Tempo e Universo. Un approccio filosofico e scientifico 8883580834

Il presente libro affronta la questione del tempo e dell'universo in una modalità interdisciplinare. Scrivono sull&

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Español Pages 422 [335] Year 2000

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Table of contents :
Prima Parte. Il tempo della natura in prospettiva filosofica. Juan José Sanguineti
c. 1. Il tempo naturale
c. 2. Filosofia del tempo e concezione fisica
c. 3. Il tempo dell'uomo
Seconda Parte. Il tempo della Fisica. Mario Castagnino
Introduzione. Metodi e scopi della fisica
c. 1. Le proprietà del tempo
c. 2. La meccanica classica
c. 3. L'elettromgnetismo
c. 4. La termodinamica fenomenologica
c. 5. Meccanica statistica classica
c. 6. Meccanica quantistica
c. 7. Meccanica statistica quantistica
c. 8. La relatività speciale
c. 9. Teoria quantistica relativistica
c. 10. Relatività generale e cosmologia
c. 11. Teoria del campi nello spazio-tempo curvo
c. 12. Gravità quantistica e cosmologia
Appendice. La descrizione fisica: aspetti ontologici ed epistemologici
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Tempo e Universo. Un approccio filosofico e scientifico
 8883580834

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Tempo e Universo 1. Un approccio filosofico e scientifico MARIO CASTAGNINO - JUAN JOSÉ SANGUINETI

2 La problematica del tempo è vivamente sentita nel pensiero filosofico contemporaneo e nell'attuale prospettiva delle scienze. L'uomo ha acquistato nella nostra epoca una crescente consapevolezza dell'importanza del tempo nella sua vita e in tutto l'universo. Questo studio presenta la singolare caratteristica di affrontare la questione combinando, in modo separato ma integrato, la visione della fisica e quella della filosofia, includendo alcuni accenni teologici. Le sue pagine sono rivolte ad ogni persona interessata ai problemi della filosofia e della cosmologia. La sua lettura non richiede conoscenze scientifiche specialistiche, anzi essa può servire anche come un'introduzione aggiornata alla panoramica attuale della fisica. I lettori potranno esperimentare la pregnanza metafisica e antropologica del tema del tempo e dell'universo. I grandi interrogativi qui affrontati -quali la direzione del tempo, l'unificazione delle scienze, il tempo fisico e storico, l'eternità- conducono ad un notevole approfondimento nella compresione dell'uomo e del mondo, nel suo plurivalente dispiegarsi temporale, sin dalla sua origine ed evoluzione, fino al problema del suo destino definitivo. In questo dispiegamento si gioca tutta la nostra esistenza.

Mario Castagnino è dottore in Scienze Matematiche presso l'Università di Roma e di Scienze Fisiche presso l'Università di Parigi. Attualmente è professore ordinario di fisica di campi e particelle nell'Università di Buenos Aires, membro dell'Accademia Argentina di Scienze e ricercatore superiore del Consiglio Nazionale della Ricerca Scientifica (Argentina). Membro visitante dell'Imperial College di Londra e dell'Università Libera di Bruxelles, fu anche professore visitante alle Università di Roma, Milwaukee e Autonoma del Messico. Ha pubblicato circa 200 lavori nelle principali riviste internazionali di fisica. Juan José Sanguineti è dottore in Filosofia e Lettere presso l'Università di Navarra. E' professore ordinario di Filosofia della natura e delle scienze presso la facoltà di filosofia della Pontificia Università della Santa Croce, di cui è anche il Decano. E' stato professore alla Pontificia Università Urbaniana ed è professore visitante alle Università Austral e Católica Argentina (Buenos Aires). Ha pubblicato 50 articoli e 11 libri, tra cui La filosofia del cosmo in Tommaso d'Aquino (Milano 1986), Ciencia y modernidad (Buenos Aires 1988), Scienza aristotelica e scienza moderna (presso questa collana, 1992) e El origen del universo (Buenos Aires 1994).

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Prefazione Il presente libro contiene una ricerca sul tempo nelle prospettive della filosofia e della fisica teorica. L’importanza del dialogo tra le scienze e la filosofia oggi è riconosciuta da tutti, dal momento che le prime sono coltivate da persone che cercano una visione di totalità, mentre la seconda non può voltare le spalle alla conoscenza scientifica come un materiale sul quale bisogna riflettere. La collaborazione è indispensabile nel campo della filosofia della natura ed è notevole che negli ultimi tempi siano piuttosto gli scienziati a porsi certe domande che i filosofi talvolta sembravano aver dimenticato. Così succede particolarmente nella tematica del tempo dell’universo. La scelta di quest'argomento risulta feconda dal punto di vista speculativo. La riflessione sul tempo, con l’aiuto della grande tradizione filosofica di Aristotele, Agostino, Tommaso, Bergson, Heidegger e tanti altri filosofi, e in vista delle imponenti elaborazioni scientifiche contemporanee, porta in una maniera molto naturale alla speculazione metafisica e antropologica. Come si vedrà in queste pagine, il problema del tempo è molto vicino alla questione dell'essere e rinvigorisce in modo inatteso le tematiche antropologiche. Il presente studio è il frutto di un dialogo filosofico e scientifico tra me e il professore Mario Castagnino, protrattosi da parecchi anni e lungi dall’essersi esaurito. I lettori troveranno nell’esposizione di Castagnino il rigore scientifico associato a una rara capacità didattica di alto livello. Benché la sua parte possa apparire ardua per un destinatario non scientifico, le sue pagine sono affrontabili sulla base di una conoscenza comune delle scienze, purché ci sia un atteggiamento di studio e non di semplice lettura. Inoltre nel suo testo si troverà, assieme alla trattazione dell’argomento, una visione panoramica aggiornata della fisica teorica, particolarmente utile per il filosofo e per ogni persona di cultura. Il nostro lavoro potrà essere stimolante, così speriamo, a chi sono interessati ai problemi relativi alla filosofia della natura, alla filosofia della scienza e alla cosmologia. L’argomento viene esposto con sufficiente ampiezza e senza una ristrettezza specialistica, in modo da soddisfare quella visione di insieme di cui la filosofia si nutre di continuo. Le singole parti, quella scientifica e quella filosofica, possono essere lette indipendentemente o in un ordine arbitrario, a seconda della preparazione o dell'interesse del lettore. Ciascuna di esse possiede una propria consistenza e rimanda all’altra nelle sezioni puntualmente segnalate. Il testo completo comunque, pur nella diversità di linguaggio e di metodologia, possiede un'unità articolata e non è una semplice giustapposizione di due studi. Data la natura interdisciplinare della presente ricerca, nel mio terzo capitolo ho ritenuto opportuno un breve ampliamento teologico della tematica. A un certo livello della riflessione filosofica, quando cioè si pone la domanda sull’ultimo senso antropologico del tempo, un confronto con la fede cristiana mi è parso difficile da evitare. Mi auguro il raggiungimento del duplice scopo di questo studio. Il primo è quello di avviare una ricerca interdisciplinare tra la filosofia e la scienza, seria e non si-

4 tuata al livello della bibliografia semigiornalistica così frequente nei nostri giorni sulle tematiche qui affrontate. Il servizio reso dai saggi popolari ai quali mi riferisco senz'altro è utile, ma non sufficiente. Il secondo scopo mira a gettare una luce su una delle questioni teoretiche più importanti del pensiero umano, sulla quale bisognerà ancora continuare a indagare a tutti i livelli. JUAN JOSÉ SANGUINETI *** Negli ultimi anni l’argomento del tempo ha acquistato un crescente interesse presso un pubblico svariato e non specializzato nella fisica, composto da biologi, psicologi, sociologi, economisti e filosofi. Questo interessamento ha suscitato la pubblicazione di opere rivolte a diversi tipi di lettori1. Una caratteristica comune di questi lavori, come si evince dagli stessi titoli, è il ruolo centrale che svolge in essi l’asimmetria del tempo (asimmetria tra passato e futuro). Dopo un lungo periodo precedente, nel quale il tempo della fisica veniva considerato come essenzialmente simmetrico, la novità dell’asimmetria cominciò a occupare gran parte dell’attenzione dello studio sul tempo. Ilya Prigogine portò avanti in modo particolare questa linea di ricerca anche sul piano della divulgazione2. La restrizione della ricerca sul tempo al solo problema dell’asimmetria o irreversibilità sarebbe comunque una semplificazione. La temporalità comporta tante altre proprietà e in questo studio infatti ne consideriamo sette, pur nella consapevolezza che ce ne potrebbero essere altre, dal momento che il tempo appare come una delle strutture più ricche della fisica. D’altra parte, i grandi problemi di questa tematica vengono affrontati da certi autori come se la loro soluzione potesse emergere per così dire in un laboratorio isolato, cioè in un modo locale, mentre in questo lavoro sottolineeremo la necessità di un approccio globale, nel senso che la soluzione del problema del tempo comporta una considerazione della totalità dell’universo (e qui si spiega anche il titolo di questo libro). Naturalmente siamo ben lontani dal pretendere di esaurire una tematica così vasta. Tenendo conto della quantità formidabile di scritti sull’argomento, appare chiaro che ogni pretesa di erudizione sulla materia sarebbe del tutto ridicola. Molti autori ritengono giustamente che la verità va ricercata nella scienza o nel sapere considerato come un tutto, non nei singoli capitoli quali la fisica, la filosofia, ecc. Così nella fisica si può rilevare un’approssimazione alla verità specialmente mediante la trattazione unificata di settori che prima erano ritenuti indipendenti: l’elettricità si unifica col magnetismo per dar luogo all’elettromagnetismo, il quale a sua volta si unifica con la meccanica newtoniana, dando luogo alla relatività speciale, e così via. Di fronte a quest’idea che vede il raggiungimento della verità completa nell’integrazione del sapere in un corpo sostanzialmente unitario, vi sono tuttavia due atteggiamenti talvolta opposti. Alcuni pretendono che la verità esista soltanto nelle 1

Cfr. [COVENEY - HIGHFIELD, 1991], [SACH, 1987], [HALLIWELL et al., 1994], [Massuh, 1990], [ZEH, 1992]). 2 Cfr. [PRIGOGINE - STENGERS, 1988], [NICOLIS - PRIGOGINE, 1989].

5 scienze naturali, vale a dire tutta la verità potrebbe ridursi alla spiegazione matematica della realtà. La metafisica e la filosofia, dunque, sarebbero speculazioni superflue o pseudo-scienze. Riteniamo che un tale atteggiamento sia non solo incompleto, ma anche miope. Per fare solo un esempio: è possibile pensare alla riduzione dell’emozione estetica a una formula matematica o alla secrezione di un determinato ormone? Perciò crediamo che sia assurdo negare l’esistenza di altri campi di pensiero, validi e diversi da quello delle scienze naturali. Un’altra impostazione invece crea una barriera invalicabile tra l’ambito del pensiero puro e quello delle scienze. Ci riferiamo a coloro che ritengono possibile arrivare alla verità assoluta sulla base del pensiero filosofico puro, ad esempio quello dei grandi pensatori, quali Aristotele, Plotino, Sant’Agostino o San Tommaso, senza occuparsi degli studi dei fisici, ad esempio Einstein. Anche questa è una posizione insostenibile, dal momento che una dottrina metafisica presuppone una filosofia della natura e non può quindi ignorare le conoscenze fisiche. Ciò riguarda in particolare l’argomento di questo libro. È concepibile un concetto metafisico di tempo del tutto indipendente o contrario al concetto fisico (scientifico) del tempo? La tendenza all’isolamento delle scienze dovrebbe presupporre la strana idea di una realtà divisa in ambiti separati e senza comunicazione. Ci si potrebbe domandare: perché mai dovrebbero esserci ambiti così sconnessi, ciascuno dei quali autosufficiente? Probabilmente si tratta di una manifestazione di pigrizia mentale, quella cioè di non voler confrontare la propria specialità con altre prospettive legittime. Naturalmente risulta molto più comodo padroneggiare un solo angolo del pensiero anziché tentare il compito, magari ciclopico o utopico, di coordinare tutte le nostre conoscenze in una struttura unitaria. Eppure ci azzardiamo ad affrontarlo riguardo alla nostra tematica del tempo, ben consapevoli della dimensione immane di un lavoro che neanche con la fatica di pochi studiosi potrà essere sufficientemente completato. MARIO CASTAGNINO

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Riferimenti e abbreviazioni I riferimenti della sezione di Castagnino rimandano alla bibliografia finale e sono individuabili mediante la data indicata. Le opere di Tommaso d’Aquino sono state consultate nell’edizione Marietti e vengono abbreviate secondo il modo consueto. Lungo il testo si rimanda alla parte di Castagnino mediante la sigla MC e alla parte di Sanguineti mediante la sigla JS. Il numero in caratteri romani indica il capitolo e quelli successivi in numeri arabi si riferiscono alle ulteriori suddivisioni (ad esempio, V, 2 significa “capitolo V, numero 2”). Tempo NT: tempo preso come nozione primitiva Tempo ALM: tempo preso come nozione derivata (in MC I, 1.1. e I, 1.2 si spiega in dettaglio il senso di queste due abbreviazioni) FTG: freccia del tempo geometrica FTEM: freccia del tempo elettromagnetica FTT: freccia del tempo termodinamica FTQu: freccia del tempo quantistica FTCo: freccia del tempo cosmologica FTD: freccia del tempo delle interazioni deboli FTBN: freccia del tempo dei buchi neri FTPsi: freccia del tempo psicologica t-simmetria, t-asimmetria: simmetria o asimmetria temporale Tempo di tipo A: include il presente Tempo di tipo B: non include il presente (la denominazione è spiegata in JS I, 5) eq.: equazione. Nella numerazione delle equazioni, il primo numero indica il capitolo e il secondo la sottosezione: ad es. l’eq. (10.7.1) si trova in MC X, 7

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Prima parte

Il tempo della natura in prospettiva filosofica JUAN JOSÉ SANGUINETI

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Capitolo primo

Il tempo naturale 2. Introduzione Il nostro studio filosofico sul tempo della natura è diviso in tre capitoli. Il primo si occupa della filosofia del tempo naturale nella prospettiva della conoscenza comune, il secondo è dedicato alla filosofia del tempo della fisica, con una visione preliminare dell’argomento nella filosofia classica, e il terzo considererà più brevemente il tempo dell’uomo. Il secondo capitolo è direttamente collegato alla sezione scientifica di questo lavoro, svolta da Mario Castagnino. In questo capitolo considereremo il tempo dal punto di vista dell’esperienza ordinaria. Ne vedremo gli aspetti fondamentali, quali la durata e la successione, il presente-passato-futuro, la simultaneità, l’istantaneità e la direzione. Verrà alla luce la distinzione tra tempo naturale, tempo psicologico e tempo come misura oggettiva e razionale, tipica quest'ultima dell’impostazione scientifica. L’intreccio tra queste tre forme della temporalità ci avvierà alla nozione di tempo naturale-umano, tramite la quale viene evitata una scissione troppo drastica tra tempo fisico e psichico. Cercheremo di arrivare a una concezione unitaria del tempo della natura, corrispondente all’appartenenza dell’uomo al mondo fisico, senza cadere nel dualismo cartesiano e senza privare di valore ontologico la nostra esperienza del tempo. La nozione di tempo naturale-umano rispetta le diverse forme della temporalità, accomodate ai singoli gradi dell’essere materiale secondo il criterio aristotelico dell’analogia. Rivendichiamo il valore realistico del tempo così come si presenta alla nostra esperienza immediata, in sintonia con l’antropologia dell’unità essenziale tra anima e corpo e con la nozione husserliana di Lebenswelt. L’esposizione successiva giustificherà il valore di queste affermazioni. Seguiremo un metodo combinato tra presentazione fenomenologica e riflessione ontologica. A nostro avviso la metafisica va impostata su una iniziale base fenomenologica, intesa però in modo realistico. Su questa piattaforma vanno poi compiute le opportune distinzioni concettuali, per poter arrivare alla fine al momento sintetico e conclusivo. Nell’affrontare il tema del tempo non sappiamo come si potrebbe fare diversamente in sede filosofica. Intendiamo rilevare sin dall’inizio la portata metafisica dello studio del tempo. L’essere ci viene dato in forma temporale e il nostro rapporto col tempo esprime un rapporto con l’essere nei suoi diversi livelli, fino ad arrivare al confronto con l’Eternità. In un tale confronto è implicato l’accesso dell’uomo all’essere di Dio e a ciò è collegata, secondo una fine intuizione neoplatonica, la nostra “situazione antropologica” nei confini tra il tempo e l’eternità. Lo studio del tempo originario e premetrico della natura ci apre così alla dimensione metafisica della natura e dell’uomo.

9 L’essere puramente fisico si esprime molto bene nella nozione schietta di tempo come “passaggio”. Il pensiero però lo ferma e lo trascende, abbracciandolo come un tutto. Metafisica, filosofia della natura e antropologia diventano così convergenti in questa tematica fondamentale.

3. Tempo e divenire: l’aspetto ontologico La parola tempo porta a pensare subito agli orologi e ai calendari, cioè alle misure del tempo. Le 4 p.m., il mercoledì, il 15-VI-2010, ecc. sono soltanto determinazioni temporali. Che cosa è la realtà misurata da questi numeri? Ogni uomo ne ha un’intuizione vaga, ma altrettanto sicura. Il tempo appare come una dimensione dell’esistenza legata al divenire, più concretamente, quella dimensione che ci consente di dire che una cosa è stata (e non c’è più) o ci sarà (non essendo ancora). Il tempo dunque incide direttamente sul nostro giudizio in relazione all’essere. La sua portata è metafisica e non solo fisica. Nella sezione scientifica Castagnino si occupa della nozione e caratteristiche del tempo nei singoli capitoli della fisica moderna, attraverso una serie di progressive unificazioni. Certamente la fisica, in quanto scienza del movimento e delle trasformazioni del mondo, è costretta a introdurre sin dal primo momento il parametro temporale, prendendolo in prestito dall’idea comune e intuitiva di tempo. Il tempo della fisica è una coordinata che interviene nella descrizione matematica dell’evoluzione dinamica dei corpi. La prospettiva scientifica però si riferisce specificamente alla misura delle relazioni temporali, quali la successione e la simultaneità. Tale misura fa poi apparire alcune altre caratteristiche più qualitative del tempo, quali la direzione, il ritmo o la stessa struttura. Conviene ora andare non oltre, ma dietro: che cosa bisogna dire di fondamentale sulle relazioni temporali, prese nel loro carattere originario? La filosofia ha il compito di riflettere sulle nozioni immediate e più semplici presupposte e non propriamente discusse dalla scienza (realtà, esperienza, essere, causa, tempo e tante altre). Dobbiamo collocarci a un livello prescientifico per tentare una visione essenziale del fenomeno del tempo, in base all’analisi ontologica dell’esperienza comune, purificata quest’ultima da aderenze soggettive e particolari. Cercheremo così di arrivare a qualche comprensione ontologica primordiale del tempo, da confrontare poi con la visione scientifica. Verso una definizione di tempo. Si pensi per un attimo a un insieme isolato di corpi senza alcun mutamento, un sistema cioè fisso e immutabile e senza rapporti esterni. Evidentemente non c’è alcuna base per poter parlare di tempo in tale sistema. Basta però che uno solo di quei corpi subisca un cambiamento, sia pure minimo, per poter attribuire all'insieme un cambio complessivo, visto che tutte le relazioni dei corpi sono state alterate. Solo allora abbiamo diritto di parlare di un prima e di un dopo: il sistema si trovava prima nella situazione A, poi nella situazione B3. 3

Il nostro esempio astratto di corpi senza mutamento ovviamente è irreale e mai si verifica fisicamente, ma esso serve ad illustrare in modo negativo il legame tra tempo e movimento. D'altra parte, non intendiamo dimostrare questo legame, dal momento che qualsiasi pretesa dimostrativa

10 Queste relazioni primordiali prima e dopo non sono state introdotte dalla nostra presenza. Se nella nostra coscienza c’è un prima e poi, è perché anch’essa cambia o perché cambia il mondo intorno ad essa. Prius/posterius è una relazione oggettiva di ordine, benché non sia rappresentabile nello spazio né sia osservabile come una qualità sensibile (l’oggettività fisica non si esaurisce nella spazialità o nell’osservabilità qualitativa). Non è che le relazioni prius/posterius presuppongano il tempo: esse creano il tempo, o semplicemente sono il tempo. Siamo di fronte alla prima e più elementare esperienza del tempo. Non l’abbiamo spiegato, dal momento che la realtà originaria non si spiega. Il tempo nasce dal cambiamento ed è ad esso inerente. È impossibile separare tempo e cambio nella realtà (non c'è tempo senza cambio, né cambio senza tempo), eppure i due termini non sono identici. Si può dunque concludere che il tempo è un’entità derivata e non assoluta o indipendente. La frase “un dato sistema di corpi in riposo subisce il passare del tempo” non ha senso se non in rapporto a un’altra cosa in movimento. È questa la visione aristotelica fondamentale del tempo (ripresa in un’altra maniera da Leibniz e Mach), denominata da Castagnino tempo ALM e da molti autori chiamata teoria relazionale del tempo4. Vi si contrappone il tempo NT di Newton, cioè il tempo assoluto o sostantivo, assunto come nozione primitiva, poiché pensato come una realtà a se stante5. Nella concezione aristotelica il tempo è una proprietà delle cose soggette a cambiamento. Prendiamo il termine cambio nel suo senso più ampio, valido per ogni tipo di movimento, mutazione o trasformazione. Dal momento che il cambio comporta un modo di essere in cui qualcosa di nuovo appare e qualcosa si perde (il cambiamento secondo i classici avviene tra contrari, nel senso che un acquisto comporta una correlativa perdita), sia in un ente che in un sistema di enti, la temporalità si colloca chiaramente nell’ambito ontologico dell’essere in quanto coinvolto, tramite la successione, con un certo non-essere. Il rifiuto del tempo assoluto è molto importante dal punto di visto ontologico, e si badi che il tempo “cosificato” viene assunto non soltanto nell'adesione alla fisica di Newton, ma ogniqualvolta un discorso metafisico usa termini temporali astratti (tempo, istanti, fluire temporale, presente, futuro, ecc.) senza un riferimento almeno implicito ai rapporti concreti tra le cose mutevoli e agli eventi. Il carattere eracliteo del tempo (cfr. MC I, 3.2) corrisponde alla nostra percezione ordinaria del mondo in divenire, dove le situazioni contrarie (una mela verde diventa rossa) possono essere successivamente, ma non simultaneamente. Il principio di non-contraddizione viene enunciato in questo caso in modo temporale: una cosa, presuppone certe premesse, mentre in questo capitolo, seguendo il metodo che consideriamo più adeguato in filosofia, ci collochiamo a un livello originario, basandoci sulle prime esperienze ontologiche. 4 Cfr. Q. SMITH - L. NATHAN OAKLANDER, Time, Change and Freedom, Routledge, London New York 1995, pp. 35-44. 5 Non ci soffermeremo in questo lavoro sulla teoria del tempo assoluto o “vuoto”, la quale viene considerata con attenzione per esempio da W.H. NEWTON-SMITH, The Structure of Time, Routledge & Kegan Paul, London 1980, con un particolare riferimento al neoplatonismo di Cambridge, influente su Newton. Cfr. dello stesso autore Space, Time and Space-Time: a Philosopher’s View, in R. FLOOD - M. LOCKWOOD (eds.), The Nature of Time, Blackwell, Oxford 1986, pp. 22-35.

11 una situazione o un evento non possono essere e non essere nello stesso tempo, cioè simultaneamente. Tempo e movimento consentono di “accogliere in qualche modo la contraddizione”: il sano può essere malato se si ammala. La contraddizione inaccettabile è quella logico-formale, riferita a un’entità presa in astratto, cioè identica a se stessa ai margini del movimento e del tempo. Si dirà che in questo modo la realtà sembra contraddittoria, ma era proprio questo il motivo di scandalo di Parmenide, il quale volle attribuire alla realtà fisica la fermezza di una logica assoluta. Il movimento certamente non comporta una contraddizione, ma desta meraviglia la precarietà ontologica dell’essere mutevole. Tutto ciò che l’ente fisico è, può essere perduto. Senza arrivare al nichilismo, se niente fosse stabile nella realtà, ci sarebbero motivi per la disperazione. L’essere temporale è così primariamente quel modo di essere contenente la relazione di ordine prima e dopo, cioè la successione implicata nel cambio. Altre forme di successione (“prima e dopo”) all’infuori del cambio, come quella numerica o spaziale, non includono la temporalità se non sono rapportate al cambio, come per esempio l'ordine successivo 2-3-4 non presuppone un cambio negli oggetti pensati, ma solo nell'atto di pensare quei numeri uno dopo l'altro. Il prima e dopo del mutamento è temporale, insistiamo, non perché avvenga “in un tempo”, ma perché è il tempo stesso. Non è facile afferrare questo punto, poiché tendiamo inconsapevolmente a collocare il prius del cambio “in un tempo” precedente. A1 era prima e poi diventa A2: ecco tutto. La mela prima è verde, poi rossa, e proprio per questo è temporale, non perché “in un tempo” essa fosse verde: questo tempo ulteriore, se c’è, sarà dovuto a una relazione ulteriore con altri cambiamenti più ampi, e via dicendo. Sintetizzando le espressioni di Aristotele e Leibniz, in base alle precedenti considerazioni possiamo dire che il tempo è l’ordine successivo del prima e dopo negli eventi. Questa non è una definizione rigorosa, ma solo una formulazione intesa a far meglio capire il significato del termine. Non regge dunque l’obiezione di tautologia, spesso rivolta alla definizione aristotelica, poiché la relazione prima e dopo non presuppone il tempo, ma lo costituisce6. L’ordine successivo comporta l’esistenza di una reale continuità tra gli eventi: la relazione prius/posterius è reale solo se gli eventi sono collegati, altrimenti la parola successione non avrebbe significato. Non basta che gli eventi siano semplicemente pensati uno dopo l’altro. Il collegamento viene dato dal fatto che un corpo o sistema di corpi cambia da una situazione ad altra, il che consente di dire che il cambio è, come vide Aristotele, un cambio di qualcosa, cioè di un ente o di un sistema. Tale collegamento è un tipo di ordine e perciò rimanda a una causa: la situazione precedente (A1) può essere causa della situazione posteriore (A2), o può anche darsi che 6

Per Aristotele il tempo è la misura del movimento secondo la relazione di ordine prima-dopo: cfr. Fisica, IV, 219 b 1-5. Per Leibniz, analogamente, il tempo è l’ordine degli eventi successivi: cfr. P. WIENER (ed.), Leibniz: Selections, Scribner, New York 1951, pp. 201-202; Die Philosophische Schriften, ed. C. Gerhardt, vol. III, Berlin 1887, p. 622 (il tempo è “l’ordre entre les existences qui ne sont pas ensemble”). La definizione aristotelica si riferisce direttamente al movimento, radice della successione continua. Quella di Leibniz prende la prospettiva dell’evento (azione, stato, ecc.), ma due eventi sono successivi (per esempio “corre e poi salta”) se contengono movimento e transiti discontinui tra movimenti (cfr. sull’istante JS I, 10).

12 A2 segua da A1 a causa di C, come un giorno viene dopo una notte a causa della rotazione terrestre. L’ordine successivo degli eventi esige una causa: per la filosofia aristotelica ogni mutamento è causato, per cui il tempo stesso comporta la causalità. Anzi, ciò che adesso siamo o possiamo (escludiamo ora la questione della creazione divina) dipende da cause che erano e che hanno agito nel passato. Una casa esiste perché fu costruita tempo fa. Il mondo in un determinato momento è conseguenza del suo passato e anche il futuro dipende da quanto adesso sta succedendo7. Durata e permanenza. La mela nel mutare colore permane come mela. Il cambiamento comporta una permanenza. Permanere o rimanere, cioè non cambiare, in un oggetto sottoposto al cambio, è anche una situazione temporale. Purché non venga distrutta, la mela dura o mantiene una continuità nell’essere. Non attribuiamo invece la durata ai numeri, i quali sono soltanto delle entità astratte. Il numero non dura perché non esiste. Esso semplicemente è, ovvero rimane uguale a se stesso nella sua identità astratta. I numeri sono atemporali in quanto sono oggetti astratti del pensiero. La cosa sensibile “dura” in quanto esiste senza cambio e insieme può cambiare in qualsiasi momento. Dunque, la durata fisica (il termine fa pensare alla “durezza” o resistenza a scomparire) è la continuità o la persistenza nell’essere di quanto può cambiare. Il modo di durare dell’essere spirituale non sottoposto al divenire corruttivo, come il vivere eterno di Dio, si contrappone al tempo come durata dell’essere mutevole. Durata e successione sono due aspetti inseparabili del tempo. In qualche modo essi sono due significati del termine “tempo”, anzi quest’ultimo viene solitamente concepito come durata, spesso indicata come “intervallo temporale”: si fermò durante due minuti, camminò per un’ora ecc. Può durare uno stato (la situazione A1, prima di diventare A2, può prolungarsi più o meno tempo), oppure dura un atto o un movimento. Non dura ciò che è istantaneo: per esempio un passaggio istantaneo e non successivo da A1 ad A2 “non dura alcun tempo”. Come si vede da questi esempi. il tempo equivale in qualche modo alla durata: un oggetto dura una quantità di tempo8. Il perdurare fisico, però, è delimitato dal cambio: un movimento dura un tempo finché finisce come movimento, ovvero quando cambia lo “stato” del suo movimento. Solo che il durare, ripetiamolo ancora, non presuppone il tempo assoluto, bensì rimanda all’atto di esistere. Un uomo dura finché non muore, cioè il suo perdurare equivale al tempo della sua vita. Il suo tempo quindi è praticamente uguale al suo essere: persistere per l’ente mutevole è essere. Il tempo dell’essere mutevole coincide in qualche modo con il suo essere stesso. Più precisa-

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Il rapporto tra temporalità e causalità sarà visto in JS II, 6. Riteniamo più utile considerare tale argomento in un contesto scientifico. 8 Tommaso d’Aquino concepisce il tempo come una “misura del durare” (mensura durationis) (S. Th., III, q. 35, a. 2, ad 4), il che vuol dire che egli prende la duratio come primitiva rispetto al tempo. “Durare” però significa essere in continuazione. Applicando per analogia il concetto di misura, non intesa propriamente come un numero, egli definisce l’Eternità come la misura dell’essere permanente ovvero della durata di Dio, mentre il tempo è la misura della durata dell’essere mutevole e perciò è la mensura motus (cfr. S. Th., I, q. 10, a. 2, corpus e ad 4; a. 4, ad 3). Duratio e misura si applicano analogicamente a Dio per l’elaborazione tomistica del concetto di eternità.

13 mente, il tempo è il limite (mensura) dell’essere mutevole, poiché una cosa è mentre dura e non oltre. Identità e diversità nella distensione temporale. La durata fisica, prolungamento temporale di un essere identico a se stesso, di per sé è contraria al cambio, ma viene intesa in rapporto al mutamento, poiché altrimenti essa sarebbe una semplice attualità sopratemporale. Dura fisicamente ciò che continua a sussistere in mezzo ai cambiamenti. Una classica metafora del tempo è, in questo senso, il farsi di una linea. Un segmento di linea si sviluppa da un punto all’altro e nel suo sviluppo qualcosa di stabile (la linea stessa) sta subendo un continuo cambio. Questo cambiamento l’allontana dalla sua origine e l’avvicina sempre più alla fine. Vi sono però due tipi di cambio: il primo è l’inizio o la fine di un viaggio o di un moto; il secondo è il fatto di viaggiare, cioè uno stato di moto. Una certa entità compare e scompare nel mondo: mentre persiste, essa sta “percorrendo” il tempo limitato della sua durata, sempre più vicina alla fine. L’immagine della freccia ne aggiunge la direzione del moto: le cose fisiche prima sorgono e poi scompaiono. Ciò che già esiste non può nascere, ma procede progressivamente verso la sua scomparsa. Immaginiamo il perdurare limitato nel tempo come una specie di movimento, quando in realtà esso è una permanenza, appunto perché il fatto che debba finire in un ambiente o in un cosmo in continuo cambiamento rende il suo prolungarsi nell’esistenza come un’identità nella diversità. Inizio

Fine Esistenza temporale (persistenza nel cambio)

La linea in moto è sempre la stessa, ma al contempo sta cambiando. La vita umana è di un’identica persona, ma essa cambia ogni giorno e ogni istante. Il cambio viene dato sia dai mutamenti esterni sia da quelli interni. Diciamo di vivere un’ora, un giorno, un anno, cioè misuriamo l’estensione di un segmento di durata di un ente mediante la simultanea durata di un movimento del suo ambiente (normalmente si tratta di un movimento regolare facilmente misurabile): “viviamo per un’ora” vuol dire che la nostra permanenza nell’essere coincide con un intervallo temporale del movimento delle lancette di un orologio. In quell’intervallo il mondo col quale conviviamo, e anche noi stessi, abbiamo subìto certi cambiamenti, per cui possiamo dire che la nostra durata nell’essere comporta sempre un cambio e, in questo senso, “sta sempre finendo” o sta sempre per finire. Sebbene la nostra vita finirà in assoluto al momento della morte, finisce già nei suoi singoli segmenti (ogni ora, ogni giorno). Temporalità ed essere fisico. La durata nell’esistenza fisica, cioè l’essere stesso temporale, non è una semplice permanenza, bensì un transito continuo: “essere transitivo”, che passa. L’esistenza corporea, per quanto duri (io sono oggi colui che fu ieri), in realtà si sposta di continuo. In questo senso, la nostra esistenza, come quella di qualsiasi altra entità nel mondo, non la possediamo pienamente in se stessa, bensì “a pezzi”, giorno per giorno, secondo la legge dei contrari: ciò che abbiamo vissuto ieri

14 non possiamo ripeterlo oggi. Possediamo l’essere fisico acquistando e perdendo di continuo. L’esistenza corporea viene “spesa” un poco alla volta e non tutta intera in simultaneità. Il proverbio dice che “vivere è morire un poco alla volta”. Anche se la nostra vita corporea fosse indefinita, ciò non ne cambierebbe lo statuto transitivo: essa sarebbe sempre una vita “trascorsa giorno dopo giorno” e, in questo senso, finita. Un prolungamento infinito della durata temporale dei corpi non è l’Eternità di Dio. Siamo arrivati qui ad un livello propriamente ontologico, in quanto la durata temporale quale fenomeno essenziale degli enti corporei rivela il nucleo della loro esistenza fisica: un’esistenza non contraddittoria, ma che in qualche modo è e non è, in quanto permane cambiando e cambia permanendo. Pure noi, in quanto corpi, siamo sottomessi al rigore di questo essere fragile che si mantiene e si perde, acquista perdendo e perde acquistando, lontano dal pieno possesso o dalla piena identità di se stessi. L’essere temporale non è simultaneamente tutto ciò che è: esiste “sempre fuori di sé”, nel transito verso l’altro9. Queste considerazioni non comportano la riduzione dell’essere al divenire puro, rimproverata da Aristotele a certe forme di eraclitismo. Il divenire sarebbe privo di senso se non fosse ricollegato alla permanenza di elementi che governano il cambio (per esempio le leggi del cambio, l'identità del soggetto, la stabilità di certe forme). Il cambio comunque non può essere ridotto a un evento marginale delle cose corporee. L’essere corporeo non è dissolto nel puro divenire, ma esso essenzialmente è in un divenire continuo, nell’interazione con tutti gli altri enti dell’universo, per cui anche l’universo intero diviene un processo. Nessun motivo a priori giustifica quest’affermazione, ma solo l’originaria e costante esperienza del cambio. Parmenide tentò di ridurla a illusione col ricorso alla logica, dove regna l’immutabilità. Sennonché l’osservazione empirica e l’immagine scientifica del mondo ci confermano che tutte le cose sono in movimento ed e così come tutte interagiscono a vicenda, dando luogo a incessanti processi trasformativi che attivano le potenzialità dell’universo riguardo alle diverse forme dell'essere. Se tutto quanto esiste nella natura è sottoposto a un continuo processo, allora la temporalità indica qualcosa di molto essenziale nell’essere del mondo fisico. La “categoria” della situazione temporale (il quando) è accidentale, secondo Aristotele, solo nel senso che per essere uomo, per esempio, è accidentale vivere in dicembre o un 9

Scrive Hegel che «il tempo è l’essere che, mentre è, non è, e mentre non è, è; il divenire intuito (das angeschaute Werden)» (Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Laterza, Bari 1989, §258, e più ampiamente cfr. §§257-259). La visione dialettica dell’essere conduce Hegel ad una risoluzione storicistica dell’appartenenza essere-tempo. Sul tempo in Hegel, cfr. L. POLO, Nominalismo, idealismo y realismo, Eunsa, Pamplona 1997, pp. 83-131. Nel nostro lavoro non potremo occuparci dell’approccio metafisico neoparmenideo di Severino, per il quale il divenire greco insieme ai diversi tentativi epocali di superarlo contrassegnano la storia nichilistica del pensiero occidentale: cfr. E. SEVERINO, Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1981; Destino della necessità, Adelphi, Milano 1980 e gli studi critici di C. FABRO, L’alienazione dell’Occidente, Quadrivium, Genova 1981, e di L. MESSINESE, Essere e divenire nel pensiero di E. Severino, Città, Nuova, Roma 1985. Sia Hegel che Severino dissolvono l’apparire nella Totalità eterna, chiudendo così l’apertura del futuro: le loro filosofie precipitano sull’eterno, ma non “salvano” il tempo (cfr. JS III).

15 lunedì. Questo fatto però non può indurci a pensare che la temporalità sia in se stessa qualcosa di accidentale. L’esistenza fisica ovvero l’atto di essere, nucleo costitutivo della cosa corporea, è intrinsecamente temporale. Entro questo nucleo si contengono le possibilità creative e tutti i rischi distruttivi delle cose materiali. Proprio perché c’è tempo, nella natura possono emergere cose nuove e può venir distrutto quanto c’è di prezioso nel mondo.

4. Tempo naturale e tempo come misura oggettiva Le considerazioni delle pagine precedenti valgono per la temporalità nella sua radice ontologica naturale. Solo che il nostro linguaggio abituale si riferisce più spesso alle misure oggettive del tempo: “ti ho aspettato per un’ora”, “l’aereo parte alle 10 p.m.”. Evidentemente il lunedì non esiste in se stesso, ma è un giorno considerato in maniera astratta in rapporto ad altre divisioni dell’anno. La ricorrenza periodica di certi fenomeni naturali consente la divisione dei periodi temporali in parti sufficientemente precise, grandi o piccole, atte per gli scopi pratici della vita. Il tempo come misura, come il denaro o i numeri, fa parte della nostra esistenza quotidiana. Le oggettivazioni della cronometria sono culturali anziché semplicemente naturali. Ordinariamente esse sono frutto di elaborazioni storico-culturali di lunga tradizione, perfezionate dalla scienza lungo i secoli. La gente si muove con grande familiarità in queste divisioni imprescindibili per la vita pratica, commerciale, lavorativa, accademica, politica, religiosa, il cui ordine è basato, tra altre cose, su una buona articolazione dei tempi. Uno studio del tempo-misura ci riporterebbe all’intera prassi umana10. Il tempo-misura (il tempo oggettivo di Husserl)11 produce delle divisioni quali il giorno, la settimana, l'anno, ecc. Questi concetti sono astratti e vengono elaborati dalla mente umana con una certa libertà. Alcuni di essi sono generali, quali lunedì o dicembre, e altri sono nomi individuali, come “dicembre 2030”. Le forme metriche del tempo sono convenzionali ma hanno un fondamento reale, poiché nascono dalla scelta di certe relazioni potenziali inerenti ai tempi naturali. Di conseguenza esse danno luogo a proposizioni vere o false: dire per esempio che “siamo nell’anno 2002” risulta dall’accordo di aver scelto un punto di partenza per la numerazione degli anni, insieme all'uso di un sistema convenzionale per la numerazione in generale e per la divisione dei periodi di tempo in sezioni annuali. Eppure la proposizione “egli è nato in ottobre del 2024”, riferita a una persona futura, un giorno potrà essere del tutto vera. Il paragone tra moti e tempi, implicito nelle misure temporali, indica una realtà: la frase “da due mesi non mi scrive”, in un adeguato contesto linguistico, risulta vera o falsa, come lo sono altre proposizioni che impiegano concetti di misura. “Due mesi” non esistono ovviamente come cose naturali, ma la formula “due mesi fa” rimanda a 10

Vedremo in maggior dettaglio la misurazione del tempo in JS II, 3, a modo di conferma e illustrazione di quanto adesso indichiamo in termini generali. 11 Cfr. E. HUSSERL, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, Angeli, Milano 1985, p. 44.

16 un rapporto di natura. Il riferimento al presente del parlante comporta un rapporto tra il suo presente e un punto del passato, il che è un relazione naturale e non logica. La convenzionalità del tempo-misura dunque non comporta una posizione soggettivista. Il tempo oggettivato è un ente di ragione culturale, il cui fondamento reale è il tempo della natura. Aristotele definisce il tempo come la misura (o numero) del movimento secondo il prima e il dopo12. In questa formulazione il tempo-misura appare chiaramente come una relazione derivata (inosservabile, come ogni relazione)13. Nell'espressione aristotelica ci si rimanda in qualche modo dalla misura temporale al rapporto “prima e dopo” emergente dal cambio (temporalità premetrica). La dimensione prima/poi per Aristotele è un certo quantum oggettivamente misurabile (numerabile). Solo che la misura temporale in senso vero e proprio si riferisce alla quantità di tempo scelta che, per paragone, serve per conoscerne un’altra (per es., “ho camminato per due giorni”). Il paragone è fatto dall’intelligenza umana. Il tempo metrico, come detto, risulta un’opera della ragione. Aristotele, dopo essersi domandato se il tempo esiste “all’infuori della mente”, avanza appunto questa risposta14. Solo la ragione prende il tempo nella sua totalità, come se fosse un atto compiuto, mentre il tempo naturale è un farsi continuo inoggettivabile in quanto tale. Il tempo e il moto premetrici, nella loro transitività continua, non possono essere propriamente colti dal pensiero concettuale. Attraverso definizioni e significati verbali ci rappresentiamo, nel pensiero oggettivo, un modo di essere già costituito, ma il divenire è il contrario dell’essere costituito. Se pensiamo al secondo, esso è già passato. Il movimento pensato non si muove. I concetti temporali quali l’ora, il minuto, il secondo, non sono intrinsecamente temporali, cioè non “passano”, poiché ogni contenuto concettuale, come il significato di una frase, rimane fisso (possiamo modificarlo solo elaborando un’altra frase). L’ora pensata non dura un’ora, anzi non dura: i contenuti pensati sono situati in una dimensione estranea al durare. Possiamo pensare a un’ora o a miliardi di anni in pochi istanti, ma qui bisogna distinguere: l’atto di pensare “dura” un tempo solo nella sua base verbale e immaginativa, mentre il concetto pensato è atemporale. Pensiamo il tempo atemporalmente, così come pensiamo la materia immaterialmente. Il concetto è immobile, non invecchia e non si distrugge, come aveva visto Platone, poiché in definitiva esso non è soggetto al flusso temporale, essendo quindi perfettamente immateriale. È questo il segno della trascendenza della mente sul tempo.

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Cfr. ARISTOTELE, Fisica, IV, 219 b 1-5. Più concretamente, il tempo-misura è la relazione tra due tempi presi come simultanei, ciascuno dei quali contiene un ordine successivo (affrontiamo in JS I, 6 la nozione di simultaneità). In questa prospettiva, MC I, 1.1 introduce il concetto di tempo a partire dalla relazione di equivalenza di simultaneità. 14 Cfr. ARISTOTELE, Fisica, IV, 223 a 20-30. 13

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5. Il tempo della coscienza15

La duplicità di tempo naturale e tempo oggettivo si comprende meglio in base ai noti “tre mondi” di Popper: a) mondo fisico o dei corpi; b) l’io soggettivo (psiche, coscienza) con i suoi atti come pensare o capire; c) concetti, proposizioni, scienze o mondo dei pensieri, contenuti degli atti della coscienza (oggettivazioni concettuali e linguistiche), intenzionalmente riferiti alla realtà psichica o corporea. Una frase in quanto insieme di suoni è una parte del mondo fisico, ma nel suo significato appartiene a c) e si riferisce ad a) ed a b). Per quanto riguarda la temporalità, le caratteristiche di questi tre ambiti sono:

Io, atti di coscienza (b) * continuo flusso temporale * non spazialità * presente in moto

Idee, frasi, scienze (c) * senza tempo * colgono il tempo

Mondo fisico (a) * temporale * spaziale

Il tempo si manifesta particolarmente nella vita psichica, come ben notò Sant'Agostino. La nostra interiorità psichica è tutta temporale, dal momento che la nostra vita cosciente è dispiegata, come la musica, in una continua successione. I nostri pensieri lavorano soprattutto serialmente. Quasi tutto quanto pensiamo e diciamo (il discursus della nostra ragione) risulta successivo, e ci riesce difficile restare attenti a troppe cose allo stesso tempo. Questa successività non è totale grazie alla memoria, che ci consente di lavorare anche “in parallelo” (inconsciamente) tramite la presenza simultanea dei nostri abiti acquisiti, e principalmente grazie all’elemento di identità che siamo noi stessi, il nostro io. La perdita della memoria a breve termine conduce la persona a un mondo disperso nella successione. La temporalità psichica è costituita da un io presente in atto a se stesso (autocosciente), con i suoi atti e il suo corpo, ma presente simultaneamente al mondo fisico e agli altri. Questo “starci attuale” è il tempo presente, il momento del tempo in cui si è 15

Le considerazioni che facciamo in questo n. 4 non esauriscono la nostra trattazione dell’argomento e intendono soltanto farne una presentazione fenomenologica, il cui naturale sviluppo continua nelle pagine successive (si veda particolarmente JS I, 8 e JS III).

18 insieme al mondo. Il presente corrisponde ai nostri pensieri legati alla simultanea percezione del mondo, ma è quest’ultima a rassicurarci che siamo proprio nel presente, cioè nella realtà attuale. Il ricordo e l’attesa non corrispondono al presente ma a ciò che non è adesso. Li riconduciamo al presente perché sappiamo che ora stiamo ricordando o aspettando. Il presente o adesso viene vissuto come un continuo divenire e non come qualcosa di statico. La scena di un film e le note di una melodia non sono ferme, ma passano costantemente a nuove scene e a nuove note. Così la scena presente alla nostra coscienza, dove compare il mondo e noi stessi con i nostri pensieri, è sempre in movimento, in quanto passiamo da uno stato all’altro, sia interiormente che esteriormente. Il passare della coscienza, basato sul radicamento del pensiero nel cervello, è un dato fenomenologico ed è soprattutto un fatto interiore: anche se l’ambiente esterno è in riposo, non possiamo evitare di cambiare di continuo gli stati della nostra coscienza. I pensieri durano pochissimo e dopo uno ne viene un altro. L’attenzione e gli occhi si spostano da una parte all’altra. Cercare di paralizzare lo sguardo o l’attenzione su un punto visivo, su certe idee, ecc. è violento e inutile. Possiamo guidare la direzione del nostro tempo, ma non cambiarne il moto. Psicologicamente siamo soggetti al divenire, pur rimanendo sempre l’identità del nostro io nella sua evoluzione temporale. Percepiamo il nostro tempo interiore in quanto percepiamo la successione strutturale dei nostri atti. In questo senso la percezione temporale non esiste senza un minimo di memoria. Cogliamo il presente come ora perché ricordiamo un prima che se ne è andato, ovvero quel prima rimane nella coscienza, ma riconosciuto come ormai non più presente. Il futuro viene anche colto inizialmente come l'aspettativa perenne di un evento immediato. L’adesso è sempre votato al futuro. Così, nell’adesso il passato viene ricordato e il futuro anticipato, in un'unità strutturale e al limite non dissociabile16. Gli animali superiori colgono in una maniera analoga il tempo della loro propria vita sensitiva. Con la ragione però la persona umana arriva a riconoscere il passato e il futuro completi, grazie all’oggettivazione del tempo in quanto tale. Rimane pur sempre l’adesso come momento privilegiato, non solo quale punto di partenza e di riferimento costante, ma soprattutto in quanto esso è il momento della realtà. Il presente è l’attualità, poiché il passato non esiste più e il futuro non esiste ancora.

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Rimandiamo all’analisi della coscienza psicologica del tempo di Husserl in Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., dove si insiste sull’appartenenza dell’adesso ad un continuum di passato che costituisce un orizzonte “di profondità” della linea del tempo: cfr. §10. Cfr. commenti sul tempo husserliano in P. RICOEUR, Temps et récit, vol. 3, Ed. du Seuil, Paris 1985, pp. 44-82, in M. MERLEAU-PONTY, Phénomenologie de la perception, Gallimard, Paris 1945, pp. 475-481 e in E. PACI, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Laterza, Bari 1961, pp. 197238.

6. Presente e attualità

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Serie temporali A e B. Le tre grandi articolazioni topologiche del tempo sono il presente, il passato e il futuro. Nell’ambito della filosofia analitica è solita la distinzione proposta da McTaggart tra serie temporale A, in cui il presente separa il passato dal futuro, e la serie temporale B, limitata alla sola successione prima-poi17. La serie A si esprime in frasi col verbo in modo personale (tensed statements), come “correva, corre, correrà”, mentre la serie B si esprime tramite i verbi atemporali (tenseless statements), i quali indicano soltanto la distanza temporale tra un evento e l’altro (“Giulio Cesare viene prima di Tiberio”). In definitiva, una situazione nel tempo può essere espressa in riferimento al nostro presente (serie A), oppure in riferimento ad un altro punto del tempo (serie B). A causa dello spostamento del nostro presente, le frasi tensed cambiano il loro tempo verbale a seconda degli eventi (“egli correrà, poi sarà vero che corre, poi sarà vero che correva”), mentre le frasi tenseless sono vere per sempre, quali “verità eterne” (“Paolo VI precede Giovanni Paolo I”). I termini passato e futuro possono significare la serie A o B, ma di solito connotano la prima delle due. La distinzione qui presentata non è una pura curiosità grammaticale. Secondo alcuni autori, come Russell, il tempo A, o in definitiva il presente, è relativo a un soggetto psichico in atto (colui che parla), mentre solo il tempo B sarebbe attribuibile alla natura extra-mentale18. Nella natura non ci sarebbe il presente, ma la sola successione. La tesi è spesso collegata all’idea atemporalista secondo cui la serie prima-poi (per es. gli anni 2000-2003) è immutabile, al pari di ogni data (“la Rivoluzione Francese è stata sempre nel 1789”), per gli eventi temporali sono detti “eterni” (“eternamente situati in un tempo”). È questo un ennesimo tentativo parmenideo di eludere la realtà del tempo. L’apparente tempo fermato della serie B in realtà non è che la conseguenza della considerazione mentale di un intervallo di tempo paralizzato. La serie B può sembrare propria di una visione sub specie aeternitatis, proprio perché la mente umana pensa in modo astratto le relazioni temporali. Non bisogna però confondere platonicamente il modo di conoscere (modus cognoscendi) con la realtà conosciuta (modus essendi). Il tempo nella sua realtà naturale, come il movimento, non esiste tutto in blocco, ma successivamente. Di conseguenza, si può sorvolare l’alternativa tra la serie A o la serie B, come se dovessimo scegliere tra un tempo ridotto a immobile blocco, da attribuire alla natura, e un tempo come flusso che sarebbe esclusivo della coscienza. La serie B nasce dalla considerazione mentale in quanto astrae dal vero tempo, benché essa dia luogo a proposizioni vere: è vero che la prima guerra mondiale precede la seconda, ma non per questo motivo possiamo sostenere l’attualità di queste guerre, che adesso non ci sono 17

Cfr. J. M. MCTAGGART, The Unreality of Time, in R. LE POIDEVIN - M. MACBEATH, The Philosophy of Time, Oxford University Press, Oxford 1993, pp. 23-34. 18 Cfr. ibidem, per le obiezioni di McTaggart contro Russell. Il primo autore, ritornando a Parmenide, nega in quanto contraddittoria la realtà di qualsiasi forma di tempo e di movimento («The reality of change and time must be rejected […] Nothing really changes. And nothing is really in time», ibidem, p. 34). L’argomento è anche discusso in G.J. WHITROW, The Natural Philosophy of Time, Clarendon Press, Oxford 1980, pp. 344-351.

20 più. La serie A invece comporta un presente che, pur essendo nostro, contiene una portata ontologica forte, non limitandosi ad essere una prospettiva particolare rispetto alla serie B (come invece vogliono gli autori parmenidei). Significati del presente. Il presente possiede a nostro avviso un duplice senso: a) il suo significato abituale (“adesso!”) indica il soggetto parlante o, in altre parole, il mio presente cognitivo, tramite il quale io comunico con l’attualità del mondo in cui vivo, dal momento che la mia coscienza non mi chiude in me stesso o nel mio tempo; b) in un secondo senso, meno comune, il presente si riferisce all’attualità stessa delle cose in divenire, cioè al loro essere in atto, extra-mentale e indipendente dalla coscienza19. Non tutto è divenire, perché la mela verde, per continuare col nostro poi esempio, mentre è verde è prima in atto (di essere verde). (futuro) attualità (passato) Mentre essa resta tale, la possibilità di diventare (presente) rossa è ancora futura, e qualsiasi altra cosa che tale mela fosse stata prima e non è più, è ormai passata. Nel mondo ci sono situazioni stabili benché non definitive, e appunto in quanto stabili possono essere presenti. Poiché il presente è reale, la distinzione tra passato, presente e futuro è propria di ogni essere temporale (il presente come attualità può essere uno stato o un istante, ma rimandiamo a più tardi questa problematica). Serve a questo punto la metafora della freccia. Qualsiasi punto della linea del tempo (un evento, un cambio), infatti, è prima o dopo di un altro punto, ma ci sono due sensi asimmetrici di questa linea: un senso teorico è rivolto al momento in cui la cosa cominciò a esistere, e un altro senso reale mira al momento della sua distruzione (accenniamo così alla questione della direzione del tempo, che vedremo più avanti). Il punto determinante di questi due sensi è l’attualità del presente. Aristotele impiega nella Fisica la seguente analogia: l’adesso è al tempo come il mobile è al suo movimento20. L’adesso corrisponde all’identità successiva del sogget19

Sul presente nella fisica, cfr. MC XI, 5, dove se ne rileva il senso fisico, non riducibile agli eventi mentali. 20 Cfr. ARISTOTELE, Fisica, IV, 219 b 20-35; SAN TOMMASO D’AQUINO, In IV Phys., lect. 18 («sic igitur se habet nunc ad tempus, sicut mobile ad motum»); S. Th., I, q. 10, a. 4, ad 2. L’adesso viene confuso (o non distinto) in queste sezioni con l’istante presente. Per evitare aporie, affronteremo la problematica dell’istante in modo separato. Per uno studio del concetto aristotelico di presente (nufln), cfr. A. GIORDANI, Tempo e struttura dell’essere. Il concetto di tempo in Aristotele e i suoi fondamenti ontologici, Vita e Pensiero, Milano 1995. L'interpretazione di questo autore ci sembra opportuna per evitare l’errore di Heidegger, il quale troppo sbrigativamente riduce la temporalità di Aristotele ad una “serie di ora” appartenenti al Dasein e non alla fuvsi" (cfr. Essere e Tempo, Longanesi, Milano 1976, §§80-82; I problemi fondamentali della fenomenologia, Il Melangolo, Genova 1988, nn. 349-362). Cfr. anche F. INCIARTE, Aristotle on the reality of Time, «Acta Philosophica», 4 (1995), pp. 189-203.

21 to (cosa o ente concreto esistente: ens), che è e cambia costantemente (unità nella diversità)21. La metafora del tempo come “flusso” esprime il divenire del soggetto. Tale soggetto, tuttavia, esiste adesso e solo adesso: né il passato né il futuro sono reali nel senso di attuali. A questo punto è illuminante la distinzione metafisica tra atto e potenza: il soggetto è in atto, ma può molte cose che non sono in atto. Questo poter essere è proprio la radice del cambio e del tempo. Di conseguenza, le sue potenzialità o possibilità costituiscono la radice del futuro. C’è futuro in quanto il soggetto contiene molte possibilità, essendo il presente la loro attualizzazione. Tale attualizzazione non si perde del tutto, purché l’atto perduri. Con una nuova definizione, si potrebbe dire che il tempo è il passaggio della possibilità del futuro all’attualità del presente, mentre la perdita dell’atto è ciò che sprofonda nel passato, il quale non c’è più22. Non bisogna dunque ridurre la realtà all’attualità, come fece Parmenide, anche se l’attualità (l’est) è il senso forte e primario dell’essere. Il presente psicologico comporta inoltre l’identità dell’io23. Come accennavamo sopra, il termine presente include anche una connotazione cognitiva, rivelatasi nella radice etimologica. Essere presente (“sono nella loro presenza”, “mi sono presentato”) vuol dire, infatti, essere conosciuti. I due sensi (ontologico e cognitivo) sono collegati, dal momento che abbiamo accesso all’attualità delle cose tramite la nostra conoscenza percettiva. “Piove” può essere un fenomeno attuale non percepito (molte cose esistettero nel mondo prima dell’uomo), ma noi non possiamo dire “adesso piove” senza indicare al contempo la nostra presenza cognitiva, aperta ai fenomeni in atto del mondo. Secondo il senso di tale frase, la pioggia ci è presente (=la conosciamo), ovvero noi siamo presenti in un ambiente dove piove in atto24. Ontologia del passato e del futuro. Il presente cognitivo e ontologico comporta altre conseguenze ontologiche fondamentali. Il passato non esiste in quanto tale. Diciamo “in quanto tale” poiché naturalmente il passato “agisce” con le sue conseguenze nel presente, altrimenti non si potrebbe condannare un criminale per quanto ha fat21

L’ espressione di Aristotele e Tommaso indica la paradossale essenza “non parmenidea” dell’adesso (nunc): esso è «semper alterum et alterum secundum rationem» (SAN TOMMASO D’AQUINO, In IV Phys., lect. 18), cioè l'adesso è costantemente diverso nella sua natura. 22 Ci riferiamo al futuro e al passato dal lato positivo dell’atto. Nel senso negativo della privazione, il futuro può comportare la perdita di un atto posseduto attualmente, così come il passato può indicare lo stato di privazione rispetto ad un atto acquistato più tardi. Queste affermazioni possono moderare l’idea popolare che “il passato è perso inesorabilmente”. In molti casi nel passato eravamo in privazione, e nel presente abbiamo guadagnato. 23 Se viene tolto a questo presente personale il fluire del tempo, intravediamo in qualche modo il concetto di eternità (cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, S. Th., I, q. 10, a. 4, e In IV Phys., lect. 18). L’eternità è stata vista tradizionalmente come un adesso perenne in una pienezza di vita. Il presente inteso in questo modo (non l’istante astratto) è un'immagine dell’eternità. 24 La nozione di “presenza mentale” di L. Polo non coincide con il significato di presente adoperato in queste pagine, ma converge invece con quanto diciamo sul pensiero come atto immanente che supera il tempo (cfr. JS, I, 3 e III, 4). Per la sua critica alla concezione del tempo di Hegel, Husserl e Heidegger, cfr. Curso de teoría del conocimiento III, Eunsa, Pamplona 1988, pp. 120-122, 324-332, 337-351, 416-439; Curso de teoría del conocimiento IV, Primera parte, Eunsa, Pamplona 1994, pp. 149-153, 173-178.

22 to nel passato (cfr. JS II, 6 su questo punto). L’impero romano, per porre un esempio, è privo di esistenza attuale, ma rimane nel ricordo e nelle sue conseguenze. Vediamo il tempo concreto, dunque, dalla nostra prospettiva presente, ma in una situazione ontologica reale. Un ragionamento analogo può farsi per gli eventi futuri. Questo punto si contrappone alle teorie idealistiche del tempo. L’arco completo del percorso temporale (“tempo intero”), secondo l’idealismo25, esiste come idea perenne di cui ogni istante temporale non è che una parte ugualmente perenne. Questa maniera intellettualistica di pensare finisce col banalizzare la realtà forte del futuro, specialmente del futuro indeterminato o libero. In pratica il tempo viene così ridotto al passato (pensato). Ogni istante della nostra vita sarebbe già passato nell’eternità dove i nostri giorni sono fissati26. Una tale tesi riferita all’Eternità di Dio comporta inevitabilmente il fatalismo27. Si può senz’altro dire che per l’Eternità di Dio ogni evento passato o futuro “è presente”, ma questo modo di parlare non deve ridurre il tempo a un’apparenza, per cui ogni immagine spaziale al riguardo è inadeguata. Non si deve mescolare il modo di conoscere con l’oggetto conosciuto. Dio conosce la realtà successiva del tempo nel suo Eterno presente: «la durata successiva esiste anche per Dio, soltanto essa è dalla parte di quello che Egli vede, non da quella del Suo atto di vedere»28.

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Non ci riferiamo ad alcun autore particolare per non complicare la nostra esposizione. L’applicazione di quanto diciamo agli autori idealisti o affini (per es. Bradley, McTaggart) richiede uno studio particolare. 26 L’ambientazione di J.L. BORGES nella sua opera Historia de la eternidad (Prosa completa, Bruguera, Barcellona 1980, vol. 1) e in altri suoi scritti è piuttosto idealistica riguardo al tempo. In Nueva refutación del tiempo (Prosa completa, vol. 2, pp. 284-301) egli fa vedere giustamente come la critica soggettivistica di Berkeley e di Hume non ha il diritto di salvaguardare la successione temporale. Alla fine però Borges riconosce in modo significativo che il tempo è “spaventoso”, perché è “irreversibile e di ferro” (p. 301) e perché «il mondo purtroppo è reale; io purtroppo sono Borges» (p. 301). Cfr. anche El tiempo y J. W. Dunne (Prosa completa, vol. 2, pp. 147-150). 27 Popper ha insistito sul pericolo delle teorie idealistiche e deterministiche che dissolvono la realtà del tempo e l’apertura del futuro libero. In Postscript to the Logic of Scientific Discovery, vol. 2: The Open Universe. An Argument for Indeterminism, ed. by W.W. Bartley III, Hutchinson, London 1982, p. 5, nota 1, egli previene contro un’interpretazione deterministica dell’Onniscienza di Dio. Secondo Popper, il tempo è una di quelle cose che più ci rapportano alla realtà, e l'idealizzazione del tempo porta di per sé all’idealismo (cfr. JS II, 5). 28 J. DE FINANCE, Il Sensibile e Dio, Libreria Editrice Vaticana, 1990, p. 169. Il rapporto tra l'Eternità divina e il tempo creato supera la nostra immaginazione e va espresso con cautele linguistiche. Dio “coesiste” col mondo, fuori dal tempo, come causa creatrice di ogni presente attuale (ma il termine coesiste è inadeguato in questo caso). Il passato non esiste più e il futuro non è ancora in quanto non sono causati adesso da Dio Creatore, e questo adesso vale solo per l’effetto creato, non per Dio. Perciò Dio “non può alterare il passato”, il che comporta una contraddizione, poiché Egli creerebbe e non creerebbe. Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, C. G., I, 66 e 67; S. Th., I, q. 14, a. 13; q. 25, a. 4. De Veritate, q. 2, a. 12; P. GEACH, El hombre en el tiempo y la eternidad, «Atlántida», 1 (1990), pp. 8-18. I mistici cristiani si esprimono talvolta come se il tempo nella sua brevità fosse un quasi nulla nei confronti dell’eternità (cfr. ad esempio S. TERESA DI GESÙ BAMBINO, Gli Scritti, Ed. OCD, Roma 1995, pp. 506 e 519), ma al contempo essi sono molto sensibili nei confronti della li-

23 Ne segue l’impossibilità di compiere dei veri viaggi nel passato o nel futuro, come se il tempo fosse uno spazio percorribile. Ci riferiamo ovviamente a un viaggio reale, con la possibilità di interagire causalmente. Non si “percorre il tempo” perché esso nasce appunto dal fatto che siamo sempre in moto. Non c’è un “tempo del tempo”, così come un viaggio “non viaggia”. L’idea del viaggio nel tempo spazializza e paralizza la traiettoria temporale, come se qualsiasi evento successivo, rimasto immobile per sempre, potesse rendersi arbitrariamente visitabile da ulteriori esseri in moto. Il nostro io quindi sarebbe moltiplicato per ogni istante, e noi dovremmo essere in grado di visitare questi molteplici io alterandone il passato e modificandone il presente. Perfino noi stessi potremmo non essere nati se, andando nel passato, fossimo in grado di precludere la nostra nascita, impedendo ad esempio al nostro nonno di sposarsi oppure uccidendolo (“paradosso del nonno”).La contraddittorietà di questi pseudo-pensieri è palese29. t semicono del futuro

Presente atemporale y x

Io (O) Impero Romano semicono del passato

bertà, del passato che se ne va e della realtà del presente, il che è ben lontano dalla visione idealistica del tempo. 29 Il viaggio nel passato è diverso dal ritorno del passato in un tempo ciclico. Di quest’ultimo parleremo più avanti.

24 La fisica della relatività (cfr. il disegno in alto) potrebbe sembrare discordante dai punti esposti solo se venisse interpretata in un peculiare senso ontologico, come se lo spazio di Minkowski fosse una realtà tutta in atto, ma in verità non è così30. L’osservatore O è situato nel suo presente ed ha di fronte a sé il semicono di luce del futuro e dietro di sé il semicono di luce del passato. Nel passato sono situati tutti gli eventi che arrivano ad O a titolo di causa (almeno, in quanto gli sono comunicati tramite segnali di luce), e nel futuro vi sono tutti gli eventi su cui O potrà esercitare un influsso causale o comunicativo. L’osservatore “visita” soltanto una volta ogni punto della traiettoria spazio-temporale e solo può avanzare (non fermarsi né retrocedere). Di conseguenza, l’impero romano e tutti gli altri fatti passati della storia umana sono definitivamente nel cono del passato31. La distinzione tra presente, futuro e passato nella teoria della relatività è prevalentemente gnoseologica, poiché si riferisce all’osservatore, ma nella misura in cui suppone un rapporto causale, essa comporta anche un elemento ontologico32. La teoria della relatività generale consente di costruire linee chiuse di universo che equivalgono a un ritorno del tempo su se stesso. Si tratta comunque di una possibilità matematica da non interpretare in un senso realistico (ne faremo allusione in JS II, 5). Di parere contrario è Q. Smith, per il quale si potrebbe pensare ai fantastici viaggi nel passato qualora ci fossero delle serie temporali chiuse che s’incontrassero svariatamente. Per ovviare il paradosso del nonno, Smith argomenta che forse il viaggiatore nel passato non riuscirebbe a uccidere il proprio antenato33. In verità questo era solo un esempio. Qualsiasi atto causale che alteri il passato comporta un cambiamento del presente dal quale la persona è partita, e ciò comporta appunto il paradosso del nonno, espresso in termini generali. Si avverta il non-senso del seguente brano: Jane viaggia dal 1992 terrestre ad un 1998’ di un’altra serie, per incontrare se stessa in un ospedale quando si era rotta la gamba nel 1990, cioè “forse la Jane del 1998’ si traveste di dottore e parla con il suo io del 1990 disteso sul letto. Questa conversazione occupa insieme il tempo del 1998’ e il tempo del 1990”34. Dietro queste idee si cela una concezione idealistica del tempo e forse anche l'idea di un tempo assoluto, anche se moltiplicato nelle diverse linee temporali. La pluralità degli io dell’esempio riportato è il risultato di sostanzializzare anziché di rapportare il tempo al movimento e alle cause. Le implicazioni ontologiche della questione del tempo, dunque, non sono trascurabili. Il presente ci indica l’essere in atto. Il passato ormai non esiste e rimane per sempre come un fu non modificabile; il futuro ancora non esiste e si apre come una 30

Per capire meglio quanto esponiamo in seguito si può consultare JS II, 5 e MC VIII, 3; VIII, 4; VIII, 5. Si vedano anche le figure 60 a 63 della sezione scientifica, più precise del nostro disegno. 31 Per la dimostrazione dell’impossibilità fisica del ritorno nel passato, cfr. MC VIII, 5. L’idea si completa in MC XI, 6, n. 2, dove si giustifica sul versante relativistico il concetto di storia umana “comune”. 32 Gli eventi situati fuori del cono di luce del passato e del futuro rispetto a un osservatore O possono considerarsi “un presente atemporale”, ma non sono un autentico presente cognitivoontologico per O, il quale nulla sa di questi possibili eventi (essi non fanno parte della sua storia). 33 Cfr. Q. SMITH - L. NATHAN OAKLANDER, Time, Change and Freedom, cit., p. 207. 34 Ibidem, p. 208.

25 possibilità da realizzare entro certi limiti. Quindi la soppressione della realtà del tempo comporta l’eliminazione dell’essere stesso. L’impossibilità di cambiare il passato è una conseguenza del principio di non contraddizione. Poter agire sugli eventi passati per cambiarli toglie ogni significato all'espressione che una cosa “è o non è”. Come ogni proposizione contraddittoria, l’espressione “cambiare il passato” è priva di senso. Tale frase solo in apparenza ha un significato, in quanto prende il passato come se fosse una realtà presente. Un cambiamento del passato comporterebbe che una cosa sia e non sia, poiché si dovrebbe dire che l’evento passato fu una volta (prima di essere cambiato) e che non fu mai (dopo il cambio). Sarebbe come dire che una persona è nata e non nata. Il cambio è solo possibile nel presente, perché crea il presente. In definitiva, presente, passato e futuro non si possono mescolare come atti, anche se naturalmente si può “andare” nel passato nel senso del ricordo o della ripetizione di un atto prima compiuto, e andare verso il futuro in quanto il presente è sempre in moto verso l’immediato avvenire. Co-presenza intersoggettiva. La presenza dell’io vivente (mente e corpo) nel mondo esistente in atto include la co-presenza reciproca di molti soggetti nel mondo35. La presenza comporta una contemporaneità intersoggettiva nel mondo: il “mio” presente è il “nostro” presente, quello di tutti gli esseri umani a me contemporanei. Perciò, lontani dalla chiusura cartesiana del presente psichico a se stesso, dobbiamo piuttosto vedere il cosiddetto “presente psicologico” come un compresente intersoggettivo, che è insieme psicobiologico e cosmologico per partecipazione. Non è tanto che noi vediamo il mondo nel nostro presente, ma è più esatto dire il contrario, dire cioè che nel presente psicobiologico noi partecipiamo per un intervallo finito di tempo all’attualità del mondo in flusso, un’attualità esistente prima e dopo di noi 36. Il presente psicobiologico, dunque, rimanda all’attualità dell’essere mutevole, dalla quale nasce il passato e il futuro. Tale presente è la coscienza di questa attualità, la coscienza in atto del farsi di una parte del mondo. In altre parole, il presente dell’uomo consiste nella sua partecipazione operativa all’attualità “in marcia” del mondo del divenire, inseparabile dall’auto-percezione della sua attualità in quanto egli è un esistente nel tempo. D'altra parte, la temporalità della coscienza umana, essendo ontologica, presuppone e non esclude il superamento del tempo proprio del pensiero. Queste considerazioni però ci costringono ad affrontare la tematica della simultaneità. La successione non avrebbe senso se non fosse unita a un certo modo di essere simultaneo, poiché da sola essa isolerebbe all’infinito le cose e le loro parti. Gli individui esistono insieme (sistemi di corpi) in rapporto interattivo. A livello di conoscenza comune, contemporaneità vuol dire essere insieme nell’adesso, cioè essere compresenti. 35

Questa tematica è stata ampiamente sviluppata da autori esistenzialisti e fenomenologi, sulla scia del superamento della coscienza cartesiana. Sulla co-percezione degli altri soggetti e il tempo, cfr. ad esempio E. LÉVINAS, Le temps et l’autre, Puf, Paris 1991. 36 A. PÉREZ DE LABORDA attribuisce al corpo umano un’importanza primaria nella determinazione del tempo (cfr. ¿Incerteza del tiempo? Tiempo de la física y tiempo de la historia, «Thémata», 19 (1998), pp. 117-151). Questo punto è riconducibile a quanto stiamo dicendo, poiché conosciamo il presente fisico del mondo tramite il nostro presente psico-fisico. Senza il nostro corpo situato non conosceremmo il tempo della natura.

7. Simultaneità

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Dato un complesso di cose fisiche spazialmente estese, il loro rapporto reciproco può essere successivo o simultaneo. Queste due relazioni temporali vanno prese insieme, in stretto collegamento alla nozione di tempo. Anziché presupporre tale nozione, esse ne sono piuttosto costitutive. Teniamo presente che il cambiamento è sempre di un complesso e non di un’entità semplice (complesso nel senso che una cosa è divisibile in parti e si trova a sua volta in un contesto cosmologico più ampio). La temporalità incide su una realtà complessa e perciò si manifesta sia come successione che come simultaneità. La mela verde diventa rossa, ma le sue parti coesistono simultaneamente, mentre la mela coesiste insieme all’albero, al giardino o alla sala da pranzo dove si trova. La simultaneità (alla quale ci riferiamo adesso in una prospettiva fenomenologica) è una forma di unità. Le mie mani destra e sinistra non sono successive. L’una non esiste dopo l’altra, dunque sono simultanee, il che vuol dire originariamente che co-esistono (etimologicamente simultaneo significa “insieme”). La coesistenza è un esistere insieme, con la possibilità e la realtà di un certo interagire, e non importa che ciò richieda tempo e che non possa essere immediato o esattamente simultaneo. In questo senso, non coesistiamo col passato: non possiamo interagire con gli enti passati o futuri. Si interagisce fisicamente tra esistenti in atto, spazialmente distanti e raggiungibili in intervalli di tempo. La simultaneità tra entità, eventi o movimenti (“mentre parlo, muovo la mano”, “mentre viaggio in autobus, leggo”) presuppone quindi la loro appartenenza a un medesimo sistema fisico in divenire e con cose collegate in vario modo. Più concretamente, la simultaneità significa l’appartenenza a un tempo comune (un periodo preso dal complesso e non un istante!), in modo analogo a come due cose possono stare in un medesimo luogo. Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II sono stati Papi successivi, in tempi diversi, ma Giovanni Paolo II e Clinton sono stati in parte governanti simultanei, per esempio durante l’anno 2000. Di solito determiniamo la simultaneità in base a un tempo-misura comune, presupponendo una previa simultaneità tra la durata di una cosa o evento e un’altra durata presa come misura campione. Se io pranzo dalle 2 p.m. fino alle 2.30 p.m., ciò vuol dire che il mio pranzo è simultaneo a un certo intervallo temporale del movimento di un orologio. La coincidenza tra i due intervalli dipende non solo da una più o meno precisa misurazione delle loro durate (una mezz’ora), ma anche dal fatto che entrambi gli eventi appartengono a un identico sistema (relativamente ultimo) di riferimento, un sistema più abbracciante che consente di misurare il tempo di molte cose o perfino di tutte, almeno di quelle conosciute. Qualcosa di simile accade nella localizzazione dei corpi: la sedia è in una casa, la casa in una città, la città nel pianeta, ecc. Stiamo considerando in questo capitolo il tempo degli oggetti fisici alla portata della conoscenza umana ordinaria, un tempo vero e reale, non estensibile tuttavia al macrocosmo e alla microfisica senza l’aiuto della scienza moderna. La teoria della relatività, cui ci riferiremo in seguito, apporta certe precisazioni importanti riguardo alla simultaneità, ma lascia intatto quanto stiamo dicendo, dal momento che il nostro ambito familiare e locale costituisce relativisticamente un sistema di riferimento in

27 cui vale un tempo comune, con un presente sincronizzabile per tutti gli oggetti contenuti nel sistema. Più precisamente, l'ultimo sistema di riferimento del tempo della vita umana è il mondo aperto della percezione ordinaria, nel quale è valido il concetto di simultaneità previo ad ogni misura astratta. La simultaneità primariamente conosciuta è la nostra, quella del nostro presente insieme al mondo e agli altri, una simultaneità reale e oggettiva, benché limitata al mondo intersoggettivo dei nostri contorni. Ora, il mondo in cui viviamo, il mondo fenomenologico della vita prescientifica di tutti i giorni, è regolato dall’orologio naturale della scansione giorno-notte, il che è la base degli ordinari calendari e cronologie. La nostra vita o il nostro tempo è costituita dall’insieme di tutti i giorni (senza arrivare ancora agli orologi, il giorno a sua volta è diviso in parti come la mattina, il pomeriggio, ecc.). La simultaneità, dunque, in un senso ampio e senza pensare all’esattezza dell’istante, viene determinata in una maniera non precisa, ma sufficiente e corretta, in rapporto a tutti gli eventi che compaiono all’interno di quelle divisioni. Siamo contemporanei a tutti gli esseri che vivono o agiscono nello stesso giorno, nella stessa mattina, nella stessa serata37. Se la simultaneità comporta il tempo di un moto misurante un altro tempo, non sarà essa un semplice concetto metrico dipendente dall’uomo? In qualche modo è così: la frase “siamo tutti nello stesso giorno” esprime un paragone scelto dalla ragione umana. La comparazione comunque è vera ed è basata sul fatto naturale dell’unità del sistema Sole-terra-uomo e della coordinazione dei loro rispettivi moti e tempi. Proprio per questo, prima della misura astratta che porta all’enunciato “siamo oggi, questo lunedì”, esiste una percezione premetrica di una relativa simultaneità, inerente all'avvertenza psichica del tempo, il che suppone in realtà la percezione inseparabile della struttura “successione-simultaneità”. Alla base di questo fenomeno, senz'altro, c’è il fatto naturale del coordinamento interattivo delle cose fisiche nei loro spazi e nei loro tempi. Secondo la teoria della relatività speciale, gli osservatori in moto ad una velocità relativa vicina a quella della luce non hanno la possibilità di sincronizzare gli orologi in modo assoluto. Essi non possono accordarsi su una definizione di simultaneità, per cui non hanno un tempo comune che “batta allo stesso ritmo”. Questi oggetti dunque non hanno un presente comune. La sincronizzazione degli orologi, cui consegue una definizione operazionale di simultaneità capace di costituire l’unità del loro tempo, è possibile soltanto a partire dalla considerazione di un sistema di riferimento (cfr. MC VIII, 2). Questa situazione, tuttavia, diventa praticamente irrilevante per gli oggetti a bassa velocità relativa rispetto a quella della luce. Per questi oggetti è definibile una nozione di simultaneità. Il presente comune di cui parliamo in queste pagine quindi è locale e non cosmico, in quanto appartiene al mondo dell’esperienza immediata dell’uomo (nella fisica prerelativistica, invece, il presente comune veniva preso come uno per tutto il cosmo). Numerose entità fisiche non sottoposte alla nostra percezione e al nostro presente sono reali, ma noi non possiamo affermare la loro esistenza nell’unità del nostro 37

Relativisticamente questo fatto è reso possibile dalla sovrapposizione dei coni di luce degli osservatori umani sulla terra, da cui nasce la condivisione di una storia e la possibilità di parlare di un presente comune: ved. MC XI, 6.

