Tra rinnovamento e continuità. Le riforme introdotte dal motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus 8840140778, 9788840140773

Il volume approfondisce diversi aspetti della riforma del processo canonico di nullità matrimoniale, introdotta da Papa

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Tra rinnovamento e continuità. Le riforme introdotte dal motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus
 8840140778, 9788840140773

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Quaderni di Ius Missionale 9

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Ernest B.O. Okonkwo – Alessandro Recchia (a cura di) TRA RINNOVAMENTO E CONTINUITÀ LE RIFORME INTRODOTTE DAL MOTU PROPRIO MITIS IUDEX DOMINUS IESUS isbn 978-88-401-4077-3 © 2016 Urbaniana University Press 00120 Città del Vaticano Via Urbano VIII, 16 – 00165 Roma tel. + 39 06.6988.9651-9688 fax + 39 06.6988.2182 e-mail: [email protected] www.urbaniana.press

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Prima edizione digitale isbn online 978-88-401-6087-0

In copertina: particolare di fregio marmoreo, Basilica di Santa Cecilia, Roma Tutti i diritti sono riservati.

Finito di stampare nel mese di novembre 2017 (ristampa) stampa Tipografia Abilgraph srl - Roma

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a cura di Ernest B.O. Okonkwo Alessandro Recchia

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Tra rinnovamento e continuità Le riforme introdotte dal motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus

Urbaniana University Press

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PRESENTAZIONE Dominique Card. Mamberti

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INTRODUZIONE Ernest B.O. Okonkwo – Alessandro Recchia

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Abbreviazioni e sigle

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Ernest B.O. Okonkwo I PRINCIPI ISPIRATORI DELLA RIFORMA E LE LORO INCIDENZE SUI PROFILI ATTINENTI AL PROCESSO ORDINARIO DI NULLITÀ MATRIMONIALE Premessa 1. Le spinte riformatrici del processo per la dichiarazione di nullità matrimoniale 2. I principi ispiratori della riforma del processo 2.1 Il principio dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale 2.2 Il principio della pastoralità del diritto 2.3 Il principio della centralità del Vescovo nel servizio della giustizia 2.4 Il principio della sinodalità nel servizio pastorale della giustizia 2.5 Il principio di prossimità del giudice 2.6 Il principio di giusta semplicità e celerità del processo 3. Le incidenze dei principi ispiratori della riforma su alcuni profili del processo ordinario per la dichiarazione di nullità del matrimonio 3.1 Il processo ordinario 3.2 Diritto ad impugnare il matrimonio 3.3 La competenza e i fori competenti nell’esame delle cause di nullità matrimoniale 3.4 L’introduzione della causa nel processo per nullità matrimoniale 3.5 L’istruttoria nel processo ordinario per la dichiarazione di nullità matrimoniale 3.6 La decisione della causa nel processo per la dichiarazione di nullità matrimoniale 4. Qualche osservazione e suggerimento Conclusione

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Luigi Sabbarese IL PROCESSO PIÙ BREVE: CONDIZIONI PER LA SUA INTRODUZIONE, PROCEDURA, DECISIONE Introduzione 1. La responsabilità del Vescovo diocesano 2. Il processo più breve dinanzi al Vescovo diocesano 2.1 Condizioni e presupposti per il processus brevior coram Episcopo 2.1.1 «Ipsi Episcopo dioecesano competit iudicare causas de matrimonii nullitate processu breviore […]» 2.1.2 «Petitio ab utroque coniuge vel ab alterutro, altero consentiente, proponatur» 2.1.3 «Recurrant rerum personarumque adiuncta, testimoniis vel instrumentis suffulta, quae accuratiorem disquisitionem aut investigationem non exigant, et nullitatem manifestam reddant» 2.2 La procedura nel processus brevior 2.3 La fase decisoria del processus brevior Breve conclusione

Andrea D’Auria MITIS IUDEX DOMINUS IESUS. ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ART. 14 DELLE REGOLE PROCEDURALI 1. Processus brevior 2. La mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà 3. Fede e bonum coniugum 4. Brevità della convivenza coniugale 5. Aborto procurato per impedire la procreazione 6. Ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo 7. L’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione 8. Causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale… 9. ...consistente nella gravidanza imprevista della donna 10. Il difetto di libertà interna 11. La violenza fisica inferta per estorcere il consenso 12. La mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici, ecc. 13. Qualche considerazione

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INDICE DEI NOMI

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AUTORI

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Alessandro Recchia I MEZZI DI IMPUGNAZIONE: ALCUNE CONSIDERAZIONI Introduzione 1. Esecutività della prima sentenza pro nullitate, non appellata 2. Ammissione e prosecuzione dell’appello 3. La querela di nullità 4. La nuova proposizione della causa Breve conclusione

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La Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana, collegata con la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, da qualche tempo sta svolgendo un servizio apprezzato nell’ambito del diritto ecclesiale attraverso pubblicazioni che sorgono dalla scuola e si indirizzano ad essa, come pure attraverso periodici Incontri di Studio finalizzati alla trattazione di tematiche canoniche di attualità. In questo fecondo contesto si inserisce l’Incontro di Studio tenutosi il 12 aprile scorso sul tema “Le riforme introdotte dal m.p. Mitis Iudex Dominus Iesus”, dal quale scaturisce la odierna sollecita pubblicazione degli atti. L’Incontro di Studio e i testi delle relazioni rese oggi disponibili sono da apprezzare vivamente perché rispondono pienamente ad una triplice esigenza oggi particolarmente sentita. Anzitutto la lettura dei testi normativi. Sarà evidente dalla lettura il forte radicamento dei contributi nel testo legislativo, manifestato sovente nella diade, anche tipograficamente accentuata, citazione del testo e commento al testo. Si tratta di un metodo didatticamente proficuo e deontologicamente rispettoso. Quod Legislator voluit dixit: il commentatore e il discepolo di oggi, l’esecutore di domani, devono anzitutto imparare l’obbedienza e la fedeltà al testo, al quale il Legislatore ha affidato la sua volontà e la sua intenzione. Staccarsi dal testo o anche solo marginalizzarlo, spesso è occasione per la proposizione ed elaborazione di sistemi e proposte del singolo Autore, la cui forza è ben lontana dalla autorità formale e reale del Legislatore. In secondo luogo l’ermeneutica della continuità. Quando, con un po’ di sorpresa, la Chiesa ha sentito alla vigilia del Natale del 2005 Benedetto XVI rivolgere alla Curia Romana l’appello ad una necessaria ermeneutica della continuità nell’accostamento al Concilio Vaticano II e ai suoi insegnamenti, si è ben compreso che non si trattava di un principio proposto per un caso singolare, quanto piuttosto del comune modo di procedere nell’organismo vivente, nel Corpo di Cristo, che è la Chiesa, per una feconda missione. Non diversamente quindi accade in una buona lettura delle innovazioni nel campo giuridico della Chiesa. Ed è quanto si legge in filigrana nell’impostazione degli atti di questo Incontro di Studio. La riforma dei processi di nullità matrimoniale voluta da papa Francesco è presentata in I U S M I S S I O N A L E – QUADERNO 9

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continuità con i principi della tradizione, che consentono di interpretare le novità rapportandole al costante e immutato tentativo della Chiesa di corrispondere alla sua missione nei tempi che si susseguono. L’andamento della esposizione consente di ravvisare questo equilibrio: è evidente soprattutto nella scelta delle fonti alle quali ci si rivolge per dare profondità di campo ai testi della riforma. Non si trascura in tal modo l’istruzione Dignitas connubii, gli interventi dei Dicasteri della Curia Romana e le allocuzioni dei Romani Pontefici alla Rota Romana degli ultimi decenni. Infine, l’intento pratico. Una riforma dei processi di nullità matrimoniale è fatta per funzionare. Ed il suo funzionamento dipende dall’abbandono di riserve preconcette, spesso alimentate da pretesti esegetici raffinati, a favore di una proposta di applicazione realistica. È offerta qui solitamente l’interpretazione più comune e diffusa; non mancano neppure suggerimenti. Tra questi si deve apprezzare in peculiare modo l’invito alla formazione, continua, di coloro nelle mani dei quali la riforma è posta e dai quali perciò dipende per gran parte la sua riuscita. Il Legislatore dispone secondo volontà e prudenza; i commentatori spiegano secondo scienza e capacità; ma solo i Vescovi Moderatori dei Tribunali diocesani, eparchiali, interdiocesani e intereparchiali, i Vicari giudiziali, giudici, difensori del vincolo e promotori di giustizia, avvocati e notai realizzano quanto è stato disposto e da loro i fedeli ricevono quanto è stato stabilito nella legge. L’auspicio è che questa virtuosa catena di trasmissione – Legislatore, commentatori, operatori – possa disporre sempre di strumenti di lavoro idonei a perpetuarla e rafforzarla, qua sit Ecclesia felix. Dominique Card. MAMBERTI Prefetto Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica

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Il presente volume approfondisce diversi aspetti della riforma del processo canonico di nullità matrimoniale, fortemente voluta dal Santo Padre Francesco e introdotta con la promulgazione dei motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et Misericors Iesus. Com’è ben noto, la tanto auspicata riforma del processo di nullità matrimoniale canonico si ispira ad alcuni principi fondamentali, che lo stesso papa Francesco si è premurato di evidenziare nel proemio dei motu proprio, e che le conferiscono una spiccata connotazione pastorale. L’iniziativa del Santo Padre, infatti, procede dalla consapevolezza, confermata anche dalla maggioranza espressa nel corso del Sinodo straordinario sulla famiglia del 2014, dell’esistenza di un gran numero di fedeli che versano in situazioni matrimoniali difficoltose e che chiedono alla Chiesa una parola chiarificatrice per la propria coscienza. Così, da questa rinnovata consapevolezza nascono i principi che hanno guidato la riforma del processo: il principio della centralità del Vescovo quale giudice naturale dei fedeli, il principio della sinodalità nel servizio della giustizia, con la rivalutazione del ruolo del Metropolita, il principio della prossimità del giudice ed il principio di una giusta celerità e semplicità del processo. Nondimeno, non è sfuggita al Santo Padre la necessità di salvaguardare secondo verità e giustizia il principio della indissolubilità del vincolo matrimoniale, a cui tutela si è voluta preservare la via giudiziale come unica via procedurale per il processo di nullità matrimoniale. Dai principi ispiratori scaturiscono le novità introdotte dalla riforma, tra le quali vanno senz’altro menzionate l’abrogazione dell’istituto plurisecolare della doppia sentenza conforme per il passaggio a nuove nozze e il nuovo processo breviore dinanzi al Vescovo. Ambedue le novità vanno nella direzione di una giusta celerità e semplicità del processo, manifestano da parte del Legislatore Supremo una sempre maggiore fiducia nell’operato dei Tribunali ecclesiastici, ed al tempo stesso investono di nuove e più gravose responsabilità sia gli operatori del diritto sia, in prima persona, i Vescovi. In tal senso, appare oggi questione quanto mai urgente la necessità di formare validi e preparati operatori dei Tribunali ecclesiastici per poter attuare la riforma della macchina processuale secondo lo spirito della norma e gli intendimenti del Santo Padre. Di tale necessità è ben consapevole lo stesso Legislatore Supremo, il I U S M I S S I O N A L E – QUADERNO 9

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quale all’art. 8 delle Regole Procedurali afferma che tra i compiti più urgenti ed importanti affidati al Vescovo con la riforma, vi è che questi «si preoccupi di formare quanto prima, anche mediante corsi di formazione permanente e continua, promossi dalle diocesi o dai loro raggruppamenti e dalla Sede Apostolica in comunione di intenti, persone che possano prestare la loro opera nel Tribunale per le cause matrimoniali da costituirsi».

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Tutto ciò richiede da parte dei soggetti interessati una vera e propria “conversione pastorale”, per attuare efficacemente una riforma indubbiamente molto articolata, e perseguire l’obiettivo della vicinanza al gran numero di fedeli oggi sempre più lontani a motivo della propria situazione personale e matrimoniale. Non si può negare, d’altra parte, che sin dal giorno della promulgazione i due motu proprio di papa Francesco abbiano destato un vivissimo interesse negli studiosi e negli operatori del settore ed abbiano suscitato molteplici iniziative di studio e di riflessione, che certamente favoriscono l’approfondimento della normativa appena introdotta ed una sua corretta ed efficace applicazione ed al tempo stesso contribuiscono a quella formazione degli operatori tanto vivamente desiderata ed auspicata dal Papa. Tra tali molteplici iniziative si colloca questa pubblicazione, che raccoglie gli atti della giornata di studio promossa dalla Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana il 12 aprile 2016: “Le Riforme introdotte dal m. p. Mitis Iudex Dominus Iesus”. L’incontro di studio, rivolto principalmente agli studenti di Diritto canonico della medesima Università ma aperto anche agli studiosi ed operatori del diritto, ha visto la partecipazione di un numeroso e qualificato uditorio e l’intervento di quattro docenti della succitata Facoltà, con l’intento precipuo di presentare in maniera sintetica la riforme introdotte nella Chiesa latina dal motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus approfondendone alcuni aspetti ritenuti più interessanti o talvolta problematici. I contributi raccolti sono quattro: I principi ispiratori della riforma e le loro incidenze sui profili attinenti al processo ordinario di nullità matrimoniale (Ernest B. O. Okonkwo); Il processo più breve: condizioni per la sua introduzione, procedura, decisione (Luigi Sabbarese); Mitis Iudex Dominus Iesus. Alcune considerazioni sull’art. 14 delle Regole procedurali (Andrea D’Auria); I mezzi di impugnazione: alcune considerazioni (Alessandro Recchia). Lasciando al lettore il compito di analizzare e valutare ogni singolo contributo, vale la pena di sottolineare lo sforzo e l’impegno da parte dei relatori per leggere con onestà intellettuale e competenza scientifica le norme appena in12

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trodotte, secondo un criterio di ermeneutica della continuità che consente di vedere ogni cambiamento in continuità piuttosto che in rottura con la normativa preesistente, nell’ottica fondamentale della Ecclesia semper reformanda ed in vista del superiore bene delle anime. Ci si augura che tutti i fedeli, soprattutto gli studenti e gli studiosi di diritto canonico e gli operatori dei Tribunali ecclesiastici, trovino in questo volume un valido aiuto per l’approfondimento e l’implementazione delle riforme introdotte dal motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, auspicando che il cammino comune di approfondimento e applicazione della nuova normativa possa presto portare i frutti desiderati e benefici per tutto il popolo di Dio. Documento acquistato da () il 2023/04/16.

Ernest B.O. Okonkwo – Alessandro Recchia

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Abbreviazioni e sigle

art./artt. AAS can./cann. CCEO Cf. CIC

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CIC 1917

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DC EV 1

ibid. LG MIDI

articolo/articoli Acta Apostolicae Sedis canone/canoni Codex canonum Ecclesiarum orientalium auctoritate Ioannis Pauli pp. II promulgatus, diei 18 octobris 1990, AAS LXXXII (1990), 1033-1363. confer Codex iuris canonici, auctoritate Ioannis Pauli pp. II promulgatus, diei 25 ianuarii 1983, AAS LXXV (1983) pars II, 1-317. Codex iuris canonici Pii X Pontificis maximi iussu digestus Benedicti papae XV auctoritate promulgatus, praefactione, fontium adnotatione et indice analytico-alphabetico ab E.mo Petro card. Gasparri auctus, Romae 1918. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 28 ottobre 1965, AAS LVIII (1966) 673-701; EV 1, nn. 573-701, pp. 714-779. PONTIFICIUM CONSILIUM DE LEGUM TEXTIBUS, Instr. Dignitas connubii, diei 25 ianuarii 2005, “Communicationes” XXXVII (2005), 11-92. Enchiridion Vaticanum, vol. 1: Documenti ufficiali del Concilio Vaticano II 1962-1965. Testo ufficiale e versione italiana, EDB, Bologna 200218. ibidem CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, 21 novembre 1964, AAS LVII (1965), 5-71; EV 1, nn. 284-456, 464-633. FRANCESCO, Lettera apostolica data Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus con cui si riformano i canoni del Codice di Diritto Canonico sulle cause di nullità matrimoniale, 15 agosto 2015, “L’Osservatore romano” 9 settembre 2015, 3-6; Nuove norme per la dichiarazione di nullità del matrimonio, EDB, Bologna 2016, 43-67. Per il testo latino: FRANCISCUS, Litterae apostolicae motu proprio datae Mitis Iudex Dominus Iesus quibus canones codicis

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n./nn. RP s./ss. Sussidio applicativo

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UR §/§§

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iuris canonici de causis ad matrimonii nullitatem declarandam reformantur, diei 15 augusti 2015, in w2.vatican.va/content/francesco/la/motu_proprio/documents/ papa-francesco-motuproprio_20150815_mitis-iudex-dominus-iesus.html. numero/numeri Regole procedurali per la trattazione delle cause di nullità matrimoniale annesse al MIDI; Nuove norme per la dichiarazione di nullità del matrimonio, EDB, Bologna 2016, 61-67. seguente/seguenti TRIBUNALE APOSTOLICO DELLA ROTA ROMANA, Sussidio applicativo del Motu pr. Mitis Iudex Dominus Iesus, Città del Vaticano, gennaio 2016; cf. anche Nuove norme per la dichiarazione di nullità del matrimonio, EDB, Bologna 2016, 69-133. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio, 21 novembre 1964, AAS LVII (1965), 90-112; EV 1, nn. 494-572, 664-711. paragrafo/paragrafi

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Premessa

Ogni riforma, ossia ogni modifica parziale o integrale di uno status quo ritenuto imperfetto, in particolare di un’istituzione o di un ordinamento giuridico, fatta con l’intento di migliorarlo, coinvolge gli esseri umani, che sono fragili e in continua evoluzione. Il Concilio Vaticano II afferma nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium1 che la Chiesa terrestre non cessa mai di rinnovare se stessa con l’aiuto dello Spirito Santo; parimenti, nel decreto sull’ecumenismo, Unitatis Redintegratio, così si esprime sulla necessità di una continua riforma: La Chiesa pellegrinante sulla terra è chiamata da Cristo a questa perenne riforma della quale essa, in quanto istituzione umana e terrena, ha continuo bisogno, così che, se alcune cose, sia nei costumi sia nella disciplina ecclesiastica, sia anche nel modo di esporre la dottrina – modo che deve essere accuratamente distinto dallo stesso deposito della fede – sono state osservate poco accuratamente per le circostanze di luogo e di tempo, al momento opportuno siano rimesse nel giusto e debito ordine2.

Nello spirito di una perenne riforma della Chiesa, il Sommo Pontefice, supremo Legislatore universale della Chiesa cattolica, ha riformato il processo per la dichiarazione di nullità matrimoniale nel Codice (cc. 1671-1691)3 con il motu proprio4 Mitis Iudex Dominus Iesus, che è composto di tre parti: il Proemio, 21 canoni, 11 Cf. LG, n. 9; EV 1, n. 310. 12 UR, n. 6; EV 1, n. 520. 13 Sono 21 i canoni modificati. 14 «Motu proprio: Atti che il Romano Pontefice emana spontaneamente, senza che siano stati preceduti da suppliche o istanze e se queste vi sono state non vengono prese in considerazione»: F. D’OStiLiO, Il Diritto amministrativo della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995, 337.

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I principi ispiratori della riforma e le loro incidenze sui profili attinenti al processo ordinario

21 articoli di Regole procedurali. Firmato il 15 agosto 2015, pubblicato l’8 settembre 2015 ed entrato in vigore l’8 dicembre dello stesso anno, il MIDI non è applicabile alle cause matrimoniali prima dell’8 dicembre 2015.

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Oltre la premessa e la conclusione, questo intervento prevede quattro punti: 1) le spinte riformatrici del processo per la dichiarazione di nullità matrimoniale; 2) i principi ispiratori della riforma del processo; 3) le incidenze dei principi della riforma su qualche profilo concernente il processo ordinario per la dichiarazione di nullità del matrimonio; 4) qualche osservazione e suggerimento. Le spinte riformatrici del processo per la dichiarazione di nullità matrimoniale

1

Dal testo del MIDI si può desumere che lo status quo circa la prassi canonica e le strutture giuridiche attinenti al processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio nel CIC antecedenti al MIDI non fossero tanto gradite a molti fedeli. Il MIDI enuclea due significative motivazioni che hanno resa necessaria la riforma: la lontananza fisica e morale dai tribunali da parte di un consistente numero di fedeli e la lentezza del processo, che porta ad una ritardata definizione del giudizio5. Giova ricordare che il documento preparatorio del Sinodo dei Vescovi del 2013 in vista della III Assemblea generale straordinaria del 2014: Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione, nel numero 4(f) del questionario, poneva la domanda: «Lo snellimento della prassi canonica in ordine al riconoscimento della dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale potrebbe offrire un reale contributo positivo alla soluzione delle problematiche delle persone coinvolte? Se sì, in quali forme?»6. Una parte della risposta a questa domanda è stata data dai Padri sinodali nella Relatio Synodi della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi: «Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione» (5-19 ottobre 2014). Al numero 48 di questa Relatio Synodi si legge: «Un grande numero dei

15 Cf. MiDi, Proemio. 16 Cf. www.vatican.va/roman-curia/synod/documents/rc_synod_doc_20131105_iii_assemblea_sinodovescovi_it.html.

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padri ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili e agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità»7. Così il Romano Pontefice, nello sforzo di adempiere il desiderio della maggioranza dei Padri sinodali, in data 27 agosto 2014 aveva già istituito una Commissione Speciale di studio per la riforma del processo matrimoniale canonico. La Commissione, presieduta dal Decano del Tribunale della Rota Romana, Mons. Pio Vito Pinto, era composta da dodici esperti canonisti8, ed il punto di arrivo del lavoro della Commissione è stato il MIDI, che dà principi e norme da seguire per il nuovo processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio nella Chiesa Latina. I principi ispiratori della riforma del processo

2

Come si evince dal MIDI, i principi ispiratori che sono alla base della riforma possono essere così elencati: il principio dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale, il principio della pastoralità del diritto, la centralità del Vescovo nel servizio della giustizia, la sinodalità nel servizio pastorale della giustizia, la prossimità del giudice, la giusta semplicità e celerità del processo. Il principio dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale

2.1

Tale principio è ben espresso nelle parole del Romano Pontefice che si possono leggere nel Proemio del MIDI: «Ho stabilito di mettere mano alla riforma dei processi di nullità del matrimonio […] fermo restando comunque il principio dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale»9. L’indissolubilità del vincolo matrimoniale, ossia la perpetuità o l’inseparabilità del valido vincolo matrimoniale è una delle proprietà essenziali del matrimonio10. Esistono due tipi di indissolubilità: indissolubilità intrinseca e indissolubilità estrinseca. L’indissolubilità intrinseca di ogni valido matrimonio, naturale o sacramentale, implica che tale matrimo17 Cf. SinODO DEi VESCOVi, iii Assemblea Generale Straordinaria, Relatio Synodi, 18 ottobre 2014, n. 48, “L’Osservatore Romano” 20-21 ottobre 2014, 8; placet 143; non placet 35. 18 Cf. “L’Osservatore Romano” 21 settembre 2014, 1. 19 MiDi, Proemio. 10 Cf. can. 1056 CiC.

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I principi ispiratori della riforma e le loro incidenze sui profili attinenti al processo ordinario

nio non può essere sciolto dal mutuo consenso delle parti. L’indissolubilità estrinseca assoluta del matrimonio rato e consumato implica che nessuna autorità umana può sciogliere tale vincolo matrimoniale11. 2.2

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Il principio della pastoralità del diritto

Il beato Paolo VI, nel suo insegnamento circa la natura pastorale del diritto della Chiesa, ricordava ai giudici e agli officiali della Rota Romana che «il diritto canonico est ius societatis visibilis quidem sed supernaturalis quae verbo et sacramentis aedificatur et cui propositum est homines ad aeternam salutem perducere»12. Con questa definizione del diritto canonico, si evidenzia la missione salvifica del diritto ecclesiale con il suo carattere pastorale e proteso alla salvezza delle anime. Sillogisticamente, si può dire che il processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio, facendo parte del diritto canonico, non può che essere anche esso pastorale. Nessuna meraviglia quindi se nel proemio del MIDI si legge: «È […] la preoccupazione della salvezza delle anime, che – oggi come ieri – rimane il fine supremo delle istituzioni, delle leggi, del diritto, a spingere il Vescovo di Roma ad offrire ai Vescovi questo documento di riforma». Il principio della centralità del Vescovo nel servizio della giustizia

2.3

Per divina istituzione, i Vescovi, soprattutto i Vescovi diocesani, che reggono con la sacra potestà le chiese particolari a loro affidate come vicari di Cristo, legati di Cristo, successori degli Apostoli, pastori del loro gregge, a nome di Cristo e sotto l’autorità del Sommo Pontefice13, «hanno il sacro diritto e il dovere davanti al Signore di dare leggi ai loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene al buon ordinamento del culto e all’apostolato»14. I Vescovi diocesani quindi non possono che essere al centro nel servizio della giustizia con la loro sacra potestà ordinaria, propria e immediata15 essendo anche loro «il principio visibile 11 Cf. F. M. CAPPELLO, Tractatus Canonico – Moralis de sacramentis, vol. V. De Matrimonio, Marietti, taurini-Romae 19617, n. 451, 38. 12 PAOLO Vi, Allocuzione alla S. Romana Rota, 8 febbraio 1973, AAS LXV (1973), 96. 13 Cf. LG, n. 18; EV 1, nn. 328-329. 14 LG, n. 27; EV 1, n. 351. 15 Cf. CD, n. 8; EV 1, n. 586.

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e il fondamento dell’unità delle loro Chiese particolari»16. Il MIDI è fedele a questo principio della centralità del Vescovo nel servizio della giustizia derivato dall’insegnamento del Concilio Vaticano II. Infatti, il Romano Pontefice, Francesco, sulla riforma dei processi matrimoniali, ha espresso la propria mens nelle seguenti parole: «Il Vescovo diocesano ha il diritto nativo e libero in forza di questa legge pontificia di esercitare personalmente la funzione di giudice e di erigere il suo tribunale diocesano»17. Inoltre, se del caso, i Vescovi diocesani di una provincia ecclesiastica hanno diritto nativo di creare liberamente un tribunale interdiocesano o quelli di più province ecclesiastiche di creare un tribunale interdiocesano sia di prima che di seconda istanza, a norma della legge ecclesiale18. In ragione di questa centralità del Vescovo nel servizio della giustizia, secondo la mens del Supremo Legislatore, spetta al Vescovo diocesano, come iudex natus, non solo di esercitare personalmente l’ufficio di giudice, come nel caso del processus brevior, ma soprattutto di vigilare sull’attività del tribunale diocesano, da lui costituito, ed assicurare la retta amministrazione della giustizia. Il principio della sinodalità nel servizio pastorale della giustizia

2.4

Il camminare insieme con il Romano Pontefice e con i membri del collegio episcopale è espressione concreta della sollecitudine pastorale, una sollecitudine che si concretizza anche nel servizio pastorale della giustizia. Così, tutti i Vescovi sono chiamati a esprimere la comunione gerarchica e la sinodalità nel servizio pastorale della giustizia. Infatti, «i Vescovi […] sappiano essere sempre tra loro uniti e si dimostrino solleciti di tutte le Chiese: ricordando che, per divina disposizione e dovere del ministero apostolico, ognuno di essi, insieme con gli altri Vescovi, è garante della Chiesa»19. In questo spirito di sinodalità, il MIDI rafforza e ripristina l’istituto plurisecolare dell’appello alla sede del Metropolita, quale capo della provincia ecclesiastica, intendendo così enfatizzare un segno distintivo della sinodalità nella Chiesa20. Nell’ottica della sinodalità nel servizio pastorale di 16 LG, n. 23; EV 1, n. 338. 17 “L’Osservatore Romano” 8 novembre 2015, 8. 18 Cf. ivi. 19 CD, n. 6; EV 1, n. 582. 20 Cf. MiDi, Proemio, V.

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I principi ispiratori della riforma e le loro incidenze sui profili attinenti al processo ordinario

giustizia, si mantiene anche l’appello alla Sede Apostolica, cioè al Tribunale della Rota Romana, sia nel processo ordinario che nel processo più breve, ed in tal modo si evidenzia anche la sinodalità fra la Sede di Pietro e le Chiese particolari21. Inoltre, spetta anche alla Rota Romana, nello spirito della sinodalità del servizio alla giustizia, promuovere corsi di formazione per gli operatori dei Tribunali ecclesiastici22. 2.5

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Il principio di prossimità del giudice

La sinodalità nel servizio della giustizia si completa con il principio di prossimità del giudice. È un principio secondo cui i Vescovi diocesani sono vicini e camminano insieme al resto del popolo di Dio nel servizio pastorale della giustizia, perché si eviti che tanti fedeli vengano «distolti dalle strutture giuridiche della Chiesa a causa della distanza fisica o morale»23 e si manifesti «la prossimità della Chiesa alle famiglie ferite»24. Nell’ottica della sinodalità dei Vescovi e della prossimità del giudice, il MIDI impone alle Conferenze Episcopali il compito di stimolare e di aiutare i singoli Vescovi diocesani a mettere in pratica la riforma del processo matrimoniale senza prevaricare la loro potestà giudiziale25. Spetta anche alle Conferenze Episcopali di redigere un Vademecum per assicurare una procedura comune attinente allo svolgimento dell’indagine pastorale26 e, per quanto possibile, anche di curare la gratuità delle procedure27. Il principio di giusta semplicità e celerità del processo

2.6

Il principio di giusta semplicità e celerità del processo mira ad eliminare alcune norme per la dichiarazione di nullità matrimoniale. Questo non perché tali norme siano di per sé banali, ma perché sono superflue nel raggiungere velocemen21 Cf. MiDi, Proemio, Vii. 22 Cf. RP, art. 8, § 1. 23 MiDi, Proemio. 24 Cf. Rescritto “ex Audientia SS.mi” sulla nuova legge del processo matrimoniale, in Sussidio applicativo, 49. 25 Cf. MiDi, Proemio, Vi. 26 Cf. RP, art. 3. 27 Cf. MiDi, Proemio, Vi.

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te, senza lassismo, lo stesso fine del processo matrimoniale, cioè un giudizio conforme alla verità e al diritto circa l’asserita esistenza o meno del vincolo matrimoniale28. In accordo con l’aforisma «giustizia ritardata è giustizia negata» di Montesquieu, questo principio facilita una rapida definizione del giudizio sui dubbi dello stato matrimoniale di alcuni fedeli. Infatti, in riferimento a questo principio, il Supremo Legislatore scrive:

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[…] ho deciso di dare con questo motu proprio disposizioni con le quali si favorisca non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi, non meno che una giusta semplicità, affinché, a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio29. Le incidenze dei principi ispiratori della riforma su alcuni profili del processo ordinario per la dichiarazione di nullità del matrimonio

3 3.1

Il processo ordinario

Innanzitutto, giova ricordare che nel linguaggio giuridico il processo e la procedura, come riteneva F. Carnelutti, «indicano un insieme di mezzi di cui si serve l’ordinamento giuridico per risolvere le controversie [sic o le cause] giuridiche, applicando la legge nei casi concreti»30. A differenza dei processi per divorzio ed annullamento del vincolo matrimoniale, che consistono nello scioglimento di un vincolo matrimoniale valido, specialmente nel diritto civile, il processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio nel diritto canonico «non tocca il vincolo matrimoniale, ma si limita a rilevare, dopo accurato esame, che esso non è mai esistito»31 fin dal momento della prestazione del consenso. Questo perché il matrimonio è un atto giuridico e la mancanza di uno o più elementi richiesti per la validità – persona abile (nessun impedimento), elemento costitutivo (consenso), e formalità (forma canonica) – porta all’invalidità o inefficacia di tale matrimonio32. 28 Cf. PiO Xii, Allocuzione alla S. Romana Rota, 2 ottobre 1944, AAS XXXVi (1944), 282, n. 1. 29 MiDi, Proemio. 30 F. CARnELUtti, Sistema del diritto processuale I, Padova 1939, 65. 31 i. GORDOn, Dichiarazione di nullità e dispensa del matrimonio, in P. ADnèS Et stabilità nel matrimonio, Università Gregoriana Editrice, Roma 1976, 133.

ALii

(a cura di), Amore e

32 Cf. can. 124 CiC.

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Secondo quanto hanno scritto V. De Paolis e A. D’Auria:

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L’inefficacia o invalidità ricomprende quindi due categorie differenti: nullità e inesistenza. […] La differentia specifica risiede invece nel fatto che nel primo caso l’atto è giuridicamente rinvenibile in tutti i suoi elementi costitutivi; nel secondo caso invece non si potrà nemmeno più parlare di atto giuridico per una gravissima deformità dello stesso che porta ad una grave difformità dalla fattispecie tipica33.

Prima del MIDI i processi per la dichiarazione di nullità del matrimonio nel Codice Latino erano soltanto due: il processo ordinario e il processo documentale. Ora, la riforma aggiunge un terzo processo, ossia il processus brevior coram Episcopo diocesano. Mentre il processo più breve si applica a qualsiasi caso di nullità matrimoniale più evidente, il processo documentale, basato su documenti certi e inoppugnabili, si applica non a qualsiasi caso di nullità ma ad alcuni casi di nullità matrimoniali, evidenti, certi e indubitati. La brevità è una caratteristica di questi due processi. Il processo ordinario, invece, non gode della brevità nel suo svolgimento. Esso si può applicare in qualsiasi caso di nullità matrimoniale, soprattutto nei casi meno evidenti e certi, seguendo le sue fasi: introduttiva, istruttoria, dibattimentale, decisiva ed alcune volte anche impugnativa. Diritto ad impugnare il matrimonio

3.2

I coniugi, battezzati e non battezzati, hanno lo ius accusandi e possono essere attori nei processi per la dichiarazione di nullità del matrimonio34. A norma della legge canonica, i non battezzati non sono membri della Chiesa né sono soggetti alle leggi ecclesiastiche. Tuttavia, avendo i diritti naturali propri di tutti gli esseri umani, quando hanno qualche rapporto giuridico con i membri della Chiesa, come nel caso del matrimonio canonico, non possono non essere considerati quali soggetti di diritti e doveri nell’ambito dell’ordinamento canonico35. Quindi, il non battezzato che, per esempio, ha celebrato un matrimonium

33 V. DE PAOLiS – A. D’AURiA, Le Norme Generali. Commento al Codice di Diritto Canonico, (Manuali – Strumenti di studio e ricerca XXXV), Urbaniana University Press, Città del Vaticano 20142, 360. 34 Cf. cann. 1476 CiC; 1674, § 1 MiDi. 35 Cf. cann. 11, 96, 221, 1476, 1059, 1400 CiC.

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disparitatis cultus, ha lo ius accusandi nei processi per la dichiarazione di nullità del matrimonio. Non basta essere titolare di diritti e doveri in ecclesia o in iure canonico per accusare il matrimonio, occorre avere anche la capacità legittima di stare in giudizio, ossia la capacità processuale e la capacità di agire36.

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Ognuno dei coniugi, che possiede i sopraddetti requisiti per accusare il matrimonio, può liberamente delegare lo ius accusandi ad un procuratore e avvocato che ha costituito e munito di legittimo mandato di rappresentanza37. D’altronde, al coniuge che è sprovvisto dello ius standi in iudicio per mancanza di capacità di agire, per esempio per mancanza di uso di ragione, è assegnato un curatore costituito dall’autorità competente per rappresentarlo, a norma della legge38. Il promotore di giustizia, che tutela il bene pubblico, gode dello ius accusandi nei processi per la dichiarazione di nullità matrimoniale quando questa è già resa nota, non soltanto ai coniugi e alle persone a loro vicine, ma anche al pubblico. In questa situazione, perché si eviti lo scandalo nella comunità dei fedeli non è possibile e neppure opportuno convalidare tale matrimonio la cui nullità è ormai pubblica39. L’impugnazione indiretta: non essendo possibile l’impugnazione diretta del matrimonio che non fu impugnato, viventi entrambi i coniugi, si può impugnare indirettamente tale matrimonio se uno o entrambi i coniugi muoiono e il chiarimento sulla nullità o meno del loro matrimonio è pregiudiziale per la decisione di una controversia giacente sia nel foro civile che nel foro canonico40. In questo caso si può ipotizzare una controversia sull’eredità e sulla persona legittimata ad ereditare l’intero patrimonio, per es. il coniuge vivente. L’impugnazione durante processu: nonostante il rimando del can. 1674, § 3 MIDI al can. 1518 CIC quando un coniuge muore durante il processo, le Regole procedurali annesse al MIDI nell’art. 9 presentano qualche divario. Mentre infatti il can.

36 Cf. can. 1505, § 1 CiC. 37 Cf. cann. 1481, § 1; 1484 CiC. 38 Cf. can. 1478, § 2 CiC. 39 Cf. can. 1674, § 1 MiDi; “Communicationes” Xi (1979), 259. 40 Cf. can. 1674, § 2 MiDi.

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I principi ispiratori della riforma e le loro incidenze sui profili attinenti al processo ordinario

1518, 1° non considera nominatamente l’altro coniuge sopravvissuto tra le persone che possono richiedere la prosecuzione dell’istanza, a causa non ancora conclusa, né la prova dell’interesse legittimo, l’art. 9 RP prescrive: «Se il coniuge muore durante il processo, prima che la causa sia conclusa, l’istanza viene sospesa finché l’altro coniuge o un altro interessato richieda la prosecuzione; in questo caso si deve provare l’interesse legittimo».

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L’interesse legittimo può definirsi come: […] una situazione giuridica soggettiva attiva che si fonda su di una relazione giuridicamente rilevante del soggetto con un determinato bene giuridico, e che permette al suo titolare di utilizzare i mezzi che l’ordinamento giuridico pone a disposizione degli interessati per ottenere qualcosa che dipende dalla potestà dell’amministrazione ecclesiastica (tali mezzi possono essere: le diverse modalità di impiego del diritto di petizione, l’intervento in una pratica il cui risultato può ricordare l’interessato, l’impugnazione di atti dell’amministrazione nei modi previsti ecc.)41.

