certamente coniato per la prima
Fig. 33Deposizione di pigmento malarico nelle cellule stellate di Kupffer. Uomo di 22 anni.
volta nel 1 9 4 1 da L I L L I E , D A F T e S E B R E L L a causa dell'aspetto cereo della sostanza. La sostanza cerea si presenta anche al di fuori del fegato, soprattutto nella muscolatura liscia dell'utero, dei vasi e dell'intestino tenue, oltre che nell'ovaia e nella mammella. Detta sostanza è molto consistente, si estrae soltanto con difficoltà mediante alcool, per cui è evidenziabile anche in sezioni di materiale incluso in paraffina, colorate con Sudan nero. Non trattata ha un colore che va dal giallo al bruno chiaro ed aspetto finemente granuloso (granuli di dimensioni di 0,5-2 fi), si lascia impregnare soltanto debolmente dall'argento (secondo MASSON), dà però una forte positività alla reazione di Hotchkiss (dopo glicogenolisi artificialmente prodotta!); è resistente agli acidi (positiva alla colorazione di Ziehl-Neelsen), sudanofila e fortemente fluorescente. La reazione del Fe è negativa (soltanto dopo colorazione con Turnbull è eventualmente positiva in modo lieve). 11 — KAUFMANN II, p. II
IÓ2
IL FEGATO
Nel fegato sano si presenta in circa il 1 5 % dei casi ed è situata, secondo HAMPERL e SCHMIDT, esclusivamente nelle cellule stellate e nei macrofagi della capsula di Glisson (secondo ZOLLINGER; RASO però ritiene che possa trovarsi, sia pure raramente, negli epiteli epatici). In casi patologici la c. si reperta con frequenza nel fegato. LILLIE, DAFT e SEBRELL credettero in un primo momento che fosse l'esito di processi degenerativi cellulari, soprattutto in seguito ad una dieta ricca di grassi, povera di albumina ed esente da colina. Non sembra però che tale sostanza rappresenti un prodotto specifico di una distruzione cellulare in sede epatica, poiché essa si presenta sovente anche in altri organi, come ad esempio nei carcinomi endoaddominali (soprattutto del pancreas), nella sprue e in casi di carenza di vitamina E sperimentalmente ottenuta; in quest'ultima evenienza essa aumenta anche nel fegato (RASO). L a somministrazione di tocoferolo ne i m p e d i r e b b e l a f o r m a z i o n e (HARTROFT, L E E ; GYÖRGY e GOLDBLATT con-
testano questa possibilità). Nel 50 % di tutti i casi di cirrosi epatica si verifica uno strano aumento in sede extraepatica di detta c.: PAPPENHEIMER e VICTOR (secondo MAYER non avviene la stessa cosa nel fegato dell'uomo). In sede epatica si trova nel 30-40 % di tutti i tubercolotici (HAMPERL); soprattutto frequente è però nella epatite (lo stesso sostengono BÜCHNER e KÜHN). L a sostanza cerea si mette oggi in relazione con processi di elaborazione dei prodotti di disintegrazione della emoglobina, ed è identica alla emofuscina, ricordata nella letteratura più antica (v. ENDICOTT e LILLIE confutano ciò) e assomiglia per il resto fortemente alla lipofuscina
(HEDINGER,
WEINBREN).
2. P I G M E N T I A U T O C T O N I 1. L a lipofuscina (denominata anche pigmento di usura; vedi P. KÖNIG, che condivide l'opinione di KUTSCHERA-AICHBERGEN, secondo cui il pigmento deriva dalla disintegrazione albuminoidea — nucleo del pigmento — e dalla contemporanea lipofanerosi — involucro lipoideo — : vedi anche STAEMMLER e la dissertazione inaugurale di W. MEYER a Gottinga) giace per lo più come pigmento bruno o giallo nelle cellule epatiche atrofiche (fig. 34) con preferenza al centro dei lobuli, così come avviene nel fegato « da fame » (da digiuno prolungato) (OVERZIER, SELBERG) e anche nella atrofia senile. L a lipofuscina (li.) è situata (secondo PFUHL e DIENSTBACH) nell'apparato di Golgi degli epiteli epatici, non dà alcuna reazione del Fe e si colora in modo variabile con il Sudan (M. SCHMIDTMANN). Anche in altre forme di atrofia, come nella atrofìa cianotica e in seguito a strozzatura nella cirrosi (evento confutato da BACHMANN), a
RICAMBIO DEL FEGATO E SUE ALTERAZIONI (EPATOSl)
163
causa della pressione esercitata da tumori oppure per la infiltrazione di sostanza amiloide si può incontrare una deposizione assai marcata di lipofuscina. La lipofuscina si presenta però già in modica quantità anche nella età giovanile; senza dubbio essa non si presenta dapprima nelle cellule epatiche neoformate per rigenerazione (ALTMANN). BACHMANN ha recentemente dimostrato un difetto in li. nelle malattie epatiche, specialmente nella epatite e nella degenerazione grassa. Egli interpreta con H A M P E R L la li. non come una sostanza di rifiuto «morta» (inerte), ma
Fig- 34Marcata deposizione di lipofucsina nelle cellule epatiche.
come una sostanza strettamente dipendente dalla momentanea funzione del fegato, sostanza che può scomparire rapidamente, ma che può anche essere nuovamente riformata. A favore di questa tesi depongono anche personali ricerche dell'Autore, secondo le quali la deposizione di li. in determinati settori dei lobuli dipende da alterazioni della irrorazione sanguigna capillare e sovente è associata a formazione di vacuoli. M I T S U D A , H E R X H E I M E R riferiscono sulla formazione di « pigmento di usura » nei trapianti e negli espianti di fegato. (Secondo B E N S L E Y il pigmento rossiccio che si trova nei mitocondri delle cavie anemizzate deve essere un prodotto di ossidazione dei fosfolipidi). 2. La melanina si riscontra nel fegato specialmente nelle metastasi di melanoblastoma (vedi pag. 415). Il pigmento che è macroscopicamente nero (contiene zolfo ed è privo di ferro) e al microscopio mostra spesso colore
164
IL FEGATO
giallo-bruno, da melanoblastomi in necrosi, perfino di altre sedi, può, qualora pervenga nella corrente sanguigna, analogamente al cinabro, essere trasportato e venire depositato nel fegato, nella milza, nel midollo osseo. Nel fegato esso si reperta anche nei capillari, negli endoteli, nelle cellule di Kupffer e nel connettivo interstiziale, per cui sovente determina anche macroscopicamente un colorito bruniccio scuro. In certe malattie della pelle tale pigmento non solo perviene ai linfonodi regionali (nel quadro della cosiddetta « linfoadenite dermatopatica » o « reticolosi lipomelanica »), ma in casi di mobilizzazione più marcata può giungere ad un accumulo di melanina anche nelle cellule di Kupffer del fegato (BACCAREDDA,
AGRESS
e
FISHMAN).
3. PIGMENTI ESOGENI 1. Talvolta è dato osservare anche deposizioni di granuli di carbone e risp. di fuliggine (antracosi); in questi casi il pigmento giace nelle cellule stellate attorno alla vena centrolobulare, inoltre se ne reperta nel tessuto periacinoso, sovente nel territorio di piccoli focolai linfoidi. Può talvolta essere individuato macroscopicamente sotto forma di piccoli punti grigioneri situati sotto la capsula di Glisson e qua e là sulla superfìcie di taglio (vedi anche D I N A e CALERÒ C O B I A N C H I ) . La via seguita dall'inchiostro di china venne seguita da S C H U L Z E , esso viene fagocitato dalle cellule stellate (fìg. 35) le quali migrano poco a poco verso il tessuto periportale; qui giacciono in parte attorno alle vie biliari, in parte l'inchiostro di china perviene ai linfonodi portali. Essi possono per ciò essere di colóre neropece (vedi anche le ricerche sperimentali di K E T T L E R ) . 2. Con l'uso prolungato di preparati a base di argento nelle prescrizioni medicamentose (argentum nitricum) si può giungere a precipitati di argento ridotto sotto forma di granuli fini, per lo più rotondi, neri, specialmente nel tessuto connettivale di molti organi, come il fegato, la milza, i linfonodi, i reni, e soprattutto nella cute (argirosi). Nel fegato vengono specialmente interessate anche le fibre elastiche sia nelle pareti vasali (vena porta) che nella capsula di Glisson. Dopo iniezione di argento colloidale (collargolo) le cellule di Kupffer e gli endoteli divengono sede di granuli d'argento (vedi K O L L E R - A E B Y ) , che vi si depositano con tale rapidità, che sovente la milza e il midollo osseo ne rimangono privi. 3. Nell'uso di preparati contenenti oro (per esempio « Sanocrisin » nel trattamento della tubercolosi) si possono provocare depositi di granuli aurei anche in abbondante quantità nelle cellule di Kupffer (confronta C H R I S T E L L E R , K U R O S U , G A L L I N A L ) , come pure nei reni.
RICAMBIO D E L FEGATO E S U E ALTERAZIONI
(EPATOSl)
165
4. Coloranti vitali: nella inondazione sperimentale del sangue con cinabro, carminio, trypanblau, ecc. si sono osservati, in animali, depositi di detti coloranti nel fegato con predilezione per le cellule stellate (nello stesso tempo si sono avute deposizioni anche nella milza e nel midollo osseo). Il fegato di conseguenza si ingrossa (RIBERT). Nella somministrazione prolungata di diazo-coloranti tipo Evans-blau e Trypan-blau R U T T N E R e B R E N N E R riscontrarono in realtà una intensa proliferazione delle cellule di Kupffer, ma non una vera e propria neoformazione di tipo tu-
Fig. 35Deposizioni di inchiostro di china nelle cellule stellate di Kupffer 10 minuti dopo iniezione endovenosa di inchiostro in un coniglio.
morale. La capacità di riassorbimento delle cellule stellate muta secondo le condizioni esterne: secondo G A A L e S C A K O , U O T I L A e S I M O L A nella ipovitaminosi A le cellule di Kupffer divengono realmente più grandi, ma il carminio vi si deposita peggio che in condizioni normali. Di contro esse si rigonfiano considerevolmente dopo iniezione di sieri sensibilizzanti e simili, e mostrano depositi veramente elevati (SIEGMUND). In seguito ad iniezione di collargolo, le cellule stellate della periferia dei lobuli vengono infarcite in modo più marcato che non quelle centrali; ciò si verifica anche per l'assorbimento dell'inchiostro di china ( L O E F F L E R , R A D T ) . Oltre a S C H U L Z E (vedi sopra) anche K I Y O N O e H E S S E riscontrarono, dopo deposizione di inchiostro di china e rispettivamente di sostanze coloranti, la migrazione delle cellule stellate cariche verso il tessuto peri-
IL
FEGATO
portale. Del resto le cellule di Kupffer dimostrano sovente una diminuzione del contenuto di sostanza colorante là dove esse sono vicine alle cellule epatiche più intensamente pigmentate (RADT, peraltro HÒBER e TITAJEW come pure PFUHL rifiutano di ammettere una funzione di trasporto da parte delle cellule di Kupffer). L a durata della deposizione è varia. Il carminio rimane dimostrabile per circa quattro mesi nel fegato (TEPLOFF).
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MANN
CAPITOLO
XII
ACCUMULI (TESAURISMOSI) —
FAGOCITOSI
Sulla assunzione e sul deposito dell'albumina vedi a pag. 68, dei grassi vedi pag. 82, dei lipoidi vedi pag. 102, dei pigmenti vedi a pag. 160. Particolare interesse trova oggi l'attitudine all'accumulo che le cellule di Kupffer dimostrano di possedere verso determinate sostanze, che non sono da annoverare fra i pigmenti. Tali sostanze sono: a) Kollidon (« Periston », un polivinil-pirrolidone polimerizzato: HECHT e WEESE). Risultati positivi ha comunicato BARGMANN; W . MULLER con SCHOEN (RANDERATH) descrisse in lattanti trattati per 2-4 mesi con 2-3 gr. kg. di Kollidon una vacuolizzazione delle cellule stellate: FRESEN (con WEESE) ebbe modo di osservare già due settimane dopo infusione un graduale aumento (fino ad un massimo dopo due mesi) di volume delle cellule di Kupffer. LAUCHF. rimanda alla pubblicazione di BEASS per quanto si riferisce all'accumulo di " Periston " , intensissimo in un lattante. GALL e ALTEMEIER e Coli, videro tre mesi dopo infusione con Kollidon comparire granuli basofìli nelle cellule stellate; la ricerca istochimica fu insoddisfacente; si ebbe soltanto una positività con la reazione al rosso Congo e al Lugol. b) Il dextran diviene visibile nelle cellule di Kupffer già 1 / 2 ora dopo iniezione (LINDNER). Il massimo accumulo si ha dopo 2-5 giorni (PERSSON). c) Anche il silicio può essere accumulato (LYNCH, MANZINI). RÒSSLE descrive la formazione di grosse cellule di accumulo chiare (cellule stellate di Kupffer) nel fegato dopo iniezione di una soluzione colloidale di acido silicico («non completamente pura») preparata da silicato di potassio in soluzione acquosa. Tale sostanza non è dimostrabile con mezzi ottici, m a soltanto con la spettrofotometria a fiamma (indicazione di più lieve effetto
IL FEGATO
del silicio). Esiste analogia fra queste cellule di accumulo e le cellule schiumose. d) Il thorotrast (una soluzione di diossido di thorium usato inizialmente come mezzo di contrasto soprattutto nella epatosplenografia — RADT — che è innanzitutto temuto per le sue radiazioni a e con il quale secondo WACHSMUTH è possibile provocare una irradiazione secondaria dopo trattamento roentgen) dopo iniezione endovena non viene in pratica eliminato dall'organismo, ma si accumula sotto forma di granuli specialmente nella milza (nel midollo osseo) e nelle cellule stellate (WOHLWILL), eventualmente anche negli epiteli del fegato (BÜCHNER: predilezione per la porzione periferica dei lobuli: LOONEY, ARNOLD, LEVI e JEE). Le celluledeposito possono in parte trasformarsi in cellule giganti (ANDERS e LEITNER, N A E G E L I e L A U C H E ; R A N D E R A T H e SCHLESINGER), i n p a r t e si
riuni-
scono a formare piccoli granulomi tubercolo-simili (ROTTER), vedi fig. 291, Voi. I/i, pag. 1047. Gli epiteli epatici possono andare incontro a processi degenerativi
(LANARI, JORG e AGUIRRE, BIRKNER, GUIMARAES, LAMERTON
e CHRISTENSEN,
HACKENTHAL).
SCHÜSTER
(sotto v.
ALBERTINI)
parla
di
« radiodistrofia » del fegato (qui anche bibl.). LETTERER ammette una vera tesaurismosi esogena. JACOBSON e ROSENBAUM riferiscono sulla sclerosi epatica (soprattutto periportale) rilevata cinque anni dopo iniezione di thorotrast (Th.). L'effetto più prolungato del Th. per una durata di 23 anni lo osservarono BERENBAUM e BIRCH per mezzo di biopsia. Il Th. giaceva nelle cellule di Kupffer sotto forma di piccoli granuli, nel tessuto periportale e anche nelle cellule epatiche. Dopo 18 anni RÒSSLE osservò in una donna di 46 anni una atrofia del margine epatico a carattere sclerotizzante, di colore bianco porcellanaceo, di aspetto tumorale, in un fegato che conteneva ancora il 14 % della quantità di Th. precedentemente iniettata. Anche KRÜCKE dimostrò nelle cellule stellate cariche di Th. radiazioni a (con SCHAEFER) I I anni dopo iniezione di detta sostanza. Un caso quasi analogo a quello descritto da RÓSSLE riscontrò anche SCHULTZ 17 anni dopo « epatosplenografia » con Th. Gli epiteli epatici erano andati in necrosi; mancavano infiltrati infiammatori; erano invece evidenti gli accumuli di cellule contenenti Th.; nessun segno di cirrosi. Anche nell'Istituto dell'Autore furono osservati due casi: in uno (uomo di 22 anni, Charité, Aut. N. 1141/54) venne eseguita arteriografìa con Th. sei anni prima della morte a causa di una displasia racemosa dei vasi cerebrali, nell'altro (uomo di 38 anni, Charité, Aut. N. 283/56) era stata eseguita l'indagine predetta otto anni prima dell'exitus a causa di uno spongioblastoma del lobo parietale di sinistra. Oltre ad un evidente deposito nella milza, nel fegato di entrambi i soggetti si osservarono gruppi di cellule stellate, assai intensamente ripiene di mezzo di contrasto di aspetto granulare. Non è apparsa invece sicura la compartecipazione degli elementi epiteliali. Contrariamente a quanto è dichiarato in letteratura (vedi sopra) in entrambi
RICAMBIO DEL FEGATO E SUE ALTERAZIONI (EPATOSl)
l6g
i casi le porzioni centrali dei lobuli si mostrarono evidentemente preferite dalle lesioni. In entrambe le osservazioni si ebbe pure l'interessamento dei tessuti periportali (fig. 36). Mancavano segni di sclerosi od altro. In seguito agli effetti del Th. è possibile che si verifichi l'evenienza della comparsa di vere neoplasie epatiche maligne (vedi pagg. 4 1 5 e 440). e) Nella auto-isto-radiografìa dopo iniezione endovenosa (i.v.) di cromofosfato-radìoattivo (CrP 32 0 4 colloidale) GABRIELI, GOULIAN e CUTLER provocarono una deposizione isolata nelle cellule epatiche poste
Fig. 36. Impregnazione di Th. nel fegato con predilezione dei centri lobulari e dei tessuti periportali, osservata sei giorni dopo iniezione di Th. a causa di un aneurisma intracranico. Uomo di 22 anni. Aut. N. 1141/54.
alla periferia dei lobuli, mentre dopo svariate lesioni epatiche, ottenute in animali da esperimento il materiale somministrato si lasciò evidenziare nel fegato senza alcuna particolare predilezione topografica. Se ne deduce quindi che esistono diversi gruppi di cellule stellate distinti dal punto di vista funzionale. Le cellule di Kupffer posseggono anche in alto grado la funzione della fagocitosi (PONFICK), che è tanto bene evidente nei confronti di corpi estranei inerti (soprattutto verso grossolane particelle di sostanza colorante, vedi sopra), inoltre verso epiteli epatici in necrosi (cosiddetti « corpi ialini » vedi a pag. 43) e verso eritrociti (osservazione già fatta da v. KUPFFER: vedi anche nell'ittero emolitico; inoltre RÒSSLE), ma in special modo nei
170
IL
FEGATO
confronti di batteri, come gli streptococchi (per esempio nelle infezioni generalizzate puerperali, RÒSSLE), stafilococchi (BAHRMANN), bacilli della lebbra (BÙNGELER), oltre che verso bacilli di Koch uccisi, i quali sperimentalmente e con variabile rapidità compaiono in dette cellule dopo essere stati introdotti nella corrente sanguigna. La funzione di fagocitosi del fegato supera di gran lunga quella di altri organi: così DEGKWITZ e Coli, poterono conseguire nel fegato una quasi esclusiva deposizione di olio iodato (stearatotriiodico di colesterina colloidale dell'ordine di grandezza di batteri). Analogamente VOIT come pure DUHAMEL trovarono circa 2/3 di metalli pesanti in forma colloidale nel fegato. L'atto vero e proprio dell'inglobamento da parte delle cellule stellate procede in modo oltremodo rapido (secondo BLOCH in frazioni di minuto secondo; con il metodo cinematografico è confermato in 64 Exp./sec.) Ma non soltanto le cellule stellate, ma anche gli epatociti stessi possono esercitare la fagocitosi. BIERMANN-DORR riferiscono sulla capacità degli epatociti di fagocitare leucociti neutrofìli. OSOGOE e IKEDA osservarono lo stesso fenomeno nei conigli (dopo iniezione endovenosa di midollo osseo). Del tutto, nota è la eritrofagocitosi degli epiteli epatici nelle più svariate forme di:danno epatico, così dopo shock secondario (WEATHERFORD), dopo iniezione di emoglobina e di sangue eterologo (BROWICZ), nella epatite (epatite emorragica: RÒSSLE; epatite del cane: RUBARTH), dopo avvelenamento (con curaro e peptone: VEREECKE; amanita phalloides: GRÀFF), nel fegato da stasi (HEINRICHSDORFF), nei ratti nutriti con dieta povera di albumina (KETTLER). Anche le cellule cancerose possono essere fagocitate dagli epatociti (ALTMANN).
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F i g . 68. Ascesso setticopiemico iniziale (da osteomielite). Diagnosi differenziale nel testo. U o m o di 28 anni.
si osservano anche nel f. focolai miliari e più grandi, necrotizzanti e rispettivamente ascessualizzanti. c) Ascessi epatici vengono trasmessi attraverso la vena ep. Molto raramente il materiale infettivo giunge per embolia retrograda (pag. 185) nella vena ep. L o si osserva nella tromboflebite dei seni durali, in occasione di processi purulenti dell'orecchio medio, inoltre negli ascessi cerebrali di origine traumatica (ferite alla testa). Le masse infettive raggiungono dal seno durale, attraverso una vena giugulare, la cava superiore, l'atrio destro, la cava inferiore, i più fini rami della vena ep., e danno luogo a formazioni di ascessi (cfr. RISEL, bibl., il quale riferisce anche sulla produzione sperimentale di piccoli ascessi ep. embolici, retrogradi; vedi anche REI-
INFIAMMAZIONI
DEL FEGATO
(HEPATITIS)
239
critica e bibl.). Hepatophlebitis può anche insorgere in tal modo: masse batteriche circolanti nel sangue raggiungono i capillari, si moltiplicano e proseguono sino nella vena centrale. In altri casi essa insorge in seguito a pylephlebitis o a cholangitis. Per la endophlebitis hepatica obliterans (vedi pag. 185) come causa di ascessi ep. e piemia, vedi Bruppacher (bibl.). d) L'ascesso epatico che segue alla flogosi dei dotti biliari (in prima linea nella cholelithiasis) è la forma di gran lunga più frequente (secondo S e l b e r g nel 60 % di tutti gli ascessi). niger,
Fig. 69. Grande ascesso e p a t i c o colangitico (colecistite e periarterite nodosa). U o m o di 41
anni.
Flogosi purulente dei dotti biliari possono, risalendo, continuarsi nell'interno del fegato (su questa cholangitis intraepatica vedi pag. 285) e dar luogo ad ascessi dei dotti biliari. Insorgono in tal caso ascessi per lo più multipli, piccoli, parte miliari, parte grandi quanto un pisello, rotondeggianti, raramente più grandi, spesso molto fittamente disposti, di colore più o meno fortemente biliare (fig. 69). Solo raramente si forma un singolo grande ascesso. Se i focolai sono superficiali, può seguire peritonite. Gli ascessi iniziano come flogosi purulenta dei dotti biliari, si estendono nel connettivo interlobulare e poi nel tessuto epatico circostante, per cui si formano cavità di sfacelo purulento, commiste a bile (fig. 70). Sulle cause della flogosi dei dotti biliari vedi pag. 285 e seg. ed il contributo di
Guthert.
24O
IL
FEGATO
L'infiammazione dalla cistifellea può anche attraverso la parete passare direttamente nei dotti biliari intraepatici e cioè attraverso la via dei ductus hepato-cystici; questi sono dotti biliari accessori del f. che sboccano nella cistifellea (o anche nel ductus cysticus), una variazione intraepatica delle vie biliari che, secondo ODERMATT ha però scarso significato (ROSSLE, bibl.). Alla flogosi è spesso legata una stasi biliare, allorquando calcoli (più raramente un tumore) esercitano azione ostruttiva. In tali casi si può
F i g . 70. A s c e s s i c o l a n g i t i c i d e l f e g a t o . N e l m e z z o d e l l a figura t e s s u t o p e r i p o r t a l e a u m e n t a t o c o n colangite intraepatica. I n alto a destra ed a sinistra s e g m e n t i di due ascessi colangitici.
osservare il fegato talora in tutti i lobi, disseminato di ascessi numerosi, rotondi, per lo più della grandezza di un pisello più raramente anche di una ciliegia, che formano in singole aree gruppi così fitti, da dare alla superficie di taglio l'aspetto di una spugna imbevuta di pus giallo verde, tanto più quando gli ascessi comunicano anche in parte tra loro (ascessi multiloculari). Lo scarso tessuto epatico che ne costituisce la trama è molle e con disegno lobulare grossolano, rigonfio. In una osservazione di K A U F M A N N che stava alla base di questa descrizione (donna di 47 anni; calcolo nel coledoco, già da 8 settimane manifestazioni settiche; da 4 settimane ittero) era seguita peritonite fibrino-purulenta generalizzata a piccoli focolai trasparenti superficiali.
INFIAMMAZIONI
DEL
FEGATO
(HEPATITIS)
24I
A l l o r q u a n d o gli ascessi dei d o t t i biliari si cronicizzano, si f o r m a alla loro periferia t e s s u t o di granulazione p i ù t a r d i fibroso, che circoscrive i focolai verso le t r a v a t e e p a t i c h e circostanti, per lo più a p p i a t t i t e . Si possono a n c h e a v o l t e osservare numerosi, piccoli (miliari o a l q u a n t o p i ù grandi) ascessolini di colorito v e r d a s t r o , q u a n d o a d u n a cholangitis cron i c a ed a peri cholangitis flemmonosa segue col t e m p o u n a v i v a c e proliferazione c o n n e t t i v a l e di n a t u r a flogistica, che p o r t a a cirrosi biliare m o l t o dura. R a r a m e n t e insorge u n ascesso in seguito a d ulcera t i f o s a delle biliari (VENEMA, bibl.).
vie
R a r i ascessi ep. p r o v o c a t i d a i m m i g r a z i o n e di Ascaris lumbricoides (vedi p a g . 481) o s s e r v a r o n o DAVAINE, SCHEUTHAUER, LEICK, SALTYKOW, v . SAAR ed altri (bibl. in REICH, ERB), LEGRAND indicò u n a r e l a t i v a f r e q u e n z a degli stessi nei b a m b i n i . e) Ascessi e p a t i c i possono insorgere per s u p p u r a z i o n e di e c h i n o c o c c h i o essere la c o n s e g u e n z a di t r a u m i (anche di contusioni, in cui non si t r o v a v a a l c u n a f e r i t a p e n e t r a n t e ; r e l a t i v a m e n t e f r e q u e n t i nei b a m b i n i , LEGRAND) o di operazioni chirurgiche e a n c h e di ferite di g u e r r a (vedi A . DIETRICH). U n ' u l c e r a semplice dello s t o m a c o p u ò p e n e t r a r e nel f.: si f o r m a u n a cav i t à , in p a r t e per azione del succo gastrico sul p a r e n c h i m a ep., in p a r t e per fusione p u r u l e n t a del tessuto. A n c h e qui u n a proliferazione c o n n e t t i v a l e r e a t t i v a p u ò p o r t a r e a d u n a barriera verso il territorio sano circostante. R a r a m e n t e ascessualizzano t u m o r i epatici. 2 . 1 f l e m m o n i del f e g a t o sono m o l t o rari. RÒSSLE ne discute alcuni casi (vedi a n c h e W . GERLACH). L ' A u t o r e v i d e u n a r a c c o l t a p u r u l e n t a , circoscritta, p i a n e g g i a n t e , i m m e d i a t a m e n t e s o t t o la capsula, della superficie ep. (peritonite in seguito a d a s p o r t a z i o n e c h i r u r g i c a della m i l z a in un caso di incidente d a m o t o c i c l e t t a , u o m o g i o v a n e , prot. n. 1623/56). O g n i t a n t o si riscontra u n flemmone pericolangitico.
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FEGATO
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GOEBEL
173, 239
CAPITOLO
IV
EPATITE VIRALE (.Hepatitis epidemica,
epatite da siero)
Solamente l'esteso uso della biopsia intravitale da aspirazione (eseguita la prima volta da LUCATELLO nel 1895) del f. (prima « cieca »: GIORDANO e CURTI, ROHOLM,
K R A R U P e IVERSEN, A E X E N F E L D e BRASS, p i ù t a r d i
«mi-
rata»: KALK, BRÜHL e SIEKE) ci ha permesso una osservazione sufficiente del quadro morfologico della malattia oggi indicata come epatite virale (E. v.) con le sue due forme, la Hepatitis epidemica (o infettiva; E . e. MEULENGRACHT, LINDSTEDT) e la epatite da siero (o epatite da inoculazione, detta anche «epatite da siringa»; E. s.). L a E . s. comprende il 7-10 % dei casi di E . v.; essa sinora, da singoli ricercatori, è stata osservata anche più frequentemente. Adesso però la frequenza della E . s. tende percentualmente in genere a flettere, (migliore sterilizzazione degli strumenti). Le osserva-
INFIAMMAZIONI
DEL
FEGATO
(HEPATITIS)
243
zioni autoptiche sono molto rare e mostrano allora (a prescindere da morte accidentale per cause intercorrenti) il quadro caratteristico della epatite « fulminante », cioè praticamente della atrofia giallo-acuta del f. Il cosiddetto icterus catarrhalis (come conseguenza di una pretesa ostruzione della papilla duodeni, da famigerato tappo di muco, vedi pag. 134) deve essere oggi considerato del tutto identico ai casi sporadici di E. e. (ROULET). Una insorgenza epidemica della E. e. è nota già dal 1890 (FLINDT), nel periodo bellico e postbellico della prima guerra mondiale (EPPINGER) e dalla Scandinavia (ROHOLM, IVERSEN e KRARUP). Oggi siamo a conoscenza di numerose diffusioni epidemiche in tutto il mondo. Particolare frequenza si ebbe con la seconda guerra mondiale in tutte le truppe. Il numero degli ammalati di E . e. (non di E. s.) presenta oscillazioni stagionali: ad un aumento invernale suole seguire una caduta nei mesi estivi. L a E . e. predilige determinate età e colpisce anche di frequente i bambini (tra 6 e 15 anni, specie quelli di 7 e 8 anni); il secondo acme della malattia si trova nel 3 0 decennio. (Al contrario osserviamo che l'È. s. raggiunge valori rilevanti a cominciare dal 30° anno, che si mantengono pressappoco invariati, sino nell'età avanzata). Quali agenti si chiamano in causa dei virus (BIELING), I quali vengono trasmessi in parte per via orale (virus A nelle feci umane; infezione da contatto; agente dell'E. e. in senso stretto), in parte per via parenterale (virus B nel sangue; infezioni da trasfusione di sangue, da vaccinazioni, da iniezioni di insulina e di salvarsan; agente « dell'ittero da siero omologo », cioè, dell'epatite da siero, anche del cosiddetto ittero da salvarsan, in cui il salvarsan ha un ruolo tutt'al più accessorio, vedi pag. 52; THALER è del parere che l'ittero precoce da salvarsan debba essere separato dall'E. s.). Sul differente periodo di incubazione (nella E. e. = 21,8 giorni i 7,1 [KELLER]; nell'E. s. circa 80 giorni, con oscillazioni tra 45 e 160 giorni), sulle particolari proprietà e sulla diagnosi differenziale dei virus vedi HÖRSTEBROCK, bibl., inoltre nei manuali di igiene. Clinicamente si attribuisce molta importanza all' ittero generalizzato, che si sviluppa a poco a poco, e perdura spesso per settimane (si può pure osservare una E . e. « sine ictero » AXENFELD e BRASS). Palpatoriamente è importante per il medico l'ingrandimento del fegato, sono anche da notare ipersideremia (in circa il 90 % dei casi), aumento del contenuto in vitamina B 1 2 del siero, caduta del tasso del fibrinogeno (in contrasto con l'ittero meccanico) ed acolia. Il decorso è per lo più benigno (per la forma maligna vedi appresso), ma le recidive non sono rare (specie da virus B: STOKES). Il superamento dell'infezione da virus A lascia immunità. Per eccezioni vedi KÜHN. Le lesioni morfologiche del f. ci sono oggi ben note e nelle varie forme virali (virus A e B) non si distinguono in modo caratteristico. Per contro le lesioni precoci e quelle tardive sono differenti. Macroscopicamente il f. è all'inizio ingrandito, tumefatto, il margine anteriore è ottuso, la capsula
244
IL FEGATO
tesa, la superficie con chiazze iperemiche. Il colore dell'organo varia da bruno-rosso a giallo-rosso, il f. può apparire a volte particolarmente chiaro (KALK e BÜCHNER). La consistenza è molle, friabile. La colecisti, flaccida, è priva di tono, e per lo più di contenuto. Negli stadi più tardivi il fegato acquista un colore bruno, e diminuisce di volume (senza però oltrepassare le sue normali dimensioni). L a superficie può mostrare delle granulosità (peraltro solo passeggere) fini, pianeggianti, a margini sfumati. L a consistenza diviene dura. In questo momento si rileva il reperto di una colecisti da stasi, piena, tesa. I reperti epatici istologici sono nello stadio acuto molto caratteristici, e riguardano come complessi fenomeni sia l'epatone come anche il tessuto periportale. In quest'ultimo già nei primi giorni di malattia si impiantano lesioni flogistiche, le quali in un primo tempo per se stesse non possono essere distinte dall'epatite linfoplasmacellulare descritta a pag. 227. Per lo più si aggiunge all'infiltrazione rotondocellulare (unitamente ad alcuni eosinofìli) anche una forte attivazione e moltiplicazione delle cellule mesenchimali; anche i granulociti dominano presto il quadro. Questa compartecipazione degli spazi di Glisson già cospicua all'inizio, si mantiene del resto anche a lungo per tutta la durata della malattia. L'Autore, in accordo con KÜHN, la considera come primitiva (in contrasto con l'opinione di SIEGMUND e di SMETANA di una genesi secondaria in seguito a necrosi ep.). Anche proliferazioni dei dotti biliari possono in scarsa misura aver luogo. L'insorgenza nel parenchima epiteliale delle cosiddette « cellule ep. scure » (vedi pagina 63), è relativamente non caratteristica (AXENFELD e BRASS parlano di degenerazione acidofila). L a loro impronta domina però la scena per l'associazione con necrosi isolate di cellule numerose, disseminate, acidofile (AXENFELD e BRASS, K A L K , K Ü H N , SIDGMUND, E . MÜLLER) c o m e n o i le a b -
biamo imparato a conoscere in diverse lesioni a pag. 41. L a periferia dei lobuli appare dapprima alquanto prediletta. I residui cellulari possono venire eliminati prontamente, specie in forma di corpi j alini (non specifici per le epatiti) (SIEGMUND); spesso insorge fagocitosi ad opera delle cellule stellate di Kupffer proliferate. L a distruzione degli epatociti viene compensata da una vivace attività mitotica (BÜCHNER, KÜHN); più tardi segue anche amitosi (cfr. anche STAEMMLER) con formazione di epatociti giganti plurinucleati. Possono allora insorgere anche nuclei giganti (ALTMANN). Negli stadi avanzati le necrosi di cellule isolate si raccolgono al centro dei lobuli, cosicché questi appaiono progressivamente « sparenchimizzati » (si può pure avere degenerazione vacuolare degli epatociti: SCHOPPER, BRASS, E. MÜLLER; SMETANA parla di « Ballonisierung»; vedi appresso). ALTMANN nella E. e. osservò vacuoli nucleari negli epatociti. Secondo WEINBREN (e anche CRAIG e LANDING) le necrosi centrolobulari spiccate della E. e. (BÜCHNER) a v r e b b e r o l u o g o p e r autolisi. BENDA, GERLACH, RISSEL e THA-
LER interpretano i corpi inclusi degli epatociti (vedi pag. 68) come legati
INFIAMMAZIONI
DEL FEGATO
(HEPATITIS)
245
a virus (in contrasto ALTMANN, BÜCHNER). Spesso gli epatociti non necrotici contengono in modo evidente ancora abbondante glicogeno (KRARUP). Nella epatite benigna non si osserva quasi mai steatosi (SMETANA). Analoghe distruzioni di singole cellule con corrispondente compenso, si possono dimostrare nei dotti biliari più piccoli. L'ittero che si trova per lo più in questo periodo porta alla formazione dei noti cilindri biliari (vedi pag. 129, KALK e BÜCHNER), specie in sede centrolobulare. Press'a poco nella seconda settimana di malattia si manifesta chiaramente come ulteriore componente
Fig.
71.
E p a t i t e virale (ittero che perdura d a q u a t t r o settimane). Intensa infiltrazione flogistica intralobulare. Necrosi scure di singole cellule, e p a t o c i t i plurinucleati, scarsi nuclei giganti, intensa dissociazione del tessuto epatico. D o n n a di 32 anni, materiale da biopsia e p a t i c a .
caratteristica, una intensa proliferazione degli elementi reticoloendoteliali, cioè delle cellule stellate del Kupffer. In seguito a tumefazione e a moltiplicazione esse danno luogo in parte a infiltrati diffusi, in parte a formazione di noduli intraacinosi (fig. 71); elementi monocitoidi rotondeggianti passano anche nel sangue dei sinusoidi. Questi gruppi di cellule, che per altro (come le cellule mesenchimali del tessuto periportale) possono immagazzinare abbondante lipofuscina (anche siderina) (KALK e BÜCHNER parlano di « pigmento da usura cellulare », HAMPERL l'interpreta come pigmento ceroide, vedi inoltre SMETANA), superano tutta la durata della malattia (cosiddetti noduli tardivi, BÜCHNER, KÜHN) ed hanno valore, in associazione con gli infiltrati periportali, di elementi caratteristici delle
246
IL FEGATO
lesioni croniche e rispettivamente come residui a lungo durevoli della trascorsa m a l a t t i a (AXENFELD e BRASS, fìg. 72). L a « Gewebsreinigung » (letteralmente « pulizia del tessuto ») v a talmente oltre, che ne risulta una restitutio ad integrum (KALK, E . MULLER). Non raramente si arriva invero ad un ingrossamento e ad una neoformazione di una maglia reticolare nell'ambito dei noduli reticolari (FRESEN), seguiti da un aumento delle fibre collagene nei lobuli. BENDA, RISSEL e THALER fanno distinzione t r a sclerosi e fibrosi postepatitica. Si è anche parlato di proliferazioni dei dotti biliari (KUHN). SU ulteriori possibilità dell'esito vedi appresso.
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Fig. 72. Epatite virale cronica. Numerosi nuclei grandi (nuclei di dimensioni normali alla periferia della figura) ed infiltrati infiammatori residui in tralobulari, in parte nodulari.
L a patogenesi in un primo tempo controversa appare oggi a m p i a m e n t e chiarita (SIEDE); la vecchia opinione di una primitività di disturbi capillari emorragici indipendenti (SIEGMUND, EUCKER, VOEGT) o dell'insorgenza di u n a infiammazione sierosa
(EPPINGER, A X E N F E L D e BRASS,
non ha t r o v a t o alcuna generale conferma e riconoscimento MÜLLER,
BOEGT,
BÜCHNER
non
trovarono
epatite
sierosa,
SIEGMUND)
(BORST, E . KÜHN).
Noi
dobbiamo ammettere piuttosto un'azione diretta epitelio- (KALK e BÜCHNER, E . M Ü L L E R ) mesenchimotossica
(ROHOLM e IVERSEN). I n o l t r e è d a s o t t o l i n e a r e
che la proliferazione mesenchimale (specie delle cellule stellate di K u p f f e r ) costituisce una reazione a sé stante e non deve essere solo interpretata c o m e conseguenza della distruzione dell'epitelio (AXENFELD e BRASS). L ' A u t o r e
INFIAMMAZIONI DEL FEGATO
(HEPATITIS)
247
metterebbe in dubbio che proprio, come sostiene BÜCHNER, la formazione nodulare mesenchimale porti in rilevante entità a distruzione secondaria dell'epitelio. Infine sulla genesi dell'ittero è da notare che trattasi di una forma epato cellulare, rimangono però anche qui le difficoltà di una precisa spiegazione, discusse in generale pag. 128. L'ipotesi di BÜCHNER, che gli infiltrati periportali possano provocare « lesioni parietali » dei dotti
Fig- 73Hepatitis epidemica recidivante, attualmente forma maligna. Quadro dell'atrofia epatica. Clinicamente coma hepaticum. Donna di 46 anni. Prot. N. 1227/56.
biliari precapillari, che costituirebbero delle lesioni di continuità, non appare sufficientemente fondata, poiché altri processi flogistici, parimenti gravi degli spazi interlobulari (vedi ad es. pag. 227), non sogliono decorrere con ittero. L ' A u t o r e attribuisce un grande significato ad una lesione tossica del tratto intercalare. Sottotipi: a) accanto a questa forma banale di E. v. a decorso benigno, viene all'osservazione in casi rari, anche un'epatite maligna, spesso «fulminante » (POPPER, TAYLOR, THALER), che ha in circa l ' I % dei casi, esito
248
IL FEGATO
letale (0,18 % nel Mediterraneo: GONZÀLEZ-CRUZ e BÀGUENA-CANDELA),
nel quadro di singole epidemie può portare però anche a morte un numero sensibilmente maggiore di soggetti (WERTHEMANN e BODOKY: 20 % in Basilea nel 1947; nei paesi nordici occasionalmente sino al 50 %). SUMEGI, GORECZKY e ROTH sono del parere che lesioni epatiche precedenti (anche di altra genesi) possano portare alla liberazione di prodotti di distruzione proteica sensibilizzanti, cosicché il F. nella seconda malattia (E. e.) verrebbe portato, in seguito a citolisi allergica, a distruzione letale. Sembra inoltre che l'epatite da siero abbia tendenza ad un decorso letale maggiore che la E . e. (WERTHE-
MANN). Spesso sono colpiti con esito letale, donne di età avanzata o bambini (BENEKE,
ROULET,
APLEY
e
WALLIS, LANBRINAKOS e PAPATHEODOROU,
STRANSKY
e
PESIGAN). Sulla E. e. durante la gravidanza riferiscono MARTINI,
ROTH.
Morfologi-
camente le lesioni ep. si presentano come estese distruzioni cellulari, spesso come necrosi massive sul tipo dell'atrofia giallo-acuta del F. (vedi fìg. 73). Esse furono trattate dettagliatamente a pag. 51 come forma virale Fig. 74della cosiddetta atrofia geCosiddetta epatite a cellule giganti del lattante. Imnuina. Ivi fu anche indicata maturo di sesso maschile di 23 giorni. Fegato macroscopicamente ingrandito, di colore bruno-scuro. Istola possibilità di decorsi acuti, logicamente cilindri biliari. Numerose cellule giganti subacuti e cronici, la recicon nuclei alla periferia. Fitti infiltrati infiammatori. diva ed esiti in iperplasia multinodulare di Marchand o in vera cirrosi, le difficoltà di una esatta delimitazione da altri tipi di atrofia epatica giallo-acuta e la spesso mancante specificità delle lesioni periportali e intralobulari (bibl. pag. 51). /?) Forma colangiolitica dell'epatite. — Molto discussa è in questi ultimi anni la cosiddetta « epatite colangiolitica » (WATSON e HOFFBAUER, GALL e BRAUNSTEIN, SCHIFF, SIEDE). Essa clinicamente si confonde con l'ittero da occlusione e può perciò procurare notevoli difficoltà nella diagnosi differenziale. Tuttavia manca un ostacolo dimostrabile nelle vie biliari di grosso calibro. SIEDE ha recentemente esposto le caratteristiche cliniche. Istologicamente non si lasciano mettere in evidenza differenze qualitative rilevanti rispetto alla banale E. v. (GALL e BRAUNSTEIN). Quantitativamente
INFIAMMAZIONI D E L FEGATO
(HEPATITIS)
249
dovrebbe prevalere la presenza di cilindri biliari, di proliferazione dei dotti biliari e di pericolangite. SMETANA perciò ammette una parentela con la cosiddetta « forma pericolangitica » della E. v., nella quale i leucociti neutrofìli spiccano particolarmente nel tessuto periportale. Non è possibile adesso vedere se esistono forse rapporti con la colangioepatite della letteratura tedesca (vedi pag. 286). L'Autore non considera ancora matura tutta questa complessa questione e rimanda alla problematica del concetto di colangiolite (vedi pag. 286). y) Recentemente l'È. e. dei neonati trova un grande interesse (cosiddetta epatite fetale e neonatale) come quella dei lattanti (DE MATTEIS: mort a l i t à 50 % ; STRANSKY, TO-
LENTINO) dove può simulare un ittero da occlusione. Vedi HOLFELD ( b a m b i n o di 8 anni),
DIBLE,
STEINGOLD
HUNT,
PUGH,
e WOOD.
CRAIG
e LANDING considerano pos-
sibile un passaggio diaplacentare del virus dell'epatite; essi osservarono nei loro 20 casi ittero grave, coluria e feci acoliche (con due eccezioni). Le vie biliari controllate chirurgicamente si dimostrarono pervie. Morfologicamente erano evidenti cellule giganti polinucleate che però mostravano un riF i g . 75gonfiamento (Ballooning) (in Vedi fig. 74. Spazi periportali infiltrati contrasto con quelle della da cellule rotonde. atresia dei dotti biliari, cfr. fig. 119 a pag. 343; vedi DE MATTEIS: cfr. con le cellule in tesaurismosi glicogenica; inoltre BODIAN e NEWNS che considerano meno un'E. e. che una epatite da siero; così pure SCOTT, WILKINS e KESSLER. Spesso c'era « degenerazione jalina eosinofila », KLEMPERER, KILLIAN e HEYD. L'autore vide un caso corrispondente in un lattante di 23 giorni di sesso maschile (Charité, Prot. N. 966/56) con cellule giganti polinucleate (che ricordavano quelle del tipo Langhans, vedi figg. 74 e 75). Però per tutti questi casi non è stata in alcun modo accertata la genesi da virus epatitico. L a diagnosi differenziale diviene spesso estremamente diffìcile per la reazione infiammatoria intensa (vedi pag. 137 e 344) che insorge anche nella stasi biliare, tanto più che SMETANA e JOHNSON mettono in discussione anche un disturbo di sviluppo dei canalicoli biliari intercellulari (intralobulari).
IL
FEGATO
Esiti della E . v . Spesso si arriva alla restituito ad integrum. Temuto è il passaggio nella forma a decorso cronico (specie negli uomini al disopra dei 50 anni; inoltre come conseguenza di mancati riguardi; nell'alcoolismo, ecc.), nella quale secondo KALK suole insorgere il quadro del «grande f. bianco ». Ancora in questo momento è possibile la guarigione delle lesioni come « grande fegato granuloso variegato ». Esiti specie nella forma fulminante (cioè di quella a decorso spesso mortale come atrofia gialloacuta del fegato) possono essere, nei casi che sopravvivono, i « fegati cicatriziali », noti come iperplasia a grossi nodi di Marchand. Per notizie dettagliate sulla non rara cirrosi epatica postepatitica vera e propria, vedi pag. 326. Al clinico interessano come ulteriori esiti, l'insorgenza di colecistiti e di colelitiasi, inoltre la iperbilirubinemia ( W E P L E R osservò in tali casi siderosi epatica) postepatitica (intermittente) ed infine l'ittero emolitico vero acquisito (KALK,
GOLDECK
e
KUCHMEISTER) .
Analoghi ' quadri a quelli delle epatiti da virus (A e B ; trasmessi ai Goldhamster, ai canarini e agli embrioni di pollo da WILDFUHR, vedi anche ASPLIN e MCLAUCHLAN: epatite virale dell'anitra) offrono le infezioni con il v i r u s d e l l a rifl-valley-fever
(SMITHBURN, HADDOW e GILLET, RUBARTH) e l a
epatite contagiosa dei cani (RUBARTH, STÙNZI). Particolarmente interessante è l'analogia dei reperti istologici ep. nell'epatite virale e nella mononucleosi infettiva (nota prima come febbre ghiandolare di PFEIFFER). R e p e r t i e p . i n B E N A Z E T , SOHIER e F O N T A N G E S , S M E T A N A , W A D S W O R T H e
KEIL, TOLENTINO e DE MATTEIS: nella cosiddetta « epatite mononucleosa » negli stadi iniziali prevalgono le reazioni mesenchimali, mentre per contro, le lesioni epiteliali degenerative mancano. Sui cosiddetti noduli retoteliali nel f., v e d i p a g . 282, c f r . a n c h e BOCK, V. OLDERSHAUSEN e v . OLDERSHAU-
SEN. Del tutto raramente si può arrivare alla formazione di una cirrosi ep. (LEIBOWITZ e B R O D Y , MARSHALL e MILLINGEN, W A D S W O R T H e K E I L )
(ulteriori particolari e bibl. in ROTTER e BUNGELER, voi. I/I, pag. 1058). L a diagnosi differenziale tra morbo di Weil o tra febbre gialla e E. e. (secondo JAFFÉ spesso impossibile) si può formulare in base all'esposizione a pag. 142 e seg. Sulla malaria ed epatite vedi HUNTER e SHEEDY, pagina 467).
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CAPITOLO
V
I GRANULOMI INFETTIVI Introduzione. — L a parte di gran lunga prevalente delle cosiddette infiammazioni specifiche, può portare nel fegato alla formazione di granulomi. T u t t a v i a oggi questi non debbono più assolutamente essere considerati così caratteristici per ogni singola malattia, da poter permettere una sicura diagnosi solo dal loro quadro; tanto più che le variabili condizioni reattive dell'organismo portano a modificazioni nella sua struttura ed estensione. Così p. es. il « tubercolo » viene prodotto spesso da agenti di t u t t a altra natura del bacillo tubercolare. Ciò vale per il morbo di Boeck, per la sifilide, tularemia, lebbra, brucellosi, schistosomiasi e in casi ad etiología oscura. LETTERER propone perciò come concetto sopraordinato quello di granuloma istiocitario a cellule giganti. Parimenti il tifoma può essere riprodotto da altri agenti. Il giudizio diventa ancora più difficile nel puntato ep. E perciò comprensibile e da approvare per lo meno dal punto di vista clinico-pratico, se B O C K , v . OLDERSHAUSEN e v . OLDERSHAUSEN p r o p o n g o n o p e r m a l a t t i e
così molteplici decorrenti con proliferazioni nodulari, il concetto sopraordinato delle cosiddette «epatopatie granulomatose», in cui essi fanno distinzione tra tipici granulomi a cellule epitelioidi (granulomi istiocitari a cellule giganti, vedi prima) e « noduli retoteliali assolutamente aspecifici ». Le numerose malattie appartenenti a questo gruppo sono da loro raccolte in una tabella sintetica. Il patologo può dunque fare una diagnosi, in certo qual
INFIAMMAZIONI
DEL FEGATO
(HEPATITIS)
253
modo sicura, solo dopo la considerazione dei reperti di t u t t i gli altri organi come pure del decorso clinico. Se possibile, è da aspirare all'esatta dimostrazione (batteriologica) dell'agente.
1. T U B E R C O L O S I D E L F E G A T O (Tbc.) Solo del t u t t o raramente è osservata una tubercolosi primitiva del f.: M. NORDMANN riferisce su un caso di complesso primario tubercolare del f. (noduli caseificati della grandezza di una nocciola, tubercolosi linfoghian-
F i g . 76. Piccolissimi tubercoli della sierosa della c a p s u l a e p a t i c a . U o m o di 50 a n n i (generalizzazione tubercolare t a r d i v a . Cirrosi tubercolare degli apici polmonari. Massiva caseificazione dei linfonodi della biforcazione). P r o t . N . 58/56.
dolare regionale) in corso di tubercolosi congenita (bambino di 1 1 3 giorni con tubercolosi a grossi nodi di quasi tutti gli organi); STAEMMLER nel voi. I / i pag. 174, scrive di un bimbo di 10 settimane con complesso primario tubercolare del f. (cfr. inoltre BUNGELER). L a tbc. del fegato, che non offre di solito sintomi clinici, è quasi senza eccezioni secondaria e si presenta in diverse forme: a) più frequentemente si vedono tubercoli disseminati miliari e submiliari (Tb.) di colore grigio-biancastro, che possono confluire e che sono debolmente riconoscibili attraverso la capsula (fìg. 76). Spesso sono così piccoli che si possono notare solo istologicamente (vedi ad es. fìg. 26 a pag. 86).
2
54
IL FEGATO
I noduli più piccoli sono spesso costituiti da cellule linfoidi (cfr. il morbo di Boeck vedi appresso). Nei più grandi si vedono cellule epitelioidi, caseificazione, e molto di frequente, cellule giganti. L a forma dei Tb. non è sempre rotonda, m a spesso anche irregolare (SPRING). Essi prediligono il connettivo interlobulare glissoniano (corrispondentemente alla via di trasporto più frequente, la portale), in cui essi provocano una flogosi interstiziale più o meno intensa e frequentemente anche proliferazione dei dotti biliari. I v i gli epiteli dei dotti biliari possono trasformarsi, come dimostrò ARNOLD, in cellule giganti. D a qui i Tb. dopo distruzione di epatociti, raggiungono le
Fig. 77-
Tubercoli conglomerati del fegato. Bambino di 6 mesi e 1 / 2 .
parti periferiche degli acini; non raramente il tessuto ep. si dispone anche concentricamente, come succede spesso attorno a nodi neoplastici. Talora però i T b . si trovano proprio all'inizio nell'interno degli acini. Talora si possono rilevare piccolissimi « noduli » istologicamente come distretti tessutali privi di struttura, (tossico) — necrotici con molti bacilli tubercolari (Tb.). — tifobacillosi di Landouzy — (cfr. anche SCHEUSSING). Ciò che macroscopicamente ha l'aspetto di un Tb., è istologicamente per lo più già un conglomerato di T b . (fig. 77). Importante fu lo studio del tubercolo ep. nel problema controverso della istogenesi del Tb. miliare (vedi capitolo sui polmoni, inoltre R O U L E T ) . Ricerche sperimentali istituirono tra altri: K O C K E L (le neoproduzioni tubercolari
INFIAMMAZIONI DEL FEGATO
(HEPATITIS)
255
insorgono per proliferazione delle cellule endoteliali e connettivali), MILLER (sposta il fulcro ad endoteli capillari distaccati, dai quali si originano le cellule epitelioidi e per fusione quelle giganti), OPPENHEIMER, bibl., anche G U I L L E R Y (le cellule stellate di Kupffer sono la matrice di tutte le cellule epitelioidi e giganti), W A L L G R E N (poiché come primo effetto di un'iniezione di bacilli tb. ha luogo un accumulo di leucociti anfofìli, sono i linfociti che hanno importanza maggiore; essi si sviluppano in grossi poliblasti epitelioidi; i fibroblasti formano anche a dir vero in piccola parte nei tubercoli cellule epitelioidi, però spiegano la loro funzione più importante nell'incapsulamento connettivale; una partecipazione delle cellule stellate è negata, esse piuttosto andrebbero in necrosi), SCHILLING ritiene per contro le cellule stellate mediatamente o immediatamente partecipi alla formazione dei Tb. epatici, come prima sede di colonizzazione dei b. Tb. Secondo ricerche puramente anatomiche di SCHLEUSSING (bibl.) unicamente modificazioni delle cellule dell'apparato vascoloconnettivale portano alla formazione di cellule epitelioidi. (Per la Tbc. sperimentale nei conigli dopo splenectomia vedi FOOT, il quale ivi osservò lesioni molto più intense nel f. che nei polmoni, benché qui fosse presente un maggior numero di b. Tb.). I Tb. disseminati possono comparire spesso in grandissimo numero (a volte con rigonfiamento del f.) per via ematogena (vena porta, arteria epatica) in modo acuto ed in forma miliare nella tbc. miliare acuta generalizzata, o insorgono in modo cronico e non mancano quasi mai negli stadi finali della tbc. polmonare, se contemporaneamente si trovano ulcere tbc. intestinali. Essi si trovano all'autopsia dei tisici sino all'89 % . Qui è da ammettere per lo più un trasporto portale dei bt., talora si può pensare ad una infezione embolico-arteriosa ed inoltre ad una infezione linfogena retrograda (analogamente a ciò che osservò K A U F M A N N nel carcinoma ep. (vedi ivi), cfr. anche H I L S ) . G L A U S descrive Tbc. miliare isolata del f. per tbc. della vena lienalis in Tbc. cronica caseosa del pancreas; il f., che appartiene ai classici filtri ematici, intercetta i bt. (vedi caso di M . MASSINI). Sui rapporti tra splenectomia e tbc. epatica, vedi G I O R D A N O . II f. non rappresenta in genere un terreno molto adatto alla moltiplicazione dei bt. ed all'accrescimento del tubercolo. Per cui i noduli rimangono per lo più molto piccoli. Ciò appare particolarmente evidente, specie nei bambini, se si paragona ad es. con la Tbc. della milza (vedi voi. I/i, fig. 3x7, pag. 1144). Secondo O R T H nel f. si trovano i tb. più piccoli che si possano osservare nell'uomo. Sulla guarigione per cicatrice del tubercolo miliare (con ialinosi) dopo chemioterapia ha riferito K O N N . b) Più raramente si trovano focolai più grandi, sino alle dimensioni di un pisello, duri, caseosi, di colore itterico, che all'interno contengono una piccola caverna ripiena di detriti caseosi e di contenuto biliare, una cav i t à ulcerosa. Questi sono i cosiddetti tubercoli dei dotti biliari, che macroscopicamente hanno tutt'altro aspetto dei noduli miliari disseminati.
256
IL
FEGATO
Il difficile problema della insorgenza dei tubercoli dei d o t t i biliari, cholangitis tuberculosa, è s t a t o v a r i a m e n t e i m p o s t a t o . Secondo KOTLAER, i cui reperti furono c o n f e r m a t i da LICHTENSTEIN nell'Istituto di KAUFMANN in G ò t t i n g e n , i tubercoli invadono la parete dei dotti biliari da tessuti circostanti. Secondo la teoria di SIMMONDS della « T b c . e m a t o g e n a d a eliminazione » (che per altro da SUSSIG anche nei riguardi della tbc. dei genitali maschili venne respinta con la massima risolutezza) verrebbe i n f e t t a t a p r i m i t i v a m e n t e la superficie interna a t t r a v e r s o l'eliminazione di bt. con la bile. A n c h e JOEST e EMSHOFF in base a ricerche su animali tubercolosi, respingono una tale T b c . d a eliminazione; i bacilli dovrebbero provenire da lesioni tubercolari del f.; JOEST però
Fig.
78.
T u b e r c o l o s i c a v e r n o s a dei d o t t i b i l i a r i (in t u b e r c o l o s i g e n e r a l i z z a t a ) . U o m o d i 29 a n n i . P r o t . N . 28/41.
a m m e t t e , cosa che è anche o v v i a , che allorquando b t . raggiungano le vie biliari, allora possano anche insorgere tubercoli a p a r t e n z a dalla superficie muccosa dei dotti. C o n l a c a s e i f i c a z i o n e e l ' u l c e r a z i o n e della p a r e t e t u b e r c o l a r e d e i d o t t i biliari, si f o r m a u n c a n a l e caseoso, il q u a l e , per p r o g r e s s i o n e v e r s o l ' e s t e r n o (nel t e s s u t o ep.) e necrosi v e r s o l ' i n t e r n o , p u ò t r a s f o r m a r s i s e m p r e p i ù in u n a c a v e r n a (ulcerosa). Così in casi rari p o s s o n o f o r m a r s i nel f e g a t o c a v i t à che r a g g i u n g o n o le d i m e n s i o n i di u n a ciliegia (fig. 78). I s t o l o g i c a m e n t e si o s s e r v a c o m e il r i v e s t i m e n t o della p a r e t e (fig. 79) sia per lo p i ù f o r m a t o n o n d a t u b e r c o l i m a d a u n a m a s s a c a s e o s a d i f f u s a . I n s o l i t o è il p r e p a r a t o r a f figurato
nella fig. 80, p i e n o di c a v e r n e
fittamente
d i s p o s t e d a l l e p i ù pic-
cole alle p i ù g r a n d i , c o n p a r e t e s p e s s a d a 1 a d 1 , 5 m m . , c a s e i f i c a t a , d i colore
INFIAMMAZIONI
DEL
FEGATO
(HEPATITIS)
257
Fig- 79Tubercolo dei dotti biliari. A destra in basso cavità da necrosi biliare (nel preparato colorata intensamente in verde). Nel distretto marginale dotti biliari dilatati e strie di tessuto di granulazione tubercolare con cellule giganti.
Fig. 80. Tubercolosi dei dotti biliari con formazione di numerose caverne. Bambina di 5 anni (con tubercolosi dei polmoni, dei linfonodi bronchiali, dei reni). 2/3 della grandezza naturale ( d i s e g n o di E .
17
—
KAUFMANN
II, p.
II
KAUFMANN).
258
IL
FEGATO
itterico e contenuto caseoso, fluido e poltaceo. W . GERLACH descrive un raro ascesso tubercolare del f. della grandezza di una testa di bambino. L a T b c . dei dotti biliari si può indicare anche come tbc. canalicolare, analogamente alla T b c . caseosa dei bronchi, deferenti, salpingi, ecc. L a c a v i t à può detergersi, trasformarsi in cisti, più raramente infine guarire per cicatrice. c) I tubercoli conglomerati solidi più grandi, T b c . nodosa (fìg. 81), presuppongono un decorso cronico. Essi sono abbastanza rari, si osservano
Fig. 81. Ampio tubercolo conglomerato del fegato. Vecchio preparato del museo dell'Istituto della Charité senza ulteriori dati.
però relativamente spesso nei bambini, spesso in unione con una tbc. peritoneale. R a r a m e n t e si formano all'interno dei nodi c a v i t à di rammollimento secondario (come già è stato detto a proposito dei tubercoli della milza). JENNY mette in rilievo che non è a f f a t t o raro l'incapsulamento di focolai T b c . Forme più rare. — Molto rari (spesso solitari) sono i tubercoli conglomerati considerevolmente grandi, « neoplastiformi », della grandezza di u n a noce e anche di un pugno, e di consistenza molle, caseosa (ORTH, SIMMONDS, ERNST-SIGG, bibl.; W .
FISCHER,
PERTIK,
bibl.,
KRAUSE,
E.
FRAENKEL,
BRÙTT ed altri). Facile è lo scambio con gomme (necessaria la dimostrazione dei bacilli Tbc.). Per la diagnosi differenziale vedi pag. 2 7 1 . Essi possono essere occasione di intervento chirurgico.
INFIAMMAZIONI
DEL
FEGATO
(HEPATITIS)
259
Sulla cirrosi epatica a genesi tubercolare, che per lo più corrisponde al quadro della forma di Laennec, cfr. pag. 350. Questa forma fu osservata in numerosi animali infettati con bt. (STOERK, bibl., vedi anche WALLGREN, KLOPSTOCK). P i ù r a r a è l a f o r m a i p e r t r o f i c a , in c u i il f. p u ò r a g g i u n -
gere enormi valori ponderali (nel caso di ISAAC gr. 9470!). Si trovano qui bt. e tubercoli. Nodi caseosi più grandi si formano in tal caso tuttavia solo raramente. Bibl. dettagliata in OMODEI-ZORINI. WEGERLE descrive un caso insolito di atrofia ep. subacuta con iperplasia nodosa a genesi tubercolare. (RÒSSLE osservò nel f. cellule giganti plurinucleate senza bacilli in un caso di Tbc. caseosa polmonare e linfoghiandolare con f. indenne). Recentemente nel f. di tubercolosi trovano interesse anche granulomi, che non rappresentano tubercoli, ma constano di cellule stellate proliferate, che si r a c c o l g o n o i n noduli
retoteliali
(HAMPERL,
RINGLEB, L E V Y ) . E s s i so-
migliano ai noduli tifosi (vedi pag. 278) e vengono interpretati come espressione di reazione allergica aspecifica (reperto batteriologico negativo!), v . OLDERSHAUSEN, v . OLDERSHAUSEN e TELLESZ li v o g l i o n o a n n o v e r a r e t r a
le « epatopatie granulomatose ». N e l l a pseudo-tubercolosi b a c i l l a r e (EBERTH) si sogliono f o r m a r e nel f. n o d u l i similtubercolari, o s s e r v a t i in singoli casi in l a t t a n t i ed in a d u l t i , in c u i essi (specie l à d o v e a p p a i o n o delle o m b e l i c a t u r e ) , e v e n t u a l m e n t e sono s c a m b i a t i c o n m e t a s t a s i neoplastiche. I n o d u l i sono c o s t i t u i t i di t e s s u t o di g r a n u l a z i o n e , r i c c o di p l a s m a c e l l u l e e di leucociti, con t e n d e n z a a l l a necrosi. I bacilli i v i t r o v a t i sono s t a t i a t t r i b u i t i al t i p o B a c t . p s e u d o t u b e r c u l o s i s r o d e n t i u m d i P f e i f f e r (ROMAN, bibl., EUG. FRAENKEL, bibl.). C o m e p o r t a di e n t r a t a si a m mise il t r a t t o gastro-intestinale. O g g i c o m e a g e n t e è c o n s i d e r a t a la P a s t e u r e l l a p s e u d o t u b e r c u l o s i s . P e r ò n e l l ' u o m o u n a v e r a p s . - T b c . d o v r e b b e essere estrem a m e n t e rara. P e r lo più t r a t t a s i di u n o s c a m b i o con l a listeriosi (vedi p a g . 277) (dimostrazione dell'agente!). Sulla peliosis hepatis nella T b c . , v e d i p a g . 207.
2. M O R B O D I B O E C K . S A R C O I D O S I S (Sarcoide di Boeck) Nelle forme generalizzate del morbo di Boeck (indicato come sarcoidosi nella letteratura americana) il f. è colpito (accanto ai linfonodi ed alla milza) ( v e d i a n c h e ROTTER e BUNGELER, v o i . I / i , p a g . 8 1 4 ; i v i d e t t a g l i s u l l ' e t i o l o g i a
e sulla patogenesi) in circa 2/3 dei casi (BRANSON e PARK, bibl.). La diagnosi si può propriamente porre sempre solo con biopsia (o autopsia) con la dimostrazione di granulomi submiliari a cellule epitelioidi, specie in vicinanza del tessuto periportale. A volte si trova solo una necrosi a focolai di cellule ep. con infiltrazione linfocitaria. Il f. è spesso ingrandito;
2ÓO
IL FEGATO
le prove di funzionalità ep. sono però poco alterate (KLATSKIN e Y E SNER); eventualmente riesce positivo il test di intorbidamento del solfato di zinco per le y-globuline. T u t t a v i a la sola diagnosi istologica a causa della somiglianza con i comuni tubercoli non è completamente sicura; debbono essere anche delimitate nella diagnosi differenziale lesioni analoghe che occorrono nella mononucleosi infettiva, nell'influenza B , nell'actinomicosi, nel granuloma dell'eritema nodoso, nella brucellosi, nella schistosomiasi (DESCHAMPS, REDMOND e DE LEEUW), nella tularemia, nella lebbra, nella blastomicosi (eventualmente anche epatite?), in cui i reperti della cute e dei linfonodi possono essere di aiuto (ad es. nel caso letale di K e l l e y e McHardy). L'istoplasmosi e l ' a v v e l e n a m e n t o da berillio non dovrebbero provocare nel fegato (contrariamente a quanto affermano SHAY, BERK, SONES,
AEGERTER,
YESNER),
vedi
per
WESTON
e
ADAMS)
alcuna
alterazione
c o n t r o B O C K , V. O L D E R S H A U S E N e v .
3. S I F I L I D E D E L
(KLATSKIN
e
OLDERSHAUSEN.
FEGATO
L a sifilide provoca varie forme di flogosi interstiziale come pure granulomi specifici, gomme, cosiddette gummata. L a frequente sifilide congenita risp. intrauterina, del fegato, presenta rispetto a quella acquisita, un aspetto del t u t t o diverso. Nella S. cong. del f. non t r a t t a t a , le spirochete si presentano molto più diffuse e molto più numerose che nella lue acquisita, spesso a nidi; m a le reazioni da esse provocate non sono così g r a v i come nella lue acquisita, in particolar modo, mancano le ostruzioni dei vasi con conseguente necrosi. Però in casi di lue congenita, non raramente si t r o v a n o spirochete financo in sedi dove istologicamente mancano lesioni (cfr. anche relazione in Verh. Dtsch. P a t h . Ges. 23,1928). D ' a l t r a parte la proliferazione del tessuto fibroso è per lo più abbondante e rappresenta il fenomeno più caratteristico del processo patologico nella S. cong. (cfr. anche MALLORY). 1. Nella sifilide congenita del f., che prima era molto frequente, specie anche in paragone a quella degli adulti, m a che oggi diventa sempre più rara al tavolo anatomico, si distinguono due tipi, a volte combinati: a) Epatite interstiziale sifilitica. — Essa consiste in una proliferazione connettivale diffusa o più raramente a strie (vedi appresso). Nei casi con fibrosi diffusa, (1) l'organo è per lo più non considerevolmente ingrandito, duro-elastico, sino alla consistenza del cuoio, la superficie esterna come la superficie di taglio liscia, senza disegno acinoso, a volte (specie quando i bambini erano ipermaturi), di colore grigio-giallastro pallido o grigio brunastro-chiaro o anche giallo-rosso e di aspetto vitreo lievemente chiazzato:
INFIAMMAZIONI
DEL
FEGATO
2ÓI
(HEPATITIS)
fegato a pietra focaia. L'affezione è più accentuata quanto più avanzata è l'età del feto. Il fegato a pietra focaia è oggi diventato raro (FLEGEL), cosa che l'Autore conferma. Questa piccola tabella di neonati e lattanti sifilitici, tutti della lunghezza di 50 cm., indica il peso oscillante del fegato a pietra focaia ed il confronto col peso della milza: F e g a t o (normale gr. 125): Milza
(normale gr.
9):
108
130
140
160
180
200
225
280
gr.
13
10
24
23
20
55
65
50
gr.
Un fegato a pietra focaia del peso insolitamente alto di gr. 650, con peso della milza di gr. 54, osservò KAUFMANN in un lattante di 3 mesi lungo 62 cm. Si danno anche casi con basso peso del fegato, ad es.: i m m a t u r o di sesso femminile, lungo 45 cm.: fegato 75, milza 25 i m m a t u r o di sesso femminile, lungo 47 cm.: fegato 65, milza 20;
in questi due casi si trovò istologicamente fegato a pietra focaia con spirochete. Microscopicamente si evidenzia nel parenchima, a focolai o diffuso, un connettivo lasso, finemente fibrillare, ricco di cellule fusate (fig. 82). Per diffuso sviluppo e fine distribuzione dello stesso viene cancellata la struttura ep. e rispettivamente turbata l'architettura del f.; si vedono per lo più solo rare travate ep. più grandi, che spesso sono atrofiche, per contro molti segmenti isolati di travate. La proliferazione connettivale si insedia, come stadi precoci indicano, principalmente in sede intraacinosa, attorno ai capillari. Più tardi questo non è più evidente nei comuni preparati istologici (eppure ERDMANN in preparati per digestione potè dimostrare anche in stadi avanzati questa iperplasia connettivale, che riguarda le fibre « che avvolgono » i capillari). Molti capillari sono anche completamente ricoperti da connettivo. In un tale f. possono anche formarsi in grande quantità gomme caseificate (vedi pag. 263, fig. 84) e gli infiltrati cellulari di cui si parlerà sotto (2). Le lesioni descritte possono essere limitate anche a parti del f.: fegato a pietra focaia parziale. In contrapposto con questa proliferazione connettivale diffusa puramente iperplastica (a cui rimanda ERDMANN), si ha una seconda forma (2) in cui si arriva alla formazione di singoli tratti o strie connettivali, tempestate di cellule rotonde e fusate ed anche di dotti biliari neoformati, che si dipartono da una proliferazione flogistica del tessuto di sostegno dei grossi vasi e della capsula epatica, si irradiano nel parenchima e provocano lievi retrazioni nella superficie. Il f. può essere grande come di norma ed è duro. Mentre la forma diffusa rappresenta un parallelo della cirrosi ipertrofica, l'ultima forma indica piuttosto un passaggio verso il f. lobato o anche alla cirrosi ordinaria. STRASSBURG ritiene un aumento diffuso delle fibre reticolari specifico per la lue cong. Sulla persistenza dell'emopoiesi vedi pag. 383.
2Ö2
IL
FEGATO
Fig. 82. Fegato a pietra focaia nella lue congenita. Bambino dell'età di 1 mese.
wmmm:
ÉmmmiwÉ, Epatite interstiziale e gomme miliari nella lue congenita. Bambina di 2 mesi.
INFIAMMAZIONI DEL FEGATO (HEPATITIS)
263
Cellule giganti plurinucleate ep. occorrono non raramente in gran quantità nella sifìlide congenita del f. (BINDER, OPPENHEIMER, SEIKEL). Esse provengono dalle cellule ep. secondo gli uni essenzialmente per confluenza, secondo altri per proliferazione di una cellula. MENETRIER e RUBENSDUVAL ammettono ambedue le possibilità di insorgenza. Esse sono piuttosto da considerare come un tentativo di rigenerazione; non si può arrivare però alla divisione cellulare. Esse non hanno nulla a che fare con gli stessi infiltrati tessutali sifilitici. Questi quadri non sono rari; KAUFMANN li osservò nella metà dei casi. LONICER crede che cellule giganti possano anche formarsi dai dotti biliari. L'epatite interstiziale diffusa può accompagnarsi tra l'altro con sifìlide della milza, del pancreas, dei polmoni, delle ossa, inoltre ascite e più raramente ittero. b) Sifilomi miliari (espressione per indicare piccoli focolai miliari eterogenei conseguenti a sifìlide). Molte di quelle già in genere cosiddette gomme miliari non sono altro che quegli infiltrati cellulari sopra accennati, che occorrono anche in feti e neonati non sifil i t i c i (cfr. HOCHSINGER, LUBARSCH). I n
altri casi appaiono però già macroscoFig. 84. picamente [microscopicamente formati Gomma sferica con rammollimento cencome in a)] sulla superfìcie di taglio liscia, trale in fegato (a pietra focaia) di neonato. Grand, nat. (Disegno di E . K A U F M A N N ) . spesso in grande quantità, piccole e piccolissime placche grigie o gialle, di aspetto irregolare, e granuli opachi, o si riconoscono solo microscopicamente piccoli focolai di cellule polimorfe, granulomi miliari nodulari che sono diventati nel centro più o meno fortemente necrotici, omogenei, e sono tempestati di detriti nucleari (che originano tra l'altro dai leucociti), e che debbono essere indicati quali gomme miliari (fig. 83) (C. BENDA). Si parla di cosiddette necrosi miliari, quando i focolai miliari sono costituiti solo da masse necrotiche (o diciamo, che rimangono non colorate con la comune colorazione nucleare) con detriti nucleari, commiste a leucociti, senza limiti netti (cfr. anche v . WERDT) e non lasciano riconoscere l'origine da noduli di granulazione. HUETER pensò a pure affezioni locali tossiche (Toxinaffekte), non flogistiche. In tali casi il f. è sempre alterato anche nell'interstizio, ed i piccoli focolai miliari (che sono da comprendere nel concetto di sifilomi miliari) dovrebbero costituire l'espressione della presenza massiva di spirochete; nell'ambito dei nidi delle spirochete il tessuto epatico viene necrotizzato (vedi SCHRIDDE,
264
IL FEGATO
e specialmente SCHNEIDER) questi sarebbero dunque piccoli focolai necrotici contenenti spirochete. Per contro C. BENDA rimandò ai sifilomi miliari già descritti da lui, nei quali gli ammassi di spirochete, che per lo più vanno in distruzione granulare, rappresentano addirittura la massa centrale (come confermò SCHNEIDER), mentre il substrato morto per la colonizzazione delle spirochete (parenchima epatico necrotico, lacune capillari) condizionerebbe solamente la particolare struttura ad alveare del focolaio; C. BENDA propone per questo la designazione di « infarto da spirochete ». Però dopo che in tali piccoli focolai dal di fuori penetra o una infiltrazione reattiva leucocitaria o una proliferazione reattiva di tessuto di granulazione,
Fig. 85. Voluminosa gomma congenita (preparato del museo dell'Istituto Charité dell'anno 1911).
ne derivano sifilomi miliari similascessuali o granulomi miliari, vere e proprie gomme (nella diagnosi differenziale sarebbero da prendere in considerazione piccoli focolai di necrosi miliare nella listeriosi dei lattanti (vedi pag. 277); cfr. anche pseudotubercolosi (pag. 259). Le gomme voluminose e sferiche sono molto rare (cfr. SAUVAGE e GERY); esse simulano molto da vicino i tumori (figg. 84 e 85). Si ha un quadro assai peculiare, quando la neoformazione gommosa si estende dall'ilo verso il connettivo periportale, ed infiltra, restringe ed inguaina la vena porta o i dotti biliari (fig. 86). In questi casi appare sotto forma di cordoni fusati, che si assottigliano sempre di più e si ramificano variamente, di colorito biancolardaceo, e possono dimostrare qua e là degli zaffi giallastri caseosi ed elastici e che si irradiano in forma continuativa o con interruzioni nel parenchima epatico; talora però, come già descrissero BECK e H. CHIARI ed anche KAUFMANN osservò a Breslavia in un neonato di sesso femminile della lunghezza di 42 cm. della età di 10 giorni ed itterico da 3 giorni, si osservano infiltrati diffusi estesi e lardacei che trapassano nel tessuto epatico verdastro (vedi anche SUGI, DUTSCH, C. BENDA ed altri).
INFIAMMAZIONI DEL FEGATO
(HEPATITIS)
265
Alcuni dotti biliari possono assumere un aspetto simile ad un deferente in seguito all'ispessimento della parete ed al restringimento del lume. Ciò non toglie che l'ittero possa mancare. In altri casi il fegato è di colorito verde erba, e in questi casi si parla di peripileflebite e pericolangite gommosa; microscopicamente si riscontra dilatazione dei rami della vena porta e dei dotti biliari, e talora in modo particolarmente accentuato di questi ultimi, per opera di tessuto prevalentemente fusocellulare. Microscopicamente anche le arterie dimostrano spesso notevole ispessimento e sempre si notano anche altrove alterazioni interstiziali diffuse (fig. 87). (Comportamento delle vene ombelicali v. in cordone ombelicale Voi. II, parte I, pag. 494). Le lesioni epatiche che compaiono nel decorso tardivo della lue congenita (lue congenita tardiva) sono sovrapponibili in parte a quelle della sifilide acquisita. Un fegato a grossi nodi o lobato può svilupparsi immediatamente per derivazione dalla forma congenita decorrente con proliferazione connettivale a strie. MARCHAND prospetta che l'iperplasia connettivale diffusa (cfr. pagina 261) possa rappresentare F i g . 86. il punto di partenza di una cirPericolangite e peripileflebite g o m m o s a in f e g a t o rosi ipertrofica tipica. ORTH cita a pietra focaia. Il f e g a t o è t a g l i a t o e a p e r t o a libro. N e o n a t o di 5 gg. della l u n g h e z z a c o r p o r e a (vedi anche DUTSCH) una peridi 41 c m . Milza 15 g. N o n ittero! n / 1 6 g r a n d , n a t . colangite gommosa in una ra(Disegno di E . K A U F M A N N ) . gazza di 19 anni con lue congenita tardiva. D'altra parte esiste anche la sclerosi diffusa come manifestazione terziaria della lue, come nel caso di WHITCOMB in una donna di 26 anni, con grave atrofìa del fegato, specialmente del lobo sinistro (920 g. di peso, milza 300 g.) con formazione di gomme miliari, ciò che corrisponde al tipo congenito della epatite sifilitica interstiziale. 2. L a sifilide epatica acquisita degli adulti si presenta in forme diverse: a) In seguito a proliferazione connettivale interstiziale a focolai si formano setti di tessuto connettivo giovane spesso ampi che dalla periferia penetrano verso l'interno. Poiché questi con la successiva trasformazione in tessuto cicatriziale (nel quale son presenti costantemente anche vasi alterati cioè ispessiti e ristretti) si accorciano la superficie viene retratta e suddivisa in lobi grossolani, che talora sono palpabili attraverso la parete addominale sotto forma di bozze che possono essere confuse con tumori. In questo modo si forma il fegato lobato; hepar lobatum
266
IL
FEGATO
syphiliticum (figg. 88 e 89). Il fegato assume una forma assolutamente irregolare come se fosse stato legato con dello spago nelle più diverse direzioni: fegato impacchettato; foie ficelé degli AA. francesi. Le retrazioni più numerose e più profonde si trovano di regola nelle vicinanze del legamento sospensorio. La capsula epatica è ispessita e frequentemente collegata tramite numerose aderenze velamentose o filamentose, con gli organi vicini, in particolare con il diaframma (periepatite fibrosa adesiva). Di regola in principio è alquanto aumentato di volume, ma in seguito il fegato lobato può andare incontro a riduzione anche fino al volume di un pugno, come osservò
KAUFMANN.
Fig. 87. Pericolangite sifilitica. Marcata dilatazione del tessuto periportale con infiltrazióne infiammatoria estremamente densa. Il parenchima epatico è visibile soltanto al margine destro della figura. Neonato sifilitico.
Una parte del parenchima epatico v a incontro a necrosi là dove si formano i voluminosi setti, ma in parte anche per costrizione (atrofia da compressione) . Il restante parenchima tuttavia va spesso incontro ad ipertrofia compensatoria (per cui compare un marcato disegno acinoso e KAUFMANN osservò cellule giganti), e ciò condiziona quasi sempre la forma rotondeggiante e compatta dei lobi (cfr. anche MELCHIOR). 0. WELTMANN parla di «Schwielenleber » (fegato cicatriziale), tuttavia il vecchio termine di hepar lobatum sembra essere preferibile. L a epatite interstiziale, che porta alla formazione dell 'hepar lobatum, è in genere abbastanza caratteristica per la lue, tuttavia il giudizio diventa
INFIAMMAZIONI
DEL
FEGATO
(HEPATITIS)
Fig. 88. Fegato cicatriziale sifilitico grossolanamente lobato (Hepar lobatum). Superficie. Uomo di 54 anni. A u t . Nr. 237/38.
Fig. 89. Superficie inferiore del fegato visto nella fig. 88.