28 adesso, in quanto non siamo fisicamente comunicati con tali oggetti. La teoria della relatività ci costringe ad essere più cauti nell’impiego del termine adesso, nonostante la nostra tendenza a vincolare l’affermazione di esistenza al nostro presente psicobiologico. “L’universo esiste”, dunque, nella pluralità di tempi locali e non “adesso”. Analogamente, Dio esiste come pienezza di atto (Eternità) e non come simultaneo a noi, altrimenti il Creatore sarebbe misurato dal nostro tempo e diventerebbe un essere temporale. Come Causa creatrice, Dio eterno è presente in un modo sopratemporale nel mondo e in ogni suo momento attuale.

8. L’unità del tempo Il problema della simultaneità ci ha portato alla considerazione dell’unità del tempo, un’unità locale a causa delle restrizioni relativistiche, ma non per questo motivo irrilevante e tanto meno arbitraria. L’unità temporale è segno e conseguenza dell’unità della natura. Poiché nel mondo c’è un ordine e un rapporto coordinato tra il dinamismo di tutte le cose, esiste anche un ordine sincronico e diacronico nei tempi naturali. Tale ordine, come quello di un’orchestra, si manifesta in una maniera notevole e con un’evidente teleologia nella temporalità biologica. I processi fisiologici non solo hanno un tempo di durata, ma avvengono nei momenti giusti, con la velocità adeguata (tempo di divisione cellulare, tempi di riproduzione, del metabolismo, di migrazioni, di invecchiamento, ecc.), spesso ritmicamente — si pensi all’orologio del cuore — , in armonia con i tempi dei cambiamenti naturali esterni (giorno-notte, cambiamenti stagionali, variazioni di luce o di temperatura), ma anche con una propria relativa autonomia e in un coordinamento interno con i tempi delle singole funzioni dell’organismo. La temporalità biologica è condizionata a sua volta dal timing delle diverse reazioni chimiche dell’organismo. I viventi superiori hanno numerosi “orologi interni” (orologio cellulare, degli organi, del cervello, ecc.), coordinati tra loro mediante il sistema nervoso e in rapporto agli “orologi esterni”: per esempio, lo spuntare della luce o il rialzo di temperatura sono segnali esterne per gli orologi endogeni dell’organismo. Sono fondamentali, ad esempio, i ritmi circadiani38, i ritmi circannuali ed altri. La sequenza veglia/sonno — il più noto ritmo circadiano — scandisce la temporalizzazione della vita ed è regolato da complessi processi del sistema nervoso39. 38

I ritmi circadiani (dal latino, circa diem, un giorno circa) sono ritmi biologici più o meno rapportati alle 24 ore giornaliere (periodi ad esempio tra 22 e 28 ore). Essi dipendono dalla serie giorno/notte ma, sono anche indipendenti dall’ambiente esterno. Cfr. G.J. WHITROW, The Natural Philosophy of Time, cit., pp. 135-166. 39 Nei mammiferi il ritmo veglia/sonno è controllato dai nuclei soprachiasmatici situati nell’ipotalamo, vicini alla retina e perciò sensibili ai ritmi luce/buio. Un altro pacemaker dell’orologio biologico è la ghiandola pineale: le oscillazioni dei nuclei soprachiasmatici sono da essa trasformate in impulsi segreganti l’ormone melatonina, la cui periodicità regola altri cicli dell’organismo. Cfr. sul tema J.T. FRASER, Il tempo, una presenza sconosciuta, Feltrinelli, Milano

29 La coordinazione dinamica dei tempi equivale all’integrazione di molti processi successivi e indipendenti in un'unità temporale. L’espressione orologio naturale senz’altro è metaforica. L’orologio è un artificio che segna l’ora, perché prima esiste un ritmo naturale che è l’ora reale. Solo l’uomo sa e misura le ore (astrattamente, ma anche vitalmente). La natura e specialmente la vita “percepisce” e “orchestra” i tempi in una maniera inconscia. Le metafore antropomorfiche, come quelle dell’orchestra, dell’orologio o dei pacemaker, sono orientative in quanto la realtà artificiale, meglio conosciuta, ci serve da guida per capire gli eventi del mondo naturale. La co-presenza armoniosa di molti in un unico mondo successivo introduce dunque l’unità articolata di un tempo naturale complesso e non semplicemente convenzionale. Tale unità non ha niente a che vedere con l’unicità del tempo vuoto newtoniano, il quale è solo un tempo astratto, cioè separato dagli eventi. Ogni settore in moto della natura può determinare un proprio tempo, considerato a se stesso, così come un sistema qualsiasi può costituire un luogo particolare. I tempi molteplici sono integrati a seconda dei livelli ontologici della natura40. Comunque risulta naturale, come dicevamo sopra, prendere come tempo universale quello dei moti più abbraccianti e causalmente rilevanti per tutti, almeno a un certo livello. Il tempo comune della nostra percezione ordinaria corrisponde a questa base naturale unitaria. Il moto universale per tutti gli eventi che si verificano in un pianeta come la terra è quello del pianeta stesso, cioè il moto apparente della volta celeste, con il suo ritmo regolare e preciso, e ulteriormente il ritmo stagionale che coinvolge anche tutti gli eventi terrestri e che dipende pure dai ritmi apparenti del moto solare (o realmente dalla traslazione della terra attorno il Sole). L’apparenza cinematica dei moti non annulla la sottostante struttura causale. Il ritmo giorno/notte, in quanto prima causa di una lunghissima catena causale, consente in molti versi tutte le manifestazioni della vita terrestre. Dalla situazione cosmica della terra quindi nasce il nostro tempo, il tempo umano, in armonia con il tempo naturale terrestre geologico e biologico e con il tempo cosmico, non in assoluto, ma nella misura in cui esso si riflette sulla terra. Questo tempo naturale-umano è locale, come dicevamo, sebbene prima della scienza moderna esso fosse pensato come un tempo cosmico universale. Inoltre esso ma universale per tutte le faccende umane e per tutti gli avvenimenti macroscopici del nostro domicilio cosmico sulla terra41. L’impressione di unicità e di uniforme regolarità del tempo corrisponde oggettivamente alla nostra situazione nell’universo. Tenendo conto dei suoi limiti, essa è 1992, pp. 109-147; G.J. WHITROW, The Natural Philosophy of Time, cit. pp. 123-173; P. COVENEY R. HIGHFIELD, La freccia del tempo, Rizzoli, Milano 1991, pp. 351-370. 40 J.T. FRASER, fondatore della “International Society for the Study of Time” sostiene un’interpretazione gerarchica del tempo: la temporalità acquista diverse caratteristiche nei livelli più complessi della realtà (livello microfisico, macrofisico, chimico, biologico, ecc.). Cfr. The Genesis and Evolution of Time, The Harvester Press, Brighton 1982; Il tempo: una presenza sconosciuta, cit. Tralasciando i dettagli, la tesi ben si accorda con la concezione gerarchica o “stratificata” dell’essere fisico secondo la filosofia di Tommaso d’Aquino. 41 Questo concetto è molto distante dall’idea pragmatistica di tempo quotidiano di Heidegger: cfr. JS III, 3.

30 un’impressione “vera” in questo senso. La sensazione psicologica dell’uniformità con cui “scorre il tempo” nasce dalla regolarità del moto celeste diurno e notturno, prima ancora della regolarità degli orologi ad uso. Non conta troppo qui la conoscenza scientifica della struttura del cosmo. Il geocentrismo apparente non incide sul valore oggettivo ed efficace del tempo umano terrestre, il quale non cambia con le scoperte astronomiche moderne. Lo scandire dei giorni è sempre lo stesso e questo basta per la costituzione del tempo umano terrestre. Per gli antichi questo tempo unico e regolare della percezione ordinaria coincideva col tempo assoluto del cosmo. Secondo Aristotele, l’unità del tempo procedeva dal moto circolare uniforme del “primo cielo” (la sfera giratoria delle stelle fisse). Con la perdita dell’antica gerarchia cosmica, dopo il Rinascimento, si fece avanti l’astrazione del tempo vuoto, il che era una sorta di ricorso psicologico per l’unificazione del tempo. In una tale concezione, tutti gli eventi simultanei dell’universo coincidevano nell’identico istante attraversato “ora” dal flusso del tempo assoluto. Il ricorso era superfluo fisicamente, ma poteva soddisfare psicologicamente, facendo credere che il tempo assoluto fosse intuitivo o di senso comune, quando in realtà esso era un’astrazione culturale, simile a quella dello spazio assoluto42. L’irrealtà di questo concetto indusse Kant, com’è noto, a ridurlo a tempo psichico a priori. La sua tesi risente troppo del dualismo cartesiano. Non è possibile assegnare univocamente la percezione della temporalità, com’egli fece, all’immaginazione aritmetica che pensa i numeri in successione. Il tempo psicologico comporta una partecipazione al tempo naturale (fisico, chimico, biologico, cosmico). La sua unità non procede soltanto dall’unità dell’io, ma anche dall’ordine della natura.

9. Il presente percettivo Considereremo in seguito alcuni aspetti psicologici dell’unità del tempo, allo scopo di delineare con più precisione la nozione di tempo naturale-umano emersa nel paragrafo precedente. Il nostro senso comune viene colpito quando ci dicono che il cielo aperto al nostro sguardo è la figura di un remoto passato. Poiché la velocità della luce è finita, ovviamente in qualche modo non vediamo niente di simultaneo. Tutto ciò che ci sembra simultaneo, perfino la sensazione visiva o tattile della nostra mano, dove s’include il tempo di percorso delle vie nervose fino ai centri cerebrali, arriva sempre un po’ in ritardo alla coscienza. Sentiamo la mano così come stava alcune frazioni di secondo prima di tale sensazione. Ogni interazione impiega un tempo per essere trasmessa da una parte all’altra: la causalità e la comunicazione fisica non sono simultanee. Il fenomeno comunque è trascurabile per gli eventi terrestri su scala umana e quindi non intacca l’unità del tempo considerata sopra. 42

D. Bohm respinge l’idea che il tempo assoluto appartenga al senso comune. La teoria della relatività speciale è in continuità con le operazioni compiute dalla nostra percezione alla ricerca di rapporti invarianti: cfr. D. BOHM, The Special Theory of Relativity, Routledge, London - New York 1996, pp. 185 ss.

31 La falsa soluzione di stampo cartesiano di questo problema attribuirebbe il concetto di simultaneità alla coscienza isolata. In pratica non ci sarebbe comunicazione simultanea con nessuno, ma esisterebbe soltanto il presente isolato dell’io e delle sue rappresentazioni istantanee (quello che Russell chiamava il “solipsismo del momento”). Al di là della coscienza ci sarebbe soltanto il passato, un passato da inferire e non solo da ricordare. L’esistenza del mondo e la verità dei ricordi sarebbe materia di dimostrazione filosofica. In realtà, noi superiamo i limiti inerenti alla trasmissione ritardata dei segnali mediante l’inferenza scientifica per quanto riguarda gli oggetti situati all’infuori della nostra esperienza ordinaria, e tramite un’adeguata percezione psicologica in rapporto al campo della conoscenza immediata. D’altra parte, la percezione di un evento passato è reale, soprattutto quando sappiamo che è passato. Un ricordo, come ogni atto intenzionale, non si ferma nell’atto soggettivo, ma arriva immediatamente alla realtà ricordata (la percezione di corpi celesti nel passato non è propriamente un ricordo, bensì una percezione mediata, come quando si vede in TV una trasmissione differita). Un relativo nostro isolamento nella “propria ora” è evidente, poiché la comunicazione richiede tempo, ed è parallelo al relativo isolamento spaziale per il fatto di trovarci sempre nel “proprio posto”, un po’ distanti dagli altri. La percezione della simultaneità del nostro “tempo locale” quindi sarà sempre approssimativa e avrà dei limiti, superati i quali essa ricadrà inevitabilmente su eventi molto passati, come accade nella nostra osservazione degli oggetti astronomici. Soffermiamoci sulla percezione del presente, base fondamentale della cronopercezione che proietta la coscienza verso il passato e verso il futuro. La nostra sensazione fenomenologica del presente non si limita a un impossibile istante matematico (di tempo 0), ma dura per un breve periodo variabile (dipendendo in parte dall’attenzione) che si dilegua a poco a poco, senza limiti precisi, verso l’evento ricordato e ormai non più presente, nonché verso il futuro immediato43. Ascoltando una breve frase, ci riesce difficile distinguere esattamente tra quanto sentiamo “adesso” e quanto ricordiamo. Ma se la frase è più lunga, le sue prime parti — senza un limite preciso — cominciano ad essere più chiaramente ricordate (esse appartengono alla cosiddetta memoria a breve termine), sempre in unità strutturale col presente44. Ci 43

Cfr. G.J. WHITROW, The Natural Philosophy of Time, cit. pp. 74-77; A. VERGOTE, Le temps psychologique, in Temps et devenir, Presses Universitaires Louvain-la-Neuve, Louvain-la-Neuve 1984, p. 212. Base della macropercezione cosciente del tempo è la corrispondente micropercezione neuropsicologica. Il cervello opera di continuo una sincronizzazione olistica della registrazione neurofisiologica di impulsi svariati ricevuti in tempi diversi (vi sono intervalli minimi di tempo per poter assegnare precedenze temporali ai segnali in arrivo). Il presente percettivo quindi viene elaborato, non essendo né un a priori kantiano né una semplice sensazione. Quest’elaborazione dipende da molti fattori, tra cui la memoria, l’esperienza e l’attenzione. La sua brevissima durata oscilla a seconda dell’ampiezza della sequenza da processare, dal tipo di compito da fare, dalla stanchezza del soggetto, ecc.: cfr. J.A. MICHON, The Perception and Evolution of Time from a Psychological Viewpoint, «Epistemologia», 1 (1978), pp. 223-250. 44 Via via che ascoltiamo una frase, il cervello è impegnato in operazioni di decodificazione e codificazione dei segnali acustici in arrivo, cui si aggiunge la successiva operazione di comprensione del significato delle parole progressive e del senso di ogni frase. Gli accenti, favorendo la distin-

32 sarà ormai un netto ricordo di un evento passato nel momento in cui avvertiamo il disimpegno dei sensi esterni, per cui riterremo tale evento presente alla coscienza come non simultaneo, cioè non attuale. Mentre parliamo una mezz’ora con una persona, per esempio, ad ogni momento stiamo ricordando quanto ci ha detto cinque, dieci minuti fa, ecc. Questi ricordi sono essenziali per l’avvertenza del presente, dato che esiste una presa gestaltica della totalità di una sinfonia, di un discorso, ecc., presa nella quale i ricordi a breve termine vengono “fusi” con la percezione del presente. Altrimenti non si coglierebbe l’unità dell’oggetto percepito e la percezione del presente sarebbe disorientata, come quando si perde il filo del discorso45. Gli esempi sopra indicati, basati sull’udire, sono eloquenti poiché l’udito è specialmente accurato nel discernimento degli aspetti temporali. Qualcosa di analogo si può dire della visione. La vista raccoglie molte immagini quasi al contempo, benché lo sguardo e lo scenario visto siano sempre in moto. Se non ricordassimo com’è il lato occulto delle cose e delle persone (e solo possiamo vederle da un lato), o che cosa hanno fatto poco prima gl’individui con cui conversiamo, la percezione sarebbe incompleta e distorta. Il nostro presente, in definitiva, nel quale percepiamo molteplici cose con una distribuzione quasi simultanea, possiede un certo spessore temporale, il che è un fenomeno psicologico ben noto, rilevato già da W. James. È questo un evidente superamento psicologico del flusso dispersivo del tempo. La simultaneità organizzata del presente psicologico sorpassa la successività e la molteplicità degli eventi fisici neurali. La temporalità fisica non viene tolta, ma è integrata ed elevata ad un livello superiore. Questo superamento è naturale, se non si vuol cadere nei paradossi del continuo. Percepiamo ad esempio un oggetto in moto. Se la traiettoria è troppo lunga, non la percepiamo tutta, ma ne vediamo solo un settore. In questo settore non percepiamo punti o istanti inesistenti, neppure osserviamo tale segmento in maniera statica. Afferriamo il movimento nel suo muoversi continuo, in una certa simultaneità valida per un settore imprecisato e piuttosto piccolo (il caso è analogo all’esempio prima riportato della musica o della frase sentita). Percepiamo quindi la successione in una certa simultaneità. La percezione di una successione senza un minino di simultaneità non consentirebbe di prenderla come successione unitaria. Percepirla simultaneamente senza successione, come fa il pensiero astratto, sarebbe non esperimentarla affatto. Il ritardo nell’arrivo dell’evento percepito non solo è trascurabile, ma è anche naturale. Esso è inerente alla successione e al tempo. La conoscenza sensitiva include sempre un ritardo. Vedere gli eventi un po’ dopo che sono avvenuti è l’unica possibilità di poterli vedere in un mondo temporale e con cose distanti. Il tempo della natura, costituito dalla successione-durata, corrisponde all’essere mutevole delle cose materiali, un essere che è nel passare, appunto perché è sempre in viaggio, senza mai fermarsi. Questo essere fuggente si presenta alla coscienza sensitiva col suo statuto temporale. L’evento fisico, per dirlo in qualche modo, arriva tardi e va via subito. Nella sua fragile consistenza, esso passa e non si ferma. Questo punto vale per tutti gli aspetti della materia, sia particelle che onde, le quali sono in costante movimento.

zione dei tratti, contribuiscono in modo non indifferente alla determinazione dei tempi del discorso. 45 D. BOHM (cfr. The Special Theory of Relativity, cit., pp. 185-230), basandosi su lavori di Piaget e di altri psicologi, sottolinea il carattere strutturale della percezione del tempo.

33 Non è questa una tesi propria di una filosofia del puro divenire. Gli enti duraturi nell’universo sono in una continua trasformazione, e perciò non durano per sempre.

10. Tempo naturale umano e tempo cosmico universale46 Il tempo naturale-umano. Il presente psicologico si apre e partecipa al tempo della natura e al tempo cosmico situato alla portata della nostra conoscenza ordinaria. La coscienza sensitiva umana, immersa nella temporalità, fa sì che tutto il nostro essere si sviluppi nel tempo biologico del nostro corpo, in sintonia con i tempi naturali. Così si supera l’opposizione dualistica tra tempo psicologico e tempo della natura, cara al razionalismo classico e spesso legata alla riduzione della temporalità a funzione psichica47. Partecipi al mondo in flusso, siamo sottoposti ai limiti dell’essere in divenire, benché col nostro spirito trascendiamo il tempo. La nostra coscienza è temporale a causa del suo inserimento nell’ambito fisico. Questa tesi è coerente con un’antropologia tomistica dell’unità sostanziale di anima e corpo e con una gnoseologia realistica. Conseguenza di tale unità è il fatto che la mente umana è insieme nel tempo e sopra il tempo48 (cfr. JS III). Un’idea non è un moto fisico, ma la esprimiamo in un discorso esteso nel tempo. La temporalità della nostra coscienza nasce dal suo radicamento in un corpo, tramite le funzioni sensitive del sistema nervoso centrale. Il ritmo cerebrale svolge un ruolo centrale in questo quadro, in quanto esso è il vero orologio interno della nostra regolare attività sensitivo-intellettuale, più o meno veloce e talvolta accelerata. I nostri pensieri, sempre basati sulle immagini e sulle costruzioni simboliche, possiedono un proprio ritmo e sequenza, le cui radici sono da trovarsi nel comportamento cerebrale. Il passare continuo dei nostri atti interiori si trova in una certa correlazione coi tempi “musicali” della natura, al punto che la misura comune che ci consente di stabilire una nostra relativa simultaneità con gli altri esseri terrestri, cose o persone, è come abbiamo visto addietro la scansione diurna e notturna del cosmo della percezione ordinaria. Cosmo non vuol dire qui la totalità assoluta delle cose, ma l’ordine della natura a noi manifesto, un ordine aperto, il quale è la base della conoscenza metafisica e scientifica dell'universo. Il cosmo inteso in questo modo assolve il ruolo primario che determina l’unità del tempo naturale-umano. L’unità del tempo naturale-umano quindi emerge da due elementi. Dal punto di vista soggettivo essa nasce, come si è visto, dal relativo spessore della percezione articolata del presente, che ci consente di cogliere simultaneamente una certa succes46

Cfr. il nostro studio Tempo naturale e tempo umano, in Aspetti del tempo, I Quaderni dell’IPE, a cura di Ezio Mariani, Napoli 1998, pp. 233-253. 47 Ricoeur osserva un reciproco occultamento nella storia della filosofia tra il tempo cosmologico e il tempo fenomenologico: cfr. Temps et récit, vol. 3, cit., pp. 439 ss. 48 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, S. Th., I, q. 75, a. 6; C. G., II, 96 e III, 84; Q. disp. de Anima, q. un., a. 14. «Humana anima non est forma in materia corporali immersa, vel ab ea totaliter comprehensa, propter suam perfectionem» (S. Th., I, q.76, a. 1, ad 4; cfr. C. G. II, 68).

34 sione. Dal punto di vista oggettivo, tale unità dipende dal mondo comunemente percepito, il quale è il grande orologio della natura e della nostra vita. Percezione e natura sono così coordinate, malgrado le loro differenze. Questo tempo naturale-umano non è l’oggettivazione di una visione antropomorfica e precopernicana, con un valore solo soggettivo, ma è il tempo reale della nostra natura, cui puntava il concetto di Husserl di mondo della vita, il quale include una partecipazione al nostro ecosistema, cioè al cosmo familiare della vita regolato dal Sole e dalla luna e illuminato dalle stelle notturne. Si può contrapporre ad esso il tempo del macrocosmo conosciuto tramite la scienza, fuori dalla portata della nostra esperienza e soggetto a particolari condizioni, dal momento che la velocità dei moti e le grandi masse e distanze modificano gli aspetti metrici intrinseci del tempo. Dopo la scoperta di un movimento del cosmo come un tutto (l'espansione dell’universo), la cosmologia contemporanea comunque ha ricuperato il concetto di un tempo cosmico, al quale pure noi partecipiamo in qualità di parti dell'universo in una fase del suo sviluppo (cfr. MC X, 3 e X, 4). Esiste dunque un vincolo tra il tempo cosmico universale e la sua realizzazione locale nel tempo terrestre che è l’ambiente di base del tempo umano. Tempo culturale. Il concetto di tempo antropologico terrestre ci consente di operare un passaggio quasi spontaneo al tempo della cultura. Infatti, le prime misure razionali del tempo crearono per la prima volta un tempo oggettivo che regolava la vita sociale al di là della pura regolazione animale di tipo organico e climatico. La misurazione collettiva del tempo è una delle tante manifestazioni del salto dalla natura alla cultura. La misurazione dei grandi e piccoli tempi — calendari, orologi —, ricavata inizialmente dai tempi naturali e da certi avvenimenti storici (cfr. JS II, 3), creò le solite divisioni cronologiche in cui si svolge la vita pubblica e privata delle persone: feste religiose e civili, scadenze politiche, orari commerciali o scolastici, ritmi di lavoro ecc. Queste divisioni sono antropologicamente rilevanti. È noto, ad esempio, il forte radicamento naturale delle società antiche: i popoli nomadi e quelli dediti all’agricoltura vivono una forma di temporalità molto legata alla natura, in contrasto con la temporalità tecnologica della società industriale (basata sui ritmi astratti dell’orologio), e più ancora con la peculiare temporalità che oggi stiamo vivendo nella nostra società informatica, caratterizzata dalla comunicazione rapida e in rete, il che ci rende più vicini a una forma di simultaneità interattiva (implicita nel concetto di “globalizzazione”). È da notare anche, a causa della sua rilevanza antropologico-culturale, la presenza in molte religioni (soprattutto nelle feste e nelle celebrazioni liturgiche) di un tempo naturale-umano particolarmente collegato ai tempi cosmici49. Le feste religiose sono state per molti popoli “l’orologio” (la misura) più importante del loro tempo, il vero vincolo tra il tempo cosmico, visto come un tempo sacro e simboleggiato nei tempi rituali, e il tempo dell’uomo. Le festività religiose, infatti, sono legate a un calendario e sono destinate a ricordare, con una periodicità spesso offerta dalla natura,

49

270.

Cfr. A. HOUSSAIAU, Le temps agi et vécu dans la liturgie, in Temps et devenir, cit., pp. 243-

35 certi eventi naturali e umani, di solito dotati di una struttura storica, ma anche in connessione con l'eternità. I tempi celebrativi invitano al rapporto con Dio e sono segni dell’intervento di Dio nei tempi storici Questi spunti si potrebbero estendere anche alle festività civili o familiari, ma sono specialmente significativi (e universali) nell’ambito delle religioni. L’uomo divide il tempo per usarlo, per dominarlo e per viverlo in una determinata maniera. I tempi culturali (tempi liturgici, tempi lavorativi, tempi nella società dell'informazione, ecc.) sono una manifestazione del dominio umano sul tempo. I tempi culturali ci rendono in parte indipendenti dai ritmi naturali, ma non è un fatto positivo la perdita violenta dei tempi naturali operata dal tecnologismo contemporaneo. La trasformazione del tempo umano-naturale in un puro tempo artificiale e tecnologico comporta una perdita di umanità, dal momento che il dominio tecnico crea nuovi condizianamenti nell'uso umano del tempo. Si veda il contrasto, ad esempio, tra il tempo festivo e il tempo tecnico. Il lavoro tecnico è costituito fondamentalmente da azioni transitive, in cui conta il risultato. Il tempo transitivo è un processo in cui si attende il risultato felice (come quando si aspetta l’apertura di uno sportello). Esso non è un tempo desiderato per se stesso. Nella festa invece predomina ciò che potremmo chiamare un tempo immanente, costituito cioè da atti immanenti (gioire, cantare, dialogare, amare, pregare), atti distesi nel tempo ma assaporati per se stessi50. Nel lavoro tecnico la fretta è ragionevole, perché si desidera finire al più presto: la tecnica cerca sempre i mezzi più veloci. La fretta invece è contraria allo spirito festivo. Il tempo degli atti immanenti è un superamento del tempo transitivo. Il tempo nella contemplazione, nell’amore, nella poesia, è amato in se stesso, e la sua fine è motivo di rimpianto. L’uomo deve saper impiegare il suo tempo con saggezza. I tempi tecnici debbono essere ben coordinati con i tempi immanenti. La tecnica e il lavoro diventano disumani quando si sostituiscono ai tempi immanenti, occupando tutto il loro spazio. L'uomo certamente deve lavorare, e perfino nei “tempi tecnici” egli può trovare una forma di immanenza, quando insieme con le altre persone egli è in grado di rapportare le ore del lavoro agli accenni di eternità propri di ogni attività spirituale. Il tecnologismo, l’utilitarismo o la categoria ossessiva della fretta invece svuotano di senso il tempo umano, producendo uno slittamento nel tempo, che viene così preso come un puro passaggio51. Questo fatto non comporta però l’estremo contrario di voler vedere nel tempo, che inevitabilmente passa anche nell'agire spirituale, una forma definitiva di eternità. La tensione tempo-eternità esiste sempre e rapporta l’uomo con più urgenza a forme più alte di vita, in cui il tempo umano acquista una pienezza proprio nel suo collegamento con l’eternità (cfr. JS III).

50

Secondo San Tommaso, gli atti transitivi (per esempio, edificare una casa) hanno senso nel loro termine futuro, mentre gli atti immanenti (pensare, amare, gioire) superano in qualche modo la temporalità fisica, in quanto non sono di per sé orientati a un termine futuro (cfr. De Ver., q. 8, a. 14, ad 12). 51 Sul tempo tecnologico vissuto in modo alienante e ossessivo, a scapito dei tempi naturali della vita dell’uomo, cfr. R. YEPES, Fundamentos de Antropología, Eunsa, Pamplona 1996, pp. 405-409.

11. L’istante

36

Affronteremo adesso la questione dell’istante, difficile ma inevitabile se vogliamo evitare alcuni falsi problemi concettuali. Come il punto indivisibile della retta, l’istante si presenta matematicamente in qualità di ultimo elemento indivisibile di tempo, quindi in apparenza come una sua parte (di durata 0) che ormai è non-tempo. In una concezione derivata della temporalità, l’esistenza dell’istante equivale all’esistenza di eventi istantanei. La questione si riferisce concretamente all’inizio e alla fine dei moti (istanti iniziale e finale) e al momento presente (argomento ormai esaminato). Prima di considerare questi punti, accenniamo brevemente al problema filosofico-matematico della costituzione del continuo temporale, analogo al problema del continuo spaziale. Qualsiasi periodo di tempo è divisibile in sotto-intervalli, a sua volta divisibili, e così via all’infinito. Il tempo sarebbe discreto se fosse costituito da tratti minimi indivisibili. Nella fisica, il tempo di Planck (10-43 secondi) è in qualche modo un minimo fisico, ma esso non è propriamente un costitutivo “atomico” di intervalli temporali più lunghi. Il tempo si considera invece continuo se è divisibile all’infinito. Il tempo di Planck, forse fisicamente minimo, risulta matematicamente divisibile all’infinito, cioè in realtà è pur sempre un periodo continuo. Una minima estensione di fatto delle cose materiali è compatibile con la continuità spaziale. A questo punto si può introdurre nella nozione del continuo la terminologia degli istanti, i quali sono talvolta occasione di perplessità filosofica. In termini matematici si dice abitualmente che il continuo temporale è costituito da una collezione infinita di istanti52. Questi istanti sono una pura idealizzazione e non una realtà. Se vengono presi come una realtà in atto, essi producono i paradossi del continuo. Nella prospettiva filosofica è pertinente qui l’impostazione aristotelica, secondo la quale il continuo è sempre divisibile, senza che ci si arrivi mai a una parte indivisibile53. L’istante come punto atemporale del tempo non sarebbe che il congelamento pensato della realtà in flusso del tempo. Seguendo tale idealizzazione, si parla poi dell’istante in moto per ricatturare il tempo come presente. Sennonché, come abbiamo visto, l'istante progressivo si riduce all’attualità del soggetto mutevole (cfr. JS I, 5). Secondo l’approccio aristotelico, l’istante esiste solo come il limite iniziale e finale di un movimento finito. Se il mobile viaggia da Roma a Parigi, mentre si muove esso non “è” né a Roma né a Parigi, né in alcun posto definito. In realtà, il mobile non attraversa istanti, né punti, linee o superfici, quanto piuttosto regioni. Questo concetto è fondamentale e non può essere respinto con un uso illegittimo del principio di terzo 52

Con più precisione, il tempo denso è costituito da istanti, tali che tra due istanti se ne trova sempre un terzo. Il tempo continuo è un tempo denso tale che ogni suo intervallo è composto dall’infinita serie dei numeri reali (cfr. Q. SMITH - L. NATHAN OAKLANDER, Time, Change and Freedom, cit., pp. 11-22). I numeri reali comprendono i numeri sia razionali che irrazionali. Questi ultimi hanno decimali all’infinito (come p) e il loro insieme costituisce un infinito non numerabile, nel senso che non può essere messo in corrispondenza biunivoca con la serie dei numeri naturali. L’insieme dei numeri razionali invece è numerabile (cfr. MC VI, 1.1 per un’esposizione più completa). 53 Cfr. ARISTOTELE, libro VI della Fisica.

37 escluso (qualcosa è o non è, ci sta o non ci sta). Due importanti scoperte filosofiche di Aristotele sono state, infatti, la potenza, quale situazione veramente intermedia tra l’essere attuale e il non-essere, e l’idea del moto continuo come “atto potenziale” intermedio tra la semplice potenza e la realtà dell’atto compiuto. Solo la mente riduce la potenzialità del moto e del tempo ad un'attualità pensata. Il mobile in quanto tale non è (atto perfetto), ma sta divenendo (atto imperfetto), e questo divenire non si risolve in una pluralità di è, dal momento che comporta una situazione diversa dalla stabilità dell’è. L’aristotelismo vuole così salvaguardare la verità del divenire. Mentre il mobile si sta spostando, possiamo idealmente indicare che esso sta qui o là lungo la sua traiettoria. Tale indicazione è soltanto un’idealizzazione, dal momento che non appena diciamo che esso sta qui, veramente ne è uscito. Il mobile non “sta” in alcun posto, nemmeno per una minifrazione di secondo. Non tutto però è movimento continuo nel mondo. Vi sono anche situazioni di riposo, le quali sono tali in rapporto a una perfezione posseduta per un tratto lungo o breve di tempo. Mentre si è uomini, in rapporto a tale perfezione non ci si muove: tale proprietà semplicemente si possiede. Ma la si possiede per un tempo, dal momento che ogni realtà fisica è sottoposta prima o poi al cambio. Niente si possiede “tranquillamente” nel mondo fisico, dato che tutto procede nel tempo ed è sempre minacciato da un futuro soccombere. Nell’universo fisico il riposo è mescolato col divenire. Non c’è un riposo assoluto, il che significherebbe uscire dal mondo instabile della materia e del moto. L’istante-limite54 aristotelico può essere visto, di conseguenza, come l’inizio di un movimento continuo o di una situazione stabile (riposo), per esempio l’inizio di un viaggio o l’arrivo in una città, oppure come la loro rispettiva fine (fine del viaggio, partenza dalla città). Il cambio continuo presuppone quindi il cambio discontinuo (inizio del viaggio-trascorso del viaggio-fine; nascita-vita-morte). La discontinuità del tempo continuo è dovuta alla presenza degli istanti-limiti. Anche in fisica si considerano a tutti gli effetti pratici degli eventi istantanei di questo genere, come l’emissione o l’assorbimento di una particella o l’incontro tra due linee di universo. Presentiamo una rappresentazione grafica di quanto stiamo dicendo:

A

B

C

La freccia del disegno può rappresentare, ad esempio, il tempo della vita di una persona. Ogni taglio della linea, come A, B, C, è un istante-limite che indica l’inizio o la fine di un moto successivo oppure di una relativa situazione di quiete (essere uomo, stare in una stanza, avere le scarpe, ecc.), rappresentata quest’ultima dalle figure ellissoidali. La “situazione di quiete” non manca perché c’è sempre qualcosa che rimane un po’ di tempo (una particella, una pietra, una pianta). Tuttavia queste situa54

L’istante è “limite del tempo” (pevra" crovnou): ARISTOTELE, Fisica IV, 222 a 12.

38 zioni stabili subiscono la precarietà del possibile cambio, per cui sono attraversate dalla linea continua del tempo, che a un certo punto esce dall’ellisse tramite un istante-limite, quando lo status è finito. Come si vede, sono possibili ellissi entro ellissi, in ogni varietà di combinazione: sorgono così forme svariate di simultaneità relativa, cioè confinate entro i limiti di un tempo comune (mentre si hanno le scarpe, si è in una stanza, ecc.). Ciò che unifica un tempo locale è l’andamento di un soggetto in un certo senso, andamento rappresentato dalla freccia (della quale parleremo nel in JS II, 12). La freccia potrebbe riferirsi, dunque, a un viaggio, all’arco di una vita umana o perfino all'evoluzione di tutto il cosmo. In ogni caso vi sarà sempre l’unità nella diversità, la continuità nella discontinuità, la durata nel divenire, il principio e la fine dei tratti finiti. Il diagramma potrebbe completarsi con diverse frecce a rete e con l’unificazione delle reti in comportamenti a loro volta più complessivi e unitari. È questa la grande complessità del tempo, molto più ricca ancora nell’intreccio della storia. Consideriamo più attentamente la natura dell’istante visto quale limite del continuo temporale. Attribuirgli un'eccessiva consistenza ontologica è fonte di paradossi. Si potrebbe obiettare, ad esempio, che il cambiamento istantaneo violerebbe il principio di non-contraddizione (“non si può essere e non essere nello stesso istante”): se un presidente assume la sua carica a partire da un momento preciso, si potrebbe dire che in quel momento egli è non-presidente (per l’ultimo attimo) e insieme è presidente (nel momento iniziale)?55.

non-presidente

presidente istante-limite

Sarebbe inadeguato voler risolvere il problema appellandosi a due istanti contigui, dal momento che in una teoria continuista del tempo tra due istanti ci sono infiniti istanti. Il problema non può giustificare l’abbandono del continuismo, ma neanche sarebbe vero sostenere che si diventa presidente “a poco a poco”, negando così la discontinuità. L’aporia nasce dal voler vedere nell’istante come un punto attuale, quando in realtà il limite di per sé non è nulla di fisico56. L'istante non è una parte o un pe55

Cfr. la discussione di quest’aporia a proposito dell’istante in cui il peccatore abbandona lo stato di colpa e simultaneamente riceve la grazia, in SAN TOMMASO D’AQUINO, De Veritate, q. 28, a. 2, ad. 10; q. 28, a. 9. Nel nostro cenno a Filopono in JS II rileveremo come il continuismo temporale diede ad Aristotele l’occasione di addurre un falso argomento in favore dell’eternità del tempo, in quanto ogni dato istante presupporrebbe infiniti istanti precedenti. Questo punto è matematicamente vero, ma tali istanti sono potenziali e non attuali, altrimenti niente potrebbe iniziare. Appunto perciò, nel contesto filosofico, anziché di istanti iniziali, talvolta risulta più chiaro e conveniente parlare di intervalli iniziali, anche riguardo a qualsiasi moto particolare. 56 Questo principio si può esprimere matematicamente dicendo che il tempo possiede la struttura matematica dei numeri reali (R) (cfr. MC I, 3.1), per cui ogni suo istante corrisponde a un numero

39 riodo temporale di "lunghezza nulla". Proprio per questo conviene rifiutarsi di enunciare il principio di non-contraddizione o di definire la simultaneità col ricorso all’istante, bastando il riferimento a periodi temporali. In modo analogo, il confine tra due paesi è semplicemente il limite dove finisce l’uno e incomincia l’altro, non una strana terra di nessuno dove ci sarebbero insieme due paesi. Qualcosa di simile si può dire rispetto ad un eventuale inizio assoluto del tempo. Se l’universo nasce in assoluto, il tempo=0 non significa un primo istante puntuale, se non come limite, per cui talvolta è più chiaro il riferimento a un primo periodo (primo secondo, prima ora, ecc.)57. Nel mondo fisico esistono reali cambiamenti discontinui (nascita, morte, inizio di un percorso o di uno stato), poiché la natura manifesta vere differenze qualitative. Questi cambiamenti sono nel tempo, in quanto sono situati in un mondo spaziotemporale continuo, ma non possono considerarsi come “infinitamente veloci” né come una sorta di realtà attuale. Il loro atto coincide col risultato stesso, senza mediazione (il “farsi” presidente coincide con il presidente “fatto”)58. L’ora di questi cambiamenti viene presa dai tempi del sistema continuo in cui accadono. Inoltre, le grandezze continue quali lo spazio, il moto e il tempo non possono essere misurate con esattezza assoluta proprio a causa della natura del continuo. L’istante limite non può essere determinato con una precisione esauriente, per cui ogni intervallo temporale è misurabile solo con approssimazione. Secondo i filosofi classici, la grandezza continua non era riducibile a un numero discreto. La fisica classica impiegava delle misurazioni con un’approssimazione infinitesimale, e l’istante diventava così un limite matematico infinitesimale. La fisica quantistica vi aggiunge l’elemento probabilistico della misurazione, affrontabile solo con metodi statistici. La misura del tempo quindi sarà sempre circondata da una regione di probabilità. L’approccio fisico-matematico contiene un risvolto di indeterminazione, superabile nell'approccio qualitativo. Non occorre misurare il tempo con un'esattezza infinita per sapere quando un viaggio è finito o quando una persona è nata o morta.

12. Tempo ciclico e tempo lineare Il tempo può essere visto come una relazione di ordine (prima-poi) e come misura (cfr. JS, II, 2). Si può anche considerare la sua topologia, che riguarda certe questioni di particolare interesse per la filosofia, come l’inizio e la fine, il suo carattere discreto o continuo (visto nel paragrafo precedente), la struttura di passato e futuro, la sua forma ciclica, aperta, arborescente, ecc. e infine la sua direzione59. Ci concentreremo adesso su queste ultime proprietà. reale (da infiniti decimali), anche se nella pratica possiamo operare solo con decimali finiti, cioè con numeri razionali (Q). 57 Cfr. Q. SMITH - L. NATHAN OAKLANDER, Time, Change and Freedom, cit., pp. 11-22. 58 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, De Veritate, q. 28, a. 9, ad 10. 59 Cfr. J. LADRIÈRE, Approche philosophique du concept du temps. Le temps cosmique et le temps vécu, in Temps et devenir, cit. pp. 301-304.

40 Come si presenta sul versante della direzione il tempo dell’esperienza quotidiana? L’incertezza su questa tematica è ragionevole, dal momento che la visione locale, messa a confronto col tempo cosmico universale, trova alla fine un limite invalicabile. D’altra parte, nel passaggio dai tempi locali a una concezione più universale s’introducono spesso elementi culturali (religiosi, filosofici e scientifici) che condizionano la visione popolare. Abbiamo innanzitutto l’esperienza prescientifica dell’andamento ciclico dei fenomeni naturali celesti e terrestri e dell’evoluzione lineare e aperta della vita dei singoli uomini. La storia umana considerata globalmente appare a tutti lineare e non ciclica. Cerchiamo di chiarificare questi concetti fondamentali. Il tempo ciclico o chiuso nasce dalla ripetizione degli stessi eventi o di una stessa catena (breve o lunga) di eventi. Può trattarsi di una ripetizione rigida oppure flessibile, che ammette piccole varianti di dettaglio complessivamente non importanti. Il tempo lineare o aperto comporta invece la produzione di eventi nuovi e non ripetuti. Una serie di eventi abcd-abcd-abcd…, presa da sola, senza rapporti esterni né variazioni interne, produce un tempo ciclico, mentre una serie come a-b-c… genera di per sé un tempo aperto, a meno che tutta la serie non incominci a ripetersi complessivamente. a b a d

b

c

c

Contiene il tempo ciclico una differenza tra passato e futuro? Per evitare malintesi verbali, si badi al carattere analogico della terminologia di passato, futuro, tempo. Il significato primario di quei termini (l’analogatum primum degli scolastici) deriva dal nostro tempo umano e storico. Il significato del termine futuro cambia se gli eventi sono fatali oppure progettati, determinati o indeterminati, ripetitivi o nuovi, e la nozione stessa di tempo viene alterata a seconda delle diverse modalità del divenire. I cicli ripetitivi, se fossero esattamente identici (un caso puramente ideale e a dir vero irreale), sarebbero indiscernibili e difficilmente creerebbero una differenza tra il prius e il posterius che possa meritare il nome di passato e futuro. Secondo alcuni autori, nel tempo ciclico si ritornerebbe nel passato (in quanto tutto torna a riprodursi come prima), ma proprio per questo motivo la differenza tra passato e futuro in tal caso scompare. Se questi cicli sono poi infiniti, il che è naturale per un tempo veramente ciclico e senza novità (poiché un primo ciclo in assoluto comporterebbe già qualcosa di nuovo), allora essi sono ancora più chiaramente indiscernibili, dal momento che non si saprebbe dove sta la differenza tra l’uno e l’altro, salvo che ci si richiami al tempo assoluto o che si faccia intervenire una coscienza temporale esterna e numerante, per porvi una differenza. Siamo comunque in un terreno troppo astratto o matematico ed è preferibile impostare la questione in una maniera più fisica.

41 Aristotele e altri filosofi antichi sostenevano una concezione ciclica del tempo, materializzata nei giri infiniti della volta celeste. I cieli sferici erano inalterabili e la loro rotazione uniforme li faceva perdurare eternamente. C’era un tempo in queste sfere giratorie perfette: ogni giro costituiva un tratto temporale finito. Questo tempo celeste serviva per misurare le variazioni del tempo terrestre, dove regnavano la vita e la morte e tutte le vicende umane, vale a dire i tempi storici. In questo senso la terra, con le sue piccole asimmetrie, veniva ad introdurre nel cosmo aristotelico una temporalità con passato e futuro. Il tempo astronomico serviva per misurare gli anni di un regno, ma il numero dei cicli astronomici, condizione per poter parlare di cicli passati e futuri, poteva essere indicato solo in rapporto agli avvenimenti terrestri. Se gli astri avevano un passato e un futuro relativi, ciò era dovuto alla terra e al suo tempo naturale-umano. Nonostante le variazioni terrestri, il cosmo aristotelico, platonico o stoico rimaneva complessivamente identico. La generazione dei viventi, la propagazione del genere umano e le vicende storiche venivano alla fine riassorbite nel grande ciclo. Per essere coerente, Aristotele fu costretto ad ammettere la tesi puramente teorica di una ripetizione ciclica di tutti i fenomeni terrestri, compresa la storia delle diverse civiltà. Dopo catastrofi naturali, l’uomo tornerebbe a reinventare le arti e le scienze. Le vicende umane scomparivano e poi venivano rieditate, rimanendo più o meno uguali, senza cambiare la topografia dell’insieme temporale. Di conseguenza, la storia diveniva insignificante. Nel cosmo ciclico aristotelico, come in quello di molti popoli antichi, non c’è un vero passato e un vero futuro. L'universo ciclico rimane identico a se stesso. Certi autori come Platone vedevano nell’eterno ritorno un’immagine dell’eternità divina. Noi riteniamo che esso rappresenti piuttosto una temporalità inerte e monotona. Prescindendo ora da argomentazioni empiriche o scientifiche, almeno possiamo lasciar da parte tale ipotesi con l’argomento, forse un po’ aprioristico, che la realtà non può essere così povera, o più povera di quanto la vita di ogni giorno ci dimostra. Un eterno ritorno dei processi fisici rassomiglia ben poco all’eternità di Dio, la quale comporta un contenuto di possesso di atto e di vita al di sopra del tempo delle mutazioni. L’eterno ritorno di tutto, come la figura del circolo, ci sembra in fondo un’astrazione della mente umana, ovvero il risultato di fermare col pensiero, nella ripetizione, la vera natura del divenire. Rimane la possibilità fisica di un tempo ciclico flessibile, cioè senza un’identità rigorosa tra i singoli cicli. Comunque, neanche in questo caso esisteranno un futuro e un passato veri. Immaginiamo, ad esempio, la serie delle quattro stagioni. Ciascuna di esse si può dire prima dell’altra, rispettando l’ordine consueto: inverno-primaveraestate-autunno. La primavera si potrà vedere come futura rispetto ad ogni inverno. Tuttavia, se la serie si ripete sempre identica a se stessa, non ci sarà modo di indicarvi un passato o futuro (la primavera è anche passata rispetto ad inverni precedenti). Il tempo chiuso manifesta una varietà solo locale, ma nel complesso niente si muove in esso. Il tempo in senso forte, con passato e futuro, non ha alcun significato in questa topologia e praticamente scompare. Come si vede, non basta che il passato e il futuro siano locali. Se non sono globali, essi scompaiono in quanto irrilevanti (questa idea è nucleare nel testo di Castagnino).

42 Nel mondo reale non ci sono tempi ciclici o tempi lineari allo stato puro, quanto piuttosto un misto dei due gruppi. L’importante è vedere quale di essi prevale e questo punto ovviamente decide tutto. Le ripetizioni naturali sono palesi e dimostrano di per sé una struttura nomologica, appunto perché le leggi fisiche comportano una regolarità del comportamento dei corpi. Le prime nozioni sulle leggi fisiche sono nate dall’osservazione della ricorrenza dei fenomeni astronomici. Se i cicli dovessero manifestare alla lunga variazioni importanti, non riconducibili a cicli più ampi, allora la loro successione diventerà alla fine un tempo aperto. A sua volta il tempo aperto, per esempio una successione di eventi abc, diventerà ciclico se dopo un certo periodo cominciasse a ripetersi. Su grande scala — e mantenendoci sempre a livello di conoscenza ordinaria — per avere qualche idea sul carattere chiuso o aperto della successione degli eventi occorrerebbe aspettare tempi lunghissimi, e neanche così si potrebbe arrivare a una soluzione definitiva. Il problema della topologia ciclica o lineare del tempo fisico può essere risolta solo a livello cosmologico globale. Dal momento che la nostra esperienza sarà sempre finita e locale, la questione è indecidibile in una maniera empirica, a meno che non ricorriamo a un altro genere di argomentazioni. Per esempio, siamo convinti che l’uomo produce con la sua libertà azioni veramente nuove, motivo per il quale vediamo la storia come una struttura temporale costitutivamente aperta. Dal punto di vista dell'esperienza comune e non scientifica, dunque, riguardo al dilemma del tempo chiuso oppure aperto della natura sembra che si possa dire soltanto quanto di ragionevole hanno visto gli antichi. Nella nostra breve esperienza il cosmo appare piuttosto stabile, ciclico e senza storia, mentre la vita umana si manifesta sempre aperta. La conoscenza ordinaria da sola si limita ad attestare l’apertura del tempo individuale della nostra esistenza e si vede superata — ma non appagata — di fronte a problemi quali il senso della storia o la struttura complessiva del cosmo. Per trascendere questi limiti si dovrà andare alle grandi cosmovisioni religiose o filosofiche, che sin dai tempi antichi hanno dato una risposta a tali problemi, e modernamente anche alle teorie scientifiche in rapporto alla questione cosmologica.

13. Apertura e direzione del tempo Il tempo si può dire aperto se è “orientato” verso la novità, alla quale chiamiamo futuro. Tutta la nostra esperienza è di tempo aperto: non abbiamo alcuna esperienza di un ritorno completo e uguale ai fatti precedenti. Questa direzione irreversibile del tempo verso il futuro (e mai verso il passato) viene spesso denominata freccia temporale. All’immagine della linea del tempo si aggiunge un senso preferenziale. Un punto in una retta determina due sensi simmetrici: verso la destra e verso la sinistra. In mancanza di punti di riferimento asimmetrici, non esiste alcun criterio per distinguere la destra dalla sinistra. Potremo parlare allora soltanto di due sensi opposti, e chiameremo convenzionalmente l’uno destra e l’altro sinistra o, se vogliamo, l’uno positivo e l’altro negativo. Nella realtà fisica non abbiamo problemi seri per la distinzione destra-sinistra, poiché il mondo naturale non è simmetrico a livello locale (a livello globale la questione va affrontata scientificamente). Anche giù-su sono sen-

43 si opposti che significano nella percezione comune ciò che sta al di sotto o al di sopra delle nostre teste, o ciò verso cui cadono i corpi e il senso contrario (perciò gli astronauti nello spazio non possono parlare significativamente di un su-giù della loro navicella rispetto allo spazio). In definitiva, i sensi spaziali sono geometricamente simmetrici, ma fisicamente sorgono delle asimmetrie che danno un significato fisico alle parole impiegate per nominarle. In geometria non ha senso parlare di su-giù, davantidietro, destra-sinistra. Queste tre direzioni dello spazio tridimensionale in cui viviamo sono relative a qualsiasi corpo e alla prospettiva emersa dalla sua posizione in una determinata cornice cosmologica. Esse nascono specialmente dalla prospettiva collegata al nostro corpo senziente. Il tempo dell’esperienza ordinaria, invece, pur nascendo dal movimento che spesso è reversibile, risulta del tutto irreversibile, cioè possiede una direzione univoca. Si potrà studiare qual è concretamente tale direzione, ma è ovvio che non si ritorna mai nel passato60. Nel contesto della scienza moderna la problematica della freccia del tempo acquista un profilo molto specifico che verrà considerato da Castagnino e da noi in JS II. In questa sezione ci limiteremo a qualche accenno fondamentale. Il tempo ciclico può in un certo senso avere una direzione, dal momento che l’ordine successivo degli eventi risulta specifico (abcd anziché acdb o altro), ma in realtà non è “orientato” a causa della sua chiusura61. La terminologia moderna riserva il nome di direzione a quella del tempo aperto. Chiamando inoltre tempo al tempo in senso forte (passato/futuro con novità vera), come è solito in molti autori, si conclude che in un cosmo puramente ripetitivo il vero tempo scompare. Ora, i filosofi contrari alla realtà del tempo (forte) sono spesso attaccati alla concezione temporale ciclica, o almeno a qualsiasi interpretazione fisica dove il tempo risulti marginale e irrilevante. Ovviamente ci sono molti modi di ridurre la freccia temporale a un'illusione soggettiva o a un punto di vista meramente locale. In JS II vedremo come un certo modo di interpretare le leggi fisiche, viste come il predominio dell’identità nei processi naturali, comporta l’eliminazione dell’asimmetria tra passato e futuro. La riduzione del tempo a un’attualità tutta compiuta porta altresì all’emarginazione del tempo, ridotto in questo caso alla prospettiva locale dell'osservatore. Anche le filosofie del divenire infinito e senza ordine (come l’epicureismo) privano al tempo di un orientamento, e così non possono evitare di diminuirne l’importanza. Un futuro qualsiasi, caotico e totalmente indeterminato, non corrisponde al concetto di freccia temporale. Consideriamo ora diverse possibilità teoriche riguardo al senso in cui si potrebbe parlare di frecce temporali in seno alla natura. Nel mondo fisico vi sono sequenze ordinate di eventi in forma di cicli successivi quali abc-abc-abc…, all’interno dei quali si producono delle variazioni non cicliche (per esempio accidentali o saltuarie), come abc-a1bc-abc1, ecc. Se queste ultime vengono riassorbite a lungo andare, il ciclo prevale. Se invece le variazioni rompono il ciclo o ne provocano una ristrutturazione, allora domina il tempo lineare e si può parlare di freccia, cioè di una novità che 60

Non solo nel senso contraddittorio considerato quando parlavamo dei viaggi nel tempo, ma anche perché i fatti passati completi non tornano mai a ripetersi: le ripetizioni sono sempre arricchite da alcune novità. 61 A questo punto può essere utile la distinzione avanzata da Reichenbach tra ordine e direzione del tempo (cfr. JS II, 6). Il tempo chiuso possiede un ordine, ma è privo di direzione.

44 finisce per imporsi. In questo caso è solito ricorrere in maniera analogica al termine storia (storia naturale, storia del cosmo, storia umana). Un elemento importante in questo schema è l’ordine. Normalmente non abbiamo a che fare solo con successioni abc, bensì con sistemi costituiti da diversi elementi interattivi. Se queste interazioni sono caotiche, senza cioè un particolare ordine preferenziale (per esempio una mescolanza “indifferente” di lettere a, b, c, d, senza legami particolari), nonostante le continue modifiche, in realtà non cambia niente (non c’è una “storia”, ma un semplice rimescolamento dello stesso impianto). Invece può succedere che a un certo punto si crei un legame particolare costante, per esempio se si produce un’unione permanente tra le lettere bd. Allora è apparsa una freccia o una vera direzione verso l’ordine. La possibilità inversa è anche concepibile: la disorganizzazione. Nei sistemi più complessi, la via verso il disordine non è l’inversione esatta della via verso l’ordine, poiché l’ordine si costruisce ordinatamente, mentre la perdita dell’ordine è in se stessa disordinata (il crollo di un edificio non è il movimento rovesciato della sua costruzione). Così la freccia del tempo può puntare verso nuovi ordini (freccia evolutiva, costruttiva, di maturazione, ecc.), oppure verso il disordine (freccia della decadenza, vecchiaia, morte, ecc.). La creazione di un tipo di ordine può condizionare la comparsa di ulteriori ordini. Se ciò avviene nel gioco tra diverse possibilità, senza dirigersi necessariamente verso un unico tipo di ordine, allora si è introdotto un nuovo aspetto della freccia temporale: l’elemento dell’indeterminazione. Il futuro si delinea in questo caso come l’orizzonte delle novità non previste o creative. Avremo così, anziché una freccia lineare, una serie di biforcazioni molteplici. Man mano nascono nuovi ordini, ne seguono certe conseguenze, le quali aprono nuove possibilità, quindi nuovi ordini, e così via. Quest’ultima descrizione naturalmente si applica alla storia umana (e al tempo aperto così come viene proposto da Popper). Un sistema poi nel quale sui vecchi ordini se ne costruiscono via via dei nuovi è un sistema complesso, con diverse frecce ramificate e situate a diversi livelli. Il “tempo indeterminista” è l’analogato forte della comune nozione di tempo. Il tempo, infatti, nella sua comune accezione presuppone il futuro aperto e molto particolarmente l’orizzonte della libertà umana. Nel tempo umano, tempo della libertà, il futuro non è scontato, ma è ancora da decidere. Un futuro già predeterminato nel passato ha meno ragione di futuro. Un avvenire fatale risulta simmetrico col passato, in quanto entrambi sono irrevocabili. Il futuro indeterminato e non necessario (nell’esempio aristotelico: domani ci sarà o non ci sarà una battaglia navale) è asimmetrico rispetto al passato (la battaglia navale di ieri ormai è diventata assoluta). D’altronde, il determinismo può intrecciarsi con l’indeterminismo: sono concepibili infatti diverse vie flessibili per arrivare a un risultato comune e determinato, e in un quadro genericamente determinista ci possono essere delle variazioni indeterminate. Le biforcazioni formerebbero sotto-sistemi e bisognerà poi vedere se c’è una direzione del tutto. Un ulteriore elemento da tener presente nel concetto della freccia temporale è il finalismo. L’immagine della freccia suggerisce la tendenza verso qualcosa. La nascita dell’ordine può essere spontanea, oppure prevista da leggi, ma anche programmata da agenti intenzionali. Il vivente si rapporta al futuro con aspettative: egli persegue certi

45 fini, lotta per sopravvivere ed evita pericoli e rischi in funzione dei suoi fini biologici. La vita dell’uomo e la storia dell’umanità sono partecipi di una freccia naturale (la storia della natura e della vita) e ne aggiungono la direzione emersa dai progetti umani, nell’intreccio con le necessità naturali. Nel progetto l’uomo decide di imprimere una certa direzione al tempo, a seconda delle possibilità offertegli dalla natura e dalla sua situazione storica. Da quanto esposto si possono vedere diverse possibilità di topologie temporali: 1) Tempo chiuso: è determinista e dotato di un ordine statico. Non gode di un vero passato e futuro. Ammette variazioni accidentali, ma prevale l’identità, la costanza di una legge (mondo identico a se stesso: filosofie dell’identità, monismo). 2) Tempo aperto senza ordine: indeterminista, caotico. Le sue variazioni sono senza senso (per esempio, moltiplicazione senza sosta di universi epicurei). Vi manca un indirizzo. 3) Tempo naturale aperto verso l’ordine (o verso il disordine, come possibilità contraria): contiene una vera direzione e può essere inteso in modo determinista o indeterminista. Manifesta una finalità naturale. Un esempio di apertura verso l’ordine è l'universo evolutivo. Tendenza verso il disordine, come vedremo, corrisponde nella scienza alla “freccia termodinamica” (aumento di entropia nei sistemi chiusi). La crescita nell’ordine potrebbe essere d’altronde indefinita, oppure culminare in una forma definitiva. 4) Tempo aperto libero: il futuro è deciso o almeno influenzato dalla volontà umana. La libertà introduce un finalismo intenzionale e può produrre ordine o disordine. Globalmente questo tempo crea la storia. La domanda ulteriore è se la storia continuerà in un'apertura indefinita oppure se arriverà a una culminazione o situazione definitiva (cfr. JS III). L’arrivo a tale situazione, sia positiva che negativa, pone un punto finale alla freccia. A partire da quel momento si passa a uno statuto “eterno” dove il tempo acquista un altro senso (esso non è più orientato verso un futuro da raggiungere). Queste divisioni s’intrecciano nel corso del tempo generale della natura e dell’uomo. Per esempio, un settore con un’apparente temporalità di tipo 1 potrebbe essere incorporato in un tempo 2, o al contrario un apparente tempo 2 potrebbe dar luogo a un certo punto a un tempo 3, entro il quale poi subentrerebbe un tempo 4. Alla fine però il tempo 4 potrebbe soccombere in un tempo 3 verso il disordine e quest’ultimo finirebbe in un tempo 2 o addirittura in un tempo 1. A scopo di chiarezza, noi stiamo parlando in queste pagine soltanto di possibilità puramente formali, le cui esemplificazioni si troveranno nelle proposte di molti filosofi o in certi dibattiti cosmologici. Ovviamente più avanti nel nostro studio daremo una risposta di fondo al problema filosofico fondamentale della direzione del tempo dell'universo. Vista inoltre la complessità del tempo direzionale, sempre più evidente nell’attuale visione scientifica, com’è naturale si pone il problema dell’unificazione dei tempi. La domanda è: esiste una direzione unitaria del tempo dell’universo, oppure bisogna mantenere un irriducibile pluralismo dei tempi settoriali? Affronteremo questi interrogativi in JS II. Pur senza risolvere ancora i problemi accennati, l’intreccio dei diversi sensi del tempo è ovvio, un intreccio diacronico-sincronico legato alla progressiva complessità

46 delle cose naturali. Nell’universo vi sono cicli entro cicli, cicli relativi che poi si aprono, biforcazioni, aperture che poi si chiudono, ecc. Una realtà temporale così articolata rispecchia, in definitiva, la grande complessità del mondo reale. Risulta suggestiva in questa cornice la tesi di Fraser già menzionata della stratificazione dei diversi tipi di temporalità. Non sono identiche infatti le caratteristiche della temporalità nell’ambito microfisico, cosmologico, biologico, umano personale, sociale, ecc. Non è propriamente che ci siano diversi tempi fisici, ma piuttosto l’unico tempo fisico viene diversamente assunto (integrato, elevato, dominato) negli esseri eterogenei. L’esistenza umana incorpora così a un livello più alto la temporalità biologica, mentre quest’ultima immette un nuovo senso nella temporalità complessiva del cosmo inorganico, la quale a sua volta assume ed eleva la temporalità più dispersiva dei livelli elementari della realtà fisica62. Nell’indagine filosofica la domanda fondamentale è: contiene tutto l’universo una direzione temporale oppure rimane identico a se stesso? Quali conseguenze ne seguono per il senso della vita umana? D’altronde, se viene affermata l’esistenza di un orientamento temporale cosmologico di fondo, si prospetta subito la questione dell’inizio e della fine. Una direzione specifica comporta un’origine e una fine (culminazione, distruzione o semplice perpetuità?). Il dibattito filosofico si gioca spesso tra “temporalisti” e “eternisti”. Queste due posizioni contrastanti possono tuttavia assumere un significato ontologico e antropologico molto diverso nei singoli autori. Lo schema cosmico temporale di Tommaso d’Aquino (e di molti altri autori cristiani antichi e medievali), ad esempio, viene indicato nella figura adiacente. La storia umana procedeva in questo schema al di sopra delle sequenze senza fine dei cicli astronomici, mentre le variazioni irregolari terrestri (terremoti, inondazioni) non consentivano di prevedere una storia della natura. San Tommaso, aristotelico cristiano, fa però attraversare tutti i cicli dalla freccia della storia della salvezza. I cicli naturali cominciarono con la creazione del mondo e dureranno sino alla fine dei tempi, accompagnando la storia dell'uomo. Veniva così superato, grazie a una teologia della storia, il predominio del tempo circolare della natura. La scienza moderna, tuttavia, svelerà il carattere storico della stessa natura.

Freccia storica e cicli naturali In conclusione, nella percezione prescientifica il tempo naturale appare fondamentalmente ciclico a causa dell’ignoranza dei fenomeni evolutivi astrofisici e biologici, mentre il tempo umano si mostra aperto (storia). La direzione della storia non è 62

Cfr. J.T. FRASER, The Genesis and Evolution of Time, cit., pp. 19-36. Secondo Fraser, la vera freccia del tempo comincia con la vita. Nella sezione dedicata alla scienza e in JS II vedremo come tutta la natura fisica manifesta un orientamento temporale.

47 comunque evidente e la sua ultima direzione appare molto problematica anche per la riflessione filosofica. In altre parole, le grandi questioni della macrotemporalità (tempo del cosmo, senso ultimo della storia, inizio e fine del tempo) sfuggono alla conoscenza comune e vengono affrontate, non senza problemi e misteri, dalla cosmologia scientifica, dalla filosofia e dalla visione teologica della storia.

14. Le caratteristiche del tempo naturale A modo di ricapitolazione, indicheremo adesso alcune delle caratteristiche fondamentali del tempo naturale che sono emerse nella nostra analisi fenomenologica e ontologica: a) Il tempo nasce dal dispiegarsi di un prima e poi nel mutamento e include sia la relazione di ordine successiva che la durata dell’essere mutevole. Il tempo è di un sistema di cose e non di una realtà semplice, per cui contiene insieme durata, successione e una simultaneità relativa. b) L’uomo misura i tempi in base a certi moti naturali. L’orologio applica il tempo di un moto per misurare altri tempi. Il tempo inteso come misura (tempo oggettivato) dipende dalla ragione umana. Il tempo oggettivo e un’attualità pensata atemporale. Le divisioni umane del tempo stanno alla base della temporalità culturale. c) Il tempo è una quantità continua (numerus motus, secondo Aristotele) non misurabile con assoluta precisione. L’istante, limite dei tempi finiti, è collegato ai transiti discontinui. Solo gli intervalli temporali sono determinabili, non gli istanti precisi. L’inizio del tempo è un primo istante-limite oppure un primo intervallo di tempo. d) L’attualità in flusso dell’essere mutevole è il presente naturale, che divide il prima come passato dal dopo come futuro. Il presente è spesso inteso come l’adesso della coscienza umana in quanto partecipa all’attualità del mondo in divenire. Il presente psicologico dura un tratto di tempo. L’uomo è nel tempo e sopra il tempo a causa della sua struttura di corpo e anima spirituale. e) Solo il presente è veramente: né il passato né il futuro sono in atto. Un reale viaggio nel tempo è contraddittorio. Il tempo come passaggio rivela la precarietà ontologica dell’essere fisico. Il tempo degli atti immanenti dell’uomo (coscienza, memoria, atti spirituali) supera il “puro transito” temporale. f) La simultaneità degli eventi (tempo comune) nasce dalla misura del tempo di un sistema di riferimento in rapporto ai suoi elementi. Possono essere relativamente simultanee cose, eventi o tratti di tempo. g) L’unità del tempo naturale dell’esperienza umana è il sistema terrestre, da cui nasce il tempo naturale-umano, locale ma reale. Il tempo umano è psicobiologico ed è coordinato con i tempi della natura. h) Il tempo ciclico, costituito da sequenze ripetitive, elimina la distinzione tra passato e futuro. Le sequenze con novità aprono il tempo. Soltanto un tempo aperto con ordine (=freccia) crea un futuro, specialmente se l’apertura include una certa in-

48 determinazione. Il tempo aperto si presenta alla percezione comune nella storia e in parte nel tempo naturale-umano. i) I tempi nei diversi livelli ontologici sono intrecciati e hanno una topologia complessa. Il tempo acquista nuove proprietà nei gradi più elevati dell’essere naturale. Ciò che conta è il tipo di tempo che prevarrà finalmente nel cosmo e nell’uomo. Sulla topologia macrotemporale globale sono competenti la cosmologia, la filosofia e, sul piano della fede cristiana, la teologia della storia. Dunque il tempo naturale dell’esperienza comune possiede tra l’altro le seguenti note: — Unitario, benché locale: esiste una pluralità di tempi propri, ma il coordinamento causale tra gli eventi li accomuna tutti nel tempo naturale-umano, cioè nel cosmo dato alla nostra esperienza ordinaria. La teoria della relatività speciale dimostra che il tempo naturale-umano è locale. Non c’è un unico presente per tutto l'universo. — Inarrestabile: non abbiamo esperienze di situazioni fisiche assolutamente stabili. Qualsiasi entità del mondo è sempre in movimento e tutto quanto vediamo è in continua trasformazione. Di qui l’impressione vera del passare inarrestabile del tempo. — Sempre in ritardo: ogni processo causale comunicativo impiega un tratto di tempo. Il presente psicologico include un ritardo (trascurabile su scala terrestre), precisamente perché l’essere sensibile è sempre di passaggio. — Finito e continuo: la nostra esperienza ricade su tempi finiti, che iniziano e finiscono. Ogni tentativo di misurare il tempo con totale esattezza urta contro la sua continuità in flusso. — Transitivo: il tempo esprime l'ineliminabile “passare” della realtà fisica. Nel mondo fisico vi sono situazioni stabili, ma sempre in transito. Il mondo materiale, dunque, non possiede completamente se stesso (il passato è irrecuperabile). Soltanto il pensiero, più elevato dell’atto temporale, riesce a “fermare” questo transito. — Ricorrente: il tempo della natura si presenta alla percezione comune come regolare, in maniera indefinita ma non necessariamente eterna. Tale regolarità consente la misurazione temporale degli eventi storici, ma a sua volta la storia e le variazioni rompono la simmetria regolare, introducendo un passato e un futuro. — Aperto: le vicende umane e la variazioni biologiche e terrestri aprono il tempo, creando un futuro che riserva sempre qualche novità non prevista. Il tempo naturale-umano costituisce la base del tempo storico dell’uomo. La conoscenza ordinaria non consente di determinare con chiarezza l’orientamento definitivo della freccia globale del tempo.

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Capitolo secondo

Filosofia del tempo e concezione fisica 15. Tempo, eternità e cicli negli antichi Considereremo in questo capitolo la tematica della temporalità nell’ottica della fisica e della filosofia, nella misura in cui entrambe hanno dato piede a un’interpretazione metafisica del tempo. Adotteremo uno schema relativamente storico, in maniera però flessibile, mirando a privilegiare alcune delle idee più rilevanti per la nostra prospettiva e senza l’intenzione di svolgere uno studio storiografico 63. Questa parte sarà convergente in alcune pagine con la sezione scientifica e in qualche modo intenderà esserne un commento. Inoltre essa aiuterà a capire meglio, come speriamo, quanto si è visto in JS I e ne sarà una specie di illustrazione e di conferma. Intendiamo seguire, in definitiva, una metodologia induttiva di presentazione graduale dei problemi filosofici al lettore. Così abbiamo fatto nel capitolo precedente nell'esposizione tematica, mentre adesso conviene fare altrettanto per quanto riguarda la progressiva presa di coscienza delle questioni filosofiche emerse in occasione dello sviluppo della fisica. La parte scientifica di questo studio impiega invece un metodo espositivo assiomatico, sempre con un intento didattico. I due metodi sono complementari e si rivelano efficaci nel dialogo interdisciplinare che abbiamo intrapreso. Il nostro primo sguardo, dunque, si rivolgerà alla cosmovisione dell'Antichità. Il primo approccio filosofico e scientifico alla natura, e quindi al tempo, si attribuisce normalmente ai Greci, anche se vi sono precedenti e abbozzi di una cultura scientifica in altre civiltà (intendendo scienza in senso lato), mentre d’altra parte neppure il sapere greco è rimasto libero dalle aderenze mitologiche caratteristiche dell’Antichità. In particolare, nell’incontro religioso e filosofico-scientifico con la natura, sin dall’inizio l’uomo ha avuto un’esperienza di superamento del tempo e un’intuizione dell’eternità64. Anzi ciò che interessa agli antichi (il che è veramente notevole) è proprio l’eterno (aijwvn), sia esso Dio, Natura o Intelletto, mentre il tempo viene visto di solito come una forma fuggitiva e provvisoria dell’esistenza, iscritta nell’eternità. Non si può considerare presso gli antichi il tempo in maniera isolata, ma bisogna sempre rapportarlo al binomio tempo-eternità. Dal modo di affrontare tale binomio, metafisico, cosmologico e religioso, sia nei miti che nella filosofia, seguono conse-

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Non affronteremo la speculazione sul tempo di filosofi moderni quali Hegel, Husserl, Heidegger, Hartmann (specialmente dell’area fenomenologica ed esistenzialista), per non allungare la nostra esposizione e anche perché l’impostazione di questi autori non corrisponde al nostro approccio filosofico naturale. 64 Cfr. sul tema, tra altri studi, R. MONDOLFO, L’infinito nel pensiero dell’Antichità Classica, La Nuova Italia, Firenze 1967, pp. 47-182.

50 guenze che caratterizzano l’atteggiamento profondo dell’uomo e della cultura di fronte alla vita. Una simile esperienza pervade tutta la cultura greca, come del resto si trova in molte altre culture antiche precristiane, in un intreccio di cosmologia, metafisica, teologia e altre istanze, ma sempre con un peculiare accento cosmologico. L’idea dell’origine è ricorrente nei miti: origine della natura e del cosmo, degli dèi, dell’uomo e della civiltà. È difficile spiegare perché sono talmente universali presso gli antichi le idee dell’origine (di tutto) e dell’eternità, così lontane dall’esperienza quotidiana. Lo sguardo torna verso il passato nel mito, un passato in qualche modo sopratemporale e destinato a spiegare la stabilità dei tempi che corrono. Predominante in questo quadro è una visione organica dell’universo, spesso animato da forze vitali antagonistiche. La morte, in questo senso, fa parte del grande ciclo della vita. Al di sopra della vita mortale degli uomini vi sono forme immortali di vita (divinità, eroi, astri), oppure vite soggette a perpetue rinascite (come la trasmigrazione delle anime). Una cornice generale dello scenario cosmico, in molte di queste concezioni, è la ricorrenza di cicli eterni, certamente suggerita dai fenomeni naturali come il ritmo giorno-notte e le stagioni. Sono questi cicli a produrre le forme temporali più particolari, ponendole e sottraendole in continuazione. Sfumature di queste cosmovisioni le troveremo in tutto l’Oriente65 (non solo, come forse è più noto, nella cultura indiana, così fortemente contrassegnata dalla concezione circolare dei tempi), nelle civiltà americane precolombiane, nonché nei filosofi greci e romani: presocratici, platonici, stoici, neoplatonici, ecc. L’aijwvn, l’eterno (sempiterno, eviterno) è la durata interminabile, compatibile con i continui cambiamenti. In Anassimandro il tempo aionico è l’alternarsi costante nell’universo di generazioni e corruzioni cicliche, con una durata eterna indeterminata o infinita (ejx ajpeivrou aijw§no")66. Anassimene parla invece di un “movimento dell’eterno” (kivnhsin ejx aijw§no")67. Ciò che è eterno è la materia in tutte le sue trasformazioni, ma anche il principio regolatore del divenire, come il Lógos di Eraclito o l’Intelletto di Anassagora. In Platone la nozione di eternità venne purificata e resa più metafisica. Essa non corrisponde al prolungamento infinito del tempo (l'indefinito alternarsi del “prima” e “poi”), ciò che appartiene piuttosto all’estraniarsi del divenire, bensì al mondo noetico dell’intelligibile, di cui il mondo fisico non è che un’immagine pervasa di ombre. La scienza, come aveva visto Parmenide, è la via verso ciò che è, al di fuori di quello che “fu” o che “sarà”. La scienza è quindi intesa come una maniera di catturare con l’intelletto l’eternamente identico a sé stesso, ciò che è semplicemente e senza krovno", senza il continuo essere generati e distrutti proprio del mondo percepito dai sensi (krovno", come nel mito, uccide i propri figli). L’eterno è un eij;do" trascendente che 65

Negli Egizi, il mito dell’eterno ritorno riveste la figura del Sole che rinasce ringiovanito ogni giorno, dopo aver vinto le forze delle tenebre. Simile è l’antico mito solare messicano, riferito al ciclo annuale del Sole. Il primo sguardo alla natura rende molto naturale la cosmovisione ciclica. 66 H. DIELS - W. KRANZ, Die Fragmente der Vorsokratiker, Berlin 19516, I, 83, 31. 67 Ibidem, I, 91, 28. Evo ed eterno si possono prendere come sinonimi. Nella filosofia medievale l’evo connoterà la durata delle creature non soggette a corruzione. San Tommaso applica tale nozione all'esistenza perpetua degli Angeli.