Questo interesse legittimo di un soggetto, che ha come oggetto una utilità o un bene della vita, che il soggetto intende conservare o conseguire con l’aiuto dell’autorità competente, riflette i principi già richiamati della sinodalità nel servizio della giustizia e della prossimità del giudice. A causa conclusa, il giudice procede ad ulteriora dopo aver citato il coniuge sopravvissuto o il suo procuratore se vi è, altrimenti cita l’erede del defunto o il successore del defunto42. La competenza e i fori competenti nell’esame delle cause di nullità matrimoniale

3.3

Generalmente si può considerare la competenza come il possesso giuridico della qualificazione, attribuzione e giurisdizione in un certo ambito da parte di un sog-

41 J. MiRAS – J. CAnOSA – E. BAURA, Compendio di diritto amministrativo canonico, (Subsidia canonica iV), Edusc, Roma 20092, 415-416. 42 Cf. L. SABBARESE, Il matrimonio canonico nell’ordine della natura e della grazia. Commento al Codice di Diritto Canonico Libro iV, Parte i, titolo Vii, (Manuali – Strumenti di studio e ricerca XLVi), Urbaniana University Press, Città del Vaticano 20164, 443.

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getto o oggetto. L’esercizio della competenza dipende concretamente da ogni ambito in cui essa va determinata. Nell’ambito del diritto canonico, la competenza nelle cause di nullità matrimoniale spetta al giudice ecclesiastico43. Inoltre, nelle cause di nullità matrimoniali dei battezzati non cattolici e dei non battezzati, il giudice ecclesiastico può esaminare le cause se è necessaria la prova dello stato libero di una delle parti coram ecclesia catholica44. Nel trattare tali cause matrimoniali, per es. nel matrimonio misto, si applica il «diritto proprio della Chiesa o della Comunità ecclesiale alla quale appartiene la parte non cattolica, se tale Comunità ha un diritto matrimoniale proprio»45, o si applica il «diritto in vigore presso la Comunità ecclesiale alla quale appartiene la parte non cattolica, se tale Comunità è priva di un diritto matrimoniale proprio»46. Nel matrimonio di coniugi acattolici battezzati, quanto al diritto, si applicano le prescrizioni per il matrimonio misto sopraddette47. Tuttavia, per quanto riguarda la forma della celebrazione, «la Chiesa riconosce qualsiasi forma prescritta o ammessa nella Chiesa o nella Comunità ecclesiale di cui le parti erano membri al tempo della celebrazione del matrimonio, purché, se almeno una delle parti è fedele di una Chiesa orientale acattolica, il matrimonio sia stato celebrato con un rito sacro»48. Nella causa matrimoniale di due coniugi non battezzati, si seguono le norme del diritto processuale canonico e, fatto salvo il diritto divino, si decide la causa «in base alle norme del diritto cui le parti erano soggette al tempo della celebrazione del matrimonio»49. In tutte queste fattispecie delle cause matrimoniali, gli effetti puramente civili del matrimonio che non toccano la sostanza del matrimonio, come l’eredità, gli alimenti, ecc., spettano al magistrato civile. Tuttavia, ove il diritto particolare, come quello concordatario, lo stabilisce, il giudice ecclesiastico può trattare definitivamente gli effetti meramente civili «secondo la procedura incidentale, in maniera accessoria rispetto alla causa principale della dichiarazione di nullità del matrimonio»50. 43 Cf. can. 1671, § 1 CiC. 44 Cf. DC, art. 3, § 2. 45 DC, art. 2, § 2. 46 DC, art. 2, § 2. 47 Cf. DC, art. 4, § 1. 48 DC, art. 4, § 2. 49 DC, art. 4, § 2. 50 Cf. can. 1671, § 2 CiC; L. SABBARESE, Il matrimonio canonico, 429.

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Il giudice ecclesiastico esercita la sua competenza in fori o tribunali che si ripartiscono per materia, per persona, per territorio e per grado. Il foro competente per materia riguarda il tipo di causa che si tratta: per es. le cause matrimoniali e non le cause penali. Il foro ratione personae del Romano Pontefice, secondo i cann. 1405, § 1, 1° e 4° e 1417 CIC, comporta la riserva di alcune cause: le cause matrimoniali dei Capi di Stato, le cause matrimoniali che il Romano Pontefice abbia avocato al proprio giudizio, le cause matrimoniali introdotte o deferite liberamente in qualunque grado o istanza da qualunque fedele presso la Santa Sede ed accettate dal Romano Pontefice in forza del primato apostolico. A norma del can. 1444, § 2 CIC, la Rota Romana giudica queste cause, «salvo che nel rescritto di commissione non si sia disposto altrimenti». Il foro competente per territorio nelle cause di nullità matrimoniali ha avuto qualche modifica con il MIDI. Infatti, prima del MIDI, i brocardi «locus regit actum» e «actor sequitur forum partis conventae»51 determinavano il foro competente per territorio. L’eventuale competenza del foro dell’attore necessitava di alcune condizioni, quali l’appartenenza alla giurisdizione della medesima Conferenza Episcopale, l’assenso del Vicario Giudiziale della parte convenuta, ecc. Invece, con il MIDI, i brocardi reggono ancora, ma regge anche il brocardo «actor sequitur forum suum», senza le condizioni precedenti, ritenute superflue. Godono, quindi, della competenza per territorio nelle cause matrimoniali il foro del contratto, il foro del domicilio o quasi-domicilio di una o entrambe le parti (attore e/o convenuta); il foro del luogo dove si debba raccogliere la maggior parte delle prove52. Il foro competente per grado è istituito ad normam iuris per trattare le cause di nullità matrimoniali secondo il grado di giudizio designato dall’autorità competente. Con il MIDI, in accordo con il principio della centralità del Vescovo nel servizio della giustizia, il Vescovo diocesano, senza il permesso della Conferenza Episcopale, ha il diritto e l’obbligo di costituire, nella sua diocesi, un tribunale diocesano per le cause di nullità matrimoniali di primo grado di giudizio o di accedere

51 Can. 1407, § 3 CiC. 52 Cf. can. 1672 MiDi.

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ad un altro viciniore tribunale diocesano o interdiocesano di pari grado o di recedere liberamente dall’ultimo53. Il secondo grado per l’appello è il Tribunale Metropolitano di secondo grado di giudizio o il Tribunale della Rota Romana. Tutti i Vescovi diocesani o alcuni Vescovi della stessa provincia o di più province possono, a norma della legge, erigere Tribunali interdiocesani sia per il primo che per il secondo grado. Il terzo grado di giudizio è il Tribunale della Rota Romana che, tra l’altro, tratta la nuova proposizione della causa54.

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L’introduzione della causa nel processo per nullità matrimoniale

3.4

La fase introduttiva dà inizio in senso stretto al processo per la dichiarazione di nullità matrimoniale. Il profilo di questa fase ad normam iuris prima della riforma comportava: la presentazione del libello, la costituzione del collegio giudicante o giudice unico, gli atti previ alla ammissione/reiezione del libello, l’ammissione/reiezione del libello, la citazione, e la concordanza e formulazione del dubbio. Il MIDI, nello spirito del principio di giusta semplicità e celerità del processo, non ha trascurato nessun elemento di questa prima fase, ma ha preferito amalgamare e riordinare qualche parte. In primis, nello spirito del brocardo «nemo iudex sine actore», l’attore/attrice nella causa di nullità matrimoniale presenta il libello, ossia un breve scritto di domanda giudiziale con il quale si investe un giudice del compito di giudicare una causa. Esso contiene a norma di legge: il nominativo del tribunale/giudice cui ci si rivolge, il petitum (cosa si chiede, i.e., la nullità del matrimonio), i dati completi delle parti (da chi si chiede), la causa petendi (il capo di nullità fondato in diritto), qualche fatto e prova attinente al capo di nullità in modo sommario, l’apposizione della firma, data e luogo nonché l’allegazione di alcuni atti matrimoniali e procedurali, come il mandato procuratorio, la lista dei testi ma non eventuali relazioni peritali55. Prima del MIDI, il giudice aveva il dovere pastorale di esperire il tentativo di riconciliazione fra le parti prima di accettare la causa. Con il MIDI questo tentati-

53 Cf. can. 1673, § 2 MiDi; RP, art. 8, § 2. 54 Cf. can. 1681 MiDi. 55 Cf. can. 1504 CiC; DC, art. 116.

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vo va fatto già nella fase pregiudiziale da persone ritenute idonee dal Vescovo diocesano56. Con il MIDI, il giudice, a mio avviso informato dai cann. 1675 e 1676, § 1, ossia il Vicario giudiziale, si preoccupa della certezza del fallimento irreparabile del matrimonio, che può consistere nell’impossibilità di ristabilire la convivenza perché ad esempio i coniugi coinvolti sono già risposati felicemente. Tuttavia, va detto che il fallimento irreparabile del matrimonio non indica sempre la nullità del matrimonio. Il matrimonio valido può fallire, ma il fallimento irreparabile di un matrimonio non implica che esso sia per ciò stesso nullo; e perciò va provato se di tale matrimonio consta la nullità o meno, nonostante la certezza del fallimento. Il Vicario giudiziale – non il presidente o il ponente, come prescriveva la norma precedente al MIDI – riceve il libello e se ritiene che esso goda di qualche fondamento, lo ammette. Infatti, lo ammette con il decreto di ammissione del libello e di citazione delle parti in giudizio, ove si fa riferimento agli elementi più importanti del libello, come la data di presentazione del libello, e ad alcuni contenuti, quali i dati delle parti e il capo di nullità; si constata la competenza del tribunale; si decreta l’accettazione del libello e l’ammissione dell’Avvocato/patrono, si nomina il difensore del vincolo e, se del caso, il promotore di giustizia, si cita in giudizio la parte convenuta e il difensore del vincolo, ai quali si concedono quindici giorni utili dalla notifica del medesimo decreto per eventuali osservazioni e/o eccezioni riguardo all’azione promossa dalla parte attrice; si indica anche nello stesso decreto che, trascorso il predetto termine, si procederà ex officio con la formulazione del dubbio per il motivo indicato; e si dispone che il decreto insieme con il libello venga notificato al difensore del vincolo e alla parte convenuta, che ha il diritto di costituirsi in giudizio con un proprio Avvocato o Patrono stabile57. Trascorso il predetto termine, se il Vicario giudiziale non ritiene opportuno ammonire di nuovo la parte convenuta a manifestare la sua posizione riguardo alla domanda58, determina il dubbio e costituisce il collegio giudicante o giudice unico

56 Cf. RP, artt. 2-4; Sussidio applicativo, immediati provvedimenti del vescovo diocesano, 13-15. 57 Cf. can. 1676, § 1 MiDi; così anche sono impostate alcune modulistiche per l’uso interno nel tribunale matrimoniale di prima istanza del Vicariato di Roma dell’anno 2016. 58 «Si reputa che non si oppone alla domanda la parte convenuta che si rimette alla giustizia del tribunale o, ritualmente citata una seconda volta, non dà alcuna risposta», RP, art. 11, § 2.

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con i due assessori ad normam canonis 1673, § 4 MIDI. In questo decreto di formulazione del dubbio e di costituzione del collegio, il Vicario giudiziale, innanzitutto, prende atto della debita notifica alla parte convenuta e al difensore del vincolo del decreto di ammissione del libello e citazione in giudizio, senza ricevere obiezioni. Osservato che dal libello e dai documenti allegati non emergono circostanze di fatti e di persone sostenute da testimonianze che rendano manifesta la nullità iuxta canonem 1683, n. 2 MIDI, il Vicario giudiziale, visti i cann. 1513, §§ 1-2 CIC e 1676, §§ 2-5 MIDI, decreta il dubbio con la consueta formula «Se consti della nullità del matrimonio per (capo o capi di nullità matrimoniale)». Continuando, si stabilisce anche nello stesso decreto che la causa venga trattata con il processo ordinario e si costituisce il collegio giudicante di tre giudici, designando la funzione di ciascuno all’interno del collegio (Presidente, Istruttore, Ponente), affinché procedano secondo il diritto, fino alla sentenza definitiva. In calce allo stesso decreto si ordina che il decreto sia notificato alle parti e al difensore del vincolo i quali possono ricorrere entro dieci giorni utili al giudice perché sia mutato ad normam canonis 1513, § 3 CIC59. Di primo acchito, il MIDI, a norma del can. 1507, ha stabilito la contestazione della lite/la fissazione del dubbio per risposte scritte delle parti ma ha abrogato la contestazione della lite per mezzo dell’udienza tra il giudice e le parti. Questo è nello spirito di giusta semplicità e celerità del processo. Penso che non si debba considerare la posizione del MIDI come una mancanza del contraddittorio e una negazione del diritto alla difesa60. Ammoniva san Giovanni Paolo II: Non si può concepire un giudizio equo senza il contraddittorio, cioè senza la concreta possibilità concessa a ciascuna parte nella causa di essere ascoltata e di potere conoscere e contraddire le richieste, le prove e le deduzioni addotte dalla parte avversa o “ex officio”. Il diritto alla difesa di ciascuna parte nel giudizio, cioè non soltanto della parte convenuta, ma anche della parte attrice, deve ovviamente essere esercitato secondo le giuste disposizioni della legge positiva il cui compito non è di togliere l’esercizio del diritto alla difesa, ma di regolarlo in

59 Cf. can. 1676, §§ 2-5 MiDi. 60 «ius defensionis autem in semetipso consideratum duobus constat elementis, scilicet a) “iure ad informationem”, quod consistit in necessitate praemonendi partes ope notificationum circa facta, probationes et decisiones; b) “iure ad auditionem”, quod consistit in possibilitate partibus concedenda tum dicendi et contradicendi circa facta, probationes decisionesque, tum inducendi probationes exhibendique defensiones»: coram Stankiewicz, decr. diei 27 maii 1994, in RRDecr., vol. Xii, 120, n. 10.

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modo che non possa degenerare in abuso od ostruzionismo, e di garantire nello stesso tempo la concreta possibilità di esercitarlo. La fedele osservanza della normativa positiva al riguardo costituisce, perciò, un grave obbligo per gli operatori della giustizia nella Chiesa61.

Da queste parole di san Giovanni Paolo II non si può accusare il MIDI di negazione del diritto di difesa delle parti. La disposizione del MIDI sulla contestazione della lite/la formulazione del dubbio è in sintonia con i canoni sui giudizi in generale e sul giudizio contenzioso ordinario62. Infatti, il can. 1513, § 1 CIC sancisce: «Contestatio litis habetur cum per iudicis decretum controversiae termini, ex partium petitionibus et responsionibus desumpti, definiuntur». Il MIDI non ha disposto diversamente. Con le richieste del Vicario giudiziale e le risposte delle parti espletate al momento della formulazione del dubbio si evita in questa fase introduttiva un possibile dubbio generico. La formulazione del dubbio chiude la fase introduttiva. In quella sede, il giudice fissa per le parti un congruo spazio di tempo per proporre e completare le prove63. Prima del MIDI, il can. 1677, § 4 CIC, ora abrogato, esigeva un decreto con cui il presidente o ponente stabiliva l’istruttoria della causa. Si noti che, prima dell’abrogazione, questa non era una prassi ben osservata nei Tribunali ecclesiastici; forse per questo motivo la necessità di tale decreto è stata abrogata. Vigeva e vige ancora la norma del can. 1516 CIC ove, dopo la formulazione del dubbio, il giudice istruttore fissa per le parti un congruo spazio di tempo per proporre e completare le prove. L’istruttoria nel processo ordinario per la dichiarazione di nullità matrimoniale

3.5

La fase istruttoria o probatoria o semplicemente l’istruttoria o l’istruzione è la seconda fase del processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio. Secondo A. Stankiewicz, «[…] l’istruttoria consiste nell’insieme delle attività processuali dirette non solo a raccogliere e assumere le prove disponibili già precostituite,

61 GiOVAnni PAOLO ii, Allocuzione alla Rota Romana, 26 gennaio 1989, AAS LXXXi (1989), 723. 62 Cf. can. 1691, § 3 CiC. 63 Cf. can. 1516 CiC.

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ossia formate prima e fuori del processo, ma anche ad elaborare le prove costituende che si formano soltanto nel processo e in occasione di esso»64. E per prova si intende l’accertamento legittimo della realtà dei fatti tramite i mezzi probatori utili che aiutano il giudice ad arrivare alla certezza morale necessaria per la sua decisione giudiziale. Nel processo per la dichiarazione di nullità matrimoniale, si enumerano come mezzi probatori: le dichiarazioni delle parti, i documenti, le testimonianze e le perizie. Il MIDI nel can. 1678, come anche la normativa antecedente, ha soltanto ribadito il superamento del principio testis unus, testis nullus quando «si tratta di un teste qualificato che deponga su cose fatte d’ufficio, o le circostanze di fatti e di persone lo suggeriscono»65. Inoltre, se non intervengono alia elementa a confutazione, «la confessione giudiziale e le dichiarazioni delle parti, sostenute da eventuali testi sulla credibilità delle stesse, possono avere valore di prova piena, da valutarsi dal giudice considerati tutti gli indizi e gli ammennicoli»66. Secondo P. Bianchi, «per “indizi” debbono intendersi fatti certi che consentono l’induzione di altri fatti peraltro non altrimenti motivati; per “ammennicoli” debbono intendersi quelle circostanze, soprattutto personali (quali la religiosità, la cultura, il modus vivendi di un soggetto) che servono a corroborare in via logica la solidità di una prova, senza essere prove in se stesse»67. Alla fine della raccolta delle prove, si pubblicano gli atti sub poena nullitatis. Si conclude la fase istruttoria con il decreto di conclusione in causa che dichiara chiusa la fase istruttoria e si stabilisce il termine per la presentazione delle difese degli Avvocati delle parti (Restrictus Iuris et Facti) e per le osservazioni del difensore del vincolo (Animadversiones)68.

64 A. StAnkiEwiCz, Principi generali dell’istruttoria nel processo matrimoniale canonico, in AA.VV., L’Istruttoria nel processo di nullità matrimoniale, (Studi Giuridici CViii), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014, 14-15. 65 Cf. cann. 1573 CiC; 1678, § 2 MiDi. 66 Cf. cann. 1536, § 2 CiC; 1678, § 1 MiDi. 67 P. BiAnChi, Le prove: a) dichiarazioni delle parti; b) presunzioni; c) perizie, in GRUPPO itALiAnO DOCEnti di DiRittO CAnOniCO (a cura di), I giudizi nella Chiesa. Il processo contenzioso e il processo matrimoniale, Glossa, Milano 1998, 88-89. 68 Cf. cann. 1526-1599 CiC; 1677-1678 MiDi; DC, artt. 155-239.

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La decisione della causa nel processo per la dichiarazione di nullità matrimoniale

3.6

Dopo la terza fase della discussione o del dibattimento, ove «le parti e gli avvocati elaborano le prove addotte e pubblicate, argomentano sulle medesime, rispondendo alle reali o possibili obiezioni contrarie»69, c’è la quarta fase della decisione. La fase della decisione o fase decisoria è quella in cui il giudice confronta e valuta tutti gli atti forniti e le prove, e risponde al dubbio formulato con sentenza definitiva. «La sentenza è l’atto solenne (definitivo nel carattere) del giudice o del tribunale, con il quale viene emessa una decisione sull’oggetto della controversia»70. Per emettere una decisione definitiva nella causa matrimoniale, il giudice si affida, nel suo animo, alla certezza morale «che esclude ogni fondato o ragionevole dubbio»71. Questa certezza si evince ex actis et probatis e va acquisita secondo la coscienza del giudice. Questi, nell’emanare la sentenza definitiva, deve poi redigerla rispettando i contenuti determinati iuxta legem cioè: introduzione, fattispecie, motivi in diritto, motivi in fatto, dispositivo, indicazione dell’anno, mese e luogo dell’emanazione della sentenza, firme dei giudici/giudice e notaio72. Prima del MIDI, la decisione definitiva sulle cause di nullità matrimoniale, per essere esecutiva, richiedeva due sentenze affermative conformi. La doppia conforme, introdotta da papa Benedetto XIV nella Costituzione apostolica Dei miseratione del 3 novembre 1741, aveva lo scopo di «ottenere maggiori garanzie di successo nel compito di scoprire la verità oggettiva e tutelare l’indissolubilità matrimoniale»73. A norma del can. 1682, § 2 CIC, la prima e unica sentenza affermativa di primo grado veniva trasmessa d’ufficio con gli eventuali appelli ed altri atti al tribunale di appello per la conferma tramite decreto ovvero il rinvio ad esame ordinario. Questa procedura veniva denominata dalla giurisprudenza Ro69 G. P. MOntini, De Iudicio contentioso ordinario. De Processibus matrimonialibus. Pars dynamica Ad usum Auditorum, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Romae 2004, 297. 70 M. F. POMPEDDA, Studi di Diritto processuale canonico, Giuffré Editore, Milano 1995, 165. 71 Cf. PiO Xii, Allocuzione alla S. Romana Rota, 1 ottobre 1942, AAS XXXiV (1942), 338-343; can. 1608, § 1 CiC. 72 Cf. cann. 1608, §§ 2-3; 1611-1612 CiC. 73 P. MOREnO, La conformità delle sentenze nell’Istruzione “Dignitas connubii”, “ius Ecclesiae” XXiii (2011), 647.

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tale come processus brevior74. La doppia conforme per una esecutività della sentenza negativa nel primo grado di giudizio sine appellatione non era considerata necessaria in ragione della permanenza del vincolo. Il MIDI ha abrogato l’istituto della doppia sentenza conforme nello spirito del principio di giusta semplicità e celerità del processo. La sentenza, che ha dichiarato la nullità del matrimonio, diventa esecutiva se non si è interposto, al giudice a quo, l’appello nel termine perentorio di quindici giorni utili dalla notizia della pubblicazione della sentenza75. Si può ritenere tuttavia che la disposizione del MIDI conservi sostanzialmente la tutela dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale, anzi ne tuteli l’indissolubilità tramite i mezzi di impugnazione, con una procedura semplice e celere ma senza lassismo nello scoprire la verità. A norma del can. 1611, 1° CIC «la sentenza deve decidere sulle spese processuali». Ai Vescovi diocesani spettano la direzione dei Tribunali diocesani e interdiocesani ed inoltre stabilire le norme che riguardano le spese processuali76. Nello spirito dei principi della sinodalità nel servizio della giustizia nonché di prossimità del giudice, il MIDI ha stabilito che «si assicuri che chiunque, parte o teste, possa partecipare al processo col minimo dispendio»77. Senza alcuna contraddizione, lo stesso MIDI afferma: «per quanto possibile le Conferenze Episcopali, salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operatori dei tribunali, che venga assicurata la gratuità delle procedure»78. È ancora il Vescovo di Roma il primo a prendere le mosse sulla questione della gratuità delle procedure, laddove nel Rescritto ex Audientia SS.mi del 7 dicembre 2015 così sancisce per il suo tribunale: «La Rota Romana giudichi le cause secondo la gratuità evangelica, cioè con patrocinio ex officio, salvo l’obbligo morale per i fedeli abbienti di versare un’oblazione di giustizia a favore delle cause dei poveri». Così è auspicabile che i Vescovi diocesani, nella sentenza definitiva, emanata nei Tribunali diocesani e interdiocesani, definiscano gli obblighi di spese per le parti agendo per quanto è possibile

74 G. ERLEBACh, Gli aspetti procedurali del Processus Brevior nella Giurisprudenza rotale, “Periodica” LXXXViii (1999), 725-753. 75 Cf. cann. 1630-1633 CiC; 1679 MiDi. 76 Cf. can. 1649 CiC. 77 RP, art. 7, § 2. 78 MiDi, Proemio, Vi.

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in quest’ottica di gratuità delle procedure, mostrando concretamente la Chiesa ai fedeli come «madre generosa, in una materia così strettamente legata alla salvezza delle anime»79. 4

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Qualche osservazione e suggerimento

Le questioni circa il foro del domicilio e del quasi-domicilio delle parti e circa la prossimità del giudice per la competenza pongono diversi problemi riguardo al rispetto e alla corretta applicazione del ne bis in idem80. Se il tribunale del luogo in cui una o entrambe le parti hanno il domicilio o quasi-domicilio81 è uno dei tribunali competenti, e considerato che il quasi-domicilio si acquista anche con la dimora nel territorio di qualche parrocchia con l’intenzione di rimanervi almeno per tre mesi se nulla allontani dal luogo82, allora siamo nella situazione di facile acquisizione del foro competente; l’applicazione del principio della prossimità del giudice può condurre ad un cambiamento continuo del foro se non si pone qualche condizione. A mio avviso, senza qualche condizione, come, ad esempio, aver già ottenuto una sentenza negativa in un tribunale di prima istanza, le parti possono continuare a cambiare il foro, anche nello stesso grado di giudizio, fin quando non trovino una risposta “soddisfacente” presso un altro tribunale diocesano o interdiocesano, senza, in tal caso, rispettare il principio ne bis in idem. In questo modo, tali parti porteranno un Vescovo diocesano che emani una sentenza definitiva sulla medesima causa a violare il principio ne bis in idem che comporta, tra l’altro, una sentenza nulla per incompetenza assoluta da parte del tribunale diocesano o del Vescovo diocesano83. A mio avviso, il principio della prossimità del giudice e il principio della giusta semplicità e celerità del processo richiede che sia presa in considerazione l’ipotesi 79 Ivi. 80 il principio ne bis in idem stabilisce che le parti non possono introdurre la causa che ha avuto fine con il pronunciamento della sentenza definitiva presso il medesimo tribunale o altro tribunale di prima istanza che ha la competenza per la causa. Cf. SUPREMUM SiGnAtURAE APOStOLiCAE tRiBUnAL, Declaratio Rev.mus Vicarius, de foro competenti in causa nullitatis matrimonii, post sententiam negativam in prima instantia latam, Prot. n. 20598/88 V.t., 3 iunii 1989, AAS LXXXi (1989), 988-990. 81 Cf. can. 1672, n. 2 MiDi. 82 Cf. can. 102, § 2 CiC. 83 Cf. Declaratio Rev.mus Vicarius.

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di istituire nuovi Tribunali locali di terzo grado nelle diverse parti del mondo, per esaminare le richieste di nuova proposizione della causa. Chiedere spesso alla Segnatura Apostolica la facoltà della Commissione Pontificia di competenza di grazia84, ossia l’«affidamento delle cause a tribunali privi di competenza assoluta in ragione della materia o del grado di giudizio»85, o inviare le cause sempre alla Rota Romana potrebbe condurre alla mora della procedura e creare anche qualche disagio alle parti. Pensando inoltre ai principi della sinodalità del Vescovo nel servizio della giustizia, della giusta semplicità e prossimità del giudice, nonché a quanto detto nell’articolo 126 della Costituzione Apostolica Pastor Bonus, il quale stabilisce che il Tribunale della Rota Romana «provvede all’unità della giurisprudenza e, attraverso le proprie sentenze, è di aiuto ai Tribunali di grado inferiore», mi sento di rivolgere un appello alla competente autorità affinché, oltre a pubblicare le sentenze rotali in latino, queste vengano pubblicate anche nelle altre lingue internazionali, soprattutto nelle lingue conosciute dalle parti in causa. Sarebbe inoltre auspicabile una raccolta delle sentenze già pubblicate in diverse lingue, tradotte secondo le lingue di provenienza. Gli studenti di diritto canonico, soprattutto quelli che studiano in Urbe, gli operatori dei Tribunali ecclesiastici nelle diverse parti del mondo, le parti nelle cause matrimoniali ne avrebbero un aiuto autorevole per camminare insieme seguendo la giurisprudenza della Rota Romana. Conclusione

Certamente questa riforma, necessaria sotto molti profili, ha apportato utili miglioramenti. I principi ispiratori della riforma e le loro incidenze sul processo ordinario riflettono spinte al rinnovamento ma anche una sostanziale continuità nei 84 «Le commissioni pontificie riguardano ordinariamente il terzo o ulteriore grado di giudizio, mentre le proroghe di competenza il primo grado.[…] Se, quindi, si tratta di un tribunale relativamente incompetente, ricorre la proroga di competenza; se invece si è in presenza di un tribunale assolutamente incompetente, si ha commissione pontificia»: P. MALEChA, Commissioni pontificie e proroghe di competenza nelle cause di nullità del matrimonio alla luce della recente giurisprudenza della Segnatura Apostolica, “ius Ecclesiae” XXiii (2011), 223. L’incompetenza relativa riguarda il criterio territoriale del tribunale non osservato e produce solo illiceità degli atti e non la nullità della sentenza. invece, l’incompetenza assoluta riguarda il grado del tribunale non osservato e comporta la nullità insanabile della sentenza. Ivi. 85 M. J. ARROBA COnDE, La competenza di grazia in materia giudiziaria, in P. A. BOnnEt – C. GULLO (a cura di), La Lex Propria del S.T. della Segnatura Apostolica, (Studi Giuridici LXXXiX), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, 326.

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profili attinenti a questo processo prima e dopo il MIDI. Sebbene sia presto per dare un giudizio sul miglioramento del processo ordinario per la dichiarazione di nullità matrimoniale, già si riscontra un dato positivo della riforma per quanto riguarda la semplicità e celerità delle cause di nullità matrimoniali in alcuni Tribunali ecclesiastici. Quanto la riforma del MIDI sia riuscita ad apportare effettivi miglioramenti rispetto al regime precedente, si vedrà nella sua ricezione e nella sua applicazione da parte dei fedeli, nonostante le iniziali comprensibili difficoltà. Tuttavia, il nuovo regime processuale ha bisogno di entrare in funzione senza sensazionalismo ed evitando deviazioni e abusi nell’osservanza, dato che «canonicae leges suapte natura observantiam exigunt»86. Va inoltre tenuto presente che «una comunità in continua evoluzione non può essere governata da leggi immobili. O le leggi violano la comunità o la comunità viola le leggi»87. Dunque, anche la riforma del MIDI è espressione della necessità di riformare sempre una comunità in continua evoluzione come è la Chiesa su questa terra.

86 Cf. iOAnnES PAULUS ii, Costitutio apostolica Sacrae disciplinae leges, diei 25 ianuarii 1983, AAS LXXV (1983) pars ii, xiii. 87 «An evolving community cannot be ruled by immovable laws. Either the laws will break the community or the community will break the laws». L. ÖRSy, The Interpretation of Laws: New Variations on an Old Theme, “Studia Canonica” XVii (1983), 117, traduzione nostra.

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Il processo più breve: condizioni per la sua introduzione, procedura, decisione

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Introduzione

La storia recente della riforma del processo matrimoniale canonico per la Chiesa latina e per le Chiese orientali deve la sua celere attuazione alle spinte emerse durante e dalla III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi. Alcune proposte per una riforma delle procedure sono state raccolte soprattutto nei nn. 48-49 della Relatio Synodi; trattando, poi, dello “snellimento della procedura” per le cause matrimoniali, sono state ribadite la responsabilità attiva del Vescovo diocesano e la preparazione di un numero adeguato di ministri della giustizia ecclesiastica. Le istanze sinodali sono state recepite dal Papa che ha istituito una Commissione speciale il 27 agosto 2014, allo scopo di elaborare una proposta di riforma del processo matrimoniale canonico. La Commissione ha concluso i lavori che sono poi confluiti nei due motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et Misericors Iesus che, entrati in vigore l’8 dicembre 2015, hanno sostituito sia nel Codice per la Chiesa latina sia in quello per le Chiese orientali i canoni che regolano il processo matrimoniale. Promulgate le nuove leggi sul processo matrimoniale canonico, si è succeduta una serie di questioni e di risposte particolari1 che hanno in qualche modo richiesto ulteriori autorevoli chiarificazioni circa il nuovo quadro normativo vigente2; tali chiarificazioni sono confluite sia in interventi che hanno dovuto esplicita-

11 «it is to be noted that a few weeks before the end of the vacatio legis, six questions of “clarification” – not of interpretation – were addressed by the Pontifical Council for Legislative texts, the majority about the processus brevior»: R. PAGé, Questions Regarding the Motu Proprio Mitis iudex Dominus iesus, “the Jurist” LXXV (2015), 612. 12 Per una ricognizione ricca e completa, ragionata e critica delle vicende che hanno connotato la riforma del processo canonico matrimoniale rinvio a G. BOni, La recente riforma del processo di nulli-

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re la mens del Papa sulla riforma con la dichiarazione pubblicata l’8 novembre 2015 su L’Osservatore Romano e con il rescritto del 7 dicembre 2015 circa il compimento e l’osservanza della nuova legge del processo matrimoniale, sia nel Sussidio applicativo del motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus del gennaio 2016. Sicuramente l’introduzione di un processo più breve dinanzi al Vescovo costituisce l’innovazione più significativa della nuova normativa, in quanto dà seguito a quelle istanze sinodali di celerità e semplicità dei processi, di propinquità del Vescovo «giudice tra i fedeli a lui affidati» e di gratuità emerse in maniera così pressante3.

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La responsabilità del Vescovo diocesano4

1

La Relatio Synodi della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, nella III Parte, Il confronto: prospettive pastorali, sotto la rubrica Curare le famiglie ferite, ha trattato della situazione dei divorziati risposati nei nn. 48-49. Nel n. 48 della Relatio Synodi sono raccolte alcune proposte per una riforma delle procedure; mentre il n. 49 della medesima Relatio, anche trattando del richiesto “snellimento della procedura” per le cause matrimoniali, ha ribadito alcuni requisiti sempre validi, soprattutto la responsabilità del Vescovo diocesano e la preparazione e l’impegno di un numero adeguato di operatori della giustizia: «Circa le cause matrimoniali lo snellimento della procedura, richiesto da molti, oltre alla preparazione di sufficienti operatori, chierici e laici con dedizione prioritaria, esige di sottolineare la responsabilità del Vescovo diocesano, il quale nella sua diocesi potrebbe incaricare dei consulenti debitamente preparati che possano gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio. Tale funzione può essere svolta da un ufficio o persone qualificate (cf. Dignitas connubii, art. 113, § 1)»5. tà matrimoniale. Problemi, criticità, dubbi (parte prima), “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” iX (2016), 1-78; iD., La recente riforma del processo di nullità matrimoniale. Problemi, criticità, dubbi (parte seconda), “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” X (2016), 1-76; iD., La recente riforma del processo di nullità matrimoniale. Problemi, criticità, dubbi (parte terza), “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” Xi (2016), 1-82. 13 Cf. M. DEL POzzO, Il processo matrimoniale più breve davanti al Vescovo, Edusc, Roma 2016, 29-35. 14 Cf. J. R. PUnDERSOn, Accertamento della verità «più accessibile e agile»: preparazione degli operatori e responsabilità del Vescovo. L’esperienza della Segnatura Apostolica, in L. SABBARESE (a cura di), Sistema matrimoniale canonico in synodo, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2015, 88-90. 15 SinODO DEi VESCOVi, iii Assemblea Generale Straordinaria, Relatio Synodi, 18 ottobre 2014, n. 49, “L’Osservatore Romano” 20-21 ottobre 2014, 8.

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Nell’allocuzione alla Segnatura Apostolica dell’8 novembre 2013, il Papa si era così espresso: «La vostra attività è volta a favorire l’opera dei Tribunali ecclesiastici, chiamati a rispondere adeguatamente ai fedeli che si rivolgono alla giustizia della Chiesa per ottenere una giusta decisione. Vi adoperate perché funzionino bene, e sostenete la responsabilità dei Vescovi nel formare idonei ministri della giustizia»6. Nel n. 49 della Relatio Synodi anche il Sinodo ha enfatizzato questo ultimo elemento citato dal Papa, un aspetto che dall’inizio ha dato un certo indirizzo alla mission della Segnatura Apostolica: «esige di sottolineare la responsabilità del Vescovo diocesano». Infatti proprio su questo aspetto è stato corretto il testo della Relatio post disceptationem, dove si leggeva: «esige di incrementare la responsabilità del Vescovo diocesano»7. Non si tratta di una nuova responsabilità imposta da qualche legge disciplinare, ma di una parte integrale dell’ufficio del Vescovo quale pastore del gregge a lui affidato; fa parte del suo munus pastorale8. Anche se normalmente egli esercita questo potere giudiziale per alios, mediante il proprio tribunale9 oppure, insieme ad altri Vescovi, in un tribunale interdiocesano10, il Vescovo diocesano detiene la responsabilità di moderare e vigilare sull’esercizio del potere giudiziale. Se si tratta del tribunale metropolitano o diocesano, la vigilanza spetta direttamente al Vescovo quale moderatore del proprio tribunale; se invece si tratta del tribunale interdiocesano, la vigilanza spetta al coetus dei Vescovi o al Vescovo moderatore da loro scelto11. L’insistenza circa l’importanza di 16 FRAnCiSCUS, Allocutio ad Sessionem Plenariam Supremi Tribunalis Signaturae Apostolicae, diei 8 novembris 2013, AAS CV (2013), 1152. 17 SinODO DEi VESCOVi, iii Assemblea Generale Straordinaria, Relatio post disceptationem, 13 ottobre 2015, n. 44, “L’Osservatore Romano” 13-14 ottobre 2015, 5. 18 Come ha insegnato LG 27, in virtù della sacra potestas che il Vescovo diocesano esercita nel nome di Cristo, egli ha la potestà e anche il sacro obbligo davanti al Signore di giudicare. «Episcopi Ecclesias particulares sibi commissas ut vicarii et legati Christi regunt, consiliis, suasionibus, exemplis, verum etiam auctoritate et sacra potestate, qua quidem nonnisi ad gregem suum in veritate et sanctitate aedificandum utuntur, memores quod qui maior est fiat sicut minor et qui praecessor est sicut ministrator (cf. Lc 22, 26-27). haec potestas qua, nomine Christi personaliter funguntur, est propria, ordinaria et immediata, licet a suprema Ecclesiae auctoritate exercitium eiusdem ultimatim regatur et certis limitibus, intuitu utilitatis Ecclesiae vel fidelium, circumscribi possit. Vi huius potestatis Episcopi sacrum ius et coram Domino officium habent in suos subditos leges ferendi, iudicium faciendi, atque omnia, quae ad cultus apostolatusque ordinem pertinent, moderandi»: EV 1, n. 351. 19 Cf. can. 1419 CiC; DC, art. 22, § 3. 10 Cf. can. 1423 CiC; DC, art. 23, § 1. 11 DC, artt. 24, § 1 e 26.