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IL FEGATO
ancor più sicuro se nei tralci fibrosi si trovano gomme o comunque queste sono presenti nel fegato. Esistono forme di epatite sifilitica interstiziale che corrispondono ad una cirrosi a noduli molto grossolani (vedi pag. 351); queste talora derivano da una sifilide congenita e possono decorrere, in seguito alla proliferazione vicariante, con notevole aumento di volume del fegato. D'altra parte esistono casi di fegato lobato e gomme intraepatiche nella lue acquisita (KAUFMANN li osservò a Breslau, in un uomo di 53 anni con orchite gommosa ed infezione da 28 anni ed in un uomo di 47 anni con grave carie guarita delle ossa frontali e parietali, aneurisma dell'aorta), che decorrono con una cirrosi di Laennec microscopicamente tipica.
Fig. 90. Quattro gomme nodose aggettanti in fegato lievemente lobato di donna di 52 anni, situate in vicinanza del leg. sospensore. Diagnosticati clinicamente come noduli carcinomatosi. 11 nodo più voluminoso (6,5 cm. di lunghezza, 5,7 cm. di larghezza e di spessore) è tagliato a piatto; si osserva una porzione a forma di trifoglio, caseificata, lievemente aggettante, circondata da tessuto grigiastro vitreo. Margine epatico anteriore da cui protrude la colecisti. Circa V2 grand, nat. (Disegno di E . K A U F M A N N ) .
Si osservano anche casi in cui soltanto una parte del fegato (lobo sinistro) è andata incontro a trasformazione cirrotica. Può esservi notevole tumore di milza. In genere non si ha ittero. Il fegato lobato può essere contemporaneamente amiloidotico. I lobi strozzati diventano particolarmente voluminosi e compatti (palpabili come tumori attraverso la parete addominale), ed il fegato diventa notevolmente lungo (i nodi possono occasionalmente raggiungere persino un sacco erniario e, come osservò KAUFMANN, possono essere aggrediti chirurgicamente). b) Nodi gommosi. Queste neoformazioni circoscritte infiammatorie sono nodi per lo più delimitati ad angolo acuto, che non di rado sono collegati a forma di carta geografica od anche possono essere sferici o rotondeg-
INFIAMMAZIONI
DEL FEGATO
(HEPATITIS)
269
gianti, in alcuni punti presentare contorni spigolosi o incavati, di colorito giallo sporco, compatti, asciutti, caseosi, di consistenza gommosa dura, nei quali l'unghia lascia l'impronta solo con difficoltà. Spesso sono situati in connettivo jalino, roseo-grigiastro o incolore, il quale negli stadi iniziali può essere infiltrato in modo notevolissimo da plasmacellule. Le gomme, però, possono anche essere totalmente caseifícate e perfino enucleabili dal tessuto epatico circostante (fig. 90).
F i g . 91. D u e g o m m e voluminose ed a l c u n e più piccole in f e g a t o con s t r u t t u r a l i e v e m e n t e cirrotica, U o m o di 41 anni (R W i n t e n s a m e n t e p o s i t i v a ) .
Nell'interno delle gomme più vecchie la colorazione per l'elastina rivela per lo più abbondante connettivo e vasi ispessiti con lume ridotto od anche obliterato (per lo più rami della vena porta). (Sull'occlusione primitiva della vena porta senza lue epatica vedi pag. 193). Le gomme possono essere solitarie o multiple ed hanno grandezza variabile da un pisello a una ciliegia e perfino ad un pugno (fig. 91). Sono riscontrabili molto frequentemente nella profondità di una retrazione cicatriziale della superficie, la quale è spesso connessa con gli organi circostanti mediante tralci connettivali (periepatite adesiva). Solo di rado si riscontrano contemporaneamente alterazioni gommose dei linfonodi regionali dell'ilo epatico (cfr. l'osservazione di KAUFMANN in voi. I/i, pag. 1049). Più raramente le gomme sono situate in profondità nel tessuto epatico,
270
IL
FEGATO
più frequentemente nelle vicinanze del legamento sospensorio o al margine epatico inferiore, come pure intorno all'ilo epatico. Talora le gomme possono essere situate, proprio come i tumori veri, p. es. come le metastasi carcinomatose, nel tessuto epatico indenne (fig. 92) oppure possono aggettare, sia pure raramente in forma sferica, alla superficie, come nodi sarcomatosi o carcinomatosi, oppure eccezionalmente possono essere persino peduncolate e essere anche confuse con tumori alla palpazione attraverso la parete addominale (bibl. chir. v. KÖNIG, PSCHENITSCHNIKOW). (KAUFMANN osservò questi quadri nel caso della fig. 90, in cui la localizzazione accanto al legamento
Fig. 92. Porzione periferica di una voluminosa gomma epatica.
sospensorio è particolarmente notevole, essendo una sede che è esposta a continue lesioni e trazioni fisiologiche, come pure nel caso citato nel volume I/i a pag. 1049 nelle gomme delle linfoghiandole). Anche qui si differenzia però sulla superficie di taglio frequentemente una parte centrale giallastra, non di rado a carta geografica ed una porzione periferica grigiastra vitrea, benché KAUFMANN osservò anche nodi completamente omogenei caseoso-gommosi, giallo pallidi, che sulla superficie di taglio aggettavano in grande numero rispetto al tessuto circostante macroscopicamente indenne e di consistenza molle normale e si lasciavano enucleare. Questi casi di gomme sono persino già stati operati (cfr. CUMSTON, bibl.). Le gomme recenti sono grigio-rossastre ed abbastanza molli; con l'aumentare della necrosi (alla quale contribuisce l'occlusione dei vasi) e della
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DEL FEGATO
27I
(HEPATITIS)
steatosi, assumono sempre di più le caratteristiche già citate e vanno incontro in parte a trasformazione cicatriziale. In seguito possono perfino venire riassorbite e cicatrizzare completamente. Spesso dal tessuto attorno alle gomme si diparte in forma raggiata tessuto fibroso cicatriziale estendendosi nel parenchima epatico; la retrazione determina la formazione di rientramenti e della lobatura del fegato (vedi fig. 90). c) Spesso si ha la combinazione di gomme ed hepar lobatum. In questi casi si osservano formazioni gommose giallastre notevolmente prominenti entro i tralci fibrosi ed anche libere nel tessuto epatico. Il fegato diventa straordinariamente piccolo, poiché la retrazione cicatriziale marcata comporta l'atrofia del tessuto epatico. Diagnosi differenziale tra gomme (G) e tubercoli (Tb.). — L'aspetto asciutto, giallastro e caseoso, la consistenza duro-elastica e la capsula connettivale vitrea cicatriziale, permettono per lo più una netta distinzione delle g. rispetto ai nodi tb. caseosi e inoltre anche dai tumori, p. es. dai sarcomi o dai carcinomi scirrosi. Istologicamente: 1) Nelle g. le cellule epitelioidi sono meno numerose rispetto alle piccole cellule di granulazione e plasmacellule. 2) Le g. contengono numerosi fibroblasti e connettivo fibroso, — i tb. ne contengono eccezionalmente e in misura scarsa. 3) L a caseificazione nelle g. è in genere più diffusa, più estesa e compare tardivamente, cioè contemporaneamente alla trasformazione connettivale, nei tb. invece compare più precocemente. 4) L e colorazioni permettono di riconoscere nel caseum delle g. abbastanza bene i fasci connettivali ed i vasi malgrado la mancanza dei nuclei. Nelle parti caseificate del tb. predominano invece masse amorfe, ed al massimo con la colorazione per l'elastina sono riconoscibili in parte fibrille nella loro disposizione originale. In base alle esperienze di K A U F M A N N , confermate dall'Autore, negli ultimi decenni il fegato lobato e le gomme epatiche si vedono sempre più raramente (come risulta anche dalla revisione della letteratura operata da G. B . G R U B E R ) . Negli anni passati a Breslau (1885 fino alla primavera 1898) entrambe le forme furono osservate frequentemente da K A U F M A N N — e ciò risulta anche dalle statistiche meno recenti delle grandi città in cui la lue è molto frequente, — mentre diventarono sempre più rare a Basilea ed a Gòttingen. Questo punto, cioè le modificazioni dell'aspetto della lue, f u già preso in considerazione a proposito della sifilide aortica nel voi. I/i pag. 386. Nell'Istituto dell'Autore vennero riscontrati su 6768 autopsie negli ultimi 5 anni e mezzo 65 casi di aortite sifilitica, mentre i casi di fegato lobato sifilitico furono soltanto 3. Per le alterazioni acute degenerative del fegato (vedi pag. 52), dei reni e del sistema nervoso centrale in corso di lue degenerativa maligna acuta vedi PFEIFFER.
(Letteratura classica estesa sulla sifilide epatica in [Clinica]).
EBSTEIN
HERXHEIMER
e
W.
272
IL FEGATO
4. L I N F O G R A N U L O M A T O S I D E L F E G A T O (lgr.) Il fegato nel lgr. è interessato nel 55-60 % dei casi. L a ben nota maggior frequenza del lgr. nel sesso maschile (60 %) viene posta in rapporto da ABBATUCCI e BEATTY con il ruolo del fegato nel metabolismo degli ormoni sessuali. Spesso accanto ad epatomegalia ed ad ascite si osserva frequentemente ittero (genesi molto variabile, BEATTY). Spesso si osservano numerosi
Fig. 93Linfogranulomatosi micro e macro-nodulare prevalentemente delle porzioni craniali del fegato. Uomo di 22 anni. A u t . Nr. 413/52.
noduli (fig. 93) e nodi chiari biancastri o grigiastri, che ricordano i tubercoli (spesso i tubercoli conglomerati a rosetta) od anche, come capitò di osservare talora all'Autore, ricordano nodi carcinomatosi, anche in rapporto alla presenza occasionale di una depressione ombelicata ed hanno forma rotondeggiante oppure talora a margini netti spigolosi; essi comprimono (figg. 94 e 95) ed infiltrano il tessuto epatico (nel quale però inizialmente è ancora riconoscibile il disegno acinoso del fegato). Spesso si formano anche strie ramificate lungo la vena porta (ricordando in questo modo la leucemia, come osservò anche l'Autore, fig. 96, o la peripilefìebite gommosa, SCHMORL) oppure lungo le vie biliari (che in parte possono essere anche distrutte, RUSSELL). WEIS e EUG. FRAENKEL osservarono come
INFIAMMAZIONI
DEL
FEGATO
(HEPATITIS) I
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Fig. 94. Linfogranulomatosi del fegato (forma macroscopicamente nodulare, peso del fegato 2270 gr.). Donna di 32 anni, malata da 4 anni.
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Fig- 95Particolare della figura 94. Numerose cellule giganti di Sternberg. Parenchima epatico vicino in parte atrofico per compressione in parte con steatosi a grosse gocce. 18 —
KAUFMANN
II,
p.
II
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IL
FEGATO
evenienza eccezionale la guarigione cicatriziale estesa degli infiltrati che dava luogo ad un quadro simile all'hepar lobatum. KAUFMANN ricorda un caso abbastanza simile (uomo di 38 anni) con numerose formazioni rilevate liscie ed in parte prominenti sulla superficie in forma di segmento di sfera ed anche casi con notevole trasformazione connettivale, che offrivano un quadro simile a quello della cirrosi volgare (rari). WENDT descrisse una evenienza analoga in un caso di linfogranulomatosi delle linfoghiandole con un decorso di oltre 20 anni; un caso analogo fu osservato da KAUFMANN
Fig. 96. Linfogranulomatosi del fegato quasi isolata. Aspetto macroscopico della superficie di taglio. I granulomi sono disposti a piccole chiazze prevalentemente negli spazi periportali. Ittero generalizzato. Donna di 78 anni. Ingrandimento 1 : 1,4. A u t . Nr. 106/56.
con la presenza contemporanea di tubercoli miliari in un uomo di 34 anni (bibl. e reperti istologici in CORONINI e ROTTER-BUNGELER). Spesso nella lgr. compare amiloidosi del fegato (GAST GALVIS). Il fegato può partecipare occasionalmente alla rara forma di lgr. xantomatosa (LINKE, BREDT,
LETTERER).
5. A C T I N O M I C O S I D E L F E G A T O (Actc.) Non è molto frequente. Per lo più raggiunge il fegato per continuità dai tessuti circostanti (peritoneo, tessuto retro-peritoneale o pleura-dia-
INFIAMMAZIONI
DEL
FEGATO
(HEPATITIS)
275
framma) si forma quindi un focolaio isolato o alcuni pochi focolai. Si osservano però occasionalmente anche nell'interno nodi isolati oppure anche numerosi nodi metastatici disseminati (p. es. in corso di Actc. del collo del piede oppure della mandibola). I focolai hanno colorito giallastro oppure grigio-giallastro, come osservò KAUFMANN in un focolaio isolato del fegato di consistenza molle pastosa, della grandezza di una noce, ovale allungato, con contorni rosettiformi, in corso di Actc. dell'appendice, consistenza molle, aspetto fibroso oppure areolato e imbibito di pus, per cui costituiscono quindi degli ascessi con aspetto particolare. Possono
F i g . 97Actinomicosi del fegato. A destra 2 druse circondate da densa infiltrazione leucocitaria. A sinistra raccolta di cellule pseudoxantomatose.
raggiungere volume di una noce, fino a una piccola mela oppure di una testa di bambino ed oltre, fatto questo che avviene per confluenza. L ' A c tinomyces si dimostra quindi in questi casi come l'agente di un tessuto di granulazione e contemporaneamente di intensa suppurazione (fig. 97). Quest'ultima caratteristica può talora predominare nettamente nel fegato (cfr. anche NATHAN, bibl.). LETTERER non comprende l'Actc. tra le infiammazioni specifiche; la formazione di cellule schiumose è soltanto la conseguenza di una steatosi da riassorbimento. Un preparato non recente di Basilea riguardante una domestica di 19 anni dimostra due nodi della grandezza quasi di un pugno ed alcuni più piccoli rotondeggianti areolati, spugnosi, ripieni di pus denso di colorito giallo intenso;
276
IL
FEGATO
i margini sono rotondeggianti, netti (fìg. 98). Nel pus si trovarono, come constatò anche K A U F M A N N in seguito, numerose druse. Le pareti delle areole, che divengono più evidenti dopo l'asportazione del pus sono bianche; peso del fegato 2750 gr. La capsula del fegato è ispessita e villosa, aderente al diaframma; questo è infiltrato da strie giallastre e da fistole; reperti analoghi presenta la pleura destra che aderisce al polmone mediante spesse aderenze. Nel polmone sono presenti alcuni nodi ascessualizzati del volume di una noce. Fistola tra ombelico e processo ensiforme. Peso della milza 453 gr. Durata della malattia (col quadro di un empiema pleurico con perforazione nel fegato e formazione fistolosa verso l'esterno) 9 mesi. Punto di ingresso probabilmente il polmone.
Fig. 98. Actinomicosi del fegato. Alcuni nodi ascessualizzati areolati. L'asportazione del pus ha permesso una migliore evidenziazione delle pareti delle cavità. Lobo destro. Donna di 19 anni (vedi testo). Circa 3/7 gr. nat. (Disegno di E . K A U F M A N N ) .
Per lo più l'Actc. del fegato è secondaria all'Actc. intestinale, o per contiguità e continuità nel tessuto retroperitoneale (per cui l'affezione assume aspetto pseudotumorale) oppure per immigrazione attraverso la vena porta (per cui si formano focolai multipli disseminati di tipo ascessuale nel fegato). Molto rara è la penetrazione attraverso l'arteria, p. es. nel caso di MOODIE, a partenza da una Actc. mascellare. Esisterebbe anche una Actc. primitiva del fegato, per cui gli agenti patogeni raggiungerebbero i vasi sanguigni e linfatici attraverso la cute e le mucose e si localizzerebbero quindi nel fegato; altri dubitano dell'esistenza di questa possibilità poiché un focolaio iniziale di vecchia data polmonare o intestinale può passare inosservato oppure può essere guarito senza lasciar traccia. R a r o è il passaggio dal fegato al peritoneo o la perforazione verso l'esterno at-
INFIAMMAZIONI
DEL
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(HEPATITIS)
277
traverso una fistola. Bibl. fino al 1903 in AUVRAY; vedi inoltre DIEHL, SEENGER,
ROTH,
KOHLER,
GRUBAUER,
DERISCHANOFF,
PEDONE.
Appendice: infezione del fegato con streptotrix (vedi polmone), che ha notevole somiglianza con l'Actc., vedi GRUBAUER; leptotrix con focolai necrotici di tipo infartuale nel fegato vedi F. J. LANG.
6. L I S T E R I O S I D E L F E G A T O (Li.) La listeriosi è in effetti nota da molto tempo con il termine di pseudotubercolosi o di « noduli miliari » o di « necrosi miliari del fegato neonatale »
(HENLE
WREDE,
IFF,
1893,
ASCHOFF,
SCHWARZ).
Così
KAUFMANN riscontrò in u n b a m -
bino di 2 mesi con gastro-enterite cronica che il fegato, brunorossastro, era infiltrato fittamente di piccolissimi punticini di colorito torbido giallo verdastro, macroscopicamente appena riconoscibili. Egli pensò ad una intossicazione alimentare o ad una infezione intestinale e cita AMSLER,
SCHNEIDER,
che,
come anche KANTSCHEWA (bibl.) trovò batteri argirofili.
Fig. 99.
L'esatta classificazione delGranuloma del fegato da listeriosi (diagnosi accertata batteriologicamente e batterioscopicamente). l'agente patogeno della Li. (LyInteressamento anche dei surreni, crasso, e pia steria monocytogenes — PIRIE, madre. Bambina prematura di poche ore. un bastoncello grampositivo; argirofilo) e la identificazione del suo modo di infezione (per via diaplacentare con setticemia susseguente; è noto l'accumulo locale di casi: Halle-Saale, Greifswald) avvenne intorno all'anno 1950 (REISS, POTEL e K R E B S , SEELIGER, JUNG, LINZENMEIER
e ODENTHAL).
Sui reperti morfologici siamo bene informati (vedi REISS, bibl.; R o u LET): si ha la formazione di granulomi (da cui il termine di « granulomatosis infantiseptica » di
REISS,
POTEL
e
KREBS,
vedi
inoltre
HAGEMANN,
SIMON e BIENENGRÀBER). Il fegato (nell'uomo come anche nell'esperimento animale) è la sede prediletta (cosicché FROBÒSE e SCHMITZ pensarono ad una infezione enterogena) e contiene spesso innumerevoli noduli, talora soltanto poco meno che submiliari fino al volume di una testa di
278
IL FEGATO
spillo, di colorito grigiastro o giallastro (inoltre possono essere cointeressati i polmoni, la milza, le tonsille, i surreni, fauci-esofago, linfoghiandole, intestino, leptomeningi, encefalo, ecc.). Istologicamente si nota, nello stadio iniziale, l'atrofìa delle cellule epatiche fino alla scomparsa di queste, accompagnata dalla proliferazione di cellule stellate. Il parenchima circostante subisce metamorfosi adiposa o vacuolare. Raramente prolifera il mesenchima fino alla formazione di un granuloma costituito da cellule reticolari, elementi epitelioidi ed istiociti (fìg. 99). (Occasionalmente si osservano atipie nucleari, amitosi e cellule giganti epatiche). Importante appare la costruzione di una rete di fibrille reticolari molto sottili, neoformate, proprie del focolaio (HAGEMANN, SIMON e BIENENGRÀBER, FRESEN). Per lo più però dallo stadio iniziale si passa direttamente alla necrosi (la distruzione primitiva areattiva delle cellule in vicinanza di accumuli massivi di agenti patogeni è stata osservata finora soltanto nell'esperimento animale, FLAMM). Di regola gli agenti patogeni sono dimostrabili nei focolai sotto forma di bastoncelli tozzi, argentofili e grampositivi. Più raramente si osservano emorragie e confluenze dei granulomi, inoltre rara è l'arterite necrotizzante. Non si osservano fusioni purulente. Nell'esperimento animale REISS osservò guarigione con restitutio ad integrum dopo 3-5 settimane. Non sono rari quadri simili all'eritroblastosi.
7. T I F O A D D O M I N A L E Nel tifo addominale, come pure nel paratifo, si osservano molto di rado macroscopicamente noduli submiliari opachi, grigiastri e microscopicamente si osservano molto facilmente 1) piccoli focolai necrotici, necrosi epatiche miliari, che si formano per trasformazione del tessuto epatico, spesso nel centro dei lobuli, in una massa anucleata a zolle (EUG. FRAENKEL, SIMMONDS, i n o l t r e MCCRAE e KLOTZ, HERXHEIMER, bibl.). P o s s o n o c o m -
binarsi con emorragie e con infiltrazione cellulare. Causalmente agiscono le tossine oppure i capillari vengono ostruiti da batteri, trombi fibrinosi, fagociti trasportati — p. es. endoteli splenici, endoteli dei vasi intestinali, e in minima parte anche endoteli capillari del fegato stesso (FLEXNER, MALLORY). Sul riscontro abbastanza eccezionale in questi focolai di bacilli del tifo vedi GAFFKY, ENGELHARDT, POSSELT, bibl.; altri negano il reperto (vedi GRÄFF). FABER considerò i 2) noduli tifosi come manifestazioni morbose costanti e specifiche; essi sarebbero costituiti principalmente da istiociti, che sono proliferati ed immigrati nei punti di necrosi
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cellulare epatica, mentre i linfociti e leucociti partecipano soltanto in misura variabile, ma per lo più piuttosto modesta; noduli tifosi si riscontrano anche nella milza e nel midollo osseo; a proposito di questi noduli tifosi « veri » vedi anche CHRISTELLER, bibl., MF.STIZ, G. B. GRUBER, bibl. Oggi consideriamo i noduli tifosi specifici (« tifomi », fìg. 100) come un
Fig. 100. Granuloma tifoso del fegato. Uomo di 26 anni.
prodotto di cellule stellate di Kupffer proliferate (GRÀFF), in cui si neoformano fibrille argirofile (FRESEN). Più tardi si arriva alla necrosi, che può manifestarsi anche indipendentemente dal granuloma («necrosi miliari»). In esse sono dimostrabili bacilli del tifo. Per ciò che riguarda i «linfomi» non specifici del tifo, vedi pag. 227.
8. M O R V A Rara. Nei casi acuti si riscontrano noduli della morva (istologia vedi capitolo naso; vedi anche SPINNER), nei casi meno recenti invece si osservano focolai capsulati accanto a grave epatite interstiziale (H.
SCHWARZ).
28O
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9. L E B B R A Benché il fegato sia spesso sede di alterazioni specifiche in corso di lebbra tuberosa, non è necessario che, a prescindere da un modesto ingrandimento, esso sia macroscopicamente alterato. Così nel caso di RIKLI, inoltre nel caso di STORCH e (a prescindere da piccoli punti giallastri pianeggianti sulla superficie) anche nel caso osservato nell'Istituto di KAUFMANN in cui il fegato pesava 1870 gr. (pubblicato da H. G. RIECKE). Invece microscopicamente si osserva, dopo la invasione dei bacilli della lebbra, una infiammazione a focolai cronica diffusa, con infiltrazione parvicellulare modica, che è simile all'« infiltrato non caratteristico » di Biingeler nella cute. L o sviluppo connettivale aggiunto può determinare aumento di peso e della consistenza e condurre in seguito anche a modificazioni simil-cirrotiche del fegato. Nei focolai situati prevalentemente in sede periportale o anche intraacinosi si possono differenziare occasionalmente dei lepromi persino con tipiche cellule giganti (vedi sotto) (SCHAEFFER, GAST GALVIS). T r a le cellule multiformi dei focolai si t r o v a n o t r a l'altro le voluminose cellule lebbrose vacuolizzate di Virchow, che contengono massivamente bacilli, spesso anche in ammassi grumosi (globi) (vedi fig. in RIKLI, STORCH ed altri). G. HERXHEIMER (vedi per dettagli) potè constatare che queste cellule, che contengono anche lipoidi e nelle quali, con l'aumentare della vacuolizzazione del citoplasma i bacilli si disgregano e si ammassano nei cosiddetti globi, derivano da cellule stellate di K u p f f e r (con a t t i v i t à fagocitica) (vedi anche H. G. RIECKE e DWIJKOFF circa reticoloendoteli e cellule lebbrose; t u t t a la bibl. sulla lebbra fino al 1928 in JADASSOHN). Ricerche più recenti sulla partecipazione del fegato alla lebbra le dobbiamo a BÙNGEI.ER, che descrive anche cellule giganti con vacuoli contenenti lipoidi, rare necrosi e alterazioni infiammatorie della porta. L a forma tuberculide della lebbra (contrariamente al leproma!) è m o l t o rara nel fegato
(CAMPOS e M O L I N A ,
IO. M I C O S I
OKADA).
FUNGOIDE
In corso di micosi o granuloma fungoide (vedi cute) si osservano eccezionalmente infiltrati diffusi o anche a focolaio di tessuto micosico nel fegato, che determinano un notevole aumento di volume del fegato e pos-
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281
(HEPATITIS)
sono dare l'impressione di noduli metastatici neoplastici (LIECHTI, bibl.); possono però anche mancare quando anche negli altri organi sono presenti dei nodi (come nei polmoni, nella tiroide, nel pancreas in un caso osservato nell'Istituto di KAUFMANN e pubblicato da EICHLER; vedi a proposito di questo la cute).
11.
BRUCELLOSI
Nelle infezioni da brucelle (brucella melitensis: agente eziologico della febbre maltese; brucella abortus: agente eziologico della malattia di Bang; brucella suis) il fegato (accanto alla milza) è la sede principale della riproduzione del microrganismo; si parla di sepsi epatolienale. Nel fegato si riscontrano accanto a lesioni epiteliali degenerative quasi sempre anche granulomi tubercoloidi (similtifosi?) con cellule epitelioidi e cellule gig a n t i ; l a caseosi p u ò a v v e n i r e
(SPINK, HOFFBAUER, W A L K E R e GREEN,
ERCOLI e CALTABIANO, c o m e pure STEIGER non la osservarono).
12.
REUMATISMO
I granulomi reumatici tipici sono riscontrabili nel fegato soltanto eccezionalmente; RÒSSLE tuttavia ne ha osservati nella capsula di Glisson (con cellule giganti) in una donna di 64 anni. Talora invece sono osservabili le alterazioni vascolari reumatoidi; particolarmente col quadro della endoflebite epatica obliterante (vedi pag. 186). SERVIDA e GEROLA riferiscono sul rigonfiamento fìbrinoide della parete vascolare nel fegato in corso di reumatismo. Piuttosto frequentemente si osservano invece lesioni degli epiteli del fegato nei processi reumatici, che sono stati consider a t i p. es. d a CARBONERA, KAETER, SCHMENGLER e LOOGEN c o m e e v i d e n t e -
mente specifici. In considerazione della frequenza di alterazioni analoghe e dei loro molteplici significati (vedi pag. 33 e seg.) l'Autore avanzerebbe qualche dubbio. Anche KLINGE considera non specifiche le necrosi ialine e fibrinoidi che si verificano nel fegato in corso di reumatismo. Analoghe riserve v e n g o n o f a t t e d a BOCK, v . OLDERSHAUSEN e v .
OLDERSHAUSEN
in un caso di reumatismo articolare subacuto (donna di anni 64) in cui comparvero nel fegato noduli retoteliali; questi non rappresenterebbero segno di reumatismo viscerale, bensì sarebbero segno di « noduli residui » in seguito ad epatite virale pregressa (vedi sopra).
282
IL
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13. A L T R I G R A N U L O M I A proposito della nota specificità dei granulomi, alla quale tuttavia oggi si dà poco valore, è importante sapere che nel f. si possono formare altri tipi di lesioni a focolaio per la genesi delle quali spesso non vi sono dati
sicuri.
JIMENEZ
DIAZ,
MORALES
PLEGUEZUELO,
LOPEZ
GARCÌA
e
ARRIETA osservarono in un uomo di 35 anni granulomi tubercoloidi nel f. che erano circondati da numerosi eosinofili; la genesi rimase oscura. WAUGH riferisce formazioni granulomatose del fegato in corso di partecipazione del cuore, polmoni, reni e milza, ad ipersensibilità penicillinica. SELBERG fornisce delle figure di « colangioepatite granulomatosa », che compare dopo terapia sulfamidica di una infiammazione delle vie biliari e che contiene anche cellule giganti (il quadro è similtubercolare). Gli infiltrati del tessuto periportale in corso di morbillo, che contengono cellule giganti, non hanno molto l'aspetto « similgranulomatoso » (W. H. SCHULTZE).
KNEPPER o s s e r v ò in u n a p a z i e n t e di 15 anni
con
eclampsia
necrosi fibrinoidi e granulomi con formazione di cellule giganti nel fegato (supposizione di una genesi allergica dell'eclampsia. L'Autore la ritiene improbabile). Nella silicosi (anche nell'esperimento animale: MANZINI) compaiono granulomi formati da cellule stellate (LYNCH). Inoltre si possono osservare analoghe formazioni a focolaio (in particolare i cosiddetti noduli retoteliali) nel f. anche nella tularemia (ROULET), schistosomiasi (vedi pag. 470), febbre ricorrente (STAEMMLER), e apparentemente anche nel tifo petecchiale, nel linfogranuloma inguinale, inoltre nella blastomicosi, istoplasmosi, torulosi, moniliasi, ecc. Ciò varrebbe anche per la mononucleosi infettiva; vedi pag. 250. Infine il f. non di rado presenta alterazioni caratteristiche nella citomegalia generalizzata (infezione virale delle ghiandole salivari, inclusion disease): già pubblicata nel 1904 da
JESIONEK
e
KIOLEMENOGLOU
(tuttavia
interpretata
erroneamente
come invasione protozoaria in corso di sifilide congenita) essa è ben nota oggi (VORTEL osservò su 21 casi tipici 9 volte compartecipazione del f.). Non sempre si formano veri granulomi (con cellule citomegaliche, leucoed istiociti); si osservano anche quadri di epatite diffusa, necrosi o cellule con inclusi senza reazione.
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CAPITOLO
VI
APPENDICE: COLANGITE INTRAEPATICA
A n c h e se la t r a t t a z i o n e della p a t o l o g i a delle vie biliari è r i s e r v a t a al contributo
d i GÙTHERT, s u s s i s t o n o t u t t a v i a
p e r l a colangite
intraepatica,
in particolare per la s u a f o r m a a u t o n o m a , a l c u n e caratteristiche che sigliano
una
1. L a
trattazione
particolare
nel
capitolo
del
p a t o l o g i a delle ramificazioni più v o l u m i n o s e
con-
fegato. del dotto
nel f e g a t o corrisponde a quella delle vie biliari e x t r a e p a t i c h e . N o i
epatico distin-
286
IL
FEGATO
guiamo infiammazioni a) catarrali, ß) purulente, rare, y) pseudomembranose e forse anche ò) emorragiche. 2. La infiammazione delle vie biliari intraepatiche piccole e piccolissime può essere: a) l'estensione per continuità dalle vie biliari più grandi: forma intracanalicolare o ascendente. L a sua insorgenza è favorita dal ristagno di bile infetta: « colangite da stasi ». Riscontriamo allora nei canalicoli dilatati, accanto alle cellule infiammatorie (fig. 101), anche cilindri biliari (vedi inoltre sulle modificazioni da stasi pag. 131 e seg.). La stasi biliare è per lo più conseguenza di occlusioni meccaniche, frequentemente intermittenti (« a valvola ») in corso di incuneamento di calcoli, o di tumori, cioè prevalentemente di un carcinoma dell'ilo epatico, delle vie biliari (anche estendentesi dalla colecisti) e della testa del pancreas (è sufficiente anche la compressione di linfoghiandole con lesioni tubercolari o linfogranulomatose). La colangite non è affatto costantemente legata ad una colecistite. R Ö S S L E discute il significato di discinesie in quei casi in cui manFig. 101. cano ostacoli meccanici. Non Colangite intraepatica purulenta. Dotti biliari nosi può dimenticare l'azione della tevolmente dilatati, molto ripieni di pus. Pericolangite e colangioepatite modica. Infezione ascendente. Fasciola epatica o di ascaridi Uomo di 60 anni. ascendenti (vedi pag. 481). Talora però si ha a che fare con una infezione epatica diretta dalla colecisti attraverso i dotti epatocistici. Si discute anche la possibilità di una ascensione linfogena nella parete dei dotti biliari. L'infiammazione ascendente è accompagnata da edema del tessuto periportale. Essa si estende al tessuto epatico e determina in questo modo l'epatite interstiziale e danni del parenchima. Si parla perciò appropriatamente di colangioepatite ( S E L B E R G , M A R K O F F ) . La distribuzione delle lesioni infiammatorie nel fegato è spesso irregolare. Accanto alla regione dell'ilo epatico (quando sono colpiti i dotti più voluminosi) vengono preferiti il margine epatico anteriore e la regione della colecisti. b) Colangite intraepatica autonoma. — Di grande interesse è la colangite intraepatica isolata cosiddetta autonoma, che colpisce spesso soltanto
INFIAMMAZIONI DEL FEGATO (HEPATITIS)
287
le diramazioni più fini (SIEGMUND). Essa è rara (ASCHOFF; SELBERG la osservò soltanto due volte su 150 casi di colangite intraepatica). Si parla volentieri di colangiolite. Se con questo termine si intende la compartecipazione dei cosiddetti tratti intermedi (come p. es. fa SIEGMUND), si può essere d'accordo. Invece non si può ammettere che con questo termine si intenda la flogosi dei cosiddetti capillari biliari (o meglio: canalicoli biliari). Questi sono notoriamente delimitati dall'epitelio epatico (vedi pag. 12), e in questo modo riconosceremmo di conseguenza nuovamente il termine di « flogosi parenchimatosa », che già da tempo rifiutiamo con buone ragioni. Secondo RÒSSLE il termine di colangite capillare (colangiolite) « sta su basi molto fragili ».
a) Morfologia e diagnosi differenziale della colangite intraepatica autonoma (c. i. a.) A prima vista parrebbe superfluo sottolineare che per la diagnosi di colangite intraepatica autonoma è necessaria la partecipazione immediata delle vie biliari. Purtroppo però molti ricercatori si accontentano, quando sono presenti infiltrati cellulari addensati nel tessuto periportale, di riconoscere una infiammazione delle vie biliari anche se le cellule infiammatorie hanno soltanto certi rapporti di vicinanza con i canalicoli biliari. Ma ciò dovrebbe essere ovviamente la regola nei cunei di Glisson più piccoli situati perifericamente, dati i rapporti topografici molto stretti. Ma perfino se ci si accontenta di parlare in questi casi di pericolangite, anche questo termine è spesso infondato, dal momento che sappiamo che sia nell'epatite virale (pag. 244) sia nella epatite linfoplasmacellulare interlobulare (nel corso di morbillo, difterite, ecc. vedi pag. 227) si possono avere reperti analoghi che non hanno nulla a che vedere con le vie biliari; vedi sotto! Nella c. i. a. autentica con decorso acuto, devono essere riscontrabili cellule infiammatorie, ed in particolare i leucociti, all'interno della membrana basale dei dotti biliari (BAHRMANN); essi attraversano le file di cellule epiteliali e si localizzano isolatamente o riunite in gruppi nel lume (SIEGMUND). Spesso i tratti intermedi vanno incontro a dilatazione ampollare e sono zaffati di leucociti (SELBERG). Si possono avere difetti ulcerosi. L a semplice desquamazione degli epiteli (postmortale!), sopratt u t t o nei tratti intermedi particolarmente sensibili, non ha valore probativo. Quando sono presenti cumuli di leucociti nelle immediate vicinanze dei dotti biliari si può invece senz'altro parlare di pericolangite acuta. Il chiaro postulato soprariportato per la diagnosi di c. i. a. dovrebbe trovare consenso generale. T u t t a v i a esistono casi limite come quelli pubblicati in precedenza dall'Autore, nei quali l'infiltrazione leucocitaria lassa
288
IL
FEGATO
non permette di riconoscere un rapporto con il sistema dei dotti biliari anche dopo lo studio di numerose sezioni. Benché occasionalmente la genesi possa essere simile (vedi pag. 289) non si dovrebbe parlare in questi casi di colangite. Così l'Autore dubita se veramente tutti i casi definiti da APITZ come colangite scarlattinosa, siano da considerarsi appartenenti alla vera colangite (cfr. anche SIEGMUND). Anche se sui casi acuti si dovesse addivenire ad una unitarietà di vedute, sembra invece che i cosiddetti « infiltrati rotondocellulari » del tessuto periportale non abbiano significato univoco. È infondato parlare in presenza di questi di colangite cronica o di pericolangite (d'altra parte l'infiltrazione rotondocellulare non significa sempre decorso cronicol). Una colangite intraepatica cronica deve essere certamente riconosciuta; t u t t a v i a è possibile distinguerla con sicurezza dalla « epatite interlobulare linfoplasmacellulare » soltanto quando in altre sezioni dello stesso fegato è riconoscibile una partecipazione diretta delle vie biliari, oppure quando una biopsia epatica precedente a v e v a permesso di riconoscere l'inizio intracanaFig. 102. licolare. Anche la formazione di Colangite cronica. Ampia zona ialinizzata con un tessuto di granulazione a stratificazione concentrica intorno ai dotti biliari dilatati. Non vi sono quasi segni di flogosi attiva. cellule schiumose nelle vicinanze Donna di 77 anni. delle vie biliari può essere dimostrativo per una colangite (SELBERG). Anche lo sviluppo di connettivo in forma concentrica intorno ai dotti biliari (« pericolangite fibrosa », indurazione c o l a n g i t i c a — LAUDA), descritta già da KAUFMANN nei catarri recidivanti cronici delle vie biliari e da LAUDA, KALK e WILDHIRT e recentemente descritta di nuovo da WEPLER — che secondo K a u f m a n n può essere fibrosa o cicatriziale e secondo le osservazioni dell'A. può andare incontro a ialinizzazione (fig. 102), — rappresenta una pericolangite cronica autentica. SELBERG riferisce su reperti interessanti di una colangite granulomatosa con formazione di cellule giganti in seguito a terapia sulfamidica. D'altra parte l'esistenza di una epatite interlobulare completamente indipendente dai dotti biliari non può essere messa in dubbio. Essa è universalmente riconosciuta come facente parte della epatite virale e si prolunga spesso
INFIAMMAZIONI DEL FEGATO (HEPATITIS)
289
per molto tempo durante la convalescenza; in forma di infiltrati parvicellulari noti essa è parimenti una entità ( S I E G M U N D ) in analogia alla nefrite e miocardite interstiziale non purulenta (KETTLER); in quest'ultima è a priori impossibile la confusione con una infiammazione canalicolare. Anche B A H R M A N N riconosce l'infiltrazione rotondocellulare del tessuto periportale come qualche cosa di indipendente dalla c. i. a. (sia pure con alcune limitazioni). A d ogni modo la prova esatta della affermazione di S E L B E R G che ogni (sottolineata dall'Autore) epatite interstiziale, indipendentemente dalla sua origine, si estenda facilmente alle sezioni più fini delle vie biliari, ai tratti intermedi, oppure — in un altro punto — che la colangite sia « un immancabile fenomeno di accompagnamento di ogni epatite interstiziale di origine infettiva » manca finora; S E L B E R G stesso limita queste affermazioni, indicando che da ciò non derivano senz'altro quadri morbosi corrispondenti.
¡3) Clinica delta colangite intraepatlca autonoma L a diagnosi clinica di c. i. a. dovette rimanere incerta, fino a che i pochi sintomi sicuri, come l'ittero (non costante!), febbre, epatomegalia o dolori della regione addominale superiore, accanto a reperti più o meno non caratteristici riguardanti il succo duodenale, potevano indirizzare alla diagnosi l'osservatore. Talora la colangite non si manifesta clinicamente in modo particolare (per dettagli vedi M A R K O F F ) . I dati di N A U N Y N sulla colangia, termine col quale egli intendeva in senso lato uno stato infiammatorio delle vie biliari prive di calcoli senza modificazioni dimostrabili morfologicamente (cfr. anche UMBER), vennero accolti dai patologi soltanto con scetticismo. N A U N Y N comprese nel concetto di colangiolia o di colangia capillare (vedi anche sotto colelitiasi) tutte le alterazioni acute o croniche recidivanti, infettive e non infettive dei canalicoli biliari intraacinosi e del loro contenuto; egli distingue colangia secondaria, che si instaura piuttosto tardivamente (dopo 48 ore) nell'ittero da stasi in seguito a legatura del coledoco, ed una primaria, come si può osservare nell'ittero tossico soprattutto in corso di avvelenamento da fosforo (nel quale sono state descritte ostruzioni dei capillari biliari ad opera di detriti di cellule epatiche necrotiche, come pure anche desquamazioni epiteliali simili a cilindri nelle vie biliari, cfr. FISCHLER) e nell'emolisi. Mentre per certi casi di ittero infettivo egli potè dimostrare, attraverso il reperto dell'aumento di acidi biliari nell'urina, che la causa era rappresentata dalla stasi biliare, egli ammette per altri casi, quali tifo, polmonite, piuttosto l'esistenza di colangie e parapedesi.
A d ogni modo batteriocolia non significa costantemente colangite S I E G M U N D , U M B E R e H E I N E , L O D E N K À M P E R ) . Discusso è
(FRAENKEL, 19 —
KAUFMANN II, p. II
290
IL FEGATO
anche il concetto di colangite lenta (SCHOTTMULLER). BINGOLD attribuisce alla comparsa dello streptococco viridans, per altro difficilmente dimostrabile
(WALTER,
REINOLD,
HEILMEYER), g r a n d e
importanza
per
la
genesi della colangite lenta. Si possono formare piccoli ascessi che non si riscontrano nella colangite da eliminazione. Anche gli enterococchi possono dare quadri analoghi. L a colangite lenta viene considerata da LA MANNA più probabilmente come colangite cronica da stasi. Oggi la biopsia epatica è in grado di chiarire reperti clinici dubbi di una colangite intraepatica
( K A L K e WILDHIRT;
WEPLER).
y) Patogenesi della colangite intraepatica autonoma Viene dato in genere come certo il fatto che la c. autonoma primitivamente intraepatica abbia origine discendente, cioè ematogena (E. FRAENKEL, SIEGMUND). Molto problematico è invece il «come»! Sono stati eseguiti ripetutamente esperimenti con infezioni generalizzate (WYSSKOWITSCH, KOCH, POPPER e GERZNER, BAHRMANN, R A B L ) , n e i q u a l i i m i c r o r g a n i s m i
introdotti per via endovenosa poterono essere effettivamente riscontrati microscopicamente in grande numero nelle cellule stellate di Kupffer e batteriologicamente in tempo brevissimo anche nella colecisti. Nel lume delle vie biliari invece essi non vennero nella maggior parte dei casi dimostrati con sicurezza (talora solo in qualche caso isolato?). Pertanto alcune concezioni, come per es. quella di SIEGMUND di una escrezione diretta dei germi nei canalicoli biliari più sottili (vedi anche BIEDL e KRAUS, CHIARI, F O R S T E R e b i b l . i n CANON) c o n l a c o n s e g u e n z a d i u n a c . i. a . d e -
vono oggi essere accolte con notevole prudenza; cfr. anche LA MANNA. (D'altra parte mi sembra che nei casi di SIEGMUND vi sia stata la partecipazione causale di una stasi biliare primaria — e non, come ammise l'Autore, «secondaria» — ) . Nel corso di estese ricerche su casi autoptici umani, tra i quali dimostrò una notevole frequenza della cosiddetta « colangite settica» (BINGOLD), BAHRMANN ha negato la fuoriuscita diretta di microrganismi nei dotti biliari; egli parla piuttosto di « colangite da eliminazione » e la riconduce alla azione di cataboliti tossici o meglio piogeni (leucocitotattici) che, dopo la distruzione dei batteri nelle cellule stellate di Kupffer raggiungono direttamente da queste il lume delle vie biliari senza interposizione delle cellule epatiche. Come ammette BA., la loro via porta attraverso gli spazi di Disse e le vie linfatiche del tessuto periportale ai dotti biliari più sottili. In questa concezione è problematica la posizione degli epiteli epatici. In caso di lesione di questi secondo BAHRMANN la c. i. a. sarebbe soltanto lieve. L'Autore è del parere che tuttavia anche in casi di c. i. a. grave debba sussistere una alterazione fun-
INFIAMMAZIONI
DEL
FEGATO
291
(HEPATITIS)
zionale del parenchima epatico epiteliale, il quale secondo DOMAGK deve elaborare una gran parte del materiale catabolico (BAHRMANN stesso sottolinea la diminuzione della secrezione biliare). In questo modo diventa comprensibile anche la delimitazione della c. i. a. dall'epatite interlobulare linfoplasmacellulare: la prima si instaura in base alle tossine che agiscono dal lume biliare, dal momento che non vengono drenate con sufficiente rapidità a causa del ridotto flusso biliare, e perciò agiscono in modo più intenso. L a seconda invece è esclusivamente linfogena, cioè causata da sostanze che agiscono a partenza dal tessuto di Glisson; l'azione leucocitotattica dal lume biliare manca; la cellula epatica appare indenne. (Non si nega che inoltre possano avere importanza variazioni della qualità dell'azione tossica). Interessante è il richiamo di KAUFMANN alla genesi di un catarro delle piccole vie biliari in corso di avvelenamento da fosforo o da arsenico. Sulla colangite tubercolare vedi pag. 256. c) Conseguenze della colangite per il fegato. — L a forma ascendente, favorita dalla stasi quasi sempre coesistente, si estende facilmente al tessuto connettivo del fegato — colangioepatite (vedi sopra) — ed al parenchima: ascessi epatici (vedi pag. 239) o necrosi biliari ne sono la conseguenza. Ne può derivare anche una sepsi colangitica mortale. Invece la c. i.- a. (soprattutto la cosiddetta colangite da escrezione: BINGOLD, BAHRMANN) non decorre quasi mai con fusione purulenta. Talora una colangite intraepatica può determinare la formazione della cosiddetta « bile bianca » (vedi pag. 141). L a colangite intraepatica comporta raramente il trapasso verso la cirrosi ipertrofica glabra biliare (denominata un tempo cirrosi di Hanot; cfr. UMBER, HEDINGER, SIEGMUND, vedi inoltre pag. 346 e pag. 371).
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292
IL
FEGATO
I
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SEZIONE
LA C I R R O S I
VII
EPATICA
Non è certo necessario spiegare il motivo per cui, contrariamente alle edizioni precedenti di questo testo (come pure alle concezioni di alcuni Autori) la cirrosi epatica (c. e.) non venga più classificata come una sottospecie, tra molte altre, nel capitolo delle infiammazioni e semplicemente caratterizzata come « epatite fibrosa, cronica, interstiziale », ma le venga dedicato un capitolo separato. La lunga e — come ora sappiamo — infruttuosa diatriba circa il problema della primitività delle alterazioni infiammatorie o di quelle regressive del fegato permette già di riconoscere che una semplice « epatite cronica » non significa ancora cirrosi epatica. Questa è piuttosto un quadro morboso complesso sui generis con tendenza continua alla progressione. Anche se le sue varie forme presentano scarsa somiglianza fra di loro e possono avere invece patogenesi completamente diversa, ed anche se la cirrosi epatica significa talora malattia epatica isolata, e talaltra soltanto una parte di una malattia sistemica, noi possiamo, malgrado alcuni dubbi e critiche, considerarla, come dice ROSSLE, come « un'unità morbosa assai ben circoscritta ». Sarebbe erroneo trarre conclusioni sulla sua natura dal nome affatto indicativo che le è stato dato da T H . H . L A E N N E C (Parigi, 1781-1826) nell'anno 1819; infatti la parola greca XIQQOQ significa soltanto «giallo pallido», e quindi caratterizza un aspetto piuttosto secondario e spesso non riconoscibile di una singola forma di cirrosi epatica. (Quasi sarebbe stato più auspicabile se per definire la cirrosi epatica fosse stata usata la parola axtQQÓg che viene preferita, data la facile confusione, dai principianti, in quanto 1'« indurimento » dell'organo permetterebbe una caratterizzazione comune a quasi tutti i tipi di cirrosi epatica, che, anche se non limitata ad essi, sarebbe sempre meglio piuttosto che il colorito giallo). Per quanto il nome di cirrosi epatica non sia esatto (e in senso stretto non dovrebbe essere adoperato per lesioni analoghe in altri organi come polmoni, reni e pancreas), non è consigliabile e non ha molte prospettive di adozione l'uso di altri termini, apparentemente più precisi come quello di « fegato grinzo », « epatopatia cronica » ( G H O N ) O quello, recentemente suggerito da H I M S W O R T H , di « fibrosi epatica ».
294
IL
FEGATO
Tenuto conto della molteplicità delle diverse forme di cirrosi, che verranno descritte dettagliatamente in seguito, e della loro patogenesi così complessa, non è facile dare una definizione valida per tutti i tipi. L a natura del processo istologico della cirrosi epatica è stata interpretata e giudicata variamente. La prima interpretazione genetico-formale esatta delle alterazioni epatiche, d'altra parte osservate fin dalla antichità, nel medio evo, e da M O R G A G N I ed altri, è stata data da C R U V E I L H I E R (Parigi, 1791-1874). Prima la maggior parte degli A A . misero l'accento sulla infiammazione interstiziale (opinione alla quale si tornò spesso ripetutamente), altri considerarono il processo come il risultato combinato di una « degenerazione » e danno « sclerogeno » progressivi del fegato ( S I E G E N B E E K V A N H E U K E L O M ) , A C K E R M A N N interpretò giustamente i tralci connettivali della c. e. come « formazioni cicatriziali », mentre soprattutto K R E T Z mise in primo piano la distruzione primitiva delle cellule epatiche e definì la c. e. come il risultato anatomico di una malattia generalizzata con lesione cellulare del fegato e come un « processo degenerativo cronico recidivante localizzato a focolai con rigenerazioni intercalate del parenchima ». Anche M A C C A L L U M e v. G O U R É V I C H considerano i processi degenerativi delle cellule epatiche come il fatto primitivo; quest'ultimo descrive la degenerazione grassa e più raramente la necrosi delle cellule epatiche come lesioni iniziali. Le cognizioni odierne sulle cirrosi condizionate dall'alimentazione, sembrano appoggiare questo modo di vedere. K A U F M A N N però era del parere che si fosse andato troppo in là, considerando la neoformazione connettivale soltanto come avente funzione riparatoria; sarebbe piuttosto più esatto, avvicinandosi al punto di vista di S I E G E N B E E K V A N H E U K E L O M , ammettere che la noxa che causa l'intera malattia condizioni da un lato un danno degenerativo delle cellule epatiche molto più sensibili e dall'altro contemporaneamente anche una stimolazione infiammatoria produttiva diretta (e, primitiva in base all'impressione ottenuta dai quadri istologici degli stadi precoci, in cui non si osservano lesioni degenerative delle cellule epatiche) del connettivo interstiziale (o, come sarebbe meglio definire, della componente mesenchimale del tessuto epatico), (analogamente si esprimono anche K Y R L E e S C H O P P E R ) ; per cui a seconda del tipo dell'agente lesivo può essere più evidente ora l'una ora l'altra componente; a ciò si aggiungerebbero anche neoproduzioni rigenerative di cellule epatiche e proliferazioni secondarie dei dotti biliari (cfr. anche O E R T E L , GÉRAUDEL,
PIÉRY,
rei.
di
FISCHLER,
bibl.).
RÒSSLE (bibl. estesa) spiega la natura delle varie forme di cirrosi (cirrosi = esiti delle più diverse infiammazioni epatiche) con la commistione di degenerazioni delle cellule epatiche e infiammazioni del fegato, una commistione che ha esito diverso, a seconda della diversa elettività dei « veleni cirrogeni ». Ogni vera cirrosi deriva da flogosi e da perdita di cellule epatiche e quest'ultima determina quasi soltanto insieme con la prima la formazione di connettivo e di tessuto cicatriziale sul terreno dell'istolisi, cioè della dissoluzione di tutto il tessuto epatico, vai quanto
LA
CIRROSI
EPATICA
295
dire delle componenti epiteliale e mesenchimale del parenchima. La grande molteplicità delle c. e. viene spiegata da RÓSSLE con le diverse « gradazioni » dell'azione tossica diretta in parte contro l'epitelio ed in parte contro il mesenchima. L'Autore ritiene di dover aggiungere che anche la tendenza all'aumento dell'epitelio (la cosiddetta rigenerazione) può contribuire in modo non indifferente al determinismo del grande numero di c. e., a seconda delle stimolazioni o inibizioni cui esso va incontro, nell'ambito dell'evoluzione cirrogena. Quindi patogenetìcamente la c. e. integra un complesso che è costituito da tre diverse componenti ampiamente indipendenti; precisamente dalla flogosi cronica proliferante (cicatriziale), dalla distruzione delle cellule epatiche e dalle alterazioni rigenerative. Anche se quantitativamente questi tre fattori possono essere diversi (e perciò condizionare la molteplicità del quadro morboso della c. e.) e particolarmente viene posta sempre di più in primo piano la infiammazione (KAUFMANN, RÒSSLE) (a proposito della quale RÒSSLE accenna a quadri cirrotici occasionali con notevole rimaneggiamento, ma con scarso sviluppo connetti vale), tuttavia la cirrosi risulta dalla cooperazione a parità di diritto di tutti e tre i processi: la distruzione cellulare da sola significa necrosi o atrofia (e perciò appartiene alla Sezione IV a pag. 33 e segg.), l'epatite cronica da sola non può essere considerata come cirrosi (ciò è dimostrato tra l'altro anche dalla frequente epatite virale cronica, senza che vi sia costantemente evoluzione in cirrosi; inoltre il fegato cicatriziale sifilitico non viene classificato da RÒSSLE a ragione tra le cirrosi epatiche; vedi sotto), ed infine la rigenerazione non deve essere considerata come un processo meno significativo, dal momento che sappiamo che l'infiammazione granuleggiante, combinata con la distruzione delle cellule epatiche, ma senza neoformazione epiteliale, determina soltanto un « fegato cicatriziale semplice » ma non comporta mai il quadro della « cirrosi completa » (sit venia verbo). Quindi non si deve interpretare la flogosi come una pura conseguenza della perdita di parenchima (nel senso di semplice organizzazione) oppure la distruzione epiteliale soltanto come il risultato della compressione e dello strozzamento ad opera del « tessuto cicatriziale retraente » (recentemente MEERSSEMAN e PROUST) . Nel senso della Anatomia patologica generale classica la c. e. deve essere quindi definita una epatite cronica combinata alterativa e proliferante a particolare impronta che porta in sé lo stimolo alla neoformazione parenchimale (rigenerazione). Il risultato di questi processi è il rimaneggiamento (Umbau) per lo più assai notevole, della struttura epatica, con spostamenti architettonici, trasposizioni e deviazioni vascolari, come pure con formazione dei cosiddetti pseudolobuli (cirrosi insulare, RÒSSLE), circondati e divisi da ampi setti cicatriziali (ulteriori dettagli vedi sotto).
296
IL
FEGATO
M e n t r e p r i m a v e n i v a d a t a g r a n d e i m p o r t a n z a al c o m p o r t a m e n t o v a r i a bile della flogosi e della degenerazione (vedi sopra), r e c e n t e m e n t e HORSTEBROCK a t t r i b u i s c e i m p o r t a n z a m a s s i m a all'aumentato volume del p a r e n c h i m a e p a t i c o epiteliale, sia s e c o n d a r i a m e n t e a d opera della rigenerazione, sia prim i t i v a m e n t e in corso di tesaurismosi. U l t e r i o r i d e t t a g l i e c r i t i c a v e d i p a g . 333.
Specialmente RÒSSLE ha cercato di opporsi alla dilatazione inammissibile (per non dire: all'annacquamento) del concetto di cirrosi epatica e di separare le alterazioni che pur somigliando alla cirrosi non sono identiche ad essa per definizione; si è parlato in parte anche di « pseudocirrosi ». Tenendo presente il postulato sopracitato, che tutti e tre i fattori devono essere contenuti necessariamente nel complesso della cirrosi, le seguenti alterazioni non dovrebbero essere considerate cirrosi epatica: 1. La « iperplasia nodosa multipla » pura nel senso di MARCHAND vedi pag. 47 (« fegato a patata »: KALK, in parte la cosiddetta cirrosi tossica di Mallory), oppure la rigenerazione dopo epatectomia parziale (vedi pag. 379). 2. Il collasso dello stroma, p. es. in seguito ad atrofia epatica gialloacuta, che in un certo senso è paragonabile alla atelettasia polmonare. RÒSSLE parla di indurimento da collasso e sottolinea la conservazione di tutto il sistema capillare. 3. Le sclerosi glabre, dovute ad accentuazione dell'impalcatura delle fibre a graticciata nell'interno del lobulo, accanto a possibile metaplasia in fibre collagene. A questo gruppo appartengono, oltre alle conseguenze di una epatite sierosa (vedi pag. 223), alle sclerosi postepatitiche (THALER), ad alcuni casi di Basedow (BASEVI e DAGNINI) ed alla « sclerose pédiculaire » (sclerosi periportale; FAVRE e GIRARD, con proliferazioni dei dotti biliari, ma senza rimaneggiamento strutturale) soprattutto il fegato da stasi cronica, sotto forma di indurimento da stasi (vedi sopra) che non dovrebbe essere denominato abitualmente come cirrhose cardiaque, e inoltre il fegato grasso indurito dei bevitori. Per queste forme si potrebbe riservare il termine di « fibrosi » (bibl. amer., CRAIG). Quando la iperplasia delle fibrille a graticciata è particolarmente imponente, si formano le cosiddette « scierosi elefantiasiche ». La cosiddetta cirrosi « flaccida » (BORST-V. MEYENBURG) deve il suo aspetto ad una particolare atrofia nastriforme delle cellule epatiche, con addensamento ed allargamento della rete fibrillare a graticciata alla periferia dei lobuli. L a distinzione tra cirrosi e sclerosi non può essere condotta sempre rigorosamente; così RÒSSLE stesso parla di « policirrosi » e ritiene che a questa appartengano anche la cirrosi epatica e l'indurimento pancreatico da lui denominato sclerosi. 4. Le cicatrizzazioni post-necrotiche (sotto forma di focolai collageni a piccole chiazze, in seguito a necrosi focali disseminate, a necrosi itteriche o necrosi lobulari centrali, ad esempio in corso di ipossiemia), quando mancano i processi rigenerativi e la formazione progressiva di connettivo;
LA
CIRROSI
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inoltre p. es. fibrosi pericolangitiche (LAUDA) ovvero pseudocirrosi pericolangiolitica (POPPER ed ELIAS). Sulla cosiddetta «focal biliary fibrosis» vedi pag. 31. Inoltre a questo gruppo potrebbe appartenere un caso osservato dall'Autore (uomo di 53 anni, Charité Nr. 134/56) con cicatrizzazione regolare, prevalentemente sottocapsulare, per la cui genesi non si potè riscontrare alcun appiglio né anamnestico né clinico o morfologico (istologicamente non era una cirrosi!). 5. Sulla epatite cronica interstiziale (linfoplasmacellulare) vedi pag. 227. Non può essere considerato oggi utile voler discutere nel suo insieme l'eziologia della c. e.; altrettanto non è sensato porre genericamente il quesito dell'importanza deW'abuso dell'alcool nella genesi della c. e. Per quanto tale abuso, per determinate cirrosi, abbia senz'altro effetto scatenante, esso non ha nulla a che vedere con altre forme. Ciò vale anche per i tentativi di considerare la c. e. come una localizzazione tra le molte della « scleropatia » (con preferenza della sclerodermia e dello scleredema) (EMMRICH). Nello stesso senso sono da interpretarsi probabilmente le constatazioni di PECCHIAI e RILKE su una « componente mesenchimopatica » della c. e.: essi riscontrarono nel rene, midollo osseo, linfoghiandole e milza, delle sclerosi, come pure deposizione di j alino e infiltrazioni lipoidoproteiche. Oggi ci è noto un grande numero delle noxe più diverse, che sono in grado di produrre determinati quadri di c. e., ma tra di essi notevolmente differenti: esistono infatti alcuni veleni cirrogeni, come l'alcool, la tiroxina, l'arsenico e molti altri (vedi pag. 329), ed anche alcuni che generalmente somministrati una volta in forma massiva determinano solitamente atrofia giallo-acuta del f., mentre somministrati in forma cronica e ripetuta danno la cirrosi. Hanno inoltre notevole importanza la nutrizione ipoproteica, specialmente la pellagra, determinati tipi di epatiti, tesaurismosi, stasi e infezione biliare, infezioni specifiche, verminosi, il morbus haemolyticus neonatorum, e soltanto eccezionalmente la stasi ematica cronica, infine anche altri agenti non ancora noti (come nella malattia di Wilson, di Banti e altre). L'esposizione critica estesa di questi fattori, accennati soltanto sommariamente in questa sede, come pure della possibilità di una riproduzione sperimentale della c. e., è riportata nelle singole forme di c. e. Per gli esperimenti su animali è importante sapere che nel cavallo, bue, cane, maiale, coniglio ed altri possono verificarsi cirrosi spontanee (ulteriori dati e bibl. vedi RÒSSLE). D'altra parte occorre osservare che a priori non ci si può neanche aspettare di ottenere attraverso l'esperimento animale, che forzatamente è di durata troppo breve anche per la durata stessa della vita degli animali (p. es. dei cani), una analogia plausibile con la c. e. che si manifesta per lo più in persone anziane (tra cui frequentemente nei bevitori). Sugli esperimenti su animali si fa riferimento in particolare alle pagg. 324 e seg., inoltre 329, 342 e 359.
298
IL FEGATO
In rapporto alla eziologia molteplice e alla variabile impronta della c. e. sono altrettanto molto variabili le manifestazioni cliniche (ipertensione portale; ittero; disprotidemia; prove di funzionalità epatica alterate; eventuale epatargia; le cosiddette cirrosi maligne che hanno decorso fatale molto rapido: critica in CORNIL, PAYAN e KNEBELMANN) e le combinazioni con le malattie di altri organi (milza: forme « splenomegaliche »; midollo osseo, cervello, cute, testicoli, mammelle, ecc.) come pure le cause di morte (vedi HOLZNER, RISSEL e SPRINGER) (vedi sotto nelle singole forme di c. e. in particolare alla pag. 318). L a questione di eventuali addensamenti geografici appare ancora dubbia a RÒSSLE. Tuttavia dobbiamo oggi riconoscere che tali addensamenti esistono (WALTERS e WATERLOW) . Non si tratta sempre soltanto di determinate abitudini (come il malcostume del bere in alcuni paesi), bensì anche di alterazioni dietetiche condizionate localmente (in particolare nei negri dell'Africa ed altri), che hanno una azione modificante (cfr. W . FISCHER). In Giappone la cirrosi epatica grassa non è quasi osservata (AMANO). In base al fatto che non tutti i bevitori vanno incontro a c. e., che negli esperimenti animali soltanto alcuni danno risultato positivo e che talora si ammalano anche dei bambini, ne deriva che potrebbe avere importanza una certa sensibilità individuale. Spesso i cirrotici hanno abito picnico. BERMAN identifica il fattore cirrogeno nella diatesi cheloide. Tuttavia RÒSSLE ritenne di concludere che non era possibile dimostrare una particolare disposizione costituzionale alla c. e., dal momento che non è nota una ereditarietà di q u e s t a .
I n v e c e SCHOO, AUFDERMAUR, SANSONE e ZUNIN c o m e
pure
STILL descrivono la comparsa familiare; Rossi ritiene che qui bisogna considerare anche le cosiddette forme asintomatiche. Ulteriori dati vedi oltre nelle cirrosi infantili, pag. 370. L a cirrosi compare per lo più nella età media ed avanzata (sulla cirrosi infantile e risp. giovanile vedi pag. 370). Secondo HALL, OLSEN e DAVIS il 49 % dei casi si manifesta tra 40 e 60 anni. Il massimo della mortalità si h a nel 5 5 0 anno; cfr. PIRQUET, LANGER e HONUS. D e i 270 casi s e z i o n a t i
nell'Istituto dell'Autore il 17 % avevano meno di 45 anni, il 58 % erano tra i 45 ed i 65 anni, il 25 % avevano più di 65 anni. Gli uomini sono colpiti coii frequenza più che doppia rispetto alle donne. Dei citati 270 casi dell'Autore 183 erano maschi, 87 femmine (cioè 2,1 : 1), Secondo ARMASCRUZ, YAZIGI, LOPEZ, MONTERO, CABELLO e LOBO v i
sono 142 uomini
di
fronte a 66 donne, cioè 2,2 : 1; secondo LANGER e HONUS 779 uomini su 240 donne p a r i a 3,2 : 1; secondo HOLZER, RISSEL e SPRINGER
274
maschi su 165 femmine pari a 1,7 : 1. Secondo W . FISCHER si riscontra nel materiale autoptico in Europa e negli U S A 1,5 fino al 4 % di c. e., in Cina oltre al 2 % (fino al 5,8 % secondo BONNE), nei Bantu della costa orientale fino al 9 % , nell'Africa del Sud e nell'Asia orientale pare fino al 20 % ; secondo RÒSSLE in Ger-
LA
CIRROSI
EPATICA
299
mania si hanno 1 fino a 2 % di c. e.; secondo HOLZNER, RISSEL, e SPRINGER a Vienna 1,83 % (su 2.;.008 autopsie); secondo LANGER e HONUS a Dusseldorf 2,53 % (su 40.126 autopsie): secondo ASKANAZY a Ginevra fino al 4 % ; TAROCCHI riferisce per Firenze I,8 % (su circa 33.000 autopsie), AIELLO e GIAMPALMO, da 2,3 fino a 2,9 % per Genova. L'aumento delle c. e. dal 1933, in particolare dopo la seconda guerra mondiale è dimostrato (LANGER e HONUS, LUNZENAUER, cfr. anche NUNES, AMANO); tale aumento viene riferito prevalentemente all'aumento dell'epatite virale. AIELLO e GIAMPALMO propendono invece per le conseguenze dell'iponutrizione e dell'alcoolismo. L ' A u t o r e ha fatto controllare la questione dell'aumento sul materiale dell'Istituto della Charité a CEBULLA: le c. e. sono aumentate in modo statisticamente significativo negli anni 19451954 rispetto agli anni 1935-1944 (rispetto ad 1,74 % negli anni 19351944, vi è il 2,85 % negli anni 1945-1954); ciò vale anche, ed è particolarmente interessante, per i casi di atrofia gialla acuta (vedi pag. 51). (Ulteriori dati statistici vedi sotto). Spesso nelle cirrosi «complete» (RÒSSLE) di lunga durata si assiste al notevole uniformarsi del quadro morfologico anche se le cause primitive sono notevolmente diverse, cosicché la specificità della forma di cirrosi in studio non può essere ricostruita se non con notevole difficoltà o non può essere ricostruita del tutto (cfr. GILLMAN e CHAIKOFF), poiché spesso viene a mancare anche come aiuto la diversa compartecipazione degli altri organi. Perciò un tentativo di classificazione che venga incontro sia alle necessità scientifiche, sia a quelle pratiche, urta contro grandi difficoltà. Così come la patogenesi causale, anche la patogenesi formale non può essere chiarita retrospettivamente in ogni caso. Ciò vale anche per il tentativo di classificazione recentemente prospettato da H Ò R S T E B R O C K in a) cirrosi con distruzione cellulare primitiva, b) cirrosi da accumulo e c) alterazioni primitivamente infiammatorie del tessuto periportale. Anche la suddivisione grossolana un tempo molto in auge in cirrosi atrofiche ed ipertrofiche (queste ultime con risparmio relativo dell'epitelio!) non soddisfa, poiché spesso non si tratta che di stadi diversi dello stesso evento morboso (vedi pag. 332); spesso la forma atrofica decorre con ascite, mentre quella ipertrofica decorre di preferenza con ittero e tumore di milza. Malgrado alcuni dubbi e le possibili obiezioni, si tenterà nelle pagine seguenti di dare una classificazione alle cirrosi in base alla loro genesi. Ciò può essere giustificato dalle numerose ricerche positive di questi ultimi anni, che in tutte le parti del mondo hanno portato contributi al problema delle cirrosi. Così anche si è tentato di trarre delle conclusioni sulla patogenesi causale (MORRISON) in base ai risultati della terapia (DEMEULENAERE). Ovviamente bisogna ammettere che anche oggi molte cose sono più intuite che conosciute, e quindi problematiche. T u t t a v i a un altro principio di suddivisione appare ancor più insoddisfacente. Il futuro dimostrerà
IL FEGATO
3°°
se qualche forma particolare debba essere situata in un'altra posizione nel « sistema »; forse l'uno o l'altro gruppo potrà rientrare in una n u o v a entità (CARBONERA GIANI e CAMERINI
RIVIERA).
A n c o r prima di esporre la classificazione sistematica potrebbe essere utile constatare in quale rapporto numerico stiano fra di loro le singole forme di cirrosi. Purtroppo su questo argomento dati della letteratura esatti sono rari e la loro elaborazione statistica è insoddisfacente, particolarmente per il f a t t o che finora nessuno schema classificativo ha potuto imporsi in f o r m a generale. A ciò v a aggiunto che spesso dalle descrizioni insufficienti non si può ricavare di quale sottotipo di cirrosi si tratti in effetti. Perciò vengono riportate qui senza tener conto del raggruppamento in base a punti di vista unitari e soltanto per orientamento grossolano alcune statistiche, da cui sono facilmente riconoscibili alcune discrepanze. L a prima è di KNÜCHEL: essa su 72 casi ha: 1 1 cirrosi di Laennec (15,3 % ) , 19 cirrosi postnecrotiche (26,4 % ) , 7 cirrosi da stasi (9,7 % ) ed 1 1 cirrosi biliari (15,3 % ) . I restanti 24 casi riguardano cirrosi rare e poco chiare come forme di combinazione o di passaggio. AUFDERMAUR trovò su un totale di 24 cirrosi epatiche: 1 1 atrofiche (post-alcooliche!) (45,8 % ) , 4 biliari (16,6 % ) , 3 cirrosi da stasi, 2 cirrosi ipertrofiche postepatitiche (?), 1 sifilitica, 1 pigmentaria, 2 cirrosi in corso di cancro del fegato (secondario e rispettiv a m e n t e primitivo). Secondo KALK si avrebbero su 137 casi accertati biopticamente 8 % di genesi alcoolica, 1 1 , 7 % di genesi dietetica e 35,8 % d i g e n e s i e p a t i t i c a ; s e c o n d o H O L Z N E R , R I S S E L e S P R I N G E R SU 4 3 9 p a z i e n t i
tra cui 41 % di genesi non chiara, si ha il 21 % di cirrosi postepatitiche e 13 % di cirrosi alcooliche. Invece nell'Istituto dell'Autore su 284 casi di cirrosi (degli anni 19451956) si hanno: 173 cirrosi di Laennec (60,9 % ) , 53 cirrosi postnecrotiche (18,6 % ) , 38 cirrosi biliari (13,4 % ) , 13 cirrosi grasse (e risp. cirrosi ipertrofiche steatosiche) (4,6 % ) , 6 cirrosi pigmentarie (2,1 % ) ed una cirrosi in corso di sindrome di B a n t i (0,4 % ) .
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LA
CIRROSI
EPATICA
3OI
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CAPITOLO
I
LE CIRROSI « A GENESI A F F I N E » Nel tentativo di suddividere le cirrosi epatiche in base alla loro genesi (vedi sopra pag. 299), le difficoltà iniziano già con la forma più nota, la cirrosi di Laennec. Le sue cause e la sua genesi formale possono essere
3°2
IL
FEGATO
molto diverse. D'altra parte esistono forme di cirrosi che apparentemente non stanno in alcun stretto rapporto con essa, alle quali però si attribuisce una genesi causale analoga. È perciò utile riunire in un unico gruppo tre forme di cirrosi distinte fra di loro in base a criteri morfologici classici, cirrosi di Laennec, cirrosi adiposa e cirrosi postnecrotica, e di porle in rapporto con determinati fattori causali che apparentemente non sono strettamente correlati tra di loro, cioè l'alcool (cosiddetta cirrosi alcoolica), la nutrizione insufficiente (cosiddetta cirrosi dietetica) e l'epatite virale (cirrosi postepatitica) e determinati avvelenamenti e infezioni. L'Autore cercherà di dimostrare che tra questi gruppi di cirrosi così disomogenei esistono rapporti di affinità molto più stretti di quanto non sembrasse finora.
i. CLASSIFICAZIONE MORFOLOGICA
CLASSICA
a) LA CIRROSI DI LAENNEC (CIRROSI EPATICA SEMPLICE; ATROFIA GRANULARE DEL FEGATO; CIRROSI PORTALE; CIRROSI ASCITICA) L a forma più nota di cirrosi, la cirrosi di Laennec, non è un quadro morboso unitario; la sua eziologia e patogenesi sono piuttosto notevolmente variabili (vedi sotto). Secondo S A B A T I N I dovrebbe essere chiamata « cirrosi di Morgagni-Laennec ». (epistola X X X V I I I ) parla, a proposito dell'ascite, di fegato indurito e tumore di milza; egli indica la superficie del fegato costituita da noduli (ex tuberculis), « id est glandulosis lobulis evidentissimis, evidentissime distinctis, nec tamen naturali majus », per cui si può intendere anche soltanto una granulazione nettamente delimitata, finemente pseudoacinosa, come si osserva nella cirrosi epatica (cfr. su questo punto anche C. S T E R N B E R G , cfr. però anche R Ò S S L E , bibl.). L'Autore dubita che la cirrosi di Laennec possa essere anche definita cirrosi epatica « atrofica » dal momento che può attraversare un prestadio ipertrofico (vedi sotto), e dal momento che esistono cirrosi atrofiche anche di altra natura (cirrosi in seguito ad atrofia gialla acuta del fegato; cirrosi di Wilson). D'altra parte deve essere rifiutato anche il termine di « cirrosi alcoolica » dal momento che gli stessi quadri si verificano anche in astemi (vedi sotto). MORGAGNI
L'essenza di questa epatite interstiziale con epatosi (RÒSSLE), decorrente probabilmente con esacerbazioni subentranti riposa su un marcato sviluppo interstiziale di connettivo decorrente parallelamente con una notevole distruzione di tessuto epatico. L a produzione di connettivo è l'alterazione più vistosa ed inizia con proliferazione di connettivo a focolaio,
LA
CIRROSI
EPATICA
3°3
associata ad infiltrazione linfocitaria intorno ai rami portali (vedi fig. 112). Perciò i tralci connettivali normalmente rari e sottili appaiono microscopicamente come t r a v a t e più larghe e ricche di cellule. F i n quando questa produzione di tessuto di granulazione è più rilevante della distruzione delle cellule epatiche il fegato è aumentato di volume, pesante e duro. L ' a u mento di volume può essere così marcato, che si parla di uno stadio (primo) ipertrofico (negato da CHEADLE, ed invece espressamente riconosciuto da RÒSSLE). Questo stadio può essere rappresentato in base alle più recenti
Fig. 103. Cirrosi di Laennec micronodulare atrofica con atrofia del lobo sinistro. Peso del fegato 1200 gr. Ascite. Uomo di 56 a.
ricerche (prevalentemente americane) da una cirrosi grassa (vedi pag. 332). Nei lavori americani oggi viene a d o t t a t a una suddivisione in diversi stadi (vedi pag. 332), che si allontana dalla nostra. In seguito il tessuto di granulazione si trasforma in tessuto cicatriziale retraente ed allora una parte notevole del parenchima epatico è già giunta all'atrofìa (secondo stadio). Il fegato diventa ora caratteristicamente cirrotico. Comportamento macroscopico. — Il fegato è piccolo, duro, difficilmente tagliabile, stride sotto la lama del coltello; la superficie di taglio è p o v e r a di sangue e di liquido. Il lobo sinistro è rimpicciolito nel modo più spiccato (fìg. 103). Il peso si riduce a 1200, fino a 900 gr. In un uomo di 33 anni KAUFMANN osservò un fegato cirrotico di 880 gr. con una milza di 500 gr.; B u -
304
IL
FEGATO
CHNER ricorda un peso di 600 g. L'Autore in una donna di 62 anni un fegato di 730 gr. (fig. 104); ed in un donna di 56 anni (del peso di 53 kg. e dell'altezza di 156 cm., n. 1557/56) perfino soltanto 575 gr.! (peso della milza 470 gr). L a pura perdita di parenchima è ancora più spiccata dal momento che nel peso è compreso il connettivo aumentato (determinazione quantitativa del connettivo in WARREN). La superficie di taglio dimostra una rete macroscopicamente visibile di connettivo (fig. 105). Dal momento che le fibre di questo sono collegate con la capsula la superficie viene coinvolta
Fig. 104. Cirrosi di Laennec m a r c a t a m e n t e atrofica. A t r o f i a spiccata al limite tra lobo epatico sinistro e destro. Peso del fegato 730 gr. Ascite di 2500 cc. Milza 595 gr. Ittero generalizzato. V a r i c i esofagee. D o n n a di 62 anni.
dalla retrazione dei tralci e diventa granulosa (atrofia granulare). L a capsula in alcuni punti è grigio-biancastra, opaca, ispessita (fig. 106) (Sulla periepatite cartilaginea nella cirrosi epatica vedi pag. 70). I granuli della superficie sono più piccoli (della grandezza di una testa di spillo e anche meno) oppure più grossolani (con l'aspetto di teste emisferiche di chiodi da scarpe, « Schuhzweckenleber »), a seconda se le maglie interne sono più strette o più larghe. La forma del fegato può essere appiattita 0 piuttosto alta, «a tartaruga» (vedi fig. 107). L e cirrosi con nodi m o l t o grossolani d o v r e b b e r o essere secondo KAUFMANN sospette di lue (messo in d u b b i o d a RÒSSLE). P e r esempi in q u e s t o senso v e d i R O C H S . P e r l e c i r r o s i p u r e a focolaio
(parziali) v e d i RÒSSLE; BENZ e BAGGENSTOSS.
LA
CIRROSI
EPATICA
305
Fig. 105. Aspetto macroscopico della superficie di taglio di un fegato cirrotico macronodulare. Evidente formazione di pseudoacini. Ingrandimento 1 : 1,5.
Fig. 106. Superficie del fegato in corso di cirrosi. Notevole ispessimento fibroso della capsula epatica. 20
—
KAUFMANN
fi,
p.
II
306
IL
FEGATO
Eccezionalmente tutta la superfìcie dell'organo rimpicciolito o una grande parte di essa (p. es. un lobo isolato destro e sinistro) può essere, completamente o quasi, liscia, mentre la superficie di taglio dimostra nella maniera più chiara il quadro della cirrosi granulosa. I tralci di tessuto connettivo sono all'inizio di colore grigio-rossastro, in seguito diventano più pallidi. Essi non circondano acini isolati, ma si infiltrano negli acini e li attraversano, in modo da delimitare aree del tutto arbitrarie, che si presentano come campi o isole o lobuli essenzialmente
Fig. 107. Cirrosi epatica a piccoli nodi con sorprendente forma a cupola alta (aspetto a tartaruga). L a cirrosi era associata ad un carcinoma del collo uterino con peritonite. L'ascite non era documentabile con sicurezza, in quanto nel cavo peritoneale erano presenti circa 1000 mi. di liquido denso. La milza non era ingrandita. Donna di 58 anni. A u t . Nr. 146/56.
rotondeggianti od ovoidali di parenchima epatico, cosiddetti pseudoacini (pseudolobuli). Dal colore giallo dei noduli, che sono la parte di tessuto ancora relativamente conservata, deriva il termine di cirrosi. Essi aggettano sulla superficie di taglio attraverso i tralci connettivali che li circondano ad anello, in modo così evidente che spesso danno l'impressione di piccoli tumori (adenomi), come noduli rilevati, gialli o verdi, spesso soltanto della grandezza di una capocchia di spillo fino ad isole della grandezza di una lenticchia. Talora la superficie di taglio bozzoluta mostra una certa somiglianza con quella del pancreas (fig. 105). Molti A A . parlano anche di forma « multi-lobulare ». Ma questo termine non appare raccomandabile in quanto 1) non si dà mai il caso di una forma
LA
CIRROSI
EPATICA
307
mono-lobulare (in cui la proliferazione connettivale si mantenga esattamente intorno ai singoli acini) e 2) perché nei noduli non si tratta dello strozzamento di molti lobuli interi, ma piuttosto dello strozzamento di porzioni irregolari, eventualmente di molti lobuli. In sezioni seriate si può dimostrare la forma vera ed altamente irregolare delle zone pseudoacinose.
Fig. 108. Cirrosi epatica atrofica tipo Morgagni-Laennec. U o m o di 64 anni. ( A u t . N . 34147 dell'Istit. di A n a t . c Istol. P a t o l . d e l l ' U n i v . di Milano).
Reperto istologico. — Istologicamente il f a t t o di maggiore e v i d e n z a è offerto dal sovvertimento strutturale dell'organo. Il processo non si s v i l u p p a in m o d o uniforme, m a all'inizio si possono osservare aree lese alternate con aree normali. Il parenchima epatico, a t t r a v e r s a t o d a tralci fibrosi e suddiviso in lobuli (fig. 109) spesso non presenta modificazioni grossolane. A n c h e all'esame col microscopio elettronico non sono stati messi in evidenza reperti notevoli
(COSTA, W E B E R ,
IGNESTI, ZAMPI e
IGNESTI).
L'epitelio
epatico può anche dimostrare alterazioni di tipo atrofico (fig. 1 1 0 a) (atrofia da compressione?) (grosse t r a v a t e di cellule epatiche impicciolite e compresse concentricamente) oppure le cellule possono avere f o r m a nor-
3O8
IL FEGATO
male, ma essere ugualmente anormali in quanto infiltrate di grasso e di bile. La basofilia degli epatociti appare notevolmente diminuita nella cirrosi epatica in fase attiva, mentre non lo è nella fase di stato (TARDINI). MALLORY ha spesso osservato una degenerazione a gocce jaline degli epiteli epatici che egli definisce come caratteristica di una genesi alcoolica. Il suo significato f u a n c h e
sottolineato
da
BARAHONA,
RATHER,
SEPULVEDA,
ROJAS e LANDA (colorazione speciale p e r le g o c c e in BARAHONA, ROQUE).