51 funge da modello perfetto per regolare le vicissitudini dell’inquieto mondo della materia. La matematica porta secondo Platone a un ambito di stabilità ormai non sottoposto al mutamento. La matematica sorregge la perfetta regolarità del mondo astrale. Il tempo e il moto dipendono dai numeri e perciò sono legati all’intelletto numerante. La perfezione dell’Idea ben si accorda dunque con la sua quasi incarnazione nel mondo astrale, e così tutto il tempo dipende in definitiva, in Platone, come del resto presso tutti gli antichi, dal macro-tempo astronomico, il grande regolatore della terra e l’orologio perfetto. Il tempo astrale procede dal moto ciclico, un moto perfettamente circolare e uniforme. Il tempo originario quindi è il ritmo prima-dopo dei moti della sfera celeste, rotante su se stessa, «immagine mobile dell’eternità (eijkw;...kinhtovn tina aijwflno")»68 che «procede secondo il numero»69. Giorni, notti, anni «sono forme del tempo che imita l’eternità e si muove in giro secondo il numero»70. Tutti i corpi celesti misurano i loro tempi con numeri, anzi furono fatti «per distinguere e guardare i numeri del tempo»71. Tutti i tempi astrali sono coordinati nell’unico cosmo, regolato dal tempo del Grande Anno, ciclo universale in cui tutti i corpi celesti ritornano esattamente alle loro primitive posizioni di partenza72: «Il numero perfetto del tempo compie l’anno perfetto»73. Così Dio (il Demiurgo), secondo Platone, contemplando la realtà assoluta delle Idee, per liberale generosità ha voluto farne l’immagine più perfetta possibile, plasmando al contempo l’Anima eterna nel cosmo in divenire. L’Anima mundi ne assicura l’armonia numerica, introducendo nel tempo la regolarità dell’identico, sebbene il puro prima-poi, senza numero, sarebbe di per sé l’alienazione nel diverso. Platone dunque, come più tardi faranno Plotino e Agostino, sostiene una concezione derivata del tempo. Il tempo nasce con la nascita del mondo. «Il tempo dunque fu fatto insieme col cielo, affinché, generati insieme, anche insieme si dissolvano, se mai a loro avvenga qualche dissoluzione»74. La nascita del tempo è necessaria perché ciò che diviene per natura è nato75. La nascita del cosmo procede dal disordine caotico della materia pura, nella quale subentra un ordine nuovo proveniente dall’alto76. L’eventuale dissoluzione sarebbe dovuta al fatto che la regolarità nel sensibile non è perfetta77, per cui nel mondo si potrebbe

68

Cfr. Timeo, 37 d (PLATONE, Opere complete, Laterza, Roma-Bari 1987, vol. 6). Ibidem. 70 Ibidem, 38 a. 71 Ibidem, 38 c. 72 La concezione del Grande Anno (calcolato da alcuni della durata tra 10.000 e 15.000 anni solari), frequente presso gli antichi e specialmente nei pitagorici e negli stoici, è la materializzazione astronomica dell’idea dell’eterno ritorno. 73 Ibidem, 39 d. 74 Ibidem, 38 b. 75 Cfr. ibidem, 28 c. L’equazione è rigorosa: tutto ciò che è fisico nasce; soltanto ciò che è intelligibile non nasce ed è eterno. 76 Cfr. ibidem, 30 a. 77 Cfr. ibidem, 22 c. 69

52 infiltrare il graduale disordine distruttivo78, e anche perché ciò che nasce poi muore. Platone, comunque, non ha detto esplicitamente che i cieli dovrebbero perire, come invece insegnarono gli stoici. Egli pensava piuttosto, al pari di Aristotele, a periodiche catastrofi nel nostro pianeta, che impedirebbero lo stabilirsi di una storia (la civiltà doveva rigenerarsi di continuo). Egli ritenne tuttavia che il cosmo, benché iniziato e potendo dissolversi, non lo farebbe mai a causa della volontà buona del suo Padre artefice79. Col racconto “ipotetico” della nascita del mondo nel Timeo, profondo anche se impregnato di elementi mitologici e fantasiosi voluti apposta, Platone riesce quasi a liberarsi dall’idea dell’eterno ritorno. In Aristotele il mondo della natura presenta una maggiore stabilità nel suo possesso immanente di forme perenni. Non solo i cieli, ma anche le specie terrestri sono eterne. Nella sua opera Del Cielo egli nega, contro i presocratici, che il cosmo si generi e si distrugga periodicamente. Il cosmo e il tempo sono sempiterni80. La concezione di fondo è perfettamente ciclica: «il tempo stesso sembra, in qualche modo, essere un circolo»81. Il girare degli astri non si esaurisce mai: «è necessario, allora, che ci sia sempre un tempo»82. Animato da intelligenze immanenti, il cosmo gira su se stesso da sempre e per sempre, mosso dal primo motore immobile e in un rapporto di imitazione rispetto all’eterna vita divina. L’unità del tempo cosmico deriva dal moto del “primo cielo” (l’ultima sfera del cosmo), per cui il suo tempo “proprio” serve da misura degli altri tempi derivati. Il tempo eterno astrale costituisce così la misura dei tempi terrestri che iniziano e finiscono. L’unico filosofo a sostenere la nascita del tempo, dichiara Aristotele quasi con sorpresa, fu Platone (egli non poteva immaginare che così lo rendeva molto affine alle nostre cosmologie scientifiche)83. «Soltanto Platone lo fa nascere [il tempo]; egli asserisce che esso è nato in uno col cielo, e che il cielo è stato generato»84. Più razionalista, Aristotele non comprendeva lo stato di un caos primitivo prolungato in eterno in dietro, e perché mai a un certo punto Dio dovrebbe decidersi a configurarlo. Inoltre

78

Cfr. Il Politico, 273 b-d. Questa tesi comporta una spiegazione dualistica dell’origine del male. Dopo la “creazione” del cosmo, Dio si rivolge in un suo discorso agli dèi minori (tutti generati dal Demiurgo: intelligenze astrali e altri): «O dèi, figli di dèi, io sono il vostro artefice e padre, e le cose generate per mezzo mio non sono dissolubili, se io non lo voglio» (Timeo, 41 a). 80 Cfr. Del Cielo, 270 b 1; 270 b 20-25: aijqhvr, etere (la sostanza celeste), osserva Aristotele, deriva da ajei qei§n, corre sempre. Il cielo «corre sempre nell’eternità del tempo» (ARISTOTELE, Del Cielo, 270 b 24, in, Opere complete, Laterza, Roma-Bari 1987, vol. 3). 81 Fisica, 223 b 29: kaijj gavr oJ crovno" aujtov" dokeifl kuvklo" ti". Circolo, comunque, eternamente causato: «il primo motore muove secondo un eterno movimento e in un tempo infinito» (ARISTOTELE, Fisica, 267 b 25, in, Opere complete, cit., vol. 3). 82 Fisica, 251 b 21: ajnavgkh ajei eiflnai crovnon. 83 I platonici pagani interpretarono l’origine del tempo del Timeo in modo allegorico, tranne alcune eccezioni (come Plutarco). I teologi cristiani dei primi secoli vedevano con simpatia le tesi di questo dialogo sull’origine del cosmo, in quanto potevano avvicinarsi al testo del Genesi, se viene tralasciata la parte mitologica e il presupposto dell’eternità della materia. Il Timeo è un autentico “racconto della creazione del mondo” (non dal nulla, ma da un indeterminato non-essere, concepito oscuramente come situazione informe o come spazio puro). 84 Fisica, 251 b 17-18. 79

53 ciò che si forma si può ugualmente dissolvere85, e ad Aristotele probabilmente non convinceva l’idea che il mondo dovesse essere conservato dalla sola benevolenza di Dio. Se il cosmo era indistruttibile, doveva esserlo per virtù propria, sia pure in dipendenza dall’eternità divina86. Nella visione platonica e aristotelica, in definitiva, il tempo circolare appare nella sua perfetta regolarità come un modo di essere immortale, ma parimenti “degradato”, cioè come una maniera partecipata di rapportarsi all’eternità di Dio (vita e intelligenza eterna). Il cielo è in Aristotele una sorta di forma vivente, anzi intelligente e che desidera, nella sua temporalità ciclica, di esistere per sempre (appunto in modo ciclico), a imitazione del suo oggetto di contemplazione che è Dio. La ricorrente armonia cosmica è una manifestazione di divinità. Nel suo grande circolo, la Natura ritorna su se stessa e contiene così una certa immanenza ontologica, rapportata alla trascendenza di Dio. I tempi astrali dunque sono divini e inoltre essi reggono i tempi terrestri, nei quali alla fine prevalgono i cicli senza storia87. Sulla scia del platonismo aristotelico, nessun altro filosofo antico ha saputo teorizzare come Plotino il rapporto tempo-eternità88. Nella sua concezione, il tempo cosmologico è numerato poiché è la vita dell’Anima del mondo, che passa da uno stato ad altro è così fonda la necessità del pensiero discorsivo. Lo spostamento plotiniano del tempo all’Anima non è psicologico, come in Agostino, bensì vitalista o naturalista, comportando una correzione di fondo di Aristotele e di Platone. Per Plotino il tempo è la vita stessa dell’anima (l’Anima della Natura) e non una pura “conseguenza” del moto, così come l’eternità è la vita dell’Intelligenza-Essere assoluto (noufl")89. Il tempo diventa la struttura teleologica della natura orientata verso il futuro cosmico90. L’Anima Mundi, desiderando l’eternità, diffonde se stessa nella natura e la temporalizza91. 85

Cfr. Del Cielo, 279 b 20. Cfr. Del Cielo, 284 a 20-25. 87 Cfr. ARISTOTELE, Della generazione e della corruzione, 336 b 25 - 337 a 5. 88 Cfr. Enneadi, III, 7. 89 «Nell’atto dell’anima è nato anche questo universo; questo atto è il tempo, mentre il mondo è nel tempo» (Enneadi, III, 7, 12, 24-25. Usiamo la traduzione di W. BEIERWALTES, Eternità e tempo, Plotino, Enneade III 7, Vita e Pensiero, Milano 1995). 90 In Aristotele, invece, il puro passare del tempo è piuttosto inerzia che invecchia: «il tempo logora» (Fisica, 221 a 32); «tutto invecchia a causa del tempo» (ibidem, 221 b 1-5); «il tempo, di per sé, è causa di corruzione» (ibidem); «a causa del tempo nasce l’oblio» (ibidem); «non diciamo affatto che a causa del tempo si impari o si diventi giovani» (ibidem). Le osservazioni di Aristotele si riferiscono al tempo terrestre corruttibile. Si direbbe che Plotino assume invece il tempo biologico, quello del vivente in fieri che evolve verso un perpetuo “poi” o futuro (cfr. Enneadi, III, 7, 11, 17: «muovendoci verso ciò che è sempre futuro […] abbiamo prodotto il tempo come immagine dell’eternità»). Il tempo ciclico, presupposto ma non troppo tematizzato da Plotino, rende comunque vana una vera “futurizzazione” del tempo plotiniano. Plotino non è Hegel né Heidegger. 91 L’anima «dapprima ha temporalizzato se stessa, creando il tempo al posto dell’eternità […] Il mondo, infatti, muovendosi nell’anima — per l’universo sensibile non c’è altro luogo che non sia l’anima — si muoveva anche nel tempo dell’anima […] Il continuo procedere in avanti della vita occupava sempre nuovo tempo e la vita passata occupava tempo passato» (Enneadi, III, 7, 11, 3044). 86

54 Il tempo cosmico è eterno e senza inizio, in quanto il suo vero “inizio”, se prendiamo il cosmo in tutto il suo dispiegamento, non è altro che l’Eternità, da cui il tempo non è che una “discesa ontologica”: «il cosmo trascendente è ciò che non inizia in alcun tempo; perciò anche il mondo sensibile non ha alcun inizio temporale, poiché la causa del suo essere dona ad esso il ‘prima’»92. Il rapporto fondamentale di “origine intesa come discesa” è atemporale, sebbene il suo risultato sia temporale. Il rapporto verticale tra tempo ed eternità è il punto decisivo in Plotino93: il tempo nasce dall’eternità e deve ritornare (tramite l’uomo) nell’eternità94. Queste annotazioni sul problema del tempo nei filosofi greci, se portano in primo piano la trascendenza dell’Eterno e concentrano l’attenzione sul tempo circolare, non tolgono il fatto che la cultura antica abbia conosciuto anche il tempo storico lineare, il tempo dell’uomo, reso consapevole dalle genealogie tribali, dalle antiche cronache, dalle narrazioni leggendarie, e manifesto anche in alcuni miti relativi all’origine, come in Esiodo tra i Greci, fino all’elaborazione della storia come scienza nella cultura greco-latina (Erodoto, Tucidide, Tacito, Tito Livio). Non si è creata però presso gli antichi una vera mentalità storica a causa del predominante cosmologismo. Le storie alla fine risultano locali, in quanto vengono travolte dai cicli naturali che chiudono la prospettiva del futuro. Nella concezione stoica, così diffusa nel periodo ellenistico, l’intero cosmo è soggetto a cicli di evoluzione e distruzione, ed è questo il destino ineluttabile del ciclo totale o Grande Anno. L’atteggiamento ragionevole di fronte al fato è una saggezza passiva ovvero l’adesione rassegnata a ciò che necessariamente doveva accadere95. Negli epicurei, empiristi dell’Antichità e antagonisti degli stoici, i cicli cosmici, moltiplicatisi all’infinito senza regola fissa a causa dell’indeterminazione degli atomi (clinamen), frantumano il Grande Anno in un pluralismo indefinito e caotico di universi senza fine e senza scopo. Tutto perde significato e non rimane altro che il presente fuggitivo e triste. Il tempo per Epicuro è “accidente degli accidenti” (suvmptwma sumptwmavtwn)96, come analogamente per Lucrezio esso non è che un puro 92

Enneadi, III, 7, 6, 50-54. L’eternità è definita da Plotino in termini che poi saranno assunti da Boezio e trasmessi al Medioevo cristiano: «vita che si attua nell’essere ed è nell’essere, vita che è insieme intera e compiuta ed è del tutto inestesa» (Enneadi, III, 7, 3, 36), «vita che permane nell’identico, poiché ha sempre presente il tutto, non ora questo e poi un’altra cosa» (ibidem, III, 7, 3, 16-18). 94 L'argomento dell'origine del tempo dall’eternità nel neoplatonismo è servito a San Tommaso per meglio distinguere la creazione divina dai processi temporali. L’intervento del Demiurgo nel Timeo per Plotino non è temporale, anche se genera il tempo. Cfr. A. TROTTA, Il problema del tempo in Plotino, Vita e Pensiero, Milano 1997. 95 Scrive Seneca: «Nulla rimarrà nella condizione in cui è ora, perché il tempo abbatterà tutto e tutto trascinerà con sé […] Quando poi verrà il tempo in cui il mondo dovrà estinguersi per rinnovarsi, codesti esseri si distruggeranno con le loro stesse forze, le stelle si scontreranno con le stelle e, in una universale conflagrazione dell’essere, arderanno d’un sol fuoco tutti i corpi celesti che ora splendono in bell’ordine» (SENECA, Consolazione a Marcia, 26, 6-7, in Tutti gli scritti, Rusconi, Milano 1994, p. 202). Sul tempo in Seneca, cfr. M. PERRINI, La concezione del tempo presso gli antichi e l’etica del tempo in Seneca, in E. MARIANI (a cura di), Aspetti del tempo, IPE, Napoli 1998, pp. 225-232. 96 Riferito da Sesto Empirico in Adv. Math., X, 219. 93

55 rapporto tra gli eventi (eventa)97. Questo concetto, pur essendo molto aristotelico e comportando la negazione del tempo assoluto, prende il primo piano nell’epicureismo, quasi a significare l’irrilevanza del tempo. La consapevolezza dell'inconsistenza del tempo dovrebbe aiutare a rasserenarsi e a non aspettarsi niente, eliminando così ogni angoscia e soprattutto la paura della morte. Tutto si è formato per caso e alla fine tutto sarà distrutto98. Non c’è niente che sia stabile e l'unica cosa eterna è la morte (mors aeterna)99. La tenue coscienza del progresso compiuto dalla civiltà umana100 non riesce ad attenuare in Lucrezio la convinzione dell’esaurimento in cui si troverebbe attualmente la vecchia terra101.

16. Tempo ed eternità negli autori cristiani Notoriamente il grande cambiamento nella concezione cristiana riguardo alla nostra tematica è stato l’abbandono del tempo ciclico102 in favore di un tempo lineare che ripercorre tutta la storia della creazione, sin dall’inizio, quando Dio creò il cielo e la terra (Gn 1, 1), sino alla fine della storia, quando il processo della salvezza inaugurato da Cristo arriverà al suo momento culminante e definitivo nei nuovi cieli e nella nuova terra (Ap 21, 1). La rivelazione cristiana, pur ribaltando completamente il senso ultimo del tempo, nulla dice tuttavia sulla struttura del tempo cosmologico e neanche sulle forme concrete della storia. Essa toglie soltanto valore alle concezioni temporali incompatibili con la fede (cfr. ad esempio Eb 9, 25: si muore soltanto una volta), concezioni che fanno del tempo una realtà assoluta e definitiva. Il tempo inizia perché è creato da Dio e ciò che finirà è lo status di vita mortale dell’uomo, ma niente si dice sui processi cosmologici particolari. Non si avvalla così né una visione storica della natura né il contrario di essa, non si assume una fisica che comporti necessariamente l’inizio del mondo oppure la sua distruzione o trasformazione in un determinato senso. Ma l’importanza del tempo ciclico diminuirà, fino a scomparire del tutto, con la subordinazione del cosmo all’uomo e ai progetti di Dio. Questo è il punto in cui la visione biblica della temporalità supererà le concezioni platonica, aristotelica, stoica ed epicurea del rapporto del tempo con l’eternità. La definitiva linearità del tempo corrisponde nel Cristianesimo soprattutto all’esistenza umana storica, linea irreversibile di libertà personale che può accogliere in questa vita un progetto divino culminante nella vita eterna, dopo la morte e dopo la fine della storia dell’umanità. Una struttura cosmologica, antropologica o teologica 97

Cfr. De rerum natura, I, 460-480. Cfr. ibidem V, 415 ss. 99 Cfr. ibidem III, 1090. 100 Cfr. ultima parte del De rerum natura, V. 101 Cfr. ibidem V, 820-835. 102 Sul rapporto tra tempo ciclico e paganesimo, cfr. S. JAKI, Science and Creation, Scottish Academic Press, Edinburgh 1974; M. ELIADE, Il mito dell’eterno ritorno, Borla, Torino 1968; O. CULLMANN, Cristo e il tempo, Il Mulino, Bologna 1965 e Ch. JOURNET, Per una teologia ecclesiale della storia della salvezza, M. D’Auria, Napoli 1972, pp. 18-50. 98

56 del tempo (caso, fatalità, leggi fisiche, ecc.) che rendesse vana tale “forma del tempo umano” sarà posta fuori gioco dalla visione cristiana. Tale è lo sfondo tacito su cui conviene valutare la concezione del tempo degli autori cristiani, anche per quanto riguarda le polemiche di scuola su questi argomenti. Sant’Agostino è stato uno dei massimi esponenti del pensiero cristiano riguardo al problema del tempo. Sono ben conosciute le sue considerazioni nelle Confessioni, libro XI, sul tempo visto come distensio animi, come una distensione dell’anima umana in cerca dell’unità che troverà nell’eternità di Dio103. Sorprende la nuova impostazione dell’argomento in Agostino. Il tempo viene considerato adesso come una dimensione interiore della persona umana, la quale nel suo presente mobile osserva il continuo trasferimento del futuro nel passato. Esempio favorito della temporalità in Agostino è la scansione dei versi di una poesia o di una canzone. Nelle Confessioni egli si rifiuta di collegare il tempo al movimento celeste e conclude che noi misuriamo il tempo in noi stessi. «È in te, spirito mio, che misuro il tempo»104. Non siamo però esseri completamente temporali: la vita umana è un pellegrinaggio verso l’Eternità, e nell’interiore stesso dell’uomo abita la verità eterna procedente da Dio. Non finisce qui il ridimensionamento agostiniano del tempo. Colpisce la sua ricorrente critica della teoria dell’eterno ritorno nella Città di Dio. «Non c’è spazio per quei cicli che riportano sempre il medesimo, ai quali si oppone soprattutto la vita eterna dei santi»105. Innanzitutto egli li respinge in quanto si oppongono al dogma cristiano dello stato definitivo di felicità dei beati, cioè per un motivo antropologico e teologico anziché cosmologico. L’eterno ritorno e la tesi della trasmigrazione delle anime nei diversi cicli cosmici comporterebbe l’infelicità dell’anima, e se si riconoscesse che alla fine di molti cicli l’anima potrebbe acquistare uno stato definitivo di felicità, allora la teoria dell’eterno ritorno sarebbe svuotata di significato106. Oltre al carattere irripetibile dell’Incarnazione del Verbo e alla linearità della storia della salvezza, il rifiuto agostiniano dell’eterno ritorno è altresì motivato dalla dimensione storica del male morale: un’ingiustizia umana o angelica sin da un passato eterno

103

Cfr. P. RICOEUR, Temps et Récit, ed. du Seuil, Paris 1983, vol. I, pp. 21-65. «In te, anime meus, tempora metior» (Le Confessioni, Città Nuova, Roma 1975, XI, 27, 36). La tesi secondo cui l’anima misura il tempo, ovvero che il tempo come numero proviene dalla ragione umana, è aristotelica. Sennonché secondo Aristotele noi prendiamo le misure temporali dai moti celesti, tesi allargata da Plotino con la sua concezione dell’Anima cosmica. Invece Sant’Agostino osserva che qualsiasi moto materiale può essere compiuto in più o meno tempo, per cui egli conclude nelle Confessioni che la misura del tempo nasce dalle successioni del nostro spirito: cfr. ibidem 11, 20, 26 fino a 11, 27, 36. Il Vescovo d’Ippona rese indipendente il tempo umano dai cicli cosmici, ma ne trascurò il fondamento fisico. Comunque solo la libertà di spirito cristiana di fronte all’antica cosmologia (per Agostino i corpi celesti si potrebbero fermare, o potrebbe variarne la velocità) pose le basi per la rivoluzione scientifica moderna (cfr. P. RICOEUR, Temps et récit, vol. I, cit., pp. 37-38). Si ricordi inoltre che Agostino per molti versi è un pensatore dialettico. In altri scritti suoi egli riconosce la derivazione del tempo dal movimento astrale, per esempio in La Città di Dio, XII, 16, 1, in riferimento a Gn 1, 14: i corpi celesti «servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni». 105 La Città di Dio, Rusconi, Milano 1984, cit., XII, 20. 106 Cfr. ibidem, XI, 4, 2; XII, 4; XII, 18; XII, 21. 104

57 comporterebbe il manicheismo, poiché il male sarebbe naturale e non il prodotto di una scelta volontaria concreta, che prima non c’era107. Lo scontro tra la concezione ciclica del tempo prevalente nella cultura del paganesimo e la linearità e finitezza del tempo del divenire propria della visione cristiana è evidente nel neoplatonismo tardivo108. I neoplatonici non cristiani della tarda antichità, pur riconoscendo il tempo dell’anima (come fece Plotino riguardo all’anima del mondo), lo riducevano a una struttura circolare eterna. Proclo, neoplatonico del V secolo, posteriore ad Agostino, propose con metodo assiomatico che «il movimento circolare è eterno»109 e che «ogni anima inserita nel cosmo ha la propria vita regolata da rotazioni e apocatastasi [ritorni ciclici]»110. Riguardo al problema dell’inizio del tempo, Agostino si collocò in una prospettiva cosmologica e teologica di grande portata. Respingendo l’eterno passato cosmico, contrario alla fede cristiana, egli dovette affrontare l’obiezione neoplatonica secondo cui sarebbe poco comprensibile un Dio eterno che a un certo punto incominciasse a creare. Perché non prima? La risposta è che il prima ha senso solo quando c’è tempo, poiché il tempo nasce col mondo stesso creato. «Prima dell’inizio del tempo, il tempo non esisteva. Fu infatti Dio che creò i tempi e perciò, prima che creasse i tempi, i tempi non esistevano […] Il tempo cominciò ad esistere insieme col cielo e la terra»111. La predilezione dei filosofi pagani per un tempo cosmico infinito (ciclico) era dovuta in fondo a un motivo alquanto razionalista: un tempo finito, infatti, benché derivato dall’eternità di Dio, non aveva molto senso nella concezione ciclica. Perché i cicli, se erano identici e senza sviluppo, dovrebbero incominciare? D’altra parte i neoplatonici erano consapevoli che la durata perpetua del cosmo era un falsa eternità (Hegel direbbe una “cattiva eternità”), un prolungamento temporale che l’anima doveva superare. I neoplatonici senz'altro non volevano fare un assoluto dell’universo, e cercavano molto giustamente l’unità dell'essere, che invece veniva perduta nel caos infinito degli universi epicurei. Agostino riporta l’argomento neoplatonico secondo

107

Cfr. La Città di Dio, XII, 6. In questo senso Agostino, come altri teologi cristiani, fu portato ad ammettere una successione nelle creature spirituali (gli angeli), sia per quanto riguarda il passaggio al loro stato definitivo dopo l’elezione del fine ultimo, sia rispetto a una successione (non fisica) dei pensieri e degli atti di amore. «Lo spirito creato si muove per se stesso nel tempo» (La Genesi alla lettera, Città Nuova, Roma 1989, 8, 20, 39), mentre l’essere corporeo si muove nello spazio e nel tempo insieme (cfr. ibidem e La Città di Dio, XII, 16, 1). Questa successione fu chiamata evo dai pensatori medievali. La visione beatifica o vita eterna quindi non esclude la successione dell'eviternità, che è una partecipazione della creatura all’Eternità di Dio, non completamente identica all’assoluta eternità dell’Essere divino (cfr. La Genesi alla lettera, 8, 20, 39). 108 Simplicio, uno degli ultimi neoplatonici pagani, sostiene come abituale il pensare che «circulo sunt humana et quae fiunt omnia, et quod tempus circulus quidam et ‘peryodus’ sit» (Commentaire sur les Catégories d’Aristote, Brill, Leiden 1975, p. 472). 109 Elementi di Fisica, II, teorema n. 16 (in PROCLO, I Manuali, Rusconi, Milano 1985). 110 Elementi di Teologia, teorema n. 199 (in I Manuali, cit.). L’opera è importante in quanto ispirerà il testo arabo Liber de Causis, fondamentale per il neoplatonismo medievale e commentato da San Tommaso. 111 La Genesi contro i manichei, Città Nuova, Roma 1988, I, 2, 3.

58 cui un universo perpetuo potrebbe dipendere eternamente da Dio, così come un piede eternamente messo sulla polvere produrrebbe un’orma eterna112. Assegnare un inizio a tutto il tempo, tuttavia, in qualche modo rendeva più incisiva la domanda perché. Vale a dire: perché il tempo (ovvero il cosmo) dovrebbe incominciare? Presupponendo la dipendenza dal Creatore, la ratio dell’inizio si poteva trovare soltanto in un Principio che fosse Volontà libera di creare. Un universo temporalmente nato è molto palesemente non necessario, ma ciò non vuol dire che esso sia arbitrario o irrazionale. Il nocciolo della questione è che un cosmo dal passato eterno, per il quale il modello ciclico è il più coerente, risulta molto consistente con una sorta di creazionismo necessario e naturalista, nel quale, come accadeva in Plotino, la discesa del molteplice dall’Uno (Dio) appariva necessaria, così come una fonte di energia non può che diffondersi con crescente dissipazione dal centro verso tutte le direzioni113. Il bene, asserivano i neoplatonici, si diffonde per natura114, il che può essere vero in genere, ma potrebbe anche venir inteso in un modo naturalistico, senza cioè afferrare ancora la comunicazione come dono che segue a una scelta volontaria e personale. L’inizio temporale assoluto, non previsto o predeterminato, se non è casuale si ricollega piuttosto invece a una causa volontaria, non naturale, che si comunica senza la necessità di una legge di natura, cioè perché decide di farlo con tutta gratuità. D’altra parte, l’inizio del tempo risulta coerente con la dimensione storica della creazione nel senso cristiano, una creazione distesa nel tempo come una sinfonia e destinata a un compimento finale nel quale entrerà nel suo statuto eterno. Questo fatto è collegato in Agostino a un dispiegamento temporale anche nel farsi del creato, secondo la teoria delle rationes seminales presa dagli stoici, il che le consentiva di aprirsi a una visione evolutiva del cosmo. Secondo Agostino, Dio crea innanzitutto una materia informe atemporale115, condizione della mutabilità e perciò base di ogni forma di temporalità116. Nella mate112

Cfr. La Città di Dio, X, 31. Questa metafora naturalista, impiegata dai neoplatonici in diverse forme consone alla fisica del loro tempo (illuminazione o riscaldamento da un centro alla periferia, emanazione di acqua da una sorgente), esprime molto bene la concezione metafisica neoplatonica (cfr. PLOTINO, Enneadi II, 9, 3, 8; IV, 8, 6, 1-13; V, 4). I teologi cristiani neoplatonici, come lo stesso Tommaso d’Aquino, l’accoglieranno volentieri, però in fondo ribaltandone il valore in un senso personalistico, dove il dono gratuito no va visto come un'inevitabile dileguarsi naturale. 114 Plotino sostiene anche l’assoluta libertà dell’Uno, amore volontario di se stesso (cfr. Enneadi VI, 8), da cui l’universo procede con necessità. Non si può dire comunque che egli raggiunga una visione metafisica personalista. Ricordiamo d’altra parte che il neoplatonismo pagano della tarda Antichità si sviluppa nello scenario della crescente affermazione del Cristianesimo, dal quale non poteva evitare l’impatto. 115 Cfr. Le Confessioni, libro XII. Questa peculiare tesi agostiniana deriva dal Timeo, con l’aggiunta che la materia informe è creata da Dio. Agostino ne fa uso per l’interpretazione di Gn 1, 2, «la terra (intesa come il mondo materiale) era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso», e anche di Sap 1, 18 (cfr. La Genesi alla lettera, 1, 14, 28). 116 «Il tempo infatti risulta dal mutarsi delle cose» (Le Confessioni, XII, 8, 8). «Dove non c’è un aspetto (species), un ordine, non viene e non passa nulla; e dove ciò non accade, non esistono indubbiamente giorni e successioni di spazi temporali» (ibidem, XII, 8, 9). Agostino nega che questa 113

59 ria Dio co-crea l’ordine universale corrispondente alla prima costituzione del mondo (prima conditio), da cui segue lo sviluppo temporale. Nel cosmo primitivo «erano già stati creati, per così dire, nelle radici del tempo (in radicibus temporum), gli esseri futuri destinati ad esistere nel corso dei tempi»117. E così, «il decorso del tempo iniziò con il movimento-mutamento delle creature»118. Tutto lo sviluppo del tempo procede da Dio, che «dispiega i secoli che aveva, per così dire, ripiegati nella creazione primordiale»119. Tutto fu creato all’inizio, dunque, in modo virtuale: «invisibilmente, potenzialmente, nelle loro cause, come sono fatti gli esseri destinati a esser fatti ma non ancora fatti»120. L’evoluzione del cosmo da uno stato primigenio imperfetto verso stadi più perfetti non si oppone alla creazione. Dio presiede verticalmente ogni fase del cosmo. Egli, «mediante la sua occulta potenza, imprime un impulso a tutto l’universo delle sue creature»121, cosicché si può ugualmente dire che in ogni momento Dio continua a creare o che la creazione non è ancora finita: «chi altro infatti crea ancora adesso questi esseri, se non chi continua a operare senza interruzione? Ma Dio adesso crea gli esseri mediante quelli che già esistono (ex his quae iam sunt)»122. Dunque la creazione continua si serve dalle cause seconde già create. Citiamo questi testi nella consapevolezza del loro interesse anche nei dibattiti cosmologici contemporanei123. Per quanto riguarda il punto di vista storico, la caduta della concezione ciclica spostò la problematica che ci occupa verso la questione filosofica e teologica dell’inizio o dell’eternità del mondo, sotto la spinta del dogma biblico della creazione dal nulla. Nella piega metodologica del tardo neoplatonismo, tramandato ai filosofi islamici e cristiani medievali, si aprirà strada un modo analitico di affrontare il problema, tipico del pensiero scolastico e presente già negli ultimi neoplatonici pagani quali Giamblico e Proclo. Benché l’eternità del mondo fosse stata situazione informe sia esistita prima senza alcun ordine. Cfr. al riguardo ibidem, XII, 29, 40: la materia informe fu creata "prima", ma non in un senso temporale, poiché il tempo nasce solo se l'informità previa riceve un ordine (vedere le precisazioni di San Tommaso su questo punto in S. Th., I, q. 66, a. 1). In definitiva il tempo cosmico nasce solo con l'emergenza dell'ordine: cfr. ibidem, XII, 12, 15. In questo capitolo e in altri scritti Agostino dimostra di non ridurre il tempo a tempo psichico. 117 La Genesi alla lettera, 5, 4, 11. 118 «Factae itaque creaturae motibus coeperunt currere tempora» (ibidem, 5, 5, 12). 119 Ibidem, 5, 20, 41. 120 «Invisibiliter, potentialiter, causaliter, quomodo fiunt futura non facta» (ibidem, 6, 6, 10). 121 «Movet itaque occulta potentia universam creaturam suam» (ibidem, 5, 20, 41). 122 Ibidem, 5, 4, 11. In questo senso interpreta Agostino il testo di Gv 5, 17: «Mio Padre opera senza interruzione» (cfr. ibidem, 5, 20, 40), luogo classico della teologia per la dottrina della creatio continua ovvero della conservazione e propagazione del creato. 123 Lasciamo al lettore la possibilità di riallacciare questi spunti agostiniani ad una lettura metafisica della visione evolutiva del cosmo, perfino a partire da situazioni originarie pretemporali (cfr. JS II, 16). La creazione non si limita al momento iniziale, ma si completa a poco a poco nella misura in cui l’universo prende la forma storica prevista dal suo Autore. D’altra parte la donazione divina dell’essere non è legata a un modello deterministico del divenire. Dio può dimostrare meglio la sua potenza creando meccanismi statistici nella natura, dove c’è un posto per i fenomeni casuali. Se questa è una realtà dell’ambiente fisico ordinario, essa può essere anche uno degli aspetti del divenire.

60 sempre pensata in riferimento alla concezione ciclica, l’impostazione medievale sarà più metafisica che fisica e nel concetto di “mondo eterno” si penserà a un passato infinito piuttosto lineare, contrapposto al passato lineare con inizio, aprendosi così un dibattito molto importante sul concetto di tempo infinito. Una voce isolata nella tarda antichità e rilevante per la nostra tematica è stata quella di Giovanni Filopono, neoplatonico cristiano dell’area alessandrina (VI secolo), celebre per il suo scritto Contro Aristotele sull’eternità del mondo. La sua critica alla cosmologia aristotelica anticipava in parte il grande cambiamento cosmologico dell’era moderna (ma non fu capito al suo tempo). Filopono non scorge alcuna necessità negli argomenti aristotelici in favore dell’eternità del moto e del tempo. Nella Fisica, per esempio, Aristotele argomentava che l’istante era un mezzo tra il prima e il poi, per cui il tempo dovrebbe esistere sempre124 (un istante iniziale assoluto sembra impossibile a partire da questa premessa), cui Filopono ribatte: «mi sorprende che il Filosofo non si sia accorto di non aver provato nulla, dato che cade in una petitio principii»125. Secoli più tardi Tommaso d’Aquino avvertirà questo circolo vizioso126, in una delle poche occasioni in cui si permetterà di criticare apertamente Aristotele127. Ma Filopono si spinse oltre e avanzò una serie di argomenti relativi alla contraddittorietà della nozione di passato infinito, argomenti che saranno poi ripresi da alcuni filosofi e teologi islamici (Alkindi e Algazali) e cristiani medievali (Bonaventura): l’infinito non può essere percorso e non può crescere, per cui una serie infinita di eventi passati non consentirebbe di arrivare al presente128. I pensatori medievali cristiani, ebrei e musulmani debitori della filosofia neoplatonica si sono schierati in due gruppi in rapporto al problema dell’eternità del mondo129. Alcuni di essi, come San Bonaventura, legarono in modo inscindibile la creazione divina all’inizio del tempo, vedendo molto problematica l’idea di una serie infinita di eventi passati. Tommaso d’Aquino, con maggiore prudenza, ritenne teoricamente valido il concetto di passato infinito e lo considerò compatibile con la creazione, visto che la dipendenza causale del mondo rispetto di Dio è fondamentalmente atemporale e permanente130. 124 125

Cfr. ARISTOTELE, Fisica, VIII, 251 b 20. PHILOPONUS, Against Aristotle on the Eternity of the World, Duckworth, London 1987, p.

139. 126

Cfr. In VIII Phys., lect. 2, n. 983 e anche In IV Phys., lect. 21, n. 617 (in questa e nelle seguenti opere di San Tommaso indichiamo i numeri dell’edizione Marietti). I riferimenti di Aristotele sono rispettivamente Fisica VIII, 251 b 19-28 e Fisica IV 222 a 25 - b 5. 127 L’apparente difficoltà di Aristotele si risolve se si tiene conto del carattere infinitesimale dell’istante (cfr. JS I, 10). Questa sua natura non impedisce l’inizio assoluto di un percorso. Altrimenti neanche una tartaruga potrebbe cominciare a muoversi. 128 Cfr. PHILOPONUS, Against Aristotle on the Eternity of the World, cit., pp. 143-146. 129 Cfr. su questo tema, W.L. CRAIG, The Cosmological Argument from Plato to Leibniz, Macmillan Press, London 1986, e J.B. WISSINK (ed.), The Eternity of the World in the Thought of Thomas Aquinas and his Contemporaries, E.J. Brill, Leiden 1990. 130 Boezio, neoplatonico cristiano occidentale contemporaneo di Filopono (VI secolo), manifesta una posizione altrettanto prudente nel De Consolatione Philosophiae (V, 6: cfr. La Consolazione della filosofia, Rusconi, Milano 1979). Egli insiste soprattutto sul fatto che la perpetuitas del cosmo di cui parlano i filosofi non ha niente a che vedere con la aeternitas di Dio. La perpetuitas è succes-

61 L’Aquinate ebbe un grande rispetto per i filosofi sostenitori della tesi dell’eternità del mondo, come Aristotele, e intese soltanto mostrare che i loro argomenti in suo favore non erano rigorosamente concludenti. L’inizio temporale dell’universo resta una verità di fede, non razionalmente dimostrabile. Egli addirittura perde la pazienza contro i sostenitori di una prova dell’inizio del tempo, responsabili a suo avviso di mettere in ridicolo la fede cristiana con argomentazioni fuori posto131. La sua impostazione di fondo è la seguente132: i filosofi ritengono che il moto del cielo è sempre stato e sempre sarà, il che è possibile se si considera soltanto la natura delle cose (ovviamente egli presuppone la fisica aristotelica), ma non è una necessità assoluta (e sarebbe comunque compatibile con la creazione dal nulla)133. Secondo la fede cristiana il moto celeste iniziò con la creazione e si fermerà alla fine del mondo134. L’inizio e la fine del tempo dipendono quindi dalla sola voluntas Dei. La visione storica del tempo appartiene alla fede cristiana ma è compatibile con la prospettiva atemporale della fisica e della razionalità filosofica. Un universo eterno comunque non è divino: la perpetuità del cosmo sarebbe solo successiva, per modum temporis, mentre la permanenza di Dio nell’essere è, come aveva rilevato Boezio, un possesso simultaneo di ogni perfezione, per modum aeternitatis135. Si mantiene ferma l’assoluta libertà creativa di Dio, che opera per voluntatem e non per necessità naturale136. Tocca a Dio decidere, con la sua sapienza, il quantum complessivo del tempo in proporzione al tipo di universo che egli vuole creare137. Questo fatto dipende dalla sua volontà, che non ha causa138, mentre la sua scienza è creativa solo se si presuppone tale volontà139. Le cause fisiche sono precedenti nel tempo, dal momento che causano mediante il moto, ma la causalità creativa non comporta un cambiamento140. Il prima del tempo del mondo, fatto dal nulla, appartiene a un tempo pensato dall’immaginazione141. Si veda nel quadro sottostante l’importante distinzione tra la provenienza atemporale a partire da Dio e il corso stesso del tempo. Sia Plotino che Tommaso siva. L’eternità, secondo la sua celebre definizione ispirata a Plotino, è il «possesso simultaneo e perfetto di una vita senza termine» («interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio»: De Consolatione Philosophiae, V, 6, 9). 131 Cfr. De Aeternitate Mundi, n. 307 e anche Quodl. 14, a.2. 132 Cfr. S. Th., I, q. 46 (ved. anche q. 10); C. G., II, 31-38. Cfr. il nostro lavoro Aporías sobre el universo y su temporalidad a la luz de la filosofía de Leonardo Polo, «Anuario filosófico», 29 (1996), pp. 1003-1016. 133 Cfr. De Potentia, q. 3, a. 17, ad 17. 134 Cfr. In Liber de Causis, lect. XXX, n. 441. Condizionato dalla fisica antica, San Tommaso associa la fine escatologica del mondo all’arresto dell’orologio cosmico che era per lui il giro del cielo attorno alla terra. Cfr. C. G., IV, q. 97, n. 4286. 135 Cfr. In Liber de Causis, lect. XXX, n. 450. 136 Cfr. S. Th., I, q. 19, a. 4. 137 Cfr. In I de Caelo et mundo, lect. 6; De Potentia, q. 3, a. 17; C. G., II, 23 e 24; In Liber de Causis, lect. XI. 138 Cfr. S. Th., I, q. 19, a. 5. 139 Cfr. S. Th., I, q. 14, a. 8. 140 Cfr. S. Th., I, q. 46, a. 2, ad 1. 141 Cfr. S. Th., I, q. 46, a. 1, ad 8.

62 d’Aquino ritengono che il tempo nasce dall’Eternità di Dio tramite una processio (provenienza, origine) che per gli autori cristiani è la creatio ex nihilo divina: il cosmo in questo senso esce e insieme “ritorna” sempre nell’Eterno. Plotino e gli autori pagani assumono tuttavia un cosmo ciclico perenne, un tempo cioè infinito, che nella sua infinità (derivata) imita l’Eternità. Gli autori cristiani (Agostino, Tommaso), seguendo la Rivelazione, assumono invece un tempo che inizia e che si concluderà alla fine della storia, un cosmo storico con un’evoluzione finita. La fine però non è totale, o meglio non è distruttiva, poiché significa soltanto la conclusione dello statuto mortale della vita terrena e il passaggio alla vita eterna, in cui il cosmo continuerà per sempre in uno stato nuovo (nova creatio). Questo statuto definitivo (“nuovi cieli, nuova terra”) è al di fuori della portata della fisica e della ragione umana, ma rimane ancorato nella speranza escatologica cristiana.

Eternità (l'Uno) discesa atemporale

Eternità (Dio) creazione atemporale

Inizio ---> Sviluppo temporale ---> tempo circolare Cosmo ciclico perenne (Plotino)

Fine della Storia

Cosmo storico (San Tommaso)

La questione del passato infinito risulta particolarmente spinosa ed è stata discussa anche nei nostri tempi da autori quali Popper, Craig e altri. San Tommaso aveva argomentato che una serie infinita di eventi successivi o “infinito potenziale” non era fisicamente impossibile, sia nella linea del futuro che in quella del passato142. Egli respinse gli argomenti di Filopono in quanto si riferivano a paradossi collegati alla considerazione dell’infinito in atto. In modo simile arguisce Popper contro Whitrow, ritenendo che «il tentativo di mostrare con un ragionamento a priori l’impossibilità di un tempo senza inizio mi sembra destinato al fallimento»143. Non ha valore quindi la tesi della prima antinomia kantiana, secondo cui l’inizio assoluto del tempo si dimostra per l’assurdità di un passato infinito attuale144. 142

Cfr. S. Th., I, q. 46, a. 2; C. G., II, 38. K. POPPER, On the possibility of an infinite Past: A Reply to Whitrow, in «British Journal of Philosophy of Science», 29 (1978), p. 48. Per Popper, il passato e il futuro sono simmetrici rispetto all’infinito (cfr. ibidem). 144 Cfr. K. POPPER, o.c. e I. KANT, Critica della ragion pura, Laterza, Bari 1989, pp. 354-360. Neanche l’antitesi kantiana è valida, aggiungiamo noi, dal momento che l’eternità del mondo viene 143

63 W. L. Craig sostiene contro Popper e Tommaso che il passato non può considerarsi simmetrico al futuro in rapporto all’infinito. Una serie infinita di eventi passati comporta un infinito in atto e in quanto tale va respinto come fisicamente assurdo145. Il passato infinito genera dei paradossi: che senso avrebbe (l’esempio è nostro) pensare a un uomo infinitamente vecchio, di età infinita, che un giorno dovrebbe morire? Eppure pare strano poter concludere a priori che quell’uomo dev’essere nato146. Per Q. Smith invece l’infinito attuale è possibile e i suoi paradossi sarebbero stati risolti dalla matematica insiemistica147. Craig osserva a questo proposito che l’infinito attuale matematico potrà ovviare i paradossi sul piano del pensiero, ma non su quello dei fatti. Dal nostro punto di vista riteniamo che nella risoluzione di questo problema potrebbe gettare qualche luce la questione della direzione del tempo148. Questa direzione, si ricordi, procede dal passato verso il futuro sulla base di un’evoluzione particolare dell’universo verso un tipo di ordine (oppure verso il disordine, nel caso negativo) (cfr. JS I, 11 e 12). Una pura successione monotona o indifferenziata non ha alcun indirizzo. Solo all’interno di una direzione temporale hanno senso i termini di passato e futuro. Ora, in questo caso il tempo dovrebbe ragionevolmente avere un inizio, perché una storia deve incominciare, e potrebbe mantenersi aperto nelle sue potenzialità oppure arrivare a un compimento, per continuare poi in un altro modo (senza cioè una fine nel senso della sua totale scomparsa, il che sarebbe equivalente all’annichilazione dell’universo). Un universo perpetuo e senza inizio dunque potrebbe avere un “senso” (cioè non sarebbe contraddittorio)149 solo se pensato come rigorosamente ciclico, per cui non

in essa provata col ricorso al tempo vuoto o assoluto: cfr. ibidem Kant non ignorava affatto che la filosofia tradizionale aveva negato validità al tempo assoluto, ma non concedette alcuna importanza a questo punto (cfr. Critica dalla ragion pura, cit., pp. 359-361), perché in realtà egli aveva bisogno della teoria newtoniana del tempo vuoto per poterla sostituire con la sua tesi del tempo come intuizione a priori del senso interno. 145 Cfr. W.L. CRAIG - Q. SMITH, Theism, Atheism, and Big Bang Cosmology, Clarendon Press, Oxford 1993, pp. 3-76, 92-107, e la replica a Popper in W.L. CRAIG, Whitrow and Popper on the impossibility of infinite Past, «British Journal of Philosophy of Science», 30 (1979), pp. 165-170. 146 San Tommaso è incerto sulla possibilità fisica di un infinito in atto. Nel De Veritate q. 2, a. 10 egli chiude dicendo che «discuteremo un’altra volta la questione», e nel De Aeternitate mundi, n. 301 osserva che «ancora non è stato dimostrato che Dio non possa fare un infinito in atto». Tuttavia, essendo questo problema quantitativo e non qualitativo, la questione dell’infinito nella creatura non comporta per lui un’equiparazione con Dio. Tempi finiti o infiniti sono accidentali rispetto all’essere mutevole: «la finitezza o infinità del tempo è accidentale rispetto all’essere stesso della cosa [materiale]» (In I de Caelo, lect. 6, n. 62). 147 Cfr. W.L. CRAIG - Q. SMITH, Theism, Atheism, and Big Bang Cosmology, cit., pp. 77-91. 148 Rifiutiamo la soluzione kantiana del problema, secondo la quale le nozioni di “tutto temporale” o di “cosmo” non sono metafisicamente valide. La cosmologia moderna e la matematica degli insiemi dimostrano che anche scientificamente si può lavorare con le nozioni di cosmo e di infinito attuale e potenziale. 149 San Tommaso sostiene questa possibilità soltanto per argomentare che la posizione aristotelica è compatibile con la creazione di Dio e anche perché non ritiene che l’esistenza di un inizio asso-

64 potrebbe neanche fermarsi o alterarsi. Il passato infinito suppone un futuro infinito, proprio perché in realtà in questo caso non c’è un passato né un futuro autentici, data la perfetta simmetria di questi due termini. Solo col pensiero noi introduciamo un taglio in un punto arbitrario di questo schema, per produrre allora una distinzione puramente logica tra passato e futuro, oppure potrebbe accadere che vi emerga una storia solo locale, che sarebbe poi assorbita nei cicli infiniti. Aristotele sosteneva infatti l’eternità del tempo riferita al giro indefinito e senza storia dei corpi celesti. Così l’idea di un uomo infinitamente vecchio che a un certo punto muore (oppure di una partita di calcio infinita nel passato, che a un certo punto finisce) è un controsenso, dal momento che una struttura storica suppone un suo inizio150. Il dibattito sopra presentato è impostato in termini di tempo tensed, vale a dire con un presente reale o arbitrario che divide il futuro dal passato, e si potrebbe schematizzare come segue151:

1) -∞−−−−|−−−−∞: passato e futuro infiniti, quindi apparenti. 2) -∞−−−−|−−−−−>|: passato infinito, futuro finito. Schema senza senso. 3) |−−−−−|−−−−−>∞: passato finito, da tempo 0, verso un futuro temporale infinito. 4) |−−−−−|−−−−−|: passato e futuro finito. La perfetta simmetria del n. 1 (visione aristotelica) impedisce che il tempo e l’universo abbiano una vera direzione globale. Il n. 2 corrisponde al nostro esempio (senza senso) dell’uomo infinitamente vecchio che muore. Il n. 4 presenta un universo puramente finito, che si crea e si annichila, il che neanche ha molto senso. Il n. 3 corrisponde in parte alla visione cristiana dell’inizio nella creazione (oppure alla visione scientifica dell’inizio nel Big Bang, se esso è pensato come tempo=0), ma lascia aperta la questione della fine: escluso il n. 4, rimane la possibilità di affermare l’apertura attuale della storia, la “morte termica” dell’universo, ecc. oppure, come sostiene la fede cristiana, la fine escatologica della storia e dell’universo (cfr. JS III).

luto sia analiticamente dimostrabile. La nostra argomentazione si colloca invece nella prospettiva della direzione del tempo (cioè della storia). 150 Il nostro ragionamento parte dalla struttura storica e dalla finalità, per arrivare a certe conclusioni “di senso” sull’inizio e la fine del tempo, così come Agostino ad esempio escludeva i cicli cosmici per motivi antropologici (l’infelicità umana). Naturalmente la scienza non impiega questo metodo, per cui l’argomentazione fisica — come fa Castagnino — ricava la direzione temporale dai processi temporali asimmetrici osservati nella natura. 151 In MC I, 3.1 e XI, 4 si può vedere ciò che in qualche modo sarebbe il correlato fisico di questo dibattito. Il nostro quadro riproduce le possibilità topologiche contemplate in MC I, 3.1, introducendo però il taglio del presente che, come abbiamo detto, serve all’impostazione specifica del problema nella menzionata discussione.

17. La misurazione temporale

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Prima di passare alla problematica filosofica del tempo suscitata dalla scienza moderna, vorremmo intercalare una breve parentesi sulla questione cronometrica152. Benché questa materia sia di per sé tecnica, una visione panoramica conferma molto di quanto si è visto in precedenza. La cronometria illustra bene la nozione aristotelica del tempo come numerus motus. La storia delle misurazioni umane del tempo dimostra il legame tra tempi e movimenti, nonché il radicamento culturale delle misure temporali. Tale storia evidenzia fino a che punto il dominio umano della natura è debitore del suo dominio del tempo. I tempi naturali, in particolare i tempi biologici, sono ben coordinati nella cornice dell’armonia della natura (cfr. JS I, 7). L’organismo vivente svolge parecchie funzioni di misurazione e di segnalazione dei tempi in cui vanno compiute le attività vitali. Le cellule possiedono un “orologio” interno e la sincronizzazione di tutto l’organismo, scandita da certi ritmi, è stimolata da scatenanti ambientali. Il sistema nervoso contiene sincronizzatori centralizzati, collegati alla regolazione procedente dall’esterno. Questi fenomeni evidenziano una sorta di “cronometria” fatta dalla stessa natura. Tuttavia, soltanto l’uomo misura i tempi in maniera astratta, impiegando numeri corrispondenti alla successione dei fenomeni naturali. Anzi una caratteristica della civiltà e un segno sicuro di trovarci davanti all’uomo è l’esistenza di misure astratte del tempo. Mediante i numeri temporali l’uomo può regolare la sua vita pratica, ma anche può ricordare il suo passato in modo preciso e progettare il suo futuro. Le grandi divisioni del tempo (anno, mesi, giorni) seguono da vicino le computazioni astronomiche e rientrano così nella concezione cosmologica dell’uomo, la quale richiede conoscenze astronomiche precise. Divisioni ancora più ampie (grandi periodi, un’epoca) sono più legate alle vicende storiche o si confondono col mito. Le divisioni più piccole mirano a scopi pratici e si rifanno all’invenzione dell’orologio. In termini generali, tutte le divisioni temporali sono state create a effetti pratici, di carattere religioso, commerciale, politico, ecc., ma al contempo si basano sulla conoscenza prescientifica o scientifica della natura e sullo sviluppo della tecnologia. Basta uno sguardo alle divisioni storiche del tempo nelle diverse civiltà per capire quanto esse siano intrecciate con la vita sociale e culturale. La settimana, ad esempio, è un’unità di tempo collegata al lavoro (primitivamente, ai giorni di mercato) e al riposo sabbatico o domenicale d’origine biblica (all'inizio, in dipendenza dai babilonesi). L’anno solare risulta essenziale nel ciclo delle colture e nell'Antichità aveva spesso un significato religioso, cosmologico e naturale. La vita politica (scadenze delle cariche, giorni di elezioni) e le festività religiose o civili hanno bisogno di calendari precisi. I viaggi richiedono una particolare misurazione dei tempi e talvolta il ricorso ai fenomeni celesti, specialmente nella navigazione. Questi ed altri aspetti esigono l’unificazione dei calendari locali, ciò che divenne una necessità pressante nell’epoca moderna di rapide comunicazioni. Infatti le comunicazioni ferroviarie, telegrafiche, 152

Cfr. su questa tematica, J.T. FRASER, Il tempo, una presenza sconosciuta, cit. pp. 52-108 e P. JANICH, Protophysics of Time: Constructive Foundation and History of Time Measurement, Reidel, Dordrecht 1985.

66 radiofoniche, costrinsero all’unificazione dei tempi locali, avvenuta negli ultimi due secoli. L’astronomia (moti solari, lunari, posizioni delle stelle) è stata alla base delle grandi divisioni del tempo. La regolazione mensile secondo le fasi lunari, più imperfetta rispetto al calendario solare, costituisce una delle più antiche macrodivisioni del tempo, da cui è derivata l'antica divisione annua babilonese. I calendari a base lunare hanno avuto origine presso i popoli di vita nomade o pastorale, mentre quelli a base solare nacquero fra le popolazioni agricole. Vi sono così calendari lunari, solari, lunisolari e siderali, relativamente indipendenti tra loro. Giorno, mese, anno, sono definiti diversamente a seconda del tipo di calendario usato, dovendosi poi stabilire delle corrispondenze tra le varie scale temporali. Come si vede, le misure temporali, nonostante l'uniformità dei nomi (ora, secondo, ecc.) non sono univoche a seconda della scala impiegata e quindi non durano lo stesso tempo quando sono applicate ai casi concreti. Indichiamo ora le più note scale temporali che sono state elaborate con l’aiuto dell’astronomia. L’anno solare (o anno tropico) è il tempo trascorso tra due successivi ritorni apparenti del Sole a un medesimo punto equinoziale, mentre l’anno sidereo è il tempo in cui il Sole ritorna al medesimo circolo di declinazione di una data stella fissa (la durata di questi due tipi di anno non è identica). Analogamente, il giorno siderale è l’intervallo temporale trascorso tra due successivi passaggi di una stella per lo stesso meridiano locale, da cui nasce l’ora siderale, quando tale giorno è diviso per 24. Il giorno solare invece è il tempo che passa tra due passaggi del Sole per lo stesso meridiano locale. A causa dello spostamento diurno del Sole rispetto alle stelle, i giorni solare e siderale non sono esattamente uguali. Inoltre, il vero giorno solare non è costante, come conseguenza soprattutto della forma ellittica dell’orbita terrestre e dell’inclinazione dell’eclittica, per cui viene adoperato a titolo di media statistica il giorno solare medio, il quale si può anche chiamare giorno civile, a differenza del giorno astronomico. Gli orologi terrestri in genere sono regolati dal giorno solare medio, ma dal momento che l’ora è diversa in ogni meridiano terrestre, bisogna prendere un meridiano come punto di riferimento per la sincronizzazione delle ore terrestri (meridiano di Greenwich, scelto a questo scopo nel 1884). La divisione dell’anno in 365 giorni risale all’antico calendario egiziano. Giulio Cesare nella riforma giuliana (47 a. C.) adottò il calendario egiziano, aggiungendo però certe riforme del computo, allo scopo di correggere la mancanza di esattezza dovuta al fatto che l’anno civile adottato (365 giorni) non era uguale all’anno solare astronomico (365 e 1/4 giorni). Fu necessario introdurre un giorno ogni 4 anni (anno bisestile). L’omissione di queste correzioni aveva provocato sfasamenti sempre più evidenti tra l’anno civile e i fenomeni naturali legati al “Sole reale”. D’allora in poi l’Occidente e più tardi la Chiesa adottarono il calendario giuliano. Ulteriori piccole discrepanze tra l’anno civile e i cicli solari, vistosamente accumulatesi lungo i secoli, motivarono la riforma gregoriana del calendario (Papa Gregorio XIII, 1582), che ridusse lo scarto annuo tra il computo civile e il ciclo solare reale a 26 secondi. Lungo gli ultimi quattro secoli questo calendario fu a poco a poco adottato in maniera prevalente in tutto il mondo. È chiaro dunque che la differenza tra la misura solare media e il tempo solare reale, pur potendosi ridurre sempre di più, costringe a un lavoro di

67 regolari correzioni, per cui vengono usate le cosiddette equazioni di tempo. Il problema nasce in definitiva dalla complessità dei moti. La stessa rotazione terrestre non è perfettamente regolare ed è soggetta, tra altri fattori, a un progressivo rallentamento della velocità, per cui i giorni si allungano e gli anni lungo i secoli hanno sempre meno giorni (il giorno siderale è 1/600 di secondo più lungo ogni secolo). Con l’aiuto della dinamica celeste (cfr. MC II, 4 e II, 5) si può ulteriormente computare il macrotempo tenendo conto, entro certi limiti, degli effetti meccanici del sistema solare sulle misure precedenti. Sorse così il cosiddetto tempo delle effemeridi (nome dovuto al libro dove venivano pubblicati questi dati), usato specialmente nella navigazione (cfr. MC II, 5) e sostituito nel 1984 dal tempo dinamico, che incorpora certe correzioni relativistiche. Da quanto si è detto si comprende fino a che punto la cronometria è insieme naturale e convenzionale. L’insuperabile mancanza di precisione assoluta costringe l’uomo all’introduzione nella cronometria di continue correzioni e idealizzazioni. La misura è pur sempre un confronto tra differenze, ma quella del tempo ha la peculiare difficoltà di essere un confronto tra “diversi orologi” che non funzionano allo stesso ritmo153. Abbiamo parlato finora del macrotempo, ma solo nell’epoca moderna l’uomo imparò a dominare il microtempo, con l’invenzione di orologi sempre più precisi che alla fine consentirono di suddividere le ore in minuti e secondi. Tra i primi orologi impiegati dall’uomo, conosciuti da molti popoli antichi, sono da menzionare l’orologio solare (“quadrante solare” o “meridiana”) e l’orologio ad acqua (“clessidra”). L’importanza della microcronometria crebbe nell’Europa cristiana, tra altri aspetti, con la regolazione minuta dell’orario dei monasteri benedettini, cui si aggiunse la consuetudine cristiana di indicare l’ora con le campane. Gli orologi meccanici cominciarono a diffondersi in Europa nel Trecento. Grazie a questa invenzione fu possibile l’invenzione del minuto e così fu possibile arrivare all’uniformità delle ore. Un grande salto in avanti venne compiuto con la scoperta del pendolo come regolatore. L’orologio meccanico a pendolo fu ideato da Galilei e fu realizzato dall’olandese Huygens nel 1673. Grazie alle oscillazioni pendolari costanti si aprì la strada alla precisione quale oggi la intendiamo. La scienza e la tecnologia moderna si sono sviluppate sulla base della misurazione dei secondi e delle loro frazioni. Solo in questo modo si rendono possibili l’osservazione astronomica precisa, lo studio dei meccanismi velocissimi della natura e la pratica di comunicazioni lontane e sicure. Mediante l’orologio i naviganti inglesi del Settecento potevano confrontare la loro ora con quella di Londra, per poter così calcolare con sicurezza la loro posizione di viaggio. Il dominio del minuto, come è noto, provocò una rivoluzione nel ritmo lavorativo della società industriale e delle comunicazioni. Nella cultura tecnologica contemporanea il minuto è una realtà fondamentale per la vita pratica di milioni di persone.

153

«Ogni misurazione del tempo è un confronto tra due orologi, ciascuno dei quali cambia continuamente velocità rispetto ad altri orologi ancora. Così, mentre in termini di giorni delle effemeridi la lunghezza dell’anno tropicale diminuisce costantemente, la lunghezza dell’anno siderale continua ad aumentare» (J.T. FRASER, Il tempo: una presenza sconosciuta, cit., p. 77).

68 L'unificazione delle misure dei tempi terrestri cominciò nel XIX secolo. Nel 1820 il secondo fu definito come 1/86.400 del giorno solare medio, il che forniva una misura comune per tutto il mondo. Nel 1884 fu stabilita la divisione terrestre dei fusi orari, in base al meridiano di Greenwich. Il successivo sviluppo delle scienze, con l’elettromagnetismo, la fisica atomica e nucleare e l’uso delle diverse forme di energia, consentirono nel XX secolo la misurazione delle frazioni del secondo154. La scienza attuale (astrofisica, cosmologia, fisica particellare) e le attività tecnologiche (ricerca spaziale e telecomunicazioni) non sarebbero concepibili senza il dominio delle frazioni del secondo. Lo sviluppo della cronometria consentirà un’ulteriore precisione e unificazione dei tempi quando verrà costruito nel 1928 il primo orologio a quarzo da W. A. Marrison. Questa invenzione consentì la divisione del secondo in un milione di parti. Nel 1956 la definizione internazionale del secondo venne perfezionata, un procedimento resosi necessario a causa delle anomalie della rotazione terrestre. L’orologio atomico permise, infine, di definire il secondo con indipendenza dall’astronomia. La sua regolarità è sbalorditivamente più alta di quella del tempo celeste. Il primo orologio atomico, basato sulla molecola di ammoniaca, risale al 1949. Oggi il tempo atomico viene definito in base all’atomo di cesio-133 (1 secondo atomico = 9.192.631.770 cicli dell’atomo di cesio). Il tempo atomico fu adottato nel 1972 come riferimento primario per tutti i calcoli scientifici. Due orologi atomici sarebbero sfasati di un secondo soltanto in tre milioni di anni. Su questa scala dei tempi si possono unificare tutti gli orologi del mondo e introdurre le opportune correzioni ai tempi astronomici. Regolarmente viene aggiunto un secondo di ricupero alla misurazione atomica, per tenerci al passo con la rotazione terrestre, la cui velocità angolare, come dicevamo sopra, subisce una decelerazione progressiva. Il Tempo Universale Coordinato oggi è stabilito dall’IERS (International Earth Rotation Service) con sede a Parigi (prima denominato Bureau International de l’Heure: BIH), al quale è affidato anche il compito della determinazione della scala internazionale del tempo atomico (International Atomic Time: IAT). Come osserva Fraser, la storia della misurazione del tempo presuppone una conoscenza delle leggi della natura. Le differenze empiriche tra tempi reali e tempi ideali di misurazione, o tra le diversi scale temporali soggette a correlazioni, obbliga a un lavoro continuo di correzioni, come abbiamo detto, in cui ci si affida di più a un tipo di orologio anziché a un altro, per esempio il tempo atomico corregge il tempo delle effemeridi e non viceversa. Le correlazioni sono calcolate tramite le equazioni dei diversi rami della fisica: il tempo delle effemeridi impiega le equazioni della meccanica celeste, mentre il tempo atomico presuppone la conoscenza delle equazioni della fisica atomica e di certe costanti numeriche della natura. Quando una discrepanza emergente non è spiegabile da un difetto empirico, si è portati alla scoperta di una nuova legge di natura. «Che facciamo quando misuriamo il tempo? Controlliamo la validità di equazioni di trasformazione. In modo più generale, andiamo alla ricerca

154

Milisecondo: 10-3 sec; microsecondo: 10-6 sec; nanosecondo: 10-9 sec; picosecondo: 10-12 sec.

69 di ordine tra le letture degli orologi e, se le troviamo, avremo una nuova legge della natura»155.

18. Il tempo nella fisica classica156 Tra i diversi condizionanti storici, il terreno della ricerca fisica moderna fu preparato, com'è noto, dalla visione naturalista greca e in particolare aristotelica, recepita con grande sensibilità nei XIII e XIV secoli e, riguardo alla nostra tematica sul tempo, fu particolarmente ispirata dalle considerazioni cinematiche di Aristotele sulla velocità dei corpi, vista come un rapporto proporzionale tra spazio e tempo di un percorso. Gli studi matematici e non puramente qualitativi del moto locale contribuirono in questo senso alla concettualizzazione del tempo come parametro della descrizione fisica157. Ci riferiamo a indagini che vanno dal XIV secolo fino all’epoca di Galilei. Il tempo compariva qui come una grandezza fondamentale della visione matematica del movimento tipica del nuovo approccio scientifico. I progressi della cronometria crearono le basi sperimentali di tali ricerche. Il concetto di accelerazione o variazione della velocità introdusse in particolare una novità nello studio del moto locale e del tempo. La prospettiva aristotelica fu ribaltata con l’introduzione della nuova meccanica, la quale assumeva i concetti di forza e di inerzia per l’analisi dello stato di moto e di quiete dei corpi. La meccanica analitica fu l’espressione più raffinata della fisica classica e delineò una sorta di “struttura essenziale” dell’evoluzione di un sistema fisico: il corpo cambia in quanto segue una traiettoria spazio-temporale. Tale traiettoria si può considerare in un punto qualsiasi e dà luogo ai concetti di punto e di istante, trattati mediante il calcolo infinitesimale. Il tempo si può vedere in questo approccio come una “successione di istanti”. La fisica, scienza del movimento, non può in alcun caso prescindere dal tempo. Bisogna però valutare il ruolo della temporalità nella nuova ontologia fisica che si era venuta a creare in sostituzione dell’antica filosofia della natura. Questo ruolo oggi ci appare meno degno di considerazione perché per noi la meccanica classica, occupandosi dei corpi su scala umana, non è che un caso particolare di uno studio più generalizzato qual è quello della fisica relativistica e quantistica. Agli occhi dei fisici classici il tempo meccanico comunque appariva a diversi livelli, nel quadro di un’interpretazione spesso razionalistica della fisica newtoniana. Dal momento che questa fisica non faceva altro che descrivere lo sviluppo regolare del moto meccanico, in primo luogo si può dire che il tempo, nella visione di alcuni filosofi del razio155

J.T. FRASER, The Genesis and Evolution of Time, cit., p. 17. Per una strategia “adattiva” di misurazione del tempo nella dinamica della complessità, diversa dalle misurazioni standard, cfr. F.T. ARECCHI, Il ruolo del tempo nei sistemi complessi: le strategie adattive, in Aspetti del tempo, cit., pp. 119-140. 156 Cfr. MC II. 157 Cfr. E.W. DOLNIKOWSKI, Thomas Bradwardine. A View of Time and a Vision of Eternity in fourteenth-century Thought, Brill, Leiden 1995, pp. 73-93.

70 nalismo, si presenterà spesso come legato alla dinamica causa-effetto. Questo punto vale per quella che sarà poi denominata la teoria causale del tempo in Leibniz (cfr. JS II, 6). Non ci soffermeremo tuttavia sulla critica humiana alla portata ontologica (causale) della meccanica classica. Le condizioni iniziali e lo sviluppo necessario del moto corrispondono nella prospettiva fisica classica alla divisione del passato e futuro. Siamo qui in un tempo deterministico. Tenendo conto però che nelle equazioni meccaniche non esiste una direzione privilegiata del moto (tali equazioni sono invarianti di fronte alle trasformazioni temporali), si capisce che i concetti di passato e futuro non mantengono in tale contesto il loro significato abituale. Inoltre, le leggi naturali — ovvero le equazioni — sanciscono la conservazione dell’identico (principi di conservazione della massa e dell’energia). Sotto questa prospettiva, nel cambiamento non si produce niente di nuovo. L’universo non evolve. In un certo senso esso rimane identico a se stesso e viene solo re-distribuita la quantitas motus o in termini moderni la massa-energia. In molti autori classici l’universo newtoniano veniva incorniciato in un contesto metafisico cristiano (creazionismo, spiritualità dell’anima umana). La temporalità, nel senso del passaggio dal passato al futuro, vi appariva lineare e non ciclica solo in quanto era basata sul tempo assoluto o perché veniva rapportata al fluire della coscienza. Si prospettava così una spaccatura tra il “tempo mentale” e una natura atemporale. La tesi parmenidea (“niente cambia” nel profondo della realtà) era evitata in quanto l’universo veniva concepito come creato: rispetto a Dio, si riconosceva in questo senso un’autentica novità e il mondo mutevole non era ridotto a una forma apparente di presentarsi dell’identico. Solo quando la visione fisica atemporale finirà per prevalere riduttivamente, non si capirà nemmeno l’atto di libertà creatrice di Dio e la natura stessa, nella sua completezza atemporale, sarà contemplata come l’Identità stessa di Dio: Deus sive natura (Spinoza). La questione del tempo assoluto di Newton potrebbe apparire meno centrale in questa angolatura. Il tempo in Leibniz non è che l’ordine successivo degli eventi (teoria relazionale del tempo). Leibniz si collocava così nella linea della filosofia tradizionale. Il tempo assoluto di Newton invece era una “cosificazione” del tempo astratto, come lo spazio assoluto era una cosificazione delle dimensioni spaziali astratte. I medievali non ignoravano tale possibilità. Scrive San Tommaso: «possiamo immaginare infiniti spazi di tempi che scorrano prima dell’inizio del tempo»158; «così come fuori dall’universo le dimensioni non sono che immaginarie, e solo in tal senso si può dire che Dio è capace di creare qualcosa ‘al di fuori’ dell’universo, o a ‘tale distanza’ da esso, analogamente prima dal principio del mondo non vi era alcun tempo reale, se non solo immaginario»159. Per Newton, «il tempo assoluto, vero, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è chiamato durata; quello relativo e volgare, è una misura (esatta o inesatta) sensibile ed esterna della durata 158

SAN TOMMASO D’AQUINO, De Potentia, q. 3, a. 17, ad 20. SAN TOMMASO D’AQUINO, De Potentia, q. 3, a. 3, a. 1, ad 10. Il tardo medioevo conobbe la completa riduzione del tempo al mobile nel nominalismo di Ockham, nonché la teoria del tempo assoluto o “cosificato”: cfr. A. MAIER, Scienza e filosofia nel medioevo, Jaca Book, Milano 1984, pp. 263-265. 159

71 per mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al posto del vero tempo: tali sono l’ora, il giorno, il mese, l’anno»160. Da questa definizione si vede fino a che punto Newton pensa al tempo-misura come relativo al tempo assoluto, visto quest'ultimo come un'idealizzazione perfetta o infinita, quindi con una regolarità assoluta a confronto delle regolarità imperfette registrate nelle misure umane161. Queste ultime non sono altro che un’approssimazione al tempo ideale perfetto. Gli orologi misurano con una certa approssimazione la realtà del tempo assoluto, come una figura platonica rimanda all’Idea perfetta. «Comunemente in astronomia si distingue il tempo assoluto dal relativo per mezzo dell’equazione di tempo. Infatti i giorni naturali, che di consueto sono ritenuti uguali, e sono usati come misura del tempo, sono ineguali. Gli astronomi correggono questa ineguaglianza affinché, con un tempo più vero, possano misurare i moti celesti. È possibile che non vi sia movimento talmente uniforme per mezzo del quale si possa misurare accuratamente il tempo. Tutti i movimenti possono essere accelerati e ritardati, ma il flusso del tempo assoluto non può essere mutato. Identica è la durata o la persistenza delle cose»162. La durata infinita o perfetta, col suo ritmo uniforme esatto, è incorporea e diventa il modello assoluto dei tempi relativi. Questo modo di ragionare rivela il platonismo di fondo di Newton, per cui non sorprende l’identificazione — proposta da alcuni newtoniani come Clarke — della durata assoluta con l’eternità di Dio. Sennonché il tempo assoluto era una pura idealizzazione matematica163. Kant lo interpreterà come una intuizione a priori della sensibilità interna, adoperata per la collocazione temporale dei dati ricevuti dalle sensazioni esterne. Veniva così introdotta una oggettivazione del tempo in senso idealistico. La temporalità perdeva la sua trascendenza naturale e non poteva ormai proporsi come un problema metafisico. Il tempo mentale kantiano possiede una pura valenza funzionale. Tale impostazione formalistica, sebbene ammorbidita lungo la storia, diventerà facilmente un soporifero per non pochi autori, portandoli all’oblio di alcuni problemi profondi dell’essere e del tempo naturale.

160

I. NEWTON, Principi matematici della filosofia della natura, UTET, Torino 1977, pp. 101-

102. 161

L’ispirazione diretta della teoria del tempo assoluto di Newton procede dal neoplatonismo di Cambridge, in particolare da I. Barrow. 162 I. NEWTON, o.c., pp. 105-106. 163 Non possiamo dilungarci sulla teoria del tempo assoluto o vuoto, che viene analizzata e confutata in dettaglio per esempio da W.H. NEWTON-SMITH, The Structure of Time, cit. Secondo tale teoria, il tempo appartiene alla categoria degli oggetti platonici astratti, che vanno studiati analiticamente o a priori. Nella posizione realistica, invece, molti problemi del tempo (per es. sulla metrica, sulla topologia del tempo chiuso o aperto, ecc.) sono contingenti e si decidono in base all’esperienza.