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questa responsabilità del Vescovo non è nuova; è stata rilevata anche da Giovanni Paolo II nella sua ultima allocuzione al Tribunale della Rota Romana: «Nei discorsi annuali alla Rota Romana ho più volte ricordato l’essenziale rapporto che il processo ha con la ricerca della verità oggettiva. Di ciò devono farsi carico innanzitutto i Vescovi, che sono i giudici per diritto divino delle loro comunità. È in loro nome che i Tribunali amministrano la giustizia. Essi sono pertanto chiamati ad impegnarsi in prima persona per curare l’idoneità dei membri dei Tribunali, diocesani o interdiocesani, di cui essi sono i Moderatori, e per accertare la conformità delle sentenze con la retta dottrina. I sacri Pastori non possono pensare che l’operato dei loro Tribunali sia una questione meramente “tecnica” della quale possono disinteressarsi, affidandola interamente ai loro giudici Vicari (cf. CIC cann. 391, 1419, 1423 § 1)»12. Nella lettera Inter cetera, circa lo stato e l’attività dei Tribunali ecclesiastici, la Segnatura Apostolica aveva esposto ai Vescovi come intendeva esercitare il munus vigilandi: «[…] non per concentrare su di sé ogni incarico, ma per aiutare fraternamente i Tribunali dei Vescovi e per prestare un servizio ai medesimi, dispersi per tutta la terra, per il bene delle anime, nella retta amministrazione della giustizia»13. È prassi della Segnatura Apostolica di trattare con i Vescovi moderatori, per aiutarli ed incoraggiarli nell’esercizio di questo aspetto del loro ministero pastorale. La valorizzazione del ruolo dei Vescovi14 si comprende adeguatamente anche nell’attività processuale, in forza della loro condizione di “giudici nati”. Non si tratta ovviamente di rivendicare quanto l’ordinamento vigente già stabilisce, che possano, cioè, decidere di riservare a sé le cause che ritengano opportu12 GiOVAnni PAOLO ii, Allocuzione alla Rota Romana, 29 gennaio 2005, AAS XCVii (2005), 165; cf. DC, art. 33. 13 «[…] vigilantiam exercere volens, non ea mente ut omnia ad se unum deferat, sed ut fraternum auxilium tribunalibus Episcoporum offerat, et eisdem, per orbem terrarum dispersis, in bonum animarum servitium praestet per rectam iustitiae administrationem»: SUPREMUM SiGnAtURAE APOStOLiCAE tRiBUnAL, Litterae circulares ad Praesides Conferentiarum Episcopalium de tribunalium Ecclesiasticorum statu et activitate Inter cetera, 28 decembris 1970, AAS LXiii (1971), 482. 14 Cf. M. J. ARROBA COnDE, Le proposte di snellimento dei processi matrimoniali nel recente Sinodo, in L. SABBARESE (a cura di), Sistema matrimoniale canonico in synodo, 71-72. Sull’esercizio della potestà personale episcopale, rinvio a A. BECCiU, Il Vescovo giudice nella riforma di Papa Francesco, http://www.osservatoreromano.va/it/news/il-vescovo-giudice-nella-riforma-di-papafrancesco#.

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no15; detta riserva, tuttavia, non esonera il Vescovo di seguire le norme processuali universali stabilite. Pur prendendo atto che non era facile ricondurre ad un’unica questione tecnica le proposte emerse sulla valorizzazione del ruolo dei Vescovi, formulate nelle risposte al questionario in termini di concessione di «maggior autorità al Vescovo locale»16, tuttavia la previsione di una procedura giudiziale straordinaria17 o meglio più breve, così come delineatasi poi nel MIDI, è del tutto nuova rispetto a quelle indicate nell’Instrumentum laboris; l’idea è stata formulata come una traduzione concreta delle proposte di accrescere la dimensione pastorale delle cause, di snellirle per quanto possibile e di valorizzare la funzione giudiziale del Vescovo, pur trattandosi di un’idea presentata in netta opposizione alla proposta di una via amministrativa da affidare al Vescovo stesso. Tale opposizione è stata subito ribadita nel proemio del motu proprio quando si legge: «[...] ho deciso di dare con questo motu proprio disposizioni con le quali si favorisca non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi, non meno che una giusta semplicità, affinché, a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio. Ho fatto ciò, comunque, seguendo le orme dei miei Predecessori, i quali hanno voluto che le cause di nullità del matrimonio vengano trattate per via giudiziale, e non amministrativa, non perché lo imponga la natura della cosa, ma piuttosto lo esiga la necessità di tutelare in massimo grado la verità del sacro vincolo: e ciò è esattamente assicurato dalle garanzie dell’ordine giudiziario»18. 15 Cf. can. 1419 CiC; DC, art. 22. 16 «Molti avanzano richieste circa lo snellimento: processo canonico semplificato e più rapido; concessione di maggior autorità al Vescovo locale; maggiore accesso dei laici come giudici; riduzione del costo economico del processo. in particolare, alcuni propongono di riconsiderare se sia veramente necessaria la doppia sentenza conforme, almeno quando non c’è richiesta di appello, obbligando però all’appello in certi casi il difensore del vincolo. Si propone anche di decentralizzare la terza istanza. in tutte le aree geografiche, si chiede un’impostazione più pastorale nei tribunali ecclesiastici, con una maggiore attenzione spirituale nei confronti delle persone»: SinODO DEi VESCOVi, iii Assemblea Generale Straordinaria, Instrumentum laboris, 24 giugno 2014, n. 100, http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20140626_instrumentum-laborisfamilia_it.html#Semplificazione_delle_cause_matrimoniali. 17 Cf. M. J. ARROBA COnDE, Le proposte di snellimento dei processi matrimoniali nel recente Sinodo, in L. SABBARESE (a cura di), Sistema matrimoniale canonico in synodo, 74. 18 MiDi, Proemio.

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Il processo più breve: condizioni per la sua introduzione, procedura, decisione

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Il processo più breve dinanzi al Vescovo diocesano

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Come già accennato, una delle novità19 principali della riforma voluta da papa Francesco circa i processi per la dichiarazione di nullità del matrimonio è costituita sicuramente dal processo più breve dinanzi al Vescovo, in ossequio ai criteri 3 e 4 enunciati nel proemio del MIDI: «Lo stesso Vescovo è giudice. […] Si auspica pertanto che […] non lasci completamente delegata agli uffici della curia la funzione giudiziaria in materia matrimoniale. Ciò valga specialmente nel processo più breve, che viene stabilito per risolvere i casi di nullità più evidente. […] da applicarsi nei casi in cui l’accusata nullità del matrimonio è sostenuta da argomenti particolarmente evidenti»20. L’istituto del processo più breve, nonostante sia direttamente collegabile alla Relatio Synodi della III Assemblea Generale Straordinaria dei Vescovi su matrimonio e famiglia del 2014, era già conosciuto sia nella legislazione canonica sia nella normativa propria della Segnatura Apostolica21. Condizioni e presupposti per il processus brevior coram Episcopo

2.1

«Ipsi Episcopo dioecesano competit iudicare causas de matrimonii nullitate processu breviore […]»

2.1.1

In ossequio ai principi ispiratori della riforma dei processi matrimoniali e in risposta alla richiesta di avvicinamento tra la funzione giudiziale e quella pastorale del Vescovo, il can. 1683 MIDI affida al Vescovo il giudizio circa la validità del matrimonio, nella forma del processo più breve, il quale si può instaurare alla duplice e contemporanea condizione che la domanda dei “coniugi” sia promossa congiuntamente

19 «[…] novità storica è la previsione di una forma di processo più breve […]»: O. DE BERtOLiS, Papa Francesco riforma il processo canonico matrimoniale, “La Civiltà Cattolica” CLVi (2015), 65; «[…] il processus matrimonialis brevior coram Episcopo è stata forse la principale sorpresa di un’operazione di ripensamento ampiamente sentita e condivisa»: M. DEL POzzO, Il processo matrimoniale, 21. 20 MiDi, Proemio, iii-iV. 21 Per il caso del Codice si tratta della nullità notoria che consente al promotore di giustizia di impugnare la nullità del matrimonio, per il caso della Segnatura Apostolica è utile riferirsi all’art. 118 della Lex propria che concerne dichiarazioni di nullità di matrimoni che non esigono esami e indagini accurate: BEnEDiCtUS XVi, Litterae apostolicae motu proprio datae Antiqua ordinatione quibus Supremi tribunalis Signaturae Apostolicae lex propria promulgatur, diei 21 iunii 2008, AAS C (2008), 537. Per quest’ultimo caso, si veda w. L. DAniEL, The Abbreviated Matrimonial Process before the Bishop in Cases of “Manifest Nullity” of Marriage, “the Jurist” LXXV (2015), 571-576.

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dall’inizio o da uno solo ma con il conseguente consenso dell’altro e che ricorrano circostanze particolarmente significative di fatti e di persone che rendano manifesta la nullità, in quanto proprio perché tali non richiedono una istruttoria più accurata. Quando ricorrano le condizioni previste dal can. 1683 MIDI la realizzazione della proximitas Episcopi con l’utilizzo del processus brevior si rende necessaria, al punto che qualche Autore non ha mancato di osservare che «non è dunque una mera facoltà o una prerogativa ma un obbligo»22. E ciò nonostante, bisognerà spiegare come mai si è passati, in questa specifica tipologia di procedura, da un sistema mediato di potestà giudiziale – è opportuno che il Vescovo non eserciti personalmente la potestà giudiziale – ad uno immediato – al Vescovo diocesano compete giudicare le cause di nullità del matrimonio con processo più breve. Per tutti i tipi di processi, sino al MIDI, si era fatta strada la convinzione dell’inopportunità che il Vescovo esercitasse personalmente la potestà giudiziale; ragioni di tempo e di competenza, ministeriali e pastorali, proprio per non allontanare il Pastore da qualche membro del suo gregge, hanno indotto a ritenere più idoneo l’esercizio del giudizio da parte del Vescovo nel proprio tribunale per alios. Peraltro, questione affatto secondaria riguarda il caso di ricusazione del Vescovo, sia quando interviene come giudice nella sola decisione finale, sia quando interviene come istruttore e giudice della causa; la possibilità di ricusare il Vescovo, possibilità che può essere avanzata da una o da entrambe le parti, dimostra che l’invocata propinquitas in re iudiciali da parte del Vescovo non sempre è criterio da preferirsi! Ciò nonostante, rimane fermo che i titoli di competenza, in base ai quali individuare il tribunale cui presentare il libello23 (cf. can. 1672 MIDI), sono tutti equivalenti, come precisano le RP all’art. 7 § 1, e quindi il principio di prossimità fra giudice e parti in causa va mantenuto come criterio referenziale e preferenziale24. 22 M. DEL POzzO, L’organizzazione giudiziaria ecclesiastica alla luce del m.p. “Mitis Iudex”, “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” XXXVi (2015), 9. 23 «Si propone […] il seguente ordine, in base al quale individuare il Vescovo diocesano competente, prendendo in considerazione la diocesi in cui: entrambe le parti hanno il domicilio o, in assenza di questo, il quasi-domicilio; la parte convenuta ha il domicilio o, in assenza di questo, il quasi-domicilio; il domicilio o quasi-domicilio della parte attrice; il luogo di celebrazione del matrimonio; il luogo dove si deve raccogliere la maggior parte delle prove»: A. zAMBOn, La presentazione del libello, in REDAziOnE Di QUADERni Di DiRittO ECCLESiALE (a cura di), La riforma dei processi matrimoniali di Papa Francesco. Una guida per tutti, Ancora, Milano 2016, 42. 24 Facendo, tuttavia, attenzione che «[…] desta qualche perplessità soprattutto l’ampliamento del foro dell’attore. il rischio, considerata anche l’accentuazione della mobilità e la facilità dei trasporti e

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«Petitio ab utroque coniuge vel ab alterutro, altero consentiente, proponatur» 2.1.2

Le numerose e urgenti questioni suscitate in generale sulla riforma dei processi matrimoniali e in specie sulla nuova forma del processus brevior coram Episcopo inducono ad investigare accuratamente sul significato delle novità proposte dal can. 1683, 1º MIDI25.

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Il primo dei due presupposti menzionati dal nuovo testo canonico è la petitio di entrambi o di uno dei due col consenso26 dell’altro; l’accordo è necessario per il processus brevior. Nella determinazione dell’oggetto del consenso dell’altra parte si possono formulare due ipotesi. La prima ipotesi è quella che risolve la questione identificante l’oggetto del consenso nel relativo libello. Se, dunque, il consenso dell’altra parte deve vertere su un generale accordo circa il contenuto del libello introduttorio di causa, allora in tal caso il consenso si risolve nel litisconsorzio attivo27 con la sottoscrizione del libello da parte di entrambi o con il consenso accordato alla petitio iudicialis (in tal caso vi sarebbe l’accordo con la domanda e il litisconsorzio attivo successivo). Il consenso in questo caso equivarrebbe al litiscondegli spostamenti, è di rimettere sostanzialmente alla discrezione delle parti la scelta del giudice, travisando o stravolgendo così il disposto. La triste esperienza di una certa disparità di rigore tra tribunali ecclesiastici aveva già destato incertezze e timori»: M. DEL POzzO, Il processo matrimoniale, 128-129. 25 nell’esame di questo canone riprendo le prime ma acute osservazioni di G. P. MOntini, L’accordo dei coniugi quale presupposto del processus matrimonialis brevior (can. 1683, 1° MI). intervento del 15 dicembre 2015 all’incontro di studio presso la Pontificia Università Gregoriana dal titolo La riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio; consultabile on line in https://www.youtube.com/watch?v=y26hFtpstrs. 26 in dottrina è già stata sollevata la questione di «come giuridicamente e praticamente si acquisisca il “consenso dell’altro”, entro quale torno di tempo ma soprattutto su cosa»: G. B Oni, La recente riforma del processo di nullità matrimoniale. Problemi, criticità, dubbi (parte seconda), 6. 27 «Detta procedura richiede un vero litisconsorzio attivo, iniziale o successivo, di entrambi i coniugi e per il “medesimo capo di nullità”, non essendo possibile nel processus brevior una “conformità equivalente” fra due libelli di domanda con nomina iuris diversi (cf. Mi can. 1683, n. 1; DC artt. 289, § 3, 291, § 2). Difatti, il “consenso” al libello di domanda dell’attore è una vera adesione litisconsortile, fatta di propria iniziativa o aderendo all’invito del Vicario giudiziale (cf. RP art. 15)»: J. LLOBELL, Alcune questioni comuni ai tre processi per la dichiarazione di nullità del matrimonio previsti dal m.p. “Mitis Iudex”, Relazione al Seminario di studio «La riforma operata dal m.p. “Mitis iudex”», Roma, 30 novembre 2015, in http://www.consociatio.org/repository/Llobell_Lumsa.pdf, 13.

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sorzio attivo e avrebbe come oggetto il capo di nullità, condiviso insieme alla domanda. Tale condivisione viene esplicitata con l’intenzione di partecipare al processo e di approvare i fatti enucleati nel libello a sostegno del capo di nullità invocato.

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Una seconda ipotesi riconduce l’attenzione dell’altra parte consenziente sulla forma del processo, così che la petitio non sarebbe quella iudicialis ma la petitio che la causa sia trattata secondo la forma del processo più breve. Le ragioni a suffragio di tale ipotesi possono essere diverse: l’uso assoluto del termine petitio, ma anche l’uso anomalo del termine consensus che mal si adatta a indicare l’adesione a una domanda di carattere sostanziale, sempre modificabile e revocabile; l’uso irrituale del termine coniuges invece di partes; l’assenza di tale presupposto tra i principi fondamentali del proemio del MIDI. La valutazione della posizione dell’altro coniuge sulla domanda è elemento che deve essere preso in considerazione nello stabilire se esista o no l’evidenza della nullità, che è il secondo presupposto per il ricorso al processus brevior. Il consenso, dunque, andrebbe accordato alla forma di processo; col consenso, infatti, l’altro coniuge rinuncia al processo ordinario e accetta la riduzione delle difese e delle garanzie previste nel processo più breve. Presupposto l’accordo dei coniugi sulla forma giudiziale più breve e considerato che il processo più breve si può introdurre solo se vi è accordo dei coniugi ed è evidente la nullità del matrimonio, ci si è chiesto se il processus brevior fa parte del processo orale28 oppure del processo documentale29. 28 «Podemos calificar el proceso contencioso oral come un proceso plenario rápido o urgente, que se caracteriza por la mayor influencia de los principios de oralidad e inmediatez. [...] La idea central de este proceso se asienta en el principio de oralidad, con sus corolarios necesarios deinmediatez,elasticidad, concentración en una o varias audiencias de toda la fase probatoria y de discusión, e incluso la misma decisión»: L. MADERO, Proceso contencioso oral, in inStitUtO MARtín DE AzPiLCUEtA, FACULtAD DE DEREChO CAnóniCO UniVERSiDAD DE nAVARRA, Diccionario General de Derecho Canónico. Obra dirigida y coordinada por J. OtADUy – A. ViAnA – J. SEDAnO, thomson Reuters Aranzadi, Pamplona 2012, vol. Vi, 512. «in many cases the very text of the oral contentious process is simply taken up into the abbreviated process»: w. L. DAniEL, The Abbreviated Matrimonial Process before the Bishop in Cases of “Manifest Nullity” of Marriage, 548. 29 «Este proceso se llama documental porque en él el documento se dirige de manera prácticamente única a constatar las mismas raíces de la nulidad: el documento se erige en activador único de la decisión favorable a la nulidad. El documento se hace en este proceso instrumento único y eficaz de prueba de la nulidad»: S. PAnizO ORALLO, Proceso documental, in Diccionario General de Derecho Canónico, 517.

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Come è noto, la ratio del processo orale è la celerità, mentre il processo documentale è determinato dall’evidenza; la ratio notorietatis seu evidentiae pare essere pure quella del processo più breve. Se il consenso dell’altro ha come oggetto la forma più breve e se la natura del processo più breve è l’evidenza della nullità, o meglio il fondamento evidente di nullità, perché si domanda il consenso all’altro coniuge? Nel processo documentale non è richiesto il consenso dell’altro coniuge; in quello più breve si procede ex notorio e si richiede il consenso. La richiesta di consenso e di evidenza è problematica. Non è una contraddizione ma la ragione di tale cumulo rimane, dato che il consenso dell’altro ne è un presupposto. Il consenso consiste nella promessa istituzionale di desistere dal modo di difendersi tipico del contenzioso ordinario e nella rinuncia alla difesa maggiore; nasce il problema della presenza del difensore del vincolo che, come è noto, propone ed espone «omnia adduci rationabiliter contra vinculum». L’accordo dei coniugi rimane ambiguo; tale ambiguità potrà essere gradualmente superata con la prassi e la giurisprudenza che sapranno valorizzare l’ufficio del difensore del vincolo30 secondo una ermeneutica di continuità. Leggendo, con la Boni, «sia i nuovi canoni redatti dal motu proprio sia le Regole procedurali, sembrerebbero quattro i casi in cui considerare effettivamente presentata la domanda c.d. “congiunta”: a) domanda proposta da entrambi i coniugi (can. 1683, n. 1 CIC); b) domanda proposta da uno dei coniugi, con il consenso dell’altro (can. 1683, n. 1 CIC […]; c) domanda proposta da uno solo dei coniugi e l’altro coniuge o si rimette alla giustizia del tribunale o, ritualmente citato una seconda volta, non dà alcuna risposta: in questi casi si reputa che non si opponga alla domanda della parte convenuta (“petitioni non refragari”) in base all’art. 11 § 2 delle Regole procedurali; d) domanda proposta da uno solo dei coniugi per introdurre il processo ordinario, ma il Vicario giudiziale ritiene che la causa possa essere trattata con il processo più breve e, pertanto, invita l’altro coniuge ad associarsi alla domanda presentata e a partecipare al processo (art. 15 RP)»31. 30 il difensore del vincolo potrà essere esplicitamente consultato dal Vicario giudiziale circa l’opzione di avviare il processo più breve; il Vicario giudiziale potrà considerare le osservazioni del difensore del vincolo circa l’opzione del processo più breve (cf. can. 1434, 2°). «il difensore del vincolo agisce come una parte e può e deve porre tutti gli atti giuridici necessari allo svolgimento del suo compito istituzionale di tutela. nel rito abbreviato questa forma di rappresentanza pubblica ha anzi una singolare e specifica consistenza proprio per il litisconsorzio attivo dei coniugi (può esercitare ad esempio il diritto d’appello della sentenza)»: M. DEL POzzO, Il processo matrimoniale, 117. 31 G. BOni, La recente riforma del processo di nullità matrimoniale. Problemi, criticità, dubbi (parte seconda), 9-10.

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Si potrebbe porre una questione circa l’uso illegittimo del processus brevior. Nel Codice è previsto che l’uso illegittimo del processo contenzioso orale, «extra casus iure permissos», provoca la nullità degli atti giudiziali (can. 1656, § 2) e la nullità insanabile della sentenza (can. 1669); una tale linea, in ambito giurisprudenziale, esiste anche per il processo documentale32. Sotto questo profilo, pure nel processo più breve, mancando ab initio o venendo meno successivamente l’accordo delle parti, quale condicio sine qua non per l’introduzione del processo più breve, la sentenza potrebbe essere viziata di nullità33. Problematico sembra presentarsi il caso in cui la non opposizione della parte convenuta si consideri, proprio in base all’art. 11 § 2 RP, equivalente al consenso. Premesso che l’art. 11 RP dispone circa l’introduzione e l’istruzione della causa nel processo ordinario, non è possibile optare per il processus brevior qualora manchi il consenso della parte convenuta34. Se si applicasse tale presunzione anche al processus brevior non sarebbero affatto rari i casi di violazione del diritto di difesa della parte convenuta. «Recurrant rerum personarumque adiuncta, testimoniis vel instrumentis suffulta, quae accuratiorem disquisitionem aut investigationem non exigant, et nullitatem manifestam reddant»

2.1.3

Vorrei anzitutto premettere che il testo di questo n. 2 avrebbe potuto presentarsi con una formulazione più precisa e quindi meno incline a interpretazioni fuorvianti, come purtroppo la dottrina degli Autori sta già vieppiù evidenziando. Mi riferisco ai fatti e alle circostanze che, recita il testo, «nullitatem manifestam reddant». 32 La giurisprudenza conosce due decisioni in una Beryten. (coram Pompedda, decr. 6 martii 1998, in RRDecr., vol. XVi, pp. 76-79; coram Erlebach, decr. 12 maii 2000, in RRDecr., vol. XViii, pp. 116128) che hanno dichiarato la nullità della sentenza di primo grado per mancanza di uno dei presupposti essenziali del processo documentale: l’inoppugnabilità dei documenti. 33 Peraltro, in tal senso si è già espresso il POntiFiCiO COnSiGLiO PER i tESti LEGiSLAtiVi, Risposta particolare On the conversion of the formal process to processus brevior, 1 ottobre 2015, Prot. 15138/2015, e On the consent of both parties as requirement for the processus brevior (new can. 1683 Mitis Iudex), 1 ottobre 2015, Prot. 15139/2015, in www.delegumtextibus.va. 34 «La presunzione di mera non opposizione contrasterebbe con il fattivo concorso richiesto dal rito abbreviato. non è sufficiente pertanto un atteggiamento remissivo o elusivo per arguire la concorde intenzione delle parti: si richiede viceversa un consenso positivo ed espresso all’azione. La puntualizzazione induce anche a chiarire che il litisconsorzio non basta che sia iniziale deve perdurare nel corso del giudizio»: M. DEL POzzO, Il processo matrimoniale, 109.

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In realtà le circostanze e i fatti più che rendere manifesta la nullità devono rendere manifesto il fondamento della nullità; pertanto meglio sarebbe stato avere un testo del seguente tenore: «et fundamentum nullitatis manifestum reddant». L’altra condizione, dunque, per “procedere” nella forma più breve dinanzi al Vescovo consiste nell’esistenza di fatti e circostanze che possono condurre facilmente alla prova della nullità, in quanto fondati su mezzi di prova evidenti e di immediata fruibilità, quali prove documentali, certificati medici, testimonianze di alta credibilità. L’evidenza della nullità e l’immediata fruibilità delle prove può essere desunta non solo dal libello e da eventuali documenti ad esso allegati, ma anche da quanto la parte convenuta, nella domanda congiunta o nel consenso prestato alla petitio della parte attrice, ha avuto modo di indicare sia nella petitio congiunta sia dopo aver ricevuto il libello introduttorio di causa. Oltre a ciò, le RP si sono preoccupate di indicare, in maniera esemplificativa, le circostanze in base alle quali è possibile ammettere il processo più breve. Il non breve elenco di circostanze e fatti esemplificativi35, enumerati nell’art. 14 § 1 RP, deve essere considerato come una serie di circostanze che rendano manifesta la fondatezza della nullità, non già presunzioni di fatto36 in base alle quali stabilire con certezza una nullità provata. Le singole circostanze possono avere valore diverso sia in sé considerate sia all’interno di ogni singola vicenda matrimoniale sia in relazione ad un eventuale capo di nullità sul quale fondare la causa. L’avvio del processo più breve dinanzi al Vescovo comporta che le circostanze di cui al can. 1683, 2º MIDI devono essere suffragate da testimonianze e documenti37 35 non si può qui non accennare alla commistione tra elementi processuali e fatti e circostanze che attingono direttamente la disciplina sostanziale del matrimonio. 36 La dottrina ha iniziato a valutare l’utilizzo delle presunzioni di fatto e i suoi danni soprattutto a seguito di un intervento della Segnatura Apostolica che ha decretato il divieto di usare le presunzioni di fatto nei tribunali ecclesiastici: SUPREMO tRiBUnALE DELLA SEGnAtURA APOStOLiCA, Decreto particolare. «“Praesumptiones facti” pro causis nullitatis matrimoniii», 13 dicembre 1995, Prot. n. 25651/94 Vt, “ius Ecclesiae” Viii (1997), 822-824. Per la dottrina, tra gli altri, A. ORtiz, Circa l’uso delle presunzioni nelle cause di nullità del matrimonio, ibid., 839-850; U. nAVARREtE, Commentario al decreto della Segnatura Apostolica sulle cosiddette «Presumptions of fact», “Periodica” LXXXV (1996), 535-548. 37 Sulla problematicità della prescrizione che prevede che le circostanze siano sostenute da testimonianze o documenti, vedi le osservazioni di A. GiRAUDO, La scelta della modalità con cui trattare la causa di nullità, in REDAziOnE Di QUADERni Di DiRittO ECCLESiALE (a cura di), La riforma dei processi matrimoniali di Papa Francesco. Una guida per tutti, 59-61.

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da cui emerga con immediatezza la prova della eventuale nullità, senza che ciò richieda una valutazione o una verifica più accurata. Il Sussidio applicativo si è giustamente affrettato a precisare che sia il contenuto delle circostanze in oggetto sia la qualifica “esclusiva” «non sono nuovi capi di nullità»38.

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La procedura nel processus brevior

2.2

Oltre a quanto già indicato nel can. 1504 CIC per tutti i tipi di processi, per il processo più breve dinanzi al Vescovo il libello introduttorio di causa39 deve esporre i fatti su cui si fonda la richiesta, la quale dovrà essere stata presentata congiuntamente o, se presentata solo dalla parte attrice, dovrà essere completata con il consenso della parte convenuta; l’esposizione dei fatti deve, poi, integrare congiuntamente i requisiti della brevità, della integrità e della chiarezza; deve indicare le prove che possono essere raccolte dal giudice immediatamente e, infine, deve contenere in allegato i documenti su cui si fonda la domanda per la dichiarazione di nullità. Questi gli elementi specifici del libello nel processo più breve. In merito le RP, nell’art. 14 § 2, dispongono che «tra i documenti che sostengono la domanda vi sono tutti i documenti medici che possono rendere inutile acquisire una perizia d’ufficio». Il Legislatore, nel MIDI, tiene conto della realtà delle cose e cioè che non sempre il libello è preparato ab initio per un processo più breve dinanzi al Vescovo. Perciò, «se è stato presentato il libello per introdurre un processo ordinario, ma 38 Sussidio applicativo, 32-36. in “dottrina”, purtroppo, già si è registrato qualche caso di indebita equiparazione tra le circostanze dell’art. 14 RP e i capi di nullità. Vedi, per esempio, A. S. AntOny, A Juridical and Pastoral Reflection on the New Provisions of Juridical Procedures for the Marriage Tribunal, “Studies in Church Law” X (2014-2015), 245: «the supreme legislator has annexed the procedural rules for dealing with the nullity of marriage cases wherein he has given a list of probable grounds for the shorter process (See Art. 14 § 1)». Deve, invece, rimanere chiaro che «le novità disposte dalle due Lettere riguardano precisamente l’ambito del processo di nullità matrimoniale. Con termine tecnico, sono “norme processuali”, non sostanziali. non riguardano cioè i motivi stessi in base ai quali si può verificare la nullità o meno di un matrimonio, i cosiddetti “capi di nullità”, che rimangono quelli previsti dalla normativa precedente»: O. DE BERtOLiS, Papa Francesco riforma il processo canonico matrimoniale, 63. 39 Che secondo l’art. 10 RP può essere ammesso anche con domanda orale. Va tuttavia annotato che la presentazione orale del libello non è motivata solo da «residue forme di analfabetismo o […] incapacità di redazione degli atti giuridici», come sembra insinuare M. DEL POzzO, Il processo matrimoniale, 156, nota 38, ma anche dal rispetto di culture a tradizione orale.

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il Vicario giudiziale ritiene che la causa possa essere trattata con il processo più breve, egli, nel notificare il libello a norma del can. 1676, § 1, inviti la parte che non lo abbia sottoscritto a comunicare al tribunale se intenda associarsi alla domanda presentata e partecipare al processo. Egli, ogniqualvolta sia necessario, inviti la parte o le parti che hanno sottoscritto il libello ad integrarlo al più presto a norma del can. 1684»40. Ma chi è il Vicario giudiziale indicato nel can. 1685 MIDI, al quale dovrà essere indirizzato il libello? Una lettera della Segnatura Apostolica del 10 novembre 2015, con annesso un votum periti41, precisava che i tribunali regionali non sono soppressi e che, pertanto, ad essi va indirizzato il libello; il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, dal canto suo, ha indicato che per il processo ordinario il libello si indirizza al Vicario giudiziale del tribunale regionale mentre per il processo più breve dinanzi al Vescovo il libello va indirizzato al Vicario giudiziale diocesano42. Non so se direttamente collegabile al tenore di questa risposta, ma sicuramente si può innescare una prassi irrituale secondo la quale in diocesi rimangono le cause più semplici e perciò giudicate con il processo più breve mentre quelle più complesse vengono inviate al tribunale interdiocesano o regionale, ove costituiti. Abbiamo già detto che il Vicario giudiziale può valutare se si possa introdurre un processo più breve dinanzi al Vescovo quando il libello non è stato formulato in tal senso ma vi sono le condizioni per procedere con forma abbreviata43; oltre a ciò, il can. 1685 MIDI determina gli ulteriori adempimenti del Vicario giudiziale;

40 RP, art. 15. 41 Prot. n. 51117/15 Vt. 42 POntiFiCiO COnSiGLiO PER i tESti LEGiSLAtiVi, Risposta particolare Circa l’applicazione del m.p. Mitis iudex Dominus iesus, 18 novembre 2015, Prot. 15201/2015, in www.delegumtextibus.va. 43 «nel caso dell’ammissione della causa al processo più breve, riteniamo che il decreto del Vicario giudiziale debba essere motivato, anche solo in modo sommario nel caso in cui accolga le richieste del libello e non ci siano particolari difficoltà da parte del difensore del vincolo. Le motivazioni dovranno essere più puntuali nel caso in cui il Vicario giudiziale: – abbia agito a norma di RP 15 e si sia passati da una richiesta per il processo ordinario all’ammissione a quello più breve; – ammetta al processo più breve con il parere contrario del difensore del vincolo; non ammetta tutti i capi di nullità invocati, ma solo quelli di cui risulti evidente la nullità e possibile la prova con il processo più breve; respinga la richiesta del processo più breve e ammetta la causa al processo ordinario»: A. GiRAUDO, La scelta della modalità con cui trattare la causa di nullità, in REDAziOnE Di QUADERni Di DiRittO ECCLESiALE (a cura di), La riforma dei processi matrimoniali di Papa Francesco. Una guida per tutti, 64.

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questi deve emettere il decreto di contestazione della lite determinando la formula del dubbio; contestualmente, nel medesimo decreto, nomina l’istruttore e l’assessore; nello stesso decreto cita44, per la sessione unica da celebrarsi ai sensi del can. 1686 MIDI non oltre trenta giorni, quanti devono intervenire nel processo, vale a dire le parti, i loro patroni, il difensore del vincolo e, se è il caso, il promotore di giustizia, e i testimoni già indicati nel libello introduttorio di causa.

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Il Vicario giudiziale può naturalmente istruire di persona la causa; tuttavia, come suggerisce l’art. 16 delle Regole procedurali «per quanto sia possibile nomini un istruttore della diocesi di origine della causa». Sembra evidente che tale precisazione tiene presente il caso di un tribunale interdiocesano45. Se non è già stato fatto nella presentazione del libello, il Vicario giudiziale, nel decreto di citazione della sessione istruttoria, di cui al can. 1685 MIDI, deve informare le parti che, come precisa l’art. 17 RP, «possono, almeno tre giorni prima della sessione istruttoria, presentare gli articoli degli argomenti sui quali si chiede l’interrogatorio delle parti o dei testi». È nella natura del processo più breve che l’istruttoria si risolva in una sola sessione46. Naturalmente tale indicazione normativa rimane soggetta al principio della 44 «La citazione per la sessione istruttoria è una peculiarità del processo più breve. La misura ha un’evidente funzione acceleratoria: l’inizio della fase istruttoria non si rimette ad un ulteriore passaggio procedimentale ma si prevede subito la celebrazione dell’udienza»: M. DEL POzzO, Il processo matrimoniale, 167. 45 «il Vicario giudiziale di un tribunale interdiocesano deve prendere in considerazione i criteri di vicinanza e di prossimità, compresi eventuali aspetti riguardanti l’inserimento ecclesiale delle parti. […] nell’indicare la trattazione per processo breve, indicherà anche il Vescovo più “prossimo” alle parti»: A. zAMBOn, La presentazione del libello, in REDAziOnE Di QUADERni Di DiRittO ECCLESiALE (a cura di), La riforma dei processi matrimoniali di Papa Francesco. Una guida per tutti, 41. 46 G. BOni, La recente riforma del processo di nullità matrimoniale. Problemi, criticità, dubbi (parte seconda), 31 si è domandata se sessione e udienza siano sinonimi. Sono ritenuti sinonimi da A. StAnkiEwiCz, Praxis iudicialis canonica, Romae 2012, 8: «Sessiones seu audientiae. Sessio dicitur quia iudex “sedet pro tribunali ad ponendos actus iudiciales (processuales). in unica sessione plures actus poni possunt; e contra unicus actus pluribus sessionibus constare potest, si unica sessione expleri nequeat, sicut v.gr. interrogatio partis vel testis». Al contrario, P. BiAnChi, Lo svolgimento del processo breve, in REDAziOnE Di QUADERni Di DiRittO ECCLESiALE (a cura di), La riforma dei processi matrimoniali di Papa Francesco. Una guida per tutti, 71-72: «Forse è possibile ipotizzare che al termine sessione vada attribuito un significato più ampio […]; ossia uno spazio di tempo abbastanza prolungato all’interno del quale potrebbero trovare la loro collocazione diverse udienze, dedicate, per esempio, all’escussione delle parti o di testimoni; alla richiesta di chiarimenti a un perito o a un professionista che abbia avuto in cura le parti o una di esse e i cui contributi siano allegati al libello; al riconoscimento o alla acquisizione di (nuovi) documenti utili per la causa».

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realtà; pertanto, il can. 1686 MIDI non ne fa un obbligo assoluto, ma condizionato alle concrete possibilità di realizzazione nei casi peculiari47.

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Esaurita la sessione istruttoria, l’istruttore concede alle parti pubbliche e private il termine di quindici giorni per presentare le osservazioni del difensore del vincolo e le difese delle parti, attrice e/o convenuta, se ve ne siano. Dal tenore della norma, sicuramente le osservazioni a difesa del vincolo devono essere presentate, mentre quelle delle parti non sono obbligatorie se non nella misura in cui le medesime lo ritengano opportuno48. Nel processus brevior coram Episcopo per condurre la sessione viene designato un istruttore e non un giudice. Quindi, in analogia con la figura dell’uditore, per essere nominato è sufficiente che l’istruttore soddisfi i requisiti che il Codice prevede per l’uditore e che a questi si ispira anche per la determinazione delle competenze inerenti l’ufficio di istruttore, secondo il can. 1428, §§ 1-2 CIC. Per quanto è possibile, l’uditore è affiancato da un assessore. Tale figura è già richiesta nel processo ordinario, quando la causa viene affidata dal Vescovo ad un giudice unico, dove sono nominati due assessori; ora, nel processo più breve, la norma prevede la nomina di un solo assessore, con compiti di assistenza nei confronti dell’istruttore che si può appunto consultare con lui, come suggerisce già il can. 1424 CIC nel contesto di un giudizio con giudice monocratico. Nel processo più breve, a motivo della concentrazione in un’unica sessione «le parti e i loro avvocati possono assistere all’escussione delle altre parti e dei testi, a meno che l’istruttore ritenga, per le circostanze di cose e di persone, che si debba procedere diversamente», così recita l’art. 18 § 1 RP. Tale regola permet47 L’istruttore qui deve mostrare tutta la sua competenza e perizia nell’introdurre e nel condurre la macchina processuale, anzitutto con lo studio e la preparazione della sessione istruttoria (raccolta delle prove evidenti, rispetto dei termini, attenzione alle domande per l’interrogatorio, specie a quelle proposte dalle parti); poi con lo svolgimento della sessione istruttoria sia applicando correttamente le procedure sia ponendo attenzione al fatto che nel processo più breve è possibile che le parti (private) assistano all’interrogatorio. E nei nostri tribunali non sempre abbiamo avuto sufficiente esperienza per poter ora condurre con prudenza, destrezza ed efficacia tale novità nella prassi processuale. 48 La fase discussoria, con le difese e le osservazioni scritte, permette al giudice di valutare con maggiore ponderazione gli argomenti addotti dalle parti rispetto ad una discussione solo orale. Cf. F. DAnEELS, Osservazioni sul processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio, “Quaderni di diritto ecclesiale” XiV (2001), 85; w. L. DAniEL, The Abbreviated Matrimonial Process before the Bishop in Cases of “Manifest Nullity” of Marriage, 585.