RÒSSLE invece non fu in grado di confermare la. sua specificità. General-
Fig. 109. Cirrosi epatica atrofica di Laennec. Marcata delimitazione degli pseudolobuli da parte di setti connettivali (colorazione di Mallory). Uomo di anni 40.
mente non si osservano necrosi, ma, specialmente nei casi di morte improvvisa, questa può anche essere dimostrata sotto forma di gruppi cellulari necrotici, oppure, assai raramente, di sfacelo cellulare più esteso. L a necrosi di cellule isolate scure è invece più frequente. D'altra parte si osserva inoltre una ipertrofia vicariante accompagnata da iperplasia e da neoformazione di cellule epatiche che si rende evidente per la presenza di elementi giovani con citoplasma chiaro (cellule chiare - KRETZ, ADLER); in tal modo le travate epatiche si estendono, si giunge a spostamenti nella compagine del tessuto ed i pseudolobuli si arrotondano verso l'esterno. Nelle cellule epatiche si osserva la comparsa di proliferazioni e di rigonfiamenti (fig. 110 è); i nuclei sono molto voluminosi e spesso multipli (fino a 3) e ricchi di cromatina; queste alterazioni sovente sono più evidenti alla periferia dei
LA
CIRROSI
EPATICA
309
lobuli, dove si possono osservare più cellule nella larghezza della travata. L'ipertrofia e iperplasia vicarianti rendono ragione delle notevoli differenze nella grandezza dei granuli, del prevalere di granuli grandi in individui giovani (con limitazioni! secondo l'Autore) e del passaggio a isole epatiche persino arrotondate a tipo tumorale, a iperplasie nodose senza tipico disegno acinoso in parecchie cirrosi epatiche (DE LEEUW nega ogni segno di iperplasia compensatoria). Le particolari alterazioni di forma dei noduli dipendono dunque non solo da deformazioni passive, da penetrazione degli acini primitivi e da spostamento delle parti, ma da una completa alterazione della struttura originaria, tale che si deve per forza ammettere un ampio s o v v e r t i m e n t o rigenerativo e riparativo, che secondo KRETZ interessa particolarmente anche il sistema capillare. La guida per le alterazioni strutturali, che si propagano in profondità, è rappresentata dalle vene centrolobulari, le quali, con l'atrofia del parenchima, si avvicinano fra loro (in certi pseudoacini parecchie vene giacciono stipate le une vicine alle altre), oppure vengono incluse nei setti connettivali periportali; i grossi noduli di rigenerazione sono spesso del tutto privi di esse. Gli spazi Fig. r i o a. capillari in parte si accorciano, Regione atrofica di una cirrosi epatica. in parte si allungano, in parte vengono completamente obliterati. I corti circuiti intraepatici (shunts) tra la vena porta e le vene sovraepatiche, oggetto oggi di molta attenzione nella letteratura americana, erano già stati osservati da KRETZ (esperimenti mediante iniezioni! vedi anche ACKERMANN). Sono pure stati descritti da ELIAS e POPPER, MOSCHCOWXTZ particolari sulle alterazioni della corrente sanguigna con formazione di anastomosi portoepatiche (MONTAGNANI parla di fistola di Eck intraepatica) e MANN, WAKIM e BAGGENSTOSS hanno dato una minuziosa descrizione dell'intreccio di anastomosi, e di formazioni a canestro attorno ai vasi (metodo per corrosione). L'ostacolo alla circolazione sanguigna nella vena porta (che porta alla ipertensione portale, vedi pag. 195) in parte è la conseguenza della ostruzione dei vasi venosi compressi dai noduli di rigenerazione (KELTY) ,
IL FEGATO
ma in parte anche della ostruzione dei più fini rami portali che vengono strozzati da briglie di tessuto connettivale. A l loro deficit consegue una dilatazione compensatoria (e neoformazione - MONTAGNANI) dei rami vasali appartenenti alla circolazione della arteria epatica, che appaiono nel tessuto connettivo come ampie lacune a parete sottile (fig. i n ) . I setti sono ricchi di cellule (fig. 112) (insieme ad elementi connettivali di origine tessutale, in prevalenza linfociti, spesso sono numerosi anche i leucociti, fatto che secondo RATHER è un indice di forma « attiva » di cirrosi epatica; più rare sono invece le plasmacellule); in seguito i setti si fanno fibrosi e nella forma inattiva poveri di cellule (fig. 113), mentre diventano sempre più ricchi di fibre elastiche (che derivano dal preesistente tessuto connettivale, FLEXNER) (fig. 114). Accanto all'aumento del tessuto connettivo periportale spicca pure un notevole aumento di quello intralobulare (ROSSLE, GILLMAN e CHAIKOFF STENGER). Secondo
ELIAS
e
SPANIER
in-
sieme con la proliferazione di fibre isolate si osserva pure la formazione di lamine. L e fibre a graticciata sono aumentate Fig. n o b. nella cirrosi epatica (vedi HERXNoduli di rigenerazione con grosse cellule epatiche HEIMER); la loro impalcatura die voluminosi nuclei nello stesso fegato della figura a). (Entrambe le fotografie rappresentano venta più densa, perché le fibre un ingrandimento di 190 diametri; esse provensi conservano anche con la progono dalla stessa sezione istologica). gressiva diminuzione delle cellule. Secondo ROSSLE le fibre a graticciata possono perfino strozzare le cellule epatiche. Infine le fibre a graticciata «precollagene» possono subire una metaplasia collagena (FERNANDEZ-BALLAS e JORQUERA vogliono distinguere una « sclerosi fibroblastica collagena » del tessuto periportale da una « reticolosclerosi» intralobulare a partenza dalle cellule stellate). I più piccoli dotti biliari vengono in parte compressi dalle briglie connettivali; la bile ristagna ed il pigmento biliare precipita in granuli ed in zolle (ASKANAZY descrive microliti nella bile). Inoltre nel contesto dei setti connettivali è particolarmente evidente la neoformazione di canalicoli rivestiti di epitelio, molto numerosi, stretti, lunghi, tortuosi e ramificati: è la cosiddetta proliferazione
L A CIRROSI
Fig.
EPATICA
311
in.
F o r t e dilatazione dei vasi nel tessuto c o n n e t t i v o periportale di u n a cirrosi e p a t i c a .
Fig. 112. Cirrosi di L a e n n e c in fase a t t i v a . T e s s u t o periportale con m a r c a t o i n g r a n d i m e n t o ed infiltrazione cellulare.
IL
312
FEGATO
dei dotti biliari che si osserva più o meno abbondante in tutti i processi infiammatori cronici (vedi fig. 113). Questi dotti si possono iniettare da una estremità (ACKERMANN) dal coledoco, dall'altra passano direttamente nei cordoni cellulari epatici (cosa che però HAYAMI (bibl.) spiega come dovuta ad aderenze secondarie con le preesistenti cellule epatiche). Nella genesi della proliferazione dei dotti biliari si tratta a) di canalicoli neoformati che si originano dai normali dotti biliari intralobulari, allo stesso modo che si rendono manifesti, per proliferazione dell'epitelio, dotti bi-
Fig. 113. Forma inattiva della cirrosi epatica atrofica. Le travate connettivali dilatate sono ricche di proliferazione dei dotti biliari ma molto povere di cellule.
liari nella rigenerazione epatica consecutiva a traumi. In favore di tale interpretazione parla pure il loro decorso lungo, tortuoso e ramificato; i numerosi canalicoli addossati gli uni agli altri possono portare ad un quadro simil-adenomatoso. E però certo che essi b) possono originarsi per differenziazione delle travate cellulari del fegato e rispettivamente delle colonne epatiche atrofiche (nelle quali poi i capillari biliari scompaiono, vedi HOLMER)
(ORTH,
GOLDZIEHER
e
v.
BOKAY,
HERXHEIMER
e
W.
GERLACH,
anche WILLER è in favore di questa ipotesi); mentre il cammino inverso non sarebbe possibile. Confronta anche a pag. 49. RÒSSI.E considera più probabile l'ipotesi b) nella maggioranza dei casi; ma ritiene possibile anche c) una genesi dalle cosiddette zone indifferenti (SCHAPER e COHEN, tratti intercalari o intermedi, vedi pag. 13). Circa la genesi della cirrosi di Laennec vedi a pag. 323 e seguenti).
LA CIRROSI
EPATICA
313
Conseguenze della cirrosi epatica. — Due conseguenze importanti rappresentano: 1) la riduzione della circolazione della vena porta con la formazione di una ipertensione portale (vedi sopra a pag. 195) e 2) la lenta e progressiva atrofia del parenchima epatico con perdita delle sue funzioni specifiche (tra le altre subittero, talora alterazione delle prove di funzionalità epatica, disturbo nella formazione della protrombina, soppressione della inattivazione degli estrogeni ed infine coma epatico).
Fig. 1 1 4 . Iperplasia delle fibre elastiche nella zona periportale di una cirrosi epatica atrofica (colorazione per le fibre elastiche).
Tuttavia gli effetti di questi due fattori sugli altri organi e sistemi non sono ancor oggi chiaramente delucidati. Vi sono quattro possibilità a) che il disturbo primitivo del fegato agisca direttamente su altri organi; fi) che la noxa cirrogena danneggi oltre al fegato, parallelamente anche altri organi; y) che alterazioni di altri organi abbiano un'azione sul fegato in senso favorente la cirrosi (vedi oltre la critica circa il M. di Banti) ; ó) che vi sia una vera « sintropia » di genesi non chiarita (vedi R O S S L E , T A R O C C H I ) . Molte volte questi fattori si combinano insieme: così il tumore di milza in talune cirrosi non dipende solamente dalla stasi della vena porta, ma è anche da riferirsi a influenza tossica diretta sul parenchima splenico. Si è perfino pensato ad una genesi della cirrosi epatica da turba primitiva della milza (vedi sotto B A N T I ) . Indubbiamente l'ipertensione portale ha la maggiore importanza; essa conduce alla stasi nel tubo gastro-intestinale e nella milza, m a soprat20* —
KAUFMANN I I , p. I I
314
IL
FEGATO
tutto porta alla ascite. Questa è spesso molto marcata (parecchi litri) e solo con scarso contenuto proteico (ma talora anche di più; pericolo di perdita di proteine per ripetute paracentesi, ma anche perdita di cloruro sodico (CUGUDDA ed AGNISETTA) poiché l'ascite è ricca di sodio!). L a causa principale è però il « blocco intraepatico » al quale può anche aggiungersi una insufficienza cardiaca (vedi oltre). Il significato causale della ipoalbuminemia viene sopravalutato dagli A A . americani (KALK e WILDHIRT). Secondo HYATT, LAWRENCE e SMITH il liquido passerebbe in parte direttamente attraverso la capsula glissoniana. Spesso si ha aumentato deflusso della linfa dal fegato (BRUGEL). Talora l'ascite diventa più tardi di tipo infiamimatorio (peritonite sierosa) e porta alla fibrosi peritoneale. Spesso si osserva anche tubercolosi del peritoneo; in tal caso l'ascite può talvolta essere anche emorragica. Tentativi di un abbassamento dell'ipertensione portale e quindi anche dell'ascite per mezzo di operazione di shunt (vedi pag. 195) oppure mediante legatura dell'arteria epatica (per lo più senza infarto del: fegato! vedi pag. 197) hanno dato risultati positivi (THOREK, R I E N H G F F J SMITH, M E N E A L Y e Z A U S ) ; t u t t a v i a e l e v a t a m o r t a l i t à n e l c o r s o di
questo : intervento
ebbero
LAUFMAN,
ROSS,
BERNHARD,
BORDEAU,
FURR e DOUGLASS. ROSENBAUM E EGBERT o s s e r v a r o n o in u n c a s o
necrosi
totale del fegato; ALBOT e LEGER, DE GRAILLY invece si esprimono contro l'interpretazione comune che il successo sia dovuto all'abbassamento dell'ipertensione portale. L a circolazione collaterale: Le ampie anastomosi collaterali intraepatiche tra i grandi rami della vena porta e quelli delle vene epatiche, che prima si arrimettevano con SABOURIN, non vanno qui prese in considerazione ,(cfr. bibl. in L. PICK); gli shunts intraepatici (vedi sopra) non dovrebbero avere praticamente alcun significato. Invece, come si è già detto, si stabilisce una circolazione collaterale extra epatica che in rari casi conduce al caput medusae (voi. I/i, pag. 474 - bibl. citata); anche le vene che scorrono nel legamento rotondo facilitano lo scarico' del fegato sovrariempito di sangue (poiché esse portano il sangue dalla vena porta alla grande circolazione) (cfr. MEMBREZ, bibl.), ma anche questo fatto non è sufficiente ad impedire le gravi conseguenze della stasi. Si parla talora di cirrosi di Cruveilhier-Baumgarten nella persistenza e dilatazione della vena ombelicale (1); non si tratta però di una forma particolare di cirrosi, ma essa dovrebbe essere indicata soltanto come sindrome di Cruveilhier-Baumgarten di interesse clinico (rumore di trottola palpabile, come pure rumori « sof-
(1) L a persistenza di vene della circolazione epatica destinate a scomparire durante la v i t a embrionale e fetale o dopo la nascita, rappresenta un fenomeno di rara osservazione. Si può ricordare la persistenza della v e n a h e p a t i c a revehens sinistra con sbocco del d o t t o venoso di A r a n z i o in d e t t a vena. Di norma il d o t t o venoso di A r a n z i o sbocca invece nella v e n a hepatica revehens communis, dalla quale deriva il segmento craniale della v e n a c a v a inferiore (BATTAGLIA e MORTILLARO).
LA
CIRROSI
EPATICA
315
fianti» delle vene: PUIG) (vedi anche DINA e MARTUZZI) (in contrasto con ciò la malattia di Cruveilhier Baumgarten è caratterizzata dalla persistenza della vena ombelicale in caso di ipoplasia del sistema della vena porta senza obbligatoria cirrosi epatica: LEMAIRE e HOUSSETT). Le vie collaterali sono molto variabili (THOMAS); lo schema seguente è il più frequente: vena porta - vena coronaria gastrica sinistra - vene esofagee inferiori — vene intercostali — vena azygos (rispett. emiazygos) — vena c a v a superiore. Circa le vie collaterali « epatofugali » nella cirrosi, vedi anche in L . PICK (e cfr. pag. 197). Talora, ma assai raramente, si può formare una trombosi della vena porta (per la sclerosi portale molto frequente!) che provoca un rapido aumento dell'ascite. L'operazione di Taima nella cirrosi epatica ha lo scopo di creare, mediante la fissazione dell'omento alla parete addominale anteriore (omentopessia), nuove collaterali fra la vena porta e la grande circolazione, e così provocare anche riduzione dello spazio peritoneale e impedire nuovo accumulo di liquido (secondo I V E R S E N I risultati sarebbero però insoddisfacenti). Tali collaterali possono talora formarsi anche spontaneamente (vedi ROSSLE, bibl.). Esiste inoltre la possibilità di emorragie perfino mortali dalla mucosa dello stomaco o dell'intestino, come pure dalle varici esofagee (vedi voi. I/2, pag. 139). U n rapporto determinato fra gravità della cirrosi e formazione di varici esofagee n o n esiste
(SCHNEIDER, BERMANN, G A L L , DOHM e
STARR,
SCHIFF). Esse possono persino formarsi senza cirrosi epatica (GARRET e GALL). CATTAN, FRUMUSAN, HABIB e HABIB al contrario m e t t o n o in rilievo,
rispetto alla sopravalutazione generale della rottura delle varici esofagee, la maggiore importanza delle emorragie parenchimali della mucosa gastrica e intestinale. L ' A u t o r e non può confermarla in questa misura (vedi sotto). Solo raramente si osserva Utero marcato, spesso anzi manca completamente. Esso può essere provocato dalla compressione del tessuto connet-. tivo sui dotti biliari più piccoli; secondo EPPINGER può anche derivare da rotture intracellulari dovute alla stenosi dei dotti più grandi nel tessuto connettivo, spesso a causa anche di una albuminocolia oppure di un catarro gastro-duodenale, forse anche per lesioni infiammatorie delle vie biliari più fini (cfr. NAUNYN), BLEICHROEDER lo considera di natura ematogena. ROSSLE pensa anche ad una componente tossica. Alterazioni di altri organi nella cirrosi epatica di Laennec. — I linfonodi periportali sono sovente iperplastici (di rado atrofici), presentano catarro dei seni, sclerosi e riassorbimento di bile (in forma di granuli o trombi) ed anche eritrociti. BRIELLMANN richiama l'attenzione sul reperto di plasmacellule nei linfonodi cervicali e paraaortici nella cirrosi epatica. L a cistifellea non è generalmente alterata nella cirrosi epatica di Laennec (certamente non nella cirrosi biliare). Si può osservare una colelitiasi con
3i6
IL FEGATO
frequenza uguale a quella dei soggetti non cirrotici (BUCALO, secondo FELDMAN e FELDMAN aumento insignificante). Se coesiste tumore di milza (in generale modesto, occasionalmente però sino ad un peso di gr. 1530, KAUFMANN) si parla volentieri di cirrosi epatica « splenomegalica » (cfr. ROTTER e BÜNGELER, voi. I/i, pag. 1119); l'ingrandimento della milza è secondario e solo in parte la conseguenza della ipertensione portale, in quanto anche una certa ipossiemia favorisce certamente la sclerosi delle fibre reticolari. L a polpa contiene emosiderina e lipoidi; le fibre elastiche sono aumentate. Esiste anche una vera iperplasia (HUECK, JAGER) ed i seni venosi sono in tal caso significativamente dilatati (KAUFMANN, SCHRIDDE). Si deve inoltre considerare l'effetto dei veleni cirrogeni che può condurre ad una reazione infiammatoria (RÒSSLE) con fibroadenia indipendente tanto più che, secondo ARAGONA e BARONE, la milza deve possedere, in modo particolare nella cirrosi epatica, una speciale capacità a legare sostanze tossiche. Infine nei cirrotici si hanno, non raramente, disturbi della crasi ematica che potrebbero avere influenza anche sulla milza (all'incirca secondo il tipo di un tumore spodogeno di milza). In questo senso appare interessante l'osservazione dell'Autore che in fegati metastatici (intensissima colonizzazione cancerigna, ecc.) anche senza cirrosi si giunge ad un considerevole ingrandimento della milza (560 gr.) (Charité Aut.-Nr. 757/56). Nello stomaco è noto un accumulo di ulcere peptiche in corso di gastrite (dimostrazione statistica di ANTONINI e MARINONI); ma non è certo che la stasi portale abbia in questo caso azione esclusiva, come ammette FALCONER. L'ipotesi talvolta avanzata che l'ulcera induca la cirrosi epatica appare infondata all'Autore. Anche i carcinomi dello stomaco si presenterebbero con maggiore frequenza nella cirrosi epatica (RÒSSLE). I rapporti tra le malattie dell'intestino (duodenite con edema marcato: CATTAN,
CARASSO
e
ZERAH;
colite
ulcerosa:
HOFFBAUER,
MCCARTNEY,
DENNIS e KARLSON) e cirrosi epatica non sono sempre univoci. Fra la cirrosi di Laennec e le malattie del pancreas non sembra esistere solo una sintropia « che abbia lo stesso fondamento » (che secondo RÒSSLE - bibl. — sarebbe comprensibile pensando ad un effetto tossico contemporaneo su entrambi gli organi), ma si deve eventualmente pensare, alla luce delle più recenti esperienze sulla degenerazione grassa sperimentale del fegato (vedi pag. 89), anche ad un'azione causale di una insufficienza pancreatica
(ROSSI e SERVELLO: r i c e r c h e s p e r i m e n t a l i ;
WEBSTER
e
WILLIAMS
3 casi di bambini esaminati anatomicamente; OLIVER, SANZ, IBAÑEZ, ELOSEGUI e HERNÁNDEZ: cirrosi epatica nella pancreatite da virus). Sul pancreas nell'emocromatosi e specialmente nel diabete vedi a pag. 359 (vedi anche a pag. 372 a proposito della cirrosi epatica infantile). A carico del sistema scheletrico si giunge nella cirrosi epatica ascitogena alla osteoporosi della colonna vertebrale ed eventualmente a fratture spontanee (PONTES, ROSA, GRANATO e FRAGA). P e r q u a n t o r i g u a r d a i sali di c a l c i o
LA
CIRROSI
EPATICA
317
e di potassio nel sangue, insieme con le alterazioni a genesi epatica possono agire anche modificazioni dipendenti dall'ascite. SCHOO riferisce, nella cirrosi epatica familiare, su una malattia ossea simile al rachitismo. Molte volte si registrano modificazioni nella composizione del sangue in corso d i cirrosi e p a t i c a . BERMAN, AXELROD, HORAN, JACOBSON, SHARP e V O N -
DERHEIDE, in cirrosi diagnosticate mediante biopsia, trovarono per lo più una anemia macrocitica, ma anche normocitica (vedi anche A. H. MULLER) con linfopenia e trombocitopenia (vedi anche FALZOI, D'ANTUONO e ORLANDO). Nell'87 % delle cirrosi epatiche di Laennec conclamate (senza emorragie!) si nota una significativa anemia (FELLINGER e KLIMA). EPPINGER a m m e t t e solo il 5 1 %
(vedi inoltre KUCHARIK e LEHR, BUCH-
MANN e SCHENZ). Si possono anche osservare quadri rigenerativi del midollo femorale. SPIGLIATI e MORETTINI hanno visto esaltata emopoiesi, con aumento delle cellule reticolari del midollo osseo, nella cirrosi epatica. E dubbio fino a che punto il tumore di milza, molto frequente, possa esplicare la sua azione nel senso di un « ipersplenismo ». D'altra parte non è del tutto certo che la malattia epatica non abbia influenza diretta sul midollo osseo. Si pensa ad una mancata azione antitossica del fegato (KUCHARIK e LEHR) oppure ad influssi sopraordinati che colpiscono contemporaneamente il fegato ed il midollo osseo. JONES, WEINSTEIN, ETTINGER e CAPPS ritengono che la durata della vita degli eritrociti sia ridotta. Circa l'anemia perniciosa in corso di cirrosi epatica vedi GRIFONI. L'ammalato di cirrosi di Laennec ha tendenza alla iposideremia; CONSTAM. Sicuri rapporti tra il comportamento delle proteine del sangue e la cirrosi epatica non sono ancora stati elaborati. Ipoproteinemie (raramente iper; SCHNEIDERBAUR: nelle forme splenomegaliche) (OPPENHEIM) si manifestano come conseguenze delle lesioni degli epiteli epatici, nel qual caso sono particolarmente interessate la frazione albuminica (CESCHKA, RISSEL e WEWALKA) e quella del
fibrinogeno
(WUHRMANN e W U N D E R L Y ) :
il quoziente albumine/globuline è alterato. LAUDAHN nel 1955 riferì di due casi di cirrosi epatica con iper-gamma-globulinemia. I testicoli nella cirrosi epatica sono sovente (ma per lo più solo leggermente, RATHER) atrofici (RÓSSLE, bibl.). S e c o n d ò l ' o p i n i o n e di BENNETT, BAGGENSTOSS e BUTT
(bibl.) (ripresa da SANNAZZARI e VISIOLI alla luce di ricerche sperimentali sui topi) si deve concludere che il fegato ammalato non è più in grado di inattivare gli estrogeni che gli giungono, come succede normalmente (CACHERA). L a concentrazione di estrogeni nel sangue per questo fatto aumentata, deve anche essere considerata (precisando una opinione di BERGONZIS, bibl.), come la causa sia dello sviluppo di una ginecomastia nella cirrosi epatica («segno di Silvestrini ») (EDMONDSON, GLASS e SOLL), sia delle alterazioni strutturali dell'epitelio di rivestimento dei dotti prostatici. Sembrano dipendenti dall'aumento degli estrogeni persino le rare, ma caratteristiche alterazioni della cute nel senso di una modificazione nella
318
IL FEGATO
disposizione dei peli (segno di CHVOSTEK: peli scarsi alle ascelle e alle regioni pudende; frequente secondo LUKIDIS) e specialmente la comparsa di «formazioni vascolari a ragnatela» (« vascular spiders»). Circa le teleangectasie a forma di stella (preferita la metà superiore del corpo) nei cirrotici è stato più volte riferito negli ultimi anni (DITZEL, SCHNEIDER, B E R M A N , G A L L , SCHIFF, D O H M e S T A R R , W E G E L I N ; M A R T I N I e S T A U B E S A N D
le ritengono un segno prognostico sfavorevole; secondo CICOVACKI si osservano in più del 50 % delle cirrosi epatiche). KLUG pensa ad una genesi allergica (come conseguenza di una produzione di paraproteine dell'epitelio epatico). Circa i rapporti con la cosiddetta « cirrosi di Osler » vedi oltre. Spesso nella cirrosi epatica viene descritta una pigmentazione bruna della
pelle
(v.
BERGMANN,
WUHRMANN,
HOLLER,
AUFDERMAUR).
MAR-
TINI e HAGEMANN hanno spesso notato nelle cirrosi di Laennec le dita a bacchetta di tamburo (unghie a vetro d'orologio). EMMERICH ammette un rapporto tra cirrosi epatica e scleropatie, specialmente della pelle (sclerodermia diffusa e scleredema diffuso), ma anche delle forme viscerali. Dopo che RÖSSLE aveva indicato una sintropia tra cirrosi epatica e « degenerazione miocardica », OPPENHEIM potè descrivere la regolare comparsa di una miocardosi (dipendente dalla disprotidemia) nella cirrosi epatica, non solo da un punto di vista clinico, ma in parte anche da quello morfologico. MARCHAL, DUHAMEL, WEIL-FAGE e R o u x parlano direttamente di un « coeur des cirrhotiques » e mettono in rilievo l'edema e la sclerosi della muscolatura del cuore (circa l'insufficienza miocardica nella cirrosi pigmentaria vedi oltre). Per quanto riguarda i reni sembra che la relazione causale tra cirrosi epatica e nefrite, già avanzata in qualche caso da RÖSSLE, abbia avuto una certa conferma dalle ricerche di CATTAN, SEBOUK e HABIB: essi hanno trovato in un'alta percentuale di casi di cirrosi epatica, delle glomerulonefriti, talvolta emorragiche, talvolta croniche (in parte con nefrosi), mentre BALCELLS-GORINA e ALCANTARA, accanto all'insufficienza clinica, hanno notato istologicamente solo una modesta nefrosi. Sulla frequenza degli infarti di sali di calcio nelle piramidi renali in corso di cirrosi epatica riferisce GOLDSCHMID. Si è cercato di trovare un nesso causale con la cirrosi epatica anche per l'atrofìa della tiroide e per l'ipertrofia della parotide (BONNIN, MORETTI e GEYER). Sui rapporti tra cirrosi di Laennec e alterazioni del sistema nervoso si hanno tuttora poche notizie (vedi BRÜNING). PATERNI ha pensato di poter arrestare il processo cirrotico mediante l'interruzione del plesso nervoso epatico. Infine deve essere ancora ricordata la sintropia della cirrosi epatica col diabete mellito (RÖSSLE, JAQUES, REGLI, I particolari sono riferiti a proposito della cirrosi pigmentaria). Circa il frequente sviluppo di carcinomi (eventualmente multicentrici) in una cirrosi epatica vedi a pag. 436. La morte può sopravvenire nella cirrosi epatica di Laennec come conseguenza della progressiva epatargia fino al coma epatico (secondo HALL,
LA
CIRROSI
319
EPATICA
OLSEN e DAVIS nel 17 % dei loro casi di cirrosi epatica, secondo BAGGENSTOSS e STAUFFER nel 58,1 % , secondo osservazioni personali nel 5,7 % ) ; mentre si osservano spesso necrosi recenti del fegato (FOULK, BUTT, STAUFFER, BAGGENSTOSS e GROSS). U n a
dieta ricca di proteine
può
fa-
vorire l'instaurarsi del coma (SCHULTZE). Un cirrotico molte volte muore per grave emorragia del tubo gastro-enterico (secondo HALL, OLSEN e DAVIS 19 % dei loro casi di cirrosi), per rottura di varici esofagee (secondo
RÒSSLE d a l 7
all'8 % ;
s e c o n d o BAGGENSTOSS e STAUFFER 25,6
%,
s e c o n d o HOLZNER, R I S S E L e SPRINGER n e l 1 5 % , s e c o n d o o s s e r v a z i o n i p e r -
sonali nell'Istituto della Charité 36 su 173 casi osservati di cirrosi di Laennec, ossia il 20,7 % ) oppure per emorragie parenchimali (solo 3 casi su 173 personali, cioè l ' i , 7 %). Le ripetute aspirazioni di liquido ascitico portano a molto grave ipoproteinemia o ipocloremia. Anche le infezioni del cavo peritoneale possono essere pericolose (specialmente la tubercolosi, ma anche la peritonite diffusa purulenta consecutiva ad infezione esogena dell'ascite; nei recenti casi di cirrosi di Laennec osservati dall'Autore 5 volte, ossia il 2,9 %). Oggi si devono anche considerare le complicazioni della terapia chirurgica dell'ipertensione portale. Circa lo sviluppo di carcinomi come causa di morte (5 casi su 173 personali di cirrosi di Laennec, cioè il 2,9 % ) vedi a pag. 436. Non raramente un cirrotico muore per una malattia « sintropica » [insufficienza cardiaca (38 casi su 173 personali, 21,9 %); circa la miocardosi vedi sopra) oppure anche per malattie intercorrenti (malattie infettive; specialmente polmonite (15,6 % dei 173 casi personali)]. Infine la cirrosi epatica può anche essere un reperto accessorio (secondo RÒSSLE in un terzo dei casi; secondo LUNZENAUER in un quarto). Precise percentuali non possono però essere avanzate, perché le scarse statistiche presentate differiscono troppo fra loro (BLUMENAU, RÒSSLE, HOLZNER, RISSEL e
SPRINGER).
b) L A CIRROSI GRASSA (STEATOCIRROSI; CIRRHOSE GRAISSEUSE) Alcune cirrosi, per esempio nei bevitori, sono costantemente accompagnate da aumento di volume. Perciò prima si tendeva il più possibile a separare il gruppo delle cirrosi ipertrofiche (p. es. lo stadio ipertrofico della cirrosi di Laennec, le cirrosi grasse, biliari e tesaurismosiche) dalle cirrosi atrofiche. L ' A u t o r e però non vi scorge alcuna caratteristica differenziale basilare, perché si tratta spesso solo di un fenomeno passeggero, talvolta dipendente da influenze collaterali insignificanti, m a non di un contrassegno caratteristico. Questo vale specialmente per le cirrosi di diverso significato accompagnate da steatosi, che possono essere tanto atrofiche quanto ipertrofiche. Una vera steatocirrosi in senso stretto (che
320
IL
FEGATO
spesso si accompagna con adiposità generale) si presenta senza dubbio molto più di rado di quanto non si usi diagnosticare comunemente: in tal modo per le cirrosi, nelle quali si manifesta un accumulo di grasso solo secondariamente (ad esempio per cause accessorie come anemie o tubercolosi) (e che non è necessario che siano accompagnate da obesità generale) si dovrebbe parlare soltanto di « cirrosi con steatosi ». Spesso si tratta solo di uno stadio di passaggio.
Fig. 115. Cirrosi grassa a piccoli nodi. Varici esofagee. Ittero massivo. Donna di 27 anni (diagnosi clinica: malattia settica generalizzata). A u t . Nr. 1195/38.
Nella steatocirrosi autonoma vera e propria, si ha steatosi ali 'inizio: dal comune fegato grasso diffuso (vedi pag. 83) si passa, in casi rari, attraverso lo stadio intermedio del fegato grasso indurito (CACHERA e LAMOTTE) ad una steatocirrosi (già presunta da ROSSLE e da ritenere oggi molto probabile (vedi sotto). Il cosiddetto «fegato dei bevitori» è per lo più il « grosso fegato grasso » (POPPER, SZANTO e ELIAS) oppure, come dice ROSSLE, il «fegato pesante» (con peso da 2500 a 4150 gr.); si tratta in tal caso di una « epatite cronica non cirrotica ». Vi appartiene anche il caso di KAUFMANN che a Breslavia osservò in una donna gravemente marantica (bevitrice di alcool), un fegato grasso del peso di 3380 gr. con cirrosi incipiente. Dal punto di vista macroscopico il fegato grasso indurito è caratterizzato da aumento di volume e rigidezza dell'organo che è tozzo e di colore intensamente giallo. Dal punto di vista istologico il
LA
CIRROSI
EPATICA
321
tessuto periportale poco abbondante presenta infiltrazioni di cellule rotonde e il reticolo fibrillare reticolare appare aumentato (RÒSSLE). Invece la vera steatocirrosi ipertrofica presenta una spiccata durezza (però inferiore a quella della semplice cirrosi epatica); il fegato è giallo, tozzo, i bordi sono spesso arrotondati, la superficie spesso liscia; assomiglia ad un fegato fortemente grasso ad eccezione della consistenza notevolmente aumentata. Dal punto di vista istologico, oltre alla considerevole steatosi delle cellule del fegato, con deposito di esteri di colesterina nelle cellule stellate di Kupffer, colpisce, prima di tutto come caratteristica diagnostica differenziale, la formazione di setti connettivali (fig. 115) che secondo POPPER, SZANTO e d ELIAS
(contrariamente ai reperti nella solita cirrosi
« portale ») dovrebbe venir contrassegnata come « portocentrale » e che spesso si presenta in forma di membrane. Completano il quadro infiammazioni periportali e rare necrosi (?) intralobulari. Secondo HARTROFT anche nell'uomo si osservano isolate cosiddette cisti adipose (vedi pag. 333). Sulla patogenesi della steatocirrosi vedi sotto.
c) C I R R O S I P O S T N E C R O T I C A ( C I R R O S I E P A T I C A T O S S I C A DI M A L L O R Y ; C I R R O S I DI MOSSÉM A R C H A N D - M A L L O R Y ; CIRROSI D A A T R O F I A G I A L L A DEL F E G A T O POSTNECROTIC S C A R R I N G ; CIRROSI E P A T I C A P0STDISTR0F1CA)
L a cirrosi postnecrotica era in realtà nota già da molto tempo per quanto riguarda la sua natura e la sua genesi, ma finora era ritenuta molto rara. Lo studio sempre maggiore della epatite virale ha portato a riconoscere più generalmente questa cirrosi (che rappresenta la forma più frequente della cirrosi postepatitica: v. pag. 326) e le ha procurato il nome oggi in uso (THALER). L'autore ritiene giustificato di enuclearla come forma speciale, perfino abbastanza frequente (nell'Istituto dell'Autore 18,6 % ; secondo KNUCHEL 26,4 %), soprattutto per la sua genesi diversa dalle altre. Come nella steatocirrosi, anche nella cirrosi postnecrotica si devono separare alcuni quadri clinici che non dovrebbero essere considerati come vere cirrosi (benché purtroppo spesso vengano così ritenuti). A questi appartengono la iperplasia multipla nodosa di Marchand, molto genericamente il « fegato con cicatrici » (fegato a patata di Kalk) a decorso non progressivo ed il collasso stromale isolato da atrofia gialla subacuta del fegato. RÓSSLE ha accennato alle difficoltà di distinguere questi quadri dalla cirrosi pura ed ha caratterizzato (non col nome sovraindicato, ma tuttavia ben giustamente) il quadro macroscopico della cirrosi postnecrotica nel modo seguente: la cosa più essenziale è la sua nodularità molto grossolana (tanto che secondo RÒSSLE essa è la cirrosi più grossolanamente granulosa, mentre KAUFMANN in casi simili pensò ad una genesi sifilitica). Per il resto l'organo 21
—
KAUFMANN
II,
p.
II
IL FEGATO
322
è poco profondamente solcato, per lo più impicciolito, non particolarmente duro, di aspetto grigiorossastro-bruno pallido, spesso variegato, attraversato da bande di tessuto connettivo biancastro-rossiccio e di aree di parenchima epatico collabite. Istologicamente la cosa più importante è la neoformazione di tessuto connettivo di natura infiammatoria, che deriva attraverso il solito collasso « blando » (se così si può dire). I lavori recenti non
hanno
aggiunto
molto;
YAZIGI, ARMAS-CRUZ,
SILVA
e
OSSANDON
Fig. i l 6 . Cirrosi epatica post-necrotica. Operato di splenectomia e di anastomosi spieno-renale. Trombosi della vena porta e della vena splenica. Uomo di 21 anni che all'età di 16 anni a v e v a sofferto di epatite virale. (Aut. N. 33353 dell'Istit. di A n a t . e Istol. Patol. dell'Univ. di Milano).
confermano la frequente diminuzione di peso (secondo WERTHEMANN dal 12 al 46 %) e il volume considerevole dei « nodi sferici » (fino a 4 cm. di diametro). THAILER dà importanza alla irregolarità della distribuzione delle necrosi con lobuli spesso ancora conservati. POPPER e ELIAS sottolineano lo spostamento delle aree periportali col risultato di una biforcazione ad angolo acuto dei vasi e dei dotti biliari. Si possono trovare necrosi massicce naturali nella fase iniziale. Clinicamente dovrebbero riscontrarsi dolori al ventre (RATNOFF e PATEK). Si possono avere complicazioni simili a quelle della cirrosi di Laennec.
2. G E N E S I C A U S A L E D E L L E C I R R O S I
PRECEDENTI
Potrebbe sembrare strano a tutta prima e contrario all'uso comune il trattare qui insieme la patogenesi di forme di cirrosi tanto differenti in apparenza. Ma, secondo le nostre attuali cognizioni, la cirrosi di Laennec,
LA CIRROSI EPATICA
323
la cirrosi grassa e la cirrosi postnecrotica hanno stretti rapporti fra di loro: esse infatti sono strettamente affini dal punto di vista patogenetico e non è d a v v e r o facile dipanare, l'una dall'altra, le cause spesso combinate, che si incrociano. V i sono specialmente due fattori che nei due ultimi decenni hanno enormemente influenzato la nostra concezione della patogenesi di tali forme cirrotiche: l'alterato regime dietetico che può portare alla cosiddett a « cirrosi dietetica » e la epatite virale col suo passaggio, anche se raro, in « cirrosi postepatitica ».
a) CIRROSI ALCOOLICA Malgrado queste nuove cognizioni, la questione dell'importanza dell'alcool è pur sempre interessante. Questo vale non solo per la steatocirrosi, che si sviluppa nel fegato grosso e pesante dei bevitori, ma anche per la cirrosi di Laennec. In questa l'alcool, e precisamente soprattutto i liquori, ha una reale importanza, anche se un tempo v a l u t a t a troppo unilateralmente; secondo l'opinione di molti A A . la sua azione è essenzialmente predisponente o agente in via secondaria, attraverso ad alterazioni gastrointestinali (tossine); secondo altri invece l'alcool ha importanza subordinata: inoltre vanno prese in considerazione certamente anche le infezioni (vedi sotto). K A U F M A N N eseguì a Breslavia l'autopsia di una cirrosi epatica tipica con tutte le sue gravi conseguenze, tumore di milza, ascite, ecc. in un quindicenne che era notoriamente bevitore di liquori. Il fatto che la vecchia denominazione « fegato da bevitore » veniva usata come ovvia per la cirrosi epatica da patologi sperimentati come B I R C H - H I R S C H F E L D e dalla scuola di R O K I T A N S K Y , dovrebbe in verità parlare a sufficienza per un tale rapporto, anche se allora non si poteva dir nulla di sicuro sul « come » dei rapporti fra alcoolismo e cirrosi epatica. Le personali esperienze di K A U F M A N N specialmente nelle autopsie eseguite a Breslavia ed a Basilea non gli lasciarono alcun dubbio sull'importanza dell'alcoolismo (anche R Ò S S L E è della stessa opinione). Secondo C. S T E R N B E R G , persino il V E S A L I O (1514-1564) avrebbe già ricordato il rimpicciolimento del fegato per abuso di alcool.
Nelle vecchie statistiche, nei 3/4 e più dei casi di cirrosi epatica si riscontrò alcoolismo cronico (vedi SIMMONDS, KLOPSTOCK, bibl, KERN, FAHR). Anche oggi viene riconosciuta la grande importanza dell'alcool (BARAHONA,
HUENGES,
KALK,
LOISY,
PLAUCHU
e GIRAD,
G.
MULLER).
HALL, OLSEN e DAVIS hanno trovato nel 79 % dei loro 782 casi di cirrosi epatica bevitori forti, n e l l ' n % bevitori moderati (con altri interessanti dettagli). Su 208 casi di cirrosi di ARMAS-CRUZ, YAZIGI, LOPEZ, MONTERO, CABELLO e LOBO vi erano 114 uomini ( = 82 % dei maschi) e 24 donne
324
IL
FEGATO
( = 38 % delle femmine) alcoolisti. Sul piccolo numero di 63 casi di cirrosi, DE GRAYLLY constatò tuttavia in 28 casi l'alcoolismo. D'altra parte solo un piccolissimo numero di alcoolisti mostra una cirrosi epatica, mentre la maggioranza presenta solo steatosi epatica o nessuna alterazione (vedi FAHR) . Però bisogna tener presente che i bevitori possono anche giungere a morte prima degli ultimi decenni di vita, nei quali per lo più cominciano ad apparire i fenomeni cirrotici. Si pensò anche a condizioni predisponenti, quali differenze di razza oppure differenze di qualità nelle bevande alcooliche locali (in Iscozia la cirrosi è rara, in Inghilterra è frequente, vedi STEWARD, f o r m e a d e c o r s o s u b a c u t o a L o s A n g e l e s : H A L L , OLSEN e DAVIS); si p e n s ò
anche che la cirrosi colpisca solo individui anomali, soprattutto quelli con disturbi nei rapporti fra funzioni endocrine e rigenerazione in caso di abuso di alcool ed intossicazione alcoolica (GOLDZIEHER). Erano naturalmente solo ipotesi. R i g u a r d o a l l a cirrosi e p a t i c a degli alcoolisti le opinioni erano g i à p r i m a divise, se si t r a t t a s s e di u n a a z i o n e diretta d e l l ' a l c o o l stesso sul f e g a t o o se i d i s t u r b i dello s t o m a c o e dell'intestino, c a u s a t i indirettamente d a l l ' a l c o o l ( B o i x , s p e c i a l m e n t e f o r m a z i o n e di acidi grassi, s o p r a t t u t t o a c i d o butirrico) e l ' a u t o i n tossicazione d i s p e p t i c a o e n t e r o g e n a d a essi c a u s a t a fossero la c a u s a a g e n t e e l ' a l c o o l i s m o s o l t a n t o u n f a t t o r e p r e d i s p o n e n t e (KLOPSTOCK) (vedi sotto). P r e c e d e n t i esperimenti su a n i m a l i c o n intossicazione a l c o o l i c a cronica diedero r i s u l t a t i c o n t r a d d i t t o r i e n e l l a m a g g i o r p a r t e dei casi n o n e b b e r o successo
(bibl.
in
KLOPSTOCK,
POGGENPOHL,
SALTYKOW)
e
v.
BAUMGARTEN
nel
1907 n e g ò perfino qualsiasi e f f e t t o dell'alcool sul f e g a t o m a l g r a d o dosi f o r t i e u n a s o m m i n i s t r a z i o n e di l u n g a d u r a t a . SCHAFIR (bibl.) invece, c h e c o n s t a t ò nei conigli u n a u m e n t o di fibre reticolari, crede di p o t e r n e dedurre u n ' a z i o n e p e r dir così « cirrogena » dell'alcool (vedi a n c h e GRÒ VER). I n esperimenti u l t e riori (LISSAUER) f o r t i dosi di alcool i n t r o d o t t e p e r v i a e n d o v e n o s a , orale o s o t t o c u t a n e a , p r o v o c a r o n o sì alterazioni cirrotiche nei conigli, p e r ò n o n in t u t t i i casi, a n c h e q u a n d o l ' e s p e r i m e n t o era s t a t o f a t t o allo stesso m o d o , cosicché K Y R L E e SCHOPPER f o r m u l a n o l ' i p o t e s i di u n a speciale disposizione nei casi positivi. K Y R L E e SCHOPPER c o m e JAFFÈ v e d o n o l'inizio in u n a lesione del p a r e n c h i m a epatico. A n c h e in q u e s t i esperimenti b i s o g n a t e n e r c o n t o che, c o m e si sa d a m o l t o t e m p o (vedi KLOPSTOCK e a n c h e BEITZKE), la cirrosi e p a t i c a si m a n i f e s t a t a l v o l t a a n c h e s p o n t a n e a m e n t e nei conigli.
Anche se oggi l'importanza dell'alcool non è affatto sottovalutata (vedi le statistiche precedenti), tuttavia si è dovuto abbandonare l'ipotesi di una esclusiva azione tossica diretta (con questo cade anche l'ipotesi di una specificità per l'alcool dei cosiddetti corpuscoli j alini di Mallory, vedi pag. 308). Come causa principale valgono piuttosto i gravi disturbi dietetici, che vengono determinati indirettamente dall'abuso cronico di alcool (HARTROFT, KLATSKIN): in parte il bevitore (a causa della anoressia alcoolica) si nutre insufficientemente, soprattutto con dieta povera di proteine (SEPULVEDA, ROIAS e LANDA), in parte insorgono scompensi intestinali con difficoltà
LA CIRROSI
EPATICA
325
di digestione e di assorbimento delle proteine (in seguito a disturbi vitaminici ed enzimatici); (WANSCHER afferma che negli animali questo non si può provare in modo convincente: TAYEAU dice il contrario). Secondo il parere dell'Autore non si può trascurare una azione tossica addizionale dell'alcool, che si deve considerare come molto importante nella malnutrizione o nell'epatite virale che evolvono in cirrosi epatica (vedi pagg. 95 e 330). Esiste netta differenza nella concentrazione del ferro epatico tra la cirrosi portale alcoolica nella quale è notevolmente aumentato, e altre forme di cirrosi (CARBONERA, JOHNSON e PIRANI).
b) CIRROSI DIETETICA D a quanto è detto sopra, basta un piccolo passo per ammettere che anche indipendentemente da qualsiasi uso di alcool (la cirrosi è frequente in popoli che non bevono alcool, DE RAADT; nei maomettani: LEBON, FABREGOULE e EISENBETH, inoltre negli Indù) i disturbi dietetici possono portare alla cirrosi epatica. Si comprende più facilmente la cosidetta « cirrosi dietetica » (cirrhose de régime), se si conosce l'effetto, già esaurientemente trattato, di una alimentazione scadente, povera di proteine, ricca di idrati di carbonio e di grassi, specialmente povera di fattori lipotropi (HARTROFT, MAYER, tabella di esperimenti relativi). A questo riguardo bisogna ricordare anche le conseguenze della pellagra (fino al 30 % di cirrosi epatica: W . FISCHER; anche MAINER) e del Kwashiorkor (MORETTI, BERMAN) (vedi pag. 93). Si sa che si osservano talvolta necrosi massive (pag. 36) e talaltra una steatosi diffusa del fegato (vedi pag. 92). Esiste dunque anche la possibilità della formazione di una cirrosi postnecrotica quanto di una steatocirrosi (vedi sotto genesi formale). La prima può essere prevenuta e corrispondentemente migliorata con cistina, la seconda con colina, entrambe con metionina (TAYEAU). Si possono citare a questo riguardo gli esperimenti che volevano provocare una cirrosi epatica, asportando il pancreas (GILLMAN e CHAIKOFF) o legando i dotti escretori del pancreas (Rossi e S E R V E L L O ) . W E B S T E R e W I L L I A M S citano atrofia e fibrosi del pancreas in bambini con cirrosi epatica e steatosi. Con questo anche la concezione espressa occasionalmente della cirrosi epatica grassa come cirrosi tesaurismosica viene infirmata, le sue cause sono note, non si tratta di una « malformazione » del metabolismo (v. GIERKE) e può essere debellata facilmente, con mezzi ad hoc (somministrazione di colina e proteine). Si sa che tutto questo non concorda con le vere tesaurismosi. Anche per la cirrosi di Laennec viene molto dicussa la genesi da errata alimentazione. ROULET e GLOOR ritengono che la cirrosi epatica, tanto simile a quella di Laennec, riscontrata spesso nei negri maschi d'Africa dai
326
IL FEGATO
20 ai 40 anni, sia la conseguenza della alimentazione povera di proteine, ricca di grassi, a base di miglio, cucinata con olio di noci del Camerun (è interessante notare che queste cirrosi non sono grasse). Anche fra gli indù rigidamente fedeli alla religione, che hanno alimentazione quasi esclusivamente vegetariana, la cirrosi epatica si riscontra spesso già nei bambini (WAHI). Siccome la cirrosi rappresenta frequentemente una tappa nello sviluppo del cancro primitivo del fegato (pag. 436), sono state studiate le sue cause anche sotto questo aspetto specialmente da BERMAN ed anche qui viene data la massima importanza ai fattori dietetici: manc a n z a d i p r o t e i n e , p e l l a g r a ! GILLMAN, GILLMAN, MANDELSTAM e G I L B E R T
riuscirono a provocare cirrosi nei topi con una « dieta bantu », cioè con una alimentazione a base di granturco e latte acido. Però l'alimentazione difettosa da sola non è causa sufficiente ad indurre una cirrosi (POPPER e SCHAFFNER, vedi anche WALTERS e WATERLOW). Contro questa ipotesi parlano esperimenti su topi: ARAGONA, CANNATA e BARONE, WAHI (vedere però
sopra GILLMAN e Coli.). Sappiamo anche che la forte infiltrazione grassa del fegato senza fibrosi riscontrata spesso nei bambini denutriti a Giacarta può guarire perfettamente; perfino fibrosi già in atto in bambini con scompensi dietetici possono regredire (MENEGHELLO, NIEMEYER, DANUS, RUBIO e ESPINOZA). JOE e TJOKRONEGORO, h a n n o perciò preso in
considerazione la combinazione con una epatite virale.
c) C I R R O S I
POSTEPATITICA
Mentre fino ai primi anni del dopoguerra molti negavano l'esistenza di u n a v e r a cirrosi p o s t e p a t i t i c a (LUCKÉ, KLATSKIN e RAPPAPORT, W E L I N ;
SMETANA non riscontrò su 356 puntati epatici alcun passaggio verso una cirrosi vera e propria), oggi non si dubita più della possibilità di tale p a s s a g g i o (ROHOLM e I V E R S E N , A X E N F E L D e B R A S S , K Ö N I G ,
AUFDERMAUR,
WERTHEMANN, bibl., richiede però critica severissima). Esistono però divergenze di opinioni circa la frequenza delle cirrosi postepatitiche. Riferita al numero di tutti i malati di epatite essa risulta per lo più rara (0,5 % di tutti i casi di epatite: WERTHEMANN, KALK, WATSON. Secondo
a l t r i sotto
il
2 %;
BAUZÀ,
FERRADA,
F R A S C O L I , GUZMAN,
KRI-
BERG e AGUILAR nei b a m b i n i , KUBICKI. A l t r i a n c o r a f r a il 3 e il 4 %: G . M Ü L L E R , D U B I N , G E R E N D E e SMETANA, K O S Z A L K A ,
LINDERT,
SNOD-
GRASS e LERNER, SHERLOCK: valutazione rettificata). Se ci sono isolatamente percentuali più alte (SHERLOCK 7,5 % ; CRAIG e LANDING lattanti 10 % ; BENDA, RISSEL e THALER oltre 30 % ) allora si t r a t t a per lo p i ù di
materiale selezionato, oppure vennero incluse nel conteggio le pseudocirrosi. In Giappone del resto la cirrosi epatica postepatitica pare sia frequente
LA
CIRROSI
327
EPATICA
(AMANO). L a percentuale della genesi epatitica, riferita a tutte le cirrosi epatiche è secondo PELLISSIER del 41,4 %; secondo KALK 35,8 % ; secondo ARMAS-CRUZ,
YAZIGI, LOPEZ,
MONTERO,
CABELLO e LOBO p e r ò
solo
del
2 5.7
% ( a quanto pare insignificante, poiché nel 18,3 % di altri malati c'è pure una anamnesi epatitica), secondo HOLZNER, RISSEL e SPRINGER del 21 % . Invece solo nel 5 % circa delle cirrosi osservate dall'Autore fu potuta accertare in certo qual modo una genesi epatitica, tuttavia con la premessa che non ogni cirrosi postnecrotica può essere considerata come epatitica. AUFDERMAUR trovò l'8,3 % . Secondo KALK la cirrosi postepatitica è oggi 3-4 volte più frequente della cirrosi alcoolica. La cirrosi postepatitica si può sviluppare molto rapidamente dopo una epatite: WERTHEMANN dà un minimo di 2 a 6 mesi, SHERLOCK da 5 a 8 mesi (il dato di PELLISIER di 15 giorni è inverosimile). Di solito però essa dura più a lungo (KALK, da 16 a 24 mesi). CRISMER e LAMBERMONT parlano di « cirrosi metaitterica » e sottolineano i segni prognosticamente sfavorevoli. Quali forme di cirrosi possono venire a determinarsi in conseguenza di una epatite virale, è una questione che merita speciale interesse. Mentre tanto l'alcool quanto l'alimentazione carenzata possono portare allo stesso modo ad una steatocirrosi, questa possibilità cade per l'epatite virale: la cirrosi postepatitica non è generalmente grassa in quello stadio (MENEGHELLO, N I E M E Y E R , DANUS, R U B I O e ESPINOZA, AMANO, W E P L E R ;
secondo BAGGENSTOSS e STAUFFER tuttavia un deposito di grasso è possibile). Anche se tutti i casi di iperplasia nodosa multipla di Marchand, erroneamente chiamata cirrosi, rimangono fuori considerazione (BERGSTRAND accenna in casi simili al fegato lobato sifilitico), tuttavia la vera cirrosi epatica postnecrotica a grossi nodi è la forma più frequente di cirrosi post-epatitica. Tutti sono d'accordo nel riconoscerlo (BALTZ, STEELE e HARTMANN, K U N K E L e L A B B Y , PERKINS, BAGGENSTOSS e SNELL, BAGGENSTOSS e S T A U F F E R , T H A L E R , F I O R E - D O N A T I ) . D U B I N , G E R E N D E e S M E T A N A
designano la cirrosi postnecrotica addirittura come il « tipo della cirrosi post-epatitica ». Sembra dunque che la necrosi cellulare sia spesso preponderante rispetto ai processi puramente infiammatori nella epatite virale (THALER) e ne determini l'evoluzione, mentre viene data speciale importanza alla rigenerazione della «piastra di confine» (pag. 11) (NUNES). È fuor di dubbio che anche la forma atrofica della vera cirrosi epatica di Laennec possa (ma non debbal), venire determinata eziologicamente da una epatite virale. KALK ha seguito via via il passaggio di una epatite virale acuta in una vera cirrosi epatica atrofica di Laennec mediante laparoscopia e agobiopsia (dati confermati dall'autopsia). BAGGENSTOSS e STAUFFER videro 7 volte su 43 casi, BENDA, RISSEL e THALER 5 volte una vera cirrosi epatica di Laennec da epatite virale. Secondo FIORE-DONATI questo avviene
328
IL FEGATO
raramente, ma sicuramente. AMANO indica l'epatite come causa principale della cirrosi epatica atrofica in Giappone (vedi inoltre BERGSTRAND, K U N K E L e L A B B Y , P E R K I N S e Coli.; HORSTEBROCK, CRISMER e LAMBERMONT,
NUNES non ha invece riscontrato la comparsa di una cirrosi epatica di Laennec dopo epatite). In casi rarissimi sarebbe stata riscontrata talvolta anche una cirrosi ipertrofica (colangiolitica?) (indicata singolarmente come forma di Hanot) a seguito di una epatite virale (WOHLWILL, NUNES, AUFDERMAUR, BRUNS, MENEGHELLO e Coli., THALER, BARAHONA, FIORE-DONATI; vedi a questo riguardo a pag. 371). Talvolta si osservano anche cirrosi caratterizzate da lesioni parenchimali disposte a ghirlanda attorno a formazioni nodose piatte e irregolari (BERGSTRAND, THALER). Siccome dunque evidentemente possono formarsi cirrosi epatiche atrofiche tanto nei bevitori quanto dopo epatite virale, B A G G E N S T O S S e S T A U F F E R hanno cercato caratteristiche diagnostiche differenziali: la cirrosi alcoolica, che di preferenza compare negli uomini anziani, dovrebbe determinare un peso del fegato sempre superiore al normale e porterebbe anche più di frequente alla morte per emorragia da varici esofagee; mentre la cirrosi postepatitica mostra una atrofia del lobo sinistro del fegato e una tendenza all'epatargia. L'Autore è del parere che questi dati dovrebbero essere ancora esaminati con maggiore precisione. Secondo L O I S Y , P L A U C H U e G I R A R D le cirrosi alcooliche decorrono in modo nettamente più lento delle postepatitiche e la loro prognosi è migliore. Riassumendo dobbiamo dunque ammettere 3 forme principali del passaggio dalla epatite alla cirrosi (prescindendo dalla pseudocirrosi di Marchand): e precisamente la cirrosi postnecrotica a nodi grossolani come la più frequente, la cirrosi di Laennec più rara e del tutto isolata una forma colangiolitica ipertrofica (spesso chiamata cirrosi di Hanot). T a l v o l t a le cirrosi sono « circoscritte » (MENEGHELLO e Coli.) oppure evolute « irregolarmente»
(BENDA,
RISSEL e
THALER).
d) CIRROSI TOSSICHE (COMPRESE LE INFEZIONI LOCALI ASPECIFICHE) Il numero delle sostanze tossiche in senso lato, in conseguenza delle quali venne osservata una cirrosi epatica nell'uomo e specialmente negli esperimenti su animali, è abbastanza grande. L'uso di tetracloruro di carbonio ha dato i risultati più positivi: esso è soprattutto attivo, se somministrato ripetutamente in piccole dosi (ATERMAN: inizio con alterazioni idropiche delle cellule; CAMERON e KARUNARATNE; COSTA e SMORLESI: epatectomia parziale determina regressione della cirrosi; CARBONERA e PALAZZI; DIENGOTT e UNGAR: il cortisone rinforza l'azione cirrogena;
LA
CIRROSI
329
EPATICA
MORMONE; STOWELL, L E E , TSUBOI e VILLASANA: o s s e r v a z i o n e di
altera-
zioni chimiche del fegato; G. KAUFMANN, TAYEAU, WHITE). Tentativi di provocare una cirrosi epatica con numerosi altri veleni danno risultati positivi in alcuni casi, quando si inala o si inietta sottocute cloroformio (p. es. JAFFÉ), oppure usando Toluilendiamina, carbonato d'ammonio e anche spennellando con catrame la pelle (DOMAGK). Si riscontrano qui combinate degenerazione del parenchima, proliferazione del tessuto interstiziale e proliferazione rigenerativa delle cellule del fegato. KUHN e QUADBECK riuscirono ad ottenere sempre cirrosi epatiche gravi in un gruppo di 12 topi in 19 settimane somministrando 3'metiidimetilaminoazobenzolo. L o stesso avviene con dimetilaminoazobenzene (giallo di burro, vedi anche W . FISCHER) . In corso di avvelenamento cronico da fosforo si ha dapprima una estesa necrosi cellulare del fegato e solo più tardi produzione di tessuto connettivale. Recentemente si riscontrarono cirrosi anche per azione dell'arsenico
(HARREN e HEINLEIN, LIEBEGOTT,
ROTH in vignaiuoli,
in-
dicata come cirrosi epatica postnecrotica), selenio (periodo di latenza! MAYER), silicio
( G Y E e P U R D Y , VOLWILER, GRINDLAY e BOLLMANN:
cir-
rosi endotelio tossica? RÒSSLE), manganese (HARAGUCHI), tiroxina (GUYE e RUTISHAUSER), acido t a n n i c o ( K O L T A Y e KORPASSY), c i n c h o p h e n
(WER-
THEMANN), Senecio jacobaea (erba di San Giacobo) (BETTY e MARKSON, B R A S , J E L L I F F E e S T U A R T ) , h e l i o t r o p u m l a s c i o c a r p u m (CHANIN) e f o r m i a t o d'allile (BEIGLBÒCK; s o t t o c u t e : POPPER; c o n t e s t a t o d a GERHARTZ, KESSEL,
KORTGE e PEZOLD). Il rame non dà cirrosi epatiche vere e proprie (TACHIBANA; vedi anche pag. 155). L'impiego di thorotrast (v. MEYENBURG, GILBERT, JONSEL e LINDGREN, AGUIRRE e JÒRG, MARIANI, FONTAINE GROS,
GRAMPA
e TOMMASINI-DEGNA),
di plutonio
(BRUNS, LISCO e
e
KI-
SIELESKI), q u a n t o d i o r o c o l l o i d a l e r a d i o a t t i v o ( H A H N , J A C K S O N e G O L D I E ) p u ò d e t e r m i n a r e c i r r o s i e p a t i c a . V . i n W H I T E , CONGDON, D A V I D e A L L Y ,
cirrosi da irradiazione Roentgen totale. Anche malattie infettive acute, come scarlattina, morbillo (BINGEL), broncopolmoniti (AUFDERMAUR) ed in generale infezioni locali batteriche (flemmoni: AXENFELD e BRASS) possono per lo meno favorire la formazione di una cirrosi epatica indirettamente attraverso una epatite non specifica (pag. 227). Rientra in questo campo anche la cirrosi epatica estremamente rara da mononucleosi infettiva (LEIBOWITZ e BRODY, MARSHALL e MILLINGEN, WADSWORTH e KEIL). Circa la cirrosi epatica (postnecrotica) consecutiva a morbo di Weil vedi pag. 143. ARAGONA, CANNATA e BARONE pensano, come già precedentemente molti A A . , anche a prodotti tossici di degradazione, che si formano nel canale intestinale per dieta non fisiologica: « autointossicazione enterogena ». La somministrazione di acidi grassi, così come per lo più di altri prestadi dell'acetone in conigli determinò di solito alterazioni del protoplasma (steatosi, necrosi), e altre anche del fegato, e determinate alterazioni interstiziali 21* —
KAUFMANN
II, p.
II.
IL FEGATO
33° (vedi POGGENPOHL, bibl.), sebbene per lo più non una tipica cirrosi epatica (cfr. D ' A M A T O e Y O A N N O W I C S , bibl.). Maggior successo segnala L I S S A U E R che ottenne alterazioni cirrotiche usando acqua di lavaggio di carne putrefatta nei conigli. D E R A A D T vede nell'ammoniaca intestinale la tossina che lede il fegato (la cirrosi epatica dei cavalli viene pure ricondotta ad autointossicazione enterogena ( M U G L E R , bibl., idem per i maiali cfr. J O E S T . C H A L A T O W ottenne cirrosi epatica mediante somministrazione con colesterina). BERMAN prende in considerazione « l'eccesso di condimento con spezie » nell'alimentazione (pepe e curry). Arriviamo così a cause che vennero discusse anche nella genesi dell'atrofia epatica gialla-acuta (pag. 50). Infine non si deve dimenticare la eclampsia che qualche volta, molto raramente però, può terminare in cirrosi (RÖSSLE). Che anche la tubercolosi possa portare a steatosi di lunga durata del fegato e quindi eventualmente a cirrosi epatica è già stato notato (pag. 349 e seguenti). Dovrebbe essere difficile delimitare una cirrosi da Conteben (4 acetil-amino-benzolamido-tiosemicarbazone) che HOLLE ritiene possibile.
e) COMBINAZIONI DEI FATTORI SUCCITATI Se consideriamo il significato dei singoli fattori eziologici esclusivamente dal punto di vista critico, bisognerebbe dire che nessuno di essi da solo potrebbe rappresentare il mezzo di elezione per provocare con certezza una determinata cirrosi epatica. Si sa che animali sottoposti a trattamento uguale presentano forme di cirrosi diverse (GILLMAN e CHAIKOFF). Ancora più difficile è la valutazione delle noxae attive sull'uomo, poiché di un grande numero di individui già « lesi nella stessa maniera » (alcool, epatite virale, determinati veleni, ecc.) solo relativamente pochi si ammalano veramente di cirrosi. (Del resto gli uomini presentano più forme alcooliche e le donne più forme postepatitiche). L'opinione generale, che è anche quella dell'Autore, tende oggi, perciò, a pensare che esista una eziologia complessa (KALK), cioè che una cirrosi si formi per lo più solo dalla combinazione di almeno 2, m a spesso di parecchie delle cause singole succitate. Come gruppi di fattori, che agiscono volentieri insieme, sono noti: alcool + alimentazione difettosa (SEPULVEDA e Coli., vedi sopra), oppure alcool +
epatite virale ( K A L K , K U N K E L e L A B B Y , SMETANA, ALBOT,
HERMAN e CORTEVILLE), oppure epatite virale e dieta incongrua (KALK, MENEGHELLO
e Coli.,
SMETANA,
PELLISSIER,
JOE e TJOKRONEGORO),
ma
anche combinata con infezioni banali (AUFDERMAUR, KUNKEL e LABBY, PELLISSIER), infine le infezioni non specifiche che accompagnano la denutrizione cronica (WAHI, ARAGONA e Coli., POPPER e SCHAFFNER). Come fattori predisponenti supplementari possono venir incolpati l'età (CRISMER
LA
CIRROSI
331
EPATICA
e LAMBERMONT, K U N K E L e L A B B Y ) , l a mancanza
di cura del corpo
(KALK,
WALTERS e WATERLOW), forse anche scompensi dell'equilibrio ormonico (ipofisi — ghiandola tiroide: GILLMAN e CHAIKOFF, MAYER), oppure del sistema nervoso vegetativo (BROCARD). Ultimamente si è parlato anche di una componente « mesenchimopatica » (PECCHIAI e RILKE) nel quadro di una « scleropatia » (EMMRICH). Non si sa ancora quanto possano influire i disturbi funzionali primitivi del fegato. ALBRICH e HEFEL vogliono render responsabili anche processi allergici', le cellule in disfacimento del fegato agirebbero come antigeni (donna giovane, idiosincrasia per il pesce da anni, morte in coma epatico 5 giorni dopo rinnovata alimentazione a base di pesce: accesso recente distrofico in corso di cirrosi epatica già esistente). Considerazioni analoghe forniscono CATTAN, AJURIAGUERRA, CARASSO, DAUSSET, HOPPELER e ZERAH in cirrosi e p a t i c h e c o n
anemia
emolitica (in una quarantenne) (vedi anche BRIELLMANN). Riepilogando, per ognuna delle 3 cirrosi studiate nel capitolo a), secondo la divisione morfologica classica, esistono parecchi fattori eziologici: per la cirrosi di Laennec le cause conosciute oggi sono l'alcool, l'alimentazione errata e l'epatite virale. Una cirrosi grassa può formarsi tanto per grave alcoolismo cronico quanto per denutrizione e infine la cirrosi postnecrotica si può spiegare tanto per epatite virale o per cause tossiche quanto per estremi errori dietetici. Il fatto che malgrado lo stesso gruppo di cause risulti una volta una, una volta un'altra forma di cirrosi epatica dipende, secondo l'autore, dal valore diverso (anche quantitativamente) dei singoli fattori nei diversi complessi di cause, inoltre da fatti accessori (infezioni) ed infine dalla costituzione del fegato come organo bersaglio, cioè dalla disposizione di organo (KETTLER: Erg. Path.).
3. G E N E S I F O R M A L E D E L L E C I R R O S I S U D D E T T E Se vale come risultato del capitolo precedente sulla eziologia della cirrosi epatica che fattori diversissimi o gruppi di fattori spesso possono tuttavia causare la stessa forma di cirrosi epatica, bisogna viceversa notare anche che una cirrosi nel corso del suo sviluppo può cambiare il suo aspetto formale nello stesso paziente. Gli Americani (HALL, OLSEN e DAVIS ed altri) tentano perciò di distinguere nella cirrosi di Laennec stadi diversi: lo stadio acuto (da chiamare meglio col nome di precirrosi, vedi sotto), quello subacuto (anche stadio precoce; con fegato grande, ricco di grasso) e quello subcronico, intermedio (con contenuto di grasso in diminuzione). Queste forme ancora progressive terminano nella cirrosi atrofica stazionaria (cioè inattiva, statica) con fegato raggrinzito, senza grasso. Però la divisione
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IL FEGATO
così proposta non sembra ancora definitiva per i diversi andamenti della cirrosi di Laennec. Si possono tuttavia dal punto di vista formale raggruppare le cirrosi anche secondo il tipo dell'inizio e precisamente a) con steatosi (cirrosi alcoolica, cirrosi dietetica), b) con « degenerazione », quindi anche con necrosi (cirrosi postepatitica, cirrosi tossica; vedi L O I S Y , P L A U C H U e G I R A R D ) . Queste forme presentano differenze anche per quanto riguarda i risultati terapeutici (vedi sopra), a) A d ogni modo oggi dobbiamo ritenere sicuro che anche la cirrosi epatica di Laennec classica, senza grasso, cronica, può (non « deve »!) passare per uno stadio con steatosi (fegato grasso non caratteristico). Questa è l'opinione di MOSCHCOWITZ, P A T E R N I , MORRISON, L O I S e Coli.; M E N E G H E L L O e Coli., H A L L , O L S E N e D A V I S , B A R A H O N A . Questo deve essere specialmente frequente nel diabete mellito (JAQUES). In queste forme mancano in principio le necrosi parenchimali. b) Se queste ci sono (nel qual caso la steatosi non è obbligatoria, A M A N O ) allora può formarsi per diffusione su larga scala dopo estesissimo collasso del tessuto e « formazione di fessure » (vedi sotto) la cirrosi postnecrotica e invece se le cellule muoiono in piccoli focolai si forma la cirrosi di Laennec. Infine si sono distinte le cirrosi anche a seconda della variabile localizzazione delle alterazioni iniziali all'interno del lobulo del fegato: così alcune cirrosi tossiche (specialmente in corso di avvelenamento da tetracloruro di carbonio) dipendono da necrosi attorno alla vena centrale ( G . K A U F MANN, A T E R M A N ) e T H A L E R lo ammette anche per la cirrosi postepatitica (controbattuto da K A L K , da W E P L E R ) . La cirrosi grassa è caratterizzata come « portocentrale » secondo P O P P E R , S Z A N T O e E L I A S , mentre la maggior parte delle cirrosi alcooliche e delle altre provengono dal tessuto periportale (cirrosi portale, cirrosi «anulare»). In quest'ultimo caso si è voluto sottolineare, soprattutto nella genesi postepatitica, la « distruzione delle piastre liminali » (con successiva neoformazione, NUNES), rispettivamente il « rilassamento delle creste marginali » ( H Ò R S T E B R O C K ) come particolarità (vedi anche H O L L E ) . Una volta che una cirrosi si è messa in movimento in seguito ad un determinato agente nocivo (alla fine della fase primaria) arriva poco a poco ad un punto, a partire dal quale comincia una progredienza secondaria sua propria, indipendente dalla lesione primitiva. P O P P E R , E L I A S e P E T T Y ne accusano le anastomosi portoepatiche (Shunts, vedi sopra), a causa delle quali si ha insufficiente apporto di sangue e ripetute necrosi dell'epitelio. A questo fatto contrasta però il favorevole successo di una legatura dell'arteria epatica ( A L B O T e L E G E R ) che senza dubbio non dovrebbe determinare precisamente aumento di apporto di ossigeno. Inoltre per la iperpressione che domina nei noduli rigenerati si deve arrivare alla compressione dei vasi e perciò alla necrosi ischemica del tessuto. Infine apparirebbero nel tessuto epatico, in parte per azione di trazione nell'atrofia del
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parenchima con collasso dell'impalcatura, in parte per l'insorgere di distensioni nel territorio dei rigenerati maggiori, cosidette « fessure » che poi guariscono perfettamente con nuova formazione di tessuto connettivo e sviluppo dei noti setti cicatriziali. H Ò R S T E B R O C K , appoggiandosi al pensiero di autori americani (vedi sotto), va oltre e postula nelle cirrosi epatiche (prescindendo dalle forme che cominciano come « fibrosi periportali primitive ») l'aumento di volume del parenchima come prima ed unica causa. La sproporzione fra l'aumentato volume dell'epitelio del fegato e l'angustia dello stroma di sostegno determina « notevoli dilatazioni e distensioni » oltre che incrinature del tessuto fibrillare reticolare e perciò alterazioni dell'architettura. La formazione di « fessure » rappresenta un momento importante della patogenesi anche secondo P O P P E R e E L I A S . Le ultime due ipotesi secondo l'autore, hanno il punto debole che esse danno soltanto come « riparativa », perciò come assolutamente secondaria, la proliferazione di tessuto connettivo che avviene in seguito alla morte delle cellule del fegato e corrispondentemente delle lacerazioni di tessuto, il che per buone ragioni non è accettabile ( K A U F M A N N , R Ò S S L E , V. sopra). Del resto ci sono « lacerazioni dell'impalcatura » anche nella stasi sanguigna cronica, senza che si arrivi a vera e propria cirrosi da stasi. Il principio del cambiamento di fase e di forma vale anche per la cirrosi grassa: un fegato grasso diffuso (anche dopo anni di situazione invariata) non passa sempre attraverso lo stadio di fegato grasso indurito e di vera cirrosi grassa, con sviluppo continuo, fino alla forma atrofica di Laennec. Anzi esso indica soltanto una disposizione: viene scatenata da conseguenze infiammatorie indipendenti dal deposito di grasso, accoppiate solo occasionalmente con necrosi a piccole chiazze, anche da formazione di cicatrici nelle fessure da tensione ( A L B O T , G I L L M A N e C H A I K O F F , H E R M A N e C O R T E V I L L E , A R A G O N A , CANNATA e B A R O N E , P O P P E R e E L I A S ) . Invece il collasso di cisti di grasso (HARTROFT) non dovrebbe aver importanza speciale nell'uomo. Per la cirrosi senza grasso postepatitica K A L K ha seguito grado a a grado la genesi formale per mezzo di osservazione bioptica continua: dal « fegato grande rosso » (epatite acuta) attraverso il « fegato grande bianco » (con superficie leggermente corrugata o p i a t t a m a bernoccoluta), il « fegato grande variopinto » e il « fegato grande variopinto e bernoccoluto » si sviluppa alla fine la vera cirrosi atrofica di Laennec. E probante per il cambiamento di forma il fatto che grandi nodi singoli osservati alla laparoscopia possono più tardi scomparire. Con sguardo retrospettivo dobbiamo indicare la cirrosi di Laennec, la cirrosi grassa e la postnecrotica non solo come strettamente affini dal punto di vista eziologico, ma anche spesso apparentate da quello formale, il che giustifica la loro riunione in un capitolo comune. Secondo l'autore ne deriva altresì una ulteriore importante deduzione: questa è ormai la spiegazione per le forme intermedie che si manifestano t a n t o fre-
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IL
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quentemente, non corrispondenti allo « schema classico » e che a seconda degli studiosi vengono chiamate cirrosi « oscure » o « intermedie » o « di combinazione» (vedi pag. 300). Alcune cirrosi epatiche «ingrassate» alcuni fegati grossolanamente bernoccoluti rientrano in questo gruppo e non si possono indicare convincentemente come cirrosi di Laennec, né come forma post-necrotica. Come aggiunta al concetto odierno della « precirrosi » bisogna dire che lo circonda lo stesso discredito della « precancerosi ». Si devono intendere con questo termine le alterazioni del fegato, che possono passare in vere e proprie cirrosi con una certa probabilità. Tuttavia non si può sicuramente prognosticare se veramente il caso si verificherà. Di queste alterazioni precirrotiche fa parte soprattutto l'epatite cronica accompagnata da steatosi diffusa
(CACHERA, LAMOTTE e D A R N I S , A L B O T e L E G E R , SRIRAMACHARI e
ANANTHACHARI) Secondo HOLLE il Conteben (4-acetil-amino-benzolamido-tiosemicarbazone) deve determinare una lesione permanente «precirrotica ». v. MEYENBURG indica pure come precirrosi la cosiddetta « cirrosi epatica glabra» (BORST); essa presenta una «distorsione» senza aumento del tessuto connettivo collageno e senza infiammazione.
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CAPITOLO I I
CIRROSI TESAURISMOSICHE (CIRROSI POSTINFILTRATIVE)
Nelle cirrosi da accumulo secondo HORSTEBROCK la pressione del parenchima epatico eccessivamente riempito da materiale di riserva può portare a distensioni e fratture nel tessuto di sostegno: la neoformazione di tessuto connettivo riparatorio nel campo di tali fessure condizionerebbe il carattere della cirrosi (Critica vedi pag. 333 e vedi sotto a).
1. C I R R O S I N E L L A M A L A T T I A D A T E S A U R I S M O S I
GLICOGENICA
SIEGMUND ha descritto per primo una cirrosi nella malattia da tesaurizzazione di glicogeno (con tumore di milza) ed ha indicato il corrispondente caso di KIMMELSTIEL come cirrosi incipiente: si osserva una notevole distorsione con aumento di tessuto connettivo periportale e soprattutto anche metaplasia collagena di quasi tutte le fibre reticolari. Sono evidenti abbondante proliferazione dei dotti biliari e rigenerazione di tipo adenomatoso con grandissima tesaurizzazione di glicogeno degli epiteli del fegato. A n c h e LINDSAY, ROSS e WIGGLESWORTH, HEROLD p a r l a n o di cirrosi nella
malattia da tesaurizzazione di glicogeno. Oggigiorno del resto è dubbio, se si tratti effettivamente di una azione diretta della tesaurizzazione (vedi HORSTEBROCK) O se invece entrino in azione fattori accessori come nella eritroblastosi (vedi pag. 354).
IL
34°
FEGATO
2. CIRROSI NEL MORBO DI GAUCHER Nella malattia di Gaucher, nella quale innanzitutto ed anche durevolmente la splenomegalia domina il quadro, segue poi anche un ingrossamento del fegato, per il quale P I C K (estesa bibl.) dà un peso medio di 3300 gr. Sulla superficie di sezione di questo organo, abbastanza duro, si vedono apparire nel parenchima rosso-bruno o bruno scuro o giallo delle chiazzette bianche o gialliccie oppure delle striscie venate dentellate oppure delle reti che ricordano quadri simili a quelli delle leucemie e nelle quali si notano cellule di Gaucher ammucchiate in abbondanza. Più tardi il fegato può assumere aspetto granuloso per la presenza di striscie più larghe e compatte (proliferazione di tessuto connettivo nelle regioni nelle quali le cellule di Gaucher si atrofizzarono o andarono in necrosi). Tale aspetto granuloso viene indicato da P I C K solo simile a cirrosi, da R Ò S S L E invece direttamente come cirrosi.
3. CIRROSI NEL MORBO DI NIEMANN-PICK Anche nella spleno-epatomegalia a cellule lipidiche, del tipo NiemannPick, riscontrata nei lattanti, si può arrivare allo stesso modo per trasformazione cicatriziale del tessuto di granulazione al quadro di una cirrosi (vedi casi di P I C K , R Ò S S L E , J E N N Y (bibl.), S M E T A N A (bibl.), G . B . G R U B E R ) . Il tessuto di granulazione si infiltra fra i depositi di lipoidi che si presentano oltre che in cellule stellate ad alveare e in cellule del tessuto connettivo, anche in epatociti ad alveare. In molti casi (p. es. in 3 osservazioni di B L O O M ) non si osserva cirrosi.
4. A L T R E CIRROSI TESAURISMOSICHE MOLTO R A R E Come nella tesaurizzazione sperimentale di colesterina del coniglio può aversi talvolta una cirrosi, anche nella malattia di Hand-Schiiller-Christian molto raramente si può osservare una cirrosi; può essere pure presente come forma congenita nella galattosemia ( B E L L , B L A I R , L I N D S A Y e W A T SON, T O W N S E N D ,
MASON
e
STRONG,
JOHNS,
CRAIG,
GELLIS e
HSIA).
Si
LA
CIRROSI
EPATICA
341
arriva a deposito di galattosio nelle cellule del fegato con conseguente necrosi. L'Autore non mette la cirrosi grassa fra le cirrosi tesaurismosiche (vedi sopra): la cirrosi tesaurismosica da ferro viene trattata nelle cirrosi pigmentarie.
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CAPITOLO I I I
CIRROSI
BILIARE
Come dice il nome, la cirrosi biliare sta in rapporto con la « bile » e si presenta nel 15 % circa dei casi di cirrosi (KNUCHEL 15,3 %; AUFDERMAUR 16,6 %; Autore 13,4 %). Per lo più, ma non sempre (SCHMITZ e S I N A I K O ) è accompagnata da ittero. Si possono distinguere parecchie forme: in tutte, il fegato è all'inizio ingrossato e pesante.
1. CIRROSI COLOSTATICA Causa essenziale di questa è la stasi cronica di bile per ostruzione o stenosi dei grandi dotti biliari da parte di calcoli (cirrosi calcolotica) e specialmente per tumori della testa del pancreas o dei dotti biliari (secondo
34 2
IL
FEGATO
ROCCO-KAUFMANN IO volte su 80 casi di carcinoma del dotto epatico) (cirrosi biliare da ostruzione, v. MAC MAHON e MALLORY. La cosiddetta « fibrosi biliare focale» (pag. 31) non rientra qui). RÖSSLE in tal caso parla di forma colostatica della cirrosi epatica biliare, nella quale la bile può essere priva di agenti infettivi, specialmente in casi nei quali esiste atresia congenita delle vie biliari (fìg. 118) (bibl. in SIMMEL, MAC MAHON e MALLORY, ZOLLINGER,
HEROLD,
CRAIG, GELLIS
e HSIA). L ' A u t o r e
non ritiene
utile
classificare l'atresia congenita dei dotti biliari intraepatici (vedi ESSBACH pag. 31) come forma speciale di cirrosi biliare, come fa MAC MAHON
329M
Fig. 117. Cirrosi epatica biliare con ittero e ascite. Esiti cicatriziali di ulcera peptica del bulbo duodenale. Uomo di 58 anni. (Aut. N. 32984 dell'lstit. di Anat. e Istol. Patol. dell'Univ. di Milano).