19. Il tempo nella fisica della relatività: aspetti filosofici

72

Il nome di Einstein viene subito alla mente non appena si deve dire qualcosa sul tempo nel campo della fisica. La teoria della relatività significò, senza dubbio, una scossa potente alla concezione del tempo della fisica classica164. Le reazioni dei filosofi che furono più sensibili alla teoria einsteiniana sono state molto diverse. Un interrogativo da porre oggi sarebbe il seguente: che cosa ci ha insegnato sul tempo, nella prospettiva filosofica, la teoria della relatività? La risposta a questa domanda dipende innanzitutto dalla filosofia della scienza adoperata dagli autori. È noto che tanti filosofi, specialmente nella prima metà del XX secolo, hanno creduto di vedere nella teoria della relatività una conferma delle loro idee (positivisti, neokantiani, tomisti, platonici, ecc). La teoria relativistica ha posto nuovi problemi filosofici anche perché ha sfidato il “senso comune” e popolare del tempo. Un tale urto costituisce sempre uno stimolo per la riflessione filosofica, che non di rado nasce da posizioni aporetiche quali i paradossi eleatici. Nel suo scritto Durée et simultanéité (1922), Bergson minimizzò la portata del tempo relativistico. La fisica, collocandosi dal punto di vista metrico, assumeva secondo il filosofo francese un tempo diviso in numeri, un tempo quindi spazializzato e in questo senso fittizio. Il vero tempo sarebbe la durée, intesa come il continuo rinnovarsi qualitativo della realtà in flusso, con un passato accumulato e un futuro sempre nuovo. Di conseguenza molti aspetti controintuitivi della teoria della relatività e problematici per i filosofi venivano sorvolati con troppa facilità. Il confronto di Bergson con la relatività veramente fu un fraintendimento, dovuto al suo atteggiamento diffidente nei confronti delle scienze positive165. Ci sembra comunque pertinente la tesi di Bergson sulla tendenza di alcuni fisici a spazializzare il tempo per poter ridurlo a entità misurabile, oltre alla sua esigenza di superamento del puro tempo meccanico. Bergson però si collocava sulla scia della separazione tra la filosofia e la scienza fisica: solo la filosofia studierebbe la realtà profonda del tempo, mentre la fisica si occuperebbe di un tempo irreale, costruito, risultato del calcolo elaborato in un quadro di interessi pragmatici e privo di spessore ontologico. Un tale atteggiamento è abbastanza diffuso tra i filosofi professionisti e fu in parte ereditato da alcuni autori tomisti, quali Maritain166 e Masi167, i quali adottarono sostanzialmente il medesimo punto di vista, sia pure con sfumature diverse168. 164

Seguendo la linea di questo capitolo, ci limitiamo a presentare qui certe osservazioni extrascientifiche relative alle conseguenze della relatività nell’interpretazione filosofica del tempo. Indubbiamente vi sono parecchie questioni da affrontrare a questo riguardo, alcune di natura storica e altre più speculative e non ancora completamente risolte. 165 Cfr. su questo punto E. SPANIO, Il tempo della scienza e il tempo della coscienza, Il Cardo, Venezia 1996, pp. 39-47. 166 «Le temps, la simultanéité, l’espace, concepts entièrement refondus et délivrés de tout arrièrre-faix philosophique, prennent pour le physicien une signification purement empirio-métrique à laquelle il faudrait beaucoup de naiveté pour attribuer une valeur directement ontologique» (J. MARITAIN, Les degrés du savoir, in Oeuvres Complètes, Ed. Universitaires, Fribourg 1983, vol. IV, p. 550). L’espressione directement rende moderata l’affermazione di Maritain, ma nel contesto della sua esposizione essa è poco significativa. La conoscenza fisico-matematica moderna diventa per lui

73 Degno di menzione è anche Whitehead, per non parlare di altri autori del neorealismo anglosassone che si sono interessati alla relatività (quali Lovejoy e Alexander). Whitehead riconobbe insieme a Bergson l’esistenza di una realtà profonda delle cose naturali, intesa come un incessante processo auto-creativo, ma egli elaborò inoltre una metafisica della natura più in sintonia con la scienza moderna (The Concept of Nature, 1902; Process and Reality, 1929). La categoria della sostanza cede ora il posto alla realtà dinamica del processo. Gli elementi individuabili del processo sono gli eventi e i complessi di eventi in divenire. La teoria della relatività è presente in Whitehead in un modo piuttosto strumentale e non ortodosso, al servizio di una filosofia che colloca il tempo nel nucleo stesso della realtà. Congratulandosi della fusione tra tempo e spazio operata dalla relatività, egli comunque rileva che le linee di universo del continuo tetradimensionale di Minkowski non sono altro che astrazioni scientifiche. Lo spazio-tempo non va sostanzializzato e deve essere ricondotto allo sviluppo del processo creativo della natura. «La natura è processo […] È una caratteristica propria del processo della natura che ogni durata accada e passi. Il processo della natura si può anche dire il passaggio della natura. A questo proposito mi astengo decisamente dall’usare la parola ‘tempo’, poiché il tempo misurabile della scienza e della vita sociale caratterizza di solito appena qualche aspetto del fatto fondamentale che è il divenire della natura»169. Una posizione opposta a Bergson e Whitehead è quella di Einstein. Per il fondatore della teoria della relatività, ciò che conta non è tanto la relatività dello spazio e del tempo, quanto l’assoluta invarianza delle leggi fisiche rispetto ai gruppi di trasformazione. Dietro il relativismo delle misure spazio-temporali si delinea la struttura invariabile di una “fisica geometrica”, con una geometria che incorpora al suo interno il tempo, per cui la teoria einsteiniana meriterebbe di essere chiamata una sorta di cronogeometria di una natura assoluta, anzi “eterna”. Non si tratta unicamente dell’interpretazione immobilistica del cronotopo di Minkowski, ampiamente conosciuta e certamente significativa. A questo proposito giova ricordare che, insieme al movimento positivista, negli ambienti degli scienziati degli inizi del XX secolo c’era anche una forte tendenza assolutistica, rappresentata da pensatori quali Frege, Gödel, Planck e lo stesso Einstein per alcuni versi. Sono tutti esponenti fortemente opposti all’immanentismo di Mach (al quale Einstein fu vicino solo per breve tempo). La loro epistemologia talvolta ultrarealistica è accompagnata dalla convinzione metafisica dell’esistenza di verità eterne, trascendenti ogni osservatore empirico. In parte essi tendono a una sorta di platonismo che si traduce leggermente o nel razionalismo di

l’elaborazione di costrutti quasi mitologici, al pari di quelli del Timeo di Platone: cfr. ibidem, pp. 556-557. 167 Cfr. R. MASI, Cosmologia, Desclée, Roma 1961, pp. 492-496. 168 Questi autori comunque riconobbero che il tempo della relatività indirettamente contribuì ad una purificazione della filosofia della natura, grazie all’eliminazione della figura anomala del tempo assoluto, il che rappresentò un passo importante per il superamento della filosofia meccanicistica. 169 A.N. WHITEHEAD, Il concetto di natura, Einaudi, Torino 1948, p. 51.

74 Leibniz, nei casi più moderati, o in quello di Spinoza, come avvenne in qualche modo in Einstein (nei giorni nostri Hawking non sembra lontano da questa impostazione)170. Per Einstein filosofo (non professionista), il tempo come freccia è illusorio. Ciò che in fin dei conti prevale è l’armonia eterna di una natura assoluta, dotata da leggi ultime deterministiche, cercate da Einstein nei suoi postremi tentativi di arrivare all’unificazione completa della fisica. “Per noi che crediamo nella fisica, la divisione tra passato, presente e futuro ha solo il valore di un’ostinata illusione”171. Tempo e spazio esistono realmente come unità fuse, ma diventano nella loro concretezza situazioni locali, assorbite nel determinismo generale. Popper colse perfettamente il parmenidismo di Einstein nei suoi amichevoli colloqui con lui a Princeton: «la realtà del tempo e del cangiamento mi sembrava essere il punto cruciale del realismo (ancora la vedo così, e allo stesso modo la vedono alcuni oppositori idealisti del realismo, come Schrödinger e Gödel)»172. La strenua difesa popperiana della realtà del tempo ci dà un’idea della radicalità dei suoi oppositori in questo punto. «Nel modo più efficace possibile io cercai di presentare ad Einstein-Parmenide il mio convincimento che era necessario prendere chiara posizione contro tutte le concezioni idealistiche del tempo»173. Una simile concezione si trova in Gödel174. Nel 1949 quest'autore propose un modello di universo auto-rotante che soddisfaceva le equazioni di campo della relatività generale, dandone un’interpretazione idealistica175. In tale universo certe linee di tempo dello spazio curvo ritornano al loro punto di partenza, per cui non sarebbe del tutto inconcepibile una forma di viaggio nel tempo. La sola possibilità teorica di co-

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Di fronte al ultrarealismo che prende le teorie matematiche come direttamente ontologiche, conviene ricordare che l’interpretazione filosofica delle teorie scientifiche non può prescindere dalla mediazione gnoseologica. Non ogni asserto scientifico si può prendere come semplicemente reale. Pur rimandando alla realtà, l’oggettivazione scientifica del tempo comporta elementi astratti e ideali. Spetta alla riflessione filosofica scoprire gli elementi di verità ontologica esistenti dietro gli schematismi della scienza. Si comprendono le difficoltà di una filosofia della natura che voglia lavorare con un realismo gnoseologico moderato, non alle spalle della scienza ma neanche in completa soggezione al modo particolare di procedura del pensiero scientifico. 171 A. EINSTEIN, Lettera al figlio e alla sorella di Besso, 21 marzo 1955, in Albert Einstein. Opere scelte, a cura di E. Bellone, Boringhieri, Torino 1988, p. 707. Esponiamo alcuni aspetti della visione filosofica personale di Einstein e della sua impostazione deterministica nel nostro studio Einstein y el realismo científico, «Sapientia», 47/184 (1992), pp.131-150. 172 K. POPPER, La ricerca non ha fine, Armando, Roma 1976, p. 133. 173 Ibidem, p. 134. Cfr. il nostro lavoro Il realismo scientifico. Popper e Einstein a confronto, in Il Fare della Scienza (a cura di F. Barone ed altri), numero del 1997 di «Contratto», Il Poligrafo, Padova 1997, pp. 97-122. Vedere anche K. POPPER, Postscript to the Logic of Scientific Discovery, vol. II: The Open Universe. An Argument for Indeterminism, cit., nn. 18-20, 25-26. 174 Cfr. P. YOURGRAU, The Disappearance of Time. Kurt Gödel and the Idealistic Tradition in Philosophy, Cambridge University Press, Cambridge 1991. 175 Cfr. K. GÖDEL, A Remark about the Relationship between Relativity Theory and Idealistic Philosophy (1949), in P. YOURGRAU (ed.), Demonstratives, Oxford University Press, Oxford 1990, pp. 261-265. Vedere anche H. WANG, Reflections on Kurt Gödel, MIT Press, Cambridge (Mass.) 1987.

75 struire un simile modello senza violare le leggi fisiche176 dimostrerebbe per Gödel l’idealità del tempo, comportando cioè l’irrealtà del tempo intuitivo inteso come un autentico divenire177. Lungi però dall’abbracciare un idealismo completo, Gödel intravide al di là della scienza un elemento metafisico di portata esistenziale: «il concetto di esistenza, tuttavia, non può essere relativizzato senza che il suo significato venga completamente distrutto»178. La nostra esistenza temporale, egli arrivò a sostenere, non si potrebbe comprendere se non come una preparazione per qualcosa di meglio. In alcune lettere a sua madre del 1961 Gödel accennava addirittura all’anima e ad una visione teologica del mondo che trascendeva la sola prospettiva spazio-temporale: «la nostra esistenza mondana, dal momento che in se stessa possiede al massimo un significato assai dubbio, può essere soltanto il mezzo per il fine di un’altra esistenza»179. È un'allusione all'immortalità dell'anima e all'eternità come una realtà permanente di essere e di intelligenza, nella linea di Platone o Plotino. «Senza un’altra vita, le potenzialità di ogni persona e le preparazioni di questa vita non hanno senso»180. In definitiva, Gödel non era soddisfatto con l'eliminazione scientifica della realtà del tempo e cercò una via metafisica nella linea della trascendenza, affrontando coraggiosamente il problema personale della sopravvivenza. Ciascuno degli autori indicati (ed altri ancora) hanno cercato di risolvere il problema metafisico di fondo tenendo conto dell’approccio relativistico. In seguito esporremo alcuni aspetti più specifici della relatività in rapporto alla filosofia della natura. Naturalmente è sempre rischioso trarre conseguenze filosofiche da teorie scientifiche che, pur assodate, potrebbero essere ridimensionate in futuro. Ciò malgrado, correre qualche rischio è inevitabile e perciò la riflessione dev’essere affiancata da una certa prudenza, nell’attesa di una maturazione dei tempi che consenta di giungere a conclusioni più sicure. Un altro criterio metodologico delle nostre riflessioni sarà quello di non concentrarci su un solo ramo della scienza. La teoria “ristretta” della relatività, per esempio, risulta ancora parziale, come il suo stesso nome suggerisce. Il suo significato più completo si può comprendere meglio alla luce della teoria generalizzata della relatività, e quest’ultima a sua volta si capisce di più, specialmente in rapporto agli interessi filosofici, nelle sue applicazioni cosmologiche. La sezione di Castagnino osserva questo criterio nel contesto dell’unificazione della fisica181. I punti concreti di rilievo filosofico collegati alla teoria della relatività dunque sarebbero i seguenti: 176

Questo punto comunque è discutibile. L’universo chiuso viola la causalità (cfr. JS II, 5 e 12) e si oppone al secondo principio termodinamico (cfr. JS II, 7). 177 Un’interpretazione invece profondamente temporalista della relatività si trova in M. CAPEK, The Philosophical Impact of Contemporary Physics, Van Nostrand Reinhold Co., New York 1961. Per Capek, Gödel cade in una spazializzazione del tempo, cioè lo prende come un tutto in atto, il che vuol dire distorcere la genuina natura del tempo. Capek è vicino a Bergson e Whitehead, mentre Gödel è influito, tra altri autori, anche dall’idealismo di McTaggart. 178 K. GÖDEL, A Remark…, cit., p. 262. 179 K. GÖDEL, in WANG, Reflections, cit., p. 217 (queste lettere non sono state pubblicate). 180 Ibidem, p. 214. Cfr. su questo punto JS III, 4. 181 L’unificazione dei diversi settori della fisica teorica contribuisce positivamente alla visione filosofica della natura. Non si perda di vista comunque l'alto livello astratto delle teorie unificate,

76 a) Il tempo si dimostra una dimensione relativa al moto, il che conferma la nozione aristotelica di tempo come numerus motus. Questa relatività però ha un senso preciso nella teoria einsteiniana. Il filosofo è colpito specialmente dal fenomeno della dilatazione del tempo, cioè dal fatto che il flusso temporale (e non solo la misura umana) non “scorre ugualmente” per tutti gli oggetti. Dato un sistema di riferimento, il tempo proprio dei corpi più veloci diviene più lento, il che è rilevante alle velocità prossime a quella della luce182 (ne segue che per i fotoni, anche se attraversano tutto l’universo, non scorre il tempo). Una conseguenza di questo fenomeno è che il tempo (o meglio lo spaziotempo183) appare in questo senso come fortemente reale, dal momento che l’incontro fisico tra oggetti prima situati in diversi sistemi manifesterà un andamento diverso dei loro “ritmi temporali di vita”. Gli orologi o i calendari che si potrebbero usare a questo riguardo valgono quanto gli orologi biologici: la misura del tempo qui equivale al tempo reale fisico e inerente, non essendo una scala di tempi estrinseca agli effetti misurati. Il tempo-misura è una quantità inerente, con indipendenza dalla matematica usata. La realtà fisica di questo rallentamento temporale (sperimentalmente verificata) non significa però un’alterazione fisica o biologica dei ritmi particolari (tanto meno comporterebbe una “sensazione” psicologica di lentezza), bensì una differenza relativa, per cui all’interno di un sistema la dilatazione temporale è indiscernibile, cioè la differenza esiste solo in rapporto ad altri sistemi (cfr. MC VIII, 2.1, c). Naturalmente questo fenomeno risulta rilevante solo se è in gioco un processo dotato di freccia temporale, per esempio quando i soggetti sono organismi che invecchiano, quando cioè si può parlare di passato e futuro o di “età” di una data entità fisica. b) Il tempo, di conseguenza, può essere definito, vale a dire può venir preso come una nozione derivata e non primitiva (ALM nella terminologia di Castagnino). Questo punto renderà più chiara la tesi della sezione scientifica di questo lavoro, dove si sostiene non solo il carattere non assoluto del tempo (in quanto è relativo a un siper cui occorre anche rispettare la specificità delle diverse scienze. L'unificazione della fisica non intacca la pluralità delle scienze. Concretamente, la psicologia non si riduce a neurofisiologia, né la biologia alla fisica, né la filosofia a scienza naturale. Inoltre i rapporti interdisciplinari aiutano ad una migliore comprensione delle loro tematiche e dei loro limiti rispettivi. 182 Il “paradosso dei gemelli” nasce dal fatto che un gemello, partendo in un’astronave, per esempio a una velocità vicina a quella della luce, al suo ritorno in terra dovrebbe trovare il suo gemello diventato più anziano di lui, solo che il fenomeno sarebbe anche inverso a causa della reciprocità del moto nell’ambito della relatività speciale. Il paradosso non si pone veramente, dal momento che il moto dell’astronauta, in quanto ha dovuto subire un’accelerazione rispetto alla terra, considerata come un sistema inerziale, rompe la reciprocità propria dei moti non relativamente accelerati nella relatività speciale (cfr. MC VIII, 1, a). Quasi tutti gli autori oggi concordano, con qualche sfumatura, su questa interpretazione. Per citarne solo due esempi, si veda D. SCIAMA, Time ‘Paradoxes’ in Relativity, in R. FLOOD - M. LOCKWOOD (eds.), The Nature of Time, cit., pp. 6-21 e D. BOHM, The Special Theory of Relativity, Routledge, London and New York 1996, pp. 165-172. 183 Il vincolo spazio-tempo è una conseguenza del rifiuto del tempo assoluto o del tempo visto come variabile indipendente, ma non comporta una sua assimilazione alle dimensioni spaziali. Questo punto è pacifico in tutti gli interpreti. Sull’integrazione relativistica tra tempo e spazio, cfr. J. LUCAS - P. HODGSON, Spacetime and Electromagnetism, An Essay on the Philosophy of the Special Theory of Relativity, Clarendon Press, Oxford 1990.

77 stema di riferimento), ma inoltre il suo carattere derivato e non primitivo (cfr. MC I, 3.4), dovendosi precisare che la teoria della relatività è stata la prima teoria fisica a consentire l'introduzione di tale tesi in un ambito scientifico (benché l'idea fosse già conosciuta nella filosofia). Infatti il tempo è definito in questa sezione in base alla relazione di equivalenza di simultaneità (cfr. MC I, 1.1), un procedimento che diventa rilevante e rigoroso soltanto nella cornice della relatività speciale, dove la simultaneità risulta definita in modo operazionale e valido per i diversi sistemi di riferimento (cfr. MC VIII, 1). Tale definizione, come si vede in MC I, 1.1 ("metodo ALM"), si basa esclusivamente sui movimenti di tutte le particelle dell'universo, dove sono inclusi anche i moti degli aghi di qualsiasi orologio dell'universo. L'orologio in quest'ultimo senso viene preso non come lo strumento che misura il tempo (altrimenti si cadrebbe in tautologia), ma soltanto come un'entità fisica in moto tra le altre, che poi si trasforma nell'effettivo orologio strumentale. Come abbiamo notato altrove, l'orologio, in quanto misura un periodo di tempo, presuppone la simultaneità tra il moto delle sue lancette e il moto da esso misurato (cfr. JS I, 3)184. c) La relatività del tempo comporta l’assenza di un presente comune a tutto l’universo. Non ha senso parlare di un istante per tutto il cosmo, come si faceva classicamente, visto che ogni sistema di riferimento possiede un suo tempo proprio, con il suo “adesso” locale. Non è possibile la sincronizzazione degli orologi di tutto il cosmo (cfr. MC VIII, 1; VIII, 2.1; X, 3), poiché il tutto in atto non è simultaneo. Questa mancanza di simultaneità supera la nostra capacità immaginativa, dato che noi pensiamo agli altri esistenti associandoli con l’immaginazione al nostro presente. Tuttavia la teoria della relatività nella sua versione cosmologica consente di prendere un orologio standard e di relativizzare gli oggetti rispetto ad esso, ottenendosi così un tempo universale coordinato (cfr. MC XI, 3). Prendendo come orologio (in senso ampio, non necessariamente riferito allo strumento tecnico inventato dall’uomo) un moto sufficientemente valido per tutto il cosmo, si ricupera la nozione di tempo cosmico e si può parlare con senso di un’età dell’universo (cfr. MC X, 3; X, 4). L’orologio cosmologico è essenzialmente l’espansione dell’universo, cioè un moto universale di tutta la materia (si può pure prendere la radiazione cosmica di fondo, in rapporto alla “storia termica” dell’universo)185. Questo tempo universale è rappresentabile come una retta ed è comune a tutte le galassie in recessione reciproca.

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Ovviamente l'introduzione del tempo in fisica attraverso una definizione operazionale non pretende di essere filosofica e in questo senso presuppone le nozioni intuitive di simultaneità e di successione, costitutive del tempo naturale e legate in modo inseparabile al moto di qualsiasi entità fisica, come abbiamo spiegato in JS I, 1. Quanto viene spiegato da noi e da Castagnino non si riferisce, com'è ovvio, a un'elaborazione esplicita di Einstein sui punti indicati, ma riguarda la comprensione della teoria della relatività in funzione degli obiettivi prefissi in questo lavoro. Un'indagine sull'eventuale pensiero personale di Einstein su questi punti appartiene allo studio storico: cfr. sull'argomento, R. MARTÍNEZ, Immagini del dinamismo fisico. Causa e tempo nella storia della scienza, Armando, Roma 1996, pp. 142- 157 (più ampiamente sul tempo nella teoria speciale della relatività, cfr. pp. 127-162). 185 Cfr. sul tema, M. SHALLIS, Time and Cosmology, in The Nature of Time, cit., pp. 63-79; G.J. WHITROW, The Natural Philosophy of Time, Clarendon Press, Oxford 19802, pp. 283-313.

78 d) La teoria speciale della relatività fu l’occasione di stabilire un particolare collegamento tra il tempo e la causalità. Nella visione tradizionale e di senso comune, l’ordine temporale e l’ordine causale sono correlati, dal momento che le cause precedono temporalmente i loro effetti (mai all’inversa). La relatività einsteiniana radicalizzò ancor di più quest’associazione, dato che la trasmissione di messaggi tra luoghi distanti segue il percorso di un moto locale a velocità finita (non è mai istantanea). Questo punto è compatibile con la simultaneità dei rapporti causali, se sono visti in una particolare prospettiva, non abituale nella scienza ma pure reale. Aristotele186 osservò che certe azioni immediate sono contemporanee alle corrispettive “passioni”: mentre trasciniamo un oggetto, esso è trascinato; mentre la corda sostiene un peso, esso è sostenuto. Come nota Agazzi187, l’osservazione aristotelica è giusta in quanto si riferisce alla causa fiendi, cioè alla causa del divenire e non del risultato: l’atto di edificare è simultaneo all’edificarsi della casa (si tratta dello stesso atto visto in modo attivo o passivo), ma è previo alla casa già edificata188. Tuttavia, ordinariamente ci riferiamo alle cause indicandone gli agenti e i movimenti precedenti, veramente responsabili degli effetti: lo sparo criminale causa la posteriore morte della vittima. La scienza odierna adotta univocamente questo schema causale, respingendo la simultaneità di certi rapporti causali falsamente ritenuti come istantanei in altre epoche (gravitazione, illuminazione). La fisica relativista aggiunge qualcosa di più specifico sul rapporto causatempo. L’ordine prima-dopo è relativo all’osservatore (potendo quindi essere invertito) purché gli eventi non siano causalmente collegabili, quando cioè uno non appartiene al cono di luce dell'altro189. In altre parole, la successione prima-dopo è invariante per gli eventi causalmente collegabili, ovvero in questo caso essa è assoluta e non relativa a un sistema di riferimento. Il collegamento causale è associato alla trasmissione di segnali, dal momento che la causalità si esercita tramite il moto, che non può superare la velocità della luce. Le linee di universo quindi procedono unidirezionalmente in un senso che definisce il futuro (se presupponiamo il presente di un osservatore dato), mentre il senso inverso definisce il passato, non potendo essere localmente invertite. Tali linee di universo sono “le vie” della causalità, da cui risulta che le cause operano prima degli effetti190. 186

Cfr. Fisica VII, cap. 2 (243 a e brani seguenti): Aristotele vuole stabilire semplicemente l’immediatezza locale dell’atto causale, contro la tesi dell’azione a distanza. 187 Cfr. E. AGAZZI, Time and Causality, «Epistemologia», 1 (1978), pp. 397-424. 188 L’argomento è discusso in ARISTOTELE, Analitici Secondi, II, cap. 12 (95 a 10 e brani seguenti), dove egli stabilisce un vincolo tra causalità e successione temporale nel contesto delle dimostrazioni causali. Nel commento a questo capitolo, l’Aquinate sostiene che le cause fisiche del divenire (fieri) precedono i loro effetti (factum esse), in quanto debbono percorrere tutte le parti del moto locale per arrivare alla produzione dei loro risultati (cfr. In II Posteriorum Analyticorum, lect. 10, n. 505). 189 Per l’illustrazione di questo punto rimandiamo ai noti disegni dello spazio di Minkowski: cfr. MCVIII, 3; VIII, 5. 190 Nel quadro della relatività generale tale invarianza può essere tolta nel caso di linee chiuse, come avviene nel modello di Gödel del 1949, ma ciò si considera una possibilità anomala (cfr. JS I, 5).

79 La teoria della relatività definisce così un ordine assoluto nell’andamento del tempo: l’ordine prima-poi (causa-effetto) è asimmetrico191. Ciononostante, osserva Reichenbach (cfr. la seguente sezione), non è questa ancora la vera freccia temporale. Come si vede in MC VIII, 5, lo spazio di Minkowski è globalmente orientabile in uno dei due sensi della direzione temporale. La relatività ristretta determina la relazione di ordine del tempo, lasciando ancora indecisa la sua direzione globale (a meno che non si presupponga la presenza di un osservatore con la sua freccia psicologica, come abbiamo avvertito poc'anzi, solo che in tal modo usciamo dalla cornice della relatività). Per questo motivo la freccia temporale della relatività ristretta risulta convenzionale, per cui neanche è deciso in modo definitivo e globale quali siano le cause e gli effetti nell’ordine assoluto degli eventi.

20. La teoria causale del tempo Dal punto di vista della filosofia, l’associazione tra tempo e causalità nella fisica einsteiniana diede una nuova spinta alla cosiddetta teoria causale del tempo192. La teoria era nata nell’ambito della meccanica classica, in particolare con la concezione deterministica di Leibniz. La relazione causale fu ricondotta da Leibniz all’ordine temporale: «se tra le cose non simultanee una comprende la ragione dell’altra, quella è prima e l’altra è posteriore»193. Quanto avviene in una situazione temporale spiega quanto succederà nelle situazioni posteriori194. Si ritiene talvolta che la fisica moderna abbia in pratica ridotto la causalità a successione regolare (la causa come condizione antecedente), ma bisogna non dimenticare che tale successione viene vista appunto secondo regole necessarie fornite dalle equazioni, per cui si dovrebbe anzi dire, se escludiamo la versione empirista o positivista della scienza, che la descrizione temporale, ovvero il percorso “storico” di un oggetto, è preso dalla scienza moderna come una realtà profondamente causale. Talmente forte è questo paradigma scientifico, che il tempo stesso venne ridotto alla causa determinista addirittura da un autore antimetafisico quale Mach: «dire che 191

Nell’universo chiuso o rotante di Gödel quest’ordine viene violato, ma rimane comunque un altro ordine detto di separazione tra due coppie di eventi: data la successione circolare a, b, c, d, la coppia a, c separa la coppia b, d. 192 Cfr. su questo tema R. MARTÍNEZ, Immagini del dinamismo fisico, cit., pp. 187-224. 193 G.W. LEIBNIZ, Mathematische Schriften, C. Gerhardt (ed.), Olms, Hildesheim 1962, vol. 7, p. 18. 194 «Il mio stato previo comporta l’esistenza dello stato posteriore. E siccome il mio stato precedente, a causa della connessione di tutte le cose, comprende anche lo stato previo delle altre cose, così questo stato mio previo comprende ugualmente la ragione dello stato posteriore delle altre cose» (ibidem). Il determinismo causalistico diventa ancora più radicale nella formulazione della teoria causale del tempo di G. Lechalas (XIX secolo). La medesima teoria si trova anche in Kant. Il concetto di causa fisica negli autori razionalisti rimane comunque più ampio, dal momento che si estende alla causalità simultanea attribuita all’attrazione gravitazionale. La critica di Hume alla causalità intesa come successione regolare si comprende soprattutto come una critica alla necessità logica di tale rapporto (cfr. R. MARTÍNEZ, Immagini del dinamismo fisico, cit.).

80 una cosa A muta con il tempo significa semplicemente dire che gli stati di una cosa A dipendono dagli stati di un’altra cosa B»195. Quindi, «l’uomo deve le rappresentazioni temporali alla mutua dipendenza delle cose. In essa è espressa la più profonda e generale connessione delle cose»196. Si potrà obiettare che la dipendenza di cui parla Mach è solo un “rapporto funzionale legale”, ma al di là delle questioni di parole, il concetto è sempre nomologico-deduttivo: dipende, al pari di “condiziona”, “provoca”, “influisce”, e altre simili espressioni, indica ciò che si intende con l'espressione nesso causale. Nella tradizione filosofica la causa, in generale, è ciò da cui dipende l’essere o il divenire di qualcosa. Nella teoria della relatività non si poteva che vedere una conferma della teoria causale del tempo. Osserva Reichenbach che «l’ordine temporale può essere ridotto all’ordine causale […] La teoria causale del tempo non si è potuta stabilire definitivamente prima che Einstein non avesse completato la teoria della relatività. L’argomento decisivo in favore di una definizione del tempo in termini di ordine causale deriva dalla critica di Einstein alla simultaneità […] L’ordine del tempo è invariante sotto le trasformazioni di Lorentz solo se gli eventi in questione possono essere connessi mediante segnali, cioè da catene causali»197. Nel tentativo di dare una formulazione precisa alla teoria causale del tempo, Reichenbach cercò all’inizio di definire l’ordine temporale in termini di ordine causale («se E2 è effetto di E1, allora E2 è dopo E1»), e a sua volta cercò di segnalare un criterio della causalità mediante il metodo del “marchio” (mark): «se E1 è la causa di E2, allora una piccola variazione (un marchio) in E1 è accompagnata da una piccola variazione in E2, mentre piccole variazioni in E2 non sono accompagnate da variazioni in E1»198. Un tale criterio non poteva essere soddisfacente199 e in un’opera posteriore e postuma, The Direction of Time (1956), Reichenbach riconobbe che aveva preso semplicemente la causa come nozione primitiva. In quest’ultimo scritto egli distingue inoltre tra l’ordine e la direzione temporale. L’ordine temporale — la successione “prima-dopo” — si potrebbe ridurre alla causalità, con l’occhio rivolto alla teoria della relatività ristretta, mentre la direzione del tempo-causalità, che produce il vero rapporto di futuro e passato, nascerebbe dai processi statistici irreversibili studiati dalla termodinamica (cfr. JS II, 8). Il metodo del marchio appare in questo lavoro molto chiaramente collegato all’ambito dei processi irreversibili200.

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E. MACH, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, Boringhieri, Torino 1977, p. 241. Ibidem, p. 242. 197 H. REICHENBACH, The Direction of Time, Univ. of California Press, Berkeley - Los Angeles 1956, pp. 24-25. 198 REICHENBACH, Filosofia dello spazio e del tempo, Feltrinelli, Milano 1977 (l’opera originale è del 1928: Philosophie der Raum-Zeit-Lehre), p. 159. La stessa teoria era stata già presentata in Axiomatik der relativistichen Raum-Zeit-Lehre, Vieweg, Braunschweig 1924. 199 Cfr. per esempio le critiche di H. MEHLBERG, Time, Causality and the Quantum Theory, vol. I, Essay on the Causal Theory of Time, Reidel, Dordrecht 1980 (l’originale è del 1935-37), pp. 105125, e quelle di A. GRÜNBAUM, Philosophical Problems of Space and Time, Reidel, Dordrecht 19732, pp. 180-197. 200 Cfr. H. REICHENBACH, The Direction of Time, cit., pp. 197-205. 196

81 In The Direction of Time Reichenbach perfezionò l’idea dell’ordine temporalecausale mediante il concetto di reti causali201. Anziché vedere l’ordine nel semplice rapporto prima-dopo tra due eventi, si può prospettare una rete costituita da diverse linee con ramificazioni, evitando però la linea chiusa che ritorna sullo stesso punto di partenza. La rete aperta di linee causali fornisce una visione più realistica dell’andamento dei processi causali (cause parziali, biforcazioni, ecc.), i quali nell’insieme sono lineari nella rete non chiusa. Non appena viene assegnata la direzione a una linea, tutte le altre assumono la stessa direzione. Grünbaum e van Fraassen, discepoli di Reichenbach, migliorarono il modello in una prospettiva prevalentemente assiomatica, ma la soluzione rimane in definitiva la stessa202. Nei tentativi di “riduzione” operati dai teorici della teoria causale del tempo appare inevitabile una certa piega formalistica. Nonostante il rigore del metodo assiomatico, il cui proposito è di definire nozioni e di scegliere accuratamente concetti primitivi che possano adeguarsi alla realtà empirica, è difficile evitare di presupporre sempre più di quanto si vorrebbe. Insieme a Whitrow, riteniamo che il concetto di successione prima-dopo sia originario e che non si lasci ridurre al rapporto causale203. Questa tesi non comporta uno slittamento verso il tempo assoluto, poiché il tempo è semplicemente una dimensione del movimento. L’ordine temporale e l’ordine causale possono essere coestensivi, ma non sempre coincidono, dal momento che alcune successioni temporali non sono di per sé causali, mentre certi vincoli causali non sono temporali. Per capire questo punto occorre ricordare innanzitutto che la causalità è una relazione molto ampia, di carattere analogico, non esaurita dal modo in cui viene assunta dalla fisica. Abbiamo visto come nella filosofia antica e medievale (Plotino, Agostino, Boezio, San Tommaso) si era distinto accuratamente il rapporto etiologico dal processo temporale. La derivazione causale può essere atemporale, come avviene nelle situazioni di dipendenza permanente (creazione divina, cause essenziali rispetto all’organizzazione materiale, cause finali in rapporto al processo dei mezzi, dipendenza logico-deduttiva, ecc.). Questo punto presuppone una pluralità analogica di sensi del termine causa (causa determinista, indeterminista, libera, finale, creativa, ecc.). La riduzione assoluta del rapporto causale alla causalità temporale può creare falsi problemi, per esempio al momento di porsi la domanda causale relativa all’origine ultima del cosmo: se la causa dovrebbe essere sempre prima, Dio come causa creativa dell’universo sarebbe da escludere204. 201

Reichenbach è abitualmente conosciuto come un autore legato alla filosofia neopositivista. Ciononostante, il suo riconoscimento della causalità, unico punto che ci riguarda nel nostro studio, è senz’altro poco confacente con le tesi antimetafisiche tipiche del neopositivismo logico. 202 Cfr. A. GRÜNBAUM, Philosophical Problems of Space and Time, cit.; Modern Science and Zeno’s Paradoxes, Wesleyan Univ. Press, Middletown (Conn.) 1967; B.C. VAN FRAASSEN, An Introduction to the Philosophy of Space and Time, Random House, N. York 1970. 203 Cfr. G. WHITROW, The Natural Philosophy of Time, cit., pp. 323-327. 204 Si ricordi il concetto agostiniano: Dio, all’infuori del tempo, crea il tempo. Grünbaum, nell’ottica positivista, neanche considera l’idea di una causalità atemporale: cfr. The Pseudoproblem of creation in Physical Cosmology, «Philosophy of Science», 56 (1989), pp. 373-394. Dall’equazione empirista causa=causa precedente nel tempo, R. Le Poidevin ricava, in un maniera

82 Limitandoci tuttavia all’ambito fisico, le cause denominate tradizionalmente efficienti o moventi — uno dei sensi della causalità — ovviamente agiscono nel tempo, in quanto operano mediante il moto. «La causa efficiente che agisce per moto — scriveva Tommaso d’Aquino — necessariamente precede nel tempo i suoi effetti»205. Merito della teoria causale del tempo è di aver fatto riflettere sul legame intrinseco tra il tempo e la causalità fisica. Il tempo non è la causa, ma così come il principio aristotelico di causalità asserisce che “ciò che si muove è causato”, dato che il tempo nasce dal moto, si può pure affermare che “ciò che evolve nel tempo è causato”. La successione temporale A-B comporta o che A sia la causa di B, o che il binomio A-B abbia una causa comune: «se due fenomeni accadono sempre o ripetutamente in congiunzione, o uno dei due è causa dell’altro, oppure entrambi si riconducono a una loro causa comune per se»206 (per esempio la successione giorno-notte ha come causa la rotazione terrestre). Lo studio del rapporto tra tempo e causalità fisica apre prospettive molto ampie alla considerazione metafisica del mondo naturale. Noi cerchiamo nel passato le cause di quanto sta succedendo nell’attualità. Il nostro presente è la conseguenza dell’intreccio delle causalità che hanno operato nel passato. La conoscenza causale ci consente di ricostruire il passato e di prevedere in parte il corso del futuro. Questo punto non è vincolato al determinismo e, con le dovute restrizioni, vale anche per gli agenti liberi e per la causalità storica. Tradizionalmente la tematica del tempo era stata vista solo collegata al movimento. Spostando l’attenzione verso la causalità, la fisica moderna non si allontana dalla linea aristotelica, dato che moto e tempo si richiamano ai principi causali (cfr. JS I, 2).

21. La termodinamica e la direzione del tempo Insieme alla teoria della relatività, l’altro settore della fisica legato a una importante problematica filosofica sul tempo è la termodinamica (ved. MC IV e V). Gli studi termologici del XIX secolo (Fourier), maturati nella termodinamica fenomenologica (Carnot, Joule, Kelvin) e nella meccanica statistica (Clausius, Helmholtz, Maxwell, Boltzmann) evidenziarono una direzione irreversibile dei processi energetici. L’energia di un sistema isolato (cioè un sistema che non riceve influssi esterni), pur rimanendo costante (principio di conservazione), tende spontaneamente a trasformarsi nella sua forma più degradata o disordinata (calore), distribuendosi progressivamente in modo omogeneo fino ad arrivare ad uno stato di equilibrio finale. Raggiunto questo stato, il sistema non evolve più, benché mantenga piccole fluttuazioni locali. Le possibilità di cambio sono ormai esaurite in questo stadio finale. veramente sofistica, l’inesistenza di Dio: cfr. la sua opera Arguing for Atheism, Routledge, London - New York 1996. 205 SAN TOMMASO D’AQUINO, S. Th., I, q. 46, a. 2, ad 1. In modo simile: «ogni effetto di una causa agente per moto viene dopo la causa nella durata, in quanto l’effetto si trova al termine del moto» (De Potentia, q. 3, a. 17). 206 SAN TOMMASO D’AQUINO, In XI Metaph., lect. 8.

83 Il moto preferenziale verso l’equilibrio termodinamico ricevette la sua formulazione fisica precisa verso la metà del XIX secolo col secondo principio della termodinamica, enunciato da Kelvin e riformulato da Clausius in termini di entropia: l’entropia complessiva dei sistemi chiusi o isolati aumenta spontaneamente, non verificandosi il processo inverso. L’entropia potrà diminuire localmente, come accade nella produzione di un lavoro o nella formazione e mantenimento di situazioni ordinate, per esempio nei viventi, ma ciò è dovuto allo sfruttamento delle risorse energetiche ambientali, risorse che in base al secondo principio sono limitate nel tempo. Una volta utilizzata, l’energia disponibile per il lavoro si disperde (dissipazione) in forma di calore e così si rende sempre meno riutilizzabile. L’estensione di questo principio alla cosmologia portò a parlare della “morte termica” dell’universo (Helmholtz), intesa come lo stato di equilibrio finale cui il cosmo va incontro al termine della sua storia energetica. La tendenza dei sistemi isolati a evolvere naturalmente, vale a dire senza l’intervento di cause esterne, da stati più ordinati, ma instabili (=di non equilibrio), verso situazioni di equilibrio207, nelle quali regna un livellamento omogeneo e una perdita di ordine208 o di informazione, mostra un comportamento dei corpi non previsto nella prospettiva abituale della meccanica classica. Le equazioni meccaniche stabiliscono soltanto comportamenti invarianti sotto la trasformazione del segno positivo o negativo del tempo. Questo fatto significa che nell’equazione fisica della meccanica classica la direzione del tempo non contava, poiché esso poteva andare in un senso (il passato) o in un altro (il futuro). Il fenomeno descritto dall’equazione era perfettamente reversibile. Di conseguenza, non esisteva in questo quadro un vero passato o futuro, ma sussisteva solo un ordine temporale. La termodinamica invece presentò in modo universale un decorso irreversibile dei fenomeni, cioè una radicale asimmetria del tempo, che non violava le leggi ma che nemmeno era previsto da esse. Si veniva a creare così un contrasto tra il potere esplicativo delle leggi e un elemento della realtà fisica che sfuggiva al loro controllo. È questo il “problema della freccia temporale” (o dell’anisotropia del tempo). La comparsa della direzione temporale e dell’irreversibilità dei fenomeni fisici rappresenta un avvicinamento della scienza alle esperienze della vita quotidiana. Quasi tutti gli eventi terrestri dell’esperienza comune sono irreversibili, quali la pioggia, un incendio, un terremoto, il crollo di un edificio, la diffusione dei liquidi o di un profumo in un ambiente, la miscela tra due liquidi, la crescita di un organismo, ecc. Il 207

Nel contesto della termodinamica, il termine equilibrio possiede un senso fisico preciso, in rapporto a determinate condizioni energetiche, come abbiamo spiegato sopra in un modo intuitivo. 208 Il concetto di ordine è relativo a certi criteri. La distribuzione omogenea delle particelle in una scatola può sembrare ordinata in quanto appare più regolare. In realtà, se esse si raggruppassero per formare certe strutture differenziate, ci sarebbe più ordine, in un senso più alto del termine ordine. In fisica si parla usualmente dell'entropia come del grado di disordine. L'ordine viene considerato in questa terminologia come una situazione strutturale, specifica, organizzata, mente il disordine (il quale in realtà è un ordine minimo) riflette la mancanza di strutture. Affrontiamo questa tematica dal punto di vista ontologico nel nostro studio in La filosofia del cosmo in Tommaso d'Aquino, Ares, Milano 1986, pp. 27-42 e 235-255. Cfr. anche F. TITO ARECCHI, I. ARECCHI, I simboli e la realtà, Jaca Book, Milano 1990, pp. 51-129.

84 decorso invertito di questi processi ci sembra inconcepibile, ed è logico domandarsi sulle cause fisiche di questa impossibilità. La termodinamica si allinea inoltre con la graduale scoperta, sin dal XIX secolo, della “storia della natura”, cioè del fatto che tutte le strutture fisiche, quali le formazioni stellari, il sistema solare, la terra e i fenomeni terrestri, geologici e vitali, si sono formati nel tempo e sono sottoposti a un processo inarrestabile di trasformazione. La freccia temporale attraversa l’intera natura e apre una prospettiva del mondo fisico imprevista dalla meccanica classica. Occorre distinguere tra i processi in cui si produce una crescita di informazione o di organizzazione, come l’evoluzione della vita o la maturazione dell’organismo, processi propri dei sistemi aperti, e quelli in cui si verifica un decadimento e una disorganizzazione, caratteristici dei sistemi chiusi. Solo questi ultimi vennero affrontati dalla termodinamica, ma è vero che essi incidono anche sui primi, dal momento che ogni incremento di ordine si “paga” con l’afflusso esterno di energia, cosicché alla fine il sistema è sempre sottoposto al degrado e la tendenza all’equilibrio prevale su ogni altra (come si osserva nell’invecchiamento). Senz’altro le considerazioni finalistiche, relative al valore positivo dell’aumento di ordine e al dramma rappresentato dal predominio del disordine, sono filosofiche e più naturali in rapporto alla vita e all’uomo, mentre nella fisica l’enigma del secondo principio fu visto dai teorici piuttosto come una sorta di attentato contro il paradigma classico che non prevedeva la freccia del tempo. La distribuzione delle molecole di un gas in maniera uniforme all’interno di una scatola appare come un fenomeno irreversibile di per sé né “buono” né “cattivo”. La morte di un vivente invece è un evento “cattivo” (male fisico) o “antifinalistico”, certamente se la vita è ritenuta, com'è giusto fare, quale un valore preferibile alla non vita. Verso la fine dell’Ottocento, la termodinamica fenomenologica venne incorporata al modello della teoria cinetica corpuscolare, o in altre parole essa fu inquadrata nella meccanica classica in termini statistici. La meccanica classica entrò così nel regno della microfisica (classica), dove perse certezza assoluta e dovette rassegnarsi a spiegare la realtà con parametri di probabilità. Per quanto riguarda il nostro problema, nacque quindi la speranza, rappresentata dagli sforzi di Boltzmann, di poter dimostrare la necessità del secondo principio, ovvero di poter trovare nel comportamento meccanico corpuscolare (microscopico) ipotizzato dalla fisica classica le ragioni profonde dell’anisotropia temporale osservabile a livello macroscopico. Non era facile tale prova. Il comportamento corpuscolare obbedisce alle leggi meccaniche e quindi è sempre reversibile, simmetrico rispetto al tempo, mentre i sistemi macroscopici esibiscono la tendenza verso l’equilibrio, introducendo la freccia temporale. Da dove nasce tale freccia? Ecco il paradosso dell’irreversibilità, così come fu percepito da Loschmidt e da tanti altri nella seconda metà dell’Ottocento. Perché i processi termodinamici fanno apparire una direzione temporale in contrasto con la reversibilità dei processi a livello atomico e molecolare?209 Sulla base dei lavori di Maxwell, padre della teoria cinetica dei gas, Boltzmann propose nel 1872 un teorema (denominato teorema-H) con una tentata dimostrazione

209

Cfr. sul tema, E. BELLONE, I nomi del tempo, Boringhieri, Torino 1989, pp. 181-208.

85 della necessità statistica del secondo principio210. La proposta non convinse i suoi contemporanei, ma aprì un ampio dibattito. Si sollevarono parecchie obiezioni verso la fine del secolo, per esempio da parte di Loschmidt, Zermelo e Poincaré. In queste discussioni accademiche ancora non si capiva bene il significato della probabilità nella scienza. Le difficoltà teoriche mosse da Zermelo e Poincaré puntavano sul ritorno quasi-periodico di un sistema meccanico isolato, dopo lunghissimi tempi, a posizioni arbitrariamente vicine a quella iniziale di partenza (“teorema di ricorrenza” di Poincaré)211. Tali obiezioni ristabilivano i diritti del determinismo classico. Valido sul piano astratto matematico, il teorema di ricorrenza lasciava intatto il fatto universalmente osservato dei processi irreversibili. Intaccava la pretesa di una dimostrazione fisica di tale fatto, ma si poneva come vero solo alle spalle del II principio. Boltzmann insistette sulla rilevanza della considerazione probabilistica. La tendenza verso uno stato di equilibrio si doveva capire nel contesto di situazioni iniziali altamente improbabili, il che è una realtà di fatto della natura, dalle quali si procede inesorabilmente verso gli stati più probabili. La disimmetria temporale dunque sarebbe dovuta all’esistenza di condizioni iniziali molto improbabili di un sistema isolato212. Boltzmann estese il suo schema a considerazioni cosmologiche. «L’universo — o, perlomeno, gran parte di ciò che ci circonda —, visto come sistema meccanico è partito da uno stato molto improbabile e si trova ancora in uno stato poco probabile. Se si prende allora in esame un sistema di corpi più piccolo, così come lo si trova nella realtà, e lo si isola istantaneamente dal resto del mondo, questo sistema verrà inizialmente a trovarsi in uno stato improbabile e, per tutto il tempo in cui resterà isolato, procederà sempre verso stati più probabili»213. Nell’insieme però, riconosceva Boltzmann, l’universo si troverebbe in una situazione di equilibrio e i sotto-sistemi con aumento di entropia sarebbero soltanto delle fluttuazioni locali. Alla fine, dunque, lo stesso Boltzmann si arrese di fronte al paradigma classico. La freccia temporale diveniva così un fenomeno macroscopico locale, reso coestensivo con tutto il nostro ambito di osservazione. Il tempo veniva situato nel nontempo, nell’ambito atemporale, un presupposto puramente teorico dove il paradigma classico appariva vincente. Per simili motivi anche Einstein, che conosceva bene il problema, si rifiutò di concedere importanza alla freccia termodinamica. A livello 210

Cfr. L. BOLTZMANN, Weitere Studien über das Wärmegleichgewicht unter Gasmolekülen, eng. transl. in S.G. BRUSH, Kinetic Theory, vol. 2, Irreversible Processes, Pergamon Press, Oxford 1966, pp. 88-187. 211 Cfr. H. POINCARÉ in «Comptes Rendus de l’Académie des Sciences», 108 (1889), p. 550. 212 Riformulazioni posteriori con un approccio statistico del teorema-H sono in grado di sorvolare la ricorrenza di Poincaré, ma non si riesce comunque a fornire una dimostrazione meccanica dell’irreversibilità. Cfr. P. DAVIES, The Physics of Time Asymmetry, Univ. of California Press, Berkeley 1977; P. KROES, Time: Its Structure and Role in Physical Theories, Reidel, Dordrecht 1985, pp. 148-153. Sui complessi dibattiti che seguirono, protrattisi fino all’esaurimento lungo i primi anni del Novecento, cfr. H. HOLLINGER - M. ZENZEN, The Nature of Irreversibility, Reidel, Dordrecht 1985, pp. 11-56. 213 Cfr. L. BOLTZMANN, Zu Hrn. Zermelo’s Abhandlung ‘Über die mechanische Erklärung irreversibler Vorgänge’, «Annalen der Physik», 60 (1897), pp. 392-398; testo citato in E. BELLONE, I nomi del tempo, cit., p. 206.

86 elementare e microfisico domina la reversibilità. Scrive Einstein: «se il processo elementare dipendesse dalla freccia del tempo, l’instaurarsi d’un equilibrio termodinamico sarebbe del tutto incomprensibile. Anche la meccanica statistica dei quanti s’accorda in pieno con la mancanza di direzione dei processi elementari. Per il grado di conoscenza diretta dei processi elementari di cui disponiamo, per ogni processo ne esiste un altro ottenuto invertendo il tempo. Nemmeno la radiazione fa eccezione. Ogni processo elementare ha il suo inverso»214. L'eterno ritorno in Nietzsche. A questo punto non è privo di interesse un riferimento a Nietzsche, il quale verso la fine del XIX secolo ripropose, com’è noto, la teoria greca dell’eterno ritorno (der ewige Wiederkehr), con una pretesa base nella fisica energetica del suo tempo, ignorando comunque la problematica del II principio termodinamico. Heidegger nella sua opera Nietzsche avverte che voler interpretare in termini scientifici tale teoria, centrale in questo filosofo, sarebbe non capirlo affatto215. L’osservazione è esatta, ma altrettanto significativa è l’importanza assegnata da Nietzsche a una certa visione cosmologica, nel contesto di una ricerca dell’eternità dell'universo che risulta meno rara di quanto si pensi in alcuni filosofi e scienziati. Nietzsche non presentò mai la teoria dell’eterno ritorno in modo elaborato, ma è un fatto che a partire dal mese di agosto del 1881, quando ne ebbe l’intuizione in un paesaggio di montagna216 (a Sils-Maria), egli scorse in quella tesi il nucleo della sua visione dell’universo e dell’uomo. La tesi è una fede quasi religiosa, anzi dovrebbe essere la religione del futuro dopo la “morte di Dio”, postulata precisamente per escludere la creazione divina (al tempo di Nietzsche, creazione era un termine ritenuto anti-scientifico da molti scienziati): «chi non crede nel processo circolare del tutto, deve credere nel Dio arbitrario. Così la mia considerazione si pone in contrapposizione a tutto il precedente teismo»217. Il mondo è un insieme di forze finite in continuo movimento e combinazione, senza mai giungere all’equilibrio, altrimenti ne sarebbe già arrivato sin da un tempo infinito. Dunque lo si potrà concepire soltanto in un modo perennemente ricorrente. Tutto è già passato e non c’è niente di nuovo. «Se non si fossero già esaurite tutte le possibilità nell’ordine e nelle relazioni tra le forze, non sarebbe ancora passato un infinito. Ma poiché ciò deve essere così, allora non ci può essere alcuna nuova possibilità e tutto deve essere già stato infinite volte»218. Scorgendo che il concetto di forze infinite poteva impedire la ricorrenza dell’identico, Nietzsche postula la finitezza energetica del cosmo. Heidegger sintetizza così il suo ragionamento: «dal carattere generale di forza risulta la finitezza (il carattere conchiuso) del mondo e del suo divenire. Conformemente a questa finitezza del divenire è impossibile un fluire e uno

214

Albert Einstein. Opere scelte, cit., p. 701 (lettera a Michele Besso). Cfr. M. HEIDEGGER, Nietzsche, Adelphi, Milano 1994, pp. 311 ss. 216 Cfr. Nietzsche Werke, De Gruyter, Berlin 1973, vol. V/ii, p. 392, e vol. VI/iii, p. 333. 217 Nietzsche Werke, cit., vol. V/ii, p. 459. 218 Ibidem, p. 398. 215

87 scorrere all’infinito dell’accadere del mondo. Dunque il divenire del mondo deve essere in sé ricorrente»219. La conseguenza è l’assoluta mancanza di senso o di finalità di un caos universale (non c’è alcuna struttura) che comunque risulta eternizzato nel ritorno periodico infinito di ogni suo stato di passaggio. «L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!»220. Zarathustra può esultare: «io torno eternamente a questa stessa identica vita»221. In questa maniera nichilistica Nietzsche vede l’affermazione della volontà di potenza, ridotta paradossalmente ad amore della necessità fisica più pura e più meccanica: «come non dovrei anelare all’eternità e al nuziale anello degli anelli, l’anello del ritorno […] perché ti amo, Eternità!»222 (testo ripetuto come ritornello in brani poetici). La forza con cui Nietzsche sostiene questa fede, legata alla sua idea del Superuomo, una forza che alla fine non si distingue dalla sua finale follia, ci fa riflettere sulla gravità con cui l’uomo affronta il problema del tempo anche sul piano cosmologico. Heidegger ne rimase sconvolto e dedicò all’argomento alcuni anni di studi, compendiati nella sua monumentale opera prima menzionata223.

22. Il problema filosofico dell’asimmetria del tempo Ritorniamo ora alla questione scientifica. Il problema di Boltzmann aveva rappresentato un tentativo fallito di offrire una rigorosa versione meccanica del fenomeno dell’irreversibilità, nel senso della meccanica classica applicata alla microfisica in termini statistici. Il secondo principio, malgrado gli sforzi di Boltzmann, non appariva in una cornice nomologica (lawlike), ma piuttosto come una realtà fattuale, o al massimo come una sorta di certezza statistica, il che agli occhi di molti era in contrasto con la visione determinista, così fortemente collegata alle esigenze di scientificità degli inizi del Novecento. L’uscita più naturale in tale contesto, per una mente classica, era quella di vedere nel nuovo metodo statistico che cominciava a farsi strada solo l’ignoranza umana 219

M. HEIDEGGER, Nietzsche, cit., p. 309. F. TIPLER, in La fisica dell’immortalità, Mondadori, Milano 1995, pp. 75-81, tenta un ravvicinamento di questo pensiero di Nietzsche a una versione del teorema di ricorrenza tramite le catene di Markov. 220 F. NIETZSCHE, La gaia scienza, Adelphi, Milano 1965, n. 341. 221 F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano 1985, vol. 2, p. 270. 222 Ibidem, p. 282. Cfr. il ritornello nelle pp. 279-283. A. García Astrada approfondisce nel suo studio Tiempo y eternidad (Gredos, Madrid 1971) gli aspetti metafisici del rapporto tempo-eternità, in vista di una comprensione dell'essere. L'eterno ritorno viene concepito in quest'opera come una partecipazione finita nell'Assoluto (cfr. pp. 115-119) e l'idea di Nietzsche è interpretata come l'immanenza dell'eternità nel tempo (cfr. pp. 95-113). Comunque rimane fuori da quell'intuizione, come avveniva nella cosmovisione neoplatonica non cristiana, la comprensione della storia e quindi del tempo come direzione nel suo senso forte. 223 Pubblicato nel 1961, il Nietzsche corrisponde a lezioni del 1936-40. Cfr. in particolare pp. 217-391 (“L’eterno ritorno dell’uguale”) e 543-562 (“L’eterno ritorno dell’uguale e la volontà di potenza”). La svastica è l’antico simbolo dell’eterno ritorno.

88 delle ultime determinazioni delle particelle del sistema considerato. Così è avvenuto soprattutto in occasione dell’impiego del metodo di grana grossa (coarse graining) nella meccanica statistica, un metodo per il quale il conteggio statistico eseguito per la descrizione di un sistema è analogo ai grani in cui lo spazio di una fotografia viene diviso per far emergere l’immagine con una certa precisione (cfr. Castagnino 5.5). Il fatto che lo spazio di grana grossa sia sempre un’approssimazione arbitrariamente scelta rispetto alla realtà sottostante dava piede all’interpretazione soggettiva della direzione del tempo. La situazione di equilibrio finale e la direzione entropica, si poteva pensare, era observer-related, relativa alla descrizione eseguita su una certa scala di uno spazio osservativo. Occorre ricordare che, per la mentalità deterministica, la probabilità della fisica moderna (classica e non classica) era collegata alla nostra incapacità di conoscere la realtà microfisica con una precisione assoluta. L’entropia, di conseguenza, non sarebbe che la misura di un’ignoranza umana dei dettagli e così la freccia temporale sarebbe soggettiva. La prospettiva temporale macroscopica veniva così ridotta all’apparenza antropomorfica. Il tempo microfisico, come lo spazio, sarebbe isotropico. Parlare di passato e futuro equivarrebbe al linguaggio spaziale di sopra, basso, destra, sinistra, ecc. relativo al punto di vista dell’osservatore224. Ci riferiamo in queste pagine solo al lato filosofico dell’argomento della freccia temporale. La presenza o meno della freccia nel formalismo fisico senz’altro è una questione scientifica sulla quale la filosofia non è competente. Ma la costruzione dei formalismi e le riflessioni teoriche susseguenti nei diversi autori contengono talvolta delle motivazioni filosofiche di natura epistemologica e metafisica. L’interpretazione soggettivista della direzione temporale nella meccanica statistica classica, anche nella sua generalizzazione quantistica (cfr. MC VII), se non arriva all’eliminazione totale del tempo sotto il primato di una metafisica parmenidea, può accontentarsi con l’assegnazione del tempo direzionale alla coscienza o all’osservatore, persino alla vita, sottraendolo alla realtà inorganica descritta dalla fisica. La termodinamica sembrava aver aperto una breccia nell’atemporalismo tradizionale della fisica moderna, di solito collegato al dualismo che riconduceva la freccia del tempo alla coscienza umana. Una gran parte dei fisici furono conservatori in questo punto (e lo sono tuttora). Il loro rifiuto dell’oggettività della freccia, anziché a motivi filosofici, obbedisce sovente a una prospettiva metodologica che non si vuole toccare. L’evoluzione temporale viene relegata in questa prospettiva al ruolo di un caso previsto dalle leggi universali225. L’interpretazione filosofica oggettivista più elaborata dell’asimmetria termodinamica del tempo è stata quella di Reichenbach226. La teoria causale del tempo trova 224

La riformulazione dell’entropia in termini informatici (l’entropia intesa come assenza di informazione), eseguita da Shannon negli anni 40, non intacca il problema filosofico che stiamo affrontando. Anche se l’informazione si rapporta originariamente alla codificazione e alla trasmissione dei messaggi, in un senso più ampio essa viene intesa come il grado di ordine di un sistema e non esclusivamente come la nostra conoscenza dell’ordine. Cfr. D. LAYZER, La freccia del tempo, «Le Scienze», 92 (aprile 1976), pp. 59-70. 225 Cfr. una posizione atemporalista metodologica in G. PROSPERI, Il problema del tempo nella fisica, in Epistemología de las ciencias. El tiempo, vol. I, Ciafic, Buenos Aires 1997, pp. 231-258. 226 Cfr. REICHENBACH, The Direction of Time, cit., pp. 49-205.

89 in essa la sua piena espansione. L’esperienza degli interventi causali umani e le interazioni osservate in natura ci dimostrano, secondo Reichenbach, la produzione di sistemi ordinati (una stella, un’opera d’arte, ecc.). Questi stati formano un sottosistema e rimangono strutturati e relativamente isolati lungo un periodo, prima di decorrere verso il disordine. Verso il passato, dunque, si riconducono ad uno stato di bassa entropia, nel quale un’interazione li ha staccati da un altro sistema precedente. Di fronte al futuro essi evolvono verso il disordine. Un processo di combustione, lo scioglimento di un ghiaccio in acqua, ecc. sono esempi di sottosistemi ramificati sottoposti alla freccia termodinamica. «Sono abbondanti in natura i sistemi ramificati (branch systems) di questo genere, cioè sistemi che si staccano da un sistema più abbracciante e che rimangono isolati sin da allora per un periodo di tempo. La loro evoluzione comincia in uno stato ordinato, che è uno stato di relativa bassa entropia, e progredisce verso il disordine, cioè verso una relativa alta entropia»227. Il modello di Reichenbach dei sistemi ramificati (cfr. MC V, 4) consente di capire la direzione entropica boltzmanniana non come una sequenza di stati di un sistema isolato, bensì come una serie statistica di stati simili. La ramificazione dei sistemi, nella storia della parte dell’universo che ci è nota, fa apparire una curva che, complessivamente, dimostra la crescita dell’entropia. Il futuro viene definito allora come il senso temporale dove punta l’entropia in crescita e il passato come il senso inverso. Si arriva così a una definizione statistica della direzione del tempo, che è ugualmente una definizione dell’andamento irreversibile della causalità. La freccia termodinamica fornisce all’ordine temporale e causale una direzione definita. «La direzione in cui avvengono la maggior parte dei processi termodinamici nei sistemi isolati è la direzione del tempo positivo»228. Reichenbach prese questa idea da Boltzmann, accentuandone la prospettiva probabilistica oggettiva. La sua tesi non dipende dalla cosmologia, che può essere incerta a suo avviso, ma è basata sull’andamento del tempo in quanto si presenta alla nostra esperienza. «Non possiamo parlare della direzione del tempo come un tutto; soltanto certe sezioni del tempo hanno delle direzioni, e queste direzioni non sono le stesse. Il primo ad aver avuto il coraggio di ricavare questa conclusione fu Ludwig Boltzmann229. La sua concezione di direzioni alternanti di tempo che sono solo settorialmente definite mediante processi statistici rappresenta una delle intuizioni più fini sul problema del tempo»230. Reichenbach ammise quindi la possibilità del cambio di direzione del tempo, ribadendo peraltro l’universalità empirica della crescita dell’entropia nel mondo alla portata delle nostre esperienze. In un’ottica determinista, la conoscenza empirica della causalità ci consente di compiere inferenze relative al passato e al futuro (retrodizioni e predizioni). L’approccio statistico consente di fare lo stesso con l’impiego del modello branch systems e non si ferma al singolo sistema. Ogni sistema, pur relativamente isolato, può essere collegato alle interazioni col suo ambiente e a un certo punto tali intera-

227

Ibidem, p. 118. Ibidem, p. 127. 229 In Vorlesungen über Gastheorie, vol. II, Leipzig 1898, pp. 257-258. 230 REICHENBACH, The Direction of Time, cit., pp. 127-128. 228

90 zioni sono rilevanti231. Viene così conquistata una nozione precisa di causa fisica: «la più ampia definizione di causa ed effetto viene data di conseguenza dal riferimento alla direzione del tempo, il quale a sua volta è definibile in termini del significato più stretto di produzione»232. Alcuni riterranno discutibile questa quasi riduzione della causalità all’entropia233. La questione della causalità fisica senza dubbio è più ampia, ma le considerazioni di Reichenbach, per quanto incomplete, sono giuste. Se non si adopera un concetto assoluto di tempo, il legame tra tempo, moto e causa è più che evidente e la questione della direzione del tempo e della causalità non risulta affatto superflua. Un’esperienza universale ci dimostra la direzione unitaria dei processi causalitemporali del nostro mondo conosciuto, secondo uno schema ben preciso: apparizione creativa di ordini relativamente isolati e successivo degrado dell’ordine, in una maniera ramificata ma in fin dei conti unitaria. Castagnino ha incorporato questo schema nella sezione scientifica di questo studio. Dal punto di vista epistemologico, la questione esaminata prospettava una sorta di dualismo tra l’ordine nomologico e l’ordine fattuale. Per questo motivo molti fisici non videro nella proposta di Reichenbach una risposta esauriente al problema del tempo e della causalità. Comunque sia, non si può negare alla termodinamica il merito di aver portato in primo piano, in un modo tuttora non superato, il problema della direzione del tempo fisico. Né la teoria della relatività né la fisica quantistica lo hanno vanificato. Al contrario, la problematica si è accentuata negli sviluppi posteriori.

23. L’atemporalismo Le posizioni filosofiche nei confronti della direzione del tempo fisico a questo punto si potrebbero dividere in due gruppi. Un primo gruppo si rifiuta di riconoscere una direzione temporale in seno alla fisica (ne abbiamo considerato due esponenti in JS II, 5: Einstein e Gödel). Un secondo gruppo la ritiene invece fondamentale. Eviteremo di fare classificazioni troppo rigide in torno a questi due orientamenti, poiché le posizioni degli autori sono molto sfumate e non c’è sempre chiarezza nei dibattiti. Un rappresentante degli atemporalisti è Grünbaum, discepolo di Reichenbach. A suo avviso, l’anisotropia termodinamica introduce soltanto un ordine prius-posterius, ma l’orientamento di tale ordine in un senso o in un altro rimane convenzionale. La distinzione passato-futuro nasce dall’adesso, che è il nostro. Se diciamo che l’entropia procede verso il futuro, è perché la vediamo dalla prospettiva del nostro

231

Cfr. ibidem, pp. 129-131. Ibidem p. 156. 233 La riduzione della direzione temporale alla crescita dell’entropia è stata criticata da alcuni autori, per esempio da L. SKLAR, Up and Down, Left and Right, Past and Future, in R. LE POIDEVIN M. MACBEATH (eds.), The Philosophy of Time, cit., pp. 99-116. È ovvio che la freccia del tempo non può ridursi alla freccia termodinamica, ma il punto rilevante è che nella termodinamica emerge una chiara direzione del tempo. 232

91 presente234. La direzione del tempo è mind-dependent. Nel mondo c’è cambiamento, ma un vero divenire (becoming) appartiene solo alla coscienza235. Nella prima parte del nostro studio (JS I, 5) avevamo discusso questo punto: secondo B. Russell, la serie temporale tipo A di McTaggart (passato-futuro) era relativa alla coscienza umana. Tale tesi è insoddisfacente, dal momento che il nostro presente non è convenzionale e ci rapporta a una direzione assoluta del tempo naturale, dove le frecce termodinamica e psicologica coincidono (quest’ultima è basata fisicamente sull’informazione e memoria del nostro cervello). La posizione di Grünbaum sarebbe giusta solo in una prospettiva astratta della fisica. In tal caso è vero che dal puro punto di vista delle sue leggi non è possibile definire il futuro fisico. Il problema è che nessun livello della fisica è così puro, poiché vi aggiunge sempre una conoscenza fisica esterna ineliminabile, per esempio quando si afferma che l’entropia dell’universo adesso è bassa. Questo adesso è il nostro, ma è anche reale. Senza la coscienza umana, l’entropia dell’universo crescerebbe e non viceversa, anche se nessuno lo sapesse. Atemporalista è ugualmente la tesi di Costa de Beauregard: il tempo della teoria della relatività è spazializzato e appartiene ad un mondo che è e non diviene. Il tempo scaturisce dalla coscienza236. Un'opinione simile si trova in Mehlberg, anzi più forte. Secondo la sua tesi, la freccia temporale non esiste in alcun campo della fisica. Il passato-presente-futuro nasce esclusivamente dalla posizione dell’osservatore: l’adesso equivale all’essere qui, in questo luogo, il che non può avere alcun privilegio nella descrizione fisica, se non si vuol cadere in una sorta di antropomorfismo precopernicano237. Se l'uomo invecchia, dal punto di vista della fisica tale successione non sarebbe ontologica, ma dipenderebbe soltanto dalla scelta convenzionale di coordinate spazio-temporali per la descrizione della sua vita238. Più radicalizzata ancora è la tesi di Price239, per il quale il presente non è che una prospettiva apparente della nostra soggettività. La causalità potrebbe invertirsi e parlare in fisica di una direzione del tempo è solo una scelta convenzionale. L’universo è un blocco atemporale (block universe view). Questo strano amore dell’atemporalità ci sembra più filosofico che scientifico e abbiamo avuto occasione di trovarlo a proposito delle interpretazioni della relatività. Senz’altro, la fisica come altre scienze astratte raggiunge al suo vertice teorico una prospettiva sopratemporale. Un libro di fisica teorica vale per ogni tempo. La verità scientifica non è temporale, anche quando parla del tempo, e nell’universo ci sono molti aspetti fondamentali invarianti dal punto di vista della temporalità. Nella tradizione filosofica realista (Aristotele, l’Aquinate), l’essenza è la radice atemporale delle manifestazioni temporali. Ciò non può significare tuttavia la negazione della realtà del tempo, inteso come passato e futuro. La fisica, scienza del moto, compie di conti234

Cfr. A. GRÜNBAUM, Philosophical Problems of Space and Time, cit., pp. 314-329. Cfr. ibidem, p. 324. 236 Cfr. O. COSTA DE BEAUREGARD, La notion de temps, Vrin, Paris 19832; ID., Time, The Physical Magnitude, Reidel, Dordrecht 1987. 237 Cfr. H. MEHLBERG, Time, Causality, and the Quantum Theory, vol. II, Time in a Quantized Universe, Reidel, Dordrecht 1980. 238 Cfr. ibidem, p. 183. 239 Cfr. H. PRICE, Time’s Arrow and Archimedes’s Point, Oxford University Press, Oxford 1996. 235

92 nuo predizioni del futuro e ricostruisce il passato, poiché la conoscenza delle leggi causali consente di scoprire negli oggetti fisici le tracce del passato e le predisposizioni per il futuro. In questo senso il tempo direzionale non è per nulla irrilevante per la fisica. Il fatto non toglie l’intervento di una certa arbitrarietà epistemologica nell’approccio fisico alla realtà del tempo, non solo per quanto riguarda la misura, ma anche in determinati aspetti topologici. La fisica descrive l’evoluzione dei sistemi dinamici mediante la rappresentazione degli spazi. Gli spazi da essa impiegati sono delle costruzioni matematiche (enti di ragione con fondamento nella realtà) destinati alla misurazione selettiva (astratta) di insiemi di entità fisiche in evoluzione temporale. Sulla base di osservabili preselezionate (spazio delle osservabili) e delle equazioni del moto, si ottengono soluzioni che rappresentano una successione di stati del sistemi, descritti negli spazi degli stati. Questa successione è raffigurata da funzioni, curve, quadri, ecc. negli abituali schemi usati dalla fisica. Dal momento che la “qualità” degli spazi osservativi può essere più o meno accurata, il che è una scelta metodologica, la realtà osservata apparirà non solo in corrispondenza alla natura del mondo, ma anche condizionata dalla scelta degli spazi. La conoscenza, secondo San Tommaso, corrisponde al modus essendi, ma anche al modus cognoscendi240: conosciamo la realtà attraverso la nostra mediazione gnoseologica. Proprio per questo motivo il rilevamento della direzione temporale e di altre caratteristiche topologiche può dipendere dalla scelta convenzionale di un tipo di spazio. È questo il punto in cui gli esponenti dell’atemporalismo si fanno forti per il rifiuto della direzione temporale ontologica. Sennonché la fisica ha un’intenzionalità realistica e perciò cerca di impiegare gli strumenti matematici più aderenti alla realtà naturale241. Non tutti i settori teorici della fisica arrivano alla freccia temporale, per motivi sia epistemologici che ontologici. Nelle applicazioni fisiche alla realtà concreta l’asimmetria sostanziale del tempo invece compare invariabilmente. Nella biologia e nella cosmologia non si può prescindere dalla direzione del tempo. La meccanica classica non ne teneva conto, ma non appena si prende atto delle instabilità caotiche e della realtà più complessa studiata dalla meccanica statistica, la freccia temporale comincia a delinearsi, il che significa semplicemente che la realtà naturale comincia a manifestarsi come un processo. Negare a questo punto la realtà del tempo direzionale è una forma di riduzionismo e confinarlo alla coscienza porta al dualismo cartesiano ormai superato nei nostri tempi. L’analogia del qui con l’adesso non dovrebbe portare alla spazializzazione del tempo, giustamente criticata da Bergson. I percorsi spaziali sono di solito reversibili, ma l’andamento temporale non lo è. Perché? Il motivo è che il cambiamento dei sistemi complessi nel mondo risulta irreversibile, così come ad esempio la morte e l’invecchiamento non sono reversibili. Nella misura in cui ci sono movimenti irreversibili, l’ordine temporale è direzionale, producendo la distinzione tra passato e futuro. Ora, qualsiasi cambiamento nel mondo, pur essendo reversibile, non lo è comple240

Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, S. Th., I, q. 84, a. 1. Abbiamo condensato in questo paragrafo quanto viene ampiamente illustrato in M. CASTAGNINO - J.J. SANGUINETI, Gnoseology, Ontology, and the Arrow of Time, «Acta Philosophica», 7 (1998), pp. 235-265. 241

93 tamente, dal momento che esso si potrà invertire solo in un nuovo contesto di un mondo che è continuamente soggetto a trasformazioni (una reversibilità completamente esatta dovrebbe comprendere tutto l’universo, come avviene nel mini-universo di un filmato alla rovescia). Di conseguenza, nell’universo esiste veramente un passato e un futuro e solo due fatti ipotetici, che abbiamo scartato, sarebbero contrarie a questa tesi: l’eterno ritorno e la reversibilità globale del processo cosmico. La fisica può parlare del passato e del futuro in modo astratto oppure concreto. Nella considerazione astratta, un evento è passato rispetto a un altro posteriore ed è futuro rispetto a uno precedente (serie temporale B). Sul piano linguistico astratto qualunque evento si può scegliere arbitrariamente come presente rispetto ad altri prius e posterius. Ora, il presente concreto di cui possiamo parlare è solo il nostro (serie temporale A), il quale come abbiamo insistito non è una semplice apparenza “prospettica”, dal momento che comporta una reale situazione ontologica e una partecipazione al presente del mondo che ci è accessibile. La fisica applicata può parlare con senso di questo presente quando si riferisce alla situazione attuale dell’universo conosciuto, dal quale essa deduce tanto i fatti del passato quanto le prospettive del futuro.

24. L’orientamento temporalista Un secondo gruppo di autori sostiene una visione temporalista della natura proprio nella fisica (e non solo nella filosofia o nella biologia, com’era il caso di Bergson e di Whitehead). La posizione di Reichenbach esposta nel n.8 appare moderata al riguardo, ma in fin dei conti è temporalista e perciò è stata rifiutata dagli esponenti dell’atemporalismo. Non troviamo comunque, riguardo al problema termodinamico (neppure rispetto alle altre frecce temporali che vedremo più avanti), filosofi recenti importanti che si siano schierati sulla direzione irreversibile dei processi fisici, quali sono stati Bergson e Whitehead in altri tempi. In parte ciò è dovuto alle notevoli difficoltà tecniche per la valutazione dei problemi scientifici soggiacenti. Temporalismo e problemi causali. La finalità nel futuro. Un accenno all’approccio temporalista si può trovare in Popper. In una serie di brevissime note pubblicate su Nature negli anni ’50, in polemica con altri autori, Popper si oppose alla sola interpretazione statistica dell’irreversibilità dei fenomeni fisici e anche alla riduzione della questione alla termodinamica242. Benché i termini specifici della sua discussione siano stati superati nei nuovi contesti della scienza, il suo concetto centrale rimane saldo: l’asimmetria temporale caratterizza la maggior parte delle soluzioni alle equazioni della fisica in tutti i suoi campi ed è riconducibile a ciò che egli denomina fenomeni causalmente irreversibili, pur essendo teoricamente reversibili. Vale a dire: la teoria potrebbe specificare certe condizioni iniziali che consentano un'inversione temporale, ma la realtà osservata dimostra che quelle condizioni non potranno verificarsi causalmente se non in maniera miracolosa, come sarebbe un vero miracolo 242

Cfr. «Nature», 177 (1956), p. 538; 178 (1956), p. 382; 179 (1957), p. 1297; 181 (1958), pp. 402-403.