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te di affrontare e risolvere subito perplessità, contraddizioni o quanto eventualmente si frapponga alla ricerca della verità e che necessita di un chiarimento immediato. Al principio della concentrazione obbedisce pure il § 2 dell’art. 18 RP, dove si determina che «le risposte delle parti e dei testi devono essere redatte per iscritto dal notaio, ma sommariamente e soltanto in ciò che si riferisce alla sostanza del matrimonio controverso». Benché si richieda una verbalizzazione sommaria delle deposizioni e delle testimonianze da parte del notaio, non si deve pensare che qui il processo più breve segua le orme del processo orale del Codice del 1917. Infatti, rispetto a questo, quello dinanzi al Vescovo non ammette la discussione orale e subito la decisione, proprio perché la decisione spetta al Vescovo e non all’istruttore. La fase decisoria del processus brevior

2.3

Conclusa l’istruttoria della causa, acquisite le osservazioni del difensore del vincolo e, se ve ne siano, delle parti, la causa passa alla decisione del Vescovo diocesano, il quale «interviene esclusivamente nella fase decisoria, e non precedentemente»49. Ricevuti gli atti, il Vescovo che agisce come giudice unico50, procede ad una serie di adempimenti in vista del raggiungimento o meno della certezza morale circa la causa: si consulta con l’istruttore e con l’assessore; valuta le osservazioni in difesa del vincolo; se ve ne siano, vaglia pure le memorie difensive delle parti. Se dopo questi atti il Vescovo raggiunge la certezza morale, allora emana la sentenza definitiva. In caso contrario, se cioè dagli atti non è possibile raggiungere la certezza morale necessaria, il Vescovo deve rimettere la causa all’esame ordinario. 49 M. MinGARDi, Il ruolo del Vescovo diocesano, in REDAziOnE Di QUADERni Di DiRittO ECCLESiALE (a cura di), La riforma dei processi matrimoniali di Papa Francesco. Una guida per tutti, 100. «nulla invece esclude di per sé che il Vescovo, se ne ha le competenze e se intende dedicare tempo a questa attività, possa svolgere personalmente la sessione istruttoria»; ma per fare ciò Mingardi ritiene che «il Vicario giudiziale designi il Vescovo come istruttore»: ibid., 101. Mi sembra perlomeno discutibile tale ipotesi. 50 «La riforma in un certo senso ha sovvertito la direttiva del decentramento organico di funzioni (vicarietà giudiziale), statuendo il coinvolgimento e la responsabilità diretta del titolare proprio della potestà, almeno nelle questioni dottrinalmente più critiche e rischiose (le così dette nullità evidenti)»: M. DEL POzzO, L’organizzazione giudiziaria ecclesiastica alla luce del m.p. “Mitis Iudex”, “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” XXXVi (2015), 8.

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Per l’individuazione del Vescovo competente a emanare la sentenza, nel caso di un tribunale diocesano, non si pone alcun problema. Ma nel caso di un tribunale interdiocesano, le RP stabiliscono che «se la causa viene istruita presso un tribunale interdiocesano, il Vescovo che deve pronunziare la sentenza è quello del luogo in base al quale si stabilisce la competenza a mente del can. 1672. Se poi siano più di uno, si osservi per quanto possibile il principio della prossimità tra le parti e il giudice» (art. 19 RP). Si stabilisce il criterio della prossimità, nuovo in ambito canonico, che forse va precisato con l’ausilio della prassi, della giurisprudenza e della scienza canonica. Se il Vescovo, dopo la consultazione con l’istruttore e il vaglio delle difese pro vinculo e delle memorie delle parti, se ve ne siano, non è riuscito a raggiungere la certezza morale, deve rimandare la causa all’esame ordinario; in questo caso, il can. 1687, § 1 MIDI stabilisce che il Vescovo non può emettere una sentenza negativa, ma deve permettere alle parti di accedere ad un accertamento della verità che riguarda la validità o meno del loro matrimonio secondo il processo ordinario. Se il Vescovo diocesano ha raggiunto la certezza morale e intende dichiarare la nullità del matrimonio, emette la sentenza definitiva, il cui testo integrale viene sottoscritto dal Vescovo stesso e dal notaio, contiene le motivazioni in maniera breve e ordinata e viene notificato al più presto alle parti, cioè entro il termine di un mese dalla data della decisione, come precisa l’art. 20 § 2 RP. Naturalmente, se la petitio iudicialis nel processo più breve è promossa da entrambe le parti o da una sola di esse ma con il consenso dell’altra, sarà difficile che le parti possano appellare. Dunque, se il Vescovo non potrà pronunciare una sentenza negativa, spetta unicamente al difensore del vincolo esercitare il diritto di appello. Il can. 1687, § 3 MIDI, che ha introdotto una nuova disciplina, determina che l’appello si può interporre al Metropolita oppure alla Rota romana. Mentre l’appello alla Rota romana costituisce una legge che rispecchia un principio molto antico che sempre ha consentito appello alla Santa Sede51, l’appello al Metropolita costituisce una immediata applicazione di uno dei criteri ispiratori della riforma voluta da papa Francesco. In concreto, il sistema dell’appello è regolato in 51 tale principio è stato anche ribadito nel Rescritto di papa Francesco sul compimento e l’osservanza della nuova legge del processo matrimoniale, 11 dicembre 2015: «Riconoscendo alla Rota romana, oltre al munus ad essa proprio di appello ordinario della Sede apostolica […]», “L’Osservatore Romano” 12 dicembre 2015, 8.

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base al soggetto che emana la sentenza; pertanto, se la sentenza è emanata dal Vescovo diocesano, l’appello deve essere proposto al Metropolita o alla Rota romana; se la sentenza è emanata dal Metropolita, si appella alla sede suffraganea più antica52; se la sentenza è emanata da un Vescovo immediatamente soggetto alla Sede apostolica, si appella al Vescovo da questa stabilmente designato.

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Anche l’appello è soggetto ad una valutazione di ammissibilità da parte di chi lo deve ammettere, ai sensi del § 3 precedente, atteso che se l’appello è motivato da ragioni meramente dilatorie va rigettato a limine con decreto; se, invece, è ammesso, la causa passa all’esame ordinario di secondo grado. Breve conclusione

La recente riforma sul processo matrimoniale canonico punta, nel suo complesso ma specialmente nel processus brevior, sulla centralità della giurisdizione episcopale come criterio di riorganizzazione della funzione giudiziale nella Chiesa. Non solo. Più che in passato, in relazione al fatto che il Vescovo è iudex natus, oggi l’introduzione di un processo più breve dinanzi al Vescovo, nei soli casi di fondamento evidente della nullità, richiama il momentum del giudizio personale del Vescovo e dei suoi più diretti e competenti ministri del tribunale diocesano di cui egli è il giudice nato, appunto. Le RP hanno recepito tale necessità quando nell’art. 8 § 1 ricordano al Vescovo «che si preoccupi di formare quanto prima, anche mediante corsi di formazione permanente e continua, promossi dalle diocesi o dai loro raggruppamenti e dalla Sede Apostolica in comunione di intenti, persone che possano prestare la loro opera nel Tribunale per le cause matrimoniali da costituirsi». Naturalmente lo snellimento delle procedure, specie in processi più “complicati” da condurre, proprio perché più brevi e che quindi richiedono più esperienza e perizia, non dipende solo dalle norme ma dagli operatori adeguatamente preparati ad applicare tali norme. Il problema, o meglio la quaestio urgens, quindi, per il processo più breve è e rimane ancora quello degli operatori!53 52 Secondo quanto ha determinato il POntiFiCiO COnSiGLiO PER i tESti LEGiSLAtiVi, Risposta particolare circa il Suffraganeus antiquior nel nuovo can. 1687, § 3 Mitis Iudex, Prot. 15155/2015, 15 ottobre 2015, in www.delegumtextibus.va. 53 Mi permetto di rimandare a quanto ho già scritto in L. SABBARESE, Semplicità e celerità nel processo matrimoniale canonico, in P. A. BOnnEt – C. GULLO (a cura di), Il giudizio di nullità matrimoniale dopo

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Ma, ciò nonostante, bisogna attendere fiduciosi la verifica della storia e la sfida di una sempre più efficace preparazione54, aperta ad un numero sempre più ampio di operatori esperti nei Tribunali ecclesiastici nel condurre con perizia e prudenza la macchina processuale secondo le nuove norme che la regolano.

l’Istruzione “Dignitas connubii”. Parte Prima: I principi, (Studi Giuridici LXXV), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007, 261-284. 54 in riferimento ai processi matrimoniali in genere, e a maggior ragione per il processus brevior, valgono le osservazioni di V. DE PAOLiS, Matrimonio y evangelización. Cuestiones de teología y derecho canónico, BAC, Madrid 2015, 247: «La verdadera razón, y la más grave, que está en la raíz de todas las disfunciones de los procesos es la falta de personal preparado. Esta es la causa que debe ser seriamente afrontada y resuelta. Este es el camino que permite a los tribunales funcionar y hacer justicia, en tiempos razonables, en la iglesia».

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S

T

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Mitis Iudex Dominus Iesus Alcune considerazioni sull’art. 14 delle Regole procedurali

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Andrea D’Auria

Il motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, emanato il giorno 8 settembre 2015, col quale papa Francesco ha innovato il processo di nullità matrimoniale, presenta modifiche di portata storica. Lo stesso Pontefice indica esplicitamente, nell’introduzione al motu proprio, quali siano le ragioni che lo hanno spinto ad apportare tali cambiamenti, offrendo così, all’operatore del diritto e a tutti i fedeli, un’adeguata chiave interpretativa. Francesco afferma di essere stato indotto a realizzare questa riforma per «l’enorme numero di fedeli che, pur desiderando provvedere alla propria coscienza, troppo spesso sono distolti dalle strutture giuridiche della Chiesa a causa della distanza fisica o morale; la carità dunque e la misericordia esigono che la stessa Chiesa come madre si renda vicina ai figli che si considerano separati»1. Si fa qui poi espressa menzione del fatto che un alleggerimento e una semplificazione del processo di nullità matrimoniale è stato uno dei principali auspici espressi dal Sinodo straordinario del 2014, in ordine al fatto di rendere le procedure più celeri e semplici – «in questo senso sono anche andati i voti della maggioranza dei miei Fratelli nell’Episcopato, riuniti nel recente Sinodo straordinario»2, che ha sollecitato processi più rapidi ed accessibili. La ragione pastorale motiva a fondamento di tale semplificazione è ravvisata dal Papa nel fatto che i fedeli non restino troppo a lungo sotto le tenebre del dubbio, data la lunga attesa dovuta alla lungaggine dei processi. A tal proposito papa Francesco così si esprime: «in totale sintonia con tali desideri, ho deciso di dare con questo motu proprio disposizioni con le quali si favorisca non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi, non meno che una giusta semplicità, affinché, a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che at11 MiDi, Proemio. 12 Ivi. Cf. anche SinODO DEi VESCOVi, iii Assemblea Generale Straordinaria, Relatio Synodi, 18 ottobre 2014, n. 48, “L’Osservatore Romano” 20-21 ottobre 2014, 8.

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tendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio»3. La materia del motu proprio è alquanto vasta; vorremo noi addensare la nostra attenzione solamente sulle cause sostantive che motivano il ricorso al processo breve. 1

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Processus brevior

Tra le modifiche di maggior rilievo vi è senza dubbio quella relativa all’introduzione del processo più breve – così qualificato dallo stesso motu proprio. La ragione che ha portato all’introduzione di tale processo è evidenziata dallo stesso Pontefice quando afferma: «infatti, oltre a rendere più agile il processo matrimoniale, si è disegnata una forma di processo più breve – in aggiunta a quello documentale come attualmente vigente –, da applicarsi nei casi in cui l’accusata nullità del matrimonio è sostenuta da argomenti particolarmente evidenti»4. Si è detto che in alcuni casi la fondatezza della richiesta di nullità emerge con chiarezza sin dall’esposizione della vicenda matrimoniale contenuta nel libello introduttorio, per cui un’indagine accurata e meticolosa si rivela come inutile, pleonastica e causa di inutili ritardi. «In simili casi – afferma il Moneta – la scrupolosa osservanza di tutti gli adempimenti e le formalità previsti dal processo ordinario si rivela superflua ed inutilmente dispendiosa in termini di tempo, energie, risorse economiche. Perché dunque non prevedere la possibilità di utilizzare un processo speciale più snello e semplificato?»5. In altre parole quando la nullità risulta evidente già da una prima analisi del caso presentato attraverso il libello, l’osservanza di tutte le minuziose e accurate procedure previste dall’ordinamento appare superflua. Tale processo può essere introdotto quando, in forza del can. 1683: 1° la domanda sia proposta da entrambi i coniugi o da uno di essi, col consenso dell’altro; 13 MiDi, Proemio. 14 MiDi, Proemio, iV. 15 P. MOnEtA, La dinamica processuale nel m.p. “Mitis Iudex”, Relazione al Seminario di studio «La riforma operata dal m.p. “Mitis iudex”», Roma, 30 ottobre 2015, in http://www.consociatio.org/repository/ Moneta_Lumsa.pdf, 7.

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2° ricorrano circostanze di fatti e di persone, sostenute da testimonianze o documenti, che non richiedano un’inchiesta o un’istruzione più accurata, e rendano manifesta la nullità.

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Il motu proprio prevede poi – al di là delle difficoltà interpretative che eventualmente potranno insorgere – che tale processo sia condotto davanti al Vescovo diocesano. Il Papa così si esprime: «non mi è tuttavia sfuggito quanto un giudizio abbreviato possa mettere a rischio il principio dell’indissolubilità del matrimonio; appunto per questo ho voluto che in tale processo sia costituito giudice lo stesso Vescovo, che in forza del suo ufficio pastorale è con Pietro il maggiore garante dell’unità cattolica nella fede e nella disciplina»6. Al termine del motu proprio troviamo una lunga parte intitolata Regole procedurali per la trattazione delle cause di nullità matrimoniale. Tale parte segue la firma di Francesco; si potrebbe quindi dedurre che si tratta in realtà di un’aggiunta redazionale. L’inserimento di queste regole procedurali viene così motivato: «La III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, celebrata nel mese di ottobre 2014, ha constatato la difficoltà dei fedeli di raggiungere i tribunali della Chiesa. Poiché il Vescovo, come il buon Pastore, è tenuto ad andare incontro ai suoi fedeli che hanno bisogno di particolare cura pastorale, unitamente con le norme dettagliate per l’applicazione del processo matrimoniale, è sembrato opportuno, data per certa la collaborazione del Successore di Pietro e dei Vescovi nel diffondere la conoscenza della legge, offrire alcuni strumenti affinché l’operato dei tribunali possa rispondere alle esigenze dei fedeli, che richiedono l’accertamento della verità sull’esistenza o no del vincolo del loro matrimonio fallito»7. È interessante qui notare che tali regole procedurali indicano, in via esemplificativa, con enumerazione non tassativa, alcune circostanze che possano consentire l’introduzione del processo breve e che quindi, a giudizio dello stesso motu proprio, potrebbero sostenere l’evidenza di nullità. Il testo, all’art. 14 § 1, così si esprime: «tra le circostanze che possono consentire la trattazione della causa di nullità del matrimonio per mezzo del processo più breve secondo i cann. 1683-1687, si annoverano per esempio: quella mancanza di fede che può generare la simulazione 16 MiDi, Proemio, iV. 17 RP, introduzione.

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del consenso o l’errore che determina la volontà, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo, l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione, la causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna, la violenza fisica inferta per estorcere il consenso, la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici, ecc.»8. Non bisogna però tralasciare l’inciso contenuto nel secondo criterio e cioè: che non richiedano un’inchiesta o un’istruzione più accurata». Ciò sta a indicare che se la causa di nullità addotta dalla parte o dalle parti richieda un accurato e meticoloso accertamento probatorio o comunque necessiti di tempi lunghi per la raccolta delle prove – come nel caso di ulteriori perizie mediche non ancora realizzate o di escussione di testimoni indicati in modo generico o non facilmente reperibili o che possono essere ascoltati solo tramite rogatoria – il processo breve non potrà essere autorizzato. Vorremmo ora analizzare in modo specifico tali circostanze, cercando di evidenziare come si inseriscano nella sistematica più generale delle nullità matrimoniali. La mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà

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La prima circostanza che può consentire la trattazione della causa di nullità del matrimonio per mezzo del processo breve è, secondo le Regole procedurali, quella relativa a «quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o 1’errore che determina la volontà». La problematica in questione si presenta come realmente sconfinata, anche perché tanto è stato scritto e detto al riguardo; il problema del matrimonio dei battezzati non credenti è diventato veramente una crux interpretum dei tempi moderni. Potremmo qui dire che il problema si pone sinteticamente nei seguenti termini: qual è la rilevanza giuridica di un matrimonio celebrato in chiesa, cioè secondo la 18 RP, art. 14, § 1.

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forma canonica, da due soggetti battezzati che abbiano perso la fede, o l’abbiano rifiutata o che siano assolutamente lontani dalla pur minima percezione di quella che possa essere la progettualità del disegno di Dio in ordine al matrimonio o che non conoscono o che addirittura rifiutano ogni dimensione trascendente del patto coniugale? L’insegnamento ecclesiale si è ormai attestato sul principio – contenuto nel can. 1055, § 2 CIC – dell’inseparabilità tra contratto e sacramento, anche se storicamente questo punto non è mai stato un’acquisizione pacifica e si è presentato anzi come molto controverso9. Il Signore Gesù ha elevato, in forza della grazia proveniente dal battesimo, a dignità sacramentale una realtà naturale preesistente, facendola assurgere a dignità di segno salvifico, espressivo dell’amore di Cristo per la sua Chiesa. Potremmo dire, in altre parole, che l’istituto del matrimonio esiste anche prima della venuta di Cristo, a prescindere dalla sua santificazione e fa parte dell’ordine di natura. Anche l’uomo che non ha mai avuto la grazia di conoscere Cristo è naturalmente, oseremmo dire, istintivamente, incline al matrimonio10. Si afferma giustamente che due persone entrando nell’ordine della redenzione, in virtù del lavacro battesimale – gratia naturam perficit – non possono poi più retrocedere all’ordine della creazione e celebrare così un semplice matrimonio naturale. A ciò si aggiunge anche la considerazione che se in ogni sacramento la materia e la forma sono dati da elementi specifici voluti da Cristo, da lui indicati e istituiti e cioè direttamente o indirettamente riconducibili alla sua volontà – ad esempio il pane, l’acqua, il vino – nel matrimonio invece gli elementi sono gli stessi del patto coniugale naturale e cioè il consenso diretto alla possibilità di istituire una comunione di tutta la vita11. L’insegnamento riguardante l’inseparabilità tra contratto e sacramento ha quindi fissato il principio secondo il quale un uomo ed una donna battezzati non posso19 Cf. E. CORECCO, L’inseparabilità tra contratto matrimoniale e sacramento alla luce del principio scolastico «Gratia naturam perficit, non destruit naturam», in: G. BORGOnOVO – A. CAttAnEO (a cura di), Ius et Communio. Scritti di diritto canonico, Piemme, Casal Monferrato 1997, 446-515. 10 Cf. U. nAVARREtE, Matrimonio cristiano y sacramento, in: Derecho matrimonial canónico. Evolución a la luz del Concilio Vaticano II, Biblioteca De Autores Cristianos, Madrid 2007, 274 e ss. 11 Per tutta questa parte si veda: C. BURkE, La sacramentalità del matrimonio: riflessioni canoniche, in: AA.VV., Sacramentalità e validità del matrimonio nella giurisprudenza del Tribunale della Rota Romana, (Studi Giuridici XXXVi), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995, 139-144; M. MinGARDi, L’esclusione della sacramentalità del matrimonio, “Quaderni di diritto ecclesiale” XiX (2006), 430 e ss.

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no contrarre un valido matrimonio che non sia per ciò stesso sacramento; non possono quindi celebrare un matrimonio semplicemente naturale ed essendo inseparabile l’aspetto contrattuale umano dall’aspetto soprannaturale sacramentale l’esclusione o la non rinvenibilità dell’aspetto sacramentale comporterà la nullità del matrimonio tout court. In un certo qual modo tale dottrina “complica” la questione, in quanto conduce all’improponibilità per due battezzati che abbiano perso la fede o che siano lontani da una visione cristiana del matrimonio di celebrare un valido matrimonio naturale, cioè non sacramentale, così come lo potrebbero celebrare due non battezzati. Ciò pone non pochi problemi, come vedremo, a riguardo del diritto naturale a sposarsi – ius connubii o ius ad nuptias12. Si è detto infatti che la situazione del battezzato che non voglia sposarsi in Chiesa è ben peggiore di quella del non battezzato che almeno potrà celebrare un valido matrimonio naturale13. In altre parole siamo di fronte ad una duplice possibilità che non presenta un’ulteriore via di uscita: o due battezzati si sposano celebrando un sacramento, oppure celebrano un matrimonio nullo. Tertium non datur. Se ci si sposa con l’intenzione che non si realizzi un sacramento o escludendo la dignità sacramentale dello stesso allora non si ci sposa affatto14. Tale dottrina è stata accusata di “automatismo sacramentale” – un eufemismo che sottende una sottile critica e che tende in realtà, a nostro avviso, a smorzare il principio dell’ex opere operato15 – per cui, si dice, il sacramento si produrrebbe meccanicamente, al di là della consapevolezza che i coniugi ne abbiano, i quali anche se sprovvisti di fede o completamente chiusi al trascendente e disinteressati ad ogni dinamica soprannaturale, celebrerebbero un matrimonio sacramentale 12 Cf. A. D’AURiA, Libertà del fedele e scelta della vocazione, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2012, 159 e ss.; C. BURkE, La sacramentalità del matrimonio: riflessioni teologiche, “Apollinaris” Vi (1993), 315-338. 13 Cf. M. RiVELLA, Il matrimonio dei cattolici non credenti e l’esclusione della sacramentalità, in: AA.VV., Matrimonio e sacramento, (Studi Giuridici LXV), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, 114. 14 Cf. U. nAVARREtE, Matrimonio cristiano y sacramento, in: Derecho matrimonial canónico. Evolución a la luz del Concilio Vaticano II, 276. 15 Cf. t. RinCón PEREz, Fé y sacramentalidad del matrimonio, in AA.VV., Cuestiones fundamentales sobre matrimonio y familia, Eunsa, Pamplona 1980, 184; P. PELLEGRinO, L’esclusione della sacramentalità del matrimonio, in: P. A. BOnnEt – C. GULLO (a cura di), Diritto matrimoniale canonico, vol. ii, Il consenso, (Studi Giuridici LXi), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003, 370.

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per il semplice fatto di essere battezzati, e ciò anche a loro insaputa, purché – secondo i requisiti proprio della teologia sacramentaria – essi abbiano l’intentio faciendi id quod facit Ecclesia Christi16. Tale intenzione si declinerebbe nel concreto nella volontà di celebrare un matrimonio valido così come lo intende la Chiesa e cioè un matrimonio unico ed indissolubile, accettando implicitamente la dinamica sacramentale17. A riguardo di tale problematica, a partire dagli anni settanta, due linee di pensiero si stanno fronteggiando. Posta l’assoluta inscindibilità tra contratto e sacramento, una prima corrente maggioritaria e maggiormente ancorata alla tradizione afferma che non è richiesta la fede per la valida celebrazione del matrimonio, ma è sufficiente, come abbiamo appena affermato, che nei coniugi sia rinvenibile l’intentio faciendi id quod facit Ecclesia Christi – detta anche intentio generalis; l’intenzione cioè di celebrare un matrimonio valido secondo l’ordine creaturale. Tale matrimonio assurge automaticamente alla dignità sacramentale, in forza della grazia battesimale e ciò anche qualora i coniugi non ne siano consapevoli18. Una seconda corrente afferma invece che la mancanza di fede non permetterebbe il realizzarsi della dinamica sacramentale, sebbene i due coniugi siano battezzati, e che posta l’inscindibile unità tra contratto e sacramento il mancato verificarsi dell’aspetto sacramentale comporterebbe la nullità del matrimonio. Detto in altri termini la mancanza di fede porterebbe inevitabilmente all’esclusione della dignità sacramentale con conseguente nullità del patto coniugale. Questa seconda posizione si basa, in realtà, a nostro avviso, su un indebolimento dell’identità tra contratto e sacramento, in quanto si ammette che i coniugi possano positivamente volere il contratto matrimoniale senza volere il sacramento, il che per i sostenitori dell’altra teoria è qualcosa di estremamente difficile, se non addirittura impossibile19. 16 Cf. C. BURkE, La sacramentalità del matrimonio: riflessioni canoniche, 145. 17 Cf. M. F. POMPEDDA, Intenzionalità sacramentale, in: AA.VV., Matrimonio e sacramento, 34. A tal proposito si veda anche: G. BERtOLinO, Fede, intenzione sacramentale e dimensione naturale del matrimonio, “il Diritto Ecclesiastico” CXii (2001), 1443. 18 Cf. C. GULLO, Guida ragionata alla giurisprudenza rotale in tema di rilevanza della dignità sacramentale del matrimonio, in: AA.VV., Sacramentalità e validità del matrimonio, 285 e ss. 19 Cf. C. BURkE, La sacramentalità del matrimonio: riflessioni canoniche, 150. A tal proposito si veda anche: M. MinGARDi, L’esclusione della sacramentalità, 422.

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La posizione, secondo la quale la mancanza di fede e l’esclusione della dignità sacramentale è sostanzialmente irrilevante quanto alla validità del matrimonio – salvo che non si risolva in una condicio sine qua non o in una volontà prevalente che porta ad escludere il matrimonium ipsum – si basa sul convincimento che il matrimonio è valido quando i contraenti esprimono una volontà diretta al patto coniugale così come è nell’ordine di natura, in quanto in conseguenza di ciò la dignità sacramentale e gli effetti soprannaturali dipendono poi e si producono in forza della volontà di Cristo20. La problematica in questione si è in un certo qual modo complicata a seguito del pronunciamento della Commissione Teologica Internazionale del 6 dicembre 1977. Tale testo, pur non essendo magistero autentico, gode purtuttavia di una non trascurabile autorità dottrinale, tanto da aver influenzato non poco l’opinione di canonisti e teologi. Ci pare utile riportare qui solo i passaggi salienti di tale pronunciamento: La realtà dei “battezzati non credenti” pone oggi un nuovo problema teologico e un grave dilemma pastorale, soprattutto se emerge chiaramente l’assenza o il rifiuto della fede. L’intenzione richiesta – l’intenzione di fare ciò che fanno Cristo e la Chiesa – è la condizione minima necessaria perché ci sia veramente un atto umano di impegno sul piano della realtà sacramentale. Certamente non bisogna confondere il problema dell’intenzione con quello relativo alla fede personale dei contraenti, ma non è neppure possibile separarli totalmente. In ultima analisi, la vera intenzione nasce e si nutre di una fede viva. Nel caso in cui non si avverta alcuna traccia della fede in quanto tale (nel senso del termine “credenza”, disposizione a credere) né alcun desiderio della grazia e della salvezza, si pone il problema di sapere, in realtà, se l’intenzione generale e veramente sacramentale di cui abbiamo parlato, è presente o no, e se il matrimonio è contratto validamente o no. La fede personale dei contraenti non costituisce, come è stato notato, la sacramentalità del matrimonio, ma l’assenza della fede personale può compromettere la validità del sacramento. Questo fatto origina nuovi interrogativi ai quali non sono state trovate finora risposte sufficienti; esso impone nuove responsabilità pastorali in materia di matrimonio cristiano. “Innanzitutto i pastori si sforzino di sviluppare e nutrire la fede dei fidanzati poiché il sacramento del matrimonio suppone e richiede la fede” (Ordo celebrandi matrimonium. Praenotanda, n. 7)21. 20 Cf. M. RiVELLA, Il matrimonio dei cattolici, 111-112. 21 http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_1977_sacramentomatrimonio_it.html#tEStO_DELLE_PROPOSiziOni.

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La Commissione Teologica Internazionale svolge il seguente iter concettuale. Si afferma la necessità di distinguere tra fruttuosità e validità del sacramento. Per quanto riguarda la fruttuosità è ben inteso ed indiscusso che occorra la fede. Per la validità del sacramento invece la Commissione Teologica Internazionale afferma che senza l’intentio faciendi non vi può essere un valido sacramento. È chiaro che occorre qui poi distinguere il problema relativo alla possibile mancanza di fede dall’assenza dell’intentio generalis; un sacramento potrebbe cioè essere validamente celebrato anche senza la fede, purché ci sia ovviamente tale recta intentio. Ma secondo la Commissione Teologica Internazionale questi due problemi non sono del tutto separabili. La Commissione arriva a dire, infatti, che senza un pur minimo vestigium fidei è ben difficile affermare che vi sia tale recta intentio e quindi valido sacramento. Il prosieguo della Dichiarazione sembra poi essere ancora più deciso e radicale in tal senso laddove si afferma: Non si può tuttavia escludere l’esistenza di casi in cui, per dei cristiani, la coscienza sia deformata da ignoranza o da errore invincibile. Essi giungono a credere sinceramente che possono contrarre un vero matrimonio escludendo il sacramento. In questa situazione, essi non sono in grado di contrarre un matrimonio sacramentale valido poiché negano la fede e non hanno l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.

Tale pronunciamento ha scatenato un vivace dibattito ed ha aperto il campo a riflessioni molto coraggiose, in quanto se la mancanza di fede mette in dubbio o addirittura esclude il sussistere dell’intentio generalis, se ne desume che i nubendi battezzati non credenti non possano celebrare un valido sacramento22. L’Esortazione Post-Sinodale Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II, del 22 novembre 1981, al n. 68, sembra porre un correttivo a tale pronunciamento. Si afferma infatti che: Tuttavia, non si deve dimenticare che questi fidanzati, in forza del loro battesimo, sono realmente già inseriti nell’Alleanza sponsale di Cristo, con la Chiesa e che, per la loro retta intenzione, hanno accolto il progetto di Dio sul matrimo-

22 Cf. A. StAnkiEwiCz, La giurisprudenza in tema di esclusione della sacramentalità del matrimonio, in: AA.VV., Matrimonio e sacramento, 108.

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nio e, quindi, almeno implicitamente, acconsentono a ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il matrimonio […] Voler stabilire ulteriori criteri di ammissione alla celebrazione ecclesiale del matrimonio, che dovrebbero riguardare il grado di fede dei nubendi, comporta oltre tutto gravi rischi. Quello, anzitutto, di pronunciare giudizi infondati e discriminatori; il rischio, poi, di sollevare dubbi sulla validità di matrimoni già celebrati, con grave danno per le comunità cristiane, e di nuove ingiustificate inquietudini per la coscienza degli sposi; si cadrebbe nel pericolo di contestare o di mettere in dubbio la sacramentalità di molti matrimoni di fratelli separati dalla piena comunione con la Chiesa cattolica, contraddicendo così la tradizione ecclesiale. Quando, al contrario, nonostante ogni tentativo fatto, i nubendi mostrano di rifiutare in modo esplicito e formale ciò che la Chiesa intende compiere quando si celebra il matrimonio dei battezzati, il pastore d’anime non può ammetterli alla celebrazione. Anche se a malincuore, egli ha il dovere di prendere atto della situazione e di far comprendere agli interessati che, stando così le cose, non è la Chiesa ma sono essi stessi ad impedire quella celebrazione che pure domandano23.

Il presente passaggio presenta contenuti assolutamente interessanti, in quanto si dice che bisogna presumere nei nubendi battezzati la retta intenzione, senza indagare ulteriormente sul loro grado di fede. Ciò altrimenti da una parte restringerebbe la possibilità di sposarsi e dall’altra metterebbe in questione la validità dei sacramenti già celebrati. Solo nel caso in cui i nubendi manifestino in modo esplicito e formale – aperte et expresse – un’avversione verso quello che fa la Chiesa, allora si dovrà impedire la celebrazione del matrimonio. Il documento afferma in sintesi che la mancanza di fede non pregiudica la validità del matrimonio; che la recta intentio si presume e che solo un rifiuto esplicito e formale di intendere ciò che vuole la Chiesa comporterà la nullità del matrimonio. Tale pronunciamento non ha però messo termine al dibattito, anzi lo ha forse ulteriormente infiammato, in quanto ha lasciato aperto il problema di come valutare la sussistenza di questo rifiuto esplicito e formale e quindi l’eventuale mancanza della recta intentio24. 23 iOAnnES PAULUS ii, Adhort. ap. Familiaris consortio ad episcopos, sacerdotes et christifideles totius ecclesiae catholicae de familiae christianae muneribus in mundo huius temporis, diei 22 novembris 1981, AAS 74 (1982), 164-165; “L’Osservatore Romano” 18 dicembre 1981, 6; Versione italiana: “L’Osservatore Romano”, Supplemento 17 dicembre 1981. 24 Cf. M. RiVELLA, Il matrimonio dei cattolici non credenti, 114-115; P. MOnEtA, L’esclusione del sacramento e l’autonomia della fattispecie, in: AA.VV., Matrimonio e sacramento, 82-84.

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Ancor più deciso si rileva essere l’intervento di Giovanni Paolo II nell’Allocuzione alla Rota Romana del 1º febbraio 200125, laddove si ribadisce l’unitarietà inseparabile tra contratto e sacramento e si parla dell’indole naturale dell’uomo e della donna a celebrare un matrimonio così come è nella tradizione della Chiesa. Nell’allocuzione alla Rota Romana del 30 gennaio 2003, sempre il papa Giovanni Paolo II afferma in sintesi che:

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un atteggiamento dei nubendi che non tenga conto della dimensione soprannaturale nel matrimonio, può renderlo nullo solo se ne intacca la validità sul piano naturale nel quale è posto lo stesso segno sacramentale26.

Alcune sentenze rotali, che si sono basate su questi due discorsi di Giovanni Paolo II, sono arrivate ad affermare che se il nubente si sposa con retta intenzione, accettando cioè quello che è il vero matrimonio, allora la fede del nupturiente deve essere presunta, in quanto essa è implicita nella loro intenzione di sposarsi. Tale retta intenzione, quindi, contiene il «minimum dispositionis personalis ad valide contrahendum» anche per il non credente e pertanto «quodam vestigio fidei innititur»27. Ma quali sono i punti nevralgici attorno a cui si è innervata la discussione relativa alla tematica propria della fede in rapporto alla validità del sacramento del matrimonio? È insegnamento comune della Santa Chiesa quello secondo cui per amministrare o ricevere un sacramento occorre l’intentio faciendi id quod facit Ecclesia Christi, anche a prescindere dalla compresenza della fede nel ministro o in colui che riceve il sacramento. Tale insegnamento è fortemente legato alla tematica dell’ex opere operato, in quanto gli effetti del sacramento si producono al di là della consapevolezza che ne abbia il ministro, della sua dignità e grado di fede. E ciò anche in vista di tutelare l’affidamento e la buona fede del fedele che riceve il sacramento. In sintesi la validità del sacramento non è mai inficiata dalla cattiva disposizione del fedele o del ministro, sebbene la fruttuosità e l’efficacia spirituale siano da graduarsi a seconda dello stato di grazia o della buona disposizione del fedele e del ministro. La Chiesa non ha mai negato, infatti, la rilevanza teologica del principio dell’ex opere operantis. 25 GiOVAnni PAOLO ii, Allocuzione alla Rota Romana, 1 febbraio 2001, AAS XCiii (2001), 358-365. 26 GiOVAnni PAOLO ii, Allocuzione alla Rota Romana, 30 gennaio 2003, AAS XCV (2003), 397. 27 A. StAnkiEwiCz, La giurisprudenza in tema di esclusione, 109.

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In modo unanime la tradizione canonistica ha sempre applicato tale principio anche alla celebrazione del matrimonio. Non vi è mai stata la necessità o l’interesse di investigare il grado di fede dei nubendi in ordine alla possibilità di verificare la validità giuridica del patto coniugale. Si è sempre fatta consistere, infatti, l’intentio faciendi – detta anche intentio generalis o recta intentio – nella semplice volontà di celebrare un matrimonio naturalmente valido e quindi provvisto di tutti i suoi elementi essenziali secondo l’ordine creaturale. Si afferma che la volontà dei nubendi si dirige sul matrimonio ed essendo questi battezzati, essi recepiscono automaticamente il sacramento, al di là della consapevolezza che ne abbiano o della loro volontà28. Si dice, infatti: «qui vult matrimonium, recipit sacramentum»29. Si è detto che: «se i due battezzati vogliono il matrimonio “che già esiste nell’economia della creazione” e lo celebrano validamente, esso, per la volontà di Cristo, diventa sacramentale. È sufficiente, quindi, che essi vogliano positivamente e consapevolmente detta realtà naturale, e non è necessario – per la validità del matrimonio – che vogliano consapevolmente la sacramentalità»30. Si afferma quindi che non occorre provare la positiva recta intentio dei nubendi, in quanto questa si presume, è implicita nel semplice desiderio di sposarsi ed è pertanto sufficiente che tale intentio faciendi non sia direttamente esclusa31. Come abbiamo visto questa consolidata certezza ha subito un’incrinatura dopo il Concilio Vaticano II ed è stata criticata da parte di alcuni Autori32, in quanto, si è detto che laddove non è possibile rinvenire il seppur minimo vestigium fidei o non c’è alcuna parvenza di credenza, non è neppure rinvenibile la retta intenzione richiesta per celebrare validamente un sacramento e quindi lo stesso matrimonio. Di conseguenza, secondo tale posizione, chi non ha la retta intenzione inevitabilmente rigetta il sacramento. La Commissione Teologica Internazionale pare quindi aver messo in discussione la validità del sacramento del matrimonio celebrato da battezzati atei, non tanto e 28 z. GROChOLEwSki, L’errore circa l’unità, l’indissolubilità e la sacramentalità del matrimonio, in: P. A. BOnnEt – C. GULLO (a cura di), Diritto matrimoniale canonico, vol. ii, Il consenso, 244-245. 29 C. BURkE, La sacramentalità del matrimonio: riflessioni canoniche, 156. 30 z. GROChOLEwSki, L’errore circa l’unità, 245. A tal proposito si veda anche: M. F. POMPEDDA, Intenzionalità sacramentale, 37-38. 31 z. GROChOLEwSki, L’errore circa l’unità, 244. 32 P. MOnEtA, L’esclusione del sacramento, 76.

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non solo in forza di una possibile esclusione diretta della sacramentalità – il che forse si potrà verificare raramente – quanto piuttosto per il fatto che senza la fede verrebbe a mancare la retta intenzione e quindi di conseguenza il sacramento.