(cirrosi biliare acolangica). A l microscopio la dilatazione dei dotti biliari si estende alle più fini ramificazioni (ROLLESTON e ME NEE sono di parere opposto); si arriva a sovrariempimento e rottura; la bile esce dapprima nel centro dei lobuli e determina necrosi degli epatociti (KIKUCHI, ZOLLINGER ritengono che la periferia sia preferita): si formano così nei lobuli numerosi focolai necrotici da bile. Anzitutto ne deriva iperplasia del tessuto connettivo ed aumento del tessuto fibrillare reticolare (vedi UCHIMURA) intorno ai dotti biliari interlobulari per l'azione chimica e meccanica esercitata dalla bile ristagnante (che può essere asettica). Poi si arriva a proliferazione reattiva di tessuto connettivo intralobulare. Specialmente i tralci di tessuto connettivo periportale (talvolta a guisa di cirrosi anulare) racchiudono spesso in abbondanza cosiddette proliferazioni dei dotti biliari (fig. 119) (vedi anche esperienze con legatura dei dotti biliari, che però variano nel significato, di JANOWSKI,
OGATA,
MADDOCK,
ZAK:
WACHSTEIN
e
LOEFFLER,
fosfatasi
ME
alcalina).
MAHON,
LAWRENCE
DOEHLERT,
e
BAGGEN-
STOSS e CAIN hanno confrontato criticamente i reperti istologici e clinici
LA
CIRROSI
EPATICA
Fig. 118. Cirrosi biliare colostatica da occlusione congenita del coledoco. Bambina di 6 mesi. Abbondanti cilindri biliari (in nero nella figura).
Fig. 119. Cirrosi biliare da atresìa dei dotti biliari. Bambina di 7 mesi. Proliferazione dei dotti biliari e abbondanti cilindri biliari.
343
344
I L
FEGATO
nella cirrosi epatica da occlusione extraepatica dei dotti biliari e in quella da abuso di alcool. Qualche volta il parenchima del fegato con stasi biliare congenita (e conseguente cirrosi) reagisce producendo numerose cellule giganti con molti nuclei (fig. 120), che però sono diverse da quelle che si formano nell'epatite virale congenita (vedi fig. 74 a pag. 249). La diagnosi differenziale basata soltanto sul quadro istologico può tuttavia essere talvolta molto difficile (vedi sotto).
F i g . 120. Fegato: cellule g i g a n t i (epatociti rigenerati). D . A . : A t r e s i a delle vie biliari intra-epatiche; ipoplasia delle vie biliari e x t r a - e p a t i c h e . A n e c t a s i a p o l m o n a r e , in i m m a t u r o . N e o n a t o d i 10 ore. ( A u t . N . 33946 dell'Ist. di A n a t . e Istol. P a t o l . d e l l ' U n i v . di Milano).
2. C I R R O S I C O L A N G I T I C A L a forma colangitica è di gran lunga la più frequente, dall'inizio predominano processi infiammatori, colangite e pericolangite. L a si osserva anzitutto nella colelitiasi, che si accompagna a infiammazione delle vie biliari, ma anche in casi di grave infiammazione ascendente e perfino ema-
LA
CIRROSI
EPATICA
345
togena delle vie biliari, senza formazione di calcoli, nella quale la bile è infetta (dettagli pag. 286). A l microscopio nei casi spiccati si h a specialmente all'inizio vivacissima infiltrazione della capsula di Glisson da parte di leucociti: i dotti biliari intralobulari contengono epiteli desquamati, agenti infettivi e leucociti, cosicché non spiccano più nettamente. Il processo infiammatorio si estende dentro i lobuli sempre di più, coadiuvato dalla bile che si accumula ed esercita azione necrotizzante: anche le più piccole radici delle vie biliari, cioè i tratti intercalari, vengono così coinvolte.
Fig. 121. Cirrosi biliare in soggetto con colecistite cronica colelitiasica. Donna di 82 anni. (Aut. N. 32517 dell'Istit. di Anat. e Istol. Patol. dell'Univ. di Milano).
Se questo processo di distruzione compiuto da suppurazione e necrosi itterica, dura sufficientemente, viene seguito da formazione di tessuto di granulazione che attraversa poi il parenchima epatico come solchi che determinano la formazione di pseudo-acini. Naturalmente il processo colangitico può presentarsi nello stesso fegato con intensità diversa e nei singoli casi v a r i a t a n t o di estensione quanto di intensità. Conformemente variano il quadro clinico ed il risultato finale del processo (fig. 122) che può corrispondere a quello di 1. (vedi seguito) oppure si arriva ad un effetto attenuato sotto ogni punto di vista, che si limita più ad una sclerosi del tessuto che circonda i dotti biliari, il quale può presentare abbondanti cosiddette proliferazioni dei dotti biliari.
346
IL FEGATO
KALK e WILDHIRT accennano alla difficoltà di una diagnosi differenziale fra cirrosi colangitica ed epatite, ed insistono sulla arterite che spesso accompagna la prima. Secondo LAUDA solo poche colangiti portano a cirrosi epatica vera e propria; per lo'più si arriva solo a fibrosi pericolangitica come esito cicatriziale.
3. F O R M E D I C O M B I N A Z I O N E L a cirrosi colostatica a sé stante è abbastanza rara: può facilmente aggiungersi alla pura stasi uña infezione e allora sfumano i limiti verso la seconda forma. Secondo TROESCH-PAILLARD, le forme di combinazione sono le più frequenti. In esse (come anche in ognuno dei due componenti) dopo lesione del fegato sufficientemente lunga ed intensa risulta alla fine il quadro di una cirrosi epatica che si differenzia anche già macroscopicamente da quella di Hanot descritta a pag. 370, perché il tessuto del fegato itterico-scuro fino a verde oliva è attraversato da una venatura, o rete di cordoni fibrosi, spesso nodosi, inter- o intralobulari che lo dividono in aree: il fegato è più duro e stride quando lo si seziona. L'aumento di volume iniziale che può anche essere più del doppio, passa alla lunga in una atrofia a superficie liscia o nodosa o anche finemente granulare (prescindendo dal grave ittero, la cirrosi epatica diventa simile alla forma di Laennec, MoSCHCOWITZ) , mentre la cirrosi di Hanot aumenta progressivamente (ascite rara, ingrossamento della milza per lo più modesto nei casi senza complicazioni). Questa cirrosi biliare è molto frequente: le donne ne sono più raramente colpite (SCHMITZ e SINAIKO, di parere opposto G. MÜLLER).
4. C I R R O S I
COLANGIOTOSSICA
ED
EMOTOSSICA
RÒSSLE distingue oltre alle forme note a) e b), la forma colangiotossica (rispettivamente colangiolotossica) nella quale il punto d'attacco vero e proprio e la sede delle alterazioni sono da ricercarsi nelle ultime ramificazioni sottili e sottilissime del sistema dei dotti biliari. MAC MAHON parla di cirrosi « pericolangitica » POPPER e ELIAS di cirrosi « pericolangiolitica ». Finora si è potuto studiare l'eziologia e la patogenesi di questi casi che colpiscono per lo più giovani itterici (però RICKETTS presenta un caso di 64 anni!) solo in quanto una parte di essi è piuttosto di natura emotossica. RÒSSLE l'aveva già intuito (richiamo alle conseguenze dell'Utero emolitico
LA
CIRROSI
EPATICA
347
Fig. 122. Grave cirrosi biliare (forma colangitica). Molti cilindri biliari.
Fig. 123. Cirrosi epatica intralobulare (colangiotossica?). (Vie biliari comuni. Tumore di milza). Bambina di 2 anni. Dettagli nel testo.
34«
IL
FEGATO
p. es. per avvelenamento da toluilendiamina e formazione di una cirrosi ipertrofica nell'ittero familiare coesistente con splenomegalia). Oggigiorno conosciamo come forma speciale la cirrosi epatica biliare « diffusa » nella malattia emolitica del neonato (ZOLLINGER, pag. 354), che un tempo (prima di conoscere il fattore Rh, ecc.) era certamente in modo errato considerata come appartenente alla forma colangiotossica. Il caso presentato nella figura 123 (collezione dell'Autore — bambina di 2 anni) venne diagnosticato prima come cirrosi colangiotossica, mentre avrebbe dovuto stare vicino eventualmente alla malattia emolitica del neonato. Forse anche i casi di HANOT rientrano in parte in questo gruppo (LAUDA). ROSSLE si riferisce a ricerche di FINDLAY, il quale indusse tale cirrosi con sali di manganese, che sembrano possedere un'affinità specifica per i più piccoli dotti biliari. A d ogni modo una colangiolite primitiva ematogena (SIEGMUND, vedi pag. 286 e segg.) solo raramente è la causa di una cirrosi (MOSCHKOWITZ). A questo difficile gruppo appartiene anche il caso di ARAGONA e BARONE, che hanno descritto in una bambina di 11 mesi la combinazione di una cirrosi biliare (senza ostruzione o infiammazione dei dotti biliari) con grave anemia emolitica (ittero emolitico). Viene esclusa categoricamente una identità con la cirrosi colangiolotossica di Rossle. Essi propongono la denominazione poco precisa di « cirrosi itterica ». Inoltre KALK, parlando della cirrosi postepatitica ha accennato a esiti dell'epatite in ittero emolitico (pag. 250).
5. C I R R O S I B I L I A R E CON X A N T O M A T O S I (CIRROSI B I L I A R E X A N T O M A T O S A , X A N T O M A T O S I B I L I A R E ) In questi ultimi tempi sono stati ripetutamente descritti casi di cirrosi biliare ( G R A Y , ROBERTSON e CARTER, RICKETTS e WISSLER), c h e si a c c o m -
pagnano a ipercolesterinemia (livelli ematici di 350 mg % , talvolta ancora più elevati) e vistose alterazioni della pelle: si arriva così alla formazione di xantelasmi e di xantomi piani o tuberosi (la fosfatasi alcalina del siero è aumentata). L a teoria di THANNHAUSER, che nella cirrosi biliare xantomatosa vi sia una perturbazione primitiva nel ricambio dei lipoidi, viene rifiutata tanto da MAC MAHON quanto da BEVANS e BATCHELOR. Secondo il parere dell'Autore non si tratta di un tipo fondamentalmente nuovo di cirrosi, ma solo di una perturbazione accessoria particolarmente evidente del ricambio della colesterina, simile a quelle che conosciamo in altre alterazioni del fegato (HEILMEYER e HENNING). Così anche CATTAN, FRUMUSAN e VIVIER descrivono una « pseudocirrosi » (secondo l'Autore) con alterazioni cutanee xantomatose. a) Accanto alla cirrosi biliare pericolan-
LA CIRROSI
349
EPATICA
giolitica,
abbastanza frequente, che si presenta negli adulti ( L A U D A , S P E L L B E R G e G A T T A S ) e che da F R A N K e E R G A N I viene identificata con la forma di H A N O T , da M A C M A H O N con la « colangiotossica » (vedi pag. 346), c'è anche ß) la cirrosi biliare congenita acolangica ancora abbastanza rara (« acholangic biliary cirrhosis »: M A C M A H O N ) , nella quale si ha una aplasia congenita (e corrispondentemente ipoplasia) dei dotti biliari intraepatici ( M A C M A H O N e T H A N N H A U S E R ) . L'abbiamo classificata tra le cirrosi « colostatiche » (vedi pag. 342). In entrambe le forme si possono osservare nel tessuto periportale grandi cellule schiumose ed anche cellule stellate ad alveare ( B E V A N S e B A T C H E L O R ) .
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Ann.
Int. Med.
36,
1241
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THANNHAUSER
35°
IL FEGATO
e MAGENDANTZ, A n n . Int. Med. n , 1662 (1938). — TROESCH-PAILLARD S., Gastroenterologia, Basel 72, 96 (1947). — UCHIMURA S., Verh. Jap. P a t h . Ges. 4, 31, 35 (1914). — WACHSTEIN e ZAK, Amer. J. Clin. Patii. 20, 99 (1950). — ZOLLINGER H. U., Schweiz. Zschr. allg. P a t h . 16, 1026 (1953).
CAPITOLO
IV
CIRROSI IN CORSO DI GRANULOMI SPECIFICI 1. L a cirrosi epatica su base tubercolare (vedi anche pag. 259) è ritenuta da alcuni frequente (cfr. PIERY e particolarmente SCHÒNBERG, bibl.), m e n t r e altri (còme KERN e GOLD, KIRCH, bibl.; TAROCCHI; GIORDANO)
si mantengono scettici o più o meno negativi di fronte a questa opinione; però KIRCH sulla base di osservazioni proprie ritiene che su base puramente tubercolare possa originare una vera cirrosi epatica (c. e.), il cui inizio egli scorge in una proliferazione interacinosa del tessuto di granulazione tubercolare. Non si può completamente negare che, in un fegato tubercolotico, possano talvolta costituirsi alterazioni che rassomigliano strettamente a quelle della c. e. di Laennec in cui possa anche comparire il quadro di una cirrosi grassa ipertrofica (vedi pag. 330) (vedi OMODEI-ZORINI); si deve però essere certi che non giochi contemporaneamente alcun altra noxa (specialmente l'alcool). SPRING, invero, ha trovato una sclerosi epatica, con aumento cospicuo del tessuto glissoniano, ed eventuale raggrinzamento dell'organo, senza vedere tuttavia distorsioni rigenerative caratteristiche per la c. e. di Laennec, come pure splenomegalia e altro. D'ALESSANDRO pensa ad una proliferazione del tessuto di sostegno (spec. fibrille reticolari), stimolata da prodotti tossici formatisi nei tubercoli (cfr. a n c h e F R A N C E S C O N , B U T T Ò e B A R U F F A L D I ) , l a q u a l e p o t r e b b e
pro-
vocare infine il quadro della c. e. L a coesistenza della c. e. con la tubercolosi non è, secondo LORENTZ (SU I H cirrosi questi ha notato, come reperto principale, solo 16 casi di tubercolosi) affatto frequente. Ci sono ben note, grazie alla efficace terapia odierna della tubercolosi, guarigioni definitive cicatriziali, non solo in altri organi, m a anche nel fegato con aspetti similcirrotici (EGELI parla di pseudocirrosi tubercolare), fino ad arrivare, occasionalmente, ad una vera e propria cirrosi (KUBICKI, SCHMIDT). HOLLE discute sulla possibilità di una cirrosi da « conteben » (4-acetil-aminobenzol- amido - tiosemicarbazone),
FRANCESCON,
BUTTÒ
e
BARUFFALDI
hanno osservato una cirrosi tubercolare con agranulo cito si in un uomo di 70 anni.
LA CIRROSI EPATICA
35 1
2. L a sifilide (anche congenita) può determinare una c. e. ordinaria o a grossi nodi, per lo più a focolai, come pure una c. e. ipertrofica (vedi pag. 268) che compare già nell'infanzia. Peraltro il tipico Hepar lobatum non può essere considerato una cirrosi, mentre il fegato a pietra focaia del lattante luetico realizza tutte le condizioni di una vera cirrosi ipertrofica. M. LETULLE ha già sottolineato la frequenza dell'origine luetica della c. e. L a dimostrazione di una reazione positiva per la lue nel siero non è sufficiente a comprovare una genesi sifilitica (G. MULLER ha trovato ciò 28 volte su 150 cirrotici. L a terapia salvarsanica è da sconsigliare in questi casi: morte rapida in 5 pazienti). AUFDERMAUR ha convalidato la diagnosi del suo caso (uomo di 41 anni, infezione luetica 2 anni ante mortem) per la contemporanea esistenza di una meso-endoarterite nel fegato. 3. Nella linfogranulomatosi sembrano verificarsi, piuttosto, pseudocirrosi simili all'hepar lobatum (WEIS e FRAENKEL, RÒSSLE, KAUFMANN, G.
B.
GRUBER,
WENDT).
4. In coincidenza con una infezione tifica, WOOLEY ha osservato una c. e. in una bambina di 1 anno e mezzo (positiva la dimostrazione del bacillo tifico nelle vie biliari). 5. Nella lebbra, BÙNGELER descrive due forme di c. e., una finemente granulosa, elefantiasica ed una tipo Laennec (talvolta associazione con deposito di amiloide). 6. Nella c. d. «epatopatia granulomatosa» (vedi pag. 252) BOCK, v. OLDERSHAUSEN e v. OLDERSHAUSEN SU 313 casi, non hanno potuto mai dimostrare una cirrosi. Essi citano opinioni contrarie (p. e. KALK).
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CAPITOLO V
CIRROSI PARASSITARIA (1Cirrhosis parasitaria)
L'importanza di azioni parassitarie, per l'insorgenza di una c. e., non è da sopravalutare. Da molti viene del tutto negata, mentre, per altro, le si riconosce un valore concausale (nell'alcoolismo o nell'inanizione: MORETTI, disturbi del riassorbimento nelle malattie intestinali da amebiasi, ascaridiosi, lambliasi; LEBON, FABREGOULE e E I S E N B E T H ) .
1.
PROTOZOI
Nel Kala-Azar compare la c. e. (ROGERS). OSLER non ne ha mai visto, e anche da MARCHIAFAVA e BIGNAMI (bibl.), BUSINCO e FOLTZ (bibl.) viene contestato, che la malaria possa provocare una tipica c. e. (cirrhose paludéenne), come descrivono particolarmente gli AA. francesi ( K E L S C H e K I E N E R , cfr. inoltre UGHETTI, D U P R E Y , T U C K E R , F E R R A R I ) ; si instaura piuttosto, negli ultimi stadi della malaria, dopo un iniziale ingrossamento per aumento di tutto il tessuto connettivo (« HANOT-simile »), una « atrofia liscia e marantica» (cfr. anche in W . FISCHER, bibl.). W A L T E R S e W A TERLOW sottolineano il concorrere della malaria e dell'iponutrizione nei negri del Gambia (Africa occidentale inglese). LELONG, L E P A G E , ALISON, L E TAN VINH, DESMONTS e ALAGILLE hanno osservato una cirrosi nella toxoplasmosi (negativa però la dimostrazione del toxoplasma nel fegato. Si deve pensare all'associazione con l'eritroblastosi; K E T T L E R vedi sotto).
LA CIRROSI EPATICA
2.
353
ELMINTI
L'infiammazione dei dotti biliari, come, forse, anche le formazioni granulomatose determinate dagli elminti, dovrebbero essere importanti nella genesi della cirrosi. Gli Schistosomi (specie lo Sch. Mansoni e lo Sch. japonicum; eventualmente anche la Bilharzia: A B D I N E e YOUSSEF) possono così provocare ( A S K A N A Z Y , W . FISCHER, OPPENHEIM, BERMAN, V O G E L e MINNING, S T R A N S K Y e PESIGAN, DESCHAMPS, REDMOND e
DE
una c. e. (la c. d. « pipe-stem »-cirrosi: SYMMERS, BOGLIOLO, vedi pag. 470). Sono da citare anche il Clonorchis sinensis (MEBIUS, S T R A N S K Y e PESIGAN) e il Distomum hepaticum. Per SILVER una cisti da Echinococco deve aver partecipato all'instaurarsi della c. e. di un suo caso (BERMAN inoltre parla della Taenia echinococcus come fattore cirrogeno). LEEUW)
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354
IL FEGATO
CAPITOLO
VI
CIRROSI NELLE MALATTIE DEL SANGUE
i. CIRROSI N E L L A POLICITEMIA (PLETHORA VERA) Raramente una c. e. appare assieme con la policitemia (CHAUFFARD e TROISIER,
MOSSE,
bibl.; TURCK,
SCHNEIDER,
LEVI).
Non
sono
chiariti
il rapporto causale e la questione se si tratti di una vera cirrosi: l'Autore ha visto un quadro simil-cirrotico (vedi pag. 364) in una donna di 44 anni affetta da policitemia (tipo Mosse)', la vena cava caudalis e le vene epatiche minori erano trombizzate ed organizzate.
2.
CIRROSI
N E L L E
LEUCEMIE
D a tempo (MOSSE: leucemia linfatica cronica) la rara coincidenza della c. e. con la leucemia è stata posta in rapporto causale (c. e. « metalinfemica). Anche RÒSSLE ritiene possibile un nesso diretto fra una « singolare » c. e. da lui osservata e una leucemia mieloide cronica coesistente (uomo di 78 a.). COLSKY, GREENSPAN e WARREN hanno visto comparire, dopo trattamento con aminopteriiia, una diffusa « fibrosi » epatica (in parte confermata all'autopsia) in 5 bambini (da 3 a 7 anni) con leucemia linfatica acuta. DALGAARD e KASS riferiscono un caso di leucemia congenita con c. e. e ittero grave in un bambino di 37 giorni.
3.
CIRROSI NELL'ERITROBLASTOSI F E T A L E NELL'EMOLISI GENERALIZZATA
RISP.
Solo raramente (secondo CRAIG soltanto 2 tipiche cirrosi su 141 casi) una eritroblastosi fetale (Morbus haemoliticus neonatorum; Iso-Immunisierungskrankheit, malattia da isoimmunizzazione; vedi pag. 388) determina una vera c. e. diffusa (panlobulare) (casi singoli di ZEITLHOFER e
LA
SPEISER,
PARRINELLO,
CIRROSI
REIFFENSTUHL
355
EPATICA
cfr.
anche
EGGIMAN).
Il
fegato,
macroscopicamente per lo più liscio, mostra istologicamente, accanto a focolai ancora visibili di eritropoiesi, una proliferazione di fibre argirofile e, in seguito alla loro trasformazione collagena, un aumento del tessuto connettivo intralobulare, uniformemente diffuso nell'intero ambito lobulare. Insignificante è la proliferazione dei dotti biliari. L'epitelio epatico, per lo più dissociato, presenta spesso una steatosi, una considerevole siderosi regolarmente distribuita e ittero (con trombi biliari). EHRLICH e RATNER sottolineano la comparsa di « cellule giganti parenchimali ». EIGIMANN ha visto calcificazioni. Le lesioni cellulari diminuiscono a poco a poco con l'avanzare dell'età dei pazienti. Secondo ZOLLINGER questa forma cirrotica è la conseguenza di una grave emolisi, che porta alla degenerazione parenchimale per fibrosi primitiva dei capillari ematici e conseguente disoria. Detta forma non è tuttavia specifica per l'eritroblastosi fetale. Anche all'infuori di quest'ultima, l'emolisi può determinare degenerazione delle cellule epatiche e, nei casi cronici, persino fibrosi e risp. rare cirrosi: ciò è dimostrato dal caso di SCHMENGLER riguardante una donna di 39 anni, Rh-negativa, con c. e. e anemia emolitica cronica, che aveva ricevuto trasfusioni di sangue Rh-positivo e che, inoltre, era stata tardivamente splenectomizzata. Tuttavia l'Autore deve condividere qui le obiezioni critiche di RÒSSLE e cioè che una « pura distruzione del sangue » non suole provocare alcuna modificazione cirrotica del fegato. Si deve quindi arrivare ad un danno diretto delle pareti capillari, trattarsi cioè di una cirrosi emo-angiotossica (vedi pag. 356). Non è ancora dimostrato se esiste rapporto causale fra c. e. isolate e anemia perniciosa (BORK, RÓSSLE) sulla base di un'emolisi qui aumentata.
4. C I R R O S I N E L L ' A N E M I A A C E L L U L E
FALCIFORMI
(DREPANOCITOSI) S i a SONG ( b i b l . ) c h e BOGOCH, CASSELMAN, MARGOLIES e B O C K U S r i -
tengono possibile l'insorgenza di una c. e. nell'anemia a cellule falciformi (sickle celi anemia) dei negri (conseguenza di trombi capillari di cellule falciformi?).
BIBLIOGRAFIA BOGOCH, CASSELMANN, MARGOLIES e BOCKUS, A m e r .
J. M e d .
1 9 , 583 ( 1 9 5 5 ) .
—
BORK K., V i r c h o w s A r c h . path. A n a t . 269, 178 (1928). — CHAUFFARD e TROISIER,
356
IL
FEGATO
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CAPITOLO
VII
CIRROSI P I G M E N T A R I E Le riflessioni patogenetiche sulla cirrosi nell'eritroblastosi fetale e nell'emolisi portano a quelle cirrosi, nelle quali il mesenchima epatico è stato colpito primitivamente da una noxa ignota. Poiché detto mesenchima (anche se specifico) rappresenta solo una parte del sistema generale capillare e reticoloendoteliale, non può trattarsi di una malattia isolata del fegato, fra quelle definite da RÒSSLE, come cirrosi angioematotossiche; infatti il fegato è solo uno della serie di organi più colpiti, p. es. la milza (cirrosi « splenomegalica »), il pancreas, i linfonodi, ecc. (« Policirrosi »). Se anche raramente esiste (vedi sotto Morb. HANOT) un effetto « angiotossico » talvolta puro (cioè senza emolisi e deposito di pigmento), pur t u t t a v i a la maggior parte delle cirrosi di questo capitolo sono pigmentate in seguito alla sovrapposta componente « ematotossica ».
1. C I R R O S I
EMOSIDEROTICA
Molto frequentemente (si può dire con KRETZ, in circa la metà dei casi) noi troviamo emosiderina, spesso in grandi quantità, nel tessuto connettivo specialmente periportale, come pure nelle stesse cellule epatiche (fig. 124). Se il fegato in tale caso v a in putrefazione, l'intero tessuto inter-
LA
CIRROSI
EPATICA
357
stiziale, per effetto dell'idrogeno solforato sul pigmento ferroso, può macroscopicamente cambiar colore da grigio fino a verde-blu cupo. Mentre un tempo si pensava prevalentemente, riguardo alla cirrosi emosiderotica, ad un rapporto con le emorragie del tubo digerente, KRET3 ha sostenuto la tesi che il pigmento divenga libero per distruzione dei globuli rossi da alterazione chimica del sangue. Questa noxa sconosciuta (forse consecutiva ad uno squilibrio metabolico da alcoolismo) giunge con l'emoglobina
Fig. 124. Cirrosi epatica ipertrofica pigmentata (emocromatosi non certa). Abbondante ferro (in nero nella figura) nell'epitelio epatico e nelle cellule del tessuto periportale, (Reaz. di Turnbull). U o m o di 50 anni.
al fegato, provocando così sia la c. e. che la pigmentazione (vedi anche BLEICHROEDER). ROSSLE considera la cirrosi emosiderotica come un insieme di alterazioni endoteliotossiche ed ematotossiche e chiama in causa oltre all'alcoolismo anche emorragie di natura flogistica (talvolta tubercolare).
2.
CIRROSI
EMOCROMATOSICA
Una particolare varietà di cirrosi pigmentaria è rappresentata dalla c. e. emocromatosica (fig. 125), i cui gradi più marcati si hanno nel diabete bronzino.
Nel diabète bronzé
(HANOT e CHAUFFARD, MARIE), in cui
il
35»
IL FEGATO
clinico comprende casi di diabete mellito che colpisce per lo più persone anziane, che hanno in comune la colorazione bronzina della pelle, si tratta nella maggior parte dei casi (ANSCHÙTZ, bibl.) di cirrosi pancreatica (secondo RòssLEr- sclerosi) con pigmentazione, e di c. e. pigmentaria per lo più ipertrofica, spesso contrassegnata più da indurimento che da nodosità macroscopiche (KAUFMANN ha osservato pesi di 3000 gr. ed oltre; vedi Inaugural Dissertation di PREISWERK, bibl.). Il fegato contiene ferro in grande quantità (p. es. 38,7 gr. rispetto ad un contenuto totale dell'in-
Fig. 125. Aspetto della superficie di taglio di una cirrosi epatica ipertrofica in emocromatosi (Splenomegalia. Marcata emocromatosi e sclerosi del pancreas. Abbondante pigmentazione dei gruppi linfoghiandolari, delle ghiandole salivari, di tratti intestinali, del cuore. Lieve colorazione bronzina della pelle. Tendenza a stravasi ematici). Uomo di 58 anni.
tero corpo di solo 3,2 gr.) Esiste in tal caso un'emocromatosi generalizzata (v. RECKLINGHAUSEN); si ha una colorazione bruna (fino a grigiocenere e anche nero-inchiostro) della cute (melanina, m a anche emosiderina: GISINGER e NEUMAYR) e degli organi interni (milza, reni [i quali per lo più non mostrano pigmento ferroso], linfonodi [specie quelli portali] che possono divenire bruno-castagna, delle mucose, sierose, cuore, tiroide [nell'epitelio e nel tessuto interstiziale], guaine vasali, tessuto adiposo, midollo osseo [nelle cellule midollari], paratiroidi (DANISCH), inoltre tessuto connettivo, ghiandole cutanee (vedi PREISWERK, bibl.) e in particolare anche delle fibre muscolari lisce (prive di ferro, vedi BORK, bibl.) e, fatto cui ha già accennato v. RECKLINGHAUSEN, della sinovia articolare
LA CIRROSI
EPATICA
359
( c o n t e n e n t e f e r r o , SIEBERT, i v i fig.). I l p i g m e n t o s i t u a t o i n s e d e l u l a r e n o n è u n i c o , i n g r a n p a r t e d à l a reazione e T i n p i c c o l a p a r t e è privo
di ferro;
diverso: a questo
appartiene l'emofuscina,
gruppo
del ferro
intracel-
(emosiderina)
in q u e s t ' u l t i m o caso, inoltre, in m o d o v.
RECKLINGHAUSEN,
s e c o n d o H U E C K p e r ò a n c h e l a H p o f u s c i n a (non d a l l ' H b , m a f o r s e d a sostanze lipoidee d e r i v a t e dagli eritrociti, p u n t o su cui i pareri sono discordi; c o s ì B O R K , c o n LUBARSCH, c o n s i d e r a i l p i g m e n t o p r i v o d i f e r r o c o m e risultato
di un'alterazione
del metabolismo
proteico
[pigmento
proteino-
g e n o ] ) e P I C K l o a n n o v e r a f r a le m e l a n i n e ; o g g i l ' e m o f u s c i n a v i e n e i n t e r p r e t a t a c o m e c e r o i d e . P r o p r i o l ' a s s o c i a z i o n e di questi d u e g r u p p i di p i g menti
(per i q u a l i O E B I K E s u p p o n e u n ' o r i g i n e u n i t a r i a
dall'emoglobina)
è p a t o g n o m o n i c a p e r i ' e m o c r o m a t o s i ai fini d i u n a d i s t i n z i o n e d a l l a e m o s i derosi p u r a . Colpisce l'assai alto c o n t e n u t o in r a m e del f e g a t o
emocroma-
t o s i c o (MALLORY, OSHIMA e SCHÒNHEIMER, p e r p a r t i c o l a r i v e d i p a g .
155).
D a q u i le d e d u z i o n i c r i t i c h e d e l l e ricerche
quali
sperimentali,
s e c o n d o le
p e r s o m m i n i s t r a z i o n e d i r a m e si d o v r e b b e p r o d u r r e u n a c. e. e m o c r o m a tosica. R i g u a r d o al r a p p o r t o f r a d i a b e t e e cirrosi p i g m e n t a r i a si è p r o s p e t t a t o c h e si t r a t t i di u n a m a g g i o r p r o d u z i o n e di ferro, i n s e g u i t o a d i s t r u z i o n e di g l o b u l i rossi d e t e r m i n a t a d a u n a n o x a (secondo SIMMONDS a l c o o l i s m o — c o s a p e r a l t r o d u b b i a ) , c a p a c e di p r o d u r r e c o n t e m p o r a n e a m e n t e n e l f e g a t o e nel p a n c r e a s u n a cirrosi; così c h e , p e r u n a p r i m i t i v a a l t e r a z i o n e d e l s a n g u e (LETULLE e a l t r i p. es. KRETZ), cui si a g g i u n g e u n a d i m i n u i t a e l i m i n a z i o n e d e l ferro (ANSCHUTZ), il p i g m e n t o stesso a g i r e b b e c o m e u n v e l e n o del p a r e n c h i m a e p a t i c o e p a n c r e a t i c o . S e c o n d o MURRI, a cui si uniscono HESS e ZURHELLE (nei loro d a t i la q u a n t i t à di ferro in u n f e g a t o a m m o n t a v a a 38,7 gr. c o n t r o i 0,050 % della norma) si d e t e r m i n e r e b b e t a l v o l t a , p e r d i s m e t a b o l i s m i cronici, u n a e n o r m e c a p a c i t à di a s s u n z i o n e dei t e s s u t i p e r l ' e m o g l o b i n a (emocromatosi), l i b e r a t a s i d a l l a a c c r e s c i u t a d i s t r u z i o n e di g l o b u l i rossi, n o n c h é u n a u m e n t o d e l c o n n e t t i v o del f e g a t o (c. e.), m e n t r e , in u n s e c o n d o l u o g o , la c a p a c i t à delle cellule di ossidare i c a r b o i d r a t i , s a r e b b e d i m i n u i t a (diabete). P e r a l t r i si t r a t t e r e b b e s e m p l i c e m e n t e di u n a e m o c r o m a t o s i in c o i n c i d e n z a c o n u n a c. e. (PIÉRY) o d i u n d i s t u r b o d e l m e t a b o l i s m o del ferro, siderosi (QUINCKE, v e d i inoltre NIENHOLD) r i s c o n t r a b i l e a n c h e i n corso d i d i a b e t e , i n cui, p e r c a s o , il f e g a t o di u n d i a b e t i c o di q u e s t o t i p o , sia a n c h e cirrotico (cfr. a n c h e WATEAU). Contro ciò p a r l a il c o n c o r d a n t e a p p a r i r e d e l l a c. e. e m o c r o m a t o s i c a e del diab e t e m e l l i t o nei g e m e l l i m o n o v u l a r i (LÒHR e REINWEIN). C o n t r a r i a m e n t e alla semplice emosiderosi, s e c o n d o CHVOSTEK I ' e m o c r o m a t o s i g e n e r a l i z z a t a si u n i s c e c o s t a n t e m e n t e a d a l t e r a z i o n i c i r r o t i c h e del f e g a t o e a m a l a t t i a del p a n c r e a s e della m i l z a . O l t r e alle m o d i f i c a z i o n i p a t o l o g i c h e d e l f e g a t o e della m i l z a , il p a n c r e a s l i b e r e r e b b e nel s a n g u e , in p a r t i c o l a r i c i r c o s t a n z e , u n a e m o lisina. I l m a t e r i a l e p e r l a f o r m a z i o n e del p i g m e n t o a p p o r t a t o i n t a l m o d o i n eccesso n o n v e r r e b b e a d e g u a t a m e n t e u t i l i z z a t o e p e r c i ò d e p o s i t a t o . I n c o n t r a d d i z i o n e c o n q u e s t a t e s i t u t t a v i a s t a l a c o n s i d e r a z i o n e , a n c h e s e c o n d o RÒSSLE, c h e I ' e m o c r o m a t o s i p r o p r i o in t u t t i i c a s i t i p i c i non si a s s o c i a a l l ' a n e m i a
360
IL
FEGATO
( B Ü C H M A N N e S C H E N Z ) e che la produzione di emolisine da parte del pancreas è una pura ipotesi. Secondo B O R K l'emosiderosi non si originerebbe per aumentata distruzione del sangue ( L U B A R S C H dice « non solo per emolisi intravasale »), ma come conseguenza di una deficiente assimilazione del ferro che verrebbe così immagazzinato nelle cellule. Questa opinione si avvicina a quella attuale dell'emocromatosi intesa come una vera tesaurosi ( G I O R D A N O e C A R BONERA). A questo dismetabolismo del ferro si aggiungerebbe inoltre un disturbo del metabolismo proteico determinante una pigmentazione bruna priva di ferro (l'emofuscina è un pigmento secondo L U B A R S C H proteinogeno, anemoglobinogeno, endogeno), che fra l'altro interessa soprattutto la muscolatura liscia. Il pigmento ferroso massivamente accumulato, solo o insieme ad ipotetiche sostanze tossiche, dovrebbe dunque portare ad una degenerazione e ad un danno dei parenchimi, con proliferazione connettivale consecutiva (M. B. SCHMIDT); si svilupperebbero così la c. e. e l'atrofia granulare del pancreas. Anche B Ü C H N E R ritiene che il massivo deposito di ferro danneggi le cellule delle isole del Langerhans causando perciò un'insufficienza di produzione insulinica, da cui il diabete. Questa spiegazione però non dovrebbe essere completamente soddisfacente.
A l contrario ha molto in suo favore l'interpretazione ( R Ò S S L E ) , del concatenamento dell'emocromatosi e della policirrosi (che comprende fegato e pancreas) come conseguenza di un aumento e simultaneo danno generale, ematico e delle pareti capillari, comprendendolo così come il più alto grado della cirrosi pigmentaria nel gruppo delle c. e. angioematotossiche (nelle quali la tossina cirrogena ha il suo punto di attacco principale nell'apparato emo-vascolare del fegato), e di considerare come causa della cirrosi non il Fe accumulato (come « veleno ») m a una tossina batterica marcatamente capillarotossica, che (come dimostrano relativi casi precoci!) sarebbe da rendere responsabile etiologicamente dell'emocromatosi (altre considerazioni sul diabete bronzino in R Ò S S L E , P O T T E R e M I L N E , U N G E H E U E R , W O H L W I L L , E . J. K R A U S ) . M A S S H O F F non accetta l'ipotesi di
RÒSSLE.
Oggi di nuovo si propende, in parte, più per l'ipotesi di una primitiva alterazione metabolica del parenchima epatico ( H A R V I E R , M A T T E O e B E S C O L - L I V E R S A C ) . Conforme alla concezione dell'emocromatosi come una malattia da tesaurismosi del ferro (vedi pag. 154), si è pensato in primo luogo che la siderosi massiva (nell'ipersideremia) dovrebbe agire danneggiando le cellule (cosa sostenuta da B Ü C H N E R nel suo trattato), nelle quali verrebbe bloccato il sistema triosofosfatodeidrogenasico. Analogamente si dovrebbe, in accordo a ciò, intendere una emocromatosi esogena condizionata da trasfusioni ematiche successive ( H O W E L L e W Y A T T , K . E . A . S C H M I D T : « c. e. emocromatosiche secondarie posttrasfusionali »), cosa però che abbiamo dovuto negare a pag. 155. (In tal caso si dimostra, per alterazioni accessorie dell'assorbimento del ferro da disturbo della barriera mucosa, negli organi più ferro di quanto introdotto per via trasfusionale: E L L I S , S C H U L M A N e SMITH). T u t t a v i a la sola deposizione di ferro non deter-
LA
CIRROSI
EPATICA
361
mina una cirrosi ( S P O E N D L I N , C A R B O N E R A e P A L A Z Z I non hanno ottenuto una c. e. in esperimenti in ratti, nonostante una grave emosiderosi cronica; vedi anche NISSIM), per cui H O W E L e W Y A T T pensano che per provocarla, sia necessaria un'ipossiemia addizionale (nell'anemia di Cooley; del resto anche nel caso di S C H M I D T esisteva da circa 1 0 anni un'anemia aplastica). La stessa interpretazione dovrebbe valere anche per la osservata miocardiofibrosl, che spesso costituisce la causa di morte; anche G A R V I E R , M A T T E O , D E U I L e B E S C O L - L I V E R S A C non vedono soltanto nel deposito di pigmento ferroso la causa del danno miocellulare. Questa ipotesi di un effetto ipossiemico principale non ha alcun significato generale, poiché noi sappiamo che nell'emocromatosi per lo più non si trova un'anemia (e con ciò la base principale per la supposta mancanza di ossigeno). B U C H M A N N e S C H E N Z recentemente riaffermano ciò; del resto nell'emocromatosi si ha quasi sempre un'ipersideremia. Devono esserci quindi altre cause di natura sconosciuta ( E L L I S , S C H U L M A N e S M I T H : cirrosi emocromatosica nell'anemia di Cooley; A R A G O N A e B A R O N E : in seguito a capillarite emorragica recidivante), che secondo l'opinione dell'Autore dovrà essere ricercata nel senso dell'effetto angioematotossico di Rossle. In questo stesso senso parlano anche i rari casi di combinazione di porfiria, c. e. pigmentata, alterazioni vascolari e melanodermia, descritti da S C H U L T Z G R O H É , S U M E G I nonché B R U G S C H e B I E N E N G R A B E R . Non è possibile, in questo insieme, interpretare un'alterazione (porfiria) come univocamente primitiva e le alterazioni epatiche invece solo secondarie, dal momento che è data la possibilità di un disturbo della sintesi dell'eme condizionato interamente dal fegato ( S C H M I D T , S C H W A R T Z e W A T S O N , J . B R U G S C H ) . Forse si potrebbe trattare persino di un circolo vizioso. (La teoria di HÒRSTEBROCK, addotta per altre cirrosi da immagazzinamento, perde qualsiasi significato nel caso dell'emocromatosi, poiché i complessi cellulari sovraccarichi non mostrano essenziale aumento volumetrico primitivo, vedi sopra).
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CAPITOLO V I L I
CIRROSI VASCOLARE
A d un primo sguardo potrebbe apparire ancora legittimo di pensare a d u n a c i r r o s i a sé stante, discussi
nel precedente
c o n d i z i o n a t a ai v a s i , d a t i g l i s t r e t t i
capitolo,
fra malattie
vascolari
ed
rapporti,
ematiche
e
c. e. p i g m e n t a t a . L a g i u s t i f i c a z i o n e di q u e s t o s e m b r a p e r ò d a t a p e r l ' A u t o r e qualche altra
volta
dalla
mancanza
dall'interessamento
di
d e i vasi
una più
componente grossi.
ematotossica,
Prescindendo
d a stasi (vedi pag. 364), restano soltanto relativi casi isolati: crede di d o v e r riconoscere,
eccezionalmente,
u n a c. e.
qualche
dalla
cirrosi
LUBARSCH
arterlosclerotica,
i n t e r p r e t a t a d a RÒSSLE c o m e c o i n c i d e n z a f o r t u i t a ; egli h a v i s t o u n a l i e v e
LA
CIRROSI
EPATICA
363
c. e. in corso di endarteriitis obliterans del fegato (cfr. inoltre anche la « sclérose pédiculaire », ossia la sclerosi periportale di FAVRE e GIRARD con reperti endoarteritici). KALK e WILDHIRT hanno visto guarire completamente una periarteriitis nodosa senza cirrosi, accertata biopticamente. KNÜCHEL al contrario accetta l'idea di una cirrosi vascolare in corso di periarteriitis nodosa (descrizione inoltre di un caso di cirrosi vascolare flaccida in una donna di 61 anni). RÒSSLE non dà per certo l'esito in cicatrici
periarteritiche
(vedi anche
FINKELNBURG,
BALÒ e
NACHTNEBEL).
ROTTER ritiene possibile una componente vascolare nella cirrosi di Wilson. Qui rientra anche la c. d. cirrosi di Osler, la Cirrhosis hepatis teleangiectatica (c. nel morbus Osler-Rendu-Weber sive teleangiectasia haemorrhagica hereditaria OSLER; teleangectasia multipla emorragica ereditaria specie del naso e faringe). Nelle dilatazioni vasali marcate il fegato ingrossato può mostrare una « cirrosi atipica » con proliferazioni dei dotti biliari (ANGERVALL: « Vasculopathie »; MARTINI), la cui genesi però non è chiarita (SMITH e LINEBACH). Le alterazioni del fegato legate ad alterazioni delle vene epatiche più grandi saranno esposte in modo opportuno insieme alla c. d. cirrosi cardiaca (vedi sotto).
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NEBEL,
CAPITOLO
IX
CIRROSI DA STASI Una stasi cronica grave porta progressivamente ad un indurimento da stasi del fegato, che invero sembra assomigliare quasi ad una cirrosi e purtroppo ripetutamente viene definito come cirrhose cardiaque (cardiac
IL
364
FEGATO
cirrhosis; cardiac fibrosis of the liver; cirrosis cardiaca: RODA, FERNANDEZCRIADO e N I E V E S - P E D R A Z ;
KOTIN
e
HALL
hanno
osservato
una
tale
« congestive cirrhosis of the liver » in circa il 10 % dei loro 605 casi di scompenso cardiaco), la qual cosa è errata, innanzitutto poiché si può instaurare talora anche indipendentemente da un'insufficienza cardiaca, come accade nella sindrome di Budd-Chiari (cioè in una trombosi venosa del fegato); il che l'Autore ha osservato in una donna di 44 anni con trombosi organizzata della vena cava caudalis che si continuava nelle vene epatiche (cfr. a n c h e CORONINI e OBERSON, VANZETTI p a g . 104). D ' a l t r a p a r t e
poi
— e questo è il fatto essenziale — non rappresenta una vera cirrosi nemmeno nell'iperemia passiva più accentuata, p. es. nella c. d. pseudocirrosi pericarditica di Pick (particolari, specie diagnosi differenziale vedi pag. 183; inoltre
RÓSSLE
e
pag.
295).
Secondo
KAUFMANN
il
contenuto
di
al-
bumina nel liquido ascitico, in questa forma, è alto in confronto a quello della c. e. volgare. FREI la interpreta come un indurimento da stasi, progressivo, in forma di una primitiva iperplasia e secondaria collagenosi delle fibre reticolari, che inizia come fibrosi epatica centrolobulare (GILLMAN e CHAIKOFF). S o l o m o l t o di r a d o
(SCHMORL, RÒSSLE) si g i u n g e ad u n a v e r a
cirrosi da stasi. Si devono in tal caso sommare alla semplice stasi anche necrosi (emorragiche) oltre ad infezioni e noxe tossiche. L a sola ipossiemia (come pensa JOSSELIANI) non può bastare a far derivare una vera cirrosi da un indurimento da stasi (secondo MOSCHCOWITZ deve esistere innanzi tutto un'ipertensione portale condizionata da alterazioni centrali). Interessanti sono le cirrosi epatiche infantili (di tipo non portale) con blocco delle vene epatiche o delle loro ramificazioni (veno-occlusive disease: B R A S , JELLIFFE e STUART); I r a p p o r t i p a t o g e n e t i c i n o n s o n o c h i a r i ; n o n esi-
ste, secondo l'opinione dell'Autore, solo un semplice effetto della stasi. HATIEGANU e HARAGUS v o g l i o n o c a t a l o g a r e l a « c i r r h o s e
splénomégalique
ascitogène » ipertrofica come forma speciale della cirrosi cardiaca (alla stasi ematica si devono aggiungere inoltre noxe infettive ed alimentari). VANZETTI (pag. 184) crede di poter delimitare una forma separata di cirrosi nella phlebitis productiva delle vene epatiche.
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CAPITOLO
X
CIRROSI PROBLEMATICHE
Riunire le cirrosi seguenti sotto il concetto di cirrosi problematiche non deve suscitare l'impressione che le altre precedenti forme di cirrosi siano oggi chiarite del tutto. Si tratta però qui di questioni patogenetiche particolarmente oscure, a cui è tanto più difficile rispondere, in quanto queste cirrosi solo raramente esistono in forma pura. Alcuni concetti sono talmente confusi (p. es. HANOT), che vi si dovrebbe rinunciare.
1. CIRROSI N E L L A
MALATTIA DI STROMPELL
WILSON-WESTPHAL-
Nella malattia di Wilson o degenerazione progressiva dei nuclei lenticolari (degenerazione epatolenticolare, HALL) come pure nella pseudosclerosi di Westphal-Strumpell, che secondo OPPENHEIM (vedi anche A . BoSTROEM, DE LISI, bibl.) rappresenta solo un tipo diverso della stessa malattia (un'unità nosologica), avviene una particolare combinazione di alterazioni cerebrali (degenerazione simmetrica bilaterale dei nuclei lenticolari, specie del putamen) ed epatiche; il fegato rimpicciolito offre il quadro di una cirrosi a piccoli, fino a grossi nodi, eventualmente anche di un'ipertrofia a grossi nodi (analogamente a quanto si può vedere dopo atrofìa acuta), come dimostra la fìg. 126 riguardante un caso osservato nell'istituto di Patologia della Charité. La parte maggiore dei ricercatori, rifiutando il concetto espresso da M E Y E R e da RUMPEL, che cioè queste alterazioni epatiche abbiano un carattere peculiare di tipo displastico o disontogenetico, sono giunti alla concezione che si tratti di diversi gradi di combinazione della degenerazione (o necrosi) e della rigenerazione, come vediamo anche negli altri gruppi della c. e., soprattutto nelle forme gio-
3 66
IL
FEGATO
vanili, per lo più a grossi nodi (vedi BOSTROEM, SCHMINCKE, SIÒVALL e SÒDERBERG, KASTAN). In taluni casi, in particolare, la necrosi raggiunge gradi marcati, mentre varia l'intensità dei segni di un processo infiammatorio ( e v i d e n t i s p e c i a l m e n t e n e i c a s i d i K L E I B E R , K U B I T Z e S T A E M M L E R , V. E C O -
NOMO e altri). D a altri (vedi p. es. GEISSMAR, SCHMINCKE) non viene riconosciuto che esista una sostanziale differenza rispetto alla cirrosi volgare, nella struttura microscopica delle t r a v a t e cellulari e dei vasi (MEYER, RUMPEL). L'etiología non è chiara; colpisce il molto alto contenuto in rame del fegato (WERTHEMANN, VOLLAND); più spesso si incontra una predisposizione
Fig. 126. Cirrosi epatica atrofica tipo Wilson. Giovane di 16 anni. Varici esofagee.
familiare, a cui h a già accennato WILSON. BARNES e HURST hanno osservato la malattia di Wilson in 4 su 8 fratelli. R . HANSER pensa persino ad una alterazione epatica congenita. In pochi casi è stata dimostrata un'infezione luetica (HOMEN), in altri sospettata, in altri ancora invece decisamente negata (WILSON, HEINRICHSDORFF, PETTE, bibl. e altri). Si pensa ad un processo tossico, cronico e si è parlato in precedenza di autotossine intestinali; ROSSLE invece è dell'opinione di un'alterazione chimica del ricambio, la quale porterebbe alla produzione di prodotti abnormi, tossici per il fegato e il cervello (su questa degenerazione coordinata epato-lenticolare v e d i anche l ' i s t o l o g i a i n S I Ò V A L L , b i b l . ; v . E C O N O M O , b i b l . ; DE L I S I ) . W I L S O N a l
con-
trario suppone un danno cerebrale secondario alle alterazioni epatiche (SCHALTENBRAND, bibl., cerca di stabilire un nesso di somiglianza f r a c. e. e corea; ROSSLE non accetta questo concetto). A l t r i attribuiscono al sistema endocrino e alle gonadi in particolare, un ruolo importante (cfr. CHASANOW). Negli ultimi tempi è stato messo a fuoco di n u o v o l'aumentato contenuto
LA
CIRROSI
EPATICA
367
in rame e si è pensato ad un deficit congenito della ceruloplasmina, sostanza vettrice del rame (DUPUY, VIVIEN e PEPIN), chimicamente A2 globulina, alla quale è fortemente legato il 96 % del rame plasmatico. La milza è aumentata di volume e occasionalmente è stata constatata un'ascite. Vedi altra bibl. sulla malattia di Wilson nel cervello, e vedi anche LEYSER, ruolo del fegato nelle malattie mentali e nervose.
2. C I R R O S I N E L L A S I N D R O M E D I B A N T I Per quanto riguarda il fegato, non è necessario sostenere una « cirrosi nella malattia di Banti » a sé stante, poiché nello stadio terminale questa non si distingue in nulla dalla forma atrofica di Laennec. Vedi in ROTTERBUNGELER, voi. I/i, pag. 1118, dati particolari sulla natura problematica del morbo di Banti e sulle corrispondenti alterazioni della milza; inoltre RÒSSLE, ARAGONA e BARONE. ALL'A. a p p a r e n o t e v o l e u n i c a m e n t e che, di
sicuro, si presenti una « splenomegalia precirrotica », in modo che la sopracitata (pagina 316) opinione trova un sostegno essenziale nel fatto che il tumore di milza non sia solo condizionato all'ipertensione portale.
3. C I R R O S I D I
HANOT
Ancora più confuso del precedente è il concetto della c. d. cirrosi di Hanot (c. H.). RÓSSLE parla con ragione di una « diagnosi priva di contenuto » poiché ogni studioso intende con questo nome qualcosa di diverso. In nessun caso la c. H. è unitaria, come risulta già dalla particolare descrizione di HANOT (RÒSSLE; vedi anche C. STERNBERG). Solo in un punto esiste accordo, che si tratti cioè nella c. H. (che secondo O. WELTMANN possiede solo il pregio della rarità) di una c. e. ipertrofica con splenomegalia (fino a 600 gr. e oltre) e ittero cronico (senza ascite), che non ha niente a che vedere con lo stadio ipertrofico della cirrosi di Laennec. Se la malattia è a lungo decorso si può instaurare una diatesi emorragica. KAUFMANN caratterizza la c. H. nel modo seguente: questa cirrosi ipertrofica, che dipende da un processo infiammatorio produttivo, procede con un progressivo marcato ingrossamento (fino a 50 cm. di larghezza), con aumento della consistenza; il fegato è pesante (rispetto al normale il doppio e più, fino a 4 kg.) e la superficie è quasi liscia; la sezione di taglio è per lo più senza disegno acinoso alcuno, grigio-rossa o colorata in verde dalla bile.
368
IL
FEGATO
La malattia cronica, legata con attacchi dolorosi in regione epatica, procede quasi costantemente, talvolta però solo negli stadi più avanzati, con Utero (e febbre), senza acolia delle feci. Sono preferibilmente colpiti in genere, i soggetti maschi, giovani. Microscopicamente i singoli acini n o n sono p i ù d e l i m i t a b i l i , m e n t r e il feg a t o v i e n e i n v a s o d a masse d i t e s s u t o c o n n e t t i v o assai denso, che c o s t i t u i s c o n o m o l t o p r e c o c e m e n t e , n o n l a r g h i t r a l c i interlobulari, bensì u n feltro finemente c o m p a t t o , i n t r a l o b u l a r e , infiltrantesi f r a le t r a v a t e cellulari e p a t i c h e e che s u d d i v i d e piccoli g r u p p i cellulari, fino a circondare, in q u a l c h e p u n t o , singole cellule isolate. KAUFMANN h a e s a m i n a t o in B r e s l a v i a u n c a s o tipico del genere. Q u e s t o c o n n e t t i v o r i m a n e p e r lungo t e m p o ricco di e l e m e n t i cellulari, n o n si r a g g r i n z a (se n o n m o l t o t a r d i v a m e n t e ) , ed è « e l e f a n t i a s i c o » (ACKERMANN). Questa finissima e diffusa iperplasia connettivale, intracinosa, distingue la cirrosi ipertrofica dalla atrofia granulosa; v e d i a n c h e MESTER, FLEXNER. L e cellule e p a t i c h e s t r o z z a t e , c o n t e n e n t i in genere p i g m e n t o biliare e grasso, div e n t a n o di regola p i ù piccole e in q u a l c h e p u n t o si d i s g r e g a n o c o m p l e t a m e n t e con c o m p a r s a d i zolle d i p i g m e n t o . I n a l t r e sedi le cellule e p a t i c h e sono p a r t i c o l a r m e n t e b e n c o n s e r v a t e ; si t r a t t a q u i di proliferazione r i g e n e r a t i v a d i residui p a r e n c h i m a l i (reperto d i divisioni nucleari, PRUS). L a c o s i d d e t t a proliferazione dei dotti biliari, r i c o r d a t a a p a g . 312, è r e p e r t a b i l e in minore e spesso in m a g g i o r g r a d o , nel q u a l c a s o r i c o r d a q u a s i u n a d e n o m a . I fini c a n a l i c o l i biliari possono essere m a r c a t a m e n t e obliterati. T a l v o l t a sono p i ù g r a n d i , c i r c o n d a t i d a f a s c i circolari di tessuto c o n n e t t i v o , ricco d i cellule, e possono m o s t r a r e d e s q u a m a z i o n e epiteliale e iperplasia.
Come già è stato detto, la c. H. non è sicuramente univoca. Così, in parte, forme biliari ipertrofiche, specie cirrosi colangiolitiche, vengono in essa comprese (CHARCOT, HEINECKE, EBERTH, MORRISON, NUNES, LAUDA; l'opinione di K R E T Z che si debbano considerare come tipo HANOT solo i casi puri, non complicati da colangite capillare, non corrisponde neppure all'idea propria di HANOT; cfr. anche OERTEL, bibl.). A volte una tale cirrosi colangiolitica di « Hanot » va interpretata come esito più raro di una cirrosi postepatitica (AUFDERMAUR, BARAHONA, FIORE-DONATI, vedi anche pag. 328). Per ROSSLE in taluni altri casi, che passano sotto la definizione di HANOT, si tratta di cirrosi angio-emo-tossiche poiché ci sono indubbiamente anche fra queste, rare forme splenomegaliche senza emosiderosi.
4. C I R R O S I
DI
ROUSSY
CHAMSI ha voluto recentemente confermare, come un quadro morboso a sé stante, sulla base di pretese alterazioni delle ghiandole endocrine (specie di una ossifilia delle cellule paratiroidee), queste alterazioni epatiche
LA
CIRROSI
369
EPATICA
descritte da ROUSSY (e VERMES, 1931) indicate anche come cirrosi dei vecchi
(cirrhose des vieillards) o cirrosi senile. I segni macro e microscopici di una cirrosi g e n u i n a
sono
appena
accennati.
BÉNARD,
CAHN, GAIDOS e
PÉ-
QUIGNOT trovano una somiglianza con il fegato da stasi. Oltre a questo si deve tener conto delle modificazioni inerenti all'età nel senso di EHRENBERG, WINNECKEN e BIEBRICHER, p e r c u i il c o n t e n u t o i n t e s s u t o c o n n e t -
tivale del fegato aumenta progressivamente negli anni. Sembra dopo tutto, nella cirrosi di Roussy, trattarsi piuttosto di una pseudocirrosi. L a « cirrosi della menopausa » pubblicata da BERTRAND e LEVY, per l'analogo ad-
dentellato con il sistema endocrino (e talvolta sviluppo attraverso il fegato grasso) è stata prospettata come affine alla c. d. cirrosi di ROUSSY. Infine deve venir discussa una forma di cirrosi che per KAUFMANN dovrebbe definirsi come indurimento o atrofia cirrotica glabra. In questo caso il processo di raggrinzamento avanza così uniformemente ovunque che non si formano neppure piccoli noduli sia sulla superficie esterna che su quella di taglio. Il quadro è apprezzabile solo al microscopio.
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FEGATO
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CAPITOLO
X I
APPENDICE: LE COSIDDETTE CIRROSI INFANTILI RISP. GIOVANILI
Questa « appendice » non contiene alcuna nuova cirrosi sui generis, ma vuole sottolineare soltanto un concetto pratico spesso adottato. Anche se tuttora (malgrado la conoscenza della epatite da virus, del fattore Rh e delle conseguenze degli errori di nutrizione) non può venire chiarita ogni forma di cirrosi infantile, questo solo non ci autorizza a sostenere un nuovo tipo di c. e. In teoria i quadri cirrotici, finora menzionati, possono presentarsi anche nei bambini: le cirrosi infantili risp. giovanili non costituiscono quindi in alcun caso un 'entità nosologica. Veramente, a questo proposito, esistono particolari condizioni, in quanto l'infanzia offre, per talune cirrosi, una certa predisposizione fisiologica (disturbi di nutrizione; malattie infettive dei bambini) e rispettivamente l'etiopatogenesi di altre cirrosi può venir situata nel periodo di sviluppo intrauterino (cirrosi « congenita » nell'eritroblastosi; cirrosi colostatica nell'atresia congenita delle vie biliari;
LA CIRROSI
EPATICA
371
cirrosi da tesaurosi). Le cirrosi familiari sono rare (ROSSLE, AUFDERMAUR, MISRA, vedi anche pag. 298). Come peculiare conseguenza della cirrosi infantile viene citato un arresto dello sviluppo sessuale (frequente ipogenitalismo:
ROSSLE).
Una veduta d'insieme può far presente la molteplicità delle cirrosi infantili e risp. giovanili: 1. Frequentemente si ha una cirrosi postepatitica (MISRA, GATTNER, BAUZÀ e Coli., BRUNS, MENEGHELLO e Coli., PEACE), p o i c h é p e r f i n o gio-
vani lattanti sono molto recettivi secondo STRANSKY e PESIGAN alla virusepatite (vedi anche pag. 247). Queste cirrosi assomigliano in parte alla forma c. d. di Hanot, in parte a quella di Laennec (vedi pag. 326). HEROLD accetta in 10 casi (su 82 osservati) di c. e. infantile, una epatite da virus come causa. 2. Tenendo conto dei paesi tropicali, giuoca un ruolo molto importante nell'infanzia la cirrosi da dieta (mancanza di proteine!), specie negli Indù ortodossi, vegetariani (CRAIG, GELLIS e HSIA) come anche nei Bantu e nei negri senegalesi (W. FISCHER); innanzitutto è da ricordare il Kwashiorkor e
Coli.;
BRAS, JELLIFFE e STUART, HILL, RHODES, STAFFORD e A U B h a n n o
(vedi p a g .
325,
ROULET,
MENEGHELLO
e Coli.;
BERGOUNIOU
osser-
vato in bambini denutriti, in Giamaica, il passaggio di una essudazione sierosa a focolai in c. e.). 3. I momenti tossi-infettivi hanno ugualmente una grande importanza. Così una parte delle c. e. nell'infanzia (spesso di tipo Laennec) dovrebbe originare (anche secondo ricerche recenti: LEWERENZ, bibl., SEITZ, bibl.,
SCHMINCKE, bibl.,
DE JOSSELIN DE JONG) d o p o
malattie
infettive acute come scarlattina, morbillo (BINFEL, bibl., AUFDERMAUR), anche processi settici (MENEGHELLO e Coli.). HEROLD cita inoltre la sepsi ombelicale e la colite ulcerosa. 4. Ancora più frequente dovrebbe essere l'associazione fra 1. e 2. (WAHI, MISRA, BRAS, JELLIFFE e
STUART).
5. Il fegato a pietra focaia luetico vale come cirrosi ipertrofica dell'infanzia. COORAY e PANABOKKE hanno visto una c. e. sifilitica nell'i % soltanto dei loro casi di c. e. 6. A d ogni patologo è nota la cirrosi biliare colostatica nell'atresia congenita delle vie biliari (SIMMEL, bibl., ROSSLE, MENEGHELLO e Coli., ZOLLINGER, HEROLD).
CRAIG, GELLIS e HSIA
l'hanno
o s s e r v a t a in 49 dei
98 casi di cirrosi epatica infantile. Particolari vedi pag. 341. 7. Oggi è ormai ben conosciuta la — invero solo rara — cirrosi nella eritroblastosi fetale (BRUNS, ZOLLINGER, vedi pag. 348). Diagnosi differenziale c o n la c. p o s t e p a t i t i c a in EHRLICH e RATNER. HEROLD l ' h a v i s t a
più frequentemente (26 su 82 casi di c. e. infantile). 8. Cirrosi da leucemia mieloftisi
(HEROLD).
(COLSKY, GREENSPAN e WARREN), a n c h e p a n -
372
IL
FEGATO
9. L a cirrosi alcoolica ricorre anche nei bambini o nei giovani (WUNDERLICH, THEODORIS: cit. d a ROSSLE: i n g e s t i o n e di c o g n a c in g e m e l l i di
15 mesi! KAUFMANN: bevitore di acquavite di 15 anni; LAPLANE, DUCHE, DALION, GRAVELEAU e SELIGMANN, b a m b i n o di 2 anni; HEROLD p r o f u g o
di 14 anni). 10. Cirrosi da tesaurismosi (MENEGHELLO e Coli.): vedi pag. 339 e seg. 11. Cirrosi da veno-occlusive disease (BRAS, JELLIFFE e STUART: vedi pag. 364)12. Cirrosi pigmentaria e
(spesso presunta da Kwashiorkor: GILLMAN
GILLMAN).
13. Alterazioni pancreatiche possono dare occasione, specie nei bambini, a quadri di c. e. Così HEROLD ha contato 6 casi in pancreatite cistica cronica su 82 c. e. infantili; CRAIG, GELLIS e HSIA hanno visto 7 casi in fibrosi pancreatica su 98 c. e. infantili (vedi anche WEBSTER e WILLIAMS). 14. ROSSLE ritiene possibile che le cirrosi giovanili rappresentino talora casi non riconosciuti di malattia di Wilson (WEISS e BETTINGER). 15. L a cirrosi tubercolare è molto rara (GIORDANO, LEWERENZ, TOEDTEN, c i t . d a
ROSSLE).
16. Forme a genesi oscura: le forme secondo PONS « frequenti spienomegaliche » non sono ancora esattamente interpretate. Non è chiaro se la c. d. « cirrosi indiana » (GUNN, MANSON) corrisponda completamente a l l a cirrosi d a d i e t a (cfr. a n c h e KHANOLKAR, ACHAR, AIKAT, KUTUMBIAH, PATWARDHAN,
RADHAKRISHNA
RAO,
WAHI
e
RAMALINGASWAMI);
forse
hanno importanza anche fattori biliari e l'eritroblastosi (cfr. anche MISRA, BHENDE e DEORAS). GÒGL h a t r a t t a t o in u n a m o n o g r a f i a le
frequenti
cirrosi endemiche dei lattanti e dei piccoli bambini nel Tirolo (cfr. anche ZANDANELL) e discute i rapporti con la epatite da virus; anche qui restano punti oscuri. BERBLINGER riferisce su di una cirrosi congenita in un neonato maschio. L a genesi enterogena (?) delle cirrosi, già menzionata da KAUFMANN, viene indicata da ROSSLE come eccezionale. Non molto frequentemente compaiono nei bambini forme Hanot-simili (colangiolitiche ? MENEGHELLO e Coli.). HEROLD menziona inoltre le cirrosi infantili nell'idiozia mongoloide e nella miotonia congenita.
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SEZIONE
VILI
ACCRESCIMENTO E RIGENERAZIONE DEL F E G A T O
CAPITOLO
I
ACCRESCIMENTO DEL FEGATO IN SENSO STRETTO
Analogamente ad altri organi, il fegato si accresce, innanzi tutto, p e r divisioni
cellulari
mitotiche
(BEAMS e K I N G , WILSON e LEDUC,
TEIR
e RAVANTI, C. d. « accrescimento per moltiplicazione ») fino ad una determinata età (nel ratto secondo KRAFT e STICKL da 2 a 3 settimane, secondo TEIR 4 settimane, secondo MCKELLER 8 settimane), in cui è costituito da semplici lobuli. Dopo di che è possibile solo una crescita postmitotica (detta anche « crescita di volume o di capacità funzionale »), poiché la cellula epatica, rispetto alla sua differenziazione, appartiene alle cellule « reversibili postmitotiche » (secondo COWDRY) ; vale a dire che solo in determinate circostanze è possibile una nuova divisione cellulare. Il fegato raggiunge così un numero costante di cellule (SIESS e STEGMANN, nel ratto circa 300 milioni: KRAFT e STICKL), le quali mostrano soltanto mitosi del tutto isolate (STAEMMLER, s e c o n d o GOSSNER, SCHNEIDER, SIESS e STEGMANN u n a
sola
mitosi circa su 20-30.000 cellule epatiche); si potrebbe quindi parlare (con STAEMMLER) di una (in vero molto limitata) « rigenerazione fisiologica ». Il numero delle cellule non viene per questo aumentato: costanza « dinamica » del numero cellulare. Soltanto al di sopra del peso « critico » del fegato, può istaurarsi di nuovo un aumento numerico degli epatociti. Normalmente, in animali (e uomini) adulti, esiste ancora solo formazione di cellule poliploidi per endomitosi (GEITLER). In tal caso le cellule epatiche mostrano « un accrescimento ritmico per duplicazione » e formano in modo interessante gruppi di epatociti con determinate grandezze nucleari (JACOBI), COSÌ da permettere di ordinarli in classi (curve di variabilità a molte punte). L a c. d. classe normale è la più grande ed è distribuita in genere uniformemente nel lobulo epatico. Nuclei più piccoli giacciono al centro (contrario WACHTER) e alla periferia, più grandi nella zona intermedia. Nel fegato di topi neonati prevalgono nuclei di minor grandezza, negli animali adulti quelli più grandi (STEGMANN). L'amitosi dei nuclei,
IL FEGATO
376
senza divisione cellulare normalmente interessa un certo numero di cellule epatiche: originano così le cellule epatiche binucleate (MÜNZER, STAEMMLER BÖHM, PFUHL, BARGMANN, altri particolari e bibl. in KETTLER). Gli epatociti a nuclei grandi e a nuclei doppi rappresentano cellule funzionalmente cimentate in modo particolare e sono accumulate nella zona intermedia. Il rapporto cario-citoplasmatico aumenta con l'età (FRANZINI, SORRENTINO e MEZZETTI). Per la misurazione dei nuclei è assolutamente necessario tener conto della modalità di fissazione del materiale (DIEFENBACH e
FEDERLIN).
CAPITOLO
II
IPERTROFIA E IPERPLASIA
"L'ipertrofia e ì'iperplasia rappresentano una « crescita da adattamento » (LINZBACH): la prima significa un ingrandimento della cellula, mentre la seconda una moltiplicazione cellulare. L a reciproca delimitazione è spesso assai ardua, poiché di frequente si attuano (per lo più?) contemporaneamente (vedi sotto). Una vera ipertrofia del fegato, per altro sano, è rara e da giudicare con prudenza entro i limiti ampiamente oscillanti delle modificazioni fisiologiche della grandezza del fegato. In genere un fegato ingrandito è patologico (sclerotico, cfr. ROSSLE). Secondo BENEKE un cospicuo ingrossamento del fegato dovrebbe avvenire nei bambini rachitici. Una ipertrofia generale del fegato da iperattività è stata osserv a t a nel diabetes mellitus. Anche la c. d. « attivazione » delle cellule stellate di KUPFFER p. es. nella sepsi, ecc., deve venir interpretata come un'ipertrofia! Il fegato tropicale non deve venir qualificato come ipertrofico; si tratta soltanto di una iperemia. Non è rara un'ipertrofia parziale (compensatoria). L a si reperta in modo evidente, secondo KAUFMANN, qualora una cisti da Echinococco occupi p. es. il lobo destro portando all'atrofia il suo parenchima; il lobo sinistro può allora aumentare in maniera straordinaria (HOLLEFELD,
PONFICK
e
altri).
KAUFMANN ha osservato in un pastore di 59 anni con gigantesca idatide echinococcica del lobo destro e peso del fegato di 4620 gr. (dopo svuotamento del contenuto) con dimensioni del lobo ds.: 23x13x14 cm., del lobo sn: 28x14x6 cm., il che è quasi uguale alla grandezza dell'intero fegato di un adulto, stando alle misurazioni date da GHON (28x16x6 cm.). Anche nell'echinococcosi alveolare KAUFMANN ha visto un quadro simile (fig. 197). Questa ipertrofia compensatoria si manifesta persino nei soggetti più anziani.
ACCRESCIMENTO E RIGENERAZIONE DEL
FEGATO
377
Un'ipertrofia vicariante si osserva spesso nelle c. e. L'Autore è propenso a credere però che negli esempi citati da KAUFMANN possa giocare anche una certa iperplasia (vedi sotto). L'iperplasia diviene riconoscibile per l'aumento e rispettivamente per la neoformazione di mitosi cellulari epatiche; essa può avere diverse cause: PAGET l'ha notata così nell'uremia in fegati umani. TEIR e RAVANTI hanno ottenuto un aumento delle mitosi nel fegato di ratti adulti mediante iniezione intraperitoneale di sospensioni di epatociti di giovani animali. Lo
Fig. 127. Cellule giganti in una area d'ipertrofia epatica in corso di amiloidosi delle arterie epatiche (alla periferia nuclei di grandezza normale). Donna di 36 anni.
stesso risultato si ha in ratti parzialmente epatectomizzati mediante iniezione di siero di altri animali (FRIEDRICH-FRESKA e ZAKI). DAVID (Istituto dell'Autore) ha potuto (in contrasto con i risultati in genere della letteratura) constatare un marcato aumento della media di mitosi dopo somministrazione di cloropromazina in topi. Sulla iperplasia nodosa vedi pag. 398. Un'associazione dell'ipertrofia con l'iperplasia viene osservata nelle seguenti circostanze: in seguito ad un processo infiammatorio, per lo più del tutto estinto, un intero lobo può ridursi ad una piccola massa fibrosa; si vede allora che l'altro lobo e risp. gli altri lobi (negli animali con fegati plurilobati) sono ingranditi. Anche nel fegato a solchi (da costrizione), nel fegato lobato dei luetici (bibl. in SCHORR, vedi anche ROCHS), in pre-
378
IL FEGATO
senza di nodi tumorali multipli o cisti (cisti epatiche, cfr. fig. 150 a), nelle rare grosse cisti epatiche solitarie ( P L E N K ) , come pure nei grandi ascessi (cfr. le osservazioni citate da K A U F M A N N pag. 1080) si possono osservare una grossolana ipertrofìa e iperplasia. I singoli acini appaiono nettamente più grossi che di norma. Nell'alimentazione ricca di proteine il fegato aumenta sia per ipertrofia che per iperplasia ( L E D U C ) . Sulla rigenerazione spesso estesa in forma di iperplasia nodosa, secondaria talvolta ad un'atrofia acuta, cfr. pag. 153; su di un'analoga alterazione nella malattia di Wilson vedi pag. 365. La fig. 127 mostra una iperplasia parziale in corso di amiloidosi. Con una discreta frequenza sono presenti epatociti giganti: H E I L E ha visto epatociti giganti perfino con 3 a 10 nuclei, dopo infarti traumatici, anemico-necrotici del fegato (vedi pag. 465). B A B E S li descrive nella tubercolosi e nella sifilide (in quest'ultimo caso anche H E R X H E I M E R e T H Ò L L D T E , bibl., vedi infine pagg. 261, 266), O B E R N D O R F E R nel morbo di Weil (pag. 142), R Ò S S L E nell'atrofia gialla acuta. Noi abbiamo già notato a pag. 249 la loro presenza nella virus-epatite ( C R A I G e L A N D I N G , S M E T A N A e J O H N S O N , P E A C E , nei bambini originano le c. d. cellule a canestro: RouL E T ) . E H R L I C H e R A T N E R hanno reso nota la loro comparsa nella cirrosi da eritroblastosi fetale (pagg. 354 e 386). Infine si dimostrano nella stasi biliare degli infanti (pag. 342), nei cancri epatocellulari (pag. 432) e nella rigenerazione (vedi sotto). Queste cellule giganti sono di natura epiteliale e plurinucleate (in parte hanno i nuclei periferici come una cellula gigante tipo Langhans). Anche nel « balordone addominale » del cavallo compaiono nel fegato cellule enormi. Sulle cellule giganti del morbillo vedi pagg. 227 e 282.
CAPITOLO
III
RIGENERAZIONE DEL FEGATO
Ipertrofia e iperplasia giocano una parte importante soprattutto nella rigenerazione, quale compenso (spesso solo imperfetto) della sostanza epatica andata perduta. In una misura che spesso è dimostrabile solo microscopicamente, di frequente, nelle alterazioni patologiche ancora in atto, si attua una rigenerazione, come avviene nelle diverse forme di cirrosi; compare così una proliferazione di cellule epatiche e degli epiteli dei dotti biliari [se anche da questi ultimi possano originare cellule
ACCRESCIMENTO E RIGENERAZIONE D E L FEGATO
379
epatiche, i pareri sono contrastanti; R I B B E R T nega ciò recisamente in contrasto con M E D E R (cfr. anche H A Y A M I ) ] . Ognuno conosce la rigenerazione spesso massiva dopo atrofia gialla acuta del fegato (vedi pag. 49). Al termine di altri processi pregressi, con necrobiosi epatocellulare, p. es. dopo infezioni (e anche tifo e vaiolo, cfr. H U E B S C H M A N N , inoltre nel fegato da malaria cronica: M A R C H I A F A V A e B I G N A M I ) e dopo intossicazioni (sperimentale, anche con P e As, e nell'uomo, p. es. con sublimato, vedi H E I T Z M A N N , bibl.), hanno luogo sempre estesi compensi rigenerativi delle cellule epatiche e dell'epitelio delle vie biliari (come nel sublimato) (vedi pagg. 50 e 55). Sulla rigenerazione nell'avvelenamento sperimentale da fosforo vedi O P P E L , M A N W A R I N G (bibl.). Le giovani cellule epatiche possono anche presentare, in queste differenti eventualità, il quadro delle « cellule chiare » menzionato a pag. 308. Oggi è ben nota anche la rigenerazione in ricerche con carenza di ossigeno ( R O S I N , A L T M A N N ) . Dopo ferite del fegato si è dimostrato sperimentalmente (fra gli altri v. P O D W Y S S O Z K I ) , che si instaura una crescita rigenerativa non solo nelle immediate vicinanze, bensì anche lontano dal luogo della lesione, con la partecipazione sia delle cellule epatiche (secondo C A R R A R O [ R I B B E R T ] esclusivamente queste), sia degli epiteli dei dotti biliari (i quali formano zaffi solidi e cavi, le cui cellule si dice che possano trasformarsi in giovani cellule epatiche (cfr. anche M A S S E N T I , bibl.) in maniera estesa e varia nelle diverse specie animali. Anche dopo trauma epatico, specialmente nella rottura, purché non conduca a morte per emorragia (bibl. in E D L E R ) , si determina una estesa crescita riparativa delle cellule epatiche ( H E S S , M U I R , HALLBAUER,
LOCALIO
e
SALTZ).
Grande interesse incontrano oggi i risultati dell' epatectomia parziale: già P O N F I C K ha dimostrato (alla fine del secolo scorso), che la capacità di compenso del fegato negli animali è molto grande dopo parziale asportazione; nei conigli può aver luogo, in un tempo relativamente breve, una rigenerazione del fegato, tale da ristabilire la massa originaria, per aumento dei restanti acini mediante ipertrofia e iperplasia delle cellule epatiche, dopo asportazione di 1/2 fino a 3/4 dell'organo (secondo v. M E I S T E R e F L O C K fino a 7/g). Le ricerche ripetute nel 1929 da F I S H B A C K , nel 1931 da H I G G I N S e A N D E R S O N (ratti, resezione dei 2/3) hanno portato a nuovi notevoli risultati: la durata fino al raggiungimento del peso epatico iniziale è stabilita differentemente (fra 6 fino a 8 settimane e 3 giorni: bibl. in K E T T L E R ) . Il tessuto epatico crescerebbe in modo così rapido da meravigliare [più rapido di un carcinoma da « giallo-burro » (da azo-composti; da dimetilaminoazobenzene) : P R I C E e L A I R D ] . Nelle prime ore dopo l'operazione si manifesta un grave infarcimento grasso dei residui epatici ( S T O W E L L , S Z E G O e R O B E R T S , E M M R I C H e P E Z O L D ) . La rigenerazione è stata esaminata nelle più diverse condizioni (alimentazione qualitativamente alterata,
38O
IL FEGATO
specie deficienza proteica — particolari e bibl. in KETTLER — legatura arteriosa [WILES e Coli.], somministrazione di fosforo radioattivo [NYGAARD e R U S C H ] , s t i m o l a z i o n e
alla F i l a t o w
[PASQUALI e ARPESELLA]
e
a l t r o [ v . Y O K O Y A M A , T S U B O I , W I L S O N e STOWELL, CHILD, B A R R , H O L S W A D E e HARRISON,
P E R E Z - T A M A Y O , M U R P H Y e I H N E N , L O P E Z e CARAMAZZA]).
Ricerche in parabiosi con epatectomia parziale solo in un animale e comparsa nell'altro di un'iperplasia epatica (WEMOHRER, SUSSMANN, ALLEGRI, FORESTI e RIZZOLINI) parlano per un accumulo di sostanze (specifiche?) regolatrici dell'accrescimento. Gli epatociti del fegato in rigenerazione dimostrano una sensibilità alla colchicina diversa da quella del fegato in riposo
(GIORDANO e G R A M P A ) .
CAPITOLO
IV
TRAPIANTO
Riguardo al destino dei trapianti epatici esistono due differenti concezioni, una delle quali, attualmente, nella sua formulazione unilaterale, non è più sostenibile: quando cioè LETTERER (1934) ha reso nota la distruzione di frammenti epatici trapiantati in cavità peritoneale, è stata molto discussa la c. d. incompatibilità di tessuto o effetto « eterolitico » del plasma sanguigno
( v e d i i n o l t r e B Ö C K e P O P P E R , SCHÜRMANN, H A B E L M A N N , K L E I N ,
HABERMEHL e DIEFENTHAL hanno visto una più rapida distruzione del rene che del muscolo). In contrasto a questo GUILLERY e Coli. (HEIM, LÖBBERT) hanno dimostrato il buono stato di conservazione delle porzioni marginali del trapianto (e dell'espianto) nonostante la presenza di siero, purché venisse assicurato il rifornimento di ossigeno (il tessuto anossico, necrobiotico viene invero più rapidamente digerito per effetto del plasma sanguigno: necrofanerosi — BÜCHNER). Dello stesso ordine sono le osservazioni di RÖSSLE sull'innesto di tumori, nella zona periferica dei quali persistono alcune cellule sopravvissute. In particolare per il fegato, inoltre, CAMERON e O A K L E Y , SCHAEFER, T I E D E M A N N h a n n o c o n f e r m a t o l o
stato
di conservazione, e KNAKE (in trapianti di sottilissime fettine di fegato sui mesotestes) ha confermato la sopravvivenza (con mitosi) oltre i 5 mesi. Ugualmente MYREN e VINJE hanno potuto mantenere per mesi in cavità peritoneale libera, trapianti di fegato capaci di vita (i quali peraltro non sono così sensibili all'avvelenamento da tetracloruro di carbonio come il fegato stesso). A questo corrispondono anche le classiche ricerche di RIB-
ACCRESCIMENTO
E
RIGENERAZIONE
DEL
FEGATO
381
i quali hanno osservato inoltre una crescita rigenerativa delle cellule epatiche e hanno dato particolare valore alla neoformazione separata di cellule epatiche e dotti biliari. Riguardo agli espianti si considera il fegato come assai resistente e propenso a crescere (NORDMANN, DOLJANSKI, K N A K E ) . Sul pigmento da usura negli espianti epatici vedi pag. 163; sugli effetti del siero sugli espianti vedi sopra.