94 che le onde di acqua di un lago si concentrassero in un punto per poi produrre il violento lancio di una pietra fuori dal lago. Non basta ricondurre tale fenomeno a una rara improbabilità. Esso è fisicamente (benché non teoricamente) impossibile243. L'espressione causalmente irreversibile indica, ancora una volta, l'importanza di collegare la direzione del tempo con la causalità. Difatti nella riflessione filosofica sulla fisica moderna l'argomento della causalità cominciò a preoccupare, nonostante i divieti del positivismo, man mano emergeva nello scenario il problema della direzione del tempo. Questo punto è anche valido per quanto si riferisce alla causalità finale. Una direzione preferenziale dei processi naturali suggerisce una certa teleologia della natura, che merita di essere valutata con criteri filosofici. Se il mondo procede seguendo una determinata direzione, possiamo domandarci allora in quale misura questa tendenza incide sulla vita umana e sull’ultima interpretazione metafisica della realtà. Sin dalla scoperta del II principio termodinamico, come è noto, si è fatta avanti spesso una reazione pessimista di fronte a un fatto apparentemente sconcertante. La crescita dell’entropia significa una tendenza naturale al degrado, una sorta di “anti-finalismo”, fortemente contrario alle idee ottocentesche del progresso e in contrasto con le teorie evolutive. Che significato può avere questa sorta di preferenza della natura per le situazioni di equilibrio termodinamico? Per quale motivo il futuro dovrebbe presentarsi in un modo così poco allettante? È ovvio che gli atteggiamenti filosofici di fronte a tale prospettiva possono essere molto diversi. La legge universale della crescente entropia potrebbe essere rifiutata come assurda, oppure essere occasione di riflettere sul carattere contingente della natura e sulla finitezza umana, il che d’una parte può riallacciarsi a una visione teologica provvidenzialistica, ma può anche prendere una piega nichilista. Queste diverse strade furono conosciute nell’Antichità, come abbiamo visto nella nostra esposizione storica (stoicismo, epicureismo). A titolo di esempio menzioneremo la posizione di Atkins244. Poche citazioni sono eloquenti per evidenziare la sua concezione praticamente epicurea: «tutto il mondo sa perché le cose cambiano: le cose tendono al peggio. Gli scienziati esprimono questo fatto in un modo diverso, meno emotivo e più preciso, atto per essere reso quantitativo, dicendo che ‘le cose tendono a disperdersi’. La seconda legge non fa altro che esprimere esteriormente la tendenza naturale e senza scopo delle cose a disperdersi […] È specialmente importante notare che questa dispersione caotica di molecole è senza scopo (purposeless), cioè niente si dirige verso una speciale direzione»245. Dal punto di vista filosofico l’impiego di questo termine purposeless è chiaro. La finalità o intenzionalità (purpose) può apparire solo di fronte alla nascita di una struttura ordinata. Il disordine (la morte) di per sé non può costituire un fine, a meno che non serva per qualcosa di altro. «Notiamo ancora una volta che la dispersione è senza scopo, e che è la conseguenza necessaria di un universo che è in grado di esplorare i suoi possibili stati man mano il tempo procede»246. In quest’ultima frase la finalità del cosmo sembrerebbe essere quella di 243

Cfr. il concetto di “evoluzioni fisicamente proibite” in MC V, 6. Cfr. P.W. ATKINS, Time and Dispersal: The Second Law, in R. FLOOD - M. LOCKWOOD (eds.), The Nature of Time, cit., pp. 80-98. 245 Ibidem, p. 83. 246 Ibidem, p. 84. 244

95 esplorare tutti i suoi possibili stati (probabilmente infiniti). Solo che precisamente questo punto equivale ad affermare l’inesistenza della finalità. Il tempo quindi è distruttivo di tutto. Atkins spiega come dal caos emergono situazioni di ordine, situazioni che comunque sono sempre locali. La costruzione di una cattedrale (un nuovo ordine locale) si paga con l’aumento universale di entropia247. Le strutture di ordine nascono dal caos e ritornano invariabilmente nel caos. «Abbiamo guardato attraverso la finestra il mondo provvisto dalla seconda legge, e abbiamo visto la nuda mancanza di scopo della natura. La struttura profonda del cambio è il decadimento. La molla del cambio in tutte le sue forme è la corruzione della qualità dell’energia, mentre essa si diffonde nel tempo in modo caotico, irreversibile e senza finalità»248. L’affermazione della non finalità è teleologica, sia pure in modo negativo. La fisica non prende in considerazione la causa finale, ma la riflessione filosofica sulla fisica può farlo (parlare di fine, causa finale, significato o valore in fin dei conti è lo stesso). A questo punto possiamo menzionare la tesi di Fraser dell’esistenza di due frecce temporali nell’universo: «se prendiamo come riferimento il sistema vivente, allora il nostro senso del tempo corrisponde alla tendenza alla diminuzione di entropia e alla crescita dell’informazione. Chiamo questa la freccia della crescita. Se prendiamo come riferimento l’ampio sistema chiuso che include l’organismo vivente come sistema aperto, allora il nostro senso del tempo corrisponde all’entropia che cresce mentre l’informazione diminuisce, o freccia del decadimento […] L’associazione della direzione del tempo che procede dal passato verso il presente e verso il futuro con la freccia della crescita e con quella del decadimento è arbitraria. Essa dipende dalla preferenza di situarsi dal lato dell’imprevedibilità del vivente oppure dal lato della certezza della morte»249. Due direzioni quindi, apparentemente opposte, ma in verità un’unica direzione, nella quale sono comprese due fasi globali successive, la crescita e in seguito il decadimento, come avviene nella vita. Questa successione è reale, non arbitraria. La visione di Atkins, anche se unilaterale, pone un vero problema di senso, com'è quello della morte. Questo problema non trova a nostro avviso una soluzione completa e definitiva all’infuori di una concezione trascendente, ma non ci soffermeremo ora su questo punto (cfr. JS III). La teoria causale di Reichenbach veramente teneva conto delle due direzioni indicate da Fraser, in una certa sintonia con la filosofia tradizionale: la causa fisica (efficiente) sta nel passato, mentre la finalità (purpose) si colloca nel futuro. L’evoluzione temporale potrebbe essere descritta a partire dal futuro, vale a dire dal punto di vista finalistico, dal momento che lo scopo (il futuro) determina come sarà il presente (a titolo di fine). La fisica però preferisce considerare il tempo partendo dal passato, a partire cioè dalle cause fisiche, e in questo senso diciamo che il passato o forse meglio il presente (le cause agenti) produce il futuro e non viceversa250. Secondo gli scolastici infatti il fine viene prima nell’intenzione, ma è posteriore nella rea247

Cfr. ibidem, p. 92. Ibidem, p. 98. «Questa è la desolazione che dobbiamo accettare se guardiamo attentamente e con imparzialità nel cuore dell’Universo» (P. ATKINS, Il Secondo Principio, Zanichelli, Bologna 1988, p. 212). 249 J.T. FRASER, The Genesis and Evolution of Time, cit., pp. 113-114. 250 Cfr. H. REICHENBACH, The Direction of Time, cit., p. 153-155. 248

96 lizzazione251. Il problema sollevato da Atkins emerge naturalmente quando nel futuro si annunciano la morte e il disordine, che sono il contrario della finalità. Le considerazioni precedenti dimostrano quanto contribuisca la visione causale all’approfondimento della distinzione tra passato e futuro. Sono interessanti a questo riguardo le proprietà ontologiche della direzione del tempo appuntate da Reichenbach: 1) il tempo evolve dal passato verso il futuro; 2) il presente, che divide il passato dal futuro, è adesso252; 3) il passato non ritorna più; 4) possiamo cambiare il futuro (con restrizioni), ma non il passato; 5) possiamo avere registri (records) del passato, non del futuro (che è prevedibile solo in parte); 6) il passato è determinato, mentre il futuro è indeterminato253 (esiste un futuro determinato, ma non in modo incondizionato). Da questo elenco si capisce fino a che punto la direzione irreversibile del tempo (nn. 1-3) è ricollegabile alla causalità fisica (nn. 4-6) e alla conseguente conoscenza del tempo (n. 5). Gli autori atemporalisti hanno cercato di eliminare alcune di queste caratteristiche. Nella filosofia realistica questi punti sono più che evidenti. Al momento di soffermarci sulla fisica quantistica (cfr. JS II, 13), si potrà verificare quanto sono state illuminanti queste caratteristiche per comprendere il ruolo del tempo nella teoria quantistica. Ciò non deve sorprendere, dal momento che Reichenbach le ha proposte a partire da una prospettiva statistica della fisica, la quale si presentò per la prima volta nella scienza proprio negli studi della meccanica statistica classica. Soltanto in tale prospettiva il presente comincia ad avere un ruolo insostituibile nella fisica, separando nettamente il passato dal futuro (cfr. MC XI, 5). Torniamo per un attimo alla questione della finalità e del futuro, per menzionare una soluzione opposta a quella pessimistica di Atkins, qual è la tesi “ottimistica” di F. Tipler254. Basandosi su una certa interpretazione del principio antropico255, egli postula che la vita intelligente alla fine dovrà prevalere nell’universo, vincendo totalmente il II principio per assumere in un futuro remoto (il “Punto Omega”) il controllo assoluto del cosmo. Il modo di ragionare di Tipler è teleologico a priori, così come Platone a partire da un ideale postulato di perfezione deduceva come dovrebbe essere la geometria e la fisica del cosmo256.

251

«Finis est prior in intentione, sed est posterior in executione» (SAN TOMMASO D’AQUINO, S. Th., I-II, q. 20, a. 1, ad 2). 252 Tale espressione non è tautologica, ma indica, come abbiamo detto in JS I, 5, il carattere peculiare del presente, che è soltanto il nostro presente. 253 Cfr. H. REICHENBACH, The Direction of Time, cit., pp. 20-23. Le tesi sono proposte per la discussione, ma lungo tutta l’opera vengono accettate con le opportune precisazioni. 254 Cfr. F. TIPLER, La fisica dell’immortalità, cit. 255 Senza entrare nelle diverse versioni del cosiddetto principio antropico che sono state date nei dibattiti cosmologici, in termini generali tale principio pone l'esistenza della vita, e soprattutto della vita intelligente o umana, come una condizione di intelligibilità del cosmo specifico in cui viviamo, anche nel suoi particolare processo di nascita e di sviluppo e nella sua precisa costituzione fisica. Da una prospettiva aristotelica, si può vedere in tale enunciato l'idea di una finalità del cosmo, cioè il processo di origine e di formazione dell'universo sarebbe orientato all'uomo. Ciononostante, il principio antropico è stato non di rado interpretato in una maniera soggettivistica e non metafisica. Cfr. il nostro studio El origen del universo, Educa, Buenos Aires 1994, pp. 223-262. 256 Cfr. Timeo 33b-34a.

97 Due obiezioni si possono addurre nei confronti di questa impostazione: 1) i ragionamenti deduttivi fatti da Tipler sono solo in apparenza scientifici: essi impiegano la matematica al servizio dell’immaginazione e addirittura sfiorano il ridicolo; 2) la sua concezione della vita perenne non corrisponde a una vera vita, dal momento che egli non vede alcuna differenza sostanziale tra una macchina, una calcolatrice e un essere vivente (un’automobile è un vivente per Tipler)257. Altri fisici (Dyson, Linde) postulano anche la sopravvivenza eterna della vita in un universo che supererebbe le prospettive della morte termica, e anche in questi casi si pensa non a partire dai fatti o da leggi conosciute, ma piuttosto dal non-senso che sarebbe una scomparsa totale della vita, il che porta a escogitare possibili modi, perfino fantascientifici, in cui essa potrebbe eternizzarsi nel cosmo. Indipendentemente dal valore scientifico (purtroppo scarso) di queste speculazioni, ci preme sottolineare l’uso del principio di finalità in queste prospettive. L’intelligenza è vista qui come un valore assoluto e perciò essa dovrà esistere in eterno258. Il divenire creativo in Prigogine. Negli studi termodinamici eseguiti sin dal 1945 da Prigogine e dalla sua scuola (“scuola di Bruxelles”) si è prospettata una visione alquanto diversa dell’irreversibilità temporale259. La termodinamica si era occupata tradizionalmente delle situazioni di equilibrio, un punto centrale nel secondo principio. Prigogine concentrò la ricerca su sistemi macroscopici aperti in situazioni lontane dall’equilibrio. Questi sistemi (i viventi, certe reazioni chimiche, la terra, il clima, ecc.), chiamati dissipativi, ricevono energia dall’esterno e la consumano, per cui riescono a mantenersi in una situazione stazionaria dinamica anziché cadere nell’equilibrio. Ora, piccole fluttuazioni, che ordinariamente vengono attenuate e non lasciano traccia, nei sistemi dissipativi sono in grado a un certo punto di amplificarsi e di produrre una rottura della struttura precedente, per dar luogo a una nuova forma di organizzazione. La rottura avviene quando si arriva a una certa soglia critica (“punto di biforcazione”, nella visualizzazione grafica). Viene indotta così in una maniera irreversibile una nuova struttura, cui potrebbero seguire per arborescenza tante altre. Ne segue una sorta di storia nella catena dei sistemi, nel senso che nel passato è iscritta una “scelta” tra diverse possibilità e nell’orizzonte futuro se ne aprono altre, esplorabili ma non completamente prevedibili260. Ciò è reso possibile grazie all’instabilità dinamica dei sistemi (caos), un fenomeno che consente di supe257

Cfr. F. TIPLER, La fisica dell’immortalità, cit., pp. 120 e 122. Anche il Cristianesimo sostiene la perennità della vita, in un’ottica però spiritualistica e teistica che include l’universo materiale e l’uomo. Nelle ipotesi menzionate si accetta con rassegnazione che il genere umano sarà distrutto e si spera soltanto che la vita risorgerà “in un altro modo”, senza però uscire da un quadro puramente fisico. 259 Cfr. I. PRIGOGINE, La nouvelle alliance. Métamorphose de la science (con I. STENGERS), Gallimard, Paris 1979; From Being to Becoming, Freeman and Co., New York 1980; Entre le temps et l’éternité (con I. STENGERS), Fayard, Paris 1988. 260 «Il posto che un sistema occupa nell’albero delle biforcazioni riflette anche la sua storia particolare: come un bambino sa che, per cogliere una mela dall’albero, deve arrampicarsi sul gruppo di rami più adatti a tale scopo, così il sistema, se non avesse seguito quella specifica strada sull’albero delle biforcazioni, non si troverebbe nello stato in cui si trova» (P. COVENEY - R. HIGHFIELD, La freccia del tempo, cit., p. 248). 258

98 rare il determinismo rigido della meccanica classica261. La dinamica dei processi irreversibili si pone così al servizio del mantenimento dinamico dei sistemi fisici complessi e parimenti induce i fenomeni di auto-organizzazione. Con l'aiuto di equazioni differenziali non-lineari, la termodinamica studia processi auto-organizzativi e non solo degenerativi, ponendo così le basi per una migliore comprensione della chimica e della biologia262. È questa la cornice del programma di Prigogine e di altri autori di simili vedute. Nei suoi scritti divulgativi egli ha presentato i suoi studi tecnici accanto a certe idee filosofiche, con un’appassionata difesa della temporalità come nucleo profondo della natura263. La dinamica classica, nella misura in cui si ferma alla simmetria temporale, sarebbe secondo Prigogine una scienza dell’essere nel senso parmenideo, mentre la nuova termodinamica sarebbe una scienza del divenire. L’introduzione del tempo storico nella fisica sarebbe un evento epistemologico destinato a ricollegare in maniera profonda le scienze “dure” alle scienze “morbide” (biologia, economia, sociologia) e dovrebbe ammorbidirne le differenze, contribuendo così all’unità del sapere. Lasciando da parte una certa enfasi di Prigogine su questi punti, la scoperta della rilevanza del tempo nella natura è un fatto consolidato e oggi c’è una maggiore convergenza in questa linea in numerose aree scientifiche. La questione dell’asimmetria del tempo nella fisica non è che un capitolo di questa storia. Il significato filosofico delle idee di Prigogine potrebbe essere condensato nei seguenti punti. Il tempo si manifesta a livello naturale in un certo senso come storia264. La fisica non-lineare dell’irreversibile fornisce gli elementi per capire meglio come può procedere questa storia, con un intreccio tra regolarità, strutture stazionarie e mutamenti inaspettati. Prigogine sottolinea in questo senso che, dopo la nozione einsteiniana del tempo come illusione e quella del tempo di stampo boltzmanniano come degrado, il nuovo approccio fa emergere un tempo creativo265. Beninteso che il 261

Le ricerche sul caos e sulla complessità costituiscono una delle grandi rivoluzioni della fisica del XX secolo. Il determinismo era già stato colpito nel seno stesso della fisica classica, come fu intravisto da Poincaré: i sistemi meccanici più complessi si rendono più instabili, con un comportamento imprevedibile e irreversibile. Questo punto è ampiamente spiegato in MC II, 4. Rimandiamo per questa tematica all'eccellente opera di P. Musso, Filosofia del caos, Angeli, Milano 1997. 262 Per termodinamica si intende talvolta in un modo generico la meccanica statistica classica e quantistica, nonché la meccanica classica estesa ai fenomeni instabili, cioè la teoria del caos determinista. Questi settori ricoprono i l’area dei fenomeni irreversibili non organici che l’uomo trova nella sua esperienza ordinaria (clima, comportamento dei fluidi, dei gas, ecc.), per non menzionare le conseguenti applicazioni in campo chimico, biologico e nelle scienze della terra. 263 Sul piano scientifico la ricerca di Prigogine e in particolare la sua concezione dell’entropia e le sue pretese rivoluzionarie hanno suscitato polemiche e non sempre sono state accolte interamente dai fisici. In MC V, 6 la “dinamica generalizzata” prigoginiana viene ridimensionata come dinamica ristretta, adeguata per lo studio dei fenomeni irreversibili della termodinamica. 264 «Un esempio che colpisce è la storia del clima, coi suoi numerosi periodi di glaciazione dall’inizio del quaternario. È così che possiamo parlare di una storia del clima. Recenti ricerche hanno potuto dimostrare che questa sola espressione implica già che la biosfera è un sistema lontano dall’equilibrio» (I. PRIGOGINE, La nascita del tempo, Bompiani, Milano 1994, p. 44). 265 «Gli sviluppi recenti della termodinamica ci propongono dunque un universo in cui il tempo non è né illusione né dissipazione, ma nel quale il tempo è creativo» (ibidem, p. 81).

99 tempo come degrado sta sempre lì: la creazione si produce nei sistemi aperti a spese di un aumento di entropia nell’universo. I sistemi ramificati di Reichenbach reggono e vanno completati con le nuove prospettive (cfr. MC V, 4; VI, 5; XI, 4). Asserire che “il tempo è creativo” è un modo di dire che la natura stessa è creativa o che ci sono in essa processi di auto-organizzazione, cioè nel futuro non si prospetta soltanto il degrado. Il come cui ci riferivamo sopra si può esprimere in una frase ricorrente in Prigogine: dal caos (cioè dalle fluttuazioni) nasce l’ordine. Le leggi dei comportamenti auto-organizzativi comunque sono causali. Il caos è chiamato appunto deterministico, a differenza del “caos stocastico” o puro rumore dovuto a fattori esterni. Le strutture dissipative vanno continuamente rialimentate dall’esterno per evitare l'avvicinamento all’equilibrio. Le fluttuazioni non vanno viste come un semplice predominio del disordine, dal momento che esse comportano una dinamicità che in determinate condizioni, a seconda della velocità e i tempi delle reazioni266, possono portare all’emergenza di nuovi ordini, prima rimasti potenziali. La novità può farsi strada grazie alla flessibilità dell’equilibrio precedente. L’ordine in definitiva non nasce semplicemente “dal caos”, ma da condizioni causali probabilistiche cui è associato il caos deterministico. Ciò che può portare al degrado (l’instabilità e la crescita dell’entropia) rende possibile al contempo la produzione “storica” di nuove strutture. Tutto questo sarebbe impossibile se il tempo fosse irrilevante267. La visione temporalistica sorta in questo approccio offre una nuova comprensione del modo di evolvere della natura. I sostenitori dell’atemporalismo, oltre al fatto di non essersi accorti dell’importanza della termodinamica del non-equilibrio, erano in un certo senso platonici, anche se non per questo sono da ritenersi del tutto sbagliati. L’invarianza delle leggi della natura è un elemento di sopratemporalità esistente nella realtà fisica e, in un altro modo, nel pensiero scientifico. L’essere della realtà non è puro tempo. Non importa che quelle leggi si scoprano a posteriori, quando cioè il tempo le rende manifeste all’uomo. Esse rivelano le strutture essenziali delle cose naturali e anche le loro potenzialità, molto ampie ma insieme specifiche e selettive. Non sono però leggi che sanciscano l’identità della natura nella forma di una regolarità assoluta, di cui il mondo empirico non sarebbe che un puro caso applicativo. Il mondo fisico evolve, non si ferma e non torna in dietro: le nature si manifestano nel tempo. Appartiene all’essenza del mondo fisico l’instabilità, in un senso positivo come possibilità di cambio, aperta alla novità e ad un aumento di informazione, e in un senso negativo come possibilità e inevitabilità della perdita di informazione. Per Aristotele questa sarebbe una struttura contingente. Resta da vederne l’ultimo significato metafisico. La metafisica del tempo di Bergson. Ormai situato alla distanza di un secolo e nonostante la sua menzionata diffidenza nei confronti della relatività, Bergson resta tuttora uno dei filosofi moderni che per certi versi meglio ha intuito la problematica del tempo della natura, con un evidente influsso su Prigogine. Vogliamo riferirci a lui 266

Cfr. su questo punto, H. HOLLINGER - M. ZENZEN, The Nature of Irreversibility, cit., pp. 103-

106. 267

In MC X, 7 si può vedere un quadro di “creatività” della natura in un contesto fisico più ampio, inteso anche a mostrare come la freccia del tempo non può ridursi al solo incremento di entropia (cfr. MC X, 7.1 e X, 7.2).

100 proprio in questo momento della nostra esposizione a causa dell'ampiezza del suo orizzonte speculativo. Nessun autore meglio di Bergson può introdurci in una considerazione metafisica del tempo che riuscì a superare per la prima volta l'ontologia classica che vedeva il tempo come vicino al non essere e alla contraddizione. Questo punto può essere meglio capito alla luce del nuovo panorama della scienza che abbiamo delineato in precedenza. Benché nelle sue prime opere, quale l’Essai sur les donées immédiates de la conscience (1889), Bergson vedesse l’autentica temporalità, chiamata durée, solo nei fenomeni della coscienza, posteriormente e soprattutto in L’évolution créatrice (1907) egli estese a tutta la realtà naturale il processo di rinnovamento continuo proprio della “durata reale”. La fisica matematica, secondo Bergson, guarda il moto come già fatto e lo analizza “cinematograficamente”, riducendolo a fotogrammi istantanei statici, che poi vengono messi insiemi in successione268. Nella successione ricostruita, ridotta a moti meccanici elementari e reversibili269, la fisica non scorge niente di nuovo, dal momento che nelle condizioni iniziali tutto è già predeterminato, secondo il principio dell’identità: il presente non contiene niente di più rispetto al passato e ciò che si trova nell’effetto stava già nella causa: tout est donné270. In una simile prospettiva l’irreversibilità del tempo viene ridotta alla nostra ignoranza271. Quest’impressione di staticità, pur essendo utile per fare delle previsioni che servono alle necessità della vita, in fondo è erronea e la stessa scienza, anticipa Bergson, ne riconosce la falsità quando si apre alla considerazione di tutto l’universo272. Rovesciando le posizioni atemporalistiche, Bergson arriva a considerare localista la negazione del tempo reale nella natura, in quanto si concentra soltanto su sistemi isolati che necessariamente sono parziali273. Una visione cosmologica evidenzia invece due tendenze nell’universo, una creativa (“ascesa”) o di maturazione delle forme veramente nuove, e un’altra di sviluppo e frammentazione (“discesa”) di ciò che è stato creato274. La realtà evolutiva del cosmo — Bergson pensa alla vita e all’evoluzione cosmica, concepita al suo tempo secondo l’ipotesi laplaciana della nebulosa primitiva — è costituita da “esplosioni” di novità che poi debbono fare i conti con la resistenza della materialità275. L’ordine risultante è contingente e non predeterminato. La seconda legge della termodinamica, «la più metafisica delle leggi della fisica»276, mostra la direzione verso la quale procede l’universo. Ma la vita si sviluppa nella direzione inversa, come sfidando l’entropia277. L’apparizione della novità della vita è un ritardo della crescita

268

Cfr. L’évolution créatrice, in Puf, Paris 1970, pp. 752-760. Cfr. ibid., pp. 519-520. 270 Cfr. ibid., pp 505-509 e 526. 271 Cfr. ibid., p. 508. 272 Cfr. ibid., p. 503. 273 Cfr. ibid., pp. 502-503, 526-528. 274 Cfr. ibid., p. 503. 275 Cfr. ibid., p. 578-579, 713-714. 276 Ibid., p. 701; cfr. pp. 701-702. 277 Cfr. ibid., pp. 703-704. 269

101 dell’entropia278. La vita è creativa in quanto immagazzina energia e la distribuisce approfittandosi appunto del disfarsi di cui la legge dell’entropia è responsabile, ritardando così il processo di degrado279. Il tempo in definitiva non va visto secondo Bergson come degrado dell’essenza (neoplatonismo), né come lunghezza spaziale (fisica tradizionale), ma essenzialmente come creazione280. Abbiamo selezionato le idee di Bergson in L’évolution créatrice che possono considerarsi in un certo senso come anticipatrici dei sistemi ramificati cosmologici, quali sono esposti nella sezione scientifica di questo libro e vengono simboleggiati nei diagrammi di Bohm-Reichenbach281. La cosmologia, le teorie evoluzionistiche e la termodinamica degli inizi del XX secolo puntavano senz’altro in questa direzione, cui Bergson aggiunge la sua intuizione dell’élan vital. Il punto centrale del suo pensiero comunque è metafisico e non naturalistico. Bergson concepisce la realtà profonda come divenire. «Materia o spirito, la realtà ci è apparsa come un divenire perpetuo. Essa si fa o si disfa, ma non è mai qualcosa di già fatto»282. Non si deve però confondere questo concetto col divenire in senso classico, il quale era inteso come una situazione di degrado rispetto all’essere e quasi vicino al nulla (o quasi contraddittorio). Il divenire di Bergson, la durée, è un guadagno creativo dell’essere, legato a una concezione “creativa” della causalità: il presente contiene accumulato tutto il passato e si apre alla possibilità di un futuro sempre nuovo. In qualche espressione in L’evoluzione creatrice Bergson non è facile distinguere tra la creatività di Dio, quella dello spirito e quella del mondo materiale, e forse il termine durata non fu ben scelto, ma certamente egli non ridusse la realtà alla temporalità “quasi nichilistica”, poiché col termine di durata reale Bergson voleva indicare l’attualità viva e operativa dell’esistenza. Egli si rifiutò di risalire a Dio per la via logica, quella cioè che pretendeva di dedurre il mondo dal concetto di un Eterno logico auto-necessario, al modo di Leibniz e Spinoza283. Nella via logica inaugurata da Parmenide il mondo (il tempo) appariva contraddittorio e solo l’Essere eterno era pensabile. In questo modo razionalistico Dio non poteva essere compreso come Atto, Vita e Libertà. Bergson puntava a concepire Dio come Creatore di un universo creativo284.

278

Cfr. ibid., p. 704. Cfr. ibid., pp. 705, 712-713, 781-784. 280 Cfr. ibid., pp. 783-785. 281 Cfr. MC V, 4; VI, 5; X, 7; XI, 4, e le figure 86 e 87. 282 Cfr. Oeuvres, cit., p. 725. 283 Cfr. ibid., pp. 728-730. 284 In uno dei pochi riferimenti teologici in L’evoluzione creatrice osserva Bergson: «Allora l’Assoluto si rivela molto vicino a noi e, in una certa misura, in noi. Ha un’essenza psicologica, non matematica o logica. Egli vive in noi» (ibidem, p. 747). Sulla metafisica bergsoniana cfr. J. MARITAIN, La philosophie bergsonienne, in Oeuvres Complètes, Ed. Universitaire, vol. 1, Fribourg 1986, e Da Bergson a Tommaso d’Aquino, Vita e Pensiero, Milano 1980, corrispondente a Oeuvres Complètes, vol. 8, 1989. Cfr. anche A. Castex, Metafísica del tiempo, Lohlé, Buenos Aires 1987, dove vengono studiati Bergson, Hartmann y Alexander. Qualche espressione di Bergson in L’evoluzione creatrice si potrebbe interpretare in un senso panteistico, ma ciò era contrario alle sue intenzioni, e difatti più tardi nella sua opera Le due fonti della morale e della religione egli arrivò a una concezione personalista e trascendente di Dio Amore, molto vicina al Cristianesimo. 279

102 Questa creatività del mondo fisico non è assoluta, essendo contingente e includendo anche il divenire nel senso del disfarsi, cui Bergson si riferiva quando menzionava la direzione di “discesa” espressa nel II principio termodinamico. Maritain suggerisce di vedere l'atto esistenziale di essere nel concetto bergsoniano di durata285. Ciò significa altresì che l'atto di essere della creatura fisica non va concepito alla maniera di un predicato univoco, bensì come un autentico atto che, senza identificarsi col tempo, è con esso in un rapporto essenziale, dal momento che il modo di essere delle cose fisiche è il divenire, e non solo nel senso classico della precarietà dell'essere, ma più profondamente come un divenire che conserva la sua “memoria” e si apre al futuro. In questo senso c'è da notare una convergenza significativa tra questo secondo concetto del tempo, inteso dunque come crescita e non come dispersione, e le tesi che abbiamo visto prima sulla teoria causale del tempo.

25. Diversi significati della direzione temporale Riprendiamo ora l’argomento della freccia del tempo nella fisica. La termodinamica, come avevamo visto, portò l’attenzione sull’orientamento del tempo basato sui fenomeni fisici irreversibili. In JS I, 11 e 12 abbiamo prospettato una concezione più ampia della freccia temporale: la distinzione tra passato e futuro è analogica e il tempo può "prendere una direzione" in molti sensi, per esempio, perché il futuro è libero, o perché nel futuro si profila un fine, oppure perché appaiono novità che non si ripetono, ecc. Questi aspetti sono rilevanti per la distinzione precisa tra passato e futuro. Inversione fisica, inversione temporale e radice del futuro. Nella fisica la questione della freccia temporale assume un carattere molto specifico. Le leggi fondamentali della fisica sono normalmente invarianti di fronte all’inversione temporale, cioè di per sé esse non definiscono l’orientamento temporale dei processi concreti cui vengono applicate. Si presuppone l’esistenza del tempo, a causa della successione prius-posterius nel cambio, e si capisce inoltre che tale successione può avere due sensi, dal momento che l’ordine successivo A-B può essere invertito (l’inversione è che B avvenga prima di A). Se c’è l’invarianza indicata e mancano altri criteri in proposito, la scelta di uno di questi sensi è arbitraria, come segnala Castagnino con l'espressione di “freccia convenzionale”. Le leggi della fisica teorica dunque, collocandosi su un piano astratto, non contemplano la direzione del tempo, mentre noi sappiamo che in realtà qualsiasi processo fisico procede in modo irreversibile verso il futuro. Quest’ultima frase non è tautologica e non presuppone il tempo assoluto. Ovviamente molti processi fisici (semplici) sono reversibili, nel senso che una pallina può muoversi, ad esempio, da A verso B eppoi da B verso A. Altri processi invece sono irreversibili in assoluto: nessun anzia285

Cfr. J. Maritain, Da Bergson a Tommaso d’Aquino, cit., p. 33. In questo senso Maritain osserva un'ambiguità nel carattere primordiale assegnato al tempo da Bergson (cfr. ibid., p. 41). «Per dire ciò che egli voleva, bisognava dire: essere; egli invece ha detto: tempo» (ibid., p. 54). L’esistenza precede il tempo (cfr. MC XII, 7).

103 no ringiovanisce per ritornare nel grembo materno (inoltre non bisogna confondere la reversibilità con la ripetitività: un fenomeno si può ripetere molte volte). Eppure il nostro senso comune ci dice che nel caso dell’inversione di un processo, come in quello della ripetizione, esiste sempre una vera novità, ed è questa novità a creare il futuro reale, cioè a consentirci di dire che quando la pallina compirà il viaggio di ritorno o quando riprodurrà il suo vecchio percorso, si tratterà di un evento futuro in assoluto286. In definitiva esiste futuro e passato nell’universo perché esiste la novità nella successione287. Quindi, un ordine successivo (A-B) potrà anche invertirsi fisicamente (B-A), ma ciò non significa che si proceda verso il passato, perché il futuro sta nella direzione del dopo-con-novità (tale futuro scompare soltanto nel caso del tempo chiuso totale, che esclude ogni novità). Se il cambio-con-novità è autentico, l’espressione “andare verso il passato” è contraddittoria288. In sintesi, l’ordine prima/poi aperto (non chiuso) e diverso (per esempio, perché statisticamente cresce l’entropia, o perché il futuro è evolutivo, o contiene un progetto, ecc.) è asimmetrico nella realtà, vale a dire esso possiede il principio che definisce il passato e il futuro. La freccia si mostra molto patentemente nella causalità, nella finalità e anche nella coscienza intenzionale. In questi casi risulta particolarmente chiara l’irreversibilità dei processi. Così gli effetti sono fortemente asimmetrici rispetto alle loro cause, tra l’altro perché di solito gli effetti contengono le tracce delle loro cause oppure conservano l’informazione accumulata dal passato, il che psicologicamente si manifesta nella memoria. Se per un miracolo un adulto cominciasse a ringiovanire, non avrebbe senso dire che egli “sta ritornando nel suo passato”. Egli semplicemente avrebbe una nuova esperienza, per certi versi non simile a quella di chi ritorna nel suo ambiente d’infanzia, e forse dimenticherebbe anche ciò che ha imparato. Ma un suo letterale ritorno indietro risulta impossibile, anche perché nel suo passato egli aspettava un tipo di futuro, mentre adesso tutte le sue aspettative avrebbero cambiato direzione. Il rovescio temporale dell’apprendimento non è la perdita della memoria. L’imparare è un processo finalistico. Il filmato alla rovescia di una lezione, anche se meccanicamente non fosse impensabile, in realtà non ha alcun senso e perciò è irreale, dal momento che è contraddittorio che prima si raggiunga il fine e dopo si adoperino i mezzi. Così non ha senso che queste frasi siano lette alla rovescia, se non da un punto di vista puramente acustico. Una melodia è del tutto irreversibile sotto questa angolatura. È parimenti assurdo che un persona anziana morta riprenda la vita e diventi bambina e neonata. Ciò è pensabile soltanto se eliminiamo la realtà completa, riducendola a una base puramente cinematica acausale. Questa considerazione ci dimostra che certe inversioni temporali non hanno senso (sono contrarie alla logica o 286

In JS I, 12 abbiamo anche osservato che la perdita di ordine avviene in modo disordinato, per cui essa non è l’inversione della nascita dell’ordine. 287 Presupponiamo in quanto segue le limitazioni imposte a questo punto dalla teoria della relatività speciale: la successione è invariante solo tra eventi causalmente collegati. 288 L'inversione temporale avviene in fisica quando la variabile t è trasformata nella variabile -t nelle equazioni, appunto perché si prescinde dalla direzione del tempo. A questo livello astratto un filmato visto in un senso e poi alla rovescia sono identici, tranne il confronto con un osservatore esterno.

104 all’ontologia), mentre altre inversioni sono invece pensabili, anche se non si verificano di fatto. La novità assoluta di qualsiasi evento risulta ancora più chiara se consideriamo che ogni avvenimento si compie sempre in un nuovo contesto, il quale viene dato dal complesso unitario, aperto e mutevole del mondo in cui viviamo, compresi anche noi. Qualsiasi monotona ripetizione o ritorno “indietro” è nuova anche da questo punto di vista. Questa tesi, come abbiamo visto, potrebbe essere contrastata soltanto nell’ipotesi del tempo chiuso assoluto. Tralasciandone l’impossibilità dal punto di vista della fisica, un eterno ritorno dominante, come abbiamo anche detto altrove, cancella il passato e il futuro, e perciò rende inutile l’esistenza degli esseri “storici”. Un’infinita ripetizione senza storia della nostra vita, senza possibilità di cambio e di vera novità, è un controsenso esistenziale. Legge perenne e storia variabile. Consideriamo ora il problema nell’area scientifica. Il quesito filosofico della direzione temporale nella fisica, collegato alla questione dell’irreversibilità di certi processi, ovviamente non è impostato come lo abbiamo delineato sopra. La caratterizzazione del dibattito filosofico su questo argomento risponde alla prospettiva della fisica teorica nei suoi diversi livelli più o meno astratti. Nella misura in cui la scienza abbraccia ambiti più complessi della realtà fisica, diverse modalità della direzione temporale cominciano a presentarsi. Si parla in questo senso, come si vede nell’esposizione di Castagnino, delle diverse frecce fisiche (freccia termodinamica, quantistica, ecc.), se ne discute la rilevanza, il carattere locale o universale, la tipologia e le cause, il coordinamento e l’eventuale riduzione o predominio di una freccia sulle altre. Ci si domanda specialmente sulla pluralità e sull’unità dei tempi dell’universo. Nello sfondo delle discussioni c’è sempre la tensione tra la linea atemporalista e temporalista (freccia soggettiva o gnoseologica vs. freccia ontologica)289. Nelle argomentazioni su questi punti è solita la distinzione tra legge e realtà fattuale: l’asimmetria temporale potrebbe essere nomologica, oppure solo fattuale. Come si è visto, l’idea più comune è che in generale le equazioni fondamentali della fisica godono di simmetria temporale, mentre le asimmetrie compaiono nelle loro soluzioni, un punto collegato alla distinzione tra reversibilità nomologica e irreversibilità fattuale. Il livello dei fatti corrisponde alle soluzioni delle equazioni, rapportate al concetto di “condizioni iniziali”. Le soluzioni, come si vedrà nella parte scientifica, rappresentano gli stati del sistema, tra i quali spiccano quelli “fisicamente ammissibili”, quelli cioè legati ai processi irreversibili de facto. Per non cadere in un’epistemologia platonica, riteniamo opportuno evitare una spaccatura eccessiva tra equazioni (eterne) e stati (temporali) del sistema. Certamente le leggi sono astratte, cioè contemplano una gamma di possibili evoluzioni degli stati 289

Una discussione equilibrata del concetto di asimmetria temporale, irreversibilità e reversione temporale nella fisica si trova in P. KROES, Time: Its Structure and Role in Physical Theories, cit., pp. 103-136. Bisogna tener presente il versante gnoseologico del problema, per cui la reversibilità o irreversibilità di un sistema può manifestarsi diversamente a seconda della descrizione del sistema. Di conseguenza, sia la reversibilità che il fenomeno opposto si possono definire in molti modi (nomologico, fattuale, statistico, ecc.). Cfr. anche H. HOLLINGER - M. ZENZEN, The Nature of Irreversibility, cit., pp. 57-86.

105 del sistema nell’ambito di una teoria fisica. La legge esprime una dipendenza funzionale tra grandezze e va sempre rispettata nelle evoluzioni di fatto. Le condizioni iniziali «selezionano dall’insieme di tutte le possibili soluzioni delle leggi quelle che corrispondono ai processi trovati contingentemente nella natura»290. La realtà però è una sola: le condizioni iniziali sono situazioni individuali previe che determinano il modo in cui un fenomeno potrà evolvere seguendo la norma universale contenuta in una legge scientifica. In una prospettiva aristotelica è del tutto normale che la temporalità concreta si manifesti a livello individuale. Le leggi dunque, perlomeno certe leggi fondamentali, non prevedono la direzione del tempo a causa della loro universalità e anche perché non guardano direttamente la direzione del tempo291. Il binomio legge-condizioni al contorno (boundary conditions) riflette la dualità più generale tra norma e storia. La storia di un sistema dipende da certe leggi, ma queste ultime, in quanto sono contingenti (cioè non necessarie in modo assoluto, poiché si può pensare ad altre), a volte compaiono col tempo, in dipendenza da leggi di un livello superiore. In un ambito locale si può lavorare su questo binario senza porsi ulteriori problemi, ma giunti alla cosmologia si presentano certe perplessità (conosciamo un unico esemplare di universo) che, come vedremo, intaccano il problema della direzione universale del tempo.

26. Pluralità e unità delle frecce temporali nella fisica Nelle esposizioni sulle diverse asimmetrie del tempo fisico vengono spesso indicate, come accennavamo, le diverse “frecce del tempo”: freccia termodinamica, quantistica, gravitazionale, cosmologica, psicologica, ecc.292 La loro presentazione sistematica e genealogica difficilmente potrà essere esauriente, a causa della grande complessità della questione. Spesso si cerca la master arrow, la freccia originaria da cui procederebbero le altre (le “forti” frecce termodinamica e cosmologica sono i candidati preferiti dagli autori). Il problema richiede la comprensione delle diverse unificazioni della fisica e il loro rapporto con la cosmologia. Come filosofi non siamo competenti in materia, per cui ci limiteremo a prospettare un quadro generale e orientativo che faciliti la lettura e l’interpretazione della parte scientifica di questo studio.

290

H.D. ZEH, The Physical Basis of the Direction of Time, Springer, Berlin 1992, p. 3. Quanto diciamo potrebbe far pensare a un certo isomorfismo con la struttura ilemorfica aristotelica: la legge starebbe dalla parte dell’essenza universale o della forma e le condizioni al contorno corrisponderebbero agli aspetti materiali e individuali delle cose (alla materia). Tale isomorfismo comunque è parziale, poiché la forma aristotelica sta nella linea della perfezione specifica o della struttura essenziale delle cose (“informazione”), mentre le leggi fisiche colgono certe armonie più generali, che valgono per il movimento e per l’interazione tra i corpi in rapporto alla loro base materiale (meccanica o di altro genere). D’altra parte è consigliabile adoperare un concetto analogico di legge scientifica: la “legge” non ha lo stesso senso in fisica, biologia, sociologia, ecc. 292 Cfr., ad esempio, J.J. HALLIWELL, Quantum Cosmology and Time Asymmetry, in J.J. HALLIWELL - J. PÉREZ-MERCADER - W.H. ZUREK (eds.), Physical Origins of Time Asymmetry, Cambridge Univ. Press, Cambridge 1994, pp. 369-389. 291

106 Freccia termodinamica del degrado. La freccia termodinamica dell’equilibrio (parliamo in seguito sempre di frecce temporali) ricopre l’area della meccanica statistica classica e quantistica e della meccanica classica dell’instabilità, e in termini generali rende ragione della direzione verso il degrado di tutti i fenomeni macroscopici (ma non solo di essi). A prescindere dal secondo principio della termodinamica fenomenologica, la direzione irreversibile di questa freccia temporale è fattuale e non nomologica. Freccia della crescita. La direzione evolutiva e auto-organizzativa si estende a tutti i fenomeni “creativi” del cosmo, sin dalla formazione delle strutture primordiali fino a tutti i quadri dell’evoluzione biologica. L’esistenza di un progressivo incremento di informazione equivalente a una crescita qualitativa, susseguita poi dal disordine, introduce nel cosmo la presenza di una finalità immanente, caratterizzata comunque dalla contingenza293. Freccia psicologica. La cosiddetta “freccia psicologica” è, in termini generali, il fatto che la nostra temporalità psico-biologica procede solo in un senso che denominiamo “futuro”, in coerenza con la direzione del tempo naturale. A questo proposito possiamo ricordare quanto abbiamo visto in JS I, 4, 8 e 9. Da quanto precede si comprenderà facilmente che tale freccia è in continuità con la forte direzione temporale della biologia, già iniziatasi nei fenomeni inorganici irreversibili. In opposizione al dualismo, abbiamo insistito sul radicamento neurofisiologico (ma non inteso in un modo riduttivo) del tempo della nostra coscienza. La manifestazione dell’irreversibilità del tempo della coscienza corrisponde a ciò che abbiamo denominato “tempo naturale-umano”: questo tempo è un tutt’uno con quello del nostro cosmo circondante. Aspetti di tale manifestazione sono il ricordo del passato, ormai determinato, l’anticipazione di un futuro in parte modificabile, attivo e passivo (“ciò che faremo”, “ciò che ci accadrà”), e infine la coscienza del presente come realtà in atto, l’unico momento in cui si può agire. L’irreversibilità oggettiva della nostra distensio nel tempo può stabilirsi in modo parallelo a quella di qualsiasi vivente: il nostro tempo, allontanandoci dalla nascita, ci avvicina al momento della morte. Un conto diverso è la sensazione del tempo che passa (del passato, del futuro), soggetta a certe sfumature e tratti variabili. D’altra parte, soltanto il tempo dell’essere umano è irreversibile, non la conoscenza del tempo. Il pensiero è al di sopra del tempo e si muove con libertà lungo tutte le sue direzioni. Sulla freccia psicologica è basato il concetto di osservatore astratto o ideale cui fa riferimento spesso la scienza teorica della natura, onde risulta la convenzionalità dell’orientamento temporale in parecchi settori della fisica. In altri termini, la cosiddetta “freccia convenzionale” del tempo è una conseguenza dell’approccio epistemologico il cui ultimo fondamento è la realtà psicologica dell’uomo. Ordine temporale dei processi causali. Il collegamento tra tempo e causalità, prima considerato a proposito della teoria della relatività, suscita la domanda sull’ordine temporale delle reti causali. Come avevamo detto, secondo la filosofia classica e le teorie causali legate alla fisica moderna, le cause fisiche efficienti prece-

293

In MC X, 7.1 e X, 7.2 si può vedere una sintesi di queste due “frecce” (costruttiva e dispersiva) applicata all’evoluzione complessiva del cosmo.

107 dono cronologicamente i loro effetti. Questo principio stabilisce una freccia della causalità fisica: il rapporto fisico causa-effetto segue l’ordine prima-poi, e se gli effetti sono qualitativamente diversi dalle loro cause (per esempio, aumento di entropia), allora l’ordine temporale-causale include anche la direzione, vale a dire si tratta di una vera freccia. Di fronte a certi apparenti paradossi sulla direzione causale, occorre tener conto delle diverse modalità del procedere causale e della distinzione tra l’ordine ontologico temporale-causale e la sua conoscenza, due aspetti che non sempre coincidono. Le cause finali ad esempio in qualche modo sono nel futuro, dal momento che gli obiettivi da raggiungere ancora non esistono mentre sono perseguiti. Affermare che “il futuro causa il presente” è solo un modo di dire, visto che ciò che non è, non può causare. Prima di essere realizzata, la finalità esiste come idea di colui che la progetta. Lo scopo di un processo artificiale extra-mentale si riconduce così alla mente dell’uomo. Per questo motivo la scoperta di un finalismo naturale orientato verso il futuro è un indice, secondo la metafisica classica, dell’esistenza di un’Intelligenza sopratemporale che ha concepito la natura. Le cause efficienti fisiche impiegano tempo per agire: questo principio della causalità ritardata294 potrebbe essere ridimensionato se nella natura vi fosse una forma di “causalità non locale”, come avveniva nel contesto della vecchia nozione di “azione a distanza”295. Tralasceremo comunque questi interrogativi, che meritano una discussione tecnica tutt’altro che facile. Un altro aspetto del problema dell’ordine temporale è la possibilità che la fisica a certi livelli talvolta inverta l’ordine del tempo. In un certo momento della storia dell’elettrodinamica quantistica si arrivò a pensare che particelle di energia negativa (positroni, cioè elettroni negativi) dovrebbero viaggiare indietro nel tempo (Feynman). L’idea fu accantonata più tardi e invece venne inferita l’esistenza dell’antimateria, poi confermata sperimentalmente296. Alcuni ambiti della fisica teorica meno accessibili all’esperienza diretta, come osservò Reichenbach, eventualmente possono produrre “anomalie causali”, almeno apparenti297. Tali violazioni dell’ordine temporale potrebbero essere anche considerate violazioni della causalità. Ma l’ultrarealismo è pericoloso in questi casi. L’ordine epistemologico non sempre segue esattamente l’ordine ontologico298. La fisica può qualche volta vedere il mondo alla rovescia, ma poi il senso comune si incarica di rimetterlo a posto. 294

Così chiamato da P. CALDIROLA - E. RECAMI, The Concept of Time in Physics, «Epistemologia», 1 (1978), p. 284. 295 Il punto di solito è discusso a proposito dell’esperimento ideale di Einstein-Podolsky-Rosen (EPR) e dei dibattiti ancora aperti sul fenomeno della non-località nella meccanica quantistica. 296 Cfr. sul tema, P. DAVIES, I misteri del tempo, Mondadori, Milano 1996, pp. 225-228. 297 Reichenbach discute questo problema in The Direction of Time, cit., pp. 262-269. L’attribuzione di proprietà esaustive alle entità inosservabili della meccanica quantistica, chiamate interfenomeni da Reichenbach, provoca delle anomalie causali. Egli conclude che a un certo punto nella fisica quantistica perfino l’ordine temporale (non solo la direzione) può essere scavalcato, anche se poi egli tenta di ricuperarlo in modo statistico (cfr. ibidem). 298 Concetti come quelli di tempo chiuso, viaggio nel passato, influsso anomalo del futuro sul presente o del presente sul passato sono stati spesso respinti come violazioni del principio di causa-

108 Analoghe cautele interpretative andrebbero prese di fronte agli ipotetici tachioni che viaggerebbero indietro nel tempo, per il fatto di muoversi a una velocità superiore a quella della luce. In un altro contesto, si può infine menzionare un esperimento ideale concepito da Wheeler, nel quale l’osservatore sembrerebbe di modificare il passato299. Anche in questi casi può infiltrarsi una confusione tra realtà è conoscenza300. Complessivamente l’idea di una “microfisica acausale”, benché discussa con una certa serietà in altri tempi, è stata alla fine decisamente abbandonata dai fisici. Visione d’insieme della fisica. Per meglio capire l’inseguimento del problema della direzione temporale nella parte scientifica del nostro volume, riteniamo utile presentare uno schema sui capitoli della fisica progressivamente unificati. Lo schema si comprende, com’è ovvio, presupponendo letta la parte di Castagnino. I diversi rami della fisica vengono sempre più generalizzati e unificati, in quanto abbracciano o nuovi fenomeni oppure gli stessi fenomeni ma considerati in condizioni più generali301. Meccanica classica (cinematica) + Elettromagnetismo ---> Relatività speciale Termodinamica fenomenologica + Meccanica classica ---> Meccanica statistica classica Meccanica quantistica + Meccanica statistica classica ---> Meccanica statistica quantistica

lità. Ciò è ragionevole, ma non sufficiente. Occorre una chiarificazione più precisa del problema, tenendo conto della complessità del concetto di causa (troppe volte è stato detto che la fisica quantistica violava la causalità, quando veramente respingeva un certo tipo di causalità deterministica). Non sono di aiuto alla risoluzione del problema ontologico le bizzarrie linguistiche di autori qualificati ma idealisti, come Wheeler, né tanto meno una certa leggerezza con cui si parla di queste tematiche nella divulgazione, talvolta a scopo spettacolaristico. Noi preferiamo respingere le menzionate anomalie del tempo in quanto comportano una contraddizione reale, pur accettando che possano essere pensate nel tempo oggettivato della scienza anche senza violazione delle leggi fisiche. Questo metodo di critica in fondo è analogo a quello impiegato da Aristotele contro l’eleatismo. 299 Cfr. P. DAVIES, Time Asymmetry and Quantum Mechanics, in R. FLOOD - M. LOCKWOOD (eds.), The Nature of Time, cit., pp. 99-124. Sulla base di una visione berkeleyiana della fisica quantistica, estesa alla cosmologia, Wheeler sostiene che l’osservatore sceglie ciò che fu rendendolo attuale, per cui questi in definitiva farebbe nascere l’universo (cfr. ibidem, pp. 118-120). Una tale selvaggia confusione tra la realtà e l’osservazione fu duramente avversata da Einstein e Popper. 300 Come osserva Davies, tali esperimenti «dimostrerebbero piuttosto che la natura specifica della realtà passata che viene rivelata dall’osservazione sperimentale non è definitivamente fissata fino a quando l’intero esperimento non viene portato a termine» (I misteri del tempo, cit., p. 193): fissata nell’ordine conoscitivo. 301 L’unificazione della fisica comporta una comprensione più profonda di aspetti diversi della realtà, che prima erano ritenuti scollegati e non riconducibili a una spiegazione comune. Tale spiegazione si colloca nella linea della causalità materiale delle cose, per cui è compatibile con l’emergenza di nuove proprietà, non presenti in atto nei livelli più elementari della realtà fisica (cfr. M. ARTIGAS, Filosofía de la naturaleza, Eunsa, Pamplona 19984, pp. 93-97).

109 Meccanica classica (gravitazionale) + Relatività speciale ---> Relatività generale Meccanica quantistica + Relatività speciale ---> Teoria quantistica relativistica (Elettrodinamica quantistica -> Unificazione elettrodebole -> Cromodinamica quantistica) Relatività generale + Teoria quantistica relativistica ---> Teoria semiclassica di campi e Gravitazione quantistica Possiamo leggere questo schema alla luce delle quattro interazioni fondamentali della natura: gravitazionale, elettromagnetica, debole e forte (cfr. MC IX, 1). La gravitazione fu affrontata prima dalla meccanica classica e dopo dalla teoria della relatività generale (quest’ultima considera gli effetti gravitazionali molto intensi). Le interazioni elettromagnetiche sono state studiate prima dall’elettromagnetismo classico e poi dalla relatività speciale (quest’ultima riguarda i fenomeni elettromagnetici a velocità vicine a quella della luce). La meccanica quantistica penetra nel mondo microscopico (atomico, subatomico e subnucleare) ed è riuscita a ricoprire in successive unificazioni l’area delle interazioni elettromagnetiche, deboli e forti. Bisogna quindi distinguere tra l'unificazione (epistemologica) dei capitoli della fisica e l'unificazione delle interazioni fondamentali, anche se naturalmente le due operazioni sono correlate. Diversi tentativi puntano oggi all’unificazione tra la gravitazione e le altre tre interazioni, il che comporta l'unificazione tra la relatività generale e la teoria quantistica La termodinamica, dal canto suo, in parte si occupa di questi settori dal punto di vista dell’andamento energetico complessivo. Il quadro si completa ancora tenendo presenti i settori di applicazione della fisica, in particolare lo stesso cosmo come un tutto. Così la cosmologia evolutiva può essere vista alla luce della gravitazione, della termodinamica, delle particelle, ecc., per cui la teoria della gravitazione quantistica trova il suo luogo naturale nella cosmologia quantistica. Comunque la cosmologia non è un semplice campo di applicazione delle teorie più generali. Il cosmo, e ne conosciamo uno solo, diventa alla fine una sorta di laboratorio unico delle teorie più avanzate e così i confini tra la fisica teorica e la cosmologia si dileguano. Lo studio dell’asimmetria temporale si deve raffrontare di continuo con questa visione panoramica, per cercare appunto la radice primitiva della temporalità unitaria del cosmo. A questo punto consideriamo ancora due altre frecce del tempo. Freccia elettromagnetica. Le equazioni maxwelliane dell’elettromagnetismo classico sono temporalmente simmetriche, ma in natura si osservano soltanto le soluzioni ritardate, le quali rimandano a un passato asimmetrico (cfr. MC III, 3)302. Tale fenomeno corrisponde ad esempio al fatto che il processo invertito di quello della propagazione di onde radio da un’antenna risulta altamente improbabile, poiché richiederebbe una correlazione “cospirativa” tra onde provenienti da tutte le parti, così 302

Einstein discusse questo problema con il fisico Ritz nel 1909. Per Ritz la freccia elettromagnetica era fondamentale, mentre per Einstein si trattava di un fenomeno statistico: cfr. A. EINSTEIN, Über die Entwicklung unserer Anschauungen über das Wesen und die Konstitution der Strahlung, «Physikalische Zeitschrift», 10 (1909), pp. 817-825. Cfr. anche sul tema H. ZEH, The Physical Basis of the Direction of Time, cit., pp.12-31; P. DAVIES, I misteri del tempo, cit., 215-221.

110 come è improbabilissima la convergenza delle onde di acqua da diverse parti di uno stagno verso un centro, per vedere subito dopo elevarsi un sasso come se fosse stato lanciato dallo stagno303. Il fenomeno può estendersi a qualsiasi processo di tipo ondulatorio. Si osservi l’analogia con la freccia termodinamica, in quanto il processo “non fisicamente ammissibile” richiederebbe per verificarsi un concorso “cospirativo” tra innumerevoli cause indipendenti. L’esistenza di una direzione irreversibile nei fenomeni fisici, come abbiamo visto, ci introduce in una dimensione storica della natura, dal momento che ci parla di un passato diverso dal futuro, verso il quale il cosmo sta procedendo (ad esempio se l’entropia di un sistema isolato cresce, ciò vuol dire che in passato era più bassa). Estendendo lo sguardo a tutta la natura, grazie ai modelli cosmologici relativisti, fu naturale incorniciare l’universo in una visione storica. È questo l’ambito in cui oggi si svolge la grande ricerca scientifica sul tempo. La visione locale non basta perché un settore è condizionato dagli altri. Non c’è da stupirsi che d’ora in poi lo studio delle frecce temporali si renda più unitario, sia alla stregua dell’unificazione dei rami della fisica che a motivo della sua proiezione cosmologica. In questo senso, l’esistenza della freccia elettromagnetica si rifà all’evento cosmologico del disaccoppiamento del plasma iniziale (cfr. MC III, 3 e X, 5), quando l’universo aveva 300.000 anni circa, momento in cui venne emessa la radiazione cosmica di fondo che oggi pervade l’universo, rendendolo trasparente alle onde elettromagnetiche. Questa scoperta getta luce sui rapporti tra le frecce termodinamica e elettromagnetica in un contesto cosmologico, dal momento che la diffusione della radiazione cosmica di fondo è una situazione termica (caratterizzata da una temperatura precisa). Freccia delle interazioni deboli. Questa freccia fondamentale della natura intacca le stesse equazioni e va messa in rapporto al cosiddetto teorema CPT (1954, 1955), da situare nell’ambito della fisica quantistica relativistica (cfr. MC IX, 1.2 e IX, 2). Secondo tale teorema, ogni teoria quantistica di campi è invariante sotto le inversioni combinate di tempo (T), di carica (C sta per “congiunzione delle cariche”) e di spazio (P sta per “parità”). L’inversione delle cariche trasforma la materia in antimateria, mentre l’inversione della parità trasforma le coordinate spaziali nella loro immagine speculare, il che si può esprimere come una rotazione destra-sinistra, così come avviene nella figura riflessa in uno specchio. Il teorema stabilisce un legame tra la materia-antimateria e la simmetria spaziale e temporale, in rapporto alla forma matematica delle leggi della teoria quantistica dei campi. Il concetto fondamentale di questi rapporti è la simmetria matematica: rispetto a certe trasformazioni, un sistema e le sue equazioni (cioè le leggi della natura) rimangono invarianti. La violazione della simmetria CP comporta quella della simmetria temporale. Nel 1964 T. Cronin e Fitch osservarono nei processi di decadimento dei kaoni K° una piccola violazione della simmetria CP, il che significa che la forza debole, implicata

303

A questo fatto si riferiva Popper nei suoi articoli su «Nature» citati in JS II, 10.

111 in questi processi, manifesta una disimmetria temporale, creando così una differenza tra passato e futuro a livello microscopico elementare304. Un inquadramento della “freccia temporale della forza debole” nella fisica dovrebbe aspettare ancora il perfezionamento delle teorie particellari. In queste teorie le simmetrie matematiche giocano un ruolo fondamentale, ma forse è prematuro ricavarne conclusioni definitive sul problema. Un’apparente asimmetria talvolta si risolve più tardi in una simmetria a livello più elementare, ma anche le simmetrie non di rado manifestano poi una frattura. Pur restando aperta la tematica, si può facilmente capirne l’importanza scientifica e filosofica. La presenza di una simmetria non è altro che la presenza di una legge invariante nella natura (cfr. MC IX, 2). Il nostro mondo quotidiano è quasi tutto asimmetrico, ma la scienza ne scopre gli ordini simmetrici occulti. La comparsa di un’asimmetria sorprende e richiede una spiegazione. La simmetria manifesta una forma di ordine, mentre l’asimmetria ne mostra una frattura. Sennonché non ogni tipo di ordine equivale a una perfezione superiore: l’ordine simmetrico è monotono e ripetitivo e si contrappone all’ordine strutturale ovvero all’ordine nella linea della complessità, dove le differenze contano come un valore e una ricchezza ontologica305. Le asimmetrie dunque non si debbono vedere come semplici violazioni di un ordine, poiché spesso possono essere al servizio di una struttura differenziata più ricca. Se la freccia elettromagnetica ci riconduceva a un contesto cosmologico (la storia termica dell’universo), la presenza di una freccia microscopica a livello particellare dovrebbe ricondurci ancora più indietro nella storia dell’universo306. Purtroppo il collegamento tra la freccia delle interazioni deboli e la cosmologia evolutiva non è stato ancora troppo studiato. Secondo la versione classica del Big Bang, la formazione del cosmo nei suoi primi istanti contempla la separazione successiva delle quattro forze fondamentali, con la conseguente creazione delle particelle elementari, sin dai quark e i leptoni fino alla nascita dei primi nuclei atomici (cfr. MC X, 5, tavola 5). Tale processo è presieduto da rotture spontanee di simmetrie. Queste transizioni di fase consentono la comparsa di strutture rimaste potenziali nella fase precedente. Il ruolo dell’asimmetria nella nascita del cosmo è importante anche a causa del fatto, ad esempio, che le differenze di velocità (cioè di tempo) tra un processo di creazioneannichilazione di particelle e la sua inversione determinano a un certo punto critico una preponderanza numerica di un tipo di particelle, creano cioè una differenza, quindi una storia. Una differenza poi ne provoca altre e così via a catena. Così, l’esistenza di una prima asimmetria fondamentale nel cosmo molto iniziale è determinante nella suc304

Cfr. in Physics Today, febbraio del 1999, pp. 19-20, il rapporto su due recenti esperimenti che confermano la violazione della simmetria temporale nel decadimento dei kaoni neutri (B. SCHWARZSCHILD, Two Experiments Observe Explicit Violation of Time-Reversal Symmetry). 305 Cfr. su questo punto il nostro lavoro La filosofia del cosmo in Tommaso d’Aquino, cit., in particolare pp. 27-42. 306 Per una visione più ampia sulla tematica, cfr. il nostro volume El Origen del Universo, cit., pp. 175-222. Sul piano scientifico rimandiamo a N. DALLAPORTA, Sguardo sull’attuale cosmologia, Borla, Roma 1986; F. LUCCHIN, Introduzione alla cosmologia, Zanichelli, Bologna 1990; e A. MASANI, La cosmologia nella storia fra scienza, religione e filosofia, La Scuola, Brescia 1996.

112 cessiva formazione cosmica. Una piccola superiorità numerica dei quark (materia) sugli antiquark (antimateria), quasi insignificante poco dopo il Big Bang, viene a determinare l’esistenza del nostro universo dominato dalla materia, anzi l’esistenza del nostro mondo in quanto tale, poiché un cosmo con materia insieme all’antimateria si distruggerebbe rapidamente. Da questa proporzione dipende in seguito quella tra protoni e fotoni nell’universo, il che a sua volta condiziona la ratio tra protoni e neutroni (7 su 1), ecc. Vale a dire, da una peculiare situazione originaria non simmetrica dipende la struttura peculiare del nostro cosmo adatto alla vita e ne dipendono anche altri aspetti, quali la densità del cosmo, una proprietà determinante del suo destino finale di contrazione o di espansione indefinita, oppure la proporzione di idrogeno ed elio, il che è condizione precisa per la nucleosintesi e quindi per la formazione di stelle e galassie. Le frecce dunque cosmologica, elettromagnetica, termodinamica e delle interazioni deboli, sebbene siamo ancora all’oscuro di molti dettagli al loro riguardo, non sono semplicemente giustapposte. Le asimmetrie temporali comparse nelle diverse aree della fisica si risolvono nel grande evento della storia del cosmo. La congiunzione tra teoria ed evidenza sperimentale, tra simmetrie teoriche e asimmetrie di fatto, tra leggi e storia, hanno determinato a poco a poco la ricostruzione di una storia intelligibile dell’universo. Questa storia potrà essere corretta e ridimensionata, ma è anche credibile per la sua straordinaria bellezza e semplicità.

27. Il tempo nella fisica quantistica Nella sezione precedente abbiamo già accennato ad alcune tematiche sul tempo nella fisica quantistica (ordine temporale, freccia delle interazioni deboli, problemi di simmetria), ma ci riferiremo adesso alla questione più specifica della “freccia quantistica del tempo” (cfr. MC VI). È questo un problema particolarmente spinoso, a causa delle diverse interpretazioni filosofiche della meccanica quantistica (con una letteratura sterminata sull’argomento). Bisogna congratularsi del fatto che negli ultimi decenni si sia progressivamente affermata una lettura oggettivista del carattere probabilistico della teoria, contraria a farne della coscienza dell’osservatore un elemento fondamentale. L’oggettivismo non significa però realismo ingenuo. La meccanica quantistica è una teoria microfisica che riguarda l’evoluzione dei sistemi fisici descritti in termini di distribuzioni di probabilità dei loro elementi. Queste probabilità sono oggettive e non si riducono a una semplice mancanza d’informazione del fisico. La teoria affronta la realtà in quanto viene data alla nostra conoscenza, ma essa descrive una situazione reale307. Lo stato del sistema fisico nella meccanica quantistica (cfr. MC VI, 1 e 2) viene indicato dalla funzione di onda y (x,y,z), la cui norma segnala la probabilità di trovare una particella nel punto delle coordinate (x,y,z). La funzione di onda è un elemento 307

«Se la funzione di onda rappresentasse soltanto la ‘conoscenza umana’, sarebbe difficile comprendere perché essa riesce a spiegare la stabilità di oggetti fisici come molecole o corpi solidi» (H. ZEH, The Physical Basis of the Direction of Time, cit., p. 83).

113 dello spazio di Hilbert, costituito dai possibili stati del sistema. L'evoluzione temporale di y è governata dall'equazione di Schrödinger. Le grandezze fisiche misurabili (osservabili) nella teoria quantistica sono operatori dello spazio di Hilbert i quali, quando agiscono su y, possono acquistare diversi valori, costituendo così lo spettro dell'operatore (vale a dire, i diversi valori accertabili nella misurazione). Una volta effettuata la misurazione, si ottiene un solo valore per quell'operatore, tra tutti i possibili, un fatto comunemente denominato "il collasso della funzione di onda". Il giudizio sulla realtà fisica rappresentata dai concetti impiegati nella meccanica quantistica pone in gioco l’interpretazione filosofica della teoria e si riflette sulla concezione del tempo. Nella linea della cosiddetta “versione ufficiale di Copenhagen” veniva concessa una grande importanza al momento della misurazione la quale, eseguita da uno strumento classico, produceva il collasso della funzione di onda, comportando così il passaggio non deterministico da una situazione potenziale del sistema a una sua realizzazione attuale determinata. Si potrà dire allora che una direzione irreversibile del tempo apparirà soltanto al momento della misurazione, per cui la freccia quantistica risulta convergente con quella termodinamica (la misurazione infatti suppone un passaggio dal non-equilibrio all’equilibrio). In una visione in qualche modo aristotelica, seguita da alcuni anche inconsapevolmente308, questo fatto potrebbe essere inteso come il transito da una descrizione statistica potenziale alla realtà in atto, dove compare il presente attuale cioè un vero tempo di tipo A (ved. MC VI, 3 e XI, 5). La misurazione è essenziale alla teoria quantistica e si compie sempre nel presente. Il presente in atto, creatore del vero tempo, è stato interpretato in modi assai diversi da alcuni teorici della teoria quantistica. Dal momento che esso coincide con l’osservazione, autori proclivi all’idealismo conclusero che l’atto osservativo ovvero la coscienza umana provocherebbe l’attualizzazione dello stato quantico (Wigner, von Neumann, Wheeler). Il gatto di Schrödinger risulterebbe “vivo o morto” come risultato dell’osservazione umana (si ritornerebbe così al principio di Berkeley: essere è essere percepito)309. L’universo della cosmologia quantistica quindi sarebbe nato da un Osservatore (Dio) o dall’osservatore umano in quanto crea il tempo e la realtà, dal 308

Secondo A. SHIMONY, ad esempio, «uno stato quantico è una rete di potenzialità» (Conceptual Foundations of Quantum Mechanics, in P. DAVIES, The New Physics, Cambridge Univ. Press, Cambridge 1989, p. 374). Osserva Max Born: «il quadrato di una funzione d’onda, che rappresenta una densità di probabilità, ha il carattere di realtà, poiché non si può negare che la probabilità abbia un grado di realtà. Come potrebbe altrimenti una previsione fondata sul calcolo delle probabilità essere applicata al mondo reale?» (La fisica del nostro tempo, Sansoni, Firenze 1961, p. 179). 309 Il “gatto di Schrödinger” è un esempio destinato ad illustrare quanto avviene nel passaggio dall'indeterminazione quantistica alla determinazione accertata mediante la misurazione. Un gatto è rinchiuso in una scatola, dentro la quale si trova un atomo di un elemento radioattivo avente un 50% di probabilità di venir disintegrato nel termine di un'ora, provocando l'uscita di un gas letale. Passata l'ora, se la scatola non è aperta, l'equazione quantistica descriverà una situazione in cui i possibili stati del gatto vivo o morto sono sovrapposti. Nell'aprire la scatola, momento della misurazione e del collasso della funzione di onda, il gatto sarà trovato o vivo o morto. Da qui nasce la conclusione sofistica secondo cui la misurazione “provocherebbe” l'esistenza di una realtà in atto, la morte o la vita del gatto.

114 momento che crea il presente. Questa bizzarra interpretazione radicalizza ancora una volta il dualismo cartesiano tra coscienza e meccanica. Questa tesi talvolta pretende di essere basata sull’interpretazione quantistica di Everett (1957), secondo la quale le diverse traiettorie dei componenti (particelle) della funzione di onda esistono alla maniera di “molti mondi possibili” divergenti: ogni possibile sbocco si separa dagli altri (branching) e le ramificazioni vengono associate ai diversi atti osservativi. Si attribuisce all’insieme delle possibilità la categoria di una sorta di presente atemporale e si conferisce al presente temporale della coscienza la capacità di rendere attuali le possibilità. In realtà stiamo così confondendo l'ordine della conoscenza con l'ordine della causalità reale. Più moderata risulta l’interpretazione di Reichenbach, secondo cui nella teoria quantistica non compare il tempo reale, il quale sarebbe macroscopico e s’introdurrebbe soltanto in presenza di una certa complessità, oppure tramite la coscienza psicologica310. Tuttavia, più convincente ed elaborata ci sembra la posizione del fisico quantistico Omnès. In una prospettiva filosofica, egli argomenta la necessità di introdurre la direzione temporale come un’esigenza della logica della verità e della causalità (si potrebbe meglio dire ontologia), che va aggiunta al formalismo quantistico per dargli un senso311. Nella sua terminologia propria, Omnès si esprime dicendo che la teoria quantistica è temporalmente simmetrica solo sul piano della dinamica, mentre il tempo direzionale (“freccia logica”) appare quando vi si aggiunge la logica312 (leggasi “logica del senso comune”). Una riprova di queste idee è che la teoria quantistica, eseguita sempre dall’uomo nel presente, predice e consente di agire su cose future, mentre dai reperti osservati essa ci riconduce entro certi limiti a un passato ormai stabilito313 (peraltro la preparazione dello stato quantico si compie nel

310

In The Direction of Time, cit., egli non è esplicito al riguardo, sicuramente perché la sua opera rimase incompiuta. La vaga affermazione della breve appendice aggiunta, secondo cui la distinzione tra passato e futuro nascerebbe dal passaggio dall’indeterminazione alla determinazione (cfr. p. 269), non consente di attribuirgli una posizione definita sul problema. 311 Cfr. R. OMNÈS, The Interpretation of Quantum Mechanics, Princeton Univ. Press, Princeton 1994. La sua interpretazione contiene, in maniera più ampia, una filosofia realistica della scienza che mira alla riconciliazione della fisica quantistica col senso comune. Lo strumento per questa riconciliazione sarebbe la logica, in contrapposizione alla pura dinamica. 312 Cfr. R. OMNÈS, Time and Quantum Mechanics, in J.J. HALLIWELL et al. (eds.), Physical Origins of Time Asymmetry, cit., pp. 268-273. Riportiamo due delle sue 21 tesi filosofiche sulla teoria quantistica. La tesi n. 8 dice che «contrariamente alla dinamica, la struttura logica della meccanica quantistica deve selezionare una direzione definita del tempo, che coincide necessariamente con quella della termodinamica» (The Interpretation of Quantum Mechanics, cit., p. 507). Secondo la tesi n. 15, «l’esistenza di fatti attuali può essere aggiunta alla teoria dal di fuori, come una condizione supplementare uscita dall’osservazione empirica. La struttura del tempo quindi va modificata. Il tempo è da dividere in un passato, un presente e un futuro aventi qualità molto diverse. Il presente e il passato sono definiti in modo determinato, mentre il futuro rimane potenziale e soggetto alle aspettative probabilistiche. Questa struttura del tempo, così ovvia dal punto di vista dell’osservazione, diventa necessaria in una prospettiva teoretica» (ibidem, p. 508). 313 Cfr. R. OMNÈS, The Interpretation of Quantum Mechanics, cit., pp. 193-198, 315-319, 492494.

115 passato). Queste osservazioni concordano in maniera notevole con le idee di Reichenbach sulla causalità viste in JS II, 10. Certi nuovi indirizzi teorici della meccanica quantistica hanno superato il dualismo bohriano tra sistema quantico e strumento classico mediante il concetto di storie consistenti (Griffiths, Omnès, Gell-Mann, Hartle). I possibili percorsi cui l’equazione di onda è soggetta possono essere configurati come “storie” o meglio come “famiglie (cioè insiemi) di storie consistenti” cui assegnare diverse probabilità (il concetto è dovuto a Griffiths, 1984). Le storie di un sistema (relativamente isolato) indicano sequenze di eventi che accadono in diversi tempi, ma soltanto quelle che risultano “consistenti” con le restrizioni probabilistiche vengono selezionate nella descrizione. «Nella meccanica quantistica ortodossa si può parlare sensibilmente soltanto dei risultati delle misurazioni e la misurazione è sempre esteriore al sistema considerato»314, mentre adesso si ricostruisce per intero la storia di quanto appartiene all’ambito delle evoluzioni probabili “non assurde” di un sistema quantistico isolato. Ora, la comparsa del tempo reale si produce soltanto quando le storie consistenti si ricollegano al comportamento classico macroscopico mediante l’effetto della decoerenza (Gell-Mann - Hartle, 1990), considerato nell’area della meccanica quantistica statistica (cfr. MC VII, 4). L’effetto si verifica quando le interferenze tra un sistema e il suo ambiente (o “atmosfera”) diventano trascurabili, facendo passare il sistema a uno stato dotato di proprietà classiche. La decoerenza viene così a sostituirsi in qualche modo al concetto del collasso della funzione di onda, contribuendo alla risoluzione realistica del paradosso del gatto di Schrödinger315. La teoria classica appare adesso come una situazione limite della meccanica quantistica, e il dualismo tra apparecchio di misura e sistema quantistico viene superato. Per quanto ci riguarda, la decoerenza, effetto macroscopico analogo in qualche modo alla dissipazione, crea una freccia temporale riconducibile alla freccia termodinamica316. Il passaggio al limite classico produce quindi l’asimmetria temporale. La freccia temporale quantistica presenta caratteristiche molto simili alla freccia termodinamica. Nonostante la reversibilità nomologica dell’equazione di Schrödinger, la sequenza degli stati reali si manifesta irreversibile in termini statistici317. Tale irreversibilità rimanda a situazioni iniziali instabili incorniciate nei diagrammi causali di Bohm-Reichenbach ed estese alla cosmologia in MC VI, 5 e XI, 4. Le esperienze 314

R. GRIFFITHS, Statistical Irreversibility: Classical and Quantum, in J.J. HALLIWELL et al. (eds.), Physical Origins of Time Asymmetry, cit., p. 153. 315 Cfr. la risoluzione tecnica di questo paradosso in MC VII, 4 (nella parte finale), basata sull'approccio statistico (Ballentine) seguito da Castagnino. Si veda inoltre in MC XII, 7.3, l'importanza filosofica dell'interpretazione statistica della meccanica quantistica, anche riguardo alla problematica dello statuto ontologico delle entità individuali di cui parla la fisica. La lettura realistica e oggettivistica della fisica quantistica di Castagnino è convergente con quella di Omnès. La soluzione del problema della freccia temporale quantistica abbozzata da Castagnino, comunque, ci sembra tecnicamente più elaborata. 316 Cfr. R. OMNÈS, The Interpretation of Quantum Mechanics, cit., pp. 317-319. 317 M. GELL-MANN - J.B. HARTLE riconoscono una freccia quantistica de facto in Time Symmetry and Asymmetry in Quantum Mechanics and Quantum Cosmology, in Physical Origins of Time Asymmetry, cit., p. 314.

116 di scattering compiute nell’ambito della fisica quantistica relativistica (MC IX) rendono ancora più chiaro l’andamento del tempo reale. Si comprende bene adesso la presentazione che fa Castagnino di una meccanica quantistica irreversibile tramite il ricorso alla dinamica ristretta, con l’impiego degli spazi adeguati alle evoluzioni “fisicamente ammissibili” (cfr. MC V, 6; VI, 4.4; VII, 4). Le considerazioni causali si dimostrano, ancora una volta, la via più efficace per la conoscenza della direzione del tempo. Le frecce termodinamica, quantistica e cosmologica convergono e perciò è stato possibile narrare la storia dell’universo nei suoi primi momenti, quando sono in gioco soltanto le rotture spontanee di simmetria, la creazione di particelle e la formazione delle prime strutture dell’universo, in un continuo passaggio da situazioni instabili a situazioni stabili. Tutto punta verso un’origine dell’universo a partire da una primitiva situazione di instabilità. Per andare oltre bisogna ricorrere a una cosmologia quantistica gravitazionale.

28. La cosmologia e la direzione globale del tempo La domanda sulla temporalità si rivolge finalmente alla gravitazione e cercherà una prima risposta ovviamente nella teoria della relatività generale. Ma analogamente a quanto abbiamo visto negli altri settori della fisica, anche qui le disimmetrie cominciano a manifestarsi non appena si scende dall’Olimpo delle equazioni fondamentali t-simmetriche e si dà uno sguardo alla realtà fisica concreta. A questa problematica è andato incontro Einstein di persona. L’immediata applicazione cosmologica che egli diede alle equazioni di campo della relatività generale nel 1917 conteneva l’aggiunta della costante cosmologica proprio per evitare che il modello di universo proposto potesse subire un’evoluzione temporale. Ma si vide subito (De Sitter) che la presenza di materia lo rendeva instabile e ne produceva l’espansione o contrazione in molti possibili modi (Friedmann), arrivandosi così nel 1927 alla formulazione del modello espansivo di universo di Lemaître, in conformità con l’evidenza empirica della recessione delle galassie. Lo studio relativistico della gravitazione portava quindi alla cosmologia, contribuendo così senza volerlo alla grande svolta temporalista della visione del mondo. Grazie alla nuova cosmologia, si poteva parlare con senso di un tempo cosmico coordinato che inquadrava tutti i tempi locali e consentiva di calcolare l’età dell’universo, esaminandone solo la struttura secondo i parametri della relatività generale (cfr. MC X, 3 e X, 4). A partire da questo momento, il tempo universale veniva contrassegnato dal moto globale di un universo complessivamente omogeneo e isotropico. L’espansione-raffredamento-rarefazione del universo spazio-temporale (vero orologio cosmologico) consentiva la definizione e la misurazione del tempo cosmico e ne definiva la direzione verso il futuro. L’aumento generale di entropia nell’universo acquistava una configurazione concreta nella storia termica del cosmo (cfr. MC X). Senz’altro è questa una delle più grandi scoperte della storia della scienza, che si colloca in modo decisivo a favore di una configurazione storica della natura.