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Tale dichiarazione, come abbiamo accennato, ha dato il “la” ad accese e innumerevoli discussioni, a seguito delle quali vi è stata una spaccatura nella dottrina e nella giurisprudenza. Da una parte si sostiene che in conseguenza di una visione più personalistica del matrimonio, introdotta dal Concilio, la totale assenza del requisito della fede non può non comportare il non realizzarsi del sacramento, pena il fatto di considerare questo come un mero automatismo giuridico-sacramentale che avviene tra due persone solamente in forza del battesimo ricevuto33. Si aggiunge poi, come vedremo, che una volontà assolutamente chiusa o addirittura avversa al trascendente non potrà permettere il conseguimento dei fini soprannaturali. Questa posizione non afferma che la mancanza di fede porta direttamente alla nullità del matrimonio, o all’esclusione della dignità sacramentale, quanto piuttosto il fatto che l’assenza di fede condurrebbe ad un’esclusione della recta intentio. Tale ragionamento si basa sul fatto che il Concilio Vaticano II avrebbe escluso il principio dell’automatismo sacramentale, per cui, si è detto, non è sufficiente che due battezzati vogliano sposarsi affinché si produca un sacramento. Tale dottrina ha come prodromo una sentenza coram Pinto del 1971. Il noto giurista affermava che per celebrare validamente un matrimonio è richiesta una aliqua fides, per cui chi non ha il dono della fede e considera il matrimonio un rito vano, è incapace di volere il sacramento. Un tale soggetto – secondo Pinto – non contesta e non rifiuta il matrimonio quale istituto naturale, bensì rifiuta l’insegnamento della Chiesa al riguardo e quindi, di conseguenza, non può accettare di fare ciò che intende Cristo e la sua Chiesa34. Secondo tale posizione il parallelo che spesso si fa con l’unità e l’indissolubilità del matrimonio non è proponibile, in quanto un ateo o un acattolico può tranquillamente accettare di fare ciò che intende la Chiesa quanto al matrimonio unico ed indissolubile, «ma non perché vuole ciò che intende la Chiesa, bensì 33 Cf. ivi. 34 Per tutta questa parte si veda: C. GULLO, Guida ragionata alla giurisprudenza rotale, 285-292.

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perché vuole ciò che è il matrimonio naturale, che incidentalmente (per lui) è quello che intende anche la Chiesa». «La stessa cosa non può dirsi della sacramentalità, che non è un elemento del matrimonio naturale, ma solo di quello dei battezzati […] e un ateo o un acattolico non può volere ciò che contesta, altrimenti si farebbe credente o cattolico»35.

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Lo sviluppo di tale corrente, appoggiandosi sul pronunciamento della Commissione Teologica Internazionale, afferma quindi che senza una traccia di fede o almeno una disposizione alla fede, non si può avere sacramento e, posta l’assoluta inseparabilità col contratto matrimoniale, non si può realizzare un valido matrimonio. L’altra corrente sostiene invece che l’assenza di fede non impedirà il sussistere della retta intenzione, intesa qui quale volontà diretta a celebrare un matrimonio naturale. Come abbiamo già avuto modo di dire, gli sposi prestano la volontà matrimoniale diretta al prodursi degli effetti naturali del matrimonio e dalla volontà di Cristo discendono automaticamente gli effetti soprannaturali. È interessante qui notare che le RP fanno riferimento proprio a quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o 1’errore che determina la volontà. Punto fermo, a tal proposito, di tutto il dibattito canonistico in materia è che l’errore circa le proprietà essenziali e la dignità sacramentale del matrimonio non vizia il consenso perché riguarda gli effetti giuridici delle nozze, dummodo non determinet voluntatem (can. 1099 CIC). La possibile forza invalidante dell’error determinans voluntatem si basa su un’intenzione interpretativa: il nubente non avrebbe accettato di concludere il contratto matrimoniale – unico, indissolubile e sacramentale – se non fosse incorso nell’errore. L’error iuris, di cui al can. 1099 CIC, porta quindi alla nullità del consenso quando è stato così pervicace da determinare la volontà a dirigersi su un oggetto che non può essere qualificabile come “matrimoniale”. L’errore è così radicato e strutturato nel soggetto tanto da indurre la sua volontà a volere una cosa diversa da quella che è il matrimonio. È interessante qui notare quanto affermano alcuni Autori, secondo i quali la stessa mancanza di fede può configurarsi come un errore così pervicace e radicale che può arrivare a determinare la volontà fino a farle necessariamente escludere 35 Ibid., 287.

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la sacramentalità del matrimonio. Si passerebbe quindi da una sfera intellettiva, in cui si colloca la carenza di fede, alla sfera volitiva, ove la pervicace avversione alla fede si risolve in un rifiuto della stessa dignità sacramentale36. Ed è in tal senso che va intesa, a nostro avviso, l’espressione del motu proprio, laddove si afferma che la mancanza di fede può generare la simulazione del consenso o quell’errore che determina la volontà. A nostro avviso la posizione secondo la quale non è richiesta la fede per celebrare un valido matrimonio presenta il vantaggio di essere innanzitutto maggiormente in armonia con la tradizione che ha sempre ammesso il matrimonio dei battezzati lapsi37. Inoltre tale insegnamento sottolinea maggiormente l’oggettività della rigenerazione sacramentale per cui, essendo il battezzato nuova creatura, la sua volontà diretta al matrimonio, di per sé – e diversamente non potrebbe essere – raggiunge fini soprannaturali, al di là della consapevolezza che se ne possa avere. Inoltre secondo un’inveterata tradizione della Chiesa, i matrimoni celebrati da coloro che ignorano o non considerano che il matrimonio è indissolubile, unico e sacramentale sono da considerarsi validi38. Ciò non ultimo anche per motivi di carattere ecumenico, perché se così non fosse, dovremmo considerare nulli tutti i matrimoni celebrati dai battezzati riformati, presso i quali normalmente il matrimonio non è considerato un sacramento39. Una breve annotazione. È utile qui ricordare che prima della promulgazione del motu proprio di Benedetto XVI, Omnium in Mentem, del 30 ottobre 2009, un matrimonio tra due battezzati cattolici che avessero entrambi abbandonato la comunione ecclesiale formali actu veniva celebrato lecitamente e validamente, e ciò in forza dell’esenzione dalla forma canonica prevista dal can. 1117 CIC, anche qualora, ad esempio, la celebrazione avesse avuto luogo di fronte all’ufficiale dello stato civile – il cosiddetto matrimonio civile celebrato “in comune”. In questo caso il matrimonio oltre ad essere valido e lecito, nonché unico e indissolubile, aveva anche dignità sacramentale e ciò in virtù del disposto del can. 1055, § 2 36 Cf. P. PELLEGRinO, L’esclusione della sacramentalità, 385. 37 Cf. U. nAVARREtE, Matrimonio cristiano, 276. 38 Cf. C. BURkE, La sacramentalità del matrimonio: riflessioni canoniche, 145. 39 Cf. A. StAnkiEwiCz, L’autonomia giuridica dell’errore di diritto determinante la volontà, in: P. A. BOnnEt – C. GULLO (a cura di), Diritto matrimoniale canonico, vol. ii, Il consenso, 230.

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CIC. Ma come pensare che due battezzati cattolici che avessero ripudiato la fede a tal punto da decidere si sposarsi “in comune” celebrassero un matrimonio sacramento? Ciò è possibile solamente se si ammette, servatis servandis, che il matrimonio di un apostata è comunque valido e sacramentale. Ma tale problematica è rimasta di fatto analoga anche dopo Omnium in Mentem, in quanto il can. 1071 CIC prevede che chi ha abbandonato la fede cattolica notorie si può sposare secondo la forma canonica – previa licenza dell’Ordinario – e quindi celebrare una valido sacramento. Ebbene, se il Legislatore ammette che chi ha abbandonato la fede cattolica notorie si possa sposare in Chiesa, secondo la forma canonica, è perché riconosce che tale soggetto possa celebrare un valido matrimonio sacramentale, indipendentemente dal fatto che abbia perso la fede. Qualche ulteriore considerazione. Si è fatto giustamente notare che: «è molto difficile, ossia è molto poco probabile che un errore circa la dignità sacramentale del matrimonio conduca ad una vera esclusione della sacramentalità o alla determinazione in tal senso dell’oggetto del proprio consenso»40. Infatti l’esclusione dell’unità o dell’indissolubilità del matrimonio ha concrete e rilevanti conseguenze sulla vita matrimoniale. Chi si sposa escludendo l’indissolubilità si riserva di fare un matrimonio ad tempus o di prova; oppure chi esclude l’unità lo fa perché si riserva di avere rapporti adulterini. Ma quali conseguenze pratiche può avere sul matrimonio il fatto di escludere la dignità sacramentale? Quali interessi si potrebbero avere? Quale tipo di matrimonio si vuole realizzare? Siamo qui di fronte a due distinte possibilità: chi crede alla sacramentalità del matrimonio non dovrebbe avere nessun interesse ad escluderla, anche perché si tratta comunque di un arricchimento per l’amore coniugale. Chi invece non vi crede, che interesse avrebbe soggettivamente a rifiutare una cosa che considera inesistente o assolutamente irrilevante? Riteniamo quindi piuttosto improbabile che chi si sposa possa escludere tale dignità sacramentale, almeno nella forma che la dottrina ha sin qui intesa. Vi è poi un’ulteriore annotazione di non secondaria importanza. Ritenere che un battezzato cattolico che abbia perso la fede non possa celebrare un valido sacramento comporterebbe una grave violazione dello ius ad nuptias, in quanto gli verrebbe in ogni modo preclusa la possibilità di celebrare un valido matrimonio. Posta infatti l’assoluta inseparabilità tra contratto e sacramento, l’unico matrimo40 z. GROChOLEwSki, L’errore circa l’unità, 243.

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nio che un battezzato può celebrare è quello sacramentale. Ebbene, atteso il fatto che un ateo battezzato vi sarebbe impossibilitato, questi in nessun modo potrà sposarsi, dato anche il fatto che un eventuale matrimonio civile sarà nullo per difetto di forma ex cann. 1108 e 1117 CIC. Come si è giustamente detto, in questa condizione, l’unico che non può sposarsi è il battezzato ateo e la sua condizione è quindi ben peggiore di colui che tale battesimo non l’ha mai ricevuto41.

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È interessante qui notare che, successivamente alla promulgazione del motu proprio, il papa Francesco, in data 22 gennaio 2016, parlando nell’annuale discorso alla Rota Romana, ha affermato che: È bene ribadire con chiarezza che la qualità della fede non è condizione essenziale del consenso matrimoniale, che, secondo la dottrina di sempre, può essere minato solo a livello naturale (cf. CIC can. 1055 § 1 e 2). Infatti, l’habitus fidei è infuso nel momento del Battesimo e continua ad avere influsso misterioso nell’anima, anche quando la fede non è stata sviluppata e psicologicamente sembra essere assente. Non è raro che i nubendi, spinti al vero matrimonio dall’instinctus naturae, nel momento della celebrazione abbiano una coscienza limitata della pienezza del progetto di Dio, e solamente dopo, nella vita di famiglia, scoprano tutto ciò che Dio Creatore e Redentore ha stabilito per loro. Le mancanze della formazione nella fede e anche l’errore circa l’unità, l’indissolubilità e la dignità sacramentale del matrimonio viziano il consenso matrimoniale soltanto se determinano la volontà (cf. CIC can. 1099). Proprio per questo gli errori che riguardano la sacramentalità del matrimonio devono essere valutati molto attentamente42.

Con tale pronunciamento il Sommo Pontefice ribadisce chiaramente la dottrina tradizionale. Fede e bonum coniugum

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Se, come abbiamo appena cercato di dimostrare, difficilmente l’assenza di fede nei nubendi potrà portare all’esclusione della sacramentalità o alla recta intentio e quindi alla nullità del matrimonio, più interessante ci sembra invece investigare 41 Cf. M. RiVELLA, Il matrimonio dei cattolici, 114. Sulla stessa linea è: z. GROChOLEwSki, L’errore circa l’unità, 245. 42 FRAnCESCO, Allocuzione alla Rota Romana, 22 gennaio 2016, “L’Osservatore Romano” 23 gennaio 2016, 8.

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quali possano essere le ricadute dell’assenza di fede sulla possibile esclusione del bonum coniugum. Nel tentare un approfondimento riguardante il rapporto tra fede e bene dei coniugi, vorremmo prendere le mosse da una posizione interessante, espressa dal prof. Moneta43. Questi afferma che: «l’errore sulla sacramentalità acquista rilevanza ai fini della nullità quando abbia portato la volontà del soggetto ad indirizzarsi ad un matrimonio privo di una sua componente essenziale, quando, in sostanza, si sia concretizzato nell’esclusione di uno dei bona che caratterizzano il matrimonio sotto il profilo umano e naturale»44. Egli continua sostenendo che il dibattito dottrinale in materia di sacramentalità del matrimonio non può non tener conto delle più moderne acquisizioni conciliari e del successivo magistero pontificio che hanno portato ad una concezione maggiormente personalistica delle dinamiche consensuali che conducono ad una valida celebrazione del patto nuziale. La sacramentalità costituisce l’apice, la massima espressione e la piena realizzazione di quella che è la realtà matrimoniale. Questa tensione è insita, in un certo qual modo, in ogni matrimonio; ogni amore tra uomo e donna è profeticamente orientato a questa apertura al trascendente. Come ha affermato Giovanni Paolo II nel discorso alla Rota Romana del 30 gennaio 2003, al n. 3: perciò, la trascendenza è insita nell’essere stesso del matrimonio, già dal principio, perché lo è nella stessa distinzione naturale tra l’uomo e la donna nell’ordine della creazione. Nell’essere “una sola carne” (Gn 2, 24), l’uomo e la donna, sia nel loro aiuto reciproco che nella loro fecondità, partecipano a qualcosa di sacro e di religioso45.

Ebbene quest’apertura al trascendente non può rimanere estranea all’intenzione dei nubendi. Così come nell’ambito delle proprietà essenziali del matrimonio, tali realtà non necessariamente devono essere conosciute e direttamente volute e purtuttavia non possono essere positivamente escluse affinché si abbia una valida celebrazione del matrimonio, così una positiva esclusione di ogni dinamica spirituale o tensione al trascendente e al matrimonio come realtà sacramentale potrà porta43 P. MOnEtA, L’esclusione del sacramento, 86 e ss. 44 Ibid., 85. 45 GiOVAnni PAOLO ii, Allocuzione alla Rota Romana, 30 gennaio 2003, AAS XCV (2003), 394.

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re all’invalidità dello stesso. «L’esclusione della sacramentalità può quindi assumere un suo autonomo rilievo ai fini della nullità del matrimonio, purché si intenda tale termine non nel suo specifico significato teologico-dogmatico, ma come una più generale dimensione religiosa e trascendente propria del matrimonio. […] Contrarrebbe […] invalidamente colui che si accosta al matrimonio escludendone ogni, sia pur minima o riposta, dimensione spirituale o che professa pervicacemente un’ideologia che lo porta ad indirizzare in tal senso la sua volontà»46. L’assenza di fede e l’esclusione della dignità sacramentale del matrimonio non dovrebbero quindi essere intese principalmente nel senso teologico-dogmatico, quanto piuttosto nel rifiuto o nel radicale disinteresse di ogni dinamica religiosa, spirituale e trascendente. Il Moneta sintetizza la problematica nei seguenti termini: «siamo dunque di fronte a persone che si accostano alle nozze con una retta intenzione matrimoniale, con volontà di impegnarsi ai normali obblighi della vita coniugale, ma che per convinzione ideologica sono contrari, tanto da rifiutarla intimamente, alla sacramentalità e, più in generale, alla dimensione religiosa del matrimonio. Ma quest’atteggiamento di rifiuto, di per se stesso, se non si accompagna al rifiuto di qualche proprietà od elemento essenziale – come pure spesso si verifica, specialmente con riguardo all’indissolubilità – non incide concretamente nella vita matrimoniale, nella instaurazione di una effettiva comunione di vita coniugale tra i due sposi. È quindi giustificato attribuire rilevanza invalidante ad un’intenzione che non ha una diretta ricaduta sul concreto costituirsi e svolgersi della vicenda umana di un matrimonio? Può un’impostazione ideologica, sia pur attinente ad una profonda caratterizzazione del matrimonio, arrivare a vanificare una realtà umana valida e pienamente coniugale?»47. Lo stesso Autore risponde alla sua domanda affermando che: «l’esclusione della dimensione religiosa viene allora ad assumere rilievo invalidante quando non rimane a livello teorico d’impostazione ideologica o di prospettiva meramente dogmatica, ma quando spinge il soggetto ad impoverire la comunione di vita coniugale, a mettere in comune con l’altro coniuge non tutto se stesso, nella propria piena umanità formata di corpo e di spirito, ma soltanto gli aspetti materialistici e pragmatici della propria esistenza»48. 46 P. MOnEtA, L’esclusione del sacramento, 87. 47 Ibid., 81. 48 Ibid., 88.

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Non è certo facile discernere ed intendere quando e in quali casi tale chiusura o avversione avviene. Si adducono come esempi i seguenti atteggiamenti: un’impostazione della vita matrimoniale in modo del tutto edonistico, ove campeggia l’esclusiva preoccupazione per le comodità materiali (viaggi, divertimenti, benessere, etc.); un atteggiamento di chiusura o addirittura di avversione verso le esigenze religiose espresse dal proprio coniuge; il rifiuto di qualsivoglia preoccupazione religiosa nell’educazione della prole. Tale impostazione ci pare attuale e aderente alle condizioni fattuali che alcuni soggetti si trovano a vivere. Come abbiamo largamente esposto, oggi è ben difficile e improbabile che un soggetto, anche se ateo o molto lontano dalla Chiesa, si trovi ad escludere la dignità sacramentale del matrimonio, anche perché probabilmente tale realtà non gli interessa affatto o non capisce neanche cosa voglia dire o cosa sia un sacramento; e ciò anche perché tale supposto rifiuto o esclusione non ha ricadute concrete sulla sua condizione matrimoniale, come invece può avvenire per l’esclusione dell’unità o dell’indissolubilità del matrimonio. Ciò che invece più probabilmente può essere escluso o non voluto è proprio quest’aspetto trascendente e soprannaturale del matrimonio che porta concretamente la persona a volere qualcosa di assolutamente distante dal patto coniugale, così com’è nell’ordine della creazione e della redenzione. Sinteticamente il Moneta così si esprime: «questi e simili atteggiamenti possono far ritenere che la contrarietà manifestata nei confronti della celebrazione religiosa, dello stesso valore sacramentale o della regolarizzazione in chiesa di un precedente matrimonio civile […] non si è collocata su un piano esterno ed ininfluente rispetto al nucleo fondamentale di valori umani che caratterizzano il matrimonio, ma è penetrata in esso, degradandolo e depauperandolo di una sua intima ed insopprimibile ricchezza. L’esclusione della dimensione religiosa del matrimonio, che viene a riassorbire un’eventuale più specifica esclusione della dignità sacramentale, può quindi consentire una più appropriata valutazione dell’intenzione naturale del soggetto, risultare utile per meglio comprendere se essa si sia effettivamente indirizzata ad una realtà così complessa nella sua dimensione umana e soprannaturale come quella matrimoniale»49. Tale tipo di esclusione sarebbe poi, di fatto, realmente incidente sul consenso solo se va a intaccare la substantia matrimonii, compromettendo così il segno donativo di sé. 49 Ivi.

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L’Autore amplia il discorso, affermando che tale rifiuto porterebbe alla nullità del matrimonio se ridonda in un’esclusione del bonum coniugum – «sotto questo limitato profilo l’esclusione della dimensione religiosa del matrimonio può conservare una sua specifica autonomia, purché rimanga chiaro che essa può assumere efficacia invalidante soltanto se incide concretamente sulla substantia matrimonii, se compromette l’integrità di quel dono sponsale della propria vita che gli sposi si impegnano a fare l’uno nei confronti dell’altro. Essa quindi verrà inevitabilmente a sovrapporsi e a confluire in una delle tipiche ipotesi di simulazione: in particolare quella relativa al bonum coniugum o, se assume connotazioni più radicali, la stessa simulazione totale»50. È interessante qui notare che gli atteggiamenti citati dal Moneta quali conseguenze o almeno indizi del rifiuto della dimensione trascendente e soprannaturale del matrimonio e quindi della sua sacramentalità – visione edonistica dell’esistenza, percezione materialistica dell’amore e della vita coniugale, grave avversione alla sensibilità religiosa dell’altro coniuge o alla possibilità che la relazione coniugale si svolga secondo i valori soprannaturali – sono esattamente gli stessi comportamenti enunciati dalla dottrina e giurisprudenza quali indici ed elementi in ordine alla probabile esclusione del bonum coniugum. Un altro spunto interessante di riflessione è rinvenibile, in tal senso, in una sentenza coram Pinto del 9 giugno del 2000. L’attuale Decano della Rota Romana afferma che: «admittere compellimur indissolubilitatis proprietatem atque bonum coniugum una simul excludi posse ab eo, qui in ineundis nuptiis, ob defectum sani coniugalis vel sponsalicii amoris, plenam et exclusivam suipsius donationem excludit, sacramentum detrectans atque graviter offendens dignitatem personae humanae compartis, interpersonale impediens complementum coniugio essentiale»51. È interessante qui notare come il Pinto affermi esplicitamente che colui che, in assenza di fede, rifiutando il sacramento e offendendo la dignità della persona umana della comparte esclude la piena ed esclusiva donazione di sé, escluda di fatto anche il bonum coniugum. Analogamente il Dewhirst, citando Burke, afferma che: «Burke’s analysis of the bonum coniugum looks to the good of the spouses as an institutional end and consists in the maturing of the spouses so that they can attain the end for which they 50 Ivi. 51 Cit. in: A. McGRAth, Exclusion of the bonum coniugum: Some Reflections on Emerging Rotal Jurisprudence from a First and Second Instance Perspective, “Periodica” XCVii (2008), 642-643.

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were created, that is, their human and supernatural growth in Christ»52. Ma come è possibile raggiungere una “crescita soprannaturale” se si esclude positivamente la dimensione della fede?

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Riteniamo quindi di poter affermare che una totale chiusura al trascendente, un’assenza di fede e un ostinato rifiuto della dimensione sacramentale del patto nuziale, possano ridondare, di fatto, in un’esclusione del bonum coniugum, in quanto è solo nell’accettazione di tale anelito – almeno potenziale – al soprannaturale che gli sposi possono veramente realizzare se stessi. Come la dottrina e la giurisprudenza hanno abbondantemente affermato che l’esclusione di uno dei tria bona agostiniana può risolversi di fatto nell’esclusione del bonum coniugum, così pensiamo che, analogicamente, si possa sostenere che l’esclusione della sacramentalità del matrimonio o l’assenza di fede possano essere indizio dell’esclusione del bonum coniugum. Ricordiamo qui come Benedetto XVI, nel succitato discorso alla Rota Romana del 2013, abbia affermato che: non si deve quindi prescindere dalla considerazione che possano darsi dei casi nei quali, proprio per l’assenza di fede, il bene dei coniugi risulti compromesso e cioè escluso dal consenso stesso; ad esempio, nell’ipotesi di sovvertimento da parte di uno di essi, a causa di un’errata concezione del vincolo nuziale, del principio di parità, oppure nell’ipotesi di rifiuto dell’unione duale che contraddistingue il vincolo matrimoniale, in rapporto con la possibile coesistente esclusione della fedeltà e dell’uso della copula adempiuta humano modo53.

Il Papa emerito afferma quindi che l’assenza di fede può indirettamente portare ad un’esclusione del bonum coniugum o comunque condurre all’accettazione implicita di elementi opposti a quella che è la realtà di un matrimonio vissuto secondo il piano divino. A tal proposito è interessante notare quanto papa Francesco, nel discorso alla Rota Romana del 23 gennaio 2015, ha affermato: 52 J. A. DEwhiRSt, Consortium vitae, bonum coniugum, and their Relation to Simulation: Continuing Challenge to Modern Jurisprudence, “the Jurist” LV (1995), 803. L’Autore cita qui: C. BURkE, Personalism and the bona of Marriage, “Studia Canonica” XXVii (1993), 401-412. 53 BEnEDEttO XVi, Allocuzione alla Rota Romana, 26 gennaio 2013, AAS CV (2013), 172.

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la crisi del matrimonio, infatti, è non di rado nella sua radice crisi di conoscenza illuminata dalla fede, cioè dall’adesione a Dio e al suo disegno d’amore realizzato in Gesù Cristo. L’esperienza pastorale ci insegna che vi è oggi un gran numero di fedeli in situazione irregolare, sulla cui storia ha avuto un forte influsso la diffusa mentalità mondana. Esiste infatti una sorta di mondanità spirituale, “che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa” (Esort. ap. Evangelii gaudium, 93), e che conduce a perseguire, invece della gloria del Signore, il benessere personale. Uno dei frutti di tale atteggiamento è “una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti” (ibid., 94). È evidente che, per chi si piega a questo atteggiamento, la fede rimane priva del suo valore orientativo e normativo, lasciando campo aperto ai compromessi con il proprio egoismo e con le pressioni della mentalità corrente, diventata dominante attraverso i mass media. Per questo il giudice, nel ponderare la validità del consenso espresso, deve tener conto del contesto di valori e di fede – o della loro carenza o assenza – in cui l’intenzione matrimoniale si è formata. Infatti, la non conoscenza dei contenuti della fede potrebbe portare a quello che il Codice chiama errore determinante la volontà (cf. CIC can. 1099)54.

Ed è interessante quanto il Pontefice aggiunge a tal proposito: questa eventualità non va più ritenuta eccezionale come in passato, data appunto la frequente prevalenza del pensiero mondano sul magistero della Chiesa. Tale errore non minaccia solo la stabilità del matrimonio, la sua esclusività e fecondità, ma anche l’ordinazione del matrimonio al bene dell’altro, l’amore coniugale come “principio vitale” del consenso, la reciproca donazione per costituire il consorzio di tutta la vita. “Il matrimonio tende ad essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno” (Esort. ap. Evangelii gaudium, 66), spingendo i nubenti alla riserva mentale circa la stessa permanenza dell’unione, o la sua esclusività, che verrebbero meno qualora la persona amata non realizzasse più le proprie aspettative di benessere affettivo55.

Non vogliamo qui sostenere che chi si sposa senza fede e con una chiusura al trascendente necessariamente escluda il bonum coniugum; tale atteggiamento spiri54 FRAnCESCO, Allocuzione alla Rota Romana, 23 gennaio 2015, AAS CVii (2015), 183. 55 Ibid., 183-184.

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tuale potrà tuttavia costituire un elemento di prova indiziale significativo per intendere quale sia la reale intentio matrimonialis del nubente o costituire una causa simulandi remota vel proxima del bonum coniugum. In sintesi ci sentiamo di affermare che la prima delle circostanze di cui all’art. 14 RP, relativa all’assenza di fede, va intesa nel senso che la mancanza di fede non comporterà necessariamente, di per sé, la nullità del patto coniugale; tale invalidità si potrà verificare quando la mancanza di fede è talmente strutturata, pervicace e radicata nella persona da determinare l’aspetto volitivo e quindi in grado di causare un’esclusione della recta intentio, detta anche intentio generalis – ovvero l’intentio faciendi id quod facit Ecclesia Christi – o della dignità sacramentale del matrimonio o ridondi addirittura in un’esclusione dell’unità e dell’indissolubilità del matrimonio o, come abbiamo appena visto, del bonum coniugum. L’assenza di fede non comporta quindi, di per sé, l’invalidità delle nozze, ma può portare la persona ad orientare la sua volontà ad un matrimonio completamente diverso da quello che è nel piano naturale e cioè unico indissolubile e finalizzato al bene dei coniugi. In tal senso riteniamo che sia corretto e doveroso affermare che ci possa essere una mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’error determinans voluntatem. Tutto ciò dovrà essere però pienamente provato: non si potrà quindi sostenere che colui che non ha fede esclude automaticamente – e per ciò stesso – una proprietà essenziale o un fine del matrimonio. 4

Brevità della convivenza coniugale

In forza del can. 1101, § 2 CIC colui che si sposa escludendo una o entrambe le proprietà essenziali del matrimonio – unità e indissolubilità – o un fine – bonum coniugum o bonum prolis – o il matrimonio stesso, contrae invalidamente. Tale esclusione, che richiede in ordine al verificarsi della nullità del matrimonio un positivo atto di volontà, non necessariamente deve essere desunta da una dichiarazione fatta dalla parte simulante al futuro coniuge o a terzi, ma può essere provata o desunta anche attraverso il comportamento che il simulante tiene a ridosso o immediatamente dopo la celebrazione delle nozze. Se al sorgere delle prime difficoltà dopo la celebrazione del matrimonio, l’asserita parte simulante non fa nulla per “salvare” il matrimonio, ma anzi, talvolta, 82

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prende anche a pretesto l’insorgere delle prime incomprensioni per poter abbandonare il tetto coniugale, allora sarà verosimile poter provare e sostenere che la parte abbia escluso l’indissolubilità del patto coniugale e sia addivenuta ad un matrimonio di prova; in questo caso, probabilmente, già prima delle nozze erano insorte difficoltà e quindi la parte aveva acconsentito alle nozze in modo dubbioso ed insicuro, operando così una riserva antivincolistica.

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Ebbene è importante qui ricordare che la brevità della convivenza coniugale non è un caput nullitatis in sé, ma può essere un utile elemento indiziale di cui servirsi per provare una supposta volontà contraria all’indissolubilità del matrimonio. Aborto procurato per impedire la procreazione

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Analogo ragionamento è possibile operare qualora una parte o entrambe ricorrano alla pratica abortiva già in occasione della prima gravidanza. Da tale comportamento facilmente si può dedurre una volontà agenesiaca che tenda quindi ad escludere un fine del matrimonio – bonum prolis – e ciò anche se nulla è stato affermato a livello di riserva mentale prima della celebrazione delle nozze. Diverso è, ovviamente, il caso in cui l’aborto o il tentativo di aborto intervenga dopo la prima gravidanza. Fermo il fatto dell’assoluta gravità di tale comportamento immorale pensiamo che difficilmente tale fatto possa essere usato come elemento di prova. Ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo

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Quanto detto prima a riguardo dell’accertamento della riserva mentale subisce una particolare flessione a riguardo della cosiddetta volontà simulatoria espressa in modo implicito o per facta concludentia. Si dice spesso, con espressione molto eloquente, che i fatti ed i comportamenti parlano più delle parole. Di conseguenza una determinata scelta che tenda a escludere una proprietà essenziale o un fine del matrimonio può essere anche deducibile da un comportamento col quale il soggetto intende riservarsi la possibilità di fare l’opposto di quello che sta promettendo. È, ad esempio, un’esclusione implicita o per facta concludentia del bonum fidei il fatto di avere un amante al momento delle nozze e la volontà di mantenere tale relazione adulterina. I U S M I S S I O N A L E – QUADERNO 9

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L’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione

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Per inquadrare correttamente tale fattispecie occorre qui fare accenno alla problematica del dolo quale vizio del consenso nel matrimonio. Notiamo innanzitutto quanto dispone il can. 1098: qui matrimonium init deceptus dolo, ad obtinendum consensum patrato, circa aliquam alterius partis qualitatem, quae suapte natura consortium vitae coniugalis graviter perturbare potest, invalide contrahit. La materia riguardante il dolo nel matrimonio è particolarmente complessa e le discussioni della dottrina e della giurisprudenza in proposito sono molto accese, anche perché la nullità del matrimonio ex dolo è stata introdotta dal Legislatore soltanto con la promulgazione del Codice del 1983. Precedentemente, nella codificazione pio-benedettina, nulla si diceva in proposito e proprio per questo parte della dottrina e della giurisprudenza aveva chiesto ripetutamente e con insistenza l’introduzione di questo nuovo capo di nullità. La materia matrimoniale è senz’altro di estrema delicatezza perché comporta la disposizione di diritti personalissimi ed essendo così intimamente legata all’ambito vocazionale esige un trattamento di grande rigore ed una maggior tutela della libera determinazione degli sposi in un atto di così estrema importanza e impegno. Gli Autori, successivamente all’entrata in vigore del nuovo Codice, hanno molto approfondito la problematica del dolo quale vizio del consenso matrimoniale, fornendo numerose e diversificate giustificazioni in base alle quali il Legislatore ha da un lato introdotto tale capo di nullità che non si riscontrava nella codificazione Gasparri56; dall’altro ha previsto un trattamento normativo piuttosto severo sancendo la nullità del contratto matrimoniale posto ex dolo. Ma vediamo più specificatamente quali ragioni ha addotto la dottrina per motivare la fondatezza della nullità del matrimonio celebrato con dolo. Il dolo, inteso quale raggiro, macchinazione o inganno, ha la funzione di indurre il soggetto passivo in un errore nella comprensione del reale, conducendolo 56 il dolo quale vizio del consenso matrimoniale non era previsto nella codificazione pio-benedettina. Fu in realtà un profondo ripensamento dottrinale, capeggiato dal Flatten, a convincere il Legislatore a introdurre questo nuovo capo di nullità. Si veda in proposito: h. FLAttEn, Irrtum und Täuschung bei der Eheschliessung nach kanonischen Recht, Paderborn 1957; iD., Quomodo matrimonium contrahentes iure canonico contra dolum tutandi sunt, Coloniae 1961.

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così ad un’errata rappresentazione della fattispecie concreta57. Il deceptus sceglie e si decide quindi a riguardo di qualcosa che ha conosciuto in modo erroneo. Il dolo agisce direttamente sull’intelletto facendogli emettere un falso giudizio sul reale e indirettamente sulla volontà che opera una scelta a riguardo di qualcosa che il paziente non ha conosciuto correttamente – «dum in casu doli injuste illati coactio voluntatis non verificatur nisi mediante errore in intellectu agentis injuste excitato»58. Il dolo va quindi più precisamente inquadrato come vizio dell’intelletto59 e quindi solo di conseguenza quale vizio della volontà60, la quale in sé e per sé non è stata intaccata in quanto il deceptus ha fatto quello che voleva ed ha emesso un atto di volontà nei confronti di un soggetto che ha scelto quale sua comparte. Certo, se è vero che possiamo distinguere l’aspetto volitivo dall’aspetto intellettivo dell’atto umano non possiamo però separarli e disgiungerli completamente, in quanto tutto ciò che è vizio dell’intelligenza va a riverberarsi sulla volontà, non potendosi volere pienamente ciò che non si conosce o che si conosce in modo erroneo, essendoci una reciproca interazione tra il momento cognitivo e il momento volitivo dall’atto umano. Di conseguenza possiamo affermare che se il deceptus non fosse caduto nell’errore non avrebbe concluso il contratto matrimoniale; purtuttavia non possiamo escludere che il paziente sia stato in grado di porre un vero atto di volontà. Possiamo quindi affermare che il consenso ha subito un’anomalia nel suo processo di formazione e non è più integro in tutti i suoi elementi costitutivi. L’atto umano è sì

57 è interessante qui notare che l’Abate, nel suo manuale, non dedica neanche un apposito paragrafo al dolo quale vizio del consenso matrimoniale, ma lo tratta semplicemente all’interno dell’errore. Si veda, a tal proposito: A. M. ABAtE, Il matrimonio nella nuova legislazione canonica, Urbaniana University Press-Paideia, Città del Vaticano – Brescia 1985, 52-54. 58 G. MiChiELS, Principia generalia de personis in Ecclesia, Lublin – Brasschaat 1932, 665. 59 «L’errore doloso intacca soltanto l’apporto intellettivo nell’ambito della volontarietà del consenso, poiché mediante l’inganno da parte di un altro viene manipolata e falsata nel soggetto passivo del dolo la percezione conoscitiva della controparte con le sue qualità per le quali viene scelta come coniuge, e di conseguenza, viene alterato anche il processo decisionale al fine di determinare tale scelta matrimoniale»: A. StAnkiEwiCz, La fattispecie di errore doloso prevista dal can. 1098, in: P. A. BOnnEt – C. GULLO (a cura di), Diritto matrimoniale canonico, vol. ii, Il consenso, 184. 60 «L’attentato […] è portato con false rappresentazioni alla sua sfera intellettiva, da cui poi, di riflesso, passa ad influenzare la formazione della volontà»: A. M. PUnzi niCOLò, Il dolo nel matrimonio canonico in una prospettiva di riforma del Codex, “il diritto ecclesiastico” LXXXii (1971), 598.

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volontario, ma non totalmente libero61, in quanto l’atto di volontà si è diretto verso una realtà illusoriamente conosciuta. Gli Autori62 parlano, a tal proposito, cercando di esplicitare in che senso l’atto posto ex dolo non è totalmente libero, di una voluta limitazione della possibilità di scelta operata dal deceptor a danno del patiens, causata proprio dall’errata percezione del reale. In altre parole la persona ingannata rivolge ed opera la sua scelta verso un soggetto che ella non ha potuto conoscere veramente o che comunque non ha potuto conoscere nelle sue reali qualità, le quali sono state simulate o nascoste63. Per questi motivi il consenso matrimoniale posto per inganno è considerato nullo, sebbene, lo ricordiamo, l’atto giuridico emesso ex dolo essendo considerato volontario, ma non totalmente libero, sia generalmente considerato valido ed efficace, ma rescindibile – cf. can. 125, § 2 CIC. Vorremmo qui esporre brevemente ulteriori ragioni che, secondo la dottrina, hanno spinto il Legislatore a considerare nullo il patto matrimoniale concluso sotto l’effetto di un inganno. Ragioni che non sono strettamente riconducibili ad un vizio del consenso in senso classico, ma che sostengono l’opportunità di considerare nullo il matrimonio posto ex dolo per una gamma più vasta di motivazioni. 61 «Ratio proinde rescindibilitatis actus ex dolo positi […] fundatur non in errore ispo, sed in defectu perfectae libertatis ex parte eius qui dolum subiit, quatenus non undequaque perfecte intellexit obiectum actus, ideoque in iniuria quam passus est ex circumventione»: F. X. URRUtiA, Dolus in iure canonico, “Periodica” LXXiX (1990), 291; si veda anche, a tal proposito: w. AyMAnS – k. MÖRSDORF, Kanonisches Recht. Lehrbuch aufgrund des Codex Iuris Canonici, Band i, Einleitende Grundfragen und Allgemeinen Normen, Paderborn – München – wien – zürich 1991, 267-292. 62 Cf. A. StAnkiEwiCz, La fattispecie di errore, 183. Anche il Fornés, a tal proposito, così si esprime: «lo cual indica que el bien jurídico que viene a proteger el nuevo can. 1098 es la libertad personal en una materia tan delicada e íntima, como es la conyugal, que se ve claramente afectada e invalida por la injusta maquinación dolosa productora del error»: J. FORnéS, Error y dolo: fundamentos y diferencias, “ius canonicum” XXXV (1995), 178, n. 69. Si veda anche, a sostegno di tale tesi: P. PELLEGRinO, Il consenso matrimoniale nel codice di diritto canonico latino, torino 1998, 163; U. nAVARREtE, Canon 1098 de errore doloso estne iuris naturalis an iuris positivi ecclesiae?, “Periodica” LXXVi (1987), 166. 63 «nella decezione dolosa, quindi, non si tratta della restrizione della libertà volitiva nel momento della scelta matrimoniale, come accade nel vis ac metus, in quanto il deceptus vuole il matrimonio, ma si tratta della restrizione della libertà di giudizio, a causa della vis intellectualis, di carattere intellettivo, che pregiudica piuttosto la possibilità di scelta rispetto ad un contenuto matrimoniale, oppure rispetto alle due alternative che sono o la presenza o l’assenza di una qualità personale, motivante la scelta matrimoniale, che per sua natura può gravemente perturbare il consorzio della vita coniugale»: A. StAnkiEwiCz, La fattispecie di errore, 184. A tal proposito si veda anche: P. PELLEGRinO, Il consenso matrimoniale, 164; M. BARDi, Il dolo nel matrimonio canonico, Giuffré, Milano 1996, 261; B. BOhLEn, Täuschung im Eherecht der Katholischen Kirche. Canon 1098 CIC in der kanonistichen Wissenschaft und Judikatur, Ludgerus Verlag, Essen 1994, 21.