B E R T , LUBARSCH, MITSUDA, H E R X H E I M E R - J O R N S ,
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(1953).
SEZIONE
IX
E M O P O I E S I EPATICA. ERITROBLASTOSI. LEUCOSI
CAPITOLO
I
EMOPOIESI NEL FEGATO
Il fegato (assieme alla milza) giuoca la parte principale (ASKANAZY, MOLLIER, KNOLL e PINGEL) nella seconda (ossia epatolienale, ad incominciare dal 2°-3° mese di gestazione) fase dell'emopoiesi (emop.) intrauterina. I centri emopoietici contengono prevalentemente eritrociti — immaturi fino a maturi — (solo pochi leucociti); nei primi mesi della vita fetale (specie mese 4°-7°) essi sono diffusi (fig. 128), più tardi (dal mese 8°) invece, con il procedere dello sviluppo, sono disposti a focolaio (fig. 129). In genere l'attività emopoietica del fegato si arresta (dopo un massimo d'intensità all'8° mese) all'epoca della nascita, così che nei neonati maturi non esistono che pochi centri di emop. Tuttavia vi sono pareri contrastanti sui limiti più precisi
(ASKANAZY, W A I N , LOBENHOFFER, YLPPÖ,
NAEGELI,
MAXIMOW, G . B . GRUBER, PFUHL, KÜSTER). THOENES h a c o n s t a t a t o
re-
centemente, in ricerche quantitative in tutti i neonati maturi, focolai limitati di emop., spesso assai estesi, anche se il bambino, completamente maturo (con segni rispondenti di maturità!) era di lunghezza superiore ai 50 cm.; persino in un neonato lungo 64 cm. egli ha contato da 200 fino a 300 centri emop. in 1/4 di cm 2 . Analogo reperto l'Autore può confermare in casi senza diabete mellito materno (vedi sotto). Anche POTTER riferisce di «grossi bambini ipermaturi » (con peso alla nascita di oltre 4000 gr.), nei quali gli eritrociti immaturi, formatisi nel fegato, erano immessi assai facilmente nel sangue periferico. Analoghe osservazioni sono state fatte in bambini giganti di madre diabetica. Nel tessuto periportale del feto spicca maggiormente l'emopoiesi leucocitaria (con eosinofili [fig. 130], cfr. POTTER, in maniera analoga agli adulti, cfr. MEYER e HEINEKE). Del resto neonati immaturi possono mostrare isolatamente una già marcata regressione dell'eritropoiesi
(M. B .
SCHMIDT,
THOENES).
Centri di emp. possono persistere ancora nei lattanti per i più diversi motivi patologici: in alcuni casi di lue congenita, in cui il fegato in genere
384
IL
FEGATO
Fig. 128. Emopoiesi nel fegato di un feto lungo 14 cm. (diffusa distribuzione di ricchi centri emopoietici).
Fig. 129. Eritro-mielopoiesi a focolai in un fegato di un neonato. Lunghezza 48 cm.
EMOPOIESI
EPATICA.
ERITROBLASTOSI.
LEUCOSI
385
bruno-rosso scuro e ingrandito, è purtuttavia molle, si trova conservato il disegno acinoso, mentre il parenchima è infiltrato fittissimamente da cellule di diverso tipo. Queste sono situate di preferenza nei capillari, in parte attorno a questi, nonché nel tessuto connettivo periportale, e inoltre sono stipate fra le cellule epatiche e possono anche formare focolai che ricordano, a debole ingrandimento, i linfomi. Si vedono cellule in parte grosse con nucleo pallido, in parte più piccole, rotonde con nucleo intensamente colorato, simili a quelle che T H O E N E S descrive anche in normali centri emopoietici. Nella lue, contrariamente all'eritroblastosi, manca nel fegato un deposito emosiderinico di qualche rilievo. K A U F M A N N , con ragione raccomandò di non porre diagnosi di lue solo in base a questi reperti, se non fossero di grado molto accentuato, dal momento che tali infiltrati cellulari occorrerebbero anche fisiologicamente nel fegato dei neonati, particolarmente estesi negli immaturi e ancor più nel feto (vedi sopra; inoltre M. B. ScHMIDT, SAXER,
ASKANAZY).
Sulla eritroblastosi, toxoplasmosi vedi pag. 388 e segg. F i g . 130. Circa questi gruppi cellulari, Mielociti eosinofili nel t e s s u t o periportale di un p r e m a t u r o di sesso f e m m i n i l e d i 12 g g . precedentemente interpretati in maniera disparata H E C K E R ha voluto pensare oltre ai linfociti, che ricorrono negli autentici infiltrati parvicellulari, a cellule ematiche (emazie neoformate, giovani, nucleate) nonché (fatto su cui hanno già accennato H U T I N E L e H U D E L O ) alle cellule epatiche, eventualmente giganti che proliferano fisiologicamente; anche E R D M A N N , in accordo con la nostra opinione corrente, ha considerato, a ragione, la maggior parte come « cellule ematiche ». S T E I N ha osservato emopoiesi anche in metastasi di un carcinoma primitivo del fegato (lattante di 2 mesi) e arguisce da ciò che l'epitelio epatico stimola all'emopoiesi i capillari vicini. S T A E M M L E R (voi. I / I , pag. 505, anche bibl.) accenna all'emopoiesi negli emangiomi epatici.
Un'emopoiesi extramidollare, risp. una c. d. metaplasia mieloide, si trovano anche nel fegato di adulti con anemia perniciosa (intracinosa e periportale; M E Y E R e H E I N E K E ) , inoltre nei processi distruttivi, estesi del midollo osseo, come nella carcinosi di quest'ultimo, nella malattia delle ossa 25 —
KAUFMANN I I , p . I I
386
IL
FEGATO
di marmo, in fine nella splenectomia (F. ALBRECHT), avvelenamenti, ecc. L'Autore ha potuto vedere reperti epatici particolarmente significativi in 2 casi di osteomielosclerosi (Charité: aut. 365/55: uomo 62 anni; aut. 817/56: uomo di 54 anni). Oltre alla milza, ai linfonodi, ecc. i fegati erano ingranditi e fittamente infiltrati per proliferazione mieloeritropoietica con una notevole componente di cellule giganti (megacariociti) (figg. 131 e 132).
CAPITOLO
II
ERITROBLASTOSI FETALE MORBUS HAEMOLITICUS NEONATORUM
Il quadro più suggestivo di persistente emopoiesi s'incontra ridi'eritroblastosi fetale, detta anche Morbus haemoliticus neonatorum familiaris. Riguardo agli altri sinonimi (p. es. Iso-immunisierungskrankheit), alla patogenesi ed ai reperti negli altri organi vedi ROTTER e BÙNGELER (questo trattato voi. I/i, pag. 931 e seguenti). Il fegato (assieme alla milza) è l'organo più intensamente colpito. Esso è poco (KAUFMANN riferisce 3 casi con peso epatico di 40, 130 e 160 « invece di circa 110 gr. » [?] [vedi inoltre pag. 6]; WOLFE e NEIGUS: da 78 a 220 gr.) fino a molto aumentato: così l'Autore ha pesato in 4 neonati ( 50 cm. di lunghezza e meno) fegati di 1 4 5 , 1 7 5 , 1 9 5 e persino 255 gr. ! (rispetto al normale 125 gr.: vedi pag. 6). Un bambino di 24 h., lungo 55,5 cm. aveva un fegato di 260 gr. L'organo è di colore giallo-bruno, torbido, flaccido. I focolai di emopoiesi, in genere estremamente numerosi (che mancano soltanto in rari casi prevalentemente di maggiore età), sono di solito tanto evidenti (fig. 133), da aver fatto pensare a d u n a l e u c e m i a c o n g e n i t a
(v. GIERKE, KOCH, SCHRIDDE, VOLLEN-
WEILER). Contrariamente alla norma (v. sopra), le cellule rosse e bianche sono quasi in ugual numero rappresentate (ZOLLINGER). POTTER sottolinea lo stato di sviluppo, spesso uniforme, dei singoli centri emp., nei quali compaiono eritroblasti immaturi più frequenti rispetto al normale. Si vedono cellule giganti megacariocitiche, isolate (WANSTROM). Nel tessuto periportale predominano (come nei feti adulti normali) i mielociti eosinofili (reazione dell'ossidasi positiva). (In caso di autolisi epatica, secondo POTTER è ancora possibile formulare nei polmoni una diagnosi istologica di eritroblastosi). Le cellule stellate di Kupffer fagocitano il pigmento biliare e gli eritrociti. Può comparire un'epatite sierosa. Il parenchima epatico è (secondo CRAIG n e l l ' n % dei casi) chiaramente danneggiato (EIGGMANN;
EMOPOIESI
EPATICA.
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LEUCOSI
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Fig. 131. Fegato in osteomielosclerosi di alto grado del midollo delle vertebre, del femore e dello sterno. Peso del fegato 3090 gr. Ascite emorragica di 6500 cc. Uomo di 62 anni. A u t . 365/55.
Fig. 132. Particolare della figura 131 a più forte ingrandimento. Numerosi megacariociti.
3 88
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FEGATO
fatto che diviene evidente anche clinicamente: FREUDENBERG), giungendo così ad una tumefazione torbida, dissociazioni, patosi adipose, ed anche necrosi centroacinosa (CRAIG, vedi anche esperimenti di POLANI). Indipendentemente da questo, i centri di emp. possono causare un'atrofia da compressione delle cellule epatiche. A n c h e l'Autore ha osservato cellule giganti (fig. 134). Spiccati al massimo dovrebbero essere una siderosi di alto grado e Utero (vedi pag. 128). Le fibre reticolari si ingrossano progressivamente, possono metaplasizzare ed infine si arriva t a l v o l t a ad una pura c. e. (vedi
Fig. 133. Focolai eritroblastici numerosi in Morbus haemoliticus neonatorum familiare con ittero grave. Bambina di 2 gg.
pag. 354). Con questa non deve venir confusa la c. d. « q u a r t a f o r m a » (fourth type) dell'eritroblastosi fetale, definita da HENDERSON un diffuso aumento del tessuto connettivo intralobulare in nati morti macerati: critica a ciò in POTTER. In questa sede si deve anche sottolineare, che i reperti suddetti non solo si osservano nell'incompatibilità da R h o A B O , m a anche nella sifilide congenita (nella quale manca la siderosi, vedi sopra) o nella toxoplasmosi (KETTLER). L a diagnosi di una eritroblastosi fetale b a s a t a soltanto sul reperto di un'eritropoiesi epatica è inammissibile (cfr. anche pag. 383 e segg.).
EMOPOIESI EPATICA.
ERITROBLASTOSI.
CAPITOLO
LEUCOSI
389
III
LEUCOSI
Nell'infiltrazione leucemica l'accumulo di cellule linfoidi o mieloidi è spesso talmente abbondante, che il fegato può raggiungere un volume enorme e pesare da 8 a 10 kg.; la consistenza è alquanto più molle, talvolta
F i g . 134. F e g a t o in eritroblastosi fetale. Cellule giganti plurinucleate. Gl'infiltrati sono s v i l u p p a t i n o t e v o l m e n t e in v i c i n a n z a del tessuto glissoniano ( H y d r o p s congenitus universalis, peso del f e g a t o 180 gr., m i l z a 23 gr., anemia). N e o n a t o m a t u r o d i sesso femminile lungo 53 cm. (3 0 figlio, anche il 2° figlio nato-morto).
quasi flaccida e al taglio è pallido, da rosso-grigiastro a grigio-giallastro fino a giallo; nella mielosi spesso rosso-bruno e duro; nella cloroleucemia mieloide KAUFMANN ha osservato inoltre infiltrati periportali di colore verde; fenomeno che, secondo l'esperienza dell'Autore in 3 casi degli ultimi anni (nonostante l'intenso color verde dell'infiltrazione extraepatica), non avviene regolarmente. Il disegno acinoso è più o meno cancellato (mielosi) o risulta più evidente (nella linfadenosi cronica) formandosi una
39°
IL
FEGATO
marezzatura a rete biancastra alla periferia dei lobuli. Talvolta si vedono strie molto larghe, bianco-grigiastre, lungo le diramazioni della vena porta." Occasionalmente i singoli lobuli epatici, le cui cellule sono ben conservate, rigonfie in modo cospicuo, possono apparire più grandi del normale. A questo quadro che parla per una infiltrazione diffusa (i) leucemica, si possono aggiungere piccoli nodi circoscritti (2) più o meno delimitati, bianchi fino a bianco-rossastri; più di rado si formano nodi grandi come ¡totlfi
31901
Fig. 135. Leucosi acuta. Epatosplenomegaìia. Bambina di 2 mesi e mezzo. (Aut. N. 31901 dell'Istit. di Atiat. e Istol. Patol. dell'Univ. di Milano).
piselli e più grandi, rotondi, grigio-bianchi o grigio-gialli. C A T S A R A S e P A P A E L I A S hanno visto una linfadenosi isolata (post-traumatica?) del fegato il cui peso era di 7 kg. Microscopicamente si osserva a) nella linfadenosi un'infiammazione principalmente ¿»^acinosa, spesso molto netta a nodi numerosi, rotondeggianti (fig. 136) o a linfomi confluenti (cumuli di linfociti pigiati entro un finissimo reticolo) nel tessuto periportale (specie nelle aree triangolari), per cui possono costituirsi larghe strie linfocitarie. P R I N Z ha notato inoltre un'atrofia progressiva da compressione delle cellule epatiche. Il sistema capillare è riempito ovunque di piccoli linfociti. Nella linfadenosi aleucemica si può arrivare a proliferazioni simil-tumorali infiltranti irregolarmente il parenchima epatico, come ha osservato l'Autore in uomo di 60 anni (fig. 137); il fegato pesava 2400 gr. b) Nella mielosi
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EPATICA.
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LEUCOSI
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Fig. 136. Fegato in linfadenosi leucemica. Infiltrati periportali massivi. Sinusoidi e vene centrolobulari stipate di linfociti (clinicamente 842.000 leucociti, fra cui 97 % piccoli linfociti). Donna di 50 anni.
Fig. 137. Linfadenosi aleucemica neoplastiforme. Strie residue di parenchima epatico normale al centro della figura (peso del fegato 2400 gr.). Uomo di 60 anni.
392
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FEGATO
prevale di regola l'infiltrazione diffusa ¿«¿raacinosa, sinusoidale ed il riempimento dei capillari con mielociti (fig. 138), in maniera così intensa che le trabecole cellulari ep. sono compresse anzi schiacciate e il disegno completamente mascherato; una struttura complessa ad accumuli rotondeggianti, noduli di cellule e tessuto fondamentale reticolare (tessuto mieIoide) è rara; si vedono piuttosto strie localizzate prevalentemente in sede intraacinosa (di rado anche peri portali). Un tempo l'esame del fegato era ritenuto di aiuto per la diagnosi differenziale a causa della differenza, pre-
Fig. 138 Fegato in mielosi cronica. Infiltrato mieloide intralobulare uniforme. Donna di 64 anni.
cedentemente esposta, nella partecipazione maggiore del tessuto periportale (linfadenosi) o dei lobuli ep. (mielosi). Oggi però sappiamo che anche c) la Para- e micromieloblastoleucemia acuta provoca quadri che rassomigliano strettamente a quelli della linfadenosi (accumuli cellulari preferenziali nel tessuto glissoniano). Negli stadi terminali della leucemia mieloide si ha un cospicuo impoverimento cellulare del fegato (LENNERT). Altri particolari in ROTTER e BUNGELER, voi. I/I, di questo trattato, pagg. 834-857. Eccezionalmente si giunge nella linfadenosi, come pure nella mielosi cronica, tardivamente, al quadro di una cirrosi (vedi pag. 354). Sul comportamento del fegato nelle c. d. reticulosi l'essenziale viene riferito nel lavoro di ROTTER e BUNGELER, specie a pag. 749 (voi. I/I) (e altre). FEYRTER ritiene peraltro probabile una stretta affinità fra reticulosi di Letterer, granulomatosi eosinofila e malattia di Hand. Sulla reticu-
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LEUCOSI
393
losi da tesaurosi lipoidea v. presente trattazione pag. 103 e segg., linfogranulomatosi pag. 272, morbo di Hand pag. 105, m. Boeck pag. 259. Sulla mononucleosi infettiva vedi pag. 250. Nella malattia di Brill-Symmers (linfoblastoma gigantofollicolare) il fegato è solo eccezionalmente interessato dalla malattia, nell'ambito dei depositi linfatici fisiologici (vedi KETTLER) periportali (TERPLAN, SYMMERS, WLSSMER, DUBOIS, F E R R I È R E , N A Z e W E T T S T E I N ) .
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SEZIONE
X
T U M O R I DEL F E G A T O , COMPRESI GLI E R R O R I F O R M A T I V I S I M I L T U M O R A L I E LE C I S T I
CAPITOLO
I
FORMAZIONI BENIGNE
i. EMANGIOMI C A V E R N O S I D E L F E G A T O
(CAVERNOMI)
Li si trova in genere come reperto occasionale, più frequentemente nei soggetti adulti, di rado nei neonati anche se spesso di aspetto differente. Così K A U F M A N N ha visto in un neonato alla superficie del lobo destro, nel centro, un'area rilevata, addensata, grigio-bianca verso cui affluiva un gran numero di vasi iniettati, Sulla sezione di taglio vi era una massa tumorale ben delimitata, larga 2 cm. e profonda 1 cm., che appariva in parte rosso-bruna, cavernosa, parte bianco-rossa e compatta. Un lattante di sesso femminile di 10 gg. ha presentato un cavernoma dello stesso tipo, grosso quasi come un pugno (cfr. bibl. in M I C H A L O W ) . Essi affiorano, in genere, alla superficie e sono di regola, visti dall'esterno, bleu-rosso-scuro, quasi sempre a margini netti e angolari. Talvolta multipli, raggiungono normalmente la grandezza di una ciliegia o di una noce. Molto spesso non danno l'impressione di un tumore. Tale impressione la si ha invece quando diventano grandi come un pugno o anche più grossi, senza purtuttavia aumentare talora il volume del fegato; ciò accade solo in casi eccezionali in cui il tumore può raggiungere eventualmente il volume di una testa di uomo; traumi che colpiscono l'addome, possono portare alla rottura e all'emorragia (chirurgia vedi CLAR, bibl.). A l taglio gli angiomi perdono sangue rosso-scuro (venoso) e si retraggono. L a v a t o il sangue si vede allora un delicato intreccio a maglia, che passa insensibilmente nel tessuto circostante o, almeno nei grandi cavernomi, spesso è delimitato da una specie di capsula. Microscopicamente si osservano ampie maglie fibrose, ripiene di sangue, rivestite da endotelio (fig. 140). Il cavernoma è spesso delimitato dal tes-
396
IL
FEGATO
suto epatico circostante mediante connettivo; in questa zona limite si può osservare qua e là qualche frammento staccato di t r a v a t e cellulari epatiche. Non di rado si forma una trombosi negli spazi delle maglie e una organizzazione e trasformazione fibrosa a partenza dalle maglie proliferanti; i cavernomi si obliterano in parte (fig. 141) o totalmente, diventano brunastri o grigio-rossastri o grigio-biancastri e talora « similfìbromatosi » carnosi e duri. MERKEL accanto all'organizzazione dei trombi e all'ispessimento dei setti potè dimostrare anche un restringimento diretto degli spazi
34522
Fig- 139Angioma cavernoso della cupola epatica. Uomo di 55 anni. (Aut. N. 34522 dell'Istit. di Anat. C Istol. Patol. dell'Univ. di Milano).
vascolari per produzione di uno strato di tessuto connettivo nastriforme sottoendoteliale (vedi anche KASAI). I trombi e l'impalcatura possono jalinizzare (fig. 142) o calcificare. Circa la loro genesi v e n i v a ammesso in precedenza per lo più che si trattasse di una ectasia capillare con riduzione primaria o secondaria delle cellule epatiche cui si aggiungerebbero processi proliferativi secondari delle pareti vasali nelle vicinanze e nell'interstizio. Questo modo di vedere è oggi piuttosto in regresso di fronte ad altre teorie. Queste ammettono in parte una vera e propria neoformazione vascolare (I), che sarebbe iniziata dal connettivo infiltrante, come a v e v a già affermato VIRCHOW (vedi anche ROGGENBAU, che descrive due cavernomi che egli considera come tumori veri derivati dal sistema venoso del fegato), ed in parte una malformazione vascolare (II), che RIBBERT e BRUCHANOW considerano come separazione embrionale (coristia, %ojgi£eiv = dividere) di un piccolo di-
TUMORI
DEL
FEGATO,
FORMAZIONI
SIMILTUMORALI
E
CISTI
397
Fig. 140. Emangioma cavernoso del fegato (in alto a sinistra larghe concamerazioni ripiene di sangue). Donna di 52 anni.
Fig. 141. Cavernoma grande e con centro fibroso del fegato (cupola del lobo destro). Uomo di 57 anni. Aut.
N.
193/34-
398
IL FEGATO
stretto vascolare, che non ha assunto i rapporti normali rispetto alle cellule epatiche, e che SCHMIEDEN definì malformazione tessutale locale che condurrebbe allo sviluppo prevalente del connettivo vascolare (mesenchimale) rispetto agli elementi epiteliali (entodermici), ma che non sarebbe una v e r a e propria neoformazione.
Fig. 142. Cavernoma del fegato con atrofia e notevole ialinizzazione delle pareti vasali. A l margine inferiore della figura tessuto epatico normale. Donna di 82 anni.
Queste malformazioni tessutali similtumorali vengono chiamate o coristomi, col quale termine si pone l'accento sulla separazione, oppure, in base alla proposta di E . ALBRECHT, amartomi (à/xagràveiv = errare); una amartia, abnorme mescolanza di tessuti, d i v e n t a un a m a r t o m a attraverso una certa tendenza proliferativa, per cui assume forme iperplastiche più marcate e quindi una certa somiglianza con un tumore. Capita, anche se di rado, che un a m a r t o m a od anche un'amartia si trasformino in un vero tumore autonomo, in un amarto-blastoma; questi tumori vascolari veri e propri, spesso molto voluminosi oppure anche piccoli e innumerevoli
TUMORI D E L FEGATO, FORMAZIONI SIMILTUMORALI E CISTI
399
possono essere combinati occasionalmente con angiomi della cute (ROGGENBAU, ERNST); e come in un caso di RIBBERT con un cavernoma della colonna vertebrale (il limite di questi tumori verso gli emangioendoteliomi (vedi pag. 411) è spesso difficilmente tracciabile; v. ALBERTINI ammette « stretti rapporti tra i due »). Tuttavia a proposito della teleangectasia hepatis disseminata o angiomatosis hepatis, frequente nel bovino, si ammette da molti come fatto primitivo in parte la stasi, ed in parte la scomparsa a focolai delle cellule epatiche in seguito ad atrofìa, degenerazione grassa o necrosi. Tuttavia JOEST (bibl. estesa) considera queste ectasie capillari come i cavernomi in senso stretto, come malformazioni vascolari. JAFFÉ ed altri descrissero alterazioni analoghe nell'uomo (cfr. STAEMMLER, voi. I/i, pag. 504). Bisogna ammettere a questo proposito una tendenza congenita dei capillari all'ectasia, cui si possono aggiungere disturbi della circolazione (stasi) come momento scatenante od anche soltanto favorente (cfr. anche COSTA, bibl. estesa).
2. I P E R P L A S I A
NODOSA
ED
ADENOMI
1. Le iperplasie nodose del tessuto epatico (cfr. pag. 376 e seg.) si verificano: come proliferazioni sostitutive in seguito a scomparsa di tessuto epatico, specialmente con frequenza nella cirrosi epatica (cfr. KRETZ), come anche nella malattia di Wilson (vedi pag. 365), inoltre in seguito ad atrofia acuta (pag. 47), in seguito ad atrofia da stasi (YAMAGIWA) (vedi pag. 182), come pure in seguito a scomparsa di cellule epatiche dovuta a noxe probabilmente settiche (YAMASAKI); queste aree aggettano sulla superfìcie di taglio e sono, a prescindere dai casi di cirrosi, mal delimitate rispetto al tessuto normale, nella cui architettura sono inserite e che non viene da esse compresso. Non di rado hanno forma a rosetta con una vena nel centro (vedi fìg. 43 a pag. 181). 2. Adenomi. Questi possono essere distinti in adenomi a partenza dalle cellule epatiche ed in adenomi a partenza dall'epitelio dei dotti biliari. Questa distinzione è stata recentemente rimessa in auge da ROTH sulla base di un adenoma a cellule epatiche solitario peduncolato (donna di 35 anni), e v. ALBERTINI. I primi compaiono spesso in forma solitaria (eccezionalmente possono raggiungere il volume di una testa di uomo, FISCHER) oppure in numero limitato, molto di rado in forma multipla come tumori molli di colorito bruno chiaro rossastro o grigio-biancastro, piuttosto piccoli oppure più voluminosi ed in questo caso nettamente delimitati, talora con capsula fibrosa (fig. molto bella in E. HELLER), che macroscopicamente
400
IL FEGATO
possono presentare un disegno diverso da quello del tessuto circostante o irregolarmente grossolano oppure anche piuttosto confuso ed omogeneo. K A U F M A N N osservò questo reperto p. es. in una donna di 72 anni con fegato con atrofia bruna, in cui vicino al legamento sospensorio vi erano tre adenomi, due del volume di una castagna ed uno del volume di un pisello. Adenomi peduncolati vedi H . SCHMIDT, R O T H , F R A N C O M A N E R A , C I F U E N T E S L A N G A , V E N T U R A e ALONSO
JIMENO.
J Fig. 143Adenoma epatocellulare del lobo sinistro. Uomo di 83 anni. (Aut. N. 33687 dell'Istit. di Anat. e Istol. Patol. dell'Univ. di Milano).
Microscopicamente gli adenomi sono formati da un sistema irregolare di capillari e cordoni cellulari contorti (adenoma a cellule epatiche) che simula il disegno acinoso del fegato. Le grosse cellule contengono spesso abbondante grasso cosicché può istituirsi un quadro simìl-lipomatoso, e possono secernere bile. Talora, anche senza la esistenza di una cirrosi epatica, si può osservare un quadro che ricorda quello della cirrosi in un nodo adenomatoso. Il tumore sposta e comprime, a differenza delle iperplasie, il tessuto epatico adiacente (fìg. 145). L a formazione di adenomi può avvenire in un fegato per altro immodificato; KAUFMANN osservò ciò in una donna di 39 anni (nodo del volume di una mela nel lobo sinistro e nel restante fegato numerosi piccoli nodi). Se in una cirrosi si formano adenomi multipli (RANSTROM), fatto relativamente frequente, la distin-
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DEL
FEGATO,
FORMAZIONI
SIMILTUMORALI
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CISTI
40I
zione rispetto ad i . è talora diffìcile nel caso di piccoli adenomi, mentre non è difficile nel caso di adenomi più voluminosi nettamente delimitati (vedi sotto). Gli adenomi multipli possono anche essere congeniti (FOOT). Talora si riscontra un unico focolaio grigio-biancastro, per lo più piccolo e duro (spesso sottocapsulare) o anche focolai multipli costituiti da tubuli ramificati esili con cellule in parte cilindriche alte fino a cubiche basse, del tipo dei dotti biliari, che rivelano nette manifestazioni proliferative e che sono situati in un connettivo più o meno abbondante e più o meno
2
i
A *. 6 " r '"è' 3368T
Fig. 144. Superficie di taglio del fegato (vedere figura precedente).
ricco di cellule (adenoma tubuläre dei dotti biliari, detto anche colangioma). Per lo più non vi è incapsulamento e per lo più non contengono bile, mentre contengono secreto il cui accumulo può determinare dilatazioni cistiche dei colangiomi (cistadenoma). Gli adenomi dei dotti biliari (come nella fig. 146) vanno considerati come amartomi (vedi pag. 398). LINDGREN e RANSTRÖM descrivono una colangiomatosi miliare. Pseudoadenomi dei dotti biliari. — Con l'aspetto di piccoli « tumori », che fanno pensare ad adenomi di dotti biliari (blastòmi), possono celarsi anche semplici amartie (pag. 398) in cui predominano le formazioni di tipo biliare (reperti al limite della norma come nella fig. 147). Sono riscontrabili in soggetti di varia età in fegati altrimenti indenni, secondo MAC-MAHON (bibl.) ma già anche come anomalie congenite (PATTON: f. di 16 mesi; K A Y e TALBERT: f. di 7 mesi; GREINACHER ff. di 7 1 / 2 mesi e 9 mesi; GIERHAKE: 7 sett.). Macroscopicamente si tratta di piccoli focolai di volume inferiore a quello di un pisello, raramente più voluminosi, 26
—
KAUPMANN
II,
p.
II
402
IL
FEGATO
bianchi o verdastri o chiazzati leggermente di brunastro, che spesso sono in contatto con la capsula (tuttavia possono essere situati anche profondamente nel fegato), e che sono cuneiformi o piuttosto piatti e talora penetrano nel parenchima riunendosi a cordone; sulla superfìcie di taglio la formazione è nettamente delimitata, tuttavia non è capsulata e si presenta compatta o finemente porosa; non di rado presenta lumi vascolari notevolmente ampi oppure si osservano (come nella fig. 146) dei vasi con aspetto di peduncoli del focolaio. Microscopicamente si osservano
F i g . 145. A d e n o m a del f e g a t o c o s t i t u i t o da cellule e p a t i c h e m a t u r e , t u t t a v i a senza alcuna lobulare e quindi senza c a m p i d i Glisson. A t r o f i a d a compressione del tessuto e p a t i c o (nella figura a sinistra in basso). Il limite tra a d e n o m a e tessuto e p a t i c o normale si sinistra in alto, verso il centro del margine inferiore della figura. D o n n a di 53
struttura adiacente dirige da anni.
nel connettivo, che può essere infiltrato da linfociti, formazioni epiteliali ravvicinate e ramificate come proliferazioni di dotti biliari (vedi pag. 49) oppure con lumi ampi (che contengono un secreto epiteliale, ma invece bile soltanto nel caso di connessione con un dotto biliare), per cui la somiglianza con l'adenoma (cfr. fig. 146) diventa ancor più spiccata. Queste formazioni devono essere ricondotte ad abbozzi epitelio-mesenchimali inseriti non organicamente e dotati di vasi in cui non si formano trabecole cellulari epatiche né si differenziano ulteriormente i dotti biliari; queste rimangono piuttosto stazionarie, come pure amartie, mentre gli amartomi che hanno l'aspetto dei « colangiomi » dimostrano la tendenza proliferativa dei veri e propri tumori. Queste formazioni gittano anche
TUMORI DEL FEGATO,
F O R M A Z I O N I S I M I L T U M O R A L I E CISTI
4O3
F i g . 146. A d e n o m a delle vie biliari. D o t t i biliari dilatati, ramificati, rivestiti d a epitelio cilindrico, con secreto incolore, in s t r o m a ricco d i cellule. In basso a destra guaina di Glisson con focolaio linfocitario p i u t t o s t o ampio; un secondo in a l t o v i c i n o alla capsula. A sinistra in b a s s o una v e n a epatica. (Disegno di E . K A U F M A N N )
F i g . 147. A b b o z z o di vie biliari m a l f o r m a t o in un c a m p o di Glisson a m p i o . N o n colangite. U o m o di 61 anni. ( D e t t a g l i nel testo)
IL
FEGATO
qualche sprazzo di luce sulla genesi del fegato cistico (vedi anche OBERLING, che per i suoi casi di pseudoadenoma biliare ammette una trasformazione dei cordoni cellulari epatici in canalicoli; cfr. anche WILLER, AUERBACH). Non hanno nulla a che vedere con le piccole cisti da ritenzione disseminate citate in 3. Esistono forme di passaggio dalle iperplasie agli adenomi e da queste ai carcinomi e direttamente dalle iperplasie al carcinoma (cfr. anche GRAWITZ). Le cirrosi epatiche dimostrano spesso intense proliferazioni di dotti biliari
Fig. 148. Cisti del volume di un uovo di gallina del margine anteriore del lobo epatico destro. Nella cisti presenza di liquido limpido (la cistifellea è aderente alla cisti in alcuni punti). Neonato maschio di 1 mese. Aut. N. 1262/56.
ed iperplasie di cellule epatiche; il limite verso gli adenomi è spesso difficile da tracciare; come potè ripetutamente constatare KAUFMANN, a meno che non avvenga l'incapsulamento sopracitato, occorre porre l'accento sullo spostamento del tessuto vicino esercitato dall'adenoma (cfr. DÌBBELT e BARTEL). Bibl. in appendice. Nel fegato non sono molto rare piccole neoformazioni ipernefroidi, cioè noduli con struttura simile alla corteccia surrenale (BEER, bibl.). I nodi più voluminosi (da una nocciola ad una noce) sono però eccezionali (SCHMORL, K A U F M A N N , OBERNDORFER, DE VECCHI, b i b l . ; HIRSCHLER, P E N D L e SCHER-
LACHER, WILKINS e RAVITCH, GOFFRINI). O g g i noi s i a m o del p a r e r e
una parte di queste formazioni quando il comportamento
che
biologico è
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DEL
FEGATO,
FORMAZIONI
SIMILTUMORALI
E
CISTI
405
benigno, possono essere considerate come adenomi epatici ricchi di sostanze tesaurizzate. Invece nei cosiddetti ipernefromi maligni del fegato (PEPERE; f o r s e il c a s o d i DONATI, i n o l t r e W H I T E e MAIR, A N A R D I , HORN)
si
dovrebbe trattare per lo più di un carcinoma epatocellulare del fegato, vero e proprio, primitivo, con struttura acinosa (cfr. anche HERXHEIMER, TALLARIGO,
KOHN).
3. CISTI D E L F E G A T O — F E G A T O CISTICO Soltanto una parte limitata di queste appartiene alle cisti da ritenzione semplici, che si formano in seguito a strozzamento secondario di dotti biliari preesistenti oppure anche di dotti biliari neoformati (secondo ARMENIO e PANNACCIULLI ciò avverrebbe nella tubercolosi del fegato). Più raramente si osservano cisti da ritenzione piccole o fino al volume di una nocciola, in numero maggiore. Così KAUFMANN osservò disseminate in un fegato atrofico leggermente cirrotico delle cisti piccolissime con contenuto gelatinoso ispessito, situate in gran numero nel connettivo interacinoso aumentato. Altre cisti sierose, vengono considerate come cisti linfatiche. L a maggior parte delle cisti del fegato, derivano probabilmente da disturbi di sviluppo nel sistema delle vie biliari intraepatiche. Con frequenza massima si osservano cisti isolate, piccole, situate sotto la capsula, ripiene di liquido gelatinoso, mucoso, o più frequentemente limpido, sieroso o giallastro; le cisti sono trasparenti e poco prominenti; inoltre sono rivestite da epitelio cilindrico ciliato o semplice e più raramente da epitelio piatto. Esse vengono ricondotte ad iperplasia e dilatazione di dotti biliari (vedi MACMAHON) accompagnata da proliferazione del connettivo portale oppure anche ad uno strozzamento primario di vasa aberrantia dei dotti biliari, i cui epiteli producono il secreto (vedi inoltre SCHWENZER). Più raramente si osservano cisti solitarie (fig. 148), che raggiungono il volume di un pugno e persino molto più grandi, fino al volume di una testa di adulto, uni o pluriloculate e rivestite da epitelio ciliato cilindrico o piatto. L a parete può rivelare prominenze trabecolari. Le cisti extraepatiche vengono ricondotte allo sviluppo in un fegato accessorio, le cisti intraepatiche, che sono molto più rare, vengono ricondotte in modo complicato ad una ectasia cistica del primitivo abbozzo (piastra) dei dotti biliari, condizionata dalla contemporanea atresia del coledoco (cfr. MOLL). Entrambe possono essere congenite e financo rappresentare ostacoli al p a r t o (WITZEL ed altri), b i b l . in PLENK, KONJETZNY, SONNTAG e d in R . HANSER.
406
IL
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Hepar cysticum. — Raramente si osservano innumerevoli cisti grandi e piccole. L'organo può ingrandirsi in modo enorme e contiene un sistema multiloculare di cavità a pareti sottili e lisce ripiene di liquido limpido (fig. 149) che comprimono in gran parte il parenchima e aggettano sulla superficie trasparendo in parte con un colorito bluastro. Alcune parti ancora intatte del fegato residuate, possono andare incontro ad ipertrofia compensatoria. Lo sviluppo di convoluti cistici a grappolo, specialmente in un lobo, nel destro, come nella fig. 150 a e b, o nel lobo sinistro (caso di v. HABERER) è molto raro. In un uomo di 27 anni con reni cistici, mar-
Fig. 149. Fegato cistico. Peso 4660 gr. Uomo di 52 anni. Impicciolito 3:1.
catamente deformi e bozzuti, KAUFMANN osservò nel fegato, che pesava 2200 gr. numerose cisti a parete liscia, del volume massimo di un fagiolo con contenuto acquoso, situate quasi esclusivamente in sede sottocapsulare alla convessità del lobo destro. CASTELLI osservò piccole cisti multiple, nel centro del fegato in un'area mal delimitata, contemporaneamente ad un emangioma cavernoso. Il fegato cistico si basa probabilmente su una malformazione organica, nel senso di un amartoma (vedi pag. 402 e cfr. anche SCHMINCKE) cioè di un disturbo di sviluppo nel sistema biliare; venne a mancare il collegamento di alcuni o di molti piccoli dotti biliari « in evoluzione cistica » con quelli più voluminosi che si formano per continua evaginazione dal diverticolo epatico primario e risp. dal primitivo a b b o z z o dei d o t t i b i l i a r i (SABOURIN, BROMAN, v . MEYENBURG, LORENTZ,
TEUSCHER, bibl.). Secondo WACKERLE nello sviluppo decorrerebbero parallelamente la formazione di un abbozzo eccessivo dei dotti biliari periportali con uno sviluppo eccessivo del tessuto vascolare e di sostegno. Altri parlano di adenocistoma multiloculare (C. HOFMANN, WEISHAUPT,
TUMORI DEL FEGATO, FORMAZIONI SIMILTUMORALI E CISTI
407
MANNSOHN, VORPAHL, BERBLINGER); tuttavia mancano processi proliferativi realmente tumorali dell'epitelio (v. MEYENBURG, bibl.); secondo LORENTZ (bibl.) sulla base del disturbo di sviluppo cui è riconducibile il fegato cistico potrebbe verificarsi anche se di rado una proliferazione blastomatosa vera e propria. Nei residui di tessuto tra le cisti si osservano ampi tralci fibrosi, che penetrano negli acini; essi possono contenere accanto a numerosi rami portali in parte obliterati, abbondanti prolifera-
b)
a) Fig. 150.
a) Fegato cistico, eccezionale p e r l a limitazione della trasformazione cistica quasi esclusivamente al lobo destro, più intensa in sede sotto capsulare. Ipertrofia compensatoria del lobo sinistro. Donna di 71 anni. b) Sezione frontale attraverso una parte del lobo destro in cui si osserva in parte il contenuto gelatinoso coagulato in formalina (non coesistevano reni cistici). Circa x/4 della grandezza naturale. (Disegno di E. K A U F M A N N ) .
zioni biliari; da queste ultime vi sono passaggi verso le cisti. Le cisti a fondo cieco, sono rivestite da epitelio cilindrico, cubico o piatto. La connessione inizialmente esistente con il parenchima epatico secernente v a rapidamente perduta, e così pure il contenuto biliare e le cisti contengono un secreto derivante soltanto dall'epitelio. Oltre a ciò si verifica anche l'obliterazione dei normali dotti biliari e atrofia fibrosa delle cisti (SABOURIN, MÜLLER bibl.). Il fegato cistico definitivo può essere osservato già in forma congenita, ma si trova per lo più in soggetti anziani, più raramente in soggetti giovani. Spesso coesistono reni cistici (secondo COMFORT, GRAY,
DAHLIN
e WHITESELL
in
circa
la m e t à
dei
casi);
KAUFMANN
408
IL FEGATO
osservò questo fatto tra l'altro in una donna di 77 anni come pure in un caso di Breslau di un uomo di 70 anni, che per 18 anni venne diagnosticato come affetto da echinococco multiloculare (vedi B O R R M A N N ) . M E L N I C K riferisce della combinazione di un fegato cistico con reni cistici e aneurismi delle arterie cerebrali. T E U S C H E R descrisse contemporaneamente fegato cistico, reni cistici e pancreas cistico. Il peso del fegato può diventare enorme; nella collezione di Basilea si riscontrò un fegato di 7130 gr. di una donna di 48 anni in cui coesistevano reni cistici. Vengono riferiti pesi anche
Fig. 150 c. Displasia fibrocistica del fegato: numerosi dotti biliari circondati da fibre connettivali collagene. Reni a spugna. Neonata di 3 ore. E . E . 180 X (Aut. N. 35258 dell'Ist. di Anat. e Istol. Patol. dell'Università di Milano).
sopra i 1 0 kg. ( D M O C H O W S K I e J A N O W S K I ) . L'ittero ed altri segni clinici di alterata funzione epatica mancano ( T H Ò L E , bibl.), tuttavia può sussistere stasi portale con le sue conseguenze (ascite, tumore di milza, catarro gastroenterico). Il fatto che le cisti biliari vere perdano presto il loro contenuto biliare — che viene riassorbito attraverso i vasi linfatici — e contengano successivamente soltanto un liquido incolore, è un processo che osserviamo anche nell'idrope della cistifellea. Per quanto riguarda la derivazione del liquido, lo si ritiene in parte un prodotto delle ghiandole mucose, o degli epiteli tra-
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DEL
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FORMAZIONI
S1MILTUMORALI
E
CISTI
409
sformati in senso mucoso (in questo caso il liquido è mucoso), in parte per un secreto sieroso dell'epitelio o di un trasudato acquoso della parete.
4. T U M O R I M I S T I E T E R A T O M I D E L
FEGATO
I tumori misti, sulla base di esclusioni di abbozzi embrionali, sono molto rari nel fegato; si osservano con maggior frequenza nei bambini. Così v. HIPPEL descrive un tumore misto congenito in una b a m b i n a di 21 mesi, il quale conteneva oltre alla componente principale adenomatosa anche epitelio piatto corneificante e pigmento. WILLIAMS osservò in un bambino di due anni un tumore epatico del « tipo misto » con cisti, connettivo embrion a l e e m u s c o l a t u r a s t r i a t a . D E B R É , MOZZICIONACCI, H A B I B , L E D O U X e C A -
RAMANIAN osservarono in una b a m b i n a di 29 mesi un tumore misto epitelio-mesenchimale (con osteoide). WILLIS chiama queste proliferazioni embrionali « epatoblastomi ». Per la letteratura più antica vedi HERXHEIMER. A n c o r a più rari sono i teratomi tridermici veri e propri nel fegato. U n o di questi, con formazione di cisti è stato osservato da FROBOESE in un neonato.
(Casi p r e c e d e n t i in MECKEL, MISICK, E .
ALBRECHT,
cit.
da
HERXHEIMER). Eccezionalmente dietro il quadro di un carcinoma epatico primario si nasconde un tumore misto (dettagli in v. ALBERTINI).
CAPITOLO I I
TUMORI MALIGNI Premessa. Tumori primitivi e secondari maligni del fegato. Mentre il fegato raramente è punto di partenza di tumori maligni primitivi, sono molto frequenti nel fegato i tumori secondari, metastatici. (Questo è un esempio per la regola t r o v a t a da VIRCHOW, che vediamo confermata ad esempio in senso opposto all'esempio dei carcinomi della mammella e dell'utero). Il fegato non soltanto è con particolare frequenza la sede di tumori metastatici, m a questi raggiungono proprio nel fegato una imponenza t u t t a f f a t t o particolare. Per il trasporto m e t a s t a t i c o di cellule neoplastiche devono essere prese in considerazione soprattutto la v e n a porta, inoltre le arterie epatiche e più raramente le vene epatiche (trasporto retrogrado, vedi voi. I / i , 26* —
KAUFMANN
II, p.
II.
IL
FEGATO
pag. 480). In confronto a questa metastatizzazione ematogena quella linfogena che è occasionalmente utilizzata dai carcinomi (vedi pag. 450), ha importanza nettamente inferiore. L e cellule tumorali giunte attraverso il sangue della vena porta vengono facilmente trattenute e si insediano negli ampi capillari in cui il flusso sanguigno è notevolmente rallentato; la composizione chimica di questo sangue e nondimeno probabilmente anche quella del parenchima epatico offrono evidentemente alle cellule tumurali, condizioni di accrescimento particolarmente favorevoli. Si confronti ad es. il comportamento opposto della milza (vedi voi. I/i pag. 1173). Ma anche nel polmone dove le cellule tumorali vengono spesso trasportate dall'arteria polmonare, numerosi emboli neoplastici vanno incontro a distruzione e vengono spesso incapsulati da masse trombotiche organizzate del sangue e quindi estinti, processo questo che non è osservabile nel fegato. D a tumori metastatici nel fegato si hanno spesso perforazioni secondarie nelle vene epatiche, f a t t o molto frequente, particolarmente nei carcinomi (vedi pag. 452). In questo modo il fegato può diventare un centro secondario per la disseminazione di tessuto tumorale (la metastatizzazione) (come sottolineano v . ALBERTINI e WALTHARD recentemente specie per i melanomi maligni).
1. S A R C O M I (SA.) D E L
FEGATO
I sarcomi primitivi sono molto rari. Si forma un singolo nodo oppure si formano numerosi nodi. Si t r a t t a di sarcomi fusocellulari (TIRA) oppure di «sarcomi rotondocellulari » indifferenziati (WILLEFORD e STEMBRIDGE), anche sarcomi rotondocellulari emorragici (BRUCK, KAUFMANN osservò uno di questi del v o lume di una testa di bambino, cistico-emorragico in un bambino di 4 anni), angiosarcomi a cellule giganti (ARNOLD, CRISPELL, talora similcorionepit e l i o m a t o s i , MARX, NAZARI); f i b r o s a r c o m i
(SHALLOW e W A G N E R ) ,
sarcomi
neurogenici (TESSERAUX e ZACHMANN), reticolosarcomi primitivi (vedi osservazioni dell'Autore di una retotelsarcomatosi diffusa, fig. 151, inoltre GASSER, KABISCH, vedi la concezione degli emangioendoteliomi come reticolosarcomi a pag. 412), sarcomi polimorfocellulari (FRIEDERICI), raramente melanomi maligni e risp. sarcomi pigmentati (NAZARI, MANSON, SMITH, bibl., M. BRANDT, R . KOCH: tumore epatico gigante completamente isolato) per i quali però devono essere forniti dati precisi se sono stati controllati i bulbi oculari oppure se sono stati ricercati nevi cutanei pregressi per essere al riparo da confusioni con tumori metastatici, che possono colpire il fegato in modo t u t t ' a f f a t t o isolato.
TUMORI DEL FEGATO, FORMAZIONI SIMILTUMORALI E CISTI
4II
K A U F M A N N riferì ad esempio di un melanoma congenito maligno metastatizzante del fegato in un bambino di N mesi per il quale P A R K E S , W E B E R , SCHWARZ e H E L L E N S C H M I E D poterono ammettere la trasmissione transplacentare intrauterina dalla madre portatrice di un melanoma maligno della cute (presenza di metastasi anche nella placenta). K A U F M A N N osservò in un uomo di 65 anni un sarcoma fusocellulare, in parte mixomatoso in parte necrotico, polimorfocellulare, situato nel fegato sotto forma di grosso nodo nettamente delimitato (peso del fegato 5850 gr, tumore di milza, non metastasi).
Fig. 151. Aspetto macroscopico della superficie di taglio del fegato in corso di retotelsarcomatosi con disposizione leucemica. Peso del fegato 2230 gr. Donna di 65 anni.
Con una certa frequenza vengono ancora descritti emangioendoteliomi (RAVENNA e particolarmente B . FISCHER), che qui vengono ricordati perché tra di essi si t r o v a n o anche forme maligne. Essi sono a) estesi più o meno diffusamente, e interessano il f e g a t o (eventualmente senza ingrandirlo) sotto f o r m a di innumerevoli noduli ed infiltrati di colore scuro. L ' a f f e zione è d o v u t a ad una costituzione abnorme congenita del sistema dei capillari sanguigni del fegato che rivela in una parte dei casi anche a t t i v i t à e m o f o r m a t i v a (focolai di emopoiesi). Gli endoteli rivestono in parte delle fessure ed in parte riempiono spazi cavernosi sotto f o r m a di zaffi solidi, oppure formano tralci cellulari solidi con scomparsa delle t r a v a t e cellulari epatiche. Spesso si h a polimorfismo marcato, fino alla formazione di cellule giganti. S v i l u p p o in fegato cirrotico f u osservato da KOTHNY, HACHFELD, KAHLE, SCHLESINGER, GÒDEL (vedi anche FRAISSE). Secondo VON
412
IL
FEGATO
ALBERTINI circa la metà di tutti gli emangioendoteliomi si formano in fegati cirrotici. Molti casi decorsero senza ed altri invece con metastasi (bibl. estesa in CASSEL) . La forma diffusa è il tipo più caratteristico di emangioendotelioma del fegato. Invece il b) nodo circoscritto con partenza dall'endotelio di grossi vasi (eventualmente anche di un cavernoma) è estremamente raro (SCHÓNBERG bibl.). Il problema se si tratti a proposito di a) di una malattia sistemica iperplastica (GOLDSCHMID e ISAAC), analogamente ai mielomi multipli dello scheletro oppure se si tratti di un tumore
Fig. 152. Metastasi multiple fino al volume di un pugno di bambino, in parte non pigmentate da melanoblastoma primitivo dell'occhio. Peso del fegato 3505 gr. Donna di 65 anni.
propriamente detto viene risolto dalla maggior parte degli Autori, a favore di quest'ultima ipotesi (vedi NEUBURGER e SINGER, bibl.). Alcuni cercano di distinguere tra emangioendoteliomi ed angiosarcomi (emangioendoteliomi s a r c o m a t o s i o e n d o t e l i o s a r c o m i [p. es. FONTAINE, FRANK, LEGAL,
SIBILLY e KIENY: donna di 41 anni con tumore del fegato di 1700 gr.]). v. ALBERTINI pone gli emoangioendoteliomi del fegato tra i reticolosarcomi. L a derivazione dalle cellule stellate di Kupffer non è dimostrata (MATTURRI e ROSSI sono di parere contrario). È interessante che questi tumori vascolari possono formarsi in soggetti che hanno ricevuto 10 anni prima ed oltre Thorotrast
(vedi pag. 167)
LUDIN, TESLUK e NORDIN,
(MACMAHON, MURPHY e BATES, GRAMPA e TOMMASINI-DEGNA,
SILVA
HORTA,
esperimenti
su
TUMORI DEL FEGATO, FORMAZIONI SIMILTUMORALI E CISTI
413
a n i m a l i : ZEITLHOFER e SPEISER, GUIMARAES, LAMERTON e CHRISTENSEN).
I sarcomi compaiono spesso nei bambini (vedi sopra). Bibl. in appendice. ROLLESTON e TREVOR, inoltre RYDER descrissero u n s a r c o m a p r i m i t i v o in u n a cirrosi e p a t i c a . U n c a r c i n o m a e s a r c o m a c o n t e m p o r a n e a m e n t e , cioè u n carcìnosarcoma a p a r t e n z a dalle cellule p a r e n c h i m a l i e c o n n e t t i v a l i di u n f e g a t o cirrotico, fu o s s e r v a t o d a LUBARSCH, inoltre d a DOMINICI e MERLE (tumore d a collisione!): V e d i a n c h e JAFFÉ.
Fig. 153Superficie di taglio del fegato con numerose e voluminose metastasi in parte apigmentate di un melanoblastoma oculare. Peso del fegato 8720 gr. Rimpicciolito 3,2:1. Uomo di 55 anni. Aut. N. 624/49.
In forma secondaria compaiono numerosi tipi di sarcomi. Così non è molto raro che il fegato venga colpito da metastasi di retotelsarcomi (l'Autore osservò p. es. in un uomo di 56 anni tre nodi di volume superiore a quello di un pugno in un fegato del peso di 3485 gr.). Particolarmente numerose e voluminose possono essere le metastasi di melanoblastomi di colorito nero tipo inchiostro di china o tipo tartufo (fig. 152), in cui il tumore primitivo (della corioidea dell'occhio, o della cute) è spesso molto piccolo. Si osservano però anche casi in cui il fegato rimane privo di metastasi, anche se queste sono altrove estremamente disseminate. A n c h e nei t u m o r i m e l a n o t i c i della c u t e esiste p e r lo p i ù u n a n e t t a sproporzione t r a il piccolo t u m o r e p r i m i t i v o ed il v o l u m i n o s o nodo m e t a s t a t i c o nel f e g a t o (vedi s o t t o u n caso in d o n n a di 43 anni). A d i f f e r e n z a dei t u m o r i m e l a -
414
IL
FEGATO
notici dell'occhio, nei tumori della cute, che presentano malignità elevatissima, si hanno soltanto raramente metastasi tardive. In un caso di K A U F M A N N (uomo di 48 anni) il fegato pesava 8118 gr.; innumerevoli metastasi si trovarono in quasi tutti gli organi interni; l'occhio era stato asportato un anno prima della morte. L'Autore osservò in corso di tumore primitivo oculare un fegato metastatico del peso di 8720 gr. (vedi x53)di rado le metastasi (che talora sono limitate al fegato) si manifestano soltanto dopo anni (metastasi tardive), così nei casi di C E E L E N , G O L D Z I E H E R , F I S H E R e B o x soltanto dopo 7, io, 14 anni dopo la enucleazione del bulbo (anche questi tumori crescono spesso molto lentamente), cfr. K A N G I E S S E R , bibl.; G I N S B E R G , bibl.; E . v. H I P P E L , bibl.
F i g . 154Metastasi di m e l a n o b l a s t o m a d i f f u s a m e n t e infiltrante. L e cellule t u m o r a l i nere sono disseminate nel p a r e n c h i m a epatico.
Si formano nodi rotondeggianti situati nel fegato con limiti più o meno netti oppure si formano infiltrati tumorali, complessi, più o meno voluminosi, biancastri, grigiorossastri variegati o neri, nei quali le cellule tumorali si estendono in parte diffusamente, t u t t a v i a in modo irregolare, tra le cellule epatiche normali (vedi fig. 154), oppure in cui in seguito alla estensione regolare nei vasi può essere riconoscibile ancora per molto tempo un certo ordine grossolano acinoso-raggiato (casi di questo genere particolarmente evidenti venivano denominati sarcomi melanotici raggiati). I nodi e gli infiltrati si associano spesso. Nei tumori melanotici si osservano contemporaneamente frammiste metastasi bianche, brune e nere. Il fegato
TUMORI D E L
FEGATO,
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415
colpito dalle metastasi può diventare enorme. L a ombelicatura, come nel carcinoma, è qui molto più rara (cfr. pag. 445), piuttosto i nodi sarcomatosi si sollevano generalmente dalla superficie del fegato in forma di gobbe o in forma sferica. L a melanina può liberarsi dalle cellule neoplastiche e essere accumulata nel fegato separatamente (vedi pag. 163). In un fibromioma sarcomatode dello stomaco di una donna di 70 anni si riscontrò nel lobo destro del fegato, il quale presentava una lieve fluttuazione, come unica metastasi (KAUFMANN) un nodo (misure 14 : 13 : 11) del volume superiore a quello di una testa di bambino, che sulla superficie di taglio era in parte grigiorossastro, midollare, in parte rosso, poroso, nel centro di colorito cretaceo e retratto. Molto rara è la trasformazione cistica estesa dei nodi. K A U F M A N N osservò cisti tumorali di volume superiore a quello di una testa di bambino in parte a pareti completamente liscie, con contenuto ematicosieroso, in un fegato del peso di 10900 gr (!) da leiomioma sarcomatodes primitivo ulceroso situato nella porzione cardiale dello stomaco in un uomo di 55 anni venuto a morte per dissanguamento. In una donna di 43 anni con nodi melanotici secondari del fegato molli fluttuanti con fluidificazione centrale del volume di un pugno o testa di bambino, in seguito a nevo-carcinoma melanotico primitivo del volto del volume di un pisello, si ebbe emorragia nel cavo peritoneale per rottura di uno dei nodi del fegato.
Un unico nodo epatico metastatico che può raggiungere il volume di una testa di adulto può indurre persino alla supposizione erronea di un sarcoma primitivo-, p. es. in corso di sarcoma primitivo della tiroide. L a immigrazione degli elementi neoplastici avviene per via ematica (cfr. pag. 409). Le cellule tumorali giungono nei capillari e da qui si accrescono e proliferano distruggendo il parenchima. Nei bambini si verificano sotto forma di neuroblastomi maligni del simpatico, dei tumori dei surreni (occasionalmente di entrambi) e delle loro vicinanze, che possono determinare una enorme infiltrazione diffusa del fegato (anche del midollo osseo e delle linfoghiandole prevertebrali) con innumerevoli noduli e nodi tumorali (cfr. LANDAU).
2. C A R C I N O M I D E L
FEGATO
L a classificazione dei carcinomi del fegato in carcinomi primari e secondari (metastatici) che oggi ci appare o v v i a viene applicata con precisione progressiva soltanto dalla seconda metà del secolo scorso. Anche oggi può essere occasionalmente difficile decidere al tavolo anatomico se un nodo
4i6
IX. FEGATO
carcinomatoso del fegato è sicuramente primitivo bronchiale — voluminosa metastasi epatica).
(p. es. piccolo carcinoma
a) CARCINOMI EPATICI PRIMITIVI Ancora nel 1931 KAUFMANN scrisse che i carcinomi primitivi del fegato sono « così rari che la loro importanza pratica non è molto grande ». Prescindendo dalla particolare frequenza in determinate popolazioni
Fig. 155. Carcinoma epatico primitivo nel lobo sinistro del fegato in corso di atrofia epatica cronica recidivante. Trombo tumorale dello spessore di un dito nel tronco principale della vena porta (dissanguamento da varici esofagee). Donna di 47 anni. A u t . N. 410/53.
(Bantu e altre, vedi sotto) e dal supposto aumento dei carcinomi epatici primitivi in genere, non possiamo ritenerli oggi manifestazioni così squisitamente rare come si ritenne in passato (vedi sotto). Su 27182 autopsie CARBONERA,
GULÌ e CAMERINI R I V I E R A
hanno
riscontrato
172
carcinomi
primitivi del fegato. Macroscopicamente distinguiamo con KAUFMANN (come pure con ROULET) le seguenti forme, tenendo presente t u t t a v i a che il valore di tale classificazione è soltanto contingente: a) sì forma un nodo massivo, voluminoso, che è isolato o che ha causato nelle vicinanze dei nodi secondari (cancer massif, HANOT, massive carcinoma, BERMAN). Il nodo massivo che più precisamente non di rado rap-
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presenta un nodo conglomerato (vedi fig. 1 5 5 e descrizione di un caso di uomo di 3 3 anni, v. oltre), può essere del v o l u m e di u n a testa di adulto (e può essere, sia pure molto r a r a m e n t e persino peduncolato, S T R O M E Y E R ) . I l lobo destro è prediletto (fig. 1 5 6 ) . I n questi casi la cirrosi non a p p a r tiene al quadro patologico. K A U F M A N N osservò in un uomo di 83 anni un nodo del volume quasi di una testa di bambino, bernoccoluto, pseudofluttuante, situato nel lobo epatico sinistro, che sulla superficie di taglio rivelava un quadro molto variabile, per cui si alternavano masse piuttosto molli grigiorossastre e particolarmente gial-
Fig. 156. Carcinoma epatico primario macronodulare del lobo destro. Infarcimento emorragico del tessuto epatico nelle vicinanze del carcinoma (penetrazione nelle vene epatiche e trombosi neoplastica della vena cava inferiore sino all'atrio cardiaco destro). Uomo di 55 anni. Aut. N. 90/53.
Iochiare, giallogrigiastre, cretacee, brunastre fino a giallo ocra, che erano suddivise qua e là da tralci biancastri tendinei; del lobo sinistro era conservato soltanto un sottile orlo di consistenza molle; uno zaffo dello spessore di una matita in un ramo della vena porta. Microscopicamente si osservavano nidi multiformi e cordoni in parte attraversati da capillari molto ampi di cellule polimorfe in parte voluminose, talora giganti, ed in parte più piccole con nuclei spesso notevolmente voluminosi e talora multipli. Queste cellule, grossolanamente granulose e spesso contenenti grassi ricordavano nella loro forma talora le cellule epatiche poligonali. Si osservavano emorragie e necrosi nel tessuto tumorale, penetrazione di cellule neoplastiche nei vasi e nel connettivo. Nel caso di un uomo di 40 anni il lobo destro era occupato da un tumore del volume superiore a quello di un pugno, che sulla superficie di taglio a v e v a aspetto 27
—
KAUFMANN
II,
p.
II
418
IL FEGATO
giallo pallido e rosso scuro chiazzato. Numerose metastasi (rosse) nei polmoni. Microscopicamente: voluminose cellule poligonali disposte in alveoli; tra, e in parte anche entro, le cellule tumorali giacevano grandi quantità di grasso e di pigmento biliare. In un uomo di 33 anni il lobo destro del fegato di 2950 gr. non cirrotico, ma con stasi venosa marcata era quasi completamente occupato da un nodo conglomerato del volume di una testa di bambino e cioè da una massa tumorale costituita da 4 grossi nodi variamente colorati; i singoli nodi erano incapsulati da connettivo (fatto descritto anche da altri come p. es.
Fig. 157. Cancrocirrosi con metastasi ai polmoni e ai linfonodi paratracheali e della carena. Uomo di 52 anni (Aut. N. 34155 dell'Istit. di Anat. e Istol. Patol. dell'Univ. di Milano).
che si infiltrava tra i singoli nodi ed anche in forma di setti. Microscopicamente: carcinoma epatocellulare, disposto tra le quali vi erano capillari; le cellule epatiche: ricche di grassi, senza senza bile; non cellule stellate. Per le metastasi multiple (anche nello istologicamente sovrapponibili completamente al tumore primitivo, caso, vedi anche pag. 433. WENDEL, KLEMM),
essi sotto a travate, glicogeno, scheletro) in questo
b) Si formano nodi multipli di volume variabile e consistenza da dura sino a molle fluttuante (cancer nodulaire, HANOT; nodular carcinoma BERMAN) sia a) in un fegato non cirrotico sia fi) in un fegato cirrotico (cirrhosis carcinomatosa, cancer avec cirrhose, HANOT, figg. 158, 162). I nodi e nodulini sono di colorito bianco opaco o di colorito cretaceo (necrotici), o con diverse gradazioni di giallo, o grigio-rossastri, o con punteggiature
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rossastre, oppure anche di colorito verde biliare, talora anche con pigmento brunastro. In a) i nodi sono per lo più nettamente delimitati, talora persino da capsule connettivali, come è stato descritto a proposito di a) e per il resto un tale fegato può dare a t u t t a prima l'impressione di una infiltrazione carcinomatosa metastatica, t u t t a v i a non si ha mai una vera e propria ombelicatura dei nodi prominenti alla superfìcie. In fi) la delimitazione dei nodi e dei noduli che si formano in aree più o meno vaste del fegato, è invece spesso così imprecisa che macroscopicamente (specialmente
Fig. 158. Carcinoma epatico primario in corso di cirrosi epatica (cirrhosis carcinomatosa). Penetrazioni carcinomatose massive nei rami della vena porta e nelle vene sovraepatiche. Uomo di 60 anni. Aut. N. 1152/38.
sul preparato in formalina) è difficile riconoscere il carcinoma dai complessi di noduli iperplastici pseudoacinosi. Certamente si t r a t t a di una eccezione quando nel fegato cirrotico si formano nodi nettamente capsulati (che per lo più hanno un certo volume) come in a). A n c h e alla superficie aggettano soltanto per lo più noduli e rilevatezze pianeggianti. Talora si hanno forme di passaggio tra a) e b). Sulla frequenza vedi pag. 421. c) Infine in rari casi (dal 3 al 27 % secondo le statistiche!) si può formare un infiltrato neoplástico diffuso (cáncer diffus\ degenerazione carcinomatosa diffusa), senza che si demarchino noduli e nodi (cfr. EGGEL 1901). R o u LET ritiene che esista sempre la combinazione con la cirrosi. Il disegno macroscopico è piuttosto impreciso, talora addensato e colorato con fini variegature. KAUFMANN lo osservò p. es. in una donna di 37 anni con un fegato del peso di 3000 gr. tipo aa di carcinoma, come descritto a pag. 424;
420
IL FEGATO
numerose le metastasi nelle linfoghiandole, polmoni, pleure, surrene destro e da quest'ultimo penetrazione nella vena cava inferiore. Inoltre i nodi e gli infiltrati si possono associare. Sulla superficie aggettano nodi e rilevatezze pianeggianti. Il fegato può essere in a) e particolarmente in b) specialmente aumentato di volume, pesare fino a quasi i o kg; è di consistenza dura e, nella cirrosi carcinomatosa dimostra un ispessimento della capsula. Talora però il fegato è aumentato di volume di poco, oppure anche rimpicciolito; e simula
Fig- 159C a r c i n o m a epatocellulare in f e g a t o cirrotico. T r o m b o s i neoplastica delle vene s o v r a e p a t i c h e con estensione alla v e n a c a v a inferiore e all'atrio d e s t r o del cuore (vedere figure successive). D o n n a di 65 a n n i (Aut. N. 32994 d e l l ' I s t i t . di A n a t . e Istol. P a t o l . d e l l ' U n i v . di Milano).
esternamente una cirrosi atrofica. Ciò fu osservato da KAUFMANN p. es. a Breslau in un uomo di 64 anni con ittero, ascite abbondante di colorito giallo oro, in cui si osservavano contemporaneamente cisti biliari multiple sulla superficie del fegato e iperplasie epatocellulari a nodi; soprattutto nel lobo destro si riscontrarono masse tumorali giallo verdastre nei rami della vena porta e delle vene epatiche; il tessuto epatico era del resto giallastro verde erba, chiazzato rosso sangue; emboli neoplastici verdastri in numerosi rami dell'arteria polmonare (cfr. anche WEGELIN, bibl.). I casi jj del gruppo b) danno clinicamente l'impressione di una cirrosi decorrente con epatomegalia (con ascite) e rivelano anche splenomegalia (vedi anche OGAWA).
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Circa il rapporto numerico delle singole forme di carcinoma epatico, esistono pareri diversi: secondo BERMAN, ZEITLHOFER, KÒHN sarebbero più frequenti le forme macronodulari. Invece ROULET sulla base di una inchiesta osservò le seguenti cifre: carcinomi massivi nel Senegal n % rispetto al 62 % di carcinomi nodulari; in Los Angeles 17,7 % rispetto a
Fig. 160. Cuore: vedi fig. 1S9.
74,4 % ; in Basilea 20,2 % rispetto a 61,8 % ; in Giappone 29,2 % rispetto a 78,84 % (Imprecisione?); nel Sudafrica 43 % rispetto al 57 % . Soltanto in Austria vi è il 64,4 % di carcinomi massivi rispetto al 35,6 % di carcinomi nodulari. Le cifre per i carcinomi diffusi sono nel Senegal 27 % , a Los Angeles il 3 % , a Basilea il 14,6%, in Giappone il 9,3 % . Il punto di origine di questi carcinomi è rappresentato probabilmente con massima frequenza dalle cellule epatiche propriamente dette (parenchima
422
IL
epatico secretorio), vedi
FEGATO
SCHUPPEL, S I E G E N B E E K VAN HEUKELOM,
KAUF-
e v. B O K A Y , bibl. (anche su carcinomi molto iniziali, con figure), inoltre YAMAGIWA, bibl. e H E R X H E I M E R , bibl. Un accrescimento progressivo attraverso la trasformazione di cellule epatiche in cellule neoplastiche è negato da alcuni (RIBBERT ed altri, bibl. in W E G E L I N ) , mentre KAUFMANN ed altri, tra cui GOLDZIEHER osservarono quadri che devono essere interpretati in questo senso, e ciò è in accordo con un accrescimento (rispettivamente origine) multicentrico del carciMANN, POLLAK-DANILES, GOLDZIEHER
'¿" !m "f - f! ' ' ' '' fT ; '?5; 7*?Ti'i^iTpìTi^S J » r i i 1 i ; 1 i fp f l f T ^ Ì f ì l f n l | I 32994 Fig. 1 6 1 . Vena cava inferiore: vedi fig. 159.
noma, che si impone all'osservatore specialmente nel fegato cirrotico (vedi anche SALTYKOW), (ORSOS non mise in dubbio la trasformazione diretta di tumori da cellule epatiche, fece derivare però, per i suoi casi, i « focolai di epatoma » [vedi sotto] in sviluppo ascendente da dotti biliari sottili, proliferanti in forma multicentrica, ciò però è stato negato da B E N D A e GOLDZIEHER sottolineando l'origine epatocellulare dei carcinomi epatocellulari). Anche gli epiteli dei piccoli dotti biliari interlobulari possono rappresen-
tare il punto di partenza (quindi anche il sistema escretorio). Bisogna tuttavia guardarsi dal far derivare tutti i carcinomi con formazione di tubuli (B. F I S C H E R - W A S E L S ) dai dotti biliari ( H E R X H E I M E R , W E G E L I N , V. A L BERTINI). Inoltre le iperplasie nodose (TSCHISTOWITSCH) e gli adenomi tu-
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SIMILTUMORALI
E CISTI
423
bulari, possono trapassare in carcinomi. Alcuni dei cosiddetti adenomi multipli (bibl. in SCHMIEDEN) sono probabilmente spesso già carcinomi multipli primitivi. Recentemente K O H N (con riferimento ad alcuni altri Autori, p. es. L E B O N e E I S E N B E T H ) ha messo in dubbio il diritto di suddividere i carcinomi in epato e colangiocellulari (vedi sotto); egli si basa essenzialmente su dati embriologici: la tesi di H A M M A R (vedi pag. 3) non sarebbe esatta. A prescindere dal fatto che l'Autore ha accettato la concezione dualistica (vedi anche E S S B A C H , R O T H )
Fig. 162. I n g r a n d i m e n t o d e l l ' a s p e t t o macroscopico della superficie di taglio del f e g a t o della fig. 158. (Proliferazioni carcinomatose di colorito biancastro).
egli non trova difficoltà nell'ammettere uno sviluppo neoplastico dai piccoli dotti biliari intraepatici interlobulari, così come avviene dai dotti grossi extraepatici (anche nel polmone conosciamo la difficile derivazione dell'adenomatosi polmonare maligna o dai bronchioli o dagli alveoli). Così anche per il carcinoma epatico primario, manca finora una derivazione istogenetica sicura. Ad ogni modo a tutt'oggi, non è ancora dimostrato con sicurezza che tutti i carcinomi epatici primari traggano la loro origine dalla cosiddetta zona indifferente ( S C H A P E R e C O H E N ) . Proprio per il carcinoma epatico primario, prevalentemente epatocellulare (vedi sotto), che origina così frequentemente sul terreno di una cirrosi epatica, è improbabile che esso derivi da proliferazioni abortive di dotti biliari, che sarebbero il vero e proprio prodotto della zona indifferente (cfr. anche v. A L B E R T I N I ) . Che in pratica possa essere difficile una distinzione diagnostica differenziale tra carcinoma epato- e colangiocellulare non viene minimamente discusso (vedi sotto). D'altra parte anche K O H N non poté fare a meno di parlare del « cosiddetto » carcinoma epatico epatocellulare.
424
IL FEGATO
L'Autore
distingue
perciò,
con
KAUFMANN,
V. A L B E R T I N I e
ROULET
e in accordo con la parte nettamente preponderante della letteratura mondiale ancor oggi come prima, microscopicamente due forme principali di carcinoma epatico.
a) Carcinoma epatocellulare Carcinoma epatocellulare, carcinoma hepatocellulare, liver celi carcinoma, cosiddetto carcinoma epatico parenchimatoso. (Alcuni definiscono il carcinoma epatocellulare come epatoma (come già YAMAGIWA); t u t t a v i a questa denominazione imprecisa non è consigliabile; cfr. MIROLUBOW; poiché epatoma significa soltanto tumore epatico. Perciò si potrebbe denominare epatoma con lo stesso diritto anche un adenoma del fegato. ORSÒS e recentemente anche KÒHN parlano di «epatoma maligno»). Un'ulteriore suddivisione del carcinoma epatocellulare non mi sembra essenziale, poiché spesso nello stesso caso possono comparire contemporaneamente le tre forme sotto riportate (analogo polimorfismo lo conosciamo p. es. anche nel carcinoma mammario). T u t t a v i a la qui di seguito riportata classificazione è giustificata dall'adozione del principio «a potiori fit denominatio»: aa) Carcinoma epatocellulare trabecolare (v. ALBERTINI) O solidum o simplex; carcinoma epatico classico, notevolmente maturo. Questa forma è spesso (persino nelle sue metastasi: v. ALBERTINI) costituita in modo così simile al fegato che la distinzione dal tessuto epatico normale può diventare quasi impossibile. Un polimorfismo cellulare spesso non è riconoscibile, e le mitosi sono rare. L a malignità di questi casi può essere affermata, come riconosce MASSON, soltanto sulla base dell'accrescimento infiltrante, soprattutto in caso di infiltrazioni vascolari. Le travate cellulari di vario spessore (fig. 163) della larghezza di 10-12 (fino a 30: BERMAN) cellule, sono solide e circondate prevalentemente da capillari in parte sinusoidi (occasionalmente anche con fibre reticolari come stroma; cfr. STROMEYER; ADELHEIM). Persino nelle metastasi di questa forma tumorale si possono osservare formazioni simil-sinusoidali. Talora esiste una certa somiglianza con l'adenoma epatico, per cui FROHMANN, RIBBERT ed altri hanno parlato di « adenoma maligno ». afl) Carcinoma epatocellulare vescicolare (v. ALBERTINI) o tubuloalveolare o semiadenomatosum (WALTHER), Adenohepatoma (OPIE). Rispetto ad aa) le travate di cellule neoplastiche sono più o meno riccamente canalizzate e dimostrano lumi più stretti o più ampi a seconda dei casi (fig. 164), per lo più mal delimitati, formatisi per distruzione cellulare, che contengono detriti, grumi o granuli di bile ovvero di pigmento biliare spesso in grandi quantità; sulle sponde di tali lumi o di vere e proprie cavità KAUFMANN
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osservò frequentemente interi accumuli di nuclei cellulari residuati. Sui capillari biliari vedi pag. 429. Esistono anche proliferazioni a struttura delicata, tubulari a tipo tubuli biliari, che secondo GOLDZIEHER e v. BOKAY, MATANO rappresentano soltanto dotti pseudobiliari e che si formano per sdifferenziazione dalle cellule epatiche (a proposito del carcinoma dei dotti biliari ritorneremo sull'argomento a pag. 429). Le aree a forma tubulare non hanno alcuna somiglianza con l'adenoma. Questa forma è spesso difficilmente distinguibile dal punto di vista diagnostico differenziale dal
Fig. 163. Carcinoma epatico epatocellulare primitivo. Tipo trabecolare. Uomo di 58 anni.
carcinoma colangiocellulare (FISCHER-WASELS e HERXHEIMER l'hanno int e r p r e t a t o e r r o n e a m e n t e ; SIEGENBEEK VAN HEUKELOM e WEGELIN
par-
larono di adenocarcinoma, termine ritenuto da KAUFMANN a ragione come «non felice»; v. sotto). Come caratteristica differenziale fondamentale secondo v. ALBERTINI vale la connessione delle vescicole con i tralci trabecolari; inoltre le trabecole vescicolari ricordano i noti quadri dovuti a stasi biliare. Entrambe le forme [aa) ed a/5)] compaiono molto spesso in forma combinata; così è comprensibile che, data la facile possibilità di confusione con il carcinoma colangiocellulare, si sia parlato occasionalmente di un « epatocolangioma
» (WARWI, KOHN, cfr. a n c h e MATANO, ORSÒS; v e d i a n c h e
WARREN e DRAKE). Tuttavia non si può negare che raramente i carcinomi epatici epatocellulare e colangiocellulare compaiono contemporaneamente (ALLEN e LISA, ROULET). Le cellule periferiche delle travate, cioè laddove
426
IL FEGATO
vengono a contatto con i capillari, possono o no essere differenti da quelle della massa, oppure talora dimostrare forma quasi cilindrica ed in alcune zone perfino una disposizione a palizzata con localizzazione basale dei nuclei. Esistono anche osservazioni in cui nodi più voluminosi sono costituiti in gran parte da « cellule chiare » (NECKER, bibl.), che conosciamo dalla cirrosi epatica. Laddove le travate tumorali vengono in contatto con il tessuto epatico vicino si osservano spesso « quadri di passaggio » come v e n g o n o r i p o r t a t i per es. d a GOLDZIEHER e d a v . B O K A Y .
Fig. 164. Carcinoma epatico epatocellulare tipo alveolare.
ay) Carcinoma (epatocellulare) anaplastico. In questa forma dominano le aree indifferenziate. Alcuni ricercatori la separano pertanto dal carcinoma epatocellulare. Ma p. es. anche ROULET ha l'impressione che questa forma neoplastica sia « une variante de l'épithélioma hepatocellulaire classique ». Possiamo osservare in parte cellule abnormemente piccole (c. e. a. microcellulare-. 3 su 11 carcinomi anaplastici del materiale proprio dell'Autore), ed in parte cellule giganti spesso grottesche (c. e. a. macrocellulare'. 8 su 11 casi di carcinoma anaplastico del materiale proprio dell'Autore). Spesso esistono tutte le forme di passaggio dal tipo delle cellule epatiche normali sia verso cellule più piccole poligonali e non sempre « scure », e talora verso cellule rotonde o fusate completamente indifferenziate (fig. 165), sia verso elementi enormi bizzarri: il loro protoplasma è talora chiaro, la loro granulazione diventa più grossolana; i nuclei sono aumen-
TUMORI DEL FEGATO, FORMAZIONI SIMILTUMORALI E CISTI
427
tati di volume, e non sempre molto ricchi di cromatina. Possono essere molto frequenti le amitosi e le mitosi (anche atipiche). Le cellule giganti sono rare oppure presenti in grande numero (fig. 166) per lo più plurinucleate (ROWEN e MALLORY parlano di un « tipo di carcinoma epatico plurinucleato » BERMAN riscontrò in un caso più di 30 nuclei in una cellula gigante). Alcuni carcinomi sono così sdifferenziati da rendere possibile la confusione col sarcoma.
Fig. 165. Carcinoma epatico primitivo microcellulare in corso di cirrosi epatica (non metastasi da carcinoma bronchiale!). Uomo di 51 anni.
Per le forme aa) fino a ay), che possono dimostrare come è noto forme di passaggio, si ammette in genere la derivazione dalle cellule epatiche e precisamente nei casi più frequenti, cioè formantisi in corso di cirrosi epatica, la genesi multicentrica dai noduli pseudoacinosi di parenchima caratterizzati da iperplasia. Anche MUIR e GOLDZIEHER e molti altri condividono questo parere, come pure HOLMER sulla base dei suoi reperti di capillari biliari (secondo ROWEN e MALLORY si tratterebbe soprattutto delle cirrosi pigmentarie con decorso molto cronico, nelle quali le rigenerazioni che continuamente fanno seguito alla necrosi possono condurre infine alla produzione di cellule indifferenziate). Rimarchevole è nel tumore primitivo e anche nelle metastasi la comparsa occasionale di cellule stellate di Kupffer (WEGELIN, MIROLUBOW, FAHR,
bibl.,
v.
ALBERTINI).