117 Converrà tener presente a questo punto le osservazioni fatte in precedenza sui diversi significati della direzione temporale, allo scopo di evitare false discussioni verbali. Sta alla base che il nostro presente (come osservatori reali, non ideali) ci rende partecipi all’andamento temporale e causale del mondo, possedendo in questo senso un valore assoluto che determina un passato e un futuro reali e non puramente fenomenici. Scopriamo eventi universali quali l’espansione dell’universo e possiamo di conseguenza definire il futuro cosmico come “la direzione dove punta l’espansione, la crescita dell’entropia, ecc.” proprio perché siamo coinvolti causalmente in questi processi naturali. Distinguiamo l’espansione dell’universo dalla sua esatta inversione (il film alla rovescia) grazie al nostro presente in moto: scorgiamo fenomeni che evidenziano il fatto dell’espansione e li rileviamo in un momento preciso, nel quale siamo collocati, per cui siamo in grado di assegnare all’universo un’età concreta. Questo punto non rende il tempo cosmico solo relativo all’osservatore o alla sua freccia psicologica, dal momento che il nostro presente ci fa conoscere la reale direzione del tempo. Riflettiamo per un attimo sui ragionamenti che bisogna fare per considerare il tempo dell’universo a partire dai processi irreversibili. Possiamo individuare diverse direzioni dei moti (termodinamica, cosmologica, ecc.), il che non significa automaticamente che ci siano diverse direzioni temporali. Cerchiamo semplicemente dei criteri fisici per poter definire la differenza tra il passato-futuro senza il ricorso aprioristico al tempo assoluto e senza il dualismo della presenza dell’osservatore esterno (poiché l’osservatore partecipa al tempo naturale). I candidati per tale definizione sono i processi irreversibili. Sennonché alcuni di questi processi, anche se invertiti, non cambierebbero di per sé la direzione del tempo: possiamo chiamarli processi contingentemente irreversibili. Noi potremmo sperimentare un giorno, ad esempio, che l’universo comincia a contrarsi. Ciò non significherebbe l’inversione del tempo reale, ma semplicemente accadrebbe che un certo processo contingente ha cambiato direzione. Il nuovo orizzonte futuro sarebbe allora la contrazione del cosmo. Escludiamo da questa possibilità teorica le inversioni senza senso, come sarebbero le inversioni fisiche dei movimenti umani o dei viventi che si vedono in un film alla rovescia oppure le inversioni di processi di tipo informatico. Questi rovesciamenti sono inconcepibili in quanto si oppongono a un ordine causale e finalistico il cui contrario è assurdo (come assurdo sarebbe, ad esempio, rispondere a un messaggio e soltanto più tardi recepirlo). Invece i processi fisici non vitali, benché causali, hanno una direzione “contingente” nel senso che il loro moto rovesciato è pensabile, purché siano soddisfatte le esigenze della causalità. Questo punto è specialmente rilevante al momento di stabilire paragoni tra le diverse direzioni dei processi per determinarne la convergenza e l’unità (il linguaggio di “frecce” non sempre aiuta in questo senso, poiché fa pensare a una varietà di tempi, quando in realtà si tratta piuttosto di una pluralità di processi). Diciamo così che “le frecce cosmologica e termodinamica convergono” se si dimostra che la direzione verso l’espansione coincide con la direzione verso la crescita complessiva dell’entropia, cioè se l’universo man mano si espande contiene più entropia, e se la contrazione ne implicherebbe una diminuzione (Hawking riconobbe che non è così,

118 qualificando la sua precedente opinione contraria come l’errore più grande della sua vita in materia scientifica)318. Ci si consenta di insistere sulla necessità di esprimersi bene in questa tematica. Un linguaggio temporale inadeguato può creare confusione e purtroppo così succede in molti dibattiti. L’operazione di confronto tra le diverse direzioni dei processi può portare alla loro unificazione, come si fa nella parte scientifica di questo volume: i fenomeni termodinamici puntano su un certo risultato finale, in coincidenza con la direzione dei fenomeni elettromagnetici, quantistici, biologici, psicologici, cosmologici, ecc. Si arriva così a un’unificazione — non a una semplice identificazione — delle frecce319. Si può parimenti indagare su quale tra questi è il processo responsabile di tutti gli altri (se c’è ne uno). La questione è da risolvere in sede scientifica. Gli studiosi oggi sono quasi unanimi nell’assegnare una priorità all’espansione dell’universo, nel senso che senza di essa gli altri fenomeni non avrebbero la possibilità di manifestarsi. In questo modo non riduttivo si può affermare che il moto cosmologico espansivo determina la freccia temporale fondamentale. Ma anche le altre direzioni possono avere una parte propria nella determinazione dei tempi naturali. Per esempio le leggi delle forza debole, ancora da approfondire, potrebbero avere un ruolo essenziale nella storia del cosmo, mentre il secondo principio termodinamico appare illuminante per capire molti comportamenti irreversibili nell’ambito della complessità. Indipendentemente dalla questione fisica del primato di alcune frecce temporali su altre, o più precisamente del primato empirico di alcuni processi irreversibili a titolo di causa, quanto meno dispositiva, della produzione di altri processi irreversibili, si pone la questione più sottile dell’esistenza di una “freccia primordiale” che ci consenta di individuare la direzione del tempo dell’universo. Non sempre i fisici si domandano esplicitamente su questo problema, che forse risolvono inconsciamente con qualche presupposizione. Ordinariamente viene fissata una direzione temporale in rapporto ad altre previamente assunte, e in mancanza di una freccia “di riferimento” magari si dirà che la direzione in ultima istanza è convenzionale, il che può essere pur valido nell’approccio parziale delle scienze. Per risolvere questo problema speculativo crediamo necessario tener presente insieme -cioè non separatamente- i seguenti principi: 1) Ruolo determinante del nostro presente: come abbiamo già detto, senza il nostro presente psico-biologico noi non conosceremmo la direzione del tempo, neanche scientificamente. Ogni volta che prepariamo cronologie e datazioni, svolgiamo questo 318

Cfr. S. HAWKING, The No Boundary Condition and the Arrow of Time, in J.J. HALLIWELL - J. PÉREZ MERCADER - W.H. ZUREK (eds.), Physical Origins of Time Asymmetry, cit., p. 356. 319 È importante il fatto che non ci sia un’identità completa tra le diverse direzioni fisiche, cioè che siano relativamente autonome, il che consente il discernimento reciproco e garantisce la novità del tempo. Per esempio la freccia psicologica e termodinamica sono correlate (il cervello consuma energia), ma potrebbe anche accadere che la nostra vita psichica si svolgesse in un universo dove l’entropia diminuisca. Certamente così vivremmo in un altro mondo. D’altra parte l’inversione della freccia psico-biologica non ha senso, come implicitamente abbiamo detto, se è intesa come direzione dalla morte alla nascita o come il ricordo del futuro e la previsione del passato. In questi casi è molto chiaro che gli effetti precedono le loro cause, ciò che comporta una contraddizione. L’inversione invece avrebbe un senso se significasse solo il fatto di ringiovanire.

119 lavoro a partire dalla nostra prospettiva temporale. Prescindere da tale prospettiva è possibile, ma allora non si potrà parlare di una direzione concreta del tempo (tranne che non sia presupposta). Si sarà in grado in tal caso di indicare in modo generale che certi eventi seguono un determinato ordine, ma se quest’ordine è contingente, come spesso accade nei fenomeni non-vitali, non si potrà assegnar loro una direzione passato-futuro che sia irreversibile per principio. Tale direzione si può fissare solo in riferimento a una freccia già prestabilita (il che riproduce il problema, in definitiva a livello globale), oppure in base al fatto che noi vediamo che gli eventi scorrono in un certo modo, il che è un appello alla nostra esperienza temporale. Conviene ricordare che la freccia psicologica si definisce in base a certi fatti psico-biologici (nascita, morte, ricordi, ecc.) e non a causa di un preteso principio a priori per cui, per esempio, “la coscienza procede sempre verso il futuro”, un principio che sarebbe vuoto se il nostro futuro non fosse definito a partire da certi eventi. Questi eventi si svolgono in una chiara direzione, almeno in quanto sono biologici (freccia dello sviluppo e dell’invecchiamento). Il presente fissa la situazione in atto dell’individuo e della natura circondante nel loro percorso temporale: fissa cioè il punto reale della freccia in corso. 2) Ruolo fondamentale della complessità globale: tutti i processi della realtà materiale sono collegati, e di quelli eventualmente sconnessi non sappiamo niente, per cui ogni discorso al loro riguardo è superfluo. Questa connessione sempre variabile è proprio ciò che unifica tutti i tempi locali in un unico tempo globale, il che impedisce che un’inversione locale dei processi produca un’inversione del tempo. Molti processi si ripetono nel mondo e alcuni si possono invertire, ma ciò avviene sempre in nuovi contesti. La novità continua degli eventi, come avevamo già detto, crea la costante novità del tempo (locale e globale), che non torna mai in dietro. Si potrebbe andare in dietro nel tempo solo nel caso di un ritorno esatto e globale ai vecchi contesti, il che è un’impossibilità fisica dal punto di vista della dinamica complessa e un’impossibilità ontologica per molti eventi umani e biologici. I principi 1 e 2 si completano a vicenda. Il principio 2 spiega perché il tempo non torna mai in dietro, malgrado l’inversione fisica locale di certi fenomeni. Il principio 1 illustra perché la direzione temporale irreversibile viene fissata in modo assoluto e definitivo, in ultima analisi, soltanto quando si può determinare un presente concreto. Questo presente non può essere dedotto da alcuna legge fisica. Esso sarà necessariamente un dato di fatto contingente, esterno all’impianto teorico della scienza. Nessun tipo di freccia temporale fisica e nessun tipo di irreversibilità fisica può sostituirsi al ruolo dei principi 1 e 2. 3) Ruolo peculiare della freccia cosmologica: se la scienza è in grado di individuare un fenomeno evolutivo cosmologico, allora si può fissare una direzione del tempo cosmico che serva da ultimo riferimento per gli altri tempi locali, sempre secondo le condizioni imposte dalla teoria della relatività. Così avviene, come si è visto, grazie alla scoperta dell’espansione del cosmo. La proposizione “l’universo ha 15 miliardi di anni” (o un’altra eventuale cifra) è possibile grazie all’inquadramento di tutti i fenomeni conosciuti nel cosmo (principio 3) insieme alla conoscenza del nostro presente (principio 1), che è situato in una fase dello sviluppo dell’universo.

120 La freccia cosmologica potrebbe essere basata su un fatto diverso dall’espansione e potrebbe anche mancare. Diventerebbe in questo caso locale la freccia del tempo? E se essa fosse solo locale, quale sarebbe il criterio per il coordinamento delle diverse frecce temporali? Si potrebbe parlare allora di diverse direzioni del tempo nel mondo fisico? Bisogna rispondere a queste domande ovviamente senza il ricorso al tempo assoluto, il quale risolve i problemi dell’unità, globalità e unidirezionalità del tempo al margine degli eventi. Il modo di procedere è il seguente: in primo luogo, avvertiamo la presenza di diverse direzioni fisiche irreversibili (elettromagnetica, termodinamica, ecc.); in secondo termine, capiamo caso per caso la loro convergenza direzionale (per esempio, come abbiamo detto, l'inversione della freccia cosmologica non cambierebbe la direzione termodinamica); in terzo luogo, arriviamo così all’idea di un andamento globale di tutti i processi fisici causalmente collegati. A questo punto siamo nel principio n. 2 e si comprende bene che non ha senso pensare a un sistema complesso e causalmente interconnesso con tempi a direzione opposta. Il tempo non è altro che una dimensione del moto e un sistema che evolve in modo globale possiede di per sé una direzione temporale unitaria. L’esistenza di direzioni opposte di tempo in un sistema viola la causalità ed è tanto contraddittoria quanto le idee dell’inversione della temporalità o dei viaggi nel passato. La globalità cosmica del n. 3 in fondo non è altro che un’estensione del n. 2. Se venisse a mancare la conoscenza scientifica di un tempo del cosmo, basterebbe la conoscenza del cosmo-dato-a-noi per creare il tempo globale con la sua unica direzione. Era questa la situazione della gente prima delle scoperte cosmologiche del XX secolo. Anche se la sfera celeste appariva atemporale, bastavano la storia terrestre e le vicende umane per creare una modifica irreversibile nel sistema, che cambiava tutti i rapporti (il giro degli astri poteva essere numerato a seconda degli eventi storici terrestri). La comparsa di una freccia locale in un sistema diviene globale per tale sistema. La globalità, in altre parole, è ineliminabile. Proprio per questo le considerazioni sul tempo cosmologico che si fanno in questo libro non sarebbero rese invalide nel caso che noi conoscessimo adesso soltanto una parte e non tutto il cosmo (il che peraltro è la cosa più probabile). Il tempo cosmologico non dipende da una conoscenza esauriente del cosmo. Naturalmente si potrà dire che se tutto l’universo fosse eterno, con processi differenziati solo locali, o se fosse un cosmo soggetto a trasformazioni caotiche infinite e senza scopo, non ci sarebbe un tempo universale e, al pari dei modelli ciclici, le direzioni locali del tempo alla fine scomparirebbero come una goccia nell’oceano. Però il cosmo-dato-a-noi non è così, e questo cosmo che conosciamo è un sistema complesso reale e ontologico, con una manifesta direzione del tempo. In definitiva la freccia cosmologica è in qualche modo implicita nel principio n. 2, ma si rende precisa e scientifica con le conoscenze del cosmo cui alludiamo nel n. 3. Ora possiamo capire meglio le argomentazioni di Castagnino su questa tematica (MC X, 8). Nell’ottica della relatività, nella sua sezione viene assunta la “freccia geometrica” della geometria di Robertson-Walker, che è temporalmente orientabile, e le si dà un orientamento globale in cui il futuro coincide con la direzione cosmica dell’espansione, collegata alla crescita dell’entropia. Poi si procede a costatare la convergenza di direzione dei processi irreversibili nelle diverse aree della fisica.

121 L’operazione si conclude con una visione unificata di una direzione globale del tempo dell’universo, simboleggiata nei diagrammi di Bohm-Reichenbach. Il tempo dell’universo procede da una situazione instabile (il Big Bang) verso una situazione di equilibrio termodinamico finale. La base fisica universale della freccia del tempo è, in definitiva, il passaggio dall’instabilità alla stabilità (presupponendo la teoria del Big Bang). A questo punto Castagnino osserva320 che una direzione globale del tempo risulta fisicamente indiscernibile dalla sua inversione, in mancanza di un riferimento esterno rispetto al quale essa abbia un senso, ovviamente presupponendo che tale direzione globale includa anche la freccia psicologica321. Si procede dall’instabilità verso la stabilità e denominiamo futuro il senso dove punta questo indirizzo. L’inversione globale di questo orientamento, in quanto comprende anche noi stessi che facciamo parte dell’universo, non comporta alcuna differenza fisica. Se qualcuno sostenesse che è pensabile un universo che evolvesse dalla stabilità verso l’instabilità, ciò significherebbe che la freccia psicologica è stata staccata da un cosmo fisico pensato come invertito. Ovviamente si può pensare anche a questa possibilità teorica, ponendoci però contro quanto vediamo di continuo. Le leggi fisiche potranno ammettere l’inversione temporale delle loro soluzioni, ma la considerazione globale e non locale dell’universo, di cui siamo partecipi con la nostra osservazione (nel presente), rende indiscernibili i due casi possibili di tale inversione. La realtà ontologica ma anche gnoseologica dell’asimmetria del tempo dell’universo s’impone così in un modo naturale, coinvolgendo tutte le frecce temporali locali.

29. Sull’inizio assoluto La conclusione cui molti fisici arrivano su quanto abbiamo considerato si può sintetizzare in queste parole di P. Davies: «esiste una freccia del tempo solo perché l’universo si è originato in uno stato minore rispetto al massimo di entropia […] L’espansione ha fatto sì che l’universo si separassi dall’equilibrio»322. Simile è la conclusione di Whitrow: la situazione attuale della scienza porta a «credere nell’esistenza di un’origine cosmologica del tempo, corrispondente a un’origine

320

Cfr. su questa idea MC V, 6, VIII, 5 e XI, 4 e M. CASTAGNINO - J.J. SANGUINETI, Gnoseology, Ontology, and the Arrow of Time, cit., pp. 242-243, 257-259. 321 Questa freccia psicologica, come abbiamo già detto, non è definita dall’avanzare verso il futuro, altrimenti si cadrebbe in tautologia, bensì dall’insieme di processi psicobiologici (mangiare, leggere, ricordare, avere paura, attendere, ecc.) dai quali emerge a posteriori la nozione di futuro. Quindi se l’inversione universale delle frecce include tutto questo, ecco l’argomento di Castagnino, noi non potremo che invecchiare e aspettare la crescita complessiva dell’entropia, cioè niente cambierebbe. 322 P. DAVIES, Stirring Up Trouble, in J.J. HALLIWELL - J. PÉREZ MERCADER - W.H. ZUREK (eds.), Physical Origins of Time Asymmetry, cit., p. 127.

122 dell’universo in un passato finito, oltre il quale le leggi della fisica tacciono e il tempo stesso rimane in silenzio»323. A questo livello cosmologico, ultimo in un certo senso, il consueto richiamo indietro suggerito dall’asimmetria temporale arriva a un momento critico. Se il cosmo evolve a partire da un passato specifico, ci sarà stato un inizio, e ciò significa che il tempo stesso è nato in assoluto. Naturalmente esiste anche l’ipotesi di cicli di espansione-contrazione, ma tale eventualità viene generalmente scartata nelle cosmologie recenti e in qualsiasi caso appare anche asimmetrica e non rappresentativa di una fisica dell’eterno ritorno. I cicli sarebbero diversi e limitati in numero e riproporrebbero la questione dell’inizio della loro serie. La teoria classica del Big Bang parla di un tempo=0, concettualizzato come “singolarità” nella cornice della relatività generale (Hawking-Penrose), singolarità del passato onde inizia la storia del nostro universo espansivo. Contrassegnata da parametri quantitativi infiniti, la singolarità relativistica comporta una situazione limite e non si traduce propriamente in una realtà di fatto. Essa non è in un senso vero e proprio una condizione iniziale che possa sottostare alle leggi fisiche e dalla quale si possano fare predizioni. Non è da stupire che essa abbia posto dei problemi filosofici ed epistemologici sotto certi punti di vista. In rigor dei termini, l’inizio assoluto dell’universo non può essere situato in un tempo=0, che di per sé non è nulla. L’inizio dovrebbe essere pensato piuttosto come una particolare situazione fisica instabile in cui scatta il primo movimento espansivo del cosmo. Quel momento conterrebbe di conseguenza una serie di peculiari condizioni al contorno tali da poter rendere ragione della successiva evoluzione cosmica: bassa entropia iniziale, omogeneità e isotropia complessiva del cosmo insieme a una configurazione concreta dovuta a certe disimmetrie iniziali e, inoltre, esistenza di costanti universali e di condizioni iniziali che spieghino la formazione di un cosmo atto per la formazione di strutture stellari e chimiche adeguate all’origine della vita. Cerchiamo di chiarificare nel possibile i concetti contenuti in questo quadro, in rapporto alla nostra tematica filosofica: a) Nella situazione presente della cosmologia scientifica, praticamente quasi tutti condividono la tesi della nascita del cosmo. L’universo non è esistito da sempre. Le idee di un universo eterno o di un eterno ritorno non sono prese in considerazione. Ciò appare una conseguenza logica della prevalenza della temporalità, in modo convergente, in tutti i settori della fisica e nell’indagine astrofisica e cosmologica. Però, «se l’universo non è esistito da sempre, la scienza deve affrontare la necessità di una spiegazione della sua esistenza»324. b) Prima delle più recenti cosmologie quantistiche, molti autori vedevano in questo fatto quasi un’evidenza della creazione divina del mondo (e proprio per questo 323

G.J. WHITROW, The Natural Philosophy of Time, cit., p. 317. A. PENZIAS, in H. MARGENAU - R.A. VARGHESE (eds.), Cosmos, Bios, Ethos, Open Court, La Salle (Ill.) 1994, p. 80. Penzias ricevette il premio Nobel di fisica nel 1978, insieme a Wilson, per la scoperta della radiazione cosmica di fondo. La frase di Penzias induce a una confusione tra il piano scientifico e quello filosofico e in questo senso va chiarita, come facciamo nelle spiegazioni che seguono. L'abbiamo riportata soltanto per dimostrare fino a che punto la questione dell'inizio provoca un problema filosofico negli scienziati. 324

123 alcuni avversavano la cosmologia del Big Bang, cercando di evitarla per motivi “ideologici”). Per evitare equivoci, sarebbe bene dare un ripasso a quanto abbiamo visto in JS II, 1 e 2 sin da Platone, Aristotele, Plotino fino ad Agostino e Tommaso d’Aquino. In vista delle incursioni teologiche compiute in occasione della cosmologia moderna da scienziati(come Hawking) e altri autori, a proposito dell’argomento “inizio temporale e creazione divina”, pare opportuno avanzare alcune precisazioni. La creazione divina è essenzialmente una dipendenza ontologica del mondo dal Creatore, coesistente a tutto l’arco del tempo325. In questo quadro un inizio puro per forza dev’essere creato, non a causa delle sue particolarità specifiche, ma proprio in quanto puro e assoluto. Dio crea il mondo non come una causa fisica antecedente nel tempo, bensì esercitando su di esso una causalità di altro genere, propria di uno Spirito infinito, del tutto diversa dal tipo delle produzioni fisiche che sperimentiamo nel mondo. In quanto Creatore, Dio pone le leggi, l’inizio e lo sviluppo, creando così tutto l’universo evolutivo e tutto il suo tempo. La fisica classica pre-temporalista non presupponeva affatto l’eternità del mondo. Semplicemente essa non si poneva la questione dell’inizio e spiegava il mondo in termini atemporali. La nuova impostazione temporalista ribaltò la situazione e il solo fatto di pensare a un’origine assoluta (tipicamente: la cosmologia di LemaîtreGamow) svegliò in parecchie persone una preoccupazione teologica molto naturale in rapporto a questa tematica. Bisogna tener presente tuttavia che il metodo fisico non procede oltre la realtà materiale. Per farlo, cioè per poter parlare di Dio consistentemente, bisogna passare al livello metafisico del pensiero, quello in cui si muovono i filosofi e i teologi. La cosmologia evolutiva, prospettando la nascita del cosmo, si avvicina fortemente all’idea di inizio assoluto del tempo cosmico, benché non lo faccia in termini del tutto indiscutibili, come corrisponde al modo scientifico di procedere in questioni-limite, qual è la questione dell’origine di tutto. Pensare in seguito alla creazione divina costituisce un passaggio metafisico, il quale sarebbe obbligato se l’inizio assoluto fosse una certezza incontrovertibile, mentre rimane un suggerimento, per quanto forte, se l’evidenza è minore326.

325

Secondo la fede cattolica, l’universo è creato ed ebbe un inizio. Nell’interpretazione di Tommaso d’Aquino, che noi condividiamo, questi due punti sono diversi: 1) Dio poteva creare un universo sia senza inizio (ab aeterno) sia con inizio temporale; 2) l’argomentazione razionale per arrivare al Creatore non si basa sull’inizio, il quale è di fede e non filosoficamente dimostrabile; 3) l’esistenza di un mondo con un passato infinito neppure è rigorosamente dimostrabile; 4) concesso un inizio assoluto dell’universo, il principio di causalità in senso metafisico (non fisico o temporale) esige l’esistenza di Dio (“ciò che comincia è causato”). Di conseguenza, la fede cristiana non ha bisogno del supporto di teorie scientifiche che sostengano l’inizio del tempo, anche se in queste teorie se ne può vedere una conferma dal lato scientifico. Affrontiamo più ampiamente il tema nel nostro lavoro La creazione nella cosmologia contemporanea, «Acta Philosophica», 4, 1995, pp. 285-313. Per una discussione dell’argomento, cfr. anche W.L. CRAIG - Q. SMITH, Theism, Atheism, and Big Bang Cosmology, cit. 326 Accettare invece l’inizio dal nulla senza porsi il problema teologico (Weinberg), oppure bloccare la domanda metafisica (Grünbaum), è poco ragionevole. Assumere addirittura che l’universo è apparso dal nulla senza causa, come fa Q. Smith, è semplicemente irrazionale. Cfr. S. WEINBERG, Dreams of a Final Theory, Pantheon Books, New York 1992, p. 173; A. GRÜNBAUM, The Pseudo-

124 L’idea di un inizio assoluto del tempo non è contraddittoria. Peraltro in una concezione continuista del tempo l’inizio non comporta l’esistenza di un primo istante in atto (cfr. JS I, 10): il primo intervallo di tempo, come ogni altro, è ovviamente divisibile all’infinito (contenendo così infiniti “istanti potenziali”)327. Scientificamente le supposizioni di un inizio del tempo o di un tempo indefinito non sono inconsistenti e neanche assolutamente necessarie, dal momento che non si potrà mai garantire di disporre di una teoria fisica definitiva o di aver esaurito la conoscenza fisica del mondo. L’evidenza teorica e sperimentale comunque può inclinare la bilancia in favore di una di queste due possibilità. La cosmologia del Big Bang e anche tutta la fisica dell’asimmetria del tempo favorisce fortemente la tesi della nascita del tempo. c) Il concetto relativistico di singolarità, come abbiamo anticipato, ordinariamente non va preso per una vera realtà fisica e non va confuso con un autentico inizio, benché nei modelli scientifici relativistici sia stato usato come sinonimo di una situazione di inizio o di fine dello spazio-tempo (t=0), per esempio nella questione dei buchi neri (classici) e nella cosmologia del Big Bang. d) Nelle teorie cosmologiche evolutive l’asimmetria del tempo si rifà a una serie di condizioni iniziali del cosmo (eventualmente molto vicine alla “singolarità”), come per esempio la situazione instabile di bassa entropia (Penrose, Davies, diagrammi di Bohm-Reichenbach). Queste condizioni ultime segnano un inizio del tempo abbastanza empirico e pongono il problema causale (perché quelle condizioni iniziali specifiche?). Se sono prese come definitivamente ultime, esse potranno giustificare un’inferenza teologica, non però a titolo di condizioni iniziali specifiche, ma solo in quanto suppongono un inizio assoluto. Tuttavia la fisica, con il suo metodo specifico, potrà ricercare ulteriori spiegazioni fisiche di tali condizioni, per cui la conclusione teologica può risultare precipitata. Talvolta è stata data una risposta a tale domanda causale mediante il ricorso al principio antropico (“queste condizioni iniziali esistono per consentire la nascita della vita, per la comparsa dell’uomo”, ecc.). Si osservi che in questo caso il livello della spiegazione è cambiato, poiché si è passati alla prospettiva della causalità finale, la quale in termini temporali spiega il passato in funzione del presente e il presente in funzione del futuro, proprio come avviene nei processi determinati da un’intenzionalità intelligente e volontaria. Questa forma di spiegazione filosofica, non fisica, è compatibile con la ricerca di ulteriori cause fisiche “passate” e ovviamente non può essere presa come se fosse una spiegazione causale efficiente328.

problem of Creation in Physical Cosmology, «Philosophy of Science», 46 (1989), pp. 373-394; Q. SMITH, in W.L. CRAIG - Q. SMITH, Theism, Atheism, and Big Bang Cosmology, cit., pp. 135, 216. 327 Nel simbolismo impiegato da Castagnino (cfr. MC I, 3), l’esistenza di un t=0 esatto comporta l’espressione [0, ∞) per l’evoluzione di un universo aperto a partire dal Big Bang. Se invece parliamo soltanto di un primo intervallo di tempo, l’espressione corrispondente sarà (0, ∞). Questa differenza non è essenziale per la fisica, che comunque appare più vicina al secondo caso. 328 Purtroppo l’uso acritico o in un senso troppo soggettivistico del principio antropico ha finito per screditarlo, quando invece in un primo momento la sua problematica appariva promettente dal punto di vista filosofico, e continua ad esserlo in realtà (cfr. quanto abbiamo detto su Tipler in JS II, 10).

30. La possibilità dell’inizio: le cosmologie quantistiche

125

La domanda sulle cause del Big Bang è una domanda sull’origine del tempo. Si potrà rispondere che la sua causa trascendente è Dio Creatore dell’universo, però come abbiamo detto prima è anche possibile l’indagine sulle sue eventuali cause fisiche, rimanendo ancora sul piano della realtà materiale (comunque creata da Dio). È quanto tentano di fare le cosmologie quantistiche. I modelli inflazionari ad esempio intendono soddisfare certe esigenze relative all’origine e ai risultati cosmici del fenomeno espansivo (cfr. MC XI, 1.2). La questione si rivolge specialmente alla gravitazione, cioè alla geometria stessa dello spazio-tempo collegata con una certa distribuzione della materia e della radiazione. Ora, le equazioni della teoria della relatività generale sono simmetriche rispetto al tempo, ma le possibili configurazioni specifiche della geometria dinamica del cosmo (metrica e materia-energia)329 possono determinare un’instabilità da cui scatti l’evento espansivo o, al contrario, possono provocare la contrazione verso il collasso (come avviene in un buco nero). Ricordiamo che Einstein poteva aver previsto teoricamente l’espansione dell’universo e se non lo fece fu per non complicare le cose. Nella parte scientifica del nostro volume si possono vedere le due fasi di questo ambizioso progetto della fisica, la fase cioè della gravitazione semiclassica o teoria dei campi nello spazio-tempo curvo (MC XI) e la fase della gravitazione quantistica (MC XII). La nuova prospettiva, pur essendo squisitamente teorica e priva per il momento di un adeguato sostegno sperimentale, in un certo senso va alla radice e si colloca, per così dire, nell’impianto pre-iniziale che intende spiegare l’inizio (il Big Bang), o quanto meno la sua possibilità. La posizione di Penrose si dimostra abbastanza classica a questo riguardo. Egli si è dichiarato a favore di una disimmetria strutturale della gravitazione, nella stessa linea del secondo principio termodinamico. Il collasso gravitazionale (buchi neri) costituisce in questo senso un aumento irreversibile di entropia, e non abbiamo indizi dell’esistenza di buchi bianchi (l’inverso esatto del buco nero) in natura. Nato in condizioni iniziali estremamente critiche a bassa entropia, l’universo tende verso il disordine termodinamico. La freccia cosmologica termodinamico-gravitazionale quindi è quella fondamentale. La radice dell’asimmetria universale del tempo è da ricercare in una teoria della gravitazione quantistica strutturalmente t-asimmetrica, in cui si veda come il collasso della funzione di onda universale che porta all’origine del cosmo suppone un aumento di entropia. Penrose si è fermato così alle porte della gravitazione quantistica330. 329

L’apparente dualismo tra geometria (configurazione spaziale o “metrica”) e campi di energia, nelle teorie quanto-gravitazionali, sta per le quattro interazioni fondamentali: la geometria curva sta per la gravitazione e i campi scalari usati nelle equazioni stanno per le altre tre interazioni (cfr. MC XII, 2). Con l’eventuale superunificazione, le quattro interazioni sarebbero ricondotte in fondo a un’unica realtà materiale, la quale una volta sottoposta a certe condizioni svilupperebbe una progressiva differenziazione, prima rimasta potenziale. 330 Cfr. R. PENROSE, La nuova mente dell’imperatore, Rizzoli, Milano 1992, pp. 386-471; Big Bangs, Black Holes and ‘Time Arrow’, in R. FLOOD - M. LOCKWOOD (eds.), The Nature of Time, cit., pp. 36-62; S. HAWKING - R. PENROSE, La natura dello spazio e del tempo, Sansoni, Milano

126 La quantizzazione della gravità scavalca il concetto classico di singolarità e schiude un panorama dove il nostro spazio-tempo, cioè l’unico universo che conosciamo, si presenta come il risultato probabilistico di un’ampia rosa di possibilità. La teoria è coerente con la concezione derivata del tempo, dal momento che l’universo col suo raggio espansivo non evolve “nel tempo”, ma proprio lo produce col suo moto. Il cosmo nato col Big Bang diviene così l’orologio fisico globale dell’universo. La quantizzazione del fenomeno gravitazionale sottostante comporta, come osserva Zeh, una «quantizzazione del concetto aristotelico di tempo»331. Dobbiamo dunque andare “in dietro”, non però nel tempo, se vogliamo superare il muro di Planck dell’universo all’età di 10-43 secondi. In questa risalita all’ipotetica origine fisica di tutto, con le quattro interazioni unificate, non si arriva a uno spazio-tempo precedente (né al tempo 0 della singolarità, come detto), bensì a uno strano ambito originario e probabilistico, nel quale si possono fabbricare in teoria molti orologi fisici, uno dei quali è il nostro. Il tempo scompare in questo scenario: «il parametro temporale t non può essere semplicemente eliminato, ma non compare proprio»332. Rimane soltanto una struttura spaziale dinamica pre-temporale. I modelli finora escogitati sono senza dubbio problematici, per non parlare delle teorie della supersimmetria e delle superstringhe, ma la proposta attira per la sua semplicità e belleza. In MC 12 si possono vedere gli elementi essenziali di questa ambiziosa operazione. La trasposizione cosmologica dei concetti quantistici comporta innanzitutto l’introduzione di una funzione di onda applicabile a tutte le osservabili possibili (campi di materia e radiazione), nel quadro di un super-spazio curvo che contiene in modo atemporale (in una sorta di “presente pre-temporale”, senza un prima e poi o senza movimento) una collezione di spazi possibili, come se fossero molti fogli insieme (manifolds o “varietà”). La funzione di onda dell’universo, governata dall’equazione di Wheeler-De Witt e valida per la gravità quantistica al posto dell’equazione di Schrödinger, seppure priva del parametro temporale, ci informa sulla probabilità di trovare valori per le osservabili in ciascuna delle varietà del superspazio. A partire da questo regno pretemporale, che forse in futuro potrebbe essere sostituito da una teoria fisica superunificata, bisogna trovare (cioè prevedere) l’esistenza del nostro universo, il che è in un certo senso un passaggio dalla possibilità all’attualità. La domanda si pone sullo statuto ontologico del superspazio della gravitazione quantistica, in parte parallela a quella del senso della teoria quantistica (cfr. JS II, 13). Il superspazio è un insieme di tutte le possibilità entro un quadro spaziale, con osservabili possibili, certamente ricavate dalla conoscenza della realtà. Pensarlo come una sorta di Idea platonica di cui il nostro cosmo sensibile non sarebbe che un caso ci 1996. Hawking ritiene t-simmetrica la gravitazione, pur riconoscendo l’esistenza di una freccia cosmologico-termodinamica. Tuttavia, l’irradiazione (“evaporazione”) dei buchi neri (radiazione di Hawking) è un fenomeno di aumento di entropia, che suppone una perdita irreversibile di informazione (cfr. MC XI, 1.1; XI, 3). 331 H. ZEH, The Physical Basis of the Direction of Time, cit., p. 142. 332 Ibidem, p. 143. Zeh critica l’introduzione a questo livello di un parametro temporale artificiale, come fecero Unruh e Wald, poiché così si ripone il tempo assoluto (cfr. MC XII, 6).

127 condurrebbe alla visione idealistica del tempo (cfr. JS I, 5). Se tale insieme di mondi possibili rispecchia una forma di realtà fisica e non puramente mentale, forse potrebbe essere pensato come una realtà pluri-potenziale o una sorta di materia prima aristotelica (o magari di ápeiron presocratico333), qualcosa cioè che non è niente di determinato, pur precontenendo potenzialmente tutte le determinazioni possibili, simile anche alla materia “informe” presente nella teologia della creazione di Sant’Agostino. Infatti alcuni cosmologi, per spiegare i loro modelli, si sono rifatti all’idea di Agostino secondo cui prima della creazione del mondo il tempo non esisteva. Questo nontempo potrebbe essere visto non tanto come l’Eternità di Dio, ma piuttosto come la materia primigenia informe, oppure come “tutte le possibilità” pensate in una certa cornice spaziale. In ogni caso le spiegazioni proposte dalla cosmologia quantistica non sono in concorrenza con la tesi teologica della Creazione, in quanto si collocano su un altro piano del pensiero. Dio potrebbe anche creare la piattaforma quantistica da cui nasce il nostro mondo classico, può creare insomma le leggi, gli spazi e le altre condizioni descritte e ipotizzate dai cosmologi quantistici. Il quadro della gravità quantistica (anche quello dell’approccio gravitazionale semiclassico) consentì la proposta di modelli di universi che emergono o sono “creati dal nulla” (per esempio i modelli di Hartle-Hawking del 1981 e di Vilenkin del 1982). Dal momento che tali spiegazioni presuppongono molti elementi (leggi, spazi, campi e certe condizioni), l’espressione ex nihilo talvolta usata nei loro confronti non è qui completamente rigorosa334. L’espressione di solito allude al fatto che l’origine della materia e dei campi è intelligibile in quelle proposte senza la necessità di un apporto di energia esterna, un punto che ridimensiona i tradizionali principi conservativi (cfr. MC X, 7) e che potrebbe condurre a capire la causalità fisica non in termini di identità, com’era solitamente intesa nella visione classica335. Questo fatto è certamente notevole per la fisica, dal momento che ha aperto la possibilità di accettare una creazione di energia e di materia in termini scientifici. Esso non dovrebbe essere occasione per un argomento né teologico né antiteologico, a nostro avviso, così come la necessità di un afflusso d’energia nella fisica classica non doveva trasferirsi al piano teologico. Sarebbe troppo povero concepire Dio come il primo fornitore di energia della prima instabilità cosmica. È pericoloso immaginare il Creatore come la prima di una serie di cause fisiche. Un Dio inteso in questo modo rischia di essere ridotto al “dio delle lacune scientifiche (gaps)”. La creazione ex nihilo divina è ben più profonda: il Creatore dona tutto l’essere agli esistenti, insieme alle loro leggi, senza alcun condizionamento o necessità. L’universo dà piede all’argomentazione razionale in favore dell’esistenza di Dio Creatore a causa della sua contingenza o gratuità, insieme al suo meraviglioso e inesauribile ordine e bellezza336.

333

Cfr. ZEH, The Physical Basis of the Direction of Time, cit., p. 157, nota 3. Abbiamo studiato questo problema nel nostro articolo La creazione nella cosmologia contemporanea, «Acta Philosophica», 4 (1995), pp. 285-313. 335 La possibilità di una creatività della natura è limitata qui alla compensazione tra due forme di energie di segno opposto, la cui somma netta quindi è zero (cfr. MC X, 7.1). 336 In questa prospettiva, l’unica alternativa all’esistenza di Dio è il nichilismo, mentre l’unica possibile risposta umana alla creazione divina è la meraviglia e il ringraziamento. 334

128 Con le menzionati restrizioni, potremmo anche prendere sul serio il modello di creazione “dal nulla” (cioè da t=0, 0 spazio-tempo, 0 energia). Ciò vorrebbe dire che lo scenario quanto-gravitazionale dal quale emerge il cosmo non sarebbe un’entità preesistente, bensì una condizione all’interno dell’inizio assoluto. Questo punto si potrebbe comprendere come un tentativo di spiegare il Big Bang in un modo non classico. La “predizione della creazione” — una formula in apparenza contraddittoria — significherebbe che l’inizio assoluto si predice all’interno di un quadro di probabilità, come non poteva essere diversamente nella fisica quantistica. Una creazione fisica intesa in questo modo non esclude la creatio ex nihilo teologica. L’universo nato quantisticamente non si spiega da sé. La descrizione quanto-gravitazionale dell’origine del cosmo probabile non è auto-consistente, dal momento che molte cose vi sono presupposte. Il perché in tensione verso la trascendenza di Dio rimane sempre aperto. Altre soluzioni cosmologiche, come quella di Linde, preferiscono ipotizzare molti universi, sconnessi o magari interconnessi, cosicché il nostro Big Bang apparirebbe come un evento locale tra tanti (ma molto fortunato grazie al “principio antropico”). Senz’altro l’impianto teorico della cosmologia quantistica è aperto a questa possibilità. Di questi mondi però nulla sappiamo e, se ne sapessimo qualcosa, allora essi costituirebbero con il nostro “universo locale” un universo più ampio. Il cosmo infatti è tutta la realtà fisica interconnessa, grande o piccola che sia. Veniamo infine alla questione della nascita del tempo nella gravitazione quantistica. Il procedimento per ricavare una nozione di tempo a partire dagli elementi basilari della teoria della gravità quantistica (cfr. MC XII, 3 fino a XII, 6) è molto vicino alla concezione aristotelica del tempo come relazione derivata. In mancanza di un ordine tra le varietà del superspazio, l’universo della gravitazione quantistica preclassica contiene solo spazio e non tempo. La relazione di ordine prius-posterius viene a stabilirsi grazie al fenomeno della crescita del raggio di un universo dotato di certe simmetrie. La lancetta dell’orologio cosmico in questo processo è il raggio crescente del cosmo. La decoerenza consente il passaggio all’ambito classico, dove appare il “vero tempo”337, visto che nella gravità quantistica originaria solo esiste la possibilità del tempo. La presenza di un’instabilità originaria capace di far scattare un movimento primordiale ordinato, nel quadro di alcune importanti asimmetrie iniziali, è la condizione della nascita del tempo classico e quindi dell’universo. Una realtà perfettamente simmetrica non si muoverebbe, ma neanche lo farebbe un completo disordine. L’universo nasce come realtà dinamica grazie a un misto di simmetria e asimmetria e proprio per questo esso non può evolvere se non a partire da un’instabilità. È affascinante vedere questo cosmo svilupparsi nella sua corsa verso l’equilibrio finale, facendo apparire grazie alla “breccia di entropia” (cfr. MC X, 7.2) tante nuove strutture che lo arricchiscono e fanno pensare a un orientamento finalistico. Il ritardo tempora-

337

Il “tempo immaginario” impiegato nelle cosmologie quantistiche (per esempio nel modello di Hawking) non è una vera dimensione temporale, ma solo un elemento matematico assimilato alle dimensioni spaziali che serve per il raggiungimento della situazione classica, quando appare il tempo reale.

129 le nato dall’instabilità si pone così al servizio della continuità della creazione. Non senza mistero, il tempo consente la nascita di nuovi ordini. Ma altrettanto misteriosa è la corsa finale apparentemente destinata alla stabilità del degrado, tomba dove ormai praticamente niente si muove, per cui la realtà fisica avrebbe finito di esistere “come cosmo” e quindi come tempo. Abbiamo accennato altrove che non crediamo si possa trovare una risposta completa al problema di senso che qui si pone, all’infuori di una prospettiva di trascendenza. La fine dei tempi mostra un volto nichilistico in una concezione materialista. D’altra parte, ipotizzare che comunque nell’universo la vita ricomparirà senza sosta in altri modi sconosciuti e in altri luoghi, e che così rimarrà eternamente, è un’idea che, pur collocandosi nell’ambito delle speculazioni extra-scientifiche, non aggiunge né toglie niente al problema filosofico del tempo e al problema antropologico del senso della vita. Per l’uomo l’ultimo senso del tempo deve stare in qualcosa di superiore al tempo stesso (cfr. JS III).

31. Alcune conclusioni Di fronte alla visione cosmologica offerta dalle teorie della gravitazione quantistica, sono possibili i due atteggiamenti contemplati nelle sezioni precedenti, quello temporalista e quello atemporalista. Il paradosso è che un temporalismo assoluto non risulta alla fine troppo diverso dall’atemporalismo. Prigogine, per esempio, vede nell’instabilità originaria una manifestazione dei processi auto-creativi della natura a partire dal caos. Il superspazio primitivo sarebbe il regno di un tempo potenziale: «arriviamo così a un tempo potenziale, un tempo che è ‘sempre già qui’, allo stato latente, che non chiede che un fenomeno di fluttuazione per attualizzarsi. In questo senso, il tempo non è nato con il nostro universo: il tempo precede l’esistenza, e potrà far nascere altri universi»338. Ora, il fatto di elevare il tempo alla categoria di fonte assoluta e inesauribile delle molteplici forme di realtà comporta alla fine, come pare sia il caso di Linde, il ritorno a una visione epicurea della natura, con infiniti universi che si riproducono senza posa. Il nostro cosmo non sarebbe che una fluttuazione in mezzo al grande caos creativo e distruttivo. La freccia del tempo ormai scompare in questo scenario, sostituita da una molteplicità disordinata di frecce locali, senza un’evoluzione globale e perciò senza un vero passato e un vero futuro. Il dilemma è sempre questo: se cerchiamo un guadagno che non si perda in questi processi, bisognerà pensare a un inizio assoluto e a un orientamento verso qualcosa di definito. L’infinito materiale nel passato o nel futuro fa soccombere la realtà di una “freccia”. L’infinito materiale non offre la possibilità della direzione. Il vero tempo, così nitido nell’evoluzione del nostro universo, viene svuotato di senso per l’uomo quando è sciolto nell’oceano di un divenire incompiuto. Non siamo qui troppo lontani dalla visione atemporalista che vede nell’universo un’identità fondamentale, e anche in questo caso per l’uomo non c’è “niente da fare” nel tempo. Rimarrà la

338

I. PRIGOGINE, La nascita del tempo, cit., pp. 63-64.

130 consolazione di attingere col pensiero la struttura eterna del divenire naturale, nel quale l’uomo non può preservarsi come un io libero. L’universo contiene in realtà un misto di temporalità e atemporalità, anche se l’elemento atemporale può essere colto solo col pensiero. Le leggi fisiche, scrive P. Davies, «hanno lo statuto di eterne verità senza tempo, in contrasto con gli stati fisici dell’universo che cambiano col tempo e portano avanti la novità genuina»339. Questa duplicità di elementi non è cancellabile. L’universo è pervaso da leggi forti ma contingenti, che talvolta si manifestano nel tempo e che esprimono la ricchezza, l’unità, l’intelligibilità e la bellezza del mondo. Contingenti vuol dire che esse non sono assolutamente necessarie e che si poteva pensarne ad altre. Le leggi fisiche contingenti durano mentre esistono le cose di cui sono leggi. Al di fuori delle cose, esse esistono in modo atemporale solo nel pensiero dell’uomo. La mente quindi è in grado di abbracciare “tutto il tempo” in uno sguardo sopratemporale. Soltanto noi, col nostro intelletto, possiamo cogliere in modo unitario e simultaneo la struttura del nostro universo e pensare ad altri possibili illimitati mondi. La nostra intelligenza è aperta all’infinito e all’eternità. Tale eternità non si trova nel mondo fisico, neppure nell’ipotesi di uno spazio-tempo infinito. Il cosmo non è Dio, ma è piuttosto quanto Dio ha pensato di fare (ordinandolo all'uomo stesso), e solo in questo senso si può interpretare quella “mente di Dio” che Hawking rapporta alle leggi della fisica. L’Eternità del Pensiero di Dio trascende e simultaneamente spiega l’ordine contingente del cosmo. Trascende significa che l’Intelligenza di Dio non è l’Anima Mundi di alcune tradizioni filosofiche. La trascendenza però non si oppone all’immanenza: Dio è anche immanente al cosmo, come la sua perenne causa creatrice340. Concluderemo questo capitolo con un elenco riassuntivo delle principali caratteristiche che il tempo della fisica presenta alla luce della nostra interpretazione filosofica, caratteristiche che dopo tutto non si discostano tanto da quelle offerte dalla nostra esperienza ordinaria (cfr. JS I, 13). Il tempo nell’oggettività scientifica appare dunque come una relazione di ordine successiva, misurabile e dotata di una peculiare topologia. Alcuni dei suoi tratti salienti sono: 1) Reale e gnoseologico: il tempo si rivela nell’approccio delle scienze come una dimensione ontologica del moto, ma anche come forma oggettiva collegata agli strumenti di osservazione e di misura. L’aspetto di misura predomina nella fisica, ma ciò non consente di fare della temporalità un concetto solo relativo all’osservatore, dal momento che questi partecipa al tempo delle cose naturali. Il tempo reale è di tipo A, comprende cioè anche il presente in atto dell’osservatore, collegato con l’attualità del mondo in divenire. 2) Derivato, non assoluto: il tempo della fisica segue al moto ed è relativo allo stato di moto del sistema, il che si riflette sulle misurazioni dell’osservatore in moto. La terminologia temporale (adesso, intervallo, ecc.) non va presa in un senso sostantivo.

339

P. DAVIES, Physics and the Mind of God, in A. DRIESSEN - A. SUÁREZ (eds.), Mathematical Undecidibility, Quantum Nonlocality and the Question of the Existence of God, Kluwer Acad. Pub., The Netherlands 1997, p. 197. 340 Cfr. ibidem, pp. 194-196.

131 3) Unitario: il tempo, come il movimento, è sempre di un sistema e non di un unico elemento. L’unità del tempo nasce dall’unità del sistema in evoluzione. Non esiste nell’universo un unico presente simultaneo, ma la cosmologia relativistica evolutiva consente di parlare di un unico tempo cosmico coordinato e di un’età del cosmo attuale, nel quale viviamo. Il collegamento causale coordina i tempi locali in un’unica direzione. Nei sistemi causalmente collegati, come accade nel nostro cosmo conosciuto, non è possibile l’esistenza di frecce temporali a direzione opposta. 4) Aperto: il tempo si dice “aperto” in quanto comporta sempre una novità, cioè le situazioni non si ripetono mai esattamente. L’apertura temporale è conosciuta grazie alla perenne novità del presente e alla complessità globale degli eventi. Nella visione della fisica, l’apertura del tempo compare nelle teorie probabilistiche, particolarmente nella fisica quantistica, nella quale il presente è il momento della misurazione che divide un passato necessario da un futuro carico di possibilità. 5) Irreversibile: il tempo è irreversibile a causa della sua apertura, benché molti movimenti siano reversibili. L’inversione fisica dei processi finalistici, per esempio di certi atti vitali, è priva di senso. 6) Direzione: le leggi fondamentali della fisica sono simmetriche rispetto all’inversione temporale, ma i processi fisici reali sono t-asimmetrici, innanzitutto a causa dell’apertura del tempo in un contesto di complessità. La direzione del tempo è basata su un orientamento definito e preferenziale del moto, per esempio verso l’espansione del cosmo o verso la crescita dell’entropia. La direzione del tempo è globale, non solo locale, poiché comprende tutti i processi dell’universo causalmente collegati. 7) Origine: se c’è una direzione temporale, si pone il problema dell’origine del tempo e del cosmo, collegato a un tempo passato finito. Senza un’origine, non ci sarebbe freccia temporale. Sebbene la scienza non decida su tale questione in una maniera incontrovertibile, le indicazioni della cosmologia scientifica stanno a favore della nascita del cosmo (Big Bang), anzi esse appaiono compatibili con un inizio assoluto del tempo (creazione). Gli atemporalisti e anche i temporalisti estremi (filosofie del divenire infinito) respingono il concetto di origine del tempo, per cui la freccia temporale sarebbe solo locale e provvisoria. Una natura infinita e senza orientamento, se finisce per prevalere sul mondo umano, conduce a un’antropologia pessimista, contrastante col carattere storico della vita umana. 8) Evoluzione e destino: nell’attuale prospettiva scientifica, l’universo prima evolve verso una crescente complessità organizzata, culminante nelle forme superiori di vita e nell’uomo, cui seguirà il predominio del degrado, determinato dall’aumento complessivo di entropia. La crescita dell’ordine manifesta la presenza di un finalismo immanente nella natura, mentre la disorganizzazione e la morte ne mostrano la contingenza. Non esiste una garanzia scientifica di una reversione del degrado, anzi la fisica ne prevede il carattere irreversibile. Dal punto di vista della filosofia, la prevalenza finale della morte è un non-senso. Tuttavia, né la scienza né la filosofia possono risolvere l’enigma del destino definitivo dell’universo. La teologia cristiana parla di una fine dei tempi storici, in cui prevarrà il compimento definitivo della finalità per la quale il cosmo fu creato da Dio.

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Capitolo terzo

Il tempo dell’uomo Nel nostro studio ci siamo soffermati particolarmente sul tempo della natura, pur non avendo omesso degli accenni al tempo biologico e psicologico, orientati come siamo a una visione di continuità tra il tempo antropomorfico e i tempi naturali. Riteniamo importante questa continuità dal punto di vista antropologico e metafisico. Quest’ultimo capitolo, pur nella sua brevità, intende almeno aprire la tematica del tempo umano. In una prospettiva aristotelica, la menzionata continuità sta nel fatto che il tempo, benché identico, assume ruoli e caratteristiche diverse nei quadri ontologici più complessi e ricchi. Esiste quindi una forma di temporalità nella fisica, nella biologia e nell’antropologia, ognuna delle quali suppone una nuova situazione in rapporto all’essere341. Nelle pagine precedenti avevamo osservato come la coscienza umana si trova distesa nel tempo nel suo presente mobile, attraverso il quale partecipa al tempo naturale, mentre è anche vero che l’uomo ferma col pensiero il tempo, per misurarlo e per capirlo. L’astrazione è la capacità dell’intelletto di prescindere dal tempo e dallo spazio per cogliere dei significati atemporali, alcuni dei quali, come il concetto di legge scientifica, corrispondono alle cose reali e ne spiegano lo sviluppo temporale. Questi elementi ci suggeriscono un punto fondamentale della tradizione filosofica spiritualistica (platonica, aristotelica, agostiniana, tomista): l’uomo sta nel tempo, ma anche emerge al di sopra di esso. L’anima umana, nel celebre motto neoplatonico, sta nel confine tra il tempo e l’eternità342.

32. Il tempo organizzato della vita Il menzionato fenomeno di “immersione-emergenza” nel tempo viene in qualche modo anticipato nel vivente, ciò che risulta molto naturale nel quadro dei gradi dell'essere. Nella misura in cui un’entità naturale comincia a organizzare la propria struttura tenendo conto del suo passato, della sua totalità e del suo futuro, come palesemente accade negli organismi, si produce un primo importante passo nel superamento del tempo, se intendiamo per tempo la successività dispersiva considerata nel nostro primo capitolo (cfr. JS I, 2). Qual è il vantaggio di questo “superamento del tempo”? Non lo interpretiamo nel senso di un suo abbandono, ma piuttosto della sua padronanza. Il tempo di per sé, nel suo significato più piatto ma anche basilare, come abbiamo visto, è il passare, il 341

Quanto diremo in queste pagine può essere anche visto in continuità con le idee sviluppate in JS I, 9. 342 Cfr. Liber de Causis, prop. II, 22 e IX, 84; SAN TOMMASO D’AQUINO, C. G., II, 68, n. 1453; III, 61, n. 2363.

133 che è un minimo modo di essere (tant’è vero che le filosofie puramente temporalistiche tendono al nichilismo). Nel passare niente rimane di ciò che passa (se letteralmente passa). Di un individuo che semplicemente lascia trascorrere i suoi giorni si dice che “perde vanamente” il tempo. Egli non lo perderebbe se il suo tempo disponibile fosse pieno di progetti e se il suo passato le fosse utile nel momento presente. In quest’ultimo caso la persona invece organizza il tempo della sua vita, gli dà una struttura e così vive il suo tempo funzionalmente. Vivere il solo presente senza memoria e senza un progetto è drammatico per l’uomo e a un certo punto si trasforma in una malattia che lo riduce a una forma precaria di esistenza. L’organizzazione del tempo è possibile solo quando si supera il presente fuggitivo, il che vuol dire prendere in una certa simultaneità “tutto il tempo”, appunto per meglio organizzarlo. In quest’organizzazione appare fondamentale la finalità, il progetto, collocato nel futuro ma anticipato dall’uomo con l’intelligenza. È ovvio che approfittarsi del passare del tempo per riportarlo a una finalità, prenderlo come “occasione” o come tempo che, se capita per caso, è per trarne profitto, è una forma di superarlo nel senso di dominarlo. Il superamento organizzativo del tempo costituisce la vita pratica e comincia con la vita stessa, come accennavamo sopra. La vita organica è come una costante riunificazione di un tempo che di per sé va via. L’emergenza di organicità nella natura non significa tanto l’inserimento di un nuovo tipo di tempo (il “tempo biologico”), quanto piuttosto l’impossessamento del tempo fisico, che è sempre lo stesso, in un modo nuovo. Padroneggiare il tempo è unificarlo, riscattarlo dalla sua dispersività e modellarlo intorno a un fine. Nella vita organica il succedersi dei giorni assume la forma dello sviluppo. Il cambiamento tipico dell'organismo possiede sempre un significato, poiché coll’andare del tempo, dopo la sua nascita, una certa forma si fa avanti progressivamente. Tutto il materiale dato al vivente si riorganizza al suo interno di continuo, rendendo possibile a poco a poco il rinnovarsi della sua forma e delle sue strutture. Il tempo della vita non è ormai il passare univoco delle ore, ma possiede una chiara direzione costruttiva. Il tempo vitale è configurazione e maturazione. Sono infatti concetti temporali desunti precisamente dalla vita organica quelli di nascita, giovinezza, sviluppo, maturità, vecchiaia e morte. Il passato organico non è semplicemente andato via, ma rimane come informazione (la “memoria” della vita), come intreccio di predisposizioni che a un certo punto daranno un frutto. Nella vita cosciente ancora a livello animale il passato, inoltre, è ricordato. Ciò vuol dire che il passato sentito e sperimentato non si è perso del tutto, poiché rimane e non tanto per tornarci indietro, bensì come base per un comportamento futuro rilevante. La memoria raccoglie ciò che del passato risulta interessante e soprattutto ciò che si è imparato (un certo oblio, in senso positivo, comporta il dimenticare proprio ciò che non è rilevante). Lo sviluppo animale non è il puro dispiegamento vegetativo di qualcosa di implicito, ma è un apprendimento. Apprendere è una crescita informativa individuale destinata all’azione, il che è un nuovo modo di superamento del passato. Gli eventi passati se ne sono andati, ma ne rimane l’esperienza. L’imparare dell’animale procede al di là del raggio di azione della dotazione genetica. Esso deve imparare attivamente certe cose, anche se lo fa in maniera naturale e senza la progettualità universale tipica dell’uomo. La pianta semplicemente si adatta all’ambiente,

134 ma l’animale ci si adatta imparando. Sennonché tale processo a un certo punto si arresta, anzi si arresta molto presto. Il passato e il futuro della sensibilità animale sono di un cortissimo raggio. Dando un altro senso ai termini, neanche si può dire che l’animale abbia un passato e un futuro, mancandogli l’auto-coscienza. La coscienza sensitiva è temporale in modo inconsapevole. L’animale trascorre il ridotto ciclo dei suoi tempi istintivi senza un centro interiore. Egli non vive neanche nel presente, ma piuttosto trascorre il tempo delle sue sensazioni, e qui finisce tutta la sua vita. Il processo umano di apprendimento invece, presupponendo la base organica in buona forma, non arriva mai a un termine definitivo. L’uomo riorganizza di continuo il suo passato, perché ha sempre un futuro davanti, almeno mentre il condizionamento materiale glielo consenta. L’impossibilità di imparare qualcosa di nuovo è nell’uomo una manifestazione di vecchiaia. Quindi non ci limitiamo a trascorrere la temporalità delle nostre sensazioni, ma cogliamo interamente l’arco della nostra esistenza, sia pure in maniera oscura e indigente, ancor di più nella maturità della vita (i bambini non sono ancora consapevoli dell'importanza del tempo). L’essere umano vive così “pienamente” nel tempo, nella consapevolezza dei suoi limiti e perciò con una certa inquietudine. Sappiamo di essere nati e di avere un passato più o meno conosciuto, nel quale possiamo approfondire, e mai ci abbandona la presenza del nostro futuro di fronte a noi, carico delle possibilità che ci vengono offerte dal passato. Conosciamo il limite estremo del nostro futuro, cioè la morte, e possiamo anche calcolarne le conseguenze, prevederla nei nostri piani, pur sapendo che essa è il punto oscuro dove il nostro tempo finisce. L’uomo appare così come l’essere della natura in qualche modo più temporale, ma proprio perché più domina il tempo sia estensivamente (può percorrerlo tutto, poiché comprende in astratto la nozione di tempo) che intensivamente (egli può impiegare le ore come vuole). In questo senso l'uomo accoglie il tempo naturale e lo trasforma in un tempo culturale e in un’opera della sua libertà.

33. Il senso storico dell’esistenza umana nella cultura e nella Bibbia Un approfondimento del modo in cui l’uomo vive nel tempo equivale a un’indagine antropologico-metafisica sull’essere stesso dell’uomo. A questo riguardo ci pare interessante un riferimento alla visione biblica343, che facciamo non solo dal punto storico ma anche in quanto credenti, nel senso cioè di prendere la Sacra Scrittura innanzitutto come uno scritto che contiene la Parola di Dio rivolta all’uomo. La 343

Cfr. su questo tema, J. GIBLET, Le temps dans la tradition biblique, in Temps et devenir, cit. pp. 39-56; AA.VV., Temps et eschatologie, Académie Internationale des Sciences Religieuses, Ed. du Cerf, Paris 1994, con i seguenti articoli: J.M. VAN CANGH, Temps et eschatologie dans l’Ancien Testament, pp. 17-38; B. DUPUY, Temps et eschatologie dans le judaïsme, pp. 39-53; J. SCHLOSSER, Le Règne de Dieu et le temps, pp. 55-63; B. REICKE, Christ et le temps, pp. 65-80. Cfr. anche J. MOUROUX, Le Mystère du temps. Approche théologique, Aubier, Paris 1962 e B. BOSCHI, Il tempo e la Bibbia, in AA.VV., Epistemología de las ciencias. El tiempo, vol. II, Ciafic, Buenos Aires 1998, pp. 121-181.

135 nostra riflessione filosofica sul tempo entrerà così in questo paragrafo in un particolare rapporto con la fede cristiana e con la teologia344. Sul piano della Rivelazione di Dio all’uomo, anticipiamo, vediamo dispiegarsi due concetti fondamentali, non filosoficamente tematizzati nei libri sacri ma ivi contenuti in un modo vissuto e concreto. Il primo è il concetto di esistenza storica, il quale a nostro avviso trova una sua importante radice nella tradizione ebreo-cristiana. Il secondo è il concetto di trascendenza, che consente una forma di illuminazione del tempo con un rapporto fondamentale alla pienezza dell’eternità. Lungo la storia l'uomo solo a poco a poco ha scoperto l’importanza del tempo. I calendari, i computi astronomici del tempo, le ricorrenze festive e i ritmi del lavoro lo hanno introdotto sin dall’inizio in una temporalità ciclica quotidiana, settimanale, annuale, nella quale si sviluppa la sua breve esistenza. Il culto religioso gli ha aperto la dimensione della trascendenza, per esempio il culto dei defunti testimonia la sua fede in una vita diversa al di là della morte, in un orizzonte eterno. L’apparenza stabile del firmamento (“ciò che si tiene saldo”: firmare) gli fa presentire in qualche modo l’esistenza di un mondo immortale, differente dalla vita corruttibile dei “mortali”. D’altra parte, le tradizioni, le genealogie (così importanti nelle società tribali) e i racconti mitici configurano un passato collettivo denso di significato e illuminante per la vita presente piuttosto statica e monotona. È notevole inoltre che nelle tradizioni mitologiche si profili spesso una visione storica della natura (cosmogenesi), puntando così all’idea di un’origine del tempo. Nel vasto scenario di forze cosmiche, nelle quali intervengono gli dèi in modi svariati nelle culture antiche, il futuro è di solito oggettivato nella forma di un destino inevitabile (fatum). L’antica idea popolare secondo cui “il destino è scritto nelle stelle” denota l’importanza attribuita al cielo astronomico riguardo alle vicende della terra. Ma al di sopra dei piccoli tempi terrestri e in una sorta di lotta contro la caducità delle forme visibili dell’essere, l’uomo ha sempre tentato di rivolgersi all’eternità, abbracciando certe vie di trascendenza, quali i riti religiosi (spesso naturalistici), la via intellettuale dei filosofi, l’inserimento induistico negli interminabili cicli, l’annullamento del tempo nel buddismo, ecc.345. In questo senso, nella religione ebreo-cristiana si delinea una peculiare apertura della dimensione temporale dell’uomo. In confronto ai cicli ripetitivi dei tempi propri delle culture pagane (cfr. JS II, 4), spicca la linearità del tempo biblico, che inizia con la creazione del mondo, arriva a un momento culminante («pienezza dei tempi»: cfr. Ef 1, 10; Gal 4, 4)346 nell’Incarnazione del Verbo e punta a una conclusione definitiva della storia. Il tempo è il dispiegarsi di un grandioso disegno divino che ripercorre tutta la creazione e culminerà in un nuovo statuto di “gloria” e di “vita eterna”. 344

Questa sezione del nostro lavoro costituisce un approccio teologico al problema del tempo, ovviamente eterogeneo rispetto all’impostazione filosofica del nostro studio. Il lettore non cristiano potrà trovarvi almeno un elemento di riflessione culturale e personale. D’altra parte riteniamo difficile da evitare il passaggio al piano teologico qualora si ponga la discussione sul terreno del tempo dell’uomo e in particolare sul senso ultimo e definitivo del tempo dell’universo per l’esistenza umana. Le nostre considerazioni filosofiche, per non parlare di quelle scientifiche, sono comunque valide e oggettive sul piano razionale, indipendentemente dalla nostra esposizione teologica. 345 Cfr. J. SCHEUER, Le temps dans les cultures orientales, in Temps et devenir, cit., pp. 7-24. 346 Per le citazioni e abbreviature dei testi biblici seguiamo l’edizione ufficiale della CEI.

136 Veramente tutta la rivelazione è pervasa da storicità, dal momento che il patto di Dio con un popolo è un evento fondamentale della storia, che alla fine coinvolge tutta l’umanità. Non a caso una gran parte dei testi sacri sono narrazioni storiche, elaborate con i criteri narrativi dell’epoca di redazione. Impressiona vedere l’enorme quantità di volte in cui vengono usati i verbi al passato, presente e futuro nei testi biblici. Centrale è nell’Antico Testamento la figura del popolo di Israele che conserva e riflette sulla propria identità mediante il costante ricordo della sua vocazione divina, avvenuta nella scelta divina dei patriarchi e nella liberazione mosaica dalla schiavitù dell’Egitto. La storia di Israele è la storia di un’Alleanza di amore di Dio con il suo popolo, che va narrata in mille modi ai figli (cfr. Es 12, 26; Dt 6, 20). Dimenticare questa storia è la radice dell’infedeltà. Inoltre, sin dall’inizio Dio nell'Alleanza promette e compie, cioè Egli fa guardare verso il futuro (ad Abramo, a Mosè, ai Profeti) con fiducia e senso di attesa. La fedeltà di Dio, malgrado le infedeltà umane, sta appunto nel compimento delle sue promesse, le quali comunque richiedono tempo, anzi tempi molto lunghi, ordinariamente al di là della vita delle singole persone. Nei profeti questa proiezione verso il futuro si rende più pressante, in mezzo a un presente dominato dalla corruzione, dalla disobbedienza e dal peccato, ma divenuto insieme, per la misericordia di Dio, un grande tempo di attesa dei giorni definitivi, attesa dunque di un'epoca nuova, messianica ed escatologica347. In tale cornice potrebbe sorprendere il libro veterotestamentario del Qoèlet, forse il più antistorico delle Sacre Scritture, anzi apparentemente votato alla visione ciclica del tempo («ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole»: Qo 1, 9). Senza il contesto biblico completo, la visione del Qoèlet potrebbe sembrare vicina alla concezione pessimista della civiltà antica (depressa dall’idea dell’eterno ritorno), con accenti leggermente epicurei. Una lettura attenta di questo libro lo rivela piuttosto come una meditazione sulla vanità degli affari umani, il che porta a un atteggiamento di rassegnata saggezza e di distacco dalle problematiche umane, sempre incerte e passeggere. «Il tempo e il caso raggiungono tutti. Infatti l’uomo non conosce neppure la sua ora» (Qo 9, 11-12). La visione rassegnata del Qoèlet si basa anche sulla consapevolezza dei tempi prestabiliti dalla sapienza divina, tempi che nessuno può cambiare («per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo»: Qo, 3, 1). Quindi bisogna non porre troppo il cuore nei progetti umani, né preoccuparsi con eccesso del domani, bensì piuttosto vivere il presente senza affanni, lavorando con gioia e rispettando la legge di Dio348 «Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma ha messo nei cuori degli uomini

347

L'espressione il giorno del Signore indica in un primo momento nella letteratura profetica un futuro giudizio storico di Dio (giudizio punitivo) sui popoli pagani e sullo stesso Israele in quanto peccatore (cfr. Am 5, 18 ss; Sof 1, 7). Dopo il periodo dell'esilio, essa acquista un significato escatologico relativo alla restaurazione di Israele, in una prospettiva universale riferita agli ultimi tempi (cfr. ad esempio Gl 2-3). Cfr. sulla menzionata espressione La Bibbia di Gerusalemme, ed. Dehoniane, Bologna 1984, nota ad Am 5, 18. 348 In un quadro più soprannaturale, il Vangelo parla invece di cercare senza affanni soprattutto l’unum necessarium:, che è il regno di Dio (cfr. Lc 10, 42), e di non preoccuparsi troppo del domani, con fiducioso abbandono nella Paternità di Dio (cfr. Mt 6, 25-34).

137 la nozione dell’eternità»349 (Qo 3, 11). Il Qoèlet però non è tutta la Scrittura. Alla rassegnazione di fronte ai mali in apparenza inevitabili si aggiunge, in altri contesti biblici, un’ansia e un’impazienza di fronte al dilagare dell’ingiustizia, per cui l’adempimento delle promesse del Signore dei tempi, pur richiedendo tempi non brevi, spesso è dichiarato vicino e talvolta imminente (cfr. Is 51 4-5; Ab 2, 3)350. Il Nuovo Testamento è dominato dal clima di compimento delle promesse (Mc 1, 14: «il tempo si è compiuto»; Gal 4, 4: Cristo viene «nella pienezza del tempo»)351. È un tempo di manifestazione dei segreti di Dio, nascosti da secoli ma ora (nu§n) rivelati ai santi (cfr. Col 1, 26). Il passato, prima che il credente abbia accolto Cristo, è il tempo vecchio del male e delle tenebre (cfr. Col 1, 21), un tempo ormai cancellato con la redenzione, nel quale bisogna non ricadere. Il presente cristiano è luminoso, una novità assoluta, giovanile e gioioso. «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate» (2 Cor 5, 17). Prevale quindi nel cristianesimo il senso di novità del presente, un presente di libertà in cui si partecipa a Cristo come «figli della luce» (cfr. Ef 5, 8). Tuttavia esso non è un presente stabile o definitivo, ma piuttosto un oggi (cfr. Ebr 3, 7 fino a 4, 7) che ritorna come momento favorevole (kairov") (cfr. 2 Cor 6, 2) affinché l'uomo si rialzi e si rinnovi, in attesa della rivelazione definitiva. Il presente cristiano è vissuto con abbandono nella Provvidenza paterna di Dio, senza angosce per il domani (cfr. Mt 6, 34), come in una corsa di speranza, secondo l’immagine ottimista di San Paolo: «dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio» (Fil 3, 13-14). I giorni sono adesso il tempo della coltivazione, mentre il male, con le sue “ore” (cfr. Lc 22, 53), continua pure la sua marcia. «Vigilate dunque […] profittando del tempo presente (kairov") perché i giorni sono cattivi» (Ef 5, 16). Il cristiano, illuminato dal Verbo eterno che ha assunto un’esistenza temporale, pur sapendo che il tempo lasciato a se stesso può essere vano e anche cattivo, non cerca di superarlo a base di abbandonarlo. Piuttosto egli lo salva, lo riscatta: lo santifica nell’oggi quotidiano (redimentes tempus recita la versione latina di Ef 5, 16 e di Col 4, 5: to;n kairovn ejxagorazovmenoi), incorporandolo all’eternità di Cristo risorto, nella consapevolezza che il tempo procede da Dio Creatore come dono, e che deve ritornare a Dio, elevato o reso in qualche modo eterno perché santificato352. «Nel cri349

Non c'è unanimità nelle traduzioni di questo testo riferito all'eternità. Il termine, osserva in nota La Bibbia di Gerusalemme, ediz. cit., non corrisponde esattamente al posteriore concetto cristiano, ma indica piuttosto la capacità del pensiero dell'uomo di considerare nel suo insieme la durata di tutti gli avvenimenti, riflettendo su di essa e dominando il tempo presente. 350 Questi concetti temporali sono ricevuti nel Nuovo Testamento e adeguati alla nuova fase della storia della salvezza. Ogni cosa ha il suo tempo, ma proprio per questo bisogna agire nel tempo opportuno (kairov") e non lasciarlo sfuggire (cfr. Mt 11, 7). Il tempo passa rapidamente. «Il tempo ormai si è fatto breve» (1 Cor 7, 29) e «passa la scena di questo mondo» (1 Cor 7, 31), per cui c’è anche un senso di urgenza nell'adesione a Cristo. Il Signore viene presto (cfr. Gc 5, 8; Ap 22, 20) e farà giustizia prontamente (cfr. Lc 18, 8). 351 Sull’uso della terminologia temporale nel Nuovo Testamento, cfr. O. CULLMANN, Cristo e il tempo, cit., pp. 59-74. Ved. anche Nuovo Dizionario di teologia biblica, a cura di P. Rossano ed altri, Ed. Paoline, Milano 1988, voce Tempo. 352 Nell’opera citata Cristo e il tempo, Cullmann diffida della categoria “metafisica greca”

138 stianesimo — scrive Giovanni Paolo II — il tempo ha un’importanza fondamentale […] In Gesù Cristo, il Verbo incarnato, il tempo diventa una dimensione di Dio, che in se stesso è eterno»353. L’Incarnazione di Cristo significa dunque il luogo dell’unione tra il tempo e l’eternità. Visto dal basso, ciò significa l’elevazione del tempo alla categoria dell’eternità. «Grazie alla venuta di Dio sulla terra, il tempo umano, iniziato nella creazione, ha raggiunto la sua pienezza. ‘La pienezza del tempo’, infatti, è soltanto l’eternità, anzi Colui che è eterno, cioè Dio. Entrare nella ‘pienezza del tempo’ significa dunque raggiungere il termine del tempo ed uscire dai suoi confini, per trovarne il compimento nell’eternità di Dio»354. La valutazione cristiana del presente si distingue dal modo sia utilitaristico che epicureo (edonistico) in cui l’adesso è vissuto. Nello stile di “vita utilitaristica”, il presente è solo un mezzo ad aliud, senza alcun valore immanente. Esso non può essere gioito e viene piuttosto attraversato con un puro senso di celerità, nell'esclusivo interesse dei risultati. Vi sono anche forme sottili di cercare di vivere nel presente come se esso fosse un’eternità, il che è un’illusione in quanto il presente va via e niente può arrestare il passo del tempo. La santificazione cristiana del presente non è la sua “eternizzazione”. L'oggi viene vissuto con gioia perché, partecipando all’eternità di Cristo risorto, esso diventa un germe della vita eterna futura (aijwvnio" zwhv: Gv 17, 3), ma solo un germe che bisogna coltivare anche nella sofferenza. Vedere le cose sub specie aeternitatis non significa vivere nel mondo in un modo “parmenideo”, come se i cambiamenti fossero privi di significato. Questa maniera di afferrare l’essere del tempo nasconde in verità una forma di nichilismo, perché “perde” il tempo, cioè non “lo salva”. La salvezza ha una struttura storica, anche nel senso che ci sono tempi precisi di grazia, decisi da Dio (il kairós), e non qualsiasi tempo è buono per tutto: «il mio tempo non è ancora venuto, il vostro invece è sempre pronto», risponde Cristo ai compaesani che lo spingevano ad andare a Gerusalemme (Gv 7, 6), ma più tardi egli dirà: «il mio tempo è vicino» (Mt 26, 18; cfr. anche At 17, 26)355. Le parabole escatologiche di Cristo (l’amministratore, il servo fedele, la coltivazione di un campo, lo sviluppo del seme, ecc.) prendono i giorni dell’uomo come

dell’eternità nell’ambito cristologico. Nel testo biblico l’eternità viene di solito indicata mediante l’estensione illimitata del termine aijwvn, cioè era o secolo (saeculum, aevum), per esempio con la ricorrente espressione eij" tou;" aijw§na" tw§n aijwvnwn (nei secoli dei secoli), incorporata alla preghiera cristiana (cfr. Ap. 1, 18; 4, 10; 5, 13). Ma anche nella terminologia dei filosofi greci, per esempio in Plotino, l’eternità riceve il nome di aijwvn. È naturale che essa sia denominata dapprima come un tempo “senza inizio né fine”, concetto su cui può lavorare la speculazione filosofica e teologica, allo scopo di dare una nozione più precisa ed evitare malintesi. 353 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente, n. 10. «Da questo rapporto di Dio col tempo nasce il dovere di santificarlo» (ibidem). 354 Ibidem, n. 9. 355 In questo senso, osserva giustamente J. Guitton, la tensione verso l’eternità non può rendere banale l’avvicinamento personale alla morte: la vita eterna è già anticipata nell’oggi cristiano, ma si raggiunge nel suo compimento definitivo soltanto dopo la morte. Cfr. J. GUITTON, Historia y destino, Rialp, Madrid 1977, pp. 87-105; vedere anche Justification du temps, Puf, Paris 1941; L’existence temporelle, Aubier, Paris 1949. Non è possibile sottovalutare la morte a causa dell’importante significato che essa dà al tempo dell’esistenza umana.