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Innanzitutto alcuni Autori hanno sostenuto che il contratto matrimoniale posto in presenza di una frode è da considerarsi nullo per ragioni di equità – «quia aequum est ut quis contra machinationes alterius protegatur»64. La macchinazione operata da un soggetto a danno dell’altra parte crea di per sé un danno a quest’ultima65, in quanto si è così limitata la possibilità di una libera autodeterminazione; ed è proprio per un’esigenza di giustizia che la dichiarazione di nullità si profila essere come l’unico modo per ristabilire l’equità. È l’azione dolosa in sé che viene giudicata ingiusta, in quanto si è ricorsi a macchinazioni immorali e fraudolente per raggiungere un determinato scopo che è appunto il consenso della comparte66. L’intrinseca ingiustizia del dolo risiederebbe per l’appunto nel fatto che la persona decida di sposarsi a partire da un’insufficiente conoscenza della comparte; di fatto la persona si sposa senza sapere con chi o almeno ignorandone le qualità di una certa rilevanza. Altri67 sostengono che, anche in relazione alla maggior comprensione personalistica del sacramento del matrimonio, rinvenibile nell’insegnamento conciliare e segnatamente in Gaudium et Spes 48, l’inganno di una parte a danno dell’altra non renderebbe possibile il costituirsi di quel totius vitae consortium e di quella communio vitae et amoris dati dall’intima unione spirituale e fisica dei coniugi che costituiscono l’oggetto proprio del matrimonio; il raggiro cioè sarebbe gravemente contrario all’esigenza di giustizia, in quanto lederebbe una legittima aspettativa della parte ingannata. La decezione perpetrata da un soggetto a danno della comparte striderebbe fortemente col sentimento di mutua fiducia, affidamento reciproco e buona fede indispensabili per il sussistere del foedus matrimoniale. La 64 Cf. U. nAVARREtE, Schema iuris recogniti «De Matrimonio» textus et observationes, “Periodica” LXiii (1974), 638. 65 «Lo stesso fatto di essere ingannato è già in sé un danno che reca ingiustizia a chi subisce il dolo, oltre ad essere un sopruso contro la sua libertà»: J. CAStAñO, L’influsso del dolo nel consenso matrimoniale,“Apollinaris” LV (1982), 578. 66 «Quod si, ita est, planum est etiam in iure canonico, ipsi dolo effectus iuridici tribui, et dolum considerari vel qui non errorem causet, vel non formaliter rationem ipsis erroris, sed propter iniustitiam et damnificationem quam involvit»: F. X. URRUtiA, Dolus in iure canonico, 291. 67 Per una dettagliata esposizione di questa posizione si veda: A. StAnkiEwiCz, La fattispecie di errore, 182-183; U. nAVARREtE, Schema iuris, 638. A tal proposito si veda anche: P. ViLADRiCh, Comentario al can. 1098, in: A. MARzOA – J. MiRAS – R. RODRiGUEz-OCAñA (a cura di), Comentario Exegético al Código de Derecho Canónico, instituto Martìn de Azpilcueta. Facultad de Derecho Canónico Universidad de navarra, vol. iii/2, navarra 2002, 1290.

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dottrina68 ha parlato di un’incongruenza reale tra le volontà delle parti, causata dalla macchinazione di un soggetto a danno dell’altro. Ma procediamo gradatamente nell’esposizione di questo vizio del consenso che presenta ancor oggi numerosi punti aperti. Il can. 1098 CIC dispone che è nullo il matrimonio qualora una parte – decipiens – in modo fraudolento abbia indotto in errore la comparte – deceptus – a riguardo di una propria qualità, al fine di ottenerne il consenso alle nozze. Il dolo e quindi la nullità del matrimonio può verificarsi anche qualora l’inganno è vicendevole69. Diciamo quindi sinteticamente che si ha dolo nel matrimonio qualora una parte operi un raggiro, una macchinazione, un imbroglio a danno dell’altra allo scopo di indurla in errore e di ottenere così un consenso che altrimenti la parte non avrebbe prestato70. Il deceptor agisce nella convinzione che se la parte ingannata conoscesse la verità rinunzierebbe alle nozze71. Non è quindi sufficiente la semplice intenzionalità dell’inganno, cioè che questa macchinazione sia avvenuta con coscienza e volontà, ma è altresì richiesto che il raggiro si sia verificato allo scopo di ottenere il consenso e quindi con un dolo che si definisce come diretto72. Tale requisito, che si evince dall’espressione rinvenibile nel canone: ad obtinendum consensum patrato, sta ad escludere quindi che sussista un’azione fraudolenta giuridicamente rilevante ai sensi del can. 1098, qualora questa sia stata posta in essere per altri motivi, ad esempio per vergogna, per evitare uno scandalo o una condanna penale, per tutelare il proprio onore73 68 Cf. A. StAnkiEwiCz, La fattispecie di errore, 182. 69 Cf. A. ABAtE, Il matrimonio, 53. 70 Si veda, a tal proposito: P. ViLADRiCh, Commento al can. 1098, in: Comentario Exegético, 1292. 71 A. ABAtE, Il matrimonio, 53. 72 «infatti, a secondo del disposto normativo sul dolo matrimoniale, viene richiesta in lui l’intentio decipiendi ed extorquendi consensum, affinché l’altro nubente mediante tale inganno possa essere indotto ad emettere il consenso matrimoniale. in realtà, però, l’animus decipiendi, ossia l’intenzione consapevole di ingannare, di recare torto all’altro, di ledere interessi dell’altro, per la logica conseguenza del comportamento intenzionale doloso implica anche l’intelletto doloso di estorcere (l’animus extorquendi) da lui il compimento di un atto, o di una manifestazione del consenso, che l’ingannato altrimenti non compirebbe, se fosse a conoscenza del vero stato delle cose. tale torto o danno nel dolo matrimoniale consiste nel fatto di dover consentire alle nozze, che il deceptus non avrebbe scelto se non fosse stato ingannato»: A. StAnkiEwiCz, La fattispecie di errore, 187. A tal proposito, si veda anche: P. A. BOn2 nEt, Introduzione al consenso, 81; J. F. CAStAñO, Il sacramento del matrimonio, Roma 1992 , 370. 73 Ad esempio una parte non dice all’altra il fatto di essere affetta da A.i.D.S., non per estorcerle il consenso, ma solo per vergogna o perché teme che ciò possa essere divulgato. Se tale inganno avrà come effetto anche quello di indurre in matrimonio la parte raggirata, il matrimonio sarà valido.

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o perché una parte vuole per altri fini nascondere all’altra una propria situazione soggettiva74 – indipendentemente poi dal fatto che tale macchinazione sortisca come conseguenza anche quella di un consenso che altrimenti non sarebbe stato dato.

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A fortiori dobbiamo escludere il caso in cui il soggetto che abbia indotto in errore la controparte lo abbia fatto in modo assolutamente inintenzionale o per negligenza, perché, ad esempio, si sia dimenticato di parlare alla comparte di una sua situazione soggettiva che poi si sveli essere quella qualità, di cui al can. 1098 CIC, che può turbare il consorzio coniugale75. Se ne deduce quindi che affinché si abbia dolo quale vizio del consenso è necessaria non solo l’intenzionalità dell’inganno, ma anche la consapevolezza che il proprio raggiro induce, di fatto, in errore la comparte76. A nostro avviso la questione è facilmente risolvibile se teniamo conto del dato letterale del can. 1098 CIC. L’espressione ad obtinendum consensum patrato non lascia dubbi interpretativi in proposito e in questo ci sentiamo sostenuti da quanto affermato in sede di lavori preparatori laddove è detto: «attamen graves statuendae sunt condiciones, scilicet ut dolus patratus fuerit ad obtinendum consensum matrimonialem»77. A nostro avviso il rilievo dogmatico del concetto di intenzionalità decettiva diretta del raggiro è strettamente connesso – e come tale deve essere interpretato – con la necessità di ravvisare un nesso di voluta causalità tra l’artificio posto in essere ad arte e il consenso prestato78. 74 «non agnoscitur ergo efficacia invalidans errori doloso quidem, seu dolo indirecto seu patrato alia intentione quam ad obtinendum consensum»: U. nAVARREtE, Canon 1098, 68. 75 Con molta efficacia il Viladrich si esprime in questi termini: «el contrayente puede haber sufrido un error propio a partir de actuaciones ajenas, pero sin animus decipendi: tales actuaciones ajenas habrìan producido un error por un acto priopio del contrayente, ciertamente desafortunado o ingenuo, pero acto propio al fin y al cabo. El carácter propio de su proceso de elección, aunque errado, habría permanecido a salvo, es decir, no habría sido lesionado, intervenido o manipulado por un tercero»: P. ViLADRiCh, Comentario al can. 1098, in: Comentario Exegético, 1292. 76 «Quien actúa sin tener siquiera conciencia del efecto enganoso que sus conductas sugieren al contrayente, quizás induce a error, mas al ignorarlo no engana con dolo»: ivi. 77 “Communicationes” iii (1971), 77. E altrove troviamo: «si è stabilito che esso [il raggiro, n.d.a.] deve essere fatto per ottenere il consenso»:“Communicationes” Vi (1974), 39. 78 «En suma, con la expresión ad obtinendum consensum, el legislador exige la objetividad de la acción dolosa sobre una cualidad y el nexo de casualidad entre esta acción enganosa y la prestación de consentimiento»: P. ViLADRiCh, Comentario al can. 1098, in: Comentario Exegético, 1292. Si veda anche, a tal proposito: J. FORnéS, Error y dolo, 175. A favore dell’interpretazione del can. 1098 secondo il principio del dolo diretto si veda anche: A. StAnkiEwiCz, La fattispecie di errore, 188-189.

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Non concordiamo invece con quegli Autori79 che richiedono un particolare animus nocendi affinché si possa parlare di raggiro doloso. A nostro avviso affinché si abbia vizio del consenso è sufficiente infatti che il deceptor simuli o dissimuli in modo cosciente e volontario una sua qualità, al fine di ottenere il consenso della comparte; consenso che questa non avrebbe prestato se fosse stata a conoscenza della verità dei fatti. Non si richiede al contrario una particolare malizia o cattiveria o il pervicace proposito di arrecare un danno o di fare del male alla parte che cade in errore. Anzi il dolo sussiste anche qualora il deceptor pensi, in buona fede, di fare una cosa buona nel poter e dover usare certe macchinazioni per carpire il consenso del nupturiente. Il can. 1098 CIC afferma che il raggiro deve riguardare una qualità del deceptor che possa per sua stessa natura turbare gravemente la vita coniugale – quae suapte natura consortium vitae coniugalis graviter perturbare potest. Chiariamo innanzitutto che il raggiro può essere inteso sia in senso negativo80 che positivo e cioè tendente a far credere al paziente che una certa qualità esista o invece tendente a dissimulare una qualità realmente esistente81. Si rinviene chiaramente tale orientamento già nei lavori preparatori al nuovo Codice, laddove un consultore afferma: «ex alia parte can. 300 de dolo [l’attuale can. 1098, n.d.a.] sustineri debet, quia respicit 79 Dissentiamo dal Castaño quando afferma: «l’intenzione quindi deliberata è d’ingannare, di fare del male (nocendi). nel dolo dunque c’è sempre l’intenzione di ingannare, cioè di fare del male, poiché il fatto stesso di ingannare è già un danno che si reca con ingiustizia al paziente e quindi è sufficiente per poter affermare che il dolo porta in sé l’intenzione di fare del male»: J.F. CAStAñO, Il sacramento, 359. 80 «invero, dato che il dolo negoziale sia sotto il profilo storico e teorico, sia sotto quello canonico, può essere inteso in due modi, come macchinazione che induce in errore o, nel senso inverso, come errore indotto dal raggiro, è possibile concepire il dolo senza che questi causi l’errore nella mente del soggetto passivo. Questo infatti può concretizzarsi nel cosiddetto dolo omissivo o negativo, quando cioè l’autore del progettato inganno con la sua reticenza, con il suo silenzio sfrutta soltanto l’errore già esistente nell’altro per carpire il suo consenso a celebrare le nozze»: A. StAnkiEwiCz, La fattispecie di errore, 185. 81 «il requisito dell’animus decipiendi per ottenere il consenso rende possibile un ampio uso dei mezzi decettivi sia per indurre l’altro in errore circa la qualità personale del contraente, gravemente perturbante la vita coniugale, sia per mantenerlo nell’errore già operante, ma con preciso scopo di carpirne il consenso matrimoniale, manipolando in tal modo il processo formativo della sua volontà. A tale scopo, quindi, sono rilevanti sia i comportamenti commissivi (dolo commissivo o positivo), come artifizi, macchinazioni, menzogne, idonee in termini non solo oggettivi, ma anche soggettivi, ad indurre il nubente in errore, sia i comportamenti omissivi (dolo omissivo, passivo o negativo), come reticenze, silenzi ingannevoli, rispondenti alle caratteristiche della condotta dolosa, particolarmente commisurata secondo il criterio soggettivo del decipiendus, per farlo cadere in errore o per sostenere l’errore già esistente in lui allo scopo di consentire alle nozze, ossia intuitu matrimonii»: ibid., 187. A tal proposito, si veda anche: P. ViLADRiCh, El consentimiento matrimonial. Técnicas de calificaciòn y exégesis de las causas canònicas de nulidad (cc. 1095 a 1107 CIC), Pamplona 1998, 147.

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casus doli sive positivi, sive negativi. Cum enim agatur in illo canone de qualitate essentiali pro instaurando consortio matrimoniali, qui caret illa qualitate non potest tacere simpliciter, quia hoc silentium esset dolosum»82.

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È interessante notare, a tal proposito, che secondo lo Stankiewicz il dolo omissivo, rilevante ai sensi del can. 1098 CIC, sussiste anche se la parte ingannatrice non aveva l’obbligo giuridico personale di informare la comparte a riguardo della presenza o meno di una propria qualità, in quanto normalmente le relazioni tra coniugi si basano su una tale grado di reciproca fiducia, per cui qualsiasi inganno commissivo o omissivo, operato anche da un terzo83, vizia il consenso matrimoniale84. Anche qui, come abbiamo già detto, ciò che è giuridicamente rilevante ai sensi del can. 1098 CIC è che vi sia una condotta intenzionale e consapevolmente ingannatrice che fa cadere volutamente in errore la comparte, allo scopo di ottenerne il “sì” – intuitu matrimonii – e il sussistere di un reale nesso di causalità tra inganno e consenso prestato, indipendentemente poi dal fatto che la condotta sia commissiva o omissiva o sia stata perpetrata attraverso semplici silenzi, tesi a sfruttare un errore preesistente85. 82 “Communicationes” iX (1977), 372. 83 Di certo, appare, a nostro avviso, difficilmente immaginabile un dolo omissivo del terzo che non sia più strettamente riannodabile ad un dovere giuridico di informare la comparte che invece cade in inganno, pena l’allargare a dismisura le ipotetiche e probabili fattispecie di dolo negativo. è in tal senso che si esprime, a nostro avviso, il Primetshofer quando afferma che: «problematisch wird dies allerdings dann, wenn eine täuschung dieser Art von einem Dritten ausgeht. wann und wie trifft diesen eine rechtliche (und nicht bloß moralische) Aufklärungspflicht?»: B. PRiMEtShOFER, Der Ehekonsens, in: AA.VV., handbuch des katholischen kirchenrechts, (herausgegeben von J. LiStL und h. SChMitz), Pustet Verlag, Regensburg 1999, 934. 84 A sostegno della sua posizione lo Stankiewicz così si esprime: «per cui non sembra necessario che egli sia gravato anche da un particolare obbligo di informazione, per prevenire l’altro dall’errore, tenuto conto che le relazioni di amore si attuano con altro grado di reciproca fiducia, confidenza, credulità e anche ingenuità. Del resto nel campo del diritto matrimoniale canonico è inoperante il principio sulla rilevanza del dolo negativo fondato soltanto sull’esistenza di un obbligo di informare la parte ignara, per cui anche la reticenza di un terzo può essere rilevante ai fini della decezione dolosa»: A. StAnkiEwiCz, La fattispecie di errore, 188. A tal proposito si veda anche: P. ViLADRiCh, El consentimiento matrimonial, 147; P. PELLEGRinO, Il consenso matrimoniale, 166. 85 «Ma perfino in tali fattispecie [dolo in senso positivo e negativo, n.d.a.] non si prescinde dall’errore, il quale, da parte sua, anche se non viene causato dal dolo, rimane però congiunto con esso, poiché la deceptio dell’ingannato in tal modo assume la sua rilevanza soltanto ratione erroris, ossia in virtù di tale errore già preesistente»: A. StAnkiEwiCz, La fattispecie di errore,185. Si veda anche, a tal proposito: P. ViLADRiCh, Comentario al can. 1098, in: Comentario Exegético, 1294.

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Il carattere di intenzionalità pone anche, a nostro avviso, il discrimine e la differenza tra un comportamento omertoso dovuto a semplice dimenticanza o inavvertenza e il dolo omissivo tendente invece ad estorcere il consenso. Tale intenzionalità omissiva è quindi rinvenibile qualora il deceptor, accortosi dell’errore in cui versa la parte passiva, non faccia nulla per emanciparla da tale falso giudizio, quand’anche egli non l’abbia direttamente causato86. Il Codice specifica di quale natura debba essere la qualità al cui riguardo si opera il raggiro affinché esso abbia efficacia invalidante. Con l’espressione suapte natura si è voluto sottolineare l’oggettivo carattere di gravità che la qualità debba avere affinché si possa parlare di grave perturbamento della vita coniugale. Ci sono quindi delle qualità della persona che in sé hanno la possibilità di turbare la communio vitae et amoris qualora vengano fraudolentemente celate o simulate. Inoltre bisogna affermare che con tale espressione il Legislatore ha voluto escludere qualità triviali, futili, arbitrarie e superficiali87. Secondo alcuni Autori88 tale rilevanza oggettiva deve essere inevitabilmente contemperata con un criterio soggettivo o personalistico89, tendente a dare rilievo al contesto in cui la macchinazione è avvenuta e i coniugi si trovano a vivere e che tenga anche conto delle qualità della parte ingannata, del suo modo di vivere, della sua mentalità, la sua cultura, le sue concezioni, la sua sensibilità, etc. La medesima qualità potrebbe essere grave in un certo contesto e non esserlo in un altro90. Occorrerà operare quindi un contemperamento dei concetti di gravità oggettiva e soggettiva della qualità simulata o dissimulata91. A tal 86 «Un error, que tuvo su origen en la ingenuidad o credulidad propria, pero que, descubierto por la pars decipiens, pasò a ser mantenido o acrecentado dolosamente para obtener el consentimiento o evitar que pudiera ser revocado»: ibid. 87 Cf. ibid., 1295. 88 J. F. CAStAñO, Il sacramento, 374; P. MOnEtA, Il matrimonio nel nuovo diritto canonico, Genova 1990, 167. 89 Cf. A. M. PUnzi niCOLò, La qualitas quae suapte natura consortium vitae coniugalis graviter perturbare potest, in: P. A. BOnnEt – C. GULLO (a cura di), Diritto matrimoniale canonico, vol. ii, Il consenso, 198. 90 Ad esempio lo scoprire dopo le nozze che il proprio partner ha dei gravi precedenti penali potrebbe essere soggettivamente non grave qualora anche la parte raggirata abbia la fedina penale sporca. 91 «hay que tener en cuenta que, para determinar la gravedad de la circunstancia o cualidad sobre la que puede versar el dolo, hay que atender no solo a la gravedad objetiva, sino también a la gravedad subjetiva, a la importancia concedida por la parte engañada a dicha cualidad»: F. R. AznAR GiL, Comentario al can. 1098, in: AA.VV., El Código de Derecho Canónico, Madrid 1989, cit. in: J. F. CAStAñO, Il sacramento, 378-379.

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proposito, durante i lavori preparatori al nuovo Codice, un Consultore affermava che l’espressione usata dall’attuale can. 1098 CIC «non talis est ut excludat omnino qualitates minoris momenti quae tamen subiective considerantur maximi momenti»92. La dottrina93 sottolinea, a tal proposito, interpretando il can. 1098 CIC, che la qualità deve essere tale da poter perturbare gravemente in modo potenziale – graviter perturbare potest – il consorzio coniugale, anche se poi di fatto tale disturbo della vita di coppia non si verifica94. Ciò avrebbe un importante rilievo pratico, in quanto la parte ingannata che ha scoperto la macchinazione può chiedere la nullità del matrimonio anche se di fatto la qualità simulata o dissimulata non ha in concreto creato alcun turbamento sebbene, in astratto, avrebbe potuto causarlo. Ci pare tuttavia che un tale tipo di interpretazione potrebbe creare qualche problema se non è rettamente intesa, in quanto la parte passiva potrebbe, dopo aver scoperto l’inganno, maliziosamente chiedere la nullità del matrimonio anche se, di fatto, la qualità simulata o dissimulata non turba affatto in modo attuale la vita coniugale. Inoltre potrebbe darsi anche il caso di un soggetto raggirato sì intuitu matrimonii a riguardo di una qualità che suapte natura consortium vitae coniugalis graviter perturbare potest; soggetto che però avrebbe comunque concluso il matrimonio anche se avesse conosciuto la qualità in questione. Non riteniamo infatti che in questo caso sia invocabile la nullità del matrimonio perché, di fatto, l’inganno non è stato determinante del consenso95. A nostro avviso, non basterà quindi rilevare una gravità oggettiva e soggettiva della qualità celata e la sua idoneità potenziale a turbare la vita matrimoniale, ma occorrerà anche determinare che, da parte del deceptus, il conoscere o il non conoscere tale qualità abbia, di fatto, determinato il suo “sì” al matrimonio96. 92 “Communicationes” iX (1977), 372. 93 Cf. J. F. CAStAñO, Il sacramento, 374-375. 94 Cf. A. ABAtE, Il matrimonio, 53. 95 Facciamo un esempio. Una donna scopre, dopo il matrimonio, che suo marito, che è affetto da A.i.D.S., ha dolosamente celato tale qualità intuitu matrimonii. A nostro avviso la nullità non può essere concessa se si prova che la parte ingannata, conoscendo il reale stato di salute del marito, l’avrebbe sposato ugualmente e ciò anche se l’essere affetto da A.i.D.S. può turbare gravemente la vita coniugale. 96 Quanto stiamo affermando ci pare venga sostenuto anche dal Viladrich quando dice: «nótese, sin embargo, que la existencia de un nexo causal entre la acción dolosa de la pars decipiens y el

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Ma quale può essere in concreto tale qualità? Il Codice richiama in modo esplicito solamente la sterilità. Al can. 1084 CIC, che tratta dell’impedimento dirimente di diritto naturale proveniente dall’impotenza, si dice, al terzo paragrafo, che la sterilità non dirime, né impedisce il matrimonio, fatto salvo il can. 1098 CIC che è appunto il canone sul dolo. Se quindi un soggetto, sapendo di essere sterile, nasconde all’altro tale patologia fisica, allo scopo di ottenerne il consenso, contrae invalidamente97. È interessante qui notare che secondo la Punzi Nicolò il fatto che il Legislatore abbia individuato come qualità che oggettivamente turba il matrimonio solamente la sterilità – in quanto ne fa esplicita menzione al can. 1084, § 3 CIC – ha un’importante conseguenza in sede processuale. In tale caso infatti, secondo l’Autrice, dato che la gravità oggettiva della qualità dissimulata è prevista ex lege, si verificherebbe un’inversione dell’onere della prova, per cui la parte convenuta, qualora sia interessata alla permanenza del vincolo matrimoniale, dovrà dimostrare che il raggiro operato da lei o da terzi riguardante la sua sterilità non ha di fatto turbato gravemente la vita coniugale. Qualora invece non ci muovessimo nell’ambito della sterilità, sarà la parte attrice che dovrà dimostrare che l’inganno perpetrato dalla comparte non ha di fatto permesso l’instaurarsi tra i coniugi di una piena communio vitae et amoris98. Il Viladrich, muovendosi sulla stessa linea, amplia, forse eccessivamente, il discorso in esame e dice che una qualsiasi qualità connessa con l’essenza, i fini e le proprietà essenziali del matrimonio è, per lo stesso diritto, perturbatrice della convivenza coniugale e addirittura, secondo l’Autore, qualora l’inganno riguardi una tale qualità, si dovrà anche presumere l’intuitus matrimonii99. defecto de voluntariedad en el consentimiento de la pars decepta es la clave del efecto irritante del capitulo de nulidad previsto en el can. 1098. Este nexo causal es una cuestión decisiva para su correcta interpretación»: P. ViLADRiCh, Comentario al can. 1098, in: Comentario Exegético, 1291. 97 non è inutile qui ricordare che il raggiro può provenire anche da un terzo che, anche all’insaputa della parte sterile, inganna la parte passiva, dissimulando il suo reale stato di salute. 98 «Questa sola qualità appare individuata dal Legislatore come tale da turbare il coniugio in modo obiettivamente grave, così che per escluderne la rilevanza in un determinato matrimonio bisognerebbe – con una inversione dell’onere della prova – provarne la non incidenza in casu, in quella determinata situazione coniugale»: A.M. PUnzi niCOLò, La qualitas, 198. tale interpretazione ci pare tuttavia un po’ troppo coraggiosa. 99 Cf. P. ViLADRiCh, Comentario al can. 1098, in: Comentario Exegético, 1294.

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Ma il Codice non si spinge oltre e nel silenzio della normativa100 occorre riferirsi agli studi dottrinali e alle interpretazioni giurisprudenziali. Alcuni Autori101 affermano che la qualità è grave quando rende impossibile l’instaurarsi del totius vitae consortium, secondo quanto è descritto nel can. 1055, § 1. Altri si sono spinti fino ad enunciare alcune esemplificazioni: gravidantia ab alio, omosessualità, gravi precedenti penali, una grave malattia contagiosa o inguaribile, tossicodipendenza o alcoolismo, una personalità libertina o gravemente immorale, diversa confessione religiosa, etc.102. Il can. 1098 CIC non specifica che l’inganno debba essere ordito dalla comparte103. Si evince quindi agilmente che la decezione, perché sia invalidante del consenso, possa provenire anche da un terzo, anche all’insaputa della comparte la cui qualità viene simulata104. La necessità di rinvenire un vero e proprio nesso causale ha un’importante conseguenza dal punto di vista della costruzione dogmatica del dolo in materia matrimoniale. Poniamo il caso di un raggiro operato da un soggetto a danno di un altro riguardante una qualità che ex can. 1098 può perturbare gravemente la vita coniugale; se la parte passiva non cade in errore, in quanto ad esempio le macchinazioni sono state ininfluenti o mal condotte o non sufficientemente scaltre o non proporzionate alle sue capacità intellettive e quindi non hanno intaccato la facoltà rappresentativa del reale del paziente, questa non potrà poi invocare la nullità del matrimonio, anche se l’azione fraudolenta è stata gravemente immora-

100 Alcuni Autori auspicarono che il Codice potesse elencare una serie di qualità potenzialmente perturbatrici della vita coniugale. Si veda, tra gli altri: A. SzEntiRMAi, De constituendo vel non «impedimento deceptionis» in iure matrimoniali canonico, “Revista de derecho canonico” XVi (1961), 101 e ss. 101 il Fornés afferma che la qualità deve essere congiunta con i fini, l’essenza, la natura o le proprietà essenziali del matrimonio; cf. J. FORnéS, Error y dolo, 176. nello stesso senso si veda altresì: F. R. AznAR GiL, El nuevo derecho matrimonial canónico, Universidad Pontificia de Salamanca, Salamanca 19852, 286. 102 Una tale elencazione è proposta da: J. FORnèS, Error y dolo, 176-177. Si veda anche, a tal proposito: J. F. CAStAñO, Il sacramento, 377. 103 Si veda, a tal proposito: ibid., 358. La Fumagalli Carulli pare non essere d’accordo col disposto codiciale, quando afferma che: «sarebbe stato più logico contemplare l’inganno in quanto perpetrato dall’altra parte e non – come invece è detto nel nuovo canone – da chiunque nei confronti del nubente indotto in errore». Cf. O. FUMAGALLi CARULLi, La disciplina nel matrimonio e il Magistero conciliare, in: AA.VV., La normativa del nuovo Codice, Queriniana, Brescia 1983, 211. 104 Si veda, a tal proposito: P. ViLADRiCh, Comentario al can. 1098, in: Comentario Exegético, 1292; B. PRiMEtShOFER, Der Ehekonsens, 933.

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le o maliziosa e ciò perché, nell’esempio fatto, non si può parlare di un vero e proprio errore doloso.

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Ugualmente si dica nel caso in cui il raggiro è ininfluente sull’intelletto del paziente per il semplice motivo che questi è già a conoscenza della verità e quindi non cade in errore. Senz’altro il comportamento del deceptor è, in tal caso, gravemente immorale, ma, dal punto di vista strettamente giuridico, non potrà essere invocato quale causa di nullità matrimoniale. In sintesi ciò che vogliamo qui affermare è che la macchinazione ha rilevanza, al fine della nullità del matrimonio, solo in quanto il decipiens induce il deceptus in errore o sfrutta ad arte un errore preesistente intuitu matrimonii; errore che si rileverà poi essere stato determinativo del consenso. Un qualsivoglia comportamento fraudolento che non sortisca come effetto un vizio intenzionale del momento conoscitivo nell’ambito della formazione dell’atto del volere sarà giuridicamente irrilevante105. Il rilievo normativo della circostanza di cui all’art. 14 delle Regole Procedurali consiste nel fatto di introdurre esemplificativamente, oltre alla sterilità, anche il caso relativo all’occultamento dell’esistenza di figli nati da una precedente relazione – che può essere sia da un matrimonio civile che da relazione adulterina o da un matrimonio dichiarato nullo o sciolto. Da ultimo la circostanza potrebbe essere anche relativa alla fattispecie di una precedente carcerazione che sia stata nascosta. Ricordiamo, a tal proposito, che la dottrina aveva già esemplificativamente indicato, tra le possibili qualità che possono gravemente perturbare la vita coniugale, di cui al can. 1098 CIC, i gravi precedenti penali106 Causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale…

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Di maggior complessità è la valutazione di tale circostanza. Riteniamo che per accertare l’eventuale nullità del matrimonio non si debba entrare nella disamina 105 «Sed aliud omnino est affirmare dolum, ex ipso conceptu, errorem causare (vel errore prius ab alio causato abuti), aliud autem asserere ius dolum considerare semper et unice prouti causa est erroris et ratione erroris»: F. X. URRUtiA, Dolus in iure canonico, 276. 106 Cf. J. FORnéS, Error y dolo, 176-177. Si veda anche, a tal proposito: J. F. CAStAñO, Il sacramento, 377.

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dei motivi per cui ci si sposa. Da una parte si aprirebbe così il campo ad un numero potenzialmente illimitato di nullità. Dall’altra occorre ribadire che il matrimonio è valido quando la volontà si dirige sull’oggetto e sui fini così come sono enunciati dal diritto, prescindendo dalla verifica del “perché” ci si è spostati.

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È pur vero però – e dobbiamo riconoscerlo – che in alcuni casi il motivo soggettivo per cui ci si sposa è talmente allopatico alla realtà, ai fini e alle dinamiche del matrimonio previsti dall’ordine della creazione e della redenzione che tale causa soggettiva, ostinatamente perseguita, può tradursi in un’esclusione implicita o per facta concludentia del bonum coniugum. Tale problematica ci appare strettamente legata alla tematica riguardante la differenza tra finis operis e finis operantis. Con la prima espressione s’intende il fine intrinseco dell’istituto matrimoniale, cosi com’è previsto nell’ordo creationis ac redemptionis. Con la seconda s’intende il fine soggettivo, psicologico, col quale il nubente celebra le nozze. I due fini possono anche non coincidere; tuttavia è rilevante, in ordine alla validità del matrimonio, che il finis operantis non sia in contraddizione col finis operis, fino a poterlo elidere107. È quindi, a nostro avviso, corretto affermare che quando il motivo per cui ci si sposa è completamente estraneo al matrimonio quo talis si possa verificare un’implicita esclusione del bonum coniugum o del matrimonio tout court. Alcune fattispecie108 relative al matrimonio celebrato per una causa del tutto estranea alla vita coniugale potrebbero verificarsi qualora si contrae matrimonio con l’intenzione di ridurre in schiavitù la propria moglie o di indurla alla prostituzione o considerarla solo come strumento di piacere o come donna107 «Quando si parla del fine del matrimonio, è necessario tener conto della distinzione “scolastica”, secondo la quale il fine può essere considerato: a) come fine intrinseco, oggettivo, finis operis; oppure, b) come fine estrinseco, soggettivo, finis operantis. il primo è il fine che la stessa natura ha determinato, indipendentemente dalla volontà dei contraenti; appartiene, perciò, al constitutivum del matrimonio. invece, il secondo fine dipende dalla volontà dei contraenti e perciò è considerato fine estrinseco alla natura del matrimonio e fine soggettivo. Quest’ultimo fine è il motivo (obiectum formale quo) che i contraenti possono avere nel contrarre il matrimonio. tale fine estrinseco è sempre presente come motivazione soggettiva, e in sé è un atto lecito dei contraenti. Basta che non si opponga al fine intrinseco, cioè, al fine dato dalla stessa natura rei.»: J. F. CAStAñO, Il sacramento, 63. A tal proposito vedi anche: A. MCGRAth, Exclusion of the bonum coniugum, 646-647. 108 Per tutta questa parte si veda: R. COLAntOniO, La prova della simulazione e dell’incapacità relativamente al bonum coniugum, in: AA.VV. Il «bonum coniugum» nel matrimonio canonico, (Studi Giuridici XL), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1996, 238 e ss.

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oggetto109. Oppure qualora il matrimonio venga celebrato per sola convenienza o dovuto solamente ad interessi economici110. Altri si avventurano in esemplificazioni più estreme, affermando che: «in forma autonoma, la esclusione dell’orientamento del matrimonio al bonum coniugum potrebbe verificarsi laddove vi fosse l’intenzione di pervertire la comparte, spingendola ad esempio alla apostasia o a una vita immorale, oppure di privarla della dignità umana, ad esempio coartandone la libertà»111. «Così, ancora, volendo ragionare di bonum coniugum sulla base di parametri prevalentemente oggettivi e sicuramente ancorati su di una visione antropologica cristiana, si dovrebbe ritenere che escluda l’ordinazione del matrimonio a detto bene chi si riservasse di corrompere moralmente o religiosamente la comparte, coinvolgendola in gravi situazioni criminose oppure in sette o movimenti religiosi che la allontanino dalla retta fede»112. In tutti questi casi riteniamo che sia possibile dedurre dal comportamento della parte o dall’intenzione con cui si sposa un’esclusione per facta concludentia del bonum coniugum. In sintesi esclude il bene dei coniugi qualsivoglia comportamento che tenda ad inficiare le dinamiche di benevolenza reciproca e di mutuo aiuto all’interno della vita coniugale113. Il Moneta, riportando in modo assolutamente sintetico l’esclusione del bonum coniugum sulla realtà dell’amore coniugale afferma che: «si può quindi dire che esclude il bonum coniugum chi rifiuta, in una parola, l’amore coniugale, intendendo questo termine non come una mera attrattiva erotica, ma come profondo sentimento che porta l’uomo e la donna a donarsi l’uno all’altra, ad essere desiderosi e solleciti dell’altrui bene e dell’altrui felicità»114. 109 S. ViLLEGGiAntE, Il bonum coniugum nella giurisprudenza post-conciliare, in: AA.VV., Il «bonum coniugum» nel matrimonio canonico, 211. 110 interessante, a nostro avviso, è il caso di una sentenza coram Viani del tribunale Ecclesiastico Etrusco ove il marito, rimasto vedovo, sposa una vedova che non ama, al solo scopo di procacciarsi una domestica e alla quale nega ogni forma di convivenza. Cf. R. COLAntOniO, La prova della simulazione, 240. 111 P. BiAnChi, L’esclusione degli elementi e delle proprietà essenziali del matrimonio, in AA.VV., El matrimonio y su expresión canónica ante el III milenio, Eunsa, Pamplona 2000, 1180; l’Autore qui in realtà cita Burke. 112 Ibid., 1201. L’Errazuriz, a tal proposito, sinteticamente, così si esprime: «comunque, penso che il riferimento ai beni che costituiscono i diritti fondamentali dell’altro coniuge come persona (vita, integrità, libertà, intimità, etc.) rappresenti un criterio utile per giudicare queste ipotesi, giacché in una decisione matrimoniale che comporta un grave attentato contro tali beni si ravvisa una radicale esclusione dell’altro come vero coniuge, in quanto non si riconosce la sua dignità ed uguaglianza come persona umana»: C. J. ERRàzURiz M., Il senso e il contenuto essenziale del bonum coniugum, “ius Ecclesiae” XXii (2010), 587. 113 P. ViLADRiCh, Il consenso matrimoniale, 379-380. 114 P. MOnEtA, Il matrimonio, 128.