428
IL
FEGATO
Ciò fu osservato da K A U F M A N N (contrariamente a H O F F M A N N ) con massima evidenza, almeno nel tumore primitivo, tra gli altri, nel caso di un uomo di 64 anni citato a pag. 420. In questo caso si differenziavano con particolare evidenza negli zaffi tumorali situati nei vasi e nei capillari adiacenti alle travate cellulari, delle cellule di Kupffer di forma alare, che penetravano tra le cellule neoplastiche; le cellule di Kupffer non avevano un ruolo particolare; invece il rivestimento endoteliale si rivelava spesso ispessito, fino a raggiungere in alcuni punti l'aspetto di cuscinetti ricchi di cellule, i quali per la colorazione più
Fig. 166. Carcinoma epatico primario anaplastico, contenente cellule giganti.
scura risaltavano bene rispetto alle travate cellulari e formavano frequentemente anche voluminose cellule giganti poligonali bizzarre e sinciziali con accumuli addensati di nuclei ipercromatici, polimorfi, spesso allungati e relativamente piccoli (come è stato ripetutamente osservato in modo più esteso negli emangioendoteliomi citati a pag. 411 e nei corionepiteliomi ectopici, vedi pag. 453). Spesso si osservarono anche ramificazioni capillari sottili incuneate tra le travate cellulari e completamente ripiene di nuclei endoteliali (dalle cellule giganti neoplastiche queste cellule giganti endoteliali erano facilmente distinguibili per la loro forma e per i nuclei ricchi di cromatina). Occasionalmente si possono osservare anche quelle figure ramificate angolose e irregolari dei capillari biliari compresi tra le cellule neoplastiche (vedi anche HOLMER). Ciò è interessante perché dimostra che il tumore manifestamente maligno tendente alla necrosi può produrre ancora della bile. Il reperto di bile nel tumore primario e nelle metastasi è stato sottoli-
TUMORI DEL FEGATO, FORMAZIONI SIMILTUMORALI E CISTI
429
neato dapprima da PERLS, inoltre da HELLER, BOCK, SCHMORL ed altri, CLOIN e M. B . SCHMIDT, LISSAUER ed altri osservarono anche capillari biliari nelle metastasi, fatto questo osservabile più frequentemente nei polmoni, più raramente anche nello scheletro; NECKER ed anche WEGELIN ritengono a ragione che questa produzione di bile nelle cellule tumorali costituisca il criterio più importante per la derivazione dalle cellule epatiche. A questo proposito ORSÒS dà in merito particolare valore alla tesaurosi adiposa, che KAUFMANN citò anche a proposito delle metastasi scheletriche (vedi pag. 432 e cfr. PRYM). Nel reperto di bile alcuni vedono l'appoggio all'opinione meno recente (vedi FISCHLER), che in primo luogo debba attribuirsi alle cellule epatiche (e non ai reticoloendoteli) una attività specifica nella produzione del pigmento biliare cfr. R . HOFFMANN, bibl.). Tuttavia ciò non è dimostrativo in quanto anche queste cellule neoplastiche ricevono bilirubina indiretta prodotta altrove.
fi) Carcinoma
colangìocellulare
Carcinoma colangìocellulare, carcinoma cholangiocellulare, bile duct carcinoma. È molto più raro (vedi sotto). Si tratta di un adenocarcinoma in stretto senso morfologico. Secondo DAVIES il carcinoma colangìocellulare sarebbe diagnosticabile già macroscopicamente avendo una certa esperienza (particolare consistenza!). Anche il carcinoma colangiocellulare può formarsi in fegati cirrotici, t u t t a v i a più raramente del carcinoma epatocellulare (ROULET dà cifre dal 17 % al 50 %). Talora esiste una certa somiglianza con le proliferazioni dei dotti biliari nella cirrosi e si è ritenuto di poter vedere forme di passaggio da queste alle proliferazioni adenocarcinomatose con le loro forme cellulari più atipiche. L'imitazione ghiandolare delicatamente disegnata è costituita da cellule cilindriche polimorfe, alte (fig. 168) oppure basse (fig. 169), in parte pluristratificate. Esse sono separate esclusivamente da connettivo (e non da capillari come in a). A l contrario rispetto ad a non si ha produzione di bile, perchè ciò è possibile soltanto alle cellule epatiche, m a non agli epiteli dei dotti biliari. Formazioni similghiandolari contenenti bile nel lume e nelle cellule appartengono al tipo a. Per ulteriori caratteristiche differenziali vedi sopra. L a derivazione delle cellule neoplastiche da epiteli dei dotti biliari proliferati appare ovvia. D i solito si pensa (vedi anche ORSÒS) ai piccoli dotti biliari interlobulari; t u t t a v i a è stato discusso anche il ruolo dei dotti pseudobiliari (MATANO, GOLDZIEHER). L ' A u t o r e dubita però di tale derivazione in quanto altrimenti il carcinoma colangiocellulare avrebbe derivazione epatocellulare, in quanto una parte delle cosiddette proliferazioni dei dotti biliari deriva da travate cellulari atrofiche. Talora si potrà ammettere un prestadio adenomatoso (adenoma dei dotti
43°
IL
FEGATO
biliari) (cfr. SALTYKOW). A questo gruppo potrebbe appartenere un caso osservato dall'Autore di un uomo di 55 anni con cirrosi epatica di Laennec, in cui v i erano proliferazioni papillari rivestite da epitelio cilindrico alto (fig. 170), che in alcuni punti presentavano già carattere maligno. SOKOLOFF fece derivare un caso raro con epitelio ciliato dai dotti biliari; sull'interpretazione cfr. LANDSTEINER e HERXHEIMER. BERGER analogizza tale reperto con quello di cellule ciliate di Masson nel crasso. Sulle forme miste vedi sopra afl.
Fig. 167. Carcinoma colangiocellulare con metastasi ai linfonodi della testa del pancreas, al peritoneo parietale ed al lobo superiore del polmone destro. Uomo di 35 anni. (Aut. N. 33897 dell'Istit. di Anat. e Istol. Patol. dell'Univ. di Milano).
Metastasi del carcinoma epatico primitivo. L a frequenza delle metastasi nei carcinomi epatici primari (soprattutto in a) è stata precedentemente da molti punti di vista decisamente sottovalutata. Ciò può dipendere in parte dal f a t t o che adenomi vennero considerati carcinomi. Inoltre non si tenne sufficientemente conto del f a t t o che nei carcinomi epatici a v v i e n e molto spesso la metastatizzazione nel fegato stesso (secondo HOLSTEN nell'Istituto della Charité, 20 volte su 30 casi), mentre le metastasi extraepatiche erano meno evidenti, almeno allora, sia per frequenza, sia per estensione (KAUFMANN). Oggi le cose stanno diversamente: metastasi extraepatiche nel 73 % (HOLSTEN),
75 %
(KOHN),
76 %
(LUNZENAUER),
100 %
(W.
FISCHER).
Fra
TUMORI
DEL
FEGATO,
FORMAZIONI
SIMILTUMORALI
E
CISTI
431
Fig. 168. Carcinoma colangiocellulare con rivestimento di cellule epiteliali cilindriche alte. Stroma connettivale. Uomo di 69 anni.
Fig. 169. Carcinoma colangiocellulare. Epitelio basso. Tessuto interstiziale evidentemente fibroso. Uomo di 66 anni. (Causa di morte: tubercolosi polmonare cronica e pericardite tubercolare!.
432
IL
FEGATO
queste sono più frequenti quelle alle linfoghiandole dell'ilo epatico, e in seguito nei polmoni (da controllare sempre microscopicamente, v. sotto) (vedi anche C. BENDA, BERMAN). Nel fegato a v v i e n e straordinariamente di frequente la penetrazione nei vasi e in modo molto sorprendente nella v e n a porta (su 30 casi 3 volte: HOLSTEN), però anche nelle v e n e epatiche, ciò che può determinare metastasi a distanza specialmente nei polmoni, e persino, come spesso osservò E . KAUFMANN, nelle arterie, nelle quali le masse tumorali si estendono spesso in continuità e per vasti tratti, in
Fig. 170. Proliferazione similcolangiomatosa in cirrosi epatica di Laennec (in alcune zone non rappresentate nella fotografia con sospetto di malignità). Uomo di 55 anni. Aut. N. 730/52.
forma di cordoni; ciò può avvenire sia in direzione periferica sia in direzione centrale; esse possono essere trasportate anche in modo discontinuo, salt a n d o dei tratti, nei rami vasali. (Anche se è fuori dubbio che attraverso questa nota disseminazione alcuni carcinomi del fegato possono simulare talora il quadro di tumori primitivi multipli, non è d'altra parte difficile distinguere da questi, carcinomi effettivamente multipli primitivamente, che esistono in realtà, vedi anche ADELHEIM, come del resto esistono iperplasie e adenomi multipli primitivi del fegato). L e metastasi a distanza, che t r a l'altro partono da penetrazioni nelle vene epatiche o secondariamente nelle vene polmonari, non sono t a n t o rare anche nello scheletro, come ammise a suo tempo ancora BLUMBERG (bibl.) (BERSCH); KAUFMANN SU 15 casi di carcinoma epatocellulare le osservò 3 volte.
TUMORI DEL FEGATO, FORMAZIONI SIMILTUMORALI E CISTI
433
Così si trovarono nel caso citato a pag. 418 di un uomo di 33 anni, con voluminoso nodo massivo nel lobo epatico destro, importanti metastasi nelle ossa del bacino, inoltre nelle coste, nei corpi vertebrali, come pure nei polmoni (in questi per lo più piccoli nodi biancastri rotondeggianti e circoscritti ed infiltrati da connettivo; K L E M M descrive addirittura metastasi cicatriziali) e nelle linfoghiandole dell'addome; la biopsia del tumore del bacino di volume superiore a quello di una testa di bambino dimostrò voluminose cellule poligonali steatosiche, che ricordavano le cellule epatiche (vedi anche CATSARAS, PRYM che riscontrò in una metastasi cranica contemporaneamente bile e grasso, K A R A J A N N O P O U L O S , P U C C I N E L L I ) . Metastasi scheletriche osservò K A U F M A N N anche in una donna di 65 anni con carcinoma epatocellulare macronodulare nel lobo destro senza cirrosi. In un medico 54enne con cirrosi il lobo epatico sinistro era diffusamente infiltrato e fortemente aumentato (peso del fegato 2560 gr); metastasi nelle linfoghiandole addominali, nel manubrio dello sterno, dalla terza alla quinta vertebra toracica; laminectomia per compressione midollare, e biopsia che fece constatare un carcinoma epatocellulare (cfr. anche un caso interessante dal punto di vista diagnostico di F R . L A N G ) . Possibilità di scambio clinico con la malattia di Hand-Schuller-Christian venne descritta da S T A N G L e
VILLINGER-KWERCH. W.
FISCHER
BEHRENS,
osservò frequentemente metastasi alla milza, vedi anche
LUNZENAUER.
ZEMPLENYI,
BECK,
SMEJKALOVA e
RAUCHEN-
riferiscono di una metastasi al cuore. S T E I N osservò emopoiesi anche nelle metastasi di un carcinoma epatico primitivo in un lattante di 2 mesi. Ulteriori metastasi nel peritoneo, surrene e pleura. In seguito ad occlusione della vena porta ad opera di carcinoma, che ne può colpire anche il tronco, ed in corso di cancrocirrosi, compaiono tumore di milza, catarro gastro-intestinale, ascite. Si ha anche ittero intenso, almeno frequentemente nel fegato stesso. K A U F M A N N osservò anche penetrazione nella vena cava. G R A W I T Z descrive un caso di una donna di 5 2 anni con dissanguamento nella cavità addominale da un nodo prominente sferico. Il carcinoma epatico primitivo, insorge anche spontaneamente negli animali, p. es. nei cani ( M U L L I G A N ) e nei topi C 3 H ( F A W C E T T e W I L S O N ) . BERG
Ulteriore letteratura più antica sul carcinoma epatico e anche sul carcinoma epatico sperimentale, vedi pag. 461. Cllnica del carcinoma epatico primitivo. — Il carcinoma epatico primitivo decorre in circa due terzi dei casi tipicamente (come « frank cancer »: BERMAN), cioè i sintomi denunciano la sede epatica: per lo più esiste dolore dell'addome superiore e astenia di grado elevato con dimagramento. Il fegato è sempre ingrandito, ma molle (contrariamente alla cirrosi, che però è spesso combinata: E D M O N D S O N e S T E I N E R ) . L'ittero e l'ascite compaiono soltanto in poco più della metà dei casi. Non di rado la morte interviene per emorragia ( O V E R T O N , V A N K A D E N e L I V E R S A Y ) . Nei casi atipici possono comparire inaspettatamente sintomi «addominali acuti» o febbre; il carcinoma « occulto » viene scoperto soltanto occasionalmente ed eventual28
—
KAUFMANN
II,
p.
II
434
IL
FEGATO
mente in base alle sue metastasi (dettagli in BERMAN). L a possibilità di una dimostrazione arteriografica dei carcinomi epatici (regolarmente irrorati dall'arteria epatica, cfr. anche BREEDIS e Young) è sottolineata da BIERMAN,
BYRON,
KELLEY
e GRADY.
RAVAULT, FRAISSE e NOEL
osser-
varono sindrome di Cushing in carcinoma colangiocellulare primitivo. L a prognosi è senza speranza; interventi chirurgici sono possibili (p. es. BEHREND
e HARBERG,
BRUNSCHWIG,
OVERTON,
KADEN
e LIVESAY),
ma
quasi sempre i pazienti giungono troppo tardi. Il carcinoma epatico primitivo decorre per lo più molto rapidamente (PAYET, PENE e CAMAIN): il paziente muore già dopo pochi mesi (4 mesi: BERMAN; 5-7 mesi: LEMMER, OVERTON, VAN KADEN e LIVESAY) dalla comparsa dei primi sintomi. Frequenza del carcinoma epatico primitivo. — Negli istituti anatomopatologici più grandi di Europa, con un numero di autopsie annuo intorno a 1500 dovrebbero venire osservati annualmente circa 2 casi di carcinoma epatico primitivo; ciò deriva dalle numerose statistiche che danno una frequenza assoluta di questo tumore, tra lo 0,12 % (HERXHEIMER-LUBARSCHJUNGHANNS) e lo 0,13 %
(KÒHN) fino allo 0,14 %
(BERMAN).
Tuttavia
proprio in questi ultimi anni vengono sezionati in alcuni centri, percentualmente, più carcinomi epatici: ZEITLHOFER (Vienna) 0,18 % ; W. FISCHER (Jena) 0,26 % ; LUNZENAUER (Lipsia) 0,3 % ; MEYER (Basilea) 0,43 % ; KOHN (Berlin-Spandau) 0,6 % , cioè fino a 9 carcinomi epatici primitivi su 1500 autopsie. Nell'Istituto dell'Autore (Charité) furono osservati nell'anno 1955, su 1410 autopsie, 8 carcinomi epatici primitivi, cioè lo 0,57 % ; HOLSTEN osservò su 5622 autopsie (Istituto dell'Autore 1951-1955) 30 carcinomi epatici primitivi cioè lo 0,53 % ; invece su 32.483 autopsie dell'Istituto della Charité negli anni 1931-1955 soltanto 109 carcinomi epatici primitivi, cioè lo 0,33 % . L a frequenza relativa del carcinoma epatico primitivo cioè la sua comparsa riferita al numero assoluto di tutte le autopsie di cancerosi ammonta in Europa all'i,2 % (HERXHEIMER-LUBARSCH, BERMAN, KÒHN); LUNZENAUER calcola su 5363 carcinomi al tavolo anatomico nell'i,84 % carcinomi epatici primitivi; HOLSTEIN su 6613 carcinomi sezionati nell'i,6 % carcinomi epatici primitivi. Mentre la questione di un eventuale aumento assoluto del carcinoma epatico primitivo in Europa è notevolmente discussa (vedi ZEITLHOFER, BLATCHFORD, MEYEN, KÒHN, HOLSTEN r i s c o n t r a a l c o n f r o n t o d i 1 3 6 . 9 6 6
autopsie prima del 1930 e 129.410 autopsie dopo il 1930 (riunite dalla letteratura) un aumento statisticamente accertato in Europa da 162 a 410 cancri (0,11 % rispetto a 0,31 % dato assoluto; 1,1 % di fronte a 1,9 % dato relativo!), negli Stati Uniti il carcinoma epatico si deve considerare come aumentato sicuramente su base statistica: mentre i dati prima del 1930 erano dello 0,13 % (come in Europa) i dati assoluti oggi sono dello 0,27 % (BERMAN)
ovvero
dello
0,2 %
(BRUNSCHWIG).
CAMERON
(New
York)
osservò carcinomi primitivi del fegato perfino nell'i,19 % dei casi (18 car-
TUMORI
DEL
FEGATO,
FORMAZIONI
SIMILTUMORALI
E CISTI
435
c i n o m i e p a t i c i su 1 5 1 0 autopsie), OVERTON, KADEN e LIVESAY 0,88 %
su
tutte le loro autopsie. Ciò può dipendere dalla mescolanza con appartenenti ad altre razze di continenti diversi, in quanto noi conosciamo la notevole frequenza del carcinoma epatico primitivo per es. in India (0,32 %), nelle Filippine (0,44 %), in Cina (0,9 %) e Giappone (0,97 %), ma soprattutto nei negri Bantu (1,1%) e Giavanesi (1,31 %). Queste cifre citate da BERMAN sono state contraddette soltanto raramente: così GHARPURE, sottolinea che il carcinoma epatico è raro in India; discussa è la frequenza in Israele ( D E N O I X d i s c o r d e d a BERMAN) ; nel P e r n a m b u c o si h a lo 0,57 % (CARVALHO).
La frequenza relativa è negli USA 2,5 %
(BERMAN, STRANSKY e
PESIGAN; CAMERON d à il 3,39 % ; BRUNSCHWIG 2 % ) , cioè s u 5602 a u t o p s i e
di carcinomatosi si hanno 140 carcinomi epatici primitivi. Nelle Filippine si ha il 22,2 % . in Cina il 33,0 % ed a Giava 41,6 %. Enormemente alta è la frequenza relativa del carcinoma epatico primitivo nei Bantù, cioè tenendo conto di tutte le statistiche il 50,9 %; in singoli ceppi (BERMAN: miniere aurifere di Witwatersrand) fino all'87 % (critica vedi GILLIAM; ulteriori dati vedi sotto). Età: in genere il carcinoma epatico primitivo è una malattia della età avanzata (cfr. EGGEL). Secondo ZEITLHOFER il massimo è situato tra i 51 ed i 70 anni; EDMONDSON e STEINER danno come età media 58,6 anni; MEYER (Basilea) 65 anni. Secondo RIVAS ROZ (Venezuela) tutti i pazienti avevano più di 40 anni, mentre KÒHN riscontrò che il 67 % dei morti di carcinoma epatico primitivo avevano più di 60 anni; HOLSTEIN (Istituto dell'Autore) calcolò in media 57,4 anni. Invece nei paesi con mortalità notevolmente elevata per carcinoma primitivo del fegato l'età di morbilità è straordinariamente bassa: su 14 casi di carcinoma epatico primitivo (RouLET) IO avevano meno di 40 anni; STRANSKY e PESIGAN danno per l'Africa e l'India una età media da 20 a 40 anni e BERMAN precisa i seguenti dati per i negri Bantù: 5,2 % tra gli 11 e 20 anni, 47,4 % tra i 21 ed i 30 anni, 34,3 % tra i 31 ed i 40 anni, cioè in complesso l'87 % dei pazienti con carcinoma primitivo del fegato muoiono in una età inferiore ai 40 anni. Effettivamente anche in Europa si osservano talora carcinomi primitivi del fegato in soggetti giovani (KAUFMANN: donna di 25 anni e ragazzo di 15 anni): ZEITLHOFER riscontrò soltanto 2 bambini su 166 casi, BERMAN ammette circa 100 casi pubblicati (vedi HERXHEIMER, STONE, BIGELOW e
WRIGHT,
VOSSBECK,
TOMSYOSKY
e
KOHN in n e o n a t i : RIBBERT, W E G E L I N ,
STEVENS,
MARTONI
e
BRILLANTI,
bibl.).
Sesso: Il sesso maschile predomina almeno nei carcinomi epatocellulari. Su 15 casi di KAUFMANN soltanto 3 si riferivano a donne (dell'età di 25-, 37-, 65 anni). Secondo EGGEL il 63,3 % sono uomini, secondo YAMAGIVA 73 %> secondo ZEITLHOFER 79 %, secondo LUNZENAUER 79,8 % , secondo MEYER
82,2 % ,
secondo
OVERTON,
KADEN
e
LIVESAY
86,3 % .
KOHN
osservò una lieve prevalenza del 57 %; HOLSTEN 60 % maschi. Anche no-
IL FEGATO
43&
tevole è la elevatissima percentuale dei negri B a n t ù maschi: su 670 casi delle miniere di oro di Witwatersrand erano tutti di sesso maschile (BERMAN, t u t t a v i a la miniera a v e v a solo personale maschile!). Infine interessa ancora la distribuzione percentuale dei carcinomi epato e colangio-cellulari : questi ultimi sono sempre più rari. Il carcinoma epatocellulare è « la forma di gran lunga più frequente » (BERMAN). EGGEL riscontrò su 1 1 3 carcinomi epatici primitivi 100 epatocellulari, cioè 7,7:1. Nel materiale studiato recentemente da HOLSTEN nell'Istituto della Charité vi sono su 25 carcinomi epatocellulari soltanto 5 colangiocellulari (5:1). KAUFMANN osservò su 15 carcinomi epatici primitivi 12 epatocellulari (4:1). Il rapporto dei carcinomi epatocellulari rispetto ai colangiocellulari, ammesso
da W .
FISCHER-ZEITLHOFER,
BERMAN, EDMONDSON e
STEINER
pari a 3:1, appare all'A. specialmente in considerazione della misura rigorosa postulata da v. ALBERTINI — non completamente esatto; i dati di CARVALHO, K A U F M A N N c o m e p u r e D A V I E S
(4:1), HOLSTEN
(5:1),
MEYER
(5,4:1) ovvero il rapporto di EGGEL (7,7:1) dovrebbero essere più corrispond e n t i a l v e r o (cfr. a n c h e COLEMAN, H A I N E S e P H I L L I P S , COHN e R A Y M O N D , MARSDEN, 10:1; inoltre FINDLAY,
36:1).
Patogenesi del carcinoma epatico primitivo. — Ogni osservatore non prevenuto sarà colpito dal grande numero di carcinomi epatici primari che sono combinati con cirrosi epatica: cirrhosis carcinomatosa (ROULET, TANNENBAUM e SILVERSTONE), e in particolare con la cirrosi di Laennec (EDMONSON e STEINER, HIGGINSON, DAVIES), p e r ò a n c h e con altre f o r m e , così con la cirrosi pigmentaria cirrosi
post-epatitica
(HALL e SUN, WARREN e DRAKE) O con la
(WALSHE e WOLFF, PELLISSIER). L a m a g g i o r a n z a dei
ricercatori parla di più della metà dei casi, così LUNZENAUER: 52,5 % ; OVERTON,
VAN
KADEN
e LIVESAY:
53,4 % ;
KÒHN:
55 % ;
W.
FISCHER:
66 % ; BERMAN: 67,2 % (nei suoi casi personali però 100 % , così pure FINDLAY); WALTHER: 7 1 % ; RIVAS ROZ 7 1 , 4 % . L e cifre d i v e n t a n o a n c o r a p i ù
alte se si tien conto soltanto dei carcinomi epatocellulari: YAMAGIVA come H O Y N E e K E R N O H A N : 7 5 % ; M E Y E R : 7 6 % ; E W I N G : 85 % ; E G G E L : 86,4 % ; EDMOND e STEINER:
89,5 % ; HERSHEIMER:
90 % ;
HALL e SUN:
91,7
%.
Altri A A . hanno cifre più basse, così ZEITLHOFER (dopo l'anno 1938): 4 7 %'> W . FISCHER: di 13 carcinomi epatici primitivi (del suo materiale personale) soltanto 6 combinati con cirrosi (46 % ) ; HOLSTEN: 40 % ; BLATCHFORD: 21 % . Naturalmente in rapporto ai dati precedentemente discussi a proposito delle malattie cirrotiche (vedi pag. 298) sono colpiti prevalentemente gli uomini. Se ci si chiede d'altronde in quale percentuale di malati di cirrosi si può calcolare la trasformazione neoplastica del fegato si raggiungono delle cifre del 5,7 % 3,5-10 %
(LANGER e
HONUS), 7 %
( W . FISCHER), 11,7 %
(KÒHN), 8 , 6 %
(LUNZENAUER),
(MCNAMARA, B E N N E R e B A K E R ) , 1 1 , 9
%
(ZEITLHOFER, dopo il 1938) rispettivamente 15,47 % (MEYER). Nelle razze
TUMORI DEL FEGATO, FORMAZIONI SIMILTUMORALI E CISTI
437
colorate questi valori sono ancora più alti (KOUWENAAR: Java 20-25 %> HIGGINSON: Bantù attorno al 50 %). Sulla combinazione di carcinoma epatico primario-cirrosi, nei bambini piccoli vedi HERZOG, MIEREMENT, b i b l . estesa; BRIDEL, VAN CREVELD.
Da questi dati risulta chiaramente che tra cirrosi epatica e carcinoma epatico primitivo v i è più di una coincidenza casuale; la cirrosi precede la malattia neoplastica (le concezioni contrarie meno recenti sono sorpassate) e noi ci siamo abituati alla concezione di riconoscere nella cirrosi epatica un prestadio, rispettivamente uno stadio intermedio (BERMAN) rispetto al carcinoma. Anche RÒSSLE tende ad ammettere un rapporto di dipendenza del carcinoma epatico dalla cirrosi epatica sostenuto da REDAELLI (1926). Già in precedenza si è parlato di forme di passaggio senza limiti netti ed a questo proposito rimandiamo all'esposizione precedente sui rapporti tra iperplasia-adenoma-carcinoma (vedi pag. 404): la rigenerazione che continuamente si ripete giungerebbe finalmente al « derag l i a m e n t o » (BÜCHNER, ROULET e GLOOR) in cui p r e v a l g o n o le f o r m e e p a -
tocellulari. L a concezione del carcinoma come rigenerazione abnorme maligna (FISCHER-WASELS) è oggi ben nota. Notevoli sono le anomalie nucleari già prima della vera e propria proliferazione neoplastica: ROULET descrive i nuclei come turgescenti spesso a forma di salsiccia; essi si dividono in modo che ogni singola cellula può avere fino a 4 nuclei. Anche nucleoli possono raddoppiarsi e di questi spesso soltanto uno solo si rigonfia enormemente e mostra il ben noto meccanismo della « chiusa ». Una volta formato il carcinoma, i focolai ora descritti con nuclei abnormi non sono sempre situati nelle immediate vicinanze dei nodi neoplastici. Si è parlato di una « Tumorbereitschaftserstellung » (creazione di una disposizione al tumore) (v. ALBERTINI) delle cellule epatiche, e rispettivamente si è denominata la cirrosi una malattia « disponente » (KÒHN) al carcinoma epatico primitivo o anche di « modificazione precancerosa » (HALL e SUNN) (denominazione per altro rifiutata da KAUFMANN). L a discussione di questi problemi comporta necessariaménte la complicazione del quesito dell'eziologia del carcinoma epatico primitivo con quello delle cause della cirrosi epatica. Rimandiamo a questo proposito all'esposizione precedentemente fatta (vedi pag. 297), ma sottolineiamo i punti essenziali che nella letteratura sul carcinoma epatico vengono ripetutamente riportati: in primo luogo le conseguenze della iponutrizione: BERMAN la citò soprattutto per i Bantù (nutrizione ricca di grassi e povera di proteine a base di mais; conseguenze di pellagra e kwashiorkor; vedi i n o l t r e R O U L E T e G L O O R , S T R A N S K Y e P E S I G A N , P A Y E T . —• C A M A I N ,
PENE
e GUÉRIN considerano vulnerabili soprattutto quei negri che sono rimasti fedeli al modo di vivere africano tradizionale; vedi inoltre VAN CREVELD). Vengono incolpate anche azioni parassitarie (opisthorchis sinensis e o. felineus: BRUMPT e NEVUE-LEMAIRE; Schistosomum japonicum: vedi W .
438
IL FEGATO
FISCHER; S c h . M a n s o n i : R I V A S ROZ; v e d i a n c h e BERMAN, A B D I N E e
Yous-
SEF, PAYET, CAMAIN e Coli.), non può essere dimenticata l'azione dell'alcool
( T U R I A F , D E L A R U E e B L A N C H O N , EDMONDSON e S T E I N E R : 3 5 %
dei
loro casi; OVERTON, VAN KADEN e LIVESAY: 27 % dei loro casi). LIEBEGOTT
descrive carcinoma epatico sul terreno di una cirrosi da arsenico. Anche l'epatite virale può costituire il punto di partenza di uno sviluppo neoplastico (per lo più attraverso una cirrosi epatica) (SHELDON e JAMES, WALSHE e W O L F F ,
PELLISSIER).
Però in nessun caso si può dimenticare che un numero non indifferente di carcinomi epatici viene riscontrato senza cirrosi preesistente (p. es. BLATCHFORD, MARSDEN). I carcinomi epatici primitivi precedentemente citati che si formano sul terreno di tumori misti embrionali, attraverso « o v e r g r o w t h » ( « c r e s c i t a e s u b e r a n t e » c f r . B I G E L O W e W R I G H T , V. A L B E R T I N I )
non hanno alcuna importanza per il loro numero: il carcinoma epatico non si forma quasi mai su base disontogenetica. W . FISCHER trovò nella letteratura soltanto 22 tumori epiteliali del fegato in neonati e bambini fino al primo anno di vita. D'altra parte non vi sono disposizioni familiari (l'osservazione di HEDINGER di un carcinoma epatico primitivo in due sorelle n o n p a r l a c o n t r o d i c i ò ) o r a z z i a l i (EDMONDSON e S T E I N E R , G R U N D M A N N ) .
BERMAN ritiene di vedere nei fattori ambientali (piuttosto che in ragioni genetiche) la causa del fatto che i Bantù (1) dell'Africa orientale portoghese si ammalano quasi 6 volte di più di carcinoma epatico rispetto a quelli dell'Africa meridionale. A questo punto si inserisce la ricerca dell'eventuale significato di sostanze cancerose anche nell'uomo: importanti sono in questo senso i carcinomi formatisi apparentemente in seguito ad azione cronica del Thorotrast : MATTHES descrive 2 di questi casi (un carcinoma epatico epatocellulare ed uno colangiocellulare) senza cirrosi tipica da accompagnamento (sugli emangio-endoteliomi in seguito ad accumulo di Thorotrast vedi pag. 412). GRAMPA e SEVERINI hanno ottenuto carcinomi epatocellulari a struttura trabecolare da Thorotrast nel ratto bianco. HIGGINSON sostiene che i quadri del carcinoma epatico nell'Africa meridionale ed occidentale siano simili ai tumori ottenuti sperimentalmente su animali con giallo di burro. ZEITLHOFER discute il significato del giallo di burro negli anni dopo il 1915. Ricerca sperimentale sul carcinoma epatico. — Proprio il carcinoma epatico primitivo può essere ottenuto facilmente nell'animale (specialmente ratto e talora topo), attraverso le più diverse sostanze cancerogene, ed esiste un numero considerevole di ricerche univoche, la cui esposizione in extenso andrebbe al di là dei limiti di questo libro. Sono noti i seguenti fattori stimolanti cancerogeni per il fegato: (1) B a n t ù è un termine che si riferisce a un gruppo linguistico, che c o m p r e n d e popoli di diversa origine che abitano l ' A f r i c a al disotto dell'Equatore. L e t t e r a l m e n t e B a n t ù significa « uomini » dal prefisso « ba » per il plurale e dal nome « n t u » che è usato per indicare persona o cosa (« u m - n t u » = «uomo») (N.d.T.).
TUMORI
DEL
FEGATO,
FORMAZIONI
SIMILTUMORALI
E CISTI
439
a) Sostanze chimiche. — Gli azo-composti sono i più noti: accanto al o-amidoazotoluolo
(YOSHIDA, SASAKI e YOSHIDA), il p i ù u s a t o è il giallo
di burro, un paradimetilaminoazobenzolo (e risp.-benzene; D M A B ) , inoltre il 3'-MeDAB; per altri dettagli vedi YAMAGIVA, JAFFÉ, ORR, BROCK, DRUCKREY W.
e
HAMPERL,
OPIE,
RICHARDSON
e
BORSOS-NACHTNEBEL,
FISCHER, BIENENGRABER, KINOSITA. MILLER e MILLER h a n n o
provato
numerosi derivati del DMB; essi spiegano l'azione carcinógena, attraverso un legame dei coloranti azo alle proteine epatiche; in seguito alla perdita di queste si formerebbero nuove razze cellulari, come prestadi della cancerogenesi. Altre sostanze cancerogene sono il 2-acetilaminofluorene (LAIRD e MILLER, MATSUO, MORRIS, MILLER e MILLER); il d i b e n z a n t r a c e n e ,
il metilcolantrene, l'etiluretano, l'etionina (POPPER, DE LA HUERGA e YESINICK), aminostilbene, selenio, tetracloruro di carbonio, senecio jacob a e a (SCHOENTAL, HEAD e PEACOCK), b e n t o n i t e (WILSON), a r s e n i c o (LIE-
BEGOTT), acido tannico (KORPASSY). Delle sostanze radioattive è già stato precedentemente citato il Thorotrast. (LEUPOLD afferma di aver ottenuto tumori epatici già 5 giorni dopo trattamento con autolisati tessutali, critica in
W.
FISCHER).
b) Parassiti. — Essi agiscono soprattutto attraverso la formazione di una cirrosi. Da citare sono il cisticercus fasciolaris (BULLOCK e CURTÍS), opisthorchis ed altri, vedi pag. 353 e pag. 469 e seg. c) Azioni dietetiche. — In analogia con il carcinoma umano, come è stato ammesso (vedi sopra) soprattutto per i negri Bantù, anche nell'esperimento animale è possibile ottenere dei carcinomi attraverso diverse diete carenziali diversamente modificate (specialmente povere di proteine) (HIMSWORTH e GLYNN), tuttavia soltanto raramente per mezzo di una dieta carenziale unica (BERMAN). Sono citati la somministrazione di latte e tuorlo d'uovo (NELSON, SZANTO, WILLHEIM e IVY: senza cirrosi preesistente), pepe (HOCH-LIGETI), carenza di colina (SALMÓN e Coli., con cirrosi pregressa! [COPELAND e SALMÓN]), carenza di vitamina A e molte altre (GILLMAN,
GILBERT
e
SPENCE).
d) Azione di corpi estranei (vedi PETROV e KROTKINA). e) Combinazioni di agenti precedentemente citati. Particolarmente di successo è la combinazione della somministrazione di sostanze chimiche carcinogene con dieta carenziale o con somministrazione di ormoni (GRIFFIN, RICHARDSON,
ROBERTSON,
O'NEAL
e
SPAIN,
HOCH-LIGETI.
Vedi
inoltre
BERMAN, LEBRETON, HOWATSON e HAM). R i c o r d i a m o s o l t a n t o m a r g i n a l -
mente infine che anche nell'animale esistono tumori spontanei del fegato, p. es. nel cane e specialmente nei topi C3H (FAWCETT e WILSON) e tumori epatici trapiantabili: tumore di Walker (PASCHKINS, CANTAROW, STASNEY e
HOBBS),
SATO,
epatoma-ascite
ESSNER
e
BELKIN).
del
ratto
(ISAKA,
NAKAMURA
e
ODASHIMA,
IL FEGATO
44°
In analogia alla concezione sopracitata sul passaggio dall'iperplasia all'adenoma ed infine al carcinoma (cfr. anche pag. 404) si formano anche nell'esperimento animale diversi quadri malgrado lo stimolo uguale ed in rapporto caso per caso alle diverse circostanze concomitanti (dose, durata dell'esperimento, tipo di applicazione, razza animale, ecc.): 1. Disturbi ricambiali (p. es. perdita di glicogeno: ORR, PRICE e STICKLAND, SCHNEIDER, anche steatosi centrolobulare, degenerazione vacuolare e atrofia, alterazioni del nucleo cellulare), collegati con iperplasie, quindi uno stadio preblastomatoso. L'iperplasia non è sempre l'unica conseguenza di necrosi pregresse (FIRMINGER), essa quindi non costituisce regolarmente una reazione rigenerativa. 2. Formazioni adenomatose: M. B. SCHMIDT poté ottenere in un topo un « vero adenoma epatico nodoso » con la somministrazione di rosso scarlatto sciolto in olio di oliva; vedi inoltre FISCHER-WASELS. Anche qui si trovano le alterazioni sopradescritte (pag. 437) dei nuclei e dei nucleoli, come sono state osservate da ROULET nel fegato umano cirrotico, prima della formazione del carcinoma: iperplasia nucleare (con poliploidia), amitosi, ipertrofia nucleare con « straripamento » di nucleoproteine nel citoplasma,
ecc.
(cfr.
anche
BROCK,
DRUCKREY
e
HAMPERL).
3. Vero sviluppo neoplastico: si formano in parte carcinomi colangiocellulari (prevalenti nell'animale: vedi p. es. GILLMAN, GILBERT e SPENCE), in parte carcinomi epatocellulari; però sono stati osservati anche reticolosarcomi (MILLER e MILLER). Inoltre fino ad oggi non è stato chiarito quale parte abbia la cirrosi epatica pregressa poiché si possono formare gli stessi tumori in parte con, in parte senza cirrosi (BIENENGRÀBER, HARTROFT). A d ogni modo la gravità della cirrosi non è determinante)
(WARREN
e
DRAKE).
Sui rari casi di cosiddetto corionepitelioma fegato cfr. pag. 453.
primitivo ectopico del
b) CARCINOMI SECONDARI Si tratta o di carcinomi proliferanti per continuità (p. es. dai grossi dotti biliari dell'ilo epatico, vedi fig. 171) o di carcinomi propagati dalle vicinanze, ciò che può avvenire per via linfatica in senso retrogrado, oppure di carcinomi metastatici propriamente detti. Questi ultimi sono probabilmente i più frequenti. Secondo v . HANSEMANN, anche MAU, il numero dei carcinomi primitivi del fegato è del 2 % rispetto ai secondari; HERXHEIMER (bibl.) calcola nel proprio materiale il 3 % . L ' A u t o r e riscontrò 118 carcinomi epatici secondari nell'Istituto Charité (nell'anno 1955) e 7 carcinomi epatici primitivi (cioè 5,6 % di tutti i carcinomi epatici).
TUMORI
DEL
FEGATO,
FORMAZIONI
SIMILTUMORALI
E
CISTI
44I
La penetrazione delle particelle neoplastiche e la loro ulteriore estensione e migrazione nel fegato avviene molto di frequente, non di rado già riscontrabile macroscopicamente, nell'interno delle vie ematiche. Occasionalmente i nodi metastatici mantengono perciò una disposizione radiale. Il tumore primitivo (talora soltanto molto piccolo) è presente frequentemente in un organo della regione di origine della vena porta (stomaco, intestino, pancreas [ed in particolare carcinoma del corpo o della coda], organi del bacino), e perciò il carattere a cellule cilindriche domina nel
Fig. 171. Carcinoma delle vie biliari a partenza dal dotto coledoco nell'ambito dell'ilo epatico con penetrazione nel fegato. Metastasi epatiche. Uomo di 62 anni. Aut. N. 1283/56.
carcinoma secondario. Tuttavia come metastasi compare anche ogni altro tipo di carcinoma, con l'aspetto del tumore primitivo o con carattere più o meno ulteriormente sdifferenziato. Per le metastasi epatiche di carcinomi di organi molto lontani, come il carcinoma della mammella, bisogna pensare occasionalmente anche alla via retrograda attraverso le vene epatiche (cfr. ZIEGLER); a meno che non siano da porre in discussione l'arteria epatica oppure la vena porta attraverso la via indiretta di metastasi pleuriche, peritoneali ed intestinali; il fegato può anche essere l'unica sede di metastasi. KAUFMANN potè stabilire la seguente graduatoria di compartecipazione del fegato in base al materiale autoptico dell'Istituto di Anatomia Patologica di Basilea. Le metastasi si trovarono nel carcinoma pancreatico 28* —
KAUFMANN
II, p.
II
442
IL FEGATO
nel 50,5 %; nel carcinoma della colecisti — naturalmente escludendo la frequente invasione per contiguità dalla colecisti al fegato — nel 39,5 %; nel carcinoma dello stomaco nel 33 % ; nel carcinoma dell'intestino nel 33 %; nel carcinoma mammario nel 32 % ; nel carcinoma dell'esofago nel 23,5 %; nel carcinoma della tiroide nel 18 %; nel carcinoma dell'utero nel 12 % ed in tutti i carcinomi (1078 casi) nel 26,5 % (cfr. tesi di laurea di J A S N O G R O D S K Y ) . B R I E S E osservò su 1287 casi di carcinoma la compartecipazione metastatica del fegato nel 29,05 % (altri dati della bibliografia cfr. H E R X H E I M E R ) .
Fig. 172. Metastasi di carcinoma bronchiale nel fegato (carcinoma a piccole cellule) Uomo di 60 anni.
Il fegato è colpito da metastasi così di frequente che per ogni carcinoma anche del tutto periferico ci si può aspettare la presenza di metastasi epatiche. Tra queste sono oggigiorno particolarmente frequenti quelle derivanti da carcinoma bronchiale (fig. 172): l'Autore osservò su 118 carcinomi secondari 24,6 % derivanti dal bronco (29), rispetto al 10,2 % dalla mammella (12). KAUFMANN osservò in un piccolo carcinoma della cute dell'alluce metastasi alle linfoghiandole inguinali e nel fegato. In una donna nubile di 41 anni con ascite di massimo grado il fegato molto duro ed infiltrato pesava 2250 gr.; il tumore primitivo era un piccolo carcinoma solido scirroso clinicamente silente nella mammella destra (corrispondente istologicamente alle metastasi epatiche).
Le metastasi di carcinomi sono spesso così numerose (fig. 174) e talora raggiungono volume tale (alcune fino al volume di una testa di bambino),
TUMORI DEL FEGATO, FORMAZIONI SIMILTUMORALI E CISTI
443
che il fegato può raggiungere il grado massimo di ingrandimento e di peso. Esistono spesso enormi discrepanze tra la piccolezza del tumore primitivo e il fegato colossale colpito da metastasi ( C H R I S T I A N riscontrò un fegato neoplastico del peso di 15 kg. in corso di un carcinoma del retto in un uomo di 62 anni). Se il fegato era già colpito da marcata atrofia bruna può avere un peso basso malgrado la infiltrazione di numerosi nodi metastatici ( K A U F M A N N osservò p. es. in un uomo di 63 anni con carcinoma del crasso e
Fig. 173. 9 a. 54 (Biopsie N. 17557 e 17588 dell'Ist. di Anat. e Istol. Patol. dell'Univ. di Milano). Prelievo epatico mediante agopuntura secondo MENGHINI. Metastasi cellulare di carcinoma (al centro del campo microscopico). Il tumore primitivo rettale venne accertato mediante esame bioptico di materiale prelevato in rettoscopia.
in uno di 77 anni con carcinoma della prostata pesi del fegato rispettivamente di 1300 gr. e di 1200 gr. Altri dati del materiale autoptico di Basilea vedi in J A S N O G R O D S K Y ) . Cfr. anche fegati neoplastici relativamente piccoli in corso di carcinosi retrograda cordonale dei linfatici, pag. 450. L a velocità con la quale possono accrescersi talora le metastasi p o t è essere c o n s t a t a t a d a KAUFMANN p . es. a l l ' a u t o p s i a d i un u o m o d i 60 a n n i , c h e 5 m e s i
p r i m a era s t a t o o p e r a t o p e r c a r c i n o m a dello s t o m a c o ; allora l ' o p e r a t o r e ricercò i n v a n o le m e t a s t a s i ; a l l ' a u t o p s i a il f e g a t o p e s a v a 5500 gr., era f i t t a m e n t e infilt r a t o d a n o d i v o l u m i n o s i in p a r t e necrotici ed e m o r r a g i c i e di consistenza molle; emoperitoneo p e r lo scoppio di u n nodo della g r a n d e z z a di u n piccolo
444
IL
FEGATO
pugno. In un caso di carcinoma del colon (adenocarcinoma, donna nubile di 52 anni) invece, nel quale al momento dell'intervento 4 1 / 2 anni prima erano già stati riscontrati nodi epatici, si osservarono all'autopsia nodi duri, poco numerosi nel fegato del peso di 1620 gr, uno dei quali del volume di un uovo di gallina, senza ombelicatura; nell'ovaia destra invece una metastasi del volume di una testa di bambino. Le metastasi si presentano talora come infiltrazioni neoplastiche diffuse di vasti territori epatici che non sono sostanzialmente modificati
Fig. 174Metastatizzazione massiva a nodi multipli nel fegato in carcinoma primitivo del collo uterino. Peso del fegato 4360 gr. Il restante tessuto epatico fortemente itterico. Ascite di 600 cc. Donna di 43 anni.
nella loro forma esterna, ma che al massimo hanno maggiore consistenza e nei quali al microscopio possono essere colpiti dall'infiltrazione tutti i vasi sanguigni e linfatici disponibili e perfino le vie biliari. WATSON comunica 5 casi di diffusione intrasinusoidale in un carcinoma metastatico (nel cancro bronchiale primitivo). Molto più frequentemente però essi formano nodi più grandi o noduli innumerevoli (fig. 7 a pag. 28; fig. 174) od entrambe le forme (fig. 175), che possono essere dure o molli; le prime, le forme scirrose quindi, infiltrano nella loro crescita per lo più il tessuto circostante, mentre le seconde, (per lo più adenocarcinomi) lo spostano, ed in tal caso le travate di cellule ep. si dispongono concentricamente, vengono spostate, appiattite, compresse e vanno in atrofia. T a l v o l t a poi i nodi si possono facilmente enucleare dal f. L a sierosa sopra i nodi è per lo più
T U M O R I D E L F E G A T O , F O R M A Z I O N I S I M I L T U M O R A L I E CISTI
445
intensamente vascolarizzata. Per alterazioni regressive come steatosi, necrosi (talvolta in forma di caseificazione molle o dura, umida o secca) e degenerazione colloide o per emorragie, i tumori, dapprincipio in genere solamente bianchi, possono diventare, in toto, oppure al centro, gialli, giallo-bruni, rossi o rosso-bruni ed anche cistici (fig. 176); la necrosi centrale, che negli scirri è anche collegata con forte raggrinzamento, condiziona, nei nodi solidi subsierosi che aggettano più o meno dalla superficie, una incavatura o infossamento, il cosiddetto cancro ombelicato (fig. 177),
Fig. 175Singole m e t a s t a s i a grossi noduli (in parte l i e v e m e n t e ombelicati) ed i n n u m e r e v o l i m e t a s t a s i micronodulari epatiche di un c a r c i n o m a bronchiale. U o m o di 60 anni. P r o t . N . 919/56.
che però KAUFMANN, anche se di rado, osservò pure nei sarcomi secondari del f. Gli infiltrati carcinomatosi diffusi sono o omogeneamente biancogrigiastri e possono talvolta risolversi in conglomerati di noduli o persino in noduli singoli, oppure essi, per necrosi nel tessuto parenchimale neoplastico e per emorragie, possono presentare un quadro variegato. Vi sono anche rari casi — KAUFMANN per es. lo vide in una donna di 44 anni con un ca. mammario e metastasi alle linfoghiandole ascellari e sopraclaveari — , in cui il f., liscio al di fuori, al taglio non mostrava alcun tessuto neoplastico tipico, invece emorragie e necrosi tessutali ep. giallo-ocra dominavano completamente il quadro, solo microscopicamente si poté riconoscere l'ostruzione di innumerevoli vene sublobulari con elementi neoplastici ed il tessuto neoplastico infiltrato nel parenchima ep. Anche
446
IL FEGATO
HERXHEIMER riporta un reperto simile. In un caso di ca. mammario assai piccolo in una donna nubile di 56 anni con metastasi ovariche bilaterali, il f. di 1800 gr., mostrò, sulla superficie fondamentalmente liscia, placche bianche e numerose piccolissime depressioni piatte, rosse, che corrispondevano al taglio ad atrofie da stasi cuneiformi poste tra gli infiltrati neoplastici; in nessun punto noduli, solo aree ep. necrotiche di notevole grandezza, confluenti, spesso giallo-ocra disseminate di piccoli focolai neoplastici gialli e bianchi. Dove si stabilisce tessuto neoplastico sotto forma
Fig. 176. Metastasi epatiche di un carcinoma della testa del pancreas grandi più di un pugno con trasformazione cistica. Peso del fegato 4280 gr. Donna di 50 anni. Prot. N. 566/53.
di nodi od infiltrato compatto, le cellule ep. muoiono, mentre viene stimolata una neoformazione connettivale che raggiunge gradi diversi (vedi anche RÜHLEMANN). In casi rari si formano degli infiltrati scirrosi con tessuto calloso così abbondante che si può vedere ancora solamente delle isole di tessuto neoplastico molle oppure non si può nemmeno microscopicamente riconoscere parenchima ep. Alcuni carcinomi sono così ricchi di grandi vasi sanguigni, la cui neoformazione è stimolata dal tessuto neoplastico, che debbono essere chiamati teleangectasici. In rari casi ciò può portare ad emorragie nel cavo addominale. L'Autore ha osservato una emorragia massiva da una metastasi ep. di un carcinoide maligno dell'appendice in un uomo di 77 anni. Fra l'altro KAUFMANN l'osservò in metastasi di carcinoma del testicolo in uno studente di 27 anni; FARIA nelle metastasi
TUMORI DEL FEGATO, FORMAZIONI SIMILTUMORALI E CISTI
447
di Ca. prostatico, in un uomo di 58 anni. I nodi metastatici possono anche spappolarsi (e formare una massa polposa grigio-rossastra od un liquido giallo simile a panna) od addirittura diventare (pseudo)-cistici. Quest'ultima evenienza, frequente specialmente nel Ca. colloide, si trovò però anche in altre forme. K A U F M A N N l'osservò p. es. fra l'altro in due casi nei quali, per questo, fu clinicamente sospettato un echinococco. In un piccolo Ca. a cellule cilindriche della Pars pylorica (donna di 40 anni), il f. di quasi 5 kg. conteneva molti nodi
Fig. 177. Metastasi epatica carcinomatosa profondamente ombelicata in carcinoma dello stomaco. Uomo di 47 anni. Prot. N. 45/42.
gelatinoso
ricchi di vasi, rammolliti, emorragici, gelatinosi; il più grande di essi (0 ig cm., lobo destro) sporgeva a forma emisferica e fluttuava; puntura per sospetto di echinococco; nell'addome 2700 cc. di sangue (vedi anche B R E S S L E R , bibl. e cfr. S A L I N G E R e A S K A N A Z Y ) . Una metastasi ep. delle dimensioni di una testa di bambino « cistica » di un piccolo Ca. sotto-cardiale a scodella, ha pure portato al sospetto di echinococco (talvolta la diagnosi errata di echinocco avviene anche per la sola presenza di nodi molli, pseudofluttuanti). K A U F M A N N vide inoltre metastasi « cistiche » ripetutamente in casi di Ca. ad epitelio piatto corneificante dell'esofago. In due di questi casi (uomini di 43 e 44 anni) il f. era disseminato di nodi neoplastici solidi, bianchi, friabili e corneificati, ed in parte di «cisti» che avevano un contenuto denso, filante, chiaro, giallo o giallo-bruno e spesso avevano una parete neoplastica bianca. Qui i nodi e le « cisti » non erano
448
IL
FEGATO
più grandi di una ciliegia. Una tale degenerazione mucosa di metastasi di Ca. corneificante, è rara. ( K A U F M A N N poté stabilire che anche V I R C H O W accennò ad un caso simile (Gesammelte Abhandl. zur wissenschaftl. Medizin 1856, pag. 1019 già nel 1850 alla riunione di Würzburg, che era insorto in seguito a « cancroide » del labbro »). In un terzo caso (uomo di 55 anni), il f. conteneva nei nodi neoplastici più cavità «cistiche » delle dimensioni più grandi di un pugno (come nella fig. 176 a pag. 446). K A U F M A N N trovò parecchie «cisti » delle dimensioni fino
Fig.
178.
Metastasi epatica di c a r c i n o m a del surrene sinistro. Sindrome cushingoidc. D o n n a d i 27 anni. ( A u t . N. 34240 dell'Istit. di A n a t . e Istol. P a t o l . delI'Univ. di Milano).
ad una castagna con contenuto acquoso nei nodi ep. in una donna di 83 anni con Ca. della vulva (anche le metastasi dei linfonodi inguinali erano in parte cistiche); inoltre «cisti» molli delle dimensioni del pugno di un bambino in f. di 5 kg. di uomo di 67 anni con Ca. bronchiale (carcinoma corneificante). Talora si possono avere calcificazioni di metastasi cancerose, per cui i nodi diventano duri come cemento. KAUFMANN vide p. es. in un piccolo cancro cilindro-cellulare del piloro (donna di 78 anni con notevole osteoporosi) numerosi nodi neoplastici calcificati delle dimensioni sino ad una testa di bambino nel fegato di 3660 gr. (in parte alveoli completamente ripieni di concrementi di calcio, in parte tubuli similghiandolari con masse calciche nel lume). Più frequentemente i carcinomi ep. insorgono per lo più per diffusione per continuità, per cui un cancro dello stomaco o della cistifellea, invade il f.
TUMORI
D E L
FEGATO,
FORMAZIONI
SIMILTUMORALI
E
CISTI
449
Fig. 1 7 9 . Metastasi epatica di linfosarcoma reticolare diffuso dei linfonodi aortici, mediastinici e degli ili polmonari, con interessamento della milza e dei surreni. Donna di 71 anni. (Aut. N. 3 2 5 2 3 dell'Istit. di Anat. e Istol. Patol. dell'Univ. di Milano).
Fig.
180.
Metastasi epatica di carcinoma a cellule chiare del rene destro. Donna di 84 anni. (Aut. N. 3 4 5 7 1 dell'Istit. di Anat. e Istol. Patol. dell'Univ. di Milano). 29
—
KAUFMANN
li,
p.
II
450
IL FEGATO
Talora, in corso di Ca. dello stomaco o del pancreas a partenza portale, una infiltrazione neoplastica a cordone del f. che si diffonde in senso retrogrado nei vasi linfatici, invade i tessuti circostanti e la parete della porta ed i dotti biliari e li può anche stenosare, per cui penetrano nel f. cordoni o catene di noduli duri bianchi che sempre più confluiscono. Questo si può anche osservare in Ca. del ductus col. o epat. Se contemporaneamente esiste atrofia bruna del f. (come vide p. es. KAUFMANN in donna di 75
Fig. 181. Metastasi epatica di tumore melanotico generalizzato (encefalo, fegato, reni, surreni, pancreas, tiroide, duodeno, ileo, crasso, mesentere, sierose pericardica, peritoneale e pleurica, tessuto adiposo sottocutaneo). Donna di 61 anni. (Aut. N. 33356 dell'Istit. di Anat. e Istol. Patol. dell'Univ. di Milano).
anni con piccolo Ca. pilorico stenosante), allora non è necessario che l'organo estesamente invaso, sia ingrandito (cfr. sopra nelle metastasi nodose). Precedentemente già VOGEL e più tardi anche JACOB e poi GÉRAUDEL, riferirono sullo stesso modo di metastatizzazione. GÉRAUDEL ritiene che i noduli neoplastici piccoli, duri e, come osservò KAUFMANN, spesso di forme angolose e non raramente mal delimitati, sono di genesi linfogena, i nodi grandi, ombelicati, numerosi, molli di genesi ematogena. I fegati giganti cancerosi per lo più sono dati da metastasi ematogene. Per il contemporaneo ingrandimento della milza vedi pag. 316.
TUMORI DEL FEGATO, FORMAZIONI SIMILTTJMORALI E CISTI
45I
Fig. 182. Superfìcie di taglio del fegato (vedere figura precedente).
Fig. 183. Adenocarcinoma papillifero dell'ovaja sinistra. Metastasi nodulari in fegato cirrotico. Donna di 68 anni. (Aut. N. 32893 dell'Istit. di Anat. e Istol. Patol. dell'Univ. di Milano).
452
IL FEGATO
Molto spesso si ha una penetrazione delle masse neoplastiche e trombosi neoplastiche nelle vene ep., cosa che può causare nuove metastasi (specie nei polmoni) oppure segue penetrazione nei rami della vena porta per cui nel f. possono formarsi nuovi nodi o formazioni cuneiformi infartoidi, infiltrazioni emorragiche e necrosi del tessuto ep. (vedi pag. 194). Particolare interesse merita la metastatizzaziòne nel caso in cui il f. è già patologicamente alterato: questo vale p. es. per la cirrosi ep. WALLACH, HYMAN ed ANGRIST ritengono in questo caso rara la metastatizza-
Fig. 184. Superficie di taglio del fegato (vedere fig. precedente).
zione, probabilmente perché l'ipertensione portale rende difficoltosa la disseminazione di materiale neoplastico. CALÍ ha visto crescere una metastasi di un Ca. dello stomaco dentro una cisti da echinococco del f. (sulle metastasi nell'atrofia bruna del f. vedi sopra). Talvolta nello sviluppo di numerose metastasi neoplasticbe, nel f. si arriva ad una ostruzione parziale di origine meccanica dei dotti biliari del f. o a stasi solo nei capillari biliari ed al riassorbimento di bile, ciò che si manifesta con un ittero generale (bibl. in LEPEHNE). Già KAUFMANN ha spesso visto (vedi anche BINGEL-OLIVET e H. MÜLLER) e l'Autore può confermare, che spesso con il puntato ep. anche qui a volte (cfr. WALDENSTRÒM) si può porre una diagnosi utilizzabile. BRUNSCHWIG raccomanda l'asportazione operatoria anche delle metastasi ep.
TUMORI DEL FEGATO, FORMAZIONI SIMILTUMORALI E CISTI
3.
CORIONEPITELIOMI
DEL
453
FEGATO
I Corionepiteliomi (Ce.) dell'apparato genitale femminile (per l'argomento vedi ivi pag. 501) danno talvolta anche metastasi nel f. (fìgg. 185 e 186). Vi sono però anche casi dove ai genitali (uterus, vagina, ecc.) non si trova (più?) Ce., invece il f. (eventualmente i polmoni e altri organi,
Fig. 185. Metastasi epatica di corionepitelioma. Sotto, nella figura, grandi laghi sanguigni.
vedi caso di una donna di 53 anni in CHRISTELLER e OPPENHEIMER, bibl.) è pieno di tumori (bianchi o spesso emorragici) con la struttura del Ce.; tali casi si indicano come corionepiteliomi ectopie) oppure anche primitivi (PALTAUF); ciò può anche decorrere dopo mola vescicolare da lungo tempo pregressa, come nel caso di GUREWITSCH, il primo Ce. del f. descritto come ectopico. HERXHEIMER ancora, nel 1930, ha riconosciuto solo 4 casi come veri corionepiteliomi primitivi, cioè oltre quelli di GUREWITSCH così come di CHRISTELLER e OPPENHEIMER (vedi sopra), quelli di B . FISCHER-WASELS
e DE ZALKA (bibl.). L'interpretazione di questi casi molto rari, è abbastanza difficile; però, dato che ad eccezione di uno, tutti i casi riguardano donne sessualmente mature, si ha il sospetto che probabilmente sempre vi sia
454
IL FEGATO
stata una gravidanza pregressa, anche se da lungo tempo o passata inosservata. In questi casi, villi coriali normali potrebbero venire trasportati nel F. (come ciò è già noto: PICK, MARCHAND) , i quali in un secondo tempo, diverrebbero maligni. Nel caso di S T O Y che riguarda un uomo di 40 anni (con numerosi tumori nei polmoni, nella mucosa gastro-intestinale, milza, linfonodi portali che apparivano come metastasi del tumore ep.), si potrebbe pensare che si possa trattare di un teratoma con prevalenza di formazioni corion-
Fig. 186. Particolare ingrandito della fig. 185. Nel margine superiore del quadro tessuto epatico, più sotto raccolta ematica a stria. Nel margine inferiore metastasi da corionepitelioma.
epiteliomatose, ciò che si sarebbe potuto escludere sicuramente, solo con l'esame di tutto il f. con sezioni seriate (ciò che non è stato fatto), obiezione che DE ZALKA fa valere anche per il suo caso di donna di 46 anni; bisogna anche pensare ad un emoangioendotelioma sarcomatoso che può avere un aspetto simile (vedi casi di MARX, NAZARI) (cfr. anche BENDIEK, MOLOTKOFF e KARDJEW); ed anche se non sia sfuggito un piccolo teratoma, nascosto in qualche altra parte (in genere tutti i casi di cosiddetto Ce. extragenitale dell'uomo, non sono sicuri, vedi PRYM).
TUMORI
DEL
FEGATO,
FORMAZIONI
SIMILTUMORALI
E
CISTI
455
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SEZIONE
X I
F E R I T E DEL F E G A T O
Il f. per la sua posizione, grandezza e struttura è esposto facilmente a ferite. Questa disposizione viene ancora aumentata (nel senso di una disposizione patologica d'organo), quando p. es. è presente una speciale pletora (iperemia acuta da stasi), una amiloidosi od una infiltrazione grassa diffusa, per cui il f. diventa molto fragile. A l contrario un f. in atrofia senile o da inanizione è meno lacerabile. Secondo il tipo di traumatismo, possiamo distinguere: a) ferite ep. dirette (aperte, penetranti): si hanno per puntura, colpi d'arma da fuoco, schegge di bombe o granate (cfr. PUCCINI e NOCENTINI). Ciò porta in parte a tramiti lisci (in cui il foro d'entrata è più piccolo di quello d'uscita, ROESNER; al contrario MARTIN!), in parte (per «effetto l a t e r a l e » BORST, CRANZ e KOCH, MARTIN) a l a c e r a z i o n i p i ù intense. S u l l a
necrosi in seguito a ferite da punta del f., vedi WAKASUGI. L a fig. 187 mostra un canale del f. ripieno di sangue in seguito ad un fallito tentativo di drenaggio alla BULAU. b) Trauma epatico ottuso è il più frequente: si ha per calci di cavallo, investimento, caduta, ecc. Il parto può portare a traumi ottusi del fegato nei neonati. Distinguiamo: 1. Commotio hepatis: questo concetto viene proposto in analogia con quello di commotio cerebri e risp. cordis (cfr. SIEDE). In seguito a trauma ottuso dell'addome, come segno di danno del parenchima ep., in 5 pazienti, si istaurò ittero (LINDNER e ABENDROTH). Riteniamo non ancora chiarito a sufficienza il problema della commotio hepatis (cfr. anche KAI.K: il trauma ep. ha solo effetto «scatenante »). 2. Contusioni del parenchima ep. (senza lacerazioni). 3. Ematomi subcapsulari come conseguenza di scollamento della capsula del f. non lesa (spesso in neonati), vedi fìg. 53 a p a g . 207. 4. Rotture « centrali » del /.: lacerazioni ed escavazioni per lo più ripiene di sangue, circoscritte ad anello si trovano dentro il tessuto ep.;
464
IL FEGATO
conseguenza può essere l'ascesso ep., vedi BAUER, bibl. Anche qui la capsula rimane integra. 5. Lacerazioni in senso stretto di capsula e tessuto epatico, che rappresentano o fessure superficiali del f. o le cosiddette « rotture totali » (BAUER) del f. profonde. In tali rotture traumatiche profonde (penetranti) (bibl. in CHIARI) talvolta si vedono necrosi anemiche estese (fìg. 50, pag. 199) in seguito a lacerazioni (ORTH) e trombosi di vasi (rami della vena porta o arteria ep., come vide KAUFMANN o di tutti e tre i vasi, vedi LINO);
Fig. 187. Esteso canale epatico nel fegato di un giovane di 18 anni per fallito tentativo di drenaggio alla Biilau (morte per pleurite fibrino-purulenta e peritonite). Prot. N. 1077/36.
queste necrosi estese (sequestri) si possono formare solo giorni dopo il grave trauma o si formano subito, per questo in seguito ad una spaccatura, spezzettamento od una necrosi diretta da commozione del tessuto ep. Sul meccanismo d'insorgenza della rottura del f. da trauma ottuso v. WALZ e HALLE. Si può anche giungere a scoppio di parti del f. nella cavità addominale (KLEIN), a lacerazione del meso epatico, a trasporto di cellule ep. nel sangue venoso (embolia di epatociti) ed a strappamento del lobo sinistro. 6. Spostamenti del f. (dislocazioni); ptosi traumatica, c) Rotture ep. cosiddette spontanee. PUCCINI e NOCENTINI (bibl.) intendono per rotture spontanee quelle nelle quali vi è evidente sproporzione tra causa apparente (spesso non esiste affatto trauma!) e gravità della ferita ep. In questo caso senza dubbio siamo di fronte ad una dispo-
FERITE
DEL
FEGATO
465
sizione patologica dell'organo. Un presupposto possono darlo, oltre gli esempi di cui sopra, malformazioni ep., malattie vascolari (periarteritis nodosa: CHITWOOD; aneurismi insorti per flogosi, traumatismo o disgenetici: vedi WATZOLD, REICHMANN, vedi pag. 198), tumori. Qui vanno poste anche le lacerazioni ep. in eclampsia, inoltre il caso di WALLAUS (primipara di 21 anni con hydramnios: forte emorragia!). Esiti delle ferite ep. Si possono avere emorragie persino mortali, precedute eventualmente dalla formazione di aneurisma della art. ep. Rotture centrali del f. portano ad apoplessia centrale del f. dalla quale, talora, si possono sviluppare più tardi pseudocisti. E possibile la fuoriuscita dalla superfìcie della ferita di bile con conseguente colasco. Nelle ferite aperte deve essere calcolata la formazione di infezione, ed eventualmente di ascessi (vedi pag. 241). E stato osservato un empiema biliare subfrenico. Nella formazione di vaste necrosi si giunge a disturbi della funzionalità ep. (per i tests patologici vedi MARTIN); da JUNG e GRASER furono viste in questi casi nell'urina leucina e tirosina; ILLCHMANN-CHRIST parla di epatopatia acuta post-traumatica. MARTIN, PUCCINI e NOCENTINI riferiscono una sindrome epatorenale traumatica. L a morte si può avere eventualmente per liberazione di « noxine » (HABELMANN). La guarigione delle ferite si ha per organizzazione dopo eliminazione della necrosi; può esitare un fegato lobato post-traumatico (vedi pag. 24), eventualmente rigenerazione. Per particolari sulla rigenerazione dopo ferite ep. vedi pag. 379 (ivi anche bibl.). Per la bibl. meno recente sulle ferite ep. vedi BOLIJARSKI, FINSTERER,
G.
B.
GRUBER;
DIETRICH,
LINO,
bibl.; THORLAKSON.
Corpi
estranei si trovano molto raramente nel fegato umano; in casi favorevoli possono guarire. Granulomi da corpi estranei si possono vedere talora nella silicosi, deposizione di berillio, somministrazione di Periston e Thorotrast, come pure nelle infestazioni da vermi.
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SEZIONE
XII
I P A R A S S I T I DEL F E G A T O Dato il genere molto vario dei parassiti che si possono trovare nel f. umano, è meno raccomandabile una classificazione secondo la porta d'entrata (ematogena o ascendente le vie biliari) o la loro sede. Preferiamo una classificazione puramente zoologica.
CAPITOLO
I
PROTOZOI
a) Rizopodi. Ordine: Amebe. L'amebiasi — Entameba hystolytica s. dysenteriae — nei tropici, ma anche in Cina (HOEPPLI e Wu) è (particolari vedi voi. 1/2, pag. 402) abbastanza frequente. Sull'epatite amebica acuta con necrosi vedi CHATGIDAKIS. CARRERA ha ottenuto sperimentalmente nel gatto dei focolai di necrosi cuneiformi sotto la capsula ep. BOCK addita la difficoltà della diagnosi differenziale clinica fra epatite virale ed amebica; in questa ha visto notevole vacualizzazione del protoplasma delle cellule ep. Sull'ascesso ep. tropicale vedi pag. 233. b) Flagellati. Genere: Leishmanie. Leishmania donovani si trova nel Kala Azar anche nelle cellule stellate di Kupffer ingrandite. Suole occorrere cirrosi (ROGERS). c) Infusori. Ordine: ciliati. Genere: Balantidi. Balantidium Coli dovrebbe poter causare ascessi ep. d) Sporozoi. 1. Malaria (Ordine: emosporidi): un tempo il f. malarico era degno di nota solo per la pigmentazione spesso ricca (vedi pag. 160). Oggi noi conosciamo il ciclo di sviluppo c.d. esoeritrocitario dei Plasmodi, nel quale, per prima cosa, gli sporozoiti appena trasmessi si sviluppano negli epiteli ep. (SHORTT e Coli., GERMER). Alla fine della cosiddetta « fase tessutale » viene distrutta la cellula ep. ospite. Inoltre esiste anche una epatite malarica di aspetto aspecifico con rigonfiamento, intorbidamento, scomparsa del glicogeno e mitosi delle cellule ep.; i sinusoidi vengono compressi, le cellule stellate sono attivate (particolari in CORCORAN, HEHSTROM, ZOECKLER e K E I L — v e d i a n c h e MACMAHON, KELSEY e DERAUF). I l c o s i d d e t t o f e g a t o
tropicale (gros foie colonial) con la sua diffusa iperplasia, viene ricondotto
468
IL FEGATO
in p r i m o luogo alla m a l a r i a (BENAZET, SOHIER, PLAUCHU, LOISY e CHA
STEL). A l contrario WHITE e DOERNER hanno trovato nella malaria il f. inalterato e HUNTER e SHEEDY attribuiscono l'epatite nei malarici ad una sovrapposta infezione virale. Alterazioni ep. nella malaria da innesto sono riferite da JOUNG e KRATKY. Raramente si avrebbe cirrosi (vedi pag. 352). 2. Toxoplasmosi (posizione ancora incerta nel sistema zoologico): sembra che il Toxoplasma Gondii più facilmente si trovi nel f. dell'adulto che nel bambino, anche se questo mostra nel cervello sicuramente toxo-
Fig. 188. Coccidiosi del fegato di coniglio. Proliferazioni papillari dell'epitelio dei dotti biliari. I parassiti ellittici riconoscibili specie alla base delle papille.
p l a s m i . LELONG, LE-TAN-VINH, DESMONTS e THOMPSON v i d e r o i n v e r o in
un lattante fortemente itterico (con toxoplasmosi cerebrale certa) una epatite diffusa cicatrizzante, ma nessun agente specifico nel f.; l'Autore non ha trovato in 2 bambini malati di toxoplasmosi (agente accertato!) alterazioni ep. specifiche; però una notevole reazione eritroblastica nel f. Sulle necrosi ep. nell'adulto riferiscono PINKERTON e HENDERSON. FENDEL in un gemello nato morto, con ricerca positiva del parassita, ha visto distruzione parenchimale, cicatrizzazioni e calcificazioni. (Alterazioni ep. sono frequenti nell'animale: CHRISTIANSEN e SIIM, RATCLIFFE e WORTH, COHRS. Lesioni ep. da infezione sperimentale nel topo in GARIN e POTTON. R i v i s t a s i n t e t i c a in BINKHORST e WINSSER).
3. Coccidiosi (Ordine: Coccidi: assai spesso il coccidio oviforme compare nel coniglio, e causa, insediandosi in enorme q u a n t i t à nei d o t t i biliari, focolai bianchi, caseosi, o caseosi purulenti (nodi da coccidiosi); questi sono costituiti
I
PARASSITI
DEL
FEGATO
469
da dotti biliari dilatati, le cui pareti, rivestite da epitelio, sono proliferate più o meno intensamente, con formazione di papille, per cui i nodi somigliano alquanto a tumori adenomatosi, v. fig. 188; per questo la coccidiosi acquista anche interesse per la patologia. Per la distinzione dei coccidi del coniglio riuniti sotto la denominazione di Eimeria Stiedae in coccidi del fegato e coccidi dell'intestino, v. in Reichenow. Nel fegato umano i coccidi vengono trovati solo molto raramente all'interno di piccole cisti, noduli o papillomi delle vie biliari. Si tratta allora per lo più del genere Isospora ( B R U M P T e N E N E U LEMAIRE).
CAPITOLO
II
VERMI
a) Platelminti : a) Trematodi (vermi a ventose). 1. Fasciola hepatica (Distomum hepaticum), grande sanguisuga del fegato. Nell'uomo relativamente rara (un caso in K A L K ) . Secondo V O G E L e M I N N I N G può portare ad epatite, ascesso ep. e cirrosi. Cicatrici (senza parassiti) descrive L E V I N A . Sono stati osservati (specie nella pecora) degli adenomi dei dotti biliari (vedi B R U M P T e N E V E U - L E M A I R E ) . Per l'infezione nell'uomo con Fasciola gigantica vedi S T E M M E R M A N N . 2. Dicrocoelium lanceolatum (o dendriticum), piccola sanguisuga del fegato. Molto raro nell'uomo. 3. Opisthorchis (o Clonorchis) sinensis (D. spathulatum), sanguisuga cinese del fegato. In Cina ( H O E P P L I e Wu), Indocina e Giappone molto diffusa nell'uomo. Essa causa una distornatosi ep. (— Opisthorchiasis), cioè si arriva ad ittero, a proliferazione dei dotti biliari (sino alla formazione di adenomi), aumento del connettivo periportale. Possono svilupparsi perfino carcinomi ep. (vedi pag. 437; tuttavia indicati da W. FISCHER come « molto discutibili »). Sulle altre forme di distomi che si hanno nei tropici vedi M E B I U S , A S K A N A Z Y , bibl. 4. Opisthorchis felineus (o tenuicollis), sanguisuga del fegato di gatto, abbastanza frequente nell'uomo nella allora Prussia orientale (fino al 18,2 % i portatori di vermi: B R U M P T e N E V E U - L E M A I R E ) , nella Svezia, URSS, Siberia, ma anche Olanda, Francia, Italia. Come nel 0. sinensis insorge anche qui una distornatosi ep. (un caso in K N Ò N A G E L ; secondo A S K A N A Z Y si avrebbe solo molto raramente). Può dar luogo alla formazione di carcinoma ep. primitivo.
47°
I L FEGATO
5. Schistosomiasi. Assai diffusa soprattutto nelle regioni tropicali. Nell'uomo sono di importanza: x) Schistosoma {-munì) haematobium, Bilharzia (HIGGINSON). y) Sch. Mansoni, il più importante esemplare per il f. umano, z) Sch. japonicum. Gli Schistosomi (specie lo Sch. Mansoni) danneggiano preferibilmente i rami portali intraepatici, nei quali formano granulomi (con occlusioni vasali), sclerosi (con stenosi vasali) e tromboflebiti (LICHTENBERG). I granulomi da Sch. (figg. 189 e 190) assomigliano spesso ai quadri della
Fig. 189. Granuloma recente in fegato di bovino affetto da Schistosomum (preparato del prof. RÒSSLE F).
japonicum
tubercolosi, morbo di Boeck e alle brucellosi (vedi pag. 281); però le u o v a di Sch. e le membrane di chitina aiutano ad accertare la diagnosi (DESCHAMPS, R E D M O N D e D E
LEEUW).
Ma si possono avere anche lesioni delle cellule ep. (rigonfiamento torbido, steatosi, necrosi) (JAFFÉ). Infine si può formare un tipo particolare di cirrosi (vedi pag. 353) (VOGEL e MINNING), caratterizzata da periflebite cronica produttiva detta cirrosi « pipestem » (cioè cirrosi a cannello di pipa)
(SYMMERS, BOGLIOLO, LICHTENBERG). PUÒ seguire
ipertensione
portale. Agirebbero meno le uova dei vermi, che le tossine (SYMMERS). Nella Schistosomiasi si avrebbe anche carcinoma ep. Nella Sch. sono osservati anche ascessi ep. (SEIFE e LISA, OLIVEIRA). Sulla Sch. nei bambini vedi
STRANSKY
e
PESIGAN,
EL-GHOLMY,
NABAWY,
GABR.
AIDAROS
e
I PARASSITI DEL FEGATO
471
OMAR. — Schistosomiasi sperimentale nel topo: GÖNNERT e ALTMANN, MELENEY,
MOORE, MOST e
ß) Cestodi
CARNEY.
(vermi a nastro).
1) Cysticercus cellulosae (cisticerco della Taenia solium) si trova solo raramente nel f. umano. 2) Echinococcus (verme del cane). Importantissimo è l'echinococco (E.); agente causale della cosiddetta echinococcosi o malattia da cisti da echinococco. L'echinococco in circa il 65 % dei casi, ha sede nel f. (BRUMPT e NEVEU-LEMAIRE). Si hanno 3 forme:
Fig. 190. Stesso preparato della fig. 189. Focolaio più vecchio grossolanamente
fibroso.
x) l'Echinococcus hydatidosus, o cysticus, o unilocularìs, o endogenes, o E. hominis. È la forma più frequente di E . e predilige il lobo destro, specie la sua parte superiore vicino al diaframma (per la spiegazione anatomica di questo fatto vedi pag. 233 nell'ascesso ep.). Si trova isolato o a gruppi (secondo PALUGYAY nel rapporto di circa 3 : 1 ) , si sviluppa assai lentamente ed alla fine può raggiungere le dimensioni di una testa umana (peso in un caso del museo di Basilea di un uomo di 74 anni, fino a 6 kg.). Dopo un lungo periodo, per proliferazione del connettivo circostante intorno alla cisti, si forma una capsula fibrosa secondaria. L'E. è la forma vescicolare giovanile, rispettivamente lo stadio di cisticerco, della Taenia echlnococcus (o nana) del cane (i cani si infettano mangiando ri-
472
IL F E G A T O
fiuti di carne di diversi animali domestici [cavalli: PIEROTTI] che contengono echinococchi; le tenie si t r o v a n o per lo più in numero maggiore). L a tenia a tre anelli è lunga soltanto d a 4 a 6 m m . Non si trova nell'uomo. L e sue uova (oncosfere) che vengono eliminate con le feci dal cane, infestano l ' u o m o (talora anche t u t t i gli animali domestici, come anche gli uccelli). L e u o v a , giunte nel t u b o digerente, t r a m i t e la v e n a porta, arrivano al f. (possono però giungere nei v a s i linfatici e per mezzo del d o t t o toracico nel sangue, indi anche nei polmoni, milza, omento, cervello, c a v i t à rachidea, ossa, reni, come pure nel s o t t o c u t a n e o (cfr. anche CHIARI, bibl.). (Si p u ò anche avere una disseminazione e m a t o g e n a
Fig. 191. Echinococcus
hydatidosus
del f e g a t o . A sinistra cuticola, a destra scolici. N u m e r o s i (molto piccoli!).
uncini
di f r a m m e n t i di cuticola d e l l ' E . quando, come in un caso di VASILESCU (vedi V o i . I / i , pag. 220) una sacca d a E . dal miocardio si aprì nella c a v i t à c a r d i a c a e f r a m m e n t i di essa, come emboli, giunsero in t u t t i gli organi: in iconografia di milza, pancreas, testicoli, reni, surreni, cervello, ecc. Qui si f o r m a d a l l ' u o v o (rispettivamente oncosfera) la vescicola (o cisticerco; c h i a m a t a anche idatide, v e r m e capsulato, v e r m e vescicolare o echinococco) che in 2 o 3 mesi d i v e n t a grande come una noce ed è ancora una acefalocisti (E. cysticus sterilis). E s s a possiede uno strato esterno, la cuticola chitinosa. Q u e s t a d a p p r i m a è sottile, trasparente, oppure a g g l u t i n a t a simile ad albume, gelatinosa, bianco-lattea ed alla sezione mostra una striatura lamellare, parallela, molto caratteristica (fig. 191). A l taglio i margini della cisti si arrotolano. Essa contiene liquido chiaro (p. spec. da 1009 a 1015), ricco di cloruro di sodio, quasi senza albumina; non coagula né con la bollitura né con l ' a g g i u n t a di acidi; contiene acido sue-
I PARASSITI DEL
FEGATO
473
cinico. Il liquido degli echinococchi ep. p u ò contenere zucchero, m a non sostanze tossiche (cfr. LÒWY e altri). N e i riguardi diagnostici della p u n t u r a esplorativa la dimostrazione di g r a n lunga più i m p o r t a n t e è quella degli uncini, che derivano d a parassiti morti. All'interno, nello strato cuticolare si t r o v a uno strato parenchimale, sottile, granuloso. Ispessimenti piccoli come u o v a di pesce o come grani di sabbia dello strato germinativo che all'osservazione esterna della cisti traspaiono come punticini bianchi, sono d a t i dalle capsule germinat i v e la cui parete consta dello strato parenchimale che riveste anche la cisti; mentre essa all'interno p o r t a uno strato cuticolare. (Talora si vedono placche b i a n c h e granulose, rilevate, spesso fino a 0,5 cm. che t a l v o l t a presentano u n a depressione centrale, nella quale si vede la superficie interna liscia. POMMER descrive queste rilevatezze come proliferazioni della cuticola. KAUFMANN in una r a g a z z a di 17 anni con E . multiplo del f. v i d e singole cisti fino alle dimensioni di un u o v o d ' o c a , per la maggior parte rivestite con delle placche rilevate confluenti a m o ' di c a r t a geografica o nubiformi). In queste si formano (5 a 15) teste di echinococco, scolici, che sono fissate con un g a m b o alla capsula germ i n a t i v a . Gli scolici hanno una lunghezza massima di 0,3 m m . , posseggono d a v a n t i un piccolo F i g . 192. rostro, 4 ventose e doppia corona Scolici a p p a i a t i ; di uncini (fig. 192) con uncini di in quello superiore n e t t a corona di uncini. 2 grandezze. All'interno contengono numerosi granuli di calcio. Gli scolici fluttuano nel liquido limpido della cav i t à germinativa. Essi sono contrattili, possono introflettere ed estroflettere la testa. Scolici e capsule germinative v a n n o incontro spesso a trasformazione cistica e si m u t a n o così in cisti figlie (interne). Nella parete interna delle cisti figlie si f o r m a n o n u o v e capsule g e r m i n a t i v e con scolici che a loro v o l t a v a n n o incontro a trasformazione cistica e possono divenire cisti nipoti. Molte cisti figlie sono sterili, senza scolici. L a cisti madre, per la pressione esercitata dalle numerose cisti figlie, può soccombere totalmente, le cisti figlie si t r o v a n o allora in una sacca, in una capsula, che viene f o r m a t a d a l connettivo circostante. (In questa t a l v o l t a sono visibili, in massa, cellule giganti polinucleate che sono aderenti alla memb r a n a , m a s o p r a t t u t t o possono circondare pezzi di m e m b r a n a come cellule d a corpo estraneo — come d a fig. 196). Il numero delle cisti figlie è normalmente di alcune dozzine (fig. 193), m a può raggiungere la cifra di più migliaia. Allora t u t t a la sacca di echinococchi può raggiungere il peso di 10 a 15 k g . Se non si formano capsule germinative la cisti rimane sterile ed è una acefalo-
IL
474 cisti (E. morti,
cystìcus sogliono
sterilis)\
FEGATO
essa n o n h a v i t a m o l t o lunga. Gli E .
intensamente
calcificare.
Possono
essere
precocemente
anche
imbibiti
bile. L a cisti p u ò a n c h e restare semplice, della g r a n d e z z a di u n p u g n o a d u n a t e s t a di b a m b i n o e f o r m a r e all'interno n u o v e c a p s u l e
di fino
germinative
e
piccole teste e contenere liquido limpido. L ' E . d e v e alla formazione di generazioni s e m p r e n u o v e di scolici la sua v i t a spesso l u n g a
(20-30 a n n i d o p o l ' i n -
f e s t a z i o n e ; c f r . MARCHAND). C i s t i c h e i n v e c c h i a n o , c o l l a b i s c o n o e si p o n g o n o , come nella
fig.