139 un tempo di lavoro e di maturazione, come uno spazio finito disponibile per la salvezza, quindi come un tempo di responsabilità e di impegno, per mezzo del quale bisogna guadagnarsi l’eternità356. L’attesa è laboriosa, come quella dell’agricoltore (cfr. Gc 5, 8). In questo modo non soltanto in Cristo ma anche nel cristiano si opera l’unione del tempo con l’eternità: il cristiano, lavorando nei tempi opportuni (cfr. Lc 12, 42) e incorporato a Cristo (cfr. Mt 25, 39), compie atti che capitalizzano per la vita eterna (cfr. Mt 6, 19)357. In questa prospettiva, la storia rimane misteriosamente aperta fino al momento stabilito da Dio della sua chiusura. Tutte le parabole del Regno indicano uno sviluppo temporale del bene insieme al male, nell’attesa del «giorno del Signore» (cfr. 2 Pt 3, 10), come di solito viene indicata nel Nuovo Testamento la rivelazione definitiva di Dio, col suo giudizio che segna la fine della storia (cfr. Fil 1, 10; 2, 16; 1 Cor 1, 8). Tutto quanto accade è in fase di maturazione. «Quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà» (1 Cor 13, 10). La distruzione non è l’elemento primordiale dell’escatologia cristiana. Sarà distrutto il regno delle tenebre e molte cose finiranno, ma soltanto in quanto furono strumenti per la genesi del futuro di gloria riservato alla parte della creazione che se lo sarà guadagnato con la risposta libera al disegno di Dio. Nella forma definitiva che l’universo acquisterà, rimarrà tutto a posto, elevato, compiuto, rimarrà soprattutto ciò che adesso possiede di per sé un valore di vita eterna: «la carità non avrà mai fine» (1 Cor 13, 8). Lo sguardo verso un futuro meta-storico è essenziale nel cristiano. «Gli ultimi tempi» (1 Pt 1, 5) arriveranno, non per distruggere, ma per portare a compimento: «noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova»: 2 Pt 3, 13). Nell’attesa, che è persino impaziente (cfr. Ap 6, 10), partecipa in qualche modo tutta la creazione (cfr. Rm 8, 23). Il momento arriverà come una rivelazione che dipende esclusivamente dal libero disegno di Dio e non come la conquista umana di quanto si può ragionevolmente prevedere. Si spera nella «rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8, 19), la quale nel tempo del pellegrinaggio opera già in modo nascosto: «ciò che saremo non è stato ancora rivelato» (1 Gv 3, 2). Bisognerà prima attraversare tutte le scadenze necessarie, aspettare cioè che venga completato il numero degli eletti (cfr. Ap 6, 11). I tempi sembrano lunghi per gli impazienti, ma «davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo» (2 Pt 3, 8). Rimane ferma la fiducia in Dio, l’essere più antico e nuovo, l’Antiquus dierum (Dan 7,9), l’Eterno (cfr. Baruc 4, 14), il creatore 356

Questa è la prospettiva in cui viene considerato il tempo da Josemaría Escrivá de Balaguer nella sua omelia Il tesoro del tempo (Amici di Dio, Ares, Milano 1982, pp. 61-75), di cui vogliamo far menzione come un esempio di riflessione cristiana sulla rilevanza del presente. Questa meditazione, in sintonia con le parabole evangeliche, è tutta incentrata sull’idea di vedere il tempo, che è breve, come un tesoro da sfruttare per la vita eterna, un tesoro da non sprecare perché appartiene a Dio, il quale al momento del giudizio ne chiederà conto dell'uso. 357 Kierkegaard approfondì il peculiare rapporto tempo-eternità della vita cristiana, rilevando il concetto di momento (oejeblick), presente temporale che si ricongiunge con l’eternità, diverso dall’istante. Heidegger prese questo concetto (Augenblick) in un contesto di finitezza. Cfr. S. KIERKEGAARD, Il concetto dell’angoscia. La malattia mortale, Sansoni, Firenze 1953, e C. GOÑI ZUBIETA, El valor eterno del tiempo. Introducción a Kierkegaard, Ppu, Barcellona 1996. Ved. anche P. TILLICH, L’eterno presente, Ubaldini, Roma 1968.

140 dei tempi, del giorno e della notte (cfr. Gn 1, 16). La Bibbia comincia con all’inizio e si conclude così con il verrò presto di Cristo (cfr. Ap 22, 12). «Il tempo è vicino» (Ap 1, 3). Questa tensione verso il futuro escatologico non è quindi una filosofia della storia nel senso dell’idealismo moderno, a ragione condannata da Popper. La redenzione cristiana del tempo è verticale e non comporta una consacrazione del suo sviluppo orizzontale intrastorico, il quale continua secondo la propria dinamica di libertà voluta dallo stesso Dio358. L’uomo non deve divinizzare i tempi storici profani, che sono misteriosamente custoditi dalla Provvidenza di Dio. La storia rimane sempre aperta davanti alla libertà innovatrice dell’uomo e, precisamente a causa di quest’apertura, il futuro umano non è necessariamente né univocamente migliore: esso può comportare dei progressi e miglioramenti, ma mescolati con aspetti indesiderabili e da correggere. La storia umana anziché lineare è ramificata, complessa e non predeterminata. Eppure è indubbio che, nella misura in cui il mondo umano è sempre più unificato attraverso complessi di relazioni, il tempo dell’umanità si rende anche più storico come un tutto. Dietro le nostre spalle preme un passato accumulato che apre (e limita) le nostre prospettive e le nostre possibilità creative di fronte al futuro imprevedibile. Questa forma narrativa del tempo ammette molti livelli di lettura e si rivela sempre frammentaria, ma anche con certe linee di unità in rapporto vicendevole. L’intreccio tra necessità, caso, fini e progetti particolari, risultati non intenzionati ma accolti, tutto ciò costituisce la meraviglia del farsi del tessuto storico. La coscienza variabile dell’evolvere storico, pur soggetta a errori di prospettiva, getta nuove luci sugli orizzonti umani passati e futuri. Tuttavia, la storia non costituirà mai un organismo unificato e la dignità ontologica della persona la rende molto relativa. La connessione con l’Eternità non aumenta col futuro intrastorico, ma è radicata negli atti personali. Nell’Antico Testamento un popolo è stato chiamato (vocazione), cioè destinato da Dio a una missione collegata al progetto divino di salvezza. Nel Nuovo Testamento solo la Chiesa assolve un ruolo storico di salvezza e la chiamata di Dio alla santità (destinazione, non “destino”) interpella l’esistenza storica di ogni persona (cfr. Ef 1, 4-5; 1 Pt 1, 15-16). La storia profana concreta costituisce, in questo senso, l’insieme di circostanze temporali in cui tocca vivere a ogni persona la sua vocazione alla vita eterna359. Dimenticare questa vocazione porta facilmente a un'assolutizzazione del tempo intrastorico, il che è una forma deviata di vivere il tempo. Una di queste forme, nata con l’ideologia del progresso del XIX secolo, si alimenta dalle conquiste tecnologiche dell’uomo sulla natura, le quali sono valide sebbene segnate dalla finitezza umana. Lo scientismo proietta tutte le energie umane della speranza sull’avvenire intrastorico, di cui noi mortali non goderemo. I limiti attuali sarebbero superati con le future conquiste scientifiche, nella prospettiva di un dominio totale della natura. Quan358

Sul rapporto tra storia della salvezza e storia profana, cfr. J.L. ILLANES, introduzione all'opera di J. GUITTON Historia y sentido, Rialp, Madrid 1997. 359 La storia è essenziale all’uomo, quindi, solo a titolo di circostanza che apre delle possibilità. L. POLO la definisce in termini di situazione contingente e non saturabile del fare umano: cfr. Sobre la existencia cristiana, Eunsa, Pamplona 1996, p. 182, e più ampiamente pp. 63-78 e 179-183, molto rilevanti per i punti considerati in queste pagine.

141 do però l’utopia di questi progetti si affaccia, subentra facilmente la paura (ecologica, cosmologica), il disincanto e la tentazione del nichilismo, in definitiva l’accettazione rassegnata della finitezza del tempo in alcuna delle sue possibili varianti (“lasciar passare” il tempo, assumerlo come un destino, amarne l’oscura necessità), un’accettazione comunque sempre instabile e inquieta.

34. Il tempo esistenziale Il dispiegarsi dell’esistenza umana è storico a causa della natura razionale dell’uomo. Viviamo nel tempo in una maniera discorsiva (motus o cursus rationis), riallacciando di volta in volta la pluralità di atti della nostra mente. Questa discorsività si compie nel linguaggio, vale a dire nel pensiero disteso nel tempo. L’uomo “passa il tempo” conversando con se stesso e con gli altri, anche con Dio nell’orazione. Si prova una certa violenza a non conversare quando siamo in presenza di un’altra persona. Il tempo umano è di per sé dialogico, dal momento che la coscienza umana è razionale-intersoggettiva e non solitaria. Detto in un altro modo: la forma del tempo umano è la conversazione. Lo stesso silenzio, se non è chiusura e assenza, contribuisce alla temporalità umana, la quale è insieme contemplativa e discorsiva. Il tempo umano possiede una peculiare struttura chiamata modernamente esistenza. Abbiamo la coscienza di viaggiare, cioè di procedere da un passato causale e di essere costantemente introdotti nel futuro. La memoria del passato contribuisce alla coscienza della nostra identità. La nostra vita si esprime come il racconto di una storia. Il racconto muove dalla prospettiva del presente, un presente comunque nato dal passato, che riorganizza il passato con nuovi orizzonti e tende al contempo verso il futuro. Una tale continua riorganizzazione ermeneutica è basata sulla verità, anche se l’uomo può occultarvi degli aspetti, coglie sempre tutta la vita e la vede proiettata tanto più in una certa direzione quanto più la persona è matura. La direzione viene offerta da molte istanze, è condizionata dalla natura e dalle circostanze culturali, ma ad ognuno tocca il prendere in mano il proprio destino e dargli un indirizzo, pur nei casi in cui la scelta consista, almeno in parte, nell’accettazione di una situazione non desiderata. Di fronte ai propri giorni ogni persona è attiva e passiva. Non possiamo cambiare l'inesorabile avanzare del tempo, ma possiamo imprimervi una direzione. L’esistenza umana dunque, insediata nel presente, riallaccia di continuo il futuro con il proprio passato. Il passato è presente in noi in forma di abiti, disposizioni, abilità, tradizioni e tante altre potenzialità che la nostra natura storica ha ricevuto, sviluppato, bloccato o deviato. A differenza degli organismi, siamo liberi di fronte al passato (ci riferiamo alla parte spirituale e culturale della persona), poiché possiamo anche rifiutarlo, dimenticarlo o correggerlo. Le nostre possibilità presenti nascono da quanto ci è stato consegnato e non solo da quanto abbiamo fatto. E nonostante i condizionamenti, che sono un ulteriore segno di finitezza, all’uomo è stato dato molto, poiché gli è stato dato tutto il suo essere, di cui egli dispone con la libertà.

142 Il futuro ci appare come la possibilità sempre disponibile, offerta alla nostra libertà ed emersa da quanto ci è stato donato360. Stiamo sempre davanti a tutto il nostro tempo, a ciò che possiamo fare oggi e domani. Il tempo che ci è dato sta adesso alla nostra disposizione. Entro certi limiti, ne siamo i padroni e ne faremo ciò che vogliamo. Quest'autodisposizione del proprio tempo, cioè della propria vita, è appunto la libertà. Tempo umano è innanzitutto il tempo concesso alla nostra libertà361. Il determinismo tende a privilegiare troppo la necessità del passato. Il primato del tempo umano corrisponde, invece, al futuro e al presente: al futuro, in quanto è l’ambito della possibilità, dei progetti e delle finalità; al presente, in quanto luogo della nostra attualizzazione. La nostra libertà prende il tempo per portare all’atto le possibilità e il compimento dei nostri fini362. Si presentano in questo quadro forme tipologiche di vivere il tempo, da considerare in una prospettiva psicologica o sociologica. Il senso, il ritmo e gli orizzonti della temporalità umana acquistano particolari sfumature in una società contadina, industriale, informatica o in altri contesti sociologici. L’età, il temperamento, la salute o le occupazioni incidono sul modo di esperire il passato, il presente, il futuro, la “velocità” del tempo, ecc., così come è noto che i giovani o le persone molto attive sono più portati al futuro, mentre gli anziani o gli individui più sentimentali tendono più facilmente al ricordo. Vi sono altresì delle patologie del tempo vissuto: l’attaccamento eccessivo al passato, la polarizzazione dell’immediato, le impazienze della fretta, la pigrizia o la mancanza di progetti, le “perdite di tempo”, il non saper vivere il presente (cfr. JS I, 9). Alcune di queste forme patologiche possono avere un rafforzamento ideologico: il mito del progresso in una società accelerata dalle continue novità tecnologiche annulla il senso del passato (visto come una forma superata da dimenticare), il che porta anche all’emarginazione dell’anziano. Al contrario, nelle società antiche il culto delle tradizioni e talvolta il paradigma del tempo circolare rendeva impossibile qualsiasi cambiamento importante. Tutte le persone e anche certe forme culturali possono sempre prendere atteggiamenti deviati di fronte al tempo: l’uomo può ingannarsi e tentare ad esempio di oscurare il passato, di cambiarlo ideologicamente, di

360

Il tempo umano, osserva Lavelle, è il transito dalla possibilità all’attualità: cfr. Du Temps et de l’Éternité, Aubier, Paris 1945, p. 34. Edith Stein vede il tempo come un “moto esistenziale” che contiene attualità e potenzialità, per cui esso appartiene a un essere donato o finito. Ogni istante temporale rimanda all’Essere eterno, perché Dio possiede tutto l’essere ed è il padrone assoluto del tempo: cfr. Essere finito e essere eterno, Città Nuova, Roma 1988, p. 99, e più ampiamente pp. 7580 e 145. 361 «Il tempo stesso, lungi dal fare della mia vita un’oscillazione indefinita tra il nulla e l’essere, mi consente soltanto, grazie a una relazione tra le diverse forme della presenza di cui la mia libertà è l’arbitro, di costituire nell’essere un essere che è il mio» (L. LAVELLE, De l’Être, Aubier, Paris 1947, p. 9). Su altri aspetti del tempo esistenziale cfr. L. POLO, Quién es el hombre, Rialp, Madrid 1991, pp. 53-62. 362 La fisica quantistica, nell’introdurre in modo essenziale la nozione di probabilità e il concetto di presente in atto, offre una base fisica indeterministica che risulta più coerente con la storia, la libertà e l’apertura del futuro (cfr. JS II, 13 e MC XI, 5). Nei modelli fisici deterministici il tempo si manifesta come tenseless, come un tutto “eterno” già compiuto, dove è più difficile trovare un posto per la libertà. Questa era la grande motivazione di Popper contro Einstein.

143 eternizzare ciò che è temporale, di costruirsi utopie, ecc. Alcuni elementi esterni della vita o della cultura possono far correggere queste deviazioni, ma in ogni caso l’uomo deve sempre assumere il suo tempo con sapienza e con l’esercizio delle virtù (speranza, pazienza, tempestività sono virtù connesse al tempo). Il tempo esistenziale in Heidegger. Ci sembra opportuno fare adesso un breve un accenno al concetto di tempo di Heidegger in Sein und Zeit (1927)363. Il tempo ordinario pubblico, misurato dagli orologi (quello da noi considerato in JS I, 9 come tempo naturale-umano) nasce secondo Heidegger dalla cura o preoccupazione (Sorge), situazione caratteristica dell’uomo (Dasein o “esserci”) visto come coscienza intenzionalmente proiettata (e caduta) in un mondo umano. Il tempo ordinario è omogeneo ed è tutto incentrato nel presentarsi di un presente, cioè si rifà agli enti intramondani, che sono tali appunto in relazione al proiettarsi dell’esistente. Da qui nasce la struttura esistenziale della cura. L’uomo, nel vivere in questo modo il suo commercio col quotidiano, abita in un tempo non autentico, incentrato sul primato delle ore presenti (Jetzt). A questa situazione corrisponde particolarmente la vita oggi esasperata dalla precisione cronometrica, la vita di chi “non ha tempo da perdere”364 e che vive un tempo “di cui si prende cura” di continuo. La connessione di questo tempo con l’ontologia è che l’orologio, per così dire, dicendoci l’ora, ci raffronta a una certa presentazione dell’ente che comporta un occultamento dell’essere, ridotto a presenza. L’esagerazione posteriore di Heidegger fu di assegnare a tutta la tradizione occidentale, come è noto, questo oblio dell’essere, nascosto a causa del primato della presenza di enti intramondani (Vorhandensein). Una concezione piuttosto pragmatistica dell’essere-nel-mondo viene troppo pesantemente addebitata in Essere e Tempo sia al tempo delle scienze che alla stessa nozione di tempo di Aristotele. Anche Bergson seguiva un’interpretazione pragmatistica del tempo delle scienze, ma in Heidegger il punto si rende più acuto a causa della mancanza di una filosofia della natura nel suo pensiero365. 363

Per l’esposizione che segue cfr. M. HEIDEGGER, Essere e tempo, Longanesi, Milano 1976, §§79-83; Il concetto di tempo, Gallio, Ferrara 1989 (conferenza del 1924 a teologi di Marburgo); Prolegomeni alla storia del concetto di tempo, Il Melangolo, Genova 1991 (lezioni a Marburgo del 1925, che sono in parte una prima redazione di Essere e Tempo); I problemi fondamentali della fenomenologia, Il Melangolo, Genova 1988 (lezioni estive del 1927 che completano in qualche modo Essere e Tempo), §§19-22. Vedere anche F. DASTUR, Heidegger et la question du temps, Puf, Paris 1990; P. RICOEUR, Temps et récit, vol. 3, cit., pp. 110-178. 364 Chi vive in questa maniera “non ha tempo” per pensare alla sua vita, al suo tempo, per porsi le domande fondamentali: cfr. Nietzsche, cit., p. 304. 365 «Non vi è un tempo della natura perché ogni tempo appartiene essenzialmente all’esserci. Piuttosto, vi è un tempo mondano» (I problemi fondamentali della fenomenologia, cit., n. 370). Heidegger, osserva Ricoeur, «non si misura mai con la scienza contemporanea nel suo proprio dibattito sul tempo, e dà per scontato che la scienza non ha niente di originale da dire al riguardo che non sia preso dalla metafisica, da Platone a Hegel» (Temps et récit, vol. 3, cit. p. 162). Critiche severe al concetto di tempo volgare heideggeriano, che include una trascuratezza della problematica filosofica del tempo nelle scienze, si possono vedere in ibidem, pp. 162-169. Ma alquanto esagerate ci sembrano le critiche di H. JONAS alla nozione heideggeriana di tempo, la quale porterebbe a una forma di svalutazione gnostica del presente e della natura: cfr. Tra il nulla e l’eternità, Gallio, Ferrara 1992, p. 43.

144 L’uomo che vive in quel modo non autentico, ritornando al filo della sua filosofia, in realtà sta fuggendo dalla morte, cioè la finitezza del suo tempo gli rimane nascosta. Soltanto confrontandosi con la propria morte ci si eleva alla temporalità originaria e autentica, vista come un “estasi orizzontale” (fuori-di-sé), nel primato di un futuro che è soprattutto la sempre incombente possibilità della morte imminente. Soltanto così si possiede “tutto il tempo” e ci si affaccia all’essere (Sein), non vivendo più incatenati agli istanti neutri e infiniti della cronometria. Per quanto ci riguarda in questo lavoro, Heidegger senza dubbio ha colto bene certi aspetti del tempo esistenziale, pur sottovalutandone la base naturale, com'è abituale nel pensiero esistenzialistico. Le sue categorie temporali si sono ispirate in grande misura a Kierkegaard, hanno cioè una matrice cristiana, ma sono state staccate dal rapporto all’Eternità. Per questo motivo la visione heideggeriana del tempo rimane troppo incentrata sulla finitezza e non offre una via di uscita positiva al problema antropologico affrontato.

35. Tempo, eternità, essere A diverse riprese abbiamo accennato in questo scritto all’immersioneemergenza dell’uomo in rapporto al tempo. San Tommaso osserva che alcuni atti umani sono propriamente temporali (viaggiare, muoversi), mentre altri trascendono il tempo, pur compiendosi in esso366. Così avviene negli atti spirituali, come è ad esempio l’atto stesso di capire la ratio temporis, cioè il rendersi conto dell’essere del tempo, il che è possibile in quanto l’uomo è aperto alla comprensione dell’essere in tutta la sua universalità. L’atto di capire coglie simultaneamente una molteplicità di significati e tramite loro comprende pure processi temporali, in una maniera istantanea che non è propriamente temporale. Afferriamo il significato di una frase lunga, ad esempio, in modo globale e “istantaneo”, benché essa si pronunci in un periodo di tempo. Tale istante non è quello che abbiamo considerato come limite del tempo (cfr. JS I, 10), bensì un atto indivisibile che si prolunga nel tempo solo perché dev’essere associato alla base linguistica e dell’immaginazione per poter essere messo in atto 367. Gli atti di pensare, di volere, di amare, di gioire, non essendo processi fisici orientati a qualcosa (cioè movimenti), di per sé sono sopratemporali368. Essi subiscono il tempo solo in quanto si compiono durante un periodo finito e in quanto vanno ricongiunti ad altri atti (per esempio, pensare una cosa parecchie volte, o riunire due o tre pensieri in un ragionamento)369. 366

Cfr. C. G., III, 61. Nell’opuscolo De Instantibus, attribuito all’Aquinate, si approfondisce la natura dell’istante inteso in questo modo, come atto di per sé non soggetto al divenire, che prefigura l’attualità atemporale dell’eternità. 368 Un segno di questo fatto è che gli atti spirituali pieni di vita non fanno sentire il peso del tempo. In una conversazione tra amici le ore volano. Il passaggio “lento” del tempo psicologico è caratteristico del tempo transitivo (quando si fa una lunga coda, quando si aspetta con ansietà un risultato o quando si soffre). 369 Platone considerò la sopratemporalità di questi atti nei loro contenuti eidetici, e così pensò 367

145 Questa è la radice delle infinite articolazioni del tempo di cui l’uomo è capace. Possiamo percorrerlo a volontà, non solo con la memoria o con le anticipazioni, ma anche nelle sue possibili realizzazioni, nella finzione letteraria o nelle utopie. Lo studio scientifico e il controllo tecnico del tempo fisico sono due manifestazioni straordinarie del dominio umano della temporalità. Solo la mente è in grado di pensare a tutto il tempo dell’universo, ad altri tempi e all’annullamento del tempo. Calendari, orologi, orari, sono segni concreti di questo prodigioso dominio. Entro certi limiti, l’uomo organizza il tempo, lo utilizza in funzione dei fini che vuole, decide sui momenti, ne amministra le scadenze, si concede pause, lo perde anche arbitrariamente, ecc. e così in tanti aspetti teorici e pratici egli si dimostra un autentico signore del tempo. La struttura massimamente temporale dell’uomo (l’unico essere che si affaccia davvero al futuro e al passato), cioè la sua storicità, è proprio la conseguenza della sua spiritualità sopratemporale esistente nel tempo. L’uomo introduce nel tempo una vita non limitata al passare, che comunque dà un nuovo senso al passare. Egli ha come un'energia superiore che incide verticalmente nella sua vita temporale e la rende un’esistenza storica. L’essere umano ottiene in questo modo un superamento peculiare del tempo fisico, che gli consente di trasfigurarlo, rendendolo più uno o meno disperso, più amabile, più intelligibile e più bello, in altre parole aggiungendovi più densità ontologica (il che non deve far dimenticare le deviazioni umane nell’impiego del tempo). La situazione peculiare dell’essere umano, capace di «comprendere l’essere in quanto tale e in ogni tempo»370, fa nascere in lui il desiderio naturale dell’eternità, cioè di essere e di vivere in modo intenso e superiore per sempre371. L’eternità ha a che vedere con la solidità dell’essere (indeficientia essendi)372. Questo desiderio profondo e ovviamente molto legato al desiderio di felicità (quale felicità ci può essere con la certezza della morte?) non è necessariamente sempre esplicito, ma è profondamente personale, non potendo quindi venir banalizzato nella forma di voler essere “risuscitati” nel ricordo degli altri, o immortalati nelle proprie opere e nei discendenti, anche se questi aspetti ne sono derivazioni o manifestazioni laterali. Nel desiderio di eternità tocchiamo una delle più originarie esperienze della spiritualità della persona umana. Tutti i misteri dell’uomo si concentrano in qualche maniera su questo punto. La religione, la filosofia, l’arte, ciascuna a suo modo ha a che vedere con questo problema, che sta al centro del cuore umano373. Certamente da l’eternità piuttosto in termini logici e in un contesto dualistico. Nell’aristotelismo genuino, la sopratemporalità dello spirito si vede negli atti stessi della persona, in unità sostanziale con la dimensione temporale della nostra natura. 370 SAN TOMMASO D’AQUINO, C. G., II, 79 («esse simpliciter et secundum omne tempus apprehendit»). 371 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, C. G., II, 55 e 79. 372 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, In Liber de Causis, lect. 2. 373 Potrebbe sembrare che nella cultura moderna occidentale il desiderio di eternità si sia affievolito. In realtà i grandi problemi dell’uomo si manifestano nelle culture e nei diversi periodi storici in modi caratteristici. La tradizione cristiana, la coscienza storica moderna e la consapevolezza del progresso nel campo scientifico e tecnologico hanno dato agli uomini delle ultime generazioni un vivo senso del tempo storico irreversibile. Questo fatto di per sé è positivo. Ne sono delle deforma-

146 quanto abbiamo detto è più che ovvio che il desiderio di eternità non è il semplice attaccamento a un prolungarsi all’infinito dell’esistenza successiva, qualificata da Kierkegaard come di «parodia dell’eternità»374. Un moltiplicarsi all’infinito dei giorni transitivi, pure in occupazioni piacevoli, ma sempre passeggere, sarebbe noioso e forse una condanna, poiché vi mancherebbe la pienezza e il raggiungimento di un fine. L’eternità cui oscuramente aspira la natura umana è un modo diverso di vivere, immaginabile fino a un certo punto sulla base dei nostri atti umani più densi di significato375. Nella gerarchia dell’essere il tempo è superato progressivamente non in un’orizzontalità additiva, ma piuttosto nella verticalità dell’aggiunta di una dimensione nuova. Il desiderio di eternità è così integrato con il concetto di compiutezza del tempo, molto naturale dal momento che la temporalità in senso profondo (come fu intravista da Bergson) non è l’estensione di istanti omogenei, ma la crescita creativa e la maturazione vitale376. Proprio per questo motivo il forte desiderio di eternità dell’uomo contrasta duramente con l’accertamento del tempo come passaggio che non ritorna, il che è anche una dimensione del tempo-divenire e in un certo senso una prefigurazione della morte. L’uomo vive sempre con una certa inquietudine il fatto di essere nel tempo contingentemente e senza garanzie. Egli si accorge del passare continuo e inarrestabile del suo tempo, che minaccia col fermarsi in qualsiasi momento e che un giorno si fermerà inesorabilmente. Di fronte a un piccolo futuro di gioia egli prova anche in anticipo l’amarezza di doverlo lasciare, come se fosse già passato. Il tempo presenta e toglie, in una dialettica di presenza e di assenza377. L’inquietudine di fondo non può essere soppressa, anche se talvolta potrà essere emarginata o più o meno soffocata. Il zioni il secolarismo, lo storicismo oppure il trasferimento degli ideali umani a un Futuro assoluto intrastorico (da cui sono scaturiti i movimenti totalitari del XX secolo). Il desiderio di eternità, che è un tutt’uno con la sete di assoluto, continua però a premere in modi diversi nell’uomo. Nei nostri giorni si manifesta, tra l’altro, nella preoccupazione per la sopravvivenza della specie umana o per la conservazione della natura. Vita, intelligenza e altri valori si vogliono per sempre nell’universo. Vedere nella loro eventuale perdita un non-senso è una manifestazione del desiderio di eternità. 374 S. KIERKEGAARD, Il concetto dell’angoscia, cit., p. 106. Anche Wittgenstein (Tractatus logico-philosophicus, 6.431 fino a 6.4312) e Popper (cfr. L’io e il suo cervello, Armando, Roma 1981, vol. 3, pp. 671-672) si opposero a questa maniera rozza di concepire l’eternità. 375 In questo senso è da considerarsi un’autentica parodia dell’eternità l’idea prospettata da F. TIPLER in La fisica dell’immortalità, cit., di un Punto Omega finale dell’evoluzione dell’universo, concepito sul modello delle intelligenze artificiali, che realizzerebbe la “vita eterna” e meriterebbe il nome di Dio. Al di là di questa fantasia pseudoteologica, l’idea stessa certamente esprime il desiderio di eternità dell’uomo. Ciò porta a Tipler a formulare «l’ipotesi che l’universo debba essere capace di sostenere la vita indefinitamente, vale a dire per un’infinità di tempo […] il postulato più bello di ogni altro è che la morte totale non sia inevitabile» (p. 12). 376 Un’espressione drammatica del desiderio di eternità nella filosofia moderna è quella di Nietzsche, cui ci siamo riferiti in JS II, 7. L’amore nietzscheano dell’eterno ritorno è interpretato da Heidegger come il desiderio di eternizzare l’istante presente, che tornerebbe a presentarsi infinite volte: cfr. Nietzsche, cit., pp. 547 ss e 772. 377 L. LAVELLE, nella sua ampia produzione dedicata alla temporalità umana, ha approfondito in particolare questa dialettica di presenza-assenza del tempo, (La dialectique de l’éternel Présent, in 4 vol., Aubier, Paris 1946-1951).

147 semplice “ho poco tempo!” è una manifestazione di superficie di questa sorta di squilibrio. C’è anche un’insoddisfazione di fronte alla sproporzione tra l’interiorità sopratemporale dell’uomo e una certa banalità dell’esistenza quotidiana temporale. Siamo di fronte a un’esperienza di finitezza dello spirito, che proprio in quanto spirito è fatto per l’infinito. L’inquietudine si rende più acuta di fronte all’esperienza della morte, che segna in un modo drastico la fine del tempo, non come compimento di una finalità, ma al contrario come ultimo sbocco del degrado fisico, cioè in un modo proprio antifinalistico. Allora si vede più chiaro che tutte le inquietudini umane di fronte al tempo, di cui quest’ultima è la più radicale, sono dimostrazioni negative del desiderio di eternità. La vita umana, vista in profondità, si comprende come un tentativo di superamento del tempo, come una specie di lotta che dice molto della situazione ontologica dell’uomo378. Il tempo umano manifesta quindi d’una parte contingenza, precarietà e in qualche modo un certo nulla. Possiamo chiamarlo sotto questo aspetto tempo-divenire ed è quello profondamente intuito dai classici. Esiste però anche il tempo-crescita, tempo creativo nel quale il presente raccoglie e non perde il passato, intuito particolarmente da Bergson. La scienza moderna ci dimostra la convergenza della natura con questo tempo umano, poiché anche nel mondo fisico c’è morte e vita, passaggio e progresso. Il dramma dell’esistenza umana a questo livello è ontologico. La morte ci affaccia al quasi nulla dell’essere contingente. La vita e la crescita invece ci parlano di pienezza e compimento. La pienezza definitiva per un essere spirituale dev’essere l’eternità, una nuova dimensione dell’essere ovvero l’essere assoluto. Il tempo esistenziale però si distingue dal tempo naturale soprattutto per la libertà, che ci fa guardare il futuro come qualcosa che dipende dalle nostre scelte nel presente temporale. La pienezza di cui l’uomo ha il presentimento nel suo desiderio di eternità non può essere il frutto di un germogliare naturale o evolutivo, ma ha a che vedere con la libertà che si affaccia all’essere e al nulla. Una scelta di questo calibro ricondotta al futuro intratemporale costituisce ciò che J. Guitton chiama una contaminazione379. Il futuro storico avrà sempre un altro futuro ulteriore e perciò non è un fine assoluto. Proiettare la chiusura assoluta della storia come il suo risultato immanente, come fa l’utopismo, è incompatibile con l’apertura della nostra libertà nel mondo. La storia umana non può avere una culminazione380. Noi in quanto esseri intrastorici saremo superati dal futuro. Ciò significa la nostra scomparsa, per cui il tempo esistenziale umano, tempo di una libertà che cerca un compimento, non può esaurirsi nella storia. Altrimenti avremmo, ad esempio, tre tipi di pseudo-soluzioni al nostro problema, già considerate in queste pagine: quella 378

F. ALQUIÉ, in Le désir d’éternité, Puf, Paris 1993 (l’opera è del 1943), considera il desiderio di eternità, col conseguente “rifiuto del tempo”, come radice di passioni profonde dell’uomo. Benché il suo approccio sia cartesiano e in un certo senso stoico, è rilevante per l’antropologia il collegamento che egli stabilisce tra temporalità e affettività. 379 Contaminazione dell’eternità col tempo: cfr. J. GUITTON, Justification du temps, cit., pp. 1735. La risoluzione del problema del tempo umano nel futuro intratemporale corrisponde in parte all’uomo esclusivamente sollecitato dai suoi progetti temporali, di cui parla la parabola di Cristo del ricco stolto (Lc 12 16-21). 380 Cfr. L. POLO, Sobre la existencia cristiana, cit., p. 180.

148 di Nietzsche ripete il presente fotografico infinite volte, quella di Tipler prospetta un futuro cosmologico trionfale e utopico, quella di Atkins affronta con stoica disperazione la vittoria futura del tempo nichilistico. L’eternità sta oltre e non dopo il tempo. L’uomo la possiede, ma non completamente, ed è questa la grande sfida della sua esistenza. Voler anticiparla alle spalle dell’esistenza storica dell’uomo, rimanendo indifferenti di fronte alla morte e al passare del tempo, vivendo il presente come se fosse un presente eterno e accettando in una forma di visione passiva sub specie aeternitatis tutta la necessità dell’essere (amor fati), senza l’impegno della libertà, è una tentazione raffinata che in diversi modi si è manifestata nel pensiero filosofico (per esempio negli stoici381, in Spinoza382 e in qualche modo in Wittgenstein383). Il tempo esistenziale non si può trascendere in questa maniera (in fondo assai comoda), perché i giorni ci vengono concessi come un germe di eternità che dobbiamo far maturare impegnando la nostra libertà. Il nostro presente deve guardare il futuro, proprio a causa della struttura della nostra esistenza. La maturazione personale comporta una crescita interiore più profonda dei risultati esterni, i quali semmai servono per il futuro intrastorico proprio e degli altri. La storia comporta dei progressi grazie a questi risultati, ma non può culminare perché non è una persona. In questa vita l’essere temporale ci viene dato come possibilità. Il suo compimento definitivo si trova nel passaggio alla dimensione dell’eternità, ciò che avviene in noi attraverso la morte e non diversamente. La morte è una “maniera forte” di passare dal tempo all’eternità384, nella quale si ricongiungono i tre elementi finora considerati, vale a dire il tempo-divenire (di per sé “nichilistico”), il tempocrescita e il tempo-libertà385. 381

La brevità e caducità della vita induce Seneca, ad esempio, a cercare l'eternità nella considerazione intellettuale. Il saggio trascende tutti i tempi col suo pensiero: "Quegli uomini [i grandi del passato] ti avvieranno all'eternità e ti eleveranno ad una dignità dalla quale non si può essere deposti. Questo è il solo modo di allungare la tua vita mortale, anzi, di mutarla in immortalità. Gli onori, i monumenti, tutto ciò che l'ambizione ordina con i suoi decreti o realizza con le sue costruzioni, ben presto crolla; non c'è nulla che, col tempo, la vetustà non distrugga o non rimuova, ma essa non può nuocere a ciò che è stato consacrato alla saggezza (...) La vita del saggio è dunque molto spaziosa; egli non è prigioniero del limite che racchiude gli altri, è il solo esente dalle servitù dell'umana schiatta; le età gli sono tutte soggette come sono soggette a Dio. Un tempo è passato? lo abbraccia con il ricordo; è presente? lo utilizza; è futuro? lo pregusta. La sua capacità di unificare tutti i tempi gli fa risultare lunga la vita" (SENECA, La brevità della vita, n. 15, 4-5, in Tutti gli scritti, a cura di G. REALE, Rusconi, Milano 1994). 382 Il sapiente, scrive B. SPINOZA, vivendo «consapevole di sé, di Dio e delle cose per una certa eterna necessità (aeterna quadam necessitate conscius), non cessa mai di essere (numquam esse desinit), ma possiede sempre la vera soddisfazione dell’anima» (Ethica, Sansoni, Firenze 1984, p. 651). 383 Cfr. L. WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, Torino 1980, pp. 173-178. Nel n. 2 di questo capitolo ci siamo riferiti alla critica di J. GUITTON a questo atteggiamento, chiamato da lui dissociazione (cfr. Justification du temps, cit. pp. 70). 384 Cfr. su questo tema L. LAVELLE, De l’Être, cit., pp. 248-281; Du Temps et de l’Éternité, cit., p. 34. 385 Naturalmente quanto diciamo presuppone la soluzione cristiana al problema del rapporto tempo-eternità, senza la quale il nostro linguaggio rimarrebbe nel vago (cfr. JS III, 2). Più concre-

149 Dove andrà a finire la freccia del tempo? Il problema del futuro del cosmo è stato toccato in questo studio a parecchie riprese. Tralasciando le cosmovisioni senza futuro (eterno ritorno di Nietzsche, atemporalismo radicale) e presupponendo la nascita del cosmo, le possibili risposte definitive sono (a titolo emblematico indichiamo alcuni nomi che ci sono già conosciuti): A) |---------------> ∞ : Tempo senza fine, con variazioni infinite (Linde). B) |--------------->| ∞ : Crescita e compimento finale fisico, nel quale il tempo finisce (Tipler) C) |--------------->| ∞ : Disorganizzazione finale (mors aeterna) e fine del tempo (Atkins). D) |--------------->| ∞ : Escatologia cristiana: fine della storia e vita eterna386. Preclusa un’annichilazione finale, antropologicamente non proponibile, le tre prime possibilità si collocano esclusivamente sul piano fisico. La possibilità A annulla la direzione del tempo e in verità risulta più coerente con un quadro senza origine o con un’estensione infinita del tempo, che proprio per questo è incompatibile con la freccia finalistica. Insieme al modello ciclico, tale posizione cerca di rendere eterno il movimento e il tempo. Negli altri tre esiti si arriva a uno stato finale perpetuo, si distingue cioè tra processo e compimento, così come una casa costruita è diversa dalla costruzione della casa. Una volta che l’edificio è finito, comincia una nuova fase, quando la dimora viene abitata e se ne usufruisce della protezione e bellezza. La possibilità B, alquanto simile all’ideologia del progresso del XIX secolo, prospetta un’ascesa orientata a uno statuto di culminazione finale di tipo materiale387. Come abbiamo detto prima, noi riteniamo che la culminazione della storia dell’universo dovrebbe essere legata al compimento di ogni persona umana, corrispondente al suo desiderio di eternità. Altrimenti si avrà la casa costruita, per continuare con la nostra metafora, ma non gli abitanti giusti. Quest’argomento è antropologico e non fisico, ma non per questo ci pare privo di valore in una prospettiva ultima del senso del tempo. La possibilità C da sola significherebbe la vittoria definitiva del male, privazione dell’ordine, ed è da escludere come un non-senso. Senz’altro essa appare come la tamente, alla luce della fede cristiana la morte si comprende in rapporto al peccato, attaccamento deviato al proprio io, nei confronti della donazione di amore che spetta all’uomo quale risposta a Chi lo ha creato per amore. La morte umana, secondo la teologia cristiana, penalizza questo attaccamento e così diventa una lezione di sapienza per chi la considera prima del suo arrivo. 386 Le quattro posizioni elencate, pur appartenendo a piani diversi (fisica nei primi tre casi, teologia nel quarto caso), sono paragonabili se vengono prese come definitive e perciò escludentesi a vicenda (così sono infatti sostenute dagli autori indicati), e solo in tal senso le consideriamo in queste linee. L’escatologia cristiana certamente è compatibile con diverse possibilità di “escatologia fisica” (distruzione totale o parziale, mantenimento dell’ordine, ecc.), purché questi esiti finali non siano visti come definitivi. 387 Come si è visto sopra, Tipler cerca di identificare il compimento finale dell’universo della sua proposta con il Paradiso cristiano, ma in realtà la sua impostazione è materialistica e il risultato è solo una confusione tra fisica e teologia.

150 prospettiva fisica più certa, un fatto che ci fa riflettere sulla contingenza della materia e sulla vanità dei progetti umani basati solo sulla dimensione materiale388. La soluzione D si prospetta non soltanto come la più ragionevole o come l’unica possibile in coerenza con l’ansia di infinito dell’uomo, ma anche come la più significativa. Ma essa non è sostentata da argomentazioni fisiche, né dalla pura razionalità filosofica. Come si è visto prima, una culminazione del tempo di tale portata rientra nella cornice della fede cristiana. Essa appartiene, in altre parole, all’ambito dei disegni di un Dio creatore, che porta a compimento la sua opera con la sua rivelazione. Vera e propria eternità è quella di Dio. Non manca nella nostra vita l'esperienza di una certa identificazione tra la memoria del passato e la proiezione del futuro, qualcosa come una concentrazione del tempo, con un'intuizione capace di abbracciare la realtà nel suo insieme e di tradursi nell'operare nel tempo. Questa esperienza può essere una via analogica per intravedere l’Essere eterno e vivente, del quale comunque non abbiamo una conoscenza adeguata. Questa via sembra preferibile al metodo platonico, portato all'oggettivazione dell'eternità sul modello degli oggetti astratti. L’eternità di Dio non è un’immutabilità senza vita, ma è la durata di una Vita senza corruzione, e perciò non successiva. Nel mondo disteso nel tempo abbiamo avuto occasione di notare, d’altra parte, il superamento progressivo del tempo come dispersione e l’emergenza del tempo inteso come crescita e come esistenza di libertà389. Da questo punto di vista il tempo si può vedere come una partecipazione all’essere e il tempo umano, con la sua dimensione sopratemporale, come una certa partecipazione all’eternità390. La fede cristiana nella vita eterna di gloria (con la risurrezione dei corpi) si rende più intelligibile su questa base metafisica e antropologica. Una vita eterna, qualcosa di più della semplice interminabilità, significa sul piano fisico una trasfigurazione 388

I nostri ragionamenti sono evidentemente finalistici, ma non per questo sono ingenui o “precopernicani”. Abbiamo il diritto di pensare come dovrebb’essere un universo migliore e di cercare una finalità a quanto succede nel mondo. Tutti concorderanno nel ritenere migliore un cosmo che almeno sia come la terra (priva però dai suoi difetti), cioè popolato dalla vita e da esseri intelligenti. Dal punto di vista fisico, la terra e noi stessi siamo il meglio di quanto esiste nel nostro cosmo a noi conosciuto. Ma neanche così si prospetta una situazione finale ottima: il nostro desiderio di pienezza eterna (non di semplice prolungamento in eterno) ci impedisce di vedere nelle bellezze terrestri una situazione di compimento definitivo e per sempre. 389 L’intuizione dell’Eternità di Dio come un’attualità vivente e non come un’astrazione statica si trova in alcuni brani di Bergson in Matière e Mémoire (cfr. Oeuvres, cit., pp. 355-356) e in La pensée et le mouvant (Oeuvres, cit., pp. 1419). Cfr. nella stessa linea J. DE FINANCE, Il sensibile e Dio, cit., pp. 109-171. Notevole al riguardo il seguente brano di San Tommaso: «eterno veramente non è ciò che è solo ente, bensì il vivente, poiché la vita significa l’attività (operatio) e non soltanto l’essere, e il protendersi della durata (protensio durationis) si riferisce piuttosto all’operare anziché all’essere» (S. Th., I, q. 10, a. 1, ad 2). Si nota in questo modo di esprimersi dell’Aquinate lo sforzo per evitare una concezione eidetica o statica dell’essere, con la perdita della realtà dell'atto. Per altri spunti sull’eternità, cfr. JS I, 2 e I, 5. 390 Il concetto di “eternità partecipata” è pacifico in San Tommaso (cfr. S. Th., I, q. 10, a. 2, ad 1; a. 3). L’Aquinate concepisce parimenti una forma di successione discontinua negli atti istantanei angelici, denominata evo, un termine che primitivamente significava l’eternità (cfr. S. Th., I, q. 10, aa. 5-6; q. 57, a. 3, ad 2).

151 e non un annullamento della temporalità. I “nuovi cieli e la nuova terra”, di cui faranno parte, secondo la fede cristiana, le persone umane in gloria con i loro corpi, costituiranno il luogo materiale della beatitudine (nel dogma cristiano la vita eterna è essenzialmente la “visione beatifica di Dio”). L’universo naturale nel suo stato definitivo verrà così incorporato nell’eternità, mantenendo una vera materia con un vero moto, quindi una struttura spazio-temporale (che adesso non possiamo immaginare nella sua forma concreta). Nello stato finale, il tempo e il movimento saranno, per così dire, resi al servizio della piena espansione delle persone arrivate al compimento del loro destino391. Giunto al suo statuto definitivo, l’universo corporeo possederà un dinamismo più alto, ormai non più corruttivo. Il nuovo cosmo sarà la “casa già costruita”, la dimora degli esseri felici, che rispecchierà con maggiore fulgore la gloria della Vita increata392. Il tempo, in definitiva, è una manifestazione e un’articolazione dell’essere. In questi tre capitoli abbiamo considerato il tempo-divenire, intermedio tra l’essere e il non-essere, il tempo-crescita, vero incremento nell’essere e il tempo-libertà, nel quale la novità emerge come frutto di un consenso al dono dell’essere. La cosmologia manifesta le due prime forme della temporalità, mentre nell’uomo abbiamo la terza forma, in continuità e non in opposizione al mondo naturale. Nella fase ancora non compiuta in cui ci tocca esistere, il tempo si manifesta soprattutto come il farsi progressivo dell’essere finito, nel suo rapporto trascendentale all’Infinito. A questo punto rivolgiamo ancora una volta il nostro sguardo al mondo materiale, accingendoci a considerare la problematica del tempo nella prospettiva della scienza.

391

Nella visione beatifica, osserva C. POZO, la dimensione temporale continuerà a causa della realtà dei corpi risuscitati: cfr. Sobrenaturalidad de la visión beatífica e inmutabilidad en ella, in M. HAUKE - P. PAGANI (a cura di), Eternità e Libertà, Angeli, Milano 1998, pp. 248-250. La stessa tesi in S. Th., supplemento, q. 84, a. 3 (“corpus gloriosus movetur in tempore”) e ad 5, corrispondente a In IV Sent., dist. XLIV, q. II, a. 3, sol. III. 392 «Oportebit quod creatura corporalis quandam claritatis gloriam suo modo consequatur» (SAN TOMMASO D’AQUINO, C. G., IV, 97).

Seconda parte

Il tempo nella fisica MARIO CASTAGNINO

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Introduzione

Metodi e scopi della fisica Che cosa è il tempo? A questa domanda e ad altre del genere deve rispondere la metafisica, non la fisica, la quale non si occupa dell’esistenza, sostanza o natura delle cose. La fisica impiega altre categorie nel suo lavoro, in quanto si occupa soltanto dell’osservazione e misurazione di grandezze fisiche e della conseguente predizione e retrodizione degli eventi fisici. A questo scopo essa adopera un metodo estremamente definito, sul quale adesso vogliamo soffermarci brevemente. La natura è straordinariamente complessa, anzi potremmo dire che è infinitamente complessa. Consideri il lettore per un attimo il libro che ha tra le mani, composto da carta, cioè da cellulosa essiccata in forma di intreccio di fibre vegetali costituite da cellule morte. Queste complesse cellule sono composte da un’infinità di molecole di idrocarburi, ancora più complesse. Le molecole a loro volta sono composte da atomi, classificati dagli scienziati in più di un centinaio di elementi. Gli atomi sono costituiti da nuclei ed elettroni, e i nuclei da protoni e neutroni. Tra queste particelle sono in atto forze dovute alla presenza di altre particelle (fotoni, mesoni, ecc.). Se vogliamo capire la struttura della materia di questo libro, tutte le particelle elementari entrano in scena, ma queste ultime sono ancora oggetto di ricerche importanti e neanche sappiamo se sono definitive. D’altra parte, il libro pesa tra le mani del lettore. Il peso è dovuto alla forza gravitazionale. Dovremo allora capire il rapporto tra la gravitazione e le particelle che compongono il libro e lo fanno pesare. Solo che, per formulare tale interazione, bisogna “quantizzare” la gravità. Purtroppo, non sappiamo ancora farlo in modo adeguato, il che vuol dire che non sappiamo spiegare perché il libro pesa. Potremmo continuare così per molte pagine. Il lettore stanco forse vorrà buttar via il libro, convinto di trovarsi davanti a un mostro di infinita complessità e intriso di troppi misteri. Ma poco avrà guadagnato, dal momento che la sua mano è tanto o più complessa del libro, contenendo tutti gli elementi del volume e ancor di più essendo viva. Se però il lettore paziente riprende il libro e continua a leggere, vedrà che nonostante l’infinita complessità, egli capisce quanto legge. Egli è riuscito a concentrarsi su uno solo dei suoi infiniti aspetti: la distribuzione di certe macchie d’inchiostro sulla superficie cartacea, cioè le lettere, tramite le quali, mediante un codice relativamente semplice, trasmettiamo parole e concetti. Analogamente il lettore adopera la sua mano, tralasciandone la complessità, per afferrare e manipolare oggetti (come i libri) in base alle sue proprietà meccaniche. La fisica opera allo stesso modo per comprendere un universo infinitamente complesso e composto di parti infinitamente complesse. La fisica prende una parte dell’universo e considera qualche tipo di fenomeno ivi contenuto, prescindendo da tutto il resto. Per quel gruppo specifico di fenomeni studiati essa propone un modello matematico in grado di descriverlo nel miglior modo possibile. Così fece Galilei nello studio della caduta dei gravi: egli ne considerò solo un tipo, quello cioè corrispondente ai corpi compatti e di alta densità (per chiarirci, le pietre, non le piume), e stabilì una legge matematica secondo la quale quei corpi percorrono nella loro caduta spazi

3 proporzionali al quadrato dei tempi. Nei singoli risultati della fisica si verifica questo processo di scelta del fenomeno, tralasciandone gli altri, con la selezione di un adeguato metodo matematico. La fisica, dunque, lungi dal voler capire l’essenza, natura o sostanza profonda delle cose, soltanto elabora dei modelli matematici parziali che consentono di predire o di “retrodire” le misure pertinenti (nel caso di Galilei, di sapere dove si troverà il grave in futuro o dov’era in passato, il che si può calcolare poiché sappiamo che percorre spazi proporzionali al quadrato dei tempi). La fisica a un certo livello non si domanda “perché i gravi cadono secondo la legge del quadrato dei tempi e non del cubo o altre potenze?”, anche se la domanda poi si pone e trova risposta in una teoria più abbracciante quale la meccanica classica. Per gli assiomi di quest’ultima bisognerà invece ricorrere a sua volta a una teoria ancora più ampia, per cui alla fine occorrerà postulare degli assiomi non ultimamente spiegabili. In questo senso ultimo la fisica non si domanda ormai perché la natura abbia scelto questa o quella struttura matematica, limitandosi a sceglierne la più adeguata. Essa piuttosto guarda il come anziché il perché (nel senso delle ultime spiegazioni). Il suo scopo è quello di trovare strutture matematiche che modellino i fenomeni studiati. In questo senso essa è una scienza con scopi ragionevolmente modesti e con aspirazioni ben delimitate, anche se tale modestia o limitazione forse è la chiave del suo straordinario successo. Approfondendo ancora sul metodo della fisica, diciamo che due sono i registri da cui essa tira fuori i suoi modelli: a) Il registro delle strutture matematiche. È il più evidente: il fisico dispone del registro delle strutture matematiche elaborate dai matematici con dettaglio, rigore e gran numero di risultati e teoremi. Come da un’immensa biblioteca da non facile consultazione, il fisico ne ricava la struttura matematica più conveniente. Questa scelta non è scontata ed è talvolta geniale, eppure è soltanto una scelta. Ad esempio: – Galilei sceglie la legge dei quadrati per spiegare la caduta dei gravi; – Einstein sceglie la varietà riemanniana (sviluppata dal matematico Riemann) per spiegare la gravità (MC X); – Schrödinger sceglie gli spazi di Hilbert (sviluppati dal matematico Hilbert) per spiegare la meccanica quantistica (MC VII); – Il fisico Gell’man sceglie i gruppi unitari (sviluppati dal matematico Cartan) per spiegare la simmetria delle particelle pesanti (adroni) (MC IX); – Noi sceglieremo le classi di Hardy (sviluppate dal matematico Hardy) per spiegare l’asimmetria temporale (MC VI). E così via. Talvolta il fisico non trova la struttura conveniente nel catalogo, e allora egli deve inventarsene una (essendo solo un fisico e non un matematico, spesso non lo fa nel modo più rigoroso). Questo avviene in pochi casi, poiché il registro matematico è molto completo, ma i matematici si incaricano poi di abbellire e di dare rigore alla struttura matematica trovata dal fisico. Newton inventò il calcolo infinitesimale, comunque più perfezionato da Leibniz. Il fisico Dirac inventò la “funzione delta” che diede origine alla teoria matematica delle distribuzioni, elaborata dai matematici Schwarz e Gel’fand (SCHWARZ, 1961; GEL’FAND - SHILOV, 1967). Il processo in questi casi si è invertito, ma il modello matematico viene comunque ampliato e trova nuove applicazioni. Così le distribuzioni produssero gli spazi “attrezzati” di Hilbert

4 (ne faremo uso per la spiegazione dell’asimmetria temporale). In questo modo l’interazione tra fisica e matematica risulta feconda per il progresso delle scienze. La fisica è sottoposta molto chiaramente a questo processo, ma esiste un altro più sottile e recondito che vedremo in seguito. b) L’influsso delle idee filosofiche. I fisici sanno molto bene che debbono usare il registro matematico, in quanto sono costretti a studiarlo. Non sono però sempre consapevoli di usare anche un altro “registro”, quello delle idee filosofiche preesistenti. Senza accorgersene, il fisico è immerso in un mare di idee filosofiche, che compaiono in tutta la letteratura fisica studiata e consultata (tutta la fisica è impregnata di metafisica). Spesso egli abbraccia un’idea filosofica a causa della sua presenza nell’ambiente culturale. Pochissime volte queste idee sono esplicitamente avvertite o dichiarate dal fisico. Eppure esse sono lì, a guida della ricerca, a sostegno della comprensione, talvolta anche determinando un approccio o un risultato. Sin dai tempi più remoti, ad esempio, ci sono state due grandi concezioni cosmologiche: a) la concezione evolutiva vede l’universo come un processo, talvolta con un’origine e una fine; b) la concezione stazionaria lo vede come una struttura in definitiva sempre uguale, talvolta eterna. Ora, quando Einstein elaborò il suo primo modello dell’universo, la visione evolutiva del macrocosmo era ritenuta piuttosto propria della religione o della mitologia, mentre quella stazionaria era predominante tra gli scienziati. Il modello einsteiniano infatti era un universo statico ed egli riconobbe più tardi che l’aver introdotto la “costante cosmologica” (per cui il cosmo veniva reso stazionario) fu il più grande errore della sua vita scientifica. Pochi anni dopo venne scoperta da Hubble l’espansione dell’universo e l’aggiunta del modello matematico di Friedmann aprì la strada alla visione evolutiva scartata da Einstein (SANGUINETI, 1994). Ecco un caso in cui un’idea metafisica preesistente confuse il grande intelletto di Einstein e gli fece produrre addirittura una formula sbagliata, smentita dalle osservazioni posteriori. Le idee filosofiche non sono sempre indifferenti per la fisica. Il secondo registro è operante a un certo livello e a conferma di ciò vengono considerate in questo lavoro tante idee filosofiche in rapporto alla fisica del tempo. La metafisica o la filosofia della natura è ugualmente influenzata dalle conoscenze fisiche. Tra fisica e metafisica si produce pertanto un’interazione simile per certi versi a quella considerata tra la fisica e la matematica, benché in grado e stile diverso. Le tre scienze hanno un ruolo diverso e rispondono a domande differenti, ma possono collaborare a vicenda nella ricerca della verità. Vediamo adesso un altro aspetto metodologico. I modelli usati dalla fisica non sono statici ma dinamici per tre diversi motivi: a) I progressi delle tecniche di sperimentazione e di osservazione portano a un raffinamento nelle misurazioni, cosicché i modelli che spiegavano misurazioni grossolane non sono più in grado di rendere ragione di misurazioni più precise. Di conseguenza i vecchi modelli vanno sostituiti da altri più perfetti. b) Lo stesso progresso delle tecniche conduce alla scoperta di nuovi fenomeni, da spiegare con i nuovi modelli. c) I fisici sanno bene che i modelli abbraccianti più fenomeni sono più adeguati, per cui si cerca di unificare modelli e teorie in modo tale da poter spiegare il maggior

5 numero possibile di fenomeni. Al limite si vorrebbe trovare una teoria capace di spiegare tutti i fenomeni conosciuti: la TOE (“theory of everything”) o teoria del tutto. I fisici credono che una tale unificazione sarebbe importante per la comprensione della natura. Basti un esempio illustrativo: il magnetismo è il capitolo della fisica che spiega l’attrazione della calamita. Alcuni modelli matematici descrivono le forze magnetiche, ma poco è l’interesse destato da questo limitato settore, in cui si calcola semplicemente il movimento prodotto dalle forze della calamita, il che è poco più di una curiosità. Qualcosa di simile si può dire del capitolo sull’elettricità (elettrostatica), il cui oggetto sono le forze esercitate tra le cariche elettriche, col corrispondente modello matematico. Questi due capitoli furono unificati da Maxwell, verso la metà dell’Ottocento, nel modello comune dell’elettromagnetismo. Ora, le equazioni di Maxwell sull’elettromagnetismo non solo spiegano i fenomeni prima noti nel campo dell’elettricità e del magnetismo, ma anche altri nuovi, come le onde elettromagnetiche in propagazione libera (onde radio, TV, la luce stessa), oppure le onde confinate (guide d’onda, cavi coassiali, cavità risonanti, ecc.). Il modello unificato consente quindi di scoprire-spiegare fenomeni del tutto nuovi e anche di abbracciare ulteriori capitoli della fisica (come l’ottica). Se ascoltiamo la radio, vediamo la TV o ci facciamo una radiografia, è grazie all’unificazione elettromagnetica. Essa produsse un impatto talmente forte che fa ancora sognare i fisici. Studiando le leggi di Maxwell, Boltzmann commentò con ammirazione che un Dio sembrava averle scritte. Tutta la storia della fisica è un continuo superamento di modelli, poiché gli ultimi abbracciano sempre più ambiti e spiegano misurazioni sempre più precise e numerose. I modelli si succedono e quelli inadeguati finiscono nel cestino della carta straccia. Forse il destino ineluttabile delle teorie fisiche è il cestino (molti sono dolorosamente i modelli scartati che mai ebbero successo, come i modelli di boot strap, la supergravità, ecc.). D’altra parte, questo fatto è naturale e da aspettarsi, dal momento che la natura infinitamente complessa non potrà mai essere afferrata da un modello, il quale sarà sempre una semplificazione. Non ci può essere una TOE a causa della complessità infinita del tutto, proprio il contrario di quanto sono le teorie scientifiche. È però corretto che la fisica cerchi di avvicinarsi a una TOE, pur sapendo che non sarà in grado da raggiungerla. Il fascino della scienza sta proprio qui, nel suo carattere di avventura intrapresa con entusiasmo eppure inesauribile nel suo grado sommo. Avremo occasione di verificare questo processo dinamico della fisica per quanto riguarda la nostra tematica del tempo. Il superamento progressivo dei modelli, anziché allo schema hegeliano tesi-antitesi-sintesi, corrisponde in buona misura all’idea di Kuhn delle rivoluzioni scientifiche e anzi meglio alla tesi di Popper del ravvicinamento costante alla verità totale mediante prove, falsificazioni e proposte di teorie più ampie, più predittive e così più verosimili (KUHN, 1989; POPPER 1972). Lungo queste pagine dunque affronteremo la questione del tempo esaminando i successivi modelli corrispondenti alle singole unificazioni della fisica, nelle quali il tempo appare come una variabile o un parametro, dotato di certe proprietà matematiche e collegato anche a determinate caratteristiche qualitative riconducibili al campo della filosofia della natura. Studieremo in altre parole i diversi modelli del tempo e le loro proprietà a partire dalle teorie fisiche classiche sino ad arrivare alle teorie recenti. Vedremo così fino a che punto nelle indagini recenti il tempo è ricercato con gran-

6 de impegno teoretico e perfino va ricostruito. Confidiamo che questo sviluppo possa contribuire al compito dei filosofi di rispondere alla domanda fondamentale sulla natura del tempo, domanda alla quale la fisica, come detto, non può rispondere. Una metafisica o una filosofia all’altezza del suo compito deve tener conto della fisica più aggiornata. Benché non saranno introdotte nell’esposizione troppe formule matematiche, la nostra non sarà una trattazione fisica leggera1. Cercheremo di descrivere in modo chiaro, ma non triviale i problemi relativi al tempo e le soluzioni proposte, affinché il lettore non matematico possa acquistare un’adeguata cultura nei loro riguardi. Naturalmente il linguaggio matematico è indispensabile se si vuole approfondire la tematica o farne una ricerca. Avvertiamo infine che all’inizio di ogni capitolo verranno ricapitolati i lineamenti generali sui fenomeni e leggi fondamentali della teoria fisica in questione, non però con la profondità ed estensione che sarebbe doverosa. Presupponiamo perciò nel lettore un minimo di contatto con tali tematiche, d’altronde facile da compiere attraverso opere di consultazione e di divulgazione che spiegano in modo più ampio numerose questioni, opere alle quali rimandiamo e che saranno anche indicate nella bibliografia.

1

Poiché questo lavoro è specialmente rivolto a non specialisti in fisica o matematica, ridurremo al minimo imprescindibile la presentazione di formule matematiche, a scopo illustrativo e didattico. Talvolta effettueremo piccoli calcoli che saranno facilmente compresi dai lettori.

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Capitolo primo

Le proprietà del tempo Inizieremo la nostra analisi con l’indicazione delle proprietà del tempo, le quali da quanto precedentemente detto sull’infinita complessità della natura dovrebbero essere tante, se consideriamo i diversi livelli della realtà naturale. Cercheremo comunque di indicarne le più fondamentali alla luce delle teorie fisiche, senza pretendere una completezza esauriente. Queste proprietà cambiano a seconda dei modelli fisici impiegati e alcune sono state già discusse da Sanguineti a livello filosofico. Concretamente: 1. È il tempo un concetto primitivo o derivato? 2. Asimmetria o “freccia” (direzione) del tempo. 3. Aspetti topologici della struttura matematica del tempo: circolare, aperto, discreto (=discontinuo), continuo. 4. Metrica del tempo e proprietà di Bohr-Rosenfeld. 5. “Eracliticità” del tempo. 6. È il tempo assoluto o relativo? 7. Natura quantistica del tempo (operatore oppure numero).

Definizione o introduzione del tempo: ALM o NT La fisica ha impiegato due modalità fondamentali per introdurre o definire la nozione di tempo. Nella prima modalità il tempo è derivato, viene cioè definito a partire da concetti previ o primitivi, mentre nella seconda modalità il tempo è preso come primitivo, per cui viene soltanto presentato o descritto. Il metodo ALM Chiamiamo ALM il metodo di assumere il tempo come nozione derivata (ZEH, 1992), in quanto più o meno corrisponde all’approccio seguito da Aristotele, Leibniz e Mach. Il tempo, ad esempio, può essere definito a partire dall’insieme di eventi puntuali, presi come concetti primitivi. Questi eventi istantanei sono astrazioni didattiche, ovviamente contrarie alla filosofia di Aristotele (ved. JS I, 10). Nella nostra prospettiva scientifica l’evento o avvenimento puntuale è un fenomeno istantaneo in un punto, per cui è privo di durata e di dimensioni. In una descrizione fisica prestatistica questi eventi sono considerati vere realtà fisiche. Così il decadimento di una particella elementare si prende come un evento puntuale, e il tentativo di assegnare una durata al processo o una dimensione alla particella (per es. immaginandola come una piccola sfera) conduce a risultati in contrasto con l’esperienza (tranne ricerche più sofisticate, come nel campo delle superstringhe). I processi di durata finita che avvengono in corpi di estensione finita possono considerarsi come insiemi di eventi

8 puntuali. Il movimento di una particella sarebbe così costituito da una successione di infiniti eventi (nei quali la particella occupa diverse posizioni). Illustriamo il modo di procedere di questo approccio. Consideriamo l’insieme di tutti gli eventi dell’universo spazio-temporale, dove s’includono i movimenti di tutte le particelle a titolo di sottoinsiemi e anche i movimenti delle lancette di tutti gli orologi. Secondo il metodo ALM, da questo insieme di elementi primitivi dobbiamo estrarre o definire il tempo come concetto derivato. Ciò si può fare se definiamo una nozione (o molte) di simultaneità per tale insieme, vale a dire una definizione che determini quali eventi saranno da considerarsi simultanei. Si adopera una definizione operazionale, facendo cioè ricorso a processi fisicamente eseguibili. Se ne possono proporre una o molte a seconda di certi elementi della teoria (come il sistema di riferimento impiegato). La teoria della relatività speciale offrirebbe il miglior esempio di quanto diciamo, ma non vogliamo anticipare gli argomenti. Basti per adesso supporre di essere situati nella meccanica classica, con una sola definizione di simultaneità tra gli eventi. Consideriamo ora i singoli sottoinsiemi di eventi simultanei e chiamiamoli istanti. L’insieme successivo di tutti gli istanti sarà denominato il tempo. Poi possiamo assegnare un numero reale quale etichetta o nome dei diversi istanti (cioè dei sottoinsiemi degli eventi simultanei). Così avremo definito il tempo nel nostro insieme di enti. Con una sola definizione di simultaneità viene definito il tempo assoluto della meccanica classica. Usandone diverse, saranno definiti dei tempi relativi (in rapporto al sistema di riferimento, secondo la relatività speciale). Questa maniera di definire il tempo è precisa, chiara ed è quella che seguiamo veramente nella pratica fisica, per cui sarà da noi preferita (altri motivi della preferenza si vedranno in MC I, 1.3). Consideriamo adesso la struttura matematica corrispondente a questa definizione. Chiamiamo a, b, c,… gli eventi puntuali, e C=[a, b, c,…] il corrispondente insieme. A partire da questo insieme di elementi primitivi dobbiamo estrarre il tempo come nozione derivata. In linguaggio matematico, tale processo consiste nel definire una relazione di equivalenza nell’insieme C = [a, b, c,…]. Questa relazione si esprime dicendo che “a è equivalente a b” (in simboli: a ↔ b) con le seguenti proprietà: i.- riflessiva: a ↔ a. ii.- simmetrica: se a ↔ b, allora b ↔ a. iii.- transitiva: se a ↔b e b ↔c, allora a ↔c. La relazione di equivalenza ↔ consente di definire classi di equivalenza nell’insieme C= [a, b, c,…]: la classe di equivalenza Ca di a è l’insieme di tutti gli elementi di C=[a, b, c,…] che sono equivalenti ad a. In simboli: (1.1.1) Ca =[insieme degli b ε C, tali che b = a] Si può dimostrare facilmente che queste classi hanno intersezione vuota e che prono tutto l’insieme C=[a, b, c,..] (SEGRE, 1962; VAN DER WAERDEN, 1953). L’insieme delle assi di equivalenza è chiamato l’insieme quoziente Q di C=[a, b, c,..] diviso per ↔ cioè C (1.1.2) Q= ↔

Il modello matematico prescelto per il concetto di simultaneità fisica è una relazione di equivalenza. Infatti, la nostra nozione intuitiva di simultaneità soddisfa le proprietà i, ii ed iii della relazione di equivalenza, in quanto riteniamo che: a) ogni

9 evento è simultaneo a se stesso; b) se un evento a è simultaneo a un evento b, b è simultaneo ad a; c) se un evento a è simultaneo a b e b è simultaneo a c, allora a è simultaneo a c. Stabilita dunque la simultaneità come relazione di equivalenza (e ce ne saranno diverse relazioni di equivalenza correlate a diverse simultaneità), le corrispondenti classi di equivalenza sono i sottoinsiemi simultanei a un dato evento, ciò che chiamiamo gli istanti del tempo. Essendo C l’insieme di eventi e ↔ la relazione di simultaneità, l’insieme di classi di equivalenza è l’insieme quoziente Q: questo è appunto il tempo (ma ci sono diversi tempi per diverse simultaneità, tenendo conto della relatività speciale). Arriviamo così alla definizione C (1.1.3) tempo = Q = ↔

il che è un buon esempio della precisione ed estrema eloquenza del linguaggio matematico. Questa è la versione matematica della nostra definizione preferita di tempo ALM. Il metodo NT Nel metodo NT, chiamato così in quanto collegato alla concezione newtoniana, il tempo è un concetto primitivo e indipendente, per cui non viene definito a partire da altri concetti primitivi, e soltanto potrà essere presentato o introdotto. Newton ne ha dato una buona definizione, riportata nella sezione di JS II, 4 («il tempo assoluto, vero, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, scorre uniformemente, ecc.»). Questa forma di concepire il tempo è completamente diversa da quella precedente. Essa ci parla di un tempo esteriore, primitivo, preesistente e vero, unico e assoluto, che possiamo soltanto misurare in maniera approssimativa e grossolana con i nostri orologi materiali. Queste misurazioni sarebbero procedimenti sempre più esatti, convergenti verso un “tempo assoluto, vero, matematico”, senza mai raggiungerlo con completa precisione. La maggiore o minore esattezza del metodo di misurazione di questo tempo ideale si rifletterebbe nella maggiore o minore precisione della corrispondente teoria rivolta alla predizione dei fenomeni. Al momento di usare la nozione di tempo, alcuni scienziati (ad esempio, Prigogine) ricorrono al tempo NT. Si tenga però presente che tempo primitivo non equivale a tempo assoluto, benché in Newton le due cose coincidano (cfr. MC I, 3.4). Perché il metodo ALM. Mach Lungo la nostra esposizione seguiremo la contrapposizione ALM e NT nelle diverse teorie. A questo punto, è il momento di esplicitare i motivi della nostra preferenza per ALM. Il pensiero di Aristotele e Leibniz al riguardo è considerato nella sezione di Sanguineti, per cui ci soffermiamo piuttosto sull’impostazione di Mach, da cui procede la versione definitiva di questo metodo (BARBOUR, 1994). Ciò che vediamo e misuriamo, secondo Mach, costituisce la base dei nostri concetti primitivi. Vediamo un insieme di eventi, quale il decadimento delle particelle elementari o gli eventi che costituiscono le traiettorie degli estremi delle “lancette degli orologi dell’universo”. Quello che misuriamo sono le distanze relative tra i punti dove questi

10 eventi accadono. Nel denominare gli eventi, tuttavia, non ci riferiamo alle distanze relative, ma inventiamo piuttosto un sistema di coordinate. Tale sistema è costituito da tre assi, per comodità di solito ortogonali, dotati della medesima unità di lunghezza e da un orologio, che è semplicemente l’estremo di un ago cui assegniamo anche un’unità di percorso chiamata “unità di tempo” e un suo punto arbitrario denominato “origine del tempo”, al quale si attribuisce un tempo zero (t=0). Gli assi costituiscono un sistema cartesiano (fig. 1), con l’aggiunta dell’orologio: il sistema di riferimento così formato può essere denominato S. Dato un evento a, misuriamo le tre distanze relative dal luogo dove l’evento accade tracciando delle perpendicolari fino ai punti di incontro con i tre assi coordinati e chiamiamo tali distanze x, y, z. In modo simile misuriamo la posizione dell’estremo dell’ago dell’orologio nel suo percorso (cioè misuriamo la distanza dal punto dove sta tale estremo quando a accade fino al punto del percorso corrispondente a t=0), chiamandola t. Diciamo allora che le coordinate di a nel sistema S sono t, x, y, z. Possiamo anche assegnare ad a il nome di (t, x, y, z). Dovremmo essere più accurati nel descrivere la misurazione di t, poiché l’evento e l’orologio non sono nel medesimo punto, per cui occorre inviare segnali luminose per informare all’orologio sul tempo in cui l’evento è accaduto. Considereremo questo punto in MC VIII. Basta dire adesso che con questo metodo stabiliamo una nozione di simultaneità per l’insieme degli eventi. Due eventi a ed a’ risultano simultanei se i corrispondenti tempi t e t’ sono uguali (t=t’), in consonanza con quanto detto in MC I, 1.1. Ciò che vediamo direttamente e misuriamo non sono le coordinate, ma gli eventi e le distanze relative: sono questi gli elementi primitivi. Le coordinate appaiono in un momento posteriore e quindi sono relative, in quanto dipendono dalla definizione del sistema di riferimento S. Dunque, esse sono concetti derivati. Una delle coordinate è il tempo, il quale risulta di conseguenza un concetto derivato: non vediamo direttamente né i sistemi coordinati né il tempo, ma solo gli orologi e i loro aghi. Quest’idea di Mach trova la sua piena conferma nella relatività generale, una teoria che come vedremo è schiettamente “machiana”.

Asimmetria temporale, direzione o freccia del tempo Sappiamo intuitivamente che le due direzioni del tempo sono diverse. Il passato non è il futuro: il passato è noto ed è registrato nella memoria o nella storia. Il futuro è una collezione di potenzialità di cui possiamo calcolare solo una probabilità per ogni possibilità, benché in certi casi, come nella meccanica celeste, il calcolo è talmente esatto che la probabilità sembra convertirsi in certezza. Ciò però accade soltanto in sistemi relativamente semplici, quale il sistema planetario e, come si vedrà, è vero solo fino a un certo punto. In sistemi più complessi (economici, biologici, meteorologici, anche quantici), unicamente potremo calcolare le probabilità future degli eventi. Solo in termini di probabilità sappiamo che il prezzo di un articolo salirà o scenderà, che il termine della vita di un individuo sarà questo o quello, che ci sarà o non ci sarà una tempesta o che un fotone occuperà una posizione in un quadro di interferenze. Il passato quindi è storia, mentre il futuro è oggetto di profezia. È questa

11 la fondamentale asimmetria della natura da spiegare fisicamente. Più precisamente, i modelli matematici della fisica dovrebbero includere questa asimmetria ovvero direzione dal passato verso il futuro, denominata anche “freccia del tempo” (EDDINGTON, 1989). I modelli fisici possono contenere la direzione temporale in due diversi modi, collegati alla nozione di identità formale, che adesso vogliamo illustrare. In matematica ci sono oggetti formalmente identici: due punti, due rette, due piani sono identici in questo senso (si distinguono solo “numericamente”, non qualitativamente). Le due direzioni di una retta, ciascuna con una semiretta, sono strettamente identiche, come lo sono due semiconi opposti nel vertice (fig. 2). Sembrerà che l’identità rigorosa solo esista nelle astrazioni matematiche, ma anche in fisica si lavora con oggetti formalmente identici. Due particelle elementari, ad esempio due elettroni, sono rigorosamente identiche (COHEN-TANNOUDYI et al., 1977, cap. XIV) come due punti. Se non lo fossero, ognuna dovrebbe avere un’etichetta che la renderebbe diversa, il che comporterebbe un’ulteriore composizione (gli elettroni quindi non sarebbero elementari). Con un altro esempio, gli elettroni compiono giri su se stessi (in qualche modo) mediante il movimento chiamato spin (to spin=rotare). Dato un asse, i sensi della rotazione sono due, per così dire l’uno in senso orario e l’altro in senso opposto. Questi sensi sono pure identici dal momento che non c’è modo di distinguerli: un senso si trasforma nell’altro se cambia il nostro punto di osservazione rispetto al piano di rotazione, in assenza di una direzione esterna standard che possa servire da termine di paragone. Le direzioni degli assi di rotazione dello spin di elettroni e di altre particelle cariche tendono a disporsi in modo parallelo a causa delle forze magnetiche prodotte dallo spin, cosicché tutte le particelle hanno il medesimo senso di rotazione. Di conseguenza questi insiemi di particelle a spin paralleli possiedono solo due sensi di rotazione formalmente identici. Consideriamo la fig. 3, dove è rappresentata schematicamente una calamita con le sue particelle che girano nella stessa direzione. Guardando l’insieme “dall’alto” (A) vedremo rotare le particelle in senso antiorario e per convenzione chiameremo polo N il punto A e polo S l’estremo opposto. Ma guardando le cose “dal basso” (B) vedremo rotare le particelle in senso orario. Se dovessimo modificare le nostre convenzioni i poli N e S cambierebbero nome. Le prospettive di osservazione da A e B sono identiche, cosicché i poli N e S sono scambiabili e in definitiva sono formalmente identici. Ora queste nuvole di particelle ordinate sono le calamite. Quindi il senso di rotazione appare diverso dai due estremi della calamita (fig. 3), motivo per il quale questi estremi sono denominati il polo nord e il polo sud della calamita. Essendo identici i sensi della rotazione, lo saranno anche i poli, purché non ci sia qualcosa di esterno alla calamita che consenta di etichettarne o di distinguerne i poli. Sia nel caso matematico che nel fisico, due oggetti sono identici se esiste una trasformazione di simmetria che lasci identico il sistema. Sia, per esempio, un sistema di punti a, b, c,… (o di elettroni con lo stesso nome) che occupano diverse posizioni. Il sistema rimane identico a se stesso se, cambiando la posizione dei punti a e b (o gli elettroni a e b), essi rimangono identici (se si trattasse di un sistema di palline a colo-

12 re diverso, cioè non identiche, l’effetto dello scambio si noterebbe, poiché la pallina rossa ad esempio occuperebbe il posto della pallina verde). Nel caso della calamita, una rotazione di 180° scambierà A con B o i poli N con S, senza alcuna modifica (non essendoci, ripetiamo, una direzione esterna standard). Stabilita così la nozione di oggetti e proprietà identici, definiamo adesso i termini convenzionale e sostanziale: a) Dato un sistema di oggetti identici, se siamo costretti per qualche motivo ad assegnare nomi diversi a oggetti identici, diciamo di stabilirne una differenza o distinzione convenzionale (PENROSE, 1979; SACH, 1987). Così abbiamo fatto poc’anzi dando il nome di a e b a due punti (o elettroni) identici, e così facciamo nelle dimostrazioni dei teoremi matematici quando assegniamo nomi diversi a punti identici. b) Al contrario, se assegniamo nomi diversi a oggetti diversi, stabiliamo una differenza sostanziale. Ad esempio, così come la differenza tra il polo nord e sud della calamita è convenzionale, la differenza invece tra il polo nord e sud della terra è sostanziale, poiché nel polo nord c’è un oceano mentre nel polo sud c’è anche un continente. In base a questa terminologia, ci accorgiamo che la distinzione tra passato e futuro è sostanziale, trattandosi di due realtà formalmente diverse. In certi rami della fisica tale distinzione è però solo convenzionale, per cui si può dire o che non hanno freccia del tempo o che questa è convenzionale. In altri rami la distinzione è sostanziale: essi hanno una vera freccia del tempo che dal passato punta verso il futuro, essendo passato e futuro sostanzialmente diversi. Le diverse “frecce del tempo” ricevono spesso il nome dei rispettivi rami della fisica: freccia termodinamica del tempo (FTT), freccia quantistica (FTQu), freccia cosmologica (FTCo), ecc.2 Nella nostra esperienza quotidiana percepiamo chiaramente la distinzione tra passato e futuro, in modo sostanziale, per cui c’è da pensare che i rami della fisica contenenti una freccia temporale sostanziale descrivono meglio la natura. Emerge però un problema, vista la percezione psicologica della direzione del tempo ovvero l’esistenza di una freccia psicologica o FTPsi: sono coordinate tutte le frecce del tempo, cioè puntano nella stessa direzione? Se non fosse così, quali lo fanno nella direzione della FTPsi, in modo da contribuire a spiegarla? E se alcune avessero il senso contrario alla FTPsi, come spiegare questa discrepanza tra la percezione e la natura? Inoltre si presenta un problema collegato al divario tra freccia sostanziale e convenzionale: l’apparente direzione del tempo nasce dall’osservatore che riceve e archivia informazione oppure è di natura ontologica, cioè derivata dall’oggetto osservato (la natura, il cosmo)? Affronteremo tali quesiti al livello scientifico proprio della nostra prospettiva. Consideriamo infine brevemente la struttura matematica della freccia del tempo. Chiamiamo Q all’insieme dei tempi t, t’ ,t”, … cioè Q=[t, t’, t”,..]. Dobbiamo definire in questo insieme un’asimmetria o freccia temporale. Ora in generale, nell’insieme Q=[a, b, c,…] ci sarà una relazione di ordine “0), oppure di “retrodirne” la posizione e velocità per ogni tempo del passato (t∗ , ottenuta facendo la media di M(X i ) con una certa funzione di distribuzione di equilibrio che chiameremo f∗ (Xi ) , quando t → ∞. Cioè ogni (t) finisce coll’acquistare un valore costante < M >∗ . Di conseguenza, il teorema di Lasota e Mackey semplicemente conferma quanto si verifica nell’abituale esperienza di versare una goccia di inchiostro in un bicchiere di acqua o di aprire un flacone di profumo nella stanza o di introdurre dello zucchero nel caffè (sistemi tutti quanti mescolatori). Dopo un periodo di evoluzione (diffusione del profumo, ecc.), il sistema arriva a uno stato di equilibrio stazionario (inchiostro uniformemente distribuito, stanza uniformemente profumata, ecc.). Una volta raggiunto spontaneamente tale equilibrio, non succede più niente. È ciò che vedono i nostri occhi, percepisce il nostro olfatto, sente il nostro gusto, sensi che solo percepiscono delle medie ponderate. Non possiamo assicurare di certo che il moto di tutte le particelle del sistema si sia arrestato, raggiungendo un equilibrio totale, cosa che non vediamo. Ma possiamo essere certi, con Lasota e Mackey, che il sistema “nella sua media” si è fermato. Quindi, le nozioni di media statistica ponderata e di complessità, nei sistemi mescolatori, servono a riconciliare la meccanica classica con la termodinamica fenomenologica. 19

Dopodiché si dovrebbe dividere questa quantità per la probabilità totale di trovare il sistema in qualche punto dello spazio delle fasi, ma essendo 1 questa probabilità si può prescindere da quest’ultima operazione. 20 In realtà, si possono anche fare medie che abbraccino non tutto lo spazio delle fasi ma solo un suo sottoinsieme. Non potendo però tale sottoinsieme essere infinitamente piccolo, il che comporterebbe una precisione infinita, alla fine ci si deve accontentare solo di medie.