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...consistente nella gravidanza imprevista della donna

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Tale circostanza può assumere una certa rilevanza in quanto è sussumibile, a nostro avviso, sotto la fattispecie del metus indirectus. Non è inutile qui rammentare che il can. 1103 CIC115 afferma che: «è invalido il matrimonio celebrato per violenza o timore grave incusso dall’esterno, anche non intenzionalmente, per liberarsi dal quale uno sia costretto a scegliere il matrimonio». Ma il canone in esame usando l’espressione: etiam haud consulto incussum116, vuole intendere che le pressioni esercitate su un soggetto sono causa di nullità del consenso matrimoniale anche se non sono state attuate nell’intenzione di far celebrare il matrimonio. Gli Autori ritengono che il metus indirectus sia ravvisabile anche laddove il soggetto decida di sposarsi solo perché questi ritiene che il matrimonio sia l’unica soluzione per liberarsi da una situazione sociale o esistenziale difficile, sia per motivi economici che morali. La dottrina fa proprio l’esempio di una ragazza che decida di sposarsi semplicemente perché è rimasta in cinta prima del matrimonio e vede la gravidanza come possibile fonte di gravi problemi e disagi economici, relazionali e sociali. La ragazza intende il matrimonio come una possibile soluzione a tale stato di grave disagio e si sposa solamente per porre fine all’incresciosa situazione. In tal caso il matrimonio è da considerarsi nullo anche se nessuno l’ha minacciata o l’ha indotta a sposarsi. Riteniamo che il Legislatore abbia acceduto a questa soluzione proprio nell’intenzione di tutelare il più possibile la libera scelta del nubente e di renderlo immune da qualsivoglia genere di coazione anche inintenzionale117. Ricordiamo tuttavia che occorrerà qui provare positivamente che la ragazza si è determinata alle nozze solo per evitare il grave disagio proveniente dallo stato interessante; che in questo caso il matrimonio è stato visto come l’unico modo per evitare tale male e che in realtà lei non voleva sposarsi. Se invece la ragazza si sarebbe comunque sposata perché aveva già deciso per il matrimonio, si configurerà la fattispecie del timor gravis concomitans che non vizia il consenso matrimoniale. 115 A commento del timor gravis nella nuova legislazione canonica si veda, in particolare: J. J. GARCìA FAìLDE, Observationes novae circa matrimonium canonicum simulatum et coactum, “Periodica” LXXV (1986) 171-220; P. ViLADRiCh, Comentario al can. 1103, in: Comentario Exegético, 1408-1430. 116 A commento di tale requisito si veda: A. ABAtE, Il consenso matrimoniale nel nuovo Codice di Diritto Canonico, “Apollinaris” LiX (1986), 487-488. 117 Cf. A. ABAtE, Il matrimonio, 77.

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Il difetto di libertà interna

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Vorremmo qui operare una breve digressione – a nostro avviso utile nel contesto della tematica che stiamo trattando – che prende spunto da quanto appena detto. Tra le cause estranee alla vita coniugale – ed in particolare quella relativa alla gravidanza imprevista, enunciata dallo stesso motu proprio – occorre sussumere, a nostro avviso, anche alcune fattispecie che si verificano in relazione al cosiddetto difetto di libertà interna. La problematica ed il dibattito all’interno della dottrina su come tutelare il fedele nel caso del verificarsi di situazioni soggettive e stati d’animo – dovute ad esempio proprio ad una gravidanza non voluta ed inaspettata – che dall’interno del soggetto stesso possano condizionare il momento psico-volitivo, fino a rendere l’atto del consenso giuridicamente insufficiente, sono rimasti molto vivi all’interno della dottrina. Negli ultimi vent’anni, la riflessione dottrinale, nell’intento di difendere appieno la libertà del fedele, di cui al can. 219 CIC, si è particolarmente addensata su quello che è il cosiddetto difetto di libertà interna118. Alcuni Autori hanno affermato, a tal proposito, che la previsione codiciale di cui al can. 1103 CIC – proprio in considerazione del fatto che questo canone non si estende e non può essere applicato al metus gravis ab intrinseco – risulta insufficiente per la protezione e la tutela della libertà del fedele, laddove per condizionamenti psicologici interni questi non sia in grado di esprimere un consenso libero119. La dottrina, richiamandosi al combinato disposto dei cann. 219, 1057 e 1095, n. 2 CIC, ha enucleato la figura, ormai largamente accolta come capo di nullità, del difetto di libertà interna. Tale fattispecie giuridica si verifica qualora per un complesso di cause, per lo più incolpevoli, si verificano nell’animo del soggetto ten118 Cf. E. tURnAtURi, Il diritto fondamentale del fedele alla libera scelta dello stato coniugale e il difetto di libertà nel consenso matrimoniale canonico, “Monitor Ecclesiasticus” CXXi (1996), 412 e ss. 119 «Si potrebbe subito obiettare che il principio generale stabilito nel can. 219, e cioè che ogni fedele deve essere libero da qualsiasi tipo di costrizione nella scelta dello stato di vita, e quindi anche nella scelta dello stato coniugale, non trovi adeguata protezione nel can. 1103, in quanto in essa si dà rilevanza giuridica solo alla costrizione o violenza che procede da un agente esterno. in altre parole si potrebbe far osservare che il diritto fondamentale di ogni fedele di essere libero da qualsiasi tipo di costrizione nella scelta dello stato di vita non trova fedele ed esauriente applicazione nel caso della scelta matrimoniale nella quale acquista rilevanza giuridica solo quella forma di violenza condizionale che procede ab extrinseco»: ibid., 412.

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sioni, paure, turbamenti, per cui questi non è più in grado di prestare un libero consenso. Si è detto, a mo’ di esemplificazione, che ciò si verificherebbe nel caso in cui nel soggetto si producano idee ossessive, suggestioni, anomalie psichiche, pulsioni interiori, debolezze della volontà, etc.120.

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Per economia di trattazione riteniamo che non sia qui l’ambito e la sede per approfondire tale problematica. In sintesi la dottrina ritiene che possano verificarsi delle circostanze per cui il turbamento interno dell’animo influenzi l’aspetto volitivo più che quello intellettivo, rendendo di fatto il soggetto non in grado di formare un libero e quindi valido consenso. Tale teoria, che è ormai entrata a far parte dei capita nullitatis normalmente accolti nei tribunali matrimoniali, ci appare degna di assoluto interesse e dice dell’enorme attenzione che la scienza giuridica canonica ha apprestato, in armonia col can. 219 CIC, per la tutela della libertà decisionale del fedele di fronte alla sua vocazione. Ebbene pensiamo che una delle situazioni che possa causare questo difetto di libertà interna sia proprio quella legata ad una gravidanza prenuziale inaspettata ed indesiderata. La ragazza, emotivamente disorientata per quanto è accaduto e temendo di trovarsi di fronte ad un clima freddo ed ostile e a situazioni di grave disagio, decide di sposarsi, ma non lo fa in piena volontà, in quanto non riesce a formulare un consenso sufficientemente libero. La violenza fisica inferta per estorcere il consenso

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Per intendere rettamente tale circostanza enunciata dall’art. 14 delle Regole Procedurali occorre affermare che il can. 125, § 1 CIC si applica senz’altro alla disciplina matrimoniale121, anche se la violenza fisica non è richiamata espressamente dal can. 1103 CIC. Secondo la dottrina la violenza fisica nel matrimonio si caratterizza per i seguenti requisiti: «tria igitur tantum sunt attendenda in vi absoluta seu physica: 1. quos sit coactio corpori illata; 2. quod nequeat repelli; 3. quod plenus voluntatis dissensus 120 Per tutta questa parte si veda: ivi e ss. 121 Sulla rilevanza della violenza fisica nel matrimonio si veda: X. wERnz – P. ViDAL, Ius Canonicum, t. V, Ius matrimoniale, Roma 1928, 580-581; F. M. CAPPELLO, Tractatus canonico-moralis. De Sacramentis, vol. V, De matrimonio, Casal Monferrato 1961, 542; M. COntE A COROnAtA, Compendium Iuris Canonici, vol. iii, De sacramentis, taurini - Romae 1944, 620; P. GASPARRi, Tractatus Canonicus de Matrimonio, vol. ii, Città del Vaticano 1932, 48-50.

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in actum externum adsit»122 Di conseguenza in virtù di un principio generale di diritto naturale, il matrimonio posto sotto costrizione fisica, alla quale non fu possibile resistere, è nullo123 proprio perché manca un vero e proprio atto umano124 – «de vi absoluta et physica vel de ea trepidatione animi, quae usum rationis penitus tollit, hic non est multum disserendum. Nam aut consensus deest, aut vices perfecti consensus tenet plenus dissensus; at matrimonium sine ullo positivo consensu voluntatis valide celebrari nequit»125. Ricordiamo qui che per violenza fisica non si intende solamente e semplicemente un’azione meccanica esterna, che sarebbe comunque, in concreto, molto difficilmente configurabile. Acutamente il Wernz fa notare, infatti, che se la forma canonica prevista per la valida celebrazione del matrimonio viene osservata molto improbabilmente potrà verificarsi la violenza fisica, in quanto si tratta di esprimere un consenso davanti a più persone, secondo una modalità che è comunque sottratta ad una possibilità di coazione esterna – «quae vis absoluta difficulter locum habere potest in celebratione matrimonii christiani, saltem si servetur forma ecclesiastica et ritus consuetus Ecclesiae, quo consensus regulariter exprimitur per verba de presenti extrinsecae extorsioni non obnoxia»126. Occorre, infatti, qui ricordare che anche il ricorso ad un procedimento esogeno per cui il soggetto fa quello che non vorrebbe – cioè attraverso ipnosi, alcool o sostanze allucinogene e stupefacenti appositamente somministrate – è equivalente, di fatto, nei suoi effetti, all’esercizio di una violenta coazione fisica esterna e quindi l’atto che ne deriva sarà da considerarsi assolutamente nullo. Inoltre anche una minaccia psicologica di gravissima entità può essere equiparata alla violenza fisica, qualora questa arrivi a togliere qualsiasi aspetto volitivo dell’atto umano – «idem valet etiam de casu vis moralis adhibitae quae tamen tanta fuerit ut qui eam patitur usus rationis prorsus privet»127. 122 Cf. F. M. CAPPELLO, De matrimonio, 542. 123 Riteniamo che, in questo caso, sia più preciso parlare di matrimonio inesistente. 124 «Actus positus sub vi phisica seu absoluta non est actus humanus, sed mere externus, contradicente omnino voluntate, ideoque consensus plane deest. Quare nullum habet moralem et iuridicum valorem nullumque effectum reipsa producit. Deficiente consensu, palam est matrimonium esse nullum ipso iure naturae»: F. M.CAPPELLO, De matrimonio, 544. 125 X. wERnz – P. ViDAL, Ius matrimoniale, 581. 126 Ivi, in nota. 127 M. COntE A COROnAtA, Compendium Iuris Canonici, 620. Si immagini un soggetto che pronunci la formula del consenso matrimoniale, sotto la minaccia delle armi. A tal proposito, si veda anche: P. GASPARRi, Tractatus Canonicus, 49-50; F. M. CAPPELLO, De matrimonio, 542, in nota.

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La mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici, ecc.

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Al riguardo della mancanza dell’uso di ragione occorre rammentare il disposto del can. 1095, n. 1 CIC che così recita: «sono incapaci a contrarre matrimonio: 1º coloro che mancano di sufficiente uso di ragione». La ragione di tale disposto normativo è a tutti evidente: se l’atto del consentire matrimoniale è un atto umano tale qualifica non si dà senza il pieno concorso di un momento volitivo e di un momento intellettivo. Ebbene chi contragga il matrimonio in un momento d’incapacità di intendere e di volere, contrae invalidamente. Tale incapacità può avere origini esogene o endogene e cioè per gravi malattie psichiche o anche dovuto, ad esempio, ad uso di sostanze alcooliche o stupefacenti. Come abbiamo già accennato, secondo alcuni Autori tale situazione si potrebbe configurare anche nel caso di forme di gravi violenze fisiche o psichiche o addirittura fenomeni di ipnosi che elidano totalmente il momento intellettivo. Tali cause possono essere sia volontarie che involontarie, sia permanenti che transitorie, ma devono essere comunque presenti al momento in cui il consenso viene prestato. Qualche considerazione

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Vorremmo qui brevemente operare qualche considerazione conclusiva a riguardo dell’art. 14 RP che contiene un elenco di circostanze che possono motivare la celebrazione di un processo breve. Si tratta di un’elencazione enumerativa e non tassativa e ciò va inteso nel senso che il Vicario Giudiziale potrebbe autorizzare il processo beve anche per altri motivi non enunziati espressamente dall’art. 14 RP128. Non nascondiamo qui però qualche perplessità, in quanto formule del tipo: “per esempio: …, ecc.”, potrebbero aprire il campo ad un numero possibilmente illimitato di celebrazioni di processi brevi. Ci sembra opportuno far rilevare che tale elencazione è assolutamente eterogenea, in quanto contiene dei veri e propri capi di nullità – come l’occultamento 128 A tal proposito il Moneta così afferma: «La lunga serie di circostanze e fatti indicati in questa disposizione sono eterogenei, di natura molto diversa l’uno dall’altro, variamente significativi del capo di nullità al quale possono essere ricollegati. è pertanto inutile ricercare un qualche criterio o prospettiva che li accomuni, perché essi sono meramente esemplificativi, come viene chiaramente indicato e ribadito nel testo della stessa disposizione (“si annoverano per esempio...” è detto all’inizio, “ecc.”, si conferma alla fine)». Per tutta questa parte si veda: P. MOnEtA, La dinamica processuale, 11.

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Mitis Iudex Dominus Iesus. Alcune considerazioni sull’art. 14 delle Regole procedurali

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doloso della sterilità – ed altre circostanze che sono invece dei meri indizi probatori. È facile intravvedere il pericolo di una tale assimilazione, in quanto si potrebbe essere indotti a pensare che al verificarsi di ognuna delle circostanze di cui all’art. 14 RP il matrimonio sia necessariamente nullo. Inoltre occorre prestare attenzione a non ricadere in facili automatismi129, per cui si ritenga che se ricorre la tale circostanza – che addirittura ha legittimato il processo breve – allora il matrimonio sarà sicuramente nullo. Né tali circostanze potranno essere considerate come presunzioni di nullità, ma semplicemente come indizi o elementi di prova da cui poter eventualmente dedurre, sostenuti da testimonianze o documenti o da altri fatti processualmente rilevanti, la nullità del matrimonio130. Riteniamo quindi che l’art. 14 RP presenti indubbi vantaggi pratici per l’operatore del diritto, ma vada altresì considerato ed applicato cum grano salis per evitare possibili abusi e lo sfociare inevitabile nella dichiarazione di nullità del matrimonio.

129 Molto efficacemente il Moneta afferma che: «Essa intende quindi semplicemente richiamare l’attenzione sull’importanza che tali fatti possono avere al fine di far emergere sin dall’inizio la nullità del matrimonio. non può quindi esserci alcun automatismo, quasi che la presenza di una di queste circostanze consenta senz’altro di procedere con il processo breve»: ivi. 130 il Moneta, a tal proposito, così si esprime: «Data la grande diversità di esse, non è neppur possibile considerarle in blocco alla stregua di presunzioni a favore della nullità del matrimonio. Dipenderà dalla natura propria di ciascuna di esse. in ogni caso, andranno pur sempre inquadrate nel contesto della vicenda umana che si intende sottoporre al giudizio della Chiesa e poste in relazione con lo specifico capo di nullità su cui viene imperniato tale giudizio»: ivi.

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I mezzi di impugnazione: alcune considerazioni

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Alessandro Recchia

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Introduzione

La recente riforma del processo matrimoniale canonico, voluta da papa Francesco con i due motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et Misericors Iesus, del 15 agosto 2015 e resi pubblici l’8 settembre successivo, introduce alcune novità rilevanti per quanto riguarda i mezzi di impugnazione delle decisioni, in primo luogo l’appello, poi anche la nuova proposizione di causa e, in qualche maniera, anche la querela di nullità. Si intende qui esaminare ciascuno di questi aspetti, ponendo attenzione in particolare alle questioni suscitate dall’introduzione delle nuove norme, ed iniziando da quello che sotto diversi punti di vista è uno degli aspetti più noti e innovativi della riforma, ossia l’abolizione dell’obbligo della doppia sentenza conforme per l’esecutività della sentenza che dichiari la nullità del matrimonio. Esecutività della prima sentenza pro nullitate, non appellata

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Il proemio del motu proprio indica come criterio fondamentale della riforma «che non sia più richiesta una doppia decisione conforme in favore della nullità del matrimonio, affinché le parti siano ammesse a nuove nozze canoniche»1. Parimenti, il nuovo can. 1679 MIDI stabilisce: Sententia, quae matrimonii nullitatem primum declaravit, elapsis terminis a cann. 16301633 ordinatis, fit exsecutiva.

Tale innovazione è stata voluta seguendo le indicazioni che da più parti chiedevano l’abrogazione dell’obbligo della doppia sentenza conforme. Infatti, sin dalle 11 «è parso opportuno, anzitutto, che non sia più richiesta una doppia decisione conforme in favore della nullità del matrimonio, affinché le parti siano ammesse a nuove nozze canoniche, ma che sia sufficiente la certezza morale raggiunta dal primo giudice a norma del diritto»: MiDi, Proemio, i.

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I mezzi di impugnazione: alcune considerazioni

iniziali riflessioni di preparazione della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 2014, a proposito dell’individuazione di istituti per snellire il processo di nullità del matrimonio, vi era stata una significativa convergenza, benché non unanime, sull’opportunità di abrogare tale obbligo, poi confluita nella Relatio2, e parimenti l’Instrumentum laboris per il Sinodo di ottobre 2015 prevedeva lo studio di detta abrogazione3.

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Il dettato del canone stabilisce che, trascorso il termine perentorio per appellare, la sentenza affermativa diviene esecutiva, abrogando l’obbligo della doppia sentenza conforme introdotto, com’è ben noto, da papa Benedetto XIV con la costituzione Dei miseratione del 3 novembre 17414. Vale la pena di soffermarsi brevemente sull’origine e sull’evoluzione storica dell’istituto della doppia conforme per comprendere le ragioni che indussero papa Lambertini ad introdurre una riforma molto rigorosa del processo matrimoniale canonico, il cui impianto è giunto sostanzialmente immutato, sotto alcuni aspetti fino ai giorni nostri, per leggere l’attuale riforma nell’ottica di una ermeneutica della continuità. La necessità di una doppia sentenza conforme per la esecutività della dichiarazione di nullità del matrimonio canonico fu dunque introdotta da Benedetto XIV, il quale stabilì il principio secondo il quale «unica sententia super eadem nullitate pro12 Cf. SinODO DEi VESCOVi, iii Assemblea Generale Straordinaria, Relatio post disceptationem, 13 ottobre 2015, n. 48, “L’Osservatore Romano” 13-14 ottobre 2015, 5. Si veda anche M. J. ARROBA COnDE, Le proposte di snellimento dei processi matrimoniali nel recente Sinodo, in L. SABBARESE (a cura di), Sistema matrimoniale canonico in synodo, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2015, 74. 13 «Circa la doppia sentenza conforme, larga è la convergenza in ordine al suo superamento, fatta salva la possibilità di ricorso da parte del Difensore del vincolo o di una delle parti»: SinODO DEi VESCOVi, XiV Assemblea Generale ordinaria, La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Instrumentum laboris, 23 giugno 2015, n. 115 http://www.vatican.va/roman_curia/ synod/documents/rc_synod_doc_20150623_instrumentum-xivassembly_it.html#Lo_snellimento_delle_procedure_e_la_rilevanza_della_fede_nelle_cause_di_nullit%E0. 14 BEnEDiCtUS XiV, Const. Dei miseratione, 3 novembre 1741, in P. GASPARRi, Codicis iuris canonici Fontes, vol. i, Romae 1926, n. 318, 695-701. Per una ricca ricostruzione dell’origine e dello sviluppo dell’istituto della doppia sentenza conforme rinvio a: F. SALERnO, La doppia sentenza conforme nel processo matrimoniale canonico: ipotetici precedenti medievali, in AA.VV., Verità e definitività della sentenza canonica, (Studi Giuridici XLVi), LEV, Città del Vaticano 1997, 7-18, ed a: C. FAntAPPié, La duplice sentenza conforme: biografia di una norma nel quadro della legislazione matrimoniale, in: AA.VV., La doppia conforme nel processo matrimoniale. Problemi e prospettive. Atti del XXXiV Congresso nazionale di diritto canonico. trani 9-12 settembre 2000 (Studi Giuridici LX), LEV, Città del Vaticano 2003, 19-55.

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nunciata minime sufficiat ad tribuendam liberam facultatem novas nuptias contrahendi»5. Papa Lambertini, istituendo nella medesima costituzione il ruolo del matrimonii defensor, successivamente denominato difensore del vincolo6, attribuiva a questa figura il ruolo di parte pubblica nel processo di nullità matrimoniale, con l’obbligo di partecipare a tutte le fasi del processo, sotto sanzione di nullità della successiva sentenza e, in particolare, con l’obbligo di interporre appello sempre e in ogni caso dinanzi ad una pronuncia affermativa del giudice di primo grado, anche in assenza di opposizione delle parti. In presenza di una seconda sentenza affermativa, il matrimonii defensor aveva facoltà, e non obbligo, di appellare pro sua conscientia: «nolentes omnino ut ullo in casu matrimonii vinculum dissolutum censeatur, nisi duo iudicata, vel resolutiones, aut sententiae penitus similes, et conformes, a quibus neque pars, neque defensor matrimonii crediderit appellandum, emanaverint»7. In altri termini, solo la seconda sentenza affermativa conforme, non impugnata dalle parti o dal matrimonii defensor, diveniva esecutiva e consentiva alle parti di passare a nuove nozze. L’uso della facoltà di passare a nuove nozze però non rendeva impraticabile, in presenza di una «nova res non deducta vel ignorata», la possibilità di sottoporre a riesame le cause matrimoniali anche trascorsi i termini dell’appello, in ragione del fatto che queste, secondo un ben noto principio, già espresso in alcuni dicta Gratiani8 e sancito dalla decretale Lator di Alessandro III, non passano mai in rem iudicatam9. La necessità di una doppia sentenza affermativa conforme per il passaggio a nuove nozze valeva anche per le cause matrimoniali giudicate presso la Curia Romana, sulle quali avevano competenza concorrente la Congregazione del Concilio (della quale il Lambertini era stato segretario dal 1718 al 1728) e gli Auditores Sa15 Const. Dei miseratione, § 11; in P. GASPARRi, Codicis iuris canonici Fontes, vol. i, 699. 16 Cf. Const. Dei miseratione, §§ 5-7; in ibid., 697-698. il termine defensor vinculi, come sinonimo di matrimoniorum defensor, compare già nell’istruzione De processu matrimoniali del 1883. Cf. S. COnGREGAtiO DE PROPAGAnDA FiDE, instr. De processu matrimoniali, §§ 23-25, in P. GASPARRi, Codicis iuris canonici Fontes, vol. Vii, typis Polyglottis Vaticanis, 1935, n. 4901, 482-483. Si veda anche A. StAnkiEwiCz, La conformità delle sentenze nella giurisprudenza, in AA.VV., La doppia conforme, 148; P. hECk, Der Eheverteidiger im kanonischen Eheprozess, Bonn 1937 (nachdruck 1964), 61. 17 Cf. Const. Dei miseratione, § 14, in P. GASPARRi, Codicis iuris canonici Fontes, vol. i, 700. 18 Cf. C. XXXV, q. 9, c. 1, dictum ante; C. XXXV, q. 9, c. 2, dictum post, AE. FRiEDBERG (a cura di), Corpus Iuris Canonici, ed. Lipsiensis secunda, ripr. anast. dell’ed. 1879, Graz 1959, vol. i, coll. 1283-1284. 19 ALEXAnDER iii, Litt. decr. Lator praesentium, X, lib. 2, t. 27, c. 7. Corpus Iuris Canonici, vol. ii, col. 394.

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cri Palatii, ossia la Sacra Romana Rota, per cui una sentenza affermativa resa dalla Congregazione del Concilio doveva essere riesaminata dalla medesima Congregazione ed una prodotta dalla Rota doveva essere rivista dal successivo turno rotale e, se giudicata videntibus omnibus, doveva essere riesaminata dall’intero Collegio degli Uditori10. Le ragioni storiche che portarono alla riforma di Benedetto XIV possono essere rinvenute già nel proemio della costituzione stessa, laddove il Papa lamenta la «nimia iudicum praecipitantia in nullitate matrimonii declaranda»11, per cui si erano avuti casi, in diverse regioni dell’Orbe cattolico, in cui alcuni fedeli avevano ottenuto con facilità la dichiarazione della nullità del proprio matrimonio ed erano passati in breve alle seconde, alle terze o anche alle quarte nozze. Particolare clamore aveva poi sollevato la questione della Polonia, dove spesso in ragione di collusioni tra l’episcopato e la nobiltà vi erano stati casi di matrimoni dichiarati nulli con eccessiva leggerezza. Benedetto XIV dovette intervenire più volte nel corso del suo pontificato, fino a stabilire con l’enciclica Nimiam licentiam, del 18 maggio 1743, che tutte le cause matrimoniali polacche, dopo la seconda decisione affermativa, venissero riviste dalla Congregazione del Concilio per diventare esecutive, con la sanzione della nullità per l’eventuale matrimonio contratto nel frattempo12. Bisogna dire che leggendo il testo della Dei miseratione si ha come l’impressione che il Papa fosse anzitutto preoccupato di evitare il verificarsi di ogni possibile deceptio Ecclesiae nelle cause di nullità matrimoniali, e quindi di un certo atteggiamento di sfiducia nell’operato dei giudici dei tribunali di primo grado e quindi delle curie diocesane, le cui decisioni da allora in poi avrebbero dovuto sempre essere rivedute almeno una volta13. Tale impostazione ha portato, in qualche maniera, ad un allontanamento dalla nozione classica del favor matrimonii, espressa efficacemente nel classico trattato

10 Cf. Const. Dei miseratione, §§ 14-15, in P. GASPARRi, Codicis iuris canonici Fontes, vol. i, 700-701. 11 Const. Dei miseratione, § 2, in ibid., 696. 12 Cf. BEnEDiCtUS XiV, Ep. enc. Nimiam Licentiam, diei 18 maii 1743, § 17, in P. GASPARRi, Codicis iuris canonici Fontes, vol. i, n. 337, 795. 13 Al riguardo, cf. F. SALERnO, La doppia sentenza conforme, 11. Si veda anche C. FAntAPPié, La duplice sentenza conforme, 28.

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del Sanchez con i termini: «hic est matrimonii favor: irritum dissolvere ac validum tueri»14, e ad uno sbilanciamento dei principi che reggono il processo canonico in nome di una tutela della fermezza e stabilità dell’istituto matrimoniale postulate come necessarie dalla Chiesa e dalla società del tempo e a discapito di un pur necessario favor veritatis. Al di là della necessità immediata di fronteggiare gli abusi, la preoccupazione di papa Lambertini, a giudizio degli storici, fu quella di ribadire il valore dell’indissolubilità del sacramento del matrimonio dinanzi ai mutamenti culturali della società europea della metà del Settecento ed offrire un tentativo di risposta alla secolarizzazione dei principi del matrimonio attuata dalla scuola del diritto naturale e dall’illuminismo, che intendevano ricondurre l’istituzione matrimoniale alle sole leggi di natura e di ragione per rivendicare sia la natura puramente contrattuale del matrimonio sia le sue finalità sociali, procreative ed educative, aprendo la strada ai primi progetti legislativi di divorzio. Dal Concilio di Trento almeno fino alla Restaurazione si assiste così ad una convergenza di intenti tra Chiesa e Stati nazionali che mira ad una riduzione delle cause di nullità e di separazione, percepite come portatrici di disgregazione morale e sociale15. Il principio della duplice sentenza conforme fu poi confermato dalle istruzioni Cum moneat della S. Congregazione del Concilio, del 22 agosto 184016, Quemadmodum del S. Uffizio del 188317, e De processu matrimoniali di Propaganda Fide del 188318; anche se bisogna rilevare che l’intero impianto del processo matrimoniale canonico voluto da papa Lambertini con tutte le sue solennità e la riforma introdotta dalla Dei miseratione non trovò facile accoglienza né immediata applicazione per molti anni dopo la promulgazione. A ciò si aggiunga che nel secolo seguente, in occasione della preparazione del Concilio Vaticano I e della Codifica-

14 t. SAnChEz, Disputationes de sancto matrimonii sacramento tomi tres, lib. Vii, disp. C, n. 14, ex off. heredum Martini nuti, Antverpiae 1620, 342. 15 Al riguardo, si veda C. FAntAPPié, La duplice sentenza conforme, 30-32. 16 S. COnGREGAtiO COnCiLii, instr. Cum moneat, diei 22 augusti 1840, in P. GASPARRi, Codicis iuris canonici Fontes, vol. Vi, typis Polyglottis Vaticanis 1932, n. 4069, 345-350. 17 S. COnGREGAtiO S. OFFiCii, instr. Quemadmodum, a. 1883, in P. GASPARRi, Codicis iuris canonici Fontes, vol. iV, Romae 1926, n. 1076, 395-411. 18 S. COnGREGAtiO DE PROPAGAnDA FiDE, instr. De processu matrimoniali, a. 1883, in P. GASPARRi, Codicis iuris canonici Fontes, vol. Vii, typis Polyglottis Vaticanis 1935, n. 4901, 479-492.

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zione piano-benedettina i Vescovi di diverse regioni del mondo espressero il desiderio di giungere ad una semplificazione del processo di nullità matrimoniale canonico, riducendo le solennità volute dalla Dei miseratione in vista di una maggiore celerità19. I desiderata dei Vescovi non trovarono accoglienza nella formulazione del Codice del 1917, il quale nei cann. 1986-1987 ribadì l’obbligo per il difensore del vincolo di appellare la prima sentenza affermativa e la necessità di una seconda sentenza affermativa per passare a nuove nozze. Parimenti la necessità della doppia sentenza conforme fu recepita negli articoli 220-221 della istruzione Provida Mater20, successivamente nel motu proprio Sollicitudinem nostram21 di Pio XII (cann. 493 e 495), e infine nel CIC del 1983 (cann. 1682 e 1684), nel CCEO del 1990 (cann. 1368 e 1370) e nell’istruzione Dignitas Connubii del 2005 (artt. 290-291). Allo stesso modo però va detto che nella codificazione piano-benedettina venne abolito il diritto di appello della parte soccombente dopo la seconda sentenza conforme affermativa o negativa, conservando il diritto di appello pro sua conscientia del difensore del vincolo contro la seconda sentenza affermativa. In questo modo venne fissata in maniera diseguale l’efficacia della duplice sentenza conforme nelle cause matrimoniali, che da una parte privilegiava la seconda pronuncia pro vinculo, contro la quale non si dava più appello, e dall’altra legava l’efficacia della seconda pronuncia pro nullitate alla mancanza di appello da parte del difensore del vincolo22. Tale disparità venne solo attenuata dal motu proprio Causas matrimoniales23, e scomparve definitivamente solo con il Codice del 1983, il quale attribuisce valore definitivo alla seconda decisione affermativa, sia essa per decreto o per sentenza24 e 19 Per un’attenta e approfondita analisi della recezione della Dei miseratione presso le Chiese particolari e delle richieste dei Vescovi alla Santa Sede per un alleggerimento della procedura per la nullità del matrimonio sia in preparazione al Vaticano i sia per la prima codificazione canonica, si rimanda al già citato contributo di C. FAntAPPié, La duplice sentenza conforme, 33-46. 20 S. COnGREGAtiO SACRAMEntORUM, instr. Provida Mater, diei 15 augusti 1936, AAS XXViii (1936), 313-361. 21 PiUS Xii, Litt. ap. motu proprio data Sollicitudinem nostram de iudiciis pro Ecclesia Orientali, diei 6 ianuarii 1950, AAS XLii (1950), 5-120. 22 «Post secundam sententiam, quae matrimonii nullitatem confirmaverit, si defensor vinculi in gradu appellationis pro sua conscientia non crediderit esse appellandum, ius coniugibus est, decem diebus a sententiae denuntiatione elapsis, novas nuptias contrahendi»: can. 1987 CiC 1917. 23 PAULUS Vi, motu proprio Causas matrimoniales, diei 28 martii 1971, AAS LXiii (1971), 441-446. 24 Cf. cann. 1682 e 1684 CiC.

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la colloca sullo stesso piano della duplice sentenza conforme negativa per quanto riguarda l’inappellabilità e la possibilità di introduzione della nuova proposizione di causa25. Bisogna tener conto però di alcune eccezioni. La prima eccezione al principio generale della necessità della doppia sentenza conforme riguarda i casi di nullità evidente per sei impedimenti dirimenti, per i quali a tenore di un decreto del S. Uffizio del 5 giugno 188926 era possibile istruire un processo sommario e non era necessaria una seconda sentenza affermativa. Tale procedura sommaria venne poi recepita nei cann. 1990-1992 del CIC 1917 e troverà accoglienza nei cann. 1686-1688 del CIC 1983, dando luogo all’istituto del processo documentale. La ratio di tale eccezione sta nella evidenza della nullità nei casi in ispecie, che non richiedono ulteriore prova oltre quella già fornita da un documento inoppugnabile circa l’esistenza dell’impedimento e la mancanza della concessione della dispensa27. L’obbligo della seconda sentenza conforme è stato inoltre mitigato con la possibilità di sostituire la seconda sentenza con un decreto di ratifica, introdotto dal motu proprio Causas Matrimoniales28 e poi recepito dal CIC (can. 1682) e dal CCEO (can 1368), normativa vigente fino all’8 dicembre 2015. Una menzione a parte merita inoltre la dispensa dall’obbligo della seconda sentenza conforme, voluto da Paolo VI ad experimentum nell’indulto concesso alla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti il 28 aprile 1970. In tale documento era previsto che nei casi in cui l’appello apparisse chiaramente superfluo, il difensore 25 Cf. A. StAnkiEwiCz, La conformità, 150-151. 26 Si trattava degli impedimenti di disparità di culto, vincolo, di consanguineità o affinità ex copula licita, cognazione spirituale, clandestinità nei luoghi in cui il decreto Tametsi era stato pubblicato. Cf. S. COnGREGAtiO S. OFFiCii, decr. Quando agitur, diei 5 iunii 1889, in P. GASPARRi, Codicis iuris canonici Fontes, vol. iV, Romae 1926, n. 1118, 447. 27 «Dummodo ex certo ex authentico documento, vel in huius defectu, ex certis argumentis evidenter constet de existentia huiusmodi impedimentorum super quibus Ecclesiae auctoritate dispensatum non fuerit […]»: ibid. Sull’evoluzione dell’istituto cf. C. FAntAPPié, La duplice sentenza conforme, 48-49. 28 «Visa sententia et perpensis animadversionibus defensoris vinculi necnon, si exquisitae et datae fuerint, partium earumve patronorum, collegium suo decreto vel decisionem primi gradus ratam habet, vel ad ordinarium examen secundi gradus causam admittit. in priore casu, nemine recurrente, ius est coniugibus, qui alioquin non impediantur, decem diebus a decreti publicatione elapsis, novas nuptias contrahere»: PAULUS Vi, motu proprio Causas matrimoniales, Viii, § 3, AAS LXiii (1971), 445.

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del vincolo fosse esonerato dall’obbligo di appellare, rendendo così immediatamente esecutiva la sentenza affermativa di prima istanza. Gli esiti di tale sperimentazione furono spesso negativi, dando luogo ad abusi e irregolarità e portando alla reintroduzione dell’obbligo della doppia conforme con la promulgazione del nuovo codice29. Volendo sintetizzare quanto sinora esposto, si può rilevare che, se da un lato il principio della doppia conforme sopravvive sino ai nostri giorni ed alla riforma di papa Francesco, dall’altro le norme che attuano e concretizzano questo principio subiscono nel tempo una serie di correzioni e aggiustamenti che vanno in direzione di un riequilibrio del principio già accennato del favor matrimonii in vista di una maggiore attenzione al favor veritatis30. È una inversione di tendenza di cui si può trovare traccia già nelle allocuzioni di Pio XII alla Rota Romana degli anni ’40, nelle quali si intravede il principio del favor matrimonii come criterio di tendenziale adeguazione alla realtà obiettiva31 e si attribuisce al difensore del vincolo il compito di proporre osservazioni pro rei veritate prima ancora che pro validitate matrimonii32. Di questa inversione di tendenza si trova traccia anche nella procedura matrimoniale del Codice del 1983 e nella normativa immediatamente precedente, nella quale si può rinvenire una maggiore considerazione e maggior incidenza del favor veritatis quale criterio per un riequilibrio di una nozione, come già detto, alquanto sbilanciata del favor matrimonii. Ne sono riflesso, tra l’altro, la ridefinizione del ruolo del difensore del vincolo, a cui spetta il compito di far rilevare tutti gli elementi che sono rationabiliter a favore del matrimonio e che non ha più l’obbligo di appellare la prima sentenza affermativa, e l’istituto del processus brevior ex can. 1682, § 2 CIC, il quale permetteva la conferma della sentenza affermativa di prima istanza.

29 Cf. COnSiLiUM PRO PUBLiCiS ECCLESiAE nEGOtiiS, Novus modus procedendi in causis nullitatis matrimonii approbatur pro Statibus Foederatis Americae Septemtrionalis, diei 28 aprilis 1970, in z. GROChOLEwSki, Documenta recentiora circa rem matrimonialem et processualem, vol. 2, Romae 1980, nn. 1380-1428. 30 Cf. M. J. ARROBA COnDE, Verità e principio della doppia sentenza conforme, in Verità e definitività della sentenza canonica, 67-69. 31 Cf. PiO Xii, Allocuzione alla S. Romana Rota, 1 ottobre 1942, AAS XXXiV (1942), 340-341. 32 Cf. PiO Xii, Allocuzione alla S. Romana Rota, 2 ottobre 1944, AAS XXXVi (1944), 285.

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Alessandro Recchia

Appare così con maggiore chiarezza come l’abrogazione dell’obbligo della doppia sentenza conforme, voluta dalla riforma di Francesco, possa tranquillamente leggersi non come una rottura con il passato ma nell’ottica di una ermeneutica della continuità, secondo la quale il Legislatore, collocandosi nella scia dei suoi illustri predecessori, non ha fatto altro che riformare lo strumento del processo canonico per rispondere alle mutate necessità dei tempi. Ne è riprova quanto affermato dallo stesso Pontefice nel proemio del MIDI, laddove è detto che l’intento della riforma è quello di rispondere alle necessità di un enorme numero di fedeli che desiderano provvedere alla propria coscienza con norme che favoriscano la celerità dei processi e una «giusta semplicità», pur tenendo conto della necessità di tutelare la verità del sacro vincolo conservando la natura giudiziale del processo matrimoniale33. Ammissione e prosecuzione dell’appello

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Il nuovo can. 1679 MIDI recita dunque: Sententia, quae matrimonii nullitatem primum declaravit, elapsis terminis a cann. 1630-1633 ordinatis, fit exsecutiva.