194, in p i e g h e c o n t o r t e e p o s s o n o r i c e v e r e
robusto involucro
dalla periferia
un
fibroso.
Fig. 193Grosso Echinococcus hydatidosus del lobo destro del fegato con più cisti figlie (reperto accessorio in un caso di ferita dell'addome e peritonite).
Decorso della malattia sostenuta dai comuni Echinococchi idatidei del fegato: la cisti può andare in necrosi già in uno stadio precoce. S e c o n d o MEHLHOSE l a n e c r o s i s a r e b b e p r e c e d u t a s p e s s o d a p r o c e s s i
flo-
gistici essudativi e p r o d u t t i v i batterici nella cuticola che circonda i parassiti; a l l o r a il l i q u i d o v i e n e i n p a r t e r i a s s o r b i t o , l a c i s t i c o l l a b i s c e , si p i e g a . sacche di E. m o s t r a n o spesso alla superficie interna e anche c o m e della sacca
stessa, una poltiglia giallastra, untuosa,
caseosa da
Vecchie
contenuto
interpretare
c o m e prodotto di una infiammazione e contenente detriti grassi e a b b o n d a n t e c o l e s t e r i n a e n e l q u a l e , e v e n t u a l m e n t e , si p o s s o n o a n c o r a t r o v a r e r e s t i d i c i s t i (in c i s t i f o r t e m e n t e r i g o n f i e e g e l a t i n o s e p u ò i n c e r t i p u n t i n o n e s s e r e p i ù sibile la
fine
striatura della membrana)
e spesso anche uncini.
caseoso può
a n c h e essere i n t e n s a m e n t e
imbibito
di bile;
Il
vi-
contenuto
microscopicamente
I
PARASSITI
DEL
FEGATO
475
si v e d o n o masse biliari, t a l v o l t a a n c h e cristalli. L a c a p s u l a si r a g g r i n z a e calcifica. A n c h e il d e t r i t o caseoso all'interno p u ò calcificare.
Così molto spesso, forse nel 50 % dei casi, si arriva a guarigione spontanea. Tali casi decorrono latenti. Le cisti da E. viventi, presentano una notevole tensione che talora, quando si riflette sulla porta o direttamente su un dotto biliare vicino, causa Utero (bibl. in QUENU) e inoltre stasi ematica. Altri casi diventano pericolosi quando sopravviene una trasformazione purulenta o icorosa. In seguito a traumi o dopo punture (R. MÜLLER), forse anche per arrivo ematog e n o d i p i o g e n i (cfr. J .
KOCK,
MEHLHOSE e u n c a s o d i AMREICH
in tifo addominale) la zona circostante può andare in suppunel pus. Così siforma un ascesso, nel quale si repertano talora resti arrotolati di membrana e
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per lo più ancora uncini. (Una - > ' p-K ; membrana idatidea intatta, non _ _ ^ | M S T * '3 lascia passare batteri; TROISIER, in un caso di tifo il cui siero £ agglutinava ad un tasso di - " ' 1/200 non ha trovato nel liquido ' ^Kf •" , , . f ' dell'E. né bacilli del tifo, né , - ^ " agglutinine o anticorpi). Fig. 194. Possono venire interessate Vecchia cisti da echinococco del fegato. anche le regioni circostanti e Membrana in parte a pieghe. può seguire perforazione in un Ingrandimento 1:1,3. Aut. N. 1678/36. organo cavo vicino. Ciò può avvenire con o senza ascessualizzazione; in questo ultimo caso le parti circostanti vengono atrofizzate per pressione oppure vi contribuisce spesso un trauma trascurabile (nell'E. h. le perforazioni spontanee sono molto frequenti, nell'E. m. molto rare: POSSELT, bibl.). Se l a s a c c a si apre nella cavità addominale le conseguenze sono varie: a) se la cisti era s u p p u r a t a , p e r lo più segue u n a peritonite p u r u l e n t a r a p i d a m e n t e m o r t a l e , b) I n seguito a riassorbimento di liquido di echinococco, insorgono sintomi simili ad un avvelenamento c o m e v o m i t o , diarrea, orticaria, eosinofilia (segno non sicuro, BARLING-WELSH) e fenomeni a c u t i di irritazione peritoneale, più o m e n o intensi, di prognosi g e n e r a l m e n t e b e n i g n a (vedi OEHLECKER, bibl.). N o n si possono però d i m o s t r a r e sostanze tossiche. LOWY, che in u n a p e r i t o n i t e d a r o t t u r a h a t r o v a t o nel sedimento del p u n t a t o e s p l o r a t i v o q u a s i il 90 % di leucociti eosinofili, i n t e r p r e t a i sintomi m o r b o s i ed anche l'eosi-
476
IL
FEGATO
nofilia come reazioni anafilattiche (vedi anche B O T T E R I , effetto sensibilizzante del liquido), c) Le conseguenze sono ancora più complesse: quando la sacca contiene cisti figlie, queste possono cadere nel peritoneo, causano una flogosi produttiva della regione d'impianto (possono comparire qui anche cellule giganti, cfr. pag. 473 e Voi. 1/2 pag. 564), si fissano e possono ulteriormente svilupparsi; ciò può avvenire contemporaneamente in più punti ed essere accompagnato da una peritonite acuta 0 cronica (che può somigliare ad una peritonite tubercolare, F. W E B E R ed altri). Esito per lo più infausto (cfr. K A B L U K O F F ) . Le cisti in seguito possono essere talmente circondate da aderenze, da sembrare sottoperitoneali. Naturalmente talvolta, alla rottura di una cisti da E. del f., possono anche liberarsi degli embrioni (scolici) ed impiantarsi e svilupparsi più tardi in cisti. Possono però anche formarsi dei tubercoli reattivi da corpi estranei (come nella fig. 196) inglobanti lamelle, uncini o scolici (cfr. R I E M A N N ) . Sul singolare Choleperitoneum hydatidosum ( D E V E ) , nel quale una peritonite sierofibrinosa biliare (vedi voi. I/2, pagina 559) impedisce l'impianto peritoneale delle cisti, vedi ANS C H Ü T Z , lett. In altri casi ha luogo una perforazione attraverso il diaEchinococcus multilocularis del fegato. Nel tessuto framma nella cavità pleurica, nei fibroso ricco di cellule, si t r o v a n o le m e m b r a n e parassitarie finemente striate; per lo più collabi te polmoni e bronchi oppure nello f o r m a n t i pieghe; le macchie nere, aderenti alstomaco, intestino, bacinetto renale l'esterno delle cisti, sono cellule g i g a n t i in p a r t e (generalmente a destra), rarafuse a sincizio. Ingr. m o l t o debole. (Disegno di E. KAUFMANN). mente nella vescica o, tramite il tessuto retroperitoneale, nel retto, utero o nella vagina, come vide K A U F M A N N in una ragazza di 17 anni (vedi voi. I/2, pag. 591, cfr. anche S C H R Ò D E R , lett.) e inoltre, come vide ancora K A U F M A N N , nelle vie biliari — cistifellea e dotti — (bibl. C A R L E , B O U R G E O N , P I E T R I , e G U N T Z ritengono costante la comunicazione tra cisti da E . e vie biliari), ciò che secondo Q U E N U (bibl.) porta a colangite ed è la causa più frequente di ittero nell'E. cistico. Molto rara è la perforazione nelle vene ep. come mostra anche un preparato della collezione di Basilea in un uomo di 37 anni ( D É V É , bibl.) o nella vena cava caud. (eventualmente metastasi polmonari o persino embolia polmonare mortale). L a pressione di una voluminosa sacca può portare a scomparsa di tutto un lobo ep. Però il lento accrescimento della sacca rende possibile una notevole ipertrofia compensatoria del rimanente parenchima ep. (Esempi con valori esatti a pag. 376 e fig. 197). Sulla necrosi che segue ad estirpazione totale (cosiddetta decorticazione) di echinococco ep. v. D É V É ; C A L Í vide penetrazione di una metastasi ep. di carcinoma gastrico nella parete di una cisti da E. Fig. 195-
I PARASSITI DEL FEGATO
477
y) A l l ' o p p o s t o di q u e s t a f o r m a z i o n e e n d o g e n a di vescicole, p u ò
aver
l u o g o — c i ò c h e è f r e q u e n t e in m o l t i a n i m a l i d o m e s t i c i (specie m a i a l i ) nell'uomo talora una formazione esogena di vescicole (Echinococcus
—
gra-
n u l o s u s , s c o l i c i p a r i e n s , E . v e t e r i n o r u m ; p a r t i c o l a r i in VASILESCU). L e v e s c i cole sono della g r a n d e z z a m a s s i m a di un u o v o di gallina. L e cisti figlie possono formarsi a l l ' i n t e r n o della p a r e t e , i n d i p e n d e n t e m e n t e d a l l o s t r a t o p a r e n c h i m a l e , r i c e v e r e uno s t r a t o p a r e n c h i m a l e interno e p r o d u r r e c a p s u l e proligere. D u r a n t e l a loro crescita d i l a t a n o l a p a r e t e della cisti m a d r e , l a e s t r o f l e t t o n o a c u p o l a o diverticolo e possono infine romperla. A l l o r a rappresent a n o cisti esterne, i n d i p e n d e n t i . C o n t e m p o r a n e a m e n t e h a luogo, nella superficie i n t e r n a della cisti m a d r e , la f o r m a z i o n e di capsule proligere.
Fig. 196. Echinococcus multilocularis del fegato. Parti di una membrana ondulata della cisti circondata da un tessuto di granulazione con cellule giganti similsinciziali e in parte ridotta in frammenti. Forte ingrandimento. (Disegno di E. KAUFMANN).
z) L ' E c h i n o c o c c u s
multilocularis (alveolaris,
nococcus) rappresenta una terza varietà
ulcerosus,
alveolarechi-
dell'E.
Q u e s t a f o r m a in a l c u n e regioni (dove f r a l ' a l t r o è e n d e m i c o a n c h e l ' È . hydatidosus) v i e n e o s s e r v a t a f r e q u e n t e m e n t e (Germania sud-occidentale, S v i z z e r a nord-orientale, Tirolo, Russia), in a l t r e q u a s i m a i (p. es. G e r m a n i a del N o r d , Islanda), m e n t r e il c o m u n e echinococco è m o l t o f r e q u e n t e : (così secondo l ' e s p e r i e n z a di KAUFMANN nell'enorme m a t e r i a l e di B r e s l a v i a t o t a l m e n t e assente) m e n t r e v i è f r e q u e n t e l ' È . c o m u n e . KLAGES nel c a n t o n e di G i n e v r a t r o v ò v a r i a m e n t e c o m m i s t i i d u e tipi. N e i b a m b i n i l ' E . m. n o n è s t a t o a n c o r a oss e r v a t o . (Il p r i m o c a s o di E. m. è s t a t o o s s e r v a t o d a FREUDENTHAL in I s l a n d a , in u n bue). L ' E . multilocularis
( E . m . ) d e l f., c h e q u a s i s e m p r e c o m p a r e
focolaio singolo nel lobo destro, d a p p r i m a non sembra affatto un
come verme
c i s t i c o , b e n s ì i n s o r g e u n a a l t e r a z i o n e d e l f. s p e s s o l e g a t a a d u n f o r t e a u -
478
IL
FEGATO
mento di volume che in fasi avanzate si presenta come un complesso duro, fibroso, a piccole cisti. Non presenta una capsula, bensì passa infiltrandosi nelle regioni circostanti ed assomiglia piuttosto ad un tumore maligno e cioè ad un cancro scirroso-gelatinoso e fu anche ritenuto tale fino a quando V I R C H O W ne riconobbe la natura parassitaria come « tumore multiloculare ulcerante da echinococco ». Dal punto di vista diagnostico differenziale si può prendere in considerazione: a) carcinomi gelatinosi, b) fegato cistico, c) vecchi ascessolini areolari localmente aggregati a nido d'ape, p. es. actinomicotici. L e singole cisti non raggiungono qui dimensioni considerevoli (da microscopiche a d un grano di miglio o ad un pisello), s o p r a t t u t t o non contengono o quasi del liquido e formano invece delle masse gelatinose o grumi — con la caratteristica striatura parallela — si colorano elettivamente col carminio di BEST in rosso-scuro (cfr. CLERC bibl.). Esse appaiono come cisti v u o t e nelle quali t u t t a v i a si t r o v a n o anche scolici ed uncini. L e cisti si f a n n o strada fortemente addossate le une alle altre, spesso (LEUCKART) disposte a grappolo, a t t r a verso il tessuto ep., ciò che secondo VIRCHOW a v v i e n e per v i a linfatica, mentre secondo ELENEVSKY (bibl.) il parassita si diffonde s o p r a t t u t t o per infiltrazione nelle fessure del tessuto interstiziale (che reagisce con formazione di g r a n u l o m a , v e d i sotto). Secondo FRIEDREICH l ' È . m. arriva d a p p r i m a nei d o t t i biliari. In questi ultimi, come nei linfatici, possono passare anche secondariamente (per usura da compressione) se essi (come indica CLERC) raggiunsero il f. per v i a portale e da qui si diffondono (per cui si formano gomitoli e pieghe di m e m b r a n e chitinose) ; può a v e r luogo anche una diffusione nei v a s i e m a t i c i , per q u a n t o questi stessi si possano ostruire r i p e t u t a m e n t e anche prima per endovasculitìs.
Il parenchima ep. tra le cisti si atrofizza per compressione o v a in degenerazione grassa o in necrosi, probabilmente per azione tossica dei parassiti. Le parti fibrose diventano dense, cicatriziali; la parte affetta può diventare lapidea, non mostrare fluttuazione e rumore idatideo. Fra le masse torbide, bianche, cicatriziali che occupano una zona del f. delle dimensioni di un pugno, eventualmente molto più grande, si trovano dei grumi gelatinosi rotondi o ramificati oppure cavità a parete liscia, ripiene di sostanza gelatinosa, alveoli che non sono separati da una capsula vera e propria dal restante tessuto e che danno a tutto il focolaio un aspetto poroso. Una vera capsula come limite al tessuto ep. circostante non si forma. Microscopicamente (figg. 195 e 196) relativamente di rado si trovano singoli scolici aderenti alle membrane striate, numerose cellule giganti (cellule giganti da corpo estraneo) in un tessuto di granulazione che precede la formazione di tessuto connettivo fibro-j alino ( G U I L L E B A U , C À S A R e altri hanno richiamato l'attenzione sulla somiglianza con i granulomi infettivi, specie tubercolari, soprattutto delle parti più giovani, ricche di cellule epitelioidi e anche con cellule giganti; cfr. anche i granulomi tubercoloidi del peritoneo in caso di scoppio di cisti da E.: voi. I/2,
I PARASSITI DEL
FEGATO
479
pag. 564. Si trovano anche caseificazioni (MANGOLD, POSSELT e altri). Per lo più si trova notevole proliferazione dei dotti biliari. L a massa gelatinosa può essere intorbidata da frammenti di calcio e da detriti di grasso. I setti connettivali centrali malnutriti possono andare in necrosi ed essere imbibiti di bile, per cui si formano delle cavità ulcerate con superficie interna ruvida; queste sono irregolari, piccole o grandi, sino a più di una testa d'uomo, non raramente, come nella fig. 197, stranamente angolose, molto ca^ ^ • ' "ì 7" ratteristiche per questo echinococco. Il loro contenuto liquido Àjjjt? ¡. ^ J » . . g ì può essere colorato di bile o di M». , '¿ • ' -sangue (contenere pigmento bi^fjjmfè• £.i-V liare, colesterina, ematoidina, ¡K¡S - «'/• ÍÍÉJ^'ÍV™ bilirubina) ed ammontare a più w K ' - j " litri. Se una grande cavità si trova ¡W^'" X^'^k-'' • ' * , •. superficialmente, essa può essere f f " . » . ' • •' palpata come fluttuante. Se so• V* Jp'" ' » ¿1 pravviene suppurazione la natura i / ' f ^ ^ y i l ' ' ' ' - ,"*•>. iWÈ parassitaria di questa alterazione | • ep. può essere ancora più difficile JMSÈ^M WL^ [•; Í • da riconoscere. Rari sono^gli echi-
sono essere difficili da diagnostiForse alfe base dell'E. m. sta un'altra tenia, oltre la solita; però le vedute su questo punto sono ancora controverse (Cfr. ELENEVSKY,
GRUBER
e
KÒNIG,
"
* . J
*
gj,-. '
I JjjiiwP^ F i g . 197.
Echinococcus multilocularis alveolaris. Sezione sagittale del lobo destro. U o m o di 30 anni. Il f e g a t o era verde oliva; nella c a v i t à grande c'era pus color bile. Membrane nei d o t t i biliari e nei r a m i della porta. Istologicamente scolici con uncini. Il lobo sinistro in ipertrofia c o m p e n s a t o r i a , misura: 28 x 1 2 x 5 , 5 cm.). Museo di B a s i l e a , c a n d i d a t o m e d i c o FRITZ MÚM.ER. Metà della g r a n d e z z a naturale.
hanno osservato E. cysticus ed E. alveolaris nello stesso paziente). VOGLER ha rilevato nell'E. m. maggiore delicatezza e snellezza, maggiore lunghezza, minore incurvatura, lunghezza più considerevole dei processi radicali degli uncini, e P O S S E L T , come pure D A R D E L , condivide questa opinione (vedi anche i tentativi di infestazione per via orale di M A N G O L D e Z S C H E N T Z S C H , bibl.). Secondo M E L N I K O W - R A S W E D E N K O W un dato caratteristico dell'E. m. sarebbe rappresentato dall'esistenza di uno strato granuloso del parenchima eliminante «embrioni» di vario tipo non solo all'interno della membrana chitinosa, ma anche all'esterno (gemmazione esogena). M I R O L U B O W non ha visto la gemmazione esogena n e l l ' E . m. e così pure J A H N , A L T M A N N invece sì; ma già J E N C K E L e N A P A L K O W trovarono gemmazione esogena anche nell'i:, hydatidosus (vedi anche J A H N ) . V I R C H O W , H A U S E R , J E N C K E L (bibl.) e altri, WALSHE
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IL
FEGATO
ritengono che l'È. m. venga formato dalla stessa tenia come VE. hydatidosus. POSSELT invece è dell'opinione (vedi bibl. pag. 477 e seg.), che si tratti di due diversi cestodi, in un caso della tenia dei cani (che infesta pecore, pastori e macellai), nell'altro della tenia alveolaris (POSSELT), e già da tempo dimostrò come sia importante l'allevamento di pecore per la frequenza d e l l ' h y d a t . e l'allevamento di bovini per quella dell'£. mult. (Cfr. anche DEW). Egli sottolineò inoltre che l'È. mult. non è mai stato ancora osservato nei bambini, nei quali però VE. hydat. è invece abbastanza frequente. Nell'E. alveolaris mancherebbe anche l'eosinofilia (cfr. anche pag. 475). Oggi si tende di nuovo ad ammettere un unico agente (E. granulosus; vedi BRUMPT e NEVEU-LEMAIRE). Conseguenze dell'E. m. sono la compressione della vena porta e delle vie biliari, ciò che può dar luogo ad uscite ed Utero. Si può anche avere perforazione nella cavità pleurica, polmone, cistifellea, cava inferiore (ZSCHENTZSCH, bibl.), occlusione di quest'ultima e delle vene ep. con conseguente formazione di un particolare circolo collaterale (PAUL). Per lo più coesiste tumore di milza. E. e carcinoma vedi ZIEGLER, v a s t a bibl. e bella iconografia. È molto rara in un E. m. del f. la formazione di vere metastasi ematogene nel polmone, cervello, ossa (BIBER, CLERC, bibl.). Secondo ELENEVSKYB altri l'È. mult. si ha primitivamente anche in altri organi (milza, surreni). HAUSER ha descritto un E. m. del polmone e della pleura. Bibl. in PEIPER ed estesamente in VASILESCU. Sulla localizzazione dell'E. chirurgicamente importante cfr. FRANGENHEIM, A. BECKER, in campo ginecologico NÜRNBERGER (bibl.). V . a n c h e
PARLAVECCHIO, HOSEMANN, POSSELT,
SEMANN, S C H W A R Z , L E H M A N N , P O S S E L T , B L U M E N T H A L ,
Ho-
specie sulla parte siero-
logica (su quest'ultima v. KRAUSE). b) Nematelminti: Ordine: Nematodi. Dei nematodi (vermi filiformi) per il f. umano è di importanza solo YAscaris lumbricoides, il fuseragnolo. Non raramente migra nelle vie biliari e può portare (eventualmente con l'azione di germi veicolati!) ad ascessi colangitici del f. (VOGEL e MINNING, CESPEDES, vedi pag. 241; ivi altra bibl.), nei quali talvolta sono reperibili u o v a di ascaridi (WIEDEMANN); una peritonite mortale (eventualmente dopo perforazione dell'ascesso) è possibile specie nei bambini (CESPEDES, STEFANICKA-WIECHOWA). DA SILVA HORTA e DELFIM hanno trovato tessuto di granulazione con cellule giganti e cicatrizzazioni in aree circostanti le necrosi, le quali debbono essere interpretate come conseguenze di una reazione antigene-anticorpo (cfr. anche MILBURN e ERNST). Non di rado spicca una intensa infiltrazione eosinofila del tessuto periportale: MILBURN ed ERNST parlano di « eosinophilia-hepatomegaly-syndrome » nel bambino. Un'eosinofilia tessutale del f. di simile intensità nel quadro di una epatite interstiziale cronica, riscontrò HEUNER nell'adulto (Ascaris dimostrato in un dotto biliare: trattamento operatorio, vedi K . H. ERH).
I PARASSITI DEL
FEGATO
CAPITOLO III
ARTROPODI
Pentastoma {-munì) denticulatum, larva di P. taenioides o Linguatula thinaria (parassita lanceolato che vive nel naso del cane, appartenente agli aracnoidi) è il più frequente parassita del f. Questa larva si insedia con predilezione nel fegato e per lo più sotto la capsula di Glisson. Il P. è dunque in alcuni luoghi un reperto frequente (M. K O C H a Berlino nel 12 %, a Basilea molto più raro), però senza alcun significato patologico. Ciò è stato confermato da SONOBE in contrasto con SAGREDO (in entrambi buona iconografia). Meno spesso si trova nella milza (vedi SAUPE), rene, polmone (subpleurico), più facilmente nel mesentere o nella parete intestinale (cfr. LAENGER). Poiché il parassita muore poco dopo l'infestazione, di regola lo si reperta come una massa caseosa purisimile, argillosa, oppure come un corpuscolo o un nodulo calcificato circondato da una rozza capsula fibrosa, della grandezza sino ad un pisello, talora a mezza luna, emisferico. Dopo trattamento con acido cloridrico, talora si riconosce la larva lunga 2-4 mm. che ha una corazza spinosa, chitinosa, con aculei e segmentata (da 80 a 90 anelli) e, all'estremità del capo, uno stoma con 4 uncini (piedi) (diagnosi differenziale cfr. SONOBE). (Il parassita adulto fu osservato solo raramente in soggetti con epistassi che datavano da molti anni, LAUDON).
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PARTE QUARTA
VIE BILIARI E CISTIFELLEA (Prof. Dr.
H A R R Y GÙTHERT,
Erfurt)
CAPITOLO I
SULLA EMBRIOLOGIA DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE
Sulla faccia ventrale dell'intestino anteriore è già visibile nell'embrione, dai 12 ai 1 5 segmenti primordiali, la lamina epatica che si sviluppa precocemente da una estroflessione dell'endoderma, l'ansa epatica. Questa si inoltra per continua espansione con zaffi trabecolari epiteliali nel contiguo mesenchima del mesogastrio ventrale. Uno di questi cordoni cellulari va crescendo in un tragitto che più tardi si divide in due condotti, i due dotti epatici. Allo stadio dell'iniziale sviluppo di questa trabecola epatica comincia a differenziarsi l'abbozzo della cistifellea dalla parte ventrocaudale (la cosiddetta « pars cystica ») dell'ansa epatica. Il comune tratto di collegamento di queste due parti dell'ansa epatica diviene dotto coledoco. In giovani embrioni (4,9 fino a 6,75 mm. di lunghezza) la cistifellea e i grossi dotti biliari sono dapprima solidi. Secondo altri AA. cistifellea e vie biliari inizialmente si presentano cavi, poi, per effetto della proliferazione dell'epitelio, ne deriva un'occlusione prima che si formi il lume definitivo. LEWIS riferisce di un embrione, di 7,5 mm. di lunghezza, nel quale il dotto coledoco presentava un lume, mentre la cistifellea non ne aveva. Si osservò anche che nella formazione del lume del dotto coledoco, occasionalmente nel tratto intermedio si aveva un doppio lume. Nella formazione della cistifellea possono formarsi più cavità adiacenti, ovvero il lume può essere suddiviso da sepimenti. In embrioni da 7 a 8 cm. di lunghezza la cistifellea presenta pliche per lo più ben sviluppate e anche le vie biliari sono completamente formate. Nei giovani embrioni gli strati esterni della cistifellea sono circondati da un mesenchima indifferenziato, che in seguito, dopo la prima comparsa di mioblasti, si differenzia nei noti strati della parete della cistifellea. Secondo LEWIS in un embrione di 29 mm- di lunghezza sono definiti tutti gli strati della cistifellea. Nell'ambito delle anomalie di posizione è importante conoscere i rapporti topografici tra la cistifellea e il fegato durante lo sviluppo di entrambi gli organi. Ancora nella quarta settimana di vita embrionale la cistifellea sta innicchiata nel mesenchima del mesenterio ventrale fino allora immodificato, limitata dal lobo quadrato del fe-
488
VIE BILIARI E
CISTIFELLEA
gato. A l principio del secondo mese la cistifellea è visibile sulla superficie del f e g a t o d o p o che sono s c o m p a r s e le p a r t i del mesenterio v e n t r a l e
che
l'avvolgevano.
del
maggior Essa
Nel
terzo
mese
di
vita
embrionale
in
conseguenza
sviluppo del fegato, la cistifellea è ancora del t u t t o
è ricoperta
dal
tessuto
epatico
contiguo
ed
è situata
invisibile. profonda-
m e n t e nel fegato. Solo con la progressiva atrofia, determinata d a modificazione
di
rapporti
pressori
intraaddominali,
di
determinati
segmenti
e p a t i c i (BROMAN), t r a i q u a l i q u e l l i c h e r i m e t t o n o a l l o s c o p e r t o l a c i s t i f e l l e a , d i r e g o l a g i à a l l a fine d e l t e r z o m e s e e m b r i o n a l e l a c i s t i f e l l e a t o r n a a riapparire sotto la superficie inferiore del fegato. Q u e s t a posizione viene ora c o n s e r v a t a . A q u e s t o p u n t o per l a migliore comprensione di questioni a n c o r a discusse che r i g u a r d a n o posizione, f o r m a e a n o m a l i e di
sviluppo
a d esse c o l l e g a t e , s o n o n e c e s s a r i e a l c u n e o s s e r v a z i o n i d i e m b r i o l o g i a anatomia
ed
comparata.
N e l l ' u o m o cistifella e d o t t i biliari si t r o v a n o f o n d a m e n t a l m e n t e in condizioni tipiche. P e r m e t t e r e in chiaro ciò è essenziale u n i n q u a d r a m e n t o n e l l ' a m b i t o d i considerazioni c o m p a r a t e . Secondo ZIMMERMANN l a cistifellea e i d o t t i biliari e x t r a e p a t i c i si possono distinguere in tre tipi. T i p o I: La cistifellea manca. U n a v i a biliare c o m u n e si p o r t a d i r e t t a m e n t e a l d u o d e n o c o m e d o t t o escretore del f e g a t o . E s e m p i o : c a v a l l o . T i p o I I : Cistifellea presente. C o m u n i c a z i o n e t r a f e g a t o e cistifellea (dotto epatocistico). A c c a n t o d o t t o e p a t i c o . Q u e s t o si unisce col d o t t o cistico p r o v e n i e n t e dalla cistifellea nel d o t t o coledoco c h e si p o r t a al d u o d e n o . E s e m p i o : coniglio. T i p o I I I : Cistifellea con dotto cistico presente. I l d o t t o e p a t i c o p r o v e n i e n t e d a l f e g a t o si unisce col d o t t o cistico nel d o t t o coled o c o che si p o r t a al duodeno. S e c o n d o ZIMMERMANN l a condizione s e n z a cistifellea è m o l t o p r o b a b i l m e n t e p i ù a r r e t r a t a filogeneticamente rispetto a l s i s t e m a q u a l e n o i lo c o n o s c i a m o n e l l ' u o m o . N e l l ' u o m o di regola u n d o t t o biliare s b o c c a in c o r r i s p o n d e n z a della p a p i l l a di V a t e r (dotto p a n c r e a t i c o - b i l i a r e (LUSCHKA, FEYRTER) n e l t e r z o m e d i o del t r a t t o d i s c e n d e n t e del d u o d e n o , ciò che n e l regno a n i m a l e è m o l t o v a r i a b i l e . N e l l ' i n t e s t i n o degli uccelli p e r lo p i ù v i sono d u e d o t t i escretori p e r l a bile. N e i m a m m i f e r i il c o n d o t t o b i l i a r e s b o c c a a d i s t a n z a m o l t o v a r i a dallo s t o m a c o . Q u e s t a d i s t a n z a è m o l t o p i c c o l a nel m a i a l e e nei c a r n i v o r i , n o t e v o l e nella c a p r a e nel b u e . I n d i p e n d e n t e m e n t e d a l f a t t o che esista o m e n o u n a cistifellea è d a m e t t e r e f o n d a m e n t a l m e n t e in rilievo l ' e s i s t e n z a d i u n o sfintere in corrispondenza dello s b o c c o del d o t t o biliare nell'intestino, a n c h ' e s s o di c o n f o r m a z i o n e m o l t o v a r i a (bibl. in PATZELT). Q u e s t e b r e v i notizie di a n a t o m i a c o m p a r a t a possono chiarire l ' i n t e r p r e t a z i o n e di deficienze e m a l f o r m a z i o n i nel s i s t e m a della cistifellea e delle v i e biliari.
BIBLIOGRAFIA
Manuali, monografie, t r a t t a t i : BONNET R. e K . PETER, Lehrbuch der Entwicklungsgeschichte, Parey, Berlin, 1929. — BROMAN J., Normale u. abnorme Ent-
SULL'ANATOMIA E D ISTOLOGIA
DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE
489
wickig. des Menschen, Bergmann, Wiesbaden, 1 9 1 1 . — CLARA M., Entwicklungsgeschichte des Menschen, Quelle & Meyer, Leipzig, 1938. — LEWIS F . T . in KEIBEL F . e F . P . MALL, H d b . d. Entwicklungsgeschichte d. Menschen, Hirzl, Leipzig, 1 9 1 1 . — PATZELT V., Hdb. d. Mikrosk. Anatomie d. Menschen, B d . V , I I I , Springer, 1936. Lavori singoli: FEYRTER FR., Virchows Arch. path. A n a t . 2 7 1 , 20 (1929). — LUSCHKA, zit. nach F e y r t e r . — ZIMMERMANN, A., Arch. Tierhkde. 68, 1 1 2 (1935).
CAPITOLO
II
SULL'ANATOMIA ED ISTOLOGIA DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE
La cistifellea (Vesica fellea) dell'uomo è un organo piriforme, sacciforme, con una parete sottilissima in particolari condizioni. Posta sulla superfìcie inferiore del fegato, in una fossetta più o meno profonda, tra il lobo destro e il piccolo lobo quadrato del fegato, nella cistifellea si distinguono fondo, corpo con l'infundibolo e collo che si continua nel dotto cistico con una pars valvularis, in corrispondenza della quale si trova la valvola di Heister e una parte liscia, che si unisce col dotto epatico comune proveniente dal fegato a formare il coledoco, la parte inferiore del quale, situata nella parete del duodeno, è indicata come pars duodenalis del dotto coledoco e sbocca nel duodeno all'altezza di una papilla della mucosa (fig-
198).
Il fondo della cistifellea può essere situato nella fossetta cistica in tutta la sua estensione, ma nella parte più anteriore può anche non presentare alcun rapporto diretto col fegato. Questa cupola (NUBOER) del fondo della cistifellea può così sporgere oltre il margine epatico, come anche giacere dietro di esso. Al fondo segue il corpo della cistifellea, che dopo la parte caudale passa nell'imbuto o infundibulo (BERG) con diretto passaggio nel collo. Le dimensioni della cistifellea subiscono ampie oscillazioni. BOCKUS attribuisce una lunghezza da 7 a 10 cm. e una larghezza da 2 »5 a 3>5 c m - Secondo NUBOER la lunghezza della cistifellea, misurata dal fondo fino al punto del collo maggiormente sporgente all'indietro, raggiunge nell'adulto la media di 7,6 cm. con dimensioni tra i 4 cm. e i 13,5 cm., mentre la larghezza massima risulta in media di 3,2 cm., variando tra 1,8 e 5 cm. L a capacità della cistifellea secondo BOCKUS risulta di circa 3 5 cm 3 , secondo H A B E R L A N D di circa 3 0 fino a 4 0 cm 3 . Secondo osservazioni proprie il volume medio della cistifellea nell'adulto si potrebbe porre nei limiti delle misure suddette con qualche variazione piuttosto in meno che in
49°
VIE BILIARI
E
CISTIFELLEA
più. L a pressione di rottura della colecisti varia da 0,36 a 1,5 atmosfere, mentre la capacità massima non supera i 200 cm 3 di acqua (Di GUARDO e GIARDINI). L a mucosa della cistifellea di aspetto vellutato presenta un delicato disegno reticolare a tipica disposizione con una fine formazione di pieghe. Nel fondo si trovano maglie più larghe e pieghe più alte, verso il collo si riducono di regola l'altezza e la larghezza delle pieghe. Degne di menzione dal punto di vista macroscopico, perché non prive d'importanza per la funzione del sistema cistifellea-vie biliari, sono le anse situate D. cyaticus Para valvularls
Disegno s c h e m a t i c o delle vie biliari e x t r a e p a t i c h e (da NUBOER, F r a n k f . Zschr. P a t h . 41, 202 [ 1 9 3 1 ] ) .
al collo della cistifellea, rese note dalle ricerche di BERG, l'ansa infundibolocollo e quella collo-cistico. Queste anse danno a questo tratto una forma a collo di cigno. Pliche, rispettivamente valvole, di grande importanza per la funzione delle vie extraepatiche ancora da illustrare, stanno in rapporto con le dette anse, situate proprio in questo punto e nel tratto cistico immediatamente contiguo. La cavità del collo è così limitata da una valvola tanto verso l'infundibolo, come anche verso il cistico. Queste valvole sono molto variabili in altezza. Tra queste valvole possono trovarsi altri rilievi che solo in parte presentano aspetto di valvole (NUBOER). Il dotto cistico, di lunghezza molto varia, presenta diverse pliche mucose situate fittamente l'una accanto all'altra (valvula spiralis Heisteri). Queste, disposte irregolarmente in direzione trasversale ed obliqua, per lo più senza alcun richiamo con pliche mucose, sulle sezioni trasversali del dotto cistico solo raramente danno l'impressione di formazione spirale. Anche nella loro altezza e di-
SULL'ANATOMIA ED ISTOLOGIA DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE
491
mensioni queste pliche sono molto variabili. LUTKENS ha dimostrato la loro forma a spirale radiologicamente mediante iniezione delle vie biliari con mezzo di contrasto. Il ductus hepaticus communis, che si forma generalmente da due dotti epatici, raramente da tre o più rami, si unisce con la parte glabra del dotto cistico nel Ductus choledochus, della lunghezza media di circa 6,3 cm. (NUBOER), che rappresenta rispetto a forma, decorso e calibro il prolungamento del dotto epatico. Nel tratto intermedio il dotto coledoco decorre in stretto rapporto con la testa del pancreas. In circa 2/ di tutti i casi qui decorre attraverso una galleria del tessuto pancreatico, 3 negli altri casi in una scanalatura situata nella testa del pancreas, per
a)
b)
c)
Fig. 199. Rapporti tra dotto coledoco e via pancreatica allo sbocco nel duodeno, a) D o t t o comune pancreatico-biliare (ampolla), b) Nessun dotto pancreatico-biliare, ma papilla comune. c) Sbocco delle due vie completamente separato (da HICKEN e ALLISTER, Amer. J. Surg. 83, 781, 1952).
poi immettere trasversalmente, attraverso la parete duodenale, in una dilatazione ampollare situata immediatamente prima dello sbocco nel lume duodenale (Ampolla di Vater ò dotto pancreatico-biliare), e poi finire in una papilla nel duodeno (Papilla di Vater). Forma, lunghezza e dimensioni dell'ampolla sono molto variabili (JOB, NUBOER, NAGAI e SAVADA). Anche la confluenza del dotto coledoco e della via pancreatica, l'ampiezza dell'angolo di sbocco, come la grandezza e le dimensioni del dotto pancreatico-biliare (ampolla) sono straordinariamente variabili come hanno recentemente dimostrato le ricerche di MILLBOURN, HICKEN e ALLISTER (fig. 199). Nell'8 fino al 13 % manca completamente un'ampolla. Istologicamente la cistifellea presenta in modo tipico, come rivestimento interno, un epitelio alto, prismatico che molto presto v a incontro a modificazioni postmortali. Già due ore dopo la morte può essere diffìcile trovare l'aspetto tipico dell'epitelio perché incominciano a dissolversi gli strati profondi della parete (PFUHL). FERNER ha distinto 5 strati nell'epitelio della cistifellea: l'orlo cuticolare, una sottile zona subcuticolare, una zona sopranucleare, una zona nucleare e una zona basale. Interessante è la zona cuticolare, perché sempre più densa al centro della cellula ed è
492
VIE BILIARI E CISTIFELLEA
sporgente verso il lume, così che la superfìcie delle pliche appare come ricoperta da una lamina lapidea. Forse questo strato è identificabile con uno strato del tipo di un epitelio piatto (« strato epiteliale semisquamoso»), che è stato descritto da DURAN-JORDA. VITTADINI ha dimostrato nella cistifellea cellule cromaffini, HAMPERL oncociti. LUTKENS, nella parete del dotto epatico, ha trovato, incluse nel connettivo dell'ilo epatico, ghiandole simili alle sudoripare e ha dimostrato che l'epitelio distale di queste « ghiandole portali » nelle sezioni cadaveriche è sempre macerato, mentre quello prossimale invece è ben conservato. LUTKENS, senza entrare in particolari, pensa a fermenti diastasici, ossidanti e catalitici generati da queste ghiandole portali che possono provocare rapide alterazioni postmortali dell'epitelio. Tra le cellule epiteliali possono comparire cellule caliciformi (PFUHL). L e cellule epiteliali secernono secreto mucoso che si mette in evidenza con mucicarminio. Gli epiteli possono contenere sostanze grasse (grassi neutri e lipoidi, soprattutto colesterina) e pigmenti biliari in forma di minuti granuli. Immediatamente sotto l'epitelio segue uno strato lasso sottoepiteliale che trapassa senza limiti in uno strato di tessuto connettivo riccamente fibroso nel quale giacciono lunghe e fitte fibre muscolari. Vecchi ricercatori (vedi bibl. in ASCHOFF e BACMEISTER) vedono in questa muscolatura uno strato indipendente paragonabile alla muscolaris propria dell'intestino, mentre moderni ricercatori (bibl. in PFUHL) la considerano come una muscolaris mucosae e qualificano lo strato lasso sottoepiteliale comune col fibromuscolare come tonaca propria della mucosa che trapassa poi nella sottomucosa lassa, spesso ricca di tessuto adiposo. Nello strato esterno prevalentemente connettivale della fibromuscolare decorrono numerosi vasi. Nel letto della cistifellea la sottomucosa è il collegamento tra cistifellea e fegato. Qui mancano la sierosa e la sottosierosa posta immediatamente sotto di essa e costituita in prevalenza da tessuto adiposo, le quali rappresentano nel restante ambito gli strati esterni della cistifellea. Nella parete della cistifellea non si trovano ghiandole e in ciò concordano tutti i ricercatori. Soltanto nella regione del collo, disposte in piccole zone, si trovano ghiandole tubulari o tubulo-alveolari (PFUHL), che si estendono fino alla muscolare slaminandola in parte. I condotti escretori di queste ghiandole percorrono la membrana mucosa in direzione diretta od obliqua, l'epitelio è un po' più piatto di quello superficiale. Importanti per varie alterazioni patologiche della cistifellea sono anse mucose dell'epitelio superficiale che si spingono fino allo strato muscolare e con esse penetrano anche vasi essenzialmente in corrispondenza degli interstizi. Secondo ASCHOFF, LUSCHKA aveva già descritto questi dotti. Essi sono indicati dai tedeschi come dotti di Luschka. Già ASCHOFF aveva richiamato l'attenzione sul fatto che la descrizione di LUSCHKA non è di univoco significato (vedi anche PFUHL). Questo risulta evidente anche dalla descrizione originale di LUSCHKA. Fino da HALPERT,
S U L L ' A N A T O M I A E D ISTOLOGIA
DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE
493
che richiama vivamente l'attenzione su questo, detti infossamenti della membrana mucosa sono indicati in lingua inglese come seni di RokitanskyAschoff. I veri dotti di Luschka, che LUSCHKA ha descritto chiaramente nel lavoro originale, sono, secondo JURISCH e HALPERT, canali più sottili, costituiti come le vie biliari intraepatiche e che si trovano frequentemente sul lato del fegato, come sul lato della sierosa all'esterno dello strato fibromuscolare. Essi appaiono così nel collo della cistifellea come anche in altre zone della parete; non sono collegati col lume della cistifellea, sono probabilmente vie biliari aberranti e possono essere in connessione con vie biliari intraepatiche. HABERLAND ha notato che vie biliari possono sboccare direttamente nella cistifellea dal fegato. Il sistema muscolare intramurale della cistifellea consta secondo LÜTKENS e NUBOER di più strati di muscolatura liscia che decorrono in senso longitudinale, trasversale o circolare insieme a tessuto connettivo e fibre elastiche. Nel collo della cistifellea si trova evidentemente uno strato muscolare costituito in prevalenza da fibre circolari, nel quale LÜTKENS riconosce uno sfintere al limite tra il collo della cistifellea e il dotto cistico, mentre NUBOER nell'85 % delle sue osservazioni personali non ha potuto distinguere questo sfintere muscolare. Osservazioni fisiologiche danno più sicura l'esistenza di un simile sfintere (BRONNER, KALK
e
SCHONDUBE,
SANDBLOM).
MIRIZZI
inoltre
ha
descritto
un
più
largo sfintere al passaggio dall'epatico al coledoco. LÜTKENS, LOHNER, KARLMARK e NUBOER (vedi a n c h e p i ù d i f f u s a m e n t e
la letteratura) hanno dettagliatamente informato sulla struttura dei grandi dotti biliari. Secondo PFUHL tutti gli strati della mucosa partecipano alla formazione delle pliche valvolari nel tratto iniziale del dotto cistico. L a mucosa del dotto cistico consta di un unico strato di epitelio cilindrico e di una tonaca propria che contiene ghiandole mucipare e fibre muscolari isolate. Questa componente muscolare è più spiccata nella zona valvolare che nella parte glabra del dotto cistico che consta prevalentemente di tessuto elastico con singole fibre muscolari. Nella parte valvolare del dotto cistico i fasci muscolari sono disposti prevalentemente in senso circolare. NUBOER vede in ciò la premessa anatomica per una regolazione del flusso biliare in entrambe le diramazioni nella zona delle valvole di Heister. Il dotto epatico e il dotto coledoco sono rivestiti verso il lume da un unico strato di epitelio prismatico con poche cripte mucose. A d eccezione dello sfintere di Oddi la muscolatura di entrambi i dotti biliari consta soltanto di esili fasci isolati, cui si aggiunge tessuto elastico nella parte fissa al duodeno (NUBOER). Di riscontro LANG da ricerche seríate riconosce nel terzo medio ed esterno del sistema epatico-coledoco fascetti muscolari in spirali molto serrate decorrenti nella parte superiore dell'epatico, per poi, proseguendo in direzione più o meno longitudinale, passare in rigidi vortici sfinterici. LANG vede in questo la base anatomica per la motilità spontanea dell'epa-
494
VIE BILIARI E CISTIFELLEA
tico-coledoco osservata d a MIRIZZI. Nel t r a t t o del coledoco che si approfonda, nella parete duodenale i fasci muscolari che sono scarsi nella parete della grande v i a biliare, si rafforzano e nella zona della papilla sono disposti secondo l'esigenza funzionale. E da tener presente inoltre che di regola d o t t o biliare e dotto pancreatico formano il dotto unico pancreatico-biliare per poi finire nella papilla duodenale. L a muscolatura che si t r o v a in questo punto è stata descritta nell'uomo per la prima v o l t a da ODDI, e da allora è nota come sfintere di Oddi (bibl. in BOYDEN) . Questo sfintere ha la sua parte principale di fasci muscolari disposti circolarmente, decorrenti con disposizione regolare nella parte del dotto coledoco prima dell'ingresso nella parete del duodeno fino all'unione colla v i a pancreatica. U n a seconda parte dello sfintere giace completamente isolata nella parete del dotto pancreatico fino ad unirsi colla v i a biliare nell'ampolla. Questo sfintere del dotto pancreatico è dimostrabile soltanto in un terzo di t u t t i gli adulti. Circa in un sesto di t u t t i i casi, l'ampolla di V a t e r presenta nella sua parete un fascio di muscolatura disposta circolarmente. L a quarta parte dello sfintere di Oddi giace nella immediata zona di sbocco, dove nella parete dell'orificio sono dimostrabili t a n t o fasci muscolari costrittori, come anche fasci longitudinali per accorciare e rizzare la papilla. L a struttura dello sfintere di Oddi è veramente complicata in ogni caso, come dimostrano a t u t t ' o g g i le ricerche. S i t r a t t a di un sistema muscolare per il quale SCHREIBER h a proposto l'espressione di « musculus complexus papillae duodeni » (fig. 200) MILLBOURN richiama l'attenzione sul diversissimo sviluppo di questo sistema muscolare da totale m a n c a n z a ad evidenza molto spiccata in t u t t e le sezioni. SCHON, che conferma le ricerche di SCHREIBER, ritiene che anche un sistema reso turgido da vene e arterie ha importanza nella chiusura della papilla, analogamente a quanto si riscontra nel bue. L'arteria che p r o v v e d e alla cistifellea, l'arteria cistica, deriva da u n ramo dell'arteria epatica propria, e raggiunge la cistifellea col dotto epatico e qui si ramifica in rami laterali esterni ed interni dai quali è nutrita t u t t a la parete della cistifellea. Mentre il dotto cistico ed epatico traggono i loro rami nutritizi soprattutto dal tronco principale dell'arteria cistica, il d o t t o coledoco è s o p r a t t u t t o nutrito da piccoli rami dell'arteria pancreatico-duodenale craniale. Sulla più larga ramificazione del sistema vasale in tre plessi, che giacciono negli strati subepiteliale, fìbromuscolare e sieroso della parete, vedi in HALPERT. I dati sulle vene della cistifellea e dei dotti biliari v e n g o n o descritti separatamente. Si t r a t t a di un evidente collegamento diretto colle vene intraepatiche del fegato, mentre d'altra parte appaiono anche in collegamento diretto colla v e n a porta (PFUHL, RUBASCHEWA, MICHELS). Il sistema linfatico della cistifellea e delle vie biliari, tramite estesissime anastomosi, forma t u t t ' u n o colle vie linfatiche del fegato (ROUVIERE, BARTLETT, CRILE e GRAHAM, MAZELLA, FAZIO)
(fig. 2 0 1 ) . I s o t t i l i
capillari
linfatici giacciono in più strati nella parete della cistifellea e sboccano alla
SULL'ANATOMIA ED ISTOLOGIA
DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE
495
superficie in un sistema reticolare di grossi rami. Queste vie linfatiche sono connesse ai rami provenienti dal lobo quadrato del fegato e trasportano la linfa in una grossa linfoghiandola situata al collo della cistifellea o all'unione del dotto cistico col coledoco. Le vie linfatiche del dotto cistico, della parte alta del dotto coledoco e del dotto epatico sboccano in un piccolo gruppo di gangli linfatici all'ilo del fegato, mentre le vie linfatiche provenienti dalla zona inferiore del dotto coledoco si riuniscono a un gruppo di gangli linfatici sulla testa del pancreas (BOCKUS). Secondo BARTLETT, CRILEE GRAHAM MCCARREL, DRINKER,
THAYER
secondo
e
FAZIO
come secondo KODAMA e NAKASHIMZ
non
esistono
soltanto strette anastomosi tra le vie linfatiche del fegato e della cistifellea (opinione contraria vedi in WINKENWERDER),
bensì
anche tra le vie linfatiche della cistifellea e quelle degli strati superiori del duodeno, mentre non esistono più larghe anastomosi colle vie linfatiche del tratto intestinale e del pancreas, come ha dimostrato KODAMA per mezzo di iniezioni. Cistifella e vie biliari sono provvisti tanto di nervi simpatici (splancnico) come anche parasimpatici (vago). Già al 4° mese di vita intrauterina secondo UTSUSKI il sistema nervoso vegetativo è sviluppato fino al reticolo terminale e in seguito si differenzia stabilmente. I fasci avanzano coi vasi sulla cistifellea e si ramificano in reticoli che giacciono nella sottosierosa e nella sottomucosa. Sottili fasci penetrano nello strato fibromuscolare della parete e formano qui come anche nella mucosa plessi in stretto rapporto con gruppi di cellule gangliari. Sottili reticoli si spingono fino alla base del rivestimento epiteliale interno della cistifellea (HARTING).
496
VIE
BILIARI
E
CISTIFELLEA
CAPITOLO
III
SULLA FISIOLOGIA DELLE VIE BILIARI
EXTRAEPATICHE
Le vie biliari extraepatiche hanno il compito di convogliare la bile formata nel fegato al duodeno o direttamente o sotto la regolazione della cistifellea. Accanto a questa attività fondamentale, che è mantenuta soltanto da una regolare funzionalità neuromuscolare delle vie extraepatiche, alla cistifellea spetta il compito di rielaborare la bile in determinato modo. L a motilità delle vie biliari extraepatiche è dimostrata chiaramente dal sondaggio duodenale, dalla colangiografia perorale e intravenosa e da moderni metodi di colangiografia operatoria (bibl. in HESS). Meritano di essere messe in rilievo le nozioni acquisite in argomento per mezzo di questi moderni metodi di ricerca, perché prima si attribuiva alla cistifellea soltanto il ruolo passivo di scaricare la bile nell'intestino. Così inoltre HABERLAND ritiene che nell'espirazione venga richiamata bile nella cistifellea e che l'eliminazione della bile sia sollecitata tramite spremitura nella peristalsi intestinale, nel senso che lo sfintere della papilla di Vater si aprirebbe nella distensione del duodeno e si chiuderebbe nella contrazione intestinale. Questa particolare spiegazione oggi non è più seguita. Noi sappiamo soprattutto dalle ricerche di WESTPHAL, che l'attività muscolare della via extraepatica comune dipende dall'insieme del sistema nervoso simpatico e parasimpatico in delicato accordo tra loro e che in questo gioco reciproco compaiono le varie turbe funzionali che possono portare ai quadri morbosi oggi ben noti nei quali mancano alterazioni insorgenti a carico del sistema biliare extraepatico. Con riferimento alle notizie riportate nel capitolo « sull'anatomia delle vie biliari extraepatiche » (pag. 489) sulla loro struttura, l'attuale fisiologia della motilità delle vie biliari extraepatiche si può esporre approssimativamente nel modo seguente: alla chiusura dell'apparato muscolare dell'estremità duodenale del coledoco, dopo che si è riempito il coledoco stesso restando aperto lo sfintere collo-cistico (LÜTKENS) e lo sfintere epatico (MIRIZZI), segue il riempimento della cistifellea, sul quale verosimilmente le valvole di Heister esercitano un influsso acceleratore. Lo svuotamento segue per attiva contrazione della muscolatura della cistifellea con apertura dello sfintere collo-cistico, chiusura dello sfintere epatico e con un ben determinato atteggiamento dell'apparato muscolare dell'estremità duodenale del coledoco. Questo atteggiamento come permette
SULLA FISIOLOGIA DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE
497
un passaggio passivo della bile, così anche per le ritmiche contrazioni della papilla favorisce un afflusso di bile nel duodeno (SCHONDUBE, BERNHARD, MIRIZZI). Queste conoscenze acquisite indirettamente per via radiologica hanno potuto essere confermate largamente da RITTER con l'osservazione diretta del film. FOTI, MESTER e JUHASZ, sulla base di alcune ricerche sperimentali, credono che nel meccanismo di espulsione un'onda peristaltica decorra dalla cistifellea al coledoco fino allo sfintere di Oddi, e che arrivi sempre bile nell'intestino quando questa onda raggiunge l'apparato mu-
Fig. 201. Rappresentazione schematica dei vasi linfatici del fegato e della cistifellea (da R O T H M A N in Bockus, Gastroenterology, Bd. I l i , Saunders, Philadelphia e London, 1949).
scolare della papilla. Sarebbero da ricordare anche le vedute di SCHREIBER, che è del parere che le vie extraepatiche funzionino secondo una specie di sistema di dotti comunicanti, nel quale è inserito un meccanismo valvolare mobile a funzionamento neuro-muscolare. Prima che la bile giunga nell'intestino nel modo suddetto, subisce importanti modificazioni. Innanzitutto essa viene concentrata da i o fino a 20 volte. Questo compito è effettuato essenzialmente dalla cistifellea, ma probabilmente anche i grandi dotti biliari sono in grado di impegnarsi in questo lavoro di concentrazione specialmente quando manca la cistifellea. Il carattere mucinoso della bile cistica dipende dalle sostanze mucoidi, riccamente proteiche, prodotte dall'epitelio della cistifellea e dalle ghiandole delle vie biliari. Nella concentrazione della bile insieme all'acqua vengono riassorbite sostanze inorganiche facilmente diffusibili, mentre le sostanze 32
—
KAUFMANN
il,
p.
11
498
VIE BILIARI E
CISTIFELLEA
difficilmente riassorbibili (acidi biliari, calcio, pigmenti biliari) rimangono insieme alla mucina. Quanto alla colesterina si constata che essa ovviamente può essere in parte riassorbita come estere colesterinico, ma per la maggior parte non viene riassorbita. Turbe di queste tipiche funzioni giocano una parte essenziale, come vedremo, in alterazioni patologiche, in particolare nella formazione di calcoli biliari.
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MALFORMAZIONI
DELLE
VIE
BILIARI
EXTRAEPATICHE
499
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CAPITOLO I V
MALFORMAZIONI DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE
1. MALFORMAZIONI IN SENSO LATO È diffìcile un'esatta definizione di ciò che si deve intendere per malformazione nel sistema delle vie biliari extraepatiche. Ogni deviazione dello sviluppo da ciò che conosciamo come stato finale tipico in quanto statisticamente è il più frequente, può essere interpretata come malformazione nel senso più lato. In senso stretto si deve parlare di malformazioni nell'ambito della cistifellea e dei dotti biliari, soltanto se accanto ad alterazioni anatomiche della forma, particolarmente della forma del lume, e della posizione o soltanto della posizione, esistano anche sintomi clinici che contrassegnano il notevole grado del difetto di formazione. Queste anomalie in senso stretto, secondo HANSER, sono da contrapporre alle anomalie di forma e posizione nelle quali manca di regola una sintomatologia clinica. L'embriologia della cistifellea e dei dotti biliari ammette un'abbondanza tale di possibilità che da un lato si trovano fasi di passaggio tra tipici stadi di sviluppo e dall'altro anomalie di forma e posizione. Non esiste nessuna giustificazione fondata anche su basi statistiche per computare queste varietà di forma e di posizione già nelle malformazioni. Questo risulta senza dubbio dalle sistematiche ed esatte ricerche di NuBOER. Anche se l'importanza di queste deviazioni di sviluppo è da considerare scarsa, la loro conoscenza può essere importante per i chirurghi. Nell'ambito di questo trattato è impossibile prendere in considerazione tutte le anomalie di forma e di posizione, saranno menzionate solo le più frequenti. Il criterio di suddivisione posto a base di questo capitolo per considerazioni didattiche ha difetti quali sono inerenti a ogni principio ordinativo che tenta di catalogare la molteplicità di eventi morfologici. In seguito noi col termine di vie biliari extraepatiche vogliamo intendere
500
VIE
BILIARI
E
CISTIFELLEA
i grossi dotti biliari situati all'esterno del fegato, la cistifellea inclusa, mentre noi segnaliamo ancora questi ultimi nel testo come condotti biliari extraepatici.
a) ANOMALIE DI FORMA DELLA CISTIFELLEA BERG e NUBOER hanno descritto come anomalie di forma della cistifellea inginocchiamenti del corpo e del fondo in adulti e lattanti. Nell'inginocchiamento del corpo si tratta di una curvatura della cistifellea a livello del corpo verso il basso. BERG trovò questa anomalia associata con una idrope, mentre NUBOER non ha trovato ingrossamento della cistifellea. In modo del tutto analogo BERG e NUBOER hanno trovato inginocchiamenti del fondo con curvature più o meno spiccate della cupola della cistifellea. Il fatto che mancano alterazioni infiammatorie e che questi inginocchiamenti sono stati osservati da NUBOER già negli embrioni depone molto chiaramente nel senso che si tratta di deviazioni congenite. Gli inginocchiamenti del fondo descritti da BERG e NUBOER, almeno in parte sono evidentemente identici al cosiddetto « berretto frigio », che BERTEL ha descritto per primo e sulla cui non rara comparsa ha richiamato l'attenzione anche KAUFMANN. Recentemente LICHTENSTEIN, MEYER e Coli, come pure BOYDEN hanno richiamato l'attenzione su queste anomalie di forma. BOYDEN le t r o v ò radiologicamente in cistifellee normali nel 18 % di t u t t i i casi. Nessun anatomo patologo potrà confermare questa frequente comparsa del « berretto frigio ». D a ciò si vede chiaramente che si t r a t t a o di errata interpretazione radiologica o che nei liberi movimenti della cistifellea, in particolari condizioni funzionali, nel vivente può formarsi alla sua estremità un inginocchiamento della cupola della cistifellea che non si può osservare all'autopsia. Il «berretto frigio » si presenta in due varianti. Nella forma subsierosa la cistifellea appare spesso normale, ad eccezione di un lieve rientramento occasionale reperibile dove la cupola rovesciata si appoggia al fondo o al corpo della cistifellea. Nel tipo completo di « berretto frigio » anche la sierosa partecipa a questo inginocchiamento cosicché l'anomalia è facilmente apprezzabile. Non raramente alla sezione della cistifellea si trova un setto incompleto di tessuto connettivo principalmente nella zona del fondo.
Un'altra anomalia di forma è la relativamente rara cistifellea a clessidra. Secondo BOCKUS essa si osserva già nei bambini come variante congenita e probabilmente è da riportare ad un'alterazione inconsueta primitiva della forma del letto cistico del fegato. Negli adulti gli argomenti che prospettano un'anomalia di sviluppo reggono a stento, in q u a n t o nella maggior parte dei casi questa forma della cistifellea è un postumo di alterazioni cronico-infiammatorie con formazione di calcoli.
MALFORMAZIONI
DELLE
VIE
BILIARI
EXTRAEPATICHE
5OI
KONJETZNY richiama l'attenzione su un'altra anomalia di forma e precisa che la cistifellea setta (nuovi contributi di GALAMBOS e GALAMBOS) è già stata osservata da antichi ricercatori. Si tratta in proposito non di un vero sdoppiamento della cistifellea, bensì, come ha prospettato HILT, di un arresto di sviluppo per cui la canalizzazione della cistifellea si svolge in modo incompleto. Il lume della cistifellea è suddiviso in due cavità per mezzo di un setto di tessuto connettivo. Questa suddivisione può essere completa, ossia estendersi dal fondo fino al collo della cistifellea. L a cistifellea septa è collegata per mezzo di un dotto cistico comune col dotto coledoco (BOCKUS, HILT). KONJETZNY ha sottolineato richiamandosi alla letteratura precedente, che non solo la cistifellea, m a anche il dotto cistico può essere suddiviso in due cavità. L'embriologia delle cistifellea e dei dotti biliari chiarisce senza dubbio simili eventualità. Certamente può essere difficile la distinzione con vere malformazioni doppie. L'esame istologico delle pareti permetterà la soluzione, perché nell'unico setto mancano tutte le parti caratteristiche che costituiscono la cistifellea, perfino il rivestimento epiteliale interno. Veri diverticoli della cistifellea, la cui fine struttura istologica non differisce da un organo tipico, rappresentano rari reperti. Ancora più rari sono i diverticoli multipli. Sono stati descritti da TOIDA, PERTH e GOLOB (qui la letteratura) e si trovano in tutti i settori della cistifellea. L a loro grandezza è molto variabile. Il diverticolo può essere più grande della cistifellea stessa (RUKSTINAT). Essi vengono ricondotti nella zona del fondo e del corpo a dotti di Rokitansky-Aschoff dilatati al massimo ed estendentisi in profondità nella parete, mentre R. E. GROSS ritiene che quelli del collo della cistifellea siano da ricondurre a puri dotti di Luschka (residui persistenti di collegamenti epato-cistici). Un'anomalia di forma è infine anche lo sdoppiamento della cistifellea, vero e proprio, la cui origine può risalire ad una primitiva divisione, rispettivamente sdoppiamento della parte ventro-caudale (pars cystica) dell'abbozzo epatico. C'è da supporre in proposito che un cordone epiteliale isolato, separato dall'abbozzo embrionale della cistifellea, si stacchi dalla lamina della « pars cystica » e che ne derivi una cistifellea soprannumeraria. Però si dovrebbe parlare di cistifellea soltanto quando gli strati della parete siano dimostrabili in forma tipica. G R O S S descrive alla base del lobo sinistro del fegato una cavità che per mezzo di un dotto biliare è in collegamento col dotto coledoco. Non si poteva addurre la prova che si trattasse di cistifellea a causa di vaste ulcerazioni e necrosi della parete della cavità. G R O S S parla perciò di pseudocistifellea e ritiene che si tratti di una dilatazione terminale di una diramazione aberrante della cistifellea. Il vero sdoppiamento della cistifellea non è raro nel regno animale, soprattutto nei gatti (12 %), nell'uomo invece è un reperto per niente frequente (1 : 4000 secondo B O Y D E N ) . A l contrario della cistifellea septa, qui
VIE BILIARI E CISTIFELLEA
5°2
ogni organo ha la sua parete con la tipica struttura e il proprio condotto escretore. L'ulteriore decorso di questi dotti escretori è peraltro variabile. Essi possono riunirsi in un dotto cistico unico che sbocca nel coledoco. Possono giungere separatamente nel coledoco (bibl. in PRIESEL, in HANSER, M E Y E R , GOLOB e
KANTOR, WILSON,
GROENENDIJK,
BAX
e TEN
KATE,
GALAMBOS
e
e Coli.). Uno sdoppiamento della cistifellea può essere radiologicamente simulato ( R A V E L L I , GROENENDIJK, B A X e TEN K A T E ) . GALAMBOS,
HICKEN
b) I P O P L A S I A E A P L A S I A D E L L A CISTIFELLEA
Come cistifellee rudimentali si possono intendere secondo GROSS organi, che non raggiungono le dimensioni totali attese, nei quali sono però dimostrabili istologicamente tutti gli strati. Secondo proprie ricerche queste cistifellee non arrivano neppure al margine del fegato, bensì sono più o meno intraepatiche. Si tratta chiaramente di una ipoplasia congenita. Però ci si può orientare verso questa diagnosi soltanto nei lattanti e nei bambini, nei quali si verifichi la suddetta anomalia di posizione intraepatica e manchino all'esame istologico sicuri reperti infiammatori. Perciò bisogna distinguere cistifellee rudimentali congenite da cistifellee raggrinzite da processi infiammatori. Da queste cistifellee rudimentali congenite si passa per gradi alla mancanza totale della cistifellea. Come forme di passaggio noi vogliamo intendere quelle cistifellee che rappresentano semplicemente una specie di dilatazione diverticolare del cistico. La mancanza totale Isolata della cistifellea è rara (vedi letteratura antica in HANSER, contributi recenti di BARNSTORF, D E CASTRO e BOCKUS). Ciò merita di essere messo in rilievo per il fatto che la mancanza di cistifellea in combinazione con una limitata o diffusa obliterazione delle vie biliari rappresenta un reperto molto più frequente (GRAMPA, SCHMID e LAMPERTICO). Secondo BOCKUS, in meno della metà dei casi di agenesia della cistifellea, non si trova nessuna ulteriore malformazione delle vie biliari. Fondamentalmente la diagnosi di un'aplasia della cistifellea richiede un'acuta analisi critica. Si hanno sempre nuovi casi di così completa atrofia infiammatoria della cistifellea, che anche istologicamente si fa fatica a dimostrarne i residui. Simili reperti devono essere nettamente distinti da vere aplasie isolate congenite della cistifellea la cui origine è da ricercare in una difettosa formazione della parte ventrocaudale del seno epatico. Questa aplasia vera della cistifellea va inoltre distinta dall'obliterazione congenita del sistema dei dotti extraepatici che può comparire isolatamente nella cistifellea. Interessante è il reperto di KOBACKER, che in 4 membri femminili di una famiglia in due generazioni, non ha potuto dimostrare alcuna presenza della cistifellea, pensando di conseguenza ad una causa ereditaria.
MALFORMAZIONI D E L L E V I E BILIARI
EX.TRAEPATICHE
503
c) A N O M A L I E DI POSIZIONE D E L L A CISTIFELLEA
Non meno complesse delle già trattate anomalie di forma sono le anomalie di posizione della cistifellea. Nel situs inversus l'organo giace dal lato sinistro. In rari casi in cui per il resto si t r o v a una posizione completamente normale degli organi dell'addome
Fig. 202. Agenesia della cistifellea. Tetralogia di Fallot con atresia dell'arteria polmonare. Dolicomegacolon e dolicoinegasigma. Bambina di 7 mesi. (Aut. N. 33096 dell'Istit. di Anat. e Istol. Patol. dell'Univ. di Milano).
superiore, è stato trovato uno spostamento a sinistra della cistifellea con o senza anomalia di posizione del dotto cistico. In t u t t i i casi la cistifellea è situata sulla superficie inferiore del lobo sinistro del fegato (bibl. in M A Y O e K E N D R I C K come in B L E I C H , H A M B L I N e M A R T I N ) . Raramente la cistifellea è situata in senso trasversale od obliquo sulla superfìcie inferiore del fegato col fondo situato lateralmente ed il collo medialmente. Per lo più l'organo è ipoplasico. Praticamente esso non raggiunge il margine del fegato ed è incluso più o meno profondamente nel parenchima epatico. Questa posizione trasversale della cistifellea propriamente è soltanto
504
VIE BILIARI E
CISTIFELLEA
un aspetto particolare della cistifellea intraepatica. In questi casi la cistifellea è spostata fondamentalmente all'indietro ed è inclusa più o meno profondamente nel parenchima epatico (fìg. 203). Tale innicchiamento può essere così profondo che praticamente la cistifellea si trova interamente circondata da tessuto epatico e ad una prima osservazione superficiale si ha l'impressione di un'aplasia. Per lo più l'organo è rudimentale. Per stabilire la possibile origine della posizione intraepiteliale sono sempre da prendere in considerazione i rapporti col fegato. Se il fegato è situato nella sua tipica posizione e la cistifellea è in sede intraepatica, allora si può sempre evidenziare, secondo la posizione della cistifellea, una più spiccata o più lieve tortuosità del dotto cistico. Si può quindi concludere che l'origine del difetto della cistifellea non dipende da un deficiente accrescimento in lunghezza di tutto il sistema, bensì che la cistifellea durante lo sviluppo trova precocemente la sua sede definitiva in un letto intraepatico del fegato. Che per questa anomalia si tratti di un arresto di sviluppo embrionale il cui definitivo momento teratogenetico si manifesta molto precocemente, risulta chiaro dal fatto che la cistifellea già nel secondo mese di vita fetale è visibile alla superficie del fegato. A questi casi di chiara distopia della cistifellea vanno contrapposti quadri nei quali a causa di alterazioni di forma del fegato può essere simulato uno spostamento della cistifellea. Questo si vede in ernie addominali congenite contenenti parti di fegato. Qui la parte del fegato che porta la cistifellea può essere trascinata entro il sacco erniario ed il fegato perciò si deforma, mentre la cistifellea mantiene la sua sede tipica fissata dall'accrescimento congenito in lunghezza di tutto il sistema. In simili casi non si manifesta un decorso tortuoso del dotto cistico. Quanto alla cosiddetta cistifellea fluttuante, detta anche « cistifellea mobile» (KRUKENBERG), si tratta di un organo circondato da tutte le parti dal peritoneo, fissato al fegato solo in corrispondenza dell'ilo e rispettivamente sospeso al dotto cistico, completamente libero. L a mobilità di tali cistifellee pendule può essere limitata da un « mesenteriolo » dimostrabile come una banda peritoneale di dimensioni varie, che sta tra il fondo della cistifellea e il dotto cistico
(HANSER,
SHORT
e
PAUL).
d) PORZIONI ETEROTOPICHE DI ORGANI NELLA DELLA
PARETE
CISTIFELLEA
Nella parete della cistifellea sono state dimostrate talora piccole isole di tessuto pancreatico ( R O T O L O , J A C O B S O N , ivi vasta bibl.). Sulla eterotopia di mucosa gastrica nella parete della cistifellea hanno riferito E G Y E D I , W I L L I A M S e A U M , M C K I B B E N e H A L L . Mucosa intestinale con cellule di Paneth, cellule caliciformi e cellule cromaffini è stata dimostrata nella parete della cistifellea da K E R R e L E N D R U M e da P E S S E L e Coli, precisamente in un papilloma. Tessuto epatico nella parete della cistifellea è stato descritto da W A Z E L e GOLD e
KLEIN.
MALFORMAZIONI
DELLE
VIE
BILIARI
EXTRAEPATICHE
e) A N O M A L I E DI F O R M A E DI POSIZIONE DEI DOTTI
505
BILIARI
EXTRAEPATICI È nota da t e m p o l'esistenza di una gran q u a n t i t à di varianti, interessanti anche fisiologicamente, del decorso dei d o t t i biliari e x t r a e p a t i c i e dei reciproci rapporti di posizione l ' u n o rispetto all'altro, s o p r a t t u t t o nei punti di confluenza (KEHR,
HABERLAND,
LEITER,
KOBAC
e
Fig.
BETTMAN,
SACHS,
SCHMIDT)
In
casi
203.
P o s i z i o n e i n t r a e p a t i c a d e l l a c i s t i f e l l e a ( f ì ) . ( A u t . N . 1469/55» P a t h . I n s t . E r f u r t , n e o n a t o di sesso maschile).
singoli è s t a t o osservato un decorso del t u t t o d e v i a t o del d o t t o coledoco con sbocco nell'intestino crasso (COURVOISIER) O nello s t o m a c o (HABERLAND, SWARTLEY
e
WEEDER,
LITES
e
LAURIDSEN)
rispettivamente
nel
piloro
(FI-
LIPPINI) L o stesso vale anche per gli s v a r i a t i r a p p o r t i di posizione del d o t t o coledoco e del d o t t o p a n c r e a t i c o m corrispondenza della testa del pancreas e
della
papilla.
Ampi
dati
su
ciò
si
trovano
in
LUTKENS,
NUBOER,
FLINT
e
BEAVER. MENTZER h a n o t a t o che nel normale d o t t o cistico può mancare c o m p l e t a m e n t e la v a l v o l a di Heister Dotti biliari accessori sono r e l a t i v a m e n t e frequenti, riferendosi s o p r a t t u t t o al dotto
32* —
epatico
destro
KAUFMANN, I I , p .
(FLINT,
II
JOHNSTON
e ANSON)
Dotti
biliari
embrionali
506
VIE
BILIARI
E
CISTIFELLEA
di collegamento tra* fegato e parete della cistifellea (rudimentali come veri dotti di Luschka nella parete normale della cistifellea) possono persistere come dotti più voluminosi ( H A B E R L A N D , S C H M I D T ) . È di grande importanza per i chirurghi conoscere la loro possibile esistenza. Anomalie vascolari, soprattutto riguardo al decorso ed alla suddivisione delle arterie che provvedono alla cistifellea e ai dotti biliari extraepatici, sono relativamente frequenti, anche riguardo all'origine dei vasi arteriosi (bibl. in E I S E N D R A H T ) .
2. M A L F O R M A Z I O N I I N S E N S O
STRETTO
a) COSIDDETTA CISTI IDIOPATICA DEL COLEDOCO (CONGENITA) Le gravi malformazioni dei dotti biliari extraepatici insorgenti con sintomi clinici e che non raramente portano a morte possono essere considerate sotto un unico angolo visuale come turbe di sviluppo dell'intero sistema. Anche se si danno turbe che, durante la formazione del lume dei dotti biliari, portano ad abnorme alterazione della parete soltanto in punti circoscritti (dilatazione od obliterazione) si deve accentuare di regola in tali malformazioni che, in molti casi, con ricerche ben fondate, accanto a dilatazioni risultano associati anche restringimenti e perfino obliterazioni complete. FEYRTER con ripetute osservazioni e con esame critico di precedenti lavori ha richiamato l'attenzione su questo argomento. Un disegno schematico (fìg. 204) può chiarire queste turbe dello sviluppo embrionale delle vie extraepatiche con comparsa combinata di dilatazioni e risp. obliterazioni. Per esigenze puramente pratiche, di carattere clinico, distinguiamo la cosiddetta cisti idiopatica (congenita) del coledoco dalle obliterazioni congenite delle vie biliari. Nelle cisti del coledoco si tratta di dilatazioni circoscritte del dotto coledoco, osservate per lo più nei bambini, soprattutto nel punto di biforcazione, comprendenti talvolta anche il dotto cistico e l'epatico. A volte, come ha riferito FEYRTER, è compresa anche la biforcazione dotto biliare-pancreatico. In questa dilatazione cistica si trova regolarmente bile giallastra. Per lo più il dotto coledoco alla sua estremità distale presenta un decorso abnormemente tortuoso, si verifica un'occlusione intermittente della cisti, che poi per lo più si svuota nel duodeno se ha raggiunto un determinato grado di riempimento. Dopo che si è svuotata si raggiunge di nuovo lo stadio di partenza e ricomincia il riempimento della cisti. Questo continuo alternarsi di riempimento e svuotamento chiarisce anche i diversi sintomi clinici sempre mutevoli. Le dimensioni di simili « cisti »
MALFORMAZIONI
DELLE VIE BILIARI
5°7
EXTRAEPATICHE
oscillano dalle più piccole dilatazioni di pochi cm 3 di volume fino a cisti della grandezza di una testa umana contenenti più litri di bile. Vecchi dati della letteratura si trovano in H A N S E R , F E Y R T E R e G I E Z E N D A N N E R , più estese osservazioni su queste rare turbe di sviluppo hanno fatto U R W I T Z , D A V I S , F E L L , A R C H A M B A U L T e Coli., B Ò T T G E R , H E L F F E R I C H , Z I M M E R M A N N e F I C A R I . A completamento dei dati di D A V I S si può dire che raggiungano il numero di circa 200 i casi finora sicuramente accertati. Molte ricerche recenti richiamano l'attenzione sul fatto che accanto alla dilatazione del
a)
t) F i g . 204.
P r o s p e t t o delle più semplici possibilità di malformazione delle vie biliari e x t r a e p a t i c h e con t u r b e della normale canalizzazione (schematicamente), a) q u a d r o normale; b) dilatazione cistica del d o t t o biliare; c) dilatazione cistica del d o t t o biliare con successivo r e s t r i n g i m e n t o dello stesso; d) dilatazione cistica del d o t t o biliare seguita d a obliterazione dello stesso; e) obliterazione del d o t t o biliare con formazione di cisti biliari; /) obliterazione del d o t t o biliare (da FEYRTER, V i r c h o w s A r c h . p a t h . A n a t . 2 7 1 , 20, 1929).
coledoco in relazione con l'epatico e col cistico, sono da segnalare anche obliterazioni circoscritte, cosicché si convalida l'opinione di F E Y R T E R di una turba sistemica. In una serie di casi sono state osservate contemporaneamente anche altre malformazioni, tra le quali B Ò T T G E R attribuisce particolare importanza alle malformazioni renali. I reperti istologici della parete del coledoco dilatato sono descritti d a t u t t i i ricercatori in modo a b b a s t a n z a costante. L o strato interno che corrisponde alla mucosa presenta villi per lo più del t u t t o a p p i a t t i t i non sempre rivestiti da uno strato epiteliale continuo. Sotto l'epitelio si t r o v a un tessuto connett i v o di fibre sottili, senza fibre elastiche, le quali si t r o v a n o invece molto numerose al di là di questo. Secondo ZIMMERMANN questo strato verso l'interno t a l v o l t a è imbibito di bile. Il secondo strato situato verso l'esterno consta di un tessuto fibroso c o m p a t t o , povero di nuclei, con tenui fibre elastiche, mentre il terzo strato, il più esterno, è f o r m a t o da tessuto c o n n e t t i v o lasso. L o strato interno e quello esterno sono lassi, piuttosto edematosi, t u t t i gli strati sono disseminati di infiltrati reattivi, prevalentemente linfocitari. Compaiono anche emor-
5O8
VIE BILIARI E CISTIFELLEA
ragie isolate, B Ò T T G E R in corrispondenza di ammassi pigmentari descrive cellule giganti. In complesso si tratta dunque dell'insorgenza, nella parete della cisti, di un'infiammazione cronica aspecifica che però in genere non arriva in totalità fino ad una cicatrice infiammatoria collagena, come è testimoniato dal fatto che i tipici tre strati delle vie biliari extraepatiche sono a tratti ancora riconoscibili. F E Y R T E R richiama l'attenzione sul fatto che in analogia delle formazioni normali fasci di muscolatura liscia si trovano soltanto in vicinanza dello sbocco e che anche la presenza di ghiandole mucose o di loro rudimenti nella parete della cisti corrisponde solo alla normale presenza di esse nell'epatico, nella sezione periferica del coledoco e nel dotto pancreatico-biliare. Oltre alla cisti tutto l'intero sistema dei dotti biliari presenta segni di un leggero stato infiammatorio cronico. Dopo che nell'anno 1910 H E I L I G E R ha descritto in un prematuro una cisti idiopatica del coledoco, non è più stato messo in dubbio, in quasi t u t t e le successive comunicazioni, comprese le osservazioni sugli adulti, che si tratti di malformazione congenita. Questa concezione è valorizzata dal fatto che tanto in pregressi quanto in recenti contributi, soprattutto sotto l'impressione delle considerazioni di F E Y R T E R , viene messa sempre di nuovo in rilievo la combinazione con obliterazioni, rispettivamente anomalie di decorso dell'estremità distale del coledoco ( W I T Z E L , H E I L I G E R , F E Y R T E R , G I E Z E N D A N N E R , F I V A R I , Z I M M E R M A N N ) . Infine anche la combinazione di questa malformazione con difetti di formazione di altro genere non è affatto una rarità (notizie più recenti in B O T T G E R ) .
b) RESTRINGIMENTI E OBLITERAZIONI DI SINGOLI TRATTI E RISP. DI TUTTO IL SISTEMA DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE Come abbiamo esposto, esistono malformazioni delle vie biliari extraepatiche esclusivamente in forma delle cosiddette cisti idiopatiche congenite del coledoco, così d'altro canto conosciamo malformazioni alla base delle quali stanno restringimenti o atresie. Questi possono essere in punti del tutto circoscritti nel dotto epatico o suoi rami affluenti, nel dotto cistico o nel dotto coledoco. Anche la cistifellea può essere interessata isolatamente da una completa atresia. Ci sono tutti i passaggi da questi restringimenti e risp. obliterazioni circoscritte fino a un quadro di obliterazione di tutto il sistema (vedi fig. 204/). SIMMEL ha eseguito un tentativo di ordinare in gruppi le obliterazioni congenite delle vie biliari extraepatiche secondo la loro localizzazione e le relative osservazioni (bibliografia su ulteriore casistica in FEYRTER). Recenti osservazioni con bibliografia in parte estesa si trovano in K U C H L I N , F L E G E L ,
MALFORMAZIONI
DELLE VIE BILIARI
EXTRAEPATICHE
509
e H A L L I W E L L , L A D D , L I C H T M A N , R E D O e M A I N G O T T . Date le possibili combinazioni straordinariamente numerose il principio ordinativo di S I M M E L ci appare piuttosto forzato. C'è da dire più semplicemente nel singolo caso dove è situata l'obliterazione. DURELL
Finora nel gruppo di gravi malformazioni con restringimento del lume in un punto circoscritto o in tutta l'estensione del sistema extraepatico abbiamo sempre parlato soltanto di restringimento e risp. obliterazione evitando appositamente il concetto di a p l a s i a o a g e n e s i a . Una aplasia (agenesia) di tutto il sistema, cioè una completa mancanza dell'abbozzo è concepibile soltanto se contemporaneamente manca anche il fegato. Invece è del tutto possibile che insorga un'agenesia là dove la parte ventrocaudale (pars cystica) del seno epatico trova la sua definitiva differenziazione con formazione della cistifellea. Un'agenesia completa circoscritta in un settore delle vie biliari extraepatiche (p. es. il coledoco) con normale sviluppo del settore prossimale (dotto cistico e cistifellea), embriológicamente è poco concepibile. Può quindi trattarsi soltanto del fatto che simile settore circoscritto impervio fosse presente nel suo primitivo abbozzo e non si sia canalizzato o ricanalizzato. Le opinioni sul fatto se le grandi vie biliari, in particolare il dotto coledoco, siano inizialmente solide o se dopo essere state primitivamente cave segua uno stato temporaneo di occlusione e si formi poi il lume definitivo, sono contrastanti nei testi di embriologia, benché l'ultima opinione sia quella nettamente prevalente. Così dalla maggior parte dei ricercatori all'esame istologico viene riscontrato un cordone di tessuto connettivo (come residuo di un abbozzo primitivo) nel punto in cui sono interrotte le vie biliari extraepatiche. Se questo cordone viene esaminato accuratamente sul piano istologico, non raramente vi si trovano anche residui epiteliali. Risulta quindi, non soltanto dall'embriologia, ma anche da reperti obiettivi la prova che non si tratta di agenesia pura ma di una obliterazione. Sulla vera causa tanto delle cisti idiopatiche congenite del coledoco come anche delle obliterazioni dei dotti biliari non si possono ottenere dati esatti. Le vecchie teorie di D R E E S M A N N (debolezza del mesenchima) e di B U D D E (formazione in eccesso di epitelio con successivo disfacimento) per le cisti congenite del coledoco come quelle di B E N E K E e A N D E R S (ostacolo al dissolvimento della fisiologica occlusione epiteliale) per la obliterazione delle vie biliari non sono soddisfacenti. Qui va richiamata di nuovo l'attenzione sulla frequente combinazione di entrambi i reperti, che sono da interpretare soltanto come manifestazioni parziali di una evidentemente unica e grave turba di sviluppo di tutto il sistema. F E Y R T E R ha richiamato l'attenzione sul distacco di formazioni epiteliali dalla loro matrice in condizioni normali e in particolare, come esempio, sul destino del dotto tireoglosso dal quale possono derivare restringimenti, obliterazioni e formazioni cistiche isolatamente o in combinazione tra loro. Questo punto di vista di F E Y R T E R riguardo alla causa di gravi turbe di sviluppo nel sistema delle vie biliari extraepatiche (cisti
5IO
V I E BILIARI E
CISTIFELLEA
idiopatiche congenite del coledoco e atresia delle v i e biliari) riveste indubbia importanza, senza che con ciò ci si sia realmente a v v i c i n a t i alla soluzione del problema.