44 La meccanica classica è t-simmetrica e non statistica, se si considera teoricamente nel suo dettaglio il moto di tutti i punti materiali di un sistema. Le leggi della meccanica classica conducono al principio della conservazione dell’energia di un sistema isolato. Se il sistema ha iniziato con qualche movimento (per esempio se si è lasciata cadere una zolletta di zucchero nel caffè dandole una certa velocità), l’energia non si può perdere e perciò il moto non può mai fermarsi, cosicché un “equilibrio totale” (tutti i punti del sistema in riposo) è impossibile. Ciononostante possiamo capire perché la termodinamica fenomenologica, essendo statistica e non considerando dettagli ma medie statistiche (t), risulta tasimmetrica. Se il sistema è mescolatore, tutte le medie arrivano a valori di equilibrio < M >∗ , cioè il sistema giunge a uno stato di massima entropia o di mancanza di informazione (in una distribuzione omogenea non c’è informazione, per esempio non vi sono lettere o iscrizioni). Il sistema ha raggiunto uno stato di equilibrio nella media. Ciò non significa che ogni moto sia scomparso (o che l’energia della zolletta di zucchero lanciata nel caffè sia andata persa), ma vuol dire che esso è diventato talmente microscopico e sottile da non consentirci di vederlo o di poterlo misurare. La legge della conservazione dell’energia è salva. L’energia non si perde, ma rimane in forma di movimenti microscopici e intricati e anche si “degrada” a titolo di energia microscopica i cui movimenti non possiamo vedere e che chiamiamo calore. I punti materiali del sistema non si fermano mai, mentre solo il sistema nella sua media rimane in riposo. Due esempi ci consentiranno di comprendere meglio questi fenomeni: a) La goccia di inchiostro di Gibbs. Torniamo ancora alla nostra familiare goccia d’inchiostro nell’acqua. Mentre si distribuisce, essa mantiene costante il suo volume. Infatti vediamo come la goccia, pur conservandone il volume, si ramifica e si trasforma in una sorta di nube, sempre più complessa ed estesa nel bicchiere d’acqua. Se all’inizio essa era pressoché sferica, a poco a poco diventa filamentosa, con filamenti sempre più lunghi e sottili. I filamenti finiscono col riempire il bicchiere, cosicché alla fine la percentuale d’inchiostro è la stessa dappertutto. A un certo punto i filamenti sono così sottili da non potersi più vedere. Poi diventeranno talmente sottili che neanche i più potenti microscopi potranno vederli. D’ora in poi solo potremo parlare di una media ponderata costante. L’occasione è buona per ricordare che il processo descritto comporta una certa idealizzazione. In meccanica statistica classica la materia è concepita come un continuo frammentabile all’infinito, per cui i filamenti si possono rendere tanto lunghi e sottili quanto si voglia purché si aspetti un periodo di tempo. La materia in realtà è costituita da atomi e molecole che non possono frammentarsi senza che le loro proprietà siano radicalmente alterate (e neanche si possono dividere all’infinito). Ma noi in questo capitolo ignoriamo la struttura microscopica della materia, anche se le nostre conclusioni non saranno modificate quando se ne terrà conto nei prossimi capitoli (soprattutto perché le densità di probabilità quantistiche sono anche concetti statistici). Un’altra osservazione è che la goccia d’inchiostro descritta sta nello spazio ordinario tridimensionale e non nello spazio delle fasi, ma anche descrivendo il sistema goccia-acqua in tale spazio si verifica la stessa cosa. b) La trasformazione del panettiere. Il processo di crescita dei filamenti si percepisce ancora più chiaramente in questa sorta di versione “cubista” della goccia di

45 Gibbs. Consideriamo un pezzo quadrato di pasta di pane (fig. 20). Supponiamo che il panettiere impasta questo pezzo raddoppiandone la base e dimezzandone l’altezza, lasciandone però il volume inalterato (fig. 21). Poi egli taglia la pasta in due parti uguali 1 e 2 (fig. 22) e le sovrappone (fig. 23). Egli ripete ancora la stessa procedura di prima (fig. 24), tagliando la pasta in due parti uguali, cosicché adesso ce ne sono quattro: 1-1, 1-2, 2-1, 2-2. (fig. 25). Il panettiere sovrappone le parti ancora (fig. 26) e continua a ripetere la procedura innumerevoli volte. Alla fine egli giunge a un “millefoglie” di strati sovrapposti (fig. 27). Il processo è chiamato la “trasformazione del panettiere”. Vediamo ora che cosa succede con la “macchia d’inchiostro” dentro il pane, il cui equivalente in questo caso sarà un piccolo pezzo quadrato di farina di bassa qualità (il quadretto nero della fig. 20). Nella prima impastatura il quadretto nero ridotto a rettangolo ne raddoppia la base e vede dimezzata l’altezza (fig. 21). Una volta tagliata la pasta, il rettangolo rimane nella sezione 1 (fig. 22 e 23). Il rettangolo della seconda impastatura ancora ne raddoppia la base e ne dimezza l’altezza (fig. 24). Ciò avverrà in tutte le impastature successive. Così nella fig. 25 una parte del rettangoletto rimane in 1-1 e l’altra metà in 1-2. Siccome le due parti del rettangoletto continuano a crescere e ad essere tagliate nelle successive impastature, alla fine esso diverrà una serie di fasce orizzontali come nella fig. 27. Evidentemente alla fine del processo la “farina di bassa qualità” sarà distribuita uniformemente nella pasta. Il panettiere è riuscito nel suo compito di mescolare la pasta del pane. La trasformazione del panettiere è un sistema mescolatore (veramente è ancora più caotico: si può dimostrare che è un sistema di Bernouilli). La trasformazione del panettiere è la forma più semplice di vedere come la “macchia d’inchiostro” che inizia come rettangolo nero nella fig. 20 si trasforma in una fibra sempre più lunga e sottile, fino a riempire come una nube tutta la pasta del pane, pur mantenendosi costante l’area (volume) del rettangolo. La goccia di inchiostro subisce il medesimo processo, con una geometria però molto più complicata. Il rettangolo nero della trasformazione del panettiere è la goccia d’inchiostro più semplice che si possa immaginare, ma ne conserva la proprietà fondamentale, quella cioè di aumentarne la lunghezza e di diminuirne lo spessore, fino a riempire tutta la pasta del pane. Possiamo anche vedere come lo spessore del filamento rimpiccolisce quanto vogliamo, finché a un certo punto smetteremo di vederlo neppure usando un potente microscopio, quando la farina cattiva sarà uniformemente distribuita. Il processo avrà raggiunto un equilibrio pur potendo continuare in eterno a livelli sempre più microscopici. I due esempi sopra riportati illustrano sufficientemente quanto consideravamo in questo capitolo. Osserviamo comunque che la riconciliazione tra la meccanica classica e la termodinamica fenomenologica possiede un carattere anche gnoseologico, in quanto è legato a ciò che “possiamo vedere” o “misurare” ovvero è in rapporto alla nostra conoscenza del fenomeno studiato. L’aspetto gnoseologico è contenuto nella media ponderata , la quale come si è detto è tutto ciò che possiamo conoscere della grandezza M. Abbiamo dunque individuato un elemento gnoseologico nella soluzione del problema.

46 Facciamo notare che abbiamo rotto la simmetria temporale solo a livello degli stati, cioè abbiamo a che fare con una t-asimmetria fattuale e non nomologica. Infatti in tutti gli esempi esaminati si è cominciati, in un tempo t=0, con una condizione iniziale fuori dall’equilibrio (la goccia di inchiostro, la zolletta di zucchero che cade nel caffè). Questi stati iniziali di non-equilibrio raggiungono uno stato finale di equilibrio. L’asimmetria fattuale è la seguente: nel passato abbiamo lo stato iniziale fuori dall’equilibrio, ma nel futuro c’è lo stato finale di equilibrio. Ora noi stiamo considerando solo il futuro del tempo t=0, vale a dire i tempi positivi t>0. Ma che succede nel passato del tempo t=0, cioè nei tempi negativi t0, per i quali vale la seconda legge della termodinamica (crescita dell’entropia). I tempi t ϕ = (ϕ , Aϕ )

(6.2.1)

Poiché la funzione di onda indica la probabilità di trovare la particella in ogni punto delle coordinate x, y, z, questo assioma determina il valore medio dell’osservabile A ( < A >ϕ ) nello stato definito da ϕ. L’operazione matematica indicata nel secondo membro dell’equazione si chiama “prodotto interno”42. Il secondo assioma introduce l’elemento statistico della teoria, poiché conoscendo tutti i valori medi perveniamo alla probabilità e viceversa. Ma solo nel seguente assioma tocchiamo il tempo. Assioma 3: La funzione di onda evolve nel tempo secondo la seguente equazione di Schrödinger:

i!dϕ( t) = Hϕ(t) dt

(6.2.2)

dove i è l’unità immaginaria ( i 2 = −1 ), t è il tempo, dϕ (t)/ dt contiene l’operazione matematica di “derivare” (cfr. MC II, 4) rispetto al tempo, ! è la costante universale di Planck e H l’operatore hamiltoniano ottenuto dal corrispondente operatore classico con certe regole precise. 41

Cfr. MESSIAH, 1961; COHEN-TANNOUDJI et al., 1977; BOHM, 1986; BALLENTINE, 1990; ROMAN, 1965. 42 Il prodotto interno è una generalizzazione della moltiplicazione ordinaria nell’ambito degli spazi di Hilbert. Tale operazione è la principale caratteristica dello spazio hilbertiano.

62 Assioma 4: Se si compie una misurazione di un’osservabile A, la funzione di onda ϕ (x, y, z) viene modificata. Concretamente essa viene proiettata sull’autovettore dell’autovalore dell’osservabile misurato43 (si ricordi la nozione di proiezione in MC V, 5). È questo il noto concetto del collasso della funzione di onda.

L’assioma 4 è fondamentale per noi in quanto fissa una freccia quantistica del tempo (FTQu), dal momento che comporta l’esistenza di un tempo prima della misurazione, con funzione di onda ϕ (x, y, z) , e un tempo posteriore alla misurazione, con funzione di onda proiettata44. Il tempo che precede alla misurazione corrisponde al passato e quello posteriore al futuro, per cui la misurazione stessa appartiene al presente, punto di cui parleremo in MC XI, 5. Ovviamente questa freccia è sostanziale45. Con gli assiomi presentati è possibile costruire tutta la fisica quantistica e se ne possono dimostrare i teoremi46. D’altra parte, le sue conseguenze coincidono del tutto con le osservazioni sperimentali. La teoria è ben consolidata, ampiamente confermata e veramente costituisce uno dei capitoli più brillanti della storia della fisica. Essa spiega una quantità immane di esperienze e ha consentito lo studio di parecchi settori, quali la fisica nucleare o la teoria dello stato solido, e in generale essa rende perfettamente ragione dei fenomeni relativi agli oggetti microscopici a piccola velocità. Tra le esperienze quantistiche accennate ci interessa soffermarci particolarmente su quella della doppia fenditura (fig. 38, 39, 40, 41). Supponiamo un raggio di luce (un fascio di fotoni, ma potrebbero anche essere elettroni) attraversando un diaframma dove sono state praticate due fessure, per finire in uno schermo. Ne seguono certe caratteristiche: a) Chiudendo la fessura inferiore e calcolando la funzione di onda, troveremo una certa funzione ϕ 1 (x, y, z) . La probabilità di trovare un fotone in un punto di x, y, z quindi sarà p1 (x, y, z ) =| ϕ1 (x, y, z) |2 (probabilità rappresentata nella fig. 38). Nel definirla, abbiamo seguito come al solito un metodo statistico, cioè abbiamo considerato i fotoni del fascio come una popolazione e abbiamo rinunciato a stabilire la posizione di ogni singolo individuo (fotone). b) Chiudiamo la fessura superiore e procediamo in modo simile, calcolando adesso la funzione di onda ϕ 2 (x,y,z) e la probabilità p2 (x, y, z) =| ϕ 2 (x, y, z) | 2 (probabilità rappresentata nella fig. 39). c) Lasciamo ora aperte le due fessure. Poiché le funzioni di onda sono vettori dello spazio di Hilbert, che a titolo di vettori vanno sommati, la funzione di onda totale sarà ϕ (x, y, z ) = ϕ 1 (x, y, z) + ϕ 2 (x, y, z) e la probabilità totale di trovare un fotone nel punto x, y, z sarà il suo modulo, cioè (6.2.3) p(x, y, z) =| ϕ (x, y, z) | 2 =| ϕ1 (x, y, z) + ϕ 2 (x, y, z ) | 2 43

In rigore questo assioma può derivarsi dagli altri tre mediante la teoria delle misurazioni quantistiche. 44 Poiché lo stato quantico va preparato prima della misurazione, si può anche dire che la FTQu procede dalla “preparazione” fino alla “misurazione” dello stato quantico. 45 Da notare che, secondo l’assioma 4, con la misurazione di un autovalore la funzione di onda viene proiettata e giace sul corrispondente autovettore. Vale a dire, solo la componente nella direzione dell’autovettore (relativo all’autovalore misurato) finisce per “sopravvivere” alla misurazione. 46 Ci siamo riferiti a uno di essi nella sezione anteriore, quando abbiamo detto che la densità di probabilità di trovare la particella in un punto delle coordinate x, y, z è | ϕ (x, y, z) |2 .

63 Questa probabilità è crescente e decrescente, come indica la fig. 40, poiché potendo entrambe le funzioni essere sia positive che negative, la loro somma potrebbe anche dare il risultato di zero. Se lo schermo della fig. 40 è una lastra fotografica, le zone di maggiore probabilità anneriscono di più rispetto a quelle di minore probabilità (dove arrivano meno fotoni). Appaiono così le frange di interferenza disegnate a destra nella fig. 40. Le predizioni teoriche concordano con l’evidenza sperimentale. L’esperimento delle fenditure è molto significativo. Adoperando un ragionamento classico (impiegando cioè le probabilità ordinarie della logica booleana, come si fa per la meccanica statistica classica), si dovrebbe aver detto: il fotone dovrà attraversare solo una delle due fessure, in modo escludente. Secondo la logica booleana, date due probabilità p1, p2 escludentesi, la probabilità totale che accada un evento o l’altro è la loro somma p = p1 + p2 (comprando due biglietti della lotteria, raddoppiamo la probabilità di vincere). In questa linea classica non si vedrebbero le frange di interferenza nell’esperimento delle fenditure. Nella fig. 41 indichiamo infatti la somma classica delle probabilità, positiva in quanto gli addendi sono positivi. Eppure ciò che si osserva nel suddetto esperimento è quanto indicato nella fig. 40. In meccanica quantistica dunque le probabilità non si sommano alla maniera classica booleana. Vi si sommano le funzioni di onda ϕ = ϕ1 + ϕ 2 (somma di numeri complessi che alle volte può risultare zero), ottenendosene in seguito la probabilità cioè il modulo elevato al quadrato della funzione di onda totale, ovvero la probabilità 2 p =| ϕ | , il che spiega appunto la comparsa delle frange di interferenza a livello sperimentale. La meccanica quantistica così è caratterizzata sia dal modo peculiare di sommare le probabilità sia dalla mancata correlazione tra determinate grandezze (cfr. MC VI, 1). Per meglio chiarire i punti precedenti, rileviamo due piani di considerazione nell’ambito fisico, in particolare quantistico: a) uno è relativo alla misurazione, che può essere attuale, cioè riferita a singole entità misurabili in atto, oppure probabilistica, se riferita a gruppi statistici di osservabili e così collegata alla potenzialità di trovare un determinato elemento misurabile in atto; b) l’altro piano si riferisce al tipo di entità con cui lavora la fisica e comprende la distinzione tra elemento osservabile ed entità teorica. Quest’ultimo punto comporta una problematica epistemologica che non riguarda ora la nostra esposizione. In fisica si lavora con entità come fotoni, elettroni (particelle elementari), atomi, ecc. che vengono prese individualmente oppure collettivamente, e diciamo di misurare questi elementi sia in modo individuale-attuale che statistico-probabilistico (cfr. MC XII, 7.3). Tralasciando così il fatto che il linguaggio fisico su questi oggetti comprende una base osservativa e un elemento concettuale di elaborazione teorica, prenderemo in considerazione solo il piano a) per la caratterizzazione dell’approccio quantistico. Ora, la fisica quantistica è eminentemente statistica, in quanto tutti i suoi esperimenti fondamentali si riferiscono a popolazioni di particelle o a insiemi di sistemi identici denominati ensembles (per esempio flussi di particelle che attraversano delle fessure). Le singole misurazioni servono per l’elaborazione delle medie statistiche. Così, mentre gli assiomi 1 e 4 sono rapportabili all’osservabile attuale e alle singole misurazioni, gli assiomi 2 e 3 sono statistici, dato che il secondo si riferisce al valore medio e il terzo alla funzione d’onda che definisce la densità di probabilità. A questo

64 livello dunque le misurazioni sono statistiche, vale a dire sono frequenze che verificano la correttezza delle probabilità o potenzialità predette dalla teoria. Tutte le predizioni della meccanica quantistica sono statistiche, non predizioni per gli individui. Nell’esperimento delle fenditure otteniamo una probabilità p corrispondente al modo in cui la lastra fotografica annerisce quando un flusso di fotoni attraversa le fessure. Niente si dice sull’eventualità teorica del passaggio di “un solo” fotone. È come se l'individuo materiale sfuggisse alla concettualizzazione fisica. Se lo pensiamo isolato, lo riduciamo a un'attualità idealizzata. Non possiamo affrontarlo se non collettivamente e in termini di potenzialità probabili. Perciò, se la teoria dovesse prendere le particelle “separate” (per poi arrivare a conclusioni probabilistiche), tali particelle acquisterebbero delle proprietà insolite. Si dovrebbe pensare, ad esempio, che il fotone attraversa simultaneamente le due fenditure. A questo punto, alcuni hanno proposto la creazione di una logica quantistica (PIRRON, 1976). Noi invece adottiamo semplicemente una strategia statistica oggettiva di carattere quantistico. La statistica classica (legata alla logica booleana) e quella quantistica seguono gli assiomi generali della teoria della probabilità (BALLENTINE, 1990). Solo la somma delle probabilità, come detto, risulta diversa nel mondo classico e nel mondo quantistico. La somma classica delle probabilità, corrispondente al “senso comune” del nostro ambito macroscopico, non è applicabile al mondo microscopico47.

Tempo NT e asimmetria sostanziale Il tempo della meccanica quantistica pre-relativistica, quello che appare nell'equazione di Schrodinger, rimane ancora preso come una nozione primitiva. La condizione di Bohr-Rosenfeld è parzialmente soddisfatta, dato che il tempo a livello quantistico viene misurato da orologi a base atomica. Per quanto riguarda la questione della freccia del tempo, nella meccanica quantistica si presentano due tipi di evoluzioni temporali. D’una parte, l’assioma 3 stabilisce un’evoluzione continua e t-simmetrica del sistema nel periodo compreso tra due misurazioni. Infatti, l’equazione di Schrödinger è invariante di fronte alle inversioni temporali. Ma le misurazioni di cui parla l’assioma 4 sono t-asimmetriche, come abbiamo visto, poiché la funzione d’onda cambia prima e dopo la misurazione, introducendo un’evoluzione discontinua e quindi un’asimmetria sostanziale del tempo (FTQu). Questa disparità, benché insoddisfacente dal punto di vista estetico, è comprensibile dal momento che l’evoluzione continua si riferisce alla funzione d’onda probabilistica, cioè al livello statistico, mentre l’evoluzione discontinua si rapporta alla singola misurazione. Le conferme sperimentali della fisica quantistica rendono indiscutibile questo fatto. In definitiva, l’asimmetria temporale sostanziale di questo ramo della fisica nasce dall’assioma 4. Per concludere, la corrispondente topologia del tempo sarà quella della linea retta, poiché la rottura della simmetria temporale dovuta alla misurazione attuale non consente di parlare di un’origine o di una fine del tempo in generale. 47

Ulteriori interpretazioni di questi spunti richiederebbero il passaggio a una filosofia della fisica quantistica.

Critiche alla formulazione abituale della meccanica quantistica

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La formulazione abituale della meccanica quantistica finora spiegata, basata sulla matematica dello spazio di Hilbert e sulla cosiddetta interpretazione di Copenhagen, è suscettibile di due serie critiche concettuali, una fisica e un’altra matematica. Critica fisica: la condizione di Bohr-Rosenfeld Il processo di misurazione proposto dalla scuola di Copenhagen non soddisfa la condizione di Bohr-Rosenfeld (BALLENTINE, 1990; ZUREK, 1991; SONEGO, 1991). Secondo tale interpretazione, la misurazione in rapporto all’assioma 4 corre a carico di un apparato classico, macroscopico, in cui talvolta si include l’osservatore (il fisico o addirittura la sua coscienza), esterni al sistema quantistico sottoposto a studio. È ovvio così il ricorso a un altro ramo della fisica cioè alla meccanica classica per quanto riguarda l’apparato macroscopico e alla psicologia se facciamo intervenire l’osservatore. Forse la meccanica quantistica si potrebbe considerare come inclusa nella meccanica classica, ma dovrebbe essere piuttosto il contrario, alla stregua dell’unificazione della fisica, vale a dire l’ambito quantistico dovrebbe essere più fondamentale e includere la visione classica come un caso particolare, visto che il mondo macroscopico si può vedere alla luce di una versione media del mondo microscopico, essendo invece impossibile concepire quest’ultimo a partire dal primo. Considerazioni analoghe valgono per l’intervento di un elemento psicologico quale l’atto di osservazione. Benché sia valido l’intento di collegare la fisica con la psicologia, ovviamente la fisica non può essere spiegata in base a concetti psicologici, mentre vale piuttosto il contrario, cioè la psicologia umana dovrà tener conto della base materiale dell’uomo (studiata dalla fisica, la chimica e la biologia), il quale è corporeo e fa parte dell’universo fisico. Inoltre una fisica quantistica applicata all’universo non potrà appellarsi a un osservatore esterno al mondo, quando in realtà l’osservatore è contenuto nell’universo. Quanto abbiamo appena detto non potrà dimostrarsi con un teorema, ma sarà possibile mostrare invece la praticabilità di una nuova strada, quella cioè che porta a una spiegazione delle misurazioni quantistiche senza il ricorso alla meccanica classica o alla coscienza dell’osservatore. Critica matematica: non derivabilità delle funzioni di onda L’operatore hamiltoniano H dell’equazione di Schrödinger dell’assioma 3 è un operatore differenziale, contenente un’operazione matematica denominata derivata. Ne segue che H può “deformare” soltanto funzioni “derivabili” cioè continue e senza salti (fig. 42). Ma la funzione d’onda ϕ appartiene allo spazio di Hilbert H, il quale in generale non ha funzioni di cui si possa calcolare la derivata, poiché le sue funzioni appunto non sono continue e danno dei salti (fig. 43), pur racchiudendo almeno un’area ben definita. Quindi il secondo membro dell’equazione di Scrödinger Hϕ non è ben definito se ϕ è una funzione qualsiasi di H. In breve, la formulazione presentata manca di precisione matematica in quanto richiede operazioni irrealizzabili.

Rimedio alla prima critica: studio del processo di misurazione

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Per capire il problema riesaminiamo in modo molto semplice la misurazione, ritornando all’esperimento delle fenditure, questa volta però per vedere se le particelle passano per la fessura superiore o inferiore, cioè per misurare la loro posizione (fig. 44). A questo scopo collochiamo un rivelatore di fronte alla fessura inferiore, in grado di contare il numero di fotoni che l’attraverseranno. Si tratta di una misurazione statistica, poiché vogliamo misurare la probabilità che la particella passi per una fenditura o l’altra. Un numero N di fotoni attraversa le fenditure e bisogna contare il numero N1 che passa per la fenditura superiore e il numero N2 che passa per quella inferiore, sapendo che N . I fotoni della fendi= N + N 1 2 tura inferiore sono computati direttamente dal rivelatore e quelli della fenditura superiore si calcolano mediante la differenza N1 = N − N2 . Con questi dati si potranno calcolare le probabilità dell’attraversamento dei fotoni lungo le due fessure, cioè p1 = N1 / N , p2 = N2 / N essendo p1 + p2 = 1 . Il rivelatore computa i fotoni assorbendoli e trasformandoli in impulsi elettrici, individuati da un contatore. Tale processo di assorbimento, essendo irreversibile, è da considerarsi un sottosistema ramificato del diagramma di Reichenbach (non si dà il caso di un rivelatore che lavori alla rovescia e produca fotoni). Questa misurazione, come qualsiasi altra, è veramente un processo irreversibile. Ad esempio, se introduciamo un termometro in un liquido per misurarne la temperatura, dallo stato iniziale instabile, in cui le temperature sono diverse, si procede verso uno stato di equilibrio con le temperature del termometro e del liquido rimaste uguali, quindi vediamo la freccia irreversibile stato instabile —> stato stabile. Una fisica quantistica dei processi irreversibili potrebbe rendere ragione della misurazione, trasformando l’assioma 4 in un teorema. Una simile meccanica quantistica irreversibile si può trovare mediante il ricorso ai due procedimenti indicati nel capitolo precedente, vale a dire il coarse graining e la dinamica ristretta. La misurazione intesa “nello spirito di Copenhagen” sarebbe quindi da sostituire con un trattamento irreversibile della fisica quantistica. In questo modo la t-asimmetria non sarà una conseguenza del procedimento della misurazione (introdotto con l’assioma 4), ma tale procedimento sarebbe spiegato entro la stessa teoria quantistica irreversibile, potendosi fare a meno dell’osservatore che provoca il collasso della funzione d’onda. Osserviamo inoltre che l’assioma 4 fu interpretato inizialmente in termini di una singola misurazione. Nella linea dell’interpretazione statistica della meccanica quantistica (BALLENTINE, 1990; SONEGO, 1991), le misurazioni sono statistiche (calcolo di medie e non di valori individuali), per cui si potrebbe avanzare una versione statistica dell’assioma 4 (infatti la misurazione sopra descritta è statistica). Ciò non cambia affatto la rilevanza delle critiche esposte. D’altra parte, dal momento che solo il gruppo superiore di fotoni sopravvive, nell’esperimento descritto poc’anzi, si potrebbe anche dire che soltanto siamo di fronte a un tipo di misurazioni, che potremmo chiamare “filtranti”. In verità, a partire da una meccanica quantistica irreversibile, si potrebbe interpretare l’assioma 4 come un teorema valido addirittura per una singola misurazione nell’insieme delle misurazioni statistiche che hanno ben definito l’autovalore a, corrispondente allo stato del sistema ϕ a che sopravvive alla “filtrazione” .

Rimedio alla seconda critica. Introduzione della dinamica ristretta

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La soluzione più ragionevole alla seconda critica è quella di non lavorare in tutto lo spazio di Hilbert H ma solo in un suo sottospazio che consenta il calcolo delle derivate. Definiamo appunto un sottospazio S⊂Η costituito da funzioni continue lisce e senza salti (fig. 42), dove si possa derivare un infinito numero di volte e dove le funzioni d’onda tendano a zero, più rapidamente di qualsiasi polinomio quando le variabili vanno all’infinito48. Lo spazio di funzioni munito di tali proprietà si chiama spazio di Schwarz (S). A questo punto il rimedio della seconda critica sarebbe stato trovato, ma possiamo dare un ulteriore passo e introdurvi con questo stesso metodo l’asimmetria temporale mediante la versione della dinamica ristretta vista in MC V applicata alla meccanica quantistica49 (CASTAGNINO - LAURA, 1997), il che consiste come abbiamo visto nel lavorare solo con spazi di stati regolari ovvero con funzioni di onda, in questo caso, fisicamente consentite50. Ora, è possibile calcolare per ogni funzione d’onda ϕ∈S la sua inversione temporale Tϕ, che appartiene anche a S. Troveremo così Tϕ∈S, simboleggiato come T: S→S. Ciò vuol dire che lo spazio di Schwarz è t-simmetrico, dal momento che a ogni funzione di detto spazio corrisponde una funzione temporalmente invertita al suo interno. Eppure nel capitolo precedente avevamo appreso che se uno stato fisico ϕ è permesso, la sua inversione temporale Tϕ è in generale proibita in quanto non è uno stato veramente fisico. Di conseguenza, lo spazio degli stati regolari (reali, fisici) non potrà essere S, bensì un suo sottospazio (e così non perdiamo i vantaggi dello spazio più ampio), che denominiamo φ-⊂S cosicché T , nel senso cioè che φ − : → ≠ − + − sarà t-asimmetrico. Gli stati t-invertiti ne resteranno fuori, ovvero saranno nell’altro spazio φ + , il quale include delle funzioni temporalmente invertite (e fisicamente proibite). Adottando in definitiva φ − quale spazio delle nostre funzioni regolari, abbiamo espresso in un modo molto naturale la t-asimmetria nella meccanica quantistica51. L’introduzione di una meccanica quantistica asimmetrica (CASTAGNINO LAURA, 1997), formulata a livello totalmente microscopico, appare matematicamente soddisfacente e consente di risolvere i problemi della misurazione nonché di trovare l’assioma 4 come teorema (CASTAGNINO - GUNZIG, 1999; CASTAGNINO - LAURA, 1999). Altre utilità di questa soluzione si vedranno nella prossima sezione.

φφφ

48

Queste cautele sono necessarie affinché tutte le operazioni matematiche siano ben definite (BOGOLYUBOV et al., 1975). 49 Si potrebbe fare qualcosa di simile impiegando il coarse graining, ma preferiamo l’altro metodo ovviamente per i motivi esposti in MC V. Per il metodo del coarse graining in questo settore rimandiamo il lettore agli eccellenti lavori di Zurek e collaboratori (ZUREK, 1981, 1982, 1991; ZUREK et al., 1993). 50 Allo spazio S corrisponde lo spazio dei funzionali su S, indicato come S . Ancora una volta (cfr. MC V, 6) troveremo così delle relazioni di inclusione S⊂H⊂ S , cioè un tripletto di Gel’fand detto anche spazio di Hilbert attrezzato (rigged). Si ricordi (cfr. MC V, 6) che i funzionali S × non sono stati fisici reali ma soltanto strutture matematiche (ghost) chiamate stati generalizzati, utili per sviluppare in somme (serie) gli stati regolari nei cosiddetti “sviluppi di Fourier”. 51 Analogamente a quanto visto in MC V, l’espressione matematica di questi spazi si può trovare nella teoria di scattering di Lax e Phillips. Le trasformate di Fourier di tali spazi apparterranno alle classi di Hardy all’ingiù. ×

×

Le esperienze di scattering, gli stati quantici instabili e i diagrammi di Bohm

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Lo studio sperimentale della fisica quantistica e della teoria delle particelle elementari esige imprimere una grande quantità di energia ad atomi o particelle subatomiche affinché si producano i fenomeni che si intendono studiare. Il modo migliore di farlo è provocare l’accelerazione di fasce di particelle che ricevono energia cinetica e colpiscono un bersaglio dove ce ne sono altre, per osservare i risultati di questo processo. È questa un’esperienza di scattering (dispersione in diverse direzioni). Mediante tali procedimenti sperimentali possiamo confermare le leggi della meccanica quantistica e approfondire le proprietà degli atomi e particelle. Si veda nella fig. 45 uno schema elementare di scattering: le frecce di sinistra indicano il fascio di particelle in arrivo, quelle di destra l’uscita dopo l’urto; la scatola sta per il processo stesso da studiare, spesso sconosciuto (“scatola nera”). Nella meccanica quantistica primitiva non si guardava all’interno della scatola. L’attenzione era rivolta piuttosto alle misurazioni prima e dopo lo scattering e mancava ancora una teoria per sapere che cosa avveniva “dentro la scatola”. Gli sviluppi posteriori della fisica quantistica, nei quali si include la meccanica quantistica irreversibile, esaminano quanto avviene nel mondo microscopico degli esperimenti di scattering mediante teorie indirettamente confermate dall’esperienza52. All’interno della scatola sono in corso fondamentalmente “stati quantici instabili” (quelli rappresentati dai diagrammi di Feynman). Veniamo a certi esempi classici per capire quanto intendiamo illustrare. Lo stato classico emblematico del non equilibrio è quello della palla in caduta lungo il pendio di una montagna (fig. 46). Lo stato di equilibrio stabile classico tipico è la palla in fondovalle (fig. 47), per cui anche se la muoviamo leggermente, essa ritornerà spontaneamente al fondovalle. Lo stato classico tipico di equilibrio instabile è la palla sulla cresta della montagna (fig. 48), bastando spingerla un po’ per provocarne la caduta. Queste situazioni sono analoghe agli stati termodinamici fuori dall’equilibrio e nell’equilibrio (cfr. MC V, 3 e lo studio della trasformazione del panettiere). Consideriamo adesso la creazione di uno stato instabile, osservando la fig. 49. Possiamo lanciare la pallina situata alla sinistra della barriera o montagna e ci sono tre possibilità: i. Lanciata con poca forza, la pallina non supererà la barriera e rotolerà di nuovo verso la sinistra. Durante l’ascesa e la discesa essa è in stato di non equilibrio.- ii. Lanciata con grande forza, essa supererà la cima e cadrà dalla parte opposta. Durante l’ascesa e la successiva caduta la pallina è in stato di non equilibrio.- iii. Tra queste due possibilità, possiamo anche lanciarla con la forza precisa affinché arrivi alla cima e vi resti in stato di equilibrio instabile. Nel caso ii, anche se la pallina supera la montagna, tale ostacolo ne ritarda il percorso. Senza la barriera, la pallina impiegherebbe un tempo minore fino ad arrivare alla parte destra della figura. Questo ritardo è l’essenza dell’instabilità. Nel caso quantistico esso si può pensare nel seguente modo. La particella incidente costituisce insieme alla particella bersaglio un sistema instabile (fig. 50). Supponiamo che la particella incidente giri per un tempo intorno al suo bersaglio, creando con esso, per così 52

Cfr. BOHM, 1986; BOHM - GADELLA, 1989; GADELLA, 1981, 1983, 1984; BOHM et al., 1989.

69 dire, un atomo instabile o un piccolo sistema solare di vita media finita T. Poiché il sistema non è in equilibrio, dopo il periodo T si disfa e la particella incidente finisce nella parte destra (possiamo immaginare che la montagna abbia una strada elicoidale di salita collegata a un’altra simile di discesa). Ancora una volta il ritardo è collegato alla presenza di uno stato instabile. Nel caso iii il ritardo è infinito e si avrà un sistema in equilibrio instabile di vita media infinita, pensabile anche in ambito quantistico. L’instabilità dunque comporta un ritardo T, tempo caratteristico della vita media di un sistema instabile. Diciamo “vita media” perché il caso quantistico è sempre statistico, cioè non abbiamo a che fare con un solo sistema, bensì con una popolazione o ensembles di infiniti sistemi instabili identici, dei quali conosciamo appunto solo la vita media. Un sistema instabile è un oggetto tipicamente irreversibile o t-asimmetrico. La palla cade lungo il pendio e non ritorna spontaneamente alla cresta. La meccanica quantistica ordinaria non è in grado di farsi carico di questa situazione. Nello spazio di Hilbert H non sono contemplati i sistemi irreversibili, essendo tale spazio degli stati, come abbiamo visto, t-simmetrico (T: H→H), al pari di S (T: S→S). Nella meccanica quantistica irreversibile invece abbiamo a disposizione lo spazio degli stati generalizzati φ− × più ampio di H (H ⊂ φ × − ), vale a dire lo spazio dei funzionali su φ − , come si è visto in precedenza, ed è questa la struttura matematica adeguata per gli stati instabili legati all’irreversibilità, assimilabili classicamente alla caduta della palla lungo la parete della montagna. Ciascuno di questi stati ha una vita media T e un’evoluzione proporzionale alla −

t

− 1 funzione e = e −γt , dove γ è l’inverso della vita media (γ=T ). Tale funzione (rappresentata nella fig. 51) è denominata “esponenziale decrescente”: con la crescita del tempo, l’esponenziale decrescente diminuisce e tende a zero, il che vuol dire che la probabilità di trovarsi in uno stato instabile decresce col tempo e si annulla per un tempo infinito. Infatti, in una popolazione di nuclei instabili di uranio radioattivo, ad esempio, i nuclei a poco a poco decadranno in nuclei stabili di piombo, in modo proporzionale a e−γt , e alla fine non ci resterà che piombo. Quindi, se diamo uno sguardo dentro la “scatola”, scopriamo lo svolgimento di questo processo. Sia un processo di decadimento di uno stato instabile quale un nucleo o isotopo radioattivo (uranio, radio, carbonio-14, ecc.). Un tale processo è simile alla scomparsa dell’atomo instabile o del piccolo sistema solare di cui parlavamo. Il prodotto finale della distruzione di questi sistemi sono le particelle in uscita, che possono anche considerarsi come radiazione. Siamo evidentemente in un sottosistema del sistema ramificato di Reichenbach e perciò possiamo considerarlo soltanto a partire dal momento della sua creazione, cioè t=0, il che corrisponderebbe, nell’esempio prima proposto, al momento in cui abbiamo collocato la pallina sulla cresta della montagna, creando così il sistema instabile. Quindi tale sistema instabile decadrà con emissione di radiazione, una fase assimilabile alle particelle in uscita a destra nella fig. 45. Abbiamo così la fig. 52, che è solo la metà destra della fig. 46 (le frecce orizzontali rappresentano all’interno della scatola eventuali stati fuori dall’equilibrio portati al decadimento. T

70 Si può compiere l’inversione temporale degli stati instabili di φ ×− (che è lo spa× × zio dei funzionali lineari su φ − ), ottenendo così H ⊂ φ × + , in quanto T . : φ → φ − + Questi stati t-invertiti sono instabili ma crescenti (classicamente corrisponderebbero alla pallina in salita sul lato sinistro della montagna) e sono proporzionali t

all’esponenziale crescente eT =eγt (fig. 53, forma invertita dell’evoluzione della fig. 52). Il processo corrispondente (fig. 54) è la creazione di stati instabili, un evento all’interno della scatola (rappresentato dalle linee orizzontali) com’è la creazione di isotopi di uranio, radio, carbonio-14, tramite l’intervento di una dose elevata di radiazione. La fig. 54 è solo la metà sinistra della fig. 46. In definitiva guardando nella scatola si sono trovati stati instabili di creazione e di decadimento. Attingiamo finalmente il panorama complessivo. La scatola della fig. 46 tagliata in due ci consente di osservarla dal di dentro: una prima metà (fig. 54) corrisponde al processo di creazione di uno stato instabile (formazione di un nucleo o atomo, pallina in salita), mentre la seconda metà (fig. 52) è il luogo del decadimento dello stato instabile appena creato (decadimento di un nucleo o atomo, pallina in discesa). Questa storia non potrebbe essere raccontata nella cornice della fisica quantistica tradizionale, dove non si può uscire dallo spazio H. La storia è possibile perché abbiamo adoperato la nuova fisica quantistica irreversibile (la quale ovviamente non ci consente solo di fare queste descrizioni ma porta a calcoli esatti). I diagrammi utilizzati (fig. 52 e 54), introdotti da Arno Bohm (BOHM, 1986), possono denominarsi diagrammi di Bohm. Stabiliamo adesso un confronto (fig. 55) tra i tre processi di creazionedecadimento degli stati instabili finora visti: la pallina nella montagna per la meccanica classica, la trasformazione del panettiere per la meccanica statistica classica, le esperienze di scattering per la meccanica quantistica. Nella figura vediamo: a) Un periodo di creazione (a sinistra): la pallina in salita, la formazione della goccia d’inchiostro o dell’atomo o nucleo atomico. Sono tutte quante evoluzioni non spontanee che comportano l’esistenza di un agente che lanci la pallina, o di una fabbrica d’inchiostro, o di una sorgente di energia che acceleri le particelle incidenti. Non essendo sistemi isolati ma parti di un sistema più ampio che include l’agente dell’instabilità, tali evoluzioni sono delle idealizzazioni e in quanto moti spontanei sono proibite, corrispondendo al tempo t0 nel sistema globale ramificato. La nostra descrizione, fatta nel linguaggio della dinamica ristretta, va completata con ulteriori considerazioni cosmologiche, come si vedrà nei successivi capitoli. L’impostazione quantistica, ecco la nostra conclusione, è inquadrabile nel sistema globale ramificato tramite la meccanica quantistica irreversibile.

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Capitolo settimo

Meccanica statistica quantistica (NT, sostanziale) I fenomeni della meccanica statistica quantistica Perseguendo sempre il traguardo dell’unificazione e progressiva generalizzazione, mettiamo adesso a confronto la meccanica statistica classica con la meccanica quantistica e così arriviamo alla meccanica statistica quantistica53. La funzione d’onda ϕ (x, y, z) non esaurisce tutte le possibilità di definire stati in maniera probabilistica. Può darsi che non si sappia se abbiamo a che fare con ϕ 1 (x, y, z) oppure con ϕ 2 (x, y, z) , per cui si conoscerà soltanto la probabilità p1 per il primo caso e la probabilità p 2 per il secondo (sapendo che p1 + p2 = 1). Questo problema probabilistico può presentarsi in un caso pratico e quindi va rappresentato da uno stato quantico. Nessuna funzione di onda può raffigurarlo convenientemente e quindi occorre trovare un simbolo più generale in grado di farlo. ! ! Tale simbolo è la matrice densità m(x 1 , y1 , z1 ; x 2 , y 2 , z2 ) = m( x 1 , x 2 ) , funzione a sei variabili, di cui tre coordinate corrispondono a un punto “1” e altre tre a un punto “2”. Gli stati rappresentati dalla funzione d’onda (stati puri) saranno casi particolari degli stati rappresentati dalla matrice densità (stati di miscuglio). Una simile generalizzazione è necessaria, in quanto certi stati fisicamente importanti, come lo stato di equilibrio, sono dei miscugli. Nel secondo membro dell’equazione semplifichiamo la notazione, assegnando alle tre coordinate dei punti “1” e “2” i rispettivi nomi di vettori ! ! x1 e x 2 . Le matrici densità dunque significano gli stati della meccanica statistica quanti54 stica . Il loro insieme è chiamato lo spazio di Liouville quantistico L (si può usare lo stesso simbolo dello spazio di Liouville classico, dato che entrambi sono fortemente ! collegati). Gli stati rappresentabili come funzioni di onda ϕ ( x ) , un caso particolare in ! ! ! ! cui la matrice densità si può scrivere come m( x1 , x2 ) = ϕ ∗ ( x1 )ϕ ( x2 ) , sono detti stati puri. La meccanica quantistica, dunque, altro non è che la meccanica statistica quantistica degli stati puri55.

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Questo capitolo sarà alquanto tecnico, ma lo riteniamo utile per la comprensione di tutto il panorama. Il lettore potrebbe anche saltarlo e leggerlo solo alla fine. 54 Le matrici densità devono essere hermitiane (come le osservabili A considerate nel capitolo precedente). 55 Dato che alcune matrici dello spazio di Liouville si ottengono moltiplicando tra loro funzioni di onda dello spazio di Hilbert, possiamo anche dire che il primo spazio risulta dalla moltiplicazione di due spazi hilbertiani: L=H⊗H.

! ! 72 La densità di probabilità per trovare uno stato definito dalla matrice m( x , y ) nel ! ! " punto x è p( x ) = m( x , x ) . La probabilità corrispondente per gli stati puri sarà ! ! ! ! ! ! p( x ) = m( x , x ) = ϕ ∗ ( x )ϕ (x ) =| ϕ ( x ) |2 , come si è visto in MC VI. ! Infine, lo stato con probabilità p1 e p2 , per gli stati puri definiti da ϕ 1 ( x ) e da ! ϕ 2 ( x ) è rappresentato dalla matrice densità ! ! ! ! ! ! (7.1.1) m( x , y ) = p1ϕ ∗ 1( x )ϕ 1 ( y ) + p2ϕ ∗2 ( x )ϕ 2 ( y ) in quanto la sua probabilità nel punto x è data da ! ! ! ! ! (7.1.2) p( x ) = m( x , x ) = p1 | ϕ1 ( x ) |2 + p2 | ϕ 2 ( x ) |2 il che è il risultato adeguato per la risoluzione del problema probabilistico posto all’inizio di questa sezione.

Leggi Assioma 1 (uguale a quello di MC VI, 2): Dato un’osservabile A, i valori misurabili sono soltanto quelli dello spettro di A. Assioma 2: Il valore medio di un’osservabile A in uno stato m è < A > m = tr(Am)

dove tr è un’operazione denominata traccia, perfettamente definita nello spazio di Liouville L, la quale si può considerare come il prodotto interno dello spazio di Hilbert ma reinterpretato in L56. Assioma 3: Gli stati m evolvono nel tempo secondo l’equazione di Liouville i!dm(t) / dt = Lm(t)

dove L è l’operatore liouvilliano (una semplice generalizzazione dell’operatore hamiltoniano H). Questa equazione è t-simmetrica (come quella di Schrödinger). Si prescinde dall’assioma 4, come si era già fatto nella meccanica quantistica, dato che esso viene ridotto a un teorema che nasce dallo studio dettagliato dei processi irreversibili di misurazione. Si può dimostrare facilmente che una restrizione degli stati della meccanica statistica quantistica ai soli stati puri ci consente la derivazione degli assiomi della meccanica quantistica ordinaria a partire da quelli sopra elencati. MC VI quindi si riduce a un caso particolare e noi lo abbiamo introdotto soltanto per motivi storici e didattici. Nella linea dell’approccio statistico dunque è questo il capitolo fondamentale e non quello precedente. La meccanica statistica quantistica porta alla risoluzione di numerosi problemi di fisica57. Comunque nel nostro studio, una volta considerata la t-asimmetria nel formalismo matematico, ci limiteremo alla questione del cosiddetto “limite classico”.

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Da questo assioma si può dedurre l’eq. 7.1.2. Ad esempio, questa parte della fisica consente di spiegare il comportamento dei gas reali e quello degli insiemi di particelle, un comportamento diverso se queste ultime sono fermioni (e allora seguono la statistica di Fermi-Dirac) oppure bosoni (che seguono la statistica di Bose-Einstein) (LANDAU - LIFSHITS, 1978) (cfr. MC IX, 1). 57

Meccanica statistica quantistica irreversibile

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In modo simile ai capitoli precedenti, introdurremo la t-asimmetria in questo settore seguendo il metodo della dinamica ristretta. Zurek e i suoi collaboratori lo hanno fatto con successo col metodo del coarse graining (ZUREK, 1981, 1982, 1991; ZUREK et al., 1994). In MC V e VI abbiamo adottato rispettivamente gli spazi Φ − e φ − come spazi degli stati con evoluzione fisicamente consentita, mentre rimanevano proibite le loro inversioni temporali cioè Φ+ e φ + . Analogamente adesso prendiamo come spazio degli stati quantici con evoluzione permessa lo spazio Φ− = φ − ⊗ φ − , impiegando lo stesso simbolo di MC V in quanto entrambi sono molto connessi58. Ovviamente risulta che: (7.3.1) T : Φ− → Φ+ = φ+ ⊗ φ + ≠ Φ − vale a dire l’inversione temporale degli stati regolari permessi costituisce uno spazio diverso. Si stabilisce quindi una t-asimmetria negli stati, pur rimanendo tsimmetriche le equazioni di evoluzione (di Liouville). Si può anche dimostrare che × (7.3.2) Φ − ⊂ L− ⊂ Φ − il che è il consueto tripletto di Gel’fand (cfr. MC VI, 4.4) ( L− è un sottospazio di L contenente gli stati chiamati “uscenti”, ma adesso quantici). Lavorando con questo tripletto si possono spiegare i fenomeni della meccanica statistica quantistica irreversibile. Si potrà ad esempio ripetere quanto visto in MC VI, 5 sugli stati instabili, nel quadro del nuovo formalismo. Esiste un modo di passare dalle matrici densità m della meccanica statistica quantistica alle funzioni di distribuzione o di densità f della meccanica statistica classica, mediante l’integrale di Wigner (HILLERY et al., 1984). Si tenga presente a questo proposito che le funzioni di densità f, essendo soltanto delle probabilità, sono sempre positive. Invece, data una matrice generica m, l’integrale di Wigner produce una funzione f che può essere in parte positiva e in parte negativa, il che è un oggetto più generale dell’usuale funzione di densità classica. Questo fatto è ragionevole e infatti vi sono più stati quantici che stati classici. Gli stati quantici specificamente classici hanno la proprietà di essere diagonali59, una caratteristica ottenuta mediante il processo di “decoerenza” di cui parleremo in seguito, e inoltre hanno delle “correlazioni”, come adesso vedremo. Le integrali di Wigner di matrici diagonali, in effetti, danno sempre funzioni di densità f sempre positive, cioè vere funzioni di densità classiche60. Questi punti, benché tecnici, non sono di poco conto in quanto consentono la connesIl simbolo ⊗, già utilizzato, indica che le matrici dello spazio Φ− si ottengono moltiplicando due funzioni d’onda (dello spazio φ − ), prese da due punti diversi, poi eventualmente sommate secondo l’eq. (7.1.1). 59 Tali cioè che m(x,x) ≠ 0 ed m(x,y) = 0, se x ≠ y. 60 Il quadro risultante è il seguente: Stati Matrici m Funzioni f Quantici Non diagonali Non positive Classici Diagonali Positive 58

74 sione tra l’ambito quantistico e l’ambito classico, un punto di fondamentale importanza nella nostra tematica. Per questo motivo abbiamo impiegato il medesimo nome per le versioni classiche e quantistiche degli spazi L e Φ− 61.

Decoerenza, correlazioni e il limite classico La somma delle probabilità propria della meccanica quantistica, si ricordi, è collegata al fenomeno dell’interferenza visto nell’esperimento delle due fenditure (cfr. MC VI, 2). Tutti i fasci di fotoni (o di elettroni) provenienti dalla stessa sorgente producono le frange d’interferenza e in questo senso si dicono coerenti. La scomparsa di queste interferenze, chiamata decoerenza, ci riconduce all’ambito classico dove le probabilità si sommano booleanamente (cfr. JS II, 13). Questo fenomeno corrisponde al fatto che gli oggetti macroscopici, pur essendo costituiti da particelle con il loro comportamento quantistico, seguono comunque le leggi della statistica classica, le quali appaiono più naturali al nostro “senso comune”. Sembra di esserci una contraddizione, ma è solo apparente. Tra le particelle degli oggetti macroscopici, infatti, ci sono delle interazioni irreversibili che causano la decoerenza e quindi portano al comportamento classico. Rivediamo ancora l’esperimento delle due fenditure della fig. 40, solo che adesso introduciamo dietro di esse una densa atmosfera di atomi che interagiscono fortemente con i fotoni incidenti, perturbando le loro traiettorie e in parte assorbendoli (fig. 56). Ora, le probabilità nell’esperienza della fig. 40 si sommano alla maniera ! ! quantistica. Considerando quindi le due funzioni di onda ϕ 1 ( x ) e ϕ 2 ( x ) dei due fasci ! di fotoni in arrivo nell’esperimento, la probabilità (quantistica) totale p( x ) di trovare un fotone nel punto x sarà: ! ! ! 2 ! " ∗ ! ! p( x ) =| ϕ 1 ( x ) + ϕ 2 ( x ) | = [ϕ 1 ( x ) + ϕ 2 ( x )] [ϕ 1 ( x ) + ϕ 2 ( x )] = ! 2 ! ! " ! 2 ∗ ! ∗ =| ϕ 1 ( x )| +ϕ 1( x )ϕ 2 ( x ) + ϕ 2 ( x )ϕ 1 ( x )+ | ϕ 2 ( x ) | = ! ! ! ! = p1 + ϕ ∗ 1 (x )ϕ 2 ( x ) + ϕ ∗ 2 ( x )ϕ 1 ( x ) + p 2

(7.4.1) Come si vede (nel terzo termine), non si arriva al risultato classico secondo il ! ! quale p = p1 + p2 , poiché ci avanzano quei due termini, ϕ 1 ( x ) e ϕ 2 ( x ) , che appunto provocano l’interferenza. Nella situazione invece rappresentata nella fig. 56 abbiamo introdotto un’atmosfera tra il diaframma e la lastra fotografica, atmosfera che produce interazioni tra i due moti oscillatori provenienti dalle due fessure (moti caotici prodotti dall’urto dei fotoni con le particelle dell’atmosfera). Nell’espressione matematica del fenomeno, la media ottenuta tra i due termini moltiplicati risulta nulla (dato che entrambi possono essere sia negativi che positivi e non sono in fase)62. La matrice densità corrispondente alla fig. 56 sarà: ! ! ! ! " ! (7.4.2) m( x , x ) = ϕ ∗1( x )ϕ1 ( x ) + ϕ ∗ 2 ( x )ϕ 2 ( x ) e la probabilità finale di ottenere un fotone nel punto x sarà

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Si può anche verificare nel dettaglio che gli spazi regolari quantistici e classici sono ricollegati tramite l’integrale di Wigner (CASTAGNINO - DIENER et al., 1996; CASTAGNINO - LAURA, 1999). ! 2 ! 2 62 Ma ϕ ( x ) ≥ 0 e ϕ ( x ) ≥ 0 , cosicché non si possono annullare nella media. 1 2

! ! ! ! ! " ! ! ! p( x ) = m( x , x ) = ϕ ∗1( x )ϕ 1 ( x ) + ϕ ∗ 2 (x )ϕ 2 ( x ) = p1 ( x ) + p2 ( x )

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dove i termini di interferenza alla fine scompaiono e si ritorna così alla somma classica delle probabilità p = p1 + p2 . (7.4.3) Inoltre, nella meccanica quantistica, come si è detto in MC VI, 1, la posizione e il momento non sono correlati (non possono misurarsi in modo simultaneo con esattezza). Considerando però il fenomeno della decoerenza con l’integrale di Wigner, le correlazioni proibite dal principio di incertezza di Heisenberg ricompaiono. La funzione di distribuzione f corrispondente alla matrice densità m mostra infatti che le posizioni e i momenti probabili si trovano in una piccola regione dello spazio delle fasi la quale, pur rispettando il principio di incertezza, risulta estremamente piccola per le dimensioni classiche. In definitiva, l’interazione irreversibile introdotta dall’atmosfera nelle situazioni quantistiche produce la decoerenza e ristabilisce le correlazioni, riconducendo il fenomeno al comportamento classico. Siamo pervenuti in questo modo al cosiddetto “limite classico”: i corpi macroscopici, pur essendo quantistici, si comportano alla maniera classica. La logica quantistica cede il suo posto alla “logica classica”, più consone con il nostro “senso comune”. La meccanica statistica classica si può anche ottenere come un caso limite della meccanica statistica quantistica, applicabile ai corpi macroscopici. I risultati complessivi sono dunque soddisfacenti (ARBÓ CASTAGNINO - GAIOLI, 1999; CASTAGNINO - LAURA, 1999). In modo analogo possono studiarsi i processi di misurazione. Anche se è in gioco un oggetto microscopico misurato, l’operazione di misurare si conclude in un effetto macroscopico, per esempio il movimento di un ago (CASTAGNINO - LAURA, 1999). Anziché giustificare l’irreversibilità con la misurazione (assioma 4), abbiamo così seguito la via inversa, in ossequio della condizione di Bohr e Rosenfeld, quella cioè di partire dall’irreversibilità, introdotta con il metodo della dinamica ristretta, per spiegare soltanto dopo i procedimenti di misurazione. A questo punto possiamo riferirci al cosiddetto paradosso del gatto di Schrödinger. Il gatto è un sistema quantistico corrispondente a uno stato m o ϕ, per cui non sappiamo se il gatto è vivo o morto. Sennonché il gatto è macroscopico e perciò sarà vivo o morto, ma non può essere vivo-morto. Ecco il paradosso. La soluzione è che nella fisica quantistica non consideriamo individui, bensì ensembles, per cui non possiamo riferirci a un solo gatto, ma dobbiamo lavorare su un insieme di molti gatti. Di conseguenza, secondo l'approccio statistico: a) a livello quantistico statistico, abbiamo un ensemble di molti gatti in uno stato puro o di miscuglio. Alla domanda, "i gatti, sono vivi o morti?", possiamo rispondere mediante la statistica non booleana propria di questo livello; b) se l'ensemble dei gatti subisce un processo di decoerenza (poiché i gatti sono macroscopici, dobbiamo pensare a un tale processo), ci troveremo al livello statistico classico. La domanda si potrà rispondere adesso mediante le probabilità booleane: per esempio, ci sarà un 50% di probabilità che i gatti siano vivi, e un 50% che siano morti; c) a livello individuale classico, verificheremo se tale predizione statistica è corretta e così vedremo se ciascun gatto è vivo o morto. Se la predizione b) si compie,

76 vedremo che il 50% dei gatti è vivo e che l'altro 50% è morto. Il paradosso, dunque, scompare.

Il corpo nero Nel capitolo sull’elettromagnetismo ci siamo riferiti allo stato cosmologico di “corpo nero” presente al momento del disaccoppiamento tra materia ed energia (cfr. MC III, 3). Ne spieghiamo ora il concetto generale, sapendo che si tratta di uno stato quantico non puro ma di miscuglio. Data una cavità sferica con un piccolo orifizio (fig. 57), la luce che vi entra rimbalzerà parecchie volte sulle pareti interne e al limite, se l’orifizio è infinitesimalmente piccolo, non potrà uscirne. Il contenuto del recipiente è detto “corpo nero”. Ma attraverso il buco la cavità riscaldata emetterà radiazione di una certa energia misurabile mediante la sua osservabile che è l’hamiltoniana H. Si può calcolare lo spettro di H e le probabilità corrispondenti ai singoli autovalori dell’energia ω , probabilità che risultano proporzionali a !w / T (7.5.1) p(ω ) ≈ 1÷ (e − 1) essendo T la temperatura del corpo nero) (LANDAU - LIFCHTIZ, 1978). Questa distribuzione di probabilità di radiazione si presenta spesso nella natura ( “radiazione di corpo nero”).

Tempo NT e asimmetria sostanziale Siamo nell’ultimo capitolo dove il tempo si mantiene ancora come NT. Come però risulta dell’esposizione, con la scelta dello spazio degli stati regolari Φ− la meccanica statistica quantistica acquista una t-asimmetria sostanziale. Inoltre, le frecce temporali termodinamica e quantistica coincidono (FTT=FTQu) in quanto entrambe nascono dalla definizione dello spazio Φ− . La topologia del tempo di questo settore nella cornice della dinamica ristretta e dei nostri diagrammi di Reichenbach-Bohm e tenendo conto dell’assorbente cosmico al tempo del disaccoppiamento sarebbe quella del segmento di retta [0, ∞), oppure (-∞, ∞) se tralasciamo quest’ultimo elemento. In ogni caso la scelta dello spazio Φ − appare giustificata.

77

Capitolo ottavo

La relativita speciale (ALM, convenzionale) I fenomeni della relatività speciale Le due grandi rivoluzioni che sconvolsero la fisica nel XX secolo furono la fisica quantistica e la teoria della relatività. Tutte e due nacquero più o meno al contempo, seppure noi le consideriamo separatamente nel nostro approccio sistematico e non storico. La teoria della relatività ci costringe però a ritornare alla fine di MC III, cioè supponiamo ancora di conoscere solo la meccanica classica e l’elettromagnetismo (con il compito di unificarli). La teoria della relatività speciale (1905) compì storicamente una prima e importante unificazione tra la meccanica classica (escludendo però la gravitazione) e l’elettromagnetismo. Alcuni esperimenti eseguiti verso la fine del XIX secolo, in particolare quello di Michelson e Morley, contribuirono a questa impresa (EINSTEIN et al., 1952; FOCK, 1964; MÖLLER, 1952; SYNGE, 1958). Gli elementi primitivi della teoria sono i punti materiali, con o senza carica elettrica, presi soltanto a dimensioni piccole (“particelle di prova”) affinché non esercitino un influsso gravitazionale sullo spazio. Sono quindi tralasciati gli oggetti di grande massa, quali i pianeti o le stelle, dal momento che la gravitazione verrà presa in considerazione soltanto nella relatività generale (MC X). Lavoriamo inoltre con raggi di luce, che nel vuoto viaggiano alla velocità di 300.000 km/s (quindi vengono assunte le onde elettromagnetiche viste in MC III) e si tiene conto di velocità vicine a quella della luce. Riprendiamo il concetto (anche primitivo) di sistema di riferimento S, esposto in MC I, 1.3. Ma ora converrà definire tre concetti ivi inclusi: orologio, regolo e simultaneità. Orologio. Infrangendo la condizione di Bohr e Rosenfeld, includiamo l’orologio atomico come oggetto primitivo, un punto che comunque sarà corretto in MC X. La natura ci offre orologi campioni (cfr. JS II, 3), presenti dovunque nell’universo e in qualsiasi sistema di riferimento (con un proprio stato di moto). Le oscillazioni sia delle molecole (per esempio di ammoniaca) che dei cristalli (ad esempio di quarzo) oppure degli atomi stessi (ad es. orologi al cesio) hanno un periodo costante e quindi si possono prendere quali i migliori strumenti per la misurazione del tempo. I periodi di tempo computati da questi orologi coincidono anzi superano in precisione il tempo delle effemeridi. Le frequenze delle loro vibrazioni nei singoli casi sono ritenute uguali in ogni sistema di riferimento dato: una simile ipotesi è confermata dai fatti, ma in questa sede la prendiamo a titolo di postulato. Regolo. La velocità della luce c ci è data dalla natura come velocità campione. Nella relatività speciale si assume come postulato la costanza di c indipendentemente dal sistema di riferimento (ritorneremo su questo punto). Ora, se c’è una velocità e un tempo standard, si può altresì adottare una lunghezza standard, quella cioè percorsa

78 dalla luce nel nostro tempo campione. Abbiamo così un regolo campione per la misurazione delle lunghezze in un sistema di riferimento dato. Simultaneità. Gli orologi debbono segnare tutti la stessa ora. Due eventi distanti saranno simultanei se due orologi accanto ad essi indicano lo stesso tempo. La sincronizzazione degli orologi esige il concetto di simultaneità operazionale accennato in MC I, 1.1 e a questo punto una nozione ALM di tempo è inevitabile. Vediamo di definire la simultaneità impiegando il raggio di luce e le traiettorie spazio-temporali delle particelle di prova. Supponiamo due orologi in riposo relativo nel nostro sistema di riferimento S (fig. 58). Uno di essi percorre la traiettoria spaziotemporale “a” e l’altro quella “b”. Essendo in quiete relativa, la loro distanza rimane costante, cosicché le due traiettorie sono parallele (si pensi ad esempio a due orologi fissi sulla terra in moto). Il primo orologio emette un segnale luminoso nel punto A e all’istante t (indicato da se stesso) indirizzato al secondo orologio. Il segnale arriva all’altro orologio nel punto B e all’istante T indicato da quest’ultimo. Intanto uno specchio del secondo orologio riflette il segnale luminoso verso il primo, segnale che arriva al punto A’ quando quest’ultimo indica t’. Essendo gli orologi in riposo tra loro e nel sistema di riferimento S, in un universo vuoto (per ipotesi), possiamo considerare uguale la velocità della luce sia all’andata che al ritorno. Gli orologi saranno quindi sincronizzati se T = (1/ 2)(t + t' ) , vale a dire se T è la media tra t e t’. Questo metodo perfettamente operazionale ci consente di definire la nozione di simultaneità per orologi in riposo nel sistema S, cioè per eventi osservati dal sistema S. Adesso possiamo anche sincronizzare tutti gli orologi di S con quello che sta all’origine di S (cfr. fig. 1) e che segna il tempo t. Ciò corrisponde alla coordinata t della quaterna (t, x, y, z) vista in MC I, 1.3. Abbiamo così precisato la nozione di sistema di riferimento S. In questo approccio il tempo chiaramente non è una nozione primitiva, dal momento che per definire la simultaneità si è fatto ricorso all’idea di sincronizzazione, in definitiva in base al concetto di movimento. Siamo dunque in un tempo ALM. L’unificazione tra la meccanica classica e l’elettromagnetismo operata dalla relatività richiede inoltre l’unificazione con la geometria fisica. Non alludiamo qui alla geometria matematica, fatta da concetti astratti come il punto, la retta o il piano, bensì alla geometria reale impiegata da agrimensori e geodeti, in cui vengono misurate in modo effettivo e anche verificate le leggi astratte della geometria euclidea (per es. gli angoli del triangolo sommano 180º, il perimetro di una circonferenza di raggio R è uguale a 2πR, ecc.). Questa geometria è fondamentale per la fisica e ad essa ci riferivamo in MC II, 1 quando i punti, le rette o i piani (materiali e concreti) erano inclusi tra gli elementi primitivi della meccanica classica. Poniamo adesso una domanda fondamentale: in quale sistema di riferimento sono valide le leggi della geometria fisica, della meccanica classica e dell’elettromagnetismo? Indicheremo la risposta considerata vera prima dell’avvento della relatività speciale: a) Geometria fisica. Prima della relatività le leggi della geometria fisica erano i postulati di Euclide e lo spazio fisico era ipotizzato euclideo. Pur essendoci tanti sistemi di riferimento in moto relativo (reciproco), i postulati della geometria (come la somma degli angoli interni del triangolo=180º) erano ritenuti validi (veri e perciò equivalenti o invarianti) in tutti quanti.

79 Pensiamo adesso a un sistema privilegiato dato, al quale possiamo denominare “sistema assoluto”. Nella cosmologia newtoniana si poneva come sistema assoluto quello che aveva il Sole al centro e gli assi rivolti alle stelle fisse. Nella visione cosmologica odierna si potrebbe prendere il sistema dove tutta la materia dell’universo in media sta in riposo, il che corrisponde alla distribuzione omogenea nel cosmo della radiazione cosmica di fondo (avente la struttura di un corpo nero). Ora, i sistemi con moto traslatorio rettilineo e uniforme rispetto al sistema assoluto (o privilegiato) sono sistemi inerziali. Di conseguenza, due sistemi inerziali sono in quiete o in moto relativo (reciproco) rettilineo e uniforme (cioè non accelerato). Essi sono definiti dalla loro velocità rispetto al sistema privilegiato con le tre solite componenti v x , v y ,v z . Poiché una singola componente può prendere valori infiniti (∞), i fisici assegnano ai valori infiniti delle tre componenti il simbolo ∞3. Esistono quindi ∞3 sistemi inerziali. La terra nel suo giro non è un sistema inerziale e tanto meno, ad esempio, una centrifuga o una trottola, ma a certi effetti il nostro pianeta con la sua lenta rotazione può considerarsi un sistema inerziale. Bisogna inoltre considerare i sistemi rotanti rispetto a quelli inerziali e aventi una velocità angolare costante e ugualmente a tre componenti, per cui avremo sei componenti e quindi ci saranno almeno ∞6 sistemi rotanti di questo genere. Si potrà pensare anche ad altri moti più complicati, ma basta fermarci a > ∞6 come il numero di tutti i sistemi in cui i principi della geometria euclidea erano ritenuti validi. b) Meccanica classica. Si può dimostrare che le leggi (equazioni) di Newton sono valide soltanto nell’insieme dei sistemi inerziali, cioè in ∞3 sistemi. Dunque un fisico rinchiuso in un laboratorio senza finestre e non sottoposto ad accelerazioni, compiendo solo esperimenti di meccanica classica non sarà in grado di sapere se sta in un sistema inerziale o in un altro. Chiusi nella cabina di una nave senza accelerazioni o rallentamenti, non distinguiamo l’eventuale moto (uniforme) o quiete della nave, esclusi i mezzi ottici. I sistemi inerziali sono anche chiamati “galileiani” in quanto Galileo intuì questo fenomeno. In modo illustrativo egli osservò che il volo di mosche o di farfalle nella cabina di una nave non rivela per nulla il moto uniforme di quest’ultima. c) Elettromagnetismo. Prima della relatività le onde elettromagnetiche erano ritenute simili alle onde acustiche, le quali sono vibrazioni dell’aria. Verso la fine del XIX secolo si pensava quindi all’esistenza di un fluido di base: l’etere. Esso era in riposo, si postulava, e costituiva il sistema assoluto immobile del cosmo. Le equazioni dell’elettromagnetismo (di Maxwell) erano solo valide in tale sistema, da cui risultava la costanza della velocità della luce in ogni direzione. Nella tavola 1 vediamo il panorama complessivo descritto. Tavola 1. Capitoli della fisica prima di Einstein Capitolo e leggi

Ambito di validità

Numero

Geometria fisica (princi- Tutti i sistemi pi di Euclide)

>∞ 6

Meccanica classica (leg- Sistemi inerziali gi di Newton)



3

80 Elettromagnetismo Sistema assoluto (etere) 1 (equazioni di Maxwell) Un’unificazione dei tre capitoli è difficile in questo quadro finché le equazioni non siano valide per gli stessi sistemi nelle singole aree della fisica. Il quadro einsteiniano della tavola 2 invece assolve questo compito. Tavola 2. Capitoli della fisica dopo Einstein Capitolo e leggi

Ambito di validità

Numero

Geometria fisica (princi- Sistemi inerziali pi di Euclide)



Meccanica classica (leg- Sistemi inerziali gi di Newton)



3

3

3 Elettromagnetismo Sistemi inerziali ∞ (equazioni di Maxwell) La sistemazione in tavola 2, con la sua simmetria, esprime evidentemente un’unificazione della fisica e peraltro è quella scelta dalla natura, dotata addirittura di un certo fascino estetico. Si postula dunque che tutte le leggi della natura (equazioni) nei tre capitoli siano valide soltanto nei sistemi inerziali. Il nome di “relatività” viene dal fatto che aspetti prima considerati assoluti adesso diventano relativi ai sistemi di riferimento (lo spazio e il tempo). La teoria della relatività è però anche “assolutistica” in quanto sostiene il carattere assoluto delle leggi di natura, che rimangono invarianti nei diversi sistemi inerziali. Abbiamo esposto l’idea fondamentale della relatività in una maniera didattica (non propriamente storica) e in sintonia con l’approccio dell’unificazione. Storicamente gli esperimenti di Michelson e Morley (MARTÍNEZ, 1996) portarono all’esclusione del sistema assoluto dell’etere ipotizzato nell’elettromagnetismo prima della relatività. In sintesi: presupponendo l’etere come sistema assoluto immobile, l’unico nel quale le equazioni di Maxwell sarebbero valide, bisognava concludere che solo in questo sistema la velocità della luce aveva lo stesso valore in tutte le direzioni. Quindi, nei sistemi in moto rispetto all’etere quale la Terra ci dovrebbe essere un “vento di etere”, nel senso che si dovrebbero rilevare certe variazioni della velocità della luce a causa dello spostamento terrestre lungo l’etere. Niente del genere fu trovato da Michelson-Morley: c rimaneva invariante in qualsiasi direzione per ogni sistema inerziale. L’etere quindi non esisteva e si era costretti a trovare una soluzione diversa al problema, la quale è venuta in modo geniale dal contributo teorico di Einstein. Il confronto tra le due tavole dunque ci consente di ricavare le seguenti conclusioni: a) Riguardo alla meccanica classica le due tavole coincidono. b) L’elettromagnetismo, al pari della meccanica classica, diventa valido in tutti i sistemi inerziali e non più nel sistema assoluto dell’etere. Il fisico nel suo laboratorio non sarà capace di accorgersi del sistema inerziale in cui si trova (per esempio dello stato di moto rettilineo e uniforme o di quiete), nemmeno col ricorso ad esperienze elettromagnetiche.

81 c) Riguardo alla geometria fisica, se i principi di Euclide prima erano ritenuti universalmente validi, adesso lo sono soltanto nei sistemi inerziali. Nei sistemi rotanti rispetto ai sistemi inerziali ad esempio la geometria euclidea non è valida: cambia in essi il perimetro della circonferenza di raggio R (2πR vale soltanto nei sistemi inerziali), un fatto collegato alla “contrazione di Lorentz” risultante dalle equazioni relativistiche (cfr. MC VIII, 2.1).

Leggi I principi della relatività speciale si possono ridurre a due assiomi fondamentali. Il primo enuncia quanto abbiamo visto nella tavola 2. Assioma di relatività: tutte le leggi fisiche sono ugualmente valide (invarianti o equivalenti) in tutti i sistemi inerziali.

Il principio vale per i tre capitoli fisici indicati, ma per un’estrapolazione confermata dall’esperienza si estende a tutta la realtà fisica, per cui si parla di “tutte le leggi fisiche”. Certamente siamo in un ambito ridotto allo spazio vuoto, con particelle piccole di prova e senza gravità. Di qui il secondo principio: Assioma di omogeneità e isotropia: tutti i punti e le direzioni dello spazio e gli istanti di tempo sono equivalenti.

L’assioma si riferisce solo a uno spazio (quasi) vuoto, poiché la presenza di un astro come il Sole, ad esempio, comporta che le direzioni verso il Sole siano diverse dalle direzioni opposte (un fatto considerato dalla relatività generale). Questi principi consentono l’elaborazione sistematica di tutta la relatività speciale. Premettiamo che a piccole velocità rispetto a quella della luce la meccanica classica viene ricuperata. Se v è una velocità tipica del sistema e c quella della luce, si ottengono i risultati classici quando v