Accanto a tale prescrizione, permane il diritto della parte soccombente o che si sentisse gravata dalla decisione ad appellare entro i termini di legge, né vengono abrogati il can. 1641 CIC, il quale in termini generali lega la formazione del giudicato alla doppia sentenza conforme, e i cann. 1643-1644 CIC, i quali affermano che le cause sullo stato delle persone non passano mai in giudicato e la possibilità di riesame di tali cause, dopo due sentenze conformi, in presenza di nuove e gravi prove o argomenti. Ciò che viene abrogato è dunque soltanto l’obbligo, presente nel can. 1682 CIC, della trasmissione d’ufficio degli atti al tribunale superiore dopo una prima sentenza affermativa, anche in assenza di appello di una delle parti, perché questo ratifichi con decreto la sentenza ovvero rimetta la causa ad ordinario esame. È parimenti abrogata la disposizione che la sentenza di nullità diventi esecutiva solo dopo la ratifica con decreto o sentenza dal tribunale di appello, contenuta nel can. 1684 del medesimo codice. Da un certo punto di vista, si può parlare di un ritorno alla disciplina precedente alla Dei miseratione, 33 Cf. MiDi, Proemio.

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laddove nel diritto delle decretali era possibile passare a nuove nozze in presenza di una sola sentenza affermativa non appellata, pur essendo possibile per le parti appellare fino a due volte per ottenere anche tre sentenze conformi34. La soppressione dell’obbligo della doppia conforme, oltre a rendere più celere lo svolgimento del processo, rivela così da parte del Legislatore una maggior fiducia nell’operato dei giudici di primo grado ed una presunzione a favore della conformità tra il giudicato e la verità sostanziale; postula però, per converso, un maggior rigore nell’osservanza della procedura da parte degli operatori del diritto. Tale necessità è in qualche maniera soggiacente anche alla scelta di affidare al giudizio personale del Vescovo il cosiddetto processo breviore, nell’intento di assicurare in questo modo la tutela della disciplina e del principio dell’indissolubilità del matrimonio35. Permane però il diritto per le parti, sia pubbliche che private, di impugnare la decisione del giudice con i mezzi previsti dalla legge, ossia querela di nullità e appello. Così recita il can. 1680, § 1 MIDI: § 1. Integrum manet parti, quae se gravatam putet, itemque promotori iustitiae et defensori vinculi querelam nullitatis sententiae vel appellationem contra eandem sententiam interponere ad mentem cann. 1619-1640.

Per quanto concerne tale disposizione, il principio generale della formazione del giudicato in presenza di una doppia sentenza conforme (nel caso delle cause matrimoniali del c.d. quasi-giudicato), che non viene abrogato, fa sì che sia salvaguardato il diritto delle parti, sia pubbliche che private, ad appellare. Parimenti, si può ragionevolmente ritenere che tale diritto si estingua laddove si sia in presenza di due pronunce conformi, anche non consecutive, e che quindi la parte conservi il diritto ad appellare al massimo per due volte, in presenza di sentenze 34 Cf. hOnORiUS iii, Litt. decr. Sua nobis, X lib. 2, t. 28, c. 65; Corpus Iuris Canonici, vol. ii, col. 440; CLEMEnS V, Litt. decr. Ut calumniis, Clem. lib. 2, t. 11, c. 1; Corpus Iuris Canonici, vol.ii, col. 1151. Al riguardo si veda anche J. LLOBELL, Alcune questioni comuni ai tre processi per la dichiarazione di nullità del matrimonio previsti dal m.p. “Mitis Iudex”, Relazione al Seminario di studio «La riforma operata dal m.p. “Mitis iudex”», Roma, 30 ottobre 2015, in http://www.consociatio.org/repository/Llobell_Lumsa.pdf, 16-17. 35 Si esprime chiaramente in tal senso lo stesso Pontefice, quando afferma: «non mi è tuttavia sfuggito quanto un giudizio abbreviato possa mettere a rischio il principio dell’indissolubilità del matrimonio; appunto per questo ho voluto che in tale processo sia costituito giudice lo stesso Vescovo, che in forza del suo ufficio pastorale è con Pietro il maggiore garante dell’unità cattolica nella fede e nella disciplina»: MiDi, Proemio, iV.

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difformi, dunque ordinariamente non si possa andare al di là di tre gradi di giudizio nella medesima causa. La procedura da seguire per l’ammissione dell’appello è descritta dettagliatamente nei §§ 2-4 del can. 1680 MIDI in questi termini:

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§ 2. Terminis iure statutis ad appellationem eiusque prosecutionem elapsis atque actis iudicialibus a tribunali superioris instantiae receptis, constituatur collegium iudicum, designetur vinculi defensor et partes moneantur ut animadversiones, intra terminum praestitutum, proponant; quo termino transacto, si appellatio mere dilatoria evidenter appareat, tribunal collegiale, suo decreto, sententiam prioris instantiae confirmet. § 3. Si appellatio admissa est, eodem modo quo in prima instantia, congrua congruis referendo, procedendum est. § 4. Si in gradu appellationis novum nullitatis matrimonii caput afferatur, tribunal potest, tamquam in prima instantia, illud admittere et de eo iudicare.

La formulazione della norma, che introduce diversi elementi di novità, potrebbe dar luogo a qualche problema interpretativo. Il dettato del canone, infatti, stabilisce che trascorsi i termini per l’appello e la sua prosecuzione e ricevuti gli atti dal tribunale superiore, sia costituito un collegio di giudici, nominato il difensore del vincolo e siano invitate le parti a presentare le proprie osservazioni entro un termine prestabilito. Dopodiché il tribunale, se l’appello appare meramente dilatorio, può confermare con decreto la sentenza di primo grado. Non vi sono rilevanti novità rispetto alla precedente normativa nel caso di ammissione dell’appello: sono sancite la necessità di procedere come in prima istanza, ovvero con la concordanza del dubbio e l’apertura di una nuova fase istruttoria, conclusa la quale si perviene alla decisione finale, nonché la possibilità di introdurre un nuovo capo di nullità tamquam in prima instantia. Appare invece degno di particolare attenzione quanto stabilito dal § 2 del canone, al cui riguardo siano consentite alcune osservazioni. La prima è che la norma sembra estendere la possibilità di confermare con decreto del collegio qualunque sentenza appellata, non solo di prima istanza, sia essa negativa che affermativa. A differenza della precedente formulazione del can 1682 CIC, il quale prevedeva la possibilità di confermare con decreto solo una sentenza affermativa di prima istanza, non si parla infatti né di sentenza di prima istanza, né di sentenza affermativa o negativa. Di conseguenza, in base al ben noto brocardo «Ubi lex non diI U S M I S S I O N A L E – QUADERNO 9

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stinguit, nec nos distinguere debemus», appare possibile che il tribunale superiore, ravvisati i presupposti di legge, confermi con decreto una precedente sentenza, che non necessariamente deve essere di prima istanza – il testo del canone dice infatti, prioris instantiae –, e soprattutto che possa essere sia affermativa che negativa, giungendo in tempi contenuti alla formazione di una duplice decisione conforme e precludendo la possibilità di un ulteriore appello. Ciò può avere evidenti ripercussioni positive sull’economia processuale, contribuendo alla celerità della definizione delle controversie, ed appare conforme allo spirito della riforma del processo matrimoniale canonico, improntata come si è detto più volte a favorire la giusta celerità nell’accertamento dello status dei fedeli36. Una seconda osservazione riguarda la constatazione della natura mere dilatoria dell’appello come fondamento della conferma con decreto della sentenza appellata. Il Legislatore utilizza sia qui, sia nel can. 1687, § 4 MIDI, dove si parla dell’appello contro la sentenza del Vescovo nel processo breve, l’avverbio mere, reso poi nella traduzione italiana del motu proprio rispettivamente con “meramente” e “manifestamente”. Nella terminologia del CIC tale avverbio è utilizzato per connotare ciò che è semplice, non costituito da parti, puro, in altre parole ciò che non ha in sé altri elementi o altre note caratteristiche se non quelli circoscritti dall’avverbio mere. Si parla infatti di «leges mere ecclesiasticae» (cann. 11 e 85 CIC); «leges mere processuales» (can. 1645 CIC); «effectus mere civiles matrimonii» (cann. 1059, 1672, 1692, n. 3 CIC) e financo, a proposito del pane per la celebrazione dell’Eucaristia, di «panis mere triticeus» (can. 924, 2 CIC)37. Stando alla lettera della norma, il tribunale di appello dovrebbe dunque constatare, valutato il libello di appello e le osservazioni di parte, che sia evidente che quanto proposto ha fine unicamente dilatorio, ovvero non vi sia alcun argomento tra quelli esposti che possa motivare il riesame della causa e dunque l’ammissione alla trattazione ordinaria con l’apertura di una nuova istruttoria, e quindi sia palese l’intenzione 36 Di diversa opinione G. P. Montini, il quale invece ritiene che «dall’impostazione dell’intero art. 4 (= cann. 1679-1682 MiDi) parrebbe che qui si tratti solo della sentenza affermativa, della sua impugnazione ed esecuzione», per cui «il regime delle sentenze negative e la loro impugnazione non saranno retti da questi canoni (1679-1682 MiDi), ma continueranno ad esserlo dalla normativa comune del Codice e dell’istruzione Dignitas Connubii»: G. P. MOntini, Dopo la decisione giudiziale, in REDAziOnE Di QUADERni Di DiRittO ECCLESiALE (a cura di), La riforma dei processi matrimoniali di Papa Francesco. Una guida per tutti, Ancora, Milano 2016, 114. 37 Cf. X. OChOA, Index verborum ac locutionum Codicis Iuris Canonici, Libreria Editrice Lateranense, Roma 19842, 275.

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dell’appellante di voler unicamente dilazionare nel tempo la decisione della causa adducendo motivazioni di scarsa rilevanza. Tale interpretazione potrebbe apparire però alquanto restrittiva, e soprattutto potrebbe dar luogo ad un problema interpretativo, in relazione alle altre norme codiciali che non sono state abrogate e dunque mantengono inalterato il loro valore. Se si passa infatti ad esaminare i canoni relativi all’introduzione e alla prosecuzione dell’appello si può notare come il can. 1634 CIC ritenga sufficiente, per la prosecuzione dell’appello, la presentazione dinanzi al giudice superiore della sentenza appellata, «indicatis appellationis rationibus»38. Tale indicazione dei motivi di appello è da alcuni considerata come la necessità della sussistenza, nel libello di appello, di un fumus boni iuris, analogamente al libello introduttorio della causa39. Ciò a differenza della normativa piano-benedettina, la quale prevedeva che fosse sufficiente per l’ammissione dell’appello l’invocazione del ministero del giudice superiore, secondo la ben nota formulazione giustinianea, poi ripresa dai glossatori e da tutta la canonistica medievale, «appellatio est protestatio iniquae sententiae»40 e per la sua prosecuzione bastasse l’esibizione al giudice superiore del «libellus appellatorius que iudici inferiori exhibuerat»41. Nel passaggio dal codice del 1917 al codice del 1983, dunque, si ravvisa l’introduzione di un elemento ulteriore, rispetto alle semplici rimostranze della parte soccombente, per l’ammissibilità dell’appello, ossia che questa fornisca, almeno succintamente, le motivazioni per appellare42. Ciò richiede una prima pronuncia del giudice ad quem o almeno una verifica sulla presenza o sulla mancanza dei presupposti processuali per l’ammissione dell’ap38 Can. 1634 CiC. 39 Si veda al riguardo J. LLOBELL, Alcune questioni comuni, 19. 40 «Appellatio quidem iniquitatis sententiae querellam, in integrum vero restitutio erroris proprii veniae petitionem vel adversarii circumventionis allegationem continet»: herm., Dig., lib. 4, tit. 4, c. 17. La definizione dell’appello come protestatio è ampiamente recepita dai glossatori e più in generale da tutta la canonistica medievale. A titolo di esempio: «Appellatio est protestatio inique sententie. Appellatio enim fit a sententia, non a persona, et continet iniquitatem sententie»: Summa Animal est Substantia, C. 2, q. 6, c. 1, ad v. sequitur, in http://medcanonlaw.nl/Animal_est_substantia/Cause.html, 1711. Sul punto, si rimanda a P. PELLEGRinO, Osservazioni sul principio dello Ius Novorum in grado di appello, “ius Canonicum” Xiii (1973), 291-304. Cf. anche can. 1879 CiC 1917. 41 Can. 1884, § 1 CiC 1917. 42 Sul punto, cf. J. LLOBELL, Alcune questioni comuni, 18-19.

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pello stesso (ad es. verifica del rispetto dei termini, presenza di legittimo mandato, reale soccombenza o gravame, presenza del suddetto fumus). Tale pronuncia sull’ammissibilità dell’appello è in qualche maniera presupposta dall’attuale can. 1680, § 2 MIDI, in maniera analoga a quanto previsto dal can. 1682, § 2 CIC, ora abrogato, secondo il quale, dopo l’ammissione dell’appello da una sentenza affermativa di primo grado, valutate le osservazioni delle parti e del difensore del vincolo, il collegio di secondo grado procedeva in via preliminare con l’emissione di un decreto di conferma, ovvero con la remissione della causa ad ordinario esame di secondo grado. Di conseguenza, si dovrebbe ritenere che la pronuncia del tribunale collegiale di appello con cui viene confermata la decisione del precedente grado di giudizio richieda una valutazione complessiva dei motivi di appello, delle osservazioni delle parti e soprattutto delle motivazioni della sentenza appellata che porti al raggiungimento della necessaria certezza morale circa la fondatezza della precedente decisione e dunque a ritenere superfluo un suo riesame con la riapertura di una nuova fase istruttoria. In ciò starebbe la constatazione della natura mere dilatoria dell’appello. Tale pronuncia, che sarebbe così una vera decisione sul merito della causa, porterebbe, a tenore del can. 1644 CIC e dell’art. 290 DC, alla formazione di due decisioni conformi e dunque alla definitività della sentenza, preclusiva di un ulteriore possibilità di esercizio del diritto ad appellare, ferma restando l’esperibilità dei mezzi di impugnazione straordinari. Ciò tenendo presente anche l’ipotesi opposta, ossia l’ammissione dell’appello e quindi l’emissione di una sentenza di riforma o di conferma della decisione appellata. Il fatto che sia possibile dunque confermare con decreto sia sentenze affermative che negative concretizza in maniera assai efficace, a mio sommesso parere, uno dei criteri ispiratori della riforma di papa Francesco, ossia la celerità nella definizione dello stato di vita dei fedeli. La medesima questione si ripropone nel can 1687, § 4 MIDI, laddove si parla dell’appello avverso la sentenza del Vescovo nel processus brevior. § 4. Si appellatio mere dilatoria evidenter appareat, Metropolita vel Episcopus de quo in § 3, vel Decanus Rotae Romanae, eam a limine decreto suo reiciat; si autem admissa fuerit, causa ad ordinarium tramitem in altero gradu remittatur. 118

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Questa disposizione infatti parla di reiectio a limine, escludendo la possibilità di un decreto di ratifica della prima sentenza affermativa. Invece, secondo alcuni, applicando il brocardo «ubi eadem est ratio, idem quoque ius statui oportere», anche il decreto di reiezione a limine del giudice di seconda istanza non sarebbe sempre un provvedimento di mera inammissibilità, ma potrebbe riguardare la fondatezza e dunque il merito della sentenza appellata. In caso contrario il giudice appellato non avrebbe la possibilità di entrare sul merito della causa e dunque non si potrebbe giungere ad una doppia sentenza conforme pro nullitate. Ciò tenendo anche qui presente il caso contrario in cui, ammesso l’appello, vi sia una successiva pronuncia di conferma o di riforma della precedente decisione43. La querela di nullità

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Per quanto attiene l’istituto della querela di nullità, la riforma del processo matrimoniale canonico non ha apportato alcun mutamento per quanto riguarda i motivi di nullità sanabile o insanabile così come essi sono elencati rispettivamente nei cann. 1620 e 1622 CIC. Purtuttavia, l’introduzione della nuova normativa potrebbe avere riflessi anche sulle possibilità di impugnare le decisioni con lo strumento della querela di nullità. In particolare, pare legittimo chiedersi se l’uso illegittimo dello strumento del processo breve possa configurare una possibile nullità della successiva decisione del Vescovo. Il MIDI di fatto non prevede tale ipotesi, nel senso che non vi è alcuna sanzione espressa di nullità, a tenore del can. 10 CIC, nel caso non si verifichino le condizioni previste dal can. 1683 MIDI per la scelta del processo breve, che sono, come già più volte ripetuto, il consenso dei coniugi e l’evidenza delle prove. Nondimeno è possibile trovare nella giurisprudenza rotale pronunce in cui la nullità della sentenza è stata dichiarata nel caso in cui sia stato illegittimamente utilizzato lo strumento del processo documentale e che potrebbero offrire motivi per un’ipotesi di nullità anche nel caso del processo breve44. 43 Ibid., 20. 44 Coram Exc.mo Pompedda, decr. diei 6 martii 1998; in RRDecr., vol. XVi, 76-79; coram Erlebach, decr. diei 12 maii 2000; in RRDecr., vol. XViii, 116-128. Sul punto, cf. anche le considerazioni ope-

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Queste decisioni rotali, emesse nella stessa causa Beryten., motivano la dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado in base alla mancanza di uno dei presupposti essenziali del processo documentale, ossia la inoppugnabilità dei documenti prodotti. Alla base della possibilità stessa di introduzione del processo documentale sta infatti la ratio notorietatis, ossia il fatto che a motivo di un impedimento dirimente o un difetto di forma provati per mezzo di documenti inoppugnabili la nullità sia palese. Storicamente la nascita dell’istituto del processo documentale, come già detto, avviene proprio in ragione della presenza di motivi di nullità notori che rendevano possibile l’inosservanza delle solennità introdotte dalla Dei miseratione e soprattutto la dispensa dalla doppia sentenza conforme. Passando alla disamina della normativa riguardante il processo breviore, il nuovo can. 1683 MIDI elenca i requisiti necessari per la sua introduzione: Ipsi Episcopo dioecesano competit iudicare causas de matrimonii nullitate processu breviore quoties: 1º petitio ab utroque coniuge vel ab alterutro, altero consentiente, proponatur; 2º recurrant rerum personarumque adiuncta, testimoniis vel instrumentis suffulta, quae accuratiorem disquisitionem aut investigationem non exigant, et nullitatem manifestam reddant.

Tali requisiti vanno intesi congiuntamente, per cui è necessario che sussistano simultaneamente all’atto della presentazione del libello, e ne costituiscono il presupposto soggettivo (domanda congiunta o almeno consenso di ambedue i coniugi), probatorio e argomentativo (facilità di prova e evidenza della nullità)45. Si potrebbe così ipotizzare che, in mancanza di uno dei requisiti richiesti dal canone, ed in maniera analoga a quanto già visto per il processo documentale, una successiva sentenza affermativa del Vescovo possa essere viziata da nullità. rate da G. P. MOntini, L’accordo dei coniugi quale presupposto del processus matrimonialis brevior (can. 1683, 1° MI). intervento del 15 dicembre 2015 all’incontro di studio presso la Pontificia Università Gregoriana dal titolo La riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio; consultabile on line in https://www.youtube.com/watch?v=y26hFtpstrs. 45 Cf. al riguardo w. L. DAniEL, The Abbreviated Matrimonial Process before the Bishop in Cases of “Manifest Nullity” of Marriage, “the Jurist” LXX (2015), 563. in maniera molto acuta Massimo Del Pozzo fa rilevare: «Dalla semplice analisi del testo […] si ricava agevolmente che gli elementi integranti l’ammissione sono tre: oltre al profilo soggettivo (litisconsorzio obbligatorio dei coniugi), devono sussistere un presupposto probatorio (snellezza istruttoria) e un riscontro argomentativo (nullità manifesta)»: M. DEL POzzO, Il processo matrimoniale più breve davanti al Vescovo, Edusc, Roma 2016, 133; cf. anche ibid., 136-143.

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Per quanto riguarda il primo presupposto, una possibile nullità potrebbe configurarsi nell’ipotesi che manchi o venga successivamente a mancare il litisconsorzio delle parti, che costituisce la conditio sine qua non per l’instaurazione del processo breve e che deve perdurare per l’intero svolgimento del processo stesso46, e ciononostante il processo breve venga ugualmente condotto a termine con l’emissione di una sentenza affermativa da parte del Vescovo. Per quanto riguarda il secondo requisito, più volte è possibile rinvenire nella normativa espressi riferimenti alla facilità probatoria ed all’evidenza della nullità quale fondamento del nuovo processo breviore47. Ciononostante, appare più difficile formulare delle ipotesi di una possibile nullità di una successiva decisione del Vescovo qualora in sede di presentazione del libello non si prospettino elementi di prova di facile dimostrazione e una evidente nullità né al vaglio della breve istruttoria prevista dal can. 1686 MIDI48 tali elementi si palesino, e ciononostante si giunga ad una decisione affermativa del Vescovo. Ciò invece potrebbe essere motivo sufficiente per il difensore del vincolo per interporre appello49. Quanto alla competenza a trattare della querela di nullità, appare evidente che, essendo rimasta invariata la normativa preesistente, rimane competente a vedere della querela di nullità il giudice a quo, a meno che la querela non venga presentata congiuntamente con l’appello. Nel caso del processo breve ciò postula che la querela sia presentata dinanzi al Vescovo che emise la sentenza. Appare però legittimo chiedersi se debba essere lo stesso Vescovo a giudicare personalmente 46 Si vedano al riguardo due successivi interventi del POntiFiCiO COnSiGLiO PER i tESti LEGiSLAtiVi, Risposta particolare On the conversion of the formal process to processus brevior, 1 ottobre 2015, Prot. 15138/2015, e On the consent of both parties as requirement for the processus brevior (new can. 1683 Mitis Iudex), 1 ottobre 2015, Prot. 15139/2015, in www.delegumtextibus.va. Sulla necessità dell’accordo delle parti come condizione esclusiva per l’instaurazione del processo breve e sulla sua necessaria permanenza per tutta la durata del processo si veda anche M. DEL POzzO, Il processo matrimoniale, 105-109. 47 Cf. ad es. can. 1683, n. 2 MiDi: «ricorrano circostanze e prove che […] rendano manifesta la nullità»; RP, art. 1; ed il n. iV del Proemio: «l’accusata nullità è sostenuta da argomenti particolarmente evidenti». 48 «instructor una sessione, quatenus fieri possit, probationes colligat et terminum quindecim dierum statuat ad animadversiones pro vinculo et defensiones pro partibus, si quae habeantur, exhibendas»: can. 1686 MiDi. Cf. anche RP, art. 18. 49 Diversi autori in effetti vedono come abbastanza marginale la possibilità di un appello del difensore del vincolo contro la sentenza resa dal Vescovo nel processo breviore. Cf. M. DEL POzzO, Il processo matrimoniale, 117, poi 219-220.

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della querela di nullità ovvero nel caso si debba rinviare la causa alla via ordinaria, considerata la peculiare natura del processo breve50. Certamente con l’applicazione concreta della riforma ed in particolare con la nascita di una giurisprudenza consolidata vi sarà modo di verificare tali ipotesi e dare alla norma una sempre più puntuale e dettagliata interpretazione. 4

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La nuova proposizione della causa

Un’ulteriore questione riguarda la possibilità del nuovo esame della causa, a tenore del can. 1644 CIC, così come essa si presenta in ragione del disposto del can. 1681 MIDI e delle successive disposizioni del Rescritto del Santo Padre del 7 dicembre 201551. Il can. 1681 MIDI recita: Si sententia exsecutiva prolata sit, potest quovis tempore ad tribunal tertii gradus pro nova causae propositione ad normam can. 1644, novis iisque gravibus probationibus vel argumentis intra peremptorium terminum triginta dierum a proposita impugnatione allatis.

In deroga a quanto disposto dal can. 1644 CIC, il quale stabilisce che la nuova proposizione di causa può essere presentata al tribunale di appello, il nuovo canone stabilisce che la sentenza esecutiva, dunque anche la sentenza affermativa di primo grado non appellata, può essere impugnata dinanzi al tribunale di terzo grado, il quale, tolte le eccezioni (Rota Spagnola, Tribunale primaziale di Ungheria), è la Rota. In un successivo momento il rescritto del 7 dicembre 2015 ha stabilito al n. 3: «Dinanzi alla Rota Romana non è ammesso il ricorso per la nova causae propositio, dopo che una delle parti ha contratto un nuovo matrimonio canonico, a meno che consti manifestamente dell’ingiustizia della decisione»52. Si tratta della riformulazione di una delle facoltà speciali concesse da Benedetto XVI al Decano della Rota l’11 febbraio 2013 per la durata di un triennio. La seconda di esse infatti era così formulata: «Dinanzi alla Rota romana non è possibi50 Ibid., 216-217. 51 Rescriptum ex audientia SS.mi, 7 dicembre 2015, “L’Osservatore Romano” 12 dicembre 2015, 8. Cf. anche Sussidio applicativo, 50. 52 Ivi.

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le proporre ricorso per la N.C.P. dopo che una delle parti ha contratto un nuovo matrimonio canonico»53.

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La precedente formulazione, che trovava valida giustificazione nella necessità di recuperare il lavoro arretrato della Rota, è stata alquanto criticata in dottrina perché sembrava anteporre la volontà di salvaguardare il nuovo status matrimoniale di almeno una delle parti rispetto alla necessità della ricerca della verità, innovando rispetto alla plurisecolare normativa54 secondo cui le cause sullo stato delle persone non passano mai in giudicato55 per cui si è sempre data la possibilità di impugnare la sentenza affermativa di nullità56. La nuova formulazione presenta la possibilità di introdurre la nuova proposizione di causa dinanzi alla Rota, in presenza di nuovo matrimonio, solo quando consti manifestamente dell’ingiustizia. Il che riconduce la possibilità di introdurre la nuova proposizione di causa ai casi in realtà già previsti a riguardo della restitutio in integrum, in particolare laddove il can. 1645, § 2 CIC prevede in maniera tassativa i casi di manifesta ingiustizia57. Ciò potrebbe sembrare una restrizione delle possibilità di impugnazione della sentenza affermativa divenuta esecutiva, che porta ancora una volta in direzione di un favor attribuito alla condizione di vita attuale dei fedeli, ritenendo di secondo piano un’ulteriore ricerca di una verità oggettiva sul loro status. In realtà, anche in questo caso si potrebbe parlare piuttosto di un ritorno alle origini, non solo a quanto già affermato dalla decretale Lator, ma a quanto già soste53 SEGREtERiA Di StAtO, n. 208.966, Rescriptum ex audientia SS.mi, 11 febbraio 2013, reso pubblico dal Decano della Rota Romana il 5 marzo 2013, in M. DEL POzzO – J. LLOBELL – J. MiñAMBRES (a cura di), Norme procedurali canoniche commentate, Coletti a S. Pietro, Roma 2013, 216. 54 «Sententia lata contra matrimonium numquam transit in rem iudicatam; unde quandocumque revocatur, quum constat de errore»: ALEXAnDER iii, Litt. decr. Lator praesentium, X, lib. 2, t. 27, c. 7, rubr. Corpus Iuris Canonici, vol. 2, col. 394. 55 Cf. can. 1643 CiC. 56 Si veda al riguardo J. LLOBELL, Novità procedurali riguardanti la Rota Romana: le facoltà speciali, “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” XXXii (2013), 19-26. 57 Can. 1645, § 2 CiC: «De iniustitia autem manifesto constare non censetur, nisi: 1° sententia ita probationibus innitatur, quae postea falsae deprehensae sint, ut sine illis probationibus pars sententiae dispositiva non sustineatur; 2° postea detecta fuerint documenta, quae facta nova et contrariam decisionem exigentia indubitanter probent; 3° sententia ex dolo partis prolata fuerit in damnum alterius; 4° legis non mere processualis praescriptum evidenter neglectum fuerit; 5° sententia adversetur praecedenti decisioni, quae in rem iudicatam transierit».

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I mezzi di impugnazione: alcune considerazioni

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nuto da Graziano nei suoi dicta già precedentemente citati, laddove il maestro bolognese sosteneva che anche il nuovo matrimonio fosse meritevole di tutela e che non bisognasse riformare una sentenza già esecutiva e turbare le nuove nozze, se non in presenza di nuovi elementi probatori di tale gravità da lasciar sospettare una deceptio Ecclesiae e dunque la falsità delle prove addotte in precedenza58. Ciò che potrebbe invece creare anche qui qualche problema interpretativo è una possibile disparità che si verrebbe a creare tra le nuove proposizioni di causa introdotte presso la Rota, alle quali si applica il disposto del Rescritto del 7 dicembre 2015, e quelle introdotte presso gli altri tribunali di terzo grado esistenti nella Chiesa, ad esempio la Rota di Madrid o il Tribunale primaziale di Ungheria, alle quali invece si applicherebbe solo il combinato disposto del can. 1681 MIDI e del can. 1644 CIC, per cui vi sarebbe, anche in presenza di nuove nozze, la possibilità di concedere la nuova proposizione di causa in presenza dei nuovi e gravi argomenti previsti dalla norma e non secondo la visione, più stretta, del Rescritto pontificio. Certamente, anche se potrebbe auspicarsi un successivo intervento interpretativo della competente autorità, sarà soprattutto l’applicazione concreta della norma, e dunque la formazione di una consolidata giurisprudenza, a dare maggior chiarezza alle novità introdotte. Breve conclusione

La riforma del processo matrimoniale canonico introdotta da papa Francesco contiene numerose e importanti novità anche per quanto riguarda i mezzi di impugnazione della sentenza. La modifica radicale di alcuni istituti giuridici storicamente consolidati, come la doppia sentenza conforme e la possibilità di conferma con decreto della sentenza appellata, vanno nell’auspicata direzione di una maggiore celerità del processo, che non potrà che giovare alla desiderata definizione dello stato di vita di tanti fedeli. Al tempo stesso, le riforme introdotte ri58 «Aliud est sentenciam rescindere et rationabiliter decisa turbare, atque aliud que per surreptionem eueniunt deprehensa corrigere; suum namque errorem cuique corrigere licet, atque ideo que a quolibet illicite conmittuntur, siue a decessoribus admissa inueniuntur, in melius reuocari oportet. Porro illicite uxor a uiro suo separata est, et illo uiuente alii copulata, cum Dominus solius fornicationis causa uxorem a uiro suo separari iubeat»: C. XXXV, q. 9, c. 2, dictum post. Corpus Iuris Canonici, vol. 1, col. 1284.

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Alessandro Recchia

velano da parte del Legislatore una sempre maggiore fiducia nell’operato dei giudici, in primo luogo del Vescovo, chiamato ad agire quale giudice naturale nella Chiesa a lui affidata, e quindi dei suoi collaboratori. Tale fiducia riposta nell’operato del Vescovo e dei giudici, soprattutto di primo grado, porta con sé, come logica conseguenza, una sempre maggiore responsabilità, e quindi la necessità di una fedele e rigorosa osservanza delle procedure appena introdotte e di una sempre maggiore e qualificata formazione degli operatori del diritto, perché anche con l’attenuazione o la scomparsa degli strumenti di verifica del processo posti a tutela dell’istituto matrimoniale in vigore fino all’8 dicembre 2015 vi sia la necessaria rispondenza tra le decisioni prese e la verità dei fatti. È quanto richiede il bene dei fedeli ed è quanto sono chiamati a realizzare nella Chiesa gli operatori del diritto.

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Abate A. M. 85, 88, 93, 99 Adnés P. 23 Alessandro iii / Alexander iii 107 Antony A. S. 51 Arroba Conde M. J. 37, 42, 43, 106, 112 Aymans w. 86 Aznar Gil F. R. 93, 95 Bardi M. 86 Baura E. 26 Becciu A. 42 Benedetto XiV 34, 106, 107, 108, 109 Benedetto XV 15 Benedetto XVi 9, 44, 73, 80, 122 Bertolino G. 65 Bianchi P. 33, 53, 98 Bohlen B. 86 Boni G. 39, 46, 48, 53, 117 Bonnet P. A. 37, 57, 64, 70, 73, 85, 88, 92 Borgonovo G. 63 Burke C. 63, 64, 65, 70, 73, 79, 80, 98 Canosa J. 26 Cappello F. M. 20, 101, 102 Carnelutti F. 23 Castaño J. 87, 88, 90, 92, 93, 95, 96, 97 Cattaneo A. 63 Clemente V / Clemens V 114 Colantonio R. 97, 98 Conte a Coronata M. 101, 102 Corecco E. 63, 12 Daneels F. 54 Daniel w. L. 44, 47, 54, 120 D’Auria A. 12, 24, 59, 64 De Bertolis O. 44, 51 De Paolis V. 24, 58 Dewhirst J. A. 79, 80 Del Pozzo M. 40, 44, 45, 46, 48, 49, 51, 53, 55, 120, 121, 123 D’Ostilio F., 17

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Erlebach G. 35, 49, 119 Erràzuriz M. J. 98 Fantappié C. 106, 108, 109, 110, 111 Flatten h. 84 Fornés J. 86, 89, 95, 96 Francesco / Franciscus 9, 11, 12, 15, 21, 41, 42, 44, 45, 50, 51, 52, 53, 55, 56, 59, 61, 75, 80, 81, 105, 112, 113, 116, 118, 124 Friedberg Ae. 107 Fumagalli Carulli O. 95 Garcìa Failde J. J. 99 Gasparri P. 15, 84, 101, 102, 106, 107, 108, 109, 111 Giovanni Paolo ii / ioannes Paulus ii 15, 31, 32, 38, 42, 67, 68, 69, 76 Giraudo A. 50, 52 Gordon i. 23 Graziano 107, 124 Grocholewski z. 70, 75, 112 Gullo C. 37, 57, 64, 65, 70, 71, 73, 85, 92 heck P. 107 Listl J. 91 Llobell J. 46, 114, 117, 123 Madero L. 47 Malecha P. 37 Marzoa A. 87 McGrath A. 79, 97 Michiels G. 85 Miñambres J. 123 Mingardi M. 55, 63, 65 Miras J. 26, 87 Moneta P. 60, 68, 70, 76, 77, 78, 79, 92, 98, 103, 104 127

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I N D I C E

D E I

N O M I

Montesquieu 23 Montini G. P. 34, 46, 116, 120 Moreno P. 34 Mörsdorf k. 86 navarrete U. 50, 63, 64, 73, 86, 87, 89

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Ochoa X. 116 Onorio iii / honorius iii 114 Örsy L. 38 Ortiz A. 50 Otaduy J. 47 Pagé R. 39 Panizo Orallo S. 47 Paolo Vi / Paulus Vi 20, 110, 111 Pellegrino P. 64, 73, 86, 91, 117 Pinto, G. M. 71 Pinto, P. V. 19, 79 Pio Xii / Pius Xii 23, 34, 110, 112 Pompedda M. F. 34, 49, 65, 70, 119 Primetshofer B. 91, 95 Punderson J. R. 40 Punzi nicolò A. M. 85, 92, 94

Rodriguez-Ocaña R. 87 Sabbarese L. 26, 27, 28, 40, 42, 43, 57, 106 Salerno F. 106, 108 Sanchez t. 109 Schmitz h. 91 Sedano J. 47 Stankiewicz A. 31, 32, 33, 53, 69, 73, 85, 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 107, 111 Szentirmai A. 95 turnaturi E. 100 Urrutia F. X. 86, 87, 96 Viana A. 47 Vidal P. 101, 102 Viladrich P. 87, 88, 89, 90, 91, 92, 94, 95, 98, 99 Villeggiante S. 98 wernz X. 101, 102

Rincón Perez t. 64 Rivella M. 64, 66, 68, 75

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zambon A. 45, 53

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Autori

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Dominique Mamberti, cardinale e arcivescovo francese, dal 2014 è Prefetto del Supremo tribunale della Segnatura Apostolica. Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1986, ha operato presso numerose delegazioni apostoliche e nunziature in Africa, Asia e Sudamerica. nel 2002 papa Giovanni Paolo ii lo ha nominato arcivescovo titolare di Sagona. Dal 2006 al 2014 è stato segretario per i rapporti con gli stati della Segreteria di Stato. il 14 febbraio 2015 è stato creato cardinale da Papa Francesco. Ernest B.O. Okonkwo, sacerdote nigeriano della diocesi di Awgu, è avvocato rotale e docente incaricato di Diritto processuale di nullità matrimoniale e Prassi e Giurisprudenza Ecclesiastica nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana. è stato per un anno giudice esterno di tribunale di Prima istanza per le cause di nullità di matrimonio della Regione Lazio presso il Vicariato di Roma. Luigi Sabbarese è professore ordinario di Diritto matrimoniale nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana, della quale è attualmente decano, giudice esterno del tribunale di Prima istanza del Vicariato di Roma, consultore presso la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e referendario del Supremo tribunale della Segnatura Apostolica. Autore di numerose pubblicazioni, è fondatore e direttore dell’annuario “ius Missionale”. Andrea D’Auria è professore ordinario della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana, della quale è stato anche decano; professore invitato presso il Pontificio istituto Giovanni Paolo ii per studi su Matrimonio e Famiglia nelle sezioni di Roma e washington, giudice esterno presso il tribunale d’Appello del Vicariato di Roma e consultore della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Alessandro Recchia, sacerdote della Diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, è dottore in diritto canonico, avvocato rotale e vicario giudiziale della sua diocesi. è stato officiale del tribunale della Rota Romana dal 2004 al 2014. è professore incaricato di Storia delle istituzioni Canoniche presso la Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana e docente di Diritto canonico presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo e l’istituto teologico Leoniano di Anagni. è autore di diverse pubblicazioni nel campo della Storia del Diritto Canonico.

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I M iUS miSSionaLe Anno XI/2017 Annuario della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana Comitato Scientifico Internazionale – International Scientific Committee Jesus Manuel Arroba Conde (Roma) Carlos José Errázuriz M. (Roma) Giuseppe Dalla Torre (Roma) Brian Ferme (Città del Vaticano) Victor George D’Souza (Mangalore) Fabien Lonema Dz’djo (Nairobi) ´´ (Budapest) Petér Erdo Petér Szabó (Budapest) Direttore / Director Elias Frank

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Vice Direttore / Deputy Director Alessandro Recchia Redazione scientifica / Scientific Editing Elena Casadei Consiglio di redazione Jean Yawovi Attila, Andrea D’Auria, Giacomo Incitti, Maurizio Martinelli, Vincenzo Mosca, Claudio Papale © Urbaniana University Press 00120 Città del Vaticano, via Urbano VIII, 16 tel.+39 06 69889501/688 fax +39 06 69882182 www.urbaniana.press Per abbonamenti e per contributi dei collaboratori [email protected] [email protected] Abbonamenti / Subscription (postage included) Italia Europa Paesi extraeuropei

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