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CAPITOLO V
TURBE CIRCOLATORIE DELLA CISTIFELLEA
1.
EMORRAGIE
Nel corso di malattie infettive si possono riscontrare emorragie nella mucosa della cistifellea in forma di piccoli focolai circoscritti o anche di focolai estesi in superficie. Simili focolai emorragici per lo più di piccole dimensioni si vedono nella mucosa nella stasi cardiaca generalizzata. Copiose emorragie mortali possono insorgere per rottura di una parete vasale aneurismatica (HANSER). ROSENTHAL ha osservato un caso simile come conseguenza di un aneurisma dell'A. cistica per edema tossico della media in un uomo di 58 anni. NEBER e WALSH hanno visto una rottura spontanea della cistifellea in grave arteriolosclerosi dei vasi.
512
VIE
BILIARI
E
CISTIFELLEA
2. E D E M A In condizioni di stasi cardìaca non è raro l'edema diffuso della parete della cistifellea. L a parete è molto ispessita, gelatinosa. L a mucosa può essere interessata, m a può anche essere risparmiata. Nel primo caso le pliche mucose possono sporgere nel lume come cordoni gelatinosi. Istologicamente tutti gli strati della cistifellea sono conservati ma notevolmente distaccati l'uno dall'altro per spiccata infiltrazione edematosa.
3. T O R S I O N E
(ROTAZIONE DEL
PEDUNCOLO)
Nel capitolo sulle malformazioni delle vie biliari extraepatiche (pagina 504) abbiamo accennato alla cistifellea fluttuante (cistifellea mobile, cistifellea penduta) che compare di rado, ma può essere la causa di un grave quadro morboso, la torsione del peduncolo della cistifellea. Si ammette che con la possibilità di movimento della cistifellea stessa, ma anche attraverso il movimento peristaltico delle anse intestinali, soprattutto del trasverso, si arrivi fino ad impedire il deflusso nei vasi venosi. Tramite questa stasi e dilatazione delle vene associata a peristalsi in aumento progressivo può insorgere torsione della cistifellea e l'ulteriore pressione la può completare. T a n t o più la torsione è completa (ACKERMANN ha descritto una torsione di 720 gradi), tanto maggiori sono le turbe dei vasi nutritivi afferenti ed efferenti. A ciò d'altro canto è subordinata la gravità delle alterazioni patologiche della parete. È da notare che il quadro morboso compare in uomini vecchi. Ciò indica chiaramente che la perdita di elasticità favorisce particolarmente la torsione. A d ogni modo compaiono torsioni anche in uomini giovani. Recentemente R E C H T ha descritto il quadro morboso in un uomo di 4 8 anni, F E C H N E R in uno di 2 4 anni. Il rapporto tra i due sessi secondo S U T T E R arriva circa a 4 : 1 (donne rispetto ad uomini), a 3 : 1 secondo M A R K S e Coli. In circa un terzo dei casi sono dimostrabili calcoli biliari nella cistifellea (SHIP L E Y ) . S U T T E R in 1 8 osservazioni trovò 8 volte calcoli biliari. Finora in tutto nella bibliografìa sono compresi circa 150 contributi (bibl. precedente in HANSER). Nuove osservazioni provengono da S H O R T e P A U L , A C K E R M A N N , B R U C K , R E C H T (sintesi bibliografica), S K I N N E R , K A Z M A N e G U T H O R N , F E C H N E R così come von M A R K S , S H E D D e L O C K E (sintesi della bibliografia con considerazioni su 130 casi riportati).
LA C I S T I F E L L E A
DA
5*3
STASI
Le alterazioni patologiche consistono in ciò che la cistifellea è notevolmente ingrossata, la parete è tesa, rosso-bluastra fino a nera, il contenuto molto scuro, emorragico. La parete della cistifellea in sezione appare ispessita ed edematosa. Sulla superficie si vedono a volte vasi dilatati, turgidi, pieni di sangue, per lo più trombizzati. Istologicamente la cistifellea, a seconda dell'intensità dell'infarcimento emorragico, presenta ancora relativamente riconoscibili i limiti dei singoli strati della parete, con vasi distesi da sovrariempimento ematico, emorragie nei tessuti, o, in casi gravi, una completa distruzione di tutta la parete. Nella cavità addominale si possono mettere in rilievo scarse quantità di liquido ematico, però per lo più manca una peritonite. In superficie la cistifellea può essere ricoperta in punti circoscritti o in aree estese da un sottile strato di fibrina.
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CAPITOLO V I
LA CISTIFELLEA DA STASI
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KAUFMANN II, p . II
514
VIE
BILIARI
E
CISTIFELLEA
in un capitolo particolare, la stasi della cistifellea è proprio perché, salvo poche eccezioni,
v e d i a m o i n e s s a c o n ASCHOFF e BACMEISTER u n a
pre-
messa per l'insorgenza di flogosi della cistifellea e formazione di calcoli. Se gli antichi osservatori vedevano realmente in momenti meccanici la causa del ristagno di bile nella cistifellea, noi sappiamo dalle osservazioni di WESTPHAL, che ha coniato il termine di discinesia delle vie biliari, che turbe nervose influenzanti la motilità delle vie biliari extraepatiche agiscono nel determinare una stasi nella cistifellea. Per stimolazione del vago si determina una cistifellea da stasi ipertonica, per stimolazione del simpatico una stasi ipotonica. In entrambe le forme giocano una parte stati irritativi di determinata natura che interessano tutto il sistema muscolare delle vie biliari extraepatiche, dalla cistifellea fino al muscolo di Oddi. Anche la dilatazione isolata del dotto coledoco può essere puramente neurogena. S e c o n d o W . H E S S , MIRIZZI, M A L L E T - G U Y e C o l i , e BLOCK n o n c ' è p i ù d a
dubitare su stati isolati o diffusi, in parte antagonistici, in parte sinergici di ipo- e ipertonia che possono riguardare singoli gruppi muscolari delle vie biliari extraepatiche. Quindi risulta chiarito anche come stati irritativi primitivamente localizzati allo sfintere di Oddi, possano mantenere estesi disturbi anche dopo asportazione operatoria di una cistifellea alterata, e come malattie di organi vicini possano spiegare turbe di motilità, ipertoniche o ipotoniche, della cistifellea, come hanno potuto mettere in rilievo MALLETGUY e Coli, per ulcere dello stomaco e del duodeno. Recentemente RANKIN ha descritto nei bambini una dilatazione acuta della cistifellea, di tipo puramente funzionale, senza alterazioni macroscopiche dimostrabili, coi sintomi di un quadro morboso grave e minaccioso. Secondo RANKIN erano già state fatte precedentemente da FÈVRE osservazioni simili. Questi brevi cenni sulle turbe funzionali delle vie biliari extraepatiche erano necessari per dimostrare che molteplici turbe nervose possono condurre al quadro anatomico della cistifellea da stasi. È chiaro che, in confronto a queste condizioni funzionali, a cause meccaniche spetta realmente scarsa importanza, come si è ammesso prima.
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CAPITOLO
515
VII
INFIAMMAZIONE DELLA CISTIFELLEA E DEI DOTTI BILIARI 1. C O L E C I S T I T E A C U T A A S P E C I F I C A Mentre nella colecistite cronica abbiamo una chiara visione dei rapporti morfologici nei suoi molteplici quadri, è difficile dare uno sguardo sintetico delle alterazioni morfologiche che trasformano la parete della cistifellea al primo attacco di un'infiammazione acuta. Ci sono scarse osservazioni in merito — l'hanno già messo in rilievo A S C H O F F e B A C M E I S T E R — perché le cistifellee al primo attacco di un'infiammazione acuta non vengono asportate operatoriamente e anche per questo non giungono all'osservazione. Sono invece molto meglio noti attacchi infiammatori acuti con le loro alterazioni morfologiche in infiammazioni croniche della cistifellea. Noi non abbiamo nessun elemento per ammettere che esistano realmente fondamentali differenze tra una infiammazione acuta che compare per la prima volta e un attacco infiammatorio acuto nel corso di un'infiammazione cronica recidivante, se essa non ha portato ancora a gravi modificazioni della parete della cistifellea. La classica descrizione delle alterazioni della parete della cistifellea in infiammazioni acute e croniche che ci hanno dato Aschoff e Bacmeister merita ancor oggi un assoluto giudizio di validità. Catarro acuto siero-purulento. — L'infiammazione acuta aspecifica della cistifellea decorre con un ingrossamento dell'organo. Alla superficie i vasi possono essere più rilevati, la parete può essere ispessita ed edematosa. In tutti gli strati della parete si trova nei singoli casi un essudato sieroso, che può farsi sieroso-purulento. Non risulta dimostrato se i dotti di Luschka, nell'insorgenza dell'infiammazione, abbiano un ruolo simile a quello dei seni mucosi dell'appendice per l'appendicite. Qui ha importanza se l'infiammazione ha origine dal lume, ematogena o linfogena. In genere verso la sierosa in infiammazioni acute purulente il numero dei leucociti tende a diminuire. Essudato sieroso, frammisto a leucociti, può anche scorrere entro il lume della cistifellea attraverso la mucosa. In questo caso può desquamare epitelio in grande quantità e probabilmente in punti circoscritti l'epitelio può andare completamente distrutto. Questa che è la più semplice
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forma di colecistite (catarro sieropurulento) certamente è del tutto reversibile e si può quindi ammettere che ne segua una restitutio ad integrum senza alcuna cicatrizzazione. Colecistite siero-fibrinosa. — Una forma particolare che si osserva qualche volta è la colecistite siero-fibrinosa. Tutta la parete è fortemente ispessita per un essudato sieroso prevalentemente fibrinoso. Possono mancare del tutto infiltrati cellulari leucocitari. Spesso si vede già il passaggio a forme infiammatorie subacute, essendo infine l'esteso feltro di fibrina organizzato con ialinizzazione. Colecistite flemmonosa, ulcero-necrotica. — Essa è soltanto una continuazione di entrambe le suddette forme infiammatorie, soprattutto del catarro acuto siero-purulento. Le alterazioni morfologiche consistono in ciò che per lo più in punti circoscritti, in qualche caso anche estesamente in superficie, viene a mancare l'epitelio della mucosa al posto del quale si trova un'escara giallo-verdastra, in qualche caso anche verde scuro, che consta di fibrina e leucociti. Dopo distacco dell'escara compaiono ulcerazioni, così che i quadri osservati dalla parte della mucosa sono molto variabili (fig. 205). Tutta la parete è in preda ad infiltrazione purulentaflemmonosa. Non raramente anche la superficie della cistifellea in punti circoscritti presenta depositi fibrinosi per lo più verdastri, insorgono anche circoscritte colliquazioni (ascessi) della parete. Infine la parete, soprattutto nella zona di un simile ascesso può perforarsi e la conseguenza consiste in una peritonite circoscritta o diffusa. L'aspetto esterno di tale cistifellea in casi estremi è molto caratteristico. L a cistifellea non è mai tesa. Essa si sente fluttuante, come una sacca piena incompletamente. Accanto ad un chiaro ingrandimento, la parete in genere è sottile, nei punti dove la mucosa è conservata essa è tesa, il contenuto è verde-gialliccio secondo la mescolanza di leucociti, mai del tutto incolore. Le vie biliari sono pervie in generale ampie. Si ha l'impressione che tutto il sistema delle vie biliari extraepatico fino alla papilla sia paretico, press'a poco come l'intestino nell'ileo paralitico. In una parte dei casi si trova un calcolo solitario nel lume della cistifellea. Queste forme più semplici di infiammazione acuta della cistifellea, le quali possono essere sempre variabili di aspetto per emorragie parietali o perché nell'essudato è frammisto del sangue, possono originare indipendentemente, senza che sia giustificato delimitare una particolare colecistite emorragica. In proposito noi riteniamo che una stasi della cistifellea, quale l'abbiamo descritta nel capitolo precedente, con i suoi postumi, non può essere la premessa determinante di un catarro acuto siero-purulento e rispettivamente di una colecistite ulceronecrotica acuta. L a cistifellea da stasi può precedere entrambe queste forme infiammatorie, ma questo non è necessario. Del resto è molto difficile stabilire se realmente si è trattato prima di una cistifellea da stasi, perché le sue caratteristiche iniziali non sono più
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DELLA CISTIFELLEA
E DEI DOTTI BILIARI
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esattamente rilevabili per via delle alterazioni infiammatorie secondarie. C'è indubbiamente un indizio probativo molto tipico, che consiste nel fatto che nella cistifellea alterata da un processo infiammatorio, si trovi un calcolo isolato di colesterina. Avremo da parlarne anche più diffusamente a proposito della colelitiasi.
F i g . 205. Colecistite a c u t a ulcero-necrotica. d i escare a f o c o l a i o (nel p r e p a r a t o tra di esse iperemia d ' a l t o g r a d o ( A u t . N . 1179/54,
Cistifellea sezionata, superficie interna, estesa f o r m a z i o n e v e r d i per imbibizione biliare, nella f o t o b i a n c o - g r i g i a s t r e ) , (rossa nel p r e p a r a t o , grigio scuro fino a nero nella f o t o ) . P a t h . I n s t . E r f u r t , donna di anni 64).
Idrope infiammatoria primitiva della cistifellea. — A S C H O F F e B A C MEISTER hanno richiamato vivamente l'attenzione sulla prima complicazione della cistifellea da stasi e cioè sulla formazione di un calcolo solitario colesterinico. Questo calcolo può trovarsi libero nel lume della cistifellea, come anche può essere incuneato nella regione del collo della cistifellea. Se una siffatta cistifellea viene colpita da lievi alterazioni infiammatorie acute in tal caso origina in presenza di un calcolo incuneato, per lo più
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VIE BILIARI E
CISTIFELLEA
in rapporto con una recidiva flogistica, l'idrope infiammatoria primaria della cistifellea. Le alterazioni infiammatorie della parete della cistifellea sono di natura modesta. In nessun punto la parete è realmente ispessita, i singoli strati della cistifellea sono distinguibili, si rilevano soltanto scarsi infiltrati flogistici. Il quadro macroscopico di tale cistifellea è molto caratteristico. L a cistifellea è ingrossata, nel suo collo sta un calcolo incuneato, oppure si trova un'occlusione del lume da parte di una linfoghiandola ingrossata che comprime il collo della cistifellea (fig. 206). Anche un'occlusione in-
Fig. 206. Idrope della cistifellea da calcolo incuneato. (Aut. X . 1186/55, Path. Inst. Erfurt, donna di anni 58).
fiammatoria o neoplastica del dotto cistico può diventare causa di un'idrope. Il contenuto della cistifellea è più o meno mucoso, però del tutto scolorato. Ciò fa supporre che la chiusura è completa e che la bile non può giungere alla cistifellea. Il contenuto della cistifellea consta essenzialmente di liquido sieroso, al quale sono frammiste più o meno abbondantemente masse di muco prodotte dagli epiteli. L'affluire di liquido sieroso dalla parete nel lume della cistifellea e la totale occlusione della cistifellea al punto di deflusso determinano essenzialmente il quadro di questa idrope infiammatoria primaria, che, come hanno descritto ASCHOFF e BACMEISTER, si distingue dall'idrope infiammatoria secondaria, in una cistifellea che presenta tutti i sintomi di un'infiammazione cronica aspecifica.
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Sulla cosiddetta bile bianca da esclusione della cistifellea e sull'innalzamento di pressione nel sistema dei dotti biliari, per lo più da impedimento meccanico accanto ad abbassamento della pressione di secrezione del fegato, vedi nel capitolo fegato (pag. 140) e in BERNHARD, SCHMIEDEN e NIESSEN, L A MANNA e
DONATH.
Empiema della cistifellea. — È la esacerbazione dell'idrope infiammatoria. Premessa è la chiusura della cistifellea in corrispondenza del dotto cistico. L a cistifellea può ingrossare enormemente, la parete può essere molto sottile se si tratta di un organo che fino allora ha subito solo pochi attacchi infiammatori. Si conosce però anche l'empiema in cistifellee con processi infiammatori cronici. Il contenuto della cistifellea è prevalentemente costituito da un liquido purulento, però a volte sorprende come il numero dei leucociti possa essere scarso nello striscio del contenuto di una siffatta cistifellea. Le conseguenze di un empiema che si instaura primitivamente possono essere simili a quelle che abbiamo descritto nell'infiammazione flemmonosa acuta. Depositi fibrinosi diffusi o circoscritti sulla superficie della cistifellea, perforazioni con consecutivi ascessi pericolecistici, empiemi subfrenici, peritoniti localizzate o diffuse possono insorgere come conseguenze immediate quando la cistifellea sia stata risparmiata da manifestazioni infiammatorie spiccatamente croniche. Per l'empiema della cistifellea alterata da uno stato infiammatorio cronico possono trovarsi le stesse premesse (occlusioni della cistifellea in corrispondenza del cistico). Questa forma di empiema del resto è rara. L e suddette complicazioni vengono a mancare a causa dell'ispessimento e della sclerosi della parete colecistica, compaiono invece piccoli ascessi parietali. D a un empiema della cistifellea può anche insorgere un'idrope secondaria, quando cessa l'afflusso nel lume di essudato acuto purulento e i leucociti colliquati vengono riassorbiti e si stabiliscono perciò con l'occlusione della cistifellea da parte del calcolo, le stesse premesse dell'idrope infiammatoria primitiva. Dalle forme finora illustrate di infiammazioni prevalentemente acute della cistifellea vi sono tutti i gradi di passaggio fino alle infiammazioni croniche. E difficile, quando non è impossibile, tracciare una netta linea di separazione. Si può verosimilmente dire che, prescindendo da poche eccezioni, ogni infiammazione, una volta iniziata nella cistifellea, passa gradualmente in uno stadio cronico e che per questo tanto raramente si vedono queste forme infiammatorie acute, comprese le idropi primitive e gli empiemi acuti. Le suddette malattie compaiono essenzialmente negli adulti, i bambini non ne sono però esclusi (POTTER, ULIN, NOSAL e MARTIN, LEE e ENGLENDER, GLEEN e HILL).
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BILIARI
E
CISTIFELLEA
2. C O L E C I S T I T E C R O N I C A
ASPECIFICA
Non guarendo completamente l'infiammazione acuta della cistifellea, compaiono sempre nuovi attacchi e infine si instaura la colecistite cronica, le cui forme sono molto numerose. Per di più accade che una colecistite
Fig. 207 a. Colecistite cronica. Quadro macroscopico: stadio terminale, ispessimento della parete, sclerosi della mucosa (Aut. N. 1083/54, Path. Inst. Erlurt, donna di 66 anni).
cronica isolata non esiste, ma che la malattia in un'altissima percentuale di tutti i casi, è combinata con calcolosi biliare. Senza entrare già qui in merito ai rapporti tra infiammazione cronica e calcolosi biliare, noi vogliamo innanzi tutto delineare brevemente le alterazioni morfologiche della ci-
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DELLA CISTIFELLEA
E DEI DOTTI
BILIARI
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stifellea. Forma e grandezza sono molto variabili. L a cistifellea può essere più grande, come pure di proporzioni normali. Per lo più essa è più piccola, in casi estremi fortemente raggrinzita, in casi rari si trova ancora soltanto un cordone, che può avere un lume del tutto ristretto, ma a volte manca anche questo. Sono frequenti aderenze con organi vicini (fegato, intestino crasso, duodeno). La parete della cistifellea può essere ancora elastica, a volte è più o meno rigida. Alla superficie non raramente si vedono aree con alterazioni di colorito chiare e opache. L a cistifellea è pallida. La linfo-
Fig. 207 b. Q u a d r o microscopico: ispessimento della mucosa, e v i d e n t i pliche mucose, infiltrato di linfociti e plasmacellule nello stroma, a u m e n t o del c o n n e t t i v o nella parete. (Biopsia N . 3123/56, P a t h . Inst. E r f u r t , u o m o di anni 55, ingr. 60:1).
ghiandola in corrispondenza del dotto cistico è per lo più leggermente ingrossata. Nel lume della cistifellea di regola si mettono in evidenza dei calcoli. Un calcolo isolato può occludere il dotto cistico in modo del tutto simile a quello sopra descritto. Risulta il quadro dell'idrope infiammatoria secondaria (ASCHOFF e BACMEISTER). Se questa occlusione non esiste si può trovare nella cistifellea in quantità più o meno grande bile ben colorata, piuttosto ispessita. Come vedremo di nuovo, essa è la premessa per la formazione dei calcoli che noi troviamo regolarmente nella cistifellea nelle colecistiti croniche. Più estese alterazioni di forma non dipendono sempre da uno stato infiammatorio cronico, ma sono provocate secondariamente da calcoli.
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V I E BILIARI E
CISTIFELLEA
Microscopicamente qui vediamo, al posto dei leucociti dello stadio a c u t o , linfociti e plasmacellule (fig. 207 6). Compaiono anche eosinofili. L a loro comparsa in maggior numero non autorizza però a delimitare un tipo particolare di colec i s t i t e eosinofìla ( W . FISCHER, FICAI, LINZENMEYER). L ' e s s u d a t o c h e si
trova
nella p a r e t e viene organizzato, spesso per il prevalere di formazione di connettivo, scompare la muscolatura. L a mucosa di regola è ulcerata, t a l o r a su una superficie circoscritta, talora estesa. In seguito alla saldatura delle pliche si formano pseudodruse, non r a r a m e n t e l'epitelio superficiale prolifera in
Fig. 207 c. Quadro microscopico: forma proliferante con estese proliferazioni papillari della mucosa. (Biopsia N. 6780/56, Path. Inst. Erfurt, donna di anni 59, ingr. 50:1).
p r o f o n d i t à con formazione di spazi lacunari, così che è caratteristico della colecistite cronica il formarsi di seni di A s c h o f f - R o k i t a n s k y (dotti di L u s c h k a secondo l'uso consueto) talora molto numerosi. ASCHOFF e BACMEISTER hanno r i c h i a m a t o l'attenzione sul f a t t o che il carattere dell'epitelio si modifica ed anche il prodotto di secrezione dell'epitelio subisce variazione. A l l a fine possono formarsi nella parete vere ghiandole mucose tubulo-alveolari. V e n g o n o anche descritte proliferazioni della mucosa villose papillari, che possono a v e r e morfologicamente
carattere
tumorale
(fig. 2 0 7
c).
(ASCHOFF e
BACMEISTER,
K I N G e M e CALLUM, K I N G ) . N o i v e d i a m o q u e s t e m o d i f i c a z i o n i q u a n d o
esiste
ancora un lume e quando il contenuto permette ancora le proliferazioni della mucosa. In corrispondenza dei seni di A s c h o f f - R o k i t a n s k y non r a r a m e n t e si t r o v a n o masse di bile compresse nella parete. Nelle vicinanze si t r o v a anche tessuto di granulazione ricco di cellule schiumose ed in parte anche di cellule giganti da corpo estraneo. In questo modo possono formarsi anche ascessi parietali. Qui sarebbero da menzionare anche le alterazioni nervose parietali trovate nella cistifellea. D a CORNIL e Coli., d a RIOPELLE come recentemente d a GG.
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DELLA CISTIFELLEA
E DEI DOTTI BILIARI
523
B . G R U B E R sono state segnalate in cistifellee infiammate strutture iperplastiche a tipo di neuromi, analoghe a quelle precedentemente osservate da H U S S E I N O F F , C O M F O R T e W A L T E R S in corrispondenza del punto in cui era stato sezionato il dotto cistico nell'esecuzione della colecistectomia precedente. D e t t i quadri non sono da intendere come veri tumori, ma come proliferazioni iperplastiche, come esito della interruzione di fasci nervosi con conseguente rigenerazione nel senso dei cosiddetti neuromi da amputazione.
F i g . 208
a.
Cistifellea a porcellana. Q u a d r o radiologico.
L ' e s i t o di u n a colecistite cronica è alla fine la c o m p l e t a t r a s f o r m a z i o n e cicatriziale della parete della cistifellea con ispessimento e s c o m p a r s a delle normali s t r u t t u r e . A n c h e la m u c o s a in simili casi è e s t e s a m e n t e cicatrizz a t a , si v e d o n o a n c o r a s o l t a n t o residui isolati dello s t r a t o epiteliale superficiale. N e l l a parete si possono t r o v a r e ancora seni di A s c h o f f - R o k i t a n s k y , q u a e là singoli linfociti nel tessuto cicatriziale r i c h i a m a n o l'originario processo flogistico (fig. 207 a). U n a f o r m a particolare di esito di colecistite cronica è la calcificazione del t e s s u t o sclerotico o in p u n t i circoscritti o
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VIE BILIARI
E
CISTIFELLEA
diffusa (cistifellea a porcellana). L a parete sclerotica è poi t r a s f o r m a t a in una capsula calcarea più o meno spessa. Nel lume si t r o v a n o per lo più pochi « calcoli » costituiti da carbonato di calcio, che sono a v v o l t i da masse calcari, t a l v o l t a dall'aspetto di cemento bianco (fig. 208 a e b). Il d o t t o cistico è chiuso. A n c h e nella cosiddetta bile a latte di calce ( V o l k m a n n ,
F i g . 208 b. Q u a d r o macroscopico: nel lume masse d i poltiglia calcarea e un « calcolo c a l c a r e o » (Aut. N . 1462/55, P a t h . Inst. E r f u r t , donna di a n n i 75).
M a r k t j s , R a v e l l i ) si t r a t t a sempre della coesistenza di una colecistite cronica ( M c C a l l e T u g g l e ) , non però ancora di parete c o m p l e t a m e n t e calcificata, intorno ad un accumulo di masse calcaree più o meno fluide nel lume della cistifellea. Che per l'insorgenza di queste alterazioni non deve esistere una chiusura definitiva del cistico, risulta dal fatto che questo liquame calcareo può scolare nel duodeno e che dato il colore verdastro del contenuto della cistifellea anche l'afflusso di bile non deve essere del t u t t o sbarrato. Queste masse calcaree che prevalgono nella parete d e l l a cistifellea a porcellana, per formazione della cosiddetta bile a latte di c a l c e
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E DEI DOTTI BILIARI
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nel lume della cistifellea, provengono da secrezione mucoide di ghiandole mucose neoformate. Una seconda fonte è il continuo flusso di essudato che in un'infiammazione duratura infiltra il tessuto (cistifellea a porcellana) o si versa nel lume (bile a latte di calce). Deve peraltro essere premesso che in seguito ad alterazioni infiammatorie croniche in questo caso particolare le vie linfatiche siano sclerosate e che perciò la capacità di riassorbire il calcio escreto sia andata perduta. L a colecistite cronica è una malattia dell'età adulta, nelle donne è realmente più frequente che negli uomini (dati numerici nel capitolo sulla colelitiasi). V a p e r ò s e g n a l a t o c h e la colecistite c r o n i c a c o n o senza f o r m a z i o n e di c a l c o l i si t r o v a anche in bambini. U n ' a c c u r a t a c o m p i l a z i o n e s t a t i s t i c a di 326 o s s e r v a z i o n i in b a m b i n i fino a l l ' e t à d i 15 a n n i si t r o v a in ULIN, NOSAL e MARTIN. LÒFFLER h a d e s c r i t t o in u n a colecistite c r o n i c a u n a c a r a t t e r i s t i c a complicazione sotto forma di un'ulcera callosa, che era m o l t o simile a u n ' u l c e r a g a s t r i c a . P e r erosione di u n r a m o d e l l ' a r t e r i a c i s t i c a era s o p r a v v e n u t a u n 'emorragia nelle vie biliari. I n b a s e a t a l e singolare o s s e r v a z i o n e v a e s a m i n a t a l a q u e s t i o n e se l a p r e s e n z a d i m u c o s a g a s t r i c a nella cistifellea (vedi c a p . m a l f o r m a z i o n i , p a g . 504) p o s s a a v e r e in q u e s t o c a s o u n ruolo p a t o g e n e t i c o . S u l l a p a r t e c i p a z i o n e della cistifellea al q u a d r o m o r b o s o della nodosa
periarterite
v e d i GRUBER e HANSER.
3. E Z I O L O G I A D E L L A C O L E C I S T I T E A S P E C I F I C A Eziologicamente infezioni batteriche risultano in un gran numero di casi di importanza determinante. ASCHOFF e BACMEISTER hanno sostenuto, come premessa per ogni infiammazione, la stasi con consecutiva invasione batterica attraverso le vie biliari. Nel frattempo si è appreso che anche altre possibilità provocano una colecistite. Si possono distinguere due gruppi di fattori eziologici, batterici e chimici. Per più vie possono arrivare batteri alla cistifellea, di guisa che in fondo possiamo affermare che la dimostrazione di batteri nella bile cistica non è la prova di un'infiammazione batterica della parete della cistifellea. Oltre-ad invasione batterica intracanalicolare della cistifellea (ascendente dall'intestino, discendente dal fegato) possono arrivare batteri nella cistifellea per via ematogena (con l'arteria epatica) e linfogena. Infine è possibile anche un passaggio per continuità da sedi flogistiche poste nelle adiacenze. Si può pensare anche a fonti combinate (vena porta in unione alla via intracanalicolare discendente dal fegato). Da parte di tutti i ricercatori che si sono occupati della questione dei germi della cistifellea, è risultato che nonostante notevoli alterazioni in-
526
VIE BILIARI E CISTIFELLEA
fiammatorie (nuova
della parete in un'alta percentuale il liquido biliare è sterile
letteratura
in
SCHULTZE,
FOGARASI
e
POHL,
DEMLING,
KATHE).
FOGARASI e POHL come GUNDERMANN e GRÒNINGER hanno stabilito che, per quanto riguarda la questione dei batteri nel contenuto della cistifellea e nella parete della cistifellea, possono sussistere differenze in quanto che o possono trovarsi batteri nella cistifellea essendo la parete libera di germi, o al contrario sono dimostrabili batteri (stafilococchi e streptococchi) nella parete della cistifellea, mentre mancano nella bile stessa. Sul tipo di batteri vedi gli estesi resoconti di HANSER (ivi anche vecchia letteratura) come di FOGARASI e POHL e KATHE. Queste ricerche prospettano pure la risposta della via di migrazione dei batteri, che cioè è stata percorsa sia la via enterogenacanalicolare come la via d'invasione ematogena o linfogena, in quanto il bacterium coli e gli enterococchi seguono prevalentemente la via canalicolare ascendente, mentre gli stafilococchi e gli streptococchi arrivano alla parete della cistifellea essenzialmente per via ematogena. Ci sarebbe da ricordare a questo punto che nella bile cadaverica non raramente si possono dimostrare batteri in cistifellee morfologicamente inalterate. È chiaro che essi non hanno valore patogeno. Per la conservazione della sterilità della bile da batteri che giungono alla cistifellea per via ascendente sembra essere responsabile fino ad un certo punto l'acidità del succo gastrico (DEMLING). Prescindendo da infezioni da gangrena gasosa, comunicate di quando in quando con reperti nettamente caratteristici (BROWN e MILCH, JEMERIN, MELCHIOL) non si riportano reperti infiammatori della cistifellea macroscopici o finemente tessutali, tali da essere attribuiti ad un determinato agente patogeno.
D i grande importanza pratica anche per i suoi rapporti con la cistifellea è l'infezione tifosa. È noto da molto tempo che nel corso di un tifo, m a anche molto tempo dopo, gli agenti patogeni trovano favorevole terreno nutritizio nel contenuto della cistifellea e vi si trattengono, così che i portatori di queste cistifellee possono diventare eliminatori stabili e perciò una fonte permanente di infezione. In seguito alle grandi epidemie tifose quali si sono succedute soprattutto nella Germania orientale e centrale dopo la passata guerra, c'è da tener presente che un gran numero d'ammalati d'allora ancor oggi sono portatori di batteri. In tal caso il numero è sicuramente molto superiore a quello che generalmente riteniamo, perché il tifo dopo la seconda guerra mondiale ebbe decorso straordinariamente variabile e bisogna prendere in considerazione un gran numero di infezioni mute. Sulla importanza ed il pericolo degli eliminatori fìssi hanno recentemente richiamato l'attenzione soprattutto KATHE come ANDERS e STEPHAN. Nella cistifellea di portatori di bacilli si osservano spesso alterazioni infiammatorie ed anche generalmente la formazione di calcoli se i reperti infiammatori sono di tipo cronico (nuove ricerche di KATHE, ANDERS, LINDER e STEPHAN, STICHNOTH). Merita poi di essere sottolineato vivamente ciò che HANSER e ASCHOFF hanno prospettato (vedi oltre più estese osservazioni critiche su questo problema). C'è anche, secondo proprie
INFIAMMAZIONE DELLA CISTIFELLEA E DEI DOTTI BILIARI
527
ricerche, un gran numero di portatori del bacillo del tifo, le cui cistifellee non presentano alterazioni morbose (più estesi reperti sulla batteriologia della cistifellea vedi in HANSER). Sotto l'impressione del fatto che in circa il 50 % (SCHULTZE dà valori anche più alti) di tutte le cistifellee infiammate non si possono dimostrare batteri, si sono rivolte le ricerche verso altre cause. Si deve qui precisare però dal punto di vista critico che in una colecistite cronica in fase di sclerosi non è necessario che siano più presenti batteri (ASCHOFF e BACMEIS T E R ) , come è noto anche in infiammazioni di altre sedi libere di batteri e guarite per cicatrice. Ma non si è per questo autorizzati a negare la loro originaria presenza e la loro importanza etiologica. Tuttavia sembra giusto richiamare osservazioni di infiammazioni acute della cistifellea nelle quali all'inizio i batteri non hanno nessun ruolo eziologico. Così in infiammazioni acute e croniche si è attribuita importanza eziologica al secreto pancreatico che per turbe funzionali dello sfintere di Oddi e particolari rapporti anatomici ha la possibilità di passare nelle vie biliari e di qui nella cistifellea. Questa ipotesi viene confermata anche da ricerche sperimentali (WOLFER, WESTPHAL, BISGARD e B A K E R , HIORTH, G R A Y e Coli., COMFORT
e
BAGGENSTOSS,
GRIESSMANN
e
ALEKSIC).
Viene
GAMBILL,
incolpata
a
questo proposito tanto la tripsina (HIORTH) come anche la diastasi (GRAY e Coli.) per l'insorgenza di colecistiti abatteriche. È già stata più sopra richiamata l'attenzione sulla importanza della stasi biliare per la colecistite batterica. C'è però oggi un numero di ricercatori i quali ritengono secondaria l'invasione batterica della cistifellea e che attribuiscono valore patogeno primario infiammatorio a bile ispessita per la stasi e con elevato tenore di acidi biliari (ARONSON e ANDREWS, WEISMAN e DONALD, WOMACK e BRICKER, WOMACK e HAFFNER, e
THOMAS
WOMACK).
Riassumendo possiamo quindi affermare che, quanto all'eziologia delle colecistiti acute e croniche la stasi biliare, è la premessa fondamentale di tutti i casi di colecistite batterica nei quali avviene l'infezione della cistifellea per via intracanalicolare (discendente e ascendente). Nella infezione batterica ematogena e linfogena non risulta alcuna importanza fondamentale della stasi. Accanto alle colecistiti di natura batterica, sono fattori patogeni chimici (acidi biliari, secreto pancreatico), legati a volte chiaramente a turbe funzionali od organiche del sistema efferente, a scatenare e a sostenere una infiammazione della cistifellea.
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VIE BILIARI E
CISTIFELLEA
4. TUBERCOLOSI D E L L E V I E B I L I A R I E X T R A E P A T I C H E E una malattia straordinariamente rara, mentre al contrario la presenza di bacilli tubercolari nella cistifellea di malati di tubercolosi non è affatto rara (bibl. precedente in H A N S E R e K A U F M A N N ) . R e c e n t e m e n t e WEITZ h a p u b b l i c a t o u n a r a c c o l t a di n u m e r o s i c a s i e d u e o s s e r v a z i o n i p r o p r i e . U n ' u l t e r i o r e o s s e r v a z i o n e h a n n o c o m u n i c a t o GRIMES e O ' N E A L . SIMMONDS h a d i s t i n t o la t u b e r c o l o s i della cistifellea i n u n a forma acuta c o n p i c c o l e necrosi della m u c o s a (con t u b e r c o l o s i delle v i e i n t r a e p a t i c h e s e m p r e d i m o s t r a b i l e ) , e in una. forma ulcerosa cronica, c h e è spesso c o m b i n a t a c o n calcoli biliari. S u l l a b a s e d e l l a sua m e s s a a p u n t o WEITZ v i e n e alla c o n c l u s i o n e c h e l a t u b e r c o l o s i d e l l a c i s t i f e l l e a i n t e r v i e n e in 1) tubercolosi miliare generalizzata acuta o subacuta, s o p r a t t u t t o n e i b a m b i n i , 2) c o m e tubercolosi di natura ematogena 0 linfogena i n c a s i g r a v i di t u b e r c o l o s i d i f f u s a , 3) c o m e tubercolosi isolata d'organo (rara) e 4) c o m e quadro parziale di una tubercolosi peritoneale c o n i n t e r e s s a m e n t o d e l l a p a r e t e della cistifellea. S e c o n d o WEITZ l a f o r m a 3 è l a p i ù f r e q u e n t e . PFENNER h a c o m p i u t o l a r a r a o s s e r v a z i o n e di un 'ulcera tubercolare primaria del duodeno con perforazione nella cistifellea e d i f f u s i o n e in q u e s t ' o r g a n o . M a c r o s c o p i c a m e n t e t u t t e q u e s t e f o r m e n o n sono s i c u r a m e n t e r i c o n o s c i b i l i q u a l i t u b e r c o l a r i . O si t r a t t a di u n a cistifellea c o n i n f i a m m a z i o n e c r o n i c a c o n o s e n z a f o r m a z i o n e d i e m p i e m a , o si t r o v a n o cistifellee grinze c o n g r a v e sclerosi i n f i a m m a t o r i a . I n c a s i r a r i il c o n t e n u t o c a s e o s o di a l c u n e cistifellee f a p e n s a r e a d u n a e z i o l o g i a t u b e r c o l a r e s o t t o l ' i m p r e s s i o n e di a l t r i o r g a n i c o n a l t e r a z i o n i t u b e r c o l a r i . I s t o l o g i c a m e n t e si t r o v a il t i p i c o t e s s u t o di g r a n u l a z i o n e t u b e r c o l a r e , i n p a r t e i n f o r m a di t u b e r c o l i con o s e n z a caseosi. I n p a r t i colare i r e p e r t i n e i q u a l i le a l t e r a z i o n i p r i n c i p a l i sono s i t u a t e n e l l a p a r e t e (senza p a r t e c i p a z i o n e d e l l a mucosa) d e p o n g o n o p e r l ' i n s o r g e n z a e m a t o g e n a o l i n f o g e n a (fig. 209). Non si dà una sifìlide della cistifellea caratteristica anatomicamente ed istologicamente (bibl. p r e c e d e n t e presso HANSER). A n c h e a l t r e i n f i a m m a z i o n i specifiche d e l l a cistifellea sono e v i d e n t e m e n t e così rare, c h e n o n è il c a s o d i p r e n d e r l e in discussione.
5. A L T E R A Z I O N I INFIAMMATORIE DEI DOTTI B I L I A R I E X T R A E P A T I C I Noi abbiamo cercato, nello studio della cistifellea, di illustrare separatamente le diverse forme di infiammazioni acute e croniche. Dobbiamo però precisare che i passaggi sono la regola e che in particolare il quadro
INFIAMMAZIONE
DELLA
CISTIFELLEA
E
DEI
DOTTI
BILIARI
529
di colecistiti croniche deriva meno da una forma a decorso cronico dall'inizio che non da una serie di attacchi acuti successivi, così che gradatamente si^sviluppa Fin^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
pari il terreno alla infiammazione in una parete già danneggiata. Così
«.i'-ljf» •< %. . ' ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
deno attraverso la papilla nel coledoco sia^ responsabile di certe
-'V
, "V. "
v>* '
diffusa, sostanzialmente simile a Fig. 209. quella descritta nella colecisti, e Tubercolosi della colecisti, in a) numerosi dovuta ad una noxa chimica o tubercoli ravvicinati negli strati più profondi della parete dell'organo (da un preparato genbatterica associata ad una stasi. tilmente fornito dal Prof. L A A S di Hamburg). Ingrand. 45:1. Ricordiamo inoltre le stenosi e le occlusioni dei dotti biliari extraepatici in seguito al passaggio di calcoli, e specialmente dopo operazioni (colecistectomia). C A T T E L L , in un gruppo di 123 stenosi benigne, ha trovato che l'8o % delle lesioni era da porsi in relazione a precedenti ferite operatorie (v. la stessa opinione espressa da H. H. B E R G ) . S E L B E R G ha osservato, nel corso di ricerche istologiche particolarmente rivolte a questo scopo, 34
—
KAUFMANN
U,
p.
II
53°
VIE
BILIARI
E
CISTIFELLEA
flogosi catarrali, ulcerose e necrotiche nella parete dei dotti biliari extraepatici e non raramente una estensione della flogosi al legamento epatoduodenale. WILLIAMS ricerca l'occlusione del dotto epatico come complicanza di un'ulcera duodenale callosa, e cita due casi simili della letteratura. La moderna colangiografia intraoperatoria ha rilevato, a livello della parte terminale muscolare del coledoco, un quadro morboso che è stato definito con vari nomi. Più usato è il termine di papillite stenosante. Tra gli A A . di lingua tedesca, HESS si è particolarmente occupato di questo stato morboso, sulla base di dati clinici e di quelli della colangiografia intraoperatoria, ed ha posto in rilievo sulla base del materiale di osservazione proprio, la frequenza con cui si possono avere papilliti secondarie alla presenza di calcoli nelle vie biliari extraepatiche; gli A A . francesi e sud-americani, d'altronde, conoscono tale sindrome da molto tempo (bibl. in HESS). I n o l t r e TROMWALD e SEABROOK, c o m e H E S S h a n n o p o t u t o
documentare
una papillite stenosante, sia da un punto di vista clinico che colangiografico, indipendente da altre malattie dei dotti biliari extra-epatici. Naturalmente mancano al riguardo ricerche anatomiche sistematiche (vedi gli interessanti reperti di SELBERG riferiti nel capitolo sui tumori dei dotti biliari extraepatici, pag. 565). CATTELL, FIGUERAS, COLÈ, IRENEUS e REYNOLDS,
HUGHES-JONES,
CATTELL e COLCOCK, WERTHEMANN e K A I S E R h a n n o d e s c r i t t o a
livello
dello sfintere di Oddi, del coledoco, dell'epatico, processi flogistici circoscritti stenosanti. L'osservazione di WERTHEMANN, riguardante l'epatico, è particolarmente importante perché basata su vaste ricerche anatomiche.
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CISTIFELLEA
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BILIARI
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532
VIE
BILIARI
E
CAPITOLO
CISTIFELLEA
VILI
LA COLESTE ROSI DELLA CISTIFELLEA Si t r a t t a di alterazione caratteristica, in casi estremi assai m a r c a t a , della mucosa della cistifellea, la quale alla superfìcie sierosa non presenta alcunché di particolare. L'aspetto ed il colore della mucosa della colecisti sono stati definiti con termini diversi nella letteratura tedesca, anglosassone e dei paesi neolatini, in modo più o meno efficace (Erdbeergallenblase, strawberrygallenblase, vésicule fraise, Fischschuppengallenblase, fishscalagallenblase, Stippchengallenblase, Cholesterose, Cholesteatose der Gallenblase, cistifellea a fragola). Attraverso la parete della colecisti, solitamente sottile, si può a volte riconoscere un disegno a tipo di rete, ciò specie quando la bile è molto scura e spessa. L a bile può essere in quantità variabile. A livello della mucosa si nota un disegno a rete, di colore giallastro fino a bianco-giallastro. Tale disegno si nota soprattutto all'apice delle pliche mucose che sono sempre piuttosto ispessite e rilevate. Particolarmente evidente è la colorazione nei punti di incrocio delle pliche. A volte, al posto di detto disegno a rete, si osservano focolai giallastri puntiformi, od a strisce. In casi eccezionali, si rinvengono escrescenze giallastre che vanno dalla grandezza di un grano di miglio a formazioni papillomatose o a grappolo grandi come un pisello, che si spingono nel lume della colecisti mentre nel resto la superficie mucosa presenta il già descritto disegno a rete. Istologicamente si tratta di un deposito di sostanze lipoidee, soprattutto di colesterina ed esteri di colesterina, che si accumulano in forma di piccole gocciole, alla base degli epiteli, in misura molto superiore alla norma. Già all'esame macroscopico si può notare come, sia nei normali depositi di colesterina nella colecisti, sia nella colesterosi, la colesterina si presenta sempre a focolai, mai in forma diffusa. L'immagine macroscopica a rete deriva dal depositarsi della colesterina negli endoteli vasali linfatici, notevolmente tumefatti, per cui le vie linfatiche risultano notevolmente ingrossate. Tali vie linfatiche così ispessite spiegano l'ingrandimento delle pliche mucose, particolarmente marcato agli apici, e l'immagine macroscopica a rete. Nelle escrescenze polipose, si rileva sempre un sottile rivestimento epiteliale, al di sotto del quale si trovano numerose cellule ricche di colesterina, raccolte in grossi cumuli. Come si vede là dove il fenomeno è meno marcato, la colesterina è raccolta anche in elementi istiocitari al di fuori delle vie linfatiche, in parte perfino entro gli strati muscolari. Che si tratti di colesterina si può facilmente dimostrare con i metodi istochimici di S C H U L T Z e W I N D A U S .
LA
COLESTEROSI
DELLA
CISTIFELLEA
533
Secondo recenti ricerche dei miei collaboratori KLEIN e FISCHER,
oltre alla colesterina libera anche gli esteri di colesterina nella colesterosi sono molto aumentati rispetto alle colecisti normali. Secondo FREERS il deposito ha inizio nel corpo dell'organo, quindi nel collo e infine nel fondo. In circa un terzo dei casi ne è colpita l'intera cistifellea. In un altro terzo la colesterosi è limitata a due parti (specialmente il corpo ed il fondo), ed in un ulteriore terzo è colpita solo una parte della colecisti. Il cistico può essere interessato al di sopra della valvola di Heister, mentre il coledoco è sempre indenne. Le donne risultano colpite più degli uomini, più spesso tra i 40 e i 60 anni, mentre per il sesso maschile l'età varia tra i 50 e i 70 anni. C i r c a l a frequenza della colesterosi, le cifre v a r i a n o n o t e v o l m e n t e , indip e n d e n t e m e n t e dalla regione geografica, sia che r i g u a r d i n o r e p e r t i o p e r a t o r i od a u t o p t i c i . S e c o n d o l ' o p i n i o n e di m o l t i chirurghi, l ' a f f e z i o n e p u ò c o m p o r t a r e n o t e v o l i disturbi. V a l o r i p i u t t o s t o bassi v e n g o n o f o r n i t i d a BERENDES (5 % delle autopsie), LEWIS e PETERSON (8,8 % di 455 colecisti a s p o r t a t e chirurgicamente),
ARNELL
(9,1 %
di 1198 colecisti operate), FELDMAN e
FELDMAN
(12,5 % su 1 3 1 9 autopsie), e FREERS (20 % di autopsie). L e cifre più a l t e si t r o v a n o i n MENTZER (38,5 % s u 6 1 2 a u t o p s i e ) , e M A Y O (39 % s u 1 2 5 4 c o l e c i s t i
operate). T a l i differenze sono d a i m p u t a r s i non t a n t o alla d i v e r s i t à del m a t e riale e s a m i n a t o , q u a n t o al d i v e r s o p u n t o di v i s t a degli A A . V i è i n f a t t i t u t t a u n a g a m m a di s t a d i di p a s s a g g i o t r a i depositi di colesterina che si possono considerare n o r m a l i e quelli c h e sono g i à d a ritenere p a t o l o g i c i . Se si consid e r a n o a n c h e i depositi minori, si p u ò a r r i v a r e a cifre m o l t o alte.
Circa l'insorgenza della colesterosi non si può più ritenere valida la vecchia teoria della secrezione, anche se a volte viene ancora discussa ( R I B A S - R I B A S , ELMAN e TUASSIG, ELMAN e GRAHAM, TROELL). G i à
CHOFF h a indicato trattarsi di un
fenomeno di riassorbimento.
Su
AS-
ciò
quasi tutti gli Studiosi sono d'accordo. Ciò malgrado, sappiamo poco sulle cause della colesterosi. Questa non ha nulla a che vedere con il ricambio generale della colesterina. I valori della colesterina nel siero non sono alterati. Non si conoscono relazioni univoche con la formazione di calcoli, specie di quelli colesterinici
(ASCHOFF,
BERENDES).
FELDMAN e FELDMAN h a n n o r i s c o n t r a t o nel loro m a t e r i a l e a u t o p t i c o l a p r e s e n z a d i calcoli nel 22,7 % dei casi, m e n t r e su 165 casi d i colesterosi i calcoli erano p r e s e n t i nella p e r c e n t u a l e del 10,9 % . Ciò s t a r e b b e a d i m o s t r a r e c h e nella colesterosi i calcoli sono più rari c h e nel m a t e r i a l e a u t o p t i c o in generale. MENTZER, WALTERS e SNELL forniscono i n v e c e v a l o r i del t u t t o opposti, con u n ' a l t i s s i m a f r e q u e n z a di calcoli nella colesterosi. N o n v i sono r a p p o r t i c o n le colecistiti (ASCHOFF,
BERENDES
e
FELDMAN).
Secondo
le ricerche
di
FELDMAN
e
FELD-
MAN non v i è n e p p u r e u n r a p p o r t o c o n i disturbi generali del r i c a m b i o colesterinico, c o n malattie del fegato, specie c o n la cirrosi, con malattie pancreatiche e c o n l a sclerosi coronarica. N o n è possibile riferire t u t t e le opinioni c o n t r a s t a n t i e a f a v o r e espresse nei n u m e r o s i l a v o r i , a n c h e s p e r i m e n t a l i , che n e g l i u l t i m i 20 a n n i si sono o c c u p a t i delle c a u s e della colesterosi.
534
VIE
BILIARI
E
CISTIFELLEA
Riassumendo, possiamo ripetere anche oggi quanto disse ASCHOFF 25 anni fa, e cioè che non conosciamo quale sia la causa della colesterosi. Probabilmente non si tratta di altro che della impossibilità di lasciar defluire attraverso i canali linfatici con sufficiente velocità la normale quantità di colesterina e di esteri di colesterina. Ne deriverebbe che la patogenesi della colesterosi starebbe nella ostruzione linfatica (FREERS, B E RENDES, BAGNOLI e MONACI), la cui causa sarebbe ancora da ricercare.
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CAPITOLO
IX
LA COLELITIASI (MALATTIA DA CALCOLI BILIARI)
L a malattia che accompagna i calcoli biliari non è in alcun caso, primaria e indipendente, ma piuttosto conseguenza di lesioni funzionali od organiche già descritte in precedenti capitoli (occlusione della colecisti, colecistite cronica). Per ragioni didattiche non abbiamo trattato contemporaneamente di tali malattie e dei calcoli. V a tuttavia precisato per quanto gravi possono essere le conseguenze dei calcoli, che un calcolo formatosi nella colecisti e fermo in tale sede non ha importanza pratica, mentre in molti casi l'infiammazione cronica che precede la formazione di calcoli,
LA COLELITIASI (MALATTIA DA CALCOLI BILIARI)
535
i quali a loro volta mantengono lo stato infiammatorio, ha una importanza pratica ben maggiore. Confermano questo modo di vedere i numerosi reperti di calcoli riscontrati occasionalmente durante autopsie, senza che in v i t a avessero dato disturbi. Se parliamo a parte della malattia da calcoli, è per fornire indicazioni sulla loro frequenza, sul tipo dei calcoli e sopratt u t t o sulla eziologia della malattia. L a principale sede di formazione di calcoli è la colecisti: in percentuale minore si possono formare anche nei dotti biliari. Se generalmente i calcoli si formano nel lume della colecisti, esiste però la possibilità di calcoli intramurali (ASCHOFF, EISERTH, IWAMOTITADASI, SARTESCHI), che si formano primitivamente nei seni di AschoffRokitansky, o che divengono secondariamente intramurali in seguito ad usure da compressione della parete colecistica. V i sono anche calcoli intraepatici, che si sono formati nelle vie biliari intraepatiche, oppure che sono migrati nel fegato dalla colecisti (HANSER, BEER, KOSTER, e GERBER, RUFANOW,
GALAMBOS
e
MITTELMANN).
x. D A T I
STATISTICI
Sulla frequenza dei calcoli biliari. — Secondo ricerche autoptiche, sulla base di statistiche nuove e vecchie provenienti da tutto il mondo, si potrebbe dire che in circa il 10-15 % di tutte le autopsie di adulti di popolazioni bianche si riscontra presenza di calcoli; in tale cifra non si considerano gruppi distinti a seconda dell'età. Secondo HANSER nelle statistiche tedesche si riscontra una frequenza del 7 %
( W . FISCHER)
fino
all'8,52 %
(LOTZIN). U n a n u o v a s t a t i s t i c a d e l
mio
collaboratore RODEWALD, che si basa su complessive 9444 autopsie in Erfurt, fornisce una percentuale del 14 % per gli uomini di età superiore ai 40 anni, e del 38,8 % nelle donne della stessa età. HANSER precisa però, che già tra gli A A . tedeschi vi sono notevoli divergenze. Secondo LICHTMAN la frequenza in diverse zone del Nordamerica va dall'i,3 % al 20 %. LUDLOW parla dell'8 % , mentre LIEBER su 29779 autopsie trova L ' n , 6 % di calcolosi. Dalla Svezia MARTENSSON f o r n i s c e u n a
frequenza
del 10,5 % .
In
A u s t r a l i a , HAMILTON, s u
1000 autopsie eseguite negli anni 1925-26, trova una frequenza del 10,6 % , mentre CLELAND, su 7000 necroscopie, riscontra calcoli nel 12,4 % . Un'ulteriore statistica di questo continente viene fornita da JOSKE e Coli, nell'anno 1954. Secondo tali AA., su 3685 autopsie riguardanti soggetti di tutte le età, la frequenza della calcolosi è del 19,9 % . In Inghilterra, GROSS trova, su 9531 autopsie, una frequenza dell'8,4 % , mentre COOK e Coli, in una statistica raccolta dal 1941 al 1950 comprendente 3113 casi, trovarono una percentuale del 7,4 % . Dalle cifre delle singole statistiche si può dedurre che vi possono essere differenze nei diversi paesi. Così si può vedere come in Inghilterra la
VIE
53&
BILIARI
E
CISTIFELLEA
percentuale del 7,4 % sia la metà di quella del 14,9 % riscontrata in Australia. Tali statistiche, però, vanno considerate con molta prudenza e critica prima di ricavarne deduzioni. Così, ad es., la statistica di DESSAU, che dà una percentuale del 20 % , riguarda tutti soggetti che hanno superato i 40 anni; valori analoghi vengono indicati da RODEWALD.
Età e sesso: da tutte le statistiche mondiali è noto che i calcoli sono molto rari sino all'età di 20 anni, e che con Vaumentare degli anni diventano sempre più frequenti. Ciò non toglie che calcoli siano stati osservati anche in bambini (BOGATKO e MELMAN, P O T T E R , S E I D L E R e B R A K E L E Y , ivi bibl. precedente, W I L E N I U S ) , e persino in lattanti ( S P E E N C E ) . Con l'aumentare dell'età la frequenza dei calcoli diviene così grande che B L U M B E R G e ZISSERMANN nelle autopsie di soggetti deceduti oltre i 70 anni hanno riscontrato una frequenza di circa il 70 % di calcolosi. Dalla seguente tabella si rileva il contemporaneo aumento della calcolosi con l'aumento dell'età in donne ed in uomini. TABELLA FREQUENZA
DEI
CALCOLI
BILIARI
IN
I.
DONNE
E
UOMINI
DIVISI
SECONDO
L'ETÀ
(9444 autopsie: 1492 soggetti calcolotici. Valori percentuali. F r a parentesi il valore assoluto delle necroscopie e dei calcolotici). (Da RODEWALD, Zbl. Path. 96, 300, 1957). Gruppi per età
22-29
3o-39
40-49
5o-59
60-69
70-79
80 e più
Donne
7.1 (196:14)
13,5 (229:31)
19,3 (488:94)
29,9 (646:193)
35,7 (843:301)
39,4 (548:216)
48,1 (160:77)
Uomini
o.7 (271:2)
3,o (298:9)
7,8 (658:51)
10,0 16,4 I9,i ( 1 0 0 3 : 1 1 0 ) ( 1 1 8 1 : 1 9 4 ) (790:151)
26,9 (163:44)
È egualmente noto che i calcoli sono più frequenti nelle donne che negli uomini, soprattutto che nelle prime si formano più precocemente, se si considerano grandi raccolte casistiche ( J O S K E e Coli. C L E L E N D , B L U M B E R G e ZISSERMAN,
BOCKUS,
BECKER
e CHATGIDAKIS,
RODEWALD).
In
conclusione si può dire che nelle donne la frequenza dei calcoli è doppia che negli uomini, per alcuni anche più che doppia, e che su questo punto concordano tutti i valori provenienti da diversi continenti, e riguardanti soggetti di razza bianca. Le cifre più sopra riportate, che provengono per lo più da studi recenti, non si discostano da quelle fornite da ricercatori precedenti. Frequenza dei calcoli biliari nelle diverse razze. — Le statistiche fin
qui riportare si riferiscono alla razza bianca. Secondo le cifre su riferite, indipendentemente dai limiti geografici in cui vivono queste popola-
LA
COLELITIASI
(MALATTIA
DA
CALCOLI
BILIARI)
537
zioni, circa il 10-15 % della razza bianca è portatore di calcoli biliari. Per le altre razze abbiamo i seguenti valori: Ebrei 11,9 % (BLUMBERG e ZISSERMAN). Secondo MIYAKE la frequenza della calcolosi in Giappone è solo del 3 % ; secondo lo stesso A . i calcoli biliari sono quasi sconosciuti presso gli abitanti di Giava. Ricerche molto importanti al riguardo sono state fatte da BECKER e CHATGIDAKIS SU un materiale non selezionato, riguardante 9500 autopsie, eseguite a Johannesburg dal 1936 al 1950. Esse comprendevano 44x6 europei, 4494 negri B a n t u e 590 mulatti. Negli Europei i calcoli vennero riscontrati nella percentuale del 13,52 tra i Bantu tale valore fu del 2,04 % e tra i Mulatti del 2,52 % . Per i Negri-U.S.A. LUDLOW dà una frequenza del 4,32 % . Infine tra i Cinesi GORDER ha riscontrato una frequenza di calcolotici del 3,86 % . D a questi brevi dati statistici appare accertato chiaramente, (BECKER e CHATGIDAKIS) che nella razza negra, ed in altre di colore come i mulatti, i calcoli biliari sono meno frequenti che nella razza bianca. Se ciò dipenda da cause esterne od interne (costituzionali), rappresenta tuttora un punto oscuro.
2. C L A S S I F I C A Z I O N E D E I C A L C O L I
BILIARI
T u t t i i calcoli biliari sono composti da tre sostanze fondamentali, colesterina, calcio, pigmento biliare. Inoltre ogni calcolo ha nella sua costituzione una delicata trama proteica. Più avanti sarà discussa la più fine composizione dei calcoli. In generale, la definizione e la classificazione dei calcoli non è affatto logica, ma piuttosto arbitraria. Normalmente per descrivere la massa principale di tutti i calcoli ci si riferisce empiricamente al loro contenuto nelle tre sostanze fondamentali, mentre si trascurano la forma e la grandezza. Però in tale indicazione di un calcolo secondo le sue componenti è implicita anche un'idea sulla sua forma. Quando si parla di un calcolo di colesterina, si vuole indicare che esso è formato per la maggior parte da colesterina. Si sa tuttavia che tale calcolo ha una sua forma ben definita. Lo stesso discorso vale per i calcoli di colesterina e calcio, e per quelli di colesterina unita con pigmenti biliari, ecc. Oltre a queste denominazioni, ve ne sono altre che prendono in considerazione la grandezza e la forma del calcolo (calcolo a botte), nonché il fatto che esso sia unico o multiplo (calcolo solitario), il combinarsi dei suoi componenti (calcolo di combinazione), e persino la sua sede (calcolo del coledoco). Si parla anche di « calcoli da alterato ricambio » e di « calcoli infiammatori », ponendo in rilievo soprattutto il punto di vista della eziologia. Con tutte queste denominazioni, che non prendono in considerazione la composizione del calcolo, l'esperto ha tuttavia un'idea della quantità e della disposizione delle suddette sostanze fondamentali che compongono i calcoli.
538
VIE
BILIARI
E
CISTIFELLEA
Riguardo alla suddivisione, noi ci atteniamo a quella di ASCHOFF e BACMEISTER. Distinguiamo: I) calcoli colesterinici ; 2) calcoli colesterinocalcici; 3) calcoli colesterino-pigmento-calcici; 4) calcoli di combinazione; 5) calcoli di bilirubinato di calcio.
a) CALCOLO DI COLESTERINA (CALCOLO DI COLESTERINA RAGGIATO, CALCOLO SOLITARIO) (fig. 210, i a e 1 b) E a forma di palla fino ad ovale (più spesso ovale). In genere non è più piccolo di un pisello, più spesso è grosso come una ciliegia fino quasi ad una prugna, a superfìcie mai completamente liscia, oppure con mammellonature di varia grandezza. A l l a superficie il calcolo può apparire, spontaneamente o dopo allontanamento dei pigmenti biliari mediante lavaggio, bianco fino a giallastro, a volte chiaro diafano. Talora, in esemplari piccoli e grandi, si possono anche vedere sulla superficie delle strutture nastriformi, che possono essere frammentate e che quando hanno particolare ampiezza ricordano segmenti di verme solitario (fig. 210, 2). In linea di massima tali calcoli sono relativamente molli, leggeri e facili a tagliarsi. Sulla superficie di sezione ed anche sulla superficie di limatura (circa la tecnica della limatura e del taglio dei calcoli vedi BACMEISTER, KLEINSCHMIDT, BAUER e HABS) essi brillano, creando effetti cristallini (ASCHOFF e BACMEISTER). A l centro del calcolo si può osservare con poche eccezioni un piccolo nucleo bruniccio, che solo raramente è formato da masse molli ed amorfe pigmentate, m a per lo più presenta travate finemente raggiate cristalline, tra le quali sono depositate masse molli e pigmentate. D a tale centro le travature cristalline attraversano radialmente tutto il calcolo fino alla periferia. L a lunghezza di tali travature cristalline è varia, ed in tal modo nascono le sporgenze superficiali su ricordate. Talora dalle travature maggiori si staccano, verso la periferia dei calcoli, travature minori. Si tratta quasi sempre di un calcolo unico (calcolo solitario), solo eccezionalmente di due o più calcoli; la loro sede è sempre la colecisti.
b) CALCOLO CALCIO-COLESTERINICO STRATIFICATO Tali calcoli sono molto simili a quelli di colesterina, per quanto riguarda la forma e la grandezza; solamente la superficie è per lo più liscia, oppure finemente mammellonata. Sulla superficie di sezione non si osserva
Fig. 210. I calcoli biliari più frequenti, i , calcolo di colesterina: a) superficie esterna, b) superfìcie di sezione; 2, calcolo di colesterina con disegno superficiale a striscie; 3-4, calcoli di combinazione; a) superficie esterna, b) superficie di sezione; 5, calcoli colesterino-pigmento-calcici faccettati: a) superfìcie esterna, b) superficie di sezione; 6, calcolo a botte (calcolo colesterino-pigmentocalcico più grosso, solitario: a) superficie esterna, b) superficie di sezione); 7, calcolo colesterino pigmento-calcico moriforme. (Superficie esterna e di sezione); 8, calcolo bilirubino-calcico.
54°
VIE
BILIARI
E
CISTIFELLEA
la tipica struttura raggiata che si nota nel calcolo di colesterina. L a maggior parte dei calcoli presenta una stratificazione concentrica, e nei casi in cui la componente cristallina colesterinica è marcata, il colorito della superficie è slavato, grigio-giallo pallido. Talora sono anche più evidenti le strutture raggiate; in tal caso sono più abbondanti le deposizioni calcaree tra i cristalli di colesterina. ASCHOFF e BACMEISTER, per differenziare tali calcoli da quelli di colesterina pura, hanno proposto di denominarli « calcoli di calcio e colesterina stratificati », prendendo in considerazione anche la componente calcarea. Normalmente tali calcoli appaiono solitari come i calcoli puri di colesterina; i calcoli calcio-colesterinici non sono così rari come si credeva un tempo. Se si esamina ogni calcolo solitario, sia sulla superficie esterna che su quella di sezione, si trova che qualche calcolo di colesterina è in realtà un calcolo stratificato calcio-colesterinico.
c)
CALCOLI
COLESTERINO-PIGMENTO-CALCICI
Si presentano in tre forme diverse. a) e b): calcoli multipli faccettati (fig. 210, 5a e 5b) e calcoli moriformi. Circa l'8o % di tutti i calcoli biliari appartiene a questo gruppo. Si formano quasi sempre già all'inizio in grande numero. Centinaia di calcoli di questo tipo in una colecisti non sono una rarità, essendone state osservate perfino delle migliaia. In tale gruppo la varietà delle forme è molto grande; la superficie è liscia, i margini tagliati nettamente (calcoli faccettati), oppure sulla superficie esterna si notano numerose sporgenze più o meno grandi che danno al calcolo aspetto moriforme. L a grandezza dei calcoli può variare da una capocchia di spillo ad una castagna. Raramente nello stesso caso i calcoli sono tutti della stessa grandezza; se i calcoli appartengono a due gruppi per dimensioni, sono riferibili a due generazioni di calcoli, formatisi in epoche successive. Anche il colore dei calcoli è particolarmente variabile. Generalmente esso ricorda la bile, ma talora se ne differenzia. Vi possono essere calcoli bianchicci, gialli, verdi, marroni e persino neri. Se il concomitante processo flogistico della colecisti si è spento e la cistifellea è cicatrizzata, allora i calcoli presentano una superficie pallida non di rado un mantello di colesterina più o meno splendente. Ciò si verifica per lo più in calcoli moriformi. Nei calcoli faccettati, le superfici delle faccette sono più scure degli spigoli. Sulla superfìcie di sezione o di limatura si nota un nucleo più molle e di colore marrone, che, secondo gli studi di BACMEISTER mostra dei sistemi di cristallizzazione più o meno abbondanti, di forma sferica, che spesso, per la loro disposizione stipata, si intersecano a vicenda. L a grandezza di questo nucleo di struttura dipende dal numero di
LA COLELITIASI
(MALATTIA DA CALCOLI BILIARI)
54I
questi centri di cristallizzazione. A l l a periferia del centro di struttura, i margini convessi periferici di tali formazioni componenti il nucleo stesso passano l'uno nell'altro; t u t t ' a t t o r n o si dispongono in tanti strati concentrici, t r a loro separati, che circondano il nucleo del calcolo. Tali strati sono più o meno scuri a seconda del contenuto in calcio ed in pigmenti biliari. S e tale stratificazione concentrica è caratteristica di questi calcoli, talora t u t t a v i a , anche frequentemente, si potranno osservare delle striature scure radiate che, secondo B A C M E I S T E R , sono costituite da materiale organico amorfo, disposto t r a i cristalli. I calcoli moriformi devono tale aspetto alla posizione periferica dei nuclei di cristallizzazione, ed al fatto che la successiva stratificazione non si verifica attorno ad un solo nucleo, come a v v i e n e per i calcoli faccettati, m a attorno a più nuclei; ne deriva il caratteristico aspetto moriforme. c) Calcoli più grossi ovali, a botte o cilindrici (fig. 210, 6). D i solito si t r a t t a di pochi esemplari, talora anche solo di un calcolo unico, attorno al quale la colecisti si dispone come un mantello. Simili calcoli solitari possono raggiungere le dimensioni di un uovo di pollo. T a lora si dispongono in fila, uno dietro l'altro a mo' di catena, uniti tra loro d a « superfici articolari » concavo-convesse, perfettamente combacianti, e che occupano l'intero lume colecistico dal fondo fino al cistico, nel qual caso v a n n o diminuendo di diametro. Se i calcoli giacciono liberi nel lume della colecisti, possono presentare delle faccettature. L a superficie di sezione e risp. di limatura presenta gli stessi caratteri dei calcoli faccettati.
d) C A L C O L I
DI
COMBINAZIONE
(fig. 210, 3a e b, 4« e b) T a l e denominazione deriva dal fatto che attorno ad un nucleo di colesterina a struttura tipica si è verificata la deposizione a strati di bilirubinato di calcio. Tali calcoli possono raggiungere anche notevoli dimensioni. Generalmente si presentano solitari m a possono associarsi a calcoli colesterino-pigmento-calcici. D u e o più calcoli di combinazione nella cistifellea sono altrettanto rari quanto parecchi calcoli di colesterina. L a superficie del calcolo è in genere bernoccoluta, di colore pallido, fino a bruno. Sulla superficie di sezione si vede al centro il nucleo di colesterina a margini ben delimitati. T a l e nucleo può anche avere posizione eccentrica. Se il calcolo aderisce alla parete della colecisti per un lato allora la stratificazione è eccentrica dalla parte libera, rivolta al lume dell'organo.
542
V;E BILIARI E CISTIFELLEA
e) C A L C O L I
DI B I L I R U B I N A T O
DI
CALCIO
(fig. 210, 8) Si tratta di calcoli rari, che si rinvengono nella colecisti sempre in gran numero, più piccoli di un pisello, dalla superficie gibbosa, per lo più molto scuri, quasi neri. Talora il colorito è variegato per la presenza di striscie biancastre di calcio. Tali calcoli sono molli ed in seguito ad essiccamento si spezzettano. Secondo HANSER, al microscopio risultano composti di piccole concrezioni con cavità centrali. Mancano stratificazioni, e separazione tra corteccia e nucleo. Con le suddescritte forme di calcoli, che si possono distinguere senza difficoltà fra di loro, considerando la superficie esterna e quella di taglio, abbiamo passato in rassegna la massa principale degli aspetti che offrono i calcoli. Le altre forme di calcoli sono praticamente senza importanza (come i calcoli di pigmento, quelli di solo calcio, e le varie possibili combinazioni classificate da TORINOUMI). Va infine ricordato che nelle vie biliari in cui si sia verificata la formazione di calcoli che non raramente rappresentano lo stampo del lume spesso si tratta di ammassi stipati di pigmenti e di sali di calcio.
3. COMPOSIZIONE CHIMICA D E I C A L C O L I L'elemento costitutivo principale della struttura chimica dei calcoli è la colesterina, oltre al calcio ed alla bilirubina per i calcoli pigmentocalcarei. I miei Coli. KLEIN e FISCHER, hanno riscontrato su un materiale non selezionato, comprendente ioo calcoli raccolti dall'anno 1935, 86 calcoli calcio-pigmento-colesterinici, tra cui calcoli solitari a botte, 6 calcoli di combinazione, 5 calcoli di colesterina, 3 calcoli di calcio e pigmento. Nei calcoli di calcio e pigmento, il contenuto in colesterina era del 10,2 e del 24,2 % , mentre per gli altri calcoli il contenuto in colesterina era assolutamente preponderante. Sorprende però che i maggiori valori in colesterina nei tipici calcoli calcari-pigmento-colesterinici (96,3 fino a 98,3 %) e nei calcoli di combinazione (97,1 fino a 98,8 %) non siano al di sotto dei valori riscontrati nei calcoli di colesterina puri (98,7-99 %). Nei calcoli di colesterina pura il contenuto calcareo è minimo, aggirandosi in quelli calcari-pigmento-colesterinici intorno al 2-3 % ; solo in singoli casi raggiunge il 10-15 %• Nei calcoli di combinazione il contenuto cai-
L A COLELITIASI
(MALATTIA DA CALCOLI
BILIARI)
543
careo è sempre inferiore a l l ' i % . Il contenuto !n pigmenti è nei calcoli di colesterina sempre inferiore a l l ' i % , varia molto in quelli calcari pigmentocolesterinici (i valori più bassi sotto l ' i % , quelli più alti fino al 36,6 e al 46,5 %); nei calcoli di combinazione raggiunge valori che si aggirano tra lo 0,3 ed il 2,0 % . Le percentuali più alte si rinvengono nei calcoli pigmento-calcarei, con cifre che variano tra il 36,5 % ed il 65,5 % di bilirubina. Con queste nuove ricerche, che concordano con quelle di NISHIMURA, di PICKENS e BAUMANN, si può conservare la classificazione finora adottata, che si fonda sulle componenti fondamentali dei calcoli. Siamo d'accordo con BACMEISTER che non esistono calcoli di colesterina pura. Già in condizioni di perfetta normalità, il lume colecistico può contenere albumina, in parte proveniente dagli epiteli dell'organo. È probabile che nel soggetto sano, una ulteriore quantità delle albumine presenti nella bile provenga dal fegato (HARTMANN e KOHL, ALTMANN e KUHN). È però dimostrato che in caso di colelitiasi, nella colecisti sono presenti 5 diverse frazioni di albumine, che coincidono coi valori delle albumine seriche (DIETRICH e STUMPF). Con ciò si spiegano i c. d. calcoli albuminoidei che sono stati riscontrati isolati nella colecisti (TIMOFEIEW, MEYER-ARENDT). D ' a l t r a parte si può osservare come anche nei calcoli biliari esista un fine scheletro albuminoideo, da identificare nella suddetta sostanza albuminoidea, sopra tutto quando non possiamo invocare alcuna lesione infiammatoria della cistifellea. A comporre tutti i calcoli biliari concorrono anche elementi tra i più diversi, come è stato posto in rilievo mediante studio spettrografico ad emissione da HIRSCHMANN, e dopo di lui da SCHAIRER, con tecniche migliorate. Senza eccezione in tutti i calcoli, anche in quelli di colesterina pura, sono presenti i seguenti diversi elementi: K, Na, Ca, Mg, Sr, Al, Fe, Mn, Zn, Ag, Cu, Pb, Si, R, P. Questi elementi si riscontrano costantemente nei calcoli, anche provenienti da differenti paesi e continenti. Già prima dei suddetti esami era anche noto che i calcoli di puro pigmento contengono una forte quantità di rame (calcoli rameici). GERLACH ha proposto di chiamarli « calcoli metallici », in quanto in essi è stata dimostrata con emissione spettrografica un alto contenuto anche in altri metalli.
4.
MICROLITI
Per primo NEUMANN, e quindi ASKANAZY, LEMMEL e BÜTTNER, come OHSE, hanno richiamato l'attenzione su piccole formazioni microscopiche presenti nella bile, che hanno una certa somiglianza con le superfici di limatura dei calcoli biliari, e che rivelano strutture sia concentriche che
VIE BILIARI E
544
CISTIFELLEA
radiate (fig. 211). Si tratta di formazioni rotonde od ovali, di 10-200 ¡x di grandezza, aventi al centro un nucleo. Essi possono riunirsi in complessi più grandi, e allora rappresentano vasti conglomerati. Secondo L E M M E L e B Ü T T N E R si formano per fenomeni di fusione e cementazione prestadi di calcoli calcio-pigmentati, mentre non si verifica formazione di calcoli per ingrandimento di un solo microlito. Non sembra che i microliti abbiano alcuna parte come prestadio degli altri calcoli. Secondo B Ü T T N E R e L E M M E L
Fig. 2 1 1 . Microliti a struttura concentrica e radiata. (Secondo LEMMEL e BÜTTNER. Beitr. path. A n a t . Jena 91, 19, 1933).
si osservano su 800 autopsie 75 casi di microliti, pari al 9,4 % . Si formano tanto nel fegato come nella colecisti. L a formazione dei microliti non ha alcun rapporto con alterazioni del ricambio colesterinico. La particolare frequenza di microliti, uniti ad un numero eccezionalmente elevato di calcoli di bilirubinato di calcio, riscontrata a Ginevra, viene ricondotta da A S K A N A Z Y , sulla base del suo materiale di ricerca, a lesioni epatiche croniche (cirrosi epatica) da avvelenamento da rame, che insorgerebbero nei vignaioli ginevrini. Circa la produzione sperimentale di microliti mediante occlusione ed infezione della colecisti, vedi anche S C H R A D E R , quantunque i reperti ottenuti non siano sovrapponibili ai tipici microliti, ma siano da considerare solo come sedimenti, già in passato descritti e classificati da TORINOUMI.
LA COLELITIASI
(MALATTIA DA CALCOLI
5. F R A M M E N T A Z I O N E D E I
BILIARI)
545
CALCOLI
Il modo con cui i calcoli si frantumano, mediante comparsa di fessure, era già noto a NAUNYN. K . H. BAUER ha studiato meglio il meccanismo di comparsa di tali spaccature nel calcoli, ottenendo i risultati migliori mediante radiogrammi, più dall'osservazione di preparati per sezione e limatura. A S C H O F F e B A C M E I S T E R pensarono dapprima che tali spaccature fossero artefatti in rapporto ad un essiccamento dei calcoli, ma successivamente lo stesso A S C H O F F ha riveduto tale interpretazione. K . H . B A U E R e K L E I N S C H M I D T hanno potuto dimostrare spaccature anche in calcoli freschi (fig. 212 a). Essi trovarono detto reperto con la frequenza dell'i 1,6 % su un gruppo di 250 calcoli biliari. K . H. B A U E R vide in tali spaccature il prestadio della frammentazione intravitale dei calcoli, la cui importanza è grande « perché i detriti dei calcoli possono rappresentare il punto di origine e i centri di nuovi calcoli »
( K . H . BAUER, SATTLER) (fig. 212 b). L a c o m p a r s a di d e t t e s p a c c a t u r e si os-
serva unicamente nei calcoli calcio-pigmento-colesterinici, e precisamente solo in quelli faccettati. La formazione delle spaccature, e la successiva frammentazione, rappresentano lo stadio finale di un processo di disimbibizione del calcolo, che inizia già con la primitiva forma a palla, e che porta infine alla forma poliedrica faccettata e poi alla fessurazione e frammentazione del calcolo stesso per ulteriore disimbibizione. Un'altra modalità di distruzione del calcolo è data dallo svuotamento ( G R À F F ) (fig. 212 e), che porta alla formazione di cavità e di caverne nel calcolo, che si iniziano dalla superficie, talché alla fine rimane un residuo di calcolo a forma di sottile anello ( H E D I N G E R ) . « Svuotamento da parte di succhi gastrici » vide G R A F F . W O L P E R S ha studiato altre possibili modalità di distruzione dei calcoli, specialmente nelle colecisti sclerotiche, attraverso un meccanismo di riassorbimento da parte del connettivo adiacente, per azione della pressione, e per intervento di fermenti. Tutte queste evenienze sono ammissibili. Circa la comparsa di gas nei calcoli (ad opera di batteri), con conseguente formazione di spaccature, vedi K O M M E R E L L e W O L P E R S , A K E R L U N D , F U L T O N .
6. E Z I O L O G I A E M O R F O G E N E S I D E I C A L C O L I
BILIARI
Non è possibile esporre l'intera dottrina sulla eziologia dei calcoli biliari. Noi dobbiamo tener distinti i fattori che determinano la loro forma (eziologia formale) dalle cause che inducono la formazione dei calcoli 35 —
KAUFMANN I I , p. I I
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VIE BILIARI E CISTIFELLEA
(eziologia causale). NAUNYN, per primo, ha messo ordine nelle idee sino allora non chiare di precedenti ricercatori circa la formazione di calcoli, mettendo in rilievo che per la loro comparsa sono necessari due momenti eziologici e cioè processi infiammatori o un'occlusione delle vie biliari senza i quali è impossibile la formazione di calcoli. Di conseguenza, con la tesi dell'occlusione e del catarro delle vie biliari, si vollero spiegare tutti i calcoli, qualunque fosse la loro struttura. Il calcolo di colesterina puro era il risultato di una complicata « colesterizzazione » di un primitivo cai-
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- (funzionale, organico) -